Aoki yasei wo daite di _Garnet915_ (/viewuser.php?uid=4173)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness ***
Capitolo 2: *** Ima me o sorasanai de ikou ~ There’s no turning away as we go now ***
Capitolo 3: *** Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming… ***
Capitolo 4: *** Toki o koe tsunaida te zutto hanasazu ni hashirou ~ Somewhere, there’s the glittering of the sun we’re longing for… ***
Capitolo 5: *** Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter ***
Capitolo 6: *** Intermezzo ~ Burning eyes ***
Capitolo 7: *** Kotoba ni wa shinai yakusoku ga aru sa ~ Without words, there are promises ***
Capitolo 8: *** Intermezzo ~ Cold heart ***
Capitolo 9: *** Aoki yasei no mama de ~ Free to do just as we please ***
Capitolo 10: *** Yowasa made zenbu miserareru kiseki ~ Showing everything, even weakness, it's a miracle ***
Capitolo 11: *** Intermezzo ~ Dearly Beloved ***
Capitolo 12: *** Kono basho ga sagashiteta ore no iru basho ~ I'm here at the place I'd been searching for ***
Capitolo 13: *** Kuraki kouya tsukinukete ~ Breaking trough the dark wild lands ***
Capitolo 14: *** Intermezzo ~ Grieved minstrel ***
Capitolo 15: *** Ima dare no sashizu mo ukenai ~ We won’t accept what anyone tells us ***
Capitolo 1 *** Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness ***
Questa storia trae spunto da una mia vicenda personale, che sto ancora vivendo. E'dedicata a me stessa, a tutte le persone che hanno un problema simile al mio e anche più grave (ne esistono a bizzeffe, purtroppo...). Perchè la strada per la guarigione non è impossibile. Ma lunga. Forza e coraggio a tutti!
1. Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness
Se c’era una cosa che aveva sempre odiato erano i mezzi voti. Non significavano nulla per lei. Era sempre stata la sua filosofia: le cose erano o bianche o nere; le vie di mezzo, i grigi non esistevano. E per questo, quel voto non le andava proprio giù.
Al di là del fatto che aveva impiegato la bellezza di tre ore il pomeriggio prima per studiarsi quei dannati concetti che capiva poco, ma che almeno si sforzava di capire; aveva studiato rinunciando a farsi un bel giro per il quartiere di Harajuku assieme alle sue migliori amiche.
Per cosa, poi?
Per un cinque e mezzo?
Non riusciva a digerire quel voto. Era a metà tra la sufficienza e l’insufficienza: non era insufficiente, ma nemmeno sufficiente. Quanto le dava sui nervi quella situazione. L’unica cosa che un po’ la consolava era che fisica non era una materia per lei importante. Certo, cercava di conviverci pacificamente, ma alla fine le importava accaparrarsi solo un sei striminzito alla fine del trimestre.
“C’eri quasi, Higurashi, alla sufficienza. Peccato; la prossima volta andrà meglio, vedrai”
Come no, vecchia strega.
Sapeva benissimo che fingeva: sapeva che la sua professoressa era a conoscenza del suo odio sviscerato per la fisica. E, di conseguenza, aveva scartato l’opzione “Vediamo_se_almeno_prova_a_studiarla” – come la chiamava Kagome.
Non aveva nemmeno voglia di stare ad ascoltare la spiegazione seguente. Chi se ne fregava di alcuni stupidi europei che formulavano leggi? E che, per di più, avevano nomi strani come Ohm o chicchessia. Passò il resto della lezione osservando distrattamente la sua agenda aperta sopra il libro di fisica e ben nascosta dall’astuccio. Sfogliava alcune pagine: in molte di quelle c’erano attaccate foto scattate di nascosto al suo compagno di classe Hojo, per il quale aveva una cotta tremenda.
Quante volte fantasticava su di lui, di come doveva essere avere un appuntamento con lui, pranzare con lui sulla terrazza della scuola di nascosto, marinare insieme un giorno la scuola e andarsene lontano da Tokyo… Osaka, Sapporo, Yokohama, Saitama, Fukuoka… le sue fantasie erano tanto stupide quanto banali, ma erano pur sempre fantasie di una ragazza di prima liceo, del tipo una serata al cinema in una sala mezza vuota con lei aggrovigliata al braccio di lui, una cena ad un ristorante, una passeggiata in un parco, un giro per negozi…
Sì, Kagome, svegliati! Ti sei già dichiarata a lui… un bel rifiuto è stato il risultato, ricordi?
Sfogliò l’agenda fino ad arrivare a quel fatidico giorno; sfogliò lentamente solo per non farsi sentire da quella logorroica prof di fisica; se, al suo posto, ci fosse stato quell’addormentato del professore di storia, sarebbe già arrivata alla pagina interessata.
Alzò un attimo lo sguardo dall’agenda, smettendo di sfogliare, giusto per vedere se la prof aveva notato qualcosa: la quarantenne era voltata verso la lavagna, intenta a scrivere qualche formula strana accompagnata da qualche sgorbio esemplificativo che la prof azzardava chiamare disegno.
Via libera!
Ci arrivò pian piano… 23 maggio… quella data era impressa nella sua mente come se fosse stata marchiata a fuoco.
Sull’agenda aveva scritto solo una cosa:
“GIORNATA DA DIMENTICARE”
Scritta in blu con contorno nero e, tutt’intorno, delle faccine tristi. E, proprio sotto, una stupida caricatura di Hojo, che indossava solo un paio di boxer ridicoli con scritto tante volte “Sono il ragazzo più coglione dell’universo”, teneva in mano diverse bottiglie di alcol e diceva “Bevo, bevo! E quando bevo faccio il deficiente! Oggi ho fatto il deficiente! Se non di più!!”. Una cosa del tutto assurda. Dopo quel rifiuto, aveva bisogno di sfogarsi; e, tutto quello che era riuscita a fare, era quel disegno scemo del ragazzo. Eppure, rivedendolo a mente lucida qualche giorno dopo il 23, si sentì stupida. E si rese conto che, nonostante l’esito negativo della sua dichiarazione, Hojo continuava a piacerle. Forse un po’ meno di prima…
Amore a senso unico… quanto sono stupida
Non fece nemmeno in tempo a pensarlo, che la campanella redentrice decretò la fine delle lezioni.
Sono sopravvissuta… grazie signore!
Kagome raccattò la sua roba, mettendola alla rinfusa nella sua cartella marrone scuro con mosse velocissime. Aveva una gran voglia di uscire da lì! Si voltò per vedere se, due file indietro, la sua migliore amica Sango fosse pronta.
“Ehi, Kagome!” disse avvicinandosi con un’aria da “Spero_di_non_fare_danni”
“Va tutto bene?” si riferiva, ovviamente, all’interrogazione di fisica non andata molto bene. Sapeva che l’amica, per quanto odiasse la fisica, cercava di studiarla un minimo. E l’avrebbe aiutata volentieri se non fosse per il fatto che anche lei riusciva a prendere appena la sufficienza. Era l’unica materia che aveva appena sufficiente. Nelle altre aveva voti come 8 o 9. Voti che Kagome ogni volta sognava di avere, dal momento che – fisica a parte – tutti i professori l’avevano praticamente targata come “L’alunna del 7”. Tutti, nessuno escluso.
“Ma sì” disse sorridendo
“Non che me ne importi molto alla fine. Fisica è pur sempre fisica. Siamo ancora a novembre. C’è tempo prima che il trimestre si concluda, stai tranquilla! Recupererò in qualche modo, giusto per averla vinta su quella strega che gode nel darmi l’insufficienza, vedrai!”
Sango non ribattè, sapeva molto bene che la sua amica, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscita a fare quanto detto.
Almeno spero!
“E Kikyo?” chiese Sango della loro amica
“Se l’è già svignata. Oggi deve andare dritta al tempio a lavorare; mio nonno le ha chiesto di andar lì prima, perché ha tutta una serie di faccende da sbrigare. Mamma non può, Sota figuriamoci, io ho il corso di recupero serale dopo un pomeriggio di studio esaltante in biblioteca, quindi rimaneva lei. Del resto, io non so nemmeno come abbia potuto accettare un lavoro come quello di aiuto al sacerdote del tempio. E’ un lavoro noioso e sempre uguale, io non potrei mai resistere!”
“Ci credo!” incalzò Sango mentre le due si avviarono fuori dall’aula e, quindi dall’edificio scolastico.
“Tu ci vivi vicino al tempio!”
“Come se mi piacesse!” e tacque un attimo.
Le due amiche si fermarono di fronte all’ingresso della scuola.
“Domani non ci sarò, Sango” disse Kagome prima di congedarsi dall’amica per andare in biblioteca mentre l’altra aveva un incontro ravvicinato del terzo tipo con sua madre e il nuovo fidanzato.
“Ospedale?” disse anticipandola Sango
Kagome non disse niente, si limitò a fare un cenno con il capo. “Controlli. I soliti.” Biascicò “Prelievi, trasfusioni, visite…. Niente di nuovo né di eccitante! Solo che mia madre poteva dirmelo un po’ prima di questa visita fissata praticamente all’ultimo. L’ho saputo solo ieri pomeriggio. Non sai che rabbia mi è montata quando quella stupida mi ha detto
Oh cara, ora che ci penso. Settimana scorsa mi hanno telefonato dall’ospedale. Domani hai una visita di controllo. La solita. Salti scuola, non ne sei felice?
E che cosa dovevo dirle? Sì, mammina, come no! L’idea di stare in una sala ad annoiarmi per tipo 5-6 ore mi alletta alla grande!! Avevo una voglia tremenda di farla a fettine! Per davvero credimi!” continuò
“E’ per il tuo bene, però” disse Sango e la scherzò dandole una carezza in testa.
Gesto che, nonostante l’intento ludico, riuscì a calmare Kagome.
“Dai, vado. Altrimenti chi la sente poi mia madre e il suo nuovo amichetto” diede un bacio sulla guancia all’amica, si voltò e se ne andò.
…
Se c’era una cosa che la faceva sentire stranamente bene era stare immersa nella folla, nell’ora di punta e in pieno centro urbano.
Sentire i respiri, i profumi, i mormorii della gente tutta assorbita dalla loro quotidianità… la rasserenava. Le faceva ricordare che, almeno per qualcuno, una quotidianità scansita sempre dalle stesse – rassicuranti, odiose, soffocanti, piacevoli… - azioni esisteva ancora.
E lei?
Lei non l’aveva?
Beh, sì… aveva tutto il diritto di vivere la sua vita tranquillamente, come aveva sempre fatto. Per carità, nessuno glielo aveva impedito!
Ma certo, potrai continuare la tua solita vita
Le avevano detto questo dopotutto.
Eppure, da quando aveva varcato quella soglia… da quando era tornata a casa… sentiva che qualcosa era diverso, terribilmente diverso. Come una piccola macchia scura in un angolo di un acquarello dai delicati toni pastello. Non da un fastidio tremendo alla vista. Eppure c’è. L’occhio attento dell’artista che lo ha dipinto lo sa, sa che è lì. E per quanti complimenti la gente possa fargli sulla beltà dell’opera in sé… lui non sarà mai soddisfatto fino a quando non troverà il modo di togliere quella macchiolina senza rovinare quanto di bello c’è già nell’opera.
Allo stesso modo la sua vita.
L’acquarello era la sua vita – anche se non bella e perfetta – con i suoi alti e bassi
La gente comune era l’insieme di complimenti e critiche di chi osserva l’acquarello.
Ma lei… lei era l’occhio attento dell’artista. L’occhio segnato dall’esperienza delle pennellate che hanno portato alla formazione del quadro ma che non è riuscito ad evitare quella macchia. E ora vedeva quella macchia come un peso, un peso insostenibile. Sapeva che non era indelebile, eppure dava fastidio. Parecchio fastidio.
Si fece largo tra due persone che procedevano troppo lentamente per i suoi gusti, accelerando il passo.
Anche se non doveva andare a scuola l’indomani, voleva passare un pomeriggio in biblioteca per studiare un po’ in pace, soprattutto dopo l’insufficienza di fisica presa quel giorno. A casa non riusciva mai a studiare in pace. O c’era il nonno che le faceva sbrigare commissioni qua e la – non le dispiacevano, ma la distraevano – o c’era suo fratello di dieci anni che voleva la merenda oppure qualche altro capriccio tipico di un bambino della su età. A volte c’era sua madre, una donna sui quarant’anni, tutta d’un pezzo ma un po’ ansiosa riguardo i suoi due figli che le stava con il fiato sul collo quando non era al lavoro. E poi c’erano i vari assistenti per il tempio di suo nonno che facevano sempre un gran baccano…
Il tempio Higurashi era sempre un gran via vai di persone; già lei non era il massimo della concentrazione, se poi si ritrovava a studiare in un campo minato vivente allora si capiva perché Kagome facesse fatica in alcune materie.
Camminava distratta, puntando l’occhio ogni tanto su vetrine già viste, vetrine in allestimento, tutte con oggetti che desiderava o che, magari, già aveva. Ad un certo punto, la sua attenzione fu catturata da un negozio che non aveva mai visto prima.
Era piccolo, situato tra un negozio di scarpe ed uno di bigiotteria.
“Strano” si disse “non l’ho mai notato. Eppure in questi altri negozi con Sango e Kikyo vengo spesso”
Si avvicinò alla vetrata e da lì ne spiò l’interno: era un negozio piccolo dall’aria confortevole, simile alle piccole baite disperse in montagna. Su scaffaletti di legno stavano impilati libri di ogni generi, mentre su tavoli di legno tirati a lucido erano esposti pupazzetti, portachiavi, bigliettini fatti a mano e vari oggetti di cartoleria adatti come idee regalo. In alcuni scatoloni erano ordinatamente infilati dei poster arrotolati a tubo; in vetrina, poi, erano esposte alcune cornici per foto, cuscini e pupazzi dall’aria “dolce”.
Kagome si sentì improvvisamente attirata da tutta quella “carinoseria” che non aveva mai visto prima ed entrò; l’aria del locale era dolcemente riscaldata e resa profumata da alcune boccettine che ogni tanto rilasciavano una fragranza di vaniglia nell’aria. Kagome si innamorò a prima pelle di quel negozio pieno di oggetti carini e, silenziosamente, quasi fosse impegnata in un rito religioso di estrema importanza, iniziò a girare tra tavoli e scaffali, osservando con cura tutto quello che c’era in vendita. Ne osservava forme, colori, cuciture, grandezze… era rimasta come estasiata.
La sua attenzione, durante il giro, fu catturata da una serie di pupazzi a forma di angioletto esposti vicino alla cassa; erano tantissimi, con diverso taglio di capelli, colore degli occhi, fantasia del vestito e colore di quest’ultimo. Con un dito passò uno ad uno i loro visini tondi; era talmente concentrata in quell’attività che non si accorse che qualcuno la osservava.
“Posso aiutarti?” disse una giovane voce maschile.
Kagome trasalì un poco a quella domanda, rapita da quella sorta di giochetto che la divertiva; alzò lo sguardo e si accorse di avere addosso lo sguardo di un ragazzo. Aveva all’incirca due anni in più di lei, in apparenza, lunghi capelli neri e due occhi intensi color ambra. Indossava una felpa blu scura un po’ sgualcita abbinata ad un paio di jeans neri dalle gambe un po’ troppo larghe per lui.
Kagome rimase affascinata all’istante da quel giovane; non sapeva cosa dire. E il ragazzo lo colse.
Fece un sorrisetto che, però, non aveva nulla di ironico o scherzoso.
“Ti piacciono gli angioletti? Sai che questi sono particolari?”
“Eh?” si lasciò sfuggire sorpresa
Il ragazzo non si stupì della sua reazione e continuò
“Ognuno di questo ha un proprio nome, con relativo significato e peculiarità. Ad esempio c’è “Amaryllis”, questo angioletto maschio con i capelli biondi, il cui nome significa fresco, brillante ed è adatto per le persone brillanti ma anche per tutte quelle che hanno bisogno di una spinta in più per cavarsela in situazioni particolarmente importanti, come un esame scolastico o un colloquio di lavoro… per i tipi che hanno bisogno di un supporto morale extra, diciamo!” e rise.
Poi si interruppe e la fissò alcuni istanti in volto. Poi, con lo sguardo, tornò ai pupazzetti esposti e, con le mani, iniziò a rovistare delicatamente per cercarne uno in particolare e, quando lo trovò, lo nascose un attimo tra i palmi delle mani, quasi a volerglielo mostrare “a sorpresa”.
“Dammi la tua mano”
Kagome la porse aperta, con il palmo rivolto verso l’alto, senza esitare.
Il commesso lasciò cadere un angioletto femmina con lunghi capelli neri, due occhi castani e un vestito a fiori color azzurro pastello. Kagome diede un’occhiata fugace al cartellino esplicativo cucito vicino al fianco sinistro del pupazzino.
“Alcina” lesse
Il ragazzo sorrise.
“Che cosa significa?”
“Continua a leggere”
Abbassò timidamente lo sguardo verso il cartellino quasi in segno di obbedienza e iniziò a leggere a voce alta:
“Alcina. Significato: di forte mentalità. Dedicato non soltanto alle persone forti che credono nei loro ideali, ma anche a quelle che stanno affrontando un momento particolarmente delicato o difficile della loro vita e hanno bisogno di una fonte di forza. Alcina è un portafortuna perfetto per chi sta affrontando un grosso cambiamento nella sua vita e non riesce a trovare da sé la forza sufficiente per reagire.”
Rimase di stucco.
Sembrava proprio l’aiuto che cercava lei. Ma come aveva fatto quell’estraneo a indovinare così, al primo tentativo?
“E’ adatto a te?” le domandò.
La ragazza proprio non sapeva come rispondere.
“Sai, ti assomiglia molto di viso. Capelli corvini e lunghi, occhi castani… e poi, se quel vestito fosse della tua misura ti starebbe anche bene, sai?” continuò lui.
“Lo compro!” disse Kagome senza esitare, senza sapere perché.
“Ok” e sorrise ancora “sono 480 yen”
Costa pure pochissimo, cavolo!
“Vuoi un pacchettino?”
