Sangue chiama Sangue

di Mister Mistero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uccidi l'inizio ***
Capitolo 2: *** Uccidi la sete di sangue ***
Capitolo 3: *** Uccidi i Night Raid ***
Capitolo 4: *** Uccidi il nuovo arrivato ***



Capitolo 1
*** Uccidi l'inizio ***


Capitolo 1: Uccidi l’inizio

«Siamo quasi alla capitale. Chissà come sarà il nostro padrone, Luna?» chiese nervosamente una ragazza con i capelli rosa indossante un berretto rosa.
Un’altra ragazza che sedeva al centro della carrozza, dai capelli blu e con indosso, similmente alla sua amica, una felpa di una tonalità identica, rispose: «Probabilmente sarà un vecchio. Potrebbe tentare di violentarci, proprio come una bestia.»
Una terza ragazza dai capelli biondi che sedeva a fianco della precedente rise: «Hah! Se ci prova gli spappoleremo le $&%£@ e fuggiremo!»
La ragazza dai capelli rosa inclinò la testa imbarazzata, con una goccia di sudore sulla fronte «Eh ...?»
«Dammi retta, Air!» canticchiò la bionda. «Noi, al contrario di tutte le altre ragazze che sono state vendute, siamo le migliori. Siamo state scelte per fare apprendistato nella capitale! Lavoreremo sodo, troveremo un brav'uomo e inizieremo una vita da sogno nella capitale!»
Luna, la ragazza dai capelli blu, non era però tanto sicura. «Penso che tu sia troppo ottimista, Fal...»
La conversazione tra le tre continuò per un bel pezzo, fino alla fine del viaggio, quando la carrozza si fermò e l’autista disse loro di scendere. Appena Air, Fal e Luna misero piede a terra, trovarono subito qualcuno ad aspettarle.
«Salve.» sisse una voce sconosciuta. Air voltò la testa e vide un uomo dai corti capelli biondi vestito elegantemente, con indosso una giacca rossa e una cravatta.
«Sarò il vostro padrone.» canticchiò l’uomo. «Il mio nome è Bach ♪»
Air e Luna lo seguirono, mentre Fal si limitava a fissarlo, con una sola parola che le veniva in mente "È GIOVANE!"
Seppur con sospetto, anche Fal alla fine seguì Bach, che condusse le tre ragazze in uno dei quartieri più esclusivi della Capitale. Queste ultime non potevano credere ai loro occhi; le strade erano gremite di gente, che camminava intorno a loro a sinistra e a destra, e in ogni angolo c’erano negozi che vendevano ogni genere di articolo immaginabile. Un vero sogno ad occhi aperti per coloro che venivano dai piccoli villaggi come loro tre.
«FUEEEE...!» esclamò Air con un verso di sorpresa, mentre ammirava la vista del luogo godendosi la sua bellezza. «Quindi questa è la capitale. È una metropoli...»
«Nel nostro villaggio c’erano solo una locanda e un negozio di oggetti rari.» disse Fal mentre camminavano: «È stato un trauma quando degli avventurieri ci hanno chiesto “non avete nemmeno un’armeria?”»
«Hahaha.» Bach rise mentre capiva come si sentivano. «Non avete l’impressione che ci siano molte cose strane qui? Volete dare un’occhiata in giro già che ci siamo? Vi comprerò dei vestiti.»
Air non era sicura di aver sentito bene. «Da-da-davvero?!»
«Tutto sommato sono un padrone gentile!» disse Bach con un sorriso.
 
Air voltò lo sguardo verso Luna, sussurrando: «Lui ... è facile parlarci e sembra una brava persona.»
«Non abbassare la guardia.» Le rispose Luna puntando il dito indice verso l'alto, ancora un po’ scettica nei confronti di quell'uomo. «Hai dimenticato che tutti gli uomini sono come lupi?»
«H-hai ragione, i lupi sono animali pericolosi, vero?» chiese Air, mentre le sue compagne annuivano.
«Comunque sia, se le cose vanno male, fuggiamo.» Fal rispose ad Air poco prima di calciare l’aria con la sua gamba, alzandola anche se indossava una gonna. «Se dovesse finire male, contate pure su di me! Come ho sconfitto quel coniglio cornuto con le arti marziali, io…!!»
Di fronte a quella dimostrazione di forza, Air scosse la testa, agitando le mani.
«Fal, sei troppo presuntuosa!»
«Uhm, a quanto pare non vi fidate di me.»
Bach onestamente non poteva biasimarle. Dopotutto, a causa della povertà quelle tre erano state vendute forzatamente dal loro villaggio come schiave.
«La verità è che il motivo per cui vorrei comprarvi dei vestiti è che tutti i miei impiegati hanno un po’ troppo l’aspetto di paesanotti…» ammise. «Quindi vi darò dei soldi. E mi raccomando, compratevi dei vestiti non troppo costosi.» Concluse poi con un sorriso luminoso. «Consideratelo l’addestramento per il vostro lavoro.»
Quel pomeriggio Bach e le ragazze passarono la giornata di negozio in negozio. Bach ovviamente le fornì felicemente dei soldi necessari per comprare nuovi vestiti e persino reggiseni e biancheria intima. Durante le prove, ovviamente, Bach decise di rimanere educatamente fuori, per non creare situazioni imbarazzanti.
«Ehi, Luna! Che ne dici di questo?» suggerì Air, indicando una graziosa gonna blu.
«Non è un po’ troppo corta?» chiese lei, prima di venir interrotta da Fal.
«Hey ragazze!» le chiamò quest’ultima, con indosso una grande giacca gialla. «Pensate che mi starà bene?»
«Fal...» disse Luna guardando la giacca. «Quella giacca non è per uomini?»
«EHH?!» esclamò Fal osservando quel soprabito che le arrivava letteralmente fino alle ginocchia. «Come fai a saperlo?»
Anche fuori dal negozio Fal e Luna continuarono a discutere sul fatto che quella giacca fosse per uomini o donne, mentre Air, d’altro canto, ammirava lo scenario attorno a lei. Paragonata al suo villaggio, la capitale era enorme. Avevano solo comprato dei vestiti, ma lei era eccitata all'idea che avrebbero avuto la possibilità di comprare altre cose. Come d’istinto Air si guardò nuovamente intorno: negozi che vendevano torte e gelati, un posto dove comprare mobili e suppellettili; vide uomini facoltosi con le loro guardie del corpo, e guardie imperiali che parlavano con disinvoltura. Avrebbe potuto continuare per ore ad ammirare quello che per lei era uno spettacolo. Era così affascinata che non si accorse di ciò che le veniva incontro, andando a sbattere contro una persona proveniente dalla direzione opposta e cadendo inevitabilmente a terra.

«Ehi tu? Stai bene?» le chiese una voce maschile con tono ovattato.
Appena Air alzò lo sguardo, poté vedere chi le aveva parlato. Un uomo con uno strano vestito che non aveva mai visto prima, con un tricorno nero sulla testa, un lungo spolverino grigio, un paio di stivali di pelle marrone e un paio di guanti neri con ornamenti dorati. Il suo viso, ad eccezione di un paio di penetranti occhi azzurri, era coperto da una bandana rossastra che attutiva leggermente la sua voce. Air lo fissò a lungo; il suo vestito spiccava troppo per essere un civile ed era troppo diverso per essere un soldato imperiale. Ma la cosa che in lui spiccava di più era l’enorme oggetto avvolto in delle bende appeso alla sua schiena.
«S-si grazie…» rispose lei, leggermente spaventata dall’aspetto di quel tale, che le tese una mano guantata per aiutarla. Dopo che Air si fu alzata, l’uomo mascherato annuì, per poi continuare a camminare e disperdersi tra tutta quella gente.

«Air?» la chiamò Luna, avvicinandosi insieme a Fal e a Bach. «Ti stavamo cercando. Che fine avevi fatto?»
«Forse non si ancora abituata a tutto questo splendore.» ridacchiò Fal, schernendola leggermente.
Air inizialmente non disse niente, per poi sussurrare «Mi sono scontrata con un uomo. Mi ha aiutata a rialzarmi.»
«Un uomo?» chiese Bach, incupendosi improvvisamente.
«Peccato che non ci fossi stata io!» urlò invece Fal, agitando braccia e gambe in tutte le direzioni. «Gli avrei dato una lezione a suon di arti marziali!»
«Fidati, è meglio così. Da sola non credo avresti potuto fare molto.» Bach parlò guardando Fal, con un’espressione in viso davvero preoccupata, prima di sorriderle, accarezzandole poi la testa con un ampio movimento della mano. «Ma non preoccupatevi. Finché starete con me, sarete al sicuro.»
Air non poté fare a meno di trovare un po’ di sollievo in quella dichiarazione. Subito dopo, lo stomaco di Fal brontolò rumorosamente la loro fame.
«Non incolpate me!» si difese Fal, mentre le sue due compagne la osservavano imbarazzate. «È il mio stomaco che si lamenta.»
«Beh, immagino che faremmo meglio ad affrettarci allora.» suggerì Bach. «Andiamo, voi ragazze dovete avere fame dopo tutto quello shopping.»

Il locale in cui Bach le portò era molto più grande di quanto le ragazze avessero mai pensato. Aveva quasi la forma di un ristorante, estremamente lussuoso e con grandi vetrate, anche se avrebbero dovuto aspettarsi una cosa del genere considerando quanto quel ragazzo fosse ricco. Non appena si sedettero a uno dei tavoli, con Bach seduto da una parte e le ragazze dall'altra, Bach ordinò tre piatti, uno per ciascuna di loro.
«Avanti, mangiate. Non fate complimenti.» disse Bach, una volta che i piatti arrivarono al loro tavolo. Le tre ragazze, Fal in particolare, cominciarono a mangiare di gusto, mentre Bach le guardava sempre con il suo solito sorriso.
«Hahaha.» rise. «Sono felice vi stiate divertendo.»
Non sapendo come mostrare tutta la sua gratitudine, Air sorrise felice sua volta, ringraziandolo con un «Grazie mille!»
Bach rise nuovamente.
«Ma vedete…» Bach socchiuse gli occhi, non smettendo un istante di sorridere. «Vi ricordate quando vi dissi: “finché starete con me, sarete al sicuro”? Beh, ho mentito.»
All'improvviso, dietro Bach apparve un gruppo di uomini vestiti di nero.
«Già. Passiamo alla portata principale!»

