Same Nights

di miss yu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Madripoor. ***
Capitolo 2: *** Riga. ***
Capitolo 3: *** Delacroix. ***
Capitolo 4: *** New York. ***
Capitolo 5: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Madripoor. ***





Some Nights.



1.Madripoor.


C’è una notte calda e bugiarda che preme contro i vetri di un albergo che ha visto tempi migliori;
c’è il sospiro sottile di un condizionatore d’aria che a volte si inceppa come se tenesse il fiato;
c’è una striscia di luce, fredda ma vischiosa che sguscia tra le tende e lascia macchie azzurrine sulle pareti e sul pavimento;
c’è un letto matrimoniale con lenzuola stropicciate e cuscini sprimacciati, su cui giace un corpo che ha la mollezza del sonno;
c’è una coperta stesa a terra contro la parete, un cuscino e un uomo che ha muscoli tesi e contratti e pelle sudata e gambe impigliate nelle lenzuola, dorme ma sembra combattere.

****

Bucky sbarra gli occhi di botto e contemporaneamente è già seduto, trattenendo in fondo alla gola un ansito più profondo degli altri.
Tende le orecchie guardandosi attorno immobile, lo sguardo dà forme bizzarre a ciò che lo circonda, le piastrine fredde sul torace sono le uniche cose reali.
Il silenzio amplifica il lieve russare dell’uomo steso sul letto, Bucky si passa le dita della mano destra tra i capelli arruffati e si sfrega gli occhi, poi libera le gambe dal lenzuolo e con un movimento fluido e rapido si alza e apre la porta del bagno, senza provocare neppure uno spostamento d’aria.
Si chiude la porta alle spalle con cura e accende la luce. Si fissa un attimo nello specchio senza empatia ne compassione, si sciacqua il viso con acqua che dovrebbe essere fredda ma è brodaglia tiepida e non scaccia le immagini che continuano implacabili a scorrere sulla retina.
Quando rientra qualcosa nella stanza è cambiato: l’uomo che dovrebbe dormire nel letto matrimoniale è seduto e ha già le gambe giù dal materasso, pronto a scattare in piedi.

***

“Che succede?” la voce di Sam è arrocchita dall’unica traccia di sonno rimastagli attaccata.
“Niente, torna a dormire.”
La risposta di Sam è un’abat-jour accessa che spande luce gialla sul comodino e su poco altro.
“Spegni quell’affare” Bucky afferra la t-shirt abbandonata accanto al giaciglio che sembra preferire al letto e se l’infila rapido, ma Sam scorge cicatrici ipertrofiche che seguono il contorno metallico della protesi.
“Incubi?” chiede spostando lo sguardo, ma lasciando la luce accesa.
Bucky si rabbuia e quella ruga che ha tra le sopracciglia si approfondisce: “Perché diavolo pensate tutti che io abbia incubi?”
“Forse perché ti svegli di soprassalto, sudato e ansimante e poi non riesci più a riprendere sonno?”
“Da domani voglio una stanza singola, non siamo in gita scolastica.”
“Pensi che io ci tenga a dormire con te? E’ l’unica camera che abbiamo trovato, ci stanno cercando, abbiamo una taglia sulla testa… Devo continuare?”
Bucky sbuffa: “Spegni, voglio dormire.”

***

Bucky si è ritirato nell’ombra come un animale ferito, fissa le lame di luci che scivolano tra le tende e creano giochi sul muro, teso a cogliere il momento in cui il respiro di Sam tornerà quello regolare e profondo del sonno, ma Sam sposta i cuscini, li addossa contro la spalliera del letto e vi si appoggia. Bucky può vedere tutta la scena anche se è buio.
“Vorrei farti una domanda… personale…”
Bucky non risponde, spera di scoraggiare così qualsiasi velleità di Sam a tornare a fare il counselor proprio con lui, ma sa già che sarà inutile.
“Quelle piastrine che porti al collo… Di chi sono?”
Bucky stringe automaticamente le piastrine tra la mano.
“Di Steve… Me le ha lasciate prima di andarsene.”
“Con il taccuino?”
“Già ed ora vorrei cercare di dormire se non ti spiace.”
Come non detto.
“Cos’era per te Steve?”
Così diretta quella domanda non se l’aspettava proprio, ma la voce di Sam ha intonazioni profonde e gentili, sembra incoraggiarlo a lasciarsi andare, ma lo fa con delicatezza come se conoscesse tutta la fragilità che tiene così accuratamente nascosta.
“Non ci sei stato allo Smithsonian?” bluffa, - Non hai letto la mia storia? Non ci hai visto ridere io e Steve in quel vecchio filmato?- aggiunge solo per sé con rabbia ingiustificata.
“Come tutti ovvio, ma non è questo che ti ho chiesto.”
Potrebbe rispondergli: “Il mio compagno d’infanzia, il mio migliore amico, mio fratello, il mio Capitano” e sarebbe più che sufficiente a spiegare il suo rispetto, la sua devozione, la sua fede in Steve, ma si è ripromesso a qualsiasi costo di non essere più qualcuno diverso da se stesso.
“Ero innamorato di lui” mormora.
Il silenzio dura solo qualche secondo, poi la voce di Sam continua con lo stesso tono, senza nessuna esitazione o incrinatura.
“E lui?”
“Lui amava Peggy.”


