Stone's love 2

di Joy2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Burning like a cigarette ***
Capitolo 2: *** Chi non muore si rivede ***
Capitolo 3: *** Richiesta d' aiuto ***
Capitolo 4: *** Visite ***
Capitolo 5: *** Se fossi stata un uomo ***
Capitolo 6: *** No è no ***
Capitolo 7: *** Vinceremo noi ***
Capitolo 8: *** Agguato ***
Capitolo 9: *** Addio ***
Capitolo 10: *** Vendetta ***



Capitolo 1
*** Burning like a cigarette ***


Stone's love 2

nda: questa volta il punto di vista dell'intera storia è di Tom. Buona lettura!

Non posso crederci. Chi ha osato toccare il mio pub? Chi si è permesso di darlo in pasto alle fiamme? Mentre il fuoco si riflette nei miei occhi, un rancore profondo e immenso si fa spazio nella mia mente. Chiunque sia stato ne pagherà le conseguenze. Il mio Garrison adesso  è un mucchio di macerie e cenere. Fortunatamente Polly ha salvato i documenti importanti, ma tutto il guadagno degli ultimi due mesi è andato perduto. Mentre ascolto la polizia che mi spiega l’accaduto –gli incompetenti sono intervenuti solo quando il mio bar era già in pasto alle fiamme- noto una fotografia dispersa tra le macerie. Mi dirigo a passo svelto verso l’immagine che cerca invano di scappare nel vento, poichè un mattone le blocca un angolo. È la foto della mia famiglia, ci siamo io, John e Arthur in divisa da soldati, poiché la foto era stata scattata prima della nostra partenza, Ada ancora senza le attuali curve femminili e Polly, sempre uguale. La raccolgo con delicatezza, facendo attenzione a non strapparla. Non so perché ma mi viene di girarla, forse è il mio istinto o forse la consapevolezza di trovare qualcosa che mi avrebbe portato alla verità. Dietro la fotografia c’è scritta la frase “Il fuoco nel cuore manda fumo nella testa” e c’è una firma chiara, leggibile ed elegante, sembra la scrittura di una donna, e infatti la firma appartiene a lei, Margaret Stone. Stone? È lo stesso cognome di Olivia. Mi inizia a battere forte il cuore e per un momento mi isolo dal contesto cercando di mettere in chiaro le cose. Olivia Stone, la mia piccola Lily che ho dovuto abbandonare in carcere, è orfana. Ho ucciso io suo padre e da ciò che ricordo la mamma si è suicidata anni or sono. Quindi questa Margaret non può che essere…la sorella? O tuttalpiù la zia? Ma Olivia non mi ha mai parlato di una sorella. E perché avrebbe mai dovuto incendiare il pub? Io non l’ho mai vista, non la conosco, cosa vuole da me? Una cosa è certa, devo trovarla, al più presto e l’unico modo per accelerare i tempi è rivolgermi ad Olivia stessa. Quando ero svenuto in ospedale e non riuscivo ad aprire gli occhi mia mamma mi disse in sogno di starle lontano. Dopo averne parlato con Polly siamo giunti alla conclusione che avrei dovuto lasciarla stare, per il bene di entrambi.
“Quando un morto ti dà un consiglio lo devi seguire, altrimenti ci saranno conseguenze disastrose” mi aveva detto la zia Polly preoccupata per me. E io le avevo dato retta, convinto che avesse ragione. Olivia mi è mancata dal primo giorno che ho preso quella decisione difficile e mi manca tutt’ora. Non sono andato neppure a trovarla né ho cercato un modo per liberarla, nonostante mi sia accertato con le dovute precauzioni che nessuno in carcere le potesse far del male. Si sarà sentita tradita, di nuovo, mi troverà sicuramente un uomo ignobile, opportunista, e forse non mi amerà più. Probabilmente è un bene perché avremmo potuto farci male a vicenda, e proprio perché io la amo ancora, ho deciso di allontanarmi. Ma a volte il destino è proprio strano, l’ho ritrovata sulla mia strada e chissà cosa accadrà questa volta.
Vado a casa di Polly, ho bisogno di un consiglio, ho una gran paura che la situazione possa sfuggirmi di mano, devo calcolare le mosse e non sapendo con chi ho a che fare, mi risulta tutto più difficile. È proprio l’ignoto a farmi paura, come in guerra: quando scavavo i tunnell non sapevo mai se dall’altra parte ci fosse il nemico, pronto ad aspettarmi per spararmi con un colpo ben piazzato tra gli occhi.
“Polly, devo parlarti” dico chiudendomi subito nella stanza con lei. Non sembra allarmata, si fuma la sua sigaretta tranquilla, mentre io invece sto cercando le parole giuste per spiegarle la situazione. Inutile dire che non le trovo e mi limito a tirar fuori dalla tasca interna della mia giacca la foto di famiglia. Polly la osserva senza toccarla e sorride malinconica. Per un attimo abbassa il solito muro difensivo alza in ogni momento sin da quando ero piccolo. Aspira un po’ di tabacco. Lo butta fuori e poi dice ironicamente
“Non sono cambiata di una virgola!”
Ecco che di nuovo alza le mura difensive, per non farmi capire le sue emozioni, ma so di conoscerla meglio di chiunque altro, e forse anche lei ne è consapevole, eppure preferisce illudersi, e mostrare la maschera della persona forte e impossibile da scalfire.
“Girala” le ordino. A quel punto mi guarda stranita. Fa come le dico e la sua attenzione è colpita da una scritta che sono certo non si ricordava ci fosse sul retro della foto. Legge con attenzione, in silenzio, mentre pian piano comincia a sgranare gli occhi.
“E chi è questa Margaret Stone?” mi domanda. A quel punto sbuffo demoralizzato perché pensavo che Polly potesse darmi una mano con la sua fitta rete di conoscenze, invece mi tocca sbrigarmela da me.
“Davvero Polly?! Stone…Olivia… che hai fatto ingiustamente arrestare…Non ti dice proprio niente?” le ricordo sarcastico e pungente perché ancora mi brucia il fatto che lei abbia ostacolato in questo modo la nostra relazione. Ma ormai quel che è fatto è fatto. Polly trattiene un sorriso orgoglioso e sta cominciando davvero a infastidirmi.
“Quindi Tom, fammi capire, Margaret Stone, una parente di Olivia ti ha bruciato il pub. E perché avrebbe dovuto farlo?” mi chiede lei, scettica. Ha sicuramente un’altra teoria per darmi torto.
“Non ne ho idea, ecco perché devo parlare con Olivia”
“Thomas caro, non è meglio che prima valuti le altre eventuali ipotesi?” mi suggerisce melliflua spegnendo nervosamente la sigaretta nel posacenere. Le faccio cenno con la mano di proseguire “Ad esempio, se quella foto risalisse a più anni fa, e questa Margaret te l’avesse semplicemente nascosta dentro il tuo pub? La foto è venuta fuori così all’improvviso” mi dice, ma la sua teoria non regge e capisco che Polly vuole tenermi lontano da Olivia.
“Mi stupisco di te, Polly, come puoi essere tanto sciocca da pensare una cosa simile?” le domando schietto, notando un velo di disappunto nei suoi occhi, ma rimane zitta. “La foto deve essere stata messa lì appositamente. E poi il messaggio è attuale, ed è chiaramente una provocazione.” Riprendo la foto e leggo ad alta voce “Il fuoco nel cuore manda fumo nella testa” “Margaret sa di me e Olivia. E sa di suo padre. È evidente. Devo trovarla. E devo pensare a un piano” dico più a me stesso che a Polly, che adesso sembra preoccupata.
“Thomas, quella ragazza ha portato solo guai nella nostra vita, te ne sei reso conto?” mi dice andando verso l’uscio. Non le rispondo e la congedo in fretta. Non ho bisogno di altre paure o di altre ansie. Se Polly non può essermi d’aiuto vorrà dire che me la sbrigherò da solo.
 
Dopo aver spiegato a Johnny Dogg la situazione e dopo avergli raccomandato di indagare su questa Margaret Stone, mi dirigo al centro di detenzione femminile, solo e agitato come poche volte sino ad ora. Non vedo l’ora di rivedere quel visetto spaurito e quegli occhi scuri e profondi, la cicatrice sul sopracciglio, i suoi capelli corvini. Chissà se Olivia è cambiata. Spero se la stia cavando bene in prigione. Probabilmente appena mi vedrà mi odierà come non mai. E come potrei darle torto? L’ho abbandonata dopo averle promesso la mia presenza. Sono un verme. E vorrei spiegarle di mia madre, di Polly, di come un sogno nella mia cultura da zingaro vada necessariamente seguito, ma so che lei non capirebbe, perché effettivamente le mie le sembrerebbero solo scuse. Fumo una sigaretta per la strada, cercando di calmarmi e darmi un contegno, ma quella ragazza ha completamente rivoluzionato il mio modo di sentire le cose. Mi rende vulnerabile, mi fa provare emozioni, che pensavo di aver ormai perduto a causa della guerra. Lei invece mi aveva fatto ritrovare me stesso, quel me stesso che però gli altri non avrebbero mai dovuto scoprire e che solo lei aveva avuto la fortuna di conoscere. Entro nel centro di detenzione e chiedo al primo poliziotto che incontro di Olivia,
“La signorina Stone è uscita l’altro giorno, è venuta a prenderla un’altra signorina” mi risponde la guardia. Nascondo la mia sorpresa.
“Sa dirmi com’era quest’altra signorina?” domando pensando già a un piano B.
“Vediamo…occhi chiari, capelli rossi, un cappello scuro e un vestito nero. Ah, indossava una pelliccia! Mi sembra si chiami Margaret” mi racconta il poliziotto. Mentre Margaret prende le sembianze nella mia mente cerco di accettare il fatto che è già un passo avanti a me, e io sono davvero in un bel guaio.
Torno nel mio studio, a Watery Lane, afflitto e preoccupato per come gestire la questione. Non ho idee in mente, ho bruciato la carta Olivia per un mio stupido errore. Se l’avessi liberata adesso sarebbe al mio fianco e mi aiuterebbe ad affrontare il problema. Io invece l’ho lasciata al freddo in una cella sporca e sgradevole per uno stupido sogno. Mamma, perché mi hai detto di allontanarla? Non ti basta avermi visto soffrire in la guerra? Mi accendo una sigaretta e cammino avanti e indietro per il mio studio pensando a qualcosa. Il fumo non riesce a mettere ordine tra i miei pensieri, e la frase del biglietto non fa che apparire nel caos della mia mente. Forse Margaret ha ragione, mi sono lasciato distrarre dall’amore per Olivia e non ho pensato di indagare su di lei, sul suo passato. Però qualcosa la sapevo…ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima? Lei è di Leicester, forse le avrei trovate entrambe lì, Olivia mi ha parlato di in una casetta in campagna, sarebbe stato piuttosto facile trovarle. Chiamo subito John e Arthur, sarebbero venuti con  me.  La cosa che mi preoccupa è che saremmo andati disarmati. Che la sorte ci assista!
 

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Capitolo 2
*** Chi non muore si rivede ***


