Sometimes

di Mayld
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


CAPITOLO PRIMO
 
Erano appena le sei e mezza del pomeriggio, eppure quando Bella uscì dalla porta sul retro della locanda, trascinandosi dietro con straordinaria goffaggine due grossi sacchi neri, si ritrovò immersa nelle tenebre.

Si andava verso la primavera e a quell’ora gli ultimi chiarori del crepuscolo sarebbero stati ancora visibili, se soltanto il cielo non fosse stato interamente coperto da una fitta coltre di nubi.

Bella lanciò una rapida occhiata al cielo nero e senza stelle che la sovrastava, poi chiuse gli occhi e per alcuni istanti respirò a pieni polmoni l’aria fredda e pungente che la circondava.

In quel momento non avrebbe desiderato altro che montare in macchina, tornare a casa e mettersi comoda sul divano con un buon libro e una tazza di tè; soltanto quello si sarebbe potuto definire un gran bel venerdì sera, per quanto la riguardava.

E invece, come sempre, aveva finito per incartarsi in programmi che non la allettavano minimamente.

‘Stasera esco a prendere qualcosa con gli amici’ Aveva detto a Charlie quella mattina, mentre usciva per andare a scuola. Lei stessa aveva provato un certo senso di disagio e disgusto nel pronunciare quella frase, che peraltro -a ben pensarci- era davvero una frase stupida e priva di significato.
Anche se una piccola e sempre più debole vocina nella sua testa continuava a ripeterle che era la cosa giusta da fare, e che per lei era necessario farsi coinvolgere e socializzare con i nuovi compagni di scuola, c’erano almeno una dozzina di buone ragioni per cui Bella non ne sentisse affatto il bisogno né tantomeno il desiderio.

Tanto per cominciare le decine di libri che la attendevano a casa, impilati in ogni angolo libero della sua camera, non si sarebbero certamente letti da soli; inoltre, l’idea di farsi in quattro alla locanda quattro pomeriggi a settimana per poi finire a spendere la misera paga guadagnata in patatine fritte o drink annacquati durante il weekend era per lei una pugnalata in pieno petto.

Scosse la testa come per liberarsi dei suoi stessi pensieri, riaprì gli occhi e con estrema fatica trascinò i due sacchi ricolmi di immondizia fino ad un grande bidone grigio poco distante.

Mentre raggiungeva il pick-up, parcheggiato in un piccolo spiazzo debolmente illuminato da un paio di vecchi lampioni, estrasse dalla tasca posteriore dei jeans le mance della giornata; per qualche momento si passò i pochi spiccioli tra le dita, studiandoli con una certa soddisfazione, sebbene nel profondo fosse ben consapevole del fatto che, andando avanti di questo passo, avrebbe realizzato i suoi sogni di indipendenza non prima dei quarant’anni. Ma per il momento il solo fatto d’aver trovato in 5 giorni dal suo arrivo a Forks un lavoretto part-time che non si sovrapponesse agli orari scolastici e le consentisse di mettere da parte qualcosa, anche se poco, era sufficiente a farla sentire orgogliosa ed in pace con se stessa.

In macchina aveva pronto un cambio per la serata; non che avesse intenzione di mettersi carina per qualcuno o cose simili, ma presentarsi con una maglia macchiata di caffè e crema le sembrava eccessivo. In effetti la sua totale mancanza di coordinazione non era di grande aiuto nel lavoro, tanto che fino a quel momento era probabilmente finito più caffè sul suo grembiule che non ai tavoli dei clienti.

Bella montò sul pick-up, chiuse la portiera e, chinandosi e contorcendosi per impedire a chiunque fosse passato di lì (assolutamente nessuno) di vederla in biancheria intima, si infilò una canottiera pulita, una felpa bordeaux di qualche taglia più grande del dovuto e un paio di jeans scuri.
Stretto il volante tra le mani, inspirò ed espirò a fondo prima di accendere il motore e partire alla volta del locale dove i ragazzi si erano dati appuntamento.

***

Il Misty Valley era un piccolo ma vistoso pub che si trovava proprio al limitare di Forks, quasi all’imbocco della statale 101. Da un lato confinava con le ultime case della cittadina, mentre dall’altro si affacciava su di un vasto prato di cui, a causa del buio, non si riusciva a scorgere la fine.

Nel piccolo parcheggio ghiaioso destinato ai clienti del locale erano già presenti una quindicina di macchine quando Bella arrivò; non senza provare un discreto imbarazzo, parcheggiò il suo vecchio pick-up cigolante nel primo posto libero che vide, proprio accanto ad un’automobile color grigio metallizzato tirata a lucido che sembrava valere cinque volte la casa di Charlie.  

Aveva già visto quella macchina nel parcheggio della scuola, perciò doveva appartenere ad uno dei suoi compagni; leggermente stizzita per quell’esagerata ostentazione di ricchezza, ma allo stesso tempo rincuorata dal sapere di non essere la prima arrivata (cosa che l’avrebbe messa ancor più a disagio), scivolò lungo lo stretto spazio presente tra le fiancate delle due auto e si diresse verso l’ingresso del locale.

Aprì la porta talmente piano e controvoglia, che quando fu a metà per un momento pensò seriamente di mollare la maniglia e darsela a gambe; ma ecco che di nuovo spuntò da un punto profondo e non ben identificato della sua testa quella fastidiosa vocina che la implorava di comportarsi come una normale diciassettenne e passare il venerdì sera con gli amici.

L’interno del Misty Valley era estremamente caotico, pareva quasi che mezza Forks avesse deciso di passare lì la serata. Lunghe tavolate di legno piene zeppe di boccali di birra e cestini di pane occupavano gran parte dell’area calpestabile del pub, tanto che le persone in piedi erano ammassate l’una sull’altra, e quelli che cercavano di aprirsi un varco per raggiungere il bancone dovevano letteralmente farlo con la forza.
Bella rimase impalata sull’uscio, pallida come un cencio.

‘Beh, sono arrivata fin qui, non si può dire che io non ci abbia provato…’ Pensò tra sé e sé, cercando di giustificare a se stessa la propria codardia, mentre già accennava a voltarsi per uscire.

Non ebbe il tempo di arretrare di un passo che si trovò a sbattere contro qualcuno alle sue spalle, evidentemente in attesa di entrare.

< Isabella! > Esclamò pimpante un ragazzo biondo e robusto, stringendole da dietro le spalle con le sue grosse mani e sporgendosi in avanti per vederla in faccia.

Bella sobbalzò, diventando ancor più pallida di quanto già non fosse.

< E..ehilà > Balbettò, premendosi una mano sul petto per lo spavento.

Era Mike Newton, uno dei primi ragazzi che Bella aveva conosciuto nella nuova scuola, nonché quello che l’aveva espressamente invitata alla serata.
Ogni suo piano di fuga andò in fumo all’istante; era spacciata.

< Sai, non prenderla male ma per qualche motivo sentivo che non saresti venuta > Ridacchiò il ragazzo, grattandosi la nuca con fare impacciato.

Bella chinò rapidamente il viso per nascondere l’improvviso rossore che aveva assalito le sue guance.

< Ma scherzi? > Replicò lei con una risatina nervosa < Non mi è mai passato per la testa… >.

Nonostante la pessima interpretazione, Mike parve credere alle sue parole, perché si lasciò immediatamente andare ad un largo sorriso.

< Sarà una gran serata! > Esclamò entusiasta, ed appoggiate le mani sulla schiena della ragazza iniziò a sospingerla verso il centro del locale.

Man mano che procedevano tra la folla, Bella scorgeva sempre più volti familiari; seduto a cavalcioni su una panca di legno al lato opposto del pub c’era Steve, il vecchio benzinaio mezzo cieco e mezzo sordo che abitava nella casa accanto a Charlie. Davanti a lui, sul tavolo, giacevano 5 o 6 boccali di birra vuoti e benché non si potesse esser certi che li avesse bevuti tutti lui, il colorito quasi violaceo del suo viso ed il modo bizzarro in cui agitava in aria le braccia senza un’apparente ragione facevano ben pensare che fosse andata così.

Un gruppetto di ragazzi sulla trentina, cui Bella aveva maldestramente portato il caffè un paio d’ore prima alla locanda, ora occupava una tavolata stracolma di cibo.

La ragazza, presa com’era a guardarsi attorno, si accorse di aver raggiunto il suo gruppo di “amici” soltanto quando le mani di Mike smisero di fare pressione sulla sua schiena ed il faccino roseo di Angela le si piantò ad un palmo di naso.

< Siete arrivati! > Esclamò con voce stridula, avvolgendo Bella in un abbraccio soffocante.