Nota: Tutto è nato da un particolare abbastanza irrilevante guardando TFATWS -Ma di chi sono le piastrine che Bucky porta al collo?- Non le sue, presumo che l'Hydra non gliele abbia tenute da parte, e allora di chi? Da qui è partito lo sclero che mi ha spinto a scrivere questa storiella. Buona lettura a chi shippa Sam/Bucky e anche a chi no.

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Capitolo 2
*** Riga. ***


2. Riga.

C’è una notte silenziosa e bambina che sussurra nelle strade acciotolate;
c’è la luce dei lampioni che si frantuma attraverso vetrate colorate;
c’è uno spiffero freddo che passa da sotto le porte e racconta di un vento che arriva dalle steppe e porta odore di ghiaccio da far gelare le ossa solo al ricordo;
c’è un uomo seduto su un tappeto antico con la schiena appoggiata al muro che inclina la testa, rimanendo in ascolto di passi che si stanno avvicinando;
c’è una figura che avanza a piedi nudi orientandosi con la luce della luna.

***

“Che ci fai qui” ringhia Bucky rimanendo seduto.
“Ma che cazz… Gesù… Che ci fai TU qui, ma non dormi mai?” poi Sam accende la luce sopra la penisola della cucina, scuotendo la testa con aria di riprovazione.
“Potrei chiederti la stessa cosa.”
“Spuntino di mezzanotte, vediamo cosa tiene in dispensa Zemo.”
Sam apre sportelli e frigorifero, riempie un bicchiere, spalma qualcosa su una fetta di pane, sedendosi su uno sgabello.
“Che fai lì al buio? Vieni a farmi compagnia, non mi piace mangiare da solo.”
Bucky si avvicina cercando di rafforzare quell’aria infastidita che ha perfezionato negli ultimi tempi, cerca nel mobile bar qualcosa di meglio che un bicchiere di latte, si versa un paio di dita di whisky e gli si accomoda di fronte.
Sam mangia senza parlare, ma lo guarda con occhi che aspettano il momento giusto per una domanda che gli pizzica sulla punta della lingua.
“Che c’è? Avanti parla” Bucky non riesce a sopportare di essere guardato a lungo, è lui di solito quello che non si fa scrupolo di fissare senza espressione gli altri.
“Sai quel discorso che abbiamo fatto qualche sera fa a Madripoor…”
“No, fermo! E’ stato un momento di debolezza, ti ho detto cose che non ho mai detto a nessuno, però questo non ti autorizza ad approfittarne.”
“Non sei costretto a tenerti tutto dentro sai! Forse ti farebbe bene parlarne.”
“Mi farebbe bene? Cioè mi farebbe sentire meno diverso? Meno sbagliato? Mi farebbe sentire meno in imbarazzo e con meno vergogna? E’ questo che vuoi dire?”
“Non ho la presunzione di risolvere i problemi della gente, ma ho imparato che già parlarne con qualcuno può aiutare. Comunque quello che volevo chiederti è solo una piccola curiosità… Steve, dopo Washington, spesso mi ha parlato di te e tra i tanti anedotti che mi ha raccontato, ha rimarcato più volte il successo che avevi con le ragazze e di come ti invidiasse per quello… Quindi, dopo quello che mi hai detto a Madripoor, devo presumere che fosse tutto una finta?”
Bucky si lascia sfuggire un sorriso che ha il sentore malinconico della nostalgia, ma che subito sparisce: “Non sono attratto solo dagli uomini, sono bisessuale, penso che oggi si dica così no?* Quando ero ragazzo non c’erano parole per definire quelli come me, perlomeno tra la gente comune; io stesso non capivo bene cos’ero, ma quello che sapevo con certezza era che non si trattava di una cosa positiva: promiscuo, maniaco, equivoco, confuso… potrei continuare ancora per un pezzo” e fa un gesto vago ad indicare che il discorso per lui è chiuso, che ha già parlato troppo.
“Non deve essere stato facile, ti capisco.”
Bucky alza la testa dal bicchiere che un attimo prima sembrava stesse occupando tutta la sua attenzione.
“Ah si?” non trattiene un sorrisetto sarcastico, “Non credo proprio sai!”
“Credimi è così… Io sono gay.”

