Winter moon

di Dama delle Comete
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** I. Slogatura / Esperimenti ***
Capitolo 3: *** II. Degenza / Caccia al tesoro ***
Capitolo 4: *** III. Contatto / Indiscrezione ***
Capitolo 5: *** IV. Fascino / Cotta ***
Capitolo 6: *** V. Temporale / Ronda ***
Capitolo 7: *** VI. Avvertimento / Rosso ***
Capitolo 8: *** VII. Sutura / Dormiveglia ***
Capitolo 9: *** VIII. Ripetizioni / Verità ***
Capitolo 10: *** IX. Chance / Reciprocità ***
Capitolo 11: *** X. Gioco / Rifiuto ***
Capitolo 12: *** XI. Sdentato / Broncio ***
Capitolo 13: *** XII. A mali estremi / Estremi rimedi ***
Capitolo 14: *** XIII. Eret / Astrid ***
Capitolo 15: *** XIV. Sacrificio / Alleati ***
Capitolo 16: *** XV. Ferita / Trasformazione ***
Capitolo 17: *** Epilogo. Neve ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***




Prefazione
 
 
Scappare. Come un muto grido d'allarme, quel pensiero gli monopolizzava la mente, calandola nella confusione. Eppure non c'era niente di cui aver paura, no? Per quanto insistente, terrificante e viscerale, l'istinto di correre non aveva senso. Nemmeno il battito accelerato aveva senso, però. Pericolo o emozione? Entrambe le sensazioni serpeggiavano nei suoi pensieri, annebbiando la ragione. Annacquando il buonsenso. L'ultimo pensiero coerente, prima dello stravolgimento: tutto questo era sbagliatamente giusto. Un controsenso. Un controsenso straordinario.

*


Cosa aveva sbagliato? No. Lui non sbagliava mai, non ne era in grado, vero? La perfezione era la sua quotidianità, eterna, banale e impeccabile. Eppure, tutti i suoi sforzi erano andati persi in una frazione di attimo. Un movimento del capo e un battito di ciglia. Inevitabile contatto visivo. Calore, estaticamente fatale. Una rovina immediata che lo aveva reso euforico e terrorizzato. L'unica parte di sé rimasta sana, la più mostruosa, suggeriva l'ovvio. Scappare.



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Capitolo 2
*** I. Slogatura / Esperimenti ***




NB: Calmoniglio/Bunnymund qui viene chiamato Aster, dal suo nome dei romanzi. Dentolina è invece diventata Toothiana.
 


I

Slogatura / Esperimenti
 
 
La casa dell'ispettore Haddock era vecchia e scricchiolante.
Quando era piccolo, Hiccup si divertiva a correre su e giù per le scale, fingendo che i cigolii fossero versi di troll. Un gradino in particolare – il terzultimo – era più rumoroso degli altri, così aveva deciso che sotto il pannello di legno fosse nascosto il mostro più grande. Il re dei troll. Anche le tende del salotto nascondevano un segreto: quando venivano agitate dal vento, nelle umide sere d’estate, rivelavano la loro identità di spettri. Il frigorifero, invece, con quel colore beige smunto e la maniglia d’acciaio, era un robot alieno.
Ironicamente, l’unico oggetto della casa in grado di spaventarlo era uno dei suoi peluche. Gli era stato regalato dalla madre, e inizialmente non se ne staccava mai, ma dopo il divorzio aveva cominciato a terrorizzarlo. Il drago di pezza, che non era nemmeno realistico, improvvisamente gli procurava gli incubi. Il padre di Hiccup, stanco delle urla notturne, lo aveva allora chiuso in soffitta e gli aveva raccontato che era volato via. Certo, lui ci aveva creduto, finché non era salito nell’angusto spazio sotto il tetto per la prima volta, giocando all’esploratore. Dopodiché i suoi ricordi erano confusi, e non aveva idea di dove suo padre avesse nascosto il peluche.
Stoick aveva sempre fatto tutto il possibile per proteggere Hiccup, vista la sua abilità nel cacciarsi nei guai, ma non comprendeva le sue passioni. Diceva che aveva troppa immaginazione, e l’episodio del pupazzo era il suo esempio preferito. Non capiva perché non gli piacesse andare a pesca, o giocare con gli altri bambini. Più cresceva, più i due litigavano. Quando Hiccup si trasferì con sua madre, iniziate le superiori, sospettò di aver lasciato Stoick con il cuore spezzato, e il modo in cui lo riaccolse lo confermava.
Stava per iniziare il terzo anno di liceo, e Hiccup era stato spedito a Forks contro la sua volontà. Ultimamente Valka era molto impegnata col lavoro, tra manifestazioni e attivismo, e aveva avuto la splendida idea di scaricare il figlio dall'ex marito, così da potersi spostare per lo stato senza la zavorra. Non erano state le sue esatte parole, ma Hiccup le aveva interpretate così. ‘Levati dalle scatole’.
Dopo un lunghissimo litigio, il peggiore fino ad allora, aveva fatto le valigie e insistito per partire quell’estate stessa, senza aspettare fino a settembre. Se lei non lo voleva tra i piedi, tanto valeva togliersi di torno il prima possibile. Con una determinazione dettata dalla testardaggine, aveva sopportato il volo in aereo e il tragitto in macchina con suo padre senza fiatare, per quanto possibile.
“Eccoci. Non è cambiata granché, negli ultimi tre anni. Invece tu sei cresciuto davvero tanto” aveva borbottato Stoick mentre lo aiutava con i bagagli, una volta arrivati.
Hiccup lanciò un’occhiata cupa alla casa. Già. Nemmeno di una virgola. C’era pure la sua vecchia bicicletta, ancora appoggiata al grande albero del giardino. Se anche le persone erano rimaste le stesse, avrebbe avuto tutte le sue buone ragioni per essersi ribellato al trasferimento forzato.
“Be’, allora bentornato a casa” disse Stoick per nulla convincente. Hiccup aprì la porta con la chiave stampata di recente ed entrò circospetto. Uno gniiik si levò dal parquet scuro.
“Sì, grandioso.”
Questa non è più casa mia.
Sempre aiutato dal padre, portò le sue cose nella sua vecchia camera da letto. I due si guardarono per un attimo, senza sapere cosa dirsi, poi Stoick scese al piano di sotto. Hiccup analizzò in che situazione fosse la stanza, ma neanche quella aveva subito stravolgimenti. Credeva che Stoick ne avesse fatto un ufficio, invece era tutto come l’aveva lasciato.
Si affacciò alla finestra, da cui si potevano vedere un angolo di foresta e il profilo delle montagne, ma non lo aiutò a tranquillizzarsi come faceva una volta.
“Solo per un paio d'anni” disse ad alta voce. Se a sé stesso, o al destino, non ne era certo.

Il mattino del primo giorno di scuola si svegliò di pessimo umore. Fino a quel momento era riuscito a non deprimersi troppo, grazie ai libri e al vecchio portatile che aveva resuscitato da tre anni di inattività. Quello che aveva a casa era più veloce, ma la discussione con Valka glielo aveva fatto dimenticare là, quindi doveva accontentarsi. Non osava chiamarla, figuriamoci chiedere di spedirgli il computer.
L’umidità era alle stelle, se la sentiva fino alle ossa. Meccanicamente, si alzò e andò alla finestra, una vecchia abitudine che credeva di aver perso.
Pioveva. Ovviamente.
Rimase in bagno il meno possibile, per non procrastinare l’inevitabile, e recuperò una giacca a vento dall’armadio. In quel periodo dell’anno, a casa già metteva maglioni e cappotti pesanti. Rimuginando sull’ingiustizia della vita, rivolse a malapena la parola a Stoick, mentre facevano colazione, salvo qualche commento sarcastico. Se a lui dava fastidio, non lo diede a vedere. “Vai a piedi?”
Hiccup si bloccò alla porta con un piede già fuori.
“Sono solo dieci minuti, da qui.”
Stoick aggrottò le sopracciglia, svelando l’espressione preoccupata nascosta sotto la folta barba. “Sicuro? Guarda che sta piovendo.”
Era un tentativo di premura? Lo sforzo di non fare battute ormai era diventato fisico. “Lo so” disse Hiccup sollevando eloquentemente l’ombrello che stava per aprire. Non aveva la minima intenzione di farsi accompagnare dal padre, avrebbe solo attirato attenzioni indesiderate.
Prima che Stoick potesse obiettare, accennò un saluto e uscì sotto la pioggia. Fuori era ancora più umido, l’aria era praticamente liquida.
Si sistemò meglio lo zaino impermeabile nuovo di zecca sulle spalle – un acquisto di cui era sempre più contento – e prese la strada verso la scuola con il cuore appesantito. Il piccolo parcheggio della Forks High School era già pieno di auto e studenti, tra cui Hiccup si aggirò tenendo lo sguardo abbassato. Sperò di non incrociare facce conosciute.
L’edificio della segreteria era miracolosamente asciutto, ma puzzava di detergente sottomarca. Hiccup si fece dare l’orario nuovo e un’inutile piantina dall’impiegata, che ringraziò senza entusiasmo. Ah, perfetto, aveva ginnastica prima di pranzo: avrebbe avuto l’occasione di rendersi ridicolo; lui e l’attività fisica non andavano per niente d’accordo.
Mentre stava soppesando quante possibilità ci fossero che l’insegnante lo lasciasse in panchina, almeno per il primo giorno, qualcuno lo chiamò in mezzo all'atrio semipieno.
“Hiccup?”
Panico. Lo avevano finalmente riconosciuto. Era il suo timore peggiore, che uno dei suoi vecchi compagni delle medie si accorgesse di lui e ne approfitasse per bullizzarlo. No grazie, ne aveva avuto abbastanza per quattordici anni.
Se solo quel posto dimenticato da Dio non avesse avuto la popolosità di un quartiere… Nessuno si sarebbe preso la briga di tormentarlo.
Vane speranze. Nell’adorabile Forks si conoscevano tutti, una faccia nuova spiccava come un cactus tra le margherite.
“Ehilà.” Forza e coraggio.
Si voltò, e alzò le sopracciglia. Astrid Hofferson? Non lo aveva più degnato di uno sguardo, da quando aveva capito che Hiccup aveva una cotta esagerata per lei. Faceva ancora un po’ male.
“Allora è vero che sei tornato. Cavolo, sei diventato più alto di me” commentò Astrid. Anche lei era cresciuta, rispetto a qualche anno prima. Era ancora carina, ma non sortiva lo stesso effetto travolgente di una volta. Probabilmente era un bene. “Ti serve una mano?”
Non solo gli stava parlando, ma gli aveva appena offerto un aiuto. La cosa cominciava a essere sospetta.
Hiccup si guardò intorno con diffidenza. “Ti ha mandata qualcuno?”
“No. Ti ho visto e volevo salutarti, poi ho pensato di farti arrivare in classe in orario, senza perdere tempo a vagare per la scuola” rispose Astrid.
Era troppo. “Grazie, me la cavo da solo.”
Girò i tacchi e se la diede a gambe, arrossendo di vergogna. Evidentemente provava pena per lui, il povero ragazzino innamorato. Lo stava compatendo, ecco cosa stava facendo.
Scrutò per un momento la piantina, individuò la posizione della sua aula e percorse il corridoio a passo di marcia, rischiando di scivolare sulle impronte bagnate degli studenti. Raggiunse trionfante la sua destinazione, alla faccia di Astrid e della sua pietà.
Si era seduto a un banco libero e aveva abbandonato lo zaino a terra, quando la vide sulla soglia.
Merda. Ma dovevano avere entrambi inglese alla stessa ora? Stavolta lo ignorò davvero, e Hiccup poté tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Almeno non avrebbero più avuto conversazioni imbarazzanti. La professoressa di inglese raggiunse la classe prima che Hiccup potesse guardarsi meglio intorno, in cerca di altre vecchie conoscenze, e introdusse il programma del terzo anno senza badare alla presenza del nuovo studente, ma si limitò a dare un anonimo benvenuto generale.
Non ingannò nessuno, purtroppo. Figuriamoci, in quella stanza si conoscevano tutti dall'asilo, chi altri poteva esserci di nuovo? Almeno Hiccup non fu costretto a presentarsi, e si sentì semplicemente qualche occhio puntato addosso.
L'argomento del giorno era l'Amleto, leggermente più avanti rispetto al programma che Hiccup aveva seguito a casa, cosa che non contribuì a farlo concentrare sulla lezione. Un po' prese appunti confusi, un po' si crogiolò nei suoi pensieri funesti. L'insegnante non era male, ma divagava troppo. Hiccup perse il filo del discorso dopo venti minuti.
Tutto sommato, fu un'ora tranquilla e il suo malumore migliorò appena. Stessa cosa per quella successiva. Il professore era troppo alto, per la piccola aula di francese, però faceva pessime battute e non se la prendeva se gli studenti sbagliavano le risposte.
Arrivato all'ora dopo senza incidenti, Hiccup aveva definitivamente abbassato la guardia. Sembrava troppo bello per essere vero. Quasi non era turbato all'idea di educazione fisica. Si cambiò con gli altri e varcò tranquillo la porta della palestra per la prima volta della sua vita.
Il sogno si spezzò di colpo.
Hiccup si trovava di fronte a Jorgenson, il suo incubo personale da quando aveva undici anni. Non lo aveva ancora notato, perciò fece del suo meglio per confondersi tra i suoi compagni.
Il migliore amico di suo padre, Skaracchio, era in piedi accanto a un cesto di palloni consunti. Aveva lo stesso modo brusco di sempre, sdentatura parziale e protesi comprese. Hiccup si era dimenticato che facesse il prof di ginnastica al liceo.
Strisciò lungo il muro, evitando gli altri. Doveva arrivare a lui senza sollevare un polverone, ma Skaracchio era a diversi metri di distanza, in fondo alla palestra.
Non mi notare adesso, non mi notare adesso…
"Ah, Hic! Ci sei anche tu!"
Venti teste si girarono contemporaneamente verso di lui, bloccandolo alla parete come un animale braccato.
"Vieni qui davanti, ti presento alla classe" esclamò Skaracchio, beatamente ignaro della disperazione dell'altro. Hiccup non poté fare altro, se non affiancarlo e lasciare che la sceneggiata iniziasse.
"Ragazzi, questo è il figlio dell'ispettore capo Haddock. Alcuni di voi lo conoscono già, ma forse non lo avete riconosciuto, nemmeno io ho creduto ai miei occhi, quando l'ho visto! L'ultima volta che l'ho incontrato mi arrivava al mento, vero?"
"Ah ah… già…"
Intanto che Skaracchio lo strattonava per un braccio e blaterava ogni aneddoto della sua infanzia, Hiccup vide con la coda dell'occhio gli sguardi dei presenti, tra cui spiccavano quello diabolico del suo vecchio compagno. Non prometteva nulla di buono.
"Ma basta con le chiacchiere" terminò Skaracchio. "Oggi cominciamo con la pallacanestro. Dividetevi in squadre e prendete una palla per gruppo." La mezz'ora seguente fu una serie di momenti da dimenticare. Hiccup sperava di cavarsela rimanendo a distanza di sicurezza, ma era finito in squadra con Jorgenson, che negli ultimi tre anni era diventato ancora più grosso e cattivo. Riuscì a indirizzargli diversi commenti di derisione, premurandosi di aggiungere qualche sgambetto.
Al terzo fallo Hiccup era a metà di un passo, in equilibrio precario, e cadde rovinosamente. Seguì una risata generale.
L'unico a non unirsi a loro era Skaracchio, che si avvicinò a Hiccup per assicurarsi che stesse bene e gli tese la mano vera. Peggio di così non poteva andare, quindi lui accettò l'aiuto. Mosse un piede per darsi la spinta a rialzarsi… E si rese conto di aver gridato quando notò di avere la bocca aperta. Non avrebbe mai, mai più accolto l'ora di ginnastica senza preoccupazioni. "Accidenti, dobbiamo portarti in infermeria. Tocca prenderti braccio." "No!" quasi urlò Hiccup, fuori di sé. Sul suo cadavere! Ci sarebbe andato sui gomiti, piuttosto.
Usò il braccio di Skaracchio per sollevarsi, tenendo il piede alzato. "Posso fare così."
Lasciarono gli altri studenti da soli, dopo mille raccomandazioni dell'insegnante. Saltellando su una gamba, appoggiato al professore, Hiccup riuscì ad arrivare in infermeria senza altre complicazioni.
"Gothi, abbiamo il primo paziente dell'anno, qui!" proclamò Skaracchio aprendo la porta dell'infermeria, un ambiente stretto e claustrofobico. Come tutto, in quella dannata scuola.
L'anziana ingobbita era la stessa delle medie, si accorse Hiccup. Doveva aver cambiato istituto, chissà perché.
Skaracchio lo tirò su da sotto le ascelle e lo depositò sul lettino, mentre l'infermiera si avvicinava.
"È caduto, non riesce a muovere il piede" spiegò l'uomo. La signora Gothi tastò con fare esperto la caviglia di Hiccup, che stava iniziando a gonfiarsi. "Ahia! Non lì!"
"È slogata?" chiese Skaracchio. La vecchietta annuì gravemente, e pescò una borsa del ghiaccio dall'armadietto nell'angolo. Il freddo fu un sollievo immediato.
Skaracchio si grattò la testa. "Ho paura che ti perderai il resto del primo giorno, Hic, devi stare a riposo. Chiamo tuo padre."
"No, no. Lo disturberai mentre lavora. Resto qui in infermeria, se non è un problema" disse Hiccup rapido. Dopo quel disastro, starsene da solo sulla brandina non pareva una prospettiva tanto brutta.
"Se Gothi è d'accordo…"
L'anziana annuì e sventolò una mano ossuta per cacciare via Skaracchio. "Ho capito, ho capito!"
Hiccup rimase seduto sul lettino, il ghiaccio premuto sulla caviglia, felice di essere isolato dal rumore di persone proveniente dall'esterno. Gothi sedeva alla scrivania tutta concentrata su un lavoro all'uncinetto, almeno fino all'ora di pranzo, quando bussarono.
"Come va?" chiese Astrid facendo capolino dietro la porta. Non c'era fine alla sfortuna.
"Una meraviglia." disse Hiccup.
Astrid ignorò la risposta sarcastica, andò a sedersi sull'angolo della branda, attenta a non toccare la sua gamba, e gli porse il suo zaino e un panino dalla mensa. "Skaracchio mi ha chiesto di portarti questi. Ha telefonato tuo padre…"
"Fantastico."
"...E gli ha detto di venire a prenderti quando può."
Gliene avrebbe dette quattro, a quel prof che non rispettava i patti. Poco importava se l'aveva fatto per il suo bene. "Grazie, e scusami per prima. Oggi non è giornata."
Era stata sinceramente gentile, inutile negarlo. Se ce l'avesse avuta con lui, avrebbe buttato il panino e la sua roba nel primo bidone a disposizione. "Scuse accettate."
Non erano mai stati così vicini. La treccia di Astrid gli sfiorava il braccio, tuttavia Hiccup non sentiva niente di particolare. La sua cotta era finita, a quanto pareva. Non se ne rattristò, anzi, era una liberazione.
"Se è degli altri che ti preoccupi, la tua ansia è inutile" disse Astrid improvvisamente. "Non sei l'unico nuovo arrivato."
Hiccup rimase di sasso. Aveva vissuto quelle ore in agonia per nulla?
"Quei due hanno attirato molta più attenzione di te, non essendo di queste parti" continuò la ragazza. Si sistemò la frangia e lo lasciò da solo con Gothi e il panino, abbandonandolo all'ennesima sorpresa.


*


Al loro passaggio, gruppi di uccelli scappavano ad ali spiegate, e gli abitanti della foresta non facevano diversamente. Avevano finito, quindi non c'era bisogno di andare piano per non spaventarli. E comunque sarebbero fuggiti sentendo il loro odore di predatori. Di sangue rappreso.
Jack si lasciò andare a una risata liberatoria, rallentando il passo.
"Stavolta ho vinto io!"
"Hai barato."
Saltò su una roccia coperta di muschio e alzò le mani. "Accetta la sconfitta con dignità, coda di cotone!"
Aster fece una smorfia; non era abituato a perdere nelle gare di velocità. Jack si beò della sua espressione.
"Non chiamarmi così, o ti lascio qui da solo a fare casino. Ti ho accompagnato perché me lo ha chiesto Nord, ma non ho intenzione di sopportare le tue battute."
"Che carino" disse Jack con tono traboccante di ironia. Scese agilmente dal masso e tornò al fianco di Aster con un balzo. "Torniamo a casa?"
Lui sbuffò, e si inoltrarono nella foresta umida di corsa. Era appena tornato il bel tempo, per quanto un timido sole dietro una spessa coltre di nuvole potesse definirsi tale, ma l'aria era ancora satura dell'odore di pioggia. Le scie degli animali stimolavano i sensi e l'erba bagnata era soffice sotto i piedi di Jack, come un manto verde intenso.
"Non capisco il senso della vostra pagliacciata" disse Aster mentre superavano un tronco caduto. Jack intuì subito a cosa si riferisse.
"Eddai, è andata bene. Dammi un mese e sarò praticamente invisibile."
In effetti, era indubbio che l'esperimento dell'altro giorno fosse stato un discreto successo. Per gioia e delizia di Nord, Jack aveva fatto il bravo e aveva tenuto un comportamento ineccepibile. Anche Toothiana lo aveva coperto di complimenti. L'unico contrario alla situazione era proprio Aster, che aveva storto il naso e sostenuto la loro pazzia. Sempre incoraggiante, lui.
Lo scopo di quella prova, secondo Nord, era di inserire Jack nella società umana nel miglior modo possibile, ovvero iscrivendolo a scuola. Dopo una caccia più abbondante del solito, gli aveva fatto mettere vestiti nuovi (comprese le scarpe, con sommo orrore di Jack) e gli aveva dato mille raccomandazioni e suggerimenti, per poi spedirlo alla Forks High School. Nel caso le cose si fossero messe male, era rimasto nei paraggi con l'orecchio teso, ma non era stato necessario. La nuova vita da liceale di Jack era quindi iniziata.
Quel giorno, lui e Aster erano usciti all'alba per un altro pasto, per sicurezza. Era meglio rimanere cauti, dopotutto.
"Tornando al discorso di prima" disse Jack dopo un po', "non ti sembra da ipocriti criticare l'idea di Nord, proprio tu che hai aperto una caffetteria?"
Aster gli lanciò uno sguardo di puro disprezzo. "Forse, ma io sono più anziano di te, e so benissimo controllarmi. Non sono irresponsabile come te."
"E Toothiana, allora? Perché a lei non dici niente?"
"Anche lei è disciplinata. E poi ha più esperienza."
Un salto di Jack particolarmente lungo spaventò un uccello, che volò via gracchiando. Lui si fermò di botto. Era vero, essere più giovane e inesperto lo metteva in svantaggio, ma il fatto che Aster non volesse riconoscere il suo impegno non gli andava giù. Perché doveva sempre essere così pessimista? A Jack piaceva stare con gli umani ed era contento di poter finalmente mescolarsi a loro, perché non poteva essere felice per lui e basta?
Continuarono a correre verso casa senza dirsi altro, chiudendo lì la discussione, ma Jack ne era rimasto più turbato di quanto volesse ammettere. Quella sera, vagando senza meta per la casa, incrociò Toothiana, che stava uscendo a fare compere.
"Cos'è quel muso lungo, Jack? Hai litigato di nuovo con Aster?" gli chiese sistemandosi i capelli scuri.
Lui evitò acrobaticamente la domanda. "Nord è nel suo studio?"
"Sì, sta lavorando al progetto nuovo."
Jack fece un passo indietro. "Allora non lo disturbo."
"Aspetta" lo fermò lei. "Cosa volevi dirgli?"
"Di ritirarmi da scuola, così basterà a far smettere ad Aster di trattarmi da poppante, spero" si sfogò Jack, cogliendo Toothiana di sorpresa. Bastava un altro commento, e sarebbe impazzito.
"Ma a te piace andarci, e sei stato così bravo, fino ad adesso! Lo sai com'è fatto Aster, si preoccupa per gli altri" disse Toothiana con un sospiro. Lei era stata la prima ad approvare l'esperimento e aveva sostenuto Jack in tutti i modi.
Lui abbassò lo sguardo, ancora fumante di rabbia. Forse aveva ragione, non doveva farsi scoraggiare tanto facilmente.
"Senti, ho un'idea" esclamò Toothiana d'un tratto, colta da improvviso entusiasmo. "Magari Aster deve rendersi conto dei tuoi progressi osservandoli di persona! È troppo grande per le superiori, ma se gli chiedi di aiutarlo al caffè vedrà i tuoi sforzi!"
Jack aveva diversi dubbi. "Non so se mi va di chiederglielo. Mi pare una rottura."
Toothiana gli agitò l'indice sotto al naso assumendo un tono autoritario. "Questo, o le discussioni per l'eternità. La scelta è tua."
Con rassegnazione e giusto un pizzico di speranza, Jack annuì. "Allora vada per la rottura."

Il Nido era conosciuto per due cose, a Forks.
Primo, la qualità eccellente delle miscele servite: una splendida varietà di aromi e intensità che spaziavano dal terroso allo speziato, vincitrici di svariati premi della contea. Non troppo prestigiosi, s'intende.
Secondo: il suo proprietario. Giovane, un po' scontroso ma in gamba, aveva conquistato la città in poco tempo, dopo l'apertura. Lavorava sodo e non amava raccontare di sé, ma era apprezzato anche per questo. Affascinava le signore e scherzava con gli uomini con maestria.
Anche il locale saltava subito all'occhio, con i vetri colorati delle finestre e l'insegna adornata da un coniglio, però era all'interno che dava il meglio. Un trionfo di colori primaverili, diversi da quelli freddi e monotoni della zona, ricopriva ogni angolo, tra tende, piante fiorite e soprammobili. Un balsamo per gli occhi e il palato.
Tuttavia, la gente di Forks era stata abbindolata e non conosceva la verità. Non sapevano che il talento di Aster era frutto di oltre un secolo di esperienza e fallimenti, o che l'insegna era degli anni ottanta del diciannovesimo secolo. Le piantine erano finte, altrimenti non sarebbero mai sopravvissute all'umidità, e non capivano quanto fossero brutte quelle cianfrusaglie sul bancone che Aster chiamava 'soprammobili'. Per non parlare della vera natura del proprietario. Se avessero aperto gli occhi e avessero avuto idea di quale miniera di orrori fosse sorta nella loro città, se ne sarebbero tutti scappati urlando.
Macché, gli ignari cittadini erano ben felici di passare il tempo al locale, spesso in compagnia di portatili e libri, oppure di organizzare serate di ricamo e poesia. Roba da matti.
Jack aveva iniziato a lavorare al Nido solo da qualche giorno, durante il turno serale, ma doveva affrontare già diversi problemi. Non se la cavava molto bene col caffè, non avendo il gusto allenato di Aster, come lui non mancava mai l'occasione di ricordargli, e doveva limitarsi a fare il cameriere. Pur riuscendogli alla grande, Aster continuava a rimproverarlo ad alta voce al minimo errore, per divertimento dei clienti. Almeno non aveva più niente da dire sulla scuola, un prova che Jack stava superando con ottimi risultati. Non era il ragazzo più popolare e non aveva amici, certo, ma far parte della società umana era un lusso delicato, che richiedeva basso profilo.
Poteva andargli peggio.
"Fanno molto meno caso a noi rispetto al primo giorno, hai notato?" disse Jack il venerdì che concludeva la prima settimana di scuola. Toothiana, che stava andando con lui a spagnolo, imitò il suo sorriso. Quando camminavano era lei a dettare il passo, per dare modo a Jack di abituarsi alla velocità giusta.
"Vero. Il nostro arrivo è riuscito a distrarli solo per poco. Adesso sono impegnati a spettegolare sull'altro ragazzo nuovo."
"Di chi stai parlando?" Quella era una novità di cui Jack non aveva sentito parlare.
"Giusto, credo che lunedì fossi troppo preso dal gestire questo ambiente nuovo, per accorgertene" meditò Toothiana. "Non siamo gli unici volti nuovi di quest'anno, a quanto pare anche il figlio dell'ispettore capo si è appena trasferito."
Jack ci pensò su. "Non mi pare di averlo visto in giro, me ne sarei accorto." "Infatti è a casa. Ha avuto un incidente, o qualcosa del genere. Dicono che tornerà la settimana prossima" rispose lei.
Jack stava per chiedere come si chiamasse, ma sentì un rumore di passi che accelerava per avvicinarsi a loro. Troppo. Si girò verso la fonte, un ragazzo basso e muscoloso, e sfoggiò la sua migliore espressione rilassata. "Serve qualcosa?"
Il tipo era accompagnato da un ragazzo e una ragazza che si somigliavano molto, probabilmente gemelli. Non aveva una faccia amichevole.
"Mi sembri un po' troppo spavaldo, per essere l'ultimo arrivato" disse bellicoso facendo ciondolare le braccia. Gli altri due si diedero una gomitata e rimasero a distanza.
Volevano vedere uno spettacolo, eh? Jack avrebbe voluto fargli capire con chi avevano a che fare, ma si trattenne davanti all'occhiata di avvertimento di Toothiana e fece dietrofront. "Non hai qualcun altro da tormentare, piccoletto?"
L'altro schioccò la lingua, evidentemente irritato dalla sua reazione. Che idiota, pensò Jack. Se avesse anche solo sospettato di essersela presa con la persona più sbagliata della scuola… Però doveva riconoscere che avesse fegato, per non essersi scoraggiato davanti alla loro aura intimidatoria. Solitamente, gli umani percepivano il pericolo per istinto, e rimanevano alla larga.
"Bravo, corri dalla cuginetta pazza" gli gridò dietro l'umano.
Jack si voltò di colpo. Quel tipo aveva passato il limite.
Violando ogni promessa fatta, si avvicinò a passi misurati al tipo e abbandonò il sorriso. Fissò dritto negli occhi l'umano, che perse la faccia strafottente e impallidì appena. Jack vide la sua stessa espressione glaciale riflessa sulle sue iridi azzurre.
Una visione distolse la sua attenzione dal ragazzo, destabilizzandolo: Nord che gli ripeteva di stare attento, come faceva ogni mattina per rito. Jack scosse impercettibilmente la testa per farla svanire. Quello era il modo preferito di Toothiana per rimproverarlo. Uffa.
L'umano arretrò verso i suoi amici, inciampando nei suoi passi. "Ma che problemi ha? Andiamocene."
Jack osservò con soddisfazione il trio darsi alla fuga seguito dalla curiosità degli altri studenti nel corridoio, ma avvertiva lo sguardo deluso di Toothiana su di sé.
"Non dovevi farlo. È stato imprudente."
"Così impara. Tranquilla, adesso ci lasceranno in pace."
Toothiana non rise con lui. "Che cosa direbbe Nord? E Sandy?"
"Vuoi andare a dirglielo? Prego" sbuffò Jack. E addio buonumore. "Oh, no, ho guardato male un deficiente! Cosa faremo adesso?"
Lei aveva l'aria di star per rispondere a tono, ma una voce li interruppe bruscamente.
"Ehi, voi due nuovi."
Una ragazza bionda li stava approcciando tenendosi leggermente a distanza. Almeno su di lei faceva effetto. "Grazie per aver dato una lezione a Moccicoso, ne aveva bisogno."
Pareva che Jack avesse appena reso un servizio alla comunità. Bene. "Moccichi?"
"Jorgenson" chiarì la sconosciuta. Aveva anche lei gli occhi azzurro chiaro. "È sempre stato uno scemo, ma ultimamente sta dando il peggio di sé."
"Lieto di essere stato d'aiuto, allora" disse Jack con un cenno distratto. Mancavano quaranta secondi alla campanella.
"Davvero, non so cosa gli sia preso. Ha anche mandato Hiccup in infermeria, lunedì" aggiunse la ragazza.
Oh, un momento. Corrispondeva a quanto gli aveva raccontato Toothiana. "Il tizio nuovo?"
La ragazza annuì corrucciata. "Si sta riprendendo, per fortuna."
"Che bella notizia!" tagliò corto Toothiana prendendo Jack per un gomito. Doveva essersi accorta dell'orario. "Ci vediamo…"
"Astrid."
"Chiamaci, se vi dovesse ancora dare fastidio Mocciolone!" disse Jack mentre seguiva Toothiana in classe. Intravide l'espressione divertita di Astrid prima che sparissero dietro l'angolo.
Si sederono sui loro soliti posti vicino al muro, appena in tempo. L'insegnante di spagnolo riempì presto l'aula con la sua parlantina soporifera, permettendo a Jack di sussurrare a volume inumano.
"Tanto per precisare, il tuo giochetto ha rischiato di farmi perdere la concentrazione, prima" mormorò a Toothiana, che non smise di scrivere sul suo quaderno.
"Lo faccio per te, Jack. Stavi per rovinare il tuo duro lavoro. Per niente, poi!" La sua espressione era neutra, ma il tono tradiva preoccupazione.
Con lui era stata premurosa fin dal principio. Il periodo seguente la trasformazione era stato duro, tra la sete e la frustrazione, ma lei lo aveva reso più facile. Lo difendeva da Aster e appoggiava le idee di Jack nonostante fossero spesso irruente, dettate dall'impeto della giovinezza. Non che lei fosse molto più vecchia, comunque. Erano simili, per età, però Toothiana era d'indole gentile e materna. Ecco, era quasi una mamma. Jack le era eternamente grato.
"Va bene. Scusa. Non lo farò più" la accontentò allora. Gli angoli della bocca di lei si piegarono all'insù.
L'insegnante aveva rivolto una domanda a un ragazzo che tentò di prendere tempo, in disperata ricerca della risposta. Poi, dopo un minuscolo cenno di Toothiana, un movimento millimetrico degli occhi, diede la soluzione giusta. Jack trattenne una risata. Nemmeno lei sapeva contenersi.
"Bene, vediamola così" bisbigliò Toothiana a fine dell'ora, dopo una lunga riflessione. "Hai messo in riga un bulletto, conta quasi come un atto di solidarietà. Nord non ha bisogno dei dettagli."
Stavolta Jack non si impedì di sorridere. "È bello poter contare su di te, cugina."



Note
Ho iniziato questa storia a ottobre, quando mi sono accorta che Hiccup canonicamente condivide molto con Bella, e Jack poteva essere paragonato a Edward, da qui l'idea. Purtroppo sono successe diverse cose, tra cui un blocco creativo, ed è rimasta in sospeso per un po'. L'ho terminata di recente, infatti.
Non sono sicura che vada bene pubblicarla sotto la categoria The Big Four anche se Merida e Rapunzel non sono presenti, mi sembrava sensato, dato che comunque sono una grossa fetta del crossover e le regole sono abbastanza confuse. Ho preso in esempio alcune fic che hanno seguito la stessa logica. [Edit 28/8/21: la categoria è stata cambiata in Dragon Trainer x Le 5 leggende]
Capisco che l'AU è decisamente meno popolare dell'Hogwarts!AU, ma non ho resistito. Spero che piaccia comunque.
Pubblicherò il più spesso possibile, dato che è completa.



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Capitolo 3
*** II. Degenza / Caccia al tesoro ***




II

Degenza / Caccia al tesoro
 
 
Sedici chiamate perse. Trentadue messaggi senza risposta.
Hiccup indugiò col pollice sullo schermo del cellulare, stringendo le labbra, in conflitto con sé stesso sul rispondere o meno. Alla fine abbandonò il telefono sul letto e si sdraiò con un tonfo. Fissò il soffitto, prima di stropicciarsi gli occhi.
Era venerdì pomeriggio, e non riusciva a decidersi a richiamare sua madre. Non si sentivano dal giorno in cui Hiccup era tornato a Forks, quando avevano litigato. Cominciava a sentire la sua mancanza, ma arrendersi gli avrebbe dato la sensazione di accettare il volere di Valka, cosa che Hiccup non ammetteva. Le voleva bene, però non se la sentiva di perdonarla per avergli imposto il trasferimento, almeno non ancora. Il problema era che adesso si sentiva terribilmente in colpa.
Si alzò dal letto, desideroso di uscire dalla sua stanza, che cominciava a dargli la claustrofobia. Recuperò il cellulare, ignorò le stampelle e scese in salotto, dove Stoick stava guardando la televisione.
Dopo quello stupido incidente in palestra, era venuto a prenderlo con la volante della polizia, rendendo inutile ogni sforzo di Hiccup di restare in incognito, e in breve chiunque a scuola aveva saputo cos'era successo. Stoick, per tutta risposta del resoconto dell'incidente fornitogli da Hiccup, aveva replicato che il figlio avrebbe dovuto farsi valere, invece di subire passivamente le prepotenze di Jorgenson. Come se avesse avuto scelta.
Hiccup era rimasto a casa per il resto della settimana, il che gli aveva almeno evitato di sentirsi osservato da tutti per i giorni successivi, di incrociare di nuovo i suoi bulli e di sopportare ginnastica. Sarebbero stati cinque giorni abbastanza tranquilli, se solo la caviglia non gli avesse procurato dolori durante il sonno e non fosse stato tormentato dalla noia.
Ancora meno piacevoli erano stati i continui discorsi di suo padre per primi, un'infinita serie di prediche sull'importanza di praticare uno sport che rafforzasse il fisico, e l'obbligo delle stampelle poi.
Hiccup odiava aggirarsi per casa con le grucce, così si era riposato come gli era stato raccomandato, ed era arrivato a venerdì che non ne aveva più bisogno. La caviglia non era gonfia come prima e poteva camminare un po'.
Dal corridoio, Hiccup scivolò silenziosamente verso l'ingresso, dove afferrò il giubbotto dall'attaccapanni. Rivolse un'ultima occhiata a Stoick, per sicurezza, e girò la maniglia.
Tlack!
"Hic? Sei tu?"
Maledetta porta del secolo scorso. Stramaledettissimo pezzo di legno che non sa star zitto…
"No, papà, sono un fantasma. Ovvio che sono io" sospirò Hiccup, ancora fermo all'ingresso.
Stoick si alzò pesantemente dal divano e andò a piazzarsi di fronte a lui con sguardo contrariato. "Non penserai mica di uscire, spero."
"Faccio due passi, non scappo. Dai, guarda, oggi non piove nemmeno" disse Hiccup stringendo più forte la maniglia, come per ancorarsi, pur sapendo benissimo che se suo padre avesse deciso di trascinarlo via, non sarebbe bastato.
"Devi riposare" brontolò lui. "Ho giurato a tua madre di impedirti di fare sforzi."
Hiccup non rispose, iniziando a spazientirsi. Ci mancava un'altra persona a dirgli cosa fare.
"Mi ha chiamato ieri sera, sai. Di nuovo" riprese Stoick, ora in tono dispiaciuto. "Perché non le rispondi? È preoccupata per te."
Hiccup rimase immobile e si costrinse a non cedere. Non si sarebbe lasciato ingannare dal senso di colpa, per quanto detestasse farli stare in pensiero.
Di fronte al suo silenzio, Stoick doveva aver pensato di starlo convincendo, perché passò a una tattica diversa: la lusinga.
"Possiamo trascorrere del tempo insieme, invece di uscire. Sei sempre chiuso in camera tua…"
Hiccup lo fissò bene in faccia, insicuro se scoppiare a ridere o fuggire. "E cosa potremmo fare, allora?"
"Ah. Ehm… c'è una partita in TV, stasera, oppure…" borbottò Stoick, preso in contropiede. L'elenco di proposte mutò subito in un silenzio di disagio. Non avevano molti interessi in comune: suo padre apprezzava la pesca e lo sport, Hiccup i libri e la meccanica.
"Come non detto. Ci vediamo dopo" annunciò Hiccup, e aprì la porta.
"Hic…" tentò di chiamarlo suo padre, ma lui era già nel vialetto.

Nella penombra del tardo pomeriggio di settembre, l'aria era pesante e umida. Se non stava già piovendo, sarebbe successo presto.
Cercando di non appoggiare troppo il piede sinistro e godendosi il cambio di scenario, Hiccup superò diverse case tutte uguali lungo il marciapiede. Si rese conto di aver seguito il tragitto verso le medie, che aveva frequentato quando non viveva con sua madre, appena riconobbe le colonne dell'ingresso del parco, vicino la sua vecchia scuola.
Era uno spiazzo di ghiaia con alcune aiuole fiorite, un'altalena e due panchine di legno, degno della grandiosità urbana che contraddistingueva Forks. Lo stesso edificio comprendeva elementari e medie, perciò dopo le lezioni il parco si riempiva di bambini urlanti e ragazzini che si nascondevano dietro le aiuole a fumare.
O almeno, così se lo ricordava da alcuni anni.
Hiccup rimase sorpreso, e intristito, nel vedere com'era conciato. Ora la vegetazione era lasciata incolta e aveva invaso la ghiaia, all'altalena mancava un posto a sedere e le panchine erano state riempite di graffiti e incisioni. Non c'era nessuno.
Si avvicinò alle catene che penzolavano solitarie dalla struttura dell'altalena, vuote e arrugginite. Hiccup pensò che fosse quella la parte peggiore. Da piccolo adorava farsi spingere dai suoi genitori, gli piaceva la sensazione del vento in faccia e la vista del cielo, nelle rare giornate di sole. Gli sembrava di poter volare.
Pensò per un breve momento di sedersi sul sedile ancora integro, ma scartò l'idea dopo un'occhiata alle nuvole grigie. Non avrebbe avuto lo stesso effetto. Invece, andò a sedersi su una delle panchine malconce, infilando le mani nelle tasche del giubbotto.
Dopo qualche minuto, sentì la discreta vibrazione del cellulare nei suoi pantaloni. Lo sfilò e lesse l'emittente del messaggio in arrivo: Astrid. In qualche modo, la ragazza aveva ottenuto il suo numero, e da quando era iniziato il periodo di reclusione non aveva mai mancato di inviargli appunti e compiti, addirittura di materie che non avevano insieme. Hiccup sospettava che avesse costretto qualcuno a passarle il materiale. A volte gli raccontava piccoli avvenimenti della giornata, come risse o comportamenti strani dei prof.

Credo che la settimana prossima ci sarà un compito in classe di trigo. Oggi il ragazzo nuovo ha spaventato a morte Moccicoso.

In allegato al messaggio gli aveva lasciato gli appunti del giorno.
Hiccup non si spiegava la gentilezza improvvisa di Astrid. Prima di allora si erano parlati raramente, non erano amici, invece adesso gli scriveva tutti i giorni. Se non avesse avuto una certa paura di lei, Hiccup le avrebbe chiesto il motivo. Al contrario di Jorgenson e i Thorston, alle medie lei non lo aveva mai preso in giro, tenendosi in disparte, ma lo evitava come la peste. Hiccup pensava di starle antipatico.
Si rallegrò del resoconto e digitò una risposta, modificandola un milione di volte prima di inviare.

Lo ringrazierò lunedì. Grazie per gli appunti.

Fece per mettere via il cellulare, quando arrivò un altro SMS. Lo aprì con curiosità; fino a quel momento, i loro scambi erano sempre finiti dopo i ringraziamenti di Hiccup.

Allora torni presto?

Come mai le interessava tanto?

Sì, posso finalmente reggermi in piedi senza crollare come un sacco vuoto.

OK. Ci vediamo a scuola.

Hiccup rimase imbambolato a guardare l'ultima riga di testo senza capacitarsi delle sue implicazioni. Voleva quindi dire che Astrid aveva intenzione di incontrarlo, invece di stargli alla larga? Non aveva senso. Non era possibile che le piacesse di punto in bianco, senza motivo. Insomma, lui non aveva fatto niente perché accadesse. Era rimasto il solito sfigato.
Non gli veniva in mente una spiegazione plausibile.
La ragazza non poteva avere secondi fini. Se al suo posto ci fosse stato qualcun altro, Hiccup avrebbe potuto sospettare di essere preso in giro, ma era di Astrid che si stava parlando. Non era il tipo da scherzi del genere.
"Non starmi davanti, idiota!"
Il flusso di pensieri di Hiccup si spezzò in un secondo e l'agitazione prese il sopravvento. Aveva riconosciuto la voce di Jorgenson.
"Sei tu che sei davanti!"
C'erano anche i gemelli. Perfetto.
Doveva andarsene in fretta, pensò. Non poteva farsi scoprire tutto solo nel parco deserto, dopotutto. Rimise in tasca il telefono e raggiunse le colonne di mattoni restando vicino al muro di cinta, pronto alla fuga.
Le voci erano ancora distanti, perciò uscì dal parchetto e prese il marciapiede alla velocità massima che gli consentiva la caviglia dolente, volgendo le spalle ai tre teppisti. Con un po' di fortuna non si sarebbero accorti di lui.
Prima che potesse cantare vittoria, però, Hiccup realizzò atterrito che il trio non era diretto al parco, così se li ritrovò alle calcagna. Cominciava a zoppicare per aver accelerato all'improvviso, e le probabilità che notassero la sua andatura e facessero due più due aumentavano pericolosamente. Doveva trovare un nascondiglio il prima possibile.
"Bruta, smettila di pizzicarmi!"
"E tu piantala di spingere."
Erano vicini.
Hiccup cercò con lo sguardo un posto adatto: gli serviva un luogo dove quei tre non sarebbero mai entrati. Vide un'insegna dall'aspetto antiquato, vetri colorati e tende pastello, ed entrò senza nemmeno leggerne il nome.

All'interno era addirittura più stucchevole dell'apparenza.
Mezza dozzina di tavolini, delle sedie e un bancone erano stretti in un locale troppo piccolo per loro, insieme a una miriade di oggetti bizzarri. Piantine di ogni tipo, uova di ceramica dipinta, vasetti di biscotti, ciotole assortite, lucidi orologi vintage, libri, conigli di porcellana, quadretti di paesaggi primaverili e qualche trofeo riempivano ogni spazio disponibile sulle mensole che percorrevano numerose le pareti menta. La luce pomeridiana attraversava le finestre colorate e proiettava riflessi rosa, arancio e blu sull'ambiente.
I pochi clienti guardarono Hiccup barcollare verso un tavolino vuoto e abbandonarsi su una sedia. Con suo enorme sollievo, intravide dalle vetrate i tre ragazzi superare il caffè, senza degnarlo della loro attenzione. Era salvo.
Un giovane uomo sulla trentina, particolarmente di bell'aspetto, venne al tavolo di Hiccup reggendo un vassoio e studiandolo con educato interesse.
"Devi essere nuovo, qui. Benvenuto al Nido. Cosa vuoi? Abbiamo caffè, cioccolata e brioche appena fatte" disse. Non sorrideva, ma il tono cortese della sua voce morbida ne compensava l'assenza.
Hiccup restituì lo sguardo di curiosità. L'uomo era parecchio alto, dal fisico atletico, con i capelli castani legati sulla testa e gli occhi marrone molto chiaro. La semplice divisa – una maglietta polo con coniglio ricamato, dei pantaloni scuri e un grembiule lungo – gli stava alla perfezione. Hiccup non poté fare a meno di pensare che sembrasse incredibilmente fuori posto e completamente a suo agio allo stesso tempo.
Era il tipo che mandava fuori di testa le ragazze sue coetanee. Molto diverso da Hiccup, che a suo vantaggio aveva solo l'altezza leggermente superiore alla media.
"Ehm" balbettò, ancora impegnato ad assimilare la situazione. Gli animali di porcellana sulle mensole lo disorientavano.
"Ti porto una coca?" domandò allora il cameriere con aria spazientita.
"Va bene" rispose Hiccup, che non voleva scocciarlo ulteriormente. Lui fece un cenno e andò dietro al bancone di legno chiaro.
Hiccup lasciò nuovamente vagare gli occhi nel locale, e stavolta riuscì ad apprezzarne maggiormente l'arredamento. Notò infatti che le vetrate erano davvero belle, la luce dei lampadari era delicata, alcuni soprammobili sembravano preziosi e i cuscini delle sedie si abbinavano alle tende. Chiunque lo avesse scelto aveva gusto estetico.
Il cameriere fu più veloce del previsto, forse perché non c'era molta gente.
"Grazie" disse Hiccup quando lui gli posò il bicchiere di coca-cola davanti. "È molto bello qui."
Qualcosa nella sua espressione parve ammorbidirsi. "Ti ringrazio. Ho aperto da qualche anno, ma ho avuto più successo di quanto mi aspettassi, infatti la sera c'è anche mio fratello a darmi una mano."
E così era il proprietario. "Però non vedo molte persone, al momento."
"Questa di solito è un'ora tranquilla. Più tardi, verso le cinque, arriverà più gente."
"Sono Hiccup, comunque" si presentò lui. "Hai indovinato, prima. Mi sono trasferito qui da poco, o meglio, sono tornato."
L'altro gli strinse brevemente la mano. Era fredda, probabilmente per il bicchiere che gli aveva appena portato. "Aster."
Dopodiché tornò alle sue faccende, lasciando Hiccup a riflettere mentre beveva.
Per essere un posto aperto da poco, secondo gli standard di Forks, sembrava perfettamente inserito nella città, sebbene somigliasse più a un caffè da meta turistica. Non gli sarebbe dispiaciuto tornarci, pensò, gli avrebbe fatto comodo avere un posto in cui rifugiarsi lontano da suo padre.
Pagò il conto e controllò la situazione all'esterno, prima di uscire dal Nido. Vedendo il viale deserto, Hiccup lasciò la caffetteria e prese la strada per tornare a casa. A giudicare dalla poca luce, era passata più di un'ora.
Arrivato nel loro vialetto, vide lì parcheggiata una vettura dall'aria familiare, un furgoncino marrone coperto di graffi con una vistosa ammaccatura sulla parte posteriore. Non vedeva quel mezzo da tre anni, e gli fece tornare alla mente alcuni nebulosi ricordi d'infanzia a Forks.
Entrò in casa prima con la testa, guardando nei paraggi. Dal salotto provenivano risate e rumori di bicchieri, ma Hiccup non vide nessuno nell'ingresso della vecchia casa, così andò in cucina, dove annusò un buon profumo.
Il suo piano per restare solo fallì nel momento in cui uno Stoick più allegro del solito venne a prendere qualcosa dal frigorifero. Incontrò lo sguardo di Hiccup e si paralizzò sul posto.
"Ah, sei tornato."
"Già."
Stoick, forse per evitare il contatto visivo, aprì lo sportello del frigo e si piegò in maniera piuttosto comica, nascondendo la testa dietro all'anta. Il suo umore amichevole era scemato.
"Oggi c'è Skaracchio a cena. Ho preparato le salsicce" disse. Hiccup cominciava a essere stanco dell'atmosfera gelida durante le loro 'conversazioni', ma con lui non sapeva davvero di cosa parlare, tanto più adesso che non poteva raccontargli della scuola.
"Okay" Hiccup rispose semplicemente.
Doveva riconoscere che Stoick aveva fatto il possibile per metterlo a suo agio, da quando era arrivato. Hiccup sapeva quanto ci fosse rimasto male, quel mattino di tre anni prima, il giorno in cui era andato ad abitare da sua madre. Ne aveva parlato a lungo con Valka, e aveva deciso di mettere fine alla sua vita a Forks, che all'epoca era afflitta dagli scherzi continui, la mancanza di amici e il rapporto sempre meno facile con suo padre. Per questi motivi, era stato felice di voltare pagina e farsi una nuova vita in un'altra città.
Alla sua scelta, tuttavia, era conseguito un risultato che non corrispondeva totalmente alle aspettative di Hiccup, che aveva realizzato che non sarebbe bastato un trasferimento a cambiare la sua situazione. Aveva capito che Forks costituiva solo il quaranta percento del suo problema, mentre la percentuale restante era data da Hiccup in sé. Sarcasmo e introversione non aiutavano a stringere amicizia, perciò si era adeguato al nuovo ambiente accontentandosi di essere invisibile, invece che disprezzato.
"Ehi, papà, domani ti andrebbe di aiutarmi con un compito di biologia? C'è questo progetto da fare per…" attaccò, in un modo simile all'approccio provato da Stoick poco prima.
"Ah, di solito il sabato vado a pesca con Skaracchio" lo fermò lui emergendo da dietro il frigo. "Scusa, Hic."
"Figurati" rispose l'altro, nascondendo la delusione. Il destino era contro di loro, a quanto pareva.
Salutò Skaracchio passando in salotto, lasciandogli a malapena il tempo per chiedere come andava con la caviglia, e salì in camera sua in attesa della cena.
Sul suo cellulare lampeggiò la notifica di una nuova chiamata persa da sua madre.

*


Lunedì mattina aprì la settimana con un tempo soleggiato più unico che raro, facendo risplendere Forks di una luce diversa dal solito verde palude. Senza nessuna nebbiolina all'orizzonte, si potevano vedere meglio le cime delle montagne in lontananza e degli alberi più alti della foresta.
Tutto stupendo, se questo non avesse significato che Jack e Toothiana non sarebbero potuti andare a scuola.
Il sole li avrebbe rivelati per ciò che erano, quindi non avevano avuto altra scelta, se non starsene lontani dagli umani. Quella situazione costrinse Jack a tornare temporaneamente alla sua vecchia routine di corse nella foresta e lunghe ore senza far nulla, salvo per il turno al Nido che lo avrebbe aspettato quella sera.
Fortunatamente, Nord venne a dargli una notizia che avrebbe reso la giornata degna di nota.
"Ciao, Jack" lo salutò entrando in camera sua. Lui, spaparanzato su un pouf, scollò gli occhi dalla console giusto per educazione, continuando la partita senza guardare.
"Che succede?"
Nord non usciva spesso dal suo studio, e se capitava significava che stava accadendo qualcosa di strano, pericoloso o divertente. Lui sperava per quest'ultima.
"Sandy è venuto a trovarci, scendi a salutare con noi?" chiese Nord allegro.
Era un'ottima notizia, lo avrebbe distratto per un po'. Sandy avrebbe sicuramente avuto qualcosa di interessante da raccontare, per non parlare dei giochi che avrebbero potuto fare, lasciati in sospeso per troppo tempo. Jack si pregustò già la giornata di divertimenti che lo attendeva.
Nel salone principale li aspettava Toothiana, chinata ad abbracciare Sandy vicino al tavolo del mappamondo. Lui sembrava in forma, senza un capello fuori posto.
"Sandy!" gridò Nord per annunciare il loro arrivo. "Ho portato te Jack!"
"Come va?" chiese quest'ultimo accennando un saluto con la mano. Sandy si staccò da Toothiana e rispose alla calorosa accoglienza con un inchino perfetto.
Dal primo momento in cui l'aveva visto, tanti anni prima, Jack aveva immediatamente pensato che Sandy fosse… strano. Tutti loro avevano alcune caratteristiche comuni, quelle che li rendevano attraenti agli umani: portamento, corporatura e lineamenti erano gli stessi, ma lui pareva fatto tutto al contrario. A differenza loro, Sandy era basso, paffuto e riconoscibile solamente dagli occhi e dal pallore, altrimenti lo si sarebbe potuto scambiare per umano, sotto un'osservazione superficiale.
Nord, che superava Sandy in altezza di almeno due metri, lo tirò su da sotto le ascelle per schioccargli un bacio per guancia. Lui si agitò per essere rimesso a terra e gli diede una pacca amichevole sul ginocchio, facendolo scoppiare a ridere.
"Amico mio, sei qui per traccia?" chiese Nord diventando serio tutto a un tratto, con un umore che assumeva solo in situazioni estremamente gravi. Toothiana e Jack si sedettero su uno dei divani con loro, mentre Sandy annuiva.
Jack non sapeva granché della misteriosa missione del loro compagno, in parte per colpa di Nord, che insisteva a non rispondere alle sue legittime domande. D'altronde, chi non sarebbe stato curioso di sapere cosa accidenti facesse Sandy in giro per il mondo? Tornava raramente a casa da loro, assentandosi per mesi, a volte anni, e restava per pochi giorni.
Da quello che Jack aveva capito strappando indizi dalle conversazioni tra i due, Sandy era in cerca di un loro simile, perché solo una creatura del genere poteva spostarsi a tali distanze per un periodo così esteso. In più, la parola 'traccia' avvalorava la sua ipotesi.
"Sei vicino? Lui è qui?" stava dicendo Nord intanto, sprofondato da solo sulla sua poltrona preferita (non perché fosse comoda, ci era semplicemente affezionato).
Ah, come volevasi dimostrare. Adesso non si stavano facendo problemi a parlare di un 'lui'.
Sandy mosse velocemente le piccole mani nel linguaggio dei segni. Jack ne aveva appreso un po' dalle sue rare visite.
La pista porta a Forks, ma da sei mesi è insieme a una traccia che non conosco.
Nord si incupì ulteriormente. "Altra persona?"
Forse.
"Non è buono" rimuginò l'altro. "Se ha alleati sarà difficile da battere."
Era la prima volta che Jack li sentiva parlare così esplicitamente di quello che Sandy stava architettando da secoli, come se lui e Toothiana non fossero presenti. Che voleva dire, poi, con battere? Qualcosa non andava.
"Ci faresti il favore di raccontare cosa stai facendo?" domandò impaziente. "Meno conoscete meglio è" negò Nord.
Jack incrociò le braccia e si lasciò affondare nel divano, deluso. "È quello che dici sempre."
"Sandy, chi stai cercando?" intervenne Toothiana, che ne sapeva quanto lui. Qualcosa nella sua voce suonò strano, impostato, come se non volesse davvero una risposta.
Qualcuno di pericoloso, si limitò a mimare Sandy. Quei due erano senza speranza.
Toothiana alzò le spalle e guardò Jack come a scusarsi, suggerendo di averci perlomeno provato. Lui sbuffò di nuovo, ma senza prendersela; Sandy era il più vecchio di tutti i presenti, e di molto. Jack sentiva di potersi fidare del suo giudizio, quindi se non voleva dire altro magari aveva i suoi motivi. Era inutile cavargli due informazioni in croce.
"Ricomincerai subito con la ricerca, oppure hai tempo per stare con noi?" cambiò strategia allora. "È da un sacco di tempo che diciamo di organizzare una partita."
Sandy si alzò dal divano, e con un piccolo salto atterrò sul pavimento sorridendo. Ho giusto qualche ora.
Peccato che Aster fosse al lavoro, pensò Jack, in cinque sarebbe stato più interessante, anche se spesso avere più giocatori comportava anche maggiori discussioni e arrabbiature.
Stava per seguire Toothiana e Sandy fuori, ma sentì l'enorme mano di Nord sulla spalla, quindi si voltò incuriosito. Riconobbe con un brivido l'espressione dell'uomo, la stessa che faceva nel solito momento degli ammonimenti – "Fai attenzione, non fissare umani, muoviti lentamente, mettiti scarpe, sbatti tue palpebre, non mangiare umani" – prima di lasciarlo andare a scuola.
"Toothiana ha detto che studente ti ha fatto innervosire."
Non aveva mai perso del tutto l'accento, passando le giornate chiuso nel suo studio a lavorare. In quelle occasioni lo rendeva ancora più minaccioso.
"Non l'ho aggredito, però" ribatté Jack a sua difesa.
"Cosa ti aveva fatto?"
"Voleva attaccare briga con me, ma l'ho fissato perché mi ha dato fastidio quando se l'è presa con Toothiana" ammise, e Nord accennò uno dei suoi caldi sorrisi dietro alla barba.
"Va bene difendere famiglia, ma ricorda di stare molto attento. Alcuni umani sono meno ingenui di altri" disse dandogli un colpetto sulla spalla che lo costrinse a tenersi saldo. A volte Nord si dimenticava di quanto fosse forte e lo mandava a gambe all'aria con le sue pacche affettuose.
"Adesso andiamo a giocare?" disse Jack, eccitato all'idea della gara e sollevato per non essersi beccato una sgridata.
"Sì," esclamò Nord superandolo verso il portone, "ma stavolta vinco io caccia di tesoro!"
Jack fece uno scatto per raggiungere gli altri fuori.

Quella sera, Jack prese la porta sul retro della caffetteria e indossò la divisa fischiettando. Giocare con gli altri lo aveva messo di buonumore, anche se aveva vinto Toothiana.
Aster non accolse con altrettanta spensieratezza l'allegria di Jack e gli rifilò un'occhiataccia. "Chiudi il becco. Mi dai sui nervi quando fai così."
A essere precisi, gli dava sui nervi anche quando non faceva proprio nulla, oltre a quando era felice per qualcosa.
Jack si trattenne dal rispondere male e andò ad aprire le tende del locale, ma gli fece comunque una boccaccia mentre non guardava. Se sarebbero andati avanti a bisticciare, si prospettava davvero una serata magnifica.
Girò il cartellino alla porta in modo che mostrasse la parola 'aperto', piazzò all'entrata la lavagna con il menù, mise i dispenser di tovagliolini e le carte dei tè sui tavoli, tirò fuori dalla credenza le posate, controllò che ci fosse un sacco di chicchi di caffè disponibile e s'imbarcò in un compito che di solito provava a scaricare ad Aster senza riuscirci, ovvero fare l'inventario. Si chiuse quindi nella stanzetta che il suo capo chiamava 'magazzino': nove metri quadrati stipati di robaccia inutile e scorte alimentari.
Quando arrivarono i primi clienti a ripararsi dalla pioggia improvvisa e lui ebbe finito, Aster era al bancone, ancora irritato per chissà quale motivo, perciò Jack decise di tentare la fortuna. Non avrebbe sopportato l'ennesimo turno al Nido in silenzio.
"Va tutto bene? Mi sembri nervoso, ultimamente" lo interrogò, avvicinandosi armato di detergente con la scusa di togliere una macchia. Si sforzò come poteva di dirlo in tono serio, privo di sarcasmo, il che era un'impresa ardua.
Aster fissò insistentemente il tè che stava preparando. "Non sono affari tuoi."
Data la sua mancanza di collaborazione, Jack rigirò la domanda. "Ti fa male tenere tutto dentro, amico. Se c'è qualcuno che ti importuna, dimmelo, e lo rimetterò in riga."
Aster lo ignorò e andò a uno dei tavoli più vicini al bancone. La sua espressione non sembrava ancora aperta al dialogo.
"Idiota, chi vuoi che ci sia a infastidirmi, a parte te? Qui vengono solo anziani e coppiette, l'unica faccia nuova è stato il ragazzino di tre giorni fa" brontolò salutando due vecchie signore che chiacchieravano sedute poco lontano.
Jack scordò completamente i suoi propositi di pace. "Chi?"
"Hiccup, il figlio dell'ispettore Haddock. Non va a scuola con te?" disse Aster passando lo straccio sul tavolo.
"Sì, ma non l'ho ancora visto. Che tipo è?"
"Non ti sei perso niente di interessante. È educato, forse un po' strano, ma non mi è sembrato diverso dall'adolescente medio di Forks. Sembrava stressato per qualcosa, però. Quando è venuto qui aveva il fiatone e gli ho dovuto suggerire cosa ordinare. Comunque nulla di particolare."
Il '...per un umano' a concludere la frase parve pienamente sottinteso, senza bisogno di dirlo ad alta voce. Aster conosceva almeno di vista la maggior parte dei cittadini di Forks, quindi il suo giudizio era indubbiamente affidabile, eppure Jack sperava in qualcosa di meglio che un ragazzo qualunque.
Nei suoi cinque giorni di scuola, aveva avuto modo di osservare diversi tipi di studenti. C'erano ragazzi e ragazze con personalità profondamente diverse e svariate passioni, ognuno interessante a modo suo. Non potendo far parte del loro stesso mondo, Jack aveva cominciato a prendere gusto ad analizzare gli umani senza farsi notare. Era abbastanza convinto che fosse un modo per sentirsi vicino a loro, e così credeva di comprenderli meglio. Inoltre, più pensava a loro come persone, e non come a prede, più era facile domare i suoi istinti. Era una specie di allenamento mentale.
Restava il fatto che l'idea di una persona capace di finire a casa per un infortunio, nemmeno il tempo di finire il primo giorno di scuola, lo incuriosiva. Doveva essere per forza un record di qualche tipo, e qualunque umano capace di tale opera era degno di nota, Jack non aveva dubbi. Peccato non averlo mai incontrato, per un motivo o l'altro.
Senza sapere più cosa dire, Jack tornò dietro al bancone seguendo Aster, che si stava spazientendo.
"Che vuoi ancora?"
"Oggi mi insegni a usare quella?" chiese Jack senza preavviso indicando la grossa macchina per il caffè, lucida e intoccata da mani che non fossero quelle del proprietario. Glielo domandava tutti i giorni, e tutti i giorni Aster gli diceva di no. "Dai, devo solo premere dei pulsanti, quanto sarà difficile?"
Lui si parò davanti alla macchina come per proteggerla. "Non pensarci nemmeno, tu questa non la tocchi."
Appunto.
"Ma…"
"Smettila di assillarmi, e fila a spazzare laggiù" sibilò Aster. Gli ficcò bruscamente una scopa tra le braccia e lo spedì in un angolo vicino alle finestre, dove un cliente aveva seminato briciole di biscotti.
Ora irritato a sua volta, Jack non si girò neanche a salutare chi entrò nel caffè inveendo contro il brutto tempo, piuttosto pensò che gli sarebbe toccato asciugare il pavimento per tutto il turno, correndo dietro ai clienti con le scarpe bagnate.
"Ah, Hiccup, bentornato" disse Aster da dietro il bancone. "Oggi prendi qualcosa di caldo?"
"Credo proprio di sì. Sono quasi annegato" continuò a lamentarsi il nuovo arrivato prendendo posto. Jack rimase nel suo angolo per principio, deciso a fare del suo meglio per non guardare Aster mentre prendeva l'ordine, pur avendo riconosciuto il nome buffo del cliente appena arrivato. Era rimasto ferito nell'orgoglio dalla sua mancanza di fiducia.
"Non ti piace il clima di Forks?" chiese il proprietario del Nido.
"Come no. L'umidità costante che si appiccica su tutto, il sole inesistente, la pioggia perenne… Lo adoro."
Il contrasto estremo tra la risposta del cliente e il il suo tono di voce fece ridacchiare Jack, che si mosse dalla sua solitaria postazione per raccogliere altre briciole e incrociò il suo sguardo.
Per un attimo si guardarono con la stessa espressione divertita, e una sensazione d'intesa inaspettata per poco non fece scivolare la scopa dalle mani di Jack. Quel rischio evitato lo lasciò scosso. Non era normale essere maldestro, per lui.
Si accorse che l'umano lo stava ancora guardando, mentre Aster andava a prendere quello che aveva ordinato, e ricambiò il gesto. Come gli avevano raccontato, non aveva niente di eccezionale – a parte il nome particolare – anzi, somigliava a tanti studenti notati da Jack nel corso della settimana precedente. Capelli castani, occhi verdi e braccia magre nascoste sotto al giubbotto.
Ma allora perché non riusciva a stare tranquillo, e soprattutto a guardare altrove?
Lentamente, comprese il motivo. Lo sguardo di 'Hiccup' si spostò rapido da lui ad Aster, come immerso in un ragionamento, esaminandoli da capo a piedi. Sicuramente stava notando qualcosa a cui di norma gli umani non facevano caso, distratti dal loro fascino anormale. Jack trattenne il fiato, perfettamente consapevole che la facciata mostrata fino a quel momento stava per crollare da un momento all'altro. E non poteva impedirlo.
Ufficiosamente, lui e Aster erano fratelli, ma per quanto lo stesso colore degli occhi e la tonalità insolita della pelle potessero ingannare i più, Jack si rese conto solo allora di quanto quella versione fosse fragile in realtà. A parte quello, non si somigliavano per niente.
Lo sta capendo, pensò, irrigidito dov'era. Non riusciva a muoversi per dare l'allarme, un avvertimento o qualsiasi cosa ad Aster, per avvisarlo che la loro copertura stava per saltare.
Solo un secondo ancora…
…E l'umano si voltò da un'altra parte, apparentemente disinteressato, come se nulla fosse successo.
Le alternative erano due. Uno scherzo dell'immaginazione paranoica di Jack, oppure un'intuizione fatale c'era davvero stata.
Come diceva sempre Nord? "Lo sento in mia pancia."
Be', lo stomaco di Jack non sapeva parlare, ma il suo istinto da cacciatore gli stava urlando di mettersi in salvo, perché era appena successo qualcosa di irreversibile. Per entrambi.



Note
Avrei voluto chiamare il locale 'Tana', ma la mia mente lo avrebbe sempre associato alla Tana di Harry Potter, quindi niente.
Nel prossimo capitolo vedremo la giornata dal punto di vista di Hiccup.