Partiti con la nostra Ford questa mattina, io e i miei fratelli siamo a pochi chilometri dall’entrata a Leicester, dove ci sono enormi distese di terra con poche e modeste casette distanziate tra loro non più di una ventina di piedi. Una volta scesi dall’auto ci avviciniamo alla prima casa, bussiamo alla porta e ci apre una signora anziana. Mi sforzo di sorriderle e di sembrare il meno minaccioso possibile, anche se sono consapevole che John e Arthur non mi aiutano. Infatti la signora ha una faccia piuttosto spaventata, tanto che apre solo uno spiraglio della porta.
“Signora, sa se abita nei dintorni la signorina Olivia Stone?” le chiedo con il tono più gentile che conosco. La signora annuisce, con l’aria titubante.
“Dovete proseguire dritto, la terza casa oltre la mia. Ha il recinto rotto, lo riconoscerete subito” mi risponde con la voce tremante. Ringrazio con un cenno del cappello. Solo ora mi viene in mente il perché del recinto rotto: quando siamo andati a trovare il padre di Olivia era stato John, aveva sparato al lucchetto e poi con un calcio ben assestato il recinto era caduto a terra. Sono stupito che non lo abbiano ancora aggiustato.
“La casa deve essere questa” sussurro ai miei fratelli, con il massimo silenzio per non far sospettare della nostra presenza. “Vado io per primo, voi rimanete dietro di me” ordino con fare protettivo, visto che le due giovani donne potrebbero essere armate. In realtà sono certo che lo siano: mi odiano entrambe.
Faccio un breve respiro e busso. Attendiamo impassibili, ma nessuno ci viene ad aprire. Riprovo e questa volta avvicino l’orecchio alla porta per sentire rumori o passi. In apparenza non si sente niente. Sto per bussare la terza volta, quando una voce ci ordina di girarci con le mani alzate. Facciamo come ci dice e vedo due ragazze. C’è Olivia, e c’è quest’altra giovane dai capelli ramati, così arrabbiata, ma così bella da mettere in ombra per un istante la mia piccola Lily. Le due ci puntano rispettivamente un fucile e una pistola.
“Siamo disarmati”  mi precipito a dire, ma a loro sembra non interessare, visto che non accennano ad abbassare le armi.
“Olivia li conosci, non è vero?!” chiede la rossa ad Olivia, che annuisce stringendo i denti. Decido di avvicinarmi lentamente a lei, cauto, attento ai loro movimenti almeno tanto quanto loro lo sono con me.
“Lily, sono felice che tu stia bene” le dico a bassa voce, alla distanza effimera d’un bacio che però non oso neppure immaginare. Lei ha gli occhi lucidi e la mascella indurita. Sta facendo leva sul suo orgoglio, e tutto ciò non fa che farmi sentire in colpa, perché so di aver sbagliato e so che lei sta soffrendo a causa mia.
“Bene un corno. Mi hai abbandonata, mi sono fidata di te, di nuovo, e tu mi hai tradita!” grida infuriata spingendomi con il fucile lontano da lei, mentre comincia a piangere dalla rabbia. La rossa non dice niente.
“Olivia, devo spiegarti, permettimi di farlo!” le chiedo cortesemente, evitando di supplicarla davanti ai miei fratelli. “In tutta questa storia abbiamo bisogno di spiegazioni, anche tu devi darmele!” aggiungo serio, sperando di scoprire la verità. Solo a quel punto interviene Margaret
“Sorellina, va tutto bene, adesso sentiamo cosa vogliono questi tre balordi, va bene?”
Sorellina? Cazzo, sono sorelle...avevo ragione…peggio di così non può andare. Mi bastava mettermi contro una delle due per aizzare anche l’altra contro me. Non che l’eventualità fosse molto distante dalla realtà..
“Parlare, vogliamo solo parlare” risponde John, affiancandosi a me seguito da Arthur. Margaret lo guarda con gli occhi attenti, studiandolo dall’alto in basso prendendosi tutto il tempo di cui ha bisogno, senza fretta.
“Entriamo” ordina infine abbassando le armi.
La dimora è piccola, poco accogliente in verità. Ha pochi mobili d’arredamento, in particolare un tavolo di legno al centro, scheggiato sulle gambe, e una credenza con pochi alcolici, ma tra questi spiccava il whiskey irlandese. Ci sediamo attorno al tavolo e so che tutti attendono da me il primo cenno, che tuttavia non precipito a dare, perché mi prendo il tempo di capire come esporre la questione. Mi accendo quindi una sigaretta, mentre Olivia alza gli occhi al cielo seccata e impaziente. La pazienza non è mai stato il suo forte e questo lo ricordo benissimo. Trattengo un sorriso divertito e aspiro il tabacco. Inspiro il fumo che si disperde velocemente nell’aria. Poi estraggo la fotografia dalla mia tasca, gesto che solo per un istante viene visto con sospetto. Getto la fotografia sul tavolo verso Margaret, che la prende e sorride orgogliosa.
“Sì, c’è la mia firma” mi dice, ovvia. Mi infastidisce ma mi trattengo dallo urlarle contro
“Scrittura elegante, complimenti” le rispondo serio “Sei stata tu ad incendiare il Garrison?” le chiedo poi a bruciapelo. Margaret non risponde con il sorriso che le rimane stampato in faccia. È inquietante e ha gli occhi troppo furbi, tutto l’opposto di sua sorella che li ha più dolci.
“Si. Diciamo che non mi era andata giù la questione relativa all’arresto di mia sorella” mi risponde lei pungente. Sospiro, seccato.
“è un problema che devo affrontare con Olivia, se naturalmente lei sarà disposta ad ascoltarmi. Quindi era solo una vendetta?” le chiedo ormai vicino a perdere la pazienza. Margaret rimane in silenzio, di nuovo, e questa volta lo sguardo le si fa più malinconico. Sbatte rapidamente la testa come per scacciare via i pensieri. Poi si accende anche lei una sigaretta e prende una boccata di fumo, con lo sguardo basso. Mi sta nascondendo qualcosa ed è evidente. Olivia la guarda interrogativa, ma lei è immobile.
“Senti” sbotta improvvisamente “l’incendio al bar te lo sei meritato. Hai ucciso mio padre, hai lasciato in carcere Lily, e chissà cos’altro hai fatto per guadagnartelo. Non posso garantirti che le nostre strade non si incroceranno più, ma farò in modo che questa sia la prima e ultima volta che ci siamo visti. Ora se non vi dispiace, andatevene da casa mia o sarò davvero costretta a spararvi.” Conclude alzandosi di scatto dalla sedia e aprendo la porta da cui siamo entrati. Rivolgo un ultimo sguardo alla mia piccola Lily, che non ricambia, ma che anzi distoglie il suo verso la finestra. Mi alzo rassegnato. Faccio un cenno col cappello per salutare e poi esco seguito dai miei due fratelli. Torniamo a casa con un pugno di sabbia che il vento si porta via nel giro di istanti. Non sono riuscito a parlare con Lily, Margaret mi ha confermato l’unica teoria significativa che avevo pensato, e non ho scoperto nulla di nuovo. Sono di nuovo a 0, anche se perlomeno so che Lily sta bene e che Margaret è sua sorella, quindi dovrebbero prendersi cura una dell’altra. L’interrogativo irrisolto è ancora: “ Perché ha bruciato il mio bar?”
Tornati a Birmingham, mi incontro con Johnny Dogg al cantiere di mio zio Charlie. Almeno lui può darmi buone notizie, fresche e nuove che potranno aiutarmi a gestire la situazione.
“Tom sto per dirti qualcosa che ti lascerà di stucco” esordisce il mio amico, facendomi agitare “Qualcosa che non ti aspetteresti mai” continua lasciandomi sulle spine “Margaret Stone sta con i Birmingham Boys, guidati da…”
“Billy Kimber” completo io, colto dal panico per un momento.
“Esatto”
Ecco cosa mi ha nascosto Margaret. Fa parte di una gang rivale alla mia, vogliono togliermi il monopolio sulle corse e mi hanno dato l’avvertimento dando a fuoco il mio locale. E chi meglio di Margaret, con conti irrisolti con me, poteva realizzare meglio l’arduo compito?! 
“Johnny, ti devo un favore” gli dico poggiandogli una mano sulla spalla in segno di riconoscenza. “Non appena il pub sarà ricostruito potrai bere tutto ciò che vuoi senza spillare un penny”. Johnny Dogg si toglie il cappello per dimostrarmi la sua gratitudine e mi sorride sincero. A quel punto sto per andarmene
“Tom?” mi chiama lui. Mi giro
“Sì?”
“Sta’ attento” si raccomanda questa volta serio. Annuisco e mi abbasso il cappello per coprire i miei occhi che ormai non riuscivano più a nascondere il senso di disagio e inquietudine che stavo provando. Kimber è un capo con i controcazzi, non esita ad uccidere chiunque gli ostacoli la strada e io sono uno di loro. Non pensavo che le corse potessero portarmi nei guai. Ma a chi prendo in giro?! Certo che lo sapevo, solo che mi sono illuso, dal primo giorno in questo settore, che nessuno avesse potuto mettersi contro uno dei pochi superstiti della guerra, un ex sergente maggiore tornato trionfante e vincente dal massacro della Prima Guerra Mondiale.

nda: non ho avuti molti riscontri per il primo capitolo e sono alquanto titubante su quanto scritto. Penso di aver lasciato quella suspance e quel dramma che tanto adoro, ma non sono convinta che la storia vi piaccia...mi date conferme e smentite? Grazie
-Joy

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Capitolo 3
*** Richiesta d' aiuto ***


"Riunione di famiglia, adesso" ordino richiamando tutti nel mio studio. Polly, John, Arthur e Ada sono confusi e non sanno cosa aspettarsi. Io purtroppo sì. "Abbiamo un problema" esordisco breve e sintetico, ma chiaramente preoccupato. Tutti mi guardano allarmati e mi fanno domande sparse. Batto la mano sul tavolo per richiamare la loro attenzione, come un giudice che esige ordine battendo il martelletto.
"Il pub è stato incendiato da Margaret Stone, sorella di Olivia, nonché membro dei Birmingham Boys" riassumo in maniera concisa. John sbuffa e ride sarcastico

"Pensavo fosse qualcosa di serio..." risponde "Cosa possono farci? Abbiamo le corse, i poliziotti, il wiskhey e il denaro, siamo invulnerabili!" Esclama lui presuntuoso aprendo le braccia come se fosse Dio. Il mio fratellino sbruffone non ha imparato neanche sotto le armi a tenere la bocca chiusa e quel suo atteggiamento strafottente non lo avrebbe mai portato da nessuna parte.

"Chiudi quella fottutissima bocca" gli dico a denti stretti fulminandolo con lo sguardo. Intimorito, fa come gli dico, per fortuna. "Quando abbiamo iniziato con le scommesse sapevamo tutti contro chi ci saremmo messi: Billy Kimber. Sono stato uno stupido a non arrivarci prima, è vero, ma siamo ancora in grado di difendere ciò che è nostro. Ricordate da dove veniamo, ricordate i sacrifici che abbiamo dovuto fare per arrivare fin qui. Non dobbiamo lasciare che ci prendano tutto ciò che ci siamo guadagnati. Non lo permetteremo." Pronuncio come se fossi ancora quel sergente maggiore che nella guerra impartiva ordini ai soldati.

"E che cosa hai in mente Tom?" mi chiede Arthur, con lo sguardo carico di determinazione, comune a tutti noi in quel momento.

"Devo parlare con Olivia, lei e Margaret devono passare dalla nostra parte. Non ti ricordi del suo sguardo quando parlava dell'incendio?"
"Lo ricordo io!" interviene John, questa volta azzeccato come il sigaro durante un torneo di poker, "Gli occhi chiari le sono diventati scuri, sembrava ferita, nostalgica, c'era qualcosa che non voleva dirci"

"Esatto!" esclamo puntando il dito su di lui, dandogli implicitamente ragione. "Dobbiamo scoprire cosa c'è sotto, e per farlo ci serve Olivia. Andrò io personalmente a parlare con lei"

"Tu non ti muovi da qui!" mi ordina la zia Polly, tarpandomi le ali che avevo già spiegato mentre immaginavo di ritornare dalla mia piccola Lily. La guardo contrariato. "Sei troppo coinvolto, troppo fuoco nel cuore e troppo fumo nella testa, ricordi?" mi punge lei facendo riferimento alla frase sulla foto. Non rispondo colto nel segno. "Ada verrà con te. Domani partite" mi dice, mentre la mia sorellina mi sorride impotente. Mi limito ad annuire, non che possa fare altro.

Torno a casa, ad Arley Hall, anche se in cuor mio vorrei solo correre da Olivia perché mi preme parlarle. Se è ricapitata sulla mia strada un motivo ci deve pur essere no? Mia madre mi aveva detto di starle lontano e io ci avevo provato, ma adesso la situazione è diversa e io non so se sono ancora disposto a rinunciare a lei per uno stupido sogno. Quegli occhi scuri e così sofferenti mi hanno fatto pentire di averla lasciata sola e adesso che lei ha bisogno di me, devo rimediare. Vado nella mia stanza e mi sdraio un po' sul letto, mi accendo una sigaretta e fisso il mio sguardo sul soffitto come se mi aspettassi un qualcosa. In realtà penso, come al solito. Penso a cosa potrei fare per diventare un uomo migliore, che vive tranquillamente senza essere sottoposto a continui rischi per affermare il suo nome. Ma la verità è che questa vita mi piace e per quanto possa essere pericolosa e al limite con la giustizia, io mi sento così soddisfatto nel viverla. Forse sono malato. Non avrei mai dovuto andare in guerra, a quest'ora sarei un commerciante onesto probabilmente sposato e con una bambina di cui prendermi cura. Ho sempre desiderato essere padre, amo i bambini, la loro ingenuità nel dire le cose e la loro pura felicità per la vita. È sempre stato il mio sogno diventare un buon papà, non farei mancare nulla ai miei figli, li proteggerei a costo della mia vita. Ma evidentemente adesso la priorità è la mia famiglia, non far mancare niente a loro, portare avanti l'attività per garantire a tutti un futuro prospero. Eppure più volte mi fermo a pensare: che ne sarà di me una volta finito tutto? Sarò solo, vecchio e decrepito e a quel punto il denaro o il terrore seminato nella mia città non serviranno a nulla. Avrò rinunciato a tutti gli affetti per erigere un impero che crollerà su sé stesso perché troppo alto e immenso. E allora a che serve tutto ciò? Aspiro una boccata di fumo dalla sigaretta, mia fedele compagna di vita e mia più grande risorsa in guerra. Butto fuori diramando una nuvola grigia nella stanza che spero un giorno o l'altro mi faccia sparire definitivamente da questo mondo che ancora non capisco cosa voglia da me. Immerso nei miei pensieri immagino di sentire bussare alla porta. No, in realtà bussano veramente: la mia domestica Frances si precipita ad aprire e io con le orecchie attente mi focalizzo su ogni rumore. Sento una voce femminile, che parla piuttosto frettolosamente, e corro di sotto per vedere chi sia. A metà scalinata intravedo la figura di una ragazza che riconosco subito: è Lily, in lacrime. Scendo gli ultimi gradini e le vado immediatamente incontro. La prendo per le spalle e le chiedo che succede, ma lei sbatte la testa e si appoggia a me, non posso fare che stringerla. La abbraccio e le accarezzo la testa provando a tranquillizzarla, ma le sue lacrime continuano a scendere: dai suoi occhi cadono calde sul mio collo e io non posso far niente affinchè smetta. Frances ci lascia soli, e io provo a chiederle che cosa sia accaduto, ma Lily è sopraffatta dai singhiozzi e dal pianto e io mi sto seriamente preoccupando. La porto nella mia stanza, si siede sul letto e io accanto a lei le offro un bicchiere di whiskey che beve tutto d'un fiato, e poi una sigaretta che stringe tra le labbra adesso gonfie di pianto. Aspira un paio di tiri guardando il vuoto e asciugandosi frettolosamente e meccanicamente le lacrime che continuavano a sgorgare incessanti.

"Si tratta di Margaret" mi dice stringendo i denti "Mi ha lasciato questo biglietto" Lily me lo porge e io lo leggo mentalmente facendo caso alla scrittura della sorella che mi sembra addirittura più elegante di quella usata dietro la foto. Il biglietto recita così:" Non cercarmi, starò bene, vedrai. Devo risolvere dei problemi. Addio". Lo ripasso a Lily.

"Sai dove possa essere andata?" le domando cortese, nascondendo la mia preoccupazione dovuta ad un'idea che è appena apparsa nella mia mente. Olivia scuote la testa

"Ecco perché sono preoccupata Tom" aggiunge "E mio malgrado, sei l'unico che può aiutarmi" dice fissando i suoi occhioni scuri e lucidi nei miei. Vorrei darle una soluzione, far apparire sua sorella con uno schiocco di dita solo per farle tornare il sorriso e quella luce negli occhi che mi ha fatto innamorare di lei, ma non posso. E ho il presentimento che Margaret abbia un conto in sospeso con Kimber e che presto noi Shelby ci saremmo trovati in grave pericolo.

"Olivia, ho già una pista. Sarei venuto da te domani per spiegarti tante cose, ma ora non mi sembra il caso. Sei stanca e stravolta devi riposare" le suggerisco prendendole la mano sinistra e accarezzandole la pelle liscia e vellutata.

"Non riuscirei a dormire, spiegami adesso" mi dice poggiando l'altra mano sopra alla mia. È così piacevole il suo tocco, così caldo, così disarmante: mi sento indifeso quando sono con lei, vulnerabile, nudo nella mia anima.