“No grazie, lo metto subito all’opera! Lo metto nel mio zaino!” e così fece dopo aver pagato.
“Arrivederci! E grazie per l’acquisto”
“Arrivederci a lei” e uscì.
Come la porta del negozio fu richiusa dietro di lei, Kagome iniziò a correre veloce, veloce come non aveva mai fatto. Quell’incontro fugace l’aveva elettrizzata; quel ragazzo, i suoi occhi, il suo sguardo, il suo profumo reso dolce dalla vaniglia, quella voce così calda, quel senso dell’umorismo e quella pazienza infinita… tutti quegli elementi erano entrati in lei, nel suo sangue, riscaldandola completamente.
Le serviva proprio, dal momento che, fino a qualche minuto prima, tra fisica, la prof zitella, la madre che non avvisa mai in tempo, l’ospedale e tutto il resto si sentiva a terra.
Si fermò, con il fiatone, soltanto quando giunse all’entrata della biblioteca.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca.
Lì le regole erano rigide.
Silenzio. Niente cibo. Cellulari spenti.
Ma prima di spegnerlo, mandò velocemente un messaggio alle sue amiche Sango e Kikyo, anche se sapeva bene che una era in piena lotta “familiare-sindacale” – come lei la chiamava – e l’altra era sotto le infinite torture e richieste di un povero vecchietto che non riusciva a tirare avanti da solo un tempio scintoista. Avrebbero entrambe risposto in serata.
“Ma voi ve la ricordate la frase iniziale di quella canzone là, quella del duetto di un ragazzo e di una ragazza? Ma sì, la canzone dell’estate scorsa! Oggi il sole continua a splendere nell’oscurità, diceva! Oggi come oggi, queste parole mi sembrano così vere! Vi Voglio Bene. Kagome”
Nota dell’autrice: ecco il primo capitolo di questa mia storia nata assolutamente per caso qualche mese fa. Inizialmente volevo farla ruotare sulla canzone cantata da Kappei Yamaguchi e Satsuki Yukino (rispettivamente, i doppiatori giapponesi di Inuyasha e Kagome), cioè intitolando ogni capitolo come un verso di essa e trarne spunto circa i contenuti del relativo capitolo. Ma non solo quello. Ma un’esperienza personale che risale ad aprile-maggio 2007 mi ha portata alla stesura del primo capitolo di quanto vedete. E ora la canzone c’entrerà… in un altro senso.^_^ Ah, una curiosità sugli angioletti! La storia dei pupazzetti, dei nomi, ecc… l’ho inventata io. I nomi citati, però, esistono davvero. Sono entrambi nomi greci e significano davvero quanto ho scritto. Bene, mi raccomando commentate!
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Capitolo 2 *** Ima me o sorasanai de ikou ~ There’s no turning away as we go now ***
2. Ima me o sorasanai de ikou ~ There’s no turning away as we go now
Novantasette.
Novantotto.
Novantanove.
Cento.
“Ehi, Kagome!”
Aveva appena finito la lunga scalinata che portava al tempio e c’era già qualcuno che la chiamava.
Non è un tempio, questo, è un formicaio umano!
Cambiò umore, però, non appena vide che a parlare era stata l’altra sua migliore amica, Kikyo.
La ragazza portava i suoi lunghi capelli corvini raccolti in un’alta coda di cavallo impedendo ai suoi capelli solitamente ribelli di coprirle il viso che appariva stremato. Erano ormai le sette e mezzo, il suo turno doveva essere già finito da un pezzo. Eppure indossava ancora il kimono bianco e rosso da miko, che era solita portare durante il lavoro al tempio.
“Ehi!” disse Kagome
“Sei ancora in servizio?” continuò
“No, ho appena finito! Se mi aspetti un attimo che vado a cambiarmi, poi scambiamo due paroline circa il messaggio euforico di questo pomeriggio!” e sorrise
…
Kagome stringeva in mano il pupazzino che aveva comprato quel pomeriggio; seduta sui gradoni del tempio, mentre aspettava Kikyo continuava a fissare l’angelo vestito d’azzurro.
“Allora?” domandò improvvisamente una voce alle sue spalle.
Kikyo – era lei che aveva parlato – si sedette accanto all’amica, ansiosa di ricevere una risposta.
“Ecco… sì… vedi questo?” domandò Kagome porgendo il pupazzo all’amica
“Ho scoperto un nuovo negozio in centro. E’ piccolo, ma molto carino. E poi il commesso che ci lavora è davvero carino! Devi proprio vederlo! Ha i capelli neri e gli occhi marroni! Ma no, che, dico, non sono marroni! Sembrano più chiari, più… più… più simile al colore dell’ambra, ecco! Ti giuro era stupendo! E non è finita qui!” e tutta trafelata tirò fuori dallo zaino l’angioletto che aveva acquistato quel pomeriggio, tenendolo tra le mani tremolanti per l’agitazione.
“Ecco, guarda, guarda! Leggi la targhetta che c’è dietro al vestito! Il nome! Il significato! E’ perfetto per me! E, ti sembrerà incredibile, quel ragazzo me l’ha dato non appena mi ha visto in faccia. Ha detto che mi assomiglia molto di viso! E poi, guarda, la descrizione! Sembra azzeccatissima! Fatta apposta per me! E poi, e poi…”
“Frena, frena! O finirai con il morire soffocata!” la canzonò Kikyo, sorridendo. Osservò l’angioletto per alcuni secondi e poi, quando lo ridiede all’amica le propose di andare assieme in quel negozietto l’indomani.
“Ma io domani devo andare in ospedale… quella cretina di mia madre mi ha avvisata proprio all’ultimo di questa visita!”
“E’ successo qualcosa?” domando Kikyo, preoccupata
Kagome sospirò
“Non lo so, onestamente… Lo spero… Anche se continuo ad inveire contro mia madre affinché lei mi dica sempre e subito la verità non c’è verso di fargliela capire e va a finire ogni volta allo stesso modo… mi avvisano i medici… poi torno a casa… e litigo con lei”
Già…
Come l’ultima volta…
…
“Ma perché non mi hai avvisata neanche questa volta, eh?! Chi cazzo sei per farlo?!”
“Sono tua madre!! E scusami tanto se voglio proteggerti!”
“Cosa?! … Ma allora tu… non hai proprio capito niente! Non è così che mi aiuti, porca puttana!!”
…
L’ultima volta si era arrabbiata sul serio… però sua madre se l’era cercata…
Si portò le ginocchia al petto e abbasso il viso non appena sentì che alcune lacrime iniziavano a pungerle il viso.
Non voleva piangere.
Dannazione, non voleva!
E, soprattutto, non voleva piangere di fronte a qualcuno!
Nemmeno di fronte alla sua migliore amica…
“Dannazione…” farfugliò…
“Ehi, ehi!” disse Kikyo
“Che fai? Lo sai bene che non devi nasconderti mentre piangi, almeno non davanti a me! Lo sai, no? Mmmh?”
“Non… non ce la faccio” singhiozzò a malapena Kagome
“Ogni giorno… ogni maledetto giorno è uno sforzo continuo per non piangere! Io… io… rivoglio… … … la mia… … vecchia vita! Non voglio andare ancora in ospedale, voglio… voglio andare a scuola… stare tra i miei compagni… sentirmi normale… non… non ce la faccio… io… io domani vado in ospedale… chiedo il consenso informato…”
Riprese fiato, come se avesse corso per chissà quanti chilometri
“e lo brucio… giuro su Buddha, su Dio, su chi cavolo vuoi… ma lo brucio…” e iniziò a singhiozzare più forte.
“Non dirlo nemmeno per ridere!” disse a gran voce Kikyo
“Che stupidaggini vai dicendo?! Vuoi buttare all’aria tutto quanto?! Hai fatto tanti sacrifici in questi ultimi quattro mesi, non dirmi che vuoi farla finita così?! Non è da te Kagome!”
La ragazza alzò il viso, irritata
“Vuoi andar tu al posto mio?! Vuoi?! Eh?! Se vuoi te lo cedo ben volentieri!!! Il fatto che io sia forte non c’entra un cazzo!! Che ne sai te?! Che ne sai!?” urlò
“No, infatti, io non ne so niente!” disse ferma Kikyo.
“Però… lo sai… lo sai benissimo che se si potesse… … io andrei al tuo posto! Lo sai! Ma purtroppo non è possibile… e ti giuro” alcune lacrime iniziarono a fare capolinea tra gli occhi di Kikyo “ti giuro… … che… … mi fa star male il non poter fare molto per te… lo sai…”
Kagome rimase colpita dalla dolce fermezza dell’amica e si limitò a sussurrare un “scusa”
Kikyo, in tutta risposta, la abbracciò
“Non devi scusarti… Sei l’ultima persona che deve chiedermi scusa…”
…
Guardò il display del suo telefonino.
Le 22.30
Il giorno dopo doveva essere in ospedale alle 7.
Il che voleva dire partire da casa alle 6, almeno.
Doveva dormire. Ma non aveva un briciolo di sonno.
L’idea di una visita extra la terrorizzava.
In genere, cerchiamo di far venire i nostri pazienti il meno possibile…
Le parole del medico le risuonarono in testa.
Certo, lì erano tutti molto scrupolosi. E gentili.
Non ti tenevano nascosto niente, anche se eri minorenne. Se avevi almeno 12 anni riferivano tutto ai genitori in tua presenza.
Di quello non ci si poteva affatto lamentare.
Erano leali
“Almeno quello”
Si mise a sedere sul letto e poggiò la schiena contro il muro.
Accidenti… mi fa ancora male…
Sempre con il cellulare in mano, scrisse in fretta un messaggio:
“Mi dispiace ancora per oggi. Non so che mi è preso… non dovevo dirti delle cattiverie simili… mi dispiace…”
Rubrica…
Kikyo…
Invio...
Si sentiva a terra per come aveva trattato la sua amica.
Si sentiva uno schifo…
Cambiò posizione, perché la sua schiena dolorante reclamava pietà.
Sbuffò mentre si mise a pancia in giù.
Un’altra cosa che le dava fastidio era quel mal di schiena del cavolo che le impediva di star seduta in una posizione qualunque per più di cinque minuti di fila…
I suoi occhi esplorarono la sua stanza, illuminata soltanto da un debole raggio lunare che faceva capolino dalla finestra posta proprio accanto al letto. Posò lo sguardo sul comodino, sulla sua sveglia rosa puntata per le cinque e mezzo, sul suo armadio, sulla sua scrivania e sulle mille cianfrusaglie che la rendevano un vero campo da battaglia, i suoi poster, la sua cartella…
La sua cartella?!
L’angioletto!!
Le venne in mente quasi fosse stato un flash.
Dopo averlo fatto vedere a Kikyo, aveva posto Alcina con cura nella sua cartella.
Si alzò di scatto dal letto noncurante delle fitte che la attanagliavano, si diresse verso la cartella e, dopo averla svuotata, ripescò il pupazzetto dal suo astuccio.
Rilesse le poche righe di accompagnamento…
“Di forte mentalità.”
Lei?
“ persone forti che credono nei loro ideali”
Sul serio?
“ è un portafortuna perfetto per chi sta affrontando un grosso cambiamento nella sua vita e non riesce a trovare da sé la forza sufficiente per reagire.”
Poteva farcela?
Deglutì.
Quel pupazzetto le assomigliava molto…
Già…
Ma c’era una cosa… Una cosa che la rendeva diversa da lei…
Si diresse verso lo specchio vicino all’armadio, stringendo forte a sé l’angioletto.
Nonostante avesse la vista offuscata dalle lacrime riusciva a vedere il suo riflesso…
Aveva gli occhi marroni… Come lei…
Aveva lunghi capelli neri… Come lei… un tempo…
Osservò la sua testa…
Poi gettò uno sguardo fugace alla parrucca che giaceva su una testa di polistirolo adagiata sul suo comò di legno…
Ecco… quella era la differenza tra lei e quella "Kagome in miniatura"…
Si strofinò con violenza gli occhi per impedire a sé stessa di piangere ancora una volta…
…
“Non preoccuparti, Kagome… A questo punto, non puoi tornare indietro. Non devi… Io sarò sempre dalla tua parte, lo sai… Ti voglio bene amica mia…”
Lesse, commossa, il messaggio.
Le sembrò così strano stupirsi per un semplice messaggio così colmo d’affetto…
Sapeva benissimo che sia Kikyo che Sango erano dalla sua parte…
E che l’avrebbero sempre sostenuta…
Eppure, ogni volta che le ragazze esternavano tutto il loro affetto per lei, le veniva una stretta al cuore…
Sapeva quanto fosse fortunata ad avere due amiche così…
E lei le ripagava con la peggior moneta possibile…
Perché non poteva fare altro…
Da quando si era ammalata…
Nota dell'autrice: uhm... è da un anno che non aggiornavo questa storia! Rieccomi! ^^" Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ci ho messo davvero tanto a scriverlo non tanto perchè non sapessi cosa scrivere quanto perchè non sapevo come scrivere. Il problema che ha Kagome mi tocca in prima persona, ho il suo stesso "problema" (se così lo vogliamo chiamare) e so cosa significa vedere la propria vita stravolta. Questo capitolo ha dei toni più seri del precedente e, man mano che procederò, si faranno sempre più seri ^^" Si capirà con esattezza cos'ha Kagome, cos'è quella moneta con cui ripaga le sue amiche e chi è quel ragazzo (tanto lo so che avete già capito chi è! ^^") e quale sarà il suo ruolo! Siccome nemmeno io sono ancora "fuori", scrivere certe cose mi pesa. Quindi chiedo venia in anticipo se ci metterò del tempo! Però voi, nel frattempo, commentate! Ci tengo davvero molto a questa storia! Grazie mille!
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Capitolo 3 *** Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming… ***
3. Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming…
Ultimi giorni di maggio. Lezione di educazione fisica per le sezioni terza e quarta del primo anno.
I ragazzi erano in cortile a disputare una partita di calcio. Le ragazze, invece, erano rimaste in palestra per una partita di pallavolo.
Il che significava che anche lui era fuori.
Sospirò sollevata.
Non voleva vederlo.
Del resto, erano appena passati pochi giorni da quando lui le diede un due di picche senza pensarci due volte. Sapeva di non avere molte possibilità, con Hojo, però voleva togliersi quel peso dal petto. E, inoltre, si aspettava di esser trattata dignitosamente.
E invece no.
Il ragazzo, alla dichiarazione di Kagome, rispose con aria di sufficienza:
“Ah, no… si vabbè… però, mi spiace, ma tu non m’interessi manco un po’”
Ci era rimasta veramente di sasso.
Ok, d’accordo non era il suo tipo.
Ma lei era pur sempre un essere umano e si aspettava di essere trattata come tale! In fondo non le sembrava di pretendere molto! Non bisognava essere per forza Shokotan o chissà quale celebrità che mostrava ai quattro venti tette e culo per avere un po’ di occhi puntati addosso!
E poi… Hojo si mostrava sempre così gentile e carino con tutte le ragazze… anche con lei lo era stato. L’aveva vista in corridoio con un pacco assurdo di fotocopie in mano e si era offerto di portarle al posto suo
"Una ragazza non dovrebbe portare certi pesi tutta sola"
Le aveva detto in quel pomeriggio di metà aprile… Con il suo sorriso che… che… che l’ammaliò nel giro di tre secondi. E che nel giro di due settimane la fece innamorare perdutamente di lui. Amava il suo sorriso… il suo sguardo gentile… e poi, le sembrava un tipo così simpatico ed altruista… lo vedeva sempre ridere in compagnia dei suoi amici… aiutava chi aveva bisogno con i compiti… sembrava un ragazzo perfetto…
Ma le andò male.
Probabilmente era solo il classico ragazzo con la puzza sotto il naso o magari celava il suo vero “io” sotto una maschera. Non le importava, però, al momento sapere il motivo del suo comportamento. Voleva pensare a sé stessa e a risollevarsi il morale. Potevano chiamarla pure egoista, non le sarebbe importato proprio niente.
Ripensava ad Hojo mentre era seduta su una panchina con la sua squadra ad aspettare il suo turno per giocare. Né Kikyo né Sango erano in squadra con lei e, tra le sue compagne di squadra, non c’era nessuna con la quale voleva parlare un po’. L’unico argomento che aveva in mente e sul quale avrebbe anche speso ore e ore era “Hojo_è_un_verme”. E voleva parlarne soltanto con loro due…
Beh, non era l’unico argomento che aveva in mente…
Una fitta acuta alla schiena la distrasse per un momento dai suoi pensieri.
Ecco, appunto…
L’altro problema che aveva era di tipo fisico: erano ormai tre settimane che un tremendo mal di schiena non la lasciava in pace. Il dottore aveva ripetuto più volte che era una sciatica e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Tempo due settimane e sarebbe passato. Peccato, però, che di settimane ne erano passate già tre. Il dolore non diminuiva, anzi. Con i giorni, si fece più intenso: prima sentiva una fitta ogni tanto nella parte bassa della schiena, poi delle fitte sempre più forti alla gamba destra, poi a quella sinistra…
E da pochi giorni ormai sentiva fitte a tutte e due le gambe e alla parte bassa della schiena. Erano tre settimane che assumeva un farmaco derivante dalla morfina, su suggerimento del medico. L’aveva rassicurata che un po’ di morfina sarebbe stata sufficiente. E invece, niente. Anzi, ormai era totalmente assuefatta da quel farmaco e la morfina non le faceva più nulla: il suo fisico si era ampiamente abituato a quella sostanza…
Senza contare che i dolori erano più acuti quando stava ferma… e qual è il periodo della giornata in cui si sta fermi per più tempo?
Esatto…
La notte…
Ormai erano quindici giorni che non dormiva… prima si addormentava, si svegliava e si riaddormentava dopo due ore passate a camminare per la casa… ora nemmeno quello serviva più.
La notte ormai era fatta per leggere libri di vario genere per passare il tempo.
Ad esempio, aveva letto “Noi, I ragazzi dello zoo di Berlino” in due sere appena. E, nonostante quel libro le fosse piaciuto davvero tanto, la morfina le aveva fatto dimenticare completamente la trama, il susseguirsi degli eventi, i nomi dei personaggi… insomma tutto.
