L’Aquila di Glencree

di Star_Rover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Der Adler ***
Capitolo 2: *** Dublino/Belfast ***
Capitolo 3: *** Éire 1940 ***
Capitolo 4: *** Alleanze ***
Capitolo 5: *** La spia e il soldato ***
Capitolo 6: *** Indizi ***
Capitolo 7: *** Blackheath Park ***
Capitolo 8: *** Questioni politiche ***
Capitolo 9: *** L'attentato ***
Capitolo 10: *** Il nemico del nemico ***
Capitolo 11: *** Sospetti ***
Capitolo 12: *** Blackout ***
Capitolo 13: *** Il capitano Maguire ***
Capitolo 14: *** Segreti ***
Capitolo 15: *** Un gioco pericoloso ***
Capitolo 16: *** Tin Town ***
Capitolo 17: *** Accordi e compromessi ***
Capitolo 18: *** Rivelazioni ***
Capitolo 19: *** La retata ***
Capitolo 20: *** Una lunga notte ***
Capitolo 21: *** Indagini ***
Capitolo 22: *** Conseguenze ***
Capitolo 23: *** Sul filo del rasoio ***
Capitolo 24: *** L'unica certezza ***
Capitolo 25: *** Ombre ***
Capitolo 26: *** Promesse ***
Capitolo 27: *** Traditori ***
Capitolo 28: *** Zeitnot ***
Capitolo 29: *** La spia del Castello ***
Capitolo 30: *** Possibilità ***
Capitolo 31: *** Illusioni ***
Capitolo 32: *** Bray (Parte I) ***
Capitolo 33: *** Bray (Parte II) ***
Capitolo 34: *** La giusta decisione ***
Capitolo 35: *** Questioni irrisolte ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Der Adler ***


Premessa
Il contesto di questa storia è reale, durante la Seconda guerra mondiale i servizi segreti tedeschi inviarono delle spie nella neutrale Irlanda. Gli eventi narrati prendono ispirazione da fatti documentati come il Piano Kathleen, l’Operazione Green e l’Operazione Mainau. Questo però è un racconto romanzato, ad eccezione di alcune figure storiche i personaggi e le loro vicende sono di fantasia.

 

 

1. Der Adler
 
Il tenente Karl Ziegler era un pilota esperto e competente, più volte aveva dimostrato il suo valore in battaglia. Quando gli era stato rivelato il piano di quella missione era rimasto sorpreso, ma come sempre non aveva esitato a compiere il suo dovere.
Inizialmente non era stato entusiasta all’idea di collaborare con i servizi segreti, quella era davvero una grande responsabilità. Era certo che se qualcosa fosse andato storto egli sarebbe stato ritenuto l’unico responsabile. D’altra parte se l’Abwehr[1] si era rivolta a lui significava che qualcuno l’aveva considerato all’altezza.
Ziegler lasciò perdere quelle preoccupazioni, in fondo non doveva fare nulla di particolare, aveva percorso quella rotta decine di volte, doveva solo sperare di non essere intercettato dal nemico.  
Nel momento in cui gli era stato detto che avrebbe dovuto trasportare un carico speciale egli aveva pensato ad un nuovo ordigno da sganciare sul suolo britannico, invece la questione era risultata essere ben differente.
La sua zavorra non era un potente esplosivo, ma una spia. Le coordinate invece gli avevano rivelato un’insolita deviazione, la sua meta era la costa orientale d’Irlanda.
Ovviamente non aveva posto alcuna domanda ai suoi superiori, non era autorizzato a sapere altro, ma doveva ammettere che avrebbe gradito conoscere il motivo per cui stava rischiando la pelle.
L’Heinkel He 111 proseguì in volo livellato all’altitudine di 10.000 metri, avvolto dall’oscurità di quella desolata notte di settembre.
L’unico rumore proveniva dal ronzio delle eliche e del motore. Ziegler non era abituato a quel silenzio, non l’avrebbe mai ammesso davanti ai suoi sottoposti, ma gli mancava il suo fedele equipaggio. Persino le terribili battute del mitragliere Schwartz avrebbero potuto risollevare il suo animo in quel momento.  
Sul retro del velivolo il suo unico passeggero era quieto e silenzioso. Al suo arrivo al campo d’aviazione di Jever non aveva subito creduto che quel ragazzo fosse il prezioso carico che avrebbe dovuto portare a destinazione. Si aspettava un agente esperto, invece quel giovane sembrava un cadetto appena uscito dall’accademia.
Si era presentato come tenente Hans Schneider indossando una perfetta uniforme della Luftwaffe, al contrario di quel che aveva immaginato quel grado gli apparteneva a tutti gli effetti.
Ziegler aveva sempre pensato che gli agenti segreti dovessero ricorrere a travestimenti e false identità per non farsi riconoscere, come nei romanzi. Schneider gli aveva spiegato che in un certo senso era quella la sua copertura. La parte più rischiosa del piano era l’arrivo in territorio neutrale, se durante questa fase fosse stato scoperto in abiti civili per le leggi internazionali sarebbe stato destinato ad una sommaria esecuzione. 
Ovviamente questo scenario riguardava la peggiore delle ipotesi.
Ziegler aveva risposto con una smorfia, a suo parere l’unico modo per non farsi uccidere era non essere catturati. A quel punto ormai sarebbe stato troppo tardi, in ogni caso le autorità avrebbero trovato una scusa per giustiziarlo.
 
Il tenente Schneider era occupato a preparare il suo paracadute e a controllare l’equipaggiamento, in particolare si assicurò che non ci fossero problemi con la preziosa radiotrasmittente. Quell’apparecchio era il suo unico mezzo di comunicazione con il quale avrebbe potuto restare in contatto con i suoi superiori dopo aver raggiunto il suolo irlandese.
Dopo aver terminato quell’operazione Hans tornò a rannicchiarsi contro alla parete metallica. Fino a pochi mesi prima non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una simile situazione. Dopo aver ottenuto la promozione a ufficiale aveva immaginato di portare avanti la sua carriera nella Luftwaffe, desiderava diventare un pilota di Stuka per prender parte a grandi operazioni militari. Invece aveva finito per abbandonare i suoi sogni di gloria diventando un agente dell’Abwehr. Al tempo aveva accettato quella proposta trovandola intrigante e allettante, non si era pentito per questo, ma una parte di sé continuava a domandarsi se avesse realmente preso la giusta decisione. Ormai però non c’era più tempo per i ripensamenti, aveva un’importante missione da portare a termine, seppur in modo differente doveva continuare a fare il suo dovere in quella guerra.
Schneider prese un profondo respiro, inevitabilmente ripensò al suo incontro al Quartier Generale di Amburgo.
 
