All’ombra del carrubo

di gio194
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** SECONDA PARTE ***
Capitolo 3: *** TERZA PARTE ***
Capitolo 4: *** QUARTA PARTE ***
Capitolo 5: *** QUINTA PARTE ***
Capitolo 6: *** SESTA PARTE ***
Capitolo 7: *** SETTIMA PARTE ***
Capitolo 8: *** OTTAVA PARTE ***
Capitolo 9: *** Nona parte ***
Capitolo 10: *** Decima parte ***
Capitolo 11: *** Undicesima parte ***
Capitolo 12: *** Dodicesima parte ***
Capitolo 13: *** Tredicesima parte ***
Capitolo 14: *** Quattordicesima parte ***
Capitolo 15: *** Quindicesima parte ***
Capitolo 16: *** Sedicesima parte ***
Capitolo 17: *** Diciassettesima parte ***
Capitolo 18: *** Diciottesima parte ***
Capitolo 19: *** Diciannovesima parte ***
Capitolo 20: *** Ventesima parte ***
Capitolo 21: *** Ventunesima parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


PRIMA PARTE 

Mi stavo dirigendo, come di solito, alla volta del viale Ronkern, quando vidi un'ombra proiettata sul lato del marciapiede dal lampione adiacente al colonnato. Provai un brivido lungo la schiena per una visione ai limite del razionale. Com'era possibile che un lampione proiettasse un'ombra?

 

Provai a formulare diverse ipotesi, da buon docente di fisica applicata ed empirista galileiano. Qualsiasi tentativo fu reso vano dalla foga razionalista che mi assalì e non mi permise di trovare una soluzione sensata, che fosse avallata da una dimostrazione fisica degna di questo nome. 

 

Stetti con lo sguardo fisso su quel lampione e dopo diverse ore di vano lavorio mentale, chinai il capo, come sempre del resto. Non ci fu un solo passo, un solo scalpiccio che non andasse all'unisono con il battito delle mie ciglia, tanta era la tensione. Venni sopraffatto, ansimante, dall'aria umida e afosa di quella calda sera d'estate, a tal punto che decisi di fermarmi per qualche minuto nella Taverna del Routerheiler. Era un luogo piuttosto squallido, maltenuto e frequentato da gente malfamata. 

 

Li vi incontrai (devo ammettere con grande stupore) un amico di vecchia data, Set, il quale aveva una caratteristica piuttosto singolare che lo aveva sempre contraddistinto: delle occhiaie molto pronunciate, color "buio notte". Si avvicinò a me, mi squadrò attentamente acuendo la vista(decisamente inquietante) e ci scambiammo i soliti convenevoli.

 

 Quando ero sul punto di accomiatarmi, data la sua ben poca loquacità e la scarsa attitudine al dialogo, notai un particolare sul suo volto compassato: un nevo dalle dimensioni spropositate, dai contorni ben definiti (dalle mie ben poche reminiscenze scolastiche mi sovvenne che non si trattava di una massa tumorale), nonché pellucido. Riuscivo quasi ad intravedervi la mia immagine riflessa in maniera piuttosto nitida, il che mi ricondusse inevitabilmente al fenomeno occorso non molte ore addietro. 

 

Cercai in ogni modo di distogliere lo sguardo da quel volto torvo, eppure ero sempre lì, incuriosito e sospettoso, memore del fatto che con tutta probabilità non mi sarebbe più capitato un caso così allettante per un docente di fisica applicata, empirista galileiano ed investigatore del fenomeno naturale (non fui mai attratto da quel coacervo di teorie paranormali e sul trans-naturale). In tal modo dovetti reinventarmi, ossia trovare un puntello che conciliasse dei ragionamenti molto distanti dal sentire comune di un esperto della natura. 

 

Comunque sia, ad un certo punto decisi di intrattenermi con lui, non perché ne avessi realmente voglia, ma vi era un sentore di stranezza che paralizzava le mie gambe, impedendomi di avviarmi verso l'uscio. 

-"Serata strana, eh Sean?"

-"Il vento di scirocco soffia da due due giorni, sento l'afa dritta in gola."

-"Non pensi sia ora di andare? "disse con un tono ed un fare quasi minacciosi che non mi sfiorarono minimamente. Già perché ero completamente assorto nei miei pensieri, ed avrebbe anche potuto rivelarmi l'arcano, ma non me ne sarei curato. 

 

Si accorse della mia assenza mentale e cercò di rendermi partecipe senza riuscirci. Perché il suo tentativo era vano? Cosa mi impediva di prestargli attenzione? Non ebbe modo di capirlo, pur facendone ripetutamente richiesta. Uscii di colpo e mi recai al colonnato ad ampie falcate. Era l'aurora: il cielo color purpureo meritava degli attimi di contemplazione che, date le circostanze, non potei concedergli. 

 

Tuttavia prima di arrivare a destinazione mi concedetti una piccola pausa uditiva. Era il meraviglioso canto (a mio avviso sarebbe poco meritevole definirlo cinguettio) di una dozzina di tordi sasselli. Mi sovvennero numerosi quesiti irrisolti sull'esistenza. Ovviamente da buon estimatore della natura, sapevo quale fosse la ragione del loro cinguettio, ma volevo altresì "carpire" l'essenza del canto. Lasciai la questione irrisolta per dedicarmi alla faccenda del colonnato. 

 

Adagiato sul capitello dorico c'era un merlo grazioso che mi diede l'impressione di proferir parola: -"It's time to wake up pa". Cominciai a delirare, pur senza mostrare il minimo cambiamento nella mimica facciale. Celai il mio turbamento  con grande abilità (lo facevo già da anni) e mi tenni tutto dentro, nel locus più recondito ed inaccessibile del mio io. 

 

Egli mostrò una certa riverenza nei miei confronti e fece un inchino solenne. Ne fui sorpreso nonché basito: non vi trovai alcun tratto che non fosse riconducibile ad un damerino di corte. - "It's time to wake up pa". Ero in preda al panico, con quel tono di voce acuto e stridente che risuonava nelle mie orecchie come una cassa di risonanza muta. 

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Capitolo 2
*** SECONDA PARTE ***


SECONDA PARTE



-"Sveglia! Svegliati dormiglione! Rudolph ha lezione alle 8 oggi. Non impari mai dai tuoi errori: non so quante volte ti ho detto di attivare la sveglia. Hai sempre bisogno di una strigliata per svegliarti, peggio di un bambino." Queste furono più o meno le dolci parole che udii quel mattino(si susseguivano con il medesimo tono di voce ormai da più di un anno).



-"È tutto così tedioso Dizzy! Potresti quantomeno ripetere variando, anziché ripetere le solite cose", replicai stizzito. -"Rudolph, stai tranquillo, arriverai in tempo per le lezioni, promesso".



-"È da più di un'ora che sono pronto", rispose solerte il giovanotto. Eh si perché si trattava di un ragazzino piuttosto atipico. La sua curiositas lo spingeva al di là di qualsiasi essere umano alla sua età. Sarebbe quasi riduttivo dire che Rudolph amava la scuola, giacché nutriva un'intensa passione per la cultura in generale. Non aveva nemmeno bisogno di frequentare la terza media e non a torto: avrebbe potuto iscriversi al liceo senza sfigurare.



-"Un genietto il mio bimbo... un portento... un fenomeno della natura" soleva ripetere Dizzy in maniera ossessiva. In realtà non ero così ottimista o soddisfatto di sapere che Rudy fosse un fuoriclasse ( comunque la si voglia intendere, lo era davvero). Lui diceva di essere molto apprezzato a scuola per il suo talento e di avere "una caterva" di amici (non so perché usasse questo termine colloquiale).



Un giorno fui spinto dalla curiosità (si badi bene non curiositas) di accompagnarlo a scuola e di verificare se quanto diceva fosse attinente alla realtà. A tal proposito decisi di coniugare l'occhio analitico da fisico con quello dell'artista francese che era solito dipingere dei capolavori nati dal buco della serratura (Degas in poche parole). Assistetti a qualcosa che non avrei mai voluto vedere, ma che fui costretto ad osservare: il processo al piccolo Rudy. Dopodiché distolsi gli occhi da quel buco alla vista di un insegnante che si stava avvicinando ad ampie falcate verso l'aula. Non volevo in alcun modo che Rudy mi vedesse, così mi diressi a gran velocità verso l'uscita. Ero del tutto assorto nei miei pensieri, e non riuscivo a spiegarmi il motivo di ciò a cui avevo assistito. Ebbi per un attimo l'impeto di voltarmi indietro e dare una bella lezione di vita a chi aveva osato "pregiudicare" il piccolo Rudy. Ma chinai il capo, come sempre del resto.



Ero irto di collera e sentivo il bisogno impellente di sbollire, così andai nel luogo più sconosciuto della città: il routertour. Si trattava di un piccolo poggio ricco di arbusti di ogni specie ed un solo grande albero, un maestoso carrubo. Era così grande che al suo interno avrebbe potuto accogliere un intero esercito( e non è un iperbole). Cercai di ripercorrere nella mia mente tutta la scena con i dialoghi, come una vera e propria opera teatrale.



- "Chi di voi sa dirmi che cos'è la quarta dimensione?" chiese madame Henry. -"Non esiste mica prof."- "È roba fantascientifica".
-"Vediamo se Rudy topo da biblioteca lo sa". Rudy non disse nulla, rimase in silenzio, con le braccia conserte ed un'aria piuttosto assorta.
-"Caspita raga, neanche un anfibio come topo Rudy non lo sa", soggiunse un ragazzino con il volto pieno di solchi
(molto probabilmente dovuti al fumo) ed una decina di piercing.
-"Vedete ragazzi, a volte anche i geni fanno cilecca", fu la chiosa del l'insegnante.
Il fatto di avere rielaborato l'accaduto mi diede tanto conforto e mi permise di fare un po' di ordine mentale. Tutta la rabbia che avevo accumulato svanì del tutto quando assistetti ad un fenomeno naturale curioso: tantissime formiche si arrabattavano per trasportare un baccello di carrubo enorme. Io notai che ce n'erano a centinaio a disposizione dalle dimensioni più ridotte , il che avrebbe richiesto loro meno fatica nel trasportarli.
Mi allontanai dall'albero con il sorriso stampato sul volto. Ero in preda all'euforia, giacché la natura ancora una volta aveva dato risposta alle mie incessanti domande esistenziali. Sapevo cosa dire al piccolo Rudy quando l'avrei rivisto quella sera a casa per cena. Quando rientrai salutai il piccolo Polly, pappagallo Cenerino molto vivace e curioso. Nel frattempo mi figurai che umore avesse Rudy dopo l'evento apocalittico che gli era occorso in mattinata. Lo cercavo per tutta casa ma non riuscivo a trovarlo, così chiesi a Polly che si mise a ciarlare: -"Dizzy angry in her room, Rudy made boom".


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Capitolo 3
*** TERZA PARTE ***


TERZA PARTE-"Rudolph dove sei?"



-"Sono qua", rispose sommessamente.



-"Dove qua?"



-"Qui in stanza"



-"Quo,quo,quo", gracchiò Polly.



Dopo un po' di peregrinazioni in giro per casa, trovai Rudy disteso sul suo lettino, immerso nella lettura di chissà quale grande classico della letteratura mondiale.



-"Che vuoi, lasciami in pace! Hai interrotto il mio otium quotidiano". In effetti era così concentrato, ed aveva un'espressione così seriosa che, per mio diletto, rimasi per qualche secondo a scrutarlo minuziosamente, dalla fronte al mento. Era come se fosse  mummificato o imbalsamato, il che mi incuriosì tantissimo, giacché nella frenesia della mia quotidianità uno dei miei più grandi desideri era di fermarmi per qualche istante, spegnere la macchina-corpo e accendere la mente soltanto. Rudy ci riusciva così bene ad isolarsi dal mondo esterno che a volte provavo invidia nei suoi confronti, anche se non osavo esternare questo pensiero per paura di compiacerlo eccessivamente.



-"Rudy, domani pomeriggio vai fuori a giocare con gli amici a pallone, almeno impari questo fantastico sport", dissi per pungolarlo.



-"Tom Jones si offenderebbe se lo facessi. Ho promesso di tenergli compagnia in questi giorni".



-"Sex bomb, sex bomb...", canticchiò il volatile.



-"Istruisci un po' quel volatile, ne ha di certo bisogno ", soggiunse stizzito Rudolph.



-"Invece penso che sia fin troppo arguto per i miei gusti"



-"Wiiit, wiiit", proferì Polly.



Rudy fece un accenno di sorriso, chiuse il libro e lo ripose  nello scaffale con molta attenzione, curandosi di non spiegazzarlo, anche se i segni del tempo cominciavano a manifestarsi per quel capolavoro di Henry Fielding.



-"Tu sai che cos'è la quarta dimensione?" , mi chiese con fare repentino.



-"Tu domani vai a giocare a pallone ?"



-"La mia è una domanda seria, la tua è frivola, davvero fuori luogo".



-"Affatto, entrerai in nuova dimensione della tua vita. Sarà pur sempre una nuova esperienza temporale, non legata a quelle vissute finora".



-"Sì sì certo, una spiegazione a dir poco scientifica la tua, non ha senso".



-"Quindi tu pensi che le formiche del carrubo facciano una cosa senza senso?"



-"Tu fai il fisico di professione, ma sei un pazzo metafisico nell'animo. Fatti visitare da uno bravo".Fu questa l'ultima battuta di quella serata. Non avevo più intenzione di dire null'altro perché avevo già detto tutto. Fu una conversazione talmente fruttuosa che pensai di trascriverla per serbarne il ricordo per il resto dei miei giorni. Avevo rivelato a Rudolph il segreto delle formiche del carrubo! Fu una tale goduria che decisi di stappare una bottiglia di vino che avevo relegato in cantina per cinque anni.
Non appena rientrai in casa mi venne incontro Dizzy che era stata in cucina per una o due ore. -"Stai dando di matto stasera? Non hai mai bevuto un goccio di vino in vita tua e ora ti dai alla pazza gioia Sean?", esordì con aria esterrefatta.
Rimasi per qualche istante in silenzio perché mi venne in mente la Taverna del Routerheiler, come in un flash fotografico.
-"Cosa si festeggia stasera? A cosa dobbiamo cotanta gaiezza?" proseguì Dizzy.
-"Quante altre domande vuoi farmi? Dieci,cento, mille?"



