Ice and Wind

di lady lina 77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Oslo (Norvevia), novembre 1803

Il ghiaccio, la neve e l'oscurità avevano avvolto la città dalle case di legno che si ergeva sulla baia congelata. Tutto era silenzioso ed immobile, ognuno era rintanato nelle proprie case per sfuggire al buio e al gelo e se la si guardava da lontano, Oslo sembrava una città morta e immobile, priva di vita e calore.
Era tanto diversa dalla sua nativa Spagna, pensava Jasmine mentre con passo veloce percorreva viottoli sterrati coi piedi che le affondavano nella neve fresca. Era uscita dal suo nascondiglio, un misero scantinato di una casupola di pescatori abbandonata, in cerca di cibo quando ormai era buio. E sapeva che era un azzardo e che la stavano cercando, ma non mangiava da due giorni e le sembrava di impazzire all'idea di attendere il giorno successivo per mettere qualcosa sotto i denti. Non chiedeva molto, forse si sarebbe limitata a cercare avanzi gettati per strada, andava bene tutto pur di placare la sua fame. Aveva mille motivi per essere disperata e non trovava soluzioni davanti a se che non fossero vivere nascosta nell'oscurità per proteggere, pur da lontano, chi amava. Ma non poteva vivere nascosta come un topo tutta la vita e di fatto non aveva i mezzi per scappare da quella città maledetta che tanto le aveva dato ma tanto le aveva tolto. Tanto valeva vivere in qualche modo, tanto sarebbe stata solo una questione di tempo e di fatto quando usciva di giorno, era già comunque seguita ed ogni volta diventava sempre più difficile far perdere le proprie tracce, soprattutto ora che l'inverno era arrivato e la gente in giro era poca.
Percorse un dedalo di viottoli senza una meta precisa, in cerca di cibo, cercando di focalizzarsi sulle poche cose positive della sua vita: i suoi due bambini erano al sicuro e mai sarebbero riusciti a trovarli. E in quella città aveva incontrato del tutto fortunosamente il volto amico e fidato di Ross Poldark, conosciuto tanti anni prima... E lui avrebbe salvato i suoi bambini in un modo o nell'altro.

"Sono quì sotto falso nome, Jasmine e ho i mezzi per aiutarti. Posso imbarcare te e i bambini in incognito e mettervi al sicuro, non puoi e non devi scappare per sempre".

Era una proposta dolce e gentile ma aveva rifiutato. La tenevano d'occhio, l'avrebbero trovata e peggio ancora, avrebbero trovato i suoi bambini se fossero rimasti insieme. Era meglio perderli ma saperli al sicuro che vivere perennemente assieme a loro con la paura che chiunque incontrassero, fosse un pericolo mortale. Il loro padre era morto in modo orribile, lei probabilmente avrebbe fatto altrettanto, ma loro no... Sarebbero rimasti nascosti e Ross Poldark li avrebbe portati via, lontano, aveva ogni informazione utile a trovarli e a portarli via... E poi, che a lei succedesse ciò che doveva succedere...
Svoltò verso il porto ed era deserto. Ma non era sola, lo avvertì distintamente quando alcuni passi si aggiunsero ai suoi. La seguivano e non c'era nessuno, adesso, dietro al quale nascondersi, non c'era un mercato dove confondersi con la folla e se avesse urlato, nessuno l'avrebbe sentita. O anche fosse successo, nessuno sarebbe uscito da casa propria in una notte di gelo e neve per salvare una sconosciuta che si era messa nei guai da sola.
"Jasmine...".
La voce graffiante e metallica di un uomo la raggiunse e quando pronunciò il suo nome, comprese che la sua fuga era finita. Si voltò e si trovò due uomini alti, biondi come ogni dannato vichingo nato su quelle terre, avvolti in lunghi e pregiati mantelli neri. "Prego?".
Le si avvicinarono. "Ti abbiamo cercata a lungo. In realtà ti abbiamo vista spesso ma fin'ora sei stata abbastanza furba da muoverti in luoghi affollati dove sarebbe stato difficile avvicinarti. Non credevamo saresti stata tanto sciocca da uscire in una sera di gelo, i topi di solito amano rimanere rintanati nelle loro tane in notti così ma a quanto pare sei meno furba di come appari".
Lei sorrise, beffardamente. "Amo il vostro dannato clima e voglio goderne il più a lungo possibile. Suppongo di non avere abbastanza tempo, giusto?".
"Dipende da te".
"Credo dipenda da voi".
Uno dei due le si avvicinò e dal mantello fece spuntare la sua mano, armata di un taglierino. "In realtà dipende da te. O collabori... perché sai che abbiamo occhi dappertutto e prima o poi scopriremo ogni cosa... Oppure...".
"Oppure non avrò tempo per ammirare la prossima aurora boreale". Al diavolo, non ne sarebbe uscita viva ma non voleva andare all'altro mondo piagnucolando o autocommiserdandosi ma con garbo ed ironia, guardando i suoi assassini negli occhi in modo beffardo e senza paura. Avrebbe venduta cara la pelle e avrebbe salvato quei suoi due bambini arrivati per magia e per amore quando, a quarantun anni suonati, non credeva che sarebbe diventata mai madre. Se c'era un buon motivo per morire, il piccolo Olav e la dolce Sigrid ne erano un ottimo esempio.
I due uomini si guardarono attorno impazienti, desiderosi di concludere la faccenda quanto prima, senza lasciare testimoni. "Dov'è il bambino?".
Jasmine sorrise, non sapevano che erano due e questo era un vantaggio. "Di quale bambino parlate?".
"Di quello che cerca il nostro signore, di quello che hai partorito il mese scorso".
Lei scoppiò a ridere. "Se mi avete seguito in mezzo a gelo e neve per saperlo, sappiate che avete preso freddo inutilmente e avete sprecato il vostro tempo".
Uno dei due le si avventò contro, prendendola per il bavero. "Lo troveremo comunque. Ma se ci aiuterai allora saremo clementi, se non ci aiuterai ci metteremo un pò di più ma tu non vedrai la prossima aurora boreale".
Di tutta risposta, Jasmine gli sputò in un occhio. "Fottiti!".
Schifato, l'uomo si asciugò la guancia. Poi strinse più forte la presa attorno al suo collo. "Dov'è il bambino?".
Lei non rispose. Sarebbe durato poco, potevano torturarla, farle qualsiasi cosa ma non avrebbe parlato. MAI!
L'altro uomo, rimasto in disparte, si avvicinò a sua volta. "Abbiamo metodi molto incisivi per ottenere le informazioni che vogliamo... Sappiamo già molte cose di te e ti abbiamo anche vista parlare più volte con un uomo dai capelli neri che alloggia in una locanda a poche vie dal porto... Controlliamo tutto, sappiamo tutto e lo teniamo d'occhio. Quindi se pensi che quell'uomo possa aiutarti, ti sbagli di grosso. Come si chiama?" - chiese al suo socio che teneva Jasmine bloccata.
"Conan Smith, un commerciante inglese di pelli".
Jasmine sorrise ancora. Conan Smith era il nome in codice di Ross Poldark, il nome con cui si muoveva in incognito su quella terra ghiacciata. Quei due non sapevano tutto, a quanto sembrava... E Ross Poldark era la miglior spia che il governo inglese potesse trovare. "Se sapete tutto, perché chiedete a me informazioni che dovreste già conoscere?".
"Ci manca l'informazione più importante e quella te la sei tenuta nascosta ben bene, dobbiamo ammetterlo. Sei stata brava e furba per lunghi mesi, sei sparita dalla faccia della terra per ricomparire senza pancione da chissà dove. Ma ora basta parlare, dov'è il bambino?".
"Fottiti di nuovo!".
Con un ghigno irato, l'uomo strinse ancora di più il collo alla donna. "Lo sai che noi vichinghi siamo bravissimi nell'ottenere ogni informazione che vogliamo attraverso la tortura? Abbiamo modi che ci piacerebbe sperimentare su di te. Ma se ci dirai dov'è il bambino...".
"Neanche morta. E in fondo, anche se ve lo dicessi, morirei comunque questa sera".
L'uomo che la teneva, alzò le spalle. "C'è modo e modo di morire. Ci sono morti rapide e indolori. E ci sono altre morti dove a un certo punto implori di incontrare il Creatore. O il divino Odino".
Jasmine sospirò. "Quando lo vederò, dirò al vostro Odino che è adorato da un popolo di mostruosi assassini".
L'uomo la strattonò. "Beh, dubito ti ascolterà. Ma se lo vuoi incontrare, sarò ben felice di mandarti da lui. Ma prima ci divertiremo un pò...".

...

La mattina successiva un pescatore la trovò fra la neve rossa di sangue. Completamente nuda, piena di lividi, coi denti rotti, la pelle del braccio scorticata e una profonda ferita da taglio sul collo. La sua bellezza mediterranea uccisa e deturpata per sempre... Ma anche nella morte pareva sorridere in modo beffardo, come aveva desiderato lei solo poche ore prima. E quel sorriso, oltre al silenzio e al suo segreto che si era portata nella tomba, era l'unica cosa che aveva riservato ai suoi assassini. Olav e Sigrid sarebbero stati salvi.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


"Ovunque vada, mi cercheranno. E se troveranno me, troverebbero anche i miei bambini. Ross, capisci che non posso portarli con me? Anche se lasciassi queste terre con loro, sarei braccata a vita e alla fine metterebbero le mani addosso ai miei bambini. C'è una donna, lei mi ha tenuta nascosta durante tutta la gravidanza nel suo scantinato. Era la balia di Harald e non esiste nessuno a Oslo più fidato di lei. Tiene nascosti i miei bambini e sa che manderò qualcuno a prenderli per portarli via da quì, al sicuro. Su quel foglio che ti ho dato troverai il suo indirizzo, va da lei accertandoti che nessuno ti segua, fa in modo di agire nell'ombra e poi sparisci coi miei figli e fa che nessuno li trovi mai. In qualunque modo. Va da quella donna e dì che ti manda Mina e che sei venuto a prendere i piccoli Odino, è così che chiamiamo in codice Olav e Sigrid. Va Ross e fa ciò che ti chiedo e te ne sarò grata per sempre".
"Lo farò, ma prima cercheremo un modo per far sparire da questo posto anche te!".
"Non è la cosa importante questa, adesso".
"Ti uccideranno, Jasmine! Se è come dici, se quella gente è così pericolosa come mi hai raccontato, succederà".
"Tanto meglio, Ross. Nel mondo dei morti non potranno più braccarmi".
"Lasciami almeno tentare, ho i mezzi per aiutarti".
"No, a me stessa penserò io. Ci hanno visto insieme già troppe volte e non deve succedere più. Nessun legame, nessun incontro dopo oggi, Ross. Fa solo ciò che ti chiedo e comunque andrà a finire per me, io sarò contenta".

Ross stropicciò il foglio fra le mani dopo averne letto il contenuto e poi per sicurezza lo gettò nel fuoco del camino. Nessuno avrebbe dovuto sapere ciò che c'era scritto né il nome della donna che teneva nascosti i due gemellini di Jasmine.
Con gli occhi lucidi dopo aver appreso del ritrovamento del cadavere della donna fra le nevi del porto, si affacciò alla finestra di quella città resa candida dalla neve ma che nascondeva fra i suoi dedali oscuri misteri e pericolosi sicari pronti a tutto pur di raggiungere il loro scopo. Gente che avrebbe ucciso senza pensarci due volte due neonati, gente che non si era fatta scrupoli di togliere la vita ai loro genitori in modo orribile. E se di certo non poteva dire di aver conosciuto Harald, aveva invece amato la vivacità e la voglia di vivere di Jasmine, coi suoi lunghi capelli castani, i suoi occhi curiosi e le lentiggini sul volto che le davano un aspetto ancora da ragazzina più che da matura donna quarantenne.
Il cielo era plumbeo e la notte scandinava sarebbe durata fino alla primavera. Era inquietante quel buio perenne ma in un certo senso lo avrebbe aiutato a nascondersi e ad agire con più sicurezza. Sapeva che la sua frequentazione con Jasmine era stata notata e sapeva anche di essere pedinato e tenuto d'occhio, erano settimane che qualcuno se ne stava appostato nell'ombra nella strada adiacente alla locanda, proprio nel punto dove la visuale della sua camera era migliore. E aveva capito che doveva agire con furbizia, usando cautela e cervello invece che irruenza. Aveva compreso come fare e aveva già un piano, aveva solo bisogno di mettersi d'accordo col suo socio in incognito in quella missione, Jones, che dormiva nella camera a fianco alla sua e che apparentemente, come da accordi, fingeva di non conoscere e ignorava quando erano in pubblico e insieme, nella stanza comune della locanda dove soggiornavano, negli orari dei pasti. Nessuno fino a quel momento li aveva collegati come facenti parte di uno stesso gruppo e solo nel silenzio delle loro stanze si parlavano di quanto visto e sentito ad Oslo. Fino a quel momento nessuno aveva seguito Jones nei suoi spostamenti e questo lo rendeva il suo migliore alleato per salvare i gemelli e portarli via.
Il cuore di Ross sanguinava per la crudele fine riservata a Jasmine e la sua irruenza avrebbe voluto vendicarla ma sapeva di non poterlo fare proprio per rispetto alla memoria della donna stessa. Jasmine non voleva giustizia per il suo assassinio, lei voleva solo la salvezza dei suoi figli per i quali era morta. E lui avrebbe tenuto fede alla parola data.
Agì come se nulla fosse nei giorni successivi alla morte della donna, non fece domande in giro circa l'assassinio, non andò a vedere il luogo dove si era consumato e si comportò come il banale uomo d'affari che doveva apparire nella sua missione. E nel frattempo pensava a come portar via di lì due bambini tanto piccoli. Aveva tre figli e sapeva quanto fosse difficile il compito che lo aspettava. I neonati erano esserini indifesi e pieni di esigenze e lui doveva portarli di nascosto, al gelo, fino a una nave e condurli in Inghilterra. C'erano lui e Jones e di certo non erano il meglio che due neonati potessero avere a loro disposizione. Santo cielo, come gli mancava la presenza di Demelza, ora più che mai... Lei avrebbe saputo come fare e i gemellini sarebbero stati al sicuro nelel sue mani. Ma sua moglie era a Nampara e doveva arrangiarsi da solo in quella dannata città ghiacciata. Occorrevano un sacco di cose da portar via, panni di cotone per cambiarli, coperte, latte... Era una delle cose più complicate in cui si era imbarcato e non era così sicuro che gli esiti sarebbero stati soddisfacenti.
Ma dopo qualche giorno di congetture e pensieri incessanti, quando anche la sua missione di spia stava giungendo al termine, decise che era giunto il momento di agire e una botola nella cantina della locanda, che portava alle fogne, poteva fare al caso suo. Sarebbe sgattaiolato fuori senza che la spia messa a controllarlo fuori dalla locanda se ne accorgesse, avrebbe recuperato i bambini e poi sempre attraverso le fogne, avrebbe raggiunto il porto e con una barca raggiunto la nave che lo avrebbe riportato in Inghilterra.
Tutto era pronto per quella messinscena e per quella missione, mancava solo una cosa: l'aiuto di Jones.
Gli bussò nel muro della camera a mezzanotte inoltrata e l'uomo, un apparente e anonimo commerciante dall'aspetto ordinario e grassoccio di mezza età, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno in corridoio, sgattaiolò da lui nel buio. Fuori nevicava, ogni luce era spenta e chi lo stava controllando dalla strada doveva pensare che stesse dormendo. Nessuna candela fu accesa e lui e Jones si sedettero nel lato più buio e intimo della stanza, fianco a fianco.
"Diavolo Ross, stavo quasi per addormentarmi. Che succede?" - bisbigliò Jones.
Ross sorrise, Jones era un uomo intelligente ma a volte decisamente pigro. Figlio di notabili di Londra ma poco incline allo studio e alla disciplina dettata dalle leggi di Westminster, si era fatto notare per la sua scaltrezza da Wichman ed era stato assunto assieme a lui al lavoro di spia per il governo inglese. "Succede che si è aggiunta una nuova missione al nostro lavoro".
Nell'oscurità, Jones sospirò. "Quale? Qualcosa di pericoloso? Quì non guardano in faccia a nessuno e questi vichinghi sgozzano donne nel porto con la stessa facilità con cui noi sbucciamo un'arancia, hai sentito? Dobbiamo portare a casa la pellaccia, Poldark".
"Sì, ho sentito..." - rispose Ross pensando amaramente a Jasmine, nominata senza sapere del loro rapporto da Jones in maniera del tutto casuale. "Comunque...".
"Comunque, Poldark?".
"Comunque dobbiamo, di nascosto, portare via due neonati da questa dannata città. E' un affare assolutamente riservato, nulla deve uscire da questa stanza e dovrai muoverti con cautela per fare ciò che ti dirò".
"E' un ordine di Wichman?".
"No".
"E' per la sicurezza dell'Inghilterra?".
Ross ci pensò su perché in un certo senso... Ma poi... "No".
Jones ridacchiò. "Poldark, hai per caso inguaiato qualche gentile e bionda donzella vichinga?".
"Idiota!".
"Lo hai fatto?".
"NO!".
"E allora?".
"E allora è una cosa che dobbiamo fare e la sostanza non cambia. Domani fingerai di uscire per affari e farai delle compere. Non tutte nello stesso negozio, mi raccomando, nessuno deve pensare che stai facendo acquisti per dei bambini. Comprerai tutto quello che ci serve per due neonati, un pò qua e un pò la...".
Jones lo bloccò. "E che diavolo serve a due neonati? Poldark, io sono zitello e non ho mai visto da vicino un marmocchio sotto i due anni e a Natale, nelle riunioni di famiglia, me ne sto ben lontano da quei chiassaosi piccoli nanetti che mi fanno andare il Pudding di traverso".
Ross sbuffò, fingendo di non averlo sentito. "Latte, coperte, panni di cotone per cambiarli, sapone... Questo serve a un neonato! Dobbiamo nutrirli e non abbiamo possibilità di avere una balia, quindi cerca di prendere abbastanza cose per il viaggio verso casa. Sulla nave dovremo tenerli buoni e nascosti in cabina, nessuno dovrà accorgersi della loro presenza e una volta sbarcati in Cornovaglia, ci penserò io a loro. Non sarà facile, dovremo adattarci e dovranno adattarsi anche i bambini durante il viaggio. Ma ce la faremo".
Jones si accigliò, scettico. "Come faremo a tenerli nascosti su una nave? Piangeranno, faranno baccano".
"Ci penseremo".
"Poldark, tu sei folle!".
"Forse, ma farai come ti dico".
Jones annuì, Ross era il suo capo e in fondo non aveva potere di controbattere più di tanto. "E come li portiamo sulla nave".
Ross si morse il labbro, quella sarebbe stata la parte più complicata. "Domani sera fa in modo che nascosta in una grotta nella baia a nord io trovi una barca. Piccola, malandata, ciò che trovi andrà bene. Appena recupererò i bambini, con quella, ti raggiungerò sulla Polar Princess e faremo rotta verso l'Inghilterra all'alba".
"Vuoi avventurarti con due mocciosi nella baia, di notte, in mezzo al gelo in barca?".
"Non ho scelta".
"Poldark, che ti sei bevuto stasera?".
"Mai stato così sobrio".
Jones sospirò, non c'era nulla da fare se Ross si era messo in testa quella malsana idea. "Sei folle ma farò come dici se mi prometti che non ti farai ammazzare. Ma come farai, dove sono questi bambini? E soprattutto, chi sono?".
Ross si oscurò. "Non posso dirtelo. Posso solo...".
"Cosa?".
Ross scosse la testa, pensando ai mille risvolti di quella oscura faccenda e ai rischi che avrebbero corso i piccoli. "Li porto via perché quì sarebbero uccisi come la donna trovata morta al porto".
Lo sguardo del suo socio si accese di curiosità ma anche intelligenza. "C'è qualche legame fra loro e lei?" - chiese, con circospezione.
Ross non rispose, non poteva, e Jones capì che era sulla strada giusta ma non poteva chiedere di più. "E dopo?".
"E dopo ti dimenticherai di questa storia e ci penserò io a mettere al sicuro i bambini in Inghilterra, in qualche modo. Non dovrai parlare di questa storia con nessuno, nemmeno con Wichman, tutto deve rimanere un segreto fra me e te". Non sapeva ancora cosa ne avrebbe fatto dei bambini ma una volta giunto al sicuro a Nampara avrebbe riflettuto sul da farsi senza coinvolgere nessuno. Nampara... Santo cielo, mai come in quel momento gli mancava la sua casa... Pensò a sua moglie e ai suoi bambini che in quel momento erano nel lettone a godersi la vicinanza della loro madre e poi pensò a quei due gemellini che mai avrebbero goduto di qualcosa di simile. E la pena per Jasmine e la sua scelta di salvare i bambini diventarono ancora più forti. "Sono spiato e seguito da settimane, Jonas, quindi dovremo agire con scaltrezza per fregare le spie che stazionano fuori da quì. E quindi, domani sera verrai di nascosto nella mia stanza come hai fatto adesso. Non ti affaccerai alla finestra ma terrai la luce accesa fino alle dieci, come se io fossi quì e stessi leggendo. Poi spegnerai le candele, come se andassi a letto. Io nel frattempo sgattaiolerò fino alla cantina e alla botola che porta alle fogne e tu farai altrettanto. Così facendo, nessuno ci vedrà uscire dalla locanda e chi mi spia penserà che sono a dormire, come tutte le sere". Gli pose fra le mani una mappa sotterranea delle fogne di Oslo che aveva studiato in quei giorni. "Io, appena arriverai in camera mia, andrò a prendere i bambini nel luogo dove sono tenuti, tu una volta spenta la candela, dalla stessa botola, raggiungerai il porto e la nostra nave. Coi bambini ti raggiungerò lì".
Jones sbuffò, sconsolato. "Attraverso le fogne?".
"Prendila come una nuova avventura".
Jones lo guardò storto. "Posso dirlo che ti odio?".
Ross sorrise. "Sì, puoi dirlo".
"E sia, odiandoti Ross, farò ciò che mi chiedi. E prega che quei due mocciosi siano silenziosi e buoni o finiranno in mare in pasto agli squali".
Ross gli diede un colpetto sulla spalla. "In questi mari ci sono solo salmoni".
Jones alzò gli occhi al cielo. "Oh, sono sicuro che anche loro gradiranno carne fresca".
Risero, insieme. Entrambi sapevano che era una missione difficile quella in cui si stavano imbarcando e un pò di ilarità e leggerezza non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Aveva preso a nevicare nel tardo pomeriggio e Ross, prima di partire all'azione, si era soffermato alla finestra ad osservare il paesaggio. Un pò per recitare la parte di colui che rimane rintanato in camera, un pò perché affascinato da quella apoteosi bianca, era rimasto per lunghi istanti a contemplare quei piccoli fiocchi ghiacciati e candidi che scendevano velocemente dal cielo ammantando tutto ciò che incontravano sul loro cammino. C'era qualcosa di suggestivo e magico in quel buio quasi perenne, in quel gelo e in quel silenzio a volte costellato da strani colori che assumeva il cielo che si tingeva di mille tonalità di colore. I nativi del posto la chiamavano 'aurora boreale' ed era quanto di più magico lui avesse mai visto. Demelza sarebbe rimasta a bocca aperta come una bambina se avesse potuto vedere qualcosa del genere. Il pensiero di sua moglie aumentò la nostalgia di casa. Era una sera romantica a suo modo e se fosse stato a Nampara con quella neve e quel clima soffuso, messi a letto i bambini e Prudie, lui e Demelza avrebbero dato ben altri risvolti alle ore notturne... Ma la sua realtà ora era diversa e c'era una missione da portare a termine: salvare i gemelli di Jasmine.
Dalla finestra, fingendo di guardare il panorama, nella sua camicia da camera Ross aveva scrutato anche la strada sottostante. Sembrava deserta eppure sentiva addosso gli occhi di chi, nascosto nell'ombra, controllava ogni sua mossa e che lui fosse nella locanda. Probabilmente c'erano spie ovunque ma se il suo piano avesse funzionato, avrebbe potuto recuperare i gemelli e sparire con loro senza il minimo intoppo. Doveva semplicemente uscire senza essere visto usando strade 'alternative' e un pò scomode, immergendosi nei meandri della terra. E poi sbucare dove nessuno si sarebbe immaginato che fosse e dove non c'erano controlli. Nessuno sapeva dove fossero i gemelli e di certo non tutte le strade potevano essere sorvegliate contemporaneamente, soprattutto con quel tempo infame.
Jones era sgattaiolato in camera sua dopo cena, approfittando del fatto che gli altri ospiti della locanda erano ancora nel salone a mangiare. Silenzioso come un fantasma, si era rannicchiato in un angolo e immobile aveva atteso che quella messinscena lo vedesse protagonista.
Ross rimase per un pò alla finestra ignorandolo, finse di stiracchiarsi e poi si allontanò, sedendosi sul letto. Indossò abiti pesanti, mise nella sua sacca il biglietto della nave, i suoi averi, i lasciapassare falsi per i bambini che Jones aveva preparato nel caso fossero stati visti sulla nave e poi si coprì con un ampio e caldo mantello nero, celandosi il viso con il cappuccio. "Jones, ora tocca a te. Tieni la candela accesa ancora mezz'ora, poi spegnila come se andassi a letto. E infine sguscia fino alla botola in cantina che porta alle fogne e raggiungi la nostra nave in porto. Io ti raggiungerò lì. Ricorda di portare con te tutto l'occorrente per i bambini".
Jones sbuffò. "Mi sento una balia a trasportare nello zaino il latte e tutte queste cose per marmocchi!".
Ross gli strizzò l'occhio. "Ma questo farà di te una bella persona".
"Non ambisco alla perfezione".
Ross rise. "Ce ne vorrà prima che tu la raggiunga. Ma migliorerai...".
Jones lo guardò storto. "Vedi di tornare tutto intero".
"E tu fa come ti ho detto e chiedi che ti venga data una stanza sottocoperta. Quanto meno la sotto, i pianti dei bambini saranno meno notati e si mischieranno coi rumori che arriveranno dalla cambusa".
Jones annuì poco entusiasta. "Che bel viaggio che mi aspetta! Cabina di quart'ordine dove non ci dormono nemmeno i mozzi, in compagnia di un folle e di due neonati urlanti! Che ho fatto di male?".
"Sei stato un pessimo elemento a Westminster!" - ribatté Ross prima di prendere la porta. "E ora su, buon lavoro ad entrambi".
Chiuse la porta dietro di se, come un ladro scese le scale attento a che nessuno lo vedesse, aspettò che il cuoco che era sceso in cantina risalisse le scale e poi si fiondò giù, fino alla botola che portava alle fogne. Tutto perfetto, tutto semplice... Muoversi all'interno di uno spazio chiuso con qualcuno che ti reggeva il gioco era una fortuna, ma ora doveva essere veloce e lesto... Aveva già fatto qualcosa di simile quando aveva cercato di salvare Ned dalla forca dopo tutto, ora cambiata solo il clima e la città ma tutto il resto era uguale. All'epoca era stata la scelta di Ned ad andare incontro al suo destino a far fallire il piano, adesso aveva seri dubbi che due neonati avrebbero fatto rimostranze.
Giunto nei cunicoli, un odore terribile gli invase e narici. Gli ci volle qualche minuto per abituarcisi e poi, coprendosi naso e bocca, percorse i cunicoli che aveva studiato nei giorni precedenti sulla mappa della città. Il buio era pesto, mille ombre nascoste sembravano inseguirlo ma Ross sapeva che era solo autosuggestione. Era un uomo abituato a scendere nel buio delle miniere fin dalla più tenera età e persino la sua piccola Clowance adorava farlo e lo trovava emozionante, quindi non era il caso di fare lo svenevole per un pò di puzza ed oscurità.
Per quelli che gli sembrarono minuti intermibabili, coi piedi che gli affondavano nella fanghiglia, Ross corse come un matto verso la sua meta. La casa della donna da cui stava andando a prendere i bambini si trovava nel quartiere di Kampen, piuttosto vicino alla zona centrale del porto ma allo stesso tempo riparato e intimo per via dei suoi mille dedali di viuzze che correvano fra casette di legno variopinte e dall'aspetto modesto.
Quando riemerse all'aria aperta, si sentiva addosso tutti i cattivi odori della città. Sperò che la neve che gli bagnava il viso e il mantello servisse a dargli una ripulita, ma purtroppo sapeva anche che non era il caso di formalizzarsi troppo. Uscì dalla botola della fognatura e si tovò in una piccola strada sterrata, a ridosso di una abitazione di legno. Tutte le case erano al buio, in giro non c'era anima viva ed era almeno a tre miglia dalla sua locanda. Troppo lontano per essere trovato, quanto meno subito. E se Jones aveva fatto a dovere il suo compito, le spie che lo seguivano lo pensavano a letto fra le braccia di Morfeo.
Sgattaiolando come un gatto fra una casa e l'altra, ne raggiunse una di colore azzurro, dalle pareti scrostate e dall'aspetto trasandato. Inge Berg, la donna che teneva i gemelli, viveva lì. Jasmine gli aveva detto di entrare dalla stalla dove avrebbe trovato una porticina nascosta nel fieno che portava alla casa. Inge dormiva nella stanza adiacente, bastava bussare, dire il giusto e lei sarebbe venuta ad aprire.
Ross fece per filo e per segno quanto gli aveva spiegato Jasmine. Scivolò nella stalla, spiò che in strada non ci fosse nessuno, si intrufolò nel fieno e raggiunse la piccola porticina che faceva da ingresso segreto alla casa. Bussò tre volte, come gli era stato detto, tre colpi secchi. E poi attese...
Dopo un paio di minuti, una voce sottile da donna non più giovane lo raggiunse. "Chi siete?".
E Ross ripeté per filo e per segno quanto gli aveva detto Jasmine. "Mi manda Mina e sono venuto a prendere i due piccoli Odino".
La voce di donna parve volerlo mettere ancora alla prova. "I due piccoli Odino? A chi vi riferite?".
Ross sorrise nell'oscurità. Nessuno conosceva i loro nomi a parte lui e quella donna con cui stava parlando. "Olav e Sigrid".
E a quel punto, la porticina si aprì. Due braccia non più giovani ma incredibilmente forti lo catturarono per il mantello e lo spinsero dentro dove Ross, incredulo per quanto era stava veloce, si trovò davanti a una donna di circa sessant'anni, dall'aspetto esile, coi capelli ancora biondi ma dal viso smunto e provato.
Vestita con abiti mesti e semplici, forse troppo leggeri per quel clima infame, Inge lo squadò in viso con aria indagatrice. "Siete l'amico di Jasmine, quindi?".
"Lo sono, sì.".
Inge si torse le mani nervosamente. "Lei è morta... E non ho potuto nemmeno darle un ultimo saluto per non dare nell'occhio".
"Lo so... Nemmeno io ho potuto farlo".
"Pochi giorni prima che venisse uccisa, mi ha mandato un messaggio anticipandomi il vostro arrivo... Non siete norvegese, quindi. E nemmeno spagnolo come lei".
"No".
"Perché si è rivolta a voi?".
Ross decise di essere sincero perché solo così si sarebbe guadagnato la sua piena fiducia. Capiva la riluttanza di quella donna e sapeva quanto stava rischiando tenendo con se i gemelli e quindi poteva comprenderne i timori. "Perché si fidava di me... La conoscevo da molto e quando ci siamo incontrati per caso quì ad Oslo, mi ha chiesto aiuto e mi ha incaricato di portar via i suoi figli".
La donna annuì. "I figli del caro Harald...".
La sua voce tremò e Ross capì che quella donna era preda di mille emozioni che difficilmente poteva tenere a bada. Era stata una amica fedele del padre dei gemelli, aveva tenuta nascosta in casa Jasmine durante tutta la sua gravidanza e a lei erano stati affidati i due bambini... Una donna esile, dalla vita solitaria e difficile, che aveva cresciuto come balia tanti piccoli ma non ne aveva di suoi. Aveva visto morire uno di loro, Harald, e poi la donna che lui amava, Jasmine. E ora sapeva che era giunto il momento di separarsi anche da quei due piccoli a cui di sicuro si era affezionata. Ma Ross sapeva anche che lo avrebbe fatto senza tentennare e che voleva la salvezza di quei piccoli tanto quanto lui e i suoi genitori. "Dove sono? Non ho molto tempo...".
Inge deglutì. "Venite".
Dalla piccola stanza dove la donna lo aveva accolto e che ospitava un semplice pagliericcio per la notte, Inge lo portò in un locale più grande che fungeva da cucina e da mesto salotto, poi aprì un armadio e da lì gli mostrò una nuova botola, nascosta nel sottofondo, da una pigna di coperte. La aprì e davanti a loro comparvero dei piccoli scalini di pietra che portavano a chissà dove. "Seguitemi".
Ross lo fece, accodandosi fedelmente a lei. Se lui era una spia ritenuta affidabile e scaltra dal Governo, questa Inge sarebbe stata una spia ancor migliore di lui e Wichman l'avrebbe adorata, se l'avesse conosciuta.
Chiusa la botola, la donna accese una candela e scesero in perfetto silenzio una decina di malmessi scalini, giungendo a una piccola stanza sotterranea.
Appena vi giunsero, Ross si guardò attorno. Le pareti di pietra e una piccola feritoia in un angolo del soffitto che faceva entrare un filo di aria e luce, rendevano l'ambiente in un certo senso molto affascinante. Era come trovarsi in una fiaba nordica dove gli dei si spostano fra rocce e ghiacci vivendo le loro avventure. L'arredamento era scarno, spartano. C'era un altro pagliericcio vuoto, un armadio vecchio e con le ante rotte, un piccolo comodino sul quale c'erano bottiglie con del latte e in un angolo, una grossa cestra.
"Loro sono quì".
Ross si avvicinò alla cesta e li vide. Due bambini minuscoli, dalla pelle chiarissima e dai capelli radi e biondi come non ne aveva mai visti, dormivano rannicchiati l'uno contro l'altra, avvolti in una coperta rossa. I lineamenti e i colori erano tipici dei piccoli del posto e di certo dovevano assomigliare al loro padre. "Non hanno preso nulla da Jasmine" - disse, sotto pensiero.
Inge sorrise. "Sono figli del nord, sono nati sotto il segno di Odino. Sapete cosa dice la leggenda?".
"No".
Inge sfiorò la guancia di uno dei piccoli. "Che in queste terre dove il buio la fa da padrone, i nostri capelli chiari donano luce e calore alle nostre vie e alle nostre case e ci rendono visibili agli occhi degli dei. Li porterete lontano ma loro avranno sempre dentro di se il potere del fuoco di Odino e del ghiaccio che ricopre le nostre terre. La dolcezza delle nostre renne e la ferocia dei nostri orsi bianchi... E un animo coi colori luminosi e unici della nostra aurora boreale".
Ross la ascoltò affascinato come quando, da piccolo, gli venivano raccontate le leggende della Cornovaglia. Inge era una donna di estrazione modesta eppure sembrava conservare in se l'antico sapere di quelle terre selvagge e la dolcezza di chi da sempre ha a che fare coi bambini. Sarebbe rimasto ad ascoltarla per ore, ma... "Devo andare...".
Ma Inge sembrava di altro avviso. "Lei è stata quì durante la gravidanza. L'ho nascosta per mesi dopo la morte di Harald" - sussurrò, con voce rotta.
"Vi ringrazio a nome di Jasmine. Vi ha affidato i suoi figli, quanto di più prezioso avesse. La sua fiducia è l'espressione della sua gratitudine immensa. Avete rischiato molto aiutandola e tenendo i piccoli e ora è arrivato il momento che possiate tornare alla vostra vita di sempre, senza timori. Lo vorrebbe anche Jasmine".
"Grazie, ser". Gli occhi di Inge si inumidirono. "E ora quella stessa fiducia l'ha data a voi. Quì i bambini non avrebbero futuro, voi gliene potete dare uno luminoso". Sfiorò uno dei piccoli. "Lui è Olav ed è il bambino più dolce che abbia mai conosciuto. Ama stare in braccio, essere accarezzato e coccolato e non piange quasi mai... E' dolce come un cucciolo di alce". Poi sfiorò la bambina. "Sigrid è più vispa e selvaggia e rappresenta la parte più indomabile di queste nostre terre. E rappresenta l'orso polare, è una piccola orsetta adorabile ma sfuggente e a suo modo, feroce. Ma è di una dolcezza unica, quando vuole".
La donna scosse i bimbi, muovendoli leggermente affinchè si svegliassero un pò. Poi prese una bottiglietta di latte a cui era attaccata una tettarella e uno ad uno, nel dormiveglia, li fece mangiare.
Ross, nervosamente, si mosse sui suoi piedi. "Non c'è tempo".
Inge scosse la testa. "Due bimbi con un pancino pieno piangono decisamente meno di due bambini affamati. Con la poppata, dormiranno per altre due o tre ore e saranno silenziosi. Non è un bene?".
Ross sospirò, aveva ragione lei. "Suppongo di sì".
Mentre finiva di allattare Sigrid, Inge con la mano libera indicò a Ross un pacchetto sul comodino. "Lì ci sono alcuni abiti e copertine per loro. E se avete posto nel vostro zaino, vi darò altre bottigliette di latte e dei panni di cotone per tenerli puliti".
"Vi ringrazio. Ho già delle scorte e un socio che mi aspetta sulla nave con esse, ma qualcosa in più non farà male".
Inge sorrise. "Come li porterete via?".
"Raggiungerò una piccola baia dove mi aspetta una barchetta, usando le fognature. Non è il massimo, lo so, ma non ho scelta se voglio muovermi con loro in sicurezza. Da lì raggiungerò il porto e la mia nave. E poi farò rotta verso l'Inghilterra".
"C'è molto ghiaccio lì?".
"No, ma c'è spesso molto vento".
Inge rise. "Ghiaccio e vento... Ci si troveranno bene come pesciolini nel mare nella vostra Inghilterra".
"Lo spero".
Inge prese una fascia, una come quelle che Demelza si legava attorno al ventre quando i loro figli erano piccoli, per portarli in giro, poi la lanciò a Ross. "Legatevi addosso questa, metteremo i bambini lì e li nasconderete poi col mantello".
Ross lo fece, era un modo comodo per trasportarli e tenere libere le braccia. E finito di nutrire i piccoli, Inge glieli diede, avvolti in pesanti coperte, mettendoli vicini nella fascia con cui li avvolse. Poi li baciò sulla fronte. "Addio, piccoli. Conoscervi è stato un piacere e un onore. Ma da ora la vostra vita inizia davvero".
Ross le sfiorò il braccio con gentilezza. "Me ne prenderò cura al meglio, ho dei figli e anche se non sono bravo come mia moglie, farò di tutto perché stiano bene".
Inge, silenziosamente, fece scivolare una lacrima sul suo viso. "Mi mancheranno ma voglio che vivano felici. Fate davvero che sia così".
Ross annuì. "Lo farò".
Coi bambini fece per tornare alle scale ma poi Inge lo chiamò. Gli si avvicinò e gli mise fra le mani un fiore di carta. "L'ho fatto io, è per Jasmine. Hanno gettato il suo corpo in mare, senza una tomba, senza un monumento, senza nulla... Quando sarete in mare, gettate questo fiore fra le onde, per lei, perché abbia almeno un dono amico con cui varcare le soglie dell'Aldilà".
Ross le sorrise, prese il fiore e lo strinse fra le mani. "Lo farò, statene certa". Lo avrebbe fatto, per Inge, per Jasmine e per quei due gemelli che sonnecchiavano contro il suo petto, nascosti dal mantello. Tutti loro dovevano un saluto a Jasmine. "Buona fortuna".
"A voi, signore".
E a ritroso, senza aggiungere altre inutili parole, Ross raggiunse il salotto e poi la piccola stanza che dava sulla stalla. E dopo aver salutato ancora Inge, sgattaiolò fuori e raggiunse di nuovo le fogne. Fra le sue braccia teneva un tesoro immenso e lo avrebbe protetto a costo della vita. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto coi bambini una volta giunto in Inghilterra ma per il momento non voleva altro che arrivare a Nampara e lì decidere il da farsi.
I piccoli, tranquilli e per nulla turbati dal freddo, dormivano nella fascia, per nulla infastiditi da quel trambusto. Ma di che si stupiva? Come aveva detto Inge? Erano figli di Odino, no? Freddo e intemperie non li avrebbero scalfiti...
Sbucò fuori dalle fogne a ridosso di una baia isolata, fuori da Oslo e dalle sue mille ombre, dopo un'ora di cammino nell'oscurità. Non nevicava più ma il freddo era pungente.
Trovò, dove aveva detto di lasciarla, la piccola barca lasciata da Jones, vi salì e remò verso il largo, lasciandosi Oslo alle spalle. Scostò il mantello e osservò i bimbi che, rannicchiati ed abbracciati, continuavano a dormire incuranti di tutto.
E improvvisamente, una luce verde e rossa apparve sulle loro teste. Ross smise per un attimo di remare, osservò il cielo e rimase a bocca aperta davanti alla maestosità di madre natura che gli stava donando l'aurora boreale più bella che lui avesse mai visto. Era come un dono di quelle terre a quei bambini che se ne stavano andando, un dono di due genitori a due figli che non avrebbero visto crescere e un lascito per lui che doveva prendersene cura. Ross prese il fiore di carta di Inge che teneva nella tasca, lo baciò e poi lo lasciò cadere in acqua sussurrando una mesta preghiera al mare. Se c'era un momento per dire addio e rendere un tributo a Jasmine, quello era sicuramente perfetto.
E mentre la barca scivolava fra i ghiacci e il mare e il cielo colorava di mille riflessi ogni cosa, un fiore solitario dava l'ultimo saluto a una donna che per sempre avrebbe riposato fra quelle terre selvagge e ghiacciate.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Ross aveva abbandonato la piccola barca di legno fra le rocce, a una cinquantina di metri dal porto. Nel buio, muovendosi fra gli anfratti, aveva raggiunto il punto dove i marinai stavano imbarcando viveri e materiali, pronto a raggiungere Jones che doveva essere ormai già imbarcato.
Aveva con se il biglietto per il ritorno e in caso fossero stati visti, i due lasciapassare per i bambini che avrebbe fatto passare come figli suoi. In realtà Ross sperava che i piccoli, dormendo, non sarebbero stati notati e che avrebbe potuto tenerli nascosti durante tutti i giorni di navigazione ma alla peggio aveva già provveduto con Jones a redigere due certificazioni false a nome di Daisy e Demian Smith, figli del commerciante Conan Smith, il suo nome in incognito in quelle terre. Aveva scelto quei nomi così inglesi e così poco scandinavi quasi per gioco, scegliendo per iniziale la lettera D, come Demelza… Olav e Sigrid assieme alla loro storia e alla loro identità sarebbero spariti dalla faccia del mondo appena la nave fosse salpata e anche se provava una strana fitta al cuore al pensiero che quei due piccoli sarebbero stati privati dei nomi scelti per loro con amore dai genitori, della loro storia e delle loro origini, si rendeva conto che non c’erano altre soluzioni per la loro salvezza. In fondo erano ancora piccoli, nulla avrebbero potuto ricordare e anche se, come diceva Inge, avrebbero avuto sempre il nord a scorrere nel loro sangue, sarebbero stati felici anche nella nuova vita che li attendeva in Inghilterra, qualsiasi essa fosse.
Raggiunse il punto d’imbarco stringendosi nel mantello, in modo da celare la presenza dei piccoli. I bambini dormivano e l’aurora boreale che aveva accompagnato la sua traversata nella baia si era quasi estinta, lasciando il posto a un cielo plumbeo, scuro e carico di nuova neve. Come preventivato da Inge, i piccoli avevano dormito tutto il tempo e non erano stati disturbati né dal trambusto né dal freddo che invece aveva fatto battere i denti a lui. Certo, erano avvolti in coperte di lana e abitini invernali, avevano cappellini pesanti a coprir loro la testolina, ma diavolo, faceva un freddo assurdo! E loro dormivano beati… Forse era questo che li rendeva diversi, per metà erano figli di quelle terre e avevano nel sangue la capacità di resistere a quel freddo a cui lui non si sarebbe abituato mai. Erano due bei bambini, dai lineamenti fini e delicati e durante la traversata della baia aveva sbirciato più volte i loro visini. Sembravano indifesi e pacifici come tutti i neonati, puri come tutti i bambini non ancora toccati dalle brutture del mondo. Anche i suoi figli erano così e non vedeva l’ora di riabbracciarli. Jeremy era stato bravo ad uscire in barca per la pesca? Clowance aveva di nuovo giocato come un maschiaccio coi figli dei suoi minatori? Bella era ancora rumorosa? Aveva imparato a camminare o ancora gattonava facendo impazzire Prudie e la sua schiena? Santo cielo, era stato lontano da casa solo tre mesi e gli erano mancati da morire. E Demelza? Quante volte le aveva lasciato il peso di gestire tutto? E quante volte si era dimostrata migliore di lui nel farlo, saggia, accurata ed amabile? Voleva rivedere tutti loro, abbracciarli e poi con calma decidere la collocazione più giusta e sicura per i gemellini. Chissà come avrebbe preso Demelza il loro arrivo a Nampara? Sicuramente si sarebbe trattato di pochi giorni e lei li avrebbe accolti con calore, ma… E se avesse dubitato di lui e della sua fedeltà? Se avesse pensato che…? Gli venne in mente Valentine e le sue tante colpe verso di lei e si rese conto che se avesse dubitato, non avrebbe avuto tutti i torti. Eppure ora il loro matrimonio era forte e tale era diventato proprio grazie alle mille tempeste superate insieme. L’amore era una questione di fiducia… Quei due gemelli ne sarebbero stati il banco di prova? Ovviamente Ross sapeva bene di essere totalmente innocente ma era altrettanto consapevole che non avrebbe potuto dire molto nemmeno a Demelza sul loro conto, per la sicurezza di tutti era meglio che nessuno sapesse a parte lui, Inge che ormai era al sicuro e Jasmine, che si era portata il segreto nella tomba.
Demelza avrebbe capito il perché dei suoi silenzi? Li avrebbe accettati? O si prospettava un ritorno meno pacifico di quello desiderato?
Quando giunse all’imbarco, due marinai che borbottavano con non molta grazia, lo addocchiarono sospettosi. “Signore?”.
Ross tirò fuori dalla tasca il suo biglietto d’imbarco. “Sono un passeggero”.
Partiremo solo fra quattro ore”.
Non importa, aspetterò in cabina. Il mio socio è già lì”.
Il marinaio alzò le spalle, annoiato. “Faccia come le pare ma ci sarà un pò di trambusto per l'imbarco della merce”.
Ross sentì i bambini muoversi nella fascia contro al suo petto, sotto al mantello. E accelerò il passo. “Non c'è problema, ho il sonno pesante. Buon lavoro” – disse ai due. E velocemente salì sull’imbarcazione, sparendo nelle scalette che portavano alla stiva.
Quando giunse nella piccola ed angusta cabina che Jones aveva trovato in stiva, si accorse che era poco più di un magazzino. C'erano due pagliericci sistemati alla bell'emeglio, casse di legno sparse ovunque, secchi d'acqua per lavarsi, alcune mensole dove poggiare i propri averi e nelle narici, un pungente odore di chiuso. Solo due piccoli oblo davano luce, sbucando appena dal livello del mare.
Appena lo vide, Jones lo fulminò con lo sguardo. "Ti odio, sappilo! Potevamo avere comode camere sul pontile superiore e viaggiare come signori. Invece siamo quì, nella pancia della nave, ad ammuffire e a sentire ogni variazione di corrente marina. E come compagnia, due mocciosi che strilleranno e faranno cacca e pipì ogni cinque minuti".
Ross chiuse la porta dietro di se fingendo di non sentirlo. Jones amava sentire il suono della sua voce e amava soprattutto borbottare per ogni cosa, tanto che spesso lo aveva definito 'Mister-no'. Eppure era il miglior socio e amico con cui lavorare sotto copertura e mai avrebbe fatto a meno di lui. "E' andato tutto bene?".
Scocciato, Jones sbuffò. "Oh, per bene che intendi? Scappare come un ladro dalla locanda lasciando il denaro per il vitto sul letto? Strisciare come un verme nelle fogne? Finire in una cabina dimenticata da Dio?Te l'ho detto, ti odio! Ma se per te questo equivale a 'tutto bene', sì, siamo nel pieno della grande bellezza della missione!".
Ross ridacchiò, avvertendo i bambini muoversi sempre più. "Sei quì a borbottare come un vecchio, quindi è andato tutto bene!".
Jones lo occhieggiò. "E a te?".
Ross allargò il mantello, mostrando cosa nascondeva sotto di esso. Nella fascia legata attorno al suo collo e alla sua vita, i bimbi iniziavano a svegliarsi. "Missione compiuta, come puoi vedere".
Jones scoppiò a ridere. "Sembri una balia!".
"Idiota! Hai con te il latte e le cose che ti ho detto di procurarti per loro?".
Jones indicò un grosso sacco accanto al suo pagliericcio. "Pieno di roba per marmocchi. Mi sono spaccato la schiena a portarlo quì attraverso le fogne". Poi si avvicinò, osservando i due bambini. "E così sono questi? I mocciosi del mistero?".
"Esatto".
"Come si chiamano questi piccoli vichinghi?".
"Demian e Daisy".
Jones lo guardò scettico. "Suppongo che non siano i loro veri nomi".
Ross fece un sorriso furbo. "Supponi giusto. E ora su, prendine uno, si stanno per svegliare e se non gli diamo da mangiare, scoppieranno a piangere".
Jones spalancò gli occhi. "Prendere COSA?".
"Uno dei bambini".
"E da che lato si prendono?".
Ross alzò gli occhi al cielo. "Dalla schiena, sorreggendogli la testa".
Jones indietreggiò. "Ah no, mio caro! Ti ho aiutato a portare la roba per loro fin quì ma il mio compito può dirsi concluso! Io sono stato mandato in queste terre dimenticate da Dio e dal sole per spiare il contrabbando del mercato del pesce, questa cosa in cui ti sei imbarcato è faccenda tua e io non voglio fare da bambinaio a due mini esseri urlanti".
"Jones, ti prego!".
Ma l'uomo indietreggiò ancora, raggiungendo la porta. "Sai che farò?".
"Cosa?".
"Andrò di sopra sul pontile e mi godrò il meraviglioso mal di mare che mi è venuto appena sono salito su questa dannata nave. Sempre meglio che star qua a curare quei due esseri strillanti. Sono tutti tuoi mio caro". E così dicendo, bianco come un cencio, scomparve.
Ross sospirò rassegnato, in fondo non poteva obbligarlo ed aveva ragione lui. I bambini di Jasmine erano un suo affare e Jones soffriva effettivamente di mal di mare.
Si sedette sul pagliericcio, slegò la fascia e pose i bambini su quello che sarebbe stato il suo letto. I piccoli, bellissimi e dall'aspetto angelico, frignottarono e Ross d'istino li accarezzò sul pancino. "Su, il peggio è andato! So che la vostra prima uscita dalla casa di Inge è stata nelle fogne ma vi giuro che c'è di meglio da vedere, nel mondo".
La sua voce apparve loro sconosciuta e i bambini si svegliarono di soprassalto. Il maschietto prese a piagnucolare succhiandosi la manina e cercando di rannicchiarsi contro la sorella, lei prese a scalciare e a lanciare strilli più potenti. Nel panico, Ross la prese in braccio assieme al fratello. Santo cielo, come avrebbe voluto avere Demelza vicino... Lei avrebbe saputo subito come calmarli, come tranquillizzarli, come farli sentire sicuri. "Hei, bambini, sono vostro amico".
Ma loro piansero ancora e Ross ringraziò il cielo che i marinai fossero tutti di sopra a caricare la merce, altrimenti li avrebbero scoperti. Prese delle bottigliette di latte e gliele mise in bocca e il maschietto iniziò a succhiare affamato mentre la bimba si dimenò stizzita. Aveva ragione Inge, doveva avere un bel caratterino quella piccoletta... "Senti Sigrid, la tua balia ha detto che sei una piccola orsa selvaggia e ha ragione" - le sussurrò dolcemente, accarezzandole la guancia. "E sai cosa amano le piccole orse?".
La piccola smise di piangere, rapita dal suo tono rassicurante e dalle sue braccia forti. Lo osservò incuriosita e anche se sicuramente non capiva un bel niente di cosa lui le stesse dicendo, si rannicchiò ad ascoltarlo. In fondo una cosa gli avevano insegnato i suoi figli da neonati, non era il succo del discorso che interessava ai neonati ma il tono rassicurante con cui gli si parlava. E quei bambini non erano diversi dai suoi...
Ross sorrise. "Le piccole orse amano l'avventura e questa lo è. Sarà divertente, vedrete! E alla fine arriveremo in una bella casa, la mia casa... Lì ci sono i miei bambini e c'è mia moglie. Lei sarà davvero più brava di me a prendersi cura di voi mentre cerco un posto sicuro dove possiate stare. Dovete perdonarmi ma i vostri veri nomi non li potremo più usare. Io li saprò sempre e se servirà, li rivelerò al mondo. Ma per ora, che ne dite di essere solo Daisy e Demian? Sono bei nomi e vi stanno anche bene!".
Il piccolo continuò a succhiare il latte ma la bambina puntò i suoi occhioni azzurri sul viso di Ross e poi gli prese un dito della mano, stringendolo come a suggellare un patto fra di loro.
Ross la strinse a se. "E allora, da oggi non sarete più Olav e Sigrid. Per il mondo sarete Demian e Daisy, affare fatto?" - chiese, porgendo il latte alla piccola.
Lei si stiracchiò e alla fine accettò il latte, affidandosi completamente a quell'uomo che le appariva sconosciuto ma decisamente affidabile. Un patto profondo era appena nato fra quei tre...
E poche ore dopo tutti dormivano nel pagliericcio a loro assegnato, Jones sul suo e Ross nel proprio, coi due bambini rinfocillati, lavati e avvolti nelle coperte accanto a lui.
E mentre dormivano la nave si mosse e fra i ghiacci e la neve lasciò il molo, Oslo, la Norvegia e tutti i misteri che essa racchiudeva.
Una nuova vita iniziava e come aveva detto a Sigrid, anche una nuova avventura... Il buio che aveva avvolto le loro nascite se lo sarebbero lasciati alle spalle per sempre, con un pò di fortuna. Jasmine poteva riposare in pace, gli uomini che avevano distrutto la famiglia dei piccoli avrebbero vissuto nell'incertezza dovuta al fallimento di non averli trovati e lui avrebbe fatto di tutto perché quei bambini nati nel paese della neve e del ghiaccio avessero una vita degna di essere vissuta.

...

Isabella-Rose, detta Bella, gattonando scappò dietro un mobile, decisa a non andare a letto. Era la figlia più ribelle e pestifera e anche se aveva solo un anno, teneva testa ai fratelli maggiori.
In camicia da notte, Clowance e Jeremy risero. "Possiamo andare al mare e fare il bagno di mezzanotte visto che siamo tutti svegli".
Demelza e Prudie, riacciuffando la piccola, risero. "Siamo a novembre, fa freddo e voi dovreste essere a dormire da molto! Altro che bagno di mezzanotte, se non vi sbrigate e filare a letto vi faccio il sedere viola" - tuonò la domestica.
Jeremy e Clowance si guardarono in faccia e per nulla spaventati, risero. "Papà il bagno a mezzanotte a novembre lo farebbe".
Prudie alzò le spalle. "Certo e poi da bravo maschio se si ammala, ce lo dobbiamo sorbire noi con le sue lamentele".
Demelza, dolcemente, si avvicinò ai figli più grandi con Bella in braccio. "A letto su, domani c'è scuola e zia Rosina non vi vorrà vedere addormentati sui libri".
Jeremy sospirò e poi dopo aver baciato la madre, corse di sopra seguito da Clowance.
Prudie borbottò. "Ci vorrebbe disciplina. Quando torna il signor Ross?".
Demelza si avvicinò alla finestra, osservando il buio che avvolgeva Nampara. Suo marito gli mancava così tanto e vederlo tornare sano e salvo era ogni volta un sollievo. Erano missioni pericolose a volte, quelle a cui lo mandava il Governo e tante notti aveva passato insonne per paura che gli succedesse qualcosa. Ma si fidava di Ross e sapeva che anche se indomito, con gli anni era anche diventato assennato e desideroso solo di tornare a casa da lei, sano e salvo. "Fra dieci giorni".
"Vi manca?" - chiese Prudie.
Bella sgambettò fra le sue braccia. "Tanto".
Prudie le si avvicinò, poggiandole la mano in modo materno sulla spalla. "Mancate anche a lui. In questa casa ci sono stati momenti bui negli anni passati e che cosa hanno lasciato?".
Demelza si accigliò, guardandola. Perché parlarne? Si stava riferendo a Elizabeth e Hugh? Che cosa c'entravano, ora? "Che vuoi dire?". A volte temeva che quegli errori li avrebbero tormentati per sempre sbucando dal passato quando meno ce lo si aspettava e ricordarli certo, faceva da ammenda, ma risvegliava in lei anche antiche paure e sensi di colpa.
Ma Prudie la rassicurò, cercando di spiegarsi meglio. "Che tutto serve, nella vita. Che hanno lasciato quegli errori?".
"Non so".
La domestica prese Bella per portarla a letto. "Tre marmocchi contenti, una domestica felice e soprattutto due che muoiono di nostalgia quando stanno lontani. Dio benedica il giorno che quella Elizabeth ha sposato il signor Francis e il giorno in cui il signor Ross ha sposato voi. Ha fatto il miglior affare della sua vita e per questa casa".
Demelza le sorrise, abbracciandola. "Grazie". Era vero, se l'amore fra loro a volte era stato messo in pericolo, mai aveva vacillato e sempre era diventato più forte, dopo ogni tempesta. E aveva lasciato due anime profondamente innamorate e consapevoli di non poter vivere l'uno senza l'altra. E quella era la sua gioia più grande, adesso.
Prudie le sorrise. "E ora su, a letto anche tu ragazza!".
Ma Bella si agitò, brandendo il ditino verso la finestra. "Ene, eve...".
Le due donne, incuriosite, si avvicinarono al vetro e Demelza spalancò gli occhi. "La prima neve dell'anno, Prudie. Chissà se è bella come quella che starà vedendo Ross in Norvegia".
Ma Prudie scosse la testa. "Oh, la nostra è più bella. La neve del nord porta solo guai, dicono, quella della Cornovaglia porta meraviglie".
E su quella battuta, risero di nuovo. Nessuna delle due poteva sapere che la neve del nord avrebbe portato ben altro, a breve, nella loro casa e nelle loro vite...

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Furono due settimane di viaggio accompagnate da un mare perennemente agitato e in tempesta, com’era d’altronde tipico dei periodi invernali.
Il povero Jones aveva passato gran parte del tempo sul pontile, preda di un mal di mare che non lo aveva lasciato un attimo, a maledire tutti gli dei di Norvegia per quel viaggio infernale in cui si era incappato.
Ross dal canto suo se la rideva perché quando Jones era di cattivo umore e iniziava a borbottare, era quanto di più comico potesse esistere. Aiutato dal fatto che per lui il mal di mare non fosse un problema e che i gemellini erano bravi la maggior parte del tempo, aveva trascorso quei giorni di navigazione perennemente chiuso in cabina a compilare i resoconti per il Governo sul contrabbando di pesce e preziosi dai paesi del nord mentre i piccoli dormivano.
In realtà era davvero stupito che quei due bambini, la cui nascita e prime settimane di vita era stata travagliata e trascorsa nell’oscurità di un nascondiglio, fossero tanto tranquilli. A volte pensava che avessero sviluppato uno strano senso di conservazione che aveva fatto loro comprendere la necessità di fare i bravi, a volte pensava invece di essere davvero fortunato perché di fatto, a parte qualche pianto stizzito di Daisy quando era affamata, dormivano sempre e quando erano svegli se ne stavano tranquilli nella loro cesta senza fare troppo rumore. I loro brevi pianti erano spesso celati dal rumore del mare e da quelli della nave e di solito, se frignavano, bastava prenderli in braccio e dar loro retta per calmarli. Il maschietto, Demian, era la pace fatta persona, la bambina era più vispa e sembrava solo chiedere attenzioni quando era sveglia, ma entrambi erano decisamente meno rumorosi dei suoi figli alla stessa età. Soprattutto, rispetto a Bella. La figlia minore aveva avuto da subito una voce acuta e forte e i suoi pianti si sentivano probabilmente fino a Truro nei momenti in cui era più arrabbiata, i gemellini scandinavi invece piangevano più sommessamente ed erano più facilmente consolabili.
Ross non vedeva però l’ora di scendere a terra perché comunque fino a che non fosse stato lontano da occhi indiscreti, qualcuno avrebbe potuto notare la presenza dei piccoli e chiedere spiegazioni. Si chiedeva come i suoi pedinatori avessero preso la sua frettolosa partenza in Norvegia, se i bambini fossero ancora cercati e se Inge fosse al sicuro, ma purtroppo non era certo che avrebbe mai avuto risposte a questi quesiti. L’importante era portare in salvo i bambini e finché non fosse stato a casa, questo non poteva metterlo con assoluta certezza in conto.
E così fu solo quando la nave attraccò, con l’ultimo pericolo di essere scoperti scendendo a terra, che poté tirare un sospiro di sollievo.
Poco prima di arrivare in porto, come aveva fatto Inge a Oslo, aveva lavato i bambini, li aveva vestiti con abiti pesanti e li aveva nutriti e poi li aveva messi nuovamente nella fascia legata in vita, vicini e nascosti sotto al suo mantello. Aveva preso le sue cose, era sceso dalla nave preceduto da Jones che ne celava la figura ed era sceso a terra al porto di St. Ives, deciso a raggiungere poi casa a piedi per evitare carrozze e occhi indiscreti. I bimbi erano bravi ma meglio evitare di sfidare ulteriormente la fortuna…
Appena scesi a terra, con le sacche sulle spalle e intabarrati per difendersi dal freddo, si accorsero che nevicava.
Allontanandosi dal porto, Jones iniziò a borbottare di nuovo. “Che sia maledetto il cielo, l’inverno e questa diavolo di neve che ci accompagna da Oslo assieme a un mare MAI piatto come una tavola. E sia maledetto tu Poldark, pessimo compagno di viaggio, procacciatore di guai e ora anche di mostricciattoli urlanti”.
Ross alzò gli occhi al cielo. “L’unico che urla sei tu” – gli rispose pacatamente, incamminandosi in un sentiero scosceso, felice di essere a casa, circondato da paesaggi conosciuti e famigliari.
Jones insistette. “Lo sai come sto? Ho perso dieci chili a furia di star male”.
Infatti ora hai un bel figurino che potrai sfoggiare a Londra ai balli e alle feste!”.
Al diavolo i balli e le feste”.
Ross rise. “Niente vita mondana quindi?”.
Jones lo raggiunse, allungando il passo. “Ridi, ridi pure. Ma quando arriverai a casa tua coi due marmocchi e tua moglie ti metterà alla porta pensando alle corna, NON pensare a me e alla mia casa per cercare riparo! Un bel ponte, ecco sotto cosa devi dormire”.
Ross per un attimo si oscurò, sperando che Demelza non traesse le conclusioni errate. Anche se, se lo avesse fatto, fatti e parole passate potevano darle il timore che lui… Ma scosse la testa, erano ormai uniti e Demelza sapeva leggergli nell’animo meglio di chiunque altro, sapeva quanto la amasse, sapeva che per lui lei era tutto e quindi avrebbe capito, avrebbe usato il suo buon senso e tutto si sarebbe risolto con l’idonea collocazione per i bambini. “Non avrò bisogno di te!” – disse, vago.
Jones scosse la testa. “Sai che farò, appena giunto a Londra?”.
Cosa?”.
Mi sposerò! Cercherò moglie, metterò la testa a posto, diventerò il più integerrimo membro di Westminster e la farò finita con queste missioni con te. Voglio PACE!!!”.
Ross a quelle parole scoppiò a ridere. Jones? Una vita di pace? Lui? “Potresti farti prete a questo punto” – lo prese in giro.
Jones lo fulminò con lo sguardo. “Ridi, ridi pure… Mi troverai con una splendida moglie diciottenne, al nostro prossimo incontro”.
Ross rise più forte. “Certo, certo… Invece scommetto che ti troverò con una pinta di birra in mano in un porto, arrabbiato col mondo, zitello e pronto a ripartire di nuovo”.
Quanto ci scommetti?”.
Ross ci pensò su. “Un mese di guadagni della mia miniera”.
Jones alzò gli occhi al cielo. “Sei odioso”.
E tu una brava spia! Riporta a Londra questi resoconti, salutami Wickman e datti alla vita mondana della capitale. E tieniti pronto per il prossimo viaggio” – disse Ross, mollandogli in mano i documenti segreti per la Corona.
Un vagito da sotto il cappotto fece sobbalzare entrambi. Ross lo allentò, mostrando il visino di Daisy che si era svegliata. “Vuoi salutare Jones?”.
Il suo socio guardò la bambina in cagnesco. “Mocciosetta, ti lascio proprio in cattiva compagnia. Ma con gioia, ti dico che ti saluto e spero di non aver nulla a che fare con voi in futuro”.
Ross rise. “Dai, un po’ ti sei affezionato”.
Al diavolo! Mai visti esseri viventi far tanta cacca in vita mia! Ora tornerò a Londra e mi dimenticherò che siano mai esistiti. Come del resto vuoi tu”.
Ross si fece serio. “Mi raccomando”.
Sarò muto e smemorato. Già non ricordo i loro nomi, tranquillo”.
Ross gli diede una amichevole pacca sulla spalla. “Sei un amico”.
Jones sospirò, preoccupato. “Che farai ora, con loro?”.
Devo ancora ragionarci con calma. Ma credo che lo farò al sicuro, fra le mura di casa mia. Ora non ho la testa per decidere nulla e devo scegliere con cura come dar loro il miglior futuro possibile”.
Jones sorrise, erano ormai giunti al bivio della strada. “Buona fortuna e a presto” – sussurrò, mentre la neve attorno a loro imbiancava tutto.
A presto”.
Si separarono e Ross lo vide dirigersi verso una diligenza. Lui prese la strada opposta, inoltrandosi fra la brughiera sferzata da quel vento impetuoso ma che faceva parte di quelle terre.
Ricontrollò i bambini. Demian dormiva rannicchiato contro sua sorella, lei si mordicchiava la manina. Un fiocco di neve raggiunse il visino di Daisy, posandosi sulla punta del suo naso e Ross temette che scoppiasse a piangere. Ma la bimba lo stupì, si toccò il naso e poi rise, agitando le gambette come se trovasse divertente quella sensazione di freddo. Anche Ross rise, prendendole la mano. “Sei proprio una piccola orsa vichinga. Come tu faccia a trovare divertente il freddo, per me resterà sempre un mistero… E’ un po’ come per me che trovo piacevole il vento della Cornovaglia mentre molti che non sono nati qui lo trovano odioso. Sono cose che abbiamo nel sangue, giusto?”. Lei strinse la sua mano, attenta alle sue parole. Una cosa che Daisy, a differenza del fratello, adorava, era che qualcuno le parlasse e le desse attenzione. Demian dormiva per la maggior parte del tempo ma lei era più curiosa, vivace e adorava ascoltare le voci di quelli che le stavano attorno. Erano piccolissimi, quasi identici di aspetto ma dimostravano già delle indoli totalmente opposte.
Ricoprì la bimba perché rimanesse comunque al caldo, la cullò affinché si addormentasse e poi si incamminò verso casa.
Il tempo imbruniva, il cielo plumbeo anticipava il buio della sera e il freddo era sferzante e anche se non lontanamente paragonabile a quello di Oslo, gli faceva battere i denti. Camminava a passo spedito usando le mille precauzioni che aveva adoperato ad Oslo per muoversi nei meandri della città dopo l’incontro con Jasmine e i successivi pedinamenti. Era stupido ma si sentiva braccato anche lì, in Cornovaglia, come se nell'ombra ci fossero mille occhi a scrutarlo e a studiarne ogni mossa. Dannazione, che idiota che era, nemmeno da ragazzino aveva avuto paura di muoversi nell’oscurità della brughiera e ora si stava facendo condizionare dalle mille ombre della sera che piante e scogli lanciavano sul suo cammino. Era un uomo, era solo, aveva usato ogni accorgimento e nessuno lo seguiva, che cosa c’era da preoccuparsi? O forse era semplicemente la voglia di casa, di pace e di famiglia a fargli avvertire il desiderio di arrivare presto alla sua meta dopo tutto l’orrore visto e percepito nel grande nord? O forse era la stessa consapevolezza che aveva animato la scelta di Jasmine ad allontanarsi dai suoi piccoli a renderlo inquieto? Coloro che cercavano i bambini erano persone potenti che di certo non si sarebbero arrese, avevano occhi ed orecchie ovunque e lui forse, portando con se i piccoli, stava esponendo la sua stessa famiglia a un grosso pericolo... Che aveva da stare tranquillo? Poteva davvero dirsi al sicuro? Certo, al momento probabilmente lo era ma dal nord forse, presto o tardi, le ombre che ora sentiva su di se sarebbero rispuntate sul serio e lui avrebbe dovuto farci i conti. Osservò i bambini, due piccoli dall'aspetto angelico che nessuna colpa avevano e di certo non potevano nemmeno lontanamente immaginare il pericolo che rappresentavano per qualcuno. Ma guardandoli, gli venne da sorridere davanti al loro sonno tranquillo, il sonno dei giusti, il sonno di chi è in pace col mondo. E quindi, se erano tranquilli ora, perché doveva agitarsi lui? Al momento tutto era filato liscio come l'olio e forse il tempo avrebbe cancellato quella pagina nera che aveva ucciso i genitori dei bambini. O forse tutto si era risolto con la fuga da Oslo... In fondo ora ritrovare i bimbi equivaleva a trovare un ago in un pagliaio e sicuramente sarebbe stata un'impresa impossibile per chiunque. E quindi al resto ci avrebbe pensato dopo, quando a casa avrebbe rivisto la sua luce, Demelza. Con lei accanto ogni ombra sarebbe sparita e tutto sarebbe sembrato più semplice.
Quando vide Nampara in lontananza, con la neve che scendeva sempre più copiosa sotto a un cielo nero come pece, si fermò un attimo a guardare i due bambini sotto al suo mantello. Prese le loro manine e in loro vece, disse addio alla loro vecchia vita. "Sigrid, Olav, da ora questi vostri nomi non esistono più. Non esiste più il vostro passato, non esiste più la vostra terra e sarà come se nasceste adesso a vita nuova. Sarete Daisy e Demian, due bambini della Cornovaglia... E sarà l'unico passato che potrete raccontare". I bimbi dormivano e Ross pregò di fare la scelta giusta perché li stava privando delle loro origini, del loro essere più intrinseco, della loro storia e di quella dei loro genitori e avi. Era la cosa da fare per la loro salvezza eppure non poteva non chiedersi se dentro di loro, crescendo, avrebbero sentito un vuoto, il richiamo di una terra lontana e la mancanza di radici... Se lui fosse stato allontanato dalla Cornovaglia da piccolo, come si sarebbe sentito crescendo? Sarebbe stato felice? O avrebbe sentito che qualcosa di lui mancava?
E con questi quesiti a cui solo il tempo avrebbe potuto rispondere, Ross si avviò verso casa. Tutte le luci erano spente eccetto quella in salotto dove il camino e qualche candela davano ancora un pallido bagliore ai vetri e all'esterno.
Pochi istanti e poi avrebbe potuto riabbracciare sua moglie...

...

Demelza ricontrollò i bambini prima di scendere in salotto a finire di ricamare una tenda. Jeremy dormiva abbracciato a un libro, Clowance se ne stava rannicchiata sotto due coperte, freddolosa come suo padre, Bella era nel mondo dei sogni da ore, abbracciata al suo pupazzo preferito.
Sorrise, erano così angelici quando dormivano...
Dopo aver dato loro un bacio, con Garrick scese di nuovo di sotto e il cane le si accoccolò sui piedi mentre lei prendeva a lavorare con ferri e lana.
Improvvisamente un rumore fece alzare a Garrick le orecchie. Il cane prese a scodinzolare e si avventò sulla porta.
Il cuore di Demelza prese a battere più forte, a quell'ora poteva essere solo... Solo...? Solo per LUI Garrick si comportava così...
Corse verso l'uscio e la porta si aprì. Il cuore della donna si gonfiò di gioia e anche se suo marito pareva congelato ed era pieno di neve su tutto il mantello, tutto quello che voleva fare era abbracciarlo. Gli era mancato così tanto e quella era l'ora del giorno in cui la nostalgia era più forte. "Ross" - sussurrò, emozionata come ad ogni suo ritorno. Non sapeva mai con precisione quando tornava dai suoi viaggi ed ogni volta era la più bella delle sorprese.
Lui la guardò, commosso come sempre. Santo cielo, non era Nampara la sua casa, la sua casa era lei... Sarebbe sempre stata lei... "Amore mio".
Demelza fece per avvicinarsi e stringerlo a se ma Ross la bloccò con un gesto della mano. "Aspetta".
"Ross, non mi importa nulla se sei tutto bagnato".
Lui scosse la testa, scostando il suo mantello affinché lei potesse vedere cosa nascondeva. "Non è questo. Abbiamo due ospiti inaspettati".
Demelza si avvicinò, guardò nella fascia e vide le due testoline bionde che sbucavano dalla fascia legata in vita da suo marito. Spalancò gli occhi, osservò loro e poi Ross e mentre Garrick si rannicchiava festante ai piedi del suo padrone, eruppe nella sua imprecazione più famosa. "Judas!".

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Dopo qualche minuto di sbigottimento, Demelza decise che più di tutto voleva riabbracciare suo marito. Tornato come sempre senza avvisare, in un orario improbabile, intirizzito dal freddo, bagnato come un pulcino... E con due neonati dalla pelle bianca come il latte nascosti sotto il suo mantello...
Lo strinse, attenta a non schiacciare i piccoli. E lui fece altrettanto.
"Demelza" - sussurrò fra i suoi capelli, felice semplicemente di essere di nuovo a casa sua, con lei. Si chinò su sua moglie, le sfiorò il viso e la baciò con passione sulle labbra, affamato di lei...
"Ross". La donna assaporò il calore e il sapore delle sue labbra, la sua vicinanza e solo dopo lunghi istanti si scostò da lui, togliendogli di dosso, con un gesto veloce, il mantello bagnato di neve. "Mettiti con questi bambini davanti al camino, siete congelati".
Ross la fissò un pò sbigottito dalla mancanza di domande. Ma di certo sarebbero arrivate e dopo tutto conosceva Demelza e la sua innata capacità pratica di capire subito cosa fare e cosa poter relegare a un momento successivo. E scaldare due neonati bisognosi e infreddoliti era di certo la necessità che più le era saltata all'occhio.
Si sedette godendo del di un pò di tepore mentre Demelza scomparve qualche istante lasciandolo solo, ricomparendo con una grande e calda coperta di lana che gli avvolse attorno, avvolgendo anche i due bambini che dormicchiavano.
Ross tolse loro i cappellini e Demelza rimase a bocca aperta davanti al colore biondo, di una tonalità che non aveva mai visto così chiara, dei loro capelli. Prese poi, in silenzio, un tozzo di pane e del formaggio e dopo averli messi in un piatto, si sedette accanto al marito portandoglieli affinché potesse mettere qualcosa sotto i denti.
Ross, accigliato, addentò un pò di pane, poi si decise a parlare per spezzare quello strano silenzio piombato nella stanza dopo il loro abbraccio e il loro bacio. "E' un ritorno strano, vero?".
Demelza lo osservò e come sempre, ne percepì i pensieri e l'inquietudine. Conosceva suo marito, sapeva che difficilmente provava sentimenti come la paura eppure le sembrava un fascio di nervi, intimorito e provato da mille preoccupazioni e da un viaggio di certo non ordinario. E tutto questo non era da Ross... Gli si avvicinò e senza dire nulla, con un gesto gentile, prese i due bambini in braccio, cullandoli e poggiando le loro testoline sulle sue spalle. "Almeno mangerai più comodo".
Ross sorrise. "Ho mangiato scomodo, con quei due, da quando ho lasciato Oslo".
Demelza spalancò gli occhi. "Vuoi dire che te li sei portati via dalla Norvegia? Perché? Fanno parte della tua missione? Chi sono, dove sono i loro genitori?".
Lo travolse di domande, come un fiume in piena, preoccupata per lui e anche per la sorte di quei due biondissimi bambini che in quel momento avrebbero dovuto stare coi loro genitori al caldo nella loro casa e non a Nampara con una spia inglese, ma poi prese un profondo respiro e decise di calmarsi. Ross era sicuramente stanco, era notte fonda, tutti dormivano e di certo suo marito non aveva bisogno di ulteriore stress. "Scusa..." - mormorò.
Ross le prese una mano fra le sue, se la portò alle labbra e la baciò. "Scusa tu, non volevo turbarti ma ho bisogno di un attimo...".
Demelza ricambiò la stretta, comprendendo che doveva dargli spazio e tempo per ambientarsi e riprendersi dal viaggio e dal freddo. "Mangia con calma, fa un bagno e cerca di rilassarti. Nel mentre mi occuperò di questi due bambini".
Ross sospirò. Il momento del bagno, spesso, era qualcosa di magico per loro come coppia, un momento solo loro dove giocavano, ridevano, flirtavano e dove spesso si finiva col fare l'amore. Ed era l'epilogo a cui più ambiva, ma forse per l'età, forse per la tensione, forse perché ancora non sapeva bene come spiegare tutto a sua moglie, quella proposta gli sembrò la più allettante per il momento. Era stanchissimo e gli sembrava di non aver bisogno di altro che di sonno. "D'accordo... Ma prima dimmi, come stanno i bambini?".
Demelza lo prese in giro. "I nostri?".
"Sì, i nostri...".
"Dormono e stanno bene. Jeremy è sempre più un provetto pescatore, Clowance è sempre più vivace e Bella la segue a ruota. In più strilla senza sosta e la si deve tenere d'occhio perché gattonando o camminando o arrampicandosi, arriva ovunque. Domani saranno così felici di vedere che sei tornato".
Ross addentò il pane e le pietanze che aveva davanti, gustando oltre al cibo, il calore e i sapori della sua casa. Pregustando il momento in cui avrebbe riabbracciato i suoi figli... "Mi sono mancati e mi sei mancata tu".
Demelza fece per rispondere ma fra le sue braccia uno dei bambini mugugnò e si mosse, prima di tornare a dormire. "Sono... tranquilli...".
Ross annuì. "Il maschio sì. La femmina non sempre".
Demelza parve stupita. "Oh, sono un bambino e una bambina?".
"Sì, puoi chiamarli Demian e Daisy".
"Sono i loro veri nomi?".
Ross si incupì. "Lo saranno da ora in poi".
"Ross...".
Ma lui tagliò corto. "Così si chiamano, sui documenti falsi che Jones ha preparato per loro. E così si chiameranno".
Demelza sentì un brivido correrle lungo la schiena. Guardò i bambini e le parve di percepire qualcosa di oscuro in tutta quella situazione. Se quei piccoli sconosciuti erano con Ross e non nella loro casa e se portavano nomi falsi, qualcosa di grave doveva essere successo. Ross non avrebbe mai portato via con se, dalla Norvegia, due neonati senza motivo, privandoli dei loro genitori e della loro casa. "E ad Oslo, come si chiamavano?" - provò a chiedere, consapevole però che forse Ross non avrebbe potuto risponderle.
Ross finì il pane e poi, scuro in volto, si alzò dal divanetto. "Non ha importanza, quei nomi non gli apparterranno più e meno persone li conoscono, meglio è per tutti".
Lei scosse la testa, alzandosi a fronteggiarlo. "In che guaio ti sei cacciato?".
La baciò, in risposta, sulla fronte. Non voleva turbarla e desiderava solo fare un bagno per essere più tranquillo a darle qualche spiegazione. Anche se, il fatto che Demelza sembrava non pensare nemmeno lontanamente che fossero suoi, lo rendeva felice e ancor più consapevole della solidità ormai raggiunta nel suo matrimonio. Elizabeth e quanto successo il 9 maggio avrebbero potuto lasciare pesanti strascichi nel loro rapporto ma per fortuna tutto sembrava ormai superato. "Per ora in nessuno guaio... Dopo ti racconterò, prima fammi lavare e fammi togliere questi abiti bagnati".
La donna annuì. "Io ti aspetto in camera con loro. Li laverò nella piccola tinozza che usiamo per Bella e metterò loro qualche abito asciutto e caldo".
Ross annuì, prendendo lo zaino che aveva lasciato a fianco della porta e tirandone fuori delle bottigliette di vetro con del latte e una tettarella all'estremità. "Se hanno fame, da loro questo. Sono abituati a mangiare così".
Demelza si accigliò. Aveva già visto quegli aggeggi infernali in qualche negozio di Truro e non le erano piaciuti affatto. Provava pena per i bambini nutriti a quel modo, senza il calore del contatto con la loro madre, e mai li avrebbe usati nel caso avesse avuto altri figli. "Giuda, li hai nutriti così?".
Ross sorrise, il primo sorriso rilassato della serata, a quell'imprecazione tanto tipica di lei. "Io e Jones abbiamo provato ad allattarli ma pare che abbiamo poco latte" - scherzò.
Anche Demelza rise, dandogli una leggera e scherzosa spinta. "Va a fare il bagno!".
"Sembra tu stia parlando con Jeremy!".
Demelza rise di nuovo. "Sparisci".
Ross le ubbidì e poi salì le scale, desideroso di raggiungere quanto prima il letto.
Rimasta sola, Demelza osservò i due piccoli. Erano due angioletti biondi, minuti, sicuramente stanchi per il viaggio ma tutto sommato in buona salute. Avevano capelli chiarissimi e anche i loro tratti erano nordici, si vedeva che non erano bambini inglesi e del posto e parevano più due bambolotti che due neonati veri e propri. Poi prese la bottiglietta col latte. "Giuda, io da mangiare con questo non ve lo do!".
E risoluta, salì anch'essa le scale che portavano alla sua camera, sentendosi già responsabile del benessere di quei due piccoli e misteriori bambini. Per le spiegazioni di Ross ci sarebbe stato tempo dopo.

...

