Beyond

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di una nuova avventura ***
Capitolo 2: *** Ogni medaglia ha due facce - prima parte ***
Capitolo 3: *** Ogni medaglia ha due facce -seconda parte ***
Capitolo 4: *** Ogni medagli ha due facce - parte terza ***
Capitolo 5: *** Dove finisce una missione, ne inizia un'altra ***
Capitolo 6: *** Chiarimenti ***



Capitolo 1
*** L'inizio di una nuova avventura ***


 

Capitolo I

L’inizio di una nuova avventura

 

Cristopher Pike non amava i giri di parole. La convocazione al consiglio supremo del comando della flotta era arrivata improvvisamente, ma lui la stava aspettando sin dal rientro dell’Enterprise nella baia di San Francisco.

Anche l’oggetto della riunione non era difficile da prevedere e Pike non rimase sorpreso nel momento in cui l’ammiraglio Cartwright spiegò a tutti che erano stati convocati a seguito di quanto accaduto il mese prima nell’orbita di Nuova Vulcano.

E qui giri di parole a non finire. 

Pike si chiese più volte perché dovevano girarci intorno in quel modo. La versione ufficiale era stata concordata con l’alto consiglio vulcaniano affinché gli eventi di quella nefasta data astrale venissero scongiurati. 

L’incredibile esplosione di una nave della flotta, condotta in incognito nello spazio orbitale di Nuova Vulcano perché rappresentasse un dono della federazione dei pianeti alla nuova colonia e che aveva illuminato a giorno tutta l’area, era stata causata da un mal funzionamento del motore a dilitio di ultima generazione. Vano era stato il tentativo dell’ammiraglio Marcus di salvare la nave. Piuttosto il suo sacrificio aveva consentito all’Enterprise di portare in salvo almeno il suo equipaggio. Nell’eroico atto di tentare un estremo salvataggio dell’ammiraglio, il capitano dell’Enterprise, James Tiberius Kirk, era rimasto gravemente ferito.

Tutte le persone sedute a quel tavolo sapevano a memoria la storia e tutte loro sapevano che era soltanto, appunto, una storia.

La verità, nascosta dalle loro belle parole e dalle loro scintillanti uniformi, era troppo grave per essere anche appena accennata.

Eppure Pike sapeva che il seme dell’animosità ingiustificata di Marcus, della belligeranza priva di ragioni, dell’arroganza nata dalla presunzione di conoscere sufficientemente l’universo, era attecchito anche in quella stanza.

Lo sapeva per lo sguardo carico di disappunto dell’ammiraglio Morrow all’idea di dare un encomio a Kirk, di autorizzarlo a scegliere da sé la sua prossima missione e di far partire l’Enterprise per un viaggio lungo cinque anni.

Morrow continuava a lanciargli occhiate tese a chiamarlo in causa.

“Persino il qui presente ammiraglio Pike che ha condotto più di una spedizione triennale, non ha mai pensato di avventurarsi in una missione di cinque anni. Dove vuole andare il capitano Kirk per aver bisogno di così tanto tempo?”

L’ammiraglio Blackwell impedì a Pike di rispondere.

“Forse vuole andare dove nessuno si è mai spinto prima, ammiraglio Morrow. Siamo esploratori, giusto? O almeno è quello che ancora dice che siamo l’insieme delle direttive della flotta. Non vedo nulla di strano nel desiderio di un giovane capitano di esplorare nuovi mondi andando coraggiosamente dove nessuno si è mai spinto.” Pike sorrise a Margaret Blackwell.

“Il capitano Kirk ha preso il comando dell’Enterprise in circostanze molto discutibili.” Insistette Morrow. Pike stavolta parlò.

“Cioè salvando la vita a me, all’equipaggio dell’Enterprise, e a mezzo milione di persone sulla Terra?” Nessuno ebbe il coraggio di replicare. Pike si alzò. “Signori, tutti noi sappiamo in quali circostanze la nostra splendida nave ammiraglia è andata distrutta. Sappiamo bene che fine ha fatto il suo equipaggio. Sappiamo pure che dovremmo chiudere questo file qui e ora una volta per tutte. Per il bene della federazione. Ammiraglio Cartwright, prima sarà e meno voci gireranno.”

“Lei è uno che non la manda a dire, Pike.” Rispose il capo della flotta.

“Mi conosce bene, signore.”

“E’ così e le sue affermazioni resteranno annotate. Tuttavia c’è qualcos’altro di cui parlare oggi.” Pike si riaccomodò e prestò attenzione al suo superiore. “L’attività nella zona neutrale della Jupiter non è passata inosservata come noi speravamo. Le nostre fonti ci hanno riferito che alcuni incursori Klingon hanno segnalato attività ostile nel loro territorio. Inutile dire che non hanno gradito. Hanno inviato ricognitori ai confini della zona neutrale sconfinando nei pressi del sistema della stella binaria. Per ora si sono sempre ritirati e i loro si possono definire raid inoffensivi.” Morrow intervenne.

“Si possono definire provocazioni.”

“Per ora no. Non hanno mai aperto il fuoco. Probabilmente vogliono farci intendere che non accetteranno senza conseguenze ulteriori sconfinamenti nel loro territorio.” Concluse Cartwright.

“Signore,” intervenne la Blackwell, “se gli facessimo sapere che il responsabile di quello sconfinamento è stato punito, potrebbero smettere. Sono un popolo che dà molto peso all’onore.”

“Lo so, ammiraglio Blackwell. Tuttavia non vogliamo dargli la certezza che lo sconfinamento è stato causato da qualcuno della federazione. Per il momento queste scaramucce ai confini della galassia sono ininfluenti. E’ più importante completare la cerimonia per insignire il capitano Kirk della sua onorificenza e chiudere questa brutta storia. Ammiraglio Pike, il capitano Kirk quando sarà in grado di presenziare ad una cerimonia in suo onore?”

“E’ in via di guarigione. Chiamerò oggi stesso l’ambasciatore Sarek e gli chiederò maggiori indicazioni sullo stato di salute del capitano.” Anche in questo caso Morrow non perse occasione di punzecchiare Pike.

“Adesso i capitani della flotta preferiscono gli ospedali vulcaniani a quelli della federazione?”

“Nuova Vulcano fa parte della federazione quindi gli ospedali di quel pianeta sono ospedali della federazione.” Asserì Pike. Cartwright pose fine alla disputa verbale. 

“Bene ammiraglio Pike, si accerti di quanto richiesto e mi aggiorni.”

Pike si alzò e prese la via per il corridoio. La Blackwell alzò il passo e si infilò in ascensore con lui.

“Non dare peso alle chiacchiere di Morrow.” Pike annuì. “Il tuo ragazzo sta bene?” Chiese poi con un tono più confidenziale.

“Non è il ‘mio’ ragazzo.”

“Avanti Christopher, lo so che è come un figlio per te.”

“Se lo sai, sai anche che non permetterò a Morrow di tirarlo in mezzo ai suoi tentativi di prendere il posto di Marcus.”

“Credi che sia di questo che si tratta?”

“Onestamente Margaret, credo di sì.”

“Non ti preoccupa di più che Cartwright non abbia alcuna intenzione di verificare la situazione con i Klingon?”

“In linea di massima sono d’accordo con lui sul fatto che al momento tra la federazione e i Klingon  ci siano solo scaramucce. A meno che non ci sia qualcosa che non ci ha detto.”

“Pensi che l’alto comando tenga riservate alcune informazioni persino al circolo ristretto degli ammiragli?” Pike fermò il turboascensore che era arrivato quasi a terra.

“Tu sapevi di Marcus?” Margaret lo guardò fisso negli occhi e incrociò le braccia.

“Vuoi sapere se ero a conoscenza delle sue attività borderline?” Pike annuì. “No. Tuttavia,” disse abbassando lo sguardo “non mi sento di escludere che qualcun altro ne fosse a conoscenza.”

“Morrow?”

“Ha mosso diverse navi di classe constitution e di classe defiant nel sistema solare esterno. L’ho trovato strano all’inizio perché non è la sua zona di competenza.”

“Hai fatto rapporto?”

“Ho fatto di meglio. L’ho affrontato direttamente e mi ha risposto che Marcus gli aveva chiesto un supporto tattico per una missione scientifica legata allo sviluppo di una nuova tecnologia di propulsione.”

“E ti ha convinta?”

“Confesso di sì. Da molti anni ci sono numerose basi spaziali che studiano un’alternativa al dilitio.”

“Questo è vero.”

“Ora non sono più così sicura che dicesse la verità.”

“Ormai Marcus non costituisce più un pericolo.”

“E le sue scoperte scientifiche?”

“Sotto chiave.”

“Allora cosa non ti convince Chris?” L’uomo sospirò.

“Non lo so, Margaret. Che ci faceva qualcuno dei nostri nello spazio Klingon?”

“Questa è la domanda da un milione di dollari. Non posseggo la risposta ma voglio che tu sappia che sono dalla tua parte.”

“Ne sono felice ma questo è proprio il genere di situazione che avrei voluto evitare. Non ci dovrebbe essere alcuna spaccatura nell’alto comando.” La donna sorrise maliziosamente e fece ripartire l’ascensore.”

“Non essere ingenuo, Chris. Funziona così da sempre. E vince chi mette i pezzi migliori in gioco.”

Le porte dell’ascensore si aprirono. “Arrivederci ammiraglio Pike. Per qualunque necessità la tua Enterprise potrà contare sulla mia Farragut.” La donna si girò e s’incamminò lungo i corridoi che conducevano all’hangar decollo navette.

Pike si voltò esattamente dall’altra parte per raggiungere il suo ufficio. Neppure le parole di Margaret gli avevano tolto la pessima sensazione che sotto le spoglie di una celebrazione festosa si stesse nascondendo il principio di un’altra minaccia globale.

 

Si stiracchiò con gli occhi aperti solo un po’. Non si sarebbe mai abituato alla luce di quel pianeta. Una luce calda e dorata. Una luce che gli scaldava il sangue, il cuore e le ossa.

Dalle labbra gli uscì un gemito di soddisfazione nel percepire che anche quella mattina i raggi del sole, riflettendosi sui petali di uno strano fiore, avevano puntellato il soffitto di vetro della veranda di mille puntini luminosi di ogni colore.

Era uno spettacolo che gli ricordava quello delle stelle nel cielo viste dalla plancia dell’Enterprise.

L’odore del caffè gli solleticò il naso. Anche quello era un privilegio. Su Nuova Vulcano nessuno beveva caffè. Era Spock a farglielo preparare di proposito. Un segno di ospitalità, diceva lui. Una coccola, pensava Jim.

Si voltò a cercare la tazza e incrociò lo sguardo di Spock. 

Come al solito, se ne stava seduto sulla poltrona accanto al divano dove lui riposava con un vecchio volume dell’accademia vulcaniana in mano. Jim si era sempre domandato quante volte lo avesse letto e cosa mai potesse contenere di tanto importante da spingerlo a portarselo dietro ovunque.

“Buongiorno, Jim.” La sua voce calma e gentile lo fece sorridere.

“Deve essere giorno da un bel po’ se sei già qui, vestito di tutto punto e con il tuo bel libro in mano o anche stanotte non sei andato a dormire?”

“Ho dormito. Per quanto i vulcaniani possono trascorrere molto più tempo degli umani senza praticare il sonno.” Jim si tirò su a sedere e allungò una mano per prendere la tazza di caffè fumante.

“E’ zuccherato?”

“Un cucchiaino. Senza latte.”

“Grazie Spock. Immagino che quando saremo sull’Enterprise non potrò pretendere lo stesso trattamento, vero?” Disse facendogli l’occhiolino. Spock finse di continuare a leggere ma una delle sue sopracciglia si arcuò.

“Non direi. No.” Jim scostò la coperta di lato e mise i piedi a terra. La vestaglia vulcaniana che lo avevano costretto ad indossare, seguì morbida il movimento delle gambe.

“Ci avrei scommesso. Notizie dalla Terra? Hanno finito di sistemare l’Enterprise?”

“Sono due domande. A quale vuoi che risponda per prima?” Jim si portò la tazza alle labbra e nascose la smorfia che le sue labbra involontariamente fecero. Era passato circa un mese dagli eventi che avevano portato alla distruzione della Jupiter e Spock aveva smesso di chiamarlo capitano dopo due settimane di continui battibecchi su quanto fosse appropriato che lui adoperasse il suo nome di battesimo in quel contesto. Jim avrebbe dovuto lottare ancora molto contro la sua logica applicata ad ogni cosa. Persino ad una stupida domanda come quella.

“Scegli tu. Sorprendimi.” Stavolta gli occhi di Spock lasciarono la pagina usurata del libro e si piantarono bene in quelli del suo interlocutore. Non nascondevano in alcun modo un certo disappunto.

“Ebbene,” disse chiudendo il libro e posandolo dove un attimo prima c’era la tazza di caffè, “la logica mi impone di cominciare dall’Enterprise. E’ stata collaudata ieri. Il signor Scott mi ha avvisato che la nave è pronta per affrontare qualsiasi viaggio.”

“Qualsiasi?” Gli occhi di Jim si illuminarono. “Persino una missione quinquennale?”

“Ritengo di sì. Questo ci porta alla prima domanda.”

“Ci sono problemi?”

“Il tuo intuito è sorprendente. Dovrò chiedere a Leonard di sottoporti a qualche test di tipo vulcaniano per verificare se ci sia qualche anomalia genetica in te.” Jim sbuffò e bevve un altro sorso di caffè. “Ad ogni modo, Scott mi ha informato anche che si è tenuto il consiglio dell’alto ammiragliato. Pare che vogliano insignirti di un’onoreficenza.” L’espressione di Kirk cambiò. Tutto il suo buon umore se n’era andato. “Non ti fa piacere?” 

Jim lasciò la tazza e si toccò il petto poco sotto lo sterno. A Spock non servì usare il legame per capire a cosa stava pensando l’uomo. 

Subito dopo il suo risveglio, grazie alle cure di Bones e al calore di Nuova Vulcano, Jim si era ripreso velocemente. I suoi organi interni e i tessuti erano guariti ad una velocità sorprendente. Tuttavia, più il fisico di Jim guariva, tanto la sua mente veniva scossa da tremendi incubi che gli provocavano mal di testa orribili. Bones diceva di non essere in grado di comprendere l’esatta natura di quei disturbi neurologici. Spock aveva messo da parte ogni orgoglio per chiedere aiuto a T’Paw, la più alta rappresentante della loro cultura. La saggia vulcaniana aveva ricondotto quei disturbi alla trasfusione subita da Kirk col sangue di Khan. Li aveva anche rassicurati che col tempo quella minima quantità di siero si sarebbe naturalmente diluita nell’organismo del suo capitano riportando la situazione alla normalità.

Nonostante tutte le rassicurazioni di una persona tanto influente, Jim continuava non solo a stare male con una certa periodicità ma a patire una sorta di incapacità di lasciare andare completamente il ricordo di quanto accaduto con John Harrison.

L’espressione che aveva in quel momento era esattamente quella del senso di colpa che, lui sapeva, Jim provava nell’essere sopravvissuto a scapito di Khan. Disse ciò che per lui era più logico.

“Non devi accettarla per forza.” Jim sorrise forzatamente.

“Fa parte dello show, non credi? Se non mi presento come faranno ad insabbiare tutto?” Spock si sporse col busto in avanti.

“L’ammiraglio Pike ha contattato mio padre per sapere quando sarai in grado di tornare in servizio.” Jim sospirò. Spock pensò che gli fosse scappato. “Sarek può sempre rispondergli che non sei ancora in grado di riprendere il servizio attivo.”

“No.” Disse Jim scuotendo il capo. “Sono guarito. Ormai tutte le mie ferite sono rimarginate.”

“Non è esatto. Continui a soffrire di una sindrome post traumatica importante.” Lo sguardo di Jim si fece duro.

“Ti ho detto mille volte di non chiamarla così!” Scattò in piedi. In quel momento le porte della veranda si aprirono. Non appena il nuovo arrivato vide le guance arrossate di Kirk, si affrettò a raggiungere il divano.

“Jim! Per l’amor di Dio, torna a stenderti! E tu,” disse Bones rivolgendosi a Spock, “non eravamo d’accordo che non devi contrariarlo? Al momento le sue condizioni sono ancora instabili.”

“Scoprirà che non ho fatto nulla per contrariarlo se non fare menzione della sua sindrome post traumatica.” Gli rispose il vulcaniano.

“Avevamo deciso di chiamarla cefalea ricorrente, se lo ricorda? O vuole che qualcuno ritenga Jim inabile al comando?” Lo rimbeccò Bones mentre faceva sdraiare un riluttante Kirk. Spock ebbe un improvviso e alquante inusuale scatto di rabbia e si alzò.

“Bene, il dottore è lei! Decida lei se il capitano è abile al comando dell’Enterprise. Si ricordi, comunque, che si è impegnato a trovare la cura per la, come la chiamiamo? Ah, cefalea ricorrente del capitano. Ora, con permesso, ho alcune questioni personali da sbrigare.” Concluse raggiungendo la porta e lasciando la stanza. Jim guardò perplesso Bones.

“Adesso perché se n’è uscito in quel modo? Lo hai sentito? Questioni personali? Quali questioni personali?” Bones si accomodò sulla poltrona su cui, fino a quel momento, era stato seduto Spock.

“E io che ne so? Dammi il braccio.” Jim allungò svogliatamente il braccio destro. Bones gli iniettò un siero.

“Cos’è?”

“Un altro tentativo di mantenere la mia promessa di guarirti.” Jim si rimise seduto.

“Bones, gli attacchi sono diventati sempre più rari e la strega vulcaniana ha detto che quando il mio corpo avrà diluito a sufficienza il siero con cui, te lo ricordo, mi hai salvato la vita, spariranno del tutto.”

“Ad ogni modo, non sapendo quanto tempo ci vorrà, io continuerò a provare.”

“Grazie, Bones.” Leonard sorrise come meglio riuscì. In cuor suo soffriva molto per aver messo Jim in quella situazione. Fu riportato di nuovo al presente dalla voce di Jim. “Questioni personali.”

“Si tratterà di qualcosa che ha a che fare con suo padre.” Ipotizzò Bones. Jim fece spallucce.

“Hai notizie dall’Enterprise?”

“So che la bagnarola è stata rimessa a nuovo.”

“Intendevo dall’equipaggio.” 

“Ho parlato con Sulu. Sta benone. E’ stato il compleanno di sua figlia cinque giorni fa. Checov ha passato tutto il mese con Scotty. Stanno lavorando ad un modo per rendere ancora più veloce la nave.”

“E Uhura?”

“Curioso che tu me lo chieda.”

“Perché?”

“E’ stata assegnata da Pike alla stazione spaziale orbitante di Giove.”

“Cosa? E perché?”

“Non lo so, ma l’unica giornata di congedo l’ha presa per venire qui.”

“Aspetta un momento. Uhura è stata qui? E non è venuta a trovarmi?” Bones si alzò e andò al tavolino dove c’erano varie bevande. Si versò un bicchiere da una bottiglia piena di liquido ambrato. Non era scotch ma ne aveva la stessa gradazione alcolica.

“Voleva vedere Spock.”

“Naturale,” lo interruppe Jim “però poteva anche passare a salutarmi.”

“E’ venuta quando ancora non stavi bene e le tue crisi erano frequenti. Spock le ha gentilmente ma altrettanto ostinatamente detto che visite non programmate erano inopportune. E l’ha congedata. Da allora non è più tornata.” Jim si rabbuiò.

“Ha litigato con Spock?”

“Direi che si sono salutati un po’ freddamente ma non credo che abbia a che fare con te. L’ho sentita nominare una certa T’Pring.”

“Origliavi?”

“Discutevano a voce alta.”

“E chi è questa T’Pring?”

“Ah, io non lo so. E ti dirò di più, non lo voglio sapere.”

“Ok, però c’è ancora una cosa che io voglio sapere e sei l’unico a cui posso chiedere.”

“Dimmi pure.”

“Non percepisco più il legame che avevo con Spock. Si è spezzato o cosa?” Leonard bevve ciò che ancora era rimasto nel bicchiere e rispose.

“Vorrei poterti dare una risposta ma tutto ciò che posso dirti in proposito è che Spock ha continuato a restarti accanto. A volte rimaneva ore intere a fissarti in silenzio. Non so se fosse il legame ma di certo lui è legato a te.” Jim annuì e si sforzò di non pensare a niente altro.

 

Spock unì le mani dietro alla schiena. Sarek era in piedi accanto a lui. Entrambi guardavano la serra costruita in perfetta imitazione di quella coltivata da Amanda e nella cui veranda ora riposava Jim Kirk. 

“Tu fraintendi, figlio mio,” la voce di Sarek era sinceramente preoccupata, “la mia non è un’imposizione. Sei libero di seguire il cammino che preferisci. Quello che sto facendo è consigliarti. Ti esorto a valutare tutte le implicazioni del tuo gesto.” Spock si girò a guardarlo negli occhi.

“So bene che rifiutare T’Pring non è consono alle nostre usanze e verrò biasimato per questo. Confido che l’alto consiglio sarà clemente. Terrà certamente conto del mio svantaggio.” Calcò la voce su quell’ultima parola, la stessa che era stata adoperata il giorno in cui aveva aveva superato la prova per entrare nel corpo di esplorazione scientifica vulcaniano. Quel giorno l’ammissione gli sarebbe costata la dignità. Sarek strinse di più una mano nell’altra ma non mutò la sua espressione.

“Tu pensi che rifiutare T’Pring sia una cosa che riguarda solo lei, ma non è così.” Provò a dire Sarek.

“So benissimo che riguarda anche me.” Disse Spock ma Sarek scosse la testa.

“Non è agli aspetti sociali che mi riferisco, benché anche quelli siano rilevanti ai fini di una valutazione. T’Pring appartiene ad una nobile famiglia e dopo la distruzione di Vulcano, T’Paw l’ha presa sotto la sua protezione. Lei ti ha aiutato quando le hai chiesto di visitare il capitano Kirk ma sarà contrariata dalla tua volontà di venire meno ai patti con la sua protetta. Tuttavia è agli aspetti pratici che pensavo. Che succederà quando arriverà per te il tempo del Pon Farr?” 

A quella domanda, Spock abbassò lo sguardo. Suo padre comprese subito a cosa stesse pensando.

“Ricorrerò alla meditazione.”