Annuisco. "Ho dovuto allontanarmi da te, per il bene di entrambi. Mia mamma me l'ho ha detto in sogno prima che mi risvegliassi, in ospedale. Polly ha appoggiato"

"Naturalmente" sussurra in tono sprezzante, ma la capisco e ignoro il commento.

"Quindi ho dovuto far sì che le nostre strade si dividessero. Poi si sono rincontrate grazie a tua sorella che mi ha incendiato il pub e io sospetto le sia stato ordinato dai Bimingham Boys e da Kimber. Vogliono che noi Shelby ci mettiamo da parte nelle scommesse ippiche. Tua sorella deve avere qualche conto in sospeso con loro, non ti ha fatto capire proprio nulla a riguardo?" chiedo a Olivia che mi guarda concentrata e pensierosa. Si morde il labbro inferiore mentre ha gli occhi puntati in alto a sinistra mentre ricorda qualcosa.
"Tom, io e Margaret non siamo proprio sorelle, ma sorellastre. Mio padre ha tradito mia madre prima che io nascessi ed è nata Margaret. L'ho scoperto solo dopo la morte di papà, mamma mi ha raccontato tutto e sapere di avere una sorella, per quanto illegittima, è stata una rassicurazione. L'ho trovata a Londra e non ti ho mai parlato di lei perché dopo aver passato del tempo insieme abbiamo litigato. Poi lei è venuta a recuperarmi dal carcere e il resto lo sai." Mi racconta lei, con un sorriso amaro sulla bocca.

"Londra hai detto? E non hai notato niente di strano?"
"Non lo so. Viveva in una delle villette a schiera, e la casa era grande e ben arredata, tipica di persone ricche. Aveva un cofanetto pieno zeppo di gioielli, collane, orecchini e anelli di tutti i tipi. TOM!" esclama all'improvviso come se fosse stata fulminata da un'idea "Ricordo benissimo che aveva un anello in bella mostra, di oro bianco, con uno smeraldo al centro. Sembrava un anello di fidanzamento. E se avesse una relazione con questo Kimber?" propose lei. La guardai, riflettendo, e sembra un'idea brillante.

"Lily, sei un genio!" esclamo sorridendole e dandole istintivamente un bacio. Così, senza pensarci, d'improvviso ho voluto gettarmi impavido tra le sue labbra morbide che sanno di tabacco. Mi è mancata così tanto, quel profumo di lavanda che sento provenirle dal collo e insinuarsi prepotentemente nelle mie narici. Mi stacco subito, imbarazzato. Ha la bocca schiusa e lo sguardo inerme, non sa che fare e così io. Decido di indietreggiare, per non crearle guai, ma appena lo faccio la sua mano destra si posa sul mio braccio per bloccarmi. Mi accarezza il viso con la sinistra e poi si avvicina, regalandomi a sua volta un bacio passionale, carico di voglia, di sentimento e della mancanza che abbiamo sentito reciprocamente. Le poggio le mani sui fianchi premendola più vicino a me, mentre lei mi getta le braccia al collo, e ancora uniti nel bacio per timore di staccarci, ci adagiamo sul letto. Labbra a labbra prendo a sbottonarle il vestitino, mentre lei mi allenta abile il nodo della cravatta. Ci ritroviamo presto nudi, in preda all'adrenalina e alla smania di volerci assaporare nel modo assoluto. Ho così voglia di lei, di sentirla vicina, di sentirla da dentro... le bacio il collo e l'aroma della lavanda mi solletica anche le papille gustative. Lily geme dal piacere, ma io non mi fermo e continuo a baciarla ovunque, seni, addome, sul suo sesso e proprio a quel punto trattiene un grido strozzato mentre mi stringe i capelli in segno di consenso. Poi mi tolgo le mutande e la sovrasto riprendendo a baciarla in bocca, facendo intrecciare la mia lingua alla sua in un nodo saldo che non si scioglierà più. Questa volta no, questa volta non l'abbandonerò e non permetterò a nessuno di dividerci. È una promessa. La penetro agilmente mentre stringe le caviglie intorno alla mia vita. Si stacca ad istanti ritmici dalla mia bocca per godere della presenza e quando sento di essere anche io vicino all'apice del piacere aumento il ritmo, la fisso negli occhi pieni di lussuria e passione e tocco il cielo con un dito, mentre lei si morde le labbra in preda ad un estasi estemporanea che ci fa presto cadere nell'oblio, avvinghiati uno all'altra come per farci coraggio, indispensabile per combattere i demoni della notte.

 

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Capitolo 4
*** Visite ***


Apro gli occhi svegliato dal campanello. Chi potrà essere alle 7 del mattino? Mi stropiccio gli occhi ancora assopito, segno di una notte tranquilla ancora una volta grazie ad Olivia che sta dormendo beatamente. Mi alzo a sedere, mi metto una vestaglia e scendo di corsa ad aprire. È Ada.
“Che ci fai qui?” le chiedo sbadigliando e cercando di riconnettere i miei neuroni.
“Thomas, dobbiamo andare a Leicester, da Olivia” risponde lei, incrociando le braccia e guardandomi di sottecchi.
“Ah..vero..” mormoro imbarazzato mentre mi gratto la testa cercando di valutare se è il caso o meno di dirle la verità. Non faccio in tempo a prendere una decisione che sento scendere dalle scale Olivia, rivestita e ancora assonnata. Si para proprio accanto a me, sull’uscio, di fronte ad Ada che la guarda sbalordita.
“Ada, ti posso spiegare” mi precipito a dirle spingendola dentro casa.
“Zia Polly non ne sarà affatto felice” mi canzona lei ironica, mentre mi fa cenno del no con un dito. Olivia ha lo sguardo preoccupato, ma io cerco di tranquillizzarla con i miei occhi.
“Polly non deve saperlo, non capirebbe” le spiego
“E cosa le dirai quando saprà che non sei a Leicester?” mi domanda arguta. Ci penso un po’, mentre mi gratto il mento.
“Oggi andiamo a Londra. Diremo a Polly che siamo andati a Leicester.” Affermo avendo pensato già a un piano.
“Londra? A far che?” chiede stranita e curiosa la mia giovane sorellina ruffiana
“Potrebbe essere lì mia sorella” risponde Olivia, mentre prende a mangiarsi le unghie in preda al nervosismo. Tranquilla piccola Lily si sistemerà tutto.
“Tua sorella non stava a Leicester?” chiede ancora un volta Ada che non credo stia capendo più di tanto della questione.
“Ora andiamo a Londra, ti spieghiamo in macchina. Non dire nulla a Polly”
 
Ero stato a Londra altre volte, sempre per affari che però non erano ancora andati in porto poiché gli uomini che cercavo di portare dalla mia parte sembravano scettici riguardo le mie origini da zingaro. Ad ogni modo mi piace Londra, è una città ben organizzata e piuttosto astuta. Indossa una maschera di ipocrisie, di dame che ballano il charleston, di locali alla moda, ma sotto sotto ama la criminalità che fa senza dubbio parte di lei. Non so con esattezza perché i Bimingham Boys o Margaret o Kimber avrebbero dovuto trovarsi lì. Forse vogliono organizzare le nozze nell’abbazia di Westminster come la regina, o forse anche loro hanno intenzione di allearsi con qualche altra gang, o addirittura stanno ampliando le loro scommesse ippiche. Fatto sta che avremmo dovuto scoprirlo, anche se dopotutto non è stata un’idea brillante farmi accompagnare da due donne.
“Ecco, Margaret abitava qui, il numero è 8B” dice indicando una porta rossa preceduta da degli scalini come le altre case che abbiamo visto fino ad ora. Spero che almeno il numero porti bene, nella cultura cinese è considerato di buon auspicio! Lily suona il campanello e io ho le braccia incrociate in modo che possa sentire la pistola nella fondina sotto il palmo della mano, così da essere pronto qualora ce ne sia bisogno. Dopo istanti interminabili di agitazione, la porta ci viene aperta. Quando Olivia vede la giovane ragazza dai capelli ramati le salta al collo, non facendo caso che però indossa un cappello con una larga visiera che le copre il volto. Ada prova a guardare sotto al cappello, sospetta e dal suo sguardo capisco che c’è qualcosa che non va. Così provo a sbirciare anche io e intravedo qualcosa di scuro, violaceo. Sembra un livido, sull’occhio destro.
“Margaret siamo venuti per te, per salvarti!” esclama Olivia alla sorella, senza staccarsi dall’abbraccio.
“Perché salvarmi?” chiede lei, anche se il suo tono non sembra più di tanto sorpreso.
“Possiamo entrare? Le spiegheremo tutto dentro” domanda Ada, cortese mentre si accinge a salire i gradini, ostinata proprio come nostra zia, tanto che Margaret non può far altro che farci accomodare.
La dimora è enorme, spaziosa e arredata in grande lusso. Ci sono molti tappeti indiani, lavorati a mano, e di tutti i colori, uno ha addirittura delle venature di oro. I mobili sono in pietra, sembra marmo, a parte il camino che è in legno di ciliegio, che tuttavia non contrasta con il resto dell’arredamento. La cosa che più mi colpisce è il lampadario, con quattro bracci d’oro puro ricoperti da una fontana di diamanti che simulava una sorta di pioggia immobile. Una casa piuttosto sfarzosa, non c’è che dire. Margaret ci fa sedere su un divano chesterfield in pelle marrone in pandans con il colore del camino. Ci offre del wishkey mentre passeggia avanti e dietro per la stanza mettendo in mostra il lato sinistro del suo profilo e nascondendo invece l’opposto.
“E bene? Che cosa volete? Avete poco meno di venti minuti, poi sarete costretti ad andarvene, ho delle commissioni da fare” ordina nervosa, mentre Olivia non fa che cercare di incontrare il suo sguardo che puntualmente è rivolto verso uno dei numerosi tappeti.
“Olivia mi ha fatto leggere il biglietto, si è preoccupata. E forse ha fatto bene” dico io, poco delicato, diretto a colpirla per cercare di suscitarle qualche reazione che mi faccia comprendere di più di quello che già so.
“Perché avrebbe fatto bene?” mi chiede accendendosi una sigaretta e continuando a mostrare il profilo sinistro. Solo ora noto che all’anulare della mano usata per portarsi la sigaretta alla bocca, indossa un anello, con una pietra verde. Olivia deve aver ragione.
“Perché ti vuoi sposare con un pezzo di merda che neanche ti rispetta” rispondo in tono calmo, anche se le parole lasciavano trapelare la mia rabbia, perché odio gli uomini che picchiano le donne e mi fa ribrezzo che Margaret voglia condividere la sua vita con uno di questi. Olivia mi fulmina con lo sguardo, perché probabilmente sono stato ancora una volta indelicato.
“Margaret quello che mio fratello vuole dirle” interviene Ada “è che noi possiamo aiutarla se lei ci dà la possibilità. Siamo in grado di risolvere i suoi problemi”
Margaret ride sarcastica, mentre aspira nervosamente il tabacco.
“NON HO BISOGNO DEL VOSTRO AIUTO!” grida all’improvviso furiosa, mentre si toglie il cappello in un gesto poco femminile. “Vi riferite a questo?” ci chiede indicando il livido sull’occhio destro. “Non lo ha fatto apposta, Bill mi ama, e io lo amo, fatevene una ragione, è meglio così. Adesso andatevene, ribadisco che ho delle commissioni” conclude rimettendosi il cappello sotto il nostro sguardo basito. Olivia ha gli occhi lucidi, ma stringe i denti per non piangere, e forse lo fa per non far soffrire sua sorella. Usciamo tutti e tre in fretta lasciando Margaret sola in quella casa solo in apparenza accogliente e tranquilla. Per tutto il viaggio di ritorno Olivia non proferisce parola, sconvolta dall’incontro con sua sorella, mentre io continuo a pensare a un modo per fottere Kimber. Non voglio attaccare per primo, ma penso che sarò costretto a farlo. Ho bisogno di uomini fidati che si schierino al mio fianco senza paura e so di dovermi rivolgere a Johnny. Devo parlare con Polly, spiegare anche a lei il da farsi, perchè ho bisogno della sua mente, della sua oggettività nell’evitare che io possa commettere errori. E devo parlare con Arthur e John, devo spiegare loro la questione, che sta diventando di giorno in giorno più complicata.
 