Ross si lavò in fretta, senza Demelza il bagno aveva un altro sapore ma quella era una sera diversa e lei senza riserve si stava prendendo cura di quei due bambini che ai suoi occhi apparivano decisamente misteriosi, quindi aveva ben poco di cui lamentarsi.
Uscì dall'acqua ancora tiepida, si asciugò e si mise una camicia e dei pantaloni da casa, caldi e comodi.
Poi raggiunse la camera dei bambini per guardarli. Dalla finestra poteva vedere la nevicata che si era fatta ancora più intensa e sorrise immaginando il visino stupito di Bella al mattino, al vedere tutto quel bianco. Quanto gli erano mancati i suoi tre piccoli e la storia di Jasmine e del suo triste destino gli aveva fatto avvertire la loro assenza e la lontananza ancora di più.
Si avvicinò alla culla della figlia più piccola, che Jeremy e Clowance avevano voluto in camera con loro, trovandola profondamente addormentata col pollice in bocca. I suoi ricciolini neri le ricadevano sulla fronte e le guance piene erano un chiaro segnale del suo scoppiare di salute. Poi si avvicinò al letto di Jeremy. Il figlio maggiore dormiva tutto storto, con un libro poggiato sul cuscino di fianco alla faccia. Amava leggere, era un bambino curioso e intelligente e ora che aveva dodici anni sembrava quasi un piccolo ometto in miniatura. Era un ragazzino accorto, molto protettivo con la madre e le sorelle e sicuramente più posato e maturo di quanto non fosse lui alla sua età.
Infine andò da Clowance. La sua bimba bionda, di nove anni, dormiva rannicchiata sotto due pesanti coperte, coi ricchioli biondi sparsi sul cuscino. Stava diventando sempre più bella e presto sarebbe stata anche parecchio corteggiata, temeva... Ma per ora era una piccola peste, vivace, golosa e amante delle bambole...
Li baciò piano, sulla fronte, tutti e tre... E poi tornò da Demelza.
La trovò in camicia da notte, con uno scialle sulle spalle, col camino che scoppiettava allegramente donando calore alla loro stanza.
Le si avvicinò, la prese fra le braccia e la baciò ancora, poggiando poi la fronte sulla sua. "Mi sei mancata".
"Anche tu" - sorrise lei.
I gemellini erano sul loro letto, con abitini puliti e comodi, avvolti in una coperta e profondamente addormentati. "Hai dato loro il latte? Di solito dormono tanto profondamente solo dopo aver mangiato".
Demelza si avvicinò ai piccoli. "Sì, ma non ho usato quelle bottigliette di latte che hai nel borsone".
Ross si accigliò ma quando comprese cosa intendesse, entrò subito in allarme. "Li hai allattati? Demelza, non avresti dovuto farlo!". Alzò il tono di voce pronunciando quelle parole con tono di rimprovero e subito se ne pentì, ma non voleva coinvolgere Demelza più del necessario e non voleva soprattutto che si affezionasse ai piccoli. "Devi allattare Bella, non loro".
Lei, ferma nella sua posizione, sostenne il suo sguardo. "Bella ha ormai un anno e non vuole più essere allattata, cerca sempre di sgattaiolare via quando provo a darle il seno".
Ross scosse la testa. "Ok, ma in ogni modo i gemelli non vanno allattati. Sono abituati a bere dalla bottiglietta e non devono cambiare questa abitudine. Non affezionarti a loro, staranno quì solo poco tempo e l'unica cosa che ti chiedo in questi giorni, è di non far parola della loro esistenza con nessuno. E lo stesso dovranno fare Prudie e i bambini... Quando avrò trovato una soluzione giusta e sicura per loro, ci dimenticheremo che sono esistiti e tutto andrà avanti placidamente come sempre".
Demelza osservò i piccini, accarezzando loro le testoline bionde. "Ross, in che guaio ti sei cacciato? Chi sono questi bambini e perché sono con te? E i loro genitori? Dove sono?".
Ross sospirò, era ormai ora di raccontare l'indispensabile e anche se spesso si era chiesto cosa dire e cosa non dire, non riusciva comunque ad essere evasivo del tutto. Demelza era sua moglie, la sua compagna, la sua migliore amica e soprattutto la sua confidente e anche se non poteva raccontarle ogni cosa per proteggerla, voleva farlo almeno in parte. "I loro genitori sono morti, sono stati uccisi... Barbaramente uccisi... Il padre prima della loro nascita, la madre poche settimane dopo averli partoriti".
Il viso di Demelza si riempì d'orrore. "Judas, perché? E quelle persone, cosa c'entrano con te? Sono parte della tua missione al nord?". Sapeva che non poteva chiedere più di tanto a suo marito circa le missioni in cui veniva coinvolto da Wikman ma non riuscì a tenere a freno la lingua.
Ross scosse di nuovo la testa. "No, non facevano parte della mia missione ad Oslo. Ma sono entrati prepotentemente nella mia vita perché la loro madre mi ha chiesto aiuto... Sapeva di avere le ore contate, sapeva che sarebbe stata uccisa e dopo aver partorito i bambini e averli affidati a una donna fidata, si è separata da loro affinché non venissero trovati assieme. E dopo, fra le strade di Oslo, mi ha chiesto di salvare almeno i suoi bambini e di portarli via dalla Norvegia... E così, rocambolescamente, li ho recuperati e con tanta fortuna dalla mia parte, li ho portati quì".
"Erano in pericolo anche i bambini? E perché la madre e il padre sono stati uccisi? E come mai quella donna ha chiesto aiuto a te?".
Ross le si avvicinò, si sedette sul letto accanto a lei e cercò di risponderle il più sinceramente possibile. I ricordi di Jasmine e dei loro incontri a Oslo danzarono nella sua mente, assieme ad altri ricordi di lei più lontani, fondendosi in qualcosa di amaro e doloroso. "Sì, i bambini erano in pericolo e chi ha ucciso i loro genitori, non voleva che concludere il lavoro con loro. Dovevano morire tutti, soprattutto i bambini. Erano come prede, li cercavano ovunque, come in una macabra caccia al tesoro... Il perché non posso dirtelo e non perché non voglia ma perché dietro agli omicidi dei loro genitori e a questi bambini si nasconde qualcosa di pericoloso da cui voglio proteggerti e che deve rimanere segreto per sempre. Per il bene di tutti, per quello dei bambini e per quello della nostra famiglia che è stata coinvolta in questa storia. Sul perché la loro madre abbia chiesto aiuto a me, posso solo dirti questo: ero l'unico di cui potesse fidarsi".
Demelza deglutì. "Perché?".
Ross rimase in silenzio, stringendo i pugni. Amava Demelza ma voleva anche proteggere i segreti e la vita di Jasmine e in quel momento si sentiva fra due fuochi, uno dei quali decisamente pericoloso per il suo matrimonio. I segreti avevano sempre fatto del male al suo rapporto con Demelza ma questa volta c'era un buon motivo di fondo per averne e sperava solo che lei lo capisse. "Diffidi di me?" - chiese infine, prendendo il coraggio di porre quella domanda scomoda. "Per quanto successo con Elizabeth, intendo... Temi qualcosa del genere?".
Demelza parve stupita da quella domanda e per un attimo rimase interdetta. Ma poi sorrise dolcemente, prendendogli la mano e stringendola fra le sue. "No Ross, non dubito di te... Perché sei stato via solo tre mesi, perché tu e questi bambini siete quanto di più diverso possa esistere, ma soprattutto... perché ho fede in te e nel nostro matrimonio. Volevo solo sapere qualcosa di questi piccolini e so che se non vuoi parlarne, un buon motivo ci sarà. Come quando hai tentato di proteggermi dai francesi dopo la morte di Ned e le macchinazioni di Tess. Forse sono solo preoccupata e curiosa".
La abbracciò, la strinse forte a se a quelle parole, come se fossero il balsamo a tutte le sue preoccupazioni e paure. Lei lo capiva meglio di quanto lui capisse se stesso ed era la sua ancora nei momenti bui come in quelli felici. E sapere che nonostante tutto il male che erano stati capaci di farsi, tutto era stato superato ed era rimasto solo l'amore a guidare i loro passi, era la migliore cura al suo animo tormentato. "Amore mio..." - sussurrò, fra i suoi capelli.
Demelza si rannicchiò fra le sue braccia, godendo del calore del suo abbraccio. "Amore mio..." - ripeté.
La piccola Daisy mugugnò nel sonno, spezzando quel momento. Ross rise. "E' gelosa e perdutamente innamorata di me e della mia voce, questa marmocchietta".
Anche Demelza rise. "Giuda Ross, questi poveri piccoli sono nati da così poco eppure da quel che mi racconti, non hanno mai avuto pace".
Ross annuì, ripensando al nascondiglio segreto nella casa di Inge. "Sono nati in uno scantinato sotto terra e hanno vissuto nascosti nell'oscurità finché non li ho portati via... Non hanno goduto della vicinanza della loro famiglia, di pace, di calma... Hanno affrontato un viaggio difficile e lungo con me... e Jones... E ora non hanno ancora comunque un posto definitivo dove stare".
Demelza prese il piccolo Demian che si agitava, in braccio. Lo strinse a se e il piccolo si rannicchiò contro al suo petto ritrovando subito il sonno. "E allora ho fatto bene ad allattarli".
Ross la occhieggiò con aria di rimprovero. "No, non è proprio così ma alla fine se hai scelto di farlo, so più che bene che non saprò farti cambiare idea".
"No, non ci riuscirai!".
Ross prese a sua volta in braccio Daisy. "Da domani cercherò un posto dove potranno stare e crescere, coi loro nuovi nomi e con una nuova vita. Per il loro bene, nulla del loro passato dovrà esistere più e da adesso in poi saranno solo due trovatelli della Cornovaglia. Ma finché non saprò a chi affidarli, la loro presenza deve rimanere un segreto oppure sarà difficile non collegarli al mio ritorno dalla Norvegia. Ti chiedo solo pazienza e di occuparti di loro per un pò".
Demelza strinse Demian ancora di più e il piccolo si stiracchiò, gradendo quell'abbraccio. "Lo farò. E tu fa quel che devi con calma, hai bisogno di riposo e anche loro. Così piccoli e con alle spalle un viaggio tanto lungo e al freddo...".
Ross rise. "Non soffrono il freddo, questi due vichinghi".
"Cosa?".
"Giuro, sembrano trovarcisi a loro agio".
Demelza scosse la testa. "Che creaturine strane. E forti...".
"I bimbi di Odino..." - sussurrò Ross, ricordandosi le parole di Jasmine.
"Cosa?".
Le sorrise, prendendole dalle braccia il piccolo Demian. "Lascia stare, li metto nel letto a dormire".
Ma Demelza lo bloccò. "Mentre facevi il bagno, ho preparato la culla dei nostri figli. Ormai Bella non ci sta più ed era vuota. Sono nati al buio, in mezzo ai pericoli, hanno vissuto in uno scantinato senza la loro mamma e poi hanno viaggiato per mezza Europa. Quanto meno questa sera avranno una stanza con una finestra che da sul mondo, un camino acceso e una culla... Tutto ciò che serve ai bambini di tutto il mondo".
Ross la guardò, pieno di gratitudine. Era davvero fenomenale nel prendersi cura di TUTTO e i gemelli con lei erano nelle migliori mani del mondo. Mise i piccoli nella culla, li coprì e aspettò che si addormentassero del tutto. Poi andò alla finestra, osservando la bufera di neve che si stava scatenando fuori Nampara. Ma ora le ombre che lo avevano seguito nel tragitto dal porto sembravano svanite e quella neve appariva semplicemente... bella.
Demelza gli si avvicinò. "Hai intenzione di rimanere a guardare la neve come un bambino tutta notte? Non ne hai avuto abbastanza di ghiaccio e bufere in Norvegia?".
Ross si voltò, trovandosi Demelza viso a viso. Le pizzicò la guancia. "Decisamente abbastanza. Ed ora voglio solo qualcosa di... caldo...".
"Anche io". Le labbra di Demelza raggiunsero le sue e lo baciarono con passione e desiderio mentre le mani di Ross, insinuandosi sotto la sua camicia da notte, la accarezzavano senza sosta.
I bambini dormivano finalmente in una vera culla, fuori c'era il gelo ma in quella stanza la notte sarebbe stata decisamente calda, dando a due amanti che troppo a lungo erano rimasti separati, lunghe ore d'amore.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Appena sveglio, di mattina presto, Ross era andato nella camera dei bambini e i tre, appena svegli, gli saltarono in collo contenti. Clowance con più irruenza, Jeremy con più gentilezza e pacatezza e Bella con urla e risate, ognuno a modo loro gli diede il benvenuto.
"Ci sei mancato, papà!" - aveva detto Jeremy, come sempre ad ogni suo ritorno a casa. Era un bambino pacato e gentile, buono e sicuramente il più somigliante a Demelza per carattere.
Con in braccio Bella che gli si avvinghiava al collo, anche Clowance reclamò la sua attenzione. "Hai visto gli orsi bianchi?". Beh, se Jeremy somigliava a sua madre, la sua secondogenita era decisamente irruenta e decisa come lui e in generale come ogni Poldark.
"No".
"Nemmeno uno piccolo-piccolo?" - chiese ancora, delusa.
"No".
"E la neve?" - chiese Jeremy.
"Quella, molta".
Il ragazzino corse verso la finestra, osservando il panorama imbiancato fuori Nampara. "E' come la nostra?".
"Molto più fredda e ghiacciata, te lo assicuro".
"E poi cos'hai visto?" - insistette Jeremy.
Ross sorrise, sapeva come stupirli! "L'aurora boreale".
Jeremy e Clowance spalancarono gli occhi mentre Bella continuava a cercare di arrampicarsi sulle sue spalle.
Clowance gli saltò sulle gambe. "Aurora boreale? Zia Rosina a scuola ci ha detto che è quando il cielo si colora di tanti colori".
Ross le accarezzò la testolina bionda. "Vero".
Jeremy, più riflessivo, si fece pensieroso. "E' il riflesso, giusto? Del ghiaccio e del cielo fusi insieme quando è sereno".
Ross scoppiò a ridere. "Ah, credo che tu ne sappia più di me! Posso solo dirti che è molto bella da vedere e ti auguro di poterla osservare di persona, un giorno".
Jeremy a quelle parole lo abbracciò, come le sorelle. "A mamma piacerebbe".
Sì, lei sarebbe rimasta a bocca aperta come una bambina se ne avesse vista una e Ross sperava vivamente di riuscire a portarla a viaggiare con lui più spesso, un giorno. "Ne sono certo". Sospirò, l'accenno a sua moglie gli aveva fatto ricordare che ora doveva spiegare loro qualcosa di importante su cui avrebbero dovuto mantenere assolutamente il segreto. "A proposito di mamma, lei è in camera e con lei... c'è 'qualcosa' che ho portato dalla Norvegia e che deve rimanere un segreto".
"Un regalo?" - si emozionò Clowance.
"Non proprio... Un segreto che dovremo tenere assolutamente per noi senza parlarne con nessuno".
Jeremy e Clowance si guardarono in viso e poi, vinti dalla curiosità, corsero in camera della madre lasciando Ross in compagnia della piccola Bella. "Pa...pà" - mugnugnò la bimba.
La baciò. Lei sarebbe stata la migliore a mantenere quel segreto...
E poi, con la bimba in braccio, si diresse verso la camera matrimoniale dove Demelza, già sveglia, si stava occupando dei gemellini mentre lui si godeva i loro figli.
Quando arrivò, trovò i suoi figli maggiori che, timorosi, guardavano la loro madre dalla porta senza trovare il coraggio di avvicinarsi. Demelza teneva fra le braccia, avvolti dalle coperte, i due bambini che probabilmente aveva appena allattato e con dolcezza li stava invitando ad avvicinarsi.
Jeremy fissò il padre con sguardo interrogativo e preoccupato. "Papà?".
"Papà?" - si unì Clowance.
Ross diede loro una spinta gentile verso il letto matrimoniale e poi vi si diresse a sua volta per spiegare ai figli, con la moglie, la strana situazione che si era creata in casa. Era importante che soprattutto Jeremy e Clowance capissero quanto fosse importante mantenere il segreto sui gemelli e che non dicessero in giro alcunché. Per fortuna il tempo inclemente, la neve e l'approssimarsi del Natale erano fattori tutti a loro favore: la scuola gestita da Rosina era chiusa e lo sarebbe rimasta fino a dopo i festeggiamenti del nuovo anno, con quel freddo i bambini non potevano uscire a giocare coi loro amici e il ghiaccio a sua volta impediva ad eventuali ospiti inattesi di giungere a casa loro. "Ecco, questi due bambini sono il segreto di cui vi parlavo prima".
Dimostrando più coraggio del fratello, Clowance si avvicinò al lettone per sbirciare i gemellini. "Come sono strani, hanno i capelli bianchi!".
Ross sorrise, poggiando delicatamente la mano sulla spalla di Jeremy che sembrava più intimorito della sorella da quella situazione. "No, sono molto biondi. Sono bambini norvegiesi e in quelle terre hanno tutti i capelli così".
"A me sembrano bianchi!" - ribadì Clowance. "Io sono bionda, non loro, vero mamma?" - le chiese, mostrandole una ciocca di capelli.
Demelza la strinse a se. "Tu sei bionda come il grano, loro sono biondi come...".
"Biondi come... la neve!" - concluse Clowance.
"La neve è bianca!" - rise Demelza.
"Appunto...".
Jeremy, un pò pallido in volto e stranamente preoccupato, si avvicinò al letto. "Papà, chi sono?".
Ross sospirò. Ovviamente nemmeno ai bambini poteva raccontare tutto ma era necessario che capissero la gravità della situazione in cui si trovavano i gemellini. "Si chiamano Demian e Daisy e non hanno più i genitori. Sono morti, sono stati uccisi da delle persone cattive che volevano uccidere anche loro e che di certo li stanno ancora cercando. Li ho salvati e li ho portati quì per cercar loro un posto più sicuro dove vivere ma siccome, appunto, delle persone malvagie li cercano ancora, finché non avrò trovato quel posto, la loro permanenza quì dovrà rimanere un segreto di cui non parlare. A nessuno! Sapreste farlo?".
Clowance, sentendosi parte di un grande segreto col padre, annuì entusiasta. Jeremy invece sembrava dubbioso e soprattutto, preoccupato. "Mamma...?" - chiese, cercando in lei aiuto. Era più grande di Clowance, era un ragazzino intelligente e di certo ormai, a 12 anni compiuti, era in grado di farsi domande più complesse e complicate circa l'arrivo e la storia di quei due bambini.
Lei gli sorrise. "Tesoro sta tranquillo, penserò a loro come ho fatto con voi finché rimarranno quì. Tu non devi preccoparti di nulla, io e papà ne abbiamo parlato e sappiamo che andrà tutto bene. In fondo come ben sai, abbiamo sempre cercato di aiutare chi è in difficoltà e spesso ci hai dato una mano pure tu. Ce la darai anche stavolta?".
"Si, certo, ma...". Jeremy si grattò la guancia, pensieroso, dubbioso, timoroso. "Volete aiutarli come quando a Natale distribuiamo i biscotti ai bambini poveri di Mellin e Sawle?" - chiese.
"Esatto" - rispose Ross. "E ora aiuteremo questi bambini che, a loro volta, sono nei guai. Allora, ci aiuterai?".
Jeremy si voltò verso di lui, fronteggiandolo. "Si, ma... Perché li hai salvati proprio tu? Come facevi a sapere di loro?".
Ross lo fissò negli occhi, in evidente difficoltà. Non voleva parlare di Jasmine e non voleva nemmeno che Jeremy entrasse più di tanto nella faccenda. Più in la quel silenzio avrebbe pesato fra loro ma per il momento preferì tacere, anche se in futuro se ne sarebbe pentito. "Perché proprio io? Perché come vedi, sono l'unico che è riuscito a metterli in salvo" - spiegò, frettolosamente e con tono che non ammetteva repliche.
"E non ci riusciva nessun altro?" - insistette suo figlio, stranamente con tono accusatorio e nervoso.
E a quel punto intervenne Demelza. "Jeremy, tuo padre è una spia del Governo inglese e come sai, tante cose non può dircele. Fidati di lui e anche di me, come hai sempre fatto. E tutto andrà bene... Guarda questi bambini, guarda come sono piccoli ed indifesi... Vuoi aiutarli con noi?".
Muovendo nervosamente il piede, Jeremy annuì. "Ma non ci metteranno nei guai?".
"No, se manterrete il segreto con tutti" - lo ammonì Ross.
"D'accordo, non dirò nulla" - rispose Jeremy, dubbioso.
Clowance si avvicinò. "Ma nemmeno a zia Morwenna? O a zio Sam? O zio Drake?".
"No, nemmeno a loro". Già era decisamente meglio, per adesso, che loro ne rimanessero fuori. C'era una sola persona a cui voleva raccontare l'accaduto, l'unico che avrebbe potuto aiutarlo in modo incisivo e sicuramente il migliore amico che avesse con cui confidarsi: Dwight. Era medico, conosceva molti posti affidabili dove collocare i bambini e non si sarebbe tirato indietro se gli avesse chiesto aiuto.
Bella, notando i neonati addormentati fra le braccia della madre, fu colta da un attacco di gelosia e agitandosi, fece capire al padre che voleva riconquistare il suo posto d'onore accanto alla mamma andando sul lettone.
Ross la accontentò, sorridendo. Aveva un caratterino niente male la sua piccoletta dai capelli neri tanto diversi da quelli dei gemelli.
Demelza la accolse fra le sue braccia, assieme ai piccoli, stringendola a se. Poi tornò a fissare Ross. "E Prudie?".
Già, Prudie... Alzò gli occhi al cielo, ovviamente a lei non potevano nasconderlo. E per fortuna la neve l'avrebbe tenuta in casa, lontana dalla tentazione di far pettegolezzi al mercato. "Diglielo tu, appena scendi".
"Non puoi farlo tu?".
Ross scosse la testa. "Le anticiperò qualcosa prima di uscire, ora".
"Dove vai?".
"Da Dwight... Lui deve saperlo e potrà aiutarci".
Demelza annuì, mentre anche i figli maggiori prendevano posto a letto. "Sì, nessuno ci è più caro e fidato di lui. Buona idea".
Ross la fissò con preoccupazione, dispiaciuto di lasciarla sola per quella mattina, con tutti quei bambini. "Pensi di farcela?".
Lei rise. "Ross, cresco bambini da quando era una bambina io stessa, persino più piccola di Clowance. Va tranquillo, i gemelli sono stati nutriti, ora dormono e degli altri tre bambini so occuparmi perfettamente da sola e senza problemi. Tu invece vedi di coprirti bene quando esci, si gela fuori e stasera non voglio vederti col raffreddore!".
Ross scoppiò a ridere. "Certo mamma".
D'istinto, Demelza gli tirò un cuscino. "Va e sbrigati. E di sotto, vedi di parlare con Prudie".
Ross non se lo fece ripetere. E dopo aver salutato la moglie e i figli, scese al pianterreno dove la domestica, ancora in camicia da notte, si aggirava in cucina. "Che visione celestiale" - scherzò.
La donna, presa alla sprovvista, fece cadere la padella che aveva in mano. "Judas, siete tornato!".
"In carne ed ossa!".
"E state già uscendo?".
"Sì. Ma prima di farlo, devo dirti una cosa".
Il tono serio fece sobbalzare Prudie. "Cosa?".
"Va di sopra, da Demelza... Troverai qualcosa di inaspettato, lei ti spiegherà tutto. Ma ti anticipo questo, ogni cosa che vedrai di sopra dovrà rimanere un segreto e non dovrai parlarne con nessuno. O te la dovrai vedere con me". Le parlò in tono severo, perentorio e sapeva che era l'unico modo perché capisse la gravità della situazione. Prudie gli era affezionata, era una serva fedele ma aveva anche il brutto vizio di parlare troppo, soprattutto quando alzava il gomito o si trovava fra le altre comari di Truro o Sawle. Non doveva parlare, nemmeno per sbaglio... O sarebbero stati guai per tutti, lei compresa.
Un pò pallida per quel modo di parlare che Ross non usava con lei da anni, ma vinta dalla curiosità, la donna annuì e corse di sopra.
Rimasto solo, Ross si mise un pesante cappotto, il mantello e l'immancabile tricorno. Poi si diresse verso la stalla, pronto a raggiungere Dwight a casa sua in cerca di aiuto e soprattutto, consigli.
E ancora una volta, nella neve che non aveva mai smesso di scendere, partì al galoppo.

...

Dwight lo accolse calorosamente, nonostante fosse ancora abbigliato in abiti da camera e non avesse fatto colazione. “Sembrerebbe che ti sono mancato più di tua moglie” – scherzò, abbracciandolo. Ma poi si fece subito serio, comprendendo che se Ross, dopo tre mesi di assenza, era giunto a casa sua di mattino presto e con una fitta nevicata in corso, doveva esserci qualche motivazione importante.
Lo invitò a sedersi con lui nella sala del tè, approfittando del fatto che Caroline stesse ancora dormendo a causa di una notte insonne passata a consolare Sophie per il male alle gengive a causa dei denti da latte che stavano sbucando e per i disturbi della nuova, ravvicinata gravidanza che stava vivendo con immensa gioia e sorpresa.
La casa era ancora avvolta da un silenzio reso ancor più ovattato dalla neve e quando Ross si sedette sul divanetto davanti al camino, nonostante tutto provò un senso di pace. Era a casa, fra volti amici e con il loro aiuto avrebbe potuto mantenere al meglio la promessa fatta a Jasmine. Di gettò raccontò quanto successo ad Oslo omettendo, come fatto con Demelza, le parti che era necessario rimanessero segrete per la sicurezza di tutti. Raccontò il necessario e come sempre accadeva, Dwight seppe comprendere i suoi silenzi ed omissioni, evitando di fargli domande a cui sarebbe stato difficile rispondere.
Alla fine del raccontò, Dwight fece un lungo respiro. “Certo che tu odi proprio tanto star lontano dai guai, vero? Se non te li cerchi tu, sono loro a cercar te” – disse, abbozzando un sorriso.
Ross non poté che trovarsi d’accordo. “Come darti torto?”.
Non puoi, in effetti. I neonati ora sono in casa tua con Demelza?”.
Sì”.
Dwight annuì. “Con lei ora sono in ottime mani. Per prima cosa vorrei visitarli per verificare che siano in perfetta salute. Sono stati privati del contatto con la madre, hanno vissuto in un ambiente rarefatto e senza luce per le prime settimane della loro vita, hanno sofferto un lungo viaggio e sicuramente hanno subito privazioni di elementi essenziali al benessere di un neonato”.
Ross alzò le spalle. “In realtà paiono sanissimi e piuttosto resistenti. E sono stati nutriti e tenuti puliti a dovere, ho fatto del mio meglio durante il viaggio”.
Ne sono certo, ma vorrei visitarli lo stesso. Essere privati del latte materno può essere dannoso”.
Ross sbuffò. “A questo ci sta pensando Demelza, anche se non sono d’accordo. Finirà per affezionarsi a loro e non voglio che soffra quando dovrà separarsene”.
Dwight gli pose gentilmente una mano sulla spalla. “Non affezionarsi sarebbe comunque difficile in ogni caso. Lasciala fare, se le fa piacere. Ai bambini farà bene e lei si sentirà a posto con la coscienza. Tua moglie è una donna intelligente ed accorta, ricordalo sempre”.
Lo so… Ma so che ha un cuore generoso e che soffrirà quando non avrà più i bambini con se”.
Dwight rise. “Mancheranno pure a te”.
Già, Dwight aveva ragione, sarebbero mancati anche a lui. Il sonnecchioso Demian e la vivace Daisy che adorava sentire la sua voce, gli erano entrati nel cuore e di certo avrebbe sentito nostalgia non avendoli più vicini. Ma doveva scegliere il meglio non solo per loro ma anche per la sua famiglia e questo complicava di molto le cose, circa le decisioni da prendere. “Dove potrei collocare i bambini, secondo te? Voglio un posto vicino dove tenerli d’occhio, ma sufficientemente lontano da casa mia in modo che non possano essere collegati a me e al mio viaggio in Norvegia”.
Dwight si sedette pensieroso accanto a lui. “I fratelli di Demelza?”.
Non se ne parla, sono troppo vicini alla mia famiglia. Inoltre Drake e Morwenna hanno già una figlia piccola e molto lavoro sulle spalle mentre Sam…”. Scosse la testa… “L’idea di mentire su di loro gli divorerebbe la coscienza e non voglio coinvolgerlo più di tanto, mettendo alla prova il suo credo”.
Dwight picchiettò nervosamente le dita sulle gambe, pensieroso. “Sai, spesso ho aiutato ragazze madri a partorire, giovani donne sole che non potevano permettersi di crescere i propri figli illegittimi. Le ho aiutate, rispettandone l’anonimato, affidando quelle povere creature a orfanotrofi del posto. Bambini senza nome, figli di nessuno, che nessuno avrebbe potuto reclamare come propri. Conosco diverse strutture gestite da religiose che grazie alle donazioni delle persone del posto, hanno costruito ambienti confortevoli e decorosi per i piccoli. Che ne dici di una soluzione del genere? Potrei occuparmene io”.
Ross rabbrividì. Come soluzione non gli piaceva del tutto ma era di fatto la più logica ed attuabile. Avrebbe potuto tenere d’occhio da lontano i gemelli, contribuire al loro benessere con delle donazioni in nome del suo ruolo di parlamentare e nessuno avrebbe potuto riconoscerli e capire quali fossero le loro origini. Certo, sarebbero stati soli… Ma quanto meno, salvi.
C’è un’altra cosa che potremmo fare per la loro sicurezza, se sei d’accordo” – azzardò Dwight, non del tutto convinto.
Quale?”.
Hai detto che chi ha ucciso i genitori dei bambini, cerca un solo neonato, non sanno che sono due”.
Sì, esatto”.
Dwight scosse la testa, la soluzione che stava per proporre non entusiasmava nemmeno lui ma di certo era la più tutelante. “Credo che dovremmo dividere i bambini, uno in un istituto, una nell’altro. Se per qualche caso quelle persone che gli danno la caccia dovessero trovarne uno e le cose andassero male, smetterebbero di cercare l’altro non sapendo della sua esistenza. E almeno uno dei due bambini sarebbe salvo. Odio dover separare due gemelli che hanno già perso tutta la loro famiglia ma in termini pratici, questa sarebbe la soluzione migliore”.
Ross deglutì, era vero, era la soluzione più logica ma non gli piaceva per niente. Quei due piccoli si adoravano, si cercavano ed erano di supporto l’uno per l’altra praticamente durante tutta la giornata. Dormivano abbracciati nella cesta, se uno piangeva l’altro sembrava soffrirne e separarli era in un certo senso una violenza. Ma forse Dwight aveva ragione, era qualcosa di necessario… “Ci penserò” – rispose, a denti stretti, sentendo un peso sul cuore. Erano già stati privati di tutto, quei due piccoli senza colpa. Era giusto far loro anche questo?
Dwight annuì. “Bene. Ma per ora lascia che mi vesta e poi sarò pronto a venire con te a Nampara per visitarli”.
Grazie” – rispose Ross. Avevano trovato una soluzione, giusto? E allora perché non se ne sentiva affatto contento?

...

Mentre Jeremy e Clowance si esercitavano nella lettura seduti al tavolo da cucina e Bella gattonava per la stanza inseguendo il povero Garrick, Demelza cullò fra le braccia Demian e Daisy che, svegli ma tranquilli, sembravano incuriositi da quella rumorosa e nuova realtà che li circondava. Avevano vissuto nascosti e nel silenzio le prime settimane di vita e ora probabilmente i rumori di casa dovevano apparir loro piuttosto bizzarri.
Demelza li osservò, erano due bambini splendidi e i tratti nordici che li contraddistinguevano, li rendevano simili a due bambole.
Accarezzò loro il visino e Demian le strinse la mano in cerca di calore mentre Daisy si rannicchiò contro di lei totalmente rilassata. Ross era stato bravo a prendersi cura di loro con Jones e di certo aveva corso mille pericoli per la loro salvezza e quindi ora toccava a lei far del suo meglio per farli stare bene. Certo, c'erano mille domande che si affacciavano nella sua mente ma aveva scelto di non farle e di rispettare la volontà del marito di tenerle nasconte molte verità che probabilmente riteneva pericoloso che lei sapesse. Avrebbe voluto saperne di più dei loro genitori, del perché la loro madre si fosse fidata proprio di Ross, il perché di quegli omicidi e soprattutto quale minaccia rappresentassero i gemelli ma sapeva che tutto questo, a parere di Ross, doveva rimanere un segreto per preservare l'incolumità di tutti e quindi per rispetto a suo marito e per il bene dei suoi tre figli, si sarebbe fatta bastare quanto già conosceva.
"Quelli porteranno guai" - borbottò Prudie, sedendosi accanto a lei davanti al camino.
"No, non succederà. Ma ricordati di serbare il segreto, nessuno deve sapere che i gemelli sono quì e se tu parlassi, Ross si arrabbierebbe molto".
Prudie occhieggiò la finestra, perfettamente consapevole della situazione che stavano vivendo e di quanto necessario fosse stare in silenzio. "E a chi dovrei dirlo? Ci sono metri di neve fra noi e il villaggio, saremo bloccati quì fino a primavera".
Demelza strinse a se i piccoli che parevano non soffrire il freddo. "Beh, anche dopo, dovrai mantenere il segreto".
Prudie la osservò coi bambini e come Ross, si preoccupò per lei. "Non ti affezionare troppo, il signor Ross non li vorrà tenere quì troppo a lungo".
Demelza non rispose. Sapeva che se ne sarebbero andati ma per il momento non voleva pensarci e tutto ciò che desiderava era dargli quanto più calore e affetto possibili, sperando di risarcirli in parte di quanto la malvagità degli uomini aveva loro tolto. Li baciò sulla testolina e loro, affidandosi totalmente a lei, si rannicchiarono contro il suo petto dandole completa fiducia. Sì, promise a ste stessa, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per il loro bene...

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


"Non mi piace, non mi piace per niente! Non è giusto, non è umano, non è corretto!".
Intento a sbottonarsi la camicia per andare a letto, Ross si voltò verso sua moglie che, imbronciata, lo guardava a braccia conserte, con Demian rannicchiato sul suo petto e Daisy e Bella a fianco, che dormivano profondamente. "Inizi a somigliare a Jud, ti avverto" - la rimbeccò, divertito nonostante tutto.
Demelza si imbronciò ulteriormente. "Non è il momento di scherzare!".
Ross sospirò, finendo di togliersi i suoi vestiti per indossare dei caldi e comodi abiti da camera e infilarsi sotto la coperta. Aveva smesso di nevicare in serata ma il cielo rimaneva nero e plumbeo e un vento gelido sferzava la brughiera e faceva tremare i vetri della casa. Sembrava di essere ad Oslo, in quello strano ed esageratamente freddo inverno. "Quella che ha fatto Dwight è solo una proposta, ma la ritengo sensata e una buona soluzione per loro" - disse, osservando i gemellini. No, in cuor suo non era felice per quel genere di scelta e di sicuro si trovava d'accordo col pensiero di Demelza, ma non c'erano molte altre alternative e quindi se ne sarebbe stato zitto. Demelza non sapeva molte cose e non conosceva la storia che si nascondeva dietro ai gemelli e i rischi che stavano correndo ad averli con loro e perciò non l'avrebbe assecondata. Lei ragionava col cuore, lui si era imposto di usare il raziocinio.
"E' mostruoso, Ross" - proseguì la donna.
Ross le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. Le accarezzò il viso e la baciò sulla fronte, poi con la mano sfiorò il pancino di Demian che quella sera sembrava deciso a non dormire e a rimanere fra le braccia di sua moglie. "Guarda il lato positivo, Dwight ha detto che sono sanissimi. Minuti ma forti".
"E io voglio che continui ad essere così, Ross".
"Anche io".
Demelza lo fulminò con lo sguardo. "Come? Dividendoli e portandoli ognuno in un ospizio per trovatelli? Si adorano, si cercano sempre e morirebbero se non sentissero più accanto la presenza l'uno dell'altro".
Ross abbassò il capo. Era un'idea pragmatica e fondamentalmente la migliore per tutelare i gemellini ma sì, non piaceva nemmeno a lui. Eppure non avevano scelta. "Staranno bene e come parlamentare del seggio di Truro mi assicurerò che gli orfanotrofi che li ospiteranno ricevano donazioni e sussidi per i bambini. Li seguirò, da lontano, assicurandomi che stiano bene e abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno".
Demelza strinse a se Demian. "Tutto ciò di cui hanno bisogno? Ross, lo hanno già perso e gli resta così poco...".
Si spazientì, come spesso accadeva quando lei aveva ragione e lui non sapeva controbattere. Bella nel sonno mugugnò qualcosa e Daisy, disturbata dalla sua presenza, cercò di spingerla via senza successo... E guardando le bimbe, Ross riacquistò la calma necessaria. "Avranno cibo, un tetto sulla testa e qualcuno che si prenderà cura di loro".
Demelza si morse il labbro, cercando le parole migliori per farlo ragionare. "Ross, io non avevo nulla da piccola e vivevo in una baracca con un padre orribile e con una madre che se n'è andata troppo presto lasciando me e i miei fratelli da soli, in mezzo a miseria e violenza. Ma sapevo chi ero, conoscevo le mie origini e sapevo di appartenere a quel posto dove ero nata. Loro non hanno più nulla... Al diavolo, non mi importa del perché e comprendo bene il motivo per cui non vuoi parlarmi delle loro origini, ma pensaci Ross. Non hanno più i loro genitori, la loro famiglia, hanno perso ogni contatto con la loro terra d'origine. Hanno solo l'uno la vicinanza dell'altra e se ora tu togli a Daisy suo fratello e a Demian sua sorella, allora avranno perso tutto. Senza colpe, senza peccato. Era questo che voleva per loro la madre? Era questo a cui ambiva quando ti ha chiesto aiuto? Non conosco quella donna e non ti chiederò nulla di lei ma da madre, io dubito fortemente che volesse QUESTO per i suoi figli".
Ross distolse lo sguardo, fissando la finestra e le candele sul davanzale. In realtà aveva ben poco da contestare a Demelza, ma restava un punto fondamentale... "Ho mantenuto la parola data a quella donna, portando via da Oslo i suoi figli, al sicuro. E ora voglio ancora proteggerli, loro e soprattutto la mia famiglia! E questo è tutto, Demelza. I gemelli non devono essere una tua preoccupazione e io stesso ti avevo avvertita di stare attenta a non affezionarti a loro, ricordi?".
Con gli occhi di fuoco, Demelza sostenne il suo sguardo. "Sì, lo ricordo. Ma mi hai coinvolta quando hai scelto di portarli quì e ora dirò la mia. Hai coinvolto me e i bambini e ora non puoi chiederci di far finta di nulla".
Ross strinse i pugni nervosamente. "Beh, Jeremy non sembra entusiasta della loro presenza, Clowance pensa siano due bambolotti e Bella è troppo piccola per dire la sua ma sembra piuttosto infastidita da questi due rivali che distolgono da lei la tua attenzione".
Demelza gli prese il braccio, scuotendolo. "Ross, ti prego! Non farlo, non dividerli. Lasciali almeno insieme".
"Ti ho spiegato perché sarebbe meglio dividerli".
Usando la sua logica spiccia, Demelza tentò di smontare le sue certezze. "Beh, sì me lo hai spiegato ma...".
"Ma cosa?".
"Cercano un bambino, non due e forse non li riconosceranno e non baderanno a loro, nel caso dovessero trovarli proprio perché sono gemelli. E come mi hai detto, i loro nemici non si aspettano nulla del genere".
Ross restò colpito da quella riflessione acuta di sua moglie che in un certo senso, seguendo il ragionamento fatto da Dwight, aveva ribaltato la situazione a suo vantaggio usando la stessa logica. "M... Ma...?".
"Cercano un bambino" - insistette lei - "Non due! Se ne troveranno due, allora penseranno che non sono il bambino che cercano".
Ross rimase in silenzio, ora davvero in difficoltà. "Sei impossibile" - borbottò, prendendo in braccio Daisy che dava calcetti a Bella sotto le coperte.
Demelza sorrise soddisfatta. "Quindi mi dai ragione?".
La guardò storto. "Solo in parte! Ma resta il fatto che un neonato sarebbe accolto meglio di due, in un orfanotrofio".
"Ma Ross...".
Volse il viso, non voleva guardarla in faccia e non voleva guardare i gemelli. Stava per fare un grande torto a quei due piccolini e se ne vergognava, ma sperava che un giorno avrebbero capito il perché di quella scelta. "Dormi, Demelza...".
"Ross...".
"Dormi" - la implorò, incapace di proseguire quel discorso. "Ne riparleremo domani" - sussurrò, avvicinando il volto al suo per baciarla sulle labbra. Poi prese Daisy e Demian e anche se parvero protestare, li mise nella culla, lontano da quel lettone a cui non dovevano abituarsi. Lasciò lì solo Bella, fra lui e Demelza.
"Ross".
La voce spezzata di Demelza lo ferì, ma rimase fermo nelle sue decisioni. "Dormi amore mio, è giusto così".
"Lasciali quì con noi, non vogliono stare nella culla" - lo implorò.
Strinse i pugni, nervosamente, sentendosi mostruoso. "Sono stati abituati a stare nella culla prima del loro arrivo quì e per il loro bene, deve continuare ad essere così. Non sono i nostri figli e nel luogo dove andranno non ci saranno lettoni e madri che li tengono con loro la notte. E' giusto così, Demelza".
I bimbi piagnucolarono per attirare l'attenzione ma Ross si impose di non dar loro corda. Andò a letto ignorando lo sguardo di Demelza, spense subito la candela per non guardarla in viso e quando la sentì singhiozzare stringendo Bella a se, la abbracciò. "Mi dispiace, non avrei dovuto portarli quì" - sussurrò fra i suoi capelli. Odiava averla coinvolta in qualcosa che, conoscendola, l'avrebbe assorbita cuore e mente. Sperava che avrebbe dimenticato, sperava di dimenticare anche lui ma aveva l'impressione che i visini di quei due biondissimi bambini avrebbero turbato il suo animo a lungo.
Demelza non rispose e probabilmente capiva cosa lui stesse provando e quanto fosse difficile ciò che stava per fare. Si abbracciarono, cercando l'uno nell'altro la forza per scelte difficili da fare e poi, quando anche i gemelli smisero di piangere, crollarono esausti fra le braccia di Morfeo.

...

Tre giorni dopo, appena passata l'alba, Ross si alzò in fretta. La sera prima avevano ricevuto la visita di Dwight che gli comunicava di aver trovato un buon istituto, a St. Ives, dove portare uno dei bambini, che erano attesi per l'indomani e il medico aveva assicurato che era un buon posto per crescere, piccolo, decoroso e gestito da due religiose dolci e attente.
Demelza non aveva detto nulla e per la prima volta in vita sua si chiuse in camera senza fermarsi a chiacchierare con Dwight, arrabbiata per quella soluzione e tristissima per il destino di quei due poveri bambini. Poteva essere un bel posto accogliente e le religiose potevano essere le suore più dolci del mondo ma un orfanotrofio sarebbe rimasto comunque un orfanotrofio e nessun piccolo meritava di finirci per colpa degli errori dei grandi. Le parve di odiare Dwight e Ross per un attimo, anche se poi si accorse che entrambi gli uomini cercavano di far del loro meglio per i piccoli e anche per lei e i suoi figli. Ma Demelza, da madre, sapeva in cuor suo che quello non era il meglio...
Sola nella stanza, mentre i suoi figli giocavano con Prudie nella stalla, prese i gemelli dalla culla e li strinse a se coccolandoli, cercando di dar loro quel calore che non avrebbero più trovato altrove. Li avvolse nella stessa coperta perché stessero insieme almeno quell'ultima notte e la sera non scese per cena, adducendo un mal di testa, in modo da stare con loro.
Ross comprese, ma decise di lasciarla fare... Era nella medesima condizione di spirito e si sentiva in colpa non solo per i gemelli ma anche per la sofferenza di sua moglie...
Quando andò a letto non si rivolsero la parola e dopo un breve bacio della buona notte, scivolarono in un sonno agitato.
Al mattino, prese Daisy... Era la più vispa e apparentemente indipendente e forse la meno bisognosa di attenzioni prolungate a Nampara, con Demelza.
Sua moglie si svegliò e con gli occhi lucidi, mentre avvolgeva la piccola in pesanti coperte, gli si avvicinò. "Ross...".
La baciò sulla fronte. "Torna a letto".
"Ti prego...".
"Demelza, Dwight ci aspetta".
Fra le sue braccia, come comprendendo la natura perversa di quel momento, Daisy si mise a piangere forte, rischiando di svegliare tutti. Ross deglutì, sarebbe stato un disastro in quel caso. Clowance avrebbe pianto nel veder andare via la bambina, Jeremy avrebbe reagito chiudendosi in uno strano mutismo che spesso esibiva dal suo ritorno e Demelza... Demelza aveva il cuore a pezzi e sperava di poterlo curare quanto prima, dimenticando quella brutta storia. "Devo andare o si sveglieranno tutti".
"Fa freddo" - lo implorò Demelza. "Sta nevicando, di nuovo. Come puoi farle vivere tutto questo, è così piccola e dovrebbe stare quì al caldo con suo fratello".
La accarezzò sul viso. "Non smetterà di nevicare fino a primavera, probabilmente. E sai che è una cosa che va fatta adesso".
Sconfitta, Demelza si avvicinò alla piccola che strillava come non aveva mai fatto prima, come sentendo il distacco dal fratellino con cui aveva dormito nella culla fino a pochi istanti prima. "Fa la brava, Daisy. E ricorda che ti vogliamo bene". La baciò sulla testolina, le accarezzò il visino e le rimboccò le coperte prima di rivolgersi ancora a suo marito. "Se hai davvero deciso così, accertati che sia davvero un bel posto, quanto meno".
"Certo". E con passò deciso Ross scese di sotto, raggiungendo le stalle sotto un vento sterzante che riusciva persino a mitigare il suono del pianto di Daisy.
Montò a cavallo, mettendo la piccola al sicuro sotto al suo mantello. Era così che li aveva nascosti ad Oslo ed era così che l'aveva portata con suo fratello a Nampara. E lei non aveva quasi mai pianto... Quella mattina invece pareva disperata e Ross temette che stesse male. "Hei piccola, non ti trovi più bene con me? So che questa cosa che stiamo facendo non ti piace molto, ma vedrai che starai bene e ti piacerà" - disse, come a voler convincere lei anche se sapeva che quelle parole erano un misero tentativo di convincere anche se stesso. "Troverai tanti bambini con cui giocare e lo stesso succederà a tuo fratello, te lo giuro".
Disperata e sicuramente non rasserenata da quelle parole, mentre galoppavano al passo, Daisy gli strinse un dito con le manine. Singhiozzò forte, inconsolabile, poi lo guardò con quei suoi occhi azzurri come il mare... Come il ghiaccio. Sembrava inconsolabile e triste e soprattutto, indispettita anche da quella neve che fino ad allora sembrava gradire. Era come se giungendo a Nampara, Sigrid fosse scomparsa e al suo posto ci fosse Daisy. Che delle sue origini sapeva poco ma che aveva fatto sue la vita e le abitudini conosciute in Cornovaglia.
Ross la fissò e lei, esausta dal pianto, singhiozzò e poi si strofinò gli occhi, prima di rannicchiarsi contro al suo petto in cerca di aiuto, protezione, concordandogli la stessa fiducia che gli aveva regalato ad Oslo, quando l'aveva portata via dalla casa di Inge.
Ross alzò gli occhi al cielo, ricordando la preghiera di Jasmine di salvare i suoi bambini, ricordò la dolcezza di Inge nel prendersi cura di loro, il primo incontro coi bambini, la fuga da Oslo e l'addio alla loro madre in barca, coi piccoli, con quel fiore che si era inabissato negli abissi. E così trovò il coraggio di guardarsi davvero dentro: dividendoli e portandoli in un orfanotrofio, li stava davvero salvando? Demelza non lo credeva e in fondo, non ci credeva nemmeno lui.
Strinse a se la piccola, mentre la neve si faceva più forte. Il buio ancora incombeva sulla brughiera, il vento era gelido e tutto era bianco. E il posto di Daisy era a casa, nella sua culla con suo fratello davanti al fuoco. Non lì, non a St. Ives... La baciò sulla testolina, stringendola a se perché si scaldasse. "Hai ragione, scusa per questa cosa. Mi perdoni?".
La piccola gli strinse il mantello come in senso affermativo, smettendo di piangere. E Ross capì che non poteva deluderl, fece marcia indietro e spronò il cavallo a tornare a casa.
Quando rientrò, Prudie e i figli ovviamente stavano ancora dormendo. Al piano di sopra invece Demelza non era riuscita più a prendere sonno e con gli occhi rossi, se ne stava nel letto a coccolare Demian che piagnucolava con meno enfasi della sorella ma comunque in modo inconsolabile.
Era incredibile come quei due bambini, ancora tanto piccoli, fossero consapevoli del legame dell'uno con l'altra e come percepissero tutto quello che si muoveva attorno a loro.
Quando rientrò in camera con Daisy in braccio, Demelza spalancò gli occhi. "Ross!".
Le si avvicinò a grandi falcate, stringendola a se sul letto. "Non potevo farlo, hai ragione" - disse, facendo scivolare Daisy fra le braccia di sua moglie.
Lei d'istinto strinse la piccola e poi sorrise, baciandolo sulle labbra. "Sapevo che non saresti riuscito a farlo davvero... Teniamoli noi Ross, è questa la strada giusta".
Ross, shoccato da quella proposta inaspettata e tanto tipica di sua moglie, si irrigidì perché di fatto non aveva ancora scelto nulla. D'istinto era tornato a casa ma senza sapere effettivamente cosa fare, ma ora come doveva comportarsi davanti a quella proposta tanto folle? Perché tale era, anche se Demelza non poteva conoscerne i motivi e i pericoli. "Non possiamo".
"Chi ce lo impedisce?".
"Il buon senso, amore mio".
Lei scosse la testa. "Tanti anni fa hai accolto in questa casa una bambina maltrattata dal padre, che portava sulla schiena i segni di terribili cinghiate. Hai cambiato la vita di quella bambina e ora solo grazie a te è una donna felice. Fallo di nuovo, fa con questi bambini la magia che hai compiuto sulla mia esistenza".
"Tu non sai..." - tentò di argomentare lui. Come avrebbero potuto? Come lo avrebbero giustificato? Come, comeeee???
"Non voglio sapere, voglio solo che restino quì" - lo bloccò lei.
"E' una follia. Sono due bambini in più, abbiamo anche i nostri e come ti ho spiegato, tenerli potrebbe esporre noi tutti a dei rischi".
Ma Demelza, dopo aver rimesso Daisy accanto al fratellino e averlo fatto finalmente calmare, tornò all'attacco. "Quali rischi? Judas Ross, viviamo isolati in campagna, nessuno sa che i bambini sono quì e difficilmente saranno rintracciabili a Nampara. Sono quì, ti sono stati affidati, giusto? E allora mantieni fede alla parola data".
Ross non rispose, era troppo folle e troppo complicato decidere su due piedi, a caldo, una cosa del genere che avrebbe coinvolto non solo loro ma soprattutto i loro figli. Si limitò ad abbracciarla e a scivolare con lei e i gemelli sotto alle coperte. La luce del mattino forse avrebbe portato consiglio.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


"Potremmo dire semplicemente che sono nostri".
La proposta di Demelza spezzò il silenzio della stanza e Ross capì che l'ora di pace prima che i figli si alzassero e li rendessero partecipi della decisione di tenere i gemelli, era definitivamente sparita dai suoi propositi. Nevicava fitto, i piccoli dormivano lei sul suo petto e lui sul petto di sua moglie e il camino donava una pace talmente invitante che pensare ai problemi da affrontare gli pareva un delitto. "Come potremmo riuscire a far credere alla gente una fandonia simile?".
Demelza coprì le spalle di Demian, accarezzandogli la testolina. "Non dico ai nostri amici più stretti o ai miei fratelli ma di chi frequentiamo meno. Io sono stata poco in giro questo autunno e in questi mesi in cui sei stato in Norvegia e a causa di Bella che aveva spesso la febbre a causa dei dentini, sono stata praticamente sempre in casa e non sono nemmeno mai riuscita ad andare alla Wheal Grace come facevo una volta. La scorsa estate invece siamo stati a Londra per il tuo incarico al Parlamento, quindi la gente del posto non può sapere se avevo o meno il pancione. Racconteremo ai tuoi minatori e alla gente del posto come Sir Bodrugan che ho partorito appena sei tornato e che ho preferito non divulgare la notizia della mia gravidanza perché mi sentivo in imbarazzo ad essere di nuovo incinta subito dopo aver partorito Bella. Può funzionare, no?".
Ross alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché la Corona non avesse proposto a sua moglie il lavoro di spia. Santo cielo, era una maga del sotterfugio e degli stratagemmi... "E ci crederanno?".
"Perché non dovrebbero? E perché dovrebbe essere un loro problema?".
"Perché i gemelli non ci somigliano!" - sbottò Ross.
Demelza sbuffò. "Sono biondi, anche Clowance è bionda e metà dei Poldark passati e presenti lo è!".
La guardò storto. "Sono TROPPO biondi".
"Crescendo si scuriranno un pò" - disse Demelza, chiudendo il discorso.
Ross pregò che succedesse sul serio, in fondo la madre dei bimbi era spagnola e santo cielo, qualcosa da lei dovevano pure aver preso! "Non saranno mai mori".
"Ma saranno biondi come Clowance o forse un pò di più. La gente di questo posto, Ross, ha tanti problemi giornalieri da affrontare e dubito che il colore dei capelli di questi bambini sia in cima ai loro pensieri. O quanti figli abbiamo...".
"La gente di questo posto, amore mio, ama sparlare di tutto" - le fece notare.
"Forse..." - fu costretta ad ammettere Demelza - "Ma si stancheranno presto di farlo quando troveranno un altro argomento".
Ross, esasperato da quella logica tutta al femminile che mai riusciva ad abbattere, scosse la testa. "Due gemelli a un anno di distanza da Bella... La gente penserà che non so stare al mio posto e tenere le mani ferme quando siamo a letto...".
A quelle parole Demelza scoppiò a ridere, anche se tentò di trattenersi per non svegliare i gemellini, soprattutto Daisy che dopo l'uscita prima dell'alba con Ross, si era riaddormentata dopo aver pianto a lungo. "Beh, da questo punto di vista non si sbaglierebbero troppo!".
Scherzosamente, Ross le diede un buffetto sulla guancia. "Stiamo facendo un discorso serio".
"Sono seria!".
"Ma stai sviando il discorso!".
Demelza alzò le spalle, divertita. "Sto raccontando la semplice verità".
"E questa verità ti dispiace?".
Demelza rimase in silenzio per un attimo, poi il suo sguardo si fece malizioso e si avvicinò per baciarlo sensualmente sulle labbra. "Per niente".
Rimase inebetito davanti a quelle sensazioni così forti che ancora oggi, dopo tanti anni di matrimonio, Demelza risvegliava in lui anche con un semplice tocco. Santo cielo, dubitava che questo sarebbe mai cambiato fra loro... "Buon per te... e per me... Ma ora abbiamo cose più importanti a cui pensare".
Demelza sorrise, stavolta con dolcezza, stringendo a se Demian. "Già".
"E' già il tuo cocco?" - fece notare Ross.
"E lei la tua cocca!" - scherzò Demelza, indicando Daisy.
"Ama la mia voce...".
"E Demian il mio seno".
Ross rise ancora. "Piuttosto furbo il piccolo vichingo...". Ma poi tornò serio, accarezzandole il viso. "Demelza, tenerli è un grande impegno e una grande responsabilità. Significherà avere due figli in più con tutto quello che ciò comporta per me, per te e per Jeremy, Clowance e Bella. Dovremo crescerli, amarli come fossero nostri, tenere celato loro un segreto enorme e chiedere ai nostri figli maggiori di fare altrettanto. Significa sconvolgere la vita di questa famiglia, significherà che Bella dovrà dividere con loro le nostre attenzioni e molto lavoro in più soprattutto per te e Prudie. Io sono spesso lontano da casa e anche quando sono quì, ho la miniera a cui badare e loro non dovrebbero essere un problema tuo".
Ma Demelza gli strinse la mano, come a dargli coraggio. "Ti ho chiesto io di tenerli quì e credo sia la cosa più giusta per questi bambini e per te che sei stato eletto loro protettore. Non ho paura del lavoro e dubito che la mia vita sarà sconvolta più di tanto. Jeremy e Clowance ormai sono grandi e Bella in loro troverà compagni di gioco e dei fratelli vicini per età. Ho cresciuto da bambina, sei fratelli. Senza cibo, in una baracca, da sola. Credi che due gemellini mi facciano paura?".
Ross le baciò la fronte, grato che il destino gliel'avesse fatta conoscere. Se poteva tener fede al meglio la sua promessa a Jasmine, era soprattutto grazie a lei. A Demelza sarebbe piaciuta, probabilmente, quanto Caroline. "Vorrei comunque che tu stessi più tranquilla e comoda, non sempre indaffarata".
"Mi annoierei. E tu, Ross?".
"Io cosa?".
"Saresti pronto a far loro da padre?".
Ross rimase in silenzio, rendendosi conto della grandezza di quella domanda. Era pronto? Aveva sempre amato la paternità ma dopo Julia ne aveva avuto anche paura e ora, amare quei due gemelli avrebbe generato in lui gli stessi sentimenti di terrore davanti all'opportuinità di perderli un giorno. Cosa che, nel loro caso, poteva anche essere probabile. Ma poi guardò quei piccolini fra le loro braccia e capì che in fondo gli erano già entrati nel cuore e difficilmente avrebbe potuto allontanarli. "Credo di sì".
Demelza intrecciò le dita della mano che aveva libera con quella di Ross. "E ai miei fratelli che diremo? E a Zachy? Ned? Dwight e Caroline già lo sanno e abbiamo il loro silenzio, ma gli altri? Quelli a noi più vicini non crederanno a una mia gravidanza tenuta segreta".
Le accarezzò la mano che stringeva. "No, certo che no. Racconteremo loro ciò che io ho raccontato a te e Dwight, chiedendo di tenere il segreto e reggerci il gioco. Sono amici fidati, su di loro e sulla loro fedeltà non ho alcun dubbio e mi hanno aiutato in passato già molte volte".
Demelza sorrise. "Quindi lo vedi che non è così difficile?".
Ross rise, pizzicandole il dorso della mano. "Aspetta a cantare vittoria! Dobbiamo convincere tuo fratello Sam a mentire".
"E' per una buona causa, non farà storie".
Ross non parve così convinto della cosa e anche se sicuramente alla fine suo cognato avrebbe mantenuto il segreto per la salvezza dei bambini, di certo non sarebbero mancate le sue rimostranze. "Per Sam non esistono buone cause che giustifichino una menzogna".
Demelza annuì, costretta a dargli un pò ragione. "Sì ma col matrimonio è diventato più accomodante. Rosina lo convincerà".
Ross la strinse a se, scompigliandole scherzosamente i capelli. "Il famoso potere delle donne che è in grado di assoggettare come se fossero marionette, tutti gli uomini del mondo".
Demelza fece per rispondere ma il rumore della porta che si apriva, la fermò.
Ancora assonnati e in camicia da notte, i loro tre figli entrarono nella stanza, Clowance sfregandosi gli occhi e Jeremy con la piccola Bella in braccio, già perfettamente sveglia ed attiva. Era una specie di rito che i loro figli li raggiungessero nel lettone prima di lavarsi e vestirsi e quella mattina non faceva eccezione. Era una bella abitudine che anche Ross amava, soprattutto nelle fredde mattine d'inverno quando fuori era ancora buio ed era piacevole starsene tutti insieme sotto a una coperta.
Jeremy si rabbuiò subito però, osservando i gemelli. Stranamente, a differenza di Clowance, lui non sembrava contento del loro arrivo e spesso sembrava assorto e immalinconito in quei giorni. "Ma non dovevate portarne via uno, stamattina?" - chiese infatti, non sforzandosi di nascondere la delusione dal suo tono di voce.
Demelza allungò una mano verso di lui per attirarlo a se. "Tesoro, tutti e tre, venite quì".
Clowance non se lo fece ripetere e saltò sul letto felice. Per lei i gemelli erano delle specie di bambolotti e adorava aiutare sua madre e Prudie nella loro gestione. "Evviva, non li hai portati via papà!".
Anche Jeremy li raggiunse, poggiando Bella sul letto. La piccola gattonò fino al padre, prendendo posto accanto a Daisy fra le sue braccia e reclamando la sua attenzione.
"Come mai, papà?" - chiese ancora Jeremy.
Ross decise di rispondergli senza giri di parole, con gentilezza ma anche con la fermezza necessaria a fargli capire che era una scelta degli adulti che lui doveva rispettare. "Io e tua madre abbiamo deciso che per la loro sicurezza e il loro benessere, è meglio che stiano quì".
"Per sempre?" - chiese Clowance.
Demelza annuì. "Sì... O finché saranno grandi abbastanza per prendere la loro strada. Come voi...".
"Ma tu hai detto che era pericoloso, papà!" - sbottò Jeremy.
"Lo so, ma tua madre mi ha fatto capire che non lo è affatto, dopo tutto. Se ci staremo attenti, ovviamente".
Stupito, Jeremy fissò Demelza. "Mamma, ma davvero tu li vuoi?".
Lei gli accarezzò il viso. "Certo tesoro, e sai perché?".
"No".
"Perché tanti anni fa anche io ero sola e nei guai e vostro padre mi ha accolto in questa casa cambiando la mia vita. E ora voglio fare altrettanto per questi due bambini così piccoli e soli, che hanno ancor meno di quello che avevo io quando sono arrivata a Nampara la prima volta".
Jeremy rimase silenzioso alcuni istanti, ma poi annuì. Era il figlio più vicino a sua madre e quello che meglio la capiva e meglio sapeva leggerne l'anino gentile. E anche se non era contento di quella scelta, mai avrebbe obiettato dandole un dispiacere. "Capisco" - mormorò a denti stretti.
"Sei d'accordo, allora?" - chiese Demelza.
Ancora dubbioso, alla fine Jeremy cedette per farla felice. "Se sei contenta tu e davvero vuoi, allora sì".
"E dovremo tenerli nascosti?" - chiese Clowance, di indole molto più pratica.
Ross scosse la testa. "No e da questo momento in poi voi sarete fondamentali. Dovrete dire a tutti che sono i vostri fratellini e che la mamma è rimasta incinta subito dopo la nascita di Bella".
"Ma sarebbe una bugia" - obiettò Jeremy.
"Ma sarebbe a fin di bene" - lo rassicurò il padre.
Jeremy parve scettico. "Zio Sam e zio Drake non ci crederanno mai!".
Demelza lo attirò a se mentre Bella iniziava a fare chiasso, svegliando i gemelli che aprirono i loro occhi azzurri. "A zio Sam e zio Drake racconteremo la verità e loro terranno il segreto dei gemelli con noi. Così come le altre persone a noi molto vicine come Zachy. Ma per tutti gli altri, da oggi i gemelli sono i vostri fratellini e dovranno crescere con questa certezza".
"Non devono sapere la verità?" - chiese Clowance mentre Daisy si aggrappava con la manina al braccio di Bella che di tutta risposta cercava di spingerla via.
"No" - rispose Demelza. "Loro devono crescere con noi pensando che siamo la loro famiglia. E lo saremo davvero, li ameremo come ci amiamo fra noi e tutto il loro passato non ci sarà più. Saprete farlo, saprete non dire nulla?".
Clowance disse subito di sì, senza esitazione, Jeremy diede la sua parola alcuni istanti dopo.
Ross tentò di rassicurare il figlio maggiore, ancora decisamente scosso. "Quanto meno avremo rinforzi. Demian ci darà man forte contro tutte queste donne".
Jeremy sorrise timidamente. "Speriamo".
"Saprai essere un bravo fratello maggiore?".
"Credo di sì. Ci proverò".
Ross si stiracchiò, ora con tanti pesi in meno sulla coscienza, rendendosi conto che dentro di se quella era la soluzione che forse aveva desiderato fin dall'inizio di quella faccenda. "E allora, non mi resta che fare una cosa".
"Cosa?" - chiese Demelza.
"Andare a Londra da Jones. Mi devo far fare dei certificati di nascita falsi dei bambini, da mostrare al Reverendo Halse quando li battezzeremo".
"Anche questa è una bugia!" - lo rimbeccò Clowance.
Ross le strizzò l'occhio. "Ma sempre a fin di bene!".
La bambina rise, i gemelli mossero le gambette allegri e da quel momento la famiglia Poldark fu ufficialmente composta da sette persone.
Ross invitò Jeremy e Clowance ad andare a lavarsi la faccia e a vestirsi e poi, rimasto solo con Demelza e i tre bimbi più piccoli, tornò a rivolgersi alla moglie. "Se resteranno quì, forse dovresti sapere qualcosa in più dei gemelli" - disse, osservandoli fra le loro braccia, perfettamente a propio agio. Se Demelza si sentiva pronta a far loro da madre, era giusto che sapesse chi erano davvero quei bambini e i motivi che avevano portato alla morte dei loro genitori. "Voglio dire... Tipo... Il loro vero nome, il nome di famiglia...".
Ma Demelza lo bloccò, risoluta. "No".
"No?".
Demelza affrontò con tranquillità l'espressione sorpresa e stupita del marito. "Non voglio sapere nulla più di quello che già so, non voglio sapere nulla che possa influenzare il mio pensiero e le mie azioni verso di loro. Per me la questione finisce quì, ho fiducia in te e nella tua scelta di portarli quì e come hai detto, ciò che era prima non esiste più. Per il bene di tutti, soprattutto dei bambini, ciò che hai lasciato dietro di te in Norveglia, là deve restare. Ora pensiamo solo al futuro".
"Sei sicura?" - le chiese, incerto.
"Sì. E sarà così per sempre o almeno finché non sarà necessario parlarne".
Ross tacque, forse non del tutto sorpreso dalla saggezza e dalle parole di sua moglie. E da quel momento e per molto tempo, l'argomento non fu più toccato.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


"Demian Poldark, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Daisy Poldark, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
La voce del Reverendo Halse risuonò nella piccola Chiesa di Sawle, dando il benvenuto ufficiale nella comunità a quei due piccoli e singolari gemellini che, per la maggior parte delle persone del luogo, erano il risultato di una gravidanza celata per pudore dai coniugi Poldark.
Nevicava, di nuovo, in quel pomeriggio della Vigilia di Natale scelto per la cerimonia, e i pochi ospiti presenti erano coloro che sapevano, anche se solo in parte, la vera storia dei bambini: Gli Enys, Zachy Martin, Ned, Prudie, Sam e Drake con le rispettive mogli e infine Geoffrey Charles. Erano le persone che a Ross e Demelza erano più care, una estensione della loro famiglia e coloro che li avrebbero aiutati a portare avanti quella strana avventura in cui si erano imbarcati.
Ross era partito subito per Londra dopo la decisione di tenere i bambini a Nampara ed era stato via poco meno di cinque giorni: Uno e mezzo per l'andata, uno e mezzo per il ritorno e un giorno per rendere partecipe della sua scelta il fido Jones che poi aveva redatto gli atti di nascita falsi a nome dei piccoli. Il suo socio lo aveva preso in giro fino allo sfinimento per quella scelta, facendogli notare che una spia sentimentale è poco affidabile, che le faccende da neonati dovrebbero essere gestite dalle donne e che era folle ad essersi preso in casa per sempre quei due esserini malefici e nordici, sicuri portatori di guai e sventure. O quanto meno di caos casalingo, nella migliore delle ipotesi... Ma poi come sempre, si era messo a disposizione di Ross e aveva redatto due atti di nascita falsi talmente perfetti da risultare praticamente impossibile distinguerli da un atto vero.
Ross e Demelza avrebbero voluto aspettare gennaio per il Battesimo ma il Reverendo Halse aveva insistito, anche arrabbiandosi, adducendo il fatto che avevano aspettato fin troppo per quel passo, che avevano sbagliato a non far battezzare i bambini subito dopo la nascita e che il pomeriggio della Vigilia sarebbe stato perfetto per quella cerimonia, in modo che la notte di Natale i due piccoli sarebbero stati membri ufficiali della comunità a tutti gli effetti. Ross dentro di se aveva ridacchiato davanti alla veemenza mostrata da Halse, cercando di immaginarsi la faccia che avrebbe fatto se avesse saputo la verità. Ma quella, doveva rimanere sepolta in Norvegia e quindi alla fine cedette e fu stabilito che il Battesimo fosse celebrato il pomeriggio del ventiquattro.
Dopo la cerimonia, sotto una fitta nevicata che ai gemelli parve piacere molto, i Poldark tornarono a casa dove con i loro ospiti, erano attesi da un banchetto preparato da Demelza e Prudie in mattinata. Era un giorno di festa che univa il Santo Natale a un Battesimo doppio e Demelza voleva festeggiarlo fino alla fine.
Dopo la cena, resa ancor più rumorosa da Bella, Loveday e Sophie Enys che gattonavano urlando ovunque e dai gemellini che non volevano dormire, tutti si misero a chiacchierare attorno al camino. Anche Jeremy che non volle unirsi a Clowance nell'inseguire le piccole di casa.
Zachy osservò i neonati, lui in braccio a Demelza, lei a Ross. Da buon amico, come sempre, aveva dato il suo supporto senza chiedere troppo e ora guardava solo con curiosità quei due piccoli. "Appena cresceranno un pò, assieme ad Isabella-Rose e Loveday faranno un baccano tale che si sentiranno le loro urla fino alla dimore del re a Londra".
Morwenna, divertita, osservò Rosina. "Povera la nostra scuola, con questi piccoli terremoti".
Pensieroso, Sam invece pareva meno entusiasta. Aveva fatto mille obiezioni a Demelza quando lei gli aveva parlato dei gemelli, era stato il più coriaceo e il meno propenso a cedere a quella menzogna e solo dopo aver visto i bambini si era calmato, rendendosi conto che era Dio ad aver messo quei piccoli sulle loro strade e che spettava a loro proteggerli. Odiava mentire ma abilmente, Rosina lo convinse che stavolta il farlo non era da considerarsi un peccato visto che quel gesto era a fin di bene e non vi era alcuno scopo di lucro. "L'importante è che vada tutto bene".
Sam gli picchiettò sulla spalla. "Non essere pessimista fratello! Siamo quì, sereni e felici, accanto a un caldo camino. Nessuna ombra scruta alla nostra finestra, i bambini stanno bene e noi ci stiamo divertendo. Solo questo conta, ora".
"Speriamo anche dopo" - aggiunse Jeremy, rannicchiandosi contro la spalla di sua madre.
Demelza gli accarezzò i capelli. Jeremy era il figlio che comprendeva meglio e sapeva percepire la sua inquietudine in quella faccenda. Non era propriamente contento dell'arrivo dei gemelli, si faceva mille domande e aveva forse anche molte paure che lei sperava scemassero col tempo o che lui avrebbe imparato ad esternare, cosa che al momento rifiutata di fare. E quindi, fra tutti, era il figlio che più aveva bisogno di lei. "Tu fidati di noi, come sempre".
Jeremy le sorrise, grato, stringendole la mano come spesso faceva quando voleva starle vicino perché la vedeva triste per l'assenza di Ross durante questa o quella missione.
Come a voler dimostrare l'atmosfera festosa, con gridolini assordanti Bella e Sophie si appesero all'abete addobbato e solo la corsa di Geoffrey Charles che le prese in braccio all'ultimo, evitò che l'albero si abbattesse sulle due piccole pesti.
Jeremy sospirò. "Io mi fido ma i disastri quì son dietro l'angolo".
Tutti risero ma Ross osservò con preoccupazione il figlio, chiedendosi se un giorno avrebbero avuto uno scambio di vedute 'adulto' circa i suoi attuali sentimenti. Jeremy era totalmente aperto con Demelza ma crescendo, si era un pò allontanato da lui, anche sicuramente per la lontananza che spesso intercorreva fra loro ma soprattutto per i caratteri che li animavano, totalmente opposti.
Daisy si morse la manina e cercò di attirare la sua attenzione e Dwight chiese di poterla prendere in braccio.
Ross gliela porse ma la piccola prese subito a strillare.
Dwight rise. "Vuole suo padre".
Padre... Ross deglutì e si rese conto che lo era a tutti gli effetti, ora. E che ancora non ci si era abituato. Per lui, ancora, quelli restavano i figli di Jasmine e Harald e comprendeva di dover ormai guardare le cose da un'altra angolazione. Lui e Demelza avevano fatto una scelta e i gemelli li consideravano i loro genitori e quindi lui ora doveva sentirsi il loro padre anche se non li aveva generati. Un pò, forse, come George con Valentine, pensò amaramente, ricordando quel bambino dai riccioli scuri che non vedeva da molto e con cui, forse, aveva in comune molto più di quanto avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere a se stesso.
Dwight gli ripassò Daisy che appena fra le sue braccia, smise di piangere. "Vedi Ross, sei suo padre! E vuole solo te" - lo rassicurò l'amico, come avvertendo la sua battaglia interiore.
Ross accarezzò la testolina bionda della piccola. "Oh, lei l'ho conquistata da subito. Ama la mia voce. Il maschio invece è innamorato di mia moglie, se provo ad allontanarli, piange come una fontana".
"E fa tremare i vetri!" - borbottò Prudie, riprendendo al volo Loveday dopo che per la terza volta aveva tentato un salto giù dalla credenza.
Caroline, seduta accanto a Demelza e a gravidanza avanzata, si accarezzò il pancione. Era stanca, fuori era buio e aveva solo voglia di andare a letto. A giorni avrebbe dovuto partorire e quella sera non si sentiva per niente bene, con doloretti sospetti che le suggerivano che era meglio andare a casa. "Tesoro, sarebbe ora di togliere le tende prima che Sophie si lanci contro il candelabro o attenti ancora alla credenza di Demelza".
Dwight annuì e anche gli altri si accorsero che era ormai tardi.
Clowance, decisamente estroversa e festaiola, protestò. "Noooo, non andate via! E' presto!".
Zachy le pizzicò scherzosamente la guancia. "Oh bambina, qualcuno stanotte deve portare i doni a te e ai tuoi fratelli e non vorremmo sbarrargli la strada".
"Ohhh". Clowance osservò i suoi genitori che annuirono, dando manforte all'amico. "E allora forse dovreste andare".
Tutti risero, Clowance aveva una faccia tosta che a Jeremy mancava.
Demelza e Ross si guardarono in viso, grati della loro compagnia ma desiderosi di starsene un pò da soli. Era stata una giornata piena di emozioni, i gemelli ormai facevano parte ufficialmente della loro vita e anche se erano pronti a far loro da genitori, entrambi erano ancora un miscuglio di emozioni troppo forti per sentirsi totalmente a loro agio.
Morwenna recuperò Loveday, Dwight la vivacissima Sophie e Caroline sbuffò. "Se penso che a giorni ce ne sarà un altro o un'altra che strilla, mi viene voglia di gettarmi dalla scogliera".
Morwenna la abbracciò. "Oh, sarà bellissimo, vedrai".
"Sì, prima o poi lo sarà. Per ora sono solo ansiosa, ho i piedi gonfi, la pancia più grossa di quella di Choake e nessuno dei miei abiti migliori mi entra. E forse non mi entrerà più" - si lamentò l'ereditiera, col suo classico cinismo.
Demelza sorrise dolcemente, conoscendo bene le paure che si celavano dietro alle parole solo apparentemente sprezzanti dell'amica. "Se ce la facciamo io e Ross, ce la farai anche tu. Ogni figlio è una sfida, ogni figlio porta tante paure e noi ne abbiamo presi altri due che nemmeno hanno il nostro stesso sangue".
"Ma voi siete folli!" - la rimbrottò amichevolmente Caroline. "E pure io e Dwight...dopo tutto..." - borbottò, accarezzandosi il pancione.
Ross rise. "Caroline, mi spiace dirtelo ma è decisamente troppo tardi per tornare indietro".
"Non me lo dire, ti prego!" - sbottò lei.
"Non dirglielo, per favore" - aggiunse Dwight divertito, con Sophie in braccio.
E in questo clima di allegria si salutarono, ognuno diretto alla propria casa per continuare a festeggiare in modo più intimo e famigliare il Natale, gli adulti assonnati e le bimbe invece ancora piene di una energia tale da poter far concorrenza alla dinamite nelle miniere, come aveva detto Ned.
Rimasti soli, i Poldark e Prudie si avvicinarono ai divani davanti al camino e i bambini diedero il loro dono alla domestica, uno scialle fatto a mano da Clowance e Demelza con la lana lavorata da Jeremy.
Commossa, Prudie tirò su col naso. "Piccoli monelli, ora la cara Prudie si commuove e solo col rhum riuscirà a calmarsi".
Ross e Demelza si guardarono negli occhi divertiti e poi si sedettero lei con Demian e Ross con Daisy e Bella. Jeremy e Clowance, assieme a Prudie, li raggiunsero.
"E così è Natale!" - esclamò Clowance. "Ho chiesto un sacco di cose a Papà Natale, spero non si sia dimenticato niente".
"Sei stata abbastanza buona per meritarti tutto?" - le chiese Demelza.
La bimba, con notevole faccia tosta, annuì. "Assolutamente, sempre".
"Sei scappata da lezione, il mese scorso, me lo ha detto la mamma" - fece notare Ross.
"Solo perché era una lezione inutile, zia Rosina lo sa che io lo so in che mesi cresce il grano, che ci stavo a fare in classe?".
Demelza sospirò, Prudie rise sotto i baffi e Ross con lei. Clowance non era mai stata una studentessa modello e di certo non sarebbe migliorata con l'età. Se Jeremy pareva assetato di sapere, lei invece era pura energia e scaltrezza che, unite alla sua bellezza e alla sua faccia tosta, la rendevano irresistibilmente affascinante. Bella invece era ancora troppo piccola per fare previsioni ma con l'argento vivo addosso che si ritrovava, difficilmente sarebbe rimasta composta e seduta dietro a un banco. I gemelli... Beh, questo ancora non lo sapeva e non riusciva a prevedere che personalità avrebbero sviluppato ma di sicuro erano bambini coriacei e forti e con la tempra dei Poldark ci si sarebbero trovati a meraviglia.
Ross prese la mano della figlia maggiore, attirandola a se. "Se vuoi avere qualche speranza di avere i tuoi regali, ti conviene filare a letto o Papà Natale non si fermerà e tu rimarrai a bocca asciutta".
"E' già così tardi?" - domandò Jeremy.
"E' quasi passata la mezzanotte, nanetti" - li rimbeccò Prudie. "A nanna".
I bambini abbracciarono i genitori e forse timorosi di non ricevere doni, corsero a dormire senza fare troppe storie. Clowance baciò Bella e i gemelli, Jeremy inizialmente solo Bella, finché sua madre gli ricordò che doveva salutare tutti e lui lo fece.
Prudie li accompagnò di sopra e dopo aver augurato ai due sposi la buona notte, si ritirò a sua volta nella sua stanza.
Ross e Demelza rimasero soli coi tre bambini più piccoli, con lei che dolcemente poggiava il viso sulla spalla del marito. "E' stata una bella giornata" - sussurrò, mentre Demian giocava col suo vestitino da cerimonia.
"Già, ma in fondo i nostri Natali son sempre stati speciali" - rispose Ross, accarezzandole la schiena e ricordandola nel loro primo Natale, mentre con un abito rosso cantava per lui a Trenwith.
"Credi che Jeremy li accetterà prima o poi?".
Ross si incupì, non del tutto ottimista. "Lo spero. Così come spero di non aver preso una decisione troppo affrettata di cui un giorno potremmo pentirci".
"Non succederà" - sussurrò Demelza, stringendo a se Demian.
Ross rimase in silenzio lunghi istanti, cercando le parole giuste per esporle i suoi timori. "E noi?".
"Noi cosa?".
"Noi quanto ci metteremo ad accettarli del tutto?".
Demelza si tirò su di scatto, facendo sussultare Bella che giocava con un nastrino che si era tolta dai capelli. "Che vuoi dire?".
Ross sospirò. "Amore mio, lo sai anche tu che non è come avere un figlio nostro. In nove mesi di attesa ti abitui all'idea, ci fantastichi su, aspetti e ti prepari. E quando tuo figlio nasce lo guardi e ti rendi conto che fa parte di te e della persona che ami. Ma loro, noi ce li siamo trovati così, da un giorno all'altro. E cresceranno come figli nostri anche se non sono figli nostri".
Demelza lo bloccò. "Lo sono, invece. Guarda Daisy, guarda come ti voleva quando Dwight l'ha presa in braccio. Lei voleva te e nessun altro, voleva te perché in tutto il suo piccolo mondo, tu sei l'unico padre che abbia mai conosciuto. Loro, i gemelli, hanno già scelto e io credo...".
"Cosa?". Cosa credeva, lei? Come avrebbe trovato le parole giuste per tranquillizzare il suo animo, stavolta?
Con tutta la tranquillità del mondo, dando un bacino a Bella e Daisy, Demelza sorrise. "Credo che i figli siano di chi li ama e li cresce".
"Tutto quì?".
"Tutto quì, Ross. Io appartenevo a mio padre ma il mio cuore mi ha sempre detto che appartenevo a te. Ben prima di sposarti, quando ero solo la tua domestica io già sapevo di appartenere a te e a Nampara".
I ricordi di Ross volarono lontano, a un tardo pomeriggio assolato assieme a lei, Jud, Prudie e Jim... Fu allora che Demelza gli disse quelle parole e lui le ricordava ancora, con tenerezza. E forse era così anche per Demian e Daisy che dopo aver perso le proprie radici ne avevano trovate di nuove a Nampara e le avevano fatte loro. "Come fai a rendere tutto così semplice? Non hai paura?".
"Sì Ross, ne ho. Ma devo permetterle di condizionarmi?".
Ross scosse la testa, era sempre la più saggia fra i due. "No, ma devi ammettere che dopo Julia è molto più facile avere paura. Ne ho per Jeremy e per le bambine e ora avrò paura di perdere anche questi due biondini. E vista la fine dei genitori, è un timore reale".
Le mani di Demelza si poggiarono sulle sue. "Sono quì perché possiamo proteggerli al meglio, no? E quindi cresciamoli senza pensare al male che vi siete lasciati alle spalle in Norvegia".
"Tu ci riesci?".
"Io sì. Ma io dopo tutto non conosco la loro storia, per fortuna".
Demelza gli aveva chiesto di non dire nulla, ma in quel momento Ross non ce la fece, non del tutto, a mantenere la sua promessa. "Hai detto prima che i bambini sono di chi li ama, giusto?".
"Sì".
"Beh, loro erano amati dai loro genitori".
"Lo so, ma non hanno potuto prendersene cura, Ross. E ora hanno solo noi".
Ross la baciò sulla guancia. "Sai, amore mio, c'è un aspetto così macabro e comico allo stesso tempo, in tutto questo. I gemelli non hanno più i genitori perché sono stati uccisi da qualcuno che pensava che loro ambissero a qualcosa che gli spettava di diritto ma che in realtà non volevano affatto. Sono morti per nulla e ora questi bambini rischiano la vita per un nonnulla...".
Demelza strinse i bimbi a se, poggiandosi contro Ross. Il cuore le batteva forte e avrebbe forse voluto chiedere di più ma anche non sentire più niente. Le parole di Ross era inquietanti e sibilline, così come orribile doveva essere la storia che aveva portato quei bimbi fin lì e lei non voleva sapere oltre perché - si rese conto - la pietà che avrebbe potuto provare per i veri genitori dei gemelli avrebbe potuto soffocare i sentimenti che aveva sviluppato per i due piccoli. "Ora non rischiano nulla. Ora sono quì al caldo, con noi, davanti al camino. E sono ufficialmente nostri" - concluse, chiudendo la discussione.
Ross le sorrise, triste ma forse più sollevato, come sempre riuscivano a fare le parole di Demelza. "E ci amano".
"Sì".
"E in fondo, ci hanno scelti?".
"Sì".
"Che persone credi diventeranno?".
Demelza ci pensò su. "Brave persone, così voglio crescerli, con lo stesso spirito con cui cresco ogni mio figlio. Sono come pietre grezze da plasmare, Ross. E so che noi due faremo del nostro meglio per rendere questi due piccolini delle brave e gentili persone".
"Eppure, sono diversi. Il loro aspetto, il fatto che amino il freddo e ci si trovino bene anche se così piccoli, non ci rimanderà sempre alle loro origini?".
Demelza cullò Demian che, fra le sue braccia, si stava addormentando. "Che male c'è ad amare la neve?".
Ross rise. "Nessuno, era solo un esempio".
"E poi Ross, proprio come noi amano stare avvolti in calde coperte".
Le diede un buffetto sul mento. "E allora hai ragione tu, come sempre".
Bella saltellò sulle gambe del padre, attirando l'attenzione dei grandi con dei gridolini. Ross le scompigliò i capelli, ritrovando anche in lei l'allegria. "Saranno vivaci come Isabella-Rose? Sai che a breve saranno tre a far baccano, invece che una sola?".
Demelza rise. "Sopravviveremo, ne sono certa".
"Già" - sussurrò Ross, prima di baciarla. "Buon Natale, amore mio".
Demelza ricambiò il bacio. "Buon Natale, amore mio".
E poi baciarono i tre piccolini, ognuno sulla fronte. E da quel momento, ufficialmente, capirono che non potevano più tornare indietro e si poteva solo andare avanti.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Nampara, Cornovaglia, giugno 1806

Godendosi la brezza del mare e il profumo estivo di salsedine che gli inebriava le narici sotto un cielo assolutamente sereno e privo di nuvole, Ross si avviava verso casa stupendosi ancora una volta di quanto gli mancasse la sua terra ogni volta che ne era lontano.
Era stato via due mesi per un breve viaggio in Francia per conto della corona e ora non vedeva l’ora di varcare la porta di casa, abbracciare i suoi figli, baciare sua moglie e gustarsi un pranzo decente dopo giorni passati a mangiare nelle osterie di passaggio.
Sfilò davanti alla Wheal Grace, salutando i suoi uomini che appena lo ebbero visto, gli corsero incontro. Poi a sorpresa, vide comparire dal suo ufficio anche suo figlio Jeremy. Ormai aveva quindici anni, era un ragazzo alto e snello ed era sempre più interessato ai lavori della miniera tanto che spesso aveva voluto accompagnarlo al mattino, in quell’ultimo anno.
Ross lo guardò con orgoglio e Zachy, intuendo i suoi pensieri, si affrettò a spiegare. “Viene spesso a chiederci come va e a dare una mano. Adora il modo in cui lavorano le pompe ed è interessato a tutte le nuove macchine elettriche che stanno venendo fuori dalla testa di architetti e ingegneri in questi anni. E’ un piacere averlo con noi e ha voglia di imparare”.
Jeremy li raggiunse, accaldato in viso. “Papà, sei tornato! Mamma prevedeva che non saresti arrivato prima del prossimo mese” – disse, abbracciandolo.
Ross ricambiò la stretta. Jeremy era un ragazzo delicato nei modi, molto legato a sua madre ma più defilato e sfuggente nei suoi confronti. E questo lato del suo carattere a volte chiuso e taciturno si era un po’ acuito negli ultimi anni e spesso Ross si chiedeva se mai si sarebbe allentata la strana tensione che a volte insorgeva fra loro. Quindi si gustò quell’abbraccio tanto sincero quanto raro di suo figlio che spesso stringeva fra le sue braccia la madre ma quasi mai si era lasciato andare a gesti simili con lui, soprattutto negli ultimi anni. “Vedo che mi stai sostituendo egregiamente!” – gli disse infine, dandogli una pacca sulla spalla.
Jeremy arrossì. “Mh, col piccone valgo poco. Ma mi piace studiare le mappe e controllare le pompe. Sai che hanno inventato nuovi modelli a propulsione elettrica?”.
Ross sospirò, sentendosi vecchio a causa della sua avversione alle novità. Era molto scettico sulle nuove trovate tecnologiche ed era più legato ai vecchi sistemi di estrazione, usati da secoli e che suo padre gli aveva insegnato. Jeremy invece era attirato da tutto ciò che era nuovo e ogni scoperta era per lui motivo di studio ed interesse. Era contento di questa sua curiosità per la vita e le sue mille opportunità ma credeva che fidandosi troppo del progresso, avrebbe finito col rimanerne deluso. “Sì lo so, ma fin’ora le macchine che abbiamo funzionano bene e quindi evitiamo di spendere denaro se non ne abbiamo bisogno”.
Jeremy fece per replicare ma poi decise di tacere. Suo padre era il capo ed era amato e rispettato da tutti per le sue scelte e lui non era nessuno per poterlo contrastare. Quindi optò per un cambio di argomento. “Sai, la miniera gode di un altro aiuto di famiglia”.
Chi?”.
Zachy rise e dall’ufficio sbucò Clowance, vestita con abiti maschili e vivace e allegra come sempre. La ragazzina, ormai dodicenne, coi suoi lunghi capelli biondi pieni di boccoli, gli occhi azzurri e il viso tondo e ancora infantile, gli corse incontro abbracciandolo con più vigore del fratello. Clowance era la sua piccola principessa e come per ogni sua figlia, il suo punto debole. Era vivace, sfacciata, testarda ed esuberante come tutti i Poldark ed era sempre contenta. Ancora era una bambina sia nei modi che nell’aspetto e Ross sperava sarebbe rimasta ancora a lungo così, spensierata e senza preoccupazioni. La fissò e scoppiò a ridere vedendo come era agghindata da maschiaccio. Sporca di fuliggine, in pantaloni, spettinata, era così incredibilmente simile a sua madre nel giorno del loro primo incontro… “Che fai, monella?” – le chiese, scompigliandole ancora di più i capelli.
Clowance ridacchiò, osservando Zachy. “Ohhh, è un segreto papà!”.
Jeremy rise e Zachy fece un occhiolino alla piccola. “Silenzio o tuo padre ci mette tutti e due in castigo”.
Ross fece finta di stare al gioco anche se aveva già capito tutto. “Quindi… Non sei così sporca perché ti sei avventurata ancora nei cunicoli, vero?”.
No papà” – rispose lei, con una notevole faccia tosta.
Sicura?”.
Sicurissima”.
Ross le sorrise, compiaciuto nonostante tutto che fosse tanto attratta dal mondo delle miniere che i Poldark avevano nel sangue. “Beh, io torno a casa, non vedo l’ora di rivedere la mamma e i bambini. Mi fate compagnia?”.
I ragazzini annuirono e così Ross, con loro e dopo aver salutato tutti, si diresse a Nampara.
Come vanno le cose a casa?”.
Bene” – rispose Jeremy. “Anche se Bella fa baccano, Prudie come sempre lavora poco e mamma è impegnata in mille cose”.
Ross sospirò, tutto rimaneva immutabile. “E i gemelli?” – chiese, notando come sempre la reticenza di Jeremy a parlare di loro. Era un bravo fratello maggiore ma coi gemellini faticava a legare e cercava sempre di star loro il più lontano possibile, come se ne rifiutasse ancora la presenza e li vivesse come una minaccia. Ed era strano perché erano passati tre anni e mezzo dal loro arrivo, la pace era regnata dentro e fuori casa, nessun pericolo ne era scaturito e ormai per tutti, loro, erano i bambini dei Poldark, quasi che nessuno più ricordasse le loro origini. A volte aveva tentato di parlare col figlio dei bambini e dei pensieri che lo affliggevano ma Jeremy era sempre stato sfuggente e aveva evitato di rispondergli in modo sincero, preferendo cambiare argomento. Ma ora era abbastanza grande e magari, nella giusta occasione, sarebbe riuscito a confrontarsi con lui da uomo a uomo, sperando di riuscire a fugare i suoi dubbi.
Fu Clowance a rispondere, al posto del fratello. “Fanno baccano come sempre! E litigano e giocano con Bella e fanno mille disastri”.
Posso immaginare” – commentò laconico Ross, pensando alla immensa vivacità di quei due piccoli e scalmanati vichinghi che ormai amava come fossero suoi. Demian era attaccato a Demelza in modo viscerale, come Jeremy, Daisy come Bella e Clowance era la sua cocca e la monella di casa, irriverente e furba come pochi bambini al mondo.
Quando giunsero infine all’aia di Nampara, fu Bella la prima che Ross rivide. Coi suoi lunghi capelli neri pieni di ricci e gli occhi verdi come la mamma, la sua piccolina era la luce dei suoi occhi. Era rumorosa, canterina, non stava mai zitta e aveva una vocina acuta che se urlava, la si sentiva fino a Truro e oltre. E lui ne era follemente innamorato… “Bambolina, vieni qui” – disse alla piccola che gli volò fra le braccia.
Papino, papino” – mugugnò lei, affondando il viso nel suo collo.
Sentendo la voce della figlia, Demelza corse fuori e emozionata, gli corse incontro come Bella abbracciandolo. “Ross, giuda! Perché non mi avverti mai quando torni?”.
Lui la baciò, affamato di rivivere il tocco delle sue labbra. Anche se c’erano attorno a loro i figli, mai si erano sentiti in imbarazzo ad esprimere i propri sentimenti e i bambini ci erano ormai abituati. “Perché? Non ami le sorprese?”.
Demelza si mise le mani sui fianchi. “A volte vorrei farmi trovare un po’ più carina che coi vestiti da lavoro”.
Ross le si avvicinò, baciandola sulla guancia e mormorandole nell’orecchio. “Oh, ti rifarai più tardi”. Oh sì... E le avrebbe anche detto che era adorabile anche in abiti da lavoro e che se voleva ammirare delle damine agghindate come bambole di porcellana, si sarebbe sposato con Lady Bodrugan.
Jeremy e Clowance si guardarono negli occhi divertiti dall'intimità dei genitori, Bella invece reclamò l’attenzione del padre. “Sono arrabbiata!”.
Anche tu? Con me?” – scherzò lui.
No, con Daisy e Demian che non fanno cosa dico io ma come vogliono loro”.
Ross rise. “Mi sembra onesto fare ciò che si vuole”.
No! Io sono grande e loro devono fare come dico io!”.
Demelza se la riprese in braccio. “Dubito loro siano d’accordo”.
Ross si guardò attorno. “Dove sono?”.
Nella stalla, dove si rintanano quando fuggono da Bella”.
Ross le strizzò l’occhio, riprese la figlia minore e poi si diresse alla stalla.
Quando entrò, li chiamò a gran voce. “Hei, bambini! Dove vi siete cacciati? Ho fatto un lungo viaggio per venirvi a salutare e voi vi nascondete?”.
Dopo pochi secondi, dalla paglia sbucarono le faccine monelle di due bimbi dai capelli lisci e biondissimi e con dei bellissimi occhi color ghiaccio. Erano due piccole pesti ancor più vivaci di Bella e spesso in loro Ross vedeva scorrere il vento e la furia dell’estremo nord che li aveva visti nascere. Però di contro erano buoni, avevano un animo candido e gentile e li adoravano. Erano ormai in tutto e per tutto bambini di Cornovaglia, con abitudini simili a tutti gli altri, Daisy adorava il mare, Demian arrampicarsi sugli alberi ed erano stati un dono dal cielo che aveva portato ancora più amore e risate nella loro casa, come spesso diceva Demelza.
I due bimbi, appena lo videro, gli saltarono al collo. “Papà, papà”.
Ross li strinse, sentendosi grato per quel dono di sentirsi chiamare così anche da loro. Le antiche paure non erano sparite del tutto ma molte avevano lasciato posto all’amore per quei due esseri agli occhi dei quali lui era un eroe e un modello da imitare.
Li baciò e poi li rimise a terra. “Ecco la mia banda di tre piccole pesti!” – disse, rivolto a loro e a Bella. “Su, vorrei vedervi fare la pace, per prima cosa. Cos'è questa cosa che litigate spesso?”.
Bella incrociò le braccia al petto. “Colpa loro! Sono piccoli e devono fare cosa dico io che sono grande”.
Ross ridacchiò. Santo cielo aveva quattro anni e mezzo sua figlia e si credeva già una donna fatta e finita!
Daisy picchiò il piedino. “NO! Io faccio come voglio io! Anche Demian fa come voglio io”.
Demian, decisamente più saggio e che aveva già compreso che le donne non vanno contraddette, annuì senza replicare.
Ross accarezzò la testolina di Bella. “Dai, ognuno deve essere libero. Fai la pace con loro almeno per me?”.
Bella ci pensò su e poi, col broncio, annuì controvoglia. Allungò la manina e strinse, con decisamente più vigore del necessario, quelle dei gemelli. Che ricambiarono la stretta con altrettanto vigore, cercando di stortarle il braccio.
Ross finse di non vedere, sua moglie tentò di riportare l'ordine. “Pace fatta?” – chiese Demelza, spuntando dalla porta della stalla.
Ross si stiracchiò, la raggiunse e le cinse la vita con il braccio. “Pace fatta! E ora ti prego, dimmi che hai cucinato e che è pronto. Ho una fame da lupi!”.
Demelza rise. “Sì, è tutto pronto!”.
E coi figli, tutti insieme, rientrarono in casa pronti a riappropriarsi del tempo perso, tutti insieme. C’erano tante novità all’orizzonte di cui parlare e Ross non vedeva l’ora di farle sapere a Demelza. Ma prima del buon cibo, un bagno caldo, tante chiacchiere coi bambini e poi, a letto, avrebbero affrontato ogni cosa.