Air, Fal e Luna non ebbero nemmeno il tempo di reagire. Tre uomini si misero alle loro spalle, afferrandole e bloccandole con le braccia. Air e Luna ci misero un po’ per elaborare ciò che era appena accaduto, mentre Fal invece capì perfettamente.
«Questo è...» la bionda guardò Bach, rimasto immobile con ancora il sorriso sulle sue labbra. «TU BASTARDO!»
Con le braccia bloccate, Fal sollevò una gamba e calciò violentemente l'uomo che la teneva stretta. Questi non si mosse nemmeno di un centimetro, limitandosi a sorridere. «Cos'è questo?». L'uomo sferrò a Fal un pugno dritto nello stomaco, mozzandole il fiato. «Lo stile di lotta di un paesanotto!?»
«Ahh.» sospirò Bach soddisfatto, non perdendosi un istante e rivolgendosi ad uno degli uomini in piedi accanto a lui. «Suka, sei stato tu a scegliere quel maschiaccio?»
«Sì. È divertente fare a pezzi ragazze come queste, pezzo per pezzo.»
Bach sorrise e disse allegramente. «Va bene. Ora spezzale entrambe le gambe.»
L’uomo che teneva bloccata Fal non se lo fece ripetere due volte. Con un gesto le afferrò le gambe, piegandole con violenza di 90 gradi. Lo schioccare delle ossa di Fal fu immediatamente seguito da un urlo. Un urlo era così forte che tutti fuori avrebbero potuto sentirlo. Suka ascoltava quelle urla come se fossero musica.
«Oooohh. Che urla meravigliose. Ora che non potrai più scappare, in che modo posso farvi a pezzi?»
«Le persone qui presenti sono i cosiddetti “fanatici” della Capitale.» cominciò a spiegare Bach, come se ormai fosse abituato a tutte quelle scene. Il suo sorriso era letteralmente onnipresente, cosa che Air ora trovava terrorizzante. «A quanto pare le ragazze normali non gli bastano. A ciascuno di loro piace farle a pezzi dopo averle viste felici e contente. Sono davvero dei mostri disgustosi.»

Un uomo grasso e dall’aspetto sgradevole, anche lui in piedi accanto a Bach, a quelle parole lo incalzò immediatamente. «Ma è grazie a dei mostri come noi che tu fai un sacco di soldi.» l'uomo indicò Luna. «Ehi, voglio quella ragazza, quella lì!»
«Certo, certo! Quali sono i tuoi ordini?» chiese Bach.
«Mi piacerebbe che le cavaste gli occhi. Adoro leccare le ragazze ridotte in quel modo.» rispose l’uomo, leccandosi le labbra in modo disgustoso. Bastò che Bach facesse un cenno, e uno degli scagnozzi si avvicinò a Luna con in mano una siringa.
«N... no aspetta...» Luna sapeva cosa stava per succedere e implorò, urlando con tutto il fiato che aveva in corpo. «Fermatevi... vi pre..»
L'uomo continuava ad avvicinarsi, mentre la speranza di Luna si faceva sempre più piccola. «VI PREGO FERMATEVI!!»
Prima che l’uomo potesse compiere quel terribile gesto, però, accadde qualcosa di provvidenziale. Il locale fu scosso da un leggero sussulto, cosa che paralizzò tutti i presenti. Uno dei bicchieri sui tavoli cadde a terra, frantumandosi in decine di pezzi.
«Che diavolo succede?» fece Bach, mentre il suo sorriso si spegneva all’improvviso. Il suo sguardo si spostò dal bicchiere appena caduto alla vetrata del locale, dove, all’esterno, la folla di persone aveva preso a fuggire improvvisamente, tra urla e grida.
«Vai a controllare.» disse Bach all’uomo con la siringa. «Questo baccano rovina il nostro divertimento.»
Appena l’uomo uscì, Bach ricominciò a sorridere, mentre il terzo uomo vicino a lui parlò.
«Consegnerò l’ultima ragazza come dono al mio figlio prezioso.»
«Certo certo.» Bach sospirò sapendo dove l’uomo stava andando a parare. Sembrava preoccupato... ma solo per i vestiti che Air indossava. «E sono anche andato a comprarli. Che spreco.»
Air si ritrovò improvvisamente spogliata, con i vestiti strappati di dosso e con a coprirla nient'altro che la biancheria intima.
 
«Ecco, ti presento… quello che amo come se fosse mio figlio.»
Un cane dal pelo nero stava accanto all'uomo con la lingua in cerca avidamente di qualcosa da leccare. «Vedi, lui adesso è in calore... oh, lo so! Che ne dici se faccio assistere tutti adesso, per festeggiare!»
Il cane individuò subito il corpo nudo di Air e la sua fame crebbe sempre di più di secondo in secondo. Il cane fu liberato dal collare e corse immediatamente verso Air con la lingua fuori dalla bocca, ma prima che raggiungesse la ragazza una seconda scossa fece tremare nuovamente la stanza, mentre la vetrata veniva improvvisamente oscurata da qualcosa di enorme. Le risate di Bach e di tutti i fanatici cessarono, mentre il cane veniva travolto da qualcosa che si era catapultato nel locale. Una bestia grossa e mostruosa, con addosso qualcuno che le affondava una lama in pieno petto. Il mostro volò letteralmente dall’altra parte della stanza, mentre colui che l’aveva attaccato cadeva a terra. E mentre Bach e i suoi acquirenti fissavano con orrore la bestia in fondo alla sala, Air invece fissava scioccata l’uomo che aveva attaccato quell’essere rialzarsi, riconoscendolo.
«Tu…» sussurrò, con le lacrime agli occhi. Era lo stesso uomo con il quale si era scontrata poco prima, e che ora, per uno strano scherzo del caso, l’aveva salvata da un destino peggiore della morte.
«Ho interrotto qualcosa?» disse lui, pulendo la sua lama dal sangue sopra di essa. La caccia era appena cominciata.

 
Note dell'autore
Eh si, era da un bel pezzo che volevo scrivere un crossover del genere. Trovo che questi due fandom (Bloodborne e Akame ga Kill) stiano benissimo insieme se ben mescolati. Ovviamente avverto subito che alcune vicende non saranno proprio le stesse, e alcuni personaggi (come le tre ragazze di questo prologo), a differenza delle opere originali, avranno un meritato lieto fine.
Che altro dire? Sperando che questo inizio piaccia, al prossimo capitolo allora.

 

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Capitolo 2
*** Uccidi la sete di sangue ***


Capitolo 2: Uccidi la sete di sangue

L’acqua del fiume scorreva impetuosa, infrangendosi sulle rocce prima di riprendere il suo placido percorso e continuare a scorrere a valle. Sperduto in mezzo al nulla, sulla riva di quel fiume, qualcuno stava in attesa. Un ragazzo abbastanza alto, dai corti capelli biondi e con un paio di penetranti occhi azzurri. In mezzo a quel nulla, osservò quell’apparentemente tranquillo corso d’acqua prima di cominciare a spogliarsi. Pezzo dopo pezzo, egli si tolse ogni suo indumento, rivelando così un fisico asciutto ma allenato. Dopo essersi svestito, a quel ragazzo non rimaneva altro che prendere la sua arma, una comunissima spada rimasta appoggiata su una roccia, prima di tuffarsi in acqua senza esitazione.

Nuotò per qualche minuto, restando immerso completamente mentre piccoli pesci guizzavano attorno a lui. Ma non era per loro che era venuto, ma per qualcosa che non si fece di certo attendere. In lontananza, sott’acqua comparve dapprima un’ombra, che poi divenne nitida appena fu più vicina; una Bestia Pericolosa simile ad uno squalo stava nuotando rapidamente verso di lui. Quel fiume era letteralmente infestato di Bestie Pericolose come quella, e solo pochi audaci come lui si azzardavano a nuotare in quelle acque. Il ragazzo non fece una piega, rimanendo immobile e stringendo la presa sulla spada, facendo avvicinare quel mostro quanto bastava per far sì che fosse a portata della sua lama. La Bestia Pericolosa aprì improvvisamente la bocca in tre sezioni, ingoiando il ragazzo in un sol boccone prima che uno squarcio si aprisse sul suo ventre, tingendo l’acqua tutta attorno di rosso. Da tutto quel sangue ne emerse solo colui che aveva fatto a pezzi quel mostro acquatico, che venne, nonostante la fatica, lentamente trascinato a riva.

«Anche oggi ci siamo guadagnati la cena.» disse, mentre con la spada faceva a pezzi la carne del mostro. «Penso sia il momento di tornare a casa.»

La casa di cui parlava era una piccola baita sperduta in mezzo alla foresta. Dopo essersi rivestito, il ragazzo si mise immediatamente in marcia, tornandoci poco dopo con un sacco pieno zeppo della carne della Bestia Pericolosa appena cacciata. Appena entrò si diresse immediatamente in cucina, preparando tutto l’occorrente prima di cominciare a preparare. Un delizioso profumo di pesce invase immediatamente la stanza; dopotutto, la caccia non era l’unica cosa che sapeva fare bene.

«Spero gradirai una cena a base di pesce.» fece, portandone una scodella in una stanza adiacente, dove un’anziana donna dai lunghi capelli bianchi giaceva a letto immobile.

«Joel...» fece quest’ultima, aprendo gli occhi. «Sei andato di nuovo in quel fiume così pericoloso?»

«Si, ma l’ho fatto per il tuo bene.» disse, abbassando gli occhi. «Madre… io non vorrei farti preoccupare, davvero. Ma da quando sei così, tocca a me occuparmi di tutto.»

Sua madre infatti era stata colpita da una grave malattia, che in poco tempo l’aveva spinta a letto. Era toccato a lui quindi prendere le redini della loro vita, occupandosi della casa e del cibo. La donna sorrise, prendendo la scodella che suo figlio le aveva portato ma appoggiandola sul comodino lì vicino. In quel momento non aveva nessunissima voglia di mangiare.