 
***
 
Davanti a Knochenhauer-Straße l’edificio grigio del General Kommando della X Armata si era presentato in tutta la sua maestosità. La sua imponenza era conforme allo stile architettonico della Wehrmacht, due sentinelle sorvegliavano l’ingresso, gli stendardi del Reich sventolavano con fierezza sopra alle loro teste.
Schneider si era fermato sulle scalinate esterne e aveva alzato lo sguardo per ammirare la facciata principale ornata con enormi statue che raffiguravano due aquile pronte a spiccare il volo.
Dopo aver superato i controlli e aver esibito il suo tesserino di riconoscimento il tenente aveva raggiunto l’ala ovest percorrendo lunghi corridoi e oltrepassando decine di porte chiuse. Anche attraverso le solide pareti aveva potuto udire i tasti delle macchine da scrivere che battevano incessantemente e i telefoni che squillavano in continuazione.
In attesa di essere ricevuto dall’ufficiale in comando Schneider si era avvicinato ad una finestra, in quella cupa sera di pioggia aveva intravisto solo poche ombre furtive che vagavano per le vie deserte. Sul lato opposto della strada aveva scorto un convoglio di autocarri, nell’oscurità aveva riconosciuto la Balkenkreuz dipinta sul retro dei furgoni. I mezzi erano carichi di soldati, tutti giovani destinati a raggiungere il fronte.
Hans aveva avvertito un intenso brivido, ma non era stato in grado di stabilire se quella reazione fosse stata causata dall’inquietudine o dall’eccitazione.
 
Finalmente la porta si era aperta. Ad accoglierlo aveva trovato l’Hauptmann[2] Seidel, un uomo sulla quarantina, alto e snello, dal volto incavato e lo sguardo austero.  
Il suo superiore l’aveva invitato ad accomodarsi nel suo ufficio, Schneider si era sistemato davanti all’alta scrivania in legno scuro. Seidel aveva preso in mano il suo fascicolo ed aveva iniziato a sfogliarlo meticolosamente.   
Hans aveva notato che il ritratto incorniciato del Führer era l’unico quadro appeso in quella stanza fredda e spoglia. Egli aveva tentato di mantenere un atteggiamento composto e dignitoso, ma l’attesa aveva cominciato a diventare snervante.   
Il giovane aveva osservato le carte ordinate sulla scrivania, in cima a una pila di fogli, in bella vista, era stata riposta la rivista della Luftwaffe.
Quel mese ovviamente la copertina era stata dedicata alla feroce battaglia aerea per la conquista dell’Inghilterra. L’illustrazione mostrava uno Spitfire avvolto dal fumo con il pilota britannico che in un ultimo atto di disperazione tentava di paracadutarsi dal velivolo in fiamme. Il messaggio di propaganda risultava chiaro e diretto, era come se il nemico fosse già stato sconfitto.
La scritta Der Adler[3] risaltava sull’immagine sbiadita, l’unico colore vivido era il rosso acceso del fuoco e del sangue. 
Hans si era sentito orgoglioso di poter prender parte ad una così grande impresa, seppur senza combattere in prima linea. In ogni caso aveva ben compreso l’importanza della sua missione, il suo destino ormai era deciso.
Seidel era tornato a rivolgergli la sua attenzione.  
«Non mi sorprende che abbiano deciso di affidare a lei questo incarico, è un agente davvero promettente»
«Sono onorato per questa opportunità»  
«Ha completato con successo il suo addestramento e ha dimostrato di possedere tutte le competenze necessarie, sono certo che saprà svolgere al meglio il suo dovere»
Schneider aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per non deludere le aspettative che i suoi superiori avevano riposto in lui. 
«Ha qualche dubbio a riguardo?» aveva chiesto Seidel per semplice formalità.
Il giovane aveva risposto con estrema sicurezza: «no, signore»
«Bene, suppongo che sia pienamente consapevole dei rischi e della pericolosità di questa missione»
«Certamente»
«Mi permetta di ricordarle tre regole fondamentali…»
Hans era rimasto immobile e in silenzio.
«Non si fidi di nessuno, si rivolga ai nostri contatti solamente se necessario e soprattutto non si intrometta in alcuna faccenda al di fuori dal suo obiettivo»
Schneider era rimasto colpito da quell’ultimo avvertimento, ma aveva intuito il reale significato di quelle parole. La sua missione era parte di un piano ben più grande e complesso.
Prima di congedare il giovane agente Seidel aveva suggellato quell’accordo con una vigorosa stretta di mano.
 
***
 
Il bombardiere tedesco si avvicinò all’Inghilterra restando nascosto in una densa coltre di nubi. Nei pressi di Scarborough Schneider osservò con preoccupazione le intense luci dei fari britannici attraverso la nebbia. Con una buona dose di fortuna e l’indubbia abilità di Ziegler il velivolo sorvolò senza imprevisti il territorio nemico e raggiunse indenne il Mare d’Irlanda.
L’Heinkel sbucò dalle nubi e lentamente iniziò ad abbassarsi di quota. Sulle coste irlandesi non erano presenti torri di controllo e strutture anti-aereo, era territorio neutrale, apparentemente in quell’Isola la guerra sembrava ancora lontana. 
Dopo aver completato l’ultima manovra Ziegler inserì il pilota automatico: «è arrivato il momento, tra poco dovrà saltare»
«Dove siamo?»
L’aviatore non fu in grado di fornire informazioni precise.
«Forza, deve lanciarsi! Non c’è tempo!»
Hans fu costretto a fidarsi, rapidamente recuperò il bagaglio e sistemò il paracadute.  
Appena Ziegler gli diede il segnale egli aprì lo sportello e si preparò alla discesa.
Schneider era consapevole che un vento sfavorevole avrebbe potuto trasportarlo lontano dalla costa e che in quel caso di certo sarebbe annegato, ma preferì non pensare al peggio.
Il giovane si sporse dall’aereo e abbassò lo sguardo, nell’oscurità non riuscì a scorgere nulla.
Era giunto il momento di agire, non aveva scelta, doveva rischiare. Così senza più esitare saltò nel vuoto.
 