***

Bucky punta lo sguardo buio proprio dritto negli occhi dell’uomo seduto davanti a lui, fissandolo per almeno un minuto abbondante, ma Sam, che conta i secondi dilatarsi all’infinito nella sua testa, sostiene lo sguardo impavido.
“Mi stai prendendo in giro?” alla fine sbotta.
“Ti sembra possibile?”
Bucky abbassa lo sguardo e sembra riflettere. Quando parla la sua voce ha un leggero tremito che non riesce a controllare e che non sfugge a Sam.
“Tu e Steve…” poi si ferma dubbioso, come se andare avanti significhi addentrarsi in un territorio intimo di cui non è pratico.
“Io e Steve cosa? Se c’ho provato con lui? Se lui in fondo non era così etero-cis come pensavi e abbiamo avuto una storia? E’ questo che vuoi sapere?”
Bucky fa un respiro profondo prima di parlare.
“No, scusa non sono affari miei.”
“E’ vero! Comunque niente storia. Steve lo hai conosciuto meglio di me, tra noi non abbiamo mai neppure parlato di sesso. L’unica che ci è riuscita penso sia stata Natasha, cercava di trovargli una ragazza con cui uscire e lo ha pure baciato.”
“Natasha… la conosco, cioè la conoscevo.”
Sam lo guarda senza capire.
“E’ una storia vecchia, lasciamo perdere.”
Cala il silenzio, fuori il vento corre nei vicoli stretti fischiando, Bucky appoggia il bicchiere, una mano a strofinarsi il viso stropicciato.
“A te Steve piaceva?” chiede a voce bassa.
Sam ingoia un boccone scuotendo la testa.
“No, non era il mio tipo da quel punto di vista. Ora ti senti meglio?”
“Era solo curiosità” si difende Bucky, riprendendo la sua aria crucciata.
“Certo, che altro!”


Nota: Il termine bisessualità oggi viene usato per indicare la comparsa nella sfera della coscienza, di sentimenti, pensieri erotici e fantasie sessuali che riguardano indistintamente, sia persone di sesso omologo, sia persone di sesso differente. Questo termine ha avuto una diffusione relativamente recente (nel dopoguerra) nell'accezione sopra riportata.

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Capitolo 3
*** Delacroix. ***





3.Delacroix.


C’è una notte bagnata e stanca che raggomitola fili bui;
c’è una luce che sbircia da est con timidezza;
c’è uno sciabordio ipnotico che sembra una ninna-nanna e il ronfare sommesso di un motore;
c’è un uomo che dorme raggomitolato su una cuccetta stretta, le ciglia lunghe creano ombre sugli zigomi, le piastrine sulla maglia s’alzano e s’abbassano ritmicamente;
c’è il suono di passi ammorbiditi dal legno sopra la sua testa, come un cuore che batte.

***

Bucky dorme profondamente, ma quel ritmico cullare penetra la barriera del sonno e lo fa sentire finalmente al sicuro, come se fosse nell’utero di sua madre.
Quando apre gli occhi lo fa lentamente e con fatica, si guarda attorno aspirando odore di mare, senza sapere da quanto non si sveglia in questo modo, dopo un sonno senza incubi.
Sale la scaletta che lo porta in coperta seguendo l’aroma di caffè e si trova davanti Sam con una tazza in mano, tutt’intorno c’è solo il mare ancora scuro.
“Non eravamo ancorati al porto? Che è successo?”
“Ho voluto collaudare il motore che abbiamo riparato, sembra che funzioni.”
“Di notte?”
“Non riuscivo a dormire a differenza tua, lo sai che russi?”
Bucky, con le braccia strette intorno al torace per cercare di trattenere un po’ di calore, lascia scivolare via una rispostaccia, intento com’è a chiedersi come sia possibile che Sam si sia alzato e abbia avviato il motore, la barca sia uscita dal porto e abbia preso il mare e lui abbia continuato a dormire.
Si passa una mano sugli occhi e sul mento ruvido di barba.
“Non so cosa mi sia capitato, ho dormito pesante… Non è che mi hai dato qualche sedativo?”, poi si versa una tazza di caffè bollente per sconfiggere l’aria fredda.
Sam ridacchia: “E’ la barca.”
“Che?”
“Sì, io qui sopra ci ho fatto le mie migliori dormite.”
Bucky alza le sopracciglia in un’espressione dubbiosa: “Sei tu l’esperto di barche… Comunque per curiosità stiamo andando da qualche parte o stiamo solo girovagando senza meta?”
“Tu quando devi partire?” risponde Sam con un’altra domanda.
“Ho il volo nel pomeriggio.”
“Peccato! Se avessimo avuto più tempo ti avrei portato a fare un pic-nic a Grand Isle, ci venivo spesso da ragazzo con mio padre, così invece posso solo fartela vedere da lontano.”
“Che c’è a Grand Isle?”
“Niente, è un posto magnifico. Ti conviene metterti il giaccone, ci vuole ancora un po’ prima che il sole sorga.”