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Capitolo 4
*** III. Contatto / Indiscrezione ***




III

Contatto / Indiscrezione
 
 
Lunedì mattina aprì la settimana con un tempo soleggiato che Hiccup aveva creduto di non rivedere mai più. Si affacciò alla finestra e restò a guardare il panorama insolitamente definito in mancanza di foschia, poi cominciò a prepararsi. Si azzardò a indossare una felpa leggera, ma prese anche la giacca a vento. Non si poteva mai sapere, con la sua fortuna avrebbe potuto benissimo cominciare a diluviare appena avesse messo un piede fuori.
Aveva deciso di saltare la colazione e sgattaiolare via senza farsi vedere, così ricevette una grossa delusione quando andò a sbattere contro suo padre, fermo davanti alla porta d'ingresso con le braccia sui fianchi.
"Puoi scordarti di uscire di nuovo a piedi. Ti porto io a scuola" annunciò mostrandogli le chiavi dell'auto.
La fuga di Hiccup del venerdì scorso non gli era proprio andata giù. Quel giorno, dopo cena, lo aveva rimproverato per essere andato in giro senza stampelle, anche se la sua caviglia ormai era a posto. Dopodiché non si erano quasi mai parlati per tutto il weekend.
Hiccup non sapeva se fosse stato un bene, vista l'atmosfera tesa.
"Papà, senti…"
"In macchina. Adesso" lo interruppe lui severo. Prese lo zaino di Hiccup e il suo braccio e lo trascinò fino all'auto nel vialetto, dove li caricò a forza. Lui protestò, ma Stoick era decisamente più forte, e non poté ribellarsi.
Passarono il breve tragitto in silenzio, mentre Hiccup aspettava con sconforto il momento in cui tutti lo avrebbero visto sulla volante della polizia, quando sarebbe diventato lo zimbello di Forks. Ma forse lo era già, pensò guardandosi il piede sinistro.
Arrivati in vista della scuola, Hiccup si abbassò sul sedile come poteva e costrinse suo padre a fermarsi lontano dal parcheggio.
"Devi avere un permesso, per fermarti là" mentì, e scese dalla macchina senza permettergli di indagare, o di salutarlo. Superò a passo svelto il parcheggio pieno di studenti che si godevano il bel tempo, entrò nell'edificio e raggiunse l'aula di inglese praticamente correndo. Astrid era già lì.
Due cose rendevano Hiccup impaziente di tornare a scuola: la possibilità di stare lontano da suo padre per qualche ora, senza doverne subire la compagnia per nulla esaltante, e rivedere Astrid, con cui aveva scambiato diversi messaggi. La ragazza gli aveva scritto anche nel fine settimana, nonostante non avesse altro da comunicargli riguardo i compiti.
"Ciao" le disse, notando che aveva appoggiato lo zaino sul posto accanto, occupandolo.
"Ciao. Come va la caviglia?" replicò lei, e lo tolse dalla sedia per poggiarlo a terra. Sembrava un invito vero e proprio.
Hiccup si sedette accanto ad Astrid, ancora incredulo di poterle parlare come se la sua vecchia cotta non fosse mai esistita. Doveva indagare.
"Bene. Grazie ancora per avermi fatto compagnia, la settimana scorsa" disse cauto. "Non sapevo che avessi il mio numero."
Lei si passò le dita sulla frangia, a disagio. "Infatti ho chiamato l'ispettore Haddock per chiederglielo."
Era… era davvero tanto impegno, solo per potergli scrivere. Quella ragazza era un mistero.
"Ah" balbettò Hiccup. L'inizio della lezione lo fermò dall'aggiungere altro e lo costrinse a sforzarsi di seguire l'insegnante senza farsi distrarre dalla vicina presenza di Astrid. Forse fu per questo motivo che inglese sembrò non finire mai, ma gli appunti che gli aveva passato la ragazza lo aiutarono a non perdersi nella spiegazione, almeno.
Alla fine dell'ora, si alzò controvoglia dal suo posto, restio all'idea di andare a francese.
Astrid raccolse la sua roba e accennò un minuscolo sorriso. "Ci vediamo a pranzo? Giuro che costringerò Moccicoso a implorarti pietà."
Hiccup alzò la voce per sovrastare il rumore di sedie che grattavano il pavimento e libri che sbattevano. "Sarebbe molto carino da parte tua, sempre che non gli faccia venire voglia di azzopparmi di nuovo."
"Non succederà" rise Astrid avviandosi con lui e la massa di studenti verso la porta. "A dopo."
Al contrario di inglese, l'ora di francese passò in un lampo, mentre Hiccup attendeva con trepidazione la pausa pranzo. Avere qualcuno con cui parlare era un bel cambiamento, diverso dall'aspettativa di farsi un anno scolastico in solitaria.
Era così sovrappensiero che, quando si chinò distrattamente a raccogliere la penna di qualcuno, suonata la campanella, non si accorse della vecchia conoscenza che aveva accanto finché non se la ritrovò faccia a faccia. "Gambedipesce? Sei tu?"
Domanda stupida. La stazza, la chioma bionda e l'aria nervosa del ragazzo erano inconfondibili. Il primo giorno non si era accorto di lui perché aveva passato tutto il tempo a testa bassa, pensò.
"Ah, Hiccup" sussurrò lui. "Mi avevano detto che ti sei trasferito qui da poco. Lunedì scorso non ti avevo nemmeno riconosciuto, sei diventato molto alto." Ormai glielo avevano detto praticamente tutti, ma a lui andava più che bene, era come un travestimento. Crescere di venti centimetri in tre anni era stato un bel colpo.
"Già."
Gambedipesce annuì incerto e tornò a infilare le sue cose nello zaino.
Hiccup aveva un ricordo piuttosto sbiadito di Ingerman, o Gambedipesce per gli amici. Alle medie era sempre appiccicato a Jorgenson, i gemelli Thorston e Astrid, però non si univa volentieri alle loro malefatte, finendo per essere preso in giro per la sua presunta codardia. Al tempo gli aveva dato l'impressione di preferire i libri alle scorribande, e di essere il più gentile dei cinque. Forse potevano andare d'accordo; anche Hiccup amava la lettura.
"Ehm, per quello che è successo la settimana scorsa…" bofonchiò Gambedipesce a voce bassa, tanto che Hiccup dovette avvicinare l'orecchio, "mi dispiace, a volte Moccicoso esagera."
Be', 'esagerare' era un eufemismo.
"Figurati, sarà successo perché non mi ha notato" ironizzò Hiccup mettendosi lo zaino in spalla. Sospirò vedendo Gambedipesce sbattere confuso le palpebre. Nessuno a Forks sembrava in grado di comprendere il concetto di sarcasmo. "Ci vediamo."
In palestra c'era già Skaracchio, più trasandato che mai nella sua vecchia tuta grigio polvere. Lo stesso cesto di palloni dell'ultima volta, parcheggiato vicino, premetteva un'altra lezione di pallacanestro.
"Ehi, Hic!" esclamò il professore, vedendolo. "Scusa, ma oggi ti tengo in panchina. Non vogliamo rovinarti quella caviglia, eh?"
Hiccup, che si era cambiato per pura scaramanzia, ringraziò chiunque lassù gli avesse concesso un raro momento di tregua e andò a sedersi. Con un po' di fortuna avrebbe saltato ginnastica almeno un'altra volta.
Osservò gli altri studenti entrare in palestra e gemere alla vista del cesto. Tra questi spiccava lo sgambettatore da incubo di Hiccup.
"Che palle, ancora basket? Sono stufo, voglio fare qualcosa di divertente" mugugnò Jorgenson trascinando i piedi.
Qualcuno gli fece eco. "Quando passiamo al nuovo argomento?"
"State zitti, qui il prof sono io. Adesso fate le squadre e lasciatemi in pace" berciò Skaracchio, e si sedette accanto a Hiccup aprendo il registro per controllare chissà cosa.
Lui passò il resto dell'ora a guardare gli altri giocare, rabbrividendo a ogni fallo commesso da Jorgenson, che non aveva mai visto tanto imbronciato. Distribuiva violente gomitate e imprecava ogni volta che gli veniva sottratto il pallone. Chissà, forse essere troppo basso per la pallacanestro lo innervosiva.
Perlomeno nessuno fece caso a Hiccup, in tutta probabilità per la presenza pericolosa di Skaracchio. Nessuno sano di mente avrebbe cercato di attaccar briga in faccia a un'insegnante.
Finita anche l'ora di educazione fisica, Hiccup seguì gli altri alla mensa, che non aveva ancora avuto l'occasione di visitare. Non era troppo diversa da quella della sua vecchia scuola, tranne per la grandezza ridicola. Nella sala c'era già un gran chiacchiericcio e diverse persone fissarono Hiccup senza vergogna. Adesso la sua fama lo precedeva.
Recuperato vassoio e pranzo, individuò facilmente il tavolo dov'era seduta Astrid e si avvicinò con circospezione.
"Eccoti, bene" disse lei indicandogli una sedia vuota. "Qui è libero, vieni."
Di fianco a lei c'era Gambedipesce, che sollevò la testa dal suo libro giusto il tempo di fargli un timido cenno. I gemelli invece stavano inscenando un combattimento all'ultimo sangue con le forchette, e Jorgenson sedeva scomposto e avvilito al lato opposto. Hiccup si accomodò alla sinistra di Astrid e diede un'altra occhiata alla mensa che si stava riempiendo gradualmente. Realizzò per la prima volta quanto esiguo fosse il numero di alunni.
"Che ci fa qui lui?" sbottò Jorgenson quando si accorse di Hiccup. Il suo vassoio era ancora intoccato.
Astrid lo guardò storto. "L'ho invitato io, e se non ti va bene puoi anche andartene. Piuttosto, dovresti chiedergli scusa."
Moccicoso borbottò un 'mi dispiace' poco convinto senza incrociare lo sguardo di Hiccup, che alzò le spalle all'espressione esasperata di Astrid. Poco male, era più di quanto avesse ottenuto nei suoi primi quattordici anni a Forks.
"Sorella, perché la tua scherma oggi fa schifo?" lamentò il ragazzo Thorston, Tufo, abbandonando la sua forchetta sul piatto con uno sbuffo.
La sua gemella, Bruta, era distratta a fissare un punto dall'altro lato della mensa. "Non c'è il fusto che ha sfidato Moccicoso, che delusione."
Hiccup e Astrid seguirono i suoi sguardi languidi verso il tavolo vuoto, intorno al quale sembrava essersi formato un campo di forza che respingeva i comuni mortali.
"Forse quei due si sono ammalati" ipotizzò Astrid tornando a rivolgersi agli amici. Hiccup intuì che si stessero riferendo ai nuovi arrivati di cui aveva accennato in infermeria. L'aura di mistero che avvolgeva le loro identità lo incuriosiva.
"Che tipi sono?"
"Strani" rispose Astrid in tono neutrale.
"Strafighi da paura" affermò Bruta con occhi sognanti.
"Distanti" commentò Gambedipesce brevemente.
"Ricconi del cavolo" borbottò astiosamente Moccicoso.
"Alieni" sostenne Tufo con sicurezza.
L'insieme delle loro definizioni contrastanti fornì a Hiccup un quadretto a dir poco bizzarro. Si immaginò una coppia di super modelli con la pelle grigia, le antenne e gli abiti firmati.
"Non essere ridicolo, Tufo, gli alieni non esistono" sbuffò Astrid addentando una mela.
Lui assunse un'espressione assolutamente indignata. "Ma hai visto come Moccicoso se la stava facendo sotto, l'altro giorno? Quei due non sono terrestri, dammi retta."
"Ero tranquillissimo, invece" sostenne Jorgenson alzando ostentatamente il mento, con un barlume della solita arroganza negli occhi.
"Devi ammettere che quel tipo ti ha intimidito" disse Astrid pensosa. "Mi chiedo come abbia fatto."
Moccicoso non rispose e tornò a ingrugnirsi sul suo pranzo, mortalmente offeso. Hiccup si sentiva un po' dispiaciuto per lui, che sapeva andare pazzo per Astrid, in quel momento assorta nel ricordo dei nuovi arrivati.
"Può darsi che ci sembrano strani perché non sono di queste parti. Hiccup non fa lo stesso effetto perché è nato qui" suppose Gambedipesce abbandonando il suo libro. L'interesse scientifico aveva preso il sopravvento.
"Infatti vengono da Marte" aggiunse Tufo, che non ci pensava nemmeno a lasciar perdere quella teoria.
"Marziani o no, come si chiamano?" chiese Hiccup.
"Toothiana Guardian e Jack Frost" rispose prontamente Bruta. "Lui è figlio di un giocattolaio e ha un fratello più grande. La ragazza è loro cugina ed è stata adottata dallo zio, o è in affidamento, non so."
"Sei ben informata" disse Moccicoso guardandola di sottecchi.
"Girano un sacco di voci su quei due" si giustificò Bruta.
"Ho sentito che lavorano come modelli per degli stilisti famosi, vengono dalla Russia e ora abitano in una villa sulle montagne qui vicino" raccontò Gambedipesce annuendo con fervore.
Astrid alzò gli occhi al cielo. "Sono solo pettegolezzi stupidi."
Chiusero lì il discorso, finirono di mangiare e si separarono per tornare nelle rispettive classi. Hiccup rimuginò tutto il giorno su quello che gli avevano detto, chiedendosi se sarebbe riuscito a incontrare gli studenti ignoti l'indomani.

Quel pomeriggio si prese avanti con i compiti.
Avrebbe voluto sedersi in giardino per farli, ma la bella giornata non era ovviamente destinata a durare, e il cielo si era ingrigito. Hiccup restò a malincuore dentro casa, dove occupò la traballante scrivania in camera sua.
Alla seconda settimana di scuola era già sommerso di compiti, così era ancora all'opera quando suo padre tornò dal lavoro. Stoick si tolse il cappotto e andò al divano mentre Hiccup scendeva le scale. Sembrava molto stanco.
"Ti dispiace se ordiniamo una pizza?" suggerì allungando un braccio sullo schienale del divano.
"Chiamo io?"
Intanto che telefonava alla pizzeria più vicina, Hiccup osservò suo padre che si stropicciava il viso con le mani, e si sentì terribilmente in colpa. Quella mattina non lo aveva neanche salutato, prima di correre a scuola.
Finito di ordinare, si sedette al suo fianco nello spazietto lasciato libero a lato, l'unico che la stazza del padre non riusciva a riempire.
"Giornata difficile?" testò.
"Pessima. C'è stata un'aggressione, stamattina, ma il tizio è scappato, e continuiamo a ricevere segnalazioni di grossi animali nella foresta" disse Stoick scuotendo la testa.
"Strano, non è stagione."
"Infatti" proseguì lui accalorandosi. "Da quando lavoro non ho mai avuto una giornata peggiore. Di solito è così tranquillo, qui."
Il loro scambio venne interrotto dall'arrivo della cena, dopodiché Stoick propose di spostarsi in cucina, ma Hiccup lo convinse a rimanere sul divano. Accese la televisione e guardarono in silenzio un programma a caso mentre mangiavano. Hiccup avrebbe detto di star passando la serata migliore dal suo arrivo, quando suo padre aprì bocca.
"Com'è andata a scuola?"
Ah, la domanda più temuta da ogni adolescente! Trattenersi dal rispondere solo 'bene' richiese uno sforzo titanico.
"Alla grande. Ho una valanga di compiti da finire."
"E… ti sei fatto nuovi amici?" chiese Stoick tentennando. "Dovrebbe esserci qualche tuo vecchio compagno delle medie, se ricordo bene."
"Certo. Astrid Hofferson mi ha invitato a mangiare con i suoi amici, oggi" rispose Hiccup rapidamente. Okay, era ancora presto per definirla 'amicizia', ma poteva permettersi di mentire a fin di bene, no?
"Ora che ci penso, la giovane Hofferson mi ha chiesto il tuo numero appena ti sei fatto male. Voi… voi due…"
"Siamo amici" rimarcò Hiccup accigliandosi. Stava insinuando che ci fosse dell'interesse tra loro, non aveva dubbi.
"Certo. Siete così diversi, cosa vado a pensare" borbottò Stoick prendendo un'altra fetta di pizza.
"Che vuoi dire?"
"Insomma, lei è in gamba e sportiva, mentre tu sei… tu."
Lo aveva detto accennando a Hiccup nella sua interezza, a cui ora era completamente passata la fame.
"Bene, io vado a fare due passi" sbottò lui, alzandosi di scatto. Non gli faceva piacere il confronto meschino appena fatto dal padre.
Lui rimase di stucco di fronte alla sua reazione, ancora con la pizza in mano. Hiccup lo ignorò e andò alla porta, dove strappò via il giubbotto dall'attaccapanni e si infilò nel vialetto senza aggiungere una parola.
Era arrivato al marciapiede, quando cominciò a piovere. Hiccup strinse le labbra e si alzò il cappuccio, morendo dalla voglia di lasciarsi andare a un grido di sfogo. Perché Stoick doveva sempre paragonarlo agli altri ragazzi? Non poteva arrendersi al fatto che lui non fosse atletico o popolare come loro, e mettersi l'anima in pace? Il senso di inadeguatezza era stato una delle piaghe che Hiccup sopportava da quando ne aveva memoria: non era eccezionale in niente di convenzionale, e la gente non mancava mai di farglielo notare.
L'istinto, si rese conto, lo aveva portato nuovamente al parchetto abbandonato, di fronte alle colonne di mattoni rossi. Ricordando cos'era successo l'ultima volta che era stato lì, gli venne in mente un solo posto dove rifugiarsi.
Venerdì lo aveva trovato casualmente, perciò impiegò qualche minuto in più per ritrovare il Nido, ma una volta vicino lo vide subito grazie alle vetrate colorate. Stavolta notò che l'insegna di ferro rappresentava un coniglio nel mezzo di un salto.
Entrò e si asciugò le scarpe bagnate sullo zerbino alla bell'e meglio, mormorando insulti contro la maledetta pioggia che infuriava fuori.
Il barista lo salutò da dietro il bancone lucido. "Ah, Hiccup, bentornato."
Anche quella sera era impeccabile, nemmeno l'umidità sembrava avere effetto sui suoi capelli. Se il nome di Hiccup non fosse stato particolare, poi, quest'ultimo sarebbe stato sorpreso che se lo fosse ricordato.
"Oggi prendi qualcosa di caldo?" aggiunse Aster.
Hiccup passò in rassegna i tavolini della caffetteria e ne scelse uno libero. Come promesso venerdì scorso, era molto più affollato.
"Credo proprio di sì. Sono quasi annegato" si lagnò sedendosi. Non si tolse il giubbotto per timore di infradiciare il pavimento, anche perché aveva visto di sfuggita un ragazzo armato di scopa.
"Non ti piace il clima di Forks?" disse cortesemente Aster dopo aver raccolto la sua ordinazione per un caffè.
Che domande!
"Come no" replicò Hiccup acidamente. "L'umidità costante che si appiccica su tutto, il sole inesistente, la pioggia perenne… Lo adoro."
Sorprendentemente, Aster non si offese per il suo tono maleducato, che una persona normale avrebbe ritenuto offensivo, ma una reazione la ottenne comunque: qualcuno ridacchiò da un angolo.
Stupito che qualcuno fosse divertito dal suo sarcasmo, al contrario della maggior parte della popolazione della città, Hiccup cercò la provenienza della risata e ne incrociò lo sguardo, curioso. Era lo stesso ragazzo con la scopa di prima, che adesso si era spostato in un punto del locale maggiormente illuminato dal lampadario.
La prima cosa che saltò all'occhio di Hiccup furono le sue iridi ambrate, poi processò la visione d'insieme e dovette ammettere che fosse incredibilmente bello. Aveva la stessa divisa di Aster e il suo colorito chiaro, ma i capelli erano bianchi e corti. I lineamenti del viso erano armoniosi, morbidi sulle guance e decisi lungo la mascella. Aveva le labbra arricciate in un sorriso impertinente.
Non aveva bisogno di presentazioni, quello era palesemente Jack Frost.
Anche lui lo stava fissando. Hiccup si strinse le mani intorno alle braccia, sentendosi impresentabile, ma non distolse lo sguardo.
Paragonato ad Aster, era più basso e sottile, e la forma del viso era diversa, tuttavia avevano qualcosa che li faceva assomigliare tra di loro. Erano entrambi pallidi, però a Forks voleva dire ben poco. Gli occhi, invece, erano senz'altro gli stessi.
Qualcosa nel ragazzo era come ipnotizzante. Hiccup ebbe l'irragionevole impulso di fuggire, per un secondo, finché non si costrinse a ragionare.
È solo un tizio carino, si rimproverò imbarazzato dalla sua stessa reazione. Datti una calmata.
Si girò piuttosto verso le finestre bagnate da rivoli di pioggia, e ringraziò calorosamente Aster quando tornò con il suo caffè.
Gli ci voleva proprio.

*


Jack scivolò silenziosamente dietro al bancone, dove Aster era tornato a preparare gli ordini per i prossimi clienti. Era ancora irrequieto per quanto accaduto.
Certo, non era successo alcun fatto epocale, ma qualcosa nel modo in cui quell'Hiccup lo aveva guardato aveva turbato l'animo di Jack, che non riusciva a togliersi dalla testa la sequenza di eventi a rallentatore. L'umano aveva osservato nell'ordine: Jack, poi Aster, ancora Jack e alla fine entrambi, in quello che era stato indubbiamente un confronto. Però, aveva anche facilmente (e incredibilmente) distolto lo sguardo come se nulla fosse, quindi chi poteva dirlo?
C'era un punto importante da chiarire, prima.
"Ehi" bisbigliò ad Aster sciacquando una tazza nel lavello. Il rumore della pioggia sul tetto copriva facilmente le sue parole. "Gli hai detto che siamo fratelli?"
"Certo, perché?" mormorò di rimando l'altro, senza distogliere l'attenzione dalle sue mansioni.
Jack rifletté un momento sull'approccio da applicare. Decise di essere chiaro e conciso.
"Prima ci ha guardati, e ho avuto una bruttissima sensazione. Credo che… che abbia avuto dei dubbi."
"Dubbi su cosa?"
Jack abbassò ulteriormente il volume. "Sulla nostra presunta parentela."
Aster rilassò leggermente le spalle. "Ma figurati. E poi, che vuoi che gliene importi?"
"Mh."
Hiccup stava serenamente sorseggiando il suo caffè, quando Jack si voltò rapidamente a controllare. Nonostante lo scetticismo di Aster, lui continuava a non darsi pace. Nord avrebbe sicuramente preso in giro la sua paranoia. Ma sì, come potrebbe arrivarci da solo?, pensò Jack tentando di essere ragionevole. È solo un ragazzo.
Ma il ricordo nitido dell'espressione che aveva avuto poco prima, così sveglia, così attenta, lo stava assillando ancora. Non gli aveva dato l'impressione di un tipo superficiale, piuttosto di una persona estremamente analitica.
Il rumore della sedia che si spostava riscosse Jack dalle sue riflessioni. Hiccup si era alzato, dopo aver lasciato i soldi sul tavolino, e stava studiando sconsolato la situazione all'esterno, che era solo peggiorata. Si sarebbe preso un brutto malanno, uscendo.
Colto da un'improvvisa ispirazione, Jack volò nel retro del locale, nella stanza dove di solito si cambiava nella divisa, e recuperò un ombrello dall'armadietto a cui aveva fatto caso il primo giorno.
Tornò da Hiccup e gli porse l'oggetto, fiero della sua idea. "Puoi usare questo."
Lui lo guardò nuovamente come se avesse voluto scrutarlo nel profondo. Dio, che impressione. "Sicuro? Non resterai senza, così?"
"Ne ho un altro" mentì spudoratamente Jack. Tanto, a lui non sarebbe servito. Non si sarebbe ammalato per un po' di pioggia. O per altro.
Vedendo l'esitazione di Hiccup, Jack sorrise istintivamente. Voleva essere un sorriso incoraggiante, ma gli tornò in mente quello che Toothiana gli aveva raccomandato un milione di volte: "Non sorridere mai troppo, mette terribilmente in soggezione gli umani."
Ooops.
"Allora grazie" accettò Hiccup. Non aveva fatto un piega, tanto che stavolta toccò a Jack tentennare.
Si riscosse in fretta, confuso da quella seconda dimostrazione di impassibilità, e gli diede l'ombrello senza aggiungere altro. Hiccup aprì la porta e si alzò il cappuccio del giubbotto.
"Ehm" scattò Jack ricordandosi del suo piano, "puoi ridarmelo domani a scuola, va bene?"
"Ah, certo. Ci vediamo" rispose lui, e uscì definitivamente.
Jack ignorò la sensazione di Aster che lo fissava alle sue spalle, rallegrandosi ancora per la sua trovata. In quel modo si sarebbero rivisti il giorno dopo e avrebbero potuto parlare.
Se Aster non voleva dargli retta, allora avrebbe indagato da solo.

Il mattino dopo sembrò non arrivare mai e Jack passò tutta la notte a camminare in cerchio nella sua stanza.
Alle otto non disse nemmeno 'buongiorno' a Toothiana, ma era già in salone ad aspettarla tamburellando il parquet con la punta del piede, fremente d'impazienza.
"Come mai tutta questa fretta? Non vedrai l'umano almeno fino a pranzo, rassegnati" disse lei scendendo le imponenti scale che portavano all'ingresso. Si era messa dei jeans e un maglioncino turchese.
"C'è qualcosa di male nel voler arrivare in orario?" rispose lui distrattamente, conscio che Toothiana non se la sarebbe mai bevuta.
Infatti, lei storse il naso. "Suppongo di no, ma comunque non capisco la tua smania di parlargli. Cosa pensi di ricavarne?"
"Andiamo," ribatté Jack aprendole la porta che dava sul corridoio che scendeva al garage, "hai visto anche tu come si è comportato, non dirmi che è normale."
Appena tornato a casa, la sera prima, era corso in camera della ragazza per raccontarle cos'era successo, e glielo aveva mostrato in modo che comprendesse. Era disperatamente alla ricerca di qualcuno con cui condividere la sua teoria, perché di quello si trattava. Le prove le avrebbe raccolte quel giorno.
"Va bene, è stato strano" gli concesse Toothiana cercando le chiavi della macchina sul pannello lì vicino. "Solo… stai attento, se davvero si tratta di un umano particolarmente perspicace. Un altro contatto potrebbe essere pericoloso."
"Sissignora."
Jack seguì Toothiana fino al garage, dove stava l'auto che Nord aveva dato loro in prestito per andare a scuola, dato che correre lungo l'autostrada avrebbe dato un po' nell'occhio. Salì sul posto del passeggero e gettò lo zaino sui sedili posteriori senza tante cerimonie. Toothiana mise in moto e imboccarono la strada asfaltata.
Il cielo sopra le loro teste minacciava altra pioggia, e quando arrivarono in vista della scuola notarono molti studenti portarsi dietro l'ombrello. Tra qualche ora Jack avrebbe riavuto il suo, o meglio, quello di Aster.
Toothiana svoltò a destra e parcheggiò abilmente in un posto stretto fra due fuoristrada, senza nemmeno doversi voltare per fare manovra, in un gesto automatico che Jack le invidiò: così come Aster gli proibiva di utilizzare la macchina per il caffè, lei insisteva per guidare. Non lo lasciavano mai divertirsi, quei guastafeste.
I due si divisero nell'atrio, Toothiana diretta all'aula di trigonometria, Jack verso la palestra. Lui entrò nello striminzito spogliatoio maschile, mescolandosi quatto quatto tra i ragazzi umani, che non fecero troppo caso alla sua presenza. Ormai si erano pressoché abituati. Jack si cambiò rapidamente e, sempre mimetizzandosi nel gruppo di umani, varcò la soglia della palestra.
Quel matto del coach Skaracchio li accolse con un annuncio sull'argomento del giorno senza premurarsi di salutarli come si deve. "Oggi studiamo il badminton! Mettetevi in gruppi da quattro e prendete racchette e un volano per squadra, su, svelti!"
Non c'era lezione che non aprisse ordinando di dividersi, come Jack aveva imparato dopo qualche giorno. Di solito il professore restava poi al suo banchetto a leggere chissà cosa, buttando di tanto in tanto un occhio sui suoi allievi, giusto per controllare che non combinassero guai. Pareva annoiato dal suo stesso lavoro.
La classe cominciò quindi ad assemblarsi in gruppetti, chi nel tentativo di stare con gli amici, chi percuotendo gli altri con le racchette raccolte dal loro scatolone. Jack non si stupì di essere rimasto da solo, guardandosi intorno. La studentesca non lo fissava più come prima, ma questo voleva dire che ora stavano alla larga da lui e Toothiana.
Lo sapeva bene, tuttavia la cosa gli dispiaceva comunque. Non era bello essere ignorati.
La vista di un trio di ragazzi fece capire a Jack di dover cogliere l'occasione e farsi avanti, quindi li avvicinò sforzandosi di non allargarsi troppo in un sorriso e alzò una mano. "Vi manca un giocatore?"
Una ragazza fece spallucce e gli passò una racchetta, invece gli altri due lo guardarono stringendo le palpebre. Jack si ricordò di loro da quel giorno in cui aveva avuto un confronto con Moccirobo, tempo prima.
Dovevano averlo riconosciuto a loro volta, perché il ragazzo alzò le braccia al cielo con un movimento teatralmente esasperato, mentre la ragazza spalancava gli occhi azzurri, rapita.
"Frost?!" boccheggiò scuotendo i capelli biondi.
Jack, che sotto al suo sguardo adorante si sentiva un po' a disagio, annuì guardando altrove. "Già. È un piacere, non ci vediamo da quanto? Ventiquattro ore?"
"Non ci siamo mai parlati, bello" puntualizzò il maschio. "Io sono Testaditufo, o Tufo per gli amici. La racchia qui è Bruta."
Bruta gli mollò un pugno sulla schiena. "Ops, pensavo fossi il volano. E la mia mano la racchetta."
"Errore comprensibile, sorella. Siamo i Temibili Thorston, comunque" disse Tufo senza fiato. Diede il pugno a Jack, che fu lieto di non dovergli stringere la mano.
Presero un angolo della palestra per loro, si divisero in coppie — i gemelli da una parte, Jack e l'altra ragazza da quella opposta — e iniziarono a giocare. I due fratelli erano più competitivi del previsto, e la gara assunse un ritmo serrato in pochi minuti.
Jack si stava divertendo come mai aveva fatto a lezione, contento di giocare con un minimo d'impegno, per quanto infinitesimale. Doveva ricordarsi di lasciare che anche la sua compagna di squadra rispondesse a qualche battuta.
Purtroppo con il passare del tempo, gli altri, agguerriti ma pur sempre umani, mostrarono i primi segni di stanchezza, e Jack era ormai in modalità automatica. Per poco non sbadigliava. Si lasciò andare al pensiero del vicino incontro con Hiccup, immaginando cosa gli avrebbe detto. Doveva essere intimidatorio, oppure vago? O entrambi?
Non era certo delle parole giuste da usare per dopo. Detta ad alta voce, la sua teoria suonava piuttosto sciocca: "mi hai fissato in modo strano, che hai da dichiarare in proposito?" Rischiava di suonare come un bulletto, offeso per un nonnulla. No, doveva essere molto attento, e interrogarlo in modo che non se ne accorgesse. Qualche domanda qui e lì, niente di allarmante.
Può funzionare, pensò soddisfatto.
Avrebbe solo dovuto fare attenzione…
CRASH!, il rumore cristallino di un vetro che andava in mille pezzi lo fece distrarre dalla partita. Seccato dal dover interrompere il gioco, alzò lo sguardo verso la fila di lucernari che permettevano al sole di illuminare la palestra, chiedendosi chi fosse stato l'idiota maldestro. Tutti fecero lo stesso, e per un momento quindici persone rimasero a guardare in silenzio la vetrata in frantumi.
Poi quattordici teste si girarono a guardare Jack a occhi spalancati.
Ah. Doveva essersi deconcentrato un attimo di troppo.
"Woah, che colpo, amico! Ma come hai fatto?" esclamò Tufo interrompendo il silenzio glaciale. Il suo commento echeggiò nella palestra muta fino al coach Skaracchio, che si alzò dal suo banco grattandosi la testa.
"È stato un tiro eccezionale, Frost, ma dovrai raccontarlo anche al preside" brontolò. Il cappello da baseball gli pendeva storto senza nascondere del tutto la pelata.
Jack non poté far altro che annuire e arrendersi a una camminata della vergogna attraverso la palestra, sotto gli occhi esterrefatti dei suoi compagni. Toothiana lo avrebbe ucciso, però avevano ragione: aveva colpito il lucernario esattamente al centro, dove adesso si apriva un foro frastagliato a forma di volano. Bel colpo davvero.
Il colloquio con il preside non fu nemmeno tanto male, essendo quella la prima volta che Jack combinava qualcosa. Anzi, sembrò impressionato anche lui e lo mandò in classe solamente con un monito. Al secondo vetro rotto, però, disse che lo avrebbe sospeso. E che intanto avrebbe parlato con i suoi genitori per ripagare la scuola.
Oh, Toothiana lo avrebbe fatto in mille pezzi a cui poi dar fuoco.
E infatti, quando Jack si affacciò lentamente all'aula di spagnolo per controllare che aria tirasse, dopo essere tornato dallo spogliatoio, lei era lì con espressione inviperita.
"Una cosa ti ho chiesto di fare. Una! Tutta la scuola ne sta già parlando, ti rendi conto della gravità del tuo errore? Nord dovrà anche pagare i danni" sussurrò iniziata la lezione. La sua collera aveva già ceduto il posto alla delusione, che era pure peggio.
"È stato un incidente" disse Jack di rimando, a denti stretti. "Non lo farò più, giuro."
Il ricordo recente di lui che prometteva circa la stessa cosa gli invase la mente. Toothiana non disse nient'altro e fissò cupa il suo libro di spagnolo, come se avverbi e preposizioni le avessero fatto un torto personale.
L'aspetto più fastidioso era che aveva ragione, era la seconda volta che sgarrava, perciò Jack la lasciò in pace e aspettò che finisse l'ora, pensando di farle passare l'arrabbiatura, ma la sua strategia non bastò e anche durante biologia lei non gli rivolse la parola. Poteva solo sperare in una riappacificazione a casa.
Fu con lucida determinazione, quindi, che Jack arrivò nella mensa mezza vuota e cercò Hiccup con lo sguardo. Non vedendolo, andò a sedersi con Toothiana al loro solito tavolo, dove lei gli tenne il muso.
Stava perdendo l'ottimismo, quando lo individuò in mezzo a un gruppo diretto a un posto poco distante. Anche lui lo notò subito, e risparmiandogli di decidere se restare dov'era o venirgli incontro, si distaccò dai suoi amici e raggiunse il tavolo di Jack.
"Grazie per ieri" disse restituendogli l'ombrello. A differenza del giorno prima indossava un maglione scuro. "L'altra volta non mi sono presentato, sono Hiccup Haddock, o Hic."
"Jack Frost" replicò lui annuendo. "Ho sentito che sei nuovo anche tu, non lo sapevo."
Hiccup spostò il peso da un piede all'altro, imbarazzato. "Sì, cioè, almeno qui a scuola. Però voi siete già popolari, a differenza di me." "Davvero?"
"Già. Girano un sacco di storie pazzesche su voi due" aggiunse con mezza risata, probabilmente ricordando qualcosa di divertente.
"Storie?" chiese in fretta Jack, risultando immediatamente sospetto. Ovviamente a Hiccup non sfuggì il suo tono acuto, e inclinò impercettibilmente la testa.
"Ah, niente di brutto. Solo qualche voce su tuo padre e su dove abitate" specificò.
Jack si rese conto che Hiccup lo aveva fissato dritto negli occhi per tutto il tempo. Quella consapevolezza lo turbò ulteriormente; gli umani tendevano ad evitare di farlo, visto che li intimoriva. Invece quel ragazzo, solo il cielo sapeva perché, rifletteva ancora l'immagine di Jack nelle iridi verde foresta, restituendogli il suo stesso riflesso spaesato. Si vedeva che era teso, eppure non abbassava lo sguardo.
Un rapido flash del funesto centro perfetto di poco fa balenò nella visione periferica di Jack, che capì il messaggio d'avvertimento di Toothiana e si riscosse.
"E secondo te sono vere, queste dicerie?" chiese allora, sfoggiando la sua migliore intonazione persuasiva. Gli avrebbe cavato le parole di bocca, se necessario.
"Direi di no, anche se quella sulla villa in montagna mi sembra valida" scherzò Hiccup rilassandosi.
Jack suppose che concedendogli un indizio lo avrebbe spinto a confessare. "In realtà è quasi vero. Casa nostra è abbastanza grande ed è vicina a quella zona" rivelò.
"Ma dai" disse Hiccup, istantaneamente interessato. "Ed è vero anche che tuo padre è un mafioso russo?"
Stava ridendo apertamente, mostrando di non credere a una sola parola, ma l'accuratezza inconsapevole di quella supposizione era vagamente inquietante. Jack si ripromise di fare maggiore attenzione ai pettegolezzi, d'ora in avanti.
"Quasi. Inventa giocattoli e dona molto in beneficenza, è praticamente la stessa cosa" rispose. Hiccup sorrise alla battuta.
Alla destra di Jack, Toothiana tossì per farsi notare, tamburellando le dita sul tavolo.
"Giusto. Hiccup, questa è mia cugina Toothiana" la presentò lui. Lei gli fece un breve cenno di saluto, risultando comunque cordiale grazie al sorriso materno che sfoggiò (a bocca chiusa).
"Piacere" disse Hiccup. "Che materia avete dopo? Magari siamo insieme."
"Ginnastica" rispose secca Toothiana. A quanto pareva aveva tutta l'intenzione di rimanere imbronciata per il resto della giornata.
Hiccup alzò le sopracciglia e guardò Jack con curiosità e… dubbio? "Ah, giusto, ho sentito dai Thorston che hai spaccato una finestra, prima. Com'è successo?"
"Se ti siedi te lo racconto" azzardò Jack indicando il posto vuoto di fianco a lui. Il ricordo dei moniti di Nord lampeggiò minaccioso sui suoi occhi per l'ennesima volta.
Hiccup obbedì, come inconsciamente, ma non fu sufficiente per dar tempo a Jack di campare in aria una storiella qualunque. Doveva attenersi ai fatti.
"Mi sono distratto e ho colpito il volano troppo forte." Jack fece una piccola smorfia come a dire 'ops', cercando di non badare a Toothiana che alzava gli occhi al cielo.
Hiccup scosse la testa. Ora che era seduto accanto a lui, Jack poteva vedere chiaramente ogni sua lentiggine. "Assurdo."
Lo era davvero.
Jack alzò le spalle. "Sono forte, che ci vuoi fare."
Aveva sentito diverse volte gli altri ragazzi vantarsi in quel modo per fare colpo, ma detto da lui aveva tutto un altro significato. Strizzò l'occhio in un gesto fin troppo sfacciato verso Hiccup, che ridacchiò nuovamente, imbarazzato.
Non era mai stato così vicino a un umano. Fino a quel momento non aveva avuto particolari difficoltà nel soffocare la sete, grazie anche all'aiuto tempestivo di Toothiana, ma per la prima volta Jack sentì la gola ardere di desiderio: l'odore di Hiccup gli arrivava chiaro e intenso all'olfatto.
Il peso di quella rinnovata e dolorosa realizzazione lo colpì duramente, ricordandogli la sua vera natura. Non ebbe neanche bisogno dell'intervento di Toothiana.
Jack si schiarì la voce. "Meglio se torni dai tuoi amici, o salterai il pranzo per colpa nostra" disse. "Io ho trigonometria, dopo, tu?"
"Anch'io" rispose Hiccup alzandosi. "A dopo, allora."
"Sì."
Jack guardò come in tralice l'altro ragazzo raggiungere la tavolata dei suoi amici, tra cui risaltavano i gemelli e quel Moccichetto arrogante, dopodiché si voltò verso Toothiana.
"Lo so che disapprovi tutto questo" mise le mani avanti. "Ma fidati di me. L'ho in pugno."
"Forse hai ragione. Parlargli ancora potrebbe essere utile, alla fine" lo sorprese lei, riflettendo.
"Ah, allora—"
"Però," e Toothiana si sporse verso di lui abbassando la voce, "non farti coinvolgere troppo, d'accordo?"
Jack tacque e annuì con la mano sul cuore.
Doveva smettere di fare promesse.



Note
Il primo incontro dei nostri protagonisti è proprio quello descritto nella prefazione, se qualcuno se lo stava chiedendo!
Spero che nessuno risulti eccessivamente OOC, mantenere delle reazioni coerenti con i caratteri personaggi è stato difficile, spesso.



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Capitolo 5
*** IV. Fascino / Cotta ***




IV

Fascino / Cotta
 
 
Mentre Hiccup tornava verso gli sguardi curiosi degli altri in attesa di un resoconto, pensò che la giornata stesse prendendo una piega inaspettatamente piacevole.
A parte Stoick, che quel mattino era stato prevedibilmente scorbutico per via della loro discussione su Astrid, il resto del tempo era stato gradevolmente tranquillo. Durante l'ora di inglese aveva chiacchierato con lei, che aveva rinnovato l'invito a pranzare con i suoi amici, così come per Gambedipesce a francese, poi aveva saltato ginnastica e ancora non pioveva. Una meraviglia, insomma.
Hiccup prese posto insieme al resto di quello strambo gruppo e venne inondato di domande.
"Che voleva?"
"Ti ha minacciato?"
"Hai scoperto qualcosa su di loro?"
Cercò di calmare le acque. "Dovevo solo restituire una cosa, e sì, ho delle nuove informazioni, direi."
Astrid si sporse verso di lui sfiorandogli un braccio. "Dai, raccontaci."
Hiccup riferì quello che gli aveva detto Jack, compresa la conferma della storia che circolava da qualche ora sull'incidente del lucernario in palestra (era sempre più convinto che quel posto fosse maledetto). Mentre parlava, continuava a riflettere su quest'ultima, chiedendosi quanta forza ci volesse per un'impresa simile, dato che i lucernari erano spessi e parecchio in alto.
Gli altri furono parzialmente delusi dal suo rapporto scarno.
"Ha solo smentito qualche voce" commentò insoddisfatto Gambedipesce.
"Non ci conosciamo nemmeno, cos'altro avrebbe dovuto dirmi?" disse Hiccup cominciando a mangiare.
Bruta sospirò in maniera plateale. "Che uomo del mistero!"
"Il signor Frost dev'essere molto famoso nel suo campo, per permettersi una villa, ma non mi pare di averlo mai sentito. Strano" disse Astrid, che non aveva tolto la mano dal braccio di Hiccup. La cosa lo stava mettendo leggermente a disagio, ma non quanto l'espressione risentita di Moccicoso, che stringeva la forchetta di plastica come un'arma.
"Chissenefrega. Sono solo due spocchiosi" grugnì quest'ultimo acidamente.
"Ha ragione" intervenne Tufo. "Le ipotesi sono inutili, tanto è scientificamente certo che sono—"
"Alieni" conclusero loro in un coro stanco.
Lui si passò drammaticamente una mano sulla fronte. "Miscredenti."
"Almeno la loro macchina attira meno attenzioni di quella tua stupida motocicletta, Moccicoso" ribatté intanto Bruta. "La tua è tutta invidia."
Quando era arrivato a scuola, qualche ora prima, Hiccup aveva dovuto sgomitare per attraversare la piccola folla radunata intorno a una moto dall'aspetto antiquato, ferma nel parcheggio di fronte all'entrata, su cui Jorgenson montava tutto orgoglioso.
"La mia Zannacurva non è stupida. Diglielo anche tu, Astrid, che le moto sono forti" disse lui cercando sostegno mentre, sentendo il nomignolo, Bruta faceva finta di vomitare.
"Vero, ma la tua la definirei più un catorcio, che altro" rispose Astrid storcendo il naso.
"Solo perché ogni tanto fa le bizze" brontolò contrariato Moccicoso, e piantò la forchetta sulla pasta.
Hiccup mandò giù un boccone e si voltò verso di lei. "Hai una moto anche tu?"
Astrid annuì fieramente. "Una Ducati Scrambler. Molto meglio del vecchio barattolo difettoso di Moccicoso."
"È vintage!" puntualizzò offeso quest'ultimo. "E tu che ne sai, Haddock?"
Hiccup fece un sorrisetto. "Anche mia madre è appassionata, mi ha insegnato tutto sull'argomento. A casa la aiutavo a sistemare la sua, ogni tanto."
Astrid spalancò gli occhi, eccitata. "Allora devi venire da me a dare un'occhiata alla mia moto, un pomeriggio di questi. C'è un pezzo che vorrei sostituire con…"
"Dobbiamo andare in classe" li interruppe con stizza Moccicoso raccogliendo il suo vassoio vuoto.
Hiccup rivolse uno sguardo di scuse ad Astrid. "Ne riparliamo la prossima volta."
Seguì Moccicoso fino all'aula di trigonometria, tenendosi a distanza di sicurezza. Non voleva rischiare di subire la sua irritazione che, ora ne era sicuro, era dovuta alle mancate attenzioni di Astrid.
Fortunatamente lui lo ignorò, e andò al banco più in fondo alla classe mugugnando qualcosa che suonava ingiurioso. Hiccup invece scelse un posto più avanti, vicino alla finestra che si apriva sul cupo cielo plumbeo. Sarebbe stata la sua seconda lezione di trigo, dopo la slogatura alla caviglia.
Prima che arrivasse l'insegnante, qualcuno sgusciò silenziosamente a sedersi accanto a lui, facendolo sobbalzare per la sorpresa. Era di nuovo Jack Frost, ora particolarmente di buonumore.
"Ehilà" disse con disinvoltura. Gettò a terra lo zaino mezzo vuoto e reclinò la schiena sulla sedia, stando sul bordo per stravaccarsi. "Quindi è il mio turno."
"Per cosa?"
"Per confermare le voci a tuo riguardo, no? Anche tu sei nuovo."
Hiccup batté le palpebre, perplesso. "Non ci sono dicerie su di me."
"Invece sì" ribatté Jack con un sorriso storto. "O almeno, tra me e mia cugina ci sono."
"E cosa vorresti sapere, di grazia?" Hiccup cominciava a essere sinceramente curioso. Cosa mai poteva offrire d'interessante lui, in confronto all'insolito, misterioso Jack Frost?
"Quello che hai chiesto a me, immagino. Genitori, casa…" Jack sventolò una mano bianca per aria.
"Vediamo… sono nato qui a Forks, ma mi sono trasferito in Canada a quattordici anni per vivere con mia madre. Lei e mio padre si sono separati quando ero piccolo. Adesso abito a pochi minuti dalla scuola" Hiccup decise di stare al gioco, magari ne avrebbe ricavato altre informazioni anche lui.
Jack, intanto, si era piegato in avanti sul banco, su cui aveva appoggiato i gomiti. Gli altri dicevano che era ricco, tuttavia la sua felpa blu non sembrava particolarmente costosa, ma Hiccup non si intendeva di moda, quindi non ne poteva essere sicuro.
"Posso chiedere il perché?"
"Perché i miei hanno divorziato?"
"No, come mai sei tornato" lo corresse Jack. "Al Nido non mi avevi dato l'impressione di essere, uh, fan del posto."
Hiccup sorrise amaramente. "Infatti, mia madre mi ha spedito qui senza chiedere la mia opinione. È una zoologa e attivista per i diritti degli animali, suppongo abbia voluto liberarsi di me in modo da potersi muovere liberamente per lavoro."
C'era qualcosa di insolitamente terapeutico nel raccontare i suoi problemi, soprattutto perché lo sguardo concentrato di Jack era ipnotizzante. I suoi occhi avevano una tonalità di nocciola dorato diversa da quella ambrata che ricordava, più scura. Da così vicino riusciva anche a vedere un'ombra violacea sulle palpebre inferiori, forse il segno di diverse notti agitate.
"Scusa" aggiunse Hiccup rapidamente. "È una storia deprimente. Ti sto annoiando."
"No, no, è interessante" replicò Jack scuotendo la testa, e qualcosa nel suo tono suonò veramente sincero.
I suoi capelli si mossero seguendo il movimento del capo, facendo notare una seconda volta a Hiccup il loro colore candido. Probabilmente sarebbero risaltati molto di più al sole, insieme alla sua pelle marmorea, anziché al tenue chiarore ora che filtrava dalle nuvole.
"Te li tingi da solo?" chiese Hiccup di punto in bianco. "I capelli, intendo."
Jack ebbe un'esitazione. "Sono albino" disse fissando il tavolo. Pareva stesse rimuginando su qualcosa.
"Ah, è per questo che ieri non eri a scuola? Credo di aver letto da qualche parte che le persone albine sono spesso sensibili alla luce, e quella è stata l'unica giornata davvero soleggiata" disse Hiccup dandosi un colpetto sulla fronte. Perlomeno questo spiegava il suo aspetto, compresi gli occhi chiari.
"...Esatto. Cerco di evitare di uscire in quei casi" affermò Jack rilassandosi di nuovo sulla sedia.
In quel momento arrivò il professore di trigonometria, che depositò sulla cattedra un plico di fogli dall'aria sospetta e annunciò il test a sorpresa con entusiasmo eccessivo. Hiccup, avvertito in anticipo da Astrid di quella possibilità, non si scompose e ripassò mentalmente le domande papabili, sollevato di trovarsi preparato.
Quando l'insegnante passò anche da loro per consegnare due copie del test, Hiccup sfiorò senza volerlo le dita di Jack mentre questi gli passava la sua, ed ebbe un brivido.
"Vuoi che ti presto il mio giubbotto? Stai congelando" gli bisbigliò cercando una matita nell'astuccio. A pensarci bene, non gli sembrava di aver mai visto Jack con una giacca, nonostante fosse vestito leggero.
"Nah, sono a posto."
Contento lui…
Nell'aula intanto era sceso il silenzio solito delle verifiche, interrotto solo dal grattare delle matite sui fogli e da qualche colpo di tosse. Hiccup focalizzò tutta la sua attenzione sulle domande, che fortunatamente non erano difficili, essendo ancora la seconda settimana di scuola.
Dopo le prime risposte multiple, si fece distrarre dalla postura scomposta di Jack di fianco a lui: aveva una mano a sostenere il mento e l'altra che si muoveva veloce sul foglio, come in automatico. Stava completando una domanda dopo l'altra senza esitazioni, quasi dando l'impressione di aver già letto i quesiti in anticipo.
Hiccup si costrinse a concentrarsi nuovamente sul suo compito. Durante il resto dell'ora inserì le ultime crocette, ne cancellò e riscrisse alcune, poi si alzò e posò il foglio sulla cattedra. Era stato uno dei primi a finire, e a lui seguì un altro paio di studenti, dopodiché anche Jack aggiunse la sua verifica e tornò a sedersi con passo sicuro. Hiccup ebbe la forte sensazione che avesse aspettato lui, prima di consegnare.
Attese che passasse l'ultima manciata di minuti prima della campanella sforzandosi di non fissarlo troppo, temendo che se ne accorgesse e lo giudicasse come fuori di testa, ma la tentazione di osservarlo bene, essendo talmente vicini, era troppo intensa. Non fu una sorpresa, infatti, se Jack si girò verso di lui alzando un sopracciglio e domandò: "Che c'è, ti serve qualcosa?"
Lo disse tamburellando la matita sul banco, tradendo una certa ansia. Il suono della campanella decretò la fine dell'ora di trigonometria, e il momento di lasciare l'aula.
Hiccup si morse un labbro, pentendosi della sua scomoda curiosità, e s'imbarcò nel disperato tentativo di non sembrare pazzo, intanto che raccoglieva la sua roba.
"In realtà sì" balbettò poco convincente. "Hai una situazione familiare… particolare. Sono curioso."
Lui fece un piccolo sbuffo dal naso e lanciò uno sguardo in direzione di Moccicoso, intento a trascinarsi verso la porta. "I tuoi amici ti hanno mandato a farmi l'interrogatorio?"
"No!" rispose impulsivamente Hiccup a un tono abbastanza alto da far girare diverse persone. "Interessa a me."
Di fronte alla sua veemenza, Jack abbassò le spalle e ridacchiò. Aveva dei denti bianchi e regolari, come quelli degli spot del dentifricio. Un sorriso abbagliante.
"Va bene, ma allora promettimi una cosa" stabilì con espressione furba, mettendosi lo zaino in spalla. Hiccup annuì e lo lasciò continuare. "Se anche tu mi racconterai più su di te, allora domani potrai farmi tutte le domande che vuoi. Ci stai?"
Probabilmente non avrebbe potuto rifiutare anche se avesse voluto, così Hiccup annuì ancora. "D'accordo. A domani, Frost."
Jack fece 'ciao ciao' con la mano e sgattaiolò via, infilandosi agilmente tra gli studenti senza urtare nessuno.

Hiccup non riuscì a finire i compiti nemmeno quel pomeriggio.
Rilesse la stessa riga del libro di biologia cinque volte, finché non si arrese e chiuse quaderno e libro sospirando.
Non poteva mentire a sé stesso. Ormai non era più una questione di raccogliere notizie per gli altri in modo da far colpo, ma era diventata una faccenda personale.
Hiccup voleva conoscere meglio Jack Frost perché non era in grado di pensare ad altro. Quel ragazzo appariva estroverso eppure distante in uno strano connubio tra amichevolezza e irraggiungibilità.
Era un mistero vivente, e un grattacapo inspiegabile. C'era qualcosa di più, se lo sentiva.
Hiccup stava meditando su cosa chiedergli il giorno dopo, quando la scrivania venne scossa con la vibrazione del suo cellulare. Si allungò per prenderlo, sepolto sotto svariati fogli di appunti, e constatò che era l'ennesimo messaggio da sua madre.
Gli si annodò lo stomaco. Erano giorni che non le rispondeva, ignorando suppliche e minacce, ma non gli faceva certo piacere, e aveva sempre più voglia di arrendersi.
Fece scorrere il pollice sullo schermo per aprire il messaggio.

Hiccup, per favore, dimmi come stai. Ti trovi bene? Tuo padre mi ha detto che ti sei fatto degli amici, quindi spero che Forks non sia terribile come pensavi. Rispondi presto, ti prego. Ti voglio bene.

Hiccup chiuse l'applicazione e lanciò il telefonino sul letto, dall'altra parte della stanza.
Che ne sapeva lei? Certo che era terribile, lo aveva scaricato lì a forza! Senza un buon motivo!
Avevano vissuto insieme, loro due contro tutti, per tre anni. Erano stati una squadra: Valka lavorava instancabilmente per sostenerli e per passione, e Hiccup non si era mai fatto problemi a rimanere spesso a casa da solo. Si era dimostrato autosufficiente, in passato, allora perché mandarlo da suo padre? Non aveva fiducia in lui, nemmeno per stare ad ascoltare cosa ne pensasse?
Il tonfo sordo della portiera dell'auto di Stoick che sbatteva spinse Hiccup a scendere in salotto di soppiatto, lasciando i compiti al loro destino. Al rumore dei passi pesanti del padre si aggiunse quello della voce rauca di Skaracchio, dandogli il sollievo di non dover stare da solo con Stoick un'altra sera. Hiccup cominciò ad apparecchiare per tre.
"Ancora chiuso in casa, giovane?" tuonò Skaracchio spalancando la porta come se fosse stato a casa sua. Lo faceva anche quando lui era piccolo.
Stoick lo seguì in cucina per fermarlo dal fare disastri con la mano finta e salutò Hiccup con un cenno secco. La sua irritazione ci avrebbe messo un po' a sbollire, pensò lui .
"Tuo padre mi ha detto che ha avuto un'altra giornataccia" continuò Skaracchio aprendo il frigorifero. "Diglielo, Stoick!"
Il padre di Hiccup allontanò l'amico dalle loro preziose scorte al fresco e gli diede una spintarella verso il tavolo apparecchiato. "Non so più a cosa credere" brontolò cupo.
Hiccup si ricordava della loro conversazione di quando avevano ordinato la pizza. "Ancora aggressioni?"
"Quasi. Il vecchio Mildew ha chiamato per dirci di aver visto un uomo aggirarsi intorno casa sua 'con fare decisamente sospetto', qualunque cosa voglia dire."
"Forse era un turista in cerca di indicazioni" azzardò Hiccup sedendosi a tavola. Stoick accese i fornelli e prese un sacchetto dalla credenza.
"Senza bagagli o scarpe, e con i vestiti sporchi di fango?"
"Avrà visto un senzatetto, quel matto di un vecchio" ghignò Skaracchio versandosi da bere.
Hiccup aveva ben presente a chi si stavano riferendo; al nome di Mildew aveva associato durante l'infanzia la figura di un anziano crudele e insofferente ai bambini. Quel tipo di vecchietto che, quando si arrabbiava (e succedeva spesso), terrorizzava i mocciosi. Era uno dei suoi tanti ricordi infelici di Forks.
"Senza contare le decine di segnalazioni di grida animali nella foresta" proseguì Stoick versando dell'olio in una padella.
"Ancora? Che tipo di grida?" chiese Hiccup.
Lui scosse la testa, esasperato. "Parlano tutti di urla, di ruggiti, ma è improbabile che degli animali si siano spinti abbastanza vicino alla città da farsi sentire."
Non aggiunse altro, e in assenza di discussioni, la mente di Hiccup vagò verso l'incognita del suo patto con Jack, che si sarebbe compiuto l'indomani. Gli tornò in mente un commento di Astrid a pranzo.
"Papà, conosci il signor Frost?" chiese mentre iniziavano a mangiare.
Stoick non alzò gli occhi dalla cena e mugugnò un "Chi?" con aria bellicosa.
"Si è trasferito qui quattro anni fa con i due figli e la nipote, inventa giocattoli" precisò lui paziente. Suo padre conosceva tutti in zona, e tutto di tutti.
"Quello che ha la casa in montagna!" disse Skaracchio dando di gomito a Stoick. "Ti ricordi?"
L'altro si tormentò la barba fulva. "Mi pare di sì… Un uomo strano, ho sentito, ma non l'ho mai visto di persona."
Stavano confermando quanto osservato dagli altri ragazzi a scuola. Hiccup non si spiegava come una persona del genere non fosse diffusamente conosciuta. "Nemmeno una volta? Non scende per fare la spesa, o per andare dal dottore?"
Ma per quanto insisteva, i due uomini affermarono che no, nessuno aveva effettivamente mai visto il signor Frost. Hiccup andò a dormire pieno di domande che lo assillavano.
Avrebbe chiesto a Jack vita, morte e miracoli, accidenti.

*


"Ti lascerò vincere la caccia al tesoro per due, no, tre decenni!"
"Non se ne parla. Ti ho sostenuto finora, ma questo è barare."
Jack fissò imbronciato Toothiana che gli camminava accanto a passo svelto, un po' troppo veloce per passare inosservati. Alla faccia della cautela!
"È solo un numero, una cosa da niente. A fin di bene!" la implorò sperando di far leva sul suo proverbiale lato tenero. "Ti prego!"
Occuparono il solito tavolo della mensa. Toothiana storse il naso e si degnò di guardarlo, finalmente. "Solo per stavolta."
Jack esultò nella privacy della sua mente. Era un piano escogitato dal giorno prima, ma comunque non voleva far vedere quanto ci tenesse. Aspettò pazientemente che Toothiana scrutasse verso il tavolo degli amici di Hiccup, mentre fremeva sulla sedia, e facesse la sua magia. Dopo un battito di ciglia, il ricordo di una conversazione al telefono gli attraversò la mente oscurando ogni altro pensiero.
"Grazie per l'interessamento, Hofferson. Sei una brava ragazza, che il cielo ti benedica, figliola" ronzava una voce grossa all'apparecchio. Lei ringraziò e si scambiarono dei saluti amichevoli, dopodiché rimise a posto la penna e lesse la serie di numeri sul post-it aprendo la rubrica del cellulare.
Jack lo registrò col cervello, soddisfatto e certo che non avrebbe avuto bisogno di scriverselo per ricordarlo; era uno dei vantaggi della loro specie. "Grazie mille, Toothiana."
"Mi devi un favore" brontolò lei stizzita.
Lui annuì distrattamente e riprese a contemplare di nascosto il rumoroso tavolo dall'altra parte della mensa, dove al momento era in corso una gara a chi riusciva a infilarsi più palline di carta in bocca. Bruta Thorston era in vantaggio sul fratello. Gli altri osservavano con aria disgustata e vagamente divertita.
Jack avrebbe voluto essere là con loro. Stare con Toothiana gli piaceva, ma non era neanche lontanamente spassoso quanto sembrasse sedersi a quello che lei chiamava 'il tavolo degli umani strambi'. Almeno lì avrebbe potuto farsi due risate.
A casa non aveva raccontato delle sue conversazioni con Hiccup, e aveva fatto capire a Toothiana di mantenere la stessa discrezione, perché gli altri non avrebbero capito le sue intenzioni, come al solito. Nord lo avrebbe ritirato da scuola, Aster non avrebbe più smesso di prenderlo in giro sull'autocontrollo e Sandy, che era ancora da loro, avrebbe fatto la spia, per quanto Jack gli fosse simpatico. Toothiana era l'unica che potesse capire i suoi sentimenti. L'interesse per gli umani li accomunava.
Così l'aveva tormentata tutta la mattina per farsi dare il numero di Hiccup, con cui adesso avrebbe potuto scrivergli senza dover aspettare l'orario scolastico. Per dirgli cosa, però, non lo sapeva. Non sperava di arrivare a quel punto e non ci aveva pensato.
"Fai finta di chiacchierare con me" bisbigliò rapida Toothiana improvvisamente. Jack batté le palpebre, preso in contropiede, e si girò con tutto il corpo verso di lei, per suggerire di essere completamente assorbito da una fantomatica conversazione.
"Che c'è?" disse sforzandosi di non voltarsi ancora.
"Jack Frost ti sta fissando" annunciò a bassa voce Astrid Hofferson proprio in quel momento, contrariata. Toothiana doveva aver visto le sue intenzioni nei suoi ricordi di sfuggita, dopo aver finito di rovistarci per scovare il numero di telefono.
"Oggi fa più caldo del solito, vero?" ciarlò allora sua cugina giocherellando con la bottiglietta d'acqua sul tavolo. Jack rispose con una sciocchezza sulla stessa linea e continuò a parlare con Toothiana del tempo, ma in realtà stava ascoltando concentratissimo la conversazione qualche metro più distante. "E con questo?" stava rispondendo Hiccup con fare disinteressato, ma Jack riuscì a sentire l'incertezza nella sua voce fin lì.
Sorrise suo malgrado, facendo insospettire Toothiana. "Se ne stanno accorgendo, Jack. Devi fare più attenzione, me lo avevi promesso!"
"E che sarà mai? Al massimo penserà che mi sono preso una cotta per lui" divagò Jack, che stavolta le dovette dare ragione. Avrebbe dovuto rigare dritto, invece di girare intorno a un umano qualsiasi e rischiare la tranquillità delle loro vite.
Sempre se di un umano qualsiasi si trattava, Jack aveva dei seri dubbi a riguardo.
Toothiana sbuffò e ignorò il suo commento, ma non tornò a rimproverarlo. Prese a spezzettare una fetta di pane da tramezzini tra le piccole dita, riducendola in briciole, perdendosi tra i suoi pensieri. Dal modo in cui si faceva sfuggire visioni altrui che si riversavano anche su Jack, lui intuì che fosse ancora in pensiero. Quando era preoccupata tendeva a perdere il controllo dei ricordi.
Alla fine dell'ora di pranzo dovette riscuoterla sfiorandole un braccio, altrimenti non si sarebbe accorta che erano rimasti tra gli ultimi nella mensa. Lei gli indirizzò uno sguardo di ringraziamento e si lasciarono per andare nelle rispettive aule.
Quel giorno pioveva a dirotto, quindi Jack notò subito i capelli di Hiccup che si ribellavano all'umidità rifiutandosi di restare a posto. Lo trovò un dettaglio tenero.
Non appena si avvicinò al banco, lieto di trovare il suo posto occupato dallo zaino di Hiccup, quest'ultimo tentò inutilmente di sistemarsi la zazzera castana e liberò la sedia. "Ciao."
"Ciao. Come va?"
"Non ho chiuso occhio al pensiero del tuo interrogatorio in programma, ma per il resto sto bene" disse Hiccup. Per fortuna non chiese perché Jack lo avesse fissato insistentemente per tutta la pausa pranzo, anche perché non avrebbe avuto idea di cosa rispondere. La scusa della cotta era solo una battuta, non avrebbe mai funzionato con una persona ragionevole.
"Tanta ansia per due domande? Si direbbe che ci tieni parecchio" commentò Jack per punzecchiarlo.
L'altro alzò le spalle a mo' di scuse. "Te l'ho detto, sei interessante. Conosco il resto della popolazione di Forks da quando sono nato, sei la mia ultima speranza per non morire di noia."
Hiccup Haddock lo trovava interessante. Quel pensiero, detto ad alta voce per la prima volta, fece sussultare lo stomaco di Jack. Era come uscire da uno stato di invisibilità perenne e tornare alla luce. Realizzò a malapena che il professore stava decisamente tardando.
"Okay, ehm, allora: non te l'ho chiesto ieri ma mi è rimasta la curiosità" cominciò. "Perché i tuoi hanno divorziato? Se ti va di dirmelo, ovviamente."
Era partito con una domanda innocente, però più tardi avrebbe scavato a fondo.
"Ancora con la storia della mia patetica vita?" lamentò Hiccup, ma vedendo che Jack non cedeva rispose: "Avevo cinque anni quando si sono separati. Immagino che fosse prevedibile, visto quanto quei due sono diversi. Mia madre ama la libertà di spostarsi continuamente che le permette il suo lavoro, è sempre in movimento per una conferenza sull'ambiente, un corso di biologia o una protesta in piazza contro il commercio di pellicce. Non guarda in faccia a nessuno quando si tratta di proteggere quello che ama. È una tipa tosta.
Mio padre, invece, è tutto il contrario. Gli piace la stabilità e preferisce le vecchie abitudini a tutto quello che è nuovo o diverso. Lavora come ispettore capo, quindi può divertirsi a mantenere l'ordine quanto gli pare. È testardo come pochi e mai indulgente, soprattutto con me."
Si grattò la testa e guardò pensieroso verso la lavagna. "Ho sempre pensato di somigliare più alla mamma, che a mio padre. L'unico a non pensarla così è Skaracchio. Dice che sono la copia sputata di lui da giovane, ma io ne dubito fortemente" concluse con una smorfia di scetticismo.
"Intendi il coach Skaracchio? Il prof di ginnastica?"
"Esatto. Lui e mio padre sono migliori amici da quando si conoscono, cioè da quando andavano all'asilo. Viene spesso da noi a cena."
Mentre parlava non stava fermo, aveva sempre qualcosa sotto mano, che fosse una penna o l'angolo del libro. Perlomeno stavolta non aveva mantenuto il contatto visivo tutto il tempo, anche se Jack sospettava che fosse perché stava ripescando vecchi ricordi, piuttosto che per essere influenzato da quel naturale timore, apparentemente assente in lui.
"Comunque nessuno era sorpreso, quando si è saputo in giro che si stavano lasciando. Io ero piccolo e non sapevo quanto litigassero per… praticamente tutto, ma anche a cinque anni mi ero accorto che non andavano d'amore e d'accordo come i genitori degli altri bambini" aggiunse Hiccup tormentando la cerniera dell'astuccio. "Quando ho chiesto a mio padre perché la mamma se ne stava andando via da sola, ricordo che mi ha messo sulle sue ginocchia e mi ha fatto un lungo discorso sulla 'sintonia' e i 'compromessi della vita' che non capivo. Allora mi ha abbracciato e non ne abbiamo più parlato da quel giorno. È stata la prima e ultima volta che l'ho visto piangere."
Aveva un tono stranamente distaccato, per uno che aveva dovuto processare un divorzio a quell'età. Gli umani tendevano a portarsi dietro i traumi dell'infanzia, al massimo reprimerli in modo nocivo per la propria psiche, eppure Hiccup ne parlava come se fosse successo a qualcun altro, anzi, ironizzando sull'argomento. Forse era il suo meccanismo di difesa.
"Quindi adesso si sono allontanati definitivamente?" indagò Jack. L'aula era invasa dal chiacchiericcio indisturbato dalla presenza dell'insegnante. Il professore doveva essersi perso ai gabinetti, o qualcosa del genere.
"Già. Mia madre l'ha dimenticato e perlopiù finge che non sia mai successo nulla, ma mio padre…" sospirò afflitto Hiccup. "Da allora il suo caratteraccio è peggiorato, e si rifiuta di lasciar perdere e andare avanti. Almeno questa è l'opinione che mi sono fatto, di solito sono bravo a inquadrare le persone."
Certo che lo sei, pensò Jack rabbrividendo, nessuno mi aveva mai fissato come se desiderasse leggermi nel pensiero più di qualsiasi altra cosa al mondo. Nessuno mi aveva mai reso sia così facile che così difficile stare con un essere umano. "Invece tuo padre, il misterioso giocattolaio che nessuno in città conosce, com'è? Ti fa impazzire anche lui?" stava intanto domandando Hiccup dando sfoggio alla sua curata, persistente attenzione ai dettagli. Ovvio, chi poteva avere l'occasione di incrociare il vecchio Nicholas Frost, che se ne stava rintanato nel suo caldo e comodo antro in solitaria ventiquattr'ore su ventiquattro?
"A volte è esasperante, sì, ma il suo difetto è diverso: si lascia prendere dall'entusiasmo per ogni scemenza e crede di avere sempre la soluzione a ogni problema. È incapace di comprendere il sarcasmo più basico, non mi ascolta e non sa controllare la sua forza" rispose Jack. "È tutto… tanto, capisci?"
"Sembra simpatico" commentò Hiccup. "Quindi è molto forte, o cosa?"
Probabilmente si era immaginato uno spilungone con gli occhiali e la gobba da lavoro, ovvero l'esatto contrario di Nord. "Ha due mani che sembrano pale" confermò Jack.
E può sollevare un elefante, sradicare una quercia e prosciugare un orso in tre minuti, fino all'ultima goccia di sangue.
"Quindi è un inventore, più o meno?"
"Esatto. Progetta il funzionamento e il design estetico delle sue 'opere', come le chiama lui."
"Forte, dev'essere molto intelligente. Non è facile far funzionare aggeggi piccoli come i giocattoli, sono delicati da non credere" constatò Hiccup con un certo fare da esperto.
"Te ne intendi?"
"Me la cavo piuttosto bene con le cose manuali, a casa… Voglio dire, a casa di mia madre riuscivo sempre a capire cosa non andasse nella lavatrice, o nel portone automatico del garage. Cose del genere. Lei chiamava sempre me, quando c'era qualcosa che non funzionava bene."
Com'era triste la sua espressione, mentre lo diceva! "Sei arrabbiato con lei per averti mollato qui, ma ti manca comunque, eh?"
"Non lo so" ammise Hiccup. "Andavamo molto d'accordo, questo è vero, ma ultimamente ci potevamo vedere davvero poco. Gli impegni di mia madre sono aumentati del doppio, negli ultimi due anni, e quasi non ci parlavamo più. Non rispondo alle sue telefonate da un mese."
Aveva cominciato a far roteare una penna tra le dita, guardando fisso il banco con desolazione. Jack gli rubò l'oggetto dalle mani per costringerlo a voltarsi verso di lui, approfittando della sua perplessità di fronte al gesto innaturalmente fulmineo per attirare la sua attenzione. "Si vede quanto ci stai male, Hic. Non voglio dirti cosa dovresti fare, ma tagliare i ponti in questo modo ti fa male."
Lui alzò gli occhi al cielo, ritrovando un po' di serenità. "Sei carino a preoccuparti per me, ma… Ah, è arrivato il prof."
Jack represse un verso di delusione e si costrinse a stare a sentire l'insegnante di trigonometria che si prodigava in scuse per l'enorme ritardo, infastidito per aver interrotto brutalmente il discorso. Il professore consegnò i test corretti dispensando commenti ed elogi a destra e a manca, premurandosi di tenere il tono di voce altissimo mentre passava tra i banchi.
"Complimenti, Frost. Continua così."
Jack vide chiaramente Hiccup sbirciare il suo risultato e alzare un sopracciglio. E che cavolo, anche i suoi voti erano sospetti, adesso?
Prese il foglio marchiato con una A− rossa e lo ficcò dentro al quaderno degli appunti stropicciandogli i bordi, seccato. Dover stare maniacalmente attento a cosa dire e cosa fare lo stava mandando fuori di testa.
La lezione che seguì consisté in una lunga e noiosissima correzione del compito in classe di cui Jack non importava per niente. Se Hiccup fosse stato in grado di parlare a volume anormalmente basso, come lui, sarebbe stato sopportabile, ma purtroppo non poteva, e a lui toccava dunque restare zitto e buono.
Al suono della campanella, quaranta minuti dopo, seguì Hiccup alla porta, pensando a come riaprire la conversazione di prima. Ci pensò la figura di Astrid Hofferson, ben piantata all'uscita dell'aula, a mandare all'aria l'interrogatorio.
"Ehi, Astrid, che ci fai qui?"
Jack dedusse dal suo abbigliamento sportivo che fosse scappata dalla lezione di ginnastica per qualche motivo sconosciuto.
"Torno dall'ufficio del preside" spiegò lei. "Dovevo parlargli per una faccenda della squadra di pallavolo e ho pensato di passare qui, già che c'ero."
Stava totalmente ignorando la presenza di Jack, che non seppe come reagire. In teoria non attirare l'attenzione degli umani era una cosa positiva, ma il suo sesto senso gli suggeriva che quell'atteggiamento fosse intenzionale.
Il continuo sistemarsi nervoso della frangia della ragazza non prometteva nulla di buono.
"Come mai, volevi chiedere qualcosa?" domandò Hiccup ingenuamente, beatamente ignaro di cosa lo aspettava.
"Sì, ehm, ti ricordi la moto di cui parlavo a pranzo? Sabato mattina mi arriva un pezzo nuovo, se ti va potrebbe farmi comodo una mano" si buttò infatti Hofferson, spostando il peso da un piede all'altro. Ovviamente non aveva incluso Jack nell'invito. Ma non poteva chiederlo a pranzo?
"Sicuro" rispose Hiccup con un entusiasmo che appesantì il cuore freddo e immobile di Jack. "Che ne dici se io porto la colazione?"
L'espressione di Astrid divenne ugualmente raggiante. "Perfetto. A dopo, Hic!"
Jack e Hiccup guardarono la ragazza andare in direzione della palestra e mescolarsi al via vai di studenti del cambio dell'ora.
"Siete diventati amici in fretta…"
"E dire che alle medie mi evitava come la peste" disse Hiccup pensieroso. "Be', non la biasimo, anch'io me la sarei data a gambe se avessi avuto un secchione sfigato a sbavarmi dietro per tre anni."
Quell'ultima inaspettata rivelazione colpì Jack come uno schiaffo in faccia. Era stato sciocco non pensarci, a ben riflettere. Per quanto fosse una persona strana e sagace, era normale che Hiccup avesse una cotta per una ragazza carina e popolare come Astrid. Era normale che si innamorasse e volesse stare con una sua simile.
"Jack, tutto apposto? Hai una faccia…"
"Sto bene." A dire la verità sentiva un gran bisogno di vomitare. "Ci vediamo domani, ciao."
Non lasciò a Hiccup il tempo di reagire e sfrecciò via, sfidando il limite di velocità imposto da Toothiana.
Raggiunse l'aula di inglese, stravolto. Le parole dell'altro ragazzo gli martellavano nel cranio a scandire la certezza che si stava lentamente formando a livello conscio.
Ripensò al suo voto nel test, alla sua sete di sangue e alla scelta di termini di Hiccup. Si coprì la bocca per trattenere una risatina di panico, agghiacciato dalla realizzazione.
Adesso sono io il secchione sfigato che gli sbava dietro! In tutti i sensi!