«Mi dispiace Joel… ma sembra che il mio tempo sia scaduto. Ma c’è un’ultima cosa che posso fare prima di lasciare definitivamente questo mondo.» rispose lei, tossendo poi violentemente. Joel accorse subito, notando che la manica della veste da lei indossata era ora sporca di sangue.

«No! Non affaticarti!»

La donna scosse la testa, e nonostante le proteste del figlio lentamente si alzò dal letto, aprendo un cassetto e togliendoci qualcosa da dentro. Joel vide che cosa la madre aveva in mano: un diario e una chiave.
«Te lo ricordi quando eri bambino? Tutte le domande che mi facevi su tuo padre e sulle nostre origini?»
Joel annuì, ricordando tutte le domande da lui fatte durante la sua infanzia. Non aveva mai conosciuto suo padre, e l’unica cosa che sapeva era che sua madre l’aveva portato nelle terre imperiali da una terra lontana. E nient’altro.
«Bene, è ora che cerchi le tue risposte.»

Quando la madre glieli porse, Joel accettò quasi subito quegli oggetti, chiedendo però cosa significassero. Sua madre non glieli aveva mai mostrati in tutti quegli anni, e il fatto che lo facesse soltanto ora significava solamente una cosa.

«Le nostre origini? Allora sapevi tutto…»

«Certo che lo so.» rispose lei, rimettendosi a letto. «Ma anche se in questo preciso istante ti raccontassi ogni singolo dettaglio… potresti trarne delle conclusioni sbagliate. È ancora troppo presto per te… conoscere tutta la verità.»
Disse, prima di tossire nuovamente.
«Chi lo sa… forse trarrai delle conclusioni completamente diverse dalle mie.»

Chiuse quindi gli occhi, mentre Joel allungava una mano stringendo delicatamente quelle di lei. Una lacrima gli solcò il viso, mentre lei nonostante la sua condizione continuava comunque a sorridere.

«Un giorno vedrai… con i tuoi occhi…»

Quello che Joel non avrebbe mai voluto si realizzò purtroppo pochi giorni dopo. Infatti, sua madre morì durante una delle tante notti, spirando letteralmente nel sonno. Non si poterono contare le lacrime che Joel verso sul corpo esamine della sua genitrice, ma alla fine, dopo aver versato anche l’ultima goccia del suo dolore, fece l’unica cosa per lui possibile. Con le sue mani scavò una buca sul retro dell’abitazione, e, dopo aver preso tra le braccia il corpo senza vita di sua madre, lo depose nella buca da lui stesso creata. Una tomba che venne richiusa in fretta, con solo una lapide improvvisata a testimoniarne la presenza.

“Mi dispiace madre. Vorrei che avessimo avuto un po’ più di tempo.” pensò, mentre si portava una mano al petto, accorgendosi proprio in quel momento di qualcosa che nemmeno ricordava di avere. Nella tasca interna del suo soprabito, infatti, vi erano la chiave e il diario che aveva ricevuto pochi giorni prima. Come d’istinto Joel lo aprì, girandone solo una pagina prima di trovare qualcosa di terribilmente appropriato.

«Preghiera per i defunti.» lesse, spostando poi il suo sguardo sulla tomba davanti a lui. «Come se avessi sempre saputo.»

Non capiva una sola parola di quello che vi era scritto, ma di sicuro quelle frasi dovevano avere un significato. E se sua madre le voleva come ultimo saluto a questo mondo… chi era lui per negargliele? Prendendo fiato, Joel quindi le pronunciò, scandendole con il tono più solenne possibile.

«Réquiem ætérnam donetur tibi
In via praetiosum Sanguine Sanctum.
Habeas faciles deos
Requiésce in pace.
Umbasa.»

Dopo aver pronunciato l’ultima parola chiuse il diario, voltandosi e camminando a capo chino verso la porta di casa. Aveva fatto una promessa a sua madre, e l’avrebbe soddisfatta. A qualsiasi costo.

Una volta rientrato, Joel cominciò a sfogliare il diario, cercando qualche possibile indizio che gli potesse essere utile. La sua ricerca però andò a vuoto, con la quasi totalità delle pagine piena di parole e di simboli incomprensibili. Oltretutto c’era anche quella chiave… Su di essa vi era inciso uno strano simbolo, simile ad un tridente rovesciato e con le punte esterne piegate ad angolo e rivolte verso l’interno. Simbolo ricorrente anche all’interno del diario.

«Non può essere una coincidenza.» si disse, mentre pensava al da farsi. Il diario al momento non poteva essergli d’aiuto, ma quella chiave… forse poteva aprire qualcosa che fino ad ora solo sua madre aveva aperto. Ma cosa di preciso? Ispezionò la casa da cima a fondo, provando la chiave in ogni serratura chiusa che trovava, ma senza successo. Alla fine riuscì a trovare la sua risposta in soffitta, in un misterioso baule con la serratura incisa con lo stesso misterioso simbolo presente sulla chiave. Joel si avvicinò titubante, infilando la chiave nella serratura che lo chiudeva prima di girarla. Il baule si aprì, investendo il ragazzo con una nuvola di polvere prima di rivelare gli oggetti che conteneva. Joel lo svuotò completamente, disponendoli tutti in fila su un tavolo prima di ispezionarli.

Era tutta roba strana, apparentemente inutile. Gli unici oggetti utili erano un fagotto di vestiti impolverati e due armi; una spada lunga con un fodero insolitamente grande e una pistola. Per il resto erano tutti una sequenza di boccette, bottiglie e sacchetti pieni di chissà cosa.

“E sarebbe questo ciò che mia madre nascondeva?” pensò, alzando perplesso un sopracciglio. Prese quindi una delle bottiglie piena di uno strano liquido cremisi. Fu il diario a dargli la risposta; poco prima infatti, mentre lo sfogliava, aveva visto quella stessa identica bottiglia disegnata, con una breve descrizione.

Miscela di sangue acre.
Il suo forte odore attira i nemici.

Anche alcuni degli altri oggetti avevano una descrizione simile. Tra questi un sacchetto pieno di antidoti, a detta del diario capaci di annullare gli effetti di qualsiasi veleno, e una scatoletta pieni di proiettili argentei, definiti “proiettili di mercurio”. Per quanto riguardava le armi invece non vi era alcun indizio in merito. Avrebbe dovuto scoprirli da solo.

Joel prese prima la pistola e poi la spada. La prima sembrava una comunissima arma da fuoco, mentre la seconda…
«È leggera…» disse, stringendo nella mano l’elsa della spada prima di agitarla un paio di volte attorno a sé. Era veloce e maneggevole, un’arma assolutamente perfetta per attaccare rapidamente un nemico.
La cosa strana però era il suo fodero. Sproporzionatamente grande rispetto alla dimensione della spada, senza contare che, appena lo prese, un taglio comparve sul palmo della sua mano.

«Maledizione! È affilato?» imprecò, osservando il taglio da cui spillava sangue. Non vi era motivo perché il fodero di una spada dovesse essere affilato in quel modo. Sempre che non avesse un’altra funzione. L’epifania giunse quasi subito, e incurante del dolore alla mano Joel continuò ad ispezionare quell’arma. Come sospettava il fodero sembrava progettato per incastrarci perfettamente l’arma, che quando lo fece divenne un unico gigantesco spadone. Seppur con fatica, Joel riuscì a sollevarlo, riuscendo a menare giusto un paio di fendenti prima di poggiare pesantemente la lama a terra. Era una lama potente, certo, ma incredibilmente pesante.

«Così era questo che volevi, mamma.»

Se questo era il suo desiderio, allora lo avrebbe esaudito. Prima di abbandonare per sempre quella casa, però, c’era un’ultima cosa che doveva fare. Si mise quindi i vestiti trovati nel baule insieme a tutto il resto: un cappello a tricorno nero, un lungo spolverino grigio, un paio di stivali di pelle marrone e un paio di guanti neri con ornamenti dorati. Con quel nuovo equipaggiamento addosso, Joel uscì finalmente di casa, diretto verso la prima tappa del suo viaggio.

A poche ore di distanza si trovava infatti un piccolo villaggio, luogo che ormai non vedeva da praticamente una vita. Il programma era piuttosto semplice: si sarebbe fermato in quel posto giusto il tempo di riacquistare le forze, mangiare qualcosa e soprattutto trovare qualche incarico adatto a lui. Le sue finanze infatti scarseggiavano, e non poteva di certo raggiungere la Capitale senza l’ombra di un quattrino.

Non ci mise molto ad arrivare, entrando in un villaggio semplice, con case piccole e poche vie disposte nei principali punti d’accesso. Joel infatti impiegò pochi secondi a trovare l’insegna della locanda, verso la quale si diresse con passo spedito; una volta spinta la porta e varcata la soglia si avvicinò al bancone, dove attenderlo vi era il locandiere, una persona che lui e sua madre ben conoscevano.

«Ma guarda chi si vede! Il piccolo Joel!» esclamò quest’ultimo appena lo vide.

L’interessato sorrise, leggermente imbarazzato dall’essere chiamato in quel modo, appoggiando la sua pesante arma al bordo del bancone e sedendosi. «È un piacere rivederti Galhad.»

«Allora, come sta tua madre? È da un po’ che non si vede da queste parti.»

Joel abbassò lo sguardo.
«Lei è… morta l’altro ieri. E io voglio farmi una vita lontano da qui.»

Anche il locandiere sembrava dispiaciuto. Joel però scosse la testa, tentando di cacciar via quei pensieri.

«Ma non siamo venuti qui per parlare di lei. Allora, cos’hai per me?»

Dopo aver ordinato da bere, che gli venne offerto dal locandiere, lo sguardo di Joel vagò rapido per la locanda. Era un posto abbastanza pieno, con molte persone che mangiavano e chiacchieravano rumorosamente, bevendo e cantando a squarcia gola. La sua attenzione però venne attirata da una manciata di persone davanti ad una specie di bacheca, dove erano appesi degli avvisi di qualche tipo.