...

Alcune ore più tardi, quando tutti i figli erano addormentati, abbracciati nella loro camera da letto completamente nudi dopo essersi amati con passione, Ross si ricordò che c'erano importanti novità in vista per tutti loro e che desiderava discuterne con Demelza prima che coi loro figli.
Le accarezzò la schiena, ricordando con una nota di dolore il loro primo incontro quando quella stessa schiena era martoriata dalle ferite infertele dalla cinghia del padre, rendendosi conto di quanto tempo era passato e di quante cose fossero successe da allora. Desiderò proteggerla in quel momento, rendendosi conto che aveva desiderato farlo fin da quel lontano giorno a Redruth e con rammarico dovette ammettere che quando era lontano non poteva adempiere a questo suo ruolo appieno. "Mi sei mancata. Mi manchi sempre quando sono via".
Demelza sospirò, rilassata e serena. "Anche tu. Ma i bambini mi hanno tenuta occupata e a modo loro si prendono cura di me".
Ripensando agli avvenimenti della giornata, Ross sorrise. "Sono stato molto colpito dal vedere Jeremy in miniera stamattina. E' ancora molto inesperto ma sono felice di vedere che inizia a interessarsi del mondo degli adulti. E sono anche orgoglioso di Clowance e della sua intraprendenza".
Demelza gli diede un pizzicotto. "Cerca di non dirglielo. E sgridala quando, come oggi, si avventura nei cunicoli! Giuda Ross, è pericoloso!".
Non era per niente d'accordo. "E' una Poldark, mia cara! Ha la miniera nel sangue e io non posso guerreggiare con le scelte di madre natura e dell'indole che ha donato a nostra figlia. E tu alla sua età dovevi essere ben più spericolata!".
Lei gli diede un altro pizzicotto. "Ross".
"Mi farai diventare il petto completamente chiazzato se andiamo avanti con questa conversazione" - le disse, decisamente divertito da quello scambio di battute. "Bella invece sta diventando un osso duro. E i gemellini anche...".
Demelza sollevò il capo verso di lui, abbandonando la posizione comoda sul suo petto. "Sei stato geniale prima, a cena, su questa cosa di chi deve essere capo".
Ross si sentì soddisfatto. "Beh, il mio lavoro di spia mi rende scaltro. E' bastato poco dopo tutto... In fondo non ho fatto altro che far notare a Bella che sua cugina Loveday ha un anno più di lei e che quindi le spetta il ruolo di capo di tutti loro bambini. La cosa non le è piaciuta molto ma non ha trovato modo di ribattere e quindi si è giunti a un compromesso che ha accettato anche Daisy: faranno il capo un giorno per uno. Prima Loveday che è la più grande, poi Bella, poi Sophie, poi Daisy, poi Demian e infine Meliora".
"Direi che è democratico! Si dice così, vero Ross?".
Ross rise, democrazia era una parola decisamente odiata dal re. "Sì, amore mio. Anche se Daisy ha provato a dire che anche lei è la più... in qualcosa".
Demelza scoppiò a ridere. "Sì, la più piccola della casa".
Ross annuì. "Esatto! E' più degli altri in qualcosa e pretende che questo le sia riconosciuto".
Demelza sospirò, tornando a poggiarsi col capo sul petto del marito. "I gemelli hanno un carattere forte e non accettano compromessi".
Ross si fece pensieroso alcuni istanti, ricordando le loro origini che, combinate coi loro caratteri, in fondo definivano appieno la loro vera identità. Avevano carisma, avevano carattere, avevano forza ed erano scaltri... Tutte cose che in fondo gli sarebbero state richieste se... se...
Scosse la testa, deciso a ricacciare indietro quei pensieri che in fondo non avevano più senso. Ormai i gemellini erano Poldark e tutto ciò che avrebbero potuto essere in Norvegia non esisteva più. "Sai, prima ti accennavo a qualche cambiamento importante che ci riguarderà il prossimo autunno ed inverno".
Demelza sospirò, già presagendo il seguito. "Ripartirai a breve?".
"Ripartiremo".
"Tu e Jones?".
"No, tu, io e i nostri bambini".
Lei tirò su di scatto la testa. "Che vuoi dire?".
La strinse a se, baciandola sul mento. "Che il prossimo inverno è richiesta la mia presenza a Londra come membro e rappresentante di Westminster. Pitt è morto, molti posti di potere sono vacanti, Napoleone imperversa in Europa e molte congregazioni governative straniere arriveranno nella capitale per discutere la situazione. Tradotto: cene, incontri, party esclusivi e alleanze da costruire. Si richiede la mia presenza a Londra, a rappresentare i valori inglesi con la mia famiglia. Ogni membro di Westminster con le proprie famiglie è chiamato nella capitale a presenziare a ogni evento possibile, ad avvicinare ambasciatori esteri, a carpire informazioni, a stringere alleanze e amicizie fra famiglie. Insomma, preparati a partire coi bambini e a interpretare il tuo ruolo di perfetta lady e moglie di un parlamentare".
Demelza si alzò di scatto, a occhi sgranati. "Giuda, Ross!!!". Non se lo aspettava e la sorpresa non era decisamente gradita. In realtà non amava Londra, ogni volta che ci erano andati erano finiti nei guai e Ross conosceva appieno la sua avversione per quella città. Prima Monk e il duello, poi la storia dei Despard e ora...? Ora voleva solo stare a casa, curare il suo orto e il suo giardino, occuparsi della miniera quando Ross non c'era e fare la mamma. Non voleva Londra, con le sue ombre e i suoi sotterfugi, con il suo potere, i suoi intrighi e la sua opulenza uniti a tanta miseria e disperazione, voleva solo essere la moglie di Ross e curare la sua casa e i suoi figli.
Ross bloccò ogni sua obiezione a cui si era preparato per giorni, conoscendo appieno le obiezioni e le rimostranze che lei gli avrebbe esternato. "Demelza, starò via troppo a lungo e non voglio star separato da voi così tanto!".
"I bambini sono troppo piccoli per viaggiare!".
Ross la guardò storto. "I gemelli hanno viaggiato da Oslo a quì, da neonati".
"Lo so, ma ora sono in una età in cui fanno capricci e ci farebbero impazzire".
"Si divertiranno".
"Io no! E il nostro appartamento di Londra è troppo piccolo per tutti".
Ross le accarezzò la guancia, pronto a ogni contromossa possibile. "Troveremo una bella casa grande, ci porteremo dietro Prudie ed assumeremo un'altra domestica che le dia una mano. Jeremy e Clowance conosceranno la società della capitale, Bella e i gemelli saranno la parte divertente di tante feste noiose e tu sarai la lady più bella di ogni evento".
"Ross..." - si lamentò Demelza, messa con le spalle al muro. "Quella città mi rievoca cattivi ricordi".
La strinse a se più forte. "Farò in modo che questa volta tu porti a casa solo ricordi belli".
"E la scuola? Faremo saltare ai bambini le lezioni con Rosina tutto inverno? Soprattutto Clowance...".
Aveva pensato anche a quello. "Prenderemo una istitutrice. In fondo, così, potremmo avvicinare già alla scrittura anche Bella e se lo vorranno, anche i gemelli. A casa avranno un'insegnante solo per loro".
Demelza si buttò fra i cuscini, osservando sconsolata il soffitto. "Devo per forza?".
La abbracciò. "No, ma mi farebbe piacere se tu venissi. Ho bisogno di te, di averti vicina un pò di più".
Demelza si voltò e gli sorrise perché anche se Ross non sapeva essere romantico troppo spesso, le poche volte che ci riusciva erano per lei un dono prezioso da custodire nel cuore. E quando faceva così e riusciva ad esternare i suoi sentimenti, era in grado di abbattere ogni sua resistenza. In fondo era sua moglie e se lui aveva bisogno del suo sostegno, lo avrebbe avuto, sempre. "Quando dovremmo partire?".
La baciò, felice. Aveva ceduto e sarebbero stati insieme a lungo senza doversi separare e dentro di se giurò che questa volta avrebbe fatto di tutto per non farla pentire di quel soggiorno londinese. Le accarezzò i capelli e li scostò dalla sua fronte con delicatezza. "Non ora e per tutta l'estate voglio godermi solo la mia casa, le mie terre, la mia famiglia e la mia miniera. Partiremo in autunno e ci fermeremo fino alla prossima primavera".
Demelza si rannicchiò contro di lui. "E sia... I bambini saranno eccitati da questa novità".
"Già". In effetti era eccitato anche lui, sia per il viaggio, sia per il corpo nudo di sua moglie avvinghiato al suo. Non parlarono più e lui iniziò a baciarla con foga e urgenza di amarla di nuovo e lei glielo lasciò fare. Scivolò sul suo corpo, la cinse con le braccia e nuovamente, la fece sua.
Una lunga, bellissima estate li attendeva, al resto avrebbero pensato dopo.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


L'estate volgeva al termine e si era rivelata una stagione allegra e divertente per Ross. Aveva gustato il piacere di vivere la sua casa e la sua famiglia, di lavorare nella sua miniera e di ritrovare amici e persone care che spesso non poteva vedere per mesi, quando era via in missione. I suoi figli erano uno spasso, era un piacere vederli crescere e giocare con la cuginetta Loveday e con le piccole di Dwight e Caroline e gli spiaceva pensare che presto la bella stagione sarebbe finita e sarebbero dovuti partire per Londra, più per dovere che per amore della mondanità. Demelza si affaccendava da settimane ai preparativi per la partenza, era il suo modo di sentire tutto sotto controllo per una avventura a cui, di sicuro, avrebbe volentieri fatto a meno. Jeremy sembrava il più felice di partire mentre Clowance pareva intimorita da quel mondo pieno di regole che poco amava, come lui. I tre bimbi, beh... Per loro ogni cosa era un gioco e fra un litigio e una corsa, fingevano di essere dame e lord londinesi, esibendosi in strane e strambe scenette che terminavano sempre con Demelza che ricordava loro che nella capitale avrebbero dovuto fare i bravi ed essere estremamente educati. E infine c'era Prudie... Lei aveva chiesto abiti e grembiuli nuovi, come poteva d'altronde affrontare Londra con i suoi vecchi stracci? Santo cielo, portarla a fare compere si era dimostrata la più azzardate delle imprese in cui si era lanciato!
Quel giorno erano in spiaggia, a fare l'ultimo picnic della stagione. Il tempo era sereno ma il vento era cambiato e Ross fiutava nell'aria l'odore della pioggia autunnale in arrivo, che avrebbe chiuso l'estate e per un pò, la loro permanenza in Cornovaglia. Dwight, Caroline e le bambine avevano pranzato con loro e nel primo pomeriggio erano rientrati a casa perché il medico aveva delle visite da fare e per le ore successive lui e Demelza erano rimasti seduti su una coperta ad osservare i loro figli che si divertivano. Jeremy aveva tentato di pescare, senza successo, Clowance era entrata decine di volte in acqua in mutandoni e sottoveste e i tre piccolini l'avevano imitata, con indosso solo le mutandine. Erano amanti della natura, tutti loro. E amavano la vita della Cornovaglia, terra che scorreva con furore nelle loro vene, gemelli compresi. Daisy amava il mare e i racconti dei pirati, Demian amava disegnare sulla sabbia e conosceva tutte le specie di uccelli che volavano sulle loro teste e a parte quei capelli biondissimi che tradivano le loro origini nordiche e l'amore per il freddo e la neve in inverno, ormai erano in tutto e per tutto dei monelli del luogo, sempre pronti a combinare guai in compagnia di Bella.
Il sole stava tramontando e Jeremy stava rientrando a riva dopo una nuotata mentre Clowance, alcune decine di metri più distante, cercava conchiglie con cui fare una collana.
Vicino a lui e a Demelza, c'erano i tre bambini. Demian era fra le braccia di sua moglie, che cercava di togliergli dai capelli la sabbia che si era rovesciato addosso giocando, Daisy stava scavando una buca che doveva portarla fino ai mostri al centro della terra di cui le aveva parlato Prudie e Bella canticchiava e correva ovunque, andando a disturbare prima una gemella e poi l'altro.
Quando la bimba vide Jeremy uscire dall'acqua, gli corse incontro cantandogli una canzoncina canzonatoria, visto che il fratello non aveva pescato nulla. "Jeremy ci lascia senza mangiare, Jeremy ci lascia senza mangiare perché non sa pescare".
Demelza rise, accarezzando i capelli di Demian che rideva. "Per fortuna ho sempre un piano di riserva quando voi uomini uscite a pescare".
"Quale sarebbe?" - chiese Ross, incuriosito.
"Preparo di nascosto un polpettone la sera prima".
Le tirò un pò di sabbia, scherzoso. "Donna di poca fede, non hai fiducia in noi?".
Leo gli tirò di rimando altra sabbia, aiutata da Demian. "Ohhhh, certo che no! E faccio bene, come puoi vedere".
Nel frattempo Jeremy prese Bella in braccio, facendola roteare nell'aria. "Piccola monella, prova tu domani a pescare".
"Papà dice che domani piove e io poi sono piccola e non sono capace. Ho quattro anni mica quindici".
Jeremy la rimise giù. "Si, hai quattro anni. E MEZZO! E sai solo cantare, io invece so anche nuotare".
Bella prese a saltellare. "Anche io, anche io voglio!".
"Vuoi cosa?".
"Mi insegni a nuotare, Jeremy?" - gli chiese, prendendogli la mano e dondolandosi coi piedini nella sabbia.
"Jeremy, attenzione con lei!" - lo richiamò Demelza dalla riva, avendo già capito che il figlio avrebbe accontentato la sorellina.
Lui alzò un braccio. "Tranquilla mamma, la tengo a riva". E così dicendo, le strinse la manina e la portò in acqua. "Ti insegno a nuotare!".
Bella prese a saltare, esibendosi in gridolini di gioia. "Sì, sìììììì!!!".
Jeremy la portò a riva, dove l'acqua arrivava alla vita della piccola, le prese le manine e poi la trainò nell'acqua. "Muovi le gambe".
Bella non se lo fece ripetere, muovendosi come una forsennata e schizzando tutto e tutti.
Dalla riva, Daisy li osservò dalla sua buca. "Anche io voglio".
"Io no" - borbottò Demian, decisamente più pigro della sorella e molto più propenso a stare in braccio a sua madre.
Ross accarezzò i capelli biondi di Daisy. "E allora vai, corri da Jeremy e chiedigli di insegnare anche a te".
La piccola non se lo fece ripetere e corse fino al fratello.
Jeremy si bloccò e sul suo viso scomparve ogni segno di divertimento. "Sei troppo piccola!" - la apostrofò appena la ebbe davanti.
Ross osservò la scena, incupendosi quanto Demelza. Jeremy era così paziente ed affettuoso con Bella e Clowance mentre coi gemelli era scostante e spesso brusco. Non che non se ne prendesse cura e quando si era trovato da solo a badare a tutti i fratellini perché loro erano fuori casa per delle commissioni a Truro, lo aveva fatto egregiamente e senza obiettare. Però c'era quel qualcosa in lui che, se non necessario, lo teneva lontano dai gemellini... Si chiese perché facesse così, cosa gli ribolliva dentro e quale fosse il motivo del suo apparente astio verso quei due bambini che lo adoravano e veneravano. Ross lo sapeva che non era da Jeremy comportarsi così e che qualcosa doveva turbarlo ma sapeva anche che non sarebbe stato facile riuscire a convincerlo a confidarsi. Aveva il carattere dolce e gentile di Demelza ma era anche chiuso come il più testardo dei Poldark. Era chiuso quanto lui.
Daisy invece non si fece scoraggiare. "Non sono piccola, sono quasi grande come Bella".
Jeremy voltò lo sguardo a fissare la sorellina che teneva per le mani. "Non posso insegnare a tutte e due, torna a fare la tua buca e a cercare i tuoi mostri".
Daisy, che non amava i no ed era autoritaria quando sentiva di essere vittima di ingiustizie, picchiò il piedino nel mare, schizzandolo. "No! Voglio imparare come Bella".
"Tu non sei Bella" - rispose Jeremy, seccamente.
E quella frase parve colpire nel segno perché gli occhi di Daisy si inumidirono e tornò indietro in lacrime dai genitori. Sapeva di non essere Bella, Jeremy glielo ricordava fin troppo spesso.
Trovò rifugio fra le braccia di Ross che la strinse, accarezzandola. "Su, non piangere! Jeremy non può insegnare a tutte e due e Bella glielo ha chiesto prima".
Daisy tirò su col naso mentre Demelza si avvicinava con Demian per asciugarle le guance. "Ma anche se arrivo prima, Jeremy mi dice di no".
Ross e Demelza si guardarono negli occhi, consapevoli che lei in fondo avesse ragione. Ma ovviamente non potevano dirlo...
Demelza le accarezzò la guancia. "Tesoro, hai un anno in meno di Bella. Il prossimo anno sarai grande come è lei adesso e Jeremy ti insegnerà a nuotare. O lo farà papà".
"O io" - aggiunse Demian che non stava a galla nemmeno nella tinozza, ridendo.
Daisy guardò Ross. "Davvero mi insegni?".
"Davvero" - le rispose, baciandola sulla fronte. Poi guardò Jeremy che, imbronciato, si era fermato sulla riva a giocare con Bella, imponendosi di non intervenire in quella faccenda che lo aveva visto al centro dell'attenzione coi gemelli. Era Bella la sua sorellina e suo padre doveva pensare ai gemelli. Non lui! Lui non li aveva portati a casa loro, era stato suo padre chissà perché e chissà per come... E toccava a lui prendersene cura!
Di umore parimenti cupo per quell'inconveniente, Ross decise che era ora di parlare da uomo a uomo con Jeremy e che lo avrebbe fatto subito. "Recupera Clowance e coi bambini vai a casa" - disse a Demelza. "Ormai è tardi e fra poco sarà buio".
Demelza annuì. "E tu?".
"Io metterò a posto al riparo le nostre barche nella grotta, domani sarà giornata di pioggia e non voglio lasciarle arenate nella sabbia. Con la nostra partenza per Londra settimana prossima, chissà quando potremo usarle di nuovo. Chiederò a Jeremy di darmi una mano e poi rientrerò con lui".
Demelza comprese cosa volesse fare senza che lui glielo spiegasse. "Sì, mi sembra una buona idea".
"Cosa?".
"Restare solo con lui e parlargli".
Ross si stiracchiò, rimettendo Daisy nella sabbia, ormai perfettamente rasserenata. "Speriamo solo che serva".
Demelza sospirò. "Speriamo".

...

Era quasi buio e mancava poco all'ora di cena quando finirono di sistemare le loro due barche nella grotta. Durante l'estate erano servite per pescare oppure per semplici escursioni lungo la costa assieme a Demelza o per far divertire i bambini. Daisy, soprattutto, amava veleggiare e giocare a fare la regina dei pirati e crescendo, sembrava avere il mare e le avventure nelle sue vene... Discendeva in fondo dai vichinghi e da loro doveva aver preso tempra e carattere. Anche Demian discendeva dai Vichinghi ma a differenza della sorella era più tranquillo, combinava mille guai ma lo faceva in silenzio ed era attratto più che altro dalla natura e dall'arte.
Jeremy coprì le due piccole imbarcazioni con dei teli e poi si asciugò il sudore. "Credi che pioverà molto?".
Ross annuì. Conosceva i venti della Cornovaglia e sapeva che quando soffiavano in una determinata direzione, portavano vento e pioggia. "Credo sarà un autunno piovoso a cui seguirà un inverno freddo".
Jeremy sorrise. "Allora sarà comodo starcene nel lusso e nel calduccio di Londra".
Ross rise. "Non ho mai considerato Londra 'comoda' ma portatrice di guai. Eppure è lì che dovremo essere".
"Io sono contento, potrò andare a vedere qualche macchina a vapore".
"Io sono meno contento perché dovrò vedere quei palloni gonfiati che affollano Westminster". Poi osservò suo figlio e visto che in quel momento sembrava particolarmente loquace decise che era il momento giusto per portare la discussione su argomenti più intimi e delicati. "Davvero non ti spiace partire?".
Jeremy, mentre uscivano dalla grotta, parve sorpreso da quella domanda. "No, perché?".
"Beh, lascerai quì molti amici e magari... qualche amica".
Jeremy arrossì. "Oh, non ho amiche e i miei amici li rivederò comunque in primavera quando torneremo, non scapperanno".
"No, certo. Ma magari una nuova casa, una nuova città e tanti fratellini attorno... senza amici della tua età da frequentare...".
Jeremy sorrise di nuovo. "Ne troverò di nuovi, Londra è grande. E poi sono curioso di vedere come saranno questi grandi ricevimenti a cui ci porterai, non riesco ad immaginarmeli e spero di fare bella figura".
"Oh, non ne dubito".
"Grazie papà".
Ross annuì, ma poi tornò al fulcro della discussione che più gli premeva affrontare. "Senti, posso parlarti di prima... di quanto successo con Daisy?".
Jeremy si irrigidì e poi chinò il capo, se lo sentiva che sarebbe arrivata una ramanzina e che il discorso sarebbe virato in quella direzione. "Sei arrabbiato?".
Ross si fermò a pensare a quanto poco a volte sembravano conoscersi lui e Jeremy e come imprevedibili fossero le reazioni di entrambi quando erano faccia a faccia. Suo figlio stava diventando un uomo e ora era tutto più complicato rispetto a quando era piccolo. E lui non era bravo quanto Demelza ad affrontarlo e comprenderlo. "No, non sono arrabbiato. E' solo che vorrei capire...".
"Cosa?".
"Perché sei il migliore dei fratelli per Clowance e Bella e invece sei così distaccato coi gemelli".
Jeremy alzò le spalle, irritato da quella domanda la cui risposta in fondo era ovvia. "Non sono i miei fratelli".
Anche Ross si irrigidì, in difficoltà. "Io e tua madre li abbiamo adottati e per noi sono figli nostri come voi tre. E come Julia. E quindi sono a tutti gli effetti vostri fratelli, se non di sangue, di certo di cuore".
Jeremy alzò il viso ad affrontarlo. "Cioé, gli volete bene come a noi?".
Ross restò spiazzato da quella domanda ma poi, attento a scegliere le parole giuste per non ferirlo, si decise a rispondergli nel modo più gentile possibile. Gli poggiò la mano sulla spalla mentre nella sabbia camminavano verso casa. "Non hanno nessuno, solo noi. Io e tua madre siamo gli unici genitori che abbiano mai conosciuto e voi siete i loro fratelli. Daisy e Demian non sanno la verità, sono troppo piccoli per capire e sono felici così. E per loro sei il loro eroe, il fratello maggiore da imitare e da cui imparare. E sì, io e tua madre li amiamo come amiamo ogni membro della nostra famiglia e tutti coloro che fanno parte della nostra vita e del nostro mondo".
Jeremy abbassò lo sguardo, rifiutandosi di guardarlo in viso. "Demian adora la mamma, non me. Il suo eroe è lei, non io".
Ross scoppiò a ridere. "Sei geloso di un bimbo di tre anni?".
"No, ovviamente. Ma è lei la sua preferita".
Strinse la presa sulla spalla del figlio. "E per tua madre tu sei il suo sole, il figlio che più gli è nel cuore. Ama tutti ma ai suoi occhi sei speciale".
"Lo so ma... noi... senza i gemelli stavamo bene lo stesso. Perché li hai portati a casa? Perché TU?".
"Perché non avevano altre opportunità e lo sai bene. Cosa ti costava giocare con Daisy, prima, come stavi facendo con Bella?".
"E' piccola, poteva bere, poteva farsi male".
Ross scosse la testa, Jeremy si stava arrampicando sui vetri. "Lo sai bene che queste sono scuse... Provaci, prova a stare con lei o Demian come fai con Clowance e Bella. Te lo chiedo per favore. Oppure dimmi cosa c'è che non va, perché non riesci ad affezionarti a loro e proveremo a risolvere la cosa insieme".
Jeremy non rispose e Ross insistette. "Hei...".
Il ragazzino alzò gli occhi su di lui mentre le luci di Nampara si cominciavano ad intravedere in lontananza. "Tu a quindici anni riuscivi a dire tutto a tuo padre?".
Ross rimase spiazzato, ripensando a quanto poco avesse sentito accanto la figura paterna da ragazzo. Ma si augurò, pur fra mille errori, di essere un padre diverso. "N...No ovviamente".
"Beh, nemmeno io. E' che... Non lo so, mi sembra tutta una storia strana e ho paura che il segreto che i gemelli si portano dietro, sia pericoloso per la nostra famiglia".
Ross annuì. "Non era la piena verità ma una parziale. Per ora doveva però farsela bastare perché estorcere qualche cosa a Jeremy era spesso un'ardua impresa. "E' un rischio che io e tua madre abbiamo deciso di correre e per ora è andato tutto bene, tu non devi preoccuparti di questo. Siamo una famiglia e i gemellini sono dei Poldark e per quanto mi riguarda, regalano gioia a tutti noi. Prova a goderne anche tu".
"Ci proverò" - disse Jeremy, non del tutto convinto.
Ross sorrise. "E quando vorrai parlarmi delle tue paure e di cosa provi davvero, io sarò pronto ad ascoltarti".
Jeremy rispose al sorriso, anche se ancora incerto. "Me lo ricorderò".
E insieme si diressero a Nampara per gustare una buona cena, ringraziando intimamente Demelza per la scarsa fiducia nelle loro abilità di pescatori.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Ci avevano messo quasi una settimana a giungere a Londra.
Erano partiti da Nampara in una giornata nuvolosa, all'alba, a bordo di due carrozze, una con i bagagli, su cui viaggiavano Prudie e i due bambini più grandi e l'altra con Ross, Demelza e i tre bambini più piccoli.
Come preventivato da Ross, il tempo si era fatto brutto e la pioggia aveva accompagnato la loro marcia dall'inizio alla fine.
Se nella carrozza di Prudie c'era stata pace e tutto era filato liscio con Jeremy che leggeva e osservava il panorama e Clowance affascinata da tutto ciò che vedeva al finestrino, in quella di Ross e Demelza la situazione era stata più movimentata con tre bambini dai quattro anni in giù. E così fra capricci, liti, chiasso, grida, risate, riposini e spuntini improvvisati, erano giunti a Londra con l'unico desiderio di dormire per due lunghi giorni, lasciando le tre piccole pesti a Prudie che aveva viaggiato comoda e tranquilla.
Ross aveva scritto a Wickman e a Jones durante l'estate in Cornovaglia, chiedendo loro di trovare una casa comoda e spaziosa per la sua numerosa famiglia. Il suo piccolo appartamento dove anni prima aveva vissuto prima da solo, poi una seconda luna di miele con Demelza e dove aveva ospitato i Despard era inadatto ormai, troppo minuscolo per ospitare una coppia con tre bimbi piccoli, un ragazzo ormai adolescente e una dodicenne vivace e impertinente. Ross aveva chiesto una casa elegante ma non sfarzosa, in centro, in modo che fosse sicura dalla delinquenza delle periferie e soprattutto aveva chiesto che avesse un grande giardino. Lo aveva chiesto espressamente per far contenta Demelza che amava fiori, piante e tutto ciò che serviva per prendersene cura. Sua moglie non era entusiasta di fare quel viaggio e sperava che quella piccola sorpresa l'avrebbe fatta sentire più a suo agio e soprattutto l'avrebbe resa felice. Vederla contenta rendeva contento anche lui che di riflesso si nutriva della felicità e dell'esuberanza di sua moglie. A Londra, Demelza aveva sofferto molto e spesso anche a causa sua. E ora avrebbe fatto di tutto perché fosse contenta e perché tutto andasse nel verso giusto. Per lei fiori, piante e aiuole erano come figli, compagni, amici. E fra amici ci sente più a proprio agio e sperava che per lei fosse così anche in quella società perbenista che ben poco aveva da spartire con le loro indoli corniche.
Jones gli aveva trovato una villa nei pressi dei giardini di Kensinton, una zona comoda dove i piccoli potevano giocare all'aperto, elegante e vicina quanto bastava a Westminster e ai grandi e facoltosi palazzi che avrebbero dovuto frequentare nei mesi seguenti. Era una villa su due piani, di colore giallo, circondata da un grande giardino delimitato da imponenti cancellate ornate di siepi, da cui si accedeva oltrepassando un massiccio cancello in ferro battuto. Al piano terra vi era un ampio ingresso, una grosso salone per i ricevimenti, una grande sala da pranzo, una cucina e una libreria che fungeva anche da studio mentre al primo piano c'erano una grande camera padronale, altre cinque stanze da letto più piccole di cui una adibita a nursery, un grazioso salottino e due sale da bagno dotate di acqua corrente.
Quando vi giunsero, Demelza e i bimbi rimasero a bocca aperta.
"Giuda, Ross..." - mormorò Demelza appena messo piede in giardino. "E' davvero casa nostra?".
Lui rise, poggiandole la mano sulla spalla per attirarla a se. "Non proprio, è solo in affitto per questi mesi. Ma mi sembrava perfetta per noi e non ho potuto non prenderla".
"Costerà una fortuna!".
La baciò sulla fronte. "Che possiamo permetterci!".
Demelza si guardò attorno mentre i bambini correvano entusiasti da tutte le parti nel giardino, seguiti da Prudie. "E questo giardino...".
Ross la prese per mano. "E' tutto tuo".
"Mio?".
"Tuo, mia cara! Hai una grossa sfida da portare a termine".
"Quale?".
"Ridargli vita e renderglo magico e rigoglioso come il nostro, a Nampara".
Rossa dall'emozione, Demelza lo travolse con un abbraccio. "Giuda, grazie! E' il più bel dono che tu potessi farmi e sarà bellissimo prendermene cura. Sarà la mia medicina contro la tremarella che mi verrà ogni volta che dovrò venire a una di quelle feste importanti".
Ross ricambiò l'abbraccio, orgoglioso di se stesso. "Non ti ho mai regalato nessun fiore, consideralo un rimborso con gli interessi per le mie mille mancanze".
Demelza osservò il giardino. Era incolto, l'erba era da tagliare, cerano erbacce da estirpare, le piante da potare, le aiuole da riempire di fiori e piantine... C'era così tanto da fare e lei si sentiva eccitata come una bambina piccola. "Direi che le tue mancanze, se così le vuoi chiamare, sono state ampiamente risarcite da...". Saltellò, come stava facendo Bella poco più in la, poi lo travolse nuovamente con un abbraccio, cingendogli il collo. "Ohhh Ross, questo è il regalo più bello che potessi farmi".
Si baciarono sulle labbra, incuranti che i bambini li vedessero. Ma Bella e Daisy interruppero il loro momento magico, correndo loro incontro.
"Mamma, papà!" - li chiamò la gemellina, tirando la gonna della madre.
Colti sul fatto, i due si staccarono di colpo. "Dimmi, tesoro".
La piccola allargò le braccia. "Siamo in un castello!".
Ross rise, prendendola in braccio. "Non proprio".
"E' proprio un castello invece!" - ribadì Bella. "E io sono una principessa".
Daisy ci pensò su, dopo quell'affermazione. "E allora papà, tu sei re?".
Ross scoppiò a ridere. "No, niente affatto, per fortuna mia!".
Bella alzò il ditino verso Demelza. "Tu sei una regina?".
Demelza si inginocchiò per essere alla sua altezza. "No di certo. Ma tu e tua sorella siete le mie principesse".
Clowance, già sulle scale d'ingresso, urlò e richiamò la loro attenzione. "Papà, mamma, andiamo a vedere la casa?".
Ross annuì, poi prese per mano la moglie e preceduti dalle tre piccole pesti che si misero a correre, entrarono in casa.
"Giuda signore, stavolta non vi siete risparmiato con le spese e l'eleganza!" - sbottò Prudie a bocca aperta, guadagnandosi un'occhiataccia dal suo padrone, osservando la sobria eleganza dell'ingresso appena furono entrati.
La casa era arredata con stile classico, elegante ma non pomposo. Le pareti erano appena state affrescate, i mobili erano ben disposti e di nuova fattura e tutto sembrava stato sistemato col gusto di un bravo arredatore.
"Giuda davvero, Ross! Sembra la casa di un lord" - aggiunse Demelza.
Ross scoppiò a ridere. "Forse devo abituarmi alla comodità della ricchezza e mandare al diavolo tutte le mie convinzioni sulla nobiltà".
Anche Jeremy rise. "Forse dovresti, questa vita mi piace".
"Non farci l'abitudine, figluolo!" - gli rispose Ross, divertito.
"E i tuoi amati animali lasciati a Nampara?" - lo rimbeccò Demelza, conoscendo bene l'amore sconfinato del figlio maggiore per loro.
Jeremy arrossì. "Li cureranno i Martin, no? Per un pò possono fare a meno di noi".
I tre piccoli corsero di sopra a vedere le camere, seguiti dai fratelli maggiori e dai genitori.
Salirono le scale e Demelza restò ancor più a bocca aperta. Tappeti nei corridoi, porte in legno massiccio, un meraviglioso salottino con tanto di pianoforte, grandi finestre dai doppi vetri che davano sul giardino. "Sembra un sogno, mi piace così tanto Ross. Forse hai ragione, è stata una bella idea venire quì, dopotutto sarà comodo passarci i mesi freddi dell'inverno".
Ross sospirò. "Non ne sono così convinto perché mi fa venire l'orticaria l'ambiente pomposo di Londra, ma sono contento che tu sia contenta".
"Io voglio la camera più in fondo al corridoio!" - urlò Jeremy che, ormai quindicenne, desiderava avere un pò di privacy e uno spazio tutto per se lontano dai genitori.
"E sia!" - rispose Demelza. Poi guardarono le altre stanze e decisero che quella davanti a Jeremy sarebbe spettata a Clowance, quella in mezzo al corridoio, di fianco alla nursery e alla camera dei tre bimbi sarebbe spettata a Prudie, una stanza fu designata a camera degli ospiti e infine quella dal lato opposto, la stanza padronale, a Demelza e Ross.
Quando furono entrati, rimasero per un attimo da soli mentre i bambini prendevano possesso delle loro camere.
Il pavimento era coperto da una moquette color ocra, delle grandi finestre davano sul giardino, il letto e gli armadi erano grandi, comodi e imponenti, c'era una toeletta al lato della stanza e ancora, una piccola spinetta.
"E' davvero nostra?" - mormorò Demelza, poggiandosi al marito.
Lui le cinse la vita, baciandola sul collo. "Nostra, senza che nessuno ci disturbi".
"E i bimbi? Hai dimenticato la propensione di Demian di sgattaiolare nel nostro letto a sorpresa, ogni tanto?".
Ross ridacchiò, ripensando alle innumerevoli volte in cui il nano li aveva quasi colti di sorpresa nei momenti clou dell'amore e a come lui e sua moglie avessero sviluppato una veloce propensione a rivestirsi e ricomporsi in una manciata di secondi. "Oh, ma io ho preso le contromisure" - le disse, mostrandogli delle chiavi nella toppa della porta.
Lei lo fronteggiò. "Giuda Ross, lo sai che odio avere chiavi in casa, i bambini potrebbero chiudersi dentro ad una stanza e non riuscire ad uscire".
"Ho chiesto la chiave SOLO per questa stanza!" - la rassicurò.
Come avvertendo i loro discorsi e l'essere chiamato in causa, Demian si materializzò, volando fra le braccia di sua madre.
"Ti piace la tua stanza, tesoro?".
"Mi piace più tanto questa" - disse lui, affondando il viso nel suo collo e rendendo palesi le sue intenzioni su dove passare la notte.
Ross sbuffò. Demian era una canaglietta bionda dal viso d'angelo e aveva stregato Demelza che non riusciva mai a dire di no. Ma lui era meno propenso a farsi imbambolare da quel biondino e non avrebbe arretrato. "Oh, ognuno dorme in camera sua. Puoi osservare questa camera che ti piace tanto, DA LONTANO! Come gli altri tuoi fratelli".
"NNNNOOOOO".
"Ross..." - lo implorò Demelza, mettendo a terra il bimbo.
Ross si inginocchiò. "Le vedi, queste?" - disse, mostrando le chiavi al piccolo - "Servono a stare ognuno in camera propria, tranquilli".
"Non mi piacciono" - ribatté Demian, pestando il piedino.
"A me tanto" - rispose a sua volta Ross, mentre Demelza rideva per quella disputa.
Demian si mise le mani sui fianchi, assunse un atteggiamento di sfida e poi allungò la manina come a volerlo ammonire. "Le buttiamo via".
"Mi vuoi sfidare a duello?" - chiese Ross, divertito.
Demian rise, fece per scappare ma il padre lo prese di forza, lo sollevò e scherzosamente lo lanciò sul lettone. "Sei destinato a perdere" - disse, inseguendo il piccolo che, divertito, correva ovunque sopra e sotto il lettone.
Demelza lo raggiunse, riuscendo infine ad afferrarlo. "Giuda, basta! Vi farete male".
Ross, col fiatone, andò da loro. Accarezzò i capelli di Demian e poi lo baciò sulla fronte. "Potrai venire quì e addormentarti con la mamma. Ma poi ti porteremo nel tuo letto e ci starai fino al mattino".
"Sempre sempre?".
"Sempre sempre, sì. Come fanno Daisy e Bella".
Clowance comparve sulla porta, divertita. "Demian, lasciali stare! Vogliono stare soli perché papà vuole sbaciucchiarsi mamma senza che li vediamo!".
Davanti a quelle parole, sia Ross che Demelza divennero rossi come pomodori maturi. In effetti non c'era molto da stupirsi, spesso si baciavano davanti ai bambini e non avevano mai mostrato imbarazzo a scambiarsi gesti d'amore in loro presenza. Lo giudicavano un bel modo di insegnare loro la bellezza dei sentimenti, che non ci doveva essere imbarazzo a mostrarli e che amarsi era qualcosa di bello e pulito di cui non vergognarsi. Certo, a parte nei momenti un pò imbarazzanti come quello... Si guardarono in viso e benché non fossero in grado di ribattere alla loro impertintente figlia, Ross formulò il pensiero che in realtà, a parte sbaciucchiarsi, aveva in mente ben altre cose. Ma si guardò bene dal dirlo anche se Demelza, col solo sguardo, colse appieno i pensieri del marito su come avrebbero passato la notte.
Clowance rise, divertita dall'imbarazzo dei genitori. Poi balzò dentro e a forza prese Demian in braccio. "Lasciamoli soli!".
Il bimbo protestò ma la ragazzina fu irremovibile e corse fuori, facendo ancor più baccano.
Ross prese un profondo respiro, lasciò la moglie per alcuni istanti, andò alla porta e dopo aver urlato ai figli di aiutare Prudie a disfare i bagagli, la chiuse a doppia mandata.
Demelza lo osservò con aria interrogativa. "Che hai in mente? Giuda, è solo pomeriggio!".
Con sguardo sensuale e improvvisamente seducente, Ross la riafferò fra le braccia, la spinse contro il muro e la baciò con passione tenendola per la vita. "Santo cielo, abbiamo trascorso cinque giorni con almeno due o tre marmocchi nel letto, in ostelli di pessima qualità. Ho oppure no il diritto di godere di qualche attenzione da mia moglie?".
Demelza rise, cercando di allontanarlo, anche se in fondo l'idea non le dispiaceva molto. Ma si guardò dal dirlo o lei e Ross avrebbero inaugurato prima dell'ora del tè il loro nuovo letto, coi figli e la domestica fuori dalla stanza che correvano avanti e indietro. "Ross..." - mormorò.
"Cosa?".
"Se facciamo così, a breve di bambini nel letto potrebbero essercene di più".
Ross alzò lo sguardo di scatto. Ecco, se c'era qualcosa in grado di spegnere il suo ardore, era la prospettiva di una nuova gravidanza e questo Demelza lo sapeva bene. Con un sospiro si tirò in piedi, dando un buffetto sulla guancia di sua moglie. "Mossa sleale".
"Ma funziona sempre!" - rise lei. "E ci sono i nostri bambini fuori dalla stanza".
"Fuori, chiusi a chiave. Ti ho mai detto che amo le chiavi?".
"Ross...".
"Si, cara?".
"C'è una lettera per te sul comodino, credo" - disse, indicandolo e spingendolo nuovamente indietro.
Ross si voltò, notando un piccolo foglio ripiegato e chiuso con della cera che campeggiava su uno dei comodini a fianco del letto. Non lo aveva notato ma evidentemente Demelza, decisa a sfuggire - per il momento - alle sue attenzioni, sì. "E questo, che diavolo...?".
Immaginando già chi fosse il mittente raggiunse il comodino, prese il foglio, ruppe il sigillo e lesse in silenzio. Infine fece un lungo sospiro annoiato. "Potremo mai stare in pace due giorni di seguito?".
Preoccupata, Demelza gli si avvicinò. "Cos'è? E' successo qualcosa di grave?".
Ross si sedette sul letto, porgendo alla moglie la missiva. "E' di Wickman, mi richiama già all'ordine e nemmeno ho disfato i bagagli".
"Cosa vuole?".
"Siamo invitati, sabato sera, a un ricevimento a casa del console di Danimarca".
Demelza fece un timido sorriso, divertita dall'avversione del marito per i ricevimenti importanti. Eppure, come lui, in quel momento non era esattamente entusiasta della cosa e si chiedeva cosa avrebbe dovuto indossare, come comportarsi, cosa fare o dire a casa di una persona importante come un console. Santo cielo, ecco cosa temeva di Londra e ancora non si era abituata alla sua nuova casa che già si sentiva sotto esame e terrorizzata. "Siamo venuti quì per questo... Ma potresti magari dire che hai molto da fare, essendo appena arrivato...". Giuda, nemmeno poteva chiedere aiuto a Caroline circa la moda e l'abito da indossare, era decisamente il caso di declinare l'invito e magari stavolta avrebbe appoggiato una decisione di tal genere di Ross.
Il marito si stiracchiò, annoiato e scocciato più che preoccupato. "Dubito che Wickman accetterebbe questa scusa!".
"Ohhh Ross, non me la sento!".
Lui rise. "Oh mia cara, nemmeno io! Ma il biglietto dice espressamente che il console avrebbe piacere di aver come ospiti il signor Poldark e la sua famiglia. E' un ricevimento per dare il benvenuto all'autunno e all'inizio della stagione parlamentare e Londra pullula di diplomatici giunti da ogni parte d'Europa. Preparati, ci saranno molti inviti come questo, nei prossimi mesi".
"Saremo solo noi?" - chiese Demelza, mentre le gambe le tremavano.
Ross le prese la mano, attirandola a se e facendola sedere sulle sue ginocchia. "Ne dubito. Credo che saranno molti i politici inglesi e stranieri presenti. Saremo solo due fra i tanti".
Demelza si rannicchiò contro il suo petto. "Dovremo portare anche i bambini?".
Ross ci pensò su e decise che per il momento era meglio di no. "Portiamo solo Jeremy, stavolta. E' il mio primogenito ed erede ed è grande abbastanza per sapersi comportare bene senza annoiarsi. Studiamo poi come sarà la situazione e al ritorno prepariamo i mocciosetti per le prossime feste. Per una volta la scamperanno ma a breve questi dannati e noiosi ricevimenti cattureranno anche loro. D'altronde ci saranno i figli degli altri politici e se siamo fortunati, faranno amicizia e troveranno qualcuno con cui giocare senza fare danni".
Demelza annuì, era una buona idea i piccoli a casa per il momento e Jeremy si sarebbe sentito onorato di quel privilegio. "Sì, sono d'accordo e Jeremy sarà così contento".
Ross alzò le spalle. "Bene, almeno uno in famiglia lo sarà!".
Nonostante tutto, Demelza si mise a ridere. "E cosa mi metterò?".
"Dirò a Jones di recapitarci un abito per te all'ultima moda!".
Demelza lo fulminò con lo sguardo. "Jones? E da quando si intende di moda femminile?".
"Jones è esperto di tutto" - disse, sperò, pregò. In fondo in fatto di travestimenti, imboscate, documenti falsi, spionaggio e gioco d'azzardo era un maestro, che fatica poteva fare uno così a trovare in due giorni un bell'abito da donna?
"Sicuro?".
"Sicuro, mia cara".
Demelza sospirò. "Sai di cosa ho bisogno, amore mio, più del vestito?".
"Di cosa?".
"Di questo mio nuovo giardino... Andrò a rimetterlo a nuovo ora".
"Adesso?".
"Subito".
Ross la lasciò andare. Era stata una buona idea quella del giardino e Demelza avrebbe potuto stemperare la tensione curandolo e facendolo diventare rigoglioso. Era il suo modo per trovare pace e per rilassarsi.
Lui invece aveva altro da fare. Commissionare a Jones un vestito, tanto per iniziare, minacciandolo di ritorsioni in caso di fallimento della missione. E andare a dire ai bambini di non fare troppo baccano o i vicini li avrebbero odiati da subito.
E così iniziava la loro nuova vita a Londra.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Seduto sulla carrozza, dal lato opposto a quello su cui c’erano Demelza e Jeremy, Ross pensava e ripensava a come uccidere in modo doloroso Jones…
Che diavolo di abito aveva trovato per Demelza??? E lui come aveva potuto fidarsi di un tizio che nemmeno sapeva abbinare alla perfezione due paia di calzini dello stesso colore?
Certo non poteva dire che sua moglie non fosse splendida. Era bella, bellissima a vedersi per una serata privata dove l’unico ospite fosse stato lui. L'avrebbe ammirata, corteggiata, spogliata e amata se non fosse che quella sera sarebbero stati circondati da centinaia di ospiti impomatati che la avrebbero guardata troppo con quel suo abito blu che le lasciava le spalle coperte e mostrava una ampia scollatura sul seno. Per fortuna lei aveva avuto la compiacenza di mettersi un coprispalle di pizzo che ne coprisse un po’ le forme e la nudità del collo e del petto…
Jeremy, vestito di tutto punto con un completo marrone ed emozionato per quel suo primo evento mondano, forse captando i suoi pensieri, ridacchiò. “Papà, hai una faccia da geloso che fa quasi paura! Mamma è così bella stasera”.
Demelza arrossì, ben conoscendo i pensieri del marito circa il suo vestito per quella sera. In realtà si sentiva imbarazzata a sua volta ma quel vestito le piaceva molto e Rose, una delle tre nuove domestiche assunte da Ross per aiutare Prudie a gestire casa e bambini, le aveva detto che era un abito all’ultima moda e che le stava d’incanto e questo le aveva dato un po’ di coraggio per affrontare la serata a cui erano stati invitati. Anche se, come sempre, si sentiva poco all’altezza e i borbottìì di Ross non la stavano aiutando minimamente. Non che suo marito fosse geloso ma rispetto a un tempo… a prima di Hugh Armitage… quando suo marito non era preoccupato per gli sguardi degli altri uomini, ora le cose le sembravano irrimediabilmente cambiate e non sapeva se questo fosse un bene o un male. A volte si chiedeva se la fiducia persa fosse persa per sempre nella sua interezza o se quello, più semplicemente, fosse un modo come un altro in cui suo marito esprimeva amore e cura per lei. Ross la desiderava, sapeva di essere amata senza se o ma e che le ombre del passato erano svanite ma a volte temeva che quelle vecchie cicatrici, ogni tanto, sarebbero tornate a far male. La notte con Elizabeth di Ross e quanto successo fra lei e Hugh avevano dato due grossi scossoni al loro matrimonio e anche se quelle esperienze erano servite ad entrambi per crescere e trovarsi più forti di prima, a volte si chiedeva se ne fosse davvero valsa la pena o se avrebbero dovuto stare più attenti, parlare di più e colmare i vuoti di allora con qualcosa di meno pericoloso per il loro amore.
Cogliendo l’occhiataccia di Ross al loro figlio, Demelza toccò il ginocchio del ragazzino, pronta a stemperare la tensione e a lasciare andare i mille pensieri che le affollavano la testa. “Ti ringrazio Jeremy anche se in effetti, mi sento un po’ imbarazzata con questo abito”.
Secondo me sei bellissima!” – ribadì il ragazzo.
Ross sbuffò, era decisamente in minoranza e in fondo non aveva voglia di recitare la parte del marito burbero e geloso. Si fidava di Demelza e in fondo gli faceva piacere che fosse ammirata - anche se da lontano - e giudicava ormai finiti i tempi della gelosia che tanto li avevano allontanati. “Caro Jeremy, stasera ti accorgerai che tua madre, ai balli, è la donna più guardata e ammirata. Con quel vestito, ogni uomo la mangerà con gli occhi” - quindi disse, in tono decisamente più leggero.
Incurante dei loro trascorsi e di come i cuori dei genitori fossero stati graffiati dalle rispettive trasgressioni, Jeremy alzò le spalle. “Beh, che guardino! Tanto la mamma è solo nostra”.
Demelza tremò, pensando che il malumore di Ross lo portasse a dire qualcosa di inappropriato ma suo marito la stupì, azzardando persino un tiepido sorriso. “Per loro sfortuna…”.
Demelza rispose al sorriso. “Per mia fortuna…” – aggiunse. “E spero che tuo padre se ne ricordi e mi faccia ballare tutta sera, senza lasciarmi sola nelle grinfie di tutti quegli stranieri”.
Ross raccolse la frecciatina e alla fine decise che aveva voglia di essere di buonumore e scherzare con lei. “Agli ordini, mia cara. Sempre che qualche pomposo dignitario non mi rapisca per delle noiose discussioni su politica ed economia”.
Interessato al discorso fra i genitori, Jeremy osservò il padre in modo interrogativo. “Tutti questi diplomatici, sono qui per discutere della situazione della Francia, vero? Di quel generale… Napoleone?”.
Ross annuì. “Sì, esatto. La politica e le capacità militari di quell’uomo sono in espansione, sta conquistando territori su territori, molte guerre sono state iniziate in suo nome e la sovranità di molti stati è messa a rischio. Si cerca una linea comune per limitare la sua influenza in campo politico e militare”.
Oh, papà, che gran cosa che è il tuo lavoro! Ti passano sotto mano un sacco di notizie importanti!”.
Pure troppe, pure troppe…” – sospirò Ross.
Quando giunsero alla grande tenuta di rappresentanza degli ambasciatori danesi, i Poldark furono accolti da tre eleganti valletti che erano stati incaricati di ricevere gli ospiti.
Ai piedi del grande scalone in marmo bianco che fungeva da ingresso, carrozze, dame, cavalieri e giovani rampolli delle famiglie più illustri d’Europa sfilavano via via davanti ai tre servitori che con mille inutili cerimonie – che Ross odiava – introducevano gli ospiti.
Giuda Ross” – mormorò Demelza, aggrappandosi al braccio del marito. C’erano così tante dame bellissime, eleganti e altere, tutte attorno. Come avrebbe fatto lei, figlia di un minatore di Illugan, a non far sfigurare Ross?
Lui le sorrise. “Giuda davvero! Tutte quelle donne impiumatate sembrano struzzi usciti da un pollaio”.
Jeremy rise, Demelza sbuffò. “Lo dici solo per consolarmi”.
Lo dico perché sono ridicole”.
E belle” – aggiunse lei.
Mai quanto te”.
Demelza si strinse ancora più a lui. Era diventato così dolce, ultimamente e a volte davvero, si chiedeva se non fosse troppo sciocco da parte sua indugiare sugli errori del passato che le impedivano di godere della bellezza del presente. Ross sicuramente non lo faceva e per quanto lo conosceva, era sereno e in pace con se stesso e il mondo in quel momento. Erano felici, aveva un marito innamorato, ogni ombra fra loro era svanita da tanto, avevano cinque bambini stupendi, una miniera in attivo, davano lavoro a molti uomini, erano circondati da amici e famigliari che amavano e da cui erano riamati e quindi... E quindi, scollatura a parte, voleva godersi quella dannata festa!
Entrarono nel salone principale, già gremito di ospiti. Una orchestra suonava al lato della sala più a nord, grandi finestroni semi-aperti in modo che potesse entrare dentro la brezza di quella tiepida sera davano accesso ad ampi terrazzi, ai lati della sala immense tavolate piene di piatti gustosi ed esteticamente perfetti nell'impattamento, che spaziavano dal salato alle pietanze ai dolci, ripempivano l'aria di invitanti profumi che stuzzicavano piacevolmente lo stomaco.
Demelza prese sotto braccio Ross. "In fondo potrebbe anche piacerci tutto questo" - disse, cercando di darsi coraggio, investita da quel lusso non pacchiano e da quella eleganza fine e di buon gusto che tutti gli ospiti, dai più giovani ai più vecchi, sfoggiavano senza fatica. E in fondo il suo, non era nemmeno l'abito più scollato!
Jeremy, sconcertato più che spaesato da tutto quel lusso e quello sfarzo che fino a quel momento aveva potuto solo immaginare, si soffermò ad osservare dame e cavalieri che danzavano, che bevevano ottimo vino, che esibivano abiti che aveva visto solo disegnati nei libri di fiabe dei suoi fratelli, gli enormi banchetti coi cibi più succulenti e quel mondo che era un misto fra lusso e potere che suo padre spesso detestava ma che sulla sua giovane mente esercitava un fascino irresistibile. Forse gli altri ragazzi presenti, tutti più a suo agio e avvezzi a quel genere di eventi, lo avrebbero preso per un provincialotto ma a lui non importava molto. Voleva conoscere quel mondo, diventare grande e comprenderlo e infine come suo padre, viverlo da protagonista. Non era tanto il lusso a impressionarlo quanto le esperienze che quelle persone potevano avere vissuto, le loro conoscenze, la forza delle loro convinzioni e parole, il carisma…
Hai paura, tesoro?” – gli chiese sua madre.
Jeremy scosse la testa. “No…”.
Ross si guardò attorno. Come aveva preventivato c’erano altri ragazzini della crème inglese ed europea che partecipavano a quel ricevimento assieme ai loro facoltosi genitori e Jeremy avrebbe potuto trovare compagnia fra quei gruppetti di giovanissimi, che andavano dalla più tenera età fino all'adolescenza, che confabulavano fra loro. Certo, ovviamente erano ragazzi avvezzi a quel tipo di ricevimenti essendo nati e cresciuti nelle migliori capitali europee e conoscendosi già probabilmente fra loro, avrebbero guardato il provinciale Jeremy con supponenza, ma suo figlio aveva ormai quindici anni ed era tempo che sperimentasse quante più esperienze possibili, comprese quelle meno piacevoli. Ross sapeva che soprattutto da ragazzini era difficile entrare in confidenza con gruppi di coetanei già coesi, ma Jeremy era un ragazzo intelligente ed adorabile ed era certo che si sarebbe fatto valere nella vita.
C’erano comunque anche bambini dell’età di Clowance e più piccoli che, seguiti dalle tate, sembravano essere capaci di non fare danni e quindi forse, se ben ‘ammaestrati’, avrebbe potuto portare ai prossimi ricevimenti anche i suoi figli minori.
Ross indicò a Jeremy un gruppo di tre ragazzini che avevano circa la sua età che confabulavano a un lato della sala fra loro, ridacchiando. Non sembravano particolarmente con la puzza sotto il naso e forse Jeremy con loro poteva rompere il ghiaccio senza troppa fatica. “Perché non provi a fare amicizia?” – gli suggerì, indicandoglieli.
Jeremy arrossì, in fondo era sempre stato più timido e pacato di Clowance. “Non so, magari dopo”.
Demelza gli sorrise dolcemente. “Dovresti provare, anche se lo so, fa paura”.
Come lo sai, mamma?”.
Credi che per me sia stato facile ai primi balli?”.
Jeremy scosse il capo. “Mh, forse no!”.
Sua madre gli sfiorò il braccio. “Hai dalla tua, in confronto a me, origini di tutto rispetto, un nome importante e un padre conosciuto. Prova”.
Jeremy sospirò. “Magari dopo. Posso prima andare a mangiare qualcosa al buffet?”. In fondo c’erano altri ragazzini anche da quelle parti che si abbuffavano di salatini e sfogliatelle e anche alcune dame che si stavano servendo, più interessate al cibo e ai pettegolezzi che al ballo, e quindi unirsi a loro non lo avrebbe fatto sembrare un morto di fame…
Ross diede il suo assenso, era giusto rispettare i tempi di Jeremy. “E sia. Io intanto farò danzare tua madre”.
Jeremy si allontanò sollevato e Ross prese la mano di sua moglie, baciandogliela. “Me lo concedete questo ballo, mia signora?”.
Demelza gli cinse la vita. “Quindi manterrai la parola data così, subito, senza ripensamenti? Nessun litigio con nessuno a distrarti, nessun diversivo, nessuna scazzottata con George...?”.
Ross scoppiò a ridere. In effetti in passato era stato un pessimo cavaliere per sua moglie. Niente di tutto questo, e poi... con questo abito attireresti troppi cavalieri desiderosi di essere sfidati a duello”.
Ross lo disse in tono leggero ma i pensieri di poco prima, mentre iniziavano a danzare, tornarono ad affollare la mente di Demelza. “Ross, lo sai che non mi importa nessuno tranne che di te?”.
Lui aumentò la sua stretta sulla sua vita. “Lo so, ma so anche che non va mai dato nulla per scontato e che delle cose preziose ci si deve prendere cura”.
E chi ti ha reso così saggio?”.
Lui la baciò sulle labbra brevemente. “Tu… E la vita”.
La vita ti ha insegnato a dubitare di me?” – gli chiese, leggermente preoccupata, pur sforzandosi di usare un tono leggero.
No, amore mio. Non di te ma di me stesso”.
Si guardarono negli occhi e lei cercò le parole giuste per rassicurarlo. “Di te, di me, di noi… Non dubitare mai”.
Ross le accarezzò i capelli che le ricadevano morbidi sulle spalle. "Eppure avere paura di perdere ciò a cui si tiene è la base per tenere caldo e sicuro l'amore. In passato ci sono stati momenti difficili fra di noi ma non è quello che temo adesso. Semplicemente, certe esperienze mi hanno aiutato a crescere e ad avere ben chiaro ciò che per me è tutto. Tu e i bambini".
"Per me è lo stesso" - rispose lei semplicemente, senza aggiungere altro. Era vero, avevano imparato entrambi dai loro errori ed entrambi ne erano usciti migliori. Questo le bastava... "Giuda Ross, come sei profondo stasera! Incredibilmente, non trovo nulla da obiettare" - rispose, allegra.
Però mi viene un dubbio... Vuoi dire che non mi vuoi galante e cavaliere? Che ti sembro strano nelle vesti di marito calmo, pacato e perfettamente calato nel suo ruolo?” – le chiese, decisamente sollevato.
Lei rise. “Oh, questo mai! Adoro essere coccolata e viziata!”.
Danzarono, per lunghi minuti persi nello sguardo l’uno dell’altra, ballarono senza quasi accorgersi della festa attorno a loro. Solo quando si trovarono col fiato corto, accaldati ed assetati, si fermarono e si avvicinarono al banchetto dove ancora si attardava il figlio, per bere qualcosa.
Ma prima di raggiungerlo furono fermati dal saluto di tre uomini. Uno Ross lo conosceva, era Sir Edward Corwas di Westminster ma gli altri due gli sembravano stranieri.
Sir Edward lo salutò amichevolmente. “Poldark, volevo fermarmi a chiacchierare già da un po’ ma vi vedevo occupato…” – disse, adocchiando una imbarazzata Demelza. “Vostra moglie è così graziosa che è un delitto che resti così a lungo lontana dalla capitale, rintanata in quella sperduta e ventosa zona che è la Cornovaglia”.
Una terra che amo” – rispose con gentilezza ma a tono Demelza, ottenendo l’approvazione di Ross.
Sir Edward incassò senza battere ciglio. “Vorrei presentarvi il padrone di casa, il console danese Sir Astrup Jens. Gli ho raccontato molto di voi e dei vostri trascorsi in Parlamento ed è rimasto colpito dal vostro ardore nel portare avanti le cause per cui vi battete”.
Ross si inchinò. “Spero non siate rimasto turbato dai racconti sui miei modi. Comunque è un piacere conoscervi Sir Astrup”.
L’uomo, un diplomatico basso di statura ma dalle forme decisamente generose, con un viso più da pacioso nonno che da politico, i capelli radi e bianchi e l’espressione gentile, gli strinse la mano. “Il piacere è mio. E non mi turbate affatto, è dovere del politico avere carisma e carattere per perseguire i suoi obiettivi e voi avete più volte dimostrato al vostro paese di saperlo fare e di essere incorruttibile. Qualità rara per un uomo di potere”.
Ross si sentì a suo agio. "Non mi considero tale".
"La modestia non è per gente di Westminster" - ribadì il danese.
"Non sono modesto, semplicemente credo che il potere andrebbe distribuito meglio".
Sir Astrup annuì. "Mi piacete e spero di avervi ancora mio ospite per una chiacchierata davanti a un buon bicchiere di vino. E di incontrarvi con la vostra graziosa moglie ad altri ricevimenti".
Ross sospirò. "Siamo quì per questo".
E lui” – continuò Sir Edward introducendo l'altro uomo – “E’ un ambasciatore norvegese, Sir Haakon della stirpe del glorioso casato degli Hagen”.
Ross si irrigidì. Questo Haakon aveva un aspetto meno amichevole del console danese e forse per il suo legame alla terra di Norvegia, si sentì di entrare subito in allarme. Haakon, giovane, dagli occhi di ghiaccio, sui trentacinque anni o forse nemmeno, coi suoi capelli biondi come quelli dei gemellini e il suo sguardo penetrante, sembrava volergli scandagliare l’animo e studiare ogni particolare di lui. Aveva un non so che di spiacevole nel portamento, nell'espressione, nel modo di porsi. Non che ci fosse qualcosa di apparentemente ostile, eppure si sentì a disagio. Ma forse era solo suggestione perché la terra di Norvegia gli riportava alla mente brutti ricordi, l'orribile morte di Jasmine e tutto ciò che ci girava attorno. Il pericolo era stato lasciato indietro quasi quattro anni prima ma quelle ombre che sembre aveva temuto lo raggiungessero, davanti a Sir Haakon diventavano pericolosamente reali.
Ross finse cordialità anche se avrebbe voluto allontanarsi con Demelza. Il suo sesto senso gli suggeriva di farlo e lui avrebbe voluto assecondarlo. Ma non poteva… “E’ un piacere”.
Haakon gli strinse la mano con vigore. “Il piacere è mio. A noi discendenti degli antichi vichinghi piace incontrare veri combattenti quale sembra voi siate”.
Ross sorrise, un sorriso di cortesia. “Credo che quanto detto su di me sia un po’ esagerato”.
"Si dice che abbiate fatto grandi cose in Francia, durante il terrore. Si parla di voi come di un eroe, si dice che abbiate salvato dalla prigionia molti soldati inglesi con la forza e l'ingegno. E con pochi mezzi. Solo i vichinghi riuscivano in imprese del genere".
Ross sospirò, in fondo non era male essere il protagonista di gesta leggendarie, anche se di vichingo in lui non c'era nulla. "In realtà ero partito solo per salvare un caro amico, il dottor Enys. E non ero solo ma circondato da persone fidate e coraggiose. Fu una azione di gruppo e solo per un caso fortuito altri prigionieri riuscirono a fuggire...".
Non lo credo affatto, non è mai solo fortuna ma alla base c'è sempre volontà e coraggio”. Haakon lo guardò di nuovo, insistentemente, mentre gli parlava. “Ci conosciamo? Avete un viso che mi sembra di aver già visto”.
Ross si irrigidì, in fondo era stato ad Oslo per mesi e anche se in incognito e in missione segreta, non sarebbe stato così assurdo che qualcuno lo ricordasse. Non era biondo e non era decisamente norvegese e il suo aspetto tanto diverso dalla gente nordica forse non era passato inosservato. “Volete dire che ho una faccia banale? Mi sono sempre creduto affascinante e unico” – tentò, cercando di portare il discorso su toni leggeri e distanti da percorsi pericolosi.
Il norvegese rise. “Oh, non banale. Ma sono particolarmente fisionomista e il vostro volto mi sembra di averlo già visto da qualche parte. Siete mai stato in Norvegia?”.
Ross sentì Demelza irrigidirsi ma lui sapeva cosa fare e di certo non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura quel viaggio in incognito per conto dei servizi segreti del governo. "No, ovviamente... Anche se si raccontano storie interessanti del vostro paese. Mia moglie adorerebbe... come si chiama...? Quel cielo di mille colori che vi trovate sopra le vostre teste in inverno?".
"Aurora boreale" - intervenne il console danese.
Ross annuì. "Sì, quella. Deve essere uno spettacolo affascinante" - disse, ricordando quando, coi gemelli, l'aveva ammirata mentre in barca sfuggivano dalla capitale diretti alla nave che li avrebbe portati in Inghilterra.
Haakon sorrise, un sorriso freddo. "Sì, è suggestiva anche se noi, essendoci abituati, quasi non ci facciamo più caso. Ma immagino che sia diverso per uno straniero...".
"Suppongo di sì" - intervenne Demelza, captando l'ansia del marito. "Amerei vederla davvero".
Haakon le prese la mano, baciandola con galanteria anche se Demelza lo trovò viscido. "E allora, se verrete, sarete miei ospiti. Avete figli?".
Demelza gli indicò Jeremy che, finalmente, aveva preso a parlare con un ragazzino leggermente più giovane di lui. "Sì, abbiamo portato con noi il più grande, Jeremy. Poi ne abbiamo altri più piccoli e vivaci e abbiamo preferito lasciarli a casa" - disse, senza far menzione al loro numero, ai nomi e alle loro età".
Haakon osservò Jeremy insistentemente. "Io ho una figlia, anche lei è con me stasera anche se non ho idea di dove si sia cacciata. Deve avere l'età del vostro, più o meno...".
Sir Edward si intromise nel discorso. "Oh sì, il giovane Jeremy la troverebbe davvero affascinante. Una tipica quattordicenne norvegese, bionda come una dea e con due occhi azzurri che incanterebbero chiunque. La vostra giovane figlia, Odalyn, rispecchia appieno il significato del suo nome".
Haakon scoppiò a ridere. "E voi come potete essere a conoscenza del significato dei nomi norvegesi?".
Sir Edward lo fronteggiò. "Oh, lo ha raccontato lei stessa al ricevimento da Sir Smith la scorsa settimana. Stava sorseggiando il tè con mia moglie e le ha spiegato il significato del suo nome: Odalyn che deriva da 'Oda' ossia 'punta di lancia' e 'Lyn' ossia, bellissima. Una bellissima giovane guerriera vichinga, se fosse nata qualche secolo fa".
Haakon sembrò contrariato che sua figlia avesse dato tanta confidenza a quegli stranieri e parve irrigidirsi. I nordici erano persone chiuse e raramente amavano parlare agli stranieri delle loro tradizioni. "Invece è solo la figlia con la lingua troppo lunga di un diplomatico".
Demelza osservò l'uomo, chiedendosi se fosse così rigido e altero anche fra le mura domestiche. "Sono sicura che è una ragazza graziosa".
A quelle parole Haakon la osservò e poi si fermò a pensare qualche istante. "La conoscerete, ne sono certo" - esclamò infine, come a voler rendere una certezza quella opportunità. Non aveva ancora in mente i dettagli ma c'era la possibilità che una vecchia faccenda che ancora tormentava molte persone in patria, fosse legata a quell'uomo che ne era certo, aveva camminato sulle loro terre in un periodo molto particolare... Doveva indagare! Strinse quindi la mano a Ross e poi, adducendo una scusa per allontanarsi, si dileguò con una strana fretta.
Anche Sir Edward e il console danese salutarono, proseguendo nel loro giro di saluti.
Rimasti soli, Ross osservò Demelza. "Quel norvegese non piace a te come non piace a me?".
"Già... Mi mette i brividi per il modo in cui ci ha guardato".
Ross le strinse la mano. "Forse è solo suggestione. E' così simile ai gemelli, hanno i capelli dello stesso colore e arrivano dalla stessa terra...".
Demelza deglutì. "Ha detto che hai un viso conosciuto".
Si morse le labbra, già, lo aveva detto. "E può essere, stiamo attenti. Anche se non può provare niente".
"Sì, stiamo attenti" - concluse Demelza, sentendo improvvisamente molto soffocante tutto quell'ambiente.
Entrambi osservarono Jeremy che rideva col suo nuovo amico. Almeno lui si divertiva...

...

Haakon, a passo svelto, camminò negli eleganti saloni che ospitavano il ricevimento alla ricerca di sua figlia.
La sua testa stava formulando mille ipotesi sull'incontro con Poldark ma una cosa era certa, anche se lui l'aveva negato. Si erano già visti, non faccia a faccia certo, e se tanto gli dava tanto, sapeva anche in quale occasione lo aveva notato... Forse si sbagliava ma doveva saperne di più e se Poldark senior sicuramente sarebbe stato restio a sbottonarsi su eventi passati che potevano rivelarsi pericolosi, forse il giovane Jeremy avrebbe avuto la lingua più sciolta. Come la sua impertinente figlia...
Appena la vide, le si avvicinò prendendola per un braccio.
La ragazzina, intenta a chiacchierare con una amica, sussultò spaventata prima di capire che si trattava di lui. "Padre..." - mormorò nel suo grazioso abitino color avorio, con i lunghi capelli pettinati in una treccia e un pò di trucco sul viso. Era una giovane ragazzina dai modi allegri e spigliati, dotata di una straordinaria bellezza dono di madre natura e sicuramente coi suoi tratti nordici, molti giovani cuori avrebbe fatto palpitare durante la sua permanenza a Londra.
Haakon, senza troppe cerimonie e decisamente meno propenso a farsi incantare da lei, la portò in un angolo appartato. "Odalyn, se hai finito di raccontare cose private in giro come un'oca, ora avrei bisogno di un minuto del tuo tempo".
La ragazzina sapeva che suo padre era un uomo duro a cui non si doveva disubbidire e quindi, anche se contrariata dalla pessima figura fatta con la sua amica, annuì senza replicare. "Ditemi, padre".
Senza dire nulla, l'uomo la prese per mano trascinandola nel salone principale. Appena giunti alla porta gli indicò il giovane figlio di Poldark. "Lo vedi quel ragazzo?".
"Sì".
La spinse nel salone. "Vedi di fartelo amico e di farti raccontare quante più cose della sua famiglia. E poi riferiscimi tutto".
"Perché?" - chiese lei.
Ma lo sguardo duro del genitore le ricacciò in gola altre domande a cui, chiaramente, non avrebbe ottenuto risposte. Ubbidì e poi entrò nella sala sentendo sulla schiena lo sguardo fisso e spesso spaventoso di suo padre. Sapeva che per tutta la sera l'avrebbe avuto addosso...


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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Jeremy aveva stretto amicizia, a uno dei tanti tavoli del buffet, con un tal Martin Evans, figlio quattordicenne di un parlamentare del Galles.
Indeciso sul da farsi e decisamente solo, lo aveva addocchiato tutto spaurito in un angolo della sala, terrorizzato come lui dall'avvicinarsi ai più navigati rampolli londinesi. Le giovani leve della capitale e le delegazioni straniere se ne stavano fra loro e quel ragazzino inerme, dai capelli rossi e pieno di lentiggini, a Jeremy era sembrato il più innocuo e facile da avvicinare. Non che ne fosse orgoglioso, aveva scelto di farsi amico l'obiettivo più semplice, ma quanto meno aveva trovato qualcuno con cui parlare e condividere quella strana esperienza in cui era stato catapultato per la prima volta. Martin era un novellino come lui e si trovava a Londra per la prima volta, era timido ed introverso e non conosceva praticamente nessuno.
Avevano chiacchierato del più e del meno per circa mezz'ora ma poi il ragazzino era stato richiamo da una domestica che stava accudendo le sue sorelle minori e si era allontanato, lasciandolo di nuovo solo.
Nessun altro faceva attenzione a lui e i suoi genitori, che intravedeva da lontano nel salone adiacente, erano assorbiti in una lunga conversazione con gente che non conosceva. Quindi, solo e davanti al tavolo dei vini, si chiese se magari non fosse il momento di assaggiare qualcosa. Aveva già quindici anni in fondo, un sorsetto non gli avrebbe fatto male ed era più che certo che alla sua età sua padre lo avesse già fatto e che quindi avrebbe approvato.
Fu quando allungò una mano per prendere un calice che una voce femminile lo chiamò. "Hei, straniero...".
Straniero? In realtà lui era inglese su terra inglese, a differenza di quella voce dallo strano accento non certo inglese.
Jeremy si voltò e rimase a bocca aperta. Davanti a lui c'era una giovane ragazza che aveva circa la sua età, biondissima come i gemellini, dagli occhi color del ghiaccio e vestita con un elegante abito color avorio. E scrutandola bene in volto, gli pareva che fosse pure leggermente truccata e gli sembrava la prima volta che vedeva una ragazza della sua età... così...
Jeremy deglutì. "Non... Non sono straniero".
Lei giocherellò con la sua lunga treccia, fingendo una timidezza che non le apparteneva. "Per me lo sei".
"Per me lo sei tu" - le rispose, indeciso su come comportarsi. Era decisamente diversa dalle ragazze della Cornovaglia. "Non sembri certo inglese".
"Non lo sono infatti, vengo dalla Norvegia".
Jeremy sussultò. La Norvegia? La terra che aveva visto nascere quei due strani gemelli che gli erano capitati come fratelli, una terra che si raccontava fosse piena di misteri e leggende e... persone biondissime. Santo cielo, erano tutti così allora quelli che nascevano da quelle parti? Avrebbe voluto dirle che un pò conosceva la sua terra ma sapeva bene che doveva tacere per evitare di entrare in particolari che i suoi genitori avrebbero disapprovato lui esternasse e, anche se davanti aveva una semplice ragazzina che di certo non rappresentava alcun rischio per il loro segreto di famiglia, alla fine tacque. "Io vengo dalla Cornovaglia" - disse solo.
Lei sorrise e Jeremy trovò che era davvero bellissima e sembrava più grande della sua età. Affascinante, elegante, dai modi spicci e svegli... E quindi? Che voleva da lui, da un provincialotto, una così?
Incurante dei suoi pensieri ma consapevole di averlo colpito, lei allungò la mano. "Il mio nome è Odalyn e discendo dalla gloriosa stirpe degli Hagen antichi guerrieri vichinghi che hanno combattuto a lungo e nei secoli a fianco dei nostri sovrani. Di cui mio padre è ambasciatore" - disse, piena di orgoglio. "Sai chi erano i vichinghi?".
"Certo" - rispose Jeremy - "E tu sai qual'è l'esercito più forte d'Europa?". Santo cielo, tutti sapevano che era quello inglese...
Odalyn decise di provocarlo, un pò per entrare più in confidenza, un pò perché lo trovava divertente. "A parte quello di Napoleone?".
Jeremy avrebbe voluto mandarla a quel paese ma in effetti sapeva che era maleducato e poco galante farlo. "Le donne sanno così poco di eserciti e battaglie..." - sostenne, stando alla sfida.
Odalyn non si fece scoraggiare. Allungò la mano e gliela porse, da perfetta signorina. "E voi uomini sapete così poco di buone maniere".
Jeremy osservò la manina candida, dalle dita lunga ed affusolate della ragazza e si chiese che dovesse fare. Perché in effetti era vero, di galanteria lui ne sapeva quanto lei di battaglie. Alla fine quindi gliela strinse, come avrebbe fatto con un compagno di giochi in Cornovaglia.
Lei sbuffò. "Avresti dovuto baciarla, non sono una bracciante o un dannato minatore di Cornovaglia! E tu devi essere nato in una caverna!".
Jeremy arrossì, santo cielo era un idiota!!! Eppure non gli sembrava di aver mai visto suo padre andare in giro per la brughiera a baciare le mani delle mogli dei minatori, quando le incontrava per strada... "Beh, a casa non badiamo molto a queste cose".
Odalyn picchiettò il piede, nervosamente. Suo padre voleva che lei entrasse in confidenza con lui ma evidentemente non aveva idea che quel ragazzo fosse una specie di surrogato di uomo preistorico delle campagne. "Almeno mi dici come ti chiami?".
"Jeremy, Jeremy Poldark. Mio padre è un parlamentare di Westminster".
Lei sospirò. "Bene Jeremy Poldark, mi offriresti un calice di vino?".
Jeremy spalancò gli occhi. Sua madre ogni tanto beveva del Porto ma sua madre era una adulta, invece questa Odalyn era una ragazzina forse più giovane di lui e non gli sembrava una buona cosa che lei bevesse con tanta disinvoltura. Ma soprattutto - però se ne guardò bene dal chiederlo per non fare altre figure - perché non se lo prendeva da sola un bicchiere? "Sicura?".
"Sono del nord, per noi il bere fa parte della nostra cultura! Da noi fa freddo, ci si scalda pure così".
Jeremy si sentì irritato dal tono supponente da maestrina che lei aveva usato. "Ma quì sei a Londra e siamo solo in autunno" - obiettò perciò.
Odalyn alzò gli occhi al cielo e poi, esasperata, prese da sola un calice e ne bevve il contenuto in un solo sorso, forse per sorprenderlo o forse perché era abituata a fare così. "Visto come si fa, Jeremy Poldark?".
Lui sostenne il suo sguardo, era tanto bella quanto sorprendente e a suo modo, antipatica. "Puoi chiamarmi solo Jeremy, non è necessario che ripeti ancora e ancora il mio cognome".
"Ti chiamo come mi pare! E tu comunque, non mi fai compagnia? Non bevi? Non dirmi che a tavola bevi ancora latte?".
Jeremy arrossì di nuovo. Colpito e affondato... "Ecco, a volte acqua mischiata a un pò di Porto. Alle feste mi permettono di farlo".
Lei scoppiò a ridere. "Alle feste? Santo cielo, quanti anni hai?".
"Quindici".
"E fai le cose come i poppanti? Io non ne ho ancora quindici e bevo senza problemi".
"Beh, non dovresti farlo con tanta leggerezza" - la ammonì, anche se si sentiva un vecchio prete bacchettone in quel momento.
Odalyn sbuffò. "Sei noioso".
"E allora che ci fai quì?" - le chiese senza mezzi termini. Era affascinante ma risvegliava in lui una specie di strana voglia di litigarci e averla pure vinta.
"Mi annoio".
"Vai ad annoiarti da un'altra parte".
Odalyn poggiò il bicchiere vuoto, poi incrociò le braccia al petto. "No, mi diverto a parlare con te e del tuo strano modo di vivere da bamboccio. Sei quì da solo?".
"No, coi miei genitori".
"Hai fratelli?".
Jeremy strinse i pugni, ricordando ancora una volta il rischio sempre strisciante che si celava dietro alla Norvegia. Non ne conosceva i contorni e di certo suo padre non gli aveva detto la verità, ma sapeva anche che se lui gli aveva intimato di stare attento, doveva esserci un motivo ben preciso. E poi i gemelli, anche se non era convinto del tutto che fosse stata una buona idea e aveva mille domande a riguardo, ora erano i suoi fratellini e anche se spesso non li tollerava, si sentiva di doverli difendere. Quindi rimase vago. "Sì, parecchi...".
"Dove sono?" - domandò lei, stranamente curiosa.
"A casa, quì avrebbero distrutto tutto, sono ancora piccoli e piuttosto pestiferi".
Odalyn rise, stavolta di cuore. "Avrebbero reso più divertente questa festa noiosa, allora".
Jeremy la guardò e trovò che quando rideva per non prenderlo in giro, era davvero bella. "Tu non hai fratelli?".
Odalyn scosse la testa. "Ufficialmente no".
"Ufficialmente?" - domandò Jeremy, sorpreso.
Lei divenne seria. "Beh, mia madre morì anni fa, a me dicono per malattia ma pare sia morta per altre cause" - disse, vaga. "Mio padre non si è più sposato ma dubito che in questi anni sia stato un monaco. Conoscendolo, avrà in giro più di una amante e forse anche qualche altro marmocchio illegittimo che tiene segreto".
Jeremy era sconvolto. Come poteva parlarne con tanta leggerezza? Lui non sarebbe mai riuscito a parlare di un suo genitore in quel modo e a sopportare quel dubbio costante senza battere ciglio. Ma una volta suo padre gli aveva detto che i nordici avevano un'altra mentalità e quindi forse era stupido stupirsi e dare a Odalyn una ulteriore dimostrazione di quanto fosse provinciale il suo modo di fare e pensare. "Beh, mi spiace" - disse quindi - "Per tua madre, intendo".
La ragazzina non rispose e cambiò repentinamente argomento. "Starò quì tutto inverno" - disse, solo - "E tu?".
"Anche".
"Quindi rischio di incontrarti ancora?" - gli chiese, con di nuovo un'espressione beffarda sulla faccia.
Jeremy raccolse la sfida. "Temo di sì". E stavolta fu più lesto e veloce e prima che lei rispondesse le prese la mano, baciandola. "Ora devo andare, signorina Odalyn della stirpe vichinga degli Hagen". Beh, se lui era Jeremy Poldark, lei si sarebbe sorbita ad ogni loro incontro il suo nome completo, compreso di casato millenario.
Interdetta, lei lo bloccò prima che lui si allontanasse. "E ora dove te ne vai?".
Jeremy gli indicò i genitori che lo stavano chiamando, pronti a lasciare la sala. Sua madre aveva indossato il suo coprispalle e forse era ora di tornare a casa. Parlando con Odalyn non si era accorto del passare del tempo... "Temo di dover andare".
"A letto presto?".
Lui rise. "Come i poppanti, no?". E poi non era presto, era passata già da un pò la mezzanotte e molti ospiti se n'erano già andati. Se Odalyn voleva viversi le notti londinesi, avrebbe presto scoperto che le abitudini del loro paese erano ben diverse da quelle norvegesi e che il buio di Londra era semplicemente buio, deserto e spesso, con la nebbia, sinistro. "Buona notte, signorina".
"Buona notte" - disse lei, chiedendosi se a suo padre sarebbe bastato quanto si erano detti. Ma immaginava che non sarebbe stato così...

...