-"Non ti adirare in tal modo, vieni, siediti sul divano, ti vedo un po' rossiccio in volto. Quanto hai bevuto? Sei consapevole di ciò? Ti rendi conto che c'è un ragazzino in casa? Eh?
-"Sean is out, out, out...".
-"Sean, Sean riprenditi su bello mio!".
Riaprii gli occhi e mi trovai di fronte ad un enorme nevo che mi oscurava la vista.
-"Certo che se vai su di giri con un bicchierino, sei proprio messo male" disse il tizio, o il nevo, dato che non riuscivo a capire bene chi mi stesse parlando con quel tono di voce così rauco e aspro.
-"Sono io Set, e tu ricordi chi sei?"
-"Ah Set sei tu?" risposi con tono sorpreso. Mi sentivo quasi paralizzato, frastornato e avevo una brutta sensazione, un sentore di un pericolo incombente. Lo scenario era cupo, tetro, asfissiante e Set continuava a fissarmi in modo piuttosto sinistro.
-"Scusami Set, ma penso di avere un po' di confusione in testa. Mi accadono delle stranezze ultimamente".
-"Così è la vita! Cos'altro è se non un pullulare di stranezze", proferì Set con saccenteria. Pensai che se l'affermazione di Set fosse vera, la mia vita non avrebbe avuto modo di esistere, visto che avevo sempre vissuto nell'ordinarietà, senza mai andare fuori dagli schemi, e di conseguenza nessuna stranezza mi era occorsa fino a quel momento (che di strano aveva proprio tutto) che era a dir poco grottesco.
-"Sei andato via di fretta, avrei voluto raccontarti tante cose, su questo viale, sul colonnato, sul merlo...", ad un certo punto non disse più nulla, sembrò un meccanismo inceppato e continuò a ripetere la parola merlo per un periodo di tempo indefinito. Mentre si trovava in questo stato di imbalsamazione ne approfittai per tirarmi su e sgusciare via da quel luogo lugubre (feci un po' di metri carponi per timore che la mummia mi aggredisse).




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Capitolo 4
*** QUARTA PARTE ***


QUARTA PARTE.Camminai per circa un chilometro, fin quando non fui costretto a fermarmi per la fatica e caddi a terra ansimando. Mi ci volle qualche minuto per riprendere fiato e tirarmi su, ma questo sforzo sovrumano fu ampiamente ripagato dalla vista del luogo in cui mi trovavo: si trattava della baia di Doorset.
Non andavo in quel luogo incantato da molti anni, dato che ero sempre impegnato e assorto nei miei tediosi studi e sperimentazioni varie. Vi era una spiaggia immensa, con della sabbia finissima color oro e porpora. Prima di poter accedere a questo luogo meraviglioso, bisognava oltrepassare una palude irta di cespugli ed insetti petulanti. Ero ben consapevole che l'attraversamento della palude presentava numerose difficoltà (fui quasi sul punto di mollare, come sempre del resto).
Infine raggiunsi la spiaggia e mi accasciai lentamente sul manto sabbioso. Rimasi lì adagiato per qualche ora ad ascoltare il dolce suono del mare piatto e la fragorosa cantilena dei gabbiani, i quali svolazzavano in lungo e in largo alla ricerca di non so cosa. In realtà in quel momento non riuscivo a comprenderne la benché minima azione, giacché mi trovavo in uno stato di profonda malinconia e riuscivo a malapena a comprendere me stesso.
La giornata era alquanto uggiosa, ma ad un tratto vidi filtrare un raggio di luce che mi diede nuova lena. Fu a quel punto che mi alzai in piedi e vidi la sagoma di qualcuno avvicinarsi lentamente verso di me. In un primo momento pensai che si trattasse dell'inquietante Set, ma subito dopo capii che non poteva essere lui per via della folta chioma che si muoveva all'unisono al soffio della brezza marina.
- "Dizzy sei tu?, chiesi con uno sguardo attonito.



-"Ti ho cercato per diverse ore, ti aspettavo per pranzare insieme".
Le sue parole mi suonavano alquanto strane, perché Dizzy non aveva mai parlato con un tono di voce tanto dolce quanto ambiguo. Così per paura di dire qualcosa di inappropriato (sbagliato) decisi di cambiare discorso. Menzionai tante frasi di circostanza, riferendomi alle meravigliose creature che animavamo la baia, alla flora paludosa, all'acqua cristallina...
C'era tuttavia un tal senso di incompiutezza, di grave mancanza in tutto ciò che era lì presente. Vi era uno stacco così netto tra la lordura paludosa e l'idillio marino che non riuscivo a sentirmi a mio agio in nessuno dei due luoghi. Sentivo la necessità di trovarmi in un'area più sfumata, ibrida, più mia.
-"Sean dovresti  imparare ad esternare ciò che pensi realmente, anziché crucciarti nel dire frasi di senso compiuto".



-"Questo è ciò che penso realmente. È tutto incredibilmente perfetto qui. Se mi volto cambia tutto: è tutto incredibilmente imperfetto.



-"E se cambiassi prospettiva,punto di vista? Cosa ne pensano quei rospi?"



-"In tal caso..."



-"Ecco faresti bene a ponderare le tue parole, dato che non fai altro che eseguire misurazioni ed esperimenti tutto il giorno".
Queste furono le parole con cui si congedò Dizzy e non riuscii a ribattere. C'era un non so che di profondo in quella conversazione, un riferimento ai rospi che mi fece venir voglia di contare uno per uno tutti gli esseri viventi che si trovavano nel raggio di cento metri (mi chiedevo insistentemente se dovessi inserire nel computo anche i vegetali). Fu un’impresa ardua anche se a mio modo di vedere proficua, giacché ero riuscito a contarne 67. Ero molto soddisfatto di aver incontrato Dizzy, perché mi aveva indirettamente stimolato a compiere questa impresa. Ad un certo punto avvertii un forte mal di testa che mi fece quasi desistere dal terminare il computo.



-"Sean, Sean, Sean! Mi sono dimenato in lungo e in largo per ritrovarti, perché sei venuto fin qui? Dovevamo vederci al colonnato, non ricordi?



-"Dimenato... colonnato..." dissi guardando con stupore Set che incontrai nuovamente non con immenso piacere.



-"Ah certo! Hai letteralmente agitato le ali per venirmi a trovare... capisco".



-"Flit", disse Set che aveva dei tratti anatomici aquilini.



-"Scusami Set, ma adesso sono impegnato. Ci vediamo in un altro momento."



-"This is the right moment, you know pa". All'improvviso mi si annebbiò la vista e non riuscii più a distinguere i connotati di Set. Sembrava più un volatile che un essere umano, ed inoltre il suo linguaggio risultava così bislacco che non sapevo come rispondere. Ad un tratto mi parve di avere perso i sensi...



-Ah, ah, ah,craaa! Boozer Sean.


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Capitolo 5
*** QUINTA PARTE ***


PARTE QUINTA"Dottor Homes saprà sicuramente aiutarmi in questa maledetta situazione. Sean è diventato ingestibile. Mah! Non fa altro che delirare. Okay, sono sicura che ci riuscirà." [Quel giorno, più tardi nello studio di Dottor Homes].

"È permesso entrare?", chiesi con voce sommessa.
"Ma guarda un po', tutte queste coppie del cavolo, vengono qui e pensano di potere risolvere i loro problemi pensando di avere la soluzione già bella e pronta. Patetiche, patetici. Che diamine", udii dalla sala d'attesa.

"Prego, venga pure, si accomodi signorina, signora, lady... Ross!".
"Caspita, Dottor Homes è proprio messo male. Qui è tutto sciatto e trasandato. E gode pure di fama mondiale", pensai non senza turbamento."
-"Lei è qui per il caso del suo coniuge Sean Ross. Beh, interessante suo marito. Al telefono mi parlava di NARCOLESSIA, grave narcolessia, no?"
-"Comunque sia la volevo interrompere per dirle..."
-"Non mi vuole mica dire che non è suo marito? Beh, capisco. I divorzi sono il mio pane quotidiano."

-"Le sue parole sono quasi sprezzanti, ma ha un tono di voce molto profondo e orecchiabile", pensai tra me e me facendo una smorfia malcelata.
-"È mio fratello, non mio marito. Io non ho un marito e Sean ha una moglie."

Dottor Homes era un po' stranito. -"Beh mi scusi per la pessima figura, poco fa. Sa, quando faccio accomodare i miei clienti faccio sempre una semplice domanda prima di iniziare la seduta. Chiedo loro: 'sei felice?' Al che non mi viene data una semplice risposta, quale 'sì', 'no', 'boh'... Iniziano a parlare dei loro problemi non rispondendo alla mia domanda. Che idiozia!"

-"Caro Dottor. Homes, non pensa che stia esagerando? Queste persone desiderano che lei ascolti loro, e dia loro la risposta a quella domanda, non pensa?"

-"Cara signorina Ross, il desiderio è una forma di frustrazione. Non otteniamo mai ciò che desideriamo, e qualora raggiungessimo l'obiettivo, ce ne sarebbe sempre un altro da conseguire. Frustrazione su frustrazione..."

-"Dottor Homes si sbaglia. Il desiderio è una forza che ci spinge ad andare avanti, come un flusso di energia!" , dissi animosamente.

-"Certamente mia cara. Anni e anni di studi sull'inconscio da parte di Freud e Jung, e lei mi parla di Deleuze e Guattari che spiegano lo sviluppo psicologico in termini di flusso di desiderio. Patetico."

-"E allora mi dica Dottor Holmes, lei che è uno psicoterapeuta esperto di psicanalisi, come aiuta i suoi pazienti, le coppie di cui parla?"
-"Dipende. A volte consiglio loro di farsi guidare da Eros, alias scopare. Altre volte li invito al dialogo, alias scopare. Oppure, se c'è Thanatos che li perseguita, li invito a pensare ad Eros, alias... lo sa già. Altrimenti consiglio loro di scappare", rise fragorosamente Homes.

-"Lei, caro Holmes, non sa proprio andare al di là degli istinti primordiali o sbaglio?"

-"Beh cara mia veda un po' lei. Se lei preferisce parlare di sovrastrutture, idealizzazione, amore platonico, faccia pure. Si metta al mio posto e dia i suoi saggi consigli a queste povere canne al vento che si presentano qui ogni dannata settimana, pensando che io sia una macchina dei desideri."

-"Lei, Dottor Homes, parla di cose che ha solo studiato, e non le ha mai provate. Che tristezza. Lei non sa nemmeno cosa significa 'Eros è Amore'. "



Dopo questo scambio di battute calò un silenzio tombale. Feci per andarmene, quando Homes sospirò dicendo: -"e lei, lei è felice?"

-"Lei deve sapere Dottor. Homes che la moglie di mio fratello, Iris, è in coma da tre maledetti anni. Il figlio, Rudolph, non ha mai perso la speranza di poterla vedere nuovamente sorridere. Per lui il desiderio è un pungolo, un punzone che lo spinge a guardare sempre avanti..." Iniziai a singhiozzare e mi fermai.

-"Proprio come pensavo. Nemmeno lei è in grado di dare una semplice risposta ad una semplice domanda. Mi spiace ma dobbiamo rivederci la prossima settimana. È passata già un'ora..."

-"Non penso che ci rivedremo Dottor Homes. Le avevo chiesto semplicemente di risolvere un problema, ovvero aiutare mio fratello Sean, ma, a quanto pare, lei non è nemmeno in grado di aiutare se stesso".

-"Nessuno si salva da solo, mia cara".

-"Tenga pure il resto, la saluto". Me ne andai sbattendo la porta.


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Capitolo 6
*** SESTA PARTE ***


SESTA PARTE. Ripensai per tutta la settimana a quella discussione bislacca con il Dottor Homes. Rimasi estremamente delusa dal suo atteggiamento da 'latore di perle di saggezza so-tutto-io'. Sean, il povero Sean, lo sentivo più russare che parlare. Oramai riuscivo a capire a menadito in quale fase del sonno si trovasse, dato che il suo respiro variava come in una sinfonia melodica. Il piccolo Rudy riusciva persino a trarre ispirazione artistica da quei suoni cadenzati, proprio come farebbe una Musa, o piuttosto una cornamusa un poco scordata. Tra fasi R.E.M. e fasi non R.E.M. la settimana volò via e arrivò il giorno in cui sarei dovuta ritornare da Homes. Quell'uomo vantava numerose lauree e riconoscimenti, ma io assistetti solamente alla sua scenata isterica sulle coppie in crisi, con annesso dibattito filosofico. Eppure qualcosa dentro di me mi spingeva a ritornare da lui, dal luminare cafone in grado di curare i casi neurologici più disperati, ma dotato di una sciatteria illimitata.
Non appena entrata nella sala d'attesa, vidi uscire due persone visibilmente sconvolte. "Ecco ci risiamo", pensai, pentendomi quasi di essere di nuovo lì.

-"Prego! Può entrare", disse Homes con un tono piuttosto compassato.
Dopo esordì: -"Lei deve essere qui per il caso di Sean Ross. Quindi, se non erro, parliamo di narcolessia mmh...Mi diceva che ne soffre da diversi anni e che nessuna cura farmacologica si è rivelata efficace...bene...poco bene. Sembrerebbe non esserci alcun rimedio!"

-"Lei mi delude nuovamente Homes", dissi stizzita."

  -"Io la deludo ma lei non collabora Dizzy", replicò Homes. -"Secondo lei, cara Dizzy, come potrei mai aiutare un paziente che è affetto contemporaneamente da grave narcolessia e da depressione maniacale. Lei si presenta qui per conto del fratello, quindi il paziente è praticamente inesistente ai miei occhi. Guardi che io sono un medico, non un mago, o un indovino..."

-"Homes, il paziente dorme praticamente da tre anni", cominciai quasi a singhiozzare.

-"Dizzy, ci deve essere un legame con la situazione della moglie. Cerchi di capire cosa può essere successo trai i due. Dobbiamo scavare nell'inconscio, nel passato", disse Homes come preso da un'illuminazione.

-"Ma io non saprei proprio cosa fare...", pronunziai tremolante.

-"Mi spiace, non posso fare di più al momento Dizzy."

- "Cosa vuol dire che non può fare di più Homes? È la seconda volta che mi presento da lei nella speranza di trovare aiuto concreto... e mi dice che devo essere io a trovare la risposta? Mi perdoni ma lei è matto..." All'istante mi bloccai per evitare di risultare volgare.