«Galhad… cos’è quella?»

«È la bacheca degli avvisi. Li sono appese le taglie dei ricercati e le richieste di lavoro più svariate, soprattutto di caccia.» Galhad sospirò. «Vedi, l’Impero è talmente impegnato con l’Armata Rivoluzionaria da non preoccuparsi dei villaggi e delle zone al di fuori della Capitale. Così i committenti si arrangiano come possono, sperando di trovare qualcuno che faccia il lavoro sporco per loro.»

Joel bevette l’ultimo sorso.
«È pur sempre un inizio. Credo che farò un tentativo.»

Lui e il locandiere si salutarono, prima che Joel si diresse finalmente alla bacheca. Lesse attentamente tutti i manifesti, ma solo uno attirò la sua attenzione.

«Una Bestia Pericolosa si sta aggirando nel nostro territorio. Sembra abbia attaccato altri villaggi, e cerco qualcuno che la uccida prima che possa attaccare il nostro.» lesse, insieme al committente e al luogo dell’incontro. Joel sorrise, staccando il manifesto dalla bacheca. Qualcosa gli diceva che poteva essere interessante.

Ci mise un po’ per trovare le informazioni necessarie per recarsi sul luogo dell’incontro, ma alla fine, dopo una giornata di viaggio, riuscì finalmente ad arrivare a destinazione. E quello che trovò non gli piacque per nulla. Le case erano state letteralmente distrutte, mentre i corpi martoriati degli abitanti giacevano per le strade fatti a pezzi con la brutalità più assoluta.

«Mio Dio…» sussurrò, coprendosi la bocca e il naso con la mano, per non sentire l’odore emanato da tutti quei corpi. Era arrivato tardi, e probabilmente chiunque avesse accettato l’incarico avrebbe trovato lo stesso identico spettacolo. Prima di avanzare tirò fuori un lungo pezzo di stoffa di colore rossastro, avvolgendoselo intorno al naso e alla bocca come una mascherina. Ne aveva visto di sangue in vita sua, ma non di certo umano. Avrebbe aiutato a rendere l’odore un po’ più sopportabile.

“Se questa non è opera di una bestia, non so cosa pensare…” pensò.

Mentre passava accanto ad un mucchio di cadaveri, tuttavia, qualcosa gli afferrò improvvisamente la gamba. Joel si fermò, puntando come in automatico la pistola verso chi o cosa lo avesse afferrato; uno degli abitanti era ancora vivo, seppur coperto di orribili ferite dalle quali spillava ancora sangue.

«Sca… ppa…» rantolò quello, sputando sangue e bagnando i piedi di Joel. «Ti… ucciderà…»

Joel lo osservò per lunghi istanti in silenzio. Avrebbe potuto soccorrerlo, chiamare aiuto. Ma in quel momento gli venne in mente solo una cosa.

«Dov’è andato?» chiese. L’uomo a terra fece solo in tempo ad indicare con la mano in una direzione, prima di spirare definitivamente.

Nonostante fosse scosso, Joel non perse tempo, dirigendosi nella direzione indicata dall’uomo, segnata da una lunga scia di sangue. Forse la bestia era ferita… o forse no? In ogni caso Joel seguì quella scia, viaggiando a lungo prima di trovarsi in un posto che mai avrebbe pensato di visitare così presto. La Capitale infatti si stagliava davanti a lui, ma per lui non fu affatto motivo di gioia.

«Maledizione! Se si è veramente diretta verso la Capitale…» imprecò. Se una sola bestia aveva decimato un intero villaggio, cosa avrebbe potuto fare in una città più grande?

Seguì la scia fino ad arrivare alla base delle mura, dove si apriva una grossa crepa anch’essa letteralmente zuppa di cremisi.

“Si è… auto-mutilata per riuscire a passare?” fu quello il suo primo pensiero. A quanto sembrava, avrebbe dovuto cacciare quel mostro direttamente in città.

Come si aspettava, la Capitale Imperiale era di tutt’altra pasta rispetto agli altri villaggi. Le strade erano gremite di gente, che faceva compere nei negozi più svariati. Tutte incuranti di quello che stava accadendo realmente, insieme a guardie e soldati che sorvegliavano ogni strada.

“Come fa un mostro orrendo a nascondersi in mezzo a così tanta gente?” pensò guardandosi intorno. Era talmente concentrato sul suo obiettivo che non si accorse che qualcuno gli stava venendo incontro. Una ragazza dai capelli rosa, infatti, sbatté contro di lui, cadendo a terra.

«Ehi tu? Stai bene?» chiese lui appena se ne accorse, porgendo la mano alla ragazza. Ella lo fissò per qualche istante leggermente spaventata, prima di accettare quel gesto. Joel la aiutò a rialzarsi, e, dopo essersi accertato che non si fosse fatta niente, annuì, dileguandosi tra la folla.

Camminò per qualche minuto, e fu vicino ad un vicolo isolato che quell’odore si ripresentò nuovamente. Odore di sangue. Facendosi coraggio, Joel entrò nel vicolo, e quello che vi trovò quasi lo paralizzò per la paura. L’essere che gli si parava davanti era una creatura alta quasi quanto lui, deforme e quadrupede, dall’aspetto scheletrico e malnutrito, parzialmente nascosto dalla pelle che, staccata dal dorso, gli pendeva addosso come un mantello. Il mostro era intento a cibarsi del corpo di una guardia, spremendolo tra le fauci come una spugna e lasciandone colare tutto il sangue.

«Cosa diavolo sei…?» disse, non avendo mai visto una Bestia Pericolosa come quella. Qualche secondo dopo anche l’essere si accorse di lui, cominciando ad avanzare con passo lento e cadenzato. Fece appena in tempo a sfoderare la spada; dopo aver emesso un forte grido, più simile a quello di una persona che di un animale, la creatura lo attaccò direttamente, scagliandoglisi contro come un ariete. Joel fece appena in tempo a mettere la sua lama fra sé e la creatura prima di venir sbalzato via, volando letteralmente fuori dal vicolo.
La gente in strada lo guardò cadere a terra, cominciando a scappare non appena la bestia assetata di sangue lo raggiunse, tentando di trafiggerlo con gli artigli. Fu solo grazie alla sua esperienza nella caccia che Joel riuscì a rialzarsi in tempo, schivando l’attacco e ponendosi nuovamente faccia a faccia.

«Vuoi la guerra? E va bene, che guerra sia!» esclamò, prima di lanciarsi contro la bestia a lama sguainata. La bestia attaccò di nuovo, stavolta con una spazzata del suo braccio destro. Con sangue freddo, Joel riuscì ad evitarlo abbassandosi, riuscendo a passargli sotto l’ascella e lacerarlo con la lama sul fianco. La bestia urlò di dolore, mentre dalla ferita uscì uno spruzzò non di sangue, ma di una sostanza verdastra che cominciò a emettere vapori. Preso alla sprovvista Joel indietreggiò lontano da quella roba, ma ciò permise alla bestia di afferrarlo con una mano e di sbatterlo contro un muro.

Intrappolato e alla completa mercé del mostro, non poteva far altro che agitare la lama e tentare di liberarsi, ricordandosi solo dopo di avere un’altra arma al suo arco. Con un gesto fulmineo, Joel prese la pistola, puntandola contro il petto della creatura e premendo il grilletto. Il proiettile la trapassò da parte a parte, facendola urlare nuovamente e permettendo a Joel di liberarsi quanto bastava per affondarle la lama nel petto. Con tutte le sue forze la spinse contro l’altro lato della strada, incurante della vetrina di un locale contro cui stavano andando a sbattere.

Con un turbinio di schegge la vetrina venne sfondata, mentre Joel affondava ancora di più la lama nel petto della creatura. Quest’ultima si schiantò dall’altra parte della stanza, mentre Joel si rialzò, venendo fissato dai presenti all’interno di quel posto. Una di queste era la stessa ragazza dai capelli rosa contro cui si era scontrato, che ora lo fissava con le lacrime agli occhi.

«Ho interrotto qualcosa?»
 

Note dell'autore
E rieccoci, dopo tanta fatica, con il secondo capitolo e l’inizio dello scontro con la Blood-Starved Beast. Il nome del protagonista (Joel) è un piccolo tributo al personaggio che Sabaku no Maiku ha creato per la sua run (che consiglio a tutti di vedere), mentre il suo equipaggiamento iniziale è: Abito da Cacciatore completo, Lama Sacra di Ludwig e Pistola da Cacciatore.

Inoltre, prima che qualcuno sfoderi le torce e i forconi, non garantisco la totale correttezza delle frasi in latino della preghiera (nonostante mi sia sforzato per rendere il più corrette possibili). Per chi non lo masticasse, comunque, la traduzione dovrebbe essere questa:

L’eterno riposo ti venga donato
Per il prezioso Sangue Sacro
Possa tu avere propizi gli dei
Riposa in pace.

L’”Umbasa” finale è un'espressione simile al nostro “Amen”, una piccola chicca che i fan di Bloodborne di sicuro riconosceranno. ;) Per il resto, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 3
*** Uccidi i Night Raid ***


Capitolo 3: Uccidi i Night Raid

Joel si rialzò, mentre Air lo fissava con le lacrime che le rigavano il viso. Bach e i suoi acquirenti invece non smettevano di guardare la bestia ferita che si agitava dall’altro lato della stanza, per poi voltarsi verso Joel.

«AVETE UCCISO IL MIO CANE!» urlò il proprietario del cane rivolto verso Joel. «COME OSATE!»

L’uomo in questione fece poi un cenno ad una delle guardie che stavano vicino a lui.

«TU! UCCIDI QUEL FIGLIO DI PUTTANA!»

Una delle guardie estrasse un pugnale e scattò verso Joel. Questo non fece una piega, sbuffando infastidito e mettendo subito al tappeto la guardia, colpendola prima con il piatto della sua spada e tramortendola poi con l’elsa.

«Non capite la situazione a quanto pare.» disse stizzito, indicando poi la bestia che nel frattempo si era rialzata. «Se volete rimanere da soli con lui… fatevi sotto.»