Stesso discorso con i libricini della Yoshimoto, che amava alla follia. Leggeva e poi dimenticava.
Le sembrava di non concludere assolutamente nulla.
Ma non le importava…
Almeno, passava il tempo…
Sempre allo stesso modo… con la flebile luce della lampada sul comodino accesa, un bicchiere d’acqua e gli antidolorifici – da cui ormai dipendeva – sempre a portata di mano, un libro aperto… ecco, le bastava quello. Si accoccolava sul letto in posizioni sempre diverse non appena la schiena o le gambe si ribellavano e chiedevano pietà, avvolta dalla penombra della sua stanza…
Ogni tanto, le sembrava di saltare pagine intere del libro di turno.
Poi scopriva che, in realtà, le aveva lette ma con la mente altrove…
Del resto… fare la stessa cosa tutte le sere per tre settimane… dopo un po’ ti stufa, è ovvio… ma è brutto quando non puoi fare altro…
Era l’unico modo che aveva per affrontare il dolore da sola… per affrontare la solitudine notturna.
Perché, per quanto famiglia e amici potessero starle vicini, lei era l’unica che doveva veramente combattere.
E resistere.
Non poteva dare troppa preoccupazione alle persone attorno a lei.
Ognuno ha la sua vita.
Anche io ce l’ho.
E non posso dipendere in eterno dagli altri.
Se lo ripeteva spesso… ogni volta che, nel cuore della notte, le balenava in testa l’idea di chiamare sua madre oppure Sango, o ancora Kikyo…
Perché privare anche loro del sonno…?
Non basto io, come nottambula?
Anche se non dormiva, puntava sempre la sveglia del suo cellulare per le sei.
Le sei segnavano la fine della solitudine notturna.
Suo nonno si alzava e iniziava a rassettare il giardino, il tempio e il negozietto ad esso associato.
Anche sua madre era mattiniera. E si recava sempre in camera di Kagome, per vedere se la figlia aveva chiuso occhio almeno per un’oretta.
Ma la scena era sempre quella…
Trovava la figlia distesa sul letto, intenta a leggere distrattamente l’ennesimo libro e, accanto a lei, trovava l’ennesima scatola di antidolorifici mezza vuota.
Dovrò andare ancora in farmacia…
Kagome era, ogni volta, così distratta e allo stesso tempo stanca che non si accorgeva mai di sua madre…
La donna rimaneva sulla soglia ad osservare la figlia rannicchiata e dolorante che, ancora una volta, aveva passato la notte da sola…
E l’unica cosa che riusciva a dire era:
“Su, Kagome-chan… è ora di alzarsi…”
E la figlia… la guardava con quegli occhi stanchi e cerchiati e le sorrideva flebile.
Poi si alzava e si rintanava in bagno, dove rimaneva almeno mezz’ora a truccarsi pesantemente per nascondere le profonde occhiaie che aveva. Indossava l’uniforme, si spazzolava i capelli e via… senza nemmeno mangiare. Non aveva mai fame. L’appetito era l’ultima cosa a cui pensava…
Era sempre stanca…
Molto stanca…
Inoltre era nervosa…
Nervosa…
Molto nervosa…
La mancanza di sonno la rendeva facilmente irritabile.
Almeno a scuola cercava di calmarsi: lì non era a casa sua, c’erano regole precise da rispettare. E non voleva essere spedita in presidenza perché aveva alzato la voce. Evitava come la peste le persone che le stavano sulle scatole, parlava il meno possibile persino con Sango e Kikyo…
Le invidio, cazzo…
Se una persona non le stava sulle scatole, la invidiava.
La vedeva con il suo bel visino rilassato e riposato.
E si incazzava.
Perché io non posso dormire e tu sì?!
Ma non poteva certo urlare a Kikyo e Sango che le invidiava, non poteva implorarle di smettere di dormire così come faceva lei e imbottirsi di farmaci fino all’assuefazione totale. Non poteva certo chiedere loro di rincoglionirsi con lei.
Nessuno poteva fare quello che faceva lei.
E nessuno l’avrebbe nemmeno voluto.
E si sentiva sola…
Anche se era in mezzo alla gente…
Anche se non era rintanata in camera sua a leggere libri che avrebbe dimenticato…
Anche se non era in fase di solitudine notturna…
Si sentiva sola…
Era sola…
Nessuno poteva capire il dolore fisico e psicologico che provava. La gente poteva soltanto darle una pacca sulla spalla e dirle “Vedrai passerà” oppure fare promesse da marinaio come “chiamami anche nel cuore della notte… io risponderò!”
Come no…
Siete tutti un’orda di stronzi e pensate sempre e soltanto ai cazzi vostri! Vi limitate a dirmi che tutto passerà e intanto voi siete lì senza problemi in testa e io sono qui che affogo nella merda!
Da una parte, sapere di avere qualcuno accanto la rasserenava.
Ma, dall’altra, essere consolata da persone che non potevano capirla serviva soltanto ad aumentare la sua smisurata rabbia.
In giro si tratteneva ma a casa esplodeva.
Mandava al diavolo suo nonno e sua madre, ignorava categoricamente suo fratello Sota e si rifiutava di ascoltare i loro consigli.
Più volte sua madre aveva tentato di convincerla a tornare dal medico, ma lei rifiutava categoricamente…
“Tesoro, ormai le due settimane dette dal medico sono passate! Torniamo da lui, ti prego! Saprà cosa dirci! Io… io non ce la faccio più a vederti ridotta in questo stato!”
“Ah… è così…? Tu… tu vuoi tornare dal dottore… perché tu non sopporti più questa situazione………? …… ma chi sei? Chi cazzo sei tu per dirmi questo?! Chi cazzo sei, eh?! EH?!! CHI SEI?!?!?! Non sei tu che stai vivendo questa situazione, sono io!! E tu vuoi portarmi dal medico perché sei te che non ce la fai più?! Non è che lo fai per me! Lo fai per te! Sei una stronza!! Una stronza egoista del cazzo!! Ecco cosa sei, maledetta!!!!”
Quelle, ormai, erano le uniche parole che si rivolgevano.
Ti prego, andiamo dal dottore, non ce la faccio più… da una parte.
Stronza, non mi capisci, chi sei te… dall’altra.
Kagome sapeva di aver bisogno degli altri.
Ne aveva un disperato bisogno.
Però fino a quando avrebbe resistito non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno. Non le importava un fico secco se, per gli altri, lei era al capolinea… lei, semplicemente, non la vedeva così…
Posso resistere ancora…
Si ripeteva sempre
Posso ancora farcela…
Devo…
Devo…
Non appena si chiudeva nella sua stanza tornata da scuola, ingoiava una manciata di antidolorifici, scoppiava in un pianto liberatorio senza curarsi degli altri che potevano sentirla e si preoccupavano per lei, poi si ricomponeva, studiava, chiacchierava un poco con le sue amiche fino a quando non si innervosiva, cenava e poi si chiudeva nuovamente in camera sua, pronta ad affrontare l’ennesima notte da sola…
Sempre quella routine infernale...
…
“Higurashi!”
Una sua compagna di classe la fece uscire dai suoi pensieri.
“dai, su, tocca alla nostra squadra!”
Si alzò con non poca fatica per colpa del dolore che, quella mattina, si faceva sentire più del solito e raggiunse sul campo le sue compagne di squadra.
Si posizionò in seconda linea come stabilito in precedenza e attese il fischio d’inizio della professoressa.
Fiiiiii
Quel fischio la stordì.
E la cosa le parve strana.
Nessuna delle ragazze lì presenti era rimasta infastidita da quel rumore. Soltanto lei.
Possibile?
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che la palla, servita dalle avversarie, era diretta proprio verso di lei. Quando se ne accorse era troppo tardi: vide il pallone arrivarle davanti e cadere proprio ai suoi piedi.
Punto per le avversarie.
“Ehi, Higurashi! Che ti prende? Sta più attenta la prossima volta!” la incitò una sua compagna.
Sango da bordo campo e Kikyo nella squadra avversaria osservarono l’amica preoccupata.
Quel giorno era ancora più strana del solito.
Non aveva aperto bocca per tutta la mattinata se non per dire “buongiorno ragazze” appena arrivata.
Di solito si barcamenava al suo posto perché la schiena le faceva male e voleva a tutti i costi cambiare posizione. Quella mattina, invece, era rimasta ferma e immobile nella stessa posa: schiena eretta, testa abbassata e pugni chiusi.
All’inizio le due ragazze pensarono che, finalmente, il dolore le stava concedendo un po’ di tregua.
Ma capirono di sbagliarsi non appena videro i suoi occhi rossi e gonfi. Notarono addirittura una sottilissima striscia nera sotto il suo occhio destro: si era persino truccata male.
“Palla!”
La squadra di Kikyo servì e stavolta Kagome cercò di non distrarsi.
Il servizio, ancora una volta, era rivolto a lei.
Si fece trovare pronta e si gettò sulla palla.
“Presa! Brava Higurashi!”
Kagome era riusciva a recuperare la palla. La schiacciatrice, poi, riuscì a fare punto.
Ce l’ho fatta! L’ho presa!
Fece per rialzarsi…
Una fitta acutissima glielo impedì.
Riprovò ma non ci riuscì.
Si spaventò…
Non riusciva nemmeno a muoversi!
Era lì, stesa sul campo prona e il suo corpo non era più in grado di ricevere ed eseguire gli ordini dettati dalla testa.
Alzati!
Alzati!
Non ci riusciva…
Il suo corpo sentiva soltanto dolore.
Era come impazzito, tremava per la paura e non capiva più niente.
La sua vista iniziò ad offuscarsi, la sua testa a girare…
Sentiva delle voci lontane chiamarla disperatamente:
Kagome!! Ehi Kagome!! Cos’hai?
Kagome-chan! Kagome-chan! Riprenditi!! Alzati!!
Higurashi!! Higurashi!!
Kagome!!
Il buio.
Il silenzio.
E poi più nulla…
…
Si svegliò di colpo sudata e terrorizzata.
Ancora.
Aveva ancora sognato di quel periodo…
Prese in mano il cellulare e osservò di nuovo l’ora.
1.30
Beh, aveva dormito un po’… almeno questo.
Si alzò dal letto e aprì la finestra per cambiare un po’ aria.
L’aria fredda di novembre sul viso l’aiutò a rilassarsi.
Richiuse la finestra velocemente cinque minuti dopo e si mise a sedere sul letto.
Ogni volta che doveva andare in ospedale aveva quel sogno.
E’ normale… hai paura di tornare indietro e rivivere il dolore
Le aveva detto il suo psicologo quando le confessò di sognare sempre la stessa cosa.
Il passato è passato, è vero.
Non passava più notti insonni, è vero.
Però il dolore c’era ancora.
Era un dolore diverso.
E forse addirittura peggiore.
Aprì il cassettino del comodino e tirò fuori un pacchetto rettangolare bianco e oro.
Contò quante ne erano rimaste al suo interno.
Solo due, cazzo…
Lo ripose con cura nel cassetto e poi tirò fuori la sua vera ancora di salvezza…
Era perfettamente pulita.
La scrutò un po’ come per accertarsi che fosse ancora lì.
Poi ripose anche quella e chiuse il cassetto.
Si rifugiò sotto le coperte.
Chiodo scaccia chiodo…
Si era detta quando iniziò.
Ma questo non lo aveva mai detto a nessuno.
Non voleva condividere con altri la sua salvezza…
Nota dell'autrice: le mie mani tremano ancora, come quando ero in fase di stesura del capitolo. E' arrivato in fretta questo capitolo: a dire il vero, non vedevo l'ora di scrivere questo pezzo. Un pò perchè è molto importante per la storia in sè e un pò perchè, ancora oggi, è per me doloroso ricordare quella fase della mia vita e volevo scrivere tutto quanto e "liberarmene" il prima possibile. Mettere nero su bianco è stato difficilissimo, volevo scrivere qualcosa di più ma poi non ce l'ho fatta. Beh, poi ho subito trovato un'idea per sistemare il seguito del sogno, quindi tutto a posto ^_^ Spero vi sia piaciuto anche questo, se lo trovate un pò confuso... pardon! Ah... e perdonate il linguaggio scurrile di Kagome! ^^" A dirla tutta in quel periodo io ero addirittura peggio! Mi sono molto limitata! XD
L'autrice risponde ai commenti:
ryanforever: ti ringrazio per il commento! :) Effettivamente sì, è molto difficile per me scrivere cose del genere... però, vabbè, ho scelto io di scrivere! ^^" Ah, sul ragazzo... hai fatto centro! :)
KaDe: Wow, ho fatto centro su qualcuno che non ama le Inuyasha x Kagome! ^^ Ne sono proprio contenta! Spero continuerai a seguirmi! Ah: dal tuo profilo ho trovato il messaggio no-profit :) Se non ti spiace, l'ho inserito anche nel mio! ^^
roro: sono proprio contenta che la storia ti stia piacendo! Davanti al tuo commento (come per tutti gli altri) mi sono sciolta! ^^ Leggere recensioni positive su una storia tanto importante per me significa davvero molto! Grazie!
Vorrei ringraziare anche Djibril83, Inu_Kagghy, Kagome_chan89, Aurora, Lou Asakura che hanno commentato il primo capitolo l'anno scorso! ^^ Volevo ringraziarvi nel capitolo precedente ma mi sono dimenticata! Chiedo venia!
Beh, al prossimo capitolo! ^_^
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Capitolo 4 *** Toki o koe tsunaida te zutto hanasazu ni hashirou ~ Somewhere, there’s the glittering of the sun we’re longing for… ***
4. Toki o koe tsunaida te zutto hanasazu ni hashirou ~ Somewhere, there’s the glittering of the sun we’re longing for…
“Kagome! Kagome”
Sua madre?
Aprì pigramente gli occhi, li sfregò e poi allungò il braccio verso il comodino per cercare a tastoni il suo telefonino.
Le 5.30
Oh no… è già ora…
Sempre la stessa storia. La sera prima si addormentava tardi, aveva sempre lo stesso incubo e si svegliava più volte nel cuore della notte.
Quindi, come ogni mattina in cui doveva andare in ospedale, era già di cattivo umore, stanca e spossata.
Si alzò, raccattò i vestiti che aveva preparato la sera prima, la parrucca e si chiuse in bagno.
Si lavò con acqua rigorosamente fredda per svegliarsi.
Si vestì e poi spazzolò con cura la parrucca.
Spruzzò del lucidante per capelli e poi, con un gesto che ormai era diventato parte delle sue abitudini, la indossò e la sistemò meglio sulla testa con l’aiuto della spazzola.
… … …
Quando fu pronta, si osservò qualche istante davanti allo specchio.
In apparenza, era sempre la stessa.
Sembrava sempre lei…
Aveva anche scelto la parrucca dello stesso colore e dello stesso taglio dei suoi capelli.
Il sembrare come prima…
Era quello ciò che la aiutava di più a tirare avanti ogni singolo, dannato giorno…
Beh, allo stesso tempo era la cosa che la inibiva di più e la faceva soffrire molto…
Sembrava…
Sembrava non era…
Lei voleva essere come prima non sembrare come prima…
Ma l’idea che ci sarebbero voluti anni per tornare normale… ancora non le andava giù…
Dopo più di sei mesi…
La sua mente aveva ormai compreso ed accettato la realtà.
Il problema era il suo cuore…
Il suo cuore… aveva la netta sensazione che avrebbe anche compreso più in là… ma accettare tutto quello… oh, no, quello non l’avrebbe mai fatto…
“Dai, Kagome, sbrigati! Non voglio trovare traffico!”
Sospirò.
Ancora una volta sua madre parlò per sé.
Sentitela… io, io, io…
Ma vattene al diavolo, strega…
…
Quando riaprì gli occhi si trovava in un letto d’ospedale.
Cosa…? Dove… sono…?
Provò ad alzarsi ma, ancora una volta, non c’era riuscita.
Quella maledetta agonia era ancora lì con lei e le impediva ogni sorta di movimento.
“Kagome!!”
Fu l’unica cosa che aveva sentito prima di svenire.
E la prima non appena si svegliò.
Nonostante fosse intontita e ancora confusa, riconobbe la voce di sua madre.
Si voltò nella direzione da cui aveva sentito la voce e vide la figura di sua madre al capezzale del suo letto.
Teneva un fazzoletto stretto tra le mani.
Probabilmente per asciugarsi quelle lacrime…
Kagome si accorse subito che la donna aveva gli occhi rossi e le guance rigate.
“Mamma…?”
Sussurrò appena
“dove… dove siamo?”
Non disse nient’altro.
Soltanto a parlare si era stancata e le era venuto il fiatone.
Non era più abituata a parlare tanto e il suo corpo non riusciva a reggere contemporaneamente il dolore e lo sforzo che comportava il parlare.
Era ridotta da sbatter via.
Lo sapeva bene.
“Siamo in ospedale, Kagome…” singhiozzò la donna
“questa mattina ho ricevuto una telefonata dalla tua scuola.”
Respirò profondamente per prender fiato
“mi avevano detto che eri svenuta durante la lezione di ginnastica e che ti hanno lasciata in infermeria per tutta la mattinata… la dottoressa della scuola pensava fossi svenuta per un calo di zuccheri o per mancanza di sonno… ma tu… non ti sei mai svegliata…”
Singhiozzi.
“la scuola ha chiamato me… e poi il pronto soccorso per sapere con precisione cosa fare… e hanno risposto prontamente di portarti lì per fare alcuni esami… dopo che ho spiegato loro dei tuoi dolori alla schiena e alle gambe, i medici ti hanno fatto degli esami del sangue, una risonanza magnetica e una tac…”
Caspita… tutto questo mentre ero svenuta…
Ma…
“Quanto ho dormito?”
Non volle sapere l’esito di tutti quegli esami.
Non ancora.