Il ritorno in carrozza fu stranamente silenzioso e carico di tensione e Jeremy non ne comprendeva il motivo. I suoi genitori avevano danzato a lungo ridendo e godendo della compagnia reciproca, avevano chiacchierato con altre persone in modo che gli era parso amabile e lui non si era reso protagonista di nessuna brutta figura. "Siete arrabbiati?" - domandò infine, un pò intimorito da quello strano silenzio che non faceva parte di loro.
Ross e Demelza si guardarono negli occhi, sorpresi da quella domanda. Avrebbero voluto parlare dell'incontro con Haakon tranquilli una volta a casa ma evidentemente a Jeremy non era sfuggita la loro tensione.
"No, tranquillo amore" - rispose Demelza. "E' che a me a a tuo padre non piacciono molto le persone che frequentano questi ricevimenti e non vediamo l'ora di scappare a casa".
Ross guardò suo figlio con un sorrisetto malizioso. "Tu invece, a differenza nostra, sembra ti sia divertito e abbia trovato una... piacevole... compagnia".
Jeremy arrossì fino alle orecchie. "Io?".
"Chi era la biondina con cui sei stato a parlare tanto a lungo?" - lo stuzzicò ancora Ross, stranamente orgoglioso di affrontare certi discorsi, finalmente, con un figlio che ormai non era più un bambino a cui raccontare favole.
Demelza sospirò, sperando che il marito non mettesse troppo in imbarazzo il loro figlio. Jeremy era timido, non era uno spaccone e sicuramente era in una età dove comunicare coi genitori era più difficile e se Ross avesse sbagliato nei modi, si sarebbe chiuso a riccio ancora di più.
Jeremy abbassò lo sguardo, tormentandosi le mani imbarazzato. "Si chiama Odalyn... Si è messa a parlare senza che io la invitassi e non si è più mossa dal tavolo dei vini. Era più che altro interessata ai vini, comunque...".
Ross e Demelza, appena sentito il nome della ragazza, si guardarono preoccupati, rendendosi immediatamente conto di chi si trattasse. "Odalyn...? E' norvegese?".
"Sì".
"E..." - domandò Ross con cautela ma estremamente serio - "Cosa voleva da te?".
Jeremy osservò suo padre, ricordandosi quanto entrasse in allarme se solo si nominava qualcosa relativo alla Norvegia. Beh, la cosa lo divertì nonostante tutto perché effettivamente, a parte la terra d'origine in comune coi gemelli, che c'entrava Odalyn con loro? "Ma nulla, si annoiava e cercava qualcuno da tormentare".
"Quindi non la trovi simpatica?" - chiese Demelza, con una nota di speranza nel tono di voce. Non era gelosa di Jeremy e non aveva nulla in contrario che conoscesse la ragazza norvegese ma se questo non fosse avvenuto beh... era meglio.
"Non molto. E' strana e petulante. E fa la diva, la gran signora! Non mi piace molto chi ama mettersi in mostra".
Ross sospirò, sollevato. "Beh, non la devi frequentare per fortuna".
"Per fortuna? Perché papà?".
"Perché abbiamo conosciuto suo padre e non ci piace per niente".
Jeremy scosse la testa, dopo quanto raccontato da Odalyn circa amanti e figli segreti, quell'uomo non piaceva nemmeno a lui. "Non so se non la rivedrò, lei dice che ci rincontreremo ad altri ricevimenti".
"Beh, puoi ignorarla!" - gli suggerì il padre, guadagnandosi un'occhiataccia da Demelza.
La donna sorrise poi al figlio. "Devi essere comunque cortese se ti parla. Ma non darle troppa confidenza".
"Non ho intenzione di farlo, tranquilli..." - rispose il ragazzino, forse non del tutto convinto sul fatto che questo fosse possibile. Se tanto gli dava tanto, quella non se la sarebbe tolta dai piedi con troppa facilità, si era troppo divertita a prenderlo in giro. E poi, di fondo, era irritato, ecco. Sapeva perché i suoi genitori gli stavano facendo tante domande ed era arrabbiato per il fatto che, nel remoto caso Odalyn si fosse dimostrata più simpatica di quanto sembrava, lui non avrebbe dovuto frequentarla a causa dei gemelli e del segreto che si portavano dietro. E per la prima volta in vita sua provò il desiderio di disobbedire per il semplice gusto di farlo...
Ross sprofondò nel sedile. "Meglio così. Sta attento, i norvegesi sono pericolosi".
"Forse non tutti" - rispose il ragazzo. "I gemelli non lo sono, giusto?".
Demelza gli strinse la mano, avvertendo il tumulto dell'animo del figlio ma decisa a non aprire argomenti complicati dopo una sera già di per se non facile. "Non lo sono? Chiedilo a Prudie...".
Jeremy le sorrise, con sua madre non sarebbe mai riuscito a fare il duro ribelle. "Già".
La carrozza li lasciò al cancello in quel momento e quindi salirono a casa, stanchi per la lunga serata.
Jeremy salutò frettolosamente e senza aggiungere altro,andò in camera sua a riflettere su... tante cose..., Demelza e Ross, rimasti soli in corridoio, si strinsero per darsi sostegno a vicenda.
"Ross, ho idea che a breve dovremo affrontare tanti problemi. E se non arriveranno dai gemelli e dal nord Europa, temo arriveranno da altri fronti".
Ross le baciò le labbra. "Era più facile quando anche Jeremy era piccolo. Temi che menta? Temi che in realtà la ragazza gli piaccia? Non ti sembra strano che lei sia andata CASUALMENTE a parlare proprio con lui".
Demelza gli cinse la vita. "Non lo so, forse siamo troppo sul chi va la e sospettiamo di tutti senza motivo. Jeremy invece... Non ha mai mentito, Ross".
Lui alzò gli occhi al cielo, ricordando se stesso a quindici anni. "E' una età strana la sua, pessima per certi aspetti. Un'età in cui devi trasgredire le regole, senti che devi farlo se vuoi crescere. Io ero un figlio orribile a quell'epoca".
Demelza annuì, lei all'età di Jeremy se n'era già andata da casa dopo tutto. Forse per ribellione, forse perché davvero cercava la sua strada e sapeva che non era Illugan. "Stiamo all'erta e basta, Ross".
"Buona idea".
Insieme si recarono nelle stanze dei bambini più piccoli.
Clowance dormiva mezza scoperta e scomposta, i gemellini e Bella nello stesso letto, quello di Demian, ormai ridotto a un campo di battaglia.
Addormentati sembravano tre angioletti ma erano abbastanza sicuri che avessero fatto impazzire Prudie e le nuove domestiche tutta sera.
Ross si sedette sul letto, facendo loro il solletico sotto i piedini. "Voi tre, non fate finta di dormire!" - disse, sapendo bene che fingevano.
Sei occhietti, quattro azzurri e due verdi come quelli della madre, si spalancarono.
Demelza scoppiò a ridere, erano fin troppo prevedibili. "E' tardissimo!".
Demian si sedette. "Anche per voi" - disse serio, come a volerli rimproverare, rannicchiandosi contro sua madre per le consuete coccole.
Bella saltellò sul materasso. "Mamma, mamma, volevo cantare una canzoncina ma Prudie mi ha tappato la bocca e ha detto che rompevo i vetri. Posso cantare adesso?".
"NOOO!" - la bloccò Ross che aveva a cuore la salute dei suoi timpani e di quelli dei vicini.
E poi arrivò Daisy. "Papà, papà io non lo volevo fare il bagnetto, ero pulita. Ho lanciato il sapone giù dalla finestra, dovevi vedere come Prudie lo cercava! Anche Miss Bernie e Miss Rose e Miss Page! Tutte e quattro nell'erba come caprette".
Bella rise. "E mentre cercavano il sapone in giardino, noi abbiamo fatto la gara di salto sul letto".
Demelza sbuffò. "Lo vedo..." - disse, osservando come erano ridotti materasso e coperte. Beh, almeno loro si erano divertiti...
Ross sorrise, guardando i tre bimbi. Bella era loro e anche i gemelli. E se c'erano ombre oscure, vere o presunte, da combattere, lui lo avrebbe fatto. Erano i suoi figli, tutti quanti. E se il nemico si fosse presentato alla loro porta anche sotto le fattezze di una quattordicenne bionda ed affascinante, lui le avrebbe riservato il giusto trattamento. E Jeremy avrebbe capito e lo avrebbe sostenuto, ne era certo. O quasi...

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


"Giuda Ross, è molto tardi e noi siamo ancora a letto a fare cose che dei genitori non dovrebbero fare, a quest'ora!".
Ross sorrise sotto le coperte, per niente d'accordo! Fare l'amore in una grande e confortevole stanza padronale a Londra di prima mattina con sua moglie era la cosa che più preferiva e che trovava più adatta a lui e alla sua indole. "Non sono d'accordo".
"Ross" - protestò sua moglie - "Jeremy è ormai grande, cosa penserà di noi? Un conto è di notte, i bambini dormono... Ma adesso è già così tardi!".
Si voltò verso la finestra. Le spesse tende e la giornata non serena davano alla camera una atmosfera soffusa molto simile a quella che si ammira all'alba e quindi, di fatto, sembrava molto presto. "Non è tardi, è quasi buio ancora".
"C'è nebbia, Ross! Per questo è buio" - sbottò lei, mettendosi a sedere sul letto avvolta nel lenzuolo per coprire la sua nudità.
Ross la riacciuffò, costringendola ancora fra le coperte. Poi la baciò sul collo con passione, era ancora affamato di lei. "Non puoi sfuggirmi".
"Lasciami! I bimbi mi vorranno per colazione! E oggi arriveranno anche Caroline e Dwight con le bambine, saranno nostri ospiti a pranzo e non vorrei che arrivassero e ci trovassero ancora a letto".
Ross alzò le spalle. "Dwight capirà! E anche Caroline".
"Ross".
"Sì?".
"Dobbiamo alzarci". Era decisa a farlo, a darsi una lavata, a vestirsi e a prepararsi per accogliere i loro migliori amici. Londra pullulava di vita e mondanità grazie alle delegazioni straniere giunte da ogni parte d'Europa, potere, lusso e moda la facevano da padroni e Caroline aveva praticamente costretto Dwight a fare quel viaggio alludendo al fatto che alle bimbe servivano abiti nuovi e in Cornovaglia non ne trovava di adatti a loro. Dwight alla fine aveva ceduto, niente al mondo avrebbe potuto privare Caroline di quella succulenta possibilità di un pò di sana vita sociale e mondana e suo marito aveva ormai capito che davanti a certe cose, non poteva che soccombere.
Lui tenne la stretta su di lei. "Ancora un'ora non ucciderà nessuno. Abbiamo assunto anche tre nuove domestiche e con Prudie fanno quattro donne che si occupano della casa e danno una mano coi bambini".
Demelza lo guardò storto. "Le domestiche nuove sono terrorizzate da Bella e dai gemelli, pensano siano posseduti dal demonio".
"Gli passerà".
Le labbra di Ross catturarono le sue e dopo pochi istanti ogni protesta di Demelza cessò, avvolta dal calore e dalla passione che suo marito sapeva risvegliare in lei con semplici baci e carezze.
Si trovò a desiderarlo ancora ma proprio mentre Ross stava per stendersi su di lei, qualcuno bussò al grande portone all'ingresso.
Si bloccarono e a Ross uscì qualche imprecazione non troppo velata.
"Giuda, chi può essere?" - chiese Demelza, riprendendo possesso di se.
Ross sprofondò il viso fra i cuscini. "Ci importa?".
"Dovrebbe".
"Come dicevo, abbiamo quattro domestiche. Una è Prudie e va beh, starà ancora dormendo, le altre tre mi sembrano persone normali e quindi una di loro aprirà la porta come si conviene nella casa di gente illustre".
Demelza scoppiò a ridere. "Siamo gente illustre?".
Ross la baciò. "Sono o non sono un membro del Parlamento?".
"Ma chi può essere a quest'ora? Non aspettiamo nessuno?".
Ross ci pensò su. "Forse è semplicemente un messo di Westminster che porta un messaggio. O forse è una missiva di Jones... O magari è un servitore di un qualche nobile che ci invita all'ennesimo ricevimento".
Al piano di sotto si udì lo scricchiolio della porta che si apriva. "Visto, ci hanno pensato le nostre cameriere" - disse Ross.
Curiosa, Demelza cercò di captare la conversazione ma la distanza era troppa per capire chi fosse.
Ma durò poco perché Miss Page arrivò alla loro stanza, bussando sommessamente. "Signori?".
Veloce come un fulmine e terrorizzata di farsi trovare in una condizione sconveniente, in un attimo Demelza schizzò su e si vestì. Poi aprì la porta mentre Ross si rifugiava sotto le coperte, ancora deciso a riprendere quanto interrotto poco prima.
"Chi era?" . chiese alla domestica.
Miss Page porse a Demelza un biglietto. "Era il maggiordomo di un delegato straniero che avete conosciuto pochi giorni fa a un ricevimento. Vi invita per una cena informale a casa loro per il fine settimana".
Demelza prese il foglio, perfettamente piegato e chiuso con ceralacca e ornato di un timbro che sembrava importante e maestoso. "Grazie. I bambini sono già svegli?".
Miss Page annuì. "Jeremy e Clowance hanno già fatto colazione, gli altri tre... stiamo cercando di far lavare loro la faccia".
Dallo sguardo distrutto della donna, Demelza capì che c'era qualche problema a riguardo. "Ora vengo io".
"Grazie" - rispose la donna, sinceramente provata dai tre piccoli Poldark.
Demelza tornò dentro, chiudendo la porta dietro di se affinché anche Ross si rendesse presentabile. "Mio caro, credo che dovrai sorbirti a breve un altro noioso ricevimento".
Ross sbuffò, mettendosi a sedere e prendendo il biglietto. Lo osservò, accigliandosi davanti allo strano stemma impresso nella cera, un albero dove si vedevano sia le fronde che le radici. Lo aveva già visto ad Oslo quel simbolo e sapeva che veniva usato solo da famiglie molto potenti. "Yggdrasil...".
"Cosa?" - chiese Demelza.
"E' il nome di questo simbolo, l'albero della vita per la cultura vichinga norvegese".
La donna deglutì, se tanto le dava tanto aveva capito da chi arrivava quell'invito... "Se appartiene alla cultura vichinga...".
Anche Ross divenne serio, immaginando la stessa cosa. Spezzò la cera, aprì il biglietto e ne lesse il contenuto.

"Gentili signori Poldark, dopo il piacevole scambio di opinioni della scorsa serata, io e mia figlia Odalyn avremmo piacere ad avervi come nostri ospiti questo sabato, assieme a tutti i vostri figli, per una cena informale nella nostra tenuta. Cordialmente, Sir Haakon Hagen".

"Giuda, Ross".
Lui rimase in silenzio per lunghi istanti, sentendo strisciante ancora una volta quell'ombra misteriosa che mai lo aveva abbandonato del tutto dopo la sua fuga rocambolesca da Oslo con i due gemellini quasi quattro anni prima. Strinse la mano di Demelza, pregando che dietro a quell'invito non ci fosse altro che una semplice simpatia, anche se non contraccambiata. Non poteva rifiutare, Ross era a Londra in veste di Parlamentare e dire no all'invito di una autorità straniera, anche per una semplice cena informale, sarebbe apparso agli occhi di tutti come un incidente diplomatico e un'onta che Westminster non gli avrebbe perdonato e che avrebbe attirato su di lui un alone di sospetto.
"Che facciamo?" - chiese Demelza, decisamente poco entusiasta quanto lui per quell'invito.
"Lo sai bene che faremo" - le rispose, baciandola sulla fronte.
"E i bambini?".
Ross guardò verso la porta, sentendo in lontananza gli schiamazzi e gli strilli di Bella e dei gemelli. "Dovremo portarli, non farlo quando sono stati invitati potrebbe apparire sospetto".
Demelza si accigliò. "Perché?".
"Perché cosa?".
"Perché un diplomatico norvegese dovrebbe soffermarsi sulla presenza o meno di due bambini piccoli?". L'espressione di Demelza divenne seria e pur ricordandosi di essere stata lei stessa a non voler sapere tutto di Jasmine, ora una domanda la doveva fare per forza. "Ross, c'è... potrebbero esserci dei legami dei gemelli con quelle persone? Per questo sei così preoccupato?".
"Vuoi davvero saperlo?".
"Sì".
Ross la abbracciò. "Sì, potrebbero esserci legami o sospetti... E il rischio, quì, è decisamente elevato anche se forse ci stiamo preoccupando per niente".
"Non ne sembri convinto".
"Infatti non lo sono".
"Mi preoccupa questa cosa, mi preoccupa che tu tema che gente tanto importante possa... possa sapere di loro. Io non so cosa abbia portato a casa nostra Daisy e Demian ma se è così, qualsiasi cosa sia deve essere qualcosa di grosso".
"Lo è..." - le rispose, laconico.
Demelza lo fronteggiò. "E nonostante questo, vuoi portarli?".
"Proprio per questo devo portarli! A volte dai nemici ci si nasconde meglio sotto al loro naso che nei meandri oscuri".
Si guardarono e Demelza non chiese più niente. Ma Ross sapeva che a breve, forse, sarebbe stato costretto a dirle tutto. E volente o nolente, sua moglie avrebbe dovuto stare a sentire.
E persa ogni traccia di risate e malizia, si alzarono dal letto pronti ad affrontare la giornata che già di suo era buia e nebbiosa. Per fortuna a breve sarebbero arrivati Dwight e Caroline e con loro, forse, avrebbero potuto trovare una soluzione a quella strana situazione o ideare un piano in caso di bisogno.

...

Nonostante le tante preoccupazioni, era stato un pranzo piacevole e Caroline e Dwight, assieme alle loro due pestifere bambine, come sempre avevano portato una ventata di allegria in casa.
Demelza era stata catturata dalle chiacchiere di Caroline che, giunta con un grosso borsone, le aveva mostrato tutti i vestitini nuovi comprati per Sophie e Melliora nella capitale, Bella, i gemelli e le piccole Enys avevano messo ancora più alla prova le tre nuove, disperate domestiche e Ross aveva potuto parlare un pò con Dwight degli incontri di Londra e degli strani risvolti che si prospettavano.
"Forse ti preoccupi per niente o forse ne hai tutte le ragioni" - aveva detto Dwight - "Ma hai diversi fattori a tuo favore e li devi sfruttare appieno. I gemelli non parleranno mai, non conoscono la verità. Nessuno potrà mai insinuare che non sono figli tuoi e i certificati di nascita falsi redatti quasi quattro anni fa da Jones sono talmente perfetti che nemmeno un falsario si accorgerebbe che non sono autentici e infine hai già Clowance coi capelli biondi. Il biondo è un colore che ricorre spesso nella tua famiglia".
Ross aveva annuito, erano tutte cose che lui e Demelza si erano ripetuti spesso in quei giorni ma di fatto qualcos'altro lo preoccupava più di tutti. Se Clowance quasi aveva scordato l'origine dei gemelli e praticamente non ne parlava mai, per Jeremy non era così. La scarsa affezione da sempre dimostrata verso i piccoli, il suo non essere riuscito ad accettarli del tutto e l'incontro con l'affascinante Odalyn potevano portare il ragazzo a dire più del dovuto, anche solo spinto dalla voglia di avere per confidente quella affascinante ragazzina nordica. Al momento non provava molta simpatia per lei ma Ross sapeva bene quanto in fretta, a quindici anni, si possa cambiare idea davanti a una bella ragazza...
Dopo cena, mentre Demelza faceva il bagno ai piccoli, raggiunse il figlio nella sua stanza. Jeremy era sul letto, intento a leggere un libro, quando bussò ed entrò.
"Papà?".
Jeremy pareva abbastanza sorpreso della sua presenza e forse non aveva tutti i torti. Raramente entrava nella sua stanza e anche se ormai era un adolescente, era ancora a Demelza che Jeremy si rivolgeva di più. "Posso parlarti?".
"Di cosa?" - chiese il ragazzino, mettendosi a sedere e chiudendo il libro.
"Cosa leggi?".
"Un libro sulle nuove pompe a motore, l'ho trovato nella libreria dove sono stato ieri con la mamma".
Ross sospirò, la sua avversione per la tecnologia era ormai insuperabile. "Meglio i vecchi e affidabili modelli, il nuovo è sempre un salto nel vuoto".
"Il nuovo è progresso" - lo corresse il figlio.
Ross gli diede un pizzicotto sul braccio. "Che vuoi che ti dica? Sto invecchiando...".
Jeremy rise. "Un pò. Ma perché sei quì, di che volevi parlarmi?".
Ross si fece serio, era un discorso che voleva che Jeremy recepisse appieno. "Si tratta della cena dai norvegesi, dovremo andarci tutti, gemelli compresi. Sei grande abbastanza per sapere che per noi la Norvegia rappresenta un campo minato e sai anche il perché, quindi... Volevo solo premurarmi che tu sapessi che devi stare attento a ciò che dici, non vorrei che ti lasciassi sfuggire qualcosa con Odalyn".
Anche Jeremy divenne serio. "Non mi piace avere a che fare con lei, te l'ho detto...".
"Ma potresti cambiare idea".
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, pensieroso. "Forse... Ma forse no, ma nonostante ciò è questo che non mi piace quando di mezzo ci sono i gemelli".
Ross non capiva... "Cosa?".
"Dover mentire senza sapere perché. A tutti quelli che conosco o conoscerò. A causa loro, non potrò mai essere del tutto sincero con nessuno".
Ross rimase di sasso a quelle parole perché in esse c'era un fondo di verità a cui non aveva mai pensato. La causa era nobile e la sicurezza dei piccoli primaria, eppure per un ragazzino doveva essere difficile gestire quel segreto sapendo che forse avrebbe dovuto custodirlo per sempre anche davanti ai suoi affetti più sinceri. "Beh, non abbiamo mentito proprio a tutti, gli amici più fidati sanno la verità".
"I tuoi amici, papà, non i miei".
Ross gli accarezzò i capelli, colpito dall'intelligenza spiccia di suo figlio, tanto simile a quella di Demelza. "E' vero e so che non è facile. Io non credo che dovrai sempre mentire a tutti e fondamentalmente non credo nemmeno che sia così importante raccontare delle origini dei gemelli, ora fanno parte della nostra famiglia e solo questo conta".
Jeremy sostenne il suo sguardo, attento alle sue parole. "Sì ma un giorno anche loro saranno grandi, non credi che vorranno sapere? O che dovrebbero sapere...".
Erano tante domande e Ross non aveva tutte le risposte. "Viviamo giorno per giorno, Jeremy. Questo me l'ha insegnato tua madre, è inutile stare a pensare a problemi ancora lontani a venire o che forse mai si presenteranno. Un giorno forse dovrò dire ai gemelli la verità e a quel punto decideranno che vorranno fare...".
"E a noi? La dirai la verità? Perché io, papà, me la chiedo spesso e mi fa un pò paura".
"Paura di cosa, Jeremy?".
Il ragazzino arrossì, abbassò il capo e non rispose. "Niente di importante...".
"Dimmelo...".
"No, non è davvero il caso. E potresti arrabbiarti o potrebbe succedere un disastro".
Ross si accigliò, preoccupato. "Jeremy, puoi parlarmi di tutto, lo sai".
"Non di questo".
"Cosa temi, sui gemelli?".
Jeremy riprese in mano il libro, giocherellando nervosamente con le pagine. "Come hai detto prima, meglio pensare ai problemi quando vengono, non prima. Starò attento con Odalyn, te lo prometto" - tagliò corto.
Ross si sentì sollevato solo in parte perché c'era un muro fra lui e Jeremy, che si era eretto dopo l'arrivo dei gemellini. E voleva sgretolarlo, in un modo o nell'altro. "Ti credo e mi fido di te. Per il resto, ritengo che dovremmo parlarne prima o poi... Senza paura".
"Va bene" - rispose Jeremy.
Ross si alzò dal letto, osservando il libro fra le mani del figlio. "Vedi di scoprire come migliorare la resa della Grace, lo sa Dio se queste diavolerie moderne non siano sul serio necessarie".
Rasserenato, Jeremy annuì entusiasta. "Sì, lo farò!". C'erano ombre fra loro, lo sapevano entrambi e Ross aveva quasi paura a scoprire quali fossero. Ciò che però non sapeva era che quando suo padre gli dava fiducia, Jeremy si sentiva il ragazzino più fortunato del mondo.
Lasciato il figlio e col sottofondo di Bella che cantava a squarciagola una canzoncina di dubbia provenienza appresa forse al Red Lion e con la voce di sua madre che la incitava a non cantarla più, Ross scese al piano di sotto per bere un bicchiere di buon vino prima di andare a letto. Ne aveva decisamente bisogno...
Ma sulle scale fu quasi investito da Prudie che lo travolse. "Signore, faccia qualcosa!".
Ross la occhieggiò, che c'era ancora? "In merito?".
"I gemellini, dopo il bagno, mi sono scappati e ora sono in giardino a fare i matti, in camicina da notte".
Ross spalancò gli occhi. "In giardino? Santo cielo Prudie, fa freddo, è ormai autunno e il tempo è molto umido con questa nebbia".
Prudie si mise le mani sui fianchi. "Lo dica a loro! NOI abbiamo freddo, quei due esseri infernali NO!".
Accantonata l'ipotesi del vino, Ross scese stancamente le scale. "Vado a recuperarli o a Demelza verrà un colpo se saprà che sono fuori".
"Buona idea!" - borbottò la donna.
Ross la ignorò o se la sarebbe mangiata in un boccone per essere riuscita a farsi fregare da due nani di tre anni e mezzo e poi si avviò verso il giardino.
Uscì fuori e rabbrividì. La temperatura non era particolarmente bassa ma la nebbia carica di umidità faceva apparire tutto gelido, anche se era solo ottobre.
Vide i bimbi che giocavano a nascondersi sotto una siepe, scalzi e in camicia da notte, perfettamente a loro agio ed incuranti del freddo. Ripensò ad Oslo e ai tanti bimbi come loro, dai colori identici e dall'aspetto simile, visti a giocare per strada fra cumuli di neve e ghiaccio con indosso semplici mantelle. I suoi gemellini erano ormai inglesi e con abitudini anglosassoni ma spesso Ross si trovava a pensare a quanto la loro terra, inconsciamente, potesse richiamarli alle loro vere origini. Erano figli del nord, di Odino come disse la loro balia... Ma come gli aveva detto poco prima anche il saggio Dwight, c'era da considerare la cosa sotto tante angolazioni e loro due sì, erano nati ad Oslo ma... lo chiamavano papà, sentivano di appartenere a lui e a Demelza e questo doveva essere più forte di tutto il resto, soprattutto del legame con una terra dove erano nati ma che era stata da subito nemica.
Di soppiatto si avvicinò, sorprendendoli alle spalle e prendendoli in braccio prima che avessero tempo di fuggire. "Siete nei guai! E la vasca da bagno vi attende di nuovo".
"Lo abbiamo appena fatto il bagno!" - protestò Daisy.
Ross le mostrò la camicina da notte, sporca di fango. "E dopo sareste dovuti andare a letto, non rotolarvi nel fango. Fa freddo, vi viene un raffreddore se fate così".
"Io non ho freddo e stavamo cercando le fate nella nebbia" - disse Demian, il più fantasioso fra i due.
"Le fate nella nebbia?".
"Sì papà, è una storia che ci ha raccontato mamma" - lo istruì Daisy. "E non fa freddo".
"Si gela" - li corresse.
"Io non gelo" - obiettò Demian che in effetti sembrava accaldato più che infreddolito. "E mi piace il freddo".
"Anche a me" - aggiunse Daisy - "Quando fa freddo mi sento... più... più...".
Ross la baciò sulla fronte, era adorabile quando, tutta seria, si lanciava nei suoi strampalati discorsi. "Più, cosa?".
"Più... a casa...".
Quella risposta tanto candidamente disarmante lo spiazzò. E ancora una volta gli mostrò la grande differenza che intercorreva fra lui e loro, una distanza abissale di cui i piccoli ancora non erano consapevoli ma che forse, crescendo, avrebbe chiesto il conto. O forse no, forse era solo lui ad essere eccessivamente sul chi va la, dopo l'invito di Haakon e Odalyn. Ciò che contava era che quei bambini erano suoi e anche se non per nascita o sangue, lo chiamavano papà. E questo gli bastava...

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


La carrozza procedeva placida, in una serata piovosa e umida, diretta verso la casa del console norvegese.
Ross era teso, Demelza era preoccupata da mille incognite, non ultima...
"Cosa non dovete fare?" - chiese ai tre figli più piccoli, seduti davanti a lei.
"Non devo strillare" - disse Bella.
"Non devo gattonare sotto il tavolo e scappare per la sala" - aggiunse Daisy.
"Non devo tirare le briocioline di pane" - concluse Demian.
Ross li guardò storto, abbastanza certo che quei buoni propositi si sarebbero infranti al primo momento di noia. Demelza invece incrociò le dita, sperando che i bambini mantenessero la parola data. Del resto, pensò, erano così adorabili quella sera, tanto da sembrare angioletti... Se Jeremy aveva indosso un completo ormai da ragazzo grande simile a quello del padre, Clowance, Bella e Daisy indossavano abitini identici, rossi, con le maniche a sbuffo e un grazioso nastro di velluto borbeaux legato in vita, dello stesso colore di quello che teneva a bada le loro code di cavallo. Demian invece indossava un vestitino di velluto blu, pantaloncini corti, calzine bianche e in testa aveva una coppola dello stesso colore e tessuto dell'abito e pareva un piccolo lord con quei suoi capelli biondi e quel suo sorrisetto irresistibile.
Ross osservò i gemelli, così biondi, con tratti così diversi da loro e che nemmeno il cappello e le code di cavallo parevano celare. Pregò che andasse tutto bene e che quello fosse davvero un semplice invito e non un tentativo di avvicinarsi al segreto che si era portato dietro dalla Norvegia.
Quando arrivarono, Haakon e Odalyn, vestiti elegantemente ma senza essere pomposi, li attendevano nel salotto d'ingresso. Odalyn, con un vestito di seta verde, sorrise a Jeremy sotto l'occhio vigile del padre. "Benvenuto, è uno... strano... piacere rivederti".
Haakon la lanciò un'occhiataccia. "Scusate l'impertinenza di mia figlia e benvenuti". Squadrò tutti loro attentamente e poi... "E' un piacere conoscere la famiglia Poldark al completo" - mormorò, osservando i bambini più piccoli che si guardavano attorno spaesati.
Demelza annuì. "E' un piacere essere quì e mi auguro di poter presto ricambiare a casa nostra il vostro invito". Era la più evidente delle bugie e di rivedere quelle persone non aveva nessuna voglia ma con Ross aveva concordato che era meglio dimostrarsi amichevoli senza dare l'impressione di nascondere qualcosa, che negarsi.
Haakon, con fare mellifluo, la raggiunse, le prese la mano e la baciò. "Con vero piacere" - disse in un modo che a Demelza ricordò inquietantemente Adderly.
Ross si avvicinò, la sottrasse con eleganza alla presa dell'uomo e l'aiutò a togliersi il soprabito. "La nostra casa non è altrettanto grande e sfarzosa ma ne saremmo lieti". Era vero, la casa dei norvegesi era più grande e maestosa, con ambienti austeri e molto ampi e a lui sembrava uno spreco per un uomo solo con una figlia ma in fondo provava la stessa sensazione per ogni nobile che ostentava la sua potenza ed Haakon non era diverso dagli altri.
Alcuni domestici arrivarono a prendere i mantelli e ad aiutare i bimbi a mettersi comodi e Haakon li osservò. "E così, questa è la cucciolata Poldark al completo? Come vi chiamate, bambini?".
"Clowance" - disse la ragazzina.
"Io sono Bella! E so cantare anche se papà dice che strillo".
"Io sono Demian e sono il principe di mamma".
"Io sono Daisy e faccio sempre i disastri".
Haakon e Odalyn scoppiarono a ridere. "Bei caratteri, i vostri degni figli, Poldark".
Ross sospirò, notando quanto lo sguardo dell'uomo non si spostasse dai bambini.
Dopo i saluti e i convenevoli di rito, si spostarono nel salotto a sorseggiare del brandy e Demelza scoprì, con somma sorpresa, che era stato preparato un tavolo per i bambini, con sopra dolcetti, succhi di frutta e caramelle. E pastelli e fogli da disegno...
"E' stata un'idea di Odalyn, dice che a tavola con noi si sarebbero annoiati" - disse Haakon. "Credo che mia figlia abbia sofferto di noia per gran parte della sua infanzia, ai vari banchetti dove la portavo. Ho predisposto per loro anche un menù a parte, dubito che apprezzerebbero le ostriche e il salmone alla norvegese che ho fatto preparare per noi adulti. Pollo e patate al forno andranno bene per loro?".
Demelza era davvero sorpresa e anche Ross pareva colpito da quelle premure inaspettate di Haakon verso i più piccoli. Questo era un punto a favore dell'uomo e forse davvero lo avevano malgiudicato. "Certo, ne saranno felicissimi".
Haakon annuì, rivolgendosi poi a Jeremy. "Tu, signorino, quale tavolo preferisci? Quello dei grandi o quello dei bambini?".
Jeremy parve indeciso, non sapeva se avrebbe amato i piatti dei 'grandi', ma d'altronde non poteva fare la figura del poppante e chiedere di sedersi a mangiare pollo coi piccoli. Fu Odalyn a toglierlo dall'imbarazzo. "Io mi siedo coi bambini, sono stanca di mangiare salmone. Mi fai compagnia?".
Jeremy, per la prima volta da quando la conosceva, sentiva di volerla ringraziare. "Certo, volentieri".
"Brava Odalyn" - le disse il padre, come se la ragazzina stesse recitando alla perfezione un copione già prestabilito. "Così noi adulti potremo chiacchierare in pace".

...

Mentre i bambini, intrattenuti da una domestica, cenavano rumorosamente nella stanza a fianco, Demelza e Ross si trovarono a mangiare al tavolo con Haakon che con galanteria spiegò loro le basi della cucina norvegese. "Mangiamo molto pesce, dalle nostre parti ce n'è in abbondanza. Siamo un popolo di navigatori, abbiamo conquistato, navigando, terre su terre. Pure questa vostra Inghilterra ebbe a che fare, secoli fa, coi nostri temibili antenati".
"E molte parti del mondo hanno avuto a che fare coi conquistatori inglesi anche se onestamente non ho mai apprezzato la volontà di conquista delle terre altrui" - disse Ross. "Resta comunque il fatto che la Spagna, a conquiste, ha battuto entrambi nel corso dei secoli".
Haakon sbuffò. "Parlate della scoperta del 1492? Roba passata e ormai quelle terre le hanno perse. La forza di un popolo sta nel proteggere ciò che si è conquistato, non bastano le battaglie a far grande una nazione ma il saper amministrare ciò che si ha. Guardate Roma... Nell'antichità era la padrona del mondo ma poi non ha saputo proteggere ciò che aveva fatto suo. Un grande popolo deve saperlo fare e deve... riprendersi ciò che è stato momentaneamente perso. Bisogna ristabilire l'ordine delle cose ed eliminare le influenze che possono danneggiare il potere acquisito".
"Ad ogni costo?" - disse Ross, guardandolo negli occhi e scorgendo in lui la furia dei combattenti nordici.
Haakon alzò il calice. "Ovviamente" - rispose, con aria di sfida.
Demelza, col capo basso, si sentiva fuori posto. Avvertiva la diffidenza di Ross e il suo astio verso le idee di Haakon ma soprattutto, non era abbastanza istruita per partecipare a quelle discussioni.
Haakon la osservò di sbieco, cercando di tornare a discorsi più pacati e soprattutto, a cose che lo interessavano di più. "Vi state annoiando, signora?".
"Io? N...No, no" - rispose lei, arrossendo.
Ross, sotto al tavolo, le prese la mano. "Mia moglie potrebbe essere il miglior elemento di Westminster, ha una saggezza che io mi sogno e se parlaste con lei di politica e dei problemi del mondo, saprebbe risolverli meglio di quanto il Parlamento ha fatto nel corso dei secoli".
"Intelligenza e fascino" - aggiunse Haakon. "Avete davvero una moglie bellissima, impossibile non restarne affascinato".
Ancora una volta, Demelza sentì strisciante il ricordo di Adderly e pregò che non succedesse di nuovo quanto accaduto anni prima...
E lo stesso avvertì Ross. "Sì, un fascino che orgliosamente adoro pensare sia solo mio" - mise subito in chiaro.
Haakon ignorò la frecciatina. "Oh, che uomo crudele! Non vorrete tenere la vostra adorabile Demelza sotto chiave?".
"Affatto! Sa difendersi da sola senza che io la salvi da inopportuni molestatori".
Haakon lo sfidò con lo sguardo. "Mi ritenete tale?".
"No, non fraintendete. Vi ritengo un uomo di buon gusto ma che sa di dover guardare da non troppo vicino".
Haakon scoppiò a ridere. "Oh Poldark, noi in Norvegia abbiamo una mentalità più aperta. Non che non si ambisca alla fedeltà coniugale ma se per caso capita l'occasione di trasgredire, non ne faccimo un dramma. Da noi l'amore è qualcosa di più libero, è un'arte che si impara da ragazzini e non abbiamo il mito della verginità fino al matrimonio come in molte altre parti d'Europa. Siamo meno bigotti e non lo nascondiamo... Del resto il mondo è pieno di amanti clandestini e figli illegittimi".
Sudando freddo, Demelza osservò Ross pregando che non lo prendesse a pugni per quei discorsi tanto libertini davanti a lei. "Beh, forse è così. Ma non desidero nulla di tanto aperto e nulla più di ciò che ho". Già, era vero e non lo diceva solo per stemperare la rabbia che sentiva crescente in Ross davanti a quei discorsi ma anche perché era una consapevolezza cresciuta in se negli anni e attraverso i suoi errori. E se per una volta aveva accarezzato la fantasia, resa poi realtà, di sfuggire a quello stato di cose, proprio quell'esperienza le aveva fatto capire che voleva solo suo marito. E che per quanto avesse voluto bene a Hugh, non avrebbe mai più cercato altro.
"Peccato" - disse Haakon. "Ovviamente scherzo, anche se amo sedurre il gentil sesso, non mi permetterei mai di insidiare una tale graziosa signora sposata e madre. Avete dei figli davvero bizzarri".
"Bizzarri?" - chiese Ross.
Haakon sorseggiò il vino, poi si schierì la voce. "Sembrano figli di padri diversi. Alcuni così scuri, altri tanto biondi da sembrare miei parenti di terra di Norvegia".
Ross divenne rosso di rabbia. "Figli di padri diversi? Ma come vi permetteteP?".
Demelza sussultò credendo che ora una scazzottata sarebbe stata inevitabile ma Ross si mantenne stranamente freddo. Era consapevole che doveva stare attento a non dare in escandescenze e che se si fosse oltrepassato un certo limite, forse avrebbe aumentato i dubbi di Haakon sui gemelli. "I Poldark sono una famiglia strana. Alcuni, come me, nascono coi capelli neri. L'altra metà della famiglia è incredibilmente bionda. Lo era mio cugino Francis e lo è suo figlio, mio nipote Geoffrey Charles. E lo sono mia figlia Clowance e i miei gemellini mentre Jeremy è un miscuglio fra me e mia moglie e Bella una mini-me in miniatura" - spiegò, in tono glaciale.
Haakon, altrettanto serio, insistette sulla questione. "Oh, Clowance è una incantevole ragazzina che farà a breve innamorare molti uomini. Ha dei bei capelli biondi, un biondo tipico inglese visto da molte parti e su molti volti quì a Londra. I piccoli gemelli invece sembrano miei compaesani invece, più che inglesi. Molti bimbi di Oslo sono tali e quali a loro e la cosa mi sembra tanto bizzarra".
Demelza intervenne. "Sono nati così, che importanza ha?".
"Nessuna, nessuna" - disse l'uomo. "Quanti anni hanno?".
"Quasi quattro".
"E l'altra, Isabella-Rose?".
"Cinque".
Haakon la studiò in volto e anche se sapeva di essere poco elegante, lanciò la sua sfida. "Tre figli in un anno... Povera signora, vostro marito a letto deve farvi riposare ben poco. Ci credo che non cerchiate amanti e d'altronde Ross Poldark ha la fama di essere una persona passionale".
Ross sentì i pugni tremare e se non fosse stato per Demelza, per i bambini nella stanza a fianco e per la loro posizione sociale di famiglia appartenente a Westminster, lo avrebbe preso a pugni. Lo avesse trovato in un vicolo buio, lo avrebbe fatto di certo...
Sua moglie lo guardò implorandolo con lo sguardo di stare zitto e lasciar fare a lei. "Non mi lamento di questo, il nostro è un matrimonio felice e i figli ne sono la naturale conseguenza. Per me sono una benedizione, amo essere la loro madre".
Haakon annuì, per un attimo in silenzio. "Vostro marito ha ragione, avete il dono della diplomazia e deve essere merce rara fra le fila di Westminster. Potreste fare politica e ambire ai seggi più alti, signora".
"Preferisco fare la madre" - gli rispose, bevendo del vino e sentendosi forte come una leonessa che deve difendere i suoi cuccioli. La curiosità verso i gemelli era sospetta e forse non così casuale... E il fatto che Ross non stesse ancora reagendo a quelle frecciatine era la prova lampante che avvertiva nell'aria il pericolo e si stava trattenendo per evitare guai peggiori soprattutto ai bambini.
Haakon osservò Ross. "Dicono che in passato abbiate sfidato a duello un rappresentante di Westminster, è vero?".
Ross strinse i pugni. "Dicono... E' una delle tante leggende che circolano su di me".
"E corrisponde al vero, tale leggenda?".
Ross sorrise freddamente. "Volete davvero scoprirlo?".
"Ovvio".
"Vi dico solo questo: se necessario, se dovessi difendere mia moglie o i miei figli, io impugnerei senza esitazione una pistola e farei fuoco".
"Ma non avete risposto ancora alla mia domanda. E' successo o no?".
"Non credo che vi risponderò, ogni famiglia ha i suoi segreti".
"Certo, ogni famiglia ha i suoi segreti... Ne sono certo...". Haakon alzò un calice, pronto a brindare o pronto a un duello non convenzionale dove avrebbe usato ogni arma a sua disposizione per arrivare al suo scopo. "Ecco perché mi piacete! Siete diretto e non mostrate doppie facce! Mi piacerebbe, in fondo, sfidarvi a duello per vedere chi di noi è migliore".
"Spero non sarà necessario" - scherzò Ross anche se in fondo non scherzava affatto.
Odalyn e Jeremy entrarono nella sala, seguiti dai piccoli. "Papà, posso uscire domani? A cavallo, con Jeremy?".
Demelza e Ross guardarono il figlio. "Cavallo?".
Lui alzò le spalle. "Non ci crede che so cavalcare".
Haakon le diede un colpetto sul braccio. "Certo! Fa vedere a questi inglesi come cavalcano i discendenti dei vichinghi! Mia figlia è una cavallerizza nata, una vera amazzone".
"Anche mio figlio" - rispose Ross che personalmente aveva insegnato a Jeremy a cavalcare e sapeva quanto fosse diventato bravo. Non apprezzava che i due ragazzini passassero troppo tempo assieme ma non aveva motivo per negargli il permesso. E non voleva mettere il figlio a disagio davanti a quella ragazzina impertinente che sembrava divertirsi a sfidarlo.
"Anche io voglio andare!" - disse Daisy, picchiando il piedino.
Demelza la prese sulle ginocchia. "Amore, sei piccola e fa freddo".
La bimba, imbronciata, intrecciò le braccia al petto. "A me piace il freddo".
Haakon le sorrise. "Davvero?".
"Davvero".
L'uomo alzò lo sguardo, incrociando quello di Ross. "Interessante, davvero interessante...".
Ross si avvicinò, prendendo la piccola dalle braccia della madre. "Tuo fratello non ha bisogno di te, ne ho io. Ti insegno ad andare su un pony, ti va? Domani ne prenderemo uno per te, Bella e Demian".
"E a me che cosa compri?" - sbottò Clowance.
"Ti farò andare sul mio cavallo".
E mentre i Poldark avevano a che fare coi bambini, Haakon attirò a se la figlia in un angolo della stanza. "Una cavalcata col giovane Poldark, è? Brava, ottima mossa!".
Odalyn annuì. "Sono norvegesi, i gemelli sono come noi, ci scommetterei tutti i miei vestiti".
"E io tutti i miei castelli. Vedi di far parlare il ragazzo, con ogni mezzo".
Odalyn lo osservò, decisa a volerlo aiutare ma confusa su quelle parole. "Ogni mezzo?".
"Hai la mia benedizione. Sei grande abbastanza per usare il tuo fascino femminile, tu ti doni a lui e lui parlerà di ogni segreto di famiglia come un poppante dopo che si sarà divertito con te. E non fare quella faccia sciocca, è ora che usi i mezzi di cui ogni donna è dotata".
Odalyn tremò, lo aveva detto davvero? Doveva davvero... farlo? Ma non chiese, non osò. Si limitò a rimanere in silenzio sperando di non dover fare qualcosa per cui non si sentiva ancora pronta.

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


Erano tornati in silenzio da quella cena, su una carrozza che avanzava in una Londra deserta resa ancora più cupa da una fitta nebbia.
Clowance aveva un'aria annoiata e assonnata, Bella e i gemellini si erano addormentati sotto una morbida coperta bianca, Jeremy pareva perso in pensieri lontani ed inperscrutabili e Demelza e Ross combattevano ognuno al proprio posto, le loro paure più profonde.
Forse tutto era immotivato o forse Haakon era una di quelle ombre moleste che Ross aveva sentito sulla schiena anni prima in terra norvegese, ombre che credeva di aver lasciato indietro ma che mai lo avevano abbandonato del tutto, come se sapesse che un giorno sarebbero tornate a chiedere il conto delle sue scelte. Osservò i gemellini, tanto belli e simpatici quanto inconsapevoli delle forze che gravitavano loro attorno, ricordò la promessa fatta a Jasmine di salvarli e si sentì in colpa per non essere riuscito a farlo del tutto. In realtà era confuso perché di fatto non aveva alcuna prova contro Haakon e benché l'uomo fosse decisamente una compagnia poco piacevole, non era così strano che avesse notato i diversi tratti somatici dei gemellini rispetto a lui e sua moglie. Era successo anche in Cornovaglia con persone incontrate per via o a Truro ma quella era gente del posto mentre Haakon proveniva proprio da quella Oslo da cui lui era fuggito coi bambini ed era un uomo di potere allora come adesso. Poteva non sapere? Poteva essere uno di quelli che spiava i suoi incontri con Jasmine finché lei era stata viva? Non poteva essere uno dei suoi assassini? Era questo che lo preoccupava, Haakon poteva essere tutte queste cose ed era un uomo scaltro che ricordava di aver già visto il suo volto e di certo, se era successo, questo non poteva che essere avvenuto ad Oslo. L'età dei gemelli era quella che era e quindi non gli ci sarebbe voluto molto a fare uno più uno... E i bambini sarebbero stati in pericolo, se già non lo erano.
Giunti a casa, aiutò Demelza a mettere a letto i piccoli, salutò Clowance e Jeremy ripronendosi di fare due chiacchiere col figlio circa l'appuntamento con Odalyn e poi tornò in camera dove sua moglie si stava già preparando per la notte, pronto ad affrontare ogni domanda e tutte le sue paure con lei.
Quando entrò, Demelza si era già messa la camicia da notte e aveva legato i capelli in una lunga treccia. Il camino, acceso da una delle domestiche, scaldava dolcemente l'ambiente ma si sentiva il gelo dentro e il bisogno di condividere con sua moglie le sue ansie.
Demelza lo batté sul tempo. "Non sono tranquilla" - disse solo.
E lui, senza bisogno di chiederle a cosa si riferisse, capì. Si sedette sul letto, le prese la mano e la attirò a se, facendola sedere sulle sue gambe. Poi affondò il viso nel suo collo. "Nemmeno io".
La donna prese un profondo respiro, abbandonandosi contro il petto del marito. "Io non ti ho mai chiesto nulla delle origini dei gemelli e finché non sarà necessario, non lo farò. Ma dimmi solo una cosa, Ross".
"Cosa?".
"Haakon è un uomo di Stato, rappresenta la Norvegia. Può un uomo di Stato essere in qualche modo relazionato ai nostri figli e a quello che è successo ai loro genitori naturali?".
La domanda aveva senso perché dietro la morte di Jasmine non c'era delinquenza dei bassifondi ma qualcosa di ben più ampio, complesso e articolato. E anche se Demelza non aveva mai chiesto nulla, in cuor suo sapeva che lei doveva immaginare che qualcosa di grosso in ballo c'era stato e che l'omicidio di Jasmine nascondeva una verità piuttosto articolata e difficile da gestire. "Sì, può...".
Demelza deglutì. "Quindi, dietro ai nostri due biondissimi gemelli, c'è qualosa che riguarda... potere... denaro...?".
Ross chiuse gli occhi, ricordando quanto raccontato a suo tempo da Jasmine, un racconto a volte soprendente e a volte surreale ma di cui aveva compreso la pericolosità fin da subito. "Più di questo, Demelza... C'è davanti il futuro di una nazione".
Lei spalancò gli occhi. "Giuda...". Tremò e forse anche sentendosi codarda, non osò chiedere altro. Non voleva guardare i suoi bambini in modo diverso per nulla al mondo e anche se si sentiva che a breve avrebbe dovuto sapere la verità, era intenzionata a rimandare quel momento il più a lungo possibile.
Ross proseguì con cautela, rendendosi conto che Demelza era riluttante a sapere di più. "Ed è per questo che ero tanto restìo a tenere con noi i due bambini. Ora sono felice di averlo fatto e li amo come fossero nostri, ma Demelza, i rischi che corriamo...".
La donna lo bloccò. "Li corriamo per una buona causa... O forse ci stiamo solo suggestionando e Haakon è semplicemente un uomo antipatico e troppo ficcanaso. In qualsiasi caso comunque, il nostro dovere è difendere i bambini".
Ross ci pensò su e anche se era meno ottimista di Demelza circa il ruolo di Haakon, decise di darle ragione. Ma anche che non poteva più starsene con le mani in mano in attesa degli eventi e che se Haakon indagava su di lui per i gemelli, lui doveva fare altrettanto. E doveva farlo subito perché se i suoi dubbi si fossero rivelati fondati, a breve sarebbe stato sotto sorveglianza giorno e notte. "C'è una persona che può aiutarci a scoprire qualcosa di più su Haakon e devo contattarla subito, prima che eventuali nemici inizino a tenerci sott'occhio. Vedi, in Norvegia l'inverno lo si vive sotto una perenne notte senza mai vedere la luce del sole e in quei giorni di quasi quattro anni fa erano molte le ombre che mi tenevano sott'occhio dopo essere stato visto con Jasmine. Li sentivo sulla schiena, dietro alle spalle, che spiavano la mia vita e il cui sguardo sembrava voler penetrare i vetri della mia locanda... Ombre scure di cui non conoscevo i volti, per questo non so dirti se Haakon fosse una di queste ombre o no. Ma dice di aver già visto il mio viso e la cosa non mi piace per niente. Se devo considerarlo un nemico, devo avere la certezza che lo sia. E so chi potrebbe darmela".
"Chi?".
Ross guardò verso la finestra, ricordando il volto gentile e non più giovane di una donna che aveva ammirato per coraggio e fedeltà. "Una persona che non conosci ma che conosce bene i nemici dei gemelli. Sono certo che mi darà il suo aiuto e che verrà quì a spron battuto, se sapesse che ho bisogno di lei per loro. Devo riuscire a contattarla".
"Una donna?" - chiese Demelza.
"Sì, la balia dei gemelli dopo la morte dei genitori. Era fedele e Jasmine affidò proprio a lei la salvezza dei bambini".
Demelza parve agitarsi. "Vive a Oslo, hai intenzione di partire?".
Ross le sorrise. "No, sarebbe un gesto troppo sciocco e che risulterebbe troppo sospetto. Manderò un emissario con una mia lettera, chiedendole di venire quì".
"Un emissario? Jones?".
Scoppiò a ridere. "No amore mio, mi manderebbe al diavolo se gli chiedessi di tornare in quelle terre glaciali proprio ora che si avvicina l'inverno. Jones mi servirà per procurarmi i documenti necessari, però".
"E allora chi vorresti mandare?".
Ross prese un profondo respiro, pensando alla persona di cui più si fidava al mondo dopo Demelza. "Dwight".
"Dwight?".
Ross annuì, ricordando quando egli stesso era stato pronto a partire per la Francia per aiutarlo, anni prima. Ed era certo che, anche se non obbligato, Dwight gli avrebbe restituito il favore. "Conosce la storia dei gemelli e gli è affezionato. E al momento non desta sospetti in Haakon, nessuno lo ha mai visto ad Oslo e potrà agire indisturbato. E se tutto andrà bene, preparati ad avere una nuova balia per casa".
Demelza sorrise, colpita dalla bravura di Ross ad elaborare piani, capacità che doveva aver sviluppato in quegli anni di spionaggio per il governo inglese. "E' giovane e bella?" - chiese scherzosamente.
"Una nonna dall'aspetto rassicurante, più che altro" - rispose lui, baciandola.
Demelza ricambiò il bacio. "Ottimo, ottimo... E noi, nel frattempo?".
"Dovremo tenere gli occhi aperti impegnandoci a non perdere il nostro ottimismo".
"Non è tanto facile, Ross. Con la questione di Jeremy che ha un appuntamento a cavallo con Odalyn, poi...".
Lo sguardo di Ross si incupì, la faccenda non gli piaceva per niente. "Forse dovremmo vietarglielo".
Ma la moglie scosse la testa. "No, non possiamo. Lo umilieremmo di fronte a lei e, anche se la trova antipatica, non ce lo perdonerebbe mai...".
Ross sbuffò. "Possiamo consigliargli di non farlo senza che sembri un ordine, magari...?" - azzardò.
Demelza lo guardò storto. "Tu a quindici anni avresti ascoltato un consiglio di tuo padre su una uscita con una ragazza?".
Ross sussultò a quelle parole, ricordando anni lontani, due occhi verdi e dei lunghi capelli scuri che a lungo avevano turbato le sue notti e il suo sonno... Distolse lo sguardo. "No, non lo avrei fatto..." - fu costretto ad ammettere, arrossendo impercettibilmente.
Demelza gli prese la mano, divertita dal suo imbarazzo. "Jeremy sa che deve stare attento, sono certa che non ci deluderà. E Odalyn dopo tutto è solo una ragazzina, non possiamo fare la guerra pure a lei".
"Non mi piace, come non mi piace suo padre!" - sbottò Ross, sentendosi incredibilmente simile a suo padre Joshua nel pronunciare quelle parole.
Demelza sospirò. "Non deve piacere a te".
"Sì, forse hai ragione".
"Togli il 'forse', Ross".
Lui fece per rispondere ma il rumore della porta che si apriva fece sussultare entrambi.
Mezzo assonnato, con la sua camicina da notte e il cuscino fra le mani, Demian entrò nella stanza correndo da Demelza in lacrime. "Mamma".
Lo prese in braccio. "Amore mio, dimmi, cos'è successo? Hai fatto un brutto sogno?".
Il bimbo la abbracciò. "Sì, cadevo in un buco nero grande grande e ti chiamavo e non venivi ad aiutarmi" - piagnucolò.
Demelza lo strinse forte. "Amore mio, non è nulla, mamma è quì e prenderà a calci tutti i buchi neri brutti che incontreremo".
"Giuri?".
Ross gli accarezzò la testolina. "Giuriamo, io e la mamma! I buchi neri brutti saranno sconfitti!".
Demian si mise il pollice in bocca. "Posso stare quì?".
Ross scoppiò a ridere, ci avrebbe giurato e avrebbe giurato anche sul fatto che Demelza, davanti a quel biondino dagli occhi di ghiaccio sarebbe capitolata subito. Ma per una sera non dispiaceva affatto nemmeno a lui dividere il lettone con quel piccolo nano biondo. Pure lui sentiva il bisogno di sentire accanto il placido respiro dei bambini addormentati e al sicuro accanto a loro dopo la cena a casa di quel dannato vichingo norvegese che era riuscito a spezzare la loro tranquilla e serena esistenza. "Certo, puoi".
Si misero a letto e Demian si rannicchiò contro Demelza. Ross spense le candele e poi abbracciò entrambi, pronto a riposare per puoi muovere i primi attivi passi contro Haakon la mattina successiva.
"Uscirai presto, domani?" - gli chiese Demelza nell'oscurità, dopo che Demian fu di nuovo addormentato.
"Sì, uscirò a prendere il giornale e poi andrò da Dwight per un tè insieme. Devo agire prima che Haakon si organizzi e inizi eventualmente a sguinzagliarmi spie a tenermi d'occhio".
"Dwight accetterà?".
"Ne sono certo".

...

"E così, vuoi spedirmi nel gelido nord a prendermi un febbrone da cavallo?".
Dwight lo disse in tono leggero e Ross sapeva che lo avrebbe fatto, anche se non era impresa da poco. Dwight, quando aveva bisogno, c'era sempre...
Quella mattina si era svegliato prima dell'alba, trovandosi nel letto anche Daisy e Bella sgattaiolate lì chissà quando durante la notte, tutte rannicchiate fra lui e Demelza.
In silenzio, per non svegliare nessuno, si era lavato, vestito e messo allo scrittoio, redigendo la lettera per Inge, pregando e sperando che fosse ancora viva, in salute e in grado di viaggiare fin lì. Aveva spiegato a grandi linee, nella lettera, il problema e che aveva bisogno di lei per capire se Haakon rappresentasse un pericolo, conoscendo bene l'identità dei nemici dei genitori dei gemelli e sperò che Dwight non incontrasse intoppi in quella missione. "Te la senti davvero?".
Dwight sospirò, prendendo la missiva per Inge e mettendosela in tasca. Ross era arrivato molto presto, in una giornata fredda e di pioggia dove era stato svegliato prima del canto del gallo dalle sue figlie che in piena notte avevano deciso di voler giocare con lui. "Sarà più riposante che stare quì con Sophie e Melliora! I tuoi figli non sono altrettanto rumorosi, non puoi capire".
Ross scoppiò a ridere. "Vuoi che ti presti Bella per qualche giorno? O Daisy, quando ha le balle girate?".
Dwight sorseggiò il suo tè. "Ti ringrazio, ma mi basta Caroline".
Ross gli strinse la mano, un gesto di amicizia e di gratitudine. "Grazie, non so davvero cosa farei senza di te".
"Saresti più spesso nei guai, questo sì! Li attiri come le mosche e anche se i bambini sono sempre stati una incognita da quando li hai portati dalla Norvegia, ormai li amiamo tutti, fanno parte della grande famiglia tua e mia e mi sento uno zio putativo responsabile della loro sicurezza. Per Demian e Daisy questo e altro. Devo dire qualcosa a questa Inge, oltre a darle la tua lettera? Hai segnato il giusto indirizzo?".
"Sì, c'è tutto scritto nel plico che ti ho dato. Dille solo che vieni per conto di Ross Poldark e che ad oggi sono il padre dei piccoli figli di Odino che mi aveva affidato".
"Figli di Odino?" - chiese Dwight, curioso.
"Lei li chiamava così". Ross si fece serio, cercando di essere chiaro sulle difficoltà del viaggio che Dwight stava per intraprendere. "Farà freddo, il buio non lascerà spazio al sole, troverai neve, ghiaccio e una popolazione molto chiusa e spesso ostile con gli stranieri. Inge è una brava persona ma è molto diffidente, per lei i gemelli sono tutto, ha rischiato la vita per proteggerli e so che ci aiuterà, anche se magari all'inizio ti guarderà con sospetto. Stai attento a chi incontri, non dare confidenza a nessuno, fingiti un commerciante o qualsiasi cosa tu voglia e usa i lasciapassare che ti lascerò, che farò commissionare da Jones. Cerca di essere invisibile, cerca di uscire negli orari di mercato in modo da nasconderti fra la folla e imbarcati con Inge in orari non sospetti, senza dare l'impressione di essere due persone in combutta e in fuga".
Dwight rise. "Santo cielo Ross, sei peggio di mia madre, mi sembravi lei mentre mi ammonivi a non dar confidenza a nessuno".
Ross divenne rosso in viso. "Al diavolo! Mi stai facendo un grande favore e devo metterti in guardia circa i pericoli che incontrerai! Per il resto, non potrò mai ringraziarti abbastanza".
Dwight scosse la testa. "E' da anni che sono in debito con te, hai rischiato la pelle per venire in Francia a salvarmi quando invece avresti potuto rimanertene a casa con Demelza, Jeremy e con la piccola Clowance in arrivo. Questo non l'ho mai dimenticato e se oggi sono un uomo felicemente sposato e ho delle adorabili - ma rumorose - figlie, lo devo unicamente a te".
"Non sei mai stato in debito con me, sei mio amico Dwight ed era il minimo che potessi fare".
"Il minimo? Santo cielo, ti sei imbarcato in una missione quasi suicida!".
Ross si grattò il mento, in effetti Dwight non aveva tutti i torti. Ma lo avrebbe rifatto all'istante. "Ribadisco, per un amico questo ed altro".
"E anche tu sei per me un caro amico, quindi basta ringraziamenti e scenette patetiche. Vado a dire a Caroline del viaggio, affronterò le sue obiezioni e farò pace portandola a un ricevimento con un abito nuovo. Ho tutto sotto controllo. Tieni pronto un letto e una stanza per questa Inge".
Ross gli strinse la mano, grato. "Grazie, posso dirti solo questo".
"In realtà puoi fare di più!".
"Cosa?".
"Dì al tuo amico Jones di prenotarci delle navi confortevoli e lussuose, non voglio navigare nei mari del nord in pieno inverno, su delle bagnarole".
Ross scoppiò a ridere. "Sarà fatto!".
Ma lui e Dwight avrebbero riso meno se avessero saputo che proprio in quel momento, in un elegante palazzo non troppo lontano da loro, anche Haakon stava scrivendo una lettera che doveva arrivare in Norvegia.

"Illustrissimo Principe Magnus, il viaggio a Londra si sta rivelando più interessante del previsto e per nulla noioso. Ho incontrato un uomo che avevo tenuto d'occhio anni fa, visto assieme alla giovane spagnola Jasmine di cui, sospetto, fosse il confidente. Sparì nel nulla non si sa come, con il neonato che la straniera aveva partorito e che avevamo cercato in ogni dove ad Oslo. Non è un uomo sciocco o da sottovalutare, ha agito con furbizia allora e sicuramente lo farà adesso se è chi penso. Il bambino o la bambina hanno da sempre rappresentato una piccola mina vagante di cui per anni abbiamo temuto il ritorno ed ora potrebbe essere arrivato quel momento. Quest'uomo, tal Ross Poldark, è un membro del Parlamento inglese con una numerosa famiglia che con ingegno e servendomi dell'aiuto di mia figlia Odalyn, sono riuscito a conoscere per intero. Hanno diversi figli fra cui due bambini di circa quattro anni che tutto sembrano eccetto che suoi o di sua moglie. Sono, per caratteristiche fisiche ben precise, figli di Norvegia. Potrei sbagliarmi ma quel bambino mai trovato non era uno solo ma potrebbero essere stati due. E ora quell'uomo - e sono certo che ne è pienamente consapevole - ha fra le mani qualcosa di molto prezioso e pericoloso per voi e per la vostra posizione in seno alla dinastia reale. Chiedo il permesso di indagare... con ogni mezzo... E col rischio di aprire una crisi diplomatica con gli inglesi. Il vostro fedele servo, Sir Haakon del Casato degli Hagen".

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


"Credevo non avresti avuto il permesso!".
Jeremy, in sella al suo cavallo, guardò in cagnesco la giovane vichinga che montava uno stallone nero. Coi capelli sciolti che apparivano incredibilmente lunghi, un abito da amazzone blu, sembrava decisamente carina. Troppo per i suoi gusti, così diventava difficile non ammetterlo a se stesso e non esibire una faccia da idiota se si soffermava a guardarla. "E io credevo ti saresti presentata con un pony" - le rispose, a tono.
Il sole era appena sorto e i due ragazzi si erano trovati fuori dalle mura nord di Londra per la loro galoppata. Jeremy si era svegliato presto e sua madre e suo padre, pur avvertendo la loro preoccupazione, lo avevano salutato senza fargli raccomandazioni e questo lo aveva particolarmente gradito. Orami era grande, era capace di fare tutto da solo e sapeva bene quanto dovesse stare attento a quello che diceva sulla sua famiglia, con la ragazza norvegese. Anche se sempre più, avrebbe voluto parlare da uomo a uomo con suo padre...
Odalyn accarezzò la criniera del suo cavallo. "I vichinghi sanno galoppare alla perfezione".
"Credevo sapeste solo navigare e fare buchi nel ghiaccio per pescare".
Odalyn si esibì in un sorrisetto malefico. "Oh, lo facciamo certo! Con la stessa maestrìa con cui voi inglesi sapete zuccherare e sorseggiare il vostro tè del pomeriggio".
Jeremy sospirò, uno a uno palla al centro in quella strana singolar tenzone fra due mondi opposti. "Comunque come vedi, ho il permesso. E anche tu!".
Lei scoppiò a ridere. "Io ho SEMPRE il permesso!".
"Non lo devi mai chiedere?" - chiese Jeremy, piuttosto stupito.
"Mai". Lo disse sicura ma una fitta allo stomaco la assalì al ricordo dell'ultima discussione con suo padre. Guardò Jeremy e benché fingesse di essere più grande dei suoi quattordici anni, all'idea di donarsi fisicamente a un ragazzo tremava come una poppante. "Mio padre mi permette... tutto...".
"Tutto, tutto?".
"Tutto! Non mi tratta da poppante come fanno i tuoi genitori".
Jeremy spronò il suo cavallo a mettersi in marcia. "I miei genitori non mi hanno mai trattato da poppante" - sbottò, deciso a difenderli - "Mi hanno sempre lasciato scegliere e al massimo consigliato! Lo fanno con me e anche coi miei fratelli più piccoli. Ci spiegano ma ci lasciano fare controllando solo che non ci facciamo male".
Odalyn si incupì, lei una famiglia che la vegliasse e supportasse non l'aveva mai avuta. Sua madre era morta che era troppo piccola per ricordarsela e suo padre... Beh, le priorità di suo padre erano altre e benché le avesse sempre concesso tutto ciò che gli chiedeva, sentiva di non aver mai ricevuto vero amore e supporto da lui. Suo padre era potente, era a conoscenza di tanti segreti di Stato, era temuto ed era abituato a trattare tutti come pedine della sua scacchiera, pedine che muoveva a suo piacimento per raggiungere i propri scopi... Lei era una pedina per lui, forse nemmeno la più importante. Sentì un groppo alla gola ma lo ricacciò giù, accodandosi a Jeremy nella lenta galoppata, decisa a cambiare argomento. "Comunque, non facciamo solo buchi nel ghiaccio per pescare".
Jeremy sussultò. "Cosa?".
"Noi, i vichinghi, i norvegesi. Siamo maestri nella pesca, vero, i nostri uomini sanno andare a pescare i grandi pesci dei mari del nord in mezzo a tempeste e ghiacci ma non c'è solo questo. Siamo un popolo antico, sappiamo riconoscere dal fischio del vento se nevicherà o farà bello, sappiamo vivere i giorni come voi, anche nel buio più totale. Sappiamo anche farci le case col ghiaccio se necessario e sappiamo anche allevare animali per voi sconoscuti come camosci e renne. Sappiamo conciare le pelli, siamo ottimi commercianti e fin da piccoli impariamo a sciare e pattinare sul ghiaccio o non potremmo uscire di casa nei lunghi mesi invernali. La mia Norvegia è bella, la più magica terra del mondo".
Jeremy, incantato da quel racconto, si rese conto che Odalyn appariva diversa quando non si atteggiava a piccola adulta. I suoi occhi brillavano mentre parlava della sua terra, ogni traccia di supponenza spariva e rimaneva soltanto una ragazzina bionda terribilmente affascinante ma non più grande della sua età. "A me piace pescare, sai?".
"Davvero?".
"Sì, a volte con la barca di mio padre esco a pesca quando siamo a casa nostra in Cornovaglia".
"Da solo?".
"A volte sì, a volte con amici, a volte coi miei fratelli".
A quelle parole, Odalyn si oscurò, ricordando bene quale fosse la sua missione e come fosse assolutamente controproducente che lei si rilassasse in amicizia con Jeremy parlando di cose assolutamente inutili. "Coi tuoi fratelli? Sei matto, ti faranno impazzire!".
Jeremy rise. "Oh una volta in effetti ho preso al volo Daisy che si dondolava sul bordo della barca e stava per cadere giù in acqua. Lei ama navigare, vuole fare la piratessa, dice".
Odalyn strinse le redini, Jeremy le stava rendendo le cose facili e un pò le spiaceva mentire e raggirarlo. "Daisy... La vichinga come me?".
Jeremy spalancò gli occhi, tremando. COSA aveva appena detto? "Come, scusa?".
Odalyn, seria e di nuovo padrona della sua autorità, lo guardò in viso avvertendo la sua tensione. Doveva approfittarne... "Sembra così norvegese, assieme a suo fratello gemello. Vichinghi, più che inglesi".
In allarme, Jeremy cercò di non farsi vedere agitato perché sapeva che lei se ne sarebbe accorta. "Una parte dei Poldark nasce bionda. In famiglia ne abbiamo di... vichinghi... Mio cugino Geoffrey Charles, i gemelli e Clowance" - cercò di argomentare.
La ragazzina lo osservò, per nulla convinta dalle sue parole.
E Jeremy in quel momento si rese conto che era un segreto difficile da tenere, soprattutto perché non ne conosceva il motivo e poi perché era palese che non tutti ci avrebbero abboccato. Lui stesso al posto della ragazza non ci avrebbe creduto perché Daisy e Demian erano troppo diversi per essere inglesi e la stessa Clowance, pur bionda, non era somigliante per niente a loro o a Odalyn.
"Li avete adottati e non vuoi dirlo!" - tentò la ragazza.
Jeremy distolse lo sguardo. "Ti ho detto di no!".
"Tua madre allora ha avuto un amante norvegese".
Quelle parole lo fecero diventare rosso di rabbia e se Odalyn non fosse stata una ragazza, le avrebbe tirato un pugno in faccia! Come osava parlare a quel modo di sua madre? Non doveva permettersi, né lei né nessuno al mondo. "Chiedimi immediatamente scusa per quello che hai appena detto!" - le intimò, scuro in volto.
Lei lo fissò senza capire. "Che ho detto di male?".
"Cosa? Come osi parlare così di mia madre?".
"Ohhh...". Come colta da illuminazione, Odalyn si sentì in dovere di spiegare quanto appena detto. Appartenevano a culture diverse e se per un norvegese la fedeltà non rappresentava un valore assoluto in un matrimonio, per gli inglesi la cosa era diversa e quanto aveva affermato era considerato effettivamente scortese verso la madre di Jeremy. "Non volevo offenderla ma da noi, spesso, è ritenuto normale avere amanti anche nel matrimonio".
"Da noi non è così!".
Odalyn sbuffò. "Beh, ti chiedo scusa ma sai, credo anche che tu sia ingenuo. Da quando sono quì, solo una cosa ho capito bene di voi inglesi".
"Cosa?".
Lei alzò le spalle. "Predicate bene a parole ma non siete così diversi da noi... Ai vari ricevimenti ho visto molte donne e uomini dietro a tende o nascosti sui balconi, a flirtare e baciarsi. E non erano i mariti o le mogli legittimi".
Jeremy abbassò lo sguardo, ripensando ai mille turbamenti che lo assalivano circa l'origine dei gemelli, ritrovandosi in parte nelle cosiderazioni di Odalyn. Era grande abbastanza per capire i fatti della vita e che non tutti erano ciò che volevano essere o apparire e che i matrimoni e i rapporti sono cose complicati e spesso non lineari. Ed inoltre, anche pensando alla sua famiglia, anche se era certo della fedeltà di sua madre, non lo era altrettanto di quella del padre perché era stato lui a tornare, da una terra straniera, con quei due bambini di cui non aveva voluto raccontare niente. E se fossero stati il risultato di un tradimento? E proprio questa paura e il dolore che avrebbe potuto provare sua madre lo aveva frenato dall'amare quei due fratellini biondi e a suo modo... imposti. Avrebbe voluto tanto chiedere direttamente a suo padre ma si era sempre frenato per paura, per risentimento, per timore di ferirlo se le cose stavano diversamente e perché... a volte pensava di non essere bravo a parlare con lui come Clowance o Bella o addirittura, i gemelli. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso in quel momento, non erano problemi di Odalyn e nonostante tutto, da fratello maggiore, sentiva di dover difendere quei due pestiferi vichinghi. "I miei genitori sono diversi" - disse solo, chiudendo il discorso.
"Come sei burbero!" - borbottò lei. "Quindi non me lo dirai?".
"Cosa?".
"Dove avete trovato quegli strani gemelli!".
"Ahhh, al diavolo! Te l'ho già detto, sono Poldark, Poldark biondi e basta parlare di loro!". E poi partì di nuovo al galoppo cercando di seminarla e chiudere quel discorso. Ormai erano in aperta campagna e l'aria frizzante del mattino, unita all'umidità dell'autunno, punzecchiava il suo viso pulendo tutte le tensioni accumulate.
Presa alla sprovvista ma perfettamente padrona del suo cavallo, anche Odalyn partì al galoppo cercando di raggiungerlo. Era una cavallerizza abile, veloce e abituata a galoppare negli spazi aperti e non le fu difficile raggiungere Jeremy in pochi minuti.
Galopparono fino a che i cavalli non furono stanchi, fermandosi sulle rive di un ruscello.
Rosso in volto, Jeremy scese dal cavallo per portarlo ad abbeverarsi.
E Odalyn fece altrettanto. "Sei bravo a cavalcare. QUASI quanto me...".
Jeremy sorrise, parte della rabbia sbollita durante la galoppata. "Anche tu non sei male, per essere una vichinga".
"Te l'ho detto, sappiamo fare molte cose oltre a pescare salmoni".
Jeremy la osservò, trovandola per la seconda volta assolutamente carina. I capelli, dopo la galoppata, le si erano scompigliati, le guance si erano colorate e ora sembrava più... amichevole e ragazzina. E meno spietata e pericolosa. "E' vero che da voi vivono orsi di colore bianco?" - le domandò, cercando argomenti interessanti ma lontani dai gemelli. In fondo lei arrivava da una terra affascinante e misteriosa e anche se avrebbe considerato infantile la sua curiosità, perché non approfittarne per conoscere di più quel mondo che da quando Daisy e Demian erano arrivati a casa loro, aveva solo potuto immaginare?
Odalyn si sedette per terra. "Sì, gli orsi polari. Vivono a nord, difficilmente si avvicinano alle case e ai villaggi a meno che non siano disperati per la fame e abbiano cuccioli da nutrire. Sono animali bellissimi ma selvatici, letali e pericolosi. Amano il freddo e il ghiaccio".
"Ne hai mai visti?".
"Una femmina con due cuccioli, tanti anni fa, quando con mio padre andai a nord a trovare un signorotto che viveva sui fiordi".
"Sono grandi?".
Lei ridacchiò. "Potrebbero mangiarti in un boccone, inglesino caro".
In fondo anche se spesso lo prendeva in giro, a suo modo era anche un pochino simpatica. "Sei proprio strana!".
"Anche tu!". Odalyn sospirò, stendendosi nell'erba anche se era bagnata di rugiada. Ma quel momento di pace si spezzò quando le venne in mente il padre e che quella non era una cavalcata di piacere. Tremò ma realizzando che non aveva ancora scucito a Jeremy alcuna informazione interessante sui gemelli, doveva farlo parlare in altri modi. E anche se era terrorizzata, lo sarebbe stata di più di suo padre se non ci avesse provato con... ogni mezzo. "Hai mai avuto una ragazza?". Ok, se proprio doveva farlo, quello era il posto ideale. Isolato, fra la campagna e i boschi e dopo tutto... sarebbe durato solo pochi minuti. Avrebbe fatto un pò male ma tanto prima o poi avrebbe dovuto affrontare anche quel passo quindi tanto valeva farlo con quel ragazzino apparentemente inesperto e poco pericoloso.
Colto di sorpresa da quel cambio di argomento, Jeremy arrossì. "Che ti importa?".
"Così, era per parlare".
"Non ne voglio parlare!".
"E allora sei zitello dalla nascita" - lo sfidò.
Jeremy la fissò stranito, non sapendo bene che dire o fare. Ma poi scelse di essere sincero e di chiudere così il discorso. "No, non ho mai avuto una ragazza".
"Nessuna che ti ha voluto?".
"Forse. O nessuna che ho voluto... Non mi è mai piaciuta nessuna abbastanza da chiederle di essere la mia ragazza".
Lei rise, nervosamente. "Sei un poppante!".
Jeremy prese una manciata d'erba, la strappò e gliela gettò in faccia. "Smettila, nemmeno tu hai mai avuto un ragazzo, vichinga!".
Odalyn si tirò su, mettendosi a sedere. Forse non negare le avrebbe facilitato i passi successivi... "Vero. Ma sono curiosa di provare com'è".
"Com'è cosa?".
"Quello che fanno le coppie. Non ti è mai venuta voglia di provare a vedere cosa si prova? Intendo... cosa si prova quando le coppie di notte si uniscano nel letto...".
Capendo a cosa stesse alludendo, Jeremy divenne ancora più rosso in volto. "Sei matta? Non dovresti essere tanto spudorata e parlare così".
"Che c'è di male? E' una cosa naturale".
Piccato ma anche spaventato da quel discorso tanto da grandi e così stonato nelle parole di Odalyn, Jeremy si alzò in piedi. "Non ho intenzione di parlare ancora, smettila stupida!".
Anche Odalyn si alzò, fronteggiandolo. Poi prendendo tutto il suo coraggio gli cinse le vita, si avvicinò a lui e si appoggiò al suo corpo. "Proviamo, chi lo saprebbe?".
Jeremy avvertì, a quel contatto, il suo corpo che reagiva in un modo inaspettato che lo fece imbarazzare ed arrossire ancora di più... Beh, qualunque cosa Odalyn stesse facendo o volesse, lui l'avrebbe fermata anche se fisicamente... Era curioso, certo. Ma sapeva che era sbagliato per lui e lei e quindi la spinse via. "Non dovresti comportarti così".
"Non ti piaccio?".
"Non... Non è questo, dannazione! Ma dovresti avere rispetto di te e degli altri". Santo cielo, si sentiva un predicatore come zio Sam in quel momento! Ma era quello che sentiva, ci voleva amore o sentimento per certe cose e lui non li provava e anche se fosse stato, era ancora presto per... quello... Era qualcosa che riteneva ancora del mondo dei grandi e si sentiva di non farne parte e che anche per Odalyn doveva essere così.
Odalyn provò ad avvicinarsi. "Non lo direi a nessuno".
"Non mi importa".
"Perché, Jeremy? Sei così bigotto?".
Lui abbassò il capo, imbarazzato. "No, ma non mi piace fare del male alle persone. E ti farei del male e tu ne faresti a te stessa. Forse dirai ancora che sono un poppante e sì, lo sono perché penso che per questo siamo troppo giovani. Soprattutto tu!".
"Ohhh". Odalyn arrossì e in quel momento si sentì come se quel giovane ragazzino inglese quasi sconosciuto si preoccupasse per lei più di suo padre. Lo guardò in modo diverso e le gambe le tremarono perché nessuno si era mai preoccupato così per lei e questo la metteva in una brutta situazione. Eppure provò gratitudine perché un ragazzo qualsiasi ne avrebbe approfittato mentre Jeremy no, era diverso, era come se avesse capito quanto ancora si sentisse piccola per un passo del genere. Ma in fondo di che si stupiva? Era un bravo ragazzo che prooveniva da una famiglia unita che lo aveva cresciuto bene e gli aveva inculcato princìpi che a casa sua nemmeno esistevano, come il rispetto verso gli altri. "Mai, mai? Mai lo farai?".
Jeremy salì a cavallo. "Non ho detto questo. Non lo farò ora, con te".
"E un giorno?".
"Sì, un giorno lo farò".
"Con me?".
Jeremy le indicò il cavallo. "Monta in sella, ti porto a casa".
"Non mi hai risposto" - obiettò lei.
"Non so che dirti".
Odalyn si voltò e sorrise. Il fatto che questo la terrorizzasse non le impedì di pensare che un giorno non sarebbe stato affatto così e le sarebbe piaciuto scoprire l'amore con lui. "Non è un no?".
"Monta a cavallo".
"Non è un no!". E incurante di quello che suo padre avrebbe detto - per una volta non le importava - gli ubbidì. E mentre montava a cavallo iniziò a pensare e a considerare il fatto che non le piaceva il doppio-gioco che era costretta a portare avanti per suo padre e che se Jeremy era stato onesto e protettivo con lei, doveva fare altrettanto senza ingannarlo. Ma non sapeva come e suo padre era troppo potente per combatterlo apertamente. Doveva trovare un modo per non alterarlo ma allo stesso tempo per non mettere in pericolo i Poldark. Doveva pensare a un sacco di cose, una volta a casa...
Jeremy non lo poteva sapere ma aveva fatto accelerare i battiti del cuore di quella apparentemente fredda vichinga. E forse con la sua scelta, aveva trovato una valente alleata alla causa della sua famiglia.