-"Si fidi di me anziché inveirmi contro,  Dizzy. Ci saranno dei conflitti irrisolti, ma ho bisogno di più informazioni per capire." Homes sembrava quasi aver subito una metamorfosi. Era come se Bestia fosse un po' meno bestia con l'aiuto di Bella, che nel frattempo era diventata un po' più bestia e meno bella. Insomma, riuscimmo a trovare un punto d'incontro.

-"Mi tolga una curiosità Homes. È la seconda volta che ci incontriamo, e ho visto uscire dal suo studio sempre persone, coppie come le chiama lei, visibilmente deluse, torve."

-"Io non posso di certo illuderle, dando loro una falsa speranza. Se ricercano Fede, carità e speranza, si rivolgano a Dio piuttosto, non a me. Preferisco piangere con loro, dare loro conforto, consolazione etc., anziché illuderle. Loro cercano rifugio nella Fede, sperando che Dio faccia passare e cancelli come un colpo di spugna tutte le loro sofferenze. Ipotizziamo che sia realmente così: l'essere umano si rivolge a lui per debellare qualsiasi forma di sofferenza, che sia esteriore o interiore, ed esaudisce all'istante le loro richieste. Secondo lei potremmo ancora parlare di medicina senza le malattie, di letteratura senza la 'madness' dei poeti, di amore o amicizia senza la solitudine interiore. Nell'ultimo esempio le specifico che parlo di 'loneliness', non di 'solitude'. Infatti gli aggettivi corrispondenti sono 'lonely' (sentirsi solo) e 'alone' (essere solo). Beh, capisce che c'è una grande differenza. La sofferenza serve a crescere, maturare, migliorare in senso lato. Dio, in poche parole, li accompagna nella sofferenza, non toglie loro le castagne dal fuoco. Sono solito ripetere ai pazienti che è proprio la sofferenza ad alimentare la speranza, e che i problemi vanno affrontati, non elusi. Mi perdoni... non voglio sconvolgerla con queste verità esistenziali".

-"Sì, ma una volta instaurate le relazioni umane per alleviare la sofferenza, spesso esse stesse generano sofferenza. È come se fosse un circolo vizioso, essendo la sofferenza una condizione intrinseca dell'umanità...già", aggiunsi, interrompendo un entusiasta Homes, che abbozzò un sorriso e non sembrò affatto infastidito dal mio intervento.
Ci scambiammo degli sguardi d'intesa per qualche istante, dopodiché mi avviai verso l'uscio dello studio, sentendomi un po' sollevata e un po' sconvolta per il fare impetuoso ma allo stesso tempo rassicurante di Homes. In fondo pensavo che James Jacob Homes avesse ragione: "nessuno si salva da solo!".

Non appena uscita Homes mi chiamò, mi voltai e disse compiaciuto: -"Dizzy, lei hai detto 'spesso', io dico 'sempre'!" -" 'Quasi sempre', James", replicai e me ne andai.


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Capitolo 7
*** SETTIMA PARTE ***


SETTIMA PARTE

Dove mi trovo? Questo luogo mi sembra di conoscerlo, è il borgo marinaro di Marsen! 

-“Sean, che fai ancora lì impalato, vieni che stasera ci si diverte alla grande”. 

Non credevo a miei occhi, non capivo come fosse possibile che colui che mi stava parlando in quel preciso istante aveva le sembianze di Jeremy, il fratello di... Iris? Incredibile...

-“Hai visto Sean? Hai visto che uscita figa ho organizzato? Ti presento la mia comitiva: Thomas, Joseph, Becky, Jacob, Isa...”

Furono tutti molto cordiali, ci salutammo e ci scambiammo vari baci e abbracci con ciascuno di essi. Ma l’occhio mi cadde su un’altra persona presente lì in mezzo. Salutai anche lei, e sebbene inizialmente non ne avessi colto i connotati del viso, in quanto ero rimasto quasi ipnotizzato dalla sua maglia rossa, sentii presto uno strano sussulto interiore alla vista dei suoi occhi. Non capivo cosa mi attraeva... non era certamente un viso ‘angelico’... ma i suoi occhi, il suo sguardo mi comunicavano tanto.

-“E infine ti presento mia sorella...” 

-“Piacere, Iris” disse la ragazza con malcelata timidezza e con un tono di voce acuto. 

All’imbarazzo iniziale subentrò ben presto un’accenno di intesa reciproca. Iniziammo a parlare del più e del meno e nel mentre passeggiavamo lungo le stradine affollate di turisti, che si trovavano lì in occasione della festività del santo locale. C’erano anche vari negozi artigianali con i prodotti tipici, tra cui una rinomata gelateria.

Notavo con immenso piacere che tutt’intorno vi era un’atmosfera di spensieratezza, negli sguardi delle persone, nei loro gesti articolati e nell’incedere dinoccolato. A dire il vero provavo un po’ d’ansia alla vista delle stradine affollate, ma non soffrivo di agorafobia o di particolari stati d’ansia. Preferivo sinceramente delle situazioni più intime, più cordiali e meno movimentate.

Tuttavia quell’afosa serata estiva mi rasserenava, e poi c’era quella leggera brezza marina che rendeva più sopportabile l’aria umida e ‘appiccicaticcia’.

-“Sean tu che lavoro fai?”

-“Eh, beh che dirti...”

-“Mi sembri così serioso, secondo me hai un incarico importante”, disse Iris interrompendomi.

-“Beh in realtà non svolgo ancora alcuna mansione lavorativa però studio...” 

-“Capisco... fai il mantenuto allora” disse con un sorriso smagliante al limite del beffardo. 

-“Sto scherzando comunque eh, volevo solo abbattere questo muro d’imbarazzo che si frappone tra di noi!”

-“Addirittura parli di ‘muro’, no io credo che ci sia più un velo d’imbarazzo”, controbattei sorridendo.

-“Non nominare il nome di Schopenhauer invano caro Sean.”

Quest’ultima sua espressione fece ridere fragorosamente entrambi, tanto che attirammo l’attenzione degli altri membri del gruppo che sogghignavano piuttosto incuriositi.

-“Sai, mi piace la tua ironia caro!”

-“Anche tu non sei da meno cara mia!”

-“Caspita mi sa che ci completiamo a vicenda, dobbiamo convolare subito a nozze!”

-“Certo che senso ha conoscerci, intanto partiamo, poi durante il viaggio avremo tutto il tempo di conoscerci.”

D’improvviso ci interruppe Jeremy: “piccioncini mi spiace interrompere il vostro convivio ma dobbiamo avviarci verso il centro dove ci aspetta una serata danzante all’aperto!”

“No Jeremy proprio ora che stavamo ‘tubando’”, dissi e subito incalzò Iris: “già, stavamo pianificando le nozze. Io lavoratrice precaria in un ambulatorio medico lui studente... cosa aspettiamo?”

Jeremy era a metà tra l’incredulo e il basito, forse perché vedeva la sorella esprimere in un modo insolito, o forse perché avevo scoperto un suo lato nascosto, quella perspicacia e sottigliezza, quel lume nei suoi occhi che lui non aveva mai notato. Io invece me ne accorsi subito, sin dalla prima frase che lei mi aveva rivolto. 

-“Senti Sean, non badare troppo a lei, è fatta così, è disinibita, svampita, penso che ci provi con chiunque.” 

-“Questo è ciò che pensi, che percepisci tu... non è detto che rispecchi la verità”, dissi quasi stizzito. 

Jeremy capì che ciò che aveva detto mi aveva infastidito e cambiò prontamente discorso: “tutti in pista guys, ci aspetta una serata memorabile”.

Almeno su questo punto Jeremy aveva certamente ragione. Infatti la serata fu in tutto e per tutto memorabile. Mi sentivo talmente a mio agio che anche un pezzo di legno come me, incapace di muoversi a tempo di musica e di coordinare i passi, fu attratto da quel clima di serenità venutosi a creare nella comitiva. 

L’unica nota stonata della serata fu il fatto che io e Iris non parlammo più, o meglio, ci fu impedito di farlo per via della musica ad alto volume e anche perché non ci fu in effetti l’occasione di farlo. 

La magia della serata, con le luci, il cielo stellato, le imbarcazioni lussuose attraccate sul porto, erano una cornice perfetta, a livello delle migliori riproduzioni cinematografiche... ma forse mancava un pizzico di pathos, di follia, di uno sconvolgimento causato da una qualsiasi divinità panica a coronamento di una serata già di per sé memorabile per un ragazzo privo di entusiasmo e di autostima come me, Sean.

-“Parti domani”, mi bisbigliò all’orecchio Iris, e dal tono della voce percepii una malcelata amarezza.

-“Sì domani...”, le dissi avvicinandomi a lei toccandole leggermente i capelli, con immenso dispiacere, come a voler far trapelare dalle mie parole quel senso di incompiutezza che strideva con l’armonia generale della serata. 

-“Ci vediamo raga, è stata una serata fantastica.”

-“Mi sono divertito tantissimo raga.”

-“Non poteva andar meglio.”

Tutta la compagnia espresse più o meno all’unisono questo giudizio.

Alla fine ci congedammo tutti, baci e abbracci sovrabbondavano, e ci separammo in due gruppi. 

E fu piuttosto beffardo il fatto che nella foga del momento io e Iris non ci scambiammo nemmeno un abbraccio. Annuimmo a vicenda e i nostri sguardi si incrociarono per qualche secondo nel mentre ci allontanavamo l’uno dall’altra. 

Il suono della musica man mano diventò un semplice sussulto. Ci avviammo verso il parcheggio. La serata era finita. Ero incredulo. O forse semplicemente insoddisfatto. 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** OTTAVA PARTE ***


 

-“I can't do well when I think you're gonna leave me...But I know I try...Are you gonna leave me now....Can't you be believing now....”

-“Sta zitto pennuto. Perché continui a ripetere queste parole”, esclamai sbadigliando e con malcelata irritazione.

-“Sean, Sean! Vieni a pranzare oggi o rimani a crogiolarti nel tuo mondo pieno d’illusioni!”

-“Forse”. 

-“Dai sbrigati che poi devo andare a prendere Rudolph, oggi ha avuto la prima lezione di piano. Sono curiosa di sapere com’è andata. Non vedeva l’ora di iniziare”, disse Dizzy con particolare enfasi ed entusiasmo.

-“Ah, wow”.

A malapena afferrai le parole ‘Rudolph’ e ‘piano’, giacché stavo cercando una spiegazione alla cantilena di Polly. 

Stavo fissando dritto negli occhi il volatile, quando all’improvviso mi ritrovai Dizzy in stanza.

-“Ho parlato con Homes, dovresti andarlo a trovare al più presto”.

-“Ma va. Lo conosco da dieci anni e non ho ancora capito perché è così rinomato”, controbattei accennando un sorriso.

-“Potrebbe aiutarti e lo sai bene!”

-“Io so di non sapere mia cara Dizzy, ed è già tanto per un matto come me”.

-“A volte sai come farti odiare”.

-“Eh pazienza, ce ne faremo una ragione, vero Polly?”

Dizzy si spazientì a tal punto che lasciò la stanza di fretta e furia sbattendo la porta. 

Non mi curai molto del suo atteggiamento scontroso e ritornai prontamente a fissare il pennuto. 

-“Bene, bene a che cosa si riferivano le tue parole? Lasciami indovinare... mah, sembrano i versi di una canzone, ma quale?

-“Sean, Sean dai sbrigati a venire di sotto, altrimenti si fa tardi! Sean!? Ah ma vuoi vedere che si è nuovamente addormentato?”

Quella serata fu davvero indimenticabile. Durante il tragitto in auto devo ammettere che non riuscii a pensare ad altro che ad Iris. Percepii una sensazione d’amarezza, un senso d’incompiutezza, un misto di inquietudine, ansia e delusione per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. 

L’umidità di quella nottata estiva mi penetrò fin dentro le ossa, facendomi provare una sensazione di soffocamento che perdurò persino quando mi adagiai sul letto per cercare di prendere sonno. Al mattino salii sul treno per fare ritorno a Rockport. La giornata era uggiosa, quasi come vi fosse una sorta di sintonia, di contrappunto tra il mio stato d’animo pensieroso e il grigiore atmosferico. 

 

-“Bella Sean, come va? Sean ma che stai sempre a dormire? Ma come stai messo? Rudy ma non si sveglia? Oh, sveglia!?”

-“Avvicinati, avvicinati bro, senti cosa mormora!”

-“Boh, non si capisce nulla, sembra un lagna, no!?” 

-“Fa così da diversi anni bro, non ne esce più. È sempre in dormi-veglia! Ora lo sveglio io, guarda... Polly vieni a svegliarlo!”

-“Ammazza che intelligente sto pennuto bro! E cosa riesce a dire?”

-“È l’ora del tè Bruco mela...it’s time to wake up, bro, it’s time to wake up...”

-“Questo Polly è proprio uno svitato, mi fa scompisciare dalle risate!”

-“Divertente, vero Dave? Guarda si sta per svegliare.” 

 

Non appena arrivai a destinazione mi diressi verso le porte del treno. Oltrepassare quello soglia mi pesò tanto, non né avevo voglia, avevo il timore di lasciarmi indietro per sempre quanto di bello avevo vissuto e di cui mi ero inebriato, di non riuscire a rivivere, ad immergermi in un’esperienza così ‘piena’, così intensa, così ‘mia’. In fondo l’idea di  essere il protagonista del mio vissuto, di non pentirmi delle mie scelte, di cogliere l’attimo, forse non sarei mai riuscito a renderla concreta. Le mie ansie, i miei timori, le mie paure... il mio essere, era come se stessi affogando nel tentativo  di ‘contenerli’, mi stavano divorando dal di dentro. Maturai la consapevolezza che sarebbe stato difficile accettare la mia condizione interiore, giacché il mio cuore era pieno, traboccante e la mente era stanca, opaca. Scendendo dal treno sentii una voce familiare che mi sussurrava...

 

-“Bro si sta svegliando ahahah, muoio!”

-“It’s tea time guys. It’s crazy time!”

-“Che sballo questo Polly bro, lo adoro!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Nona parte ***


-“Vieni Homes, è in questa stanza.”

-“Dizzy la casa sembra molto spaziosa e arieggiata. Wow!”

-“Ah ma qui ci sono anche due ragazzini e un pappagallo ad assistere. Cosa c’è in questa camera da letto ? Un fenomeno da baraccone? Io non vedo nulla d’interessante.Tutti fuori tranne il pennuto!”