“E’ una strada poco percorribile per te.” Gli occhi di Spock furono attraversati da un baleno.

“Per il mio svantaggio?”

“No, Spock. Per via del fatto che tu hai già stabilito un legame. Il capitano sa quali sono i rischi che corri se in quel momento non avrai una moglie pronta ad accoglierti? Non sa nulla, vero?”

“Non c’è stato alcun modo di parlare di cose simili. Inoltre il mio legame con Jim non è di quella natura.”

“Quindi è illogico il tuo desiderio di sciogliere il patto con T’Pring.” Spock esitò.

“Non vi è nulla di più logico, invece. Non potrò mai donare me stesso a T’Pring come lei si aspetta che io faccia.”

“Queste sono cose che dovreste discutere tra voi. Nessuno può conoscere le aspettative di T’Pring meglio di T’Pring. E’ con lei che dovresti parlare.”

“L’ho fatto, e sono giunto alla determinazione che le nostre esigenze sono incompatibili.” Se Sarek fosse sorpreso dall’apprendere che Spock e T’Pring si erano già parlati, non lo diede a vedere. Entrambi rimasero per un attimo in silenzio poi, continuando a guardare verso la finestra, Sarek parlò.

“Il mio consiglio è questo: se ne hai la possibilità, rinvia la comunicazione delle tue decisioni fino al tuo prossimo ritorno. Ho sentito dire che l’ammiraglio Cartwright intende assecondare la richiesta del capitano Kirk di una missione di durata superiore a quelle solitamente assegnate alla flotta. Se T’Pring è dotata di buona logica, comprenderà da sola che sarebbe di maggiore convenienza sposare qualcun altro dei suoi pretendenti.” Spock soppesò una ad una le sue parole e annuì.

“Farò come suggerisci, padre.” 

“Cosa devo riferire all’ammiraglio Pike? Mi ha fatto recapitare un messaggio in cui chiede quando il capitano Kirk sarà in grado di riprendere servizio.”

“Per quello bisognerà domandare al dottor McCoy.”

“Allora fallo e dammi un termine. Dovrò pur dire qualcosa all’ammiraglio.”

“Vado a parlare col dottore.”

Spock lasciò la stanza ma si diresse verso la serra. Se doveva dare una data a Sarek, c’era solo una persona a cui poteva chiedere e quella persona era Jim.

 

Il medicinale che Bones gli aveva iniettato lo aveva intorpidito. 

Jim cercò di rilassare i muscoli e chiuse gli occhi. Non poteva dire di essere stanco dato che era a riposo da un mese ma le costole gli facevano ancora male quando si muoveva e la testa era rimasta pesante come se assumesse ancora troppi farmaci.

Potevano essere passati circa quindici minuti da quando aveva socchiuso gli occhi che la porta si aprì. 

La figura che si ritrovò davanti non era familiare. Apparteneva alla razza vulcaniana perciò si sforzò di mettersi seduto e sorrise. Poteva anche star male ma era stato sempre galante in vita sua e se si ritrovava di fronte una donna, quant’anche aliena, si sarebbe alzato.

“Buongiorno.”

“Buongiorno a lei, capitano.” 

“Lei sa chi sono, io non credo di conoscerla.”

“Il mio nome è T’Pring, capitano, e no, non mi conosce. Io però ho molto sentito parlare di lei ed ero curiosa di conoscerla.”

Ed eccola, T’Pring. Aveva detto a McCoy di non essere curioso ma la donna che sembrava aver causato uno screzio tra Uhura e Spock, adesso era davanti a lui. Non c’era che dire. Era davvero bella. Altera. Qualcosa in lei però lo innervosì.

“Credevo che i vulcaniani fossero del tutto estranei alle emozioni.”

“La mia curiosità è logica, capitano.”

Ed ecco anche la logica. L’unico vulcaniano con cui Jim aveva interagito realmente era Spock. Sentire qualcun altro parlare come lui lo infastidì. All’improvviso si rese conto che non era incline ad essere trattato in quel modo da nessun altro della sua razza.

“Se lo dice lei! E come posso soddisfare la sua curiosità?”

“Spiegandomi come ha creato un legame con Spock.” La domanda arrivò a bruciapelo. Gli occhi della donna non esitarono nel rimanere agganciati ai suoi per tutto il tempo. Jim s’irrigidì.

“Spock direbbe che queste sono questioni private.”

“Per tale ragione lo sto chiedendo a lei, capitano.” Ogni volta che diceva ‘capitano’, l’accezione del termine di T’Pring diventava dispregiativo.

“Mi dispiace sembrare sgarbato ma non sono tenuto a raccontare cose di questo genere ad una persona che incontro per la prima volta.”

“Lei è un ospite qui. Gli ospiti si comportano con educazione. Sulla Terra si usa fare diversamente?”

“Sulla Terra è buona educazione non fare domande invadenti.” Jim fece forza sulle ginocchia e si alzò in piedi. Ora non si trattava più di galanteria. Voleva fronteggiare la donna occhi negli occhi.

“Ora comprendo. I suoi occhi sono del colore del ghiaccio ma nascondono un fuoco che arde. Lo stesso fuoco che brucia nel petto di Spock. La sua logica spesso è corroborata da una passione che nei vulcaniani manca del tutto.”

“Dunque lei è una conoscente di Spock.” La donna sorrise maliziosamente.

“Non è esatto. Io, capitano, sono sua moglie.” Jim rise.

“Non mi crede, capitano?”

“Non c’è verso che Spock non mi abbia detto una cosa simile.” Lo disse con fermezza ma già un attimo dopo che le parole avevano lasciato le sue labbra, la cosa gli sembrò possibile. Bones non gli aveva rivelato che Uhura e Spock stavano litigando riguardo a lei? E se Nyota avesse appreso quella notizia e si fosse infuriata? Scosse appena la testa. Aveva visto i pensieri di Spock, se una cosa simile fosse stata reale, lui l’avrebbe vista nella sua mente. Eppure da quando aveva ripreso i sensi, gli sembrava che il legame fosse svanito. La voce di T’Pring lo scosse dai suoi pensieri.

“Ora capisce perché voglio sapere come ha fatto a tendere un legame con lui?” Jim tornò a guardarla negli occhi.

“Se è davvero sua moglie, lo chieda a Spock. Io e lei non abbiamo niente di cui parlare.”

“Su questo concordiamo. E’ usanza per i vulcaniani presentare un dono a chi viene su Vulcano per la prima volta. Quindi voglio fagliene uno anche io, capitano. Può tenere Spock lassù, nello spazio, viaggiando a bordo della sua nave ma non tornì mai più nella mia casa. Se lo farà, non sarò più così generosa.”

Fu in quel momento che le porte della serra si aprirono. Se Jim era convinto di indossare la maschera della sorpresa, l’espressione che fece Spock entrando lo convinse che si poteva fare di meglio. Spock, tuttavia, non esitò sulla porta. Avanzò fino a che si trovò esattamente tra i due e si voltò a guardare T’Pring.

“Credevo di essere stato sufficientemente chiaro, T’Pring.”

“Lo sei stato, marito. Era logico vedere di persona.” Disse lasciando la stanza. Spock si voltò a guardare Jim. Non disse nulla. Quando le porte si chiusero, Jim sbottò.

“Marito? Tu sei sposato?” La voce era alterata.

“Jim, dovresti rimetterti a letto.”

“Tu osi dirmi cosa fare?”

“Ti sto soltanto facendo notare che le tue attuali condizioni non ti consentono di affrontare una discussione riguardo a questo argomento.”

“E perché no? Non hai fatto la medesima conversazione con Uhura?” Spock non ebbe bisogno di chiedere come lo sapeva.

“Sono questioni personali.” Jim coprì la distanza con un solo, lungo, passo e gli puntò un dito in faccia, il viso arrossato per la rabbia.

“Non osare dire più una cosa simile.” Spock lesse nei suoi occhi una rabbia che Kirk non gli aveva mai più rivolto dal giorno del loro confronto sul test della Kobayashi Maru. Neppure il giorno in cui erano arrivati alle mani sul ponte dell’Enterprise lo aveva guardato così. Sentì la calma venire meno.

“Il fatto che tu non conosca gli usi e i costumi dei vulcaniani non comporta che tu possa aggredirmi verbalmente in questo modo.”

“E’ costume dei vulcaniani avere più relazioni?”

“Definisci relazioni.” Jim sollevò entrambe le mani in alto in un gesto di stizza ma il dolore all’addome lo fece accasciare.

“Jim!”

“Non toccarmi!” Gridò lui allontanandolo. In quel momento la porta si aprì di nuovo e Bones entrò a passo svelto.

“Si può sapere che diavolo succede qui? Jim, per l’amor del cielo, rimettiti a letto! Ti ho somministrato un forte coagulante solo due ore fa! E lei, Spock, perché diavolo non lo aiuta?” Spock fece un passo indietro e lasciò che Leonard tirasse su Jim e lo rimettesse sul divano. “Allora chi dei due mi risponde?” Jim si chiuse in un ostinato silenzio. Toccò a Spock rispondere.

“Il capitano si è alterato perché ha conosciuto T’Pring.” Disse solo e Jim rise di un riso amaro.

“Forse se mi diceste chi è T’Pring, capirei meglio. Io non leggo nella mente di nessuno dei due.” Rispose il dottore. 

“Se è per questo neanche io. Non più, ma almeno ora so perché. Ci sono questioni personali che il signor Spock non vuole condividere. Peccato che abbia una moglie chiacchierona!” Sbottò Jim.

“Moglie?” Sussurrò Bones mentre si girava a guardare Spock.

“E’ chiaro che il capitano non comprende le più basilari fondamenta della cultura vulcaniana.” Insistette Spock.

“Cioè la poligamia?” Ironizzò Bones incrociando le braccia.

“Illogico. Io e il capitano non abbiamo quel genere di legame.” 

“Ah!” Strillò istericamente Jim. “Ho male interpretato il termine ‘T’hy’la’ di sicuro!” 

“Jim, sdraiati e sta’ zitto. Spock, venga fuori con me.” Spock seguì Bones oltre le porte. Quando il dottore fu certo che Jim non potesse sentirli, riprese. “Spock! Lei è sposato?”

“Almeno lei, dottore, vuol darmi il modo di spiegare?”

“In termini semplici e comprensibili anche da una persona emotivamente compromessa come lo sono io ora.”

“T’Pring è mia moglie per un rito officiato quando entrambi avevamo sei anni. Hanno fatto tutto le nostre famiglie. E’ una pratica comune e serve a garantire la salvaguardia della nostra specie. Oltre questo non posso dire.”

“Che significa che non può dire altro? Ha appena detto a Jim di essere sposato. Crede che sia una cosa su cui lui può soprassedere?”

“Il legame con Jim è di tipo non biologico.” Bones scosse la testa come se fosse confuso poi spalancò la bocca.

“Quindi tu vorresti dirmi che vorresti intrattenere un legame platonico con Jim mentre fai sesso con questa T’Pring?”

“Dottore! Non riduca in termini semplicistici il complicato sistema di accoppiamento vulcaniano.”

“Con il tenente Uhura però ci è andato a letto! Con lei aveva una relazione di tipo biologico!” Spock aprì le labbra per controbattere ma le parole che pronunciò furono diverse da come le aveva pensate.

“Ho chiesto scusa al tenente. Per quanto le abbia spiegato che io e T’Pring non abbiamo mai avuto rapporti biologici, ho compreso il motivo per cui si sia sentita tradita dalla mia omissione. Le ho spiegato che prima del mio Koon-ut-kal-if-fee, non si tratta di un vero e proprio matrimonio come lo considerate sulla Terra.”

“Mi arrendo. E’ tutto troppo complicato per me. Però le faccio una domanda. Se Jim le avesse nascosto una moglie o un’amante, lei come si sarebbe sentito?” Bones si girò e rientrò nella stanza dove aveva lasciato Jim. Spock lo seguì ma restò sulla porta.

“Avanti, Jim, lasciati misurare la pressione.” Mentre il dottore passava i suoi strumenti sul corpo del capitano, Spock si ricordò del motivo per cui era andato da Jim, tuttavia si rivolse a McCoy.

“Dottore, l’ammiraglio Pike ha mandato una richiesta a Sarek. Vuole sapere quando ritiene che il capitano possa tornare sulla Terra.”

“E’ ancora presto. Ci vuole almeno un’altra settimana di terapia.” Kirk lo fermò.

“Niente affatto. Sono guarito. Terminerai la mia terapia a bordo dell’Enterprise.”

“Jim per favore.” Provò a dire Bones.

“No. Abbiamo approfittato fin troppo dell’ospitalità di Sarek. Basta.” E, a questo punto, Bones non se la sentì di insistere. Sentì solo che la porta si aprì e richiuse. Spock se n’era andato.

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Capitolo 2
*** Ogni medaglia ha due facce - prima parte ***


Capitolo II

Ogni medaglia ha due facce

 

Passarono tre giorni prima che fosse organizzato il rientro del capitano Kirk sulla Terra. Jim li passò chiuso nella sua stanza ma non volle restare a letto e si fece consegnare un pad con tutte le specifiche degli ammodernamenti dell’Enterprise. 

Rimase solo la maggior parte del tempo. Bones era quasi sempre all’accademia delle scienze alla ricerca di una cura definitiva per Jim e Spock non si fece vedere.

Questo non sorprese Jim. Non solo non lo aveva cercato ma gli aveva fatto sapere che non voleva essere disturbato mentre studiava il nuovo assetto della sua nave.

Fu invece sorpreso dal fatto che a riportarlo sulla Terra non sarebbe stata l’Enterprise ma un’altra nave: la U.S.S. Discovery.

Alle nove zero zero del quarto giorno la U.S.S. Discovery teletrasportò Jim Kirk, Spock e Leonard McCoy a bordo. Una ragazza dal volto simpatico e dalla parlantina vivace diede loro il benvenuto. Il suo sorriso mise Kirk di buon umore.

“Benvenuti a bordo, io sono il guardiamarina Silvya Tilly. Lasciatemi dire che sono strafelice, volevo dire, onorata di incontravi. ” Disse quasi inchinandosi in evidente imbarazzo. Jim sfoderò il suo sorriso più luminoso.

“Siamo noi ad essere onorati, guardiamarina Tilly.”

“Oh mio Dio, lei è il capitano Kirk! Signore lei è una leggenda! L’unico ad aver mai superato il test della Kobayashi Maru!” Spock sollevò un sopracciglio mentre Jim gongolava. “Ha sconfitto la nave romulana apparsa nel paradosso spazio temporale della Kelvin! Signore, lei è il capitano dell’Enterprise!” Jim rise di gusto.

“Visto? Qualcuno ha buon gusto!” Esclamò.

“Solo perché non ti conosce veramente.” Precisò Bones. Le porte della sala del teletrasporto si aprirono e una donna dai modi composti entrò. Era umana ma Jim ebbe la sensazione che qualcosa, in lei,  gli ricordasse i vulcaniani. Lei affiancò Tilly e si rivolse a Spock.

“Benvenuto.” Disse guardandolo negli occhi. Spock fece un cenno col capo.

“Ti trovo bene, Micheal.”

“Scusami per il ritardo, sono scesa a salutare Sarek.”

“Di certo gli avrà fatto piacere.” La donna sorrise e si voltò a salutare gli altri due ospiti.

“E’ un piacere conoscervi. Sono lo specialista Burnham, vi accompagno nella sala tattica del capitano Lorca.”

“Grazie, specialista. Mi aspettavo un passaggio da una nave trasporto, mi hanno mandato un’ammiraglia.”

“La Discovery è una nave di classe Crossfield ma si adatta a viaggi come questo. Seguitemi.” Kirk avrebbe voluto sapere qualcos’altro di lei e del perché sembrava conoscere Spock ma si limitò a seguirla fino ad un’ascensore e da lì al ponte. 

Quando le porte della plancia si aprirono, gli occhi di Jim caddero subito sulla sedia poi, però si persero oltre di essa nella grande paratia di vetro della sala. Da lì lo spazio sembrava immenso e Kirk non avvertì quella paura che si era aspettato di provare nel trovarsi di nuovo faccia a faccia con le sue stelle. L’ultima volta che si era fermato ad osservarle era più morto che vivo e si era sentito inghiottire dal buio. Adesso quel timore sembrava volatilizzato.

La voce di Burnham lo richiamò.

“Capitano, da questa parte prego.” Disse indicando con una mano un’altra porta che si aprì.

Kirk, Spock e McCoy entrarono e si ritrovarono in una stanza pressoché vuota. C’erano solo un tavolo e un uomo. 

“James Tiberius Kirk!” Esclamò quello che doveva essere il capitano della Discovery. “Lei è il capitano più in gamba della flotta o il più fortunato tra noi! Io sono il capitano Gabriel Lorca, benvenuto a bordo della Discovery.” Jim lo guardò dritto negli occhi di un blu molto simile ai suoi e sorrise.

“Nessuno di noi può essere il più in gamba senza un po’ di fortuna, non crede capitano Lorca?”

“Io credo nel destino. Alcuni uomini sono dotati di abilità tali da cambiare da soli il corso della storia. Lasciamo però questi discorsi per quando saremo di fronte ad un buon calice di vino. Burnham accompagni il dottore e il signor Spock dove c’è più bisogno di loro. Io informerò il capitano dei dettagli sul loro viaggio.”

Kirk si accorse che Spock piegò appena la testa di lato come faceva quando qualcosa attirava la sua attenzione. Lo specialista accompagnò fuori i suoi amici e Kirk rimase solo con Lorca.

Quell’uomo, estremamente sicuro di sé, lo incuriosiva. Il suo sorriso sfrontato poteva definirsi arrogante? Quando lo avevano definito arrogante in passato, era quel tipo di sorriso che ostentava? La voce di Lorca lo scosse da quei pensieri.

“Bene, capitano Kirk, veniamo a noi. Si sarà stupito che una nave come la Discovery sia stata scelta per portarla a casa.” Kirk fece il giro del tavolo che li separava e guardò fuori, nello spazio.

“Mi hanno riferito che si adatta a molteplici utilizzi ma adesso che lei lo sottolinea, devo supporre che ci sia un altro motivo che l’ha condotta qui.” Lorca annuì.

“Mentre lei si riprendeva dalla fatica delle sue eroiche gesta, alcuni Klingon hanno sconfinato nella zona neutrale.”

“Klingon?” La voce di Kirk non nascondeva un certo stupore.

“Esatto.” Rispose lui. “Per essere precisi bisognerebbe partire da uno sconfinamento non autorizzato di una nostra nave nel loro spazio. Quelli Klingon andrebbero considerati al pari di una rappresaglia.” 

La mente di Jim corse all’esplosione della Jupiter ma dovette riflettere subito sul fatto che l’esplosione era avvenuta nello spazio aereo di Nuova Vulcano almeno un mese e mezzo prima degli episodi raccontati da Lorca.

“So che si è tenuto un consiglio dell’alto comando. Avranno valutato ogni conseguenza della questione.” Disse Kirk guardando Lorca dritto negli occhi. Il capitano storse appena le labbra.

“Sono uomini in alta uniforme che non salgono a bordo di una nave da molto, molto tempo. Dubito che siano stati in grado di stimare correttamente le conseguenze di un errato approccio alla situazione.” 

Le parole di Lorca misero Kirk in allarme per un motivo che non seppe ben definire in quel momento.

“Sta dicendo che l’alto comando della federazione non è in grado di decidere cosa sia meglio fare in questa situazione?” Jim lo provocò per vedere fin dove Lorca era disposto a spingersi con quelle affermazioni. L’uomo non si tirò indietro.

“Sto dicendo che non ho dubbio alcuno sul fatto che siano in grado di stabilire la migliore strategia per reagire alla situazione. Ho invece fortissimi dubbi che abbiano compreso la situazione in sé.” Non era un semplice gioco di parole e Kirk capì dove voleva andare a parare.

“Per lei la stanno facendo meno grave di quel che è?” Lorca sorrise. Interruppe il contatto visivo e raggiunse il tavolo. Toccò un tasto e uno sportello si aprì, lasciando salire una bottiglia di whiskey e due bicchieri.

“Non mi faccia bere da solo, prenda.” Disse versando il liquido ambrato nei bicchieri e porgendogliene uno. Jim lo prese e brindò con lui. “Lei è, di fatto, un uomo brillante, Kirk. Personalmente ritengo che non si dovrebbe lasciare impuniti i Klingon per il loro sconfinamento. Sono una razza di fieri guerrieri. Se nessuno tiene loro testa, mi gioco la nave che gli sconfinamenti continueranno.”

Kirk bevve un sorso e guardò il bicchiere che stringeva tra le mani. Comprendeva il punto di vista del capitano Lorca ed era propenso a dargli ragione sulla natura dei Klingon. Tuttavia, in quel momento, si rese conto del perché era in allarme. Quell’uomo parlava come Marcus. Si ricordò delle sue ultime parole. Aveva detto che diversi focolai di odio e intolleranza già covavano all’interno della federazione e nell’impero Klingon, che era solo una questione di tempo prima che divampassero. 

“Ha detto lei stesso che gli sconfinamenti Klingon nella zona neutrale devono considerarsi alla stregua di rappresaglie. Se dessimo troppa importanza a questi gesti dimostrativi finiremmo per alimentare scontri veri e propri. Persino una guerra, considerato il modo in cui i Klingon preferiscono risolvere le controversie.” Lorca finì il suo bicchiere e lo posò sul tavolo.

“Il suo primo ufficiale è vulcaniano, vero?” L’improvviso cambio di direzione della conversazione lo stupì e, per un momento, non rispose. “Il figlio dell’ambasciatore Sarek.”

“Sì.” Rispose Kirk posando, anche lui, il bicchiere sul tavolo. 

“Si dice che sia una vera e propria spina nel fianco.” Lo disse con sarcasmo.

“Sa esserlo, quando vuole. Perché lo tira in ballo in questo momento?”

“Si dice anche che lo tiene in grande considerazione.” Lorca lo sopravanzò e tornò a fissare fuori dalla nave lo spazio aperto.

“E’ il mio comandante. E’ ovvio che lo tenga in grande considerazione.” Kirk ancora non capiva dove volesse andare a parare Lorca.

“Chieda a lui se è conveniente lasciar correre con i Klingon. Quando ho fatto questa domanda allo specialista Burnham, non sono rimasto deluso dalla risposta.”