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Capitolo 20
*** Capitolo venti ***


Imponendosi di vivere come sempre e senza dimostrare di avere nulla da nascondere o di cui preoccuparsi fino al ritorno di Dwight, Ross e Demelza avevano deciso di andare avanti come avevano sempre fatto, senza rinchiudersi in casa nascosti come topi ma barcamenandosi come sempre fra impegni, doveri, piaceri e una ciurma di figli di età diverse e vivacissimi che avevano il diritto di vivere serenamente.
Per giorni Ross aveva lavorato incessantemente in Parlamento, aveva presenziato ad eventi, aveva passeggiato con i suoi pari nei grandi parchi del centro e si era sforzato di mantenere una parvenza di normalità che l'incontro con Haakon aveva spezzato in lui e sua moglie. Non lo aveva più rivisto dalla cena a casa sua ma era certo che prima o poi ci avrebbe di nuovo avuto a che fare e silenziosamente aspettava la sua prossima mossa. La speranza che tutto fosse un parto della sua fantasia era l'appiglio che lui e Demelza si erano concessi per non cadere nell'angoscia ma Ross era consapevole che un uomo del genere, col potere che disponeva, sapeva fin troppo di quanto successo anni prima in Norvegia e del mistero che aleggiava sui bimbi. Che dal canto loro, fortunatamente, erano giocosi come sempre.
Jeremy era diventato silenzioso dopo l'appuntamento con Odalyn e Ross si era ripromesso di parlare col ragazzino appena ne avesse avuto occasione per cercare di capire cosa gli passasse per la testa e magari indagare, senza risultare invadente, sulla misteriosa ragazzina norvegese che pareva aver messo gli occhi su di lui. E forse suo figlio su di lei, anche se sperava di no. Pregava che Dwight portasse notizie confortanti circa la vera identità di Haakon oppure ogni eventuale legame fra Jeremy e la ragazza sarebbe diventato fonte di tensioni e problemi in famiglia e non voleva vestire assolutamente i panni del padre repressivo e autoritario.
Ross teneva gli occhi aperti ma per il momento non si sentiva spiato come era successo ad Oslo e quindi, anche se sapeva che questo non voleva dire nulla e di certo non lo faceva sentire del tutto al sicuro, fino al manifestarsi di eventuali problemi cercava di stare tranquillo. Forse di nemici non ce n'erano o forse si stavano organizzando per tendergli una trappola ma l'unica cosa intelligente da fare, in entrambi i casi, era continuare con la sua quotidianità.
Quella domenica mattina si era svegliato presto, richiamato all'ordine dai gemellini e da Bella che all'alba avevano deciso di non voler più dormire. Le bimbe avevano insistito per farlo alzare per andare con lui a comprare il giornale e per fare colazione insieme - erano decisamente affascinate dalla vita mondana di Londra e dalle sue pasticcerie eleganti e piene di manicaretti - mentre Demian ne aveva approfittato per infilarsi nel posto più sicuro del mondo, dove nessun nemico norvegese avrebbe mai potuto sfondare le difese: fra le braccia di mamma-Demelza...
Ross si era vestito e in fondo, divertito dall'entusiasmo delle due piccole pestifere di casa, era uscito con loro dopo averle vestite con pesanti cappottini e cappelli di lana per difenderle dal freddo ormai pungente del primo mattino.
Londra, ancora sonnecchiosa, appariva affascinante nel velo di nebbia che la avvolgeva e la faceva sembrare ovattata.
Con Bella tenuta in una mano che saltellava e Daisy nell'altra mano che faceva mille domande e non la finiva di chiacchierare, Ross temeva che qualcuno, svegliato da quel baccano, avrebbe rovesciato loro in testa il pitale che teneva sotto il letto. "Shhh, molta gente dorme, non fate baccano" - intimò loro, camminando nelle strade ancora quasi deserte.
"Ma è giorno!" - mugulò Bella. "Che ci fanno tutti a letto quando si può uscire?".
Ross sorrise, un giorno - quanto più tardi possibile sperava - Bella avrebbe compreso quanto bello fosse per un adulto il letto, condiviso con chi si ama... "Ai grandi piace... dormire".
"A me no".
"Neanche a me, è noioooosoooo" - aggiunse Daisy.
Ross scoppiò a ridere. "Noioso? Chi ti ha insegnato questa parola così difficile?".
"Jeremy! Lo dice sempre quando gli chiediamo di giocare con lui. Siamo noiosiiii, lo stufiamo".
Bella annuì. "E lui è noioso quando lo dice".
Ross osservò la morettina che pareva sapere il fatto suo. "Beh, gli strilli sempre nelle orecchie quando legge, certo che è noioso".
"Io non strillo, canto".
Beh, avrebbe avuto molto da ridire sul concetto di canzone ma in quel momento, proprio mentre stavano per entrare nella pasticceria prescelta per fare colazione, un incontro inaspettato e piuttosto spiacevole lo bloccò.
Impettito, vestito elegantemente e con un cilindro in testa, George Warleggan usciva dal locale, con a fianco il dodicenne Valentine e tenendo per mano una paffuta bambina dai capelli castani di circa sei anni...
Ross si bloccò, deglutendo. Erano anni, era da quando George aveva lasciato Trenwith dopo la morte di Ned Despard e il loro strano sodalizio contro i francesi che non lo incontrava se non sporadicamente, in Parlamento. George pareva invecchiato in quegli anni mentre Valentine sembrava molto cresciuto. I suoi ricciolini neri arrivavano fino alle spalle, il viso pareva corrucciato ed impenetrabile e il suo sguardo e i suoi tratti avevano così poco di Elizabeth, ma soprattutto, di George. Era solo un ragazzino come Clowance ma in quel momento, osservandolo, a Ross parve di vedere incombere su di lui il peso del peccato di una notte nera e senza sentimenti. Era come se l'alone cupo che aveva catturato Ross quella notte, conducendolo verso il baratro, si fosse posizionato su quel bambino senza colpe e ne minacciasse l'intera esistenza. Erano solo fantasie forse ed Elizabeth non era mai stata chiara a riguardo eppure Ross, pur non riuscendo al ammetterlo a se stesso fino in fondo, sentiva un collegamento con quel bambino taciturno, sfuggente e di fatto estraneo, se non per un paio di occasioni dove aveva interagito con lui. In fondo George, portandolo via anni prima, gli aveva fatto un favore e aveva reso le cose più facili per tutti. Un tacito e silenzioso accordo, questo era stato il succo del discorso avvenuto attorno al tavolo di Nampara fra lui, George e la stessa Demelza... Una verità che non poteva essere negata ma nemmeno detta ad alta voce li aveva uniti nell'unica scelta giusta per ognuno di loro e soprattutto per il piccolo Valentine.
George, che Ross lo aveva visto di rado solo in Parlamento e che di fatto lo aveva sempre evitato, non poté fare a meno di fermarsi, trovandoselo faccia a faccia. "Poldark...".
Ross annuì, evitando di guardare Valentine. "Che strambi incontri che si fanno di mattina fra le nebbie di Londra" - disse, cercando di apparire scherzoso.
"Molto strani ma avevo sentito così tanto baccano che con mio figlio e mia figlia siamo usciti dalla pasticceria a vedere chi era quel selvaggio che faceva tanto chiasso quando la gente di solito ancora dorme. Ora comprendo l'origine del disturbo e non me ne stupisco affatto... Chi altri poteva essere?" - disse, squadrando le due bimbe che Ross teneva per mano e usando il medesimo sarcasmo del suo eterno rivale.
Ross sorrise, in fondo era anche divertente punzecchiarsi e ormai era chiaro ad entrambi che il tutto si riduceva a una questione di parvenza più che di astio vero e proprio. Da quando George lo aveva salvato da quel duello con l'ufficiale francese, era come se fossero giunti a una deposizione delle armi ammettendo l'uno con l'altra i rispettivi pregi o mancanze. Ormai erano adulti, che senso aveva combattere e azzuffarsi come ragazzini? "In effetti ho delle figlie molto rumorose e allegre. Ma a mia discolpa posso dire di aver detto loro, più volte, di fare meno baccano".
"E ovviamente non vi hanno ascoltato. A differenza di Valentine e di Ursula che di solito sono ubbidienti e giudiziosi".
Ross fu costretto a guardare entrambi i bambini. Valentine così scuro e diverso da George, era quanto di più stonato esistesse nel casato dei Warleggan. Era diverso come erano diversi Daisy e Demian dai Poldark e forse questa similitudine lo metteva in allarme perché aveva la dimostrazione vivente di come il mondo guardasse con sospetto ai suoi gemelli e di come sarebbe stato difficile celarne a lungo le origini. Se Valentine sembrava tutto eccetto che un Warleggan, Daisy e Demian parevano in tutto e per tutto figli della loro terra e non dei Poldark. Fisicamente quanto meno perché carattere, cuore e animo invece erano influenzati da chi li cresceva e se si sentiva sicuro sui gemellini, di certo non lo faceva stare tranquillo il fatto che Valentine crescesse con George. Poi osservò Ursula. Non l'aveva mai vista quella bambina la cui nascita aveva sancito la fine dell'esistenza di sua madre. A volte si era chiesto come fosse, se somigliasse ad Elizabeth e se ne avesse ereditato la bellezza ma ora che l'aveva davanti, a differenza di Valentine si rese conto che la piccola era in tutto e per tutto una Warleggan. Non c'era nulla in lei dell'eleganza e della grazia di sua madre, era piuttosto sovrappeso, il viso e i capelli erano uguali a quelli del padre, era carina con quelle guance piene ma non bella e anche il modo di camminare era piuttosto goffo e sgraziato. Provò pena per lei, per non aver potuto conoscere sua madre e anche per Elizabeth che non aveva potuto godere delle gioie di quella maternità senza ombre, a differenza di quella di Valentine che l'aveva portata in una situazione pericolosa all'interno del suo matrimonio. Ancora se ne sentiva responsabile ma che senso aveva parlarne, ora? "Beh George, dicono che la vivacità sia indice di salute" - disse, cambiando argomento.
"I miei figli sono sani".
"Oh, non ne dubito".
Stanca di quella situazione di stallo, Bella lanciò un sassolino col piede e poi si rivolse a Ursula. "Vuoi giocare con noi tanto che i grandi parlano?".
Ursula guardò suo padre, poi compreso lo sguardo di biasimo, scosse la testa. "No, grazie".
"Perché sei troppo grassa per correre?".
La domanda fece avvampare Ross che abbassando lo sguardo, si rivolse all'autrice di tale affronto... Sperando che George comprendesse che in fondo era una bambina piccola, la bloccò prima che la sua soave vocina dicesse altre cose che potevano scatenare la guerra dei mondi. "DAISY! Chiedi scusa immediatamente".
"Perché?" - chiese la piccola, con innocenza.
Valentine fece per ridere ma si trattenne mentre George, miracolosamente, con due parole liquidò la situazione. In effetti lo aveva notato pure lui quanto poco aggraziata fosse la figlia e sarebbe stato idiota nasconderlo o fare finta di nulla... "Padre selvaggio ed incurante delle regole e dell'etichetta, madre cameriera di cucina, figli selvaggi... E' la naturale logica conclusione degli eventi della vostra vita...".
Ross sospirò. "Ciò nonostante, la bimba chiederà scusa alla vostra graziosa Ursula. Vero Daisy?".
La bimba osservò Bella senza capire che aveva detto di male, poi suo padre. "Ma perché?".
"Perché sei stata scortese con un'altra bambina".
Daisy ci pensò su e poi si avvicinò a Ursula. "Scusa, mi dispiace che sei grassa".
George scosse la testa e se non fosse stato che ad essere umiliata era stata sua figlia e che l'artefice era la marmocchia del suo rivale, forse avrebbe anche potuto apprezzare la faccia tosta di quella biondina insolente. "Vedete, Ross? Quì sta la differenza fra una buona e una cattiva educazione... Vedo che voi Poldark, dall'ultimo nostro incontro, vi siete moltiplicati e che buon sangue non mente".
Ross sospirò. "Ho altri tre figli, sì, oltre ai due maggiori che già avevate visto".
Valentine, rimasto fino a quel momento in silenzio, alzò lo sguardo su di lui. "Altri tre? Non solo loro due?".
Ross distolse lo sguardo da lui. "La piccola Daisy ha un gemello".
"Non ne ho mai visti di gemelli" - rispose il ragazzino che sembrava così rigido, fermo e... finto... in quei modi di fare forzatamente formali imposti dal padre...
"Ne mai li vedrai!" - lo interruppe subito il padre mentre Ursula frignava a causa di Daisy.
Valentine lo ignorò. "Vi ricordate di me, signor Poldark?".
Ross si morse il labbro. "Sì, certo".
"Mi avevate detto che potevo venire a casa vostra quando volevo!".
Ross sussultò perché pur mantenendo un tono neutro, aveva scorto nella voce del ragazzino astio e un muto rimprovero per quella promessa fatta pur sapendo di non poterla mantenere. Si sentì in colpa perché all'epoca aveva agito pensando di fare il meglio ma aveva evidentemente sbagliato. "Mi dispiace ma purtroppo nella vita a volte si devono cambiare i propri piani e ora tu vivi quì a Londra con la tua famiglia in una casa bellissima".
"Ma avevate detto che potevo venire da voi...".
Valentine lo ripeté di nuovo, osservandolo con occhi cupi e rabbiosi. Era strano, il suo sguardo pareva gridare e volerlo percuotere ma la sua voce rimaneva monocorde e controllata in modo anormale per un ragazzino. Era inquietante, in un certo senso... E Ross non poteva non chiedersi se George avesse ragione o meno, circa suo figlio e la sua vera essenza.
Anche George si accorse della tensione che corrodeva Valentine e lo interruppe subito, forse percependola come una minaccia. In fondo conosceva quel ragazzino meglio degli altri e anche se poteva celare al mondo il suo vero carattere, di certo non poteva farlo con se stesso... "Per fortuna tua figliolo, ti ho portato via da questi nostri ex vicini selvaggi. Ringrazia e non biasimare quest'uomo, la lontananza ti ha preservato da cattive compagnie".
"Il mio papà è bravo!" - sbottò Bella, picchiando in terra il piedino.
"Dipende dai punti di vista, bambina" - ribatté a tono George.
Ross prese saldamente fra le sue, le manine delle due bambine. "Credo sia ora di andare. Ognuno per la sua strada". Già, decisamente era ora oppure le cose sarebbero diventate difficili per tutti e quella discussione avrebbe potuto portare a conseguenze spiacevoli. Soprattutto con Valentine... E per il bene suo soprattutto, era meglio continuare ad imporsi la lontananza che aveva chiesto ed ottenuto George anni prima in uno di quei... rari... momenti in cui aveva saputo dimostrarsi più maturo e saggio di lui.
George alzò un sopracciglio. "Caspita, per la prima volta sono d'accordo!".
"Evento raro ma ben accetto" - mormorò Ross.
Valentine lo fissò di nuovo. E anche se non lo disse ad alta voce ma lo mugugnò impercettibilmente, a Ross parve di sentire...
"Dannato bugiardo... Io non dimentico...".
Aveva capito bene? O era stata la sua fantasia? O il vento? O la sua coscienza tormentata che si sentiva in colpa?
Ross osservò il ragazzino ma Valentine sembrava ora disinteressato a lui e pronto a ripartire per riprendere la sua strada. Era solo un bambino, non poteva averlo detto, doveva essersi sbagliato eppure... eppure era tanto inquietante nel suo sguardo controllato ma cupo.
George salutò Ross frettolosamente e poi coi due bambini se ne andò.
La strada ora era di nuovo deserta e avvolta nella nebbia.
"Papà?" - lo chiamò Daisy, facendolo sussultare.
Ross abbassò lo sguardo, incontrando gli occhi color ghiaccio della piccola. Sua figlia, a dispetto del legame di sangue. Cocciuta e senza peli sulla lingua come lui, come Bella, come ogni Poldark che si rispetti. Sua figlia molto più di quanto, se le cose fossero state diverse, sarebbe mai stato Valentine. Quel ragazzino concepito forse in una notte spaventosa in cui aveva quasi perso tutto, la donna che amava, suo figlio Jeremy, il suo futuro con loro e una parte del rispetto per se stesso, quel bambino maledetto da Agatha e nato in una notte di luna nera riportava a galla antichi fantasmi, sensi di colpa e una parte di se e della sua vita che voleva dimenticare ma non poteva perché sarebbe rimasta sempre lì, a riapparire come un fantasma nefasto dalla nebbia come le ombre dalla Norvegia, come tutti i segreti che custodiva in se e che stavano diventando pesanti da portare sulle sue sole spalle.
No, non era stata una bella idea uscire con le bambine quella mattina e Valentine gli aveva lasciato addosso una strana inquietudine che non riusiva a scrollarsi di dosso. Maledetta quella notte, maledetto il fato che aveva portato via Elizabeth lasciando solo con George quel ragazzino, maledetti i segreti che si portava dietro che ormai stavano diventando troppi e che per quanto riguardava i gemelli, aveva bisogno di condividere con Demelza appena Dwight fosse tornato con Inge. "Andiamo a casa..." - disse solo, con voce spezzata e lontana.
"E no!" - si lamentò Bella. "E la colazione?".
"La faremo con la mamma e i vostri fratelli".
"Uffa!" - sbottò Daisy. "Io voglio i biscottini con sopra gli zuccherini colorati!".
Ross la guardò storto. "Tu sei in castigo!".
"Perché?".
"Perché non si deve dire alla gente che è grassa, soprattutto alle bimbe!".
"Anche se è vero?".
"Anche se è vero, sì!".
"Ma è grassa sul serio" - intervenne Bella.
Ross alzò gli occhi al cielo. Troppi, troppi pesi gravavano su di lui e il fatto che figli di sangue e figli adottivi avessero preso in tutto e per tutto la sua impulsività, non lo aiutava affatto...
E quando rientrò a casa, mentre Demelza preparava i bambini per la giornata e per fare colazione insieme, fu Jeremy a mettere il carico da novanta chiamandolo nella sua stanza.
"Papà, posso parlare con te? Da solo?".

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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***


Jeremy, mentre sellavano i cavalli per una passeggiata, aveva molto riflettuto su cosa dire a suo padre. Tante cose gli ronzavano in testa, tanti dubbi lo assalivano fin da troppo tempo e forse la spudoratezza di Odalyn che parlava di tutto senza vergogna lo aveva spinto a riflettere sul fatto che il mutismo porta spesso ad incomprensioni e che era meglio fugare ogni dubbio o sapere la verità piuttosto che permettere al suo rapporto con suo padre di logorarsi. Sebbene non approvasse il modo di fare così disinibito di Odalyn, attraverso di lei Jeremy aveva capito che chiedere, parlare e cercare chiarimenti sono un modo adulto di affrontare le questioni, l'importante era il modo in cui lo si faceva. Sapeva di non essere ancora grande ma in fondo non voleva nemmeno più essere un poppante come lo definiva la ragazzina norvegese e in fondo, anche se con suo padre non aveva il rapporto aperto che avevano le sue sorelle, Jeremy era anche consapevole che lui era un uomo irruento, a volte complicato ma che per lui e per gli altri suoi fratelli c'era sempre, quando necessario. Però era anche vero che loro due erano diversi e spesso Jeremy si era sentito estraneo ed incompreso da quel padre visto da tutti come un eroe ma col quale lui faticava ad aprirsi, a differenza di Clowance, Bella e pure Daisy. Da sempre, fin da quando era piccolo, Jeremy aveva desiderato solo che suo padre fosse fiero di lui e non voleva di certo contrariarlo, ma le emozioni suscitate in lui da Odalyn assieme alla vicenda dei gemelli tornata prepotentemente alla ribalta e che con la ragazzina e suo padre pareva intrecciarsi, lo avevano spinto a chiedergli un confronto. Da soli, lontano da casa, a cavallo. Come fra uomini...
Odalyn suscitava in lui sentimenti contrastanti e forse parlandone con suo padre avrebbe potuto capire di più lo strano mondo dei rapporti fra ragazzi e ragazze non più bambini e poi c'erano quei due gemellini arrivati dal nord... Con una storia misteriosa, amatissimi da sua madre e che per questo avrebbe protetto ma se doveva tenere un segreto a discapito di tutto, voleva sapere il perché. Non era certo che suo padre lo avrebbe ritenuto degno di condividere con lui i suoi segreti ma ora era abbastanza grande per domandare, per chiedere spiegazioni e forse, anche, per esprimere rimostranze o quanto meno un parere...
Ross, accigliato, lo affiancava a cavallo mentre placidamente si dirigevano verso i campi al di la del Tamigi. Non erano molte le occasioni in cui era uscito a cavallo con suo figlio ed era anche consapevole che Demelza era più brava di lui a rapportarsi col ragazzino ma quanto accaduto a Londra negli ultimi giorni, il pensiero fisso sui rischi che potevano scaturire dal nord e il coinvolgimento di Jeremy con la figlia di un suo probabile nemico lo rendevano curioso e impaziente di sentire ciò che aveva da dirgli. E la situazione gli metteva addosso anche una strana ansia perché non era facile avere a che fare con un adolescente e se avesse sbagliato parola o frase, Jeremy si sarebbe semplicemente chiuso a riccio e non avrebbe proferito parola. "Mi fa piacere che tu abbia voluto uscire per una cavalcata con me" - gli disse, a ridosso di un muro di cinta che portava all'aperta campagna. "Soprattutto perchè lo hai voluto fare a stomaco vuoto prima di colazione. Mi fa piacere che tu preferisca la mia compagnia a quella dei dolci preparati dalla mamma".
"Li mangerò dopo!".
"Spero pure io, sempre che ce ne lascino qualcuno".
Jeremy lo fissò incuriosito. "Non hai fatto già colazione? Non dovevi andare alla pasticceria con Daisy e Bella?".
Ross si oscurò, ripensando all'incontro di poche ore prima e ai sentimenti risvegliati in lui dalla vista di Valentine. Essere un buon padre per Jeremy, essere un buon padre in generale... Era come se la vista di quel ragazzino, il suo sguardo cupo e il suo muto rimprovero fossero la condanna vivente al fatto che mai avrebbe potuto esserlo o diventarlo del tutto. Si era macchiato di una grave colpa, Demelza aveva sofferto, il suo matrimonio ne era quasi uscito devastato, Elizabeth aveva pagato un prezzo altissimo e ora qualcosa dentro di lui gli suggeriva che quel buio che aveva avvolto tutti loro quella notte di maggio si era trasferito sopra Valentine. Si morse il labbro. "In realtà, poi siamo tornati a casa a stomaco vuoto. Con Daisy ma anche Bella in castigo. Ecco, loro stamattina staranno senza dolcetti". Le bimbe monelle, già. In tutto questo erano il minore dei mali.
Jeremy si incuriosì. "Perché?".
Ross sorrise, nonostante tutto, perché quelle due piccole pesti erano insolenti come lo era stato lui da piccolo e in fondo a lui piaceva questo lato del loro carattere. "Dovrebbero essere più diplomatiche...".
Anche Jeremy rise. "Sono troppo piccole per questo, non ci riesco nemmeno io...".
Ross sospirò e senza dire nomi, spiegò l'accaduto.
Al termine del racconto, Jeremy scoppiò a ridere a crepapelle. "Hanno fatto piangere una bambina grassa, fantastico!".
Ross lo guardò storto. "Jeremy, non mostrarti dalla loro parte o sarà finita!".
Il ragazzino annuì. "Sì, scusa, hai ragione!". Si rese conto che quell'intermezzo divertente aveva rasserenato gli animi di entrambi e grazie a Daisy, che lui non aveva mai accettato del tutto, e a Bella, sua fida compare, ora il ghiaccio sembrava rotto.
Anche Ross si accorse che era tempo di parlare seriamente. "Che cosa volevi dirmi?".
Jeremy deglutì. "Prima di iniziare, posso chiederti se posso dirti tutto?".
"Tutto. Vuoi parlarmi di Odalyn?". Ross tagliò corto, l'arte della diplomazia non aveva mai fatto per lui.
Jeremy arrossì. "Sì, di lei. Ma non solo...".
Ross gli si affiancò col cavallo. Avrebbe affrontato ogni domanda di Jeremy e visto che il suo istinto gli suggeriva che non sarebbe stata una conversazione facile, decise di partire dalla parte più semplice: la ragazzina norvegese. "Lei ti piace?".
"N... No! Cioè... E' strana, mi fa sentire strano! Si comporta più da grande delle ragazze della Cornovaglia, si comporta da donna e lo fa in modo sfacciato. Non ci sono abituato, non so che fare. Dice che sono un poppante e ha ragione".
Ross lo studiò in viso. "In merito a cosa, dice che sei un poppante?".
Jeremy arrossì ulteriormente. "A... Al fatto che non... voglio fare le cose che fate voi grandi".
"Quali cose?" - chiese Ross. Ma poi, notando l'imbarazzo del figlio e forse intuendo la natura privata della faccenda, prese il discorso con più tatto. Un pò perché non era pronto a quel genere di discorsi, un pò perché preso alla sprovvista, un pò perché imbarazzato, un pò perché Demelza avrebbe saputo gestire meglio di lui la cosa. Suo figlio aveva quindici anni e come lui un tempo, iniziava a sentire pulsioni e sentimenti verso l'altro sesso. Era normale, ma questo lo faceva sentire vecchio e diverso rispetto al ruolo da tenere con i suoi figli. Stava finendo il tempo di tenerli sulle ginocchia e iniziava il tempo di trattarsi da adulti. "Jeremy, inglesi e norvegesi hanno mentalità diverse. La gente del nord ha meno vincoli, ha un modo di vivere più libero e disinibito, la società norvegese è ancora molto legata all'ambiente e al clima selvaggio delle loro terre, nonché a consuetudini spartane che si tramandano da secoli. E' difficile avere a che fare con le ragazze alla tua età, ancor più difficile è quando sono così diverse. Ma se ti piace, allora devi imparare a conoserla e lei deve impegnarsi a conoscere te, se avete un interesse in comune. Funziona così, un pò si da, un pò si riceve".
"Tu e mamma fate così?".
Ross sorrise. "Io e mamma ci siamo plasmati a vicenda, eravamo molto diversi quando ci siamo sposati".
"E Odalyn? A te piace?".
Ross sospirò. "No. Ma in realtà credo che non mi piaccia perché la collego a suo padre e Jeremy, temo potrebbe rappresentare un pericolo per noi e per la nostra famiglia e non c'è bisogno che ti spieghi il perché. Ma questo non riguarda te e forse nemmeno lei, se fra voi esiste o esisterà un sincero rapporto di amicizia o altro, è giusto che ve lo viviate a dispetto di noi adulti. Sei grande abbastanza ormai per questo...".
Jeremy abbassò lo sguardo, stringendo le redini. Con quelle parole, inconsapevolmente, suo padre lo stava portando al nocciolo della questione e ora arrivava il difficile. "Papà, non so se lei mi piace ma non escludo che in futuro potrebbe succedere. Però esiste il fatto che dici che suo padre potrebbe essere un nemico e quindi lei potrebbe mentire a me. E io sarò costretto a mentire a lei. Che amicizia potrebbe nascere da questo? Se non devo essere sincero, voglio sapere il perché".
Ross bloccò il cavallo, preso alla sprovvista. Jeremy era come Demelza, con poche parole semplici sapeva arrivare dritto al punto mettendolo al palo e di fatto non poteva contestare nessuna parte dell'obiezione che suo figlio gli aveva mosso. "E' una storia che vorrei non raccontare e lo sai".
Lo sguardo del ragazzino si indurì. "Per proteggerci, lo so! Ma vorrei non essere protetto e sapere".
"Non è così semplice".
Jeremy si morse il labbro, preparandosi a pronunciare la frase più difficile della sua vita che forse avrebbe potuto incrinare in modo irreparabile il rapporto fra lui e suo padre. Ma anche a non parlare, a lungo, gli avrebbe fatto correre quel rischio. "Questo segreto sui gemelli... riguarda te e la mamma...?".
"Me e la mamma? Che vuoi dire?".
Jeremy prese un profondo respiro. Voleva parlare da uomo a uomo con suo padre e da quasi quattro anni si teneva dentro un tarlo che ogni tanto pareva corroderlo, distruggendo ogni sua certezza. "Cioè... Loro... I gemelli... Mamma si fa chiamare mamma ma in fondo non lo è davvero. Tu ti fai chiamare papà ma come mamma, non lo sei sul serio... O lo sei...di più?"
"Cosa?". Ross impallidì, bloccò il cavallo e quelle parole stentate di Jeremy ebbero su di lui un effetto dirompente. Girandoci largo, Jeremy gli stava chiedendo se avesse tradito sua madre e avesse fatto due figli con un'altra donna? Santo cielo, una cosa del genere avrebbe dovuto renderlo furioso, una mancanza di fiducia e rispetto così avrebbe mandato fuori di testa ogni padre ma Jeremy... Jeremy era sensibile, intelligente, attento. Non era un ragazzino che amava sfidarlo, adorava e proteggeva sua madre da tutto fin da piccolo e quelle parole nascondevano amore, non odio. Amore per Demelza, amore per il bene della loro famiglia e in fondo dubbi leciti di un cuore gentile a cui sono state celate tante verità. Perché non ci era arrivato prima, perché non aveva intuito le paure che si nascondevano in Jeremy dietro al suo comportamento scostante con i gemellini? In fondo era così semplice ma forse, proprio perché doloroso, non aveva voluto vedere. Faceva parte di lui, dei suo carattere fuggire dalle ombre ma questo non si era mai tradotto in nulla di buono, a conti fatti. Di nuovo, gli venne in mente Valentine ma se dall'ombra rappresentata da questo ragazzino doveva fuggire per forza, di certo non voleva farlo da suo figlio, dal suo erede, da colui nato dall'amore fra lui e Demelza.
Mise in chiaro i pensieri, prima di parlare, perché in fondo non era una situazione difficile da cui uscirne. Imbarazzante, forse, ma quanto meno non sarebbe stato costretto a mentire. Jeremy temeva un suo tradimento nei riguardi di Demelza e per quanto riguardava i gemelli, poteva rassicurarlo. Ma in generale, poteva affermare di essere sempre stato un bravo marito? No... I suoi figli stavano crescendo e negli anni avrebbero imparato a vedere non più la sola perfezione ma anche i difetti sia suoi che di Demelza. I bambini non lo sapevano ma entrambi avevano messo a rischio il loro matrimonio in fondo, ma di questo non avevano mai voluto parlare. Era qualcosa di privato, intimo, doloroso, ma soprattutto, solo loro... Demelza non avrebbe apprezzato una eccessiva sincerità coi figli su questo e lui quindi poteva essere sincero riguardo ai gemelli, ma non in generale. "Credi che...?" - balbettò.
Jeremy abbassò lo sguardo, ormai non poteva ovviamente più fermarsi. "In Norvegia, hai avuto un'altra donna?".
"No". Era la risposta più sincera che potesse dargli ed era la pura e semplice verità. "I gemellini hanno un padre e una madre che ora riposano in quelle terre e io ho solo raccolto la loro richiesta d'aiuto, portandoli via al sicuro. Ma su una cosa ti sbagli, Jeremy. Sono entrati nella nostra casa, sono figli nostri adesso, sono i miei bambini ora. Io e tua madre li amiamo e non per finta. Fanno parte della nostra famiglia e se una volta appartenevano alla terra di Norvegia, ora sono Poldark. Come me e come te".
Jeremy rilasciò il fiato, tenuto a lungo bloccato. Guardò suo padre e si accorse che era sincero, che lo guardava in viso e che pur teso, non pareva arrabbiato. Santo cielo, quanto aveva pregato negli anni che, a quella domanda che forse non avrebbe mai avuto il coraggio di porre, lui rispondesse così? "Non volevo offenderti".
"Lo so".
"Mi dispiace".
Ross gli poggiò la mano sulla spalla. "Amo tua madre e non le farei mai del male".
"Lo so".
"Ma...".
"Ma?".
Ross trasse un profondo respiro. "Ma sai, a volte i rapporti fra adulti sono complicati. Anche gli amori più grandi a volte vacillano, a volte rischiano di perdersi, a volte si feriscono. Sei grande abbastanza ora, da sapere che non esiste la perfezione. E' quando si ama anche l'imperfezione però, che l'amore diventa vero. E sai, forse al mondo esiste una donna da sogno come l'Eldorado ma io... voglio solo tua madre".
"E lei vuole solo te?".
Ross annuì. "Sì, ne sono certo". Negli anni, attraverso ferite e dolori, avevano imparato che in un mondo con poche certezze, loro lo erano l'uno dell'altra. "E sai, io non volevo tenere i gemelli all'inizio, fu tua madre ad insistere e io come sempre l'ho ascoltata. E' più saggia di me e come sempre, ha avuto ragione. Ti immagini una casa senza il baccano di quei due?".
Jeremy ridacchiò, in effetti erano rumorosi.
Ma Ross tornò serio. "E soprattutto, Jeremy, sappi che se mai avessi avuto un figlio con un'altra, non lo avrei portato nella nostra casa. Mai avrei potuto con intenzione causare dolore a tua madre". Era vero. Anche avesse avuto la certezza della paternità di Valentine, non lo avrebbe portato a Nampara... In un modo o nell'altro se ne sarebbe preso cura ma senza spezzare il cuore di sua moglie. Ma poi, tornò ai dubbi iniziali di suo figlio. "E' per questo che non hai mai accettati del tutto i gemelli? Temevi fossero frutto di un tradimento e che amandoli senza riserve, avresti fatto un torto alla mamma?".
Il ragazzino arrossì. "Sì, più o meno". Beh, era una conversazione imbarazzante ma in un certo senso era contento. Ora volere bene a quei due pestiferi biondini sarebbe stato più facile e sarebbe stato un bravo fratello maggiore. In fondo aveva voglia di affezionarsi a loro come Clowance e Bella...
Ross osservò suo figlio, così grande, sensibile e serio. E decise. Se c'era qualcuno con cui condividere il suo segreto... Perché non lui? Chi meglio di Jeremy? Non poteva essere il miglior confidente al mondo? Non poteva essere la sua spalla? Questo non li avrebbe aiutati a essere più uniti? Su questo, Demelza non avrebbe avuto nulla da ridire. E considerando anche la faccenda di Odalyn che calzava a pennello, avrebbe allo stesso tempo potuto far luce su molti dei dubbi di suo figlio anche riguardo alla ragazza. "Vuoi sapere la verità?" - gli chiese, guardandosi attorno per essere certo che nessuno li seguisse".
Jeremy si accigliò. "Su cosa?".
"Sui gemelli".
"M... Ma non l'hai mai detta a nessuno, papà. Neanche alla mamma...".
Ross annuì. "Beh, posso dirla a te, se vuoi avere un segreto con me. E' una storia grande, che parte da lontano, pericolosa da sapere. Ma se vorrai essere mio complice, la condividerò e sarai l'unico a saperla".
Jeremy tremò. "E la mamma?".
"Mamma, sono certo, è d'accordo".
"Davvero vuoi?".
"Sì, davvero. Non te lo avrei chiesto altrimenti...".
Jeremy si gonfiò d'orgoglio. Non era tanto per la curiosità ma si sentiva fiero che suo padre decidesse di condividere proprio con lui un segreto tanto grande, che lo ritenesse degno. Lui, prima di tutti, avrebbe potuto sapere. "Sì, se vuoi dirmelo, ti ascolterò" - disse con voce tremante.
Ross osservò suo figlio. Aveva quindici anni, come lui quando incontrò una ragazzina straniera che gli rapì il cuore. Lunghi capelli neri, occhi verdi espressivi e trasparenti, viso furbo, modi di fare sfacciati, che conosceva il mondo meglio di lui. Tutto così uguale a ciò che ora stava vivendo Jeremy. E se la straniera che faceva battere il cuore di suo figlio si chiamava Odalyn e veniva dalla Norvegia, quella che aveva fatto battere il cuore a lui tanti anni prima si chiamava Jasmine e veniva dalla Spagna...

"Hei straniero, la conosci la strada che porta a Truro?".
"Certo! E non sono straniero, la straniera sei tu!" - le aveva risposto, notando il suo accento spagnolo nonostante la perfetta padronanza della lingua.
Sul suo cavallo, lei sbuffò spazientita. "E allora su, fammi strada!".
Non aveva saputo dirle di no...

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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ***


"Sai Jeremy, la storia dei gemelli in un certo senso inizia da lontano, quando avevo quindici anni come te".
Galoppando placidamente coi cavalli, erano giunti al delimitare di un bosco dove si erano seduti poggiando la schiena contro il tronco di un grande ed antico albero. Non c'era nessuno che potesse sentire i loro discorsi e anche se l'erba era umida e l'aria pungente, Ross si sentiva leggero. Era bello, un'esperienza nuova, condividere qualcosa con quel figlio che spesso gli era sfuggente e che non sapeva comprendere appieno.
Jeremy, incuriosito, aspettò qualche istante prima di chiedere. "Quando avevi la mia età? Ma i gemelli non sono tanto vecchi!".
Ross rise. "No certo! Ma ciò che mi ha portato a loro è iniziato quando ero un ragazzino come te".
"Come?".
Gli occhi di Ross si persero nel cielo ricordando quel giorno lontano quando ancora non era che un ragazzino, suo padre era vivo e guardava al mondo con curiosità ma anche inesperienza. "Mi trovavo vicino alla Grambler, la miniera di mio zio Charles. Bivaccavo, girovagavo come sempre quando a un certo punto la voce di una ragazzina che mi chiamava 'straniero' mi fece voltare. Ecco, se tu oggi hai a che fare con una ragazza straniera della Norvegia, a me toccò una spagnola dalla lingua lunga, insolente e anche, a modo suo, affascinante. Si chiamava Jasmine, era la figlia di un conciatore di pelli vedovo che nei suoi viaggi d'affari la portava con se in tutta Europa. Aveva la mia stessa età ma sembrava più alta, aveva lunghi capelli scuri che teneva chiusi in due trecce, le lentiggini e gli occhi verdi. E poi aveva quello strano accento che la faceva apparire ai miei occhi decisamente interessante... Coetanei ma lei del mondo aveva visto più di me, aveva una mentalità più aperta e la capacità di non stupirsi di nulla, anche delle cose più strane. Mi chiese di accompagnarla a Truro dove si trovava la sua locanda perché si era persa bighellonando in giro e anche se non aveva usato un tono gentile, ero rimasto talmente imbambolato da lei che le feci strada come un cagnolino ubbidiente. Scoprì che lei e il padre avrebbero passato due mesi in Cornovaglia e diventammo amici. O meglio, lei decise che sarei diventato la sua guida in quella terra che le appariva selvaggia e voleva scoprire. Non riuscii a dirle di no, io che di solito ero bravissimo a trasgredire regole e a non accettare prevaricazioni, capitolai alle sue richieste senza mezza lamentela. Cominciò così... La portai a scoprire le grotte e le spiagge delle nostre terre, galoppammo insieme lungo le scogliere e una volta si è pure unita a una scazzottata fra me e i miei amici con dei ragazzi di Mellin".
Jeremy spalancò gli occhi. "Una ragazza che fa a botte?".
Ross annuì. "Come ti ho detto, era una ragazza che non si poneva limiti, piuttosto unica nel suo genere. Un maschiaccio certe volte e certe altre, già molto femminile".
"E poi, papà?".
Ross sospirò. "Poi capì che mi piaceva ma ero ancora giovane, inesperto e non sapevo che fare. Ebbi la triste idea di chiedere consiglio a Jud e lui riportò tutto a mio padre, tuo nonno Joshua... Che purtroppo mi disse di dimenticarla, che potevo avere tutte le ragazze inglesi che volevo ma che dovevo lasciar perdere le straniere, che erano pericolose e tante sciocchezze simili... Ma non lo ascoltai, ovviamente! In realtà continuai a vederla e a frequentarla e lui mi lasciò fare senza intervenire troppo, sapeva che alla fine avrei agito di testa mia ed era convinto che presto mi sarei stancato e l'avrei dimenticata. In realtà non si sbagliava di molto, quei due mesi passarono in fretta e lei ripartì col padre. La consideravo la mia prima cotta anche se di fatto non ci eravamo nemmeno mai baciati eccetto l'ultimo giorno, quando lei mi diede un bacio sulla guancia. Partì e io ci stetti male una settimana e poi, come disse tuo nonno, iniziai a pensare ad altro e in un certo senso la dimenticai".
Jeremy lo interruppe. "Perché hai incontrato zia Elizabeth?".
Ross sussultò. "E tu che ne sai?".
"Lo sanno tutti che da ragazzo eri pazzo della mamma di Geoffrey Charles. Poi hai incontrato la mamma...".
Ross abbassò lo sguardo, improvvisamente soffocato da questa immagine di suo figlio non più bambino e ormai grande che conosceva fatti e persone della loro terra e quindi anche la sua storia. Sperava non tutta però, pregò, mentre il ricordo del piccolo Valentine tornava vivo in lui assieme a mille sensi di colpa e paure di essere giudicato e allontanato, se i suoi figli avessero saputo cosa aveva fatto. "Sì, poi ho incontrato la mamma" - disse solo, mentre la sua vita gli scorreva davanti, con gioie ed errori.
Jeremy sorrise. "E siete diventati la coppia perfetta".
Ross lo interruppe. "Non siamo perfetti".
"Io e Clowance vi vediamo così" - obiettò lui.
Ross gli poggiò la mano sulla spalla. "Sai, non è la perfezione ad essere perfetta, tutt'altro... Nessuno è perfetto e io e tua madre siamo due persone imperfette ma perfette insieme, coi nostri pregi e difetti. Ci amiamo, non potremmo vivere l'uno senza l'altra ma ci sono stati anche litigi, momenti duri, accadimenti che ci hanno ferito e allontanati. Non esistono matrimoni perfetti che poi, credo, sarebbero decisamente noiosi. Si cresce insieme, ci si plasma a vicenda, si sbaglia, si impara, ci si perdona se si tiene all'altro. Lo capirai crescendo... E capirai anche che le donne sono le creature più strane e complicate che esistano al mondo".
Jeremy rise. "Se lo chiedessi a mamma, lei direbbe lo stesso di noi maschi, credo".
Ross scoppiò in una grossa risata, Jeremy era decisamente sensibile ma anche cinicamente diretto e a suo modo, ironico. "Sì, probabilmente...".
Il ragazzino piegò le gambe, vi appoggiò il mento e poi tornò con curiosità al filone principale del racconto. "E Jasmine, invece? Che ne è stato?".
E i ricordi di Ross tornarono ad eventi più vicini, di soli quattro anni prima. "Credo di essermi dimenticato di lei fino a quando sono stato in Norvegia...".
"Quando hai incontrato Daisy e Demian?".
Il ghiaccio, il freddo, la stradina che portava al porto di Oslo gli vennero in mente con una lucidità che a Ross fece quasi paura. "Stavo rientrando nella locanda dove alloggiavo con Jones. Nevicava, tutto era buio, la strada era quasi deserta e se non fossi stato attento, sarei scivolato sul ghiaccio. Me ne andavo in giro avvolto nel mantello, battendo i denti per il freddo, desideroso solamente di andare in camera e farmi un bagno caldo quando mi sentì chiamare in quel modo che usava solo lei...
'Hei, straniero...'.
Mi voltai, sussultai non credendo alle mie orecchie e da un viottolo stretto ed angusto mi ricomparve davanti dopo... venticinque anni e più. Bella come allora ma col viso stanco e segnato, avvolta in un mantello logoro e trasandato, come se portasse sulle spalle il peso del mondo... Per un attimo pensai di avere le allucinazioni ma appena feci per balbettare il suo nome, lei mi prese per il braccio, mi spinse nel vicolo da cui era arrivata e ci trovammo faccia a faccia come tanti anni prima".
"E poi, papà?".
"E poi la abbracciai, incredulo di averla reincontrata, mentre mi chiedevo se stessi sognando, se il freddo mi avesse dato alla testa o se fossi ubriaco. Era una delle cose più improbabili del mondo incontrarla a Oslo, dopo tutto! Lì, lontano dalle nostre case, in una terra che era per entrambi più che straniera, fredda ed inospitale. Che diavolo ci poteva fare lei lì? Volevo chiederle molte cose ma mi accorsi subito che era debole e molto magra e la prima cosa che feci fu di chiederle se avesse bisogno di aiuto e lei rispose che sì, le serviva aiuto. Ma non per se stessa ma per i suoi due bambini appena nati che rischiavano la vita. Mi raccontò ogni cosa come se per giorni non avesse fatto altro che attendere qualcuno a cui confidare la sua storia e tramandare i suoi segreti ed era talmente disperata che non aveva trovato che me, un amico di infanzia che non vedeva da decenni, come unica ancora di salvezza. Fu questo a convincermi a fermarmi ad ascoltarla e a farmi coinvolgere di nuovo nella sua vita. Come aveva fatto tanti anni prima, senza quasi chiedermi il permesso, mi aveva catturato nella sua esistenza".
Jeremy deglutì, abbassò lo sguardo e nella sua mente i pezzi del puzzle iniziarono un pò ad andare al loro posto. "Quindi era la mamma dei Daisy e Demian? Qual'era la sua storia, perché rischiavano la vita e hai dovuto portarli con te dalla Norvegia? E che ne è stato di lei e del padre dei gemelli?".
Ross chiuse gli occhi, pronunciando quei nomi che non sfioravano le sue labbra da quattro anni. "Sigrid e Olav...".
"Sigrid e Olav?".
"Sì, Jeremy. Sono i veri nomi di Daisy e Demian, quelli che ho scelto perché non venissero riconosciuti. Figli di Jasmine Esteban e del principe Harald del casato degli Oldenburg".
"Principe?".
Ross guardò il figlio con aria grave, ora arrivava la parte più difficile, quella che aveva posto fine alla vita di Jasmine e Harald e attentava a quella dei gemellini. "Gli Oldenburg sono il casato regnante in Norvegia e Harald era il principe ereditario, il primogenito, colui che sarebbe salito sul trono alla morte del padre. Il suo primo matrimonio, combinato e senza amore con una principessa russa, durò quindici anni durante i quali non nacque nessun figlio. Quando sua moglie morì di febbre tifoide, si ritrovò vedovo e successore di un casato che non poteva governare senza eredi. Suo padre, pensando fosse sterile non avendo generato figli nemmeno fuori dal matrimonio con eventuali amanti, decise di puntare tutto sul figlio minore, il principe Magnus che divenne il reggente del regno. Magnus era sposato e aveva sei figli, quattro dei quali maschi e potendo garantire la successione del casato, assunse il potere del regno e col padre governò per anni, diventando di fatto l'erede della dinastia e il futuro re. Harald non se ne lamentò, da ciò che mi è stato raccontato era poco interessato al trono, era un letterato, un amante delle battute di pesca e della natura e forse era grato al destino che non gli aveva dato figli e responsabilità. Non aveva mai amato davvero sua moglie e forse era pure rassegnato a una esistenza solitaria, ormai... Ma poi incontrò per caso Jasmine, giunta in Norvegia per portare avanti gli affari del padre nella vendita di pelli, ormai morto. Avevano entrambi quarant'anni ma questo non impedì loro di piacersi subito, come succede a volte fra ragazzini. Si conobbero al porto e credo che fu amore a prima vista, o almeno così mi raccontò Jasmine. Harald le trovò una casetta vicino al porto che divenne il loro nido e per lunghi mesi vissero di amore e passione. E quando il fato si mise di mezzo facendola rimanere incinta, per Harald iniziarono i guai col fratello. Perché il potere che Magnus aveva accumulato negli anni sarebbe finito all'istante se Harald avesse avuto un figlio. Il vecchio re, il padre, era ormai troppo anziano e malato per portare pace fra i figli e per Magnus e il suo seguito, Harald e Jasmine divennero i nemici e il pericolo maggiore alla scalata a un trono che sembrava ormai certo. La cosa buffa era che Harald non voleva quel trono né per se né per i figli e avrebbe voluto lasciare la Norvegia per trasferirsi altrove, dove nessuno lo conosceva, ed essere una normale famiglia. Ma per Magnus, assetato di potere, il solo fatto che fossero vivi avrebbe rappresentato per sempre una minaccia alla sua ascesa al trono, rendendolo un re fittizio e dal potere traballante se i veri eredi un giorno fossero tornati a reclamare quanto loro di diritto. Harald non era un uomo stupido, conosceva suo fratello e sapeva che erano in pericolo, che Magnus avrebbe sguinzagliato spie e soldati per cercarli e risolvere il problema alla radice e fece appena in tempo a far nascondere Jasmine nella casa della sua vecchia balia che fu ucciso. Da bracconieri, si disse. Dagli scagnozzi di Magnus, in pratica. Jasmine rimase rintanata in una cantina nascosta e difficilmente accessibile per mesi, fino al parto, quando mise al mondo due gemelli. Ma sapeva che in quei mesi non avevano smesso di cercarla e che per il bene dei bambini e non essere collegata a loro nel caso fosse stata trovata, doveva lasciare la casa che l'aveva ospitata e protetta. Affidò i figli alla donna che l'aveva aiutata e che ora Dwight sta cercando e e decise di fare da esca, scegliendo la morte per salvare i figli. La incontrai poco prima che fosse uccisa e mi affidò la sua storia e il suo segreto, rassegnata al suo destino ma combattiva come sempre per quanto riguardava i suoi due preziosi bambini che non aveva potuto nemmeno allattare e conoscere ma che amava più di se stessa. Mi implorò di salvarli, ero l'unico volto amico che conosceva in quella terra e che poteva fare qualcosa. E ancora una volta non seppi dirle di no. Cercai di insistere affinché lasciasse la Norvegia con me e i bambini ma lei sapeva che assieme ai suoi figli, ovunque fosse andata, se qualcuno l'avesse riconosciuta...".
"Avrebbe condannato a morte i suoi figli..." - concluse Jeremy, a testa bassa.
Ross lo osservò, ammirato dall'intelligenza vivace e dalla sensibilità di suo figlio che pur tanto giovane, aveva compreso appieno il dramma vissuto da Jasmine pur non conoscendola. "Sì, proprio così...".
Jeremy strinse fra i pugni dei fili d'erba e poi, dopo lunghi attimi di riflessione, spalancò gli occhi. "Papà...!!!".
"Sì?".
"Quindi... Demian e Daisy sono i legittimi successori al trono di Norvegia?". Santo cielo, in tutto quel lungo racconto, lo aveva realizzato appieno solo in quel momento e a pensarci, gli sembrava qualcosa di sconvolgente!
Ross annuì, trovando quasi buffo che quei due pestiferi bambini biondi che si era portato in casa avessero fra le mani tanto potere. "Sì. Sicuramente hanno più diritto al trono del principe Magnus. Ed è per questo che li cerca, rappresenteranno sempre un pericolo ai suoi occhi finché saranno in vita".
Jeremy deglutì, pensando ai faccini simpatici di quei gemellini a cui per paura non era mai riuscito ad aprire del tutto il suo cuore. Eppure ora che aveva parlato con suo padre, si scoprì ad amarli e a volerli proteggere come lui. Forse lo aveva sempre fatto ma non aveva mai voluto ammetterlo a se stesso, forse ora che conosceva la loro storia se ne sentiva responsabile e forse, soprattutto, provava pena nel pensare a quella madre e quel padre che i due avevano perso prima ancora di conoscere la vita. Come avrebbe fatto lui, da solo nel mondo, se qualcuno gli avesse portato via i suoi genitori? "Ma loro sono Poldark. Nemmeno i loro genitori naturali volevano che diventassero principi, che questo Magnus se lo tenga il suo trono!".
Ross scosse la testa. "Sono Poldark solo sulla carta".
"No, papà! Sigrid e Olav erano gli eredi del casato degli Oldenburg ma Daisy e Demian sono Poldark, sono parte della nostra famiglia e non c'entrano più nulla con quelle persone".
Ross rimase colpito da quelle parole, soprattutto perché dette da Jeremy che, apparentemente, era quello che meno si era affezionato a quei due. Spesso, nei suoi pensieri, aveva scisso la figura dei gemelli da ciò che erano stati e ciò che adesso rappresentavano in seno alla sua famiglia ma sempre, aveva prevalso la loro vera appartenenza nei suoi pensieri e questo per Ross aveva sempre rappresentato un pesante macigno. Ma Jeremy aveva ragione, che cosa avevano in comune con la loro terra natìa? Cosa aveva donato loro la Norvegia? Erano Poldark adesso, i suoi figli, conoscevano la Cornovaglia, le maree e le miniere e lui era il loro papà e aveva il dovere di proteggerli.
Jeremy lo riportò alla realtà del presente. "Credi che il padre di Odalyn sappia tutto?".
Ross annuì. "E' un uomo del principe dal principe Magnus, certo che sa... E mi ha visto in Norvegia assieme a Jasmine, ne sono certo. Sono abbastanza sicuro che ai tempi, sia stata una delle spie che mi pedinavano".
"Ma non può provare nulla sui bambini, papà".
"Basta il sospetto! Quegli uomini non si fermeranno davanti a niente e uno di questi giorni chiederò a Jones, per sicurezza, di trovarci un rifugio segreto a Londra se le cose si mettessero male. Ricordo come andavano le cose ad Oslo e Haakon ci sguinzaglierà dietro spie senza scrupoli che potrebbero diventare pericolose se non prendiamo precauzioni".
Jeremy gli poggiò la mano sulla spalla, grato che si fosse confidato con lui, che si fosse fidato. Faceva un pò paura quel racconto ma sapeva che la sua famiglia se l'era sempre cavata e che sarebbe andato tutto bene anche questa volta. "Io ti aiuterò! E starò attento ad Odalyn, se dovessi rivederla".
Ross gli scompigliò i capelli. "Sei un bravo ragazzo, hai davvero preso da tua madre e questa è la mia fortuna".
"Oh oh papà...".
"Ohoh, cosa?".
Jeremy sorrise, nonostante tutto. "A proposito di mamma! Le verrebbe un colpo se sapesse che due eredi al trono la chiamano 'mamma'! Lei non si sente all'altezza dei nobili, le viene sempre l'ansia quando andate a qualche cena elegante".
Ross scoppiò a ridere. "Già, forse è il suo sesto senso che le ha imposto di non chiedere l'origine dei gemelli! Non avere fiducia in se stessa è l'unico difetto che potrei attribuirle ma sai, credo che Daisy e Demian non avrebbero potuto trovare al mondo una madre migliore di lei. Quando li ho portati via dalla Norvegia, non volevo tenerli con noi, ma lei li ha visti e non se n'è più potuta separare. Tua madre è fatta per amare, sempre, qualsiasi creatura vivente abbia davanti".
Jeremy annuì, trovandosi d'accordo, in pace col mondo e con suo padre. E pronto ad andare avanti unito a questo grande segreto con suo padre. "A proposito di mamma... Torniamo a casa?".
Ross annuì, comprendendo che non c'era più bisogno di parole. "Sì, direi che è ora! Chissà se ci hanno lasciato qualcosa da mangiare?".
Jeremy si tirò in piedi, aiutando Ross a fare altrettanto. "Beh, Daisy è in castigo, lei i biscotti non li può aver toccati".
"Lo spero!".
Salirono a cavallo e Jeremy, prima di partire, si voltò verso il padre. "Grazie".
"Di cosa?".
"Di aver avuto fiducia in me. Non ti deluderò".
"Lo so...".
Tornarono a casa, uniti da un nuovo grande segreto che, se portato sulle spalle di due persone anziché una, sembrava più leggero.
Ross raggiunse Demelza, Bella e Clowance in cucina ma Jeremy, dopo una capatina vicino alla credenza da cui, di nascosto, aveva preso dei biscotti, salì di sopra nella cameretta dei bambini.
Entrò di soppiatto e apparentemente, la stanza gli sembrò vuota. Ma in due secondi, da sotto il letto, sbucarono due testoline bionde che lo guardarono stranite. Li osservò e per la prima volta vide solamente i suoi due fratellini e non una minaccia alla loro famiglia. Erano stati un arricchimento, mai un pericolo e da fratello maggiore li avrebbe protetti da quel giorno in poi. "Un uccellino mi ha detto che sei in castigo, Daisy".
La bimba si imbronciò. "E l'uccellino ti ha detto che non è giusto e che sono stata brava e non ho detto bugie?".
"Sì, lo ha fatto. E mi ha incaricato di...". Dalla maglia sotto cui li aveva nascosti, Jeremy tirò fuori i biscotti.
Il visino di Daisy si illuminò e, seguita da Demian che come sempre si era coalizzato con lei unendosi al suo castigo, corse da lui. "Sono per me?".
"Sì, certo".
"Davvero?" - chiese la bimba incredula, probabilmente non molto avvezza a moti di gentilezza di Jeremy nei suoi confronti.
Il ragazzo si inginocchiò davanti a lei. "Davvero! Sei o non sei la mia sorellina?".
Daisy non rispose ma, felice, gli saltò al collo e lo abbracciò. "Sì, sono la tua sorellina!" - rispose, senza più paura di pronunciare quella parola.






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Capitolo 23
*** Capitolo ventitre ***


L'animo scientifico e avido di sempre nuove conoscenze di Dwight era entrato in fermento appena messo piede ad Oslo. Pur consapevole dell'urgenza di portare a termine la sua missione, non aveva potuto non fermarsi ad osservare estasiato quel mondo tanto diverso da quello fin'ora conosciuto. Era in una terra selvaggia, implacabile, coperta di ghiaccio e ammantata di un buio pressocché perenne, abitata da animali selvatici e da persone temprate dal gelo e dal clima inclemente eppure... Eppure il cielo si tingeva misteriosamente di mille colori e sapeva che il ghiaccio, nei suoi strati più profondi, nascondeva i misteri della vita e del creato, della storia e delle civiltà perdute e forse, le risposte a tanti quesiti ancora irrisolti dell'esistenza. Fosse stato giovane, senza famiglia, senza una missione da portare a termine, forse si sarebbe messo a scavare nella neve, si sarebbe soffermato ad analizzare ciò che conteneva e chissà, avrebbe appreso più di quello che i suoi studi gli avevano dato.
Magari, in tempi di pace, sarebbe tornato portandosi dietro Caroline e le bambine, da turisti. Sophie e Melliora si sarebbero divertite un sacco sulla neve e Caroline, dopo essersi lamentata per il freddo, avrebbe trovato uno scopo al viaggio nell'acquisto di pregiate pellicce da sfoggiare nella capitale.
Camminando nella città avvolta nel freddo e nella penombra, Dwight si accorse che nonostante tutto, era molto viva e attiva. Ovunque c'era gente che andava e veniva dal porto, bambini biondissimi come i gemelli correvano incuranti del freddo fra i cumuli di neve, stranieri giunti da ogni dove sbarcavano dalle navi con le loro merci e di fatto, anche se si trovavano nell'estremo nord, Oslo sembrava pulsante di vita e di civiltà più di quanto fosse mai stata Londra.
Nell'aria l'odore di neve si mischiava a quello di sidro e di sardine formando un connubio particolare e unico. Non sapeva se piacevole o meno al naso ma di certo caratteristico di quella terra. Poteva immaginare che Ross, a suo tempo, fosse stato decisamente meno propenso a rimanere incantato davanti alla diversità di Oslo e forse il suo amico si era limitato a maledire il gelo, ma Dwight in cuor suo era a bocca aperta come un bambino ed era grato all'amico per avergli chiesto di fare quel viaggio in sua vece. Un pò perché aveva la possibilità di conoscere posti nuovi, un pò perché amava i gemellini. se ne sentiva lo zio putativo e quindi avrebbe fatto di tutto per proteggerli dalle ombre che sembravano minacciarli.
Trovata una locanda e passata la prima notte a riposare, il mattino seguente si mise sulle tracce della donna di cui Ross aveva bisogno, la tata Inge. Dwight aveva in mano un foglietto col suo indirizzo e una lettera per lei scritta da Ross e sperava vivamente di trovarla. Era una donna non più giovane, poteva essere morta in quegli anni. Oppure, più semplicemente, essersi trasferita da un'altra parte...
Camminando per le vie del porto fingendo tranquillità e mischiandosi ai commercianti stranieri che andavano e venivano dalle banchine, Dwight si diresse verso la via che Ross gli aveva indicato. Una serie di casette in legno variopinte che con la neve sembravano uscite da uno dei libri di fiabe delle sue bambine, accompagnò il suo passaggio e ne restò affascinato.
Quando giunse alla casetta di Inge - o almeno sperava fosse ancora sua - si accorse che era piccola, che dava sull'angolo finale del vicolo e che tutto attorno era un reticolo di stradine che si intrecciavano fra loro fino al porto. Era facile perdersi se non si stava attenti ma quell'ammasso di casette che si susseguivano una dietro l'altra senza sosta dovevano essere state il nascondiglio perfetto per i gemellini di Ross. Chissà quante cantine e stanze nascoste ospitavano quelle piccole abitazioni, chissà quante storie segrete quelle mura potevano raccontare, chissà...
Dwight sospirò, bussando alla porta dopo essersi guardato attorno per verificare che nessuno lo avesse seguito. In realtà a Londra era rimasto nell'ombra, Haakon non lo aveva mai visto con Ross e quindi poteva muoversi con tranquillità, anche se comunque la prudenza non era mai troppa.
La porta si aprì e una donnina un pò ricurva, coi capelli bianchi raccolti in una crocchia e uno scialle di lana pesante sulle spalle, gli comparve davanti. Aveva gli occhi color ghaccio tipici di quella terra, una espressione gentile da nonna ma assieme a questo, uno sguardo pungente e indagatore. "Signore?".
"Signora, spero di non averla disturbata".
"Oh, parecchi viandanti si perdono fra queste viette e bussano alle porte, non preoccupatevi".
Un cucciolo dal pelo bianco e nero e dagli occhi color ghiaccio comparve fra le gambe della donna, incuriosito dal suo arrivo. Dwight sorrise, inginocchiandosi ad accarezzarlo. "Bel cane, ne ho visti molti così da quando sono sbarcato".
La donna annuì. "E' una femmina, si chiama Astrid ed è una cucciola scartata dai commercianti di pelli perché nata troppo piccola di taglia per trainare le slitte. Se ne girava sola e imfreddolita per la via e visto che avevo posto in casa e soffrivo di solitudine quanto lei...".
"E' così, per caso, che nascono le amicizie migliori". Dwight si rimise in piedi, togliendosi il cappuccio del mantello e arrivando al punto. "Siete madame Inge?".
La donna lo squadrò mentre la sua espressione gentile si incrinava. "Forse... O forse no... Voi chi siete, signore?".
Dwight si tolse dalla tasca la lettera di Ross. "Mi manda un uomo dall'Inghilterra, ho un messaggio per Inge".
La donna si fece seria. "Un uomo dall'Inghilterra?".
"Sì, un uomo con una cicatrice sulla guancia, coi capelli scuri a cui quattro anni fa una certa signora Inge ha consegnato un carico prezioso... Due carichi... Un uomo che è il mio migliore amico e che mi ha implorato di venire quì".
Non riuscì a finire la frase. Nonostante la sua età, l'anziana lo prese per il braccio, lo trascinò dentro casa e una volta che anche il cane fu dentro, chiuse con forza la porta dietro di loro. "Cosa siete venuto a fare? Chi siete?".
Dwight gli porse la lettera, si presentò e poi si guardò attorno osservando il piccolo ambiente rustico, un unico locale dove convividevano il loro spazio un camino su cui cuoceva un pentolone di zuppa, un letto al suo fianco, una piccola credenza, un tavolo con due sedie e nulla più. Una casa minuscola e semplice ma a suo modo graziosa e dignitosa, curata e pulita in cui si sentiva a suo agio. "Quì troverete tutti i motivi che mi portano quì. Se siete la donna che cerco...".
"Lo sono". Sospettosa, Inge prese la lettera, la aprì e la lesse. Solo poche parole, stringate, firmate da quell'uomo giunto in una notte di aurora boreale quattro anni prima. "Ricordo quell'uomo inglese, l'amico di Jasmine... Prese i bambini e lasciò con loro la Norvegia, salvandogli la vita. E salvandola a me che pur nascondendoli, ero in grave pericolo con loro quì, nella mia casa".
Dwight sorrise mentre si accomodava sulla sedia davanti al fuoco indicata dalla donna. "I piccoli stanno bene e sono salvi".
"Lo so".
"Come lo sapete?".
Inge fece un sorriso furbo. "Hanno continuato a cercarli, non hanno mai smesso. Quindi non li hanno mai trovati... Che ne è stato di loro e di quell'uomo, dove vivono adesso Sigrid e Olav?".
Dwight si accigliò. "Sigrid e Olav?".
"Sì, i gemellini di Jasmine".
Oh, ora era tutto chiaro. Dwight conosceva i bimbi coi nomi inglesi scelti da Ross ma fino a quel momento non aveva mai conosciuto la loro vera identità. "Ovviamente i bambini ora hanno nomi inglesi, si chiamano Demian e Daisy e sono due piccole pesti bionde, intelligenti, vivacissimi, con la propensione a fare i monelli ma assolutamente adorabili. L'uomo a cui li avete affidati, il mio amico Ross Poldark, assieme alla moglie li ha adottati e ora vivono con lui e i loro altri bambini in Cornovaglia. Ross lavora per il governo inglese, ha fatto in modo che i bambini avessero atti di nascita inglesi e fino ad ora è andato tutto bene. Ma ora...".
Inge lo interruppe, stupita. "Quell'uomo? Davvero ha tenuto i bambini con se? E' un grande sollievo saperlo, per tutto questo tempo mi sono chiesta cosa ne fosse stato di loro. Li immaginavo soli in un istituto, malnutriti e tristi, abbandonati al loro destino...".
"Ross non lo avrebbe mai permesso, è un uomo che quando prende a cuore qualcosa, ci si tuffa a capofitto cuore e anima. Qualunque scelta, sarebbe stato il suo cruccio assicurarsi del benessere dei piccoli. Ma sua moglie, una donna davvero speciale a cui non si può non voler bene, appena li ha visti ha deciso che dalla loro casa non se ne sarebbero più andati... Sono in una bella famiglia e sono bambini sani e felici".
Inge sorrise ma poi, guardando la lettera di Ross fra le sue mani, si rabbuiò. Si sedette su una sedia a dondolo, prese in braccio la sua cucciola e poi guardò Dwight con aria grave. "Ma se siete quì ora, significa che qualcosa non va".
Dwight raccontò brevemente del viaggio dei Poldark a Londra, dell'incontro col console Haakon, del suo strano interesse per Ross e i gemellini e del timore che ci fossero guai in vista.
Al termine del racconto, Inge si strinse nello scialle. Poi rilesse la lettera di Ross. "Voi conoscete ogni particolare della storia dei gemelli?".
Dwight scosse la testa. "No, solo l'indispensabile. Ma prima di partire, Ross mi ha detto che la corona norvegese era parte del problema".
Inge annuì. "Haakon, il console che avete incontrato a Londra, è uno degli uomini di fiducia del principe Magnus. E Ross Poldark, se teme che possa rappresentare un pericolo, ha perfettamene ragione. Rese impossibile la vita di Harald, Jasmine e dei gemelli e dopo la loro nascita fu incaricato dalla corona di trovarli e farli sparire. E' molto probabile che abbia visto il vostro amico in compagnia della madre dei piccoli e lo abbia riconosciuto. E ci metterei la mano sul fuoco sul fatto che è uno dei responsabili degli omicidi dei genitori dei bambini".
"Sembrate conoscerlo bene, signora".
"Certo. Fui la balia del principino Harald quando era piccolo e conosco bene coloro che gravitano attorno alla corona. Anche dopo la fine del mio servizio, Harald mantenne rapporti affettuosi con me e anche se adulto, spesso veniva a farmi visita. E mi raccontava degli uomini al soldo del padre e del fratello... Odiava la corte e quando conobbe Jasmine e scoprirono di aspettare dei figli, capì che era in pericolo e che io ero l'unica persona fidata che potesse aiutarlo...".
Dwight spalancò gli occhi mentre i pezzi confusi del puzzle che gli aveva raccontato Ross andavano al loro posto. "Harald era, quindi...?".
"Il padre dei gemelli ed era l'erede designato al trono, in quanto primogenito dell'attuale re".
Dwight si mise le mani nei capelli. Santo cielo, come faceva Ross a cacciarsi sempre in guai simili? "Se Harald era il primogenito...".
Inge terminò per lui la frase. "I gemellini sono i suoi diretti eredi. Olav ha diritto di successione al trono. E ovviamente per il principe Magnus, fratello minore di Harald e padre di molti figli, la nascita dei bambini significava allontanarsi dal diritto di accedere alla successione visto che Harald non era riuscito a generare figli prima dell'incontro con la donna spagnola".
Olav... Dwight immaginò il visino biricchino di Demian, il suo mettersi il pollice in bocca quando aveva sonno, la sua faccia soddisfatta quando mamma-Demelza lo prendeva in braccio e gli venne da sorridere. Principe sanguinario di un regno nordico? Santo cielo, era quanto di più lontano esistesse...
Inge si accorse del suo sorriso. "Che avete?".
"Se conosceste Demian... Olav... Tutto ciò che potreste pensare è che è un bambolotto adorabile. Coccolone, furbo, con un visino irresistibile, con una fantasia immensa, amante della natura e degli alberi su cui si arrampica come uno scoiattolino. E la sua massima aspirazione è stare nel lettone con la sua mamma, a un trono non ci pensa minimamente".
Lo sguardo di Inge si addolcì. "Anche Harald era così. E la bimba?".
"Oh, lei forse è più sanguinaria e selvaggia. Impertinente, vivace, intelligente e con una notevole lingua lunga. Spesso in castigo ma bella come il sole e indipendente come i vostri guerrieri vichinghi. E vuole fare la piratessa da grande, così dice quanto meno. Forse l'amore per il mare è insito nelle sue origini".
"Sigrid... O Daisy... Comunque la chiamate, discente da un popolo di grandi navigatori".
"Già". Era vero, al sangue e alle proprie origini tutti devono rendere conto.
Inge sospirò, dondolandosi sulla sedia. "Beh, la loro indole era già così chiara alla nascita... Ora sembrano bimbi felici ed amati, i loro genitori possono riposare in pace, quindi. Ma i bambini no, non possono vivere tranquilli se le cose stanno come mi avete raccontato. E' stata sfortuna incontrarvi con Haakon a Londra. Quì è un uomo molto conosciuto per la ferocia con cui tratta gli oppositori alla famiglia reale. Oppositori o presunti tali spariscono nel nulla e si narra vengano tenuti nelle segrete del palazzo reale, torturati e infine uccisi senza pietà. E poi gettati in mare".
Dwight tremò, la Norvegia era una terra affascinante quanto selvaggia nelle sue leggi. Come il clima, era implacabile. "Lo conoscete bene mentre noi non sappiamo con che tipo di nemico dobbiamo confrontarci. Ross Poldark vorrebbe, se vi è possibile, che veniste a Londra con me in seno alla sua famiglia. Se si conosce il nemico, le fortificazioni per difendersi da esso sono più forti all'interno delle mura. So che è un viaggio lungo e che forse alla vostra età...".
Inge lo bloccò, guardandolo storto. "State insinuando che sia una vecchia bacucca?".
Dwight arrossì. "N... No ovviamente. Ma è inverno e non siete nemmeno una giovincella. E forse non volete lasciare la vostra terra".
Inge mise a terra la cucciola, poi si alzò e si parò davanti a Dwight con le mani sui fianchi. "Discendo da una stirpe antica e valorosa, il gelo non mi fa paura come non fa paura a nessuno che abita in queste terre. Amo casa mia, amo Oslo e amo la mia terra ma feci un patto di fedeltà con Harald e Jasmine e promisi loro di fare di tutto per i bambini. Il vostro amico Poldark fece tanto, rischiò il collo per salvarli e poi se n'è preso cura. Se ha bisogno di me, così come feci con Harald a suo tempo, verrò in suo aiuto. In fondo ho sempre desiderato viaggiare".
Dwight rimase sorpreso dalla velocità con cui la donna aveva preso una decisione non semplice e in un certo senso folle. Eppure forse non doveva stupirsene visto che con lo stesso coraggio aveva scelto di aiutare Harald e Jasmine mettendosi contro la corona. Non era una donna qualunque e dietro a quel suo aspetto da nonna si doveva nascondere una vera guerriera senza paura. "La mia missione quindi, è andata a buon fine? Davvero partirete con me? In una terra straniera, in seno a una famiglia di cui sapete poco o nulla? Non è una scelta semplice e se volete pensarci...".
"Ci ho già pensato!".
"Sì, ma...".
"Verrò dottor Enys, ma a una sola condizione!".
"Quale?".
"La mia Astrid deve poter venire con me. Non la abbandonerò quì".
Dwight osservò la cucciola dagli occhi di ghiaccio che a terra aveva preso a giocare con un gomitolo di lana. "I bambini la adoreranno".
Gli occhi di Inge si inumidirono. "Potrò rivederli?".
"Certo! E potrete prendervene cura, ovviamente mantenendo il segreto sulle loro origini".
"Ovviamente, non voglio certo turbare la loro serenità". Inge gli strinse la mano come a siglare un patto, poi si avvicinò alla finestra. "Pensate che sia folle ad accettare così?".
"Coraggiosa, non folle".
"La verità signore, è che è un dono questo che mi offrite. Sono così contenta di poter rivedere quei due piccoli e vedere come sono diventati grandi. Per settimane sono stati la mia ragione di vita e me ne sono presa cura come fossero dei miei nipotini. Anche se nel nascondiglio che ho sotto casa tutto era buio ed angusto, ho cercato di creare per loro una bella stanzetta dove stare bene".
Dwight le si avvicinò. "Li adorerete. Così come adorerete i Poldark".
"Ci sono altri piccoli, giusto?".
"Sì, un ragazzino di quindici anni, una bambina di dodici e una piccolina di cinque. E un anziano cane di nome Garrick che farà da mentore alla vostra Astrid".
Inge annuì. "Sembra una bella avventura, fatemi fare i bagagli e sarò lieta di partire con voi. Com'è l'Inghilterra?".
"Umida, ma decisamente meno fredda della Norvegia".
"C'è la neve?".
"Sì, in inverno".
Inge lo guardò con aria di sfida. "Ma sicuramente non è bella come la nostra".
"Forse, ma nel nostro piccolo ci difendiamo bene".
"E l'aurora boreale?".
Dwight sospirò, ricordando lo spettacolo meraviglioso che il cielo gli aveva offerto al suo attracco al porto. "No, quella non la abbiamo. Avete vinto".
Inge rise. "Sarà davvero divertente viaggiare con voi".

...

Stretti sotto le coperte, Ross e Demelza si stavano godendo i dolci momenti seguenti all'amore. Il camino scoppiettava, il calore era piacevole e anche se fuori neve mista a pioggia picchiava contro le imposte, il gelo pareva lontano da loro.
Ross le accarezzò i capelli rossi, annusandone il profumo. "Devo dirti una cosa...". Odiava spezzare quel momento di intimità e pace ma era dalla conversazione con Jeremy che sentiva il desiderio di farlo e ormai, con Dwight probabilmente di ritorno, era giunto il momento di affrontare determinati discorsi.
"Anche io" - rispose sua moglie, poggiata al suo petto.
"Cosa?".
"Prima tu, Ross...".
L'uomo prese un profondo respiro, sperando che Demelza non si offendesse per quanto stava per raccontarle. "Sai, ho parlato con Jeremy mentre eravamo fuori a cavallo. Credo, ho scelto... ho pensato... che avrebbe dovuto sapere la verità visto il suo coinvolgimento con Odalyn. Voglio che sappia che ho bisogno di lui e che mi fido ciecamente di ciò che fa".
Demelza rimase per un pò in silenzio, poi alzò il viso per fronteggiarlo. "Sono contenta che tu l'abbia fatto".
"Sicura? Ero molto incerto perché ora lui sa cose che tu non hai mai voluto ascoltare e forse non avrei dovuto... senza consultarti".
Demelza deglutì. "Gli hai raccontato ogni segreto dietro alla nascita dei gemelli?".
"Sì".
"Jeremy è il miglior alleato che potevi trovare, Ross".
L'uomo tirò un sospiro di sollievo ma la questione non era certo risolta, non per lui almeno. "Sì. Ma ora, credo di volere che lo sappia anche tu".
Demelza si nascose sotto le coperte. "Oh Ross, ne abbiamo già parlato a suo tempo. Non voglio sapere, non è importante per me. Ma sono contenta che tu abbia voluto coinvolgere Jeremy".
Le sfiorò il mento, costringendola a sollevare il viso. Poi poggiò la fronte contro la sua. "Ma io ho bisogno di te! Abbiamo sempre condiviso tutto, ogni dolore e ogni gioia. Sei la mia compagna e la mia forza e forse ora dovremo prendere decisioni difficili che non potrai capire se non saprai tutta la storia. Sono passati quattro anni e nulla potrà mutare il tuo amore per quei due bambini ma proprio per questo, per il loro bene, per il NOSTRO bene, io ho bisogno di te. Sei la più saggia, sei la parte migliore di me e se ci saranno da fare scelte difficili, io è con te e non solo con Jeremy che voglio farle. Sìì la mia compagna, come sempre...".
Demelza strinse i pugni, chiuse gli occhi e sentì la supplica di Ross arrivarle al cuore. Non voleva addossarle delle ansie inutili, voleva solo condividere un qualcosa di importante con lei e in fondo, non era questo il ruolo di una moglie e il significato di un matrimonio? "Così non mi dai scelta..." - rispose infine, con un sorriso. "Ma sai, ricordo che quando ci siamo sposati, il Reverendo Halse ci ha uniti nella gioia e nel dolore. Abbiamo sempre diviso tutto, abbiamo condiviso momenti difficili e tu sei sempre stato quì per me, come quella sera in cui nel tuo abbraccio ho ritrovato la strada per la nostra casa...".
Ross la strinse più forte, ricordando quella sera maledetta in cui aveva creduto che Armitage l'avesse portata via per sempre e il sollievo che lo aveva invaso quando era tornata... E ricordava quell'abbraccio disperato in cui due anime perse si erano aggrappate l'un l'altro per non andare in frantumi, quell'abbraccio in cui l'aveva stretta promettendo a se stesso che non avrebbe più permesso che lei gli scivolasse via dalle dita. "E tu... Tu non sei sempre rimasta con pazienza quando ero io ad essermi smarrito?".
"Sono tua moglie, Ross. Rabbia e dolore non cancelleranno mai il fatto che ci apparteniamo e che siamo ciò che siamo grazie a quegli errori. Fu difficile rimanere ma fu la scelta migliore che potessi fare. E ora lo so per certo" - rispose, intrecciando le dita con quelle del marito.
"E allora, mi ascolterai?" - le chiese, baciandole la mano.
"Sì".
"Sarà un racconto lungo perciò prima dimmi tu il tuo segreto".
Demelza sospirò, sorrise e poi lo baciò sulle labbra. "In fondo, è serata di rivelazioni sconcertanti".
"Cosa c'è di sconcertante? Garrick ha messo incinta la cagnolina dei vicini?".
Demelza rise. "No, Garrick è innocente. Tu no".
Ross rimase inebetito senza capire bene a cosa alludesse ma dopo circa dieci secondi balzò sul letto a occhi spalancati e terrorizzati. "N... Non dirmi che tu... io...?". Osservò il ventre piatto della donna e poi il suo viso. "DEMELZA!!!".
Lei lo guardò maliziosa. "Te l'avevo detto quando siamo venuti quì che era una cattiva idea chiudere la camera da letto a chiave la notte. Troppa libertà ha un suo prezzo".
Ross si mise le mani nei capelli, stramazzò sul cuscino e guardò il soffito. "Giuda!".
"Non rubarmi le imprecazioni!".
Ross la prese per la vita, la strinse a se e la trascinò contro il suo petto. "Potrei dire di peggio ma non sarebbe elegante davanti a una donna incinta".
"Non sei felice?" - chiese, preoccupata.
"Oh, lo sono, lo sarò! Ma al momento prevale la preoccupazione! Dannazione, come è potuto accadere di nuovo?".
Demelza si accigliò. "Me lo stai chiedendo sul serio?".
Ross sospirò, essere così sopraffatto dalle emozioni non era corretto nei confronti di Demelza e fare certe domande lo faceva apparire decisamente idiota. Quindi la baciò sulle labbra, sentendo di amarla ancora di più e una maggiore responsabilità a volerla proteggere. "Alla festa di Sawle avremo talmente tanti figli da poterli fare gareggiare ognuno in ogni competizione" - mormorò infine, cercando di apparire leggero.
"Già".
Le baciò i capelli. "Quanto meno ora, col mio racconto, farò perdere un pò di sonno anche a te... Potrebbe essere una consolazione sapere di essere pari".
Lo disse con leggerezza ma Demelza rabbrividì e si strinse a lui. Era ora di ascoltare qualcosa che aveva sfuggito per anni e che ora non poteva più procrastinare. "Sono pronta...".
E la più lunga notte della loro vita ebbe inizio...

...

C'era molto silenzio in casa e suo padre non le rivolgeva la parola da quando aveva fallito il suo tentativo di seduzione con Jeremy Poldark.
Odalyn aveva cercato di spiegare che il ragazzo era immaturo, troppo schiacciato dalla volontà dei genitori, che gli era parso spaventato e si era dato alla fuga ma suo padre non le aveva creduto e dopo tutto non se ne stupiva, era bravissimo a captare le menzogne. Ma soprattutto, nonostante tutto, la conosceva e doveva aver percepito la sua scarsa volontà di portare a termine il compito assegnato... La verità era che Jeremy Poldark era un bravo ragazzo e che era stato più gentile di suo padre nei suoi confronti e questo era bruciante da ammettere. Suo padre non era mai stato gentile o affettuoso, le aveva concesso tutti i vizi possibili ma mai amore vero e sincero.
Pensando a Jeremy e alla sua famiglia, si chiese se solo la sua fosse così difettosa di sentimenti o se invece fosse quella dei Poldark ad essere anomala. Due genitori che si amavano, figli, fratelli che si supportavano a vicenda, valori... Lei non ne aveva, o almeno così pensava. Ma pur ferita dall'astio del padre, era felice che Jeremy non avesse aprofittato delle sue avances. Suo padre le aveva rimproverato che a quattordici anni una donna deve sapere usare il suo fascino ma lei si sentiva ancora piccola per certe cose. Si comportava da donna vissuta ma in realtà non era che una bambina che non aveva mai avuto una guida vera e propria ed era cresciuta da sola.
Si appoggiò con la fronte al vetro della finestra che dava sul giardino, osservando la neve bagnata che cadeva dal cielo, così diversa da quella ghiacciata della sua terra che si attaccava ovunque. Chiuse gli occhi e finse di essere un'altra, finse di essere a casa, di avere un padre più gentile e una madre ancora viva, finse che nella stanza accanto ci fossero rumorosi fratellini che giocavano e finse di essere nella sua terra del cuore. Da piccola suo padre l'aveva mandata per quasi un anno a vivere con una zia materna sulle isole Lofoten, all'estremo nord della Norvegia. Un piccolo villaggio di pescatori, una comunità unita dove ci si aiutava per fronteggiare il clima inclemente, gente semplice, falò in mezzo alla piazza per trovarsi e scaldarsi la sera bevendo vino bollito e speziato, battute di pesca su barchette piccole ma agevoli per evitare il ghiaccio, sorrisi cordiali. Oh come avrebbe voluto tornarci, oh come le mancava quel buio quasi perenne per mesi che però era scacciato dal calore di quelle persone. L'unico posto dove si era sentita a casa, dove c'era stata una zia che le aveva insegnato a cucinare e a lavorare la lana, dove non aveva mai pranzato o cenato da sola.
Ma poi aprì gli occhi e il silenzio assordante della casa la ricatturò. Suo padre si era chiuso nel suo studio con alcuni emissari arrivati dalla Norvegia e origliando, aveva sentito distintamente la parola 'Poldark'. Che doveva fare? Avvertire Jeremy del pericolo imminente? Stare zitta? Rischiare l'ira di suo padre?
Richiuse gli occhi ma il buio la avvolse e le sue amate isole Lofoten le apparvero stavolta tremendamente lontane.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ***


"Era bella?".
Ross abbassò lo sguardo su sua moglie che in silenzio e pensierosa, riposava sul suo petto. Era stata una notte intensa, una di quelle notti dove le anime si mettono a nudo e le verità più nascoste vengono a galla. Le loro 'chiacchiere' da letto erano una delle parti che più amava del suo rapporto con Demelza e spaziavano dal discutere di loro e dei loro amici, dei figli e a volte, di cose dolorose. E si concludevano quasi sempre con la diradazione della nebbia e dei dubbi che li avevano afflitti durante la giornata, allentando le tensioni fra loro. Ma la notte passata era stata qualcosa di più, era stata un aprirsi su un passato che Ross aveva sempre taciuto alla sua famiglia, non perché dovesse nascondere chissà quali segreti ma perché parlare non era mai stato il suo forte e quel racconto era stato qualcosa che lo aveva spossato. Era un racconto su loro e sulla loro famiglia, su quei due bambini venuti dal nord e diventati loro, sulla storia che si portavano dietro e sulle conseguenze che questo avrebbe potuto avere su tutta la loro vita futura. Non ci era abituato, aveva sempre pensato che tutto quello che era avvenuto prima di conoscere Demelza non dovesse toccare il presente. Aveva parlato poco di suo padre e ancor meno di sua madre e suo fratello Claude, della guerra in America, degli anni dell'adolescenza. Non era stato un bambino triste ma nemmeno aveva vissuto la più spensierata delle infanzie e guardandosi indietro, a Ross pareva di essere cambiato talmente tanto da allora che se ci pensava, gli sembrava di guardare alla vita di un altro. Una vita diversa, una persona diversa che non aveva alcuna utilità raccontare. "Chi?".
"Jasmine".
Ross sospirò, parlare di amori passati poteva diventare un campo minato e pericoloso e lui a volte non era un maestro a scegliere le parole. Il suo rapporto con Elizabeth, portato avanti oltre il lecito nei pensieri - e anche nei fatti - aveva attentato più volte alla stabilità del suo matrimonio e non voleva che la cosa si ripetesse. Però Jasmine non rappresentava un pericolo, non era un altro fantasma come lo era stata Elizabeth per tanti anni e sperava che Demelza lo capisse. "Avevamo quindici anni, l'età di Jeremy adesso. Che vuoi che ti dica? Era ancora piatta come una tavola ma era sveglia, era straniera e aveva viaggiato in un sacco di posti, conosceva il mondo e per me che non ero mai uscito dalla Cornovaglia, questo rappresentava qualcosa di assolutamente affascinante. Pensavo di essere l'uomo della situazione solo perché amavo fare a botte con gli altri ragazzi ma lei mi fece ben presto capire che di strada ne dovevo ancora fare. Era carina, sì. E sveglia, intelligente, istruita, sapeva parlare correttamente l'inglese, il portoghese, lo spagnolo e il tedesco. Mi son preso una cotta da ragazzino come forse Jeremy l'ha presa per Odalyn, anche se effettivamente, forse, doveva ritenermi un mezzo selvaggio. Ma stranamente mi ha accettato come il suo unico amico per il periodo che è rimasta in Cornovaglia. Poi è partita e dopo tre giorni l'avevo dimenticata, come aveva predetto mio padre. A lui non andava molto giù la mia cotta per una ragazzina straniera...".
Demelza alzò lo sguardo. "Ma lei non ha dimenticato te, evidentemente".
Ross si accigliò, pensando al suo incontro inaspettato con Jasmine a Oslo, alla sua disperazione, al suo essere senza alcun appiglio e difesa contro i mostri che la perseguitavano. "Oh, si che lo ha fatto, di certo non ha passato gli anni successivi a piangere il distacco da me. Ma quando mi ha visto, quando ha scorto un viso noto in un mondo a lei così ostile, non ha potuto che venire da me. In quel momento, probabilmente, per lei non ero che un miraggio in un deserto ostile... Aveva perso l'uomo che amava, la sua vita era in pericolo e così quella dei suoi bambini e io ero l'unico volto amico in una città straniera e fredda dove dietro a ogni volto si poteva nascondere un nemico pronto ad attaccarla".
Demelza sentì di provare pena per lei, oltre che ammirazione. Era stata una donna coraggiosa, appassionata e impavida che per salvare i suoi bambini aveva scelto di darsi in pasto ai suoi carnefici senza pensarci due volte dimostrando un gran cuore e un animo puro ed innamorato per la famiglia che si era costruita. In realtà non era gelosa, lo aveva capito da sola che per Ross era stato un gesto compassionevole per aiutare una donna in difficoltà ma era curiosa di conoscere quel lato ragazzino di suo marito, a lei ancora sconosciuto. Chi era Ross prima di conoscerla? Prima di conoscere Elizabeth? "Quindi non fu che una cotta estiva?".
"Sì. Sai lo scorso anno, alla festa di Sawle, quando Bella voleva fidanzarsi col moccioso del fabbro?".
"Il moccioso del fabbro ha un nome, Ross, si chiama Billy Rassel".
"Beh, non ha importanza. Lo ricordi?".
Demelza lo guardò storto. "Lo scorso anno Bella aveva quattro anni. Però sì, lo ricordo...".
"Beh, è la stessa cosa. Bella dimenticò il suo amore per lui appena vide il tavolo coi biscotti e io dimenticai Jasmine alla prima scazzottata in una osteria di Truro dopo la sua partenza".
Demelza scoppiò a ridere. "Giuda Ross, tu avevi quindici anni, Bella undici in meno. Non è la stessa cosa!".
Lui scosse la testa. "Il risultato non cambia! A quindici anni cosa vuoi che sia un innamoramento? Arriva, ti schiaccia e poi passa. Non ti è mai capitato?".
Demelza ci pensò su, poi lo guardò negli occhi. "A quattordici anni ho conosciuto te. E la cotta non mi è mai passata, pensandoci bene...".
Lui fece un sorriso da malandrino, cingendole la vita per attirarla a se e baciarla. "Tu sei stata una quattordicenne fortunata. Poteva capitarti uno sbarbatello di Illugan senza arte né parte e invece hai trovato me...".
Risero, in fondo non era il caso di drammatizzare quel racconto. Anche perché c'erano tante cose importanti di cui discutere. "Ross, sai, ora che so la storia di Demian e Daisy, sono ancora più decisa a proteggerli e più felice di averli tenuti con noi. Fa paura pensare a chi davvero sono ma adesso sono MIEI. TUOI... E vivono la vita che avevano sognato per loro i loro genitori. Non mi sento meno madre dopo questo racconto, mi sento semplicemente più forte e determinata. Non permetterò che qualcuno si avvicini ai nostri bambini. Ma come possiamo fare?".
Ross le accarezzò la schiena. "Davvero non sei pentita di averli tenuti, coi rischi che corriamo adesso?".
"No, mai... E tu?".
La baciò lentamente. "Mai... Anche se credevo che avresti preso con più panico la notizia che in realtà sono due principi".
Lei sospirò. "In realtà ho avuto la tremarella e la pelle d'oca quando me l'hai detto. Forse se avessi saputo la verità quando li hai portati a casa, avrei avuto mille paure a tenerli anche se alla fine sarei giunta alla medesima decisione. Ma ora sono miei quanto di Jasmine, li ho allattati, ricordo la loro prima parola e la data dei primi dentini, mi chiamano mamma e io sono la loro mamma. Quindi sì, un pò di tremarella c'è ma per me non sono due principi, per me sono Demian e Daisy, i miei bambini".
Ross sorrise. "E allora il mondo gira ancora nel verso giusto...".
Finse di ignorarlo, assieme alla sua battuta. Giuda, la conosceva tanto bene... "E allora, che si fa?".
Ross sospirò. "Ho parlato con Jones, sta allestendo per noi un rifugio nel caso ce ne fosse bisogno".
"Santo cielo, credi che sarà necessario doverci nascondere?".
"Non lo so Demelza, ma voglio essere pronto ad ogni evenienza. E sapendo quanto son bravi a spiare le mosse delle persone, voglio sapervi in un luogo sicuro se ce ne fosse l'esigenza. Faremo a meno delle tre domestiche assunte quì, Prudie ce la faremo bastare, non voglio estranei in casa finché la faccenda non sarà risolta. Possono correre dei rischi con noi ma possono anche essere corrotte con del denaro, possono diventare un pericolo non controllabile, potrebbero tradirci e consegnare i bambini al nemico... Quando arriverà Inge, sperando che Dwight l'abbia trovata, potremo decidere con lei il da farsi. Conosce i nostri nemici meglio di noi. E le giuste contromosse da adottare! Ha nascosto Jasmine per mesi e poi i gemelli sotto il loro naso e non si è mai fatta scoprire. E' anziana ma è una donna che sa il fatto suo. Ti piacerà".
"Sicuramente... Ma finché questa storia non sarà sistemata, avrò lo stesso paura" - disse Demelza, tremando.
"Te la senti di gestire la casa da sola con Prudie, amore mio, in questi giorni?".
"Certo".
"Anche nelle tue condizioni?".
Demelza lo guardò storto. "Ross, non sono moribonda, sono incinta!".
"Beh, questo ti rende fragile e rende me PREOCCUPATO!".
Lei si buttò sul cuscino. "Non sono fragile e tu sei esasperante quando ti ci metti! Quando potrai permetterti di essere contento del tutto?".
"Dal decimo giorno dopo il parto, quando avrò constatato che non hai avuto nessuna febbre!".
Lei si mise il cuscino sulla faccia. "Sei esasperante, lo ribadisco!".
Ross le sorrise, togliendole il cuscino di dosso. "A proposito, i bambini lo sanno?".
"Del fratellino in arrivo? Ovviamente no, volevo dirlo a te per primo".
"Come reagiranno?".
Demelza rise. "Oh, Jeremy penserà che per la nostra età, sia davvero notevole che abbiamo avuto un altro figlio".
Anche Ross rise. "Gli picchio la testa contro il muro se prova anche solo a pensarlo!".
Demelza proseguì, divertita. "Clowance sarà contenta, Bella curiosa e i gemelli crederanno che sia in arrivo un usurpatore".
Ross la abbracciò, grato che quella donna così solare fosse sua e fosse sua moglie. "Ti rendi conto che siamo in un mare di guai e stiamo ridendo a letto?".
"Beh, è la nostra forza! Essere ottimisti o cercare di esserlo rende le cose meno difficili".
"Speriamo" - mormorò Ross.
"Speriamo..." - rispose Demelza... "Però ecco, a letto forse dovremmo fare altro oltre che ridere".
Ross la fissò, divertito. "Sei diventata troppo spudorata! Ciò a cui pensi ha riempito questa casa di bambini".
Lei si toccò il ventre. "Per un pò di mesi non correrai questo rischio".
La baciò, non aveva tutti i torti e quindi la cosa si faceva interessante. "In effetti...".
"E i bambini? Quando glielo diremo?" - sussurrò Demelza, prima che lui catturasse le sue labbra.
"Domani...".
Si lasciò andare alle attenzioni del suo uomo. "Domani è un'ottima idea".