 

-“Perché sei qui dottore. Non mi sembra che avessimo un appuntamento?” 

-“Sean Sean! Quanto tempo caro Sean. Noto che la mia presenza qui non è gradita. Beh posso anche togliere il disturbo se vuoi…”

-“House out, House out.”

-“Ma i pappagalli non dovrebbero soltanto imitare?”

-No Homes, Polly mi legge nel pensiero ed è capace di formulare frasi di senso compiuto. È unico…”

-“Live in the present!”

-“Concordi con lui Sean? A me sembra che tu non stia vivendo il presente, o sbaglio…”

-“Il presente non esiste Homes… il secondo che passa non lo acchiappiamo più.”

-“Secondo me dovresti anche dimenticare non solo ricordare!”

-“Too much remembering and you are overwhelmed, too little remembering and you are alienated.”

-“Vero Polly ben detto…. Mi tocca parlare con un animale. Chi me lo doveva dire che un giorno mi sarei trovato nella stessa stanza con un narcolettico e un pappagallo con un quoziente intellettivo superiore al mio…”

-“Sorprendente, vero Homes? Tu di solito capisci sempre tutto e ora?”

-“Infingardo, finitimo, clitico, I wish you were here!”

-“Va bene, penso sia meglio togliere il disturbo, dato che non vuoi accettare il mio aiuto caro Sean.”

-“Ci siamo sentiti per un anno. Avremmo dovuto rivederci mah…”

-“Tradimento?”

-“Beh non saprei dare una definizione… Io non amo molto le etichette, le categorie preconfezionate. Però se proprio vuoi…”

-“Scaviamo un po’ Sean?  Potresti  spiegarmi cosa provi in questo momento?

-“Quieta rassegnazione. Mi sto crogiolando nella mia delusione e non ne sento più il peso.”

-“Se non è più un fardello insopportabile significa che stai facendo progressi no?”

-“Non proprio. Mi sento come se mi trovassi in un immenso plateau. Vedo il traguardo all’orizzonte ma sono consapevole che è irraggiungibile.”

-“La vostra relazione com’è stata?”

-“Tanto bella quanto deludente!”

-“Consequence… leave me paralysed love…”

-“Ma non smette mai di intromettersi il tuo animale domestico, Sean?

-“Se non ci fosse lui non ricorderei molte cose del passato. Sa a memoria il messaggio che le inviai dopo avere metabolizzato la delusione!”

-“Incredibile, sono curioso di ascoltare.”

 

            Voglio rispondere alla tua domanda “come mi aiutavi?” La risposta per me è ovvia: amore. È l’unica soluzione efficace per risolvere qualsiasi tipo di problema. Amore è quando incontri qualcuno e ti batte forte il cuore, ovvio. È quando incroci lo sguardo con quella persona e ti ci immergi. È fin troppo banale “piacersi”, fin troppo superficiale. Il difficile è trovare qualcuno che sappia guardarti dentro, scavando in profondita. Difficile appunto, non impossibile. Quando incontri qualcuno e ci parli per ore, non accorgendoti del passare del tempo, è già un principio di Amore. Amore è quando passi una serata indimenticabile con questa persona, di quelle che vorresti rivivere all’infinito, e poi ti resta l’amaro in bocca perchè non vi siete nemmeno riusciti a salutare, ma speri comunque che in futuro ci si possa rivedere. Certo, poi c’è la bestia nera di Amore: Distanza. Lei è in grado di distruggere anche i legami più saldi, figuriamoci il filo sottile che lega due persone che si sono appena conosciute. Ma poi una delle due persone pensa: “perchè non provare a rinsaldare questo filo tessendolo e farlo magari diventare una corda?” Ma sin dal primo messaggio si presenta un’amica-nemica di Amore: Diversità. Una persona si esprime con fiumi di parole, l’altra con un ruscello di parole. Entrambi timidi, seppur l’uno più “profondo”, l’altra più “free”. Sin dai primi messaggi, le prime difficoltà a capirsi. Eppure c’è qualcosa che va al di là di queste incomprensioni, frutto della non conoscenza. Si tratta della passione che li accomuna: l’allenamento (anche se in realtà c’è anche la musica che li lega). Ad entrambi luccicano gli occhi quando si parla di attività fisica. Quante ore passate a parlare di questo argomento... Ma non solo. Sono due persone con problemi e sofferenze varie, e più o meno li condividono. Dopo i messaggi, si aggiungono le chiamate, poche ma intense. Così ci si comincia a conoscere sul serio, e lei continua a ripetere: “bravo, stai iniziando a conoscermi”, e lui: “bene, lo ripeti da mesi”. Si perchè lui è fatto così, sa essere serio nelle varie situazioni, ma è anche capace di far divertire. Lei si diverte e lo dice pure, perché in fondo cosa c’è di più bello di due persone che sappiano prendere la vita con leggerezza, nonostante essa a volte sia molto pesante e li sovrasti. Lui ride sempre quando lei gli dice: “a me piace zan…no”. Sono entrambi molto ironici, o meglio auto-ironici. Il top è quando lei dice: “sono vecchia”, e lui dice: “sono tutto storto”. A volte sembra quasi che facciano a gara per chi critichi di più se stesso. Lei si infastidisce quando lui la chiama “gioia”, e glielo dice senza peli sulla lingua, come solo lei sa fare: “che è sto gioia?” Per non parlare di quando lui le invia messaggi “sdolcinati” e lei: “che è sto coso, chi l’ha scritto?” Per non parlare delle varie auto-critiche al proprio fisico... le migliori risate. Insomma, i mesi passano, i “buonanotte” di lui e i “bn ntte”di lei aumentano a dismisura, e ci si chiama anche per 1-2 ore. Chi avrebbe mai potuto dirlo che questi due, così distanti e così diversi, si sarebbero mai incontrati e avrebbero condiviso un po’ del loro tempo. Già il Tempo, tiranno che unisce e divide. A un certo punto lui pensa che sia arrivato il momento di rivedersi. In fondo queste due persone si sono fatte delle promesse reciprocamente. Quando lei un giorno gli dice: “tanto prima o poi ti stufi di me”, lui le promette: “io ci sarò sempre per te”. È inutile dire che le promesse sono promesse e vanno mantenute. Rivedersi appunto. I due ne parlano per un anno. Ma le cose vanno diversamente. La corda che li unisce inizia a sfilarsi nel giro di 1-2 mesi. Alla fine subentra lei: Delusione. Lui cerca di capire che cosa non va più e lei non glielo dice. Gli sarebbe bastato anche solo parlarne per poterla “aiutare” e comprendere come ha sempre cercato di fare. Lui è molto giù, ma decide comunque di andare nella città in cui si sono conosciuti l’anno prima... chissà magari potranno incontrarsi o forse no. Non si incontrano. Lui la cerca, ma lei non c’è. Prova un pizzico d’invidia nell’osservare gli sguardi d’intesa e gli abbracci delle altre persone che gli stanno intorno. Ma ciò gli dà anche la “Speranza”. Già perché lui sa che le situazioni possono cambiare da un giorno all’altro, grazie a degli incontri che a lui piace definire “speciali”. Adesso lui le scrive queste parole per un preciso motivo. Vuole che lei un giorno possa guardare negli occhi qualcuno ed “immeggersi” nei suoi occhi, ma che soprattutto questo qualcuno possa guardare dentro di lei, così come ho fatto io.

 

 

-“Finito? Ho quasi perso il filo… La corda si è ‘sfilata’ del tutto ahahah…Che dire? Non è di certo un racconto eufuistico; non è un oratore dotato di facondia…ma devo fare i miei complimenti al pennuto!”

-“Sembra quasi che l’abbia scritto lui, vero? Una performance invidiabile, no?” 

-“Ahahah, eh già! Comunque io vado Sean, ci si vede presto!”

-“Goodbye doc, goodbye ladies, goodbye!”

-“A presto Homes.”

-“Bella prof, ci becchiamo!”

-“E voi due da dove sbucate fuori? Avete ascoltato tutto? Bravi, bravi… Come dite voi: ci becchiamo!”

 

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Capitolo 10
*** Decima parte ***


 

Devo ammettere con riluttanza che in fondo avevo gradito la visita inaspettata di quello strizza cervelli. Mi fece capire che forse stavo buttando via la mia vita, la mia carriera, la mia famiglia… O forse no, ero semplicemente entrato in un perenne sogno solipsistico da cui non ero in grado di svegliarmi. In ogni caso desideravo ardentemente trovare una soluzione, una via d’uscita, una scappatoia…

 

 

-“Rudolfino ma dove stiamo andando? Sono stanco bro, fermiamoci un attimo!”

-“Siamo arrivati, guarda quanto è maestoso. Al suo interno sembra di trovarsi in una mini foresta pluviale. Pensa un po’ che effetto può fare un singolo albero. Certo, non è una semplice pianta, è il carrubo. Non so se sia il più grande al mondo, ma mi piace pensarlo!”

-“Tu sei tutto strano. C’è Jess in classe che non smette di adocchiarti e noi siamo qui in campagna a fare nulla…”

-“Scusami cosa c’entra? Questo è qualcosa di unico e raro. Tu stai parlando di una banalità, fidati. E poi quello che provi quando stai al suo interno… non saprei come descriverlo. È come se ci abbracciasse calorosamente con le sue fronde intricate e ci protegge anche dall’intensa calura estiva. Quel babbeo di Sean mi portava sempre qui fino a qualche tempo fa. Non faceva altro che ripetere ‘questo è il mio piccolo rifugio dalle asperità della vita. Qui sei distante dall’occhio indagatore dell’essere umano e ti puoi sentire protetto ecc.’”

-“Ah ok, capisco. Si si!”

-“Lui era una sorta di flâneur, non saprei come definirlo…Poi però veniva sempre qui. Sembrava liberarsi di tanti pesi che lo rendevano curvo!”

-“Boh. Io proprio non ti capisco bro. Già la vita è difficile, o ‘aspra’ come tu dici, figuriamoci se devo complicarla per seguire i tuoi pensieri ramificati come quest’albero!”

-“I miei ragionamenti saranno anche tortuosi e intricati ma senz’ombra di dubbio non sono banali. Prova a chiudere gli occhi, distaccati per un attimo dalla quotidianità. Entriamo in sintonia con i ritmi della natura. Immagina se potessi percepire la lentezza con cui cresce un filo d’erba; non sarebbe un’esperienza straordinaria?”

-“Forse sarebbe snervante. Quanto ci mette a crescere un filo d’erba ahahah?”

-“Ah e poi era solito ripetere la parola trascendentalismo. Era un po’ noioso a volte ascoltare i suoi discorsi sulla natura ma era allo stesso tempo un’esperienza inebriante.”

-“Vi ubriacavate di natura ahahah.”

-“In un certo senso sì. Beh lui era un po’ schivo quando si trovava con gli altri. Qui invece era come se desse libero sfogo, come se tirasse fuori tutto quello che celava al resto del mondo.”

-“Perché?”

-“Ah non lo so. Forse le convenzioni sociali o il suo lavoro accademico lo inibivano molto. Forse aveva paura di risultare vulnerabile agli occhi degli altri. Lui doveva osservare attentamente la realtà, non poteva gustarla, assaporarla…insomma… fare una profonda e intensa esperienza sensoriale.”

-“Se parli sempre al passato vuol dire che ormai ti sei rassegnato, no?”

-“Vero, forse nemmeno troppo inconsciamente credo che non possa ritornare alla normalità. Chissà! Può anche essere che egli stia vivendo nuovamente questi momenti nella sua mente, che finzione e realtà si stiano mescolando e che ciò lo renda ugualmente felice.”

-“Beh non sai se prima era felice o meno; puoi anche fingere.”

-“Già.”

 

 

Non c’era nessuno in casa e avevo paura di addormentarmi di colpo. Così mi venne un’idea a dir poco geniale: mi sarei fatto aiutare da Polly. In fondo il pennuto era l’unico essere vivente che trascorreva, suo malgrado, intere giornate in mia compagnia. Il suo vocio lo udivo talmente forte e chiaro che a volte penetrava fin dentro i miei anfratti più reconditi, si intrufolava in qualsiasi esperienza vissuta e rivissuta nei miei sogni. Mi piace pensare che fossimo in simbiosi, o che quantomeno lui riuscisse a comprendere le mie esigenze e le mie difficoltà senza assillarmi sul da farsi. Eravamo una cassa di risonanza muta l’uno per l’altro, pronti a sostenerci a vicenda… 

-“Stanno bussando alla porta? Chi osa interrompere il flusso dei miei pensieri?”

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Capitolo 11
*** Undicesima parte ***


Non avevo la minima intenzione di aprire quella dannata porta. Perché avrei dovuto? Che cosa voleva da me il mondo esterno? Qui dentro si stava così bene. C’erano Dizzy, Rudy, Polly… loro vivevano normalmente, immersi in una spasmodica e prosaica quotidianità! Che ne sapevano loro di quello che stavo passando… Ero completamente fuori della loro realtà; a volte mi capitava di vederli riuniti a tavola, a conversare del più e del meno e io… io mi sentivo come un corpo estraneo, e in un certo senso lo ero. Il loro nucleo familiare bastava a sé stesso. 

Mia sorella Dizzy lo ripeteva spesso: “Non sei mica un intruso, uno sconosciuto o un estraneo! Accidenti, non so più come dirtelo!”

Ero talmente arguto da carpire cosa si celava dietro le sue apparenti rassicurazioni. Nella sua mimica e nei suoi occhi lèggevo tutt’altro: languore, malinconia, angoscia e forse disperazione.  Sono certo che dentro di sé si faceva forza, già perché ospitare un ‘cadavere’ nel proprio focolare non era proprio il massimo che lei avrebbe potuto avere dalla vita. Escludendo il marito, una figura totalmente assente, c’era Rudolph a darle un po’ di speranza. A dire il vero, suo figlio era un po’ un’arma a doppio taglio: tutte le soddisfazioni che dava sul piano del rendimento scolastico non giovavano, ahimè, a renderlo partecipe di tutto ciò che ci si sarebbe aspettati da un ragazzino della sua età: amicizie, primi amori, marachelle, videogiochi ecc. Trascorreva più tempo a parlare con un pennuto e con me dormiente che con chi forse avrebbe potuto comprendere a pieno le sue esperienze e i suoi traumi giovanili. Temevo seriamente che si sarebbe perso tanti bei momenti e che avrebbe avuto tanti rimpianti in futuro.

