Senza voce

di Helen_Book
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Il Foro ***
Capitolo 3: *** L'addestramento ***
Capitolo 4: *** L'incontro ***
Capitolo 5: *** Conseguenze ***
Capitolo 6: *** Agire ***
Capitolo 7: *** Curiosità ***
Capitolo 8: *** Quotidianità ***
Capitolo 9: *** Sola ***
Capitolo 10: *** Tornare ***
Capitolo 11: *** Torna da me ***
Capitolo 12: *** Compagna ***
Capitolo 13: *** Addormentarsi ***
Capitolo 14: *** Verità ***
Capitolo 15: *** Malattia ***
Capitolo 16: *** Dolceamaro ***
Capitolo 17: *** Partenza ***
Capitolo 18: *** Piano ***
Capitolo 19: *** Il quartier generale ***
Capitolo 20: *** Confidenze ***
Capitolo 21: *** Desolazione ***
Capitolo 22: *** Prigione ***
Capitolo 23: *** Processo ***
Capitolo 24: *** Incubo ***
Capitolo 25: *** Miracoli ***
Capitolo 26: *** Informazioni ***
Capitolo 27: *** Asilo ***
Capitolo 28: *** Confessioni parte 1 ***
Capitolo 29: *** Confessioni parte 2 ***
Capitolo 30: *** Pari ***
Capitolo 31: *** Falò ***
Capitolo 32: *** Pace ***
Capitolo 33: *** Gelosia ***
Capitolo 34: *** Inadeguata ***
Capitolo 35: *** Priorità ***
Capitolo 36: *** Stanchezza ***
Capitolo 37: *** Porto sicuro ***
Capitolo 38: *** Prigione pt.2 ***
Capitolo 39: *** Giusto ***
Capitolo 40: *** Salvatore ***
Capitolo 41: *** Negazione ***
Capitolo 42: *** Storia ***
Capitolo 43: *** Ziki e Noah: Side Story 1 ***
Capitolo 44: *** Ammaccata ***
Capitolo 45: *** Capobranco ***
Capitolo 46: *** Atto ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


12 anni prima

Esistono alcune sensazioni impossibili da dimenticare. Eileen sapeva che quella sensazione, in particolare, l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Il dolore lancinante le toglieva il respiro, non riusciva a pensare ad altro se non alla forte pressione esercitata sul suo collo.

Non ricordava come fosse finita lì, stesa in mezza alla neve. Doveva sicuramente essere scivolata, probabilmente aveva perso l’equilibrio, complice la radice di qualche albero. Eppure, non era in grado di rievocare con precisione ciò che era successo prima di quel momento. Ogni suo ricordo era collegato a quel dolore, alla forte pressione esercitata dalla zampa del lupo. Gli occhi della creatura non mostravano nessuna emozione, vitrei, incatenati a quelli di Eileen, terrorizzati, pieni di lacrime.

Nonostante fosse ad un passo dalla morte, Eileen ricordava l’espressione del suo aggressore che appariva in quasi tutti i suoi incubi. La paura le paralizzava il corpo, come era successo anni prima. Sebbene non riuscisse a pensare con chiarezza, era cosciente del fatto che stesse morendo.

“Eileen!”, la voce di sua madre, la prima che le sue orecchie abbiano mai udito. L’avrebbe riconosciuta tra mille, l’unico barlume di salvezza. La pressione sul collo aumentò e così anche il dolore: il bruciore dalla trachea si propagò nei polmoni. Quando l’ultima riserva di ossigeno venne esaurita, gli occhi di Eileen e del lupo si incontrarono per l’ultima volta. Subito dopo, buio totale.
 
Oggi

Gli occhi di Eileen si spalancarono, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si scrollò di dosso la sensazione di quell’incubo, ormai familiare. Alcune gocce di sudore le imperlavano la fronte e i polmoni cercavano di incamerare quanta più aria possibile. Inspirare, espirare. Un’azione semplice, ma vitale. Eileen lo sapeva.

“Eileen!”, la voce di sua madre risuonò anche nella realtà, ma con maggiore chiarezza. La porta si spalancò e una testa riccia fece capolino: “Cosa stai facendo ancora a letto? L’alba è passata da un pezzo, devi raggiungere i tuoi compagni al Foro.”

Come risposta ricevette un breve cenno di assenso e questo sembrò bastarle per lasciare la stanza. Prima di alzarsi dal letto, Eileen asciugò il sudore sulla fronte. Non era pronta per affrontare una nuova giornata. Sapeva che sua madre aveva convinto parte del branco a farle frequentare lo stesso il Foro, nonostante non era in grado di partecipare alla maggior parte delle attività.

L’incidente di 12 anni prima, le aveva lasciato cicatrici indelebili, sia fisiche che psicologiche: la pressione esercitata sul fragile collo, le aveva causato un danno irreparabile alle corde vocali, privandola della capacità di parlare. I danni psicologici erano legati all’impossibilità di mutare forma. Da quel momento in poi, non era più stata in grado di trasformarsi in lupo e di conseguenza, aveva perso la sua utilità all’interno del branco. Nessuno lo diceva apertamente, ma Eileen sapeva di non valere nulla per la collettività, sebbene sua madre avesse cercato più volte di farle cambiare idea.

Cercò di allontanare i pensieri negativi e di sostituirli con alcuni più piacevoli: almeno avrebbe potuto girare per la foresta senza essere disturbata. Non era capace di trasformarsi, ma nel tempo aveva sviluppato dosi di puro ottimismo, da utilizzare in momenti come questi. Si alzò dal letto e iniziò a prepararsi per una nuova giornata.

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Capitolo 2
*** Il Foro ***


Eileen fissava la sua figura riflessa nello specchio: i capelli rossi, una volta intrecciati, ricadevano sulle spalle, sciolti. Sua madre era solita acconciarle i capelli prima di uscire: per praticità, diceva. Eppure, quella vecchia abitudine si era persa negli anni, sempre per lo stesso motivo: per praticità.
Certo, la mamma non lo diceva esplicitamente, ma i capelli rappresentavano un ottimo stratagemma per coprire i segni sulla gola. L’idea era venuta in mente ad Eileen anni prima e sua madre non aveva mai protestato a riguardo. In più, aveva deciso di indossare durante ogni stagione una piccola sciarpa verde. Nonostante in estate soffrisse enormemente il caldo, almeno il colore dell’indumento riprendeva chiaramente quello dei suoi occhi. Dosi di puro ottimismo, ripeteva a se stessa.
 
Dopo aver infilato un coltellino nello stivale destro, aprì il cassetto della scrivania e indossò il regalo che la mamma le aveva fatto anni prima: una collana dotata di un campanello dorato. Pratico, come la donna che glielo aveva donato.
Tuttavia, non era stato facile accettarlo. Inizialmente Eileen l’aveva ritenuto un vero e proprio insulto, tutti al Foro si sarebbero presi gioco di lei, soprannominandola “un lupo addomesticato”.
Eppure, tutti i suoi timori erano svaniti nel tempo: nessuno si azzardò ad affibbiarle alcuna etichetta. Inoltre, non essendo più in grado di trasformarsi, era inutile preoccuparsi di essere catalogati come “lupi”. Furono questi i motivi che portarono Eileen ad indossare senza problemi quel campanello: in momenti di emergenza, poteva rivelarsi la sua unica salvezza.

Appena prima di uscire dalla porta di casa, Eileen fece oscillare la collana per tre volte, avvisando la mamma della sua partenza. “Buona giornata, mi raccomando!” ottenne come risposta.
Uscì di fretta, senza guardarsi indietro. Il rumore del suo stomaco vuoto le ricordò che non aveva ancora mangiato nulla. Con tristezza abbandonò l’idea di raccogliere qualche frutto dalla foresta: non aveva tempo per una deviazione, era già in ritardo. Nonostante fosse una giornata gelida e ventilata, Eileen non si scoraggiò: il Foro non era molto distante da casa sua, in dieci minuti ce l’avrebbe fatta a raggiungerlo.

Appena raggiunta la radura, rinominata “il Foro”, punto di ritrovo del suo branco, notò subito un gruppo di persone radunate al centro. La voce del capobranco giunse alle sue orecchie:

“Oggi, per voi novelli, è un grande giorno. Da oggi inizierà il vero addestramento che porterà ognuno di voi a ricoprire un certo ruolo all’interno del branco. Verrete divisi in gruppi e darete prova delle vostre abilità attraverso alcune attività…”

Eileen aveva ascoltato questo discorso un milione di volte, lo avrebbe potuto recitare a memoria, se solo avesse avuto la capacità di farlo. Il famoso incidente avvenuto dodici anni prima, le aveva sottratto la possibilità di far parte dei novelli.
Raggiunti i 18 anni, Eileen si ritrovò senza voce e senza l’abilità di trasformarsi. II trauma subìto aveva danneggiato irrimediabilmente una parte di lei e nonostante ci avesse provato più volte, non era più riuscita a mutare. Un enorme buco nero al posto del suo istinto di lupo.

Si avvicinò con cautela alla folla e la costeggiò fermandosi vicino ad un enorme pino. Il discorso di Adamo, il capobranco, si era concluso e dal gruppo si elevarono urli di approvazione. I novelli erano in fibrillazione, non vedevano l’ora di testare e mostrare le loro abilità.
Eileen era così concentrata sulla folla davanti a sé che non percepì la sagoma che le si avvicinò. Una ragazza alta circa 1.70cm, bionda e chiara di carnagione le rivolse la parola:

“Non capisco tutta questa eccitazione, alla fine veniamo catalogati per un ruolo che non scegliamo neanche noi. Tutta questa messinscena è architettata per farci digerire meglio la medicina amara. Piccoli momenti di gloria, per cosa?”

Eileen rimase piacevolmente sorpresa dalla sua schiettezza, non le capitava da tempo di ascoltare un discorso così duro e tagliente. Le ricordò vagamente alcune parole origliate pronunciate da suo padre, alcuni anni prima che morisse.

“Non è assurdo?”, la domanda della bionda riportò Eileen alla realtà.

Rivolse lo sguardo verso la ragazza, pronta a spiegarle l’impossibilità di risponderle, ma gli occhi chiari erano incatenati alla folla. Eileen si chiese se fosse lei la destinataria effettiva della domanda o se piuttosto la bionda l’avesse rivolta a se stessa.

Prima di poter appurare questa ipotesi, una mano si poggiò sulla sua spalla. Riconobbe all’istante l’unica donna con cui solitamente parlava. Sì, parlava, dato che era la sola ad aver imparato il linguaggio dei segni, oltre sua madre. Bentlam era una vecchia amica famiglia, dalla morte di suo padre, era diventata una colonna portante sia per Eileen che per sua madre. Per qualsiasi problema, sapevano di potersi rivolgere a lei.
Bentlam le sorrise e le segnò chiedendole come stesse. Tutto bene, le rispose sorridendo. Solo dopo si accorse che la bionda aveva seguito tutta la scena con grande interesse:

“Figo! Anche io voglio apprendere il linguaggio dei segni. Credo sia la cosa più interessante che abbia visto da stamattina.”

Bentlam guardò confusa prima me e poi la ragazza: “E tu chi saresti?”

“Scusate, effettivamente non mi sono presentata. Il mio nome è Mala e purtroppo faccio parte del gruppo dei novelli. E voi siete…?”

Bentlam rispose: “Io sono Bentlam, corporazione 4, Medici e Speziali e lei è Eileen, amica e mia assistente, dà una mano al Foro quando può.”

La spiegazione non sembrò soddisfare la curiosità di Mala che però venne interrotta dalla voce del capobranco: “Novelli, seguitemi, inizieremo l’addestramento nel cuore della foresta.”

La ragazza sospirò sonoramente e si incamminò verso il gruppo. Eileen si congedò da Bentlam con l’intenzione di addentrarsi nella foresta e seguire i novelli.

“Stai attenta, non ti allontanare dagli altri”, furono le ultime parole di Bentlam che riuscì ad udire. Aveva perso un padre, ma sicuramente aveva acquisito una seconda madre.

Cercò di stare al passo con il gruppo, ma allo stesso tempo di mantenere una certa distanza. Mala sembrò fare la stessa cosa ed ecco perché si trovarono a camminare fianco a fianco. La ragazza schietta e loquace di prima era scomparsa. Un’espressione corrucciata e vagamente preoccupata adombrava il suo viso. Eileen non sapeva cosa fare per consolarla, per distoglierla dai pensieri negativi. La gente usava le parole, ma lei non aveva questa possibilità.
Alla fine, agì d’istinto e toccò lievemente il suo braccio con la mano. Mala sobbalzò leggermente e si girò verso l’altra. Eileen le rivolse un sorriso timido, cercando di infonderle con gli occhi, oltre che con il tatto, calma e tranquillità.
La ragazza non sembrò convinta, ma rispose con imbarazzo al sorriso e sussurrò a se stessa, più che a Eileen:

“Sono pronta.”

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Capitolo 3
*** L'addestramento ***


I novelli erano circa una trentina e per essere un branco medio-grande, se la cavava piuttosto bene. Il clan viveva in tempi di pace, almeno da un decennio. La corporazione 2 composta dai lupi che difendevano i confini del territorio, poteva contare sui lupi più forti e valorosi del branco, soprannominati i “guerrieri”.
Il padre di Eileen era stato un guerriero e durante un giro di ronda aveva perso la vita. Eileen non conosceva le dinamiche dell’incidente, in quel periodo era troppo concentrata sul proprio dolore per indagare su cosa precisamente fosse successo. Con arrendevolezza aveva accettato il suo destino avverso e si era chiusa in se stessa.

Una parte dei lupi novelli, se ritenuta capace, sarebbe rientrata nella corporazione 2. Come ripeteva Adamo, il capobranco, la precauzione non era mai troppa, i guerrieri erano fondamentali per la sopravvivenza del branco. Eileen aveva sempre ammirato suo padre per la forza e il coraggio, tuttavia non sentiva di aver ereditato quelle caratteristiche. Se prima lo pensava, ora ne aveva la certezza.

In ogni caso, i novelli non avevano l’opportunità di scegliere il proprio ruolo nel branco, come Mala stessa aveva affermato precedentemente. È la corporazione 1 a decidere quale funzione ognuno deve ricoprire, in base alle abilità mostrate durante l’addestramento. Un processo di selezione meritevole, affermavano gli 8 consiglieri che componevano la corporazione 1. Meritevole o no, Eileen non poteva farne parte. Era un pensiero che la ossessionava giorno e notte: non poter contribuire in nessun modo la faceva sentire inutile.

“Eileen, in cosa consiste la prima prova?”

Le sussurrò all’orecchio Mala, ridestandola dai suoi pensieri. La guardò e la scoprì nuovamente preoccupata. Prima che potesse risponderle, Adamo fermò il gruppo e annunciò:

“Siamo arrivati. Da qui in poi verrete sottoposti alla prima prova. Inizieremo con qualcosa di semplice, giusto per scaldarci un po’. Dovrete cercare nel raggio di 1 km alcune piante riportate su questi fogli,”

uno dei ragazzi distribuiva agli altri volantini colorati, mentre Adamo continuava il suo discorso:

“E dovete essere in grado di distinguere quali di queste sono commestibili. È fondamentale per un lupo riconoscere quali di queste piante ci mantiene in vita per giorni. Avete di tempo tutta la giornata.”

Mala fissava il capobranco attentamente, come se cercasse sul suo viso la soluzione alla prima prova. Eileen notò un certo nervosismo diffondersi all’interno del gruppo, soprattutto quando Adamo aggiunse:

“Naturalmente siete un branco, potete collaborare tra di voi, ma se volete meritare un posto nella corporazione 4, dovrete mostrare le vostre abilità, individualmente.

Un brusio si levò dal gruppo e alcuni iniziarono a guardarsi con sospetto, non più come compagni, ma come avversari. Mala fissò Eileen visibilmente confusa. Alcuni novelli iniziarono ad allontanarsi con i volantini in mano, e pian piano la maggior parte delle persone si disperse nella foresta.
Eileen toccò delicatamente il braccio della ragazza e le fece cenno di seguirla. Dopo vari tentativi di scrollarsi l’ansia di dosso, Mala optò per un sorriso forzato:

“Beh, se ci pensi poteva andare peggio. O meglio, poteva andarmi peggio. Alla fine, io ho te, e tu hai me. Ti avviso che faccio schifo con le piante, a malapena riesco a distinguere le erbe buone dalle erbacce.”

Il nervosismo aveva creato una diversa reazione in lei: se prima l’aveva resa silenziosa, ora non smetteva di parlare. Ad Eileen non dispiaceva ascoltarla, dato che solitamente trascorreva le sue giornate in solitudine.
Una pianta riportata nel volantino attirò subito la sua attenzione. Tirò Mala per il braccio ed entrambe si accovacciarono per osservarla più da vicino. Eileen mostrò alla ragazza come la pianta del volantino coincidesse con quella ai loro piedi.

“Cavolo, ma sei un genio! Non l’avevo per niente notata, nella foto sembra più grande rispetto a quella reale. Quindi il suo nome sarebbe Martarole?”

Annuì brevemente e la invitai a leggere la didascalia sotto l’immagine. Nonostante non fosse pienamente interessata alla materia, Mala era una persona sveglia ed intelligente. Non ci aveva trascorso molto tempo insieme, ma poteva percepirlo.
La ragazza scoprì l’altra ad osservarla e le chiese con scioltezza:

“A cosa stai pensando? Non puoi parlare, ma i tuoi occhi lo fanno per te. Magari per agevolare la comunicazione sarebbe meglio che mi insegnassi alcuni segni di base. Che ne dici?”

Un sorriso comparve spontaneamente sulle labbra di Eileen. Nessuno, oltre sua madre e Bentlam, si era mai preso la briga di imparare per comunicare con lei.
“Magari iniziamo con qualche frase di base. Come si dice ‘Come stai?’ oppure ‘Mi aiuti a non fare figure di merda’?”

Le due ragazze si guardarono con un sorriso complice e si godettero quel breve momento di spensieratezza. Eileen raccolse velocemente la pianta da terra e la ripose nella piccola tracolla che portava sempre con sé. Si rivolse all’amica insegnandole strada facendo come segnare frasi basilari. Di tanto in tanto, si fermavano per osservare e raccogliere altre piante presenti sul volantino.
Il sole era alto in cielo, metà giornata era volata via. Mala non sembrò preoccuparsene e si sedette all’ombra di un abete.

“Sono stravolta, ho veramente bisogno di riposare. Magari potremmo cercare di capire quale di queste erbe è commestibile. Certo, preferirei cacciare animali piuttosto che trasformarmi in un erbivoro, però la vita non è sempre giusta.”

Scrollò le spalle e aspettò pazientemente una rispota. Eileen prese il volantino e indicò le piante, subito dopo segnò la parola lupo e puntò l’indice al proprio naso.

“Aspetta, ho capito! Dobbiamo trasformarci in lupo, giusto? Come ho fatto a non arrivarci prima? È il fiuto la risposta a questo indovinello.”

Presa dall’eccitazione, Mala si alzò di scatto e la abbracciò rischiando di farle perdere l’equilibrio.

“Ce l’abbiamo fatta!” Continuava a ripetere, nel silenzio della foresta.

Ad un tratto, una voce interruppe il suo momento di gloria: “Ce l’avete fatta a fare cosa? Perché non condividete le vostre scoperte con il branco?”

Un gruppo di tre novelli si avvicinò gradualmente alle due ragazze. Si sciolsero bruscamente dall’abbraccio e Mala, senza pensarci due volte, spinse dietro di sé l’amica. La sua risposta secca non si fece attendere:

“Qual è il vostro problema? Si può collaborare, ma non si è costretti a farlo. Alla fine, come ben sapete, saremo valutati per le nostre abilità individuali.”

Cercare di minacciarli e tenerli a distanza era inutile: in pochi secondi le avevano già circondate. Eileen guardò in faccia i nuovi arrivati e cercò di capire se effettivamente costituissero una minaccia per la loro incolumità. Mala non aveva ancora mutato forma, ma i peli ritti sul collo e sulle braccia dimostravano che era pronta a farlo. Il fiuto dell’amica la diceva lunga su quali fossero le sue abilità, per questo Eileen decise di affidarsi al suo istinto. Sfilò il coltello dallo stivale, cercando di risultare il più discreta possibile. Purtroppo, uno dei tre la teneva d’occhio da un po’.

“Cosa hai intenzione di fare con quel coltello? Siamo un branco, non ha senso attaccarci. Vogliamo solo sapere cosa avete scoperto, è poi vi lasceremo andare. Lo giuriamo.” Alzò le mani in segno di resa e subito dopo, tutti e tre risero all’unisono.

Mala, indietreggiando, continuò ad utilizzare il suo corpo come scudo, mantenendo però lo sguardo fisso verso i novelli. Era in attesa del momento giusto.

“Al mio tre, scappa sull’albero, io li terrò a bada”, sussurrò la ragazza alle sue spalle. Eileen ammirava il suo coraggio, 3 contro 1 rappresentava chiaramente uno scontro squilibrato. Se non avesse contribuito in qualche modo, Mala non ce l’avrebbe fatta.
Però lei non era coraggiosa come suo padre, non poteva trasformarsi in lupo, avrebbe creato più problemi che altro.

“TRE!”

Eileen non ebbe il tempo di pensare e iniziò a correre verso l’albero alle sue spalle. Un forte rumore di ossa attirò la sua attenzione, l’esitazione le costò cara. Qualcuno la tirò per la sciarpa, facendole perdere l’equilibrio. Cercò di rimettersi in piedi, ma una mano la afferrò per la collottola, spingendola sull’erba. Il ragazzo che aveva notato il suo coltello qualche secondo prima, la teneva inchiodata a terra.

Il coltello! Se n’era quasi dimenticata.

La forza della disperazione si impadronì della sua mano: conficcò l’arma nella coscia destra dell’aggressore, peggiorando la situazione. L’urlo di dolore attirò l’attenzione degli altri lupi e portò l’aggressore a reagire con maggiore violenza. Eileen non riuscì a schivare lo schiaffo e neanche quello successivo. Il dolore le offuscò la vista.

D’un tratto il peso che la teneva inchiodata a terra, scomparve. Riuscì a malapena ad aprire gli occhi. Un lupo dal pelo chiaro si era avventato sul suo aggressore. Gli altri due novelli, mutati in lupo, cercarono di raggiungere il loro amico, zoppicando. Riconobbi nella mia nuova amica la mia salvatrice. Eileen cercò le forze per rialzarsi, ma i colpi sul viso l’avevano stordita tanto da disorientarla.
Prima che la situazione degenerasse ulteriormente, comparvero altri lupi che intervennero cercando di dividere i due avversari. Dopo vari tentativi, Mala e i due novelli furono costretti a ritornare nella loro forma umana.

“Quella bestia lì stesa per terra mi ha conficcato un coltello nella coscia!”

Gridava a squarciagola l’aggressore di Eileen, indicandola. Mala, piena di ferite sulle braccia e sul viso, ringhiò e provò ad aggredirlo nuovamente, ma alcuni intervennero per trattenerla.

“Cosa succede qui?”, tuonò Adamo. “Avete il coraggio di azzuffarvi durante un addestramento? Bene, ritorniamo al Foro e vediamo se dopo avrete la forza di combattere ancora.”

Nessuno fiatò. I tre novelli guardarono le due ragazze in cagnesco e si incamminarono di malavoglia, seguiti dagli altri lupi. Mala cercò di raggiungere Eileen, ma un uomo intervenuto nello scontro, più anziano rispetto agli altri, le stringeva il braccio in una morsa ferrea, impedendole qualsiasi movimento. Cercò di divincolarsi invano. Lo fulminò con lo sguardo, ma il volto spigoloso dell’uomo rimase impassibile.

Eileen si rialzò lentamente e appoggiò la testa all’albero. Inspirare, espirare. Cercò di riprendere fiato e di evitare un ennesimo capogiro. Percepì qualcosa di caldo sulle labbra e cercò di asciugarselo con il dorso della mano. Sangue. Per fortuna, non era una persona facilmente impressionabile. Aveva provato di peggio.   
Uno dei novelli alto, con i capelli castani ondulati, le si avvicinò porgendole dell’acqua. Non si accorse di quanto ne avesse bisogno, finché non la trangugiò tutta. Eileen lo ringraziò con un cenno della testa. Il ragazzo le porse la mano e con delicatezza l’aiutò ad alzarsi. Un altro capogiro la costrinse ad aggrapparsi saldamente al sostegno offerto.

“Ti senti bene? Riesci a camminare?” un’espressione genuinamente preoccupata comparve sul suo volto.

“Noah, vedi che non può risponderti, è muta. Sembra ridotta abbastanza male, è così bianca che sembra stia per svenire” intervenne una ragazza alta e castana.

“Grazie Gil, non sei per niente d’aiuto” rispose sarcasticamente Noah “dammi una mano, dobbiamo cercare di stare al passo con il gruppo.”

Altre due mani aiutarono Eileen a stabilizzarsi. Nonostante fosse stordita, fu in grado di percepire il braccio di Noah intorno alla sua vita stringere in una morsa salda, facendo aderire parte dei loro corpi. Era chiaro che non fosse un gesto con secondi fini, ma sebbene fosse una giornata gelida, Eileen arrossì. Nessun ragazzo le era mai stato così vicino. Nella sua testa iniziò a pregare che non percepisse l’aumentare dei suoi battiti cardiaci.

“L’avete sentito anche voi?” intervenne nuovamente Gil, con atteggiamento circospetto.

“Sentito cosa?” risposero due novelli alle sue spalle.

“Sbrighiamoci, o Adam ce la farà pagare” sbuffò Noah, stringendo maggiormente la presa.





Spero che la storia vi stia piacendo, fatemi sapere!

Helen 

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Capitolo 4
*** L'incontro ***


Una volta che il dolore si attenuò, Eileen ringraziò i due ragazzi con un sorriso e iniziò a camminare autonomamente. Era estremamente preoccupata per Mala.

Cosa le avrebbero fatto? Che punizione le avrebbero inferto? Doveva aiutarla in qualche modo, testimoniando a suo favore. Come avrebbe fatto a comunicare la sua versione dei fatti?


Maledetta voce!

Il nervosismo acuì il dolore alla testa e l’ansia le mozzò il respiro. Inspirare, espirare. Si portò istintivamente le mani alla gola. Il collo solitamente circondato dalla sciarpa, era leggermente scoperto, lasciando intravedere le sue cicatrici.

Probabilmente sarà successo durante lo scontro, pensò Eileen, mentre aggiustava l’indumento intorno al collo.

Ad un tratto, sussultò, bloccandosi bruscamente.

E la collana?

Il piccolo campanello che solitamente le arrivava all’altezza dello sterno, era scomparso. Gli altri novelli la guardarono incuriositi, ma continuarono a proseguire verso il Foro.

“Ehi!” le gridò Noah invitandola a camminare con un cenno della testa. Eileen rispose a gesti, spronandolo ad andare avanti senza di lei. Gli sorrise frettolosamente e tornò indietro. Provò ad aumentare la sua andatura, ma la testa le faceva troppo male. La foresta era la sua casa, la conosceva come il palmo della sua mano. Tuttavia, mancavano poche ore al tramonto e non era per niente saggio vagare di notte.

Sicuramente avrò perso la collana durante lo scontro, rifletté nuovamente Eileen.

Era necessario che ritornasse sul posto e l’avrebbe certamente ritrovata lì, tra l’erba. Cercò di infondersi coraggio e pensare positivo. Dosi di puro ottimismo.
Camminare contro il vento gelido e impetuoso fu più difficile del previsto. Il labbro e la testa le dolevano, ma non poteva mollare. La collana era un regalo di sua madre, doveva ritrovarla. Gli occhi iniziarono a inumidirsi, complici il vento e la stanchezza. Guardò il cielo, cercando di trattenere le lacrime.

Ce l’avrebbe fatta.

Una volta arrivata nel luogo desiderato, si diresse verso l’abete vicino al quale era stata aggredita. Poco prima, era stato testimone dell’abbraccio con la sua nuova amica.

Le cose cambiano così in fretta, rifletté tristemente.

Eileen cercò di non pensarci e si mise alla ricerca dell’oggetto perduto. Perlustrò la zona più volte, nessuna traccia della collana. La frustrazione, il dolore e l’ansia accumulati durante il giorno sgorgarono come un fiume in piena.

Voleva urlare.

Un’esigenza viscerale la portò a spalancare la bocca, ma non riuscì ad emettere nessun suono. Le lacrime continuavano a scendere silenziosamente sul viso, ricongiungendosi sotto il mento. Ormai senza forze, si sedette ai piedi dell’albero e appoggiò la testa al tronco, chiudendo momentaneamente gli occhi.

Non è la fine del mondo, troverò un’altra collana, cercava di convincersi.

Nel silenzio della foresta, un rumore attirò la sua l’attenzione, inducendola a riaprire bruscamente gli occhi.

Un lupo dal pelo lungo e nero, a qualche metro di distanza, la fissava. Gli occhi gialli erano incatenati ai suoi: non riusciva a distogliere lo sguardo.
Il suono di un campanello interruppe il contatto visivo: dal muso dell’animale spuntava la sua collana! Eileen non riusciva a muoversi, non era in grado di comunicare con i suoi muscoli. La sua mente era totalmente concentrata su quel lupo e sull’oggetto ritrovato.

Quando l’animale iniziò ad avanzare verso di lei, Eileen ricominciò a pensare razionalmente.

L’unica via d’uscita è l’albero alle mie spalle. Non serve essere una perfetta scalatrice, ce la posso fare. Non aveva messo in conto che i muscoli sembravano non voler rispondere ai suoi comandi.

Anche in questo caso, l’esitazione le costò cara: il lupo si avvicinò a lei fino a sfiorarle le ginocchia con il naso. Eileen non era più in grado di reggere il suo sguardo, trattenne il respiro e chiuse gli occhi, sperando di sfuggire a quella situazione. 12 anni prima, aveva sostenuto lo sguardo del suo aggressore fino alla fine. Questa volta, non ce l’avrebbe fatta.

Scampare alla morte due volte è troppo, anche per lei.

La collana le cadde sul grembo e il campanello smise di risuonare. Le mani ancorate al terreno, stringevano l’erba. Non si azzardò a riaprire gli occhi, percepiva il fiato del lupo a pochi centimetri dal suo viso. Il pelo morbido le solleticava le ginocchia. Ferma come una statua, con il cuore in gola, aspettava che si allontanasse.

O la azzannasse.

I secondi passavano e il lupo non sembrava intenzionato a spostarsi. D’un tratto, qualcosa di caldo e umido toccò il suo viso.

Il lupo la stava leccando.

Eileen lo realizzò qualche secondo dopo, incredula. L’animale continuò ad esplorare minuziosamente ogni angolo della sua faccia, indugiando sulla scia lasciata dalle lacrime fino alla ferita sul labbro. Di colpo, trasalì per il dolore e il lupo interruppe bruscamente la sua esplorazione.
Dopo qualche secondo, Eileen acquistò coraggio e riaprì gli occhi.

Il lupo era scomparso.

 

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Capitolo 5
*** Conseguenze ***


Eileen non riusciva ad addormentarsi. Continuava a rigirarsi nel letto come una trottola. Non era ancora riuscita ad assimilare gli eventi della giornata. Sì, aveva sicuramente trovato un’amica. Un’amica che era finita nei guai, guai seri. Era probabile che venisse esclusa dall’addestramento. Domani la corporazione 1 avrebbe deciso cosa farne di lei e degli altri tre novelli.
Eileen, invece, aveva già ricevuto la punizione che “le spettava”: doveva rimanere lontano dal Foro per due settimane. Questo perché era stata etichettata come un “pericolo”.

Uno dei suoi peggiori incubi si era avverato.

Probabilmente Adamo aveva creduto alla versione dei tre novelli, senza chiedere ad Eileen di esporre la propria. Questo in parte la rattristava, ma la preoccupazione per Mala prevaleva rispetto al suo orgoglio ferito.

Poteva fare qualcosa per rimediare?

Le era stato chiesto di non avvicinarsi al Foro e di conseguenza, anche allo stesso capobranco. Il giorno dopo si sarebbe potuta rivolgere a Bentlam per chiederle consiglio. L’avrebbe sicuramente supportata.

Ricorrere all’aiuto di mamma sarebbe un suicidio, rifletté ripensando alla preoccupazione dipinta nei suoi occhi dopo averle raccontato gli eventi della giornata. E non le aveva detto niente riguardo l’incontro con il lupo dagli occhi gialli.

Che occhi.

Impossibili da dimenticare. Qualcosa l’aveva spinta a rimanere ferma, a non reagire. La voglia di sopravvivere avrebbe dovuto prevalere e invece, niente. Era rimasta lì, alla sua mercé. Qualcosa le aveva suggerito di rimanere ferma. C’era qualcosa che non andava in lei: nei confronti del lupo, piuttosto che paura, provava curiosità.

Chi era? Cosa ci faceva lì? Era un randagio o faceva parte di qualche clan? E soprattutto, perché le aveva restituito la collana? Perché le aveva leccato il viso?

Eileen sospirò profondamente. Si strofinò gli occhi. Era stanca, ma non riusciva a dormire. In punta di piedi, si avvicinò alla finestra e cercò consolazione osservando la luna. Piccola e luminosa, così lontana.
Un coro di ululati squarciò il silenzio della notte. Chiuse gli occhi e si godette quella melodia malinconica. Eppure, rispetto alle altre volte, non percepiva solo tristezza e perdita per un dolore passato. Un pizzicore nello stomaco, come una piccola scintilla, richiedeva la sua attenzione.

Potrebbe essere il segnale che aspetto da anni, realizzò con trepidazione.

Provò a concentrarsi su quella sensazione, ma pochi secondi dopo, svanì. All’improvviso, veloce com’era arrivata, la speranza se ne andò, lasciando un’ennesima delusione.
Eileen tornò nel letto, stanca degli ultimi eventi, dei pensieri, delle preoccupazioni e delle speranze vane. Si toccò la ferita sul labbro. Non provava più dolore.

L’immagine del lupo dagli occhi gialli la accompagnò finché non cadde nell’oblio.
 
Il giorno dopo

Eileen si finse addormentata per evitare di affrontare nuovamente sua madre. Sapeva che non avrebbe condiviso i suoi piani per rimediare all’accaduto, quindi non le restava che agire di nascosto.

La donna si affacciò più volte alla porta della camera e alla fine si rassegnò. Raccolse il materiale utile per le sue lezioni e uscì di casa. Essere un’insegnante nel branco era un grande privilegio, ma allo stesso tempo una grande responsabilità. Far parte della corporazione 3 significava insegnare ai lupi giovani come sopravvivere e come affrontare al meglio l’addestramento. La mamma di Eileen era una delle migliori insegnanti in circolazione, dedicava al lavoro anima e corpo. Dopo la morte del marito, insegnare era diventato il suo rifugio, la sua vera realizzazione.
Ed Eileen lo sapeva, lo sentiva.

All’improvviso un rumore alla finestra attirò la sua attenzione. Lentamente scese dal letto. Si avvicinò al vetro e scorse immediatamente il volto di Mala.

Cosa ci faceva lì? pensò sorpresa.

Un sorriso luminoso e un gesto con la mano la incoraggiarono a raggiungerla. Non se lo fece ripetere due volte: indossò i primi vestiti che trovò sulla sedia, tra cui la fatidica sciarpa verde. Afferrò la collana di sua madre e si catapultò giù dalle scale.

Devo ammettere che sei abbastanza veloce” affermò sorridendo Mala.

Eileen le corse incontro, fermandosi a pochi centimetri di distanza. Le ispezionò velocemente le braccia, il viso e parte del corpo in cerca di ferite.

“Ehi! Ma cosa stai facendo? La mia pelle è molto più dura di quella che sembra. Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco.”

Era vero: le ferite del giorno precedente erano quasi del tutto scomparse. Soddisfatta, Eileen le segnò: “Come stai?”

“Potrebbe andare meglio. In realtà, non ho molto tempo. Sono riuscita a scappare momentaneamente dal mio carceriere. Sono quasi pronta ad ammettere che preferisco essere espulsa dall’addestramento piuttosto che passare altri cinque minuti insieme a lui.” Mala aveva i nervi a fior di pelle.

“Probabilmente se non verrò eliminata, sarò sospesa per qualche settimana e verrò sorvegliata da Muso Lungo 24 ore su 24.”

Muso Lungo?  

L’espressione interrogativa sul volto di Eileen valse più di mille parole.

“Dallo scontro nella foresta, quell’uomo non mi dà un attimo di tregua. E invece tu come stai? Ti ho cercata al Foro, ma non c’eri. Un certo Noah mi ha detto che sei tornata indietro. Come mai?”

Eileen si trovò davanti ad un bivio.
Era saggio raccontarle l’accaduto? Poteva fidarsi di lei? Si conoscevano da poco tempo, eppure le aveva già salvato la vita.

Indicò la sua collana e le segnò: “Dovevo ritrovarla”.

Optò per una mezza verità. Le avrebbe potuto descrivere il suo incontro bizzarro con il lupo un’altra volta.

Mala la fissò per pochi secondi e poi abbassò lo sguardo sul campanello. Sfiorandolo con l’indice, le disse:

“In realtà avrei mille domande da farti, ma il tempo non è dalla nostra parte. Probabilmente Muso Lungo sarà già sulle mie tracce. Mi ha fatto piacere rivederti e sapere che sei integra. Cercherò di passare a trovarti anche domani.”

Ad Eileen non sfuggì una nota triste nella sua voce. Le era impossibile rimanere indifferente davanti al dolore dell’amica. Intercettò la mano vicino al suo campanello e la strinse forte. Mala rispose con un sorriso e subito dopo, sparì nella foresta.  

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Capitolo 6
*** Agire ***


Un brivido di freddo fece tremare Eileen. Il tempo non prometteva nulla di buono.

Già da qualche ora, sulla cima di un abete, il vento gelido le scompigliava i capelli. Seduta su un tronco, era intenta a gustare un frutto raccolto strada facendo. Era inoltre soddisfatta di aver trovato nuove piante da aggiungere alla sua collezione personale.

Attendeva il momento giusto per raggiungere Bentlam e chiederle consiglio. Il pensiero di non potersi avvicinare al Foro, la rattristava. Per fortuna, aveva la possibilità di vagare per la foresta.

La sua vera casa.

Nonostante si trovasse lontana, riuscì a captare la voce di alcune persone, in prossimità del suo albero. La loro età non lasciava dubbi: facevano parte del gruppo dei novelli.

“Odio questa prova. È stupida ed insensata. Se siamo dei carnivori, dovremmo cibarci solo di animali”, iniziò a lamentarsi il più alto di loro.

“Dai, non è la fine del mondo. Dobbiamo trovare un modo per capire quali sono velenose e quali no”, suggerì l’unica ragazza presente.

“Perfetto, allora chi si propone come cavia?” chiese lo spilungone.

Eileen scosse la testa: non credeva alle proprie orecchie. Non avrebbero fatto niente di così stupido, vero?

“Harry, tu sei il migliore di tutti noi. Hai un istinto infallibile, sono sicura che riuscirai a distinguere quale di queste sono velenose”, disse la ragazza incoraggiando il più muscoloso tra tutti.

“Va bene, però sappiate che mi prenderò io tutti i meriti quando andremo da Adamo”, affermò tirando fuori dalla tasca alcune foglie di Martarole.

Nella mente di Eileen il disastro era già avvenuto: senza pensarci due volte, saltò dall’albero atterrando sulle gambe.

Ah! Gridò internamente: era probabile che si fosse slogata una caviglia.

Cercò di rialzarsi il più rapidamente possibile, purtroppo, però, non fu abbastanza veloce.
Il ragazzo muscoloso aveva già buttato giù le foglie di Martarole, sotto gli occhi dei suoi compagni. Erano così presi dal momento che non si erano accorti dell’arrivo di Eileen.

Quando la loro attenzione finalmente si focalizzò sulla nuova arrivata, il ragazzo che aveva ingerito la pianta, crollò a terra, a peso morto.
Eileen si precipitò immediatamente al fianco del corpo privo di sensi. Controllò i batti cardiaci. Erano deboli. Doveva agire subito.

“Oddio! Cosa gli è successo? È morto?!”, gridò la ragazza coprendosi la bocca.

“Chi è lei? Un dottore?” chiese lo spilungone.

Eileen cercò di non farsi distrarre dalle voci intorno a lei. Doveva ricordare la procedura, senza dimenticare nessun passaggio. Peccato che tutte le sue nozioni fossero essenzialmente teoriche. Aveva sempre osservato Bentlam agire, ma non lo aveva mai fatto in prima persona.

L’esitazione era il suo punto debole, ne era cosciente. Non poteva esserlo ora.

Doveva agire.

Isolandosi totalmente, si tolse la sciarpa e la legò stretta intorno ad entrambe le gambe del corpo. Se non avesse agito subito, sarebbe rimasto paralizzato a vita.
Uscì il coltello dallo stivale destro e tagliò la stoffa dei pantaloni per avere accesso alla pelle. Ora doveva incidere dei piccoli tagli su entrambe le gambe e succhiare il veleno con la bocca.

“Dobbiamo chiamare qualcuno! Lei è la ragazza che è stata allontanata dal Foro, potrebbe ucciderlo, avete visto come ha ridotto Gun”, affermò la ragazza sull’orlo delle lacrime.

“Vado a cercare qualcuno”, rispose lo spilungone, allontanandosi.

Eileen iniziò a succhiare il veleno dai tagli e a sputarlo ripetutamente nell’erba.

Ti prego, svegliati, svegliati.

La ragazza si accovacciò vicino al viso del ragazzo muscoloso e iniziò a piangere.

“Cosa gli stai facendo?! Se lo uccidi, dovrai pagarne le conseguenze!”

Eileen continuò il suo compito, senza indugiare. Era troppo concentrata per reagire alle minacce ricevute.
Il corpo privo di sensi iniziò a muoversi, gli occhi si riaprirono.

“Harry! Oddio, Harry!”, la ragazza strinse al petto il viso del ragazzo, ancora disorientato.

Eileen sospirò, stanca come se avesse corso una maratona. La tensione e l’adrenalina le scorrevano nelle vene. Prima di rialzarsi, si assicurò subito che il battito cardiaco fosse regolare e poi applicò alle ferite delle foglie di Cusca per farle cicatrizzare. Per fortuna che portava sempre con sé la sua piccola tracolla.

Si asciugò velocemente le labbra macchiate di sangue e si allontanò di corsa dalla coppia.
 
Qualche ora dopo

Addentrarsi ancora di più nella foresta, era stata una pessima idea. Soprattutto con una caviglia slogata.

Presa dall’ansia era corsa via, come una codarda. Il ragazzo muscoloso si era ripreso, ma Eileen aveva paura delle ennesime ripercussioni legate alle sue azioni. Cercare di salvarlo le era venuto così spontaneo che non ci aveva pensato due volte.

E se il branco l’avesse accusata di aver agito senza avere uno straccio di esperienza? E se gli avesse procurato ulteriori danni involontariamente?

Mille altre domande le affollavano la mente, mentre camminava sotto la pioggia e il vento gelido le faceva rizzare i peli. L’adrenalina era quasi esaurita, sostituita da una forte emicrania. La caviglia non le dava pace.

Zoppicando si mise alla ricerca di un rifugio dalla tempesta in arrivo, ma nei paraggi c’erano solo alberi.
Per fortuna, poco più in là, scorse una piccola grotta. Una volta all’interno, si sedette a terra. Aveva i capelli e i vestiti zuppi, i denti battevano ininterrottamente: il freddo era penetrato fino alle ossa.

Ripensò alla sua sciarpa verde che aveva abbandonato, alla sua morbidezza, al suo calore. Probabilmente stava impazzendo.
Chiuse gli occhi e provò a controllare i brividi. Invano.

Pensa al calore della sciarpa verde. Pensa a qualcosa di positivo. Pensa agli occhi gialli del tuo lupo.

Il ricordo sembrò scaldarla. Era letteralmente impazzita.  
Ad un tratto, percepì una fonte di calore nelle vicinanze.

Era frutto della sua immaginazione?

Le allucinazioni erano frequenti nelle sue condizioni. A dirla tutta, non le dispiaceva rifugiarsi in quel calore, reale o meno, non aveva importanza.
Il primo istinto fu quello di cullarsi in quel sollievo. Non le interessava la fonte, si aggrappò al calore, alla vita.

Voleva vivere.

Però era così difficile vivere. Aveva esaurito le forze.

Buio totale.


Ringrazio chi ha recensito la mia storia, mi spingono a dare il meglio! Fatemi sapere cosa ne pensate. 

Helen

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Capitolo 7
*** Curiosità ***


Appena Eileen riprese coscienza, percepì subito l’estraneità del luogo in cui si trovava. A partire dagli odori intorno a lei: c’era qualcuno nella stanza, lo sentiva.

Cercò di non agitarsi dando all’occhio. Il posto non era molto illuminato: l’unica fonte di luce era rappresentata da un piccolo braciere non molto distante da lei. Dopo aver sofferto il freddo, il calore le trasmetteva un certo sollievo.

Aspetta un momento: i vestiti zuppi erano spariti, sostituiti da una lunga tunica bianca.

Chi le aveva cambiato i vestiti?

Eileen non ebbe il tempo di arrossire, l’ansia e la paura presero il sopravvento. Allungò la mano per cercare il coltello nello stivale, ma notò poco dopo di avere i piedi nudi.

“Cercavi questo?” chiese una voce maschile.

Cazzo!

Non poteva rimanere stesa un minuto di più, si sedette di scatto e si guardò intorno per capire chi avesse parlato. La testa e la caviglia le dolevano terribilmente.

“Non dovresti alzarti così bruscamente. Devi ancora recuperare le forze” affermò la voce dolcemente, ma con fermezza.

La raccomandazione sembrò calmarla, nonostante ciò, non abbassò la guardia. Cercò di mettere a fuoco l’unica figura presente nella stanza, ma ci riuscì solo quando fu lei stessa a farsi avanti, lasciandosi illuminare dal braciere.

Davanti a lei aveva un vero e proprio esemplare di uomo. Non poteva neanche essere catalogato come un ragazzo, non competeva nella stessa categoria.
Era alto, non troppo muscoloso e con la pelle abbronzata. I capelli neri legati con una piccola corda, mettevano in risalto il suo viso: gli occhi a mandorla, gli zigomi alti e le labbra sottili. Un piccolo particolare attirò l’attenzione di Eileen, nonostante la luce fioca: all’estremità dell’occhio sinistro faceva capolino un piccolo neo. Non era neanche così grande, ma lei lo aveva notato.

“Mi sento leggermente osservato”, notò l’uomo accennando un sorriso.

Eileen arrossì, ma non abbassò lo sguardo. Gli occhi gialli erano fissi nei suoi e finalmente riconobbe in lui il lupo che le aveva restituito la collana. Guardandogli meglio, si rese conto che descriverli come gialli era riduttivo.

Erano color miele.

“Non sai quanto vorrei leggerti nel pensiero in questo momento”, l’uomo interruppe nuovamente il suo flusso di pensieri.

Ritornando alla realtà, Eileen si rese conto che aveva diverse domande da porgli, ma non sapeva come fare. Si toccò istintivamente le cicatrici alla gola, notando di averle esposte.

“Cosa ti è successo? Non puoi parlare, vero?” intuì lui, avvicinandosi di qualche passo.

Eileen si alzò di scatto, cercando di ristabilire una certa distanza tra loro, dimenticandosi però della caviglia slogata. Il dolore lancinante le fece perdere l’equilibrio. Prima di farsi male ulteriormente, due braccia solide e calde la sostennero, impedendole di cadere.
Muoversi produsse l’effetto opposto a quello sperato: il viso dell’uomo si trovava a pochi centimetri da quello di Eileen, facendole aumentare i battiti cardiaci. Il braccio sinistro le cingeva la vita, mentre la mano destra era ancorata saldamente al suo braccio.

“Ti ripeto: non dovresti alzarti in questo modo. Inoltre, dopo averti fasciato la caviglia, il minimo che potresti fare è stare calma e riposarti”, sussurrò divertito guardandola negli occhi.

Eileen continuava a fissarlo: avrebbe dovuto essere spaventata, invece era incuriosita. Stargli così vicina la agitava e rilassava allo stesso tempo. Un profumo di miele misto a spezie le riempiva le narici, stordendola.
L’uomo la osservava intensamente, come se fosse indispensabile non perderla d’occhio. La mano destra ancorata al suo braccio, si spostò lentamente, sfiorandole con i polpastrelli le cicatrici sul collo.

Eileen trattenne il respiro, attendendo in silenzio. Come le era successo precedentemente nella foresta, davanti ai suoi occhi gialli non riusciva a muoversi, a reagire.

“Mi dispiace, deve averti fatto veramente male”, un’espressione triste e pensierosa comparve sul suo volto.

Provava empatia nei suoi confronti? 


Era l’unica spiegazione possibile dato che non la conosceva.
Aveva difficoltà a decifrare lui e se stessa. Si sentiva tradita dalle sue stesse emozioni. Provare a razionalizzarle era inutile.

Persa nei suoi pensieri, non si accorse che dopo essersi inumidito il pollice con la lingua, l’uomo dagli occhi color miele, stava cercando di rimuovere il sangue incrostato dalle sue labbra.

La stava leccando, di nuovo.

Un contatto così intimo la fece arrossire violentemente, fino alla punta delle orecchie.

“Sono sicuro che non sia il tuo sangue, ho controllato: non hai nessuna ferita oltre la caviglia slogata”, sussurrò soddisfatto.

Eileen cercò di ricomporsi e dare un senso alle sue azioni e alle sue parole.

Stava cercando di sedurla? E poi, l’aveva vista nuda?!

Imbarazzata, intercettò la mano allontanandola e con l’altra ristabilì le distanze tra loro. L’uomo la guardò sorpreso, accennando subito dopo un sorriso. Alzò le mani insegno di resa e affermò:
“Non ti farò del male e come prova della mia buona fede, ti restituisco qualcosa che è tuo”, le porse il coltello che cercava.

Eileen lo prese immediatamente, stringendo l’impugnatura. Quel pugnale era l’unica arma che possedeva, era fondamentale che la custodisse con cura.
Subito dopo indicò la tunica bianca che indossava e cercò di ottenere informazioni riguardo ai suoi vestiti.

“Sono sulla sedia ad asciugare”, disse indicando un angolo della stanza e continuò: “Comunque riesco a comprendere il linguaggio dei segni, dato che mia sorella è sorda, quindi possiamo comunicare senza problemi” sorrise con arroganza.

Era impossibile nascondere la sorpresa sul suo viso, la possibilità di comunicare con una persona aveva un valore inestimabile per lei. Molti davano per scontato la capacità di parlare, di farsi capire. Solo quando perdi qualcosa, ne comprendi il vero valore.

La prima domanda che le venne in mente segnò: “Come ti chiami?”

“Mi chiamo Roman” rispose ad alta voce.

Eileen ripeté più volte il nome nella sua mente e decise che le piaceva.

“E tu, come ti chiami?” chiese Roman appoggiandosi al muro e incrociando le braccia.

Era lì sul punto di rivelargli il proprio nome, quando iniziò a dubitare se fosse la cosa giusta da fare. Rivelare il proprio nome non era sempre una mossa saggia. Soprattutto ad una persona esterna al suo branco. L’uomo sembrò cogliere la sua diffidenza.

“E’ uno scambio equo, se ci pensi. Io ti ho detto come mi chiamo e ora tocca a te svelare la tua identità” affermò con semplicità.

Il suo ragionamento non fa una piega, ma posso fidarmi di lui?

“Mi chiamo Mala”, segnò alla fine. Era sempre stata una grande sostenitrice del detto ‘Fidarsi e bene, non fidarsi è meglio’.

Il sorriso scomparve: non era più divertito. Un’espressione corrucciata fece capolino sul suo viso.

Faceva così schifo come bugiarda?

Non le era dato saperlo, dato che Roman cambiò argomento: “Siediti, ti cambio la fasciatura del piede”, disse indicando con la mano il giaciglio su cui aveva riposato.

Eileen non volle contraddirlo: qualcosa nella sua espressione l’aveva convinta a riporre le armi momentaneamente. Tuttavia, non riusciva a cogliere i suoi sbalzi d’umore, i suoi pensieri.
Si sedette e distese lentamente la gamba. Roman si posizionò di fronte a lei e si concentrò sulla fasciatura, in silenzio.

Perché sentiva l’esigenza di volergli parlare? Vederlo in quelle condizioni, non le piaceva. Quasi si pentiva di avergli mentito.

Le mani di Roman si muovevano con una certa dimestichezza: i movimenti decisi ed esperti non le procuravano nessun dolore. Osservarlo, la ipnotizzava. Era da molto tempo che nessuno si prendeva cura di lei in quel modo.

Per superare l’imbarazzo gli segnò: “Sei un medico?”

Roman non sembrò cogliere il movimento delle mani, oppure fece finta di non notarlo. Eileen ripeté la domanda una seconda e una terza volta, ma l’uomo continuava ad ignorarla.
Non ci pensò due volte e istintivamente si allungò in avanti, gli prese il mento con la mano e lo costrinse ad alzare lo sguardo verso di lei. Due occhi color miele sembravano aver preso fuoco, mentre Eileen ricambiava con uno sguardo ferito.

“Non ti fidi di me e fa male”, affermò lui con tono tagliente, allentando leggermente la tensione tra loro.

“Non ti conosco neanche. Mi trovo in un luogo sconosciuto, con un perfetto estraneo. Potresti farmi quello vuoi. Ho solo uno stupido coltello per difendermi.
Perché pensi che non mi possa fidare di te?”, segnò di fretta, rendendosi conto di non aver mai ‘parlato’ così tanto.

Roman le prese la mano e la tirò verso di sé, avvicinando i loro corpi, ad una manciata di centimetri di distanza.

“Se avessi voluto farti del male, lo avrei già fatto. Che senso ha curarti, cambiarti i vestiti e ridarti il tuo coltello? E poi, ti ricordo che sei giovane, forte e bella. Da lupo potresti tenermi testa senza problemi”, sussurrò guardandola negli occhi, sorridendo nel pronunciare le ultime.

Eileen all’inizio si perse nelle sensazioni che il contatto dei loro corpi le dava, tuttavia, le ultime parole di Roman furono per lei una doccia fredda. Si risvegliò dal tepore che la sua presenza le trasmetteva.

Lui era un lupo, lei no.

L’espressione di Eileen cambiò drasticamente e Roman lo notò all’istante. Si liberò dalla sua presa bruscamente e indietreggiò fino a che non stabilì una nuova distanza tra loro: fisica e psicologica.

“Cosa ho detto? Ti ho offesa in qualche modo?” disse sorpreso, cercando di avvicinarsi a lei.

Eileen gli puntò il coltello contro e con il mento gli intimò di rimanere al suo posto. L’uomo alzò le mani e indietreggiò.
“Va bene, calma, non c’è bisogno di reagire così, possiamo parlarne”, affermò dolcemente.

Era stanca di parlare, la caviglia le doleva e anche la testa. Doveva trovare un modo per uscire di lì. Abbracciò le gambe al petto e appoggiò il mento sulle ginocchia, fissando il braciere. Non era costretta rivolgergli la parola.
Qualcosa le diceva che non aveva intenzione di farle del male, tuttavia, la vita le aveva insegnato a cogliere il pericolo ovunque. Non poteva rischiare.

“Ripeto: non sai quanto vorrei leggerti nel pensiero in questo momento. Anche se so che mi farebbe infuriare” disse sospirando e continuò: “Va bene, non sei costretta a parlare. Per ora.”

Nonostante Eileen evitò di guardarlo, con la coda dell’occhio riuscì a cogliere un sorriso mozzafiato. Molto eloquente.

Lo vedremo.   



Ho cercato di rendere il primo incontro tra Eileen e Roman nel miglior modo possibile. Fatemi sapere cosa ne pensate. Un grazie a chi legge e a chi decide di recensire la storia. 

Helen

 

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Capitolo 8
*** Quotidianità ***


Più tempo passava insieme a Roman e più si rendeva conto dei suoi mille talenti.

Aveva già scoperto che conosceva le nozioni di base di medicina. Le aveva cambiato la fasciatura più volte con mani esperte. E lei se ne intendeva.
Con riluttanza, dovette ammettere che era anche un abile seduttore. Non si era mai sentita così tanto attratta da qualcuno. Tutti i suoi movimenti erano studiati per farla arrossire, per farle accelerare i battiti cardiaci. Se non fosse uscita da quella casa il prima possibile, probabilmente sarebbe morta di crepacuore.
E poi aveva scoperto che era in grado di cucinare. In realtà, non aveva ancora assaggiato nulla, ma l’odore che proveniva dalla pentola, era già un ottimo indizio.

Roman sembrava abbastanza concentrato nella preparazione della pietanza, eppure qualcosa le diceva che era sensibile a qualsiasi suo movimento. Con molta probabilità non si fidava di lei, come lei non si fidava di lui.

La pancia di Eileen brontolò sonoramente, più di quanto avrebbe voluto.

“Almeno il tuo stomaco mi parla e a lui piaccio”, affermò Roman ridendo sotto i baffi.

Maledetto arrogante.  

Eileen sperava si girasse, in modo da poterlo fulminare con lo sguardo, purtroppo però, rimase concentrato sulla pietanza.

Pian piano si stava abituando al silenzio, non la metteva più a disagio come prima. Un osservatore esterno avrebbe descritto quella come una scena di vita quotidiana. Due persone che vivono la stessa quotidianità, come una famiglia.

Famiglia.

Chissà se sua madre era preoccupata per lei. A volte, esagerava nell’esserlo, altre invece, sembrava non ricordarsi neanche di avere una figlia. Il suo comportamento l’aveva ferita in molte occasioni, ma nel tempo ci aveva fatto l’abitudine.
Sicuramente Bentlam avrebbe notato la sua assenza. E forse anche Mala. Se avesse mantenuto la promessa, la mattina dopo si sarebbe recata da lei e non l’avrebbe trovata.

Aveva il presentimento che fosse notte fonda.

Persa nei suoi pensieri, non si rese conto che Roman aveva finito di preparare la cena e che il piatto fumante era proprio davanti a lei.

La possibilità di rifiutare non le sfiorò la mente: aveva troppa fame e doveva recuperare le forze al più presto. La zuppa conteneva dei pezzi di carne che la rendevano ancora più appetitosa.

“Grazie”, segnò a Roman prima di iniziare mangiare. Rispose con un cenno della testa.

Eileen divorò totalmente il cibo e pulì il piatto da cima a fondo.

“Vedo che la mia zuppa ha avuto successo. Ne vuoi altra?” chiese prendendole il piatto dalle mani.

Non ebbe neanche il tempo di rispondere che le porse un nuovo piatto pieno fino all’orlo.

“E tu?” gli segnò preoccupata. Era un uomo grande e grosso, e per di più un lupo notevole, era sicura che non fosse ancora sazio.

“Mi basta guardarti mangiare per saziarmi”, le rispose ammiccando.

Incredibile seduttore.

Pensandoci, però, le aveva ceduto tutta la cena senza rispondere direttamente alla sua domanda. Utilizzava spesso l’ironia per tergiversare.

Non la conosceva, ma le aveva ceduto il pasto.

“Mi chiamo Eileen”, gli segnò dopo aver finito anche il secondo piatto.

Il sorriso che comparve sul viso di Roman accese i suoi occhi color miele, sorprendendola. La sua gentilezza l’aveva spinta a muovere le mani e rivelargli il suo nome: nel profondo, voleva che la conoscesse.

Roman si spostò in avanti, eliminando la distanza tra loro. Le prese la mano e la avvicinò alle labbra. Un bacio soffice e umido che la fece andare su di giri. Fu però il suo sguardo intenso il vero fattore scatenante delle sensazioni che provava. 

Non era mai stata guardata così.

Se l’avesse saputo prima, gli avrebbe rivelato già dall’inizio il suo nome. 
Era totalmente alla sua mercé, come quella volta nella foresta.

“Grazie, Eileen”, le sussurrò. Le piaceva il suo nome sulle sue labbra. E le piacevano anche le sue labbra. Doveva confessarlo.

Il momento magico tra loro si interruppe quando Roman disse: “E’ ora di andare a letto” ed Eileen fu catapultata di nuovo nella realtà.

Il letto era solo uno ed era quello dove si trovava lei in quel momento.

Avrebbero condiviso lo stesso letto?

“Per fortuna che la tua faccia parla da sé, in caso contrario, passerei la vita ad indovinare cosa ti passa per la testa”, rise di gusto e per un attimo Roman apparve più giovane, più spensierato.

Aveva voglia di conoscerlo, di passare tutta la notte a conoscere aneddoti legati alla sua infanzia, alla sua adolescenza. Voleva conoscere il suo passato, la sua famiglia, cosa lo appassionava.

Lei a malapena gli aveva rivelato il suo nome.

Eileen si alzò con fatica, cercando di scaricare il peso sulla caviglia sana. Raggiunse i suoi vestiti già asciutti e decise che voleva indossarli: la facevano sentire più a suo agio.

Si girò verso Roman e gli segnò: “Potresti girarti? Devo cambiarmi.”

“In realtà, non c’è niente che non abbia visto. Però come faccio a dirti di no?”, Eileen uscì il coltello e per poco non dimenticò tutta la gentilezza che le aveva mostrato prima.

“Calma, calma. Non c’è bisogno di reagire così. Ora mi giro e tu ti cambi, va bene?” ritrattò Roman, porgendole le spalle subito dopo.

Cercò di cambiarsi velocemente, ma la caviglia fasciata non glielo permetteva. L’uomo non provò a girarsi neanche una volta, i suoi occhi erano fissi al muro.
In quel momento, era lei curiosa di conoscere il contenuto dei suoi pensieri.

Si avvicinò zoppicando al letto e si sedette al bordo. Fece oscillare leggermente il campanello per permettergli di voltarsi.

Non aveva mai dormito con nessuno prima d’ora. Come ogni cosa che riguardava Roman, era sia agitata che incuriosita allo stesso tempo.

L’uomo si stese dalla parte opposta e attese che lei facesse lo stesso. Seguì il suo esempio, ma cercò di restare più vicina possibile al bordo, rischiando di cadere.

“Qui c’è spazio, avvicinati. Non mordo, o almeno non solitamente”, disse sorridendo sotto i baffi. Eileen lo ignorò e rimase dov’era.

Quando il respiro di Roman divenne regolare, si girò a guardarlo.

Che situazione bizzarra, trovarsi lì con lui. Nonostante sapeva di dover tornare a casa, aveva voglia di fermare il tempo e vivere la quotidianità insieme a lui. Si trattava sicuramente di un pensiero irrazionale, però la sua compagnia le trasmetteva qualcosa. Non sapeva ancora definirla, ma era lì.
Guardò il neo accanto l’occhio sinistro e immaginò di toccarlo con le proprie dita.

Stava delirando, meglio dormire.

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Capitolo 9
*** Sola ***


Non dormiva così bene da secoli. Niente incubi. Niente notte insonne. Si era addormentata più in fretta del previsto, nonostante la situazione in cui si trovasse.
Non riusciva ancora a mettere a fuoco gli eventi della giornata precedente, ma ricordava vagamente qualcosa.

Ansia e preoccupazione non erano emozioni che le appartenevano in quel momento, solo calma e tranquillità. Non aveva né la voglia e né le forze di alzarsi e iniziare una nuova giornata. La pigrizia la assalì.

Si mosse verso sinistra, cercando una posizione migliore. Un movimento attirò la sua attenzione. Un movimento ripetuto e scandito.
Eileen aprì leggermente le palpebre e cercò di mettere a fuoco ciò che l’aveva costretta ad abbandonare il suo sonno ristoratore.
Un pollice che non apparteneva a lei si muoveva sul suo braccio, avanti e indietro, accarezzandola.

Di chi era quella mano?

Gli eventi della giornata precedente le piombarono addosso, facendole riprendere coscienza del luogo in cui si trovava e della persona accanto a lei.

O meglio della persona sotto di lei.

Eileen non era rimasta vicino al bordo come sperava, ma durante la notte si era spostata fino ad invadere lo spazio di Roman. Non solo si era appropriata del letto, ma parte del suo corpo aderiva completamente a quello dell’uomo.

Il braccio sinistro, parte del seno e la gamba sinistra avevano confuso Roman per un materasso. Lui supino non protestava e sembrava essersi abituato alla nuova posizione. Il braccio intrecciato al suo, mentre le dita le accarezzavano una zona sopra il gomito. La gamba sinistra (a cui apparteneva la caviglia slogata) era posata su entrambe quelle di Roman, imprigionandole. Ed infine, la sua testa aveva trovato un posticino sul suo petto, proprio vicino al cuore.

Ironia della sorte.

Eileen non sapeva se sfuggire da quella situazione imbarazzante oppure goderne appieno fino alla fine, fingendo di essere ancora nel mondo dei sogni.

Optò per la seconda.

Quando mai le succedeva di godere del calore di un’altra persona. E non una qualunque. Una persona che iniziava ad “andarle a genio”.

Il movimento costante delle dita sulla sua pelle le facevano venir voglia di rimanere lì, in eterno. Era strano sentirsi al sicuro tra le braccia di un perfetto estraneo. Avrebbe approfondito la questione più in là, ora cercava di godersi il momento.

“Odio interrompere questo momento paradisiaco, ma dovremmo alzarci per andare a caccia.”

A caccia?

L’affermazione di Roman fu per lei una vera e propria doccia fredda. Di nuovo.

Si alzò di colpo e troppo tardi si accorse che Roman stava facendo lo stesso. Sbatté la testa contro il suo mento, provocando dolore ad entrambi.

“Ah!” esclamò lui, accusando il colpo. Eileen d’istinto si girò, non badando al proprio dolore e si trovò faccia a faccia con Roman.

“Tutto bene?” segnò con le mani. Senza aspettare una risposta, gli prese il mento con le mani, accertandosi che fosse integro.

Qualche secondo dopo si rese conto di quanto quel contatto fosse intimo. Non che la posizione in cui si trovavano prima lo fosse meno. Però ora erano a pochi centimetri di distanza, le sue mani sul viso di lui lasciavano presupporre che l’avrebbe baciato.

Roman non rideva, anche lui era del tutto preso dal momento. Non essere l’unica a percepire l’attrazione tra di loro, la faceva sentire meglio. Alla fine, fu lui a muoversi per primo.

Sovrappose la mano a quella di Eileen e dal mento la guidò verso la guancia, strofinando parte del viso sul palmo, come un gatto. O meglio come un lupo. Con gli occhi chiusi, sembrava beato nel suo mondo. Se avesse potuto, probabilmente avrebbe fatto le fusa.  

“Dobbiamo uscire a caccia, oppure non troveremo più niente”, disse Roman dopo aver riaperto gli occhi, senza però, lasciar andare la sua mano.

Eileen ritirò il braccio dalla sua presa e gli segnò velocemente: “Purtroppo ho la caviglia slogata, non posso muovermi.”

Sperò di essere convincente come bugiarda o perlomeno si augurò che attribuisse quel suo comportamento ad altri motivi.

Come aveva fatto in precedenza, Roman continuò a fissarla, cercando una spiegazione sul suo volto. Alla fine, mollò.

“Va bene, immagino tu abbia bisogno di tempo per fidarti di me. Noi siamo lupi, abbiamo un buon olfatto. Se fossi un pericolo per te, lo sentiresti”, affermò con un’espressione indecifrabile.

“Però siamo anche umani e lo rispetto. Io esco, torno tra trenta minuti massimo. Non fare niente di stupido in mia assenza, per favore” disse, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla porta.

Eileen annuì e lo vide uscire.

Era sola.

Avrebbe dovuto sfruttare in qualche modo quel momento?  

Pensò intensamente alle alternative che aveva: scappare era impossibile con una caviglia slogata. Non sapeva dove si trovava esattamente, quindi avventurarsi da sola era una possibilità da escludere. Però poteva perlustrare la zona, cercare di capire la sua posizione e magari memorizzare dei punti di riferimento.

Starsene con le mani in mano non era un’opzione.

Si alzò dal letto, calzò le scarpe, indossò la giacca e la tracolla. La caviglia non le dava pace. Con lentezza si avvicinò alla porta ed uscì.
La luce del sole la accecò. Ebbe bisogno di qualche secondo per abituarsi. Il calore dei raggi era piacevole sulla pelle, perché nonostante la giornata fosse soleggiata, la temperatura continuava ad essere bassa.

Finalmente poté osservare la casa che la aveva ospitata per quei due giorni. Non era molto grande, completamente in legno, era ben nascosta da un fitto boschetto di alberi.

Posizione strategica.

Chissà dove si trovava. Si guardò intorno e zoppicando riuscì a raccogliere un ramo da terra, abbastanza lungo da fungere da stampella.

Non conosceva quella zona, non si trovava all’interno dei confini del suo branco. Questo la preoccupava e non poco. Al di fuori di certi territori, non c’era nessuno che potesse proteggerla. Era in balia di se stessa.

Un brivido di freddo misto a paura le corse su per la schiena.

Cosa poteva fare? Strano ma vero, probabilmente la cosa più intelligente era aspettare che Roman tornasse.

Non poteva trasformarsi, ma il suo istinto funzionava. Lui non aveva intenzione di farle male, ma non sapeva quali fossero i suoi piani. Non lo conosceva per niente.

Un rumore interruppe il flusso dei suoi pensieri. Spostò lo sguardo in più direzioni aspettandosi di veder comparire da un momento all’altro il lupo nero.

Un altro suono attirò la sua attenzione verso nord: si accorse troppo tardi di due i lupi che correvano nella sua direzione.

Con il cuore in gola, Eileen iniziò a zoppicare verso casa, facendo leva sul bastone. La forza della disperazione era il suo carburante, ma era ben cosciente che non aveva speranza.

Da umana con una caviglia slogata, partiva svantaggiata.

Alla fine, smise di scappare, si girò verso i lupi, pronta ad affrontarli.

Non ebbe neanche il tempo di metterli a fuoco che vennero attaccati da un altro lupo. Non uno qualunque. Roman, era corso in suo soccorso, di nuovo.
I due lupi, uno bianco e l’altro nero, risposero all’attacco accerchiandolo.

Aspetta un momento. Ma quel lupo bianco le era familiare.

Mala!

Non ci pensò due volte, zoppicò verso di loro, provando a fermarli. Sperò non fosse troppo tardi.


Buonasera! Grazie mille per le recensioni, mi riempiono di felicità. Un grazie immenso a chi continua a seguire la storia di Eileen e Roman. Siamo solo all'inizio.

Helen

 

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Capitolo 10
*** Tornare ***


Per la prima volta nella sua vita, Eileen voleva ritornare ad essere invisibile. L’aria di tensione che si respirava incominciava ad essere insopportabile.
Se in quei giorni aveva iniziato a considerare la casa di Roman un luogo accogliente, ora era ritornata ad essere una prigione.

Lo scoppiettio del fuoco era l’unico rumore udibile nella stanza. Nessuno si azzardava a parlare.

Eileen alzò lo sguardo e incontrò quello di Roman. Seduto al suo fianco, le fissava preoccupato le ginocchia sbucciate.

Correre con una caviglia slogata era stata un’idea alquanto stupida. Per non parlare poi dell’essere intervenuta nel pieno di uno scontro tra lupi. La caviglia era tornata a dolerle terribilmente e in più si era procurata alcune ferite sulle gambe. Però in compenso, aveva attirato l’attenzione dei tre lupi.

Immediatamente Roman aveva mutato forma. Senza badare alla propria nudità, si era precipitato in suo soccorso. Nonostante le ferite e il dolore, Eileen era stata fin troppo cosciente del corpo di Roman. Non a caso, il suo viso aveva cambiato totalmente colore.

Aveva cercato di respingere il suo aiuto, ma non era riuscita a farlo desistere. L’aveva sollevata di peso, tra le sue braccia e con facilità l’aveva trasportata in casa.

“Quei lupi là fuori, li conosci, vero?” aveva chiesto Roman.

Eileen annuì, nascondendo una smorfia di dolore.

“Aspetta qui, indosso qualcosa e ritorno a medicarti le ferite” le aveva detto, dopo averla posata sul giaciglio su cui avevano dormito.
 
“Eileen?” Mala la richiamò al presente, destandola dai suoi pensieri.

“Stai bene? Ti cerchiamo da ore. Io e Bentlam abbiamo pensato al peggio”, la conosceva da poco, tuttavia, non l’aveva mai vista così angosciata e seria allo stesso tempo.

“Sto bene. Lui mi ha salvata”, segnò lentamente, sperando di essere compresa.

Lo sguardo interrogativo sul volto dell’amica confermò i suoi timori. Il sangue pulsava nelle ferite e la caviglia continuava a farle male.
Provò di nuovo a comunicarle il messaggio, invano. Prima che ci riprovasse l’ennesima volta, una mano grande e calda afferrò le sue, costringendola a voltarsi di lato.

“Traduco io per te, ma poi mi devi promettere che mi darai la possibilità di curarti le ferite”, gli occhi color miele erano fissi nei suoi, implorandola.

Come poteva rifiutare?

“Siamo sicuri che possiamo fidarci di quello che ci dirai?” una voce cavernosa intervenne per la prima volta. Un uomo imponente, sulla trentina, si staccò dal muro e si avvicinò al gruppo, prendendo posto vicino a Mala. Il volto dell’amica non sembrò gradire quella vicinanza, ma non provò a spostarsi.

Eileen finalmente poté vederlo con chiarezza e il volto dell’uomo le parve familiare.

Ma certo! Era nella foresta durante lo scontro con i tre novelli. In quell’occasione, aveva trattenuto Mala per il braccio.

Cosa ci faceva lì?


“Muso Lungo, nessuno ha chiesto la tua opinione. E neanche di accompagnarmi se è per questo”, intervenne l’amica stizzita.

Muso Lungo? Allora si riferiva a lui.

L’uomo non sembrò prenderla bene, tuttavia non replicò. La guardò in cagnesco, ma rimase seduto al suo fianco.

“Non vi mentirò. Eileen è qui, al mio fianco, potrebbe intervenire in qualsiasi momento” disse Roman interrompendo il momento imbarazzante.

Una nota di possessione nella voce dell’uomo aveva attirato la sua attenzione e anche quella dei due lupi. Lo sguardo eloquente di Muso Lungo si spostò da Mala a Roman. Nonostante ciò, continuò a tacere.

“Eileen era ferita e l’ho salvata”, continuò guardando i due ospiti negli occhi. “Ora se non vi dispiace, vorrei medicarle le ferite. Se avete altre domande, dite pure” e subito dopo si alzò alla ricerca del necessario.

“Come ti sei ferita? Sei stata aggredita da un altro dei novelli? Alcuni di loro ci hanno detto che hai salvato Harry. Però ci hanno riferito che subito dopo sei scomparsa nel nulla. Abbiamo perso totalmente le tue tracce” senza prendere fiato, gli occhi ansiosi di Mala cercarono una risposta in quelli dell’amica.

“Credevo che la caviglia slogata fosse frutto di un incidente. Chi ti ha aggredita?” chiese Roman, prendendo posto di fronte ad Eileen. Stentava a controllarsi, sembrava pronto a scoppiare.

Il dolore le rendeva difficile concentrarsi. Gli occhi color miele pretendevano una risposta e per tranquillizzarlo, Eileen fece un ulteriore sforzo: “La caviglia è in queste condizioni per causa mia.”

Roman non sembrava soddisfatto di quella risposta, ma ripeté le sue parole ad alta voce: “Si è slogata la caviglia in un incidente” e subito dopo iniziò a lavarle le ferite.

Mala sospirò per il sollievo: “Avevo paura che Gun ti avesse di nuovo aggredita. Quel ragazzo non fa che diffondere stronzate sul tuo conto.”

Muso Lungo si schiarì la voce, disapprovando il suo linguaggio. Mala sembrò ignorarlo.

“Gun?” chiese Roman alzando la testa di scatto. Il tono non lasciava dubbi: era incazzato.

“Sì. Uno dei novelli che ci ha attaccate nella foresta insieme ad altri due compagni. Ero preoccupatissima quando l’ho vista stesa per terra, con Gun…Aspetta cosa dici?”

Eileen cercò di interrompere il racconto dell’amica, muovendo le mani ripetutamente. Roman aveva uno sguardo indecifrabile. Immobile come una statua aveva smesso di concentrarsi sulle sue ferite e questo la preoccupava terribilmente.

Gli toccò il braccio, provando ad attirare la sua attenzione.

“Non è successo nulla di grave, il mio branco è intervenuto prima che la situazione degenerasse. Sto bene” segnò, accennando un sorriso.

Le sue parole riuscirono a smuoverlo. La mano che prima era impegnata a curarle le ferite, si posò alla base del suo collo. Il pollice le sfiorò le labbra, leggero come una piuma. Aveva individuato il punto dove giorni prima era stata ferita. Ora sapeva chi era il colpevole.

La tristezza e la rabbia nei suoi occhi erano palpabili. Eileen le sentiva.

“Lei deve tornare al branco. È stata promossa. Ora fa parte della Corporazione 4” l’uomo interruppe volontariamente il momento.

“Non dovrà completare l’addestramento?” chiese Roman, prima che lei potesse reagire.

Mala era sul punto di rispondergli, quando Muso Lungo intervenne: “Non parlavo con te. Gli affari del nostro branco non ti riguardano. A proposito, sei un randagio? Come mai ti trovi al confine tra il nostro branco e quello dei Mavix?”

Roman reagì come se l’avessero schiaffeggiato: “Faccio parte del branco Mavix, ma in questo momento sono in ricognizione, non che ti riguardi, naturalmente” rispose guardandolo in cagnesco.

“Calmi, cucciolotti. Per favore, cerchiamo di comportarci da lupi civili, okay?” si intromise Mala cercando di calmare gli animi.

Nessuno dei due replicò.

Eileen intanto era persa nei suoi pensieri. Harry era salvo. Saperlo fuori pericolo la consolava.
Ancora non ci credeva di aver ottenuto un ruolo all’interno del branco. Ciò che aveva sempre sognato, era diventato realtà.

Guardò l’uomo di fronte a lei, il modo in cui si prendeva cura di lei. Doveva ritornare, ma non era più sicura di volerlo. Non si era mai sentita così viva come in quei giorni. Ancora non era in grado di comprendere le sue stesse emozioni.

Aveva sempre sospettato che Roman appartenesse al branco Mavix, ma averne la certezza, era un altro paio di maniche. Fraternizzare con lui poteva costarle caro.

“Grazie veramente per averla salvata. Il branco ti è riconoscente. Ora però, dobbiamo andarcene, non possiamo rimanere qui” affermò Mala con tono risoluto e gentile allo stesso tempo.

“Rimanete qui per la notte, partirete domani mattina. Eileen non può viaggiare in queste condizioni” il tono irremovibile di Roman non ammetteva repliche. Perfino Muso Lungo non protestò.

Eileen annuì ai propri amici, convincendoli che fosse la scelta giusta. Non se la sentiva di viaggiare. Il dolore non le dava pace. Parte delle sue forze si erano prosciugate. Non riusciva a comprendere i cambiamenti repentini del suo stato d’animo e della sua salute. C’era una tale confusione nella sua testa.

Gli occhi dell’amica incontrarono i suoi. Aveva colto il suo turbamento. Era troppo stanca per spiegare qualcosa che non capiva neanche lei.

“Mala, sto bene, lo giuro” le segnò, rivolgendole un sorriso.

Questa volta aveva colto il messaggio: “Va bene. Domani all’alba partiremo.”



Ciao a tutti! Come sempre un grazie a chi decide di dedicare del tempo a questa storia. 

Helen

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Capitolo 11
*** Torna da me ***


“Ora ho capito da chi hai preso ispirazione per il tuo falso nome”, sussurrò Roman.

Entrambi erano stesi sul letto. A differenza della mattina precedente, i loro corpi non si toccavano. Non era ancora chiaro se fosse una scelta in comune accordo, tuttavia nessuno dei due si mosse per avvicinarsi o per allontanarsi dall’altro.
Il pensiero di doversi dividere la mattina successiva aleggiava nell’aria. Come un enorme elefante nella stanza. Entrambi cercarono di ignorarlo, invano.

Eileen sorrise imbarazzata, ricordandosi della sua bugia. Nascondergli il suo nome era stata una delle cose più innaturali che avesse mai fatto. L’istinto di sopravvivenza l’aveva spinta in quella direzione, eppure aveva sentito un altro tipo di forza spronarla nella direzione opposta.