Aveva paura…
Per farle addirittura una risonanza magnetica e una tac…
C’era qualcosa che non andava…
“Due giorni interi, tesoro… sapessi quanto ero preoccupata! E tuo fratello e tuo nonno! Oh… appena potevano si fiondavano qui e la sera chiamavano ogni ora per sapere se c’erano stati dei cambiamenti! Per non parlare di Sango e Kikyo…! Hai davvero delle amiche dal cuore d’oro! Sono state qui tutto ieri e tutto questo pomeriggio!”
Ancora singhiozzi.
La donna non disse altro.
Kagome capì al volo il perché.
Glielo leggeva in faccia.
E nemmeno lei avrebbe voluto sapere.
Tanto, non appena sapranno che mi sono svegliata, i medici verranno qui e mi diranno cosa succede…
Aspetto loro.
Non mi va di subirmi la scenetta smielata da mia madre…
Provò ad alzarsi…
Niente.
Non ci riusciva…
Non sentiva più alcuna parte del suo corpo dai fianchi in giù.
Però il dolore…
Quello lo sentiva bene.
Lo sentiva ancora…
…
Non sappiamo bene che cos’hai.
Tramite la risonanza magnetica, abbiamo trovato due masse nei punti D9 e L4 della colonna vertebrale (i punti D9 e L4 corrispondono, più o meno, a un punto della zona toracica e lombare della colonna. NdA) che, all’interno delle vertebre, fasciano e stringono i nervi passanti. E’ per questo che, in apparenza, il tuo dolore sembra sciatica. In realtà ci sono queste masse.
E vanno tolte.
Altrimenti rischi la paralisi.
Il semplice fatto che tu non riesca ad alzarti non è un buon segno…
Domani incontrerai l’anestesista e ti faremo fare una lastra al torace (in genere la effettuano per inquadrare la zona toracica e serve durante l’operazione al chirurgo per evitare possibili edemi o infezioni polmonari. NdA).
Poi, dopodomani, procederemo con un’operazione alla schiena…
Il buio notturno nascondeva il suo viso.
Un’operazione…
Nascondeva le sue lacrime.
Quella notte non chiuse occhio, come al solito…
Ma non lesse alcun libro…
La sua mente rievocò più e più volte le parole che il neurochirurgo le aveva rivolto.
Il suo corpo tremava.
I suoi occhi bruciavano.
Le sue labbra erano inumidite per colpa delle lacrime.
Tutto quello era sintetizzabile con un’unica parola…
Paura…
…
Era sempre stata in buona salute.
Poche volte stava male.
Inoltre, aveva sempre avuto una soglia del dolore elevatissima.
Quindi, ancora non si capacitò che tutto quello stava accadendo proprio a lei…
L’unica cosa che era riuscita a combinare, da quando si era svegliata, fu sollevarsi facendo forza sulle braccia e mettersi a sedere. Per sdraiarsi di nuovo, però, aveva bisogno di aiuto: la schiena le faceva troppo male per farlo da sola. Le gambe, poi, erano pezzi di legno. Non riusciva a muoverle. Per alzarsi dal letto aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno e, se voleva andare da qualche parte, o muoveva giusto due passi o utilizzava una sedia a rotelle.
Piuttosto che usare la sedia a rotelle preferisco marcire in questo letto.
Era notte fonda.
Sua madre era tornata a casa.
Avrebbe voluto chiamare le infermiere con il campanello, ma era posto troppo lontano per raggiungerlo stando seduti sul letto senza muoversi di un centimetro.
Era costretta a passare un’altra notte in bianco.
Sempre nella stessa posizione.
Moriva di sonno.
Ma non riusciva a dormire.
Un po’ era il dolore.
Un po’ era la paura.
Un po’ la sua compagna di stanza che russava come un trombone.
L’amara consolazione che ricavava da quella situazione era che quella vecchietta troppo rumorosa sarebbe stata dimessa il giorno dopo.
Lei stessa gliel’aveva detto mentre parlava di tutta la sua vita.
E da giovane non avevo tutte le distrazioni dei giovani d’oggi, non sapevo cosa fossero la televisione e il telefono; mio marito è morto in guerra lasciandomi senza figli; e ho passato tutto il resto della mia vita da sola… e qui mi hanno operato per un’ernia al disco… e mi dimettono domani… e ma tu cos’hai? Quanti anni ahi? Cosa, 16?! Povera, così giovane e già sei in ospedale!
Bla… bla… bla…
Le solite frasi fatte delle donne ultrasettantenni.
Ormai le sapeva a memoria.
Con tutte le anziane che si recano, ogni giorno, al tempio!
Le sentiva sempre quando chiacchieravano tra loro in cima alle scale o quando parlavano con suo nonno.
Sospirò.
Osservò la donna.
Ormai era talmente abituata al buio da riuscire a distinguere benissimo gli oggetti avvolti dalla penombra.
Vedeva la sagoma dell’anziana: era sdraiata supina.
Il suo petto si alzava e si abbassava lievemente.
E russava.
Dannata stronza…
Voleva dormire un po’.
Ma in quella posizione era scomoda.
Senza contare tutto il resto dei suoi problemi…
Operazione…
Operazione…
Operazione!!
L’unica cosa che riuscì a fare…
L’unica…
Fu piangere…
Pianse, cercando non farsi sentire dalla donna, per tutta la notte…
…
Due giorni dopo.
Il giorno dell’operazione.
Era la fine di tutto quell’inferno.
O l’inizio di un inferno ben peggiore?
Ormai non faceva altro che arrovellarsi con quel pensiero.
Tuttavia, contro ogni sua aspettativa, l’agitazione svanì nel momento in cui arrivò l’infermiera per darle i tranquillanti (in genere, prima di portarti in sala operatoria, ti danno dei tranquillanti per rilassarti e prepararti meglio all’anestesia. NdA).
Finalmente…
Dopo tre settimane potrò tornare a dormire…
Anche se è un sonno forzato… almeno dormirò un po’…
Quello che verrà dopo…
Beh.. a quello ci penserò più avanti.
L’infermiera arrivò seguita a ruota dall’anestesista e dagli assistenti del chirurgo.
Venne fatta sdraiare sul suo letto, sbloccarono le rotelle di quest’ultimo e venne portata in sala operatoria.
Lì dentro faceva freddo.
Molto freddo.
Iniziò a tremare.
Non seppe bene se era per il freddo o per la paura che l’assalì improvvisamente.
Aveva un nodo strettissimo allo stomaco.
Ma ormai non poteva più tirarsi indietro.
“Signorina…”
La chiamò l’anestesista, un giovane sui trent’anni.
“so che qui dentro fa freddo”
Ah, tremo così vistosamente?
“però tra poco non sentirai più nulla”
Spiegò con tono pacato.
E poi prese un polso di Kagome senza dirle niente e, in pochi secondi, gli legò attorno un laccio emostatico, lo tastò alla ricerca di una vena e poi, trovata, ci infilò un’ago-canula.
Ahi! Questo fa male!
Sussultò appena.
L’anestesista se ne accorse.
Sorrise.
“So che fa male. Ora è tutto a posto. Da questo catetere venoso ti introdurremo l’anestesia per addormentarti.”
Stronzo…
Si arrabbiò anche con lui.
Era troppo calmo per i suoi gusti.
Per lei, che in quelle settimane aveva dimenticato ogni sorta di sentimento al di fuori della rabbia e della stanchezza.
L’anestesista, poi, intrappolò l’indice destro di Kagome in un misuratore di pressione (lo usano per tenere sotto costante controllo la pressione e non solo, ma non ricordo bene a cos’altro servisse… NdA)
“Ora… Respira profondamente”
Sentì bruciare all’altezza del polso con il catetere.
L’anestesia.
Non ci riusciva.
Era terrorizzata.
Iniziò a sudare freddo.
Sentì una mano accarezzarle la fronte.
Apparteneva ad una delle assistenti del chirurgo che l’avrebbe operata.
Era un tocco gentile.
Non riusciva a vederla, ma intuiva da quel semplice gesto che le stava sorridendo. Quella cosa, chissà come, la tranquillizzò un pò.
Andrà… tutto… bene…
Iniziò a respirare profondamente e lentamente.
Brava… continua così… respira…
Respira…
Non sentì altro.
…
Quando riaprì gli occhi le sembrava che fosse passato solo un secondo da quando li aveva chiusi.
Era completamente rimbambita.
Guardò il soffitto con non poca fatica.
Era color bianco panna.
Non era grigio chiaro come quello della sala operatoria…
Allora era fuori?
Sospirò.
Riusciva a respirare.
Mosse gli occhi.
Riusciva a fare anche quello.
Provò a muovere le dita delle mani.
Riuscì ancora.
“Dove…?”
Era in grado di parlare…
Una delle infermiere si era accorta del suo risveglio.
“Ben svegliata” disse sorridendo
“l’operazione si è conclusa mezz’ora fa. Ti hanno appena portata su in reparto e ora ti stiamo riportando in camera tua.”
Disse l’altra infermiera.
“Hai dormito per ben otto ore di cui sei di intervento!” (non odiatemi… altra nota: in genere il chirurgo che opera arriva in sala operatoria e trova già tutto pronto, paziente addormentato, valori di pressione, battito cardiaco già monitorati e così via. Poi, ora che richiudono una volta finito e aspettano che il paziente si svegli ce ne vuole di tempo… Ok, ora ho finito con le note! ^^ NdA)
Era viva… ce l’aveva fatta…
Era viva…
“Tutto… bene… l'operazione…?”
Riusciva a parlare!
Era viva!!
Dopo tanto tempo, riscoprì un sentimento diverso dalla rabbia: sollievo…
In camera c’erano sua madre, Sota, suo nonno, Kikyo e Sango ad aspettarla.
Erano tutti così sollevati nel vederla già sveglia…
E lei era così contenta di poterli vedere ancora…
E ancora…
…
L’attesa per l’esito della biopsia “per stabilire cosa siano esattamente quelle masse” si fece attendere molto a lungo.
Kagome non nascondeva la sua agitazione.
Era inutile farlo.
Era in ospedale, seguita da neurochirurghi e fisioterapisti che monitoravano la sua schiena e le sue capacità motorie, sottoposta ogni giorno a esami del sangue e a risonanze magnetiche ogni dieci.
Tutto quel via vai inconcludente la stancava.
Non lo nascondeva.
Non si nascondeva più.
Non pretendeva che gli altri la capissero.
E nemmeno lo voleva.
Si sarebbe infuriata se qualcuno le avesse detto, con tono serafico:
Oh, ma io ti capisco!
Mandava al diavolo la gente che glielo diceva nella sua immaginazione.
Figurarsi nella realtà!
Da un lato si sentiva sola…
Ancora…
Perché nessuno poteva capirla.
Ma, dall’altro lato, non lo era.
Tutti i giorni era circondata da molta gente: i suoi familiari, le sue migliori amiche, i suoi compagni di classe, persino alcuni suoi professori. E quelli che non riuscivano ad andare a trovarla le telefonavano.
Il suo cellulare squillò come non mai in quelle tre settimane di attesa.
E quelle attenzioni la distraevano un po’.
E la prepararono psicologicamente a quello che sarebbe successo dopo.
…
“l’esito è chiaro, signorina…”
Kagome deglutì agitata.
Allora?! Medico del cavolo, sbrigati, che cosa aspetti?!?! Parla, parla!!
“Rabdomiosarcoma…”
“Scusi… rabdo… che…?”
“Rabdomiosarcoma…”
“…?”
“E’ un tumore…”
In quel preciso istante, il mondo le crollò addosso.
Ma quel medico non se ne accorse.
“quelle due masse che ti abbiamo tolto tre settimane fa non sono altro che metastasi. Non sappiamo bene quale sia il primario e purtroppo… anche volendo, noi non siamo specializzati in oncologia.”
Stava per piangere.
Era come se il tempo si fosse congelato e non volesse saperne di tornare a scorrere.
“abbiamo già provveduto a portare una copia di tutti i tuoi esami all’INT – istituto nazionale dei tumori. Domani verrai trasferita lì e verrai curata…”
Non sapeva cos’altro dire.
Le porse la mano.
“In bocca al lupo signorina…”
…
“Kagome!”
Ancora sua madre.
“Ora ti addormenti anche in macchina? Su, dai, siamo arrivate in istituto!”
Si stropicciò pigramente gli occhi.
Aveva dormito?
Aveva ancora sognato di quel periodo…
Che fantasia che ho con i sogni… sogno sempre le solite cose…
Sbuffò.
Erano passati cinque mesi da quando era in cura in istituto.
Si era un po’ capacitata di tutta quella situazione assurda.
Ma continuava ad aggrapparsi alla speranza che un giorno tutto sarebbe tornato come prima.
…
Toc toc…
“Inuyasha. La colazione è pronta. Su preparati e scendi. Oggi è il tuo primo giorno di scuola! Non vorrai mancare, vero?” disse una fioca voce femminile.
In una stanza, in una zona qualunque di Tokyo, in una casa qualunque…
Qualcun altro si stava preparando a cambiare vita.
E anche lui desiderava che le cose tornassero come una volta.
“Sì… scendo subito…”
Inuyasha Taisho.
Sedici anni.
Dopo un brusco cambiamento di vita, si preparò.
Iniziava il giorno zero…
Nota dell'autrice: bene... ho completato il racconto pre-storia di Kagome... O_O Ora sapete che cos'ha. E non ho voluto usare troppe descrizioni o giri di parole. E non ho nemmeno voluto usare punti di vista diversi dal suo. Del resto, è la storia di Kagome, tutti quei casini succedono a lei e a me interessava focalizzare l'attenzione sul suo punto di vista (che, poi, sarebbe il mio). Inoltre, inizia a fare capolino anche Inuyasha finalmente! ^^" Finora mi ero concentrata solo su Kagome, però nella fic c'è anche lui! ^_^ Diciamo che la vera storia deve ancora iniziare... queste sono le basi!! Ah... mi dispiace di aver inserito tutte quelle note mediche! :( Ad alcuni possono sembrare cose scontate però, a scuola, quando raccontavo ai miei compagni (che volevano sapere proprio tutto) quasi nessuno capiva perchè mi avessere fatto una lastra al torace e così via... Ho preso alcune precauzioni! Se vi hanno dato fastidio, chiedo perdono! *fugge via*
Al prossimo capitolo! *rifugge via*
L'autrice risponde ai commenti:
KaDe: sono davvero contenta che ti stia piacendo la storia!! ^///^ Non sai quanto mi renda entusiasta sapere che la mia storia piace!!
roro: in adorazione? Addirittura? *_* Ti adoro! Sono una ruffiana, lo so! xD Scherzi a parte, le recensioni lunghe non mi seccano, anzi!! Analizza, analizza pure quanto ti pare e piace!! *_* Mi farai contenta!
ryanforever: grazie!! Sono proprio contenta di esser riuscita nel mio intento: trasmettere ed emozionare! Spero continuerai a seguirmi! ^_^
mel_nutella: allora, avevi indovinato che tipo di problema ha Kagome? :) Mi fa piacere sapere che i flashback non sono stati elementi di confusione! Era uno dei miei timori maggiori! Grazie!! *_*
Only_a_Illusion: eh eh, una parte "lieta" ci sarà senz'altro! Non so ancora se renderla lieto fine o meno... si vedrà man mano che scrivo!
Ringrazio anche chi legge soltanto senza recensire! Grazie, grazie davvero! (questi ringraziamenti, ovviamente, non vi autorizzano a non recensire! XD)
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Capitolo 5 *** Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter ***
ATTENZIONE! Prima di leggere il capitolo, leggete le note introduttive sottostanti!
Dunque, in questo capitolo si intravede Kagome in istituto! Prima di tutto, sappiate che, in Italia, l'istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori
(abbrevviato I.N.T.) esiste per davvero, ha sede a Milano ed è, in barba alle cliniche private stile Veronesi, uno dei centri più importanti per
la cura dei tumori a livello mondiale. Io l'ho inserito nel contesto della storia, non so se esiste veramente in Giappone un istituto oncologico con lo stesso
nome! Sappiate che non l'ho inventato di sana pianta!
Inoltre, nel capitolo, viene accennato il funzionamento delle visite in ambulatorio: carte verdi, rosa, ecc... Per non rompere le scatole durante la lettura, vi
spiego brevemente qui come funziona il tutto. Quando si arriva in ambulatorio, si ha con sè: tessera sanitaria regionale, impegnative per visita, emocromo
ed altri esami firmati dai medici dell'istituto e recanti il timbro ufficiale dell'ospedale, tessera di esenzione (è una tessera che viene rilasciata a chi
ha l'invalidità civile e che esenta dal pagamento del ticket per i trattamenti sanitari) e foglio rosa (foglio lasciato durante la visita precedente dal
medico che ti ha visitato con su segnato cosa dovrai fare alla prossima visita, una sorta di promemoria). Ok, arrivi e prendi il numero per fare la fila
all'accettazione, che inizia alle otto del mattino. Con l'accettazione, si ufficializza che il paziente si è presentato, gli si restituisce foglio rosa e
gli si consegna un foglio identico a quello rosa, di colore verde: entrambi andranno consegnati durante la visita. Terminata l'accettazione, si aspetta
di essere chiamati per l'emocromo e poi per la visita, dove fisseranno poi l'appuntamento successivo e daranno un altro foglio rosa per la volta dopo!
Ah, ultima cosa: vengono menzionati i bambini in ambulatorio. Questo perchè io mi riferisco all'ambulatorio pediatrico e al reparto di pediatria (per ovvie
ragioni di età di Kagome!) E spesso i genitori portano doni come pasticcini e dolci ai medici e agli infermieri! Ovviamente, i pasticcini migliori, nella
realtà, sono quelli che porto io! xD Ok, scusate il disturbo! XD Ci vediamo in fondo per le mie solite note!
5. Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter
Correva.
Almeno così non sento freddo.
Era in ritardo il primo giorno di scuola. Come se gliene importasse più di tanto. Ci andava perché aveva fatto un patto con quell’uomo. Ancora due anni da sopportare. E poi sarebbe stato completamente libero.
Andare a scuola era un peso per lui. E non voleva rendere il tutto ancora più pesante arrivando in ritardo il primo giorno. Non gli andava di sentire le lamentele dei professori. In diciassette anni era bastato quell’uomo a fargli venire un’ulcera solo sentendo le parole “lamentela” e “rimprovero”.