Note
Non so praticamente nulla di moto, ma ho fatto qualche ricerca, quindi il modello di Astrid teoricamente dovrebbe avere senso: non troppo economico, non troppo costoso. Almeno credo.
I vampiri non possono avere tatuaggi o tingersi i capelli, per questo ho reso Jack albino. Di solito non è una soluzione che adoro, preferisco pensare che lui se li colori, ma non avevo altra scelta.



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Capitolo 6
*** V. Temporale / Ronda ***




V

Temporale / Ronda
 
 
La nuova routine di Hiccup consisteva in: svegliarsi, controllare il tempo del giorno per preparare giubbotto e ombrello nel caso, consumare una silenziosa colazione con Stoick, andare a scuola a piedi, sopportare ginnastica con Moccicoso, ascoltare le chiacchiere degli altri a pranzo, subire la raffica di domande di Jack Frost a trigonometria, tornare a casa, lavorare ai compiti nella casa vuota, fare una cena silenziosa con suo padre o rumorosa se si aggiungeva Skaracchio, fare una doccia, rispondere ai messaggi di Astrid e, infine, andare a dormire.
Le sue giornate avevano assunto quella piega ripetitiva senza che se ne accorgesse. Non era male, nonostante la facilità con cui si era abituato alla situazione avesse sorpreso pure lui.
La parte più strana era certamente il momento in cui Jack lo bombardava di quesiti su Hiccup, sulle persone che conosceva e sulla sua vecchia vita prima di Forks. Nonostante il modo insolito in cui lo aveva lasciato martedì, lo aspettava tutti i giorni dopo pranzo al solito posto a sedere, con la domanda già pronta in canna, e non dava segno di voler spostare la conversazione su sé stesso, come la prima volta. Restava ad ascoltarlo immobile, come se si dimenticasse di respirare, finché non arrivava il professore a interromperli.
Il solo testimone del processo era Moccicoso, che tuttavia non sembrava averne fatto parola con gli amici. Hiccup, dal canto suo, nella sua mente si giustificava di aver fatto lo stesso con la scusa di non aver scoperto nulla di davvero interessante su Jack da riferire.
Comunque ancora non sapeva rispondere all'interrogativo che la logica gli poneva da martedì: perché lo stava facendo? Al di fuori dei loro dialoghi quotidiani, i due non si parlavano, nemmeno alla mensa, quando stavano separati ai propri tavoli. L'interesse di Jack sembrava andare oltre alla semplice curiosità, era quasi un'ossessione. Non aveva senso.
Eppure Hiccup attendeva lo stesso quei momenti con aspettativa. Jack era un bravo ascoltatore, non interrompeva e faceva osservazioni sempre estremamente interessanti, spesso acute e divertenti. Lui e Hiccup avevano un senso dell'umorismo molto simile. Parlargli lo metteva di buonumore.
Alla fine aveva quindi smesso di tentare di rispondere ai suoi dubbi esistenziali, e aveva lasciato che Jack gli chiedesse tutto quello che voleva. Gli aveva raccontato della vecchia scuola, dell'infanzia dolceamara, delle opzioni che stava valutando per il college, delle litigate con suo padre. Lo aveva visto indignarsi per il bullismo alle medie e ridere — con un suono di campane stupefacente — della volta in cui era caduto in mare durante un tentativo di suo padre di farlo appassionare alla pesca.
Inaspettatamente, stava forse nascendo un'amicizia.
Il resto della settimana continuò a piovere, smettendo solo per poche e brevi ore, fino alla fatidica mattina di sabato, incupita a sua volta da una coltre di nuvoloni nerissimi che parevano annunciare l'apocalisse. O, nel migliore dei casi, un temporale epocale.
Hiccup aveva impostato la sveglia per le nove, quindi si alzò sbadigliando e si stiracchiò le braccia magre fino al bagno, dove si lavò i denti con un occhio aperto e uno no. Si infilò un maglione di una calda tinta marrone, dei jeans consunti e le sneakers, fallì miseramente nel convincere i capelli a stare a posto e scese le scale in punta di piedi. Stoick era già in salotto.
Il loro rapporto era passato dall'imbarazzo all'indifferenza nel giro di una settimana e mezza, durante la quale si rivolgevano la parola a malapena e si ignoravano. Suo padre era testardo come un mulo gigante e sapeva tenere il muso per giorni, mentre Hiccup ancora sentiva il suo commento pungergli l'autostima. Era meglio così.
"Vado da Astrid" gli disse mentre apriva la porta. Non poteva impedirglielo, vero? "Torno per pranzo."
Stoick grugnì quella che sembrò una risposta affermativa senza alzarsi dal divano, assorbito da una partita alla televisione.
Hiccup prese il solito ombrello e si infilò il laccio al polso, lasciandolo pendere alle mani infilate nel calduccio delle tasche della giacca. La città era più vuota del solito, perciò impiegò giusto qualche minuto per comprare delle ciambelle e due cappuccini in un caffè scialbo e raggiungere l'indirizzo che Astrid gli aveva scritto la sera prima.
Casa Hofferson era un bell'edificio azzurro e bianco in stile coloniale che si affacciava su un giardino piccolo ma curato. Al riparo di due grossi alberi si ergeva la rimessa più grande che Hiccup avesse mai visto, anche quella verniciata di azzurro. Dal portone semiaperto gli venne incontro Astrid, vestita in maglietta, pantaloni sportivi e felpa legata in vita.
"Ciao! Cos'hai portato lì?" disse indicando la borsa di carta che stringeva Hiccup.
"Ciambelle" rispose lui chiedendosi se dovesse prima entrare in casa a salutare i suoi genitori.
Astrid gli tolse la borsa, lo condusse alla rimessa e dissipò il suo dubbio: "I miei non ci sono, così almeno non disturberemo nessuno se facciamo rumore. Entra."
L'interno della struttura era illuminato da un paio di lampadine scoperte che pendevano dal soffitto, facendo brillare gli oggetti sugli scaffali industriali che coprivano tutte le pareti. Scatoloni, vecchi elettrodomestici, sacchi di pellet, attrezzi da meccanico e cianfrusaglie varie riempivano le mensole di metallo, disposti in ordine curato. Qualche trofeo di pallavolo ancora lucido era messo in bella vista, in modo che fosse visibile appena entrati.
Seguì Astrid dietro un SUV grigio, verso una moto blu montata su un cavalletto su un telo di plastica dietro all'automobile. "Ecco la paziente" presentò la ragazza avvicinandosi.
Hiccup si chinò per leggere la scritta dipinta sul fianco. 'Tempestosa'. Era evidente, per quello e per com'era tenuta, che Astrid ci tenesse molto. "Adesso non ridere" lo avvertì lei minacciosa. "O ti do un pugno."
"Abbiamo preso in giro Moccicoso per aver dato un soprannome alla sua motocicletta, ma tu hai fatto la stessa identica cosa, eh?" fece Hiccup.
Astrid si morse un labbro e andò a prendere una cassetta degli attrezzi e una scatola, per fuggire all'imbarazzo. "Più o meno. Odio l'idea che qualcun altro la tocchi, così le riparazioni le faccio io. Col tempo ci ho preso la mano e ho cominciato a migliorarla."
"Sei brava" valutò Hiccup osservando lo stato generale del mezzo. Ogni pezzo sembrava nuovo di zecca.
Evidentemente si fidava di lui abbastanza da lasciarlo smanettare, soprattutto considerando quanto aveva detto di esserne gelosa.
"È la mia bambina" aggiunse Astrid sfiorando il parafango. L'Hiccup dodicenne avrebbe dato una gamba per essere visto con l'espressione tenera con cui ora Astrid guardava 'Tempestosa'. "Cominciamo?"
Gli mostrò le nuove pastiglie dei freni da sostituire, inginocchiandosi vicino a lui per indicare le scalanature quasi consumate dall'usura su quelle vecchie. "Ho cambiato l'olio dei freni di recente, quindi dovremo toglierne un po'." Hiccup annuì, colpito che lei avesse anticipato la sua domanda, ed esaminò il ricco contenuto della cassetta degli attrezzi. Astrid capì al volo cosa cercasse e gli porse una piccola siringa.
"Faccio io allora?" le chiese per cortesia. Dopotutto la moto era sua. "Prego."
Hiccup si rimboccò le maniche del maglione e si mise dunque all'opera, armeggiando con siringhe, cacciaviti e pinzette sotto lo sguardo vigile di Astrid, che non si perdeva una sua mossa. Maneggiò attrezzi e componenti con delicatezza per evitare di graffiare o rompere qualcosa, sicuro che la ragazza non avrebbe esitato a fare quanto minacciato, se avesse combinato qualche pasticcio. Astrid rimase al suo fianco sul telo, passandogli in anticipo qualunque cosa servisse all'operazione.
Fuori era intanto cominciato il temuto temporale. I tuoni e il vento scuotevano la lamiera del portone con un lamento ululante.
"Te la cavi bene con i motori" disse Astrid a sostituzione terminata. Si erano seduti su due vecchi sgabelli a mangiare la colazione portata da lui.
"Non quanto te. Non capisco perché mi hai chiesto aiuto, avresti fatto un lavoro migliore in metà del tempo, anche senza di me" rispose Hiccup.
"Mi andava di avere compagnia" mormorò lei a mezza voce soffiandosi via i capelli dalla fronte.
Lui rimase a corto di parole. Essere preso in considerazione per un'attività, essere cercato, andava oltre ogni sua immaginazione. Lo lusingava, ma non sapeva bene come reagire.
Astrid ruppe il silenzio ancora una volta.
"Tu e Jack Frost siete diventati amici?"
Hiccup recuperò la presa sul bicchiere da asporto giusto in tempo per non farlo cadere. "Uh… Co-come mai ti è venuto in mente proprio adesso?"
"Ho notato che dopo pranzo scappi sempre via di corsa per andare a trigonometria. Escludo che tu lo faccia per passare un'ora in allegria con Moccicoso, perciò rimane Frost" replicò Astrid recuperando uno zuccherino della ciambella dalla maglietta.
Cavolo. Era anche un'ottima osservatrice.
"Be', non direi che siamo proprio amici" disse Hiccup schiarendosi la gola. "Chiacchieriamo prima della lezione, tutto qui."
"E così sei riuscito a rompere il ghiaccio con l'uomo del mistero" disse Astrid. "È strano come sembra?"
"Credi alla teoria di Tufo?" rise Hiccup.
Lei roteò gli occhi sbuffando. "Ma figurati!"
Tuttavia rimase zitta per un minuto buono, accartocciando il tovagliolo di carta del dolce distrattamente. Hiccup tornò serio. "Non sembri tanto convinta."
"È che… ecco, lui e sua cugina hanno qualcosa di diverso da tutti gli altri. Ho ginnastica con Toothiana Guardian, e non ho mai visto qualcuno fare schiacciate così precise e potenti. Se ne stanno sempre per i fatti loro, anche se potrebbero benissimo diventare i ragazzi più popolari della scuola, se lo volessero. Come se non bastasse, il signor Frost è questo inventore incredibile che riesce a guadagnare abbastanza da mantenere una villa e tre figli, ma nessuno lo ha mai sentito nominare fuori da Forks. Su Internet ho trovato pochissime informazioni su di lui. Sembra uno di quei nomi fittizi che usano i truffatori" disse Astrid.
"Mio padre dice di non averlo mai incontrato" ricordò Hiccup. Detta così, in effetti, sembrava seguire una certa logica.
"E alla mensa non mangiano mai niente, si portano dietro delle bottigliette d'acqua senza usarle! E i loro occhi, Hic" continuò Astrid infervorata. "Li hai visti?"
Certo che li aveva visti, pensò lui, ma era convinto di esserselo immaginato e aveva fatto del suo meglio per non farci caso.
Che ci poteva fare, però, se gli occhi di Jack Frost erano sempre di un colore diverso? Venerdì mattina erano quasi neri. Aveva pensato di essere definitivamente impazzito, perché non somigliavano affatto al castano dorato di quando lo aveva conosciuto alla caffetteria.
Aveva deciso di ignorare anche il suo voto nel test di trigonometria, supponendo che Jack nascondesse la bravura nello studio per mantenere una facciata da ribelle. Nemmeno lui aveva preso una A!
"Con quei capelli bianchi, poi…" borbottò Astrid. Ormai era presissima dal discorso.
"È albino" disse Hiccup, che per qualche motivo si sentiva in dovere di difenderlo.
Astrid agitò una mano per scacciare il pensiero. "Scusa, hai ragione, sto straparlando. Sembro una vecchia comare."
"Sono persone particolari" concesse Hiccup per rincuorarla. Non voleva rovinare la mattinata tranquilla passata insieme.
"Già… A volte non sembrano nemmeno umani, vero?"
Un tuono più rumoroso degli altri lo fece trasalire. O forse erano state le parole di Astrid. Le lampadine si oscurarono per un secondo, lasciandoli nel buio della rimessa.
"Ci sta dando dentro là fuori" commentò lei quando tornò la corrente. Hiccup era sicuro di essere sbiancato. Saltò giù dallo sgabello e prese l'ombrello sentendosi la bocca asciutta.
"Ehi, dove vai di corsa?"
"Scusa, ho delle cose da fare a casa" farfugliò. "È stato divertente."
Si sentì lo sguardo della ragazza addosso come un'accusa, mentre imboccava il vialetto degli Hofferson scivolando sulle pozzanghere.

Arrivò a casa che era bagnato fradicio.
Il vento forte gli aveva quasi rotto l'ombrello e una macchina aveva preso in pieno una grossa buca colma d'acqua piovana, dandogli una bella lavata. Hiccup appese la giacca all'appendiabiti e cercò suo padre, ma l'unica cosa che trovò fu un biglietto che lo avvisava di essere a pescare con Skaracchio. La casa era vuota e silenziosa. Normalmente sarebbe stato un sollievo, invece di spaventarlo.
In camera si cambiò i vestiti e si strofinò i capelli come poteva con un asciugamano. Ogni rumore improvviso lo faceva sussultare.
Gli pareva di essere tornato bambino, quando si nascondeva sotto al tavolo della cucina, si tappava le orecchie e teneva gli occhi serrati per non vedere i lampi che illuminavano tetramente l'albero in giardino. Sua madre, allora, lo prendeva in braccio e lo stringeva forte, mentre suo padre diceva di andare a cacciare il temporale, ma in realtà chiudeva le veneziane e accendeva tutte le luci. Dopo il divorzio aveva smesso di farlo.
Un'altra cosa che terrorizzava Hiccup, al tempo, era la soffitta.
Un antro buio e polveroso, dove il pavimento scricchiolava, i vecchi mobili proiettavano ombre spaventose e lui era convinto si fosse nascosto un orco. La prima e ultima volta che ci era stato, a cinque anni, ne era scappato in lacrime, e da allora non vi aveva messo più piede.
Senza sapere cosa fare (i compiti in quel momento erano fuori discussione), con il cuore in gola e martellante nel petto contemporaneamente, come sdoppiato, Hiccup si ritrovò in fondo al corridoio del primo piano, accanto alla finestra. Sopra la sua testa era delineato il contorno della botola sul soffitto.
E perché no? Se servirà a distrarmi…
Aprì la porticina e tirò giù la scala con un frastuono metallico. Dal corridoio dov'era non si vedeva nulla all'interno. Hiccup si arrampicò sui gradini di ferro e sbucò nella mansarda, dove l'odore di chiuso appesantiva l'aria. Non ricordava se e dove ci fosse un eventuale interruttore, così usò la torcia del cellulare per farsi luce. Là sopra il vento ululava forte.
L'ambiente era stretto e soffocante, e costrinse Hiccup ad abbassare la testa per non sbatterla sulle travi del tetto. Non c'era da stupirsi se Stoick non dava una sistemata da anni: sarebbe passato a malapena per la botola.
Hiccup cominciò a dare un'occhiata in giro, leggendo le etichette degli scatoloni e sbirciando gli oggetti sotto i teli di plastica. Tutto sommato, non era brutta come la ricordava. Attualmente la cosa più inquietante era una cassapanca piena di vestiti usciti direttamente dalla gioventù di suo padre.
Si avvicinò incuriosito da uno scatolone contrassegnato come 'libri Hiccup'. Immaginò che si trattasse dei suoi libri di quando era bambino, dato che tutti quelli a cui teneva se li era portati via tre anni prima.
Infatti, una volta aperto il cartone, Hiccup si trovò sotto gli occhi un mucchio di volumetti dalle copertine colorate che si stavano scollando sui bordi. Ne riconobbe alcuni, come un'enciclopedia per bambini, una raccolta di fiabe e un manuale sui draghi, ma quello che lo colpì maggiormente fu un libriccino più distrutto degli altri, con il titolo che brillava al buio di verde fluorescente.
'Mostri e creature da brividi' lesse.
Se ricordava bene era un regalo di sua madre, una specie di bestiario sui classici personaggi dell'immaginario horror. Lo aveva letto tante volte da saperlo a memoria.
Hiccup lo sfogliò rapidamente, torcia del telefono alla mano, sorpreso di riconoscere le illustrazioni. Zombie, mummie, mostri della palude, lupi mannari, fantasmi… I disegni erano stati evidentemente addolciti per il pubblico giovanissimo, ma in compenso le descrizioni non si risparmiavano nessun dettaglio. Arrivò infine all'ultimo mostro del libro.
La parola 'Vampiro' era stampata a caratteri gotici cubitali, con tanto di pipistrello sul puntino della i.
'Ha lunghi denti affilati per bere il sangue delle vittime, dorme di giorno per non morire al sole, ha forza e velocità smisurate, può trasformarsi in pipistrello e non si riflette negli specchi' recitava il libro. L'illustrazione raffigurava un uomo pallido vestito di nero in stile vittoriano, non troppo dissimile da un Dracula qualsiasi. Era cadaverico e con gli occhi neri circondati da occhiaie scure.
A primo impatto gli ricordò Jack Frost.
Oddio, che pensiero ridicolo.
Hiccup rise di sé stesso. Si stava facendo spaventare da un libro per bambini. Forks lo stava davvero facendo uscire di testa, se cominciava a immaginarsi la famiglia Frost come dei mostri mitologici.
Rimise il libro al suo posto, scese dalla soffitta e controllò l'ora sul cellulare: erano quasi le undici del mattino. Dalla finestra vide che il temporale si era ridotto a pioggerellina.
'A volte non sembrano nemmeno umani' aveva detto Astrid. Aveva proprio bisogno fare due passi.

*


Jack si sentiva l'essere più stupido sulla faccia della Terra.
A giudicare dalla posizione del sole, prossima allo zenit, in quell'esatto momento Hiccup doveva essere a casa di Astrid Hofferson a costruire moto o chissà cos'altro. Ecco, era proprio l'idea di quell'altro che lo stava torturando, con la sua premessa di infinite possibilità, una più atroce dell'altra. Un invito innocente che poteva svilupparsi in molti modi, dal semplice divertimento con un'amica al nascere di un giovane amore.
Un amore in grado di crescere e fiorire in qualcosa di più.
Non si era mai considerato un romantico, Jack. Nel corso del suo secolo di esistenza non aveva mai intrecciato una relazione, né ne aveva sentito il bisogno. Una volta Nord gli aveva detto che quelli come loro si innamoravano raramente, e se succedeva era un sentimento totale ed eterno. Jack non ne aveva dubitato, dopotutto era una descrizione che calzava loro a pennello, ma adesso cominciava a farsi un'idea più precisa di cosa intendesse.
L'epifania l'aveva avuta proprio grazie a quell'invito di Hofferson. Jack era inesperto nel campo, ma non era ingenuo; Toothiana, al contrario suo, era una romanticona, e in passato gli aveva fatto una testa così su quanto sarebbe stato bello innamorarsi. Per lei.
Oh, per lei i sintomi di un'infatuazione erano nobili, idealizzati. Batticuore (i loro erano fermi e morti), voce acuta (forse un ringhio, piuttosto), difficoltà a dormire (ah-ah), distrazione (probabilmente sete), farfalle allo stomaco (sicuramente sete)... A Jack rimaneva poco su cui basarsi, ma comunque la sua reazione negativa aveva spazzato via ogni incertezza.
Tanto per cominciare, ogni proposito di indagare per scoprire quanto Hiccup sospettasse la verità era stato buttato al vento nel giro di una giornata. Si era perso come uno scemo ad ascoltare i racconti di vita del ragazzo, che, per quanto interessanti, poco servivano allo scopo originale.
Poi, la sensazione che l'aveva investito come un treno non appena Hiccup aveva accettato con entusiasmo e aveva accennato al suo imbarazzante interesse non poteva che trattarsi di gelosia. Quella faceva davvero schifo. Avrebbe voluto esserci Jack con lui, a ridere e chiacchierare spensierati.
Non appena aveva realizzato tutto questo, inizialmente aveva cercato di far finta di niente. La voglia matta di fare domande davvero personali a Hiccup, di sfiorarlo senza timori e di soddisfare tutta la curiosità che gli si leggeva negli occhi non contavano, doveva ficcarselo bene in testa. Era quindi andato avanti con la sua vita e con l'inutile interrogatorio.
Dopo tre giorni la sua determinazione era scemata, e gli era parso evidente che il teatrino non fosse servito a nulla.
Hiccup pareva felice di raccontarsi, forse per compensare una disperata ricerca di validazione provocata dalla solitudine passata, ma a Jack iniziava a non bastare più. Se fosse andato avanti così rischiava di fare un passo falso. I suoi tormenti non passavano inosservati dalla sua famiglia.
"Come stai, Jack?"
Da cani.
"Bene."
Nord lo fissava intensamente dalla scrivania su cui passava la maggior parte delle giornate, con i gomiti posati in mezzo al caos di progetti, meccanismi incompiuti, cacciaviti e scalpelli. Il suo regno.
Non gli credeva e si vedeva perfettamente. Lui non era mai stato bravo a fingere. "So che sei di cattivo umore, ma ho compito da darti."
"Sarebbe?" disse Jack strofinando i piedi nudi sull'antico tappeto dello studio. Il tessuto morbido dava una bella sensazione alle suole.
"Ho chiesto anche ad altri di pattugliare confini di foresta, ma serve terza persona" rispose Nord, serio.
Jack aprì bene le orecchie. Le sue paturnie gli avevano fatto completamente dimenticare che Sandy era da loro per la sua missione segreta. "Vuoi che aiuti a controllare che nessuno si aggiri per la zona?"
"Sì, Sandy ha sospetto che suo obiettivo sia nei paraggi, e in compagnia" affermò Nord sistemandosi la barba bianca. "Posso contare su di te?"
Per quanto gli facesse piacere che lo avesse invitato a unirsi alla sorveglianza, la tentazione di chiedere esattamente chi volessero tenere fuori dal loro territorio era forte, ma Jack previde che l'uomo non si sarebbe allargato in una spiegazione più dettagliata. "Più siamo, meglio è, giusto?"
"Bene, Jack!" esclamò Nord tornando allegro. "Squadra ti aspetta di sotto!"
Lui infilò il cellulare in tasca come unico equipaggiamento e scese al piano terra fischiettando. Forse, in quel modo, gli altri non avrebbero notato la sua tensione.
Lo stavano aspettando nel salone, in piedi di fronte al mappamondo, un bel pezzo d'epoca di dimensioni spropositate. Lo aveva portato Nord dalla Russia e lo aveva esposto al centro della stanza, sul tavolo tra i divani davanti al camino.
"Allora vieni con noi?" disse Toothiana venendogli incontro, lasciando indietro… "Che ci fai a casa? Non dovresti essere al Nido a quest'ora?" domandò Jack ad Aster. Aveva abbandonato la divisa del caffè per un abbigliamento sportivo.
Aster alzò gli occhi al cielo. "Sono qui dall'alba, imbecille, in questo periodo chiuderò anche nel weekend. Ma tu eri troppo assorto nei tuoi pensieri per accorgertene, eh? Lo sai che ti fa male sforzarti." Usò un tono antipatico di finta premura, nascondendo un ghigno.
"Spiritoso" commentò Jack. "Pensavo che ci fosse anche Sandy, dov'è finito?"
"Chi lo sa? Ha detto di avere delle faccende da sbrigare e non l'abbiamo più visto" disse Toothiana. "Adesso andiamo, e non litigate."
Uscirono, ignorarono sia il sentiero che la strada selciata e si incamminarono nel fitto della foresta, accompagnati dal suono della pioggia battente. Jack avrebbe preferito il bel tempo, non tanto perché si stava bagnando, ma per sentire meglio i rumori. L'acqua copriva tutto il resto e lo costringeva a tenere alta l'allerta. Era snervante.
"Guardate là!" esclamò Toothiana indicando un punto distante.
Jack fece scattare lo sguardo in quella direzione, ma rimase deluso che si trattasse solo del tronco di un albero segnato da una lunga striatura sulla corteccia. Diversi rami spezzati giacevano a terra.
"È stato colpito da un fulmine. Poco fa è finito un temporale" disse Aster impassibile.
Jack sapeva che era vissuto nella natura per anni, prima di venire ad abitare con Nord nella loro parvenza di civiltà, perciò era normale che certi fenomeni non lo impressionassero. Probabilmente ne aveva visti di più strani.
"Dite che dovremmo mangiare, prima di dividerci? È passato un po' dall'ultima volta" propose Toothiana dopo qualche minuto di camminata. Il suggerimento della cugina rese Jack più consapevole dello spiacevole bruciore alla gola.
"Dovremmo anche stare attenti che i nostri occhi non diventino troppo scuri, anche se gli umani difficilmente ci guardano abbastanza a lungo da notarlo" aggiunse lei.
Troppo tardi, pensò Jack ricordando il modo in cui Hiccup non abbassava quasi mai lo sguardo quando parlavano. La debolezza della prova che avrebbe costituito era abbastanza perché lui non se ne preoccupasse.
"Anch'io ho fame" disse Aster meditabondo. "Sbrighiamoci, però."
Qualcun altro avrebbe pensato che il loro atteggiamento disinvolto mentre discutevano se andare a bere sangue animale fosse disturbante, ma dopo un secolo di conversazioni del genere ci si faceva l'abitudine.
Si compattarono in formazione da caccia e si inoltrarono nella vegetazione, verso le aree più popolose. L'acquazzone stava diventando pioggerellina, quindi gli animali stavano uscendo allo scoperto dai loro nascondigli all'asciutto. Anche se cacciare in gruppo andava in contrasto con la loro natura di predatori solitari, non era la prima volta che i tre lo facevano insieme. Jack ricordava le prime volte, appena dopo la trasformazione, quando dovevano accompagnarlo per controllare che non facesse danni con la sua nuova forza smisurata.
Con un po' di sforzo riusciva a superare l'istinto di abbandonare la formazione e avventurarsi in giro da solo, e poteva godersi la sensazione di appartenere a un branco, o qualcosa di simile. Poteva dimenticare le preoccupazioni di quei giorni.
Trovarono un vapiti che si stava abbeverando tranquillo a un ruscello creato dall'acqua piovana: un grosso cervo di trecento chili con un maestoso palco. Sarebbe bastato per tutti.
Aster fece loro cenno di restare fermi, si arrampicò silenziosamente su un albero lì vicino e con un salto piombò sulla bestia come un lampo, abbattendola con uno schianto rapido del collo dalla criniera ispida. Dopodiché li chiamò a venire a sfamarsi.
Jack preferiva cacciare con un inseguimento, correndo nella foresta al massimo della velocità, ma non voleva provocare altre discussioni, e si avvicinò con Toothiana. Mentre si serviva, il sangue caldo gli scorreva a fiotti in gola attenuando l'arsura della sete.
Come faceva per abitudine a ogni pasto, ricordò a sé stesso che quella era l'alternativa migliore. Era una specie di mantra da ripetere mentalmente, un modo per non sentirsi un mostro spregevole: non c'era possibilità di ottenere sangue umano senza violenza o problemi, nemmeno con le riserve mediche, che erano necessarie agli umani bisognosi, quindi intoccabili. Se avesse provato a digiunare sarebbe stato anche peggio, avrebbe rischiato di impazzire e attaccare la prima persona viva sul suo cammino. Non aveva altra scelta che sopprimere un animale, e farlo nel modo più veloce e indolore possibile.
Finito di dissetarsi, si allontanarono seguendo il ruscello, che sfociava nel torrente principale più a valle. Aveva finalmente smesso di piovere e restavano solamente le nubi dense e grige a coprire i raggi di sole.
Libera dal pensiero della caccia, la mente di Jack indugiò ancora sulle ipotesi che aveva messo insieme con le informazioni ricavate fino a quel momento. Sapeva per certo che il loro obiettivo era un vampiro, e uno piuttosto forte; Sandy, strano ma vero, era una macchina da guerra, specialmente quando arrabbiato, perciò il nemico doveva sapergli tenere testa per secoli. In più avevano mandato loro tre nella foresta, probabilmente per fare numero.
"Secondo voi chi stiamo aspettando?" disse agli altri.
"Chiunque sia, spero di non incontrarlo" disse Aster corrucciato, scavalcando un albero caduto nel temporale. Ce n'erano parecchi ridotti in quello stato, altri spezzati dal vento.
Toothiana superò con grazia un masso. "Deve aver fatto qualcosa di terribile, per essere inseguito da Sandy. Non è tipo da fare la guerra senza motivo" considerò, più ragionevole.
"Già, quale potrebbe essere l'eventualità peggiore? Il potere? L'amore? La vendetta?" rise Jack, che non riusciva a immaginare Sandy mosso da sentimenti tanto nobili, quasi da romanzo.
Toothiana e Aster non lo imitarono e si scambiarono uno sguardo ansioso. Anche Jack tacque. "Cos'avete adesso?"
"Dovremmo…" mormorò insicura Toothiana.
"No" ribatté Aster duramente, proseguendo la marcia con decisione. "Di cosa state parlando?"
"Zitto e cammina."
"Cosa nascondete?"
"Scusa, Jack, ma non possiamo parlarne."
"Ma…"
"Ordini di Nord" conclusero i due all'unisono.
Jack schioccò la lingua, irritato, e si alzò il cappuccio della felpa con ostinazione. "Come vi pare, però non è giusto."
"Piantala di fare il ficcanaso e forse un giorno ti racconteremo tutto quello che vuoi" replicò Aster.
"Parli così solo perché sei più vecchio" mugugnò Jack.
"Esatto" disse l'altro. "Muoviti, e pulisciti la bocca, marmocchio."
Jack si toccò il mento e ritrasse subito le dita rosse e appiccicose con un pizzico di disgusto. Non si era accorto di avere la faccia sporca da prima. Si passò distrattamente la manica sul viso per darsi una ripulita sommaria. L'insulto di Aster aveva assunto maggiore valore, perché tutti sapevano che solo un novellino non era capace di cacciare senza macchiarsi, come un bambino che si sbrodolava con la pappa.
Proseguirono fino a valle, a meno di un chilometro entro il limitare della foresta, dove si sentiva il traffico in lontananza. Non parlarono finché Aster si bloccò di colpo. "C'è qualcuno" li avvertì con il corpo in tensione.
"Avrai sentito un coniglio" lo liquidò Jack ironico.
"No, scemo, è un odore di umano."
"Non è normale, da queste parti?" chiese cauta Toothiana. "In fondo non siamo molto distanti dalla città."
"È vicino, senti" disse Aster scuotendo la testa.
Jack e Toothiana annusarono l'aria con attenzione. "Vediamo… legno, crema pasticcera, olio per motori… Shampoo al cocco. Sa di…" sussurrò lei.
Sa di Hiccup!, gridò Jack mentalmente, allarmato. Che accidenti ci faceva nella foresta?
"Di umano" concluse Toothiana con un cenno affermativo. "Che si fa?"
"È sospetto che qualcuno si aggiri da queste parti a quest'ora, umano o no. Vado a vedere" disse Aster avviandosi verso la fonte dell'odore.
"No, aspetta!" cercò di fermarlo Jack. Non sapeva cosa sarebbe successo se avesse visto Hiccup, ma aveva il forte presentimento che non sarebbe stata una buona idea. Afferrò il braccio di Aster senza riuscire a trattenerlo. "Lascia perdere, sarà solo un escursionista. Se vuoi vado io, piuttosto."
"Prima controllo, non si sa mai" ribatté l'altro scrollandosi dalla presa Jack, che stavolta gli strinse una spalla. Se avessero incontrato Hiccup avrebbero pensato che sospettasse ancora di loro, o che lo avesse mandato lì Jack, o chissà che altro. Avrebbero poi deciso di trasferirsi, come minimo.
"È una perdita di tempo, dammi retta. Voi andate a perlustrare, me la cavo!"
"Lasciami, idiota! Perché insisti tanto, adesso?" sbottò Aster riprendendo a camminare senza guardarlo. Toothiana guardava prima uno e poi l'altro, indecisa sul da farsi.
Jack, esaurite le idee, si ritrovò a gridare: "Aspetta!"
"Perché?" ringhiò Aster voltandosi di scatto. "Ho l'impressione che tu stia cercando di nascondere qualcosa."
Jack aprì bocca senza trovare le parole. Non sapeva come esprimere il panico che lo stava immobilizzando.
Aster strinse le palpebre con sospetto, borbottò qualcosa sottovoce e si diede lo slancio per correre. Jack non trovò nulla di meglio da fare che seguirlo, deciso a fermarlo, mentre Toothiana faceva lo stesso implorando i due di darci un taglio.
Arrivarono nei pressi di una piccola radura in qualche secondo. Jack aveva cercato di superare Aster, ma lui era il più veloce del gruppo e lo aveva seminato senza difficoltà. Intravedendo una persona dietro gli alberi, Jack si gettò con tutto il suo peso su Aster, facendoli ruzzolare allo scoperto senza volerlo.
"Ragazzi!" li richiamò Toothiana indignata, poi realizzò chi avevano di fronte e ammutolì. Jack districò le gambe da quelle del fratellastro, agitandosi per fare in fretta, e scattò in piedi.
Accidenti, troppo veloce.
Come verificato dalla traccia, Hiccup se ne stava in mezzo alla radura con le mani nascoste nelle tasche della giacca a vento, sbalordito. Li squadrò tutti e tre a bocca aperta, intanto che la sua espressione mutava poco a poco in spavento e il volto impallidiva.
"Va tutto bene" Jack provò a mettere una pezza a quel pasticcio, ma era inutile, Hiccup stava arretrando, e il suo tentativo andato a vuoto riuscì solo ad attirare l'attenzione verso di lui.
Gli occhi del ragazzo erano colmi di paura mentre fissava Jack come un fantasma, il quale ricambiò lo sguardo, consapevole dell'impressione che potesse fare con i capelli arruffati dal vento, la felpa macchiata, il mento rosso di sangue fresco e gli occhi d'oro. Hiccup continuò ad arrancare all'indietro, cercando a tentoni gli alberi alle sue spalle, e, trovato un varco, si girò per scappare nella vegetazione senza un fiato.
Aster non aveva più detto niente, era rimasto a guardare la scena, immobile. Toothiana si era portata le mani alla bocca. "Che ci faceva qui?"
"Qualcuno deve avergli detto che stavamo girando per la foresta" sibilò Aster. Fulminò Jack con un'occhiata carica di rabbia e delusione.
"Non gli ho detto proprio niente, invece!" esclamò lui per difendersi dall'accusa velata. "Ho saputo della ronda solo stamattina!"
Aster non lo stava ascoltando, ed era già partito di corsa in direzione di casa loro.
"Toothiana" disse allora, sostenendo l'espressione impaurita della cugina. "Non gli ho detto niente, credimi!" ripeté esasperato.
"Io… Se è così" disse lei con un filo di voce, "devi andare a casa a spiegarti, immediatamente!"
Jack si lanciò in corsa verso il sentiero che di solito seguivano per cacciare, imponendo alle sue gambe un'andatura mai raggiunta, rovistando nella tasca in cerca del cellulare.



Note
Come ho già premesso, non mi intendo di meccanica, perciò chiedo umilmente perdono se l'intervento fatto sulla moto di Astrid non ha senso. Comunque mi sono documentata e non sono scesa troppo sui dettagli, ma vabbe'.
Non so se ci avete fatto caso, ma questo è il primo capitolo in cui viene usata la parola 'vampiro', mi sembrava carino evitare di metterla fino a questo momento di suspense.



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Capitolo 7
*** VI. Avvertimento / Rosso ***




VI

Avvertimento / Rosso
 
 
Hiccup non rallentò il passo finché non arrivò in vista della casa di Stoick, lieto, per la prima volta, di potervi trovare conforto.
Sbatté forte la porta per l'agitazione e crollò su una sedia a caso della cucina. L'orologio alla parete segnava mezzogiorno passato.
Ancora non riusciva a credere a cosa aveva appena visto. Sperava di esserselo sognato, ma in cuor suo sapeva che non era così. Stava davvero vivendo un incubo.
Dopo essere sceso dalla soffitta, quella mattina, era uscito a fare due passi per cambiare aria e dimenticare la sua conversazione con Astrid. Il cortile della vecchia abitazione confinava con un lembo di foresta, lo stesso che abbracciava anche un pezzetto di parcheggio della scuola qualche chilometro più lontano, così, invece di prendere il vialetto e passeggiare in città, aveva girato l'angolo per scavalcare la staccionata che delimitava il confine tra la proprietà di Stoick e la foresta. Aveva quindi iniziato a gironzolare in una radura trovata vicino al sentiero, sentendo l'umidità post-acquazzone irrigidirgli le ossa. Gli era sembrato così tranquillo, là fuori, che si era dimenticato quello che aveva raccontato suo padre sugli animali avvistati.
Poi aveva sentito le voci.
Erano in avvicinamento, tre toni distinti e melodici inconfondibili, sempre di più, mutando da brusii a voci concitate, perfino allarmate. Hiccup non aveva avuto nemmeno il tempo di rendersi conto che fossero vicinissime, perché due persone erano rotolate nello spiazzo.
Il resto era una sequenza confusa. Era successo in fretta e lo spavento gli impediva di ricordare i particolari, tranne che per una sola visione: un Jack Frost che sembrava uscito direttamente dal suo libro per bambini, completo di sangue che gocciolava dal mento. Era scattato in piedi e aveva guardato Hiccup come se fosse stato più terrorizzato di lui, ironicamente.
Il cervello di Hiccup aveva ripreso a funzionare lucidamente solo quando aveva raggiunto il centro abitato e adesso era lì, seduto tremante in cucina, a chiedersi se lo avrebbero cercato per mangiarselo. Poteva sentire il Dracula del libro sbeffeggiarlo.
Nel vuoto silenzio della stanza, la suoneria del cellulare gli fece prendere un colpo. Hiccup lo tirò fuori dalla tasca e lesse il numero sconosciuto sullo schermo senza vederlo veramente. Rispose alla chiamata in tralice.
"Pronto?"
"Hic" disse una voce affrettata in tono d'urgenza. "Dove sei? Sei a casa tua?"
Hiccup sentì lo stomaco sprofondare in un abisso buio e infinito. Il cuore era rimasto da qualche parte nei dintorni della lingua.
"Co-come fai ad avere il mio numero?!" balbettò.
"Senti, mi dispiace un casino per quello che hai visto, non sarebbe dovuto succedere. Cos—"
"Lasciatemi in pace!" urlò Hiccup nell'apparecchio. "State lontani da casa mia!"
Terminò la chiamata e gettò il cellulare sul tavolo, come se tenerlo distante da sé potesse proteggerlo. Era senza fiato, continuava a battere le palpebre perché la vista tornasse normale, la cucina gli vorticava attorno. Doveva chiamare la polizia, avvertire Stoick e barricarsi dentro, doveva trovare un'arma qualsiasi, doveva…
Ci fu un tintinnio di chiavi e la porta d'ingresso si aprì poco dopo. Hiccup pensò che sarebbe morto di paura proprio lì sulla sedia traballante. Tenne lo sguardo fisso sul corridoio all'ingresso, perché era l'unico gesto in grado di fare al momento, e aspettò la fine.
Passi pesanti e stanchi a pochi metri…
Ma la morte non arrivò, al contrario dell'odore di pesce appena pescato. Hiccup accolse l'arrivo di suo padre e Skaracchio come la più tranquillizzante delle visioni. Se c'era qualcuno capace di difendersi da qualunque cosa fossero i Frost, quella persona era Stoick Haddock.
"Ciao, Hic, come va?" disse Skaracchio riponendo il giubbotto umido sull'appendiabiti. Stoick si tolse gli stivali di gomma, posò il borsone a terra e scaricò il pesante secchio di pescato sul tavolo, facendo sussultare Hiccup.
"Cia'" riuscì a rispondere.
"Ti sei preso una pausa dai compiti? Bene, perché ho un regalo per te" dichiarò suo padre armeggiando con un sacchetto di plastica. La pesca lo aveva messo di buonumore, a vedere come le rughe d'espressione gli segnavano gli occhi verdi.
Frugò nella busta e gli porse qualcosa di stoffa. Hiccup studiò l'oggetto con la mente altrove, ma riconobbe ugualmente un cappello con visiera a stampa mimetica su cui era ricamato un salmone in pieno salto. Orribile.
"Lo vendevano al negozio di pesca, non è stupendo?" fece Stoick indicandolo con orgoglio. Aveva tutta l'aria di essere un'offerta di pace, tuttavia le sue parole entrarono in un orecchio di Hiccup e uscirono dall'altro. Non era decisamente il momento adatto.
"Evviva. Grazie, papà" rispose fiaccamente, senza indossare il cappello.
Suo padre non la prese benissimo. "Che c'è, lo trovi tanto brutto?" chiese notando finalmente la sua faccia sconvolta, e forse che indossasse ancora la giacca a vento.
La parte meno sana della mente di Hiccup premeva per dargli una risposta affermativa, mentre l'altra, quella più fredda, si stava arrovellando per capire come dargli la notizia.
Io so cosa si aggira per la foresta, papà, avrebbe voluto dire.
Non gli avrebbe mai creduto.
"Sono uscito a fare due passi, prima" incespicò dopo aver deciso di affrontare l'argomento partendo con cautela. "E ho visto qualcosa."
"Cosa? La vecchia Gothi in vestaglia?" ridacchiò Skaracchio cercando una birra dal frigo.
Hiccup scosse la testa. Stoick si era appoggiato alla sedia accanto per ascoltarlo. "Dov'eri esattamente?"
"Nella foresta."
Grosso errore. Stoick si raddrizzò mandando lampi dagli occhi e agitò le braccia muscolose per aria. "Che ci facevi là, eh? Sei impazzito, con tutte le segnalazioni che mi continuano ad arrivare in centrale?"
"Ero a neanche due metri da casa, papà" si lamentò Hiccup. "Ci ho messo un secondo a tornare qui."
"Sei stato incosciente comunque."
"Va bene" sbottò lui, seccato perché suo padre pareva non afferrare il punto della questione. "Però c'era qualcosa che mi ha fatto prendere un colpo, se per caso ti interessa."
"Cosa?"
Hiccup stava per rispondere, ma l'immagine di Jack, angosciato e preoccupato almeno quanto lui, gli tornò alla mente come se fosse stata marchiata a fuoco sulle sue retine, e gli bloccò le parole in gola.
"Un qualcosa… uh, un… un animale…" tossì. "...Credo?"
"Insomma, lo ha visto, sì o no?" brontolò Stoick spazientito.
"Sì! Era grosso… e… e agitato, ma era lontano e sono scappato via senza vederlo bene" disse Hiccup. Non aveva idea di cosa gli fosse preso. Per qualche oscuro motivo non se la sentiva di dire la verità.
"Forse era un orso nero" commentò Skaracchio, sedendosi di traverso sulla sedia più vicina al frigorifero.
"In pieno giorno, vicino alla città?" obiettò Stoick.
Skaracchio fece spallucce. "Magari era ubriaco. Ti ricordi quella volta—"
"Resta il fatto" continuò l'uomo rivolto a Hiccup, "che non devi mai più andare nella foresta, hai capito? Specialmente da solo."
"Va bene, papà."
"Promesso?"
"...Promesso."
Stoick si strofinò le mani, soddisfatto. "Bene, adesso preparo da mangiare e mi racconti com'è andata con Astrid Hofferson."
"Papà…" rantolò Hiccup piegandosi esausto sul ripiano freddo. "Ti prego, non adesso."
"Non fare il timido, ora!" disse Stoick severamente armeggiando con pentole e fornelli, volgendogli le spalle. "Non è da uomini."
"Aaah, te la fai con la giovane Hofferson? Non ti facevo così intraprendente, Hic" approvò Skaracchio.
"Non 'me la faccio' con nessuno" borbottò lui alzandosi.
"Aspetta, tra poco pranziamo…"
"Chiamatemi quando è pronto."

Quella notte dormì malissimo.
Continuava a svegliarsi ogni volta che suo padre tirava una russata particolarmente sonora, e durante le poche ore di pace ebbe un incubo.
Sognò di trovarsi a scuola, ora deserta e illuminata dalla luna. I passi dei suoi inseguitori echeggiavano per i corridoi vuoti mentre correva per salvarsi la pelle, ma andava a sbattere contro la figura bianca e spettrale di Jack Frost, vestita con gli stessi abiti logori dell'immagine sul libro. Il vampiro spalancava la bocca mostrando i denti affilati, e si calava su Hiccup, pietrificato dall'orrore.
Non appena sentì i canini affondare nella carne morbida del collo, il sogno finì.
Hiccup passò il resto della domenica a fissare le pagine dei libri di scuola senza alzare la penna, scervellandosi sul da farsi. L'indomani avrebbe incontrato Jack, oppure era già fuggito all'estero con la sua famiglia? Erano vampiri? Aveva sbagliato a non dire cosa aveva visto davvero?
A pranzo consumarono un altro pasto a base di pesce che Hiccup toccò a malapena, per la delusione di Stoick. Aveva un nodo allo stomaco che gli impediva di mangiare o dare risposte più loquaci.
"Ho un favore da chiederti" esordì suo padre mentre Hiccup tastava le patate al forno con la forchetta.
"Sarebbe?"
"Hai presente la signora Gothi, l'infermiera della scuola? Ha dolori alle gambe che non la lasciano in pace e fa fatica ad andare a fare la spesa, quindi vorrei darle un po' del pesce che ho preso. Ti va di andarci?"
Hiccup ci pensò su un momento, e supponendo che nessuno sarebbe venuto a cercarlo a casa dell'anziana donna, accettò la commissione.
Nel pomeriggio, si presentò dunque alla casetta di mattoni in fondo all'isolato, armato di sacchetto contenente il pesce nella carta stagnola. L'edificio era ancora più vecchio di casa loro ed era circondato da arbusti incolti. Hiccup suonò il campanello e aspettò un segno di vita.
La signora che aprì la porta era indubbiamente la stessa che gli aveva esaminato la caviglia storta il primo giorno di scuola, ma, a differenza del loro incontro precedente, indossava delle vaporose pantofole e una vestaglia annodata in vita. Lo squadrò con gli occhi piccoli che sormontavano il naso da falco, abbarbicata al bastone come una vite al muro, e lasciò che il gatto che aveva in braccio saltasse sul pavimento. Dietro di lei si intravedeva un corridoio che sbucava nel salotto.
"Buongiorno" salutò Hiccup sforzandosi di farle un sorriso cordiale. "Ho un po' di pesce da mio padre per lei."
La donna annusò in direzione del sacchetto, e si spostò per farlo entrare con un cenno del bastone. Era brusca come la ricordava dalle medie, dove un tempo lavorava come infermiera.
Hiccup varcò la soglia mormorando un "Permesso", attento a non inciampare nei numerosi gatti che popolavano la casa. Ce n'erano dappertutto, sul pavimento a prendere gli scarsi raggi di sole, sulle scale, a sonnecchiare sulla poltrona, in fila sui davanzali. Gothi fece 'sciò' con la mano rugosa per esortarne un paio a lasciare i loro angolini sul copridivano a stampa geometrica, indicò a Hiccup di sedersi, prese il pesce e sparì, presumibilmente in cucina a metterlo in freezer.
Hiccup affondò nel divano troppo morbido e si guardò intorno: non era mai stato lì, nonostante ormai conoscesse bene Gothi grazie agli incidenti e infortuni degli anni passati, prevedibili grazie alla sua goffaggine. Durante le medie era capitato spesso di doversi recare dalla donna in cerca di cerotti e ghiaccio, e non era infrequente scambiare due chiacchiere, anche se a senso unico.
Il salotto odorava di pelo felino e deodorante per ambienti floreale, uniti in una fragranza che pizzicava il naso. Un tavolino dall'aria vissuta era piazzato tra il divano e le due poltrone bucherellate, vicino a un cesto pieno di materiale per l'uncinetto. Il divano non era troppo distante da un caminetto spento su cui erano posizionate file disordinate di fotografie, con le cornici riflesse su un grosso specchio alla parete sopra di esse. Erano davvero tante, come se la donna preferisse lasciarle esposte invece di inserirle in un album.
Hiccup si alzò per vederle da vicino, intanto che Gothi era ancora in cucina, e le studiò partendo da sinistra. La prima catturava in bianco e nero due bambini ridenti nel bel mezzo di un gioco, curvi su un disegno scavato nella terra. Quella immediatamente a fianco ritraeva degli adolescenti in barca, poi ce n'era una molto sbiadita di una coppia di sposi con una chiesa sullo sfondo. Le foto si susseguivano sovrapponendosi, quelle davanti a coprire l'ultima fila, e verso il centro diventavano gradualmente a colori, mostrando una moltitudine di persone, ambienti ed epoche. La più grande era uno scatto professionale di un uomo e una donna sulla trentina, lei con le trecce, vestiti a festa mentre si tenevano per mano.
Le ultime, sulla destra, erano perlopiù ritratti di felini. Era evidente che a loro fosse riservata la stessa cura delle altre, ma la mancanza di soggetti umani aveva qualcosa di triste, come se servissero più a scopo terapeutico che per ricordo.
Quando Gothi tornò in salotto con due tazze di tè, Hiccup stava ancora guardando le fotografie, assorbito da una cornice seminascosta in fondo. Lo stesso uomo del ritratto di coppia, qui in abbigliamento sportivo e fucile in braccio, posava con un piede su un masso circondato da alberi. Non appariva più anziano di così in nessun'altra.
"Gothi, questo è suo marito?"
La donna si sedette su una poltrona, mettendo in fuga un gatto assopito, e annuì toccandosi la fede al dito. Hiccup notò che non era dorata come quelle classiche, ma argentata e lucida come nuova.
Si accomodò anche lui e accettò il tè. "Era un cacciatore?"
Gothi fece cenno di assenso e rovistò in una scatola di biscotti di latta sul tavolino. Hiccup, che fino a quel momento era stato tutto preso dalle foto sul camino, si accorse solo ora della grossa maschera di legno e cuoio che adornava il muro alle spalle della donna. Sembrava in stile nativo americano e aveva fattezze vagamente inquietanti.
L'anziana parve accorgersi del suo interesse per l'oggetto e indicò le foto con un sorrisetto.
"È della sua famiglia?" chiese conferma Hiccup. Lei annuì e continuò a sorseggiare il tè.
Quindi aveva origini native. Be', adesso capiva perché avesse sempre i capelli intrecciati.
"Anche suo marito lo era?"
Gothi scosse la testa e la sua espressione si fece leggermente più seria. Il ricordo dell'uomo doveva rattristarla ancora, ma Hiccup era sempre più curioso. "Quando… quando è morto?"
Gothi posò la tazza e mimò prima un 'sette', poi un 'cinque'. Hiccup decise di rischiare e fare l'impiccione.
"Era malato?"
A quest'ultima domanda, la donna si incupì e scosse la testa. Strinse con una mano il bracciolo della poltrona, con l'altra il petto all'altezza del cuore.
"Ha avuto un infarto?" chiese Hiccup confuso, al che Gothi fece nuovamente cenno negativo, stavolta più energeticamente, e puntò l'indice verso la maschera.
Hiccup continuava a non capire. Era stata la tribù la causa?
Gothi si alzò dalla poltrona sorreggendosi al bastone e si avvicinò al comò dietro a Hiccup, dove aprì un cassetto ed estrasse una cartellina dal fondo. La porse a lui, che sfilò l'elastico con impazienza, rovesciandone il contenuto sulle gambe. "Ah, scusi. Ora le sistemo."
Un mucchio di ritagli di giornale gli era finito addosso e Hiccup ne scorse i titoli mentre li rimetteva a posto. Citavano numerose scomparse di persone, anche bambini, tutte concentrate nello stesso breve periodo. Alcuni articoli erano provvisti di foto degli scomparsi. La maggior parte sembrava essere sparita nel nulla quando si trovava nella foresta, o nelle vicinanze.
Le colonne di testo erano zeppe di parole allarmanti come mistero, orrore e inspiegabile.
"È scomparso? È questo che intende?"
Gothi annuì e indicò ancora la maschera con decisione. Hiccup le diede un'occhiata, ma non conosceva la religione nativa, e non sapeva che tipo di creatura rappresentasse. Di sicuro non era rassicurante.
"Vuole dire" azzardò, "che c'entra qualcosa di soprannaturale?"
Lei mosse il capo in segno di incoraggiamento. Centro.
"E anche lui è scomparso dalla foresta? Ma certo" disse Hiccup battendosi un palmo sulla fronte. "È successo mentre era a caccia! Ma da quelle parti c'è solo la riserva, e sulle montagne non abita nessuno. Cioè, adesso ci sono i Frost, ma quarant'anni fa erano disabitate."
A pronunciare quel nome represse un brivido, memore dell'incontro spaventoso del giorno prima, ma la reazione insolita fu quella di Gothi, che si portò entrambe le mani al petto solo a sentirlo. Aveva un'espressione sconvolta, gli occhi sbarrati.
"Si sente bene? Mi sembra…"
L'anziana aveva sfilato qualcosa da sotto la vestaglia, un ciondolo, e ora lo rigirava tra le mani tremanti, ora si torceva la fede sul dito. Hiccup scorse un pendente argentato tra le dita della donna, forse un amuleto di qualche tipo.
Il suo cervello elaborò le informazioni appena ricevute, insieme alle sembianze mostruose della maschera, il terrore di Gothi per i nuovi arrivati e l'onnipresenza della foresta negli scenari da incubo.
Temeva che non fossero coincidenze.
"Gothi" disse fingendosi calmo. "Per caso ha chiesto il trasferimento dopo aver saputo che i Frost avrebbero iniziato a frequentare il liceo qui? Per proteggere gli studenti?"
Risposta affermativa. Pelle d'oca. L'odore pungente della stanza cominciava a dargli la nausea.
Hiccup mise da parte la tazza e salutò la donna scavalcando i gatti per uscire. Ne aveva avuto abbastanza.
Uscito dalla casa strizzò gli occhi, sorpreso dal sole che tramontava all'orizzonte. Il cielo si era tinto di rosso intenso e le vetture delle persone che tornavano dal lavoro affollavano le strade. Doveva essere passata almeno un'ora.
Mentre camminava in direzione di casa sua, Hiccup rifletté su quello che aveva scoperto. Ripensò alle voci che circolavano sui Frost, senza spiegarsi il terrore di Gothi per quella famiglia tanto schiva, ma alla fine arrivò alla conclusione che la donna avesse gli stessi dubbi dei suoi compagni di scuola, e che in fondo fosse un po' superstiziosa. Magari nel folklore nativo esisteva qualche mostro corrispondente ai tratti particolari dei nuovi arrivati.
Il problema, adesso, era capire se avesse ragione. Che i Frost centrassero qualcosa con le sparizioni di quarant'anni prima era improbabile, ma non impossibile. I giornali ne avevano parlato come un mistero irrisolvibile.
Dio, e se fossero tornati per finire quanto iniziato? Forks era una specie di territorio di caccia? In quel caso, tutti in città erano in pericolo.
Però qualcosa non quadrava. Tanto per cominciare, i Frost avevano traslocato lì da qualche anno, e Hiccup non aveva sentito parlare di scomparse recenti. Le uniche anomalie erano l'aggressione e i rumori strani, che comunque non si erano presentati prima di allora. Forse loro non erano colpevoli, dopotutto.
Certo, restava il fatto che con tutta probabilità erano vampiri assetati di sangue, ma anche se erano forti e resistenti come si diceva, in teoria non avevano attaccato nessuno.
Hiccup ricordava il tono colmo di panico di Jack quando gli aveva parlato al telefono. Era strano che per prima cosa avesse voluto accertarsi su dove fosse, e poi si fosse scusato. Scusato. Per essere stato visto in quello stato, sporco di sangue e con i piedi infangati fino ai polpacci? Per averlo spaventato?
Avevano parlato diverse volte, addirittura riso. Era un tipo bizzarro, ma non gli era sembrato un assassino, un mostro. Speciale, quello sì.
Jack Frost era speciale, e gli piaceva chiacchierare con Hiccup. Non poteva essere malvagio.
Hiccup fece un respiro profondo e prese una decisione rischiosa: sarebbe tornato nella foresta, disobbedendo all'ordine di suo padre, e avrebbe cercato Jack per farsi dare una spiegazione. Era inutile continuare a tormentarsi, tanto valeva parlargli chiaramente.
Si strofinò le mani sui pantaloni quando girò l'angolo, facendosi coraggio, e arrivò davanti casa. Evitò con cura il vialetto, attraversò il giardino sul retro e oltrepassò lo steccato, graffiandosi una mano sul legno rovinato dalle intemperie. Prese lo stesso sentiero del giorno prima, cercando la radura in cui si erano incontrati.
Sperava che fossero ancora da quelle parti, e scrutò nell'ombra serale per scorgere eventuali presenze.
Dopo diversi minuti, purtroppo, fu evidente che la sua ricerca non avrebbe portato a nulla di fatto, anche perché il sole stava già sparendo oltre gli alberi, e presto Stoick si sarebbe chiesto che fine avesse fatto. Avrebbe fatto meglio a girare i tacchi e tentare l'indomani in classe.
Ma Hiccup non sapeva se avrebbe rivisto Jack. Dopotutto li aveva scoperti, potevano essere fuggiti altrove… Era possibile che quella sera sarebbe stata l'ultima occasione di parlare, se non era già troppo tardi. Tornare a casa adesso era da escludersi.
Ok, pensò febbrilmente girando lungo il perimetro della radura. Basterà cercare più lontano.
Lasciò lo spiazzo, timoroso, orientandosi a fatica nella boscaglia sempre più buia. Perdersi gli avrebbe fatto perdere tempo prezioso, e doveva fare attenzione a dove metteva i piedi. A quell'ora la foresta diventava scura e minacciosa, animata solo dai versi notturni degli uccelli e i fruscii delle chiome degli alberi. Hiccup cominciava ad avere il fiatone.
Si fermò un momento per riposare appoggiandosi a un tronco, ma un rumore improvviso e sconosciuto lo costrinse a rimettersi all'erta. Sembrava provenire da dietro di lui. Troppo forte per essere un piccolo animale, troppo vicino per essere ignaro della sua presenza. Hiccup si girò velocemente per scoprirne l'origine.
Non era Jack. Anzi, non era nessuno della sua famiglia.
Hiccup guardò la figura avvicinarsi con il cuore che batteva forte, rovinando l'audacia che aveva tirato fuori per venire in quel posto. Andava a passo tranquillo, quasi un passeggio, apparentemente incurante di una possibile fuga di Hiccup. Quella persona sapeva benissimo di non aver bisogno di affrettarsi.
Il crepuscolo illuminò pigramente la figura, ora a qualche passo da lui. Spalle ampie, capelli corvini, abiti stracciati e macchiati di terra ed erba. Occhi cremisi impressionanti.
A Hiccup non ci volle molto per riconoscere alcune caratteristiche ricorrenti: pallore, andatura aggraziata, un volto attraente dal mento importante. Solo gli occhi erano diversi. "Chi sei?"
"Un amico di Frost" rispose l'altro osservando Hiccup con curiosità. Stava probabilmente ragionando sulla prossima mossa da fare.
Frost? E quale?
"Bene" disse Hiccup schiarendosi la voce. "Lo stavo cercando. Per caso lo hai visto?"
Lo sconosciuto non cascò nel suo bluff stentato. "Non è qui. Siamo soli." Be', fantastico! Non poteva andare peggio di così!
"Ah. Ehm, è tardi, credo che tornerò un'altra volta, allora" farfugliò Hiccup, che stava sudando freddo. Lo sconosciuto rise a gran voce.
"Scappi? Speravo di fare due chiacchiere" disse lo straniero con voce melliflua. "Scusa, adesso non ho tempo…"
"Eret."
"Eret" scandì Hiccup indietreggiando lentissimo, "è stato un piacere, davvero, ma ora devo andare."
Il sorriso svanì dal bel volto dell'uomo. "No. Resta."
Lo disse con un'intensità tale da bloccarlo dov'era. Sentiva il desiderio assurdo e allo stesso tempo ragionevole di farlo felice, perché a un tratto vederlo turbato sembrava la cosa peggiore del mondo.
Hiccup rimase immobile ad aspettare Eret che avanzava verso di lui con sguardo famelico. Aveva le narici allargate per cogliere qualche traccia, gli parve.
Eret giunse a pochi centimetri dalla sua faccia. Irrigidì la postura e intanto lo fissava dappertutto come se stesse valutando un taglio di carne da comprare.
Hiccup non riusciva a muovere un dito.
"Hai un buon odore, lo sapevi?" disse Eret in tono sommesso, corrucciato per quella realizzazione.
Hiccup balbettò qualcosa di incoerente con il cervello svuotato. Per la terza volta fu convinto che fosse arrivata la sua fine.
Poi l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio, e come se il suo corpo stesse agendo di propria volontà, fece dietrofront e si fiondò in direzione opposta, pervaso di adrenalina. Per un secondo sperò davvero di poter scappare, ma durò poco. Tempo un istante, ed Eret era di fronte a lui con il palmo aperto.
Hiccup si rese conto dell'impatto quando gli si mozzò il respiro e sentì la schiena andare a sbattere contro qualcosa di solido che gli fece piovere aghi di pino addosso. Immediatamente dopo fu il turno della sua testa di schiantarsi sul legno. Gli fischiarono le orecchie. La risata di Eret gli arrivava ovattata.
Hiccup crollò a terra a peso morto, con la testa che pareva esplodere, la nuca in fiamme. Qualcuno lo aveva pugnalato al capo, giusto? Non c'era altra spiegazione per tale dolore.
"Buon appetito" sussurrò Eret con ilarità a un orecchio di Hiccup, che era abbastanza sicuro di giacere scomposto sull'erba; poteva vedere la sua mano destra abbandonata davanti alla faccia.
Lungo il dito indice correva una linea scura e colante. Doveva essersi tagliato scavalcando lo steccato.
Ecco come mi ha trovato, fu l'ultimo suo pensiero prima di crollare.