Polly invece? Lo avevo trovato in pessime condizioni sotto un enorme carrubo. Mi ero preso cura di lui sin dal primo momento. Capii subito che aveva delle qualità straordinarie, quali una perspicacia e una capacità di interloquire ineccepibili. Quando lo portai con me ad una conferenza internazionale riuscì a stupire tutti gli ‘intellettuali’ ivi presenti con la sua spiccata intelligenza!

Tuttavia Polly… Ma chi continua a suonare il citofono, sarà meglio andare a vedere dallo spioncino!

-“Mmh viso giovane, barba folta, sorrido smagliante, abiti formali… mah.”

-“Salve! Sono Tudor Helms, vengo per conto di Charles Ho…”

-“Homes ho capito! Ci siamo visti qualche minuto fa, non poteva ripassare invece di mandare un suo delegato?”

-“Temo di doverla correggere, dato che il Doc. mi ha riferito che l’ultima volta che vi siete visti, circa un mese fa, le aveva raccomandato di rivolgersi a noi.”

-“Noi chi mi scusi?”

-“Sono il rappresentante di una clinica privata specializzata nel trattamento di problematiche legate ai disturbi del sonno, narcolessia ecc.”

-“Caspita, ho totalmente perso la cognizione del tempo. A volte vorrei infilarmi in un cunicolo spazio-tempo e starvi all’infinito, così non dovrei più preoccuparmi di questa stupida convenzione cronologica!”

-“Le prometto che faremo del nostro meglio per tenerla a contatto con la nostra realtà e non sarà più costretto a distaccarsi da essa.”

-“Posso portare almeno lui con me, vero?”

-“In teoria non potrebbe, ma se proprio insiste possiamo trovare una sistemazione anche per Polly!”

-“Non mi sembra di averle mai detto il suo nome!”

-“Ha ragione! È stato Charles a parlarmi di lui e dei suoi prodigi. Anche se a dire il vero non mi sembra avere nulla di speciale.”

-“Ah se lo dice lei allora…”

 

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Capitolo 12
*** Dodicesima parte ***


Mi trovavo ad un bivio: continuare a vivere in un sogno perpetuo o cercare di mantenermi in contatto con la realtà, sperando di rimanerci il più possibile. Mi presi un po’ di tempo per pensarci su; volevo che i miei cari, i miei conoscenti e i miei colleghi fossero al corrente di ciò a cui sarei andato incontro. Avrei dovuto affrontare un difficile percorso di ritorno alla prosaicità della vita. L’unico mio timore era di allontanarmi dal mio compagno di viaggio nell’altro mio mondo, o meglio, colui che stava sulla soglia, tra il sogno e la realtà, sempre pronto a destarmi ogni volta che si presentava il timore che non potessi più tornare ‘di qua’. Quel coraggioso Polly che stava al mio fianco ormai da ben cinque anni. Per tal motivo insistetti affinché mi permettessero di portarlo con me. Del resto, come avrei potuto fare a meno di quell’instancabile pennuto? Chi altro mi avrebbe potuto risvegliare se non lui? Dizzy e Rudolph si fidavano ciecamente di Polly e sapevano di poter sempre contare su di lui in loro assenza. 

Quando decisi che era arrivato il momento della scelta, del cambiamento radicale, mi affrettai a mettere in valigia tutto il necessario per una permanenza a tempo indeterminato. Già perché ero consapevole che non sarei ritornato presto a casa e non volevo illudermi o nutrire false speranze. In ogni caso, ero molto determinato nel fare questo salto nel vuoto, che mi avrebbe condotto alla salvezza o all’oblio. Non avevo più dubbi!

 

Rovistai negli anfratti più reconditi della mia stanzetta alla ricerca degli oggetti più preziosi che mi avrebbero aiutato a ‘ricordare’ chi fossi nei momenti più bui. Il mio sguardo ricadde prontamente su dei vecchi appunti e in particolare su un racconto che avevo scritto all’età di dieci anni. 

Il titolo era “La scoperta dello ‘Rasielhk White’”:

“ANNO 2070: anno in cui il famosissimo fotografo francese Guttier De Santos partì per esplorare una foresta mia visitata prima da nessun essere umano.

La foresta era chiamata “La via dei vagabondi” ed era questa la strana meta che doveva raggiungere De Santos.

Il fotografo si mise in cammino via terra, attraversando mille pericoli. Appena arrivato, già penso di andarsene, talmente era fitta e buia la foresta e il peggio era che c’era un fortissimo temporale, ma Guttier non si arrese e si mise a scattare foto. 

Addentrandosi sempre di più, la foresta diventò talmente buia che a Guttier sembrava che il sole si fosse oscurato e quindi la terra fosse nel buio totale.

De Santos non si fece prendere dal panico, si addentrò sempre più nella foresta anche se ormai non poteva più fotografare né animali né eventuali indigeni.

Ad un tratto, vide un’ombra abbagliante che si muoveva rapidamente, gli fu davanti e guardò negli occhi Guttier.

Questi le chiese se fosse un uomo e l’ombra rispose di sì, infatti si trasformò subito in un uomo bianchissimo.

Guttier, da quando era arrivato nella foresta, si chiedeva perché questa si chiamasse “La via dei vagabondi”, così l’uomo bianco gli disse che la foresta aveva quel nome perché da lì passavano molti vagabondi, poveri e ammalati e che il dio Josè li faceva diventare luce della foresta. Disse anche al fotografo che loro si chiamavano “Rasielhk White”, il nome che loro dio aveva dato a questa razza.

Guttier era contento e meravigliato della scoperta che aveva fatto:

prese subito la macchina fotografica per fotografare la strana creatura, anzi la nuova razza d’uomo che aveva scoperto.

Lo “Rasielhk White” lo pregò di non farlo perché se lo avessero saputo i cacciatori di razze rare, non li avrebbero più lasciati in pace, avrebbero dato loro la caccia per catturarli e diventare così oggetto dei loro esperimenti. 

De Santos pensò che quelle strane creature della foresta avevano il diritto di vivere serenamente la loro vita, così lasciò perdere.

L’uomo abbagliante lo ringraziò e lo invito a rimanere per un po’ nella foresta. Guttier conobbe tutti i “Rasielhk White” e divenne loro amico.

Quando andò via, le nuove creature lo invitarono a ritornare, ogni volta lo avrebbero accolto con tanta gratitudine. Guttier De Santos aveva rinunciato alla fama ma aveva guadagnato una meravigliosa amicizia.”

 

Ciò che mi stupì rileggendo questo racconto era la presenza di un’atmosfera fin de sìecle e un senso di fin du globe che mi suonavano piuttosto strani e inusuali per un bambino di soli dieci anni. Mi rivenne in mente tutto il processo creativo e le motivazioni che avevano spinto il me-bambino a mettere su carta questa storia; tuttavia il mio ‘io’ non si riconosceva più in quel bambino, giacché la temporalità frammenta il sé e la memoria non ne garantisce la stabilità. Il sé è plurale o discontinuo e lo scorrere inesorabile del tempo non permette di “recuperare” il sé precedente, che quindi non esiste più. Inoltre mi colpirono l’interesse e la curiosità per la tematica dell’alterità da parte di un bambino che aveva vissuto fino a quel momento nella quasi più totale solitudine…

C’erano tanti altri racconti, ma non ebbi il tempo di rileggerli, dato che non avevo molto tempo a disposizione. Tudor sarebbe venuto a momenti e non avevo ancora fatto le valigie. Avevo un po’ di timore perché avrei potuto addormentarmi senza nemmeno accorgermene…

A un certo punto sentii delle urla provenire dalla finestra della cucina:

-“Bella Sean! Ci sta un amico tuo che ha chiesto di te. Dovrebbe arrivare tra poco a casa tua!”

Era l’amico di Rudolph, quello che si atteggiava da bulletto ma che stranamente aveva stretto con lui amicizia. Li vedevo spesso trascorrere del tempo insieme, o meglio, li vedevo trascorrere del tempo insieme nei miei momenti di veglia. Mi stava solamente facendo perder tempo? Che cosa voleva da me questo ragazzino trasandato? Non sapeva che avevo delle questioni esistenziali ben più importanti da risolvere e che non potevo stare a chiacchierare con un adolescente in piena pubertà? Evidentemente no.

 

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Capitolo 13
*** Tredicesima parte ***


Non so esattamente il motivo, ma capii che quel ragazzo non stava mentendo. Forse era il tono della sua voce, o i suoi occhi che trasudavano sincerità, o ancora l’irruenza della sua gestualità…

A un certo punto sbucò alle sue spalle un uomo in abiti eleganti, che non penso potesse avere più di trent’anni. Gli feci cenno di avvicinarsi e in neanche dieci minuti ci ritrovammo dentro casa a parlare del più e del meno. Non avevo la benché minima idea di chi fosse, probabilmente non mi interessava nemmeno saperlo; stavo ‘dialogando’ con un altro essere umano, in carne e ossa, e di tanto in tanto davo un’occhiata a Polly per rassicurarmi della veridicità della situazione!

Non stavo dormendo; ero certo, giacché Polly nell’altro mio mondo aveva dei colori piuttosto sbiaditi nel piumaggio. Invece in quel momento riuscivo a vedere con i miei occhi tutto lo splendore dei suoi colori sgargianti (rosso, giallo e verde)! 

Guardavo la persona che mi stava seduta di fronte con occhi spalancati e continuavo a darmi dei pizzicotti per assicurarmi di essere sveglio.

 

-“Sean, mi piacerebbe trattenermi con te per ore! Sembra che non parli da secoli! Sei un profluvio di parole; tuttavia adesso devo mostrarti una cosa.”

-“Spero non sia niente di preoccupante…?!”

-“Una persona ha ricevuto per sbaglio questa lettera, ma sei tu il vero destinatario! Deve essere un messaggio importante dato che mi è stato detto che il mittente chiede ogni giorno se abbia ricevuto o meno una risposta…”

 

Rimasi stupefatto per qualche istante! Chi mai avrebbe potuto scrivermi nel mondo reale, considerando che non avevo una vita sociale da un po’ di anni. A un certo punto, non appena Angel mi diede in mano la lettera, fui pervaso da una valanga di ricordi, emozioni, sentimenti contrastanti. 

 

-“Queste cose ormai mi succedono solo in sogno… in quel caso la condensazione e lo spostamento non mi fanno capire nulla! Ora invece ho la possibilità di godermi al massimo questo momento. Sono eccitato e intimorito allo stesso tempo!”

-“Direi che è arrivato il momento no? Che ne pensi? Ne vale la pena, fidati.”

-“Fidarsi di chi? Di un Cupido che si è presentato qui a sorpresa su annuncio di un Hermes tutto trasandato… ahahah!”

-“Potrei cambiarti la vita sai?”

-“Va bene non indugio ulteriormente…”

 

Aprii il vaso di Pandora:

“Sean, come stai? Non so nemmeno perché sono qui a scriverti da un letto di una clinica… Ne è passato di tempo; mi sembra siano già due anni che non ci si sente. Ho commesso degli sbagli e pensavo tu ne facessi parte. Forse rivangare il passato non fa bene a me ma soprattutto a te. Mi piacerebbe rivederti, davvero. Iris.”

 

Gettai d’impulso la lettera sul pavimento poiché era come se mi fossi preso una scottatura. Mi adirai tantissimo perché mi vennero in mente tutte le sofferenze patite per colpa di colei che aveva scritto questa lettera. Mi trattenni solamente perché non volevo dare una brutta impressione di me alla persona gentile e cordiale che si era scomodata a consegnarmi la lettera. 

 

-“Sinceramente potevo anche fare a meno di leggere queste parole…”

-“Ti ha ferito molto? Hai subito una metamorfosi non appena hai finito di leggere.”

-“Mi ha deluso profondamente e non vorrei parlarne, se non ti dispiace…”

-“Certo, capisco.”

-“Bene, adesso devo rimettere a posto le ultime cose e si parte!”

 

Non potevo continuare la conversazione. Avevo il cuore traboccante d’ira ed ero in preda ad una profonda sensazione malinconica di vuoto e disperazione. Polly era molto agitato e svolazzava per tutta la casa, come se cercasse di sfuggire dalla cupezza del mio stato d’animo. Allorché congedai Angel e cercai prontamente il mio cellulare per chiamare Dizzy.

 

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Capitolo 14
*** Quattordicesima parte ***


Quattordicesima parte

-“I care for you Sean; I take care of you, I look after you!”

-“Vieni Polly”, disse Rudolph con voce sommessa. 

-“Rudy, ascoltami bene: prendi Polly con te e andate dai nonni un paio di giorni. Non voglio che entrambi soffriate… Non so quando usciremo da questa brutta situazione; spero presto!”

-“Sono davvero dispiaciuto Dizzy… Era in preda all’agitazione e all’improvviso è caduto a terra… Ha battuto la testa…”

 

Angel riusciva a stento ad articolare dei suoni che avevano della parvenza di normalità. Era fin troppo evidente quanto quell’incidente domestico lo avesse scosso particolarmente. La voce rotta dal pianto mostrava anche fin troppo un senso di incredulità da parte di un ‘messaggero’ che aveva svolto egregiamente la propria missione, ma le cui conseguenze si rivelarono nefaste. 

 

-“Temo che stavolta le braccia di Morfeo non lo abbiano frenato nella caduta”, esclamò Homes tentando di alleggerire l’aria pesante che si respirava in casa. C’erano parecchie persone del vicinato che, per semplice curiosità o perché seriamente preoccupate, si erano accostate nei pressi dell’uscio, nel tentativo di carpire qualche stralcio di novità. A dire il vero, c’era ben poco da capire, giacché gli operatori medici, consci della gravità della situazione, riuscirono ad intubare tempestivamente il povero Sean. Così si fecero strada tra la calca e lo caricarono in ambulanza.