Arrivò alla stazione con il fiatone.
Ma giusto in tempo per prendere il treno, che era appena arrivato.
Pigiandosi contro alcune persone riuscì a salire sul mezzo poco prima che le porte si chiudessero.
Bleah… Che schifo.
Odiava stare in mezzo a tanta gente.
Se poi erano tutti schiacciati come sardine la situazione era davvero insopportabile.
In quel momento si chiese come aveva fatto sua madre a sopportare la vita in quella città così caotica per tanto tempo.
Madre…
…
Erano le sette.
L’ambulatorio era ancora vuoto. Come al solito, erano arrivate per prime. Sua madre andò a prendere il numero per l’accettazione mentre Kagome si sedette al solito posto d’attesa: nell’angolo. Adorava stare contro due muri: se aveva sonno poteva sistemarsi per bene e appisolarsi un po’ mentre aspettava la solita, nauseante, visita.
A dirla tutta, era riuscita a dormire soltanto una volta, dopo che il liquido di contrasto iniettatole per un esame (più precisamente, una tac! Io mi addormentavo sempre per colpa del contrasto usato! ^^” NdA) l’aveva rimbambita parecchio. Le altre volte, per quanto sonno avesse, non si addormentava mai. Ogni volta aveva paura che la visita medica le riservasse qualche sorpresa sgradita. Le era successo più volte, infatti, di essere stata ricoverata dall’ambulatorio in reparto per alcuni effetti collaterali legati alla terapia, come innalzamento o abbassamento improvviso di valori del sangue che richiedevano terapie particolari e così via…
E poi c’era la paura della possibilità di sentire quelle parole…
Quelle parole…
La tormentavano giorno e notte, spesso passava le notti in bianco per la paura. Prendeva addirittura dei sonniferi, senza farsi vedere da nessuno, per dormire un po’. Non voleva di nuovo vivere in preda al nervosismo perché non dormiva la notte. Tre settimane le erano bastate ed avanzate.
Quando sua madre si sedette accanto a lei, Kagome la scrutò mentre sistemava, tutta concentrata, foglio rosa per le visite, impegnative, tessere di esenzione, numero...
Era tesa.
Lo leggeva nei suoi occhi.
Sua madre non era come lei, era un libro aperto.
Capiva benissimo quando sua madre stava bene, quando era triste o preoccupata.
Quel giorno era tesa.
E non voleva dirle il perché.
Ti odio quando fai così, maledetta stronza.
“Kagome!”
Due voci all’unisono la chiamarono.
Le riconobbe ancor prima di guardare in faccia chi l’aveva chiamata.
E quelle voci la sollevarono.
“Mai-san! Kae-san!” e sorrise.
Erano le due infermiere dell’ambulatorio. Due persone straordinarie. Kagome le adorava.
Mai-san era una donna sui quarant’anni, media statura, carnagione olivastra con occhi e capelli scuri. Kae-san, invece, era alta, bionda e di chiara carnagione. Senza contare che era alta il doppio di Mai. Come spesso cantilenavano, loro due assieme formavano l’articolo “il”.
Erano due persone con un gran cuore, amavano il loro lavoro e lo si poteva constatare con una semplice occhiata. L’unico momento che Kagome passava volentieri in ospedale era quello del prelievo: per lei non era una semplice pratica da due minuti, ma un rituale – che poteva durare anche mezz’ora – durante il quale parlava con Kae e Mai di come andasse a scuola, con gli amici… Non perdevano mai l’occasione per spettegolare un po’ sulle persone che venivano lì in ambulatorio e che Kagome notava spesso.
“Ma… quella donna lì… grassa, brutta, con i capelli ricci che vedo spesso…”
“La menosa, intendi?”
“Mai!”
“Eh ma è vero, Kae! Tanto lo pensi anche te!”
“Lo so, però dai!”
“Veramente, anche secondo me è una menosa incredibile!!”
Ma quello che la ragazza si divertiva di più a fare con loro due era prendere in giro i medici.
“Oh, Kagome! Tu ieri ti sei persa la scenata del dottor Tanaka appena arrivato!”
“Ha fiutato di nuovo l’odore dei pasticcini portati da qualcuno?”
“Certo! E non solo! Ha iniziato a litigarseli!”
“Fatemi indovinare! Con la dottoressa Oda?”
“Esatto!! E poi…”
E così via.
Per Kagome, parlare con loro rappresentava una sorta di svago. Voleva trovare la forza di ridere un po’ anche in quel posto. Kae e Mai l’avevano capito sin dalla prima volta che la videro.
A qualcuno poteva sembrare strano, ridere in un posto del genere.
Ma per molti, ridere era l’unica cosa che li aiutava a tirare avanti.
Per Kagome non si trattava di semplici risate: per lei ridere, mostrarsi allegra era una forma di difesa dagli altri.
Non voleva assolutamente che qualcuno riuscisse a capire cosa provasse.
Non voleva che la gente scoprisse che sotto l’apparenza di una ragazza allegra, si celava una persona dal cuore lacerato.
Non voleva attirare troppa attenzione su di sé.
Non voleva la pietà altrui.
Non voleva sentire frasi del tipo “Oh, poverina” in nessun caso.
Era abilissima nel celare i suoi sentimenti.
Anche con Kae e Mai era la stessa cosa, sebbene la ragazza si fosse affezionata sul serio a loro.
Anzi, proprio perché si era affezionata non voleva né la loro pietà né che loro scoprissero il suo cuore sporco e lacero e rimanere deluse della scoperta.
“Ciao, Kagome! Ci vediamo dopo in infermeria!” disse Kae
“Adesso ce ne andiamo a prendere un caffè prima di aprire l’infermeria e il day-hospital! Altrimenti ci addormentiamo in faccia ai pazienti!” esclamò Mai, serafica.
Kagome rise.
…
“Quindi tua madre non ti ha detto niente del motivo di questa visita?” disse Mai, senza nascondere un filo di rassegnazione nel tono della voce, mentre procedeva con il prelievo tramite cvc.
“Già…” sospirò la ragazza.
Non era la prima volta che si lamentava con le infermiere. Pur sapendo che loro non potevano farci niente.
“Voi… per caso voi sapete perché mi è stata fissata questa visita extra?” sussurrò d’un fiato, facendo ben attenzione a nascondere la paura che l’attanagliava.
“… No, mi dispiace… noi infermieri, in generale, non sappiamo mai più del dovuto. Dovrai aspettare la visita medica per saperlo” affermò sconsolata Mai
Kagome sospirò
“Grazie lo stesso, Mai-san”
…
Altri due minuti di corsa e sarebbe arrivato.
Spero solo di non dover correre così tutte le mattine, maledizione.
Corse come un pazzo fino a quando l’edificio del liceo A. non fu ben visibile.
Vedeva alunni entrare.
Meno male, la campanella non è ancora suonata!
E rallentò il passo.
…
Erano le undici.
L’ambulatorio si era ormai riempito da un bel pezzo; le urla dei bambini che giocavano o che piangevano perché non volevano fare un prelievo o essere attaccati alla macchina per le terapie riecheggiava per tutta la sala d’attesa. Anche i genitori non erano da meno. Tutti riuniti in gruppetti, parlavano prima delle condizioni di salute dei loro figli, giusto due secondi, per poi cambiare completamente argomento. E, mentre la gente era lì, le visite erano iniziate ormai da un’ora e, poco alla volta, gli studi dei medici diventarono un via vai di pazienti, infermieri e tecnici di altri reparti.
Anche sua madre era in mezzo a tutto quel caos, tutta intenta a parlottare con due donne.
Lei no.
Non voleva partecipare a tutto quel caos, non voleva.
Vedere il dolore dipinto sui loro occhi… lo stesso dolore che lei sentiva ma che non voleva esprimere…
Le faceva ricordare in che razza di posto fosse.
Non voleva concentrarsi sull’ospedale.
O il suo cuore non avrebbe retto, mostrando a tutti le ferite che si era causato in quei mesi.
Come era solita fare, se ne stava nel suo angolo, con le cuffie nelle orecchie che sparavano musica a tutto volume per coprire il rumore dell’ambulatorio…
Hontou ni taisetsu na mono igai subete sutete (It would be nice if we could put away and throw out)
shimaetara ii no ni ne (everything except what really mattered)
genjitsu wa tada zankoku de (but reality is just cruel.)
Sonna toki itsu datte (In such times,)
me o tojireba (I see you laughing)
waratteru kimi ga iru (whenever I close my eyes)
Mentre si lasciava cullare da quella musica malinconica, scribacchiava un po’ sul suo quaderno di matematica, intenzionata a portarsi un po’ avanti con i compiti del giorno dopo.
Si sentiva come isolata da quel posto. La musica era l’unico sottofondo che sentiva e che voleva sentire. C’era solo lei in quel mondo ovattato. Non c’erano medici, né infermieri, né tantomeno macchine per la chemio e terapie di vario genere.
Solo io…
A riportarla nel mondo reale, però, fu sua madre che, tutta agitata, la chiamò scrollandola per le spalle.
“Kagome! Su, Kagome, forza! Ci hanno chiamato per la visita, sbrigati!”
E la vide raccattare con foga la cartelletta e tutti i documenti del caso, ancora più agitata.
Brutta strega.
“Chi ci ha chiamato?”
“La dottoressa Yamashita. Ora sbrigati!” disse sua madre mentre camminava a passo svelto verso lo studio medico, senza neanche guardare in faccia la figlia.
Oh, no!
Kagome non sopportava quella donna.
Aya Yamashita, quarant’anni, segni particolari: era una gran fifona ed eccessivamente scrupolosa. Se vedeva anche una minuscola macchia in una radiografia, subito si spaventava e mandava il paziente in questione a fare ulteriori esami per accettarsi che quella cosa non fosse niente di preoccupante.
Kagome entrò a passo lento, saluto la dottoressa con un cenno del capo e si mise a sedere su una sedia posta di fronte alla scrivania del medico. Sua madre si posizionò dietro di lei.
“Ciao, Kagome!” disse la Yamashita, sorridendo
“come stai?”
Secondo te come dovrei stare se sono qui, idiota?
“Sarò onesta” iniziò con tono seccato e senza perder tempo
“Fino a due giorni fa stavo bene, ma poi mia madre mi ha informata di questa visita extra senza nemmeno dirmi il motivo per il quale ora sono qui! Mi ha soltanto detto che era una visita come le altre, ma non sono così stupida da crederci visto che la mia solita visita era fissata per dopodomani”
E si zittì.
Sua madre non aveva battuto ciglio mentre la figlia parlava, si era solo limitata a posare una delle sue mani su una spalla della figlia che, prontamente, la ragazza scostò con una scrollata violenta.
“Voglio sapere perché sono qui.”
La dottoressa sospirò.
Si era raccomandata con quella donna di dire tutta la verità alla figlia; l’aveva fatto più volte, ma non c’era niente da fare. La madre teneva la verità nascosta alla figlia per proteggerla dalle sue stesse paure, era chiaro come il sole, ma non si accorgeva che così danneggiava la propria figlia invece che preservarla.
“Settimana scorsa hai avuto la visita dalla fisioterapista, giusto?”
“sì…” rispose la ragazza non nascondendo la sua confusione.
Che c’entra la fisioterapista? E’ per colpa sua se mi hanno chiamata qui? Parla, insomma!!
“Beh, ecco, ci ha fatto arrivare una sua relazione completa sulla scorsa visita.”
Si interruppe un attimo
“Non è per niente una bella relazione, lo sai?”
Kagome rimase di stucco
“Beh… sì… non mi aveva trovata benissimo… me l’ha detto. E mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi e…”
“E poi hai fatto anche la risonanza magnetica di controllo alla schiena” la interruppe la Yamashita.
“Sì…” rispose
“Anche la fisioterapista ha voluto una copia del referto. Noi, dal punto di vista oncologico, abbiamo notato una situazione stabile. Per lei, invece, quel referto descriveva una situazione disastrosa. Ha notato, dalle immagini, che due vertebre della schiena, quelle toccate durante l’operazione, risultano saldate tra loro. E non è una bella cosa questa”
“E’… è per questo che, la scorsa settimana, se le toccava la schiena, mia figlia sentiva dolore? E’ per questo che non riesce a camminare ancora benissimo?” chiese la madre, visibilmente preoccupata
Cosa…?
“Come le ho già detto al telefono… sì, la fisioterapista l’ha trovata parecchio conciata, per dirla in gergo semplice.”
Come…?
“Ma… ma… anche dalla risonanza precedente le vertebre risultavano saldate! Io non… non capisco quale sia il problema!!”
Che significa…?
“In questo periodo devi esserti sforzata troppo, Kagome. Abbiamo deciso di chiamarti qui due giorni prima soltanto per dirti questo. Volevo dirtelo di persona, però io dopodomani non sono di turno qui, ma in reparto. Avendo parlato io con la fisioterapista, abbiamo ritenuto opportuno che fossi io a parlarti e, già che c’eravamo, ti abbiamo fatto i soliti controlli. Quelli vanno bene, l’emocromo è stabile, ti sei ripresa bene dalla terapia di settimana scorsa.”
Che… cosa… significa…?
“Il problema, per ora, è la schiena. Non puoi fare troppi sforzi”
Le sue mani iniziarono a tremare.
“Tua madre mi ha informata che, a inizio dicembre, avrai una gita di cinque giorni con la scuola a Osaka”
Che… diavolo… c’entra, ora…?
La dottoressa sospirò, dispiaciuta.
“Mi dispiace dirtelo, ma nelle tue attuali condizioni la gita è uno sforzo troppo grosso.”
…
…
“… Non potrai parteciparvi…”
!!
Un minuto di silenzio.
Due minuti di silenzio.
La madre di Kagome non aveva detto una sola parola, la dottoressa osservava Kagome che, con i pugni chiusi e tremanti, tratteneva a stento le lacrime.
Erano lacrime di dolore?
Erano lacrime di rabbia?
Erano lacrime di sconforto?
Kagome ormai era talmente abile nel celare i suoi sentimenti che nessuno avrebbe potuto mai capirla del tutto.
Nessuno
Nemmeno chi era nella sua stessa situazione…
…
In macchina non aveva aperto bocca, a tavola per il pranzo era muta come un pesce, ignorava il cellulare posto accanto a lei che continuava a vibrare ogni volta che riceveva un sms o una chiamata. Si limitava ad osservare lo schermo quando si illuminava e a leggere il destinatario, poi tornava con lo sguardo fisso sul suo piatto.
Si sentiva vuota.
Possibile…
Possibile…
Possibile… che… non possa più fare niente?
Aveva da poco consegnato a scuola l’iscrizione per la gita e già progettava con Sango e Kikyo quello che avrebbero fatto e non fatto in quei giorni.
Contava felice sulla punta delle dita le settimane e i giorni che ancora la separavano dalla partenza.
Si sentiva normale mentre faceva progetti, immaginava, discuteva e parlava con le sue amiche circa la gita.
Si sentiva normale, come tutti…
Ma io non sono normale…
Cercava di dimenticarlo.
Ma ogni volta c’era qualcuno che le schiaffava la realtà in faccia, violentemente e senza esitare.
Odiava la sua vita.
Voleva semplicemente essere come gli altri.
Si sforzava di apparire normale, serena.
Ma c’era sempre qualcuno pronto a vanificare i suoi sforzi.
A cosa serve… a cosa serve sforzare di contenere tutta la propria rabbia e il proprio dolore fino a farsi mancare il respiro se poi non ottengo niente?
Però se provo ad esternare ciò che provo, qualcuno si incazza e mi dice “no, non devi pensare così! Non devi dire così!”
Io…
Io…
Io…
Cosa devo fare…?
Come devo comportarmi?
Come cazzo devo comportarmi?!?!
Si alzò di scatto da tavola, cacciando fuori un urlo liberatorio.
Un urlo carico di disperazione.
Un messaggio di aiuto.
“Kagome!!” sua madre e suo nonno si spaventarono
“Kagome, cosa c’è?” suo nonno
“Kagome! Kagome!” sua madre
Lasciatemi…
“Kagome, per favore…”
Lasciatemi… stare…
“Kagome, non fare così!”
Lasciatemi stare!!!
Urlò di nuovo.
“Andate a fanculo!!”
E uscì di casa senza prendere nemmeno il cellulare e il cappotto, sbattendo forte la porta e percorrendo ad una velocità impressionante i gradini in discesa.
Una fitta alla schiena.
“Non devi fare sforzi”
Un’altra ancora
“non puoi andare in gita”
Si fermò, una volta terminati i gradini, per prendere fiato e per calmarsi.
Tutto il suo corpo tremava impazzito, i suoi occhi erano offuscati dalle lacrime, la vista era annebbiata, le orecchie, come tappate, fischiavano.
“Kagome!”
La ragazza non sentì nemmeno le voci che la chiamavano e tenne lo sguardo fisso a terra.
Si sentì prendere per le braccia.
Alzò il viso per vedere chi diavolo le stava rompendo le scatole e, a malapena, riconobbe Kikyo.
La sua amica si stava recando al tempio per lavorare.
La sua amica normale…
La sua amica che poteva fare tutto…
Anche andare in gita e sforzarsi quanto vuole.
La ragazza, in uno scatto d’ira, la spintonò via, urlando ancora con tutto il fiato che aveva in gola.
“K-Kagome!” Kikyo non l’aveva mai vista così e non sapeva proprio come affrontarla.
“Vattene al diavolo!!” urlò.
“Andatevene tutti al diavolo!”
E corse via
…
Perse la cognizione del tempo.
Incurante del freddo pungente che le pizzicava la pelle sotto il tessuto della sua maglia, aveva girato a zonzo per il centro per tutto il pomeriggio, senza nemmeno pensare a dove metteva i piedi e a dove fosse diretta.
Aveva assolutamente bisogno di calmarsi.
Camminare un po’ con la testa altrove l’aiutava. Era sempre stato un ottimo modo per calmarsi.
Quando la vista iniziò ad essere più nitida e le lacrime scomparse, decise di riconnettersi con il mondo reale.