Le sue guance tornarono ad arrossire; di fronte a tutto l’entusiasmo che quei semi-sconosciuti stavano manifestando nei suoi confronti, iniziava a sentirsi seriamente in colpa per tutti i brutti pensieri che aveva avuto riguardo a quella serata.

Alle spalle di Angela, seduti all’estremità di una lunga tavolata ed immersi in una fitta conversazione, c’erano altre due compagne di scuola -di cui Bella non ricordava assolutamente i nomi- ed Eric, un ragazzo moro e carino che ronzava sempre attorno ad Angela. I tre erano talmente presi dal loro discorso ed impegnati a lanciare occhiate curiose verso un punto imprecisato del locale, da non essersi nemmeno accorti dell’arrivo di Bella e Mike.

< Di che si parla? > Chiese Mike allegro, sedendosi accanto ad Eric e battendogli una mano sulla schiena.

Il ragazzo ebbe un sussulto.

< NEWTON! > Esclamò, rispondendo al saluto di Mike con una spallata amichevole. Poi, sollevato lo sguardo e riconosciuta Bella, un’espressione euforica si fece largo sul suo viso.

Aggiunse, sfoderando un sorrisetto provocatorio ed appoggiando una mano ben aperta sul tavolo, di fronte a Mike.

Le due ragazze sedute di fronte ad Eric trattennero a stento una risata.

Mike arrossì visibilmente < Piantala idiota, non adesso > sibilò a denti stretti.

< Una scommessa è una scommessa. È venuta, ho vinto io > Insistette l’altro.

Bella osservava la scena attonita. Era arrivata a Forks da meno di due settimane e già era oggetto di scommesse e pettegolezzi; un incubo.  

Provò ad azzardare una risata, nel disperato tentativo di dissimulare il profondo disagio che stava provando, ma con scarsissimi risultati.

Angela se ne accorse immediatamente e con una risatina nervosa si affrettò a cambiare argomento.

< Beh, pensate di spostarvi o volete lasciarci in piedi tutta la sera? > E nel dire ciò lanciò ad Eric un’occhiata eloquente, che a Bella non sfuggì.

Il ragazzo ritrasse di scatto la mano e, abbassato lo sguardo come un cane che sa di averne appena combinata una, scivolò sommesso verso sinistra.

Mike sembrava ancora agitato, ma non aggiunse nulla; si limitò a scivolare a sua volta lungo la panca, arrivando addosso ad Eric con un po’ troppa violenza.

Angela prese posto accanto alle ragazze, mentre Bella, imbarazzata e rigida come un tronco, si sedette a fianco di Mike.

Per alcuni istanti tutti rimasero in silenzio, fatta eccezione solo per una delle ragazze che, portatasi un fazzoletto alla bocca, cercava invano di soffocare le risate.

< Che si diceva? > Chiese Bella frettolosamente ed in maniera quasi meccanica, decisa in tutti i modi a riportare l’attenzione del gruppo su qualcosa che non riguardasse lei.

< OH, sì > Fece Eric eccitato, con una scintilla di frenesia negli occhi. Si sporse leggermente in avanti sul tavolo, come se dovesse raccontar loro un segreto, e dopo aver guardato intensamente Mike negli occhi per alcuni istanti disse a bassa voce:
< Caroline Pitts >

Mike si tirò su di colpo e batté un pugno sul tavolo.

< Non posso crederci! DIVINA > E nel dirlo si voltò verso il centro del locale, cercando di qua e di là con impazienza.

< Ma andiamo, non è niente di speciale > Borbottò seccata la ragazza riccia che fino a quel momento aveva ridacchiato sotto il fazzoletto.
< Sono d’accordo; la Hastings era meglio > Aggiunse l’altra, castana e piuttosto robusta.

< Ma siete serie?! > Ripeté Mike incredulo, interrompendo la sua affannata ricerca per guardare in cagnesco prima l’una, poi l’altra. < Caroline Pitts è il massimo, l’apice, il biglietto d’oro! Da lei in poi la qualità può solo calare >

Eric ascoltava il monologo appassionato di Mike con le braccia incrociate e l’aria compiaciuta, fiero di ciò che aveva scatenato; voleva chiaramente che l’amico portasse avanti una battaglia da lui stesso iniziata.

Angela non sembrava affatto presa dal discorso, e anzi di tanto in tanto alzava gli occhi al cielo scuotendo la testa.

Bella, più confusa che mai, cercava di capire di cosa diavolo si stesse parlando.

< Ma siete sicuri che sia Caroline Pitts? > Bisbigliò Mike, pronunciando quel nome con tono quasi ossequioso, mentre tornava a frugare il locale con lo sguardo.

< Dimmi tu se non è lei > Rispose Eric, puntando un dito verso il bancone del pub.

Bella si voltò a guardare nella direzione indicata, e dopo aver scrutato un po’ tra la folla individuò una giovane coppia seduta in fondo al bancone, in atteggiamenti piuttosto intimi. Senza alcun bisogno di spiegazioni, fu immediatamente certa che fosse proprio quella coppia l’oggetto della discussione.

Non c’era alcun dubbio.

Lei -bionda, alta e slanciata- era di una bellezza disarmante, e lui, se possibile, ancora di più. Aveva i capelli folti, di un color castano tendente al rosso, e i lineamenti del suo viso erano talmente armoniosi da sembrare innaturali.

< Incredibile, è davvero lei > Sussurrò Mike in estasi < Ma dove diavolo le conosce tutte queste modelle? E soprattutto come diamine fa a portarle a Forks? > Ora la sua voce era carica di rancore.

< Basta guardarlo, Mike > Sospirò la riccia, fissando la coppia al bancone con aria sognante < Probabilmente sono le modelle a fare la fila per uscire con lui e non viceversa >

< Ma chi sono? > Chiese Bella ingenuamente, stanca di essere l’unica a non capire di cosa si stesse parlando.

Di colpo si trovò cinque paia di occhi increduli puntati addosso.

< Non sai chi è Caroline Pitts?! > Esclamarono sconvolti i ragazzi, mentre, all’unisono, le tre ragazze dicevano < Non sai chi è Edward Cullen?! >
Bella, imbarazzata, scosse piano la testa.

< Caroline è una famosa modella della West Coast > Spiegò Angela, che sembrava l’unica al momento in grado di parlare < Mentre Edward, beh… non ti è ancora capitato di incontrarlo a scuola? >

< E’ un nostro compagno? > Chiese Bella sorpresa, scrutando di nascosto il ragazzo al bancone che ora stava ridendo di gusto, ma sempre mantenendo una compostezza impeccabile.

< Di certo non l’ha incontrato, o se ne ricorderebbe > Commentò la riccia.

A quelle parole sia Mike che Eric si irrigidirono, visibilmente seccati dalla piega che aveva preso il discorso.

< Addirittura Reb > Sbuffò Mike, raddrizzando la schiena e ostentando indifferenza < Per me è solo uno che sa vendersi bene >

< Talmente bene che ogni settimana viene qui con una modella diversa > Ribatté Rebecca sarcastica.

Bella, quasi senza rendersene conto, sbuffò contrariata.

< Insomma, un donnaiolo > Commentò con un tono di voce carico di disprezzo.

Aveva sempre avuto un rapporto estremamente conflittuale con il genere maschile; la separazione dei suoi genitori quand’era ancora una bambina l’aveva segnata profondamente, instillando in lei la convinzione che nessun sentimento potesse essere sufficientemente forte e sincero da restare intatto per tutta la vita.

Questa convinzione non aveva fatto che rafforzarsi durante gli anni della sua adolescenza, quando -vivendo a Phoenix con la madre- era stata spettatrice delle numerose relazioni sentimentali di quest’ultima, tutte puntualmente finite male.

A pensarci bene era quasi ironico come l’inesauribile romanticismo di sua madre, che aveva sempre portato quest’ultima ad una continua e quasi ossessiva ricerca del “vero amore” (così lo chiamava lei), fosse la principale causa della totale mancanza di fiducia nell’amore di Bella.

Infine, a confermare definitivamente le sue teorie, c’erano le persone come Edward Cullen. Persone di cui, purtroppo, il mondo era fin troppo pieno; persone profonde quanto pozzanghere, che non davano alcun valore alle relazioni o ai sentimenti.

Più Bella si lasciava andare a questi pensieri e più sentiva montare dentro di sé la rabbia ed il disgusto.

Si voltò dall’altra parte e per tutta la serata evitò di guardare in direzione del bancone, perché sentiva che se l’avesse fatto avrebbe potuto vomitare.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


CAPITOLO SECONDO
 
< Bella, non hai mangiato quasi nulla > Si lamentò Charlie mentre la figlia, già sull’uscio di casa, si infilava in gran fretta cappotto e scarpe da ginnastica per uscire.