“Mi dispiace di averti ferito. Una persona con le mie mancanze deve però difendersi in qualche modo,” gli spiegò muovendo le mani “inoltre, provieni da un altro branco. Come potevo fidarmi di te?”

Cercò di essere il più sincera possibile. Non voleva ferirlo di nuovo. L’idea che non l’avrebbe più rivisto la spingeva ad aprirsi, a confidargli i suoi pensieri.
Roman seguiva i movimenti delle sue mani con grande attenzione. Il fatto che riuscisse a comprenderla era qualcosa a cui non riusciva ad abituarsi.

Vederlo segnare con scioltezza la turbò ulteriormente:
“Hai ragione. Avrei dovuto essere più comprensivo. Però in questo momento, vicino a te, non riesco ad essere razionale. Mi sento più lupo che mai. Capisci cosa intendo?”

Le parole di Roman, anche se non pronunciate ad alta voce, la sconvolsero. Era riuscito a descrivere alla perfezione quello che sentiva. Eppure, lei non era più un lupo da molti anni.

Come avrebbe reagito se gli avesse rivelato la verità?

Immaginò lo sguardo di disgusto nei suoi occhi. Rabbrividì all’idea e cercò di accantonarla, sperando che dalla sua espressione non trasparisse nulla.

“Non so cosa intendi, non riesco a comprendermi neanche io” sorrise con amarezza “Che senso ha rifletterci su? Domani io dovrò tornare al mio branco e tu dovrai tornare al tuo. A proposito, perché non mi hai detto che facevi parte dei Mavix?”

Questa volta fu Eileen a pretendere delle scuse.

“Per me non cambia nulla” segnò, mostrando uno sguardo di sfida.

“Hai detto bene, per te. Sai bene che familiarizzare con membri di un altro branco è severamente vietato. Si può essere fedeli ad un solo branco” spiegò aumentando la velocità dei suoi movimenti.

“Stronzate” fu la sua risposta fredda e concisa.

Si guardarono in cagnesco. Roman si stava comportando in maniera del tutto irrazionale. Voleva scrollarlo e farlo rinsavire. Voleva abbracciarlo e non lasciarlo più andare.

“Ho delle responsabilità ora. Non posso tirarmi indietro" spiegò Eileen, accennando un sorriso triste.

“Anche io ho delle responsabilità nei confronti del mio branco, ma anche nei miei confronti. Non sono inconciliabili, le regole possono essere cambiate” affermò portando avanti quella conversazione silenziosa.

La possibilità di comunicare senza la voce concedeva loro un po’ di privacy. Erano così persi nel loro mondo che non badarono a quello che succedeva tra i due lupi a pochi metri di distanza.

Distesa la coperta ad un angolo, Mala si coricò dando le spalle al suo carceriere.

Possibile che non riuscisse a liberarsi di lui?

Odiava la sensazione di dover sottostare alle regole di qualcun altro. Per troppo tempo aveva vissuto sotto l’autorità di suo padre. “Padrone”, come era solito lei definirlo. Ora che aveva 18 anni, voleva liberarsene, essere indipendente.

Combattere contro quei tre novelli le era costato caro. Era passata da un oppressore ad un altro. Due settimane in compagnia di quell’uomo: era certa che fino alla fine sarebbe impazzita. O avrebbe fatto impazzire lui.

Quell’idea non le dispiaceva. Vederlo perdere le staffe era il suo passatempo preferito. Per quanto cercasse di rimanere impassibile, non riusciva a nascondere le sue emozioni, non a lei. Lo conosceva troppo bene, erano cresciuti insieme.
Essendo il braccio destro di suo padre, le aveva fatto da babysitter in più di un’occasione. Eppure, aveva sempre adorato la sua compagnia.

Shura era diverso dagli altri. Gentile, affettuoso, leale e sincero. Era l’unica persona che l’aveva vista piangere dopo la morte di sua madre. L’unica che era riuscita a cogliere la sua debolezza dietro la corazza.
Aveva custodito con gelosia quelle attenzioni che lui riservava solo a lei. Voleva esserne all’altezza, ci aveva provato, con tutta se stessa. Eppure, dopo il suo 18° compleanno aveva iniziato a vedere le cose in maniera differente.

Un movimento alle sue spalle la costrinse a girarsi. Seduto a pochi centimetri di distanza c’era la fonte dei suoi ripetuti mal di testa. E dei suoi “mal di cuore”.

“Ti dispiacerebbe spostarti più in là? C’è spazio a sufficienza per entrambi in questa casa” gli disse cercando di apparire il più scocciata possibile.

“Purtroppo mi dispiace, quindi rimettiti a dormire e smettila di lamentarti” rispose a tono.  
 
Mala sospirò sonoramente e si spostò più vicina al muro, cercando di mettere maggiore distanza tra lei e quel demonio.

Dove era finito l’uomo premuroso e gentile che conosceva? L’uomo dei suoi sogni?

Dopo una manciata di minuti, si accorse di sentire freddo. Non avendo altre coperte, si rannicchiò su se stessa, provando a conservare il proprio calore.
Un leggero tocco alla schiena attirò di nuovo la sua attenzione: la gamba di Shura aderiva al suo corpo.

Il nervosismo la spinse ad alzarsi: “Cosa non capisci del concetto di spazio? Riusciresti a non soffocarmi per cinque secondi?” la stanchezza e il freddo resero quell’affermazione ancora più acida di quanto volesse.

Se ne pentì subito dopo averla pronunciata. 

Shura sgranò gli occhi sorpreso, ricomponendosi subito dopo, pronto a reagire. Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma all’ultimo ci rinunciò. L’aveva ferito. Era lei la causa di quella tristezza nei suoi occhi.

Senza lasciarle il tempo di rimediare, si alzò e uscì dalla porta.

Stupida, stupida, stupida.

La frustrazione le faceva venir voglia di piangere. Si strofinò gli occhi e strinse i denti.
Un campanello attirò la sua attenzione. Eileen si era materializzata davanti a lei.

“Tutto bene?” le chiese, mostrando un’espressione visibilmente preoccupata.

Mala forzò i muscoli facciali e provò a sorridere. Sapeva di non essere convincente come attrice, quindi disse la prima cosa che le venne in mente: “Muso Lungo non mi dà tregua. Ci sono abituata.”

Eileen la fissò per pochi secondi e poi le chiese: “Hai freddo?”

Era inutile nasconderlo: stava tremando. Annuì imbarazzata per la propria debolezza. L’amica tornò porgendole la propria coperta.

“E tu come farai? Morirai di freddo” disse Mala pronta a rifiutarla.

“Non ti preoccupare, io e Eileen condivideremo la mia” affermò dal letto Roman. Quel lupo iniziava a piacerle, soprattutto perché riusciva a far arrossire la sua amica. Infatti, dopo quell’affermazione, il suo viso aveva cambiato colore. Rise tra sé.

Ringraziò entrambi e provò ad addormentarsi.

Il pensiero di Shura là fuori al freddo la tormentava.

Non ci pensare. Ricordati che non sei la persona giusta per lui.

Intanto Eileen ritornò a letto, sperando di riuscire ad addormentarsi. La vicinanza dei loro corpi non l’avrebbe sicuramente aiutata.
Lo sguardo di Roman non prometteva nulla di buono. Era già in posizione, pronto ad accoglierla tra le sue braccia: con un angolo della coperta sollevato, la invitava ad avvicinarsi.

Gli si avvicinò cautamente, anche se non vedeva l’ora di potersi rifugiare nel calore delle coperte. Una volta sotto, a pochi centimetri di distanza dal suo corpo, si girò dandogli le spalle.

Non aveva le forze per affrontare il suo sguardo. L’avrebbe scrutata cercando una risposta alle sue domande. Avrebbe capito che non voleva lasciarlo. Non voleva tornare.

Roman annullò le distanze e la abbracciò, il viso tra i suoi capelli. Il calore la avvolse, insieme ad una sensazione di protezione mai provata prima di conoscerlo.

“Torna da me” le sussurrò all’orecchio prima che sprofondasse nel sonno.



Ciao a tutti! Un caloroso grazie a chi continua a seguire questa storia. Un caloroso abbraccio a tutti voi: in questo momento di difficoltà ne abbiamo tutti bisogno. Grazie mille a chi trova del tempo per recensire la storia, vi leggo sempre con enorme piacere. Al prossimo aggiornamento.

Helen

 

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Capitolo 12
*** Compagna ***


Racchiusa nel bozzolo di calore, Eileen venne strappata dal sonno nel bel mezzo della notte. Pian piano riprese coscienza, chiedendosi cosa l’avesse svegliata. Le braccia di Roman continuavano a stringerla come quando si erano addormentati, eppure qualcosa non andava.
All’orecchio percepiva il suo respiro. Da pesante si era trasformato in affannoso, irregolare. Come se avesse appena corso una maratona, Roman iniziò ad ansimare pesantemente.

Cosa stava succedendo?

Ancora stordita dal sonno, Eileen cambiò posizione: smise di dargli le spalle e si girò, cercando di comprendere meglio la situazione.

Con gli occhi chiusi e i denti serrati, Roman si trovava nel pieno di un incubo. La bellezza di quel viso dai tratti esotici la ipnotizzò, dimenticandosi di respirare.

È illegale essere così belli.

Le mancava ammirare quegli occhi color miele, così vivi ed espressivi, eppure non le dispiaceva osservarlo dormire. Le ciglia lunghe e scure sfioravano gli zigomi sporgenti.
Ultimamente aveva notato una fossetta comparire sulla guancia proprio quando accennava un sorriso. In quei momenti, le era sembrato di vedere l’adolescente che era stato. E poi c’era quel neo vicino l’occhio sinistro che la faceva impazzire. Piccolo e indifeso, aspettava solo di essere baciato. Per ora si accontentò di sfiorarlo col pollice.

D’un tratto, Roman iniziò ad agitarsi, serrando le braccia e facendo aderire completamente i loro corpi. Colta di sorpresa, Eileen provò a liberarsi, invano. La forza di quell’uomo non aveva limiti e ora più che mai ne era consapevole.

Tentò più volte a svegliarlo, ma il sogno sembrava averlo rapito completamente. La smorfia di dolore che comparve sul suo viso la preoccupò, dimenticandosi di sfuggire alla morsa delle sue braccia. Istintivamente portò le mani sulle sue guance, poi sulle orecchie, fino a toccargli i capelli lunghi. Mai come in quel momento voleva essere capace di parlare, di svegliarlo, di consolarlo, sussurrandogli parole di conforto.

Riportò le mani sulle sue spalle e provò a scuoterlo, peggiorando la situazione. La stretta si fece sempre più forte e l’affanno si trasformò in lamento. Il dolore fisico e l’espressione sul suo viso spinsero Eileen ad abbracciarlo con la stessa intensità, circondandolo completamente, guancia contro guancia.

Miracolosamente qualcosa cambiò e lei lo percepì. Il respiro ritornò regolare e le braccia persero parte della loro forza. Petto contro petto, riusciva a percepire il suo battito cardiaco accelerato. L’ansia e la preoccupazione avevano portato i loro cuori a sincronizzarsi e ora lentamente i battiti frenetici stavano rallentando.

Vederlo così indifeso l’aveva sconvolta.

“Lata, Lata” ripeteva nel sonno, tra un respiro e l’altro. 

Lata? A chi si riferiva?

La curiosità agiva come un piccolo tarlo, pian piano l’avrebbe divorata.

Poteva riferirsi ad una donna? Non era sicuramente un’ipotesi da escludere. 

Non ebbe il tempo di investigare oltre, perché le lacrime silenziose di Roman le bagnarono il viso, sconvolgendola ulteriormente.

Ancora con gli occhi chiusi, era intrappolato nel suo incubo.

Cosa stava sognando? Chi stava sognando?

L’espressione di dolore era scomparsa, ma le lacrime continuavano a solcargli le guance.

Non sapendo come alleviare la sua pena, iniziò ad accarezzargli i capelli, portandosi il viso al petto.

Il gesto sembrò tranquillizzarlo e a poco a poco si riaddormentò profondamente, dopo averle circondato la vita con le braccia.  

Oddio, grazie.

Per paura che potesse riperdersi nell’incubo, lo strinse maggiormente a sé, godendo della morbidezza dei suoi capelli. La maggior parte dei maschi del suo branco portavano ti capelli corti, lui invece no. Scoprì di apprezzarlo.

I lamenti avevano svegliato gli altri due lupi. Entrambi si avvicinarono cautamente al letto. Eileen ancora intenta a confortare Roman, alzò lo sguardo e sorrise, cercando di rassicurarli.

Muso Lungo non sembrò convinto e con diffidenza fissò l’uomo che aveva tra le braccia. Non si fidava di lui, dopotutto apparteneva ad un altro branco.
La situazione iniziò a farsi imbarazzante.

Per fortuna, Mala intervenne tirandogli il braccio: “Torniamo a dormire, mancano poche ore all’alba” disse tra uno sbadiglio e l’altro.

L’espressione di Muso Lungo sembrò ammorbidirsi mentre osservava la ragazza stropicciarsi gli occhi per il sonno. Eileen colse quel piccolo cambiamento e si chiese che tipo di relazione ci fosse tra quei due.

“Buonanotte, Eileen. Io vado a dormire” riferì Mala ritornando sui suoi passi. L’uomo la seguì a ruota.

La giacca di Shura si trovava sopra le sue coperte e solo in quel momento se ne accorse. Si fermò di colpo e per poco non finirono entrambi a terra.

“Ragazzina! Ma cosa hai per la testa?” chiese l’uomo alle sue spalle.

“Perché la tua giacca si trova lì?” disse indicandola con un certo nervosismo.
  
“A me non serviva, lasciarla a terra mi sembrava un peccato” si difese Shura con poca convinzione.

“Non dire stronzate, non ci crede nessuno” affermò sollevando la giacca e porgendogliela: “Riprenditela.”

“Ragazzina ingrata, attenta a come parli” le disse avanzando e puntandole il dito contro.

“Non sono io che te l’ho chiesto” lo sfidò accorciando ulteriormente le distanze, guardandolo dritto negli occhi.

A pochi centimetri di distanza, la tensione tra loro divenne palpabile. Shura si ricompose e con tono piatto disse: “Riesci a comportarti come una persona adulta per dieci secondi? Quando crescerai?”

Se qualcuno le avesse dato uno schiaffo, le avrebbe fatto sicuramente meno male. Ricevere insulti dalle altre persone, non le pesava, ci aveva fatto l’abitudine. Ma le parole di Shura la ferivano ogni volta, sempre con la stessa intensità. Odiava essere così fragile, odiava che avesse così potere su di lei.
Era il momento di battere in ritirata: era l’unico in grado di lasciarla senza parole. Neanche con suo padre le succedeva.

Questa volta toccò a lei abbandonare la discussione. Lasciò cadere la giacca per terra e senza guardarlo in faccia, ritornò a distendersi nel suo giaciglio.

“May, aspetta…” disse Shura cercando un modo per rimediare.

Quel maledetto soprannome che utilizzava da quando era piccola. La faceva sentire ancora di più una bambina.

Pensandoci, però, lui la riteneva tale.

Si coprì subito la testa con le coperte, sperando che recepisse il messaggio. Ignorarlo era la cosa giusta da fare. Se fosse ritornata sui suoi passi, sicuramente gli avrebbe sferrato un pugno in piena faccia. Era fondamentale che riuscisse a gestire le sue emozioni, non doveva mostrarsi ferita.

Non si accorse delle lacrime, finché non le bagnarono le guance.

Stupida, stupida, stupida.

Quella situazione tra di loro era insostenibile. Allontanarsi da lui le avrebbe fatto solo bene. 

La vera domanda era: aveva la forza di farlo?
 

All’alba


Quando Roman si svegliò, non si aspettava di trovarsi tra le braccia di Eileen. Ricordò che la notte precedente era stato lui ad abbracciarla, eppure la situazione era cambiata. Non si stava mica lamentando, era più che altro un’osservazione. Dopotutto, i loro corpi aggrovigliati era un dato di fatto, che Eileen lo avesse abbracciato come se ne valesse della sua vita era un altro dato di fatto, che apprezzava particolarmente.

Sorrise tra sé e alzò lentamente il mento per osservarla mentre dormiva. Il respiro pesante gli suggeriva che era ancora in tempo per farlo. Con la testa appoggiata in parte al muro, la bocca semiaperta e i capelli rosso fuoco sparsi sul cuscino, continuava a dormire beatamente, nonostante si trovasse in una posizione alquanto scomoda.

Chissà cosa l’avrà spinta a cambiare posizione. Forse sta iniziando a sentire qualcosa.

La speranza di Roman era così forte, soprattutto ora che era entrata a far parte della sua vita. Aveva aspettato tanto tempo, ma lei valeva ogni secondo. Eppure, quella mattina erano costretti a dividersi.

Quando si sarebbero rivisti?

Doveva ritornare al branco, il dovere lo aspettava. Il pensiero di doversi separare lo tormentava, lo faceva sentire vuoto. Sapeva benissimo che appartenevano a due mondi diversi, ma ne valeva la pena: lei era la sua compagna.

Eileen sospirò sonoramente e cercò di cambiare posizione. Per paura che potesse farsi male, Roman appoggiò delicatamente la mano sulla sua guancia e la aiutò ad adagiarsi comodamente sul cuscino. Non fu facile muoversi con le sue mani tra i capelli.

Anche quella era una novità per lui. Se li eri fatti crescere per pigrizia e a quanto pare c’era qualcuno che li apprezzava. Glielo avrebbe fatto notare in seguito, pensò tra sé con soddisfazione.

Ora che i loro visi si trovavano allo stesso livello, poteva osservarla più tranquillamente: da vicino, le lentiggini sul naso erano più evidenti, così come anche le cicatrici sul collo. Le sfiorò con l’indice, facendo attenzione a non svegliarla.

Chissà cosa aveva patito la sua compagna prima di incontrarlo. Il solo pensiero scatenava in lui un moto di rabbia che riusciva a placare solo promettendo a se stesso che in futuro avrebbe cercato il responsabile. Prima però, doveva conquistare la fiducia di Eileen, doveva dimostrarle quanto lui fosse perfetto per lei.

In quella casa, Roman non era l’unico perso nei propri pensieri. Shura non era riuscito a chiudere occhio a causa della ragazza accanto a lui.

Lo faceva impazzire, lo sfidava ogni volta che ne aveva la possibilità. Era stato lui ad insegnarle ad essere così testarda, ad osare. A quanto pare aveva preso alla lettera il suo insegnamento e gli si era perfino ritorto contro.

Era stato così fiero di lei nel vederla combattere contro quei tre novelli. Tuttavia, saperla in pericolo, non lo divertiva per niente. Fosse stato per lui, avrebbe dato una bella lezione a quei tre pivelli. Attaccare la sua compagna era off-limits per chiunque.

Non passava giorno in cui non pensava a lei. Il suo affetto si era trasformato nel tempo e a 18 anni compiuti ne aveva avuto la conferma. Vederla ogni giorno crescere era stato per lui un grande privilegio. Esserle accanto nei momenti difficili, era stata la cosa più spontanea del mondo.

Aveva aspettato che anche lei compisse 18 anni per far sì che lo riconoscesse come compagno, eppure proprio da quel momento la situazione era degenerata. Non capiva cosa le passasse per la testa: aveva smesso di cercarlo, di confidarsi con lui. Era come se si fosse perso un passaggio, e man a mano che i giorni passavano, sentiva la distanza crescere tra loro.

Soffriva come un cane. Non le aveva mai chiesto esplicitamente cosa fosse successo. Era sempre stata lei ad esternare i suoi pensieri, le sue emozioni, lui doveva solamente ascoltare.

Mala iniziò a muoversi: era sveglia. Aveva dormito per tutta la notte con la testa sotto le coperte. Era probabile che avesse pianto. Appoggiando la testa al muro, Shura sospirò maledicendosi per essere la causa della sua tristezza. Doveva essere la causa della sua felicità.

La ragazza stordita dal sonno si guardò intorno e per pochi secondi il suo sguardo si poggiò su di lui. Lo distolse immediatamente, ignorandolo. Aveva pianto, era impossibile non notarlo. A stento riusciva a controllarsi.

“May, possiamo parlare, per favore?” chiese cercando di rimanere calmo.

Stranamente lei annuì senza opporre resistenza. Non vederla reagire era quasi peggio che litigare. L’odio era niente in confronto all’indifferenza.
Entrambi si alzarono e in silenzio uscirono, lasciandosi la casa alle spalle.

Uno di fianco all’altro osservavano le prime luci dell’alba. Prima che potesse rompere il silenzio, Mala iniziò a parlare:

“Mi dispiace per ieri sera. Mi sono comportata come una bambina, avevi ragione”, disse continuando a fissare il vuoto “Ho bisogno di crescere. Tu e papà me lo dovrete permettere.”

Cosa significava? Era lui ad ostacolarla?

Questa volta si girò a guardarlo negli occhi: “Aiutatemi a diventare un guerriero. Non voglio altro. Mi servirebbe che mettiate una buona parola con Adamo e poi ce la farò da sola. Sento che quella è la mia strada.”

Incredulo, rispose immediatamente a quella idiozia: “Stai scherzando spero.”

“Nient’affatto” fu la risposta che ricevette. Uno sguardo determinato ed irremovibile aleggiava nei suoi occhi.

Era impazzita, non c’è altra spiegazione.

“Hai almeno idea di cosa significhi essere un guerriero? Dei mesi, se non anni, da trascorrere lontano dalla tua famiglia?”

“Certo. Tu lo eri prima di diventare consigliere e mamma lo era prima di morire” la voce le tremò quando si soffermò su quel ricordo doloroso.

“Appunto. May, tua madre ha perso la vita. Dovresti capire meglio di chiunque altro che è una follia” le disse con dolcezza, provando a farle indorare la pillola.

“Ha rischiato la vita per il branco, quale fine più valorosa” rispose con fierezza.

“Valorosa? Cosa c’è di valoroso nell’abbandonare un compagno e una figlia?” le ringhiò contro. E tanti saluti all’autocontrollo.

Come se avesse ricevuto un pugno, Mala indietreggiò non credendo alle proprie orecchie. Conosceva le sue fragilità e ora le stava usando contro di lei. La frustrazione e la tristezza le bruciavano dentro.

Alzò la testa al cielo provando a frenare le lacrime. Niente da fare, ormai era come un torrente in piena.

“May…” avanzò verso di lei.

Si asciugò le guance bagnate con la manica e lo interruppe: “Non ti avvicinare” lo sguardo fermo e il tono piatto “Ora so come la pensi. Non ho bisogno di chiedervi il permesso, posso farcela anche da sola. Volevo solo metterti al corrente, per correttezza. Dopo tutti questi anni…te lo dovevo” disse odiando il tremolio nella sua voce.  

“May…” cercò nuovamente di intervenire Shura.

“Dopo queste due settimane, lasciami andare, okay?”

Le lacrime continuavano a scendere, eppure non smetteva di guardarlo dritto negli occhi.
Aveva coraggio da vendere. Così bella, così fiera. Quei grandi occhioni azzurri sarebbero stati la sua rovina.

Lasciarla andare… era l’ultima cosa che voleva fare.

Non ricevendo risposta, Mala rientrò in casa, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.




Questo capitolo mi ha appassionata particolarmente, spero piaccia anche a voi. In questo periodo difficile per tutti, mi auguro che la mia storia possa farvi dimenticare, anche se per pochi minuti, tutti i problemi e le difficoltà. Buon weekend a tutti. Al prossimo aggiornamento!

Helen

 

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Capitolo 13
*** Addormentarsi ***


Erano trascorse due settimane e il tempo passato con Roman le appariva come un ricordo lontano. Quasi un sogno. Se fosse stata sola, probabilmente avrebbe iniziato a sospettare delle sue stesse percezioni, tuttavia Mala e Shura avevano percorso con lei la strada di ritorno.

Taciturni, non avevano spiccicato una parola. A malapena l’amica le aveva accennato un mezzo sorriso. Doveva ammettere che non le dispiaceva. Non aveva la forza di fare conversazione, in quel momento voleva solo perdersi nei suoi pensieri.

Per fortuna, una volta arrivati al Foro era riuscita a riconciliarsi con alcuni novelli e con Adamo. Dopo aver spiegato la sua versione dei fatti, le erano stati donati pantaloni e maglione completamente bianchi: era diventata ufficialmente membro della Corporazione 4. Aveva sempre sognato quel momento e riuscì a gioirne. Anche se una strana inquietudine non le dava la possibilità di goderne appieno. Non ebbe il tempo di soffermarcisi, la vita frenetica del dottore la assorbì completamente.

Bentlam, felice di poter contare sul suo aiuto, all’inizio le diede delle dritte e alcuni consigli acquisiti grazie all’esperienza. Dopo qualche giorno, lasciò che Eileen si muovesse autonomamente mettendo in pratica ciò che aveva imparato negli anni. Oltre Bentlam, altri cinque medici lavoravano al suo fianco, tutti più grandi di lei. Nonostante non avesse commesso alcuno sbaglio, Eileen sapeva di dover dimostrare loro di meritare quel posto.

La diffidenza nei loro occhi la infastidiva: non le era ancora chiaro se fosse per la sua disabilità o per la sua età. Cercò di non farci troppo caso e, per il momento, decise di lasciar perdere. Finalmente era riuscita ad ottenere il posto che ambiva da tempo, e questa era la cosa più importante. Aiutare la gente le piaceva.

Credeva che in tempi di pace la mole di lavoro sarebbe stata in esigua misura, eppure i novelli la tenevano abbastanza impegnata. La sua stessa amica, Mala, si presentava diverse volte all’ambulatorio, con un’espressione colpevole le chiedeva di curarle qualche ferita qua e là, o rimetterle a posto le ossa. Da quando era tornata, riusciva a vederla solo in quelle rare occasioni. Le aveva detto che era riuscita ad accedere all’addestramento per diventare un guerriero.

Doveva essere sincera, non era stata felice di sentirlo. Suo padre era morto da guerriero e ci era voluto tempo per farsene una ragione. Eppure, non se la sentì di dirglielo, preferì tenere quei pensieri per sé. Rispettava la sua decisione. Sicuramente aveva la stoffa e lei, meglio di chiunque altro, ne era cosciente.

Durante quei brevi incontri, Mala non cercava più di interrompere i silenzi, li assecondava. Non si sforzava di parlare. Vicino ad Eileen sentiva di poter essere se stessa, di non essere costretta a fingere. Riusciva a scorgere le sue occhiate preoccupate, però alla fine non pretendeva spiegazioni. Ne era felice.

L’allenamento la metteva a dura prova, soprattutto perché il suo umore era altalenante. Cercava di allontanare i pensieri negativi e se ci riusciva nel corso della giornata, durante i brevi momenti in ambulatorio e prima di addormentarsi, era impossibile. Si lasciava trasportare da quelle sensazioni negative e poi cercava di smaltirle attraverso l’addestramento. Lavorava sodo, anche più degli altri. La motivazione non le mancava, eppure si allenava duramente per stancarsi, finché non era più in grado di muovere braccia e gambe. In questo modo, sperava di addormentarsi più velocemente.

L’ultima settimana in compagnia di Shura l’aveva sfinita. Essere costretta a stargli vicino, era stato un supplizio. Con riluttanza, lui le aveva lasciato spazio, e lei aveva fatto di tutto per tenersi impegnata con gli allenamenti.

Passato il periodo di prigionia, Mala aveva fatto di tutto per evitarlo. Una sera aveva perfino dormito all’aperto. Non se la sentiva di incontrarlo. Aveva paura di non riuscire a controllarsi.

Codarda.

Per fortuna, le era capitato solo una volta di intravederlo al Foro mentre era impegnata ad allenarsi. Poco prima di alzare lo sguardo, aveva percepito la sua presenza, i peli sulla nuca le si erano rizzati. I loro occhi si erano incrociati per pochi secondi. Breve, ma intenso. Shura aveva un aspetto trasandato: la barba di qualche giorno e delle occhiaie appena accennate. Per non parlare del suo sguardo incazzato. Facilmente lo trovava di malumore, ma in quel momento, le era sembrato fuori di sé.

A quanto pare non sono l’unica a soffrire.

In un primo momento, quel pensiero parve gratificarla, però con il passare del tempo, la sua espressione sofferente iniziò a tormentarla.

Maledetto.

Mala non era l’unica a non riuscire a chiudere occhio. Eileen, stremata dal lavoro, tornava a casa e senza toccare cibo, si infilava sotto le coperte. Era così stanca, eppure non riusciva a dormire.

Inevitabilmente i suoi pensieri la portavano nel bosco, in una piccola casetta al confine, due occhi color miele continuavano a fissarla. Iniziò a chiedersi come stesse, se fosse felice, se avesse mangiato adeguatamente o se fosse ferito.

Sospirò e si girò supina.

A quanto pare il sonno faticava ad arrivare. Il lavoro le aveva prosciugato le forze, eppure non era pura e semplice stanchezza. Si sentiva spenta. Non riusciva a spiegarselo.

Sentì la mamma rientrare. Da qualche giorno, non si rivolgevano la parola.

Appena tornata, l’aveva accolta in un caloroso abbraccio e dopo tanto tempo, era riuscita a percepire il suo affetto. L’aveva stretta a sua volta e poi erano rientrate in casa.

Le aveva raccontato di come si era slogata la caviglia e delle sue avventure nei giorni a seguire, non includendo Roman. Non voleva metterlo nei guai. La mamma sembrò bersi tutta la sua storia.

Tuttavia, dopo qualche giorno aveva iniziato ad evitarla, almeno così le sembrava. È vero che avevano orari diversi, il lavoro le impegnava entrambe. Eppure, aveva l’abilità di non incontrarla neanche in quei pochi momenti in cui solitamente potevano.

Sospirò nuovamente.

È impossibile che riesca a comprenderla se non sono in grado di comprendere me stessa. 

Pensare così tanto l’aveva sfiancata e così finalmente riuscì ad addormentarsi.



Eccomi con un nuovo capitolo! Spero stiate tutti bene. Come sempre, un enorme grazie a chi legge e recensisce. 

Helen

 

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Capitolo 14
*** Verità ***


Un rumore di stoviglie svegliò Eileen. Aprì leggermente gli occhi. Era da poco passata l’alba, per fortuna aveva la possibilità di riposare un’altra oretta.
Cambiò posizione e richiuse gli occhi.

Il rumore proveniva dalla cucina: mamma è in casa.

Quel pensiero fu come una doccia fredda. Spalancò gli occhi, si alzò bruscamente, rischiando di perdere l’equilibrio. Non c’era tempo da perdere, doveva riuscire a parlarle.

Stordita ancora dal sonno, scese le scale il più in fretta possibile.

La mamma era di spalle, intenta a lavare i piatti. Era sicura che avesse notato la sua presenza, eppure continuò a darle le spalle. Eileen, allora scosse il campanello appeso al collo, aspettando che si girasse.

“Vuoi che ti prepari qualcosa?” le chiese con tono piatto, senza guardarla.

Eileen continuò a muovere il campanello, questa volta con maggiore intensità. Era abituata ad essere ignorata, stranamente anche da sua madre. Tuttavia, quel giorno non le andava bene. Si sentiva più energica, più arrabbiata.

“Hai finito di scuotere quel maledetto campanello? Non è da te”, le disse dopo essersi girata.

Eileen la guardò in cagnesco: “Smettila di ignorarmi, allora”, le segnò in risposta.

“Non ti sto ignorando, sono semplicemente indaffarata” affermò, abbassando subito lo sguardo. “Se vuoi qualcosa da mangiare, dimmelo che te la preparo. Tra dieci minuti devo andare”, aggiunse, ridandole le spalle.

Fino a pochi secondi prima, Eileen si riteneva una persona calma e pacata, eppure la sua reazione fu tutt’altro che tranquilla, tanto che finì per stupire se stessa.

Si tolse il campanello dal collo e con forza lo scagliò nel lavello, sfiorando di pochi centimetri il volto di sua madre. Subito dopo, affondò insieme ai piatti sporchi.

“Ma sei impazzita?!” le gridò, dopo essersi girata di scatto.

Eileen era già pentita, eppure la rabbia continuava a bruciarle dentro: “Finalmente ho la tua attenzione” le rispose muovendo le mani.

“Ti sembra una reazione normale la tua?” mantenne un tono di voce alto.

“Ti sembra normale che mi eviti da giorni?”

“Non ti sto evitando” disse abbassando la voce e lo sguardo.

“Non sai proprio mentire. Qual è il tuo problema?” le mani si muovevano freneticamente, seguendo una logica che sfuggiva perfino a lei.

“Qual è il tuo di problema! Vuoi uccidermi con un campanello?”

“Smettila di fare la melodrammatica e rispondi alla mia domanda… per favore” decise di utilizzare la carta della diplomazia, sperando fosse efficace.

La guardò per qualche secondo senza parlare e poi aggiunse: “Tu invece sei una bravissima bugiarda.”

Come se avesse ricevuto uno schiaffo, il suo primo istinto fu quello di indietreggiare. Non lo fece. Rimase salda nella sua posizione: “Che significa?”

“Lo so che hai incontrato qualcuno nel bosco. Non eri sola. E per giunta non con qualcuno del nostro branco.”

Eileen non era pronta a reagire: l’aveva colta di sorpresa. Sapeva di non essere brava a nascondere le proprie emozioni, e questo sua madre lo sapeva.

Non provò neanche a negare. Rimase in silenzio.

“Non hai nulla da dire? Sai come l’ho scoperto? Non ti interessa saperlo?” le chiese sollevando il mento.  

Eileen scosse la testa. Oltre Mala e Shura, nessuno sapeva di Roman. Dubitava che avessero parlato.

Era troppo orgogliosa per chiederglielo direttamente.

Ad un tratto, le venne in mente la piccola cordicella che Roman le aveva donato prima di partire. Voleva che avesse qualcosa di suo e allora, agilmente si era sciolto i capelli, lasciandoli cadere sulle spalle. Eileen aveva seguito tutta la scena, senza togliergli gli occhi di dosso.

“Lo so che ti piacciono i miei capelli” aveva aggiunto lui ammiccando, prima di lasciarla andare. Le sue guance si erano colorate di porpora e per l’imbarazzo aveva abbassato lo sguardo sulla cordicella.

Con delicatezza, l’aveva presa dalle sue mani, sfiorandogli il palmo. Si era soffermata volutamente qualche secondo in più, godendo di quel breve contatto.

“Mi stai ascoltando?” chiese sua madre destandola dai suoi pensieri.

Alzò lo sguardo in segno di sfida, ma non disse nulla. Sapeva che aveva rovistato tra la sua roba e questo la faceva infuriare ulteriormente.
Non si meritava nessun tipo di spiegazione.

“Va bene, ora chi di noi due sta evitando il discorso?” incrociò le braccia esasperata.

Eileen non aveva intenzione di interrompere il suo monologo.

“Va bene, fai come vuoi. Escludimi come fai sempre. Scommetto che sono l’unica a non sapere la verità. Immagino che Bentlam ne è già al corrente, vero?”

Era invidiosa di Bentlam?

Non ce la faceva più ad ascoltarla. Era arrivata al limite. Scosse la testa e fece dietrofront, risalendo le scale.

“Dove stai andando?” disse provando a raggiungerla.

Prima che ci riuscisse, Eileen sbatté la porta.
Sentì i suoi passi sulle scale, tuttavia nessuno bussò.
Nonostante fosse arrabbiata, ci aveva sperato che la rincorresse. Ci aveva sperato che le importasse.

Pochi minuti dopo, sentì la porta principale chiudersi. 
 
La rabbia scemò e la tristezza prese il sopravvento.

Si diresse verso il cassetto della scrivania e tirò fuori la piccola cordicella. L’avvicinò alla guancia, con la speranza di frenare le lacrime.

Invano.
 
 


Uno, due, tre, giù. Uno, due, tre, su.

Nel bel mezzo dell’allenamento, Mala ripeteva quella formula come un mantra, sforzandosi di mantenere la concentrazione il più a lungo possibile. Di recente, stava diventando un’impresa.

“Concentrati, fiocco di neve, non voglio spaccarti la faccia involontariamente” la richiamò al presente il ragazzo con cui stava combattendo.

In quei giorni, Noah si era rivelato un vero rompiscatole. E un amico. Nonostante avesse notato il suo umore nero, non aveva provato ad impicciarsi nei suoi affari. In compenso, continuava a sfotterla. Il nomignolo che le aveva affibbiato ne era la prova.

“Tesoro, potrei batterti ad occhi chiusi e farti il culo come ho fatto con quei tre novelli nella foresta” affermò Mala, assestandogli un colpo sul fianco.

Noah reagì spostandosi di lato, cercando, subito dopo, di riconquistare terreno.

“A proposito, lo sai che Gun sta aspettando il momento giusto per vendicarsi, vero?” aggiunse leggermente preoccupato.

“Sa dove trovarmi” sicura di sé, provò a colpirlo in viso, ma questa volta, lui fu più veloce. Le afferrò il braccio, facendole perdere l’equilibrio.
Per non cadere, si ritrovò ad appoggiare entrambe i palmi sul suo petto, annullando totalmente le distanze.

Wow, che muscoli!

Nonostante avesse compiuto da poco 18 anni, Noah aveva un fisico invidiabile e ora ne aveva una prova concreta.

Sbaglio, o non sta più respirando?

Alzò lo sguardo per accertarsene. Le gote tinte di rosso non lasciavano dubbi. Era riuscita a lasciarlo senza parole.

Con un sorriso ammiccante, ruppe il silenzio: “Tesoro, ora chi ha perso la concentrazione?”

Bruscamente Noah si ricompose ed allontanò le sue mani come se scottassero.

“Fiocco di neve, ci vuole ben altro per farmi perdere la concentrazione” le rispose, cercando di sembrare il più disinvolto possibile.

“Se lo dici tu…Quindi hai detto che Gun vuole farmi il culo, giusto?” gli chiese cercando di spostare l’argomento su un terreno più sicuro.

“La scorsa settimana ero nell’altro gruppo ad allenarmi e l’ho sentito vantarsi delle sue prodezze nella foresta, senza sapere che tutti i novelli l’hanno visto con un coltello infilato nella gamba”, scosse la testa “è una causa persa, ormai lo sanno tutti.”

“Intanto è riuscito ad entrare nell’addestramento per diventare guerriero.

“È normale, il suo paparino è nella Corporazione 1” spiegò alzando le spalle.

“Jax è suo padre?” conosceva tutte le persone con cui il suo Padrone lavorava, era strano che le fosse sfuggita quella parentela.

“Patrigno, se possiamo definirlo così. Lui se la fa con sua madre, quindi…Ci avrà messo una buona parola, ne sono certo. Purtroppo, non tutti abbiamo la fortuna di avere un papà influente” concluse con una risata amara.

Scese il gelo. Mala non rideva più. Dopo qualche secondo, il ragazzo sembrò accorgersene e provò a rimediare: “Non mi riferivo a te, naturalmente. Si vede che…”

Prima che potesse concludere la frase, Mala si era già avventata su di lui. Un grido di rabbia accompagnò i suoi primi attacchi. Noah riuscì ad evitarli, ma al terzo tentativo, un calcio sul fianco lo mise ko.  

Cadde a terra con un tonfo, coprendosi con le mani la parte dolorante.

Arrabbiata, ma soddisfatta di aver vinto, incrociò le braccia, aspettando che il suo compagno si rialzasse.

Il corpo rimase immobile.

“Noah, non fare lo stupido, rialzati dai. Non ci casco” cercò di scorgere la sua espressione.

Con lentezza, il ragazzo provò a rialzarsi, ma perse l’equilibrio, ritornando al punto di partenza.

Preoccupata, si precipitò al suo fianco, offrendogli la spalla: “Su, appoggiati a me, ti do una mano a rialzarti” gli cinse la vita con il braccio, aspettando una sua reazione.

“Mi sento un po’ stordito, mi gira la testa” sbiascicò Noah, appoggiando parte del suo peso sull’amica.

La mano libera gli sfiorò la fronte. Scottava.

Ecco perché aveva le guance rosse. Devo portarlo da Eileen il prima possibile.

“Su amico, alziamoci. Però devi collaborare, non sono fatta per sollevare un bestione come te” i muscoli tesi iniziarono a bruciarle.

Noah sembrava aver perso quasi completamente i sensi. Prima che potesse rimanere schiacciata dal suo corpo, qualcuno le alleggerì il carico, sollevandolo dall’altra parte.

“Oh mio Dio, grazie. Stavo per finire spiaccicata a terra. Sei la mia…” prima che potesse concludere la frase, la voce le morì in gola.

Se uno sguardo avesse potuto uccidere, ci avrebbe rimesso le penne proprio lì, in quel preciso istante.

I due occhi appartenevano all’uomo dei suoi incubi. E dei suoi sogni.

“Cosa ci fate voi due soli nel bosco? Dove si trova l’altra parte del gruppo?” la rimproverò, senza neanche salutarla.
 
“Ehi, Muso Lungo, ti sei svegliato anche oggi dalla parte sbagliata del letto? Scarica il tuo malessere su qualcun altro. Come puoi vedere in questo momento sono abbastanza impegnata” gli rispose scocciata, senza guardarlo.

Ci mancava solo questa. Che qualcuno mi aiuti.

Prima che lui potesse controbattere, continuò a parlare: “Dai, sbrighiamoci, devo assolutamente portarlo all’ambulatorio” l’aspetto dell’amico non le piaceva per niente. Da rosso, era diventato verde.

Senza dir nulla, entrambi avanzarono verso la destinazione stabilita.

Che situazione imbarazzante. Odio sentirmi a disagio in sua presenza, mi ricorda che tempo fa le cose erano diverse.

“Non sei tornata a casa in questi giorni” l’affermazione di Shura interruppe il silenzio e il flusso dei suoi pensieri.

“Sono stata parecchio impegnata” fredda e distaccata, Mala si morse la lingua, cercando di non far trapelare nessuna emozione.

Un’altra pausa. Trasportare il corpo dell’amico e quel tipo di situazione che da giorni cercava di evitare, iniziarono a sembrarle insopportabili.
Sospirò pesantemente e rafforzò la presa intorno la vita di Noah.

Dai, manca poco.

“Torna a casa” la dolcezza nella voce dell’uomo, la colse di sorpresa.

Era da tempo che non facevano altro che litigare, arrabbiarsi, inveirsi contro. Negli ultimi tempi, invece, lo evitava e basta. Non era pronta a quel cambio di direzione.

“I-io…ci proverò” balbettò imbarazzata, guardandosi le punte delle scarpe.

Com’era possibile che si sentisse una perfetta stupida solo con lui?

“May, guardami” il tono che utilizzò, la convinse ad alzare lo sguardo, senza pensarci due volte. Gli occhi scuri intrappolarono i suoi, e se negli ultimi tempi, avevano mostrato solo emozioni contrastanti, lì, in quel preciso momento, il messaggio che volevano trasmetterle era chiaro e limpido.

Torna da me.

Il cuore di Mala aumentò i battiti e per poco rischiò di uscirle dal petto. Era l’effetto Shura, lo conosceva alla perfezione.

L’intensità del momento fu interrotta bruscamente: “Fiocco di neve!” gridò Noah alzando la testa di colpo “ammettilo che ti piaccio” aggiunse strascicando le parole.

Oh, mio Dio, qualunque cosa abbia, gli ha dato alla testa.

Se fosse stata in compagnia di qualcun altro, gli avrebbe risposto a tono, scherzandoci su. Purtroppo, però, la presenza di Shura rendeva tutto più difficile. Non aveva il coraggio di guardarlo.

Toccò la spalla dell’amico e sorridendo provò ad allentare la tensione: “Stai proprio messo male, ora ne ho la certezza.”

Nonostante non fosse nel pieno della sua forma, il braccio di Noah che le circondava le spalle, si chiuse intorno al suo collo, avvicinando i loro visi a pochi centimetri di distanza: “Non perdere la…”

Un movimento brusco la fece sobbalzare. La mano di Shura si chiuse a pugno, afferrandolo per la collottola.

In pochi secondi, Mala si trovò libera dal peso dell’amico, ma preoccupata per la sua incolumità.

“Fermati! Non vedi che sta male?” disse mentre cercava di convincere Shura a lasciarlo andare. Si aggrappò al suo braccio e tentò più volte di farlo desistere.

“A me sembra pienamente cosciente di quello che fa e a chi lo fa” le rispose guardando in cagnesco il ragazzo quasi privo di sensi.

“BASTA!” gridò esasperata.

Finalmente la presa su Noah si allentò, facendolo cadere a terra con un tonfo. Sembrava morto.

Mala si accovacciò al suo fianco, non sapeva cosa fare, non era un medico.

Pensa, pensa, pensa. 

Avvicinò l’orecchio al viso del ragazzo per ascoltare il suo respiro. Lo sentiva a malapena.

Mio Dio, non provare a morire, stupido idiota.

Imitando Eileen, iniziò l’esecuzione del massaggio cardiaco.

Uno, due, tre, quattro…

Nonostante la stanchezza, continuò imperterrita ad alternare le compressioni toraciche alle respirazioni “bocca a bocca”. Era così concentrata su ciò che stava facendo che non notò l’arrivo di Eileen.

Di corsa, anche lei si era inginocchiata al fianco di Noah e con destrezza aveva preso il suo posto nell’esecuzione del massaggio.

Mala era stremata, le lacrime le offuscavano gli occhi.

Due braccia la aiutarono a rialzarsi e ad allontanarsi dal corpo, lasciando spazio agli altri medici.

Noah non dava cenno di riprendersi.

L’odore inconfondibile di Shura proveniente dalle sue spalle, la riportò al presente, destandola dallo stato di trance in cui si trovava.

Stava per perdere un amico, come aveva perso sua madre. Si sentiva disperata ed esausta.
L’unica cosa che desiderava con tutta se stessa era rifugiarsi e perdersi tra le braccia di Shura. Proprio come aveva fatto tanto tempo prima.

È tutta colpa sua.

Quel pensiero fu come una pugnalata.

La verità era una sola: non era più quella bambina indifesa che richiedeva le sue attenzioni. Le cose erano cambiate irreversibilmente.  

Con violenza si scrollò le braccia di dosso e avanzò, senza guardarsi dietro.  





Penso sia il capitolo più lungo che abbia scritto fino ad ora. Spero vi sia piaciuto! Al prossimo aggiornamento. 

Helen

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Capitolo 15
*** Malattia ***


Eileen si era sempre considerata una grande osservatrice. Non riuscendo ad esprimersi con facilità, aveva sviluppato la capacità di cogliere gli aspetti meno evidenti, in qualsiasi situazione si trovasse. Eppure, stava assistendo ad un quadretto abbastanza singolare, a cui ancora non era riuscita a trovare una spiegazione che la soddisfacesse. 

Steso sul letto, privo di sensi, Noah continuava a respirare, grazie soprattutto all’intervento tempestivo della ragazza che, in quel momento, gli teneva stretta la mano.

I capelli scompigliati, i vestiti sgualciti e sporchi, le occhiaie sotto gli occhi: Mala rappresentava il ritratto della stanchezza. Non aveva lasciato la mano dell’amico, se non per recarsi al bagno.

Eileen era orgogliosa di lei: nonostante non fosse il suo campo, era riuscita a reagire prontamente utilizzando le poche nozioni che conosceva. Era una vera guerriera, non c’era dubbio.  

Noah le doveva la vita.

Questo non sembrava andare a genio all’uomo seduto in disparte. L’espressione cupa sul suo volto valeva più di mille parole. Dopo che la situazione del ragazzo si era stabilizzata, Mala aveva insistito per rimanere al suo fianco, di conseguenza Shura, tacitamente, aveva deciso di fare lo stesso. L’attaccamento dell’uomo verso la ragazza era evidente, chiunque lo avrebbe notato. Era possibile interpretarlo in tanti modi diversi, ed era propria quell’ambiguità ad intrigarla.

Eileen spostò lo sguardo e si concentrò sul ragazzo allettato.

A quanto pare, una forma di malattia non ancora identificata aveva attaccato i polmoni e, forse, il cervello. Il colorito verdognolo era sparito, lasciando spazio ad un bianco lenzuolo che non prometteva nulla di buono. Gli erano stati somministrati alcuni cocktail di piante, ma non conoscendo con che tipo di “nemico” avessero a che fare, i medici si erano limitati a tenerlo sotto osservazione.

Mala aveva assistito a tutta la scena in piedi, con gli occhi sbarrati, nell’angolo più remoto della stanza. Eileen l’aveva guardata di sfuggita: sapeva riconoscere una persona che stava lottando contro i propri demoni.

Shura si era fermato a qualche metro di distanza da lei, tenendola d’occhio costantemente, ma non si era azzardato ad avvicinarsi. Quella era un’altra cosa che non le quadrava. Tra di loro c’era sicuramente qualcosa in sospeso.

“Ho iniziato a seguire un corso per imparare il linguaggio dei segni, sai?” le disse Mala, accennando un sorriso poco convincente.

Quell’affermazione la prese di contropiede, tanto che all’inizio non seppe cosa rispondere.

“E’ una notizia stupenda…grazie” le segnò, ricambiando il sorriso, “mia madre è la tua insegnante?”

“Sì, le ho chiesto se fosse possibile e mi ha accontentata fin da subito. Mi ha detto che ti avrebbe fatto sicuramente piacere.”

Era felice di sapere che sua madre conservava dentro di sé la gentilezza che l’aveva sempre contraddistinta. Non riusciva a spiegarsi, però, perché in sua presenza si comportava in tutt’altro modo.

Si impose di allontanare immediatamente quei pensieri cupi, concentrandosi sulle parole dell’amica.

“E’ così, ha ragione” le rispose appoggiando, subito dopo, la mano sopra la sua. “Perché non ti riposi un po’? Mi sembri abbastanza provata” aggiunse notando le sue occhiaie.

“Voglio essere qui quando si sveglierà” rispose con fermezza.

“Stenditi sul letto di fianco al suo, quando succederà” sottolineò quella parte di proposito “ti sveglierò.”

Quelle parole parvero convincerla. Seguì il consiglio ricevuto e si sdraiò sul letto libero. Seduto immobile, Shura non la perse di vista neanche un secondo, come un predatore con la sua preda.

Dopo una decina di minuti, l’infermiera di turno entrò nella stanza di corsa. Affannata si precipitò dall’uomo che fino a quel momento non aveva spiccicato una sola parola e gli riferì qualcosa all’orecchio.

Shura strabuzzò gli occhi, si alzò di scatto e puntò il proprio sguardo verso Eileen, facendole cenno di seguirlo in corridoio.

Appena si chiuse la porta alle spalle, fu lui a parlare: “Devo assentarmi per qualche ora, potresti farmi il favore di tenerla d’occhio? È fuori di sé in questo momento, ha bisogno che qualcuno le stia accanto” la genuina preoccupazione che impregnava quelle parole, la intenerì.

Voleva ricordargli che Mala non era una bambina, però, alla fine, decise di assecondarlo, senza aggiungere altro.

Non è il momento giusto.

Senza attendere una sua risposta, Shura si diresse verso l’uscita e in pochi secondi, scomparve dalla sua vista.

Per la prima volta durante la giornata, sentì la stanchezza pesarle sulle spalle. Tutta la tensione accumulata si stava trasformando in un enorme mal di testa.
Rientrò nella camera, controllando che la situazione di Noah fosse stabile. Il ragazzo non aveva ancora acquisito un colorito normale, però il respiro era regolare, rispetto a quando lo avevano ritrovato nella foresta.

Dovevano assolutamente capire con quale tipo di “nemico” avevano a che fare, ma soprattutto come aveva fatto a contrarlo.  
Nessuna possibilità era da escludere.

La forte emicrania esplose in tutta la sua potenza, ricordandole che il corpo e la mente erano esausti.

Senza far rumore, si avvicinò al letto di Mala, sedendosi sul bordo. Si era addormentata in pochi minuti. Almeno lei poteva riposare, dopo tutto quello che aveva passato.

Le aggiustò dietro l’orecchio una ciocca bionda. La morbidezza dei suoi capelli le ricordò quelli di Roman, lunghi e scuri.

La stanchezza aveva abbassato tutte le sue difese e i pensieri che più la preoccupavano e la tormentavano si affollarono nella sua mente, mozzandole il respiro.

Gli occhi color miele, i capelli, il piccolo neo sul viso erano impressi nella sua mente. Erano passate diverse settimane e i bei ricordi non le bastavano più.

Sentiva la voglia di toccarlo, ascoltare la sua voce, respirare il suo profumo a pieni polmoni. Era diventata per lei un’ossessione. Non se n’era accorta, finché non si erano separati. Avevano condiviso pochi momenti insieme: quel tipo di attaccamento che sentiva nei suoi confronti era tutt’altro che razionale. Più cercava una spiegazione a quelle sue emozioni, e più si sentiva pazza.

“In questo momento, vicino a te, non riesco ad essere razionale. Mi sento più lupo che mai. Capisci cosa intendo?”

Le ritornarono in mente le parole che Roman aveva pronunciato tempo fa. All’ora, non le aveva attribuito la giusta importanza, in quel momento, invece, le sentiva cucite addosso.

Prese dalla tasca del pantalone la piccola cordicella.

Dove sei?

Fissò intensamente l’oggetto nelle sue mani, sperando di ricevere una risposta.

La prima volta sei stato tu a trovarmi, ora tocca a me farlo.

Si raccolse i capelli rossi in una coda, legandoli con la piccola cordicella. Non le importava se la ferita al collo veniva esposta agli occhi di tutti.

Aveva cose più importanti a cui pensare.

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Capitolo 16
*** Dolceamaro ***


In piedi, con gli occhi sbarrati, Mala fissava il corpo immobile di sua madre. Le era stata data la possibilità di vederla per l’ultima volta, prima di bruciare il suo corpo. In cambio, aveva promesso a suo padre che non avrebbe versato neanche una lacrima.

In quel momento, guardandola attentamente, non le sembrava neanche sua madre, quella donna lì, stesa supina sul letto. Le braccia e le mani coperte di graffi e tagli erano evidenti a chiunque, a dimostrazione del suo coraggio. Aveva resistito fino all’ultimo.

Avranno fatto male?

Quel pensiero le sfuggì, ma venne subito sostituito da uno “più conforme”, come sicuramente l’avrebbe definito suo padre: quelle ferite dimostrano che guerriera valorosa fosse.

Sì, probabilmente questo sarebbe piaciuto di gran lunga a suo padre.

Per la prima volta, notò che la mamma non portava i capelli legati, ma erano sciolti, sparsi sul cuscino. Quando era più piccola, le aveva insegnato ad acconciarsi i capelli e aveva fatto più volte pratica su quella cascata di capelli.

Voleva toccarli per l’ultima volta, ma non si azzardò a muoversi.

Non si accorse di avere le mani serrate a pugno, finché Shura, appena sedicenne, non intrecciò la sua mano con una delle sue. Per tutto quel tempo, era rimasto alle sue spalle, senza produrre nessuno tipo di suono. Una presenza invisibile, ma percettibile.

La mano grande e calda le aveva sempre trasmesso una certa tranquillità. Quel gesto faceva parte del loro linguaggio segreto: era il suo modo per dirle che era arrivato il momento di andare.

In diverse situazioni, dopo aver percepito le sue dita intrecciarsi alle sue, aveva tirato un sospiro di sollievo. La sua compagnia era la cosa che preferiva di più al mondo, oltre quella di sua madre.

Lei non c’è più.

Non riusciva a capacitarsene. Il solo pensiero di non poterle più parlare era inconcepibile.

Guardò Shura al suo fianco e lo seguì, lasciando la stanza. Si voltò per l’ultima volta, sperando di vederla alzarsi dal letto, come qualsiasi altra giornata. Tuttavia, il corpo rimase immobile e alla fine sparì dalla sua vista.

Per tutto il tragitto fino alla sua camera, con la testa china, si guardò le punte dei piedi.

Chiusa la porta, non si mosse.

Quando era scesa al piano inferiore, per la fretta, non aveva pensato di indossare le scarpe e ora aveva i piedi congelati. Nonostante ciò, non sentiva l’esigenza di riscaldarli.

Ogni cosa passava in secondo piano rispetto al suo dolore.

La mano calda di Shura la costrinse ad alzare il mento e a guardarlo negli occhi. Nel frattempo, si era inginocchiato, portando i loro visi alla stessa altezza. Mala non aveva il coraggio di ricambiare lo sguardo, per paura di lasciar sfuggire qualche lacrima.

Devo mantenere la promessa che ho fatto a papà.

Strinse i denti e aspettò che Shura la lasciasse andare.

“May, mi faresti vedere la tua mano?” una richiesta così bizzarra attirò la sua attenzione e per la prima volta, lo guardò.

Era serio, stranamente non le sorrideva come faceva sempre.

Alzò la mano destra e gli porse il palmo, accontentandolo.

Shura accostò la sua, molto più grande, e con delicatezza le toccò le piccole ferite a mezzaluna che si era procurata da sola. Erano così profonde che si intravedevano alcune gocce di sangue.

Mala rimase senza parole: prima di quel momento, non si era resa conto del dolore che si era procurata.

“May, non devi farlo mai più. Il corpo è come un tesoro che va custodito. Hai capito?”

Sapeva che non si trattava di un rimprovero e il tono gentile di Shura ne era la prova. Nonostante ciò, in quell’istante, le lacrime che aveva trattenuto per tutto quel tempo fuoriuscirono, bagnandole le guance.

Ho infranto la promessa. Sono una delusione.

Quel pensiero non fece altro che aggravare la situazione, spingendola a singhiozzare più rumorosamente.

L’abbraccio di Shura non si fece attendere. Le sue braccia la circondarono completamente, in un bozzolo protettivo. Una mano le accarezzava i capelli e l’altra la schiena, seguendo un ritmo che riuscì a calmarla.

“Ruru, ti prego non lasciarmi mai” gli disse tra un singhiozzo e l’altro.

“Mai” le rispose, stringendola più forte al proprio petto.

Dopo qualche minuto, Mala si asciugò le lacrime con il dorso della mano e ritornò a guardarsi i piedi.

“Ti va di acconciarmi i capelli?” fu la seconda richiesta bizzarra di Shura. Mala alzò lo sguardo e vide che stava sorridendo.

Non stava nella pelle, decise di non lasciarsi sfuggire quell’occasione: “Sì, a patto che te li lascerai crescere, così un giorno ti farò le trecce” esclamò puntando i pugni al cielo.
 
 

“May! May! Svegliati!” una voce fuoricampo la stava allontanando da quel ricordo che le era così caro.

Lasciatemi qui, per favore.

Provò a resistere, ma la voce si fece più insistente, trascinandola nel presente.

Con difficoltà aprì gli occhi e si ritrovò davanti a sé uno Shura adulto, più muscoloso, con i capelli più lunghi rispetto al passato. Quanta voglia aveva di toccarglieli.

“May, rispondimi!” la intimò scuotendola.

Si sedette di scatto. Un attacco di tosse la investì, passando in primo piano rispetto a tutto il resto. Non riusciva a respirare, i polmoni iniziarono a bruciarle.

Sto per morire.

Quell’idea monopolizzò la sua mente, impendendole di pensare razionalmente. Il dolore si acuì. Qualcosa la teneva ancorata al letto. Si accorse solo in quel momento di essere circondata dalle braccia di Shura. Se non fosse stato per lui, sarebbe sicuramente caduta dal letto. Il petto muscoloso aderiva a gran parte della sua schiena. Nonostante la tosse, lo sentiva vibrare. Stava gridando a qualcuno, ma non riusciva a cogliere le parole.

La testa iniziò a pesarle, le forze si prosciugarono. Aveva voglia di riposare, di rifugiarsi in quei ricordi dolceamari.

“Maledizione, May, non ci provare ad addormentarti, resta con me” le disse con tono perentorio.

Prepotente come sempre, è una causa persa.

Aveva intenzione di dirglielo, ma non era in grado di localizzare la sua lingua.

La solita impassibilità che caratterizzava il volto di Shura era scomparsa lasciando il posto a due occhi rossi e un’espressione di disperazione.

L’ultima cosa che riuscì a scorgere fu proprio il suo viso.

Non le era andata poi così male.



Buonasera a tutti, spero vi stiate godendo al meglio queste vacanze natalizie. Allo stesso tempo, mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto. 

Helen

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Capitolo 17
*** Partenza ***


Se prima aveva avuto difficoltà a comprendere la natura della relazione tra Shura e la sua amica, ora qualsiasi dubbio era magicamente svanito.

Seduto accanto a Mala allettata, lui le stringeva la mano, rimanendo inchiodato nella stessa posizione per ore. La crisi respiratoria di poco prima dimostrava che anche lei aveva contratto il virus. Non sapendo in che modo il contagio avvenisse, i medici avevano consigliato a Shura di abbandonare la stanza.

Parole al vento.

Non si era neanche degnato di rispondere, aveva avvicinato la sedia al letto e per il resto della giornata aveva ignorato chiunque, esclusa Eileen. Non sapeva se sentirsi lusingata di quel trattamento preferenziale. Essendo l’unica persona a cui rivolgeva la parola, automaticamente era diventata la responsabile sia di Noah che di Mala.

Shura faceva parte del Consiglio e a nessuno venne in mente di lamentarsi. Le occhiate che i suoi colleghi le rivolgevano erano molto eloquenti, ma, come aveva già fatto in precedenza, continuò ad ignorarle. Aiutare la gente era il suo obbiettivo principale, tutto il resto passava in secondo piano.

Per precauzione, Eileen si coprì naso e bocca con una pezza. Aveva invitato Shura a fare lo stesso, ma non volle saperne. Doveva ammettere che era parecchio cocciuto.

Non insistette oltre e si diresse verso il laboratorio. Aveva bisogno di silenzio e di concentrazione per trovare una soluzione a quel dilemma: come era possibile che Mala si era ammalata e lei no?
Entrambe erano state a stretto contatto con Noah, ma i risultati erano diversi.

Appoggiò i gomiti sulle ginocchia ed iniziò a massaggiarsi le tempie, provando ad alleviare il mal di testa.

Non conoscendo il tipo di nemico contro cui stavano combattendo, la cosa più intelligente da fare era cercare di attenuare i sintomi. Sicuramente entrambi avevano avuto difficoltà respiratorie, quindi sarebbe partita da lì.

Si alzò di scatto e iniziò la sua ricerca tra gli scaffali. Non ricordava il nome, ma era convinta di aver letto da qualche parte che esisteva una pianta dotata di proprietà curative per i polmoni. Le foglie, grandi quanto una mano, dovevano essere applicate sul petto.

Ringraziò chiunque avesse catalogato le piante e organizzato il laboratorio, dato che in pochi minuti, si ritrovò nella sezione giusta.

Artesia, Caschi, Farmo,
Insulus! È questa la pianta!

Con estrema agilità raccolse il vasetto dallo scaffale e lesse l’etichetta. Per fortuna, la memoria non l’aveva ingannata. Senza perdere altro tempo si precipitò dai suoi pazienti.

Entrambi non avevano ancora ripreso coscienza: non era un buon segno.

Eileen si avvicinò al letto di Noah, con movimenti decisi gli arrotolò la maglietta verso l’alto, lasciando scoperto il petto.

Sentiva gli occhi di Shura addosso, tuttavia, non disse nulla. Apprezzò quel silenzio e continuò ad operare.

Sfregò le foglie tra le mani e con forza le applicò sul petto del ragazzo, facendole aderire con forza. Non si mosse. Aspettò ferma qualche minuto, ma ancora nessuna reazione.

Porca miseria, sento che lo stiamo perdendo.

Come se avesse udito quelle parole, Noah spalancò gli occhi e bruscamente iniziò a tossire.

Mio Dio, grazie.

Lo aiutò a sedersi e dopo qualche secondo, la tosse scomparve, lasciandolo senza fiato.

“M-male la g-gola” disse con voce rauca toccandosi il collo. Con delicatezza, tastò la parte che gli doleva.

Non percepiva nulla.

“D-dormire…s-stanco” aggiunse Noah, appoggiando la testa sul cuscino. Chiuse gli occhi e si girò di lato, dandole le spalle.

“Dovresti applicare quelle foglie anche su Mala” ruppe il silenzio l’uomo alle sue spalle. Suonava come un ordine, eppure il dolore nei suoi occhi sembrava supplicarla.

Annuì e in pochi passi fu ai piedi del letto. Prese il barattolo e glielo passò, invitandolo a leggere l’etichetta. Lei sapeva cosa stava facendo, ma era importante che anche lui ne fosse a conoscenza.

Intanto, seguì lo stesso procedimento e con forza applicò le foglie in direzione del seno. Con la coda dell’occhio, si accorse che Shura si era alzato e faceva avanti e indietro nella stanza. Era immerso nei suoi pensieri e allo stesso tempo aveva concesso alla ragazza allettata un minimo di privacy.

“Il virus sembra essere partito dal gruppo di guerrieri che ha fatto ritorno qualche giorno fa. Il padre di Noah ne faceva parte” la voce era appena percettibile, probabilmente quelle informazioni dovevano rimanere segrete.

Shura si appoggiò alla parete e incrociò le caviglie, continuando il discorso: “è morto. Lui non ce l’ha fatta”, alzò lo sguardo e per la prima volta guardò Noah con compassione “toccherà riferirglielo, non appena si riprenderà.”

Per la seconda volta, apprezzò il fatto che dava per certo che sarebbe guarito. Probabilmente pensava lo stesso di Mala.

“Abbiamo saputo da fonti certe che metà del branco dei Mavix si trova in queste condizioni. I nostri guerrieri l’avranno contratto stando a contatto con alcuni di loro, è l’ipotesi più plausibile.”

Il cervello di Eileen reagì con lentezza, assorbì le informazioni ricevute e nel momento in cui le elaborò, sentì una forte stretta allo stomaco. E al cuore.

La malattia aveva colpito Roman? E la sua famiglia?

Finalmente si spiegò come mai non avesse ricevuto nessuna informazione, nessun segnale da settimane. La preoccupazione che provava da giorni non era infondata.

Devo assolutamente cercarlo.

La determinazione si palesò nei suoi occhi, tanto che l’uomo aggiunse: “Ho capito la piega che hanno preso i tuoi pensieri, tuttavia ci servi qua, non possiamo lasciarti andare. Lei ha bisogno di te” sottolineò l’ultima frase, indicando l’amica, facendo così leva sul suo senso di colpa.

Prese un blocchetto dalla tasca e con foga, scrisse la sua risposta.

Se Mala fosse in un altro branco, la lasceresti morire?

Shura spalancò gli occhi e per pochi secondi fissò il foglio. Sapeva di non aver utilizzato mezze misure. Se si fosse trovata in una situazione diversa, avrebbe provato a farlo ragionare, ma non c’era tempo. Se Roman era nelle stesse condizioni dei due ragazzi, doveva essere curato il prima possibile.

Lo sguardo severo dell’uomo si incatenò al suo, provando ad intimidirla. A quanto pareva, non era abituato ad essere contraddetto. Eileen sostenne lo sostenne fino alla fine, trovando dentro di sé una forza che non pensava di avere.

“Comunque, il Consiglio non ti farebbe partire. Sei una risorsa troppo preziosa per il nostro branco” precisò in un secondo momento.

Eileen ci aveva pensato. I Mavix non erano i vicini di casa più gentili del mondo e per molto tempo si erano rivelati i più acerrimi nemici, così le avevano raccontato.
Eppure, era fondamentale curare i rapporti e cercare di mantenere la pace. Se gli avessero aiutati questa volta, sarebbero stati in debito con loro.

Prese il blocchetto e riportò la sua risposta.

Se gli aiutassimo ora, sarebbero in debito con noi. Aiutami a convincerli. Devo salvare il mio compagno.

Compagno.

Dopo aver riportato nero su bianco quelle parole, sentì di essersi liberata finalmente di un peso. Era riuscita ad ammettere quello che per tutti quei giorni aveva cercato di negare. L’averlo dichiarato a se stessa fu più sconvolgente che ammetterlo davanti a Shura.  

Scrisse quelle poche righe con convinzione, le venne così naturale considerare Roman il suo compagno, nonostante alcuni dubbi continuavano ad affollarle la mente.

Quello, però, non era il tempo delle domande, ma il momento di agire.

Sapeva quanto il tempismo era fondamentale, soprattutto nel suo lavoro.

Shura si passò le mani tra i capelli, immerso nei suoi pensieri. Non aver ricevuto un “no” secco da parte sua era già qualcosa.

“Senti, non ti prometto nulla. Devo parlarne con alcuni membri del Consiglio, anche se non saranno contenti.”

Credi di riuscire a convincerli entro oggi?  scarabocchiò sul blocchetto.

Eileen non conosceva bene l’uomo che aveva di fronte, però era sicura che non fosse un bugiardo. Ne ebbe la conferma quando evitò di rispondere alla sua domanda.

Il dialogo fu interrotto da un’infermiera che si affacciò alla porta: “Scusate l’interruzione, dobbiamo sistemare altri letti nella stanza, purtroppo altre persone sono state contagiate e arriveranno a breve.”

Eileen annuì e aspettò che la porta si richiudesse.

Riprese il blocchetto tra le mani e scrisse un nuovo messaggio.

C’è parecchio lavoro da fare, tuttavia alle prime luci dell’alba partirò, con o senza l’autorizzazione del Consiglio.

Nella sua vita non aveva mai fatto valere la sua opinione come in quel momento. Era sempre rimasta dietro le quinte, ricoprendo il ruolo di spettatrice della sua vita e di quella degli altri, senza mai intervenire per cambiare il corso degli eventi.

Era abituata ad essere una comparsa, non la protagonista.

Si era rassegnata al suo destino tempo fa, accettando la sua disabilità e tutti i limiti che comportava. Ora, invece, non riusciva ad accettare che gli altri scegliessero per lei.

L’urgente bisogno di agire, di cambiare, le scorreva nelle vene. Come una droga, non era capace di controllarne gli effetti.

Era nervosa, il mal di testa era ancora lì, in attesa di tormentarla di nuovo.

Non riusciva a stare ferma, a pensare lucidamente. Voleva solo mettersi in viaggio e trovare Roman. Voleva accertarsi che stesse bene, che non l’avesse dimenticata.

Non aspettò neanche di ricevere una risposta e, come aveva fatto Shura in precedenza, uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.

Aveva una partenza da organizzare.

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Capitolo 18
*** Piano ***


Eileen non riusciva a stare ferma, il tempo sembrava non passare mai. Aveva promesso a Shura di attendere entro l’alba una risposta dal Consiglio, tuttavia, aspettare si stava dimostrando una tortura. Sapere di star sprecando tempo prezioso, la faceva impazzire.

E se Roman si trovasse in questo momento tra la vita e la morte? E se fosse già morto?

Quel pensiero la colpì così violentemente che per dieci minuti fu costretta a rifugiarsi in bagno per riprendersi. Cercò di respirare a pieni polmoni.

Se fosse già morto, lo avrei percepito.

Rifletté mentre tornava dai suoi pazienti. Quella costatazione sembrò tranquillizzarla, il tempo necessario per ricomporsi.

Per le ore successive, fu impegnata a monitorare e all’occasione curare, una ventina di persone infettate dal virus. La pianta che aveva utilizzato prima su Noah e poi su Mala, pareva fare effetto anche sugli altri.

Un tonfo proveniente dalla stanza dei suoi amici attirò la sua attenzione.

Entrando, trovò Mala seduta per terra, ai piedi del letto che si massaggiava il sedere.

“Porca miseria, non cadevo dal letto da almeno una dozzina di anni” parlò tra sé con tono infastidito.

Eileen si fermò un attimo ad osservare l’amica: per la prima volta, si accorse della muscolatura che aveva sviluppato in quei giorni di allenamenti. Chiaramente aveva perso qualche chilo, ma l’altezza e la sua nuova corporatura la rendevano un’avversaria temibile.

Sebbene non l’avesse sentita entrare, Mala si girò verso la porta, sentendosi osservata.

La smorfia di fastidio si tramutò subito in un sorriso. Colta sul fatto, Eileen rimediò subito e, con agilità, la aiutò ad alzarsi dal pavimento e a stendersi nuovamente sul letto.

Biascicò un ‘grazie’ e con fatica appoggiò la testa sul cuscino.

“La stanza sta girando?” sorrise della sua stessa domanda.

Vederla in quello stato la addolorava. Le toccò la fronte e si accorse che almeno non aveva più la febbre.

“Dov’è Shura?” chiese mentre teneva gli occhi chiusi.

Era la prima volta che sentiva Mala chiamarlo con il suo vero nome. Probabilmente era preoccupata per lui, come lui lo era per lei.

Eileen alzò gli occhi al cielo, sorridendo tra sé.

Prese il blocchetto dalla tasca e scrisse la risposta.

È al Consiglio. Tornerà prima dell’alba. Si è allontanato per necessità. È stato al tuo fianco per un sacco di tempo.

Mentre leggeva quelle poche righe, l’espressione di Mala sembrò addolcirsi. Per quanto cercava di respingerlo, le sue emozioni erano inequivocabili.

“Quali necessità?” domandò chiudendo di nuovo gli occhi.

Eileen si guardò intorno e notò che Noah stava ancora dormendo. Aveva paura di confidarsi con Mala, non voleva coinvolgerla in qualcosa di pericoloso.

Tuttavia, cercò di mettersi nei suoi panni: se non le avesse raccontato dei suoi progetti, la avrebbe sicuramente ferita.

Scelse con cura le parole da scrivere.

Shura mi ha detto che il virus è partito dal branco dei Mavix. Devo assicurarmi che Roman stia bene. Partirò all’alba, con o senza l’approvazione del Consiglio.

La confusione sul volto dell’amica era evidente. Dopo aver riletto più volte quelle poche righe, si girò a guardarla negli occhi. Non riusciva capire cosa le passasse per la testa.

Era delusa? Aveva intenzione di contrastare la sua decisione?

“Verrò con te” affermò alla fine, senza mezzi termini.

Eileen scosse la testa prima che potesse aggiungere altro. Con determinazione, Mala si alzò a sedere e le afferrò il braccio.

“Ascoltami, non puoi partire da sola, sarebbe troppo pericoloso” disse respirando in maniera sconnessa.

Senza liberarsi dalla sua presa, le avvicinò il taccuino.

La foresta è casa mia, la conosco alla perfezione. E poi, sei troppo debole per affrontare un viaggio.

Questa volta fu Mala a scuotere la testa: “La foresta non è un posto sicuro per una persona che non riesce a trasformarsi.”

Il sentimento di vergogna la colpì come un pugno, costringendola a distogliere lo sguardo. D’istinto, si alzò di scatto, aumentando le distanze. Si rifugiò ad un angolo della stanza, come un cane ferito.

Per tutto questo tempo, l’ha sempre saputo. Le sarò sembrata patetica.

Aveva sempre sperato di riuscire a nascondere questa sua debolezza. Mala era estremamente intelligente, doveva aspettarselo. Il terrore che qualcuno altro potesse esserne al corrente, le fece venire la nausea.

“Eileen, guardami, per favore” la supplicò, alzando leggermente la voce, sperando di attirare la sua attenzione.

Con difficoltà, esaudì il suo desiderio.

“Non ho intenzione di dirlo a nessuno, non credo che gli altri lo abbiano notato. Sono tua amica e ci tengo a te, non farei mai qualcosa che possa metterti in pericolo” gli occhi azzurri pieni di sincerità incrociarono i suoi verdi, diffidenti.

Era una vera impresa fidarsi degli altri. Tutto ciò che aveva imparato dall’esperienza, la metteva in guardia, la spingeva nella direzione opposta. Da quando era piccola, aveva imparato a contare solo sulle sue forze. 

Ora un altro essere umano le chiedeva un atto di fede. 

Il suo pensiero, inevitabilmente, andò a Roman. Se voleva salvarlo, non poteva farcela da sola.

Devo fidarmi di lei, dopotutto non mi ha mai dato motivo di non farlo.

La razionalità ritornò in suo aiuto e la nausea si affievolì.

Non possiamo partire senza conoscere la decisione del Consiglio. L’ho promesso a Shura.

La mise al corrente della conversazione avuta in precedenza con lui, non tralasciando nessun dettaglio.

Inconsciamente,  si era riavvicinata al suo letto, accorciando pian piano le distanze. Qualcosa era cambiato, stava migliorando.

Mala leggeva attentamente le sue parole e, nonostante non fosse nel pieno delle forze, vedeva la sua mente macinare.

“Facciamo così: partiamo stanotte. Non aspetteremo che Shura venga qui, ma andiamo noi da lui. Sentiamo cosa ha da dire e poi partiamo.”

Eileen non era convinta.

Lo sai che Shura non ti lascerà mai partire, vero? Si arrabbierà quando ti vedrà fuori da questo posto.

“Non vedo l’ora” le rispose sorridendo.

Non poteva coinvolgerla nel suo piano. Era in convalescenza, un viaggio avrebbe potuto aggravare la sua salute. Come suo medico, doveva imporsi.

“Lo vedo che stai già cambiando idea. Senti, là fuori non dureresti abbastanza senza di me, siamo un bel team io e te, ricordi? E poi…ho bisogno di andarmene, potrebbe rivelarsi il cambiamento che sto aspettando da tempo” pronunciò l’ultima frase come se si trattasse di una domanda. Una nota di tristezza nel tono non sfuggì alla sua interlocutrice.

Aveva scoperto tutte le carte. La sua vulnerabilità era palpabile.

Va bene, facciamo come dici tu. Dammi il tempo di prendere le mie cose e partiamo.

Mala tirò un sospiro di sollievo e annuì. 



Buonasera a tutti! Spero stiate tutti bene, al prossimo aggiornamento! 

Helen 

 

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Capitolo 19
*** Il quartier generale ***


Per qualche minuto, Eileen rimase a fissare la sua stessa immagine allo specchio. I capelli legati lasciavano scoperta la cicatrice. La causa di tutte le sue debolezze. Esporla agli occhi di tutti non era stato così terribile come pensava.

Non c’era dubbio che avesse altri pensieri per la testa.

In quei giorni così frenetici, a malapena era riuscita a riposarsi. Le occhiaie appena accennate, ne erano la prova.

Con un unico movimento sciolse i capelli e legò la piccola cordicella al polso. La sfiorò con tenerezza proprio come tempo prima Roman aveva sfiorato delicatamente la sua cicatrice.

Fa che stia bene.

Non c’era tempo da perdere. Radunò tutto il necessario nella piccola tracolla e uscì dalla stanza. Inizialmente aveva pensato di portare con sé alcune foglie di Insulus, poi però aveva cambiato idea.
Erano indispensabili per i pazienti del suo branco.

Intraprendere un viaggio del genere la terrorizzava. Non aveva mai agito in modo tanto avventato, verso un posto sconosciuto, forse ostile. Aveva voglia di parlarne con Bentlam, di cercare insieme a lei una soluzione diversa, migliore.

Non c’era tempo di scendere a compromessi.

Senza pensarci due volte, le aveva lasciato un piccolo biglietto, dicendole che doveva necessariamente partire e che, se avesse voluto maggiori dettagli, doveva rivolgersi a Shura.

Non le importava che scoprisse ogni cosa. Da anni ormai, era la sua ancora di salvezza, il suo punto di riferimento. Non avrebbe fatto nulla per nuocerle.

Con calma, cercando di non destare alcun sospetto, si incamminò verso la stanza dell’amica.

La trovò in piedi, vicino ad una sedia. Anche lei si stava organizzando per la partenza.

Eileen scarabocchiò qualcosa sul taccuino e glielo porse.

È ora. Hai preso tutto? Prima passeremo da casa, devo lasciare almeno un biglietto per mia madre. Passiamo anche da casa tua?

Mala scosse la testa.

Non si azzardò a chiederle altro. Prese un pezzo di stoffa dalla tasca per coprirgli bocca e naso.

Meglio essere il meno riconoscibile possibile.

Le spiegò facendole l’occhiolino.

Ancora stordita dalla malattia, l’amica si limitò ad annuire. Entrambe uscirono dalla stanza e si incamminarono verso l’uscita.

Per fortuna, lungo la strada, non incontrarono quasi nessuno.

Nel pieno della notte, un brivido di eccitazione le percorse la schiena. Era meno freddo rispetto agli altri giorni.