***

Il mare a levante luccica, la barca taglia le piccole onde senza fare quasi rumore e tutto sembra far parte di un sogno, di quelli pieni di magia. Da lontano tra un lucore di madreperla si intravede un’isola che nella nebbia dell’alba imminente sembra sfocata.
“Eccola lì” indica Sam come se stesse additando un miraggio e del miraggio quest’isola ha i colori e l’incosistenza, poi spegne i motori e getta l’ancora, “Vedi quell’insenatura? Nascosta lì dietro c’è una piccola spiaggia dove mio padre portava me e Sarah, facevamo il bagno e poi mangiavamo quello che mia madre aveva preparato per noi.”
Siede sul parapetto in silenzio, Bucky un po’ discosto attende, poi si avvicina e gli siede accanto: “Cosa siamo venuti a fare qui? Hai voglia di parlarne?”
Sam abbassa gli occhi per qualche istante: “Per prendere un attimo di respiro, un time-out in questo gioco che sta diventando complicato. Sto combattendo su due fronti Buck: per la mia vita, quella di mia sorella e dei miei nipoti e per quello che sta succedendo nel mondo, devo cercare di fare la cosa giusta in entrambe le situazioni ma non è facile; quando c’era Steve mi affidavo a lui e tutto era più semplice.”
“Lo so, era lo stesso per me. Perché non hai portato Sarah e i tuoi nipoti a Grand Isle? Perché hai portato me?”
“Loro sono parte di uno dei problemi, avevo bisogno di non pensarci almeno per un po’.”
“Non sono di grande compagnia.”
“Non è un problema.”

***

Sam è scomparso in cambusa ma è solo quando Bucky scende per vedere se va tutto bene, che si rende conto di quanto sia piccolo quel locale: si trova schiacciato tra Sam e la dispensa e la cosa gli crea una stretta allo stomaco non prevista, troppo simile a quando Steve se lo tirava vicino mettendogli un braccio sulla spalla e gli sorrideva.
“Non ci si sta in due, cosa vuoi?” sbuffa Sam intento a tagliare delle fette di pane.
“Che diavolo stai facendo?”
“Preparo qualcosa da mettere sotto i denti, arrivo subito.”
I panini sono appetitosi e il caffè forte e scuro al punto giusto, la “Paul&Darlene” beccheggia leggermente mossa da una brezza appena alzata, che fa spumeggiare le onde più lontane e Bucky cerca di ignorare quella sensazione che lo ha aggredito di sorpresa poco prima e che conosce bene, anche se l’ultima volta che l’ha provata è stata una vita fa. Guarda il mare che schiarisce e l’isola che sembra galleggiare sulle onde e dà ragione a Sam: tutti hanno bisogno di riprendere fiato, di sospendere le paure e i rimorsi, tutti hanno bisogno di riempirsi gli occhi e l’anima di bellezza e di pace, anche se solo per un po’.
Sam gli si accosta gomito contro gomito, ha l’aria distesa e tranquilla di chi ha deciso che direzione dare alla propria vita: “Bello spettacolo, vero? Non c’è niente di meglio che vedere sorgere il sole sul mare per riconciliarsi con la vita.”
“Hai ragione, ma ora penso che sia ora di tornare, che ne dici?”
Sam gli getta un’occhiata indagatrice, ma il viso di Bucky non lascia trapelare nulla e quindi fa un cenno affermativo, ritira l’ancora, accende i motori e l’imbarcazione si apre la strada tra le onde.

***

Quando la barca si muove e Grand Isle svanisce, Bucky tira un sospiro di sollievo perché sa che deve scendere il più in fretta possibile da quella barca, che gli sta facendo uno strano effetto: non aveva preventivato che gli succedesse questo, non in questo momento della sua vita, non con tutti i problemi che sta cercando di risolvere senza per altro riuscirci, non con la vita che gli sembra un tunnel senza vie d’uscita, ma soprattutto non con Sam.
Dopo un paio d’ore però, quando la costa appare all’orizzonte e diventa mano a mano sempre più dettagliata e definita, Bucky prende la decisione di mandare all’inferno la voce della ragione e quella del buon senso, di seppellire imbarazzo e vergogna e la voce del Soldato che gli sta urlando nella testa che lui non ha bisogno di nessuno e che ciò che ha in mente è un azzardo pericoloso che potrebbe costargli troppo e scende sottocoperta, dove Sam è andato a controllare che la pompa funzioni a dovere.
La sala motori è calda e in penombra, Sam si gira sentendolo entrare e lo guarda interrogativamente, lui non parla ma con il braccio di metallo lo spinge contro una parete, poi lo bacia mentre il braccio gli ricade al fianco ormai inutile, perchè paradossalmente per Bucky un abbraccio significherebbe troppo, un gesto che sa di non poter ne pretendere ne sostenere.
E’ Sam che gli circonda il fianco e con il palmo della mano aperta gli accarezza la schiena, mentre con l’altra gli sfiora la nuca e gli piega un po’ la testa perchè il bacio diventi più profondo.