< Si vede proprio che non sei più abituato ad avere donne in casa > Ridacchiò lei, lanciandogli un’occhiata sarcastica < Il fatto che io mangi meno di te non significa che mangi poco >

Charlie incrociò le braccia al petto e borbottò qualcosa sottovoce.

Dal salotto giunse l’eco di un ticchettio frenetico, proveniente dal grande orologio a muro a forma di trota che Charlie aveva vinto ad un festival della pesca e che, merito della sua completa mancanza di gusto, aveva orgogliosamente deciso di appendere proprio in mezzo alla parete del soggiorno.

Bella sobbalzò, come le capitava due volte su tre quando quell’affare iniziava a suonare.

< Oddio, sono già le due > Farfugliò in preda al panico, annodando a caso le spighette della seconda scarpa.

< Bells, davvero hai mangiato poco… > Ci riprovò Charlie, grattandosi imbarazzato il retro della nuca.

Era evidente che non avesse idea di come approcciarsi alla figlia, o più in generale ad un qualunque essere vivente che condividesse con lui la casa, dopo tanti anni di vita solitaria; ma era altrettanto evidente -e questo sotto sotto inteneriva Bella- che volesse impegnarsi per non farle mancare nulla.

< Ti prego, papà, sono in ritardo > Rispose di getto Bella, ma si sforzò di sorridergli < Prometto che se mi verrà fame mangerò qualcosa alla locanda >

Charlie parve tranquillizzato dalla risposta.

Senza abbandonare la sua espressione seriosa tornò ad incrociare le braccia ed annuì, fiero di poter dire che la sua parte l’aveva fatta.

Bella afferrò da terra lo zaino, se lo mise su una spalla e aprì la porta di casa.

< Ah, Bella, stasera.. > Aggiunse frettolosamente Charlie, come ricordatosi all’ultimo momento di qualcosa di fondamentale < Se non hai altri programmi, voglio dire… potresti venire con me a cena da Billy… sai, il vecchio Billy Black… che ne pensi? > Borbottò, visibilmente imbarazzato, evitando di guardare Bella negli occhi mentre parlava.

Bella, che dopo lo sforzo immane compiuto la sera prima per convincersi ad uscire aveva ardentemente sperato di poter recuperare il suo programma serale a base di té caldo, divano e libri, per un momento rimase immobile sulla porta, fissando il padre senza dire una parola.

Le sembrava quasi di poter sentire dal piano di sopra i lamenti di Anna Karenina, ingiustamente abbandonata sul suo comodino da più di una settimana; ma l’immenso sforzo che Charlie aveva fatto nell’avanzarle la proposta la convinse a cedere.

< Nessun programma. Vengo volentieri > Rispose accennando un sorriso, e prima che lui potesse accorgersi della bugia uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle.

Bella corse verso il pick-up, rischiando di inciampare in una piastrella leggermente rialzata del vialetto.

Lavorava alla locanda dietro la scuola da appena una settimana e già rischiava di arrivare in ritardo; il suo turno sarebbe iniziato di lì a 10 minuti e lei non era tipo da superare i limiti di velocità o passare con il rosso.

Come spesso le succedeva nei momenti di agitazione, si perse completamente nei suoi intricati pensieri, cercando di valutare se le convenisse perdere la patente oppure il lavoro. Giunse presto alla conclusione che senza paga non avrebbe più potuto pagarsi nemmeno la benzina, così il lavoro vinse a mani basse.

Inoltre, essere la figlia del capo della polizia aveva i suoi vantaggi.

Spalancò la portiera del pick-up, pronta a montare su e fare la corsa più pazza della sua vita, ma qualcosa la costrinse a fermarsi. Richiuse piano la portiera ed osservò meglio ciò che nella fretta le era parso di vedere.

Una grossa ammaccatura era comparsa proprio al centro della fiancata.

Bella, nervosa e confusa, si chinò a bocca aperta per osservare il danno più da vicino. Proprio come aveva temuto e sospettato, intravide una sottile striscia di vernice grigia al centro dell’ammaccatura. 

L’idiota proprietario dell’auto di lusso accanto alla quale Bella aveva parcheggiato la sera prima fuori dal Misty Valley doveva aver preso in pieno il pick-up aprendo la portiera, e a causa del buio lei non se n’era accorta subito.

Improvvisamente furiosa, Bella iniziò a perlustrare ogni centimetro del pick-up, nella vana speranza di trovare incastrato da qualche parte un bigliettino di scuse, un numero di telefono o qualcosa di simile; nemmeno a dirlo, non trovò nulla di tutto ciò.

Perché diamine uno che poteva permettersi una macchina del genere non aveva nemmeno la decenza di farsi carico di un danno provocato? Quelli che per lui/lei sarebbero stati spiccioli, per Bella equivalevano a due settimane abbondanti di paga.

Più agitata (e più in ritardo) di prima, la ragazza montò in macchina e girò con rabbia la chiave nel quadro. Il motore si accese con il solito rombo strozzato e, con una rapida manovra in retromarcia, Bella si immise bruscamente sulla strada.

Per tutto il tragitto non fece altro che pensare a cos’avrebbe fatto la settimana successiva quando avesse trovato quella stupida auto metallizzata parcheggiata fuori da scuola.

Picchiettava nervosamente sul volante con le dita e, quasi senza accorgersene, premeva con sempre maggior forza il piede sull’acceleratore, ignorando totalmente la lancetta dei kilometri orari che schizzava sempre più in alto.

Pensieri omicidi e progetti di vendetta la accompagnarono fin quando non ebbe raggiunto lo spiazzo d’erba adibito a parcheggio fuori dalla locanda, che trovò insolitamente pieno.

Lanciò una rapidissima occhiata all’orologio: erano le 14.15 esatte.

Con lo sguardo sondò in fretta e furia il parcheggio, in cerca di un buco dove infilare il proprio pick-up; di colpo, sgranò gli occhi.

Tra le varie macchine parcheggiate, c’era anche quella stramaledetta Volvo metallizzata.

Bella strinse talmente forte il volante tra le mani che in pochi istanti le nocche le diventarono bianche.

Premette con rabbia il piede sull’acceleratore e, con una sgommata, raggiunse il lato opposto dello spiazzo dove c’era ancora qualche posto libero.

Scese dal pick-up sbattendo la portiera e corse verso l’ingresso posteriore della locanda, quello da cui entravano i dipendenti. La porta dava su un piccolo stanzino semi-buio, con due file di armadietti posizionate l’una sopra l’altra lungo una parete ed una panca di metallo appoggiata contro l’altra.

Dalla parte opposta dello stanzino c’era una porta che conduceva alle cucine e, superate quelle, attraversando un’altra porta si raggiungevano il bancone e la sala allestita per i clienti.

Bella aprì in fretta il proprio armadietto, il secondo partendo da sinistra, e ne estrasse un grembiule pulito. Al suo posto lasciò lo zaino, quindi richiuse l’anta e, ancora impegnata ad infilarsi il grembiule, entrò nelle cucine.

< Guarda un po’ chi si è degnata di arrivare > Commentò sarcastica Jessica senza nemmeno guardarla in faccia, mentre le sfilava davanti con un vassoio pieno di frittelle fumanti e tazzine di caffè.

Jessica era una ragazza alta e prosperosa, con lunghi capelli castani che le ricadevano a boccoli sulla schiena; aveva la stessa età di Bella e frequentava con lei diversi corsi a scuola.

Nonostante avesse la tendenza a squadrare chiunque dall’alto in basso e a fare in continuazione commenti sarcastici su tutto e tutti, per qualche ignota ragione pareva avercela con Bella in particolare.
 
Per un momento Bella rimase a fissarla come impietrita, ragionando sulla possibilità che la famigerata Volvo appartenesse proprio a lei. Tuttavia, le bastarono pochi istanti per realizzare che la sera precedente Jessica non si era vista al Misty Valley, e la sua teoria sfumò.

Troppo impegnata a concentrare la propria ira sulla questione del pick-up, lasciò che l’atteggiamento da schiaffi di Jessica le scivolasse addosso e, legatasi i capelli in fretta e furia ed estratto un piccolo block-notes dalla tasca del grembiule, seguì l’altra ragazza nella sala principale.