 
 
 
Note
 
[1] Servizio d’intelligence militare tedesco dal 1921 al 1944. L'Abwehr era alle dirette dipendenze del Comando supremo della Wehrmacht.
 
[2] Capitano.
 
[3] L’Aquila.

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Capitolo 2
*** Dublino/Belfast ***



2.  Dublino / Belfast
 

Dublino (Repubblica d’Irlanda)
 
Le strade erano buie e deserte, l’elegante sobborgo di Rathgar riposava avvolto dal silenzio. Le antiche ville in stile vittoriano e mattoni rossi erano circondate da ampi giardini decorati con raffinate statue di marmo, alberi rigogliosi e cespugli fioriti.
Declan O’ Riley attraversò Brighton Square udendo solo l’eco dei suoi passi. Per un ragazzo cresciuto nella povertà del Liberties, il quartiere operaio di Dublino, faceva ancora uno strano effetto ritrovarsi in quella zona della città.
Il giovane si voltò per controllare che fosse tutto tranquillo, poi riprese a camminare per le vie desolate. Proseguì a testa china, con le mani in tasca e il berretto calato sul viso. All’interno della giacca nascondeva una preziosa lettera e una Webley carica.
Declan raggiunse la sua meta, superò i cancelli in ferro battuto ed entrò dalla porta sul retro. Salì le scale nella penombra fermandosi davanti ad una porta chiusa.
O’ Riley bussò più volte scandendo per bene ogni battito. Poco dopo qualcuno si presentò ad aprire.
Si trattava di Charles Maguire, noto letterato e poeta, nonché attivista repubblicano e membro dell’IRA[1].
Declan superò la soglia con esitazione, non si sentiva a suo agio in quel lussuoso appartamento.
Il padrone di casa richiuse la porta a chiave e tornò a sedersi nel suo salotto davanti a un bicchiere mezzo vuoto di whiskey.
Charles aveva un’aria elegante e distinta, ma le sue origini borghesi non gli avevano impedito di sporcarsi le mani. Era un grande estimatore di Padraig Pearse[2], al quale si ispirava non solo per le sue opere, ma soprattutto per i suoi ideali politici.
Con il suo carisma aveva conquistato subito la fiducia dei suoi compagni e sul campo aveva sempre dato prova del suo coraggio e della sua determinazione. I suoi scritti non erano soltanto i vagheggiamenti di un sognatore repubblicano, egli credeva davvero nella Causa.
«Ti stavo aspettando. Sei in ritardo» commentò Maguire osservando l’orologio. 
O’ Riley estrasse la busta e la poggiò sul tavolo.
«Dovevo recuperare questa…è da parte del nostro informatore al Castello[3]»
Il suo compagno esaminò il contenuto mostrando un’espressione soddisfatta.
«Credi che qualcuno abbia dei sospetti?» chiese Declan con apprensione.
«Non dovresti preoccuparti per questo, il nostro infiltrato è un agente stimato e rispettato»
«E noi possiamo fidarci di lui?»  
«I miei contatti sono sempre sicuri» rispose Maguire con estrema certezza.
«Spero davvero che tu abbia ragione»
«Se egli avesse avuto intenzione di tradirci saremmo già stati giustiziati»
«Questo sì che è rassicurante!»
Charles buttò giù l’ultimo sorso di whiskey.
«Ascolta, so che è difficile continuare a lottare, soprattutto dopo gli ultimi fallimenti, ma non possiamo arrenderci adesso»
«Non sto mettendo in dubbio i miei ideali» replicò Declan.
«Dunque che cosa ti preoccupa?»
Il ragazzo abbassò tristemente lo sguardo: «stavo solo pensando a quel che è successo…»
Charles assunse un atteggiamento più comprensivo: «mi dispiace, la condanna di Blaine è stata difficile da affrontare per tutti noi»
Declan restò in silenzio, non aveva ancora trovato il coraggio di parlare dell’accaduto.
Maguire tentò di confortarlo: «il suo ricordo vivrà per sempre nei nostri cuori, ma non possiamo permettere che il suo sacrificio resti vano, dobbiamo continuare a lottare anche per lui»
Il giovane stava per rispondere, ma in quel momento avvertì uno strano ronzio. Il rumore divenne sempre più forte e intenso, le pareti iniziarono a tremare. O’ Riley si avvicinò alla finestra. Uno squadrone di Heinkel in formazione sorvolò i tetti di Dublino. I bombardieri si mantennero a bassa quota, scortati dall’alto da due quartetti di caccia.
Declan riconobbe le croci bianche e nere dipinte sulle ali. Le sagome nel cielo si allontanarono sempre di più fino a sparire nell’oscurità. In breve il silenzio calò nuovamente sulla città.
«Erano aerei tedeschi»
Maguire esternò il suo parere a riguardo: «il presidente de Valera ha dichiarato la Neutralità della nostra Nazione, ma non potremo restare fermi a guardare mentre ovunque si sta combattendo per cambiare il destino del mondo»
«Questa non è la nostra guerra, il popolo irlandese ha già sofferto abbastanza»
«Già, ma gli inglesi non hanno ancora imparato la lezione»
«Non è in questo modo che otterremo la Libertà»
«Forse dovresti iniziare a considerare diversamente questa guerra» continuò Charles.  
O’ Riley rimase perplesso.
Maguire si portò la sigaretta alle labbra ed espirò una nuvola di fumo: «una difficoltà per l’Inghilterra, un’opportunità per l’Irlanda»