“Lo specialista è umana. Mi spiace ma non capisco.” Lorca si voltò con l’espressione del gatto che ha messo il topo nell’angolo.

“Non lo sa? Burnham è stata crescita dai genitori di Sarek dopo aver perso la sua famiglia d’origine. E’ figlia adottiva di Sarek.”

Jim sentì una fitta alla testa mentre elaborava la notizia dell’esistenza dell’ennesimo parente di Spock di cui non sapeva nulla.

“Non capisco ancora la correlazione con i Klingon.”

“Burnham utilizza la logica vulcaniana nell’approccio tattico e, oserei dire, come scelta di vita. Quando le ho chiesto di analizzare la migliore reazione alle azioni dei Klingon, ‘attaccarli’ è stata la sua risposta.” Kirk abbassò gli occhi sullo scintillante pavimento della Discovery e comprese finalmente quale doveva essere il suo approccio a quella situazione. Sollevò lo sguardo accompagnandolo con lo stesso sorriso arrogante con cui Lorca lo stava intrattenendo fin dal principio della loro conversazione.

“Il punto non è cosa pensa di fare Spock. Né, tantomeno, cosa pensiamo di fare io o lei, Lorca. Il punto è cosa deciderà di fare la federazione.” Lorca batté le mani un paio di volte.

“Ora so che l’onoreficenza che vogliono darle è meritata, capitano.”

“Personalmente non sono fiero di ricevere un’onoreficenza come quella.” Rispose Jim che si sentiva preso in giro. Lorca si affrettò a chiarire.

“Mi scuso se le sono sembrato offensivo. Ho davvero un’enorme stima della sua persona. Per questo motivo mi sono confrontato apertamente con lei. Di rado confesso così esplicitamente i miei punti di vista. E lei deve essere fiero di quello che ha fatto su Nuova Vulcano.”

“Sono certo che la figlia dell’ammiraglio Marcus non la pensa così.” Lorca si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

“Non deve dire così. L’ammiraglio Marcus era un borioso bastardo. Avrebbe messo a ferro e fuoco l’universo. Le cose sono andate così prima che avesse l’occasione di realizzare i suoi intenti. Mi piacerebbe davvero sapere cosa ci faceva a bordo di una nave appena varata nello spazio aereo di Nuova Vulcano. Come si chiamava la nave?” Kirk non mosse un muscolo del viso.

“Non era ancora stata battezzata. Non ne ho idea. Forse era solo un uomo in alta uniforme che non saliva a bordo di una nave da molto, molto tempo e voleva tornarci.” Lorca interruppe il contatto e si voltò.

“Alcuni uomini non sono fatti per essere capitani.” Disse di nuovo con un tono di voce serio. “Ad ogni modo, sappia che il viaggio di ritorno sulla Terra durerà un po’ più del previsto.” Jim si rabbuiò.

“Il mio primo ufficiale scientifico ha richiesto un consulto del suo. Diciamo che è il prezzo per il passaggio. Così avrò ancora modo di discutere con lei dei Klingon, che dice?”

“Non sono desideroso di partecipare a quella festa in mio onore. Quindi più mi tiene quassù e meglio è. L’avverto però: una nave e due capitani non sono una buona combinazione.”

Lorca sorrise divertito e allargò le braccia.

“Capitano, la sedia è sua finché la vuole.” Jim mise entrambe le mani sui fianchi e scosse la testa.

“No. L’ultima volta che mi sono seduto sulla sedia del capitano di una nave che non fosse l’Enterprise, l’ho fatta esplodere. Temo che solo lei abbia il giusto temperamento per sopportarmi.”

Lorca gli fece strada sul ponte di comando e lo presentò all’equipaggio presente in plancia.

 

Micheal Burnham non era di molte parole. 

Leonard non faceva che passare con lo sguardo da lei a Spock. Quei due erano in confidenza e, dalle loro chiacchiere, aveva capito che a legarli era Sarek.

“Mi pare di capire che vi conoscete bene.” Bones intervenne prima che lei potesse rispondere a Spock su tutta una serie di dati sulla Discovery che lui gli aveva appena chiesto.

“Micheal è stata adottata dai miei genitori quando era molto piccola.” Le parole di Spock ebbero il potere di immobilizzare il dottore.

“Mi stai dicendo che è tua sorella?” Chiese con un tono di voce alterato.

“Sorella non è la definizione corretta. Essendo stata adottata, la logica suggerisce che il termine corretto è sorellastra. Tuttavia è una definizione che non spiega in modo sufficiente la nostra relazione.” Rispose Spock. Burnham sorrise appena e cercò di togliere McCoy dall’imbarazzo.

“Nostra madre non amava quella parola e non voleva che la utilizzassimo.” Solo in quel momento si rese conto che la ragazza doveva aver patito le medesime sofferenze di Spock dopo la distruzione di Vulcano. Abbassò lo sguardo.

“Sono molto addolorato per la sua perdita.”

“Grazie, dottore. Le dispiace se non parliamo di questo argomento? Non pratico molto bene il distacco dalle emozioni come il resto della mia famiglia.” Bones la trovò subito più simpatica.

“Dimostra solo che è umana, il che è un merito ai miei occhi.”

“Vogliamo proseguire? Il tenente Stamets ci sta aspettando.”

Burnham li condusse fino ad un laboratorio molto grande in cui diversi uomini lavoravano alacremente. Bones riconobbe il guardiamarina Tilly che fece un cenno ad un uomo biondo dall’aspetto simpatico. Questi si girò e, non appena li vide, li salutò con un grande sorriso.

“Benvenuti! Grazie per averli accompagnati, Burnham.”

“Di niente. Stamets, loro sono il comandante Spock e il dottor McCoy dell’Enterprise. Signori, vi presento il tenente Paul Stamets responsabile del comparto scientifico della Discovery.” Spock diede si un’occhiata attorno e fece un cenno del capo.

“Voleva un consulto per cosa?” Stamets fu preso in contropiede dai modi diretti del comandante e toccò a McCoy restituire un po’ di cordialità alla conversazione.

“Il signor Spock voleva dire: piacere di conoscerla, tenente. Siamo felici di essere a bordo e le saremo utili come potremo se avrete bisogno del nostro aiuto.” Sylvia Tilly rise ma lo sguardo severo di Spock la fece ricomporre immediatamente.

“Mi scuso per la mia franchezza ma tendo ad ottimizzare i tempi.”

“Non si scusi,” rispose Stamets, “è vulcaniano. Lo comprendo.” Spock piegò appena la testa di lato come faceva sempre quando si sforzava di capire se c’era ironia in una frase il cui senso gli sfuggiva.” 

“Che significa?” Chiese e toccò a Burnham farsi sfuggire un sorriso.

“Che sei una canaglia.” Gli rispose Leonard. “Renditi utile dato che è quello che sai fare meglio. E’  chiaro che qui farete cose per cui occorre un quoziente intellettivo di cui non sono dotato. Guardiamarina Tilly, sarebbe così gentile da accompagnarmi in infermeria?” Tilly guardò Stamets che annuì.

I due lasciarono il laboratorio mentre Stamets faceva strada a Burnham e Spock in un’altra stanza del laboratorio. 

Quando Spock vide cosa c’era all’interno della camera sterile in cui Stamets li aveva condotti, rimase a bocca aperta.

“Si tratta di una colonia.” Spiegò il tenente.

“Una colonia di funghi spaziali multicellulari e capaci di produrre spore particolari.” Disse Spock avvicinandosi ad uno dei ceppi a cui erano collegati i funghi e causando stupore in Stamets e orgoglio in Micheal. “Se non erro, producono una sorta di energia. Per cosa la utilizzate?”

Il tenente si avvicinò e gli indicò un condotto che immagazzinava le spore.

“Le usiamo per fornire energia alla nave.” Il sopracciglio destro di Spock si sollevò.

“E’ sicuro.” Si affrettò a precisare Burnham che conosceva bene cosa significasse quell’espressione.

“Non dico che il dilitio non sia un mezzo di propulsione privo di rischi, ma le spore sono frutto di organismi viventi. Pur volendo tralasciare le implicazioni etiche della cosa, ritengo siano instabili anche più del dilitio.”

“E’ energia sostenibile.” Lo riprese Stamets. “L’estrazione del dilitio sta distruggendo intere colonie. Le spore sono frutto di coltivazioni e hanno delle applicazioni che ancora non siamo riusciti a studiare fino in fondo.”

“Immagino che il consulto riguardi questo.” Stamets li riportò nell’altra stanza e mostrò loro una formula. Spock comprese immediatamente di che si trattava.

“Pensate che le spore possano garantire quello che potremmo definire il teletrasporto dell’intera nave?” Stamets si affrettò a spiegare.

“Le spore sparate nel motore, se sovraccaricate, riescono a raggiungere un’intensità tale da squarciare, di fatto, lo spazio. Riescono a spingere l’intera nave lungo dei warmhole che normalmente non potrebbe attraversare. Praticamente questi warmhole consentono alla nave di spostarsi tra due punti non prossimi come in canali a supervelocità, di fatto realizzando il teletrasporto.”

“Ne parla come se ci foste già riusciti.” Azzardò Spock.

“E’ così.”

“La formula, però, è incompleta.” Gli rispose e Stamets guardò, stupito, Micheal.

“Te l’ho detto che lui avrebbe capito subito.” Il tenente proseguì.

“E’ incompleta. Riusciamo a ‘saltare’ nel warmhole ma non siamo in grado di pilotare la nave. Se non possiamo decidere dove andare, il teletrasporto è inutile. Ci lavoriamo da mesi ma non riesco a trovare la soluzione.”

“Non posso dire che posso trovare la soluzione ma posso dirvi cosa manca nell’equazione.”

“Cosa?” Chiese Micheal.

“La costante.”

“Non capisco.” Rispose lei.

“Se devi stabilire una rotta su di un piano che non rimane mai identico a se stesso, come in questo caso,” Spock usò gli ologrammi del computer per dimostrare come i vari passaggi tra i punti di accesso e di uscita dei warmhole modificassero di fatto lo spazio, “occorre una costante che agganci la nave allo spazio stesso.” Spock modificò la formula e con l’utilizzo di una costante, l’equazione dimostrava la possibilità di guidare un oggetto nei warmhole.

“Fantastico!” Esclamò Stamets. “Ma cosa può fungere da costante in un universo che cambia continuamente?”

“Questo non è il mio campo di competenze,” annunciò Spock, “forse potreste chiedere al dottor McCoy, la biochimica cellulare è uno dei suoi campi.”

“Biochimica? Crede che riguardi le spore?”

“Che altro? In un universo in continuo mutamento, ciò che definisce la costante è la sua insostituibilità. In questa fattispecie, le spore.” Burnham mise le mani sulle spalle di entrambi, compiaciuta.

“Ottimo lavoro. Ora, Stamets, tu hai da lavorare. Io accompagno mio fratello nella sua stanza. Lo abbiamo fatto lavorare anche in licenza.” Lui fece un cenno del capo e seguì sua sorella.

Quando rimasero soli, lei abbandonò un po’ le formalità.

“Ottima idea quella della costante. Sembravi Sarek mentre spiegavi come in un universo in continuo mutamento, solo una costante può indicare la strada ad un oggetto in movimento.” Spock abbassò il capo e si fermò. Micheal si accorse che sembrava turbato. “Ho detto qualcosa di sbagliato?” 

“No. Sono io che ho sbagliato.”

“La formula era giusta.” Rispose lei ma capì subito che suo fratello parlava d’altro. “Spock, stai bene?”

“Sì, sono funzionale.” Lei sorrise.

“Non sembri funzionale, sembri emozionato e devo ammettere che mi spaventi un po’.” Spock si voltò a guardarla negli occhi.

“Ricordi T’Pring?” Lei annuì. “Avrei dovuto sciogliere il matrimonio.”

“Ti sei legato ad un’altra?” Chiese Burnham che sapeva come funzionavano le relazioni vulcaniane. Spock scosse il capo.

“Allora non va bene se sciogli il vincolo con lei. Conosci i rischi.”

“Non mi sono legato ad un’altra ma ho un legame e questo legame rappresenta la mia costante. Ciò che mi guida in un universo in continuo mutamento.” Micheal piegò la testa di lato e Spock credette che lo stesse prendendo in giro.

“Signor Spock, è romanticismo quello che avverto nella sua voce?”

“Il romanticismo è un’emozione umana quindi la risposta logica a questa domanda sarcastica è no.”

“Addirittura comprendi il sarcasmo? Deve essere il legame ad aver trasformato il tuo cervello quantistico in un organo di carne e sangue!”

“Questo potrebbe essere vero.” Micheal si portò entrambe le mani alla bocca per contenere lo stupore.

“E chi sarebbe la fortunata legata dal destino al mio straordinario fratello?”

Spock stava per rispondere quando la voce di Kirk lo fece girare nella sua direzione.

“Spock! Che diavolo, questa nave è immensa e non somiglia affatto all’Enterprise. Non riuscivo a trovare i laboratori. A dirla tutta non riesco a trovare neppure il ponte quattro. Lorca dice che la mia stanza è lì. Salve anche a lei, specialista Burnham.”

“Capitano,” lo salutò lei riprendendo il tono formale che aveva abbandonato mentre parlava con Spock. “Se vuole l’accompagno io alla sua camera.”

“Ci mancherebbe! Lei e suo fratello avrete di che parlare!” Esclamò lui con una punta di ironia nella voce che non sfuggì né a lei, né a Spock.”

“Potremo parlare in seguito.”

“Mi basta che mi metta nella giusta direzione. Poi vado da solo. Cerco l’infermeria.” Spock cambiò espressione e Micheal se ne accorse.

“Non si sente bene, capitano?”

“Sto benissimo,” rispose lui facendo istintivamente un passo indietro. “Cerco Bones.” 

“Capisco.” Rispose Spock, indietreggiano a propria volta. Micheal abbassò gli occhi per un momento poi intervenne.

“L’accompagno, capitano Kirk. Sono certa che mio fratello troverà la sua camera. Più tardi, se ne avrà voglia, ceneremo insieme.”

“Certamente.” Fece lui sopravanzandoli e prendendo la via per il turboascensore. 

Micheal portò Kirk ad un altro elevatore e lo guidò fino al terzo piano dove era situata l’infermeria.

Quando le porte del reparto medico si aprirono, Jim vide Bones alle prese con una serie di strumenti chirurgici. Sembrava un bambino in un negozio di giocattoli.

“Grazie, specialista Burnham. E’ stata molto gentile.”

“Si figuri, perché non si unisce a me e Spock per la cena?”

“Mi ha già invitato il capitano Lorca. Sarebbe scortese rifiutare.”

“Lo sarebbe. Anche perché il capitano era davvero ansioso di scambiare due chiacchiere con lei.”

“Sui Klingon?” Chiese Kirk facendole l’occhiolino. Micheal capì che tutte le storie che aveva sentito su James Tiberius Kirk erano vere.

“Non avete perso tempo! Il capitano Lorca pensa che la federazione stia sottovalutando la situazione.”

“E lei è d’accordo, a quanto dice lui.”

“So per esperienza personale che i Klingon non sanno cosa sia la diplomazia. Le controversie si risolvono con la forza. Il più forte vince sul debole.”

“Finora non ci hanno attaccati.”

“Forse quando lo faranno non saremo in grado di reagire.”

“Reagire è nell’indole umana. Dovrebbe tenere in maggior considerazione la sua natura.”

“Con tutto il rispetto, capitano, non mi conosce.” Disse lei, impettita.

“No,” rispose Kirk stringendo un pugno e perdendo l’aria scanzonata che aveva mantenuto fino a quel momento, “non la conosco. Spock non mi ha mai parlato né di lei, né del resto della sua famiglia.” 

Micheal ebbe come un’illuminazione.

“Ha conosciuto T’Pring su Nuova Vulcano?”

“Donna interessante. Decisamente non il mio tipo. Comunque è la moglie di Spock. Deve piacere a lui, non a me. Buona serata, specialista Burnham.”

Kirk si voltò e raggiunse Bones.

 

Leonard si stava divertendo. Dopo due mesi infernali, la compagnia del dottor Culber e l’attrezzatura della Discovery stavano facendo un piccolo miracolo.

Era ancora immerso nella simulazione di una sutura del tronco encefalico spinale, quando la sagoma di Jim si materializzò sulla porta.

“Spiegami perché noi non abbiamo quest’attrezzatura!” Esclamò simulando rabbia.

“Perché questa è una nave scientifica, Bones. Comunque se c’è qualcosa che ti piace proprio molto, te la compro!” Fece lui ridendo e tendendo la mano all’uomo di colore che gli stava accanto. “Piacere, James Kirk.”

“Piacere mio, capitano. Sono il dottor Hugh Culber.”

“Lo sa che mi tormenterà per avere un’infermeria come questa?”

“Gli ho già promesso che gli consegnerò una piccola valigia delle meraviglie quando scenderete sulla Terra, stia tranquillo.”

“Le sono grato. Bones puoi accompagnarmi in camera?” Leonard non se lo fece ripetere. Seguì Jim fuori dall’infermeria e poi fino ai suoi alloggi che erano accanto a quelli di Lorca.

Non appena le porte della camera si chiusero, Bones raggiunse il bagaglio di Jim e tirò fuori il farmaco che gli somministrava periodicamente.

“Stai bene?” Lui annuì con la testa e si sedette sul letto. 

“Tranne un leggero mal di testa, sto bene.”

“Com’è stato tornare a gravità artificiale?”

“Nessun disturbo. A parte,” s’interruppe non appena sentì la puntura sul collo pizzicare, “uno strano senso di vertigine che ho provato non appena a bordo. Non lo avverto più ora.”

“Fammi sapere se hai altri sintomi.”

“Ok. Com’è il dottore della Discovery?”

“Un brav’uomo. Mi piace. E il capitano della Discovery?”

“Non è un brav’uomo di certo. Ma mi sembra un buon capitano. Forse un po’ troppo integralista sui compiti della federazione.”

“Non ti piace?”

“Non so decidermi.”

“Detto da te, mi preoccupa. A proposito di preoccupazioni, dov’è Spock?”

“Con sua sorella. Ci credi? Ha una sorella! E tanto per cambiare, noi non ne sapevamo niente!”

“L’ho conosciuta. Sembra un tipo in gamba.”

“Ne sono convinto.”

“Allora cosa c’è che non va?”

“Niente.” Rispose lui nervosamente. Bones si sedette al suo fianco.

“Vuoi mentire a me?” Kirk sospirò.

“L’ho portato a casa mia, Bones. Mia madre chiede di lui continuamente. E lui ha una sorella di cui io non so niente.”

“Volevi dire che ha una moglie di cui non sai niente!” Leonard gli poggiò una mano sulla spalla ma Jim la scostò bruscamente e si alzò.

“Non dire che me l’avevi detto!” McCoy fece una faccia perplessa.

“Cosa?”

“Che il legame non poteva funzionare per due come noi!” Il dottore sospirò e si alzò.

“Sai benissimo che c’è stato un tempo in cui l’ho pensato ma non lo direi mai adesso. Non dopo che il legame ti ha salvato la vita nello spazio.”

“Non lo sopporto!” Esclamò.

“Non lo hai mai sopportato ma siete amici. Ricordi cosa mi hai detto in Iowa?” Jim mise le mani sui fianchi fingendo di non ricordare. “Che il legame dipendeva da entrambi e che eravate in due in questa cosa.”

“Ha una moglie!”

“E allora?” Lo sfogo improvviso di Bones fece andare fuori di testa Kirk.

“Come sarebbe a dire? Hai detto tu che il legame è una cosa sacra per i vulcaniani e scopro che lui è già impegnato!”

“Scusami se ti parlo con franchezza nonostante si era d’accordo che non ti avrei contraddetto a causa delle tue condizioni di salute, ma Spock ha spiegato che non si tratta di un vero matrimonio fino a che, come posso dire, non è consumato. E lui dice che non è stato consumato un bel niente! Ti stai comportando come quell’isterica della mia ex moglie!”

“Cosa?” Il tono di voce di Jim ora era decisamente alterato. “Sai che c’è, Bones? Hai ragione. Hai perfettamente ragione.” Fece lui sfilandosi la maglia e dirigendosi verso il bagno. “Tra me e Spock non c’è quel genere di legame e la mia delusione sul fatto che non sia stato sincero con me sta influenzando il mio rapporto con lui che è, e deve rimanere, strettamente professionale. Spock può andare a letto con chi vuole. Non sono affari che mi riguardano.”  

Bones rimase a fissarlo mentre si lavava il viso e le braccia. La cicatrice lasciata dal colpo sparato da Khan che l’aveva passato da parte a parte, era ancora ben evidente sulla sua pelle chiara. Lo raggiunse in bagno e gli prese l’asciugamano dalle mani. Glielo poggiò sulle spalle e gli frizionò il collo.

“Sei troppo agitato. Non ti fa bene. Non costringermi a somministrarti un tranquillante a tradimento.” Jim si voltò, gli occhi appena lucidi come se stesse trattenendo le lacrime. Sorrise.

“Sono nervoso. Devo vestirmi. Lorca mi ha invitato a cena. Vieni con me?”

“Mi dispiace ma il dottor Culber mi ha chiesto di unirmi a lui e al tenete Stamets. Pare che abbiano bisogno del parere di un microbiologo con certe competenze vulcaniane.”

“Non ti vantare!” Disse Jim spintonandolo un po’. Raggiunse la sua borsa e tirò fuori l’uniforme. La indossò e si guardò allo specchio.

“Fai ancora la tua sporca figura, sai?” Gli disse Bones. Jim si sforzò di sorridere.

“Non lo so.”

“Ehi, forse una bella serata in compagnia di un commilitone è proprio quello che ti serve, Jim.”

“Forse. Mi guardo allo specchio e non mi riconosco, sai?”

Bones sentì una stretta allo stomaco. In quel momento, Jim stava parlando sinceramente, tutti gli scudi abbassati. Lo fece voltare verso di sé.

“Non dirlo. Andrà tutto bene. E’ ancora presto per una piena ripresa. Tu vuoi bruciare le tappe ma ricordati che un mese fa eri morto.”

“Sarà come dici tu.”

“Sono il tuo medico. E’ esattamente come dico io. Ora va a passare una bella serata. E pavoneggiati con quello sbruffone di Lorca. Digli come hai distrutto una nave da trivellazione romulana. Ti autorizzo ad esagerare con i dettagli!” Jim rise.