La locanda era piuttosto affollata; l’età media era più alta rispetto ai giorni infra-settimanali, quando gli unici ad avere del tempo libero nel pomeriggio erano gli studenti.
Questa era una circostanza assai positiva per Bella, che aveva già iniziato ad osservare ogni singola persona presente nella sala con l’obiettivo di individuare il possibile responsabile del danno al suo pick-up.
Sapeva soltanto che doveva trattarsi di un compagno di scuola, e al momento poteva escludere soltanto Jessica -che era certa di non aver visto la sera prima- e i 5 ragazzi con cui aveva passato la serata, che aveva visto andare via con macchine diverse.

La ricerca del colpevole, però, si rivelò più complessa del previsto; sebbene i ragazzi non fossero così tanti, ce n’erano almeno una decina che Bella era certa di aver già visto in giro per la scuola.

Continuando a guardarsi attorno con occhi indagatori, iniziò a girare tra i tavoli raccogliendo le ordinazioni; non appena ebbe passato in rassegna tutta la prima fila di tavoli si bloccò di colpo, tanto bruscamente che la tazza di té ancora mezza piena che aveva appena recuperato da un tavolo vuoto e caricato sul vassoio le si rovesciò addosso.

Bella si accorse a malapena delle risatine sommesse provenienti da chi aveva assistito all’accaduto, o del liquido caldo che rapidamente oltrepassava il grembiule infradiciandole la maglia. La sua attenzione era interamente rivolta ad un piccolo tavolino rotondo, addossato alla parete e in penombra, e a chi vi stava seduto.

Era il ragazzo che aveva visto la sera prima al bancone del Misty Valley.

Quello che usciva con le modelle.

Quello che per l’intera serata era stato l’oggetto principale dei discorsi e degli sguardi delle ragazze che erano con lei.

Ma ciò che al momento disgustava maggiormente Bella era il fatto che la ragazza assieme a lui non fosse la stessa della sera precedente.

Lui era seduto con la schiena appoggiata al muro e si passava distrattamente tra le dita il tappo di una bottiglia; lei aveva i capelli corti e corvini ed era -se possibile- anche più bella di Caroline Pitts. Teneva le gambe accavallate e dondolava leggermente un piede mentre, con la stessa aria distratta e noncurante del ragazzo, sfogliava una rivista di moda. 

Sebbene quel punto del locale fosse poco illuminato, i perfetti lineamenti dei due giovani si distinguevano chiaramente, facendoli sembrare quasi scolpiti nel marmo.

Insomma: quell’Edward Cullen in meno di 24 ore si era stufato di una ragazza e l’aveva rimpiazzata con un’altra.

Bella si sentì nauseata ed offesa allo stesso tempo; le sembrava quasi che quella cosa fosse un affronto all’intero genere femminile e che, di conseguenza, la riguardasse in prima persona.

Era talmente disgustata da non voler nemmeno avvicinarsi per prendere l’ordinazione; non era mai stata brava a mascherare le proprie emozioni ed era certa che le sarebbe sfuggita qualche smorfia poco educata.

D’un tratto, Jessica le passò accanto urtandola di proposito.

< Lascia, quel tavolo lo faccio io > Sibilò sottovoce.

Nonostante la spallata di Jessica ed il suo solito tono carico di simpatia, Bella fu talmente sollevata dal non dover avvicinarsi a quel tavolo che, senza battere ciglio, fece dietro-front e tornò al bancone.

< Oddio, ci riprova > Sghignazzò a bassa voce Logan - il ragazzo che stava alla cassa - quando Bella gli passò accanto in cerca di uno straccio con cui asciugare il pavimento.

< Come? > Chiese lei confusa, ma le bastò sollevare lo sguardo per capire di cosa Logan stesse parlando.

Jessica, letteralmente avvinghiata allo schienale della sedia su cui era seduto Edward, gli stava elencando il menù con voce civettuola; non considerava minimamente la ragazza che era con lui, la quale però non sembrava affatto seccata dalla situazione, ma piuttosto divertita.  

< In che senso ci riprova? > Chiese Bella, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quella scena imbarazzante.

< Si comporta così tutte le volte che lui viene qui; probabilmente spera ancora che lui la inviti ad uscire prima o poi > Rispose Logan, tentando di soffocare le risate. Dal modo in cui lo diceva non sembrava credere che Jessica avesse molte possibilità.

Bella lo fissò perplessa.

< Ma lei si comporta così, senza farsi problemi, davanti alle ragazze che vengono qui con lui? > Le pareva assurdo che persino una come Jessica potesse essere priva di scrupoli fino a quel punto.

Logan si fece di colpo serio.

< Oh, no, lui non porta mai qui le sue conquiste > Disse e, accorgendosi dello sguardo interrogativo di Bella che si era voltata a guardare la piccola, graziosissima ragazza mora seduta al tavolo assieme a Edward, aggiunse < Quella è Alice, sua sorella; viene spesso qui assieme a lei >

Bella scosse leggermente la testa, come sforzandosi di metabolizzare tutte quelle informazioni.

Quindi erano fratelli? Certo, erano entrambi estremamente attraenti, ma si trattava di due bellezze molto diverse. A parte la carnagione delicata e chiarissima che caratterizzava entrambi, non sembravano avere molti tratti in comune: lei aveva i capelli molto più scuri, i lineamenti dolci ed il viso sottile. Lui, al contrario, aveva la mascella pronunciata e tratti più duri, anche se nel complesso altrettanto armoniosi.

< Il tuo straccio > Disse Logan, mettendole in mano una pezza umida e risvegliandola così dai suoi pensieri.

< Ah, già, ti ringrazio > Farfugliò Bella, che aveva quasi dimenticato il motivo per cui era lì, e fece nuovamente il giro del bancone per andare ad asciugare gli schizzi di tè che avevano macchiato il pavimento.

Mentre strofinava le piastrelle scure, sotto gli sguardi divertiti di coloro che le avevano visto combinare il disastro, era sufficientemente vicina al tavolino rotondo da riuscire a cogliere qualche frase della conversazione.

< Davvero, sono a posto, non voglio niente > Stava dicendo Edward -sulla difensiva- a Jessica, che non accennava minimamente ad andarsene.

< Nemmeno un caffè? O una spremuta? Abbiamo delle arance favolose > Insistette quest’ultima, con un tono di voce talmente smielato da far venire la nausea a Bella.

Quest’ultima, continuando a strofinare, con la coda dell’occhio vide la bellissima ragazza dai capelli corti e neri portarsi una mano alla bocca per soffocare una risata.

Bella fece per rialzarsi, ma proprio in quel momento la sua attenzione fu catturata da un piccolo oggetto appoggiato sulla superficie lucida del tavolo: le chiavi di una macchina; le chiavi di una Volvo.

Tutta i pensieri omicidi che fino a poco prima le avevano affollato la mente riaffiorarono all’istante; Bella scattò in piedi, stringendo i pugni.

< TU > Sibilò, avvicinandosi a lunghi passi al tavolo rotondo.

All’unisono, i volti di Jessica, Edward ed Alice si voltarono verso di lei.

Per la prima volta gli occhi di Bella, dardeggianti d’ira, incontrarono quelli del ragazzo, che soltanto allora vide essere di un colore caldo, ambrato, decisamente fuori dall’ordinario.

Lui la osservava stupito, quasi confuso, mentre Jessica la squadrava con la solita aria piena di astio e superiorità.  

< TU hai distrutto la fiancata della mia auto e non hai nemmeno lasciato un biglietto > Ringhiò Bella, ma per un momento dovette distogliere lo sguardo dagli occhi del ragazzo, talmente luminosi e penetranti da mandarla in confusione.

L’espressione stupita e disorientata dipinta sul viso perfetto di lui si dileguò rapidamente.

< Ah, quella era la tua auto? > Disse pacato, raddrizzandosi sulla sedia < Credevo fosse un catorcio abbandonato >

A quelle parole Jessica scoppiò a ridere di gusto, mentre la sorella di Edward gli tirava un calcio da sotto il tavolo e gli rivolgeva un’occhiata di rimprovero.

Bella lo fissava incredula, con la bocca spalancata.

Non soltanto non si era scusato, ma aveva addirittura approfittato per offendere lei ed il suo pick-up.

< Senti… > Cominciò a dire, con la voce che iniziava a tremarle per la rabbia.

< Sono spiacente, temo sia stata colpa di Caroline > La interruppe lui, tornando con noncuranza a giocare con il tappo di bottiglia che aveva in mano < Aveva bevuto un po’ troppo forse >

Bella, sempre più scioccata dall’atteggiamento strafottente e menefreghista del ragazzo, non trovava più nemmeno le parole con cui continuare.

< Avresti dovuto lasciare un biglietto > Ripeté secca, non riuscendo a trovare nient’altro di meglio da dire.

Lui tornò a fissarla negli occhi e sorrise, gelido.