 

Sean era molto conosciuto in città. Godeva di una buona fama, sia come fisico sia come bell addormentato. Era una persona molto determinata e altruista a detta di molti; presentava molti lati ‘oscuri’, secondo altri; non era uno di molte parole, secondo un’opinione condivisa da tutti. Sicuramente nessuno lo conosceva meglio della sorella, Dizzy. Quest’ultima sapeva praticamente tutto di Sean. Si era da sempre presa cura di lui ed era in grado di capire alla perfezione i suoi cicli di sonno-veglia. Quando lei non era presente Polly si assumeva l’incarico di ‘vegliare’ sul suo amico. Lo faceva in modo disinteressato, mostrando tutto il suo affetto per colui che l’aveva trovato, all’ombra del carrubo, mentre cercava di divincolarsi da una trappola per conigli… 

 

-“Cara Dizzy, ho appena chiamato il direttore sanitario della clinica. Hanno deciso di tenerlo sotto osservazione per qualche giorno. Solo in un secondo momento decideranno se varrà la pena affrontare il difficile percorso di riabilitazione con delle cure sperimentali. A quanto pare, vorrebbero provare ad inibire l’azione di alcuni neurotrasmettitori che regolano il ciclo sonno-veglia…”

-“Non ne voglio sapere nulla Charles. Non doveva accadere un evento del genere. Mi sbatto sempre pur di dargli il massimo supporto e poi arriva la minima distrazione e il danno è fatto.”

-“Non colpevolizzarti. È inutile Dizzy. Non avresti potuto prevedere ciò; non puoi avere tutto sotto controllo. Fattene una ragione!”

-“Charles, ma…”

 

La conversazione fu troncata dal gesto di stizza di Homes, che uscì di casa mormorando tra sé e sé:

-“Gli sta bene… è sempre stato cocciuto e ostinato. Lo avevo avvisato… gliel’ho indicata tante volte la strada da intraprendere, ma lui niente… bah! La sua testardaggine ha avuto gravi conseguenze. Non gli è mai passato per la testa che ci sono delle persone che gli vogliono bene? Evidentemente no. È sempre stato un egoista. Ricordo come se fosse ieri il periodo universitario. Eravamo molto legati, forse anche fin troppo. Devo dire che mentre con me si è da sempre comportato decentemente, con altre persone ha avuto un atteggiamento riprovevole… Solo un misero narcisista come Sean avrebbe potuto illudere quelle povere vittime designate. Prometteva loro il mondo, ma ricevevano solo le briciole. Stranamente si comportò diversamente con…”

 

-“Mi scusi, dovrei passare se non le dispiace!”

-“Ah mi perdoni, ero soprappensiero! E tra l’altro temo pure di avere sbagliato strada. Che sbadato, accidenti!”

-“Sa, ho visto una calca di persone tutte ammassate davanti all’abitazione di quello strampalato, Po.. Polly!”

-“Eh sì, proprio lui!”

-“Ma lei non è Dottor Homes? Ma sì è proprio lei in persona! Non potrebbe in qualche modo aiutarmi a risolvere dei problemini personali?”

-“Mi scusi ma vado davvero di fretta… Chiami in ufficio e prenda un appuntamento!”

-“Ma mi moglie se ne sarà già andata…”

-“Che cosa le fa pensare che non lo faccia anche ora, o che non lo abbia già fatto ‘mentalmente’ se non fisicamente? E poi se si tratta di problematiche di ‘coppia’ devo necessariamente parlare con entrambi. È la mia prassi!” 

-“Bene, bene! Venga allora! Le prometto di non farle perdere più di cinque minuti. Glielo prometto!”

-“Guardi, accetto solo perché forse si tratta di un’emergenza…”

 

Homes fu quasi impietosito dalla richiesta di quell’uomo di mezza età. Forse si stava intenerendo: dopo anni e anni trascorsi a drizzare gli orecchi per ‘ascoltare’ i profluvi di parole dei suoi ‘pazienti’, anche se a dire il vero lui disprezzava questo termine, aveva capito che non era tutto una questione di tempo e di ufficio. Per una volta aveva deciso di dare un po’ di ordine al guazzabuglio del cuore di questa persona, il cui sguardo richiedeva molto più di una lettura mentale con conseguente analisi. 

Non appena entrò in casa, non poteva fare a meno di notare la presenza di un’enorme libreria, sebbene di libri non ve ne fosse traccia. Era piena di foto, tutte accatastate in meticoloso ordine. Luke era un fiume in piena: iniziò a prendere le foto, una per una, e a raccontare il ‘momento’ che era stato catturato. Riusciva a ricordarsi ogni minimo particolare e ad ogni foto il suo volto cambiava espressione; era come se rivivesse quell’esperienza e il suo ‘io’ si ritrovasse, si rassicurasse della propria esistenza hic et nunc. 

-“Fa male Jack? Vuoi fermarti? Sembra che il flusso dei ricordi ti stia sovrastando interiormente. Non farti inghiottire dal passato. Devi uscirne Jack… Vivi!”

-“Questo mi aiuta a tirare avanti. Mi resta solo questo: ricordi e ricordi e ricordi…”

-“Le foto sono stupende. Smetti di piangerti addosso e fa sì che nella tua vita vi siano tanti altri bei ricordi. C’è ancora tanto spazio nella tua libreria, o meglio, foto-ria!

Jack fece un abbozzo di sorriso che svanì non appena i suoi occhi si soffermarono sulla foto di quella che doveva essere quasi certamente la sua famiglia.

-“Sono andati via tutti Charles… tutti spariti dalla mia vita.”

 

Charles Homes non disse più nulla. Per la prima volta si lasciò andare ad un abbraccio e ad una pacca sulla spalla: era come se si fosse tolto le vesti di Homes, medico ‘cinico’, per indossare quelle di Charles, persona empatica. Ebbene sì, quell’abbraccio ebbe esattamente l’effetto sperato o forse insperato: Luke si lasciò andare ad un pianto liberatorio che, secondo Charles, sarebbe potuto essere il preludio ad un nuovo inizio. 

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Capitolo 15
*** Quindicesima parte ***


-“In quale reparto lo avete portato?”

-“Charles, tu che ci fai qui? C’è qualche tuo paziente ricoverato?”

-“Ciao Josh, sì, cerco Sean Lawses. Lo hanno portato qui 15-20 minuti fa. Lo trovo in rianimazione?”

-“Lo sai che è vietato l’accesso in quel reparto Charles… A stento possiamo far entrare il primario e gli infermieri di turno…”

-“Josh… è importante… cerca di capirmi.”

-“Eh va bene, te lo concedo. Ma solo in qualità di medico curante!? Sia chiaro!”

-“Grazie. Potrei salvargli la vita!”

 

Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo: era come se la linea di demarcazione che separava il sogno dalla realtà si stesse assottigliando. Non ero più in grado di distinguere il mio essere in carne e ossa e il mio essere puramente solipsistico. Non c’era Polly, con il suo verso inconfondibile; non c’erano nemmeno Rudy e Dizzy. Speravo perlomeno di incontrare il tizio che si spacciava per mio amico di lunga data… Seth… ma niente da fare… Il viale era vuoto, la taverna era vuota, la baia era desolata. Tutta la vegetazione rigogliosa era sparita, la sabbia aveva perso tutta la lucentezza del giallo ocra e il mare aveva assunto le sembianze di un grumo scuro. Il mio mondo stava pian piano sbiadendo; Probabilmente sarebbe presto scomparso del tutto. E io? Io che fine avrei fatto? Mi sarei dissolto insieme a esso? Avrei mai più rivisto i miei cari? E quello stronzo di Homes? 

 

-“Sean ma cosa mi combini? Non ti vedo per due giorni e te ne vai in coma? 

 

Lo sapevo che quel mattacchione di Charles Homes avrebbe tentato di parlarmi. Avrei voluto dirgliene quattro ma non riuscivo a muovermi: mi sentivo paralizzato in un mondo in un cui non vi era alcuna via d’uscita, nemmeno un pertugio, un orifizio che mi avrebbe trasportato dall’altra parte. Era tutto così affievolito. Era come se da un momento all’altro tutto sarebbe collassato su sé stesso. 

 

-“Charles ma come sei entrato?”

-“Dizzy… Rudy… anche voi qui!”

-“In realtà sei tu che non dovresti stare in questa stanza… Hai parlato con il primario?”

-“Non ci sono buone notizie sulle sue condizioni. Il quadro clinico desta preoccupazione. La caduta ha causato un forte trauma cranico. Probabilmente rimarrà per sempre di là…”

-“Dove Charles? Dove? Morirà?”

 

A un certo punto arrivò una pioggia battente. Uno scroscio assordante che allo stesso tempo leniva la mia disperazione. Mi aiutava a non tenere la mia mente perennemente occupata sulla mia condizione di esistenza-inesistenza. Ma chi ero io? Mente? Corpo? Entrambi? Esistevo concretamente? Riuscivo a percepire la realtà circostante? Da dove proveniva questa pioggia? Perché mi arrivavano degli strascichi di ‘voce’ umana che sembravano provenire da un’altra dimensione? Avrei voluto partecipare al contrappunto di voci…

 

-“Scusate, vi prego cortesemente di uscire  dalla stanza. Il primario vi attende in sala d’attesa!” 

-“Andiamo…”

 

-“Wake up Sean! Wake up!

Riuscivo a udire distintamente un verso familiare. Era un suono inconfondibile. Tuttavia non ero in grado di dare una risposta. Ero sempre più una presenza priva di sostanza e di consistenza.

 

-“Charles pensi che Polly possa aiutarci?”

-“Lo spero tanto Dizzy! Dobbiamo fare molta attenzione perché potrebbero accorgersi di lui in reparto…”

 

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Capitolo 16
*** Sedicesima parte ***


-“Sembra che tu sia arrivato al capolinea Sean?!”

Udii questa voce che suonava familiare ma allo stesso tempo estranea… Proveniva da un’abitazione in stato di decadimento; ero un po’ titubante ma decisi comunque di avvicinarmi giacché fui colto dalla curiosità di parlare con qualcuno che avesse delle sembianze umane. 

-“Vorresti tornare indietro vero? Rifare tutto il percorso e cambiare il corso degli eventi?” 

-“Non saprei. Vorrei, ma non saprei come!”

-“Gli eventi sono al di là della nostra portata Sean… Purtroppo non si tratta di ‘fatti’ o convenzioni narrative. Mi spiace!”

-“Io credo di avere la necessità di dire ancora qualcosa nella mia vita.”

-“Pensi che la tua esistenza sia legata alla tua voce?”

-“Io non capisco se sono ancora in vita o meno…”

-“Magari se smettessi di parlare non esisteresti più, che ne pensi?”

 

A un certo punto mi ritrovai sotto le fronde di un immenso carrubo. La persona che era con me nuovamente prese a parlare con un tono di voce incalzante:

-“Questo è il tuo luogo di mezzo e il tuo ‘frattempo’, il tempo dell’attesa… Guarda la natura che ci circonda, ci abbraccia… Cerca di mettere in discussione tutto ciò in cui hai creduto finora.”

-“Dovrei cambiare prospettiva quindi?”

-“Se cambi la prospettiva, ovvero la scala di osservazione, cambia anche la possibilità di avere un quadro uniforme della realtà!”

-“Ma il destino è contenuto ‘geneticamente’ nella più piccola cellula vivente!”

-“Il destino è qualcosa che ci precede o lo forgiamo?”

-Beh se la vita fosse totalmente razionalizzabile varrebbe la prima opzione… Se invece la vita è disuniforme e irregolare allora non si sa cosa può succedere nel momento successivo. Quindi, guardando la singola cellula, si può vedere che, data la mancanza di stabilità, l’ordine e il disordine non sono opposti… Il disordine è una fase che è antecedente all’ordine! Io non sono mai stato una persona integra, coerente, univoca, quindi non posso essere stato rotto da qualche evento della vita!”

-“Esatto! Non esiste un principio unitario ultimo perché anch’esso sarebbe ulteriormente scindibile. Le cose in realtà non combaciano del tutto, non c’è una perfetta adesione tra le cellule… c’è sempre dello spazio tra i singoli atomi…”

 

Improvvisamente il mio interlocutore svanì nel nulla e rimasi di nuovo da solo e abbandonato a me stesso… Mi adagiai sul manto erboso e mi misi ad osservare il cielo color ceruleo. Sembrava così irreale, eppure era lì… le fronde ne coprivano parzialmente la vista, creando un effetto-reticolato che era in perfetta sintonia con i cirri nel cielo. Forse non c’era più scampo, non potevo più tornare indietro. Desideravo dire un’ultima parola, dare un ultimo abbraccio, osservare negli occhi per un ultima volta le persone che avevano provato a tenermi in vita fino a questo momento. L’irresolutezza e l’indeterminatezza della mia attuale condizione provocavano in me una sensazione di intorpidimento. C’era una minima possibilità di ritornare di là?

 

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Capitolo 17
*** Diciassettesima parte ***


 

[Rudolph a scuola]

-“Oggi affronteremo un tema particolare! Voglio mettervi alla prova; mi aspetto un valido contributo da voi tutti e voi tutte…”

-“Ehi Dent”, bisbigliò al compagno di classe un ragazzino che si faceva chiamare “Sawyer” per le evidenti affinità caratteriali con il protagonista di un famoso romanzo. -“Che cosa è successo a quello svitato di Rudolph? È da giorni che non parla con nessuno della classe. Tu sai il motivo?”

-“Beh a quanto pare non se la passando bene! I miei mi hanno detto che c’è qualche suo parente… credo il padre… che dorme sempre… boh!”

 

I due se la ridevano di gusto ma l’insegnante interruppe prontamente il breve scambio di battute con una domanda inaspettata: “Voi due, pappa e ciccia, venite in cattedra! Voglio che mi rendiate partecipe del vostro momento conviviale; vi vedo così presi dalle vostre discussioni! Sono curiosa, sentiamo…”

 

-“Prof. è tutta colpa di Rudolph! Siamo preoccupati per lui che non parla da giorni e ci siamo messi a parlare di lui!”

-“Ah davvero? Allora anche lui viene a tenervi compagnia qui in cattedra! Lo vedo assorto nei suoi pensieri e un po’ assente a sé stesso… vediamo se con un paio di domande riusciamo a riconnetterci con lui.”

Le parole dell’insegnante sarebbero suonate beffarde persino alla persona meno arguta e assente del pianeta. Ma in quegli istanti Rudolph si trovava realmente in un’altra dimensione. Cercava disperatamente di ‘obnubilare’ la propria mente con dei pensieri che lo allontanassero il più possibile dal dramma che si stava lentamente consumando nella propria famiglia. Quel rompipalle di Sean, quella figura paterna che a volte lo opprimeva con le sue filippiche, lo redarguiva per futili motivi e pretendeva sempre il massimo da lui… gli mancava da morire. Certo poteva comunque fargli visita… ma in fondo aveva le sue ragioni per ritenere inutili le visite al ‘dormiente’. Che senso aveva vedere un corpo disteso, apatico e inerte… una “mera res extensa”, come soleva ripetere Homes, “che non dava alcuna possibilità di accedere alla ben più importante res cogitans”?