Il mostro si guardò intorno ringhiando, per poi scattare all’improvviso e afferrare una delle guardie vicine, che presa alla sprovvista si dimenò urlando. Tutti quelli intorno indietreggiarono spaventati, mentre, in preda al panico, la guardia prese la propria pistola, sparando più volte contro la creatura ma non ottenendo invece alcun effetto se non quello di farla infuriare di più, mentre i buchi dei proiettili si rimarginarono quasi subito. La bestia avvicinò l’addome della guardia alla bocca, trafiggendola con le zanne e serrando le fauci più che poté, spremendola letteralmente come una spugna e lasciando che sangue e visceri cominciassero a colare copiosi tra urla disperate, in un’ampia pozza cremisi. Tutti osservarono la scena paralizzati e inorriditi, Joel in particolare; quel mostro stava facendo la stessa cosa che l’aveva sorpreso a fare con il cadavere nel vicolo. Solo che vederla su una persona ancora in vita faceva tutt’altro effetto. Air, Fal e Luna invece si rassegnarono totalmente, cominciando a piangere silenziosamente; prima quegli uomini, e ora quell’essere. Sarebbero morte lì, e nessuna di loro avrebbe rivisto le proprie famiglie.

Il corpo senza vita della guardia cadde a terra, lasciando che la bestia vi passasse sopra. E fu allora che tra i presenti scoppiò il panico. L'uomo che aveva ordinato di cavare gli occhi Luna fece un passo indietro.

«Beh, cosa state aspettando?!» urlò alle guardie. «SPARATEGLI!»

Ogni guardia nella stanza, inclusa quella che ancora teneva Luna bloccata tra le braccia, estrasse le pistole e aprì il fuoco contro la bestia.

«Così non va affatto bene…» mormorò Joel a denti stretti, memore di quello che era successo pochi istanti fa. I proiettili delle guardie avevano investito la bestia, che tentava di proteggersi invano con le braccia, in pieno, ma invece di accasciarsi a terra sofferente prima si rannicchiò, piegando le braccia sul petto, per poi aprirle di scatto ed emanare un forte urlo. Urlo che venne seguito una vera e propria esplosione di sostanza verdastra, i cui schizzi investirono tutti quelli in prossimità. Vapori si innalzarono mentre tutti coloro che venivano toccati da quell’ondata tossica cominciavano a tremare, venendo presi da atroci dolori. Spaventata, Air aveva chiuso gli occhi, aspettando una fine che però non arrivò mai. Prima che la bestia attaccasse, Joel si era infatti lanciato su di lei, stringendola tra le braccia e proteggendola con il suo stesso corpo.

«Stai… bene…?» le chiese, mentre il dolore cominciava a scorrere anche nel suo corpo. Aveva dovuto immaginarlo la prima volta che aveva ferito quell’essere. Veleno.

«S-si… ma tu…!»

Air non riuscì a dire neanche una parola. Non sapeva se per il terrore di essere quasi stata violentata o per la commozione per essere stata salvata da un uomo che nemmeno conosceva, e che ora la stava proteggendo come se fosse sua figlia. Joel gemette, tentando comunque di rassicurarla.

«Me la… caverò…»

Cos’è che aveva letto nel diario di sua madre riguardo ai veleni?

Antidoto.
Pastiglie medicinali, contrastano il veleno.

Con un gesto la sua mano andò quindi in una delle tasche, dalla quale tirò fuori una pastiglia che subito inghiottì. Con sua somma sorpresa, il dolore scomparve velocemente, permettendogli di rialzarsi e di osservare la situazione. La bestia stava attaccando le guardie, che provavano nuovamente a ferirla con le pistole, solo per essere artigliate e squarciate, con le loro budella che si riversavano sul pavimento. All’improvviso l’essere si voltò verso l’uomo che aveva preso Luna, e che ancora la teneva bloccata.

«Maledizione…» fece, in preda al panico, prima di lanciargli Luna contro. «UCCIDI LEI! NON ME!!»

La guardia se la diede subito a gambe, mentre la bestia si lanciò senza esitazione su Luna a fauci spalancate. La ragazza urlò, ma Joel si frappose subito tra lei e la creatura, bloccandone la spada tra le fauci.

«Tu! Ragazza!!» urlò, rivolto ad Air, cercando di trattenere la bestia più che poteva. «Porta le tue amiche via di qui! Adesso!!»

Dopo essersi asciugata con un gesto veloce le lacrime, Air non ci pensò due volte, correndo verso Luna e prendendola per mano. Entrambe poi si diressero verso Fal, che giaceva a terra in un angolo con le gambe rotte.

«Le mie gambe…! Non riesco a muovermi!»
«Non preoccuparti! Ti aiutiamo noi!»

Facendosi forza, Air e Luna sollevarono Fal, correndo poi a passo svelto fuori dal locale. Prima di uscire, Air si guardò intorno con gli occhi spalancati. Sangue e cadaveri erano sparsi tutti intorno a lei. Questo non era quello che pensava di vedere. Niente di tutto questo era ciò che aveva immaginato. La Capitale avrebbe dovuto essere una metropoli in cui lei e le sue amiche avrebbero vissuto felici e contente. Ma si sbagliavano, tutte e tre. Prima di uscire, osservò per un istante Joel che ancora combatteva, sussurrando un timido «Grazie…» prima di sparire nei vicoli della città. Il combattimento continuava ad infuriare e Joel riuscì a respingere nuovamente la bestia, seppur a fatica. Un’idea gli balzò all’improvviso alla mente, un’idea assolutamente folle, che però avrebbe potuto funzionare. Si versò la miscela di sangue acre addosso, e appena lo fece un forte e pungente odore arrivò alle sue narici. Odore che anche la bestia avvertì, scagliandosi su di lui con ancora più ferocia. Esattamente quello che voleva.

«Vieni! Ti sto aspettando!»

Nel mentre, Bach e i suoi collaboratori avevano visto tutto nascosti dietro un tavolo rovesciato, imprecando mentalmente per il contrattempo sopraggiunto e per essersi fatti scappare prede tanto succulente.

«Cosa facciamo?!» chiese Suka, rivolgendosi a Bach.

«Ma è ovvio no? Quello che fanno tutti di fronte ad un pericolo!» Silenzioso e furtivo, Bach si mosse di qualche passo, rivelando una botola nascosta in una parte del pavimento. «Per casini come questo avevo già preparato una via di fuga!»

Non ci misero molto a infilarsi in quella botola e a fuggire lungo uno stretto corridoio sotterraneo. Ma, al contrario di tutte le loro previsioni, c’era qualcuno ad aspettarli. Un proiettile simile ad un fascio energetico trapassò il cranio di uno di loro, uccidendolo all’istante. A sparare fu una ragazza vestita di rosa, con dei lunghi capelli dello stesso colore acconciati in due codini. Ella teneva in mano un’enorme arma simile ad un fucile, grande quasi quanto lei.

«Tutti gli obiettivi confermati.» disse, prima di sorridere e puntare l’arma verso gli altri due uomini. «Crepate.»

Altri due colpi, altre due vittime. Di fronte alla morte di tutti i suoi collaboratori, Bach tentò di reagire estraendo anche lui una pistola, ma a fermarlo fu la vista di qualcuno che uscì dall’ombra del corridoio. Una ragazza dai lunghi capelli neri, vestita con un’uniforme anch’essa nera e dai penetranti occhi rossi.

«T… tu sei...» balbettò Bach, sentendosi ormai come un topo in trappola.

«Vuoi finirlo tu, Akame-chan?» chiese la ragazza dai capelli rosa. La mora per tutta risposta annuì, estraendo la sua arma, una lunga katana.

«Si. Lo spedisco all’inferno.»

Bach aveva visto giusto; contro di lei non aveva nessuna speranza di uscirne vivo.

«A-Aspetta! C’è un motivo se sono diventato così!» Bach gridò, aprendosi la camicia, rivelando un tatuaggio sul suo petto e tentando di giocarsi la sua ultima carta. «Ecco! Questa è la prova che ero uno schiavo! Io…»

Akame però non gli diede il tempo di continuare, scattando velocemente verso di lui e aprendogli uno squarcio nello stesso punto in cui vi era il tatuaggio. Per un istante, Bach poté guardarla negli occhi. Quegli occhi rossi che l’avevano resa tanto famosa.

"Che… che occhi incredibili… si è sbarazzata di me come se fossi spazzatura…" pensò, mentre dalla ferita comparivano dei simboli che si propagarono su tutto il suo corpo. Dopotutto quella era Murasame, l’arma che poteva uccidere con un solo colpo. Se venivi ferito, non ti restava altro che la tomba. "L’assassina più forte di tutta la Capitale. Akame."

Bach si accasciò a terra privo di vita, mentre Akame rimetteva Murasame nel fodero.

«Missione compiuta direi.» fece, rilassando finalmente i muscoli. Avevano infine compiuto il loro dovere; troppe erano le segnalazioni di ragazze arrivate nella Capitale e poi fatte a pezzi dai quei fanatici. E alla fine erano stati designati come loro bersaglio. La ragazza dai capelli rosa ridacchiò.

«Già! Piuttosto… che fine ha fatto Leone? Non è ancora arrivata.» chiese, guardandosi intorno. Akame sospirò; sapeva benissimo dove fosse la loro amica.

«Credo di saperlo Mine. Di sicuro si starà godendo lo spettacolo.»

Lo spettacolo di cui parlava era all’esterno; Joel che continuava a combattere contro la bestia. Dopo un rapido scambio di colpi, entrambi si respinsero a vicenda. Affaticato, il ragazzo si stava rendendo contro che quel combattimento stava durando fin troppo, e avrebbe dovuto farla finita al più presto se non voleva essere ucciso, oltre a coinvolgere altre persone innocenti.

"Non posso batterlo né in forza né in velocità." Pensò, mentre entrambi si studiavano per qualche istante. "La mia unica speranza è solo una."