Aveva passato così tanti giorni al chiuso che solo in quel momento si rese conto di quanto le era mancato prendere una boccata d’aria fresca.

L’adrenalina era alle stelle.

Un odore di terra bagnata le passò attraverso le narici.

Casa.

Circondò con un braccio la vita di Mala. La sua andatura la preoccupava, meglio non rischiare.

“Sto bene, devo solo abituar-” la tosse non le fece terminare la frase.

Preoccupata per la sua salute, strinse ulteriormente la presa e con passo veloce si incamminarono verso casa sua.

Com’era prevedibile sua madre non c’era. Almeno non doveva sforzarsi di non fare rumore.

Riposero il pezzo di stoffa da parte, poi entrambe salirono nella sua stanza. Lì si cambiarono i vestiti sostituendoli con alcuni più caldi e puliti.

Sfortunatamente Mala era più alta di lei e i suoi pantaloni le stavano più corti del previsto. Rise nel vederla con le caviglie scoperte.

“Beh, dai poteva andarmi peggio. Per fortuna, porto gli stivali” affermò dopo averli indossati.

Eileen scese in cucina, prese diverse pagnotte di pane e l’acqua per il viaggio. Strada facendo avrebbero sicuramente trovato altro cibo.

Strappò velocemente una pagina dal taccuino.

Iniziò a fissarla attentamente, come se si trattasse di un nemico.

E ora cosa le scrivo?

Continuò a scrutare quella piccola pagina bianca, sperando che le parole si materializzassero da sole. L’ultima volta che aveva visto sua madre avevano litigato. Qualsiasi frase o parola le sembrava inappropriata, falsa. 

Sapeva di non potersi definire una poetessa, normalmente avrebbe avuto difficoltà a scriverle, in più l’urgenza del momento non faceva che peggiorare la situazione.

Il pugno con cui stringeva la penna scomparve sotto una mano dalla carnagione più chiara. Era così immersa nei suoi pensieri che non aveva percepito la presenza di Mala al suo fianco.

Quel breve contatto le trasmise calore. Riusciva a percepire i calli sulla mano dell’amica, dovuti al duro allenamento.

In pochi giorni, era cambiata veramente tanto.

Tutto sta cambiando.

Si girò a guardarla.

“Scrivo io per te, sono abbastanza brava in queste cose” si propose, offrendole il suo aiuto.

Esitò, ma alla fine le lasciò la penna.

Corse di sopra e inserì i viveri in un piccolo zainetto di tela. Se lo caricò in spalla e ritornò al piano inferiore. Scendendo le scale, si accorse del piccolo campanello che aveva al collo.

Sua mamma glielo aveva lasciato sul tavolo, dopo il loro litigio. La violenza con cui lo aveva lanciato, non le apparteneva. O almeno così pensava.

Lo nascose all’interno del maglione, evitando di concentrarsi sui quei pensieri negativi.

Velocemente raggiunse l’amica che le porse il piccolo foglietto, in cerca di una conferma.

Ma’, mi dispiace di non averti trovata a casa. Volevo avvisarti che sarò via per qualche giorno, niente di pericoloso, non devi preoccuparti. Tornerò presto. Eileen.

Parole semplici, concise.

Era perfetta.

Abbandonarono la casa in fretta, verso il quartier generale, dove il Consiglio si riuniva abitualmente.

Non conosceva bene la strada, lasciò che Mala la guidasse. In una manciata di minuti arrivarono a destinazione.

Probabilmente saremo costrette ad inventarci una scusa per poter parlare con Shura, pensò Eileen, guardando il palazzo più maestoso di tutto il branco.

Le loro case erano state costruite interamente in legno, invece la struttura che si trovavano davanti era stata realizzata con pesanti blocchi di pietra. Il grigio spiccava nella foresta, in mezzo a tutte quel marrone. Non era certamente un ottimo metodo per mimetizzarsi, ma, in caso di incendio, quel palazzo sarebbe stato l’unico a rimanere intatto.

Persa nei suoi pensieri, non si accorse che Mala stava avanzando, senza nemmeno aspettarla.

Entrò direttamente dall’ingresso principale, come se l’avesse già fatto altre volte.

Cosa sta facendo?!

Di corsa la seguì all’interno, cercando di afferrarle il braccio.

“Sono la figlia di Paride, vorrei vederlo” ordinò Mala alla guardia di turno. Il tono di voce che aveva utilizzato non sembrava neanche il suo, piatto e privo di emozioni.

Mala è la figlia di Paride?

Si accorse di non sapere nulla riguardo alla persona che aveva di fronte. Non avevano avuto la possibilità di parlare molto della loro vita, del loro passato. Erano argomenti che preferivano evitare.

Eileen si sentì un’intrusa lì dentro. Aveva la sensazione di essere entrata a far parte di uno dei ricordi di Mala.

E non uno di quelli felici.

“Va bene, puoi passare” le rispose l’uomo mantenendo un tono cordiale.

“Lei è con me” aggiunse l’amica indicandola.

Da quel che riusciva a vedere, il palazzo non era molto grande, ma era dotato di diverse stanze. Eileen si chiese in quale di queste si trovasse Shura.

La ragazza davanti a lei non sembrava così preoccupata: avanzava a passo deciso verso una meta a lei sconosciuta. Aveva tante domande da porle, ma qualcosa le diceva che non era il momento giusto.

Rimase dietro di lei, osservando ogni suo movimento.

Mala era come in trance, persa nei suoi ricordi. Si era perfino dimenticata della sua presenza.

Almeno così pensava, finché non le sbarrò la strada con il braccio. Delle voci provenivano dall’ultima stanza sulla destra. In punta di piedi, si avvicinarono per ascoltare meglio.

“Tutti sappiamo delle tue ottime doti da seduttore, però questa volta non sono bastate. Ultimamente sei nel mondo dei sogni, ma la tua grinta mi ha particolarmente colpita oggi…A cosa è dovuta?” chiese una voce femminile.

Non conosceva quella voce. Non era lei il loro obbiettivo, eppure Mala continuò ad ascoltare, immobile, senza produrre alcun tipo di suono.

“Ma quanto ti piace prendermi in giro? È un’idea così assurda che anche io abbia un cuore?” le rispose Shura ridendo. 

Ora capiva il motivo per cui si trovavano lì.

“Hai un debole per le ragazzine, ammettilo. Cerchi sempre di fare il fratello maggiore, il Superman della situazione. Lo sai però che il medico è fuori questione, non possiamo lasciarla andare nel branco dei Mavix” aggiunse la stessa donna, mantenendo un tono scherzoso.

Perché era fuori questione che viaggiasse?

Probabilmente era una risorsa di cui non potevano fare a meno. Ci avrebbero fatto l’abitudine. La sua priorità numero uno era Roman, senza alcun dubbio.

Si girò verso Mala con fare interrogativo, ma non ricambiò il suo sguardo. Era perso nel vuoto. Ascoltava attentamente quella conversazione, senza perdersi nemmeno una parola.

“Ehi Superman, mi stai ascoltando? Va tutto bene?”

“S-sì, scusami mi sembrava di…” interruppe la frase, riprendendo subito dopo il discorso: “Cosa stavi dicendo?”

“Niente di importante, come hai dimostrato ora, sei sempre nel mondo dei sogni” sbuffò la donna, seccata “passi troppo tempo a prenderti cura degli altri, senza pensare ai tuoi bisogni” un rumore di passi faceva dedurre che uno dei due si fosse mosso verso l’altro.

“Posso prendermi cura io dei tuoi bisogni, almeno per una volta?” sussurrò la donna, rendendo quelle parole appena percettibili.

Prima che potesse ascoltare la risposta di Shura, Mala le afferrò il polso e la trascinò verso un altro corridoio.

Se prima camminavano, ora stavano correndo.

Confusa, Eileen cercò di starle al passo. La presa salda la guidava nell’oscurità.

Di botto, l’amica spalancò una porta, riportandole all’esterno del palazzo.

Si trattava di un’uscita secondaria.

Improvvisamente Mala iniziò a tossire, senza riuscire a smettere. Allarmata, Eileen si avvicinò provando ad aiutarla, ma la tosse si trasformò in conati di vomito.

Cadde in ginocchio, in agonia.

Subito le circondò le spalle con un braccio e con l’altra mano le mantenne la fronte, sperando che riuscisse a respirare di nuovo regolarmente.

Disperatamente l’amica si aggrappò con entrambe le mani al suo braccio. Qualche secondo dopo, la tosse si trasformò in singhiozzo.

Sorpresa, Eileen cercò di guardarla in viso, ma la presa sul braccio non glielo permetteva.

Non potendo confortarla con le parole, si ritrovò a fare l’unica cosa sensata che le venne in mente.

Senza esitare, l’abbracciò forte, come se ne andasse della sua vita.

Spesero alcuni minuti lì, inginocchiate sulla terra fredda, al chiaro di luna, circondate dal silenzio più assoluto.

Ad interrompere il silenzio fu Mala: “S-sto b-bene, d-dobbiamo andare, non c’è t-tempo da p-perdere.”

Lentamente sciolse l’abbraccio e, dandole ancora le spalle, si asciugò le lacrime, non lasciando alcuna traccia dello sfogo.

Era bianca come un lenzuolo. Gli occhi spenti evitarono di guardarla.

Cosa è successo là dentro?

Eileen aveva imparato quanto fosse importante il tempismo e sicuramente quello non era il momento giusto per porle quella domanda.

In silenzio, si incamminarono verso la loro prossima destinazione.

Il branco dei Mavix.


Buonasera a tutti!
Questo è un capitolo leggermente più lungo rispetto agli altri, spero non vi dispiaccia.
Al prossimo aggiornamento!

Helen

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Capitolo 20
*** Confidenze ***


Per fortuna, il branco dei Mavix non era molto distante dal loro. Lungo il percorso, Eileen aveva deciso di fare una piccola deviazione. Sapeva che non c’era tempo da perdere, però era costretta a procurarsi alcune foglie di Insulus. Se si fosse presentata lì, senza nessuna cura, l’avrebbero cacciate seduta stante.

Conosceva ogni angolo della foresta, era sicura che non ci avrebbero impiegato molto a trovare la pianta. 

Le due ragazze camminavano l’una a fianco all’altra. Di ciò che era successo al quartier generale, nessuna delle due aveva proferito parola.

Eileen sperava che la loro fuga non causasse alcun danno a Shura. Dalla conversazione origliata, sapeva che ci aveva provato con tutto le sue forze a convincere il Consiglio. Lei, da parte sua, non gli aveva mai nascosto l’intento di partire in ogni caso.

Mala era la variabile che Shura non aveva tenuto in considerazione: era sicura che non l’avrebbe presa bene. Con molta probabilità, si stavano organizzando per riportarle indietro.

Non se arriviamo al branco dei Mavix per prime.

Non sapeva se ridere o piangere: la situazione era alquanto assurda. Scappavano dal loro branco e allo stesso tempo erano pronte a buttarsi tra le braccia di un probabile nemico.

La cosa che più la preoccupava era aver coinvolto l’amica nei suoi piani suicidi. Proteggerla sarebbe stata tra le sue priorità.

Camminando, avevano utilizzato il tempo saggiamente: Mala le aveva chiesto di continuare ad insegnarle il linguaggio dei segni.

Sin da subito, si accorse che era dotata di una buona memoria e questo la avvantaggiava. Non era un caso che riuscisse a memorizzare i segni con grande facilità.

Inoltre, doveva riconoscere che sua madre aveva fatto un buon lavoro. Le aveva insegnato, in poco tempo, le basi della lingua.

Chissà cosa farà quando leggerà il biglietto che le ho lasciato.

Senza accorgersene, portò la mano destra al campanello.

Il lavoro era la sua vita, quindi con molta probabilità sarebbe tornata a svolgere il suo ruolo come sempre.

Quel pensiero la rattristò.

Non era mai riuscita a creare un rapporto decente con lei, era come se ci fosse un muro invisibile che non poteva scavalcare, frantumare.  

Nessuna delle due aveva mai sollevato il problema.

In questo siamo molto simili.

Si trovò a pensare con una punta di amarezza.

“Ho lasciato una lettera a Noah prima di andarmene” ruppe il silenzio Mala, “mi sembrava ingiusto lasciarlo lì, da solo, senza neanche qualche parola di conforto. Ha perso il padre, dopotutto.”
Con sguardo serio, guardava la strada di fronte a sé: “So che significa perdere un genitore così dal nulla.”

Non conosceva molto bene le parentele all’interno del branco. Per molto tempo, era rimasta chiusa in casa, badando solo al suo dolore. Non era aggiornata su quello che accadeva, tendeva a vivere nel suo mondo.

Tuttavia, il racconto di alcuni avvenimenti era arrivato perfino alle sue orecchie. Ricordò che uno dei membri del Consiglio aveva perso la compagna in circostanze tragiche.

Le avevano organizzato un funerale degno di una regina, ma né lei né sua madre avevano partecipato.

Tua madre era un guerriero?

Le segnò lentamente, sperando che comprendesse la sua domanda.

Mala guardò le sue mani muoversi e subito dopo, incerta, mosse le sue.

Sì, lo era.

Anche io ho perso mio padre, aggiunse Eileen in vena di confidenze. Pian piano, iniziavano ad aprirsi l’una con l’altra, riusciva a percepirlo.

Era un guerriero anche lui?  Segnò Mala dopo diversi tentativi.

Sì…sei sicura di voler diventare anche tu un guerriero?

Prima di porle quella domanda, esitò per qualche secondo: aveva paura di essere invadente e di oltrepassare dei limiti a lei sconosciuti. Alla fine, però, le mani erano state mosse dalla curiosità.

“Mia madre è sempre stata uno dei miei pochi punti di riferimento. Era perfetta, sia come madre che come guerriero. Vorrei assomigliare a lei, almeno un po’. Questa è l’unica strada che mi permetterebbe di seguire le sue orme” non c’era dolore nella sua voce, solo tanta ammirazione.

Un pizzico d’invidia la colse alla sprovvista. Le sarebbe piaciuto poter dire lo stesso di sua madre.

Mi sarebbe piaciuto poterla conoscere.

Le segnò, immaginandosi la figura di una donna bionda, con gli occhi azzurri, la versione adulta della ragazza al suo fianco.

Mala le rispose con un sorriso appena accennato: “Anche a me sarebbe piaciuto…”

Eileen si rese conto come ogni persona fosse condannata a convivere con le proprie ferite. Non era l’unica ad aver sofferto: le sue cicatrici erano semplicemente più visibili rispetto alle altre.

“Da quanto tempo non riesci a trasformarti?” le chiese a bruciapelo.

Percepì subito un nodo in gola. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Con calma, provò a rispondere alla sua domanda.

Sono passati ormai 12 anni. Dopo essere stata aggredita nel bosco, non sono più riuscita a mutare forma. È come se il mio lupo fosse morto.

Si rese conto di non aver raccontato mai a nessuno quella storia.

Solo sua madre e Bentlam conoscevano ciò che le era successo e nessuna di loro due si era mai azzardata a parlarne. Raccontarlo a qualcuno la rese stranamente più felice, trasmettendole un senso di sollievo.  

Ho provato diverse volte a mutare forma, ma niente. Penso di aver dimenticato che significa essere un lupo.

Mala seguiva il movimento delle sue mani con grande attenzione. Entrambe continuavano ad avanzare, osservando le prime luci dell’alba.

“Credi che la perdita della voce sia collegata alla perdita del tuo lupo?” le chiese pensierosa.

D’istinto, si toccò la cicatrice. Il dolore che aveva provato era impossibile da dimenticare. Il ricordo di quegli occhi vitrei, le mozzò il fiato.

Chiuse rapidamente gli occhi, scacciando quell’immagine.

In realtà, non ci aveva mai pensato. Se all’inizio si era lasciata attraversare dal dolore, con il tempo aveva evitato di rievocare quell’episodio.

Non lo so…Il danno fisico che mi è stato fatto è abbastanza evidente e irreversibile. Quello psicologico è difficile da quantificare.

Con la coda dell’occhio, cercò di cogliere la reazione sul viso dell’amica. Non c’era pietà nel suo sguardo, solo pura e semplice curiosità.

“Però non si spiega come mai tu non possa più trasformarti in lupo…” rifletté ad alta voce.

L’odore di resina nell’aria le ricordò che erano quasi arrivate. Tuttavia, non voleva perdere quell’occasione per scoprire qualcosa in più sul suo conto.

È troppo chiederti cosa è successo al quartier generale?

Mala non sembrò sorpresa da quella domanda, probabilmente si aspettava che prima o poi gliela avrebbe posta.

Rispose scegliendo le parole con cura: “Mi dispiace averti coinvolta in questa situazione…Io e Shura siamo ai ferri corti e in più fa lo stupido con quella donna, si prendono gioco di me…sono un’idiota, mi sento una bambina stupida. Odio che mi faccia sentire così. Non potevo sopportare di rimanere lì un minuto di più….”

La tosse interruppe la sua confessione. Non doveva agitarsi troppo o la situazione sarebbe peggiorata come era successo la sera prima.

Con il palmo della mano le massaggiò la schiena, invitandola a prendersi il suo tempo.

“S-scusami, è solo un po’ di t-tosse” si schiarì la voce e continuò: “per tutta la vita mi sono affidata a lui…era tutto il mio mondo. Capisci?”

Sapeva che la sua era una domanda retorica, quindi non interruppe il racconto. Con sguardo gentile, la esortò a continuare.

“Credevo, speravo che lui sarebbe stato il mio passato, presente, ma soprattutto il mio futuro” appoggiò una mano sul petto, enfatizzando l’appartenenza: “l’amore non corrisposto è una merda, non lo auguro neanche al mio peggior nemico” sorrise amaramente.

Non corrisposto?

Eileen era chiaramente confusa. Com’è possibile che Mala non avesse notato le attenzioni che Shura aveva nei suoi confronti?

Shura ci tiene a te, l’ho visto. 

Le segnò, attirando il suo sguardo. Si era persa nuovamente nei suoi pensieri, mentre fissava la punta degli stivali.

“Non in quel senso, mi considera come una sorella minore, ne ho la certezza. Il dialogo al quartier generale ha praticamente confermato ciò che già sapevo” alzò le spalle, sminuendo l’accaduto.

“Questo viaggio potrebbe essere quello che cerco. Un biglietto di sola andata per non so dove. Allontanarmi dal branco potrebbe farmi bene” sorrise cercando di autoconvincersi, più che di convincere la sua interlocutrice.

Eileen aveva voglia di investigare ed approfondire la questione, però qualcosa le diceva che doveva rimandare le domande alla prossima occasione.

Abbiamo fatto passi da gigante, è impossibile negarlo.

Sapere di poter contare su un’altra persona nella sua vita, la rendeva euforica. Mai come in quel momento, desiderava potersi esprimere a parole, comunicarle il suo pensiero, consolarla in qualche modo, oltre che una pacca sulla spalla.

Conosceva il potere delle parole, l’effetto che potevano avere sulle persone. Ti portavano in paradiso e un secondo dopo all’inferno.

Mala ne era la prova.

Anche se tentava di nasconderlo e mostrarsi di buon umore, sapeva che il dialogo origliato al quartier generale aveva creato delle crepe irreparabili.

Cicatrici, appunto.   

 

Buonasera a tutti! 

Ho deciso di postare un capitolo oggi e un altro domani, dato che oggi è il mio compleanno. Un modo come un altro per festeggiare insieme "virtualmente"! :)

Spero stiate tutti bene, a domani!

Helen

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Capitolo 21
*** Desolazione ***


Come immaginava, trovare foglie di Insulus non si rivelò una grande impresa. Riempirono lo zainetto di tela fino a farlo straripare e si rimisero subito in marcia.

Eileen invitò più volte l’amica a riposare, il tempo di mettere qualcosa nello stomaco.

Mala fu irremovibile. Fermarsi non faceva parte delle opzioni, voleva a tutti costi arrivare a destinazione.

Mangiarono strada facendo, in silenzio. Si accorse immediatamente che l’amica stava cercando di conservare le forze e mantenere la guardia alta.

Non sapevano a quali pericoli sarebbero andate incontro una volta arrivate. Era essenziale essere pronte ad ogni evenienza.

Tuttavia, lei era un dottore e riusciva a cogliere i segnali del corpo: Mala aveva bisogno di riposarsi, in un posto caldo e asciutto.

Prima che si facesse travolgere dall’ansia e dalla preoccupazione, scorse in lontananza alcune case costruite interamente in mattoni.

Di colpo, si fermò, afferrando il braccio dell’altra.

Entrambe ritornarono sull’attenti, in attesa di percepire rumori sospetti nelle vicinanze.

Tutto taceva, Eileen riusciva a sentire solo il rumore delle foglie mosse dal vento. Dopo che il suo lupo era “morto”, aveva pian piano smarrito il suo udito sopraffino. Non lo aveva deciso, era successo e basta. Una capacità non coltivata che aveva perso crescendo.

Guardò l’amica cercando di interpretare la sua espressione.

Siamo in pericolo? C’è qualcuno nelle vicinanze?

Mala le rispose incitandola a camminare in direzione della casa.

Eccolo, il branco dei Mavix.

Ora che erano arrivate lì, non sapeva come comportarsi. Non aveva ideato un piano. Era stata così presa dal viaggio e dall’urgenza di partire che non aveva pensato al dopo.

A chi dovevano rivolgersi? Qual era la prassi da seguire?

Una mano sulla spalla la riportò al presente: “Eileen, sei pronta?” sussurrò l’altra, offrendole un sorriso di incoraggiamento. 

Probabilmente avrà notato che sono il ritratto della disperazione.

Rise di se stessa.

Il sorriso dell’amica durò poco: il colorito pallido si stava trasformando in verde. Non era un buon segnale.

Prese coraggio e annuì alla domanda.

“Perfetto, ora…dobbiamo solo entrare e capire la situazione. Manteniamoci sul perimetro, in modo da avere sempre le spalle coperte…Tutto chiaro?” chiese intervallando il discorso con alcune pause.

Annuì una seconda volta, con maggiore convinzione.

Poteva farcela per Mala, per Roman e per se stessa.

Silenziosamente si fecero spazio tra gli alberi, con le gambe leggermente piegate e la schiena curva, pronte a scattare.

Una dietro l’altra scorsero le prime case. Notarono subito che nessuno di quei palazzi era stato costruito in legno. Non erano molto grandi, ma sembravano più resistenti rispetto alle loro case.

Sebbene fosse mattina, per strada, non c’era un’anima viva.

La paura di essere contagiati ha spinto tutti a rimanere chiusi in casa, ipotizzò Eileen. Avrebbe voluto condividere i propri pensieri con Mala, ma non poteva distrarla. Nonostante la malattia, avanzava come un segugio.

D’un tratto, la tosse di qualcuno attirò la loro attenzione.

Senza pensarci due volte, si rifugiarono dietro un tronco. Con i nervi a fior di pelle, si guardarono intorno, cercando di capire da dove provenisse il rumore.

Tra tutte quelle case, scorse l’unica porta socchiusa. Dopo averla indicata all’altra, continuò a guardarla, in attesa di scorgere altri movimenti.

“Aiut-to” una voce flebile risuonò nel silenzio. La tosse interruppe la richiesta d’aiuto.

Eileen prese il taccuino dalla tasca.

È la nostra occasione di aiutare qualcuno.  

“E se fosse una trappola?” sussurrò Mala.

Com’è possibile? Nessuno sa che saremmo venute qui.

Si affrettò a risponderle, nella speranza di convincerla.

Ci rifletté un attimo e subito alzò il pollice verso l’alto. Con la solita cautela si avvicinarono all’abitazione.

L’odore di un braciere acceso arrivò alle sue narici. Perlomeno la persona si trovava al caldo.

Prima che potesse spalancare la porta, Mala le bloccò il braccio. Con l’indice vicino al naso, la invitò a fare silenzio e per prima, entrò in casa, pronta a reagire. 

La seguì a ruota e la prima cosa che notò fu un uomo steso per terra, ai loro piedi. Con gli occhi chiusi, si contorceva, in agonia. Non sembrava cosciente.

Senza pensarci due volte, si inginocchiò, controllando i segni vitali. In base all’esperienza, la malattia doveva trovarsi ad uno stato avanzato. Se non avesse agito in quel momento, sarebbe, con molte probabilità, morto.

“Come sta? È molto malato?” le chiese Mala alle sue spalle, mentre la osservava rovistare nello zainetto in cerca dell’Insulus.

Potrebbe morire.

La risposta sembrò allarmare l’amica: “Merda, posso aiutarti in qualche modo?”

Annuì e indicò il corpo dell’uomo. Dovevano spostarlo sul letto, in modo da evitare che prendesse freddo.

Con difficoltà, lo sollevarono dai due estremi del corpo. Quest’ultimo atterrò sul letto con un tonfo.

Il fiatone e le goccioline di sudore sul viso della ragazza non erano un buon segno. Le toccò la fronte: scottava di nuovo.

Prendi quella coperta e siediti vicino al braciere.

Le ordinò, sperando di apparire convincente.

Stranamente, non protestò e ubbidì all’istante.

Entrata in modalità medico, si assicurò che le foglie fossero applicate perfettamente sul petto nudo dell’uomo. Le premette con entrambe le mani, facendo leva con il corpo.

Osservandolo meglio, si accorse che non era molto grande, probabilmente poteva avere tra i 45-50 anni. Il corpo minuto e la muscolatura appena accennata li conferivano un aspetto poco minaccioso.

Di colpo, gli occhi del moribondo si spalancarono. Incrociarono immediatamente i suoi verdi e li fissò. Quel momento durò un attimo e subito dopo ricominciò a tossire.

Tirò un sospiro di sollievo. Era meglio se non fosse stato cosciente, avrebbe potuto dare l’allarme: l’ultima cosa di cui avevano bisogno.

Si girò a guardare la ragazza alle sue spalle: fissava il fuoco, persa nei suoi pensieri.

Sono stata una stupida, non dovevo portarla con me. Se muore, non me lo perdonerò mai.

Prima che potesse avvicinarsi a lei, la porta si spalancò violentemente.

Entrambe sobbalzarono, prese alla sprovvista.

Due uomini imponenti, con i capelli lunghi e neri, probabilmente gemelli, fecero irruzione nella stanza occupando tutto lo spazio a disposizione.

Il primo si diresse verso Mala e il secondo verso Eileen: “Rimanete sedute, non provate ad attaccarci o sarà la vostra fine. Chi siete?” chiese l’uomo che aveva puntato l’amica.

“Cosa gli state facendo?” domandò il secondo alzando la voce.

Nessuna delle due si azzardò a fiatare. Non fu una mossa saggia.

“Sto perdendo la pazienza, ragazzina. Dimmi chi siete!” ringhiò uno dei gemelli prendendo Mala per la collottola.

“Lasciami, brutto ceffo!” rispose l’amica allo stremo delle forze.

La situazione sta degenerando, devo agire.

Batté il pugno sul pavimento, attirando lo sguardo di tutti i presenti. Una volta ottenuta la loro attenzione, alzò i palmi verso l’alto in segno di resa.

“Cosa vuoi dirci, ragazzina? Non farci perdere tempo o ammazziamo la tua amichetta” affermò l’uomo di fronte a lei, deridendola.

“Non può parlare…”

“Zitta, o ti scuoio viva!” aggiunse, rafforzando la presa.

Eileen uscì lentamente il taccuino dalla tasca, sperando che non lo scambiassero per un’arma. Il secondo gemello osservò ogni suo movimento, non perdendola d’occhio neanche per un’istante.

Era pronta ad attaccarla, lo sentiva.

Con mani tremanti, scrisse un messaggio sul primo foglio bianco che trovò.

Siamo qui per aiutarvi. Sappiamo della malattia, veniamo in pace. 

Lo accartocciò e glielo lanciò, cercando di mantenere le distanze, nonostante lo spazio fosse angusto.

“Due ragazzine, di cui una storpia, non ci poteva andare meglio di così” disse il primo gemello, ridendo dell’espressione minacciosa di Mala.

L’altro, intento a leggere il messaggio, alzò subito dopo lo sguardo, fissandola.

“Non abbiamo chiesto aiuto a nessuno. Sono solo balle. Avete sbagliato ad avventurarvi nel nostro territorio” la voce piatta non tradiva nessuna emozione.

“Portiamole via, e spassiamocela” propose il primo.

“No, dobbiamo portarle all’Inquisizione, saranno loro a decidere” aggiunse il secondo: “è il protocollo”.

Tutto avvenne in pochi secondi, sotto lo sguardo sconcertato di Eileen: Mala affondò le unghie nel pugno del suo aggressore, costringendolo a lasciare la presa. Subito dopo si avventò sul suo viso.

L’urlo dell’uomo richiamò l’attenzione del fratello che andò in suo soccorso.

Eileen tirò fuori il coltellino dallo stivale, pronta ad affondarlo nella schiena di uno dei due.

“Ferma o la uccido” ringhiò il secondo, indicando per terra il corpo inerme dell’amica.

Oddio, ti prego fa che sia viva.

“Brutta cagna!” gridò il gemello aggredito, mentre cercava di tamponare la ferita sul viso.

Non aveva altra scelta, lasciò cadere il coltellino e alzò i palmi, arrendendosi.

Pian piano, entrambi si avvicinarono nella sua direzione, mettendola alle strette.

Fermi!

Mimò con le labbra, allungando le braccia davanti a sé.

Pensa, pensa, pensa.

Estrasse dalla tracolla, una piccola fiala contenente una pozione contro il raffreddore.

La sollevò davanti ai loro occhi.

Confusi, seguirono i suoi movimenti, pronti all’attacco.

Mosse il pollice, indicando l’uomo alle spalle e subito dopo se lo portò alla gola, minacciandoli di avvelenarlo con quella pozione.

Non era una grande attrice, aveva esaurito le idee.

I due uomini non parvero preoccupati, incrociarono entrambi le braccia al petto e sorrisero.

“Non penso proprio” affermò il secondo gemello.

Subito dopo, tutto divenne buio.



Buona domenica a tutti! Come promesso, ecco un altro capitolo. Spero vi piaccia, fatemi sapere. 

Helen
 

 

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Capitolo 22
*** Prigione ***


Fu il dolore a far uscire Eileen dallo stato di incoscienza.

Cosa era successo? Dove si trovava esattamente?

Aprì gli occhi e cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Era immersa nella semi oscurità, il sole era tramontato da poco. Gli ultimi chiarori le diedero la possibilità di guardarsi intorno.

Il freddo e il forte odore di umidità erano la prova che con molta probabilità era finita in una cella. Il soffitto e il pavimento erano interamente in pietra, confermando la sua ipotesi.

Lentamente, provò ad alzarsi. Un forte giramento di testa la costrinse a desistere, ritornando nella posizione precedente.

Accidenti, ho ricevuto un bel colpo in testa.

Ad aggredirla non erano stati i gemelli, ma l’uomo che stava curando. Era l’unico che avrebbe potuto colpirla alle spalle.

Maledetto.

Con la mano destra si toccò la nuca, risalendo per la testa. Un dolore acuto la colse alla sprovvista.

Ecco, mi hanno colpita proprio qui.

La mano era pulita, non c’erano tracce di sangue.

Il sangue si sarà coagulato.

Il corpo le doleva, la tensione accumulata durante la giornata si stava facendo sentire. Per fortuna, le sensazioni che percepiva si limitavano a quello. Mentre era incosciente, non avevano approfittato di lei.

Mio Dio, non voglio neanche immaginare cosa poteva succedermi.

Rabbrividì al solo pensiero.

Riprovò ad alzarsi e questa volta, lo fece più lentamente. Alla fine, ci riuscì. Appoggiò la schiena e la testa alla parete, aspettando che la stanza smettesse di girare.

Dov’è Mala?

Quel pensiero iniziò a tormentarla. Si accorse di non avere più con sé né la tracolla, né il piccolo zainetto. Per non parlare poi del coltellino. Sicuramente era finito nelle mani di uno dei gemelli.

Maledetti, me la pagheranno.

La lista di persone con cui avrebbe dovuto fare due chiacchiere si stava allungando.

Eileen non era una persona vendicativa. Almeno questo è ciò che pensava. Più andava avanti, e più l’immagine che aveva di se stessa incominciava a cambiare.

Aveva difficoltà a riconoscersi.

La frustrazione e la rabbia la spinsero ad alzarsi in piedi, in cerca dell’amica. Respirò profondamente dalle narici, sopportando l’ennesima ondata di dolore.

Ne uscirò, ne usciremo, non c’è un’altra alternativa.

In quel momento, aveva veramente bisogno di una dose sostanziosa di puro ottimismo, la sua arma controllo il malumore.

Camminò per il perimetro della cella, mantenendosi incollata al muro. Una volta arrivata alle inferriate, si mise alla ricerca di una chioma bionda.

Le celle erano strapiene: uomini, donne e bambini con coloriti preoccupanti erano ammassati l’uno sull’altro, in cerca di calore. Ogni tanto qualcuno tossiva, rompendo il silenzio.

Tre guardie, a ritmo scandito, si muovevano avanti e indietro, intimidendo i prigionieri con sguardi minacciosi.

Sono tutti criminali?

Come se avesse udito la sua domanda, un bambino sui 5-6 anni, alzò la testa di scatto e incrociò il suo sguardo.

Gli occhi color nocciola riuscivano a scorgerla anche nell’oscurità. Non sembrava spaventato, né curioso, la fissava e basta.

Non seppe quantificare per quanto tempo rimasero a guardarsi. Il contatto visivo fu interrotto da un rumore alle sue spalle.

Non era sola.

Un brivido di paura le percorse la colonna vertebrale, facendole rizzare i peli su tutto il corpo. Lentamente si abbassò in cerca di una pietra, di un qualsiasi oggetto che la aiutasse a difendersi.
Non trovando nulla, aspettò che i suoi occhi si abituassero all’oscurità.

Potrebbe anche essere un topo.

Un’ipotesi probabile, capace di calmarle i nervi.

Un rumore continuo e ripetuto, attirò la sua attenzione.

Okay, non è un topo. Questo è assodato.

Affinò l’udito e con pazienza aspettò altri segnali.

Il suono proveniva dall’angolo destro della cella. Prese coraggio e a carponi, provò ad avvicinarsi. Il rumore diventò sempre più intenso, finché non riconobbe che si trattava di denti che sbattevano.

Qualcuno sta morendo di freddo.

Velocemente toccò il corpo davanti a lei, riconoscendo i suoi vestiti.

Mala! 

Affidandosi al tatto, tastò il corpo, notando che era incatenata.

Com’è possibile?

Una grossa catena le avvolgeva tutto il corpo, dai piedi fino alle spalle. Priva di coscienza, aveva la testa e parte della schiena poggiate al muro.

La fronte scottava, proprio come qualche ora prima.

Deve assolutamente essere curata.

Eileen maledì quei bastardi che le avevano portato via tutto ciò che era suo. Compresa la libertà.

Sapevi a cosa andavi incontro, venendo qui.

La rimproverò la sua coscienza.

Il senso di colpa per le condizioni dell’amica, la divorava.

Avrebbe potuto riferire alle guardie che conosceva Roman, in quel caso le avrebbero liberate.

Era un rischio, ma non vedeva alternative.

Come poteva comunicare con loro senza taccuino e senza qualcuno che traduceva per lei?

La disperazione era dietro l’angolo, pronta ad impadronirsi di lei.

Cercò di ritrovare un minimo di lucidità, respirando profondamente. L’aria entrò ed uscì dai polmoni.

Si concentrò su quel processo, finché non si riprese.

Abbandonò la sua posizione e si avvicinò nuovamente alle inferriate.

Prese il piccolo campanello che portava al collo e iniziò a farlo oscillare, attirando l’attenzione delle guardie.

“Silenzio! Se non smetti di scuoterlo, te lo frantumo in mille pezzi” la aggredì uno dei tre.

Sapeva che se ne sarebbe pentita, ma disubbidì agli ordini.

La guardia che le aveva parlato, si spazientì, avvicinandosi alla sua cella. D’istinto, Eileen si allontanò dalle inferriate, come se scottassero.

Una volta ottenuta la sua attenzione, indicò l’amica e, attraverso i gesti, gli comunicò la gravità della sua situazione.

“Mi dispiace, ma non riesco a capirti” disse l’uomo deridendola: “Quella piccola stronza, ha fatto più danni di quanto ci aspettassimo. L’abbiamo dovuta incatenare, se lo merita.”

Eileen scosse la testa e non si arrese. La guardia la ignorò, ritornando sui suoi passi. Frustrata, si mosse in avanti, per richiamarlo indietro, muovendo di nuovo il campanello.

Prima che potesse accorgersene, l’uomo si girò di scatto e glielo strappò dalle mani.

Lo lasciò cadere per terra e lo schiacciò con lo stivale, senza pensarci due volte.

Noooooo!

Avrebbe voluto gridare a squarciagola e riempirlo di insulti, ma non uscì alcun suono dalla sua bocca.

Presa dalla disperazione, iniziò a scuotere inferriate con tutte le sue forze, come un animale impazzito.

“Smettila, o farai la fine del tuo campanello” la minacciò lui, allontanandosi definitivamente.

Eileen cadde in ginocchio. Le lacrime le rigavano il viso. Silenziose, come lei, si ricongiungevano sotto il suo mento.

Priva di forze, si rifugiò al fianco di Mala, abbracciandola. Sperava di infonderle un po’ di calore, in attesa di affrontare il gelo della notte.



Buon pomeriggio a tutti! Ecco a voi un altro capitolo, spero vi piaccia. 

Buona domenica!

Helen


 

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Capitolo 23
*** Processo ***


Due mani grandi strapparono Eileen dal sonno. La scossero così forte, da farle tremare i denti.

“Svegliati! È arrivato il tuo turno, Campanellino” riconobbe la voce della guardia, tutt’altro che amichevole.

Nonostante fosse ancora mezza addormentata, i suoi sensi ritornarono in funzione velocemente, pronti a reagire.

Sentiva la necessità di dover dormire, di recuperare le forze.

Venne tirata per il braccio, rischiando di cadere.

Solo in quel momento si accorse di avere in grembo il viso dell’amica. Durante la notte, si era appisolata sulla sua coscia.

Con la mano libera, appoggiò delicatamente la sua guancia sul pavimento, sperando non si svegliasse. Lei aveva bisogno di dormire più di chiunque altro.

Notò alcuni graffi sul viso che prima, al buio, le erano sfuggiti.

Avrà lottato come una leonessa.

Per la fretta, venne strattonata verso l’uscita della cella. La seconda guardia la aspettava in corridoio.

“Ora, da brava, indosserai questo” disse indicando un aggeggio di ferro che teneva in mano “è una precauzione, nulla di che.”

Non provò neanche a lottare. Doveva conservare le forze per dopo.

Subito la bendarono.

Le inserirono un collare e delle manette di ferro collegate da una catena. Eileen non aveva mai visto nulla del genere, ma supponeva servisse per impedirle di trasformarsi in lupo.

Ironia della sorte, con lei non correvano questo pericolo.

Sorrise amaramente, dentro di sé, mentre la scortavano al piano superiore, sballottolandola da una parte all’altra.

Non sapeva cosa aspettarsi. Uno dei due gemelli aveva parlato di una certa “Inquisizione” e di un “protocollo” da seguire. Sentiva che quella era la sua unica occasione di poter cambiare le cose.

Dopotutto, quelle persone sarebbero state curiose di capire chi fosse e cosa volesse.

Uscita dalle prigioni, riuscì a scorgere la luce attraverso la benda. L’odore di umidità venne sostituito da nuovi odori, molto più invitanti.

Lo stomaco brontolò in risposta.

Spero non succeda davanti agli altri, sarebbe piuttosto imbarazzante.

Data la situazione, l’imbarazzo sarebbe stato l’ultima delle sue preoccupazioni.

La guardia alla sua destra le prese il braccio, costringendola a fermarsi. La stretta fu così forte, tanto da mordersi il labbro per trattenere il dolore.

Come minimo mi avrà lasciato un altro livido.

Le slegarono la benda e la spinsero all’interno di una stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.

Aprì gli occhi con difficoltà, abituandosi all’intensità della luce.

La sala in cui si trovava era enorme ed estremamente elegante. Il soffitto altissimo e le finestre adornate da tende nere. Il pavimento a scacchiera e quattro caminetti accesi erano collocati ai lati della stanza, con lo scopo di riscaldare velocemente l’ambiente. Dal freddo della cella, al calore del fuoco, provò, dopo ore, una sensazione di sollievo.

Tuttavia, non abbassò la guardia.

Un uomo vestito completamente di nero, con i capelli legati da un nastro rosso, la barba lunga, ma curata, la guardava con estrema curiosità. Era seduto, le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto.

“E quindi tu saresti qui per aiutarci” disse lui, facendola suonare più come un’affermazione che come una domanda.

Eileen alzò lo sguardo, cercando di non far trasparire alcun tipo di emozione. Annuì solennemente, provando a mantenere una postura dignitosa, nonostante il collare e le manette.

“E da dove provieni esattamente?” chiese l’uomo mantenendo un tono neutro. A differenza degli altri energumeni che aveva incontrato, lui appariva più gentile.

Forse c’è speranza, vedo la luce in fondo al tunnel.

La porta dietro di lei si spalancò e alcuni uomini entrarono nella stanza, ignorandola. Nel guardarli, si dimenticò di rispondere alla domanda che le era stata posta.

“Ragazzina, occhi a me” la incitò, schioccando le dita.

Di colpo, si girò ridando le spalle alla porta. Portò le mani alla gola, lasciando intendere la sua disabilità.

“Ah! Che disgrazia! Porremo subito rimedio a questo” si girò verso un altro uomo seduto al suo fianco e gli chiese: “Arthur sta arrivando? Odio le persone in ritardo.”

“Certo, ha avuto un contrattempo a scuola” lo tranquillizzò.

L’uomo che aveva di fronte era con molta probabilità il capobranco. Molte delle sedie intorno a lui erano vuote.

Il virus aveva beccato anche i piani alti. La malattia non guardava in faccia al ceto sociale o allo status, colpiva il ricco ed il povero.

Le ritornarono in mente tutte quelle persone malate che si trovavano in prigione. Il bambino con gli occhi color nocciola.

“Finalmente sei arrivato, grazie per averci degnato della tua presenza. Abbiamo bisogno di te” disse il capo, riferendosi al nuovo arrivato.

Prima ancora di vederlo, fu il suo inconfondibile odore che le inondò le narici. Non si azzardò a girarsi, i loro occhi si incontrarono solo dopo che ebbe preso posto.

Occhi color miele incatenati ai suoi verdi.

Vederlo lì in carne ed ossa, vivo e in ottima salute, la portava sull’orlo delle lacrime: lacrime di felicità.

Gli occhi leggermente spalancati e la rigidità della sua postura le facevano intendere che lui era sorpreso quanto lei di vederla.

“Arthur” disse il capo “questa ragazza non può parlare, aiutaci ad interpretare i suoi messaggi.”

Arthur? Aspetta, ma che significa?

Lo sguardo di Eileen si spostò da uno all’altro, cercando qualche tipo di spiegazione.

Si sentì una completa idiota.

Era corsa in soccorso di una persona di cui non conosceva neanche il vero nome, mettendo a rischio sia la sua vita che quella della sua amica.

“C-certo” rispose Roman/Arthur continuando a fissarla, come se avesse visto un fantasma.

Si riprese velocemente, ritrovando una certa compostezza.

“Dobbiamo toglierle le manette o non potrà comunicare” lo informò Roman/Arthur, evitando di guardarla.

“Va bene, ma devi promettermi che non ti trasformerai” disse l’uomo rivolgendosi a lei, con tono paterno.

Assentì, ancora traumatizzata dall’ultima rivelazione.

Era stanca, sporca, la sua amica era in pericolo di vita e anche lei. L’uomo che credeva fosse il suo compagno, non le aveva neanche rivelato il suo vero nome.

A malapena la guardava.

Era troppo da reggere per una persona sola.

Le gambe cedettero, ritrovandosi in ginocchio e addio alla sua dignità.

Due mani forti la sostennero per le spalle. Nonostante fosse sul punto di svenire, sapeva a chi appartenevano.

Era stato così veloce che non lo aveva sentito avvicinarsi.

“Ehi, ehi” le sussurrò “non è il momento di cedere.”

I loro visi a pochi centimetri di distanza, dopo così tanto tempo.

Riusciva a percepire il calore delle sue mani attraverso il maglione. Un brivido le attraversò la schiena, scuotendola da capo a piedi.

Era delusa e arrabbiata, ma non riusciva a rimanere indifferente alla sua presenza, al suo tocco.

“Portatele una coperta, sta morendo di freddo” gridò Roman/Arthur alle sue spalle.

“Ora ti libererò le mani e io rimarrò nelle vicinanze, va bene?” sussurrò dolcemente quelle parole appena percettibili.

Non aveva il coraggio di guardarlo.

In pochi secondi, il mondo le era crollato addosso.

Lo sentì trasalire quando si accorse della sua ferita alla testa.

Con gli occhi puntati sulle loro mani, osservava quelle di lui che, attraverso una piccola chiave, la liberavano dalle manette.

Impiegò qualche secondo in più perché le mani del ragazzo tremavano. Sembrava avere difficoltà a controllarsi, come se fosse sul punto di trasformarsi. I muscoli tesi delle mani portavano in superficie le venature del dorso.

Senza pensare se fosse la cosa appropriata da fare, Eileen sfiorò le sue dita con i polpastrelli, rischiando di essere scoperti. Doveva calmarlo e a quanto pare ci riuscì.

In risposta, il pollice di Roman/Arthur sfiorò impercettibilmente la piccola cordicella al polso che le aveva regalato.

Eileen sentiva che c’era qualcosa tra di loro, era innegabile. Non poteva essersi immaginata tutto.

Tuttavia, pretendeva delle risposte, voleva afferrarlo, scuoterlo e farlo rinsavire.

Voleva che fosse lui a dirle che quei giorni trascorsi insieme erano la verità. Voleva svegliarsi al suo fianco e tirare un sospiro di sollievo.

Invece, la realtà fu molto più dura di quanto si aspettasse.

D’un tratto, lo stomaco brontolò, ignorando il dissidio interiore che stava vivendo.

“Portatele qualcosa da bere e da mangiare” ordinò di nuovo Roman/Arthur.

Un uomo consegnò il necessario nelle mani del ragazzo, ancora inginocchiato accanto a lei. Le porse un tozzo di pane e un po’ d’acqua che accettò immediatamente.

Le sistemò una coperta di lana sulle spalle, e si allontanò, lasciandole dentro un vuoto incolmabile. 

“Perfetto, ora possiamo iniziare, sempre che Arthur non abbia altre richieste inappropriate” disse il capo guardandolo torvo.

“Capobranco, è possibile darle una sedia?” lo interruppe Roman/Arthur titubante “m-mi infastidisce vederla in ginocchio” si giustificò.

“Sì, sì va bene, basta che iniziamo” liquidò subito la questione con un gesto della mano.  

Una sedia si materializzò alle sue spalle e lentamente vi si accomodò. La testa continuava a girarle e tutto il corpo era scosso da brividi.

Strinse maggiormente la coperta a sé, bevve un sorso d’acqua e, riluttante, conservò il pane.

Nel vederlo, le era venuta subito l’acquolina in bocca.

Ci volle una grande forza di volontà per non divorare quel piccolo pezzo di pane.

Mala è debilitata, ne ha più bisogno lei di me. 

“Allora ragazzina, iniziamo dalle presentazioni: come ti chiami? Da quale branco provieni?” 

Si forzò ad alzare lo sguardo e ad ignorare Roman/Arthur che si trovava poco distante da lei.

Pian piano le mani iniziarono a muoversi.

Mi chiamo Bentlam. Non appartengo a nessun clan.

Eileen non desiderava mentire, era partita con l’intenzione di migliorare il rapporto tra i due branchi, aiutandoli. Tuttavia, le bugie presero forma spontaneamente.

“Si chiama Eileen e fa parte del branco dei Mei, nostri vicini” tradusse Roman/Arthur, riportando la verità.

A che gioco sta giocando?

I suoi occhi saettarono verso di lui, incenerendolo con lo sguardo. Aveva fatto saltare la sua copertura.

Brutto bastardo.

Per quanto poteva, rimase impassibile. Attendendo la prossima domanda.

“Bene, bene. Non mi sarei mai aspettato che i nostri cari vicini ci avrebbero mandato qualcuno ad aiutarci” commentò sarcastico il capo “però, è anche vero che non si sputa nel piatto in cui si mangia.”

Molti tra gli uomini intorno a lui concordarono, battendo la mano sul bracciolo.

Eileen gli osservava uno ad uno, provando a memorizzare i loro visi. Poteva sempre tornarle utile.

Nel farlo, si mosse con cautela. Alzare lo sguardo poteva essere colto come un gesto di sfida.

La prudenza veniva meno quando i suoi occhi verdi si scontravano con quelli color miele. Il suo cuore cercava una risposta, una ragione a quella situazione così assurda. 

Possibile che si fosse sbagliata così tanto nei suoi confronti?

Almeno non era l’unica a disagio.

Roman/Arthur la fissava intensamente, con la mascella serrata e i pugni chiusi. In piedi, dava le spalle ad alcuni di loro, nascondendo le sue emozioni.

“Se sei venuta ad aiutarci, ciò significa che sei un medico. La malattia si è diffusa nel vostro branco?”

Con maggiore sicurezza, mosse le mani.

Sì, da settimane ormai. Abbiamo saputo delle vostre difficoltà e ora mi trovo qui.

Roman/Arthur tradusse e, questa volta, alla lettera.

“Difficoltà?!” sorpreso il capo batté il pugno sul bracciolo della sedia, facendo sobbalzare parte dei presenti “come vi permettete a mettere in dubbio la nostra efficienza?”

Eileen non si aspettava un cambiamento così repentino, dava l’idea che fosse sul punto di trasformarsi.

“Capobranco, se mi è permesso intervenire” disse Roman/Arthur facendo un passo avanti “vorrei spendere una buona parola nei confronti del branco Mei. Nonostante si trovino in condizioni critiche, ci hanno mandato due dei loro medici.”

Il tono calmo e pacato di Roman/Arthur e il modo in cui stava gestendo la situazione, la colpirono. Sembrava tagliato per questo ruolo.

“Arthur, non hai tutti i torti, ma non possiamo dare nulla per scontato. Potrebbero essere qui per spiarci o rovinarci in qualche modo” affermò il capo non troppo convinto.

“Concordo, fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Però sarebbe un peccato non cogliere l’occasione di sfruttare le loro conoscenze. Potrebbero tornarci utili, anche in futuro” il ragazzo non balbettò neanche una volta.

Le aveva dato le spalle, e gli occhi erano puntati tutti su di lui.

Eileen ebbe la possibilità di guardarlo con maggiore attenzione. Indossava abiti più eleganti, completamente neri. Sia gli indumenti che l’arredamento riprendevano quel colore.

I pantaloni gli fasciavano le cosce tornite e una giacca di pelle gli calzava alla perfezione, sopra un dolcevita. Tutto rigorosamente nero. Come una calamita, tutto di lui l’attirava, aveva voglia di toccarlo, di stringerlo a sé come aveva fatto settimane prima.

A differenza degli altri uomini, la carnagione di Roman/Arthur era più scura, color cannella. Mentre i capelli lunghi neri lo accumunavano al resto del gruppo. Anche il nastro rosso con cui li aveva legati sembrava essere un simbolo tipico del branco.

“Il tuo ragionamento non fa una piega. Qui c’è un bel po’ di lavoro da fare, quindi quattro mani in più fanno comodo” disse il capo compiaciuto di essere arrivato a quella conclusione “a patto che ve ne occuperete tu e tuo fratello, saranno sotto la vostra responsabilità” aggiunse rivolgendosi a Roman/Arthur.

“Posso occuparmene da solo, non ho bi-” si affrettò ad aggiungere il ragazzo, quando venne interrotto: “Ve la vedrete entrambi, due cervelli sono meglio di uno” terminò l’uomo, non ammettendo repliche.

Eileen si alzò in piedi, attirando su di sé l’attenzione.

Vi aiuterò a delle condizioni.

Muoveva le mani senza staccare gli occhi dal capobranco.

“Ha delle richieste da fare” tradusse Roman/Arthur sorpreso quanto il resto del clan.

Dovete liberare la mia amica in prigione e procurarle un letto caldo dove riposare. Se promettete di non farle del male, farò tutto ciò che volete.   

Roman/Arthur seguì quella danza di mani senza battere ciglio e tradusse, omettendo l’ultima parte del discorso.

Eileen non ne poteva più di essere censurata.

Batté il piede a terra e scoprì i denti verso il suo presunto compagno, comunicando il suo disappunto.

Alcune guardie si mossero verso di lei, pronte ad intervenire, mentre il ragazzo non si mosse di un millimetro.

Il respiro corto e la posizione assunta facevano presumere che lei fosse pronta ad attaccare.

Cosa le era saltato in mente?

Le ci vollero pochi secondi per realizzare ciò che aveva fatto. La sua aggressività era del tutto fuori luogo e inaspettata.

Arthur/Roman non osò fiatare, ma continuò a guardarla. Intensamente. 

“Cosa vuole? Cosa significa, Arthur?” chiese incuriosito e divertito allo stesso tempo il capobranco. 

“Vuole che venga fatto il prima possibile, la sua amica sta molto male” inventò lì su due piedi il ragazzo.

Eileen cercò di calmare la frustrazione, aveva voglia di gridare in faccia ad ognuno di quegli uomini che la consideravano un animale da circo.

Voleva gridare in faccia a Roman, o meglio, ad Arthur, e chiedergli cosa diavolo stesse facendo.

“Una cosa alla volta. Riportatela in prigione e verso sera, sarete scortate nella vostra stanza, senza attirare troppa attenzione. Mi raccomando.”

Il processo si era appena concluso.

Due guardie comparvero alle sue spalle e le rimisero le manette, togliendole la coperta di dosso.

“Lasciategliela” un ordine perentorio provenne dall’uomo che credeva essere il suo compagno.

Senza girarsi a guardarlo, uscì dalla stanza a testa alta.

Venne bendata di nuovo e in pochi minuti ritornò nella cella.

Una volta liberata da quell’aggeggio infernale, corse da Mala, toccandole la fronte.

Non scottava più come prima, ma le catene e le ferite sul viso non aiutavano la guarigione.

Prese la coperta e gliela avvolse intorno, creando un piccolo bozzolo.

In attesa che arrivasse la sera, si sedette per terra, poggiando la schiena e la testa al muro.

Elaborare le ultime ore era impossibile.

Per poco, davanti al branco dei Mavix, non aveva aggredito l’uomo per cui si era presa una bella cotta, di cui non sapeva neanche il nome. Si era invischiata in una missione suicida inutile. 

Idiota.

In tutto ciò, non riusciva neanche a controllare se stessa, le sue reazioni. Era spaventata da ciò che provava e da ciò che stava diventando.

Le sembrava tutto così surreale.

Svegliati, svegliati.

Un concentrato di emozioni contrastanti la colpì e le lacrime non si fecero attendere. Nascose il viso tra le braccia, da sola con il suo dolore.

Nel silenzio della prigione, un piccolo oggetto rotolò al suo fianco, attraverso le inferriate.

Sorpresa, si affacciò e vide il bambino dagli occhi color nocciola in piedi, le sbarre e il corridoio li separavano.  

Le indicò l’oggetto che ora si trovava vicino la sua coscia.

Il campanello che sua madre le aveva regalato era quasi ritornato come nuovo, tranne che per qualche piccola ammaccatura.

Lo aveva riaggiustato per lei.

Quel gesto la commosse, toccandole delle corde profonde.

Lo indossò senza esitare, nascondendolo nel maglione.

Una volta che rialzò la testa per ringraziarlo, era sparito.


Buonasera a tutti!

Scrivere questo capitolo è stato per me come andare sulle montagne russe. Ho cercato di esprimere al meglio le emozioni di Eileen, cercando di immedesimarmi in lei, chiedendomi ogni volta: "Io cosa avrei fatto al posto suo?" 

In più, ahimè, durante la stesura, non ero mai soddisfatta (e forse non lo sono neanche ora). Vista l'importanza di questo capitolo, volevo che fosse perfetto. Spero che, nonostante i difetti, lo abbiate apprezzato lo stesso. 

Al prossimo aggiornamento! 

Helen

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Capitolo 24
*** Incubo ***


Mala si ritrovò davanti ad una casa piccola, di legno, simile in tutto e per tutto a quelle costruite nel suo branco. In mezzo alla foresta, era isolata, coperta da alcuni alberi.

Non l’aveva mai vista prima. Una strana forza l’attirava al suo interno. Ci entrò, senza pensarci due volte.

Una donna bionda le dava le spalle, intenta a tagliare della carne. Muoveva le labbra, ma non riusciva a sentire ciò che stava dicendo. Alta, con le spalle larghe, indossava abiti comodi e caldi, adatti per l’inverno. La vide sorridere e rivolgersi a qualcuno.

Mala avanzò di qualche passo e vide Shura, intento a leggere un libro, circondato da due marmocchi, entrambi biondi, come la madre.

Un colpo al cuore. Vederlo così rilassato e felice come non lo aveva mai visto. Per di più, sistemato e con figli.

Un bel quadretto familiare.

Mala si girò verso la donna, cercando di capire chi fosse. Non riusciva a mettere a fuoco il suo viso, le si avvicinò più volte, ma invano.

E se quello fosse stato il suo futuro? Questo è ciò che si sarebbe persa?

Impossibile, quella donna non era lei.

Era più probabile che stesse osservando il futuro di Shura, di cui lei non faceva parte.

L’uomo baciò la testa di entrambi i bambini e si avvicinò alla donna sconosciuta, abbracciandola da dietro.

Era troppo, faceva troppo male.

Di fretta, corse verso l’uscita. Aveva bisogno di ossigeno.

La porta era bloccata, provò più volte ad aprirla, ma niente. Un rumore alle spalle la spinse a girarsi.

La scena familiare di poco prima era svanita. Al suo posto, si materializzò dal nulla il gemello che l’aveva aggredita.

Oddio, ti prego, no.

“Tesoro, cosa stai facendo lì, abbiamo appena cominciato” disse lui, allargando le braccia. Con sguardo viscido la squadrò da capo a piedi. Lentamente iniziò ad avanzare nella sua direzione.
In ansia, cercò di sfondare la porta con la spalla. Doveva assolutamente scappare. Non poteva permettergli di farle del male.

Di nuovo.

Continuò a provarci fino a sentire un dolore lancinante. Lei era una guerriera, doveva combattere e affrontarlo.

La paura prese il sopravvento. Se prima fungeva da carburante, in quel momento, la paralizzò.

Terrorizzata, si accovacciò a terra, coprendosi la testa con le mani e gridò.

Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. La gola secca le doleva terribilmente.

La tosse la riportò alla realtà, scoprendo di essere appena uscita da un incubo.

Non è reale. Non è reale.

Lo ripeteva in testa come un mantra.

Quando riuscì a riprendere fiato, mise a fuoco la stanza e si accorse di non essere sola.

Eileen la guardava con la bocca semiaperta e gli occhi pieni di preoccupazione.  

Seduta accanto al suo letto, le teneva stretta la mano, mentre con l’altra le porgeva un bicchiere d’acqua.

“G-grazie” gracchiò, sperando che l’acqua riuscisse a spegnere la lama incandescente che le bruciava la gola.

Come una mamma chioccia, Eileen le prese il bicchiere di mano e alzò il cuscino in modo che potesse sedersi comodamente.

Aveva difficoltà ad abituarsi alla realtà: una parte di lei era ancora bloccata all’interno dell’incubo. Il corpo era rigido e il suo istinto le suggeriva di scappare.

Fuggire da chi?

Appoggiò la testa al muro, in attesa di recuperare il contatto con la realtà e di scrollarsi le brutte sensazioni.

Come ti senti?

Eileen entrò in modalità medico. La fissò in attesa di ricevere la sua risposta, in ansia come sempre.

“Ho avuto giorni migliori…dove siamo?” solo allora realizzò di essere stesa in un letto a due piazze, munito di lenzuola pulite e un copriletto nero.

In più, non indossava i vestiti con cui era partita, ma erano stati sostituiti da una camicia e dei pantaloni di flanella.

Un piccolo livido fece capolino da sotto la manica destra, restituendole tutti i ricordi dei giorni passati.

Come se avesse appena ingoiato un enorme macigno, incominciò a mancarle l’aria. La puzza dell’alito, gli occhi famelici e la voce dell’uomo la riportarono a quel momento.

Quello in cui aveva lottato, ma non era bastato.

Eileen sapeva riconoscere un attacco di panico e Mala ci era molto vicina.

La mano che prima stringeva, la posò sul proprio cuore e con l’altra, spostò il mento di Mala nella sua direzione, costringendola a guardarla.

Inspira, Espira, Inspira, Espira.

Pensava Eileen nella sua testa, eseguendolo con naso e bocca.

Il respiro dell’amica si stabilizzò, insieme al suo battito cardiaco.

“M-mi dispiace, non so che mi è preso. I-io…” le parole le rimasero incastrate in gola.

Le lacrime erano lì, pronte a sgorgare: “Quanto sono messa male?” si coprì la bocca per trattenere un singhiozzo.

Eileen l’abbracciò, le parole erano di troppo.

Guancia contro guancia, petto contro petto. Proprio come era successo al quartier generale, la strinse a sé, senza lasciarla andare.

I singhiozzi le sconquassarono il petto, abbattendo qualsiasi barriera. Pianse per la malattia, per Shura, per le ferite sul corpo, per non essere riuscita a difendersi, per il suo futuro indefinito.

Principalmente per se stessa.

Fu un pianto catartico, necessario.

Per tutta la vita aveva vissuto in un ambiente ostile, ma tutto sommato protetto. Shura si era assicurato di essere il suo “scudo personale”, la persona su cui poteva contare per qualsiasi cosa.

Ora che lui non c’era, lei non era neanche in grado di badare a se stessa. Era stata debole e stupida. Come pretendeva di diventare un guerriero come sua madre? 

Pian piano riuscì a calmarsi e, sciolto l’abbraccio, Eileen rispose alla sua domanda.

Hai diverse contusioni, sparse per tutto il corpo. Qualche graffio, ma niente di rotto. I-io non sapevo ti avessero…Io posso visitarti, se lo volessi. I-io…mi d-dispiace.

Il senso di colpa la stava divorando, se Mala non fosse venuta insieme a lei, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto.

“Eileen, smettila, non è colpa tua. È successo, io ce la farò a superarlo, ho bisogno di tempo…” provò a rassicurarla, ma ormai anche lei era scoppiata in lacrime.

“Non c’è bisogno di visitarmi, lui ha smesso prima di farlo…Ci era quasi, lo sentivo. Però scottavo, aveva paura di essere infettato e mi ha lasciato stare” chiuse gli occhi, l’immagine era vivida nella sua mente. Parlarne le faceva venire la nausea.

Prima che potesse controllarsi, vomitò tutto ciò che aveva nello stomaco.

“Mi dispiace” disse una volta finito. Non riusciva a togliersi dalla testa la faccia di quell’uomo.

Eileen scosse la testa più volte e ripulì tutto velocemente.

“Ti prego, non dirlo a nessuno. Non voglio che si sappia” lo sguardo supplichevole la convinse a tenere fede al giuramento.

Sei sicura di non volere giustizia? Quell’uomo merita di morire.

La rabbia che vedeva riflessa negli occhi di Eileen, la sorprese. Non la conosceva da molto, ma da quello che era riuscita a vedere, non era una tipa vendicativa.

Stava scoprendo una nuova versione di lei.

“Almeno sei riuscita a trovare il tuo principe azzurro?” chiese subito dopo Mala, provando a distogliere l’attenzione su di sé.

Eileen lo notò, ma decise di lasciar correre.

Subito dopo annuì e si rannicchiò sulla sedia, accanto al letto.

Si chiama Arthur, fa parte dell’élite, dei pezzi grossi.

Sorrise amaramente e continuò.

Era presente al processo, mi hanno fatto parecchie domande sul perché eravamo lì.

Volevo mentire, ma lui mi ha smascherata. Mai come in quel momento, avevo voglia di strozzarlo. Stavo per aggredirlo.

Mosse le mani così velocemente che Mala dovette intuire diverse cose che le erano sfuggite.

“Quindi mi vuoi dire che Roman si chiama Arthur e faceva parte dei tuoi aguzzini? E che hai cercato di attaccarti alla sua giugulare?” riassunse, chiedendo una conferma.

Praticamente sì.

Eileen immaginò la scena e non le dispiacque l’idea di “attaccarsi” a lui.

Arrossì al solo pensiero.

“Non ci posso credere, tutte le cose più divertenti succedono quando non ci sono” disse l’amica fingendosi arrabbiata “certo, immagino sarà rimasto sorpreso di vederti lì. Dopotutto, la vostra unione è qualcosa di totalmente illegale” spiegò “nessuno dei due branchi sarebbe felice di questa notizia.”

Eileen ci pensò su. Ogni persona poteva appartenere e giurare fedeltà ad un unico clan. Nel loro caso, si sarebbe creata una situazione di ambiguità.

Ma se lui è il mio compagno, rifiutandolo mi condannerei all’infelicità.

Ripensò a quelle settimane in cui erano rimasti divisi e al sollievo provato dopo averlo rivisto.

“Vero anche questo. Forse prima di invischiarti in questa cosa, dovresti capire se è lui effettivamente quello giusto. Se tu fossi stata capace di trasformarti in lupo, al compiere dei 18 anni, non avresti avuto dubbi. Da quanto ho sentito dire, è simile ad un colpo di fulmine” spiegò citando le parole di qualcun altro.

Maledizione, mai come in questo momento vorrei essere un lupo normale.

Scosse la testa, ripensando alla propria condizione.

Se a 18 anni è possibile riconoscere il proprio compagno, questo significa che tu hai già riconosciuto il tuo, giusto?

Eileen sapeva di averle rivolto un'altra di quelle domande personali, ma oramai erano lì, sole, l'una poteva contare solo sull'altra. Iniziava ad affezionarsi seriamente a lei, aveva voglia di conoscerla veramente. Senza barriere e filtri.

Mala distolse lo sguardo. Fissava la coperta nera e con il dito seguiva la trama della trapunta:

"Quasi ogni ricordo felice della mia infanzia è collegato a Shura. Ho creduto fermamente, fin da quando ho memoria, che lui sarebbe stato il mio compagno. Al compiere dei 18 anni mi aspettavo che le cose si evolvessero. Ho atteso un cambiamento dentro di me, quel famoso 'colpo di fulmine', ma non è arrivato. Lui stesso si è trasformato, non si è mai fatto avanti, mi ha sempre trattato come una bambina" un sorriso amaro comparve sul viso.

Un nodo in gola le impedì di continuare a parlare. Non era abituata ad esprimere i suoi sentimenti, soprattutto riguardo Shura.

Alzò lo sguardo e incontrò quello compassionevole di Eileen. Non c'era ombra di una critica o di un rimprovero nei suoi occhi. Sembravano volerle comunicare ciò che non poteva esprimere a parole.

Non sei costretta a parlarne, ti sono vicina.
 
Rinforzò il concetto, stringendole la mano. Fu il turno di Eileen di cambiare discorso.

Ho promesso ai Mavix di aiutarli a curare la loro gente. Alla fine, dovrebbe essere il motivo ufficiale per cui siamo qui.

“Credono che io sia un medico?” rise Mala al solo pensiero.

Non credo sarà un problema. Rimarremo qui una settimana, massimo due. Poi ritorniamo a casa, indipendentemente da loro.

Ci aveva pensato per tutta la notte. Non aveva chiuso occhio.

Mentre medicava il corpo ferito dell’amica, si era convinta che fosse la decisione più sensata.

“Pensi che siamo al sicuro?” mai come in quel momento, Mala le sembrò piccola e innocente. Spesso dimenticava che aveva appena compiuto 18 anni. E aveva già affrontato tutto questo.

Non lo so, ma ti prometto che non ti accadrà più nulla. Non lo permetterò.

Un istinto omicida crebbe in lei: aveva voglia di ridurre a brandelli quel mostro che aveva osato alzarle le mani. Strappargli le budella, finché non chiedeva pietà.

La mano di Mala coprì la sua e sforzandosi di sorridere disse:

“Lo so.”



Buonasera a tutti!
Ecco il solito aggiornamento della domenica. La storia inizia ad infittirsi, vedrete ;) 
Al prossimo capitolo!

Helen

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Capitolo 25
*** Miracoli ***


Dopo aver rimboccato le coperte a Mala, indossò i suoi vestiti, lavati la sera prima e asciugati vicino al camino. Dato che non aveva chiuso occhio per tutta la notte, aveva pensato di utilizzare il suo tempo saggiamente.

Qualcuno le aveva portato un pantalone e un dolcevita neri puliti, ma si rifiutava di indossarli. Era più a suo agio a girare con i suoi indumenti addosso.
Le mancava la piccola tracolla e il coltellino, suoi fidati compagni di viaggio. Senza di loro, si sentiva nuda.

Quando le guardie la vennero a prendere, si ripromise di chiedere indietro tutti i suoi effetti personali. Aveva necessariamente bisogno delle sue erbe mediche per somministrarle a Mala.

Durante la pausa, sarebbe passata a controllarla.

Nonostante non fosse più prigioniera, le imposero di indossare la benda. “Per precauzione” dicevano.

Non oppose resistenza. Eileen sapeva che l’intelligenza stava nel saper scegliere le proprie battaglie. Ogni azione doveva essere calibrata, pensata.
Non ci misero molto a raggiungere l’ospedale del branco.

Vicino la porta d’ingresso, un ragazzo della sua età, la guardava con un sorriso strafottente dipinto sul viso. Appoggiato alla parete, indossava pantaloni neri, larghi e un maglione variopinto, in contrasto con il resto del clan. I capelli lunghi erano stati acconciati in tante piccole treccine, mentre le orecchie, il naso e le labbra erano abbelliti da diversi piercing.

Sicuramente non passa inosservato.

Man a mano, avanzarono verso di lui e una volta di fronte, le guardie, dopo un breve inchino, si dileguarono.

Wow, ecco un altro pezzo grosso. Immagino sia il fratello di Rom-Arthur.

“Beh dai, tutto sommato dall’esterno non sembrate dei mostri. Le leggende sul vostro branco sono numerose, non penso ti piacerebbe sentirle” disse con familiarità, come se si conoscessero da una vita.

Eileen lo fissò, senza proferire parola. Notò che i suoi occhi erano scuri, quasi neri.

“Comunque, io mi chiamo Ziki, ma per te sono Signore” affermò con tono solenne “la tua amica è troppo pigra per contribuire a fare del bene oggi?” non riusciva a comprendere se la cosa lo infastidisse o lo divertisse.

Eileen indicò la gola, giustificando il proprio silenzio.

“Oh! Giusto, il mio caro fratellino mi aveva avvisato e l’ho trovato estremamente divertente. Vuoi sapere perché? In caso contrario, te lo dico lo stesso” parlava così velocemente che era impossibile fermarlo “Io amo, e quando dico amo, intendo proprio amo, parlare. Quindi, ironicamente potresti essere la compagna perfetta per me.”

Osservò quello strano ragazzo e si ritrovò a detestarlo meno del previsto.

“Ti giuro che sono scoppiato dalle risate per la mia stessa battuta, ma Arthur non l’ha capita. È diventato scuro in volto e se n’è andato. Sembrava sul punto di strozzarmi.”

Parlava senza curarsi di capire se la sua interlocutrice lo stesse realmente ascoltando.

Il pensiero di Arthur arrabbiato la faceva sorridere. Ziki era ignaro di tutto, per fortuna.

“Comunque io e te dobbiamo trovare un modo per comunicare. Anche se, per la maggior parte del tempo, sarò io a darti ordini” disse riflettendo ad alta voce.

Eileen mosse le mani, simulando una mano che scrive. Sebbene fosse scomodo, era l’unico mezzo.

Dov’è finito Arthur?  Pensò, preoccupata e arrabbiata allo stesso tempo.

Chiamarlo così, le faceva un certo effetto. Però, utilizzare Roman era inutile.

Aveva detto che eravamo una sua responsabilità, eppure non c’è.

Pensò, accumulando, ora dopo ora, motivi per essere infuriata con lui.

“Entriamo, dovrebbero esserci lì dei fogli.”

Lo seguì all’interno e osservò come anche quel palazzo era di pietra. Ospitava diversi letti, ma non abbastanza da occupare tutto lo spazio a disposizione. I pazienti erano troppo distanziati tra loro, si sarebbero potuti rimediare almeno una trentina di posti.

Cosa ci fanno allora quelle persone malate in prigione?

Il suo pensiero ritornò al bambino con gli occhi color nocciola. Doveva trovare il modo di accedere nuovamente alle prigioni.

Si fermarono vicino ad una scrivania e il ragazzo rovistò nei diversi cassetti, finché non le porse una decina di fogli e una penna.

“E poi non dire che non siamo ospitali” aggiunse, facendole l’occhiolino.

Non riusciva ad inquadrarlo. Non sembrava odiarla o avere cattive intenzioni, però, non poteva dirlo con certezza. Lo aveva appena conosciuto.

Non si era mai affidata all’istinto, preferiva utilizzare il cervello. Però, in quel momento, qualcosa la spingeva a farlo.

“Io ti aspetto qui, tu va’ e usa le tue arti magiche” le disse, appollaiandosi su un piccolo divanetto, di fianco alla scrivania.

Non vedeva l’ora di potersi mettere al lavoro, però prima aveva delle richieste da fare.

Vorrei avere indietro ciò che mi avete sequestrato. Una piccola tracolla e un coltellino. E per la pausa, devo ritornare in camera per controllare la mia amica.

“Devi aggiungere ‘Signore’, oppure mi sarà impossibile esaudire qualsiasi tuo desiderio” spiegò, alzando le spalle.

Esasperata, lo assecondò, scrivendolo. Alzò il foglio per esortarlo a rispondere.

“Già va meglio” sorrise “Se ti comporti bene, te li farò riavere e riguardo la tua amica, si può fare. Ma ti accompagnerò io” la sfidò, osservando la sua reazione.

Eileen allungò la mano nella sua direzione per siglare il patto. Sorpreso, la fissò con diffidenza, ma poi gliela strinse, ritirandola subito dopo.

Non diede troppo peso a quel gesto. Aveva necessità di farselo amico. In assenza di Arthur, era l’unica persona a cui poteva rivolgersi.

Entrò nella prima stanza sulla destra e notò subito quanto fosse attrezzata. Camini accesi, lenzuola e coperte pulite, bende sterilizzate di diverse dimensioni. Nessuno parlava, ma il silenzio era interrotto da tosse e conati di vomito.

“S-signorina, ho bisogno di una mano” la chiamò una donna sulla quarantina. Corse nella sua direzione e la aiutò a sedersi. Un attacco di tosse la investì, fino a farla piegare in due.

Eileen aspettò che passasse e le toccò i lati del collo. Era gonfio, il virus aveva intaccato quella zona. Esisteva un infuso che poteva alleviarle il dolore.
Prese carta e penna.

Ti preparo qualcosa per attenuare il dolore, se ci riesci, non stenderti, rimani seduta. 

La donna non notò nulla di strano nel suo modo di comunicare. Probabilmente era troppo intontita.

Eileen prese una delle bende e si coprì naso e bocca, come aveva fatto in precedenza. Riempì di acqua una delle bacinelle vuote e la posizionò sul fuoco.

Utilizzando l’armadietto come supporto, scrisse sul foglio gli ingredienti di cui aveva bisogno. Corse da Ziki e gli porse la lista.

“Cosa sono?” chiese leggendo i vari nomi.

Piante, molte di queste sono nella mia tracolla. Ne ho bisogno ora.  

La fissò, senza dir nulla. In attesa di qualcosa.

Eileen alzò gli occhi al cielo e aggiunse “Signore”.

Un sorriso compiaciuto comparve sul viso di lui: “Ecco, così mi piaci.”

Si alzò e prima di uscire dalla porta da cui erano entrati, disse: “Non fare nulla di stupido in mia assenza. Non voglio perdermi lo spettacolo” e poi uscì.

Eileen scosse la testa.

Qualcosa mi dice che è un caso perso.

Tornò dai suoi pazienti e come una trottola, si mosse da una parte all’altra dell’ospedale, cercando di soddisfare le richieste di tutti.

Alcune persone più lucide la guardavano con curiosità. Sapevano che non apparteneva al loro branco e questo li insospettiva. Fino a quel momento, però, nessuno espresse il proprio pensiero ad alta voce.

La rapidità e l’efficienza con cui eseguiva il suo lavoro, spingevano i pazienti a non fare domande. O a rimandarle per un secondo momento.

Era abituata a lavorare da sola, all’interno del suo branco non era mai entrata in sintonia con gli altri medici. Se da una parte non ne aveva avuto il tempo, dall’altra, aveva sempre percepito una certa ritrosia, su cui non si era mai soffermata.

Il personale del clan Mavix era stato avvisato della sua presenza. Lo notava dalle occhiate furtive che riceveva quando era di spalle.

Per il resto, furono tutti abbastanza collaborativi. Non la ostacolarono o misero mai in dubbio ciò che faceva.

Sono veramente disperati. Sperano che faccia miracoli.    

Dopo che Ziki le portò tutto il necessario, si accomodò su una sedia e non le staccò gli occhi di dosso.

Sebbene quel comportamento la infastidì, poco dopo, si dimenticò totalmente della sua presenza.

Versò l’infuso caldo in diversi bicchieri e iniziò subito a distribuirlo, ricevendo riscontri positivi. Il sospiro di sollievo che tirò la donna sulla quarantina, la gratificò.

“G-grazie cara” le sorrise, mostrando di aver riacquistato un minimo di lucidità “Come ti chiami?”

Eileen prese il foglio dalla tasca e mostrò il suo nome in chiare lettere.

“Dovresti appendertelo al maglione, così le persone sapranno come chiamarti” le suggerì, in tono amichevole “Prendi questa, a me non serve” le porse una forcina dopo averla sfilata dai capelli color mogano. 

Quel gesto la commosse. In territorio sconosciuto, quel tipo di gentilezza acquisiva maggiore valore.

Le sorrise e annuì, seguendo il suo consiglio.

Una signora anziana medico fu la prima dello staff a rivolgerle la parola: “Dove hai preso queste erbe?”

Nella foresta, non tanto lontano da qui.

Le rispose mentre passava da un paziente all’altro.

Da quel momento, la donna continuò a seguirla come un’ombra, osservando ogni suo movimento.

Robusta, non molto alta, indossava anche lei vestiti rigorosamente neri. Solo un piccolo grembiule bianco legato alla vita spiccava in mezzo al resto dell’abbigliamento. I capelli grigi a caschetto le incorniciavano il viso rugoso. Non dimostrava più di 70 anni, ma la fronte perennemente corrugata le conferiva un aspetto più austero.

“Come credi che si diffonda il virus?” le chiese indicando il pezzo di stoffa che aveva indossato per coprire naso e bocca.

Non lo so, ma nel dubbio, preferisco tenerlo. Ancora non sono riuscita a capire come mai alcuni si ammalino e altri no.

“I primi pazienti che sono arrivati qui in ospedale erano coppie. Il virus si diffonde attraverso la saliva, non c’è ombra di dubbio” le rispose come se la cosa più scontata del mondo.

Eileen ripensò a Noah e a Mala. L’aveva vista eseguire il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, quindi era molto probabile che avesse contratto il virus in quel modo.

Assurdo che non ci avesse pensato prima.  

Guardò la signora accanto a lei, e le sorrise, ringraziandola di aver condiviso con lei quella scoperta. Se fosse riuscita a lavorare di squadra fin dall’inizio, avrebbe sicuramente risparmiato maggior tempo e salvato più vite.

Forse poteva chiederle aiuto riguardo la questione delle prigioni. Era probabile che non ne fosse al corrente.

Decise di osare e chiederle maggiori informazioni.

Chi sono le persone in prigione?   

Presa di contropiede, la fissò come fosse un mostro dotato di quattro occhi e due nasi.

“Quelle persone sono irrecuperabili, non abbiamo spazio e risorse per tutti” sussurrò abbassando gli occhi e allontanandosi da lei.

Eileen sentì la rabbia montarle dentro e cominciò a rincorrerla. Le sbarrò la strada, prima che potesse uscire dalla stanza.