“Tom, abbiamo un problema!” prorompe Polly chiudendo svelta le porte del mio ufficio per non far trapelare informazioni. Anche se in realtà l’ufficio è stranamente semideserto.
“Un altro?” chiedo io, interrompendo lo studio dei guadagni dell’ultimo mese.
“Sì un altro, forse non te ne sei reso conto, ma mancano molti scommettitori, e se continuiamo di questo passo tempo un paio di mesi e andremo in fallimento!” esclama  agitata poggiando le braccia sulla scrivania, ma rimanendo in piedi. Mi fissa negli occhi. Polly è una bellissima donna, nonostante sia la più grande in famiglia, ma suoi occhi scuri e penetranti e la sua bocca velenosa hanno allontanato molti uomini da lei. Così si ritrova a 40 anni senza un marito al suo fianco, vedova e con due figli persi. Ha una mente fine, è furba, forte, non ha paura di niente. È fredda e distaccata quando si parla di affetto, anche se so che ci vuole bene e ci tiene a noi, in fondo. Ha il sangue di una gipsy esattamente come noi, ma ha un istinto più sviluppato del nostro, che peraltro è infallibile. Ecco perché è diventata il mio braccio destro, ho bisogno di lei per valutare e prendere decisioni, anche se a volte credo mi influenzi troppo, forse perché in cuor mio la temo un po’.
“Si, lo so, stavo appunto dando un’occhiata ai registri dell’ultimo mese. Il guadagno è ridotto, se la situazione peggiora andremo presto in perdita” dichiaro preoccupato. “Comunque, Polly, devo parlarti” le dico mentre vedo i suoi occhi alzarsi al cielo seccati e forse consapevoli di altre cattive notizie. Si siede con poca grazia, e arrabbiata  incrocia le braccia.
“Avanti! Non ho tutta la mattinata”
“Margaret vuole sposarsi con Kimber e lui la picchia”
“Che cosa?! E perché vuole sposarsi allora?” mi chiede, ma onestamente non so ancora dare una risposta al suo interrogativo, quindi rimango in silenzio.
“Tom devi risolvere la situazione, Kimber sta di nuovo recuperando terreno…”
“Cosa vuoi che faccia?!” grido alzandomi di scatto in piedi mentre mi gratto la testa cercando disperatamente un’idea “Polly, io non ho nulla in mente. Quegli uomini sono pericolosi. Sono armati anche più di noi, vuoi che inizi una guerra?”
“La guerra è già iniziata, non te ne rendi conto? Dobbiamo rispondere, ci stanno portando via gli scommettitori, vogliono che ci facciamo da parte!” esclama lei, concitata almeno quanto me.
“Okay. Manderò un avvertimento. Vedremo che accadrà…” taglio corto, ormai stanco di dover sempre risolvere ogni problema che ci capitava. Non sono Dio, né un re, eppure devo aggiustare  tutte le crepe che questa vita mi sta mostrando.
Sento Arthur al telefono e gli ordino di recarsi nelle Aston per minacciare qualche malcapitato dei Bimingham Boys come avvertimento per non pestarci i piedi nelle corse dei cavalli, anche se dubito serva a spaventarli,. Dopodichè torno a casa da Olivia, che ha deciso di trasferirsi da me fino a che la situazione non si risolva. Non abbiamo neanche avuto modo di parlare del gran casino in cui ci siamo messi, della nostra notte d’amore e di come insieme il mondo sembri un posto migliore. Appena rientrato sento la casa meno vuota e percepisco il profumo della lavanda che mi rasserena il cuore. Man mano che salgo le scale l’odore aumenta fino a raggiungere il culmine nel momento in cui mi avvicino a Olivia, seduta nel mio ufficio mentre da un’occhiata al giornale. Faccio silenzio e mi poggio alla porta semichiusa per sbirciarla: ha un’aria concentrata e assorta, che le conferiscono l’immagine di una donna adulta e vissuta. È così attraente mentre leggendo, porta il segno  con il dito che scorre lungo la pagina. Busso per non farla spaventare. Alza lo sguardo verso di me e accenna un sorriso. Ha gli occhi stanchi, neanche con me riesce a dormire, data la naturale preoccupazione per la sorella. Mi avvicino a lei con le mani in tasca, le lascio un bacio sulla fronte e do uno sguardo fugace al giornale che porta come titolo, il cavallo vincitore dell’ultima corsa, Malachia, un purosangue inglese con il fuoco negli zoccoli.
“Novità?” mi chiede lei come se fossimo in una conversazione di routine tra marito e moglie. Sarebbe stata perfetta da sposata, già lo immagino. Affettuosa ma determinata. Autorevole, ma accondiscendente. Spiritosa, ma intelligente. La donna ideale al mio fianco.
“Ho mandato Arthur ad Aston, per avvertire i Biringham Boys di rimanere nel loro, purtroppo gli affari calano” le spiego sedendomi di fronte a lei, dal lato opposto a quello a cui sono abituato, il che mi fa sentire strano.
“E di mia sorella?”
“Lily, siamo andati da lei solo ieri…”
“Un giorno in più potrebbe esserle fatale!”
“Lo capisco, ma non possiamo portarla con noi con la forza, hai visto come ha reagito ieri?!”
“Tom è spaventata, ha paura, dobbiamo aiutarla”
“Olivia, basta, ci vuole tempo!” sbotto io, ormai stanco di non poterle dare una soluzione efficace. Alzo la voce inconsapevolmente, ma la spavento e Olivia corre nella nostra stanza arrabbiata, con i pugni stretti. La lascio sola, mi siedo al mio posto e mi fumo una sigaretta, stendendo le gambe sulla scrivania cercando di ritrovare la calma e la freddezza che ho ormai perso.

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Capitolo 5
*** Se fossi stata un uomo ***


OLIVIA POV
Se Tom non vuole aiutarmi a strappare Margaret dalle grinfie di quel malvagio Billy Kimber, allora lo farò da sola. Mentre Tom è intento a fumarsi la sua sigaretta, spaparanzato dentro il suo studio, io ne approfitto per sgattaiolare fuori da casa Shelby ed entrare nell’auto di Tom. Metto in moto in fretta sperando di non creare troppo rumore, e per fortuna riesco a scappare via senza destare l’attenzione di Thomas. Direzione Londra, sorellina vengo a salvarti!
 
“Olivia io non vengo da nessuna parte!” esclama Margaret divincolandosi dalla mia presa.
“Devi venire con me, con Thomas saremo al sicuro!” insisto io, cercando di tirarla verso l’uscita di casa sua, ma lei si impunta con i piedi ed è impensabile portarla fuori.
“Ancora non capisci?!” dice improvvisamente, liberandosi definitivamente e facendo un passo indietro da me. Rimango ferma e la guardo interrogativa. Lei mi sorride timidamente. “Lo sto facendo per te” mi confessa infine, avvicinandosi lentamente. Mi mette una ciocca di capelli dietro l’orecchio e io continuo a non capire. “So che sei innamorata di lui” afferma con sicurezza. Rimango stupita, anche lei si è accorta di noi e a questo punto devo accettarlo, non posso più nasconderlo a me stessa.
“Ma tu che c’entri?” le chiedo riprendendo il filo del discorso che per un attimo perdo pensando agli occhi azzurri di Tom.
“Sto tenendo buono Billy. Vuole farlo fuori. Vuole fare fuori tutti gli Shelby e chiunque stia con loro” mi confessa a sguardo basso.
“Margaret, ma Tom ha un piano!” dico speranzosa, ma in realtà non sono sicura che ce l’abbia, mi sembrava così afflitto e preoccupato che dubito fortemente possa trovare un modo per risolvere la questione, nonostante i suoi sforzi. Tuttavia cerco di tranquillizzare la mia sorellina, che sta pagando per una colpa non sua. Sono io la colpevole, sono io che lo amo e che sto pagando questo sentimento ogni secondo della mia vita da quando lo conosco. Eppure non demordo, non riesco a staccarmi da lui, è troppo importante per me.
“No, Olivia, io ho un piano affinchè entrambe viviamo la vita che vogliamo da sempre. Questo fine settimana mi sposo, Billy si prenderà cura di me, e Tom di te, ti prego rispetta la mia decisione” mi chiede prendendomi la mano e stringendola dolcemente. La fisso negli occhi  chiari che sembrano star perdendo colore, sicuramente perché non è felice come invece ostenta. Annuisco, non potendo fare altro e le accenno un sorriso per darle la mia benedizione per il matrimonio, sperando di tranquillizzarla almeno un po’.
“Allora auguri sorellina!” le dico infine dandole un bacio sulla fronte e dirigendomi poi verso la porta. Esco con lo sguardo rivolto a lei, anche quando chiude la porta. Non mi accorgo di una mano che stringe furiosamente la mia e che mi fa trasalire
“Ecco dov’eri!” esclama arrabbiato: è Tom.
“Che cazzo ci fai qui?”
“Dovrei essere io a chiederlo a te!” risponde prontamente lui, vorrei tiragli un ceffone, vorrei prenderlo a pugni soltanto perché non ha una delle sue solite soluzioni a portata di mano, ma tutto ciò che faccio e liberarmi dalla sua stretta e andarmene via in silenzio. Non so di cosa ho bisogno, vorrei solo che la mia vita avesse meno problemi, che fosse costellata di felicità e onestà, mentre invece mi accorgo di combinare casini ovunque io vada.
“Olivia!” mi chiama lui, ma non mi giro e continuo a camminare lontano anche da lui, lontano da tutti, e inizio a correre pregando di ricevere miracolosamente un paio di ali e volare verso l’emisfero opposto a quello in cui mi trovo. Ma le ali non arrivano e sento invece lacrime calde e amare che iniziano a bagnarmi il viso e a precipitare rovinosamente lungo le mie guance, inarrestabili. Sento anche i passi di Tom, che mi raggiunge, si para dinanzi a me e a braccia aperte è pronto ancora una volta ad accogliermi. Mi immergo nel suo abbraccio sperando quasi di essere soffocata dal suo amore, ma la verità è che è proprio il suo amore a farmi respirare. “Ti prometto che sistemerò tutto, piccola mia” mi sussurra all’orecchio mentre mi accarezza la testa. Non riesco neanche a credere alle sue parole per quanto sono sconfortata, ma mi abbandono comunque a quell’abbraccio così rassicurante che perlomeno mi fa smettere di piangere.
Torniamo a casa di Tom, lui con la macchina di sua zia, io con la sua. Ci sdraiamo sul letto insieme, io sul suo petto e lui con un braccio sulla mia spalla. Sento il suo profumo e comincio a giochicchiare con i peli del suo petto, mentre le parole di Margaret echeggiano nella mia mente. Thomas mi accarezza la spalla, cercando di darmi conforto e non mi chiede niente anche se so che ha bisogno di sapere cosa ci siamo detti, motivo per cui sono io a parlare.
“Margaret lo fa per me, Tom. Vuole sposarsi con Kimber per salvare la nostra storia. Kimber vuole ucciderci tutti, così lei intercede per noi. Ti rendi conto Tom? Si sta sacrificando per me! Non è giusto!” gli spiego mettendomi a sedere sul letto. Lui mi imita e mi prende il viso tra le mani.
“Hai ragione non è giusto, dobbiamo fare qualcosa” un barlume gli illumina gli occhi e si riflette dei miei arricchendosi di speranza.
“Che cosa facciamo Tom? Hai idee in mente?” gli chiedo arzilla, conoscendo quello sguardo, sapendo che sta tramando qualcosa.
“Lo attaccheremo cogliendolo di sorpresa, il giorno del matrimonio, hai saputo quand’è?”
“Fine settimana!”
“Bene, allora Sabato entreremo a Westmister e libereremo tua sorella” dice deciso, mentre io sorrido adrenalinica al sol pensiero di far parte della sommossa.
“Non vedo l’ora!!”
“Lily, tu non vieni, è troppo pericoloso!” si precipita ad ordinarmi come se fossi una bambina. Mi innervosisco e tiro fuori le unghie
“Io vengo eccome, è mia sorella, e se non fossi andata da lei, adesso saremo al punto di partenza” gli faccio notare. Lui ride sarcastico, ma il suo sguardo è serio.
“Non verrai. Fine del discorso.” Dice secco e fermo, mentre di alza dal letto lasciandomi sola con la mia frustrazione di essere una donna. Se fossi stato un uomo tutto questo non sarebbe successo.

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Capitolo 6
*** No è no ***


Olivia non sarebbe mai e poi mai venuta con noi. Anche Ada sarebbe rimasta a casa e così Polly e non tanto per il fatto di essere donne, quanto perché non voglio mettere nessuna di loro in pericolo. Ho già la coscienza piena di morti e rimorsi, non me ne servono altri. Vado subito da Charlie per comunicargli il piano, in modo che possa occuparsi dell’armeria. Poi vado al campo zingaro e ordino a Johnny Dogg di arruolare uomini fidati. Infine vado a parlare con la mia famiglia.
“No e poi no! Non se ne parla, ma che ti salta in mente?!” inveisce  furiosa e isterica Polly, appena un istante dopo aver sentito il mio discorso. Non retrocedo e continuo per la mia strada
“Il piano è questo, imboscata a Westminster, sabato, salviamo Margaret e uccidiamo Kimbell” insisto, anche se in realtà  non so se ammazzarlo…potrebbe tornarmi utile.
“Thomas, vuoi ucciderci tutti?!” continua lei
“Tu, Ada e Lily non verrete con noi. Io, John, Arthur e gli altri andremo a Londra, pronti con le armi. Coglieremo i Birmingham boys alla sprovvista: in chiesa saranno disarmati” le spiego con pazienza, fermamente convinto del mio piano che non aveva falle o buchi in cui inciampare.
Polly accenna un sorriso che poi sfocia in una risata divertita e molto rumorosa. Scambio uno sguardo interrogativo con Ada, ma anche lei sembra stranita.
“Noi, dovremmo rimanere qui? Quando l’hai pensato questo piano di merda Tom, mentre cagavi?”  domanda sarcastica e infastidita. La mia cara zia non vuole mettersi da parte, vuole combattere al nostro fianco, ma non capisce i rischi che correrebbe, è troppo spavalda e forse John ha ereditato indirettamente da lei questo lato.
“Questi sono gli ordini, non si discute” le intimo puntandole il dito contro ma lei  in tutta risposta alza gli occhi al cielo seccata.
“Non sei più in guerra Tom, noi verremo con te!” si impunta lei, come una bambina capricciosa, che in fondo fa parte del carattere di Polly. Sto per replicare, ma interviene Arthur:
“Polly, ti prego, se noi non dovessimo tornare sarai tu a mandare avanti gli affari di famiglia, proprio come durante la guerra” il suo tono calmo e pacato e i suoi occhi chiari e malinconici convincono la zia a non rispondere e ad accettare la mia organizzazione, nonostante non approvi. Ringrazio con uno sguardo mio fratello, che annuisce.
“Okay ragazzi abbiamo due giorni per predisporre il necessario, seguite ciò che vi dico, come al solito, e tutto andrà bene!”
 