*


Jack scrutò lo splendido panorama imbiancato attraverso il vetro della finestra, ingobbito in posizione raccolta sul davanzale interno, la faccia truce. La neve fuori era illuminata di arancione e rosso e sembrava zuppa di sangue. Era un paesaggio da cartolina, tuttavia non era dell'umore adatto per ammirarlo come al solito.
Contemplò per la centesima volta il numero in rubrica sullo schermo del cellulare, tenendo il pollice sospeso sul tasto di chiamata, sospirò e infilò il telefonino nella tasca. Hiccup non gli avrebbe risposto una seconda volta, non dopo quella sfuriata. Era stata quasi peggio del modo in cui l'aveva guardato nella radura: Jack si era abituato alla sua capacità di mantenere il contatto visivo, per quanto insolita, e si era reso conto solo adesso di quanto la preferisse a quell'espressione di puro terrore. Se fosse stato capace di sognare, l'avrebbe rivista nei suoi incubi peggiori.
Sospirò ancora.
Sabato era stato assolutamente schifoso, ma almeno era passato.
Non era arrivato a casa in tempo per spiegarsi, per risolvere il malinteso, che Aster gli si era scagliato contro maledicendo lui, la sua incoscienza e la sua arroganza. Gli aveva sputato contro ogni insulto esistente e, non contento, aveva cercato di colpirlo. Per fortuna era intervenuto Nord a fermarlo.
Era la roccia della famiglia, la pietra miliare, ed era subito entrato in 'modalità emergenza' per capire come proteggerli tutti. Dopo un breve confronto con Jack – fin troppo breve – aveva stabilito che nell'immediato momento non erano in pericolo, perciò non serviva prendere misure drastiche.
Aveva però detto di doverci riflettere, così si era chiuso nel suo studio a combinare chissà cosa, e ora Jack veniva trattato da appestato.
Aster lasciava la stanza ogni volta che lo vedeva entrare, borbottando tutto il suo fastidio a volume udibilissimo, Toothiana evitava di guardarlo in faccia, con fare afflitto, e Sandy, figuriamoci, era sempre di ronda. Jack aveva deciso di lasciarli crogiolare nel loro disprezzo e si era ritirato nella parte ovest della dimora, quella meno utilizzata. Ora era il suo regno solitario.
Doveva immaginarlo che quel momento sarebbe finito a breve, perché solo Toothiana sarebbe venuta a cercarlo per liberarsi del senso di colpa, incapace di resistere.
"Ciao, Jack" disse timidamente sedendosi di fronte a lui. Si era tolta gli abiti sporchi di fango e li aveva cambiati con un vestito corto e colorato.
Jack non si voltò e si rannicchiò un po' di più, avvicinando le ginocchia al petto. Non era proprio in vena per una proposta di pace. "Ah, adesso esisto di nuovo? Pensavo di essere invisibile."
Toothiana abbassò la testa con aria colpevole. "So che sei arrabbiato per come ti abbiamo trattato."
"Ma dai, da cosa l'hai capito?"
"Jack…"
"Senti" sputò fuori lui. "Non ho mai voluto che ci scoprisse, anche se voi pensate che io sia un idiota irresponsabile. Non è colpa mia tutto questo casino, okay? Non pensavo che sarebbe successo, volevo… volevo…"
Sospirò. Di nuovo.
"Lo so, credimi" replicò piano Toothiana sfiorandogli il ginocchio.
Jack si girò finalmente verso di lei. "Aspetta. Che vuol dire che lo sai?"
L'espressione contrita di lei confermò i suoi sospetti.
"Toothiana, hai cercato nei miei ricordi la prova che vi avessi traditi? Hai guardato tutte le nostre conversazioni?"
"L'ho fatto per proteggerci!" protestò la ragazza alzandosi.
"Mi hai spiato, ecco cosa! Quelli erano discorsi privati!" gridò Jack, ormai infuriato.
"Non mi sembra che la privacy sia mai stata un problema per te, quando mi hai implorato di trovare il numero del ragazzo!" esclamò Toothiana aspramente. Stringeva i pugni in tensione lungo i fianchi.
La collera montante di Jack distolse la sua attenzione dalla piccola parte della sua coscienza consapevole di essere nel torto. Era ironico ritrovarsi tanto ipocrita, lui che accusava spesso gli altri di esserlo.
"Era diverso" ribatté debolmente. "Hiccup è diverso."
"È un umano, ed è scappato appena ci ha visti, com'è naturale" disse Toothiana indietreggiando nella stanza fredda e desolata. Era la prima volta che la sentiva parlare così amaramente. Stavolta l'aveva proprio offesa.
"...Sono stato stupido. Avrei dovuto fare qualcosa, invece di bloccarmi e andare nel panico, alla radura" disse Jack, odiandosi per la propria codardia. "Alla fine avevi ragione. Mi avevi avvertito di stargli lontano, ma non ti ho ascoltato e ho combinato un disastro."
Se solo non si fosse mai interessato a Hiccup, se solo non lo avesse notato alla caffetteria! Non avrebbe messo in pericolo tutta la famiglia.
Toothiana si mordicchiò il labbro. "Be'... non potevi prevederlo, quel ragazzo segue una logica tutta sua."
Jack sbuffò una risata. Il dolore al petto si attenuò giusto un poco.
"Spero solo che sia tornato a casa senza problemi, visto che nella foresta potrebbe esserci il nostro ricercato" aggiunse la cugina.
Quell'ultima osservazione mise una pulce fastidiosa nell'orecchio di Jack. "A proposito, quando ho provato a supporre chi sia, voi avete fatto una faccia... Sapete bene chi stiamo cercando, vero?"
"Te l'ho spiegato, non posso parlarne" disse Toothiana giocherellando con uno dei bracciali al polso.
"Dai, nemmeno il nome?"
Lei si guardò intorno per un momento, come in cerca di una via di fuga, dopodiché si arrese. "Si chiama Pitch Black. Non dire agli altri che te l'ho detto, per favore."
"Ma chi è esattamente? Perché Sandy ce l'ha con lui?" chiese Jack, deluso che quel nome gli giungesse nuovo.
"Non lo so di preciso" confessò Toothiana. "È saltato fuori tanti anni fa, prima che tu ti unissi al gruppo. Conosceva Sandy, ma un giorno hanno litigato per qualcosa e si sono quasi uccisi a vicenda. Da allora è costantemente in movimento, finché torna a farsi vivo ogni trent'anni o giù di lì per attaccarci. È da secoli che Sandy cerca di fermarlo."
"Doveva trattarsi di una faccenda brutta, se sono arrivati a tanto" disse Jack, colpito. Una caccia all'uomo lunga anni, che cosa assurda.
"Esatto. Non conosco Pitch personalmente, ma Nord mi ha detto che è spietato, e un bravo manipolatore. A quanto pare riesce a intuire le debolezze delle sue vittime con precisione disumana, e sa usare le parole giuste per renderle inoffensive. Ricorda di tapparti bene le orecchie, se mai dovessi incontrarlo."
"Spietato, eh?" rimuginò Jack, a un tratto inquieto. Prima aveva chiesto a Hiccup se fosse a casa, e aveva intuito la conferma dalla sua risposta brusca. Se invece fosse stato ancora in giro da solo e avesse malauguratamente incrociato questo Pitch… Lo scenario si prospettava cruento. Jack fu colto da una forte ondata di ansia.
Lasciò il suo angolo alla finestra con un salto, superando Toothiana di corsa e precipitandosi giù per le scale di legno pestando gli scalini con una serie di tonfi.
"Dove scappi adesso?" gli gridò lei.
"In città" rispose Jack. "Devo controllare una cosa!"

Se c'era una persona capace di mettersi nei guai nella placida Forks, era Hiccup Haddock. Solo lui era abbastanza maledetto dal destino, influenzato da un pessimo allineamento planetario, eternamente sfortunato da riuscire a beccare l'unica località al mondo con una popolazione di vampiri pari a cinque, senza contare l'addizionale succhiasangue inferocito e soci.
Fu con una certa rassegnazione unita a irritazione, quindi, che l'olfatto di Jack incrociò la sua familiare traccia mentre era ancora lanciato a tutta velocità in mezzo agli alberi.
Qualcosa doveva essere andato storto, tuttavia, perché l'odore di carta stampata, tè e cattivo profumo per ambienti era misto a una traccia più stucchevole e intensa. Solo i suoi amici emanavano un aroma simile.
Jack svoltò di colpo a sinistra, sfrecciando nella vegetazione sfocata e confusa nella sua corsa frenetica, ed eccolo lì, intrappolato tra un tronco e morte certa.
Hiccup era disteso al suolo, inerme, con i capelli infuocati dal tramonto. Un uomo alto e prestante ne oscurava in parte il corpo e fissava Jack con l'aria di chi è stato interrotto con maleducazione.
Occhi scarlatti e indagatori.
Un vampiro neonato.
"Allontanati dall'umano, sei entrato in un territorio già occupato" ordinò Jack guardingo.
Da terra proveniva il sentore dolce e invitante di sangue fresco sul terreno bagnato. Jack controllò con successo l'impulso di gettarsi su Hiccup, prima di riuscire a trattenere il respiro, e si concentrò per sentire un battito, sopraffatto dalla possibilità di essere arrivato troppo tardi. In effetti una pulsazione c'era, anche se incerta.
"Aaah, e addesso cosa c'è?" esclamò l'uomo con un lamento.
"L'umano. Lascialo stare" ripeté Jack.
Lui roteò gli occhi. "Perché non ci facciamo un favore a vicenda, amico? Tu te ne torni a casa senza dire ai tuoi amici di avermi visto, e io faccio uno spuntino in pace, vuoi?"
La bocca di Jack si riempì di veleno. Tenere a freno la voglia di staccare la testa all'uomo sconosciuto diventò più difficile che domare una mandria impazzita.
"So chi sei" gli disse sicuro. "Stai con Pitch Black."
"Sì, sì, il piacere è tutto mio, ora ci lasci da soli?" rispose l'altro sbrigativo. Parlava con tono disinvolto e vagamente seccato, ma aveva ancora una mano tesa verso il corpo indifeso di Hiccup.
"Allora te lo ripeterò ancora" scandì Jack, ringhiando per intimidirlo. "Vattene, prima che ti strappi un arto alla volta e accenda un bel falò."
La sua minaccia ebbe effetto, contro ogni aspettativa: il vampiro scoprì i denti e si strofinò meccanicamente una spalla, come se stesse ricordando una vecchia ferita. "Te lo farò rimangiare."
Era il segnale che aspettava. Jack gli arrivò davanti in una frazione di secondo, smise di pensare e cercò un varco.
Era un neonato, quindi naturalmente più forte di lui, ma Jack sapeva che tutti gli infanti tendevano all'avventatezza. Bastava trovare l'occasione giusta e attaccare.
Purtroppo, come capì quando lui intercettò un pugno e glielo restituì con foga, in questo caso sarebbe stato più difficile. Quel tizio era stato istruito con saggezza e sapeva parare tutti i suoi tentativi.
Jack incassò il colpo allo stomaco e atterrò in piedi quindici metri più indietro. Qualche volta si era esercitato nei combattimenti, tuttavia quelli erano stati solo giochi per passare il tempo, qui avrebbe dovuto impegnarsi sul serio. Ne andava della vita di Hiccup.
Studiò le sue possibilità. Non avrebbe avuto molte chance contro un lottatore del genere, ma non poteva nemmeno lasciare il ragazzo alla sua mercé. Doveva colpirlo e spedirlo abbastanza lontano da avere il tempo di prendere Hiccup e fuggire.
"Sei un gran rompiscatole, lo sai?" stava dicendo il suo avversario flettendo le dita.
Jack tornò in un baleno da lui e sferrò un calcio al suo lato sinistro. Colpo rifiutato e rispedito al mittente.
Rotolò nel fango della foresta, si fece leva contro un albero, sfruttando la spinta, e si lanciò sullo sconosciuto. Quello gli assestò una manata sul fianco che riecheggiò come un tuono e lo fece finire a terra, dopodiché gli premette un piede sulla schiena.
Jack si dimenò per liberarsi. "Mollami!"
"Ho un'idea migliore" mormorò piano l'altro, usando un tono suadente che avrebbe ipnotizzato qualsiasi umano. "Lo senti questo profumo? Dividiamo il pasto da amici, e lasciamo che le nostre vie si separino pacificamente." Jack aveva la faccia premuta contro il terreno molle e saturo di pioggia e sangue.
Le parole dell'avversario lo spinsero a immaginarsi, per un fugace momento, cosa sarebbe successo in quel caso. Riusciva a vedere se stesso che si chinava su Hiccup per sollevargli la testa, scoprendo la giugulare che pompava sangue bollente a fiotti. Avrebbe potuto avvicinare le labbra alla sua pelle morbida e viva, tanto vicino da contarne le lentiggini. Avrebbe potuto lacerare la carne con il minimo sforzo, e lasciare che l'istinto facesse il resto, finché il corpo sotto di lui avrebbe avuto un ultimo sussulto, per poi fermarsi definitivamente.
Jack spostò lo sguardo verso Hiccup, ancora esamine, a qualche centimetro da lui. Respirava ancora, anche dopo l'urto che avrebbe potuto strappargli la vita, anche dopo essere entrato nella sua. Se Jack avesse lasciato l'odore invadergli le narici, era sicuro che avrebbe accettato immediatamente. Ma aveva bloccato l'olfatto. La proposta del nemico risuonava assurda e inammissibile.
Non lo avrebbe mai fatto, per sé stesso, per Toothiana, per Nord.
Per Hiccup.
Ora capiva perché Sandy li voleva morti.
Si portò una mano alla schiena e strappò via il piede che lo teneva giù. Usò tutta la sua forza, e dopo uno scricchiolio si ritrovò libero di rialzarsi. Teneva qualcosa di duro in mano che non osò guardare.
Il neonato si stava rimettendo in piedi goffamente, appoggiando tutto il peso sull'unica gamba rimastagli. Sembrava accecato di rabbia, quasi ingiustificata. Aveva cominciato lui, no?
"Ridammela" sibilò. Aveva perso interesse per Hiccup, al momento. Bene. "Vai a prenderla" sghignazzò Jack, e lanciò l'arto lontano, nel buio della foresta.
Era stata una mera provocazione, eppure il vampiro gli scoccò un'occhiata di odio puro e sparì per correre dietro alla sua gamba spezzata con un ruggito, aiutandosi con le mani come un animale.
"La prossima volta ti faccio a pezzi, ricordatelo" disse allontanandosi.
Ci tiene proprio, anche a costo di lasciarmi andare.
Alle spalle di Jack si levò un piagnucolio che lo fece scattare verso la piccola pozzanghera rossa. "Hic?"
L'umano gemette, ma non aprì gli occhi. Jack pensò rapidamente se fosse il caso di portarlo all'ospedale di Forks, ma la vista del sangue cominciava a mettergli paura, e temeva di metterci troppo tempo. Casa sua era più vicina, e più sicura.
Prese delicatamente Hiccup in braccio e percorse la salita che da pianura diventava montagna, pregando di riuscire a farcela.
Il neonato aveva lodato il suo odore, rifletté mentre volava tra gli alberi. Con la ferita aperta doveva essere fortissimo, inebriante. Non avrebbe mai più avuto modo di respirare un aroma simile.
Jack si oppose alla tentazione di dare un'annusata veloce, maledicendosi da solo per cosa si stava perdendo volontariamente.
Era proprio innamorato perso.



Note
Volevo dire che Gothi non è canonicamente di origini native americane, ma era il modo più plausibile per rendere sensata la scena. In più non è assolutamente mia intenzione far intendere che tutte le persone di questa etnia sono ingenue o superstiziose, quella di Gothi è semplicemente paura dettata dalla perdita del marito, che ho inventato di sana pianta, tra l'altro.
Il puzzle comincia a comporsi, tra i primi accenni a Pitch e l'entrata in scena di Eret!



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Capitolo 8
*** VII. Sutura / Dormiveglia ***




VII

Sutura / Dormiveglia
 
 
E alla fine del buio limbo in cui era caduto, Hiccup riprese coscienza con sua stessa sorpresa.
Aveva sognato di volare.
Il torpore che gli annebbiava la mente fece spazio a un'acuta sensazione di dolore che partiva dalla testa e si propagava in tutto il resto del corpo. Non riuscì a trattenere un gemito, e tenne gli occhi chiusi per paura di peggiorare la situazione. Lasciò che fossero gli altri sensi a capire cosa stava succedendo, in attesa che il dolore diminuisse.
Il pulsare alla nuca era peggiorato da un brusio fastidioso a poca distanza. Hiccup restò in ascolto. Sembrava uno sfogo.
"È stato un gesto da pazzi! Avevamo già abbastanza problemi senza di lui" stava sbraitando un uomo in preda all'agitazione.
"Aster, ti prego, abbassa la voce" rispose una ragazza con tono stanco.
"Insomma, che gli è saltato in mente?" continuò l'uomo, imperterrito. "Ha lasciato che quel tizio scappasse, e ci ha portato un umano in casa. In casa, ti rendi conto?!"
"Avresti preferito che lo abbandonasse nella foresta, conciato com'era?" ribatté la ragazza, ora più duramente.
L'altro bofonchiò qualcosa a volume troppo basso perché Hiccup sentisse. Dalle loro parole era chiaro che stavano parlando di lui, così aprì gli occhi con una certa fatica.
Era disteso su un fianco sopra un divano di pelle, al centro di un immenso salone dall'alto soffitto formato da travi di legno che costruivano un disegno intricato.
Tutto nella stanza era incredibilmente grande. Un grosso mappamondo svettava su un lungo tavolo basso attorniato da altri divani, vicino a una poltrona che pareva più adatta a un gigante. Dall'insieme mancava quello che al momento era il letto provvisorio di Hiccup, spostato invece accanto al camino acceso. Qualcuno gli aveva messo sopra una coperta di lana.
Una delle due persone che aveva appena sentito parlare si accorse subito del suo risveglio, e si affrettò a venire a controllare. Hiccup riconobbe Toothiana Guardian, seguita controvoglia dal proprietario del Nido, Aster Frost. La famiglia di Jack.
"Come ti senti?" chiese Toothiana con apprensione, chinandosi per guardare Hiccup negli occhi.
Lui si aggrappò con un braccio allo schienale del divano, e con l'altro si issò a sedere a fatica, scatenando l'inferno nella sua testa. "Ahi."
"Dovresti stare giù" disse Toothiana, senza però osare toccarlo per spingerlo a sdraiarsi, e si limitò a rimboccargli la coperta. "Per fortuna ti sei svegliato, stavamo cominciando ad avere seriamente paura."
"Parla per te" si sentì sestenziare alle spalle della ragazza. Hiccup quasi non riconobbe l'espressione di estremo disgusto di Aster, totalmente diversa dal sorriso cordiale che esibiva alla caffetteria.
"Aster," esclamò Toothiana perentoria, "chiama Nord, e dopo fammi un piacere e sparisci."
L'uomo accettò l'ordine e filò via, su per una scala di legno, a velocità sovrumana.
Toothiana si rivolse a Hiccup con atteggiamento ansioso. "Ti ricordi cos'è successo?"
Lui ci pensò un momento. Era abbastanza sicuro di essere andato nella foresta, per qualche motivo, e di essere stato aggredito da qualcuno che non voleva ricordare. "Direi di sì, più o meno."
Era vagamente consapevole di avere qualcosa di urgente da fare, ma gli sfuggiva cosa.
Dal piano superiore, intanto, un certo trambusto precedé i passi di un energumeno dalla barba candida e gli occhi gentili che scese da loro.
"Sei ancora vivo, ottima notizia!" rumoreggiò allegro con marcato accento russo. Sotto la barba si intravedevano una camicia rossa e dei pantaloni scuri. "Come va qui?"
"Il peggio è passato" disse Toothiana. "Hiccup, lui è Nord, conosciuto in città come Nicholas Frost."
"Piacere" tossì Hiccup. La testa gli pulsava ancora intensamente, e lo rendeva frastornato.
"Ti chiederai perché non sei morto" disse Nord con l'aria di chi sta parlando del tempo. "Devi ringraziare Toothiana, ti ha ricucito lei!"
Hiccup si tastò in un gesto istintivo il cranio, dove si concentrava il dolore. Sotto i capelli non sentì niente. "Come…?"
"Ho studiato medicina" si giustificò lei, come se servisse a spiegare le doti da chirurgo.
"E naturalmente Jack ha portato te qui! Lui era più spaventato di tutti" proseguì intanto Nord, scostandosi per rivelare qualcuno dietro di lui.
Jack emerse dal suo nascondiglio fissando Hiccup come se fosse risorto dalla tomba, incapace di parlare.
Vedendolo, lui si ricordò finalmente il dettaglio che gli mancava.
"Tu" disse aggrottando le sopracciglia. "Giusto, ero venuto a cercarti."
"Ah, sì?" disse Jack nervosamente.
"Ho un paio di domande da farti."
Nord diede un colpetto alla spalla di Toothiana. "Vi lasciamo soli, così parlate tranquilli, eh?"
Toothiana fece per opporsi, ma l'omaccione la guidò gentilmente lontano, lasciando Hiccup ad affrontare Jack, che si sedette sullo stesso divano evitando di guardarlo. Nel salone scese un silenzio gelido e carico d'attesa.
"Allora, da dove vuoi cominciare?" sospirò Jack arruffandosi i capelli d'argento.
"Perché l'hai fatto?"
"Cosa?"
"Non avevi motivo per salvarmi" spiegò Hiccup. Aprire la bocca accentuava il dolore atroce, ma era quasi morto per venire a parlargli, e un mal di testa non lo avrebbe di certo fermato, perciò strinse i denti e continuò il discorso. "Eravamo in un posto isolato, nessuno sapeva che ero lì, perché ti sei complicato la vita per portarmi via?"
Jack batté le palpebre, confuso. "Correggimi se sbaglio, ma stai dicendo che avrei dovuto lasciarti uccidere?"
"Adesso avete un mucchio di problemi per colpa mia, se ho capito bene" aggiunse Hiccup. Per l'ennesima volta nella sua vita era un peso per gli altri, pensò.
Jack mise le mani avanti, sorridendo come per sforzarsi di ridere a una pessima battuta. "Stai scherzando, vero? Quello ti stava per ammazzare, e tu ti preoccupi per noi? Devi davvero aver preso una bella botta in testa."
Non aveva tutti i torti, rifletté la parte più sana della mente di Hiccup. Ancora una volta, però, gli tornò in mente la reazione del ragazzo all'incidente del giorno prima, la sua preoccupazione altruista. "Ero nella foresta per cercarti, sai. Volevo capire una volta per tutte cosa nascondete."
Jack abbassò nuovamente lo sguardo, dando l'impressione di star cercando il coraggio di dire qualcosa che non voleva confessare. Aveva un'aria stranamente immobile, con la schiena rigida e le mani pallide sulle ginocchia. "Allora chiedimelo, e io risponderò sinceramente" dichiarò serio. Un tono che non ammetteva ulteriori indecisioni.
Hiccup dovette deglutire per sbrogliare il nodo alla gola che stava bloccando la fatidica domanda. Dopodiché sarebbe cambiato tutto, sentiva, nel bene e nel male.
"Siete vampiri."
Gli uscì più come un'affermazione, ma Jack annuì comunque con gravità. "Sì."
Lo guardava negli occhi, adesso, oro contro smeraldo, aspettando il verdetto di Hiccup.
Lui sapeva già cosa avrebbe risposto, lo aveva capito nel momento in cui aveva incrociato lo sguardo terrorizzato di Jack nella radura. "Va bene."
Jack rimase zitto a fissarlo, stringendo sorpreso le dita sui pantaloni. Sembrava proprio voler esclamare 'come sarebbe a dire va bene?'.
"Credo di averlo capito tempo fa, ma non volevo crederci. Anche adesso che ho tutte le prove faccio fatica a metabolizzarlo" mormorò Hiccup. La testa gli girava all'idea di quanto comportasse la conferma ricevuta.
"È un bel po' di roba da digerire in un colpo" concordò cauto Jack. "Anch'io ci ho messo del tempo per accettarlo, all'inizio."
"Insomma… Vampiri, cavolo. Quindi è tutto vero? L'immortalità, la forza, il sole, l'aglio, i crocifissi e tutto il resto?" elencò Hiccup, colto dalle vertigini al ricordo della descrizione del suo libro. Non nominò il sangue, visto che ne aveva avuta una dimostrazione diretta.
"Ci sono molte leggende, ma il succo è quello, più o meno" disse Jack lentamente.
Hiccup aveva un milione di domande da porgli. "Perché vivete qui? Forks è il vostro territorio di caccia? E quel tipo, Eret? Chi è? Lo conoscete?" sparò a raffica. L'altro ridacchiò, appena più rilassato.
"Ci siamo trasferiti qui perché ci fa comodo, e sì, possiamo definirla così" spiegò pazientemente. "Cacciamo in queste zone."
Hiccup ripensò alle sparizioni, al marito di Gothi scomparso nel nulla. Represse un brivido.
Jack doveva essersi accorto della sua faccia spaventata, perché si affrettò a puntualizzare: "Non siamo come il cretino che ti ha aggredito. Lui si nutre di sangue umano. Hai visto i suoi occhi? Sono rossi per questo motivo. Noi beviamo solo sangue di animali, e di solito cacciamo lontano dalla civiltà."
Il ragionamento filava. In caso contrario sarebbe loro bastato farsi un giro in città per scovare una vittima, se erano forti come Eret. Non avrebbero incontrato resistenza sufficiente a fermarli.
"Va bene anche quello animale?" disse Hiccup con un filo di sollievo.
"Basta a tenerci in vita" rispose semplicemente Jack alzando le spalle. "Non sarà buono come quello umano, ma è meglio di niente."
Di fronte al commento fatto con leggerezza da uno che beveva sangue fresco per sostenersi, Hiccup si ritrovò suo malgrado a provare pena per lui. Suonava come una vita passata mangiando esclusivamente gallette di riso.
"Come hai fatto a battere Eret? Per impedirmi di scappare quasi mi ha fatto fuori, e penso che non l'abbia nemmeno fatto di proposito" cambiò argomento.
"L'ho distratto e ti ho portato in salvo, tutto qui" disse vago Jack, con un'espressione che tradiva tutto il contrario. Stava evitando di scendere nei dettagli. "Non sono riuscito a ucciderlo, però" aggiunse con disappunto.
"Ah."
Hiccup non sapeva se essere d'accordo con la sua delusione. L'idea lo turbava, nonostante stessero parlando dell'uomo che stava per mangiarselo.
"Mi chiedo quante probabilità c'erano che ti trovasse, anche con il tuo talento nel metterti in pericolo…" pensò Jack ad alta voce.
"Oh, deve aver fiutato il mio sangue dopo che mi sono tagliato" disse Hiccup mostrando il dito ferito, lieto di essere lui ad avere la risposta, stavolta. Rimase anche stupito di vedere la garza che lo avvolgeva con cura. "Usate gli odori per cacciare, giusto? Quel tizio continuava a blaterare su quanto profumassi…"
Si interruppe vedendo la mascella contratta di Jack, teso in una smorfia.
"Deve comunque avere un ottimo olfatto, per riuscire a scovarti così in fretta. Fantastico, ci mancava solo il segugio."
Hiccup lo lasciò borbottare, faticando a trovare modo di distrarlo. Si concentrò sulle sue spalle, che non si erano mosse di un millimetro dall'inizio della conversazione. "È per questo che stai trattenendo il respiro? Non serve che ti sforzi, non perdo più sangue, ormai" lo avvertì.
"Ne hai ancora l'odore addosso, come sempre, anche se è meno forte" ribatté secco Jack. "Sei umano, è naturale che quelli come noi lo sentano."
Hiccup cominciava ad avvertire un certo disagio. Era la seconda volta in qualche ora che riceveva commenti del genere. "Lo puoi sentire sempre?"
"Già. Stimola la sete, che non si spegne mai davvero del tutto. Quando ci nutriamo si calma, ma la gola non smette mai di bruciare almeno un po'" disse Jack con malinconia. Un pensiero lasciato inespresso parve affliggerlo, e si perse in qualche riflessione personale per qualche secondo.
Hiccup restò imbambolato a guardarlo, turbato dalla nuova consapevolezza. Non gli piaceva per niente sapere di provocargli una reazione tanto dolorosa. Non lo sospettava minimamente; Jack non aveva mai dato l'impressione di soffrire, quando parlavano in classe. Essere circondato da una miriade di odori invitanti e diversi doveva essere difficile.
"Perché vi mescolate agli umani, allora? Perché frequenti volontariamente il posto peggiore in cui potresti stare? Cos'è, una specie di rito di passaggio?" domandò quindi.
"La scuola è il modo più veloce per abituarsi a ignorare la sete. In ogni caso c'è Toothiana a controllarmi, se dovesse servire" rispose Jack.
"Ma perché?" insisté Hiccup, che non vedeva un motivo valido per sottoporsi a una prova crudele come quella.
"Ti sembrerà assurdo, ma ci piace pensare che in questa esistenza ci sia rimasto un briciolo di umanità, lo stesso che ci spinge a essere 'vegetariani'. Corriamo il rischio nel disperato tentativo di ritrovarlo" rise Jack amaramente. "Fingiamo di non essere mostri, ma come hai visto, questa facciata regge a malapena."
"Sono io che mi impiccio in cose che non mi riguardano. Mio padre mi ripete che dovrei farmi i fatti miei, ogni tanto, ma sono troppo testardo e finisco col cacciarmi nei guai" si affrettò a dire Hiccup per consolarlo.
Jack scosse la testa. "Ci siamo fatti scoprire dopo nemmeno tre anni da un adolescente qualsiasi! Senza offesa."
"Te l'avevo detto che sono bravo a inquadrare le persone" bofonchiò Hiccup poco convinto.
"In tutto questo mi sono dimenticato una cosa" si accigliò Jack, colto da una riflessione improvvisa. "Mi sembri stranamente tranquillo, per uno che si trova da solo in una casa di vampiri" lo scrutò con sospetto. "Non è che sei ancora sotto shock e tra poco mi sverrai addosso, quando ti passerà l'adrenalina?"
"Sto benissimo!" protestò Hiccup. Per tutta risposta, una fitta lancinante gli attraversò il cranio. Forse Jack aveva ragione, ma solo un po'.
"Davvero non ti spaventa nulla di quello che ti ho detto?" continuò lui scettico.
"No."
"Nemmeno tutti i discorsi sul sangue e sul tuo odore?" disse Jack, deciso a metterlo alla prova.
"Esatto."
"E la forza fisica non ti mette paura?"
"Posso cavarmela."
"La resistenza innaturale?"
"Piantala, Jack, non sei terrificante come credi."
"Perché non mi hai mai visto al sole."
"Cosa succederebbe?" si interessò subito Hiccup, incapace di trattenere la sua proverbiale curiosità.
"Lasciamo perdere. Piuttosto, che mi dici del vampiro pazzo che adesso ti starà cercando?"
"Me ne farò una ragione."
"Sei senza speranze" commentò Jack, esasperato e sfinito. "È ora che tu faccia un pisolino" decretò infine.
"Cos… Ehi, aspetta!" esclamò Hiccup lottando per liberarsi dalla coperta soffocante, ma l'altro stava già salendo le scale.
"Ti mando subito Toothiana con un antidolorifico. Hai bisogno di riposare."
"Ma mio padre starà impazzendo per cercarmi!" tentò di fermarlo Hiccup. Trasalì nel vedere il cielo stellato fuori dalle grandi finestre. Mi ucciderà lui, quando tornerò a casa, alla faccia del vampiro pazzo!
"Sta' tranquillo, abbiamo chiamato apposta per evitare questo problema."
"Avete telefonato a mio padre?"
Jack fece un sorrisetto. "In teoria ti ho invitato a un pigiama party dell'ultimo minuto, e tu hai accettato, scordandoti ovviamente di dirglielo, ma il mio saggio e coscienzioso babbo ha ben pensato di avvertirlo."
La grandiosità di quella balla lasciò Hiccup di stucco.
"Siete diabolici!" sospirò, ma poi si corresse: "Cioè, grazie per l'alibi. E per le medicazioni. E per avermi salvato la vita."
"Di nulla" disse Jack, nascondendo l'imbarazzo evidente dietro un occhiolino. "Adesso dormi."
Hiccup pensò che un sonnellino non gli avrebbe sicuramente fatto male, quindi si sistemò in una posizione comoda sul divano e tirò la coperta a scaldarlo. Toothiana sostituì rapidamente il cugino, portando con sé una pillola e un bicchiere come promesso.
"Grazie" le disse. Ingoiò la compressa e bevve l'acqua per mandarla giù.
Lei sorrise dolcemente, e Hiccup la guardò bene per la prima volta, visto che a scuola non la incrociava praticamente mai. Al massimo la vedeva in mensa, dove la presenza di Jack lo distoglieva comunque dal concentrarsi su altro.
Toothiana era di corporatura minuta, ma compensava la statura con un bel paio di grandi occhi della tinta del miele, adornati da ciglia lunghe e scure. Il taglio dei capelli castani era corto e sbarazzino, con ciocche ribelli che le finivano sul viso a cuore color caffellatte. Il passo leggero e il caldo sorriso la facevano somigliare a una fata.
"Sai, sono felice che sia stato proprio tu a scoprirci" gli confidò con un sussurro udibile a malapena sopra allo scoppiettio vivace del camino. Jack poteva forse sentirli fino al piano superiore?
"Come mai?" le bisbigliò Hiccup di rimando.
"Non sei scappato di corsa urlando, al tuo risveglio. Hai aspettato di sapere il nostro punto di vista e l'hai accettato senza obiezioni."
Lui non ebbe il cuore di dirle che, anche volendo, non sarebbe comunque riuscito a correre, debole com'era. Tuttavia la ragazza aveva ragione.
"So che a chiunque altro sembrerei completamente impazzito, ma sento di potermi fidare" ammise Hiccup. "Mi avete salvato la vita. Tutto quello che gli umani sanno su di voi… è sbagliato, e non parlo dei denti a punta."
"Così sembra che non ti consideri uno di loro" rise piano Toothiana.
Hiccup rimase colpito da quella affermazione. "Mio padre dice spesso che sono sempre stato diverso dagli altri. Comincio a pensare che non si riferisca al mio disinteresse per il football o la pesca."
"Sei una brava persona" valutò Toothiana con soddisfazione. "Jack ha buon intuito, e ottimi gusti."
"Come, scusa?" Hiccup non era sicuro di aver afferrato il senso del commento.
"Ah, com'è tardi! Non preoccuparti per la cena, ti porteremo qualcosa appena avrai riposato" chiuse il discorso lei. Corse via lasciando Hiccup a un palmo di naso, solo con la sua copertina e mille nuove domande.

*


L'intera fila di pensili in legno bianco che sovrastava la cucina era vuota. Assolutamente deserta. Il frigorifero era ridotto nello stesso stato, e nemmeno gli armadietti contenevano quello che Jack cercava. Aprì e chiuse gli sportelli dei pensili a ripetizione, con la vana speranza che così facendo potesse comparire qualcosa per magia. Incantesimo fallito.
Jack non era ingenuo, sapeva benissimo che in quella casa sarebbe stato bizzarro trovare del cibo, eppure era sicuro che avessero almeno dei salatini per degli ospiti che non avevano mai avuto.
Fece scorrere meccanicamente uno dei cassetti della cucina, quando il riflesso blu catturato dall'incarto lucido di un pacchetto di pasta catturò la sua attenzione. Jack la sollevò come una reliquia e stampò un bacio sulla confezione, poi esultò ancora più forte nel notare il barattolo di sugo che prima era nascosto dalla pasta. Un miracolo!
Si affannò intorno ai fornelli alla ricerca di una pentola, memore della collezione di inutili attrezzi da cucina che aveva trovato mentre cacciava del cibo umanamente edibile. Non sapeva preparare la pasta, anzi, a dire la verità non aveva mai cucinato proprio niente, ma sul retro della scatola aveva intravisto una ricetta che avrebbe salvato la serata. Girò la confezione con entusiasmo.
Avrebbe preparato a Hiccup una cena fantastica, i migliori spaghetti alla bolognese che avesse mai mangiato, un pasto talmente buono da dissipare tutti i suoi dubbi sulle loro buone intenzioni, un piatto che…
La pasta era scaduta otto anni prima.
Jack gettò il pacchetto e si sedette alla penisola dal ripiano di marmo con la testa tra le mani.
Le sue sfortune non avevano mai fine, in quel mondo non c'era nessuna felicità, non per lui, pensò sconsolato. Hiccup sarebbe rimasto inorridito dalla sua totale incapacità di procurargli un misero pasto e avrebbe preteso di tornare a casa, per non parlargli mai più.
Un sacchetto di carta che odorava di carne cotta, formaggio e olio da frittura arrivò letteralmente dal cielo. Jack alzò gli occhi per vedere il volto del suo angelo salvatore, e rimase a dir poco sorpreso nell'incontrare la faccia inacidita di Aster, in piedi all'altro lato della penisola.
"Dagli questo e assicurati che beva dell'acqua, gli umani ne hanno bisogno tutti i giorni" grugnì severo, senza dargli il tempo di ringraziarlo. "Toglierò la spesa dalla tua paga."
Jack annuì, incredulo, controllando il contenuto della borsa marchiata dal logo di McDonald's. Che si ricordasse, non c'erano fast food a Forks, quindi Aster doveva aver corso lungo l'autostrada fino al punto vendita più vicino. Era un gesto quasi commovente.
"Te l'ha chiesto Toothiana?" domandò, perché anche se poteva credere ai miracoli, quello somigliava più al primo segno dell'apocalisse.
"No, sospettavo che avresti rifilato a quel poveraccio qualcosa di non commestibile, e ho pensato di risparmiargli una fine tanto brutta" brontolò Aster, prima di mollarlo lì e andare in camera sua a fare qualsiasi cosa facessero i baristi durante l'orario di chiusura.
Jack guardò l'orologio alla parete; erano le nove di sera, e Hiccup aveva dormito per quasi due ore. Decise che poteva interrompere il suo riposo senza disturbarlo.
Riempì un bicchiere al rubinetto, seguendo il consiglio (o minaccia, piuttosto) di Aster, e andò nel salone con il provvidenziale sacchetto. Hiccup era già sveglio, seduto con gli occhi puntati sullo schermo del cellulare.
Jack gli porse la cena e si lasciò cadere sul divano, accanto a lui. Una volta chiarite le incomprensioni, si sentiva decisamente più a suo agio. "Che hai lì?"
"Leggevo un messaggio" rispose Hiccup mettendo via il telefonino. "Oh, come siete riusciti a trovare un McDonald's…? Anzi, meglio se non me lo dici."
"Era da tuo padre?"
"No, da Astrid Hofferson. Ieri mattina l'ho piantata in asso e sono corso a casa salutandola a malapena, così mi sono scusato per essere stato scortese. Essere stato certo di morire per cinque minuti mi ha costretto a rivedere le mie priorità, credo."
Jack lo vide scartare il panino e dare un morso con fervore, mentre nella sua mente si agitava un tempestoso conflitto interiore. Gli imprevisti degli ultimi due giorni gli avevano tolto il tempo per riflettere di più sui suoi sentimenti, che dall'ultima volta in cui ci aveva pensato gli sembravano rimasti immutati. L'incidente di poche ore prima, tra l'altro, aveva costretto anche lui a rivalutare quella situazione spinosa, ora che era stato vicino tanto così dal perdere Hiccup per sempre. Improvvisamente, l'ostacolo rappresentato da Hofferson non lo spaventava più. C'era di molto, molto peggio di una bella ragazza bionda.
"Come stai? Ti fa ancora male la testa?"
"Va molto meglio" rispose Hiccup a bocca piena dell'ultimo boccone di hamburger, gli occhi già puntati sulle patatine.
Cavolo, doveva essere molto affamato, pensò Jack, rimproverandosi di non avergli portato qualcosa prima. Erano così fragili, gli umani… Quando erano a stomaco vuoto, bastava un soffio e cadevano come birilli.
"Ricordati di bere, dopo" si raccomandò.
Finito il pasto, Hiccup bevve tutto d'un fiato e si abbandonò a un sospiro contento. "Grazie, mi ci voleva."
"Ti serve qualcos'altro, prima di andare a letto?" domandò Jack, incerto su quale fosse la routine serale del ragazzo. Voleva metterlo il più possibile a suo agio, per non sconvolgerlo troppo.
Hiccup scoccò un'occhiata alle scale. "Sono a posto, ma… posso chiederti un favore?"
"Certo" disse Jack, curioso e ormai pronto ad accontentare qualunque richiesta.
"Mi piacerebbe vedere il resto della casa, non è che possiamo fare un giro turistico?" chiese Hiccup. Bastò uno dei suoi sguardi interessati, così pieno di desiderio di conoscere meglio quel mondo pericoloso, a convincere Jack.
"Perché no?"
Gli si stringeva il cuore a vedere Hiccup issarsi come poteva per alzarsi, perciò mise da parte la paura e gli tese una mano. Una mano gelida e innaturale, priva di vivo calore umano. La mano di un cadavere ormai freddo.
Hiccup gli strinse le dita, le sue bollenti e piacevoli al tatto, e si tirò su sbuffando. "Accidenti, quel tizio mi ha ridotto peggio di quanto pensassi. Ho la schiena di un vecchio e devo delle scuse a qualche povero albero, credo."
Non si era ritratto al suo tocco glaciale. Per Jack fu come incontrare davvero una persona per la prima volta. "Vacci piano" riuscì a farfugliare a Hiccup, sostenendolo mentre riprendeva l'equilibrio.
"Siamo sulle montagne, giusto?" indagò lui guardandosi attorno, incuriosito dall'ambiente rustico ed elegante allo stesso tempo.
Jack lo condusse davanti alla porta-finestra da cui si poteva ammirare il paesaggio innevato in tutto il suo candido splendore sotto la luna. Hiccup rimase così meravigliato da appannare il vetro, fermo a bocca aperta mentre ammirava la valle imbiancata.
"È altissimo qui, ma quanto ci mettete per andare a scuola?"
"Abbiamo una macchina" rispose Jack, lasciando che fosse lui stesso a finire il ragionamento.
"Riflessi perfetti o corpo indistruttibile?" analizzò infatti Hiccup, sfoderando la solita espressione da studioso.
"Solo un buon motore" lo prese in giro Jack.
L'altro alzò gli occhi al cielo e non trattenne un sorrisetto. "Sbruffone."
"Complimenti, oggi me lo hanno detto solo altre dieci volte!"
Prima di passare al piano superiore, dove i diversi corridoi tappezzati di tappeti si diramavano fino alle stanze personali, salirono le scale, alla cui base Jack dovette assicurarsi che Hiccup non cadesse, quindi lo resse con una mano sulla spalla e l'altra sul braccio. Lui si lasciò guidare muovendo la testa da tutte le parti, impegnato a esaminare l'intera casa. Pareva un bambino a Disneyland.
Giunti davanti a camera di Jack, quest'ultimo aprì la porta e alzò un braccio teatralmente. "Questa è la mia stanza. Che ne pensi?"
Hiccup la squadrò da cima o fondo, dal televisore invaso dai cavi delle console alle tavole da snowboard al muro, dagli scaffali di cd e videogiochi al grosso pouf al centro, finché non aggrottò le sopracciglia perplesso. "Una camera da letto… Senza letto?"
Ah, giusto. "Sei bravo in questo gioco, perché non provi a indovinare?"
Hiccup non lo deluse neanche stavolta. "Dev'essere noioso non dormire, alla lunga" considerò.
Jack rise per l'ennesima dimostrazione di indifferenza al soprannaturale, e indicò la sua roba con un cenno. "Per questo bisogna trovarsi degli hobby, altrimenti ci si riduce a diventare ossessionati dal lavoro, come Nord e Aster. Oppure si marcisce sui libri di scuola come Toothiana."
"Non mi dispiacerebbe avere abbastanza tempo da prendere tutte le lauree che mi pare" commentò Hiccup, divertito all'idea. "Potrei diventare il miglior meccanico, ingegnere o biologo del mondo."
Tutta quella disinvoltura nel discutere di un'esistenza immobile ed eterna turbò parecchio Jack, che realizzò quanto il concetto fosse vicino: sarebbe stata sufficiente una proposta del ragazzo, nemmeno una supplica, e gli sarebbe stato impossibile rifiutare di commettere un'atrocità a cui non osava pensare. Sperò che quel momento non dovesse arrivare mai.
"Ti voglio mostrare il mio posto preferito della casa" tagliò corto. Hiccup interruppe le sue fantasticherie pericolose e lo seguì verso la stanza successiva. Jack bussò ed entrò senza aspettare una risposta.
Lo studio di Nord era uno spazio affollato e dal soffitto basso, col pavimento ingombro di modellini di giocattoli di tutte le dimensioni e mobili antichi. La parete a ovest era ricavata dalla roccia della montagna, mentre quella a nord consisteva in diverse vetrate che permettevano di accedere a una terrazza che si sviluppava sullo strapiombo. In fondo al centro affiorava la disordinata scrivania vittoriana, semisepolta da progetti e utensili da intaglio.
Jack, memore della passione di Hiccup per i marchingegni, lo osservò ammirare liberamente l'ambiente con occhi pieni di meraviglia, sotto lo sguardo divertito di Nord, gobbo sulla sua ultima creazione.
"Ti piacciono?" chiese l'uomo a Hiccup, che era ancora intento a esaminare minuziosamente ogni angolo e annuì, apparentemente senza parole.
Nord ridacchiò e lo invitò a farsi avanti. "Dimmi cosa pensi di questo."
A Jack sembrava una banale macchinina di latta, ma Hiccup si avvicinò con entusiasmo. Lanciò un'occhiata a Nord, che fece un cenno affermativo, e la sollevò per vedere la parte inferiore, sfiorandola con la stessa delicatezza da riservare a un reperto storico.
"I giocattoli di latta andavano di moda all'inizio del Novecento" rifletté ad alta voce. "Questa sembra autentica, ma non è nemmeno graffiata, ed è piuttosto piccola per oggetti del genere…"
"Ti intendi anche di giocattoli?" disse Jack sorpreso.
Hiccup scosse la testa. "Ne avevo una che mio nonno ha lasciato a mio padre, poi a me. Io ero piccolo, ma quella era la più grande delle altre che avevo, in più ricordo che giocando sul selciato si era rovinata sotto."
"L'ho fatta io" disse Nord, per grande stupore di Hiccup.
"Ma è così piccola, la molla deve essere microscopica! E non penso che si trovino chiavi di queste dimensioni in commercio" esclamò infatti con voce colma di ammirazione, rimettendo la macchina a posto con accortezza. "È fantastica, signor Frost."
"Chiamami Nord" lo corresse lui gongolando. "Nicholas Frost è pseudonimo da umano."
Jack sospettava che Hiccup fosse riuscito a conquistarlo definitivamente, e tutto grazie a un'automobile giocattolo che sapeva fare appena qualche metro.
Convinse il ragazzo a lasciare lo studio di Nord, interrompendo la fitta conversazione su molle e leve, e lasciò che si aggrappasse a lui per tornare al piano di sotto, dove lo accompagnò al solito divano.
"Come facciamo domani? Il mio zaino è a casa, forse possiamo farci un salto prima di andare a scuola?" si chiese Hiccup mentre si sdraiava. Aveva rifiutato con decisione ogni proposta di farsi prestare qualsiasi indumento di Jack da usare come pigiama, ed era rimasto con i vestiti con cui era arrivato.
"Penso di sì" rispose lui. "...Sempre che tu non abbia voglia di saltare le lezioni e stare qui con noi" aggiunse rapidamente, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Toothiana non te lo permetterebbe mai. E nemmeno io" disse Hiccup, contrariato.
"Io ci ho provato."
"Che fai adesso? I compiti?" cambiò argomento.
Jack quasi scoppiò a ridere. "Farò qualche partita e cercherò di riflettere su tutto quello che è successo oggi."
Era in parte una bugia. Non sarebbe mai riuscito a concentrarsi sui videogiochi con lui così vicino.
"Davvero non è un problema che io sia qui? Mi era sembrato di capire che non è normale che un essere umano frequenti dei vampiri" disse Hiccup dopo qualche esitazione.
"Finché non te ne andrai in giro a incitare la folla di armarsi di forconi, sarai il benvenuto" lo rassicurò Jack. "Dopotutto Toothiana e Nord ti adorano già."
"Ma Aster no" replicò lui. Aveva la faccia in parte nascosta dalla coperta di lana, ma era intuibile la sua preoccupazione.
"Quel coniglio fifone ha solo paura di qualsiasi novità, dagli tempo per abituarsi. Che c'è?"
L'espressione di Hiccup si era rabbuiata. "Credi che Eret verrà qui a cercarmi?" sussurrò, quasi con timore che potesse udire la loro conversazione in quello stesso momento.
"In quel caso lo sentirò appena sarà nel raggio di un chilometro" ribatté Jack. "Non lo lascerò avvicinare."
Hiccup roteò gli occhi da sotto la coperta, ma parve più tranquillo. "Buonanotte, Jack."
"Sogni d'oro."
Spero che sognerai me, e non quel tipo inquietante.
Jack salì la rampa di scale, attento a non far scricchiolare nemmeno uno scalino, ma non andò in camera sua. Si sedette invece sul gradino più alto, da cui aveva la visione d'insieme del salone nella sua interezza. Rimase in ascolto di ogni rumore, dai versi degli uccelli notturni al tintinnio metallico di Nord al lavoro, cullato dal suono del respiro di Hiccup che si faceva più regolare poco a poco e dal sommesso battito del suo cuore.
In quel momento, l'idea di cedere alla tentazione proposta da Eret era più lontana che mai, praticamente ridicola. Jack si era già arreso all'impossibilità di permettere che qualcosa di male potesse succedere a Hiccup, figurarsi berne il sangue. Avrebbe preferito scavarsi un varco fino al centro della Terra e lasciarsi uccidere dal calore. E anche se Hiccup avesse ricambiato solo una minuscola frazione del sentimento che provava Jack, lui sarebbe stato felice.



Note
Questo è stato il capitolo che ho mollato a metà, credo fosse novembre o dicembre scorso. Ancora non ci credo che sono riuscita a concludere la storia, eventualmente. Alla fine è diventato uno dei miei preferiti.



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Capitolo 9
*** VIII. Ripetizioni / Verità ***




NB: questo capitolo contiene riferimenti al suicidio.
 


VIII

Ripetizioni / Verità
 
 
"Ti piace?"
La Volkswagen bianca rifletteva le luci al neon del garage abbagliando la vista. Aveva l'aria di essere usata poco ma con regolarità: ruote ragionevolmente consumate, nessun graffio evidente.
"Bella, ma quella di chi è?" domandò Hiccup, distratto dalla carrozzeria rosso acceso che spuntava da sotto il telo che nascondeva un mezzo sconosciuto parcheggiato di fianco alla Volkswagen. La tonalità intensa lo costrinse a strofinarsi gli occhi pesti di sonno; aveva dormito come un sasso per otto ore, complice la presenza di Jack a vegliare su di lui, ma il lunedì mattina era implacabile.
"È di Nord, però non la usa mai" rispose Toothiana sistemandosi meglio la borsa in spalla.
Jack, che da quando aveva svegliato Hiccup scrollandolo con delicatezza (non c'erano sveglie in casa) sembrava avere le pile completamente cariche ed essere pronto a una maratona, sollevò appena il telo. "Che spreco."
Aveva tutta l'aria di essere una Ferrari, ma forse era solo il sonno a provocargli le allucinazioni, pensò Hiccup.
"Andiamo?" aggiunse Jack, con un'euforia che stancava solo a vederlo. Il suo entusiasmo si smorzò quando allungò la mano per afferrare qualcosa che gli aveva lanciato Toothiana. "Perché mi dai le chiavi?" disse strabuzzando gli occhi.
"Pensavo che potrebbe essere il giorno giusto per affidartela" spiegò lei con un sorriso innocente. "Avresti un ottimo incentivo a bordo."
I due diedero contemporaneamente un'occhiata a Hiccup, proprio quando lui era nel bel mezzo di uno sbadiglio.
"Molto furba" commentò Jack aprendo la portiera. Toothiana aveva già preso posto sul lato del passeggero, ma Hiccup la sentì chiaramente ridere. Lasciò perdere i suoi tentativi di comprendere le battute tra quei due e si sedette sul sedile posteriore.
"È la prima volta che guidi quest'auto?" chiese a Jack, che infilò le chiavi e sorrise al rumore del motore in avvio.
"È la prima volta che guido qualsiasi cosa."
Hiccup interruppe un secondo sbadiglio e lo guardò premere alcuni tasti sul cruscotto con apprensione.
Toothiana indovinò la sua preoccupazione e gli fece l'occhiolino. "Tranquillo, lo tengo d'occhio."
Alzò un piccolo telecomando e premette un pulsante che aprì il portone del garage, svelando un nuovo mattino grigio e umido. Hiccup tirò su la zip della giacca a vento.
"Partenza!" annunciò Jack, e premette sull'acceleratore. Hiccup, che si aspettava una manovra per lanciarli in discesa a tutta velocità, fu lieto di sbagliarsi. La vettura imboccò dolcemente il declivio facendo scricchiolare la ghiaia, mentre Jack stringeva il volante con un'espressione di pura gioia.
Hiccup si accorse di quanto stavano andando veloci solo appena arrivarono davanti casa sua, giusto dopo un quarto d'ora. Decise di ignorarne le implicazioni ed entrò svelto in casa, lasciando gli altri in macchina ad aspettare.
Dall'assenza di odore di caffè o del brusio della televisione, immaginò che suo padre fosse già in centrale, quindi recuperò subito lo zaino e tornò da Jack e Toothiana. Il primo sembrava fremere per rimettersi in marcia.
Arrivarono a scuola ancora più in fretta, e il momento di separarsi giunse troppo presto. Hiccup salutò controvoglia Toothiana, agitando la mano.
"Ci vediamo a trigo" promise Jack con un gran sorriso.
"Non potete unirvi a me e gli altri, a pranzo?" suggerì Hiccup, immaginando già la risposta.
"Meglio di no" disse Jack, dispiaciuto. "Scusa. A dopo, allora."
"Sì."
Hiccup trovò l'aula di inglese praticamente deserta, ma la presenza solare di Astrid colmava quel vuoto. Si sedette accanto a lei e le diede il buongiorno.
"Com'è andato il weekend?" chiese Astrid, probabilmente per rompere il ghiaccio. Il messaggio di Hiccup non era bastato a non rendere l'atmosfera strana.
Lui sapeva che nessuna bugia si sarebbe potuta avvicinare alla realtà, perciò optò per una parte di verità. "Sono stato da Jack."
Astrid alzò un sopracciglio. "Ma dai. Come ci sei riuscito?"
"Ho scoperto che i Frost non sono così inarrivabili come sembra" rispose Hiccup, a disagio. "Mi ha… Mi ha invitato lui."
"Wow. Ed è davvero una villa, come si dice in giro?" indagò lei con interesse.
"Più che una villa" disse Hiccup con onestà, "direi una casa molto grande e antiquata. C'erano travi dappertutto."
Astrid si passò le dita sulla frangia bionda. "Pensi di tornarci anche questo fine settimana?"
Lui esitò. Sarebbe tornato? Erano ufficialmente amici?
"Al momento non ho programmi. Ti serve ancora una mano con la moto?"
"No, no" si affrettò a replicare la ragazza. "Ma pensavo di fare un giro a La Push. Il meteo prevede un'intera giornata di sole per sabato prossimo."
Per un folle momento, Hiccup ebbe la netta sensazione di essere appena stato invitato a un appuntamento. Tuttavia, il viso di Astrid non mostrava timidezza, piuttosto esprimeva la solita cordialità.
"Una gita alla spiaggia vicino alla riserva? Sembra divertente." L'ultima volta che ci era stato aveva forse cinque anni, e suo padre aveva provato a insegnargli a nuotare buttandolo a mare come un sacco e gridandogli di agitare i piedi per stare a galla. Sua madre non l'aveva presa benissimo, e non gli aveva rivolto la parola per il resto del pomeriggio. A pensarci bene, era successo poco prima che divorziassero.
Hiccup non era più sicuro di essere tanto convinto della gita.

La lezione di inglese fu particolarmente tosta, quel giorno, e non trovarono altre occasioni di chiacchierare, così Hiccup si ritrovò all'ora di pranzo con il pensiero di La Push che ancora gli frullava in testa.
Il frastuono del vassoio sbattuto sul tavolo della mensa da Tufo, che prese posto di fronte a lui gonfiando il petto, lo fece sussultare per la sorpresa. "Udite udite, compagni!" dichiarò con solennità.
Astrid si nascose dietro una mano come meglio poteva. "È solo lunedì mattina" Hiccup la sentì sospirare a bassa voce.
Bruta si accodò al fratello sfoderando un foglio marchiato da una modesta 'D' a penna rossa. "Ammirate! Il trionfo dei gemelli Thorston!" annunciò.
Hiccup non comprendeva il motivo di tanto chiasso per una misera D: era a malapena la sufficienza. Nemmeno Moccicoso si unì ai festeggiamenti.
Solo Gambedipesce mostrò un sincero interesse per l'annuncio dei gemelli. "Oooh, siete riusciti finalmente a prendere un bel voto a francese? Io ho preso una A in trigonometria, di recente."
"Sì, sì, bravo" lo liquidò Tufo, tornando a rimirare il foglio stropicciato, così come la sorella.
"Anche voi avete avuto un test di trigo, la settimana scorsa?" proseguì Gambedipesce, presissimo dall'argomento 'valutazioni', rivolgendosi a Hiccup e Moccicoso.
Quest'ultimo finse palesemente di non aver sentito la domanda e continuò a mangiare, invece Hiccup rispose: "Sì. B+."
"Come me!" commentò Astrid.
"E tu, Moccicoso?" insisté Gambedipesce, purtroppo senza rendersi conto di starlo facendo innervosire. "Come ti è andato il test?"
"Gambedipesce…" cercò di avvertirlo Astrid, ma era troppo tardi. "Ho preso una F, va bene? Sei contento adesso?" sbottò Moccicoso, e lasciò la mensa quasi di corsa. L'atmosfera al tavolo diventò piuttosto gelida.
"Mi sa che non ha intenzione di tornare" commentò Bruta dopo un lungo silenzio. "Si è portato via la sua roba."
L'ora di pranzo era finita. I cinque raccolsero zaini e borse e si lasciarono con un certo imbarazzo. Hiccup notò solo allora Jack che lo stava aspettando per andare alla prossima lezione.
"Tutto bene? Vi abbiamo sentiti discutere" gli chiese mentre percorrevano il corridoio affollato. Alle pareti cominciavano già a spuntare volantini per pubblicizzare il ballo di fine anno.
Hiccup sapeva di non aver bisogno di alzare la voce per farsi sentire. "Parlavamo solo di voti, niente di sconvolgente. Com'è andata a ginnastica? Hai rotto qualche altra finestra?"
Ora aveva capito che Jack era riuscito a mandare una vetrata in frantumi grazie alla sua forza disumana, e non per un colpo di fortuna inappropriato. Chissà quante volte doveva trattenersi…
"Sono molto offeso" rispose lui con una smorfia di falso sdegno. "Ma sono disposto a perdonarti, a patto che tu accetti di venire da me questo sabato."
"Quanta magnanimità" rise Hiccup, e fu sul punto di accettare, prima di ricordarsi di avere già un impegno. Il fatto che Astrid non ne avesse parlato a pranzo suggeriva ulteriormente la natura della proposta, ma ormai sarebbe stato maleducato disdire, e Hiccup si sentiva ancora in colpa per averla abbandonata, due giorni prima. In cosa si era cacciato?
"Forse potrai vedere una delle nostre leggendarie cacce al tesoro, se ci saremo tutti" stava dicendo Jack intanto, ignaro della crisi nella mente di Hiccup in pieno svolgimento, che dovette costringere le parole a uscirgli di bocca una alla volta.
"Sabato non posso, mi dispiace."
L'espressione felice di Jack si sgonfiò come un palloncino abbandonato dopo una festa. "Ah."
E Hiccup, che non avrebbe sopportato di rovinargli l'umore, aggiunse immediatamente: "Perché non vieni tu a casa mia, invece? Non c'è molto di divertente da fare, ma possiamo sempre inventarci qualcosa."
"Oggi?" disse Jack, senza nascondere l'espressione speranzosa.
"Oggi" accordò lui.
Arrivarono in classe, e se Jack aveva intenzione di riattaccare con il suo interrogatorio, Hiccup glielo impedì: l'insegnante introdusse un nuovo argomento dall'aria complicata che richiese tutta la sua attenzione. Era ancora indietro con i compiti e non poteva permettersi di distrarsi durante la spiegazione. Jack scarabocchiò animali e caricature sul suo quaderno per tutta l'ora, eppure Hiccup aveva il forte sospetto che non avesse bisogno di prestare troppa attenzione per capire l'argomento. Forse riusciva a fare molte cose insieme. Oppure era bravo a copiare, ma Hiccup decise di concedergli il beneficio del dubbio.
Alla fine dell'ora, Jack lo seguì mentre raggiungeva l'aula di biologia.
"Pensavo a una cosa, prima…" attaccò con fare concitato, ma si bloccò improvvisamente. Hiccup lo guardò interrogativo.
"Haddock" lo chiamò Moccicoso venendo loro incontro, il che spiegava l'interruzione. Non ostentava la solita postura da gradasso, stringeva forte le cinghie dello zaino tra le mani e guardava il pavimento di fronte a Hiccup. Qualunque cosa volesse da lui, chiederla sembrava costargli moltissimo.
"Che c'è?"
In quel momento Moccicoso doveva aver notato Jack, perché fece un passo indietro quasi involontariamente, sbiancando. Miracolosamente, lui sembrò intuire la situazione, e scappò via salutando velocemente Hiccup con un "Alle sei?"
"D'accordo." Si avvicinò quindi a Jorgenson. "Dimmi."
"Tu… sei bravo a studiare, vero?" fece Moccicoso con evidente sforzo.
Non era difficile capire dove volesse andare a parare. "Vorresti che ti facessi ripetizioni?"
L'altro sembrò decisamente sollevato di non doverlo dire ad alta voce, se non addirittura… grato? "Oggi non ci ho capito niente di trigonometria. Se… Se tu mi spiegassi…" mugugnò.
"Per me va bene, ma devi promettermi una cosa, in cambio" disse Hiccup. Gli era venuta in mente un'idea potenzialmente geniale.
"Non ho molti soldi" replicò Moccicoso con dubbio.
Lui alzò un dito. "Lascia perdere i soldi. Ti farò ripetizioni se tu giurerai di non farmi più lo sgambetto a ginnastica, o in qualsiasi altro momento. Anzi, mettici dentro tutte le forme di maltrattamento che ti vengono in mente."
"Tutto qui?" disse Moccicoso storcendo il naso, ancora scettico.
"Esatto" confermò Hiccup appoggiando le mani sui fianchi.
L'altro scrollò le spalle. "Non ho altra scelta, eh?" borbottò. "Okay."
"Vengo io da te, o…?"
"No" lo corresse Jorgenson prima che Hiccup potesse finire la frase. "Alle tre, e fatti trovare a casa, Haddock."
Non lo salutò e corse via verso l'aula di inglese. Hiccup lo osservò fuggire a gambe levate dalla vergogna, chiedendosi se non fosse stato ingenuo a suggerire quel patto. Sperò che accogliere Moccicoso in casa non gli procurasse più problemi di prima.

Alle tre e un quarto, quando Hiccup era sul punto di arrendersi alla possibilità che Jorgenson avesse avuto qualche ripensamento, il campanello trillò sonoramente due volte. Aprì la porta e se lo trovò davanti.
Pareva ancora deciso a non staccare gli occhi dal pavimento, o in questo caso lo zerbino.
"Prego" gli disse Hiccup per incoraggiarlo. "Mettiamoci in camera mia, vieni."
Moccicoso non aveva ancora aperto bocca, perciò, mentre salivano le scale, Hiccup buttò un'occhiata dietro di sé per controllare che lo stesse effettivamente seguendo. Era come vedere un animale appena arrivato in una nuova casa. Mai avrebbe immaginato di parlare a Moccicoso senza temere per la propria salute, figurarsi offrirgli ospitalità volontariamente.
"Usa pure la sedia che c'è lì, vado a prenderne una per me" disse in cima alle scale. Tornò giù in cucina e ne trasportò una fino al piano di sopra, colpendo goffamente la balaustra di legno con le gambe della sedia.
In camera, seduto tutto ingobbito con lo zaino posato ai suoi piedi, Moccicoso era più fuori posto di un pesce in un deserto. Spostava lo sguardo di qua e di là, incerto e a disagio. A Hiccup dispiacque per lui giusto un pochino.
"Ti interessava trigonometria, giusto?" esordì per darsi un tono, intanto che prendeva libro e quaderno e si sedeva accanto a lui. Moccicoso sembrò finalmente riscuotersi e lo imitò.
"Con le altre materie posso anche cavarmela, ma questa è impossibile da capire" rispose burbero.
"Che ne dici se provo a spiegarti l'argomento nuovo?"
Hiccup scoprì quindi che avrebbero dovuto cominciare da molto, molto prima dell'ultima lezione, così fece del suo meglio per riempire le sue lacune nei concetti essenziali, andando a ritroso fino alle basi quando necessario. Moccicoso, per sua sorpresa iniziale, si rivelò più collaborativo di quanto si aspettasse, e si diede da fare per prendere appunti.
"Okay, adesso prova a risolvere questo" disse Hiccup indicando un problema dal libro di testo. "Basta che applichi le regole che ti ho spiegato."
Passarono alcuni minuti in cui Hiccup guardò Moccicoso scervellarsi, stupendosi di tenere il fiato sospeso, finché quest'ultimo scrisse l'ultimo numero e alzò il quaderno. "Così?"
"È giusto!" esclamò contento Hiccup.
Anche Jorgenson, forse trascinato dal suo entusiasmo, sorrise per la prima volta, e non con un ghigno maligno. "Hah! Vai, Moccicoso!"
Hiccup si mise subito a cercare un quesito più difficile. Risolto anche questo senza troppa difficoltà. L'altro ululò nuove acclamazioni di soddisfazione.
"Non sei affatto male" considerò Hiccup distraendolo dai festeggiamenti. "Pensavo che ci sarebbe voluto molto più tempo."
"Lo credevo anch'io" disse Moccicoso, fermando la gomma a metà di una frase da cancellare. "Forse sei un bravo insegnante."
Di tutte le risposte possibili, un vero complimento era l'ultima che Hiccup si aspettava. A quel punto era curioso di sapere cosa lo avesse spinto a cercare aiuto proprio da lui, e proprio adesso.
"Ti serviva solo un metodo diverso, però non immaginavo che ti importasse dei voti."
Moccicoso s'imbronciò. "Infatti, ma mio padre mi sta facendo una testa così per questa storia. Dice che sarebbe patetico se venissi bocciato alle superiori."
Hiccup ricordava bene il signor Jorgenson. Somigliava parecchio al figlio, ma aveva un eccezionale talento nel portare all'estremo le sue qualità peggiori. Era più presuntuoso, più capriccioso e più prepotente di lui. Non c'era da sorprendersi che Moccicoso avesse preso tanto dal padre.
"È molto esigente?" chiese Hiccup.
"Pretende che io sia migliore di tutti in tutto, e anche se qualcosa mi riesce bene, sostiene di essere comunque più capace di me" si sfogò Jorgenson facendo l'orecchio alla pagina degli appunti. Hiccup non lo aveva mai visto tanto vulnerabile. "È… sfiancante. Qualunque cosa non è mai abbastanza."
Suonava fin troppo familiare.
"...A volte penso che mio padre preferirebbe avere te come figlio" ammise Hiccup a sua volta con un sussurro. Non l'aveva mai detto ad alta voce, men che meno a qualcun altro.
Moccicoso lo fissò interrogativo. "Compensi tutto quello che lui vorrebbe che fossi" spiegò lui. "Sai giocare a football, non ti fai offendere dagli altri, ti atteggi da duro come lui… Anche se ho la sensazione che nemmeno se ti somigliassi cambierebbe qualcosa. Eppure vorrei che fosse così, io voglio che sia fiero di me."
Moccicoso scosse la testa con fare solidale. "E la cosa assurda è che gli voglio comunque bene, al mio vecchio, tu lo capisci, vero?"
"Già. Credo che sia proprio per questo motivo, che ti spinge a dare il massimo. Vuole il meglio per te perché ci tiene" disse Hiccup.
"Tu dici?" fece l'altro reclinandosi sulla sedia pensieroso. Hiccup annuì con convinzione.
Fissando la confusione di libri, fogli e penne distribuita su tutta la scrivania, Moccicoso lo colpì per l'ennesima volta: "Tutto sommato sei un tipo apposto, Hiccup. Pensavo che mi avresti preso in giro per averti chiesto di farmi ripetizioni, invece sei stato corretto."
"E perché lo hai chiesto proprio a me, se avevi paura? Chiunque altro avrebbe potuto aiutarti" osservò lui imbarazzato.
"Ma per piacere, i gemelli hanno voti perfino peggiori dei miei, Gambedipesce sarebbe stato un insegnante insopportabile, e Astrid, be'..." Moccicoso lasciò la frase in sospeso. Hiccup pensò bene di non dirgli del loro forse-appuntamento e tenne la bocca chiusa.
"Ero l'ultima spiaggia, ho capito."
"Adesso non frignare, o puoi scordarti la mia promessa!" minacciò debolmente Jorgenson. "E non sognarti di dire delle ripetizioni a nessuno."
"Direi che per oggi è abbastanza" concluse allora Hiccup, che non desiderava un'altra caviglia slogata.
Lo accompagnò all'ingresso, promettendo altre lezioni se ce ne fosse stato bisogno, dopodiché salì in camera sua, rassegnato a passare il pomeriggio sui libri che stava rimandando da troppo tempo.
Aveva tolto il tappo alla penna, che un ticchettio alla sua sinistra lo fece sobbalzare. Sembrava provenire dalla finestra.
Hiccup si avvicinò al davanzale per verificarne la causa, e per poco non si prese un infarto quando Jack Frost gli spuntò davanti picchiettando sul vetro col pugno. Con il fiatone per lo spavento, aprì la finestra e lo lasciò entrare. "Che cavolo, mi hai fatto morire di paura!"
"Scusa" ribatté Jack serenamente, guardandosi attorno.
"Non sono ancora le sei! E siamo al primo piano!" protestò Hiccup indignato. "C'è un albero comodo comodo per arrampicarsi" disse Jack. "Che fai, studi?" "Ci provo, ma c'è un vampiro che mi perseguita" scherzò lui alzando le braccia al cielo imitando un tono drammatico.
Alle sue parole, il sorriso di Jack si fece più grande. "Vuoi studiare insieme?"
Hiccup guardò prima lui, poi la scrivania ingombra, sconsolato. "No, andiamo di sotto, ho bisogno di mangiare qualcosa."