Quando l’amico lasciò la stanza, Bones si lasciò ricadere sul letto. Non doveva perdere di vista la cosa più importante. Doveva trovare la cura per la sindrome post traumatica di Jim o non se lo sarebbe mai perdonato.

 

La cena fu frugale ma soddisfacente. 

Micheal raccontò di come aveva maturato i timori che uno sconfinamento Klingon avrebbe potuto nascondere minacce più gravi per la federazione e Spock raccontò di Khan e del suo equipaggio stivato in settantadue missili di ultima generazione. 

Burnham entrò anche nei dettagli del motore a spore e Spock le parlò della materia rossa. 

Terminarono tutti gli argomenti non personali prima che la bottiglia di vino kelpiano che lei aveva portato fosse finita. Fu allora che lei si decise a chiedere.

“Allora? Vuoi parlarne?” Spock capì che voleva sapere del legame.

“E’ nato spontaneamente. In modo totalmente indipendente dalla mia volontà. In un momento emotivamente intenso, se mi è concesso dirlo.”

“Lo immagino. E’ stato così anche per me. Con Sarek.” Disse lei. Lui scosse il capo.

“Mio padre aveva esercitato una fusione con te prima che il legame fra voi si tendesse. Immagino che sia stato una conseguenza di quel gesto.”

“E nel tuo caso?”

“Uno scontro fisico. Un diverbio degenerato in una lite.” Lei sorrise.

“Mi stai dicendo che qualcuno è riuscito a farti perdere la calma al punto da venire alle mani con te?”

“E’ esatto.”

“Hai picchiato una donna?” Gli occhi di Spock si allargarono per lo stupore e mosse le labbra come se volesse dire qualcosa che però non gli uscì di bocca. “Non si tratta di una donna, giusto?” Disse lei realizzando la verità.

“No.” Spock stava per dire come stavano le cose quando le luci nella stanza si spensero e l’allarme d’emergenza scattò. “Che succede?”

“Un codice nero.” Disse lei. “Vieni, Spock, andiamo sul ponte di comando.” Suo fratello non chiese altro. Si alzò e la seguì.

 

Jim aveva fatto quanto gli aveva ordinato il suo medico. 

Aveva accompagnato la cena con un buon vino e chiacchierato in modo inaspettatamente gradevole con Lorca.

Argomento Klingon a parte, Kirk aveva scoperto un uomo dal carattere deciso ed intraprendente, dalla mente sottile e scaltra e dai valori saldi e di squadra. Alle parole ‘non lasciamo nessuno indietro’, Jim era conquistato. 

Aveva comunque l’impressione che anche Lorca si stesse divertendo e trovasse le sue storie affascinanti. Non aveva potuto dirgli molto della missione Jupiter ma quando gli aveva raccontato di come gli avevano installato una bomba al dilitio nel portabagagli della sua auto, aveva indovinato esattamente come Jim l’aveva fatta esplodere.

‘Scommetto che l’hai lanciata con tutta l’auto nel canyon!’ Avevano riso e bevuto. 

Alla terza bottiglia, il malessere di Jim sembrava un lontano ricordo. Le sue guance erano tornate a tingersi di un rosa acceso.

“Sei esattamente la persona che mi ero immaginato fossi.” Gli disse Lorca.

“Pessima?”

“Affascinante.” Jim sorrise.

“Non mi prenda in giro. Lei attira le persone come un magnete, non dica a me di essere affascinante!”

“Buffo che mi abbia definito così. E’ esattamente quello che penso di lei. Noi siamo molto simili, Jim, dovremmo respingerci in base alle leggi della fisica eppure io mi sento attratto da lei come metallo da un magnete. Forse siamo persone in grado di sovvertire le leggi dell’universo.”

Lorca si sporse in avanti verso il volto di Kirk e gli versò un altro bicchiere. Jim sentì mancargli l’aria.

Il cervello gli giocò un brutto scherzo. La sua mente riportò davanti ai suoi occhi, come se fosse vero, l’immagine di Spock a un centimetro dalle sue labbra la notte in cui erano rimasti soli al canyon. Incapace di distinguere la figura che vedeva dalla persona che era realmente davanti a lui, si sporse appena in avanti e sollevò una mano sul collo dell’uomo. Lorca reagì a quel contatto facendo altrettanto ma, nell’istante in cui stava per fare il gesto successivo, il cicalino dell’interfono suonò. Quel rumore ebbe il potere di riportare Kirk alla realtà. L’uomo scattò in piedi e si allontanò. Lorca rispose alla chiamata.

“Che succede? E badate che sia un buon motivo quello per cui mi chiamate.” Disse guardando Jim che abbassò la testa cercando di nascondere una risata nervosa.

“Signore,” la voce era quella del tenente Stamets, “deve scendere in laboratorio, abbiamo un problema che richiede il suo intervento ed è urgente.” Lorca chiuse la comunicazione senza rispondere.

“Vada.” Disse Jim. “Sembra davvero urgente.”

“Venga con me, capitano Kirk, le va?” Jim annuì e seguì Lorca prima all’ascensore e poi ai laboratori.

Quando le porte si aprirono, regnava una gran confusione. 

Tilly faceva avanti e indietro agitata. Bones e Culber cercavano di essere d’aiuto a Stamets che continuava a controllare dei dati al computer.

“Che succede?” Chiese Lorca entrando per primo e raggiungendo Stamets.

“Sì è avviato!” Esclamò il tenente con voce alterata.

“Cosa si è avviato?”

“Il countdown per il salto.” Lorca si fece cupo in volto.

“Com’è potuto succedere?”

“Controllavamo la formula modificata con le informazioni che ci ha dato il signor Spock e abbiamo inserito delle coordinate per effettuare una simulazione sulla base delle idee che ci ha dato il dottor McCoy. Non so come siamo passati in modalità operativa, signore, me ne assumo ogni responsabilità.” Stamets sembrava mortificato. 

Jim si avvicinò a Leonard.

“Che stavate combinando qui dentro?” Culber si affrettò a spiegare. 

“Il dottor McCoy non ha fatto niente di sbagliato. Stavamo simulando un salto dimensionale della nave quando la procedura si è attivata.” Jim comprese in quel momento la gravità della situazione.

“Noi l’abbiamo già visto un salto dimensionale non andato a buon fine. La nave potrebbe essere sbalzata avanti o indietro nel tempo o addirittura finire spezzata in un buco nero.” Disse rievocando la sorte della nave romulana di Nero.

“Ne siamo consapevoli,” intervenne Stamets, “per questo l’ho chiamata capitano. Ci sono solo due cose che possiamo fare. Anticipare il salto simulato con un altro da impostare adesso. Non sarà preciso ma almeno non sarà alla cieca.” Lorca sospirò e fece la fatidica domanda.

“Oppure?”

“Spegniamo tutto.”

“Con quali conseguenze?” 

“Manderemmo in corto il sistema di puntamento e salto. Probabilmente perderemo i dati degli ultimi tre mesi.” 

“No!” Esclamò Lorca. “Questo non è ammissibile. Quanto tempo abbiamo prima che la simulazione ci faccia saltare alla cieca?”

“Due minuti da ora. Se devo impostare un nuovo salto, devo farlo adesso.”

“Lo faccia.” Stamets si voltò e cominciò a trafficare con la strumentazione. Jim prese Lorca per un braccio.

“Capitano, non crede che dovrebbe spegnere tutto? I dati non sono importanti come le persone.”

Lui guardò la mano di Jim sul suo braccio e poi i suoi occhi.

“La missione, capitano. La missione viene prima di tutto. La missione della Discovery è completare il motore a spore. Il salto non metterà a repentaglio l’equipaggio.” Jim lo lasciò andare.

“Siamo pronti, signore.”

“Allora lanci l’allarme per il codice nero.” Stamets obbedì. Le luci principali della nave si spensero e quelle d’emergenza presero ad accendersi e spegnersi ad intermittenza. La sirena dell’allarme suonò in tutta la nave mentre Stamets nell’interfono avvisava l’intero equipaggio.

“A tutto l’equipaggio, codice nero, ripeto, codice nero.”

Jim vide un portello in alto a destra aprirsi e lasciare passare una sorta di fluido azzurro e grigio. Sembrava polvere. Il condotto lo portò fino a quella che doveva essere una camera di contenimento. Non appena Stamets avviò il salto, quella polvere parve incendiarsi.

Jim si portò le mani alla testa che prese a dolere al punto da fargli perdere i sensi. L’ultima cosa che vide nella sua mente fu lo spazio profondo.

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Capitolo 3
*** Ogni medaglia ha due facce -seconda parte ***


Ogni medaglia ha due facce - seconda parte -


Sulla plancia solo le luci di emergenza illuminavano le postazioni degli addetti ai comandi.

Saru, il secondo in comando sulla Discovery, continuava a toccarsi i gangli dietro alla nuca. I kelpiani percepivano il pericolo in quel modo. Era evidentemente agitato quando Burnham e Spock arrivarono in plancia.

“Che è successo?” Chiese la donna.

“Abbiamo saltato.” Rispose Saru e Spock guardò sua sorella in modo interrogativo.

“Che significa?”

“Dov’é il capitano?” Chiese lei a Saru facendo intendere a Spock che gli avrebbe spiegato in un secondo momento.

“L’ho chiamato. Sta arrivando. Per quanto ne so, ha autorizzato lui il salto.”

“Senza preavviso? E perché?” Saru scosse il capo.

“Non lo so.”

In quel momento le porte della plancia si aprirono e Lorca entrò di gran lena seguito a ruota da Kirk e McCoy. Spock si rese immediatamente conto che qualcosa non andava nel suo capitano.

“Saru,” disse Lorca prendendo posto sulla sedia di comando, “apra un canale generale.” Il comandante fece quanto richiesto. Lorca parlò all’equipaggio. “Signori, qui è il capitano. Abbiamo  dovuto effettuare un salto di emergenza. Non si rilevano danni alla nave. Siamo comunque in assetto di guerra. Tutti ai propri posti.” Spock non riuscì più a restare al suo posto.

“Che significa in assetto di guerra?” Lorca gli lanciò un’occhiata eloquente sull’impostazione rigidamente gerarchica della sua nave. Kirk gli si avvicinò.

“Spock, questa nave può teletrasportarsi. Tu lo sapevi?” Spock annuì.

“Non ti sembra che dovresti condividere almeno le informazioni professionali con me?”

“Non ho avuto modo di farlo.” Si difese il vulcaniano. “Lei non sembra disposto a parlare con me.” Kirk rimase per un attimo in silenzio poi reagì. 

“Può essere che abbia male interpretato il nostro rapporto,” accennò Jim, provocando in Spock una reazione di stizza, “e che abbia sbagliato. Ti chiedo scusa, Spock. Ti prego di condividere qualsiasi informazione che tu consideri non personale. La nave si é trovata costretta ad usare il teletrasporto. Ha navigato alla cieca. Non credo sappiano dove siamo.” Concluse indicando Lorca che parlava con Burnham e Saru.

“Questo è molto grave. Avevo personalmente esposto tutti i rischi della formula sul salto spaziale.”

“Guarda un po’? Non li ha fermati dal fare una simulazione. Il computer è andato fuori controllo e Lorca ha preferito reimpostare un altro salto piuttosto che spegnere tutto.”

“Sarebbe stato meglio.”

“Pare che la missione della nave sia perfezionare il motore a spore.”

“E la missione viene prima dell’equipaggio?” Jim lo guardò in malo modo ma a disagio.

“Non sono io il capitano della Discovery.”

“In altri tempi, non essere il capitano della nave non l’ha fermata dal fare la cosa giusta.” Gli disse Spock alludendo a come lo aveva contraddetto a bordo dell’Enterprise quando lo aveva costretto ad andare in soccorso di Pike.

“Allora mi hai biasimato.”

“Affatto. Mi sono sollevato dall’incarico.”

“Non l’ha fatto volentieri.”

“E neanche questo l’ha fermata.”

“Vuoi che tolga il comando a Lorca?” Spock scosse il capo.

“Vorrei che lo avesse fatto. Ad ogni modo, ora è tardi.” Jim storse le labbra. “Sta bene, capitano?”

“Non fai che chiedermelo.”

“Battito cardiaco e pressione non sono nella norma.”

McCoy che se n’era stato in disparte ad ascoltarli, intervenne.

“Ha avuto una crisi e, Dio mi perdoni, sono certo che gliel’abbia fatta venire questa nave infernale.”

Spock guardò prima Jim negli occhi e poi Leonard. Kirk avrebbe giurato che fosse sincera preoccupazione quella nello sguardo del comandante.

“Il salto non mi ha fatto bene ma è stata solo la momentanea assenza di gravità. È tutto ok.”

Il loro discorso fu interrotto da Burnham. Si rivolse a Spock.

“Lo so di chiederti molto, ma potresti rivedere i tuoi calcoli con Stamets? Siamo nei guai e dobbiamo uscirne il prima possibile. Un salto nella direzione gusta ci farebbe comodo.”

“Quanto siamo nei guai?” Chiese McCoy. Fu Lorca a rispondere.

“Abbastanza.” Disse lanciando l’ologramma della mappa dello spazio in cui si trovavano sullo schermo principale. 

“Maledizione!” Esclamò Jim. “Siamo finiti nella zona neutrale.”

“A ridosso dello spazio aereo Klingon.” Aggiunse Burnham.

“Posso fare i calcoli da capo,” intervenne Spock tornando alla prima domanda, “ma non risolveremo il problema. La formula é corretta. Non sono tuttavia in grado di stabilire come definire la costante.”

“Possiamo lavorarci insieme.” Azzardò Micheal.

“Fatelo.” Ordinò Lorca.

“Con tutto il rispetto,” rispose Spock portando le mani dietro la schiena, “io prendo ordini dal capitano Kirk.”

“Dimentica che è sulla mia nave, signor Spock.” Lorca si fece minaccioso. Il vulcaniano non sembrava convinto che l’osservazione fosse rilevante. Spock stava per replicare quando il braccio di Jim si alzò a dividerli, il palmo aperto della sua mano sul petto del suo comandante. Spock vide Jim fissare Lorca con lo stesso atteggiamento minaccioso con cui quegli si era posto ma la sua voce era gentile nella sua mente.

‘Per favore. Non mi piace questa storia. Sono quasi morto per fermare Marcus e adesso potremmo essere noi ad innescare la guerra tra i Klingon e la federazione.’

Le parole che gli uscirono di bocca furono, invece, meno gentili.

“Sta per caso dicendo che non siamo ospiti ma prigionieri sulla sua nave?” Lorca lo fronteggiò con un ghigno inquietante sul viso per un momento poi, con un gesto rapido, allargò le braccia.

“Mi avete frainteso. Credevo di poter contare incondizionatamente sul vostro supporto. E infatti ora glielo domando in modo più consono. Vuole aiutarmi ad uscire da questa scomoda situazione, capitano Kirk? Ha qualche suggerimento? Mi piacerebbe che unissimo le nostre capacità per uscirne tutti sani e salvi.” Jim guardò Spock ma non fece in tempo a rispondere perché Saru chiese il permesso di parlare.

“Capitano, mentre decidete il da farsi, dovremmo trasmettere alla federazione la nostra posizione.” Kirk intervenne per primo.

“Assolutamente no. Se lanciamo una trasmissione adesso, rischiamo che a captarla siano i Klingon.”

“Capitano Kirk,” Saru era evidentemente alterato, “in caso di anomalie di bordo, il comando della nave ne annota nel diario di bordo le cause e comunica la posizione della nave alla funzione di supporto della federazione.” 

“Questo dice il regolamento.” Asserì Spock unendo le mani dietro la schiena.

“Se è per questo, il regolamento vieta alle navi di sconfinare nella zona neutrale.” Rispose Kirk.

“Siamo finiti qui per cause indipendenti alla nostra volontà. Questo possiamo spiegarlo e verrà certamente compreso da chi dovrà valutare la violazione. Come giustificheremo il non aver comunicato deliberatamente la nostra posizione?” Saru fece un passo in avanti. Le sue lunghe braccia oscillarono dando l’impressione che stesse per sollevarle contro Jim nonostante tutti nella stanza sapevano che Saru apparteneva ad una delle razze più miti dell’universo. Jim non si fece intimidire però dimostrando ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la sua fama non era immotivata.

“E se la trasmissione viene intercettata e ci attaccano, come spiegherà la cattura dell’equipaggio e la perdita di materiale sensibile in mano al nemico?” Saru chinò la testa e Lorca ne approfittò.

“Lei che farebbe?” Chiese rivolgendosi direttamente a Kirk. Lui non ebbe esitazione.

“Spegnerei tutto.”

“Cosa?” Esclamò Burnham.

“Abbiamo bisogno di tempo per elaborare una strategia alternativa. Lei e Spock avete necessità di capire come fare a ‘saltare’ nella direzione giusta e noi di trovare un modo per tenere la nave e e l’equipaggio al sicuro. Se andiamo in silenzio radio e spegniamo i motori, sarà più difficile essere intercettati.”

“Andremo alla deriva!” Esclamò Saru. “A ridosso dello spazio aereo Klingon!”

“Non necessariamente.” Intervenne Spock. “Tra i supporti vitali della nave c’è anche il sistema di galleggiamento a phaser. Basterà regolare il galleggiamento della nave con quello. Non dovremmo perdere la posizione attuale.” Lorca guardò Saru e poi Burnham.

“Funzionerà?” Chiese loro.

“Funzionerà.” Rispose Micheal e Saru annuì.

“Spegnete tutti i supporti non vitali.” Ordinò Lorca. 

Bones era stato zitto per tutto il tempo e sbuffò.

“Come faremo a chiedere aiuto se non possiamo trasmettere?” Jim si voltò verso di lui e gli sorrise.

“Troveremo un modo. Lo troviamo sempre, no?” Poi tornò a guardare Spock. “Credi di poter trovare un modo per rispedirci a casa?”

“Posso tentare.”

“Allora andate.” Concluse Jim. ‘Per favore.’

Spock annuì e lasciò la plancia con Burnham.

 

Erano passate quattro ore dal momento in cui la Discovery era andata in silenzio radio. Un silenzio spiacevole era caduto nella plancia di comando e Lorca si era rifugiato nella sala tattica con Jim e McCoy.

“Il suo comandante è una spina nel fianco tanto quanto il mio!” Aveva esclamato Kirk per spezzare l’atmosfera pesante.

“Saru è in gamba ma non ama prendere decisioni anticonvenzionali.” Aveva risposo Lorca sorridendo e guardando l’interfono. Si aspettava notizie da Burnham ed era ormai impaziente.

“È bene avere vicino qualcuno che ragiona in modo differente. Aiuta ad allargare la prospettiva.” Gli rispose Jim.

“Mi risulta che anche se le allargano le prospettive, lei vada dritto per la  sua strada, Jim.” 

Quell’improvvisa confidenza non sfuggì a McCoy che volle intervenire.

“Un buon capitano tiene in conto le opinioni dei sui collaboratori.” Lorca gli sorrise con malizia.

“Un buon capitano sa che le decisioni spettano a lui.”

“Un buon capitano si assume la responsabilità delle azioni di tutti coloro che guida.” Lo corresse Bones.

“Il mio equipaggio esegue i miei ordini. È ovvio che la responsabilità delle loro azioni sia mia. Le ho dato l’impressione che non sia così?” Jim capì che si era creata una strana ostilità tra i due.

“La nave é sua, capitano Lorca, e sue sono le regole.” Disse per far capire ad entrambi che non c’era bisogno di continuare quella conversazione. 

Proprio in quel momento le porte della sala tattica si aprirono e Spock, Burnham, Stamets e Saru entrarono chiedendo il permesso.

“Avete fatto progressi?” Chiese Lorca, impaziente. Stamets rispose mostrando il proprio pad al suo capitano.

“In effetti sì. Almeno così crediamo.”

“Parlate. Cosa avete scoperto?”

“Il signor Spock è riuscito a isolare la costante della formula del salto spaziale.” Disse Stamets indicando il vulcaniano e Lorca vide Jim sorridere compiaciuto guardando il suo comandante. “Le spore sono organismi cellulari che popolano i warmhole spaziali. Era” disse prendendosi una pausa, “logico pensare che la costante dovesse relazionarsi alle spore. Così con Micheal abbiamo cercato tutti gli organismi che vi sono collegati e ne abbiamo trovato uno interessante. E’ una creatura che si ciba di queste spore. Le caccia ferocemente e le individua a grandissime distanze. Appartiene alla specie dei tardigradi. Se si riuscisse ad inviare le coordinate in cui ci si vuole spostare al cervello del tardigrado e gli si dessero le spore, lui potrebbe trasmettere al computer di bordo l’esatta posizione in cui saltare.” Lorca e Kirk si guardarono, poi il capitano della Discovery si rivolse direttamente a Burnham.

“Si può fare? Usare il cervello di un invertebrato?” Micheal invitò Spock a rispondere al posto suo.

“E’ la soluzione più logica. Se bisogna seguire una strada fatta di spore, nessuno può farlo meglio di un essere che ne fa la sua ragione di vita.” La risposta parve piacere molto a Lorca.

“Dove ne troviamo uno?” Stamets rispose rabbuiandosi.

“Quello che fa al caso nostro cresce e prospera in ambienti estremamente gelidi ma non c’è alcun pianeta, nella zona in cui ci troviamo, che risponda ai requisiti.”

“Quindi mi state dicendo che abbiamo la soluzione ma non possiamo adoperarla?”

“Ci sarebbe un modo,” intervenne Micheal, “anche se è rischioso.”

“Sono aperto ad ogni soluzione.” Le rispose Lorca senza esitare.

“Siamo molto vicini a Khitomer. E’ un pianeta su cui si traffica di tutto, specie rare comprese. Con una buona somma di denaro, potremmo comprare qualunque cosa. Probabilmente anche un tardigrado.” Saru si portò una mano ai gangli e dovette dire la sua.

“Seppure situato nella zona neutrale, Khitomer di fatto è un avamposto Klingon.”

“Questo perché la federazione non ha mai voluto chiarire le cose.” Sputò fuori Lorca. 

“Non è nostro compito cacciare i Klingon da Khitomer, signore.” Specificò Saru e Jim, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, mise entrambe le mani sul tavolo e parlò.

“No, non lo è, signor Saru. Però dobbiamo fare qualcosa. Tenente Stamets,” disse rivolgendosi all’ufficiale scientifico, “crede che una navetta di trasporto di quelle che si usano per caricare le merci sulle nostre navi potrebbe raggiungere Khitomer?” Stamets non dovette pensarci su.