< Ascolta, se è una questione di soldi nessun problema, ma ti chiederei, come favore personale, di usarli per prenderti una macchina che sia degna di questo nome, piuttosto che per farti riparare quel rottame >

Bella non ricordava di essersi mai sentita così furibonda nei confronti di qualcuno prima di quel momento.

Stava per urlargli contro in risposta quando si bloccò, distratta dallo strano comportamento di Alice.

La ragazza si era appena irrigidita sulla sedia, aveva stretto forte le mani sullo spigolo del tavolo ed aveva lo sguardo fisso davanti a sé, perso nel vuoto.

Anche Edward si voltò a guardarla, con una nota di preoccupazione negli occhi; eppure, non le chiese niente, quasi come se quel comportamento non lo stupisse più di tanto.

Bella, disorientata ma comunque determinata a non lasciar senza risposta l’ultima offesa ricevuta, smise di chiedersi cosa stesse succedendo e ringhiò al ragazzo:
< Scordatelo, non voglio i tuoi soldi > E detto questo diede le spalle a lui, Alice e Jessica e tornò a passo di marcia nelle cucine.  
 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO
 
Era già buio pesto quando l’auto di Charlie imboccò la stradina di ghiaia che conduceva al giardino della casa dei Black.

Bella si sentiva stanca; per tutto il tragitto aveva tenuto la testa appoggiata al finestrino ed osservato in silenzio i boschi tetri che delimitavano la strada.

Charlie era passato a prenderla alla fine del suo turno alla locanda ed il pick-up era rimasto parcheggiato lì, in attesa di essere recuperato la mattina seguente; anche se inizialmente Bella, che dopo lo spiacevole avvenimento di venerdì sera temeva più che mai per l’incolumità della sua auto, aveva tentato di opporre resistenza, a posteriori si era rivelata una buona idea; la ragazza infatti era talmente spossata da non riuscir quasi a tenere gli occhi aperti.

Probabilmente era stata tutta l’agitazione di quel pomeriggio a sfinirla, e Charlie, fortunatamente, era talmente ossessionato dal voler fare il ‘buon padre’ che -notato il viso stanco ed il passo instabile della figlia- aveva insistito affinché non si mettesse alla guida, benché la casa di Billy distasse al massimo una decina di minuti.

Per tutto il viaggio i due non avevano detto più di cinque parole a testa; Charlie era incapace di trovare un argomento di conversazione che non ritenesse stupido o banale, e Bella troppo impegnata a prendere mentalmente a calci Edward Cullen.

Giunti alla fine della stradina di ghiaia si aprì davanti ai loro occhi un’ampia zona verde, con al proprio centro la piccola casa di mattoni dei Black.

Sebbene Bella non vedesse quel posto da quasi sette anni, era esattamente come lo ricordava; la casa era piccola, ma emanava una sensazione di calore e accoglienza, con tutte le finestre illuminate ed il fumo che usciva a sbuffi leggeri dal comignolo.

Charlie accostò l’auto ad un muretto che delimitava la zona d’erba e, prima di spegnere il motore, suonò tre volte il clacson.

Bella saltò sul sedile, come svegliandosi di colpo.

< Era proprio necessario? > Si lamentò, ansimando per lo spavento.

Charlie alzò gli occhi al cielo.

< Non fare la bacchettona Bells, sai che io e Billy ci salutiamo sempre così >

In effetti, in un angolino remoto e polveroso del suo cervello, lei lo sapeva; ma la distanza prolungata dal padre e da Forks negli ultimi anni l’aveva fatta disabituare ad un sacco di cose.

< Però avvisa la prossima volta > Borbottò lei, mentre si slacciava la cintura ed apriva la portiera per scendere.

L’aria pungente della sera le sferzò il viso.

I suoi occhi vagarono per il prato, poi lungo il confine scuro che separava questo dalla foresta; infine, lo sguardo di Bella si posò sulla piccola casa.

Ora che la guardava bene e da vicino, almeno un milione di ricordi riaffiorarono impetuosi nella sua mente.

Ricordò improvvisamente le serate estive trascorse nel prato attorno al falò, le ricche grigliate di pesce che Billy cucinava dopo le sue battute di pesca con Charlie, le uova di Pasqua nascoste attorno e dentro la casa per la caccia al tesoro.

Bella si trovò a sorridere, mentre ricordava quei momenti spensierati della propria infanzia; continuò a sorridere persino quando le tornò in mente quel rompipalle di Jacob.

Jake era il figlio di Billy, poco più piccolo di lei. Era sempre stato un tormento; le aveva distrutto una marea di giocattoli, tirato i capelli infinite volte, rubato il cibo dal piatto ogni santa volta. Un giorno, mentre lui, Bella e altri bambini della zona giocavano in casa, era salito sul tetto provocando la rottura di una tegola che era precipitata proprio sul piede di uno degli adulti in giardino, per poi dare la colpa a lei.

Trenta giorni di gesso per l’uomo e altrettanti di punizione per Bella.

< Pensi di entrare o vuoi restare lì? > La voce di Charlie riportò Bella alla realtà.

La ragazza si sistemò frettolosamente una ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio e raggiunse il padre sotto l’arco d’ingresso dell’abitazione.

Non ebbero nemmeno il tempo di suonare il campanello che la porta si spalancò davanti a loro; un ragazzo moro, alto e robusto si presentò davanti ai loro occhi.

Bella per qualche istante lo squadrò stupita, non riuscendo a capire chi fosse; doveva essere alto almeno un metro e novanta e indossava una camicia decisamente troppo stretta, che metteva in risalto in maniera quasi buffa i pettorali scolpiti e i grossi bicipiti. I bottoni sembravano pronti a saltare da un momento all’altro.

< Ciao Jake > Lo salutò Charlie, dandogli una pacca sulla spalla prominente.

Jake?

Bella squadrò sbalordita prima suo padre, poi l’energumeno sulla porta.

Quello era Jake? Che fine aveva fatto il ragazzino piccolo e magro che ricordava?

Certo, erano passati almeno sette anni dal loro ultimo incontro, ma sembrava proprio una persona diversa.

Bella lo osservò attentamente, cercando di trovare una qualche traccia del Jacob che conosceva; e la trovò: gli occhi vispi ed il sorriso giocoso erano rimasti gli stessi.

< ‘Sera ragazzi > Rispose Jacob pimpante, facendosi da parte per lasciarli entrare.

Il timbro della sua voce era decisamente più profondo di quanto Bella ricordasse, ma vi riconobbe la stessa nota di furbizia e mascalzonaggine di sempre.

Bella lasciò che Charlie entrasse per primo ed attese qualche istante affinché si allontanasse abbastanza da non poterla sentire.

< Carina la camicia, ci sei cresciuto dentro? > Bisbigliò con un sorrisetto canzonatorio, mentre passava davanti a Jacob.

Lui, fingendo nonchalance, le diede una gomitata.

< Detesto le camicie > Sussurrò di rimando, cercando di sistemarsi le maniche con fare seccato.  

Bella gli lanciò un’occhiataccia mentre si massaggiava il braccio colpito, ma sotto sotto era estremamente divertita; erano bastate dieci parole a far tornare ogni cosa com’era rimasta. 

I due, senza dire altro, si affrettarono a raggiungere i rispettivi padri che, a giudicare dall’improvvisa caciara proveniente dalla sala da pranzo, dovevano essersi incontrati.

< Bella! > Esclamò Billy Black con un ampio sorriso, non appena la vide < Finalmente una donna in questa casa, era ora! Sono stufo delle solite brutte facce > Aggiunse, rivolgendo un’occhiata allusiva a Jacob e Charlie.

Bella, che nel momento stesso in cui aveva riconosciuto Jacob -compagno di giochi e incubo della sua infanzia- era stata travolta da una strana ondata di vitalità e voglia di innervosire il prossimo, non si lasciò sfuggire l’occasione per punzecchiare il ragazzo.

< Che dici, Billy? Jake la porterà a casa qualche ragazza, ogni tanto > Disse, sorridendo all’uomo con aria innocente.

Proprio come Bella aveva previsto e sperato, la sua osservazione scatenò le risate di Billy.

< Ma quali ragazze! > Sghignazzò, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano < Ma l’hai visto bene? Le spaventa tutte >

Bella si unì alla sua risata, sbirciando con la coda dell’occhio il viso di Jacob che si era fatto improvvisamente rosso (difficile dire se per l’imbarazzo o per la rabbia; probabilmente un insieme delle due cose).