*


Non appena Jack e Toothiana misero piede a casa, dopo essere tornati da scuola, Nord li aveva trascinati nel suo studio.
"È il momento della riunione?" disse Toothiana scavalcando una pista per macchinine giocattolo, in cerca di un angolo dove sedersi. Jack fece lo stesso e si appollaiò sulla scrivania, ignorando l'occhiataccia di Aster che cercava di fulminarlo, dalla libreria su cui era appoggiato.
"Abbiamo cosa di cui parlare" confermò Nord sfregandosi le mani. Si fermò al centro della stanza e indicò Jack. "Tu sei unico di noi ad avere avuto contatto con vampiro nemico. Racconta."
Jack, ora al centro dell'attenzione, non rispose subito e si morse la lingua. Non aveva più la certezza di essersi comportato nel miglior modo possibile, nella foresta. Certo, nella foga del momento aveva dato la massima priorità a Hiccup e gli aveva salvato la vita, ma iniziava a pentirsi di non aver fatto almeno un tentativo di cattura. In più, rievocare il ricordo di domenica scorsa bastava a fargli inondare la bocca di veleno.
"Sono riuscito solamente a fargli ammettere di stare dalla parte di…" si fermò prima di lasciarsi scappare il nome di Pitch Black, che teoricamente non doveva sapere. "Del ricercato."
"Che tipo era?" indagò Nord, gli occhi azzurri da bambino adombrati sotto le sopracciglia aggrottate.
"Si è presentato come Eret. Di aspetto giovane, selvaggio e forte" elencò Jack. "È un neonato."
Toothiana spalancò gli occhi e trasalì. Perfino Aster irrigidì le braccia stringendo le labbra.
"Stavolta fa sul serio, se è arrivato a trovarsi alleato tanto pericoloso" disse Nord, grave.
"Per forza, non ce la farebbe mai contro tutti noi da solo" commentò Aster. "Però nella foresta mi è sembrato più interessato a Hiccup, che a me" intervenne Jack. "Deve essere un alleato abbastanza inutile, se non è capace di mantenere la concentrazione sul nemico. Ha anche cercato di corrompermi."
"In che senso?" chiese Nord.
Il solo pensiero era in grado di fargli scoprire involontariamente i denti. "Un pasto condiviso in cambio del mio silenzio."
Stavolta Aster fece schioccare la lingua con evidente irritazione repressa, seguito dall'espressione esterrefatta di Nord.
Toothiana si avvicinò a Jack per posargli una mano sulla spalla. "E tu hai trovato la forza di rifiutare? Come hai fatto? Anche con tutto il tuo allenamento, controllarsi in una situazione simile sarebbe…"
"Ho trattenuto il fiato e mi sono liberato di lui" tagliò corto Jack, desideroso di cambiare argomento. Preferiva non far sapere agli altri del breve, terrificante istante in cui ci aveva davvero pensato. Non ne andava fiero.
"Comunque" Nord spezzò il silenzio, "non resta che essere vigili e tenere occhi bene aperti. Questo Eret sembra imbranato, forse è volta buona che ci sbarazziamo di Black."
Si era fatto sfuggire l'identità di Pitch. Jack non glielo fece notare.
Sembravano tutti pronti a tornare ai propri affari, tuttavia Aster fece un passo avanti. "Ohi, non vi sembra di dimenticare qualcosa?"
"Aggiornerò Sandy appena posso, tranquillo" lo rassicurò Nord.
"Parlo dell'umano" ribatté l'altro. "Dovremmo lasciarlo gironzolare intorno a Jack come se nulla fosse? Anche se gli avete già raccontato troppo, non gli basterà, e lo sapete. Accidenti, per quanto ne sappiamo potrebbe spifferare tutto a qualcuno."
"Hiccup non lo farebbe mai!" si sdegnò Jack, e saltò giù dalla scrivania per avvicinarsi ad Aster.
"Cosa ce lo garantisce?" disse lui lentamente, avanzando di diversi passi a sua volta.
Toothiana e Nord alzarono insieme le braccia, quasi comicamente, con l'intento di rabbonirli, ma Jack stava già ringhiando. Era a un soffio dalla faccia di Aster.
"Il mio intuito."
Lui scoppiò a ridere apertamente e si allontanò. "Grandioso! Proprio quello che ci serviva, il tuo proverbiale intuito geniale!"
Jack non gli morse la gola solo perché a trattenerlo c'era sulla sua spalla la mano di Nord, che da sola bastava a immobilizzarlo sul posto.
"Aster ha ragione" affermò l'uomo.
"Cosa?!"
"Non abbiamo pensato a Hiccup" disse. "Tua determinazione a proteggere lui potrebbe renderlo come bersaglio, per arrivare a te, poi a noi."
Toothiana alzò una mano. "Se invece Eret fosse davvero interessato a Hiccup, o meglio, al suo sangue?"
"In quel caso ci lascerebbe in pace, almeno lui" rifletté Nord. "Ma potrebbe essere su sue tracce in questo stesso momento, e se teniamo d'occhio Hiccup, troviamo Eret."
Aster parve interessato all'idea. "Come un'esca, quindi?"
La sua scelta di parole, unita alle considerazioni di Nord, non piacquero per nulla a Jack, che era sempre meno convinto della piega che stava prendendo il discorso. Gli tornò alla mente cosa aveva detto a Hiccup.
Quel nuovo piano lo inquietava. C'era la forte probabilità che Eret non fosse un neonato qualunque, ma un segugio. Forse Pitch non era ingenuo come credevano.
Come aveva detto Nord, Hiccup poteva già essere in pericolo; non ci avrebbe messo molto a trovarlo.
Merda.
"Devo andare." Se ne fosse stato in grado, avrebbe vomitato.
Senza aggiungere altro, sordo alle proteste degli altri, Jack uscì dallo studio, si arrampicò agilmente sul parapetto delle scale e saltò nel pianerottolo. Toothiana era sfrecciata sulla soglia all'ingresso ad aspettarlo, a braccia incrociate. Lui considerò rapidamente se spostarla con la forza, ma sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo.
"La riunione non era finita" disse semplicemente Toothiana. Non sembrava arrabbiata.
Jack scese gli ultimi scalini. Doveva affrontarla senza giri di parole. "Vado da Hiccup, visto che a voi non interessa."
"Se non fossi scappato via, Nord ti avrebbe spiegato che ha passato tutta la mattina a pianificare dei turni di guardia, oltre alla ronda, e che Sandy non c'è perché adesso è appostato a casa degli Haddock" snocciolò Toothiana appoggiando la schiena alla porta. "Davvero pensi che non ci importi?" aggiunse dispiaciuta.
"Stavate parlando come se fosse insignificante, volevo fare qualcosa" disse Jack.
Lei addolcì l'espressione. "Siamo una squadra, non devi fare tutto da solo. Anche Aster ci tiene, ma non vuole ammetterlo."
"Grazie" sospirò lui. Detestava sentirsi escluso dalle strategie del gruppo, solo perché era il più giovane.
Toothiana si scostò dalla porta senza però lasciare l'entrata, improvvisamente titubante. "Tu… lo sai che esiste un modo per risolvere il tuo problema, vero?"
Jack sbatté le palpebre. "Che intendi?"
"Sarebbe sciocco far finta di niente: per quanto ci siamo tutti affezionati a Hiccup, tu sei quello più… coinvolto" disse Toothiana tutto d'un fiato. "Hai mai pensato all'opzione di una trasformazione?"
"Mi stai suggerendo di ucciderlo?" fece Jack in tono inespressivo. Stava delirando, non c'era altra spiegazione.
"Jack!" esclamò la ragazza. "Sai benissimo che non è la stessa cosa! Pensaci, non sarebbe più completamente indifeso, anzi, diventerebbe più forte di tutti noi. Potreste stare insieme per l'eternità."
Jack non rispose. Era senza parole. E inorridito.
"Sono certa che se tu glielo spiegassi—"
"Cosa?" gridò lui. "Cosa dovrei spiegargli, esattamente? Che rischia di morire con ogni minuto che passa per colpa mia? Che l'unico modo perché non succeda sarebbe quello di rovinargli la vita? Solo perché io sono troppo egoista per stare zitto e non fare niente?"
"Lo dicevo per te, oltre che per la sua sicurezza!" balbettò Toothiana. "Odio vederti soffrire così, quindi per favore, prendilo almeno in considerazione."
"Lo capisco, credimi, ma mi rifiuto di costringerlo a questa scelta. È nei guai per causa mia, e sarò io a risolverli" disse Jack risoluto.
"Va bene" Toothiana si morse il labbro. "Ma permettici di aiutarti, allora."
Jack forzò un sorriso. "Solo se tu prometti una cosa, cugina."
"Dimmi."
"Ti prego, non dire mai a Hic di questa storia" disse. "Perché se un giorno dovesse chiedermi di trasformarlo…" — e qui faticò immensamente a terminare la frase — "ho paura che non riuscirei a negarglielo."

Il tragitto verso Forks fu stranamente silenzioso, senza il solito chiacchiericcio di Toothiana ad accompagnarlo per chilometri di foresta. A Jack bastò arrivare al limitare della vegetazione e seguire la scia ancora fresca di Sandy, che incrociò di sfuggita mentre imboccava il vialetto degli Haddock. Gli fece cenno con la mano. Lui mimò il gesto di togliersi il cappello.
Jack indugiò nella veranda, le cui assi una volta bianche erano ingrigite dalle intemperie, e sentì il suono di passi sulle scale, poi una porta che si chiudeva. Girò quindi l'angolo dal lato est, dove aveva adocchiato un albero che poteva fargli comodo. Avrebbe fatto una sorpresa a Hiccup.
Si arrampicò facilmente tra i rami, i quali arrivavano molto vicini alla finestra al primo piano. Le veneziane alzate permisero a Jack di osservare Hiccup, ora seduto alla scrivania. Bussò piano sul vetro con le nocche.
Il ragazzo alzò la testa e venne subito a esaminare la fonte del rumore. Jack ripeté il gesto, ma si fermò con la mano a mezz'aria nel vedere l'espressione atterrita di Hiccup, che spalancò la finestra rimproverandolo per lo spavento.
"Scusa" disse lui distrattamente mentre entrava. Erano secoli che desiderava vedere la sua stanza, e la osservò da cima a fondo con interesse.
Non era molto spaziosa, ma ci stava l'essenziale, e tanto pareva bastare. La trapunta sul letto era stropicciata e sulla scrivania regnava il caos, però in compenso la moquette era libera e l'aria era piacevolmente invasa dall'odore di Hiccup. Sul comodino c'era una foto incorniciata di quella che sembrava una famiglia felice con un grosso cane maculato, e su una delle due sedie era abbandonato un computer portatile attaccato a un cavo troppo corto che serpeggiava fino alla presa di corrente.
Intanto, Hiccup si stava profondendo in lamentele per il suo anticipo e la sua rocambolesca entrata in scena.
Jack gli diede una vaga giustificazione e riuscì a convincerlo a lasciar perdere i compiti, perché alla sua proposta di studiare rispose: "No, andiamo di sotto, ho bisogno di mangiare qualcosa."
"Sei vuoi fare uno spuntino possiamo andare al Nido" suggerì Jack. Aster aveva tenuto il locale chiuso, quella mattina, ma adesso doveva essere aperto, e il suo turno non cominciava prima delle otto.
"Ma sì, perché no?" accettò Hiccup.
Jack sgusciò alla porta in un attimo, godendosi la risata sorpresa dell'altro, e la aprì. Era ancora compiaciuto della disinvoltura con cui il ragazzo aveva usato la parola 'vampiro', poco prima.
"Aspetta" disse Hiccup, bloccato sulla soglia a guardare il pavimento. "Ma sei senza scarpe?"
Jack seguì il suo sguardo verso i propri piedi scalzi, tanto pallidi da lasciar intravedere le vene sul dorso. Con la scusa della fretta si era completamente dimenticato delle scarpe. Non che gli dispiacesse; detestava quegli strumenti di tortura, gli impedivano di muoversi bene e si consumavano troppo in fretta. "Guarda che mi sono pulito sullo zerbino, prima di salire."
"Non puoi andare in giro così" disse Hiccup scuotendo la testa.
Si accucciò di fianco all'armadio e riemerse mostrando un paio di scarponcini molto vissuti. "Sono un po' malconci, scusa. Dovrebbero essere solo leggermente grandi."
Jack se li infilò e strinse forte i lacci. "Grazie."
Uscirono nell'umido pomeriggio di settembre, uno al riparo dell'inseparabile giacca a vento, l'altro con la vecchia felpa blu, e s'incamminarono. A Jack non dava nemmeno fastidio dover andare a passo umano, felice di passare più tempo con Hiccup.
Chiacchierarono della scuola fino all'entrata della caffetteria, che a quell'ora cominciava ad affollarsi. Niente di esagerato, ma i tavoli erano quasi tutti occupati. Perlomeno, Aster sarebbe stato troppo indaffarato per badare a loro.
Il posto che Jack scelse era uno dei più appartati, a ridosso della finestra più vicina al bancone.
"Oggi tocca a me" disse Hiccup dopo essersi seduto. Il sottofondo di voci, insieme alla musica proveniente da una radio nuova di zecca, avrebbe coperto i loro discorsi agli altri clienti.
"Per cosa?" domandò Jack.
"Finora ti ho lasciato farmi tutte le domande che volevi, adesso è il mio turno" chiarì Hiccup con malcelato entusiasmo. "Ci sono un sacco di cose che ieri sera non ti ho chiesto."
Il suo fervore lasciava Jack indeciso se essere lusingato, oppure preoccupato. Quanto avrebbe potuto raccontare, senza terrorizzarlo definitivamente? Quale sarebbe stato il suo limite?
"D'accordo, ma sappi che non potrò rispondere a tutte" decise infine. C'erano alcune cose che era meglio tenere per sé, stabilì mentalmente.
Hiccup rifletté attentamente per qualche secondo, dando tempo ad Aster di venire a prendere l'ordinazione.
"Voi due che ci fate qui?" sbottò perdendo il tono professionale per l'irritazione.
Oh, sarebbe stata l'occasione perfetta per infastidirlo (senza conseguenze immediate).
"Ciao, Aster" disse Hiccup guardando lui e Jack con titubanza.
"Prendi quello che vuoi, offro io" bisbigliò quest'ultimo. "C'è la torta? Prendi la torta."
Hiccup sembrava sempre più confuso. "Uhm, un caffè e una fetta di torta?" "Arrivo subito" disse Aster a denti stretti, e si dileguò dietro al bancone. Jack trovò la sua reazione estremamente divertente.
Si voltò verso Hiccup. "Spara."
"Vediamo… Ah, mi piacerebbe avere una conferma, una volta per tutte: voi non siete parenti, giusto?"
E che questo lo avesse capito fin da subito, Jack lo sapeva già, ricordava ancora il suo sguardo indagatore su di sé. "Esatto. La famiglia Frost non esiste."
"Lo immaginavo" Hiccup annuì. Aveva abbassato il tono di voce. "Siete una specie di clan?"
"Più o meno sì, ma in realtà ci consideriamo una famiglia anche se non abbiamo legami di sangue. Per quelli come noi è raro fare gruppo, ancora di più restare uniti per molto tempo senza ammazzarsi a vicenda. Secondo Nord la nostra dieta ci rende più civili degli altri."
"Come vi siete conosciuti?" chiese Hiccup.
"Tu non lo hai incontrato ancora, ma il nostro, diciamo… capofamiglia" disse Jack, "è Sandy, l'unico di cui non so quasi nulla, solo che è di gran lunga il più vecchio di noi e che ha girato l'Europa insieme a Nord per qualche decennio, finché lui non si è stancato ed è venuto in America."
"Perché lo ha fatto? Voleva stare in un posto fisso?" domandò Hiccup. Non si era spaventato sentendo parlare di decenni, bene.
"È stato Sandy a fargli conoscere la dieta alternativa, ma stava dando la caccia a qualcuno, quindi Nord ha preferito trovare qualcosa da fare per rendere migliore la vita degli umani. Gli sono sempre piaciuti i bambini, così è diventato il giocattolaio che è oggi."
Jack non faticava a immaginarselo, quell'uomo grande e grosso dal cuore d'oro, gobbo sulla scrivania a inventarsi balocchi per la felicità dei piccoli umani. Ispirava tutti a metterci lo stesso impegno nel fingersi meno mostri.
Hiccup fissò la zuccheriera, assorto. "Ma cosa faceva, prima di questo? Voglio dire… Come funziona la storia del vampirismo?"
"La chiamiamo 'trasformazione', tra di noi" rispose Jack, attento a non allargarsi troppo. "È un processo lungo e rischioso con cui un vampiro avvelena un umano in fin di vita."
L'ultimo dettaglio non era proprio vero, e Jack si sentì in colpa per la piccola bugia. "Sandy ha trovato Nord che stava morendo dissanguato nella steppa russa, e lo ha trasformato. Tre giorni dopo era un vampiro."
"Come si fa a trasmettere il veleno, esattamente?" chiese Hiccup con morbosa curiosità. Troppa.
"A morsi."
Battito accelerato.
"Giusto." Si schiarì nervoso la voce. Fortunatamente non sembrava più tanto desideroso di continuare il discorso.
"Comunque, tempo dopo ha conosciuto Aster, che era partito dall'Australia in cerca di quelli che aveva sentito definire 'vegetariani', e ha accettato di insegnargli l'autocontrollo. Ancora oggi ha molto da imparare" continuò Jack.
A quel punto, Aster arrivò portando l'ordinazione e gli rifilò uno scappellotto con un movimento tanto rapido da passare inosservato.
"...Ahi" Jack ricordò di reagire con dieci secondi di ritardo. Hiccup ridacchiò nascondendosi dietro alla tazza, mentre Aster tornava dagli altri clienti mormorando calunnie.
"Dopo cos'è successo?" chiese Hiccup, soffiando sul caffè bollente.
"Hanno passato qualche anno in tranquillità, spostandosi spesso per non farsi scoprire, fino a quando, un giorno, hanno trovato per caso una giovane ragazza" raccontò Jack.
"Toothiana?"
"Già. All'inizio era sembrata loro una vampira qualsiasi, sola e spaventata, probabilmente abbandonata dal suo creatore. Poi si sono accorti che aveva qualcosa di strano."
Jack scelse di omettere le circostanze esatte in cui Nord e Aster l'avevano conosciuta, temendo di violare la sua privacy. Toothiana non era semplicemente nascosta, ma al tempo stava disperatamente cercando un modo per uccidersi.
Hiccup restò in ascolto in silenzio, assorbito dal racconto di Jack.
"A nessuno di noi piace nutrirsi in modo… tradizionale, per questo ci serviamo degli animali" evidenziò lui. "Ma specialmente per Toothiana era impossibile pensare di bere sangue umano, perché riusciva a vedere i ricordi delle persone."
"Che vuoi dire?" Hiccup inarcò le sopracciglia a quella rivelazione.
"È raro, ma succede che alcuni di noi, dopo la trasformazione, si risveglino con un dono" disse Jack. "Toothiana riesce a leggere nei ricordi di chiunque, se è abbastanza vicino, basta che si concentri totalmente su quello. Può anche mostrarli ad altre persone, anche se non appaiono chiari come a lei."
"Tutti i ricordi, anche quelli dell'infanzia?" chiese Hiccup, impressionato.
"Più sono confusi e vecchi, più è difficile, ma sì. Volendo, potrebbe farti ricordare qualcosa che avevi represso."
"Incredibile" commentò Hiccup. "È l'unica di voi con un dono?"
Jack scosse la testa. "Sandy è capace di paralizzare e togliere i sensi con il tocco."
"Quindi sono entrambe abilità utili per la caccia, o per il combattimento. Chissà se si sviluppano da caratteristiche di quando erano umani…" borbottò Hiccup, guardando il piattino da dolce su cui erano ormai rimaste le briciole. "Oh!"
"Vuoi un'altra fetta di torta?"
"Quella volta che mi hai chiamato al cellulare" disse, "te lo ha dato Toothiana il mio numero?"
Jack si vergognò della sua impazienza della settimana prima. "Sì. Ti ha spaventato, eh?"
"Eccome, mi hai fatto prendere un colpo!" esclamò Hiccup. "Capisco che lo hai fatto perché eri preoccupato per me, ma per piacere, non farlo più. Se ti serve qualcosa puoi chiedermelo."
Jack doveva ammettere di non aver riflettuto su quello che poteva pensarne lui. "In mia difesa, devo dire che non avrei mai immaginato che saresti venuto a saperlo."
"Lasciamo perdere. Tu, piuttosto, come sei entrato nel gruppo?"
"Non è una storia molto interessante" premise Jack con imbarazzo. "Ricordo pochissimo della mia vecchia vita… Gli inverni difficili e dei volti che amavo, ma non saprei nemmeno dire se fossero parenti o amici. Il resto l'ho dimenticato."
"Mi… dispiace?" disse Hiccup, incerto.
Jack scrollò le spalle. "Non può mancarmi qualcosa di cui non ho memoria. La parte che conta è cominciata quando mi sono svegliato in una foresta ghiacciata, con la mia famiglia a darmi il benvenuto."
Poteva ancora ricordare la sensazione dei fiocchi di neve che gli si posavano sulle guance senza sciogliersi, del suo respiro concitato che non si condensava nell'aria, dei sorrisi di incoraggiamento per tranquillizzarlo.
Hiccup fece un respiro profondo. "Quanto tempo è passato…?"
"Era il 1939. Avevo diciassette anni" concluse Jack.
Hiccup strinse le labbra e rimase a lungo in silenzio, processando le nuove informazioni. Lui gli lasciò il tempo per riflettere e studiò la sua espressione assente.
Non gli avrebbe detto più di questo, e seppur le cose tralasciate fossero rimaste poche, Jack non voleva approfondire l'argomento della trasformazione o della reale influenza del loro mondo su quello degli umani. Cose come i tre giorni di agonia o i Volturi sarebbero rimaste taciute.
"Direi che è arrivata l'ora di andare" disse alla fine. Il cielo fuori si stava imbrunendo, e sentiva l'odore della pioggia in avvicinamento.
Il locale era al completo, ormai. Jack fece cenno a Hiccup in direzione dell'uscita e rivolse la testa alla zona del bancone. "Togli il conto dalla mia paga, coda di cotone!"
"Ti puoi scordare lo stipendio per i prossimi due secoli, sbruffone!" si sentì rispondere. E diceva sul serio. Hiccup la trovò una battuta esilarante, Jack un po' meno.
Riportato a casa Hiccup e restituiti gli scarponcini, Jack si preparò ad andarsene. Sperava che lo attendessero altri pomeriggi così, a parlare liberamente come amici intimi.
"Aspetta" lo fermò Hiccup mentre lui stava scavalcando il davanzale della finestra. Era meglio che i vicini non lo notassero gironzolare a piedi nudi per l'isolato.
Jack si fermò a cavalcioni del ramo più vicino. "Non devi preoccuparti per Eret, abbiamo organizzato dei turni per sorvegliare questa zona. Non riuscirà ad entrare."
"No, io… Cioè, grazie, ma…" farfugliò Hiccup. "Intendevo dire… Te ne vai di già?" Ma perché doveva tormentarsi i capelli sulla nuca in quel modo, guardando il pavimento e poi lui da dietro le ciglia scure?
"Tuo padre tornerà tra poco, no?" rispose Jack.
"Non puoi nasconderti con i tuoi superpoteri e restare ancora un po'?" tentò Hiccup.
"Non sono superpoteri e lo sai" ribatté lui sbuffando dal naso. "Dai, domenica saremo insieme tutto il giorno, visto che sabato non puoi. A proposito, che impegno hai?"
"Una gita a La Push" rispose brevemente Hiccup. Jack ebbe la forte sensazione che stesse omettendo qualche dettaglio importante.
"Allora ci vediamo domani, Hic." Spostò una gamba, pronto a saltare giù dall'albero.
L'altro si sporse dalla finestra, stringendo forte il bordo del davanzale. "Jack?" "Sì?"
"Cosa stavi per dirmi, oggi a scuola, prima che Moccicoso mi cercasse?" Lo aveva chiesto con fermezza, anche se il battito del suo cuore era lievemente aumentato.
Jack si morse l'interno della guancia. Aveva passato l'intera ora di trigonometria ad arrovellarsi, soffocato dai dubbi. Di aver perso la testa per lui ci era arrivato subito, il problema era come comportarsi.
Ogni singola parte di Jack desiderava dirlo, ma alla fine aveva concluso di non poterlo fare. Avrebbe solo confuso Hiccup.
Serrò le dita intorno a un ramo, tanto forte da farlo scricchiolare. Forse a causa di qualche evento traumatico della sua vita da umano, normalmente Jack non amava il contatto fisico, nemmeno quello casuale, ma in quel momento avrebbe voluto stringergli le mani tra le sue e dire la verità.
"Niente" disse. "Solo che mi piace il tuo maglione."
Meccanicamente, Hiccup si guardò il petto: era lo stesso pullover che indossava adesso, di anonima lana grigia.
Jack approfittò della sua distrazione. Scivolò silenziosamente a terra e corse verso la foresta buia, come il codardo che era.



Note
Sono arrivate alcune risposte alle domande di Hiccup, ma ci sono ancora molte cose da raccontare, come il passato umano di Nord e Jack. Arriveranno anche quelle, col tempo.
La scena delle ripetizioni è una delle mie preferite, sono contenta dello sviluppo che sono riuscita a dare a Moccicoso, e si vedrà meglio nei prossimi capitoli.



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Capitolo 10
*** IX. Chance / Reciprocità ***




IX

Chance / Reciprocità
 
 
Le previsioni del meteo dovevano essere sbagliate, perché quando Hiccup aprì gli occhi, sabato mattina, dalla finestra di camera sua non filtrava nemmeno un sottile raggio di sole.
Si tirò su a sedere e andò in bagno a occhi chiusi.
Jack aveva mentito.
Hiccup non sapeva se sentirsi offeso per la sfacciataggine con cui aveva detto la balla del maglione, lunedì sera, oppure ammirato per gli sforzi eroici con cui era riuscito a svicolare ogni domanda sui vampiri. Durante il resto della settimana avevano parlato come al solito, solo che Jack aveva evitato accuratamente di fornirgli altre informazioni interessanti. Almeno aveva concesso la sua benedizione per la gita, dato che, a detta sua, probabilmente Eret non avrebbe cercato di attaccarlo mentre era in mezzo a un gruppo di umani.
Hiccup non aveva ancora precisato il numero di partecipanti alla comitiva, però.
Indeciso se fidarsi del meteo, nel dubbio s'infilò una felpa molto grossa sopra alla maglia a maniche lunghe, le scarpe più comode che aveva, e la giacca che era diventata la sua seconda pelle. Scese in cucina, dove trovò Stoick che leggeva il giornale mentre faceva colazione, la mano serrata intorno alla tazza di caffè.
"'Giorno" disse Hiccup cercando il pane per farsi un toast. Non si aspettava di trovarlo a casa, spesso il sabato si alzava all'alba per andare a pescare con Skaracchio.
Suo padre mugugnò qualcosa che suonava vagamente come un saluto, senza staccare gli occhi dal giornale. Hiccup, in piedi dietro di lui per frugare nell'armadietto della cucina, ne approfittò per sbirciare il titolo su cui si era soffermato. A quanto pareva, la squadra di baseball preferita di Stoick se la stava passando male.
Hiccup non trovò il pane, perciò si versò del latte e ripescò da una mensola una scatola di cereali a un passo dalla scadenza.
"Programmi per la giornata?" chiese, stanco del silenzio fastidioso. Suo padre scosse la testa e continuò a scorrere l'articolo, incupendosi sempre di più per ogni riga che leggeva.
Hiccup ripensò al brutto cappello che gli aveva comprato in un raro gesto di affetto. Gli dispiaceva vederlo così di malumore, quindi azzardò un tentativo di risollevargli il morale. Aveva pure la scusa perfetta.
"Dovrai arrangiarti con il bucato, stavolta" disse nel suo miglior tono disinvolto.
Le sue parole entrarono da un orecchio di Stoick e uscirono dall'altro, perché rispose con un "Perché?" piuttosto indifferente.
Era il momento di lanciare la bomba. "Oggi mi vedo con Astrid."
Suo padre si decise ad alzare la testa dal giornale. La distanza tra le sopracciglia e l'attaccatura dei capelli era dimezzata di colpo. "Astrid Hofferson?"
"Sì" confermò Hiccup imitando il suo tono distaccato, e ingoiò l'ultima cucchiaiata di cereali. "Facciamo un giro a La Push."
Lo aveva preso in contropiede, riconobbe mentre lui borbottava confuso i soliti "state attenti" e "guidate piano". Prese la coraggiosa decisione di non prendere l'ombrello e uscì.
Mano a mano che si avvicinava, realizzò che sul vialetto degli Hofferson c'erano molte più persone di quante si aspettasse. Hiccup si trovò a salutare Moccicoso, i gemelli Thorston e Gambedipesce, oltre a una Astrid imbronciatissima.
Quindi aveva frainteso il suo invito, pensò infinitamente sollevato. Non avrebbe dovuto passare ore imbarazzanti a chiedersi perché avesse accettato.
"Mi dispiace che sia nuvoloso" disse per consolarla. Lei aprì con forza la portiera del SUV dei suoi genitori.
"Non importa" disse asciutta. Non era una brava attrice.
Si sistemarono a bordo: Astrid al volante di fianco a Moccicoso, che aveva minacciato chiunque avesse provato a soffiargli il posto, poi Hiccup con Gambedipesce, e i gemelli dietro.
Il tragitto durò diversi chilometri, arricchiti dai tentativi di Jorgenson di fare conversazione con Astrid, che si limitava a rispondergli a monosillabi, le canzoni da viaggio tremende di Tufo, le sonore proteste di Gambedipesce per rispettare il limite di velocità e i regolari "Siamo arrivati?" di Bruta. Hiccup era così lieto di aver mal interpretato lo scopo della scampagnata da non essere nemmeno infastidito dal caos generale, e si godeva la vista sui tratti di foresta e gli scorci sul fiume dal finestrino. Gambedipesce condivise gentilmente con lui un pacchetto di caramelle. Stava andando tutto alla grande.
Astrid fermò la macchina nel parcheggio, e presero il sentiero di rocce che conduceva alla spiaggia.
Era come la ricordava Hiccup.
Un lembo di costa battuto dal vento, più ciottoli che sabbia, bagnato dal mare. Scogli alti e spioventi emergevano dall'acqua con qualche albero solitario sulla cima, e svariati grossi tronchi bianchi erano stati trascinati a riva dalle correnti. In quel momento, il mare era grigio piombo, calmo e piatto.
Su ordine di Astrid, Moccicoso e Gambedipesce partirono alla ricerca di rami per accendere un fuoco, mentre i gemelli videro i gabbiani radunati a mangiare gli avanzi abbandonati dai visitatori, e andarono a infastidirli.
Hiccup e Astrid erano rimasti da soli vicino ai tronchi. Il cielo non accennava a schiarirsi, e furono costretti a nascondere le mani nella tasche dei giubbotti.
"Senti, Hic, io—" attaccò lei, ma il resto della frase venne coperto da un grido sconvolto.
"Sembrava un animale in agonia, o era Gambedipesce?"
"I gemelli lo staranno inseguendo con delle alghe, un animale morto o chissà che altro" disse Astrid con rassegnazione. "Vado a fermarli."
Corse via verso i ragazzi, agitando il pugno in segno di minaccia. Sembrava una mamma, quando faceva così.
Intanto, Moccicoso arrivò con la legna, che scaricò al centro del cerchio formato dai tronchi spiaggiati, e si accovacciò lì. Hiccup capì cosa volesse fare e cominciò ad aiutarlo a sistemare per bene i ramoscelli. Lavorarono in silenzio per un po', dopodiché Jorgenson tirò fuori un accendino e diede fuoco alla loro opera. Hiccup si mise a sedere su una radice bianca, domandandosi se Jack fosse mai stato alla spiaggia e cosa avrebbe detto delle fiamme blu e azzurre che divampavano.
"Come va con trigonometria?" chiese, e si sentì immediatamente insulso per aver tirato fuori il discorso della scuola.
"Ho preso una C" rispose Moccicoso, tenendo gli occhi fissi sul fuoco. "È la prima volta, il prof ha praticamente pianto di gioia."
Hiccup si schiarì la gola. Non sapeva che reazione mostrare senza offenderlo. "Bene."
"Quindi" continuò Moccicoso senza ascoltarlo, "dovrai farmi ripetizioni fino alla fine dell'anno, chiaro?"
Non avrebbe accettato un 'no' come risposta, pensò lui. "Capito."
"Grazie" disse Moccicoso inaspettatamente, e rispose incerto al sorriso di Hiccup. "Pensavo che avresti invitato Frost, non eravate amici per la pelle?"
Come faceva a dirgli di essere stato convinto di andare a un appuntamento, fino a mezz'ora prima?
"Pensavo che non ti piacesse" replicò allora.
Moccicoso fece una smorfia. "Infatti. Per te non è inquietante?"
"Chi, Jack? Ma se è un pezzo di pane" rise sorpreso Hiccup, rivalutando segretamente il sesto senso di Jorgenson. Probabilmente gli umani stavano alla larga dai vampiri per istinto.
"Non lo so… Ti guarda come se fossi qualcosa da mangiare" disse Moccicoso.
Lui rise ancora più forte. Quanto ci era andato vicino! Seppur Hiccup sapesse che Jack non gli avrebbe mai fatto del male.
Astrid tornò un minuto dopo dalla sua spedizione punitiva, trascinando i gemelli per le orecchie con faccia funesta. Gambedipesce chiudeva la fila, pallido e sudato.
"Volevano farmi toccare un granchio!" sussurrò a Hiccup. I Thorston stavano ancora ridendo a crepapelle.
"Mangiamo?" chiese ansiosamente Gambedipesce, una volta ripresosi dallo shock. Nel suo zaino aveva portato abbastanza cibo per un reggimento, tra panini, patatine al formaggio, barrette al cioccolato, salatini, eccetera.
Pranzarono intorno al fuoco, stretti stretti per scaldarsi. Astrid, finito di mangiare, si alzò dicendo di essere stufa di stare ferma.
"Qualcuno vuole venire con me alle pozze?" aggiunse. Guardò Hiccup, stretto tra Gambedipesce, che non non aveva ancora terminato il panino, e Moccicoso, addormentato con la schiena sul tronco e il cappuccio alzato. Tufo e Bruta stavano facendo castelli di fango poco lontano.
"Certo."
Per raggiungere le pozze bisognava inoltrarsi in un tratto di foresta umido e ombroso, in cui le fronde degli alberi coprivano il cielo. Hiccup dovette stare attento a non scivolare sul sentiero umido, invece Astrid proseguiva a passo sicuro.
Il percorso sbucava nel tratto di costa in cui la marea, tornando all'oceano, lasciava dietro di sé un po' della sua vita. Negli specchi d'acqua nascosti tra le rocce prosperavano conchiglie, anemoni colorati, stelle marine e pesciolini vari. Anche da piccolo, Hiccup adorava quel posto, nonostante suo padre gli avesse sempre vietato di avvicinarsi troppo, per non essere costretto a ripescarlo ogni due minuti.
Non appena giunsero a destinazione, il sole entrò in scena e l'ultima folata di vento spazzò via le nuvole. Il cielo mutò in un celeste pallido.
La temperatura si era alzata abbastanza da far loro togliere le giacche, per una volta. Dopotutto le previsioni ci avevano azzeccato.
Hiccup e Astrid si rannicchiarono sopra una grossa roccia che si affacciava su una delle pozze più grandi, a osservare i pesci che guizzavano tra le alghe. Lui non aveva idea di cosa dirle; quel giorno era molto più depressa del solito, e neppure il bel tempo sembrava tirarla su.
"Ehm… Hai fatto qualche modifica a Tempestosa, di recente?" provò a chiedere. Magari parlare di motociclette l'avrebbe distratta dalle sue preoccupazioni.
Astrid prese un sassolino e lo lasciò cadere nella pozza, spaventando un pesce a strisce. Si era seduta con le braccia attorno alle ginocchia. "No, ultimamente sono aumentati gli allenamenti di pallavolo, e la sera sono troppo stanca per mettermi a lavorarci. E poi ci sono i compiti."
Effettivamente sembrava davvero esausta. Hiccup non le invidiava le borse marcate sotto gli occhi.
"Quindi sei irritata perché oggi doveva essere una giornata di riposo, ma quei quattro non ti danno pace?"
"Si sono autoinvitati" annuì Astrid.
Oh. Oh, no.
"Ah" incespicò Hiccup. "Avevo capito che sarebbe stata una scampagnata di gruppo." Fai il finto tonto, fai il finto tonto…
"Non importa, tanto è solo una gita."
Aveva l'aria così abbattuta. Era ovvio che avesse messo da parte tutti i suoi impegni per invitare Hiccup, e invece si era ritrovata l'intera rumorosa comitiva a seguito, a cui aveva dovuto badare tutto il giorno. Una madre single, ecco a cosa somigliava.
"Mi dispiace" le disse con sincerità. "...Almeno è uscito il sole?"
Il suo patetico tentativo di ottimismo le fece scappare un accenno di sorriso. "Sei troppo gentile a volte, anche con chi non se lo merita. Sono felice che tu sia tornato a Forks, sai."
"Non è gentilezza, è solo che credo nelle seconde possibilità" si giustificò Hiccup.
"A proposito, hai sentito che Moccicoso ha preso la sua prima sufficienza in trigonometria?" disse Astrid guardandolo di sottecchi.
Hiccup ricordò della sua promessa a Jorgenson, e dato che ci teneva ad avere le ginocchia integre, si finse improvvisamente interessatissimo a una piccola anguilla nella pozza. "Buon per lui. Dovrebbe darsi da fare più spesso, è più intelligente di quanto crede" disse evasivo.
Non fece in tempo a pensare a come arrampicarsi sugli specchi in altro modo, perché la mano di Astrid aveva afferrato il collo della sua maglietta e lo stava tirando a sé. La bocca di Hiccup era a un millimetro da quella di lei, quando arrivò la reazione tardiva del suo cervello, perlopiù di panico, e si ritrasse istintivamente.
"Ehi…!"
Astrid mollò la presa e scattò in piedi, rischiando di cadere in acqua. Hiccup si alzò prima di poterci riflettere e la prese per le braccia, finendo ovviamente per scivolare anche lui. La ragazza fu più reattiva e lo trattenne a sua volta. Si ritrovarono quindi a stringersi gli avambracci a vicenda, entrambi rossi in viso.
"Scusa!" quasi gridò Astrid, mortificata. "L'ho… l'ho fatto senza pensarci!"
Hiccup non la lasciò andare, in parte perché aveva paura che scappasse, in parte perché si trovavano pur sempre sul bordo di una pozza. "N-non fa niente."
Ma Astrid era ancora desolata, e si portò le mani sulla fronte. "Merda! Mi dispiace, avrei dovuto chiedertelo, prima!"
"No, davvero, non fa niente!" insisté Hiccup. La situazione stava degenerando.
"Accidenti, perché non mi hai fermata?!" ribatté lei con frustrazione.
"Non mi hai nemmeno dato il tempo di rendermi conto di cosa stava succedendo!" protestò ragionevolmente Hiccup, mollandola.
Astrid sospirò e abbandonò le braccia lungo i fianchi, sconfitta. "Non era così che pensavo sarebbe andata."
Hiccup esitò, ma la curiosità ebbe la meglio. "Io… Non lo immaginavo… Da quando…?"
"Da quando ti sei trasferito qui."
"Sapevi che alle medie mi piacevi?"
Astrid fece una smorfia. "Me lo avevano fatto notare, però non mi interessavano i ragazzi. Erano tutti uguali, per me, stupidi e volgari."
"Ma allora perché proprio io?" domandò Hiccup esasperato. Nessuna ragazza era mai arrivata neanche lontanamente a dichiararsi per lui, e inspiegabilmente la cosa non lo aveva esaltato.
"Perché sei sensibile, e divertente, e altruista, e gentile" rispose Astrid.
"Così mi fai sembrare stupido" obiettò Hiccup, ora a disagio. Non era per niente abituato a sentir lodare le sue presunte doti.
"Scemo" brontolò lei contrariata. "Cavolo, adesso sarà strano per te essere amici."
Era arrivata da sola alla conclusione che Hiccup non ricambiava i suoi sentimenti. Provò compassione per lei, ma d'altronde non poteva obbligarsi a provare la stessa cosa.
"Ma no, per me non cambia niente" la rassicurò. "Piuttosto, a te va bene?"
"Me ne farò una ragione" ribatté Astrid con atteggiamento di sfida. Hiccup sperò che non stesse nascondendo il dolore per non apparire debole: sarebbe stato proprio da lei.
"Posso chiederti una cosa?" disse Astrid mentre tornavano a First Beach. Il sole rendeva il sentiero molto più visibile e facile da attraversare, fortunatamente.
"Se vuoi sapere se ho mai scritto 'Signor Hofferson' sul diario, la risposta è sì" disse Hiccup per sdrammatizzare.
"Spiritoso" lei alzò gli occhi al cielo. "Ma mi domandavo se c'è qualcuno che ti piace, visto che non sono io. Non serve che mi dici chi è, se è così."
"Qualcuno che mi piace?"
"Insomma, avresti voluto che fosse qualcun altro a baciarti?"
Hiccup stava per rispondere "No", ma la sua mente traditrice scattò verso Jack Frost.
Si paralizzò a metà del sentiero nel bosco, senza fiato.
Perché aveva subito pensato a Jack?
Perché il pensiero di lui, delle sue labbra che incontravano le sue, delle sue dita che lo sfioravano, gli faceva sudare le mani?
Sapeva già la risposta. Solo che suonava assurda, e molto ironica.
"Forse" disse ad Astrid, la quale storse il naso alla sua risposta stentata.
"Che vuol dire 'forse'?"
"Significa che…" Hiccup sospirò e si concentrò per trovare le parole giuste. "Significa che me ne sono reso conto adesso, e saperlo mi sta incasinando la testa, e…"
Astrid inclinò appena il capo. "E adesso non sai come gestire la cosa."
"Esatto. È una persona incredibile, sì" — ovviamente lo era, la proverbiale sfortuna di Hiccup non aveva mancato il colpo nemmeno stavolta — "Ma non ha idea dei miei, uhm, sentimenti."
Il destino era sempre stato sadico con lui, pensò, ma questa era tutta un'altra storia. Perché, davvero? Jack Frost?
"Non hai mai preso in considerazione la possibilità che provi lo stesso per te?" disse Astrid, pensosa.
A Hiccup tornò in mente la palese fandonia che Jack aveva messo in piedi la sera prima, contro la sua domanda su cosa avesse voluto dirgli a scuola. Non osò sperare che gli avesse nascosto proprio quello.
…Ma no.
"Non so come sia possibile, ma tu sei l'unica persona mai stata in grado di farsi piacere tutto questo. Non credo che diventerà un'abitudine da un giorno all'altro" sbuffò, indicando sé stesso in modo eloquente.
"Allora cosa farai, ti dichiarerai comunque?" domandò Astrid.
Lui guardò in alto, verso il sole oscurato dalle fronde verdi che coloravano la luce della stessa tinta del bosco. Lo avrebbe fatto? Cosa sarebbe successo, in quel caso?
"Devo pensarci."
E fu proprio su quello che si spremette le meningi, al ritorno a Forks. Prese nuovamente posto sul SUV vicino a Gambedipesce e voltò la testa verso il finestrino con la scusa di un sonnellino, invece costruì minuziosamente ogni scenario corrispondente a una sua scelta durante tutto il viaggio. Arrivò alla conclusione che poteva andare tutto meravigliosamente liscio, oppure finire in maniera tragica.
A casa trovò suo padre che si vestiva per uscire.
"Skaracchio mi ha chiesto se ci va di cenare da lui, sbrigati se vuoi venire."
Hiccup era esausto e non aveva molta voglia di ascoltare le loro chiacchiere, che tra l'altro con l'alcol diventavano spesso discorsi sui bei tempi andati. "Credo che resterò qui."
"Sicuro?" fece Stoick, evidentemente pensando che il figlio rischiasse di perdersi un vero spasso. Per carità, a Hiccup piaceva Skaracchio, ma non avrebbe retto un'altra conversazione senza addormentarsi sul tavolo.
"Vai tranquillo, mi arrangio."
Dopo che suo padre se ne andò, salì in camera a farsi una doccia, indossò i pantaloni della tuta al posto dei jeans e tornò in cucina, dove scaldò una porzione di maccheroni surgelati al microonde. Mangiò sul divano, con la televisione accesa a volume basso a fargli compagnia.
Lasciò che il ronzio regolare del documentario sullo schermo lo rilassasse, senza neanche accorgersi di stare scivolando in una posizione più comoda, e chiuse gli occhi.

*


La console di Jack stava prendendo la polvere, ultimamente. Era da domenica che non la usava, distratto dallo svolgimento degli ultimi giorni. Aveva avuto più da pensare in quella settimana che nel resto della sua lunga vita.
Erano iniziati ufficialmente i nuovi turni di sorveglianza, e aggiungendoli ai compiti e al lavoro alla caffetteria, il tempo rimasto era diminuito. E comunque non era dell'umore giusto per giocare.
Aveva passato gran parte del sabato a tormentarsi al pensiero di Hiccup da solo a La Push, in balia dei vampiri carnivori. In teoria non correva rischi, ma chi poteva dirlo davvero? Si parlava sempre di Hiccup.
Jack non si sarebbe stupito se fosse accaduto qualche altro disastro, come una catastrofe naturale. Ecco, la probabilità che arrivasse uno tsunami era direttamente proporzionale alla presenza di quello sventurato ragazzo.
Per sfuggire da questi pensieri pessimistici aveva cercato rifugio nello studio di Nord, dove si era ricavato un cantuccio tra una casa delle bambole e grazioso cavallo a dondolo.
Al proprietario della stanza non importava della sua invasione, quindi Jack rimase a osservarlo al lavoro per ore, ipnotizzato dai movimenti precisi e delicati con cui intagliava, scolpiva, modellava e misurava. Un grammofono d'epoca riproduceva un pezzo classico dopo l'altro da un angolo, accompagnato dal fischiettare di Nord.
Come da programma, Jack aspettava il messaggio con cui Sandy lo avrebbe avvisato che Hiccup era tornato a casa, così da cedergli il posto di guardia per un paio d'ore. Sarebbe stato un turno difficile, come tutti quelli che erano seguiti alla sua fatale bugia.
Che Hiccup non si fosse fatto ingannare dal suo atteggiamento evasivo era chiaro, ma Jack non era sicuro che sapesse cosa nascondeva di preciso. Se lo aveva capito, non lo aveva dato a vedere.
Ormai aveva finito le scuse, e il dubbio lo stava divorando dall'interno. Dire la verità o no?
A un tratto, Nord ruppe il silenzio. "Cosa ti preoccupa oggi?"
Non aveva alzato la testa dal suo lavoro. Jack infilò le mani in tasca, sconsolato. "Perché credi che qualcosa mi preoccupi?"
"Hai cappuccio di felpa alzato" Nord sorrise sotto i baffi. "Conosco te da ottant'anni, Jack, so quando hai pensieri per testa."
Jack si rassegnò a raccontare almeno un po' di quanto la assillava: Nord era rumoroso e invadente, ma non sarebbe mai andato in giro a spifferare cose private. A dire il vero, gli sarebbe piaciuto se fosse stato davvero suo padre.
"C'è una cosa che non ho detto a Hiccup" disse Jack fissando il muro di fronte a lui.
Nord continuò tranquillo a dipingere la sua opera. "Che genere di cosa?"
"Del tipo che se gliela dicessi, non potrei tornare indietro, e potrebbe rovinare tutto" precisò lui.
"Potrebbe?"
Jack allungò le gambe sul tappeto. "Già."
L'idea che Hiccup potesse essere nella stessa situazione era lontana e meravigliosa, come un sogno a occhi aperti.
"Ma non è solo questo che ti spaventa" aggiunse Nord, sicuro.
Jack serrò brevemente le palpebre. Già, come se non fossero bastati i problemi di cuore!
"Toothiana mi ha gentilmente consigliato di proporgli la trasformazione. Dice che sarebbe più sicuro, in questo modo."
Il ricordo gli faceva venire ancora il voltastomaco.
"Quindi hai chiesto a lui?" domandò Nord interessato.
"No!" esclamò Jack con veemenza. "Non ce la faccio, non sopporto l'idea di fargli questo! È un pensiero tanto egoista?"
Nord posò il pennello sul tavolo e si lisciò la barba. "Forse. Ma è più egoista chiedere a Hiccup di diventare immortale per te, oppure privare lui di sua scelta?" lo ammonì saggiamente.
Jack aprì e richiuse la bocca, muto, poi si morse il labbro. "Se ne pentirebbe, io lo so."
"Non puoi avere certezza finché non chiedi" Nord scosse il capo. "Ha tutto diritto di sapere di questa opzione, e a te cadrebbe montagna da spalle."
Doveva essere il suo modo di suggerire di togliersi quel peso dalla coscienza, pensò Jack poco convinto.
"Dovrei lasciare a lui la scelta, anche se potrebbe rovinargli l'esistenza?" mugugnò.
Lui sollevò l'oggetto di cui si stava occupando fino a poco prima, mostrandoglielo per bene. Era un soldatino in uniforme, alto quanto un dito, fresco di pittura. La vista perfetta di Nord gli aveva permesso facilmente di dipingerlo con cura millimetrica, nonostante le dimensioni ridotte.
"Sai cosa ero, prima di cambiare vita?" lo interrogò. Stava guardando Jack dritto negli occhi.
"Eri un soldato, giusto?"
Più di questo non gli aveva mai raccontato. Il resto era lo stesso che aveva riferito a Hiccup.
"Mia gente in Russia ha combattuto libera per secoli. Non avevamo capi: solo avventura e indipendenza erano padroni" spiegò Nord, rigirandosi il soldatino tra le grosse dita forti. "Lottavamo per chi chiedeva, sì, ma potevamo sempre rifiutare, se non volevamo."
Jack lo ascoltò con attenzione, fissando la sua barba che brillava con la luce della luna piena. Nord non si era mai aperto tanto con lui, prima di allora.
"È sempre stato così, finché non è arrivato tempo di rivoluzioni, che ci hanno costretto a scegliere tra libertà e privilegi. Io detestavo dover obbedire a persona che non conoscevo, e sono partito."
"Hai lasciato i tuoi alleati?"
"Non alleati" puntualizzò Nord, "ma famiglia e amici. Desideravo essere padrone di me stesso e ho fatto scelta difficile."
Jack tornò con lo sguardo al pavimento. "È stato così che sei quasi morto, da solo e al freddo in mezzo al nulla?"
"Sì, Sandy ha salvato me e ho cominciato nuovo inizio. Ho scoperto che preferisco giocattoli a sciabole" ridacchiò Nord.
"Sei molto convincente, non c'è che dire" commentò Jack strofinandosi una tempia.
Con quella storia stava iniziando a pensare che, tutto sommato, se la trasformazione fosse davvero stata quello che Hiccup voleva, precludergliela sarebbe stato inutile. Quasi gli veniva da ridere.
Sul suo cellulare si accese la spia di una notifica. Doveva essere l'ora di scendere in città.
"Bel discorso, eh?" fece Nord, soddisfatto. Tirò Jack in piedi prendendolo da sotto le braccia. "Adesso va' e fai quello che pensi giusto!" ribadì assestandogli una poderosa pacca sulla schiena per enfatizzare.
Jack se lo scrollò di dosso, uscì all'aperto e si lanciò in corsa nella vegetazione quasi senza toccare il terreno con i piedi.

Casa Haddock era illuminata al pianterreno, da cui proveniva il rumore ovattato di un televisore acceso. Jack prese coraggio e premette il campanello.
Si ritrovò davanti alla faccia assonnata di Hiccup, vestito comodo e coi capelli tutti scompigliati, e non trovò le parole per salutarlo come si deve.
"Che ci fai qui? Non dovresti essere di sorveglianza?"
Non lo stava nemmeno guardando in faccia, ma era rivolto allo zerbino e tamburellava nervoso le dita sulla gamba. Inoltre profumava di sapone, invece che di salsedine.
"Posso sentire chi si avvicina anche da dentro casa" rispose Jack mentre entrava.
Hiccup abbandonò l'atteggiamento titubante e assunse una smorfia offesa. "Ah, allora avevo ragione, tutti gli altri giorni mi stavi evitando."
"Hic… Io non volevo…" disse Jack seguendolo in cucina.
"Bastava dirlo, che non ti andava di stare qui" lo interruppe lui amareggiato mentre si riempiva un bicchiere al rubinetto. La sua espressione delusa, distorta dietro al vetro, lo trafisse senza pietà. Jack rimase imbambolato in mezzo alla cucina, immobile come una statua.
"Evitavo di entrare per non distrarmi troppo" disse.
"Come no" Hiccup mise il bicchiere nel lavello. "Forza, dimmi perché oggi mi concedi questo grande onore."
Jack si giocò la carta della compassione. "Volevo parlare un po', mi mancavi."
Aveva funzionato, visto che sembrò leggermente meno arrabbiato. Non era bello farlo sentire in colpa, però.
"Anche tu" ammise Hiccup. Non era più sul piede di guerra. Che sollievo!
Si sedettero in salotto, una stanza con carta da parati fuori moda e un vecchio televisore, agli estremi opposti del divano. Stavano trasmettendo un documentario; a quanto pareva il canale preferito di casa era il National Geographic.
Sbollita la rabbia, Hiccup cominciò a giocherellare sovrappensiero con il telecomando. Era tornato di umore imbarazzato.
Jack guardò il riflesso dello schermo sui suoi occhi, pensando a cosa dire. "Com'è andata la gita?"
Era una domanda innocente, ma bastò a fargli scivolare il telecomando dalle mani, che cadde a terra con colpo secco e perse le batterie in giro.
"Bene" rispose affannato Hiccup, chinato sul pavimento a cercare le pile a tentoni. Jack vide chiaramente che le orecchie gli erano diventate rosse.
"Avete visto le pozze oceaniche?" indagò Jack, curioso di capire cosa stesse nascondendo.
Il volto di Hiccup si fece paonazzo, mentre riemergeva da sotto il divano. "S-sì, cioè, no… Ah… Ho sete" balbettò, e si ritirò di nuovo in cucina, lasciando Jack da solo con Rodrigo e i suoi pipistrelli alla TV.
Che diavolo era successo a La Push di tanto indicibile da farlo scappare? Diverse ipotesi, una più preoccupante dell'altra, si formarono nella mente paranoica di Jack.
Quando Hiccup tornò a sedersi di fianco a lui, un po' scosso, decise che poteva introdurre l'argomento della trasformazione. "Devo dirti una cosa importante."
Lui distolse una volta per tutte l'attenzione dal programma, e Jack avrebbe giurato di aver sentito il suo cuore saltare un battito. "Finalmente ti sei deciso."
"Non è facile da dire ad alta voce" si difese l'altro. "La reazione che potresti avere… mi spaventa."
"Ti ascolto" Hiccup deglutì forte e strinse le mani a pugno. Il suo polso accelerò sensibilmente.
Era il momento decisivo, pensò Jack, carico di adrenalina come durante la caccia. Come avrebbe dovuto organizzarsi, se avesse accettato? Non potevano farlo in città, casa loro sarebbe stata più appropriata. Jack non lo avrebbe abbandonato, gli avrebbe stretto la mano e sussurrato incoraggiamenti, mentre il suo corpo bruciava. Poi lo avrebbe aiutato ad abituarsi alla nuova vita da immortale. Accidenti, chi avrebbe avuto il compito di morderlo? Nord, che ne sapeva più di loro, o Sandy, che era il più vecchio?
E se avesse chiesto di Jack? Sarebbe stato in grado? Avrebbe accontentato volentieri qualunque supplica, però poteva controllarsi il tempo necessario a trasmettergli il veleno?
Ripensò a cosa aveva detto Nord. Doveva lasciarsi i dubbi alle spalle.
Jack aprì bocca, ma non gli uscì un suono sensato. La domanda gli era rimasta in gola, impronunciata, e non ne voleva sapere di venir fuori.
"Er, uhm…"
Che gli prendeva, adesso? Era un vampiro, non doveva essere una creatura capace di ammaliare chiunque a parole?
In barba alla risolutezza ritrovata quella sera, comprese, la paura gli impediva di esprimersi coerentemente. Patetico.
Notando che Jack era in difficoltà, Hiccup arrivò in suo soccorso come solo lui sapeva fare. L'unico essere umano in grado di provare sincera pietà per un succhiasangue.
"Ho capito, Jack, tranquillo" disse, troppo impacciato per sembrare davvero rassicurante, la voce troppo tremante per essere veramente calmo. Era bordeaux, le lentiggini sulle sue guance erano sparite. "...A-anche a me piace il tuo maglione."
Be', non era quello che si aspettava. Jack aggrottò le sopracciglia. Dove aveva già sentito quella frase?
Ah. Ah!
Il maglione, ma certo.
Aspetta, ma allora…?
Jack, pietrificato, diede ancora dimostrazione della sua migliore imitazione da pesce. Iniziava a sospettare di aver davvero perso il dono della favella.
Hiccup, fraintendendo la sua reazione, si affrettò a spiegarsi meglio: "So quanto sembra assurdo, ma adesso ho capito che non è per l'interesse verso i vampiri che penso costantemente a te, che c'è un motivo se vorrei essere sempre insieme. È strano, però credo di averlo sempre saputo, in fondo. Oggi Astrid ha provato a baciarmi—"
Jack si riscosse per un istante dallo stato di confusione totale. "Lei ha provato cosa?!"
"—e in quel momento riuscivo solo a pensare a quanto mi sarebbe piaciuto se ci fossi stato tu al suo posto, anche se ho avuto una cotta disperata per lei per anni. Cioè, perfino quando ho considerato seriamente l'ipotesi che la tua famiglia avesse a che fare con delle sparizioni, non volevo credere che proprio tu potessi fare del male a qualcuno" concluse Hiccup appassionato.
Sorrideva, mentre parlava, e gli brillavano gli occhi. Jack non riusciva a concepire la convinzione con cui parlava di lui, del mostro da incubo di cui avrebbe dovuto avere paura.
"È questo che volevi dire, vero?" disse Hiccup. "Ti prego, dimmi di sì, altrimenti potrei buttarmi dalla scogliera di La Push per la vergogna."
"Ma certo che lo è" blaterò Jack senza pensarci oltre. Questa affermazione, al contrario del difficile discorso che si era preparato mentalmente, gli uscì facilmente. Una liberazione. "Allora… Io ti piaccio?"
"Sì."
Aveva bisogno di sentirselo dire ancora. "Ti piaccio romanticamente, giusto, non da amici?"
"Già" Hiccup pareva disorientato, ma anche contagiato dal sorriso stupido di Jack, che stava praticamente saltando sul divano per la gioia incredula.
"Io ti piaccio!"
"Sì!"
"Io!" C'era qualcosa di euforico nel modo in cui Jack aveva una voglia matta di fare i salti mortali. "Come, come… Quando lo hai capito?"
"Devi ringraziare Astrid per questo."
"Sicuro, dopo averle chiarito che deve tenere giù le mani."
Hiccup esitò a ridere con lui. "Senti, per essere sicuro al cento percento, anche io ti…"
"Mi piaci" affermò Jack deciso. "È dannoso per entrambi, specialmente per te, ma non posso farci niente. Sarei morto, se avessi dovuto tenermelo per me ancora molto."
"Non ce n'è bisogno. Sei sempre così melodrammatico" esalò lui, palesemente disturbato da come aveva formulato la frase.
Jack fece un ghigno. "Almeno io non ho scelto di dirlo con una metafora, Lentiggini."
"Bah, sta' zitto."
Jack scoppiò a ridere, compiaciuto di averlo fatto arrossire di nuovo. Hiccup sembrò riflettere intensamente, poi accorciò la distanza tra di loro spostandosi al centro del divano. Da come lo guardava, o meglio, guardava il suo mento, doveva voler chiedere qualcosa.
"Posso?" disse a voce bassa, quasi il brontolio di un temporale in avvicinamento. Aveva messo una mano sullo schienale, l'altra sul suo ginocchio, e il battito era più veloce che mai.
Jack, inebriato dal suo odore, si sentì rispondere distrattamente un "Ah-ah."
Teoricamente, non avrebbe dovuto stupirsi, quindi, del viso di Hiccup che gli veniva incontro, o delle sue mani calde sui polsi, o del suo cuore che gli riempiva le orecchie, o del bacio che stava per dargli. Teoricamente.
Purtroppo, Jack era un idiota assoluto, e per qualche secondo fu troppo scioccato per reagire in alcun modo. Perlomeno finché non sentì le labbra bollenti di Hiccup che cercavano incerte le sue, allora si diede una svegliata e rispose al gesto.
Il primo contatto fu timido, impacciato, fatto di agitazione e inesperienza. Respiri corti e dita sulle spalle. Jack desiderava ardentemente approfondire la questione, perciò gli circondò la nuca con la mano e aprì la bocca.
Non amava toccare le persone, soprattutto gli umani, ma avrebbe potuto cambiare abitudine volentieri se significava ripetere quell'esperienza più spesso, considerò mentre si abbandonava al bacio, perso in una catena di pensieri in cui tutto era Hiccup. Nient'altro. Avrebbe potuto andare avanti per giorni.
Lui, sfortunatamente, non aveva la stessa resistenza, quindi si separò da Jack appena tentò l'approccio più deciso, annaspando in cerca d'aria. Jack pensò che con i capelli disordinati e un sorriso imbarazzato ma raggiante fosse bellissimo. Lo disse ad alta voce, ora che poteva farlo senza rimorsi.
Hiccup abbassò lo sguardo. "Ma ti sei visto tu?" borbottò stizzito.
Jack non si era mai sentito così vivo, quando lui fece scivolare le mani dalle sue spalle alla base della schiena, tanto in basso da costringerlo a trattenersi dal ruggire d'apprezzamento. Più bestia che uomo. "Sarò orribile in questo momento."
"Sei… abbagliante. Lo sei sempre stato, in realtà. Sei senza dubbio la persona più bella che abbia mai visto, come una statua vivente." lo contraddisse Hiccup con onestà. "Una volta pensavo che il sorriso di Astrid fosse il sole in terra, ma tu brilli in modo diverso, credo."
Ignorando volutamente il resto dell'affermazione, Jack domandò: "In che senso?"
"Direi che somigli più alla luna. Discreto e misterioso" appuntò Hiccup con mezzo sorriso. Difficile dire quanto ci fosse di sarcastico.
Se lui era la luna, l'altro era la Terra a cui era inevitabilmente attratto.
"Guarda che se continui a parlare di Astrid dovrò fartela dimenticare con la forza" avvertì Jack afferrandolo per la vita. Hiccup assunse un'espressione di sfida.
"Provaci."
Non c'era bisogno di farselo ripetere. Jack si buttò su di lui e tornò a baciarlo.
Sarebbe rimasto così tutta la notte, o tutta l'eternità, ma si rassegnò a lasciarlo andare quando udì l'auto del padre di Hiccup che entrava nell'isolato. Quest'ultimo lo accompagnò fino alla porta.
"Non credere che finisca qui, vengo a prenderti domani mattina" annunciò Jack stringendolo per la mano. Rispetto alla sua, dura come granito, era morbida anche sul piccolo callo sull'anulare sinistro.
Aveva la vaga sensazione di aver dimenticato qualcosa, ma non ci badò troppo. Attualmente non voleva pensare ad altro che non fosse lo straordinario umano di fronte a lui.
"Ci sarà la mitica caccia al tesoro di cui parli continuamente?"
"Sì. Vedrai, sarà uno spasso pure se ti toccherà guardare e basta."
Hiccup rise piano per non fare rumore. Gli baciò la guancia (wow) e gli diede la buonanotte.
"Lo sarà sempre, da oggi in poi."



Note
Finalmente, ecco la confessione! Non mi è mai piaciuto leggere fic in cui l'interesse amoroso canon, qui Astrid, viene demonizzato, o peggio, ucciso, quindi ho fatto del mio meglio per renderle giustizia.
Credo che nei romanzi Nord sia un cosacco, ma per sicurezza ho evitato di specificare quale fosse il suo popolo. Le storie degli altri vampiri sono ancora un mistero, e lo rimarranno ancora per un po'.
Adoro scrivere scene con Hiccup e i suoi amici, sono così caotiche!



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Capitolo 11
*** X. Gioco / Rifiuto ***




NB: questo capitolo contiene riferimenti al suicidio.
 