Come potete arrendervi così facilmente? Ci sono uomini, donne e bambini!

Scrisse quelle parole in fretta, prima che potesse sfuggirle.

La donna alzò la testa, sorpresa. Tuttavia, la sua risposta fu fredda e monocorde: “Non immischiarti in cose che non ti competono, o ti farai molto male.”

Detto ciò, la sorpassò e varcò la soglia, senza aggiungere altro.

Vedremo.



Buon pomeriggio a tutti! 

Eccoci con il nostro solito aggiornamento domenicale. Spero stiate tutti bene e che questo capitolo riesca a farvi "evadere" anche se per pochi minuti :)

Helen 

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Capitolo 26
*** Informazioni ***


Per tutta la mattinata, Mala cercò di riposarsi, ma non ci fu verso. Ogni volta che provava a chiudere gli occhi, tendeva a rivivere l’incubo della notte prima.

Non aveva più la febbre, il suo corpo era riuscito a reagire. Però non aveva ancora recuperato le forze e avere il morale sottoterra non aiutava.

Non si pentiva di essere partita insieme ad Eileen. Era la cosa più altruistica che avesse mai fatto nella sua vita. Tuttavia, trovare la sua strada si stava rivelando più complicato del previsto.

Se prima le era chiaro cosa sarebbe diventata, ora iniziava a dubitare anche di quello. Non aveva più certezze a cui aggrapparsi: Shura, sua madre, il suo sogno di diventare un guerriero. Tutto andato.

Stesa sul letto, fissava un punto indefinito all’orizzonte. Si era alzata un paio di volte solo per andare in bagno, per il resto del tempo, era rimasta sdraiata nella stessa posizione.

Qualcosa dentro di lei, si era spezzato.

Se avesse seguito le nozioni imparate durante il suo addestramento, avrebbe impiegato quel tempo esplorando la zona o studiando una strategia per non farsi uccidere.

Sono un disastro, quel poco che ho imparato, non sono in grado di applicarlo.

Nascose il viso nel cuscino. Provò a riaddormentarsi, ma i troppi pensieri la tenevano sveglia.

Dannazione.

Sentì dei passi provenire dall’esterno. Probabilmente era Eileen. Le aveva promesso che sarebbe tornata per controllarla.

Nessuno si presentò, i rumori scomparvero e Mala continuò a guardare fuori dalla finestra.

Era una bella giornata. In altre circostanze, si sarebbe trasformata e avrebbe corso per chilometri, godendo del calore dei raggi del sole.

La porta si aprì e percepì subito l’odore di Eileen e quello di un altro essere umano. Non si scomodò a salutarli, si limitò ad alzare la mano per avvisarli che era sveglia.

Eileen si avvicinò al suo letto, sbarrandole la visuale. Il suo sguardo cadde subito sulla piccola tracolla che, a quanto pare, era riuscita a recuperare. Sapeva quanto fosse prezioso il suo contenuto. La osservò mentre piegava alcuni vestiti e li conservava al suo interno.

Non aveva per niente voglia di interagire con gli altri e per di più fare la conoscenza di una nuova persona.

Ruotò leggermente la testa e con la coda dell’occhio notò, appoggiato allo stipite della porta, un ragazzo sulla ventina. Non era molto alto, ma aveva dei lineamenti piacevoli. Il suo viso era cosparso di piercing e il maglione variopinto non aiutava per niente a mimetizzarsi nella foresta.

“Con quello addosso, ti vedranno a chilometri di distanza” affermò lei a bruciapelo, saltando le presentazioni.

Abituato a ricevere commenti sul suo aspetto, Ziki rispose, sorridendo: “Vero, ma almeno ammetteranno che ho gusto.”

“Ma questo lo diranno prima o dopo che sei morto?” chiese Mala, cambiando posizione. Smise di dargli le spalle e si sedette, ignorando totalmente il fatto di essere in pigiama.

“Se ci sarai tu vestita così, stai certa che non baderanno a me” le rispose, facendole l’occhiolino.

L’imbarazzo la zittì momentaneamente. Il pigiama di flanella non era aderente, ma le fasciava le curve alla perfezione.

Ingoiò più volte la saliva, scacciando le immagini dell’uomo che le metteva le mani addosso, sussurrandole nelle orecchie qualsiasi tipo di volgarità.

Non è qui. Sei al sicuro.

Cercò di autoconvincersi.

“Cosa ti è successo al viso?” le chiese Ziki, notando le ferite.

“Cosa te ne importa?” gli rispose a tono, mettendosi sulla difensiva.

“Non c’è bisogno di uscire gli artigli, la mia era semplice curiosità” sollevò le braccia, chiedendo una tregua.

Eileen andò in suo soccorso mostrando il foglio al ragazzo. Inventò una scusa, spiegando che quei graffi se li era procurati cadendo.

Le guardò guardingo, ma non aggiunse nulla. 

Mala portò la coperta fino al mento, coprendosi completamente. Si ristese sul fianco, dando le spalle a Ziki.

Eileen la osservò preoccupata.

Appena era entrata nella stanza, aveva notato che qualcosa non andava. Trovarla stesa nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata, l’aveva rattristata parecchio.

Il trauma che aveva vissuto non poteva essere dimenticato. Aveva bisogno di essere aiutata, in modo da poterlo superare.

Restare chiusa in camera non le faceva bene. Doveva uscire, passare del tempo all’aria aperta, insieme agli altri. Isolarsi era inutile e controproducente.

Eileen iniziò a sbucciare una mela e intanto le porse parte dell’infuso che aveva preparato in precedenza.

Non ricevendo nessuna reazione, lo appoggiò sul comodino.

Gesticolò invitandola a berlo e Mala le rispose muovendo le mani. Lo avrebbe bevuto solo se Ziki se ne fosse andato.

Non posso cacciarlo, abbiamo stretto un patto. Potevo venire qui, solo se accompagnata da lui.

“Così però mi sento escluso. Non posso sapere cosa vi state dicendo” disse Ziki mettendo il broncio.

“Ha detto che te ne puoi andare e che dovresti dedicarti a qualcos’altro invece di fare il cane da guardia” spiegò Mala, stizzita dalla sua presenza.

Ziki non sembrò abboccare, rimase calmo e aggiunse: “Fare il cane da guardia è il mio secondo lavoro. Il primo è realizzare abiti-lupo.”

Mala scoppiò a ridere.

Rimase stupita dalla sua stessa reazione. Non si faceva una risata di cuore da una vita. Aveva dimenticato che cosa significasse.

Eileen guardò incuriosita prima il ragazzo e poi l’amica.

“Aspetta, questa mi è nuova. Vuoi dirmi che quel maglione lo hai creato tu?” domandò, prendendolo in giro. Si rimise seduta, guardandolo dritto negli occhi.

“Certo” affermò Ziki, senza battere ciglio.

Mala smise di ridere e, incredula, chiese: “Sei serio?”

Il ragazzo incrociò le braccia: “Ci sto ancora lavorando, ma ho intenzione di creare dei vestiti che non si strappino nel momento in cui ci trasformiamo” spiegò in modo concitato “È scocciante dover portarsi sempre un cambio di riserva. Abiti pratici, ma anche guardabili. Il nero è sopravvalutato.”

Mala rimase stupita dalla sua passione. Era qualcosa in cui credeva, il fuoco ardeva nei suoi occhi quando ne parlava. Infastidita, prese un pezzo di mela e lo addentò.

Eileen alzò entrambi i pollici, entusiasta.

“Purtroppo, non c’è posto per idee così innovative nel branco” continuò, mostrando per pochi secondi la sua vulnerabilità “però sono un osso duro e poi essere figlio del capobranco ha i suoi vantaggi” aggiunse, tornando a scherzare.

Tu e Arthur siete figli del capobranco?  Gli chiese, con l’ausilio di Mala che tradusse la domanda ad alta voce.

Non c’era somiglianza tra i due, se non per i capelli neri.

“Purtroppo, sì. Arthur è chiaramente il figlio preferito. Ammetto di essere un po’ invidioso, ma è troppo perfetto, è impossibile portargli rancore. Ecco perché, alla fine finisco per cedere a qualsiasi sua richiesta” concluse sbuffando.

Eileen ascoltava attentamente le parole di Ziki, avida di ricevere informazioni riguardo al suo presunto compagno.

C’erano ancora tante questioni in sospeso da risolvere, ed era quello il motivo per cui probabilmente lui la stava evitando. Lei stessa aveva paura di incrociarlo, non sapeva come avrebbe reagito.

“E quale richiesta ti avrebbe fatto?” chiese Mala, incuriosita.

“Di essere la vostra ombra e di trattarvi bene. Non so perché si prenda tanto fastidio” affermò, scrutando l’espressione sul volto delle due ragazze, in attesa di ricevere spiegazioni in merito.

Eileen rimase impassibile, anche se con difficoltà.

Dentro di sé, tirò un sospiro di sollievo.

Arthur ci teneva alla loro incolumità, e ora ne aveva finalmente la conferma. Questo significava che c’erano maggiori possibilità che tornassero a casa sane e salve.

Per ora, le bastava sapere questo. Non voleva indagare oltre.

Quella notte si era ripromessa che la sua priorità numero uno sarebbe stata riportare Mala al branco, tutta intera. Il resto sarebbe passato in secondo piano.

“Tuo fratello è un gentleman, è normale che voglia salvare due donzelle in pericolo” disse la ragazza, sperando di convincere Ziki che fosse quello il vero motivo.

“Su questo non posso darti torto, è il motivo per cui tante lupacchiotte gli ronzano intorno” constatò, alzando le spalle.

La gelosia è una brutta bestia ed Eileen lo sapeva. Almeno in teoria. In pratica, era tutta un’altra storia.

Non si aspettava di sentire lo stomaco contorcersi e le mani prudere. Aveva voglia di uscire a cercarlo.

Perché ha chiesto a te di sorvegliarci, invece che farlo di persona?

Gli domandò, sperando che non notasse il suo orgoglio ferito.

“Arthur è un insegnante e si occupa dei cuccioli del branco. La malattia è arrivata anche lì. Si prende cura dei bambini 24 ore su 24” le rispose “vi ho detto che è schifosamente perfetto” accennò un sorriso, rassegnato.

Eileen si vergognò della sua reazione. Saperlo impegnato in una professione così nobile, aumentò il rispetto e l’ammirazione nei suoi confronti. Volevo assolutamente vederlo all’opera.

Non sapeva quanto fosse rischioso chiedere a Ziki di portarla da lui.

Se volessi parlare con Arthur, tu potresti portarmi da lui?

“Parlargli? Ieri sera, non avete parlato con lui?” chiese, chiaramente confuso.

La notte precedente era rimasta sveglia per tutto il tempo, nessuno era andato a trovarle.

“L’ho visto tornare la mattina presto e prima di andarsene di nuovo, mi ha chiesto di tenervi d’occhio” spiegò, rammentando gli eventi della giornata.

Cosa stava combinando?

Rifletté preoccupata, l’urgenza di incontrarlo era aumentata vertiginosamente.

“Comunque, ora tocca a voi svelarmi qualche informazione succulenta su di voi” affermò, chiudendosi la porta alle spalle e sedendosi su una piccola poltroncina, distante dal letto.

“Non siamo persone interessanti, ma terribilmente noiose” disse Mala, alzandosi dal letto.

Prese i vestiti lavati da Eileen e velocemente si incamminò verso il bagno.

“Non ci credo” rispose Ziki, seguendo con lo sguardo la figura della ragazza, finché non scomparve “anzi, devo dire che dopo questa affermazione, sono ancora più curioso” un sorriso malizioso spuntò sul suo volto.

“La curiosità uccise il gatto” concluse Mala, alzando la voce dall’altra camera.

“Immagino che nessuna di voi abbia un compagno. Non sareste qui, in caso contrario” constatò Ziki, ignorando la battuta di Mala.

“Questa non mi sembra una domanda” lo riprese la ragazza, intenta a cambiarsi e a lavarsi.  

“Touché” ammise lui, guardando Eileen intenta a tenersi occupata.

Non le piaceva parlare di se stessa, sperava di evitare domande troppe personali. Inoltre, era una pessima bugiarda.

“Eileen è chiaramente un medico e tu invece cosa sei?” chiese imperterrito, non disposto a cedere.

“Mi chiamo Mala. Non volevo che Eileen partisse da sola e ho deciso di accompagnarla. Anche io conosco le basi della medicina” rispose, mentendo spudoratamente sulle sue capacità.

Si presentò nella stanza con i vestiti lavati e un’acconciatura nuova ai capelli. Li aveva intrecciati e alzati, lasciando davanti qualche ciocca libera.

Wow! Non sapevo fossi così brava con i capelli.

Le segnò Eileen, sorpresa dei mille talenti che la sua amica aveva.

“Potrei acconciarteli, se vuoi” le propose senza pensarci due volte.

Mi farebbe piacere, ma devo ritornare al lavoro. Ci sono tante persone che hanno bisogno del nostro aiuto. Dobbiamo convincere Ziki a portarci nelle prigioni. Ci sono persone malate laggiù.

“Non è giusto, mi sento escluso dal club. Devo assolutamente imparare il linguaggio dei segni” affermò il ragazzo, per nulla contento.

Eileen e Mala scossero la testa, divertite da quel commento.

Le persone malate del vostro branco si trovano solo in ospedale?

Domandò a Ziki, sempre attraverso Mala, con l’intenzione di sondare il terreno.

“Che io sappia sì, naturalmente ci sono diversi malati anche nelle case” rispose scrutandola, cercando di capire dove volesse andare a parare.

Non è così. Alcune persone malate sono state rinchiuse nelle prigioni. Le ho viste, quando eravamo in cella.

Disorientato, Ziki non credeva alle sue orecchie. Che senso aveva rinchiudere persone malate in prigione?

“Forse è arrivato il momento di andare a trovare mio fratello” affermò, convinto che fosse la scelta più giusta.

Eileen tirò un sospiro di sollievo.

Finalmente.



Buonasera!

Eccoci con un altro aggiornamento. Spero stiate bene, vi abbraccio tutti virtualmente. 

Helen 

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Capitolo 27
*** Asilo ***


Eileen non sapeva definire le emozioni che stava provando. Prima di conoscere Arthur, non pensava fosse possibile sentirsi in tanti modi diversi contemporaneamente.

Non vedeva l’ora di incontrarlo. Dopo tanto tempo, poterlo guardare da vicino, ascoltare la sua voce e, se aveva fortuna, poterlo toccare di nuovo, rappresentavano i suoi desideri più profondi e viscerali.

Tuttavia, se iniziava a riflettere sugli ultimi avvenimenti e le rivelazioni ottenute in quei pochi giorni, aveva voglia di scappare, arrendersi e rifugiarsi lontano da tutti.

Soprattutto da lui.

L’istinto di evitare il confronto era un meccanismo di difesa che aveva adottato in più di un’occasione. Era terrorizzata dall’idea di essere delusa, di scoprirsi più debole di quanto immaginasse.  

Dopo aver perso il suo lupo, aveva smesso di aspettarsi qualcosa dagli altri, da se stessa. Si era rassegnata e aveva vissuto la vita giorno per giorno.

Qualche volta le era successo di fantasticare sul suo futuro compagno, ma non aveva mai immaginato di incontrarlo nella realtà. Mettersi in gioco era più complicato di quanto si aspettasse.

Eileen, Mala e Ziki camminavano fianco a fianco, ognuno immerso nei propri pensieri. Le strade continuavano ad essere desolate, proseguirono indisturbati.

“Ecco l’asilo” affermò Ziki indicando una costruzione in legno.

Circondata da diversi orticelli e aiuole incolti, l’abitazione non era molto grande, ma dall’esterno appariva accogliente. Erano stati utilizzati diversi tipi di legno nel costruirla, conferendole una certa unicità e un pizzico di innovazione.

Il silenzio regnava anche in questa zona: era inusuale avvicinarsi ad una scuola e non sentire grida, urli o pianti di bambini.

La situazione è peggio di quanto pensassi.

Eileen non stava più nella pelle. Voleva rendersi utile e rimettersi a lavoro.

Ziki abbassò la maniglia e uno alla volta entrarono nell’edificio. La puzza di vomito li investì, facendoli storcere il naso. I banchi soliti erano stati sostituiti da letti improvvisati, costruiti malamente, ma funzionali.

Una ventina di bambini giacevano nei letti, alcuni seduti intenti a giocare, altri addormentati. Il colorito di alcuni era preoccupante.

Eileen si avvicinò ad uno di loro, immerso nel mondo dei sogni. Le labbra viola e il viso pallido, dormiva supino. Un rivolo di saliva scivolò dal lato della bocca. Non era trasparente come si aspettava.

Stava per vomitare e in quella posizione sarebbe soffocato.

Corse subito al suo fianco e con agilità lo spostò di lato, dimenticandosi di evitare il vomito che le sporcò i pantaloni e parte del maglione.

Dovrò lavarli di nuovo. 

D’un tratto, una mano le afferrò il braccio, facendola sobbalzare. Sollevò gli occhi e incontrò lo sguardo minaccioso di una ragazza, un’adolescente. Se un’occhiata avesse potuto uccidere, lei sarebbe già morta.

Con forza, continuò a strattonarle il braccio per allontanarla dal bambino malato, rischiando, però, di farlo rotolare giù da letto. Prima che Eileen riuscisse a protestare, Mala si intromise, afferrando a sua volta il braccio della sconosciuta.

“Cosa vuoi fare? Non vedi che sta cercando di aiutarlo?” la ragazza la ignorò totalmente, provando a liberarsi dalla sua stretta.

“Ragazze, per favore, calmatevi” si intromise Ziki, mettendosi in mezzo tra le due litiganti.

Nel frattempo, liberato il braccio, Eileen si guardò intorno, in cerca di una pezza per eliminare i residui di vomito. Non trovandone nelle vicinanze, utilizzo la manica del suo maglione per pulire l’angolo della bocca del bambino.

Povera creatura.

Ancora addormentato era ignaro di tutto ciò che stava succedendo.

Questo posto non è ben fornito come l’ospedale. C’è bisogno di bende sterilizzate e di acqua calda da utilizzare per l’infuso.

Mentre gli altri erano impegnati a litigare, legò i capelli con la piccola cordicella e si mise all’opera. Fece il giro della stanza in cerca di acqua da scaldare. Sentiva lo sguardo della ragazza oltrepassarle la schiena.

“Perdonatela, lei è mia sorella Genny. È un po’ diffidente verso chi non conosce” affermò Ziki, e subito dopo ricevette una gomitata dalla diretta interessata.

Allora è lei la sorella sorda di Arthur. È per lei che conosce la lingua dei segni.

Eileen arrivò a quella conclusione, ricordando quando lui glielo aveva confidato.

Piegata sulle ginocchia, era intenta a riempire una bacinella d’acqua, posizionandola successivamente sul fuoco.

Come le era successo in precedenza, il suo odore fu la prima cosa che percepì, ancora prima di vederlo. Un profumo di miele misto a spezie.

Dopo essere entrato dalla porta d’ingresso, Arthur rimase sull’uscio, posando subito gli occhi su Eileen, ignorando il gruppetto intento a discutere.

Come una calamita, ricambiò lo sguardo. Le si mozzò il fiato.

Gli occhi a mandorla color miele non l’avevano mai osservata con tale intensità. Sempre vestito di nero, gli indumenti mettevano in risalto la sua corporatura.

Se lo stava mangiando con gli occhi.

Per qualche secondo, si fissarono come se loro due fossero gli unici presenti nella stanza.

“Finalmente sei arrivato a salvarmi!” gridò Ziki, interrompendo quella “connessione” creatasi tra loro.

Eileen ritornò in sé, concentrandosi su ciò che stava facendo, per quanto le fosse possibile.

Calmati, non puoi dare nell’occhio.

Si sistemò alcune ciocche sfuggite alla coda dietro le orecchie e, dopo aver appoggiato la bacinella sul fuoco, si avvicinò di nuovo al suo piccolo paziente.

“Cosa sta succedendo qui?” chiese Arthur, senza riferirsi a nessuno in particolare.

Genny corse al suo fianco, iniziando a segnare velocemente. Essendo di spalle, Eileen non poteva comprendere ciò che gli stava dicendo.

Decise di continuare ad operare, ignorando il problema.

Mala, prendi un altro cuscino e mettilo sotto quello del bambino.

Le riferì, vedendola in disparte.

“Certo, provvedo subito” si allontanò, iniziando la ricerca.

Eileen frugò nella piccola tracolla, selezionando gli ingredienti che le servivano.

“Posso darti una mano?” una voce cavernosa alle sue spalle, le fece rizzare tutti i peli sul collo, deconcentrandola di nuovo.

Chiuse gli occhi e li riaprì velocemente, in cerca di un briciolo di lucidità.

Annuì senza guardarlo.

Mi serve l’acqua calda in un bicchiere. 

Segnò, tra una boccettina e l’altra.

Con agilità, ritornò subito e le porse il bicchiere d’acqua. Nel passaggio da una mano all’altra, le loro dita si sfiorarono, generando una scossa elettrica.

Alzò gli occhi, chiedendosi se l’avesse percepita anche lui.

Mossa sbagliata.

Di nuovo, i loro sguardi si incatenarono, il verde si perse nel color miele. Sebbene avesse un aspetto trasandato, era più bello di quanto si ricordava. Anche con le occhiaie e la barba di qualche giorno, era l’unico ad attrarla. Aveva una gran voglia di toccarlo.

“Ecco il cuscino che mi hai chiesto” Mala spezzò l’incantesimo, porgendole ciò che aveva chiesto.

Perfetto, appena riusciamo a farlo sedere, mettiglielo dietro la schiena.

Arthur rispose ai comandi, sollevando il bambino come se fosse una piuma. Nel farlo, eliminò le distanze e con la coscia le sfiorò il fianco, facendo impazzire i suoi sensi. Inspirò bruscamente.

Di questo passo non riuscirò a concludere nulla.

Prese il bicchiere e si allontanò da lui. Nel preparare l’infuso iniziò a mescolarlo per bene.

Genny le si avvicinò con un’espressione minacciosa sul volto.

Chi sei? Come ti permetti di entrare qui e agire secondo le tue regole?

Incrociò le braccia, in attesa di una risposta.

Innervosita da quel tipo di comportamento, Eileen decise di ignorarla e continuare il suo lavoro.

Prima che potesse farlo, Genny le strinse di nuovo il braccio, strattonandola verso di sé. Per puro caso, beccò il punto in cui la guardia della prigione le aveva lasciato il livido.

Per il dolore, Eileen chiuse gli occhi e aprì la bocca, senza emettere alcun suono. Di riflesso, lasciò cadere il bicchiere per terra, rovesciando sul pavimento tutto il contenuto.

“Genevieve!” tuonò Arthur, rimproverandola per il suo comportamento “cosa ti passa per la testa?”

Non lo aveva mai visto così arrabbiato, tanto che quasi si dispiacque per la ragazza che, con le lacrime agli occhi, corse fuori, sbattendo la porta.

“Fratellone, ma che ti prende? Lo sai che a volte è capricciosa, ciò non toglie che hai esagerato” commentò Ziki, rincorrendo la sorella all’esterno.

Intanto, Eileen si massaggiò il braccio indolenzito. Provò a recuperare il salvabile dell’infuso. Mala le si avvicinò, preoccupata.

Sto bene, le riferì. Più che altro, queste piante sono rare, trovarle nelle vicinanze è difficile. Saremmo costrette a spingerci verso il branco.

Si morse il labbro per la frustrazione.

“Possiamo organizzarci e spostarci in segreto” le propose all’orecchio, facendo sì che solo lei potesse cogliere le sue parole.
Eileen annuì, facendole capire che ne avrebbero discusso in seguito.

Dispiaciuto, Arthur le domandò: “Come stai?”, senza staccarle gli occhi di dosso neanche per un secondo.

Sto bene, forzò un sorriso, sminuendo l’accaduto.

Si rimise a lavoro, sperando di riuscire a concluderlo questa volta.

Il bambino ingoiò buona parte dell’infuso e subito dopo, ritornò a dormire.

Mentre gli rimboccava le coperte, Arthur le si avvicinò da dietro, piegandosi in direzione del suo orecchio: “Devo parlarti, vieni con me.”

Preoccupata che qualcuno li stesse osservando, si accorse che Mala era l’unica presente nella stanza.

“Andate, vi copro io” affermò lei, esortando l’amica ad accettare l’invito.

È arrivato il momento, pensò mordendosi il labbro.

Prima ho bisogno di cambiarmi, riferì ad Arthur indicando i suoi indumenti sporchi di vomito. Voleva essere in forma sotto tutti i punti di vista prima di affrontarlo.

“Se vuoi posso prestarti qualcosa” le propose, guardandosi intorno.

Non ce n’è bisogno, ho un cambio nella tracolla.

Detto ciò, non aspettò di ricevere una risposta. Aprì la prima porta sulla destra e si rifugiò all’interno. Una volta chiusa, abbandonò completamente il corpo, scivolando per terra.

Inspira, espira, inspira, espira.

Pian piano, riuscì a ritrovare le forze.

Uscì il maglione e il pantalone neri e li indossò, promettendosi di lavare i suoi vestiti il prima possibile.

Abbassò lo sguardo e si accorse che il bigliettino col suo nome e la forcina regalatale giacevano ai suoi piedi. Nella fretta di spogliarsi, si era dimenticata di averli affissi sul petto.

Riprese quel piccolo pezzetto di carta e insieme alla forcina riattaccò il nome in direzione del suo cuore.

Ora era pronta.

Uscì dalla stanza e trovò Arthur appoggiato allo stipite di un’altra porta, ad aspettarla.

Sorrise nel vederla indossare i vestiti del suo branco.

“Questo colore ti dona” affermò con naturalezza, ignaro della reazione che quelle parole scatenarono in lei.
Arrossì e senza aggiungere altro, si incamminarono all’esterno.

Insieme.



Buonasera! 

Scusate il ritardo, solitamente aggiorno nel pomeriggio, ma oggi sono stata parecchio impegnata. Avevo pensato di rimandare il capitolo a domani, ma poi mi siete venuti in mente. Comprendo perfettamente l'impazienza e la voglia di scoprire come si evolveranno le cose e allora eccomi qua! 

Siccome il prossimo capitolo è troppo lungo credo che lo dividerò in due parti. Come avrete intuito, è un capitolo mooolto importante ;) 

Al prossimo aggiornamento, stay tuned!

Helen

 

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Capitolo 28
*** Confessioni parte 1 ***


Un momento di intimità con Arthur era tutto ciò che Eileen aveva sempre desiderato da quando era partita. Vederlo vivo e vegeto al processo, le aveva fatto tirare un sospiro di sollievo.

Ma non le bastava: voleva di più.

Prima però c’erano diverse questioni ancora in sospeso tra loro da risolvere.

Mentre camminavano verso una destinazione a lei sconosciuta, Arthur si girò un paio di volte per accertarsi che lo stesse seguendo. Per il resto del tempo, mantennero le distanze, in silenzio.

Le strade erano perlopiù deserte, la possibilità di essere scoperti non era un rischio che correvano.

Lo scroscio di un ruscello giunse alle sue orecchie. Le mancava avventurarsi per la foresta e da quando era arrivata lì, non ne aveva avuto l’occasione.

“Ci siamo” le disse, indicando una fessura tra gli alberi. Una volta entrati, si ritrovarono in una piccola radura, contornata da un ruscello.

Eccolo, a quanto pare il mio udito non funziona così male.

Arthur si sedette per terra, sull’erba, invitandola a fare la stessa cosa, al suo fianco.

“Qui, dubito che ci troveranno. È un posto che conosco solo io” le sorrise per rassicurarla.

Eileen rimase in piedi, seria, comunicandogli la sua scelta di non sedersi.

“Va bene, non voglio costringerti a fare qualcosa che non vuoi” le rispose gentilmente, mantenendo la calma.

Lo aveva visto in azione, sapeva essere diplomatico in situazioni delicate come quella. Lei, invece, era sul punto di scoppiare.
Tutte le emozioni negative vissute in quei giorni stavano ritornando a galla e aveva voglia di riversarle su di lui. Era cosciente di essersi invischiata in tutto ciò senza che lui glielo avesse chiesto, ma alcune sue azioni l’avevano ferita, più di qualunque altra cosa.

La spaventava constatare quanto potere aveva su di lei. Sull’onda di tutto quel malessere, rispose a tono.

Invece interpretare le mie parole a tuo piacimento non è una forma di costrizione, giusto? Come ti permetti di decidere al posto mio?

La velocità con cui mosse le mani, le lasciò i muscoli delle braccia e delle mani intorpiditi. Il sorriso sul viso di Arthur sparì, lasciando il posto ad uno sguardo truce. Non si aspettava tutta quella aggressività.

Le tue azioni mi hanno ferita più di tutti i segni che porto sul corpo!

Non appena concluse la frase, si rese conto di quanto fosse vera, ma allo stesso tempo, pensata con l’intento di ferirlo.

L’espressione di stupore misto a dolore che comparve sul volto di Arthur, le fece venir voglia di rimangiarsi tutto. Si impose di rimanere salda nella sua posizione. Non poteva cedere ora.

Dopo una manciata di secondi, si alzò in piedi e con voce profonda disse: “Posso spiegarti le mie ragioni? Non ho intenzione di giustificarmi, ma devi conoscere la mia versione dei fatti.”

Certo, Arthur. Dovrai anche spiegarmi come mai hai cambiato nome.

Ripartì in picchiata, non risparmiandogli nessuna stoccata.

I muscoli della mascella scattarono, e i pugni si chiusero, assorbendo il colpo.

Eileen sentiva l’adrenalina scorrerle nelle vene. Voleva ottenere da lui una reazione e ci stava riuscendo. Odiava essere l’unica sommersa dalle proprie emozioni, era il momento che anche lui facesse i conti con le sue.

“Sto cercando di rimanere calmo, ma mi stai rendendo tutto più difficile” affermò, incrociando le braccia.

Aveva già riacquistato il controllo di sé, attivando la modalità ‘pacere’.

Frustrata, lo incitò a continuare.

Sto aspettando le tue giustificazioni. Spero per te che siano credibili.

Con un sorriso strafottente, Arthur si godeva la sua impazienza.

“Non conoscevo questo tuo lato. Sei piena di sorprese” non utilizzò un tono sarcastico, ma la frase la irritò lo stesso.

La cosa è reciproca. Sto ancora aspettando. Non abbiamo tutto il tempo del mondo.

Incrociò le braccia e sospirò, rafforzando il concetto.

Arthur alzò i palmi delle mani: “Va bene, tregua. Inizio a parlare solo se ci sediamo e sotterriamo l’ascia di guerra, che ne dici?”

Voleva cancellargli quel sorriso dal volto, ma, alla fine, a malincuore, accettò di sedersi, mantenendo le distanze.

Se si avvicina, al diavolo la mia determinazione, pensò, mordendosi l’interno della guancia per il nervosismo.  

Se la sua freddezza lo infastidì, non lo diede a vedere. Con molta probabilità, comprendeva la complessità di quella situazione e non vedeva l’ora di sbrogliare i nodi.

“Mi hai accusato di aver interpretato erroneamente le tue parole. L’ho fatto per difenderti. So che ti sembrerà una bugia, ma mentire al mio branco, non ti sarebbe servito. Sarebbe stato controproducente” gesticolò animatamente, guardandola dritta negli occhi.

Non era una tua scelta, sono io l’unica responsabile delle mie parole. A te toccava semplicemente riferirle.

“Conosco il Consiglio, non ti avrebbero mai perdonata se avessero scoperto che stavi mentendo. Sto cercando di tenerti al sicuro, ma non posso se mi remi contro” le spiegò in tono concitato.

Sai che significa non poter parlare e vedere ostruito l’unico canale per comunicare con gli altri?

Per un momento, Arthur distolse lo sguardo, avvicinando la mano al mento. Non aveva valutato la situazione da quel punto di vista.

“Hai ragione, non ho pensato minimamente a come questa cosa poteva farti sentire. Tenerti al sicuro è diventata la mia priorità, ho tralasciato tutto il resto” parlava tra sé, guardando i ciuffi d’erba ai loro piedi.

“Ferirti è l’ultima cosa che voglio” l’intensità del suo sguardo e la sincerità che impregnava quelle parole, le fecero rizzare i peli.
La rabbia e la frustrazione iniziavano ad affievolirsi.

“Tuttavia, rifarei le stesse cose se ciò significasse proteggerti” emerse una risolutezza nuova nella sua voce “In più, non puoi promettere al Consiglio di fare tutto ciò che vogliono, è un suicidio. Capisco le condizioni tragiche di Mala, ma non puoi vendere te stessa” aggiunse, rimproverandola di ciò che aveva detto durante il processo.

Come una bambina colta in flagrante, le guance iniziarono a bruciarle.

Sapeva che non aveva tutti i torti. Eppure, ammetterlo le era così difficile. Preferì rimanere in silenzio, non potendo difendersi in alcun modo.

“E comunque, non ti ho mentito. Il mio vero nome è Roman” aggiunse, cambiando discorso.

E come mai qui tutti ti chiamano Arthur?  Ritornò sul piede di guerra, forse la credeva una stupida.

“Perché è il nome che mi hanno dato i miei attuali genitori. Sono stato adottato” l’ultima frase fu pronunciata a bassa voce, perdendosi nello scroscio del ruscello.

La rivelazione la ammutolì. Aveva avuto difficoltà ad abituarsi al nuovo nome e ora doveva ritornare sui suoi passi.

In più, Roman aveva perso i suoi veri genitori.

Pensare alla sua sofferenza le causò un buco allo stomaco. Mentre il senso di colpa per aver dubitato della sua parola iniziò a divorarla.

Scusami…I-io non lo sapevo, distolse lo sguardo e si concentrò sull’acqua che scorreva.

Si era preparata per litigare nuovamente, per far valere la sua opinione. La sua confessione l’aveva smorzata.

Si vergognava della sua reazione. Aveva agito d’istinto, senza pensare che dietro ci potesse essere una valida ragione. Si era lasciata trasportare dalle sue emozioni.

Di nuovo.  

“Come potevi saperlo?” le rispose lui con un sorriso gentile.

Ne approfittò di quel momento di debolezza, per avvicinarsi a lei di qualche centimetro.

“Volevo che mi conoscessi con il mio vero nome. Senza filtri, tralasciando tutto il resto” continuò la sua spiegazione, cercando di catturare il suo sguardo.

Con la coda dell’occhio, notò la sua vicinanza. Non le dava fastidio come credeva, anzi.

Roman, Roman, Roman, ripeté nella sua testa, come un mantra. Dentro di sé, aveva sempre pensato che quel nome gli si addicesse di più.

Quindi Ziki e Genny non sono tuoi parenti di sangue?

Chiese, ritornando su un terreno più sicuro.

“Genny è mia sorella biologica. Ziki è figlio dei miei attuali genitori. Giuro che un giorno ti racconterò questa storia, la mia storia” appoggiò la mano destra sul petto “ora però non abbiamo molto tempo, dobbiamo chiarire altre questioni.”

Sebbene fosse curiosa di saperne di più, annuì. C’erano problemi più urgenti di cui parlare.

“Quando ti ho visto al processo, in quelle condizioni, ho pensato che qualcuno mi stesse mettendo alla prova. Ero sul punto di perdere il controllo” lo sguardo tormentato, perso nelle sensazioni di quel ricordo. Le mani tremavano impercettibilmente.

“Ho sempre pensato di avere un ottimo autocontrollo, sono famoso per questo, ma ho dovuto ricredermi” aggiunse con amarezza “non so cosa mi abbia fermato. Forse la paura delle conseguenze, di metterti in pericolo. Vederti indossare la cordicella che ti ho regalato mi ha fatto sperare che fossi lì per me” gli occhi color miele speranzosi cercavano una conferma negli occhi verdi della ragazza.

Era scontato che fosse lì per lui, ma voleva sentirselo dire.

Appariva così vulnerabile, aveva voglia di abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene.

Sebbene non fece nulla di tutto ciò, arrivò ad una conclusione: era stanca di nascondersi, di reprimere le sue emozioni. Era giusto che scoprisse le carte e che ne affrontasse le conseguenze. Lo doveva a se stessa e a Roman.

Sono qui per te, segnò lentamente, prendendosi più tempo del previsto.

Mai parole furono più vere di quelle.

Dopo averlo ammesso, si sentì più leggera, in pace. Come se i pezzi del puzzle fossero ritornati al loro posto.

Però, non aveva ancora il coraggio di guardarlo. L’intensità dei suoi sentimenti minacciava di far scoppiare il cuore da un momento all’altro.

E se ciò che provava lui non era altrettanto profondo?  

Roman si avvicinò ulteriormente a lei, con calma, per paura di spaventarla come si fa con un animale ferito.

I muscoli non rispondevano ai suoi comandi, aspettava che fosse lui a fare la prima mossa. Quando le loro ginocchia si toccarono, due dita sotto il mento, la costrinsero ad alzare lo sguardo verso l’alto.

“Non sai quanto questo mi renda felice” affermò, facendole aumentare i battiti cardiaci. Riusciva a percepire il calore del suo corpo. Tutte le difficoltà e il dolore che aveva provato in quei giorni scomparvero, lasciando spazio ad un turbine di emozioni che la travolse.

Abbassò gli occhi sulle sue labbra. Pochi centimetri li dividevano. Se si fosse sporta in avanti, avrebbe scoperto il suo sapore.
Forse questo è il momento giusto per agire, pensò con il respiro corto.

Quando finalmente fu sul punto di farlo, Roman spezzò l’incantesimo, interrompendo il contatto.

L’imbarazzo le tinse le guance di rosso, l’umiliazione era scottante. D’istinto abbassò gli occhi. Voleva scappare il più lontano possibile.

“Eileen, i-io…Non possiamo. Se ti bacio, avrò difficoltà a fermarmi” disse balbettando. Non era più il Roman convinto e sicuro di sé.  

“In più, se lo facciamo, tutti sentiranno il mio odore su di te e viceversa. Non possiamo rischiare” spiegò rammaricato.

Non ci aveva pensato. Come faceva a rimanere così lucido? Era lei l’unica a perdere la testa.

Hai ragione. Riesci ad approcciarti a tutto con un certo distacco. Ti invidio.

Sorrise delle sue debolezze.

“Tu credi?” le prese la mano e la poggiò sul suo petto, in direzione del cuore.

Sorpresa, Eileen fissò la propria mano, appoggiata sul torace muscoloso. Sebbene la sua carnagione non fosse chiara come quella di Mala, il colore della pelle spiccava sul maglione nero.

Il cuore di Roman batteva all’impazzata, come un uccellino in gabbia.

Allora non sono l’unica a provare certi sentimenti, constatò quando i battiti aumentarono.

Sentì l’adrenalina scorrerle nelle vene. La consapevolezza di non essergli indifferente, la portò ad osare. Dal petto, la mano risalì fino al collo, accarezzandogli la nuca con le dita.

Lo vide chiudere gli occhi e inspirare profondamente.

Prese coraggio e continuò la sua esplorazione. Le dita sfiorarono la guancia, il mento, la barba di qualche giorno le pizzicò i polpastrelli. Risalì verso gli occhi e con delicatezza sfiorò le occhiaie scure.

Chissà da quanto tempo non dorme.

In questo erano molto simili. Entrambi erano sommersi dagli impegni e pesavano sulle loro spalle enormi responsabilità.
Una buona dormita era quello che ci voleva. Sia per lui che per lei.

Con lentezza, si spostò verso il basso e indugiò sulle labbra. Con la punta della lingua, le leccò il pollice, facendole ritrarre la mano.

Roman la intercettò, mantenendo ancora gli occhi chiusi e disse: “Scusami, giuro che farò il bravo. Ti prego, continua” il tono supplichevole, la convinse a non arrendersi.

Cambiò posizione, facendo leva sulle ginocchia. Questa volta partì dalle mani. Toccò le dita affusolate, le venature sul dorso e i piccoli calli sui palmi.

Avrà costruito lui i letti improvvisati nella scuola.

Era un uomo dalle mille risorse, non si perdeva d’animo. Lo ammirava per questo.

Continuò ad osservare le sue mani. Dava molto importanza a questa parte del corpo. Lei poteva comunicare solo grazie a loro. Se l’essere umano non fosse stato dotato di mani, lei, come tanti altri, sarebbero stati spacciati.

Avvicinò il palmo al suo viso e lo baciò. Non c’era un briciolo di razionalità in quel gesto, aveva semplicemente seguito l’istinto. Sentiva una parte di sé risvegliarsi, dopo essere rimasta assopita per molto tempo.

Si lasciò trasportare da quella sensazione, finché non incontrò gli occhi felini di Roman che la fissavano con un’intensità tale da sembrare che si stesse per trasformare.

Tu non sei un lupo.

Quel pensiero la travolse come una doccia fredda. 




Buonasera a tutti! 

Come ogni domenica, rieccoci con un nuovo aggiornamento. Come vi avevo riferito la scorsa settimana, ho diviso questo capitolo abbastanza lungo in due parti. L'ho letto e riletto migliaia di volte, lasciandomi sempre insoddisfatta. Ho cercato di renderlo il più perfetto possibile. Spero che questa prima parte vi sia piaciuta e che non vediate l'ora di leggere la seconda ;)

Stay tuned!

Helen

 

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Capitolo 29
*** Confessioni parte 2 ***


Tu non sei un lupo.

Quel pensiero la travolse come una doccia fredda. Di scatto, si allontanò, perdendo l’equilibrio. Cadde, battendo il sedere per terra.

Ahi, che male.

“Eileen, stai bene?” chiese Roman, cercando di trattenere un sorriso.

Non osare ridere, vedrai che mi comparirà un altro livido.

Gli rispose, massaggiandosi l’osso sacro.

Il sorriso scomparve, sostituito da un’espressione cupa. Il cambiamento repentino la confuse.

Questa volta, fu il suo momento di toccarla.

Con delicatezza le prese il braccio e alzò la manica del maglione. Capì che era alla ricerca del livido che le aveva causato dolore prima, durante il litigio con Genny.

Lo trovò con facilità. Violaceo, era in netto contrasto con il colore della pelle.

“Mi dispiace per Genny. Non ci sono giustificazioni per ciò che ha fatto” lo sguardo tormentato le faceva venir voglia di rassicurarlo subito “Voglio che tu sappia che non è una persona cattiva. Ha sofferto molto…” lasciò in sospeso il discorso. Perso nei ricordi, le parole gli rimasero bloccate in gola.

Senza pensarci due volte, gli accarezzò la guancia, sperando di tranquillizzarlo.

Era abituata a scontrarsi con altre persone. Le dispiaceva che il primo incontro con sua sorella si fosse rivelato un disastro. Si ripromise di riprovarci con lei.

Come aveva già fatto in passato, chiuse gli occhi, cullandosi nella sua carezza. Era così bello.

Ogni cellula del suo corpo le confermava quello che già sapeva da tempo. Era il suo cervello che doveva convincersi.

“Chi è stato?” le chiese con voce profonda, riaprendo gli occhi e posando lo sguardo sull’ematoma.

Non ha importanza chi è stato. È acqua passata.

“Mi fa impazzire il pensiero di non essere riuscito a proteggerti. D’ora in poi, voglio che tu mi riferisca se qualcuno ti fa del male”, delicatamente le sfiorò il livido con il pollice “se vi fa del male. Siete una mia responsabilità” il miele dei suoi occhi ardeva, in attesa della sua risposta.

Eileen sentì un’irrefrenabile voglia di affidarsi a lui e confessargli tutto ciò che avevano passato, compreso l’episodio di Mala. Tuttavia, le aveva promesso di non farne parola con nessuno.

Decise di tacere.

In più, non voleva diventare un ennesimo peso per lui.

L’aveva detto Ziki che sei schifosamente perfetto, gli disse con un sorriso, sperando di sciogliere la tensione.

“Eileen, sono serio. Purtroppo, questa situazione non mi dà la possibilità di essere sempre al vostro fianco, è l’unico modo per proteggervi” non lo aveva mai visto così in ansia, la fronte corrugata. 

Va bene, d’ora in poi, lo farò.

Sembrò rilassarsi leggermente, poi si piegò in avanti, controllandole la ferita alla testa.

Con tutto ciò che era successo, se n’era totalmente dimenticata.

Le dita indugiarono sulla ferita, il dolore era più sopportabile rispetto a prima.

“C’è del sangue raggrumato nei capelli, potrei provare a togliertelo con l’acqua” si alzò senza aspettare una risposta e strappò un lembo di stoffa dal suo maglione. Lo bagnò nel ruscello e ritornò a lei.

Eileen lo guardava compiere ogni movimento. Aveva una grazia e una delicatezza invidiabili. Sarebbe potuta rimanere tutta la vita lì ferma, ad osservarlo.

Si inginocchiò di fronte a lei e iniziò ad operare.

Entrambi rimasero in silenzio.

Non ricordava più da quanto tempo qualcuno non si prendeva cura di lei. Era sempre abituata ad accudire gli altri e le piaceva. Mai come in quel momento si rese conto di quanto le mancasse ricevere quelle attenzioni.

Con la testa rivolta verso il basso, le venne spontaneo appoggiare la fronte sui suoi addominali, godendosi quel contatto. Il solito profumo che lo contraddistingueva le invase le narici, come una droga, cercò di respirarne il più possibile.

La stanchezza accumulata iniziò a pesarle sulle palpebre. Da una parte, la sua presenza le inebriava i sensi, dall’altra, le infondeva una sicurezza tale da poter abbassare le difese.

Una volta terminata la giornata si sarebbe dovuta riposare, i suoi pazienti avevano bisogno che rimanesse in salute.

Il pezzo di maglione strappato aveva lasciato scoperto un lembo della sua pelle color cannella. Non riuscì a resistere e gli sfiorò parte del fianco con i polpastrelli, facendogli venire la pelle d’oca.

Roman non evitò il contatto, ma si irrigidì, come una statua.

Eileen spostò la mano, sorridendo. Stava agendo trasportata dalle sensazioni che provava. Non c’era spazio per la razionalità.

“Stai giocando sporco” le disse, continuando il suo lavoro. Non poteva vedere la sua espressione, ma dal tono di voce, sembrava divertito e teso allo stesso tempo.

“Dimmi se ti faccio male” aggiunse subito dopo.

Era così premuroso che le veniva da piangere. Dopo tutte le peripezie che avevano affrontato, essere lì sola con lui le sembrava un sogno.

“Dovrei aver finito” ritornò a sedersi, riportando i loro visi allo stesso livello. Conservò il pezzo di stoffa in tasca.

“Dopotutto, chi cura il medico? Mi sento tagliato per questo ruolo” disse con un sorriso a trentadue denti. La piccola fossetta fece capolino, rendendolo di colpo dieci anni più giovane.

Aveva una voglia matta di baciarlo.  

Di riflesso, si limitò a sorridergli, sforzandosi di trattenersi.

Dopo aver fatto riferimento alla sua professione, il suo cervello ritornò a macinare e i problemi irruppero prepotentemente in quel piccolo angolo di paradiso.

Roman, devi portarmi nelle prigioni. Lì ci sono persone malate che vanno curate.

Confuso, la guardò come se avesse parlato in una lingua incomprensibile.

“Vuoi dirmi che le guardie sono malate?” le chiese ingenuamente.

No, nella cella di fronte alla mia e, suppongo in altre, ci sono persone malate. Credo siano state isolate per non contagiare gli altri.

Roman sembrò cadere dalle nuvole: “Non è possibile, una parte delle persone che ha contratto il virus è stata isolata nella foresta.”

Allora andiamoci, così potrai vederlo con i tuoi occhi. 

“Prima ne parlerò con mio padre” affermò, convinto che fosse la cosa giusta da fare.

Con la stessa persona che ha ordinato di segregarle lì?

Sebbene non avesse pronunciato ad alta voce quelle parole, si accorse in ritardo di quanto dovevano suonare dure.
Non fu un caso che Roman si chiuse a riccio e liquidò la questione: “Ti farò sapere.”

Mossa sbagliata. A quanto pare, suo padre era off-limits. Doveva raggiungere il suo obbiettivo in un altro modo. Puntò sul suo senso del dovere.

Se non vengono curate subito, potrebbero morire. Le prigioni sono luoghi umidi e freddi, peggioreranno la loro condizione. 

“Lo so, ricordi che anche io conosco qualche nozione di medicina?” le domandò con sarcasmo.

Non sono qui per dare la colpa a nessuno, ma quelle persone hanno bisogno di aiuto.

Gli afferrò la mano, implorandolo con lo sguardo. Sembrò funzionare.

Roman chiuse gli occhi, toccandosi il ponte del naso con le dita: “Vedrò cosa posso fare. Anche se faccio parte del Consiglio, sarebbe un affronto nei confronti di mio padre se lo accusassi di qualcosa, senza avere uno straccio di prova.”

Lui voleva agire seguendo il protocollo. Se non fosse stata una situazione di emergenza, si sarebbe adattata alla soluzione proposta. Tuttavia, non avevano tempo da perdere.

Come aveva fatto con il suo branco, non era brava ad attenersi alle regole. Se era necessario agire, lo avrebbe fatto, senza ricevere il nullaosta.

La ragazza in cerca di approvazione di una volta, si stava pian piano trasformando in qualcos’altro. Consapevole delle sue abilità, sapeva quante vite era in grado di salvare agendo in tempo.

“Ora dobbiamo tornare, oppure inizieranno a cercarci” affermò con poca convinzione nella voce. Nessuno dei due si mosse, in attesa che fosse l’altro a fare la prima mossa.

Roman incrociò le dita con le sue e rimase a fissarle per qualche secondo, meditando.

“Non riesco a non toccarti. Prima o poi, il branco lo scoprirà, è impossibile tenere nascosto il nostro legame. Riesci a sentirlo?” le chiese conferma nuovamente, come se volesse assicurarsi di non star sognando. Si ricordò di quando le aveva posto la stessa domanda in passato, nella piccola casetta di legno.

Sembrava passata un’eternità.

Eileen annuì lentamente e senza staccare la mano dalla sua, mosse l’altra.

Non posso nasconderti che questa cosa, indicò le loro mani intrecciate, mi spaventa.  

“Il rapporto tra compagni è intenso, non c’è spazio per compromessi. Ti travolge, nel vero senso della parola. Non ti è mai capitato di osservare il comportamento dei tuoi genitori?” le domandò con curiosità.

Ricordava poco della sua vita prima dell’incidente. Aveva pochi ricordi di suo padre, ancora meno dei suoi genitori insieme. Tutto ciò che sapeva di lui lo doveva ai racconti di sua madre. Essendo stato un guerriero, aveva trascorso la maggior parte del suo tempo lontano dalla sua famiglia. Lui, come la mamma di Mala, era morto in missione.

Mio padre è morto in missione. Questo tipo di legame mi è totalmente estraneo, nessuno mi ha mai insegnato come bisogna comportarsi.

“Mi dispiace per la tua perdita” la sincerità impregnava le sue parole. Lui meglio di chiunque altro poteva capire cosa significasse perdere un genitore.

La tristezza nei suoi occhi svanì e l’angolo della sua bocca si curvò, accennando un sorriso. Trovava divertenti le ultime parole che aveva pronunciato.

“Non esiste un copione. Devi sempre fare ciò che senti, segui il tuo istinto e non sbaglierai mai” le sfiorò la nuca con il palmo della mano, avvicinando il viso al suo, dandole una dimostrazione di ciò che intendeva.  

Con il respiro corto, a pochi centimetri di distanza, poteva vedere le sue pupille dilatate. Il color miele dei suoi occhi era quasi scomparso, lasciando il posto ad un’espressione famelica.

“Non ce la faccio” le sussurrò poco prima di avvicinarsi alle sue labbra. A pochi centimetri di distanza, si fermò sul più bello.

Riusciva a percepire il respiro sulle sue labbra. Aspettava che facesse lei la prima mossa, che acconsentisse. Appena arrivò a quella conclusione, catturò le sue labbra, buttandosi a capofitto. L’attesa aveva logorato entrambi, lasciando il posto ad una frenesia incontrollabile.

Affamata, rispose al bacio come se fosse la cosa più naturale del mondo. All’inizio fu un bacio dolce e incerto, poi si trasformò in uno selvaggio e rovente.

Una scarica di adrenalina partì dalla base del collo, dove risiedevano le mani di Roman, fino alle sue labbra. I palmi callosi le circondavano quella zona con una delicatezza tale da commuoverla.

Era il suo primo bacio.

Le sensazioni che provava erano travolgenti, inspiegabili a parole. Per la prima volta, si sentiva lì presente e da nessun’altra parte. Riversò tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni, belle e brutte, in quel bacio.

Con agilità, si sporse in avanti, senza staccarsi da lui. Le mani trovarono facilmente la chioma corvina e in pochi secondi, sciolse la sua coda, lasciandoli liberi.

Strinse tra le dita le ciocche morbide e avvicinò ulteriormente il viso al suo. Un gemito uscì dalla bocca di Roman, ma subito venne risucchiato dalla sua. Percepire il suo sapore sulle labbra fece impazzire i suoi sensi.

In un gesto di possessività, mordicchiò il labbro inferiore di Roman e questo sembrò piacergli. Dal collo, le mani scesero, posizionandosi sui suoi fianchi. Con uno scatto avvicinò i loro corpi, facendoli aderire.

Divenne consapevole di ogni parte del suo corpo, in particolare di quelle che erano a stretto contatto con il corpo scultoreo del ragazzo. Come due pezzi di puzzle, si incastravano alla perfezione.

Le mani sui fianchi si spostarono sulla schiena e le sue braccia la circondarono completamente, facendola sentire protetta.
Il cuore batteva all’impazzata, tingendole le guance di rosso. Lo stomaco le si contorse per il piacere.

Alla fine, furono costretti a staccarsi, per riprendere fiato. Prima di ricadere nel tranello, Roman appoggiò la fronte sulla sua spalla, nascondendo il viso accaldato.  

“Sono un disastro, mi dispiace” le accennò, sorridendo, ancora alle prese con l’affanno.

Impegnata a far rallentare i propri battici cardiaci, rispose accarezzandogli i capelli e aggiustandogli alcuni ciuffi ribelli.
Roman rispose avvicinando il naso al suo collo. Inspirò profondamente il suo odore. Chissà se gli piaceva tanto quanto a lei piaceva il suo.

“A quanto pare, non avevo torto. Ti piacciono particolarmente i miei capelli” disse riferendosi alle mani di lei tra i capelli corvini.

Spaccone, segnò, abbandonando a malincuore le morbide ciocche.

“Un lato che emerge solo in tua compagnia” affermò dopo aver sollevato il viso. Le fece l’occhiolino per rafforzare il concetto.

Eileen riuscì a stento a trattenere un sorriso. Le piaceva un sacco sentirsi desiderata. Non aveva mai flirtato con nessuno in vita sua, ma insieme a Roman, tutto ciò che facevano acquistava un senso.

Di nuovo, i loro sguardi di incatenarono e scese il silenzio. Roman si leccò le labbra, assaggiando le ultime tracce del suo sapore. Eileen fu attirata da quel movimento, mentre una strana forza la spingeva nella sua direzione.

Deglutì a malapena, cercando di ritrovare un briciolo di razionalità.

Di scatto, Roman si alzò in piedi, e cominciò a girare in tondo, evitando il suo sguardo.

“Dobbiamo trovare una soluzione, più andremo avanti e peggio sarà. Non riusciremo a fare a meno l’uno dell’altra” riferì ad alta voce, continuando a camminare, aumentando la distanza tra loro.

Eileen seguì il suo esempio e si alzò in piedi. Odiava vederlo così agitato, come se la loro relazione non fosse altro che un problema. Ora che si erano incontrati di nuovo, l’ultima cosa che voleva è che si allontanasse.

Aveva bisogno di conoscerlo, di capire se lui fosse o meno la sua anima gemella. Non avendo la possibilità di trasformarsi in lupo, doveva averne la certezza assoluta. È vero, c’era attrazione tra loro, era innegabile. Ma l’amore tra i compagni non poteva limitarsi a quello.

Doveva testarlo e seguire il suo istinto da essere umano.

Chi poteva trasformarsi dava per scontato la facilità con cui percepiva, sentiva il mondo intorno a sé, quasi come se fosse in possesso di un sesto senso. Senza era come brancolare nel buio con solo una candela in mano.

Quel pensiero la rattristò.

Non ti allontanare da me.

Segnò, non appena riuscì ad attirare la sua attenzione.

Parliamone, troviamo una soluzione insieme. Non mi escludere.

Lo pregò, incoraggiandolo con un sorriso.

Fermo come una statua, riprese a muoversi, riavvicinandosi lentamente a lei.

Una volta al suo fianco, intrecciò le dita alle sue: “Mi dispiace, non volevo escluderti. Ho bisogno di tempo per capire come uscire da questa situazione di ‘segretezza’. Ci sarà una soluzione, ne sono certo” affermò con l’intento di autoconvincersi.

Possiamo lavorare insieme. Non sei l’unico coinvolto, mi sembra chiaro.

“Più chiaro di così” sussurrò, poggiando lo sguardo sulle sue labbra.

Un brivido le risalì su per la schiena, facendole venir voglia di baciarlo di nuovo.

Iniziamo utilizzando delle piante profumate per eliminare l’odore addosso.

Propose Eileen, sperando di distrarre entrambi dall’attrazione palpabile.

“Mi piace come idea” le sorrise, facendo emergere la piccola fossetta di cui era perdutamente innamorata.

Solo di lei, naturalmente.

“In più, potremmo incontrarci di notte per scongiurare qualsiasi pericolo di essere scoperti” le propose, contento della sua stessa proposta.

A proposito, Ziki mi ha detto che la scorsa notte sei venuto a trovarci, ma in realtà, nessuno è entrato nella nostra stanza. Sono rimasta sveglia tutta la notte.

Preso in contropiede, Roman strabuzzò gli occhi e le sue guance iniziarono a tingersi di rosso.

Ancora più incuriosita da quella reazione, si parò di fronte a lui, con le braccia conserte, in attesa di una spiegazione.

Imbarazzato, si grattò la testa: “Ero venuto per parlarti, ma ho perso il coraggio non appena ho sentito i tuoi passi” abbassò la voce, biascicando aggiunse “avevo paura che mi avresti vietato di entrare. Non riuscivo a reggere un rifiuto…”

Vederlo così triste e vulnerabile, le fece venir voglia di abbracciarlo e rassicurarlo. Tuttavia, lo lasciò continuare, era curiosa di conoscere il resto.

“Così ho deciso di dormire lì, nel corridoio. Dopo averti visto in quelle condizioni, il minimo che potevo fare era assicurarmi di persona che fossi al sicuro” lentamente riacquistò sicurezza e la guardò dritta negli occhi, dimostrandole la sua sincerità.

Sapere che aveva dormito per terra, al freddo al gelo, solo per saperla al sicuro, le scioglieva il cuore. Quella rivelazione la ammorbidì all’interno, ma non lo diede a vedere.

È vero, ero molto arrabbiata.

Calcò quelle parole volutamente. Il dolore era ancora lì presente, ma non poteva negare davanti all’evidenza.

Ma ti avrei accettato lo stesso. La prossima volta, bussa e accertatene tu stesso.

L’espressione sul suo volto cambiò completamente, lasciando spazio ad uno sguardo che le fece tremare le gambe. 

Lo farò, le segnò, comunicando nella sua stessa lingua.

Prima che se ne accorgesse, le posò un lieve bacio sulla guancia, facendole mancare un battito. Le labbra calde indugiarono più del previsto, stordendola.

“E’ ora di tornare, questa volta sono serio” aggiunse sorridendo, conscio della reazione che aveva scatenato in lei.

Con difficoltà, si riprese e annuì.

Torniamo alla realtà.






Buon pomeriggio a tutti! 

Ecco la seconda parte del capitolo "Confessioni". Spero tanto vi sia piaciuto, aspetto il vostro feedback ;) 

Helen

 

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Capitolo 30
*** Pari ***


Una volta che Eileen e Roman uscirono dalla porta, Mala rimase sola nella stanza. Non sapendo cosa fare, si guardò intorno, osservando i bambini, alcuni addormentati, altri intenti a giocare. Nessuno di loro si lamentava: la malattia li aveva debilitati e molti di loro erano fortunati ad essere ancora vivi.

Se alcuni avevano sorpassato l’età giusta per trasformarsi in lupo, altri ancora dovevano scoprire la loro vera natura.

I volti paffuti le ricordarono l’incubo avuto poco tempo fa. Sebbene non si fosse concluso nel migliore dei modi, le aveva dato modo di riflettere sul suo futuro.

Non c’era ombra di dubbio che fosse troppo giovane per pensare di mettere su famiglia, ancora doveva trovare il suo posto nel mondo. Tuttavia, non sapeva se in futuro avesse voluto avere figli, se crearsi una famiglia era qualcosa che desiderasse veramente.

Nel branco, tutti avevano il dovere di contribuire alla sua sopravvivenza. Molti ragazzi della sua età non avevano dubbi su quale sarebbe stato il loro avvenire.

Lei, invece, non si dava pace.

Come le succedeva sempre, il viso di Shura emerse chiaro e limpido nella confusione dei suoi pensieri.  

Da quando era piccola, aveva avuto la certezza di voler trascorrere tutta la sua vita insieme all’uomo che lei riteneva essere perfetto.

Perfetto per lei.

E non lo aveva mai nascosto, anzi.

Ricordava chiaramente il momento in cui aveva iniziato a desiderarlo. Aveva 13 anni, in piena adolescenza, con gli ormoni in subbuglio. O almeno questa era la versione ufficiale.

Dopo aver passato gran parte della serata fuori, con i suoi amici, era tornata a casa in piena notte, arrampicandosi dalla finestra, con estrema agilità si era ritrovata in camera sua. Nel momento stesso in cui aveva poggiato i piedi per terra, si era resa conto di non essere sola.

Seduto sulla poltrona con le braccia conserte, Shura l’aveva guardata con disapprovazione. Era stata sorpresa di trovarlo lì, ad aspettarla. Gli impegni al Consiglio si erano moltiplicati negli anni e Shura stava seguendo un training particolare per diventare un ‘pezzo grosso’. Da una parte, Mala era felice per lui, ma dall’altra era triste perché finiva per dedicarle meno tempo del previsto.

Non essere più il centro del suo mondo l’aveva portata a conoscere nuove persone all’interno del branco. Si era resa conto di essere una persona abbastanza socievole, era riuscita con facilità a farsi nuove amicizie.

Insieme ad altri lupi della sua età, aveva trascorso le giornate a trastullarsi, godendosi, per la prima volta, una spensieratezza che non le apparteneva. Sebbene non condividesse nulla con loro, le era piaciuto stare in loro compagnia, vederli azzuffarsi l’uno con l’altro, spingersi ai confini del branco, testando le loro capacità.

“Dove sei stata?” le aveva chiesto Shura con un tono fin troppo calmo. Sembrava pronto a scoppiare da un momento all’altro.

“In giro” aveva risposto lei distrattamente, muovendosi all’interno della stanza come se non esistesse.

“Ti ho cercata e non eri in giro” aveva ribattuto bruscamente, innervosito dalla sua noncuranza.

“Mi hai cercata? Wow, probabilmente non mi hai cercata bene. Sai, per quello, come per qualunque altra cosa, ci vuole tempo” nonostante il sarcasmo nella sua voce, aveva mantenuto un tono basso, mentre scioglieva le trecce con le mani.

Shura l’aveva osservata attentamente, ogni movimento, e si era stupito, ancora una volta, dell’innata grazia che la contraddistingueva. Lei non lo notava, era troppo concentrata sui suoi difetti, come qualsiasi altro adolescente, ma l’agilità e la delicatezza con cui faceva ogni cosa la rendevano unica, diversa dalla banda di ragazzini che frequentava.

Non aveva ancora compreso come facesse a sopportare la loro presenza, per non parlare poi del fatto che ci trascorreva intere giornate. Era cosciente del fatto che in parte era colpa sua se aveva deciso di accontentarsi di certe compagnie. Ormai da tempo non trascorrevano una giornata intera solo loro due, insieme. Per qualche motivo, era sempre impegnato, sommerso dai vari incarichi.

Avrebbe dovuto trovare un modo per rimediare.

Facendo finta di nulla, aveva aggiunto: “Cosa vuoi dire?”, rivolgendole diverse occhiate infuocate.

Mala si era bloccata per qualche secondo, sorpresa da quel tono minaccioso. Aveva deglutito e preso coraggio, continuando ciò che stava facendo come se nulla fosse.

“Quello che ho detto. Se vuoi fare bene qualsiasi cosa, devi dedicarci tempo” con le dita aveva provato a scogliere nodi, invano.

Dove era finita la sua spazzola preferita?

Shura si era alzato in piedi, incrociando le braccia: “Se hai qualcosa da dire, non ti nascondere dietro le perle di saggezza. Dì quello che hai da dire e basta” la durezza delle sue parole, l’aveva ferita. Sembrava non avesse voglia di perdere tempo neanche per discutere con lei.

Lei amava battibeccarsi con lui.

Allora cosa ci faceva lì?

“Shura, perché sei qui? Cosa vuoi da me?” aveva chiesto alla fine senza mezzi termini. La rabbia aveva iniziato a prender il sopravvento.

Addio pazienza.

“Ora sono diventato Shura? Cosa ne abbiamo fatto del mio soprannome?” le aveva chiesto, palesemente intenzionato a smorzare la tensione tra di loro.

“Solo quando sei esasperante” i nodi erano troppi, scioglierli si era rivelato piuttosto complicato. Aveva provato a nascondere una smorfia di dolore, ma, ad un certo punto, il dito era rimasto impigliato in una ciocca bionda.

“Cerchi questa?” le aveva chiesto lui dolcemente, trasformandosi totalmente in un’altra persona. Era difficile stare dietro ai suoi cambi di umore.

Senza accorgersene, si era materializzato al suo fianco e con la mano destra le aveva porto la spazzola che stava cercando. Era probabile che fosse finita sotto una catasta di vestiti, ma lui l’aveva trovata lo stesso.

Ogni volta si stupiva della sua capacità di percepire i suoi bisogni ancora prima che li esprimesse ad alta voce.

È normale, ti conosce da quando sei nata, aveva pensato smorzando l’entusiasmo.  

“Grazie” gli aveva detto, senza guardarlo, continuando nella sua impresa.

Alle sue spalle, Shura era rimasto fermo, come una statua. Percepiva la sua presenza come se i loro corpi si stessero toccando.

Quando era riuscita a prendere coraggio e ad alzare lo sguardo, si era accorta che la stava osservando attraverso lo specchio, mentre pettinava la chioma ribelle. I loro occhi si era incrociati e per qualche secondo, si era creata una connessione tra loro.

Ancora oggi, sapeva di non essersela immaginata. In quel momento, aveva visto negli occhi di Shura un lampo, un bagliore nuovo che non era riuscito a controllare. Fu quello il segnale che diede inizio al suo amore non corrisposto e che aveva fatto crescere la speranza dentro di lei.

Alto, muscoloso, lo Shura ventiduenne dimostrava molti più anni di quelli che aveva. Nonostante la sua giovane età, tutti all’interno del branco gli portavano rispetto. Era riuscito a conquistarsi la fiducia di molti, compreso suo padre.

Questo la diceva lunga sulle sue capacità.

I capelli lunghi li portava legati, lasciando scoperto il viso spigoloso. Aveva sempre preferito vederlo con i capelli sciolti, gli conferivano un’aria meno composta, più selvaggia. Le ricordavano i vecchi tempi, quando giocavano a fare la lotta.

Poi pian piano, a causa degli impegni, tutto era svanito, lui era sparito.

Era ancora convinta che ci fosse altro sotto.

Vedere quella luce negli occhi le aveva infuso speranza e qualcos’altro. Lo stomaco in subbuglio le aveva fatto desiderare di saltargli addosso, liberargli i capelli, per scorgere parte della sua anima infuocata. Eliminare tutta quella compostezza con un bacio.

Sì, un bacio da togliere il fiato.

Senza pensarci due volte, si era girata per sfidarlo faccia a faccia. Nonostante non si avvicinasse minimamente alla sua stazza e alla sua altezza, lui era indietreggiato bruscamente.

Nessuno dei due era riuscito a proferire parola.

Ho bisogno di rivedere quella luce nei suoi occhi, devo provocare una reazione in lui.

Cavalcando l’onda, aveva fatto l’unica cosa che le era venuta in mente. Aveva sollevato l’orlo della maglietta, rimanendo solo con il reggiseno e una misera canottiera che le aderiva, mettendo in risalto le forme ancora acerbe.

Shura aveva trattenuto il respiro e come se detestasse guardarla, le aveva dato le spalle, ringhiando: “Cosa diavolo stai facendo?!”

Mala era sobbalzata e d’istinto si era coperta, sentendosi improvvisamente imbarazzata. Le guance si erano tinte di rosso, mentre l’umiliazione le si leggeva chiaramente in volto.

Aveva stretto i pugni, affondando le unghie nella pelle.

Per fortuna è girato e non può vedermi.

“Cosa ti spaventa? Non penso che non mi avrai mai vista nuda” lo aveva schernito, con l’intento di non far trapelare l’insicurezza che la sua reazione aveva scatenato.

Shura aveva stretto i pugni e dopo aver riacquistato un briciolo di autocontrollo, aveva sussurrato con il volto rivolto verso la porta: “Stai giocando con il fuoco”, dopodiché era uscito dalla sua stanza, lasciandola lì, sola.

“Sei rimasta sola?” le chiese Ziki, rientrando nell’edificio, riportandola al presente. Era stata così assorta nei suoi pensieri che non lo aveva sentito arrivare.

“Stavo per venirti a cercare, a dire il vero” gli rispose, sperando che non si accorgesse dei suoi tentativi di sviare la domanda.
Fece qualche passo verso di lui, annullando le distanze.

“Me? Per quale motivo?” chiese sorpreso, osservando perplesso ogni suo movimento.

“Perché…Ho voglia di uscire, è da giorni che non mi trasformo ed ho una voglia pazza di corre per la foresta. Però non conosco la zona, vorrei qualcuno che mi facesse da chaperon” gli sorrise, portando avanti la sua recita.

Non convinto al 100%, la fissò per qualche secondo, poi decise di assecondarla.

“Va bene, andiamo, ti faccio strada” la invitò a seguirlo verso l’uscita.

Non ci misero molto a trasformarsi.

Mala sfoggiò il suo fantastico pelo bianco e si accorse che il lupo di Ziki assomigliava vagamente a quello di Roman, ma a differenza del fratello, il pelo era leggermente più corto e meno scuro, più tendente al marrone.

Solo dopo essersi trasformata, si rese conto di quanto le fosse mancato. Una parte di lei era rimasta affamata e insoddisfatta per troppo tempo.  

L’occhio le cadde sulla maglietta variopinta e i pantaloni che poco prima Ziki aveva addosso. Dopo essersi trasformato, erano rimasti integri, vicino alle sue zampe.  

Il lupo marrone seguì lo sguardo di Mala e con soddisfazione strofinò il naso sui suoi indumenti, vantandosi delle sue creazioni. 
Li prese entrambi tra i denti e iniziò subito a correre. Mala non se lo fece ripetere due volte e lo seguì, riprendendo confidenza con le nuove sembianze.

All’inizio il corpo protestò, era da troppo tempo che non si allenava decentemente. Poi però, aumentò la velocità, percependo l’adrenalina scorrerle nelle vene. Tutte le sensazioni confluirono in un’unica sensazione di invincibilità.   

Scansò i diversi ostacoli, muovendosi con agilità, nonostante non conoscesse il posto. Fendette l’aria, resistendo alla forza del vento e accogliendo il calore del sole.

Da tempo non si sentiva così bene.

Prima di addentrarsi di più nella foresta, rallentò, mettendosi sulle tracce di Ziki. Pian piano, tornò indietro, seguendo il suo odore. Lo trovò ad abbeverarsi al fiume, accasciato per terra. Sebbene la sentì avvicinarsi, la ignorò, continuando a bere.
Si è già stancato?  Pensò, ridendo della sua pigrizia.

Scocciata di aspettarlo, si avvicinò per stuzzicarlo, ma subito il lupo alzò la testa, sul chi va là. Questo non la fermò: camminò nella sua direzione, mentre lui indietreggiava, senza distogliere lo sguardo da lei.

Aspettò il momento giusto, per saltargli addosso. Ziki fu più veloce e scansò l’attacco, addentrandosi di nuovo nella foresta, senza aspettarla. Colta la sfida, lo rincorse, vedendolo subito alzare bandiera bianca.

Sì, si è già stancato, sbuffò dentro di sé, rassegnandosi.  

Il lupo marrone si avvicinò ai suoi vestiti, ritornò nelle sembianze umane e, senza alcun pudore, si rivestì lentamente, come se fosse completamente solo.

Senza pensarci su, Mala fece lo stesso, ma d’un tratto, si ricordò di non avere dei vestiti con sé.

All’inizio lo sguardo di Ziki fu attirato dal corpo nudo della ragazza, ma ciò che notò subito dopo, furono i lividi sparsi per tutto il corpo. Erano in netto contrasto con il colorito pallido della sua pelle.

Pronta a sfotterlo per il suo sguardo insistente, Mala si rese conto solo in un secondo momento che la sua nudità era l’ultimo dei problemi.

D’un tratto, tutto ciò che aveva vissuto nei giorni precedenti, le ricadde sulle spalle, minacciando di schiacciarla. Per poche ore, era riuscita a dimenticare. Era ritornata la vecchia Mala.

Lo stomaco iniziò a contorcersi, facendole venire la nausea.

E se Ziki avesse provato ad attaccarla? E se in realtà non era al sicuro?

In più aveva visto i lividi.

Mostravano qualcosa che stava cercando di dimenticare e di nascondere. Prima che le venisse un altro attacco di panico, si ritrasformò in lupo, allontanandosi dallo stupore e dalla compassione che intravide negli occhi di Ziki.

“Mala, aspetta…” questa volta fu lui ad avvicinarsi, leggermente piegato in avanti, con le braccia la incitava a tornare indietro.

“Mi dispiace, non volevo essere maleducato. Vieni qui, non scappare” accennò un sorriso, sperando di rassicurarla “Ti posso prestare la mia felpa” aggiunse, notando l’indecisione nei suoi occhi di lupo.

“Se accetti, ti porto nel mio fantastico laboratorio e ti regalo una delle mie invenzioni” propose, a pochi centimetri di distanza da lei.

Aveva voglia di scappare, era pronta a scattare al minimo segnale.

Eppure, ogni cellula del suo corpo le suggeriva di restare. A quanto pareva, il suo istinto di lupo aveva deciso che Ziki non rappresentava una minaccia. Fu per quel motivo che rimase immobile, in attesa della sua prossima mossa.

Fidati del tuo istinto, l’hai sempre fatto e ha funzionato. Fidati delle tue capacità.

Ripeteva nella testa, spronandosi ad affrontare la situazione di petto.

Chinato in avanti, con le mani sulle ginocchia, le chiese sorridendo: “Ci stai? Ti piace la mia idea?”

Lo guardò scettica, indecisa sul da farsi.

“Ora io mi giro e tu ti cambi” le suggerì, mantenendo la parola.

Le diede le spalle, in attesa, senza apparire scocciato o impaziente.

Stava rispettando i suoi tempi.

Voleva che si sentisse al sicuro. In quella posizione, avrebbe potuto attaccarlo o scappare via.

Era lei ad avere in mano le redini.

Decise di fidarsi.  

Una volta umana, accettò la felpa variopinta e la indossò, notando che le copriva a malapena il sedere. Non era mai stata a disagio con la sua nudità, ci era abituata.

In quel momento, però, sentì la necessità di essere coperta da capo a piedi.

“Fatto. Ora tocca a te mantenere fede alla tua promessa” gli disse, sperando che non facesse caso al tremore della sua voce.
Rassegnata, aspettò che tirasse in ballo la questione dei suoi lividi.

“Seguimi, non ci vorrà molto” affermò Ziki, facendole l’occhiolino, senza aggiungere altro.

A petto nudo, Mala si trovò ad osservarlo. Si accorse che non era né troppo magro né in carne. Era evidente che si allenasse, ma senza esagerare.

Il suo sguardo fu attirato da diverse cicatrici a mezzaluna che gli solcavano il petto e la schiena.

Erano cicatrici di morsi.

Mio Dio.

Quelli erano stati più dolorosidei suoi lividi, senza ombra di dubbio.

Quale bestia fa una cosa del genere.

Smise di respirare, sentendo la rabbia montarle.

Il luccichio di un ennesimo piercing la distrasse dalle ferite. Non lo aveva notato prima, perché coperto dalla felpa. Il capezzolo destro era abbellito da un anellino d’argento.

Era un caso che l’avesse fatto proprio sopra una delle cicatrici a mezzaluna?

Pensò, sentendo la rabbia scemare, sostituita da una strana sensazione di malinconia.

Tuttavia, si sforzò di nascondere le sue emozioni. Non voleva che si invertissero i ruoli e, di conseguenza, lui si sentisse a disagio.

Distolse lo sguardo dal suo corpo mascolino, ma lui la beccò lo stesso.

Stranamente non disse nulla.

Probabilmente aveva paura di spaventarla di nuovo.  

Anche lei fece finta di niente.

Ora erano pari.

Con disinvoltura, lo seguì nel bosco.







Buonasera a tutti! 
Come avrete notato, questo capitolo si incentra sul personaggio di Mala, tra passato e presente. Grazie a voi, sto valutando l'idea di creare uno spin-off su di lei, dopo aver concluso 'Senza voce'. 

Cosa ne pensate? 

La sua storia  si sta evolvendo e sento l'esigenza di creare uno spazio tutto per lei. Naturalmente ho bisogno anche di un vostro feedback ;) 

Al prossimo aggiornamento!

Helen

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Capitolo 31
*** Falò ***


Scese la notte e una parte del branco Mavix si riunì intorno ad un falò. 

Da quanto le aveva raccontato Roman, si trattava di un rito abbastanza recente. Prima della diffusione del virus, non esisteva nulla di tutto ciò.

A turno, ogni membro del clan aveva la possibilità di riposarsi e incontrare gli altri dopo una giornata estenuante di lavoro. In questo modo, i pazienti venivano sorvegliati 24 ore su 24. In più, la tradizione del falò era l’unico modo per commemorare le perdite della giornata.

Eileen si era chiesta se fosse giusto riunirsi insieme agli altri, ma Roman aveva insistito perché ci andasse. Lei era sotto la sua protezione, poteva muoversi liberamente, in più rappresentava un buon modo per farsi conoscere dagli altri. 
Non era sicura che fosse una buona idea: la diffidenza nei suoi confronti era palpabile. Non li biasimava.

Tuttavia, decise di recarvisi lo stesso.

C’era un fondo di verità nelle parole di Roman e in qualche modo voleva renderlo felice. 

Durante il tragitto,  si erano impegnati realizzando due collane, la cui estremità conteneva dei sacchetti pieni di lavanda.
Indossandole, nessuno sarebbe riuscito a sentire l’odore di uno sull’altra e viceversa. O comunque lo avrebbero percepito in forma minore, non destando alcun sospetto.

Almeno da questo punto di vista, potevano dormire sogni tranquilli.

Una sensazione di vuoto allo stomaco le ricordò quanto avesse paura di allontanarsi da lui. Aveva atteso così a lungo di poter passare del tempo in sua compagnia e ora dovevano già separarsi. Come se non bastasse, non erano neanche liberi di frequentarsi alla luce del sole.

Non ancora, pensò cercando di fare uso delle famose dosi di puro ottimismo.

Già le era difficile fare i conti con le sue emozioni e con quei nuovi sentimenti che sentiva crescere giorno dopo giorno, in più era costretta a nasconderli, senza avere la possibilità di sperimentarli apertamente.

Quei pensieri la intristirono tanto che Roman se ne accorse.

“Ehi, tutto bene?” le chiese, prendendole la mano.

Il calore che emanava il suo corpo riuscì a darle un po’ di sollievo. La sua vicinanza riusciva a farla sentire meglio.
Alzò lo sguardo e annuì, ricambiando la stretta.

Per tutto il percorso di ritorno verso l’asilo, non avevano quasi spiccicato parola. Gli ultimi avvenimenti della giornata erano stati parecchio intensi per entrambi.

Eileen si era sentita stordita e fuori dal mondo, ma allo stesso tempo, era in grado di percepire qualsiasi movimento che provenisse da lui.