Torno a casa da Olivia che trovo ancora stesa sul letto della mia camera. Spero si sia calmata, il suo comportamento ribelle in questo momento non aiuta. Sono io il capo e so io cosa è giusto e cosa è sbagliato per la mia famiglia. E lei ormai ne fa parte, pertanto deve adeguarsi alle mie scelte. Mi levo la giacca e la cravatta mentre lei mi ignora di proposito e osserva il pavimento a sguardo basso, come se fosse più interessante di me. Come mia zia, anche lei fa la bambina capricciosa, ma forse è un comportamento che usano tutte le donne quando non si dà ascolto a ciò che dicono. Tuttavia non gliela do vinta, ed esco dalla stanza in silenzio, mentre sbircio una sua reazione che però non arriva. Andasse al diavolo anche lei, mi sto solo preoccupando della sua incolumità e lei mi ignora. Ottimo inizio per una relazione. Scendo di sotto e mi siedo sulla poltrona del salotto dopo essermi riempito un bicchiere di whiskey. Bevo subito un sorso, mentre il sapore forte dell’alcol mi solletica le papille gustative per poi precipitare giù per la gola lasciandomi una lieve ma piacevole sensazione di bruciore. Poi poggio la testa al cornicione della poltrona. Mi accendo una sigaretta e aspiro. Infine chiudo gli occhi, assaporando il miscuglio di tabacco e whiskey miei fedeli compagni nei momenti di sconforto. Nella mia mente stracolma di problemi, non facevo che ripensare ai passi del mio piano e a mettere un’immaginaria spunta su ciò che già avevo organizzato. Solo una cosa manca all’appello, e forse è la più importante. Voglio scrivere una lettera alla mia piccola Olivia, nel caso in cui non dovessi tornare vivo da Londra, ma proprio mentre penso a come cominciarla, Lily piomba vicino a me chiamandomi bruscamente. Apro gli occhi spaventato e colto alla sprovvista.
“Che c’è?” le chiedo con un tono troppo seccato rispetto a quello che ho pensato, probabilmente perché ce l’ho ancora con lei per non aver accolto la mia proposta.
“Tom, dico sul serio, io devo venire” mi dice pacata ma decisa, mentre mi prende per mano e si siede sulle mie ginocchia.  Sono spiazzato, ma capisco che vuole persuadermi usando tutto ciò che è in suo potere. In ogni caso non cederò.
“Non permetterò che tu ti faccia uccidere per la tua infantilità” sto esagerando, ne sono consapevole, ma la sua ostinazione mi fa perdere il controllo, così come la vista in primo piano del suo seno. Le faccio cenno di scendere e mi alzo in piedi, continuando a fumare. Lei apre la bocca sbalordita dal mio commento.
“Mi stai dando della bambina?!” domanda guardandomi con occhi di fuoco, infuriata per la mia accusa, mentre si avvicina a me con aria intimidatoria. Ma io sono Thomas Shelby e non indietreggio, le getto un po’ di fumo in faccia e la osservo. Lei rimane impassibile con mia grande sorpresa e non raccoglie la provocazione. Forse il bambino adesso sono io. “ Se fossi stata un uomo sarei venuta vero?!” aggiunge
“Non è questo il punto!”
“E qual è allora? Sentiamo! Sono tutta orecchie!” insiste lei. Non so se sentirmi in ansia perché in difficoltà o frustrato perché qualunque cosa le dica non mi darà mai ragione. D’altra parte l’orgoglio fa parte di lei, e Lily mi piace proprio per questo: la sua temerarietà, la sua determinazione.
“Se non avessi tenuto a te saresti venuta, uomo o donna che fossi” le spiego spegnendo la sigaretta. Lei sembra interdetta, forse perché non si aspettava una risposta del genere. Sicuramente mi ha preso per il solito maschilista e antifemminista che ostenta la supremazia dell’uomo sulla donna. Invece io ho grande rispetto del sesso opposto, motivo per cui andrebbe sempre difeso. E Olivia non è una donna qualunque, è la donna che amo, ragione in più per proteggerla. Perché quindi lei non lo capisce?
“Tom, è mia sorella, non puoi impedirmelo, ti odierò per sempre, è questo quello che vuoi?!” continua lei imperterrita, con quegli occhioni scuri che adesso si fanno supplichevoli.
“No, non vorrei mai che mi odiassi” le rispondo avvicinandomi a lei e poggiando delicatamente le mani sui suoi fianchi. Lily non si sposta e accetta volentieri il mio contatto. Forse perché pensa che io stia pian piano cedendo “Ma per proteggerti sarei disposto a farmi odiare” concludo dandole un bacio sulla fronte. Lei mi spinge via.
“Tu non decidi per me!” sbotta all’improvviso “Io ho la mia vita. Se non potrò venire con te allora parteciperò al matrimonio come sorella della sposa!” grida infine, mentre mi rivolge un ultimo sguardo contrariato. Poi corre di sopra e sbatte la porta. Ed ecco aggiungersi alla mia lista l’ennesimo problema questo però irrisolvibile, con una x calcata e indelebile, come il senso di colpa che provo in questo momento.

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Capitolo 7
*** Vinceremo noi ***


Lily è di sopra ormai da un paio d’ore. Fuori è buio, è tarda notte eppure non riesco a sentirmi assonnato. Ho la mente tra l’incudine e il martello e non riesco a prendere una decisione che accontenti tutti. Se porto Olivia con me rischierebbe la vita, senza parlare delle reazioni che avrebbero Ada e Polly. Se Olivia va al matrimonio come ha detto non avrebbe le spalle coperte, entrerebbe prima di noi in chiesa  mettendo in pericolo sé stessa e il piano. Vado di sopra da lei, per controllare se è sveglia o se sta riposando, ma ho i miei dubbi che dorma tranquilla. Infatti appena entro nella stanza sento la sua voce che mi chiama. Mi siedo vicino a lei e accendo una candela.
“Non voglio litigare con te, Tom, ma se mi ami davvero mi lasci libera di prendere le mie decisioni” mi dice mentre fissa i suoi occhi nei miei, decisa e convinta di inculcare nella mia mente il suo pensiero.
“è proprio perché ti amo che non voglio che tu venga” le rispondo, ma lei abbassa subito lo sguardo, come delusa dal mio ennesimo ragionamento illegittimo a parer suo. Mi mortifica vederla così amareggiata. Non voglio che stia male a causa mia e ho paura che il troppo amore per Margaret la renda cieca, le offuschi la ragione, visto che non mette in conto il rischio della missione.
“Thomas non puoi costringermi a fare qualcosa che non voglio. Io la decisione l’ho presa, e sono consapevole dei pericoli. Non sono una bambina, ti prego renditene conto!” afferma concitata mentre noto che la sua persona cambia estemporaneamente sotto i miei occhi: il viso assume i lineamenti tipici di una donna adulta e seria, con una ruga di espressione in mezzo alle sopracciglia,  proprio sulla glabella e con le labbra chiuse in una linea dritta, si mette i capelli dietro le orecchie, e tira un sospiro, frustrata. Odio vederla sofferente e odio esserne io la causa. La situazione migliorerebbe se io le dicessi di sì…
“Va bene, verrai con noi” pronuncio improvvisamente facendo passare le parole prima dalla bocca e poi dal cervello. Già mi pento di ciò che ho detto, ma  i suoi occhi stupiti e lucidi e il suo sorriso disteso mi rincuorano. Olivia si precipita sulle mie labbra e mi scocca un bacio fugace prima di stringermi in un abbraccio. Ora è lei a rassicurare me, ed è strana come sensazione perché ogni volta che sono stato titubante nel compiere una scelta, non ho avuto qualcuno che mi tranquillizzasse. Invece adesso c’è lei, e anche questa pesante decisione, sembra a tratti più leggera.  “Domani ci vediamo con John e Arthur. Vi spiegherò tutto nei minimi dettagli, in modo da evitare errori.”
“Agli ordini sergente!” esclama lei ponendo la mano destra in fronte, come fanno i soldati. Le sorrido e ci sdraiamo insieme, pronti per dormire.

Passano una, due, tre ore, ma io non riesco a prendere sonno, a differenza di Lily che ha la testa poggiata sul mio  petto. Respira ritmicamente e sembra stranamente tranquilla, nonostante mi aspettassi che fosse tormentata dagli incubi. Penso che la mia decisione l’abbia notevolmente rasserenata, sebbene sia tutt’altro che semplice cercare di salvare sua sorella. Mi rendo conto che anche io avrei reagito come lei, se si fosse trattato di John, o di Arthur, o di Ada, e forse sono stato troppo duro con Lily. O forse non lo sono stato abbastanza se evidentemente è lei che ha convinto me. Spero solo che tutto vada come previsto. Onestamente non credo che Kimbell si aspetti nulla, impegnato com’è per il matrimonio imminente. Provo a chiudere gli occhi e improvvisamente mi trovo su un cavallo, fermo in una distesa verdeggiante. Vedo una figura venire verso di me, ha i capelli scuri e lunghi, così come gli occhi. Metto a fuoco ed è …mia mamma…di nuovo. Smonto da cavallo e le vado incontro infuriato.
“Lasciami stare!” le urlo arrabbiato. Lei non sembra stupita, anzi reagisce prendendomi per un braccio e intimandomi di calmarmi. Sbuffo seccato.
“Guardami negli occhi!” mi ordina. Faccio come mi dice e quello sguardo profondo e penetrante mi raggela il sangue. Non la ricordavo così inquietante. Forse era un po’ pazza a tratti, ma sostanzialmente era dolce, perlomeno con me. “Ti avevo detto di allontanarti da lei! Adesso ne pagherete entrambi le conseguenze!” e detto questo mi dà uno schiaffo in pieno volto. Sento il dolore, sento la pelle bruciare e vorrei prenderla e scaraventarla per terra, per ripicca, per farle provare ciò che sto provando io. In realtà però mi limito a stare fermo, a sguardo basso. Mi tocco la guancia sul punto nevralgico e stringo i denti perché vorrei piangere. Mia mamma mi ha lasciato troppo presto e io avevo bisogno di capire che cos’era l’amore e come gestirlo. Invece lei mi aveva abbandonato senza spiegarmi nulla…e io sono cresciuto ‘sbagliato’, troppo freddo e insensibile a volte, troppo impulsivo e brutale altre.
“Mi prenderò io cura di lei” mi sussurra infine, mentre si volta per andar via, di nuovo. Vorrei chiederle di più, ma mi sento bloccato, pietrificato e non posso far altro che guardarla allontanarsi nell’erba alta di un prato perfetto e idilliaco.
Schiudo gli occhi lentamente, accecato dalla luce del sole, alla fine mi sono addormentato! Sento il petto vuoto e tastando accanto al mio posto noto di essere solo. Olivia si sarà già alzata, meglio affrettarmi. Cerco di scacciare via l’immagine di mia madre che ancora prova a tormentarmi con le sue frasi che mi riempiono di interrogativi. Scendo di sotto e Lily sta già leggendo il giornale.
“Ben alzato signor Shelby” fa lei allegra, di buon umore. Mi solleva vederla così senza parlare del fatto che in quella mise di seta color panna, così trasparente e provocante, apprezzo di più la sua presenza.
“Dormito bene?” le chiedo, mentre spalmo del burro sul pane e lo addento velocemente, consapevole di essere in ritardo con i miei fratelli.
“Abbastanza, nonostante i tuoi lamenti!” Vorrei raccontarle il sogno, così da condividere con lei il mio sgomento, ma preferisco non rovinarle l’umore e mi accendo una sigaretta, dopo aver mandato giù il boccone. 
“Hai ragione, ho preso sonno tardi” mi limito a dirle, mentre aspiro e contemporaneamente guardo l’orologio da taschino: sei minuti alle otto, è tardissimo!
 
“Cosa ci fa lei qui?” chiede John stupito squadrando Lily che entra con me nel mio studio.
“Verrò con voi!” si limita a rispondere lei. John e Arthur mi guardano spiazzati, ma io resto calmo e cerco di spiegare la situazione.
“Olivia è la sorella di Margaret e sinceramente penso ci possa tornare utile” mento, sperando che la mia convinzione basti per smontare le loro titubanze. Visto il loro silenzio proseguo “Il mio piano è basato su se e ma, eppure sono convinto di quanto sto per dirvi. Entreremo nell’abbazia alle ore 11 e tre quarti. Saremo in venti..ventuno con Lily. Appena spalancate le porte voi mi coprirete le spalle, tenendo sotto tiro gli uomini di Kimbell. Io invece avanzerò verso di lui a passo svelto mentre lui a mani alzate e disarmato mi supplicherà di non sparargli…”
“E tu? Lo sparerai vero Tom?” mi chiede John, carico d’azione e adrenalina ancor prima di essere sul campo.
“Dipende…” Non volevo altre vittime sulla coscienza e se Kimbell avesse lasciato Margaret senza fare troppe storie, allora sarebbe stato inutile ucciderlo.
“Tom, se non lo ucciderai ci fregherà gli affari” mi fa notare Arthur, ma io ho calcolato anche questo
“No se gli propongo un’alleanza” rispondo prontamente.
“Tom, ma che cazzo…!”
“Fidati Arthur, e la cosa migliore per tutti. Potremmo avere altri rivali col tempo, e Kimbell ci può sempre tornare utile.” I miei fratelli annuiscono anche se un po’ scettici e contrariati.
“E io?” chiede ad un certo punto Lily.
“Tu ti occuperai di Margaret. Mentre noi teniamo occupati i Birmingham Boys tu porterai Margaret al sicuro. Fuori dall’abbazia ci sarà Johnny Dogg con la macchina pronta. Voi due salirete e ve ne andrete.
“Tom io non voglio lasciarti li!” esclama lei preoccupata. I miei fratelli la guardano compassionevoli e io mi prendo un attimo per assaporare l’amore di Lily. Mi sento importante, non vuole che io rischi ed è ironico come la situazione si sia capovolta.
“Farai come ti ho detto. Starò bene, staremo tutti bene se ci atteniamo rigorosamente al piano, intesi?” concludo in tono severo. Tutti annuiscono. Arthur e John sembrano ansiosi di agire, Olivia invece ha lo sguardo perso nel vuoto. Pensa certamente a sua sorella, all’esito del piano, a Kimbell. È preoccupata e una volta che i miei fratelli sono usciti dal mio studio cerco di rasserenare la giovane donna che è di fianco a me.
“Olivia, sono sicuro che andrà tutto bene. Fra due giorni potrai riabbracciare tua sorella e vedrai che tutto andrà al suo posto. Devi fidarti di me” Olivia ha lo sguardo basso e la bocca piegata in giù. Non dice niente, ma sospira. Poi alza gli occhi e guarda fisso nei miei per un istante, prima di abbandonarsi tra le mie braccia affranta e stremata dal dolore che la situazione le comporta. Poggia la sua testa sulla mia spalla e io le accarezzo i capelli dolcemente e forse anche un po’ goffamente. Non sono mai stato bravo a consolare le persone, e anche in esercito mi limitavo a spronare i soldati con discorsi e racconti del passato. Con Olivia è cambiato tutto, ho ricominciato a provare emozioni e a dimostrarle, seppur con timore. Lei apprezza ogni mio gesto e mi legge dentro tutto ciò che non riesco ad esprimerle con le parole. Sono perdutamente innamorato di lei, con ogni più piccola fibra del mio corpo. E sono convinto che l’amore ci porterà fortuna, ritrovo improvvisamente speranza: vinceremo noi!