X

Gioco / Rifiuto
 
 
Domenica mattina Hiccup si svegliò, strinse forte le palpebre e si coprì la testa con il piumone gemendo. Il bel tempo non aveva ancora ceduto del tutto il posto alla pioggia, a giudicare dalla luce fioca che penetrava attraverso le nubi delle prime ore del mattino, fino ai suoi occhi chiusi.
Era stata una notte agitata. Aveva a malapena dormito, eppure non si sentiva stanco.
Avrebbe potuto pensare di essersi sognato la sera precedente, ma nemmeno la sua immaginazione sarebbe stata in grado di inventarsi qualcosa del genere. Il pensiero di piacere a Jack andava oltre ogni fantasia concepibile.
A Hiccup era quasi venuto un colpo, quando il vampiro aveva mostrato improvvisamente quella faccia seria e aveva boccheggiato disperatamente. Ti prego, aveva pensato, sopraffatto dal desiderio di ammettere tutto, dimmi quello che non oso credere che tu voglia dire.
E non solo era successo davvero, lo aveva anche baciato. Jack lo aveva baciato! Sulle labbra!
Ah, ripensarci gli stava provocando un insolito formicolio lungo la spina dorsale. Hiccup si affacciò da dietro le coperte e sorrise alla nuova giornata.
C'era qualcuno alla finestra che lo stava spiando.
"Che ci fai già qui?" esclamò Hiccup aprendo la finestra, incapace si fingersi infastidito.
Jack distese le labbra in quel sorriso speciale che riservava solo a lui, quello che gli faceva stringere un po' le palpebre inferiori e inarcare le sopracciglia all'insù. Era la prima volta che non indossava una delle sue felpe, ma una maglietta nera che contrastava con la sua pelle candida. Hiccup poteva vedergli le vene blu e violette dei polsi.
Almeno si era premurato di mettersi le scarpe, stavolta.
"Sssst, non urlare" lo ammonì Jack. Infatti, dalla stanza affianco, Hiccup sentì il rumore di suo padre che si rigirava a letto sbuffando.
"Non riuscivo ad aspettare un minuto di più" l'altro gli fece l'occhiolino. "Buongiorno!"
"Buongiorno." Hiccup si guardò i vecchi pantaloni di pile e la t-shirt che usava come pigiama. "Ehm, dammi qualche minuto e sono tutto tuo."
Jack imitò un saluto militare e andò a sedersi alla sua scrivania, ancora nel caos completo, intanto che Hiccup si faceva una doccia alla velocità della luce.
Quando uscì dal bagno, già vestito per uscire, trovò Jack concentrato a esaminare i fogli rimasti incustoditi sul tavolo. "Che cosa sono?"
Hiccup, ancora semi-intontito dal sonno, riacquisì immediatamente lucidità. "Niente!"
Corse a strappargli di mano i fogli, ma Jack fu naturalmente più rapido, e li allontanò fuori dalla sua portata, ignorando le proteste di Hiccup.
"Lascia perdere, non è niente di interessante!"
"Ma questi sono appunti sui vampiri!" disse Jack con fervore. "Se Aster li vedesse se li mangerebbe."
Hiccup accettò la sconfitta e lo lasciò sfogliare le informazioni che aveva raccolto in qualche pagina di schemi e trascrizioni, allacciandosi le scarpe. "Lo so che è strano, ma avevo paura di dimenticare qualche pezzo."
"Scherzi? È una figata che tu voglia scrivere quello che sai."
"Sono solo scarabocchi."
"Mi fa sentire più normale" dissentì Jack con enfasi. Abbandonò gli appunti sulla scrivania e lo seguì giù per le scale, in cucina.
Dopo che Hiccup si versò del latte e sbocconcellò un muffin preconfezionato, uscirono di casa di soppiatto. L'aria era appena frizzante, ancora sotto l'influenza benefica del sole del giorno prima.
Erano a metà del vialetto, quando Jack si fermò di colpo e si voltò verso l'ingresso. "Ci ha sentiti. Arriverà a controllare tra tre, due, uno…"
"Hic, te ne vai anche oggi?"
Stoick aveva aperto la porta e se ne stava sull'uscio, ancora in pigiama e con la barba arruffata.
"Vado da Jack" confermò Hiccup, nervoso. L'ultima volta che gli aveva parlato aveva lasciato intendere velatamente di avere un appuntamento con Astrid. Che poi si era rivelata la verità, ma vabbe'.
Stoick sembrò tranquillizzarsi. "Perciò sei tu il giovane Frost?"
Hiccup rifilò a Jack un'occhiata di traverso per comunicargli 'digli di sì e muoviamoci', che lui fortunatamente colse appieno.
"In persona" disse cordiale, ricordando vagamente il modo in cui Nord faceva sentire chiunque il benvenuto. "Piacere di conoscerla, signor Haddock."
Suo padre poteva fare davvero paura, se lo voleva, eppure Jack non si lasciò impressionare minimamente, probabilmente anche perché avrebbe potuto metterlo al tappeto senza sforzo.
Stoick lo squadrò da capo a piedi. "Piacere mio. Avete programmi per tutta la giornata?"
Hiccup intervenne prima che Jack potesse lasciarsi scappare troppo. "Tornerò per cena, vero?"
"Lo riporterò stasera sano e salvo, stia tranquillo" annuì lui. Hiccup lo fulminò con lo sguardo.
Suo padre, invece, si grattò la barba. "Va bene, ringrazia tuo padre da parte mia, allora."
"Sissignore."
Scambiarono gli ultimi convenevoli e lo guardarono rientrare in casa con passo pesante.
"Andiamo fino a casa tua a piedi?" chiese Hiccup, pensando alla vera e propria escursione che avrebbero dovuto affrontare. O meglio, che lui avrebbe dovuto affrontare, per Jack sarebbe stata una passeggiata.
"Più o meno. È una sorpresa, intanto facciamo due passi."
Lo portò fuori dall'isolato, verso il pezzetto di foresta che toccava anche casa di Hiccup, nel punto in cui il prato diventava prima erbacce, poi cespugli e massi muschiosi. Girò la testa a guardare Hiccup.
"Salta su" gli ordinò allungando le braccia all'indietro.
"Scusa?"
Scherzava? Hiccup non leggeva traccia di ironia nei suoi occhi, quel giorno nocciola.
"Dovremo raggiungere le montagne in qualche modo, no?"
"Okay, ma… Proprio sulle tue spalle?"
"O così, oppure ti porto in braccio" ribatté Jack. Voleva essere minaccioso, ma si vedeva chiaramente che la prospettiva lo attirava molto.
Cavolo se era bello. Pareva addirittura brillare sotto i pochi, tenui raggi di sole che riuscivano a fuggire dalle nuvole. Hiccup era inerme.
"D'accordo, ma la prossima volta usiamo la macchina."
Era una delle cose meno dignitose che avesse mai sopportato, pensò mentre si aggrappava alle spalle di Jack e si faceva sollevare, ma perlomeno aveva l'occasione di stargli vicino. Doveva essere un'immagine ridicola, lui, un metro e ottanta di impacciatezza, abbarbicato a Jack, più basso ma più atletico.
"Tieniti forte e chiudi gli occhi" disse quest'ultimo in tono da annunciatore. "All'inizio potrebbe darti la nausea."
Lui obbedì e strinse un po' di più le dita sulla maglietta di Jack, che fece qualche passo con andatura normale, poi accelerò fino a correre. Andava molto veloce, come se Hiccup pesasse meno di uno zainetto: il vento gli fischiava nelle orecchie e gli sferzava la faccia. Sentiva gli alberi sfrecciargli vicino.
Nel giro di qualche minuto, Hiccup si abituò alla sensazione di muoversi rapidamente a mezz'aria, così si fece coraggio e sbirciò socchiudendo gli occhi.
Eccome, se procedevano veloci. I tronchi non erano che masse scure e sfocate, e le gambe di Jack si muovevano tanto in fretta da sembrare ferme. Quella vista gli diede una scarica di adrenalina.
Hiccup guardò in alto, verso le chiome degli alberi, e si lasciò sfuggire una risata a pieni polmoni. Sembrava di volare.
"Sì!"
La risatina contenta di Jack gli arrivò lontana e indistinta. Era troppo impegnato a gridare tutto il suo entusiasmo al mondo.
Più tardi, quando Hiccup scese dalla schiena di Jack, che non aveva nemmeno il fiatone, si rese conto di trovarsi nel cortile della villa. In un'ora avevano compiuto un viaggio di mezza giornata.
"Ti è piaciuto?" chiese Jack, divertito dalla sua reazione esageratamente esaltata.
Hiccup si passò le mani tra i capelli, ritti sulla testa per il vento. "Credo che non prenderò mai più l'auto."
Ridendo di cuore, trovarono Toothiana e Aster che chiacchieravano nel salone.
"Ciao, Hiccup!" disse lei dopo aver fatto una piroetta che le gonfiò la gonna. Portava una collana di piume colorate. "Sei venuto a vedere la Partita?"
Lui ne percepì la 'p' maiuscola solo dalla sua voce. "Jack non parla d'altro."
"Ovvio, sono dieci anni che continua a perdere" disse Aster pungente. Era in jeans e camicia bianca, le cui maniche arrotolate lasciavano scoperti i muscoli delle braccia.
Sembrava leggermente meno scontroso del solito. Hiccup lo interpretò come un buon segno.
"Oggi ti straccerò, coda di cotone" sogghignò Jack.
"Buoni, voi due" intimò Toothiana. "Non costringetemi a squalificarvi." "Sei tu l'arbitro?" indagò Hiccup.
Lei annuì. "Solo quando siamo al completo, altrimenti questi quattro teppisti potrebbero distruggere la casa."
"Ma come?" disse Jack, deluso. "Non giochiamo fuori?"
Aster gli pizzicò un braccio. "Probabilmente in questo momento ci sono due vampiri carnivori che voglio ammazzare noi e il ragazzo, nella foresta, ma prego, esci pure a spassartela quanto vuoi."
Jack gli fece il verso, ma non obiettò. Hiccup pensò quanto fosse strano che i bisticci della famiglia di un amico potessero mettere a disagio anche se si trattava di un vampiro e il suo fratello finto.
"Aspettate, ce n'è un altro, oltre a Eret?"
Aster annuì. "Guardati bene le spalle, Haddock."
Hiccup finse indifferenza, ma gli si torse lo stomaco. Pensare che avrebbero potuto incontrarli, mentre correvano nel bosco, metteva i brividi.
"Vado a chiamare Nord" pigolò Toothiana, e si eclissò al piano di sopra.
Sarebbero trascorsi diversi minuti di silenzio pesante, se qualcuno non avesse fatto il suo discreto ingresso, silenzioso come un gatto. Un uomo di bassa statura, dai vaporosi capelli dorati e il viso tondo, si avvicinò a loro con un gran sorrisone, un po' svampito. Era il vampiro meno vampiro che Hiccup aveva mai visto.
"Sei in ritardo, amico" lo accolse Aster con un briciolo di cordialità in più.
Lui agitò una mano e salutò Jack e Hiccup con un cenno.
"Ehi, Sandy, come va?" disse il primo. L'uomo si strinse nelle spalle.
'Sandy'. Il capofamiglia di cui gli aveva parlato, quello che aveva trasformato Nord in un tempo ormai lontano. Se lo sarebbe immaginato più alto, come minimo.
Hiccup gli strinse la mano minuta. "È un piacere conoscerti."
Lui fece un piccolo inchino e mimò scherzosamente una posizione di guardia con i pugni alzati verso Jack, che allargò i piedi e lo imitò. "Sì, sì, tanto vincerò io, piccoletto."
L'arrivo di Nord interruppe il loro scambio amichevole. "Ci siamo tutti? Ciao, Hiccup."
"Ciao."
"Bene, ai vostri posti!" dichiarò Toothiana. Gli altri quattro si misero in riga. "Ripassiamo le regole."
Si alzò un coro di sbuffi e lamentele che indusse Hiccup a pensare che quella solfa venisse ripetuta ogni singola volta.
"Avete un'ora di tempo per trovare gli oggetti che ho nascosto in giro, seguendo la lista che vi ho dato stamattina" Toothiana continuò imperterrita. Consegnò un sacchetto di stoffa a ognuno. "Metteteli qui dentro, mano a mano che li trovate, e poi tornate qui. Come sempre, è vietato spingere, graffiare, mordere e sgomitare, in più non potete uscire dalla casa. Vince chi porta più oggetti. Pronti?"
Si prepararono a correre. Jack indirizzò a Hiccup un sorriso furbo, come a dire 'adesso stai a guardare'.
"Via!"
I quattro scattarono verso altrettante direzioni diverse, lasciando Toothiana e Hiccup nel salone. Ci fu un certo baccano da qualche parte della casa.
"Che si fa ora?" chiese Hiccup a bassa voce.
"Sediamoci qui."
Presero posto su uno dei divani, quello più vicino al camino. Lui osservò il mappamondo sul tavolino, pensieroso. "Quindi vi divertite così?"
Toothiana fece una risatina comprensiva. "È uno dei pochi modi per fare qualcosa insieme che non finisca a botte. Gli sport sono fuori questione, rischieremmo il massacro."
"Troppo fisico?"
"Esatto."
"Però non vi fa strano giocare, sapendo che ci stanno dando la caccia?" domandò Hiccup.
"L'ho proposto io" disse Toothiana. "Volevo offrire loro una distrazione proprio per questo. Fanno finta di niente, sai, ma in realtà la tensione comincia a farsi sentire. Sono giorni che siamo costretti a stare costantemente in allerta, così ho pensato a una partita per sciogliere i nervi."
In quel momento, un'esclamazione di trionfo, seguita da una di frustrazione, riecheggiò fino a loro.
"Qualcuno si è fatto soffiare un oggetto" commentò Toothiana.
Hiccup strinse le labbra. "Mi dispiace, è per fare la guardia a me che dovete stare fermi per ore."
"Non è colpa tua. Proteggerti non ci disturba" Toothiana agitò una mano. Comunque Hiccup non si sentiva affatto tranquillo: se fosse successo loro qualcosa mentre erano di sorveglianza, non se lo sarebbe mai perdonato.
"Sei molto gentile."
"Gli altri mi prendono in giro, quando esagero" Toothiana si attorcigliò distrattamente una ciocca ribelle intorno al dito. "Immagino che sia parte del mio retaggio da umana."
Jack non gli aveva raccontato nulla della sua vita precedente. "Com'è stato per te?"
Lei guardò le nuvole fuori dalla finestra. "Sono nata nei primi anni del Novecento da una famiglia di immigrati molto povera. I miei genitori non riuscivano a sfamarci tutti e sono stati costretti ad affidarmi a un orfanotrofio quando ero piccola."
Hiccup restò in ascolto. Era una sensazione strana, sentir parlare del secolo precedente come se fosse stato contemporaneamente recente e lontanissimo.
"Ti ha adottata una nuova famiglia?"
"No, alla fine sono rimasta abbastanza tempo in quel posto da diventare una specie di assistente" proseguì Toothiana. "Davo una mano a occuparmi dei bambini in cambio di ospitalità, e nel corso di alcuni anni ho sentito talmente tante storie orribili… La maggior parte di quei poveri piccoli aveva un passato difficile alle spalle."
"Ma i tuoi genitori non sono mai tornati a prenderti?" chiese Hiccup, incredulo. "Ti hanno abbandonata là?"
Lei fece un sorriso amareggiato. "Non so se ne avessero mai avuto intenzione. Sono morti durante l'epidemia di influenza spagnola, e io ero ormai adulta."
Parlava con estremo rammarico delle condizioni dei bambini, ma la sua storia non era da meno, pensò Hiccup.
"Dopo anni all'orfanotrofio mi sono stancata di sentirmi impotente, perciò sono riuscita a entrare in un corso per infermiere" ricordò Toothiana. "A metà dell'addestramento ero la migliore della mia classe. Avevo addirittura conosciuto un ragazzo del corso di medicina che mi piaceva. Ero convinta che avrei salvato centinaia di persone, nulla poteva fermarmi."
La sua espressione, da nostalgica, diventò triste. "Una sera d'estate stavo tornando dalle lezioni. Mi ricordo che faceva molto caldo. Non vedevo l'ora di andare in un posto fresco."
Non sarebbe arrivato un lieto fine, evidentemente.
"A un certo punto ho girato l'angolo e mi sono trovata davanti la donna più bella che avessi mai incontrato. Sembrava un angelo" mormorò Toothiana con gli occhi sbarrati. "Con una voce da cantante mi ha detto di venire con lei. Il buonsenso mi urlava di girare i tacchi e scappare, ma qualcosa in lei mi impediva di farlo."
Hiccup conosceva bene quella sensazione, a volte gli capitava di fare quello che Jack gli chiedeva senza pensarci.
"Mi ha portata in un vicolo, lontano dal centro, e dopo ricordo solo di essermi sentita come se mi stessero bruciando viva" disse Toothiana.
"Ma non stavi morendo, come ha fatto a trasformarti?" chiese Hiccup. Non corrispondeva a quello che sapeva.
"Oh, mi ha…" lei balbettò. "Probabilmente prima mi ha ferita gravemente, anche se non ricordo bene… Se il mio racconto ti mette a disagio, comunque, posso smettere subito."
Hiccup scosse la testa. Qualcosa non quadrava in quella storia. Stava mentendo?
"No, no, continua pure, per favore."
Toothiana scrollò le spalle. "Ho ripreso coscienza dopo un tempo interminabile, sul pavimento di una grotta in mezzo alle montagne. La donna aveva vegliato su di me, e oggi credo che volesse solo crearsi compagnia, ma immaginavo che fosse stata lei a farmi del male. Mi sono rialzata e sono fuggita. Ha cercato di fermarmi, ma ora ero più forte di lei, e sono riuscita a seminarla. Non l'ho più vista.
"Ho camminato nella foresta per giorni, finché la sete mi ha condotta verso un boscaiolo. Era di spalle, potevo coglierlo facilmente di sorpresa, ho pensato. Quando l'ho messo a terra, però, ho incrociato il suo sguardo per un momento, e ho visto."
"I suoi ricordi?"
"Qualche frammento di quello che in quell'istante gli stava passando per la testa" confermò Toothiana. "Stava ripensando alla sua famiglia. Mi ha fatto tornare lucida. Mi sono allontanata da lui, inorridita da me stessa, e sono tornata a vagare senza meta. Ogni volta che la sete diventava insopportabile e trovavo un umano, non riuscivo a ucciderlo. Ho cominciato quindi a cercare un modo per morire."
Hiccup trattenne il fiato. "Non ci sei riuscita, vero?"
"Già, ogni tentativo è stato inutile. Non potevo nemmeno affogare."
"Ma poi ti hanno trovata Nord e Aster, no?" disse impaziente lui, che iniziava a sentire l'effetto impressionante del racconto.
Toothiana intuì il suo turbamento e lo tranquillizzò: "Ero al settimo cielo, quando ho saputo del loro stile di vita. Non posso percepire i ricordi degli animali, così è meno difficile."
"Grazie per avermelo raccontato" disse Hiccup con sincerità. Non era cosa da poco rivelare certe faccende private.
"Grazie per avermi ascoltato" aggiunse lei con leggerezza. "Spero di non farti venire gli incubi."
"Figurati" mentì Hiccup. Negli ultimi giorni ne stava avendo più del solito, quasi tutti riguardanti figure che lo inseguivano di notte nella foresta.
Solo la sera prima, dopo che Jack gli aveva detto cosa provava per lui, aveva trovato qualche ora di tregua.
Chissà se sarebbe durata.

*


Jack non aveva bisogno di controllare la lista, la sua memoria perfetta lo rendeva inutile, ma diede lo stesso una riletta all'ultima voce sul foglietto stropicciato. Forse aveva letto male.
'È morbido e profumato' recitava l'elenco.
Digrignò i denti. Okay, aveva rivoltato la casa da cima a fondo, ma della borsetta di potpourri che Toothiana teneva in camera sua non c'era traccia. Doveva averlo nascosto egregiamente, perché non ne sentiva neanche una traccia di odore.
E che cavolo.
Decise di guardare in salone, che essendo la stanza più spoglia era anche il candidato perfetto per occultare un oggetto. 'Il luogo migliore per nascondere qualcosa è in bella vista', o una roba del genere.
Sulla rampa delle scale si imbatté in Aster, che fino a quel momento era riuscito a evitare. Lottarono silenziosamente sui gradini per stabilire chi scendesse per primo, scambiandosi spintoni e ginocchiate per qualche minuto.
"Fammi passare" sibilò Jack. Trovato il potpourri, avrebbe finalmente vinto.
"Con piacere" ringhiò Aster. Afferrò Jack per il colletto della maglietta, lo scaraventò al piano terra e saltò giù con grazia, superandolo con un balzo.
Jack si rimise in piedi scivolando sul pavimento e corse in salone per ridurre il vantaggio di Aster.
Toothiana e Hiccup erano sul divano a osservarlo frugare furiosamente in una cassettiera in un angolo. Jack perlustrò l'ambiente con urgenza. Aveva forse una manciata di secondi, e sarebbe terminato il tempo.
"Vai, Jack!" incitò Hiccup.
Lui lo fissò. Gli aveva fatto venire in mente un'idea.
Senza pensarci due volte, Jack avanzò a grandi passi verso Hiccup, che inarcò le sopracciglia confuso. "Che cos— Ehi!"
Si dibatté scompostamente per sfuggire alla presa di Jack, il quale lo sollevò in braccio e si rivolse a Toothiana.
"Ecco la cosa morbida e profumata! Ho vinto!" annunciò. "Mangiate la polvere!"
Nord e Sandy, intanto, arrivarono a vedere cosa succedeva. Anche Aster aveva abbandonato la ricerca e si avvicinò, scuro in volto.
"Jack, avevo espressamente specificato di trovare un oggetto, non una persona!" lo rimproverò lei.
"Mettimi-subito-giù!" disse Hiccup.
"Be', non era specificato sulla lista" si giustificò Jack.
Toothiana sospirò la propria rassegnazione. "Immagino che la vittoria sia tua, allora."
"Hai barato, canaglia che non sei altro" sbottò Aster mettendo il broncio.
"Il tempo è scaduto e nessuno ha trovato l'ultimo tesoro, non possiamo fare altro."
"Jack! Mollami!"
Jack sorrise sornione ad Aster, assolutamente deliziato della sua sofferenza. "Vedrai che ti andrà meglio la prossima volta."
"Certo, certo, congratulazioni a te" esclamò Nord. "Ma non hai visto… questo!"
Estrasse dalla tasca il famigerato sacchetto e proruppe in esclamazioni di vittoria in russo, sventolando il potpourri come una bandiera. Improvvisò addirittura una danza.
A quel punto, Sandy e Aster dichiararono la loro sconfitta e lasciarono la stanza.
"Dovevo immaginarlo" brontolò Jack.
"JACK!" Hiccup strillò nel suo orecchio. "LASCIAMI! ORA!"
Lui lo depose a terra, stupito di vedere la sua faccia a metà tra il mortificato e il nauseato. Toothiana percepì la tensione in arrivo e seguì gli altri, fuori dalla sala.
Hiccup si schiarì la voce, si riaggiustò i vestiti per darsi un tono e fulminò Jack con lo sguardo, ancora rosa acceso in viso.
Nord, l'ultima persona ancora lì con loro, dimostrò il solito tatto. "Ah, io dimenticavo. Hai già detto a Hiccup di tras—"
"Non adesso, Nord" lo fermò Jack. "È ora di pranzo, dopo me lo chiedi."
L'altro lo guardò dubbioso. "Mmmh, sì, certo."
Il tono vagamente deluso in cui aveva parlato pungeva, e fece profondamente vergognare Jack di essersi dimenticato della sua missione dopo quello che era accaduto la sera prima; la realizzazione di essere ricambiato lo aveva distratto, e non aveva più trovato l'occasione giusta per dirgli della scelta della trasformazione. Oppure, più probabilmente, lo slancio di coraggio era ormai passato.
Rimasero soli, e appena Nord scomparve alla vista, Hiccup sbraitò: "Si può sapere che ti è preso, di grazia?"
"A me?" replicò Jack sulla difensiva. "Sei tu che hai urlato."
"Mi hai tenuto in braccio per un quarto d'ora! Poteva dare l'impressione che… che noi…" Hiccup strinse le mani a pugno.
"Non serve tenere il segreto, lo sanno già" lo liquidò Jack. Appena tornato a casa, aveva raccontato tutto alla sua famiglia, desideroso di condividere la gioia con qualcuno.
La faccia di Hiccup passò dal rosso al bianco. "Lo sanno? Che vuol dire che lo sanno?"
"Significa che gliel'ho detto, tutto qui. Anzi, sono stati felicissimi" disse Jack, spaesato dal suo panico. "Perché dovrebbe essere un problema?"
"Non hanno avuto niente da ridire?"
Jack comprese con sollievo quale fosse il timore che lo attanagliava. "Oooh, adesso è chiaro. Hai paura che non approvino il fatto che io sono un vampiro e tu un umano, vero? Capisco il tuo dubbio, ma a loro non importa."
Hiccup si tolse le mani dai capelli. "Non è quello che mi preoccupa!" sbottò. "Siamo entrambi ragazzi, davvero non hanno fatto commenti di nessun tipo?"
"Whoa, whoa, whoa" fece Jack alzando le sue, di mani. "Okay, allora, punto uno, ti ripeto che a loro non frega un accidenti. Punto due… Fai sul serio? Siamo praticamente di specie diverse, e tu ti dai il tormento perché siamo maschi?"
Dovette sforzarsi di non ridere, perché Hiccup si era fatto serio improvvisamente.
"Sì" rispose. "Senti, non è colpa mia se ti senti libero di spifferare tutta la tua vita alla tua famiglia senza conseguenze, ma per me non è così."
"Che vuoi dire?"
Hiccup si guardò intorno esasperato, quasi a voler dire 'prima o poi lo ucciderò, questo qui'. "Hai idea di come potrebbe reagire mio padre, se glielo dicessi? Credo che gli verrebbe un infarto, nel caso venisse a sapere che esco con un ragazzo."
"Ne sei sicuro?" disse Jack. Stoick gli era sembrato un tipo burbero, forse severo, ma da qui a ripudiare il figlio per una scemenza simile…
"Certo, già non riesce a digerire che io non abbia interessi 'da vero uomo'. È come se per lui valessi meno perché non vado matto per la pesca."
A Jack cominciava a stare antipatico l'uomo imponente dalla barba fulva che aveva conosciuto quella mattina. Sentire la frustrazione con cui parlava Hiccup gli metteva rabbia.
"Ehi" gli bisbigliò gentilmente mettendogli una mano sulla spalla. "Se non vuoi dirglielo, allora per quanto mi riguarda non lo saprà mai."
Hiccup strinse le dita tra le sue e sospirò piano. "Grazie. Mi dispiace doverti nascondere, però, mi piacerebbe trattarti da fidanzato senza sentirmi come un criminale."
"Forse c'è un modo per scusarti per bene" Jack ammiccò.
Lui parve capire dove stava andando a parare. "Ah, sì?" disse arricciando l'angolo della bocca con fare ingenuo.
Jack si indicò le labbra. "Oggi non mi hai dato il bacio del buongiorno. Sono offesissimo. Ecco, l'ho detto."
Hiccup sbuffò qualcosa che poteva essere sia 'sei davvero insopportabile' che 'ti voglio bene', ma sotto sotto stava sorridendo. Strinse Jack a sé e gli prese il viso tra le mani lentigginose.
Non c'era videogioco che reggesse il confronto con uno dei loro baci, neppure tutte le partite di caccia al tesoro potevano competere, nessuna corsa nella foresta. Nemmeno la caccia lo superava.
Quanto era stato ingenuo, a pensare anche per un secondo che assaporare il sangue di Hiccup sarebbe stato l'apice della sua lunga vita, quando esisteva qualcosa come quel breve momento in cui i loro respiri si confondevano, e il suo odore bastava per estinguere la sete!
Era un profumo indescrivibile, pensò Jack mentre l'altro gli toccava prima la guancia, poi la spalla, infine il fianco. Il paradiso esisteva, e lui c'era già.
Il tocco bollente di Hiccup, che si era infilato in un batter d'occhio sotto la maglietta di Jack, sfiorando la striscia di pelle del fianco appena sopra la cintura, gli fece trattenere il fiato. Fu quasi come scottarsi, per quanto fosse impossibile.
"Ho sbagliato qualcosa?" chiese Hiccup vedendolo ritrarsi bruscamente. C'era una certa ansia, nei suoi occhi.
"Tu vuoi morire giovane, amico" commentò Jack. "Devi andarci piano, ricordati che devo sempre stare attento a non farti male."
"Qualcosa mi dice che non ti stai pavoneggiando come al solito" Hiccup aggrottò le sopracciglia. "Scusa."
"Nah, tranquillo. Sai, non ti facevo tanto, uh, impetuoso."
Lui fece una piccola smorfia. "Sono pur sempre un adolescente in fase ormonale, o qualcosa del genere."
"Chiamalo come ti pare, ma la prossima volta dammi il tempo di prepararmi" ribatté Jack.
Hiccup gli depositò un ultimo bacio sulla fronte. "Ai suoi ordini, mio signore."
Jack si morse l'interno della guancia. Non era per niente giusto che lui fosse più alto e potesse fare cose di quel tipo. Avrebbe dovuto trovare un modo per vendicarsi.
Stava per esprimere la sua lamentela, ma lo stomaco di Hiccup brontolò sul più bello.
Accompagnò quindi il suo proprietario in cucina, ora stracolma di roba da mangiare di ogni tipo. Gli armadietti erano stati riempiti di pasta, sughi, spezie, cracker, biscotti, patatine, grissini, cereali, scatolette di latta, bottiglie di gazzosa, di succo di frutta e bibite zuccherate. Per non parlare del frigorifero.
Jack aprì tutte le ante per mostrare quel ben di Dio, fiero di poter provvedere a ogni esigenza e gusto umani.
Hiccup lo guardò di sbieco.
"Che c'è? Ho fatto la spesa" Jack sentì di doversi difendere. "...Va bene, l'ha fatta Toothiana."
"Non so se trovarlo divertente o inquietante."

Non appena Jack intravide con la coda dell'occhio un agitatissimo Sandy che si faceva strada in cucina, seppe che stava per accadere qualcosa di brutto. Hiccup si pulì la bocca sul tovagliolo. "Che succede?"
Sandy stava gesticolando furiosamente, troppo in fretta da permettere a Jack di capirci qualcosa di sensato. "Niente di buono. Andiamo a vedere."
In salone, gli altri stavano discutendo concitati davanti al mappamondo, il punto in cui solitamente si svolgevano le riunioni di famiglia. Jack aveva il presentimento che stavolta non avrebbero parlato di spese per la casa o programmi per il prossimo trasferimento. Chiese a Toothiana cosa avessero da agitarsi tanto.
"Aster ha visto il neonato. Tra poco sarà qui" rispose lei torcendosi le mani. Era così nervosa che trasmise senza volerlo il ricordo di Jack che lottava con Eret. Tutti rabbrividirono.
"Avremmo dovuto allenarci a combattere un vampiro neonato" disse Aster.
Nord si grattò il mento sepolto dalla barba. "Non ha senso attaccare noi frontalmente. Mia pancia dice che vuole parlare."
"Una proposta di tregua?" ipotizzò l'altro.
"Speriamo."
Toothiana era tutta un fremito. "Qual è il piano?"
"Lo facciamo a pezzi e gli diamo fuoco" propose Jack. Aveva ancora un conto in sospeso con Eret da risolvere.
"Odio essere d'accordo con lui, ma ha ragione" approvò Aster. "Siamo in maggioranza, lo distruggeremo facilmente."
La voce di Hiccup si inserì sommessa nel discorso: "Voglio parlargli."
Jack restò bloccato tra un 'ma sei scemo?' e un 'non se ne parla'. Gli uscì un suono strozzato e genericamente indignato dalla gola.
"Che cosa hai in mente?" domandò Nord, interessato. Anche gli altri lo guardarono con curiosità.
"Jack mi ha detto che Eret è stato trasformato dall'altro vampiro. Forse non è molto contento di dovergli obbedire, se è successo contro la sua volontà. Inoltre, mi sembra di aver capito che nutrirsi di umani non è semplice per nessuno, quindi potremmo provare a mostrargli il vostro stile di vita."
Be', accidenti a lui e alla sua linguaccia! Sul serio, però, a volte la genialità di quel ragazzo era più irritante del necessario.
Jack gemette. "Per piacere, non dirmi che vuoi andare a fare due chiacchiere col tizio che ti trovava delizioso. Non risponderei delle mie azioni."
"Dobbiamo almeno provare" disse Hiccup sicuro.
Con grande disappunto di Jack, gli altri votarono a favore di quello stupido piano, e si piazzarono tutti insieme fuori dalle doppie porte d'ingresso, Nord, Aster, Toothiana e Sandy a fare da ala protettiva a Jack e Hiccup.
"Adesso aspettiamo?" chiese quest'ultimo.
"Sì."
Che idea assurda, restarsene lì imbambolati ad aspettare che il nemico si avvicinasse indisturbato. Stavano facendo il loro gioco, e l'avrebbero pagata cara. Jack sperava che Eret cambiasse strategia e se la filasse, vedendoli schierati in attesa, ma sarebbe stato troppo bello per essere vero.
La sagoma del vampiro emerse dalle ombre proiettate dagli alberi, intercedendo a passo sostenuto. Occhi rossi brillarono cupi.
Il respiro di Hiccup tremò per un secondo, e Jack gli strinse la mano. Con loro sarebbe stato al sicuro.
Eret avanzò nel loro giardino calpestando le aiuole di cui Aster si prendeva cura nel tempo libero. "Che dire, grazie del comitato di benvenuto" sorrise beffardo.
"Cosa sei venuto a fare?" disse Aster, probabilmente offeso a morte per la distruzione dei suoi fiori.
Eret ignorò la domanda e passò in rassegna il resto del gruppo, finché non individuò Hiccup.
"Vedo che sei ancora vivo, umano. Sono sorpreso."
Jack stava per rispondergli per le rime, ma Hiccup parlò prima di lui. "Ciao, Eret" disse tranquillo, come se si stesse rivolgendo a un compagno di classe che conosceva solo di vista.
"Dicci cosa vuoi, neonato" intervenne Nord. Aveva usato il solito tono affabile, ed Eret aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, perdendo l'espressione sardonica.
Addio falsa cordialità. Hiccup si agitò, fremendo in attesa di poter parlare.
"Sono qui per conto di Pitch" disse. "È la vostra ultima occasione per dargli il ragazzo."
"Altrimenti che farà?" chiese Toothiana sollevando il mento con aria di sfida. Eret scoprì i denti. "Farà strage della città."
Sopra le esclamazioni di indignazione, Jack alzò la voce. "Che cosa vuole da Hic? Non può trovarsi qualcun altro da prosciugare?"
Hiccup gli tirò discretamente il bordo della maglietta. "Ricordati il piano" sussurrò.
Facile, per lui!
Il modo in cui Eret rise con atteggiamento di superiorità mandò in confusione Jack. "Non è l'umano che gli interessa!" abbaiò. "Pitch Black vuole te."
"Ma di che stai parlando?"
"Non te l'hanno detto? Avete dei seri problemi di comunicazione, nel vostro clan."
Jack guardò Nord, interrogativo, che irrigidì appena la mascella e rivolse un'occhiata a Hiccup. "Parliamo dopo."
"Che cosa mi state nascondendo?"
Hiccup fece un passo avanti, rompendo la formazione e distraendo Jack. Nonostante la calma apparente, sentiva il suo cuore battere impazzito.
"Non ho idea di che drammi ci siano tra di voi" esordì. "Ma non sei obbligato a farlo, Eret. C'è un'altra possibilità per te."
Lui lo fissò sprezzante. "Ma davvero?"
"Secondo me Pitch non ti tratta bene, ho ragione?"
Eret si toccò istintivamente la spalla sinistra, nervoso come un animale in gabbia. "Non sono affari tuoi."
"Sei ancora in tempo per passare dalla parte giusta" continuò Hiccup allargando le braccia. "Non avresti nessuno a darti ordini, e non saresti costretto a uccidere per sopravvivere. Resta con noi, Eret. So che non sei spietato come vuoi far credere."
"Per Pitch il vostro metodo è inutile" l'altro li indicò come fossero alieni, arretrando. "Non so come fate a stare con un umano, ma prima o poi vi verrà sete, e lui sarà il primo a portata di mano. Non potrete farci niente."
Il veleno inondò la bocca di Jack. Quel tizio iniziava davvero a rischiare, se continuava su quella strada.
"Sparisci da casa nostra, e di' al tuo capo dove può mettersi la sua minaccia" ringhiò.
Hiccup si voltò verso di lui. "Jack, aspetta!" disse allarmato.
"Ve la siete voluta" rispose Eret, prima di piegare le ginocchia in posizione di partenza, lanciare un ultimo sguardo contrito a Hiccup e dileguarsi.
Jack e Aster scattarono per lanciarsi all'inseguimento, ma vennero fermati da Sandy, che si parò davanti a loro facendo 'no no' con il dito alzato.
Aster sputò a terra. "Maledetto bastardo."
"No!" gemette Hiccup, ancora frugando con gli occhi tra gli alberi. "Potevo farcela, potevo fargli cambiare idea."
Nord gli diede un colpetto sulla schiena. "Non cambierà mai idea, ho paura. Torniamo dentro."
Jack li seguì in casa esclusivamente spinto dalla pretesa di risposte. "Vi dispiace spiegarmi che succede?"
Tallonò Nord, apparentemente deciso a chiudersi nel suo studio a discutere con Sandy.
"Non ha importanza, adesso dobbiamo pensare a cosa fare" disse l'uomo salendo le scale.
Era il momento di passare a una strategia più aggressiva. "Se non me lo dici, vado a chiederlo direttamente a Black, che ne pensi?"
Finalmente, Nord si fermò davanti alla porta, tuttavia si fece ancora più serio. "Jack, porta Hiccup a casa sua. Toothiana viene con te."
"Ma…"
Nord gli sbatté la porta in faccia. Sandy si strinse nelle spalle, a mo' di scuse, ed entrò con lui.
La vita era così ingiusta.



Note
Il momento di pace è finito, purtroppo. La solita diplomazia di Hiccup non ha funzionato neanche stavolta, e si è scoperto che Pitch vuole qualcosa da Jack.
Nel prossimo capitolo vedremo perché Aster/Calmoniglio è stato sempre così scontroso, fin dall'inizio della fic.



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Capitolo 12
*** XI. Sdentato / Broncio ***




XI

Sdentato / Broncio
 
 
Ripensandoci, avrebbe dovuto aspettarselo.
La vita non era mai stata troppo clemente con lui, a partire dal suo quinto compleanno. Perlopiù dava la colpa al divorzio, perché da quel punto in poi era andato tutto a rotoli, e nulla era più stato facile. Non la scuola, non le relazioni, non il rapporto con i suoi genitori.
Da quando si erano separati, il destino continuava a giocargli dei brutti scherzi. Poteva fingere quanto voleva, ma non l'aveva ancora superata.
Davvero, era scontato che la felicità raggiunta la sera prima non potesse durare molto.

Hiccup sbirciò al suo fianco con la coda dell'occhio.
Jack, al volante e con lo sguardo fisso sulla strada, ma allo stesso tempo perso in ignote riflessioni, era ancora chiuso nel suo mutismo. Il rombo del motore e il ticchettio della tastiera del cellulare di Toothiana facevano da sottofondo al viaggio verso casa.
Hiccup buttò un'occhiata dietro di sé: il viso della vampira era illuminato in maniera spettrale dallo schermo del telefono, e nemmeno lei sembrava aver voglia di parlare.
Il suo tentativo di convincere Eret era stato un vero disastro, anzi, possibilmente aveva peggiorato la situazione.
Hiccup sprofondò di più nel sedile e guardò le luci dei lampioni appena accese susseguirsi fino a casa, dove l'auto si fermò con un debole fischio di freni.
"Eccoci qua" disse, fermo nella veranda mentre si tamburellava una gamba con le dita. Era pieno pomeriggio, le nuvole si stavano tingendo di rosa.
"Già" disse Jack mogiamente. Toothiana, ancora in macchina, si sporse dal finestrino e fece cenno di darsi una mossa. "Ci sarà lei di guardia, fino a stasera."
Hiccup tese l'orecchio e sentì l'eco della risata di Stoick, al telefono con qualcuno. "Ti va di entrare a salutare mio padre?"
Jack parve recuperare un po' di vitalità. "Meglio di no" borbottò con aria agguerrita. "Finirei per sfogarmi su di lui."
"Pensi ancora ad Eret?"
"Lo abbiamo lasciato scappare. Di nuovo."
"Sarà" disse Hiccup, "ma a me non sembra malvagio. A dire la verità, mi ha fatto quasi pena."
Jack gli pizzicò il naso. "Tu e la tua compassione. Finirai per farti male."
Lui si indicò la nuca, dove i punti realizzati dalla mano esperta di Toothiana gli avevano ricucito la pelle. "Troppo tardi."
Dalla macchina, la ragazza si stava praticamente sbracciando.
"Mi sa che è ora di andare" commentò Jack.
"Ci vediamo domani in classe, allora."
L'altro alzò la testa verso il cielo. "Se non sarà soleggiato…"
"Non mi hai ancora detto perché non potete stare sotto il sole" ricordò Hiccup. "Diciamo che saremmo troppo appariscenti" disse Jack, e gli venne incontro.
Hiccup chiuse gli occhi. Come ogni volta, sembrava di baciare il ghiaccio; sentiva che Jack profumava di buono e le gambe gli diventavano molli. Un budino vivente.
La consapevolezza che suo padre fosse a pochi metri di distanza lo assalì, e rovinò il momento. L'idea di come potesse reagire gli faceva sprofondare il cuore.
Hiccup diede un ultimo bacio sulla guancia di Jack (adorava il modo in cui sbuffava fingendo di indignarsi) e girò la maniglia.
Lui non aggiunse altro e salì in auto, mentre Toothiana scendeva e si nascondeva dietro l'abitazione, al riparo delle fronde dello stesso albero che Jack usava per salire in camera di Hiccup.
Guardò i fanali posteriori sparire dietro l'angolo, desiderando che fosse già l'ora di trigonometria del giorno dopo. Per la prima volta, sperò che Forks venisse investita da un acquazzone.
Aveva socchiuso la porta, quando il cellulare gli vibrò nella tasca. "Jack? È successo qualcosa?"
Dall'altra parte, il vampiro ridacchiò. "Scusa, ma posso dire una cosa sdolcinata? Mi manchi."
"Pensa a guidare, scemo."
Silenzio. Una pausa di esitazione?
"Ti amo."
Hiccup ebbe un sussulto. Jack non era tipo da smancerie, e quando faceva o diceva qualcosa di romantico, prima si scusava. Che idiota.
"Ti amo anch'io, Jack."
In qualche modo, riusciva a percepire la sua gioia fino a lì. Riattaccò con un sorriso stupido stampato in faccia.
"Hiccup."
Si girò di scatto. Stoick si ergeva sulla soglia, sfiorando appena lo stipite. Aveva le spalle così larghe da oscurare l'interno della casa dietro di lui. Hiccup non riusciva a vedere la sua espressione.
"Ehi, papà…" balbettò nel panico. Aveva sentito tutto? Pesava tre volte lui, come aveva fatto a non sentirlo arrivare?
"Figlio" ripeté Stoick, indecifrabile, e uscì sotto la luce fioca delle lampade da esterni.
Tata-ta, sono morto.
"Come ti è andata oggi?" Hiccup finse un tono disinvolto tremendo. "Fatto qualcosa di interessante?"
La faccia sospettosa di suo padre non cambiò di una virgola, semmai si accigliò ancora. "Era Jack Frost al telefono?"
Hiccup sudò freddo. Studiò bene l'atteggiamento di Stoick, ma barba e sopracciglia ne nascondevano i tratti, e gli occhi, l'unica parte visibile, lo stavano scrutando.
Jack gli aveva chiesto se fosse assolutamente sicuro di come sarebbe andata, se glielo avesse detto. Ebbene, Stoick sembrava pronto a mandare lampi dalle pupille, ma Hiccup si ritrovò comunque a pensare che quasi sicuramente, probabilmente, forse, con una minima possibilità non avrebbe fatto una sfuriata. Lo aveva beccato, tanto valeva provarci.
"Sì" ammise, raccogliendo la forza per continuare a parlare senza nascondersi sotto lo zerbino. "Era lui."
"Che vuol dire questa storia?" tuonò suo padre.
"Senti, prima di sputare qualsiasi sentenza tu abbia in mente" disse Hiccup con decisione, "prima stammi a sentire."
"No. Tu stai a sentire me" replicò lui. "Perché non me lo hai detto?"
Hiccup incrociò le braccia al petto. Si sentiva così piccolo e debole, in confronto a lui. "Perché stiamo insieme da ieri, e in ogni caso non ti riguarda."
"Oh, mi riguarda eccome" disse Stoick. "Ho il diritto di sapere se mio figlio sta facendo uno sbaglio."
"Uno sbaglio?" Hiccup batté le palpebre. "È così che lo chiami?"
"Pensavo che ti piacesse Astrid. Da quando ti sei trasferito pranzate insieme tutti i giorni."
"Perché siamo amici, papà. Non ho più una cotta per lei dalle medie."
Se avesse saputo che adesso era lui che piaceva a lei!
Stoick scosse la testa, esasperato, e si passò una mano sugli occhi. "Cosa ho sbagliato con te?"
Ancora con la storia dello sbaglio.
"Si può sapere che cos'hai contro le persone con cui esco?" sbottò Hiccup.
"Non capisco perché non puoi essere…" suo padre era evidentemente in difficoltà. "Normale!"
Lui si sentì punto sul vivo. "Se non te ne sei accorto, brutte notizie dell'ultimo minuto: non lo sono mai stato! Mi stupisce, visto che ci hai tenuto parecchio a rinfacciarmelo per tutta la vita!"
A Stoick non piacque il suo tono velenoso. "Voglio solo che tu sia… Sia…"
"Come?" sputò fuori Hiccup. "Non strano come la mamma, è questo che intendi?"
"Non mettere Valka in mezzo a questo discorso" avvertì lui, severo.
Quello era il limite? Be', ancora per poco.
"Forse allora è colpa sua, se sono così" esclamò Hiccup. "Ma almeno io ho qualcuno disposto a stare con me."
Stoick era a dir poco furibondo. Per un secondo sembrò che volesse rispondere, urlargli contro, dargli un ceffone, invece crollò su se stesso e abbassò le spalle. D'un tratto non pareva più tanto minaccioso.
Hiccup sostenne ostinatamente il suo sguardo, accusando una fitta al petto che sapeva esclusivamente di sensi di colpa. Aveva esagerato, e se n'era pentito immediatamente.
Stoick, distrutto, deluso, annientato, lo fissò senza vederlo. "Tu non sei mio figlio."

Quella notte fu la peggiore della sua vita.
Perseguitato dalla discussione con suo padre, non chiuse occhio, e il mattino dopo fu svegliato da un raggio di sole. Andò ad affacciarsi alla finestra.
Non avrebbe visto Jack. Non ebbe nemmeno la forza di arrabbiarsi.
Sceso in cucina, la trovò vuota, ancora con l'odore di caffè e frustrazione nell'aria. Mandò giù il minimo necessario per non crollare e s'incamminò verso la scuola.
Superò l'atrio infestato di studenti su di giri per il raro bel tempo, entrò in classe in anticipo e tirò fuori il cellulare, da cui lesse un messaggio di Jack che si scusava per l'assenza, gli augurava una buona mattinata e prometteva di farsi trovare a casa sua. Era firmato da un altro 'ti amo'.
Hiccup rispose senza entusiasmo. Non ricambiò la frase finale, aveva troppa paura che portasse ancora sfortuna e accadesse qualcosa di brutto.
Appoggiò la fronte sul banco, afflitto.
"A quanto pare il sole non è riuscito a contagiare tutti" disse una voce alle sue spalle.
Lui non sollevò la testa dalla superficie fredda del tavolo. "Buongiorno, Astrid."
Il fruscio alla sua sinistra indicò che si era seduta. "Tirati su, voglio vederti in faccia" lo ammonì lei, e storse il naso nel vedere le sue occhiaie. "Cavolo, è andata così male?"
Non aveva altra scelta, se non raccontarle tutto, vero?
"Non è stata la mia dichiarazione, il problema. È mio padre."
Astrid giocherellò con la punta della treccia. "Non approva, eh?"
In qualche modo, Hiccup non era sorpreso dal proverbiale intuito di Hofferson. In quel posto erano tutti più svegli di lui, pensò.
"Che eufemismo."
"Ma dai, quanto può essere male, se lui mette il broncio per un po'? Fregatene."
"Tanto per cominciare, è capace di tenere il muso per settimane" borbottò Hiccup facendo rotolare la matita sul banco. "E comunque adesso mi odia."
"Non puoi dire sul serio" obiettò lei.
Era così luminosa, quando cercava di tirargli su il morale. E pensare che aveva ricevuto un due di picche solo l'altro giorno, neanche i suoi occhi celesti sembravano stanchi come allora.
"Tu come stai?" le chiese, sentendosi insensibile per non essersi preoccupato di nascondere le sue preoccupazioni amorose.
Astrid fece un sorriso allegro. "Ieri ho dormito fino a tardi per la prima volta da anni. Mi ha fatto bene."
Hiccup invidiava da morire la sua capacità di non lasciarsi abbattere facilmente. Aveva mantenuto la parola data, e se n'era già fatta una ragione.
"E quindi hai litigato con tuo padre" continuò Astrid. "È la fine del mondo?"
Hiccup strinse le labbra. "Non è la cosa peggiore che mi sia capitata, mettiamola così."
"Bene" annuì lei soddisfatta. "È un buon inizio."
"Grazie, Astrid."
Accettò di buon grado il pugno affettuoso sulla spalla, e si portò dietro quella conversazione come uno scudo fino a pranzo.
Ascoltò le chiacchiere rumorose dei gemelli, il fitto confabulare di Gambedipesce sull'ultimo episodio del suo telefilm preferito e si accordò con Moccicoso sul prossimo incontro di ripetizioni. Aveva deciso che non sarebbe stato un litigio, per quanto doloroso, a rovinargli la mattinata. Erano finiti i giorni in cui si faceva maltrattare.
A dispetto di quanto Jack gli aveva promesso, una volta a casa non lo trovò ad aspettarlo, ma in compenso ricevé un SMS per informarlo di essere impegnato nei nuovi allenamenti anti-neonato gestiti da Sandy. Hiccup si tolse le scarpe, spalancò la finestra per far entrare il calore del pomeriggio e poggiò i gomiti sul davanzale, assaporando la sensazione del sole sulla pelle.
Sapeva che da qualche parte, tra gli alberi in fondo al cortile sul retro, c'era un Frost a vegliare su di lui.
Quando gli avambracci cominciarono a scottare, andò alla scrivania e svuotò lo zaino. Accese il computer, riesumò dei biscotti dalla dispensa e programmò la lezione, in attesa di Moccicoso.
Furono un paio d'ore tranquille, che diedero a Hiccup la soddisfazione di spiegare a Jorgenson un argomento nuovo e complicato senza doversi ripetere dieci volte. Si abbuffarono di biscotti per festeggiare l'ultimo successo e Hiccup lo rispedì a casa inondandolo di incoraggiamenti.
Aspettò che Moccicoso se ne andasse via sgommando sulla sua vecchia motocicletta rossa, facendo un fracasso capace di spaventare tutto il vicinato, poi tolse le mani dalle orecchie e fece per rientrare.
Un miagolio lo bloccò sulla soglia.
Hiccup scese i gradini della veranda, cercando l'origine del verso con lo sguardo. Un secondo 'miao', simile a un lamento, lo portò verso i cespugli sotto la finestra del salotto.
Eccolo lì, un gatto tutto nero che lo fissava attraverso le pupille sottili degli occhi verde intenso. Se ne stava acquattato tra le foglie e aveva l'espressione impassibile tipica dei felini.
"Tu che ci fai qui?" disse Hiccup senza aspettare risposta. Non c'erano molti gatti randagi, a Forks.
"Miao" ripeté il gatto, un po' più forte.
Supponendo che stesse male, Hiccup allungò una mano. Il micio, in barba alle sue buone intenzioni, soffiò e fece lo stesso, lasciandogli tre lunghi segni rossi.
"Okay, ho capito" brontolò Hiccup ritrandosi. "Non ti tocco."
Il gatto non soffiò ancora, ma lo fissò dritto in faccia con fare intelligente e vagamente irritato. "Miao."
"Permaloso."
In cucina trovò una scatoletta di tonno, che aprì e depositò sull'erba, di fronte al muso dell'animale. Il gatto fissò prima lui, poi il pesce.
"Mangia" incitò Hiccup. Le ginocchia gli facevano un male cane e aveva sicuramente macchiato d'erba i pantaloni, ma non se ne curò granché. Era completamente concentrato sul gatto, e su come aiutarlo.
Il micio uscì dal riparo dei cespugli. Gli mancava una gamba posteriore, notò Hiccup. Doveva averne passate di tutti i colori, per essere un randagio. Non sembrava una ferita pericolosa, ma con la perdita degli arti non si poteva mai sapere.
In un batter d'occhio, il gatto finì il tonno. Lui aveva approfittato della sua distrazione, intanto, ed era tornato con il trasportino che tanti anni prima usavano per il cane di sua madre, Saltanuvole. Riuscì a infilarci dentro il gatto con non poche difficoltà, ricevendo graffi e morsi.
Il micio lo guardò da dietro le sbarre con risentimento, agitando la coda inquieto. Per qualche motivo, aveva smesso di miagolare.
"Scusa, ma devo far vedere quella gamba a qualcuno" gli spiegò Hiccup infilandosi la giacca. "Andiamo, bello."

Jack e il gatto si detestarono a prima vista, con grande dispiacere di Hiccup. "Lui chi è?" pretese di sapere il vampiro indicando l'animale sulla poltrona, che lo ignorò e continuò a leccarsi la zampa con aria di superiorità, dall'alto del cuscino che ormai era diventato suo.
Hiccup accese il fornello, scuotendo la testa divertito. Jack era arrivato da dieci minuti e non aveva fatto altro che osservare il gatto con ostilità.
Aster era troppo occupato per aprire la caffetteria, quella sera, quindi lui avrebbe avuto almeno una persona per compagnia a cena: Stoick aveva chiamato per fargli sapere che dalla centrale sarebbe andato direttamente a mangiare da Skaracchio. Non che a Hiccup dispiacesse, tutt'altro.
"Questo è Sdentato" presentò. "Sdentato, lui è Jack."
"Ha solo tre gambe, che gli è successo?" commentò Jack, appollaiato sulla sedia come un gufo sul trespolo.
"Il veterinario ha detto che deve averla persa qualche anno fa, ma la ferita si è cicatrizzata senza problemi. Gli ha fatto un prelievo e ha prescritto delle pastiglie."
Jack si dondolò sulla sedia. "Con quali soldi hai pagato?"
"Ho usato i miei risparmi per la mia futura macchina" disse Hiccup con leggerezza, girando la bistecca per controllarne la cottura. Doveva riderci su, altrimenti si sarebbe odiato per rimpiangere il denaro speso per Sdentato. "Adesso non ho nemmeno i soldi per comprarmi una bici."
"Tuo padre è d'accordo per tenerlo?"
"Ancora non lo sa, ma immagino che non gli importi più nulla di quello che mi riguarda."
Jack si rattristì. "A proposito, mi dispiace, non pensavo che fosse in ascolto."
Hiccup non si voltò. Era molto più facile continuare a fissare il bordo della padella e cercare di non battere le palpebre.
'Tu non sei mio figlio'.
"Gli farò cambiare idea, prima o poi. Credo. Spero."
"Se lo dici tu."
Prese un piatto, apparecchiò la tavola per una persona e si sedette di fronte a Jack. "Raccontami com'è andato l'addestramento."
Jack finse di tapparsi il naso, disgustato dall'odore di carne cotta, facendolo ridere. "Sarebbe divertente, se non ci fosse Aster a mettermi al tappeto ogni due minuti, o Nord che grida suggerimenti inutili, o Toothiana che evita tutte le mie mosse. Sandy è un bravo insegnante, ma si vede benissimo che non siamo guerrieri."
"Volete affrontare Eret e Pitch?"
"Sì, se sapessimo dove si nascondono esattamente."
"Eret non si è più fatto vedere?" domandò Hiccup speranzoso. Era ancora convinto di poterlo dissuadere, se solo gli avesse parlato sinceramente. Allora avrebbe capito, ne era certo.
"No, ma abbiamo sentito rumori strani a valle, tipo urla."
Hiccup mordicchiò la forchetta. "È da quando mi sono trasferito che ne sento parlare, sospetto che Pitch non sia una persona molto paziente, ed Eret ha commesso diversi errori come scagnozzo."
"Mentirei, se dicessi che mi dispiace per Eret" disse Jack. Hiccup gli diede un calcetto sotto al tavolo.
"Non fare così, probabilmente è finito in mezzo a questo casino senza volerlo. È confuso, non crede di avere alternative, tutto qui."
"Comunque, prima lo prenderò a calci, poi potrai parlargli quanto vuoi."
"Che carino" Hiccup roteò gli occhi.
"Quando vuoi" disse Jack.
Lui masticò in silenzio per un po' di tempo. Gli era tornato in mente il pomeriggio a casa dei Frost, quando era saltato fuori che Pitch ce l'avesse con Jack.
"Senti, ma alla fine ti hanno spiegato che c'entri tu con Black?" chiese.
Jack mise il broncio e nascose una guancia nel palmo della mano. "Macché, si sono alleati per tenere il segreto, tutti e quattro. Nemmeno Toothiana vuole dirmi nulla" si adombrò. "Odio quando fanno così, mi sento… lasciato in disparte."
"Magari è per il tuo bene" suppose Hiccup, ricordando il profondo affetto con cui aveva visto i familiari di Jack approcciarsi e parlare di lui. Be', quasi tutti. "Secondo me si divertono a tagliarmi fuori" bofonchiò lui.
"Se lo dici tu" concluse Hiccup in una pessima imitazione della voce di Jack, che gli fece abbozzare un sorriso sghembo.
Lui si versò da bere, mentre la sera diventava notte e Sdentato faceva le fusa.

*


Il giorno dopo piovigginava. Jack fu molto felice di poter vedere Hiccup a scuola, anche se solo per poco tempo prima dell'inizio delle lezioni, durante trigonometria e giusto di sfuggita a pranzo.
Passò l'intervallo a tenere il muso a Toothiana, e a cercare di capire se trovasse Astrid Hofferson estremamente irritante, per l'invidiabile naturalezza con cui chiacchierava con Hiccup, o se provasse una sorta di gratitudine nei suoi confronti.
In fondo, era stato grazie al suo tentato bacio che Hiccup aveva avuto la rivelazione di amarlo, a detta di quest'ultimo. Anche per Jack era accaduto qualcosa di simile, quindi Hofferson doveva essere un catalizzatore di illuminazioni amorose di qualche tipo. Un'influenza benefica quanto pericolosa.
Nonostante tutto, gli era simpatica, e doveva ammettere che fosse una tipa davvero tosta.
Quel pomeriggio fu costretto ad intrufolarsi come un ladro a casa Haddock grazie al suo fidato albero, invece che dalla porta d'ingresso, per evitare che tutto il vicinato sapesse che Jack Frost frequentava il posto tutti i giorni. Stoick, che a quanto pareva non aveva più rivolto parola al figlio, dalla sera del disastro, non l'avrebbe presa bene.
Hiccup lamentava la segretezza della loro relazione, ma a lui piaceva arrampicarsi tra i rami e bussare alla finestra. Lo faceva sentire come l'eroe di un romanzo. Sarebbe morto per la seconda volta, piuttosto di confessarlo, però.
Se a Jack non dava fastidio girare senza farsi vedere, a controbilanciare c'era la seccante presenza sempiterna della bestia che Hiccup aveva soprannominato Sdentato, per via di qualche bizzarro morso di cui gli aveva raccontato e che Jack non aveva ascoltato, troppo distratto dalle occhiatacce del gatto. Era l'animale più coraggioso che avesse mai incontrato, oppure il più stupido.
Dopo una lunga gara di intimidazione, Hiccup gli aveva chiesto che cos'avesse da fissarlo, e aveva rimproverato Sdentato di non essere abbastanza educato — come se potesse capirlo!
La verità era che a Jack non piaceva nessun essere con abbastanza faccia tosta da graffiare una persona buona come Hiccup. E poi si sentiva in terribilmente soggezione quando avvertiva lo sguardo del gatto su di sé, mentre si baciavano. Quel guardone con i baffi…
Ironicamente, entrambi tolleravano la reciproca esistenza unicamente per il bene di Hiccup. Da quando aveva adottato Sdentato, pareva meno triste, e l'animale sembrava pensare la stessa cosa riguardo a Jack.
Al tramonto, lui e Aster presero il sentiero creato da innumerevoli battute di caccia passate. Erano trascorsi giorni dal loro ultimo pasto, e i loro occhi stavano diventando della tonalità del carbone.
La foresta era insolitamente tranquilla, nonostante le gocce che cadevano costanti ma leggere. Tutti gli animali dovevano essersi rintanati al sicuro. Jack temeva che percepissero la presenza di Pitch.
"Salteremo la cena, se continua così" disse ad alta voce, dopo mezz'ora di cammino senza incontri. Si era stancato subito dell'acqua che gli finiva negli occhi e aveva alzato il cappuccio della felpa.
Aster lo ignorò. Sai che sorpresa.
Jack quasi sentiva la mancanza delle sue frecciatine e dei suoi rimproveri, finiti nel momento in cui aveva cominciato a pretendere delle risposte. A essere onesti, la malsopportazione di Aster era iniziata ben prima.
Alzò la testa e osservò un falco solitario sorvolare le cime dei pini. "Ho capito che non ti piace che Hiccup stia con noi, ma potresti almeno far finta di nulla, sai. Spesso mi chiede cosa potrebbe fare per non farsi detestare da te."
Aster rallentò fino a fermarsi. "Non è lui a infastidirmi, sei tu."
"Ma guarda un po'" Jack fece una smorfia. "Tra ieri e oggi ho scoperto di essere popolare. Immagino che non aggiungerai altro, come al solito."
Reazione inaspettata: Aster si ficcò le mani nella tasche dei pantaloni e diede un calcio a una pietra, facendola rotolare lontano con uno schiocco. "Forse stavolta sì."
"Sì?" Jack lasciò da parte il sarcasmo. Era la risposta più collaborativa che riceveva da settimane, troppo preziosa da buttare.
"Stai molto tempo insieme al ragazzo" disse Aster. "Non è doloroso, a lungo andare?"
Lui non ebbe esitazione. "Certo, ma ne vale la pena. Non potrei immaginare di fare diversamente."
Aster era un concentrato di scetticismo. "Non vi siete mai baciati, o altro?" "Non capisco che c'entra" disse Jack, perplesso. "Perché improvvisamente ti importa tanto se ci scambiamo la saliva?"
Che domanda strana, specialmente da lui.
"Perché" Aster allargò le narici, frustrato, e lo guardò in faccia, "per te è tutto così facile? Perché non sei in difficoltà come lo siamo stati tutti noi prima di te?"
Jack era spiazzato dal suo sfogo, ma prima di rispondere voleva sentire il resto.
"Vai a scuola da neanche tre settimane, eppure sembra che ci vada da tutta la vita! Hai detto con noncuranza di aver resistito davanti al ragazzo ferito e sanguinante, hai idea di quanto controllo ci vuole? E adesso non ti stacchi quasi mai da lui! Dovrebbe essere insopportabile" concluse Aster, che, passata la tempesta, aveva perso l'espressione irritata e aveva abbandonato le braccia lungo i fianchi.
"Non è facile" disse Jack lentamente, guardando in basso. Un insetto zampettò vicino al suo piede. "È tutto tranne che 'facile'. Non sono stato sincero al cento per cento, la settimana scorsa."
Aster lo fissò interrogativo. "Che vuoi dire?"
"Quella volta che ho incontrato Eret non ho semplicemente rifiutato la sua offerta. Credimi, coda di cotone, preferirei non dirtelo, e mi odio per questo, ma per un secondo l'ho presa in considerazione" raccontò Jack. Il ricordo dell'erba bagnata di rosso, come infuocata, gli bruciò la gola. Cavolo, che sete.
"Ma non l'hai fatto" replicò Aster. "L'hai risparmiato."
Jack si strinse nelle spalle. "Boh, dicono che l'amore ti fa fare roba da pazzi, forse è stato questo a darmi la forza di rifiutare."
Evitò di aggiungere di aver pensato anche a loro, alla sua famiglia, in quel momento. Ammettere di essersi fatto prendere dall'istinto era una cosa, dire ad alta voce di non volerli deludere era tutt'altra.
Aster fece qualcosa di incredibile. Sorrise appena, e non in maniera ironica. "Sei molto cambiato, da quando ti ho conosciuto, Jack Frost. Sembri addirittura una persona decente."
"Anche tu non sei male" disse lui, e visto che stava diventando tutto imbarazzante, si voltò a dargli le spalle.
"Andiamo da quella parte. Credo di aver sentito un coniglio."

Jack bussò piano, aspettando una risposta qualsiasi. Un 'non ora' era la più papabile.
"Entra, Jack" disse la voce all'interno.
Non se lo fece ripetere due volte, e aprì la porta dello studio.
Erano in piena riunione di famiglia. Nord sedeva alla scrivania, circondato dalle solite cianfrusaglie tra cui spiccava Toothiana. Aster era appoggiato alla porta-finestra, di fianco a Sandy.
La loro tensione era palpabile.
"Che si dice?" buttò lì Jack, per alleggerire l'atmosfera. Non funzionò.
Nord, con un sorriso in volto che non si estendeva agli occhi, lo invitò ad avvicinarsi. "Abbiamo deciso che è momento di essere sinceri davvero."
Parlava con tono contrario, notò Jack. "Non sembri convinto."
"Abbiamo fatto votazione" rispose Nord lanciando un'occhiata a ognuno di loro. "Questa volta ha vinto 'sì'."
Si soffermò su Aster per una frazione di secondo in più, il quale sbuffò e incrociò le braccia. Jack dovette sforzarsi di non rimanere a bocca aperta: Aster che sosteneva lui?
"Mi direte perché Pitch ha chiesto di me?"
"Per questo serve partire da inizio di storia."
Jack prese posto su una pila di grossi libri. I vampiri non avevano bisogno di sedersi, o riposare, ma a volte era meglio che starsene a ciondolare in mezzo alla stanza.
Sandy avanzò verso il centro dello studio a piccoli passi, e cominciò a gesticolare con calma.
Aster tradusse le sue parole per permettere a Jack, che non conosceva perfettamente il linguaggio dei segni, di comprendere tutto il discorso: "Per diversi anni sono stato un vigilante dei vampiri europei. Mi occupavo di far fuori quelli che mettevano a rischio il segreto della nostra esistenza, quelli che decimavano interi villaggi per sete, e quelli che tentavano di creare un esercito per controllare un territorio. È stata la mia missione per tre secoli, fino al giorno della tua trasformazione."
Jack, disorientato dall'ultima frase, strabuzzò gli occhi. "Cos… Tre secoli? Ma dovresti avere almeno quattrocento anni, adesso."
Sandy annuì incoraggiante, soddisfatto che avesse ascoltato con attenzione, ma ignaro dell'impatto della notizia su Jack.
Sapeva che fosse anzianotto, ma non così tanto!
"Dopo qualche anno dalla partenza di Nord per gli Stati Uniti, voci che parlavano di un vampiro molto forte che stava creando guai in America mi hanno spinto a seguirlo lì" proseguì Aster facendo da interprete. "Ho fatto delle domande ad alcuni nostri simili statunitensi, che hanno confermato i pettegolezzi: qualcuno se ne andava in giro a cacciare di notte, allo scoperto, terrorizzando gli umani. Dicevano che vedere le persone scappare urlando gli piaceva. Lo chiamavano Pitch Black.
Non sono rimasto ad ascoltare altro e ho iniziato la ricerca. Pitch si spostava di città in città, senza mai fermarsi. Era come se sapesse che ero sulle sue tracce. Alla fine ho chiesto aiuto a Nord, che ho trovato a capo di un clan di tre persone, anche se sapevo che non ha mai apprezzato la vita da cacciatore."
"Hai perso tempo due settimane per convincermi!" rise Nord, reggendosi il pancione con le mani.
"Però è servito, e in soli tre giorni lo abbiamo trovato in un villaggio della Pennsylvania. Appena in tempo, perché stava per aggredire due ragazzini che pattinavano."
Jack rimase in attesa del seguito. Gli altri si irrigidirono leggermente, come se avessero già sentito quella storia e sapessero che stava per arrivare una parte brutta.
Sandy tentennò, muovendo le mani con incertezza. Forse non sapeva come andare avanti.
Nord fece un cenno a Toothiana, che scese dalla scrivania con un salto aggraziato.
"È meglio se ti mostriamo il resto."
"Non credevo che sapessi vedere i ricordi umani dei vampiri" disse Jack. Toothiana gli si avvicinò. "Mi sono esercitata parecchio, nell'ultimo decennio. Sarà difficile, ma sono ancora dentro di te, da qualche parte in quella tua zucca vuota" rispose con un misto di giocosità e nervosismo. "Sei pronto?"
La mano di Toothiana era tesa verso di lui, con il palmo in alto. Jack si pose la stessa domanda: lo era? A giudicare dalle facce cupe del gruppo, nessuno aveva voglia di rivivere l'accaduto, perciò doveva essere proprio orrendo.
Della sua vita precedente non era rimasto quasi nulla, però, e Jack moriva dalla voglia di sapere.
Appoggiò la sua mano su quella della cugina e chiuse gli occhi, sfidando l'ignoto.



Note
Una cosa di cui mi pento è sicuramente il modo in cui ho inserito il povero Sdentato. Sembra un pensiero dell'ultimo minuto, ma in realtà era programmato da tempo, solo che non sono stata in grado di integrarlo in maniera efficace ed è finito per ricoprire un ruolo insulso. Mea culpa.
Finalmente Jack riceverà delle risposte, ma non prima di tornare alla situazione delicata di Hiccup.



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Capitolo 13
*** XII. A mali estremi / Estremi rimedi ***




NB: questo capitolo contiene descrizioni di autolesionismo.
 