Camminarono uno a fianco all’altra.

In alcuni momenti, era stata lei a fare aderire la spalla al suo braccio, mentre qualche secondo dopo lui le aveva sfiorato il polso con le nocche.

Come se stessero danzando, si erano mossi attratti da una forza sconosciuta.

D’un tratto, Eileen si era accorta dell’assenza dell’amica e aveva iniziato a preoccuparsi per lei.

Quanto tempo era passato? Poteva essere in pericolo?

Roman le aveva assicurato che non era sola.

Ziki non avrebbe mai permesso che si muovesse liberamente, o che le venisse fatto del male. Si fidava di suo fratello, sebbene non lo desse a vedere, era una persona responsabile.

Ad Eileen non venne spontaneo definire Ziki una persona ‘responsabile’, ma si fidava del suo giudizio. 

“Sai, nostro padre ha cercato più volte di coinvolgere Ziki negli affari del branco, ma lui non è interessato” sorrise amaramente, ripensando ai vari tentativi fatti “Ziki fa di tutto per dimostrargli quanto la sua inaffidabilità non si sposi con la politica” gesticolava, girandosi diverse volte a guardarla.

“A partire dai piercing sparsi per tutto il corpo: un vero segno di ribellione” rise, scuotendo la testa.

È impossibile non notarli, però devo dire che non mi dispiacciono.

Gli riferì, notandolo storcere il naso.

Non sembrava aver gradito che quel complimento provenisse da lei. Il fatto che non commentò, confermò la sua ipotesi.

Però di norma non mi piacciono, preferisco poter accarezzare il viso di una persona senza incontrare ostacoli, segnò lentamente, osservandolo con la coda dell’occhio, mentre il suo volto cambiò espressione.

L’insicurezza era scomparsa, lasciando il posto ad un sorriso malizioso e ad uno sguardo molto eloquente. Le fossette fecero capolino.

“Accarezzare il viso di una persona qualunque?” le chiese, mostrandosi assettato di conferme.

Solitamente lo faccio ad una persona che lo merita, scherzò, ricambiando il sorriso.

Pian piano, iniziava a prendere confidenza e a sentirsi a suo agio in sua presenza.

Era cosciente del fatto che si conoscevano da poco e che probabilmenteavevano bruciato diverse tappe, ma ciò non toglieva che si stava affezionando a lui.

Più lo conosceva e più i suoi timori si attenuavano.

“Buono a sapersi” le rispose, guardandola intensamente.

Il suo cuore mancò un battito. Le guance presero colore.

“Riguardo Ziki, io so benissimo che tipo di persona è. Cerca di nascondere la sua vera indole agli altri per proteggersi, ma passando del tempo con lui, è impossibile non affezionarsi.”

Eileen lo ascoltava affascinata dal modo in cui parlava di suo fratello.

Si vede che gli vuole bene, pensò, apprezzandolo ancora di più.

Lei era figlia unica, non sapeva cosa significasse. Un po’ lo invidiava, doveva ammetterlo.

Traspariva amore dalle sue parole, nessuna traccia di odio, rancore o invidia.

Si ritrovò a desiderare un rapporto come quello.

Subito il suo pensiero si spostò su Mala, la sua unica amica. Quel viaggio le aveva avvicinate molto, rafforzando un legame creatosi da poco.

Chissà, magari un giorno l’avrebbe potuta chiamare ‘sorella’.

“Non ti preoccupare per Mala” aggiunse lui, leggendole il pensiero “è al sicuro e probabilmente la vedrai al falò.”

La mano di Roman prima intrecciata alla sua allentò la presa e risalì lungo il suo braccio, fino a posarsi sulla sua guancia.
Il viso iniziò ad andarle in fiamme.

Non sapeva più distinguere se il calore che percepiva, proveniva da lei o dal corpo del ragazzo che nel frattempo aveva annullato le distanze. Si trovava così vicino che era stata costretta ad alzare il mento.

“Ora va’, partecipa al falò e fai conoscenza, vedrai che il branco dei Mavix sa essere molto ospitale” mosse il pollice avanti e indietro, accarezzandole le lentiggini “poi, verso mezzanotte, alla prima turnazione disponibile, alzati insieme agli altri e raggiungimi, così potremo passare del tempo insieme” le disse con trepidazione.

Ancora stordita da quella vicinanza, non le venne in mente nessuna battuta o risposta appropriata da dirgli, così che alla fine, annuì e basta.

Quel contatto le aveva carbonizzato buona parte dei neuroni.

Con difficoltà si allontanò da lui e si recò al falò.

Non aveva bisogno di una guida, l’odore di fuoco le aveva inondato le narici, spingendola nella giusta direzione.

Durante il tragitto, aveva pensato e ripensato a quel pomeriggio, aspettando con ansia che arrivasse la mezzanotte.

Tra tutte le persone riunite intorno al fuoco, aveva subito riconosciuto Genny. I capelli corti neri lisci, le incorniciavano il viso, mettendo in risalto gli occhi color miele. La prima volta che si erano conosciute, non aveva notato quel particolare. Era stata troppo presa dalla situazione e dal litigio.

Fu lei la prima ad accorgersi della sua presenza. Senza toglierle gli occhi di dosso, la seguì con lo sguardo finché non si sedette in disparte, alle spalle di alcune persone. Non voleva dare nell’occhio e sicuramente essere fissata dalla figlia del capobranco non aiutava.

Molti di loro si accorsero di lei, altri erano troppo stanchi anche solo per parlare. Mangiavano indisturbati il loro pasto, fissando con sguardo assente il fuoco.

Eileen sapeva che significava assistere persone malate tutto il giorno, senza sosta. Era spossante fisicamente, ma anche dal punto di vista emotivo. Il dolore a cui si assisteva lo si riviveva nei momenti di riposo.

“Ecco a voi la mia salvatrice!” gridò una voce maschile, facendola sobbalzare. Alzò la testa per capire chi stesse parlando e d’un tratto si ritrovò tutti gli occhi puntati.

Subito riconobbe l’uomo adulto che aveva curato appena arrivata al branco dei Mavix. Non sembrava totalmente in salute, anzi le gambe traballanti minacciavano di farlo cadere da un momento all’altro.

“Finalmente ti ho trovata! Vedo che ti sei ambientata abbastanza bene” le disse sempre con un tono di voce alto, avvicinandosi a lei. Eileen si guardò intorno e rimpianse l’anonimato.

Di scatto, si alzò in piedi e provò ad allontanarsi, quando lui le afferrò il braccio, costringendola a girarsi.

“Non scappare da me, voglio solo ringraziarti” l’alito di vino dell’uomo la investì, notando solo in quel momento che era ubriaco e che reggeva una bottiglia mezza vuota.

Immobile, non sapeva come reagire. Se lo avesse attaccato, avrebbe potuto scatenare l’ira del gruppo, e quella dell’uomo, mettendosi in pericolo. Ma allo stesso tempo non era saggio aspettare che il nemico facesse la prima mossa, doveva anticiparlo.

Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi dell’uomo che per un momento sembrò tornare lucido. Delle piccole rughe comparvero sulla sua fronte, mentre la bocca semiaperta dava l’idea che fosse sul punto di dirle qualcosa.

Se avesse avuto intenzione di riferirle qualcosa, Eileen non ne ebbe mai la certezza. Genny si materializzò al suo fianco, liberandola dalla presa, per poi spingere l’uomo violentemente, con entrambe le braccia, per terra.

L’uomo cadde all’indietro, il corpo disteso completamente sull’erba.

“Maledetta…” biascicò, sbattendo più volte le palpebre.

Eileen non sapeva cosa pensare. Da una parte era felice che Genny fosse intervenuta, dall’altra le faceva pena vedere l’uomo steso per terra che aveva difficoltà a rialzarsi.

“Il vino si è rovesciato tutto…” aggiunse lui, riferendosi alla bottiglia vuota.

Nessuno più prestava attenzione a ciò che stava succedendo. Genny prese Eileen per il braccio, trascinandola più vicino al fuoco. La fece sedere accanto a sé e in silenzio continuò a mangiare la sua bistecca.

Felice e confusa allo stesso tempo, accettò quel piccolo rametto d’ulivo e si mise anche lei a mangiare, senza farsi troppe domande. La guardò di sottecchi diverse volte, provando a comunicare, ma Genny non sembrava intenzionata a socializzare.

L’unica cosa che le disse fu di stare lontana da quell’uomo: era un pazzo e poteva farle del male.

Eileen lo cercò tra la folla e vide che era riuscito a rialzarsi. Con lentezza, se ne andò, scomparendo nel buio della foresta.

Non mi sembra così pericoloso, ma semplicemente ubriaco, pensò decidendo di tenere per sé quelle considerazioni. Genny non sembrava il tipo di persona a cui piaceva essere contraddetta.

Soprattutto ora che avevano stabilito una tregua.

Quasi dalla stessa direzione, fecero la loro comparsa Ziki e Mala. 

Contenta di vederli, sventolò la mano, rivelando la sua posizione. Il viso dell’amica si illuminò e in pochi secondi la raggiunse.

“Eccoti, è da un po’ che non ci si vede” le riferì a bassa voce, facendo allusioni al suo incontro segreto con Roman.

Sono anche io felice di vederti, segnò Eileen, sperando che Genny non notasse nulla di strano nella loro conversazione.

Mala si sedette al suo fianco, seguita da Ziki. Per un breve momento, tutti si zittirono, osservando i nuovi arrivati. 

L’amica imbarazzata, cercò di guardare altrove, mentre il ragazzo le chiese cosa volesse mangiare, ignorando totalmente quelle attenzioni poco gradite.

Fu in quell’istante che Eileen notò l’abbigliamento di Mala. Indossava un maglione colorato con diverse forme geometriche, abbinato ad un pantalone colorato con la stessa fantasia.

Ora sei tu che sicuramente non passerai inosservata con quelli addosso, scherzò, ammettendo che Ziki aveva talento.

“Sono stata costretta ad indossarli e poi secondo Ziki, potrei sponsorizzare i suoi indumenti” le sussurrò all’orecchio, in modo che solo lei potesse ascoltare ciò che aveva da dirle.

Indossare i vestiti di Ziki è da incoscienti, sai almeno cosa significa?!

Genny si intromise e mosse le mani velocemente, scagliandosi contro di lei. La rabbia nei suoi occhi era visibile.

Confusa, Mala guardò l’amica, sperando che le traducesse il messaggio.

Cosa dovrebbe significare? Che male c’è?

Le chiese Eileen, difendendola.

Significa che le appartiene. Se accetti dei doni così personali, può avere un unico senso. Incoscienti!

Chiarì il concetto, ripetendolo un paio di volte.

“Cosa ti ha detto? Non capisco perché si stia agitando così tanto” commentò Mala, sorpresa.

Il problema sono i tuoi vestiti, le semplificò la spiegazione, rimandandola in un secondo momento.

“I miei vestiti? E perché?” chiese, alzando il tono della voce e rendendo di conseguenza Ziki partecipe della loro conversazione.

“Ho sentito la parola ‘vestiti’, c’è qualche problema?” domandò sedendosi di nuovo accanto alla ragazza, porgendole un piatto pieno di cibo.

Per ringraziarlo, rispose con un sorriso e incominciò a mangiare. Lo sguardo che le rivolse Ziki in risposta, non passò inosservato, attirando l’attenzione di Eileen.

Cosa sta succedendo tra i due?

Si chiese, incuriosita e preoccupata allo stesso tempo per le future ripercussioni.

Alla sua destra, Genny si alzò, ripose il piatto insieme agli altri e si allontanò dal gruppo senza salutarli.

“Devi perdonarla, solitamente è più simpatica, ma probabilmente non le piace avere concorrenza” disse Ziki ironicamente, dopo aver addentato un pezzo di carne.

Entrambe si girarono di scatto verso di lui. Soprese da quella affermazione, non seppero cosa rispondere.

Cosa intendi? Eileen mosse piano le mani tremanti, mentre l’amica tradusse al posto suo.

La paura di essere stati scoperti l’assalì. Deglutì più volte, provando a mandarla giù.

“Non vi preoccupate il vostro segreto è al sicuro con me. Pensate che non me ne sia accorto?” riferì loro a bassa voce, sollevando un angolo della bocca “Conosco troppo bene mio fratello, anche meglio di quanto lui conosca se stesso” alzò le spalle, come se fosse qualcosa di totalmente normale.

“A cosa ti riferisci?” chiese Mala, mostrando un autocontrollo migliore di quello di Eileen. Continuò a mangiare, ma il corpo era pronto a scattare.

“Non penso vogliate parlarne in questo momento” affermò, riferendosi alla folla intorno a loro.

Eileen sapeva che i lupi avevano un udito sopraffine e bastava poco per captare una conversazione, anche a distanza. Anche se alcuni lo sviluppavano maggiormente di altri.

Per tutto il tempo, non staccò gli occhi di dosso dal ragazzo. Osservò ogni sua reazione, sebbene stesse solamente mangiando. Il suo viso non tradiva nessuna emozione.

L’amore di Roman nei confronti del fratello sembrava ricambiato, ed ecco perché arrivò alla conclusione che non avrebbe rivelato nulla della loro relazione.

Almeno non in quel momento. 

D’un tratto, sentì l’urgenza di raggiungere Roman per confrontarsi con lui. Era sicura che lui sapesse perfettamente cosa fare.
Prese un po’ di cibo e lo conservò in un pezzo di stoffa.

Lo porto a Roman dato che a breve dovrò tornare a lavoro.

Lo sguardo interrogativo di Mala non la stupì. Per rassicurarla, appoggiò la mano sul suo braccio e le riferì che avrebbero parlato in seguito. Senza porre altre domande, annuì in risposta e tornò a mangiare.

Eileen si allontanò dal gruppo, inoltrandosi nella foresta.

Rimpianse di non aver portato nulla con sé per illuminare il cammino. A tentoni, riuscì a trovare due pietre e un ramo lungo e maneggevole.

Dopo vari tentativi, riuscì ad accendere il fuoco e con maggiore serenità, perlustrò la zona. Dall’odore le sembrò di esserci già stata.

Non lontana dalla sua posizione, c’era una costruzione totalmente in pietra, con le inferriate alle finestre.

Questa è la prigione.

Un brivido le salì lungo la schiena, facendole tremare tutto il corpo. Ricordava chiaramente quei giorni e il dolore provato.
Non lo avrebbe mai dimenticato.

Si avvicinò ad una delle finestre, nella speranza di riuscire a comunicare con qualche prigioniero. 

Il pensiero di non poter aiutarli, la divorava.

Purtroppo, la finestra era troppo in alto e anche saltando, non riusciva a vedere nulla. Si guardò intorno e a pochi passi da lei scorse un sasso della giusta altezza.

Piantò il tronco a terra e con due mani sollevò la pietra.

Una volta poggiato a terra, parte della pelle dell’indice rimase incastrata sotto il masso. Il dolore fu tale da farla saltare più volte sul posto.

Per una volta, ringraziò il fatto di non poter parlare, perché se ne avesse avuto la possibilità, sicuramente avrebbe urlato, rivelando a tutti la sua posizione.

Il sangue iniziò a colarle verso il palmo. Strappò un pezzo della sua maglia e la usò per avvolgere la ferita.

Ci mancava solo questa, pensò dopo aver preso un respiro profondo.

Senza perdere altro tempo, salì sulla pietra e si sforzò di far abituare gli occhi al buio.

Dopo alcuni secondi, il bimbo con gli occhi color nocciola si avvicinò alle sbarre, riconoscendola.

Eileen sorrise e in risposta, lui fece lo stesso. Alle sue spalle, gli altri sembravano addormentati, proprio come la volta precedente.

Come posso aiutarli? Si chiese, osservando l’espressione ingenua del bambino, ignaro di tutta quella situazione.

Prese il cibo conservato per Roman e glielo passò attraverso le sbarre. Sicuramente ne avevano più bisogno loro.

All’asilo, avrebbe cucinato qualcosa per lui.

Titubante, il bambino accettò il dono, ritirandosi nell’oscurità della cella.

“Cosa stai facendo?” per lo spavento sobbalzò, perdendo l’equilibrio. All’ultimo, si aggrappò alle inferriate e di scatto si girò, cercando di capire da dove provenisse la voce.

L’ubriaco appoggiato al tronco di un albero la guardava, mentre nella mano destra aveva una bottiglia di alcool piena.

Maledizione, fu il suo unico pensiero, mentre scendeva dal masso e impugnava la fiaccola.

Quanto sarà lontano la scuola? Se inizio a scappare ora, riuscirò a seminarlo? Dopotutto è ubriaco.

C’erano diversi fattori a suo svantaggio. L’uomo era grande e grosso e poteva trasformarsi.

“Non penso di averti posto una domanda così difficile” biascicò, ridendo della sua stessa affermazione.

Pian piano, si avvicinò a lei, barcollando da una parte all’altra. Doveva solo spingerlo come aveva fatto Genny in precedenza e sarebbe caduto a peso morto.

Il sorriso sparì dal viso dell’uomo e ritornò serio. Le rughe sulla fronte ricomparvero. Eileen non capiva da cosa fosse dovuto quel cambiamento così repentino.

“Occhi verdi. Non ce ne sono molti da queste parti…” una fitta allo stomaco lo fece piegare in due, interrompendo la frase.
La bottiglia cadde a terra, e parte del liquido fuoriuscì.

Spinta dall’istinto, si avvicinò a lui, senza toccarlo cercò il suo sguardo. Gli occhi dell’uomo si incatenarono ai suoi e con un’espressione sofferente, le afferrò il braccio con forza.

Sobbalzò e di fretta indietreggiò, provando a liberarsi.

“Mi dispiace…” sussurrò l’uomo, tra le lacrime.

Eileen liberò il braccio con l’altra mano e spaventata, si allontanò da lui, correndo lontana da lui.

“Mi dispiace!” un’eco distante della voce dell’uomo arrivò alle sue orecchie.

Il respiro corto e l’affanno la costrinsero a fermarsi per riprendere fiato. Sapeva di averlo seminato, aveva corso come una dannata.

Inspira, espira, inspira, espira.

Solo in quel momento, mentre le gocce di sudore le scivolavano sulle tempie, le venne in mente:

‘Mi dispiace’ per cosa?





Buonasera a tutti, ma soprattutto Buona Pasqua! 

Ero indecisa se aggiornare oggi la storia, ma alla fine ho pensato che 'Senza voce' poteva farvi compagnia anche in un giorno di festa. Spero che non vi dispiaccia che il capitolo sia così lungo. Che ruolo gioca quest'uomo nella vita di Eileen? Difficile a dirlo! 

Stay tuned! 

Helen

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Capitolo 32
*** Pace ***


Il falò durò per tutta la notte, ma Ziki e Mala decisero di allontanarsi dagli altri verso mezzanotte. Con la pancia piena, camminarono l’uno a fianco all’altro, parlando del più e del meno.

Dopo il momento di tensione vissuto nel pomeriggio, Mala aveva scoperto di trovarsi pienamente a suo agio in compagnia del ragazzo. Avevano più cose in comune di quanto pensasse. Ziki aveva due anni in più di lei, ma non li dimostrava. Sebbene fosse il figlio del capobranco, non ne aveva mai fatto un vanto. Anzi, sembrava evitare l’argomento e qualsiasi riferimento ad esso.

Era molto preso dal suo lavoro e dalla sua passione, impossibile non notarlo. Vedeva come gli si illuminavano gli occhi: aveva trovato la sua vocazione. Quando le aveva proposto di indossare i vestiti che lui stesso aveva realizzato, non ci aveva pensato due volte, aveva accettato la sua proposta. Eppure, una volta arrivata al falò, tutti non avevano fatto altro che fissarla.

Subito aveva pensato di essere lei il problema, ma la reazione di Genny le aveva fatto capire che non era così.

“Senti, ma per quale motivo la gente continuava a fissarmi al falò?” chiese, curiosa di approfondire l’argomento.

“Sei la nuova arrivata, nessuno ti conosce” spiegò lui come se fosse la cosa più scontata del mondo. Continuò a camminare, guardando davanti a sé.
“Ma non hanno guardato Eileen allo stesso modo” precisò lei, piccata.

“Mmh…beh allora non saprei, forse la tua acconciatura avrà attirato l’attenzione di tutti” ipotizzò, scrollando le spalle.

“Stupido” lo riprese, conficcandogli il gomito nel fianco.

“Ahi, vedi che sono delicato” scherzò, fingendo di essersi fatto male, coprendo il fianco con le mani.

“Su questo non ci sono dubbi! Nel bosco ti sei arreso subito. Mi avevi promesso una corsa super sfrenata e invece ci siamo fermati subito” affermò lei, imbronciata.  

Ziki rise, ma non disse nulla. Per la prima volta, tra di loro calò il silenzio. Non era uno di quelli imbarazzanti, ma dava l’idea che il discorso si fosse esaurito lì.  

Mala, però, non si arrese: “Ma quindi, seriamente, qual è il problema? I vestiti?”

Non distolse lo sguardo da lui e nei suoi occhi lesse la risposta, ancora prima che lo ammettesse ad alta voce.

“Sono stronzate che esistono all’interno del branco a cui non do peso. Non dovresti farlo neanche tu” la voce divenne più profonda, abbassandosi di qualche ottava.

“Prima però dovrei sapere di cosa si tratta, non posso ignorare qualcosa che non conosco” scherzò, cercando di mantenere la conversazione su toni leggeri.  
Parecchio a disagio, si grattò la testa. Ci mise qualche secondo a rispondere.

“Indossando quei vestiti realizzati da me, potrebbe sembrare che…che…sei la mia…compagna. Ma è un’assurdità! Mi imbarazza anche solo riferirti certe stronzate” agitato, aumentò il passo, senza accorgersene.

Con la pancia piena, aveva difficoltà a stargli dietro. Così gli afferrò il braccio, costringendolo a rallentare.
E a guardarla.

“Ehi, Signor Parto in Quarta, con me sfondi una porta aperta. Anche io ho sempre avuto difficoltà ad accettare certe ‘regole’ all’interno del branco” mimò le virgolette con la mano libera.

Ziki non sembrò badare alle sue parole.

La sua attenzione era stata attirata dalla mano che gli stringeva il braccio. Come se bruciasse, Mala lo lasciò andare, concentrandosi su ciò che stava dicendo.

Concentrati.

“Perché mi devo privare della possibilità di indossare degli indumenti così ben fatti a causa di una vecchia consuetudine?” aggiunse lei, in attesa di una sua reazione.

“Sarebbe da pazzi” le rispose, riacquistando la solarità che lo contraddistingueva.

Non a caso, ricominciò a scherzare: “Quindi io sarei Signor Parto in Quarta?” era evidente che stava cercando di trattenersi dal ridere.

“Di tutto quello che ho detto, è questo che ti è rimasto impresso?” gli chiese sorpresa e rassegnata allo stesso tempo.

Ziki non si sforzò neanche di rispondere alla sua domanda. Continuava a sghignazzare, prendendosi gioco di lei.

“Parlando di regole e consuetudini, cosa ne pensi di tuo fratello ed Eileen?” decise di non girarci troppo intorno. Lo conosceva da pochi giorni, ma aveva notato che era dotato di un ottimo spirito d’osservazione. Mentirgli era un insulto nei suoi confronti. 

Ed era anche stupido. La copertura era saltata.

“Se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che ci si diverte di più seguendo le proprie regole. Non so come sia nata questa storia e ho il vago presentimento che c’entri con il vostro arrivo qui” affermò guardandola, trovando la risposta nel suo silenzio.

“Però sappi che non sarò io ad ostacolarli. Trovare la propria compagna è una grande fortuna. Pensa quanto sarebbe triste morire senza averla incontrata” pronunciò le ultime parole più lentamente, assaporandole, senza toglierle gli occhi di dosso.

La stava studiando, chiunque lo avrebbe notato.

Ogni gesto, movimento, rappresentava un messaggio e lei iniziava ad aver paura perfino di respirare. Poteva essere facilmente fraintesa.

Ed era l’ultima cosa che voleva. 

Non sapendo cosa dire o fare, tornò a scherzare. In quel campo, entrambi si muovevano con facilità.  

“Certo, sono d’accordo. Pensa, invece, se fossi morta senza provare i tuoi abiti almeno una volta nella vita” affermò, riportando il discorso su un terreno più sicuro.  

Ziki si fece pensieroso.

Non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa. Durante la conversazione, passava da sentirsi totalmente a suo agio in sua compagnia, a camminare in un campo minato, con il timore di beccare una bomba.

Era molto probabile che fosse già successo.

Il silenzio scese di nuovo tra di loro. Più imbarazzante rispetto a quello precedente, ma nessuno dei due sembrò darci peso.

Erano troppo frastornati dalla stanchezza e dalla pesantezza del pasto per discuterne.

Mala non sapeva dove si stessero dirigendo. Non le dispiaceva vagare senza una meta, le mancavano i rumori e gli odori della foresta. Si sentiva totalmente nel suo habitat, nonostante fosse lontana da casa sua.

I soliti pensieri tristi iniziarono ad affollarle la mente e a imporsi con prepotenza.

In compagnia di Ziki, era riuscita a dimenticarsi momentaneamente del suo passato. Era uno dei motivi per cui le piaceva passare del tempo insieme a lui. Le trasmetteva una spensieratezza che aveva temuto di aver perso.

Prima di essere sommersa dalla negatività delle sue riflessioni, Ziki ricominciò a parlare, salvandola ancora una volta.

“Se ti dicessero che morirai domani e che puoi fare solo tre cose, quali sarebbero?” chiese lui a bruciapelo, cambiando totalmente discorso.

Presa in contropiede, si girò a guardarlo: “E questa da dove viene fuori?”

“Filosofie della mezzanotte, è risaputo che la notte porta consiglio” aggiunse con un mezzo sorriso, travisando la domanda. Tuttavia, notò una certa malinconia nel suo tono di voce. Quella domanda nascondeva molto di più di quanto desse a vedere.

Ecco perché, non si tirò indietro e decise di condividere qualcosa di personale, nella speranza che anche lui facesse lo stesso: “Se dovessi morire domani, sicuramente mi metterei in marcia per tornare a casa. Ho parecchi conti in sospeso e devo poter dire la mia prima di morire” si sforzò di sorridere e solo allora si rese conto di quanto suonassero tristi e patetiche le sue parole.

Era sempre stata convinta di avere anni e anni davanti sé, senza pensare all’imprevedibilità della vita. Per la prima volta, sentì nostalgia di casa. Percepì un enorme buco allo stomaco.

“Ti capisco, anche io avrei parecchie cose da dire. Mi sfogherei solo per togliermi un sassolino dalla scarpa, ma non perché credo che le cose cambino” non c’era alcuna traccia di ironia nella sua risposta, solo verità nuda e cruda.

Mala aveva paura di chiedergli altro, così decise di aprirsi per prima.

“La pensiamo allo stesso modo. Il rapporto con mio padre è sempre stato così difficile. Negli anni, ci ho sempre provato e riprovato, ma nulla è cambiato. Anche oggi che dico di essermi rassegnata, mi comporto come se continuassi a volere la sua approvazione.”

E non solo la sua, pensò, tenendoselo per sé. 

Da una parte, aveva deciso razionalmente di confidargli qualcosa di se stessa, dall’altra si accorse di avergli rivelato più di quanto volesse.

Era saggio confidarsi con qualcuno che conosceva a malapena?

Non ne aveva la certezza, ma voleva conoscere la sua storia e poteva chiedere solo se iniziava a dare per prima.

D’un tratto, Ziki smise di camminare e si stese sull’erba, portando entrambe le mani dietro la nuca.

Guardava il cielo in silenzio.

Senza essere invitata, si unì a lui. L’erba umida le solleticava il viso e le caviglie. Incrociò le dita delle mani sulla pancia.

Decise di continuare a rispettare quel silenzio, sebbene i pensieri negativi fossero dietro l’angolo, pronti ad assalirla.  

“Sicuramente abbiamo entrambi il complesso del padre” constatò lui, alla fine, mantenendo un tono neutro, come se la cosa non lo riguardasse.

“Quindi, come prima cosa, gli direi tutto quello che penso, non tralasciando nulla. Poi scapperei da qui e trascorrerei l’intera giornata da lupo, correndo tra i boschi, senza fermarmi neanche una volta. Poi, una volta sfinito, vorrei stendermi così, e addormentarmi guardando le stelle” disse sussurrando, tutto d’un fiato.

Mentre parlava, Mala si era girata a guardarlo e nonostante la poca luce, era riuscita a scorgere il suo viso.

I piercing risaltavano subito all’occhio, oscurando il resto. Eppure, ora che lo osservava meglio, sul volto non c’era neanche un cenno di barba. Probabilmente era abituato a rasarsi spesso, lasciando la pelle morbida e liscia.

Chissà se toccandola era veramente così.

Imbarazzata dal suo stesso pensiero, abbassò lo sguardo per un secondo e poi lo riportò su di lui. Era così perso nel suo mondo che non si accorse del suo disagio.

Per fortuna.

Gli occhi aperti fissavano il cielo. Si ricordava di averli osservati alla luce del sole ed erano marrone cioccolato. Caldi ed espressivi. Attenti a qualsiasi cosa succedesse, pronti a cogliere ogni minimo particolare.

In quel momento, erano persi nel vuoto, lontano mille miglia da lei.

Le aveva dato la possibilità di scorgere di sfuggita le sue ferite e lei aveva fatto lo stesso. Entrambi si erano resi vulnerabili. Qualsiasi parola sarebbe risultata banale, così decisero di rimanere in silenzio.

Mala ripensò a quello che Ziki aveva appena detto e si rese conto di quanto quel discorso fosse liberatorio e triste allo stesso tempo.

La malinconia la colpì dritta nello stomaco.

Il buco che aveva percepito prima, si trasformò in una voragine. E per la terza volta nella sua vita, sentì che si stava affezionando ad un altro essere umano, l’inizio di una connessione profonda.

Tempo fa, era rimasta abbastanza sorpresa di essere riuscita a stringere amicizia con Eileen e ora sentiva che stava succedendo lo stesso con Ziki.
Shura era stata la sua prima persona.

Ciò non significa che debba essere l’ultima.

Quel pensiero le tolse il fiato, facendole sentire di nuovo nostalgia di casa. Di lui.

In tutta la sua breve esistenza, non erano mai stati per così tanto tempo separati l’uno dall’altra. Quando aveva deciso di partire, non aveva immaginato di provare così tanto dolore solo pensando a lui.

Il movimento del braccio di Ziki attirò la sua attenzione.

Lo guardò con la coda dell’occhio, senza notare nulla di strano. Dopo essersi mosso, il braccio ritornò nella posizione precedente.

Si sarà semplicemente grattato, pensò dopo aver sbadigliato.

Prima di chiudere gli occhi, però, notò che la guancia di Ziki brillava alla luce della luna. Dava l’idea che fosse bagnata.

Si è asciugato una lacrima, ecco cosa ha fatto.

Aveva voglia di consolarlo, pensò a qualcosa da dire per farlo sentire meglio. Non le venne nulla in mente e si maledì per la sua mancanza di tatto. Era così concentrata su se stessa che non aveva compreso quanto stesse soffrendo.

Lentamente si avvicinò a lui e si accoccolò al suo fianco, senza toccarlo, lasciando qualche centimetro di distanza tra il suo viso e il maglione variopinto. In posizione fetale, chiuse gli occhi, sentendo tutta la stanchezza crollarle addosso.

Per la prima volta riuscì a sgombrare la mente, concentrandosi solo sul fruscio delle foglie e sul calore proveniente dal corpo accanto a lei.
Si sentiva in pace.




Buonasera a tutti! 

Spero stiate tutti bene. La storia tra Ziki e Mala si sta evolvendo e sta prendendo una piega un po' ambigua. Vedremo in seguito come si comporteranno i personaggi ;)

Alla prossima domenica, vi abbraccio forte forte. 

Helen 

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Capitolo 33
*** Gelosia ***


Corri e non fermarti.

Era quello il pensiero constante di Eileen da più di dieci minuti. La paura di essere aggredita un’altra volta da quel pazzo ubriaco le serviva da carburante.
Aveva spento la piccola fiaccola e aveva iniziato a correre. Un passo dopo l’altro, si era affidata al suo istinto. Non aveva avuto altra scelta e alla fine, aveva deciso di muoversi utilizzando il proprio fiuto.

Non era amplificato come quello degli altri lupi, ma meglio di niente.

D’un tratto l’odore di Mala le riempì le narici. Seguì quella scia, fino a trovarsi in una piccola radura, dove l’erba era più bassa.
Due sagome scure erano stese per terra, davano l’idea di essere strette l’una all’altra.

Era saggio avvicinarsi? E se l’avessero attaccata?

Se si tratta di Mala, non c’è alcun pericolo. Pensò, soffocando le sue solite paure.

Quella ragazza si era conquistata la sua fiducia più di una volta.

Senza fare rumore, lentamente, si avvicinò ai due corpi e riconobbe l’acconciatura dell’amica e subito dopo le treccine di Ziki.

Giusto, come aveva fatto a non pensarci prima?

Entrambi stesi sul fianco, uno di fronte all’altra.

Mala in posizione fetale, aveva il viso a qualche centimetro di distanza dalla pancia di Ziki, mentre il busto del ragazzo era ricurvo verso la testa di lei, quasi a volerla proteggere.

Una posizione alquanto scomoda, notò Eileen, con una punta di tenerezza.

Sebbene il modo in cui si trovavano facesse dedurre che fossero due innamorati, non le sfuggì il fatto che i due corpi non si toccavano.

Il dolore al dito le ricordò che doveva affrettarsi, aveva una destinazione da raggiungere.

Si rimise in viaggio, azionando l’olfatto.

Il dito le pulsava maledettamente e le faceva perdere la concentrazione. In più, la stanchezza non la aiutava. Iniziava sentire gli effetti collaterali dell’adrenalina.

Per fortuna, in una manciata di minuti, riuscì ad orientarsi. Non era molto lontana dall’asilo.

Scorse l’edificio e subito ricominciò a correre. Si appoggiò al muro perimetrale dell’abitazione, prima che le gambe cedessero.
Con il fiatone, appoggiò la testa al muro.

Respira, ce l’hai fatta. Ora devi solo entrare e sarai salva.

Prima che riuscisse a ritrovare le forze, un rumore attirò la sua attenzione. Qualcuno era appena entrato. Una donna probabilmente. Ne percepiva l’odore.
Si asciugò il sudore dalla fronte e si mise alla ricerca di una finestra.

Cosa ci fa una donna a quest’ora in un asilo?  

Un certo malessere le strinse lo stomaco e diversi scenari poco piacevoli le comparvero in mente.

In punta di piedi, si affacciò ad una piccola finestrella, mettendo a fuoco l’ambiente.

Roman era seduto per terra, con un bimbo di qualche anno tra le braccia. Dal viso, si notava che si era appena svegliato.

Quell’espressione le fece tenerezza, facendole dimenticare per qualche secondo la donna che entrò subito dopo nella sua visuale.  

Mentre strofinava gli occhi con la mano libera, Roman si rivolse a lei, riferendole qualcosa. Parole che non riuscì a cogliere.
 
Frustrata, continuò a guardare quella scena da dietro le quinte, nonostante l’unica cosa che volesse fare era entrare e rivendicare il suo territorio.

E quel pensiero da dove veniva fuori?

Si stupì di se stessa. Decise di accantonare la questione e pensare piuttosto ad una soluzione.

Osservò la donna. Era alta, i capelli neri e lunghi le arrivavano fino al bacino. Sebbene il viso rientrasse nella norma, il corpo snello, ma allo stesso tempo formoso, la rendeva una donna attraente. I vestiti che indossava non erano i soliti del branco. Erano neri, ma apparivano più aderenti. Mettevano ancora più in evidenza la sua forma a clessidra.

Quella donna è a caccia. 

La rabbia e la gelosia le montarono dentro. Non si era mai sentita così prima d’ora. Non era in grado di ragionare, il suo unico desiderio era entrare nell’edificio e mettere in chiaro la sua posizione.

Poteva farlo, giusto?

Un barlume di insicurezza le mise la pulce nell’orecchio.

Era la sua compagna, giusto? Se era così, perché quella donna si trovava lì con lui?

Nessuno sa che sei la sua compagna.

Un pugno in pancia le avrebbe fatto meno male.

Continuò a guardare all’interno e quello che vide non le piacque per niente. La donna prese il bambino che Roman aveva tra le braccia e lo cullò, sorridendo al ragazzo. E lui ricambiò.

Questo è troppo.

Lasciò la finestra e senza pensarci due volte si precipitò verso la porta.

Una mano la afferrò per il maglione, facendole perdere l’equilibrio. Lo sguardo truce di Genny la fece sentire colpevole.

Cosa diavolo stava facendo? E cosa diavolo ci faceva lì?

Senza alcuna spiegazione, la trascinò dietro un cespuglio.

Cosa diavolo stai facendo? Le chiese Genny partendo in picchiata. Non amava i convenevoli quella ragazza, non c’era alcun dubbio.

Mi stavo chiedendo io la stessa cosa, le rispose, senza farsi intimorire dal suo atteggiamento.

Credo che la mia domanda sia più urgente, dato che la cazzata la stavi facendo tu. Almeno potresti ringraziarmi.

Eileen fu presa di contropiede e per un momento non disse nulla.

Significava che sapeva di lei e Roman? Non erano stati così bravi a nasconderlo e non erano passate neanche 36 ore, rise amaramente dentro di sé.
Smettetela di trattarmi come una stupida.

Genny parlò al plurale, includendo suo fratello. La furia di poco prima fu sostituita dalla tristezza. La cosa sembrava ferirla profondamente.

Non so cosa dire. Perché mi hai fermata? Le chiese Eileen, desiderosa di entrare nell’edificio. Chissà cosa stava succedendo mentre lei stava lì nascosta.

Il solo pensiero le procurò un capogiro, seguita dalla nausea.

Se fossi entrata, sono sicura che avresti fatto una scenata degna di questo nome e sarebbe saltata la vostra copertura.

Non poteva assolutamente negarlo. Non era così brava a recitare.

Ti rendi conto che le tue azioni hanno delle ripercussioni anche su mio fratello?

Questo le fece parecchio male. Avrebbe sentito meno dolore se le avesse schiacciato il dito ferito.  

Pensi che non lo sappia?

Non le piaceva la piega che stava prendendo quella conversazione. L’unica persona con cui voleva discutere era dentro quel maledetto asilo.

Penso che tu te ne sia dimenticata. La schernì, zittendola di nuovo.

Ora tu rimani qui e io faccio andare via quella donna, così avrai la possibilità di parlare con Arthur. 

Non le piacque quella soluzione, tuttavia, non disse nulla. Era troppo occupata a tenere a bada l’orgoglio ferito e la gelosia.

Impaziente attese e quei dieci minuti le sembrarono interminabili.

Non riusciva a sentire molto. Dal cespuglio, scorse la donna uscire dall’edificio.

Scocciata, stringeva il bambino al petto. Si guardò indietro un paio di volte, ma alla fine si addentrò nel bosco.  

Eileen sentì una sensazione di sollievo propagarsi per tutto il corpo.

Cosa le succedeva?

Non aveva mai sperimentato quelle emozioni prima d’ora, erano più intense e invasive di quanto si aspettasse.

La testa di Genny spuntò da dietro la porta e con la mano la incitò ad entrare. Non se lo fece ripetere due volte.

A passo veloce, si fece largo nella stanza. Trovò un Roman indaffarato mentre cambiava i vestiti di un bambino, come se nulla fosse. Non appena la vide, le sorrise: “Finalmente sei arrivata, stavo per uscire a cercarti.”

Eileen non ricambiò il sorriso.

La stanchezza, il nervosismo e la tensione davano vita ad un cocktail esplosivo, non si sentiva più padrona di se stessa.

Genny probabilmente percepì quelle vibrazioni negative, decidendo così di defilarsi, senza salutare.

Roman non disse nulla, per niente sorpreso da quella reazione.

Rimboccò le coperte al bambino e con naturalezza si riaggiustò la coda ormai sfatta.

I muscoli delle braccia tesi attirarono la sua attenzione, facendole venire l’acquolina in bocca. Lo sguardo risalì fino alle mani che si muovevano con destrezza, compiendo un’azione di routine.

Quelle mani.

Dall’alto, gli occhi scesero verso il basso, notando un lembo di pelle scoperto dell’addome, con precisione lo stesso punto che nella radura aveva sfiorato con la mano.

Sapeva benissimo quanto fosse morbida e calda la sua pelle. Non era una di quelle sensazioni che si dimenticavano facilmente.

Mio Dio, Eileen, concentrati.

Chiuse gli occhi per un secondo, nella speranza di riacquistare lucidità.

Intanto, Roman non perse tempo e si mosse nella sua direzione, senza staccarle gli occhi di dosso.

Se lo ritrovò davanti, senza neanche accorgersene.

Si fermò ad un metro di distanza, indeciso se gli fosse concesso o meno di avvicinarsi.

Smettila di guardarmi in quel modo.

Lo accusò, senza aggiungere altro. Aveva difficoltà a stare ferma, per questo incrociò le braccia, mantenendo salda la sua posizione.

“Cosa è successo al tuo dito?” le chiese, ignorando totalmente la sua affermazione.

Incrociare le braccia non era stata una buona idea. Non aveva fatto altro che evidenziare la piccola fasciatura al dito. Se si poteva definire tale.

Il sangue l’aveva impregnata completamente, era necessario cambiarla.

In quel momento, però, c’erano altri problemi da affrontare. Dopotutto, non percepiva alcun dolore: il corpo era concentrato su qualcos’altro.

Su qualcun altro.

Non è importante in questo momento, dobbiamo parlare di altro.  Segnò, mettendolo al corrente di una parte dei suoi pensieri.

“Non è importante? Ma se vedo il sangue attraverso la benda” alzò la voce, ricordandosi solo dopo che i bambini stavano dormendo.

Respirò profondamente, cercando di controllare la rabbia.

Lui si stava arrabbiando con lei? Com’era possibile che i ruoli si fossero invertiti? Era lei quella incazzata!

“Dammi la possibilità di vederlo” la pregò con tono gentile. Ecco di nuovo che cercava di patteggiare.

Presa dalla collera, nascose le mani dietro la schiena e scosse violentemente la testa. Se lui non avesse voluto ascoltarla, lo avrebbe costretto a farlo.

Si stava comportando da bambina, ma era più forte di lei.

“Non essere testarda, fammi controllare la ferita, potrebbe infettarsi” sapeva benissimo che aveva ragione, era un medico. Si vedeva che stava cercando di comunicare con la sua parte razionale.

Senza sapere che lei stessa non riusciva a trovarla. Era un concentrato di emozioni.

Roman annullò le distanze, appoggiò i palmi al muro, intrappolandola.

Eileen sapeva di non essere bassa, eppure in quella posizione, si sentiva così piccola. Circa venti centimetri di altezza li separavano e ora li percepiva tutti.

Fu costretta a sollevare il mento e per nulla intimorita, lo sfidò, continuando a guardarlo dritto negli occhi.

Sebbene i corpi non si toccassero, riusciva a percepire il suo calore. Non era un buon segno per la sua salute mentale. 

Con le mani dietro la schiena, le era impossibile comunicare. Se ci avesse provato, Roman ne avrebbe approfittato. Senza le braccia come scudo, si sentiva totalmente alla sua mercé.

Gli occhi color miele la scrutavano, in attesa della sua prossima mossa. Immobili, respiravano a malapena.

Non mollare.

Pensò infondendosi coraggio.

Fu Roman il primo a cedere. Inaspettatamente abbassò la testa, poggiando la fronte sulla sua spalla. Purtroppo per Eileen, non si limitò a quello.

Pian piano, si rifugiò nell’incavo del suo collo, accarezzandole pigramente con il naso quel punto lì. Eileen inspirò di scatto. Aveva beccato un suo punto debole.

Maledizione.

Il respiro caldo le solleticava la pelle, facendole perdere la testa. Le labbra di Roman erano pericolosamente vicine al suo collo. Poggiandole, avrebbe percepito con facilità il sangue pulsarle nelle vene.

Il cuore impazzito minacciava di esploderle da un momento all’altro. Le ci volle uno sforzo immane per non intrecciare le mani tra i capelli setosi.

“Ti prego, non escludermi” le soffiò sul collo, percependo le parole a malapena. Era troppo presa dal non andare in iperventilazione.

Doveva fare qualcosa o avrebbe dimenticato perfino il suo nome.

Con tutta la forza fisica e d’animo che riuscì a racimolare, appoggiò i palmi delle mani sulle sue spalle e lo allontanò da sé. Subito ne sentì la mancanza, ma decise di soffocare quella sensazione.

Sorpreso Roman, la guardò, teso come una corda di violino.

Rossa in volto, Eileen decise di non guardarlo. Aveva paura di mostrare la propria vulnerabilità.

Senza convinzione, gli porse la mano ferita, arrendendosi alle sue preghiere.

Roman non se lo fece ripetere due volte.

La trascinò vicino ad un letto vuoto e come una trottola si mosse da una parte all’altra della stanza, alla ricerca dell’occorrente.

Una volta trovato, entrambi si sedettero sul materasso e, in silenzio, iniziò a srotolarle la benda ormai insanguinata.

Non era così che me l’ero immaginata la serata.

Scoprì che la delusione aveva un sapore molto più amaro della gelosia. Le faceva venir voglia di rifugiarsi in un angolino e piangersi addosso.

“Come te la sei procurata?” le chiese lui, mantenendo un tono di voce basso, mentre osservava la ferita rossa e pulsante.

Eileen scrollò le spalle, senza aggiungere altro.

Sia perché era difficile comunicare con una sola mano, ma soprattutto perché era ancora arrabbiata con lui.

Roman sembrò percepirlo: “Va bene, facciamo così. Ora parlo io e tu dovrai solo ascoltarmi, okay?”

Ironicamente non aveva altra scelta. Alzò lo sguardo su di lui, in attesa.

Le spalmò un piccolo unguento sulla ferita. Eileen non riconobbe l’odore, ma nel loro branco utilizzavano qualcosa di molto simile.

“La donna che hai visto uscire dall’asilo è la mamma del bambino che avevo in braccio. Penso non ti sarà sfuggito nulla mentre ci osservavi dalla finestra” osservò, continuando a medicare la ferita.

L’imbarazzo le colorò le guance, aveva voglia di sprofondare.

Come diavolo faceva a sapere che li stava osservando? 

“Immagino ti starai chiedendo come faccio saperlo. Due lupi che iniziano ad instaurare un legame come compagni, sentono, percepiscono la vicinanza o la lontananza dell’altro. È come se avessero puntato un riflettore addosso e ogni giorno che passa, l’intensità di questa connessione aumenta” le spiegò, soffiando subito dopo sul suo dito.

Un brivido le attraversò la colonna vertebrale.

Quel legame era decisamente intenso.

Con delicatezza, le avvolse la garza intorno al dito. Aveva ormai perso il conto delle volte in cui si era preso cura del suo corpo. Era lei il medico, non lui.
La frustrazione continuava ad incendiarle le vene. Stava sviando l’argomento principale. Voleva sapere che tipo di relazione c’era tra lui e quella donna. Era sicura che le stesse nascondendo qualcosa.

“Ecco fatto” disse, soddisfatto della fasciatura. Tuttavia, non ricevette nessuno sguardo di approvazione. Eileen ritirò la mano e lo ringraziò, senza entusiasmo.

I suoi occhi divennero tristi, mettendo in risalto le occhiaie. Solo allora si rese conto di quanto il suo aspetto apparisse deperito. Si vedeva che non dormiva, né mangiava da tempo.

Quando è stata l’ultima volta che hai mangiato?

Avrebbero parlato non appena fosse stata sicura che non sarebbe svenuto tra le sue braccia.

“Non so, non ho molto tempo per trasformarmi. Mi sono arrangiato” le riferì “Ma con te qua, mi ricaricherò in pochi minuti, vedrai.”

Sorrise, tentando di rassicurarla.

Eileen lo guardò poco convinta. Si alzò e iniziò a girovagare nella stanza, alla ricerca di cibo. Lui non poteva saperlo, ma lei era abituata a cucinare. Doveva farlo per sopravvivere.    

Gli altri lupi avevano la possibilità di cacciare le proprie prede, lei invece, sin da piccola, aveva appreso l’arte culinaria. Non si riteneva una grande esperta, ma a differenza degli altri, aveva anni di pratica alle spalle.

Trovò alcune verdure e del pollo, decise di preparare una zuppa. Mentre si muoveva alla ricerca degli utensili, Roman la raggiunse alle spalle.

Aveva ragione, ogni cellula del suo corpo riusciva a captare precisamente la sua posizione, i suoi movimenti.

Era consapevole della sua esistenza. 

Di proposito le sfiorò il braccio, tirando fuori dal cassetto un coltello.

Lo fulminò con lo sguardo.

“Ti do una mano, non vorrei che ti ferissi qualche altro dito” scherzò “Non che mi dispiaccia medicartelo” aggiunse, facendole l’occhiolino.

Sebbene fosse stanco ed affamato, non aveva perso il buonumore.

Quello di Eileen fu un tacito consenso e così subito si mise al lavoro.

In silenzio, si muovevano da una parte all’altra, scontrandosi di tanto in tanto. Aveva il vago presentimento che Roman cercasse qualsiasi occasione per toccarla. Non ebbe nulla in contrario.

Tuttavia, non riusciva a togliersi dalla testa la scena di lui che sorrideva a quella donna.

Non pensava di essere una persona possessiva, eppure si stava ricredendo anche su quel fronte. Si rese conto che la lontananza dal suo branco, la stava cambiando. Ancora indecisa se in meglio o in peggio.

Avrebbe voluto godersi maggiormente quel piccolo momento di intimità, un frammento di quotidianità ritrovato.

Tuttavia, stava imparando a fidarsi del suo istinto e qualcosa le diceva che Roman non era stato completamente sincero con lei.

Perché nasconderle la verità?

Per fortuna, aveva cucinato così tante volte che ogni movimento avveniva in automatico, dandole la possibilità di perdersi nei suoi pensieri.

Dopo circa venti minuti, la zuppa era pronta. La versò in una piccola ciotola. Aveva un aspetto delizioso, era fiera di se stessa.

Sperò che il sapore fosse all’altezza.

Si voltò e vide Roman seduto su una sedia, con la testa appoggiata al muro. Non riusciva a capire se si fosse addormentato o avesse semplicemente chiuso gli occhi.

È distrutto, rimanderemo la nostra conversazione a domani.

Prese la ciotola fumante, il cucchiaio e si avvicinò lentamente a lui.

Non appena fu ad un metro di distanza, spalancò gli occhi, lo sguardo perso nel vuoto.

Eileen sventolò la mano, attirando l’attenzione su di sé. In un attimo, il calore ritornò ad illuminare gli occhi color miele.

“Che buon profumino” affermò ancora mezzo addormentato, mentre prendeva la ciotola tra le mani.

Spero sia commestibile.

Rispose lei con modestia. Era la prima volta che cucinava qualcosa per lui e voleva che fosse perfetto.  
 
Vederlo mangiare con gusto ciò che gli aveva preparato la riempì di gioia.

“Hai talento, è buonissima. Non sapevo sapessi cucinare così bene” disse, bevendo gli ultimi sorsi della zuppa.

Grazie, ho fatto pratica. Segnò, senza aggiungere altro.

Eileen sapeva che prima o poi avrebbe dovuto metterlo al corrente del suo grande segreto. Il loro rapporto non sarebbe mai stato vero e autentico, in caso contrario.

Eppure, stava vivendo un sogno ad occhi aperti. Aveva paura che la verità lo avrebbe trasformato in incubo.

Non era ancora pronta. Aveva bisogno di tempo per capire come e quando dirglielo. Il tempismo era tutto, in questi casi.

E se lui avesse smesso di amarla?

Al solo pensiero, le si mozzò il respiro. Per esigenza, si sedette sul letto vuoto.

“Ti fa male il dito?” le chiese Roman preoccupato.

Riusciva a captare qualsiasi cambiamento. Era impossibile che riuscisse a custodire quel segreto ancora per molto.

No, sto bene. Ho dimenticato di dirti che Ziki e Genny sono entrambi al corrente di…ciò che sta succedendo tra noi.

Non sapeva come definirlo, dopotutto non si conoscevano da molto. Rapporto? Relazione? Legame?

“C’era da immaginarselo, sono persone sveglie” rise tra sé “Sono sicuro che non apriranno bocca, ma Genny cercherà di convincermi a riferirlo a nostro padre” aggiunse, mentre si stropicciava gli occhi con le dita.

La raggiunse sul letto, lasciando poco spazio tra loro. Iniziava ad abituarsi alla sua vicinanza. Troppo.

“Domani andrò a parlargli. Sto valutando l’idea di metterlo al corrente che ho trovato la mia compagna.” La naturalezza con cui lo disse, le scaldò il cuore.

Nella sua vita, non aveva mai ricevuto parole così piene d’amore. Voleva imprimerle nella mente e riascoltarle continuamente.

“Perché è questo ciò che siamo, compagni” il tono dolce e sensuale, le accarezzò il corpo, da capo a piedi, fugando qualsiasi dubbio sul loro legame.

Ne sei sicuro? È questo che siamo?

I suoi occhi verdi incontrarono i suoi color miele, in cerca di conferme.

È questo ciò che siamo. Segnò lui, muovendo lentamente le mani.

Eileen non aspettò altro. Trasportata dalle sue emozioni, annullò completamente le distanze. Le sue labbra trovarono subito quelle morbide e calde di Roman che ricambiò subito, inclinando il viso verso di lei.

Le sue mani si spostarono sulle spalle muscolose, senza proseguire. Aveva preso l’iniziativa, ma non sapeva nulla di come muoversi, fin dove poteva spingersi.

Come sempre, Roman riuscì a leggerle nella mente, percependo la sua incertezza. I palmi callosi guidarono le sue mani su per il collo, fino alle guance ricoperte dalla barba di qualche giorno.

“Qualsiasi cosa tu faccia, mi farà impazzire. Lasciati guidare dall’istinto” le sussurrò all’orecchio, staccandosi momentaneamente dalle sue labbra.

E così fece.



Buonasera a tutti!

Ultimamente sto scrivendo capitoli chilometrici, spero non vi dispiaccia, in caso contrario, ridurrò la lunghezza. Fatemi sapere!
Come avrete notato, le cose stanno iniziando a scaldarsi ;) , eppure ci sono ancora parecchi interrogativi. 

Alla prossima domenica!

Helen

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Capitolo 34
*** Inadeguata ***


Le ultime parole che Roman le sussurrò all’orecchio le fecero ribollire il sangue. Erano state pronunciate al momento giusto, smuovendole qualcosa dentro. Un altro muro tra loro era crollato.

Per una volta, decise di lasciarsi andare, senza pensare alle conseguenze.

Dalle guance, le sue mani si intrecciarono ai capelli corvini, scompigliandoglieli. Sciolse la coda, lasciando che le ciocche gli ricadessero sulle spalle, conferendogli un aspetto più selvaggio.

Con le labbra ancora incollate alle sue, annullò le distanze, spostandosi a cavalcioni, avvicinando il seno al suo petto muscoloso.

Un gemito fuoriuscì dalle labbra di Roman. Soddisfatta, lo strinse maggiormente a sé, continuando ad esplorare le sue labbra.

Fu il turno di Roman di farla impazzire.

Dopo aver disegnato il contorno delle sue labbra con la lingua, si spostò verso il basso, tracciando una scia di baci fino alla clavicola.

Eileen non si sentiva più padrona di se stessa, il cuore minacciava di scoppiarle da un momento all’altro, mentre il percorso umido sulla pelle, le incendiava i sensi.

Se avesse potuto, probabilmente in quel momento, le sarebbe sfuggito un gemito. Di puro piacere.

Le labbra di Roman non rimasero ferme a lungo. Continuarono a muoversi, spostandosi sulla cicatrice.

Il suo fardello.

Indugiò volontariamente su quella parte che lei stava imparando ad accettare.

Grazie a lui, non le sembrava più un’impresa così ardua.

Aveva quasi le lacrime agli occhi.

Non sapeva se fossero dovute all’intensità delle emozioni che stava provando o alla dolcezza con cui lui stava venerando il suo corpo.

Le mani callose si insinuarono lentamente all’interno del maglione, accarezzandole i fianchi, risalendo su per la colonna vertebrale.

Il suo corpo fu scosso da brividi, sebbene percepisse tutt’altro che freddo.

Il fuoco che sentiva divampare si tramutò in ghiaccio quando uno dei bambini starnutì. 

La consapevolezza di dove si trovassero, la fece uscire dalla nebbia della passione.

Di colpo, entrambi si fermarono e, con circospezione, si guardarono intorno, in cerca di testimoni.

Tutti con la testa sul cuscino, continuavano a dormire, come se nulla fosse.

“Mi sa che abbiamo scelto il momento sbagliato” le sussurrò a pochi centimetri dalle labbra. Gli occhi color miele la guardavano come se fosse la pietanza più saporita del mondo.

Credo proprio di sì. Segnò Eileen, ridendo silenziosamente, con la fronte appoggiata sulla sua.

Roman si unì a lei.

Poi lentamente mosse le mani che si trovavano ancora sotto il suo maglione. Iniziò a massaggiarle la schiena, seguendo delle traiettorie circolari. I pollici si ritrovarono pericolosamente a pochi centimetri dal suo seno.

Eileen si morse il labbro e di controvoglia fu costretta ad afferrargli i polsi, pregandolo di smettere.

Come un bambino colto con le dita nella marmellata, Roman sorrise, mostrando le famose fossette.

Mio Dio, mancavano solo loro.

“Scusa, giuro che farò il bravo” le disse, mostrando un’espressione infantile.

Poco convinta, lasciò andare la presa su di lui. Le mani di Roman lentamente abbandonarono la sua schiena, ma una volta fuori, la afferrarono per i fianchi, avvicinando i loro corpi.

Il bacio poco casto che le riservò subito dopo le fece girare la testa. Non ebbe il coraggio e la forza di ribellarsi.

“Non ti avevo dato il bacio della buonanotte” le spiegò, sollevandola con le braccia come se pesasse quanto una piuma.

Sorpresa, le venne naturale incrociare le braccia intorno al suo collo e le gambe intorno alla sua vita per non cadere. Anche se aveva dubbi che l’avrebbe lasciata andare.

Lo guardò con sguardo torvo.

Cosa diavolo stava facendo?

“Dobbiamo riposare entrambi, ne abbiamo bisogno” disse mentre la adagiava sul letto.

Non c’era bisogno che mi trasportavi, potevo benissimo muovermi da sola.

“Vero, ma volevo farlo” ammise con una naturalezza che invidiò.

Riusciva ad esprimere le sue emozioni senza problemi, ignorando il fatto di rendersi vulnerabile ai suoi occhi.

In questo letto non ci entreremo entrambi. Gli fece notare lei quando lo vide stendersi al suo fianco. Rischiava di cadere, era a pochi centimetri dal bordo.

“Ma cosa dici, è la dimensione perfetta per due persone” il braccio muscoloso le avvolse la vita e con facilità fece aderire i loro corpi, i visi a pochi centimetri di distanza.

Il cuore di Eileen ricominciò a battere. Era cosciente del fatto che aveva già dormito insieme a lui, tempo fa. Ma non era facile abituarsi a certe cose.
All’effetto che certe persone avevano su di lei.

Con difficoltà, riportò le sue mani in superficie, tra di loro, per poter comunicare il suo disappunto.

Così vicini, mi è impossibile comunicare e poi non sono la tua bambola.

Mentre lo rimproverava, aveva difficoltà a rimanere seria. Colpa di Roman che aveva perennemente un sorriso strafottente stampato in faccia.

“Ma tanto non dobbiamo parlare, dobbiamo dormire” spiegò lui, mentre con la mano copriva i loro corpi con un plaid di lana.

“Abbiamo bisogno di recuperare le forze” le sussurrò tra i capelli.

Eileen sapeva che aveva ragione, ma non le piaceva essere zittita così. Sospirò sonoramente, ma subito dopo si abbandonò al sonno. Era una tentazione troppo forte a cui resistere.

La mattina dopo

Ancora prima di aprire gli occhi, Eileen sapeva che c’era qualcosa di strano. Non riusciva a capire da dove provenisse quella sensazione, ma non appena, aprì gli occhi, capì di cosa si trattava.

Un bimbo paffutello sui 4-5 anni, la stava osservando mentre addentava una coscia di pollo. Gli occhi grandi occupavano buona parte della sua faccia, mentre le guance piene di cibo si muovevano ritmicamente.

Sebbene si fosse appena svegliata, trovò divertente lo sguardo di quel bambino così curioso. Continuava a fissarla, senza dir nulla. Senza smettere di mangiare, naturalmente.

Eileen notò che il posto al suo fianco era vuoto. Toccò la superficie del materasso e si accorse che era fredda. Roman era sveglio ormai da ore, mentre lei se ne stava lì a poltrire.

Maledizione, avrebbe dovuto svegliarmi.

“Come ti chiami?” le chiese l’ometto, dopo aver pulito alla perfezione la coscia di pollo.

Lo guardò e, per un millesimo di secondo, ebbe intenzione di rispondergli a voce. Solo per un attimo si dimenticò di non poter parlare. Non le era mai successo prima d’ora e la delusione che ne conseguì, la rattristò più di quanto immaginasse.

Era ormai da anni che non parlava, e credeva di essersi abituata all’idea. Eppure, l’impossibilità di non poter rispondere alla domanda innocente di quel bambino, la frustrò. Razionalmente non riusciva a spiegarsi il perché.

Prima di cadere in paranoia, uscì dalla tasca il bigliettino su cui aveva annotato il suo nome e lo passò al bambino.

Ottima idea.

Si congratulò con se stessa. Non poteva iniziare la giornata di malumore.

L’ottimismo la abbandonò nel momento in cui il bambino le diede le spalle e corse da Roman gridando: “Maestro, cosa c’è scrittooo?”

Stupida, un bimbo così piccolo non sa leggere. 

Sospirò rassegnata e con praticità cercò di aggiustare la chioma selvaggia. Era sicura che i suoi capelli fossero un disastro, così decise di legarseli utilizzando il piccolo laccetto che le aveva regalato Roman.

Non riusciva più a separarsene.

“Eileen, il suo nome è Eileen. Mi raccomando, trattala bene, è una mia cara amica” sentì Roman spiegare al bambino, mentre gli puliva le labbra unte con un panno umido.

Si ritrovò a sorridere.

In futuro, sarà sicuramente un ottimo padre.

Quel pensiero così innocuo in apparenza, la colpì violentemente.

E io sarò un’ottima madre? Con le mie “mancanze” sarò in grado di garantire la sicurezza dei miei figli?

Deglutì a malapena. Con la gola serrata, si avvicinò ad una bacinella piena d’acqua. Iniziò a lavarsi la faccia, provando a soffocare le sue ansie.

Calmati, Eileen. Non diventerai madre domani, un problema alla volta.

Si concentrò su quel pensiero e sembrò funzionare.

Intanto, Roman comparve al suo fianco, porgendole del pollo in un piatto.

“Buongiorno, spero tu abbia dormito bene” le disse con dolcezza.

Mentre si asciugava il viso, Eileen ebbe la possibilità di notare che Roman aveva cambiato i vestiti. Aveva un aspetto più fresco e riposato. I capelli tirati all’indietro, formavano un piccolo chignon. Quella acconciatura metteva in risalto la bellezza del suo viso.

Concentrati sulle sue parole.

Si rimproverò.

Ho dormito bene, ma avresti dovuto svegliarmi.

“Non ho avuto il coraggio e poi sono sicuro che avevi anche tu bisogno di dormire” spiegò lui “e ora devi mangiare” indicò il pollo.

Eileen prese il piatto e lo poggiò sul tavolo. Prima doveva andare urgentemente in bagno.

“Vuoi essere imboccata?” chiese Roman con tono suadente, sfiorandole il braccio. 

Prima ho bisogno del bagno, stupido. Gli schiaffeggiò la mano, scuotendo la testa.

Anche se doveva ammettere che il pensiero non le dispiacque. Decise di tenere quell’osservazione per sé.

“Va bene, allora ti aspetto qui” disse, mentre tornava alle sue mansioni.

“Ah, Eileen!” la chiamò lui, proprio quando stava per uscire dall’edificio “Stai molto bene con questa acconciatura” le fece l’occhiolino rafforzando il concetto.

Il cuore le saltò un battito.

Non ebbe il tempo di rispondere, dato che le aveva già dato le spalle.

Di questo passo, il mio cuore non reggerà una settimana.

Di buonumore, uscì dalla scuola e si occupò dei propri bisogni.

Una volta rientrata, subito percepì la presenza di un’altra persona.

La donna di ieri era tornata a caccia. 

Nel suo territorio.

Vestita con abiti meno succinti, teneva in braccio suo figlio, mentre parlava con Roman. La vicinanza tra loro faceva dedurre che c’era una certa confidenza.
Lo sguardo della donna si posò su di lei e il sorriso scomparve. Entrambe iniziarono a studiarsi.

“Non sapevo che lei fosse qui. È la ragazza Mei che non parla?” chiese la donna rivolgendosi a Roman.

“Si chiama Eileen. È sotto la mia responsabilità” precisò lui, con tono neutro, dandole le spalle. Non riusciva a cogliere l’espressione del suo viso.

Stava cercando di non far trapelare nulla, giusto?

“Ah, non lo sapevo. Girano voci che ieri il pazzo l’ha aggredita al falò” gli riferì la donna.

Perché continuavano a parlare di lei come se non esistesse?

Frustrata, iniziò a muovere i primi passi nella loro direzione.

“Aspetta…cosa? Il pazzo l’ha aggredita?” la voce di Roman era piena di rabbia mista a sorpresa.

Ops, aveva dimenticato di riferirglielo.

“Sì, per fortuna, tua sorella si è intromessa. Strano da parte sua, solitamente si fa i fatti suoi” continuò la donna, genuinamente sorpresa.

Non sembrava essersi resa conto dello sguardo di fuoco che Roman rivolse ad Eileen.

E non stava flirtando. Per niente.

Era arrabbiato. Anzi, incazzato.

Sapeva di essere nei guai e da una parte, doveva ammettere, che se lo meritava. Nella radura, gli aveva promesso che lo avrebbe tenuto al corrente di qualsiasi cosa. Eppure, ieri sera ad un certo punto, avevano smesso di parlare.

E non era solo colpa sua.

“Comunque capisco che sei parecchio occupato in questo periodo, ma appena la situazione migliorerà…” il resto della frase non riuscì a sentirlo, dato che glielo sussurrò direttamente nell’orecchio.

Questo la faceva irritare, e non poco.

Qualsiasi lupo avrebbe captato quelle parole con difficoltà, ma dato che lei non era un lupo, le era praticamente impossibile.

In quel momento, si sentì inadeguata e di troppo. Una sensazione che non aveva mai provato con Roman al suo fianco.

Non poteva neanche ribellarsi o rivendicare il ragazzo come suo compagno. Doveva sopportare e ingoiare il rospo, come le era sempre stato insegnato.

Eppure, ora non le andava più bene.

Eileen strinse i pugni.

Come si permetteva a trattarla così?

Con violenza, colpì il tavolo, rovesciando il piatto di ceramica che conteneva la sua colazione ancora intatta.

Il rumore del piatto rotto attirò l’attenzione di tutti. Con gli occhi puntati addosso, Eileen incontrò lo sguardo dell’ometto che le aveva rivolto la parola poco prima.

Sembrava terrorizzato da lei

Lo aveva spaventato agendo come una pazza gelosa.

Per un attimo, ritornò lucida e si accorse di ciò che aveva appena fatto.

Non ebbe il coraggio di guardare nessun altro. Fece l’unica cosa che le venne in mente.

Scappò a gambe lavate, senza guardarsi indietro. 





Buonasera a tutti! 

Perdonatemi se il capitolo non è lungo come i precedenti, ma sono stata parecchio impegnata negli ultimi giorni. Non è un caso che sto valutando l'idea di una piccola pausa di qualche settimana, ma è tutto in forse, dipenderà da quanto tempo riuscirò a dedicare alla scrittura. 

Spero voi stiate bene. Voglio ringraziare ancora una volta tutte le persone che recensiscono e leggono la storia. Mi spronate a dare il meglio. Quando ho iniziato a scrivere 'Senza voce' non avevo alcuna aspettativa, ero sicura che avrei gettato la spugna alla prima difficoltà, invece i vostri feedback mi hanno incoraggiata a continuare. 

Vi abbraccio forte!


Helen

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Capitolo 35
*** Priorità ***


Per la seconda volta in poco tempo, Eileen si ritrovò a correre nella foresta come una forsennata. Questa volta, però, non aveva una destinazione da raggiungere.

Voleva solo allontanarsi il più possibile dalla scuola, da quella donna, da Roman, dai bambini, da se stessa.

Non riusciva a comprendere le sue emozioni, erano troppo amplificate, troppo difficili da gestire, da controllare.

E se un giorno avesse finito per agire di impulso ferendo qualcuno?

Lei era un dottore, curava la gente, non la metteva in pericolo.

Smettila, ora stai diventando paranoica.

Una vocina dentro di lei cercò di calmarla.

Rallentò il passo e per riprendere fiato, appoggiò la schiena ad un albero e, senza forze, finì per sedersi per terra.

Vedrai che tutto si sistemerà. Appena potrà, Roman verrà a cercarti e risolverete questo stupido malinteso.

Le dosi di puro ottimismo erano entrate in circolo. Non sarebbe sopravvissuta senza.

L’odore di Mala arrivò alle sue narici.

La ragazza non era lontana, poteva raggiungerla in pochi minuti.

Di scatto, si rialzò e iniziò la ricerca.
 
La mattina dopo (pov Mala)
Non fu la luce del sole a svegliare Mala, ma uno strano fastidio al naso. Aprì gli occhi lentamente e notò alcune striscioline di erba pizzicarle il naso. Realizzò di non aver dormito in un letto. Eppure, non riposava così bene da…secoli.

Si strofinò gli occhi e involontariamente fece cadere la coperta di lato.

Aspetta, ma non mi sono addormentata con una coperta addosso. 

Si issò sui gomiti e si accorse che non si trattava di una coperta, ma del maglione variopinto di Ziki.

A proposito, dov’è? Cosa ci fa il suo maglione qui?

Neanche il tempo di domandarselo che il ragazzo entrò nel suo campo visivo. Tutto bagnato, fece il suo ingresso con solo i pantaloni addosso.

Portava le scarpe a mano, mentre con quella libera cercava di aggiustarsi i capelli. Li aveva liberati dalle treccine e sebbene fossero bagnati, avevano già acquisito la loro forma: ondulati, quasi ricci.

Sorpresa, Mala continuò a fissarli. Aveva un fetish per i capelli, doveva ammetterlo. Sin da piccola, sua madre le aveva trasmesso quella passione e ora amava toccarli, acconciarli.

Shura era stato la sua cavia per anni, ora invece aveva una voglia matta di mettere mano in quelli di Ziki.

Il ragazzo non sembrò notare nulla e, ignaro, si avvicinò a lei.

“Buongiorno, raggio di sole” le sorrise, sedendosi accanto a lei.

“Visto che non ti serve più, potresti ridarmi il maglione?” le chiese, indicandolo.

Mala glielo passò e biascicò un ‘grazie’, chiaramente imbarazzata per quel gesto galante.

Possibile che Ziki provasse qualcosa per lei? 

Tempo prima, era stato Shura a coprirla con la sua giacca e lei aveva dato di matto. Solo ripensandoci, si pentiva di aver agito d’istinto. Era difficile muoversi con razionalità quando era nelle vicinanze. Riusciva a far venir fuori il peggio di lei.

Tutto questo perché continuava a vederla come una bambina, a trattarla come tale.

Come poteva fargli cambiare idea?

“Scommetto che stai pensando a qualcosa di mooolto profondo” scherzò Ziki, riportandola al presente.

“Cosa te lo fa pensare?” domandò lei, colta in fragrante.

“Quelle rughe lì, sulla fronte”

“Wow, ho quasi paura di respirare ora” rise lei, subito dopo aver sbadigliato.

“Non ti preoccupare, non ti chiederò il contenuto dei tuoi pensieri, se è di questo che hai paura” la provocò, appoggiando i gomiti sull’erba.

Lo sguardo di Mala fu attirato dalle goccioline d’acqua che dai capelli, cadevano sul maglione variopinto, bagnandolo.

“Dovresti asciugarti i capelli” gli consigliò dando voce ad i suoi pensieri “oppure finiranno per bagnarti completamente la felpa.”

“Non sapevo di questo tuo lato da mamma chioccia” le rispose, prendendola in giro.

“Questo è solo l’inizio. Se ti chiedessi una cosa, mi prenderesti per pazza?”

Quella domanda lo sorprese tanto da farlo ritornare nella posizione precedente, da mezzo steso a seduto.

“Spara, mi hai incuriosito” affermò, in attesa.

“Potrei acconciarti i capelli? Se non ti piacerà il risultato, farò tutto ciò che vuoi per un giorno intero” contrattò lei, ponendo la richiesta a mo’ di sfida.

L’espressione del ragazzo cambiò radicalmente. Lo sguardo vitreo dava l’idea che avesse appena visto un fantasma. Per la prima volta, rimase completamente senza parole.

Imbarazzata, ritirò la sua proposta all’istante: “Come non detto, fai finta che non ti ho detto nulla” si alzò velocemente, in cerca di una via di fuga.

“Aspetta!” il tono di voce perentorio, la convinse a bloccarsi. Non ebbe però il coraggio di guardarlo.

“V-va bene, mi dispiace per la mia reazione. N-non ero pronto” l’ultima frase fu a malapena un sussurro. Non aggiunse altro, lasciando cadere il silenzio tra di loro.

Stupida, stupida, potevi evitare di chiederglielo.   

Si maledì per aver rovinato l’atmosfera.

“Per favore, potremmo fare un passo indietro e cancellare gli ultimi secondi di questa conversazione? Prova a richiedermelo, ora sono pronto” riprovò lui con più convinzione. Sebbene gli desse le spalle, percepiva il suo rammarico.

Stava provando a rimediare. Era il suo unico amico lì, non poteva lasciare che un momento imbarazzante rovinasse tutto.

Strinse i pugni e sforzandosi di sorridere, si girò a guardarlo: “Posso provare ad acconciarti i capelli?” chiese lei, titubante. Voleva aggiungere una frase simpatica per sdrammatizzare, ma non le venne nulla in mente.

“Certo, dove vuoi che mi metta?” le chiese, alzandosi in piedi.

Sembrava parecchio agitato e la cosa la divertiva e la incuriosiva allo stesso tempo. Il momento di imbarazzo era stato rimpiazzato dalla sua felicità di poter mettere mani nei suoi capelli.

Doveva ammetterlo: si accontentava di poco per essere felice.

“No, rimani seduto, è meglio” gli riferì, spostandosi alle sue spalle.

Le gambe incrociate, la schiena rigida, il corpo di Ziki assomigliava ad una statua. Mala non capiva cosa lo avesse spinto ad essere in tensione. Decise di non pensarci troppo e di mettersi all’opera.

In ginocchio, esitò qualche secondo e poi con delicatezza, sfiorò qualche ciocca in prossimità della nuca.

Ziki smise di respirare.

Peccato che in quella posizione non riuscisse a scorgere il suo viso. Era curiosa di capire cosa stesse succedendo dentro di lui e l’unica via di accesso ai suoi pensieri erano i suoi occhi. La sua espressione facciale comunicava più di quanto volesse.

Decise di non farsi troppi problemi e di continuare. Se Ziki avesse trovato la cosa insopportabile, glielo avrebbe detto chiaramente.

Iniziò a canticchiare un piccolo motivetto, mentre cercava di dare una forma alla testa riccia del ragazzo.

Dopo una decina di minuti, notò che la schiena rigida iniziava a curvarsi: si stava rilassando.

Meglio così.

Per tutto il tempo, Ziki non spiccicò parola. Lo sguardo perso all’orizzonte.

“Che canzone è?” le chiese d’un tratto, non appena smise di cantare.

“Mmh, questa sì che è una bella domanda. Io l’ho sempre chiamata la canzone del lupo e dell’orso. Mia madre me la cantava ogni volta che lo desideravo” e poi dopo la sua morte, Shura iniziò a cantarmela. Decise di omettere quell’ultima parte.

Meno parlava di lui e meglio era.

“Non l’ho mai sentita, ma ha un non so che di rilassante…continua a cantarla” la pregò, sciogliendosi ulteriormente.

Mala riconobbe, in quella richiesta, la bambina che era stata.

Anche lei aveva pregato sua madre di ricantarla più e più volte, sperando di poterla trattenere accanto a sé il più possibile.

La stessa cosa era capitata con Shura. Anche durante la sua adolescenza, lui non si era tirato indietro. Negli anni, la sua voce era diventata sempre più profonda, ma non aveva smesso di cantarle la canzone del lupo e dell’orso.

Poi ad un certo punto, era stata lei a mettere fine a quel rito.

Se voleva essere trattata da adulta e non da bambina, era fondamentale che si comportasse come tale. Era stato suo padre a farglielo notare, durante una delle loro conversazioni. Non erano neanche catalogabili come litigi, suo padre non si abbassava a tanto.

Lui parlava e basta. E tutti gli altri ascoltavano. 

All’inizio quelle parole, l’avevano ferita.

Poi, durante una delle tante notti insonni, era arrivata ad una conclusione. Suo padre involontariamente le aveva fornito la soluzione ai suoi problemi.

Shura l’avrebbe guardata in modo diverso se si fosse comportata diversamente. E così aveva fatto.

Aveva smesso di aspettarlo. Doveva crescere e dimostrargli che poteva cavarsela da sola, senza che lui soddisfacesse ogni suo capriccio.

Evitarlo era diventato il suo sport preferito. Rispondergli a tono era ormai parte della routine. Stargli appiccicata non aveva funzionato, l’unico modo per farlo reagire era facendogli sentire la sua mancanza.

Eppure, qualcosa non aveva funzionato.

“Ti ho turbata in qualche modo?” le chiese Ziki, non sentendola cantare.

“Scusami, mi ero persa” rise, ricominciando a canticchiare.

Dopo pochi minuti, concluse il suo lavoro e con soddisfazione ritoccò le ultime ciocche.

“Fatto!” annunciò, spostandosi di fronte al ragazzo.

“Devo ammetterlo, hai dei capelli ribelli, ma tutto sommato ho azzeccato l’acconciatura giusta per te” continuò lei, toccandogli il volto più volte, per osservare meglio il risultato finale.

“Ruotando la testa, si notano maggiormente questi particolari” gli spiegò, continuando ad osservare il suo capolavoro. Aveva realizzato un’acconciatura ibrida, formata in parte da treccine e in parte aveva lasciato i capelli al naturale. Alla fine, aveva congiunto le due parti in una morbida crocchia.

Ziki aveva assunto di nuovo una postura rigida, con lo sguardo perso nel vuoto. Probabilmente aveva smesso di respirare.

Mala ritirò le mani, vedendolo pian piano ritornare in se stesso. Decise di non indagare oltre. Non era pronta neanche lei per quel passo.

“Abbiamo bisogno di uno specchio, così potrai vederla con i tuoi occhi” disse, continuando a guardarlo.

Non poteva negare che era un bel ragazzo. La sera prima aveva ammirato i lineamenti delicati, e più volte, aveva notato il fisico asciutto e proporzionato.
Differiva in molti aspetti da Shura.

Tristemente si ritrovò a paragonarli.

Ziki era un ragazzo, Shura invece era un uomo e lei purtroppo ne era consapevole.

“Andiamo, ti porto al ruscello” le disse lui, riprendendosi definitivamente dallo stato di trance.

Una volta arrivati, Mala ne approfittò per lavarsi velocemente il viso e le mani. L’acqua fredda la aiutò ad uscire dal torpore del sonno.

Al suo fianco, il ragazzo si sporse in avanti, guardando il proprio riflesso nell’acqua.

Mala si aspettava di ricevere subito qualche commento, ma non accadde. In silenzio, Ziki tastava la sua creazione delicatamente per paura di rovinarla.

Subito dopo, si girò verso di lei, regalandole uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto: “Grazie.”

Tutto il viso si illuminò, mentre pronunciava quell’unica parola. Semplice, ma impregnata di significato.