 

-“Bene Sean! Parlaci del ruolo dell’esperienza nella tua vita!”

-“Terribile”, rispose in modo lapidario Rudolph, che non appena udì la parola esperienza si ridestò improvvisamente.

-“Immagino abbia avuto un ruolo chiave nella tua vita così come in tutte le nostre vite. Oggi voglio darvi un prezioso consiglio cari studenti e care studentesse: siate sempre voi stessi e voi stesse in qualsiasi momento!”

-“Banale e allo stesso tempo futile”, disse Rudolph con un tono che rasentava l’arrogante.

-“Bene, argomenta la tua risposta; se non sarai in grado di fornirmi una valida argomentazione provvederò ad una severa punizione”, tuonò con un commento piccato Ms. Reeves.

-“Non è possibile stabilire la continuità temporale dell’io. Non siamo in grado di ‘riconoscere’ il sé del passato semplicemente perché siamo sottoposti a dei processi di continuo mutamento: vedasi il deperimento fisico… Quindi è possibile essere sempre ‘sé stessi’? Inoltre, come facciamo a riconoscere l’essenza del sé quando siamo continuamente sottoposti alle ‘percezioni’ (e allo sguardo indagatore) altrui? Lei pensa che ci sia una corrispondenza tra realtà e percezione? Infine, ci illudiamo di essere in grado di imparare dall’esperienza, dal vissuto; ma quante volte, nonostante ciò, ricadiamo sempre negli stessi errori? Quante delusioni riceviamo nei vari tipi di relazioni? Quante volte ci ripromettiamo di lasciarci indietro tutto e ripartire ma non facciamo alcun ‘progresso’ concreto? La risposta è stata esauriente ed esaustiva? Io direi di no perché vi sono più domande che risposte.”

-“Bene, i veri filosofi fanno domande! Bravo”, disse con soddisfazione l’insegnante che si avvicinò a Rudolph per dirgli qualcosa all’orecchio. Sentiva la necessità di scambiare due parole con il ragazzo, per rincuorarlo un po’, dato il brutto momento che stava attraversando. 

 

Erano già passati diversi giorni e Rudolph continuava a chiedersi se e quando quel corpo apparentemente ‘esanime’ avrebbe ripreso vita! Lo sperava con tutto sé stesso, così come lo sperava Dizzy, la quale non si schiodava dalla sala d’attesa del reparto di rianimazione. Nel corso della nottata si sentiva solo Polly che si dimenava e svolazzava lungo la sala (gli era stato dato un permesso speciale in virtù del ‘rapporto’ che lo legava profondamente a Sean).

-“Sean may be awake soon soon soon…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Diciottesima parte ***


Diciottesima parte

-“Sei arrivato al capolinea piccolo Sean?”

Udii qualcuno bisbigliare da dietro un cespuglio più o meno queste parole. Era una voce un po’ stridula, ma non così tanto da arrecarmi disturbo. Mi sentii come se mi stessero dando consolazione e forse anche dei gesti di affetto… una sorta di regressione infantile insomma. Eppure quella voce sembrava così vera e percettibile, la potevo quasi toccare con mano… Che stupido… si sarebbe mai potuto trattare di… Anne Marie!?

-“Nonna sei tu?!

-“Non so, tu lo credi?”

No, in effetti non potevo crederci. E poi come sarebbe stata in grado di riconoscermi? Erano dieci anni che viveva in un mondo tutto suo. La cosa incredibile era il modo in cui il suo fisico si era preservato, quasi intatto, come se i segni del tempo l’avessero risparmiata dai settanta agli ottant’anni. Forse era una sorta di compensazione per la sua… infermità mentale… demenza… obnubilamento mentale… 

-“Non ci pensare nemmeno ad attribuirmi tutti quei termini per qualificare la mia inattività mentale”, disse stizzita la signora mentre pian piano si faceva strada tra gli arbusti.

-“No di certo, mi scusi!”

-“E non essere così formulaico! 

 

A un certo punto lo sguardo di lei si fece più cupo ed era in tinta con il cielo uggioso. Dopo una serie di occhiate da cui trapelava una certa preoccupazione, la signora Bones esordì nuovamente: 

-“Non mi aspettavo di trovarti adesso. Devi aver sofferto tanto… lo leggo nei tuoi occhi ragazzo mio. Non ti meriti di stare qui; ci saranno tante cose utili che vorrai fare.”

-“Proprio come ti ricordavo… incredibile! Sei esattamente tu! Ma che giro ho fatto per incontrarti?! Ma credi davvero che io posso cambiare il corso delle cose?”

-“Se lo desideri, perché no?” 

I due iniziarono a ridere fragorosamente è il cielo cominciò a schiarirsi in modo simil-prodigioso. 

-“Devi correre! Perché sei ancora qui?”

-“Ma non riesco ad uscirne.”

-“Quante volte ti ripetevo ‘io credo in te Sean’… e tu correvi; anzi sfrecciavi! E poi dentro di te c’è così tanta intraprendenza… fai per quattro persone!” 

-“Ma lei non torna più?”

-“Io no di certo! Ne sono più che sicura! Aspetta ma chi è ‘lei’? Iris?”

-“Ehm, sì proprio lei…”

-“Se non ti muovi non la rivedi più!”

-“Allora vado!”

-“Aspetta, un’ultima parola!”

 

Non fu pronunciata alcuna parola; ci fu solamente un lungo caloroso abbraccio. Forse era il gesto di cui Sean aveva più bisogno in quel momento; o forse no. Da piccolo era solito trascorrere le sue giornate in compagnia del suo supereroe. Quest’ultimo era l’unica persona sulla faccia della terra ad avere il potere di riuscire a consolarlo in qualsiasi situazione. Il tempo trascorso insieme ebbe per entrambi un valore incommensurabile, considerando che in una tempestosa giornata invernale il supereroe aveva deciso (più o meno intenzionalmente) di andare in occultamento per un lasso di tempo indeterminato. La scomparsa di una figura così importante e protettiva avrebbe avuto delle serie ripercussioni sulla vita di qualsiasi essere umano. D’altronde si sa che un supereroe è pur sempre un supereroe. Sean si chiuse a riccio, si ripiegò su stesso, non ne volle sapere di accettare una tale catastrofe. Gli mancava il suo fidato scudo protettivo; da lì innanzi si sarebbe trovato esposto alle intemperie e non avrebbe saputo come difendersi, come trovare riparo, perché il supereroe non glielo aveva insegnato nei quasi dieci anni vissuti insieme. Le ansie, le insicurezze e le paure presero il sopravvento. Si sarebbe portato quel fardello per il resto della sua vita; lo avrebbe trascinato a fatica e ogniqualvolta avrebbe tentato di dimenticarsene (e di disfarsene) ci sarebbe stata una spina nel fianco a rammentarglielo. Come avrebbe sopperito all’assenza di una presenza insostituibile? 

 

-“Sean is willing to wake up! There’s one step missing!!!”

Erano giorni che Polly ripeteva incessantemente queste parole. Così Dizzy, molto stanca e provata dalla situazione, prese una decisone molto sofferta: spezzare il legame tra il volatile e Sean. Ella desiderava una nuova vita, una nuova esistenza per Polly; ciò si sarebbe reso necessario solo nel caso in cui ci fosse stato un radicale cambiamento, un mutamento inevitabile. Infatti, Sean non sarebbe più tornato di qua e Polly non era più in grado di passare attraverso il velo del mondo dei sogni di Sean. Riusciva sporadicamente a percepirne una flebile presenza. Nulla di più. 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Diciannovesima parte ***


Ciao Rudy, 

In questo momento starai pensando “oh, ecco ci risiamo: Sean e le sue letterine magiche!” 

Cosa potrebbe scriverti uno come me che negli ultimi anni non ti ha dato niente di niente (eccetto qualche momento di gioia inaspettata). Ti ricordi quando decidemmo  di fare una sfida con Polly: chi avrebbe pronunciato il maggior numero di parole in un minuto avrebbe vinto! Quel furbacchione riesce ad articolare qualsiasi suono con una facilità disarmante… ah, le sue fricative sibilanti, le occlusive labiodentali, le affricate! Per non parlare dei suoni gutturali… una gioia per gli orecchi! Ma quanto c***o ho goduto quando una volta si è incespicato sulla pronuncia della “kha” araba… un unico e irripetibile errore che gli ho sempre fatto notare in mezzo ad un oceano di perfezione.

Non ti arrendere Rudy. Dentro di te hai una scintilla che ho visto baluginare in pochissime persone nella mia vita. Farai delle cadute che ti azzopperanno, ti frantumeranno in pezzi così piccoli che a stento riuscirai a rimettere insieme i cocci. Ma tu lo farai sempre egregiamente, ne sono certo. Non ricercare gioia nella futilità, nella caducità e nella precarietà. Se ti accontenti di tutto ciò, avrai vissuto una vita appagante ma non sarai mai andato oltre… Ricerca sempre la pienezza nella rottura e nell’atroce delusione. Apparentemente vedrai dei frantumi, ma questi celano sempre un ordine interiore invisibile ai più.

Tu sei colui che coglierà sempre i dettagli e… e se ne innamorerà perdutamente. Non potrai fare a meno di “perdere la testa per qualcuno” e in quei momenti perderai il tuo raziocinio. Non temere e non elemosinare mai e poi mai le attenzioni altrui. Non puoi accontentarti delle briciole, altrimenti finisci per sgretolarti. Se dovessi incontrare delle persone come Dizzy o Iris fa di tutto per farle entrare nel tuo percorso di vita. Avranno un ruolo fondamentale per te: ti insegneranno cosa significa amare incondizionatamente. Non troverai amore disinteressato, fa attenzione, giacché c’è sempre un fondo di utilità e interesse alla base di qualsiasi rapporto umano. Non illuderti: rimarrai amareggiato quando scoprirai che potrai fidarti unicamente di te stesso. Nel caso in cui riuscissi a incontrare qualcuno di meritevole nemmeno te ne accorgerai. Glisserai su questa conoscenza perché sarai accecato dallo splendore della superficie di altre persone. Solo dopo tanti e svariati tentativi giungerai a un livello di conoscenza più profondo. 

Sii empatico e cerca di simpatizzare con le sofferenze altrui. In tal modo assaporerai a pieno i picchi e gli avvallamenti della vita. Ricordati, in mezzo al piattezza della routine, di vivere quei momenti di “eccesso”, di fuoruscita dai cardini della prosaicità. Ti serviranno a sopportare al meglio le angustie quotidiane.

Se dovessimo rivederci sappi che ti voglio bene; se ciò non fosse possibile sappi che te ne voglio ancora di più!

Sean.

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Capitolo 20
*** Ventesima parte ***


Ventesima parte
[in ospedale]
Mi rivoltarono come un calzino per cercare in qualche modo di rianimarmi. In attesa di un evento miracoloso decisi di fare un salto da Polly.
-“Mattacchione buonasera! Ti vedo proprio in forma! Guarda un po’ che piumaggio lucido. Ti trattano come un principino eh?!”
-“She’s there in the room”, fece Polly in un inglese più curato del solito.
-“Chi c’è in stanza pennuto?”
Nemmeno il tempo di finire la domanda che Polly aveva iniziato a svolazzare su e giù per il corridoio. Era ansioso di condurmi da qualcuno o da qualcosa. Tra me e me pensai che tutte le volte che Polly si comportava in modo idiosincratico sarebbe successo qualcosa di estremamente interessante (nel bene e nel male). E anche questa volta andò esattamente così: non appena svoltai l’angolo del corridoio mi ritrovai davanti al mio destino. O meglio, c’era solamente una parete divisoria in vetro a frapporsi tra me e il mio destino. 
Ci fu immediatamente un turbinio di ricordi a invadere la mia mente (o il mio spirito?!). Ero così sopraffatto da quella visione che il mio viso aveva assunto svariate tonalità di colore: dal rosso al violaceo al bianco! Non riuscivo a comprendere il motivo per cui il pennuto mi avesse condotto qui. Non ero mai stato in grado di aiutarla mentre ero nel pieno delle mie forze e della mia linfa vitale. Perché venire qui proprio in quel preciso momento, privo di corporeità e sostanza? 
Il suo viso era intatto, proprio come il giorno in cui la vidi per l’ultima volta. Per render conto della sua bellezza basti pensare che c’era un tizio che la fissava a bocca aperta dalla parete. Gli infermieri e i medici del reparto dicevano che ogni giorno passava di lì e imbrattava tutta la parete vetrata con le sue rime amorose. 
-“Provaci ancora Jim! Un giorno lèggerà e ti risponderà!”
-“Jim, svegliati e fatti una vita. Finirai per trasformarti in una mummia dell’antico Egitto!”
-“Jim! Quello cos’è? Un endecasillabo falecio?”
C’era un brusio e uno sghignazzare continuo in quel lato del corridoio. Tutte le attenzioni erano rivolte a quest’uomo così strambo. E destò non poca ilarità anche in me!
-“Lei avrebbe dato tutto per te Sean. Tu sei sparito. Non hai portato sulle tue spalle nemmeno un briciolo del suo fardello. L’hai sotterrata senza nemmeno accorgertene.”
-“Chi caspita sei tu? Un giudice? Come ti permetti di giudicare le mie scelte senza conoscermi minimamente”, risposi d’impulso alle parole del profeta.
-“Faccio quello che avresti dovuto fare tu. Non sono tenuto a farlo, ma lo faccio. Nonostante venga dileggiato da chi dovrebbe impegnarsi a tenere viva la fiammella della speranza. È come se lei fosse invisibile. È da anni che va avanti con questa sua lotta solitaria per la sopravvivenza. Io sono solamente un tuo vicario, ma spetta a te intervenire.” Diedi una pacca sulla spalla di questo prode cavaliere e lo ringraziai per essersi preso cura di lei. 