“Con alcune modifiche, si.”

“Allora dovrebbe farle. Non possiamo galleggiare a lungo qui, né andare alla deriva. Dobbiamo trovare il modo di usare il teletrasporto della Discovery. Se dite che su Khitomer c’è la possibilità di trovare un tardigrado, dobbiamo provare.” Lorca annuì. Fu ancora Saru ad obiettare.

“Chiedo scusa se lo faccio notare, ma questo non è un piano. Si basa su tutta una serie di supposizioni che non possono trovare alcuna conferma empirica. Non sappiamo se su Khitomer ci sia un tardigrado, se chi lo possiede sia disposto a venderlo, se è compatibile con i sistemi informatici della Discovery.”

“Quale alternativa suggerisce, Saru?” Gli chiese allora Lorca.

“Inviare un sos alla federazione.” Lorca mise entrambe le mani sui fianchi.

“Le abbiamo già spiegato perché non è prudente.” Cominciò di nuovo ma fu Jim a interromperli.

“No, anche Saru ha ragione. Possiamo inviare un sos ma non da qui.” Disse Kirk puntando un dito sul tavolo di fronte a loro. “Possiamo inviarlo da Khitomer.” 

“Da Khitomer?” Chiese stupito Bones. Jim annuì sorridendo.

“E lo faremo in Klingon. Non se ne accorgeranno neppure, se viene trasmesso nella loro lingua.”

“Quindi lei ha un piano.” Asserì Lorca incrociando le braccia. Kirk annuì.

“Due squadre. Una raggiunge il mercato nero della capitale, l’altra la base radio più vicina.” 

Jim parlava con una sicurezza tale da dover apparire spavaldo a chi non lo conosceva bene. Spock, tuttavia, sembrava sollevato nel sentirlo parlare in quel modo e nel vederlo muoversi tanto a suo agio sul ponte di quella nave che non era l’Enterprise.

“Non vorrei sembrare pignola,” accennò Micheal, “ma abbiamo un problema che non é stato considerato.”

“Cioè?” Chiese il suo capitano.

“Abbiamo supposto di trovare un tardigrado al mercato nero di Khitomer ma, ammesso che lo troviamo, come lo portiamo via?”

“I tardigradi non sono molluschi?” Chiese Kirk. “Agiremo d’astuzia. In qualche modo faremo.” Stamets scosse il capo.

“Sono stato impreciso, temo. Il tardigrado di cui abbiamo bisogno non è di piccole dimensioni, capitano Kirk. Pesa circa novecento chili. Se è minuto.” La faccia di Jim si caricò di sconforto.

“Novecento chili? Come porteremo via un animale così?”

“Dovremo comprarlo, credo.” Rispose Spock. “Su Khitomer ogni cosa ha un prezzo.”

“I crediti non ci mancano, vero Capitano Lorca?” Chiese Kirk.

“No, ma temo ci serviranno a poco su un pianeta che è un avamposto Klingon. Se paghiamo con quelli capiranno che siamo della federazione. Ci servono i darsek.”

“E dove li prendiamo?” Chiese Bones che cominciava a innervosirsi. Guardò Jim ma, invece che vedere sul suo viso ancora quell’espressione affranta di poco prima, vide i suoi occhi illuminarsi.

“Amico mio, so esattamente dove li prenderemo. Anzi, sarai tu a prenderli per noi.”

“Come?”

“Bische clandestine. Tu sei il miglior giocatore di poker che conosca. Raccoglierai la cifra che ci serve in meno di un’ora!” Esclamò Jim.

“Allora abbiamo un piano!” Lorca sembrava entusiasta almeno quanto Kirk. 

“Sì. Io e Bones scenderemo su Khitomer per recuperare i darsek. Mentre lui gioca, io m’infiltro nella più vicina base radio e mando un messaggio criptato alla federazione. Poi raggiungiamo il mercato e troviamo il tardigrado.”

“Non è un po’ troppo lavoro per due persone sole?” Chiese Lorca. “Io verrò con voi. Non c’è modo che mi lasciate sulla Discovery mentre vi prendete tutta la gloria.”

Jim sorrise e Spock si schiarì la gola.

“Chiedo il permesso di partecipare alla missione, capitano Kirk.”

“Non lo trovo prudente. Lei non passerebbe inosservato.” Sottolineò Jim. 

“Insisto. Per nascondere le mie peculiarità fisiche basterà un cappuccio. Se dovete inviare un messaggio in Klingon, vi serve qualcuno che conosca la lingua e almeno tre accenti.”

Bones si avvicinò a Jim e gli parlò sottovoce.

“Portiamolo con noi. Non farglielo mai sapere ma mi sento più tranquillo se ci copre le spalle.”

“D’accordo.” Fece Jim. Burnham si avvicinò a suo fratello e gli toccò appena un gomito.

“Non è prudente per te. Su Khitomer commerciano specie rare e i vulcaniani sono diventati una delle specie più rare di tutte. Lascia che vada io. Conosco il klingon piuttosto bene.” Il commento non sfuggi a Kirk che si avvicinò ai due.

“Non avevo considerato questa implicazione dell’essere vulcaniano. Forse dovremmo dare ascolto a Burnham.” Jim capì dall’irrigidimento di tutto il fisico di Spock quanto lo avesse contrariato.

“Le considerazioni di Micheal sono appropriate ma non cambiano il quadro generale delle cose.” La discussione morì sul nascere quando Lorca ordinò a Burnham di unirsi a loro.

“Ecco fatto.” Commentò Spock in modo piccato. 

Saru rimase in silenzio mentre ognuno di loro tornava nei propri alloggi per prepararsi alla missione. La sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole non aveva smesso di tormentarlo.

 

Quando si ritrovarono sulla nave cargo senza le loro uniformi e con indosso abiti in grado di farli passare per mercanti di dilitio, Jim si sedette subito al posto del pilota.

“Guida lei, capitano Kirk?” Chiese Lorca sedendosi al suo fianco mentre Spock, Bones e Micheal prendevano posto nel retro.

“Guido io, se non le dispiace.” Fece Jim di rimando.

“Affatto.” Il biondo sorrise e avviò la navigazione del velivolo. Bones sospirò rumorosamente.

“Non ci schianteremo, Bones!” Esclamò Kirk.

“Stiamo per scendere su un pianeta Klingon senza supporto, in silenzio radio, senza soldi e senza un piano e tu pensi che io mi preoccupi di uno schianto?”

“Ce lo abbiamo un piano!” Esclamò Kirk simulando offesa.

“Vedo che oggi siamo più ottimisti del solito!” Al commento sarcastico del suo ufficiale medico, Jim rispose lanciando la navetta fuori dagli hangar della Discovery.

Allungarono la traiettoria di atterraggio giusto per evitare che qualcuno potesse intuire le coordinate della nave madre se avessero intercettato la loro rotta.

Nascosero la nave cargo in bella vista, in mezzo a decine di alte navette che erano parcheggiate appena fuori dal grande bazar di Khitomer. Scesero e si mescolarono immediatamente tra la folla.

Jim non smetteva di fissare Spock. Con un berretto nero calato fin su occhi e orecchie sembrava quasi umano. Un paio di volte il vulcaniano ricambiò il suo sguardo curioso con uno carico di preoccupazione, così smise.

Bones era, comunque, il più agitato di tutti. Ebbe cura di elencare più volte tutto quello che poteva andare storto, in una litania capace di angosciare il più ottimista tra loro che, per una volta, non era Jim.

Lorca aveva uno sguardo carico di anticipazione per, come lo aveva definito, l’eccitante lavoro che dovevano fare.

Raggiunsero una vera e propria bettola la cui insegna a neon indicava che lì si poteva bere e fare baldoria. Non attesero che McCoy ripetesse ancora una volta che tutta quella faccenda era una pessima idea.

“Sei il più forte giocatore di carte che conosco. Non dubitare di te stesso e andrà tutto bene.” Jim lo incoraggiò dandogli una sonora pacca sulla spalla.

“Dovevi mandare Sulu, lui sì che ha la faccia da poker!” Esclamò il dottore. Jim lo prese per un braccio e lo tirò a sé.

“Vinci se puoi. O perdi. In ogni caso l’unica cosa che conta è che non ti becchino a barare. Non ne usciremmo vivi.” Bones sollevò gli occhi al cielo.

“Sarei più tranquillo se venissi con me.”

“Ti lascio Spock.” Asserì Jim.

“E questo dovrebbe tranquillizzarmi?”

“Hai detto tu che ti sentivi più tranquillo a sapere che ti copre le spalle.”

“A sapere che ‘ti’ copre le spalle! Tu, da solo, in una base Klingon! Che ci può essere di peggio?”

“Grazie per la tua sconfinata fiducia. Comunque lei viene con me.” Disse Jim indicando Burnham che prendeva ordini da Lorca.

“E quando lo avete deciso?”

“Mentre pilotavamo la navetta.” Bones incrociò le braccia.

“Sbaglio o tu e mister capitan spietato siete abbastanza in sintonia?” Jim si ritrovò a ricordare l’episodio capitato durante la cena della sera prima e abbassò gli occhi.

“Che ci sarebbe di male?”

“Ricordati che hai un legame con qualcun altro,” gli disse con voce ferma il dottore, lanciando uno sguardo a Spock che se ne stava con le mani in tasca vicino alla porta del locale, “e non fare sciocchezze.”

“Che sciocchezze? E comunque non mi è concesso più neppure farmi nuovi amici?”

“Dipende che intendi con ‘farti nuovi amici’!” Esclamò Bones con il sorriso più ambiguo che aveva in repertorio. “Lui lo sa?”

“Che mi faccio nuovi amici?” Lo rimbeccò Jim ridendo.

“Che lo lasci qui deliberatamente.”

“È una missione. E anche se lui è sposato, resto ancora il suo capitano. Farà ciò che gli dico di fare.” Bones alzò di nuovo gli occhi al cielo.

“Cerca di non fare lo scemo con sua sorella.”

“Non ne ho l’intenzione.”

“E Lorca?”

“Cercherà il tardigrado, così non dovremo stare qui più del necessario.”

“Almeno non lo avrò intorno.”

“Perché non ti piace?” Bones scosse le spalle.

“È importante?”

“Sì, la tua opinione per me é importante.”

“Non l’hai tenuta in gran conto quando si è trattato di gestire il legame con quel diavolo dal sangue verde.”

“E tu me la farai scontare, vero?” Bones scosse le testa.

“È pure mio amico. Vi detesto per il male che vi fate.” Jim abbassò il capo e, per un momento, Bones gli rivide quell’espressione ferita che per tanto tempo aveva indossato durante la convalescenza.

“Non voglio fargliene e non gliene farò per quanto dipende da me. È libero di fare le sue scelte. Di certo ha i suoi motivi. Mi sforzerò di farmeli andare bene. É questo che fanno gli amici, no?”

“Sì, é questo che fanno. Sii prudente.” 

Leonard lo lasciò andare cercando di trovare il coraggio per portare a termine l’ingrato compito che gli avevano assegnato.

 

Spock era rimasto in disparte mentre Jim e Leonard parlavano tra loro. Per educazione, non si era avvicinato neppure a Micheal che sembrava stesse ricevendo gli ordini dal suo capitano.

Questo lo fece riflettere sul fatto che Jim non gliene aveva impartito alcuno. Si era offerto di partecipare alla missione senza che lui glielo avesse chiesto e si rese conto che era dai tempi della Jupiter che non affrontavano un pericolo sul campo insieme.

Non era come se lo immaginava. Non c’era sintonia tra loro. Jim lo teneva a distanza e le parole di McCoy gli ritornarono, prepotenti, alla mente.

‘E’ tutto troppo complicato per me. Però le faccio una domanda. Se Jim le avesse nascosto una moglie o un’amante, lei come si sarebbe sentito?’

Strinse e poi allargò i pugni nascosti nelle tasche del pesante giaccone non per nervosismo, si disse, ma per prepararsi ad agire.

Doveva provare a immaginare le emozioni di Jim, lui che ostentava con sicurezza il fatto di non averne? E anche ammesso che in realtà era più umano di quanto volesse riconoscere, questo era sufficiente a permettergli di capire cosa avesse significato per Jim sapere di T’Pring?

Si era soffermato talmente tanto sul cercare di capire quale logica avesse mosso lei nel desiderio di conoscere il suo capitano, che non aveva riflettuto abbastanza su come lui avesse reagito nel conoscere lei.

Fu Micheal ad interrompere il corso dei suoi pensieri.

“Spock, permetti una parola?” L’uomo annuì. “Devo accompagnare il capitano Kirk nella missione di invio del messaggio di soccorso. So che saresti stato più adatto di me a farlo, ma credono che tu sia di maggiore utilità a supporto del dottor McCoy. Credo sia vero. Se ci dovesse essere bisogno di combattere, sei più abile di me.”

“Lo sono anche nel parlare il klingon ma non è stato ritenuto rilevante.”

“Sei contrariato dalla decisione del capitano Kirk?” Chiese Burnham e Spock sollevò un sopracciglio.

“E’ stato un ordine di Kirk?” Micheal annuì.

“Non te ne ha parlato?” Spock riprese immediatamente il controllo.

“Non ce n’era alcun bisogno, in effetti.”

“Bene. Dunque c’è qualche consiglio che vuoi darmi?”

“Non staccare mai i tuoi occhi da lui.” Lei parve stupita.

“Intendi dire che è imprevedibile?”

“Intendo dire che è imprevedibile, temerario ed incline a pensare alla propria incolumità solo dopo aver pensato a tutto il resto. Ti sarei grato se lo proteggessi come faresti se fosse il tuo capitano.”

“Non avere dubbi su questo.” Micheal fece per allontanarsi quando si sentì tirare per un braccio.

“Torna sana e salva anche tu.”

“Lo farò. Piuttosto sta attento. Le bische clandestine sono insidiose anche quando non sono su pianeti controllati dai Klingon.”

“Terrò tutto sotto controllo.”

“Lo stesso farò io.”

Spock la osservò andare via con l’angosciante certezza che nessuno poteva controllare James Tiberius Kirk.

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Capitolo 4
*** Ogni medagli ha due facce - parte terza ***


Ogni medaglia ha due facce
Parte Terza



La base radio che Jim aveva preso di mira era un edificio più alto di quelli circostanti con in cima una gigantesca antenna.

“Come faremo ad entrare?” Chiese Burnham mentre fingevano di interessarsi entrambi ad una bancarella di spezie. Per fortuna il clima di Khitomer giustificava il fatto che si fossero tirati dei pesanti cappucci sulla testa e che delle grosse sciarpe gli avvolgessero collo e metà del viso.

“Una volta Bones ha preso per sbaglio dei dati da un laboratorio. Avrebbe meritato una medaglia per questo. All’epoca non lo sapevamo. Non sapevamo che quell’errore ci avrebbe salvati tutti. Pensammo che dovessimo sistemare la cosa. Decisi di entrare di nascosto nel laboratorio per rimetterli al loro posto.”

“Illegalmente?” Chiese, sorpresa, Micheal.

“Dimenticavo che sei la sorella di Spock.” Lei rise. “Sì. Non volevamo che il buon dottore passasse un brutto guaio.”

“Capisco. Cosa c’entra adesso?”

“Entrammo dal tetto. Lo stesso faremo adesso.”

“Dal tetto? Come pensa di arrivare fin lì?” Jim sorrise e con un dito le indicò un percorso che lui aveva tenuto sotto controllo fino a quel momento.

“Nel vicolo. Sicuramente uno di quei palazzi ha una scala d’emergenza o, perlomeno, dei condotti. Saliremo da lì.”

“Ammesso che funzioni, come entreremo?”

“Troveremo un modo una volta lassù ma, in linea di massima, credo che si tratterà di scassinare una porta o una finestra.”

“Lei crede?” Jim non si offese per il tono di quelle parole.

“Avanti, mi dica che è illogico.”

“E’ quello che farebbe Spock?”

“Proprio così.”

“Beh, io non sono Spock. Ammetto che non è un piano perfetto ma è un buon piano. Anche io credo sia l’accesso meno sorvegliato del palazzo.”

“Concordiamo?” Lei annuì.

“Questo è davvero strano. Non sono abituato al fatto che mi si dia ragione tanto rapidamente.”

“Ma lei è il capitano!”

“Questo non impedisce a suo fratello di dovermi comunque contestare la maggior parte del tempo. Cosa che, tra l’altro, definisce in modo significativo il nostro rapporto.”

Parlavano mentre si infilavano in una traversa della strada principale e si arrampicavano su una vecchia struttura in metallo che risaliva lungo il palazzo della base radio.

“Spock deve sempre dire la sua, anche a costo di apparire fuori luogo o insensibile.” Commentò lo specialista scientifico della Discovery e Jim le rivolse un sorriso comprensivo.

“È proprio così.”

“Ma la tiene in grande considerazione.” Precisò lei.

“Anche questo è vero. La consola sapere che la cosa è reciproca?”

“Sì.”

“Bene, perché potrebbe aver cambiato opinione su di me.” Micheal si fermò un attimo e poi riprese a seguirlo.

“Perché pensa una cosa simile? Sono convinta che tenga molto alla sua persona.” Jim si concesse una risata nervosa.

“Abbiamo rischiato la vita insieme molte volte. Di certo è mio amico ma a volte faccio fatica a comprendere alcune cose basilari che riguardano il suo comportamento.”

“Del tipo?”

“Non mi ha parlato di lei, ad esempio. Qualche mese fa gli ho presentato la mia famiglia. È stato a casa mia.”

“Beh, siamo venuti a prendervi su Nuova Vulcano. Ha di certo conosciuto nostro padre. In quanto a me, ci siamo persi di vista per un po’.” Si accorse che Jim aveva raggiunto la cima dell’edificio e le aveva teso una mano per aiutarla a scavalcare il parapetto. 

“Deve aver fatto qualcosa di sbagliato anche con lei. Ho forti dubbi che i motivi della vostra separazione siano dipesi da lei, Micheal.” Burnham scosse il capo.

“Non è stata colpa di nessuno dei due. Forse le maggiori responsabilità sono da imputare a me. Sarek ha scelto lui come candidato per l’Accademia vulcaniana e lui l’ha rifiutata. Ha rifiutato una cosa che io desideravo molto e ho scaricato su di lui la mia frustrazione. Ho capito in seguito che la colpa non era affatto di Spock. Lui ha seguito i suoi sogni. Io ho fatto lo stesso con i miei.”

“Già,” commentò Kirk controllando una porta di ferro che sembrava semi aperta, “e tra i suoi desideri c’era sposare T’Pring. Un’altra cosa che non sapevo di lui.” 

Micheal provò a vedere se la porta scorreva e, quando si accorse che cedeva sotto una leggera pressione, l’aprì completamente.

“Era necessario. I vulcaniani hanno necessità di avere una compagna prima che arrivi il Pon Farr.”

“Il Pon Farr?” Chiese Jim di getto. Si acquattarono contro una parete e diedero un’occhiata allo stretto corridoio e alla scala interna che dava al piano di sotto.

“Si tratta di un argomento privato. Spetta a Spock decidere se parlarne o meno.” 

“E mi liquida così?”

“Non posso fare diversamente.” Jim la prese per un braccio e se la tirò addosso un attimo prima che una guardia armata alzasse lo sguardo sulla rampa di scale che conduceva al loro nascondiglio.

“Non parliamone più e concentriamoci sulla missione.” Lei si allontanò dal suo corpo con un certo imbarazzo.

“Ha ragione. E’ stato svelto!” Lui le fece l’occhiolino e Micheal sorrise senza poterselo impedire. Quello era il fascino del capitano Kirk, la sua capacità di piacere a tutti.

“Facciamo così. Io vado giù a dare un’occhiata e, se posso, le faccio strada. Lei mi segue a distanza. Appena le guardie mi vengono dietro, lei entra nella sala radio e manda un messaggio.”

“Aspetti. Un conto è salire fin quassù senza una corretta stima dei rischi. Un conto è scendere al piano di sotto e lanciarsi incontro ad un pericolo concreto. Non pensa che se la prendono, esporrà la federazione al rischio di una guerra.”

“La sua preoccupazione per me è commovente!” La prese in giro lui. “Non ho niente addosso che indichi che provengo dal territorio della federazione. Non parlerò mai.”

“Non posso.” Fece lei trattenendolo per un braccio. “Spock mi aveva avvertita al riguardo e mi ha chiesto di impedirle di fare sciocchezze.” L’espressione di Kirk perse la presuntuosa sicurezza che aveva manifestato fino a quel momento e divenne quasi dolce. Così almeno sembrò a Micheal.

“Non è una sciocchezza. E’ logica. Io non conosco il klingon. Solo lei può mandare un messaggio. Non mi prenderanno, vedrà. In quanto a Spock, dirà che ha fatto tutto quel che poteva. Sa bene che se mi metto in testa qualcosa, nessuno può fermarmi.” Disse muovendo le mani e portandosele dietro al collo. “In quanto a simboli della federazione,” continuò porgendole un ciondolo, “conservi questo per me. Me lo ridarà più tardi.” Concluse consegnandole un distintivo della federazione stellare spaccato e saldato al centro che portava un incisione.

“Doveva toglierlo sulla Discovery!” Lo rimproverò lei.

“Non lo tolgo mai. Farò un’eccezione adesso. E importante per me.” 

Micheal lo ripose in tasca e lo lasciò andare.

Jim scese lentamente la rampa di scale che conduceva al piano inferiore e tramortì una guardia con un pezzo di tubo raccolto sul terrazzo. La fortuna era dalla sua parte dato che le guardie che difendevano il palazzo erano khitomeriane e non klingon. Altri due soldati finirono legati e imbavagliati nello stesso sgabuzzino che aveva accolto il primo.

Micheal dovette ammettere che Kirk era un ufficiale in gamba. Sapeva il fatto suo. Lo seguì fino ad un bivio. Lì Jim voltò a destra e trovò la sala radio. Fece cenno a Burnham che c’erano due persone dentro. Una era un klingon. Si abbassò e si fermò a prendere un respiro. Doveva pensare.

Cosa poteva fare per allontanarli da lì? Tornò indietro e raggiunse Micheal.

“Mi ascolti, Burnham, non posso mettere fuori combattimento i due che sono nella sala radio.”