Si fermò su un cavalcavia per prendere una boccata d’aria e osservare un po’ le macchine che sfrecciavano veloci sotto i suoi piedi, provando ad immaginare dove fossero dirette.
Tutti…
Tutti hanno la loro vita…
Tutti hanno degli alti e dei bassi…
Ma nonostante tutto… la loro è una vita normale…
La vita che voglio io…
Normale…
Era immersa nei suoi pensieri mentre lasciava che il vento le accarezzasse, con le sue fredde dita, il viso e i capelli, spettinandoli.
Osservò un attimo il suo orologio da polso, per prendere coscienza almeno di che ore fossero.
Le sei…
Tornò a guardare le macchine.
Era stata in giro davvero tanto.
Quattro ore come minimo le aveva passate.
Chissà la mamma e il nonno come saranno preoccupati…
E Sota si sarà spaventato non trovandomi a casa?
E Kikyo?
E Sango?
Si saranno preoccupate vedendo che non rispondevo al cellulare?
E Kikyo soprattutto… l’ho trattata male.
…
…
…
Forse mi conviene tornare…
Tornare… a casa…
“Ehi…”
Un flebile sussurro.
“Ehi…”
Ancora.
Si girò di scatto ma non vide nessuno.
“Cosa…?”
“Ehi!”
Eh?
“Alcina!”
Sobbalzò.
Quel nome…
Quel pupazzetto…
Quel ragazzo dai capelli corvini!
Kagome, sorpresa, trovò davanti a sé il ragazzo dell’altro giorno, avvolto in un cappotto marrone chiaro.
“Ehilà!” sorrise e poi la scrutò velocemente
“Ma come! Siamo a novembre e tu giri senza cappotto? Cavoli, complimenti, ne hai di resistenza, Alcina!”
La ragazza rimase senza parole.
In tutta Tokyo… incredibile… in tutta la città… ho incontrato proprio lui!
“Ehiii! Terra chiama Alcina! Terra chiama Alcina! Rispondi!” canzonò il ragazzo, vedendo che Kagome non rispondeva.
La ragazza abbozzò un sorriso per risposta.
“Cavoli” disse con tono più calmo
“Che occhi rossi e gonfi che hai!”
Sorrise
“Cos’è successo? Giornata storta?”
Kagome non aprì bocca.
Non voleva aprirsi con nessuno e, nonostante gli facesse piacere vederlo, non voleva parlare nemmeno con lui. Era come se le parole le morissero in gola, ancor prima di uscirle dalla bocca.
“Beh… a tutti può capitare! Pensa, a me oggi, in negozio, hanno comunicato che dovranno dimezzarmi lo stipendio perché le spese da sostenere per il proprietario sono troppe ed ora sono costretto a trovarmi un altro lavoro oltre a quello, altrimenti a fine mese non potrò pagare l’affitto!”
Perché?
Perché mi parli dei tuoi problemi se nemmeno mi conosci? Io non riuscirei a fare lo stesso…
Il ragazzo intuì che Kagome non era dell’umore adatto per parlare con uno sconosciuto.
Osservò le sue guance pallide per l’aria fredda.
Si sfilò il cappotto e lo pose dolcemente sulle sue spalle.
“Eh? Cosa?” ripeté lei.
“Te lo lascio. Se non ti copri ti prenderai un malanno!”
“Ma... no… dai…”
“Insisto! Me lo ridarai la prossima volta! Così magari riuscirai a dirmi altro, oltre a Eh? Cosa? Ma! E mi dirai il tuo nome! Ciao Alcina!”
E corse via senza nemmeno dare a Kagome il tempo per reagire.
Quando non riuscì più a vederlo, si infilò per bene il cappotto e si strinse nelle sue stesse braccia per infondersi un po’ di calore.
Riusciva anche a sentire il leggero profumo del ragazzo sul colletto del cappotto.
Senza dire niente, si incamminò piano verso casa.
…
98
99
100
Contò i gradini, come era solita fare.
Arrivò alla soglia di casa e lì si fermo un attimo.
Devo… scusarmi…
Aprì piano la porta.
“Sono… sono a casa!” riuscì a dire.
Non fece in tempo a finire la frase, che si trovò tra le braccia di sua madre e di suo nonno che urlavano dalla gioia, contenti e sollevati che fosse tornata a casa.
Sentiva anche le voci di suo fratello, di Kikyo e di Sango che urlavano di gioia, quasi non fossero capaci a trattenersi.
Mi hanno aspettata tutti…
Terminati i convenevoli, Kagome venne accompagnata in salotto e fatta sedere.
Sua madre la sentiva fredda e si fece in quattro per scaldarla: pigiama in pile bello pesante, una cioccolata e una coperta. Suo nonno e suo fratello le chiedevano cosa avesse fatto, che nessuno era arrabbiato con lei, che, nonostante fossero tutti preoccupatissimi per lei, sapevano che fosse una ragazza con la testa a posto, che aveva solo bisogno di sfogarsi un po’ e che, alla fine sarebbe tornata a casa. Kikyo e Sango non parlavano, ma la fissavano sorridenti.
“Tutti… tutti… mi avete aspettata? Nonostante… il mio comportamento…?” sussurrò appena
I suoi occhi erano secchi, non una lacrima li bagnava.
Quelle le aveva già piante tutte mentre era in giro.
Si sentiva circondata d’affetto.
E lei si sentiva un’ipocrita, a mantenere il suo cuore sporco e lacero nascosto a tutti.
Ma non voleva perdere quell’ondata di affetto a causa delle sue ferite, del suo animo.
Cacciò di nuovo tutti i suoi pensieri dentro di sé, decidendo di comportarsi come al solito.
Perché non poteva fare altro…
…
Il giorno dopo, come tutte le mattine, trovò ai piedi degli scalini del tempio Kikyo e Sango per andare a scuola insieme a loro.
Durante la passeggiata da casa a scuola, nessuna delle due citò quanto accaduto il pomeriggio precedente.
“Sai, Kagome, ieri nella nostra classe è arrivato un nuovo studente!” esclamò Sango
“Davvero?! E com’è? Carino? Alza un po’ la media pietosa dei maschi della nostra scuola?”
“Altroché! E’ davvero un ragazzo fantastico! Ha i capelli neri, lunghi e i capelli color ambra! E’ davvero fantastico!”
“Scusa, Sango… ma tu un ragazzo già ce l’hai! Ti ricordi? Miroku, state insieme da un anno e mezzo!” si intromise Kikyo
“Eeeeeh! Suvvia, il fatto che io sia fidanzata non vuol dire che non posso guardare gli altri ragazzi!”
“ehm…” Kagome si schiarì la voce
“Quello che Kikyo intende dire… è che tu che già hai un pesce che ha abboccato all’amo devi lasciare gli altri pesciolini dell’acquario a noi! Giusto?”
“Giusto!”
E scoppiarono tutte e tre a ridere.
…
Liceo A., aula della quarta classe del primo anno.
Mancano dieci minuti al suono della campana.
Kagome, entrando, viene subito attratta da una persona.
“Ah, Kagome! Guarda, il nuovo studente è quello!” disse Sango, indicando nella direzione verso la quale Kagome stava già guardando.
Non ci credo…
Non ci credo…
Non ci credo!
Era lui! Era proprio lui!
I capelli corvini, gli occhi color dell’ambra.
Seduto al suo posto, in disparte, con lo sguardo abbassato sul banco.
Kagome l’avrebbe conosciuto tra mille.
Il ragazzo di ieri!! Il ragazzo del negozio e del cappotto!!
Nota dell'autrice: *puff* ce ne ho messo, eh? ^^" Però mentre stendevo questo capitolo mi sono venute in mente un sacco di idee per la storia ed ero
troppo presa a inserirle nella storia per continuare questo capitolo! XD E non vedo l'ora di mettere tutto nero su bianco! Dunque, vi do ufficialmente il
benvenuto nel mondo "Psicanalizziamo Kagome Higurashi versione Aoki"! XD In questo capitolo Kagome potrà sembrare parecchio ambigua, che si fa problemi
per niente... ma, giuro, tutto quello che ho scritto ha un filo logico, che svelerò pian piano! E ora che entrerà in scena anche Inuyasha... aggiungerò
misteri su misteri! ^_^ Poi, che dire... ah, i nomi delle infermiere, "Mai" e "Kae" non sono stati scelti per caso, ma rispecchiano la personalità dei
modelli a cui mi sono ispirata! Ma questo discorso si spiegherà più avanti! ^^ Insomma, continuo ad aggiungere misteri! Aspettate che mi metta a psicanalizzare
Inuyasha e poi saremo a posto! XD Ah, mi ero dimenticata una cosa nelle note iniziali: nel capitolo viene menzionato il "cvc": questa sigla sta per "catetere venoso
centrale". Per spiegarvi cos'è vi rimando a questa pagina, dove c'è una
spiegazione molto semplice! :D Bene! Mi scuso se il capitolo non vi piace! ;__; Università permettendo, spero di pubblicare il prossimo entro due settimane!
L'autrice risponde ai commenti!
ryanforever: eheheh, ora che Inuyasha è comparso, una cosa è certa... iniziano i casini! XD
roro: sei la prima persona che si commuove per qualcosa che ho scritto *-* Uuuh, grazie, grazie! E, per quanto riguarda Kikyo... sai, neanche io amo molto questo personaggio però non sopporto proprio chi le affibbia tutte le caratteristiche negative esistenti su questo mondo! ._.
KaDe: meno male, le note non hanno infastidito! ^^" Temevo il contrario, sai? Comunque, ora che c'è anche Inu, l'autrice si divertirà un mondo! XD *risata malefica* eheheh!
Kagome19: ciao!! Evviva, una nuova lettrice! Anche te ti sei commossa! *-* Ragazzi, così farete commuovere anche me! Piangiamo tutti insieme, sigh sigh! ;_; Ehm, ok, scherzi a parte... spero continuerai a seguirmi! ^_^
mel_nutella: deduci bene su Inuyasha! ^_^ Anche lui avrà i suoi grattacapi! Sono proprio contenta che sia riuscita a farti immedesimare nel personaggio di Kagome! Il mio obiettivo è proprio quello di portare voi lettori dal punto di vista dei personaggi! Grazie, grazie per i commenti!!
In generale, grazie davvero di cuore! Le vostre recensioni mi fanno letteralmente sciogliere! *_* Grazie!! E grazie anche a chi legge soltanto! Ormai ogni capitolo è stato letto più 150 volte e le letture continuano ad aumentare! Grazie di cuore! Tengo davvero
tanto a questa storia e sono proprio contenta che vi stia piacendo! Un bacio a tutti, al prossimo capitolo!!
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Capitolo 6 *** Intermezzo ~ Burning eyes ***
Intermezzo ~ Burning eyes
Avevo cinque anni quando quel maledetto figlio di puttana ti spedì all’altro mondo.
Ricordo ancora i tuoi occhi pieni di paura.
Pure i suoi, ricordo.
Erano di ghiaccio.
Non è cambiato per niente, in tredici anni, lo sai?
Così come l’odio che io nutro per lui non è mutato.
Però, porca puttana…
Ho un debito nei suoi confronti.
E devo pagarlo, in qualche modo.
Mah…
Neanche in un modo qualunque.
Lui ha sempre dettato legge.
E continua a farlo, nonostante non gliene fotta un assoluto cazzo di me.
Hai un debito e decido io come devi saldarlo.
…
Pezzo di merda.
Ormai è l’unico pensiero con più di una parola che riesco a formulare nei suoi confronti.
Pezzo di merda te e pure quell’altro.
Ecco, sì, anche questo.
Però questo non è rivolto solo a lui. Ma anche a quell’altro.
Quell’altro, che è davvero il figlio di una puttana.
Nei suoi occhi ho sempre visto disgusto.
Disprezzo.
Odio.
Ecco, cazzo: in questo ci assomigliamo.
E la cosa mi irrita.
Cerco di non pensarci quando mi infilo a letto con l’ennesima puttana di turno.
Cerco di non pensarci quando mi ritrovo pure gli uomini nel letto.
Trattengo i conati di vomito tutte le sere, cazzo.
Perché…
Ancora due anni e poi sarò finalmente libero.
E sai quale sarà la prima cosa che farò?
Ammazzare quei due coglioni.
Voglio togliere personalmente, ad entrambi, quello sguardo da stronzi che hanno.
…
No, loro non sono come me…
Io non sono come loro…
Loro vogliono trascinarmi nel fango…
Non voglio finirci, nella loro merda…
Non voglio…
…
Voglio vedere sul volto di quel bastardo dipingersi, almeno una volta nella sua fottutissima vita, un’espressione di terrore. Cazzo, non so quanto pagherei.
…
Bruciano…
Bruciano da morire…
Da quando l’ho vista…
I miei occhi non resistono…
…
Mi attrae con una forza disarmante.
Ma allo stesso tempo mi disgusta…
I suoi occhi…
I suoi occhi sono…
Nota dell'autrice: se vi aspettavate il capitolo nuovo.... fregati ahahahah XD No, dai scherzo!! Ehm, su dai, posate quei sassi!! °°; Ok, adesso smetto di fare la scema... dunque! Questo è il primo di una serie di intermezzi. Qui è abbastanza evidente che il protagonista è Inuyasha. Lui sarà il protagonista della maggior parte degli intermezzi, anche se non l'unico... vedrete, vedrete... Se non ci avete capito niente, della psiche di Inuyasha, del suo passato, ecc... beh, sono riuscita nel mio intento ^^ Adoro inserire misteri su misteri e risolverne poco per volta, aggiungendone altri poi. Onestamente, non so quanto durerà Aoki - non poco, questo è certo - perchè continuano a venirmi idee in testa e non so quali e come realizzare. So solo cosa accadrà a Kagome (e lì darò il meglio della mia cattiveria!), spero solo di riuscire a continuare a scrivere! Se ci riesco è solo grazie alla gente che legge (anche il quinto capitolo è stato stra-letto!) e che recensisce! A tal proposito... su, dai, commentate! La gente che ha aggiunto la storia tra i preferiti (e siete tanti!), chi legge... suuu! *fa gli occhi dolci*. Vabbè, questa volta non riesco a stare seria... questo intermezzo mi ha esaltata troppo XD E' venuto come volevo e spero vi piaccia! Al prossimo capitolo! ^_^
L'autrice risponde ai commenti:
Kagome19: grazie mille! :) Sono davvero contenta che ti piaccia! E (e non lo dico per peccare di presunzione!)... sì, ci vuole parecchio fegato per scrivere tutto questo. Non sai quante volte sono stata tentata di non concludere Aoki e cestinarla... Ma, alla fine, ci tengo troppo!
ryanforever: eh eh... ora Inuyasha è nella sua classe, sì! E io mi sfrego le mani, perchè il bello deve ancora iniziare! Spero ti piaccia anche l'idea dell'intermezzo!
Mel_Nutella: grazie, grazie, grazie! ^///^ Eh eh, effettivamente sono stata cattivella con Kikyo ma non ho scelto lei al posto di Sango a caso, vedrai! ^^ Sono proprio contenta che ti piaccia! *__* Mi sciolgo!! Grazie!!
Al solito, ringrazio chi legge, chi aggiunge Aoki tra i suoi favoriti e chi recensisce! Continuate a supportarmi per favore, voi lettori siete il mio unico e costante supporto! Grazie mille! Al prossimo capitolo!
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Capitolo 7 *** Kotoba ni wa shinai yakusoku ga aru sa ~ Without words, there are promises ***
6. Kotoba ni wa shinai yakusoku ga aru sa ~ Without words, there are promises.
Sei tu…
Sei proprio tu!
Non capiva bene il perché, ma il suo cuore iniziò a martellarle in petto. Eppure non era affatto il tipo di persona che si lasciava attrarre così facilmente da qualcuno.
Voleva avvicinarsi e parlare con lui ma la campana che decretava l’inizio delle lezioni la bloccò.
Accidenti!
Pensò delusa.
Devo decidermi ad arrivare prima a scuola! E convincere anche quelle due ad uscire di casa un po’ prima, uffi!!
…
Prima ora.
Lezione di letteratura inglese.
Entra il professore.
In piedi!
Inchino!
Seduti!
La solita solfa.
Kagome rovistò pigramente nella cartella per tirare fuori il libro di letteratura e il libretto delle giustificazioni, ma fu fermata dalla voce del professore.
“Higurashi.”
Tuonò. La ragazza sobbalzò sulla sedia per lo spavento.
“Durante la pausa pranzo vai in presidenza.”
Eh? La presidenza?
Gettò un’occhiata sul libretto bianco bordato di blu che la ragazza aveva appena tirato fuori dalla borsa
“e lascia stare la giustificazione, è sempre quella, no?”
“Sì, professore” sibilò appena, la rabbia che iniziava a montarle in corpo.
Stronzo.
Odiava quando un professore o qualunque altra persona al di fuori della sua famiglia e dell’ospedale parlava come se nulla fosse della sua situazione.
Un conto era se a parlarne erano le sue migliori amiche.
Un altro era se chi parlava era un adulto sui trent’anni, acido e scapolo che non sapeva dove fosse di casa la pedagogia e che se ne fregava dei suoi alunni, ritenendo tutti i sedicenni degli ammassi di idioti senza un briciolo di cervello.
Fa il professore perché non sapeva cos’altro fare! Che fallito!
Erano voci che giravano nell’istituto.
Non aveva mai dato credito a quelle voci.
Non le erano mai interessati i pettegolezzi e se ne guardava bene dall’ascoltarli.
Da quando poi lei era diventato l’oggetto principale delle voci maligne della scuola i pettegolezzi erano qualcosa a cui era tremendamente allergica.
Cercava di evitarli come la peste.
Ma ovunque lei andasse si sentiva sempre osservata in malo modo.
Sentiva le ragazze bisbigliare tra loro e ridacchiare.
Una volta si chiuse in bagno un’ora intera, saltando una lezione di fisica, in preda ad una crisi di nervi.
Ma nemmeno lì poteva stare in pace.
Aveva origliato la conversazione tra tre ragazze del secondo anno.
Ehi, avete saputo di Higurashi?
Quella del primo anno che due mesi fa è svenuta in palestra?