 
***
 
Belfast (Irlanda del Nord)
 
L’agente Radley Hart non aveva mai avuto problemi con i gendarmi del Royal Ulster Constabulary[4], molti di loro erano inglesi, mentre gli irlandesi erano unionisti convinti ben disposti a collaborare con l’Inghilterra.
Per questo fin dall’inizio egli aveva goduto di un’indiscutibile autorità ed era sempre stato trattato con rispetto da parte della polizia locale.
Hart uscì dall’auto nera e richiuse con forza la portiera. Era un freddo pomeriggio di fine estate, il cielo era nuvoloso, i gabbiani volteggiavano intorno alle barche lasciandosi trasportare dal vento. Con una smorfia Radley espresse il suo disgusto avvertendo l’intenso odore di salsedine e pesce marcio. Fu costretto a coprirsi il naso e la bocca con un fazzoletto per reprimere l’intensa sensazione di nausea. Quasi di corsa raggiunse una baracca situata poco distante dal molo.
Ad accoglierlo trovò un sottufficiale irlandese alto e allampanato, il quale si presentò con una certa emozione.
«Agente Hart, è un piacere conoscerla. Sono il sergente Callaghan»
L’inglese si guardò intorno, gli altri gendarmi avevano già terminato di ispezionare la zona.
«Non avete trovato nulla?» domandò manifestando evidente disappunto.
«Purtroppo siamo arrivati tardi, i militanti hanno avuto il tempo di eliminare le prove prima di fuggire. Abbiamo recuperato solo il frammento di una lettera bruciata e un paio di fucili nascosti sotto alle assi del pavimento»
Hart non mostrò particolare interesse per quelle notizie.
«Mi lasci indovinare: carabine Mauser»
Il poliziotto si stupì: «sì…ma come faceva a saperlo?»
«Ho visto più fucili tedeschi io in Irlanda che mio padre sulla Somme» commentò Radley con amarezza. 
Callaghan parve sorpreso: «i militanti dell’IRA si riforniscono di armi dalla Germania?»
«Ogni nemico del proprio nemico è un amico[5]»
L’irlandese rifletté su quelle parole.
«E la lettera? In che lingua è scritta?» continuò Hart.
«Inglese e gaelico»
«Dunque non è stato un tedesco a scriverla» constatò con delusione.
«Sarebbe alquanto improbabile»
«Già…dov’è il foglio? Voglio vederlo»
Il sergente accompagnò l’agente britannico vicino al tavolo. Dopo aver analizzato meticolosamente la prova Hart tornò a rivolgersi all’irlandese.
«Mi può tradurre la parte in gaelico?»
L’altro assunse un’espressione perplessa: «è strano, deve essere un messaggio in codice»
L’inglese iniziò a spazientirsi: «avanti, che cosa dice?»
«Be’, letteralmente c’è scritto: il carico di patate è stato consegnato, il whiskey arriverà presto dai nostri amici di Dublino»
«Di certo le patate sono le armi»
«E il whiskey
«L’alcol è infiammabile, potrebbe trattarsi di esplosivo» ipotizzò.
L’irlandese si allarmò: «dovremo avvertire le autorità oltre al confine!»
«Sarà fatto al più presto» lo rassicurò Hart.
Detto ciò voltò le spalle al sergente per avvicinarsi alle armi.
L’agente britannico prese tra le mani uno dei fucili, dopo averlo attentamente esaminato estrasse i proiettili, ne mancava uno. La polvere sulla canna provava che l’arma aveva sparato di recente.
«È davvero convinto che ci siano collaborazionisti tedeschi in territorio irlandese?» chiese Callaghan con titubanza.
«Di certo queste armi non sono state trasportate dalla corrente»
«E per quale motivo i tedeschi sarebbero interessati all’Irlanda?»
«Perché dalle vostre spiagge si vede l’Inghilterra» concluse Hart.
Il sergente avrebbe voluto porre altre domande, ma l’inglese era già uscito dal capanno sbattendo la porta.
 
Radley tornò sul molo, la nausea era diventata sopportabile, in quel momento aveva altre preoccupazioni.
Durante il conflitto il porto di Belfast era stato trasformato in una base militare della Royal Navy, flotte di navi britanniche erano ormeggiate in attesa di entrare in azione nelle acque dell’Atlantico.
Hart si allontanò dalla zona industriale e sostò qualche istante sul bordo della banchina per ammirare le onde che si infrangevano sugli scogli. Avvertì il vento freddo tra i capelli, la sabbia sui vestiti e il sapore di sale in bocca.
Radley spostò lo sguardo all’orizzonte, ripensando alla Patria provò una triste malinconia.
Quel panorama sembrava ben rappresentare la drammatica situazione dell’Inghilterra in guerra: un cielo oscuro sopra ad un mare in tempesta.
 
***
 
«Ci sono novità?» chiese Hart al suo ritorno alle caserme di Ballymena.
«Oh, sì…» rispose l’agente Smith.
Egli prese il suo posto al tavolo.
«I tedeschi hanno invaso Londonderry»
Radley sbuffò: «non sei affatto spiritoso!»
Il suo collega scosse le spalle: «qui al Nord è tutto tranquillo, le cattive notizie arrivano da Dublino»
«Che cosa è successo?»
«La scorsa notte due agenti sono stati uccisi. Uno era un irlandese del G2[6], l’altro un nostro uomo dell’MI5[7]»
«L’inglese era sotto copertura?»
Smith annuì: «l’IRA ha scoperto che era una spia e per questo è stato giustiziato»
«E il loro connazionale?»
«È stato ucciso durante una retata in un covo di militanti. Se non sbaglio c’è stata una sparatoria, in ogni caso domani avremo un rapporto dettagliato»
Hart si insospettì: «è la seconda volta oggi che sento nominare Dublino, laggiù sta accadendo qualcosa»
«Al momento abbiamo altre priorità, dobbiamo vincere una guerra»
«E se tutto questo avesse a che fare con la guerra?»
«Di che stai parlando?»
«La Germania ha stretto accordi con l’IRA, sappiamo bene per quale motivo»
«Le nostre sono solo supposizioni»
La conversazione fu interrotta dall’arrivo del capitano Lewis, il quale aveva avuto modo di ascoltare l’ultima parte del discorso.  
«Agente Hart, avevo proprio intenzione di affrontare con lei questo argomento. Vedo che ha già le idee chiare a riguardo»
«Signore, ho ragione di credere che possa esserci qualcosa di più dietro a tutto questo»
«A quanto pare non è l’unico a pensarlo»
«Lei è convinto che questo potrebbe essere un pericolo concreto per l’Inghilterra?»
Lewis sospirò: «probabilmente è una scintilla, ma è nostro dovere spegnerla prima che scoppi l’incendio»
Hart annuì: «sarei onorato di prendere parte all’operazione»
 