“Affrontiamoli due contro due.” Rispose lei mostrando tutto il suo coraggio e la sua determinazione. Jim sorrise bonariamente.

“Non saremmo ad armi pari neppure se noi fossimo tre, mi creda.”

“Quindi?”

“Lei si nasconda dietro a quell’armadio, nell’altro corridoio, lo vede?” Lei annuì. “Io farò un pò di confusione nel corridoio. C’è un ascensore. Mi nasconderò lì dentro. Se sono furbi, mi seguiranno.”

“Potrebbero bloccare l’ascensore.”

“Potrebbero.”

“E’ una situazione senza via d’uscita!” Gli occhi di Kirk si illuminarono.

“Suo fratello non le ha detto che non credo nelle situazioni senza via d’uscita?” Lei non rispose alla domanda e Jim continuò. “Ora il messaggio. Mi ascolti bene e sarà un successo.” Si avvicinò all’orecchio della donna e le sussurrò le esatte parole. 

“Funzionerà?” Chiese Micheal.

“Funzionerà. Faccia in fretta ed esca da dove siamo entrati. Vada all’angolo con la strada principale e aspetti mezz’ora, non di più.”

“E se non arriva?”

“Se non arrivo, torna dal capitano Lorca e fate ritorno alla Discovery con il tardigrado. Assegna le funzioni di capitano della Enterprise a Spock come mio facente funzione e sparite dalla zona neutrale.”

“E lei?” Chiese Micheal prendendogli d’istinto un polso.

“Io non esisto. Riferirete a Pike e lui deciderà cosa fare.” Micheal annuì e lo lasciò andare. Lui fece per muoversi ma esitò.

“Burnham, un’altra cosa.”

“Dica.”

“Dia il mio ciondolo a Spock.”

“Come?” Jim le fece un’occhiolino.

“Si tratta di un argomento privato. Spetta a Spock decidere se parlarne o meno.” 

Kirk si voltò e raggiunse la porta della sala radio, attese che lei fosse nascosta e passò oltre dirigendosi verso l’ascensore. Lo chiamò al piano e tornò indietro. Si posizionò davanti alla porta, prese un respiro e si tirò su lo sciarpone lasciando scoperti solo gli occhi.

Aprì di scatto la porta e, senza dire una parola, lanciò il tubo dentro la stanza avendo cura di non danneggiare l’attrezzatura radio. Corse via non appena il klingon che era all’interno fece per andargli addosso gridando di fermarsi nella sua lingua.

Anche se Jim l’avesse capito, obbedire sarebbe stata l’ultima cosa da fare. Si accorse che l’ascensore non si era ancora aperto e si chiese solo in quel momento se per usarlo era necessario essere provvisti di un codice o di un badge. S’impose di seguire l’istinto e fece quello che si era prefisso di fare. Prese il corridoio e corse comunque verso l’ascensore.

Il klingon continuava a seguirlo ma l’altra guardia non sembrava voler lasciare la sala radio. Sperò che il Klingon chiedesse aiuto è così fu quando, sentendo le porte aprirsi alle sue spalle, Jim s’infilò nell’ascensore e fece chiudere le porte.

Il klingon avvertì la guardia khitomeriana di rimanere di guardia all’ascensore mentre lui scendeva al piano inferiore.

Micheal ebbe modo di entrare nella sala radio, mandare il messaggio e uscire non vista. 

Jim non ebbe la medesima fortuna. Si rese conto appena in tempo che nell’ascensore c’erano altre due guardie. Bloccò l’ascensore e partì una scazzotata che, in altri tempi e situazioni, avrebbe definito epica. Ebbe la meglio riportando diverse ferite tra le quali una al braccio che gli dava più dolore. Dovette ribloccare l’ascensore un paio di volte perché qualcuno, dal piano terra, lo stava chiamando e si sforzò di arrampicarsi sulla botola di servizio e, fuori da lì, sulla scala che conduceva ai piani superiori. Individuò la porta del piano della sala radio e cercò di uscire da quella ancora più su.

Stavolta era stato più fortunato perché non aveva trovato nessuno ad ostacolarlo, tuttavia si stava trascinando e ci stava mettendo più tempo del previsto. 

La porta del tetto era ancora aperta e questo gli diede fiducia sul fatto che Burnham fosse già sgattaiolato fuori indisturbata. Si sporse dal parapetto e vide un gran numero di soldati entrare nell’edificio. Sembravano grossi e ben armati.

Klingon’. Pensò Jim.

Tornò alla porta e la chiuse come meglio poté. Raggiunse la struttura che aveva fatto salendo e la percorse a ritroso.

Un sorriso sgargiante gli si dipinse sul viso quando riconobbe Micheal al punto d’incontro.

“Capitano, sta bene?” Gli chiese subito lei, preoccupata per i segni evidenti di lotta che Kirk nascondeva sotto al cappuccio.

“Provato ma intero. Quasi.” Disse tenendosi il braccio ferito con quello sano.

“Torniamo alla nave?” 

“No. Raggiungiamo gli altri alla bisca. Non sono tranquillo riguardo a Bones. Ha inviato il messaggio?”

“Affermativo. Come lei me lo ha dettato.”

“Bene. Andiamo.” Lui fece strada e Micheal lo seguì. Si convinse a non obiettare ma sapeva di non essere riuscita a mantenere la promessa fatta a Spock. Sospirò e si guardò intorno per accertarsi che nessuno li stesse seguendo. 

 

Bones guardò le carte e poi il piatto. Come i due precedenti, era ricco abbastanza da puntare ancora più forte di quanto avesse fatto fino a quel momento.

Fino a quel momento gli era andata bene. Talmente bene da ritenere che quella mano potesse essere l’ultima. Quanto diavolo poteva costare un maledetto mollusco gigante?

Ignorò ancora la presenza di Spock in piedi alle sue spalle e si concentrò sulla sua mano.

Allungò diversi darsek e sollevò lo sguardo sul giocatore di fronte a lui. L’unico rimasto a tenergli testa dato che altri due bifolchi avevano rinunciato ad ogni pretesa dopo essere stati ripuliti. 

Bones era convinto che il loro atteggiamento rinunciatario fosse dipeso essenzialmente dalla figura minacciosa di Spock. Dovevano averlo scambiato per uno scagnozzo al soldo del giocatore che li stava stracciando. 

Si sforzò di non sorridere all’idea per non dare vantaggi al suo avversario e attese che l’altro facesse la sua mossa.

Quello, di tutta risposta, gettò le carte sul tavolo in un gesto di stizza e rinunciò. Si alzò borbottando qualcosa in una lingua che McCoy non comprese e si allontanò.

Solo in quel momento il dottore sentì la voce di Spock che gli si rivolgeva senza farsi notare.

“È un bel bottino quello che ha racimolato. Credo possa bastare. Lei che dice?”

“Credo di sì. Andiamo?” Gli chiese mentre allungava le mani sull’ultima vincita. 

Proprio in quel momento però, un uomo non molto più vecchio di lui e con un’espressione sorridente, si sedette al posto del precedente avversario e gli toccò la mano ferma sulla vincita.

“Un’ultima partita, che dice?” Bones fu sorpreso da sentire un accento familiare e rimase un momento interdetto.

“Grazie, ma no.” Rispose ritirando la mano e tutti i soldi.

“Oh, avanti! Non è cortese ritirarsi mentre si sta vincendo, senza dare una possibilità di rifarsi al perdente!” Stavolta Bones rispose subito.

“Non ho vinto contro di lei. A quell’altro,’ disse indicando il khitomeriano che si era arreso, “ho dato diverse occasioni di riprendersi ciò che ha perso. Non sono soldi suoi.” Gli sembrava un ragionamento inattaccabile ma Bones commise il primo errore della giornata.

“Ed è qui che si sbaglia, temo. I soldi che si è giocato lui,’ disse l’uomo indicando il perdente che si era rifugiato al bancone degli alcolici, “sono miei. Mi presento, sono Harry Mudd capitano della Borders.” Disse tendendogli una mano. McCoy capì che non sarebbe stato facile sbarazzarsene.

“La Borders?” Chiese per prendere tempo e studiare quell’uomo curioso.

“Un vascello mercantile. Commercio qualunque cosa, signore. Se ha dei bisogni, chieda pure.”

“Non ho bisogno di niente.” Rispose lui respingendo nei recessi della sua mente la curiosità di sapere se mai possedesse un tardigrado.

“Peccato, sono sempre generoso nei confronti di quelli della mia razza. Lei è un terrestre, vero? Non verrà fuori che è un automa! In quel caso capirei come ha fatto a vincere tante partite di seguito.” A Leonard quell’affermazione non piacque.

“Ho vinto perché sono dannatamente bravo in quello che faccio.”

“Certo, certo!” Esclamò Mudd. “Allora mi concede una partita, signor?” McCoy allungò un pezzo darsek al centro del tavolo facendolo strisciare sul legno.

“Bones, è il mio nome. Una partita é quello che le concederò.” Mudd batté le mani e gli avvicinò il mazzo di carte.

“Dicono tutti così, sa?” Bones mischiò le carte e tagliò il mazzo. Mudd le diede e si fermò a guardare Bones ridendo.

Le parole del mercante si rivelarono profetiche perché Bones perse e volle la rivincita. Perse di nuovo e poi un’altra volta, innervosendosi sempre di più.

Spock capì che qualcosa non andava quando una carta che era già uscita dal mazzo, ricomparve tra le mani di Mudd una seconda volta. Si concesse di mettere una mano sulla spalla dell’amico e attirare la sua attenzione.

“Sta barando.” Gli sussurrò all’orecchio.

“Lo so!” Abbaiò tra i denti Bones, allontanandosi appena dal tavolo da gioco. “Che posso fare? Jim mi ha deliberatamente ordinato di non abboccare a quell’amo.”

“Perché continuare a giocare una partita truccata?”

“Perché ci servono i soldi. Li avevo quasi tutti e per colpa di quel maledetto, ora ce ne manca la metà.”

“Continuerà a perdere, se ne rende conto? Ho contato le carte e ce ne sono più di quante dovrebbero.”

“Vuole giocare al mio posto?” Sputò fuori Bones con rabbia.

“Non ne sono capace.”

“Allora non mi faccia innervosire, Spock.” Il vulcaniano scosse la testa. Se doveva dare un nome a quella sensazione che stava provando era sconforto o sconcerto. Non poteva dirlo con certezza.

La voce di Mudd li costrinse a tornare al tavolo da cui si erano allontanati per parlare.

“Continuiamo?”

“Credo che sarà la mia ultima partita comunque vada.” Asserì Bones.

“Allora giochiamoci qualcosa di speciale, le va?”

“Mettiamo tutto sul piatto?” Propose Bones che voleva farla finita in qualsiasi modo e pensava che avrebbe anche potuto tentare un colpo basso all’ultimo giro. Mudd rise.

“Ne ha di coraggio! Lei mi piace, Bones, ma quella non mi sembra un’offerta accettabile.” Affermò indicando il denaro racimolato davanti alle mani del dottore.” Il mio malloppo è più grande del suo. E sarei disposto a raddoppiarlo se lei volesse giocarsi qualcos’altro.” Bones lo guardò con perplessità.

“Qualcos’altro? Non ho nient’altro da scommettere.” Mudd gli agitò un dito davanti agli occhi.

“Sbagliato. Ha lui!” Disse indicando Spock. Bones non riuscì a nascondere né la sua indignazione né, tantomeno, la sua preoccupazione. 

“Lui? Guardi che è una persona! Come me e lei. Non possiamo giocarcela a carte.” Mudd allargò le braccia.

“Ma come si scalda! Non nego che sia una creatura vivente ma in quanto ad essere uguale a noi,” disse fermandosi e riprendendo a voce bassa affinché nessun altro potesse sentire, “non credo che lo sia. O vogliamo verificare chiedendogli di togliere il cappello?”

Spock sollevò un sopracciglio ma non diede alcun’altra soddisfazione al mercante.

“No.”

“Vede, signor Bones, non credo che lei abbia altra scelta. Se ora io mi alzassi e facessi un solo cenno con la mano, i miei amici klingon che sono seduti nell’altra stanza, correrebbero in mio aiuto. Io le sto offrendo una chance di uscirne vivi, per come la vedo io.”

Fu allora, mentre Bones era in preda allo sconforto, che Spock giunse in suo aiuto. Almeno così pensava di fare avvicinandoglisi e sussurrandogli poche parole.

“Accetti. E’ la cosa più logica da fare. Se sceglie di giocare ha comunque una possibilità del due virgola quattordici per cento che lui si confonda e perda.”

“Le sue deduzioni sono sconcertanti, Spock.” Commentò con l’ironia che Spock non comprendeva e finalmente realizzando cosa doveva passare Jim tutto il santo giorno in plancia.

“Sono logiche.” Bones perse la pazienza.

“Ti rendi conto che se perdo una stupida partita a carte, tu perderai la libertà e forse la vita?”

“Ho cieca fiducia nelle tue capacità. Fa quel che puoi e non avrò nulla da ridire. Dalle nostre azioni dipendono molte cose.” Bones annuì e si risedette al tavolo da gioco.

“E sia. Metta sul piatto il suo denaro e io farò lo stesso con il mio amico. Mi aspetto che lei sia di parola, se vinco.” Mudd sorrise e mischiò le carte. Bones stava per spezzare il mazzo quando una mano si posò sulla sua spalla e lo fermò.

“Non così in fretta, Bones.” Il dottore, nell’udire quella voce, sollevò immediatamente lo sguardo. Lo stesso fece Mudd, ritrovandosi un paio d’occhi blu addosso. Bones scattò in piedi felice come non mai e fece istintivamente un passo dietro al nuovo arrivato.

“Dio santo, quando sei arrivato?” Chiese rabbuiandosi non appena si accorse che aveva il volto tumefatto. “Stai bene, Jim?”.

“Sì. Sono qui da un po’ a dire il vero.”

“Da quanto?”

“Dal momento in cui questo signore ha cominciato a spennarti.” E fu allora che Mudd si schiarì la gola e li interruppe. 

“Signore, noi stavamo facendo affari. Lei è?” Jim mise su il sorriso più luminoso che aveva in repertorio e rispose.

“Tiberius.” 

“Tiberius? Bene, qui dobbiamo finire.” Disse Mudd riprendendo a mischiare le carte.

“Ho detto, non così in fretta.” Lo fermò di nuovo Kirk. 

“Forse, Tiberius, non è informato dell’accordo che ho fatto con il signor Bones.”

“No, signor Mudd, é lei a non essere informato. Ha preteso che il mio socio le concedesse la  rivincita adducendo come scusa che i soldi vinti fossero suoi e ora pretende che lui si giochi qualcosa che è mio.” A quelle parole sia Bones che Mudd finirono per guardare Spock che rimase imperturbabile. 

Senza che Mudd potesse reagire, Jim si sedette al posto che era stato di Bones fino ad allora, allungò una mano sul pacchetto di sigarette che quello teneva accanto ai soldi e ne sfilò una. Se l’accese e inspirò ed espiro il fumo. 

“Ha capito bene. Lui,” disse indicando Spock con la mano che teneva la sigaretta, “è mio. Quindi se desidera che venga messo in gioco, lo farò ad una condizione.”

“Parli.” Rispose in modo secco l’altro.

“Giocherà contro di me.” La faccia di Jim era tutta un programma ma Mudd non fece una piega. Scoppiò in una fragorosa risata e riprese a mescolare il mazzo.

“Sarà un piacere.” Jim batté le mani una volta e le sfregò mentre l’altro dava le carte. “Sembra impaziente!”

“Non gioco da una vita!” Esclamò Jim e, nell’udire quelle parole, Mudd fischiò.

“Non dovrebbe dire così! Che razza di giocatore confesserebbe la sua inesperienza?”

“Primo: non ho detto di essere inesperto.” Disse Jim prendendo le carte che Mudd gli aveva dato. “Secondo: sono uno che dice sempre le cose come stanno.” Concluse guardandole e sorridendo.

Se Mudd s’era illuso per un momento di ritrovarsi di fronte l’amico sbruffone e senza cervello del tizio con cui aveva giocato fino a quel momento, quell’idea se n’era andata rapida com’era venuta.

Più sconcertati, però, erano Bones che rimaneva ritto e teso di fianco a Spock e Burnham che, arrivata insieme a Jim, si era andata a sedere al bancone del bar dov’era anche Lorca.

I due si erano scambiati le informazioni che avevano raccolto e si erano mischiati ai curiosi che guardavano la partita.

“Crede che vincerà?” Chiese Micheal sorseggiando lo strano liquore blu che Lorca aveva ordinato per lei.

“Non so se vincerà, di sicuro lo sta disorientando.”

“Dovremmo riferire a Jim che Mudd é l’unico che possiede un tardigrado su Khitomer?”

“Adesso non servirebbe a niente. Si stanno giocando la nostra stessa vita. Non ci sarebbero motivazioni migliori neppure a cercarne.” Micheal annuì convenendo che il suo capitano aveva ragione e tornò a guardare i due uomini seduti al tavolo.

“Allora, Tiberius, che ha deciso?” Jim poggiò le carte sul tavolo e sospirò generando in Bones quasi uno spasmo. Poi sollevò lo sguardo e lo fissò sulla faccia di Mudd.

“Si dice che più si é sfortunati in amore, meno lo si è al gioco. Io sono talmente sfortunato in amore che sarei quasi tentato di alzare la posta!”

Stavolta persino Spock si mosse appena, stringendo le mani che teneva unite dietro alla schiena. La sua logica gli impediva di capire il flusso dei pensieri del suo capitano. Osservando Bones aveva compreso che il giocatore di poker fa di tutto per non far capire al proprio avversario quanto sia buona la sua mano. Jim, tuttavia, dall’inizio della partita aveva assunto un atteggiamento completamente diverso. Guardò Mudd che si era sporto in avanti poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.

“E cosa avrebbe da offrire?”

“La mia nave!” Disse imitando la postura dell’altro. “A condizione che lei faccia lo stesso.” Mudd si fece istintivamente indietro e Jim continuò.

“La mia nave e tutto quello che c’é dentro contro la sua e tutto quello che c’è dentro.” 

“Lei vuole rovinarmi, Tiberius?” Jim scosse le spalle.

“Mi piace giocare pesante. Tutto qui. Niente di personale.”

“D’accordo.” Rispose il mercante con uno sguardo cattivo.

“Mostri i punti, allora.” Lo sfidò Jim. Mudd, indossando un sorriso beffardo, girò le carte rivelando un poker d’assi. 

“Sono spiacente,” disse allegro, “anzi no. Non lo sono in realtà. Sono davvero curioso di vedere la sua nave, Tiberius.” Jim scosse la testa causando quasi un infarto a Bones.

“Cosa ho detto appena arrivato?” Chiese Jim. Mudd, con il suo bel sorriso ancora stampato in faccia, esitò. Jim girò le carte.

“Non così in fretta, Mudd, non così in fretta.” Pronunciò mostrando una scala reale di cuori.

“È impossibile!” Urlò il mercante. “Impossibile!”

“Perché?” Gli chiese Jim con un’espressione tremendamente seria. “Perché due delle carte che sono sul tavolo erano finite negli scarti appena un attimo fa? Due assi per la precisione. Uno decora la mia scala reale, l’altra il suo poker. Vero?”

“Sta insinuando che ho barato?

“Non mi ha ascoltato bene prima. Io sono uno che dice sempre le cose come stanno.”

“Davvero?” Mudd era furioso. “Vuole dirmi come stanno le cose? Glielo dico io, come stanno le cose, Tiberius! Ammesso che Tiberius sia davvero il suo nome.”

“Avanti, Mudd, lo faccia. Chiami i suoi amici Klingon. Non sarebbero i primi che prendo a calci nel culo oggi e non saranno gli ultimi se lei fa scoppiare un casino. Sappia però che Tiberius è davvero il mio nome e io so chi è lei.” Finalmente Bones vide il mercante esitare sul serio. Jim doveva averlo colpito nel segno. “Il suo nome è nel diario di bordo della U.S.S. Enterprise. Il capitano Christopher Pike ha tentato di arrestarla per contrabbando nello spazio della federazione. È fuggito e non ha mai scontato la sua pena. Potrei accusarla di cospirazione e tradimento e condannarla alla corte marziale, Harry Mudd.” Jim si era sporto ancora più in avanti e aveva sibilato quelle parole a pochi centimetri dal viso di Mudd. Il famigerato mercante era impallidito.

“Chi diavolo è lei?”

“James Tiberius Kirk, capitano della Enterprise. Vogliamo giocare d’azzardo Mudd? Le sue carte sono schifose se pensa di fare affidamento sui Klingon. Se ci denuncia, dirò che è una spia della federazione. Vuole scommettere?” Mudd scosse la testa in segno di diniego e Jim gli sorrise come se non lo avesse minacciato fin ad un attimo prima. “Bene. Allora ascolti la mia offerta.”

“Un’offerta?” Stavolta Mudd era davvero disorientato.

“Esatto. Lei si tiene la sua nave e i nostri soldi.”

“Anche i soldi?” Jim annuì.

“Però ci trova un tardigrado. E ci fa uscire da questa bettola tra i suoi uomini. Se torniamo alla nostra nave senza problemi, ognuno torna alla sua vita e lei prende il bottino. Ok?” Mudd non ci pensò su.

“Affare fatto.” Disse alzandosi e facendo per andare verso il bancone. Jim lo trattenne per un braccio.

“Cosa abbiamo detto sulla fretta? Non è per mancanza di fiducia ma i miei amici vengono con lei e tengono i soldi per il momento.” Mudd acconsenti senza fiatare e si allontanò scortato da Lorca e Burnham.

“Piccolo bastardo! Lo hai messo nel sacco! Come diavolo hai fatto?” Jim fece spallucce.

“Fortuna.”

“Se posso permettermi,” intervenne Spock, “ha dimostrato molta abilità nel ricordare il diario di bordo della nave. Da vero capitano, aggiungerei.” Jim allungò le labbra in un sorriso sforzato. Non  sapeva dire se l’affermazione di Spock poteva essere considerata un complimento.

“Abbiamo comunque un problema.” Disse incrociando le braccia.

“A quale ti riferisci tra i tanti?” Chiese ironicamente il dottore.

“Se pure Mudd ci lascia partire senza fare storie, cercherà sicuramente di vendere l’informazione ai Klingon.”

“Le possibilità che questo si verifichi sono del novantaquattro virgola sette per cento.” Asserì Spock.