La mano di Joel si sollevò, portando la spada al fodero sulle sue spalle, incastrandola con un forte rumore metallico e trasformandola in uno spadone che afferrò con entrambe le mani. Anche la bestia si preparò, allungando gli artigli e strisciandoli contro il terreno, producendo scintille. Sarebbe stato lo scambio di colpi decisivo. Joel decise di cominciarlo immediatamente, assalendola con ferocia e iniziando a menare fendenti furiosamente, senza pensare a dove dirigerli; presa alla sprovvista, la bestia cercò di difendersi con le braccia scheletriche, e appena il giovane si fu stancato passò al contrattacco, rispondendo con veloci artigliate.

Joel decise di difendersi ponendo l’arma di piatto davanti a sé come uno scudo, per poi respingere l’ennesima artigliata con un colpo in avanti e creare un’apertura, che il ragazzo sfruttò per afferrare la sua pistola e puntarla agli occhi della bestia, facendo fuoco. Accecata, la bestia urlò, iniziando a muoversi in tutte le direzioni e menando fendenti alla cieca, permettendo a Joel di sfruttare l’occasione per saltarle sulla groppa. Joel alzò l’arma, rivolgendo la punta contro il collo della bestia. Un respiro, e la lama calò. Il mostro cade a terra senza vita con un tonfo, mentre una pozza di sostanza verdastra di allargava intorno a lui. Esausto ma soddisfatto, Joel scese da sopra la sua schiena, contemplandone per un attimo il cadavere prima di abbassare finalmente l’arma.

«Ehi tu! Fermo dove sei!!»

Quando però si voltò l’accoglienza che ne seguì non fu delle migliori. Le guardie imperiali, che per tutto il tempo erano rimaste in disparte, circondarono rapidamente Joel, puntandogli contro i fucili.

«Butta a terra l’arma! Subito!»

Joel si guardò intorno, buttando lo sguardo su tutte le guardie davanti a lui prima di gettare lo spadone, che cadde a terra con un forte rumore metallico, alzando anche le braccia per far vedere quanto fosse disarmato. Ma nemmeno questo bastò a placare gli animi, dal momento che una delle guardie, approfittando dell’occasione, lo sorprese alle spalle, colpendolo con calcio del fucile e facendolo cadere a terra tramortito. Nessuno dei presenti però si accorse che anche qualcun altro aveva osservato ogni cosa accaduta, dal combattimento all’arresto del giovane. Nascosta su uno dei tetti vicini vi era una donna giovane e formosa, dai corti capelli biondi corti con due lunghi ciuffi che le incorniciavano i lati della testa e gli occhi dorati, indossante abiti succinti che ne mettevano in mostra le forme.

"Questo… questo…! È stato spettacolare!!" pensò, con gli occhi illuminati. Lo avrebbe urlato, se solo qualcuno non l’avesse sentita. "Devo dirlo subito agli altri! Non mi crederanno mai!"

Appena Joel venne colpito, sentì gli occhi chiudersi e uno strato di nebbia coprirgli lo sguardo, fino a farlo scivolare in uno stato di incoscienza. Solitamente non ricordava mai i propri sogni, ma stavolta era diverso. Sognò qualcosa, qualcosa che, a differenza delle altre volte, non avrebbe dimenticato facilmente. Sognò di essere sdraiato su un prato, una bellissima distesa fiorita costellata di tanti fiori bianchi, simili a gigli. Provò ad alzarsi più e più volte, ma ogni volta che ci provava non ci riusciva, come costretto a terra da una forza invisibile. All’improvviso, dei passi, che si avvicinavano a lui lenti e senza fretta. Non fece nemmeno in tempo a chiedere se ci fosse qualcuno che tutto cominciò ad ondeggiare, fino a svanire, ritornando nel solito buio di sempre.

Le guardie imperiali chiusero il quartiere nel quale era avvenuto lo scontro, consentendo l’accesso a poche persone selezionate. Una di queste era un ragazzo dai capelli biondi, vestito con una veste bianca e con vistoso accessorio a forma di ala sull’orecchio sinistro.

«Signor Run degli Jeagers! Benvenuto!» esclamò una delle guardie mettendosi sull’attenti.

«Riposo soldato.» fece lui sorridendo. «Puoi accompagnarmi sul luogo dell’incidente?»

La guardia annuì, conducendo il biondo sul luogo dell’incontro, in cui giaceva ancora il cadavere della bestia. Sciami di mosche volavano attorno ad esso, per non parlare della puzza che emanava, un misto di sangue e bile talmente intenso che persino Run dovette coprirsi la bocca e il naso con una mano. Lo Jeager si avvicinò quindi al cadavere della creatura, sfidando l’odore e i liquidi che ancora colavano dal suo corpo.

"Che sia un esperimento del Dottor Stylish?" pensò, attirato dall’aspetto chiaramente umanoide del mostro. Tuttavia, le sue fattezze bestiali lo fecero rapidamente ricredere. "No, è chiaramente qualcosa di diverso."

«Stando ai rapporti è stato ucciso da una persona attualmente imprigionata. O sbaglio?» Run si rivolse nuovamente alla guardia, la quale annuì. «Portamici subito.»

Joel infatti si era risvegliato nella cella di una prigione, dove Wave, un altro degli Jeager, era venuto a interrogarlo. Questo provò più volte a fargli delle domande, ma in tutta risposta ottenne solo risposte monosillabi, o al contrario il completo silenzio.

«Io ci rinuncio!» esclamò Wave allontanandosi, venendo raggiunto poco dopo da Run.

«Hai scoperto qualcosa Wave?»

Wave sospirò. «Per niente! L’unica cosa certa è il suo equipaggiamento!»

Sopra un tavolo si trovava infatti l’equipaggiamento di Joel, compresa la pistola e lo spadone ancora assemblato. Wave prese quest’ultimo, provando a sollevarlo, ma riuscì a tenerlo solo per pochi secondi prima di lasciarlo pesatamente cadere a terra.

«Non capisco come abbia fatto a usare quest’arma!» disse, con non poco fiatone. Di fronte alle informazioni attualmente in loro possesso, Run si portò una mano alla fronte, ragionando sulla situazione. E la soluzione che gli veniva in mente era soltanto una.

«Wave, dobbiamo lasciare che sia il generale ad occuparsene.» L’interessato sgranò gli occhi, sorpreso.

«Analizza bene la situazione. Abbiamo un sospettato che non accenna a parlare, decine di vittime e una spada che persino tu, senza Arma Imperiale, faticheresti a brandire. E forse non hai visto il mostro di due metri e mezzo che giace senza testa a pochi isolati da qui. Non abbiamo alternative. Se ne deve occupare il generale Esdeath di questa storia.»

Joel ascoltò tutta la conversazione, compreso il momento in cui Wave e Run decisero di andarsene. Sarebbero tornati la mattina dopo con questo fantomatico generale, che sarebbe arrivato la mattina dopo per interrogarlo. Peccato che non avrebbe mai avuto occasione di incontrarlo. Durante la notte, infatti, accadde qualcosa che di certo non si aspettava. All’improvviso un gatto sbucò da chissà dove, attirando l’attenzione dei due uomini presenti di guardia.

«E questo da dove è entrato?!» esclamò una di loro, alzandosi e tentando di prenderlo. Non fece però in tempo a raggiungerlo che l’animale si trasformò in una ragazza dai capelli rossi, che lo uccise pugnalandolo al collo con dei lunghi spilli appuntiti.

«Ma che diavolo…?!»

La seconda guardia tentò di reagire, ma anche lei subì la stessa sorte; un ragazzo dai capelli verdi si calò dalle travi sopra di lei, estendendo dalle sue mani dei lunghi fili con i quali la strangolò a morte.

«Ottimo lavoro Lubbock. Sai, ti avevo giudicato male. Eheh!» ridacchiò la ragazza, mentre Lubbock scendeva dalle travi, insieme al corpo senza vita della guardia.

«Oh Chelsea! Questo da parte tua è un complimento.» rispose lui, arrossendo leggermente, avvicinandosi poi alla cella di Joel. «È lui?» Lubbock dovette però arretrare di qualche passo quando Joel letteralmente lo fulminò con lo sguardo. Chelsea invece non si scompose, ridacchiando nuovamente alla reazione del suo compagno.

«Siamo… sicuri che sia quello giusto? Non mi pare molto amichevole.» fece Lubbock intimorito.

«Cosa volete? Come ho detto agli altri due… non ho niente da dirvi.» Per nulla intimorita, Chelsea si avvicinò alle sbarre della sua cella, picchiettandole leggermente con le dita.

«Gli Jeagers non sono gli unici che ti hanno messo gli occhi addosso. Senti un po’… abbiamo una proposta per te.»


 

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Capitolo 4
*** Uccidi il nuovo arrivato ***


Capitolo 4: Uccidi il nuovo arrivato

I corpi delle due guardie vennero scoperti la mattina dopo. Nella prigione, insieme a Run, entrò anche una donna alta, bella e snella, con lunghi capelli azzurri e occhi dello stesso colore. Indossava un abito da generale a maniche lunghe, una sciarpa blu sul collo e lunghi stivali con i tacchi alti. Era Esdeath, la donna più forte dell’Impero, intenta a esaminare i cadaveri dei due uccisi la notte prima.

«Credi che sia stato lui?» chiese quindi a Run. Il biondo annuì.

«Non mi sorprenderebbe. Scappare e uccidere i secondini che ti hanno scoperto. Una cosa che farebbe chiunque.»

Esdeath sbuffò annoiata.

«Un vero peccato! Se è così forte come mi hai detto, mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Hai scoperto altro?»

«Si. Nel locale, oltre alle vittime della bestia uccisa, ne abbiamo scoperto altre in un passaggio segreto. Dal modo in cui sono stati eliminati… sono certo che siano stati i Night Raid con le loro Armi Imperiali.»

Con decisione, Esdeath sbatté quindi il piede a terra. Con quel gesto le sue intenzioni erano ben chiare.

«Night Raid, huh. Noi Jeagers gli daremo la caccia, allo stesso modo in cui la diamo agli altri criminali. Questo è poco ma sicuro.»

La sera prima.

Joel rise alla proposta di Chelsea, avvicinandosi alle sbarre della cella e appoggiandovisi contro di peso. Il ragazzo fissò l’assassina dritta negli occhi.