...

Annunciarono il lieto evento a cena, dopo una giornata passata a fare quanto stabilito.
Avevano congedato le domestiche londinesi con una lauta buonuscita e loro erano state ben contente di lasciare la casa con le tasche più piene e decisamente lontane dalle piccole pesti di famiglia.
Prudie, alla notizia, per poco non fece cadere a terra il pudding che Demelza aveva cucinato per dolce. "Santo cielo!" - esclamò guardando Ross, IL COLPEVOLE, in cagnesco. "Ne arriva un altro...". Poi guardò Demian, sconsolata. "Mocciosetto, dovresti correre nel lettone di tua madre più spesso...".
Jeremy si mise le mani sulla bocca, scoppiando a ridere un pò per la battuta di Prudie, un pò per l'imbarazzo che la stessa aveva suscitato nei genitori. "Fra un pò avremo più bambini che zia Morwenna nella sua scuola. E bravi mamma e papà!".
Ross e Demelza arrossirono ancora di più. Santo cielo, evidentemente era vero che i figli adolescenti sapevano mettere in imbarazzo i genitori con grazia e maetria meglio di chiunque altro. Anche meglio di quella lingua lunga di Prudie...
Clowance fissò il fratello maggiore, prima di parlare. Più o meno, a dodici anni compiuti, ormai sapeva come nascevano i bambini e quindi, rispetto a quando era in arrivo Bella, si sentiva più imbarazzata e ancora non capace di affrontare la questione con la leggerezza di Jeremy. "Sei contenta, mamma?" - chiese solo, timidamente.
Era piuttosto inusuale per lei essere imbarazzata e Demelza si intenerì. Era così vivace e sfacciata di solito, che in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarla. "Sì, lo sono. Tu?".
"Sì. E se urlerà troppo di notte come faceva Bella, basterà metterlo nella stalla".
"Buona idea!" - borbottò Demian, il cocco di mamma, davanti a quel nuovo piccolo usurpatore in arrivo.
Ross rise, scompigliando i capelli biondi del piccolo vichingo. "Dovrai fartene una ragione come me la sono fatta io alla nascita di ognuno di voi" - sussurrò, facendo riferimento a tutte le volte che il marmocchio lo aveva spodestato dal letto e allontanato dalle dolci attenzioni della moglie.
Demian, a quelle parole, si imbronciò ancora di più.
Bella invece si avvicinò a Demelza, toccandole il ventre. "Ma dove si nasconde?".
La madre le prese la manina, guidandola sulla sua pancia ancora piatta. "Quì e la, si muove molto. Come facevi tu".
Anche Daisy si avvicinò. "Starà stretto lì dentro".
Ross si avvicinò, prendendo in braccio la piccola. "Mai quanto te e Demian. Voi eravate in due". Lo disse con leggerezza perché anche se di fatto non avevano vissuto la gravidanza dei gemelli, doveva essere comunque stata una esperienza piuttosto dura per la loro madre.
"E Demian mi dava fastidio!" - sentenziò Daisy, col tono di una che sapeva il fatto suo.
Evidentemente quella non era la sua serata e Demian scoppiò a piangere. "Non è veroooo".
Jeremy si alzò, andando da lui per prenderlo in braccio. "Oh, basta! Mi farai compagnia da fratello maggiore, ora avrò il tuo aiuto".
"Ma io voglio la mamma!".
"E la avrai. Ancora, sempre" - rispose Jeremy, accarezzandogli i capelli. Se aveva imparato qualcosa di sua madre, era che non avrebbe mai fatto mancare il suo amore a nessuno. Ai figli di sangue, ai figli del nord. Alla loro famiglia, a quella che erano e che sarebbero diventati.
Bella saltò sulle gambe di sua madre. "Ma se c'è un altro bimbo, perché avete mandato via le tate?".
Ross e Demelza si guardarono negli occhi, optando per una mezza bugia visto che avevano scelto di lasciare fuori dai discorsi più difficili i tre bimbi più piccoli cercando di far apparire tutto ciò che sarebbe successo come un gioco. "Erano esasperate dai vostri dispetti, sono scappate! Ma ora arriverà una nuova tata, la porterà zio Dwight. E' una donna gentile, in gamba e che ama molto i bambini. La amerete e mi auguro SARETE BRAVI!".
Per nulla intimorita, Daisy incrociò le braccia. "Vedremo...".
Prudie si avvicinò, prendendo la bambina. "Per ora vedrai la vasca da bagno con tuo fratello e Bella! Vi siete rotolati ovunque oggi, non andrete a letto così conciati".
Demian scalciò come un cavallino imbizzarrito. "Sono pulito, in terra è pulito e il bagno non lo voglio fare".
Ross lo prese dalle braccia di Jeremy, mettendolo a terra. "No, ha pulito Prudie e quindi il pavimento non è pulito. A fare il bagno e poi a letto, tutti e tre! Verrò con la mamma a raccontarvi una favola quando avrete finito".
I tre bimbi protestarono ma Demelza si impose e alla fine cedettero a Prudie e ai genitori.
Rimasti soli con Jeremy e Clowance, decisero di dir loro la verità.
Demelza prese Clowance sulla gambe, Jeremy si sedette per terra davanti al camino con Garrick che sonnecchiando, gli aveva poggiato il muso sulle gambe.
Ross si incupì, mentre spiegava tentando di non farla spaventare, la situazione alla figlia. Jeremy ormai sapeva tutto ma lei no e non era ancora così grande da comprendere appieno la gravità della situazione. Voleva che capisse il necessario senza che questo le mettesse troppa ansia.
Quando ebbe finito di spiegare chi fosse Inge, la difficile situazione col console norvegese e il pericolo che correvano i gemelli, Clowance si rannicchiò contro il petto di sua madre. "Io non voglio, papà".
"Cosa?".
"Che vengono a prendersi i gemelli! E che c'è chi vuole fargli del male! Sono i miei fratellini adesso, che gli importa a quelli di noi?".
Demelza deglutì. Ross aveva omesso il ruolo nella famiglia reale norvegese dei gemellini ma era giusto che Clowance sapesse comunque qualcosa. "E' una questione di eredità, di potere. Cose da grandi!".
La bambina scosse la testa. "E allora che problema c'è? A Daisy e Demian mica interessa una eredità, loro non sono grandi! Loro vogliono solo un sacco di doni per Natale, Daisy vuole diventare piratessa e Demian dormire più spesso nel lettone! E disegnare! Papà, dillo a quel signore della Norvegia, dillo che non ci interessa l'eredità".
Ross scosse la testa. "Non è così facile e loro pensano che i gemellini siano dei nemici. E proprio per questo dovremo stare attenti, dovremo proteggerli perché noi sappiamo la verità, sappiamo che non sono nemici di nessuno ma quegli uomini no. E quindi da oggi giocherete in casa, in fondo è inverno e fuori fa freddo. Ma soprattutto, ricorda, i gemellini non devono mai essere lasciati soli, soprattutto se doveste uscire. Guardatevi attorno, cercate di capire se qualcuno osserva voi o la casa e se vi accorgete di qualcosa di strano, ditemelo subito".
"Non potremo uscire?" - chiese Clowance.
"No, almeno per un pò cercheremo di limitare il tempo fuori. E forse dovremo anche nasconderci se necessario, Jones sta già cercando un posto adatto e sicuro per noi. Ma ti prometto che sistemerò tutto e che staremo tutti bene molto presto".
"Anche i gemelli?".
"Anche i gemelli, Clowance" - disse Demelza, baciando la nuca della bambina.
Ross le sorrise. "Ti fidi di me?".
"Sì, papà".
"E tu, Jeremy?".
"Sì, lo sai".
Ross annuì. "E io di voi. E quindi dovremo essere ancora più uniti. Per i gemelli e per la mamma... Stetele vicini e aiutatela anche voi, viste le sue condizioni...".
Demelza lo fulminò con lo sguardo. Giuda, ancora con quella storia? Aveva intenzione di trattarla da malata fino al LONTANISSIMO parto? "Ross, non sono moribonda!" - ringhiò.
"Sei incita, è quasi lo stesso".
Clowance rise, nonostante tutto era divertente vedere i genitori battibeccare, erano davvero buffissimi quando lo facevano. "Papà, lo farò, aiuterò mamma!" - disse cercando di stemperare la tensione. "Ma tu non farla arrabbiare!".
"Anche io" - aggiunse Jeremy. "Anche perché sta meglio di te".
Demelza allargò le braccia. "Hai sentito?".
Ross sospirò. Era una congiura, non ne sarebbe uscito sano di mente. Ma erano una famiglia unita, la sua famiglia. Ed era fiero di tutti loro.
Haakon si era scelto come nemici la famiglia sbagliata, coi Poldark non avrebbe avuto nessuna speranza di vittoria. Ross ne era convinto.

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ***


Il tempo era pessimo e una pioggia ghiacciata mista a neve, unita alla decisione di tenere al sicuro da possibili pericoli i bambini, aveva spinto Ross e Demelza a cercare attività che potessero tenerli tranquilli e occupati in casa.
Il Parlamento aveva interrotto le sedute per le festività natalizie imminenti e i grandi ricevimenti dei nobili per ora sonnecchiavano in attesa di riprendere in vista delle settimane del Natale.
Proprio il Natale che stava pian piano arrivando, aveva dato a Demelza il modo di tenere i piccoli occupati ad addobbare la casa e così era tutto un via vai di festoni, candele, addobbi e chiasso su e giù per le scale. Un chiasso allegro ma la casa stava diventando bellissima e magica tanto che anche Ross stava prendendoci gusto nel montare ed ideare addobbi.
Festoni di rami d'abete intrecciato con nastri rossi e arricchiti con pigne erano stati messi su porte e finestre, un grande abete era stato decorato e addobbato nel salone principale, mille fiori rossi di Natale cangianti abbellivano ogni angolo, centrotavola natalizi e candele arricchivano ogni mensola e ogni tavolo e un grande tappeto rosso che copriva tutto il pavimento era stato la ciliegina sulla torta. Mancavano i doni e i bambini avevano fatto una lista di richieste lunghissima anche se Ross aveva detto loro che sarebbe stata spuntata ad ogni capriccio. E quindi, pur bisticciando su questo o quello, stavano ben attenti a non essere troppo monelli.
In quei giorni Jeremy aveva ricevuto un biglietto in cui Odalyn gli chiedeva compagnia per un giro a vedere le vetrine dei negozi del centro e il ragazzino, dopo quanto successo fra loro nella loro cavalcata e le rivelazioni del padre, aveva sperato di non avere il permesso per andare. Era incerto su mille cose, su come comportarsi, su cosa fare, su cosa dire ed inoltre non capiva il perché Odalyn lo stesse cercando ancora.
Ross gli aveva detto di fare come credeva, Demelza invece lo aveva spinto ad accettare. Il padre di Odalyn poteva essere un mostro, pensava, ma lei era una ragazzina e non meritava di pagare per gli errori dei grandi. Una passeggiata in centro non avrebbe fatto male a Jeremy, era un ragazzino ed era giusto che avesse contatti anche coi suoi coetanei ed inoltre sarebbe sembrato sospetto per tutti constatare che i Poldark erano quasi spariti dalla circolazione...
Fu in questo clima, durante la prima domenica di Avvento, che Dwight bussò alla porta.
Demelza era al piano di sopra a sistemare gli abiti appena lavati dei bambini, aiutata dal fido Demian che non la mollava un attimo da quando aveva saputo del fratellino in arrivo, mentre Ross si stava dannando di sotto cercando di mettere pace fra le bambine che volevano addobbare abete e casa ognuna a modo suo. E di sottofondo, i borbottìì di Prudie inondavano l'aria di 'canti' poco natalizi...
Quando sentì bussare, Ross era vicino alla porta a montare i festoni su un piccolo abete comprato il giorno prima. Le bambine facevano baccano nel grande salone in fondo al corridoio e la voce di Jeremy cercava di mettere pace fra loro, senza però riuscirci, e fu in quel chiasso che Dwight, con Inge, si ritrovò nel mondo dei Poldark.
Appena Ross aprì l'uscio e vide l'amico sano e salvo, fece un grande sospiro di sollievo. Era stato preoccupato per lui e per quella missione che gli aveva affidato e aveva pregato che tutto andasse bene. Non se lo sarebbe mai perdonato se gli fosse successo qualcosa e non avrebbe più potuto guardare in volto Caroline, Sophie e Melliora in quel caso... Ma era lì, sano e salvo. E un doppio sospiro di sollievo lo avvolse quando vide accanto all'amico, la figura minuta di Inge.
Rimase basito, a bocca aperta, felice ma impacciato. Non sembrava invecchiata in quei quattro anni e anzi, il suo sguardo pareva ancora più vispo e arzillo. Era una donna fuori dal comune, coraggiosa e spavalda. Quattro anni prima aveva sfidato i potenti di Norvegia per salvare due bimbi indifesi e ora aveva affrontato un lungo e difficile viaggio in nave per giungere in una terra straniera. Guardandola, si augurò di essere come lei da anziano...
La donna sorrise, tirandosi giù il cappuccio del mantello. "Bene bene, a quanto pare siamo riusciti a rincontrarci di nuovo signor Poldark".
Ross allargò le braccia, la strinse a se come avrebbe stretto una nonna e le sorrise. "Che posso dire se non grazie? E benvenuta".
Inge annuì. "Sono io che devo ringraziare voi, più di quello che avrei mai pensato".
Dwight si tolse il mantello. "Missione compiuta al termine di un viaggio eccezionale. Non potrò mai ringraziarti per avermi fatto vivere una simile avventura, il mio animo scientifico te n'è grato!".
"Non hai avuto un freddo cane?" - chiese Ross, ridendo.
Dwight gli poggiò amichevolmente una mano sulla spalla. "Un freddo sorprendentemente interessante, il giusto e onesto prezzo per un pò di esperienza di vita e conoscenza in più. E' da quando ho lasciato Oslo che mi chiedo quali e quanti segreti nasconda tutto quel ghiccio. E cosa da origine a quella meravigliosa aurora boreale".
"La magia dei nostri dei" - suggerì Inge. "Che altro, se no?".
Dal salone comparve il viso di Clowance che appena sentita la voce di Dwight, gli corse incontro come un fulmine. "Zio Dwight, zio Dwight!" - urlò saltandogli al collo.
L'uomo la accolse fra le braccia. "Oh, come sei cresciuta signorina!".
Altri visini sbucarono dalla porta del salotto, incuriositi. E infine anche Daisy e Bella, seguite da Jeremy, corsero a vedere cosa stava succedendo.
"Zio Dwight!" - urlò Bella dopo che Jeremy ebbe salutato - "Ciao! Mi hai portato un regalo?".
Dwight rise, Bella era sempre così spontaneamente selvaggia... Poi indicò Inge. "Sì, lei".
Daisy si tolse i capelli dagli occhi. alzò il faccino squadrando la donna e poi si mise le mani sui fianchi. "La tata vichinga!?". Suo padre le aveva anticipato che sarebbe arrivata...
Inge guardò la piccola, i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi di ghiaccio, la pelle candida e la riconobbe subito. La ricordò neonata, minuscola e indifesa e sentì la commozione invaderla nel vedere quanto fosse cresciuta e che bimba era diventata. Si inginocchiò davanti a lei e le sorrise. "Sì, sono la tata vichinga, brava!". In quegli anni, nelle sue preghiere, aveva espresso il desiderio di una vita almeno accettabile per quei due piccini ma ora, vedendo quella bimba, si rese conto che consegnandoli a quell'uomo inglese mandato da Jasmine, aveva permesso loro di vivere una vita bellissima in una vera famiglia. Le sue preghiere erano state esaudite oltre ogni sua aspettativa...
Da sotto il mantello di Inge, qualcosa si mosse e le bambine le si avvicinarono. Un musetto di cucciolo sbucò infine dalla stoffa, mugulando in cerca di attenzione.
Le tre bambine spalancarono gli occhi. "Un cucciolo vichingo!" - gridò Bella, entusiasta, allungando la manina per accarezzarlo.
Inge sollevò gli occhi su Ross per giustificare quella presenza che di certo non si aspettava e forse non era gradita. "Non potevo abbandonarla per venire quì, è la mia famiglia. Spero non ne avrete a male... E' piccola ed è stata scartata da dei cacciatori perché nata di taglia minuta per tirare le slitte e...".
"E una cucciola ma è molto buona ed ubbidiente" - aggiunse Dwight in aiuto della donna.
Ross sorrise, in fondo era ben poca cosa rispetto a quanto Inge stava facendo per la sua famiglia. E poi quella situazione non poteva non intenerirlo portandogli alla mente il suo primo incontro con Demelza e Garrick tanti anni prima. "Sarà la benvenuta, i bambini ne sono entusiasti e Garrick, il nostro anziano cane, avrà una compagna di giochi e compagnia. In questa casa non si lascia da solo nessuno".
"Come si chiama?" - domandò Clowance.
Inge osservò la ragazzina, bionda quasi quanto una vichinga, dalle guance piene e dall'espressione vivace. "Astrid, bella signorina".
Daisy rise. "Astrid, il cagnolino vichingo".
Sentiti quei rumori, Demelza scese al piano di sotto con Demian in braccio. E appena vide Dwight accelerò il passo, correndo da lui. "Giuda, sei quì! E sei vivo!" - disse, con la solita esuberanza.
Ross avrebbe voluto rimproverarla sia per aver corso per le scale sia per il fatto che Demian fosse ancora in braccio dimenticandosi che era 'gravemente' incinta ma la gioia della moglie lo spinse a procrastinare i rimproveri a più tardi.
Dwight la salutò calorosamente, accarezzando la testolina di Demian. "Vivo e vegeto! E con una amica".
Demelza fece un caloroso sorriso ad Inge. Era stata così in ansia per la donna e per Dwight in quelle settimane e la curiosità di conoscerla si era fatta fortissima dopo il racconto di Ross sulla vera identità dei gemelli. La giudicava eccezionale già prima di conoscerla e ora che l'aveva davanti sentiva una gran bella sensazione verso di lei. "Siate la benvenuta. Vi abbiamo aspettato tanto".
Inge le sorrise. "Il dottor Enys mi ha raccontato molto di voi, ha detto che è impossibile non volervi bene. E' un piacere conoscervi, signora Poldark".
"Il piacere è mio. Grazie per essere quì" - rispose Demelza, abbracciandola come avrebbe fatto con una madre. Poi osservò la cucciola. "Giuda, è bellissima".
"Mi auguro non sia un peso per voi, signora".
Demelza scosse la testa. "Amo i cani quanto voi, dal mio non me ne sarei separata nemmeno sotto tortura". Poi si rivolse ai figli. "Avete salutato come si deve la nostra nuova ospite?".
Jeremy si fece avanti, con gentilezza. "Io non ancora. Benarrivata signora, sono Jeremy".
"E' un piacere conoscerti, giovanotto".
"E io Clowance".
"Ed è un piacere conoscere anche te, signorina".
"Non sono sempre una signorina! Sai che so scendere giù nelle miniere? Papà dice che sono spericolata ma brava!".
Inge le sorrise. "Oh, non ho mai visto una miniera! Me ne mostrerai una?".
Clowance annuì entusiasta. "Certo! Basta che non cascate giù come Prudie che appena trova un sasso, finisce a gambe all'aria".
La donna scoppiò a ridere. "Farò del mio meglio".
Ora però arrivava il difficile. Bella la squadrò pensierosa, studiandola con attenzione. "Io sono Bella e tu? Sai cantare?".
"Oh, conosco molte canzoni vichinghe. E tu?".
"Conosco molte canzoni cornish. Anche quelle delle osterie di Truro che mi ha insegnato Tolly, l'amico di papà".
Ross intervenne, alzando gli occhi al cielo e ripromettendosi di fare due chiacchiere con Tolly al suo ritorno a casa. "Sì, Isabella-Rose ha una voce potente. Da grande pensiamo che potrà fare la cantante. O la venditrice al banco del pesce al mercato di Truro, in alternativa...".
Inge strizzò l'occhio alla piccola. "Ci eserciteremo per diventare cantanti, è più divertente che vendere pesce".
Bella rise. "Sì".
Daisy si mise le mani sui fianchi. "Io sono Daisy e quando sono arrabbiata e mi fanno arrabbiare le tate e anche Prudie, lancio il brodino caldo in testa".
Lo disse minacciosa, in un modo tanto buffo che Inge scoppiò a ridere. L'animo forte dei condottieri e dei grandi capi del nord scorreva indubbiamente nelle sue vene e doveva essere un tipino poco avvezzo ad accettare no e mezze vittorie. "Santo cielo, se proprio vorrai farlo, mi fai un piacere?".
"Quale?".
"Lanciami il brodino caldo nelle giornate fredde, così potrò scaldarmi".
Daisy rimase interdetta da quella risposta che di certo non si aspettava. Prudie e le vecchie tate londinesi gridavano e minacciavano castighi mentre quella donna sembrava diversa, forte e meritevole del suo rispetto. "Va bene, vedrò cosa posso fare...".
E infine toccò a Demian. Il piccolo era rimasto abbracciato a sua madre come un koala, in silenzio ed imbronciato.
Inge lo osservò e in lui rivide molto del padre Harald. Stessi capelli biondi, stesso modo di cercare attenzioni e affetto, stesso faccino furbo. "E questo piccolo ometto?" - chiese.
Ross sospirò. "Lui è Demian e da quando ha scoperto che è in arrivo un fratellino che, pensa, usurperà il suo trono nel cuore di mamma, le sta attaccato come la colla cercando di mantenere inalterato il suo potere".
Dwight spalancò gli occhi. "Fratellino in arrivo? Un altro?".
Demelza rise. "Sì, Ross non si è ancora ripreso dalla sorpresa. Io invece sto bene".
Dwight la abbracciò. "Santo cielo, complimenti. E considerami a tua completa disposizione per ogni necessità".
Demelza mise a terra Demian. "Lo farò. E tu su, saluta Inge e il cagnolino".
"Cagnolina!" - la corresse Bella. "E' una femminuccia vichinga".
Demian osservò Astrid, accarezzandola con timore visto che la piccola cercava di mordicchiarlo per giocare.
Inge si inginocchiò. "Sei timido?".
"Solo per i primi cinque minuti" - disse Ross. "Poi si scatena".
Demian la osservò accigliato e infine iniziò a sua volta un interrogatorio come avevano fatto le sorelline. "Sai arrampicarti sugli alberi?".
"Oh, mi piace tanto. Ma purtroppo dove vivo io c'è sempre talmente tanto ghiaccio che non si può proprio fare".
"In Cornovaglia in estate non c'è ghiaccio" - la informò il piccolo.
"Oh, allora potremo farlo insieme".
Demian la fissò cercando di capire se stesse scherzando ma gli occhi della donna sembravano sinceri e in fondo non aveva motivo di mentire. Pensò che era forte, non gli era mai capitato di conoscere una 'grande' che sapesse arrampicarsi sugli alberi. Le sorrise, allungò la manina e da vero signore e galantuomo strinse quella della donna. "Benvenuta".

...

Un'ora più tardi, dopo aver presentato Prudie e averle affidato i bambini e gli addobbi, Ross e Demelza accompagnarono Inge al piano di sopra mostrandole la sua stanza e accogliendola poi in un salottino ristorandola con del tè caldo e dei biscotti.
Dwight se n'era andato quasi subito tanta era la voglia di rivedere Caroline e le bambine e ora in casa parevano regnare curiosità e pace, nonostante il chiasso al piano di sotto dove il vociare dei piccoli si mischiava agli ululati della piccola Astrid e a quelli di Garrick che le correva dietro ovunque.
Seduti attorno a un tavolino, Inge occhieggiò Ross. "Quattro anni fa pensavo che foste folle e scavezzacollo ad accettare quel rischio pur di salvare due bambini sconosciuti. Ma decidendo di tenerli, avete superato ogni mia più fervida immaginazione. Quando Jasmine vi ha scelto, è stata saggia".
"Amo stupire..." - rispose Ross sorseggiando il tè, divertito. Non amava sentirsi chiamare 'eroe' ma di certo il suo ego ne era deliziato quando qualcuno pensava questo di lui.
"In realtà sono stata io a voler tenere i bambini, Ross all'inizio era molto titubante. Ma appena li ho visti, non ho potuto mandarli via... Erano piccoli, soli e la nostra casa era grande abbastanza anche per loro. Avevano bisogno di un papà e una mamma e io e Ross lo siamo. In fondo è stato semplice, che c'era di complicato?".
Inge sorrise dolcemente a Demelza, ammirata. "Il dottor Enys aveva ragione, siete davvero una donna che è impossibile non amare. Siete davvero una creatura adorabile. E vi ringrazio... Ero così affezionata a quei piccolini e per anni mi sono chiesta cosa ne fosse stato di loro anche se sapevo che erano al sicuro".
Ross si incupì. "Lo erano, almeno fino a poco fa...".
Anche Inge tornò seria. "Il dottor Enys mi ha raccontato del console Haakon. E' un uomo pericoloso e di certo quattro anni fa sapeva che eravate in contatto con Jasmine. Lo conosco bene, è un abile politico ma soprattutto una spia infallibile e una persona dotata di una incredibile intelligenza. E' spietato e se ha deciso che gli siete nemico vi farà guerra usando ogni arma. Come sua figlia, da quel che mi ha raccontato il dottor Enys. Povera creatura...".
Ross sospirò, pensando ad Odalyn. "Già. Jeremy ha molti contatti con quella ragazzina ma è un ragazzo assennato e so che non rappresenterà un problema".
Inge annuì. "Forse sarete la sua salvezza, come lo siete stati per i gemelli. Se avete bisogno di me, io cercherò di esservi d'aiuto, ho avuto a che fare con Haakon in passato e quanto meno conosco il modo in cui si muove. Avete commesso un grande azzardo a tenere i piccoli, un grande gesto d'amore e ora nel mio piccolo, vi aiuterò a proteggerli".
Demelza strinse la stoffa del vestito. "Per ora li teniamo in casa sempre con noi, al sicuro, con questo tempo freddo e piovoso è semplice e basta inventarsi qualcosa per tenerli occupati. Ma non possono vivere murati quì, sono abituati all'aria aperta".
L'anziana sospirò. "Pure io li tenevo nascosti e al chiuso ma erano neonati. Di certo ora non possono vivere così e anche in casa, correrebbero comunque rischi".
"Che volete dire?" - chiese Ross.
Inge abbassò lo sguardo. "I vostri nemici arrivano dal grande nord, dove di luce ce n'è poca. Sanno muoversi nell'ombra, al buio e lo sapete quanto me... E nell'oscurità scrutano tutto e arrivano ovunque... I bimbi dormono in una stanzetta loro?".
Ross sussultò a quella domanda, ricordando la brutta sensazione di avere spie che lo osservavano di continuo fuori dalla sua locanda ad Oslo, spie che sentiva vicine e capaci di arrivare fin davanti al suo letto. Sapeva che prima o poi quelle stesse ombre si sarebbero accalcate attorno a casa sua ma che potessero entrarci come pareva suggerire Inge, era qualcosa che aveva rimosso forzatamente dai suoi pensieri... "Sì, dormono da soli".
Inge si morse il labbro. "Dovete dormire tutti insieme, vicini. Non perdeteli di vista, non di notte. E' il momento dove correte rischi maggiori, quella gente non ci metterebbe nulla a penetrare nel vostro giardino e di lì in casa. Haakon è una volpe e saprà già tutto di voi e di questa casa. Se vorrà raggiungerli, imparerà come farlo. Dovete essere più veloci e scaltri di lui...".
"Giuda" - mormorò Demelza, tremando lievemente.
Inge le sfiorò la mano. "Non dovete mostrarvi timorosa, mai. Siamo una squadra, credo, e con astuzia e muovendoci bene, ne usciremo. Ci sono riuscita io anni fa, gliel'ho fatta sotto il naso e ora abbiamo il vantaggio di sapere che i nemici ci osservano, dandoci il tempo di prendere le contromosse".
Demelza era sempre più allarmata, nonostante il tono pacato di Inge iniziava a comprendere bene la reale portata del pericolo. "Ma come lo spiegheremo ai bambini? Jeremy e Clowance potranno capirlo, sanno la verità. Ma i piccoli?".
Inge sorrise. "Lo spiegheremo come un gioco, non è necessario dire verità che non capirebbero! Costruiremo una casa del Natale nella vostra stanza, un rifugio magico dove stare tutti insieme in attesa della notte più magica dell'anno. Tutti insieme, inventando giochi e fiabe. Ciò che state facendo in casa con gli addobbi, lo farete doppiamente in camera vostra. E' grande abbastanza?".
Ross annuì, pensando con tristezza ai tanti romantici piani che aveva fatto su quella grande camera da letto. "Sì, lo è e ci starebbero senza problemi dei divani in più per poter dormire tutti quanti lì. E visto quanto dite, la adibiremo per ospitarci tutti, voi e Prudie compresa. Sarà la nostra magica tana, giusto? E con due cani, avremo buona guardia su eventuali rumori notturni".
Inge annuì. "Perfetto! Per i bambini sarà un gioco, per noi sarà un rifugio ideale come lo era la mia cantina nascosta ad Oslo".
Demelza osservò quella donna anziana ma battagliera, minuta ma incredibilmente forte. Se non aveva avuto paura lei quattro anni prima, sola ed indifesa davanti a dei nemici potenti, non c'era motivo per averne ora. E forse quel loro 'rifugio' sarebbe stato fonte di magici ricordi di famiglia per loro e per i bambini. "Siete davvero brava coi piccoli, riuscite anche a pianificare piani di guerra rendendoli magici".
Inge rise. "Oh, io accudisco bambini da quando ero giovanissima. Principi e principessine, duchi e duchessine, conti e contessine. Alcuni monelli, alcuni vivaci, alcuni viziati, alcuni adorabili... Ho sviluppato molta fantasia negli anni".
Demelza sorrise dolcemente. "L'ho notato... So che i gemelli li avete nel cuore ma quando siete arrivata avete dato la medesima attenzione e gentilezza ad ognuno dei miei figli. E di questo vi ringrazio...".
Inge le sfiorò nuovamente la mano. "Oh, i bambini sono bambini, ognuno deve avere la giusta attenzione ed ognuno di loro è unico nel suo genere. E' vero, amo i piccoli gemellini e vederli ora cresciuti, vivaci, monelli e anche impertinenti è una gioia, il mio cuore è così leggero ora che li ho incontrati e so che lo è anche quello dei loro genitori naturali che grazie a voi possono riposare in pace. Sono bambini bellissimi e si vede che sono stati cresciuti con amore, senza differenze coi vostri figli naturali. Avete cinque figli stupendi e presto ne arriverà un altro. Vi aiuterò, consideratemi a vostro servizio, amo essere parte di una famiglia piena di piccolini".
Demelza le strinse di rimando la mano. "Non a servizio, nostra ospite. Faremo il necessario insieme e anche se non è casa vostra, spero possiate considerare di rimanere con noi".
"Beh, ho fatto diverse promesse poco fa. Ho miniere da esplorare e alberi su cui arrampicarmi. Non prometto se non ho intenzione di mantenere la parola data e una vacanza nella vostra Inghilterra mi piacerà".
Demelza la abbracciò come la conoscesse da sempre. La adorava già. "Grazie per essere quì".
"Già, grazie" - disse Ross, commosso.
I tre si strinsero la mano e con quel patto appena siglato iniziarono a predisporre un piano di guerra che iniziava da una stanza fatata che sarebbe diventata il regno del Natale. Il male sarebbe rimasto fuori, la magia che avrebbero creato lo avrebbe tenuto lontano finché non avessero ideato un piano per risolvere la situazione. Ce l'avrebbero fatta, Ross ne era sicuro.

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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ***


Per quell’appuntamento Odalyn aveva indossato un grazioso cappotto verde che, unito al cappello di velluto rosso, le conferiva una deliziosa aria natalizia. A Jeremy scocciava ammetterlo ma vestita così, con la sua figura slanciata, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi di ghiaccio freddi ma allo stesso tempo trasparenti, la trovava bella. Avrebbe preferito il contrario perché la lealtà verso la sua famiglia strideva con la strana attrazione verso una ragazzina che poteva essere sua nemica e che forse lo stava usando per portare a termine i suoi scopi. Inge aveva raccontato loro chi fosse davvero il console Haakon e quanto fosse pericoloso ma sua figlia?
Non capiva perché Odalyn continuasse a cercarlo e il racconto di suo padre, unito alle parole della tata norvegese - o vichinga, come la chiamavano i suoi fratellini - lo metteva in allarme. Era semplice interessamento e simpatia? O Odalyn portava avanti il piano di suo padre?
Dal canto suo anche la ragazzina era preda di mille pensieri e mille preoccupazioni e nonostante d'istinto avesse deciso cosa fare, di certo non poteva immaginare le conseguenze del suo operato. Suo padre si era chiuso in un ostinato mutismo verso di lei e non le parlava da settimane dopo il fallimento del suo piano di seduzione di Jeremy Poldark e sicuramente la considerava un fallimento come figlia. Si era angustiata per questo, ci aveva sofferto ma poi si era accorta che dopo tutto suo padre si era comportato con affetto ben poche volte verso di lei e di solito lo aveva fatto ad eventi importanti per fare bella figura con gli altri ospiti presenti più che per profondo amore paterno. Forse la considerava una sua proprietà, una pedina da muovere a piacimento sullo scacchiere delle sue macchinazioni ma amare era un’altra cosa. Jeremy Poldark aveva una famiglia che lo amava, aveva fratelli, aveva genitori che si preoccupavano per lui, lei era di solito sola, era stata cresciuta da tate e governanti fredde e distaccate e pur non essendole mancato nulla, si sentiva che le era mancato tutto.
Provava simpatia per Jeremy, anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. Ma era stato una delle poche persone nella sua vita che le aveva portato rispetto e si era mosso per il suo bene e questo l'aveva colpita molto. In quelle settimane aveva indagato, attenta a non farsi scoprire, sui motivi dell’accanimento di suo padre contro la famiglia Poldark. Aveva origliato i suoi discorsi coi collaboratori ed aveva compreso che i gemelli dei Poldark potevano non essere davvero dei Poldark ma qualcuno molto vicino ai reali di Norvegia. In che modo non lo sapeva ma suo padre pareva deciso a mettere le mani sui bambini a qualsiasi costo e le sue intenzioni verso di loro non sembravano buone. Non lo aveva mai detto chiaramente, lo aveva sempre sentito parlare per sottointesi ma ormai lo conosceva abbastanza bene per comprendere cosa si nascondesse dietro le sue parole.
Suo padre era un uomo spietato, spesso si era fatto vanto di questa caratteristica del suo carattere e sì, non amava lei come probabilmente non aveva mai amato nessuno nella sua vita e questo Odalyn lo aveva compreso da un pezzo. Era un uomo innamorato del potere e di se stesso, amava il ruolo che ricopriva in seno alla corte ma per il resto era una persona temuta, autoritaria e senza scrupoli. Era grande abbastanza per capirlo e soprattutto per decidere se questo le piaceva o no ed agire di conseguenza.
Ma una cosa aveva ereditato da lui ed era la furbizia. Odalyn aveva scelto in quelle settimane di silenzio e aveva capito che doveva agire d’astuzia con suo padre, cercando di fregarlo con le sue stesse armi. Voleva che seducesse Jeremy? Beh, lui non si sarebbe fatto sedurre ma lei si sarebbe avvicinata a lui quanto bastava per avvertirlo del pericolo…
C’erano sicuramente delle spie di suo padre a seguirla quel giorno, nascoste nell’ombra, che spiavano le sue mosse mentre era in compagnia del giovane Poldark. Beh, avrebbero riferito a suo padre qualcosa che a lui avrebbe fatto apparentemente piacere, la piccola marionetta avrebbe fatto vedere che eseguiva - apparentemente - gli ordini del capo. Ma doveva essere brava, furba e credibile. Non poteva permettersi errori...
Perché hai voluto proprio me per questa cosa?” – chiese Jeremy, annoiato davanti all’ennesima vetrina a cui si erano fermati. Santo cielo, odiava andare a fare compere e da piccolo era sempre morto di noia quando Prudie lo aveva portato al mercato assieme a lei. Ora con Odalyn e le sue dannate mercerie era ancora peggio! Che ci trovavano le donne di tanto interessanti in stoffe, abiti, pizzi e merletti? Un vestito non valeva l’altro…?
Odalyn sospirò. “Santo cielo che tipo noioso…”.
Esatto, brava! Potevi portarti uno meno noioso!”.
Lei gli fece la linguaccia. “Beh, amo tormentarti”.
Me ne sono accorto”.
Fingendo di ignorarlo, lei gli indicò un abito color crema in vetrina. “Che ne dici? Ti piace?”.
Jeremy fissò il vestito, avvicinandosi. “No”.
Odalyn lo guardò storto, era fin troppo sincero e brutale. “Davvero?”.
Sei bionda, hai la pelle bianca peggio del latte, che ti metti a fare un vestito di quel colore? Sembreresti un fantasma!”.
Odalyn sbuffò, aveva i modi di fare di un uomo delle caverne. “A me sembra perfetto!”.
Beh, fa come vuoi!”.
La ragazzina sorrise, decisa a stuzzicarlo ulteriormente. “Quindi il color crema non ti piace perché troppo chiaro, giusto?”.
Giusto!”.
Allora oggi, vestita in verde e rosso, devo sembrarti bellissima” – asserì con aria civettuola.
Jeremy divenne rosso come un peperone, preso decisamente in contropiede. “Sei… Sei meno simile… a un fantasma, sì!”.
Sei poco galante!”.
E tu sei una ragazza assillante!”.
Comprerò il vestito color crema!”.
Fa come vuoi, tanto devi mettertelo tu!”.
Odalyn si mise le mani sui fianchi. “Santo cielo, ma tu non stai a pensare a come devi vestirti al mattino?”.
No, metto la prima cosa che mi capita!”.
Sei proprio un maschio!”.
E tu sei proprio una femmina!”.
Si guardarono negli occhi, con gli sguardi che lanciavano fiamme di sfida ma anche con una strana attrazione che quando bisticciavano sembrava accendersi.
Fu Jeremy il primo a cedere, volgendo il viso altrove. Tornò a fissare la vetrina e poi le indicò un altro abito. “Quello lì, blu… Secondo me sarebbe meglio”.
Lei fissò il vestito, curiosa. “Davvero?”.
Sì, davvero…”.
Ci penserò…”.
Lo disse pensierosa, non in tono ironico, come se davvero stesse prendendo in considerazione la sua indicazione. Jeremy si fece serio, in realtà voleva capirne di più perché era evidente che ci fossero tensioni fra loro e anche se non poteva essere del tutto sincero con lei, voleva scoprire un po’ le carte in gioco. “Perché mi hai chiesto di uscire? Avevi mille alternative migliori a me”.
Questo è vero ma mi piace tormentarti, ti trovo buffo” – rispose la ragazza, a tono, ma scostando lo sguardo.
Non credo sia solo questo”.
Beh, credi male…”.
Jeremy le si avvicinò, prendendola per le spalle, esasperato da quel gioco di tensione e seduzione che a quindici anni ancora non riusciva a giocare del tutto. “Mi piace ridere e scherzare ma non mi piace essere preso in giro da una ragazza straniera ed annoiata. Se ti sto simpatico e vuoi la mia compagnia per questo, te la darò. Se lo fai per noia o chissà per che STRANO motivo, io me ne starò a casa mia da oggi in poi. Non risponderò a nessuna tua lettera e se ne arriveranno, le brucerò nel camino, non ti cercherò e non mi vedrai più… Mio padre mi ha insegnato che si deve essere sempre sinceri quando si fa qualcosa. O il più sinceri possibile…” – aggiunse infine, rendendosi conto che in fondo stava un pò mentendo anche lui...
Odalyn strinse i pugni, colpita dalla serietà di Jeremy e dal modo in cui aveva cambiato il suo umore. Se fino a pochi minuti prima gli era sembrato un ragazzino annoiato, ora pareva più grande della sua età. Poi si guardò attorno, guardinga, facendo scorrere gli occhi a destra e a sinistra… Aveva un po’ paura per quanto stava per fare ma se c’erano spie a seguirla, era il momento per agire. E Jeremy gli aveva offerto l’opportunità su un piatto d’argento… Gli mise le mani sul petto, lo spinse contro il muro e poi avvicinò per alcuni istanti le labbra alle sue. Non perché glielo avesse ordinato suo padre e non perché doveva farlo. Non solo per quello almeno… Stavolta era lei a desiderare quel contatto perché Jeremy gli sembrava affascinante e la attraeva. Lo baciò, un bacio leggero e fior di labbra di pochi istanti, poi si allontanò di pochi millimetri in modo che solo il ragazzino potesse udirla. “Devo dirti una cosa, per questo ti ho voluto con me oggi” – sussurrò.
Jeremy, che si sentiva andare a fuoco per quel contatto così ravvicinato che mai aveva avuto con una ragazza, sentiva il cuore in gola e la voce andata via chissà dove. Santo cielo, lo aveva baciato?! Baciato come facevano i grandi e come spesso aveva visto fare i suoi genitori? Che doveva fare? O dire? Perché era pur vero che aveva rifiutato settimane prima le avances spinte di Odalyn ma quel semplice ed innocente bacio era tutt’altro che spiacevole e risvegliava in lui sentimenti e sensazioni mai provate. Era sempre più confuso nei confronti di quella ragazza e non poteva dire che non gli piacesse ma sapeva anche che non poteva asserire il contrario “Cosa?”.
Lei lo ribaciò, piano. “State attenti”.
Come?”.
Labbra contro labbra perché chi la seguisse la vedesse solo flirtare, Odalyn lo guardò negli occhi. “Mio padre”.
Tuo padre?”.
Avete qualcosa che lui vuole… Due cose”.
Jeremy rabbrividì. "Non so di cosa parli".
Lei lo baciò ancora, brevemente. Le spie di suo padre avrebbero avuto cose interessanti da raccontare, anche se di certo non avrebbero potuto udire cosa si stavano dicendo. "Sì che lo sai" - asserì sicura, guardandolo negli occhi.
Stavolta fu Jeremy a farsi coraggio, in quello strano gioco di seduzione, attrazione e guerra... Credeva che quando sarebbe successo, sarebbe stato lui a baciare per primo la ragazza che gli sarebbe piaciuta ma Odalyn lo aveva battuto sul tempo e di fatto da subito si era dimostrata più sveglia di lui. Ma ora voleva farle vedere che sapeva fare altrettanto e soprattutto, stava iniziando a capire il senso di quell'uscita. Lei stava tentando di dirgli qualcosa e purtroppo per lui, pur costretto a fingere per non tradire la sua famiglia, era ben consapevole dei soggetti di quel loro strano discorso. I gemelli, due cose che il console Haakon voleva... Odalyn stava bleffando? Era una trappola? Stava cercando di estorcergli con quei baci delle confessioni? O stava cercando di aiutarlo? "Non lo so" - sussurrò, afferrandole i polsi.
Odalyn lo guaradò negli occhi, poi poggiò il viso sulla sua spalla parlandogli nell'orecchio in un gesto sensuale. "Ok, non sai molto, se ti fa piacere farò finta di crederci. Ma state attenti, mio padre con le sue mani arriva ovunque e afferra tutto ciò che vuole".
"Ti ripeto che non so di cosa parli" - le sussurrò all'orecchio con voce tremante.
Odalyn sospirò, sempre più sicura che Jeremy stesse bleffando e che non si sarebbe fatto scappare nulla di bocca. Ma era abbastanza certa che avesse ben compreso il messaggio. "Come vuoi... Ma non dimenticarti di guardare dentro alle mille ombre della sera, dì a tuo padre di guardarsi le spalle. Al buio succedono cose spaventose e ora in inverno di buio ce n'è tanto".
Si guardarono negli occhi, profondamente. Era bella e forse dannatamente pericolosa, non doveva dimenticarlo. Jeremy si sentiva per molti aspetti ancora un ragazzino ma aver baciato una ragazza lo faceva sentire improvvisamente grande e decisamente più confuso di quanto non fosse stato pochi minuti prima. Si sentiva strano, diviso fra l'affetto dei suoi genitori e queste nuovi e potenti sensazioni che Odalyn risvegliava in lui. Ma soprattutto, si sentiva spaventato e preoccupato perché Odalyn, come Inge, stava rendendo ancor più reali i timori e i pericoli che la sua famiglia stava correndo "Perché lo fai?" - chiese solo.
"Non posso dirti molto, dammi qualche bacio o saremo credibili".
"Credibili per chi?".
Odalyn si strinse a lui. "Per chi mi segue".
Allarmato da quelle parole, Jeremy fece per guardarsi attorno ma lei fu veloce a bloccargli il viso con un nuovo bacio. "Idiota! Vuoi farci scoprire?".
Si sentì effettivamente così, se Odalyn stava recitando un copione con uno scopo ben preciso, non stare al gioco forse avrebbe compromesso quell'aiuto che lei sembrava dargli e l'avrebbe messa in pericolo. Ma lo stava davvero aiutando? O faceva tutto parte di un piano di Haakon di cui lei era una comoda pedina? "Perché mi stai dicendo questo?" - chiese ancora.
Lei sospirò, appoggiandosi a lui e ricordando quando poche settimane prima la aveva respinta. "Mi hai rispettata".
"Quando?".
Odalyn scosse la testa, o Jeremy era idiota o era esasperante nel suo fare il finto tonto. "Lo sai...". Poi si staccò da lui, tornando padrona di se stessa e del suo caratterino tutto pepe. "E ora su, andiamo e ricorda cosa ho detto".
Jeremy deglutì. "Andiamo dove?".
"Voglio comprarmi il vestito blu. E anche quello color crema!".
E senza che lui potesse trovare il tempo per rispondere, lei lo trascinò all'interno del negozio ponendo fine a quello strano ed inaspettato momento che ancora non sapeva decifrare.
Due ombre nascoste dietro a un muro si guardarono negli occhi. Il loro capo avrebbe trovato decisamente interessante il resoconto delle ultime mosse di sua figlia...

...

Una nebbia fredda aveva ghiacciato la neve a terra e Prudie non la finiva di imprecare mentre con Clowance stava portando i cani a fare i bisogni in giardino.
La piccola Astrid correva contenta nel manto bianco mentre il vecchio Garrick le andava dietro come un nonno preoccupato, abbaiandole come a volerla rimproverare per la sua vivacità di cucciola.
In casa Ross, Demelza, Inge e i bambini stavano costruendo il fortino del Natale in camera da letto e la domestica non era affatto contenta di essere stata scelta per congelare fuori coi cani.
Clowance invece era entusiasta perché la cattività chiusa in casa non faceva per lei e stare all'aria aperta, anche se al gelo, la stava rigenerando.
Con la sua mantellina in lana color porpora correva dietro ai cani, ridendo spensierata gustandosi quel momento di libertà che le mancava da morire.
"Cadrai!" - le urlò Prudie.
"No, non cado! Stiamo qua fuori finché non torna Jeremy?".
"Fossi matta!" - le urlò Prudie - "Tuo fratello è fuori con la smorfiosetta vichinga e magari gli piacerà talmente tanto da tornare a notte! Fa fare pipì a quei due ammassi di pulci e torna dentro!".
"Ohhh, sei noiosa! E non hanno le pulci" - urlò Clowance di rimando, prendendo Astrid in braccio. La cucciola la leccò e lei rise. "Vedi che bella che è e come mi vuole già bene?".
Prudie alzò gli occhi al cielo ma quando fece per dire qualcosa, fu bloccata da Garrick che si mise a ringhiare, lanciandosi quasi con ferocia contro la cancellata del giardino.
Clowance e Prudie si guardarono in faccia stupite, era strano, era un cane buono e pantofolaio e mai l'avevano visto fare così. Inoltre era quasi sera, faceva freddo e in giro non sembrava esserci anima viva. "Cos'ha?" - domandò la bambina avvicinandosi a sua volta al cancello.
Prudie fu colta da uno strano sesto senso e allarmata per la situazione di pericolo che la famiglia correva, fece per fermarla. "Clowance, ferma!".
Ma Clowance fu più veloce e in un attimo, coi cani, era fuori dal cancello.
Prudie le corse dietro e quando la raggiunse, trovò la bambina che, assorta, guardava fra i rovi del parco davanti casa. Garrick ringhiava ancora e la piccola Astrid, anche se in modo buffo, cercava di imitarlo. "Che cosa c'è?".
Clowance indicò un punto imprecisato di una siepe. "C'era qualcuno nascosto che ci guardava".
Prudie si allarmò. "Cosa? Sei sicura?".
"Sì, c'è nebbia ma ho visto un'ombra sfuggire via appena mi sono avvicinata".
Prudie impallidì e d'istinto prese per mano la bambina. "Prendiamo i cani e andiamo dentro, subito".
Clowance non fece storie stavolta, stringendosi a lei. "Sono i cattivi che vogliono i gemelli secondo te?".
La donna le accarezzò le spalle. "Non lo so, magari era solo un gatto randagio. Ma è meglio andare dentro".
Clowance scosse la testa. "Non era un gatto. Dobbiamo dirlo a mamma e papà?".
Prudie annuì. "Sì".
Entrambe guardarono verso il parco, ora immobile e silenzioso ammantato di una nebbia densa e gelida che pareva nascondere infinite ombre e inquietanti misteri. Poi rientrarono a passo spedito, seguite da Astrid e da Garrick che ancora non aveva smesso di ringhiare.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisette ***


Quanto successo a Clowance e Prudie aveva messo in allerta Ross, Demelza ed Inge ma i tre, dopo aver coinvolto anche Jeremy nelle loro decisioni, avevano deciso di proseguire nelle scelte fatte facendo finta di nulla. I bimbi avrebbero avuto la loro stanza magica del Natale e tutto sarebbe parso fatato e idilliaco, avevano diritto a quella festa che aspettavano da tanto. Il Natale stava arrivando e con esso e la sua atmosfera fiabesca un pò del marcio che li circondava sarebbe stato cammuffato.
Jeremy aveva aiutato i genitori a sistemare la loro camera in modo che potesse ospitare tutti. Aveva mantenuto il segreto su quanto successo con Odalyn perché si sentiva imbarazzato nel ripensare ai baci della ragazza e non voleva condividere quel momento intimo con nessuno prima di capire cosa significasse per lui. Ma c'era anche l'avvertimento che gli aveva dato Odalyn e forse di quello avrebbe dovuto parlare ma... Ma in fondo suo padre sapeva già di dover stare attento ad Haakon, Inge lo aveva avvertito e quindi sarebbe bastato solo fare attenzione come avevano fatto fino a quel momento e tutto si sarebbe risolto in un modo o nell'altro.
Nella camera da letto fu portato un divano dove avrebbe dormito Prudie. Fu messo nella parte a ridosso della porta, accanto al camino. Inge avrebbe dormito sul divanetto che c'era già e che dava sulla parete adiacente al corridoio esterno, Ross avrebbe dormito sulla poltrona accanto al letto che invece avrebbe ospitato Demelza e i tre bambini più piccoli. Jeremy aveva chiesto di poter dormire in un sacco a pelo come i soldati ed era stato accontentato mentre la vivace Clowance si era costruita un rifugio con sedie e coperte... Una specie di tenda in mezzo alla stanza tutta per lei e per i cani dove avrebbe dormito su dei morbidi cuscini con cui l'aveva riempita.
I gemelli e Bella avevano preso quella faccenda come un gioco e avevano trovato entusiasmante costruire insieme un rifugio del Natale per tutti loro. Finito di spostare divani e armadi, erano passati agli addobbi. Il camino, le finestre, ogni angolo della stanza fu riempito di festoni, di pigne colorate, di candele... E fra la finestra e il camino fu addobbato un grosso albero di Natale che con le sue decorazioni e le candele avrebbe dato alla stanza un calore soffuso e magico.
"A papà Natale piacerà venire quì e ci lascerà tanti regali!" - aveva sentenziato Bella.
Il giorno della Vigilia, mentre fuori nevicava copiosamente e fra le strade si sentivano canti di Natale intonati dai cori delle varie Chiese di Londra, Demelza ed Inge avevano cucinato senza sosta ogni genere di manicaretto per la sera. E se Demelza si era sbizzarrita con torte dolci e salate e un arrosto ripieno di castagne, Inge aveva arricchito il menù con delle specialità norvegesi a base di pesce. Per dolce erano stati preparati biscotti di pastafrolla che Inge, con le bambine, aveva cucinato facendone tantissimi a forma di renne, fiocchi di neve e stelle. Poi li avevano decorati con la glassa e ne avevano riempiti ben due vassoi. Demelza invece aveva cucinato un pudding con Prudie e alla fine del pomeriggio avevano preparato tanto di quel cibo da poter mangiare fino alla fine dell'anno.
La sera, dopo aver portato fuori i cani, tutte le imposte furono chiuse, la porta sigillata con doppia mandata e con un pesante catenaccio e tutti si trasferirono nella grande camera da letto. Furono lasciate accese le luci esterne nei corridoi e sulle scale per dare una parvenza di vita anche fuori da quella stanza e poi, dopo aver chiuso la porta, cenarono insieme seduti per terra. Inge raccontò leggende nordiche sul Natale, degli orsi bianchi e dei coraggiosi vichinghi che coi loro cani sfidavano il gelo e i ghiacci del nord per cercare cibo e i piccoli la ascoltarono affascinati e facendo mille domande. Poi Jeremy inventò una storia sui pirati dei sette mari che conquistò l'attenzione di Daisy e infine Demelza suonò alla spinetta dei canti natalizi, accompagnandoli con la sua dolce voce. Dopo di che i bambini furono sguinzagliati per la stanza in una divertente caccia al tesoro in cui i piccoli dovevano trovare dei dolci di pan di zenzero che Demelza ed Inge avevano nascosto durante il pomeriggio.
Ci furono risate, tenerezza, allegria. Poi fu la volta di scartare i doni e ognuno ne fu soddisfatto. Jeremy ricevette una nuova canna da pesca, Clowance un nuovo cappotto come quello che le era piaciuto in una vetrina vista poche settimane prima, Bella una bambola, Daisy un orsacchiotto nuovo e Demian che amava guardare le stelle e la luna, un cannocchiale per vedere lontano. Inge ricevette un caldo scialle che Demelza aveva cucito in fretta per lei e Prudie delle nuove pantofole in feltro visto che si lamentava sempre di aver freddo ai piedi. Ross regalò a Demelza un nuovo ciondolo con un pendaglio d'oro raffigurante il numero 7, come i loro figli. Julia compresa...
Demelza, commossa, gli regalò invece dei gemelli per la giacca con cui andava in Parlamento e anche un cilindro. A Londra aveva visto tanti gentiluomini portare quel cappello e anche se sapeva che Ross lo trovava orribile, non aveva resistito a compragliene uno. Lui le promise, ridendo, che per amor suo lo avrebbe messo una volta...
Infine i bimbi recitarono una poesia per tutti loro, come dono.
Passarono poi a sfidarsi con dei giochi di carte e Ross ne approfittò per insegnare a Clowance e a Jeremy a barare a poker, come aveva fatto Jud con lui quando aveva la loro etò Demelza protestò ma alla fine si errese e con i più piccoli si dedicò a tranquilli giochi di società. Infine, quando ormai era molto tardi, giocarono ai pirati fingendo che il rifugio che si era costruita Clowance per dormire fosse una grotta magica da conquistare.
Fu una serata divertente e nessuno in cuor suo avrebbe voluto che finisse...
Difficile credere che il male albergasse fuori dalla casa e fosse pronto ad allungare le mani su di loro, quasi impossile. Eppure quella magia faceva sentire loro reale quell'effimera sensazione di sicurezza.
Anche se Jeremy, più volte in quella sera, tornava alla realtà chiedendosi cosa stesse facendo Odalyn con suo padre e se anche loro stessero festeggiando il Natale in qualche modo.
Ma non sapeva darsi risposte positive e con frustrazione si metteva a pensare a quanto fosse inutile essere un ragazzino quando c'era qualcuno che si voleva aiutare. Sì, Odalyn era ancora un mistero per lui ma sentiva di volerle dare una mano per vivere meglio. Forse non poteva fidarsi del tutto ma come dono di Natale, decise, voleva fidarsi di lei almeno un pò. E poi come avrebbe potuto fare diversamente dopo quei baci che gli erano più o meno piaciuti?
Passata la mezzanotte, fu Demian il primo ad addormentarsi in braccio a Demelza che, anche a causa della maternità, alla sera sentiva il bisogno di andare a dormire prima.
La donna augurò a tutti buona notte e poi si mise a letto con il bambino mentre Prudie russava di gsul divano, spinta fra le braccia di Morfeo dai mille brindisi che si era concessa. Clowance, coi Garrick e Astrid, si mise nel suo accampamento improvvisato e in poco tempo si addormentò, seguita da Jeremy che perso in mille pensieri, chiuse gli occhi quasi subito avvolto in quel suo sacco a pelo da soldato che lo faceva sentire più grande.
In compagnia di Daisy e Bella che non volevano ancora dormire ed erano eccitate per i doni e la festa, Ross si mise con le piccole sulle ginocchia sul divano, accanto ad Inge che osservava le bambine con aria divertita. Gli altri dormivano, la stanza era avvolta dal calore del camino e dalle luci soffuse delle candele e degli addobbi ma loro erano ancora piene di energia.
"Mi racconti un'altra storia dei vichinghi?" - le chiese Daisy.
"Vichighi soldati o vichinghi pirati?".
Daisy e Bella si guardarono negli occhi. "PIRATI!!!" - dissero all'unisono.
"Dove abito io ci sono, lo sai?" - esclamò Daisy.
La donna fece una faccia stupita. "Davvero?".
"Davvero! Uno è amico di papà!".
Ross si accigliò. "Chi sarebbe?".
Bella rise. "Tholly che canta le canzoni da osteria...". Poi osservò sua madre e dopo essersi accertata che dormiva, canticchiò una delle canzoni che il vecchio pirata le aveva insegnato. "BumBumBum, solchiamo i mari veloce con un bel bicchiere di ruhm".
Ross si mise le mani nei capelli... Per fortuna Demelza dormiva oppure lo avrebbe ucciso assieme a Tholly al loro ritorno in Cornovaglia.
Inge invece, divertita, le accontentò, facendosi promettere che poi avrebbero dormito. "Forse dovreste mettervi a letto con mamma e vostro fratello mentre vi racconto la storia" - suggerì loro.
Ma entrambe le piccole si strinsero a Ross che fece loro il solletico sui pancini. "No, vogliamo stare con papà!".
"Oh, che bimbe viziate!" - scherzò Inge.
Ross le sorrise. "Sono il loro eroe ed idolo".
Inge gli lanciò un'occhiataccia, era decisamente un padre molto arrendevole con le bambine. "E sia, vi racconterò di Erik il rosso...".
"Rosso come mamma?" - domandò Bella.
"Mamma è più bella" - la corresse la donna, prima di iniziare a raccontare imprese leggendarie del vichingo Erik che, si diceva, avesse scoperto l'America prima di Colombo.
Le bimbe la ascoltarono facendo mille domande ma alla fine, fra le braccia del padre, cedettero anche loro al sonno.
Inge si bloccò, pensando che lui volesse portarle a letto, ma Ross rimase fermo. "Se mi sposto ora, si risveglieranno, hanno il sonno leggero appena addormentate! E poi voglio sapere come va a finire la storia".
"Il resto della vita di Erik ve lo racconto a Capodanno". Inge rise, finendo il bicchiere di vino che aveva lasciato sul comodino. "E' davvero delizioso! Come avete detto che si chiama?".
"Porto".
"Porto... In Norvegia non abbiamo vini tanto buoni".
Ross annuì. "Anche mia moglie lo adora".
Inge osservò la donna che a letto, dormiva col piccolo Demian abbracciato. "E' una persona adorabile, vostra moglie. I suoi occhi brillano e trasudano amore e dolcezza. Sembra generosa e gentile e il dottor Enys aveva ragione, è impossibile non volerle bene. Mi ha fatta sentire a casa e questo è davvero stato un bellissimo Natale. Non è facile per me trovarmi in una terra straniera fra sconosciuti ma lei mi fa sentire 'di casa'. Siete una bella famiglia, voi Poldark".
Ross si sentì lusingato. "Vi ringrazio e mi fa piacere avervi quì. In fondo questo Natale in cattività è venuto tanto bene anche grazie a voi".
Inge sospirò. "Vedete, ho visto molti Natali a corte, quando vi lavoravo da bambinaia. Feste rigide, senza calore, coi bimbi costretti a stare fermi e ritti sulla sedia in lunghissime e noiose cene. Quì ho trovato calore, vita, l'amore di una famiglia". Si voltò verso Daisy e le accarezzò la guancia con delicatezza. "Vivono la vita che avrebbero voluto per loro i genitori".
Ross baciò i capelli biondi della piccola. "Non posso dar loro un trono ma di certo posso cercare di essere un buon padre".
"Oh capitano, in fondo la maggior parte di noi cresce benissimo anche senza un trono. Si sopravvive...".
"Direi di sì" - sussurrò Ross, da sempre allergico alle forme di potere. "Resterete con noi anche dopo la fine di questa storia?".
Inge ci pensò su. "Ecco, non è la mia terra questa e questo fatto va considerato. Ma mi trovo bene e in fondo in Norvegia sono sola. Non ho più l'energia della gioventù ma se mi vorrete a servizio, sarò ben felice di aiutarvi coi bambini anche per tenere fede alla promessa fatta ai genitori dei gemellini. Ma tutti, tutti questi bimbi, sono adorabili. Come la vostra famiglia. Siete speciali voi e vostra moglie".
Ross strinse le bimbe a se, lasciandosi andare senza quasi accorgersene a una confidenza. "Non siamo così perfetti come voi e molti ci vedete, io e Demelza abbiamo avuto i nostri alti e bassi come tutti. E i nostri 'bassi', sono stati profondamente bassi. Abbiamo rischiato di perderci almeno due volte...".
Inge scosse la testa. "Beh, le persone perfette sono noiose, così come una vita senza scossoni. Le crisi servono a temprare gli amori veri e a distruggere quelli che poggiano su basi di sabbia. E il modo in cui vi guardate voi e vostra moglie mi fa pensare che apparteniate alla prima categoria, sembrate così innamorati anche dopo diversi anni di matrimonio. Siete uno scavezzacollo ma a vostra moglie piacete così e trovo che lei compensi in un modo meraviglioso il vostro carattere sicuramente non sempre facile".
Ross la guardò storto. "In cosa sarei uno scavezzacollo?".
Inge rise. "Chi se non uno scavezzacollo avrebbe potuto rischiare quanto voi quando avete preso i gemelli a casa mia quattro anni fa?".
Anche Ross rise e poi col braccio indicò Demian. "In effetti... Anche se devo dirvelo, se avessi saputo che quel piccolo vichingo avrebbe insidiato il mio posto nel letto accanto a mia moglie, lo avrei regalato al primo pescatore di salmoni che avessi incontrato lungo la strada per il porto".
Inge rise. "Oh, non ne dubito. Ma il piccolo Demian a quanto pare non ha potuto molto, considerando che vostra moglie è di nuovo incinta...".
Ross stavolta arrossì e ringraziò che ci fosse buio. "A volte vinco qualche battaglia".
Bella si mosse fra le sue braccia e Ross capì che era il momento di mettere a letto le bambine.
"Portatele dalla loro mamma, al calduccio. E' tardissimo e queste monelle devono dormire".
Ross annuì ed aiutato da Inge si alzò, le portò nel lettone e senza svegliare nessuno, le mise accanto a Demelza e al fratello e poi coprì le con delle morbide coperte. Bella si mise a sederino insù, Daisy si voltò di lato e si rannicchiò abbracciando il cuscino.
Baciò le piccole sulla fronte e infine, dopo aver salutato Inge ed averle augurato la buona notte, si mise sulla sua poltrona accanto a Demelza, mettendo le gambe su un poggia piedi. Si coprì e poi si guardò attorno, gustandosi la magia di quel Natale tanto singolare ma a suo modo unico. Le persone che più amava e che per lui erano vita erano lì, sane e salve tutte accanto a lui, in pace e armonia. Il respiro placido dei bambini si mischiava a quello più pesante di Prudie e le ombre colorate delle candele e delle decorazioni rendevano ancora più bello il volto della donna accanto a lui. La stanza era magica e anche se per forza di cose era diventata una specie di prigione, la magia di quanto creato insieme aveva distrutto ogni ombra. Forse non era il Natale lussuoso di tante dimore signorili vicino alla sua, forse non c'erano sfarzo e nemmeno ospiti importanti ma la semplicità e l'armonia di quella serata non l'avrebbe cambiata con nulla al mondo. Si sentiva ricco di cose che non potevano essere comprate col denaro, amato, in pace col mondo. C'era stato un tempo dove, tornato dalla guerra, aveva trovato il nulla ad attenderlo. Fosse anche morto ubriaco in mezzo a un prato, nessuno se ne sarebbe accorto. La sua vita era in rovina, così come la sua casa, la donna che pensava di sposare gli aveva voltato le spalle, suo padre era morto e non aveva il becco di un soldo. E poi? E poi a una fiera aveva incontrato una monella coraggiosa che per il suo cane avrebbe rischiato tutto e la sua vita era cambiata. Insieme, si erano sostenuti e salvati a vicenda e poi erano cresciuti imparando ad amarsi. E ora aveva una famiglia grande, armoniosa, era un marito amato e innamorato di sua moglie e un padre adorato dai suoi figli. Poteva volere di più? No, non poteva e nemmeno voleva di più. Se quel giorno, al ritorno dalla guerra, qualcuno gli avesse detto che da quella miseria che aveva trovato sarebbe scaturita ricchezza, non ci avrebbe creduto. E invece, che meravigliosa meraviglia sapeva essere la vita...
Guardò sua moglie. Demelza dormiva con la mano poggiata sul suo ventre mentre l'altra teneva stretto Demian. Era bellissima e in fondo non così cambiata da quando si erano sposati. Certo, i tratti da ragazzina erano spariti ma avevano lasciato il posto a un viso di donna incantevole, dai lineamenti delicati e fini e dallo sguardo dolce ed impossibile da non amare, come aveva detto Inge. Era pazzo di lei e rabbrividiva al pensiero di quanto aveva rischiato di perderla in passato. Come aveva potuto? Come sarebbe sopravvissuto senza di lei? Come aveva fatto a permettere ad Armitage di minare il loro rapporto senza fare nulla?
Eppure tutto era servito e tutto era passato... Ed Inge, a conti fatti aveva ragione. Ciò che non distrugge, fortifica e di certo lui e Demelza ne erano usciti più forti dai momenti cupi e dal dolore. Avrebbe solo voluto che lei soffrisse meno a causa sua perché lo sapeva, in passato era andato molto vicino a spezzarle il cuore.
Ma i ricordi brutti furono poi soppiantati da quelli belli, mentre la guardava. La loro prima volta, i primi mesi di matrimonio, Julia, Jeremy, Clowance e Bella e poi i gemellini... Le risate, i battibecchi, la passione, la loro squadra che insieme affrontava ogni avversità. Santo cielo che avventura fantastica che era anche il matrimonio! Se sposavi la persona giusta, certo...
Ma più di tutto, un ricordo lo colse forte, forse proprio perché legato alla ricorrenza di quella sera.
Ricordò quel primo Natale da sposati, a Trenwith, ricordò Demelza che aveva il terrore di affrontare la sua famiglia, i suoi dubbi, i suoi timori... E poi lei che cantava per lui con quella voce di cui era così geloso e che tanto lo aveva fatto soffrire quando aveva intonato un canto per un altro... Quella voce che in quel Natale lontano lo aveva fatto innamorare senza possibilità di ritorno. E infine lei che dormiva sul cuscino proprio come in quel momento, con le luci delle candele che le illuminavano in viso e l'espressione pura e dolce che mai l'aveva abbandonata. E come allora, un figlio che cresceva dentro di lei... C'era Julia in arrivo, in quel Natale. E ora un nuovo bambino sarebbe arrivato a colmare la loro vita di nuova gioia.
"Buon Natale, amore mio" - aveva detto quella volta...
Si chinò piano, sfiorandole il viso per baciarla sulle labbra. "Buon Natale, amore mio" - disse ancora.
Avrebbe voluto non svegliarla ma lei aprì gli occhi e senza dire nulla, lo guardò negli occhi. Poi sorrise, gli si avvicinò e lo baciò lentamente, in un modo sensuale che lo faceva impazzire, sulle labbra. Piano, con dolcezza ma anche con una sensualità che non era venuta meno con la maternità. I loro baci prima di andare a dormire non erano mai stati innocenti ma anzi, pieni di desiderio e passione, anche se magari arrivavano dopo momenti d'amore e fusione totale fra loro.
Ricambiò il bacio e non si dissero niente, certi momenti non avevano bisogno di parole e fra lui e lei molto spesso bastavano gli sguardi ad esprimere ciò che davvero sentivano nel cuore.
Infine le sorrise, le strinse la mano e quando le loro dita furono intrecciate, lei richiuse gli occhi tranquilla, continuando a dormire.
Rimase a guardarla ma poi la magia dell'atmosfera, la dolcezza del momento, il sapere che i suoi figli erano salvi e che le luci del Natale illuminavano il loro riposo, chiuse gli occhi e si addormentò.
Non seppe mai quanto dormì ma si svegliò di soprassalto. Un rumore di vetri rotti ruppe il silenzio, seguito poi dal trambusto di assi di legno spezzati e mobili buttati a terra in una camera vicina. Troppo vicina per non essere altro che quella dei bambini più piccoli...
Ross schizzò in piedi e si guardò attorno. Anche gli altri si erano svegliati e con terrore, si accorsero che qualcuno era entrato e che fuori da quella porta non erano più soli.

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Capitolo 28
*** Capitolo ventotto ***


Demelza strinse a se i bambini e Clowance corse sul letto accanto a lei tenendo fra le braccia la piccola Astrid. Anche Inge e Prudie, pallide e tese, si avvicinarono al lettone e Ross fece segno a tutti loro di stringersi e non fare rumore. Garrick fece per abbaiare ma lo sguardo del suo padrone gli fece capire che non era il caso e come gli altri, si unì al gruppo poggiando il musetto sulle gambe di Demelza.
Poi, mentre nella stanza affianco i rumori diventavano sempre più violenti, Ross osservò Jeremy. "Qualunque cosa succeda, non spostarti dal fianco di tua madre!" - bisbigliò.
"Ma papà...".
Ross bloccò sul nascere ogni protesta del ragazzo che forse voleva aiutarlo come avrebbe fatto un uomo ma che lui non avrebbe messo in pericolo per niente al mondo, finché fosse stato possibile. "Jeremy, fai così E BASTA!".
Il ragazzo annuì, sedendosi sul letto e prendendo la mano della madre. Il tono di suo padre era raramente perentorio ma quando lo utilizzava, sapeva che non c'era da obiettare.
Demelza strinse a se Demian che tremava. "Tesoro, tranquillo, non è nulla" - sussurrò, tuttavia con poca convinzione. Ma un rumore di vetri rotti fece nuovamente sobbalzare tutti. La magia del Natale pareva svanita.
"Mamma..." - piagnucolò Bella.
Demelza si sentì impotente ma fu Inge a salvare la situazione. "Oh, piccola! Sono gli elfi dispettosi del Natale! A volte capita che vengano per fare un dispetto ai bimbi che hanno ricevuto i doni che volevano loro e quindi succede che facciano un pò di baccano. Ma se faremo silenzio e staremo zitti zitti, andranno via e cercheranno un'altra casa!".
"Davvero?" - chiese Daisy.
"Davvero".
"Non possiamo andare di la e picchiarli?" - chiese la piccola, dimostrandosi piuttosto risoluta circa le modalità con cui risolvere le questioni.
L'anziana tata norvegese la guardò con ammirazione. Era decisamente la discendente dei suoi bellicosi avi e in lei scorreva il sangue selvaggio che molti norvegesi possedevano per nascita.
Ross sorrise ad Inge che pareva aver calmato i bimbi. "Ci pensa papà a spaventarli!".
Demelza lo guardò. "Cosa vuoi fare?".
Ross fissò la porta. Poi si avvicinò all'armadio e da un doppio fondo ne tirò fuori una fodera. Ne estrasse una pistola che teneva ben nascosta e celata da quando era iniziata la faccenda con Haakon, la caricò e si avvicinò alla porta.
Inge fu un razzo. Silenziosa come un gatto ma veloce come una pantera, lo raggiunse e lo bloccò prima che la spalancasse ed uscisse. "No! Non uscite, aspettano solo che apriate le porta! Nel momento che lo farete, diventeremmo estremamente vulnerabili".
"Dovrei asserragliarmi quì come un codardo?".
"No, non come un codardo ma come un uomo assennato! Quì avete le barriere che vi aiutano a proteggere la vostra famiglia, aperta quella porta perderete questo vantaggio. Siete l'unico uomo con due donne non più giovani, una donna incinta e dei bambini. Restate quì e affrontateli solo se sarà necessario".
Ross sospirò, rendendosi conto che lei aveva ragione. Ma i rumori erano forti, qualcuno era in casa sua e cercava qualcosa nella stanza dei suoi bambini più piccoli. I rumori provenivano da lì e quanto detto da Inge al suo arrivo era diventato reale: chi è abituato a muoversi nel buio, è con le tenebre che cerca di sferrare il suo colpo mortale. Se non avessero portato i bambini in camera loro, quella gente sarebbe entrata nella loro stanza mentre dormivano e li avrebbe portati via e poi chissà cosa sarebbe successo... Era giusto, doveva rimanere e non aprire la porta e anche se questo gli pareva sulle prime un comportamento da codardo, si rendeva conto che non poteva rischiare un azzardo giocando all'eroe. Doveva star loro vicino, non perderli di vista. E nel caso, proteggere chi amava.
Annuì quindi ad Inge, si allontanò dalla porta e raggiunse la finestra. La casa era avvolta nel gelo e nella nebbia, la neve cadeva ormai rada e fuori era tutto silenzio, pace... La pace della notte di Natale di cui aveva goduto anche lui fino a poco prima...
Rumori, di nuovo... E passi nel corridoio che fecero sobbalzare tutti.
Fu un istinto quello di Ross, giunto senza nemmeno pensarci troppo, ma per fortuna si rivelò esatto.
Con un gesto veloce aprì la finestra, puntò la pistola fuori, nell'oscurità e sparò due colpi di avvertimento. Forti, potenti e sicuramente uditi a grande distanza tanto che di certo qualcuno sarebbe uscito di casa per vedere cosa stesse succedendo! Dei testimoni sarebbero stati scomodi ed inoltre chiunque ci fosse in quella casa, sarebbe stato a conoscenza del fatto che era armato! E che con quegli spari, l'attenzione di qualche curioso sarebbe stata risvegliata...
I passi infatti si fermarono...
Poi tornarono velocemente indetro da dove erano venuti, ripresero la strada verso la cameretta e Ross riuscì solo a vedere tre ombre scure che saltavano giù dal cornicione, sparendo di corsa.
La casa tornò nel silenzio e Ross rilasciò il respiro che aveva trattenuto. Gli altri fecero altrettanto e per un attimo respirarono la sensazione dello scampato pericolo.
"Papà, sono andati via?" - chiese Bella.
Ross annuì, poggiando la testa contro il vetro. La sua mano, quella con cui teneva la pistola, tremava ancora. "Sì...".
"Avranno preso i nostri giochi gli elfi cattivi?" - domandò Demian.
Demelza lo baciò sulla fronte. "Sono sicura di no. Papà li ha fatti scappare".
Daisy sorrise. "Papà è un eroe!". Sembrava la meno spaventata di tutti.
Jeremy si alzò dal letto e andò dal padre. Non disse nulla ma lo abbracciò come non faceva da tanto. "Sì, un eroe..." - aggiuse in un soffio.

...

Il mattino dopo, quando la vita riprese possesso di Londra e sarebbe stato più difficile tentare nuove incursioni, Ross uscì dalla stanza per controllare i danni.
La casa era a posto, eccetto la stanza dei bambini. I vetri della cameretta erano stati sfondati, alcuni mobili ribaltati, i giochi erano sparsi sul pavimento e i lettini erano stati completamente disfati. Impronte di stivali erano ben visibili sui tappeti e sul pavimento e poi sul corridoio esterno. Si fermavano a pochi metri dalla camera da letto matrimoniale dove forse, se non avesse sparato, avrebbero cercato di fare irruzione. Non aprire quell'uscio era stata la sua salvezza.
Dietro di lui Demelza, che aveva affidato i bambini a Prudie ed Inge, lo cinse con le braccia. "Ross... E ora? Giuda, ora che facciamo? Dovremo sentirci in pericolo ogni momento del giorno?".
Ross le strinse le mani, preoccupato per la sua famiglia e per lei che incinta, aveva solo diritto a pace e tranquillità. "Ora agiremo in fretta, dobbiamo essere più veloci di loro".
"Ma se stanotte i bambini...".
La interruppe, non voleva che avesse questi pensieri così foschi, non lei. Almeno Demelza doveva conservare il suo ottimismo e sorriso. "Amore mio, i bambini erano con noi e quindi non ha senso pensare a mille se o ma. Erano con noi e staranno con noi, ne usciremo e torneremo a casa in pace con tutti i nostri figli".
Demelza lo guardò angosciata. "Come?".
Decise di apparire ottimista e sicuro del da farsi, anche se non lo era affatto e lei probabilmente lo avrebbe capito. "Te l'ho detto, agendo velocemente. Ora abbiamo dalla nostra la luce del sole che potrebbe inibire ulteriori attacchi... Andrò subito a sporgere denuncia da Wichman e alla Polizia cittadina, questo dovrebbe costringere i nostri nemici a stare fermi per un paio di giorni per non destare sospetti. Poi con Jones deciderò i passi futuri. Ricordi che gli ho detto settimane fa che avevano bisogno, nel caso di un rifugio?".
"Sì".
"Beh, esiste e ci ha pensato lui".
Demelza non allentò la stretta su di lui. "Jones? Il tuo socio?". Lo conosceva di vista, sapeva che lui e Ross collaboravano insieme da anni e che era la sua spalla nelle missioni straniere e sapeva anche che c'erano poche persone che godevano della fiducia di suo marito come lui. Ma sapeva che era anche uno scavezzacollo, un uomo dalle visioni del mondo e della vita alternative e che non sempre lei approvava e soprattutto una persona senza troppi limiti morali, poteva essere il migliore amico del mondo ma anche un nemico temibile. Però conosceva il male e l'oscurità degli uomini, sapeva come muoversi in mezzo ai peggiori delinquenti e soprattutto, era avvezzo ad affrontare situazioni difficili. Sì, non era un tipo ordinario e a volte poteva risultare indigesto ma era anche un ottimo alleato e con lui e Ross insieme, forse poteva sentirsi più sicura. "Andrai oggi? E' Natale...".
Ross ridacchiò, nonostante tutto. "Oh, per Wichman non esiste il Natale, lui lavora praticamente sempre! Per Jones il Natale significa infiniti pranzi coi suoi odiati parenti, mi ringrazierà per averlo salvato".
"Sicuro?".
"Sicuro, amore mio" - sussurrò, baciandola. "Ti affido i bambini, io esco subito e vado da Wichman. Da lì sporgerò denuncia e manderemo a chiamare Jones".
"Saremo al sicuro mentre sarai via?".
"Sì, credo che per oggi si possa stare al sicuro. Entro sera avrò ideato un piano perché la sicurezza sia con noi anche di notte. Nel mentre, tu...".
Ross appoggiò la fronte contro la sua e lei si rilassò al suo tocco. "E io?".
"Ho bisogno di saperti forte e combattiva come sempre. E che i cattivi pensieri se ne staranno lontani da te... Sei o non sei l'ottimista della famiglia?".
"Stavolta è difficile, amore mio. Ci sono di mezzo i bambini".
"Lo so. Ma come sempre, ne usciremo fuori. Ti fidi di me?".
"Sempre".
"E' tutto ciò di cui ho bisogno, amore mio".
E così dicendo, dopo averla baciata, uscì subito di casa. Passò dal giardino dove, fra la neve, notò le impronte degli stivali dei loro assalitori, le seguì e vide da che punto della recinzione erano entrati ed usciti. Poi, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, uscì e si diresse verso la sua meta.

...

Clowance si sentiva in cattività, così abituata com'era alla libertà, a correre sulla spiaggia o fra la brughiera. Era vivace, con la lingua lunga, competitiva e decisamente orgogliosa come suo padre.
Sapeva che dovevano restare in casa per un motivo serio e capiva quanto fosse necessario essere uniti, ma nonostante questo soffriva a non poter uscire a giocare con la neve e i cani. Era Prudie a far fare i bisogni a Garrick e Astrid in giardino e dopo quanto successo al parco alcuni giorni prima, non le era stato più permesso di accompagnarla. Si chiedeva quando tutto questo sarebbe finito e come suo padre avrebbe potuto risolvere la situazione.
Al piano di sopra la sua mamma, assieme ad Inge, stava intrattenendo i bambini con dei giochi. Jeremy e Prudie invece erano occupati a sistemare la stanza messa sottosopra dai loro nemici e i cani sonnecchiavano davanti al camino placidamente.
E lei si annoiava, aveva bisogno d'aria.
Era scesa al piano di sotto per vedere quando suo padre sarebbe tornato, in modo da poter organizzare insieme, quanto meno, una merenda e una cena di Natale divertente e degna della ricorrenza. Ma suo padre tardava, il pomeriggio avanzava e sulla casa, dopo il rischio corso la notte precedente, sembrava calata una cappa di immobilismo e torpore.
Fece tre giri del salotto, aggiunse legna al camino, cercò senza successo di svegliare i cani e poi si gettò sul divano indecisa sul da farsi. Poi, annoiata da se stessa e dal suo torpore, si avvicinò alle finestre, sbirciando in giardino per vedere se aveva ripreso a nevicare.
Fu in quel momento, seminascosta dalla tenda, che vide un movimento furtivo dietro ai cespugli vicini alle mura di cinta.
Si accigliò e tremò, indecisa se si trattasse di un animale che aveva oltrepassato la recinzione o di un nemico nell'ombra, pronto a sferrare un altro attacco non appena si fosse fatto buio.
E suo padre non c'era...
Forse avrebbe dovuto dirlo a sua madre ma Clowance era incerta anche su questo. Era incinta, aspettava il suo fratellino e farla spaventare non le avrebbe fatto bene.
Beh, c'era Jeremy ma lui era così occupato ad aiutare Prudie in quel momento che non le sembrava giusto disturbarlo...
Il suo papà che avrebbe fatto se fosse stato lì?
Ovvio, non se ne sarebbe stato con le mani in mano e sarebbe corso fuori a vedere chi osava entrare nella sua proprietà. E lei era decisamente figlia di suo padre, lo dicevano tutti...
Spinta dalla voglia di uscire e auto-convintasi che fosse l'unica cosa da fare senza disturbare gli altri, Clowance si mise la mantella e si avvicinò alla porta.
Ma quando fece per girare la maniglia, una vocina la bloccò. "Dove vai?".
Clowance sussultò e poi, colta in fallo, si girò trovandosi davanti Bella. Santo cielo, quella piccola ficcanaso che ci faceva lì? "Torna di sopra?".
"Non puoi uscire!" - disse la piccola. "Ci sono gli elfi cattivi del Natale".
Clowance si morse il labbro, poi si inginocchiò davanti alla sorellina cercando di apparire gentile. "Lo so, esco solo un momento a mettere una trappola. Ma è un segreto! Sai tenerlo un segreto? Voglio fare una sorpresa alla mamma ed aiutare papà a cacciare via gli elfi cattivi".
Bella parve vacillare, divisa fra il crederle o non crederle. "Che trappola?".
"Come quelle che a Nampara usiamo per catturare i topi. Ne ho trovata una fuori e vado a posizionarla".
"Vengo anche io!" - disse Bella, picchiando il piedino ed alzando un pò troppo la voce.
"Shhhh" - le intimò, per paura di essere scoperta.
"Vengo anche io" - ripeté la sua sorellina.
Clowance sudò freddo. "No, fa freddo, troppo per te! Torno subito ma tu non dire niente. Sai farlo? Vuoi essere la mia socia in questo segreto? Faremo una sorpresa a mamma e papà insieme".
Beh, essere una socia di sua sorella sembrava una gran cosa e Bella alla fine annuì, anche se non era così convinta di quanto le stava dicendo Clowance. Ma voleva fare una sorpresa a mamma e papà, certo! "Sì".
"Ottimo, torna su da mamma ed Inge e fa finta di niente. Torno subito".
Indecisa, alla fine Bella corse di sopra. E appena fu sola, Clowance aprì la porta e veloce come un purosangue corse in giardino a vedere cosa stesse succedendo.
L'aria fredda di neve e ghiaccio le sfiorò il viso ma le parve bellissimo poter respirare fuori casa. Santo cielo, era così bello sentire il cric-cric della neve sotto gli stivali, le guance farsi rosse per il freddo e odorare il profumo del vento unito agli aromi tipici del Natale che provenivano dalle altre case. Quella era vita, pensò!
Fu forse quella sensazione effimera di ritrovata libertà che la tradì, facendole abbassare la guardia.
Non si accorse, se non all'ultimo, di alcuni passi dietro di lei.
Una mano guantata di nero la afferrò per la vita mentre con l'altra mano le bloccò la bocca, impedendole di urlare.
Si sentì sollevare, tentò di girarsi per vedere chi fosse ma quella persona era troppo forte e con la mano premuta sulla sua bocca non riusciva a respirare bene. Tentò di dimenarsi per liberarsi ma anche quel tentativo fallì.
La vista le si annebbiò, si sentì sollevare e poi tutto divenne nero.
No, forse non era stata una buona idea, pensò mentre da dentro casa sentiva provenire l'abbaiare furioso dei suoi cani.
E poi non sentì più nulla.