“Così poche?” Chiese Jim e Bones sorrise. Stavolta toccò a Spock storcere il naso.

“Sono pur sufficienti a spingerci a non fidarci di lui.” Disse il comandante.

“Lo sono.” Confermò Jim.

“Quindi che facciamo?” Chiese Bones.

“Lo portiamo con noi.” Rispose Kirk con decisione.

“Ma il patto prevede che non lo arrestiamo. Glielo hai promesso.”

“E non lo arresteremo. Gli chiederemo di darci un passaggio sulla Discovery perché la nostra nave è in avaria.”

“Ma la nave non è in avaria, capitano.” Precisò Spock.

“Per questo ci precederai e la manometterai tu, Spock.” Gli occhi di Jim brillarono per un momento come facevano tutte le volte che pensava di aver avuto un’idea geniale. Nel sentirsi chiamare per nome in quel modo, Spock sentì riaffiorare il legame che aveva allentato volontariamente durante il periodo della convalescenza di Jim. Annuì e basta. “Niente proteste?” Chiese perplesso Jim.

“No, capitano.” Jim attese un attimo prima di proseguire e sorrise quando il suo primo ufficiale riprese. “Tuttavia, devo fare presente che, così facendo, Mudd conoscerà l’esatta posizione della nave.” Bones annuì e guardò Jim.

“Per tornare a riferire ai Klingon dovrebbe metterci il tempo a noi necessario per collegare il tardigrado alla rete di spore. A quel punto, anche se dovessero venire a cercarci, noi avremo già effettuato il salto, giusto?”

“E se non funzionasse?” Chiese preoccupato Leonard.

“Un po’ di ottimismo, Bones!”

“É inutile sottoporre questo tipo di questioni al capitano, dottore. Si rifiuta di considerarle.” Bones annuì e Jim fece spallucce. Si voltò e raggiunse fuori dal locale Burnham e Lorca. Il braccio cominciava a dolergli seriamente, ragione per cui si augurò che, per una volta, filasse davvero tutto liscio.

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Capitolo 5
*** Dove finisce una missione, ne inizia un'altra ***


Capitolo 5
Dove finisce una missione, ne inizia un'altra

Il piano di Kirk aveva funzionato perfettamente. 
Spock aveva manomesso la navetta e costretto Mudd a portarli fino a bordo della Discovery. Il contrabbandiere non aveva opposto alcuna resistenza, convincendo Jim che i suoi timori fossero fondati. Mudd li avrebbe venduti ai Klingon non appena ne avesse avuto la possibilità. Jim quindi lo congedò promettendogli che se avesse tirato loro un tiro mancino, si sarebbe ritrovato in difficoltà maggiori di quelle in cui stava cacciando la Discovery e invitò poi Spock e Stamets a fare del loro meglio nel più breve tempo possibile. 
Lorca si complimentò con lui per come aveva gestito tutta la situazione e Burnham lo ringrazio più volte per quanto aveva fatto durante il blitz all’edificio radio.
“Siamo pronti per inserire le coordinate, capitano Lorca.” Disse Stamets che sembrava molto fiducioso nel lavoro che avevano fatto per collegare la rete neurale del tardigrado alla rete di micelio ricreata seguendo le spore.
Lorca guardò dritto negli occhi Jim e gli sorrise.
“Capitano Kirk, ha mandato un messaggio alla federazione. Dove ci aspettano?” 
“A distanza di sicurezza dalla stazione orbitante Jupiter.” Kirk lo disse senza smettere di ricambiare lo sguardo di Lorca. 
Spock ebbe la sensazione che il suo capitano stesse saggiando qualcosa nell’altro uomo. Tese appena il legame senza avere intenzione di farsi percepire da Jim.
“Cosa stai cercando, Jim?” 
Il gesto repentino di Kirk che si voltò a guardare lui con gli stessi occhi indagatori che fino ad un attimo prima erano fissati su Lorca, gli fecero capire che aveva fallito.
Lo sguardo meravigliato di Kirk tornò però subito a guardare altrove. Forse per nascondere le sue emozioni, forse per concludere quello strano gioco di silenzi con Lorca. La voce del capitano della Discovery lo riportò alla realtà.
“Allora, tenente Stamets, ha sentito il capitano Kirk? Inserisca le coordinate della stazione orbitante di Giove. Burnham vada sul ponte e comunichi il codice nero.”
Nell’udire quell’ordine, Bones si avvicinò a Jim.
“Perché non torniamo nella tua cabina? L’ultima volta che abbiamo saltato, sei stato male. E per oggi non ti ho neppure somministrato il farmaco.”
“Sto bene. Sul serio.”
“Non stai bene. Ti ho rattoppato la ferita al braccio alla meglio. Non sei passato in infermeria e non ho neppure controllato che a quegli ematomi,” disse indicando un punto all’altezza dello stomaco, “corrispondano emorragie.”
“Sto bene. Mi sento me stesso come non mi succedeva da tempo. Non rovinarmi la sensazione!” Si lamentò Jim.
“Non mi ascolti mai. E poi mi tocca raccogliere i pezzi!”
“Per questo sei mio amico.” La voce di Burnham nell’interfono li richiamò tutti all’erta.
“A tutto l’equipaggio, codice nero. Ripeto, codice nero. Tutti ai propri posti!” 
Le luci si spensero e quelle di emergenza si accesero. Le spore inserite da Stamets nel sistema di alimentazione della nave viaggiarono nei condotti sigillati fino alla stanza di compensazione in cui il tardigrado era stato collocato. La creatura si agitò ma il computer di bordo ricevette delle coordinate specifiche e comprensibili.
“Funziona!” Esclamò Stamets. “Prepararsi al salto in tre, due, uno.” 
Ci fu una vibrazione intensa e una luce accecante. 
Jim sentì la presenza di Spock nella sua mente e vi si ancorò per non lasciarsi andare alla sensazione di ondeggiare sulla cresta di un baratro.
“T’hy’la.”
Quella parola ebbe il potere di tenere Jim ben saldo alla realtà nonostante di fronte a sé l’immagine dello spazio profondo lo attirasse verso un punto preciso dove vedeva una nave di cui riconosceva il profilo ma non riusciva a pronunciare il nome.
Le luci si riaccesero e la voce di Burnham uscì di nuovo dall’interfono.
“Signore, vediamo la stazione spaziale orbitante di Giove. Abbiamo comunicato via radio la nostra posizione. Apro il canale riservato?”
“Lo giri nel laboratorio, specialista.” Rispose Lorca.
“Qui è Lorca, capitano della U.S.S. Discovery, ci ricevete?”
“Qui è l’ammiraglio Blackwell, signori, abbiamo ricevuto il vostro s.o.s. e vi autorizziamo allo sbarco. Ponte 4. Il capitano Kirk, il comandante Spock e il dottor McCoy troveranno l’Enterprise al ponte 16. La Discovery è stata autorizzata a proseguire la sua missione principale.”
“Ricevuto, ammiraglio. Passo e chiudo.” Lorca tirò un sospiro e si rivolse a Jim. “A quanto pare, ha funzionato.”
“A quanto pare sì.”
“Siamo stati una bella squadra. Quasi mi dispiace doverla lasciare, capitano Kirk.”
“Dispiacerebbe anche a me se non potessi tornare a bordo della mia nave. Non gliel’ho già detto? Due capitani sono troppi per una nave anche se è bella e potente come la Discovery.” Disse tendendogli una mano che l’altro strinse con presa ferma.
“Ci rivedremo alla sua cerimonia, credo.”
“Preferirei incontrarla altrove.” Rispose lui. 
“Magari accadrà.” Lorca lasciò la mano di Jim e lui rimase con la sensazione che il capitano  avesse frainteso il senso delle sue parole. Ad ogni modo era tardi per correggersi. Sorrise a Stamets e al guardiamarina Tilly e fece un cenno a Bones e a Spock. Quest’ultimo, nel corridoio, si fermò.
“Chiedo il permesso di andare a salutare Micheal.” Jim lo guardò e annuì.
“Certo. Salutala da parte mia. Dille che è stato un piacere conoscerla.” Spock fece un cenno del capo e si voltò.
“Potevi andare a salutarla anche tu.” Disse Bones e Jim scosse il capo.
“A lei farà più piacere scambiare due parole da soli.”
“Questa tua versione saggia mi spaventa.” Jim sorrise.
“Ho riflettuto.”
“Su cosa?”
“Sulle tue parole,” rispose camminando verso la sala teletrasporto, “non ero mai stato paragonato ad una crudele ex moglie!” Bones rise. 
“Non credo sia merito mio se sei rinsavito.”
“Sono ancora arrabbiato ma Micheal dice che ci sono cose che Spock non mi ha detto e che deve essere lui a parlarmene. Forse non ho ben chiaro il quadro delle cose. Devo documentarmi su una cosa che si chiama Pon-Farr. Puoi aiutarmi?” Bones quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
“Come hai detto?”
“Pon-Farr. O qualcosa di simile.” Bones decise di non infilarsi in quel momento in una conversazione complicata.
“Ci penseremo più avanti. Ora ti faccio una domanda e vorrei che tu mi rispondessi senza molti giri di parole.
“Dimmi.”
“Che ci facciamo qui? Perché non ci siamo teletrasportati vicino alla Terra e come mai L’Enterprise è qui?”
“Ho avuto un presentimento.”
“Perché lo sospettavo? Che presentimento?”
“Non ti piace Lorca, vero?”
“Me lo hai già chiesto.”
“E tu non mi hai risposto. Io però ho pensato. Ho pensato a cosa potesse non piacerti e ho capito che dava fastidio qualcosa anche a me. C’è qualcosa in lui che è ostile. Qualcosa che ti impedisce di avvicinarti a lui. Qualcosa che ti tiene a distanza.”
“Perché è uno stronzo!” Jim rise.
“No, lo fa di proposito. Appare in quel modo per tenere le persone a debita distanza. Chi lo farebbe?”
“Uno stronzo?”
“Uno che nasconde qualcosa. Si tratta di capire cosa. Ho dato a Burnham le coordinate della Jupiter perché su Nuova Vulcano ho letto nei rapporti che mi consegnavate durante la convalescenza, che è stata affidata all’ammiraglio Blackwell. L’ammiraglio è molto amica di Pike. Se Lorca fa parte di un altro schieramento, lei può dircelo. Inoltre non porterei mai d’iniziativa  vicino alla Terra una nave come la Discovery. E’ armata tale e quale alla Jupiter.”
“Chi diavolo sei tu?” Esclamò Bones. “E dimmi che ne hai fatto del mio amico Jim!” Kirk si fermò a guardarlo incuriosito. “E fai anche quella faccia? Una settimana fa mi preoccupavo che fossi abile al comando e ora citi a memoria i diari di bordo dell’Enterprise stilati da Pike, ricordi il contenuto dei rapporti, parli di schieramenti tra ammiragli della flotta. Non li hai mai guardati i rapporti, tu!” Jim fece spallucce.
“Diciamo che è quello che avete sempre pensato di me. Quando sono avventato, scelgo di esserlo.”
“Non so se questo alleggerisce o aggrava la tua posizione.”
“Ad ogni modo, non mi piace il modo con cui Lorca considera il modo di trattare con i Klingon. Ha una nave che si teletrasporto ovunque nello spazio. Non credi che potrebbe essere la Discovery la misteriosa nave che ha violato la zona neutrale?”
“A quale scopo rischiare tanto?”
“È quello che non so.”
“E Burnham? Coprirebbe il suo capitano?”
“Non mi sembra il tipo di persona che accetti passivamente di seguire ordini moralmente sbagliati. Spock è più adatto di me a chiederglielo.”
“Ha i tuoi stessi dubbi?”
“Questo non lo so, ma neanche a lui piace Lorca.”
“Lo dici perché il legame è tornato?”
“Per un momento. È strano, Bones. Per un momento sembrava tornato tutto com’era prima dell’incidente sulla Jupiter.”
“E poi?”
“Poi è passato. Però ti confesso che mentre saltavamo, mi è successo qualcosa. Mi sono ricordato una cosa.”
“Cosa?”
“Jhon mi ha parlato prima di morire. Non ne ero sicuro. I miei ricordi erano confusi. Ora so che mi disse qualcosa riguardo al fatto che ogni medaglia ha due facce.” Bones lo guardò con un’espressione confusa.
“Non mi sembra una grande rivelazione.”
“Forse no, ma credo che mi sia tornato in mente ora perché è vero. Ogni medaglia ha due facce. Come Lorca, come Spock, come me, come tutto questo nuovo casino diplomatico.” Bones lo trattene per un braccio e lo costrinse a fermarsi e a guardarlo negli occhi.
“No, Jim, no. Forse è vero che ogni medaglia ha due facce, che Lorca ne ha, ma tu, tu sei la persona più diretta che conosca. Tu hai solo la tua brutta faccia da sempliciotto dell’Iowa e i tuoi occhi puliti da capitano. Non farti convincere da nessuno del contrario.” Jim sorrise in modo triste.
“Allora perché quando mi guardo allo specchio non mi riconosco più?”
“Perché hai vissuto un’esperienza traumatica e non ti sei dato abbastanza tempo.” Jim sospirò e annuì.
“Andiamo.”
Raggiunsero il teletrasporto e sbarcarono sulla stazione orbitante di Giove.


Micheal era ancora intenta a raccogliere i dati del salto quando le porte del laboratorio si aprirono e suo fratello comparve sulla soglia.
“Sono venuto a salutarti, Micheal.”
“Ti hanno dato l’autorizzazione allo sbarco?” Spock annuì.
“Il messaggio che hai inviato ha raggiunto il suo destinatario.”
“Lieta di aver fatto la mia parte.”
“Non ho mai avuto dubbi riguardo alla tua efficienza.”
“Perché mi sembra che tu lo dica nutrendo invece fortissimi dubbi?”
“In realtà i miei dubbi non riguardano la tua persona, né desidero che costituiscano motivo discussione tra noi.”
“Parla pure liberamente. Sono tua sorella. Sarei felice che parlassimo con tutta la sincerità di cui siamo capaci.”
“La catena di comando di questa nave ti ha mai dato motivo di preoccupazione?” Burnham non manifestò alcuna sorpresa nell’udire quella domanda o così parve a Spock.
“No, mai. Non mi è stato mai impartito alcun ordine che mi abbia moralmente dato motivo di sindacarlo. Sull’opportunità di alcune scelte, non ho voce in capitolo.”
“Capisco.” Rispose Il vulcaniano.
“Tuttavia,” riprese lei, “il comandante Saru ha spesso voluto annotare nel diario di bordo alcune osservazioni riguardo a determinati ordini del capitano. È di lui che in fondo parliamo, giusto?” Spock annuì e precisò.
“Dato che dobbiamo parlarci con franchezza, sarò il più diretto possibile. Hai mai avuto modo di ritenere che il capitano Lorca abbia agito al di fuori delle sue competenze?”
“Il capitano Lorca è decisamente un uomo d’azione. Durante la mia breve missione con il capitano Kirk, ho travato diverse similitudini tra lui e il capitano Lorca. Però proprio dopo aver visto Kirk in azione, mi sono resa conto che sono del tutto diversi.”
“Cosa intendi?”
“Il tuo capitano tiene al suo equipaggio più che alla sua stessa vita. Non posso dire lo stesso del mio. Sono stata assegnata alla Discovery da poco ma ho letto i diari di bordo e posso confermare che l’unica cosa che ha la priorità per Lorca, è la missione. Detto questo, non posso dire che in mia presenza abbia mai violato le regole.”
“Grazie, Micheal. Spero che le nostre strade si rincontrino presto. Fino ad allora, lunga vita e prosperità.” Spock sollevò una mano per accompagnare il gesto di rito alla formula.
“Aspetta,” fece Burnham, girandosi e prendendo una cosa dal giaccone che aveva indossato in missione. Allungò una mano e l’aprì. Il ciondolo che Spock aveva dato a Jim mentre era in convalescenza era nel palmo.
“Come mai lo hai tu?”
“Kirk lo aveva con sé prima di entrare nella base radio. Me lo ha affidato perché temeva di essere catturato e non voleva che i Klingon lo collegassero alla flotta stellare. È stato molto coraggioso e ha pagato il prezzo della missione da solo. Non ho avuto modo di ridarglielo. Potresti farlo tu? Mi ha detto che é molto importante per lui e che se gli fosse accaduto qualcosa, dovevo darlo a te.”
“A me?” Lei annuì.
“Mi ha detto che era una cosa personale e non ha voluto spiegare.” Spock lo prese e lo strinse in una delle sue mani. Lei proseguì. “Mi ha detto che tocca a te. Però non sono certa che siano affari miei.” Suo fratello la guardò con un’espressione indecifrabile. Rimasero in silenzio per un momento che sembrò a Micheal interminabile. Poi Spock sospirò.
“E’ Jim. La persona che è legata a me. E’ Jim.” Micheal sorrise bonariamente.
“Per questo è risentito dal fatto che sei promesso a T’Pring!”
“Te lo ha detto lui?”
“Niente affatto ma chiunque lo capirebbe,” disse prima di guardare la reazione stranita di Spock, “qualunque umano almeno. Non è un problema irrisolvibile comunque. Basta parlarsi.”
“È alquanto complicato farlo in questo momento. Nessuno dei due, ritengo, è ancora consapevole di quanto implichi il legame.”
“Si chiamano relazioni, Spock, sono sempre complicate.”
“Non disapprovi?” Chiese lui all’improvviso.
“Perché dovrei. E, ad ogni buon conto, non spetta a me approvare o disapprovare chicchessia.”
“Grazie, sorella.”
“Lunga vita e prosperità, fratello.”
Spock chinò appena il capo e così fece Micheal. 
La donna si augurò di rivederlo presto e tornò a scaricare i dati del salto sul suo pad. I suoi pensieri però rimasero agganciati alla conversazione con suo fratello e ai suoi dubbi su Lorca. Gli aveva risposto che non aveva mai avuto motivo di sindacare un suo ordine, ed era vero. Era anche vero che non lo aveva fatto perché condivideva molto del modo di pensare di Lorca. Il timore che la sua fiducia in quell’uomo fosse mal riposta, la preoccupò ma fu felice di sapere che qualcuno lo seguiva con l’obiettività che lei non avrebbe potuto adoperare nella situazione in cui era. Decise che avrebbe comunque osservato i movimenti del suo capitano, convinta che Spock, parlandole, avesse comunque provato a chiederle aiuto.
Terminò il lavoro, spense il pad e tornò in plancia.



 

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Capitolo 6
*** Chiarimenti ***


Chiarimenti
 

L’ammiraglio Blackwell era una bella donna. Jim lo aveva sempre pensato. La maturità e l’uniforme la rendevano ancora più bella. Lo pensò quando la vide sorridergli sul ponte 4 della stazione spaziale orbitante di Giove che le era stata assegnata dopo la morte di Marcus.

La donna lo accolse con il saluto militare e poi gli tese una mano che lui afferrò in modo deciso.

“Benvenuto alla stazione spaziale orbitante di Giove, capitano Kirk.”

“Grazie, ammiraglio, sono lieto che abbiate ricevuto il messaggio.” Lei sorrise abbassando lo sguardo e indicando uno dei corridoi con la mano aperta. 

“Seguitemi,” spiegò facendo strada, “devo ammettere che quando l’addetta alle comunicazioni tenente Uhura mi ha tradotto la ricezione klingon, ho avuto forti dubbi sulla raccomandazione che Pike mi ha fatto per lei. Immaginare che un testo che apparentemente parlava di condizioni metereologiche fosse in realtà un sos, non è stato facile. Lei, tuttavia, è stata determinata ad insistere con la sua versione fino a che non mi ha convinta. Ha detto che il messaggio replicava esattamente quello sulla tempesta di fulmini che fu da preludio all’attacco a Vulcano.” Lo disse spostando lo sguardo su Spock. Il vulcaniano annuì e lei continuò. “E’ stato molto abile nel ricordare a memoria il testo in un momento critico, capitano.”

“Certe cose rimangono impresse, ammiraglio. Dov’è il tenente Uhura?”

“Il suo turno non è ancora terminato.” Jim superò la sensazione fastidiosa che ci fosse qualcosa di sbagliato nel fatto che lei non fosse andata a salutarli al loro arrivo e annuì. 

“Capisco.”

“Capitano, prima di tornare sull’Enterpise e fare alla fine ritorno sulla Terra, mi concederebbe un paio d’ore per fare due chiacchiere? Ci sono delle questioni che vorrei discutere con lei.” 

“Ma certo, ammiraglio.”

“Il comandante Spock può assumere il ruolo di facente funzione di capitano e preparare la nave alla partenza.” A lei non sfuggì l’espressione confusa di Jim e si affrettò a precisare. “Lei non è stato ancora reintegrato dopo gli eventi della Jupiter, capitano Kirk, quindi di fatto non può comandare l’Enterprise.” 

Jim sentì quella piacevole sensazione che aveva provato fino a quel momento svanire e una vena pulsare dalla base del collo fino alla tempia.

“Quando potrò di nuovo?”

“Quando sarà reintegrato. Dopo la cerimonia prevista per il suo encomio ritengo.” 

Neanche quella notizia ebbe il potere di rilassarlo. Si voltò a guardare Spock e Bones.

“Andate pure, vi raggiungo appena ho finito con l’ammiraglio.”

Leonard annuì. Spock esitò ancora un istante poi seguì il medico. Jim invece andò dietro all’ammiraglio Blackwell che lo condusse fino ai suoi alloggi.

“Si accomodi, capitano.” Jim si sedette su una poltrona di fronte a quella su cui si era accomodata lei. Improvvisamente sembrò nervosa.

“Ammiraglio, quali sono le cose di cui voleva parlarmi?” Chiese lui per toglierla da quello che a lui sembrava imbarazzo.

“La prima riguarda il tenente Uhura.” Jim si fece, se possibile, più serio. 

“Le è successo qualcosa?” L’ammiraglio scosse il capo.

“Era stata distaccata qui temporaneamente ma, circa una ventina di giorni fa, è venuta da me per chiedermi di parlare con Pike e intercedere perché accetti la sua richiesta di trasferimento in pianta stabile alla stazione nel ruolo che ricopre tuttora. La cosa, ovviamente, è sospesa in attesa che lei riprenda il comando. Per me è una risorsa preziosa, le sue capacità sono straordinarie ma se lei la rivuole a bordo, farò in modo che venga riassegnata.” Jim incrociò le dita delle mani e sospirò.