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Capitolo 4
*** New York. ***





4. New York.


C’è una notte cittadina e scintillante che non è ancora notte ma solo sera;
c’è un ticchettio cadenzato e ritmico di pioggia sui vetri e una sirena che urla lontana;
c’è un crepuscolo che gioca ad indossare tutte le sfumature del grigio;
c’è un campanello che suona ed un uomo che va ad aprire con una strana emozione che gli chiude la gola;
c’è un sorriso caldo anche se zuppo di pioggia che aspetta dietro la porta.

***

“Ti aspettavo più tardi” mormora Bucky laconico, soffocando quello che in realtà vorrebbe dire, con una frase che gli esce peggio di quello che pensava.
“Felice anch’io di rivederti amico, sono un po’ in anticipo ma se hai altri programmi posso tornare dopo.”
“Nessun programma, entra.”
Sam scuote la testa sconfortato, segnandosi mentalmente di far ripassare a Bucky il significato d’ironia.
Entrando lo sguardo gli cade su un divano abbandonato in mezzo alla stanza: “Te lo hanno portato finalmente!”
“Sì stamattina.”
“Pensi di lasciarlo lì?”
Bucky gli si avvicina fissando il divano come se fosse un oggetto alieno.
“Che c’è che non va?”
“Che ne dici di spostarlo davanti alla Tv? Di solito la gente normale non si siede per terra a guardare i programmi… Ed ora manca solo un bel tavolino.”
“Che dovrei farmene di un tavolino?”
“Appoggiargi le birre, i pop-corn, i piedi… Un sacco di cose.”
Bucky sbuffa: “Se hai finito di fare l’arredatore gay direi che possiamo dedicarci a quello per cui sei venuto no?”
“Quello che mi piace di te è il tuo lato romantico.”
“Il mio lato romantico lo dedico alle ragazze, comunque se è questo che vuoi la prossima volta ti farò trovare dei fiori.”
Si avvicina e lo spinge contro il muro perché è così che Bucky inizia i suoi approcci con Sam: bruscamente e senza nessun preliminare; gli spinge la lingua in bocca mentre con le mani va a palpeggiargli le natiche.
“Ti è mancato l’amico rotondo e marrone non è così?” *
Bucky alza gli occhi al cielo: “Piantala di dire cazzate.”

***

Quando arrivano al letto Sam, che ha già perso per strada la maglia, stende il compagno e gli si sdraia sopra, non dopo avergli sfilato pantaloni e boxer in un’unica mossa; gli infila le mani sotto la t-shirt che sa di non poter togliergli e mentre lo bacia sfrega le due erezioni, la sua costretta nei pantaloni contro quella libera di Bucky, poi lentamente lascia la bocca del partner scivolando fino all’inguine.
E’ la terza volta che fanno sesso e le prime due non sono certo da annoverare tra le performance migliori di entrambi: la prima volta nella sala a motori della “Paul&Darlene” si sono comportati più che altro come due adolescenti arrapati, con un orgasmo arrivato appena hanno cominciato a toccarsi e la seconda volta il desiderio reciproco si è stemperato nella reciproca diffidenza, creando prevenzioni imbarazzanti; questa volta però sembra che finalmente sia arrivato il momento di lasciarsi andare, dimenticando inutili cautele.
I gemiti di Bucky sono richiami che fanno alzare lo sguardo a Sam: vederlo con gli occhi chiusi e un’espressione eccitata, gli fa nascere un pensiero molto scorretto, un po’ perverso e che per la propria incolumità mai ammetterebbe a voce alta -Sto facendo godere il Soldato d’inverno!- e il misto d’eccitazione e di rischio che questo comporta gli fa andare il sangue alla testa e gli fa slacciare i pantaloni per soddisfarsi da solo.