XII

A mali estremi / Estremi rimedi
 
 
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"Pronto?"
"Ehilà, Hic! Stoick è in casa?"
"Ciao, Skaracchio" Hiccup si buttò sul suo letto. Aveva appena salutato Jack, che se n'era andato a caccia con Aster. "No, papà è al lavoro… come ogni giorno. Ti serviva qualcosa?"
Era una domanda a dir poco strampalata da chiedere: Skaracchio era il migliore amico di Stoick, doveva sapere benissimo che a quell'ora era ancora in centrale.
"No, no. Piuttosto, non è che ti va di venire da me a darmi una mano? Il mio furgone avrebbe bisogno di una lavata, ma la mia schiena non è d'accordo" disse Skaracchio.
"Certo, a che ora?" rispose Hiccup. Skaracchio era un tipo bizzarro, senza il minimo tatto, ma in passato aveva prestato ascolto ai suoi sfoghi tante di quelle volte da diventare suo confidente. Certo, a volte gli sbatteva brutalmente in faccia la realtà senza farsi problemi, però era suo amico. Hiccup era lieto di poterlo aiutare in qualche modo.
"Anche adesso, se vuoi."
"Allora ci vediamo tra poco."
S'infilò il cellulare e le chiavi di casa in tasca, e grattò Sdentato dietro l'orecchio. "Esco per un po', bello, fa' il bravo."
Suo padre non aveva detto una parola, la prima volta che aveva visto il gatto, e aveva continuato allo stesso modo da allora. Hiccup era convinto che si fosse intestardito a far finta di niente, pur di mantenere il silenzio.
Uscì nel vialetto, dove Toothiana gli venne incontro, leggera come una libellula. Lo affiancò mentre si incamminava verso la sua destinazione.
"Dove vai?"
Hiccup la coprì con l'ombrello, anche se aveva quasi smesso di piovigginare. "Dal coach Skaracchio. Non serve che mi segui."
"Potrebbe esserci Eret, in giro" ribatté lei. "È molto rischioso."
"Almeno non sarebbe con Pitch a complottare contro la città, in tal caso."
Hiccup procedeva a passo spedito. Una volta, sentirselo dire lo avrebbe fatto andare nel panico, ma quel giorno, stranamente, non lo scosse.
"Devo andare a casa, ma fammi uno squillo quando devi tornare" disse Toothiana.
"Allenamenti?"
"Riunione di famiglia."
Hiccup sbuffò dal naso. "Vi siete decisi ad essere sinceri con Jack? Questa storia non lo fa dormire la notte."
Lei ignorò la sua battuta. "Non lo so, Nord è sempre stato fermamente contrario. Sono giorni che votiamo per deciderlo, ma per ora siamo in parità, e non credo che Nord o Aster cambieranno facilmente idea."
Si fermarono davanti a casa di Skaracchio.
"Tieni" disse Toothiana porgendogli un piccolo oggetto. "Jack mi ha chiesto di dartelo."
Hiccup lo prese e lo esaminò da vicino. "Un coltellino svizzero? Crede che possa servirmi a difendermi, o piuttosto per affettare bistecche?"
"È un gesto carino, no?"
A guardarlo bene, aveva l'aspetto vissuto ma ben tenuto tipico dei vecchi oggetti a cui si tiene molto. Probabilmente era di Jack da tanto, tanto tempo.
"Io vado" salutò Toothiana. "Non allontanarti da solo, mi raccomando."
"Agli ordini."
Prima che Hiccup potesse bussare alla porta di Skaracchio, mentre nascondeva il regalo in tasca, sentì la voce di Astrid alle sue spalle: "Anche tu qui?"
"Operazione di lavaggio" annuì lui. "E tu?"
Astrid sollevò secchio e spugne. "Mi sa che il coach ha chiamato i rinforzi. Dai, andiamo."
Suonato il campanello, la pelata del professore sbucò da dietro la porta.
"Grazie per l'aiuto, ragazzi!" disse facendoli entrare. "Ecco, il furgone è in giardino. Su, su!"
Ficcò loro in mano degli stracci e dei flaconi di prodotto per auto, e li spinse verso il cortile dietro l'abitazione. Hiccup ebbe appena il tempo di soffermarsi a osservare quel caos di casa, che si trovò sul fazzoletto d'erba sul retro.
Lo accolse il lancio di una spugna zuppa, che gli colpì una spalla e cadde sul prato umido.
"Moccicoso!" protestò Astrid, ma venne investita dal getto di una canna da giardino. I gemelli Thorston scoppiarono in risate malvagie, e si nascosero dietro al mezzo per fuggire all'ira della ragazza.
"Ragazzi, non sprechiamo l'acqua!" li rimproverò Gambedipesce senza smettere di strofinare. "Ciao, Hiccup. Skaracchio ha incastrato anche te?"
"Già."
Hiccup raccolse la spugna e andò a riempire un secchio d'acqua. Evidentemente, secondo Jorgenson gli oggetti bagnati erano esclusi dalla loro tregua. Comunque aveva mirato al petto, e non alla testa, il che era segno di voler rispettare il patto, almeno in parte.
"Perché loro sono venuti?" chiese a Gambedipesce, accennando ai gemelli e Moccicoso, che di norma non aiutavano nessuno senza ricompensa.
Ingerman strizzò il suo straccio e si asciugò il sudore dalla fronte. "Il prof li ha corrotti con la promessa di alzare i loro voti."
Il suo tono di disapprovazione fece sorridere Hiccup. "Qual è il tuo tornaconto, per curiosità?"
"Lo stesso, ma non dirlo a nessuno, ti prego!" Gambedipesce gonfiò le guance. "Faccio schifo a ginnastica."
Ecco, prenderlo in giro sarebbe stato da ipocriti. Hiccup gli batté un colpetto solidale sulla schiena. "Ti capisco, amico."
Un paio d'ore passò in fretta, e alla fine lavare il furgone diventò più una scusa per chiacchierare, spruzzarsi con il tubo e lanciarsi stracci e spugne grondanti d'acqua insaponata. A un certo punto chiusero Moccicoso nel veicolo, sostenendo che servisse qualcuno per pulirlo all'interno. Si rincorsero tra le sedie da giardino e si raccontarono le estati migliori.
Risero un sacco, facendo un gran bene a Hiccup, che, per quanto si sforzasse di non pensare alla faccia delusa di suo padre e alle cene silenziose, sentiva ancora una stretta alla bocca dello stomaco.
Alle sei passate, Skaracchio passò a controllare a che punto fossero con il lavaggio, e si sbellicò nel vederli fradici, coperti di schiuma ed esausti.
"Hic, vieni dentro un attimo, mi serve qualcuno per preparare uno spuntino per queste mezze calzette" lo chiamò.
"Cibo!" esultarono i gemelli, buttandosi a terra per riposare. Gli altri tre si strinsero nelle spalle e li imitarono.
La cucina di Skaracchio era perfino più piccola della loro, scoprì Hiccup. C'era spazio a malapena per un frigo fuori moda, una piccola cucina componibile e un tavolo traballante corredato di singola sedia. Anche in quella stanza, il disordine regnava: pentole seminate in giro, barattoli, libri di gastronomia e utensili vari coloravano l'ambiente.
Sul ripiano, in mezzo alla confusione di oggetti, spiccavano una grossa ciotola di nachos e una scodellina di salsa.
"Perché mi hai fatto entrare?" domandò Hiccup. "È già tutto pronto."
Skaracchio aprì il frigorifero, con calma, prese due bottiglie di coca-cola e le mise sul tavolo. Poi aprì uno dei pensili in alto, tirò fuori dei bicchieri di carta e li sistemò accanto alla merenda.
Hiccup aspettò una risposta, ma vedendo che tardava ad arrivare, cominciò a ragionare autonomamente.
"Non ti serviva chiamarci tutti e sei" rifletté ad alta voce. "L'hai fatto per riunirci insieme, ma perché?"
"Ho sentito che ci sono problemi, a casa" disse Skaracchio in tono leggero. Che sintesi illuminante.
"Te l'ha detto mio padre, o ci sei arrivato da solo?" rispose Hiccup, seccato all'idea di Stoick che andava in giro a parlare male di lui agli amici.
"Tutt'e due" confermò Skaracchio. "Ma il tuo vecchio non è stato molto esaustivo. Devo dire che mi ha incuriosito, non l'avevo mai visto tanto abbacchiato, prima di ieri sera. Pareva che gli fosse caduta la barba."
Hiccup si sedette sulla sedia zoppicante di traverso. Di tutte le persone, era certo che il vecchio coach sarebbe stato l'ultimo a giudicarlo.
"È solo disperato perché non vuole accettare che il suo unico figlio probabilmente non è etero" mormorò velocemente, per non farsi sentire dagli altri ragazzi fuori.
Skaracchio, che intanto si era aperto una birra, sorrise sotto i baffi. "Tutto qui? Allora sta facendo il melodrammatico come al solito, lascialo perdere."
Tutto qui. Hiccup sentì un lieve calore nel petto, e non perché era accaldato per la fatica. Dopo tutte le ore passate a rimuginare sulle parole che lo avevano ferito — quel 'tu non sei mio figlio' avrebbe tormentato le sue notti fino alla fine dei suoi giorni — essere accettato da qualcuno senza obiezioni era un sollievo enorme.
"Non ho idea di come fargli entrare in testa che non è colpa sua, o di nessuno. Si rifiuta di parlarmi."
"Mmh" Skaracchio si grattò il mento. "Per caso, ed è solo per dire, gli hai rinfacciato un brutto ricordo, di recente? Giusto per sapere."
Hiccup tese l'angolo della bocca in una smorfia. "Dici che potrei averlo offeso perché mi sono paragonato alla mamma?"
L'altro assunse un'espressione ancora più vaga. "Forse."
"Ma è una cosa così infantile per cui prendersela! È assurdo!" esclamò Hiccup.
"Sai che Stoick non è mai stato un tipo, ehm, estremamente ragionevole."
"Che cosa dovrei dirgli, 'scusa, papà, la remota possibilità che sia gay o altro ti fa rabbrividire, ma è il mio comportamento la parte grave'?" sbottò Hiccup, reprimendo la voglia di gridare.
"Potresti provare. Comunque, parlando di Valka," Skaracchio cambiò discorso, "da quand'è che non la senti?"
Hiccup non aveva nessuna voglia di sentirsi in colpa, in quel preciso momento, proprio no.
"...Da quest'estate. Papà la tiene aggiornata per telefono, però non penso che l'abbia informata del nostro litigio. Non ammetterebbe di essere il genitore peggiore dei due neanche sotto tortura."
"Non è stata lei a scaricarti qui?" replicò Skaracchio innocentemente.
A Hiccup andò di traverso la saliva. "Grazie mille per avermelo ricordato" tossì.
Skaracchio scolò l'ultimo sorso di birra. "E così hai il ragazzo."
"È una delle tue intuizioni geniali?" disse lui, seguendo una crepa sottile del ripiano della cucina con la punta del dito, imbarazzato. "Oppure ti ha raccontato anche questo?
"Ti pare che io creda che Stoick possa esserci arrivato senza una prova ovvia?"
"...Giusto" le guance di Hiccup diventarono fucsia. "È Jack Frost."
Skaracchio annuì, prima di avere un'illuminazione. "Ah, già, in teoria sono un vostro insegnante, non dovrei farti un discorso sull'importanza dell'astinenza, o una roba del genere?"
"Non ci provare!" strepitò lui. Il rossore si era diffuso al resto della sua faccia. "Ci ha già pensato mia madre quando avevo nove anni."
"Scherzavo, scherzavo. Dai, portiamo da mangiare a quegli scansafatiche."
Skaracchio gli passò i nachos, e insieme si diressero alla porta sul retro, carichi di roba.
"Grazie" disse Hiccup mentre il coach lottava con la maniglia tra le mani piene, più simile a un pessimo giocoliere che a un professore. "Per aver messo su questo teatrino per distrarmi, e per quello che hai detto. È bello sentirsi compreso, una volta tanto."
Skaracchio si arrese e bussò la superficie di vetro per richiamare gli altri in aiuto. "Ah, be', ci sarà un motivo se non mi sono mai sposato. Toh, Hofferson, prendi qua, ecco."
"Come, scusa?" fece Hiccup, ma l'altro era già uscito in giardino a spostare un tavolino su cui mettere lo snack, annunciando a gran voce la riuscita dell'impresa.
A Hiccup non restò che seguirlo fuori, scuotendo la testa incredulo.
Svuotarono presto la ciotola, affamati per aver fatto movimento, e Skaracchio dovette tornare in cucina a cercare altro da mangiare, oltre a degli asciugamani e un phon. Si promisero di rifarlo, prima o poi, a patto di farsi alzare i voti di ginnastica. Il coach accolse la proposta con una risata gracchiante.
Infine, si spostarono nel cortile di fronte alla casa, dove era parcheggiato il solito SUV grigio dei genitori di Astrid.
"Siamo tutti a cena da me, stasera" disse lei a Hiccup, mentre il resto del gruppo saliva a bordo. "Ti unisci a noi?"
A dire il vero, lui aveva in programma un complicato e rischioso tentativo di riappacificazione con suo padre. La scusa della cena sarebbe stata l'occasione ideale per trovarsi nella stessa stanza e parlare civilmente.
"Mi dispiace, magari la prossima volta."
Hiccup la guardò salire sul mezzo insieme a quella banda di scalmanati, rimanendo sul marciapiede. Adesso che era solo, doveva fare i conti con la sua prossima mossa.
Avrebbe dovuto chiamare Toothiana, come da suggerimento, ma non gli piaceva l'idea di interrompere la riunione dei Frost, soprattutto se stavano ancora parlando con Jack di cose importanti. Non avrebbe avuto bisogno della balia per fare un mezz'ora di cammino in zona residenziale, giusto?
Insomma, che cosa mai sarebbe potuto succedere?
Hiccup ripose il cellulare in tasca e affrontò le viette in cui si susseguivano abitazioni a schiera, sfidando la sorte a mandargli una catastrofe delle sue. Procedeva a velocità sostenuta, desiderando di essere già a casa sotto il piumone caldo. La temperatura si stava abbassando con l'avvicinarsi del tramonto.
Arrivò a un isolato da casa sua che stava tremando dal freddo. Forse non era stata una grande idea, avrebbe dovuto mettere da parte l'orgoglio e chiedere almeno un passaggio ad Astrid.
Stava pensando ai suoi rimorsi, strofinandosi inutilmente le mani per scaldarle, quando incrociò una grossa jeep, ferma sul bordo della strada. La superò incuriosito, chiedendosi se fosse di qualcuno del quartiere appassionato di escursioni, ma venne fermato dalla portiera, che si aprì nell'istante in cui le passò vicino.
Non ebbe il tempo di irritarsi con l'incauto che gli aveva tagliato la strada, perché dalla jeep scese una persona alta e imponente.
Eret.
Ebbene, Hiccup aveva interpellato la propria fortuna, e questa aveva risposto. Voleva giocare con il destino? Detto fatto.
Il vampiro si ergeva a una decina di centimetri sopra di lui, guardandolo con quegli occhi rossi che gli fecero impressione come la prima volta. Aveva un'espressione risoluta che, nonostante sembrasse una fragile facciata, trasmetteva le sue intenzioni chiaramente.
"Sei venuto a prendermi?" chiese conferma Hiccup, cercando di non farsi prendere dal panico.
Eret annuì serio.
Lui vagliò rapidamente le sue opzioni. Nella foresta si era fatto trascinare dall'istinto e aveva tentato la fuga, finendo per farsi male; correre era fuori discussione. Inoltre, era ora di cena, perciò la zona era deserta, e probabilmente il vampiro non gli avrebbe dato la possibilità di gridare aiuto.
Se aveva capito il piano di Pitch Black, avrebbe fatto da esca per portare Jack direttamente da loro, senza dover fare lo sforzo di superare la sua famiglia. Non lo avrebbero ucciso, per il momento.
Hiccup avrebbe dovuto rimandare l'offerta di pace per suo padre. Un altro problema gli si era appena presentato davanti.
Se doveva farsi catturare, pensò, allora sarebbe andato da Pitch a farlo ragionare. Dritto alla fonte. Magari sarebbe pure riuscito a coinvolgere Eret.
Era di gran lunga l'idea peggiore che avesse mai avuto, ma il neonato aveva quell'espressione combattuta, l'altro giorno dai Frost, e lui aveva un debole per i casi disperati.

*


Jack era vagamente consapevole di essere in piedi nell'ufficio di Nord, con gli occhi di tutti puntati addosso, per quanto quello che stava vedendo potesse fargli credere il contrario.
"Ci vorrà molto?" sentì Aster chiedere, come se fosse stato lontano chilometri.
"Dovrò estrarre tutti i suoi ricordi umani, per trovare quelli che ci interessano" rispose Toothiana.
Una sequenza disorientante di suoni, odori e immagini spinse Jack a isolare quello che stava accadendo nello studio in un angolo della sua mente, dando spazio alla visione. I ricordi diventarono più definiti e concreti.

Aveva quattro anni, e qualcuno lo stava cullando tra le braccia cantando parole di conforto, seguendo una melodia tramandata in famiglia che parlava di fiocchi di neve. Il volto delicato di sua madre, illuminato dalla candela, gli sorrideva.
Jack concluse la ninnananna insieme a lei e chiuse gli occhi. Il gelo e il freddo non potevano entrare nella loro casa.

Era finito in un vicolo cieco, senza fiato e con le gambe doloranti. La manciata di marmocchi trasandati lo aveva messo alle strette, ed erano armati di sassi. Il loro capo, quello più grande e con il masso più grosso, indicò Jack, scoprendo il buco tra i denti davanti mentre sorrideva malignamente. "A Jackie serve una lezione, così impara a prendere in giro quelli più forti di lui!"
Coprirsi con le braccia era inutile, quei ragazzini sapevano mirare a stomaco e ginocchia e lui era solo.
Jack strinse i denti e sopportò. Sarebbe tornato a casa coperto di lividi, di nuovo, e sua madre lo avrebbe rimproverato di cacciarsi nei guai. Di nuovo.
"Fenomeno da circo!" lo sbeffeggiò il piccolo delinquente. "Vedi se riesci a evitare questo!"
Si preparò a lanciare il sasso, come un lanciatore del peso che una volta Jack aveva visto in foto sul giornale, e prese la mira. Troppo lento.
Jack sgusciò dalla presa degli altri ragazzini, tirando gomitate e pugni per liberarsi, finché fu libero di correre via, lontano dai bulli.
Tutto per una battuta detta da colui che doveva sentirsi biasimare per il proprio aspetto ogni giorno.

"Ahi!"
"Porta pazienza, ho quasi finito."
Sua madre finì di disinfettare un piccolo taglio procuratogli dalle sassate e gli accarezzò una guancia. "Ecco."
Jack si ribellò alle sue coccole. Non gli piaceva doversi far medicare da sua madre ogni volta che gli altri bambini avevano voglia di prenderlo a botte. "Non è giusto, loro sono sempre tanti e io da solo" si lamentò.
"Lo so, tesoro, ma devi stare attento a non provocarli" disse lei.
Jack si morse la lingua. Pensò che, una volta di quelle, non sarebbe tornato a casa con solo lividi e graffi. Un giorno avrebbe subìto una ferita che il disinfettante non sarebbe bastato a curare.
Sua madre notò la sua preoccupazione, quindi si alzò e andò a prendere una scatola di legno da sopra l'armadio. Tornò a sedersi e la posò sulle sue ginocchia. Jack la guardò curioso mentre veniva aperta.
"Se mai dovessi trovarti in pericolo, usa questo."
Tra i vari bottoni, fotografie piegate e punte di pennini, gli consegnò un coltellino. Era uno di quelli multiuso, con cacciavite, punteruolo e apribottiglie, oltre alla lama.
"Che bello!" esclamò Jack. "Grazie, mamma."
Lei sorrise. "Portalo sempre con te, ma non usarlo se non è assolutamente necessario."
"Va bene."
La sua sorellina, che doveva aver sentito la voce di Jack, corse nella stanza agitando le braccia. "Jack!"
Gli abbracciò le gambe, e lui le arruffò i capelli. "Andiamo a giocare?"
Dopo la sua risposta entusiasta, la seguì fuori, infilando il coltellino in tasca.

Giunto il suo diciassettesimo compleanno, aveva ormai imparato a non farsi mettere i piedi in testa dai suoi coetanei, e per non restare il loro bersaglio preferito si atteggiava da buffone. Se riusciva a farli divertire, non gli avrebbero dato fastidio: a tutti piace ridere.
In questo modo era diventato l'idolo dei bambini della zona, che appena lo vedevano per strada gli correvano incontro pretendendo di giocare. Jack li intratteneva con giochi e barzellette, e loro si sbellicavano.
A sua sorella non andava giù il suo comportamento superficiale, ripeteva spesso che lo avrebbe fatto diventare un fannullone. Al contrario degli altri bambini, lei non si faceva abbindolare da battute o trucchi, invece intuiva il vero motivo delle sue bricconerie.
Quelle volte in cui era di cattivo umore, Jack la portava al laghetto vicino casa, dove nelle stagioni calde nuotavano, e d'inverno pattinavano per ore, solo loro due. Era il loro posto speciale.
Tornavano per cena che avevano le calze fradice, le mani gelate e le guance rosse e screpolate, ma erano pronti a ripetere tutto il giorno dopo, fino a primavera. Si scaldavano mandando giù minestra a cucchiaiate, poi correvano sotto le coperte, stretti vicini nello stesso letto, e solo allora lei raccontava cosa l'affliggeva. Jack la ascoltava, e quando sua sorella finalmente si addormentava, le cantava la ninnananna in un sussurro.

Il giorno della sua morte si svolse come uno qualsiasi, senza nulla di eccezionale fino a questa. Non c'erano stati presagi funesti, nessun segno che stava per succedere una tragedia, niente di tutto questo.
Era l'inverno più duro che si fosse abbattuto su Burgess negli ultimi cent'anni, e Jack faceva del suo meglio per aiutare sua madre con l'affitto, facendo turni extra in fabbrica. Lei sosteneva che si trattasse solo di un brutto periodo, che sarebbe passato presto, ma dall'Europa continuavano ad arrivare notizie sempre peggiori; se la guerra avesse coinvolto anche gli Stati Uniti, la loro situazione non sarebbe di certo migliorata. Che quel momento arrivasse tra uno, tre o cinque anni, Jack era prossimo all'età per arruolarsi, tuttavia non avrebbe mai scelto il servizio militare alla sua famiglia, nemmeno se fosse stato costretto.
Il lavoro gli impediva di passare tempo a giocare con i bambini come un tempo, cosa che a Jack mancava molto.
Perciò, una placida domenica mattina di dicembre, trascinò sua sorella giù dal letto e la incitò ad allacciarsi i pattini. Diedero un bacio a loro madre e uscirono nella neve che arrivava agli stinchi, dandosi spinte giocose.
Pattinarono finché il sole non fu alto sopra le loro teste e i loro corpi irrigiditi dal freddo. Si stavano preparando a tornare a casa, quando un fruscio tra i cespugli li fece voltare.
Come in un incubo, l'uomo che emerse dalle ombre sembrava un cadavere: aveva la pelle smunta, le labbra ritratte e gli occhi chiari e lattiginosi circondati da occhiaie. Tuttavia, fu quello che successe quando camminò sotto la luce a far venire le vertigini a Jack.
Prese fuoco. Non letteralmente, se lui dava ascolto al buonsenso, ma il sole si rifletteva sull'uomo mandando bagliori lucenti, come se un milione di piccole fiamme si fosse acceso sulla sua pelle.
Jack non aveva mai creduto alle storie dell'orrore in cui creature del genere sterminavano incauti vagabondi, prima di allora. Lo sconosciuto non aveva gli occhi rossi, ma corrispondeva alle descrizioni, e anche se non avesse avuto l'aspetto di un mostro, il modo in cui li fissava faceva venire la pelle d'oca.
"Jack" bisbigliò la sua sorellina mentre gli stringeva il giaccone rattoppato con mani tremanti. "Ho paura."
"Corri, corri a casa" le sussurrò Jack in una risposta concitata, sforzandosi di non far trasparire il suo, di terrore.
Nell'attimo in cui sua sorella si girò per scappare, lo sguardo dell'uomo si spostò su di lei, e Jack seppe di dover fare qualcosa, o sarebbe stata la fine.
Le storie parlavano di sete di sangue incontrollabile.
Lui aveva un coltello in tasca.
Fu un gesto rapido, dettato dall'istinto più puro. Jack fece scivolare la lama sul polso, il punto più accessibile a sua disposizione, incidendo la pelle come burro. La sola vista del sangue che gocciolava dal taglio, cadendo sul ghiaccio come la prima pioggia di un acquazzone, bastò a fargli venire la nausea.
Era passato un istante, durante cui sua sorella aveva fatto un paio di passi e Jack si era ferito, ma gli occhi gialli dell'uomo tornarono su di lui, veloci nello stesso modo nel quale avevano seguito la ragazzina.
Jack accolse con trionfo l'incedere dello sconosciuto sul ghiaccio, innaturalmente rapido. Ce l'aveva fatta, l'aveva attirato su di sé.
Sorrise al volto pallido della morte, rassicurato dal suono dei passi di sua sorella che si facevano distanti. Fu spinto a terra con impeto, le spalle strette in una morsa, dall'uomo che snudò i denti e si avventò sulla sua gola.
Jack non si mosse, non sarebbe servito a niente, ma la sensazione della pelle che si lacerava lo fece sussultare e gemere, inizialmente. Dopodiché fu pervaso da un formicolio che diventò intorpidimento, lasciandolo spaesato. Non sentiva nemmeno più freddo, ed era sdraiato sul ghiaccio.
Il dolore non diminuì, ma rimase un sottofondo fastidioso. Jack guardò dritto davanti a sé, verso il cielo, con la vista annebbiata. Tra poco avrebbe perso coscienza.
I suoi pensieri persero di coerenza poco dopo, e Jack abbassò le palpebre. Era così stanco…
"Eccolo, è lui!"
"Presto!"
Erano venuto a salvarlo? ...Mmmh, forse era già morto, invece, ed era finito all'altro mondo. In ogni caso, il peso che lo schiacciava a terra sparì, insieme ai denti che gli stavano trafiggendo il collo.
"È morto?"
Da lontano, udiva rumori di lotta attutiti dalla neve.
"Non dire così! E comunque è vivo, a malapena. Guarda quanto sangue ha perso, probabilmente il veleno non gli fa nemmeno sentire il dolore che dovrebbe."
"Poveraccio, non bastava nascere anormale, gli è pure toccato questo."
"Si chiama 'albinismo'. Adesso fa' silenzio, cerco di chiudere la ferita."
"Non respirare."
"Lo so."
Il torpore abbandonò il corpo di Jack, lasciando spazio al dolore. Intenso, vertiginoso dolore. Stava meglio prima.
"Ssst, va tutto bene" disse la voce vicino al suo orecchio, ma aveva una nota di nervosismo.
I suoni di colluttazione, intanto, erano più forti.
"Che c'è?"
"Servirebbe una trasfusione, è messo peggio di quanto pensassi…"
"Lascialo morire, allora. Anzi, fallo tu, gli risparmieresti la sofferenza."
"Io… Non… Nord! Torna da Sandy, ha bisogno di te!"
"Pitch è scappato. Sandy sta seguendo lui."
"Vado anch'io."
"No, Aster, resta qui. Ora pensiamo a umano."
"È spacciato. Toothiana dice che ha perso troppo sangue."
"Sarebbe condannato comunque. Pitch vuole vendicarsi, questo umano è sua prima vittima sopravvissuta, tornerà per lui."
"Oh, no, adesso cosa facciamo?"
Silenzio per un qualche secondo. "Merita possibilità di vivere."
"Vuoi trasformarlo?!"
"Non basterà, Nord, Black sarebbe comunque più forte di lui."
"Non se proteggiamo lui. Sandy è bravo cacciatore, riuscirà a uccidere Pitch, prima o poi, ma serve essere ad armi pari. Dopo potrà fare quello che vuole."
"Potrebbe funzionare. Tu sai come fare?"
"Io? No, no, ho studiato medicina, ma non voglio rischiare di fare peggio. Nord, per favore, fallo tu."
"Prima portiamolo in posto nascosto."
"Riposa" tornò a sussurrare la voce dolce all'orecchio di Jack. "Sarà la tua ultima occasione."

Era scoppiato un incendio. Come altro poteva spiegarlo, se tutto intorno a lui bruciava?
Quel dolore che era iniziato come la fitta provocata dall'urto del tallone su un sasso, ed era poi tramutato nella sensazione di ricevere un pugno nello stomaco, era diventato il premere di mille pugnali roventi sulla pelle nuda.
La cosa peggiore era che Jack non era nemmeno in grado di urlare. Non riusciva a fare altro che restare immobile, aspettando che il dolore finisse, o che lo uccidesse. Non poteva essere già morto, impossibile che l'inferno fosse così terribile.
Tu-tum, batteva piano il suo cuore, indebolito dallo sforzo titanico di tenerlo in vita. Jack gli implorò di fermarsi, stremato.
Tu-tum, fece quello, stavolta più fiacco.
Tu-tum.
Tu-tum.
…Tu-tum.

Jack tornò alla realtà e trasalì. Si era dimenticato di essere nella stessa stanza con gli altri. Durante la visione dovevano essere passati pochi secondi.
Batté le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco l'ambiente circostante. La sua famiglia era immobile, tesa per la tensione, aspettando una qualunque reazione di Jack.
Lui stesso dovette focalizzare la mente e ripercorrere ciò che aveva appena visto, soffermandosi sui volti a cui finalmente poteva associare un'identità precisa. Sorrise, spiazzando tutti.
"Va tutto bene, Jack" Toothiana corse in suo aiuto, per timore, forse, che la sua espressione fosse dovuta allo shock. "Sei qui con noi, questo è reale."
Jack la guardò estatico. Sentì il suo sorriso allargarsi. "Sì, io… Toothiana, i-io avevo una sorella!"
"Sì" disse lei, cauta.
"Avevo una sorella!" Jack aveva voglia di fare le capriole. "Le ho salvato la vita!"
Aveva una sorella, e una madre, e una vita, e un passato, e non era semplicemente una creatura mostruosa senza origini, nata per uccidere. All'improvviso, tutto aveva senso.
Aster schioccò la lingua, ma sotto sotto si vedeva quanto fosse sollevato. "E noi che avevamo paura di sconvolgerti."
"Voi lo sapevate" esclamò Jack, guardandoli uno a uno. "Perché non me lo avete detto?"
"Non volevamo mettere pressione su di te" rispose Nord, anche lui evidentemente rincuorato. Assestò una pacca sulla schiena di Aster per scaricare la tensione. "È andata bene, visto?"
Lui mugugnò qualcosa di incomprensibile.
"Quindi è per questo motivo che ci spostiamo regolarmente? Per proteggere me?" continuò Jack, ancora inebetito. "Aspetta, ma tu non avevi detto di non saperne molto?"
Toothiana sorrise come per scusarsi. "Be', è vero. Da quel giorno non ho più visto Pitch, e Nord e Sandy sono sempre stati così criptici. Io e Aster abbiamo saputo tutta la storia solo di recente."
Jack scosse la testa per recuperare lucidità. "Dobbiamo fermare Pitch il prima possibile, allora, così questa storia finirà."
"Ecco l'altra cosa che temevamo" ribatté Aster. "Non farti venire in mente strane idee, andare subito a cercare Black ci metterebbe nei casini. Prima dobbiamo scoprire dove si nasconde, poi penseremo al momento giusto per attaccare."
"Allora diamoci una mossa. C'è di mezzo anche Hiccup, oltre a tutta Forks."
"A proposito, non mi ha più chiamata, forse è rimasto a cena dal professor Skaracchio?" ipotizzò Toothiana dopo aver rapidamente controllato il cellulare.
Jack era già sfrecciato a mettersi il primo paio di scarpe a portata di mano. Non vedeva l'ora di raccontare tutto a Hiccup, che era sempre interessato a sentire storie sui vampiri e avrebbe apprezzato le nuove informazioni.
"Lo accompagno io a casa" annunciò.
"Basta che torni per le otto, o troverò qualcuno a rimpiazzarti in caffetteria" lo ammonì Aster impaziente.
"Certo, certo, ci metterò un attimo."
Jack non prese nemmeno la macchina, ma preferì correre liberamente nella boscaglia, dove poteva sfogare la sua felicità con salti e risate. Avrebbe spiegato a Hiccup quello che aveva visto mentre lo scortava a casa, e gli avrebbe dato il bacio della buonanotte. Chissà, magari avrebbe potuto proporgli la trasformazione, una volta per tutte, visto che fino a quel momento era stato troppo codardo per farlo.
Seguendo le indicazioni che Toothiana gli aveva dato prima di uscire, individuò facilmente l'abitazione dell'insegnante di ginnastica e si precipitò a suonare il campanello.
"Chi è?" domandò la voce del coach dall'interno.
"Sono Jack Frost, professore" si presentò lui. "Sono venuto a prendere Hiccup!"
Non aveva pensato a quanto dovesse suonare strana la sua risposta, presa senza alcun contesto, perciò non si stupì del modo in cui Skaracchio lo squadrò da capo a piedi, aperta la porta. Eppure, l'uomo nascondeva malamente un'espressione bizzarra sotto ai baffi biondi, come se avesse saputo qualcosa di cui lui non era a conoscenza.
"Per le mutande di mia nonna, Frost, mi hai fatto prendere un colpo! Hic non c'è, comunque, è andato via da un pezzo."
Aveva preso Jack in contropiede, cosa difficile per un vampiro. "Da quanto?"
"Boh, mezz'ora? Si è allontanato a piedi, mi sembra" ricordò Skaracchio appoggiandosi allo stipite.
Andato? Da solo?!
Jack salutò sbrigativamente il coach, fece dietrofront e raggiunse casa Haddock attraversando di corsa tutte le strade vuote che vedeva. Non capiva perché Hiccup non avesse semplicemente chiamato uno di loro; voleva dimostrare qualcosa? Sembrava un comportamento da lui, effettivamente.
S'intrufolò nel loro giardino e si arrampicò sull'albero vicino alla finestra da cui entrava di solito, ma niente, sbirciando in camera di Hiccup non c'era nessuno. Come se non bastasse, tutte le luci erano spente.
Jack fu colto da un orribile presentimento. Il giorno in cui lo aveva trovato con Eret, ferito e a terra, aveva pensato che la sfortuna di quel ragazzo fosse illimitata, proprio come adesso.
Se solo gli avesse detto della trasformazione. Non sarebbe stato totalmente inerme.
Okay, niente panico. Niente panico…
Nel caso peggiore, era stato preso in ostaggio per attirare Jack, quindi teoricamente non gli avrebbero fatto del male.
Nel caso migliore, invece, era ancora in giro da qualche parte, e il suo odore avrebbe guidato Jack. Perfetto, bastava trovare una traccia.
Avrebbe rivoltato l'intera città, pur di trovarlo, pensò mentre annusava l'aria a un incrocio vicino al vecchio parco giochi, mattone per mattone.
Basta che sia vivo. Non conta nient'altro.



Note
Il tanto atteso passato di Jack è stato svelato. Ho cercato di renderlo simile a quello canonico, con l'aggiunta di Pitch. In un'idea iniziale, qualcuno tra Jack o sua sorella doveva essere la Cantante di Pitch, ma alla fine ho scartato questo scenario perché non era più adatto.
Inoltre, in questa storia in particolare ho pensato che Hiccup possa essere bisessuale, infatti quando parla con Skaracchio specifica 'gay o altro', ma in generale il mio headcanon è che sia pansessuale.
Spero che mettere i trigger warning all'inizio serva a qualcuno, l'ho visto fare spesso nei tag su AO3 e mi piaceva.



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Capitolo 14
*** XIII. Eret / Astrid ***




XIII

Eret / Astrid
 
 
Era venuto lì solo per controllare la situazione. Non per tendere un agguato, non per rapire stupidi ragazzi umani, ma per verificare che il clan dei vegetariani non stesse combinando qualcosa di sospetto. Tuttavia, Eret non avrebbe mai creduto, accidenti a lui, di ritrovarsi l'umano che veniva dritto verso la sua jeep. Quel tizio era stato una fonte inesauribile di problemi fin dall'inizio.
Hiccup era terreo in viso, mentre gli chiedeva se fosse venuto lì per portarlo via, ma allora perché aveva quella faccia? Era la stessa espressione di compatimento con cui lo aveva guardato a casa dei Frost, l'altro giorno, fatta di compassione e tristezza.
Eret la odiava.
Che ne sapeva lui di quello che stava passando da mesi, della sete, la confusione, la paura di sbagliare, la paura di farsi fare a pezzi dall'unica persona che lo capiva? Eret era un assassino, un essere disumano, uno scherzo della natura, o forse del soprannaturale. Perché, davvero, di cos'altro poteva trattarsi?
E allora perché?, voleva gridargli contro, qual era il cazzo di motivo che spingeva Hiccup ad avere la faccia triste di chi osserva qualcuno per cui provare solamente pietà?
Si riscosse; gli aveva fatto una domanda e lui non aveva ancora risposto. Annuì. Che altro poteva fare? Dire 'mi dispiace, ma devo rapirti'?
Vide Hiccup stringere le labbra per un momento, perso in chissà quale ragionamento, senza sapere perché non gli aveva già dato un pugno per caricarselo sulle spalle e andare via.
Scappa, pensò Eret. Urla, chiedi aiuto, fa' qualcosa che mi costringa a lasciarti in pace. Qualsiasi cosa.
Hiccup aveva tutta l'aria di aver appena preso una decisione difficile.
Ti prego.
"D'accordo, portami da Black."
Eret aveva gli occhi praticamente fuori dalle orbite. Ma che problemi aveva? Due settimane prima lo avrebbe ammazzato, se non fosse stato per Jack Frost, gli aveva quasi spaccato il cranio in due contro un albero… E quello chiedeva, anzi, pretendeva di essere condotto da Pitch?
Non sembrava nemmeno spaventato, ma sosteneva il suo sguardo esterrefatto senza tentennare.
Era fuori di testa. Totalmente.
"Sali" sbottò Eret. Voleva vedere Pitch? Peggio per lui.
Hiccup lanciò un'occhiata alla jeep, incerto. "Dove…?"
"Dove ti pare."
Eret si mise al volante, ma fu comunque costretto a scendere per aiutare Hiccup ad allacciarsi la complicata cintura di sicurezza. Aveva scelto il sedile opposto al suo.
Entrato in carreggiata, Eret continuò a controllare il ragazzo dallo specchietto retrovisore, chiedendosi per la milionesima volta come fosse finito in quel casino.
Forks era un posto schifoso, sempre umido di pioggia, ma aveva permesso a lui e Pitch di girare per la foresta senza preoccuparsi di essere visti per sbaglio dagli escursionisti. Black aveva insistito perché prendessero confidenza con la geografia del luogo, prima di andare dai vegetariani. Almeno, questo prima che Eret si fosse fatto beccare da Jack Frost.
Ecco, quello sì che era un tipo insopportabile, il peggiore di quel clan di spostati che non sapevano fare altro che guardarlo con odio e insultarlo.
Hiccup è diverso, disse una voce fastidiosissima nella sua testa. Lui non ti ha mai fissato come se morisse dalla voglia di farti a pezzi, nonostante tutto.
Eret ringhiò a volume impercettibile, confondendosi col ruggire del motore. Spostò nuovamente lo sguardo sullo specchietto. Il ragazzo stava guardando fuori dal finestrino, giocherellando agitato con l'imbracatura.
Prima di allora, non aveva preso in considerazione la possibilità che tutta quella recita fosse una trappola, eppure in cuor suo sapeva che non lo era. Gli umani sudavano e il loro battito aumentava, quando mentivano, ma Hiccup non aveva mostrato sintomi particolari.
Per togliersi il dubbio avrebbe potuto verificare di non sentirgli addosso il sentore metallico di una cimice, però. Si ripromise di farlo più tardi.
Passarono le due ore del tragitto in silenzio, sfrecciando per autostrade e vie poco trafficate ad alta velocità. Infine, Eret imboccò la strada accidentata che saliva lungo la Catena delle Cascate, affrontando il percorso accidentato con le grosse ruote della jeep.
"È qui?" chiese Hiccup.
"Sì."
Eret doveva sbrigarsi, realizzò, perché a Forks probabilmente si dovevano essere accorti della sua assenza, che fossero i Frost o il suo padre gigantesco.
Fermò l'auto in uno spiazzo usato dagli escursionisti come parcheggio, e smontò dal veicolo. La luna illuminava fiocamente le montagne innevate. "Scendi."
Aspettò che Hiccup si liberasse dalle cinture e lo trascinò giù dalla jeep, tenendolo stretto per un braccio. In realtà afferrarlo non serviva a granché, ma dava a Eret la sensazione di avere tutto sotto controllo, perciò condusse il ragazzo verso il sentiero impervio che si arrampicava sul pendio.
"Ci metteremo una vita" osservò Hiccup, rabbrividendo alla vista del percorso che si inoltrava nella boscaglia.
Aveva ragione. "Dovrò portarti io, allora."
Eret si voltò di scatto, quando sentì le mani di Hiccup sulle sue spalle, dietro di lui.
"Che fai?"
"Mi… appoggio a te?" rispose. "Una volta Jack mi ha trasportato sulla sua schiena. Pensavo volessi fare la stessa cosa."
Pareva abituato a toccare la pelle fredda dei vampiri. Un umano più strano davvero non c'era.
Eret si rassegnò all'inevitabile e lasciò che Hiccup si aggrappasse a lui. Si lanciò in corsa, saltando oltre i massi più instabili come uno stambecco, risalendo il declivio. La neve scricchiolava a ogni suo passo e cadeva dai rami appesantiti dei pini. A quell'ora, il posto era deserto.
Giunsero in vista della parete di roccia scura che proteggeva la sua dimora temporanea dalle intemperie, costruita nell'insenatura creata dal torrente di neve sciolta. Eret scaricò Hiccup a terra, lo guardò studiare il rifugio abbandonato con interesse, e si concesse un breve respiro per controllare gli odori nelle vicinanze.
La traccia di Pitch era debole, per cui doveva essere ancora lontano, immaginò prima di dover trattenere bruscamente il fiato: si era scordato quanto il profumo di Hiccup fosse travolgente. L'arsura alla gola lo destabilizzò per un attimo, ma perlomeno non c'era odore di aggeggi elettronici nascosti, a parte qualcosa che poteva essere un cellulare.
Hiccup inarcò le sopracciglia. "Qualcosa non va?"
"No. Forza, sbrigati. Pitch arriverà tra un po'" disse lui asciutto. Sete insoddisfabile del cazzo.
Gli aprì la porta tutta cigolii e indicò l'interno con un gesto. "Prego" aggiunse sarcastico.
L'ambiente era quasi interamente di legno malandato, trascurato e ormai in rovina. I mobili utilizzabili rimasti comprendevano un letto senza materasso, un semplice tavolaccio, uno sgabello e un armadio mezzo vuoto. Il camino all'angolo sembrava fosse stato acceso per l'ultima volta mezzo secolo prima, e le travi del soffitto erano infestate di ragnatele altrettanto antiche.
Eret chiuse la porta dietro di sé e andò a frugare nei cassetti in cerca di qualcosa di utile.
Hiccup, che intanto si era seduto sulla struttura grezza del letto, fece una smorfia nel vederlo avvicinarsi armato di corda. "È proprio necessario?"
"Potrai anche credere di essere venuto qui di tua spontanea volontà, ma sei comunque un ostaggio" disse Eret afferrandogli i polsi.
"Potresti accendere una luce? Al contrario di te, io non vedo quasi niente."
"Quante pretese" sbuffò Eret, ma rovistò lo stesso nell'armadio per prendere la scatola di fiammiferi e il mozzicone di candela che aveva visto, mentre aveva cercato la corda.
Hiccup gli sorrise, quando la piccola fiamma brillò nel buio. "Grazie. Non pensavo che lo avresti fatto sul serio."
Cos'era, l'ennesimo tentativo di rabbonirlo con parole gentili? Eret si detestò per aver cercato un segno di sincerità nella sua voce, ma ancora di più per averlo trovato.
"Dovresti prendere il mio cellulare" disse Hiccup, e dato che Eret lo guardò storto, si corresse: "Sono un ostaggio, no?"
Non sapendo come rispondere, lui gli sfilò il telefono dalla tasca della giacca a vento e lo inserì nelle sue. "Sì, quindi taci."
"Posso chiederti una cosa, prima?"
Eret sospirò. "Solo una."
"Quella volta che stavi per uccidermi" disse Hiccup, "perché hai proposto a Jack una tregua, anche se lui è il vostro obiettivo? Non ne capisco il senso."
Oh, quello sì che era un ricordo di cui si pentiva. Non aveva mai urlato tanto.
"Pitch preferisce che io mi nutrisca raramente, un pasto ogni due mesi. Dice che così evito di farci notare, ma credo che serva più per incoraggiarmi a non fare errori."
"Errori… come quello?"
Eret strinse le palpebre, colto dal fastidio nel ricordarlo. "Avevo sete. Ero stanco e frustrato, e tu avevi quell'odore così buono. Non ho resistito, ho pensato che non sarebbe successo nulla di grave, in fondo avremmo avuto altre occasioni di prendere Jack, ma Pitch non è stato per niente felice."
"Ti ha fatto del male?" domandò Hiccup indicando la sua spalla, che Eret aveva preso l'abitudine di toccare quando era nervoso.
Lui sfiorò la clavicola, là dove la carne si era strappata e l'osso si era spaccato. Non era una ferita mortale, ed era bastato il veleno nella saliva per riattaccare il braccio, ma aveva comunque sentito il dolore atroce.
Hiccup appoggiò i propri avambracci legati sulle ginocchia. "Come hai conosciuto Black?"
Al diavolo la segretezza, rifletté Eret. Aveva tempo da perdere e nessuno con cui parlare da mesi, poteva permettersi una pausa.
"Conosciuto" si lasciò sfuggire una risata sarcastica, perché quella parola implicava che il loro primo incontro fosse stato un avvenimento casuale e fiabesco. "È successo a dicembre scorso. Stavo andando al lavoro, quando mi è saltato addosso senza dire una parola e mi ha rovinato la vita."
"E qual era la tua vita?" chiese Hiccup, conquistato dal greve racconto. Nessuna paura, unicamente interesse.
Eret, che iniziava a sentirsi ingiustamente sotto i riflettori, posizionò la schiena contro l'armadio e fissò le venature del pavimento. I suoi ricordi precedenti erano come velati da un telo spesso e opaco, che offuscava la memoria, al contrario di quelli recenti, chiari e limpidi come acqua al sole.
"Non sono mai stato una 'brava persona', in realtà" Eret scavò nella profondità della sua mente, riportando a galla sentimenti e sensazioni. "La vita non mi ha donato un bel niente, a parte un'infinità di schiaffi in faccia e problemi. Ho trovato un po' di pace quando sono diventato una delle persone più importanti dello stesso quartiere dove sono nato, però. Il meglio della feccia, se vuoi."
Ricordava piuttosto bene lo squittio dei topi, il fango sotto le unghie, le dita blu, i crampi della fame e l'incertezza di svegliarsi vivi il giorno dopo. Tutto questo era stato sostituito da case fatiscenti, fumo di sigaretta, borsoni troppo pesanti e mazzi di banconote.
"Nella mia zona comandava chi aveva il fucile più grosso, e l'unica fortuna che mi è stata concessa era un uomo che mi ha preso in simpatia. Mi ha insegnato il suo mestiere, e quando ha tirato le cuoia è toccato a me."
"Eri un trafficante d'armi?" comprese Hiccup.
"Il migliore" corresse Eret con una punta di orgoglio. "Nessuno aveva la mia abilità negli affari, o nel legare con le persone giuste."
"Ma poi Pitch ha rovinato tutto" concluse l'altro.
Eret si morse l'interno della guancia. Esserne consapevole bruciava più della sete.
"Mi ha portato via ogni cosa" mormorò rivolto forse maggiormente a sé stesso. "Mi ha lasciato un corpo irriconoscibile e un bisogno incontrollabile, ma era l'unico da cui potevo imparare come vivere senza farmi scoprire."
Non ne aveva parlato con nessuno, prima d'ora, erano pensieri riservati esclusivamente alla sua coscienza. Tirarli fuori fu stranamente confortante. "No" affermò Hiccup con sicurezza.
"Cosa?"
"Non è vero che la tua sete è incontrollabile, o che non esistono altri vampiri che possano insegnartelo, oltre a Black" avendo le mani bloccate, Hiccup mosse le spalle, agitato. "C'è un'alternativa, Eret, fidati."
Avrebbe potuto dirgli che il cielo era viola, con quel tono, e lui gli avrebbe creduto. I suoi occhi verdi foresta traboccavano di fiducia.
"È impossibile nutrirsi di animali e basta, peggiora la sete" replicò debolmente Eret.
"Che cosa ti ha detto dei Frost? Cosa sai su di loro?" disse invece Hiccup, concentrato.
"Che si fingono civilizzati" rispose lui. "Che sono degli arroganti a cui importa solo l'apparenza, e che non tollerano chiunque non segua il loro stile di vita assurdo."
L'espressione di Pitch, quando gliene aveva parlato la prima volta, era stata indimenticabile. Eret aveva pensato che fossero dei mostri travestiti da agnelli.
Hiccup scosse vigorosamente la testa. "Arroganti? Invece sono le persone più modeste che abbia mai conosciuto. Loro… fanno di tutto, di tutto, per poter vivere tra gli umani e aiutarli. Sono incredibili, l'unico scopo della loro esistenza è diventato il tentativo disperato di piegare la vostra natura a piacimento. Ed è difficilissimo! Fanno sembrare questa cosa una passeggiata, tipo 'sì, il desiderio perenne di sangue umano è una scocciatura, ma sai cos'è peggio? Far del male a qualcuno'. Richiede una forza d'animo immensa, e loro lo fanno volontariamente!
"Ti ricordi Nord, l'uomo con la barba? Ecco, ha abbandonato tutti i suoi vecchi principi per costruire giocattoli. Aster ha messo in piedi un'attività per allenarsi e stare a contatto con la gente, Toothiana ha non so quante lauree in medicina perché vuole diventare il dottore migliore del mondo… E Jack" Hiccup fece un sorriso misto tra l'esasperato e l'affettuoso. "Lui si è fatto iscrivere al liceo e lavora nella caffetteria di Aster perché vuole diventare bravo come loro. Li ammira abbastanza da mettersi continuamente alla prova."
Eret ascoltò la sequenza di lodi appassionate, lasciando che Hiccup parlasse a ruota. Non sapeva bene come reagire; di nuovo, l'onestà e il trasporto con cui raccontava erano spiazzanti.
Poteva, lui, concedersi una speranza?
"Del capo clan che mi dici, allora?" chiese Eret scettico. "Perché odia Pitch tanto da volerlo uccidere?"
"Ammetto che non so i dettagli. Mi hanno spiegato che Black sta cercando di vendicarsi per qualcosa, ma sono sicuro che non ce l'hanno con lui per la sua dieta" Hiccup scrollò le spalle.
Effettivamente, ogni volta che Pitch ricordava a Eret perché fossero venuti fin lì, aveva un'aria inquietantemente ossessiva. Gli aveva messo un dubbio fin dal primo momento.
Doveva rifletterci su. Attualmente, la sua testa era piena di idee contrastanti.
"E tu come sei finito nel bel mezzo di questa storia? Perché non sei scappato a gambe levate, quando hai capito che aria tira?" gli chiese. Non era normale trovarsi a proprio agio tra un mucchio di vampiri.
Hiccup doveva aver intuito la sua domanda sottintesa, perché rispose: "La prima volta che ho incontrato Jack ho avuto l'istinto di fuggire, ma non l'ho fatto. Alla fine mi sono innamorato. Che stupido, eh?"
A dire il vero, Eret cominciava a capire cosa ci trovasse Jack Frost in lui, e il motivo per cui lo avesse protetto con tanta foga.
"Tutto questo è stupido" disse a bassa voce, guardando il soffitto rovinato.
"Eret" la fiamma della candela proiettava ombre danzanti sul volto di Hiccup. "Per favore, pensa a quello che ti ho detto."
Lui non osava. Troppo facile, troppo bello.
"Ho ucciso delle persone innocenti" replicò. "Senzatetto, spacciatori, ladri… Non mi accetterebbero nel loro clan."
"Capirebbero, e ti insegnerebbero volentieri l'autocontrollo, credimi. Permettimi di mostrarti un'altra strada."
Eret non aveva mai desiderato tanto qualcosa. Pareva che la soluzione fosse lì, a portata di mano, così tangibile da mettere le vertigini.
"Devo pensarci" farfugliò.
"Certo" Hiccup annuì comprensivo. "Potresti farmi un favore, intanto?"
"Che cosa?"
"Non ho cenato, e sto morendo di fame!"

*


"Ragazzi, non dovremmo spiare."
"Sta' zitto, Gambedipesce, e tornatene a casa, se sei qui per rompere le scatole."
"Moccicoso, comportati bene o ti sbatto fuori."
"Spostati, Tufo, non vedo niente!"
"Trovati un altro posto, allora!"
Astrid roteò gli occhi, sospirò e riaggiustò il binocolo di suo padre sul viso.
Il gruppetto di amici che affollava la sua camera da letto era accalcato alla finestra, con le facce premute sul vetro. Avevano ordinato da poco le pizze, ed erano saliti al piano di sopra per provare il videogioco che aveva portato Gambedipesce, ma avevano abbandonato popcorn e controller per affacciarsi a guardare lo strano scambio che stava avvenendo in fondo alla strada.
Attraverso le lenti, vedeva chiaramente un nervosissimo Hiccup parlare con un giovane uomo dai capelli neri raccolti e le spalle larghe. Astrid era nata e cresciuta a Forks, conosceva tutti, almeno di vista, ma quel tipo non le diceva nulla.
"Che gran pezzo di figo!" commentò Bruta in tono di apprezzamento. "Peccato che è girato dall'altra parte, uffa."
"Chissà di cosa stanno parlando" borbottò Astrid, divorata dalla curiosità.
"Tranquilli" proclamò Tufo con una mano sul petto. "So leggere il labiale. Vediamo… prima Hiccup ha detto 'lei velluto canederli', sì, e ora dice… 'origami da kitsch il Mac', ecco."
"Tu non sai leggere proprio un bel niente" protestò sua sorella, mollandogli un pugno in testa.
Scoppiò una piccola rissa, alimentata dalle lamentele di Gambedipesce e il tifo di Moccicoso. Astrid si voltò per fulminarli con un'occhiataccia.
"Ragazzi!" li rimbeccò irritata. "Chiudete la bocca e state fermi, accidenti!"
"Oh, guarda, se ne sta andando con lui. Cavolo, che facce serie" osservò Tufo indicando la strada.
Si precipitarono a osservare fuori dalla finestra e, infatti, Hiccup e lo sconosciuto erano appena saliti su una grossa jeep. Vedendo che il loro amico aveva scelto il posto dietro (o era stato costretto?), invece di quello davanti, Astrid si insospettì ulteriormente.
"Che invidia" disse Bruta.
"Ho paura che non si conoscano nemmeno, invece" disse lei mordendosi il labbro. Hiccup era in pericolo, ne aveva la certezza. "Io li seguo."
"Vai, intrepida Hofferson!" acclamò Tufo.
Gambedipesce agitò le mani. "No no no, è una pessima idea. E se fosse un tizio pericoloso?"
"E la pizza?" gli fece eco Bruta.
"Chisseneimporta, devo aiutarlo. Voi mangiate e tornate a casa, anzi, chiamate la polizia" Astrid corse a prendere il giubbotto e le chiavi di Tempestosa. Il tempo stringeva.
Moccicoso la intercettò sulle scale.
"Non provare a fermarmi, Jorgenson, o ti prendo per un braccio e ti fracasso la schiena sui gradini" lo minacciò lei.
Per una volta, lui non restò impressionato. "Vengo con te."
"Cosa?!" Astrid quasi fece un capitombolo. Il codardo, vanesio, presuntuoso Moccicoso che si offriva di soccorrere Hiccup? C'era sotto qualcosa, per forza.
"Casa mia è qui di fronte, ci metto un attimo a prendere la moto" rincarò Jorgenson.
"Non è uno dei tuoi soliti piani per fare colpo, vero?" si assicurò lei.
Moccicoso fece una smorfia e scosse la testa. "Mi piacerebbe, ma adesso mi preoccupa di più il nuovo guaio in cui si è cacciato quello sfigato."
Astrid non aveva tempo per i ripensamenti. "Okay, andiamo."
Usciti nel vialetto, si separarono momentaneamente. Astrid spalancò il portone della rimessa, indossò il casco e saltò in sella della sua motocicletta. Moccicoso la raggiunse su Zannacurva appena fu in strada, e insieme si diressero verso la curva dietro cui era sparita la jeep.
Presto si resero conto, tuttavia, che stargli alle costole non sarebbe stata un'impresa facile, perché quel tipo guidava come un pazzo, con i fari spenti. Superava abbondantemente il limite di velocità da mantenere in una zona residenziale, frenava a malapena nelle svolte e non si fermava agli stop. Astrid non aveva più dubbi, Hiccup era stato rapito da una persona estremamente pericolosa. Tra l'altro, era ormai notte, e la debole luce dei lampioni non aiutava di certo.
Non poterono farci niente; all'ennesimo incrocio lo persero di vista definitivamente. Non restò loro altra scelta, se non accostare sul ciglio della strada di periferia dov'erano arrivati.
Astrid si tolse il casco con rabbia. "Merda, ma dove sono andati?" ringhiò.
Moccicoso si guardò nei dintorni. "Meglio se torniamo dagli altri, non so nemmeno dove siamo finiti."
Lei detestava arrendersi, la faceva sentire inutile, ma non avevano alternative. Rimisero in moto e fecero inversione.
Erano a un isolato da casa, quando Astrid ebbe l'impressione di aver visto qualcuno di familiare con la coda dell'occhio. Aveva i capelli bianchi, una felpa blu e le scarpe slacciate.
Jack Frost?
Astrid frenò piuttosto bruscamente e si levò di nuovo il casco con foga. Frost camminava poco più avanti, e non si voltò nonostante il fracasso.
Moccicoso le venne dietro, affannato e confuso. "Perché ti sei fermata?"
"Guarda."
Frost stava ancora brancolando lungo il marciapiede, senza fare caso a loro. Pareva uno zombie affamato.
"Jack" lo chiamò Astrid andandogli appresso. "Che fai in giro a quest'ora?"
Lui si girò a guardarla. Le occhiaie che gli segnavano le palpebre inferiori erano più scure del solito e aveva l'aria febbrile. "Cerco Hiccup."
"Anche tu?" disse Moccicoso.
"Ho perlustrato tutta la città, ma non l'ho trovato" confermò Frost in tono disperato.
"Non è più a Forks, temo" disse Astrid. "È andato via insieme a qualcuno su una jeep. Abbiamo cercato di seguirli, ma non ce l'abbiamo fatta."
Frost si riscosse un poco. "Chi era, l'avete visto?"
"Un tipo più vecchio di noi, grosso, capelli neri e lunghi" descrisse Moccicoso a memoria.
"So chi è" disse l'altro. Sembrava quasi che l'identikit di Jorgenson avesse confermato un suo sospetto. "Lo ha preso Eret."
Per un secondo, fece davvero paura. Strinse forte i pugni, digrignò i denti e assunse un'espressione di intensa furia che spaventò Astrid più di quanto riuscissero a fare certi teppisti a scuola, o i serial killer nei film.
Non avrebbe mai più preso in giro Moccicoso per averlo evitato per un mese.
"Chi è? Perché lo conosci? Che cosa vuole da lui?" fece Jorgenson con sorprendente coraggio.
La faccia di Frost tornò normale. "Un deficiente che se la prende con Hiccup per provocarmi. Posso dirvi solo questo."
Se possibile, Moccicoso era ancora più spaesato di prima.
Astrid si gettò la treccia dietro la spalla. "Avevo ragione, allora. Non è un suo amico."
O il suo fidanzato, non aggiunse, anche se era una teoria che aveva scartato subito. Cioè, andiamo, Hiccup le aveva detto che suo padre disapprovava la persona con cui usciva, che non era sicuro se dichiararsi, ma non di chi si trattasse. Astrid era arrivata da un pezzo alla conclusione che fosse un ragazzo.
Dal modo in cui Frost si stava tormentando, però, stava riconsiderando le sue supposizioni. Le tornò in mente la trepidazione con cui Hiccup aspettava ogni giorno l'ora di trigonometria.
Molto sospetto.
Frost si stava arrovellando su qualcosa, a giudicare dal suo sguardo assorto.
"Se quelle teste bacate dei nostri amici hanno chiamato la polizia, lo troveranno presto" lo consolò Astrid.
"La polizia non servirà a niente" borbottò lui.
Proprio in quel momento, le squillò cellulare. Era un numero che aveva digitato quello che sembrava un secolo prima.
"Pronto?"
"Hofferson" disse Stoick con urgenza. "Poco fa Ingerman ha telefonato la centrale. Ha detto che avete inseguito la macchina, cos'è successo?"
Era strano e angosciante, sentire quell'uomo alto come una montagna parlare con voce piena di panico. Frost cambiò espressione in maniera impercettibile.
"Mi dispiace, signor Haddock" rispose lei, sentendosi tremendamente in colpa e frustrata allo stesso tempo. "Ci ha seminati."
Stoick non si fece prendere dallo sconforto. "Avete visto la targa?"
Moccicoso si batté una mano sulla fronte. "Accidenti, non ci ho fatto caso."
Ma Astrid sì, e dettò la sequenza al padre di Hiccup.
"Grazie, ragazzi" disse lui alla fine. "Tornate pure a casa, ce ne occupiamo noi."
Quel tono distrutto e ansioso spezzava il cuore. Astrid stava per augurargli buona fortuna e chiudere la chiamata, ma Frost le fece segno di passargli il telefono.
"Signor Haddock, volevo dirle che mio padre sarebbe felice di aiutarvi, se doveste perlustrare la foresta qui vicino. Conosce bene la zona" aggrottò le sopracciglia con espressione indecifrabile. "Stia tranquillo, andrà tutto bene… Sì, certo, a dopo."
Restituì l'apparecchio ad Astrid, che si domandò cosa si fossero detti. In qualche modo, aveva la certezza che non lo avrebbe mai saputo.
Cosa ancora più bizzarra, Frost le chiese dove avessero perso di vista la jeep, e telefonò suo padre per informarlo delle ultime novità.
"Lo immaginavo… Già, finché la polizia non trova l'auto non possiamo farci niente… Okay, immagino che tanto vale provarci. Sì, ci sentiamo" disse. Riattaccò e si rivolse a loro due forzando faticosamente un sorriso: "Grazie di tutto, se non l'aveste notato voi…"
"Risparmiati la gratitudine per quando troveremo Hic" lo interruppe Astrid, a braccia incrociate per la brezza gelida di settembre. "C'è qualcosa che non quadra, perché sei così coinvolto in questo casino? Chi è esattamente questo Eret, e che centri tu?"
"Sì, ci devi delle spiegazioni!" diede manforte Moccicoso, anche lui battendo i denti dal freddo.
L'unico a non aver nascosto le mani sotto le ascelle era Frost, che abbandonò il sorriso di circostanza e lanciò loro un'occhiata calcolatrice. "Che ne dite di parlarne al caldo?"
Dietro suggerimento di Astrid, si chiusero a bordo del SUV dei suoi, al riparo dal vento e dalla pioggia che stava ricominciando la sua incessante discesa dal cielo. Accontentarono Frost e non chiamarono gli altri.
Jack non scese nei dettagli, ma fu una spiegazione sufficiente a far sprofondare il cuore ad Astrid. Il povero Hiccup era finito nel mirino di un trafficante di organi e del suo tirapiedi, in quanto suo amico.
"Non è riuscito a rapirmi una volta, e adesso si sta vendicando" disse fissando la luna oltre al parabrezza.
"Ma quello là è un pazzo!" esclamò Moccicoso nell'orecchio di Astrid, seduta davanti a lui. "Voglio dire, a chi, sano di mente, verrebbe in mente un piano del genere? Ricattarti per i tuoi organi? È assurdo!"
"Nel caso non l'avessi notato, Pitch non corrisponde precisamente alla definizione di 'coerente e sensato'. Nella sua testa questa strategia mi porterà da lui, e tanto gli basta."
"Speriamo che li rintraccino presto" disse Astrid, appoggiata al volante. "Aspe— Dove stai andando?"
Jack aveva aperto la portiera dal lato passeggero ed era in procinto di scendere. "A cercare nella foresta, anche se probabilmente non sono lì."
Moccicoso si sporse da dietro il sedile del guidatore. "Ma Stoick ha detto di tornare a casa!"
"Non rimarrò fermo a girarmi i pollici" ribatté Jack girando i tacchi.
Astrid lo seguì, determinata a imitarlo. "Allora vogliamo aiutarti."
"Davvero?" fece Moccicoso, restio, ma incontrò l'espressione implacabile di lei. "Voglio dire, ehm, certo che sì."
"No, voi restate qui" disse Jack con un tono vagamente ammirato che però non ammetteva repliche.
"È meglio se siamo in tanti a cercare, e poi farebbero comodo due persone che vivono qui da anni" insisté Astrid. "Conosciamo Hiccup e questa zona da molto più tempo di te."
Jorgenson aveva tutta l'aria di morire dalla voglia di dissentire, ma tacque.
Per un momento, Astrid si rassegnò all'idea di sentire un altro rifiuto, e non si aspettò la risposta di Jack: "A una condizione. Non fate domande. E tu prestami il SUV."
Astrid guardò fugacemente Moccicoso, che si strinse nelle spalle. "A me va bene. Meno so di questa storia, meglio è."
Lei annuì decisa. "Ti seguiamo."

Inaspettatamente, Jack si mise alla guida, che scoprirono essere spericolata quanto quella di Eret, e li portò fuori città, fino a una casa enorme protetta alla vista dai monti.
Astrid osservò la facciata maestosa di quella specie di baita extra-lusso che dava su un piccolo giardino. "Perché siamo a casa tua?"
"Ah-ah, cosa avevo detto sulle domande?"
"Ops" Astrid si morse la lingua, rimpiangendo la condizione del patto che le impediva di soddisfare la propria curiosità.
All'ingresso, un uomo di grande stazza con una lunga barba bianca, uno alto e atletico, uno basso e biondo e quella che Astrid riconobbe essere Toothiana Guardian, stavano parlottando fitto fitto. Dentro era ancora più stupefacente. "Cambio di programma, abbiamo nuove notizie" disse l'uomo barbuto con forte accento, vedendoli.
"Loro chi sono?" chiese quello che non poteva essere altri che il fratello maggiore di Jack.
"Possono aiutarci" disse lui, prima di presentarli a vicenda. "Quali notizie?"
Gli altri si scambiarono occhiate perplesse, ma non obiettarono. "Sandy stava perlustrando a nord, dopo tua prima chiamata, e ha visto questo."
L'uomo chiamato Nord mostrò loro una foto dal cellulare. Astrid riconobbe subito il numero di targa.
"È la jeep che cerchiamo!" esclamò. Ma come ci erano riusciti?
"Stanno andando a Goat Rocks. Ho già informato la polizia" disse Aster. Avevano tutti gli stessi strani occhi di Jack, doveva essere una caratteristica di famiglia.
"Andiamo subito, ma qualcuno dovrebbe restare qui" disse Nord.
Ci fu qualche secondo di esitazione.
"Lo faccio io" si offrì Aster.
"Ma tu sei quello più bravo a combattere" disse Jack. "Non vuoi stare al centro dell'azione?"
Lui scosse la testa. "Servirà qualcuno di forte, nel caso Pitch volesse attuare… il suo piano B."
Astrid si rese conto di assistere al primo sorriso realmente genuino di Jack, per una volta. Non poteva dar torto a Hiccup per essersi preso una cotta.
"È deciso. Astrid, possiamo prendere tua macchina? Nostra è troppo piccola per sei."
"Ma certo."
Salutarono Aster e tornarono all'auto. Prima di salire, Nord caricò due taniche piene nel bagagliaio. Da che Astrid ricordasse, il serbatoio era ancora mezzo pieno, e per un paio d'ore sarebbe bastato, ma non poteva comunque indagare.
I miei mi uccideranno, pensò mentre guardava Nord mettere in moto, nuovamente sfrattata dal posto di guidatore. Mi sa che non riuscirò a tornare per cena.
Stranamente, quella riflessione le trasmise più eccitazione, che ansia. Raramente disobbediva ai suoi genitori.
Moccicoso, seduto in fondo accanto a lei, era invece diventato insolitamente silenzioso, forse perché non poteva fare domande.
"Tutto bene?" gli bisbigliò Astrid. Gli altri stavano parlando di quale strada prendere per far prima. Be', tutti tranne l'ometto di nome Sandy, che avevano presentato come uno zio.
"Sì" sussurrò di rimando Moccicoso. "È solo… Ho paura di… di quello che potremmo trovare là."
Lei gli strinse la spalla, sorpresa e impietosita. Era già incredibile che l'avesse seguita fin lì, figurarsi ammettere apertamente una debolezza. Astrid lo stava rivalutando ampiamente.
Durante il resto del viaggio non si parlarono più, ma ogni tanto Moccicoso sospirava, quindi lei gli batteva un colpetto sulla gamba per rassicurarlo. Un po' per quello, un po' per la tensione, il tragitto parve durare un'eternità, e all'arrivo era esausta come dopo una partita.
"Da quella parte c'è un parcheggio" disse a Toothiana indicando un cartello.
"Ci sei già stata?"
"Solo una volta, qualche anno fa."
Suo padre si era finalmente concesso una brevissima vacanza, e Astrid era riuscita a convincerlo a fare una gita, solo loro due, per arrampicarsi e fare bird watching. Sembrava una vita diversa, a ricordarlo adesso.
Il grande terreno di ghiaia che faceva da parcheggio era come lo ricordava e nonostante fosse buio, anche il panorama era lo stesso. Vi trovarono la jeep, perciò ebbero la conferma di essere sulla strada giusta.
I Frost individuarono in poco tempo il sentiero giusto dove cercare, tra i tanti che si diramavano. Astrid non aveva la minima idea di come facessero a esserne tanto sicuri.
Si inerpicarono su per la salita, faticando a stare dietro alla famiglia di Jack, apparentemente fatta di escursionisti provetti. Astrid e Moccicoso li seguivano senza fiatare, approfittando delle brevi pause in cui si fermavano a guardarsi intorno inspirando forte, per riposare.
"Eccoci."
Erano arrivati in una zona con meno pendenza, in prossimità di un rifugio dall'aria abbandonata costruito a ridosso della roccia, vicino a un fiumiciattolo. Dalle finestre fatiscenti si intravedeva una debole luce, sicuramente non elettrica.
"Andiamo, presto!" disse Astrid, chiedendosi ancora come diavolo potessero averli trovati prima della polizia.
"Aspetta" la fermò Nord. "Non possiamo fare irruzione tutti insieme, rischiamo di far arrabbiare Pitch. E se Pitch si arrabbia…"
"Concetto afferrato" mormorò Astrid, sentendosi impotente. Fosse stato per lei, sarebbero entrati nella catapecchia a passo di marcia, pronti a fare a botte. Sandy fece un respiro profondo e indicò gli alberi dalla parte opposta della radura rispetto a loro.
"È vero, qui non ci sono né Pitch né Eret, ma sono ancora nei paraggi, lo sento" affermò Nord.
Astrid batté le palpebre e si fece scappare un "Che vuoi dire?"
"Ah, ehm, lo sento… in mia pancia!" rispose evasivo lui.
Sul serio, Hiccup poteva difenderli come voleva, e sicuramente avevano dimostrato di essere persone altruiste, ma santo cielo, se Astrid avrebbe continuato a pensare che erano strani!
Jack non staccava gli occhi dal rifugio, serissimo. "Qual è il piano?" "Cerchiamoli, non saranno lontani" propose Toothiana.
"E facciamo finta che là dentro non ci sia quasi sicuramente Hiccup, spaventato a morte, forse ferito?"
"Ha ragione Jack, voi cercate Pitch ed Eret, noi andiamo da lui" intervenne Astrid.
Nessuno dei Frost parve molto convinto.
"Io ho fatto lo scout, so prestare il primo soccorso, se serve" aggiunse Moccicoso, prima di sussurrare "Più o meno" ad Astrid.
"E va bene" decise Jack. Si fece dare qualcosa da Nord e porse ad Astrid le chiavi del SUV.
"Ma… voi come tornerete?"
Lui fece spallucce. "Troveremo un modo. Serve di più a voi."
Prima di dividersi, loro due verso il rifugio, gli altri quattro nella boscaglia scura, Jack rivolse ad Astrid un'ultima parola.
"State attenti. Non dovrebbe esserci nessuna di quelle due carogne, ma non si sa mai."
Era evidente quanto desiderasse andare con loro, dallo struggimento con cui guardava la casa.
Lei gli batté una mano sulla spalla, fiduciosa. "Lo porteremo al sicuro, lascia fare a noi."
Jack annuì, rivolse un'occhiata ansiosa alla luna, alta e piena, e li lasciò per confrontarsi con il pericolo.



Note
Finalmente siamo a uno dei miei capitoli preferiti! Volevo dare una scossa alla narrazione e ho scelto di usare il pov di Eret ed Astrid. È stato molto divertente.
Scusate per la quantità di insulti coloriti e parolacce, sembrava appropriato che questi due ne facciano uso maggiore.
Ah, se fate un confronto con il capitolo precedente, quando Hiccup chiede a Eret di portarlo da Pitch, scoprirete che la lettura del labiale di Testaditufo è migliore del previsto!



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Capitolo 15
*** XIV. Sacrificio / Alleati ***




NB: questo capitolo contiene descrizioni di autolesionismo.
 