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Capitolo 29
*** Capitolo ventinove ***


All’oscuro di quanto successo a casa a sua figlia, Ross raggiunse a grandi falcate l’ufficio governativo di Wikhman per sporgere denuncia. Non si preoccupò nemmeno di essere seguito e nel caso, i suoi nemici avrebbero saputo che si stava muovendo – ANCHE – attraverso i canali ufficiali per proteggere la sua famiglia.
Era arrabbiato, con se stesso e coi suoi nemici allo stesso modo. Avrebbe potuto fare qualcosa per impedire tutto ciò? Aveva lasciato troppo spazio ad Haakon e alle sue trame? Avrebbe dovuto affrontarlo a viso aperto?
Con gli anni era diventato più accorto, Inge aveva saputo consigliarlo al meglio e il suo ruolo di padre e marito lo aveva fatto muovere coi piedi di piombo ma era indubbio il grosso rischio corso la notte precedente da tutti loro.
Pensò ai suoi figli e a sua moglie e anche se era Natale, entrò da Wikhman come una furia, deciso a risolvere quanto prima la situazione.
L’uomo era impegnato in un brindisi natalizio con alcuni colleghi ma appena fu avvertito dell’arrivo di Ross, lo ricevette subito nel suo studio. “Poldark, che ci fate qui? Con tutti quei bambini in giro per casa, dovreste aver ben altro da fare che venire qui a vedere la mia faccia”.
I bambini, già… Con un sospiro e senza girarci troppo attorno, Ross si sedette ed iniziò a raccontare quanto successo la notte precedente e tutti i fatti che da Oslo avevano portato alla situazione attuale. Wikhman conosceva la storia dei gemelli perché Ross a lui l’aveva raccontata di ritorno dalla Norvegia quattro anni prima per garantire un’ulteriore protezione ai piccoli, la conosceva meglio di Jones e da subito gli aveva detto di aver fatto una scelta avventata ma comunque di cuore. Negli anni tutto era andato bene ma ora Wikhman, ancor più di Ross, da politico si preoccupava delle possibili conseguenze che un attrito con la delegazione norvegese avrebbe provocato. Le castagne sul fuoco erano particolarmente calde e la questione dei gemelli di difficile soluzione se non ci si voleva esporre troppo mettendo in pericolo i due bambini. “Poldark, voi siete un maestro nel procurarvi – e procurarci – guai” – disse in tono leggero ma comunque preoccupato. “La vostra famiglia sta bene, comunque?”.
Sì, il rintanarci nella stessa camera è stato la nostra salvezza”.
Coi suoi occhietti indagatori, Wikhman lo fissò sornione. “E ora? Che si fa? Siete persuaso che non possiamo scatenare una guerra con accuse senza prove verso la delegazione norvegese? Il re ci manderebbe sulla graticola, molte transazioni commerciali potrebbero saltare e noi, pur essendo nel giusto, non potremmo provare la natura delle nostre accuse”.
Ross alzò le spalle. “Quindi sappiamo chi è il nemico ma la burocrazia ci impedisce di attaccare per difenderci?”.
Non la burocrazia Poldark. Il buon senso… Non avete visto Haakon nella camera dei vostri figli e per quanto ne sapete, potevano essere banali ladri”.
Ross strinse i pugni. “Ma sappiamo che non è così”.
Ma non possiamo provarlo. Siete una spia Poldark e dovete agire come tale, nell’ombra e con astuzia. Come i vostri nemici. La faccenda va sistemata in silenzio, senza che il mondo ne sappia niente”.
Non è nel mio stile, per quanto riguarda le faccende personali” – ribatté Ross.
Ma è nel mio!” – lo stoppò Wikhman. “L’identità dei gemelli è qualcosa di troppo grande e scottante e se il re sapesse che abbiamo nascosto i legittimi eredi del trono di Norvegia senza dirgli nulla, io e voi ci troveremmo nel migliore dei casi in una colonna penale del nuovo mondo. Si agisce con GRAZIA! La pazienza è la virtù dei forti e manca agli stolti”.
Avrò il vostro appoggio?” – chiese Ross, serio ed irritato per la risolutezza di Wikhman. Era saggio ciò che lui diceva, ma quanto era difficile scendere a patti con la logica quando di mezzo c’erano di mezzo gli affetti più importanti della sua vita?
Wikhman annuì. “Ovviamente. Vi state già organizzando per proteggere la vostra famiglia?”.
Sì, ho già chiesto aiuto a Jones”.
A quelle parole, Wikhman suonò il suo campanello affinché giungesse un valletto. “Deve essere chiamato, subito!”.
E’ Natale” – fece notare Ross – “E non escludo di essere stato seguito”.
Wikhman sorrise. “Poldark, questo edificio è sorvegliato dai miei uomini. Chiunque vi abbia seguito, a un certo punto si è fermato. State facendo denuncia ‘di furto’ in un palazzo governativo, molte persone vanno e vengono da qui e Jones lo voglio nel mio ufficio SUBITO in quanto mio collaboratore come voi”.
E così dicendo, senza ascoltare eventuali contestazioni, consegnò al suo valletto un biglietto da recapitare quanto prima all’altra sua spia.



Poldark, potrei odiarti per avermi sottratto all’estasi del pranzo natalizio coi parenti ma in realtà siete venuti a chiamarmi nel momento esatto in cui mia zia Clothilde iniziava ad intonare alla spinetta un diavolo di canto celtico di buon auspicio per l’inverno che ha imparato chissà dove… Questo mi rende tuo debitore a vita”.
Perché?”.
Se la sentissi cantare, lo capiresti”.
Ross rise. Jones era sempre così, entrava in scena con una strana e inesauribile carica di pungente ironia e anche se all’apparenza era un uomo da prendere poco sul serio, un giullare, sapeva bene che dietro ai suoi modi si nascondeva un cervello fine e un’abile stratega con una capacità tattica nel muoversi per risolvere i problemi rara da trovare.
Ross gli sorrise. “Ti prenderò in parola sul fatto che sei in debito con me”. “Non del tutto… Mi hai comunque privato del budino di zia Carola, questo ti rende meno simpatico…”.
Lo mangerai stasera”.
Wikhman tossicchiò, riportando all’ordine i due. “Ti hanno seguito?”.
Forse sì, forse no. Di certo non fino all’ingresso… Con il via vai che c’è sempre in questo posto persino a Natale, è facile che sia passato inosservato. Inoltre ho preso… le mie precauzioni…” – rispose Jones, mettendo sul tavolo una bottiglia di pregiato Porto infiocchettata come si conviene a un dono natalizio. “In fondo che ci sarebbe di sospetto in un amico che porta a un amico una bottiglia per festeggiare il Natale?”.
Wikhman prese la bottiglia. “Infatti. Grazie del pensiero… E ora, parliamo di cose serie”.
Sorseggiando quel porto…?” – chiese Jones, indicando la sua bottiglia.
Wikhman scosse la testa, riponendola sullo scaffale. “Non è un dono per me?”.
Jones sbuffò. “Niente vino, niente budino… Ma che triste Natale…”.
Ross tossicchiò, riportando l’attenzione al suo problema.
Jones lo occhieggiò. “Giusto, si deve parlare di cose serie. I tuoi diabolici marmocchi biondi, scommetto!”.
Wikhman annuì ed assieme a Ross gli raccontò degli eventi dell’ultima notte. Jones, che già era stato informato da Ross circa i rischi connessi all’ambasciatore Haakon, alla fine del racconto picchiettò l’indice sulla scrivania. “Sono pericolosi e tu vivresti una vita più tranquilla caro Ross, se ogni tanto mi dessi retta. Ma ora i marmocchi sono Poldark, tu sei mio amico, io ho imparato a tollerarli e gli ho anche perdonato il fatto che a causa loro mi sono quasi gelato le chiappe quattro anni fa e quindi direi che abbiamo due strade: l’opzione A, la mia preferita, ossia prendere a calci nel didietro il caro Haakon, cogliendolo di sorpresa fra il chiaro e lo scuro. Ma al caro Wikhman che è sempre MOOOLTO diplomatico e noioso non piacerà questa soluzione e quindi, piano B, mettiamo in sicurezza la tua famiglia e poi diamoci il tempo necessario per coordinare una offensiva più o meno INCISIVA per far finire questa congiura senza esporci troppo. Ci sarebbe il piano C, regalargli quei diabolici mocciosi e aspettare che li conosca e te li restituisca infiocchettati, ma ovviamente nemmeno questa soluzione… ”.
Wikhman lo guardò storto, Ross si trovò d’accordo con lui sull’opzione A ma NON sull’opzione C e alla fine il capo mise il veto sulla scelta. “La famiglia di Poldark andrà messa in sicurezza in un luogo segreto. Avete già un luogo prestabilito, giusto?”.
Jones annuì. “La mia casa. Ha un’ala nel retro dove ho fatto costruire un seminterrato arredato completamente celato ad ogni visitatore e invisibile per chi guarda dalla strada. Ci ficco… ehm… ci ospito i miei parenti quando vengono a farmi visita, è completamente nascosta all’esterno e ci si accede solo da scale interne. Ross l’ha vista, ha due camere da letto, un salottino e il necessario per lavarsi. Ovviamente non ci sono che delle piccole feritoie nel muro per far luce ed è po’ angusto per una grande famiglia ma perfetto per nascondersi. Io sarò praticamente lì a vegliare, Ross pure e tutto sarà sotto controllo”.
Ross annuì, era un luogo studiato e predisposto da lui e Jones da settimane e anche se sperava non sarebbe mai servito utilizzarlo, ora si rendeva conto che non c’era scelta. “Dovremo portare tutti lì quanto prima, il problema è capire come farlo in sicurezza senza essere visti”.
Jones accavallò le gambe. “Semplice”.
Che intendi dire?” – chiese Wikhman.
La spia sorrise sorniona. “Si fa come quattro anni fa ad Oslo. Come abbiamo portato via i gemelli da quella casa in cui si rintanavano con la loro tata?”.
Ross deglutì, quell’idea per quanto buona non gli piaceva per niente e Demelza era incinta. “Mia moglie aspetta un bambino, per le fogne NO!”. Jones alzò gli occhi al cielo. “Tua moglie, Santa donna che non capirò mai come ha fatto a sposarti, ha più grinta e carattere di un cosacco! Per lei sarà una passeggiata, per quei briganti dei tuoi figli un pomeriggio diverso che troveranno pure divertente e le domestiche… Ci interessa cosa pensano le domestiche?”.
Wikhman fissò Ross con serietà. “Non credo ci siano altre soluzioni. Hai una casa con un bagno con acqua corrente e quindi un accesso diretto dalle cantine alle condutture pubbliche della città. E’ spiacevole ma il metodo più sicuro. Una volta sbucati in prossimità della casa di Jones, vi nasconderete lì e sarà difficile trovarvi a meno che Haakon, a cui Jones è totalmente sconosciuto, non setacci ogni casa di Londra”.
Ross strinse i pugni, l’idea non lo allettava per niente e temeva che potesse essere pericoloso per Demelza.
Jones percepì la sua riluttanza. “Finiscila, tua moglie ti seppellirà!”.
Ross sospirò, che altre scelte c’erano? “E sia…”.
Quando?” – chiese Jones.
Stasera, non voglio rischiare nuovi attacchi questa notte”. Sì, era la cosa giusta da fare per mettere tutti in salvo e anche se non sarebbe stato il massimo, Demelza avrebbe approvato non essendoci altre strade da fare. Sì, tutti dovevano essere portati in salvo in qualsiasi modo…
Ma Ross ancora non lo sapeva che forse era già troppo tardi e quando giunse a casa il mondo gli crollò sulle spalle.
Demelza, con gli occhi lucidi lo raggiunse e lo abbracciò tremando. “Ross…”.
Amore mio, che è successo?”.
Clowance è scomparsa”.



Quando la piccola Clowance si svegliò, si ritrovò in un ambiente sconosciuto che sembrava una cantina. Aveva freddo, le facevano male le braccia e sulle prime le sembrò di avere dei capogiri e la vista annebbiata.
Ci mise alcuni istanti per mettere bene a fuoco cosa la circondava e sì, alla fine si trovava in una cantina dalle pareti in pietra, chiusa con una porta in pesante legno. Per terra c’era della paglia, alla parete una fiaccola e una minuscola finestrella con delle pesanti sbarre in ferro era tutto ciò che faceva filtrare un po’ d’aria e luce dall’esterno.
Si mise a sedere cercando di rimettere in ordine le idee e si accorse di non essere sola.
Haakon, poggiato alla parete, la guardava con aria arrogante con le braccia incrociate sul petto.
Clowance sussultò, quello era ‘il cattivo’, l’uomo che suo padre temeva e che attentava alla vita dei suoi fratellini. Erano stati a cena da lui mesi prima e si era finto gentile ma i suoi genitori le avevano spiegato chi era e cosa probabilmente voleva. La bambina tremò, in che guaio si era cacciata? Il suo papà dov’era? Sapeva che era stata rapita? Perché di certo non si trovava lì per una cena né per un tè. Lui era cattivo, senza scrupoli e la sua mamma glielo aveva detto. Ma come spesso faceva, lei aveva disubbidito, era uscita di nascosto e ora si trovava nei guai e aveva messo nei pasticci anche tutta la sua famiglia. Era colpa sua e ora doveva essere forte per sistemare il pasticcio, anche se aveva paura…
Haakon la fissò, gelido. “Credevo ti saresti svegliata prima ma evidentemente, come tutti gli inglesi, sei una ragazzina pigra”.
Clowance nascose la sua paura sostenendo lo sguardo dell’uomo. “Dove sono?”.
Sei mia gradita ospite per un po’…”.
Perché? Per quanto?”.
Per il tempo necessario a tuo padre per darmi ciò che voglio. Piccola sciocchina, sei stata davvero gentile a uscire sola soletta da casa tua, mi hai risolto un sacco di grane”.
Voi avete fatto entrare dei ladri a casa mia!” – affermò, raccogliendo tutto il suo coraggio.
Haakon non si scompose. “Davvero?”.
Clowance strinse i pugni per la frustrazione. “E mio padre non ha nulla da darvi!”.
Lui le si avvicinò facendola arretrare. Era alto e aveva degli occhi così freddi da farle paura, era così diverso dal suo papà che gli occhi li aveva scuri e certe volte sembravano tanto seri ma quando la guardavano o guardavano la sua mamma, erano sempre gentili e scintillanti
Oh, mocciosetta, sì invece. E lo sai anche tu…”.
Non ha niente” – ribatté lei.
Haakon scoppiò a ridere, divertito da come quella nanetta bionda cercasse di tenere a bada l’evidente paura facendo la gradassa. “Oh, gioca pure a fare l’eroina, la cosa non mi turba. Tu sei qui e tuo padre farà tutto ciò che vorrò per riaverti. Per il resto puoi urlare, strepitare, fare capricci e picchiare i piedi ma da quì non ti sentirà nessuno”.
Clowance pensò ai suoi fratellini e la rabbia la invase, contro di lui e anche contro se stessa e la sua avventatezza. Chissà sua madre come doveva essere preoccupata... E anche il papà e i suoi fratelli! Chissà se Bella aveva detto cosa si erano dette prima che lei uscisse? Era nei guai, aveva paura, sperava che qualcuno sarebbe arrivato presto ma per il momento si impose di essere coraggiosa perché nei guai ci si era cacciata da sola e da sola doveva gestirsi per uscirne al meglio. Dicevano tutti che era sempre stata un po’ selvaggia e che per carattere assomigliava a suo padre. E suo padre, nei suoi panni… “Mio padre sì, ha qualcosa da darvi in effetti…”.
Davvero?” – chiese Haakon con tono di sfida.
La bambina annuì. “Sì, molti calci nel sedere quando saprà cosa avete fatto”.
Sì, Clowance era molto simile a suo padre. Ma anche a Jones che poco prima aveva proposto una opzione del tutto identica, anche se lei non lo sapeva. In effetti a lei Jones era sempre stato simpatico…
Haakon la osservò, dopo tutto era colpito dal coraggio di quel soldo di cacio… “Vedremo, vedremo…”.
E così dicendo aprì la porta, uscì dalla cantina che chiuse a chiave e si allontanò affidando la guardia della bambina a uno dei suoi uomini. Era ora di giocare col caro Poldark a un divertente gioco del gatto col topo.

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Capitolo 30
*** Capitolo trenta ***


Vedere Demelza piangere era qualcosa che da sempre era in grado di sconvolgerlo. Sua moglie era di solito la roccia di famiglia, il perno della forza di tutti loro, la parte migliore e ottimista del suo mondo.
E ora piangeva e questo, unito all’orrore e alla preoccupazione per quanto successo a Clowance, lo atterriva.
Papà, mamma piange…” – aveva mormorato Bella guardando la madre in lacrime fra le sue braccia. “Clowance non c'è più perché è andata solo a caccia di elfi cattivi. L’hanno portata via?”.
Ross strinse i pugni. “Sì, e ce la andremo a riprendere”.
Sarebbe andato anche subito a casa di Haakon, gli avrebbe buttato giù la porta a calci, avrebbe messo a soqquadro ogni cosa e si sarebbe ripreso sua figlia senza mezze misure e diplomazia. Era sua prigioniera, ne era sicuro con assoluta certezza e questo lo rendeva furioso e decisamente meno diplomatico di quanto avrebbe voluto Wickman. Come aveva osato? Come aveva potuto compiere un atto tanto meschino come quello di mettere di mezzo una bambina? Ma d’altronde, di cosa si stupiva? Haakon quattro anni prima non aveva esitato a uccidere una donna innocente e a mettere a ferro e fuoco Oslo per far lo stesso con due neonati e di certo non aveva sviluppato alcun tipo di scrupolo di coscienza per ripetere quelle azioni anche a Londra. Era come un ratto, si muoveva con grazia e di nascosto e colpiva alle spalle con ferocia. Chiunque, grandi o piccoli...
Ma una cosa positiva c’era, Clowance gli serviva di certo come merce di scambio e quindi era tutto suo interesse che la bambina stesse bene. Su quello poteva stare tranquillo ma solo su questo. Non avrebbe ceduto i gemelli, avrebbe salvato tutti i suoi figli e quindi…
Quindi avrebbe portato la sua famiglia al sicuro a casa di Jones e poi avrebbe fatto sputare sangue ad Haakon. In un modo o nell’altro avrebbe ripreso Clowance e l’avrebbe riportata a casa.
Papà, mi dispiace, avremmo dovuto stare più attenti”.
La voce seria e rammaricata di Jeremy lo intenerì, era ovvio quanto si sentisse responsabile. “Sta tranquillo, non c’era niente che tu potessi fare e il compito di proteggervi spetta a me”.
Poi si rivolse a Demelza, asciugandole con le dita le lacrime che le rigavano il viso. “Amore mio, risolveremo tutto!”.
Come?” – chiese lei, disperata.
Mettendo per prima cosa in salvo te e i bambini. Ti porterò a casa di Jones, c’è un rifugio sicuro dove starete assieme a Inge e Prudie”.
Demelza scosse la testa con decisione. “No!”.
Bella sussultò al suo grido e anche i gemelli, tenuti per mano da Inge e Prudie, spalancarono gli occhi nel vederla tanto spaventata. Era inusuale che vedessero sua madre in quelle condizioni e anzi, forse non avevano mai visto il suo lato più vulnerabile e questo doveva sconvolgerli.
Che vuol dire no?” – chiese Ross capendo che doveva usare tatto e pazienza.
Che io non starò nascosta mentre mia figlia è in pericolo”.
Ross le accarezzò i capelli, rendendosi conto che la grinta e la forza di Demelza non potevano essere imprigionate, soprattutto in un momento come quello. Ma era incinta e avevano altri figli a cui pensare e quindi doveva farle capire che il suo posto era da Jones. Erano una squadra loro due e mentre lui avrebbe pensato a Clowance, lei avrebbe pensato a tutto il resto e a stare tranquilla. “Demelza, per la faccenda di Clowance lascia fare a me. Abbiamo altri figli, ce n’è uno in arrivo e servi a loro”.
Non voglio nascondermi”.
Non ti stai nascondendo, stiamo facendo un lavoro di squadra. Per il bene di Clowance, per riportarla da noi il prima possibile, ho bisogno di muovermi sapendo che sei al sicuro. Puoi farlo? Puoi, per il bene di Clowance?”.
Demelza tremò, il suo esile corpo fu invaso da una sgradevole sensazione di freddo. Ross aveva ragione, ne aveva da vendere ma tutto in lei era in subbuglio e l’idea della sua bambina sola, in mano a un mostro, la annientava. “E se stesse male ora? Se piangesse, se fosse spaventata, se quell’uomo dovesse farle del male…?”.
Ross la strinse ancora a se. “A lui serve una bambina in salute. E nostra figlia la conosci, è una Poldark e una testa calda come me. Sono sicuro che sta tenendo testa ad Haakon meglio di me e te messi insieme. Non mi stupirei se lo stesse già facendo ammattire e pentire del suo gesto”.
Demelza tentò di sorridere a quella battuta forzatamente leggera, pur con scarsi risultati. “Sei sicuro?”.
Certo”.
La donna si afferrò al cappotto del marito cercando in se stessa tutta la forza di essere ragionevole ed affidarsi alle sue scelte. Si era mai meno che fidata di Ross? Avevano passato momenti difficili, guerre, separazioni ma in fondo nemmeno per un attimo aveva mai vacillato ad affidarsi alle sue decisioni. Era vero, lui aveva ragione, avevano dei figli, lei era scossa ed incinta e incaponirsi a fare l’eroina non avrebbe risolto la situazione e non avrebbe aiutato Clowance. Solo Ross poteva farlo! “D’accordo!” – sussurrò in un soffio, con aria sconfitta.
Ross la baciò sulla nuca. “Ecco, temevo di aver perso la mia assennata moglie”.
Demelza deglutì. “Che hai in mente? Come andremo a casa di Jones senza essere pedinati?”.
Ross alzò lo sguardo, osservando le domestiche e i suoi figli. “Non sarà divertente più di tanto ma è un metodo sicuro che ho già adottato e se lo prenderete nel verso giusto, anche avventuroso e divertente”.
Daisy corse da lui, incuriosita. “Cosa? Quando?”. Era sempre decisamente attratta dall’avventura.
Lo sguardo di Ross si riempì di amarezza. “Meglio che tu non lo sappia” – rispose, ripensando a Jasmine, al primo incontro con lei e il suo gemello e a tutto quello che ne era conseguito.
Inge si avvicinò loro con sguardo grave, avendo già compreso quali erano i piani visto che aveva visto di persona come si muoveva Ross in certe situazioni quella prima volta ad Oslo. “Sarà un’avventura, bambini! Una specie di caccia al tesoro sotto terra”.
E che tesoro troviamo?” – domandò Bella che si era aggrappata alla gonna di sua madre.
Ross baciò sua moglie sulla fronte. “Vostra sorella”. E spiegò loro quanto concordato, cercando di renderlo il meno pietoso possibile. Nessuno fece obiezioni e anche se una 'passeggiata' fra i canali di scolo sotterranei non sarebbe stata esattamente 'piacevole' tutti capirono che non c'erano altre strade da percorrere. Letteralmente!




Nel tardo pomeriggio lasciarono accese le candele del salone e in alcune camere in modo che sembrasse che erano tutti in casa e poi, coi bambini imbacuccati e con dei borsoni con le cose strettamente necessarie, raggiunsero la cantina e da lì entrarono nei sotterranei che portavano alle fogne.
Ross aveva detto che era come un’avventura nelle gallerie della sua miniera e i tre bambini la presero come tale anche se Bella si lamentò un po’ per la puzza, sulle prime.
In Daisy invece prevalse il suo spirito d’avventura e la piccola si divertì un mondo ad esplorare quel posto tanto strano. Demian invece si rannicchiò in braccio ad Inge frignottando per la paura del buio ma Demelza lo confortò, anche se con scarsa convinzione. Era troppo provata per essere anche in quel momento la donna energica di sempre e una strana rabbia pareva corroderle le vene. Non era tanto per quella situazione nei sotterranei della città, era cresciuta ad Illugan e di certo non si scandalizzava per quella gita inaspettata e poco piacevole, era tutto il resto che andava a rotoli. Non era stata capace di proteggere sua figlia e anzi, forse era stata lei stessa a mettere in pericolo tutti loro quando aveva insistito per tenere con loro i gemelli nonostante le perplessità di suo marito. Guardava quei due bambini e un lato di lei che la spaventava pareva ora respingerli tanto che non riusciva nemmeno a essere tenera verso le paure di Demian che da sempre era legatissimo a lei.
Jeremy la osservava in silenzio quasi carpendone i sentimenti. E prendendola per mano quasi a darle conforto perché ci era passato a sua volta, la aiutò in quell’avanzata difficoltosa.
Giunti a destinazione, scoprirono che le stanze interrate adibite da Jones a rifugio si rivelarono capienti e accoglienti. L’uomo aveva sistemato la zona notte alla meglio e il salottino era arredato con gusto con due divanetti, un tappeto per far giocare i piccoli, una stufa e una grossa cesta per i cani.
Ross aiutò la donne e i bambini a sistemarsi, confortato dal fatto che tutto fosse filato liscio e nessuno sapesse che fine avevano fatto. Spariti nel nulla senza mettere il naso fuori casa era stato in fondo facile con le indicazioni delle fognature che gli aveva donato Jones. Erano sbucati nel boschetto dietro casa sua, erano scivolati in giardino e di lì, di corsa, erano andati al piano di sotto. Fino alla fine di quella storia, nessuno avrebbe dovuto uscire di lì.
Nessuno eccetto Ross e Jones…
Dopo aver sistemato le cose portate ed essersi accertato che Demelza stesse meglio, Ross salì al piano di sopra per confrontarsi con Jones sui prossimi passi da fare. Scalpitava per risolvere in fretta la situazione per il bene di Clowance soprattutto ma anche per placare l’ansia sua e di Demelza.
Rimasti soli nel piccolo appartamento ricavato dalla grande villa di Jones, alla periferia di Londra ma in una zona elegante dove antiche dimore circondate da giardini la facevano da padrone, i bimbi si rifugiarono in quella che sarebbe stata la loro stanza. Jeremy e Prudie andarono con loro e Demelza si sedette per terra, con la schiena poggiata alla parete a fianco della stufa.
Inge la raggiunse e anche Demian, sbirciando dalla porta, corse da lei. Per il bambino, che viveva in simbiosi con la madre, era fin troppo evidente che ci fosse qualcosa di diverso nel suo modo di fare e ne avvertì la forte tensione.
Mamma…” – la chiamò, prima che Inge potesse fermarlo.
Demelza alzò lo sguardo e per un attimo non vide il suo bambino ma la causa dei suoi problemi. Un attimo solo di cui si vergognò subito e che la fece sentire cattiva ma di colpo, in tutta risposta, con la mano lo allontanò. Gli occhi di Demian divennero lucidi. “Mamma…”.
Inge lo raggiunse subito, prendendolo in braccio. “Shhh, tesoro, la mamma non voleva essere brusca. E’ stanca e preoccupata, ha un bimbo nella pancia e non sa dove sia tua sorella. Lasciala tranquilla, verrà da te più tardi appena si sarà riposata”.
Ma…”.
Inge non gli diede il tempo di protestare. Lo portò nella stanzetta, lo affidò a Prudie e poi, dopo aver chiuso la porta, tornò da Demelza.
Nonostante l’età si sedette per terra, accanto a lei, gustandosi quanto meno il tepore della stufa che dava sollievo alle sue ossa provate dall’umidità del percorso sotterraneo appena affrontato. Con gentilezza accarezzò il braccio di Demelza e si accorse che le guance della donna erano rigate di lacrime.
Sono orribile, lo so” – singhiozzò Demelza come se fosse una bambina. “Non è colpa di Demian o Daisy, sono io ad essere un mostro. Ma Clowance è stata rapita e se penso a un colpevole…”.
Inge sospirò, lasciando che Demelza poggiasse la testa sulla sua spalla. “Mia cara, io non vedo nessun mostro ma una donna forte, gentile e con un cuore grande. Vedo una madre eccezionale e… un essere umano. Con le sua fragilità, con il suo dolore, con il suo carico di gioie e con tante responsabilità sulle spalle. Non siete orribile, siete una donna a cui hanno rapito una figlia e se non foste angosciata, sarebbe grave. Cercate un colpevole e forse vi sentite voi stessa tale. O date la colpa ai gemelli che in fondo, involontariamente, hanno dato vita a tutto questo pasticcio. Ma in fondo al cuore sapete bene che la colpa non è di nessuno di voi, la colpa è di Haakon. Solo sua e del principe Magnus e di tutti quegli uomini che bramano il potere a discapito delle persone”.
Demelza la ascoltò in silenzio e lasciò passare diversi secondi prima di rispondere. “Per un attimo mi è sembrato di odiare i gemelli”.
Non è detto che qualcosa che sembra, poi sia effettivamente ciò che proviamo. Siete annebbiata dalla preoccupazione ma io vi ho visto e so che amate i gemelli come i figli da voi partoriti e so che in voi hanno trovato una vera madre”.
Demelza scosse la testa continuando a singhiozzare. “Eppure Ross mi aveva avvertito che avremmo potuto correre dei rischi ma io no, ho insistito che avremmo affrontato tutto e con leggerezza ho voluto andare avanti…”.
Non si tratta mai di leggerezza quando c’è di mezzo il cuore. Sapreste immaginare una vita senza i gemelli?”.
No, ovviamente”.
E se vi chiedessero in cambio di Clowance i due piccoli, che fareste?”.
Demelza fece un sorriso amaro. “Giuda, dovrebbero passare sul mio cadavere a una richiesta del genere. Non lo permetterei e nemmeno Ross”.
Inge le sorrise, porgendole un fazzoletto perché si asciugasse le guance. “E allora, lo vedete?”.
Cosa?”.
Che siete la loro mamma. E che come tutte le mamme avete avuto un momento di debolezza dettato dal dolore. Quando soffriamo, a volte cerchiamo in chi ci è più vicino il responsabile di tutto”.
Demelza chiuse gli occhi, aggrappandosi alla vicinanza di quella donna che in quel momento stava facendo per lei qualcosa che avrebbe fatto una madre: sorreggerla. “Grazie, Inge. E ti prego, resta con noi”.
Ci penseremo alla fine di questa storia”.
E’ un quasi-sì, vero?”.
Inge rise, nonostante tutto. “Oh, in fondo sarà divertente insegnare ai piccoli qualcosa delle loro origini. E vedere la mia cucciola correre sulla sabbia della vostra spiaggia. Il giovane Jeremy dice che avete una spiaggia stupenda tutta vostra”.
Demelza chiuse gli occhi, immaginando con nostalgia di essere a casa. “Sì, Hendrawna… Clowance ci gioca spesso e a volte si getta in acqua vestita solo con la sottoveste. E’ sempre stata così vivace…”. La sua voce si spezzò al nominare la bambina e ancora una volta cercò rifugio in Inge. “Tornerà sana e salva, vero?”.
Oh, lei sì! E’ più per la salute di Haakon che temo. Vostro marito lo conosco poco ma mi da l’impressione di essere una persona molto passionale e sanguigna quando si toccano i suoi affetti”.
Demelza sorrise. “Lo è, anche se col tempo si è ammorbidito”.
Santo cielo…”.
Demelza le strinse la mano e poi si alzò. Si asciugò le lacrime, si rinfrescò il viso e poi decise che voleva essere positiva. “Per ora qui siamo al sicuro, giusto?”.
Sì”.
E’ già qualcosa”. Poi si avvicinò alla porta della cameretta dove sentiva vociare i bambini, decisa a tornare ad essere la madre forte e positiva di sempre. Tutto ciò che voleva era stringerli a se, soprattutto i suoi – SUOI – due gemellini. Dopo il suo momento di debolezza voleva solo far capire loro quanto li amasse e che mai si sarebbe pentita della scelta di averli tenuti. Che cosa sarebbe stata la sua vita senza cononscere il sorriso biricchino e la vivacità di Daisy? E senza la dolcezza di Demian?
Inge annuì. “Mi sembra un’ottima idea”.
Demelza allora entrò nella stanza e Bella le corse subito incontro.
La prese in braccio e poi guardò i gemelli. Daisy si dondolava su un cavallino-giocattolo che Jones aveva fatto trovare loro, stringendo a se il suo orsacchiotto preferito che si era portata da casa. Le sorrise, a lei bastava uno sguardo per capire i sentimenti altrui e in quel momento era chiaro che avesse compreso che stava meglio.
Demian invece le si avvicinò guardingo, succhiandosi il pollice.
Demelza mise a terra Bella e poi si inginocchiò davanti a lui, stringendolo forte a se. “Amore mio, scusa. Anche le mamme a volte hanno dei brutti momenti ma non è colpa tua”.
Lui alzò i suoi occhioni azzurri come il ghiaccio, testimonianza perenne delle sue origini. “Mi vuoi bene ancora? Non sei più arrabbiata?”.
Gli sorrise, accarezzandogli i capelli. “Certo, che domande fai? Ti vorrò bene sempre! E per quanto riguarda l’essere arrabbiata, lo sono ancora… con chi ha portato via Clowance. Non certo con te”.
Quando torna a casa Clowance?” – chiese il piccolo.
Lo ristrinse a se, come a cercare in lui la forza. “Presto, presto amore mio”.
E Demian, fra le sue braccia, si tranquillizzò.
Anche Daisy, solitamente avara di abbracci, sentì che voleva stare vicino alla mamma. Corse da lei e le cinse con le sue piccole braccia il collo e Demelza inspirò il suo odore. Gli abbracci di Daisy erano rari quanto preziosi e in quel momento erano la migliore delle medicine alle sue preoccupazioni.


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Capitolo 31
*** Capitolo trentuno ***


La prima notte passata nel loro rifugio improvvisato fu tumultuosa per Demelza che, nonostante fosse al sicuro con gli altri suoim figli, non riusciva comunque a trovare pace. Il suo cuore di madre sanguinava e la preoccupazione per Clowance le attanagliava lo stomaco in una morsa micidiale. I pensieri foschi del giorno, addolciti dalle parole di conforto di Inge, non avevano comunque lasciato la sua testa e la preoccupazione per la sua bambina, lancinante e a cui faticava a dar voce, le corrodeva l’animo.
Ross, di fianco a lei nel letto, pareva percepire quasi a pelle il tumulto della moglie. Che poi era anche suo perché l’angoscia per la figlia e la rabbia tipicamente maschile dettata dall’orgoglio ferito per non essere riuscito a proteggere tutta la sua famiglia, non gli avrebbero premesso di chiudere occhio.
Con Jones avevano ideato un piano e ora, solo con Demelza, glielo avrebbe esposto. Ma prima, voleva tentare di calmarla perché anche se a malapena riuscivano a parlarne, era essenziale condividere le loro angosce senza chiudersi a riccio. Lo avevano fatto dopo la morte di Julia e quell’atteggiamento di distacco lo avevano pagato caro negli anni successivi, finendo entrambi per allontanarsi e commettere errori quasi mortali per il loro matrimonio. Non ci sarebbe ricaduto!
Allungò la mano, accarezzò i lunghi capelli della moglie che ricadevano molli sul cuscino e poi la attirò a se. “Tutta questa agitazione non ti servirà a nulla e non ti farà bene!”.
Demelza alzò gli occhi su di lui. “Tu riesci a stare calmo?”.
Certo che no, sono furioso e mi sento impotente… E’ difficile da ammettere, ma ho fallito nel compito di proteggervi e ora scalpito per riprendermi nostra figlia!”.
Demelza lo strinse a se, avvertendo quella sua irrequietezza così tipica. Ross non era uomo da accettare sconfitte e sapeva anche quanto furioso lo rendesse non essere riuscito a proteggerli. In realtà non aveva nulla da rimproverargli, avevano tutti cercato di fare del loro meglio, solo che le circostanze avevano remato loro contro… Però, nonostante le mille preoccupazioni, la inteneriva questo nuovo e più maturo Ross, capace di ammettere i suoi sentimenti e quelle che lui considerava… sconfitte. Era tanto per lui, per il suo orgoglio e per il suo carattere e questo dimostrava quanto fosse cambiato e cresciuto nel corso degli anni. “Tu non hai fallito. Ci possiamo riempire la testa di sentimenti negativi, possiamo incolparci di mille cose perché trovare un colpevole ci fa sentire forse meglio ma sai, oggi Inge mi ha spiegato che se agisci col cuore, nulla puoi rimproverarti. Ho solo paura Ross, paura per nostra figlia… Vorrei semplicemente sapere se sta bene”.
Come se quelle parole di Demelza fossero state un balsamo sul suo cuore, Ross le baciò la fronte. Sapeva sempre come calmare il suo spirito in tumulto, sua moglie… “Da che mondo e mondo, gli ostaggi vengono trattati con cura. E’ tutto loro interesse che Clowance stia bene”.
Ma sarà spaventata, Ross!”.
No, non nostra figlia!”. Lo disse per consolare Demelza, certo,ma Ross in cuor suo ci credeva davvero che quella piccola peste avrebbe fatto vedere i sorci verdi ai suoi rapitori. Era una Poldark fatta e finita Clowance e come Bella sapeva farsi rispettare. Jeremy sembrava più pacato ma le sue bambine erano delle piccole e combattive leonesse e di certo Clowance non se ne stava in un angolo a piagnucolare, di questo ne era certo.
Demelza alzò lo sguardo su di lui. “Ma come ostaggio, se noi siamo scomparsi dalla circolazione, come faranno a… trattare con noi?”.
Ross cercò di inquadrare il carattere di Haakon e grazie alla sua esperienza come spia, tentò di rassicurare sua moglie. “Beh, non si faranno certo fermare da questo e in ogni modo cercheranno di farci giungere il messaggio di volerci contattare. Ma non servirà, non gli daremo il tempo di fare questo, ci riprenderemo Clowance ben prima che si organizzino…”.
Che vuoi dire?”.
Ross sospirò, era ora di metterla al corrente del piano ideato con Jones nel pomeriggio. “Sono o non sono una spia?”.
Beh, da quel che so quando parti e te ne stai via per mesi, lo sei”.
Ross sorrise, nonostante tutto adorava il brivido dell’avventura e se non fosse stato che di mezzo c’era sua figlia, avrebbe apprezzato le avventure londinesi con uno spirito più indomito. “Lo sono e a detta degli altri, sono anche bravo! Io e Jones siamo bravi, sappiamo nasconderci nell’ombra e arrivare ovunque senza essere visti! Londra sarà il nostro campo d’azione, la casa di quel dannato console norvegese la nostra meta e Clowance il nostro trofeo. Domattina usciremo presto e muovendoci senza essere visti, indagando, arriveremo dove dobbiamo! Studieremo il da farsi e colpiremo quando saremo sicuri di vincere! Tu nel frattempo starai qui, al sicuro, con gli uomini messi da Jones a vegliare su di voi. Si travestiranno da servitù, non daranno nell’occhio ma non vi toglieranno gli occhi di dosso. Tornerò quanto prima con nostra figlia sana e salva ma nel frattempo, anche se ovviamente non potrò farti avere mie notizie perché dovrò muovermi in incognito quanto più possibile, non ti angustiare per me”.
Demelza rabbrividì, quel gioco al rischio che Ross spesso amava correre la metteva ancora a disagio e anche se sapeva che non c’erano alternative, non poté non preoccuparsi per lui. “Ross, ho paura” – ammise.
La strinse a se ancora più forte. “Lo so ma so anche che ti fidi di me! Voglio solo che mi aiuti ad agire nel modo più sereno possibile”.
Come?” – domandò lei, esasperata per la sua impotenza in quella dannata situazione.
Stando qui. So che la cattività ti disturba, so che vorresti essere libera di correre all’aria aperta ma per ora ti prego, sta coi bambini in questa casa, prenditi cura di te e di loro e soprattutto, del nostro figlio più piccolo non ancora nato. Mi muoverò meglio se saprò che sei al sicuro”.
Demelza lo baciò sulle labbra. “Lo farò. Ma promettimi che andrà tutto bene”.
Te lo prometto!”.
E che tornerai presto con Clowance!”.
Ti prometto SOPRATTUTTO questo…”.
E che poi torneremo a casa e ce ne staremo in pace. Voglio Nampara, Ross! La nostra casa, la nostra tranquillità, la nostra gente, i nostri amici, la nostra miniera, la nostra spiaggia. Odio Londra, questa dannata città non ci ha mai portato fortuna!”.
Ross annuì, non poteva che darle ragione. Da Adderly in poi, quella città era sempre stata fucina di disgrazie per loro. “Torneremo presto a casa, te lo prometto”.
Coi gemelli sani e salvi, vero? Sai Ross, oggi mi sono sentita cattiva perché per un attimo… dentro di me… ho incolpato loro di tutto questo”.
Ross notò il tremore della sua voce e capì che se per lui era stato doloroso ammettere di aver fallito nella difesa della sua famiglia, per Demelza era stato altrettanto complicato ammettere quel pensiero umano e comprensibilissimo ma che per una come lei doveva essere stato atroce da provare. Era una brava madre, era splendida, per lui era perfetta ma in fondo era umana come tutti e di certo non le avrebbe fatto pesare quanto appena confessato. “Demelza, quando si è fuori di se, escono pensieri che mai davvero proviamo nel cuore”.
Ma tu… tu non hai provato lo stesso” – tentennò lei, in cerca di risposte.
Ross decise di essere sincero. “No, ma semplicemente perché io so dall’inizio a che tipo di guai andavamo incontro. Tu lo hai scoperto nel giro di pochi giorni e il rapimento di Clowance non ti ha permesso di fare ordine nei tuoi pensieri. So che ami i bambini, a me questo basta per non farmi pentire della scelta di averli tenuti! Non potrebbero avere una madre migliore di te e in noi hanno trovato la miglior casa e la miglior famigli che potessero incontrare. So che ovunque siano, noi siamo quello che i loro veri genitori avrebbero voluto per loro”.
Lei sorrise, con gli occhi lucidi. “Anche Inge ha detto qualcosa di simile ma dopo oggi, fatico a crederci”.
Lui le sorrise, baciandola ancora. “Inge è saggia, dalle retta!”.
Ci proverò”.
"Ma quel mio pensiero di oggi..." - tentò ancora, cercando nel marito l'assoluzione a quella che lei sentiva essere una colpa terribile.
"Ami i nostri gemelli?".
"Con tutto il cuore".
Ross sorrise. "E allora non c'è altro di cui discutere. Lascia stare i cattivi pensieri e concentrati su cose più importanti".
"Del tipo?".
"Il nome del nostro prossimo marmocchio. Non vorrei trovarmi davanti al reverendo Halse, il giorno del Battesimo, balbettando che lo vogliamo chiamare come il nostro cane".
A quelle parole, Demelza non poté non ridere. Leggerezza, ecco ciò di cui aveva bisogno e se lei spesso era capace di acquietare l'animo in tumulto di Ross, lui dal canto suo sapeva farla sorridere nei momenti più difficili. Erano una bella squadra e cullata da quel pensiero, lo abbracciò.
Rimasero in silenzio per lunghi istanti, cullandosi nel suono del cuore l’uno dell’altra, impauriti ma pronti a combattere per riprendersi la loro figlia.
Dopo alcuni minuti, Ross la baciò sulla guancia. “Posso partire tranquillo, all’alba?”.
Sì, puoi. Fidati di me come io mi fido di te”.
Ross annuì, serio. “Lo farò, amore mio”.



Odalyn aveva captato movimenti strani sia in casa che fuori casa.
In una passeggiata pomeridiana dove si era spinta fino alla casa dei Poldark, l’aveva trovata abbandonata e vuota e sapendo che il padre di Jeremy era un parlamentare e non era in programma una sua partenza, quella sparizione in toto di tutta la famiglia l’aveva messa in allarme considerando soprattutto quanto suo padre fosse invischiato con le loro esistenze.
I Poldark si sarebbero dovuti fermare a Londra fino alla primavera, era stato Jeremy a dirglielo, quindi cosa poteva significare tutto questo? Ovviamente si era guardata bene dal farne parola col padre e aveva scelto di indagare da sola un po’ per curiosità, un po’ perché ormai si sentiva coinvolta dal giovane Jeremy e aveva scelto di dargli una mano, un po’ perché ormai da quei baci che si erano scambiati, la sua sicurezza era diventata anche affar suo e soprattutto perché di certo suo padre era già a conoscenza di ogni cosa e fingere di non sapere nulla non avrebbe gettato sospetti come invece sarebbe successo se avesse fatto domande.
Il tempo da quel giorno si era fatto pessimo e una incessante pioggia ghiacciata aveva reso impossibile fare altre passeggiate fra le strade deserte e nebbiose di Londra.
Ma proprio stando in casa in cattività, si era accorta di quel qualcosa di ‘diverso’ nella routine di famiglia. I due uomini più fidati di suo padre facevano spesso capolino ad orari strani della sera e si fermavano a parlare – o meglio, a bisbigliare – fino a tardi nello studio grande al piano di sotto. E a volte, dopo pranzo, quando si ritirava nel salottino dove leggeva o suonava il pianoforte, notava degli strani via vai del cuoco nelle cantine.
E non solo quello perché spinta dalla noia e origliando dal buco della serratura del salottino, aveva anche scoperto una tresca amorosa fra la cameriera personale di suo padre e il capo-maggiordomo. La cosa la divertiva tantissimo perché era sempre dopo pranzo, quando credevano di non essere visti, che i due si lasciavano andare a delle effusioni non troppo innocenti nel corridoio principale. Sapeva che era sbagliato spiare ma santo cielo, era più forte di lei ed era curiosa di scoprire nuove sfaccettature dell'amore.
Ma più che dal gossip casalingo, era incuriosita per i movimenti del cuoco. Forse si sbagliava ma se quell'uomo portava cibo di soppiatto in cantina, la sotto ci doveva essere qualcuno che lei non aveva mai visto. Aveva quindi spiato i movimenti dell’uomo e alla fine aveva deciso che di sotto c'era qualcosa su cui investigare e che magari - non se ne sarebbe stupita affatto - riguardava proprio la strana sparizione dei Poldark. D’altronde era già successo ad Oslo con altri nemici e sapeva bene che era consuetudine di suo padre agire in certi modi per ottenere ciò che voleva. Da bambina, di notte, urla di prigionieri torturati raggiungevano la sua camera e anche se a Londra non aveva sentito nulla del genere, la curiosità di sapere chi ci fosse di sotto stava diventando incontrollabile, così come il desiderio di distinguersi agli occhi di Jeremy dalle losche trame di suo padre.
Per alcuni giorni il suo comportamento fu ineccepibile e si comportò come nulla fosse, attenta a non irritare suo padre. Cenava e pranzava compostamente, conversava del più e del meno con la servitù, leggeva, suonava, a volte tentava di abbozzare qualche capriccio dettato dalla noia ma con la mente rimaneva vigile e pensava e ripensava a cosa fare…
Annotò mentalmente i movimenti all’interno della casa: il cuoco scendeva nelle cantine di soppiatto con del cibo dopo i pasti principali, dopo che lei si era chiusa nel salottino, suo padre non si muoveva dalle sue stanze di lavoro per tutto il pomeriggio e se di giorno riceveva ambasciatori ufficiali, era di sera che si incontrava con le sue spie… La servitù andava a dormire dopo aver sistemato le stoviglie per cena e la casa cadeva nel silenzio del sonno della notte. Solo una persona rimaneva vigile, a parte suo padre e i suoi scagnozzi chiusi nello studio: il guardiano alle celle. Ma c’era un modo per farlo smammare ed era creare caos… E Odalyn sapeva come fare.
In realtà pur avendo paura, l’idea di uscire di casa e provare il brivido del pericolo la attirava e quindi decise di agire per cercare di capire chi fosse il prigioniero nelle cantine e nel caso, come aiutarlo.
Chiusa in camera dopo cena, Odalyn prese il suo portagioie, regalo della sua nonna materna per il suo ottavo compleanno. Da allora lo aveva portato in ogni viaggio che aveva fatto e aveva una particolarità che agli occhi di Odalyn lo rendeva magico: la chiave per aprirne il lucchetto. Sua nonna, sapendo quanto lei fosse sbadata, le aveva spiegato che quella era una chiave ‘universale’, una di quelle chiavi che apre ogni porta. “Pas par tout” – bisbigliò, in lingua francese ripetendo le parole della nonna.
Da allora si era portata quella chiave ovunque e se le capitava di perdere qualche chiave nei vari ostelli e alberghi dove alloggiava nel corso dei suoi viaggi, risolveva con quella chiave magica. E visto che apriva ogni porta, avrebbe funzionato anche con quelle della cantina…
Ma come fare a creare scompiglio in modo da lasciarle libera la strada?
Beh, fingere un tentativo di infrazione da parte dei ladri poteva benissimo essere credibile. Quale grande città non ha delinquenza notturna? Quale ladro non sognerebbe di rubare in casa di un facoltoso ambasciatore straniero? Era un buon piano, sì!
E così quella sera rimase vestita. Finse di andare a letto, spense la candela e quando sentì il portone aprirsi per far accedere i compagni di merende del padre, aspettò che questi si chiudessero nello studio e che la casa piombasse nel silenzio.
Poi si alzò, si mise un pesante mantello, aprì la finestra della sua stanza e aggrappandosi a un ramo, saltò giù nel giardino.
Rabbrividì, il freddo era pungente e anche se era una vichinga, si trovò a tremare. Poi si guardò in giro e dopo aver visto un grosso masso sotto a una pianta, lo prese. Era viscido e rischiava di caderle di mano, quindi fece un profondo respiro, le strinse più che poteva e dopo aver preso la rincorsa, lo scagliò contro il vetro della finestra del salone principale.
In un attimo i cani da guardia di suo padre iniziarono ad abbaiare ferocemente, le luci si accesero e iniziò il trambusto.
Odalyn, velocemente, si arrampicò sulla pianta usata per scendere e da lì rientrò in camera. Si mise a letto, si coprì del tutto con le coperte perché non ci si accorgesse che era vestita e quando una domestica corse da lei per accertarsi che stesse bene, fingendosi assonnata la rassicurò, chiedendo cosa fosse successo.
Le fu detto che qualcuno aveva rotto i vetri del salone di sotto e che tutti gli uomini di suo padre stavano correndo in giardino alla ricerca di un fantomatico ladro e che quindi lei doveva stare tranquilla.
Odalyn annuì, si finse assonnata e quando rimase sola, aspettò alcuni istanti e poi uscì dalla camera.
Molte voci la raggiunsero dal giardino e lei, approfittando del fatto che tutti fossero fuori, scese velocemente le scale, attenta a non essere vista. I pochi rimasti in casa presidiavano il portone d'ingresso, anche suo padre non era più nel suo studio e scendendo dalla scala di servizio, nessuno avrebbe captato i suoi movimenti.
Strinse a se la chiave del portagioie, si nascose in uno sgabuzzino e quando vide il guardiano delle celle salire dalle cantine di corsa, armato di mazza, prese la stessa scala e scese nei sotterranei.
Come aveva pronosticato, tutti erano usciti per stanare chi aveva osato violare la loro intoccabile dimora. Come suo padre spesso faceva con le sue prede, ora era quasi comico immaginarlo gonfio di bile nel ruolo del topo cacciato dal gatto come una preda. Se solo avesse saputo, lei avrebbe passato dei grossi guai… Ma orami c’era dentro e anche se aveva paura, non poteva più tirarsi indietro.
Avanzò nel corridoio, solo delle piccole fiaccole appese alle pareti illuminavano il suo passaggio. E poi, a bassa voce, chiamò. “C’è nessuno?”. Era quasi certa che alla sua voce avrebbe risposto quella di Ross Poldark. O di Jeremy, magari… E grossa fu quindi la sua sorpresa quando da una delle porte, sentì la voce di una bambina. “Chi sei?”.
Odalyn ci mise un attimo a capire da dove provenisse ma quando ci riuscì, veloce come un gatto arrivò alla serratura e con la sua chiave, aprì. E si trovò davanti Clowance Poldark. Sporca, infreddolita ma decisamente LEI. "Santo cielo!" - esclamò, riconoscendola all'istante. "Sei sola?".
Clowance si sfregò gli occhi. "Sì... Ma tu sei... Sei la strana amica di mio fratello!".
Erano entrambe stupite ma Odalyn sapeva che non c'era tempo da perdere. "Stai bene?" - chiese con urgenza. "Sai correre?".
"Assolutamente sì".
Odalyn fece un cenno col capo verso la porta. "E allora vedi di farlo velocemente. Seguimi, non abbiamo molto tempo!".
Clowance annuì e Odalyn si mise a correre con la piccola Poldark alle calcagna. Risalirono la scala di servizio, si nascosero in un piccolo sgabuzzino per osservare che ancora non ci fosse in casa nessuno e poi, constatato che la strada era libera, la condusse nella sua stanza.
Fece nascondere Clowance sotto il letto, aprì la finestra e osservò i movimenti degli uomini di suo padre in giardino. Correvano qua e la ma quando i cani smisero di abbaiare, capirono che non c'era più nessuno a cui dare la caccia e che il ladro, forse, era scappato.
Rientrarono e alla fine Odalyn decise di agire.
Chiamò Clowance e le indicò i rami dell'albero con cui aiutarsi a scendere.
Per nulla intimorita, la giovane Poldark fece quando le veniva detto e le due ragazzine arrivarono al giardino. E da lì, di corsa, fino al muro di cinta su cui si arrampicarono con l'agilistà di uno scoiattolo.
E quando furono fuori, in strada, anche se non sapevano dove andare, tirarono un sospiro di sollievo.
Erano salve... Almeno per ora...

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Capitolo 32
*** Capitolo trentadue ***


La pioggia ghiacciata era noiosa ma sollevava da terra una fitta nebbia gelida utile a coprire le loro figure che correvano per le vie di Londra nella notte.
La città era deserta, in giro non si vedeva nessuno e anche le osterie e le stamberghe che ospitavano i viandanti e gli avventori che desideravano affogare le loro vite nei fumi dell’alcol erano ormai chiuse. Londra sembrava spettrale e anche se Clowance era sempre stata indomita e coraggiosa, si sentiva vagamente frastornata ed intimorita. Che stava succedendo? Tutto era successo talmente in fretta che stentava a comprendere come fosse passata in pochi minuti dall’essere prigioniera ad essere fuggitiva. E la ragazza norvegese, Odalyn? Perché la stava aiutando? Si stava mettendo contro suo padre? Per quanto Clowance amava il suo, le sembrava impensabile che un’altra ragazza potesse tradire così il suo genitore. Oppure Odalyn stava mentendo e stava portandola in trappola? Doveva fidarsi o essere guardinga? O metà e metà?
Davanti a lei, col cuore in gola, Odalyn correva senza fermarsi e senza nemmeno conoscere la direzione che stava prendendo. Londra era un dedalo di piccole vie e allontanate dai grandi palazzi signorili del centro, tutto sembrava un formicaio di casette e viuzze che si intrecciavano e fondevano in un intricato labirinto. Certo, era un buon modo per non essere rintracciate e nascondersi ma era anche un modo perfetto per cacciarsi ulteriormente nei guai e perdersi.
Le guardie e suo padre ci avrebbero messo un po’ a scoprire la loro fuga e al momento avevano un po’ di vantaggio ma una volta allontanatesi abbastanza, Odalyn capì che era il momento di fermarsi e ragionare. Continuare a correre come forsennate senza un piano su dove andare era decisamente una scelta idiota. Faceva freddo, erano in pericolo e se non stavano attente, ai guai che già avevano se ne sarebbero aggiunti altri.
Quindi, vista una stalla abbandonata fra due casupole cadenti, la ragazza prese improvvisamente per mano Clowance, costringendola a seguirla e a nascondercisi dentro.
Una volta all’interno, si misero dietro un cumulo di fieno vecchio e maleodorante, guardandosi negli occhi in modo indagatore.
Fu Clowance la prima a parlare. “Che succede? Cosa fai, perché?”. Si sentiva stupida e di certo non era il miglior modo di iniziare una conversazione con quella che sicuramente al momento doveva considerare la sua salvatrice, ma era sempre stata una bambina diretta che non faceva giri di parole e non le veniva in mente nient’altro da dire. Non ci capiva niente e odiava questo stato di cose!
Col fiato corto, Odalyn mantenne lo sguardo fisso su di lei. “Nemmeno tuo fratello all’inizio era un campione di simpatia ma tu sei decisamente peggio. Mio padre forse su qualcosa ha ragione, voi Poldark cornici siete decisamente un po’ selvaggi”.
Orgogliosa di esserlo! Come la mia terra!”.
Odalyn le riservò un’occhiataccia. “Sicura?”.
Mi vien da ridere che me lo stia chiedendo una vichinga selvaggia e feroce”.
A quell’affermazione che dimostrava un certo coraggio e una certa faccia tosta, Odalyn decise che Clowance Poldark era decisamente un personaggio più caratteriale e deciso del fratello. Jeremy era dolce e onesto per natura, Clowance sembrava avere in se l’ardore del padre e della madre unito a una irrefrenabile lingua lunga e pungente che forse poteva anche piacerle. Era decisamente stufa di quel mondo di buone maniere londinesi finto e artefatto in cui da mesi si era trovata catapultata e Clowance rappresentava a suo modo una boccata d'aria fresca. “In fondo non hai torto”.
Le due si misero con la schiena contro la parete, studiandosi a vicenda per alcuni secondi.
Perché mi hai… aiutata?” – chiese alla fine Clowance, con tono guardingo.
Perché non mi piace ciò che fa mio padre e liberarti mi sembrava un modo originale per farglielo capire".
Quelle parole lasciarono Clowance interdetta. Certo, Haakon non piaceva a lei e a nessuno della sua famiglia, suo padre aveva raccontato a tutti che poteva e voleva far del male ai gemelli e che dovevano difendersi perché era pericoloso. L’aveva rapita e se avesse messo le mani su Daisy e Demian avrebbe fatto di peggio, ma… Ma ai suoi occhi di bambina innamorata di suo padre era così assurdo pensare che esistessero figlie che non apprezzavano il loro papà. Deglutì. “Sei seria?”.
Ti pare che possa scherzare? Ti sembra che lui ti abbia presa per portarti in vacanza?”.
No… Ma è tuo padre ed è uno che a guardarlo fa anche un po’ paura. Perché dovresti cacciarti nei guai con lui?”.
Quella domanda fece tremare Odalyn perché in effetti aveva agito d’impulso pur conoscendo la pericolosità delle sue azioni e inconsciamente non aveva mai voluto pensare alle conseguenze con suo padre. Era vero, lui faceva paura, da sempre si era sentita intimorita con lui e i suoi modi bruschi nei paraggi. Non le aveva mai negato nessun vizio o capriccio ma era stato sempre avaro di affetto e gesti gentili. Forse era per questo, per essersi sentita considerata solo come mezzo per i suoi piani di governo che aveva scelto di ribellarsi, di dire no, di fargli vedere che era una persona con pensieri e sentimenti e non un oggetto da usare e riporre a piacimento. Non era stato un gesto del tutto disinteressato e guardandosi dentro si rese conto che ribellarsi non era stato solo un gesto gentile e altruista verso i Poldark ma piuttosto un qualcosa fatto per rivendicare se stessa davanti agli occhi di suo padre. Aveva fatto qualcosa di spregiudicato e pericoloso, in fondo non era diversa da lui e dalla sua indole in un certo senso, ma sicuramente, a differenza di lui, aveva una morale. Stranamente stava dimostrando di averla tradendo il sangue del suo sangue ma il fine mica giustifica i mezzi? “Non ha importanza che lui sia mio padre e inoltre non sono affari tuoi. E ora non voglio pensarci!”.
Clowance parve interdetta. Fuori aveva preso a piovere più forte e il buio della notte si era fatto più minaccioso. Abbassò quindi lo sguardo capendo di essere stata impertintente. “D’accordo, non sono affari miei, scusa. E grazie”.
Odalyn sussultò. “Grazie?”.
Clowance arrossì. “Beh, sì. Mi hai liberata e io non ti ho ancora ringraziata per questo. Sai, mi sono cacciata nei guai perché ho disubbidito e tuo padre mi ha…”.
La bambina si bloccò e Odalyn finì la frase per lei, chiudendo bruscamente quel momento di imbarazzo che non aveva motivo di esistere in Clowance. Erano entrambe due fuggitive nei guai, che avevano disubbidito ai genitori e si erano ribellate alle loro regole, non aveva certo senso fare le timide. “Lui ti ha rapita, non dovrebbe essere difficile per te dirlo a voce alta. Non mi offendo, sai? Io so che mio padre vuole qualcosa dalla tua famiglia e so anche che è un uomo senza scrupoli, in Norvegia molti lo temono e il nostro re si fida di lui non certo per il suo buon cuore. Non so cosa voglia da voi Poldark ma credo, la nonna mi ha insegnato… che si deve chiedere, non prendere con la forza”.
Clowance rimase stupita per la freddezza e la schiettezza di quella ragazza. Non doveva essere facile per nessuno parlare del proprio padre in quel modo, anche se era un mostro, e questo le faceva apprezzare la sua compagnia e la sua persona. “Io so cosa vuole da noi ma anche se chiedesse, mio padre non glielo darebbe mai”.
Puoi dirmi cos’è?” – chiese Odalyn, curiosa sul serio di tutti quei segreti e stupita dall’ammissione della bambina.
In realtà non potrei…”. Clowance parve in difficoltà, era evidente che si sentisse in debito e in colpa per non poter essere più sincera ma il segreto della loro famiglia circa i gemelli doveva rimanere tale in qualsiasi caso.  Ma doveva essere così anche con la sua salvatrice? “Sai, credo che mia mamma o mia papà potrebbero dirtelo, se vogliono e pensano che sia giusto. In fondo mi hai tirata fuori dai guai e se andiamo a casa mia…”.
Odalyn la bloccò. “Non farti illusioni, non è così facile! I tuoi genitori sono spariti assieme ai tuoi fratelli e casa tua è deserta”.
Cosa?” – sussultò Clowance, ora davvero spaventata. “E ora?”.
Odalyn sospirò. “Ora dobbiamo stare attente a come ci muoviamo o gli uomini di mio padre ci troveranno e allora non potrà più aiutarci nessuno”.
Clowance scosse la testa, ancora sconvolta. “Mio padre e mia madre non possono essere spariti senza di me. Non mi abbandonerebbero mai!”.
Alzò la voce e Odalyn le mise la mano sulla bocca. “Shhh stupida! Non urlare! Lo hai capito che dobbiamo stare nascoste e che non dobbiamo farci trovare?”.
Con gli occhi lucidi, Clowance si trovò immobilizzata fra Odalyn e il muro. Annuì e solo allora la ragazza ritrasse la mano. “Scusa”.
Dopo averle riservato una occhiataccia, Odalyn si rilassò. “Non farlo più. E comunque non ho detto che i tuoi famigliari sono scappati, ho solo detto che la tua casa è vuota. Sicuramente, dopo la tua sparizione, tuo padre ha messo al sicuro tua madre e i tuoi fratelli e ora ti sta cercando”.
Le parole di Odalyn tranquillizzarono Clowance. Aveva senso, di certo era così, nessuno della sua famiglia avrebbe mai potuto abbandonarla  e immaginava già suo padre nero di rabbia che cercava lei e il modo di far pagare ad Haakon quanto fatto. Ma questo non si sentì di dirlo a Odalyn… “Sì… Ma ora, io e te? Che facciamo se non sappiamo come raggiungere chi può aiutarci?”.
Odalyn si morse il labbro. “Non conosci nessuno che possa darci una mano?”.
Non sono di Londra. A casa ne conoscerei tante di persone, in Cornovaglia tutti ci sono amici. Ma qui…”.
Eppure tuo padre è un parlamentare e secondo me anche qualcosa di più visto il modo in cui lo considera mio padre… Sicura che non c’è nessuno che possa aiutarci?”.
Clowance sospirò. Sicuramente suo padre conosceva molte persone ma lei al momento sentiva la sua mente vuota e stanca. Chi c’era a Londra che potesse aiutarle? Caroline e Dwight, certo, ma davvero potevano andare da loro col rischio di metterli nei guai? Dove potevano essersi nascosti i suoi famigliari? Il Governo stava aiutandoli? Certo, il suo papà conosceva persone importanti che potevano proteggere tutti loro ma chi… ma di chi potevano fidarsi lei ed Odalyn per chiedere aiuto senza combinare guai e farsi scoprire?...
Jones…” – esclamò dopo alcuni istanti, come colta da improvvisa ispirazione.
Cosa?”.
Clowance scattò in piedi. “Jones, certo! Lui so di sicuro che è uno di cui mio padre si fida, viene spesso a casa mia ed è quello giusto…”.
Odalyn sospirò. “Come fai a saperlo?”.
Ovviamente Clowance non poteva raccontarle che Jones era il compagno di avventure da spia di suo padre e il suo più fidato collaboratore ma lui era perfetto. “Lo so e basta!”.
Vive lontano questo Jones?”.
Vicino a Regent’s Park! Papà mi ci ha portato un giorno a cavallo appena arrivate qui. Lo abbiamo visto davanti casa e ci siamo fermati a parlare”.
Regent’s Park? Beh, non era vicinissimo ma nemmeno lontano! “Dobbiamo andarci subito e chiedere il suo aiuto se sei sicura sul suo conto!”.
Sono sicura!”.
Odalyn si alzò in piedi. “Dobbiamo stare attente. Io direi di aspettare la mattina. Ora ce ne staremo qui nascoste, non c’è in giro nessuno e se come penso, gli uomini di mio padre ci stanno già cercando, non passeremmo inosservate. Al mattino, fra la gente, ci mischieremmo meglio”. Era un azzardo, Odalyn sapeva di non avere la certezza che fossero già alla loro ricerca e che aspettare il mattino avrebbe dato rischi in più ma ogni scelta che avrebbero preso ne comportava. Quanto meno al mattino, se qualcuno avesse tentato di prenderle con la forza, avrebbero potuto urlare per attirare l’attenzione dei passanti…
Sicura?”.
Sì, credo…”.
Clowance si rimise allora a sedere, nascondendosi sotto al fieno anche per ripararsi dal freddo. “Lo hai davvero fatto solo a causa di tuo padre?” – chiese infine, giusto per far passare il tempo e fare conversazione.
Cosa?”.
Salvarmi”.
Odalyn, a quella domanda, inaspettatamente arrossì. E a Clowance non sfuggì la cosa…
Ohhh, lo hai fatto anche per farti bella agli occhi di mio fratello allora!” – disse, con fare birichino.
Di tutta risposta, ancora più imbarazzata, Odalyn le tirò in faccia della paglia. “Se non stai zitta, ti riporto da mio padre!”.
Clowance rise. “Ohoh, ci ho proprio preso!”.
Per niente!” – sbottò la norvegese. “E comunque…”.
Cosa?”.
Odalyn si fece seria, decisa sia a cambiare discorso sia a togliersi una curiosità che le parole di poco prima di Clowance avevano risvegliato in lei. “Davvero i tuoi genitori potrebbero decidere di fidarsi e raccontarmi il vostro segreto?”. Lo chiese, avrebbe voluto chiedere se anche Jeremy avrebbe potuto fare altrettanto e le sarebbe piaciuto che qualcuno credesse in lei e si fidasse. Anche se si trattava di perfetti sconosciuti…
Clowance annuì e tornò seria. “Sta a loro, è una cosa importante e io so tenere i segreti. Ma loro capiranno se ne vale la pena”.
Vuoi dire che capiscono chi è nemico e chi no senza l’uso di spie?”. Suo padre non muoveva un passo prima di aver sguinzagliato spie che gli riportassero ogni cosa. Era nella sua natura non fidarsi ed essere sospettoso e da quel momento in poi avrebbe sospettato pure di lei. Non sapeva se esserne spaventata o elettrizzata…
Clowance sorrise. “Sì, hanno buon occhio. Soprattutto la mamma”.



Se quella notte si stava dimostrando insonne per due ragazzine, lo stesso si poteva dire per i loro genitori. Il cuore di ognuno era in tumulto, anche se per motivi diversi…
Haakon aveva scoperto di essere vulnerabile e che i nemici si potevano nascondere sia fuori che dentro casa. La sua preziosa prigioniera era sparita e dubitava che fossero stati ladri improvvisati a liberarla. Anche sua figlia era sparita e anche nel suo caso dubitava che si trattasse di ladri o rapitori. La ragazzina era a letto ad inizio trambusto ed era scomparsa proprio mentre nessuno faceva caso a lei, durante un ipotetico tentativo di effrazione. Era stato Poldark che era venuto a riprendersi la figlia e lo aveva punito rapendo a sua volta Odalyn? Ne dubitava, era troppo ligio alla correttezza per coinvolgere una ragazzina, era un idiota codardo che cercava stupidamente di stare dalla parte del giusto invece che dalla parte del più forte. Stupido uomo… E sciocca Odalyn. Forse non c’entrava nulla ma spezzando una matita e lanciandola nel camino, decise che nel caso, la sua punizione sarebbe stata tremenda. Era ora che sua figlia capisse chi comandava e a chi doveva sottostare. E che cercare di fare la furba con uno più furbo di lei non le avrebbe portato nulla di nuovo. Voleva trovarla ma era per rabbia e di certo la preoccupazione era l’ultimo dei sentimenti che provava. Si sentiva, per la prima volta, preso in giro. Da sua figlia per giunta! Odiava perdere e odiava non avere avuto il controllo della situazione. Doveva aspettarselo che una adolescente poteva essere volubile ma che Odalyn lo tradisse, MAI se lo sarebbe aspettato! Anche se la conosceva poco e in passato, quando era troppo piccola per servire a qualcosa, l'aveva sempre affidata a tate e alla nonna e quindi non si era mai soffermato sulla sua indole. Ma mai avrebbe creduto che, ordinandole di sedurre il giovane Poldark, avrebbe finito col farsi sedurre da lui. Non sarebbe più successo e se Odalyn era colpevole della liberazione di Clowance Poldark, le avrebbe fatto capire ben presto che una cosa del genere non avrebbe mai dovuto farla. E di certo non si sarebbe ripetuta...
Ben diversa era la preoccupazione che invece attanagliava Demelza nel suo letto, mentre si stringeva a Demian e Bella che le erano sgattaiolati vicini approfittando dell’assenza del papà. Amavano le calde braccia della madre e percepivano la sua preoccupazione. Cercavano di starle vicino come sapevano fare, così come Jeremy cercava di farla ridere con delle battute o stringendole la mano o Daisy facendo capriole e raccontandole barzellette da osteria imparate da Tholly. Ma voleva sua figlia Clowance a casa. Lei e Ross, in missione con Jones per trovarla. Si accarezzò il ventre ancora poco gonfio, cullando l’effimera illusione di poter avere il totale controllo sulla sicurezza di almeno uno dei suoi bambini. Per il momento, certo… Ma un pensiero positivo era tutto ciò di cui aveva bisogno per non affondare.
Ross invece si muoveva nella nebbia assieme a Jones come era spesso successo in passato. Era la motivazione che però ora era diversa ed era estremamente personale: sua figlia.
Ne aveva già persa una e mai avrebbe permesso che succedesse ancora, mai, MAI avrebbe rivissuto lo strazio che lo aveva quasi inghiottito quando era morta Julia. Doveva salvare sua figlia, stavolta lo avrebbe fatto come non aveva potuto anni prima con la sua primogenita. Per Clowance, per Demelza, per i suoi fratelli e per lui. Perché in caso contrario, ne sarebbe impazzito stavolta… Lui era suo padre e a lui spettava proteggere Clowance, anche a costo della vita, a lui spettava salvaguardare il sorriso bello di Demelza, la sua voglia di vivere e il futuro dei suoi figli e lo avrebbe fatto a ogni costo.
La rabbia a volte sembrava sopraffarlo ma si imponeva di non farle prendere il sopravvento facendogli perdere lucidità. Quindi era una rabbia sorda quella che lo animava e forse proprio per questo, per Haakon, era più pericolosa. Ma muovendosi fra i vicoli di Londra alla ricerca di indizi, spesso aveva iniziato a chiedersi quanto valesse la pena desiderare vendetta. Un tempo l’avrebbe pretesa ma ora voleva solo riabbracciare Clowance per portarla in salvo, al resto ci avrebbero pensato Jones e Wickman. E anche se non lo aveva chiesto, era piuttosto certo che un pensiero e un piano d’azione lo avessero già fatto perché erano entrambi estremamente bravi a ordire trame nascoste. In un certo senso, pensandoci bene, entrambi si muovevano con la stessa spregiudicatezza di Haakon e come lui progettavano e agivano.
Lo uccidi tu o lo uccido io?” – chiese Jones mentre spiavano la casa di Haakon dalla stanza presa in affitto in una locanda vicina dove erano arrivati solo pochi minuti prima, perdendosi per una manciata di ore il trambusto che poteva portarli subito a risolvere il rapimento di Clowance.
Cupo in volto, Ross annuì. ‘Io’ avrebbe voluto urlare. Ma gli uscì solo un mogio “Vedremo cosa succederà dopo aver salvato Clowance”.
Jones strinse i pugni. “Mi lasci il divertimento, quindi?”.
Vuoi creare una frattura con la delegazione norvegese? Wickman non ci ha raccomandato prudenza?”.
Jones scoppiò a ridere. “Prudenza? Certo, prudenza per come la intendiamo noi…”.
Ross abbassò lo sguardo e decise di non voler sapere. “Non essere idiota”.
Jones divenne serio. “Idiota? In realtà voglio solo dare una spintarella al naturale corso degli eventi con la benedizione di chi di dovere”.
Spintarella? Ross decise che non voleva saperne di più. Lo conosceva piuttosto bene e sapeva che Jones, se parlava così, era perché un piano lo aveva già in mente. E visto come scalpitava, gli doveva piacere anche molto…

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Capitolo 33
*** Capitolo trentatre ***


Come possiamo raggiungere la casa di Jones? Io ci so arrivare ma se gli uomini di tuo padre sono ovunque…”.
L’osservazione di Clowance diede ad Odalyn il pretesto di mettersi a pensare seriamente sul da farsi. In effetti lei era la più grande, aveva la responsabilità di quanto stava succedendo e anche se era riuscita a portare a termine la prima parte del suo strampalato piano, non era affatto scontato che ci riuscisse con la seconda.
La ragazza si guardò attorno e nella semioscurità si accorse che in quella stalla c’erano diversi oggetti che potevano fare al caso loro: uno sgangherato baule di legno marcio contenente chissà cosa, utensili da taglio, briglie, stracci, mantelli logori alle pareti… “Dobbiamo renderci irriconoscibili”. Era l'unica possibilità...
Come?”.
Odalyn deglutì, poi si alzò e da un tavolaccio prese delle grosse forbici da contadino arrugginite. “Quanto frigneresti a tagliarti un po’ i capelli?”.
Come un maschio?” – chiese Clowance.
Più o meno”.
Piangerei poco o nulla. Tanto ricrescono e se sembro un maschio, magari a casa i ragazzi mi faranno far parte del loro gruppo e mi consentiranno di esplorare le miniere con loro. Ora dicono che son troppo femmina per andare ad esplorare con loro, fanno andare solo Jeremy”.
Odalyn ridacchiò. “Che giochi da bambini”.
Non sono da bambini e la Cornovaglia è una terra tanto bella da esplorare”.
Mai come la Norvegia! Noi abbiamo cose che voi non vi sognereste nemmeno”.
"Bla, bla, blaaa... Sì lo so, gli orsi e quella cosa colorata che vi si forma in cielo... Ma noi abbiamo i banchi di sardine, le miniere e le nostre scogliere e il mare più bello del mondo". Clowance balzò in piedi. “Facciamo così! Un giorno tu vieni da noi a conoscere la mia terra e un altro giorno io vengo da te e tu mi fai vedere la tua”.
Odalyn sorrise, in fondo avrebbe potuto essere diverte. Certo, se fossero riuscite a togliersi dai guai e ad uscirne vive ovviamente. Ma ora non era certo il momento di tergiversare in inutili conversazioni, tanto alla fine nessuna delle due avrebbe cambiato idea. Osservò le forbici e poi si prese fra le mani una ciocca dei suoi biondissimi capelli. Erano umidi di pioggia ma belli, profumati, setosi… Ci aveva messo molto a farli crescere ma Clowance aveva ragione, sarebbero ricresciuti di nuovo. Quindi chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e poi, con un taglio netto, li accorciò fin sopra le spalle. Poi guardò Clowance con aria grave. “Se l’ho fatto io, ora devi farlo anche tu!”.
Clowance osservò per alcuni istanti le forbici, poi si decise a procedere. In fondo non era ancora nell’età per essere vanitosa e assomigliare a un maschietto per qualche mese forse sarebbe stato anche divertente. E poi era un buon modo per non farsi riconoscere e riabbracciare i suoi genitori che dovevano essere decisamente in ansia. Quindi prese le forbici e con un gesto veloce e con la mano libera, i suoi capelli. Poi li tagliò ancora più corti di quanto avesse fatto Odalyn. “Visto, vichinga?”.
Sei coraggiosa” – dovette ammettere l’altra.
Anche tu, anche se scommetto che ora vorresti piangere per la perdita dei tuoi capelli vichinghi” – rispose Clowance col suo solito cipiglio sfrontato.
Odalyn distolse lo sguardo imbarazzata. In effetti…
Poi sospirò e si avvicinò con Clowance al baule che, una volta aperto, lasciò scoprire il suo contenuto: vestiti da lavoro laceri e da uomo. “Credo che oggi non saremo esattamente damine da ballo delle debuttanti” – cercò di sdrammatizzare.
Clowance prese in mano dei pantaloni laceri e poi rise. “Fantastico davvero, così sembrerò in tutto e per tutto un monello cornish. Come la mamma una volta”.
Tua madre si vestiva così?” – chiese Odalyn, sconcertata. Da quel poco che aveva visto, la signora Poldark era una donna bella, dai modi graziosi e dall’eleganza sobria e fine.
Clowance annuì. “Oh, era così che era vestita quando ha conosciuto il mio papà, un maschiaccio vero e proprio che faceva a botte in mezzo alla strada per proteggere il nostro cane Garrick. Sarà divertente vestirmi come lei quel giorno. Mamma, quando lo racconta, dice che è stato il suo giorno fortunato. Lo dice anche papà”.
Odalyn abbassò lo sguardo soffermandosi a pensare a quanto diversi fossero i Poldark dalla sua famiglia. Un uomo appartenente a una antica casata che incontra una ragazza vestita di stracci, da maschiaccio, che se ne innamora, se la sposa e con lei forma una famiglia felice e fuori dagli schemi… Sembrava la trama di un bel romanzo, dopo tutto. “Se ti eccita tanto, indossali!”.
Clowance scelse una casacca marrone troppo grande per lei, lacera, che rivoltò sulle braccia diverse volte perché decisamente enorme, dei pantaloni in flanella scuri e un berretto nero. Odalyn scelse dei pantaloni verdi, una casacca bianca e poi, con una coperta, si fece un mantello per celarle il viso.
"Non ci riconosceranno. Ma stiamo attente lo stesso”.
Clowance annuì. “Certo. Quando ce ne andremo da qui?”.
All’alba, quando le vie si riempiranno di persone”.
Clowance si sedette allora dietro a una balla di fieno. “E allora abbiamo tempo per dormire un po’, giusto?”.
Odalyn si stese accanto a lei. “Sì, ne abbiamo bisogno”.
Si appisolarono un paio d’ore anche se Odalyn si mantenne comunque vigile in un agitato dormiveglia. Clowance, nonostante l’esperienza del rapimento appena vissuta, non sembrava turbata più di tanto e pareva invece elettrizzata da quel tipo di avventura. Forse era troppo giovane ancora per capirne i pericoli e forse era anche abituata a cacciarsi nei guai nella sua terra, quindi era temprata alle difficoltà. Per lei invece si trattava della prima avventura e aveva scelto di viverla ribellandosi a suo padre. Che cosa le avrebbe riservato in futuro questo suo comportamento? Clowance aveva dalla sua una famiglia amorevole, lei era sola. E probabilmente lo sarebbe stata, nella migliore delle ipotesi, del tutto.
Quando le prime luci del giorno, attutite dal buio del maltempo e dell’inverno, giunsero, dalla strada iniziarono a levarsi le grida e gli schiamazzi di venditori e massaie.
Bimbi vocianti e chiassosi presero a correre nella via, gli ambulanti iniziarono a urlare i costi dei loro prodotti, le donne iniziarono col loro via vai giornaliero di faccende e incombenze. Il rumore di piccoli carretti e di carri più grandi prese a fendere l’aria e Odalyn decise che era arrivato il momento di uscire. Svegliò quindi Clowance scuotendola e poi entrambe si misero in piedi.
E’ ora, giusto?” – chiese la piccola Poldark.
Sì, adesso viene il difficile”.
Clowance rise, calandosi il berretto bene sul viso, nascondendovi sotto i suoi capelli più corti. “Forse no. Di un monello di strada, a nessuno importa”.
Odalyn si mise il suo mantello improvvisato. “Ammiro molto il tuo modo di fare la spiritosa”.
Dovremmo piangere?”.
No, dobbiamo sbrigarci!”.
Odalyn spinse Clowance fino alla porta, l’aprirono lentamente e dopo essersi accertate che nessuna faccia sospetta fosse nei paraggi, uscirono di soppiatto. Veniva giù una leggera pioggerellina invernale fredda e che rendeva tutto scivoloso e una nebbia sottile avvolgeva la via.
Uomini e donne infreddolite e strette nei loro scialli andavano a passo spedito verso la loro meta e loro vi si unirono.
Forse dovremmo camminare con calma e senza essere frettolose” – suggerì Clowance.
Sei matta? Vuoi farti una passeggiata?”.
No. Ma se sembriamo nervose, daremo nell’occhio alle spie di tuo padre mentre se saremo come gli altri, nessuno ci noterà”.
Odalyn ci ragionò su e alla fine capì che la piccola Poldark aveva ragione e che era fondamentale non farsi prendere dal panico e dalla fretta. Quindi rallentò il passo e anzi, quando videro dei ragazzini che giocavano per strada con un barattolo di lattaa, ci si unirono e rimasero con loro alcuni minuti.
Rise, come non le era mai successo. Lei aveva sempre giocato al chiuso o al massimo nei giardini di palazzo ma mai in strada, con giochi improvvisati. Spesso da bambina, nei ricchi salotti delle corti di Oslo si era arrampicata fino alle finestre ed era rimasta fuori ad ammirare bambini poco vestiti che giocavano nella neve senza paura di freddo e ghiaccio. Li aveva invidiati e in fondo in quel momento poteva essere una di loro... Crescendo aveva smesso di sognare di vivere in modo più selvaggio e aveva sviluppato il desiderio di sembrare più grande ma ora iniziava a comprendere e a ricordare che essere una ragazzina non era affatto male.
Anche Clowance si divertì ma alla fine, dopo aver salutato, ripresero la loro strada chiamandosi buffamente con nomi maschili. Odalyn divenne Ubert e Clowance fu ribattezzata Amadeus dalla giovane vichinga. Ci risero sopra, come due ragazzine qualunque che giocavano a fare le sciocche e via dopo via, si avvicinarono alla loro meta, Regent’s Park, dove abitava Jones.
In realtà non incontrarono difficoltà fino a quel momento e anche se sicuramente la città era piena di spie del padre, non erano state riconosciute. Inoltre Haakon aveva meno uomini a disposizione rispetto a quanti ne aveva in Norvegia e quindi sicuramente li aveva mandati dove era più facile trovarle, ossia nella zona dove c’era la dimora dei Poldark. I bassifondi della città erano troppo ampi e cercarle sarebbe equivalso a cercare un ago in un pagliaio e questa era stata la loro fortuna. E la sfortuna di suo padre che sicuramente aveva dovuto concentrare le ricerche in pochi, selezionati posti.
A tutto questo pensava Odalyn quando avvertì chiaramente, sulle loro schiene, occhi insistenti che le scrutavano.
La ragazzina si fermò e si guardò attorno, prendendo Clowance per mano. Erano ormai fuori dal centro di Londra e i dedali di vie avevano lasciato spazio a strade più ampie delimitate da giardini e prati incolti. Le case erano più rade, più grandi e di certo gli spazi per nascondersi fra la folla molti meno. Qualcuno le aveva seguite fin lì? Più andavano verso Regent’s Park e la periferia, più sarebbe stato possibile acciuffarle… Gli uomini di suo padre l’avevano vista e seguita nonostante il loro travestimento? Davvero era successo, senza che se ne accorgessero? Odalyn strinse la mano di Clowance e si avvicinò al suo orecchio. “Temo che qualcuno ci segua”.
Clowance fece per voltarsi ma la Odalyn la bloccò. “Ferma, fa finta di nulla e continua a camminare come se niente fosse”.
Ma…”.
Niente ma, o raggiungiamo la meta in fretta camminando o iniziamo a correre molto velocemente. Quanto è distante la casa di questo Jones?”.
Clowance si guardò attorno. Non erano lontane ma nemmeno ancora così vicine da considerarsi salve. “Circa dieci minuti a piedi, se camminiamo. Forse cinque o sei, se corriamo”.
Continua a camminare”.
Proseguirono, entrambe col cuore in gola per l’ansia. Attorno c’erano poche persone, la ressa del centro era ormai uno sbiadito e rimpianto ricordo e anche se avessero urlato, forse nessuno si sarebbe affrettato ad aiutare due monelli di strada magari anche ladri, quali loro sembravano.
Era una sensazione strana perché chi le stava inseguendo sembrava un fantasma invisibile eppure avvertivano chiaramente una presenza dietro di loro in impercettibili rumori di passi sul fango. Chi le stava seguendo, doveva essere avvezzo ed abile in questo genere di cose ed Odalyn sapeva che gli uomini di suo padre erano maestri nei pedinamenti.
A un certo punto sentirono i passi più vicini. Stavano costeggiando una fila di alberi a ridosso di un terreno incolto pieno di brina ed erbacce e le case stavano lontano, ville sbiadite dall’altra parte della strada, immerse nella nebbia. E Odalyn decise che era ora di correre. “Clowance”.
Sì?”.
Se sei veloce come affermi, è ora di esserlo sul serio. Uno, due, tre…”.
Iniziarono a correre veloci, due ragazzine sole sperse fra mille insidie nelle campagne attorno a Londra, inseguite da chissà chi che voleva far loro chissà cosa. Corsero veloci più che potevano, inciampando nel fango più volte, con passi dietro di loro sempre più vicini. Era ormai chiaro ad entrambe che qualcuno le stava seguendo e le stava braccando come gatti coi topi.
Clowance avrebbe voluto urlare, chiedere aiuto, ma la sua gola sembrava secca e bloccata. Lo stesso valeva per Odalyn, resa veloce dal cupo terrore di cosa sarebbe successo loro se suo padre le avesse acciuffate. Era così ingiusto, a un passo dalla meta...
A un certo punto sentirono il fiato dei loro nemici sul collo, la loro presenza incombente e le loro mani sulle loro braccia.
Clowance fu afferrata per la vita, Odalyn per il braccio. Ed entrambe si trovarono immobilizzate dai loro inseguitori. La fuga era finita…





La cucciola Astrid giocava con Garrick. O quanto meno ci provava, anche se l’anziano cane non sembrava molto interessato a farsi coinvolgere e se ne stava accovacciato davanti al camino del loro nascondiglio improvvisato nella dimora di campagna di Jones.
Demelza stava cucendo una coperta per il bambino in arrivo, Inge e Prudie le erano accanto cercando di distrarla con qualche chiacchiera frivola mentre il paziente Jeremy tentava, senza successo, di coinvolgere i bambini in una spiegazione più grande di loro sulle regole degli scacchi.
Ma Bella sembrava annoiata e i gemelli decisamente più divertiti dal buttare in terra alfieri e regine che dall’apprendere nozioni e alla fine optarono per giocare ai pirati coinvolgendo anche la piccola Astrid.
Demelza li guardò con un sorriso triste, imponendosi di gioire della serenità che le davano i figli che le erano rimasti, in attesa che Ross salvasse Clowance e la riportasse da lei.
Che bella gioventù” – sussurrò Inge guardando i bambini. “Ogni piccolo dovrebbe essere felice come loro in questo momento”.
Sono in cattività, però. E di solito sono abituati a spazi aperti…”.
Inge strinse la mano di Demelza. “Ci torneranno”.
Verrai con noi, vero? Ci hai pensato?”.
Inge guardò i gemellini, i lasciti viventi di due persone che aveva profondamente amato, soprattutto il loro padre. “Avere l’opportunità di crescerli sarà per me un onore”.
E la tua terra? Ti mancherà?” - chiese Demelza, temendo forse di chiederle troppo e di essere diventata egoista a volerla con lei. Ma Inge era dolce, gentile, le infondeva pace e le dava quel supporto quasi materno che le era sempre mancato e che ora, anche se era adulta, sentiva il bisogno di provare.
Inge la rassicurò. “Sì ma nella vita non si deve mai avere paura dei cambiamenti. Un bel posto può essere casa ovunque” – rispose la donna con saggezza. "E' la compagnia che conta".
Demelza annuì, ripensando alle traversie della sua vita e come da subito, dopo anni di nulla, avesse deciso che Nampara era la sua casa. “Staremo bene, farò in modo che sarà così”.
Improvvisamente la calma apparente del piccolo salottino fu interrotta da un violento bussare.
Prima che Prudie riuscisse ad alzarsi dal divano, i tre bambini più piccoli erano già alla porta e l’avevano spalancata.
Demelza fece per sgridarli, più volte aveva spiegato loro di chiedere chi fosse prima di aprire, ma non ci riuscì e il fiato le si strozzò in gola quando vide chi era arrivato.
Si alzò dal divano e davanti a lei comparvero due dei più fidati uomini di Jones che in quei giorni avevano lo scopo di tenere d’occhio la casa. Due apparenti brutti ceffi alti, corpulenti e dal viso poco raccomandabile. Ma di certo due guardie ben addestrate al loro lavoro.
Erano bagnati fradici e dai loro mantelli neri gocciolava tanta acqua da macchiare i tappeti. Ma a Demelza non importava perché era ciò che avevano fra le mani che le fece sobbalzare il cuore.
Gli uomini lasciarono la presa e due ragazzine bionde caddero a terra.
Il cappuccio di Odalyn scivolò dietro la sua schiena, il berretto di Clowance cadde sul tappeto e Demelza si trovò davanti sua figlia. Sporca, coi capelli più corti, vestita da maschiaccio come lei un tempo ma sana e salva.
Prudie, Inge e Jeremy la raggiunsero e rimasero senza fiato. Così come i tre piccolini che appena videro la sorella, esclamarono il suo nome ad alta voce.
Roger, uno dei due scagnozzi di Jones prese parola. “Le abbiamo notate da lontano, stavano venendo qui. Accidenti, corrono veloci ma le abbiamo acciuffate prima che lo facesse qualcun altro. Il capo ci avrebbe ucciso se fosse successo, accidenti a lui! Abbiamo riconosciuto il faccino della piccola Poldark ed eccole quì. Non so se noi eravamo la loro meta ma abbiamo risparmiato al capo e a Master Poldark un bel pò di grane e lavoro. Al pensiero che il mio capo sta soggiornando al freddo in una stamberga alla loro ricerca, già rido quando inizierà ad urlare i suoi improperi nei confronti di vostro marito che lo trascina ovunque senza motivo, signora”.
L’uomo emise una grassa e sguaiata risata ma a Demelza non importava.
Con le lacrime agli occhi si inginocchiò e senza dire nulla, senza chiedere, senza voler sapere altro, strinse a se la sua bambina. Era sana e salva, apparentemente in salute e con la sua solita espressione vivace e corrucciata. Come fosse arrivata lì, non le importava. Dopo l'avrebbe tormentata di domande, l'avrebbe rinfocillata, l'avrebbe ascoltata, forse sgridata e mille altre cose ma ora voleva solo stringerla. “Clowance, Clowance…” – sussurrò fra i suoi capelli, rilasciando una tensione che aveva accumulato in quei lunghi e faticosi giorni. Santo cielo, era felice come nel giorno in cui era nata… Avrebbe solo voluto che anche Ross fosse lì, andarsene tutti insieme e ritornare a casa dimenticandosi quella brutta storia. Ma presto sarebbe tornato.
Odalyn intrecciò lo sguardo stupito di Jeremy e il suo cuore prese a battere quando ne percepì l’emozione. Poi tornò a guardare Clowance con sua madre, rendendosi conto che lei un abbraccio così non lo aveva mai avuto. E che tanta della forza e del coraggio dimostrato da quel soldo di cacio cornish nascevano da lì, dall'amore e dalla sicurezza che Clowance aveva respirato in famiglia fin da quando era nata.
La invidò, per un attimo, prima di ricordarsi che in un modo o nell'altro avevano incontrato gli scagnozzi di questo misterioso Jones e non quelli di suo padre. Stessi metodi ma per fortuna, mandanti diversi. Ed ora erano salve, almeno per il momento. E questo, nella sua posizione tanto incerta, al momento le bastava.