 


 
 
 
Note
 
[1] Irish Republican Army, organizzazione militare nata nel 1919. L’esercito era composto da volontari irlandesi disposti a combattere per l’Indipendenza. Dopo la Guerra Civile (1922-1923) l’IRA continuò ad opporsi al Trattato anglo-irlandese con l’ideale di liberare l’Irlanda dal dominio inglese.
Dal 1939 al 1940 l’IRA fu coinvolta in un piano di sabotaggio e mise in atto una serie di attentati nelle principali città britanniche.
 
[2] Poeta e nazionalista irlandese. Proclamò l’Indipendenza della Repubblica d’Irlanda durante la Rivolta di Pasqua del 1916. Fu giustiziato dagli inglesi, la sua figura divenne un simbolo della lotta per l’Indipendenza.
 
[3] Quartier Generale dell’Intelligence a Dublino.
 
[4] Forza di Polizia dell’Irlanda del Nord.
 
[5] Proverbio inglese.
 
[6] Dipartimento dei servizi segreti irlandesi specializzato in anti-terrorismo e controspionaggio.
 
[7] Agenzia di spionaggio del Regno Unito.

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Capitolo 3
*** Éire 1940 ***



3. Éire 1940

Hans riaprì gli occhi avvertendo la testa che ancora pulsava dal dolore. Quello era stato il peggior salto della sua carriera. Si era gettato nell’oscurità, ogni suo sforzo per tentare di direzionare la caduta ad alta velocità era stato inutile, il forte vento l’aveva trascinato per la maggior parte della discesa. Il paracadute si era impigliato nei rami di un albero ed egli era caduto rovinosamente a terra, causandosi una ferita al piede destro.
In tutto questo aveva anche perso la trasmittente, ma non per colpa sua. Ziegler aveva calcolato male i tempi, la radio doveva essere caduta lontano dal suo punto di atterraggio. Schneider aveva tentato di cercarla perlustrando la zona finché il dolore al piede non l’aveva costretto a fermarsi. Alla fine aveva rinunciato, si era sdraiato in un fosso e aveva ceduto alla stanchezza.
Hans prese un profondo respiro, si trovava solo, disperso in territorio sconosciuto e ferito. In quelle condizioni non avrebbe potuto raggiungere la sua meta, soprattutto perché non aveva la minima idea di dove si trovasse.
Il giovane controllò lo stato della sua ferita e sistemò la fasciatura, non era nulla di grave, ma ciò avrebbe rallentato il suo cammino.
Il sole era già sorto, Schneider si occupò di recuperare e nascondere il telo del paracadute, successivamente perlustrò ancora l’area circostante per cercare la radio. Purtroppo anche quel tentativo non portò ad alcun risultato.
Hans raggiunse i margini della foresta ritrovandosi circondato da verdi colline e cime rocciose. Quel luogo sembrava disabitato, soltanto a valle intravide un fiume e il profilo di un villaggio.
Il panorama non fornì particolari informazioni sulla sua posizione, avrebbe dovuto trovare altre indicazioni per orientarsi. Per il momento le case in lontananza erano il suo unico punto di riferimento.
Il tenente iniziò a scendere dalla collina seguendo un sentiero nel bosco, inevitabilmente ripensò a Ziegler. Si domandò se il suo compagno fosse riuscito a tornare sano e salvo al campo di Jever. In questo caso avrebbe già riportato ai suoi superiori i particolari del suo lancio. Secondo i piani egli stesso avrebbe dovuto comunicare il suo arrivo sul suolo irlandese, senza quel messaggio i suoi comandanti avrebbero ipotizzato che qualcosa fosse andato storto.
Avrebbe dovuto trovare al più presto un altro modo per contattare la base in Germania, ma questo problema non si sarebbe manifestato se la missione fosse fallita ancor prima di iniziare.
Schneider stava ancora ragionando sulla sua condizione quando ad un tratto avvertì dei rumori sospetti. Poco dopo fu in grado di riconoscere delle voci, qualcuno si stava avvicinando. Rapidamente Hans cercò un nascondiglio rannicchiandosi tra gli arbusti.
Due giovani si incamminarono lungo il percorso in salita, entrambi trasportavano un carico sulle spalle. Fisicamente sembravano piuttosto simili, probabilmente erano fratelli.
Schneider poté udire la loro conversazione, ma riuscì a comprendere solo alcune parti del dialogo.
Il fratello maggiore affrettò il passo.
«Déan deifir! Siamo in ritardo!»
«Tá ocras orm. Camminerei più in fretta a stomaco pieno»
«Qui tutti hanno fame»
L’altro sbuffò.
Il maggiore lo rimproverò: «éist liom, dovresti ritenerti fortunato»
Egli si fermò per sistemare la giacca.
«Tá sé fuar…sto congelando»
«Oh, smettila di lamentarti. C’è il sole: la brea ata ann
«Tá sé fíor, una splendida giornata per lavorare!»
I due si allontanarono fino a scomparire dietro alla collina.
Hans restò immobile, presumibilmente quei giovani provenivano dal villaggio, dunque aveva trovato il sentiero da seguire per scendere a valle. Poiché sarebbe stato troppo rischioso muoversi di giorno decise di restare nascosto e attendere il tramonto per uscire allo scoperto.
Nel frattempo avrebbe controllato le mappe e progettato un nuovo piano.
 