Charlie, dal canto suo, accennava di tanto in tanto un sorriso, ma era evidente che quel tipo di discorsi non lo facesse sentire del tutto a proprio agio. Sentir parlare sua figlia di rapporti sentimentali “maschio-femmina”, anche solo per scherzo,
la rendeva meno bambina ai suoi occhi e questo non gli piaceva per niente.

< Oh, avanti Jake > Continuò la ragazza, decisa a non lasciar cadere quel discorso così in fretta e desiderosa di vendicare anni e anni di dispetti e prepotenze < Se hai proprio perso le speranze posso presentarti qualche mia amica, basta che tu me lo chieda >

Jake le rispose con un sorrisetto forzato. Sembrava pronto a ribattere, ma fu battuto sul tempo dal padre:

< Questa non mi sembra affatto una cattiva idea > Ridacchiò, facendo l’occhiolino a Bella; poi, con uno stridulo cigolio di ruote, girò su se stesso e con una mano fece segno al resto del gruppo di seguirlo in cucina.

Un odore forte ed invitante impregnava l’aria dell’intera stanza.

< La nostra cena: filetto di salmone appena pescato e patate arrosto > Disse con orgoglio, puntando il dito verso una grossa teglia ancora fumante appoggiata sui fornelli.

< Sembra quasi che tu voglia farci credere di averlo cucinato da te > Commentò Charlie sarcastico, scuotendo il capo.
Lui e Billy erano fatti della stessa pasta; erano uomini semplici e un po’ all’antica; anche se entrambi erano rimasti presto senza una donna in casa, non avevano mai ritenuto di dover imparare certe cose, come cucinare o lavare i pavimenti. Già era tanto che avessero imparato ad usare la lavatrice.

Bella, appena arrivata a Forks, aveva preso un colpo quando, sbirciando nel frigorifero del padre, ci aveva trovato dentro solo un barattolo di maionese, della panna spray, una mozzarella scaduta e tre lattine di birra; grazie a lei gli scaffali della cucina si erano pian pianino ripopolati ed il frigo, dopo diversi anni, aveva finalmente rivisto qualcosa di verde (che non fosse muffa).

< Figuriamoci, lui darebbe fuoco alla cucina se ci provasse > Ridacchiò Jacob, prendendo uno straccio umido ed afferrando con quello la teglia bollente.

Charlie lo fissava con un sopracciglio inarcato.

< Quindi sei stato tu? > Il tono della sua voce, estremamente stupito, tradiva però una nota di ammirazione.

Jake sollevò le spalle con noncuranza, come a voler dire che era una cosa da niente, e senza proferir parola si diresse in sala da pranzo con la teglia tra le mani.

< Sicuro che sia figlio tuo? > Bisbigliò Charlie all’orecchio di Billy.

< Tuo no di certo > Replicò l’altro ed entrambi scoppiarono in una fragorosa risata.

Bella alzò gli occhi al cielo; aveva dimenticato quanto quei due assieme riuscissero a dare il peggio di sé. Prese piatti e posate e seguì Jake nella sala adiacente, mentre i due uomini alle sue spalle continuavano a scambiarsi battutine e a sghignazzare rumorosamente.

Jacob, appoggiata la pietanza al centro del tavolo, si voltò a braccia conserte verso la ragazza e per alcuni istanti i due si fissarono impassibili; poi, quasi come se avessero comunicato telepaticamente, si sorrisero nello stesso istante.

< Allora, Swan? Tornata per restare? > Chiese il ragazzo, con un tono quasi di sfida.

< Questa è l’idea > Rispose lei, dandogli le spalle mentre distribuiva le stoviglie sulla tovaglia.

< Mh > Fece Jake, ostentando un’espressione seccata < Forks è piccola, ma se ci organizziamo potremmo riuscire ad evitarci >

Voleva fare il sostenuto, ma era chiaro come il sole che sotto sotto la ricomparsa di Bella lo mettesse di buon umore; non era bravo a nascondere le proprie emozioni.

In fin dei conti avevano condiviso moltissimo da bambini, e per quanto entrambi fingessero di ricordare solo i brutti momenti passati assieme, ce n’erano stati anche di molto belli.

< Sembra un ottimo piano; io mi tengo la Forks High school e la locanda Ai tre merli > Acconsentì Bella divertita, stando al gioco.

Jake si sedette a cavalcioni su una sedia ed iniziò a fissare il soffitto con aria pensierosa.

< D’accordo, allora… io la spiaggia e l’officina >

Bella, di colpo incuriosita, chiese:

< Quale officina? >

< L’officina del vecchio Tobias > Tagliò corto Jacob, ma notando l’espressione interrogativa sul viso della ragazza capì di dover fornire qualche informazione in più. < Dai Bella, te lo ricordi Tobias! Veniva sempre qui per le grigliate… baffi grigi, occhiali, dente d’oro…? > Vide che le sue parole non stavano suscitando in Bella alcun tipo di reazione e con un sospiro si arrese.

< Beh, Tobias era il miglior meccanico della zona; la sua famiglia si è tramandata quell’officina per quasi quattro generazioni, ma Tobias non ha avuto figli e da quando è andato in pensione l’officina è diventata una specie di discarica piena di ottimi attrezzi inutilizzati; quindi, ogni tanto – con il suo permesso, ovvio – ci vado io, a sistemare un po’ di cose >

Bella si fece improvvisamente interessata.

< Sistemare cose… tipo cosa? >

Jake si strinse nelle spalle.

< Non saprei, quello che capita; motociclette, elettrodomestici, mobili… >

< … Auto ammaccate? > Lo interruppe lei, fissandolo con aria speranzosa e quasi supplichevole.

Il ragazzo, insospettito, le rivolse uno sguardo torvo.

< Che hai fatto al pick-up?! >

< Io nulla, ma… > Protestò lei, ma dovette interrompersi perché in quel momento entrarono nella sala da pranzo anche Charlie e Billy, portando con sé vino e bicchieri.

A Charlie non aveva detto nulla dell’incidente del pick-up, perché temeva che avrebbe avuto una delle sue solite reazioni leggermente esagerate; non che lei provasse alcuna pietà per Edward Cullen, ma l’idea di una squadra notturna della polizia di Forks che setacciava la città armata di fucile per trovarlo non le pareva la soluzione migliore.

Il problema, ora, era riuscire a sistemare l’ammaccatura prima che Charlie se ne accorgesse.

< Di che parlavano i nostri giovani? > Chiese Billy allegro, intento a riempirsi il calice di vino.

Bella, un po’ per evitare che Jacob potesse lasciarsi sfuggire qualcosa riguardo al pick-up e un po’ perché improvvisamente credeva di aver trovato la soluzione ai suoi problemi, si affrettò a rispondere:

< Ah, nulla di che.. Jake diceva che vuole portarmi in un posto dopo cena >

Jacob si voltò a fissarla con un’espressione interrogativa dipinta in faccia.

< Ma certo, un’ottima idea! > Disse Billy, rivolgendo ai ragazzi un grande sorriso < Dopotutto vi stiamo rubando il sabato sera >

< Quale posto? > Si intromise Charlie, squadrando Jacob con aria indagatrice.

Il ragazzo impallidì, confuso; non capiva cosa diavolo avesse in mente Bella e, di conseguenza, non aveva idea di cosa dovesse rispondere per reggerle il gioco.

Borbottò, grattandosi la nuca < Ci sono dei miei amici che hanno organizzato un falò >

Charlie per alcuni istanti non disse nulla e Bella, involontariamente, trattenne il fiato.

< Uhm.. non fate il bagno, vero? Fa ancora troppo freddo > Si raccomandò infine l’uomo, rivolgendo prima a Jake e poi a Bella un’occhiata severa.

La ragazza sospirò sollevata, e con un gran sorriso scosse la testa.      
 
***

< È proprio necessario farlo adesso, di notte? Non possiamo aspettare almeno domattina? > Brontolò Jacob mentre lui e Bella, a bordo della vecchia macchina di Billy, sfrecciavano lungo le strade deserte e illuminate solo dalla luna e da qualche raro lampione in direzione della locanda.

< Ti chiedo solo di dargli un’occhiata > Disse Bella con tono supplichevole; < Se poi mi dirai che è troppo mal messo e che non riusciresti ad aggiustarlo troverò un’altra soluzione >

Proprio come la ragazza aveva sperato, le sue parole fecero breccia nell’orgoglio di Jacob.

< Ma figurati se non lo posso aggiustare > Borbottò, quasi offeso da quell’insinuazione.

< Accetti quindi? Possiamo andare all’officina già stanotte? > Esclamò Bella eccitata, saltando sul sedile e voltandosi verso il guidatore con occhi scintillanti.

Jake, con una mano, spinse Bella affinché tornasse a sedersi dritta.