«Volete farmi una proposta? Prima di tutto fatemi uscire di qui… poi potremo parlare.»

La rossa lasciò quindi il posto a Lubbock, che si avvicinò alla porta della cella non del tutto sicuro. E se quel tipo, una volta uscito, li avesse attaccati? Avrebbero risposto di conseguenza, ma per il momento era meglio mantener calme le acque. Si avvicinò quindi alla porta, estendendo nuovamente dai suoi guanti un lungo filo metallico che intrecciò più volte, fino a fargli prendere la forma di una chiave, con la quale riuscì a sbloccare la serratura. La porta si aprì, facendo uscire Joel che, visibilmente più alto degli altri due, torreggiava su di loro.

«Vi ascolto.»

Chelsea sorrise, estraendo da una tasca un lecca-lecca e rigirandoselo tra le labbra.

«Uccidendo quella cosa hai attirato l’attenzione di molte persone. E noi siamo tra queste. Hai mai sentito parlare dei Night Raid?»

Joel si portò una mano al mento, annuendo. Sua madre gliene aveva parlato una volta. I Night Raid, un gruppo di assassini facente parte dell’Esercito Rivoluzionario, considerati dall’Impero come una delle più gravi minacce alla sua supremazia. Una delle tante diatribe che avevano portato lui e sua madre a vivere isolati in mezzo alle foreste.

«La questione è semplice. Volevamo chiederti se eri disposto ad unirti a noi.»

Dopo quella frase, fu come tutto si fosse congelato. Nessuno fiatò, con Joel che osservava i due davanti a lui con un sopracciglio alzato. Ad un tratto, si portò una mano sul viso, cominciando a ridere fragorosamente. Lubbock si avvicinò quindi a Chelsea, sussurrandole qualcosa all’orecchio.

«L’avevo detto che non era una buona idea… sarà anche forte, ma non mi pare che abbia tutte le rotelle a posto.»

Appena smise di ridere, Joel ritornò improvvisamente serio, avvicinandosi minacciosamente ai due ragazzi.

«Audace da parte vostra chiedermi una cosa del genere. Ma ditemi… perché invece non dovrei aiutare l’Impero a darvi la caccia?»

A quelle parole, Lubbock si mise subito in guardia, venendo però bloccato dalla sua compagna, che invece sembrava piuttosto rilassata.

«Molto semplice. L’Impero di cui parli ti ha messo in gabbia, e di sicuro ti avrebbe fatto interrogare dal generale Esdeath. E credimi, meglio non finire nelle mani di quella. Quindi dimmi: dovresti ringraziare noi o loro?»

«Per logica, direi voi.» rispose lui, riflettendoci un attimo. «Non mi entusiasma unirmi ad un gruppo di ribelli, ma sono disposto ad ascoltarvi. Se volete veramente che vi segua, però, dovrò prima recuperare i miei effetti.»

Il suo equipaggiamento infatti era stato confiscato dalle guardie e posto in una stanza adiacente che fungeva fa magazzino. Joel vi recuperò le sue armi, trovandovi vicino a loro anche il diario di sua madre. Nonostante le guardie imperiali lo avessero letteralmente buttato lì insieme a tutto il resto, sembrava ancora intatto. Joel lo strinse tra le mani, chiudendo brevemente gli occhi e ricordando ciò sua madre gli aveva detto prima che tutta quella storia iniziasse.

“Madre… sto veramente facendo la cosa giusta?” pensò.

La base dei Night Raid, ricostruita dopo l’attacco del Dottor Stylish, distava 15 chilometri dalla Capitale, costruita in una scogliera e nascosta nel bel mezzo della foresta. Appena arrivarono, Lubbock e Chelsea condussero Joel nella sala delle riunioni, dove ad attenderli, seduta su un trono sotto lo stendardo con il simbolo dei Night Raid, vi era una donna dai capelli argentati, con una benda sull’occhio destro e il rispettivo braccio sostituito da una protesi meccanica. Quella che Joel riconobbe come il capo, Najenda.

«Missione compiuta direi.» fece lei sorridendo, aspirando una profonda boccata dalla sigaretta nella sua bocca. Esalò una nuvola di fumo prima di rivolgersi proprio a Joel. «Immagino che saprai già chi siamo.»

Una domanda ovvia, visto che i loro manifesti di taglia erano appesi praticamente ovunque.

«Sai, se sei qui dovresti ringraziare Leone. È stata lei a mettere una buona parola per te.»

La bionda, anche lei nella stanza e che non gli aveva staccato gli occhi di dosso, esultò sonoramente.

«Credetemi! Ho visto tutto ed è stato davvero grandioso!» esclamò, avvicinandosi a Joel con gli occhi illuminati. «Il modo in cui hai combattuto quella bestia! Come l’hai affrontata e come sei riuscito ad ucciderla!»
Gli diede quindi una forte pacca sulla spalla.
«Datemi retta! Non troveremmo alleato migliore!»

Imbarazzato da quegli “apprezzamenti” così tanto espliciti, Joel indietreggiò di qualche passo, guardandosi intorno per capire se gli altri membri di quel gruppo fossero esuberanti come quella ragazza. A parte Chelsea, Lubbock e Najenda, vi erano anche: Susanoo, un uomo alto e vestito con abiti orientali, dai cui capelli blu spuntavano due vistose corna; Tatsumi, un ragazzo dagli occhi verdi e dai capelli castani e altre due ragazze per lui sconosciute.

«Sa combattere?» chiese Mine, ricambiando lo sguardo di Joel fissandolo a sua volta con aria altezzosa. «Sembra un po’ magrolino. Scommetto che non è più bravo di Tatsumi o Lubbock.»

«HEY!!» urlarono i due interessati, colti nel vivo.

«Mine ha ragione però.» aggiunse Akame, che al contrario era invece piuttosto curiosa. «Leone avrà visto tutto, ma noi non sappiamo cosa sa effettivamente fare.»

Di fronte a quelle affermazioni Joel rise, attirando l’attenzione di tutti.

«Se volete mettermi alla prova, siete i benvenuti. Come ho combattuto quel mostro, posso combattere anche voi.»

Udendo quella frase, Mine sbuffò, mentre Chelsea, Najenda e Leone ridacchiarono. La spavalderia e la sicurezza di quel tipo cominciavano a piacergli.

«Sei sicuro di quello che dici? Combattere un animale e scontrarsi contro un assassino sono due cose completamente diverse.» disse Chelsea, rimasta in disparte, dopo essersi tolta il lecca-lecca dalla bocca per parlare meglio.

«Però sembra divertente. Potremmo organizzare un veloce combattimento. Che dite?» propose Najenda, trovando l’assenso di tutti. Tutti annuirono, compreso Joel, che seguì i Night Raid nell’area di addestramento della base. Vi erano rastrelliere di tutti i tipi, con ogni tipo di arma bianca disponibile in circolazione.

«Puoi scegliere qualunque arma tu voglia.» gli disse Akame. Joel scosse la testa, estraendo sia la spada che la pistola

«Queste saranno più che sufficienti.»

«Se lo dici tu.» borbottò invece Mine, avvicinandosi a Tatsumi. «Piuttosto… io come avversario proporrei questa mezzatacca.»

Tatsumi tentò di ribattere, venendo subito zittito da una gomitata nell’addome della ragazza.

«Zitto scemo! Anche con Incursio, ti ricordo che sei ancora un novellino! Non te lo sarai mica scordato eh?!»

Najenda sembrava concordare.

«Sono d’accordo. Consideralo un allenamento aggiuntivo.»

Tatsumi sbuffò; Mine dopotutto aveva ragione. Nonostante avesse ereditato l’Arma Imperiale di Bulat, rispetto a tutti gli altri era ancora abbastanza inesperto. Cambiò però subito espressione; pensò infatti che magari se fosse riuscito a battere il nuovo arrivato avrebbe fatto vedere a tutti di cosa era veramente capace. Joel, d’altro canto, era proprio curioso di ciò. Aveva sempre lottato contro Bestie Pericolose di ogni tipo, ma contro un essere umano… lo avrebbe di certo visto sul campo. Andarono quindi tutti sul campo, con Tatsumi e Joel che si misero proprio al centro, l’uno davanti all’altro, mentre gli altri si sarebbero limitati ad osservare il tutto da bordo ring.

«Ascoltatemi!» esclamò Najenda, che sarebbe stata l’arbitro di questa sfida. «Questo sarà un incontro amichevole! Potete usare qualunque strategia vogliate per mettere il vostro avversario al tappeto, ma non potete né menomarlo e né ucciderlo! Vogliamo un gioco pulito, d’accordo?!»

Joel sorrise, sguainando la spada, mentre Tatsumi fece lo stesso con Incursio, senza però attivarne l’abilità.

«Combattete!!»

Appena Najenda diede il segnale, Joel fu il primo ad attaccare, caricando in avanti per cercare di colpire Tatsumi con un fendente, che quest’ultimo parò con Incursio, venendo però spinto all’indietro dalla forza del colpo.

«Sei forte! Ma io non sono da meno!» esclamò Tatsumi, sorridendo e attaccando a sua volta. I due si scambiarono una serie di veloci colpi, tutti parati prontamente dall’altro, e quando quella sequela di attacchi fu terminata entrambi indietreggiarono, leggermente affaticati.

«Mi stai deludendo, lo sai?» le parole di Joel dopo quello scambio di colpi sorpresero praticamente tutti. Compreso Tatsumi, che non capiva cosa l’altro volesse dire.

«Mi avevate detto che questo era un test, ma a quanto sembra non mi state testando in modo adeguato. Allora ragazzo…» un brivido scosse Tatsumi appena Joel assottigliò lo sguardo, fissandolo minacciosamente. «Vuoi iniziare a fare sul serio o no?»