XIV

Sacrificio / Alleati
 
 
Il rifugio abbandonato era pieno di spifferi e le vecchie assi di legno scricchiolavano al vento, che ululava tanto da far credere a Hiccup di sentire delle voci lontane.
Ma era solo un'impressione. Lui era a più di duecento chilometri da Forks, e nessuno sapeva dove si trovava. Le uniche forme di vita in quel posto erano i ragni che popolavano il soffitto.
Il suo piano stava andando meglio di quanto sperasse: aveva avuto una vera conversazione con Eret, che era tiranneggiato da Pitch come sospettava, ed era riuscito a farsi ascoltare almeno un po', tanto che al momento il vampiro era fuori a cercare qualcosa da mangiare per lui.
Il nodo che gli costringeva i polsi non era troppo stretto, come se Eret fosse stato restio a legarlo, e aveva le gambe libere, perciò poteva curiosare nell'unica stanza senza problemi.
Avrebbe dovuto chiedere anche una coperta, però, perché là dentro faceva un freddo cane. Hiccup aveva cercato negli svariati cassetti e armadietti, ma invano; quel posto doveva essere stato praticamente svuotato da anni.
Tornò a sedersi su quello che restava del letto, con la schiena al muro, raccogliendo le ginocchia a sé nel tentativo di restare più caldo. Cominciava ad essere davvero stanco, quasi gli sembrava di udire qualcuno che lo chiamava…
"Hiccup" diceva… "Hiccup!"
Insomma, non poteva stare in pace nemmeno cinque minuti?
"Hiccup, svegliati!"
Aprì gli occhi e sussultò. Da quanto tempo stava dormendo? Aveva la schiena tutta indolenzita e tremava di freddo.
Astrid smise subito di scuoterlo, rilassando le spalle con sollievo. "Per fortuna stai bene. Ci hai fatto morire di paura."
"Co-co-come mi hai trovato?" disse lui battendo i denti. "Aspetta, 'ci'?"
"Andiamocene in fretta, non mi piace questo posto" piagnucolò Moccicoso da dietro ad Astrid. Hiccup non era mai stato così contento di vederlo.
Lei sciolse la corda che lo legava. "Siamo venuti con i Frost."
Non avrebbe potuto dargli notizia più rincuorante. "Jack è qui?"
"Stanno cercando i tuoi rapitori qui fuori. Forza, leviamoci di torno."
Aiutarono Hiccup a tirarsi in piedi, ancora irrigidito e colto dai brividi, ma lui si sottrasse al loro sostegno. Non aveva parlato con Pitch ed era ancora più convinto di prima a confrontarsi con lui, visto com'era andata con Eret.
"Devo fare una cosa, prima. Devo vedere Pitch."
"Sei impazzito? Quei due sono pazzi pericolosi, non ci guadagni niente a chiacchierarci" disse Astrid, tirandolo verso l'uscita.
"Non capisci" continuò lui ostinato. "Eret non vuole tutto questo, può cambiare, e anche Pitch potrebbe, se gli parlassi."
Lei lo guardò come se avesse dichiarato l'intenzione di buttarsi da un ponte. "Lui non—"
"Qualcosa mi dice che state parlando di me."
Si voltarono di scatto, spaventati. Eret, fermo sulla porta con un intero pesce ancora gocciolante tra le mani, aveva un'espressione che era un misto tra l'allarmato e il confuso. Doveva averli sentiti battibeccare, mentre arrivava.
Astrid e Moccicoso lo fissarono, e Hiccup seppe che stavano cercando di dare un senso alle iridi scarlatte del vampiro.
"Eret!" esclamò ad alta voce per distrarli. "Grazie per… uh… la cena."
Lui gettò il pesce sul tavolo e avanzò di un passo con aria concitata.
"Sta arrivando" disse febbrilmente. "Dovete andarvene."
"Sono d'accordo" squittì Moccicoso.
Astrid si riscosse. "Tu" esordì, evidentemente faticando a trovare le parole. "Sei uno schifoso figlio di—"
Ma Eret aveva dato loro le spalle e stava arretrando, intimorito dalla figura che aveva improvvisamente oscurato la soglia del rifugio.
Pitch Black non era un granché. Non era alto come Nord, o muscoloso come Aster, né bello come Jack o Toothiana. C'era un che di affascinante, sì, nei suoi tratti spigolosi, ma le labbra erano sottili, incolori, il naso adunco e gli mancavano le sopracciglia. L'abbigliamento nero da capo a piedi faceva risaltare il suo colorito cadaverico e contrastava con il paesaggio innevato.
Tuttavia, quello che inquietò Hiccup furono gli occhi, non rossi come quelli di Eret, ma gialli, più simili a quelli dei Frost.
"Pitch, amico mio, ma dov'eri finito?" disse raucamente Eret, nervoso. Guardò i tre umani con la coda dell'occhio. "Ehm, hai visto che ti ho portato?"
Lui non li degnò di più di uno sguardo disinteressato. "Chi sono gli altri due?"
Hiccup inarcò involontariamente le sopracciglia. Non si aspettava una voce tanto vellutata.
Eret era sulle spine. "Altri due amici di Jack Frost. Un incentivo…"
"Ti avevo detto di prendere solo Haddock" replicò Pitch con spietata freddezza. "Gestirne tre è troppo complicato. Uccidili."
"No!" gemette Moccicoso.
"Chi ti credi di essere?" gridò Astrid.
Hiccup pensò che potesse essere il momento migliore per fare un tentativo di diplomazia. "Qualunque problema tu abbia con Jack e la sua famiglia, la violenza non lo risolverà."
Pitch sorrise beffardo. "Ma che tenero, vuoi farmi la predica su cosa è giusto e cosa non lo è? Fa' un favore a tutti noi e stanne fuori, non sono cose che ti riguardano."
"Mi riguardano eccome" disse Hiccup, punto sul vivo. "È la seconda volta che rischio di morire per colpa vostra, ormai ci sono dentro quanto voi. Se mi ascolti un secondo—"
Black agitò svogliatamente una mano pallida. "Eret, fallo tacere, per cortesia" ordinò. "Frost non se ne accorgerà subito, e quando succederà la sua reazione sarà uno spasso."
Astrid e Moccicoso scattarono eroicamente a fargli da scudo, ma Eret fu più veloce, e si parò davanti a loro allargando le possenti braccia.
"Che stai facendo?" gli bisbigliò Hiccup.
"Eret" il tono di Pitch si fece minaccioso. "Non vuoi costringermi a punirti, vero? Non è divertente per nessuno dei due."
"Stronzate, tu adori torturarmi. E adori ancora di più mettere paura alla gente" ribatté Eret. Hiccup notò quanta forza di volontà dovesse richiedergli tale sforzo.
"Mi stai disobbedendo? Io ti ho dato una nuova vita, migliore di quella tua patetica esistenza."
"Ma non l'ho chiesta io!" esclamò il neonato. "Sono stanco di farti da schiavo, ne ho avuto abbastanza del tuo folle piano."
"Molto bene. Parliamone fuori" sputò fuori Pitch.
Eret lo seguì all'esterno, rinchiudendoli nel rifugio.
Hiccup fissò la porta serrata e strinse i pugni. Possibile che riuscisse ogni volta a rovinare tutto? Prima l'altro giorno, ora con Pitch, ed era arrivato a tanto così dal far desistere Eret! Forse avevano ragione gli altri, a dirgli che provare non serviva a nulla. Che un solo, insignificante piccolo umano non faceva la differenza.
Anche Astrid lanciò un'occhiata ostinata alla porta. "È la nostra possibilità di andarcene."
"Ma come?" disse Moccicoso. "Se usciamo da lì ci vedranno."
Hiccup cercò una finestra, la trovò e sorrise. "Che ne dite di quella?"
I due seguirono la direzione in cui stava guardando e sobbalzarono, troppo stupiti per rispondere al cenno di saluto di Jack, oltre il vetro sporco. Hiccup accorse ad aprirla, ma ci volle lo sforzo combinato di loro tre per smuoverla da anni di immobilità e ghiaccio.
"Non eri con gli altri?" chiese dopo averla spalancata.
Jack gli porse una mano per aiutarlo a uscire. "Sì, ma sono stato attento a non allontanarmi troppo. Prima ho sentito del movimento e sono venuto subito, invece gli altri si erano sparpagliati nel bosco, e non credo se ne siano accorti."
"Dovremmo chiamarli."
"È inutile, quassù non c'è campo."
Una volta lasciato il rifugio, si accovacciarono all'angolo dietro l'edificio, in mezzo alla neve, in ascolto. Dall'altra parte, sentirono le voci di Eret e Pitch che diventavano sempre più ostili.
Hiccup aveva una voglia tremenda di abbracciare Jack e baciarlo, tuttavia restò in attesa con i suoi amici, mentre lui valutava la situazione.
"Che stanno facendo?" chiese a Hiccup.
"Eret ci ha difesi, si sta ribellando a Pitch" spiegò lui. Ancora non poteva crederci. "Dovremmo dargli una mano."
Jack ne rimase allibito, e chiaramente scettico. "Okay, sentite. Se entrate in mezzo alla vegetazione, da quella parte" Jack indicò la boscaglia a qualche metro da loro, in un punto abbastanza lontano da dove si trovavano i due vampiri, "troverete un vecchio sentiero. È un po' difficile da percorrere, ma porta dritto al parcheggio."
Intanto, il confronto poco lontano stava diventando violento, a giudicare dai rumori di lotta.
"E tu?" domandò Moccicoso.
"Vado a fermare Pitch, con o senza Eret."
Astrid incrociò le braccia. "Vuoi mandarci via così? Scordatelo."
Jack la guardò bene negli occhi. Il cipiglio combattivo di Astrid si attenuò un poco.
"Vi ho permesso di seguirci, e hai visto che tipo di persone siamo" disse il vampiro. "Ti sei lasciata trascinare fino a qui. Ti sei fidata di me. Ti chiedo solo di farlo di nuovo, Astrid."
E lei, che non si era mai e poi mai affidata a qualcuno, prima di allora, si fidò.
"Fai in fretta. Stai attento. Se muori te la faccio pagare" elencò telegrafica, come se volesse nascondere il suo turbamento dietro alla solita facciata impavida.
Tirò rudemente in piedi Jorgenson e si allontanarono verso il sentiero nascosto. Jack restò a controllare che fuggissero senza intoppi, più immobile di una statua, finché…
"Sei ancora qui" constatò in tono vagamente contrariato, ma per nulla sorpreso.
Hiccup gli strinse forte la mano gelida. "Ovvio che sono ancora qui. Pensavi che avrei obbedito senza fiatare e ti avrei lasciato?"
"No" borbottò Jack.
Un grido rabbioso di Eret fece trasalire Hiccup. "Ha bisogno di aiuto, Jack, ti prego."
"Lo so, ma stavolta ascoltami e resta qui."
"Se proprio insisti..."
Si baciarono rapidamente, e Jack corse via, verso i due vampiri che combattevano a morsi, pugni e calci. Hiccup si piazzò nel posto dove si era chinato prima lui, sbirciando lo scontro in corso.
Non stava andando bene. Eret era ben piazzato, forte della trasformazione recente, e molto più imponente di Pitch, ma quest'ultimo aveva dalla sua parte anni e anni di pratica. Hiccup non era un esperto di arti marziali, non era tipo da farsi coinvolgere in risse, eppure riconosceva l'imprecisione nei potenti colpi di Eret, che Pitch riusciva ad evitare senza fatica, muovendosi rapido come un'ombra. Ogni contatto tra i due riecheggiava tra le rocce, simile all'eco di un tuono.
Nonostante questo, il confronto era ipnotizzante, contemporaneamente violento ed elegante, quasi una danza. Ma Eret stava perdendo.
Jack si buttò su di loro, facendo perdere l'equilibrio perfetto di Pitch, e prendendo Eret in contropiede. Era a un soffio dal mordere la giugulare del vampiro anziano, quando questo se lo levò di dosso con un calcio. Il neonato si riprese dallo sconcerto e tornò a combattere, affiancato da Jack.
Vederli lottare insieme era ancora più stupefacente, sembrano una coppia di leoni contro una preda più grande di loro. Hiccup non riusciva a distogliere lo sguardo, incantato e terrorizzato.
Jack aveva uno stile completamente diverso, più scattante, più rapido, ma altrettanto maestoso. Schivava appena le mani di Pitch, facendo venire un colpo a Hiccup ogni volta che si trovava a qualche millimetro dalle dita dell'altro.
Era così preso dai movimenti fluidi dei tre vampiri da non accorgersi di una cosa che gli ghiacciò il sangue nelle vene: Jack ed Eret non erano nemmeno riusciti a sfiorare Pitch, il quale aveva invece assestato diversi colpi. Erano ancora in svantaggio, e cominciavano a mostrare i primi segni che tradivano la loro inesperienza. Qualche minuto così e avrebbero perso.
Hiccup, ancora nascosto dietro il rifugio, premette le unghie sulle assi di legno.
Doveva fare qualcosa.
Doveva fare qualcosa, certo, ma lui era solo un umano di fronte a creature secolari, capaci di annientarlo per sbaglio. Una distrazione e Jack sarebbe stato in grado di ucciderlo, lo sapeva bene. Un bacio poteva diventare una tragedia.
Pensa, Hiccup. Dovranno pur avercelo un punto debole, i vampiri. Qual è?
Non era una risposta difficile. La sete era la loro più grande forza e il loro maggior difetto.
Per poco non rise istericamente. Si era reso conto di essere la cosa più pericolosa per quei tre nel raggio di chilometri. O meglio, quello che aveva dentro, lo era.
Hiccup si alzò e uscì allo scoperto. Non tremava. Il suo cuore era calmo.
Una bomba a orologeria.
Non aveva paura, ma quello che stava per fare non sarebbe stato per niente facile. Doveva tirare fuori tutto il suo coraggio.
Aveva suggerito a Eret di sequestrargli il cellulare, poco prima, in un tentativo di guadagnare la sua fiducia, ma lui non sapeva che Hiccup aveva ancora il coltellino svizzero di Jack, al sicuro nella giacca.
Lo sfilò dalla tasca e fece scattare la corta lama, che riflesse la luna sulla superficie lucida. Hiccup fece qualche respiro profondo. Lo avrebbero attaccato tutti e tre? No, Jack non lo avrebbe mai fatto. Aveva già resistito una volta.
Okay, pensò. Quel traditore del suo stomaco si contrasse, come se stesse anticipando il suo gesto imminente.
Hiccup guardò Jack, che era stato infine agguantato da Pitch e si stava dibattendo per non farsi staccare la testa a morsi, e non ebbe più esitazioni.
All'inizio non fu nemmeno completamente sicuro di essersi mosso: dovette guardarsi il ventre per assicurarsene. Il coltello era lì, piantato fino al manico, stretto nelle sue mani. Hiccup lo estrasse, temendo che sarebbe arrivato il dolore, ma ancora non sentiva niente. Caldo sangue rosso zampillò dalla ferita e colò inesorabile sul suo maglione, allargando una macchia umida e appiccicaticcia.
Hiccup la osservò, faticando a rendersi conto di quello che aveva fatto, per quanto fosse coperto del suo stesso sangue. Il dolore non arrivava. Doveva essere lo shock.
Era una sensazione davvero stranissima, quasi esilarante. Oh, questo era sicuramente lo shock.
Premendo le mani sul taglio, bagnandosi i palmi, rabbrividendo a ogni doloroso respiro, guardò dritto davanti a sé. Non si era appena pugnalato per niente, in fondo.
Come sperava, Pitch non era più assorbito dallo scontro, e lo stava fissando a denti scoperti. Eret faceva lo stesso, ma pareva più confuso che aggressivo. Jack aveva il volto nascosto, e non ne vide l'espressione.
Fu questione di una frazione di secondo. Nel momento in cui la bocca di Pitch, ora sopra di lui (quando avevano ceduto le sue gambe?), attaccò il suo collo, il dolore arrivò. Tutto insieme.
Agitò le braccia senza pensarci due volte e cercò di divincolarsi, ma Pitch non gli lasciò la minima opportunità di scappare, e allungò una mano ad artiglio dietro di sé. Tramortito dalla confusione, il bruciore intenso al ventre, le vertigini e la nausea, Hiccup ci mise un po' per accorgersi della sensazione insopportabile che stava nascendo sotto il suo ginocchio.
Urlò, pienamente consapevole di quanto fosse inutile, ma non poté impedirlo. Sentiva il disperato bisogno di reagire in qualche modo. Un attimo dopo, Pitch non c'era più, e Hiccup ansimò, lottando contro l'istinto di chiudere gli occhi e giacere incosciente. Era certo che in quel caso non li avrebbe più riaperti.
Non guardò in basso, verso la gamba sinistra che pulsava dolorosamente. Qualcosa gli diceva che la sua salute mentale non avrebbe retto.
L'adrenalina stava abbandonato il suo corpo poco a poco, però, e restare sveglio diventò impossibile.
Scusa, papà.

*


Concentrazione.
Muscoli contratti, mani ad afferrare l'aria, narici allargate, denti scoperti in un ringhio. Così veloce da vedere al rallentatore. Un passo sbagliato ed era morto. Ottant'anni di immortalità, spezzati con un nonnulla.
Jack mancò il colpo di pochissimo. Aveva davanti un avversario formidabile, sfuggente e furbo, che sapeva come farli deconcentrare.
Eret lo trasse in parte, togliendolo dalle grinfie di Pitch, e fece scattare il pugno con potenza inaudita. Mancato di nuovo.
Jack stava lottando per mettere fine alla storia che aveva cambiato la sua esistenza, e per eliminare la minaccia che metteva a rischio la causa del secondo stravolgimento. Quello era l'uomo che stava per uccidere sua sorella. Non avrebbe perso.
Si mosse rapido, lasciando che gli insegnamenti di Sandy lo guidassero, immerso nella coreografia mortale. La conoscenza dei suoi ricordi umani non lo aveva sconvolto come temevano gli altri, al contrario gli aveva dato la carica per chiudere per sempre quel capitolo della sua vita.
Lo scontro diventò più serrato. Jack non riusciva a prendere Pitch di sorpresa, e tutte le sue mosse venivano anticipate. Poteva autoconvincersi quanto gli pareva, ma di questo passo ci avrebbe rimesso la pelle sul serio. Gli dispiacque per Eret, che aveva rinnegato l'unica sua certezza in cambio di libertà, e rischiava di fare la sua stessa fine.
La sua famiglia era in zona, ma non a portata d'orecchio, e sarebbe venuta solo una volta trovata la traccia di Pitch. Avrebbe avuto bisogno di un angelo custode a soccorrerlo.
Giunse il momento che temeva. Si mosse troppo in fretta, impaziente di terminare il combattimento; mani magre e perlacee lo afferrarono per il collo, pronte a strapparlo. Si dimenò come poteva, ma la presa che lo stringeva era ferrea. Stava per morire una seconda volta.
Improvvisamente, tuttavia, fu libero. Un secondo prima, Pitch era su di lui, il secondo dopo era svanito.
Dopodiché arrivò l'odore. Il dolce, forte, squisito profumo che aveva imparato ad amare, intenso come non lo era mai stato. Lo bocca di Jack fu inondata di veleno.
L'istinto, che gli diceva che qualcosa non andava, unito agli anni di addestramento, gli permise di trattenere il respiro prima di perdere la calma. Lo stesso non fu per Eret.
L'agitazione, la mente ormai concentrata sulla lotta come durante la caccia e il digiuno, ebbero la meglio sul giovane vampiro, che cedette all'impulso e oltrepassò Jack.
Lui si precipitò ad agguantarlo, placcandolo con tutto il suo peso. Oltre a loro, sotto la presenza famelica di un Pitch fuori controllo, Hiccup si stava dissanguando sulla neve.
Jack voleva correre da lui, ma prima doveva far desistere Eret, in preda alla sete.
"Usa il cervello" gli disse mentre lo tratteneva con sforzo immenso. "Eret, ascoltami!"
"Lasciami" ruggì lui.
Poco lontano, si sentì uno schiocco secco da far venire i brividi, seguito da un urlo agghiacciante. Jack non voleva credere che provenisse da Hiccup. Era un suono disumano.
"Questa è la tua prima vera scelta, idiota! Non vuoi essere un mostro? Allora non comportarti da tale!"
Udì, con enorme sollievo, Eret smettere di inspirare a grandi boccate l'odore di sangue. Il neonato cessò di ribellarsi, anche se tremava per reprimere l'istinto.
"Così, pensa a chi hai di fronte" disse Jack, lasciandolo andare, cauto. Sentiva l'urgenza di andare da Hiccup martellargli la testa. Che stai facendo?! Va' subito da lui!
Ce l'avevano fatta, insieme presero Pitch e lo scaraventarono lontano. Jack, accecato dal panico, cercò un segno di vita. Il cuore di Hiccup batteva, anche se in modo irregolare, ma era la ferita fradicia a livello dello stomaco a preoccuparlo, oltre al fatto che fosse svenuto.
Vide un piccolo coltello abbandonato al suo fianco. Jack lo riconobbe con incredulità: lo aveva dato a Hiccup per difendersi, e lui che ci aveva fatto? Si era pugnalato, ovviamente. Avrebbe dovuto aspettarselo, uno scherzo del genere.
Alle sue spalle, Eret aveva avuto la meglio su Pitch e lo stava tenendo a terra come una bestia non ancora morta.
"È finita, per lui, Jack!" esclamò il vampiro anziano. Il suo mento luccicava del sangue fresco di Hiccup. "Non puoi salvarlo."
Jack esercitò pressione sul taglio, impiastricciandosi di rosso. Fortunatamente non era umano, altrimenti avrebbe avuto la vista annebbiata dalle lacrime.
Pitch proseguì con il suo monologo, trattenuto da Eret: "Avresti dovuto immaginarlo, che sarebbe andata in questo modo. Gli umani non sono fatti per essere nostri amici. Sono attratti da noi, ma al tempo stesso ci temono, com'è giusto che sia."
Essere messo nella stessa categoria di Pitch era orribile, pensò Jack mentre cercava disperatamente di fermare il sangue dalla sua discesa nella neve, ormai vermiglia.
"Sta' zitto" disse a denti stretti.
"Guarda in che stato lo hai ridotto. È come una falena, Jack, e tu lo hai ucciso con la tua luce."
"NON È VERO!" fece lui. Il battito di Hiccup era debolissimo, quasi inesistente, a parte qualche sussulto. La vita lo stava lasciando. Hiccup lo stava lasciando.
Jack era schizzato di sangue fino ai polsi. Le sue ginocchia erano un macello. L'inferno esisteva, e lui c'era già.
"Ti prego" esalò.
Hiccup non era mai stato così pallido e freddo. Jack, abituato alla sua pelle calda come fuoco, si spaventò ancora di più. Mormorò un 'no' che diventò presto una litania incoerente.
Poi, come un'apparizione biblica, a un tratto Toothiana era inginocchiata accanto a lui.
"Che cos'è successo?" gli chiese svelta.
Lui boccheggiò. Non sapeva come spiegarlo in maniera sensata. Non era nemmeno così sicuro che lei non fosse un miraggio.
Guardò Hiccup, e vide sé stesso, sdraiato sul ghiaccio, il giorno della sua morte. Solo che non era morto, non in senso letterale, ma era stato cambiato.
"Toothiana, trasformalo" balbettò. Alla fine aveva deciso. Si sarebbe odiato per il resto della sua tetra esistenza, così come Hiccup, ma avrebbe fatto tutto il possibile per tenerlo in una vita di qualunque tipo.
"...Come dici?"
"Devi trasformarlo. Salvalo!"
Ignorò volutamente gli schianti rumorosi che provenivano alle sue spalle. Riconosceva quel suono, era lo stesso che aveva sentito quando aveva strappato un piede a Eret.
Respirò appena. L'odore pungente di benzina si era diffuso nell'aria, e un'ombra enorme oscurò la luna.
Toothiana si era unita a Jack nel tamponare il taglio. "Avete finito?"
Un piccolo scatto metallico. L'ardere di una fiamma. Fumo nero che offuscava il cielo notturno. Jack aveva la vista piena del corpo esamine di Hiccup.
"Sì" rispose Nord. "Com'è situazione?"
Il tono di Toothiana si fece ansioso. Immagini di libri di testo aperti e pazienti sul letto di ospedale con brutte ferite da taglio lampeggiarono davanti agli occhi di Jack.
"Peggio del previsto, ma il veleno non ha fatto in tempo a entrare in circolo. Hai chiamato i soccorsi?"
"Arrivano tra poco, spero. Toothiana, puoi fare qualcosa intanto?"
Lei si ritrasse. Jack non la imitò, non si sarebbe mosso da lì neanche se costretto.
Ci fu un rumore di strappo e Toothiana tornò stringendo delle strisce di tessuto nero. "Jack, devi farti da parte."
"No."
"Voglio aiutarlo, così non morirà" disse gentile.
Jack tolse le mani da Hiccup con estrema riluttanza. Osservò Toothiana che bendava strettamente la stoffa degli abiti di Pitch intorno al suo addome e poi puliva la piccola ferita sul collo, dove era stato morso. Lasciò stare la gamba, che era ridotta malissimo.
Finita l'operazione, la ragazza si tolse il giubbotto griffato e coprì il corpo infreddolito di Hiccup.
Jack era aggrappato al suono del suo respiro e del suo cuore, tenue ma reale, come a un'ancora di salvezza. Nord sorvegliava la scena e ogni tanto guardava la pira in fiamme. Eret e Sandy controllavano che bruciasse per bene, girandole intorno come animali inquieti.
Pitch se n'era andato in uno schiocco di dita, senza grandi uscite di scena, senza discorsi finali, rendendo quasi insignificanti tutti quei lunghi anni di esistenza. I piani di vendetta, le strategie crudeli, la ricerca di alleati potenti… Inutili. Jack non poteva ancora sentirsi felice. Dipendeva tutto da una singola vita umana.
"Molto meglio" decretò infine Toothiana.
Jack si concesse un barlume di speranza, timoroso. "Non… non è necessario trasformarlo?"
"No" lei accennò un sorriso. "Siamo stati abbastanza bravi. Vivrà."
Lui deglutì forte e annuì diverse volte, più per processare la cosa che per mostrare di aver capito. Si sentì appena più leggero.
"Certo, temo che quella non sia recuperabile, purtroppo, ma potrebbe andare peggio" aggiunse Toothiana, indicando la gamba di Hiccup con una smorfia. "Grazie" disse Jack in un soffio.
Lei non rispose e gli strinse la mano. Nord batté una pacca sulla spalla a entrambi e andò ad aggiungere rami alla pira. Jack lo vide parlare con Eret, che parve ottenere la conferma che desiderava e venne loro incontro.
"Devo chiederti una cosa" esordì con discrezione. Si chinò con loro e spostò delicatamente un ciuffo di capelli dalla fronte di Hiccup.
"Cosa?" domandò Toothiana, formale ma cortese. Jack intuì che fosse disposta a dargli una seconda possibilità, però senza aver dimenticato quello che aveva combinato.
Eret si schiarì inutilmente la voce, e guardò Hiccup con le sopracciglia aggrottate. "Mi aveva promesso che mi avreste accettato tra voi, se fossi cambiato" spiegò. "Nord è d'accordo, ma mi ha detto che deve andare bene anche a Jack."
Stava fissando lui, adesso. Una piccola, meschina parte di Jack voleva dirgli di no e dargli un pugno in faccia (dopotutto aveva tentato di corromperlo con il sangue della persona che amava neanche due settimane prima), ma sapeva che non l'avrebbe fatto davvero. Gli occhi di Eret erano colmi di fastidioso pentimento.
"Dipende da quello che vuole Hiccup."
"Intanto resta con noi, poi decideremo definitivamente" stabilì Toothiana.
Eret, ora più contento, tornò dagli altri.
Appena fu abbastanza lontano, lei si rivolse a Jack: "Pensavo che lo avresti fatto a pezzi, piuttosto di accettare."
"Potrei ancora cambiare idea, sai" mugugnò lui. "Ma no, il responsabile di questo casino l'ha già pagata cara."
"Immagino sia così. Che c'è?"
Jack si era incupito. "Potrebbe succedere di nuovo, vero? Qualcuno potrebbe prendersela con noi, e con Hiccup di conseguenza. Sarebbe costantemente in pericolo."
"Può darsi" replicò lei. "Ma ci sarebbero cinque vampiri molto arrabbiati a difenderlo. Forse sei. Credo che Eret si sia preso una cotta…"
"Non oserebbe!" s'indignò Jack, facendola ridere sottovoce. "In quel caso non esiterei a staccargli la testa."
"Va bene, va bene" ridacchiò Toothiana. "Oh, lo senti anche tu?"
Jack sollevò la testa. Un rumore basso e ripetitivo era in avvicinamento.
"Dev'essere un elicottero."
"Decisamente. Su, andiamo, dovremo inventarci una storia convincente per la polizia."
"Sarà divertente."



Note
Pensavate davvero che avrei lasciato in pace la gamba di Hiccup?



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Capitolo 16
*** XV. Ferita / Trasformazione ***




XV

Ferita / Trasformazione
 
 
Una serie regolare di bip lo svegliò, riportandolo alla realtà.
Hiccup aprì lentamente gli occhi, infastidito dalle lampade bianche al neon sul soffitto. Si accorse subito che quello non era il letto di camera sua, era troppo largo e il cuscino troppo scomodo. L'ambiente asettico suggeriva che si trovasse in una stanza d'ospedale.
Percepì l'odore amaro di disinfettante e medicine, e constatò che respirare gli procurava delle piccole fitte a un fianco. Sbatté le palpebre, cercando di recuperare la piena lucidità, ma aveva la mente annebbiata e non si sentiva le gambe. Poi gli tornò tutto alle mente in un flash.
E così non era morto.
Gli si tolse un peso dal petto: se lui era vivo, significava che avevano vinto, che Jack ed Eret avevano fermato Pitch.
A proposito, Jack. Hiccup girò piano la testa, sperando di trovarlo al suo capezzale, invece vide suo padre, seduto su una seggiola troppo piccola per la sua stazza, con la faccia nascosta tra le mani. Addormentato o disperato, era difficile dirlo.
"Papà" chiamò lui con voce impastata.
Stoick si scoprì il volto stravolto e lo fissò sorpreso, come se non potesse o non volesse credere ai suoi occhi. Era irriconoscibile.
"Hic" farfugliò avvicinandosi. "Come ti senti?"
Era talmente ansioso, talmente preoccupato, da sembrare un bambino che ha perso la mamma, pensò Hiccup ridacchiando. Ouch.
"Come se fossi caduto da un grattacielo... Che giorno è?"
Non aveva considerato di poter essere rimasto incosciente per chissà quanto. "Mercoledì. Tranquillo, sei rimasto fuori gioco per neanche dodici ore."
"Dov'è Jack?" chiese allarmato. Non sarebbe stato tranquillo finché non lo avesse visto in carne e ossa.
Stoick assunse un'aria di disapprovazione molto familiare. "Da qualche parte in ospedale. Si è staccato da te solo perché il padre lo ha trascinato via, altrimenti sarebbe ancora qui."
Lo disse come per far intendere che aveva passato ore in quella stanza, e che lui non ne era felice. A Hiccup tornò in mente il suo progetto per la serata precedente, prima di cambiare improvvisamente programmi.
"Senti, papà, ho capito che lui non ti piace, e che anche la nostra relazione non ti piace, ma non ho intenzione di smettere di vederlo, ti vada bene o no."
"Come?" disse lui, confuso, prima di essere attraversato da un lampo di comprensione. "No, no… Non è per quello, io sono… Mi vergogno di non essere arrivato da te prima di loro, tutto qui."
Era il turno di Hiccup di essere smarrito. "Ah. Allora… Riguardo a quello…"
"Mi dispiace, Hic" sospirò Stoick. "Per tutto."
In diciassette anni, quella fu la prima volta che sentì suo padre scusarsi con lui. Stoick Haddock era determinato, orgoglioso, ma soprattutto testardo come un caprone.
"Ammetto che è strano che tu esca con un ragazzo, ma non è quello che mi preoccupa" continuò lui. "Sono le persone. Forks è una città piccola, i pettegolezzi girano, e la gente è diffidente per tutto. Non volevo che avessero un pretesto per trattarti male, mi capisci, vero?"
"Più o meno."
"Ma adesso ho capito cosa conta. Tu stai bene, il resto non importa" Stoick trasse un respiro tremante e si stropicciò gli occhi. "Dio, ho avuto così tanta paura, pensavo che sarei morto per lo spavento."
Hiccup ripensò agli avvenimenti appena precedenti il suo svenimento. "Non ricordo bene cos'è successo."
Non era sicuro di quanto ne sapesse lui. Di certo i Frost non gli avevano raccontato che un vampiro pazzo voleva farli fuori, ma probabilmente avevano ricostruito una storia credibile.
"Ah, certo, devi essere confuso. Dopo che quei due criminali ti hanno portato nel loro nascondiglio a Goat Rocks, hai cercato di scappare, ma sei caduto in un dirupo. Hai fatto un bel volo… Sei finito dritto sulle rocce, anche se non hai battuto la testa, per chissà quale caso fortunato."
Hiccup si toccò il punto che gli doleva a ogni respiro con attenzione. "È per questo che mi sento come mi avessero trafitto il fianco?"
Non avrebbe potuto scegliere termine più appropriato. Sembrava che fosse stata un'altra persona a pugnalarlo, invece di sé stesso, ma dopotutto era disperato.
"Sì, grazie al cielo ti hanno trovato i Frost, altrimenti saresti rimasto lì fino al nostro arrivo. Ti hanno prestato soccorso e hanno chiamato aiuto" disse suo padre.
Non aveva parlato di Astrid e Moccicoso, forse erano stati esclusi dalla bugia. Hiccup sperava che fossero tornati in città senza problemi.
"Che fine hanno fatto quelli che mi hanno rapito?"
Stoick indurì l'espressione furente. "Morti. Il loro rifugio ha preso fuoco. Un incidente strano, in effetti, ma è successo al momento migliore e peggiore insieme. Bruceranno all'inferno e io non potrò mai interrogarli."
Hiccup si agitò sotto le lenzuola rigide, nervoso. Eret non aveva subìto davvero quella sorte, giusto?
"Dimenticali… Ahi."
Aveva le gambe irrigidite e formicolanti. Camminare non sarebbe stato divertente per un po'.
"Tutto bene?" chiese suo padre apprensivo.
"Fa male, ma almeno sono tutto intero." Avrebbe dovuto ringraziare Jack per avergli salvato la vita di nuovo.
Suo padre mutò espressione almeno dieci volte, dalla rabbia, alla preoccupazione, dalla tristezza, alla colpevolezza.
"Sei precipitato su dei massi appuntiti, è un miracolo che tu sia sopravvissuto" disse lentamente. Aveva l'aria di essere una doverosa premessa, prima dell'annuncio di una brutta notizia.
"I Frost hanno fatto quello che potevano" continuò. Okay, una pessima notizia.
Lo sguardo di Stoick si spostò involontariamente sul lenzuolo candido, e Hiccup non ebbe bisogno di altre spiegazioni. Il ricordo della sensazione terribile di ossa, legamenti e muscoli piegati in modo innaturale e doloroso era per sempre impressa nella sua mente.
Sollevò un lembo della coperta, trattenendo il fiato, ignorando le proteste di suo padre, e vide quello che temeva.
Non c'era. La sua gamba sinistra finiva appena sotto il ginocchio fasciato. Hiccup non era pronto a guardare meglio, e rimise a posto il lenzuolo senza commentare. A dire il vero, le emozioni contrastanti nella sua testa erano ovattate dallo stesso spaesamento che non era sparito da quando si era svegliato. Sedativi? Shock?
Inspirò ed espirò con calma. Stoick era teso, aspettando un qualche verdetto da parte sua.
"Dev'essere la mia gamba sfortunata. È la stessa di quando mi sono slogato la caviglia il primo giorno di scuola" disse Hiccup per sdrammatizzare, senza sapere bene perché. Non c'era tanto da ridere, ma forse così sarebbe parso meno importante, meno penoso.
"Sei stato molto coraggioso a tentare di fuggire da quei pazzi pericolosi" disse Stoick. "Sono fiero di te."
L'ennesima sorpresa. Hiccup ne era lieto, però cominciava ad avere l'impressione di avere i giorni contati, suo padre si stava comportando in modo troppo gentile.
Lui si schiarì la voce e batté le mani sulle ginocchia, visibilmente imbarazzato. "Direi che è ora di chiamare l'infermiera. Anche tua madre, prima che scoppi per l'ansia."
"La mamma è qui?" chiese Hiccup stupito.
"Certo, è saltata sul primo aereo disponibile in piena notte. Dovrebbe arrivare tra poco."
Hiccup annuì. Non vedeva l'ora di incontrarla, dopo secoli di lontananza; il loro litigio ora appariva talmente sciocco…
Una piccola parte di lui, tuttavia, non poté fare a meno di pensare 'voglio vedere Jack' in tono capriccioso. Chissà se sarebbe passato presto a trovarlo.
L'infermeria chiamata da suo padre eseguì qualche controllo, decretò che fosse in condizioni stabili e spiegò, insieme a un dottore gentile, la riabilitazione che avrebbe dovuto seguire per riprendere la sua vecchia vita di sempre. Hiccup ascoltò senza sapere esattamente come doveva reagire: era come se stessero parlando di un estraneo, e poi la sua vita aveva smesso di essere normale da un mese.
Dopo che se ne andarono, raccomandandogli un sonnellino, Hiccup domandò a suo padre se qualcuno avesse riferito a Jack del suo risveglio.
"Se ha continuato a tormentare chiunque lavora in questo reparto come ha fatto ieri, allora lo avrà scoperto. Come mai sei così impaziente di vederlo?" brontolò Stoick.
Per tutta risposta, Hiccup arrossì, guardò altrove e si morse la lingua per tutta la mattinata, ogni volta che aveva l'impulso di chiedere. Mangiò obbedientemente l'insapore cibo dell'ospedale e ascoltò il telegiornale dalla TV posta in un angolo della stanza. Non parlarono dell'incidente, per quel giorno.
Sua madre arrivò in ospedale dopo pranzo, irrequieta e vestita troppo leggera. Senza degnare Stoick di uno sguardo, corse subito ad abbracciare Hiccup delicatamente e pretese un resoconto dettagliato degli ultimi avvenimenti.
"Non avrei dovuto lasciarti da solo" pianse sfiorandogli le guance con le dita sottili. Hiccup la trovò più abbronzata, oppure era lui ad aver perso colore.
"Non ero da solo" replicò lui. "Ero con papà."
Lei sbuffò e scosse la testa. "È colpa mia se ti è successo tutto questo, adesso mi odierai."
"No, mamma, e non è colpa di nessuno. Forks non è poi tanto male, sai?"
"Non dire così per farmi stare meglio, ti prego. Ci ho pensato, e penso di aver trovato qualcosa da fare che non mi costringa a spostarmi fuori città" disse con un sorriso incoraggiante. "Che ne dici, ti piacerebbe tornare a vivere insieme?"
Hiccup doveva riprendersi dallo sbigottimento per tre motivi. Primo, sua madre viveva per il suo lavoro, era la sua più grande passione e gioia, restare sempre nello stesso posto le avrebbe tolto tutto questo. Secondo, per quanto suo padre stesse facendo del suo meglio per non mostrarlo, si stava torcendo le mani in apprensione, come se temesse quello che lui potesse rispondere.
Terzo, se Hiccup avesse avuto la stessa occasione un mese prima, avrebbe accettato con entusiasmo e sarebbe tornato immediatamente a casa di sua madre, ma in quel momento non si sentì affatto travolto dalla felicità.
"...Vorrei restare qui" disse, con sua stessa sorpresa.
I suoi genitori erano il ritratto dello sconcerto.
"Ma non ci volevi nemmeno venire" protestò Valka ragionevolmente.
"Lo so, ma non posso andarmene adesso" rispose lui. "Mi mancano solo due anni di scuola, e lascerei qui i miei amici."
Alla parola 'amici', lei inarcò le sopracciglia. Be', Hiccup non poteva darle torto, detta da lui era un ossimoro.
"Se è quello che vuoi, per me va bene" disse sua madre, sconfitta.
"Sdentato ne sarà contento" commentò Stoick raggiante. "Adesso è da Skaracchio. Credo che vadano molto d'accordo, ma sono certo che gli manchi."
Suo padre che parlava serenamente di Sdentato come se fosse un membro della famiglia, proprio lui che aveva fatto di tutto per ignorarlo? Hiccup stava sognando.
"Chi è Sdentato?" chiese Valka.
"Il gatto che ho portato a casa" spiegò lui. "Potrai conoscerlo appena potrò uscire da qui."
"Val, andiamo a mangiare qualcosa" disse suo padre. "Non hai pranzato, in aereo, vero?"
Uscirono dalla stanza, uno con la mano sulla spalla dell'altra, chiacchierando fittamente. Hiccup non li vedeva parlare tranquilli da quando era piccolo.
Dopotutto, Forks non aveva fatto altro che migliorare la sua vita, pensò mentre sbadigliava e chiudeva gli occhi, lasciando che i gli antidolorifici lo portassero nel mondo dei sogni. Chi l'avrebbe mai detto.

*


"Jack" sussurrò una voce al suo orecchio. Qualcuno gli diede una gomitata nel fianco.
Lui smise di fingere di dormire, ingobbito sulla scomoda sedia di plastica blu della sala d'attesa.
Era stato costretto a chiudere gli occhi e starsene immobile per non far notare di essere rimasto in piedi per otto ore, salvo quando era uscito per indossare il cambio di vestiti portato da Toothiana. Aveva interrogato con zelo tutte le persone che andavano e venivano dal reparto dove era ricoverato Hiccup, senza ricevere però informazioni soddisfacenti.
"Che c'è?" bisbigliò ad Aster, seduto accanto a lui, che indicò un uomo in camice che camminava a passo spedito in mezzo a un certo via vai.
"È quello che ha operato Hiccup" disse. "Dev'essere successo qualcosa."
Jack si raddrizzò svelto sulla sedia cigolante. "Si è svegliato?"
"Può darsi, ma dovremo aspettare per saperlo— Dove credi di andare?!"
Jack non ne poteva più di quella sala d'attesa, era frustrante restare fermo e all'oscuro della situazione.
Aster gli afferrò il braccio e tirò in basso, spingendolo a tornare seduto. "Ti cacceranno di nuovo" sibilò.
"Non mi hanno cacciato, è stato Nord a portarmi via" ribatté lui. Ricordava con fastidio le grosse mani dell'uomo che lo portavano fuori dalla stanza, insistendo che doveva riposare. 'Riposare'? Era un vampiro, non ne aveva bisogno da ottant'anni!
"Come ti pare, ma adesso sta' fermo, se fai una scenata ci manderanno via dall'ospedale."
Jack eseguì l'ordine svogliatamente, infilando le mani nella tasca della felpa e battendo nervosamente il piede sulle piastrelle opache del pavimento.
Aspettarono per un'eternità, o forse un'ora, finché Jack non intravide il padre di Hiccup, che spiccava per la sua imponenza, diretto al bar della struttura accompagnato da una donna.
Sfuggì agilmente dalla vigilanza di Aster e si avvicinò a Stoick.
"Come sta Hiccup?" chiese impaziente.
"Abbastanza bene, è sveglio da un po' e non vede l'ora di tornare a casa" rispose lui. Per la prima volta dopo il giorno prima, aveva perso il tono disperato che aveva colto Jack alla sprovvista, quando aveva parlato con Astrid al telefono. Dopo quella conversazione lo aveva completamente rivalutato.
Perciò Hiccup si era ripreso senza difficoltà. Che sollievo.
La donna si sporse da dietro Stoick per vedere meglio Jack. "Sei un suo amico?"
Lui la guardò meglio. Era alta e snella, con lunghi capelli castani striati di grigio e occhi azzurri che si affacciavano sugli zigomi alti. A Jack ricordò molto Hiccup.
"Mi chiamo Jack Frost" annuì.
"È il ragazzo di Hic" precisò il signor Haddock. "È stato lui a trovarlo per primo, insieme alla sua famiglia. Brava gente."
Quale delle voci elencate spinse la donna a stringere Jack in un abbraccio commosso era un mistero, e lui si lasciò stringere senza protestare, impacciato, mentre veniva ricoperto di ringraziamenti.
"Sono Valka, la madre di Hiccup" si presentò lei dopo aver essersi ritratta. "Ora è un po' più chiaro perché vuole rimanere qui, lo avrei fatto anch'io se avessi avuto un fidanzato così bello."
Lo studiò con lo stesso sguardo profondamente affascinato del figlio, ignorando le parole sdegnate dell'ex marito, che stava sostenendo con orgoglio quanto fosse attraente in gioventù.
"In che senso 'vuole rimanere'?" chiese Jack.
"Ha rifiutato la mia proposta di tornare ad abitare da me" disse Valka con appena una traccia di rammarico nella voce.
Doveva andare subito da lui, pensò Jack col cuore pieno di gioia. Non aveva considerato la possibilità che Hiccup potesse andarsene, anche se aveva senso che la madre lo volesse portare via, dopo quello che era successo.
"Voglio vederlo" disse ai due adulti fremendo per l'agitazione. "È possibile?" Stoick si lisciò la barba. "Credo di sì, ma non aspettarti di avere chissà quale conversazione. Sta dormendo."
Per Jack era più che sufficiente. "Grazie."
Indirizzò un cenno ad Aster, che aveva osservato la scena da lontano, e si infilò nel corridoio che portava alla stanza di Hiccup. Voleva dirgli quanto fosse felice che stesse bene e che volesse vivere a Forks pur avendo rischiato la vita, e che lo amava.
Come da avvertimento, il ragazzo disteso sul grosso letto con le sbarre aveva gli occhi chiusi. Jack poteva sentirne il respiro calmo e il battito regolare, accompagnato dal debole bip del cardiogramma. Trovò il suo odore sbagliato, o comunque leggermente diverso, forse per una trasfusione.
Hiccup si destò non appena lui si accomodò sulla seggiola vicina al letto e appoggiò i gomiti sul materasso. "Ehilà."
"Scusa" si affrettò a dire Jack. "Riposa pure, sembri esausto."
Lui si mise in una posizione più diritta, strizzando gli occhi. "No, tranquillo, dormirò dopo. Sospetto che avrò un sacco di tempo per farlo… Ahia."
Jack si alzò di scatto, ma agitò inutilmente le mani per paura di fargli ancora più male toccandolo, e non gli restò che tornare a sedersi. "Vacci piano."
"Già, ho avuto una brutta caduta, eh?" tossì Hiccup facendogli l'occhiolino. "Bella storia, a proposito, ma la parte dell'incendio è piena di buchi."
"Ehi, c'era poco tempo per pensarci ed eravamo sotto pressione, abbi pietà."
Lui rise e trasalì, toccandosi il fianco. "Okay, okay, allora raccontami cos'è successo davvero."
Jack non era proprio entusiasta all'idea di ripercorrere gli avvenimenti traumatici del giorno prima, tuttavia non avrebbe mai potuto rifiutare una sua richiesta.
Gli riferì nel dettaglio dell'inseguimento di Astrid e Moccicoso, di come si erano incrociati per strada e del tragitto fino a Goat Rocks.
"Pitch ci avrebbe ammazzati, se non fosse stato distratto da qualcuno…" concluse.
"Per fortuna ha funzionato, era un piano rischioso" commentò Hiccup.
"Rischioso?" esclamò Jack, indeciso se ridere o arrabbiarsi. "Hai cercato di ucciderti!"
"No" replicò lui serio. "Se l'intenzione fosse stata quella, avrei mirato al cuore. Non mi sono pugnalato a casaccio, sai" aggiunse ironicamente.
Jack sospirò e si arruffò i capelli sulla nuca. "Guardati. Sei ridotto così, costretto su un letto d'ospedale per colpa mia. La tua gamba…"
"È andata, ma sono vivo" Hiccup posò la mano calda sulla sua e la strinse. "Sono vivo, Jack, ed è soprattutto grazie a te."
Lui annuì, eppure non poteva impedirsi di pensare che sì, quella storia poteva finire decisamente peggio, ma non era la prima volta che Hiccup rischiava tutto, e non sarebbe stata nemmeno l'ultima, proprio a causa sua. L'intromissione prepotente di Jack nella sua vita umana l'aveva fatta diventare una roulette russa.
"Devo dirti una cosa."
"L'ultima volta che me l'hai detto ho ricevuto una confessione."
Jack accarezzò un lieve callo da penna sul dito di Hiccup. "Ad essere sincero dovevo dirtelo molto tempo fa, ma ho lasciato perdere dopo che tu hai cominciato a blaterare di maglioni."
"Guarda che hai iniziato tu!"
"Certo, certo" sospirò. "Ci sarebbe un… un modo per renderti meno vulnerabile. È estremo, e non ti farebbe comunque recuperare la gamba, ma così non saresti sempre a un passo dalla morte."
Hiccup guardò assorto le proprie ginocchia, nascoste sotto il lenzuolo bianco. "Intendi la trasformazione?"
Jack era di fronte a un bivio. Era ancora in tempo per gridare che fosse tutto uno scherzo, e riderci su, oppure dire la verità e lasciargli la scelta che gli spettava di diritto, come aveva spiegato Nord. Nello stesso modo in cui si era arreso sulla montagna, decise di accettare qualunque risposta.
"Sì. Tre giorni in cui ti sembrerà di andare a fuoco, e poi sarai la creatura più forte nel raggio di chilometri, anche più di noi, per un intero anno."
Quelle ore in cui Hiccup avrebbe gridato, urlato di spegnere fiamme immaginarie e implorato di ucciderlo, sarebbero state interminabili. Jack si morse il labbro: prima di allora non ci aveva pensato.
"No."
Lui lo fissò interrogativo.
"Voglio dire" Hiccup si grattò la testa, pensieroso, "sembra fantastico… La forza sovrumana, la resistenza, le ore libere senza dormire e l'idea di non essere un peso, ma non so se sono pronto. Da quello che ho visto direi che è un grosso sacrificio, no? Dovrei stare lontano dagli umani per un po', compresi i miei genitori, e anche dopo sarebbe tutto diverso. In più" sorrise nostalgicamente, "mi dispiacerebbe mancare l'occasione di passare un anno di scuola in tranquillità."
"E perderesti tutte le lentiggini" suggerì Jack, sentendo un peso sollevarsi dalle sue spalle. "Saresti freddo e pallido come noi. La gola ti brucerebbe costantemente. In effetti non è proprio uno spasso."
Hiccup ridacchiò e alzò gli occhi al cielo.
"Le lentiggini no, per carità!" disse in tono esageratamente drammatico. "No, grazie per l'offerta, ma per il momento sono a posto. Sempre che non ti dispiaccia togliermi dai guai."
Jack gli pizzicò il naso, sicuro che quel punto non gli dolesse. "Certo che no, ma non provare mai più a farti del male, o avrai cinque vampiri arrabbiati alle calcagna!"
"Anche Eret?" chiese Hiccup allarmato. "Mio padre è convinto che sia morto con Pitch."
"È a casa nostra, Nord e Sandy lo tengono d'occhio" lo rassicurò Jack. "E gli altri?"
"Aster è tornato al lavoro, mentre Toothiana è a scuola e mi ha mandato SMS per tutta la notte, mi sa che si è presa un bello spavento. Anche Astrid, perché mi ha chiamato all'alba per chiedere come stai."
"È carino da parte loro essere tanto in pensiero per me. Sono sulla bocca di tutti, si direbbe" disse Hiccup.
"Non sai quanto" sogghignò Jack. "Deve essersi sparsa la voce che sei stato rapito, perché a sentire Toothiana sei improvvisamente, inspiegabilmente diventato il ragazzo più popolare della scuola."
Non che ci volesse molto, in realtà. Il liceo di Forks aveva tanti studenti quante giornate di sole.
"Oh, no!" si disperò lui.
"L'hai presa bene, vedo."
"Sono inconsolabile e nulla potrà darmi gioia, tranne…" Hiccup rifletté per qualche secondo. "Tranne una cosa che mi neghi da quando ci conosciamo."
"Cosa?"
"Il sole. Mi piacerebbe sapere perché non potete stare alla luce, è da giorni che me lo chiedo."
Jack si alzò dalla sedia e andò alla finestra. "Non ti fa dormire la notte, eh?"
Hiccup si strinse nelle spalle con un'occhiata di scuse, mentre lui esitava davanti alle persiane chiuse. Non sentiva visitatori o medici in arrivo, quindi tirò la cordicella.
Il sole pallido del primo pomeriggio di fine settembre investì la sua pelle, che la catturò rimandandola all'esterno, divisa in un milione di riflessi di diamante. I suoi occhi di vampiro potevano intravederci l'intero arcobaleno, e doveva fare un effetto impressionante anche per un umano, perché Hiccup lo stava ammirando a bocca aperta, con gli occhi pieni di meraviglia che specchiavano lo spettacolo.
"Wow" boccheggiò senza distogliere lo sguardo. "È bellissimo."
Jack si guardò il dorso delle mani. Non si sarebbe mai definito 'bellissimo', in passato, ma Hiccup riusciva a farlo sentire così. Era disarmante.
Chiuse le tapparelle con uno scatto frusciante e tornò da lui.
"Io ti…" cominciò, prima di udire dei passi in avvicinamento. Non erano quelli decisi di Stoick. "Sta arrivando il dottore."
Hiccup si aggrappò alle mani di Jack facendo una smorfia. "È l'ora di iniziare la riabilitazione."
"Metticela tutta. Sei forte."
Jack, essendo ancora in piedi, approfittò per scostargli i capelli e stampargli un bacio in fronte. Hah. Dolce vendetta.
"Ci vorrà un po', temo" disse Hiccup accennando alla gamba mancante. "Mi aspetterai?"
"Per sempre" giurò Jack. Indietreggiò e uscì di soppiatto.
Questa promessa sarebbe stata la prima che avrebbe mantenuto davvero, poco ma sicuro.



Note
Siamo quasi alla fine, manca l'ultimo capitolo. Chiedo perdono se ho scritto qualche sciocchezza riguardo l'amputazione o simili, fortunatamente non me ne intendo. Comunque sono rimasta apposta sul vago.



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Capitolo 17
*** Epilogo. Neve ***




Epilogo

Neve
 
 
"Ancora non ho capito perché lo stiamo facendo."
"Intanto assecondala, dopo troveremo un modo per scappare."
"Vi sento, sapete!"
Toothiana si affannò intorno a un insofferente Jack, raddrizzandogli il papillon e sistemandogli i capelli argentei. La chioma di Hiccup, che aveva appena subìto la stessa operazione, era stata miracolosamente domata e per una volta non pareva una zazzera spettinata, complici acqua, lacca e le dita esperte della vampira.
Camera sua era sempre stata regnata dal disordine in cui si trovava a suo agio, ma quella sera era un vero caos, tra vestiti buttati sul letto, prodotti di bellezza sulla scrivania e lo specchio a figura intera che Toothiana aveva portato fin lì dalla stanza di Stoick. Sdentato sonnecchiava indisturbato in mezzo alla confusione sul piumone.
"Fatto" esclamò lei, mani sui fianchi ed espressione fiera. "Stai benissimo, Jack!"
Hiccup era pienamente d'accordo. Lo smoking blu notte gli calzava alla perfezione e faceva risaltare la pelle candida, dandogli un'aria elegante. Quando lo aveva visto, uscito dal bagno, era rimasto incantato.
Jack ignorò il complimento. "Dico sul serio, perché devo sempre accontentarti?"
"Perché da sola attirerei troppo l'attenzione, e perché te l'ho chiesto gentilmente" disse Toothiana aggiustando una balza del suo coloratissimo vestito.
"Sì, la tua voce diceva 'per favore', ma i tuoi occhi gridavano 'omicidio'" disse lui piccato. "Non hai pensato che Hiccup non abbia alcuna voglia di andare al ballo e mettersi in mostra, soprattutto adesso?" accennò alla sua protesi, seminascosta dai pantaloni formali.
Quest'ultimo annuì. "Non credo che siano nemmeno permesse, le coppie dello stesso sesso."
Lei si lisciò una piega inesistente della gonna, evitando di guardarli in faccia. "Se il preside avesse cambiato le regole, allora vi andrebbe bene?"
Jack strinse gli occhi a fessura. "Toothiana, che cosa hai combinato?"
"Niente!" si difese lei. "Quello devi chiederlo a Nord."
"Non dirmi che lo ha minacciato" Hiccup, che trovava l'immagine esilarante, scoppiò a ridere.
"Solo un pochino."
Diede allora un colpetto alla spalla di Jack. "Dai, facciamo questo teatrino e non pensiamoci più. Non sarà poi così terribile."
Lui intercettò la sua mano e la strinse. "Solo perché sei tu a domandarlo."
"Perfetto, adesso che siete pronti possiamo andare" disse Toothiana.
Quando furono in cima alle scale, Jack porse il braccio a Hiccup. "Fa' attenzione" gli raccomandò. Lui accettò l'aiuto, e scesero insieme gli scalini, preceduti da Sdentato come un piccolo corteo in parata.
Hiccup si era esercitato come un matto, nei mesi successivi all'amputazione, per abituarsi a camminare con la protesi. Voleva essere in grado di sbarazzarsi della sedia a rotelle il prima possibile, e la riabilitazione aveva dato i risultati sperati: a Natale era riuscito a scendere in salotto tutto da solo. Al ritorno a scuola era stato accolto dalle rumorose acclamazioni dei suoi amici, che ora condividevano lo stesso tavolo di Jack e Toothiana, quando aveva raggiunto la mensa senza aiuti.
"Non so se potrò starti dietro" confidò a Jack mentre si dirigevano verso l'ingresso. "Non sono mai stato granché come ballerino."
"Ti terrò io. Non cadrai."
"È tardi, farete meglio a sbrigarvi" suo padre arrivò dalla cucina e li squadrò tutti e tre da capo a piedi con aria di approvazione, cosa rara per lui.
Toothiana sobbalzò. "Le foto! Me ne stavo dimenticando!"
"Quali foto?" chiese Jack.
"Voglio un ricordo di oggi. Ha una macchina fotografica, signor Haddock?"
Hiccup suppose che si riferisse più a lui e a Stoick, che alla loro memoria soprannaturale. In effetti non gli dispiaceva l'idea di conservare un'immagine di Jack vestito da sera.
"Dovrebbe essercene una da qualche parte in salotto" disse suo padre.
Toothiana si offrì generosamente di aiutarlo nella ricerca e lo seguì nella stanza accanto, lasciando i due ragazzi da soli nel corridoio all'entrata.
"Odio queste scarpe, sono peggio delle sneaker."
"Tieni duro ancora per un paio d'ore."
Jack gli rivolse un'occhiata, accennando un sorriso sghembo. "Aspettami qui un secondo."
Sparì in cucina e tornò che Hiccup aveva giusto avuto tempo per battere le ciglia, portando tra le braccia una lunga custodia da abbigliamento con fare solenne. La prese per la gruccia e abbassò la cerniera in un gesto fluido, rivelando un bel cappotto scuro elegante.
Hiccup alzò le mani. "Un altro regalo? Sono già in debito con la tua famiglia per lo smoking, non voglio approfittare della loro generosità."
"È appena primavera, fa freddo fuori" replicò Jack. "E poi questo è da parte mia."
Rassegnato, Hiccup si lasciò aiutare ad infilare le braccia nelle maniche. Quell'affare doveva essere più costoso del suo intero guardaroba. "Grazie."
"Figurati, se Toothiana ti avesse visto uscire anche stasera con la giacca a vento, le avrebbe dato fuoco. La detesta."
Proprio in quel momento, lei e Stoick arrivarono armati di fotocamera. Hiccup non capiva perché non potessero fare una foto col cellulare come le persone normali.
"Mettetevi in posa" ordinò suo padre. "Più vicini, o non ci starete nell'inquadratura… Sorridete!"
Toothiana si strinse a Jack, che colse astutamente l'occasione per circondare la vita di Hiccup con il braccio. Lui sentì una scossa elettrica risalirgli la schiena, ed ebbe un brivido.
Dopo qualche scatto, Stoick fece 'sciò' agitando la mano robusta. "Tu resta, Hic. Questa è per Valka."
Lui non sapeva in che modo mettersi, perciò optò per una posa con le mani in tasca che voleva sembrare disinvolta ma non ingannava proprio nessuno. Sentì Jack ridere sotto i baffi.
Era estremamente impacciato nello smoking nero donatogli collettivamente dai Frost, compresa la singola lucida scarpa destra, e non amava farsi fotografare, soprattutto davanti a due creature che rasentavano il divino.
Si unì alla risata generale, divertito dall'assurdità della situazione, ancora immobile per lo scatto. A quel punto, Jack diventò serio, quasi assorto, osservandolo a lungo con un'occhiata di quello che sembrava apprezzamento che tinse di rosso le orecchie di Hiccup.
"Andiamo" tagliò corto lui, scalpitando per sottrarsi a quello sguardo intenso. Normalmente non trovava difficoltà nel guardarlo negli occhi d'ambra, eppure questa volta il suo cuore batteva impazzito.
"Divertitevi."
La visione che si trovò davanti, fuori nel vialetto, lo distolse da quei pensieri confusi, perché parcheggiata davanti casa c'era la Ferrari rosso acceso che aveva intravisto a casa Frost.
"Come hai convinto Nord a prestartela?"
Jack corse baldanzoso ad aprire la portiera dal lato del passeggero. "Evitando di chiederglielo. Ha funzionato a meraviglia, ci credi?"
Hiccup rimase imbambolato davanti l'auto, intanto che Toothiana lo superava per andare a infilarsi sul sedile posteriore, attenta al vestito. "Finirai nei guai."
"Probabilmente, però ne vale la pena."
E davvero, Hiccup fu costretto a dargli silenziosamente ragione, quando ammirò da vicino gli interni di pelle nera dai dettagli scarlatti e il cofano lucido. Il motore era piacevolmente silenzioso e la vettura sfrecciava facilmente sull'asfalto; il viaggio verso la scuola durò troppo poco.
Il ballo finale di quell'anno era stato anticipato per marzo, quindi gli studenti in abito da sera si stavano affrettando a lasciare il parcheggio per entrare nel tepore della mensa, ma parecchi curiosi si trattennero per occhieggiare la macchina che Jack fermò in un posto libero. Hiccup notò che si era premurato di parcheggiare di fronte all'edificio, in modo da dover camminare il meno possibile.
Scesero dalla Ferrari e varcarono la porta, dove si unirono alla coda che si snodava dal tavolo adibito a biglietteria. Jack e Toothiana attiravano molti sguardi sfacciati.
Al banco sedeva Skaracchio, che per l'occasione aveva sostituito il cappello da baseball con un vecchio cilindro consumato, e li salutò calorosamente. Prese in consegna il nuovo cappotto di Hiccup e porse loro tre biglietti ammiccando.
"Passate una bella serata, ragazzi."
Toothiana marciò verso la pista da ballo. Jack si fermò su un confine invisibile che pareva dividere la zona della biglietteria dal resto della sala, tentennando.
Guardò Hiccup in cerca di approvazione. "È come se stessimo per rendere la cosa ufficiale. Che stiamo insieme, intendo."
"Così sembra."
"Siamo ancora in tempo per scappare, sai."
"Hai paura, Jack Frost?" Hiccup usò il suo tono di sfida migliore, affidandosi al lato combattivo del vampiro.
Lui sbuffò e lo prese per mano. "Ti piacerebbe. Ci sei tu con me."
La mensa era stata sgombrata dai tavoli e addobbata di luminarie soffuse, palloncini sbiaditi e festoni di carta. Il trionfo della raffinatezza.
Gli studenti avevano affollato la pista, trascinati dalla musica. Hiccup fu sicuro di scorgere i suoi amici nella calca, divisi in coppie inaspettate. Gambedipesce ballava con Bruta, Astrid con Moccicoso (lei doveva aver perso una scommessa o qualcosa del genere, non c'era altra spiegazione), Tufo con… sé stesso. Si muoveva bene, però.
Hiccup accennò loro un saluto e si piazzò sul bordo della pista con Jack, che allacciò le mani al suo collo senza maledire la differenza di statura come al solito.
Lui lo afferrò per i fianchi. "Guidami."
E Jack lo condusse in una semplice danza, un lento che lo aiutò ad abituarsi a muoversi a tempo sulla gamba finta. Hiccup si scordò per qualche minuto della folla, della musica e della protesi, perché si perse nei suoi occhi dorati.
"Il piano di Toothiana non funzionerà" gli sussurrò in un orecchio. "Vestito così ti guardano tutti."
In realtà erano solo le coppie intorno a loro a sbirciare, e Hiccup si chiese cosa diavolo avesse fatto per essere tanto fortunato da stare con lui.
"Guarda che stanno fissando anche te" disse Jack. "Ah, ecco che arriva la prova."
Hiccup aprì bocca per domandare cosa intendesse dire, ma lui si scostò per rivolgersi ad Astrid, che stava per toccargli una spalla per chiamarlo.
"Ehi, Hofferson. Come va?"
"Ciao, Jack. Hiccup, ti dispiace se ti sequestro per un minuto?"
"Mi stai chiedendo di ballare?"
"Più o meno."
Portò Hiccup nel bel mezzo degli studenti danzanti, lasciando Jack a osservarli in disparte, e dondolarono per un po' a tempo. L'abito lungo e rosso le lasciava le spalle scoperte e si increspava sul retro della gonna.
Lui aspettò pazientemente che parlasse.
"Allora" esordì Astrid. "Tu e Jack, eh?"
Infatti. Lo aveva detto, il vampiro, che in quel modo stavano annunciando al mondo il loro legame.
"Abbiamo pensato che fosse meglio aspettare, prima di farlo sapere. Sai com'è, le relazioni al liceo."
Sperò che Jack non potesse sentirli, perché quell'insinuazione era una bugia a cui avrebbe creduto, nonostante Hiccup gli ripetesse quanto lo amava almeno due volte al giorno.
"Capisco."
"Allora… Tu e Moccicoso?" imitò il suo tono di voce indagatore.
Astrid sbuffò e roteò gli occhi. "Siamo d'accordo per essere venuti esclusivamente come amici, e dopo tutte le minacce che gli ho rivolto dovrebbe esserselo ficcato in testa."
Nessuna scommessa, dunque. "Davvero non hai trovato nessuno con cui venire?"
"Oh, no, ci sono un sacco di ragazzi che me lo hanno chiesto, ma mi sentivo in debito con lui. Per quello che è successo a settembre, sai. Ho pensato di premiarlo in qualche modo."
Hiccup ricordava bene quali rischi avessero corso per venire a salvarlo, e si rabbuiò. "Non vi ho mai ringraziati come si deve, ora che ci penso. Vorrei che dimenticaste quello che avete visto, però" la supplicò.
Lei si concentrò sui brutti festoni alle pareti, pensosa, poi tornò a guardarlo in faccia. "Senti, non ti chiederò come hanno fatto i Frost a trovarti prima della polizia, o perché Jack ci abbia mandati via, o perché quel tizio aveva gli occhi rossi, ma devi promettermi una cosa."
Era più di quanto avesse chiesto. "Sì?"
"Non metterti più in un casino del genere, o almeno prova a non farlo" Astrid arricciò le labbra in un sorrisetto. "Non voglio sentirmi di nuovo costretta a venire al ballo con Moccicoso, l'anno prossimo."
"Farò del mio meglio" promise Hiccup, sollevato. Fortunatamente non sapeva che Eret era vivo e vegeto, anche se impegnato in un duro addestramento con Sandy per imparare l'autocontrollo. Altrimenti, era sicuro che avrebbe cercato di prenderlo a pugni.
Lei lo abbracciò, tanto rapida da fargli pensare di esserselo immaginato, e andò da Jorgenson, che aveva l'aria di chi sta vivendo un sogno a occhi aperti.
Jack riacchiappò Hiccup appena Astrid si allontanò. "Ci ha messo un secolo, stavo facendo le ragnatele, laggiù. Tutto apposto?"
"Sì" rispose lui. "Adesso sì."
La canzone era finita. Il deejay attaccò un pezzo molto più veloce, e la folla si scatenò con entusiasmo. Jack stava evidentemente fremendo per fare lo stesso.
"Ti va di ballare sul serio?"
Hiccup vide il suo sorriso candido e seppe già che avrebbe accettato. "Perché, quello di prima cos'era?"
"Pfft, era appena un riscaldamento. Vieni."
Non ballarono nello stesso modo della prima canzone. Stavolta Jack si esibì in uno stile diverso, vagamente simile a qualcosa che Hiccup aveva visto in qualche vecchio film in bianco e nero, quindi doveva provenire dalla sua vita umana. Era travolgente, tra salti e piroette da capogiro.
Per essere uno tanto contrario all'idea di andare al ballo scolastico, sembrava divertirsi un mondo. Hiccup fu presto contagiato dalla sua espressione spensierata. Adesso li stavano fissando eccome.
Quando la canzone finì, si accorse di essere senza fiato, mentre Jack non aveva un capello fuori posto e percepì il suo affaticamento.
"Prendiamo una boccata d'aria. Tutte queste persone che ti osservano mi stanno facendo ingelosire" propose.
"Spiritoso."
"Ti prenderei mai in giro?"
"Costantemente."
Battibeccarono giocosamente fino all'uscita posteriore della mensa, piacevolmente libera da studenti, e trovarono una panchina su cui sedersi. La musica arrivava ovattata e distante.
Hiccup alzò gli occhi verso il cielo, occupato da nubi grigio piombo che oscuravano il tramonto. Gli ricordò la ninnananna sull'inverno che Jack aveva preso l'abitudine di intonare a bassa voce per distrarlo dagli sporadici dolori fantasma, le sere in cui s'intrufolava di nascosto in camera sua. Gli aveva raccontato che era la stessa che cantava per la sua sorellina, tanti anni prima. "Sta per nevicare" disse Hiccup malinconico.
"Mi piace la neve" mormorò Jack. "Mi fa tornare in mente bei ricordi. È rassicurante."
"Anche Pitch Black?" si fece scappare Hiccup, pentendosene all'istante. Lui non parve urtato dal suo commento. "Non so perché, ma quando ripenso a lui non provo rabbia, solo tristezza. L'immortalità lo ha fatto uscire di testa. Secondo Eret si asteneva dal bere sangue umano per anni, finché non trovava un villaggio abbastanza piccolo e indifeso da decimare. A volte mi domando cosa sarebbe successo se tu gli avessi parlato come volevi."
Qualche giorno dopo l'incidente, Nord era venuto a trovare Hiccup all'ospedale, e gli aveva raccontato che erano riusciti a ucciderlo grazie a Eret, che lo aveva tenuto fermo, e Sandy, che aveva usato il suo dono per paralizzarlo. Probabilmente non si sarebbe lasciato convincere solo con un discorsetto.
"Quel giorno hai implorato Toothiana di trasformarmi, vero?"
Jack evitò il suo sguardo. "Te l'ha detto lei?"
"Sì."
"Ero disperato. Sarò stato egoista, lo so, ma in quel momento ero disposto a tutto, purché vivessi. Sempre se questa si può chiamare 'vita'. Meno male che non ce n'è stato bisogno."
"Se però fossi io a deciderlo" Hiccup tamburellò nervoso le dita sulla gamba, "cosa ne penseresti?"
"Non mi avevi detto che era fuori questione?" disse Jack. Non pareva turbato all'idea, come invece era stato all'ospedale.
Erano mesi che Hiccup ci pensava. "All'inizio sì, ma poi ci ho riflettuto, e mi sono reso conto che vorrei passare tutto il tempo disponibile con te."
"Con 'tutto' intendi l'eternità?" Jack si tolse la giacca dello smoking e la drappeggiò sulle spalle di Hiccup, che sorrise.
"È una proposta?"
"Solo se è quello che desideri" il vampiro giocherellò con le dita dell'altro. "Avevi già una data in mente?"
Pur apparendo più sereno alla prospettiva, i suoi occhi sembravano gridare 'non adesso, non adesso!', tradendo l'ansia.
"Prima vorrei finire il liceo."
Jack si tranquillizzò. "Magari potresti prenderti un… anno sabbatico, prima del college. Avresti un sacco di tempo per studiare di notte, dopo."
Era prima di quanto Hiccup si era immaginato, ma quando mai ci sarebbe stato un momento migliore? Avrebbe avuto diciannove anni, e non voleva diventare troppo vecchio rispetto a lui, almeno fisicamente.
"È un patto?" incalzò Jack.
"È un patto" confermò Hiccup, e lo baciò sulle labbra gelide. Prima o poi, sarebbe stato lui a dover fare attenzione a non fargli male, a controllarsi e a proteggerlo.
Restarono accoccolati vicini, con le teste che si toccavano, respirando l'aria fredda e godendosi la compagnia reciproca, mentre i primi fiocchi iniziavano a cadere.










Note
E anche questa è fatta!
Erano secoli che volevo scrivere una HiJack, adesso mi sono tolta almeno questo sfizio. È stata decisamente più difficile della mia ultima long, tanto che ho deciso di unire i pov dei protagonisti a coppie, perché in origine erano capitoli separati (ecco il motivo dei titoli doppi). Mi è piaciuto molto, però, ed è stato interessante scrivere qualcosa con un rating diverso dal verde.
Ci sono un paio di cose che ho modificato rispetto all'idea originale per questioni di tempo e coerenza, tipo Jamie e i bambini (Hiccup avrebbe dovuto fargli da babysitter per riguadagnarsi i soldi per la macchina). Pensate che avevo programmato di rendere Astrid e la banda dei licantropi!
Ho in testa un paio di idee per altre fic (anche una oneshot sequel della Hogwarts!AU, ma sssst), ma temo che ci vorrà un po' per rifarmi viva. Preferisco completare le storie, per non lasciarle accidentalmente in sospeso prima di pubblicarle, perdonatemi.
Per finire, non l'ho mai detto durante la pubblicazione di questa storia, ma grazie per aver letto fino a qui!



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