Le ci volle qualche secondo per ricordarsi di reagire: “Quando vuoi” rispose, cercando un modo per tenersi occupata.

Non si aspettava assolutamente che Ziki la ringraziasse con tale entusiasmo. Era sicura che l’avrebbe presa in giro o sminuito il suo lavoro, invece l’aveva lasciata senza parole.

“Dovresti prendere in considerazione la carriera di parrucchiera” affermò lui, guardandola asciugarsi il viso.

“Sì, come no. Nel branco non sono una priorità” rise lei, aspettando che lo facesse anche lui.

“E chi lo dice?” le rispose, serio in volto.

“Il branco?”

“Esatto. Motivo per cui non voglio trascorrere la mia vita qui. Ho intenzione di andarmene, prima o poi” confessò, senza toglierle gli occhi di dosso.

Stava di nuovo sondando ogni sua reazione.

Voleva la sua approvazione?

“Lo sai che non sopravviveresti neanche un mese senza un branco” lo schernì, ricambiando lo sguardo.

“Appunto per questo ne voglio creare uno tutto mio” spiegò, con aria da saccente.

“Da solo? Mi sembra un’impresa impossibile” disse lei, alzando un sopracciglio.

“Chi ti ha detto che sarò da solo?” rispose lui a tono, lasciandola di nuovo senza parole.

Un rumore tra gli alberi attirò la loro attenzione, costringendoli ad alzarsi di scatto, pronti ad attaccare.

Eileen fece capolino da dietro un pino.

“Mio Dio, Eileen ci hai spaventati a morte” affermò Mala, dopo aver tirato un sospiro di sollievo.

Scusate, segnò lei, con un’espressione colpevole stampata in faccia.

“Mio fratello ti ha lasciata andare?” scherzò Ziki, notando il fatto che era sola.

Il viso di Eileen si rabbuiò tutto in una volta, non lasciando alcun dubbio sul suo umore.

“Ho toccato un tasto dolente” si grattò la testa, imbarazzato.

Subito ricevette una gomitata nelle costole dalla ragazza al suo fianco.

Sorpreso, la guardò male, ma lei non ricambiò. La sua attenzione era tutta per l’amica.

“Vieni a dare un’occhiata alla mia opera d’arte” la incoraggiò, indicando i capelli del ragazzo.

Eileen lentamente si avvicinò a loro e, di tacito accordo, si sedettero in cerchio, continuando la conversazione.

Sei propria un’artista, uno di questi giorni dovrai mettere mani ai miei capelli. Ultimamente sono un disastro. 

Sorrise, toccandosi la coda disordinata. Casualmente, sfiorò il piccolo laccio di Roman.

Subito ritornò il malumore.

Sono corsa via dalla scuola dopo aver fatto una scenata. Sono sicura che Roman sia arrabbiato con me.

Segnò lentamente, in modo che l’amica potesse comprendere. In silenzio, Ziki la guardava muovere le mani.

“Aspetta, una scenata per cosa?” chiese Mala, chiaramente confusa.

Ieri sera l’ho visto in compagnia di una donna e credo ci sia qualcosa tra loro. Lo sento. Oggi si è ripresentata e sono scoppiata.

 “Quindi, ricapitolando, ieri sera all’asilo si è presentata una donna. E si è ripresentata anche stamattina, giusto?”

Eileen annuì energicamente.

“La mamma di uno dei bambini?” chiese Ziki, avanzando un’ipotesi.

Eileen si ritrovò ad annuire di nuovo, senza staccare gli occhi da lui.

“Allora si tratta di Tara, è una vedova. Tutti sanno che ha una mezza cotta per mio fratello, più che altro perché le è stato vicino dopo la morte del suo compagno” spiegò, giocherellando con l’erba.

Quella notizia riuscì a calmarla e preoccuparla allo stesso tempo.

Per quanto fosse dispiaciuta per la perdita di Tara, non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Roman intento a consolarla.

In che modo si è preso cura di lei?

La gelosia le bruciava come una lama incandescente.

Formulò la domanda con le mani, mentre Mala la riferì ad alta voce.

“Sinceramente non ne ho idea. Però ti posso assicurare che mio fratello non ti ferirebbe mai, almeno non intenzionalmente” disse lui, con sincerità.

Involontariamente peggiorò la situazione.  

Non a caso, si beccò un’altra gomitata da parte di Mala.

“Ci stai prendendo gusto?” chiese lui, pizzicandole il fianco in risposta.

Sorpresa, sobbalzò, trattenendo a stento un urlo.

In tutto ciò, Eileen era divorata dai mille interrogativi che affollavano la sua mente.

Era possibile che Roman avesse avuto una relazione con quella donna, ma lei cosa ci poteva fare?

Era successo prima che si incontrassero. Non poteva permettere alla gelosia di rovinare ciò che stavano costruendo.

Tuttavia, aveva bisogno di parlarne con lui. Voleva conoscere la verità, voleva che fosse sincero con lei.

Proprio come tu lo sei con lui, sì come no.  

Una vocina la rimproverò, ricordandole ancora una volta della piccola grande bugia che ancora non gli aveva rivelato.

È tutta questione di tempo, ci sono altre questioni più urgenti. 

Si giustificò, zittendo la propria coscienza.

“Eileen, tutto bene?” le chiese Mala, accarezzandole il braccio.

Si era completamente dimenticata di essere in compagnia.

Sforzandosi di nascondere i propri dissidi interiori, sorrise.

Devo tornare al lavoro.

Segnò, comunicandolo all’amica, ma soprattutto a se stessa.

Avrebbe trovato il modo di parlare con Roman una volta compiuto il suo dovere quotidiano. Per quanto si struggesse per questi nuovi sentimenti, doveva aggiornare la lista delle sue priorità.

Lei era un medico, la gente aveva bisogno di lei.





Buonasera a tutti/e! 

Eccoci con un nuovo aggiornamento. Finalmente le cose iniziano ad essere più chiare e vedrete che nei prossimi capitoli, lo saranno ancora di più ;)

Ho ancora intenzione di prendermi quella famosa pausa di cui vi parlavo la scorsa volta, ma ancora sono indecisa sulle tempistiche. Ne riparleremo in seguito!

Anyway, stay tuned! 

Vi abbraccio tutti/e!

Helen 

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Capitolo 36
*** Stanchezza ***


Stremata.

Ecco l’unica parola che ad Eileen sembrava appropriata riferendosi al suo attuale stato psicofisico.

Seduta, con le spalle al muro, aveva a malapena toccato cibo. Sebbene non avesse ingerito nulla dalla mattina, sentiva lo stomaco chiuso, serrato.

Era un medico, era cosciente di quanto fosse indispensabile rimanere in forze. Tuttavia, sapeva quanto l’umore influenzasse la sua condizione fisica.

Per tutta la giornata, aveva cercato di tenersi il più impegnata possibile, ma non aveva potuto fare a meno di fissare la porta per almeno un centinaio di volte.

Ogni volta, aveva sperato di vedere comparire sulla porta la figura del ragazzo, o meglio, dell’uomo che riusciva a portarla sia in paradiso che all’inferno.

Anche ora che era in pausa continuava a lanciare occhiate all’ingresso dell’ospedale.

E se non volesse più vedermi?

I peggiori pensieri iniziarono vorticarle nella testa dimostrando ancora una volta la sua insicurezza.

L’insicurezza l’aveva spinta a perdere la calma e a rovesciare il piatto a terra, riducendolo in mille pezzi.

Al solo ricordo, le venne spontaneo chiudere gli occhi, crogiolandosi nell’imbarazzo.

Il rumore della pioggia attirò la sua attenzione. Era così persa nei suoi pensieri che non si era accorta che aveva iniziato a piovere.

Maledizione, così mi sarà più difficile raggiungere l’asilo.

“Lo mangi quello?” chiese una voce flebile. La donna che le aveva regalato tempo fa una forcina si rivolse a lei, indicando il piatto che aveva sulle gambe.

Eileen guardò il cibo e lentamente glielo porse.

Almeno non verrà buttato.

Pensò, guardandola divorare la carne.

Invidiava il suo appetito.

Sentendosi osservata, la donna alzò lo sguardo e si presentò: “Il mio nome è Ella, il tuo infuso è stato miracoloso.”

Felice, le sorrise in risposta. 

Dalla tasca uscì un piccolo taccuino, poteva esserle utile per comunicare.

Prima di appoggiare la penna sul foglio, la donna la interruppe: “Non ti scomodare, mi ricordo il tuo nome. Eileen, giusto?”

Stupita, annuì animosamente. Per la seconda volta, Ella era riuscita a tirarle su il morale.

“Ho una memoria di ferro, nonostante molti mi credono un po’ svitata” le riferì, pulendo il fondo del piatto con i polpastrelli.

Li leccò, senza fare troppi complimenti.

Seguì i suoi movimenti, felice che almeno lei avesse apprezzato la pietanza.

Concordo, hai una buona memoria.

Scrisse sul taccuino.

Ella d’istinto si avvicinò a lei, e con naturalezza, iniziarono a parlare.

“Mi piacciono i tuoi capelli, non se ne vedono molte di persone con questo colore” disse, toccandole qualche ciocca.

Eileen subito notò che stranamente non le dava fastidio. La vicinanza di Ella le trasmetteva calma e tranquillità. Si crogiolò in quel momento, cercando di prolungare la conversazione il più possibile.

Effettivamente hai ragione. Anche nel mio branco, non sono in molti.

“Voglio assolutamente vederti trasformata in lupo, il tuo manto dello stesso colore dei capelli sarà uno spettacolo” affermò, continuando ad arricciarsi una ciocca dei suoi capelli intorno al dito.

Eileen divenne una statua e d’istinto abbassò lo sguardo sul taccuino.

E ora che le dico?

Le mani iniziarono a sudarle, la penna rischiava di scivolarle dalle dita.

“Peccato che sta piovendo” continuò Ella, imbronciata.

Tirò un sospiro di sollievo dentro di sé. Non era mai stata così felice di non poter spiccicare parola.

Sebbene la donna accanto a lei dimostrasse quarant’anni, ne dimostrava molto di meno.

Il suo aspetto fisico la ringiovaniva. I capelli corti, ricci, color mogano le conferivano un’aria sbarazzina. Magra e minuta, a malapena superava il metro e cinquantacinque.

Solo qualche ruga sul volto la tradiva.

“Domani mi dimetteranno, finalmente potrò rivedere il mio bambino” disse, continuando a guardare la pioggia.

Eileen percepì in quelle parole un amore incondizionato, come quello che aveva sempre sognato.

Dove si trova?

“All’asilo, sono ormai giorni che vive lì. Per fortuna, il figlio del capobranco si prende cura di tutti i bambini” un profondo rispetto emerse dalle sue parole “mi hanno aggiornata spesso sulle sue condizioni. È sano come un pesce, proprio come lo era suo padre.”

Era.

Ella aveva perso il suo compagno.

Non posso neanche immaginare il suo dolore.

Il solo pensiero le fece contorcere le budella. D’un tratto, fu travolta da una voglia matta di andarsene, correre sotto la pioggia e riabbracciare Roman, dirgli che sarebbe andato tutto bene.

Com’è successo? Le chiese, curiosa di saperne di più.

Solo dopo si accorse di quanto potesse suonare invadente la sua domanda.

Ella non rispose. La sua mente sembrava persa altrove. Guardava la pioggia, i pugni serrati sulle ginocchia.

Poi si girò a guardarla e con un sorriso forzato, le porse il piatto vuoto: “Grazie per il pranzo” e subito dopo si alzò, lasciandola di nuovo sola.

Confusa, non ebbe neanche il tempo di risponderle. Non poteva chiamarla ad alta voce.

Impotente, la lasciò andare.

Il buonumore svanì e l’urgenza di vedere Roman crebbe ulteriormente.

Prima di fare qualcosa di molto stupido che avrebbe messo nei guai entrambi, decise che era il momento di ritornare al lavoro.


La sera

Per tutta la giornata, Mala aveva affiancato Ziki, notando che era bravo a tenersi occupato. Sebbene le avesse spiegato più volte che non voleva aver nulla a che fare con il branco, strada facendo si era fermato più volte ad aiutare chiunque glielo chiedesse.

Non poteva evitare di farsi coinvolgere. Però, allo stesso tempo, agiva furtivo, senza farsi notare, come se non volesse prendersi i meriti di ciò che faceva.

Era evidente che dentro di sé stava combattendo una lotta silenziosa. Lei capiva benissimo cosa significasse convivere con parti di sé che entravano in contrasto spesso e volentieri.

Verso sera, finalmente, riuscirono a trovare un po’ di pace.

In cerca di cibo, Mala fu più fortunata e riuscì a rimediare due leprotti. Sebbene fosse particolarmente affamata, decise di metterne da parte uno per Eileen.

Di fretta, si rivestì e corse alla ricerca dell’amica. Doveva darglielo prima che Ziki la raggiungesse o avrebbe iniziato a tartassarla di domande, svelando il segreto dell'amica.

Si affidò al suo olfatto e, in pochi minuti, scorse la sua sagoma vicina ad un piccolo ruscello. Con la schiena poggiata su una pietra, la postura di Eileen suggeriva che era distrutta, stanca.

Ma c’era qualcos’altro.

Si avvicinò, dandole la possibilità di percepire la sua presenza.

Lo sguardo perso nell’acqua, la salutò con un cenno veloce.

“Ti ho portato la cena” le disse, sedendosi al suo fianco.

Questo sembrò attirare la sua attenzione. Gli occhi si spostarono sul leprotto e poi su di lei.

Grazie.

Le segnò, forzando un sorriso che non arrivò agli occhi.

“Sei riuscita a parlare con Roman?” domandò, arrivando subito al dunque.

L’espressione di Eileen divenne ancora più cupa. Scosse la testa.

Sono andata all’asilo, ma non l’ho trovato.

Il movimento delle mani fu seguito da uno starnuto.

Solo in quel momento Mala si accorse dei vestiti mezzi fradici.

Voleva sgridarla per la sua incoscienza, ma ci ripensò.

Si era sempre trovata dall’altra parte, sapeva come ci si sentiva. Ma soprattutto, in quel momento, ciò di cui aveva più bisogno era una spalla su cui fare affidamento.

Toccandole il braccio, sperò di infonderle un po’ di calore, come tempo prima, aveva fatto con lei.

“Che ne dici se rientriamo? Io ti preparo il leprotto e tu nel frattempo ti cambi, ti va?”

Per niente convinta, Eileen annuì lo stesso.

Ammalarsi era stupido e controproducente.

Quando provò ad alzarsi, un giramento di testa la colse alla sprovvista.

Per fortuna, riuscì a ritrovare l’equilibrio sorreggendosi al masso dietro di lei. E fortunatamente Mala non se ne accorse.

Non voleva farla preoccupare più del previsto.

Doveva mettere qualcosa nello stomaco o sarebbe svenuta seduta stante.

“Eileen?” la voce inconfondibile del suo compagno emerse dall’oscurità della foresta.

Appena riuscì a scorgere la sua sagoma, qualcosa scattò in lei.

Come se avesse trattenuto il respiro per tutta la giornata, finalmente l’ossigeno invase i suoi polmoni.

Tutta la stanchezza accumulata la travolse, facendole perdere il controllo del corpo e della mente.

Tutto divenne nero. 




Lo so, lo so. Mi state odiando, io avrei fatto lo stesso. x'D

Purtroppo il capitolo di oggi è corto rispetto ai precedenti, come avrete notato. A causa dei vari impegni, dovrò prendermi una pausa. Conto di assentarmi per almeno due settimane, tornando da voi con un capitolo super lungo, promesso! 

Mi raccomando, sentite la mia mancanza, perché io sentirò la vostra. Ancora un enorme grazie a chiunque dedichi parte del proprio tempo a leggere 'Senza voce'. 

Siete il mio carburante. 

Vi abbraccio tutti/e!

Helen

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Capitolo 37
*** Porto sicuro ***


Gli occhi vitrei del lupo nero, il dolore lancinante alla trachea, il bisogno di ossigeno: l'incubo era ritornato a tormentarla.

Dopo tanto tempo.

Questa volta, distesa a terra, sulla neve, il suo sguardo non rimase fisso verso il suo aggressore, ma fu attirato da una figura in movimento.

Con difficoltà, riuscì a mettere a fuoco l'immagine del bambino che aveva incontrato nelle prigioni.

Gli occhi sbarrati, la testa completamente rasata, scappava via da lei. O meglio dal lupo nero, che le stava pian piano prosciugando gli ultimi rivoli di vita.

Il lupo smise di guardarla e si concentrò sul bambino: puntava una nuova preda.

Non è andata così.

La paura per l'incolumità del piccolo intruso, le fece torcere le budella. Priva di forze, non riusciva a muoversi. Raccolse tutta l'aria presente nei polmoni e gridò con voce rauca: "Noooo!"

L'urlo le rimase incastrato in gola e con la bocca spalancata, aprì gli occhi e di scatto si ritrovò seduta. La fronte imperlata di sudore, il respiro pesante, le sembrava di aver corso una maratona.

Sfinita, ci mise qualche secondo per mettere a fuoco la figura dell'amica addormentata, in parte appoggiata sul letto e in parte alla sedia.

Con il fiato corto, aveva ancora difficoltà a respirare. Non le era mai successo di sognare una versione alternativa del suo peggior incubo. Una versione terrificante, peggiore della realtà. Non pensava fosse possibile.

Con la manica del maglione si asciugò il sudore sulla fronte, provando a focalizzarsi sul presente, scrollandosi le ultime sensazioni dell’incubo.

Deve trovarsi in una posizione alquanto scomoda, pensò guardando Mala.

Fece mente locale, ricordandosi subito il motivo per cui si trovava lì.

Solo allora, guardò oltre il corpo dell’amica, notando il suo compagno seduto su una poltroncina che lo conteneva a malapena.

Le gambe stese in avanti, il viso appoggiato alla mano, la fissava intensamente, senza dir nulla.

Gli occhi color miele, come due fari, la scrutavano nel profondo. Comunicavano senza bisogno di emettere alcun suono.

Tutto bene? Era un incubo? Posso abbracciarti?

Tutto questo in un solo intenso sguardo.

La luce soffusa del fuoco non le toglieva la possibilità di notare che il corpo dell'uomo era teso, pronto a scattare. Per raggiungerla.

Dava l'idea di aver smesso di respirare, immobile, guardingo.

Attendeva il suo permesso prima di fare la sua mossa.

Strinse i braccioli della poltrona, costringendosi a rimanere fermo.

Possibile che invece di fare progressi, fossero tornati indietro?

Si chiese lei, ripensando a ciò che era successo nelle ultime ore.

Era così difficile fidarsi della gente, saltare nel vuoto senza garanzie.

La spossatezza la spinse verso l'oscurità, pensieri negativi le affollarono la mente.

Esasperato, Roman si alzò avvicinandosi al letto, senza staccare gli occhi da lei.

Era ancora in cerca del suo consenso, un segnale, qualsiasi cosa gli permettesse di avvicinarsi di nuovo a lei.

In primis, fisicamente.

Aveva bisogno di toccarla, di stringerla a sé, assicurarsi con il tatto, oltre che con la vista, che stesse bene.

Tuttavia, non voleva costringerla ad accettarlo: la sua compagna doveva spontaneamente donarsi a lui. Nel momento in cui si fossero uniti ufficialmente come coppia, non ci sarebbero dovuti essere dubbi.

Eileen toccò il braccio di Mala, svegliandola. Roman smise di avanzare, rimanendo in piedi al centro della stanza.

Vuoi che me ne vada?

Segnò lui, cercando di nascondere il fatto che una risposta affermativa lo avrebbe lacerato.

Scosse la testa, mentre Mala si strofinava gli occhi con i polpastrelli.

"Ehi, scusami devo essermi addormentata" le disse, dopo essersi stiracchiata.

Percependo la presenza dell'uomo alle spalle, si girò guardando Roman in cagnesco.

"E tu che ci fai lì in piedi?" il tono amichevole di poco prima era scomparso.

Mi sono persa qualcosa?

Si chiese osservando il comportamento scontroso dell’amica.

"Aspetto di poter parlare privatamente con la mia compagna" spiegò lui, sfoggiando tutto il suo autocontrollo.

"Allora aspetta il tuo turno, dopotutto mi sembra di capire che sai come tenerti impegnato."

Roman reagì come se lo avessero schiaffeggiato. Usò la sua stazza, facendosi avanti minaccioso.

Mala non indietreggiò di un millimetro. Strinse i pugni e alzò il mento, sfidandolo.

"Stai attenta a quello che dici!" il dito puntato verso di lei, ad un passo dal trasformarsi.

Addio autocontrollo.

Prima che la situazione degenerasse, Eileen tirò l'amica per un braccio, costringendola a guardarla.

Ho bisogno di parlare da sola con lui.

Le spiegò, comunicandole con gli occhi che stava bene, poteva farcela.

Non pienamente convinta, Mala guardò prima lei e poi l’uomo.

Fissandolo, le rispose: "Va bene, se hai bisogno di qualcosa, sono dietro la porta, non esitare a chiamarmi."

E subito dopo, si dileguò.

Una volta soli, Eileen guardò il suo compagno riacquistare la sua compostezza e dirigersi verso il fuoco.

In tutto il trambusto, non aveva notato la pentola che bolliva e il profumo di stufato di leprotto che impregnava la stanza.

Automaticamente la sua pancia brontolò, mettendola in imbarazzo per la seconda volta in situazioni piuttosto delicate.

Ormai ci stava facendo l'abitudine.

"Almeno so che non farai storie nel mangiare lo stufato" rise lui sotto i baffi, assaggiando il contenuto della pentola "cotto al punto giusto."

Ne versò una parte nel piatto e lentamente si avvicinò al letto, attento a non versarlo sul pavimento.

Come aveva previsto, Eileen non fece storie.

Era da un giorno intero che non mangiava, ma le sembrava di non farlo da un mese.

Affamata, a malapena lo ringraziò, iniziò subito a mangiare.

Non appena buttò giù i primi pezzi di carne, lo stomaco esultò e i crampi smisero di tormentarla.

Intanto Roman, ne aveva approfittato, sedendosi al posto che poco prima aveva occupato Mala.

Non avrebbe mai pensato di sentirsi felice solo guardando una persona mangiare.

Anche se lei non era una persona qualunque.

Vederla stesa nel letto, priva di sensi, così piccola e indifesa, lo aveva spaventato a morte.

I suoi sentimenti nei confronti della sua compagna crescevano giorno dopo giorno, ora dopo ora, lasciandolo sorpreso dalla loro intensità.

Sebbene sapesse perfettamente come funzionavano i rapporti tra compagni, viverlo in prima persona era tutta un'altra cosa.

Era impossibile essere pronti alla portata di tali emozioni.

Dopo aver rovesciato la colazione a terra, Eileen era scappata via e lui non aveva potuto seguirla.

In parte, perché era arrabbiato con lei.

Aveva saputo da Tara e non da lei che il Pazzo l'aveva aggredita, nonostante le avesse chiesto assoluta sincerità.

In più, se l'avesse inseguita, avrebbe dovuto lasciare l'asilo incustodito e Tara avrebbe iniziato a fare domande.

Mi dispiace per stamattina. Non avrei dovuto reagire in quel modo.

Segnò Eileen, dopo aver appoggiato il piatto vuoto sul comodino.

Sembrava fosse sul punto di dire altro, ma alla fine, optò per il silenzio.

Davanti a quella ammissione, le venne naturale abbassare gli occhi. Eppure, subito dopo, li alzò, sostenendo il suo sguardo.

È vero, aveva sbagliato, ma non era stata l'unica. C'erano ancora diverse cose in ballo da chiarire.

"È normale essere gelosa del proprio compagno" spiegò lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Eppure, la cosa più sbagliata da dire in quel momento.

Non le piaceva essere trattata con condiscendenza. Per lei, quel mondo era tutto nuovo.

Lei stessa stentava a riconoscersi, tuttavia, non poteva confidarglielo o la sua copertura sarebbe saltata.

Ciò non toglie che la mia reazione è stata esagerata. Non accadrà più.

Pronta ad impegnarsi di più, mosse le mani con decisione, scandendo ogni parola.

Roman le sorrise, scuotendo leggermente la testa.

"Non capisci, questa è la normalità. Vedermi insieme ad un'altra donna, non poteva scatenarti che questa reazione. In caso contrario, mi chiederei se fossi la mia vera compagna" disse, sporgendosi in avanti, annullando pian piano le distanze.

Ancora più confusa di prima, ci rifletté su.

È vero, non mi è piaciuto vederti insieme ad un'altra donna. Perché non hai evitato che mi sentissi così?

Una nota di rabbia emerse, ricordandosi il dolore fisico che aveva provato nel vederlo sorridere, approcciarsi ad un’altra donna.

"Eileen, sai con quante mamme ho a che fare a causa del mio lavoro? Non posso evitarle" le riferì, mantenendo la calma.

Sembrava sempre lei l'unica a non riuscire a gestire le proprie emozioni.

Quindi vorresti dirmi che il rapporto tra te e Tara è puramente lavorativo? Cosa ti ha sussurrato all'orecchio prima che me ne andassi?

Strinse le mani a pugno, cosciente della piega che quella conversazione stava prendendo. Ormai era abituata ad essere la prima a perdere le staffe.

“Wow, vedo che ti sei informata, conosci perfino il suo nome” a stento riuscì a trattenere un sorriso, mentre gli occhi la sfidavano a negare.

È di dominio pubblico, se ricordo bene. Rispose senza lasciarsi scoraggiare.

“Certo, però potevi chiederlo a me, piuttosto che a mio fratello” continuò lui, punzecchiandola.

Eileen percepì una scarica di adrenalina lungo la schiena.

Potevo, ma ti ricordo che eravamo impegnati a…fare altro.

Le fu difficile segnare quella frase, l’imbarazzo le tinse le orecchie di rosso, maledicendo il fatto di avere i capelli rossi. Qualsiasi parte del suo corpo si arrossava con facilità ed era subito evidente.

Sporgendosi in avanti, a pochi centimetri dal suo viso, le sussurrò all’orecchio: “E che ne dici se riprendiamo da lì?”

La voce roca le provocò diversi brividi lungo a colonna vertebrale e questa volta non avevano nulla a che fare con l’adrenalina.

Il volto dell’uomo si spostò temporaneamente dal suo, concentrandosi sulle sue mani.

Che ne dici se riprendiamo non appena smetterò di essere gelosa?

Propose lei, con sguardo innocente, riprendendo il controllo di se stessa. Il sorriso di Roman si spense, non c’era più ombra di divertimento nella sua espressione.

Se giochi con il fuoco, è facile che ti scotti. Pensò Eileen, comunicandoglielo con gli occhi.

“Ma non succederà mai, te l’ho detto, è assolutamente normale esserlo” quella frase uscì come un lamento, mancava solo che iniziasse a battere i piedi a terra.

Mmh, non ne sono convinta. Impegnati di più e poi ne riparliamo.

Rafforzò il concetto facendogli l’occhiolino.

Poche volte era riuscita a lasciarlo senza parole come in quel momento.

Un angolo della bocca si sollevò, accettando di essere stato sconfitto.

1 a 0 per Eileen.

Poi i toni ritornarono a farsi seri: "Riguardo Tara, per me, si tratta di un rapporto puramente lavorativo e ti basta sapere questo. Io ti sono fedele, sei la mia compagna, non c'è persona che possa scindere il nostro legame" con delicatezza, le coprì la mano con la sua.

Le venne spontaneo aprire la mano e accogliere la sua. Resistere al suo contatto richiedeva una forza di volontà che non aveva.

Giorno dopo giorno, le difese si abbassavano, rendendole più difficile opporsi.

Con estrema lentezza, le dita di Roman si mossero disegnando linee e forme incomprensibili sul palmo della sua mano.

Leggere come una farfalla, le provocarono diversi brividi in tutto il corpo.

E mi sta toccando solo il palmo della mano.

Rifletté, immaginandosi quel tocco ovunque.

Poi stranamente si bloccò ed Eileen intuì subito il motivo.

Le dita affusolate avevano indugiato intorno alla ferita del suo dito. Quella che si era procurata nel bosco, sollevando un masso da terra, poco prima di incontrare il Pazzo.

Senza spiccicare una parola, Roman trovò l'occorrente per cambiarle la fasciatura e nel frattempo si accertò che la ferita fosse in via di guarigione.

"Mi sono informato sul tuo incontro con il Pazzo. Non ti importunerà più, hai la mia parola" le disse ad un certo punto, alzando la testa.

Gli occhi avevano perso la loro sfumatura color miele, diventando più scuri e minacciosi.

Cosa significava? Che fine aveva fatto il Pazzo?

La preoccupazione per l'incolumità di quell'uomo, la portò a ritirare la mano di scatto, allontanandosi di qualche centimetro da lui.

Cosa gli avete fatto? La gente chiacchiera, non mi ha fatto nulla, era semplicemente ubriaco. Questa ferita è stata un incidente.

Spiegò, muovendo le mani il più velocemente possibile. Non voleva neanche immaginare la peggiore delle ipotesi.

“Un incidente come la caviglia slogata e le ferite che ti ho curato nel bosco?” la schernì, perdendo, per qualche secondo, parte del suo autocontrollo.

Presa in contropiede, strinse le labbra e con meno convinzione rispose.

È stato un incidente, è la verità.

Passando oltre, Roman continuò: "L'hanno sbattuto in prigione. Era da tempo che volevano farlo, ma per pietà, l'hanno sempre lasciato stare" il tono di voce non tradiva nessuna emozione, il volto impassibile.

Sembrava totalmente un'altra persona. Non credeva fosse un tipo vendicativo.

Di cosa è accusato?

Negli occhi dell’uomo non c'era traccia di compassione.

"Tempo fa, ha ucciso diverse persone. Era un dottore" una smorfia di disgusto adombrò il suo bel viso "a quei tempi disse che lo faceva per la scienza, per il progresso. Poi ha iniziato ad impazzire e dare i numeri, così la gente lo ha punito lasciandolo in vita e isolandolo" disse, guardandola dritta negli occhi, senza alcuna esitazione.

Eileen rimase stupita da quelle rivelazioni. Non aveva idea che il Pazzo non fosse altro che un assassino. Un uomo che aveva tradito la sua stessa vocazione per motivi discutibili.

Per lei, era del tutto inconcepibile.

Imperdonabile.

Eppure, quella sera, quando le aveva chiesto scusa nella foresta, non le era sembrato quel tipo di persona.

Con sincerità, l'aveva guardata dritta negli occhi.

"Mi dispiace, non volevo turbarti" disse lui, accorgendosi del suo silenzio.

Eileen alzò la testa e scosse leggermente la testa.

Mi dispiace per quello che è successo, il vostro branco avrà sofferto molto.

Annuì solennemente e aggiunse: "A quei tempi, ero poco più che un bambino. Però certe cose riuscivo a capirle dai discorsi dei grandi."

Immaginò Roman da piccolo, indifeso, con la pelle color cannella e i capelli neri, lunghi. Le fossette accentuate dalle guance tonde.

Ancora non conosceva la sua storia, ma già le faceva tenerezza il solo pensiero del bambino che era stato.

Rimarrà in prigione per sempre?

Chiese lei, curiosa e turbata di quale sarebbe stato il destino del Pazzo.

"È temporaneo. La morte lo aspetta" cauto, pronunciò quelle parole come se scottassero.

Non era per nulla sorpresa, sapeva benissimo come funzionavano queste cose.

Occhio per occhio.

Eppure, non riuscì a non provare pena per l'uomo. Percepì un enorme buco nello stomaco.

Ho bisogno di incontrarlo almeno una volta prima che muoia.

La sua richiesta bizzarra lo sorprese e non poco.

“Non ti avvicinerai mai più a quell’uomo, lo voglio a chilometri di distanza da te” il tono non accettava repliche.

Odiava ricevere ordini, però lo sguardo nei suoi occhi la spinse ad accantonare la questione temporaneamente.

L’avrebbero affrontata in un secondo momento.

L’intelligenza sta nel saper scegliere le battaglie da combattere.

"Questa richiesta ci porta ad un altro argomento importante di cui dobbiamo parlare" disse, spostando l'attenzione su altro.

Incrociò le braccia, in attesa di ricevere maggiori spiegazioni.

"Ieri sono stato via tutto il giorno, perché sono andato a trovare mio padre" gli occhi incatenati ai suoi, sondavano qualsiasi reazione.

Curiosa e spaventata allo stesso tempo, aveva paura di chiedergli informazioni riguardo al contenuto della loro conversazione.
La loro felicità era appesa ad un filo.

Aveva notato quanto Roman fosse legato al padre. Se non avesse approvato la loro unione, le cose si sarebbero complicate.

E non poco.

La mano dell’uomo raggiunse nuovamente la sua, come se avesse percepito la sua agitazione, incrociò le dita alle sue. Subito trasse sollievo da quel gesto.

Il contatto con il suo compagno stava diventando indispensabile per la sua sopravvivenza.

E se fossero stati costretti a separarsi? Sarebbe sopravvissuta?

"Dovresti vedere la tua faccia in questo momento. Sembra tu abbia ingoiato un rospo" le fossette comparvero, costringendola a sorridere di riflesso.

Le fu più difficile del previsto.

Stava cercando di alleggerire l’atmosfera, con scarsi risultati.

Tutte quelle novità erano sul punto di travolgerla.

Scusami, mi ero persa nei miei pensieri.

Segnò con la mano libera. Abbassò il capo, osservando le loro mani intrecciate.

Di cosa avete parlato?

Chiese alla fine, trattenendo il respiro. Pronta ad attutire il colpo.

"Ecco la mia ragazza coraggiosa" sussurrò lui dolcemente, circondandole la guancia con il palmo della mano.

I muscoli del corpo si rilassarono, accogliendo quella carezza.

Chiuse per qualche secondo gli occhi, accorgendosi subito dopo che Roman non era più seduto sulla sedia, ma sul letto, di fronte a lei.

Cosciente di cosa stava per succedere, intercettò la mano sul viso e gli afferrò il polso.

Aveva bisogno di sapere, di sciogliere i nodi. Ci aveva perfino rimesso la salute a causa di quelle incomprensioni.

Roman sembrò capire e, di malavoglia, ritirò la mano.

"Appena ti rimetterai in forze, scenderemo nelle prigioni, così potrai assicurarti con i tuoi occhi che nessun malato vive lì" affermò, dopo averle aggiustato una ciocca di capelli dietro le orecchie.

Sono abbastanza in forze per andarci anche ora. Non c'è tempo da perdere.

Velocemente spostò le coperte e mise i piedi per terra. Non appena provò ad alzarsi, un capogiro le fece perdere l'equilibrio.

Avendo ancora le dita intrecciate a quelle di Roman, con facilità intercettò il suo corpo, impedendole di cadere.

"Calma, non avere fretta, prima devi riposarti" miracolosamente si ritrovò seduta sulle sue gambe, le braccia le avvolgevano le spalle, facendola sentire protetta.

È qui che voglio stare.

I corpi combaciavano perfettamente, come due pezzi dello stesso puzzle.

L’orecchio aderiva al suo petto, in direzione del cuore, era in grado di percepire i suoi battiti.

Per qualche secondo rimase così, immobile, ad ascoltarli. Roman non disse nulla, rimase lì fermo a cullarla tra le sue braccia.

Il senso di protezione che provò fu indescrivibile. Tanto che iniziò a temere il momento in cui l’avrebbe lasciata andare.

Quella giornata era stata un inferno per lei.

Si era sentita arrabbiata, frustrata, gelosa, inadeguata e abbandonata. E di tutte quelle emozioni, aveva difficoltà sia a gestirle che a comunicarle, in primis al suo compagno.

Farlo in tutto e per tutto, avrebbe significato dovergli confessare il suo più grande segreto ed essere pronta all’eventualità di lasciarlo andare.

Quel pensiero la spinse ad aggrapparsi al suo maglione nero, intrappolò un lembo dell’indumento nel pugno, tenendosi ancorata a lui il più possibile.

“Navimal havisah, balkali la” in una lingua sconosciuta, Roman le sussurrò quelle parole tra i capelli. Naturalmente non conosceva il significato della frase, ma il tono con cui la aveva pronunciata era inequivocabile.

Alzò la testa, incontrando i suoi occhi color miele pieni di amore.

Aveva anche lei lo stesso sguardo quando lo guardava?

Assomigliava a quel tipo di amore incondizionato che aveva cercato per tutta la vita.

Prima da sua madre e poi dalle persone intorno a lei.

Solo in quel momento, perdendosi nell’adorazione del suo sguardo, capì che era proprio quel tipo di amore, il suo amore, che aveva sempre desiderato.

“Mia ragazza coraggiosa, sono qui” tradusse lui, interpretando il suo silenzio.

Qualsiasi cosa accada?

Segnò lei, dopo aver lasciato andare la presa sul maglione.

Una sensazione di vertigine la pervase.

La mano di Roman risalì dal braccio fino alla base collo, circondandoglielo completamente. Avvicinò le labbra alla sua fronte, indugiando poi sugli zigomi, pericolosamente vicino alle sue labbra.

“Un giorno le bacerò tutte” disse riferendosi alle lentiggini, tra un bacio e l’altro.

La passione che li aveva travolti all’asilo era scomparsa, lasciando il posto alla tenerezza e alla morbidezza delle sue labbra.

Eileen distese le mani sul petto di Roman, assorbendo la sua forza vibrante, percependo la solidità della sua figura e il battito del suo grande cuore.

Il suo porto sicuro.

Doveva solo trovare il modo di tornarci.

E restarci. 




Buonasera a tutti/e!

In queste due settimane di assenza, non vi ho assolutamente dimenticati, anzi. Siete stati constantemente nei miei pensieri. Ho riflettuto a lungo sul futuro dei personaggi, cercando di immedesimarmi completamente e mettermi nei loro panni, per continuare ad offrirvi, in futuro, una storia di qualità. Proprio per questo motivo, per ora, aggiornerò una domenica sì e una no, in modo da riuscire a scrivere capitoli lunghi e 'sostanziosi'. 
Questo capitolo l'ho scritto a pezzi, non tutto d'un fiato come mi succede di solito. Ho avuto bisogno di tempo per elaborare nel modo giusto l'evoluzione del rapporto tra i protagonisti, comprese le loro emozioni. Spero che vi sia piaciuto e che sia valsa la pena aspettare. 

Un grosso abbraccio, alla prossima!

Helen

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Capitolo 38
*** Prigione pt.2 ***


Nonostante lo avesse desiderato da tempo, al solo pensiero di dover rimettere piede nelle prigioni, sentiva lo stomaco sottosopra.

Dopo essere rimasta per un’intera giornata allettata, non ne poteva più di rimanere ferma. Roman e Mala avevano insistito perché si prendesse del tempo per rimettersi, e lei, aveva deciso di accontentarli, pur di non vederli litigare di nuovo.

Da quando si era risvegliata, il rapporto tra i due era ai minimi termini e non sapeva perché.

Possibile che avessero litigato mentre era priva di sensi?

Si appuntò mentalmente di parlarne a tu per tu con Mala non appena fossero rimaste da sole.

Non le piaceva che due delle persone a cui teneva di più fossero in conflitto, soprattutto poi se lei rappresentava il motivo principale del litigio.

Mentre scendeva le scale verso il cuore delle prigioni, cercò di distrarsi pensando ad altro, ma l’odore, la vista di quei luoghi la tenevano ancorata alla realtà.

Due guardie erano state incaricate di scortare sia lei che Roman, così le era stato riferito. Tuttavia, sapeva benissimo che entrambi si trovavano principalmente lì per lei. Una davanti faceva strada, l’altra alle loro spalle, teneva d’occhio qualsiasi loro movimento.

Sentiva lo sguardo dell’uomo trafiggerle la schiena. Non si era dimenticata di lui. Era lui il responsabile del suo livido sul braccio che ormai si vedeva a malapena.

La violenza con cui agiva quella gente, la spaventava.

Non potendo trasformarsi, si era sentita sempre, costantemente, in pericolo. Fuggire era ciò che le riusciva meglio, in quei casi.

Ora però, non era più costretta a farlo.

Al suo fianco, Roman camminava rigido, guardando dritto davanti a sé. Eppure, anche lui di tanto in tanto, con la coda dell’occhio, la osservava.

Il suo compagno avanzava insieme a lei, accanto a lei, né troppo avanti, né troppo indietro. Sebbene non si toccassero, riusciva a percepire la sua presenza, la sua forza, e d’un tratto, la voglia di scappare si affievolì, lasciando il posto ad una sensazione di calore, di pienezza che aveva provato solo in sua compagnia.

Aveva una voglia matta di afferrargli la mano, di rifugiarsi nel suo abbraccio, dimenticandosi quell’ambiente spaventoso, umido e buio.

Inspirò profondamente, captando l’odore speziato del suo compagno, sperando di trattenerlo il più possibile nelle sue narici, evitando la puzza delle prigioni.
Quel movimento attirò l’attenzione di Roman che la guardò di sfuggita, veloce come un battito d’ali.

Forse teme che, ad un certo punto, darò di matto?

Pensò, ricordandosi che non aveva tutti i torti, dopo la sua reazione all’asilo.

Promise a se stessa che si sarebbe impegnata a gestire le proprie emozioni. Non aveva altra scelta: in caso contrario la loro copertura sarebbe saltata.

Stringi i denti e controllati, qualsiasi cosa accada.

Ripeté nella testa come un mantra.

“E’ questa la cella?” chiese la guardia davanti, rivolgendosi a Roman, come se lei non esistesse.

Il suo compagno la guardò, aspettando un suo cenno. Cautamente annuì. L’odore intenso di umidità la riportò a quei giorni in cui credeva che lei e Mala sarebbero morte.

In quella squallida cella, aveva rimpianto la sua scelta, maledicendosi per la sua sconsideratezza. Era stata egoista e aveva accettato di buon grado l’aiuto dell’amica, senza pensare troppo alle conseguenze.

Tuttavia, proprio perché aveva osato, ora, finalmente, aveva trovato il suo compagno, si trovava al suo fianco e insieme avrebbero affrontato qualsiasi cosa.

Non sei più sola.

Fu quel pensiero ad infonderle la forza per focalizzarsi sul presente, accantonando i dolori del passato.

Di fronte alla sua cella, riconobbe subito quella in cui aveva visto per la prima volta il bambino con gli occhi color nocciola. Piccolo e indifeso, le aveva ridato speranza, la forza di reagire.

Lui l’aveva salvata e ora toccava a lei fare lo stesso.

La guardia sollevò un mazzo di chiavi dalla tasca, le sbarre si spalancarono, dando loro la possibilità di entrare. Era mattina inoltrata e il sole illuminava completamente la cella.

Non appena misero piede all’interno della stanza, Eileen rimase a bocca aperta.

L’ambiente era completamente vuoto.

Tranne che per il corpo di un uomo che giaceva al centro della camera, immobile.

All’inizio non lo riconobbe, ma non appena mise meglio a fuoco la figura, non ebbe dubbi sulla sua identità.

Il Pazzo sembrava privo di sensi, senza motivo mutava forma: da umano a lupo e viceversa. Ad intermittenza, il suo corpo passava da una forma all’altra, senza però dare segni di vita.

Preoccupata per la sua salute, non ci pensò due volte ad avvicinarsi a lui, ma qualcosa la bloccò.

La mano di Roman stringeva il suo braccio in una presa d’acciaio, impedendole di avanzare.

A stento trattenne il dolore: casualmente aveva beccato il livido in via di guarigione.

Eileen strinse i denti e non mostrò alcuna emozione.

Lo guardò dritto negli occhi, cercando di interpretare l’espressione sul suo viso. Peccato che anche la sua fosse del tutto indecifrabile.

“Non puoi avvicinarti a lui” spiegò alla fine, con un tono che non ammetteva repliche.

Eileen abbassò lo sguardo sulla mano che le stringeva il braccio, e subito Roman lo liberò, interrompendo il contatto.

Forse si sarà ricordato del livido.

Per quanto apprezzasse il suo tocco, non le piaceva ricevere ordini ed essere ostacolata, soprattutto quando era cosciente di star facendo la cosa giusta.

Sta soffrendo, dammi la possibilità di alleviare le sue pene.

Lo supplicò, sperando di convincerlo.

È ciò che merita e tu non puoi farci nulla. Siamo venuti qui perché tu potessi vedere che nessun malato risiede qui.

Segnò lui, in modo che potessero comunicare senza che le guardie comprendessero.

Come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso, Eileen si mise sulla difensiva.

Credi che mi sia inventata tutto?

Il volto di Roman si addolcì leggermente, cambiando tattica.

No, credo che tu abbia visto dei semplici prigionieri rinchiusi qui per un valido motivo.

Se quelle parole fossero state espresse a voce, probabilmente avrebbe utilizzato il tono che solitamente adottava quando spiegava le cose ai bambini.

Sono un medico, so cosa ho visto.

Strinse i pugni, provando a rimanere razionale.

Poco prima, si era ripromessa di gestire al meglio le sue emozioni, ma Roman lo stava rendendo più complicato del previsto.

Come puoi vedere qui non c’è nessuno, tranne quell’assassino. Non merita la tua compassione.

Lo indicò, ritornando sul piede di guerra, il muscolo della mascella scattò.

“Capo, cosa dobbiamo fare?” chiese una delle guardie, scocciato di essere stato escluso dalla loro conversazione.

Roman lo incenerì con lo sguardo, convincendolo a non aggiungere altro.

Per una volta, Eileen provò compassione per la guardia.

L’altra, invece, continuava a rimanere in silenzio, fissandola.

Cercava di evitare il suo sguardo: le faceva venire i brividi.

Subito dopo, l’attenzione di Roman ritornò su di lei.

Ironia della sorte, questa volta non era lei che stava perdendo le staffe.

Ricordo chiaramente che anche un bambino era rinchiuso qui dentro. Un bambino, capisci? Cosa potrà mai aver fatto di male un bambino per essere finito in un posto del genere?

Esterrefatto, lui scosse la testa con decisione.

È impossibile, tutti i bambini si trovano all’asilo, me ne sarei accorto se uno di loro fosse venuto meno.

Non ci aveva pensato.

Com’è possibile? Se l’era immaginato? Non espresse quelle domande ad alta voce, ma le si leggevano in volto.

Per la prima volta, dubitò dell’esistenza del bambino dagli occhi color nocciola.

Ma era sicura di averlo visto, anche dopo il falò, attraverso la finestra, aveva consegnato a lui il cibo.

Non poteva essere frutto della sua immaginazione.

Eileen, ascoltami. Qui…stavi soffrendo.

Il suo compagno ebbe difficoltà a segnare quelle parole, per un secondo, le sembrò di vedere le sue mani tremare.

È possibile che tu abbia avuto delle allucinazioni. Sei un medico, sai benissimo che è altamente probabile.

Il suo volto si era di nuovo addolcito, non c’era più traccia della rabbia di poco fa.

Eileen si sentiva già esausta. In quel momento, sentì il peso della convalescenza.

Quel viaggio nelle prigioni la stava mettendo a dura prova e ciò che stava scoprendo non le piaceva per niente.

È vero, lì non c’era nessuno ed era innegabile.

Un rantolo proveniente dal centro della stanza attirò la sua attenzione, facendole rivalutare la scala delle sue priorità.

Un uomo stava soffrendo, proprio davanti ai suoi occhi e lei non poteva rimanere ferma a guardarlo.

Nonostante i gravi crimini che aveva commesso.

Avrebbe pagato con la vita, ma ora era decisa ad alleviare le sue sofferenze.

Cercare il bambino con gli occhi color nocciola sarebbe stato uno dei suoi prossimi obiettivi. E lo avrebbe fatto.

Da sola.

Permettimi di aiutarlo e non parleremo più di questa storia, ma non devi ostacolarmi e per favore, lasciami da sola con lui.

Sorpreso di vederla cedere immediatamente, per un attimo rimase interdetto.

Alla fine, acconsentì alla sua richiesta, ma non poteva abbandonarla, non si fidava di quell’uomo.

Cosa credi che possa farmi? È svenuto e comunque, potresti percepire qualsiasi suo movimento anche fuori dalla stanza.

Con le narici dilatate, gli occhi color miele infuocati, Roman sospirò sonoramente rivolgendosi dopo tanto tempo alle guardie: “Usciamo, lasciamola sola. Deve verificare le condizioni del Pazzo e far sì che non muoia prima della sua esecuzione” spiegò lui, senza guardarli, con gli occhi fissi su di lei.

Era un grande atto di fiducia e lo sapeva.

Lentamente uscirono dalla stanza, lasciandola sola con il corpo inerme del prigioniero.

Senza perdere altro tempo, si avvicinò a lui controllando i suoi segni vitali. Respirava con difficoltà e il battito era appena percettibile.

Cosa gli avevano fatto?

Aveva bisogno di saperlo per poter porre rimedio. Non se la sentiva di chiederlo al suo compagno, con molta probabilità avrebbe cercato di trascinarla via di là.

Come se avesse udito i suoi pensieri, l’uomo aprì gli occhi e ci mise qualche secondo prima di mettere a fuoco la sua figura.

Successivamente cambiò forma, trasformandosi in un lupo dal lungo pelo nero misto a grigio.

Poi ritornò umano.

“Io…te…ci incontriamo sempre….così” sorrise, sforzandosi di pronunciare quelle poche parole.

Con il volto tumefatto, a malapena riusciva ad aprire gli occhi e a muovere le labbra.

Sembrava invecchiato di diversi anni, lo dimostravano i capelli grigi spettinati e le rughe sparse per il viso.

Con un nodo alla gola, Eileen ingoiò il groppo, ripetendosi nella testa che si trattava di un criminale.

Ricordati che tipo di persona hai di fronte. 

Si rimproverò, evitando di soffermarsi sulle varie ferite sparse per tutto il corpo. Stentava a riconoscere l’uomo che aveva curato tempo fa, appena arrivata nel branco dei Mavix.

A quel tempo, lo aveva salvato senza alcuna esitazione.

Con la consapevolezza di adesso, avresti agito nello stesso modo?

“Acqua” sussurrò l’uomo con la gola secca.

Eileen prese la bottiglia d’acqua posta sotto la finestra e lo accontentò, attenta a fargliene sorseggiare poca alla volta.

D’un tratto, si ricordò che l’aveva visto bere alcool la seconda volta in cui si era incontrati. Se avesse sviluppato una dipendenza, sarebbe stato altamente probabile che stesse così male per quel motivo.

La continua trasformazione ad intermittenza poteva essere un effetto collaterale. Aveva perso il controllo del suo corpo e senza una cura, anche il suo cuore avrebbe smesso di battere prima o poi.

“Vorrei…vino” si sforzò lui pronunciando quelle due parole.

La frase confermò la sua teoria.

Eileen non sapeva se conoscesse la lingua dei segni, nel dubbio, uscì il piccolo taccuino.

Dovrai accontentarti dell’acqua. Il vino non ti fa bene.

Aveva mille domande da porgli, eppure, alla fine, annotò quell’unica frase. Subito la trovò banale.

Non era brava in quel tipo di cose, ne era cosciente.

Leggendo le parole sul taccuino, l’uomo rise, venendo improvvisamente interrotto dalla tosse.

Frugò nella piccola tracolla che da poco aveva riavuto indietro, e cercò una pianta che potesse alleviare il suo dolore.

L’avevano picchiato a sangue, una bestia si era avventata su di lui, senza pietà.

A stento tratteneva le lacrime, concentrarsi sul lavoro l’aiutava a non cedere alle emozioni.

Sminuzzò la pianta nell’acqua e aspettò che ritornasse umano.

Senza alcuna esitazione, rifiutò categoricamente l’acqua, girando il viso dalla parte opposta.

Più testardo di un mulo.

A fatica le disse: “Io…generoso di te. C’è…vino nella foresta” a malapena riusciva respirare “Brinda…per me” ricominciò a tossire.

Provò a sollevarlo senza troppi risultati, era troppo pesante. Così decise di trascinarlo fino a fargli poggiare la schiena al muro.

Dopo alcuni secondi, smise di tossire, e si girò a fissarla. Gli occhi semichiusi a causa del gonfiore.

Conoscendo gli orrori che quell’uomo aveva commesso, avrebbe dovuto odiarlo, provare ribrezzo nei suoi confronti. Eppure, tutto ciò che provava era curiosità e…pena.

C’erano troppi interrogativi senza risposta.

Provò di nuovo a farlo bere, ma non ci fu verso.

“Io…soffrire” sospirò tra un colpo di tosse e l’altro.

Strinse i pugni per la rabbia, ma poi decise di cedere. Non poteva costringerlo, era libero di scegliere.

Si ricordò di non avere molto tempo, doveva sbrigarsi.

Prese il taccuino e scarabocchiò tutte le domande che le passavano per la testa, mostrandogliele senza alcuna esitazione.

Perché hai ucciso quelle persone? Perché mi hai detto che “ti dispiace”? Eri veramente un medico?

Ci mise più del previsto a leggerle tutte. A malapena riusciva a muovere la testa.

Poi alzò gli occhi su di lei e per una manciata di secondi la guardò, senza fare altro. La sua espressione parve rilassarsi e una lacrima spuntò, solcandogli la guancia, fermandosi poi dove il sangue si era raggrumato.

Non aveva visto tracce di lacrime prima, nonostante stesse soffrendo come un cane. Ora, invece, guardandola negli occhi, aveva pianto.

Com’era possibile? Aveva realizzato che stava per morire?

Con il mento la intimò ad avvicinarsi. All’inizio esitò, ma alla fine, sistemò i capelli dietro le orecchie e con circospezione esaudì il suo desiderio.

A pochi centimetri dal suo orecchio, le sussurrò: “Taccuino.”

Subito glielo passò, osservando gli sforzi che stava compiendo solo nell’impugnare la penna.

Finalmente avrebbe smesso di fare ipotesi e, dopo diverse notti insonne, avrebbe ricevuto le risposte che cercava.   

Passarono diversi minuti prima che potesse leggere le parole che l’uomo aveva scritto. Non appena finì, allo stremo delle forze, si accasciò sul fianco, trasformandosi in lupo.

Eileen aspettò di vederlo ritrasformarsi, ma invano.

Prese il blocchetto e lesse l’unica parola presente sul foglio.

Scappa.





E come promesso, eccoci qua! 

Lo so, lo so. Mi state odiando e avete tutte le ragioni per farlo. Però concludere ogni capitolo con un cliffhanger è più forte di me, non riesco a resistere.
Come state? Spero bene! 

Grazie mille a tutti, ai veterani e a chiunque concede una possibilità a questa storia. 

Buona domenica!

Helen 

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Capitolo 39
*** Giusto ***


Per tutta la strada di ritorno, Eileen a malapena riuscì a nascondere le proprie emozioni. Si impose di rimanere calma, di respirare profondamente, concentrandosi sulle nuove informazioni che aveva.

Sull’unica nuova informazione che aveva.

Come era successo all’andata, Roman camminava al suo fianco, ma l’espressione impenetrabile era scomparsa, lasciando il posto ad altro. Non sapeva come definirlo: era un mix tra ansia, nervosismo e preoccupazione.

Non riusciva a stare fermo e ogni motivo era buono per fissarla. Ad un certo punto, sembrava sul punto di volerla toccare, per attirare la sua attenzione, ma alla fine, aveva desistito.

Meglio così. In quel caso, sarei stata costretta a guardarlo e parlarci.

Eileen, era cosciente di quello che stava succedendo, ma decise di ignorarlo e di continuare a guardare davanti a sé.

Dopotutto, le guardie erano ancora lì, e probabilmente anche a loro non era sfuggito lo strano comportamento del figlio del capobranco. Tuttavia, nessuno osò dir nulla, per paura delle conseguenze.

Risalendo le scale, la luce del sole le colpì gli occhi e subito fu costretta ad abbassarli. Inspirò a pieni polmoni l’aria fresca, espirando l’odore di umidità che l’aveva accompagnata per quella manciata di ore.

Le sembrava fossero passati giorni interi.

“Da qui in poi, possiamo proseguire da soli” disse Roman, fermandosi di scatto, costringendo tutti ad imitarlo.

“Capo, posso parlarle in privato?” chiese la guardia che prima si trovava alle loro spalle e che le faceva venire i brividi.

Con fare sbrigativo, annuì, segnandole successivamente: Aspettami qui.

Eileen non ebbe neanche il tempo di rispondergli che erano già spariti, lasciandola da sola con l’altra guardia.

Se fosse capitato in un altro momento, si sarebbe sentita a disagio, invece aveva altro a cui pensare.

Il piccolo pezzetto di carta pesava come un macigno nella sua tasca.

Dopo aver scritto sul suo taccuino, il Pazzo aveva perso i sensi e si era trasformato in lupo, impedendole di continuare la loro conversazione.

Il tonfo del corpo aveva attirato l’attenzione e subito aveva sentito dei passi dirigersi verso la cella. Senza pensarci due volte, aveva strappato il foglio dal taccuino e lo aveva nascosto nella tasca del pantalone.

Scappa.

Da chi doveva scappare precisamente? Di chi poteva fidarsi?

Ora che era così vicina a costruirsi un futuro, doveva abbandonare tutto e scappare via. Tuttavia, prima di fare qualcosa di così avventato, doveva comprenderne i motivi.

Era convinta che sarebbe uscita dalla prigione con più risposte che domande, invece era più confusa e preoccupata di prima.

La teoria di Roman sulle allucinazioni era plausibile, ma non era del tutto convinta. Era certa di aver visto persone malate chiuse nella cella, era fermamente convinta di aver visto il bambino con gli occhi color nocciola.

“Hai almeno idea di quanto tu sia fortunata ad essere viva?” la schernì la guardia, avvicinandosi lentamente a lei.

Presa di contropiede, non si aspettava che le avrebbe rivolto la parola.

Cercò di mascherare la sorpresa.

Con i piedi piantati a terra, decise di non arretrare di un millimetro. Non voleva dargli la soddisfazione di vederla spaventata.

Se riesce a fiutare la tua paura, è peggio.

Casualmente le venne in mente l’insegnamento di Adamo che aveva udito durante una delle sessioni di addestramento. Non potendovi partecipare attivamente, era sempre rimasta ai margini, ascoltando, osservando, e ora quel consiglio era riemerso nel momento del bisogno.

Sperava vivamente che le tornasse utile.  

Non potendo rispondergli a tono, lo guardò in cagnesco e incrociò le braccia, utilizzandole come scudo.

L’uomo alto più di 1,80m, raggiungeva la stessa altezza di Roman, ben piazzato, con un ghigno stampato in faccia, la squadrò da capo a piedi, facendole venire i brividi.

Ha veramente intenzione di attaccarmi?

Gridare non era mai stata un’opzione per lei: doveva cavarsela da sola.

Ferma come una statua, pensò alla sua prossima mossa, mentre la guardia si fermò a pochi centimetri da lei. Rimpianse di non avere il coltellino che era solita portare con sé.

Come aveva potuto abbassare la guardia in quel modo?

“Mi è stato raccontato che quando vi hanno catturate, la tua amichetta è riuscita a far divertire i miei compagni, però su di te, non mi hanno saputo dir nulla” le sussurrò avvicinando sempre di più i loro visi, in modo che nessun altro potesse udire le sue parole.  

Voleva scappare a gambe levate, ma si impose di non muoversi.

La sua mano destra si spostò nella tasca e trovò la piccola forcina che le era stata regalata da Ella e la strinse nel pugno.

Era la sua unica arma.

La sua unica possibilità.

Scappa.

Le aveva consigliato il Pazzo e lei aveva deciso di ignorare di proposito quell’avvertimento.

Di chi doveva fidarsi? Quale consiglio era il più appropriato in quella situazione?

“Sai quello che dicono delle rosse, vero?” le sue parole, il suo alito puzzolente le fecero venire il voltastomaco. “Non ti dico poi se sono anche mute, posso fare tutto ciò che voglio, senza essere disturbato.”

E poi fece la sua mossa, afferrandole i capelli con una mano e con l’altra le tappò la bocca. La paura si impossessò di lei e d’istinto, senza pensarci due volte, gli conficcò la forcina nel collo.

Utilizzò parecchia forza, tanto che l’uomo gridò dal dolore e allentò la presa, quel tanto da darle la possibilità di sfuggire dalla sua portata.

Ma non aveva fatto i conti con la mano che le stringeva i capelli: il dolore lo aveva portato a vendicarsi, tirandole la chioma, come un predatore che agguanta la sua preda.

La forza che utilizzò le provocò un dolore lancinante al cuoio capelluto, e strattonandola, le fece perdere l’equilibrio. Cadde all’indietro, la schiena sull’erba, lo schianto le tolse il respiro.

Provò subito ad alzarsi, ma le girava la testa. Si preparò a combattere con le unghie e con i denti, ma di colpo l’uomo lasciò la presa sui suoi capelli.

Un altro urlo arrivò dalla sua direzione, piagnucolando lo sentì dire: “T-ti prego, non farmi del male, non ho fatto nulla…”

In piena confusione, alzò la testa e notò la figura di un lupo nero, con le fauci esposte, gli artigli affilati: aveva procurato diverse ferite alla guardia che si trovava sotto di lui, squarciandogli il maglione.

La rabbia del lupo era visibile dalla rigidità della sua posizione e dal verso gutturale che fuoriuscì. I denti a poca distanza dal collo del suo aggressore, pronto a sgozzarlo, lì, senza alcuna esitazione.

L’uomo, ancora cosciente, non era in grado di reagire, ma continuava a chiedere pietà.

Eileen strappò il campanello dal collo e lo lanciò in direzione del lupo, attirando la sua attenzione.

Gli occhi color miele si posarono su di lei.

Erano diventati più scuri, perdendo la loro sfumatura dorata. Ma erano pur sempre gli occhi di Roman, del suo compagno.

Inizialmente parve non riconoscerla e il ringhio si spostò su di lei. Il lupo era a caccia, non doveva essere disturbato.

Poi qualcosa nel suo atteggiamento cambiò, riuscì a vederla realmente: stesa per terra, ancora dolorante, stava cercando di comunicare con lui.

Solo in quel momento, Eileen notò la presenza della seconda guardia, ferma, a qualche metro dallo scontro, la guardava sprezzante. Era in cerca di vendetta, ma qualcosa lo tratteneva.

Ha paura di Roman, in caso contrario, avrebbe già attaccato.

Il suo compagno, ancora sotto le sembianze di lupo, lasciò andare l’uomo e si avvicinò a lei. Poi si fermò e, poco prima di raggiungerla, si girò verso le guardie ringhiando, incitandole ad andarsene.

Non se lo fecero ripetere due volte: l’uomo ferito venne aiutato a rimettersi in piedi e zoppicando, batterono in ritirata il più veloce possibile.

Gli occhi color miele pian piano ritornarono alla loro sfumatura naturale, e il lupo perse la sua aggressività.

Eileen si issò, provando a rimettersi in piedi, ma il l’animale non le diede questa possibilità: la tirò per la maglia, trascinandola verso un masso e poi premette il muso in direzione della sua pancia, costringendola a sedersi.

Non si preoccupò neanche di provare a comunicare con lui, era ancora dolorante e sotto shock.  

Per qualche minuto, il lupo continuò a girarle intorno, come una trottola. Stava ispezionando ogni parte del suo corpo: annusava, tastava e si muoveva in continuazione, facendole venire il mal di testa.

Con il volto tra le mani, chiuse gli occhi, compiendo un grande errore. Le immagini dell’aggressione appena subìta iniziarono a tormentarla.

Aveva bisogno di elaborare quello che era successo, eppure non ci riusciva. L’adrenalina continuava a scorrerle nelle vene e la paura le faceva tremare sia le gambe che le mani.

Attaccando le guardie, Roman si era esposto definitivamente, non lasciando alcun dubbio sul tipo di relazione che c’era tra loro.

Il piano era saltato e, tra qualche ora, tutto il branco sarebbe venuto a conoscenza del loro legame.

La consapevolezza arrivò tutta in una volta, abbattendosi su di lei con violenza.

Sei viva, questo è l’importante.

Ripeté nella sua testa.

Se non fosse intervenuto Roman, chissà cosa sarebbe successo.

Il respiro iniziò a farsi pesante.

Tanto era concentrata su se stessa che non si era accorta che il lupo si era allontanato e ora si stava riavvicinando a lei.

Fu il rumore del suo campanello a riportarla alla realtà: il suono chiaro e limpido dell’oggetto a lei caro, la confortò, distogliendola dai brutti pensieri.

Riaprì gli occhi e notò il muso di Roman a poca distanza dal suo viso.

Subito ebbe un déjà-vu, ricordò il sollievo che aveva provato quando, in passato, lui le aveva restituito ciò che pensava fosse perso per sempre e, in quel momento, la storia si ripeteva.

Il campanello aveva sempre rappresentato per lei l’unico modo per comunicare, la voce perduta. E Roman continuava a restituirglielo, a donarle speranza.

Proprio come aveva fatto il bambino nelle prigioni.

D’un tratto, gli occhi le si riempirono di lacrime e in pochi secondi tutto diventò sfocato. Come un torrente in piena, non riusciva a fermare quel flusso di emozioni contrastanti.

Due braccia forti la avvolsero in un bozzolo protettivo e lei subito ne approfittò per affondare il viso nel petto muscoloso. Le lacrime non volevano saperne di fermarsi. Più i singhiozzi aumentavano e più l’abbraccio di Roman diventava energico.

Pianse per essere stata aggredita, per la sua incapacità di difendersi, di trasformarsi come tutti gli altri. Pianse perché non le era permesso neanche di gridare per chiamare aiuto. Tutto ciò che desiderava era sentirsi al sicuro e ora che ci stava riuscendo, ciò che le aveva detto il Pazzo la perseguitava.

Avrebbe voluto bruciare il bigliettino che conservava in tasca, e ignorare le sue parole, ma una parte di lei era convinta che c’era del marcio in tutta quella faccenda.

Pianse perché si sentiva sola, non poteva condividere con Roman i suoi timori, perché la verità era che non era brava a fidarsi della gente. Se l’era sempre cavata da sola e certe abitudini erano difficili da cambiare.

Era cosciente che la fiducia era alla base di una relazione e temeva che se non avesse aperto il proprio cuore, non avrebbe mai funzionato.

Tra i capelli l’uomo le sussurrava parole incomprensibili, in una lingua sconosciuta che non vedeva l’ora di imparare.

Eileen inspirò l’odore speziato della sua pelle e come una droga, decise che voleva di più.

Voleva sentirlo più vicino, abbattere momentaneamente i muri tra loro, dimenticare i segreti e le parole non dette.

Senza pensarci troppo, con l’adrenalina ancora in circolo, gli baciò il petto.

Prima lentamente, poi, presa dalla frenesia, risalì fino al suo collo, verso le sue labbra.

Tutto si sarebbe aspettato, tranne quella reazione. Sorpreso, Roman non reagì, lasciandole il comando.

Rimase fermo, in attesa di capire quali fossero le sue reali intenzioni, sebbene non fosse per niente facile.

Vederla con le guance bagnate tinte di rosso, gli occhi annebbiati dalla passione e sentire le labbra carnose e sensuali baciare ogni centimetro del suo corpo, portavano a galla sensazioni indescrivibili.

Aveva difficoltà a tenere le mani a posto, il lupo che era in lui si stava risvegliando e questa volta non si trattava di rabbia e ferocia.

Intanto, Eileen si lasciò trasportare dai suoi sensi, e una volta raggiunto il mento, lo mordicchiò, seguendo la linea della mascella.

Poi fu il turno del piccolo neo vicino l’occhio sinistro: con le labbra semiaperte, gli dedicò la giusta attenzione, adorandolo.

Non riusciva a fare a meno di venerare ogni parte di lui.

Nel frattempo, l’uomo chiuse gli occhi e inspirò sonoramente: si sentiva sull’orlo del precipizio.

Non contenta, Eileen si alzò in punta dei piedi e gli circondò il collo con le braccia, mentre le mani trovarono subito il loro posto tra i capelli setosi e corvini.

I corpi aderirono alla perfezione, dandole la possibilità di percepire la solidità e la forza del suo compagno.

Mordendogli il lobo, Roman con difficoltà trattenne un gemito.

Alla fine, per forza di cose, cedette: con lei, l’autocontrollo che aveva esercitato per anni, andava a farsi benedire.

Le sue mani si spostarono sotto il maglione di Eileen, e subito il contatto con la pelle nuda la fece sospirare.

La durezza dei calli era piacevole sulla pelle morbida, soprattutto quando iniziò a massaggiarle la schiena con movimenti circolari.

Roman voleva procedere con calma, stabilizzare il loro legame prima di fare “il grande passo”. Voleva che diventassero un’unica cosa: corpo e mente.

Voleva fare le cose per bene e presentarla prima a suo padre, ma l’istinto di accoppiamento lo stava logorando. E a quanto pare, non era l’unico ad agognare il contatto fisico.

Ormai sull’onda della passione, Eileen spostò le labbra dall’orecchio al collo, evitando di proposito di baciarlo.

Voleva farlo impazzire, proprio come stava impazzendo lei.

Non sapeva da dove fosse emersa tutta quella audacia, ma ciò che stava provando era così…giusto.

Succhiò la porzione di pelle morbida appena sopra la clavicola, scatenando il lupo che era in lui.

Un ringhio risalì dal petto, facendo vibrare entrambi i corpi.

Con decisione, Roman le afferrò i fianchi nudi, sollevandola quel tanto che le servì per incrociare i piedi dietro la sua schiena.

Eileen non seppe come, ma in pochi secondi, si ritrovò con la schiena spalmata sul tronco di un albero e le labbra di Roman sulle sue. Alla fine, era riuscito a catturarle e aveva preso il comando.

Doveva ammettere che non le dispiaceva cederglielo.

Come un uomo affamato, iniziò a divorarle prima il labbro superiore, poi si spostò su quello inferiore, stuzzicandolo con i denti.

Dopodiché, come per magia, Eileen si ritrovò senza maglione, solo in canotta e reggiseno, mentre l’aria fresca le accarezzava la pelle.

Era troppo impegnata e immersa nel momento per pensare razionalmente. In più, Roman non l’aiutava per niente.

Una delle sue mani si insinuò sotto la canotta, pericolosamente vicino al reggiseno, mentre l’altra si spostò tra i suoi capelli, afferrandoli dolcemente, la invitò ad inclinare la testa, approfondendo il bacio.

Le lingue si scontrarono e iniziarono a duellare, senza esclusioni di colpi. Fu il turno di Roman di farla impazzire, lasciandole una scia di baci bollenti dall’orecchio fino alla cicatrice, alla quale prestò parecchia attenzione.

Eileen sentì il cuore pronto a scoppiare da un momento all’altro.

In quel punto lì, vicino la gola, era probabile che Roman avesse percepito i suoi battiti cardiaci impazziti.

D’un tratto, tutto finì.

Il suo compagno si irrigidì e smise di baciarla.

Appoggiò la fronte sulla sua spalla e con difficoltà cercò di regolare il respiro. Confusa, Eileen ci mise un po’ per riprendersi, la mente ancora annebbiata dalla passione.

Perché si è fermato? È successo qualcosa?

Delusa e insoddisfatta non capiva cosa fosse andato storto.

Voleva porgli quelle domande, ma non poteva dato che aveva il viso nascosto nell’incavo del suo collo. Ancora sospesa in aria, tra il tronco e il corpo imponente di Roman, solo allora Eileen si accorse che qualcosa di duro premeva sul suo stomaco.

Sebbene non fosse esperta in materia, sapeva perfettamente di cosa si trattasse. Dopotutto, era un medico, accidenti.

È per questo motivo che si è fermato? Non vuole arrivare fino in fondo?

“I tuoi pensieri sono più assordanti di quanto tu possa immaginare” sussurrò lui, rompendo quel silenzio imbarazzante.

Non poteva vederlo in faccia, ma sembrava leggermente divertito.

Poi subito cambiò tono: “Ho una voglia matta di marchiarti, qui, in mezzo la foresta, di amarti come uomo e come lupo, così come siamo stati creati. Ma…ho promesso a mio padre che non lo avrei fatto, prima vuole conoscerti” rabbia e tristezza impregnavano la sua voce.

Amarti.

Di tutto ciò che le aveva detto, le era rimasta impressa quell’unica parola.

Le aveva appena confessato di amarla, giusto?

Il cuore si gonfiò di felicità. E preoccupazione.

Doveva ricambiare oppure aspettare che lo ripetesse una seconda volta?

Le braccia di Roman ancora avvolte intorno al suo corpo, la strinsero più forte: non voleva lasciarla andare.

Eileen ritrovò la lucidità e si divincolò dal suo abbraccio, ritornando subito con i piedi per terra. Letteralmente.

Prese il viso del suo compagno tra le mani e lo guardò dritto negli occhi color miele. Ci volle qualche secondo prima che ricambiasse lo sguardo.

Era pieno di tristezza e rimorso.

Non le piaceva vederlo soffrire.  

Avrà fatto una gran fatica per fermarsi.

Rifletté, costatando che lei stessa non sapeva se, al suo posto, ne sarebbe stata in grado.

Incontrerò tuo padre e poi ne riparleremo.

Gli riferì sorridendo, sperando di risollevargli il morale.

Una folata di vento le provocò un brivido di freddo, dopotutto era ancora in canottiera. Cercò con gli occhi il maglione e solo allora si accorse che Roman era completamente nudo.

Oh mio dio, ma sei nudo!

Gli segnò sentendosi doppiamente stupida. Era stata così presa dal momento che non lo aveva neanche notato.

Però l’aveva sentito.

Imbarazzata, dal collo al viso, la pelle si riempì di chiazze rosse, mostrando il suo disagio.

Roman iniziò a ridere, ritornando di buon umore: “Dopo avermi assalito, ti preoccupi che io sia nudo?” le chiese, spostandole una ciocca dietro l’orecchio.

Le famose fossette fecero capolino e lei non riuscì a resistere: rise insieme a lui.

Dovresti coprirti, o ti ammalerai. Lo rimproverò lei, cercando di non abbassare lo sguardo.

L’Eileen audace era scappata via, lasciando il posto alla sua versione pudica.

“Tu mi fai ribollire il sangue, non so cosa sia il freddo” con tanto di sorriso sghembo e sguardo seducente, Roman riuscì a lasciarla senza parole.

L’attrazione tra di loro era palpabile. In più, le aveva fatto intendere che l’amava.

Ora toccava a lei, giusto?   



Buon pomeriggio!

So che stavate aspettando con ansia il Voice Day (ho deciso di rinominare così il giorno in cui spunta un nuovo capitolo)! Ragazzi/e, capitemi, il caldo gioca brutti scherzi. 

Anyway, come promesso, i nuovi aggiornamenti sono più lunghi rispetto ai precedenti. Spero vi sia piaciuto questo capitolo un po' più passionale. Devo ammettere che non sono molto pratica nel genere, ma se ve gustano mucho, posso decidere di inserirne altri nel corso della storia. 

Vi abbraccio forte forte, al prossimo Voice Day!

Helen 

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Capitolo 40
*** Salvatore ***


Uno, due, tre, quattro…

Mala teneva il conto nella sua testa mentre eseguiva le flessioni che una volta facevano parte della sua routine. Ultimamente si era impigrita e aveva perfino dubitato del suo voler diventare un guerriero.

Non riusciva a starsene con le mani in mano, per questo aveva deciso di allenarsi, facendo ciò che le riusciva meglio. Doveva essere pronta a qualsiasi evenienza.

In più, si sentiva nervosa e arrabbiata ultimamente, percepiva una certa rigidità nel corpo e nei movimenti, e quello era l’unico modo per scogliere un po’ la tensione.

Si era imposta di non indugiare in pensieri poco felici, ma il viso di Shura continuava a tormentarla, soprattutto nei sogni, quando abbassava le difese e i ricordi scorrevano nella sua mente come un film.

Si accorse di quanto i ricordi felici fossero più dolorosi di quelli tristi: svegliarsi e rendersi conto che si trattava di un sogno era devastante. Era impossibile farci l’abitudine. Ogni volta faceva male come la prima volta.

…cinque, sei, sette, otto…

Il suo pensiero si spostò su Eileen. Era preoccupata per lei e furiosa con il suo compagno. Vedere la sua amica allo stremo delle forze, mentre soffriva perché dubitava della fedeltà di Roman, l’aveva turbata e inspiegabilmente si era immedesimata in lei.

O meglio, una spiegazione c’era.

Chissà come mai c’entrava una certa bionda in compagnia di Shura al quartier generale. Solo a pensarci le era venuto il voltastomaco e subito se l’era presa con Roman, mettendosi nei panni di Eileen, aveva scagliato su di lui tutta la sua ira.

Sapeva di aver esagerato, era famosa per la sua impulsività, ma non era del giusto umore per scusarsi, doveva ancora sbollire la rabbia.

E per questo aveva deciso di risvegliare i muscoli dal loro letargo.

Si era allontanata volutamente da Ziki, con la scusa di volersi allenare in solitudine, ma in realtà voleva evitare che indovinasse il motivo del suo malumore.

In sua compagnia, si sentiva spesso un libro aperto. Era un maledetto veggente con i superpoteri. Era cosciente di aver semplicemente ritardato il confronto.

“Eccoti! Se ti conoscessi da più tempo, direi che ti stai nascondendo da me”

Parli del diavolo.

“Ma dato che ci conosciamo solo da alcune settimane, preferisco pensare che hai bisogno di rafforzare quei due pezzettini di carne che ti ritrovi” scherzò Ziki, indicando i suoi muscoli ricoperti di sudore.

Impegnata in ciò che stava facendo, decise di rispondergli alzando gli occhi al cielo. Ma si limitò a quello, ignorandolo.

“Okay, ora inizio a propendere per la prima opzione e questo sai che significa?” chiese lui, senza alcuna intenzione di mollare.

“Che mi lasci in pace?” domandò Mala, stiracchiando i muscoli, pronta per la sua solita corsettina.

Aveva già il fiato corto, sintomo che era fuori allenamento.

Avrebbe voluto essere più sarcastica, ma la fatica e lo sforzo a malapena le permettevano di rispondergli.

Percepì una goccia di sudore scenderle lungo la schiena.

“Ammiro il tentativo, ma no. Ora mi hai incuriosito, e voglio assolutamente sapere il motivo per cui mi stai evitando” incrociò le braccia, e appoggiò parte del fianco sinistro ad un tronco.

Mala non lo conosceva da molto tempo, ma qualcosa le diceva che era un osso duro. La posizione che aveva assunto era molto eloquente: aveva appena iniziato.

“Non ti sto evitando. Ti avviso che tra poco inizierò la mia solita corsa, quindi, se vorrai parlarmi, dovrai stare al passo” gli comunicò, accennando un mezzo sorriso. Le costò una fatica immensa.

“Sto ancora aspettando” le riferì, senza alcuna traccia di divertimento.

A quanto pare, la conversazione si era spostata su toni seri.

Io ci ho provato.

Smise di riscaldarsi e si girò a guardarlo. Ora aveva tutta la sua attenzione.

“Non ce l’ho con te, ma sono preoccupata per Eileen e sono abbastanza incazzata con tuo fratello” spiegò lei, riducendo le sue emozioni in un’unica frase.

Non aveva intenzione di tirare in ballo Shura. Il fatto che non sapesse della sua esistenza l’aiutava a non doverne per forza parlare.

“Perché saresti preoccupata per Eileen? È una lupa grande e grossa e sa badare a se stessa. In più, mio fratello ci tiene a lei e farà sì che non le accada nulla. Questo ci porta al motivo numero due.” 

Mala si morse la lingua: doveva mantenere il segreto dell’amica e si impose di non controbattere, sebbene le costasse una grande fatica.

“Mio fratello ci tiene a lei, non la tradirebbe mai, sebbene ci siano stati dei trascorsi con Tara” spiegò senza alcuna esitazione.

Era certo che Roman non avrebbe mai fatto del male ad Eileen intenzionalmente.

“Wow, finalmente stai vuotando il sacco. Perché non hai informato Eileen dicendole che le sue paure non erano del tutto infondate? Sentivo che la cosa puzzava di bruciato!”

La rabbia era riaffiorata e tutto il lavoro che aveva fatto per domarla, era svanito in pochi secondi.

“Non spetta a me dirlo, non tocca a noi intrometterci nelle relazioni altrui” continuò Ziki, senza alzare il tono della voce, a differenza di Mala.