Sì, proprio lei! A quanto pare, quando è tornata a scuola, è andata dritta in presidenza e ha preteso dal preside un trattamento di favore per gli esami di fine trimestre!
Dici sul serio?!
Sì! Ci sono delle ragazze del terzo anno pronte a testimoniare! L’hanno sentita dal corridoio mentre gridava come un’ossessa!
Ma dai!
E giù risate malefiche.
Kagome aveva ascoltato tutta la conversazione rannicchiata sul pavimento di uno dei bagni, nel quale si era prontamente chiusa a chiave.
Aspettò che se ne fossero andate per uscire dal suo nascondiglio e sciacquarsi la faccia.
Era nervosa.
Perché?
Chi ha messo in giro queste stronzate?
Le sue mani iniziarono a tremare.
Troie…
Troie…
Troie!
Batté una mano chiusa a pugno contro uno specchio con violenza, incrinando la sottile lastra di vetro.
Si controllò la mano.
Il suo palmo era attraversato da un lungo graffio dal quale usciva un po’ di sangue.
La sua mano pulsava.
Anzi, no.
Formicolava.
Ma non sentiva minimamente dolore.
Al contrario.
Quel formicolio la inebriava, offuscandole la mente.
Per un istante, quella sensazione aveva sovrastato il nervosismo e il dolore che sgorgava dal suo cuore lacerato.
Si leccò la mano, anche se non bastò. Ovviamente.
Prima di andare in infermeria, rimase ferma, immobile ancora per qualche secondo, con lo sguardo fisso sul sangue che le sporcava di rosso la mano.
Fisicamente era lì.
Mentalmente era come se fosse altrove.
La morte è serena. La vita è più difficile...
…
Uff…
Tirò su bene le maniche della divisa.
Per nasconderli.
Si piegò per rimettere a posto il libretto e, nel farlo, il suo sguardo si posò sul nuovo studente.
Era nella fila accanto alla sua.
Aveva lo sguardo abbassato sul libro di letteratura.
Stava scarabocchiando sulle pagine.
Era così concentrato che Kagome non capiva se stesse prendendo appunti o disegnando per i fatti suoi.
L’unica cosa che capiva...
Mi sembra diverso…
Diverso dalle scorse volte.
Il suo volto…
I suoi occhi…
Mi sembrano più spenti...
…
Scrollò le spalle.
Mah, magari è solo una mia impressione!
Sguardo spento o no, rimane pur sempre un bel ragazzo!
E arrossì a quel pensiero prima di voltarsi verso il proprio libro di letteratura.
Dorian Gray che impazziva richiamò la sua attenzione.
Sarà una lunga mattinata…
...
Durante le ore di letteratura inglese e di sociologia Kagome non fece altro che gettare sguardi in continuazione sul nuovo arrivato. Era come ipnotizzata. Più i minuti passati ad osservarlo aumentavano, più lei veniva rapita da quel viso, dagli occhi ambrati e dai capelli corvini che splendevano grazie alla luce solare che illuminava e riscaldava l’aula.
Lui, però, non si muoveva mai. Fatta eccezione per il cambio dell’ora, sfruttata soltanto per far cambio di libri, il ragazzo rimaneva come congelato.
O come se il tempo fosse congelato.
Come se lui fosse in una stanza vuota, dove nemmeno l’eco lontano delle spiegazioni del professore arrivava.
C’era soltanto lui.
Chissà dove volano i suoi pensieri
Si trovò a pensare più volte.
La curiosità la stava lentamente attanagliando.
Se ne fregava di Dorian Gray e del modello della famiglia secondo Parsons.
...
La campana fermò il professore di sociologia e Kagome tirò un sospiro di sollievo.
Iniziava uno dei suoi momenti preferiti: la ricreazione.
Non aveva la benché minima intenzione di sprecarla.
Voleva andare da quel ragazzo.
Salutarlo.
Scrutare i suoi occhi.
Conoscerlo.
Capirlo.
Lui era riuscito per ben due volte a leggerle dentro con la stessa facilità impiegata per alzare un dito verso il cielo.
Ora tocca a me.
Sbatté sulla superficie del banco la pila di quaderni e libri e la ripose ordinatamente nella cartella.
Si voltò verso il banco del ragazzo e, con disappunto, notò che non c’era.
Scattò in piedi e girò su se stessa diverse volte, scrutando con attenzione la classe: niente, non era lì.
Si sorprese della rapidità fulminea con la quale era scomparso.
Oh no... ma dov’è andato?
Sbuffò e fece per uscire dall’aula per cercarlo quando fu intercettata da Sango e Kikyo che le proposero il solito giro di cappuccino alla macchinetta. La ragazza adorava quel momento della giornata: adorava stare con le sue amiche mentre si beveva in santa pace un cappuccino bollente che la svegliasse un po’. Le piaceva fare la fila ed aspettare impaziente il suo turno. Adorava persino la macchina che non dava la quantità giusta di zucchero selezionata: o era troppo o era troppo poco. E quel poco o troppo di zucchero che c’era si fermava sempre alla schiuma, rendendo il liquido marroncino terribilmente amaro. Adorava tutto quello.
Le piaceva mostrarsi a scuola assieme alle sue amiche, come una persona normale, mentre faceva la fila, come una persona normale, per prendersi una dose di caffeina bollente che la tenesse sveglia, come una persona normale...
Come una persona normale...
Cercava sempre un po’ di normalità.
E, a scuola, quel momento era sempre fatto di una faticosa ricerca di normalità: si sentiva normale quando si comportava come tutti gli studenti.
Ma il tasto dolente si faceva sempre sentire.
Eccola, è lei...
Higurashi.
Ma sì, quella che era svenuta in palestra e che ha minacciato il preside per essere promossa.
Sì lei...
Proprio lei...
Quella che... quella che...
Sapeva benissimo che quello era il prezzo da pagare per stare lì e non a casa con sua madre che l’assillava con le sue domande ansiogene, quasi a voler trovare a tutti i costi un nuovo problema da segnalare ai medici.
Quando sentiva le persone dietro di lei bisbigliare rumorosamente per poi ridacchiare, sentiva il suo petto diventare sempre più pesante ogni singolo istante che passava, un groppo in gola che cercava in tutti i modi di salire ed esplodere violento. Ogni volta, era una lotta contro sé stessa per non cedere, per non mostrare il suo cuore ferito.
Non voleva mostrare a nessuno le sue ferite.
Non voleva mostrare quante fossero...
Né quanto fossero profonde...
Non voleva che qualcuno le sentisse pulsare come impazzite...
Non voleva che si notassero le macchie scure che sporcavano la sua anima.
Non voleva mostrare la vera sé stessa...
Non riteneva nessuno degno di una tale visione.
Inoltre mostrare quel suo lato, così diverso rispetto ad una persona qualunque, sarebbe servito solamente a marcare ulteriormente la linea di confine che separava lei da una uno qualunque.
Lei non voleva quello.
Lei voleva soltanto essere accettata.
Ma per esserlo, doveva pagare un prezzo molto alto.
...
Quella volta, accettò di malavoglia, stando però ben attenta a non mostrare alle sue migliori amiche quello che pensava in realtà.
Avrebbe voluto setacciare la scuola alla ricerca del ragazzo nuovo. Voleva di nuovo perdersi nei suoi occhi.
“Allora, Kagome, l’hai visto il nuovo alunno?” buttò lì Kikyo.
“Eh...? Sì...” biascicò distrattamente “l’ho notato”
“Solo notato?” incalzò Sango
“Hai passato tre ore, e dico tre, a continuare a fissarlo!” e ridacchiò nel vedere Kagome avvampare, scoperta nel raggio di due secondi.
“M-ma no... non è vero, dai...”
Si vergognava un po’. E non capiva il perché.
“Come no? Ti abbiamo vista benissimo da dietro! Ogni tre per due ti voltavi verso di lui!”
“Beh...” si intromise Kikyo
“come non capirla? Quel ragazzo è davvero bellissimo!” esclamò, sfoggiando un sorriso smagliante.
Oh no... tra tutte non lei, vi prego...
“Non dirmi che gli hai messo gli occhi addosso anche te!” stavolta Sango canzonò l’altra
Non avrei speranze...
Kikyo arrossì appena, ma il rossore era molto evidente, contrastava con la carnagione chiarissima, quasi pallida, della ragazza.
Kagome trasalì.
Speranze?
Perché... speranze?
Mica mi piace!
No... non mi piace... anche adesso... cosa volevo fare, andando a cercarlo? Sarei risultata patetica... “Ah, ciao, ti ricordi di me? Mi ha raccontato la favoletta della bambola e mi hai prestato la tua giacca l’altro giorno! Ti va di conoscerci meglio, mi hai colpita in poco tempo!” ... chi mi avrebbe creduto? Uno sconosciuto, per di più...
E poi... io...
Si rattristò.
Era così immersa nei suoi pensieri, nel ficcarsi in testa che la sua amica non era affatto una rivale per lei e, ammesso il caso in cui lo fosse stata, che non sarebbe stato un confronto ad armi pari da non accorgersi che erano arrivate alla fila della macchinetta.
“Kagome! Kagome!”
Trasalì di nuovo
“C-che c’è?”
“Cappuccino?”
Involontariamente, strinse con la mano destra il polso sinistro con forza.
Ora sì... che non posso essere me stessa...
“... sì”
...
“Tua madre mi ha informato ieri pomeriggio del tuo attuale stato di salute e della tua impossibilità a sostenere uno sforzo tanto grande quanto quello di una gita”
Il preside scrutò la ragazza, in piedi di fronte alla sua scrivania piena di scartoffie da compilare e di documenti da leggere e controfirmare. Si sistemò meglio gli occhiali sul naso, continuando a fissarla con occhi attenti, senza far trapelare il suo dispiacere. Era pur sempre un essere umano anche lui, non poteva certo rimanere impassibile di fronte ad una alunna della sua scuola ammalata, con seri problemi fisici e che faceva di tutto per stare alla pari con i suoi compagni di classe.
Sospirò e, vedendo che la ragazza non rispondeva, decise di proseguire, anche per spezzare il silenzio velato dal nervosismo che era calato da troppi secondi tra loro due.
“non puoi venire ad Osaka...” disse d’un fiato.
A quell’affermazione, Kagome si irrigidì, ancora scossa per la cosa.
L’uomo non sapeva che pesci pigliare, poteva leggere chiaramente nei suoi occhi abbassati verso il pavimento dispiacere e disappunto per la situazione.
Sospirò ancora.
“Tuttavia, non sarai l’unica che rimarrà a casa da Osaka”
Eh?
Alzò la testa, sorpresa, lanciando uno sguardo interrogativo al preside.
“ci sono un paio di studenti di altri sezioni che non possono parteciparvi, chi per ragioni economiche e chi per altre ragioni. Per la settimana della gita pensavamo di organizzare delle ore di studio qui a scuola. Ovviamente, non sono obbligatorie però possono essere utili per voi studenti. Sarete supervisionati dai docenti che non andranno in viaggio d’istruzione e, stando a scuola, potreste occupare bene il vostro tempo, studiando senza distrarvi”
Che palle...
Su due piedi, quella proposta la innervosì.
Le tornò in mente la Yamashita, le sue parole del giorno prima e di quel suo sguardo dispiaciuto così finto... cosa gliene importava, a quella? Non era lei che aspettava con ansia quella gita. Non era lei che aveva l’occasione di svagarsi un po’ lontana da casa. Non era lei che si trovava miserabilmente con un piano rovinato...
Sono io quella che è rimasta fottuta, non tu, stronza di una Yamashita
Strinse forte i pugni per cercare di calmarsi.
Poi un lampo di genio. Forse aveva trovato un lato positivo insito nella proposta del preside
“le ore di studio...” sussurrò.
Erano le prime parole che uscivano dalla sua bocca da quando era lì dentro
“sarebbero... cioè... durerebbero come una normale lezione? Dalle otto alle tre?”
Dimmi di sì, dimmi di sì, ti prego, ti prego!
“Sì. Avrebbero la stessa durata delle lezioni normali” rispose il preside
Perfetto.
Aveva la scusa per starsene lontana da casa per un po’ lo stesso. Aveva deciso di andare in gita soprattutto per stare lontana da casa un po’ e cambiare aria. Ora che non era più possibile, l’unica cosa che le restava da fare era riuscire a stare a distanza da sua madre il più a lungo possibile.
Era un ragionamento che ancora faticava ad accettare, divorata com’era dal nervosismo e dalla tristezza, però su due piedi le sembrava una proposta accettabile.
...
Kikyo e Sango non avevano resistito.
Nonostante Kagome le abbia rassicurate e aveva chiesto loro di aspettarla in classe e non davanti alla porta della presidenza, come invece loro volevano, loro erano preoccupate. Sapevano benissimo quel che era successo a Kagome il giorno prima, in ospedale. Come sapevano della sfuriata che aveva fatto il pomeriggio – Kikyo in primis, aveva assaggiato la furia dell’amica.
“Non vi preoccupate, davvero. Di sicuro, il preside vorrà solo sapere come sto e dirmi che ha già saputo tutto da mia madre circa la gita!” aveva detto loro Kagome.
A preoccuparle non fu il tono di Kagome e nemmeno quello che avrebbe detto e sentito con il preside.
Era stato il suo sguardo a tradirla.
Quel suo sguardo lievemente perso nel vuoto.
Erano preoccupate per la reazione che avrebbe potuto avere. Non volevano che soffrisse da sole ed erano pronte a fornirle delle spalle su cui piangere e delle amiche che l’avrebbero ascoltata e consolata.
Consce del fatto che Kagome non si sarebbe mai aperta del tutto nemmeno con loro, non potevano fare altro che aspettare. Aspettare che finalmente l’amica si decidesse ad aprirsi del tutto con loro.
Ogni tanto guardavano verso la porta chiusa della presidenza, per poi scambiarsi uno sguardo pieno di preoccupazione. Infine, tornavano a guardare davanti a loro. Senza mai cambiare posizione, con le spalle incollate al muro. Il tutto per dei minuti che sembravano interminabili.
Arrivederci, signore.
Quando sentirono quelle parole, flebili, pronunciate dall’amica tornarono in sé e si scostarono dal muro.
Kagome uscì dalla presidenza con lo sguardo basso e, se non fosse stato per le voci delle loro amiche, non si sarebbe nemmeno accorta che erano lì, ansiose di sapere com’era andata.
“Kagome...” ebbero appena il coraggio di sussurrare assieme.
Le sentì, eppure non aveva il coraggio di alzare gli occhi e guardarle. Non sapeva come avrebbe reagito. In quel momento l’unica cosa che sentiva era rabbia... nervosismo... ed era pronta a scagliarlo su chiunque, persino su di loro
“Come... come...” non riuscirono ad andare oltre, vedendola sempre con il capo chino e i pugni chiusi che tremavano come foglie.
Respirò a fondo.
Calmati, calmati... non puoi sempre sfogarti su di loro. Non puoi... non potresti con nessuno...
Deglutì e finalmente alzò il viso, cercando di abbozzare con immensa fatica un sorrisino che potesse anche solo lontanamente definirsi tale e accontentarle con quello.
Respirò ancora, stavolta più velocemente, quasi per non farsi vedere.
“Ma niente...” fece qualche passo in avanti per non incrociare i loro sguardi.
Non vederle in faccia l’avrebbe aiutata a non perdere le staffe nel giro di pochi secondi.
“Non vado in gita... starò qui a scuola a studiare... mentre voi altri...”
No, non dirlo
“mentre voi altri...”
No, non ce la faccio!
La rabbia la stava accecando rapidamente e privando della ragione con altrettanta velocità.
Inspirò di nuovo, con la voce tremante.
“Oh Kagome... noi...” disse Sango lentamente, ma fu subito interrotta
“Ma no, dai. Cosa volete che sia? Io studierò mentre voi vi divertirete ad Osaka! Del resto io odio quella città, non ci volevo nemmeno andare!”
Era talmente nervosa che quelle parole le uscirono con una velocità impressionante.
Si incamminò velocemente, lontana dalla presidenza e da loro.
“Aspetta!!” fu Kikyo a parlare stavolta
“Dove vai?!”
Si fermò
“Vado a pranzare. Ho una fame da lupi.”
Si voltò verso di loro. Non seppe come, ma trovò il coraggio
“E vorrei mangiare da sola, scusatemi”
Detto questo, riprese a camminare velocemente.
...
In realtà, non aveva appetito.
Il suo stomaco era sottosopra, non era decisamente il caso di infilarci qualcosa che avrebbe sicuramente rigettato un minuto dopo. Inoltre, non era dell’umore giusto per mangiare.
Proprio come il giorno prima, aveva la vista annebbiata e non riusciva a vedere bene dove metteva i piedi.
Con quella poca lucidità che le era rimasta, prima che l’ira l’avesse divorata del tutto, cercò di trascinarsi in un posto tranquillo ed isolato, dove pochissimi erano soliti andare.
E lei era una dei pochissimi.
La terrazza della scuola.
Vi si recò, incurante delle persone che, come ogni giorno, si voltavano per scrutarla dall’alto al basso mentre lei passava, che parlottavano e ghignavano. Non se ne curò, non aveva nemmeno voglia di rispondere per le rime – come ogni tanto faceva – ma di picchiarli fino a fargli sputare sangue sì.
Quella fioca lucidità che ancora conservava, però, le suggerì di non dargli retta, di non fermarsi e scatenare un pestaggio o lei sarebbe passata dalla parte del torto e, cosa ben peggiore, avrebbe alimentato ulteriormente le voci su di lei che, dopo mesi, ancora scorrevano insistenti tra gli alunni, ben lungi dal diminuire.
Con passo pesante, salì le scale incurante della schiena che chiedeva pietà a causa dello sforzo fisico a cui era sottoposta. Fece tre rampe di scale senza mai fermarsi, quasi non le importasse nulla né della schiena né del cuore che le martellava in petto.
Non capiva se martellava per lo sforzo o per il dolore.
Forse per tutte e due.
Non si fermò un solo istante.
Si sentiva soffocare, il petto stretto in una morsa.