< Calmati un po’ > Le rispose seccato, ma senza volerlo gli sfuggì un sorriso.

Lei si lasciò sprofondare nel sedile, felice e soddisfatta.

< Potrei presentarti davvero qualche amica; te lo sei meritato >

< Cretina. >

Dopo un paio di minuti svoltarono a destra ed entrarono nello spiazzo sul retro della locanda, dov’era rimasto parcheggiato solo il pick-up di Bella.

La ragazza, impaziente, si slacciò la cintura e saltò giù dall’auto prima ancora che questa si fosse fermata.

Raggiunse di corsa il pick-up e gli girò intorno, pronta ad indicare a Jake il danno, ma -inspiegabilmente- dalla portiera era svanito ogni segno di lesione.

< Ma che… > Sussurrò confusa, facendosi luce con lo schermo del telefono per vedere meglio.

Jacob, che a sua volta stava cercando di individuare i segni della “catastrofe” di cui Bella gli aveva parlato per tutto il tragitto, era confuso quanto lei.

< A me sembra in ottima forma > Commentò, battendo un colpo sul tettuccio del pick-up < Anzi, vedo che gli hai anche messo degli pneumatici nuovi >

Bella sgranò gli occhi e fissò le ruote del veicolo; non erano di certo le stesse vecchie ruote con cui era uscita quel pomeriggio. I cerchioni erano lucidissimi e la gomma, senza alcun graffio o traccia di consumo, profumava di nuovo.

< Ma che… > Ripeté Bella, a bocca aperta.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


CAPITOLO QUARTO
 
Mai prima di allora Bella aveva atteso con così tanta impazienza la fine del weekend e l’inizio di una nuova settimana scolastica.

Quel lunedì si svegliò all’alba e saltò giù dal letto piena di energie, nonostante avesse dormito solo tre ore scarse a causa dell’agitazione.

Preparò lo zaino senza nemmeno accendere la luce, tanto che per errore ci infilò dentro il libro di Anna Karenina al posto del manuale di storia e filosofia. Sempre al buio si vestì, mettendosi addosso un paio di jeans che erano rimasti appoggiati allo schienale della sedia dal giorno prima ed un maglioncino pescato a caso dall’armadio.

Afferrato il giubbotto e lo zaino uscì in corridoio in punta di piedi, sperando di non svegliare Charlie e non dovergli spiegare perché stesse uscendo tanto prima del solito.

Scese le scale tentando di evitare gli scalini che scricchiolavano di più, anche se per farlo rischiò un paio di volte di inciampare e finire al piano di sotto rotolando.

Mentre attraversava la cucina, il suo stomaco si lamentò rumorosamente; la sera prima non aveva quasi toccato cibo.

Prese una mela dalla fruttiera che lei stessa aveva comprato pochi giorni prima (Charlie probabilmente non vedeva un frutto dall’anteguerra) e la addentò, per poi dirigersi sempre in punta di piedi verso la porta d’ingresso. 

Non appena se la fu chiusa alle spalle, fece un profondo respiro.

‘Ci siamo’ pensò tra sé e sé, lanciando uno sguardo furente al pick-up parcheggiato nel vialetto, poco distante da lei ‘Oggi è il giorno in cui ucciderò un uomo’.

Quindi, con rabbiosa determinazione, voltò le spalle alla macchina e si incamminò a passo di marcia lungo la strada che conduceva alla Forks High School. Si era ripromessa che non avrebbe toccato l’auto prima di aver chiarito quella stramaledetta situazione.

Arrivò a destinazione prima del previsto, tanto che il parcheggio della scuola era ancora praticamente deserto.

Si sedette su una panchina di legno e rimase in attesa, tenendo le braccia incrociate al petto e gli occhi dardeggianti puntati sulla strada.

Col passare dei minuti il parcheggio iniziò ad affollarsi; Bella vide scendere da una vistosa decappottabile color rosso fiammante Alice Cullen, la sorella di Edward, che per un breve istante incrociò il suo sguardo.

Per un attimo le parve di vederla sorridere, ma data la distanza non poteva esserne certa.

Dopo una quindicina di minuti, quando ormai quasi tutti erano entrati a scuola ed il parcheggio era tornato vuoto e silenzioso, Bella, estremamente frustrata, decise di alzarsi e raggiungere l’aula di chimica prima che iniziasse la lezione.

Per quanto infastidita dal non poter affrontare faccia a faccia quell’idiota come aveva sperato, non aveva la minima intenzione di mettersi nei guai a causa sua.

Proprio mentre Bella lasciava la panchina, però, un potente rombo proveniente dalla strada alle sue spalle la fece voltare di soprassalto.

La Volvo grigio-metallizzata che ormai era diventata protagonista fissa dei suoi incubi stava imboccando proprio in quel momento l’ingresso del parcheggio scolastico.

In un baleno la lezione di chimica abbandonò completamente i pensieri di Bella che, attraversata da un’improvvisa scarica di adrenalina, si diresse a lunghi passi verso il centro della zona asfaltata.

La Volvo dovette inchiodare per non investirla.

< Ma che fai?! > Sbraitò Edward, uscendo dall’auto e sbattendosi la portiera alle spalle.

I lineamenti perfetti del suo viso erano tesi in un’espressione che era un misto di rabbia e agitazione.

< Non ti ho… non ti ho sentita arrivare! > Farfugliò con tono frustrato ed estremamente confuso, passandosi nervosamente una mano tra i folti capelli ramati.

Sentita arrivare? E come avrebbe potuto?

Ormai era arrivato a pochi passi dalla ragazza, e si fermò.

La fissò dritta negli occhi per alcuni istanti e poi, con un tono di voce più controllato, disse piano. 

< Potevi farti male. > La sua voce sembrava di velluto. Sebbene la stesse chiaramente rimproverando, quel timbro di voce donava alle sue parole un velo di dolcezza.

Ma nulla di tutto ciò scalfì minimamente la furia crescente di Bella.

< Non dovevi azzardarti! > Sbraitò, facendo con decisione un passo verso il ragazzo.

Lui rimase immobile dov’era, senza staccare gli occhi da quelli della ragazza.

Sembrava quasi che cercasse di leggere qualcosa al loro interno; aveva le sopracciglia aggrottate e la mascella serrata, come se la cosa gli stesse costando un grosso sforzo.

< A fare cosa? Venire a scuola? > Chiese, totalmente disorientato.  

Bella strinse i pugni e ridusse gli occhi a due piccole fessure.

Se avesse potuto, lo avrebbe incenerito lì su due piedi.

< Non. Prendermi. In giro. > Sibilò ed alzò un braccio pronta a dargli uno spintone sul petto.

Il ragazzo, con una rapidità inaudita, indietreggiò e schivò il colpo.

< Non ti sto prendendo in giro, non ho idea di cosa tu stia parlando > Disse secco.

Sul suo viso, la confusione stava man mano lasciando posto alla frustrazione; il fatto di non riuscire a capire quella ragazza e le sue intenzioni lo stava mandando fuori di testa.

Bella, sempre più infastidita e convinta che lui stesse solo recitando la parte del finto innocente, scosse la testa.

< Santo cielo, il mio pick-up! Ero stata chiara, non volevo i tuoi soldi né il tuo aiuto > Ringhiò.

Gli occhi ramati di Edward, sempre puntati su quelli ardenti d’ira di Bella, tornarono a manifestare una profonda confusione.

Il ragazzo voltò leggermente la testa a destra, poi a sinistra.

< Il tuo pick-up? Non lo vedo >

< Certo che non lo vedi! Lo toccherò solo quando avrà di nuovo le sue ruote >

Per Edward, che non aveva mai avuto problemi a leggere le persone e ad intuire in anticipo le loro mosse, quella situazione stava iniziando a farsi pesante.

< Aspetta, rallenta… Le sue ruote? > Chiese, con il tono e l’espressione di chi si sta sforzando di comprendere una lingua sconosciuta.

Tutto ciò iniziava a sembrare un po’ troppo persino a Bella; iniziava quasi a temere di aver fatto un’enorme e tremenda gaffe, ma cercò di non darlo a vedere.

Mantenendo lo sguardo torvo e le mani serrate a pugno, fece un respiro profondo.

< Sì, le ruote. > Disse lentamente, come se dovesse spiegare qualcosa per la quinta volta ad un bambino e cercasse di non perdere la pazienza < Ruote, hai presente? Nere, rotonde >

Edward, dopo essere rimasto in silenzio per alcuni istanti, inarcò un sopracciglio.  