***

Quando Sam solleva la testa dopo l’orgasmo che li ha travolti quasi in contemporanea, rimane incantato dall’espressione del compagno, con gli occhi ancora chiusi e un sorriso impudico sulle labbra morbide.
“Che hai da guardare?” chiede Bucky alzando le palpebre.
“Non sapevo ti riuscisse un’espressione così carina, oltre al solito broncio che sfoggi abitualmente.”
“Carina?? Ma ti senti quando parli? Non ho nessuna espressione carina nel mio repertorio.”
Sam si stende al suo fianco.
“Quella t-shirt prima o poi dovrai togliertela lo sai vero?”
“Non se ne parla.”
“Ok, allora dovrò togliertela io.”
“Non ti conviene provarci.”
“E’ una sfida?”
“E’ una minaccia.”
“Sono un soldato, ho visto ferite e e cicatrici, non mi impressiono.”
“Non è per te, è per me.”
-Per me!- Sam ha imparato dal suo lavoro di counselor con i veterani che a volte più che lo sguardo degli altri, è il proprio a far nascere l’angoscia di non riconoscersi più, ma soprattutto sa che per Bucky non è facile fidarsi completamente e di nuovo di qualcuno.
“L’amico tondo e color cioccolato non si è visto però” sussurra Bucky con voce bassa cambiando discorso, come fa sempre quando le parole diventano troppo intime, “Mi farebbe piacere dargli un’occhiata e stare a vedere tutte le TUE espressioni carine!”
Sam si toglie i pantaloni ridacchiando.

***

- Che diavolo è questa cosa che sta nascendo tra noi che non prevede tenerezza, sentimentalismo, gesti d’affetto ma solo sana competizione, buon sesso e battute sarcastiche?- Pensa Sam sdraiato sul letto ansante e accaldato mentre guarda il soffitto e fuori la notte ha soppiantato la sera.
Vorrebbe capire se anche Bucky si pone la stessa domanda, ma incrociandone lo sguardo si rende conto di quanto lui sappia essere impenetrabile e quanto possa apparire intatto e tutto d’un pezzo chi come lui si sente assolutamente vulnerabile.
- Vorrei che tra noi fosse diverso, che io fossi diverso. Vorrei averlo conosciuto quando non avevo paura della tenerezza, quando non pensavo fosse un’ammissione di debolezza- Pensa Bucky ammettendo con se stesso che a tutti i sensi di colpa che prova, dovrà aggiungere anche quello nei confronti di Samuel.
“Mi dispiace Sam” la voce apparentemente controllata e quasi fredda, l’unico modo per ammettere una colpa senza sentirsi troppo indifeso, “Forse prima sono stato troppo brusco… C’è ancora qualcosa di lui in me.”
Sam si gira a guardarlo nascondendo la sua sorpresa per queste scuse inaspettate, anche se in effetti fare sesso con Bucky non è un’esperienza che si potrebbe definire tranquilla: prima di tutto c’è quel braccio in vibranio che a volte lascia lividi involontari e provoca brividi quando inavvertitamente stringe troppo e poi c’è un qualcosa di selvaggio, impietoso e oscuro, che rende assolutamente veritiero quando Bucky dice che dentro di sé c’è ancora una parte del Soldato d’inverno. Sam può solo lontanamente immaginare cosa significhi avere nella testa un lui e un me e nonostante ciò impegnarsi per vivere.
“Giusto un po’, ma non ti preoccupare, più tardi si switcha** e mi prenderò la mia rivincita.”
“Vedremo” sogghigna Bucky.

*“Homeboy round and brown” è così che Anthony Mackie definisce il suo lato B in alcune interviste.
** I versatili nello slang sono definiti anche “Switch”. Il mio headcanon mi impone un Sam/Bucky entrambi versatili non si scappa, anche se visto che i versatili di solito hanno una preferenza, non saprei quale possa essere la loro.

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Capitolo 5
*** Epilogo. ***





5. Epilogo


C’è una notte che è finita da un pezzo e ha lasciato il posto ad un mattino luminoso che intarsia di luce la penombra della stanza;
c’è lo sciabordio di onde poco lontane che battono mollemente contro il piccolo approdo;
c’è un refolo di aria calda che fa vibrare le zanzariere abbassate;
c’è uno strano ronzio come quello di un nugolo d’insetti che si stanno avvicinando.