“Questo è un altro modo per lavarsi le mani. Vedi che fine ha fatto Eileen, proprio perché hai alzato bandiera bianca” si asciugò il sudore sulla fronte con il dorso della mano.

Stava squagliando, sentiva la temperatura corporea salire nonostante fosse ferma, immobile.

“I ficcanaso non fanno mai una bella fine e io sinceramente non voglio far parte del club. Accomodati pure, ma io non ci sto” con i pugni chiusi, abbandonò la posizione rilassata che aveva assunto, per ritornare sui suoi passi, senza darle la possibilità di controbattere.

Prima che Mala potesse aggiungere altro, Ziki si girò, la interruppe puntandole il dito contro: “Non ti permetto di parlare così di mio fratello, non lo conosci, non hai idea di che persona meravigliosa sia, quindi tieni i tuoi commenti per te” suonò quasi come una minaccia e poi con agilità scomparve tra gli alberi della foresta.

Freddata dalla quella nuova versione di Ziki, Mala odiò non aver potuto avere l’ultima parola.

Era impossibile quantificare quanto fosse incazzata con lui, ma sotto sotto provò una punta di invidia nel constatare quanto i due fratelli fossero legati.

Ziki l’aveva difeso a spada tratta dall’inizio alla fine della loro accesa discussione.

Questo non significava che non aveva voglia di strozzarlo. Il suo modo di trattarla come una bambina le ricordò quanto le dava fastidio.

È il momento giusto per iniziare correre.

Subito il pensiero si tramutò in azione.
 
 
Nel frattempo…
 
Ziki ribolliva dalla rabbia.

Aveva cercato di mantenere la calma, però era stato più difficile del previsto.

La prima volta che aveva conosciuto Mala, subito aveva notato il fuoco bruciarle dentro.

Col tempo, aveva iniziato ad apprezzare il suo carattere, la vitalità che la contraddistingueva dagli altri.

Standole accanto, era riuscito ad ottenere un assaggio di quel “fuoco” che aveva intravisto.  

Tuttavia, non si aspettava di ricevere un assaggio di tutt’altro tipo.

La fiamma poteva dar vita ad un incendio, e scottarsi era un’opzione che non aveva preso in considerazione.

Maledizione a lei.

Imprecò nella sua testa, mentre avanzava nella foresta, senza meta.

D’un tratto, ebbe la percezione di non essere più solo.

Non aveva sentito alcun rumore, era più che altro una sensazione.

Chiunque mi stia osservando, è maledettamente bravo a non farsi sentire.

Pronto a trasformarsi, Ziki chiuse gli occhi e inspirò, nel tentativo di fiutare qualcosa.

Odore di castagne, cuoio e…limone.

Captò la direzione da cui proveniva quel profumo e incontrò due occhi azzurri, ad un’altezza più bassa della sua.

Un estraneo.

Subito il suo primo pensiero fu Mala.

E se fosse ferita?

Il nuovo arrivato uscì allo scoperto e senza pensarci due volte Ziki iniziò a correre nella direzione opposta.

Qualcosa mi dice che si tratta di un guerriero. Se ben addestrato, sarebbe imbattibile.

Doveva assolutamente assicurarsi che Mala fosse sana e salva.

Per aumentare la distanza tra loro, fu costretto a trasformarsi.

Una volta lupo, abbandonò a malincuore i vestiti per terra e si mise sulle tracce della ragazza.

Percepiva l’estraneo stargli alle calcagna e così accelerò, provando a seminarlo.

D’un tratto, i polmoni iniziarono a lamentarsi, ricordandogli della malattia che lo affliggeva sin da piccolo.

Nessuno aveva mai compreso se fosse o meno ereditaria e inutile dire che nessuno aveva mai trovato una cura.

Ci avevano provato.

Per uno strano scherzo del destino, i suoi polmoni si deterioravano più velocemente del previsto, rendendogli assolutamente impossibile fare molte cose che i suoi coetanei facevano normalmente, tra cui correre. 

Ziki non aveva mai accettato questa sua debolezza e il fatto che stesse correndo, ne era la prova.

Un bruciore lancinante lo costrinse a fermarsi, non aveva alternative.

Sono fottuto.

Maledì se stesso e la sua malattia: la sua debolezza.

Proprio mentre si accasciava a terra. Iniziò a boccheggiare in cerca di aria, il volto assunse un colore violaceo.

In disperato bisogno di ossigeno, ritornò in forma umana, mentre la vista pian piano iniziò ad abbandonarlo.

Dal nulla, spuntò nella sua visuale, il volto di un ragazzo dai capelli marroni e ondulati, occhi azzurri.

Almeno ho visto la faccia del mio assalitore.

Pensò Ziki ironicamente, ad un passo dal perdere i sensi.

“Svegliati! Non chiudere gli occhi, guardami, maledizione, GUARDAMI!” lo esortò l’estraneo con tono perentorio.

A quel comando, Ziki non poté che ubbidire, sebbene la voce apparisse come un’eco lontana. 

Controvoglia riaprì gli occhi, e si accorse che il ragazzo si trovava a cavalcioni su di lui e gli aveva circondato il viso con le mani.

“Okay, ora rimani sveglio, bravo così” lo incoraggiò, spostandosi successivamente lontano dalla sua visuale.

Poi, come se non pesasse niente, lo sollevò muovendosi verso destra. Braccia forti e solide lo teneva ancorato al suo petto.

Percepì nuovamente quel profumo misto di cuoio e limone. Ne respirò in grande quantità, dimenticandosi del dolore ai polmoni.

Si lamentò involontariamente e con difficoltà avvicinò la mano al petto.

“Siamo quasi arrivati, resisti” gli sussurrò all’orecchio il ragazzo, mentre lo adagiava di nuovo per terra.

Il tono perentorio era sparito, sostituito da una voce calda e piacevole. Quasi morbida al tatto.

Ancora mezzo intontito, capì il perché di quello spostamento solo quando l’acqua gli bagnò le labbra.

Assettato, avvicinò di più la fonte alla bocca, ingurgitando più acqua del previsto.  

Iniziò a tossire, maledicendosi.

“Piano, oppure soffocherai” un braccio gli circondò le spalle e lo aiutò a mettersi seduto, espellendo le ultime gocce d’acqua che gli erano andate di traverso.

Con difficoltà, riaprì gli occhi mettendo a fuoco il suo salvatore.

Prima di dire qualsiasi cosa, aveva bisogno di altra acqua per rimettere in moto le corde vocali.

Il respiro era tornato quasi alla normalità. Il bruciore era diminuito e il petto si alzava e abbassava seguendo un ritmo cadenzato.

“Acqua…” sussurrò con voce roca.

Il ragazzo fu più efficiente di quanto si aspettasse e con le mani a coppa, prese un po’ di acqua dal ruscello e le avvicinò alle sue labbra.

Ziki era troppo debole per procurarsela da solo, quindi accettò senza fiatare. Offrire acqua o cibo dalle proprie mani era un gesto molto intimo, sintomo di un forte legame tra i due interessati.

Decise di non pensarci, dopotutto non era mai stato bravo a rispettare le tradizioni. Non aveva senso darci peso ora.

Sebbene riuscisse a respirare regolarmente, si sentiva spossato, come se gli avessero prosciugato le forze, un effetto collaterale della sua malattia.

Tuttavia, riuscì a mettere a fuoco l’ambiente circostante, compreso il ragazzo dagli occhi azzurri.

Solo allora si accorse che erano entrambi nudi.

Per due uomini lupi rappresentava la normalità, eppure non riusciva a nascondere un certo imbarazzo e preoccupazione nell’essere completamente esposto, senza alcuna protezione.

Aveva sempre considerato i vestiti come una armatura, oltre che una forma di espressione. Si sentì meno a disagio nel constatare che anche lui non indossava nulla addosso.

Certo, il suo fisico era niente in confronto a quello del ragazzo che aveva di fronte.

Ogni parte del corpo sembrava scolpita nel marmo. 

Si vedeva che si allenava da molto tempo: muscoli ben definiti, pelle abbronzata, alto quanto Roman, i capelli marroni ondulati folti non era né corti, né lunghi. Alcune ciocche al sole tendevano al dorato.

Sul viso spiccava il naso aquilino, la mascella spigolosa e i grandi occhi azzurri che non facevano altro che scrutarlo.

Lo sguardo dello sconosciuto non era più concentrato sul suo volto, ma indugiava sul suo corpo, mantenendo un’espressione corrucciata.

Ancora intontito, solo dopo qualche secondo realizzò che stava osservando le sue cicatrici.

Un forte istinto di nasconderle lo travolse e provò a coprirle con le braccia, ma non riusciva a trovarle.

La stanchezza giocava brutti scherzi.

Stava per invitarlo “cortesemente” a smettere di fissarle, quando gli occhi azzurri furono attirati da altro: il piercing al capezzolo.

Si ricordava perfettamente il giorno in cui aveva deciso di farselo. Aveva provato dolore, ma ne era valsa la pena per tenere a freno le sue emozioni.  

L’espressione corrucciata del suo salvatore scomparve.

Stava trattenendo il respiro, poteva percepirlo. Come poteva percepire la carezza del suo sguardo.

Si morse il labbro e a malapena riuscì a trattenere un gemito.

Ma che diavolo…?

Sentendosi osservato, gli occhi oltremare incontrarono i suoi.

Non aveva mai visto degli occhi così azzurri. Sembravano volergli comunicare qualcosa, ma non riusciva a capire cosa.

Questa cosa iniziò ad irritarlo. Solitamente era bravo a comprendere i pensieri e le emozioni della gente.

“Credo che dovrei ringraziarti…” disse Ziki alla fine, schiarendosi la voce, tentando di uscire da quel silenzio imbarazzante.

Il braccio del ragazzo ancora gli circondava le spalle e i corpi si trovavano a pochi centimetri di distanza.

Riusciva a percepire perfettamente la solidità dei suoi muscoli. Neanche per un momento, lo aveva sentito lamentarsi o tremare per il troppo sforzo. E lui non era esattamente una piuma.

“Prego” rispose in maniera educata. Sembrava indeciso sul da farsi, dopotutto erano due sconosciuti che si trovavano nudi, a pochi centimetri di distanza.

“Ti avviso che se mi lasci andare, è probabile che cadrò a peso morto” rise, provando a metterlo a suo agio.

Solitamente l’umorismo lo aiutava in questo genere di situazioni.

“Sei malato?” domandò l’altro senza troppi giri di parole. Il calore della sua voce stonava con la schiettezza di quelle parole.

Ziki sussultò e non riuscì a nasconderlo. Abbassò lo sguardo e provò ad issarsi sui gomiti, ma le braccia non volevano saperne di collaborare.

Per poco non scivolò di faccia a terra, ma il suo salvatore fu più veloce e lo afferrò prima che ciò accadesse. Ziki finì per poggiare entrambe le mani sui suoi pettorali, mentre il braccio del ragazzo gli circondò la vita.

Wow, che muscoli, toccarli fa ancora più impressione.

Nel momento in cui incontrò il suo sguardo, stranamente si sentì più nudo di quanto già era, sebbene fosse concretamente impossibile.

Almeno fisicamente.

“Mi servirebbero i miei vestiti” affermò imponendosi di concentrarsi sulle cose essenziali “non li ho lasciati troppo lontani da qui”.

Per la prima volta, riuscì ad interpretare un’emozione sul viso dello sconosciuto: era palesemente sorpreso.

“I tuoi vestiti? Saranno ridotti in brandelli” gli spiegò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Non i miei vestiti” affermò Ziki con orgoglio “Va’, cercali e poi ne riparliamo.”

Il ragazzo non sembrò convinto, forse aveva paura di lasciarlo solo. Quasi rimase commosso dal suo interesse.

Quasi.

Gli occhi azzurri scrutarono l’ambiente circostante e poi, con la stessa facilità di prima, lo sollevò da terra, dirigendosi verso un albero.

“Non c’è bisogno che mi sollevi, posso camminare” si lamentò Ziki, chiaramente a disagio.

Prima che potesse rispondergli, il ragazzo agì: gli fece appoggiare la schiena sul tronco di un albero e si allontanò alla ricerca dei suoi vestiti.

Quando gli diede le spalle, Ziki non poté non notare il suo lato B: anche quello sembrava scolpito nel marmo.

Possibile che non abbia alcun difetto?

Una volta solo, iniziò a riflettere con lucidità: chi era quello sconosciuto? Era una minaccia?

Se avesse voluto, mi avrebbe lasciato morire.

Sapeva della sua malattia e questo poteva rappresentare un problema. Soprattutto perché poche persone nel branco ne erano a conoscenza. Si potevano contare sulla punta delle dita.

In più, aveva visto le sue cicatrici.

Che disastro.

Più veloce del previsto, il suo salvatore tornò stringendo tra le mani i suoi vestiti. Un’espressione di incredibilità sul viso: “Non ci posso credere, ma com’è possibile?”

“Niente è impossibile, li ho creati io. Ci sono voluti anni e ancora li sto perfezionando. Li ho battezzati come abiti-lupo” allungò le braccia, accogliendo le sue creazioni.

“Assurdo, è un’idea geniale” per la prima volta, lo vide sorridere, fino ad illuminarsi gli occhi. Gli sembrò più giovane e anche più bello, spensierato.

Con qualche difficoltà, Ziki indossò le mutande e il maglione. Poi prese i pantaloni e glieli passò: “Ti staranno un po’ corti…”

Il ragazzo li guardò poco convinto, ma poi decise di accettarli.

Effettivamente non erano della giusta misura. Per poco, non scoppiò a ridergli in faccia, notando le caviglie scoperte.

“A proposito, come ti chiami, mio salvatore?” domandò prendendolo in giro, curioso di sapere finalmente il suo nome.

“Noah?”

La voce di Mala attirò l’attenzione di entrambi, sudata e con la treccia scompigliata, guardava incredula il suo salvatore.

Si conoscono?

“Cosa ci fai qui?” gli chiese tra lo sgomento e il nervosismo.

“Sono venuto a cercarti” fu la sua risposta concisa ed eloquente del ragazzo.

O meglio, di Noah.  

Sì, si conoscono.  





Eccoci ad un nuovo appuntamento del Voice Day

Oramai ci sto prendendo gusto a concludere i capitoli sul più bello, è quasi diventata una droga, dovete scusarmi. 

Non sapete da quanto tempo avevo in mente questa nuova ship! Il mio piccolo Ziki merita una bella storia d'amore e come potevo non accontentarlo? <3

Non sembra vero, ma siamo già arrivati al 40° capitolo! Non ho idea di quanto la storia sarà lunga (in termini di capitoli), ma spero che non sia un problema e che continuiate a seguire la storia con interesse. 

Un abbraccio forte forte, 

alla prossima!

Helen

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Capitolo 41
*** Negazione ***


“A cercarmi? Ma sei fuori di testa?” domandò Mala sorpresa di avere davanti a sé il suo compagno di allenamento.

È un miraggio?

Stranamente la malattia non lo aveva debilitato come pensava, il suo corpo aveva reagito efficacemente, rimanendo in forma smagliante.

La tartaruga sul petto dimostrava che non aveva mai smesso di allenarsi.

A differenza tua.  

La riprese la sua coscienza.

“Appena mi sono rimesso in forze, sono partito e ora sono pronto a riportati al branco” spiegò lui, senza mezzi termini.

Gli occhi azzurri erano in attesa di una sua reazione. Mala non sapeva cosa dire o fare.

Doveva molto a Noah: era stato in grado di strapparle una risata ogni qualvolta era depressa a causa di Shura. Ora era di nuovo in debito con lui dato che era andato a cercarla, rischiando la pelle.

Tuttavia, non poteva tornare.

Se fosse tornata, avrebbe dovuto pagare le conseguenze di tutte le sue azioni ed era l’ultima cosa che voleva.

Codarda.

“Fiocco di neve, non puoi rimanere qui, non appartieni a questo posto” la esortò lui, con dolcezza, leggendo sul suo viso l’indecisione.

“Fiocco di neve?” si intromise Ziki che era rimasto ad osservare la scena in silenzio, ancora seduto per terra, appoggiato all’albero.

Una leggera nota di sarcasmo emerse dalla sua domanda.

Noah si girò fulminandolo con lo sguardo, mentre Mala si accorse solo allora che avevano uno spettatore.

Era il momento delle presentazioni.

“Ziki, lui è Noah, il mio compagno di allenamento. Noah, lui è Ziki, il figlio del capobranco” spiegò con fare sbrigativo.

Infastidito di essere stato etichettato come “il figlio del capobranco”, Ziki provò a rialzarsi in piedi per protestare, fallendo miseramente.

Prima che cadesse nuovamente per terra, due braccia solide e forti lo trattennero, evitandogli un’ennesima brutta figura.

Davanti a Mala, naturalmente.

Perché con Noah era riuscito a perdere la faccia nel giro di pochi minuti: l’aveva visto nudo come un verme e in procinto di soffocarsi.

Peggio di così non può andare.

L’odore di cuoio e limone accese di nuovo i suoi sensi: era incredibile come ormai gli era familiare.

Sentì un leggero formicolio lungo le braccia, mentre ritrovava l’equilibrio perso.

Non era una sensazione sgradevole, tutt’altro.

Da quando gli erano state inferte quelle numerose cicatrici sparse per il corpo, Ziki aveva smesso di agognare il tocco altrui.

Qualsiasi contatto lo metteva a disagio, tanto da recargli dolore fisico. Eppure, con Noah, non era successo nulla di tutto ciò.

Era convinto che non sarebbe stato più in grado di provare piacere sfiorando, toccando un altro essere umano e invece, doveva ricredersi. 

Quella rivelazione lo colpì come un cannone, facendogli perdere il filo del discorso.

“Cos’hai?” chiese Mala confusa, dopo aver visto le sue gambe cedere.

“Niente, ho perso l’equilibrio” liquidò la questione Ziki, guardando di sottecchi il ragazzo accanto a lui.

Speriamo che non faccia cenno alla malattia, oppure sono fregato.

Gli occhi oltremare lo fissavano contrariati, ma stranamente non disse nulla.

Ziki tirò un sospiro di sollievo internamente.

“Allora perché lui ti sta mantenendo per il braccio?” chiese sospettosa, in cerca di una spiegazione.

Subito Noah lo lasciò andare, imbarazzato: le gote rosso fuoco.

Lo trovò adorabile.

Quasi.

Il profumo e il calore lo abbandonarono, lasciandogli un vuoto improvviso.

Innervosito, le rispose: “Fiocco di neve, fai troppe domande.”

“Guarda chi parla” lo riprese lei, sorridendo.

Ziki era felice che le cose tra loro fossero tornate alla normalità: ci teneva alla loro amicizia.

“Mala, possiamo parlare in privato?” chiese Noah, riportando la conversazione su toni seri.

Aveva smesso di guardarlo, dandogli le spalle, mentre concentrava tutta l’attenzione sulla ragazza.

Quella richiesta lo ferì.

Cosa ti aspettavi, idiota. Fanno parte di un altro branco, è normale che non sei incluso nella loro conversazione.

Lentamente si rimise in piedi e prima che venisse cacciato esplicitamente, esclamò: “Vado a cercarmi dei pantaloni.”

Non gli piaceva fare il terzo incomodo, avrebbe tolto il disturbo, se è quello che desideravano.

Che desiderava.

Si incamminò verso il suo laboratorio, cercando di gestire il suo animo inquieto, senza alcun risultato.

“Non ho intenzione di tornare” affermò subito Mala, una volta che Ziki scomparve tra gli alberi.

“Dovrai farlo, appartieni al nostro branco, sei un guerriero” la guardava come se stesse dando i numeri.

“Ora non lo sono più” sussurrò lei, distogliendo lo sguardo.

Si vergognava ad ammetterlo davanti al suo collega, la persona con cui si era allenata ogni giorno.

In sua presenza, aveva sempre ostentato sicurezza, ma ora si sentiva così piccola e insicura.

“Non ci credo, ti stai perfino allenando” disse lui, indicando il sudore che le imperlava la fronte.

“Non c’entra nulla, voglio solo tenermi in forma” affermò senza convinzione.

“Smettila di essere irragionevole e spiegami perché te ne sei andata. Tu e la tua amica vi siete lasciate un bel disastro alle spalle.”

“Ti ripeto: non sono affari tuoi. Né io e né Eileen vogliamo ritornare” era intenzionata a chiudere la questione in fretta, in modo che Noah potesse far ritorno al branco illeso.

“Finché non mi dirai cosa sta succedendo, non tornerò indietro.”

Rimase esterrefatta dalla sua risposta.

Non era passato molto tempo da quando lo aveva lasciato riposare in un letto d’ospedale, eppure, sembrava totalmente cambiato.

Qualcosa nel suo atteggiamento e nel tono.

Era più serio, più amareggiato.

Come se la vita lo avesse temprato, mettendolo di fronte a sfide troppo grandi per un ragazzo di diciott’anni.

“Noah…mi dispiace tanto per ciò che è successo, soprattutto per tuo padre…”

Non nominarlo, non c’entra nulla con la tua partenza” si scompose temporaneamente, deglutì con difficoltà.

“Sì, non c’entra nulla, ma mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto da solo…” le parole le morirono in gola, l’espressione sul viso del ragazzo la scoraggiò dal continuare a parlarne.

“Mi hai lasciato una misera lettera e te ne sei andata. Smettila di scappare dalle tue responsabilità” il tono piatto che utilizzò, la ferì più di un insulto urlatole in faccia.

“Preferivi che me ne andassi senza lasciare alcuna traccia?!” chiese ad alta voce. La pazienza si stava esaurendo.

“Avrei preferito che fossi più coraggiosa.”

Se qualcuno l’avesse ferita con un coltello, avrebbe fatto sicuramente meno male.

Gli occhi le si riempirono di lacrime e d’istinto gli diede le spalle.

Non voleva dargli la soddisfazione di vederla crollare.

Maledizione, sa benissimo dove colpire.

Noah sospirò sonoramente, ritrattando ciò che aveva appena detto: “Mala, io…Volevo provare a convincerti senza doverti rivelare che tuo padre è malato. Devi prendere il suo posto, il Consiglio non ha tempo di scegliere un successore tramite votazione.”

Sentendo quella notizia, non provò nulla.

Sebbene si trattasse di suo padre, il suo cuore non sussultò.

Vuoto totale.

Si aspettavano che avrebbe preso le redini, sedendo tra i pezzi grossi del branco, ma si sbagliavano.

Era certa che non poteva rappresentare il suo futuro. Non voleva diventare come suo padre.

Assente, cinica, senza cuore.

“Se pensi che questo possa convincermi a tornare, ti stai sbagliando. Io non ho un padre, per me è già morto da tempo” affermò, smettendo di dargli le spalle.  

Si accorse di quanto suonasse vera quella frase. Non aveva mai osato pronunciarla ad alta voce, ma dopo averlo fatto, si sentì più leggera.

Noah fu zittito momentaneamente, ma poi tornò all’attacco.

“Ciò non toglie che se qualcuno non prenderà il suo posto, si creerà il caos e lo sai anche tu.”

Mala rimase in silenzio. Non aveva tutti i torti, il rischio che scoppiasse una guerra civile era dietro l’angolo.

E poi c’era Shura.

Lui non avrebbe mai abbandonato il Consiglio e se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.

Devo tornare, non ho altra scelta.

Noah interpretò il suo silenzio come un ennesimo rifiuto e allora rincarò la dose.

“Dopo che te ne sei andata, Shura si è ammalato” sganciò la bomba, guardandola dritta negli occhi.

“COSA?”

Non poteva crederci, eppure avrebbe dovuto aspettarselo.

La paura per la sua incolumità la travolse, facendole aumentare le palpitazioni.

“Perché non me l’hai detto subito?!” gridò, stringendo i pugni. La rabbia e l’ansia le scorrevano nelle vene, creando un cocktail esplosivo.

“Proprio per questo motivo” spiegò riferendosi alla sua reazione “so quanto ci tieni a lui…” la frase rimase sospesa, presupponendo che ci fosse qualcos’altro.

“Parla! Non è questo il momento di rimanere in silenzio!”

Sull’orlo della disperazione, percepiva che Noah non le aveva rivelato tutto.

Le lacrime iniziarono a scendere, bagnandole completamente il viso.

Iniziò a tremare, pensando al peggio.

E se fosse morto?

Non era possibile, lo avrebbe percepito. Poteva percepire che era ancora vivo.

Ma allora perché era sull’orlo di un attacco di panico?

“Dopo che te ne sei andata, ha iniziato a dare i numeri ed è partito subito per cercarti, almeno da quello che mi hanno riferito i dottori” spiegò il ragazzo, avvicinandosi a lei.

Voleva consolarla in qualche modo, prima che concludesse il suo racconto.

Con gli occhi lucidi, la mano sulla bocca, Mala riuscì a malapena a trattenere i singhiozzi che le perforavano il petto.

È venuto a cercarmi, ma non è mai arrivato a destinazione.

Le gambe cedettero, costringendola ad inginocchiarsi.

Aveva paura di conoscere il resto della storia.

“L’hanno ritrovato svenuto per terra nel bosco e subito è stato ricoverato. Magicamente me lo sono ritrovato a fianco, allettato dove poco prima c’eri tu” aggiunse, dosando parola per parola.

Le venne in mente la stanza angusta, il letto troppo piccolo per contenere la stazza di Shura.

“Ce n’è voluto di tempo prima che si svegliasse, però non appena è successo, sono stati costretti a sedarlo. Non voleva saperne di stare fermo, doveva venire a cercarti a tutti i costi.”

Mala immaginò la sua disperazione, e per poco non vomitò lì, seduta stante.

Mi dispiace, Ru Ru, mi dispiace tantissimo.

La mano libera sradicò con violenza un fascio d’erba, stringendolo nel pugno. Era impossibile gestire il tremito che si propagò in tutto il corpo.

“Poi, una notte mi sono svegliato e non l’ho più visto. Era scomparso. Sul suo letto vuoto, c’era la lettera che mi avevi scritto. Lì, ho capito che l’aveva letta e ho immaginato che fosse venuto a cercarti.”

“Non…è mai… venuto” rispose lei, cercando di soffocare i singhiozzi. Le lacrime le offuscavano la vista.

Poi si focalizzò sulla lettera e provò a ricordarne il contenuto.

Oltre a scusarsi per la sua imminente partenza, aveva accennato vagamente al fatto che non c’era nulla che la trattenesse lì.

“Mala, Shura è il tuo compagno?” chiese lui, a bruciapelo, senza troppi giri di parole.

Si era abbassato alla sua stessa altezza, facendo leva sulle ginocchia. Inclinò la testa, cercando il suo sguardo e vi lesse la verità che fino ad allora aveva negato anche a se stessa.

“Ho il timore che non sia venuto a cercarti” spiegò, abbassando il tono della voce.

La mano grande e calda coprì il suo pugno, trasmettendole la forza di chiedere: “C-cosa te lo fa pensare?”

“Credo abbia interpretato la lettera come un chiaro rifiuto, sebbene non fosse indirizzata a lui” non era titubante, ma cercava di selezionare le parole con cura.

Mala alzò la testa di scatto: “M-ma non è possibile! Rifiutato? E poi come si permette a leggere le lettere altrui?!”

La tristezza venne sostituita temporaneamente dalla rabbia.

Non era lei ad averlo rifiutato, ma era lui che se la faceva con quella maledetta bionda!

“Sai cosa significa per un lupo essere rifiutati dalla propria compagna?” la smorzò lui, continuando il ragionamento.

Funzionò, il cuore di Mala mancò un battito.

Un brivido di terrore le attraversò la colonna vertebrale.

Cosa ho combinato?  

Anche lei aveva sofferto come un cane al quartier generale, però nel suo caso, mente e cuore non si erano mai accordati riconoscendo Shura come suo compagno.

“Mi sono documentato prima di venire qui per riferirtelo. Non è qualcosa che capita molto spesso…” per la prima volta Noah sembrava in difficoltà.

Allontanò la mano dalla sua e ritornò in piedi, sospirando sonoramente.

Mala trattenne il respiro.

“Ho paura che sia entrato nella fase di negazione: un lupo smette di vivere in branco, si isola e decide di morire.”

Il viso di Shura le comparve chiaro e limpido nella mente.

Torna a casa, le aveva detto e lei aveva fatto esattamente l’opposto.

Aveva condannato entrambi all’infelicità.

Forse, dopotutto, assomigliava a suo padre più di quanto immaginasse: senza cuore.

Ma allora come mai sentiva dolore proprio lì, nel petto?

Non esisteva un solo ricordo del suo passato che non includesse Shura.

Lui era sempre stato lì per lei, nei momenti tristi e felici. 

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Lo sguardo perso nel vuoto, sussurrò a bassa voce, più a se stessa che a Noah: “Shura è la mia famiglia. La mia unica famiglia.”

Mentre suo padre era occupato ad amministrare il branco, Shura era riuscito a fare entrambe le cose: prendersi cura del branco e di lei, diventando il suo unico punto di riferimento.

“Non può morire…non deve, MALEDIZIONE!” gridò, rialzandosi in piedi.

Un urlo animalesco e viscerale risuonò nel silenzio della foresta. Con i pugni stretti e il busto piegato in avanti, Mala si trasformò dando sfogo a tutta la frustrazione accumulata.

Il lupo dal pelo bianco corse via, sorpassando il ragazzo che aveva assistito a quella manifestazione di dolore, in silenzio.

Decise di lasciarla andare.

Vederla soffrire era l’ultima cosa che voleva, ma non aveva avuto scelta. Meritava di conoscere la verità.

A che prezzo, però.

Si sistemò i capelli con entrambe le mani, un’abitudine sintomo di nervosismo. Strinse i pugni e si impose di ritornare a respirare.

Rilassò i muscoli e chiuse gli occhi.

Era terrorizzato all’idea di lasciar spazio al dolore, di simpatizzare con la sofferenza dell’amica. Dopo la morte di suo padre, aveva deciso di non farsi più sopraffare dalle emozioni.

E con pazienza e dedizione, ci stava riuscendo.

Un odore nuovo entrò nel suo raggio d’azione. Ebbe la conferma di non essere solo quando udì un fruscio alle sue spalle.

Non riuscì neanche a girarsi che un uomo lo attaccò alle spalle, cogliendolo impreparato.

Pronto ad accusare il colpo, fu sorpreso dal percepire le braccia dell’aggressore sfiorargli la schiena, ma nulla di più.

Udì un tonfo e di scatto, si girò. Rimase sorpreso da ciò che vide.

Un uomo alto, con la pelle color cannella e i capelli corvini steso per terra fissava con occhi spalancati Ziki che giaceva al suo fianco, anche lui per terra.  

“Ziki, cosa stai facendo?” chiese sorpreso, il suo aggressore.

Ma allora si conoscono.

“F-fa parte del branco dei Mei” spiegò Ziki, toccandosi la schiena indolenzita. Tossì, sentendo il bruciore ai polmoni ritornare.

Dopo aver recuperato i pantaloni, non aveva resistito ed era ritornato sui suoi passi.

Casualmente, si era ritrovato ad origliare la conversazione tra i due amici. Poche ore prima, aveva dato a Mala della “ficcanaso” e ora lui stava facendo lo stesso.

Era colpa di Noah, non riusciva a farsi i fatti suoi, quel ragazzo lo incuriosiva, volevo scoprire di più su di lui.

Aveva ascoltato le sue parole: ci teneva realmente a Mala, chiunque lo avrebbe notato.

Eppure, c’era qualcosa nella sua postura, nei suoi movimenti e nel suo tono che gli suggerivano che in Noah c’era molto di più di quanto lasciava intendere.

Origliando, sperava di soddisfare in parte la sua curiosità, quando in realtà, si sentì ancora più insoddisfatto di prima.

Diventò avido di informazioni e così rimase fermo, immobile ad ascoltare ogni singola parola di quella conversazione. Smise perfino di respirare, pur di cogliere ogni sfumatura nella voce del ragazzo.

Alla fine, Noah aveva pronunciato il nome di un uomo e gli occhi di Mala si erano illuminati e subito dopo riempiti di disperazione.

Per la prima volta, l’aveva vista sotto una luce diversa.

Si trattava sicuramente del suo compagno.

Arrivato a quella conclusione, si aspettò di sentire una qualche forma di dolore o disagio dentro di sé, ma si ritrovò semplicemente a dispiacersi per l’amica.

In quei giorni, aveva spesso riflettuto sul suo rapporto con Mala e su ciò che sarebbe potuto diventare. Non gli dispiaceva stare al suo fianco, la trovava di ottima compagnia e anche lei sembrava a suo agio.

In più, era la persona più interessante che avesse conosciuto, finché un ragazzo dagli occhi oltremare non era piombato nella sua vita.

Sentì un leggero tocco sulla spalla che lo fece trasalire, distraendolo da quelle riflessioni.

Era così immerso nei suoi pensieri che non si era accorto di sua sorella. Con passo felpato, si era avvicinata a lui, cogliendolo in flagrante mentre origliava una conversazione che avrebbe dovuto essere privata.

Mi hai spaventato. 

Mimò lui con la bocca, cercando di riprendersi dallo spavento di prima.

Ziki non sapeva definire il suo rapporto con Genny.

Era stato parecchio altalenante durante gli anni e alla fine aveva deciso di smettere di impegnarsi per farlo funzionare.

Nel momento in cui si era arreso, i loro incontri si erano fatti meno imbarazzanti e complicati.

Era perfettamente cosciente del forte legame che univa Genny ed Arthur. Erano il tipo di persone che comunicavano con lo sguardo, senza bisogno di aggiungere altro.

Non condivideva lo stesso sangue dei suoi fratelli, per questo non aveva aspettative.

E il sangue contava molto nel loro branco.

In più, aveva passato l’infanzia e parte della adolescenza, lontano da loro. Suo padre aveva sempre detto di avere grandi progetti in serbo per lui.

Ci aveva creduto finché non aveva scoperto della sua malattia.

Il mondo gli era crollato addosso.

Lentamente Genny si avvicinò, e con tocco leggero mosse le dita sul palmo della sua mano, comunicando con lui nell’unico modo che conosceva.

Ancora non si era deciso ad imparare la lingua dei segni.

Avendo passato la maggior parte del tempo lontano dagli altri, compresi i suoi fratelli, non ne aveva mai visto il bisogno. 

In quel momento, rimpianse di non averlo fatto.

Cosa stai facendo?

Gli chiese Genny, interrompendo il contatto tra le loro mani.

Ziki rispose avvicinando l’indice al naso, invitandola a fare silenzio. Non aggiunse altro, evitando di proposito la domanda.

Si girò, riportando l’attenzione sui due ragazzi.

L’urlo di Mala gli fece accapponare la pelle. Con il fiato sospeso, la vide trasformarsi e scappare via.

Scorse il dolore negli occhi oltremare, ma subito lo vide impegnarsi per mascherarlo.

Uno strano impulso gli fece venir voglia di andare lì, a consolarlo.

D’un tratto, fu distratto da un movimento in lontananza e con la coda dell’occhio, scorse tra gli alberi una sagoma.

Suo fratello in posizione di combattimento, era nascosto, pronto ad attaccare l’intruso.

Non ci pensò due volte: iniziò a correre verso di lui, catapultandosi addosso ad Arthur, placcandolo con tutto il peso del corpo.

Sebbene fosse sorpreso, il fratello fece da scudo con il proprio corpo, evitandogli in parte il dolore della caduta.

Nonostante ciò, i polmoni iniziarono di nuovo a bruciare per lo sforzo. A stento riuscì a soffocare la tosse.

Arthur lo guardò come se fosse impazzito: di proposito evitò gli occhi color miele.

Lui stesso non si capacitava delle sue azioni. Dopotutto, Noah non stava rischiando di morire, conosceva suo fratello e la sua intenzione era quella di neutralizzare l’intruso.

Non di ucciderlo.

Doveva recuperare un minimo di compostezza. Ed ecco perché gli rispose con la prima scusa che gli venne in mente, giustificando le proprie azioni.

Genny uscì dal suo nascondiglio e senza alcuna esitazione, aiutò Arthur ad alzarsi da terra, mentre rivolgeva uno sguardo omicida all’altro fratello. 

Mi sta maledicendo, non c’è neanche bisogno che parli.

Pensò Ziki, rimanendo seduto a terra. Aveva paura di avere un altro capogiro, attirando così l’attenzione di tutti.

Per tutto il tempo, aveva percepito lo sguardo di Noah su di sé, ma volontariamente aveva deciso di non ricambiarlo.

Aveva il timore che i suoi occhi rivelassero troppo.

Conosceva il ragazzo da poche ore e già sentiva l’istinto di volergli salvare la vita.

Assurdo.

“So chi è lui…” disse Arthur, spezzando il silenzio. Sembrava sul punto di aggiungere altro, ma l’unica cosa che fece fu incenerire con lo sguardo il nuovo arrivato.

“Eileen?” chiese Noah, ignorando totalmente l’uomo davanti a sé.

Aveva scorto tra gli alberi un volto familiare. Per tutto il tempo, Eileen era rimasta nascosta, come le era stato ordinato dal suo compagno.

Poi, però, aveva sentito del trambusto ed era uscita allo scoperto.

Non si sarebbe mai immaginata di trovare davanti a sé un membro del suo branco.

Era felice di vedere che Noah si era ripreso alla perfezione. Il ragazzo era sempre stato gentile con lei e di conseguenza provava una certa simpatia nei suoi confronti.  

Eileen annuì più volte, e contenta di vederlo sano e salvo, tirò fuori il blocchetto e la penna pronta a comunicare. Scarabocchiò qualcosa e si avvicinò per mostrarglielo.

Di scatto, la mano del suo compagno la bloccò per il braccio, impedendole di avanzare ulteriormente.

Eileen lesse la paura e la diffidenza nei suoi occhi. Tuttavia, segnò alcune parole che bastarono a fargli allentare la presa.  

Non troppo convinto, la lasciò andare, rimanendo comunque incollato alla sua schiena. Lo sguardo torvo non era scomparso.

Teneva d’occhio qualsiasi movimento del nuovo arrivato.

“Ho appena parlato con Mala, dovete…” Noah lasciò la frase in sospeso incontrando gli occhi color miele infuocati, ma alla fine decise di concluderla lo stesso: “…tornare al branco.”

Un ringhio cavernoso provenne dalle spalle di Eileen, la quale decise di ignorarlo e scrisse la propria risposta sul taccuino.

Il mio compagno è qui, non posso tornare.

Noah abbassò gli occhi per leggere la risposta, ma poi gli rialzò subito rispondendo alle minacce silenziose del suo aggressore.

“Ora è tutto più chiaro del perché vi trovate qui” affermò, guardando la coppia di fronte a lui.

“Mala è scappata nel bosco, ha sicuramente bisogno di… un’amica” aggiunse subito dopo, rivolgendosi ad Eileen.

La ragazza annuì e scrisse qualcosa, prima di allontanarsi, insieme al suo compagno.

Tra un’ora ci incontriamo qui per decidere il da farsi. Non avventurarti, rimani al fianco di Ziki.  

Solo allora Noah si accorse che la ragazza con il caschetto nero era scomparsa.

Con suo enorme dispiacere, era rimasto solo con Ziki.

Per qualche motivo, la sua presenza lo metteva a disagio. Sentiva che tutti i progressi fatti per gestire le sue emozioni, stavano andando a farsi benedire.

In più, voleva ritornare al branco il prima possibile.

Al contrario, Ziki sembrava totalmente a suo agio. Seduto per terra, lo guardava con un sorriso smagliante.

Ammirava il modo in cui quel ragazzo così giovane era riuscito a tenere testa a suo fratello.

Non è da tutti.

“A quanto pare, dovrai goderti la mia presenza” piegò la testa di lato, continuando a scrutarlo.

A disagio nel ricevere tutta quella attenzione, Noah gli fece notare che aveva le ginocchia sbucciate.

“Che peccato! I miei poveri pantaloni si sono strappati ed erano nuovi di zecca” mise il broncio ed infilò il dito nella fessura del tessuto danneggiato, ignorando totalmente il sangue che fuoriusciva dalle ferite.

È proprio un tipo strano.

Si ritrovò a pensare Noah, forzandosi di non sorridere.

Prima che potesse inventarsi una scusa per filarsela, Ziki lo precedette.

“Si sono rotti a causa tua, dovrai trovare un modo per ripagarmi” affermò con un sorriso sornione stampato sul viso.
 
Sta scherzando, vero? 




Buon Voice Day a tutti/e!

Spero di trovarvi bene. Sto lavorando a questo capitolo da un po' di tempo e non mi sembrava mai pronto per essere pubblicato. Come avrete notato, è pieno di rivelazioni e nuove informazioni sui personaggi e volevo dar loro il giusto spazio, senza dimenticare nessuno. 

Mi sa proprio che è arrivato il momento per Mala di fare i conti con ciò che si è lasciata alle spalle, ahimè. I nodi vengono sempre al pettine. 

Ringrazio chiunque abbia speso del tempo per leggere e recensire la storia. Ricevere i vostri feedback mi motiva tantissimo! Ringrazio i nuovi arrivati e i veterani che continuano a darmi fiducia. 

Vi abbraccio forte forte. 

Helen

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Capitolo 42
*** Storia ***


Dopo aver pianto per l’intero pomeriggio, Mala era stesa nel letto, supina e fissava il soffitto. Nonostante gli occhi gonfi e lo stress accumulato, non riusciva ad addormentarsi.

Il cervello continuava a macinare, senza darle tregua. I possibili scenari futuri si prospettavano disastrosi. Non si sentiva all’altezza di sedere tra i vertici del Consiglio e allo stesso tempo, non lo desiderava.

Però, per poter riabbracciare Shura, avrebbe affrontato qualsiasi cosa. Sarebbe tornata, costi quel che costi.

Desiderava solo che qualcuno le assicurasse che ce l’avrebbe fatta a ritrovarlo.

Prima che si lasci morire. 

Il battito cardiaco accelerato e l’adrenalina che le scorreva nelle vene erano la prova che era pronta per partire.

Stare lì, stesa nel letto, le sembrava una perdita di tempo.

Eppure, aveva promesso ad Eileen di partire l’indomani, con la mente sgombra e le idee più chiare.

Doveva prepararsi psicologicamente e fisicamente al suo ritorno: il branco non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Si era beccata due settimane di “prigionia” con Shura alle calcagna per essersi difesa contro i novelli, chissà cosa le avrebbero fatto dopo essere sparita per così tanto tempo.

Non importa la punizione che mi aspetta, voglio soltanto ritrovare Shura il prima possibile.

Doveva cercare di non lasciarsi divorare dai sensi di colpa, doveva rimanere lucida.

Per fortuna, almeno non era costretta ad affrontare il viaggio da sola: Noah si era offerto di rimanere al suo fianco finché ne avesse avuto bisogno.

“Fiocco di neve, sei più forte e più capace di quanto credi” le aveva sussurrato all’orecchio, prima di congedarsi, con la promessa di vedersi l’indomani, all’alba.

Lei non aveva risposto, era rimasta in silenzio, cercando disperatamente di aggrapparsi a quelle parole, ma oramai non credeva più a nulla.

Aveva iniziare a dubitare di tutto.

Di una cosa, però, era sicura: se Shura fosse morto, non se lo sarebbe mai perdonato.

Si girò di lato e guardò fuori dalla finestra.

La luna splendeva nel cielo sgombro di nuvole. Fuori non c’era un filo di vento, era una notte tranquilla.

Al contrario di lei.

Per quanto l’adrenalina le scorresse nelle vene, si sentiva priva di forze e di speranza come mai le era successo prima.

La forza e il vigore del suo lupo si erano affievoliti, rendendole faticoso perfino respirare.

Devo credere che andrà tutto bene.

Si ripeté più volte fino allo sfinimento.

L’alternativa non era contemplabile.

Intanto fuori dalla stanza, a qualche metro di distanza dalla porta, Eileen e Roman si godevano la reciproca compagnia.

Più passavano il tempo insieme, e più era difficile separarsi.

Il giorno successivo Eileen sarebbe stata presentata ufficialmente al padre come la compagna di Roman.

Ed era terrorizzata.

Se da una parte aveva paura di non piacergli, dall’altra era spaventata all’idea di non essere accettata.

In quel caso, come reagirebbe Roman? Cercherebbe di farlo ragionare?

Non era una giornata fredda, eppure, un brivido le attraversò la colonna vertebrale.

“Allora ho fatto bene a recuperare una coperta” disse Roman a cui non sfuggiva nulla. Si era allontanato per qualche minuto e lei non l’aveva neanche notato.

Alzò la testa, incontrando i suoi occhi caldi. Il sorriso spontaneo e la piccola fossetta le migliorarono subito l’umore, facendola sentire a casa.

Casa.

Era incredibile quanto non fosse il luogo, ma le persone accanto a lei a scatenarle quel tipo di emozione.

Aveva sempre percepito la foresta come casa sua. Il posto in cui poteva essere se stessa liberamente.

Ora, invece, tutto era cambiato.

Accanto al suo compagno, ai suoi amici, finalmente sentiva di far parte di una famiglia.

Una vera famiglia.

Seduta per terra, con le ginocchia al petto, Roman non ci mise molto a raggiungerla: trovò spazio alle sue spalle, facendo aderire i loro corpi. Schiena contro petto, coscia contro coscia, il mento appoggiato sulla sua testa.

Avvolse entrambi con la coperta, coprendo le mani di Eileen con le sue: come due magneti, le mani di lei si mossero, intrecciando le dita piccole e delicate a quelle calde e callose di lui.

Rilassata, appoggiò totalmente la schiena e alzò gli occhi al cielo. L’odore speziato del suo compagno le inebriò i sensi.

Desiderava che il tempo di fermasse in quel preciso istante. L’unico difetto di quel momento è che si sarebbe concluso prima o poi.

“Questo posto mi è familiare” affermò lui, interrompendo il silenzio della notte.

Confusa, Eileen alzò le spalle: non aveva idea a cosa si riferisse.

“La prima notte in cui hai dormito in questa stanza, mi trovavo proprio qui fuori. Ricordo di essere stato in fibrillazione: non sapevo se essere felice perché tu eri qui, o triste perché in prigione ti avevano trattato in quel modo…” strinse la presa sulle sue mani e respirò sonoramente, lasciando entrambi in balìa dei propri ricordi.

Eileen ricordò di aver provato la stessa identica cosa: era stata felice di costatare che il suo compagno era vivo e vegeto, ma allo stesso tempo, aveva temuto per la sua incolumità.

E quella di Mala.

Quella notte non era riuscita a chiudere occhio. Nel giro di poche ore, era stata sia in paradiso che all’inferno.

Trovandosi di spalle, e priva della capacità di parlare, solitamente era Roman a riempire i vuoti, ma stranamente non aprì più bocca. Dava l’idea di essere più pensieroso del solito.

Che anche lui fosse preoccupato per l’incontro di domani?

Seduto dietro di lei, le era impossibile guardarlo in faccia e interpretare la sua espressione.

Riusciva a percepire il suo battito cardiaco accelerato, e la rigidità del suo corpo, mentre le loro dita erano intrecciate in una presa d’acciaio.

Si era quasi convinta a girarsi per chiedergli cosa non andasse, quando iniziò a parlare: “Oggi voglio raccontarti una parte della mia storia” affermò, mantenendo un tono neutro.

Stava imparando a conoscerlo: percepiva un pizzico di ansia nella sua voce. Era chiaro che stesse compiendo un certo sforzo.

Avendo le mani occupate, si limitò ad annuire. Poteva prendersi tutto il tempo che voleva, avrebbe aspettato ore, giorni, settimane, mesi, pur di conoscere la sua storia.

“Come avrai capito, provengo da un altro branco. Ho vissuto con la mia famiglia fino all’età di 8 anni. Genny ne aveva 5 quando…”

Chiunque avrebbe potuto dedurre la conclusione della frase.

Immaginò i due bambini, la sofferenza nel perdere i loro punti di riferimento. 

Ironia della sorte, anche lei a 8 anni aveva subìto un trauma che le aveva cambiato la vita.

Eileen tentò di girarsi per guardarlo negli occhi e comunicargli almeno con lo sguardo la sua comprensione – dato che non poteva a parole – ma Roman aumentò la presa sulle sue mani: “No, preferisco rimanere così…è più facile parlarne…” spiegò, deglutendo più volte.

Non del tutto convinta, decise di assecondare il suo desiderio e ritornò nella posizione iniziale. Non le dispiaceva dopotutto: la solidità e il calore del suo corpo la facevano sentire protetta, amata.

Sotto le coperte, mosse il pollice accarezzandogli le vene in rilievo sul dorso della mano. Seguendo un ritmo cadenzato, sperò di infondergli il coraggio necessario per continuare il suo racconto.

“Io e Genny eravamo in casa, stavamo dormendo, i nostri genitori erano impegnati con il branco e capitava spesso che ci lasciassero soli. Ad un certo punto, ricordo solo che mi sono svegliato tossendo, in piedi sull’uscio della mia stanza, Genny piangeva e strillava. La casa era completamente in fiamme…”

Seguiva il racconto con il fiato sospeso. Sapeva che i due bambini sarebbero sopravvissuti, e questo la rincuorava.

Tuttavia, la storia aveva un retrogusto amaro.

La sofferenza che trapelava dalle parole di Roman era in grado di percepirla, come se fosse tangibile, parte di lei.

“In quel momento, non sapevo veramente cosa fare. Ricordo ancora la confusione, il sonno e tutto il fumo che ho inalato. Genny non smetteva di piangere, mentre la mia disperazione aumentava. Ho gridato più volte il nome di mia madre, invano.”

La sua voce aveva smesso di essere monocorde. Il tono divenne concitato: i ricordi iniziarono a riaffiorare, insieme al dolore.

Stava rivivendo tutto un’ennesima volta.

Eileen strinse i denti. Odiava vederlo soffrire, ma non voleva interromperlo e rischiare di perdersi il resto della storia.

Inoltre, parlarne poteva essere catartico per lui.

“Alla fine, ho preso Genny in braccio e mi sono avvicinato alla finestra. Il mio primo istinto è stato quello di saltare, non vedevo l’ora di uscire da quell’inferno” sospirò sonoramente e continuò: “ho stretto Genny al petto e mi sono lanciato. Non era alto, ce l’avrei fatta se non avessi avuto 8 anni…” lo sentì scuotere la testa e poi appoggiare la guancia sui suoi capelli rossi.

“Ho perso i sensi e mi sono risvegliato in un letto. Non era il mio, ero in una casa che non conoscevo, non c’era niente di familiare. Il mio primo pensiero fu Genny. Ero convinto di essere responsabile della sua morte e iniziai subito a piangere…”

Lo sentì sorridere tra i suoi capelli, probabilmente un sorriso dolceamaro.

“Sarà stato il mio pianto disperato ad attirare l’attenzione dei miei nuovi genitori. Subito si catapultarono in camera, provando a confortarmi. Ero inconsolabile…”

Questa volta rise con sincerità, ricordando la disperazione negli occhi dei suoi genitori adottivi. Avevano cercato in tutti i modi di sollevargli il morale.

“E poi d’un tratto smisi di piangere: vidi mia sorella seduta nell’altra stanza, mentre sfogliava un libro. Ricordo che ero così felice che iniziai a chiamarla a squarciagola, mentre la mia nuova mamma mi incitava ad abbassare la voce.”

Le dita di Roman si sciolsero dalle sue, circondandole la vita con le braccia.  

“Solo dopo ho scoperto che non poteva sentirmi…L’ho vista nascere, mettere i primi passi, pronunciare le prime parole. Non mi muovevo da nessuna parte senza di lei. I miei genitori l’avevano affidata alle mie cure e io…”

Un singhiozzo violento gli sconquassò il petto, interrompendo il racconto.

Non ce la faceva più: Eileen scostò la coperta e provò nuovamente a girarsi.

Era impossibile: le braccia di Roman la tenevano inchiodata a terra, vicino a sé, la fronte appoggiata tra le sue scapole, mentre piangeva silenziosamente.

Gli occhi di Eileen si riempirono a sua volta di lacrime, tutto divenne sfocato. Aveva bisogno di abbracciarlo, di rassicurarlo e dirgli che non era colpa sua.

Nulla di tutto ciò era dipeso da lui, da un bambino di appena otto anni.

Con una forza che non sapeva di avere, lo costrinse a lasciarla andare, riuscendo finalmente a guardarlo in faccia.

Non l’aveva mai visto così.

Le guance completamente bagnate e le lacrime incastrate nelle ciglia nere, come diamanti.

Qualcosa dentro di lei, si spezzò.

Fece leva sulle ginocchia, avvicinando il volto di Roman al suo petto. Come aveva fatto tempo prima nella foresta, lo strinse forte a sé, cullandolo dolcemente.

“I-io non volevo…M-mi dispiace, io…” la voce spezzata.

Il bambino di 8 anni a cui era stata strappata via l’innocenza, viveva dentro di lui e continuava a soffrire, incolpandosi per ciò che era successo.   

Sebbene fossero passati anni, il senso di colpa continuava a divorarlo. Goccia dopo goccia, si era creata una voragine di sofferenza e senso di colpa.

I giorni passavano ed Eileen iniziava a conoscerlo veramente. Non era il tipo a cui piaceva compatirsi o lamentarsi del suo passato, piuttosto tendeva a tenersi tutto dentro, come se quella fosse la sua punizione, il fardello da portare.

Alla fine, Roman rispose all’abbraccio, aggrappandosi a lei come ne valesse della sua vita, come se lei fosse la sua àncora di salvezza.

Nel silenzio assoluto della notte, la luna splendente era l’unica testimone di quel momento.  

Quando i singhiozzi volsero al termine, Eileen incorniciò il viso del suo compagno con le mani e con estrema lentezza, seguì la scia delle lacrime con le labbra.

Piccolo Roman, orfano e con un peso così grosso sulle spalle.

Pensò, mentre assaporava il sale cosparso sulle sue guance.

Ancora sconvolto dal pianto, Roman rimase immobile, alla mercé della sua compagna, smaltendo gli ultimi singhiozzi.

Con gli occhi chiusi, lasciava che fosse lei a “leccargli le ferite”, a guarirlo con la sua compassione e la sua dolcezza.

Le labbra soffici raggiunsero gli occhi e coprirono delicatamente le palpebre, assaggiando le ultime tracce di lacrime.

“Non volevo rattristarti scaricandoti addosso le mie colpe…” le sussurrò Roman, i loro visi a pochi centimetri di distanza.

Roman, le hai salvato la vita. Ed è questa la cosa più importante.

Segnò lei, interrompendo a malincuore il contatto.

“Se fossi stato più veloce e avessi agito prontamente, non avrebbe perso l’udito” gli occhi pieni di disperazione nel rimpiangere quello che avrebbe potuto essere.

Chiederesti mai ad uno dei tuoi allievi di 8 anni di affrontare quello che hai affrontato tu? Lo sgrideresti se non fosse in grado di “reagire prontamente?”

Chiese, mentre gli sistemava le ciocche corvine dietro l’orecchio.

Toccarlo era come una droga, soprattutto quando voleva consolarlo, fargli sentire che non era solo.

Roman rimase in silenzio e poco dopo, scosse la testa, senza aggiungere altro.

Devi darti tregua, devi farlo per il piccolo Roman di 8 anni che ha perso entrambi i genitori in una notte.

Gli accarezzò la guancia, sperando di riuscire a convincerlo, di riuscire a comunicare con il bambino dentro di lui.

“Genny ha pagato il prezzo più alto. Lata e Mabo l’hanno lasciata orfana e ha perso anche l’udito, senza contare che da quando è successo, ha smesso di parlare” abbassò lo sguardo sofferente.

Lata? Ma allora si riferiva a sua madre!

Ricordò quando aveva sentito quel nome per la prima volta, nella foresta.

Durante un incubo non aveva fatto altro che chiamare il nome di sua madre nella sua lingua natìa.

Tirò un sospiro di sollievo internamente e rise di se stessa per essere stata gelosa, credendo si trattasse di un’altra donna.

Anche tu sei rimasto orfano, non sottovalutare il tuo dolore.

Eileen sapeva che qualsiasi parola gli avesse detto, non sarebbe riuscita a cambiare la situazione. Roman era l’unico ad avere il potere di perdonare se stesso.

Eppure, desiderava ascoltarlo, confortarlo e fargli sapere che era lì per sostenerlo. Era la sua compagna, dopotutto.

È questo ciò che fanno le coppie, giusto?

Ancora perso nei ricordi del passato, Eileen gli aggiustò la coperta sulle spalle, e guardandolo con dolcezza, segnò:

Basta pensare al passato, proiettiamoci verso il futuro.

Come una spugna, Roman assorbì quelle parole, rispondendo con un sorriso: “Mi piace come idea. Dopotutto ho un futuro brillante davanti a me” le fece l’occhiolino e subito dopo aprì le braccia, accogliendola di nuovo nel bozzolo creato dalla coperta.

I visi a pochi centimetri di distanza.

Il battito cardiaco di Eileen iniziò ad aumentare. Non appena il suo sguardo cadde sulle labbra del compagno, ricordò ciò che era successo nella foresta.

Tra di loro.

Il momento esatto in cui gli era saltata addosso e lui aveva reagito prontamente.

Le gote porpora e le labbra socchiuse furono un invito che Roman non poté rifiutare.

Catturò la bocca e la divorò, come un uomo che non mangiava da giorni. Affamato, fu contento di poter rigustare il suo sapore.

Le sue mani si mossero in piena autonomia, raggiungendo la nuca di Eileen e trovando riparo tra la sua chioma rossa.

I pollici le accarezzarono la mandibola, mentre la invitava ad inclinare la testa, approfondendo il bacio.

Eileen rispose senza riserve, intrecciando le braccia intorno al suo collo. Il corpo caldo e formoso aderì al suo: come due pezzi di puzzle si incastravano alla perfezione.

La fame e la voglia di lei crescevano di giorno in giorno, il suo corpo l’aveva riconosciuta come sua compagna da tempo e ora voleva solo rivendicarla come sua.

Marchiarla.

Prima però deve incontrare il capobranco, tuo padre, non affrettare i tempi.

Lo rimproverò la coscienza.

Con una forza che non pensava di avere, si allontanò dalle sue labbra e la costrinse dolcemente a sciogliere le braccia che gli circondavano il collo.

Ancora persa nella nebbia della passione, Eileen capì dopo qualche secondo che Roman non era intenzionato a proseguire.

Insicura di sé e del proprio charme, si allontanò da lui, considerandolo un rifiuto.

Roman non glielo permise: “Ehi, mailyn, non scappare…Mi sono fermato perché voglio prima presentarti a mio padre e…Te l’ho detto, voglio fare tutto per bene” gli occhi pieni di sincerità la fecero desistere subito.

Sotto le coperte, Roman le catturò le mani, annullando le distanze: “E’ qui il tuo posto” un sorriso sincero, accompagnato da un casto bacio sulla guancia rappresentarono il suo rametto di ulivo.

Eileen non riusciva a rimanere arrabbiata con lui, soprattutto poi se continuava a guardarla così, se le sue mani entravano in contatto con le sue e le sussurrava parole così dolci.

Cosa significa mailyn? Ho sentito che l’hai pronunciato prima.

“Significa ‘mio futuro’. Da quando ti ho conosciuta, riesco a vedere chiaramente cosa voglio dalla vita: una casa, una famiglia, dei bambini e te, al mio fianco.”

La naturalezza con cui Roman riusciva a dichiararle ogni volta, in maniera diversa, che l’amava, la sconvolse.

Le sue parole erano come un balsamo per le sue ferite, per la sua anima.

Tuttavia, nel momento in cui era pronta a ricambiare, confessandogli i suoi sentimenti, il pensiero di non essere stata completamente onesta con lui, la costringeva a tacere.

Devo trovare il momento giusto. Dopo aver incontrato suo padre, gli racconterò la mia storia.

Eileen decise di affidarsi ai gesti e delicatamente appoggiò le labbra sulle sue, assaporando la loro morbidezza e il loro calore.

Ogni parte di Roman era calda, forte, piena di vitalità. Dentro di lui, ardeva un fuoco che non si era mai spento, neanche nei momenti più dolorosi.

“Domani Mala partirà, sei pronta a lasciarla andare?” chiese a bruciapelo lui, cambiando argomento.

Eileen sospirò e abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate.

Mala l’aveva accompagnata per quel viaggio lungo e tortuoso. Era stata la sua spalla, la sua roccia, in momenti in cui pensava che non ce l’avrebbero fatta.

Si era conosciute da così poco tempo, eppure non aveva esitato a seguirla. Ad aiutarla.

Una parte di me vorrebbe che restasse, perché ciò che l’aspetta è tutt’altro che semplice.

Segnò e subito le sue mani raggiunsero quelle del compagno, stringendole con maggiore forza.

Eileen era terrorizzata solo all’idea di immaginare Roman in fase di negazione. Sarebbe impazzita, letteralmente.

Il loro legame cresceva d’intensità e pensare di separarsi in quel modo era come perdere una parte di se stessa.

Un braccio, una gamba, il suo cuore.

La fronte di Roman si posò sulla sua, distogliendola da quei pensieri tristi.

“Non volevo rattristarti, mi dispiace” le sussurrò lui, con un tono dolce come il miele.

Se i ruoli fossero invertiti sono sicura che mi lascerebbe andare. Ho visto la disperazione nei suoi occhi: dubito che stia dormendo in questo momento. Maledizione…

Immedesimarsi nel suo dolore era così facile che dovette riprendere fiato per mettere insieme dei pensieri sensati.

Egoisticamente la vorrei al mio fianco, ma le voglio bene e merita di essere felice. E poi sono sicura che Noah sarà un’ottima spalla, le starà vicino nei momenti di difficoltà.

Quel ragazzo aveva una marcia in più, poter contare su di lui era una grande fortuna. Farsi tutta quella strada, da solo, dimostrava il forte attaccamento che nutriva nei confronti di Mala.

Roman storse il naso, chiaramente in disaccordo.

Cos’hai contro quel povero ragazzo? 

Chiese, divertita.

Lui fece finta di niente, giocando con alcune ciocche rosse.

“Te l’ho detto che adoro i tuoi capelli?” chiese lui, sviando palesemente la domanda. 

Non ci pensare neanche, rispondimi!

Lo accusò lei, allontanando le dita dai suoi capelli. Per quanto le piacesse, servivano per distrarla.

“Quale domanda? Mi sarò perso qualcosa” affermò, con aria da finto tonto. A malapena, riusciva a mascherare un sorriso.

Eileen partì subito all’attacco con il solletico: aveva trovato il suo punto debole.

Come sotto tortura, Roman si rovesciò sulla schiena, chiedendo subito pietà.

Non del tutto convinta di averlo in pugno, Eileen lo bloccò per terra, mettendosi a cavalcioni, le mani all’altezza dei fianchi.

Promettimi che mi risponderai o ricomincerò di nuovo.

Con le lacrime agli occhi, Roman annuì con forza e alzò le braccia in segno di resa.

“Va bene, va bene, hai vinto” provò a rimettersi seduto, ma Eileen lo costrinse a rimanere steso.

Prima voglio una risposta.

Un sorriso malizioso comparve sul viso del suo compagno.

“Non conoscevo questo tuo lato. È sexy da morire” ammise, congiungendo le mani dietro la nuca.

Sto ancora aspettando.

Incrociò le braccia, decisa a non cedere alle sue avances.

“Va bene, va bene, non c’è bisogno di agitarsi” il sorriso scomparve e imbarazzato, distolse lo sguardo “Vi ho visti nella foresta, prima di conoscerci. Il modo in cui ti stringeva a sé era tutt’altro che amichevole.”

Eileen rimase a bocca aperta.

Mi stavi seguendo?

“Può essere” rispose lui, un luccichio negli occhi color miele.  

Vederlo così le rendeva impossibile arrabbiarsi. Era troppo adorabile.

Qualcuno mi sembra un po’ geloso.

Segnò, cavalcando l’onda. Finalmente non era l’unica gelosa nella coppia.

“Geloso? Mmmh, non lo so, che ne dici se ti avvicini un po’ per accertartene?”

Il sorriso sghembo che adorava bastò a convincerla.

Era ormai innamorata persa.



 

Buon pomeriggio!

Oggi per motivi personali, ho deciso di postare qualche ora prima il capitolo, spero non vi dispiaccia! ;) 

Purtroppo, il Voice Day andrà in vacanza per un po' di tempo. Non ho ancora stabilito per quanto, ma l'intenzione di continuare a scrivere c'è. Quindi aspettatevi di trovare un aggiornamento anche durante la settimana. Dipenderà tutto dal tempo libero che ho a disposizione. 

Piccolo spoiler: sto scrivendo questo capitolo dal punto di vista di Ziki e Noah, per darvi un'idea di cosa hanno combinato quei due birbantelli durante la notte (non fatevi strane idee, lo so già cosa state pensando!).

Passate delle buone vacanze, al prossimo  ̶c̶a̶s̶u̶a̶l̶e̶ Voice Day!

Helen

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Capitolo 43
*** Ziki e Noah: Side Story 1 ***


Ziki fissava il soffitto da almeno mezz’ora.

Steso per terra, gli sembrava che il suo rifugio fosse diventato troppo piccolo per accogliere il corpo del ragazzo al suo fianco.

A mezzo metro di distanza, Noah gli dava le spalle.

Da circa mezz’ora si trovava nella stessa posizione.

A malapena l’aveva sentito respirare e lui era un lupo: certe cose avrebbe dovuto percepirle anche a chilometri di distanza.

Era sicuro al 100% che non stesse dormendo. La posizione rigida del suo corpo dimostrava che non era per niente a suo agio.

E che era ancora sveglio.

Ziki, invece, era troppo in fibrillazione per riuscire a chiudere occhio.

I suoi sensi si accendevano non appena le distanze con Noah si accorciavano.

E in quel momento, erano molto vicini.

Ironia della sorte, Mala aveva pensato che il suo amico si sarebbe trovato più al sicuro con lui, nel suo sancta sanctorum.

E lui chi era per mettere in discussione le sue decisioni?

Naturalmente aveva subito accettato, cercando, però, di mostrarsi indifferente, mentre Noah non aveva fatto nulla per nascondere il suo poco entusiasmo.

La sua reazione lo aveva irritato parecchio. Ma anche in quel caso, aveva cercato di non darlo a vedere.

Impresa titanica.

Aveva cercato di tirarsi su il morale, pensando in positivo. Passare del tempo insieme avrebbe potuto essere utile per conoscersi meglio.

Poi sicuramente smetterà di odiarmi.

Come qualsiasi buon piano che si rispetti, era finito per andare in fumo.

Appena arrivati, Noah si era rifugiato nel sacco a pelo e aveva sbiasciato un “buonanotte”, dandogli le spalle subito dopo, rovinandogli i piani.

E l’umore.

Ziki era rimasto di stucco, però non aveva gettato la spugna.

Si era solo fatto prendere alla sprovvista.

È più scaltro di quanto pensassi.

Ma anche lui sapeva giocare sporco.

“Dovresti provare a respirare, si dorme meglio” parlò di punto in bianco, rompendo il silenzio.

All’inizio Noah non abboccò.

Poi qualcosa lo spinse a rispondere: “Se avessi problemi a farlo, ora dormiresti accanto ad un cadavere.”

Con difficoltà, Ziki trattenne una risata.

"Mi fa piacere sapere che c'è del senso dell'umorismo seppellito sotto tutti quei muscoli" lo punzecchiò, non ottenendo però, alcuna reazione.

Almeno nulla di evidente.

Quanto avrebbe voluto leggergli la mente.

Seccato dall'essere stato ignorato, rincarò la dose e continuò a parlargli come se nulla fosse.

"Dato che non riesci a dormire, che ne dici se impiegassimo questo tempo saggiamente?"

Non si aspettava una risposta. In attesa, si girò sul fianco, appoggiò la testa sul palmo della mano e iniziò a squadrarlo.

Soprattutto ora che sapeva di non essere visto.  

Doveva ammettere che i vestiti che aveva scelto per lui, gli calzavano a pennello.

Il maglione azzurro riprendeva il colore dei suoi occhi e allo stesso tempo, metteva in risalto le spalle larghe.

I pantaloni, invece, gli fasciavano le gambe tornite, adattandosi perfettamente al suo sedere.

Che in quel momento non stava fissando, proprio no.

Probabilmente fu il suo sguardo insistente che richiamò l'attenzione di Noah.

Infastidito ed esasperato, si girò verso Ziki, comunicando con un sospiro il suo disappunto.

"Se non ti dispiace, vorrei dormire dato che dovrò svegliarmi all'alba" dopodiché richiuse gli occhi.
 
"Ti farei dormire, se fossi capace di farlo, ma dato che nessuno dei due ci è riuscito, mi pare la cosa più giusta utilizzare saggiamente il tempo a disposizione" rispose piccato, per niente scalfito dal comportamento burbero del ragazzo.

Anzi, era felice di essere stato preso finalmente in considerazione.

Con le buone o con le cattive, non gli interessava.  

Messo di fronte all'evidenza, Noah cambiò tattica.

"E di cosa vorresti parlare a quest'ora?" gli occhi di nuovo aperti, lo sfidavano apertamente.

Maledizione, è ancora più bello quando si arrabbia.

Concentrati, stupido.

"Mmh...che ne dici se parlassimo della tua famiglia?"

Subito il viso di Noah sbiancò e per un attimo, l'armatura che si era costruito, si incrinò, rivelando la sua fragilità.

Ziki si pentì immediatamente di aver toccato un argomento così delicato.

Idiota.

Nella foresta, aveva origliato parte della conversazione con Mala, ma non era riuscito a cogliere nulla riguardo la sua famiglia.

Si era dato la zappa sui piedi dopo aver faticato così tanto per farlo parlare.

Era sicuro che gli avrebbe dato le spalle, chiudendo definitivamente la conversazione.

Al contrario, Noah tornò all'attacco, rispondendo alla domanda con un'altra domanda.

E non una qualunque.

"Che ne dici se parlassimo della tua malattia?"

Ziki attutì il colpo e per pochi secondi il ragazzo riuscì ad ottenere l'effetto sperato, zittendolo.

Poi però lo vide rabbuiarsi e rimase sorpreso quando ricevette una risposta seria: "Ho scoperto di essere malato all'età di 14 anni, ma che io sappia, l'ho sempre avuta."

Abbassò lo sguardo. Sovrappensiero, si morse il labbro, catturando uno dei piercing con i denti.

Gli occhi di Noah seguirono quel movimento, provocandogli una strana sensazione nella pancia.

Sicuramente sarà il senso di colpa.

Non c’era altra spiegazione.

Ziki riusciva a tirare la parte peggiore di lui.

In sua presenza, si sentiva più a disagio che con qualunque altra persona.

Voleva aggiungere qualcosa per riparare, dire la cosa giusta. Ma un nodo in gola glielo impediva.

“Sei soddisfatto della risposta?” il tono calmo, ma non più scherzoso.

Ziki non sembrava essersi infastidito o arrabbiato, eppure smise di guardarlo e si sistemò supino.

Non gli aveva dato le spalle, ma indirettamente gli aveva chiesto una tregua.

Guardava il soffitto, il volto pensieroso.

Aveva smesso di sorridere, non c’era alcuna traccia di divertimento.

Lo aveva sempre visto interagire con gli altri (lui compreso), con un sorriso stampato in faccia.

Vederlo spegnersi, lo inquietò a tal punto che si ritrovò a parlare.

“Sono orfano” nel dirlo, non riconobbe neanche la sua voce.

Si rese conto che da quando suo padre era morto, non aveva mai pronunciato ad alta voce quelle parole.

Era rimasto solo, senza madre e né padre.

Ziki sobbalzò incredulo davanti a quella rivelazione.

Il ragazzo era così giovane, una vita davanti a sé, senza una famiglia con cui condividerla, su cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà.

Magari ha fratelli o sorelle.

La voglia di scoprire altro su di lui lo pungolava, diventando una necessità.

Eppure, decise di soffocarla. 

La sua impulsività aveva già fatto troppi danni.

Da quando gli aveva salvato la vita, Noah non aveva fatto altro che ignorarlo per la maggior parte del tempo.

La preoccupazione che aveva scorto nei suoi occhi mentre rischiava di soffocare, era ormai un ricordo lontano.

Ora, finalmente, sembrava considerarlo degno di quella confessione.

Per paura di fare qualcosa di avventato, rimase supino e con la coda dell’occhio vide il ragazzo fare lo stesso.

Non ne era certo, ma gli era sembrato di intravedere i suoi occhi oltremare lucidi.

Mio Dio.

Ziki non aveva bisogno di assicurarsene, solo averne il sospetto gli bastò per agire.

Allungò il braccio, e dopo qualche goffo tentativo, gli afferrò il polso.

“Mi dispiace” furono le parole meno stucchevoli che riuscì a formulare.

Pregò che Noah non lo rifiutasse ulteriormente, perché in quel caso, non era certo di poterlo reggere.

Sentiva il bisogno di abbracciarlo e di rassicurarlo dicendogli che non lo avrebbe lasciato solo.

Mai più.

Cosa? Sono impazzito?

Noah si irrigidì, e chiuse i pugni come prima reazione.

Però, dopo sorprendendolo, rimase fermo e biascicò un “Mmmh” a malapena udibile. 

Per il resto, non si lamentò e non fece nulla per allontanare la sua mano.

Il ragazzo si sta rivelando una grande sorpresa.

Ziki era così preso dalla situazione che solo allora si accorse di non aver sentito dolore o alcun tipo di nausea nel toccarlo. In più, era stato lui a cercare il contatto, cosa che non succedeva con nessuno da tanto tempo.

Anni.  

Ancora sbalordito dalle sensazioni che provava accanto a Noah, alla fine, decise di non pensarci troppo.

Carpe diem.

Era il suo motto.

Finalmente permise a se stesso di godersi il contatto con la sua pelle liscia, calda e vibrante.

Riusciva a percepire il sangue pulsargli nelle vene.

Aveva una voglia matta di guardarlo, di assicurarsi che non stesse più piangendo, ma non osava farlo. Aveva paura di spezzare l’incantesimo.

L’indice della sua mano iniziò a muoversi ad un ritmo cadenzato. Ascoltava i battiti cardiaci del ragazzo e li imitava, tamburellando sul polso.  

Quel movimento parve rilassare entrambi e in pochi minuti, finalmente si addormentarono.
 
 

Qualcosa disturbò il sonno di Ziki. Stava dormendo così beatamente, quando si ritrovò catapultato nella realtà.

Aprì lentamente gli occhi e si accorse che era ancora piena notte.

Passarono pochi secondi e subito si accorse cosa lo aveva svegliato: il suo braccio incastrato in una posizione strana, si era addormentato.

A malincuore, fu costretto a lasciar andare il polso di Noah e solo allora si rese conto che le distanze tra loro non si erano accorciate: erano inesistenti.  

Durante la notte, entrambi si erano girati sul fianco, uno di fronte all’altro: più in alto di lui, Noah aveva allungato il braccio sopra la sua testa, mentre l’altro era disteso sul pavimento. 

Come un koala, Ziki si era aggrappato al suo braccio con entrambe le mani, rannicchiandosi in posizione fetale.

Una sensazione di serenità lo pervase, facendogli desiderare di più.

Alzò la testa lentamente per paura di svegliarlo e si accorse che stava dormendo.

Felice di poterlo fare, si ritrovò ad osservare il suo viso.

Noah era un ragazzo nella norma: né bello, né brutto. Eppure, la sua bellezza riusciva a disarmarlo.

C’era qualcosa in lui che lo rendeva unico.

Nella stanza non c’era molta luce, ma il chiarore della luna era sufficiente per poter cogliere i lineamenti duri dalla mascella fino agli zigomi alti.

La fronte corrugata e gli occhi chiusi di cui conosceva bene il colore. 

Lo sguardo, alla fine, si posò sulla bocca semichiusa e lì rimasero.

Il suo istinto si stava già muovendo verso una direzione che lui stesso non riusciva a comprendere.

Provare a stargli dietro, lo stava portando alla pazzia.

Che sapore avrà?

Iniziò a chiedersi, maledicendosi subito dopo.

Accontentati del suo braccio, idiota.

Eppure, le sue labbra erano così invitanti, a un tiro di schioppo dalle sue.

Respirò profondamente e si impose di non fare nulla di insensato.

Dopotutto, stava dormendo. Non poteva mica baciare una persona indifesa, nel pieno del sonno.

Proprio quando si stava convincendo a fare la cosa giusta, Noah aprì gli occhi, come se i suoi pensieri lo avessero disturbato, svegliandolo.

Per un attimo, si guardarono, fermi come statue, nessuno dei due si azzardò a parlare.

O la va o la spacca.

Ziki avvicinò lentamente le labbra a quelle del ragazzo, gli occhi incollati ai suoi.

Voleva dargli la possibilità di rifiutarlo, ma al tempo stesso, desiderava ardentemente che non lo facesse.

Per una volta, la fortuna fu dalla sua parte.

Noah non si mosse e, alla fine, le labbra si incastrarono perfettamente.

All’inizio, si trattò di una timida esplorazione, in cui Ziki si muoveva familiarizzando con ogni angolo delle sue labbra.

Avrebbe voluto essere più esperto, sorprenderlo con le sue doti da seduttore. Ma in realtà, aveva poca esperienza in quel campo.

L’unica cosa che poteva offrirgli era la sua spavalderia.

O stoltezza. Dipendeva dai punti di vista.

Non si azzardava a chiudere gli occhi: aveva il timore che Noah lo attaccasse da un momento all’altro, accusandolo di essere un molestatore.

E non ha tutti i torti.

Poi però si accorse che, sebbene non fosse reattivo, il ragazzo sembrava apprezzare ciò che stava facendo.

Nel buio della notte, riuscì a cogliere una piccola scintilla negli occhi oltremare.

Così prese coraggio e la sua mano risalì dal braccio fino al suo collo, fermandosi a pochi centimetri dal mento.

Percepì un pizzicore sulle dita: dopo qualche giorno la barba gli stava ricrescendo.

Iniziò a chiedersi come sarebbe stato con la barba a coprirgli parte del viso.

Smettila con questi pensieri.  

La mano si spostò ancora più in alto, ricoprendogli la nuca. Strinse parte dei capelli soffici e avvicinò i loro volti.

Inclinò la testa e chiuse gli occhi, approfondendo il bacio, giocandosi il tutto e per tutto.

Senza ostacoli, la sua lingua trovò subito quella di Noah e fu lì che la situazione si ribaltò completamente.

Un ringhio animalesco rimbombò nel petto del ragazzo e in pochi secondi Ziki si ritrovò con la schiena sul pavimento.

E Noah sopra di lui. 

Una mano tra i suoi capelli e l’altra dietro la nuca.

Il bacio non più timido, si era trasformato in qualcosa di totalmente diverso.

Bagnato, lascivo, ardente, Noah aveva preso possesso delle sue labbra, assaggiandole con prepotenza.

Non c’era più traccia di esitazione, aveva deciso di prendersi tutto e Ziki era più che felice di darglielo.

Esplorando la sua bocca, Noah si concentrò sul piccolo piercing che oltrepassava il suo labbro inferiore e lo circumnavigò con la lingua, succhiandolo subito dopo.

Mio Dio.

Trattenere i gemiti era diventata una sfida titanica.

Dire che stava amando ciò che stava facendo era riduttivo. A causa sua era totalmente e perdutamente eccitato.

E si stavano solo baciando.

Immaginò cosa avrebbero fatto quelle labbra se si fossero spostate sul piercing incastonato nel suo capezzolo.

A malapena riuscì a trattenere un verso gutturale.

Per dimostrargli quanto fosse coinvolto, rispose prontamente a quella invasione, mordicchiandogli il labbro inferiore.

Un gemito di apprezzamento fuoriuscì dalle labbra di Noah e subito Ziki lo inghiottì.

Le loro lingue continuavano un duello senza esclusioni di colpi.

Stava perdendo la testa, non riusciva a formulare un pensiero sensato.

Il lupo che era in lui voleva ruggire trionfante e strappargli i vestiti, esplorando il resto del corpo marmoreo.

Preso da un desiderio viscerale, avvicinò il corpo al suo, cercando un po’ di sollievo.

Peccato che spezzò l’incantesimo.

D’un tratto il corpo di Noah si irrigidì e smise di baciarlo, appoggiando la fronte sulla sua.

Con gli occhi chiusi, il respiro affannato, cercava di riprendere fiato.