< Senti > Sospirò, < se stai semplicemente cercando un modo per attirare la mia attenzione sappi che questo non è… >

< COME HAI DETTO SCUSA!? > Sbraitò Bella, senza nemmeno dargli il tempo di finire la frase.

I suoi occhi erano sgranati dall’incredulità e le sue guance avevano assunto di colpo un colore spaventosamente vicino al viola.

< Attirare la tua attenzione?! Ma quanto sei presuntuoso? Non la voglio la tua attenzione, anzi! Se tu non mi avessi sfondato la macchina avrei evitato volentieri qualsiasi genere di contatto con te! > Le parole le uscivano di bocca quasi indipendenti dalla sua volontà, come una cascata inarrestabile; era come se tutte le cose negative che aveva pensato di quel ragazzo da quando lo aveva visto per la prima volta al pub adesso sentissero la necessità di liberarsi.

< E se di norma la gente si impressiona e ti ammira per il fatto che esci con una modella diversa ogni sera, sappi che questo non vale per me! Anzi, se vuoi sapere la verità provo pena per te, che evidentemente hai bisogno dell’approvazione degli altri per sentirti bene con te stesso! Ma le tue azioni hanno ripercussioni anche su chi ti sta attorno, ci hai mai pensato? Hai mai pensato a quelle ragazze come a delle persone con sentimenti, e non solo come pupazzi da sfoggiare in pubblico e poi buttare via con tanta leggerezza? > Bella, che aveva sputato fuori tutte quelle parole in quasi totale apnea, dovette interrompersi per riprendere fiato e solo allora notò il viso del ragazzo.

Sembrava più pallido del solito, il che lo rendeva più simile ad un fantasma che ad una persona. Ogni fibra del suo volto era tirata, dura; le labbra erano serrate, le sopracciglia aggrottate. Ogni elemento del suo viso sembrava voler trasmettere rancore e disappunto; tutto, tranne i suoi occhi.

A Bella non sfuggì l’ombra di profondo dolore che aveva fugacemente velato i meravigliosi occhi ambrati del ragazzo.

Sebbene Edward stesse cercando di non darlo a vedere, quel minimo dettaglio, durato un brevissimo attimo, le fece capire chiaramente che le sue parole lo avevano colpito nel profondo.

Bella si sentì mancare la terra sotto i piedi. Certo, ci era andata giù piuttosto pesante, ma lo aveva fatto quasi senza rifletterci proprio perché era convinta che la strafottenza di Edward gli avrebbe fatto da scudo contro qualsiasi insulto. Di certo non si aspettava che le sue parole lo avrebbero colpito tanto.  

La ragazza, ancora ansante per lo sfogo, puntò rapidamente gli occhi a terra, incapace di sostenere lo sguardo magnetico e ormai perfettamente impassibile di Edward.

Iniziò a maledirsi per le cose terribili che aveva appena detto, e soprattutto per averle dette ad una persona che praticamente nemmeno conosceva; la sua scenata era stata decisamente sproporzionata alla situazione.

Le parole d’odio che aveva appena rivolto contro Edward Cullen nascevano in realtà da una profonda frustrazione che si portava dentro da anni e non aveva mai trovato una valvola di sfogo.

Imbarazzata come non mai e sentendosi un mostro, Bella risollevò piano lo sguardo, cercando di trovare dentro di sé il coraggio di scusarsi, o quantomeno trovare una sorta di giustificazione per riparare in parte al danno commesso.

Prima che riuscisse a trovare le parole, però, Edward mormorò con voce bassa e piatta:

< Cos’è successo alle ruote? >

Bella deglutì; non sapeva se essergli grata per aver cambiato argomento o se sentirsi ancor più imbarazzata.

< Ehm… > Mormorò, grattandosi la fronte nel tentativo di riordinare le idee < Sabato sera ho trovato il mio pick-up con delle ruote nuove e… e senza l’ammaccatura >

Edward per un momento corrugò la fronte, pensieroso, ma subito dopo, avendo capito cosa doveva essere successo, rilassò il viso ed alzò gli occhi al cielo.

< Alice… > Borbottò tra sé e sé, scuotendo la testa.

< Alice? > Ripeté Bella, stupita < Tua sorella? >

Edward si voltò verso la scuola, guardando un punto fisso del palazzo come sovrappensiero; dopo una decina di secondi trascorsi in silenzio, ridacchiò e scosse nuovamente la testa.

< Già, proprio lei >

Bella lo squadrava sbigottita; non riusciva a capire perché mai la sorella di Edward Cullen avesse dovuto aggiustarle la macchina, e ancor meno capiva perché lui non ne sembrasse altrettanto stupito.  

< Ma… perché? > Chiese.

Il ragazzo alzò le spalle.

< Non perdere tempo a cercare di capirla > Rispose, ma era chiaro come il sole che lui il vero motivo lo conoscesse.

Bella era pronta ad insistere, ma lui alzò una mano per zittirla.

< Adesso, per piacere, sarebbe il caso che ti spostassi; devo parcheggiare > Disse. Il suo viso e la sua voce erano tornati ad essere totalmente inespressivi.

La ragazza, frastornata, barcollò lentamente verso il marciapiedi, lasciando libero passaggio alla Volvo.

Edward, salito in macchina, riaccese il motore con un basso e sonoro rombo; prima di dare gas, abbassò il finestrino e aggiunse:

< Riavrai le tue ruote >

Bella, incapace di trovare le parole, si limitò ad annuire.


***

Bella entrò trafelata nell’atrio della scuola ormai deserto; il grosso e antico orologio a muro appeso alla parete dell’ingresso segnava già le 08:23.

‘Diciotto minuti di ritardo!’ Pensò tra sé e sé la ragazza, mordendosi il labbro inferiore per il nervosismo.

Iniziò a girare la testa a destra e a sinistra, tentando di riconnettere il cervello (completamente in tilt) e ricordare dove avesse la sua prima lezione.

‘Chimica! Quindi… laboratorio! Laboratorio, cioè… primo piano, ala sinistra!’

Non appena ebbe fatto mente locale, prese a correre come una forsennata lungo il corridoio, verso la scalinata che conduceva al piano superiore.

Mentre saliva gli scalini di marmo a due a due, non riusciva a non pensare a quanto male mosse iniziata quella giornata; si era dovuta svegliare quasi all’alba per non
prendere il pick-up, aveva incolpato ingiustamente un semi-sconosciuto, lo aveva insultato come mai aveva fatto prima con nessun altro ed ora era anche in ritardo per la lezione.

Certamente nel complesso non era la cosa più grave, ma fare un ritardo ingiustificato a sole tre settimane dal suo arrivo in quella scuola non era esattamente una gran mossa.

Arrivata ansimante davanti alla porta chiusa del laboratorio di chimica, bussò due volte.

< Avanti > Risuonò dall’interno dell’aula la voce gracchiante del professor Miller.

Bella, rossa in viso per la corsa e per l’imbarazzo, aprì timidamente la porta.

Venti paia di occhi, tra cui quelli curiosi di Mike Newton e quelli fastidiosamente snob di Jessica, si puntarono immediatamente su di lei.

< Buongiorno professore, scusi, io… > Iniziò a dire tra un respiro affannato e l’altro, ma l’uomo la interruppe schiarendosi sonoramente la gola.

< Signorina Swan > Disse, con voce profonda ed estremamente grave < Si rende conto di che ora è? Ha bisogno che le compri un orologio? >

Bella, imbarazzatissima, guardò a terra ed iniziò a grattarsi convulsamente un avambraccio.

< Mi scusi, ho fatto tardi perché… >

< Non mi interessa. Me lo spiegherà suo padre nella giustificazione che le consiglio vivamente di portare domani. Ora può andare > Gracchiò il signor Miller, squadrandola con sdegno da dietro le lenti rettangolari degli occhiali.

Bella spalancò la bocca.

< Andare dove…? > Chiese sconcertata.

< Fuori, signorina Swan. Sta sottraendo tempo prezioso ai suoi compagni >.

Bella, confusa, si voltò a guardare la classe e soltanto allora si rese conto che i banchi erano stati distanziati ed ognuno aveva di fronte a sé una penna ed un foglio bianco.

Aveva completamente dimenticato il compito in classe.

< Ma profess… >

< Le ho detto di uscire. > Ribadì il signor Miller, alzando il tono della voce. < La voglio qui domani pomeriggio, alle 16.00 in punto, per recuperare il compito >.

Bella avrebbe voluto protestare, ma intuiva che non sarebbe servito a nulla; senza guardare nessuno negli occhi, annuì lentamente ed uscì in silenzio dall’aula, richiudendosi la porta alle spalle.

Che giornata meravigliosa.
 
 
 
 

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