***

Quando Sam si sveglia è questa la prima cosa che sente: un ronzio che fatica a localizzare, si alza, apre le imposte e tende le orecchie, s’infila i pantaloni e scende al piano terra seguendo quel rumore, apre la porta d’ingresso e fuori, inginocchiato sul portico, Bucky sta passando una piallatrice elettrica lungo le assi di legno.
“Ma che stai facendo?”
Bucky alza gli occhi e sorride: “Ehi ben alzato” spegne l’utensile e si alza con i pantaloni impolverati, “Allora che ne dici? Sta venendo bene no?”
“Hai già fatto tutto questo pezzo da solo?”
“Che ci vuole, mi sono alzato presto, ti ho svegliato?”
“Beh sì ma non importa, mi sa che ho dormito parecchio.”
“Già, ma te la sei meritata una bella dormita dopo il tour de force di ieri” e l’occhiata che Bucky gli lancia, accompagnata da uno dei suoi sorrisini smaliziati, fa smuovere qualcosa in Sam.
“Mi prendo un caffè e ti raggiungo, se lavoriamo con questo ritmo prima di sera lo abbiamo anche verniciato.”
Sam entra in cucina e scalda il caffè rimasto, prendendosi il tempo di guardarsi in giro: la casa dei suoi genitori è rimasta chiusa per parecchi anni e ha bisogno di una seria manutenzione, ma dopo il suo esordio come Captain America, il salvataggio dei membri del GRC e la morte di Karli, è stato proprio questo il primo posto che a Sam è venuto in mente per cercare un po’ di tregua.
Sono passati due giorni dall’inaugurazione della “Paul&Darlene”, quando Bucky ha accettato il suo invito a fermarsi per un po’ e lui lo ha portato proprio lì, in questo luogo intessuto della sua storia.
Il giorno prima, nell’intervallo tra una scopata e l’altra -Devo recuperare settant’anni di astinenenza- si è giustificato Bucky, Sam passando nelle varie stanze e riannodando i ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza, ha deciso che quella casa meritava una seconda occasione e che la persona più adatta a regalargliela era proprio lui e l’amico si è offerto di rimanere ad aiutarlo.

***

Il pomeriggio è ormai agli sgoccioli quando Bucky si alza, si allontana di qualche passo e rimane a rimirare il lavoro fatto.
“Mi sembra che abbiamo fatto un buon lavoro, che ne dici?”
Sam gli si accosta con il pennello ancora gocciolante in mano e annuisce soddisfatto: “Da solo non ce l’avrei mai fatta, grazie.”
“Non c’è di che, io vado a darmi una ripulita, non dobbiamo andare da tua sorella per cena?”
“Sì, io intanto sistemo i pennelli e le vernici, poi passiamo da Carlos così gli riporto gli attrezzi che mi ha prestato e intanto ti offro una birra.”
La sera arriva tardi d’estate, sta solo imbrunendo quando i due escono dal locale dove si sono fermati a bere e si avviano a piedi lungo la strada che porta alla casa di Sarah.
“Steve aveva proprio ragione” esordisce Sam senza preavviso.
“Su cosa?”
“Sul fatto che sei un dongiovanni.”
Bucky lo guarda con espressione innocente.
“A che ti riferisci?”
“Sentilo! Hai veramente una bella faccia tosta sai! Ma sei hai flirtato tutto il tempo con la cameriera.”
“Flirtato? Ma figurati!”
“E cosa avresti fatto allora?”
“Conversazione.”
“Certo, perché tu quando fai conversazione ti sprechi in sorrisetti maliziosi e occhiate seducenti, chissà perché non me ne sono mai accorto.”
“Quando parlo con una bella ragazza sì.”
Sam gli butta un’occhiata che vorrebbe essere di disapprovazione, ma coglie un sorriso leggero e scanzonato e una luce negli occhi chiari e brillanti, che lo riporta a quel Bucky che ha visto solo allo Smthsonian nelle foto e nei vecchi filmati e gli sembra per un momento che l’amico sia ritornato ad essere quello che era in quel tempo passato.
“Ok” borbotta per nascondere l’emozione “Ma tu prova a fare conversazione con mia sorella in quel modo e poi farai i conti con me, ci siamo intesi?”
“Ricevuto.”