Per la prima volta dopo tanto tempo, Tatsumi poté sentire un senso di inquietudine pervadergli il corpo, mentre una goccia di sudore gli cadeva dalla fronte scorrendo lungo la guancia. Aveva provato quella sensazione solo un’altra volta nella sua vita. Quel tipo era veramente spietato come… lei? Non sapendo cosa fare, Tatsumi si volto verso i suoi compagni, cercando una risposta. Najenda, cui incrociò brevemente lo sguardo, annuì leggermente. A quanto pare, nonostante le regole di quel match avrebbe dovuto usarla.

«Se ti farò male, ricordati che me hai chiesto tu!» disse, rivolgendo la lama di Incursio davanti a sé e urlandone il nome. «INCURSIOOO!!»

Sul corpo di Tatsumi comparve come per magia un’armatura, con elmo e spallacci di metallo e sulla schiena un mantello bianco, mentre la sua arma era diventata una possente alabarda dalla punta scarlatta. Sentendo che finalmente poteva avere una sfida degna di questo nome, Joel decise che era arrivato anche il suo momento, incastrando la spada nel fodero sulla sua schiena e trasformandola nello spadone che afferrò con entrambe mani. Entrambi si lanciarono quindi uno scontro l’altro, facendo cozzare ferocemente le loro armi, senza che nessuno accennasse ad arretrare di un passo. I restanti membri dei Night Raid osservavano invece ogni mossa dei due ragazzi, increduli che uno come Joel riuscisse a contrastare un’Arma Imperiale come Incursio con tanta facilità.

«Non te la caverai con solo quale livido!» esclamò Tatsumi, parando l’ennesimo fendente di Joel.

«Non essere ridicolo!!» urlò lui a sua volta, sferrandogli un violento calcio allo stomaco, che mozzò il fiato di Tatsumi nonostante la protezione della sua armatura. «Se non hai il fegato di fare sul serio durante un allenamento, non riuscirai a farlo nemmeno nella vita reale!!»

Spinto all’indietro dal calcio di Joel, a Tatsumi rimase solo una cosa da fare. Capendo di non poter vincere facilmente contro quello spadone, Tatsumi fece sparire l’alabarda, scagliandosi su Joel e facendolo cadere a terra. Con Tatsumi sopra di lui e impossibilitato ad usare lo spadone con una mano sola, Joel non poté fare altro che vedere Tatsumi far ricomparire l’alabarda, puntandogliela sul collo.

«Ho vinto io! Arrenditi!»

«Convinto?»

L’attenzione di Tatsumi venne attirata da qualcosa che premeva contro il suo fianco. Joel aveva tirato fuori la pistola, puntandogliela contro il fianco e minacciando di premere il grilletto. Tatsumi scosse la testa.

«Un proiettile non potrà mai perforare la difesa di Incursio.»

Joel sorrise. Con un sonoro “click” abbassò il cane della pistola, premendo ancora di più la canna dell’arma sul fianco di Tatsumi.

«Facciamo una prova?»

Vennero però bloccati da Najenda, che, avvicinatasi, afferrò l’alabarda di Tatsumi con il suo braccio meccanico.

«Basta così.» disse, sancendo definitivamente la fine del combattimento. I due contendenti si allontanarono, alzandosi in piedi, mentre lo sguardo di tutti si concentrava solo su una persona.

«Contrastare un’Arma Imperiale come Incursio non è da tutti. Per me è promosso.» rispose Susanoo, dando la sua approvazione. Anche gli altri annuirono compiaciuti, tranne Mine, che borbottò uno stretto «Ne ha ancora di strada da fare...»

«Potresti fare la differenza nel nostro gruppo. Che ne dici?»

Quando Joel vide Najenda porgergli la mano, invitandolo a stringerla, non seppe cosa pensare. Poteva essere un’opportunità per lui, qualcosa di irripetibile che lo avrebbe aiutato nella sua missione. Però… per ora era una scelta fin troppo azzardata. Scosse quindi la testa, limitandosi semplicemente a mettere via le proprie armi.

«Io… non posso ancora accettare.» fece, per poi voltarsi e cominciare a camminare lontano da loro. I Night Raid lo fissarono attoniti, guardandolo allontanarsi, specialmente Najenda, che abbassò il braccio piuttosto intristita. Joel invece alzò il suo, in segno di saluto.

«Se avete bisogno, sapete dove trovarmi.»

La notte arrivò, e nel gruppo cominciò quindi ad imperversare un certo appetito. Come di consueto, ai fornelli si misero Tatsumi – ormai fisso in quel ruolo dalla sua entrata nei Night Raid – e Akame, i quali prepararono la cena per ogni membro. Si ritrovarono quindi intorno al tavolo, con un’abbondante cena a base di carne – di cui Akame andava matta – davanti a loro. Mentre mangiavano, Najenda tuttavia notò che, in un angolo isolato della cucina, era stata preparata una portata in più. La cosa era piuttosto strana; Susanoo infatti, essendo un’Arma Imperiale umanoide, non aveva alcun bisogno di alimentarsi, limitandosi ad osservarli compiaciuto mentre mangiavano. Tutti gli altri invece si servivano soddisfatti, ognuno con il proprio piatto.

«Akame… quel piatto è per chi penso io?»

Tra un boccone e l’altro, Akame annuì.

«Mi sarebbe dispiaciuto escluderlo. Anche se non è ancora uno di noi, io… vorrei aiutarlo a farlo sentire tale.»

«Piuttosto…!» mugugnò invece Leone, masticando con la bocca piena. «È ancora sul tetto o sbaglio?»

Najenda sospirò, e appena ebbe finito di mangiare si alzò da tavola, prendendo il piatto rimasto in disparte e dirigendosi verso l’uscita dalla cucina. Molti si chiesero dove stesse andando, suscitando una risata da parte della donna.

«Akame ha ragione. Se vogliamo veramente che si unisca a noi, dobbiamo fare il più possibile affinché si senta a casa. E Akame…» aggiunse, fissando l’interessata. «È stato davvero un bel pensiero.»

La ragazza con gli occhi rossi sorrise, arrossendo, mentre Najenda percorreva i corridoi della base, imboccando le scale che portavano sul tetto. Joel era stato là per tutto il tempo, seduto sul bordo ad osservare il panorama che si stagliava davanti a perdita d’occhio per chilometri. Per sua fortuna, quella notte la luna era piena, e permetteva quindi di godersi il bellissimo spettacolo che si poteva ammirare da lassù. Appena il ragazzo avvertì Najenda alle sue spalle, si voltò leggermente a guardarla, mentre la donna si sedeva con discrezione accanto a lui, appoggiando il piatto proprio lì vicino.

«Pensavo che almeno per la cena ti unissi a noi.» fece lei. Joel scosse la testa.

«Stare da solo mi aiuta a pensare e a concentrarmi. Anche se non mi aspettavo così tanta premura da parte vostra.» fece, osservando ciò che il capo dei Night Raid gli aveva portato. Timidamente, Joel prese uno dei pezzi di carne offertogli, addentandolo. Nonostante non disse niente, lo mangiò con gusto, sotto lo sguardo soddisfatto di Najenda.

«Sono felice che ti piaccia.» disse lei, prendendo poi un pacchetto di sigarette e mettendosene in bocca una, accendendola, facendo uscire una lieve nuvola di fumo. «Allora. Cos’hai deciso?»

Joel sospirò. «Se rifiutassi… mi ucciderete?»

Najenda sorrise, emanando una boccata di fumo. «Affatto. Semplicemente verresti mandato alla base e assegnato ad altri compiti. A loro farebbe comodo un combattente come te. Anche se… più di una persona tra noi spera che tu possa unirti alla squadra.»

«Ah si? Mettiamo il caso che ciò accada, e vi aiutassi a cambiare questo paese. Che vantaggio ne traggo?»

A quella domanda, Najenda si bloccò, pensierosa. Tutti i membri attuali dei Night Raid erano entrati nel gruppo solo per la volontà di cambiare quel paese in qualunque modo possibile, mettendo fine alla corruzione causata dal Primo Ministro e dai suoi accoliti. Ma mai nessuno aveva accettato di entrarvi chiedendo in cambio qualche tipo di ricompensa.

«Per quanto mi riguarda, puoi chiedere qualsiasi cosa. Per quanto possibile cercheremo di esaudire la tua richiesta.» Najenda rispose. Lentamente, di fronte a quella risposta, Joel portò una mano dentro il suo soprabito, estraendo il diario lasciatogli da sua madre. Lo porse quindi a Najenda, la quale, con una leggera riluttanza, lo prese, cominciando a sfogliarlo.

«Probabilmente l’Impero mi avrebbe aiutato se fosse arrivato per primo. Ma a quanto pare dovrò ripiegare su di voi.» ridacchiò Joel trovando una leggera ironia nella frase appena detta. «Ci capisci qualcosa?»

Najenda scosse il capo. «Sfortunatamente no. Tutte queste parole, questi simboli. Non so minimamente cosa siano.»

«Buffo, perché ho lo stesso problema. Mia madre mi ha lasciato quelle pagine dicendomi “scopri le nostre origini” e “trova le tue risposte”, ma la verità è che non so nemmeno da che parte iniziare.» rise amaramente, di fronte all’evidenza. «Normalmente non lo lascerei a nessuno. Ma per voi sono disposto a fare un’eccezione. Quello che vi chiedo è trovare qualcosa che possa aiutarmi. Un nome, un luogo, o anche solo un indizio. Qualunque cosa. Fatelo, e io sarò dei vostri.»

Najenda abbassò lo sguardo, chiudendo il diario. Una proposta allettante, che aveva però un grosso problema.

«E se non riuscissimo a trovare niente?»

«Se dovesse succedere, me ne farò una ragione. Se è questo ciò che il destino sceglierà per me… chi sono io per oppormi?»

La sigaretta di Najenda era praticamente finita. La donna gettò la cicca oltre il bordo sul quale si trovavano, riponendo il diario nel suo cappotto e alzandosi in piedi, porgendo nuovamente la mano meccanica a Joel, nello stesso modo di qualche ora fa.

«Se tu ci aiuterai, noi faremo il possibile per te.»

A differenza di prima, però, Joel la accettò, alzandosi anche lui. Ormai il dado era tratto, e non poteva più tornare indietro.

«Benvenuto nei Night Raid, dunque.»


 

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