Dopo il crepuscolo Schneider si preparò a riprendere il cammino. Con l’oscurità avrebbe corso meno rischi, ma per precauzione sistemò la Browning in modo da averla sempre a portata di mano.
Il tedesco seguì il sentiero che scendeva con una lieve pendenza. La campagna riposava quieta e silenziosa, il percorso era illuminato dal chiarore della luna.
Hans avanzò lentamente per non sforzare il piede e per assicurarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi.
Ad un incrocio vide le prime indicazioni, fu sorpreso nello scoprire di trovarsi a poco più di quindici miglia dalla sua meta. Ziegler aveva perso la radio, ma non aveva commesso alcun errore con il suo salto.
Schneider rifletté sulla situazione, Dublino era ancora troppo distante, però aveva un contatto ad Enniskerry. Se fosse riuscito a raggiungere il villaggio avrebbe potuto trovare un rifugio sicuro e qualcuno disposto ad aiutarlo.
 
Hans giunse nella vallata, il sentiero proseguiva attraverso i campi incolti. Avvicinandosi al corso d’acqua il tenente notò qualcosa di strano, scorse delle ombre e delle luci sulla strada, il percorso era bloccato. Si trattava di un posto di guardia, il ponte era presidiato dai gendarmi della Garda[1].
Schneider esitò, rifletté qualche istante, poi si allontanò dal sentiero e scese al fiume. Non aveva altra scelta, doveva raggiungere l’altra sponda a nuoto. La distanza non era eccessiva, ma l’acqua gelida e la forte corrente non erano elementi a suo favore.
Il tedesco si fece coraggio, non poteva esitare davanti al primo ostacolo, così prese un profondo respiro e si immerse in acqua. Per un giovane atletico come lui quella traversata a nuoto non sarebbe stata particolarmente difficoltosa, ma in quelle condizioni l’impresa fu alquanto problematica. Hans si ritrovò a lottare contro la corrente, appesantito e intralciato dallo zaino e dai vestiti.
Finalmente raggiunse la riva, a fatica riemerse dall’acqua e strisciò nel pantano. Arrancò fino a un riparo dietro ad una grossa roccia dove poté fermarsi e riprendere fiato. La fasciatura si era sciolta e la ferita aveva ripreso a sanguinare. La divisa invece era fradicia e macchiata di fango. Non era così che aveva immaginato la sua prima missione come agente segreto.
Il giovane si poggiò al masso e lentamente si rialzò sulle gambe tremanti, il suo corpo fu scosso da un intenso brivido di freddo. D’istinto rivolse lo sguardo al ponte, non notò nulla di preoccupante, nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza.
Schneider si voltò in direzione della sua meta e zoppicando si allontanò nell’oscurità.
 
***
 
Il locale era quasi deserto, quel pub restava uno dei pochi luoghi sicuri per i militanti dell’IRA.
Declan ordinò il secondo bicchiere di whiskey e tornò a sfogliare le pagine del giornale. Si soffermò a leggere le notizie riguardanti la guerra. Un articolo era dedicato a un valoroso pilota della RAF, un irlandese che combatteva a fianco degli inglesi.
O’ Riley osservò la fotografia che mostrava il giovane aviatore davanti al suo velivolo, la fiancata dello Spitfire era stata decorata con il simbolo irlandese dello Shamrock.
Quell’articolo era stato pubblicato per propaganda, molti irlandesi avevano deciso di arruolarsi nell’Esercito britannico per dare il loro contributo in quella guerra. Anche alcuni membri dell’IRA avevano stabilito che combattere i nazisti fosse più importante che portare avanti la lotta per la riunificazione.
Declan non condivideva questa scelta, ma già da tempo aveva smesso di frequentare certi ambienti dove venivano esaltate con fin troppo entusiasmo le teorie fasciste e nazionalsocialiste.
Egli era sempre stato un fervente repubblicano, era figlio della Rivolta e questi ideali erano radicati in lui rafforzandosi nel tempo.
O’ Riley ripiegò il giornale, in quel momento Maguire entrò nel locale dirigendosi a passo sicuro verso il suo tavolo.
«Non pensavo che fossi già qui» disse occupando la sedia vuota.
«Il messaggio diceva che era urgente»
«In effetti ti devo parlare di una questione importante»
Charles si guardò intorno per assicurarsi che quel tavolo fosse abbastanza appartato.
«Puoi stare tranquillo, questo è un posto sicuro»
«Quel che devo dirti è un segreto anche per i nostri compagni»
«La cosa sembra interessante…»
Maguire estrasse dal taschino interno della giacca una confezione di Sweet Aftons offrendone una all’amico.
Declan si portò la sigaretta accesa alle labbra ed espirò una nuvola di fumo.
«Allora di che si tratta?»
«È una faccenda che riguarda la guerra»
O’ Riley ripensò al loro ultimo incontro.
«Una difficoltà per l’Inghilterra, una possibilità per l’Irlanda» ricordò.
«Se la Germania vincesse la guerra potremmo sfruttare la situazione a nostro vantaggio»
«Credi che i tedeschi siano la soluzione? Diamine, devi essere già ubriaco!»
Charles rimase in silenzio, Declan iniziò a insospettirsi.
«Da quando sei diventato un sostenitore della Germania?» domandò con tono serio.
«Da quando ho avuto modo di conoscere meglio i tedeschi»
«Non dirmi che ti sei iscritto al Partito!»
«No, ma ho incontrato alcuni rappresentanti»
«Perché?»
«Perché ci stanno offrendo una possibilità»                                                               
Il giovane scosse la testa, quella faccenda era sempre più pericolosa. Sapeva che Maguire non era un simpatizzante di estrema destra, ma la questione restava preoccupante.
«L’IRA ha concluso accordi con la Germania» rivelò Charles.
«Dunque da adesso prendiamo ordini da Hitler?»
«Dannazione Declan, vuoi lasciarmi il tempo di spiegare?»
Il suo compagno cercò di trattenersi.
«Si tratta di un’alleanza, è un compromesso che dovremo accettare per sconfiggere l’Inghilterra. Esiste un piano, ma per realizzarlo dobbiamo collaborare con i tedeschi»
«Chi è a conoscenza di questi accordi?»
«Soltanto il Comando e le unità coinvolte»
«Perché stai dicendo a me queste cose?»
«Sei la persona di cui mi fido di più al mondo, voglio sapere se posso contare su di te»
O’ Riley bevve un lungo sorso.
«Se rifiutassi mi considereresti un codardo, vero?»
«No, posso comprendere le tue ragioni»
«Quando mi sono unito all’IRA ho giurato che avrei fatto di tutto per il bene della Repubblica. Da quel momento non ho mai esitato a compiere il mio dovere»
«Lo so»
«Ho commesso dei crimini in nome della Libertà, la mia coscienza non è pulita, ma non ho mai tradito i miei ideali»
«Tu sei un buon soldato, per questo ho bisogno di te»
«Se dipendesse solo dalla mia volontà ti direi che non voglio avere nulla a che fare con questa faccenda»
Charles non si sorprese per quella risposta.
«Ma in gioco c’è il destino della nostra Nazione e se rinunciassi tradirei il mio giuramento»
«Allora? Che cosa pensi di fare?»
Declan poggiò il bicchiere vuoto sul tavolo: «credo che prenderò altro whiskey»
 