“Quando ho chiesto alla specialista Burnham di inviare un messaggio tanto contorto, l’ho fatto sapendo che qui lo avrebbe ricevuto e tradotto Uhura. Le sue qualità sono inferiori solo al suo coraggio. Per me è un elemento fondamentale del personale di plancia ma se lei non desidera tornare sull’Enterprise, non voglio che sia costretta. Chiedo solo di poterle parlare.”

“Certo. Tra breve dovrebbe terminare il turno e al porterò da lei.”

“E la seconda cosa?” Lei si schiarì la voce.

“Ha conosciuto il capitano Lorca.” La sua non era una domanda.

“Sì.”

“Cosa pensa di lui?” Jim si lasciò sfuggire una risata nervosa.

“Non è la prima che mi fa questa domanda. Spock e il dottor McCoy mi hanno invitato a riflettere sullo stesso argomento.”

“E cosa ha concluso?”

“Poco o nulla. Mi sono riservato di dargli una seconda occhiata. La prima è stata inconcludente.”

“Avanti, capitano, si sbilanci! Così potrò spiegarle perché gliel’ho chiesto.”

“Dico sul serio. Non appena l’ho conosciuto mi ha dato l’impressione di un grand’uomo. Tuttavia le sue visioni politiche non mi fanno impazzire. E’ coraggioso ma la missione, per lui, conta più di tutto. Anche più dell’equipaggio.”

“E’ ciò che dice il manuale del buon capitano della federazione.” Ironizzò lei, alzandosi e prendendo una bottiglia di liquore. Versò da bere in due bicchieri e ne porse uno a Jim. lui l’accettò e bevve un sorso.

“E’ buono!” Esclamò riferendosi al contenuto del bicchiere. “Mi ha lasciato comunque l’impressione di uno che sa il fatto suo. Fin troppo.” Concluse.

“Ecco, non era quello che volevo sentire ma lo definisce adeguatamente. Ora, per correttezza, manterrò la mia parola ma desidererei che tenesse la cosa riservata.”

“Lo farò.”

“Ho avuto una relazione con il capitano Lorca. E’ finita per incompatibilità legate ai nostri ruoli o ai nostri caratteri,” esitò un istante e proseguì, “forse a entrambi. Ad ogni modo, siamo rimasti in ottimi rapporti fino ad un mese fa. E’ accaduto un incidente. Abbiamo ricevuto una comunicazione dalla stazione orbitante di Yorktown in cui ci veniva richiesto supporto tattico. Un loro ricognitore era stato attratto dalla forza di gravità di una nebulosa in corso di studio e necessitavano di una nave con particolari risorse tecnologiche per recuperarla.”

“E voi avete mandato la Discovery?” L’ammiraglio scosse il capo.

“Abbiamo mandato la U.S.S. Duran. Era la nave di Lorca. La comandava da anni.”

“Era?” Chiese Jim un po’ perplesso.

“E’ esplosa. Lorca è stato l’unico sopravvissuto. Non abbiamo saputo più nulla dell’incrociatore. Il diario di bordo della Duran riporta di una richiesta di soccorso, della decisione di addentrarsi nella nebulosa, di un disturbo radio e di una comunicazione di Lorca alla Yorktown in cui parlava di una serie di anomalie della strumentazione. La nave è andata in avaria ma Lorca avrebbe individuato l’incrociatore e avrebbe deciso di soccorrerlo con un una navetta di supporto. Non è più tornato a bordo. Qualcosa ha fatto saltare la camera al dilitio della Duran. L’onda d’urto dell’esplosione ha scaraventato la navetta di supporto fuori dall’orbita della nebulosa e l’incrociatore è andato perso.”

“Wow,” commentò Jim, “ora capisco quell’aria da sopravvissuto. Non immagino cosa debba provare ogni giorno sapendo di aver perso tutto il suo equipaggio.”

“E’ questo il punto, capitano Kirk. Sono stata io a comunicargli cosa era accaduto quando si è svegliato. Ho voluto farlo perché, conoscendolo, ero certa che sarebbe stato un colpo durissimo per lui. Invece ha chiuso gli occhi e mi ha chiesto quando avrebbe potuto tornare in servizio.”

“Probabilmente sentiva di dover fare qualcosa per dare un senso ad una simile tragedia.”

“L’ho pensato anche io sul momento. Mi creda, non mi ha mai dato l’impressione di uno che avesse un conto in sospeso con il suo passato. Sembrava invece uno che avesse un appuntamento col destino. Non l’avevo mai visto tanto determinato a perseguire un successo dopo l’altro. In un mese è tornato al comando di una nave della flotta nonostante non siano state chiarite ancora del tutto le dinamiche che hanno portato alla distruzione della Duran e alla perdita di trecento vite.” 

Mentre concludeva il discorso, la Blackwell finì il suo bicchiere e lasciò andare un profondo sospiro. Jim guardò il liquore e fece l’unica domanda che per lui aveva senso.

“Chi ce lo ha messo? Se l’alto comando aveva dei dubbi, chi lo ha riportato in sella?”

“L’ammiraglio Marcus.” Rispose lei e Jim scosse il capo.

“Avrei dovuto immaginarlo.”

“Alla luce della sua eroica morte,” disse lei fermandosi un attimo e guardando Kirk dritto negli occhi, “Lorca ha acquisito ancora più considerazione tra gli ammiragli che condividevano le idee decise di Marcus. La cosa più assurda comunque è che prima di quell’incidente, Lorca e Marcus non erano mai andati d’accordo. Gabriel è sempre stato un uomo d’azione ma non ha mai condiviso la linea dell’ammiraglio.”

“Mi è sembrato piuttosto convinto che la guerra con i Klingon sia inevitabile.”

“Purtroppo è così. La maggior parte dell’alto consiglio è convinta che guidando una nave scientifica non costituisca un pericolo per la federazione. Credono di avergli tarpato le ali.”

“Le assicuro che non è così. La Discovery è una vera e propria nave da guerra.”

“Lo so, capitano Kirk. Lo so. Io e Christopher stiamo facendo del nostro meglio affinché la flotta stellare non smarrisca la sua identità. So che ha bordo della Discovery è stato scelto come ufficiale scientifico la sorella del suo comandante. Tutto ciò che le chiedo è di usare questo canale privilegiato per tenere sotto controllo le attività della Discovery. Sono certa che Pike sarà d’accordo.”

“Capisco il motivo di una simile richiesta e ne parlerò con Spock. Sono certo che non farà salti di gioia ma credo condivida i nostri timori.”

“Una guerra con i Klingon non è una buona cosa. Sono certo che lo pensa anche il comandante Spock.” Disse la Blackwell.

“Dopo essersi praticamente sdoppiato per evitare una guerra con i Romulani, sono certo che farebbe quanto in suo potere per impedirne una con i Klingon.”

“Grazie allora.” Disse lei alzandosi. “Il turno del tenente Uhura dovrebbe essere terminato. Vado a chiamarla.”

Jim le sorrise e si alzò mentre lei lasciava la stanza.

 

Spock aveva già impartito tutte le disposizioni necessarie per il decollo della Enterprise. Aveva lasciato Sulu sul ponte ed era tornato nella sua cabina.

I danni alla nave causati dallo scontro con la Jupiter erano stati riparati a tempo di record. Anche la sua cabina era stata rimessa a nuovo e i suoi effetti personali erano stati sistemati tutti sopra alla scrivania.

Sfilò dalla tasca il ciondolo che aveva regalato a Jim dopo il suo risveglio su Nuova Vulcano e lo osservò.  

La saldatura dei due pezzi gli riportò alla mente le terribili condizioni in cui aveva ritrovato Kirk dopo l’esplosione della Jupiter. Il suo risveglio gli aveva dato una gioia immensa. Aveva sentito il legame più forte che mai. Eppure era bastato un mese, un mese in cui le condizioni psichiche di Jim erano peggiorate almeno quanto il suo fisico migliorava per allentarlo di nuovo. 

La scelta era stata sua, non poteva prendersela con nessun altro. Lo aveva fatto pensando che la sua preoccupazione si sarebbe riflessa sulla mente di Jim facendolo peggiorare ulteriormente.

Poi era arrivata T’Pring e anche quella storia aveva avuto ripercussioni sul legame.

Infilò il ciondolo in tasca e uscì dalla sua cabina.

Avvisò Bones che sarebbe sceso di nuovo sulla stazione orbitante e lo fece incamminandosi verso la sala comunicazioni centrale.

C’era un’altra persona su cui le cose che non aveva rivelato sul suo rapporto con T’Pring avevano avuto effetto. 

Attese in piedi fuori dalla porta fino a che non la vide aprirsi. Uscirono quattro persone. L’ultima era Nyota Uhura.

Lei lo vide e si fermò davanti a lui.

“Che ci fai qui? Ho dato io stessa il via libera al decollo della Enterprise.” Disse guardandolo negli occhi con una buona dose di durezza nello sguardo.

“C’è un posto privato dove parlare?” Chiese Spock indicando con lo sguardo due membri del reparto tecnico che si erano fermati poco più avanti e li guardavano senza farsi notare troppo. “Ti devo delle scuse.” Concluse sperando che la donna si ammorbidisse.

“Seguimi.” Rispose Uhura incamminandosi lungo il corridoio di fronte a loro. Lo portò fino ad un ufficio che era adibito a sala ristoro. Si versò del caffè da un distributore automatico e gli fece cenno di proseguire.

“Come ho detto, ti devo delle scuse. Quando sei venuta a trovarmi su Nuova Vulcano non avrei dovuto essere così distaccato. Ma tu hai frainteso quel distacco. La colpa è comunque mia. Avrei dovuto spiegarti. Voglio farlo ora. Non ritenevo importante parlarti di T’Pring non perché tu non meritassi una spiegazione ma perché lei non era importante.” 

Uhura quasi sputò il caffè.

“Lei non era importante? E’ tua moglie!”

“Sul pianeta Terra la vostra cultura considera il matrimonio come un giuramento. Anche nelle culture non monogame, rappresenta comunque un vincolo sacro. Nella cultura vulcaniana questo rapporto è meglio definito dal legame che dal matrimonio. Lo scopo di un matrimonio è quello di garantire la procreazione. I vulcaniani si accoppiano ogni sette anni a seguito del Pon Farr, la febbre del sangue.”

“Febbre del sangue?” Chiese Nyota con evidente preoccupazione mentre lasciava la tazza sul ripiano del distributore.

“E’ uno squilibrio neurochimico che colpisce gli adulti della mia specie. Lo squilibrio è molto pericoloso. Può portare alla morte. Il modo più semplice di annullarlo è l’accoppiamento. Un tempo i maschi della mia gente lottavano fino alla morte per conquistare una femmina. Ora si preferisce combinare dei matrimoni. Questo è tutto. T’Pring è stata scelta da T’Paw e da mio padre per il mio Pon Farr. Lei non ha mai fatto parte della mia vita. Non come te.”

Spock parlò con calma ma con grande determinazione. Uhura non ebbe dubbi sul fatto che avesse detto la verità.

“Perché non mi hai detto queste cose allora? Sono venuta a trovarti perché mi mancavi.” Spock unì le mani dietro alla schiena. Nyota capì che tentennava e gli fece cenno di non fermarsi.

“Ero emotivamente compromesso e non sono stato in grado di affrontare un tema delicato e così privato come questo.”

La donna gli tese le braccia al collo e lo abbracciò. Spock prima rimase immobile poi chiuse gli occhi e si concesse di stringere Nyota. Lei gli sussurrò all’orecchio.

“Eri preoccupato per Jim. Sei legato a lui. Non t’importa davvero nulla di T’Pring. Ti sono grata per aver parlato con me.” Spock si staccò da lei e la guardò negli occhi tenendola per le braccia.

“Ho scoperto dal diario di bordo dell’Enterprise che vuoi lasciare la nave. Davvero restare qui è ciò che desideri? Perché in questo caso rispetterò la tua scelta. Ma se così non è, sappi che l’Enterprise è la tua casa, la tua famiglia. Sarò io a lasciare la nave. Tornerò a Nuova Vulcano ed entrerò all’Accademia delle scienze.”

Gli occhi di Nyota si allargarono per lo stupore. 

“No,” disse piano e poi più forte, “no! Non è questo che voglio. Lasceresti Kirk?”

“Il legame non è più forte come quando l’ho usato per ritrovarlo nello spazio.” La voce di Spock uscì debole, afflitta. Una lacrima cadde dagli occhi di Uhura.

“Sciocchezze. Forse tu puoi pensarla così ma il capitano Kirk non si arrenderà mai con te.”

“Non si arrenderà mai neppure con te.” Gli disse lasciandola andare. 

In quel momento la porta si aprì e l’ammiraglio Blackwell comparve sull’uscio.

“Tenente Uhura, il capitano Kirk ha chiesto di parlare con lei prima di partire. Vorrei che lo ascoltasse prima di rinnovarmi la sua richiesta di trasferimento. Comandante lei non doveva preparare l’Enterprise?” Spock sorrise. 

“Ogni cosa è già al suo posto. Mancano solo il capitano e l’addetto alle telecomunicazioni, signora.” Dicendo questo si congedò mentre Uhura s’incamminava verso gli alloggi dell’ammiraglio dove Jim la stava aspettando.

 

Mentre aspettava, il bel discorso che Jim si era preparato e con il quale pensava che avrebbe convinto il tenente Uhura a tornare sull’Enterprise cominciò a sembrargli poco sensato.

Poteva davvero far breccia nel risentimento della donna adducendo le cose che aveva saputo da Micheal? Se le avesse detto che si trattava solo di un matrimonio combinato e non consumato, la cosa avrebbe fatto differenza per l’affascinante tecnico delle comunicazioni?

Improvvisamente pensò che non avrebbe dovuto affatto parlare di Spock. Avrebbe dovuto fare riferimento semplicemente alla nuova missione che aveva ricevuto e a quanto era stata brava a tradurre quel messaggio di soccorso. Le avrebbe detto che aveva bisogno di lei, delle sue innate e uniche capacità.

Sorrise. Questa era la via giusta. Udì il rumore di passi e la porta si aprì.

Nyota entrò con passo sicuro e lo fronteggiò. La Blackwell gli sorrise ma non entrò e li lasciò subito da soli.

“Salve, capitano.”

“Salve, tenente. Sta bene?”
“Mai stata meglio.”

“Intende dire che sta meglio qui che sull’Enterprise?” 

“Sempre diretto, vedo!”

“Sono morto, Nyota, non mi va di perdermi in chiacchiere.”

“Questo posso capirlo.”

“Allora vuoi lasciare la mia nave?” Disse rompendo ogni formalità.
“Ho fatto domanda, sì.”

“C’è qualcosa che posso fare per farti cambiare idea?”

“Tutto quello che si poteva fare, è stato già fatto.” Rispose lei unendo le mani davanti al busto.

“Capisco,” rispose Jim fissando quelle mani, “dal canto mio vorrei dirti che penso di essere responsabile di questa tua decisione e che ne sono addolorato perché la mia nave perde il miglior addetto alle comunicazioni esistente e io perdo un’amica preziosa. Probabilmente tu ci guadagnerai. Non sarò mai in gamba neanche la metà della Blackwell. Buona fortuna, tenente.”

Nyota lo vide sorridere e porgergli una mano. La sua espressione era davvero triste però.

“Non sei tu il responsabile della mia decisione di chiedere il trasferimento, capitano.” Jim ritirò la mano e parlò senza guardarla negli occhi.

“In qualche modo ho interferito nella tua relazione con Spock.”

Nyota pensò che questo era Jim Kirk. Diceva sempre le cose come stavano. Le fece rabbia e tenerezza insieme.

“Dire che ha interferito è minimizzare. Tuttavia non è dipeso da te. Non solamente. Spock ha la maggior parte di responsabilità. Era lui quello impegnato, non credi? E non solo con me, a dirla tutta. La storia che i vulcaniani non mentono è vera solo a metà.”

“A quanto parte anche il matrimonio è vero a metà.” Nell’udire quelle parole, Uhura piegò appena la testa di lato.

“Tu lo hai accettato?”

“Accettato?” Esclamò Jim. “Neanche lontanamente! E non lo capisco! Forse però Spock ha il diritto di spiegare e francamente T’Pring non mi sembra affatto il tipo di persona che Spock terrebbe al suo fianco.”

“L’hai conosciuta?”

“Si è presentata. Non mi è piaciuta per niente.” Nyota rise. “Sei mille volte meglio di quella T’Pring.”

“Ne sono più che sicura.”

“Allora perché vuoi mollare? Non ho mai pensato che ti saresti data per vinta.”

“Non puoi costringere nessuno ad amarti.” Kirk abbassò lo sguardo.

“Lo so, ma se sono delle incomprensioni a dividerti da lui, non dovresti almeno provare a capire?”

“E finire con l’essere rifiutata ancora?”

“Meglio il rimpianto o il rimorso?” Le chiese lui. Uhura sorrise bonariamente.

“Ho già scelto.”

“Allora, a quanto sembra, ho finito.”

Kirk stava per lasciare la stanza quando lei lo richiamò.

“Non ho mai pensato che ti saresti dato per vinto!” Lui si voltò e scosse appena le spalle.

“Insistere ancora, non offenderebbe la tua intelligenza?”

“Sì, ma solleticherebbe il mio ego.” 

Kirk mise le mani sui fianchi e scosse la testa.

“Tenente Uhura, sei l’ufficiale addetto alle comunicazioni migliore che conosca. Il fatto che comprendi qualunque lingua tranne quella che parla Spock ti rende preziosissima per me. Vorresti riconsiderare la tua decisione di rimanere di stanza qui e tornare sull’Enterprise?”

“Per tua opportuna conoscenza, parlo anche la lingua del comandante Spock e questo mi renderà ancora più preziosa a bordo dell’Enterprise!”

“Tu avevi già deciso prima di farmi implorare!” Esclamò comunque sollevato Jim.

“Spock è venuto a parlarmi e si è scusato. Credo che abbia ancora bisogno di me dopotutto.” 

Jim rimase sorpreso da quelle parole ma non ebbe modo di indagare oltre perché l’ammiraglio Blackwell entrò di nuovo nella stanza e stavolta sembrava contrariata.

“Capitano, mi scusi ma devo interrompere. Ho ricevuto una comunicazione dall’ammiraglio Pike. Ho bisogno che lei mi segua. Tenente, lei cos’ha deciso?” La donna si mise sull’attenti.

“Mi dispiace averle fatto perdere tempo, ammiraglio. Vorrei essere riassegnata all’Enterprise.” La Blackwell annuì.

“Comunicherò a Pike la sua riassegnazione alla NCC-1701. Vada ora.”

Jime la vide lasciare la stanza e poi si rivolse all’ammiraglio.

“Che succede?”

“Mi segua.” Rispose lei facendo strada fino ad una stanza che sembrava adibita a riunioni di una certa importanza. Accese la strumentazione che era vicino al tavolo e l’ologramma dell’ammiraglio Pike comparve di fronte a loro.

“Margaret, grazie per la premura. Jim è bello vederti in piedi.”

“Grazie, signore.”

“Puoi parlare liberamente Christopher, la comunicazione è riservata.”

“Ero nel pieno della preparazione della cerimonia in tuo onore, Jim, quando ho avuto modo di esaminare alcuni file che aveva chiesto da diverse settimane. Avevo incontrato delle difficoltà che definire tecniche è riduttivo. Alla fine sono riuscito ad ottenere i piani di volo della Jupiter nel periodo intercorso tra il varo e la sua distruzione. Non ne emerso niente di significativo. Così mi sono concentrato su altre piste. Inutile dirvi che cercavo la nave che ha sconfinato nella zona neutrale. Nessuna nave della federazione ha sconfinato. Me ne sono accertato raccogliendo i dati di tutte le stazioni orbitali dei quadranti.”

“Quindi i Klingon hanno mentito?” Chiese Jim. 

“No, uno sconfino c’è stato ma di un velivolo molto più piccolo. Un incrociatore. Un modello che definirei obsoleto. Uno di quelli che si utilizzavano per gli abbordaggi quando le navi non usavano ancora il teletrasporto.” La Blackwell si sedette al grande tavolo e poggiò entrambi i gomiti sul ripiano con fare pensieroso.

“La richiesta di soccorso della Yorktown, quella per cui è stata mandata la U.S.S. Duran, parlava di un ricognitore modello trasporto persone tra base e navi di tipo Intrepid. Diciamo che non mi ha stupito che sia rimasta bloccata nella nebulosa. Due incrociatori così vecchi che saltano fuori in circostanze tanto particolari a distanza di pochi giorni? Devo credere ad una coincidenza?”

Jim esaminò su un pad la rilevazione mostrata da Pike e quella segnalata dalla Blackwell.

“Sembrano lo stesso incrociatore e, di certo, è strano che siano in circolazione due di questi macinini. Però sono troppo distanti per essere lo stesso incrociatore. Dubito che sia dotato di una tecnologia come quella della Discovery!” 

“Non credo, no. Però potremmo avere più dati se scaricassimo i file delle mappe della nebulosa dalla stazione orbitante di Yorktown.” Jim sorrise.

“Vuole che sia io a procurarmele, vero?”

“Non mi fiderei di nessun altro.” Rispose Pike. La Blackwell si alzò.

“Abbiamo solo un problema. Di fatto il capitano Kirk non è stato ancora reintegrato.”

“A questo ho rimediato io. Per fare in modo che partecipino quanti più membri dell’alto consiglio, ho spostato la cerimonia per insignire Kirk dell’onoreficenza della federazione, sulla base spaziale di Yorktown. L’ammiraglio Paris è un’amica. Ci aiuterà.”

“Molto bene!” Esclamò Margaret. “Dunque hai una nuova missione capitano Kirk!”

“Cercherò di essere utile.”

“Però fa attenzione. Sei ancora convalescente. Il dottor McCoy ha già stilato il certificato di idoneità al comando?” Chiese Pike.

“Sono certo che lo abbia già pronto!”

“Buona fortuna, Jim.”

“Grazie.”

L’ologramma di Pike sparì e Jim si lasciò indietro la Blackwell. Si chiese se davvero Bones avesse predisposto già le scartoffie che gli avrebbero consentito di tornare a guidare l’Enterprise.

Si fece coraggio e raggiunse l’hangar. La nave era lì, meravigliosa e luminosa come una stella.

Prese un respiro e salì a bordo.

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