Il suo viso era molto pallido; dovevano essere passati secoli dall’ultima volta che era venuta a contatto con della luce ‘naturale’! 
Mi ricordavo alla perfezione di quelle giornate passate sotto il sole cocente della baia… un pullulare di colori che avrebbe offerto attimi di gioia anche a coloro che non hanno alcun motivo per sorridere… E le tonalità di colore del mare: un acceso verde cristallino nel tratto adiacente alla spiaggia di sabbia bianca finissima; e poi man mano che si avanzava verso l’orizzonte, l’acqua cristallina cedeva al profondo blu, quasi come a rammentare che c’è sempre un retrogusto amarognolo, anche nei picchi di felicità della vita. Io e Iris ci eravamo quasi sempre limitati alla zona salvifica della battigia; solamente nei momenti in cui ci ‘sentivamo’ più distanti osavamo superare quella linea di confine. Lo facevamo ciascuno per conto proprio: delle nuotate solitarie nel profondo blu alla ricerca della riconciliazione con noi stessi. Solo dopo questa discesa negli inferi dei nostri alterchi, con un continuo rimuginare su tutte le ansie e i timori che ci separavano, eravamo pronti a riavvicinarci. Questo idillio infernale ci permetteva di trovare un equilibrio precario o forse un compromesso altrimenti irraggiungibile. Nei picchi e negli avvallamenti delle nostre vite la nostra parola-chiave era proprio ‘riconciliazione’. Potevano anche passare giorni di bronci e alterchi, ma infine arrivava sempre un sorriso buffo e distensivo da parte di entrambi, quasi all’unisono. Così si finiva per ridere increduli di quelle giornate trascorse con il voltastomaco e l’angoscia e ci si prometteva che non sarebbe mai più successo. Pia illusione.

Purtroppo a volte capita di non riuscire più a risalire, soprattutto quando la malinconia e l’angoscia prendono il sopravvento e lasciamo cadere tutte le barriere dell’inibizione; non si ha più consapevolezza di sé e si ha persino sprezzo del pericolo. Quando Iris si lasciò trasportare dal flusso del grande blu sperando di finire inghiottita nelle sue profondità, io non fui in grado di intervenire in alcun modo. Mi addormentai senza volerlo. Era la mia prima volta. Quell’episodio segnò uno spartiacque nella vita di entrambi: Iris fu tratta in salvo dalle acque apparentemente ‘voluttuose’ ed entrò in una sorta di limbo pre morte da cui non si sarebbe più ripresa; perlomeno la sua era una condizione stabile. Io invece ero destinato ad una vita non-vita da giocoliere che deve sempre destreggiarsi in un filo sottile, finendo per trovarsi paradossalmente sia di qua sia di là o, né di qua né di là; già, dove mi trovo da allora? 

-“Dunque, da quanto tempo non risponde più ad alcun impulso tattile?”
-“Fino a ieri la situazione era abbastanza stabile. Certo, il quadro clinico è senza dubbio complicato. Sembra una condizione irreversibile.”
-“Va bene, aspettiamo ancora qualche giorno prima di prendere qualsiasi decisione!”

Udire questi dialoghi non molto rassicuranti non era di certo il massimo per l’impalpabile me, una presenza fantasmagorica che aveva come suo unico interlocutore un pappagallo chiacchierone… che situazione grottesca! 

-“Bene, è arrivato il momento delle scelte cari miei! Che facciamo? Non è più nell’ordine naturale delle cose che questo brav’uomo torni tra noi; o meglio: nell’ipotesi più remota che si svegli, pensate che egli possa avere una vita dignitosa? Certo l’attività cerebrale è stranamente molto intensa, un po’ come se stesse vivendo una vita parallela!”
-“Interessante: res cogitans e res extensa si sono separate in modo netto! Quindi come faranno a sopravvivere entrambe?”
Erano più o meno queste le conversazioni di due specialisti che stavano disquisendo sul curioso caso di Sean. Charles Homes non faceva parte di questo team, dal momento che non nutriva particolare interesse per le discussioni filosofiche incentrate su concetti ‘cartesiani’ quali la sostanza e la materia. Non che le frasi del team non lo avessero colpito, anzi. Da quando Sean aveva deciso che forse, in fondo, di là non si stava poi così male, Charles non faceva altro che scavare nel passato del suo amico-paziente: leggeva e rileggeva i suoi blocchi di appunti le cui pagine erano ormai consunte. La sua forsennata ricerca non aveva prodotto alcun risultato di rilievo sino a quel momento. Era fermamente convinto che Sean sarebbe potuto tornare di qua solamente se avesse risolto i suoi problemi di là, ed egli avrebbe fatto di tutto per aiutarlo a tornare; già, ma come?


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Capitolo 21
*** Ventunesima parte ***


Ventunesima parte

Charles mise a soqquadro l’intera libreria pur di trovare qualcosa di rilevante. 

-“È tutto qui? Lavoro, lavoro, lavoro? Non è possibile che in tutti questi anni Sean si sia nutrito solamente di piani inclinati e frattali. Da dove deriva la sua spiccata creatività?” 

Per uno caparbio come Dr. Homes non era di certo semplice accettare la disillusione. Quel Sean che tanto aveva idealizzato non era altro che uno stacanovista, un indefesso lavoratore dedito alle cose della scienza? Eppure la prosaicità e la mondanità indubbiamente avranno lasciato una valvola di sfogo ai voli pindarici dell’immaginazione, nei momenti di sofferenza o di evasione? 

 

Charles non si trovava da solo in quei momenti di frenetica ricerca. Gli teneva compagnia Polly, il quale svolazzava nei pressi dei ripiani più alti della libreria sollevando la polvere di manuali a dir poco ‘vetusti’; il che veniva cadenzato dai continui starnuti di Charles. 

-“Dannata creatura malefica! Nonostante sappia della mia allergia, si ostina a svolazzare incessantemente!”

Tuttavia, il rumore del frullo d’ali, con annesse conseguenze fastidiose, data la polvere che veniva sollevata, non era l’unica cosa che ‘tarlava’ gli acuti sensi di  Charles. Giacché non solo doveva sopportare una fastidiosa rinite nasale, ma anche le considerazioni insistenti e stravaganti del custode di casa. 

-“La natura tutta va rispettata Charles. Anche la parte cattiva, malefica e subdola, come i serpenti. O come vorrei sospendere la mia incredulità Charles. Sai come funziona Charles? Vero? Sai la storia di ‘no-where’ e ‘now-here’? È tutto piuttosto utopico di questi tempi, non trovi? Vogliamo realmente profanare il sacro Charles? Che silenzio assordante Charles!”

-“Dove hai letto tutto quello che stai dicendo? Chi ti ha parlato di Coleridge, Morris, Dumas?, chiese Charles con una certa foga.

-“Sean e il disincantamento “, rispose lapidario Paul. 

-“Ci sarà un luogo privo di disincanto in questa abitazione, no? Sean o Rudolph non ti hanno mai detto nulla?”

-“Sì, quando passeggio come un flâneur noto con piacere che respiriamo tutti la stessa aria, una sorta di interconnessione vitale, e auspico che riusciremo a unirci tutti in una catena di mutua solidarietà umana. Sebbene io cerchi incessantemente di non sperperare le mie energie, da buon Vittoriano, e nutra una certa fobia per le folle.”

-“That’s his daimon talking”, fece Polly, interrompendo il custode.

-“Quindi abbiamo due pappagalli nella stessa stanza, ottimo. Quanto deve essere magnetico Sean per avere influenzato a tal punto queste due povere creature!” 

 

Queste parole furono seguite da una risata fragorosa da parte del custode. 

-“Come ti chiami carissimo custode?”, chiese incuriosito Charles.

-“He’s John and I’m Polly, my dear”, interruppe nuovamente il pennuto.

-“Badate bene che non sono un doppelgänger”, esclamò all’improvviso John, il custode. 

-“Bene, statemi a sentire entrambi. Se vogliamo aiutare Sean dobbiamo assolutamente andare oltre”, disse Charles con aria austera. Ma i due lo fissavano esterrefatti e sembravano non capire le sue parole. 

-“Riformulo: dobbiamo andare oltre… anzi, attraverso lo specchio!”

John si illuminò non appena udì quelle parole e fece cenno a Charles di seguirlo lungo il corridoio che conduceva ad uno sgabuzzino. 

-“That’s my house, not yours.”

-“Ah sì? Mostrami l’atto di proprietà pennuto”, fece Charles, quasi a voler provocare Polly.

-“State attenti alla mia furia nominalistica; potrei ribattezzare il luogo e prendere possesso di tutto”, disse John.

-“Tu ti sei nutrito a tal punto di fantasticherie da esserne diventato l’incarnazione. Non hai altro da fare nella vita?”

-“Vorrei tanto avere l’immaginazione di Sean; ma ho solo la fantasia”, rispose mestamente John, con un tono smorzato. 

 

All’interno di questo spazio recondito c’era una miniera d’oro letteraria: centinaia di volumi dalla copertina immacolata. 

-“Lo ha tenuto nascosto anche a me. Chissà, forse non voleva che qualcuno scoprisse il suo lato artistico!”

Queste furono le parole di esordio di Dizzy, che era appena rientrata in casa, dopo aver trascorso una giornata di svago con Rudy, ed era subito corsa di sopra, certa del fatto che non si sarebbe annoiata in compagnia di quello stravagante terzetto.

-“Bisbetica non domata in vista. Signori, io tolgo il disturbo. Con il vostro permesso.” Così John si accomiatò e si diresse con fare dinoccolato verso l’uscio, senza ricevere la benché minima attenzione da parte degli astanti. 

-“Ma non potevate assumere un custode un po’ meno matto? Ha dei modi di fare insopportabili. È forse una macchietta?”

-“E pensa che Sean si è pure prodigato a lungo pur di assumerlo”, rispose Dizzy con un accenno di sorriso. E prosegui: “Credo si siano conosciuti quando frequentavano l’università. Studiavano entrambi fisica. Poi Sean ha fatto carriera nel settore, invece John ha virato verso la strada letteraria. Se non erro ha pubblicato uno saggio sulla relazione tra sviluppo ed evoluzione… insomma, qualcosa del genere.”

-“Dunque Diz, fammi indovinare! I due non si sopportano ma si trovano in una sorta di relazione complementare? Un’amicizia che cela una profonda competizione? Due canne al vento in cerca di supporto reciproco? Quanta falsa modestia può mai esserci in due geni nello stesso pollaio?” 

-“Non mi dire Charles? Sei già saltato alle conclusioni? Sei sicuro di non aver saltato qualche passaggio logico?” 

-“Charles wants to kill two birds with one stone!”

-“Bravo Polly, tu sì che mi capisci”, fece Charles, soddisfatto per aver trovato dell’approvazione nelle sue congetture. 

 

Rudolph quella sera aveva deciso di non unirsi alla forsennata ricerca di Dr. Homes; non perché non gli piacessero le avventure, anzi. Non era ancora approdato all’età della disillusione. Stava solamente attraversando un momento di transizione, in attesa di liberarsi dell’ingombrante assenza di Sean. La superficie, talvolta arida e talvolta limosa, celava un’energia vitale che solo le menti più ottuse non avrebbero potuto scorgere in Rudolph. Non erano di certo ininfluenti le espressioni che gli rivolgeva Sean nelle occasioni di massimo sconforto: “io ostento, tu ti nascondi; ricerca, scava e approfondisci.” La presenza di Sean era un fardello per tutte le persone che ruotavano intorno alla sua vita; inizialmente le attraeva nella sua tela e poi le plasmava a suo piacimento. Avvicinarsi troppo a lui era un occasione tanto allettante quanto distruttiva. 

 

-“Non posso fare a meno di pensare alla tua prigionia”, proferì il custode, che aveva deciso di interrompere il turbolento flusso di pensieri del ragazzo. “Sean non si è mai preso cura di te. Ha preferito proiettare sé stesso su di te, caricandoti dei suoi desideri perennemente frustranti e inappagati e di aspettative disattese. Non sentirti in difetto nei suoi confronti.”

-“Ti senti in dovere di darmi consigli? Finora ti ho sempre sentito parlare in metafore e metonimie. Prendi la vita come se fosse un’avventura letteraria e vivi di riflesso; ascolti come una una cassa di risonanza muta e ti ergi a latore di consigli; ma hai sempre vissuto all’ombra di Sean…” 

-“Ecco Rudy, sembra che tu stia parlando per interposta persona. È la voce di Sean. Ti assicuro che è meglio vivere all’ombra, dove ci si sente più protetti, piuttosto che vivere sotto l’accecante luce dei riflettori. Di sicuro preferisco la ricchezza e il caos limaccioso della mia vita interiore alle speculazioni prosaiche di chi vive incasellato in uno schema predefinito.” John si compiacque della risposta piccata che aveva dato al ragazzo. Era arrivato il momento di calare il sipario e di congedarsi dalla scena. La battaglia dialettica era stata vinta con merito; Cicerone e Quintiliano sarebbero stati fieri della sua destrezza retorica. 

 

Nel frattempo Charles Homes era immerso nella lettura e, tra una prima edizione e un’altra, si imbatté in alcuni appunti scritti a mano. Uno di questi in particolare attirò la sua attenzione, tanto che iniziò a leggere a voce alta: 

 

Inizio a provare un po’ di imbarazzo. La mia nemesi mi impedisce di dare sfogo alla mia vena artistica. E poi con quel suo modo di atteggiarsi affettato e quell’incedere apparentemente disinvolto e aggraziato. Da sempre persegue la dissimulazione e la sprezzatura, ma le sue performance sono solamente delle brevi parentesi di desiderio frustato, di ciò che potrebbe essere ma non sarà mai, dei meri interludi di livello infimo.

 

-“Non è così semplice cogliere i riferimenti.    La scrittura gli ha sempre dato modo di esprimere quella parte di sé inaccessibile ai più e incomprensibile persino ai suoi occhi”, disse Dizzy con malcelata malinconia. “È come se non avesse avuto altra scelta che fidarsi ciecamente della sua scrittura privata. E poi pensava che i suoi studi mal si conciliassero con le letture e le corrispondenze private.”

-“Chi mai o che cosa gli avrebbe impedito di essere un intellettuale, o meglio, uno studioso a tutto tondo, direi… eclettico? Perché tenere nascosto tutto questo?”

-“Walking on a dream!”

Charles abbozzò un sorriso. Era visibilmente soddisfatto. Quelle parole gracchiate in modo stridulo da Polly furono l’imbeccata perfetta. Aveva compreso che il filtro letterario di Sean era l’unica via di accesso a quel mondo recondito nel quale trascorreva la fase dormiente del suo tempo; gli era chiaro che quel mondo adornato e puntellato da metafore e metonimie non era altro che un universo di condensazione e spostamento, una costellazione di inconscio da sondare e scandagliare meticolosamente.  

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