***
 
«È arrivato il rapporto riguardante quella sparatoria a Dublino» disse l’agente Smith porgendo il fascicolo al suo collega.
Hart diede una prima occhiata ai documenti.
«L’agente Ryan stava indagando su un caso che aveva come obiettivo l’arresto di un gruppo di militanti attivo nella capitale, il G2 aveva pianificato una retata in un rifugio nel quartiere di Drumcondra»
«Qualcosa però deve essere andato storto»
«I militanti si sono difesi, si sono barricati all’interno e hanno opposto resistenza. Erano ben organizzati: due mitragliatrici alle finestre e un cecchino appostato sul tetto»
«È per questo che quei criminali sostengono di appartenere a un esercito»
«Ryan è stato colpito da tre proiettili, due al petto e uno alla testa, l’ultimo è stato fatale»
«Hanno preso qualcuno?»
«No, dopo la sparatoria i militanti sono riusciti a fuggire»
«Adesso capisco perché le autorità irlandesi hanno ancora bisogno di noi» commentò Smith.
Hart rimase perplesso: «c’è qualcosa che non mi convince»
«Credi che abbiano omesso dei dettagli nel rapporto?»
«No, ma…questa sembra una vera e propria imboscata»
«Un’imboscata?»
Radley annuì: «è probabile che i militanti sapessero di essere sorvegliati e abbiano teso una trappola per gli agenti del G2»
«È un’ipotesi interessante»
Egli richiuse il fascicolo, in quell’istante un caporale si affacciò alla porta.
«Agente Hart, il capitano Lewis ha chiesto di lei»
Radley obbedì prontamente, nel momento in cui salutò il suo collega e varcò la soglia realizzò che non sarebbe tornato presto in quell’ufficio, il suo superiore aveva altri piani per lui.
 
***
 
Quel mattino il cimitero di Glasnevin era avvolto dalla nebbia e dal silenzio.
James Donnelly sostò qualche istante davanti alla tomba di Michael Collins, erano trascorsi quasi vent’anni dalla sua morte, eppure l’Irlanda sembrava ancora piangere la sua scomparsa.
Probabilmente la Repubblica avrebbe raggiunto grandi risultati sotto la guida di un leader che aveva combattuto per la Libertà. Collins però era un soldato, non un politico, e come un vero soldato era morto sul campo di battaglia.
James superò il monumento e si inoltrò nel camposanto per assistere alla sepoltura del suo collega. L’agente Ryan era stato ucciso la notte precedente in uno scontro a fuoco, negli ultimi mesi l’IRA era tornata ad essere al centro dell’attenzione per i servizi segreti irlandesi.
Donnelly rifletté sulla situazione. I ribelli avevano dimostrato di essere disposti a combattere, ma l’uccisione di un agente del G2 avrebbe avuto le sue conseguenze. Di certo qualcosa si sarebbe mosso all’interno del Castello, questo significava che presto anche lui sarebbe stato coinvolto.
James rimase in disparte, soltanto quando la cerimonia fu conclusa si avvicinò per porgere le sue condoglianze alla vedova. Strinse la mano della donna, la quale tremava per i singhiozzi. Con tono rassicurante proferì qualche frase di circostanza, consapevole di non poter fare altro.
Non conosceva Ryan, almeno non personalmente, il loro rapporto era sempre stato esclusivamente professionale. Le informazioni che ricordava su di lui le aveva lette nel suo fascicolo.
Donnelly si allontanò dalla piccola folla, ma non si avviò subito verso i cancelli. Percorse una stradina di ghiaia e camminando tra le foglie secche raggiunse un’altra sezione del cimitero. Egli continuò a vagare tra le lapidi, infine si fermò davanti a una semplice croce di pietra sulla quale era stato inciso lo stemma del National Army[2].
Era trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui aveva fatto visita alla tomba di suo padre. Inevitabilmente ripensò ai momenti che aveva trascorso insieme al genitore prematuramente scomparso.
James era ancora immerso in quei malinconici ricordi quando all’improvviso fu riportato alla realtà.
«Agente Donnelly»
Il giovane alzò lo sguardo riconoscendo la voce del capitano Kerney.  
«Non ho ancora avuto occasione di congratularmi con lei per l’ottimo lavoro sul campo»
«Ho solo svolto il mio dovere»
«Ha dimostrato di essersi davvero meritato la sua promozione» affermò l’ufficiale stringendo la sua mano.
«Grazie signore»
L’uomo osservò la lapide.
«Ero certo che lei avrebbe fatto carriera, non mi sarei aspettato altro dal figlio del tenente Donnelly»
«Lei conosceva mio padre?»
Il capitano annuì: «egli era un ufficiale valoroso, un vero eroe»
«Purtroppo ricordo poco di lui, avevo sette anni quando è morto»
«Era un uomo leale e onesto, è giusto che voglia seguire il suo esempio»
«Probabilmente ho ereditato anche la sua determinazione»
Kerney sorrise: «in effetti lei assomiglia molto a suo padre»
«Sono in molti a sostenerlo»
«Sono certo che se potesse vederla in questo momento sarebbe orgoglioso di lei»
James rimase impassibile.
«Domani si presenti nel mio ufficio, credo che lei sia la persona adatta per occuparsi di una certa questione…»
«Certo signore»
Il capitano annuì con un cenno, poi si congedò lasciando James nuovamente solo davanti alla tomba del padre.
Egli osservò con attenzione la fotografia ormai sbiadita, probabilmente era stata scattata pochi mesi prima della sua morte. L’uomo ritratto non poteva avere più di trentacinque anni, indossava la divisa da ufficiale ed era in posa con un atteggiamento fiero e deciso. 
Negli anni James aveva sentito diverse storie su di lui, i suoi commilitoni lo raffiguravano come un perfetto comandante. Il ricordo di suo padre era stato sicuramente idealizzato dopo la sua morte, un fondo di verità però doveva essere rimasto.
James rivolse un ultimo sguardo a quel volto, forse il tenente Donnelly era davvero stato un eroe della Guerra Civile, ma ai suoi occhi non aveva importanza.
Una sola cosa era certa: lui non era come suo padre.
 