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Capitolo 8
*** Agguato ***


È sabato. Ho l’adrenalina a mille eppure cerco di controllarmi. Sono sveglio dalle 4 e adesso mi lavo il volto riepilogando le varie fasi del piano mentalmente. Ho dormito sereno grazie all’aiuto dell’oppio, nonostante Olivia si girava e voltava costantemente. Ora però sembra riposare a sonno pieno e non voglio svegliarla. In realtà sto sperando che non si svegli per la prossima ora, in modo che non partecipi all’operazione, ma conoscendola non approverebbe. Scendo di sotto, mentre carico la pistola e la ripongo nella fondina. Non ho fame e bevo solo un goccio di whiskey in modo da caricarmi ulteriormente e proprio mentre l’ultimo goccio mi scende giù per la gola, Lily mi dà il buongiorno con un casto bacio sulla guancia. Ha le occhiaie e gli occhi un po’ arrossati. Sembra aver pianto, ma decido di non chiederle niente. Mi limito a osservarla mentre riempie il mio bicchiere e beve anche lei l’alcolico, tutto d’un fiato. Trattengo un sorriso guardando la sua smorfia nauseata.
“Non è roba da donne” la provoco io in tono sarcastico, adoro infastidirla, vedere il fuoco nei suoi occhi, e ascoltare le sue brillanti risposte. Lei non esita a sorridermi beffarda.
“Sei stato tu ad offrirmelo la prima volta, ricordi? Quando mi hanno estratto il proiettile” mi rammenta lei, girandomi attorno e studiandomi spavalda. Ha uno sguardo così accattivante e ammaliatore che mi è difficile resisterle. Vorrei saltarle addosso, baciarla sul collo, sui seni, facendola penare prima di raggiungere le sue labbra morbide, ma rimango fermo, sotto il suo sguardo concentrato.
“Sì, ricordo anche come ti agitavi, come gridavi, sembravi una matta” continuo io sogghignando incrociando i suoi occhi apparentemente seducenti ma contrariati. So a che gioco sta giocando. Mi viene vicino, a un soffio dalla mia bocca e non mi tocca con le mani, sarebbe troppo semplice, bensì si limita a diminuire la distanza tra i nostri due corpi posando i fianchi e il basso addome sempre più vicino alla mia zona sensibile, che naturalmente reagisce. E lei lo sa, lo intuisce e glielo leggo negli occhi che mi brama almeno quanto io bramo lei. Eppure entrambi rimaniamo immobili, a stuzzicarci come bambini e ad assaporare l’attesa del piacere dal gusto dolce.
“Sai, non mi avevano mai estratto un proiettile, la sensazione è strana.” Dice in tono languido, mentre si lecca le labbra gustando le parole una dopo l’altra. “Ti senti un chiodo rovente dentro le carni, che vorresti solo immergere nel ghiaccio per trovare sollievo. Ma non puoi, perché il chiodo va estratto e tu puoi solo provare a combattere quel calore agitandoti o spogliandoti” continua mentre ora alterna lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra. Ha la bocca schiusa e si intravede la lingua rosea che vorrei assaggiare. Sto per perdere la pazienza. Mi chino su di lei per congiungermi alle sue labbra, e lei sembra fare lo stesso, ma un istante prima ancora di assaporare la sua dolcezza e la sua morbidezza, lei si allontana e mi sorride soddisfatta, con occhi pieni di malizia. Poi si dirige nuovamente verso il whiskey a due passi da me. E quella distanza mi uccide, mi strema e non me ne frega niente di apparire debole e fragile, perché infondo di fronte a lei sono me stesso, non devo necessariamente mostrare la mia forza e la mia freddezza. Si riempie di nuovo il bicchiere e se lo porta alla bocca mentre io mi avvicino a lei di soppiatto come una pantera. Ingoia l’alcolico e io le sto già respirando sul collo, dopo averle spostato i capelli lunghi da un lato.  Lily sussulta e la sua pelle è piena di brividi. Le cingo la vita con entrambe le braccia e lei si gira prontamente verso di me. Finalmente ci baciamo, lei mi morde le labbra desiderosa di me, e io la prendo in braccio, poggiandola sul tavolino in un modo bruto e goffo tanto da far precipitare il bicchiere a terra che fortunatamente rimane intatto e saldo come la presa di Olivia alla mia vita. Le alzo la camicia da notte e abbasso i pantaloni. Prendo a baciarla sul collo mentre lei ansima vogliosa, e geme e mi stringe i capelli e chiude gli occhi e getta la testa all’indietro. Percorro la strada del suo collo fino a raggiungerle i seni che traboccano dalla scollatura della camicetta. Glieli bacio glieli mordo mentre lei mi supplica di penetrarla. Adesso ho io il potere e la faccio crogiolare nel suo desiderio di appagamento. Risalgo su verso la sua bocca lasciandole baci a stampo mentre lei vorrebbe che non mi staccassi più. Poi esploro la sua bocca e lei ricambia entrando nella mia. Scende con una mano verso le mie parti basse ma io la blocco. Mi abbasso velocemente i pantaloni e la penetro languidamente, lentamente, mentre lei trattiene il respiro e apre gli occhi. Ci guardiamo mentre entro dolcemente in lei, entrambi con il fiato sospeso. E poi Lily esplode in un gemito quando la mia essenza la attraversa per intero raggiungendo il limite massimo di profondità.  Comincio a muovermi mentre ci baciamo voracemente, godendoci l’estremo piacere che ci doniamo a vicenda. Prendo il ritmo, e lei mi stringe le dita sottili nei capelli. Aumento di velocità, sentendo crescere in entrambi il bisogno di raggiungere l’orgasmo. Continuo a incalzare fino a esplodere in due voci intrecciate dalla passione e piene di goduria. Esco a malincuore da lei che respira affannosamente, come me d’altronde. Crollo su Olivia stremato e lei si avvinghia a me con braccia e gambe. Mi sollevo ritrovandomela in braccio come una pianta rampicante al profumo di lavanda, che vorrei mi stringesse ancora di più, ma mi limito a baciarla fugacemente e a rimetterla giù.
“Vestiti. Dobbiamo andare”
 
Sono passate da poco le dieci e io e il mio squadrone ci stiamo dirigendo a Londra con 3 auto piene di uomini e armi. Olivia siede di fianco a me e ha lo sguardo fisso sulla strada che scorre sotto di noi come un fiume in piena. È silenziosa, ma penso sia normale visto che ha una responsabilità enorme. Spero solo che tutto vada come previsto. Ci fumiamo una sigaretta senza proferire parola, entrambi concentrati sul percorso davanti a noi, io soprattutto perché sto guidando. Controllo che le altre due macchine mi seguano e puntualmente le trovo dietro di me. Non sono agitato, o perlomeno non lo do a vedere cercando di mantenere il sangue freddo come ho sempre fatto. Andrà bene, mi ripeto mentalmente da stamattina, eppure in qualche modo ho paura. Aver sognato mia madre qualche giorno fa non mi rassicura, anzi mi allarma ulteriormente e non voglio che il mio timore più grande diventi realtà. Scaccio via i pensieri macabri dalla testa e mando mentalmente a fanculo mia madre, che ormai non c’è più.
Arriviamo a Londra circa un’oretta dopo, sempre in orario. Siamo tutti vestiti di scuro, e in maniera elegante, in modo da confonderci con i londinesi raffinati e altolocati. Ci fermiamo in un vicolo per riepilogare il piano. Controllo che ognuno di noi abbia almeno un paio di armi addosso ben nascoste. Lily e io siamo gli unici ad avere solo una pistola, lei nel reggicalze e io sotto la giacca. La sento premere poderosa contro il fianco sinistro e quel contatto mi rassicura più di quanto possano fare i miei fratelli, che nel frattempo si passano una fiaschetta con dentro del rum fortissimo prodotto localmente dagli zingari. Me lo offrono ma io declino ripensando al sapore forte del whiskey di stamattina mischiato a quello dolce della bocca di Lily. Mi sta guardando e non mi scolla gli occhi di dosso, attenta ai ragionamenti che scorrono nel mio cervello, tra cui c’è il solito discorso che un sergente può fare ai suoi soldati, pieno di belle parole , di incoraggiamenti, di determinazione e di poca realtà, non perché non creda nei miei uomini, piuttosto perché ormai ho capito che per quanto un piano possa essere minuzioso, non sempre riesce nel modo previsto. Terminato il discorso gli uomini esultano felici e pieni di adrenalina e trattengo un sorriso perché risulterebbe troppo amaro in questo momento poiché i ricordi della guerra si fanno sempre più vividi. Anche i miei soldati reagivano così, ignari di ciò che era in serbo per loro.  Nel vociare generale la piccola voce di Lily si fa spazio tra le mie orecchie.
“Che hai Tom?” mi domanda con quei suoi occhi dolcissimi e luminosi, elettrici quasi come il suo stato d’animo. Una volta messo piede a Londra l’atteggiamento di Lily è mutato rapidamente e ora si mostra anche lei carica ed euforica. Ho così tanta paura di non rivederla più… ho un peso sul cuore, probabilmente ho preso la decisione sbagliata ma mi rendo conto anche io che adesso è troppo tardi per tirarci indietro. Provo a scacciare via i pensieri e a ostentare un sorriso per tranquillizzarla. Poi le rispondo:
“Niente, qualche ricordo della guerra”
“Presto sarà tutto finito e potremmo vivere insieme la nostra storia d’amore” mi dice lei, rassicurandomi mentre mi accarezza il viso delicatamente. Il suo tocco è come una brezza fresca in una giornata afosa, ha il profumo dei fiori, ha il sapore di casa. Mi limito a prenderle il volto tra le mani e a baciarla intensamente godendomi ancora una volta la sua essenza, sotto lo sguardo stupito e sbalordito di tutti. Ma in questo momento non me ne frega nulla di niente e di nessuno. Ho bisogno di sentire il suo sapore e di sentirmi al sicuro tra le sue braccia.
 
Sono le undici e 37 minuti e 50 secondi, 51, 52… Guardo l’orologio ossessionato dalla lancetta più sottile che si muove senza sosta. Siamo nascosti dietro una macchina anche se sono entrati tutti. Di tanto in tanto mi pare di sentire i cori dei bambini, che cantano con le loro voci bianche e angeliche. A breve il prete arriverà alle promesse “Vuoi tu Margaret Stone prendere il qui presente William Kimber come tuo sposo?” ancora attendo di sentire quelle parole. E ancora penso all’estremo atto di coraggio che sta dimostrando Margaret nell’accettare questo matrimonio. Povera ragazza, sicuramente non mi ha visto di buon occhio dopo che ho lasciato marcire in galera la sua sorellina, eppure le iridi chiare e quel suo sguardo sincero mostravano che in qualche modo mi aveva perdonato, o perlomeno aveva messo da parte la questione per far posto alla felicità di Lily. E anche per questo che merita di essere salvata, oltre che per il fatto che Kimber non la ama realmente, in quanto verme e non uomo.  Guardo la lancetta delle ore che raggiunge il 12 e quella dei minuti che finalmente è sul 9. Prendo per mano Lily, che voglio accanto a me,  e annuncio:
“Okay ragazzi, si comincia!”
Imbracciamo tutti le armi, come da ordini, prendiamo un bel respiro e entriamo nell’abbazia. Mi aspettavo di trovare tutti gli invitati vestiti in ghingheri, lo sposo sorridente e la sposa ancora con il velo abbassato, invece la chiesa è deserta e i banchi sono posti al centro nella navata principale, mentre sono liberi i lati con le colonne. C’è una calma piatta e un silenzio che non presagisce niente di buono. Gli altri mi guardano perplessi mentre io ho il sangue raggelato e un brivido mi percorre la schiena. Purtroppo so esattamente cosa sta succedendo…
“è un agguato!!” Urlo a gran voce prendendo prontamente sotto braccio Olivia per cercare di trascinarla via, ma all’improvviso da dietro le colonne escono otto, dieci, quindici uomini con cappelli neri e con dei mitra Thompson che iniziano a sparare alla cieca contro di noi. Il rumore dei proiettili è incessante e il frastuono e i fischi delle armi ci spaventano e ci fanno scappare come un gregge che viene attaccato da un branco di lupi inferociti e affamati. Corriamo tutti via terrorizzati mentre io tiro appresso Lily che ora sembra più pesante rispetto a stamattina. Vorrei proprio tornarci a stamattina, quando ancora il piano non era saltato, quando stavo facendo l’amore con la mia amante, carichi di adrenalina. Saliamo subito sulla macchina di Johnny Dogg, che originariamente era destinata a Olivia e Margaret ma che ora ospita me, la mia innamorata e i miei fratelli. Partiamo e ci allontaniamo presto dalla chiesa. Continuiamo a guardarci alle spalle per vedere se Kimber e i suoi scagnozzi ci stanno inseguendo, ma per fortuna nessuno all’orizzonte. Tiro un sospiro di sollievo. Ad un certo punto però mi sento la mano destra con cui tengo ancora stretta Lily, umida: è sangue. Mi volto verso di lei. Ha gli occhi socchiusi ed è sudata. Strabuzzo gli occhi incredulo: Lily è stata colpita, poco più su della pancia. La mia paura più grande è diventata realtà.
“Johnny corri!! Ci serve un medico!” grido disperato. Lui guarda su Olivia e rimane anche lui sconvolto. Nessuno se lo sarebbe aspettato. Sono stato un incosciente, non avrei dovuto portarla con noi.
“Piccola resisti ti prego!” le dico dolcemente prendendole la testa e tamponando sulla ferita che perde copiosamente sangue. Lei geme e si lamenta, biascicando parole insensate.
“Tom falle bere del rum” dice Arthur passandomi frettolosamente la sua fiaschetta. Olivia beve piccoli sorsi mentre il suo colorito diventa pallido.
“Accelera!” ordina John al nostro amico, ma la macchina ci sembra troppo lenta e tutti temiamo di non riuscire ad arrivare in tempo all’ospedale. Mamma ti prego, non adesso, non prendertela proprio adesso!


nda: okay sono sparita e lo ammetto, carico la fine della storia el volo proprio perchè sono davvero sommersa di impegni e casini vari...spero possiate capire. Grazie a chi legge e un grazie col bacino a chi recensisce! ;) -Joy