Quando arrivò sul pianerottolo che dava sul davanzale aprì con mano tremante la porta, la attraversò piano e la richiuse alle sue spalle con altrettanta lentezza per poi appoggiare le spalle contro di essa.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente mentre il freddo vento di novembre le pungeva il viso.
Rimase immobile, in quella posizione, per un momento che le pareva eterno.
Si mosse soltanto quando un brivido di freddo la scosse.
Fece qualche passo.
E si rese conto che c’era già qualcuno lì: aveva intravisto una sagoma.
Sembrava un ragazzo, seduto per terra con un blocco da disegno posato accanto a lui.
Uffa...
Sbuffò.
Ma ritirò subito dopo il suo sbuffo perché l’altra persona l’aveva sentita. E non solo. Lo ritirò perché aveva visto che quella persona era lui.
Non ci aveva messo moltissimo a riconoscerlo: capelli neri e lunghi. Poi, come si voltò, riconobbe il suo viso e i suoi occhi d’ambra. L’aveva rincorso con lo sguardo tutta la mattina ed ora era lì, davanti a lei, come una manna caduta dal cielo in un momento inaspettato.
Arrossì non appena vide che lui le stava sorridendo. Un sorriso appena accennato eppure colmo di gentilezza e di tranquillità. Ricambiò il sorriso con un moto spontaneo, quasi senza rendersene conto.
“Ti va di sederti qui vicino a me?” sussurrò appena.
Ci mise qualche secondo prima di realizzare la proposta del ragazzo, era ancora troppo sorpresa.
“Eh? D-dici a me?”
Rise.
“A chi altri sennò? Qui ci siamo solo io e te!”
E rise di nuovo.
Che figura...
Voleva sprofondare dalla vergogna.
Il ragazzo si spostò un po’ più a sinistra, quasi a volerle fare spazio, come se non ce ne fosse abbastanza per lei in quell’ampia terrazza. Voleva accertarsi che si sedesse accanto a lui.
Avanzò timidamente e si accomodò a pochi centimetri da lui, raccogliendo le ginocchia strette tra le braccia verso il petto.
Improvvisamente non sentiva più freddo. Il vento continuava a soffiare, gelido e insistente. Eppure non lo sentiva. Non sapeva nemmeno cosa pensare: non le era mai capitato, mai, nemmeno con Hojo, che una persona potesse colpirla con una facilità impressionante. Con la stessa facilità con cui si alza un dito della mano. Non credeva di essere così debole. O così fragile.
L’occhio cadde sul blocco da disegno che aveva accanto a lui.
“Disegni?” domandò
Il ragazzo rispose con un cenno della testa. “Mi rilassa”
“Davvero? Io non sono molto brava con i lavori manuali! Invece di rilassarmi, mi stressano. Sono un po’ impedita!” e ridacchiò
Si guardarono negli occhi senza dire nient’altro per alcuni secondi. Kagome si accorse che quella visione le stava procurando un aumento eccessivo della temperatura con tanto di rossore sul viso e decise di guardare altrove. Poi azzardò una domanda:
“Posso vedere qualche disegno?”
Sorrise.
“Ma certo” disse con un sussurro.
Prese il blocco con le mani tremanti: emanava una strana aura di preziosità. Aveva paura di romperlo o di danneggiarlo. Ma la sua curiosità premeva. Sollevò la copertina color ocra e osservò un panorama notturno di una città: sembrava ritratto su un cavalcavia. Una strada, con il contrasto di giallo e rosso delle luci delle auto e bianco e blu delle scritte in neon dei negozi. La gente che cammina e osserva le vetrine. Era un semplice acquarello ma sembrava così vivo... Ne rimase affascinata.
“Che bello” le sfuggì quasi involontariamente.
Quel disegno sembrava non bastarle mai. Osservava un dettaglio, lo imprimeva nella memoria, poi passava ad altro e così via...
Quando girò il foglio era quasi dispiaciuta.
“Come sei bravo... sembra quasi di poter essere lì con quella gente, di poterla toccare” era estasiata
“Grazie...” riuscì a mugugnare il ragazzo, lievemente imbarazzato
C’erano poi vari acquarelli e disegni a carboncino: fiori, tramonti, ritratti di bambini che giocano al parco, donne che parlano, immagini fantastiche... Era semplicemente... tutto... fantastico...
Sospirò emozionata.
“Caspita! Faccio questo effetto?” e ridacchiò ancora
“Sai... si dice che i disegni rispecchino l’animo dell’artista. Io ci credo... è per questo che sono così affascinata...” confessò tenendo gli occhi fissi sul blocco.
Lo sfogliò tutta concentrata fino a quando arrivò ad un disegno che catturò la sua attenzione: rappresentava una ragazza di spalle, con il viso rivolto verso lo spettatore e le mani dietro la schiena. Indossava un lungo vestito semplicissimo bianco a maniche corte e rovinato. I polsi erano stretti da catene, il suo sguardo... era indecifrabile. A metà tra il dolore e la rabbia. Quella figura esile dai capelli neri scompigliati e lunghi si innalzava sulla superficie dell’acqua, con un piede che la sfiorava appena creando delle increspature perfettamente concentriche. Quello era l’unico accenno di fondale: non c’era nient’altro.
Sussultò.
Non voleva peccare di presunzione ma...
Questo volto... questa ragazza...
Fissò il ragazzo accanto a lei, incapace di formulare alcuna domanda: qualunque parola provasse a formulare le moriva in gola.
“te ne sei accorta, eh?” e sorrise, pacifico.
Leggeva stupore nei suoi occhi.
“Vai avanti, guarda i disegni successivi”
Obbedì senza fiatare.
Le pagine dopo erano ancora dedicate a quella ragazza: un suo primo piano in cui teneva gli occhi chiusi, un’immagine a mezzo busto in cui teneva le mani, sanguinanti, sul petto, un altro ancora di profilo con lo sguardo ottenebrato...
Un brivido dopo l’altro la scotevano.
“Ma... ma...”
“Ti somiglia, eh? Ad essere sincero, mi sono proprio ispirato a te per questi disegni” confessò sereno.
La conferma definitiva ai suoi dubbi.
Tornò a scrutarlo, lo sguardo carico di dubbi.
“quando ti ho vista su quel cavalcavia... due giorni fa, con lo sguardo perso altrove. Non so... hai trasmesso un senso di dolore. Sembrava quasi che tu cercassi di soffocarlo con tutte le tue forze, ma non ne avevi abbastanza per riuscirci del tutto. C’era...” sospirò, senza mai distogliere lo sguardo dal suo
“c’era una strana luce nei tuoi occhi. Come se fosse l’unico segno di vitalità che il tuo corpo emanava. Quella luce diceva: combatto ma sono viva. Combatto ma non credo di vincere.”
Si fermò ancora a fissarla.
Suonò la campana, segnando la fine della pausa pranzo.
Lui si alzò in piedi e poi aiutò Kagome, porgendole una mano.
Che mano calda...
Quando anche lei fu in piedi, con il blocco da disegno stretto contro il petto, si fissarono ancora.
Comunicavano con gli occhi.
Lei comunicava stupore, lui... dolcezza.
“Ah... a proposito! Io sono Inuyasha Taisho! Piacere di conoscerti...” aspettava che anche lei si presentasse
“K-Kagome Higurashi” balbettò.
Sorrise.
“Bene, almeno non dovrò più chiamarti Alcyna! Dai, andiamo a lezione!”
“Senti!” lo bloccò ancor prima che si potesse muovere
“Posso... posso tenere questo blocco e osservarlo meglio durante la prossima ora?”
“Ma dai... non ci si distrae a lezione!” e rise
“Ma la prossima ora è quella di ginnastica... e io ho la giustificazione, non posso... non posso farla” rimase molto vaga, non voleva dirgli la verità. Lui era ancora immune ai pettegolezzi e voleva conservarlo come tale ancora per un po’.
Si aspettava un no secco. Del resto, si conoscevano appena e lui sembrava tenere molto ai suoi disegni: perché mai avrebbe dovuto prestarlo a lei?
“Va bene, allora”
Come? Davvero? Evviva!
La prima notizia positiva della giornata.
Anzi, no. La seconda.
La prima era aver scoperto che Inuyasha era il suo nuovo compagno di classe.
Sorrise appena e poi si diresse con lui verso l’aula prima che arrivasse il professore di ginnastica.
Nota dell'autrice: scusate il ritardo ù_ù Ma proprio oggi avevo un preappello di sociologia della famiglia e solo oggi iniziano per me le vacanze. Tra l'altro, escluso il 31 dicembre, l'1 e il 6 gennaio, per me finiranno il 27 perchè devo dare diritto pubblico a febbraio e devo rimboccarmi le maniche... Ho scritto un pò a rilento e oggi volevo assolutamente terminare! Ed ecco qui! *_* Allora... alcuni altarini iniziano ad essere scoperti su Kagome. Se non avete capito, rileggete bene la scena del bagno: ad ogni modo, avrete presto conferme!^_^ Anche Inucchi non sarà da meno! Eh eh eh... ho in serbo un sacco di cose! +_+ *si sfrega le mani*. Bene, questo capitolo è il mio regalo di Natale per tutti voi che leggete, recensite e aggiungete Aoki ai miei preferiti! *_* Non so come ringraziarvi! Grazie di cuore!
L'autrice risponde ai commenti:
ryanforever: ma ciao *_* Sono proprio contenta che tu continui a seguirmi! Piaciuto l'intermezzo? Preparati perchè presto ne arriverà un altro! ^^ Buon Natale!
Kagome19: no, ti ho deluso? :( Mi dispiace! Meno male che l'intermezzo ti è piaciuto! E spero ti piaccia questo capitolo! E' lungo abbastanza? ^^ Auguri anche a te!
HimeChan XD: wow, una nuova lettrice! *_* Grazie mille! A volte fa piacere anche quelli che tu chiami "commenti banali" sai? :) *il mio ego si gonfia* buon natale! ^^
Evil Cassy: bene bene *__* Sono proprio contenta, la tua recensione mi ha fatta gasare! *^* Ti ringrazio per i complimenti! Per quanto riguarda Inuyasha, ce ne vuole ancora prima che sveli tutto quanto ho in serbo per lui ma piano piano lascerò degli indizi! ^_* Eh eh, se mia madre fosse davvero così l'avrei già strozzata! XD Buon Natale!!
Beverly Rose: un'altra fan, che bello!! *__* Caspita, la mia storia era da leggere per prima? Onorata! *_* Eh eh, ma sì capita a tutti di ripetere! Io non faccio che ripetere "*_*" come vedi! ^^ Spero di non deluderti con il seguito!
Allora... il prossimo capitolo sarà un altro intermezzo! Mi serve decisamente perchè capiate qualcosa (sarà più rilevatore che confusionario stavolta XD) più avanti! Spero di pubblicarlo entro il 31, lo sto già scrivendo! Chiunque indovina quale sarà il protagonista dell'intermezzo potrà avere tutte le anticipazioni che vuole su Aoki o chiedermi tutto quel che vuole a riguardo! XD Grazie davvero a chi legge, recensisce e mette tra i favoriti! Fatemi un regalino di Natale e commentate, ok? ^_* Ancora Buon Natale a tutti! |
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Capitolo 8 *** Intermezzo ~ Cold heart ***
Intermezzo ~ Cold heart
Non so come abbia fatto.
Ad affezionarmi così tanto a lei, intendo.
Non mi è mai stato facile affezionarmi a qualcuno, in generale.
Pensavo di poter attirare un po’ l’attenzione che mi era sempre stata negata mostrandomi impeccabile in tutto.
Brava a scuola.
Gentile con tutti.
Condotta perfetta.
Ma odiavo tutte le persone che mi apprezzavano per quelle mie false qualità.
Non sopportavo l’ipocrisia altrui.
Ma me l’ero cercata.
Era lo scotto da pagare per essere considerata.
Lei mi ha fatto capire che non era necessario.
E, lo ammetto, all’inizio la odiavo per quella sua rivelazione spontanea.
Perché ti sforzi di apparire ciò che non sei?
Non volevo apparire ciò che non ero.
Volevo apparire ciò che desideravo essere.
Volevo che gli altri mi amassero, a qualunque costo.
Tutto qui.
Ma per lei era impossibile da cogliere.
Per me no, ovvio.
Non le andavo bene.
La mia maschera non le andava bene.
All’inizio pensavo lo facesse per gelosia.
Per strapparmi via la maschera, farsi bella davanti a tutti e schernirmi.
L’ho odiata a lungo.
Popolava i miei incubi.
Non volevo che mi strappasse via tutto quello che avevo faticosamente guadagnato.
Quando poi si unì anche Sango credevo di essere fritta.
Due contro uno.
Non mi sembrava un bel gioco.
Passavo le ore a mangiarmi le unghie dal nervosismo.
A strapparmi i capelli.
Avevo passato quattordici anni d’inferno.
Con i miei genitori annegati nel ricordo della mia sorellina.
Effetti della trascuratezza.
Poi però...
Non so cosa è stato esattamente a sbloccarmi e a ricredermi.
Le tue lacrime?
Le molte volte in cui ti interessavi a come stessi veramente?
So solo che con una forza disarmante...
... con un semplice sorriso... tanto semplice da sembrare quasi disumano...
... mi hai fatta crollare.
Ora tu sei come una seconda sorellina.
Ma non dimentico che tra noi sei tu la più forte.
In questi mesi ti ho vista soffrire.
Ho aspettato che tu venissi a parlare con me.
Sto ancora aspettando.
Non ho la tua stessa forza e la tua stessa determinazione.
Però ti sono vicina.
E nemmeno la sua comparsa riuscirà a distogliere la mia attenzione da te.
Sei la mia dolce sorellina.
E non ti cambierei per nulla al mondo.
Credo che tu lo sappia, no?
Ciò che non sai... ciò che non capisci... ciò che non senti...
È il freddo che sento.
Tanto freddo...
Per colpa sua.
E per una volta, vorrei anche provare a riscaldarmi.
Me lo concedi, sorellina?
Nota dell'autrice: urca °_° Ehm... sì, non è che sia molto rivelatore questo intermezzo! Scusate, è venuto così XD Però, rispetto ai misteri che circondano Inuyasha, questi verranno svelati molto, molto prima! ^_^ Allora, la protagonista dell'intermezzo è... Kikyo ^^ Quindi, complimenti a Beverly Rose che ha azzeccato ^^ Ma anche a Roro, ci sei andata vicina xD Siccome soltanto voi due avete provato a tirare a indovinare... Beverly Rose che ha azzeccato può chiedermi tutti gli spoiler che vuole, come promesso! *_* Roro, invece, ha un premio di consolazione: puoi chiedermi uno spoileruccio piccolo piccolo su un personaggio che non sia Inuyasha XD Sorry, ma gli spoiler più succosi sono su di lui *ç* Detto questo, per contattarmi non usate il form di efp, mi trovo più comoda via mail... Quindi scrivetemi pure a QUESTO
indirizzo e-mail! ^^ Venendo a noi... nel prossimo capitolo svelerò il mistero della scena del bagno che si collega ad una delle ancore di salvezza di Kagome più qualche altra cosetta... Preparatevi! ^^ Di sicuro non riesco ad aggiornare prima del 31, quindi vi auguro buon Santo Stefano e buon anno nuovo! Noi ci risentiamo a gennaio! ^_^
L'autrice risponde ai commenti:
Kagome19: eh eh, non preoccuparti! Nel prossimo capitolo verrà svelato tutto! ^_* Urca, in bocca al lupo per l'università... e buon anno nuovo! ^^
ryanforever: sono contenta che ti sia piaciuta la scena dei disegni *-* Per gli spoiler... bisognava sparare prima che pubblicassi questo intermezzo :( Magari mi sono spiegata male io... se vuoi, scrivimi lo stesso, ti propongo lo stesso premio di consolazione per roro ^^ Buon 2009!
stella93mer: wow una nuova lettrice! ^_^ Grazie mille per i complimenti, spero continui a piacerti Aoki! Buon anno nuovo!
roro: buondì ^^ Non ti preoccupare, anche io sono stata assente due mesi prima di pubblicare un capitolo :D Nel prossimo capitolo scoprirai se hai ragione ^^ E per quanto riguarda l'ipocrisia, l'approfittare... non posso che darti ragione. Avendo provato tutto quello sulla mia pelle, posso dire che la soluzione migliore è ignorare tutto. Ma con il carattere che ho, è molto difficile... Vabbè... Mi raccomando, sfrutta il premio di consolazione ^^ E buon 2009!
KaDe: ciao cara *-* Sono proprio contenta che la storia, la mia Kagome ti piacciano! ^^ Sì, è vero, Inucchi ora è molto dolce ma presto tornerà quel groppone... ^^" Aspetta e vedrai... *sospira e si sfrega le mani* Buon anno nuovo! ^_^
robychan88: caspita! *_* La tua recensione mi ha fatto molto piacere, sono davvero felice che tu sia rimasta coinvolta da Aoki!! *__* Cercherò, tra i vari impegni, di continuare meglio che posso e prima che posso! Continua a seguirmi, se ti va ^^ Buon anno nuovo!
Beverly Rose: ecco qua la "vincitrice" ^^ Sopra, nella nota, trovi l'indirizzo per contattarmi! Chiedi ciò che vuoi ma, mi raccomando, poi acqua in bocca! ^^ Eh eh, ti ho mandato in confusione con l'intermezzo, eh? Prima o poi tutti i nodi verranno al pettine! ^_^ La mia colpa è quella di amare i misteri e svelarli con cautela uno alla volta, come una grossa matassa da sbrogliare: ci vuole pazienza ^^ E poi... beh, se non li avessi fatti incontrare in questo capitolo, probabilmente avrei sclerato anche io :D eh, eh, sono pur sempre una fan di Kagome e Inuyasha! ^^ Buon 2009!
Ancora, grazie mille a chi commenta, a chi aggiunge ai preferiti e anche a chi legge soltanto! Ormai le letture di Aoki sono tantissime, vi giuro e questa cosa mi riempie di gioia! Grazie, grazie, grazie! Non so proprio come ringraziarvi! Augurandovi ancora un buon anno nuovo, ci sentiamo sul prossimo capitolo! ^_^ |
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