***

Entrambi tornando verso casa in auto sono silenziosi, ma il silenzio non pesa anzi sostanzia un rumore di fondo fatto dallo stormire degli alberi, dal gracidare delle rane negli stagni che costeggiano, dal mormorio onnipresente di un mare tranquillo che respira piano.
“E’ stato bello” Bucky è il primo a parlare ma lo fa sommessamente con la sua voce più morbida, “Da Sarah dico, i tuoi nipoti sono delle vere pesti” ridacchia.
“Già una bella serata.”
“Volevo chiederti… Sarah sa che tu sei…”
A Bucky usare alcuni termini a voce alta costa ancora fatica e Sam, anche se lo prende in giro e lo trova anacronistico, capisce che per alcune cose la sua sensibilità è e rimarrà quella di un uomo degli anni 40 nel bene e nel male.
“Gay?”
“Già.”
“Sì, da un bel po’.”
“E di noi?”
Sam ha un piccolo colpo al cuore nel sentire quel pronome pronunciato a voce alta da Bucky -Allora c’è un noi anche per te-
“Che dovrei dirgli di noi? Che la pensiamo in modo opposto più o meno su tutto? Che tra noi tutto diventa una sfida? Che a volte non ci possiamo proprio sopportare? Che è una bella lotta a chi è più testardo? Che scopiamo? Penso che non ci sia bisogno di dire niente a Sarah, ha già capito tutto da sola.”
Bucky non risponde, il gomito appoggiato al finestrino sembra intento a guidare.
“Anche che scopiamo?” dice dopo un po’.
“Probabilmente.”
L’auto illumina con i fari la casa e il portico che risplende di un biancore immacolato alla luce della luna.
“Domani recupero dallo scantinato il vecchio dondolo e la poltrona di vimini di mio padre. Qui ci starebbe bene anche un tavolino.”
“Dio, ma sei fissato con i tavolini… Piuttosto penso che una mano di vernice alla porta d’ingresso non guasterebbe.”
Si appoggiano al parapetto guardando il buio, la stanchezza che intorpidisce i pensieri e rende lenti i movimenti, ma la voglia che la notte continui.
“Se Steve fosse qui…” comincia Bucky esitante, “Cosa penserebbe di noi due, te lo sei mai chiesto?”
“Steve era una persona riservata che non amava mettere in piazza i suoi sentimenti, ma questo non vuol dire che fosse un bacchettone, penso che ci avrebbe dato la sua benedizione.”
“Tu dici?”
“Penso di sì ma lui se n’è andato e, non vorrei che tu mi fraintendessi, ma a me non importa cosa avrebbe pensato Steve! Devi smettere di farti dire dagli altri chi sei, anche se l’altro fosse Steve.”
Bucky lo guarda fisso poi annuisce lentamente: “Hai ragione, cercherò di impegnarmi seriamente.”
Sam gli batte una pacca sulla spalla poi non riesce a trattenere uno sbadiglio e Bucky ridacchia.
“Avanti andiamo a letto, non ho voglia di portarti al piano di sopra in braccio, principessina.”
In camera Sam si spoglia con gesti pesanti: “Gesù, ho bevuto un po’ troppo e sono stanco morto.”
“Già, ti ci vuole proprio una bella dormita.”
“E tu? Non dirmi che ti rimetti a dormire per terra.”
“No, il materasso è abbastanza duro e poi…”
“E poi...”
“Beh è un’esperienza nuova per me dormire con qualcuno, di solito da ragazzo e poi durante la guerra dopo il sesso ognuno tornava da dove era venuto.”
“E…”
“Beh… quando mi sveglio e non mi trovo solo… E’ meglio.”
“Anche per me, se la cosa ti può interessare.”
Spengono la luce, è la prima volta che dormono vicini senza prima aver fatto sesso e nonostante questo entrambi si sentono profondamente soddisfatti e appagati.

***

E’ ancora buio pesto quando il respiro affannoso di Bucky e un gemito sommesso che gli rimane incastrato in gola svegliano Sam. Non ha bisogno di accendere la luce per sapere cosa sta succedendo, gli si avvicina e gli tocca una spalla, un tocco leggero e quasi incosistente perché non vuole svegliarlo, -E’ solo un brutto sogno, ripeti a te stesso chi sei- gli bisbiglia all’orecchio e Bucky è come se lo avesse sentito, perché fa un sospiro profondo e si gira su un fianco senza aprire gli occhi.
Sam lo osserva per un po’ poi si sistema dandogli la schiena e si riaddormenta.
Quando apre gli occhi per la seconda volta, considerando la luce giovane che penetra attraverso le imposte e il chiacchericcio degli uccelli sui rami degli alberi che circondano la casa, la mattina deve essere vicina, però non è questo quello che lo ha svegliato ma il peso leggero di una mano di carne e ossa appoggiata sul suo fianco e il lieve solletico sulla nuca che gli provoca il respiro regolare di Bucky.
Sam non fa nulla, non si muove, solo sorride, poi con cautela tocca la mano di Bucky e gli intreccia le dita alle sue. E’ stanco di interpretare sempre e solo la parte del macho che anziché frasi d’amore sforna battute ironiche, si chiede se anche per Bucky sia così, non lo sa con sicurezza, ci spera solo.
“Che stai facendo?” Bucky ha la voce assonnata ma vigile e cerca di ritrarre la mano incastrata nelle dita di Sam.
“Ti sto tenendo la mano, è da un po’ che ne avevo voglia ” e mentre pronuncia queste parole si gira a fronteggiarlo negli occhi.
Bucky abbassa lo sguardo per qualche istante e quando lo rialza Sam si chiede come è possibile che dopo decenni di orrori, a volte abbia ancora questa luce innocente dentro agli occhi e un sorriso così commovente.
“Anch’io ma non è facile per me, ho bisogno di tempo Sam.”
“Io sono qui, non vado da nessuna parte.”

FINE. .

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