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Capitolo 9
*** Addio ***


Corro per le scale dell’ospedale portando Lily in braccio. Ha perso conoscenza e il colore della sua pelle schiarisce sempre di più, ma il suo cuore batte, anche se flebilmente, lo sento che lotta disperatamente per restare in vita.
“Un dottore, presto!” grido più volte attirando l’attenzione delle suore che accorrono affannosamente verso di me. Lily viene portata con quelle che non sono le mie braccia in una sala operatoria e io entro con lei, nonostante le sorelle cerchino di bloccarmi.
“Sono Thomas Shelby” spero che il mio nome mi preceda e per fortuna è  così. Sentendo il mio cognome le sorelle abbassano la testa e costernate mi lasciano passare. Lily è distesa su una barella e medici e infermieri passano freneticamente da un lato all’altro della stanza per prendere gli strumenti necessari per curarla.
“Ha perso molto sangue” “è molto debole” “Non ce la farà”. Le parole di tutti quei professori della salute mi rimbombano nella testa e per un attimo perdo la lucidità. Vengo pervaso dal panico e non so che dire, non so che fare, se non continuare a rispettare la mia immagine.
“Cucite la ferita!” ordino calmo.
“Ma signor Shelby, la ragazza è stremata, il battito è irregolare non…”
“CUCITE LA FERITA” grido poi severo mentre sfilo  la pistola dalla fondina e la punto tremante contro i medici, che alzano le mani impauriti e mi guardano spaventati ma pieni di compassione. Non voglio la loro compassione, voglio solo che cuciano quella stramaledetta ferita in modo da salvare la mia piccola Lily. Abbiamo tanti progetti insieme, forse troppi per rinunciarvi. Un dottore alto e stempiato mi viene vicino cautamente, nonostante la canna puntata verso di lui. Mi poggia una mano sul braccio destro, quello che impugna l’arma, e piano piano me lo fa abbassare.
“Signor Shelby, forse è meglio  che non sprechi questi ultimi minuti. La giovane ha bisogno di lei, le parli e si goda questi ultimi istanti, non viva nel rimorso.”
Il dottore non sa che la colpa di tutto questo è mia, non sa che vivrò comunque in un rimorso che mi corroderà l’anima. Non sa che io amo Olivia con tutte le mie forze e che il sol pensiero di perderla mia fa mancare la terra sotto i piedi. Annuisco al medico stempiato che richiama i suoi collaboratori e mi lascia solo con la mia dolce metà. Mi avvicino lentamente alla barella, dove Lily è distesa. Ha un colorito grigiastro e respira a fatica. Le poggio una mano sul viso, imperlato di sudore, e la chiamo dolcemente. Lei con non poco sforzo apre gli occhi in una fessura e prova ad abbozzare un sorriso tirato.
“Ehi, signor Shelby” sussurra flebilmente. Le sorrido mentre lacrime amare sono sul punto di precipitare dai miei occhi. Provo a cacciarle indietro stringendo i denti, ma mentre pronuncio le uniche parole che riesco a pensare, inizio a piangere.
“Mi dispiace, è tutta colpa mia” stringo la sua mano immaginando di poterle dare un po’ della mia vita, di farla passare dal mio corpo al suo attraverso quel punto di contatto, ma so che è solo una stupida illusione.
“Tom, è colpa di Kimber. Devi salvare mia sorella” pronuncia lei respirando affannosamente.
“Ti prego non andartene, non lasciarmi da solo” la supplico, a un soffio dalla sue labbra ormai pallide.
“Non sei solo, io ci sarò sempre. Ti amo” e dopo aver detto ciò si protende verso di me per un ultimo bacio. Le sue labbra sono fredde, eppure vorrei che quel bacio non finisse mai. Ancora un secondo, e poi un altro, e un altro ancora, ma ormai le sue labbra sono inerti eppure io ho paura di staccarmi da lei. Ho paura di aprire gli occhi e di vederla così, immobile e lontana da me. Un altro secondo. Da oggi in poi non potrò più averla con me. Un secondo ancora, ma mi viene negato, i medici mi portano via e io mi faccio trascinare senza ostacolarli, mentre l’ultima immagine che vedo è quella di un lenzuolo bianco che va a coprire interamente il corpo della mia Olivia.
Scendo le scale spesato e confuso, come se non fossi realmente io, come se invece fossi un fantasma o un robot dai movimenti meccanici e non ragionati. Vado incontro a Johnny Dogg e ai miei fratelli a sguardo basso perché non ho il coraggio, né la forza, né la lucidità per dire ciò a cui ho assistito. Loro mi guardano impazienti, ma io rimango immobile di fronte a loro, con le mani in tasca e con le lacrime bloccate sull’uscio degli occhi. Arthur mi poggia una mano sulla spalla ma quel contatto mi inorridisce, mi nausea e mi scuoto nervosamente allontanandomi un po’ da loro. Li ritengo responsabili, ingiustamente, ma sono troppo scosso per spiegare. Mi chiedono di Olivia, insistenti, ma io non posso far altro che sbattere la testa automaticamente a destra e a sinistra, per dire che ormai non c’è più niente da fare. Gli uomini sono ammutoliti e io non riesco a restare affianco a loro un minuto di più. Vorrei scappare, urlare, buttarmi nel Tamigi e aspettare, anzi sperare,  che il fiume mi risucchi nelle tenebre o mi faccia morire di ipotermia, ma l’unica cosa che in realtà faccio è accendermi una sigaretta, girarmi dando le spalle ai miei fratelli e asciugarmi frettolosamente le lacrime che stavano scappando via. Mi sento un ladro, non posso neanche mostrarmi vulnerabile, o perlomeno non con loro. Con Olivia era diverso, lei mi leggeva dentro, mi capiva con lo sguardo, era nella mia mente e che volessi nasconderglielo o no, non ero così forte come mi mostravo. E lei lo aveva capito e soprattutto accettato. È tutta colpa mia...
Ritorniamo a casa con la macchina di Johnny Dogg. Raggiungiamo il mio ufficio ad Harley All per discutere sul da farsi e anche se nessuno proferisce parola, so che tutti si stanno chiedendo come reagiremo. Tutti si aspettano che io abbia un piano di riserva, un asso nella manica che faccia scacco matto a quel vigliacco di Kimber. Ma la verità è che non ho niente in mano, non pensavo il piano finisse così, e ora come ora non riesco neanche ad essere lucido.
“Johnny, devi richiamare i tuoi uomini, dobbiamo capire quanti sono i morti e i feriti gravi. Mi precipiterò a risarcirli il doppio rispetto a ciò che avevo promesso” ordino al mio amico zingaro che annuisce stringendo il cappello tra le mani. Mi saluta con un sorriso amaro e va via a passo svelto.
“Quanto a voi…parlate con Ada e con Polly, aggiornatele, io vi raggiungo più tardi da zia Polly” riferisco mentre mi dirigo verso il whiskey sul tavolino accanto alla mia scrivania.  Mi riempio un generoso bicchiere e lo porto alla bocca bevendolo tutto d’un fiato fino all’ultimo goccio. Ripeto nuovamente la stessa operazione sotto lo sguardo scettico e carico di pena dei miei fratelli.
“Potete andare” ordino squadrando il loro atteggiamento di attesa. John prova a parlare, ma Arthur lo blocca prima che possa emettere un suono, e fa bene perché non voglio sentire stronzate. Voglio solo andare di sopra e sentire quel che rimane del profumo di lavanda della mia dolce Lily. Ma prima, ancora whiskey.
Salgo barcollante le scale, mentre fumo una sigaretta con la destra e reggo con l’altra mano la bottiglia vuota di quell’alcolico ambrato che tanto mi fa impazzire e che ora mi fa vagare in un mondo offuscato e confuso, pieno di ombre e ricordi. Inciampo in un gradino e mi vien da ridere per la mia stupidità, provo a rialzarmi goffamente, e quando finalmente sono in piedi, aspiro un’atra boccata di fumo. Sono sull’uscio della nostra camera, e mi tremano le gambe. Ho le mani fredde per l’emozione, e gli occhi lucidi. Indugio ad entrare, ultimando la sigaretta per non diffondere la puzza di fumo in quello che ritengo ormai il templio del nostro amore. Getto la sigaretta per terra sperando che divampi un incendio e che io muoia bruciato e ustionato dalle fiamme del rimorso che sento, ma la sigaretta si spegne subito e il mio pensiero suicida abbandona la mia mente, momentaneamente. Cammino a passo lento verso il nostro letto, allungando l’attesa e accrescendo il desiderio di assaporare la sua essenza. Finalmente sprofondo sul materasso e vengo inebriato e pervaso dal profumo di lavanda che è Lily. Mi riempio i polmoni sperando che scoppino e che mi facciano così raggiungere Olivia in paradiso, anche se pensandoci non so se merito la pace nel regno dei cieli. Olivia invece sì, così angelica, così perfetta che quel Dio descritto da tutti come altruista e misericordioso, ha voluto portarmela egoisticamente via, lasciandomi come suo unico ricordo il profumo sul suo cuscino, che stringo tra le braccia come se fosse lei. Nel movimento altrettanto goffo come la caduta di pocanzi, mi accorgo che scivola giù dal letto qualcosa, un foglio. Lo raccolgo e noto che è pieno di parole. Subito leggo le prime
“Caro Tom”.  Poi sposto lo sguardo verso la firma finale “Lily”. La mia astuta innamorata mi ha preceduto. Ho paura a leggerla. Le mie mani tremano irrefrenabilmente e temo ciò che lei possa aver scritto. Eppure rimango perplesso…in qualche modo mi rendo conto che sapeva, percepiva il modo in cui sarebbero andati i fatti. E allora perché continuare? Perché rischiare la vita? Perché insistere a venire con me?
“Caro Tom, se stai leggendo questa lettera vuol dire che purtroppo nulla è andato secondo i piani previsti. Ho sempre ammirato la tua capacità di gestire le situazioni difficili, il tuo essere libero, il tuo non avere limiti, la tua intraprendenza e il tuo coraggio. Volevo essere come te, soprattutto in questa operazione, e mi sono accorta che standoti accanto, amandoti incondizionatamente come tu hai fatto con me, ho imparato a non avere paura, a gestire gli avvenimenti, non facendomi sopraffare da essi. Ti devo molto, e ti prego Tom, non commettere l’errore di sentirti in colpa. È stata una mia scelta seguirti, scelta che se avessi la possibilità rifarei altre mille  e mille volte, perché ti amo, perché mi fido di te, e  perché la vita di mia sorella vale più della mia. Ci sarò sempre per te, puoi giurarci. E starò bene ovunque andrò, perché avrò compagnia. Ricordi quella notte che ti lamentavi nel sonno? Non erano proprio lamenti, più frasi, e nominavi sempre la tua mamma, e vuoi sapere la cosa buffa? Anche se non l’ho mai conosciuta quella stessa notte tua mamma mi è venuta in sogno e mi ha tranquillizzato. Mi ha detto che presto l’avrei raggiunta, ed ecco perché ho deciso di scriverti questa lettera. Non sono mai stata una che crede nel mistico, però questa volta sentivo che le cose sarebbero andate male, che il piano non sarebbe riuscito. Non potevo dirtelo, saresti andato nel panico e forse mi avresti preso anche per pazza, chissà. È meglio che le cose siano andate  così, fidati. Ti amo, e se anche tu mi ami devi andare avanti. Fallo per me. Tua per sempre, Lily.”
Sono sull’uscio di Port Sunlight, anche se di sole non ce n’è e sono dovuto venire fin qui con il mio cavallo per non rischiare incidenti con la macchina, visto che sono dannatamente ubriaco. Mentre Black Velvet galoppava veloce verso Sutton Confield nella mia mente non facevo che risentire le parole della lettera di Lily. Sono stato troppo precipitoso, avrei dovuto prendere in considerazione le parole di mia madre, avrei dovuto ascoltarla sin dal primo giorno che mi aveva detto di allontanarmi da lei. Invece io avevo fatto di testa mia, come al solito e la situazione in cui mi trovo è tutto ciò che mi merito. L’andamento movimentato della mia cavalla  confondeva i miei pensieri e il mio dolore si mescolava alla nausea e alla preoccupazione per le reazioni di Polly e Ada. Una volta giunto davanti alla casa di mia zia, in ritardo di circa un’ora, cerco di ricompormi, sorseggio le ultime gocce del mio rum in fiaschetta e dopo aver aggiustato il berretto in testa in modo da coprire gli occhi arrossati e lucidi sono pronto per entrare. È tarda notte e mi incanto per un secondo a guardare il cielo e a cercare la stella su cui è volata Lilì. È quella più luminosa, accanto alla luna. Mi schiarisco la voce un istante prima che la mia sorellina mi apra la porta. Accenna un sorriso di cortesia che, si vede lontano un miglio, cela il senso di compassione e pena che prova nei miei confronti. È troppo gentile, a tratti quasi ossequiosa, e sebbene le voglia bene in questo momento mi ritrovo a provare per lei solo disgusto. Non può capire cosa sto provando, nessuno di loro può neanche tentare di immaginarlo. E la loro pena non risolverà la situazione né risolleverà la mia anima dal peccato e dal senso di colpa in cui è impantanata. Con un passo entro in casa di Polly e subito mi precipito a sfilare una sigaretta e ad accenderla. Saluto tutti con un “ciao” generale, evitando rigorosamente il loro sguardo, soprattutto quello di Polly, che guardo furtivamente da sotto al berretto: i suoi occhi sono come al solito severi e seri, ma il castano sembra più chiaro, meno aggressivo e più comprensivo. Anche lei è impietosita dal mio lutto, lei che più di tutti disprezzava Olivia nel profondo. Mantengo la calma, nonostante la nicotina non fa che accentuare la mia confusione dovuta all’alcol. Istanti interminabili di silenzio rimbombano assordanti nelle mie orecchie, mentre di tanto in tanto ancora l’eco delle parole scritte da Lily si conficcano nei miei timpani. So che dovrei prendere io la parola, ma sinceramente non so cosa dire, non ho ancora elaborato un piano e l’eventualità di deludere la mia famiglia si fa sempre più reale.
“Tom, vuoi sederti?” mi chiede cortesemente Ada che sta diventando fastidiosa. Scuoto la testa e aspiro un altro po’ di fumo.
“Avete sentito Johnny per caso? Ho bisogno di sapere il numero delle vittime” esordisco pensando che sia una delle poche cose sensate che nasconderebbe la mia impreparazione, ma prima che Arthur possa rispondermi Polly lo interrompe.
“No Tom, tu hai bisogno di andare a casa e riposare, hai bisogno di elaborare il lutto, hai bisogno di persone che ti stiano vicino! E levati quel dannato berretto!” mi dice in tono di rimprovero, mentre la sua disapprovazione esce da tutti i pori. Rido amareggiato mentre penso a quanto sia maledettamente facile giudicare dall’esterno. Mi avvicino a lei con calma e quando le sono a un paio di passi di distanza mi tolgo il berretto e la guardo negli occhi, impassibile.
“Pensavo che il mio braccio destro avesse consigli più intelligenti da darmi, invece mi sbagliavo.” Rispondo in tono basso, in modo che le parole arrivino dritto nelle sue orecchie. Rimane impassibile ma so che l’ho colpita nell’orgoglio e perciò resta ammutolita.
“Tom, ci sono solo 3 vittime, e 4 feriti non gravi. Il resto degli uomini sta bene e aspetta tue direttive”
Anche io stesso le aspetto, nonostante non possa dirlo a nessuno perché altrimenti apparirei sconfitto.
“Chi sono le 3 vittime?”
“Samuel, Zar e…” Arthur si interrompe e abbassa lo sguardo afflitto. So che c’è il nome della mia innamorata e che forse lui è l’unico a cui manca realmente oltre me. Annuisco e comincio a passeggiare avanti e dietro per il soggiorno  mentre il mio cervello elabora qualcosa e mentre tutti mi guardano in attesa di un’epifania.
Ma nel mio cervello non fanno che scorrere le immagini degli ultimi momenti prima della morte di Olivia, del suo colorito pallido, del nostro bacio e della sua richiesta di salvare Margaret. Mi fermo improvvisamente al centro della stanza e il mio orecchio viene attirato dal suono delle campane che segnano la mezzanotte e quindi l’arrivo della domenica, giorno di festa. Ma certo!!
“Oggi è domenica!” esclamo trionfante sotto lo sguardo perplesso degli altri. “Non capite? Il matrimonio non poteva essere sabato…è oggi! Questo spiega perché la trappola è stata ieri. Loro si aspettavano il nostro arrivo, sapevano tutto, lo avevano calcolato. Ma sicuramente non si aspetteranno un attacco oggi, durante il giorno delle nozze, in cui tutto è organizzato per la tranquillità e la felicità degli sposi”
La mia famiglia mi guarda scettica anche se non li biasimo visto com’è andato il piano di qualche ora fa. Onestamente anche io ho paura a fidarmi di me stesso, eppure il pensiero di dover salvare Margaret mi dà quella sicurezza che mai avrei sperato di ritrovare, quella forza e quel coraggio che temevo aver perso con la morte di Olivia. Ora non resta che darsi da fare.