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Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattro ***


Aveva aiutato Clowance a fare il bagno, le aveva dato da mangiare, le aveva messo caldi abiti puliti e sua figlia non aveva fatto altro che parlare della sua avventura, eccitata e per nulla spaventata dalla gravità di quanto vissuto.
Demelza sapeva che Clowance era la più simile a Ross e che nelle avventure ci si buttava come un pesciolino in mare e nel vederla era sollevata. Jeremy l'aveva ascoltata in silenzio, quasi imbarazzato forse per la presenza di Odalyn, i piccoli l'avevano sommersa di domande e lei aveva potuto tirare un sospiro di sollievo nel vedere che non era rimasta traumatizzata dal rapimento. Anche se Clowance, anche se lei non lo aveva voluto dare a vedere, una volta a letto le aveva chiesto se stesse bene e se era stata in ansia. Era una bambina vivace e sensibile, attenta agli umori e ai sentimenti di chi aveva più a cuore. Come Jeremy del resto, mentre Bella e i gemellini erano ancora troppo piccoli e a loro modo concentrati su loro stessi e i loro bisogni per sviluppare quel tipo di sensibilità che sarebbe venuto con gli anni.
"Un pò, ma sapevo pure che mia figlia era forte e io e tuo padre non abbiamo mai smesso di avere fiducia in te. Sapevamo che te la saresti cavata" - le aveva risposto Demelza, ricacciando indietro le ennesime lacrime, di sollievo stavolta.
"Papà quando tornerà?".
Demelza le accarezzò i capelli. "Presto. Gli uomini di Jones lo stanno andando ad avvertire e sono certa che appena saprà che sei quì, correrà da te".
Clowance aveva annuito, poi si era addormentata, esausta. Accanto a lei c'erano i fratellini e nel guardarli tutti insieme, sani e salvi, Demelza aveva potuto tirare nuovamente un sospiro di sollievo. Momentaneo, certo, Haakon avrebbe tentato nuovi attacchi, ma per il momento voleva godere di quella pace ritrovata e dei suoi bambini. Tutti i suoi bambini, quelli che erano figli di sangue e quelli che aveva adottato e scelto il suo cuore.
Rimboccò le coperte a Daisy e Bella che come al solito si erano scoperte, osservò Jeremy il cui viso addormentato, nella penombra, sembrava adulto e serio e poi Demian, biondo e pacifico come sempre, che amava ancora dormire col pollice in bocca come quando era piccolo e Ross lo aveva portato a casa loro dalla fredda Norvegia. Li baciò sulla fronte, tutti, poi andò nel salotto.
Aveva lasciato che Inge si occupasse di Odalyn e le avevano preparato il divano affinché fungesse da letto e ora quella ragazza misteriosa era lì, con indosso una delle camicie da notte che le aveva prestato, anche se troppo grande per le sue forme ancora molto esili, seduta davanti al camino.
Demelza sorrise nel'oscurità, grata per quanto aveva fatto e decisa a fidarsi nonostante Prudie avesse borbottato che non era una buona idea. Era la figlia del loro nemico, vero, ma a Demelza non sembrava altro che una ragazzina infreddolita e sola, con indosso abiti più grandi di lei, smarrita e senza protezione alcuna, come era stata lei un tempo. Una ragazzina coraggiosa, l'unica che al momento potesse ringraziare per averle riportato Clowance.
Le si avvicinò ed Odalyn sussultò, presa alla sprovvista.
"Scusa, non volevo spaventarti. Inge dov'è?".
Odalyn arrossì, imbarazzata. Era in una casa sconosciuta e a parte Jerermy e Clowance che ormai dormivano, fra estranei che il padre le dipinto con toni foschi descrivendoli come nemici. "Mi ha aiutata a lavarmi e mi ha dato del pane con della ciocciolata. E' stata gentile, le ho detto che poteva andare a riposare".
"Hai bisogno di altro? Stai bene? C'è qualcosa che posso fare per te?".
Odalyn scosse la testa mentre Demelza le si sedeva accanto. "No, sto bene signora. Vi ringrazio".
Demelza la osservò. Era bella, con colori simili a quelli dei suoi gemellini con cui condivideva le origini e sentiva di essere terribilmente in debito nei suoi confronti. "Sono io che devo ringraziare te, hai salvato mia figlia".
"Gli uomini che presidiano la casa e ci hanno portate quì pensano che sia una spia... Non sono sciocca, so che mi controlleranno e mi terranno quì anche contro la mia volontà".
Demelza la osservò. Faceva 'la dura', voleva apparire forte e coraggiosa ma le faceva tenerezza pensare alla sua situazione. Era vero, gli uomini di Jones le avevano detto che la ragazza non doveva lasciare la casa ma a lei importava poco e si sarebbe presa cura di quella giovane come faceva coi suoi figli. Forse era una spia, forse il salvataggio di Clowance era stato ideato a tavolino, forse, forse... Ma non aveva scelto da sempre di seguire il suo cuore? E il suo cuore in quel momento non le stava forse consigliando di prendersi cura senza riserve di quella ragazza? "Quello che dicono loro a me non importa. Per quel che mi riguarda, dobbiamo stare tutti in questa casa per una questione di sicurezza e tu sei una di noi. Se vuoi...".
"Una di voi?".
Demelza annuì. "Suppongo tu ti sia messa nei guai con tuo padre, giusto?".
Odalyn sorrise con amarezza. "Suppongo sia un modo delicato di descrivere la mia condizione".
"Sistemeremo tutto" - tentò scioccamente di rassicurarla anche se si rendeva conto di essere ridicola e che Odalyn tutto era fuorché una bambina a cui raccontare frottole, anche se a fin di bene.
Infatti... "Non credo, voi non conoscete mio padre".
Demelza osservò la stanza dove dormivano i suoi figli. "Sì invece, ha rapito mia figlia e questo mi basta per pensare di conoscerlo bene. Ma tu sei sua figlia, sangue del suo sangue...".
Odalyn sorrise con ancora più sarcasmo. "Voi vivete in una bella favola con la vostra bella famiglia felice. Ma vi assicuro che i legami di sangue non valgono allo stesso modo da altre parti".
Demelza le sfiorò una ciocca di capelli che, ormai corti, si ribellava e ricadeva disordinata sulla testa della ragazza. "E allora perché hai rischiato tanto per mia figlia?".
"Voi non pensate che sia una spia? Potrebbe essere un piano di mio padre, come pensano gli uomini di guardia... Potrei aver fatto finta di salvare Clowance per arrivare a trovare il vostro nascondiglio".
"So che non è così. Clowance ha buon occhio e anche io, per le persone oneste".
Odalyn sospirò. Come rispondere a quella donna tanto gentile e a suo modo, saggia? Come poteva se non sapeva nemmeno lei perché lo aveva fatto? "Credo di non essere così altruista come pensate voi. Volevo dimostrare a mio padre che esisto e che so scegliere anche senza di lui. Contro di lui... Credo che mio padre..." - tremò, pensando a cosa gli aveva chiesto di fare con Jeremy, cosa che di certo non avrebbe rivelato a Demelza Poldark - "Credo... Che abbia interesse in me solo come pedina per i suoi piani. Non ha mai avuto molto... spirito paterno...".
Demelza sorrise tristemente, non ci era forse già passata anche lei. "Credo di capirti bene".
Odalyn la fissò stupita e poi sorrise con sarcasmo. "Voi? Come potreste capirmi voi, signora? Siete bella, amata, con una famiglia forte ed unita attorno e dubito possiate capire una come me".
Demelza rimase per un attimo incerta sul da farsi, poi decise che lei ed Odalyn erano talmente simili che forse proprio quella ragazzina avrebbe potuto essere una sua confidente su cose accadute tanti anni prima di cui nemmeno con Ross aveva parlato. Lasciò che la vestaglia le scivolasse dalle spalle e invitò la ragazza a guardarle la schiena, sollevando un pò il colletto della sua camicia da notte. "La vedi quella piccola cicatrice sotto la scapola destra?".
Intimidita, Odalyn la guardò brevemente, scostando il tessuto dell'indumento. "Come ve la siete fatta?".
Demelza chiuse gli occhi, ripensando a quanto patito da bambina, alle ferite guarite sulla pelle e alle cicatrici nel cuore rimarginate ma mai scomparse del tutto. Ogni giorno ringraziava il fatto di aver incontrato Ross e che i suoi figli stessero vivendo una infanzia diversa con un padre diverso e ogni giorno ricordava ciò che era e quanto la sua vita fosse cambiata. "Mio padre... Ne avevo altre ma con il tempo sono sparite. Quella no, era profonda e ricordo bene quando me la fece, con la cinghia".
Odalyn la guardò con orrore. "Con la cinghia? Vostro padre vi picchiava?".
"Sempre".
"Perché? Eravate una cattiva figlia?".
"No, facevo del mio meglio. Eravamo tanti bambini, io ero la più grande, mia madre era morta, eravamo poveri e ci mancava tutto... Lui beveva e bastava poco, uno spiffero d'aria o la mancanza di gin a farlo imbestialire. E allora ogni scusa era buona per picchiarmi, sempre. Dici che ho una bella famiglia ed è vero, ora ho accanto persone per cui darei la vita. Ma in fatto di padri orribili, ne so quanto te... Saranno forse diversi nel modo di fare ma il risultato è tristemente simile. Ho una certa esperienza e se non fosse stato per l'incontro con mio marito, la mia vita oggi sarebbe ben diversa e ben più difficile".
Odalyn, sorpresa, rimase per un attimo attonita e in silenzio, immagazzinando quanto Demelza le aveva appena detto. Era sempre stata convinta che fosse una lady per nascita, che avesse contratto un matrimonio combinato ma poi rivelatosi vincente e invece arrivava dal nulla, non aveva avuto nulla e aveva trovato un uomo che aveva sposato per amore... "Vi ha salvato vostro marito?" - chiese, sperando che magari salvasse pure lei, in qualche modo. O che lo facesse - arrossì pensandolo - Jeremy...
Demelza sorrise dolcemente. "Sì, lui mi ha letteralmente salvata portandomi a casa sua. Prima come domestica e poi, come moglie...".
"Sembra la trama di un bel romanzo d'amore".
"Un romanzo d'amore spesso tormentato ma meraviglioso. Non vorrei cambiare nulla di ciò che ho, di ciò che ero, di ciò che sarò".
"Anche vostro padre?".
"In fondo ha avuto il suo ruolo in tutto questo pure lui" - concluse Demelza.
"Lo vedete ancora?" - chiese Odalyn.
"Chi, mio padre?".
"Sì".
"E' morto anni fa, quando ero incinta di Clowance. Ma dopo l'incontro con Ross non ci siamo quasi mai visti e non approvava la mia vita con lui".
Odalyn alzò un sopracciglio. "Beh, aveva ben poco da recriminare".
Demelza le strizzò l'occhio. "Esatto, infatti non ho più lasciato Nampara, la mia casa". Si voltò poi verso il fuoco che si stava spegnendo, prendendo un pezzo di legno per metterlo nel camino. "Hai freddo?".
Odalyn rise, sollevata e rinfrancata da quello scambio di parole fra loro. Era una bella donna la madre di Jeremy, dolce e gentile, e parlare con lei non era affatto spaventoso come si sarebbe aspettata. Ora capiva perché quel ragazzino tanto corretto ed educato fosse così sereno e attaccato alla sua famiglia. "Parlate con una vichinga del grande nord. Il freddo fa parte di noi".
Demelza rabbrividì a quelle parole ricordando i suoi gemelli, il perché di tutto quello che stavano vivendo e quanto i suoi piccolini fossero simili a quella ragazza. Anche loro non temevano il freddo, non lo avvertivano e anzi, nei giorni di gelo e neve amavano correre nell'aia di Nampara lamentandosi perché lei voleva metter loro una mantellina. "Anche i miei bambini più piccoli sono come te, amano freddo e neve più di quanto io potrei mai tollerarli".
Odalyn si morse il labbro anche perché sapeva, anche se non ne conosceva il motivo, che era ai gemellini dei Poldark che suo padre mirata. "Credo siano molto simili a me in tante cose".
"Tuo padre..." - sussurrò Demelza, quasi come a volersi confidare con lei. Era sciocco far finta di nulla e di fatto non voleva nemmeno farlo.
Ma poi si bloccò e fu Odalyn a decidere di essere franca e parlarne. "Mio padre e i vostri gemelli. Lui li vuole... Non so perché ma tutta questa storia è nata da lì. Sono bambini molto simili a quelli norvegesi, ma credo ci sia sotto altro perché di solito non si mette a dare la caccia a un bambino biondo... e a nessuno in generale, se sotto non c'è qualche grosso interesse".
Odalyn rimase in silenzio e Demelza si accorse che sperava che lei proseguisse il discorso, raccontando ogni cosa. Forse lo avrebbe fatto, di certo quella ragazza meritava la sua fiducia ma aveva timore di sbagliare e soprattutto sentiva di doverne parlare prima con Ross. Ma optò per non mentire e decise che dire una mezza verità sarebbe bastato, al momento. Odalyn non era sciocca, i suoi ragionamenti erano adulti ed era stupido negare l'interesse di Haakon per Demian e Daisy. "Sì, c'è sotto altro e tuo padre vuole i miei due bimbi".
Odalyn deglutì. "Sono vostri davvero?".
Demelza sorrise. "Per il mio cuore, sì".
La ragazza abbassò il capo, capendo che quella donna non poteva dire oltre ma che con semplici parole le aveva dato fiducia e confidato più di quel che poteva. "E' che le questioni di cuore a volte, sono belle forti. Più dei legami di sangue".
Demelza annuì, scostandole nuovamente il ciuffo ribelle. "Nel mio caso, è sempre stato così".
E con quelle parole, fra loro calò il silenzio. Non c'era altro da dire, non c'era altro da aggiungere ed erano talmente simili che non serviva dire altro per capirsi.
Poi, come aveva fatto coi suoi figli, Demelza augurò ad Odalyn la buona notte e poi la lasciò riposare al caldo e al sicuro sul divano. I pericoli per ora potevano stare fuori da quella casa.

...

Ross e Jones avevano notato movimenti concitati fuori dalla casa del console Haakon, movimenti che denotavano una certa irrequietezza e nervosismo.
I giorni erano stati uggiosi, freddi, e la pioggia leggera che di giorno rendeva umida l’aria, la notte si trasformava in un gelido nevischio capace di far congelare chiunque si trovasse per strada.
Jones era taciturno e Ross sapeva che quando era così, poco ciarliero e poco propenso alla polemica, stava maturando qualche idea anche pericolosa nella testa.
In effetti pure lui pensava e ripensava a come farla pagare ad Haakon per aver rapito Clowance e gli erano venute in mente ingegnose torture poco degne di un gentiluomo, ma poi si fermava e capiva che le sue priorità erano altre. Aveva fretta di recuperare Clowance, di riabbracciare sua figlia e di riportarla a casa affinché Demelza si rasserenasse ma sapeva che bisognava fare con calma e attenzione perché la sua bambina era nelle mani di gente pericolosa e si doveva agire con cura.
Qualcuno bussò alla porta della loro stanza alla locanda e Jones, con circospezione, l’aprì. Era ormai sera e non aspettavano ospiti ma l’uomo riconobbe la voce al di la dell’uscio e non si fece problemi a lasciare entrare i nuovi arrivati.
Due uomini vestiti di lunghi mantelli neri entrarono e Ross riconobbe in loro i due più fidati collaboratori di Jones, i suoi tirapiedi che ingaggiava per le missioni più delicate.
Jones sorrise. “Oh, simpatiche facce amiche! Che meraviglia poter spezzare questi attimi di noia mortale”.
Gli uomini, di poche parole, annuirono senza scomporsi. Gli diedero un biglietto e si misero appoggiati alla parete in attesa di istruzioni.
Jones lesse, spalancò gli occhi e scoppiò a ridere. “Ross Poldark, hai più sedere che anima! Avessi la tua fortuna al gioco, sarei ricco da far schifo a quest’ora”.
Ross si avvicinò senza capire. “Che è successo? Che c’è scritto in quel biglietto?”.
Con fare dispettoso, Jones scostò il foglietto che teneva fra le mani affinché lui non potesse leggerlo. “La tua mocciosa è sana e salva a casa mia con tua moglie. Si è data alla fuga con la piccola vichinga figlia di Haakon… Pare l’abbia aiutata a scappare e che i miei uomini le abbiano acciuffate nei pressi di casa mia”.
Il cuore di Ross accelerò i battiti. “Cosa?”. Non poteva crederci, stava sognando?
Tua figlia è salva, la mocciosa di Haakon è con la tua famiglia e forse è stata gentile o forse si tratta di un piano congeniato fra padre e figlia per tenderci una trappola. Ma poco importa, ora la ragazza è a casa mia e i miei uomini la terranno amorevolmente d’occhio, tua figlia è salva e noi possiamo prendere a calci nel sedere Haakon prima che lui faccia alcunché”.
Di colpo, tutta la tensione accumulata in quei giorni, parve lasciare il corpo di Ross che si sentì improvvisamente pieno di adrenalina. “Clowance? Sta bene?”.
Benissimo, da quel che scrive tua moglie sul foglio”.
Ross lo guardò storto. “TU stai leggendo un messaggio di MIA moglie?”.
Portato dai MIEI uomini. Sì, sempre carina la signora Poldark, continuo a chiedermi cosa ci abbia trovato in un orso come te per decidere di sposarti”.
Devo andare a casa, subito” - disse Ross, ignorando le provocazioni dell'amico.
Jones annuì. “Sono d’accordo, non ti sopporto più. Con la tua faccia cupa e il tuo scarso sarcasmo di questi giorni, stavi facendomi morire di noia. E io odio annoiarmi!”. Poi si rivolse ai suoi uomini. “Scortatelo a casa, io resto qui… un altro po’”.
Ross si accigliò. Conosceva Jones e il fatto che volesse restare quando apparentemente non ce n’era motivo, non lo lasciava tranquillo. Era irruento il suo amico, più di lui, non aveva peli sullo stomaco e di certo non provava rimorsi di coscienza quando si muoveva in una missione. Sapeva per certo che lui e Wichman avevano discusso di Haakon e dei pericoli che rappresentava per Ross e la sua famiglia e anche a livello diplomatico, ma non sapeva a che conclusioni fossero giunti. E il fatto che non gliene avessero parlato lo faceva propendere per il fatto che entrambi sapevano che non sarebbe stato d’accordo. “Perché resti qui?” – chiese, a denti stretti.
Perché a casa mia ci sono troppi mocciosi e io amo il silenzio”.
Jones!”.
Ross Poldark, ascoltami bene! Tua figlia è salva ma Haakon continua a rappresentare un rischio. Meglio tenere d’occhio ancora un po’ i movimenti attorno a casa sua”.
Farai solo quello?”.
Fumerò anche qualche sigaro, mi dai il permesso?”.
Jones, non fare idiozie!”.
L’uomo sospirò. “Mi hai mai visto fare qualcosa di non calcolato?”.
No, ma ti ho visto fare cose CALCOLATE piuttosto folli e discutibili. Cosa hai in mente?”.
Jones gli mise una mano sulla spalla. “Osservare, cenare, fumare e farmi portare in camera una donna che per qualche ghinea sarà compiacente e disposta a farmi divertire. E ora va, torna a casa, controlla i pupi, fa divertire anche tu tua moglie e appena puoi, torna qui. Abbiamo ancora qualcosa da dire a questi norvegesi”.
Mi aspetterai?”.
Ti aspetterò”.
Ross non ne era convinto ma aveva voglia di credergli e andarsene. “Mi fido”.
"Fai male ma lo apprezzo".
"Ribadisco che ti do fiducia, Jones!".
Grazie MAMMA” – rispose l'amico. Poi ordinò a uno degli uomini di andare con Ross mentre all’altro chiese di rimanere per consegnare un messaggio a Wichman circa le ultime novità.
Ross corse via e Jones, rimasto solo col suo tirapiedi, si fece serio. “Dì a Wichman che la piccola Poldark è al sicuro e che al momento non ci sono ostaggi. Ma potrebbero essercene di nuovi se non agiamo come deciso, quanto prima”.
Sì signore”. L’uomo si calò il mantello sul viso e scomparve dietro la porta.
Jones chiuse l’uscio a chiave, si avvicinò al comodino e lo aprì, estraendone una pistola. Ne annusò il profumo di polvere da sparo e poi con gesti lenti e metodici la caricò. “Cena, una puttana e un sigaro. E un po’ di sano… tiro al bersaglio. Caro Ross mi spiace che tu non apprezzi le delizie del mestiere e che stavolta dovrò fare senza di te ma ho idea che non apprezzerai affatto come io e Wichman abbiamo deciso di porre fine alla questione. Guardala così, manterrai pulita la tua anima. La mia è già persa invece, quindi non mi resta che divertirmi per non pensarci troppo su”.
Poi rimise via l’arma, scese di sotto, chiese del pollo con patate alla locandiera, della birra e una donna che salisse a tenergli compagnia per un po’. Sarebbe stata una notte divertentePeccato davvero che lui e il suo amico Ross avessero modi di concepire il divertimento così diversi.


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Capitolo 35
*** Capitolo trentacinque ***


Quando Ross raggiunse la casa di Jones, cavalcando a spron battuto in una Londra gelida, per prima cosa abbracciò talmente forte Clowance da rischiare di strozzarla. Sua figlia, col suo viso da monella irriverente e la sua proverbiale capacità di cavarsela in ogni situazione, sua figlia che amava vestirsi da ragazzo e sgattaiolare con gli altri bambini nei cunicoli della miniera nonostante i divieti, sua figlia che aveva sempre la risposta pronta e non sapeva mentire risultando a volte spudoratamente sincera – anche troppo – era lì, davanti a lui, fresca come una rosa e senza un graffio. Santo cielo, ne conosceva la tempra ma vedersela lì davanti tutta tranquilla mentre lui e sua madre avevano vissuto un incubo, lo rendeva ebbro di gioia ma anche un po’ indispettito verso quella ragazzina che si cacciava sempre nei guai. Ma dopo tutto, chi era lui per giudicare? Era stato forse più tranquillo di Clowance da bambino?
Dopo di lei abbracciò Demelza, la più provata da quella situazione. Si era mantenuta salda e aveva cercato di essere forte ma la gravidanza e la paura avevano lasciato segni di profonda stanchezza sul suo viso che però stava ricominciando a prendere colore. Era un sollievo, non poteva veder davanti ai suoi occhi sgretolarsi la sua amata roccia oppure si sarebbe sgretolato lui stesso. Ma ora tutto si sarebbe risolto in un modo o nell’altro perché erano uniti, erano di nuovo tutti insieme e anche se Haakon era ancora a piede libero, con l’aiuto di Wickman avrebbero risolto anche quel problema.
Diede una amichevole pacca sulle spalle a Jeremy che si era preso cura di tutti loro in sua assenza, si fece avvolgere dagli abbracci e dagli schiamazzi dei gemelli e di Bella, salutò Prudie e Inge e poi, dopo aver accarezzato Garrick e Astrid, salutò gentilmente la giovane Odalyn. Era la figlia del loro nemico ma apparentemente dovevano a lei la salvezza di Clowance. Non sapeva molto di quella ragazzina dai tratti nordici tanto simili a quelli di Daisy e Demian e forse non era così limpida come sembrava, ma guardandola si era accorto che era solo una ragazzina a cui per sfortuna era capitato di crescere con un padre orribile e senza scrupoli che forse la manovrava e da padre si sentì di darle fiducia e proteggerla. Sapeva che gli uomini del suo amico Jones la tenevano sotto controllo ma per quanto lo riguardava, Odalyn in quel momento era una sua gradita ospite.
Lei annuì senza dire nulla al suo ringraziamento, forse per timidezza o forse perché in mezzo a una famiglia così unita come i Poldark, si sentiva di troppo e in imbarazzo.
La lasciò stare, raggiungendola solo la sera assieme a Demelza, quando tutti erano a letto, trovandola rannicchiata sul divano intenta a guardare il fuoco che ardeva nel camino. Sua moglie guardava alla ragazza nel suo identico modo, amichevolmente, e del resto da Demelza e dalla sua natura gentile non si sarebbe aspettato nulla di diverso. Dal canto suo Odalyn sembrava ben educata e anche Jeremy non pareva del tutto immune al fascino della ragazzina anche se ancora non sembrava aver capito come comportarsi col gentil sesso e pareva impacciato nell’avere a che fare con lei. Beh, avrebbe imparato così come lui, ai tempi, aveva imparato a farsi ben volere dalla sua prima cotta, Jasmine, la madre naturale dei gemellini che involontariamente era diventata la causa di tutto il trambusto che stavano vivendo.
Mia moglie dice che sei una ragazza adorabile” – le disse, sedendosi con Demelza sul divano davanti a quello dove c’era la ragazza.
Odalyn sorrise ironicamente. “Lo dice perché forse non mi conosce ancora bene. Le mie balie dicono da sempre che sono viziata, sfrontata e piuttosto ribelle”.
Ross allungò le gambe davanti al fuoco, stiracchiandosi e godendo di quella ritrovata dimensione di pace apparente. “Tutte ottime qualità dal mio punto di vista”.
Demelza lo guardò storto ma poi sorrise. In fondo sì, Odalyn non doveva essere così diversa da Ross a ben vedere.
Inoltre” – proseguì Ross – “Il fatto che tu sia ribelle ha aiutato tutti noi a ritrovare Clowance e per questo ti sono debitore e ti ringrazio”.
Odalyn parve sorpresa perché Ross sembrava sincero e non nutrire dubbi su di lei come d’altronde sarebbe stato naturale avere. “E’ strano, sapete…?”.
Cosa?”.
Che vi fidiate così, a scatola chiusa. Un uomo di governo e di potere non dovrebbe farlo mai, almeno così dice mio padre. Lui ci mette molto a dare confidenza a qualcuno e sono pochi quelli che godono della sua massima fiducia e forse nemmeno a loro dice tutti i suoi segreti. Una piccola verità ciascuno, mai tutta, salva dalla tomba precoce. Così mi ha insegnato…”-.
Ross si accigliò. La figura di Haakon era ancora piuttosto oscura ai suoi occhi e a parte il fatto che fosse un uomo senza scrupoli e pericoloso, ben poco sapeva di lui. “Una buona filosofia di vita per chi ha molto nemici, concordo con tuo padre. Ma io non sono un uomo di potere e al governo della Camera dei Lords ci sono finito per caso, praticamente. Mi piace pensare a me stesso come a un piccolo proprietario terriero e minerario, indipendente da trame di potere e da obblighi verso chicchessia. Forse per questo mi fido o comunque ascolto il mio istinto. O forse, semplicemente, so di avere accanto qualcuno che mi sostiene sempre e quindi mi è più facile dare fiducia agli altri perché so a prescindere che avrò accanto chi saprà capire i miei errori” – concluse, stringendo le dita calde di Demelza che strinse le sue di rimando.
Odalyn si morse la lingua, indecisa su cosa dirgli ma soprattutto colpita da quelle parole non melense, non sdolcinate ma che raccontavano di grande fiducia e un grande amore. “Piccolo proprietario terriero? Mio padre pensa altro di voi, mio padre vi crede un uomo di immenso potere e custode di molti segreti”.
Conosco ogni mistero delle miniere, in questo sono esperto. Ma di altri ‘segreti’ più… incisivi… non ne so molto e mi va bene così. Si vive meglio”. Mentì, non era del tutto sincero perché lavorando come spia si era imbattuto in molti segreti di stato e del resto anche i gemellini erano a modo loro ‘un segreto’, eppure si sentiva di non aver mentito del tutto. I segreti di Haakon erano per lo più tradimenti e sotterfugi, lui si sentiva superiore a questo modo di fare e soprattutto, nel giusto.
Odalyn osservò Demelza, tranquilla e pronta a supportare suo marito nelle sue scelte e parole, come aveva detto lui. Le piacevano quei due, erano il simbolo di come dovrebbe essere l’amore e una famiglia. Ross Poldark era un uomo affascinante e tempo qualche anno, anche Jeremy sarebbe diventato molto simile a lui. Demelza invece aveva quello sguardo dolce e gentile di una donna onesta, buona, amichevole. Era delicata, bella, non di una bellezza volgare ma di una bellezza pulita che ti faceva sentir bene osservare. Anche la gravidanza non la appesantiva ma anzi, la rendeva ancora più luminosa e bella, con una luce particolare negli occhi. “E sia…”. Decise di essere sincera. “Mio padre in fondo non vuole voi. Non so perché ma pare molto interessato ai vostri figli più piccoli, i gemellini”.
Ross la osservò negli occhi, diventando serio e ricordando quanto sicuramente il padre di quella ragazza avesse preso parte al brutale assassinio di Jasmine e di come avrebbe volentieri rifatto lo stesso con Daisy e Demian se li avesse avuti fra le mani. Ma Odalyn non era suo padre e anche se non poteva dire tutto, poteva dirle abbastanza. “Lo so…”.
Perché? Perché somigliano tanto ai bambini norvegesi?”.
Demelza sospirò, prendendo la mano di Ross per stringerla. “Perché spesso legami di sangue e di cuore sono di origine differente ma a volte possono intrecciarsi pericolosamente. Daisy e Demian sono i nostri figli ma sono anche figli della tua terra”.
Odalyn deglutì, era molto più di quello che le aveva detto suo padre e anche se le parole di Demelza potevano essere interpretate in tanti modi, in fondo le aveva confermato il sospetto di un legame fra i gemelli e la Norvegia. “Come una delle vostre bambinaie? Inge, giusto? Anche lei è della Norvegia…?”. Osò, anche se non si aspettava di sapere più di quanto gli era stato già detto. Osò, assaporando la dolcezza dell’essere oggetto di fiducia da parte di quelle due persone.
Ross osservò Demelza, in fondo non contrariato da quanto aveva rivelato. “Amiamo la tua terra, a modo nostro…” – disse solo.
E’ una terra feroce” – asserì Odalyn.
Demelza sorrise di nuovo. “Anche i gemelli”.
"Voi nel nostro inverno norvegese, quando soffiano i venti dal nord e il buio è perenne, non sopravvivereste per più di mezza giornata".
Demelza annuì. "Probabilmente sì, ma i gemelli sono feroci, loro ce la farebbero di certo".
Odalyn sospirò. “Feroci...Anche mio padre lo è. E io sono in grossi guai con lui. Voi siete gentili ma quando arriverà il momento di tornare da lui, non ci sarà nessuno a proteggermi”.
Sei sua figlia, dopo tutto” – disse Demelza.
Ma Odalyn fece un sorriso triste. “Come voi stessa mi avete detto, a volte i legami di sangue non vogliono dire molto. E se a volte le origini sono diverse ma ci si ama ugualmente, a volte capita che non succeda affatto anche se le origini sono comuni. Per mio padre le persone sono pedine, me  compresa”.
Ma sei solo una ragazzina” – la corresse Ross. “Sua figlia”.
Anche i gemelli sono solo bambini, signor Poldark. Ma pensate che questo possa fermarlo? Io non vi chiedo perché gli dia la caccia, non lo so e non voglio saperlo perché venirne a conoscenza potrebbe farmi scoprire ulteriori cose di lui che finirebbero per farmi perdere anche l’ultimo briciolo di rispetto per ciò che rappresenta ai miei occhi. Ma so che come non si fermerà coi gemelli, così nulla lo fermerà dal punirmi”.
Ross non seppe risponderle e di rimando strinse la mano della moglie. “Sistemeremo tutto, in un modo o nell’altro”.
Spedendomi nel nuovo mondo?” – chiese Odalyn cercando di scherzare.
Ma Ross non ne aveva affatto voglia. “Se sarà necessario, sì. Fidati di noi come noi abbiamo scelto di fidarci di te”.
La ragazza alzò le spalle. “In fondo ho sempre amato vedere posti nuovi…” – rispose solamente, vaga.
Ross la osservò. Non sapeva come avrebbe potuto aiutarla ma di certo non avrebbe permesso che le fosse fatto del male. “Abbiamo conoscenze nel nuovo mondo. Anni fa abbiamo aiutato a fuggire due donne e con una lettera di presentazione da parte nostra, sono certa che in caso di necessità ti accoglierebbero da loro.
Odalyn sospirò. “Credete che sarà necessario?”.
Meglio essere pronti”.




Jones sentiva di essere estremamente amico di Ross anche se negli ultimi anni aveva un po’ accusato il colpo sul fatto che invecchiando, il suo compare fosse diventato più assennato. Ai primi tempi della loro collaborazione aveva adorato vivere avventure pericolose con lui ma col tempo Ross era diventato un uomo più accorto, maturo, attento e responsabile. Certo, forse era normale per una persona con moglie e parecchi figli e magari era anche normale che, come gli ricordavano i suoi anziani genitori, crescendo si mettesse la testa a posto mettendo a bada gli estremi che muovono i caratteri nell’età giovanile. Beh, a Ross era successo questo, a lui non ancora, con buona pace di sua madre e suo padre. Poi c’era Wickman, che era un miscuglio fra la maturità di Ross e il suo desiderio di risolvere i problemi senza troppi fronzoli. E Haakon di Norvegia era una faccenda da archiviare quanto prima senza affannarsi ad usare la diplomazia. Dopo tutto lui e Wickman erano maestri in questo e visto che Ross non sarebbe stato troppo d’accordo sul metodo, l’inaspettata liberazione di Clowance ad opera della figlia del loro nemico faceva al caso loro. Avrebbero potuto agire liberamente, in fretta, in via definitiva senza se o ma… Dopo tutto Haakon avrebbe potuto inclinare i buoni rapporti commerciali fra Inghilterra e Norvegia a causa di due mocciosi e nessuno voleva questo. Un piccolo incidente e i gemelli ben lontani dalla terra natìa avrebbero fatto felici sia l’Inghilterra che il re vichingo che dopo tutto non voleva che evitare fastidi alla sua posizione sul trono.
Jones aspettò che calasse il buio e poi, mantello e cappuccio in testa, uscì in strada dirigendosi verso una piccola via laterale da cui scivolò nelle fogne. Era ormai un metodo collaudato da lui e da Ross con successo quello e lo avrebbe condotto dritto in casa del console norvegese. I suoi due più fidati uomini erano con lui a coprirgli le spalle, armati e istruiti sui passi da seguire. Una operazione pulita senza dare nell’occhio, ecco cosa ci voleva.
I tre uomini scivolarono nel buio delle fogne e con le mappe in loro possesso, fornite da Wickman, sbucarono nei sotterranei dell’elegante casa di Haakon. Era un uomo vanitoso, aveva preteso acqua corrente in casa e questo sarebbe stata la sua rovina.
Jones e i suoi uomini scivolarono nello scantinato del console, si ripulirono alla meglio e poi attesero che i rumori nella casa cessassero. Fuori era pieno di guardie ma nessuno avrebbe potuto sospettare che i nemici sarebbero entrati da sottoterra. Appena ogni rumore si interruppe, i tre aprirono la porta con una chiave pas-par-tout e poi con circospezione salirono ai piani superiori. Al piano terra tutto era buio e nemmeno dalle cucine giungevano voci, segno che la servitù già dormiva, mentre dalle finestre arrivava fioco il bagliore che indicava che in giardino c’erano sentinelle appostate a vedetta. Jones sorrise, l’essere troppo sicuro di Haakon era sintomo di arroganza ma in fondo anche di stupidità. Rapidamente salirono le scale, i mantelli neri che avevano indosso che fondevano le loro figure col buio dell’ambiente.
Al piano di sopra tutto pareva deserto, buio, assorto. La notte era fonda e solo all’ultimo, prima di essere scoperti, Jones notò una guardia che faceva avanti e indietro nel corridoio. I tre si nascosero in un antro e quando la guardia passò loro davanti, con passo disinvolto e senza aspettarsi la loro presenza, lo afferrarono e gli tagliarono la gola. L’uomo cadde a terra senza il minimo lamento e fu nascosto in una camera la cui porta fu chiusa. Non ci sarebbe forse voluto molto prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza e quindi, in fretta, andarono alla porta padronale. Il pas-par-tour fece di nuovo il suo lavoro e in un attimo si ritrovarono nell’immensa ed elegante camera da letto di Haakon.
Era sontuosa, con un enorme letto a baldacchino in centro, grandi arazzi alle pareti, immense finestre ornate da eleganti tendaggi che davano sul giardino interno, una enorme scrivania piena di carteggi e tappeti di pregio a terra.
Jones prese un coltellino dalla tasca dei suoi pantaloni, con passo felpato si avvicinò al letto e visto il console, poggiò la fredda lama contro il suo collo.
Haakon si svegliò di colpo, come se il suo sonno fosse stato solo apparentemente profondo. Guardò l’uomo con occhi sgranati ma non emise un suono.
Jones invece era più propenso alla chiacchierata. “Tirati su mostrando le mani e ricordati che non sono solo. La minima mossa sbagliata e ti ritrovi nella stanza di fianco con la gola tagliata, come la tua guardia”.
Chi… chi siete?” – domandò con un filo di voce Haakon, con meno baldanza del solito.
Jones si inumidì le labbra con la lingua. “Una specie di maestro… che ora vuole vedere quanto sarai bravo a scrivere una bella letterina”. Lo prese poi per il colletto, strattonandolo. “Alzati!”.
E’ pieno di miei uomini qua fuori, sarete morti prima del canto del gallo!” – tentò di minacciarli Haakon.
Jones guardò i suoi due amici, ridendo. “Vedremo”. Poi lo spinse verso il tavolo, lo costrinse ad accendere una sola candela affinché non fosse vista fuori e gli diede un foglio. “Ora io detto e tu scrivi quello che ti dirò al tuo principe. Bada di scrivere esattamente ciò che dico perché uno dei miei silenziosi amici conosce bene la tua lingua e se per caso ti venisse in mente di fare di testa tua, ti troveresti uno squarcio nella gola”.
Cosa dovrei scrivere? A chi?”.
Jones gli porse il foglio. “Al tuo principe, te lo ripeto, sta attento a ciò che dico! E ora scrivi!”.

Illustrissimo principe Magnus, purtroppo ho da comunicarvi che la pista seguita a Londra circa il figlio o i figli del principe Harald e della donna spagnola chiamata Jasmine si è rivelata errata ed inconcludente. Sono entrato in possesso degli atti di nascita dei due gemelli figli di Ross Poldark e sono assolutamente autentici, quindi questa pista è da ritenersi senza fondamento alcuno. I bambini hanno tratti somatici chiari come parte della famiglia Poldark e come la loro sorella maggiore e nulla hanno a che fare con la nota faccenda che ci vede impegnati da anni. Riprenderemo comunque le ricerche senza risparmiarci. Come sempre stato. Il vostro fedele servitore”.


Haakon scrisse sotto dettatura con nervosismo, rendendosi conto del mittente di quell’attentato e ancora più sicuro di averci visto giusto sui gemelli. Potevano fargli scrivere ciò che volevano ma tornato in Norvegia, avrebbe spinto Magnus ad una vera e propria guerra verso i Poldark e l’Inghilterra, reclamando quanto di diritto della sua terra e del suo signore. I due mocciosi dovevano morire perché rappresentavano un pericolo alla stabilità del governo e perché potevano usurpare il trono al suo padrone e a lui il potere di cui godeva. In un modo o nell’altro ne sarebbe uscito come sempre e allora la sua vendetta sarebbe stata indicibile.
Ma Jones aveva altri piani. Finita la lettera, lo costrinse a sigillarla col sigillo reale di Haakon e poi la prese, per spedirla personalmente. Poi costrinse Haakon a vestirsi.
Dove andiamo?”.
A fare un giro al parco!”.
Haakon sorrise freddamente. “Appena fuori di qui, i miei uomini vi scuoieranno vivi”.
Jones scosse la testa. “Che gente barbara che siete! Noi inglesi uccidiamo con più stile” – mormorò, gettando un altro foglietto piegato sul tavolo.
Disse quelle parole in modo sibillino e forse per la prima volta nella sua vita Haakon sentì di avere paura perché quell’uomo non stava scherzando e fino a quel momento non gli aveva promesso né salvezza né vie di fuga. “Che vuoi dire?”.
Jones lo prese per il bavero. “Vestiti!”.
Haakon ubbidì, guardato a vista dai due silenziosi amici di Jones. Sembravano due fantasmi letali quei due, silenziosi ma pronti a trascinarlo con loro nelle tenebre.
Una volta vestito, gli fecero indossare un mantello nero e facendo la strada a ritroso, si ritrovarono in cantina e poi nelle fogne. Giunti nella melma, nascosti dal mondo, Haakon comprese come avevano fatto ad entrare in casa e soprattutto, che nessuno poteva aiutarlo. Urlare non sarebbe servito, era solo e quei tre uomini, chiunque fossero, erano letali.
Lo spinsero nell’oscurità, camminarono a lungo nelle tenebre e sbucarono fuori solo quando furono lontani dal centro, da casa sua, da tutti quelli che avrebbero potuto aiutarlo. Raggiunsero un parco, uno di quei parchi dove i gentiluomini, all’alba, si sfidavano a duello di nascosto.
Mi cercheranno, sono un console e voi state commettendo un grosso reato che pagherete con la vita” – minacciò.
Ma Jones rise ancora. “Sì, vi cercheranno e avranno tutte le risposte che vorranno, quando vi troveranno”.
Che volete dire?”.
Ma Jones non rispose, avevano perso già fin troppo tempo e non vedeva l’ora di farsi un bagno e togliersi di dosso quell’odore di fogna. Lo spinse contro un albero, con un gesto veloce estrasse dal mantello una pistola e prima che Haakon potesse anche solo opporsi, gli sparò nel petto.
Haakon non emise un gemito, un grido, nulla…
Poi Jones guardò il corpo cadere, vi poggiò sopra un altro foglio scritto con calligrafia incerta e guardò i suoi amici con fare soddisfatto. “Bel lavoro, pulito. Ma ora si va via veloce, dai duelli. Spariamo da qui”.
Poche ore dopo, al primo timido tentativo di luce, un passante trovò il corpo di Haakon in un mare di sangue. Accanto a lui un biglietto recitava:

Chi porta a letto le mogli altrui, merita di finire con viso a terra come i vermi”.


Nella stanza da letto dell’uomo invece un altro bigliettino, anche questo non firmato, fu trovato sulla scrivania.

Prima dell’alba, ad Hyde Park, sistemeremo ogni cosa e laveremo l’onta arrecata alla mia famiglia seducendo una moglie e una madre. Non portate testimoni, uscite da casa usando le fognature che partono dalla cantina e potremo sistemare le cose fra noi in libertà”.


E sui giornali del giorno dopo, uscì la notizia del console norvegese che aveva portato a letto la moglie sbagliata dell’uomo sbagliato che per il momento risultava misterioso. Il governo garantì – ufficialmente – di indagare sull’accaduto. Ma in privato Wickman si congratulò per l’ottimo lavoro con Jones, garantendo che ne avrebbe lodato l’operato col re in persona.


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Capitolo 36
*** Capitolo trentasei ***


Quello che per molti londinesi era motivo di sussurri e pettegolezzi, insospettiva decisamente Ross. La morte di Haakon, il successivo sguardo di vittoria di Jones tornato a casa gongolante dalla missione in cui lo aveva lasciato momentaneamente solo in una taverna per tornare a casa a controllare che Clowance fosse effettivamente sana e salva e le sue successive parole “Poldark, la faccenda norvegese è sistemata, puoi prenderti i marmocchi, la moglie, le domestiche e i cani e tornare a casa tua quando vuoi” lo rendeva quasi certo del coinvolgimento del suo amico nella misteriosa dipartita del loro nemico. Era tipico di Jones essere criptico quando grandi faccende lo riguardavano personalmente e poi quel suo sguardo sornione, ebbro di orgoglio e di divertimento era inequivocabile… Non credeva nemmeno un po’ alla storia dell’omicidio, per duello, del console che aveva insidiato la moglie di un nobile un po’ perché Haakon aveva ben altri interessi in quel di Londra, un po’ perché era troppo intelligente per fare una fine del genere, un po’ perché le donne parevano il suo ultimo pensiero e se ne voleva una di certo aveva ampia scelta senza bussare alle porte delle lady altrui. Vero, Ross stesso anni prima aveva rischiato di finire i suoi giorni in un prato dopo un duello con Monk Adderly ma la sua situazione personale era diversa da quella del norvegese e dopo tutto lui era una testa calda e non un calcolatore freddo e spietato come il console.
Aveva dovuto comunicare, cercando di usare tutto il suo tatto e facendosi aiutare da Demelza, la notizia alla figlia di Haakon, Odalyn, ancora nascosta con loro nella casa di Jones, e la ragazzina aveva reagito stoicamente. I suoi occhi si erano fatti lucidi ma non aveva versato una lacrima. Contegno nordico, si era detto Ross, anche se non era così certo dell’affetto della ragazza per quel padre tanto freddo e distante. Era sola al mondo e al momento questo rappresentava un problema da risolvere, era troppo giovane ovviamente per affrontare la vita senza una guida ma a questo ci avrebbero pensato in un secondo momento, magari coinvolgendo Wickman che, se tanto gli dava tanto, era coinvolto nella morte di Haakon quanto il caro Jones.
In mattinata lui e la sua famiglia, assieme ad Odalyn, sarebbero tornati nella villa affittata per il loro soggiorno londinese che avevano lasciato a Natale a causa dell’attacco notturno dei seguaci di Haakon che volevano rapire i gemelli ma prima, mentre tutti ancora dormivano, Ross aveva decisamente bisogno di parlare con Jones.
Uscì in giardino e bussò alla porta d’ingresso dei suoi appartamenti. Un valletto venne ad aprirgli e lo fece entrare.
Jones era già sveglio e in vestaglia, spettinato e con la faccia di uno che la notte precedente aveva fatto baldoria, sorseggiava un tè sul divano del salotto mentre leggeva svogliatamente un quotidiano. “Poldark, quando mi han detto che avevo visite, speravo si trattasse di una bionda prosperosa. Che delusione…”.
Ross sospirò, sedendosi accanto a lui deciso a non farsi coinvolgere dal suo sarcasmo che solitamente apprezzava perché gli veniva spontaneo e non era artefatto. “Beh, non sono né biondo è prosperoso. Che stai leggendo?”.
Jones stropicciò il giornale che aveva fra le mani. “Il giornale, sai quell’insieme di fogli con le ultime notizie?”.
Ross sbuffò alzando gli occhi al cielo e accavallò le gambe. “Sì, ho presente. Qualche notizia in particolare?”.
Mhhh, la duchessa Bligny ha intenzione di organizzare un ballo per il debutto della sua orribile figlia piena di brufoli… Cerca di farle trovare marito probabilmente e la giudico una missione più impossibile della nostra in Francia, se devo essere onesto”.
Poi?”.
Jones sorrise, in fondo conosceva Ross e sapeva a cosa mirava e dove voleva arrivare col discorso. “Poi era interessante questo articolo su questi stranieri che vengono a Londra e tessono intime amicizie con le mogli dei nostri stimati aristocratici. Ci credo poi che la morte per duello in giovane età sia la causa principale di decesso fra le persone. Quando uno non sa tenersi su i pantaloni, diventa un macello…”.
Jones…”.
Chissà chi era la donzella?”
Jones?”.
Magari quella contessa, come si chiama…”.
Jones, tu c’entri qualcosa?” – sbottò infine Ross.
IO??? Io sono zitello e felice di esserlo. Meglio pagare una che certe cose le fa di mestiere che mettersi nei guai con donne già sposate a gelosi mariti che non comprendono la bellezza della condivisione”.
Ross lo occhieggiò, divertito ma deciso a non farsi distrarre dalla meravigliosa filosofia di vita del suo amico. “Jones, ho bisogno di sapere la verità su Haakon e tu lo sai. Al piano di sotto dorme sua figlia che ora è sola al mondo, orfana! Come la mettiamo?”.
Jones si appoggiò al divano non abbandonando la sua aria sorniona. Gli veniva naturale fare il pagliaccio anche dopo un omicidio e il fatto che questo dovesse rimanere top secret rendeva la faccenda ancora più divertente. Sapeva che Ross sapeva o immaginava, ma gli ordini di Wickman erano stati chiari e purtroppo questo gli impediva di essere del tutto sincero con uno dei suoi migliori amici e soprattutto gli negava il divertimento di vivere un accorato discorso filosofico sulla bellezza o meno di far fuori i propri nemici con quell’idealista di Ross Poldark. “La ragazzina non ha perso un gran che, come padre non mi pareva portato…”.
Ma la ragazza ha quattordici anni, è una bambina e lui era l’unico genitore che aveva”.
E io che posso farci?”.
Ross si fece serio. “Lo hai ucciso tu?” – chiese, senza giri di parole. Non gli importava del come e del perché ma sentiva di volerlo sapere.
Lo ha ucciso chi ha ritenuto che lo meritasse” – rispose Jones, glaciale stavolta.
Non hai risposto alla mia domanda”.
Jones si stiracchiò e poi lanciò il giornale sul tavolino davanti a lui. Poi si alzò e si avvicinò alla finestra. “Ross, che ti importa? E’ morto e hai risolto tutti i tuoi problemi. Non sei felice?”.
Come fai a sapere che li ho risolti? Come fai a sapere che fosse l’unico a nutrire dubbi sui gemelli?”.
Jones si voltò, gli si avvicinò e amichevolmente, gli poggiò una mano sulla spalla. Ross non era stupido e l’uomo lo immaginava perfettamente che da solo era riuscito ad arrivare alla verità. “Lo so e basta e se sei intelligente come credo, so che capirai che ti conviene credermi. I tuoi mocciosi biondi sono al sicuro ora, nessuno ti disturberà più per loro e tu te ne puoi tornare in Cornovaglia a crescerli come meglio preferisci. Haakon è morto e fatti bastare questo: la corona inglese ha chiuso brillantemente ogni conto, anche quelli più spinosi, con lui. Salvaguardando i rapporti fra i due Stati, te, i tuoi figli e il loro futuro. Fine del discorso!”.
Non gli aveva risposto ma in un certo senso lo aveva fatto e Ross sapeva che Jones non avrebbe detto di più. Lo aveva ucciso lui Haakon e Ross non era così ipocrita da non ammettere a se stesso che questo gli avrebbe reso la vita facile e serena. Haakon non era una brava persona ed aveva assassinato in modo orribile i suoi oppositori, compresi i genitori naturali di Daisy e Demian. Compresa Jasmine… Una parte di lui, quella idealista, gli gridava che era sbagliato. L’altra gli gridava invece di non farla lunga e accettare i fatti così come erano stati raccontati. “In fondo chi sono io per giudicare?” – concluse infine, arrendendosi all’evidenza che la verità non avrebbe alterato lo stato delle cose per come ormai erano. “Un tempo anche io mi sono fatto tentare da un duello, dopo tutto” – ammise.
Jones ridacchiò. “Quello leggendario con quella canaglia di Adderly?”.
Come lo sai?”.
Ah Poldark, ingenuo che non sei altro, se ne parla ancora… Come mai successe?”.
Ross sospirò, ricordando uno dei periodi più duri del suo matrimonio. “Mi dava fastidio. E ne dava a Demelza”. Poi si bloccò. “DAVVERO?”.
Davvero, cosa?”.
Davvero ne parlano ancora?”.
Sei una star, non te ne eri accorto”.
Bah… Io non mi ritengo tale e in fondo ho agito in modo sbagliato”.
Jones fece un sorriso furbo. “Capisco…”.
Capisci cosa?”.
Beh, che fai il moralista ma lo sai benissimo che Adderly ERA FASTIDIOSO. Ci provò pure con mia madre”.
Ross spalancò gli occhi. “Scherzi?”
Lui lo fissò piccato, offeso che ne fosse sorpreso. “Guarda che mia madre da giovane faceva girare la testa a molti uomini. Da dove avrei preso la mia bellezza altrimenti?”.
Ross lo guardò storto. “Questa cosa mi ha bloccato la digestione”.
Peggio di Adderly?”.
No ma ci siamo vicini”.
Jones si risedette sul divano cambiando argomento. “Che farai con la ragazzina norvegese?”.
Non lo so, mi affiderò al sesto senso di Demelza, lei in queste cose ha più istinto di me”.
Buona idea” – rispose Jones con un sospiro – “In effetti l’ho sempre pensato”.
Cosa?”.
Che Demelza ha più istinto e sagacia di te”.
Ross sospirò, in fondo non poteva ribattere nemmeno su questo.

...

Era strano per Jeremy osservare Odalyn nel suo muto vivere quel lutto che per lui sarebbe stato devastante ma che nella ragazza sembrava aver lasciato solo una scia di composta freddezza.
Da quando suo padre e sua madre le avevano comunicato dell’improvvisa morte del padre Haakon, lei non aveva versato una lacrima, aveva appreso la notizia con una sorta di muta rassegnazione e poi non ne aveva parlato più, rimanendo in silenzio per la maggior parte del tempo.
Jeremy non capiva appieno cosa provasse, era troppo giovane per riuscire a comprendere le profondità dell’animo umano e non riusciva nemmeno a decidersi se fosse giusto o meno piangere un padre tanto mostruoso verso sua figlia. Lui avrebbe perso ogni appiglio senza i suoi genitori ma Odalyn che aveva perso? Un padre freddo, assente, distaccato e che ti vede unicamente come una pedina da muovere per i suoi interessi personali è meritevole di lacrime? Come doveva comportarsi con lei? Consolarla? Far finta di nulla? Sentirsi in colpa perché la morte di quell’uomo risolveva ogni problema di sicurezza per i suoi fratellini? Chiederle semplicemente se avesse bisogno di qualcosa? Avrebbe voluto essere più grande, i grandi sanno sempre cosa fare in certe situazioni ma i ragazzini come lui?
Con un sospiro le si avvicinò, raggiungendola davanti alla finestra del salotto. Avevano lasciato la casa di Jones due giorni prima ed erano tornati nella dimora che suo padre aveva preso in affitto per i mesi che avrebbero dovuto trascorrere nella capitale. Prudie e Inge, con altre tre domestiche appena assunte, avevano risistemato stanze e saloni e la casa era tornata a vivere allegramente nel baccano prodotto da Bella e dai gemellini.
Quando sentì i suoi passi, Odalyn si voltò verso di lui. “Oh, sei tu”.
Sì…” – le rispose, impacciato. “Ti ho disturbata?”.
No, stavo solo pensando ad alcune cose”.
Con un moto di coraggio che non avrebbe saputo spiegarsi, Jeremy si spinse a chiederle direttamente circa il fulcro della questione. “A tuo padre?”.
Odalyn sospirò. “Siete davvero un popolo impiccione, voi inglesi”.
Jeremy arrossì. “Sc… Scusa… E’ che mi preoccupavo un po’”.
Odalyn tornò a guardare fuori, in giardino. L’erba era coperta di neve… “Noi siamo un popolo che non chiede mai. Gli altri la vedono come un modo di fare freddo, per noi è solo rispetto dell’intimità altrui”.
Scusa, non volevo essere invadente”.
A dispetto di tutto, Odalyn sorrise. “Lo so. Comunque, non stavo pensando a mio padre, non del tutto almeno. Stavo solo cercando di decidere cosa fare ora”.
Jeremy comprese. Era per lei tempo di grandi decisioni visto che era rimasta sola al mondo e pienamente padrona della sua vita. “Puoi sempre considerare la proposta che ti ha fatto mia madre”.
La ragazza scosse la testa. “Andare in Giamaica, da quelle vostre amiche?”.
Sì. Cecily e Kitty Despard sono brave persone, simpatiche. Ti troveresti bene con loro, con un gruppo di donne sole e coraggiose che vivono al sole dei Caraibi. Cecily ha avuto un padre così simile al tuo dopo tutto… Mamma dice che potreste diventare come sorelle. E poi ora c’è il bambino di Kitty”.
Odalyn abbassò il capo, torcendo con le mani il tessuto della sua gonna. “Non ne dubito ma sai… Sai cosa vorrebbe dire per una norvegese vivere in un posto dove non fa mai freddo?”.
Sarebbe fantastico!” – sbottò Jeremy che non poteva ancora comprendere il profondo legame delle persone con la loro terra d’origine.
E infatti. “Non per me… Io sono nata dove il ghiaccio c’è per la maggior parte dell’anno, dove la neve viene giù talmente fitta da non farti vedere dall’altro lato della strada, dove spesso non c’è nemmeno il sole per mesi”.
E ti piace?” – chiese il ragazzino, incredulo.
Sì”.
Jeremy rimase in silenzio, incapace di comprendere appieno. “Ma sei sola, ora. Potresti vivere in un posto nuovo dove non ci sarebbe nulla a ricordarti tuo padre”.
Odalyn sospirò. “Non… Non ho mai avuto nessun buon rapporto con mio padre. Era uno sconosciuto, non era come per te coi tuoi genitori. Io sono addolorata per lui, certo, ma… Ma mi trovi cattiva se ti dico che oltre a questo mi sento libera da una prigione? Per lui non ero che un oggetto da muovere a suo piacimento, una pedina. E per aver fatto scappare Clowance…” – rabbrividì – “beh, avrei vissuto l’inferno appena mi avesse avuta sotto mano”. Ripensò a come voleva spingerla a donare il suo corpo a Jeremy Poldark per ottenere informazioni circa i gemelli e la rabbia la invase, assieme alla gratitudine per quel ragazzo che aveva saputo rispettarla. “Tu Jeremy sei stato gentile, infinitamente, nemmeno immagini quanto. Come tua madre e tuo padre e tutta la tua famiglia. Vi ringrazio per ciò che avete fatto per me e per come volete aiutarmi ma io non voglio andare ai Caraibi, io voglio tornare a casa”.
A Olso?” – domandò Jeremy.
Odalyn strinse i pugni con fermezza. “No, quella era la casa di mio padre, io sono cresciuta sui fiordi, ancora più a nord, con gli zii”.
Cosa sono i fiordi?”.
Odalyn rise. “Oh Jeremy, sono luoghi gelidi dove voi inglesucci morireste di freddo in pochi minuti. Luoghi da uomini e donne VERE!”.
Mettimi alla prova! Se venissi a trovarti in quel posto, io sopravviverei”.
Odalyn gli strizzò l’occhio. “Lo farai? Guarda che ti aspetto per vedere se sarà vero!”.
Jeremy allungò la mano e gliela strinse. “Affare fatto! Ma sei sicura di voler tornare fra i ghiacci?”-.
Lo sguardo della ragazza si addolcì. “Non ci sono solo ghiacci ma terre piene di fascino. Ci sono montagne, gole, canali d’acqua, casette di legno tutte colorate, villaggi piccoli dove ci si conosce tutti e insieme si è una grande famiglia. Ci sono i piccoli porti da dove partono i pescatori e quando tornano, la sera, a volte si arrostisce il pesce in piazza e lo si mangia tutti insieme. E’ la mia terra e per voi sarà sicuramente un posto inospitale ma per me è CASA. Ed è a casa, dagli zii con cui sono cresciuta, che voglio tornare. In fondo hai ragione tu, siamo ancora troppo piccoli per fare i grandi e io voglio la mia famiglia, quella che mi ha sempre amato”.
E i Caraibi?”.
Magari un giorno ci andrò per una breve vacanza”.
Poi si guardarono e con dolcezza, Odalyn lo baciò sulla guancia. Un bacio innocente, gentile, lontano miglia e miglia da quanto avrebbe preteso suo padre da lei. “Per ora, posso solo dirvi grazie di tutto”.
Sulla porta del salone, non viste, Demelza e Inge ascoltarono tutto.
La vecchia bambinaia osservò Demelza e il suo pancione mentre in sottofondo i gemelli facevano un chiasso incredibile. “La ragazza ha ragione, i fiordi sono per noi dei posti unici ed irrinunciabili”.
Vorresti tornarci anche tu?” – chiese Demelza triste al pensiero che quella donna se ne andasse e un pò sconbussolata da quella conversazione dove suo figlio le era apparso per la prima volta 'grande' e non più un bambino.
Inge scosse la testa. “Io ormai sono anziana, per me sarebbe troppo dura tornare e vivere da sola in quei luoghi e ho l’impressione di avere una missione qui. I gemelli, che mai avrei creduto di rivedere, devono pur sapere qualcosa della loro terra e io, se mi volete, sarò ben felice di restare a prendermi cura di loro e dei vostri altri figli”.
Demelza la abbracciò. “Certo che ti vogliamo”.
La Cornovaglia è ventosa come raccontano?”.
Anche di più, Inge”.
E allora sarà come essere a casa, dopo tutto”. Poi Inge si voltò, guardando nuovamente la giovane Odalyn. “Ma lei… Lei è giusto che ci vada davvero nella sua casa. Quella in cui ha lasciato il cuore quando suo padre l’ha presa con se. E’ la scelta giusta ed è troppo giovane per sperimentare l'ignoto”.
Demelza non sapeva nulla dei fiordi ma sentiva di trovarsi d’accordo con Inge su tutto. Era giusto che Odalyn tornasse a casa. Come lei, a quattordici anni, aveva fatto una scelta. E si augurava di cuore che si rivelasse fortunata come era accaduto a lei il giorno in cui aveva scelto di seguire Ross Poldark a Nampara.

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Capitolo 37
*** Capitolo trentasette ***


Avevano deciso che sarebbero stati Ross e Jeremy ad accompagnare Odalyn al porto dove si sarebbe imbarcata sulla nave che l’avrebbe ricondotta in Norvegia.
La ragazzina, dalle idee ben chiare, aveva già in mente il viaggio e le tappe che l’avrebbero condotta a casa degli zii sui fiordi e dimostrava di avere un’ottima conoscenza della sua terra. Ross sembrava scettico ma Demelza era stata ferma nel darle fiducia. Lei a quattordici anni aveva fatto la sua scelta di vita e ne era stata perfettamente in grado, Odalyn non sarebbe stata da meno.
Preoccupata che non mangiasse, Demelza le aveva preparato per il viaggio dei panini ripieni di carne secca e dei biscotti mentre Inge aveva cucito a maglia per lei un pesante mantello di lana che le sarebbe tornato utile nelle ultime tappe del viaggio.
Erano partiti tutti da Londra il mattino presto, verso due direzioni diverse: Ross, Jeremy e Odalyn si sarebbero recati verso le navi in partenza da Soutemphton mentre Demelza, Inge, Prudie e i bambini avrebbero preso la strada di casa vero la Cornovaglia. Il tempo di Londra era finito e al diavolo tutto e tutti gli intrighi e i pericoli! Demelza si avvicinava al parto e voleva accadesse a Nampara, i bambini avevano bisogno di pace e di ritrovare il loro mondo e Ross desiderava solo tornare alla placida vita delle sue miniere. Londra, lo spionaggio, il potere e la politica e sì, anche quella calamità umana di Jones sarebbero stati lontani per un po’.
Arrivati al porto, Odalyn era sembrata inizialmente spaesata ma poi aveva ripreso il consueto coraggio, si era avvolta nella mantella di Inge e aveva sorriso, allungando la mano a stringere quella di Ross. “Capitano Poldark, grazie per avermi accompagnata. E grazie… per tutto il resto. Senza di voi in queste ultime settimane, non avrei davvero saputo come fare”.
Ross annuì. “Di nulla, aiutarti l’ho sentito come un mio dovere e so che anche per mia moglie è stato così. Ma ora dovrai camminare da sola e sulla tue gambe e anche se questa mia raccomandazione ti sembrerà paternalistica, sta attenta durante il ritorno. E scrivici appena arrivi o mia moglie mi darà il tormento e mi spedirà fra i ghiacci per controllare che tu stia bene e sia sana e salva”.
Lo farò” – rispose lei, mascherando un sorriso. Avrebbe davvero voluto che suo padre fosse stato così protettivo con lei ma quello sarebbe rimasto un sogno irrealizzabile e doveva accettarlo. Poi si voltò verso Jeremy. “Ti scriverò e ti aspetto quando sarai più grande. Ricorda che mi hai detto di voler dimostrare che voi inglesi sapete resistere ai nostri ghiacci!”.
Ross guardò il figli, accigliato. “Davvero? Sei matto? Nessun inglese potrebbe resistere a lungo in un luogo del genere, fidati, io ci sono stato”.
Odalyn rise. “Fidati davvero, Jeremy! A quei ghiacci, ci scommetto, potrebbero resistere solo quei due gemelli che ti sei trovato come fratellini”.
Lo disse in maniera sibillina, leggera, eppure Ross colse in lei una acuta intelligenza. Dei gemelli avevano parlato tramite mezze frasi e lei aveva accettato di non sapere la vera verità ma in cuor suo aveva riconosciuto appieno la loro origine comune.
Jeremy stette al gioco. “Resisterò anche io!” – disse, alzando le spalle.
E allora ti aspetto”. E poi, anche se c’era presente Ross, Odalyn si allungò a dargli un bacio leggero sulle labbra che lo fece avvampare. Poi rise e senza dargli occasione di dire alcunché, corse sulla nave.
Si affacciò poi al parapetto mentre il ragazzino, rosso come un pomodoro, non osava alzare il viso su di lei e il padre. “Jeremy Poldark, ricorda, ti aspetto! Arrivederci”.
Ross alzò il sopracciglio, cercando di non ridere per l’imbarazzo del figlio. La salutò e poi, dopo infiniti secondi, una volta che la ragazza fu sparita nelle cabine, pose la mano sulla spalla del ragazzo. “Credi di riuscire a respirare e a muoverti o vuoi rimanere lì impalato fino alla maggiore età!”.
Jeremy deglutì. Lo aveva baciato davanti a suo padre, mannaggia a lei, lui non era di certo così aperto a questo genere di cose!
Ross sospirò. “Jeremy, era un banale bacio… Capiterà ancora”
Davanti a te”.
Ross rise. “L’importante è che per un bel po’ non capiti davanti agli occhi di tua madre!”.
Perché?”.
Perché per me non ci sarebbero problemi ma per lei… Sai, sei il suo adorabile bimbetto…”.
Jeremy lo guardò storto. “Non sono un bimbetto!”.
Per lei lo sarai ancora per parecchio”.
Jeremy sospirò. “Quanti anni avevi quando hai baciato la mamma la prima volta?”.
Ross lo guardò, sorpreso dalla domanda. “Oh, ventisette”.
E lei?”.
Diciassette! Due settimane dopo l’ho sposata!”.
Jeremy spalancò gli occhi e Ross lo bloccò subito, capendo che stava entrando nel panico. “Ah, tranquillo, tu non dovrai sposarti tra due settimane per un bacetto! Fra me e tua madre c’era stato ben altro!”.
Jeremy arrossì di nuovo, ricordandosi i baci appassionati che si erano scambiati prima del rapimento di Clowance. “Papà…”.
Ross si accigliò, iniziando ad intuire che forse fra i due ragazzi non c’erano stati solo innocenti approcci da adolescenti. “Jeremy… E’ giusto, vero, c’è stato solo un bacetto…?”.
Più di uno…”.
E basta?”.
Jeremy sospirò. “Basta! Forse lei voleva altro ma ho preferito fare la figura del bamboccio”. Era abbastanza umiliante quello scambio di battute fra lui e suo padre ma proprio pensando ad Odalyn, si rese conto che era bello sapere di avere un genitore con cui confrontarsi in quel mare di dubbi che assalgono ogni ragazzino che inizia a sperimentare la vita da adulto.
Ross sorrise, poggiandogli la mano sulla spalla mentre si allontanavano dal porto. “Sei saggio, come tua madre”.
Jeremy sorrise, colpito da quel complimento. “E tu papà? Avevi la mia età quando hai conosciuto Jasmine?”.
Sì, più o meno. E come te mi sono fermato a qualche bacio”.
Sei saggio anche tu come mamma, allora?”.
Ross sospirò. “Più che altro non volevo assomigliare a tuo nonno! Ribelle anche dove non mi conveniva!” – concluse, ridendo.
Jeremy ricambiò la risata. “Ora i gemellini sono salvi e saranno per sempre Poldark?”.
Ross annuì. “Saranno ciò che vorranno ma sempre parte della nostra famiglia”.
Jeremy annuì, finalmente in pace col ruolo dei due bambini nella loro casa. “Sono contento e anche mamma adesso starà tranquilla. Eccetto quando a casa ci sarà Loveday che litigherà con Bella su chi deve essere la capa e ci si metterà pure Daisy che vuole comandare più di tutti!”.
Ross sospirò osservando il cielo, grato di quel ritorno alla loro routine e normalità così pesantemente messa in pericolo a Londra. Grato che fossero tutti insieme. Grato perché ne erano usciti più forti di prima e il suo figlio maggiore stava diventando un giovane ragazzo di cui essere fieri. “Il prezzo da pagare per non avere Jones attorno ai piedi”.
Ti mancherà?”.
Ross scoppiò a ridere. “Per niente, è troppo temerario persino per me!”.
E tu mancherai a lui?”.
Ross ci pensò su. Fra donne, denaro, gioco d’azzardo e rischi ben calcolati, il suo fido socio avrebbe avuto mesi intensi. “Naaa, non credo!”.
Jeremy ridacchiò prima di correre verso la carrozza. “Dai papà, sbrighiamoci! Se facciamo in fretta raggiungiamo la carrozza di mamma e torniamo a casa tutti insieme!”.
Ross la trovò un’ottima idea, ma… “Niente carrozza, ragazzo! Noleggiamo due buoni cavalli e facciamo la strada verso la Cornovaglia al galoppo! La carrozza va bene per donne e poppanti”.
E noi siamo uomini?”.
Ross gli scompigliò i capelli. “Puoi dirlo forte anche tu, ormai!”.



Demelza camminava sulla spiaggia scalza, nonostante il clima fosse ancora decisamente invernale. Ma sentire il vento della sua terra sul viso e sulla pelle dopo i mesi di paura vissuti a Londra era una sensazione talmente rigenerante che non poteva farne a meno. Erano a casa, tutti sani e salvi e i suoi bambini erano con lei.
Quei mesi a Londra erano stati complicati, ma in fondo fonte di notevole crescita individuale per ognuno di loro. Ora lei sapeva tutto sui suoi gemelli, sapeva cosa aveva portato Ross sulla loro strada e un pezzo del passato di suo marito che le era sconosciuto, Jeremy era diventato di colpo un giovanotto abbandonando per sempre l’infanzia e sì, aveva anche conosciuto i primi sussulti amorosi, Clowance aveva vissuto una avventura che l’aveva resa ancora più coraggiosa ed avventata e i tre piccoli di casa erano diventati ancora più pestiferi e giocosi.
Inge, che camminava accanto a lei con la piccola Astrid che scopriva la gioia di affondare le sue zampette nella sabbia, si guardava attorno incuriosita. “Farà meno freddo che in Norvegia ma questo vento è… diabolico”.
Sì, è una delle caratteristiche della nostra terra” – rispose Demelza accarezzandosi il pancione. “A noi piace, ti ci abituerai”.
Sicura?”.
Assolutamente”.
L’anziana tata osservò i bambini che giocavano davanti a loro, a diversi metri di distanza. Daisy era già caduta (o si era buttata di sua volontà fingendo di cadere) in acqua diverse volte e rideva divertita, Bella urlava a squarciagola una strana canzone e Demian tentava senza successo di disegnare nella sabbia ma veniva puntualmente disturbato o da un’onda o da una delle sorelline. “E’ così bello vedere com’è ora la loro vita…”.
Demelza sorrise. “Sapete, sono contenta che vivano la loro fanciullezza in questo modo. Per me ma in fondo anche per Ross, non fu così per tanti motivi…”. Pensò a sua madre, morta di stenti e nel degrado, pensò a Grace, amatissima ma cagionevole, pensò a cosa avessero provato nel momento in cui avevano capito di dover abbandonare i loro figli e si rese conto di aver vissuto quasi la stessa paura a Londra. Poi scosse la testa, non voleva più soffermarsi su pensieri negativi, quindi cambiò discorso. “Vorrei capire in che modo hanno cavalcato mio marito e mio figlio per arrivare a Nampara prima di noi”.
Inge le poggiò una mano sul gomito. ”Oh, cose da maschi, meglio non chiederselo se non volete veder comparire i primi capelli bianchi sulla vostra bella chioma”.
Giuda…”.
Inge rise. “Mi piace questa espressione tutta cornica, anche Daisy la usa spesso”.
Giuda…” – ripeté Demelza, osservando quella piccola peste bionda di sua figlia. Sua figlia, già…
Proprio in quel momento Demian cadde in acqua e a differenza della gemella, scoppiò a piangere nonostante si fosse bagnato solo fino alle ginocchia.
Inge corse da lui con Astrid, lo sollevò e gli asciugò le lacrime con le mani. “Su piccolo uomo, non si piange per così poco”.
Ma io sono un bambino, non un piccolo uomo” – obiettò il piccolo.
Ma non si piange lo stesso, va bene piccolo principe?”.
Lui scosse la testa mentre Demelza, ridendo, li aveva raggiunti. “Non sono nemmeno un piccolo principe”.
Inge lo osservò, sentendo una morsa allo stomaco. ‘Lo sei, eccome se lo sei’ – urlò la sua mente. Ma poi lo guardò e si rese conto che era, come gli altri bambini, il principino dei Poldark e di Nampara e che la sua fortuna stava tutta lì. Non aveva bisogno di altri titoli…
Come seguendo il flusso dei suoi pensieri, Demian corse dalla madre che lo prese in braccio.
Ormai lo aveva capito pure Inge, era quello l’unico modo per farlo smettere di piangere, non servivano vezzeggiativi o vizi, bastavano le braccia di Demelza. Le braccia di sua madre…


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Capitolo 38
*** Capitolo trentotto ***


Henry Vennor Poldark nacque in piena primavera quando ormai il clima ventoso e spesso impetuoso della Cornovaglia iniziava ad abbracciare i tepori estivi e i campi erano pronti per la mietitura del grano.
Venne al mondo in un giorno di sole, poco prima di mezzogiorno, dopo un travaglio piuttosto lungo che fece comparire a Ross più di qualche capello bianco. Ma per fortuna Dwight fu pronto a sorreggere Demelza e a fronteggiare qualsiasi problematica di una nascita che, rispetto agli altri figli, si rivelò più insidiosa e complicata. Ma tutto andò bene e anche se Demelza fu costretta poi ad ammettere che nei momenti più convulsi del parto aveva avuto paura di non farcela, alla fine tutto era filato liscio.
I bambini, a parte Demian e Bella che sulle prime apparvero sospettosi, gelosi e poco propensi a salutare il nuovo fratellino, si dimostrarono entusiasti. Jeremy concluse che quanto meno ora maschi e femmine erano in parità, Clowance decretò che dopo tutto il suo fratellino era abbastanza carino e Daisy decise che gli avrebbe spiegato tutti i misteri del mare e della loro spiaggia che conosceva solo lei.
Inge e Prudie aiutarono Dwight nel difficile compito di assistere la partoriente e il neonato e il piccolo nacque in un ambiente affollato ma caloroso. Gli fu subito chiaro che difficilmente si sarebbe annoiato in una casa tanto affollata e che la privacy sarebbe rimasta a lungo una pura utopia.
Era un bimbo minuto, moro come il padre e con gli occhi grigi e il suo nome fu causa di numerosi dibattiti in famiglia. Ross aveva proposto persino di chiamarlo Garrick (ricevendo una cuscinata in faccia da sua moglie), i bambini avevano partorito nomi assurdi e talmente di fantasia che il povero Harry – come era stato subito soprannominato – se ne sarebbe vergognato a vita e alla fine giunsero alla decisione di usare il nome di famiglia di un antenato e poi Vennor, che era il secondo nome di Ross e il cognome di famiglia di nonna Grace.
Di carattere tranquillo ma con sguardo furbo ed indagatore di chi cerca di capire il prima possibile dove fosse capitato, Harry si rivelò un bambino semplice da accudire per Demelza, nonostante la sua famiglia numerosa. Lo battezzarono nella Chiesetta di Sawle e furono invitate le persone più vicine ai Poldark, dai minatori più cari a Ross a Geoffrey Charles per finire con i fratelli di Demelza e le loro famiglie.
Fu una festa grande e felice dopo i mesi di angoscia a Londra e arrivò persino un regalo da Jones, un libro sui piaceri proibiti della capitale che il piccolo Harry avrebbe trovato piuttosto interessante da leggere, una volta cresciuto. Demelza mise il libro in un punto remoto della cantina, piuttosto propensa a non farlo vedere a nessuno dei suoi figli e a lasciarlo nel dimenticatoio anche se a Ross la cosa aveva divertito parecchio e aveva sentenziato che a suo padre quel libro sarebbe piaciuto molto e che poteva diventare una lettura 'educativa'.
Nel giorno del Battesimo arrivò una lettera da Odalyn. Era intestata a tutti i Poldark e li informava di essere arrivata a casa degli zii sana e salva e di essersi ripresa pienamente da tutte le avventure inglesi e di aver fatto pace ed accettato sia la figura negativa del padre che la sua perdita. Dentro la busta c’era un bigliettino più piccolo indirizzato a Jeremy con scritto semplicemente: “Ti aspetto… quando sarai cresciuto”.
Demelza, non vista per evitare che Clowance facesse battutine, fece scivolare il biglietto di nascosto fra le mani del figlio che era arrossito come un pomodoro e poi, con un sorriso, lo aveva lasciato solo ai suoi pensieri ed era tornata a prendersi cura di Harry che aveva iniziato a strillare per la fame.
Era così, nelle famiglie grandi: c’erano ragazzi che parevano cresciuti da un giorno all'altro diventando quasi uomini e che assaporavano i primi batticuori della vita, bambini vivaci che urlavano e correvano da mattina a sera e neonati che dipendevano in tutto e per tutto da lei. Che bello essere madre, che bello essere a casa, che bello appartenere a Nampara, a Ross e ai Poldark… Si sentiva fortunata e guardando i gemelli, cullata da quei pensieri, aveva provato più di una volta una sorta di tristezza nei confronti dei genitori dei piccoli che per loro avevano dato la vita e che quelle gioie non avrebbero mai potuto provarle. Non c'era gelosia in lei e nemmeno c'erano sospetti circa quell'amore giovanile di Ross ma solo una muta rassegnazione su quanto la vita, nel bene e nel male, sapesse dimostrarsi imprevedibile.



Demian e Daisy sgattaiolarono in spiaggia di nascosto, nelle prime ore del pomeriggio, approfittando del fatto che Demelza e le domestiche si stavano occupando di Harry e del bucato, che Jeremy fosse uscito a pescare con gli amici e Clowance e Bella erano intente a suonare la spinetta.
Faceva caldo e Demelza aveva detto loro che in spiaggia ci sarebbero andati tutti insieme appena le temperature si fossero un po’ abbassate nel tardo pomeriggio ma non volevano aspettare e da monelli quali erano, si erano dati alla macchia seguendo il sentiero che conoscevano a memoria che dalla casa portava a Hendrawna Beach.
Si misero a correre come matti, a piedi scalzi, lanciando le scarpe fra la sabbia. L’acqua era fresca e frizzante ma piacevole con quel caldo e ci finirono dentro bagnandosi fino alla vita.
Io sono la pirata di Nampara!” – disse Daisy. Era il suo sogno diventarlo e lo ripeteva da almeno un anno.
E io?” – chiese il fratello.
Lei lo fissò come se la risposta fosse la cosa più ovvia del mondo. “Il mio servo”.
Non mi piace essere un servo, i servi sono grassi e brutti come Prudie” – rispose lui, picchiando il piedino nell’acqua con stizza.
Daisy fece per replicare ma poi la sua attenzione fu catturata da due bellissime farfalle che presero a volar loro sulla testa. Una era azzurra, color ghiaccio, l’altra di un rosa brillante.
La bambina rise e Demian, molto più sensibile di lei alla bellezza della natura, rimase a bocca aperta.
Si misero a saltare per cercare di raggiungerle ma le farfalle volarono verso riva costringendoli a uscire dall’acqua. Volavano, poi si voltavano e tornavano verso i bambini quasi a volerli attirare a se, lontani dal mare che senza adulti attorno, poteva rappresentare un pericolo. Poi giocarono con loro, svolazzando nella lunga distesa sabbiosa, facendosi rincorrere e a volte poggiandosi sulle loro teste.
Il gioco andò avanti parecchi minuti finché le voci di Ross e Demelza interruppero l’incanto.
I due avanzarono verso i gemelli con aria seria. “Quante volte vi abbiamo detto che non potete venire al mare da soli?”.
I gemelli si bloccarono, guardandosi fra loro accigliati, in cerca di una scusa comune e plausibile da esibire a loro discolpa. “Faceva caldo a casa mamma!” – tentò di dire Daisy.
Non è una buona scusa”.
Demian esibì la sua miglior faccia da ruffiano e poi saltò in braccio alla madre. “Scusa, giuro che faccio il bravo da adesso”.
Ross lo guardò storto, quel piccolo mammone impertinente riusciva sempre ad aprire una breccia nel cuore di Demelza, ci riusciva quasi meglio di lui ad uscire da situazioni 'complesse' evitando castighi. Gli prese una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi e la tirò scherzosamente. “Certo, come no! Ma bambini, sono serio, siete piccoli per stare da soli e anche se il mare vi pare amico, può diventare pericoloso”.
Ma non eravamo soli, papà!” – obiettò Daisy.
Ross si guardò attorno, la spiaggia era deserta. “A sì? E chi c’era?”.
Daisy si guardò attorno e anche Demian, in cerca delle due farfalle che li avevano attirati fuori dall’acqua. Ma erano come sparite…
Oh, sono andate via…” – mormorò la bimba, sentendo una strana pressione sul cuore, come di mancanza.
Chi?” – chiese Demelza.
Due farfalle, mamma! Ci hanno curato loro, una rosa e una azzurra! Sono venute e per giocare con loro siamo usciti dall’acqua e abbiamo giocato sulla sabbia… Ma ora sono sparite, sono andate via! E giuro mamma, non è una bugia!”.
Demelza osservò Daisy. Era una piccola e furba canaglia e spesso diceva bugie ma non quella volta, la conosceva bene e sapeva capire quando era sincera e quando non lo era. Guardò verso il mare e le vide e anche se non nitidamente, le parve di scorgere due piccole luci luminose che si allontanavano nell’immensità del cielo e del mare. Erano state lì coi gemelli e avevano vegliato su di loro finché ce n’era stato bisogno e ora parevano intenzionate a tornare verso la luce. Strinse a se Demian e poi Daisy mentre anche Ross sembrava essere giunto alla medesima, strana sensazione.
Si voltarono entrambi verso il mare e in silenzio mormorarono un grazie ad altri due genitori che anche sotto forma di luce, avevano adempiuto al loro compito.
E dal mare parve giungere una risposta. “Grazie a voi…”.
Poi le luci sparirono e sulla spiaggia rimasero un uomo, una donna e due dei loro bambini, pronti a vivere la vita che il destino aveva scelto per loro.
Misero i piccoli a terra, poi Demelza prese a braccetto suo figlio mentre i bambini correvano lontano. "Ross, credi che esistano legami che non si spezzino mai?".
Lui la baciò sulla nuca. "Assolutamente, amore mio, assolutamente".
E inseguendo i loro figli, tornarono verso la loro casa e la loro famiglia.

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