Non osava incontrare il suo sguardo.

Questo gli fece male, molto male.

Oltre al fatto che aveva interrotto il momento più eccitante della sua vita.

Immobile, Ziki lo guardava con gli occhi sbarrati: sapeva che la fine era vicina.

Noah allontanò lentamente le mani dal suo corpo, lasciandogli un vuoto grande quanto una voragine.

Con una certa fatica, lo vide spostarsi al suo fianco, ripristinando le distanze tra loro.

Gli mancarono immediatamente il calore e il peso del suo corpo.

Noah si girò, dandogli le spalle e, come se non fosse successo nulla, ritornò a dormire.

Il petto di Ziki si abbassava e si alzava velocemente, mentre il cuore minacciava di uscirgli dal petto.

Possibile che stesse dormendo? Soffre di sonnambulismo?

Impegnato a riprendere il controllo di se stesso, si alzò lentamente ed uscì dal rifugio, sperando di trovare consolazione nel freddo della notte.

Ne aveva bisogno per placare il desiderio insoddisfatto.

Più sveglio che mai, tutti i suoi pensieri era concentrati su quel breve attimo di passione.

Il sapore delle sue labbra, il calore del suo corpo, l’intensità con cui aveva risposto al suo bacio.

Maledizione.

Aveva perso il sonno, era definitivo.
 


 
3 ore dopo

Ziki non era riuscito a chiudere occhio.

Steso nell’erba, aspettava che il sole sorgesse.

Lo scroscio del ruscello gli faceva compagnia, come sottofondo.

Solitamente era meglio di una ninna nanna: lo aiutava ad addormentarsi nei momenti in cui non ci riusciva.

Quella volta, però, non bastava.

Troppi pensieri affollavano la sua mente.

Non aveva mai provato un decimo delle emozioni che sentiva ogni volta che si trovava accanto a Noah.

Sin dalla prima volta in cui lo aveva salvato fino alla loro parentesi passionale di qualche ora prima, il suo corpo si era comportato come un magnete.

Era totalmente attratto da lui.

Su quanto fossero compatibili fisicamente, ne aveva avuto la conferma.

Era bastato uno sguardo a far accendere il suo corpo.

E la sua libido.

Avendo trascorso poche ore in sua compagnia, non aveva avuto la possibilità di conoscerlo per bene.

Certo, ciò che aveva visto, già gli piaceva.

Era una persona leale e coraggiosa: aveva fatto tutta quella strada pur di ritrovare Mala.

In più, sebbene fosse giovane, riusciva a tener testa anche a lupi più grossi e minacciosi, come suo fratello.

Avrebbe voluto avere più tempo.

Maledizione.

Perso nei suoi pensieri, non si rese conto che il sole aveva già fatto capolino da una manciata di minuti.

Preoccupato di perdersi la partenza di Mala e Noah, si alzò di scatto, e si trasformò subito in lupo, mettendosi sulle loro tracce.

Non ci volle molto per captare i loro odori.

In piedi, l’uno di fronte all’altro, discutevano animatamente, senza però alzare la voce.

Entrambi si zittirono appena percepirono la sua presenza.

Con aria circospetta, si trasformò in umano e iniziò a vestirsi, senza curarsi del fatto che fosse completamente nudo.

Con la coda dell’occhio, guardò Noah e lo vide concentrato su altro.

Mala, invece, incrociò le braccia e con un mezzo sorriso, lo riprese: “Hai finito di mostrarci la tua mercanzia?”

“Non dovresti essere sorpresa, dopotutto non è la prima volta che mi vedi nudo” le ricordò lui, facendole l’occhiolino.

E non sei l’unica ad avermi visto così.

Decise di non dare voce a quest’ultimo pensiero.

Una volta infilato il maglione, gli occhi si spostarono di nuovo su Noah che non sembrava aver gradito la sua risposta.

Vide il muscolo della sua mandibola guizzare, lo sguardo fisso sull’albero di fronte a lui.

Ziki non sapeva cosa fare. Voleva assolutamente parlare con il ragazzo, in privato.

Avevano tanto di cui discutere, peccato che le circostanze non lo permettessero.

“Per fortuna, sei arrivato. Ho chiesto a Noah per quale motivo fosse arrivato qui da solo, senza di te, ma ha sempre tergiversato” Mala evitò di guardare l’amico che invece sembrava volesse incendiarla con lo sguardo.

Per poco a Ziki non andò la saliva di traverso.

Mala era un’ottima osservatrice e non le era sfuggito questo particolare.

Per quanto volesse dirle la verità, sperando di scatenare una reazione da parte di Noah, allo stesso tempo, voleva che quel momento di passione rimanesse tra loro.

Non come un segreto da nascondere, ma come una piccola creatura da proteggere.

In più, per quanto si stesse affidando al suo istinto, razionalmente non aveva ben chiaro cosa stesse succedendo tra loro.

Voleva discuterne anche per questo.

“Sono uscito per lavarmi al ruscello e ho perso la cognizione del tempo. Probabilmente Noah non voleva tardare all’appuntamento e si è incamminato senza aspettarmi” spiegò, senza alcuna esitazione.

Era bravo a mentire, nel tempo era migliorato.

Sentiva lo sguardo di Noah su di sé.

Per un nano secondo i loro occhi si incontrarono e Ziki sperò che il messaggio arrivasse forte e chiaro.

Ora siamo pari.

Lui aveva mantenuto il suo segreto riguardo la malattia e ora lui stava ricambiando il favore.

“Potevi dirlo prima” Mala rimproverò l’amico, infilandogli il gomito nel fianco.

Noah sorrise in risposta, scansandosi all’ultimo.

A Ziki gli si mozzò il respiro.

Desiderava ardentemente che quel sorriso fosse diretto a lui e non ad un altro.

D’un tratto, Eileen e Arthur comparvero dal nulla.

Mano nella mano, avanzarono verso Mala e Noah.

Ziki strinse i pugni.

Non era pronto a lasciarli andare.





Buonasera a tutti!

Volevo farvi una piccola sorpresa ed eccomi qua! ;)

Come avrete visto, il Voice Day di oggi non cade di domenica. Come vi avevo detto, essendo in vacanza, ho difficoltà a rispettare le scadenze. Però, mi dispiaceva lasciarvi soli/e per troppo tempo. In più, questo capitolo mi è particolarmente caro, ci sono voluti giorni e giorni per scriverlo. 

La storia di Ziki e Noah inizia veramente a starmi a cuore, spero che per voi sia lo stesso. :)

Fatemelo sapere! 

Alla prossima, vi abbraccio forte forte. 

Helen

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Capitolo 44
*** Ammaccata ***


Per tutto il giorno, Eileen aveva avuto la testa tra le nuvole.

Una volta congedatasi da Mala, era ritornata alla sua postazione, rimettendosi a lavoro. C'era tanto da fare, eppure per diversi motivi non riusciva a concentrarsi.

Tutto si era evoluto così velocemente, da non aver avuto il tempo di metabolizzare gli ultimi eventi.

Mala era partita e non era neanche riuscita a parlarle del Pazzo e del bigliettino che conservava ancora in tasca. 

In più, era preoccupata per le conseguenze che l'amica avrebbe dovuto subire una volta tornata al branco.

"Non ti preoccupare, ho la scorza dura" le aveva detto, rassicurandola.

Il sorriso triste non aveva raggiunto gli occhi chiari.  

Le aveva dato alcune pacche sulla spalla che si erano poi trasformate in un abbraccio intenso e impregnato di significato.

Avevano condiviso così tanto insieme e ora erano costrette a dividersi.

Eileen si era morsa l'interno della guancia con i denti, imponendosi di non piangere.

Sebbene Roman fosse al suo fianco e sapesse di non essere sola, il suo compagno era all'oscuro di molte cose.

Sin da subito, Mala ed Eileen avevano capito di essere spiriti affini.

Con lentezza e poi tutto in una volta, avevano riconosciuto il valore della loro amicizia.

E ora erano costrette a separarsi, a tempo indeterminato, senza sapere cosa il futuro avrebbe riservato ad entrambe.

E poi c'era il Pazzo.

Ancora non riusciva a capire il motivo per cui aveva deciso di conservare il suo biglietto.

Ogni volta che ne aveva la possibilità e sapeva di essere sola, tirava fuori il pezzetto di carta e rileggeva quell'unica parola scritta con foga.

Scappa.

Ogni volta era come la prima: un brivido le scuoteva la colonna vertebrale, i peli le si rizzavano, mentre le mani iniziavano a tremarle.

Aveva bisogno di incontrarlo nuovamente, non poteva continuare a scervellarsi sul significato di quella parola.

Non ne trovava il senso, punto.

Per quale motivo, però, le reazioni del suo corpo sembravano conoscere la risposta?

Il rumore metallico della bacinella tra le mani, la destò dai pensieri ingombranti.

Solo allora si accorse che ciò che poco prima teneva tra le mani, si era riversato a terra, attirando su di sé tutta l'attenzione dell’ospedale.

In particolare, degli altri medici.

Pochi sopportavano la sua presenza: “un’intrusa che ha a che fare con la salute della nostra gente”.

Una frase che aveva sentito pronunciare di sfuggita, in un momento di lucidità, in cui non era impegnata a pensare.

Non poteva biasimarli. Ogni branco vedeva con sospetto chi non ne faceva parte.

Eileen si inginocchiò subito, provando a porre rimedio al suo disastro.

Sentiva gli sguardi degli altri medici forarle la schiena.

Due piedi entrarono nella sua visuale.

"Prenditi una pausa" le riferì la signora anziana che era solita seguirla come un'ombra.

Non lo disse con tono sprezzante.

Anzi, sembrava quasi provare compassione per lei.

Ma non poteva averne la certezza, la neutralità della sua voce non tradiva alcuna emozione.

Eileen non se lo fece ripetere due volte.

Raccolse tutto e corse via fuori dall'edificio.

Respirò aria fresca a pieni polmoni e trovò riparo sotto un albero.

Casa.

Appoggiò la testa al tronco e si maledì per come stava gestendo il tutto.

Cercava di raccogliere pezzi di se stessa e di incastrarli poco alla volta.

Aveva provato così tante emozioni in quei pochi giorni che in tutta la sua vita.

Felice, triste, ansiosa, arrabbiata, spaventata, confusa.

Come affronterai il padre di Roman in queste condizioni?

La rimproverò la sua coscienza.

Non poteva darle torto.

Doveva essere in ottima forma e nel pieno delle forze.

Il solo pensiero di avere Roman al suo fianco, la faceva sentire più leggera e più fiduciosa verso il futuro.

Una strana inquietudine, però, si insinuava in ogni pensiero felice.

L’immagine del bambino con gli occhi color nocciola le ricordò quanti interrogativi erano rimasti in sospeso.

Avrebbe avuto il coraggio di imporsi e pretendere delle risposte?

La voglia di essere accettata dal branco scalpitava dentro di lei.

Per tutta la sua vita, si era sentita un’emarginata e ora finalmente aveva la possibilità di far parte di qualcosa.

Lo sapeva che se avesse incominciato a scavare, non si sarebbe più fermata, mettendo a rischio la relazione tra lei e Roman.

Si prese la testa tra le mani e iniziò a massaggiarsi le tempie.

Il mal di testa era dietro l’angolo.

In realtà, hai già iniziato a scavare.

Puntualizzò la sua coscienza.

In diverse situazioni, aveva sentito un bisogno viscerale di zittirla.

Anche in quel momento, sentiva una certa urgenza di soffocarla.

“Cavolo, non ti ho mai vista così arrabbiata” affermò una voce femminile. Sembrava divertita.

Alzò la testa e incontrò uno sguardo amico. 

Ella aveva un blocco di fogli sulle ginocchia e una matita in mano.

Anche lei seduta sotto un albero, le sorrideva.

L’espressione stanca e provata, la sorprese.

Non era in via di guarigione? La malattia è ritornata?

Intanto le sorrise in risposta.

Voleva avvicinarsi a lei, per poter comunicare, ma l’ultima volta se n’era andata, senza dire una parola.

Non capiva se ci fosse o meno un confine tra loro che non poteva oltrepassare.

Con difficoltà, Ella si alzò e compì i primi passi verso di lei, fugando qualsiasi dubbio.

Per poco non perse l’equilibrio, ma subito lo riacquistò, sedendosi poi al suo fianco.

“Ti piace il mio disegno?” chiese con un po’ di affanno.

Eileen la scrutò, cercando di capire cosa non andasse.

Voleva visitarla e avere maggiori informazioni sulle sue condizioni.

In attesa di una sua risposta, Ella la fissava.

Spostò gli occhi sul foglio e con stupore si accorse di essere il soggetto della sua composizione.

L’aveva ritratta nell’esatto momento in cui aveva la testa tra le mani.

Gli occhi chiusi, l’espressione concentrata e alcune rughe sulla fronte suggerivano che i suoi pensieri non era piacevoli.

Quella ragazza disegnata sembrava avere il peso del mondo sulle spalle.

In pochi secondi, attraverso uno schizzo, era riuscita a cogliere le sue emozioni perfettamente.

Sfilò il piccolo taccuino dalla tasca e scarabocchiò qualche parola.

Sei bravissima.

Entusiasta, Ella le mostrò altri disegni: “Mi annoiavo e allora ho pensato di riprendere a disegnare” continuò porgendole diversi fogli che ritraevano sagome di persone che conosceva solo di vista o che non conosceva per niente.

“È da tempo che disegno, ora che ho tanto tempo libero, ho messo insieme vecchi e nuovi ritratti…” la tosse interruppe la frase a metà.

Aveva forti difficoltà a respirare.

I disegni caddero per terra, si sporse in avanti, in cerca di ossigeno.

Eileen andò in suo soccorso, aiutandola ad assumere una posizione che la aiutasse a riprendersi.

A contatto con la sua pelle, si accorse che aveva il corpo freddo.

Tutti quei segnali suggerivano notizie spiacevoli.  

Com’è possibile?

Una volta che riuscì a calmare la tosse, si girò verso di lei: “Non sto messa proprio bene. Volevo vedere il mio bambino, ma la malattia è tornata.”

Il sorriso era scomparso. Leggeva il terrore nei suoi occhi.

La paura di chi sa che potrebbe non guarire più.

Lo stomaco le si contorse davanti alla disperazione mista a consapevolezza della giovane donna.

“Vorrei tenerlo tra le braccia, ma ho paura di contagiarlo. Non posso rischiare…” scosse la testa, intenta a convincere se stessa piuttosto che Eileen.

Le afferrò il polso, rivolgendole uno sguardo sofferente: “D-devi promettermi una cosa, posso chiederlo solo a te…”

Confusa, Eileen non sapeva cosa risponderle e alla fine, annuì.

“Portalo qui, voglio disegnarlo, imprimere la sua immagine nella mia mente…” la voce si affievolì.

Appoggiò la testa sul tronco, stanca di sopportare tutto quel carico emotivo. Anche se non le staccava gli occhi di dosso, in attesa di una risposta affermativa.

Con il fiato sospeso, Eileen sapeva di avere poche chance di esaudire il suo desiderio, eppure si ritrovò ad annuire.

Le avrebbe mentito per altre cento volte pur di vedere il sollievo nei suoi occhi.

Soddisfatta, Ella sospirò sonoramente e le liberò il polso, appoggiando entrambe le mani in grembo.

Con gli occhi chiusi, cercava di conservare le forze.

Eileen poté osservarla meglio e si accorse di quanto fosse dimagrita dall'ultima volta che l'aveva vista.

Riusciva a vederle le vene violacee sul dorso della mano, sebbene i muscoli non fossero contratti.

Le guance incavate avevano perso colorito.

La malattia stava vincendo, ogni parte del corpo si stava arrendendo a quella invasione.

Eppure, il suo spirito aveva deciso di non mollare. Voleva sopravvivere a tutti i costi, per non lasciare che suo figlio rimanesse orfano per la seconda volta.

Le aveva afferrato il polso con una determinazione tale da convincerla subito ad assecondarla.

L'amore di una madre prevarrà sulla morte?

Quel pensiero passò come un flash, sconvolgendola.

Davanti a quel tipo di amore incondizionato, ogni parola sembrava insulsa.

Come aveva già fatto in passato, si affidò al tatto, all'empatia di una carezza.

Lentamente coprì la mano della donna con la sua. 

In cambio ricevette un mezzo sorriso.

“Mio figlio si chiama Charlie, ha 4 anni, è adorabile. Ha i miei stessi occhi castani e i capelli ricci di suo padre. Non ti puoi sbagliare” lo sguardo fisso davanti a sé, come se il bambino fosse lì, presente “è un gran mangione, curioso e fa sempre mille domande…”

“Ella!” una voce femminile interruppe il suo racconto, facendole sobbalzare entrambe.

Una delle dottoresse, arrabbiata, alzò la voce contro di loro: “Vieni dentro, devi riposarti. E tu” disse riferendosi ad Eileen “prova a renderti utile.”

Il tono pieno di ribrezzo la ferì, ma non quanto il doversi congedare dalla giovane donna.

Con un braccio intorno alla vita, la aiutò a rimettersi in piedi.

“Conserva tu i miei disegni e ricordati della promessa” le sussurrò nell’orecchio, con voce flebile, quasi impercettibile.

Eileen non ebbe neanche il tempo di annuire che la dottoressa gliela strappò dalle mani, con sguardo torvo.

Con la malinconia nel cuore, si risedette e prese il disegno che la ritraeva tra le mani.

Non dava l’idea di essere una persona felice. Ci stava provando ad esserlo, ma tutte le preoccupazioni e le situazioni in sospeso si stavano moltiplicando giorno dopo giorno.

Tra poche ore dovrai conoscere il capobranco.

Piegò il disegno in quattro parti e lo conservò in tasca, insieme al piccolo fogliettino del Pazzo.

Non conosceva neanche il suo nome.

Si sentì terribilmente in colpa di averlo lasciato lì per terra, sofferente.

E poi il viso del bambino nelle prigioni le attraversò la mente, ricordandole della sua improvvisa sparizione.

Uscì il campanellino nascosto sotto il maglione e lo fissò, notando le varie ammaccature.

Lo scosse, producendo il suono che l’aveva accompagnata per tutta la vita.

Nonostante tutto, continua a funzionare.

Nonostante tutto ciò che aveva affrontato, lei era ancora lì.

Viva e vegeta. Con un compagno al suo fianco.

Persone che le volevano bene.

Pensò a sua madre e alla sua incapacità di volerle bene veramente.

Incondizionatamente. Come Ella.

Nonostante tutto, sono qua. E sono pronta a restarci, con le unghie e con i denti.

Dentro di sé, sentì accendersi una piccola scintilla. Come le era successo quella volta, mentre osservava la luna.

Non sarò un lupo in carne ed ossa, ma il mio spirito lo è.

Si alzò in piedi e con una determinazione che non pensava di avere, ritornò al lavoro, in attesa dell’incontro con il capobranco.



Buonasera a tutti/e! 

Spero che il mio capitolo vi trovi bene e che siate contenti di veder spuntare una piccola notifica inaspettata. Purtroppo, questo è un periodo pieno di impegni e scadenze, quindi mi è quasi impossibile rispettare quelle che mi ero prefissata per la storia.

Cercherò di aggiornare almeno un capitolo al mese, ma non posso promettervi neanche questo al 100%. Però volevo dirvi che siete sempre nei miei pensieri, e tutti questi salti mortali per postare finalmente il capitolo 44, sono per voi. Siete un piacere di cui non mi voglio privare, nonostante tutto. 

Il prossimo capitolo sarà una bella sfida, spero di essere all'altezza delle vostre aspettative!

Un abbraccio grande grande!

Helen

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Capitolo 45
*** Capobranco ***


“Mailyn” le sussurrò Roman all’orecchio, riportandola al presente.

Il respiro caldo del suo compagno sulla pelle, le fece venire i brividi. 

Si sarebbe mai abituata all’effetto che aveva su di lei? 

Intanto stentava ad abituarsi al suo nuovo nomignolo. “Mio futuro”, le piaceva un sacco.

Dopotutto era uno dei suoi obiettivi: continuare a far parte del futuro di Roman.

Si girò a guardarlo, mentre lui le aggiustava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e ne approfittava per toccarla il più possibile.

Vedo di non essere l’unica a non riuscire a tenere le mani a posto.

Dentro di sé, se ne compiacque.

“Non devi essere tesa, mio padre è un tipo alla mano. Sono sicura che ti piacerà e tu piacerai a lui” aggiunse, mentre il pollice ruvido le accarezzava alcune lentiggini sulla guancia.

Aveva difficoltà a formulare un pensiero sensato quando la toccava così. Tutti i suoi neuroni impazzivano.

Le faceva venir voglia di rispondergli di sì a tutto, senza pensarci due volte.

Suo padre, ha parlato di suo padre.

Ricapitolò nella sua testa, cercando di recuperare il filo del discorso.

Voglio fare una buona impressione.

Gli segnò, sincera.

Era da giorni che immaginava nella sua testa quell’incontro, quale sarebbe stato il verdetto.

Non ci poteva essere alcun margine d’errore.

Per la prima volta, la fortuna sembrava essere dalla sua parte, stava trovando il suo posto nel mondo.

Non voleva perdere tutto solo perché non si era giocata al meglio le sue carte. 

È vero non poteva parlare, ma aveva tante altre qualità utili al branco.

Oltre al fatto che non puoi trasformarti.

Il pensiero martellante di non essere all’altezza, l’aveva perseguitata da sempre e continuava ad essere una costante nella sua vita.

“Sii te stessa e sono sicuro che andrà bene” le sussurrò Roman con il viso a pochi centimetri dal suo.

Sembrava averle letto nel pensiero.  

Facile a dirsi.

Per quanto avesse difficoltà a crederci, il suo compagno conosceva sempre le parole giuste da dirle per farla sentire meglio, sollevata.

Si morse il labbro inferiore e sospirò.

Seduti nel mezzo di un corridoio, aspettavano di accedere a quello che Roman aveva definito “lo studio” di suo padre.

Come la sala in cui era stata sottoposta a processo, anche l’arredamento di quel palazzo era completamente nero.

Il fuoco acceso scaldava la stanza.

Ma lei non percepiva alcun calore.

Il divanetto su cui erano seduti dava l’idea di essere comodo e confortevole, ma, nonostante ciò, non riusciva a rilassare i muscoli e ad appoggiarsi allo schienale.

Tesa come una corda di violino, il suo corpo mandava dei segnali totalmente opposti rispetto a quelli di Roman.

Rilassato, perfettamente a suo agio, aveva disteso le gambe e incrociato le caviglie. Il braccio giaceva lungo lo schienale, alle sue spalle.

Coscia contro coscia, i loro corpi aderivano non lasciando alcun dubbio che fossero una coppia.

Eileen non sapeva come interpretare la tranquillità del suo compagno.

Da quando aveva parlato con suo padre, dava l’idea di aver sorpassato lo scoglio più grande.

Forse ti stai facendo troppi problemi che non esistono.

Era appena riuscita a calmarsi, quando la porta si aprì, facendole aumentare le palpitazioni di colpo.  

L’uomo sembrava più alto di come se lo ricordava. Da seduto, le aveva dato un’altra impressione.

La barba più corta e i capelli neri sciolti gli incorniciavano il viso.

Di scatto, Eileen si alzò in piedi, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

Percepì Roman mettersi in piedi subito dopo di lei, e con risolutezza, pronunciare: “Padre.”

“Arthur” gli rispose l’uomo, spostando subito l’attenzione sulla persona al suo fianco.

“Eileen” scandì il suo nome, lettera per lettera, spingendola ad alzare lo sguardo.

Non hai niente di cui vergognarti. Sii coraggiosa.

Gli occhi scuri del capobranco incontrarono quelli verdi di lei, incatenandoli a sé.

Non aveva mai osato fissare così apertamente Adamo, il suo capobranco.

Eppure, il padre di Roman sembrava esigere quel contatto. La scrutava intensamente.

Non stavano parlando, ma i suoi occhi erano in grado di comunicare.

Tutto durò qualche secondo, ma l’intensità del momento la scombussolò.

L’uomo si ritrovò a sorriderle: “Benvenuta, entra pure” disse indicando la stanza alle sue spalle “Arthur dovresti farmi il favore di cercare Genny, devo parlarle” aggiunse, rivolgendosi a suo figlio.

“Padre, Genny mi sta sostituendo all’asilo” gli rispose, cercando anche un modo per assistere all’incontro e non essere congedato.

“È urgente” affermò deciso, senza lasciare spazio ad alcuna replica.

“Vado a chiamarla” si arrese alla fine Roman.

Notò una punta di amarezza nella sua voce, sintomo del fatto che stava iniziando a conoscerlo veramente.

Non osò guardarlo in faccia.

Prima di accorgersene, Roman era sparito, non lasciandole altra alternativa se non affrontare suo padre.

Da sola.

Si morse l’interno della bocca.

Sentiva la schiena ricoperta di sudore, nonostante non facesse caldo.

Coraggio.

Seguì l’uomo che intanto si era spostato all’interno del suo studio.

Lo vide trascinarsi, mentre spostava la maggior parte del suo peso sulla gamba sinistra.

La prima volta che si erano incontrati, non lo aveva notato. Probabilmente perché la maggior parte del tempo era rimasto seduto, a guardarla.

A giudicarla.

Smettila, concentrati.

Un brivido di adrenalina le attraversò la schiena.  

Aveva atteso quel momento da tanto e immaginato diverse volte l’esito.

“Eileen, non fare la timida. Siediti qui, accanto a me” la esortò, indicandole il posto sul divano, al suo fianco.

La naturalezza con cui utilizzò il suo nome e l’informalità del suo tono, le fecero girare la testa.

Era confusa.

Tuttavia, eseguì subito gli ordini, reduce della mentalità per cui ciò che viene pronunciato dal capobranco è legge.

Non è il tuo capobranco, ricordalo.

Si sedette, mantenendo le distanze.

Non aveva ancora compreso le regole del “gioco”.

“Non ti preoccupare, non mordo” disse, sollevando l’angolo della bocca, increspando la pelle in quella zona lì.

L’uomo non dimostrava più di 45 anni, eppure con i capelli sciolti e il volto rilassato, dava l’idea di essere più giovane.

Osservandolo, notò palesemente quanto i suoi tratti fossero diversi da quelli del suo compagno.

Partendo dalla tonalità della pelle, fino al colore degli occhi.

Personalmente, non lo trovava un uomo avvenente, eppure c’era qualcosa di intrigante e magnetico in lui.

“Sono curioso di conoscere la storia di quella cicatrice” le comunicò, indicandola “l’ultima volta che ci siamo visti, non l’avevo notata…” disse pensieroso, mentre si grattava il mento.

Anche se non si trattava di un comando, Eileen lo aveva percepito come tale.

Il tono che utilizzava non lasciava scelta ad alcun interlocutore.

“…ecco perché! Portavi il collare” costatò, felice di aver trovato la soluzione al suo dilemma.

A stento, Eileen riuscì a trattenere una smorfia.

Non le piaceva ricordare il giorno del Processo.

Cercò di non soffermarcisi sopra, e tirò fuori il quaderno dalla tracolla, ritrovando miracolosamente la forza di muoversi e reagire.

Sono stata aggredita da un lupo quando ero piccola. È il motivo per cui non posso parlare.

Scarabocchiò e glielo porse subito dopo.

Solo allora si rese conto di non aver mai condiviso con Roman i dettagli di quell’episodio che aveva segnato la sua vita per sempre.

Quasi si sentì in colpa.

Lui si era aperto rivelandole i suoi ricordi più dolorosi, mentre lei stentava a farlo.

Possibile che non si fidasse di lui?

Intento a leggere la sua risposta, il capobranco ne approfittò per avvicinarsi a lei, accorciando le distanze, centimetro dopo centimetro.

Ferma.

Aveva abbassato la guardia.

Decise di rimanere salda nella sua posizione.

Non mostrare paura o debolezza. 

A quella distanza era in grado di captare il suo odore: eucalipto, legna e…un’altra sostanza che non riusciva ad identificare.  

“Un lupo non aggredisce senza motivo” affermò lui, commentando ciò che aveva scritto.

Con lo sguardo assente, sembrava tutt’altro che soddisfatto da quella risposta. 

Non ci fece troppo caso e si concentrò sulla sua affermazione.

Ricordava vagamente quel giorno, alcuni dettagli le sfuggivano, sfocati e indefiniti.

Non aveva mai capito il motivo per cui era stata attaccata e nessuno si era mai degnato di spiegarglielo.

D’altra parte, lei non aveva mai posto quella domanda.

Era stata così occupata a gestire le ripercussioni che quell’episodio aveva avuto nella sua vita, che aveva totalmente dimenticato di chiedersi il “perché”.

Ogni volta che ci pensava, soffriva.

Evitava di farlo e solo nei sogni, inconsciamente, “permetteva” a se stessa di ricordare.

Piccoli flash continuavano a tormentarla di tanto in tanto.

Alzò lo sguardo e notò lo sguardo dell’uomo fisso sulla ferita che portava al collo.

Era ormai da tempo che non ci pensava. Quasi aveva dimenticato di averla.

Inutile dire che in quel momento, aveva una voglia matta di coprirsi la gola con la sua vecchia sciarpa verde.

Nel momento in cui si convinceva dei passi avanti che aveva compiuto, bastava un episodio come quello a ricordarle quanto fosse debole.

Non ho memoria di ciò che è successo, scarabocchiò alla fine all’angolo del foglio.

Stava per scusarsi, ma decise di non farlo.

“E quindi tu saresti la compagna di mio figlio” il tono piatto, non tradiva alcuna emozione.

Poi, come un gesto studiato, le sorrise, spingendola a fare lo stesso di rimando.

Confusa, non sapeva se si trattasse di un’affermazione o di una domanda.

Così alla fine, cauta, annuì.

Immobile, la scrutava. Con le gambe accavallate, si protese in avanti, puntellando le cosce con i gomiti, senza smettere di guardarla.

I capelli sciolti si mossero in avanti, sfiorandogli gli zigomi.

I muscoli le dolevano per quanto erano tesi.

“Lo sai che non posso accettarti nel mio branco dato che la tua lealtà appartiene ad un altro, vero?”

Disse alla fine, interrompendo quel silenzio assordante.

Non c’era cattiveria nel suo tono. Le stava mostrando la verità dei fatti, nuda e cruda.

Eileen conosceva le regole.

Era impensabile appartenere a due branchi contemporaneamente. Non aveva senso.

Esisteva un’unica famiglia a cui affidarsi.

Sapeva che una via d’uscita esisteva.

Ci aveva pensato così a lungo che alcune notti non era riuscita a chiudere occhio.

Prese il taccuino e con mano ferma, afferrò il suo destino, costringendolo a cambiare direzione.

Abbandonerò il mio branco.

Subito dopo averlo scritto, il cuore iniziò a batterle velocemente.

Il volto di Mala fu il primo ad emergere tra i suoi pensieri, seguito dal viso angelico di Bentlam.

Non esisteva un momento felice della sua infanzia in cui non era stata presente.

Quella donna l’aveva salvata più di una volta.

L’immagine di sua madre le fece contorcere lo stomaco.

L’avrebbe odiata?

Il papà di Roman sollevò pigramente l’angolo della bocca: “Ero sicuro che fossi un tipo intelligente” riportò la schiena sul divano e si grattò distrattamente il ginocchio: “immagino tu sappia che tutto ha un prezzo.”

Eileen trattenne il respiro.

C’era da aspettarselo. L’aveva messo in conto.

Di nuovo annuì, lasciando che fosse lui a dirigere il discorso.

Eppure, il capobranco rimase in silenzio.

Si alzò senza appoggiare il peso sulla gamba ferita e riempì il bicchiere di un liquido argenteo.

Lo trangugiò in pochi secondi e si asciugò le labbra con il dorso della mano.

L’odore forte del liquido arrivò alle sue narici, trovando una corrispondenza con uno dei componenti della fragranza dell’uomo che in precedenza non era riuscita a identificare.

Cosa sta bevendo?

“Sai, Eileen, ognuno di noi deve fare dei sacrifici per raggiungere degli obiettivi” sussurrò fissando il bicchiere tra le mani “e anche a te tocca farlo.”

Alzò lo sguardo davanti a sé: “Devi dimostrarmi di essere all’altezza di mio figlio.”

Assorbì quelle parole come una spugna.

Strinse i pugni, affondando le unghie nella carne.

Per tutta la vita, si era sentita inferiore agli altri e ora aveva la possibilità di mostrare il suo valore.

Di redimersi.

L’uomo si legò i capelli distrattamente e finalmente posò lo sguardo su di lei.

“Un atto di fiducia, ecco ciò che ti chiedo” riempì di nuovo il bicchiere “dimostrami che mi posso fidare di te” dopodiché trangugiò tutto il contenuto ancora una volta.

Gli occhi incatenati ai suoi.

Fidarsi.

In teoria, non era difficile. Era la pratica il problema.

Iniziò a scrivere sul taccuino, prendendosi qualche secondo in più per pensare alle parole giuste.

Intanto, il capobranco si avvicinò nuovamente al divano, accorciando ulteriormente le distanze.

Eileen cercò di non farsi innervosire dalla sua presenza, ma era a dir poco impossibile.

Di fretta, completò la sua risposta.

Andrò personalmente dal mio branco e gli informerò della mia scelta.

Leggendo, lo vide annuire, per la prima volta, soddisfatto.

“Però devo chiederti un favore: devi convincere Arthur a non partire con te” appoggiò la mano sul suo ginocchio “qui ha dei doveri da assolvere, tu lo sai meglio di chiunque altro quanto lui sia indispensabile per questa comunità” aggiunse con tono suadente.

Roman era parte della spina dorsale del branco, senza il suo contributo, erano persi.

Non poteva dargli torto.

D’altra parte, sapeva che la maggior parte dei capibranco aveva la capacità di persuadere, con le buone o con le cattive.

Il padre di Roman faceva parte di una categoria superiore: era un ammaliatore nato.

Sembrava dotato di un potere sovrannaturale in grado di convincere chiunque a fare ciò che voleva.

La portata di quel fascino, la spaventò.

Aveva voglia di scappare via, ascoltando finalmente il consiglio del Pazzo.

Il Pazzo.

Era cosciente di essere finita nella trappola del capobranco sin da quando aveva varcato l’uscio della porta: non aveva avuto scampo.

Però poteva sfruttare la situazione, stare al suo gioco.

Riportò il taccuino sulle gambe, strappò il foglio e scrisse sul retro la sua risposta.

Lo farò, ma anche io avrei un favore da chiederti: aspetta il mio ritorno per giustiziare il Pazzo.

L’uomo alzò lo sguardo dal foglio e per la prima volta, non sembrò indifferente.

Inclinò leggermente la testa e poi le sorrise, come da copione.

“Affare fatto.”

Quella replica la sbalordì.

Si aspettava un rifiuto o mille domande in proposito, e invece, quell’uomo continuava a stupirla, comportandosi in maniera del tutto imprevedibile.

“Hai dei colori particolari” affermò lui, indicando il suo viso.

Cambiò di nuovo argomento, confondendola.

Mi è stato detto più volte. Il rosso dei capelli è di mio padre, credo.  

Sorrise della sua titubanza: “Credi?”

Alzò lo sguardo su di lui e scorse curiosità.

Erano tornati su un terreno neutro e stava trovando quello scambio quasi piacevole.

Quasi.

Mio padre era un guerriero, per questo non lo vedevo spesso. È morto quando ero piccola.

Invece di mostrarsi triste, l’uomo a stento riuscì a trattenere una risata.

Non ebbe il tempo di sentirsi offesa, perché qualcuno bussò alla porta, interrompendoli.

Roman non aspettò di essere invitato, entrò nello studio e subito scorse sul suo viso una leggera preoccupazione: una piccola ruga sulla fronte ne era la prova.

Non è più rilassato come prima.

Guardandolo, tirò un sospiro di sollievo.

Era così felice di vederlo lì.

“Arthur, stavo discutendo con Eileen della sua famiglia. Vuoi unirti alla nostra conversazione?” indicò una delle poltrone vicino al fuoco “anche se probabilmente saprai già tutto” aggiunse guardando prima lui e poi lei.

Maledizione.  

Eileen aveva voglia di sotterrarsi.

Vide Roman irrigidirsi, e costruirsi una maschera di indifferenza.

Non tradiva alcuna emozione e questo non faceva che aumentare la sua ansia.

“Padre, mi piacerebbe, ma devo tornare ai miei doveri, lo sai quanto Genny odi sostituirmi. Mi ha dato la sua parola che non appena le darò il cambio, verrà direttamente qui” lo informò.

“Accompagno Eileen nella sua stanza e torno al lavoro” concluse, e si congedò dal padre con un cenno del capo.

Imitandolo, lei decise di alzarsi e salutare il padre allo stesso modo.

“Certo, Arthur. Andate pure. Grazie per la chiacchierata, Eileen” come aveva fatto prima, scandì il suo nome chiaramente, lettera per lettera.

Un brivido le attraversò la schiena.  

Di fretta, si precipitò fuori dalla porta, seguendo il suo compagno.

Intanto, lui non si girò a guardarla, le dava le spalle, continuando ad avanzare.

Eileen non aveva il coraggio di fermarlo.

Aveva ragione ad essere arrabbiato. Non poteva dargli torto, al posto suo, anche lei sarebbe stata arrabbiata.

Sentendosi colpevole, continuò a seguirlo, senza proferire parola.

Mantenne le distanze, anche se era l’ultima cosa che desiderava.

Non appena aveva varcato la porta, rivederlo l’aveva resa così felice.

Finalmente aveva smesso di trattenere il respiro: una boccata d’aria fresca.

Ora sentiva la necessità di toccarlo, di provare a rimediare.

Il rapporto tra compagni non lasciava scampo: la distanza che le aveva imposto iniziava a trasformarsi in dolore fisico.

Si morse il labbro inferiore tra i denti.

D’un tratto, sentì il bisogno di raccontargli tutto, di liberarsi dell’immenso peso che portava da giorni.

Desiderava una tregua, e quello poteva essere l’unico modo per ottenerla.

Distratta dai pensieri, non si accorse che Roman aveva fatto una piccola deviazione.

Si fermò a parlare con un uomo che non aveva mai visto.

Da come era vestito, dava l’idea di essere una guardia.

Non riusciva a sentire ciò che si stavano dicendo.

Non osava avvicinarsi: era troppo lontana e il suo udito funzionava ad intermittenza.

Un altro svantaggio del non essere lupo.

L’espressione sul volto del suo compagno si oscurò e fissando l’uomo di fronte a sé, strinse i pugni.

Confusa, Eileen cercò di interpretare il suo linguaggio del corpo.

Non sembrava pronto ad attaccare, era invece piuttosto arrabbiato. Come se avesse ricevuto brutte notizie.

Senza neanche aspettarla, con un cenno brusco del capo si congedò dalla guardia e proseguì verso la sua stanza.

Maledizione, ma perché corre così velocemente?

Era il momento di fermarlo, non poteva più rimandare il confronto.

Gli corse dietro e lo tirò per il braccio, invano.

Sfuggì alla sua presa e continuò a camminare, ignorandola.

Eileen gli si parò davanti, ma in questo caso, riuscì a schiavarla, senza nemmeno guardarla in faccia.

L’espressione corrucciata non dava l’idea che fosse arrabbiato.

Peggio: era furioso.  

Era probabile che la stesse evitando anche per non scoppiare lì, davanti a tutti, dando spettacolo.

A lei non interessava: doveva fare qualcosa o sarebbe impazzita.  

Esigeva delle spiegazioni e lei stessa sapeva di dovergliene, se solo le avesse concesso la possibilità di farlo.

Erano quasi arrivati, quando alzò il passo, sbarrandogli la strada.

Prima che potesse sfuggirle di nuovo, lo afferrò per la collottola con entrambi i pugni, costringendolo a guardarla.

Sobbalzò vedendo il fuoco nei suoi occhi.

Ma non indietreggiò di un millimetro.

Con mosse precise e agili, Roman si liberò dalla sua presa.

Questo le fece parecchio male, colpendo il suo orgoglio.

Ma non si scoraggiò, era pronta a rincorrerlo un’altra volta, se necessario.

Solo dopo si accorse che non stava scappando.

Le andò incontro, facendola sussultare.

Non ebbe il tempo di realizzare ciò che stava succedendo che si ritrovò a testa in giù, i fianchi premuti sulla spalla dell’uomo.

Incredula, Eileen non ebbe neanche il tempo di reagire che erano già entrati nella stanza.

L’uomo spalancò la porta con un calcio e, di botto, la fece atterrare sul materasso del letto.

I capelli scompigliati le coprivano gli occhi.

Sentì la porta sbattere e far tremare tutto.  

Scocciata, riuscì a spostarli e vide Roman dall’altro lato della stanza, con le braccia conserte e gli occhi fissi su di lei.

A malapena riusciva a stare fermo, tuttavia, non si azzardò ad avvicinarsi.

Qual è il tuo problema?

Segnò freneticamente, riuscendo finalmente a comunicare.

Ora anche lei era furiosa.

Come si permetteva a sbatterla da una parte all’altra come una bambola di pezza?

Il suo atteggiamento la stava portando sull’orlo della pazzia.

Intanto, Roman non accennava a risponderle, se ne stava lì, immobile, a fissarla con sguardo truce.

Testardo di un lupo.

Strinse i pugni per un attimo e poi li riaprì, riprovandoci un’altra volta.

Se non mi parli, come facciamo a risolvere le cose?

La sua espressione era tra l’implorante e l’arrabbiato.

Sei TU che non mi parli.

Le segnò lui, rivolgendole la parola dopo tanto tempo: sembrava passata un’eternità.

Per quanto fosse felice di aver ottenuto una reazione, una qualsiasi reazione, non le sfuggì il fatto che l’aveva accusata di essere lei il problema là dentro.

Non aveva torto, e lo sapeva.

Ciò non significava che faceva meno male.

Strinse i denti e ritrovò un po’ di calma.

Voleva scusarsi, spiegargli il suo punto di vista, ma era troppo arrabbiato per poter discutere razionalmente.

Comunque, tentò.

Tuo padre mi ha chiesto informazioni sulla mia famiglia e io ho risposto, non volevo mancargli di rispetto.

Per niente convinto, alla fine, decise di parlare.

“Mi sto abituando all’idea di essere l’ultimo a sapere le cose” ebbe difficoltà a pronunciare quella frase, la mandibola serrata.

In silenzio, Eileen incassò il colpo.

Non aveva la più pallida idea di quanto avesse ragione.  

Lo stomaco le si contrasse e un’ondata di nausea la investì.

“L’uomo che hai visto prima mi ha detto che tu e Mala siete state attaccate da due guardie il giorno prima di finire in prigione” sussurrò con tono piatto.

La calma prima della tempesta.

Colta in fallo, rimase senza parole.

Non che potesse esprimerne alcuna, ma era stata presa in contropiede.

Tutto si aspettava tranne quello. Era sicura che avrebbero litigato per suo padre, non perché aveva taciuto quell’episodio.

Se n’era del tutto dimenticata.

Quello è il problema di quando racconti troppe bugie.

La sua coscienza scelse il momento peggiore per fare la sua comparsa.

“Quando pensavi di dirmelo?” chiese sarcastico “Aspetta, forse so già la risposta” aggiunse, senza darle il tempo di ribattere.

Era ormai un fiume in piena.

“MAI” avanzò verso il suo letto.

Abbandonò il tono piatto e alzò la voce.

“Sono il tuo fottuto compagno, maledizione! Dovrei essere la prima persona a cui ti rivolgi, a cui ti appoggi, a cui racconti le FOTTUTE cose!” con forza si batte i pugni sul petto, rafforzando il concetto.

Eileen non lo aveva mai visto così.

Era arrabbiato, ma in realtà, stava soffrendo da cani.

E lei stava soffrendo con lui.

Tutta la sua rabbia si era dissipata.

Il senso di colpa la divorava.

Queste non erano altro che le prove generali.

Come avrebbe reagito quando gli avesse raccontato tutta la verità?

In piedi, di fronte a lei, Roman aspettava impaziente una sua risposta.

Aveva tutte le ragioni per essere furioso con lei.

Si sentiva una persona orribile.

Percepiva tutto il peso del mondo sulle spalle.

Dalle bugie su cui costruiva la sua relazione con Roman, al bigliettino del Pazzo che conservava sempre con sé.

Alla paura di abbandonare definitivamente il suo branco e tagliare i ponti con il suo passato, alla preoccupazione per l’incolumità di Mala.

Senza dimenticare poi le persone chiuse in prigione e tutte quelle che aveva assistito sul letto di morte.

Il volto del bambino con gli occhi color nocciola fu il colpo di grazia.

Le lacrime uscirono senza che se ne accorgesse.

Tutto divenne sfocato e indefinito.

Sentì il petto stringersi in una morsa letale.

Suoni sordi uscirono dalla sua gola, mentre cercava di riprendere fiato.

Aveva difficoltà a far entrare aria nei polmoni, per quanto si sforzasse di raccogliere fiato.

I suoni ovattati, la mente confusa, in qualche modo era cosciente del fatto che stesse per svenire.

Sto per morire. 

Fu l’unico pensiero chiaro e limpido.

“Mailyn, Eileen, mailyn…” una voce lontana esigeva la sua attenzione.

Era impregnata di urgenza e preoccupazione.

Provò a focalizzarsi su quella, sebbene la percepisse come un suono lontano anni luce.

Gradualmente ritornò a distinguere i diversi rumori intorno a lei.

Non si era accorta di aver chiuso gli occhi.

Gli riaprì, concentrata sulla voce di Roman che le rimbombava nelle orecchie.

Il palmo della mano le incorniciava il viso, mentre l’altra mano manteneva una presa salda sulla sua spalla.

Solo in quel momento, si accorse che Roman era di fronte a lei, non più a migliaia di chilometri di distanza.

Mio Dio, grazie.

Gli occhi color miele erano ritornati limpidi e chiari, ma così spalancati esprimevano terrore.

Una traccia di sollievo fece capolino sul suo viso quando la vide riprendersi.

“Eileen, mailyn…mio Dio…” a malapena riusciva ad esprimere a parole quanto fosse sollevato.

Cadde in ginocchio ai piedi del letto, portando i loro visi alla stessa altezza.

Cosa è successo? Mi sento molto stanca.

Disse lei alla fine, con i muscoli tesi e il sudore che le imperlava la fronte.

Il suo compagno alzò lo sguardo e senza pensarci due volte, sollevò di peso il suo corpo.

Come se non pesasse nulla, la adagiò sul materasso ed entrambi si stesero nel letto.

Ti stai divertendo a trasportarmi da una parte all’altra?

Segnò lei, cercando di sminuire l’accaduto, sorridendogli.

Si accorse che le pesava perfino muovere le mani.

Roman non riusciva a spiccicare parola, ma allo stesso tempo, non le staccava gli occhi di dosso.

Non c’era più alcuna traccia di rabbia.

“Mailyn, credo tu abbia avuto un attacco di panico…” lasciò in sospeso la frase, deglutendo più volte.

Non c’era bisogno di spiegare, lei sapeva benissimo cosa significasse.

Quando aveva lavorato al fianco di Bentlam, ricordava di aver assistito ad un episodio del genere.

Ma viverlo in prima persona, era tutta un’altra cosa.

Si sentiva totalmente sottosopra, la mente annebbiata, aveva voglia solo di chiudere gli occhi.

Solo per un momento.

Si sporse verso Roman e lo abbracciò, assorbendo tutto il suo calore.

Respirò il suo odore inconfondibile.

Era tutto ciò di cui aveva bisogno.

Le braccia comprensive e accoglienti del suo compagno la avvolsero all’istante, incondizionatamente, senza chiedere nulla in cambio.

Eileen chiuse gli occhi.

È solo questione di tempo.

Fu l’ultimo pensiero che le sfiorò la mente, prima di addormentarsi.
 
 
Intanto nel branco dei Mei…


Mala camminava avanti e dietro ormai da ore.

Il suo cervello continuava a lavorare ininterrottamente, in cerca di una soluzione per uscire da quella stanza.

Tutto si era aspettata, tranne che essere rinchiusa in una manciata di metri quadri, dalla mattina alla sera, senza possibilità di prendere una boccata d’aria. 

Sembravano passati anni: per un lupo, era la cosa più vicina ad una tortura.

In realtà, era Shura il motivo principale per cui non riusciva a farsene una ragione.

Se non avesse l’urgenza di ritrovarlo, avrebbe accettato quella punizione senza fare troppe storie.

Ci era abituata.

Aveva anche cercato di parlare con suo padre per spiegargli la situazione, ma si era rifiutato di incontrarla.

Era stato Noah stesso a recapitarle il messaggio, dicendole che era troppo stanco e malato per litigare con lei.

L’avrebbe incontrata solo dopo aver scontato la punizione.

Era così sicuro che l’avrebbe fatto.  

Col cavolo che rimarrò qui tutto quel tempo.

Non sarebbe stato per niente facile scappare da lì, e lo sapeva bene.

“Vogliono tenerti al sicuro, sei troppo importante per il branco” le aveva detto Noah, al fine di calmarla e farla ragionare.

Chissà perché non la sorprendeva vedere suo padre lasciar fare il lavoro sporco agli altri.

Non si degnava neanche di parlarle faccia a faccia.

Se da una parte il suo comportamento non la stupiva affatto, dall’altra soffriva nel vedere il suo amico diventare il nuovo burattino di suo padre.

Era certa che sarebbe stato dalla sua parte, e invece si era sbagliata di grosso.

Strinse i pugni e affondò le unghie nei palmi delle mani.

Una chiave girò nella toppa della sua porta. Non si voltò neanche ad accogliere il nuovo arrivato, conosceva perfettamente l’odore del traditore.

Ormai Noah era di casa. Suo padre l’aveva nominato come suo nuovo “babysitter”.

Non sapeva cosa la irritasse di più: sapere che il suo ex amico aveva accettato di buon grado quel ruolo o che in qualche modo, avesse preso il posto di Shura.

Impresa ardua, per giunta.

Percepì un certo odore di cibo che le fece venire l’acquolina in bocca.

Il suo stomaco reagì di conseguenza.

“Fiocco di neve, devi mangiare qualcosa o morirai di fame” le disse lui, con tono preoccupato.

Molto probabilmente accompagnato da un’espressione da cane bastonato.

Dandogli le spalle, non poteva guardarlo in faccia, ma ne era più che sicura.

“Smettila di chiamarmi così, non fingere di essere mio amico” c’era rancore e rabbia nella sua voce, sebbene non volesse mostrargli quanto l’avesse ferita.

“Non sto fingendo, io sono tuo amico” la convinzione impregnava le sue parole.

Per poco Mala non scoppiò in una risata isterica.

Lentamente si girò a guardarlo e con un sorriso beffardo, rispose: “Se fossi veramente mio amico, non mi terresti chiusa qui dentro. Oppure con i tuoi amici solitamente ti comporti così?”

“Lo sai che è per il bene del branco, le condizioni di tuo padre sono tutt’altro che rassicuranti.”

Stava cercando di commuoverla o di fare leva sul suo senso di colpa?

L’interessamento per suo padre era proporzionale a quanto suo padre si era mai interessato a lei.

Meno di zero.

“Indovina quanto me ne frega di lui?” mise le mani sui fianchi, aspettando di vederlo andarsene con la coda tra le gambe.

Eppure, Noah non accennava ad andarsene.

“Non conosco i trascorsi tra te e tuo padre, ma qui ci sono in gioco le sorti del branco e tu devi fare la tua parte, come tutti gli altri” il suo tono severo e irremovibile la faceva sentire come una bambina disobbediente.

Non era la prima volta che si sentiva così.

Inevitabilmente continuava a ricoprire questo ruolo che odiava.

Shura.

“Vi riempite la bocca con questi bei paroloni e poi lasciate che un membro del branco rimanga disperso per tutto questo tempo” doveva tentare di farlo rinsavire, in modo che le desse la possibilità di iniziare subito le ricerche.

Ogni minuto che passava era prezioso. Il tempo era un lusso che non poteva permettersi di sprecare.

La frustrazione e la rabbia le facevano ribollire il sangue.

Le unghie continuavano ad affondare nella carne.

“Ti ho assicurato più di una volta che le ricerche sono iniziate. Sono a capo delle diverse spedizioni. Ogni giorno ci mettiamo sulle sue tracce, ma è maledettamente bravo a nasconderle…”

La sua voce si interruppe, facendo trasparire delusione e ansia.

Per la prima volta, percepì da parte sua una reazione da essere umano.

Le ricordava il vecchio Noah, la persona che ammirava.

“Lasciami unire a voi, ti prego, devo cercarlo…”

“Non preoccupartene” la interruppe lui “sono sicuro che lo troveremo prima di quanto immagini. Lasciami fare il mio lavoro, sai che so essere maledettamente bravo” le sorrise, cercando una complicità che non trovò.

Lo sguardo truce di Mala significava un’unica cosa: vattene.

Questa volta, Noah appoggiò il vassoio sul letto e, prima di congedarsi, le disse: “Mangia qualcosa, Shura non vorrebbe vederti morire di fame.”

Bastardo.

La conosceva troppo bene. Sapeva perfettamente quali tasti toccare.

Trattenne le lacrime, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.

Non gli staccò gli occhi di dosso, aspettò impaziente che se ne andasse e, alla fine, la accontentò.

Solo dopo aver sentito i suoi passi allontanarsi, scoppiò a piangere.

Si morse il pugno per soffocare i singhiozzi.

Non voleva che qualcuno “ascoltasse” il suo dolore.

Si asciugò le lacrime e abbassò lo sguardo sulle piccole mezzelune sui palmi delle mani.

“Il corpo è come un tesoro che va custodito. Hai capito?”

La voce di Shura le risuonò nelle orecchie.

Il suo amore l’aveva tenuta viva per tutto quel tempo e non poteva rendere vani tutti i suoi sforzi.

Gli occhi azzurri si spostarono sul vassoio pieno di cibo.

Inghiottì più volte la saliva e sospirò rassegnata.

Ho capito.




Buonasera a tutti/e!

Dopo secoli, il Voice Day è tornato! 

Dovete assolutamente perdonarmi per essere scomparsa, ma questo periodo è stato molto intenso, e per un motivo o per un altro, non riuscivo a trovare il momento giusto per scrivere. Non solo, il 5 ottobre questa storia ha compiuto 1 anno e non ho organizzato nulla per festeggiare, damn! Per caso, qualcuno di voi ha qualche idea carina in mente per farle spegnere la famosa candelina, anche se in ritardo?

In più, ho notato che molti di voi erano curiosi e lo sono tutt'ora (spero) di leggere come le cose si svilupperanno tra Mala e Shura, motivo per cui ho aggiunto questo pezzettino finale al capitolo. 

Non vi assicurerò di essere costante come prima negli aggiornamenti, ma proverò a postare con frequenza. Fatemi sentire che ci siete, mi raccomando. <3

Vi abbraccio forte forte, 

Helen.

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Capitolo 46
*** Atto ***


Seduta per terra, tra i cuscini, Eileen osservava la pioggia fuori dalla finestra. 

Dopo essersi svegliata, Roman aveva insistito perché si prendesse un giorno di pausa dal lavoro.

Per tutto il tempo, non l’aveva mai lasciata da sola e anche ora che si trovava all’asilo, a pochi metri da lui, sentiva il suo sguardo su di sé.

Eileen sapeva di dovergli delle spiegazioni e durante la colazione aveva cercato di tirare fuori l’argomento, ma lui non aveva voluto sentire ragioni.

“Ne parleremo quando starai meglio” aveva detto, rassicurandola con un sorriso incerto, gli occhi preoccupati.

Di riflesso, aveva alzato l’angolo della bocca, poco convinta.

Alla fine, aveva deciso di non forzare la mano, nonostante fosse cosciente che non avessero molto tempo a disposizione.

A breve sarebbe partita e qualcosa le diceva che sarebbe stato un viaggio parecchio impegnativo.

Di questo, però, Roman non ne era a conoscenza.

Aggiunse questa informazione alla lista infinita di cose che il suo compagno non sapeva.

Spostò lo sguardo su di lui e se lo mangiò con gli occhi.

La sua figura slanciata e ben definita era evidente ad ogni suo movimento.

Se si piegava in avanti per rispondere ad una domanda, o prendeva dalla mensola un oggetto, riusciva ad essere attraente ed affascinante da qualsiasi angolazione.

Non si muoveva mai in maniera casuale. Ogni gesto emanava sicurezza ed eleganza.

Sebbene la coda disordinata gli conferisse un’aria trasandata, comunque era sexy da morire.

Notò piccoli segni scuri sotto gli occhi e di colpo si sentì in colpa di averlo tenuto sveglio.

È rimasto vigile per tutto il tempo che ho dormito?

Come se lo avesse chiamato ad alta voce, gli occhi color miele beccarono i suoi intenti ad osservarlo.

E lui fece altrettanto, indugiando sulla sua figura.

Di riflesso, riportò gli occhi sulla finestra.

Aveva paura che ad un certo punto avrebbe letto sul suo viso la stessa inquietudine che si agitava dentro di sé.

Decise che dopo la lezione gli avrebbe parlato. Punto.

“Ti piace il mio disegno?” chiese una voce infantile dal nulla.

Il bambino paffutello che tempo fa aveva visto addentare una coscia di pollo dopo essersi svegliata, era proprio lì, davanti a lei.

Il foglio spalancato sotto il suo naso e un’espressione piena di aspettative dipinta sul volto.

Eileen abbassò gli occhi sulla figura che aveva disegnato e, subito si riconobbe.

Ebbe un déjà-vu.

Per quell’età, il bambino aveva un enorme talento.

Era riuscito a ritrarla seduta: parte del corpo appoggiato al muro, lo sguardo perso nella pioggia.

“Charlie! Torna qui, non dare fastidio ad Eileen” lo esortò Roman da lontano, cercando di convincerlo a riunirsi al gruppo.

Charlie?

“Mio figlio si chiama Charlie, ha 4 anni, è adorabile. Ha i miei stessi occhi castani e i capelli ricci di suo padre. Non ti puoi sbagliare. È un gran mangione, curioso e fa sempre mille domande…”

La voce di Ella risuonò nelle sue orecchie come se fosse lì, al suo fianco.

Nonostante la descrizione impeccabile, lei non era riuscita a fare due più due.

Alle sue qualità, la madre si era dimenticata di aggiungere che aveva talento per l’arte, proprio come lei.

Sollevò gli occhi dal disegno e vide Charlie in attesa di un suo riscontro, dopo aver ignorato totalmente il richiamo dell’insegnante.

Alla fine, Eileen alzò entrambi i pollici, sorridendo.

Non proprio convinto, Charlie continuò a scrutarla per qualche secondo, poi ritornò a concentrarsi sul disegno, senza abbandonare la sua nuova postazione.

Impegnato a gestire gli altri bambini, Roman cercò lo sguardo della sua compagna, assicurandosi che andasse tutto bene.

Riuscì a rassicurarlo con un lieve sorriso, finché Charlie non richiese di nuovo la sua attenzione.

“È giusto il colore dei capelli?” le mostrò i suoi progressi, indeciso sul colore appropriato per rendere al meglio la sua chioma.

Confuso dal rosso così inusuale, continuò a fissarle i capelli, arricciando di tanto in tanto il naso.

Sembrava nel mezzo di una vera e propria crisi esistenziale.

Intenerita da quella cura per i particolari, lo invitò ad avvicinarsi e ad osservare più da vicino le onde dei suoi capelli.

Riguardo il suo modo ‘atipico’ di comunicare, Charlie non fece una piega, e senza farselo ripetere due volte, afferrò delicatamente una ciocca.

La timidezza venne subito accantonata, lasciando posto alla curiosità.

Con calma e circospezione, la rigirò tra le dita, godendosi la loro morbidezza.  

Dopo qualche minuto, si ricordò della sua missione.

Raccolse diversi colori e, alla fine, scelse quello che più si avvicinava alla sfumatura dei capelli.

Eileen lo osservava in silenzio, stupita della sua maturità e dell’impegno che ci metteva.

Con un’espressione seria e concentrata, iniziò a colorarle la parte superiore della testa.  

Senza esprimere alcuna valutazione ad alta voce, si dedicò al completamento della sua opera.

Di tanto in tanto, alzava gli occhi per catturare un nuovo dettaglio su di lei.

A sua volta, osservarlo le trasmise pace e tranquillità: le piccole rughe sulla fronte, il modo in cui afferrava i pastelli, le gambine incrociate.

Senza un briciolo di imbarazzo, Charlie la scrutava, come se fosse una questione di vita o di morte.

Per un’ora, entrambi rimasero uno a fianco all’altro, godendo della reciproca compagnia.

Come un’ombra, il bambino la seguiva in ogni suo movimento: nel momento in cui lei decideva di spostarsi più a destra, lui la imitava, fino a ritrovarsi appiccicati l’uno all’altro.

Commossa dalla sua ricerca di contatto e calore, Eileen lo assecondò e finì per tenerlo in braccio durante gli ultimi ritocchi del disegno.

Si accorse di come, in poco tempo, il senso di protezione nei confronti del bambino fosse aumentato a dismisura.

È vero provava compassione per lui: aveva perso il padre e molto presto sarebbe diventato orfano a tutti gli effetti.

Però non era solo quello. Sentiva che c’era qualcosa di speciale in lui.

“Arthur, posso parlarti?” una voce femminile interruppe quel momento idilliaco.

Ancora prima di alzare il viso, riconobbe da chi proveniva quella richiesta.

Con le mani poggiate sui fianchi, Tara la stava fulminando con lo sguardo.

Per niente contenta di vederla con un bambino del branco tra le braccia, stava valutando l’idea di sbranarla.

Eileen decise di non calcolarla, ritornando alla sua attività.

“Tara, cosa ci fai qui?” intervenne Roman, mantenendo un tono calmo “la lezione di oggi non si è ancora conclusa.”

Si interpose tra lei ed Eileen, coprendole la visuale con il corpo.

“Cosa ci fa lei qui?” chiese stizzita, ignorando totalmente la domanda che le era stata posta.

“Tara…” provò a farla ragionare, invano.

“No, Arthur sei tu che stai perdendo il lume della ragione. Lasci che stia insieme ai nostri cuccioli, loro sono il cuore e il futuro del branco e metti a rischio la loro vita in questo modo…” la foga e la rabbia con cui parlava stavano attirando l’attenzione dei bambini.

Eileen guardò i loro visi, alcuni confusi e altri allarmati.

Non era un caso che stesse alzando la voce: voleva che tutti la sentissero.

Soprattutto lei.

Ripose delicatamente Charlie sui cuscini e si alzò, raggiungendo i due.

Vado a fare due passi.

Segnò una volta raggiunto Roman.

Mantenendosi a distanza, guardò prima lui e poi si sforzò di incontrare gli occhi infuocati della donna.

Brava, non abbassare lo sguardo. Dimostrale che non hai paura di lei.

Quando vide un’espressione addolorata sul viso del suo compagno, non invidiò per niente la posizione scomoda in cui si trovava.

In qualche modo, riuscì a comprenderlo.

Ciò non significava che facesse meno male.

Aveva una voglia matta di marcare il territorio e vivere finalmente la loro relazione alla luce del sole.

Non è questo il giorno.

La stanchezza mentale e fisica le permisero di mettere a tacere il suo istinto che le suggeriva di staccare la testa della donna a morsi.

Vattene, prima di mettere entrambi nei pasticci. Pensa ai bambini.

I suoi piedi si mossero da soli verso l’uscita posteriore.

Una sottile pioggerellina iniziò a bagnarle i capelli e il viso.

In automatico, si diresse verso l’unico posto in cui si sentiva utile.

Sfinita, non aveva neanche la forza di piangere per la frustrazione.

Poco prima di mettere piede in ospedale, una voce alle sue spalle, la pietrificò.

“Ho finito il disegno” disse Charlie, seguito da uno starnuto.

Bagnato come un pulcino, l’aveva seguita fin lì, e parte dei suoi riccioli erano attaccati alle guance.

Con sguardo innocente, aspettava una sua risposta, mentre tra le mani conservava i resti della sua opera d’arte, ormai rovinata dall’acqua.

Quella visione le strinse il cuore.

Sorpresa e allarmata di vederlo lì, fuori dalle quattro mura della scuola, completamente zuppo, furono il motivo per cui corse all’interno dell’ospedale e furtivamente catturò una delle coperte.

Si precipitò all’esterno, contenta che Charlie fosse rimasto proprio dove lo aveva lasciato.

Bravo bambino.

Lo avvolse in un bozzolo e lo sollevò da terra, stringendolo a sé, cercando di infondergli un po’ di calore.

Pensa, Eileen, pensa.

Non poteva portarlo all’interno di una struttura piena di malati.

L’unica alternativa che aveva era tornare indietro.

Sebbene fosse l’ultima cosa che desiderava.

Ad un tratto, un pensiero le attraversò la mente.

O meglio, una promessa.

Con passo svelto, percorse il perimetro dell’ospedale in cerca della finestra giusta.

Sperò che Ella non avesse cambiato postazione.

E se fosse morta?

Il solo pensiero le fece gelare il sangue.

No, non può essere.

Strinse di più il bambino a sé.

Stranamente, Charlie se ne stava in silenzio: le braccine le circondavano il collo, mentre le mani le accarezzavano i capelli ad un ritmo cadenzato.

Sarà l’ultima cosa che faccio, ma devo trovare sua madre.

Una volta individuata, si affacciò lentamente alla finestra, in cerca della donna.

Con gli occhi chiusi, le mani in grembo, scorse il corpo deperito di Ella.

Sembrava invecchiata di almeno dieci anni dall’ultima volta che l’aveva vista.

Eileen inghiottì più volte la saliva e pregò che aprisse gli occhi.

Svegliati, svegliati, c’è tuo figlio qui.

Attraverso il vetro della finestra, stava cercando un modo per comunicare con lei senza attirare l’attenzione del personale.

Pensa, Eileen, pensa.

Charlie starnutì per la seconda volta, ricordandole che doveva riportarlo indietro.

Roman starà impazzendo nel cercarlo.

Assalita dal senso di colpa, stava per fare marcia indietro, quando vide gli occhi di Ella spalancati verso la sua direzione.

Possibile che avesse percepito lo starnuto del bambino?

Sorpresa, Eileen si spostò in modo che potesse osservare Charlie tra le sue braccia.

Negli occhi vitrei della donna comparve una scintilla, uno sprazzo di vita.

L’angolo della bocca si curvò verso l’alto.

Non le mancava molto da vivere, poteva vederlo.

Non bisognava essere un medico per capirlo.

Quelli sarebbero gli ultimi momenti tra madre e figlio.

Cercò di ignorare il magone.

Spostò la coperta e provò a comunicare con Charlie, in modo che potesse riconoscere e guardare sua madre per l’ultima volta.

Mossa sbagliata.

Vide il terrore comparire negli occhi di Ella.

Nonostante la sua debolezza, la donna riuscì a girarsi sul fianco opposto alla finestra, interrompendo quel dialogo silenzioso.

Non vuole che suo figlio la veda in quelle condizioni.

La scena le spezzò il cuore.

“Eileen, ho freddo” sussurrò il bambino, dopo essere rimasto in silenzio per un bel po’ di tempo.

Aggiustò la coperta e lo strinse forte, petto contro petto, cuore contro cuore.

Rispettò la decisione di Ella e si allontanò dalla finestra, rimettendosi sulla via del ritorno.
 
“Cosa hai intenzione di fare, sporca ladra di una Mei?”

Sobbalzò, fermandosi di colpo.

Una Tara incazzata le sbarrava la strada, attirando l’attenzione di tutti.

Ma questa donna ha il dono dell’ubiquità?

“Hai intenzione di ucciderlo?” tuonò, pretendendo delle risposte a domande assurde.

Il sangue nelle vene le si ghiacciò, lasciandola di sasso.

Per quanto quella situazione fosse assurda, diversi indizi lasciavano presagire che Tara diceva la verità: lei sola con un cucciolo, avvolto nelle coperte, mentre si muoveva furtivamente nei boschi.

Eileen non sapeva cosa fare: mai come in quel momento, voleva riuscire a parlare, a spiegarsi, a chiarire il fraintendimento.

Tara non vuole capire, è inutile. 

Le ricordò la coscienza, riportandola con i piedi per terra.

Non sapeva se ridere o piangere.

Indecisa sul da farsi, scosse più volte la testa.

“Ah no? Allora volevi portartelo via?” la voce della donna si inasprì ulteriormente e come un animale a caccia, iniziò ad avvicinarsi a lei.

“Cosa succede?” sussurrò Charlie preoccupato, sollevando il volto dalla sua spalla.

Eileen lo strinse a sé, per niente intenzionata a lasciarlo andare.

“Ti do tre secondi per posarlo a terra” Tara si muoveva come una cacciatrice che ha puntato la sua preda.

“Uno…” gli occhi luminosi mostravano che aveva già iniziato a trasformarsi.

“Due…”

Pietrificata, Eileen si guardò intorno per capire quante chance avesse per scappare e uscirne incolume.

Meno di zero.

“Tre!” ringhiò, saltandole addosso.

D’istinto, si buttò a terra di lato, proteggendo con il corpo il bambino che aveva tra le braccia.

Con un po’ di fortuna, era riuscita a scansare il primo attacco.

Ma la buona sorte non era tutta dalla sua parte.

Ormai totalmente lupa, Tara le azzannò la gamba, trascinandola verso di sé.

Un urlo di dolore le rimase strozzato in gola.

Provò a calciarle la zampa, per liberarsi, ma l’animale aveva già preso il sopravvento.

Raccogliendo tutta la forza nelle braccia, Eileen fece rotolare il bambino il più lontano possibile dallo scontro.

Si ritrovò la lupa sopra di sé, i denti a pochi centimetri dal viso.

Il peso dell’animale le toglieva il respiro, e il dolore lancinante delle ferite non le permetteva di pensare lucidamente.

È questa la mia fine?

D’un tratto, la lupa guaì, spostandosi verso destra, permettendole di prendere fiato.

E di trovare una via d’uscita.

Boccheggiando, iniziò a trascinarsi via.

Velocemente volse lo sguardo dietro di sé e ciò che vide la sconvolse.

Un lupo nero di piccole dimensioni aveva catturato tra le fauci l’orecchio di Tara ed era deciso a non lasciarlo andare.

Eileen non credeva ai suoi occhi.

A qualche metro di distanza, la coperta dell’ospedale giaceva vuota per terra.

Charlie si è trasformato? Ma non ha l’età…?

L’ululato della lupa catturò la sua attenzione.

Con una mossa precisa, scaraventò il cucciolo lontano da lei, perdendo però una parte dell’orecchio, ancora incastrata tra i denti del bambino.

Ululò di dolore, rivoli di sangue fuoriuscirono dalla ferita.

Dov’è finito Charlie?

Si trascinò con i gomiti in cerca del bambino.

Voleva chiamarlo a gran voce, alzarsi in piedi, ma la gamba non glielo permetteva.

“Eileen!” la voce di Roman giunse alle sue orecchie, ma non provò alcun sollievo.

Continuò le ricerche, ignorando totalmente le sue condizioni e la possibilità che Tara potesse riattaccarla da un momento all’altro.  

“Eileen! Mio Dio, fermati!” il suo compagno la afferrò per il braccio, costringendola sedersi.

Fuori di sé, cercò di divincolarsi, senza troppi risultati.

E poi lo vide.

Tra le braccia di Roman, il piccolo lupo giaceva con gli occhi socchiusi e il respiro tremante.

Sporco di terra, se ne stava rannicchiato, così piccolo e indifeso.

Ignorando il dolore alla gamba, si sporse in avanti per controllare le funzioni vitali del cucciolo.

Portalo al sicuro, in un posto caldo.

“Mio Dio, Eileen stai sanguinando, non posso lasciarti qui da sola” il panico misto a rabbia negli occhi dell’uomo la convinse a non contraddirlo.  

Impiegò diversi minuti ad alzarsi, nonostante l’aiuto del suo compagno.

Si morse il labbro inferiore, soffocando il dolore.

Solo una volta in piedi si accorse della gente che si era radunata intorno a loro.

Molti avevano assistito alla scena, mentre altri erano già all’opera per soccorrere Tara.

La donna, in forma umana, era bianca come un lenzuolo.

Mentre alcuni si affannavano a coprire la sua nudità, lei a malapena riusciva a comunicare con i medici.

Il sangue le ricopriva parte del viso.

Eileen si rese conto dei danni provocati dal bambino, preoccupata per le future ripercussioni.

Sporca, dolorante e affannata, fece leva sulla gamba sana e si appoggiò totalmente al suo compagno.

Per fortuna, c’era il suo corpo solido e forte a sorreggerla.

Una volta a contatto col suo fianco, si accorse che Roman stava tremando.

Lo guardò confusa.

Gli occhi color miele erano diventati più scuri, il mento sollevato, fiero e minaccioso.

“Se non è chiaro a tutti, lei è la mia compagna, chi ha intenzione di farle del male, dovrà vedersela con me!” ringhiò l’uomo con le braccia entrambe occupate, ma pronto ad attaccare da un momento all’altro.

Il tono basso e gutturale e il fiato che fuoriusciva dalle narici erano un chiaro avvertimento.

Nessuno osava fiatare, gli unici rumori percepibili provenivano dal bosco.

Eileen rimase senza parole e per un momento, dimenticò totalmente il dolore alla gamba, ciò che era successo, tutti i suoi problemi.

Esistevano solo lei e Roman.

Un brivido di adrenalina le attraversò la colonna vertebrale.

Nonostante il tremolio incontrollabile, la forza e la potenza del suo braccio intorno la sua vita le trasmettevano sicurezza e protezione.

Le sue parole le sciolsero il cuore.

Facendola innamorare ancora di più di lui.

Come se fosse possibile.

Non ebbe il tempo di osservare la reazione delle persone intorno a loro, perché Roman si era già incamminato verso l’asilo.

Con enormi difficoltà, ci arrivarono.

Lo stordimento e la confusione causati dagli ultimi eventi svanirono rimpiazzati dal dolore.

Eileen era sul punto di svenire, ma strinse i denti e cercò di eseguire dei respiri profondi.

Inspira, espira, inspira, espira.

Roman spalancò la porta con un calcio, spaventando tutti i bambini, compresa Genny che lo stava sostituendo.

“Genny, dammi una mano! Aiutala a stendersi” subito due braccia le circondarono la vita, spingendola verso uno dei letti.

Per quanto stesse soffrendo, Eileen doveva assicurarsi che Charlie ricevesse le migliori cure possibili.

Di’ a Roman che deve lasciare che si ritrasformi prima di mettere mano alle sue ferite…Il caldo è l’unica soluzione per invogliarlo a tornare bambino.

Segnò a Genny in maniera disconnessa.

Capito?

Le chiese, prima di stendersi.

Non ce la faceva più.

Per la prima volta, la ragazza annuì senza fare troppe storie e si catapultò dal fratello.

Passarono alcuni minuti, forse ore, Eileen non riuscì a capirlo.

Si svegliò e si riaddormentò, perdendo completamente la cognizione del tempo.

Nel mentre, realizzò ciò che era successo. Ciò che Roman aveva detto davanti a tutti.

Siamo ufficialmente una coppia ora.

Ancora non ci credeva.

Aveva mandato al diavolo tutte le regole e si era esposto per lei.

Le veniva da piangere.

Per la prima volta, lacrime di commozione, di sollievo.

Eppure, i suoi problemi non erano finiti.

Parte del branco aveva ascoltato le parole di Tara e probabilmente ci aveva creduto.

Credevano fosse una “sporca ladra”.

Eileen si coprì gli occhi con il braccio.

Una volta che qualcosa andava per il verso giusto, ce n’erano altre dieci che giravano per il verso sbagliato.

Maledizione.

Doveva spiegarsi, provare a chiarire il fraintendimento.

E Charlie?

Ancora non riusciva a capire come fosse possibile che si fosse trasformato.

Non solo, l’aveva salvata.

Senza di lui, sarebbe morta.

Provò a muoversi, ma un dolore lancinante la scoraggiò.

Alzò lo sguardo sulla gamba ferita e vide che era stata medicata.

Il vociare dei bambini era scomparso, la scuola era completamente vuota, tranne che per il suo letto e quello accanto al suo.

Quanto tempo era passato?

Sotto le coperte, a pochi passi da lei, Charlie riposava con un’espressione beata.

Il suo petto si alzava e si abbassava ad un ritmo regolare.

Tirò un sospiro di sollievo.

Anche se grande e grosso, Eileen lo notò solo in quel momento: Roman sedeva tra i due letti con un’espressione persa nel vuoto, i gomiti puntati sulle ginocchia e le mani tra i capelli arruffati.

Definirlo sconvolto era un eufemismo.

Allungò il braccio e gli toccò la gamba, facendolo sobbalzare.

“Ehi…” le coprì la mano piccola con la sua calda e callosa.

“Come sta la gamba?” le chiese a bassa voce, spostando continuamente lo sguardo tra il suo viso e la ferita.

Eileen annuì più volte e poi segnò lentamente.

La gamba è okay. Charlie?

Subito l’uomo spostò gli occhi sul corpicino steso supino nel letto.

“Credo bene…io sono sconvolto, non capisco…come sia possibile che si sia trasformato…” si aggiustò i capelli, spostandoli da una parte, nervoso e confuso.

“Non ha l’età giusta, nessuno dei bambini si è ancora trasformato…Non era mai successo…” le parole gli morirono in gola.

Ho visto un bambino trasformarsi a sei anni, può succedere, non è colpa tua.

Roman osservò le sue mani, ma non commentò.

Non parlò neanche per correggerla e dirle che Charlie aveva quattro anni e non sei.

Era scosso, era evidente quanto si sentisse responsabile per i suoi cuccioli.

Ci teneva veramente a loro e questo era uno dei motivi per cui era innamorata di lui.

Uno dei tanti.

“Mi dispiace per Tara…avrei dovuto mettere le cose in chiaro prima…” cambiò argomento, mantenendo un tono di voce basso.

Gli occhi color miele la guardavano dispiaciuti, sinceri.

Erano tornati al loro colore naturale.

Per un attimo, ricordò la sua dichiarazione nel bosco e arrossì.

Poi però si rese conto di essere in difetto.

Roman le stava dimostrando più e più volte il suo amore e lei non era stata per niente onesta con lui.

Doveva dimostrargli che non aveva riposto il suo cuore nelle mani sbagliate.

Doveva essere degna dei suoi sentimenti.

La verità è un atto d’amore. E di coraggio.

Era stanca di scappare.

Mi dispiace di non averti detto delle guardie, di ciò che è successo a me e a Mala.

Non provò neanche a giustificarsi dicendo che lo aveva fatto perché faceva parte di una promessa fatta all’amica.

Era inutile e senza senso.

In più, il tempo era contro di loro, doveva spiegarsi prima che fosse troppo tardi.

Mi dispiace di non averti parlato della mia famiglia, di quell’episodio in particolare…

Sorpreso della piega che stava prendendo quella conversazione, Roman si raddrizzò sulla sedia, tutta l’attenzione concentrata su di lei.

I suoi occhi la guardavano con circospezione.

Il silenzio la incoraggiò a continuare.

Una volta iniziata la confessione era difficile fermarsi.  

Liberarsi era così catartico.

Provò una forte vertigine che non seppe catalogare come positiva o negativa.

Mi dispiace di non averti detto la verità sin dall’inizio, della mia condizione, del fatto che sono uno scherzo della natura…

Alzò lo sguardo e incontrò il suo, disorientato e guardingo.

Sembrava sul punto di interromperla per contraddirla, ma alla fine, decise di rimanere in silenzio.

Una strana calma si impossessò del suo corpo: si era immaginata così tante volte quel momento che non si era assolutamente resa conto che fosse arrivato.   

Ho smesso di trasformarmi, non sono più un lupo da 12 anni.  




Buon Voice Day a tutti/e!

Come promesso, sono tornata il prima possibile. 

Questo capitolo si è quasi scritto da solo, per così dire. Non avevo pensato di includere la confessione di Eileen a breve: nella mia mente, i tempi non erano ancora maturi. Però nella stesura di questo capitolo, la storia ha preso una piega diversa ed eccoci qua. 

Mi dispiace di avervi lasciati sul più bello, avete tutto il diritto di lamentarvi!

Al prossimo aggiornamento <3

Helen

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