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Capitolo 10
*** Vendetta ***


Ritrovarmi davanti a Westminster Abbey senza Olivia è tremendo. Mi sento vuoto, incompleto eppure così carico di vendetta che non vedo l’ora di spalancare le porte della chiesa. Questa volta sono fiducioso e niente andrà storto. Sostanzialmente il piano non ha grossi cambiamenti rispetto a quello originale, l’unica variante è che ora sono certissimo di voler uccidere Kimber. Gli punterò la mia pistola sotto il mento, schiacciando sulla giugulare e poi premerò il grilletto facendogli saltare il cervello. Nascondo la mia sete di vendetta mentre carico la mia pistola e mentre anche gli altri fanno come ho detto. Siamo in minoranza, ma siamo determinati e affamati come un branco di lupi. Entriamo. Spalanchiamo le porte con non poca paura, ma subito noto che avevo ragione: un mucchio di bestie camuffate da damerini sono seduti sulle panche e girati verso di noi. Sono attoniti e assaporo il potere che è concentrato nelle mie mani. Mi basta un cenno e i miei uomini li farebbero fuori.
“Signor Kimber, finalmente riesco ad incontrarla” esordisco mentre procedo verso la navata principale continuando a puntargli la mia pistola alla testa. I suoi occhi scuri e impauriti non mi impietosiscono minimamente e anzi aumentano la mia sete di vendetta. Distolgo per un secondo lo sguardo da lui, posandolo su Margaret, in un vestito bianco che le sta divinamente e con il volto coperto da un velo leggero che non nasconde i suoi occhi chiari e il colore acceso dei suoi capelli. Sembra agitata e spaventata, come un cerbiatto che osserva il suo carnefice. Ma non c’è niente per cui mi debba temere, infatti mi avvicino a lei e mi paro dinnanzi a Kimber, facendole da scudo qualora l’omuncolo esca la pistola. “Purtroppo la scorsa volta mi ha tolto questo immenso piacere. Ma ora eccoci qui” concludo osservandolo mentre suda come un maiale, nervoso com’è.
“Sta’ rovinando il giorno delle mie nozze, signor Shelby” ringhia lui tra i denti, provando inutilmente a intimorirmi.
“Si sbaglia, queste nozze sono state rovinate ancor prima che iniziassero. Non ha alcun ritegno, alcun rispetto verso la sua non ancora sposa, motivo per cui questo matrimonio non si terrà.” Gli dico. Poi mi rivolgo agli invitati “Se nessuno di voi vuole morire è pregato di accomodarsi fuori entro tre secondi. Uno…” la folla si accalca verso l’uscita in modo disordinato. La gente corre in preda al panico e senza neanche dover arrivare al tre, l’abbazia è presto vuota, occupata solo dai miei uomini, da me e dalla coppia che sto per dividere. Faccio un cenno a Margaret con la testa per farle raggiungere gli altri, che presto escono per portarla in salvo. “Adesso che siamo soli, posso ucciderla” mi limito a dirgli, mentre estinguo la distanza tra me a Kimber a non più di due passi. Gli poggio la pistola proprio sotto la gola, come mi ero ripromesso e tengo ben saldo il grilletto.
“La prego, non lo faccia…io…le ridarò i clienti, mi leverò dai suoi affari. Non vi sarà più concorrenza, non vi saranno più morti…”
“Ci sono già stati i morti signor Kimber, non si può tornare indietro. Ha ucciso la mia innamorata e mi creda, questi sono gli ultimi istanti che le restano”
“Vorrebbe freddare un uomo disarmato? La credevo più corretto signor Shelby”
Rido sarcastico, mentre immediatamente getto la mia arma lontano da entrambi. Mi levo la giacca gettandola a terra, mi alzo le maniche della camicia e mi metto sulla difensiva.
“Avanti, colpisca lei per primo”. Kimber ha un attimo di smarrimento, ma recupera tutta la lucidità con un respiro profondo. Poi mi sferra un destro diretto in pieno volto, ma lo schivo abilmente e rispondo con un pugno sulle costole ben assestato che per un attimo gli fa mancare il fiato. Tossisce ma si riprende.
“Sa Shelby, lei è molto simile a me” inizia a parlarmi nel tentativo di distrarmi, ma io rimango concentrato sui suoi movimenti e provo ad assecondarlo.
“Non credo proprio, io un onore ce l’ho” lo colpisco di nuovo, stavolta sul volto, dritto al naso che prende a sanguinargli. Kimber sputa del sangue a terra e continua.
“Onore? Ho letto che solo per colpa sua sono morti 230 soldati in un attacco, in Francia, ad Aubers, le ricorda niente?” Un lampo mi attraversa la mente e il ricordo di quei ragazzi sotto il mio ordine mi raggela il sangue e mi pietrifica. Ero uno di quelli che voleva riprendersi la Francia ormai depredata e conquistata dai tedeschi, ma purtroppo l’operazione non andò a buon fine. Delle mie truppe non si salvò nessuno eccetto me. Ancora sento i fischi dei proiettili delle mitraglie che veloci e incessanti attraversavano i corpi dei miei ragazzi. All’improvviso un dolore lancinante allo stomaco mi catapulta sulla terraferma. Kimber mi ha colpito all’addome, e io non posso far altro che ripetere a me stesso di respirare, di concentrarmi.
“Non fu solo colpa mia” gli dico faticosamente, tentando di giustificarmi più con me stesso che con lui. Kimber ride di gusto.
“Così come Olivia non è morta per colpa tua giusto? Tom non prendiamoci in giro” un altro pugno, questo in pieno viso, sulla mascella. Eppure, ironicamente il dolore che sento è localizzato proprio all’altezza del cuore ed è dovuto ai sensi di colpa. “Avresti dovuto lasciare le cose com’erano, invece la tua troppa ambizione ti ha fatto sempre perdere le persone a cui tenevi, mi sbaglio?” continua lui, non dandomi neanche il tempo di recuperare le forze o la ragione e presto mi ritrovo a terra a causa di un montante ben assestato. Sono stordito e il peso che ho sul cuore mi impedisce di rialzarmi. Sento dei passi frettolosi, e il rumore tipico di chi sta caricando un’arma. E poi vedo Kimber davanti a me che mi punta la mia pistola alla testa. “Se vuoi posso portarti da Olivia” le sue parole echeggiano nella mia mente e hanno un sapore così dolce. Sono tentato dal dirgli di sì, perché infondo vivere con il peccato equivale a morire ogni giorno, quindi tanto vale finirla qui. “mi basta premere il grilletto.” Insiste lui e sono sul punto di chiudere gli occhi accettando la sua offerta. Non ho più nulla da perdere, e il desiderio di raggiungere la piccola Lily si fa sempre più pressante. Eppure sono certo che lei non vorrebbe questo…
“NO!” dico ad un certo punto, quando il mio istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Tiro un calcio alla mano di Kimber, quella che impugna la pistola, che adesso cade di nuovo a terra producendo un rumore ovattato a causa del tappeto rosso della chiesa. Ci guardiamo al contempo, sentendo le parole mute dei nostri occhi: “è mia”, e entrambi ci precipitiamo sull’arma, strisciando a terra, ma sono io il più veloce e una volta recuperata mi alzo in piedi e gliela punto contro.
“Va’ all’inferno, e salutami il diavolo!” annuncio trionfante mentre con l’indice premo finalmente il grilletto. Il suono sordo dello sparo non mi impedisce di guardare e di godermi lo spettacolo del proiettile che attraversa il cranio di Kimber facendo schizzare qua e là qualche pezzetto di cervello. Il corpo del farabutto viene sommerso da una chiazza di sangue e poi abbandonato al silenzio di Gesù in croce, sotto il cui sguardo ci eravamo scannati qualche istante prima. Vorrei distogliere gli occhi da quello spettacolo a dir poco raccapricciante, ma non ci riesco e me ne sto inerme, con l’affanno, a pensare di aver aggiunto l’ennesimo uomo alla lista dei miei peccati.
Barcollando esco dalla chiesa, facendo uno sbrigativo resoconto sulle mie ferite…nulla di grave, forse una costola incrinata e qualche livido in faccia. Eppure mi sento così debole, così pesante che quasi faccio fatica a trascinarmi sulla macchina di Arthur, tranquillizzato subito da un mio sintetico “tutto risolto”, al quale annuisce per poi mettere in moto.
“Margaret è a casa tua, non faceva che chiedermi di Olivia, ma nessuno di noi le ha detto nulla. Abbiamo lasciato a te l’onere di parlarle.” Mi dice mio fratello in tono sommesso, mentre il mio sospiro lo lascio nella mia testa per non dargli a vedere quanto ancora io sia provato dal lutto. Ma va bene così, adesso voglio solo tornare a casa ed essere avvolto dall’aroma di Lily.

“Tom, si può sapere dov’è Olivia? Ho chiesto a chiunque e nessuno mi ha saputo dare risposta, inizio a preoccuparmi” mi dice Margaret, non appena metto piede in casa mia. La guardo impassibile, mentre mi accorgo di come i suoi occhi chiari siano carichi di apprensione, come al tempo debito erano quelli di Lily per lei. Come faccio a dirglielo?
“Vieni di là in soggiorno, ho bisogno di bere” mi limito a dirle facendole strada. Sono così esausto.. Sorseggio frettolosamente il whiskey sperando in un effetto immediato che per fortuna non fatica ad arrivare. Sento i nervi della cervicale che pian piano si affievoliscono facendo però posto a un nodo allo stomaco, che cerco di sbrogliare con una sigaretta. Lo sguardo di Margaret è impaziente e mi scruta in ogni mio più piccolo movimento, in attesa che io inizi a parlare. Mi prendo ancora un istante per riflettere, mentre mi stringo il ponte del naso come se fosse un pulsante per far uscire qualche parola.
“Margaret, tu non sai cosa è successo ieri, perché probabilmente eri a casa tua a ultimare i preparativi del matrimonio. Quando Olivia è venuta a trovarti tu le hai detto che il matrimonio si sarebbe svolto nel fine settimana. Abbiamo dato per scontato che fosse sabato. Perciò ieri volevamo impedirti di compiere questo passo. Volevamo salvarti, come abbiamo fatto oggi. Purtroppo però ieri gli uomini di Kimber ci hanno teso un’imboscata a Westminster..e Olivia è rimasta ferita…”
“E ora come sta? Tom, ti prego dimmi che si rimetterà, dimmi che guarirà!” mi supplica lei con le lacrime agli occhi. E io abbasso lo sguardo trattenendo le mie.
“Vorrei potertelo dire, ma la verità è che aveva perso troppo sangue e purtroppo non ce l’ha fatta. Quindi abbiamo organizzato lo stesso piano per oggi, per vendicarci e per realizzare il desiderio di tua sorella che ti ha sempre voluto libera!” concludo ultimando la sigaretta. Margaret è stravolta e le lacrime scendono veloci e incontrollabili. Mi guarda negli occhi pietrificata e io non so che dirle.
“Olivia è morta!?” quelle parole mi trafiggono il cuore, già malmesso. Annuisco stringendo la mascella per trattenere le lacrime.
“E ora Tom? Che succederà Tom?” mi domanda con un filo di voce eppure riesco a percepire il suo stato di ansia, di preoccupazione, che comprendo e condivido. Ci troviamo entrambi in balia delle onde, a vivere con l’assenza incolmabile della nostra Olivia. E chissà cosa ci serberà il futuro, chissà quanto tempo ancora avremo da vivere prima che un altro uomo d’affari intralci la nostra strada.
“Non lo so Margaret, ma se vuoi, da oggi, sei parte della famiglia Shelby.” La rassicuro andando verso di lei. Margaret si alza e mi getta le braccia al collo, stringendomi in un abbraccio desideroso di calore e rassicurazioni. Singhiozza con la testa poggiata sul mio petto e cerco di tranquillizzarla accarezzandole i capelli rossi, da cui sale un leggero aroma di lavanda. Mi scappa una lacrima. Lily sarebbe stata sempre con noi.

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