 
 
 

 
Note
 
[1] Polizia nazionale della Repubblica d’Irlanda.
 
[2] Durante la Guerra Civile (1922-1923) i militanti dell’IRA per opporsi al Trattato anglo-irlandese combatterono contro l’Esercito irlandese (National Army) supportato dagli inglesi.

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Capitolo 4
*** Alleanze ***


Ringrazio di cuore tutti i lettori che stanno seguendo il racconto. Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto.
 
 
4. Alleanze
 

La musica di Händel suonata al pianoforte riempì il silenzio di quell’ampia sala vuota. Le dita si muovevano con sicurezza ed esperienza sui tasti, le note vibravano nell’aria dando vita all’armoniosa melodia.
All’improvviso Charles interruppe l’esecuzione, le sue preoccupazioni gli impedivano di concentrarsi sugli spartiti. 
Sconvolto e affranto emise un sospiro di frustrazione e si prese la testa tra le mani. Non riusciva a smettere di pensare a ciò che era accaduto con Declan. Sapeva di aver preteso troppo e si sentiva in colpa per aver coinvolto il suo migliore amico in quella pericolosa faccenda, eppure si sarebbe sentito peggio se non gli avesse confessato la verità. Era consapevole che egli l’avrebbe considerato un traditore, ma non poteva continuare ad agire di nascosto.
In fondo riteneva ancora che quell’amicizia fosse più importante di qualsiasi compromesso politico, voleva sperare che la sua decisione non avrebbe determinato la fine del loro rapporto.
Lasciandosi trasportare dai ricordi Charles ripensò al loro primo incontro, al tempo egli aveva da poco preso il comando della brigata mentre Declan era una recluta inesperta ed irrequieta. Tra i due era nata subito una sincera amicizia fondata sulla fiducia reciproca. Charles era rimasto affascinato dalla figura di quel ragazzo di umili origini e dallo spirito forte e combattivo. In lui rivedeva i tratti fondamentali del Volunteer idealizzato nei poemi repubblicani.  
Anche O’ Riley stimava il suo comandante, lo considerava come un fratello maggiore e più volte aveva dimostrato di tenere davvero a lui.
Da parte sua Maguire si era sempre sentito responsabile per la sorte del suo compagno. Non era stato semplice conciliare la sua autorità di comandante con l’istinto di protezione che provava nei suoi confronti. Probabilmente in determinate circostanze aveva fallito, ma non avrebbe mai potuto considerare Declan come un semplice sottoposto.
Era stato lui a trasformare quel ragazzino in un vero soldato, e questo O’ Riley l’aveva sempre riconosciuto.
Quella volta però aveva deluso le sue aspettative. Quel giovane vedeva nella sua figura un esempio da emulare e una guida da seguire non solo sul fronte di battaglia.
Rinunciando alla sua integrità morale aveva compromesso l’ideale di se stesso che Declan aveva sempre ammirato. Egli aveva tutto il diritto di sentirsi tradito.
Charles non era orgoglioso di ciò che aveva fatto, ma le sue intenzioni non erano cambiate, la sua priorità era sempre rimasta la lotta per la Libertà.
Maguire si riprese da quei pensieri avvertendo qualcuno bussare alla porta. I battiti divennero sempre più insistenti.
«Charlie, per favore apri! Ti devo parlare!»
Egli sussultò riconoscendo la voce di Declan, senza esitazione corse all’ingresso.
«Sono contento di vederti» ammise con sincerità.
Il suo compagno varcò la soglia.
«Ho riflettuto sulla tua proposta»  
«Avevi detto di non voler avere niente a che fare con questa storia» ricordò Maguire.
Il giovane sospirò: «lo so, ma non si è mai trattato soltanto di me»
«Ho già avuto prova della tua fedeltà per la Causa, hai dimostrato più volte di essere disposto a donare la vita per liberare la nostra Nazione»
«Morire sarebbe più semplice» replicò con amarezza.
«Declan…»
«No, lasciami parlare. Avevi ragione, io sono un buon soldato…e tu sei il mio comandante»
Maguire comprese le sue intenzioni.
«Non potrei mai obbligarti a fare qualcosa contro la tua volontà»
O’ Riley parve sicuro di sé e della sua decisione.
«Io voglio soltanto continuare a combattere al tuo fianco, non ho mai esitato ad affidare la mia vita nelle tue mani. Se ritieni che questa alleanza sia la nostra unica possibilità allora sono disposto a lottare anche per questo»
Charles si commosse nel sentire quelle parole. 
«Non posso prometterti nulla»
«Non mi servono false illusioni. La consapevolezza di star agendo per il bene della Repubblica è una motivazione sufficiente»
Maguire guardò il suo compagno negli occhi, fin dal primo momento aveva riconosciuto in quelle iridi smeraldo una luce di speranza per la Patria.
Declan si sforzò per accennare un debole sorriso.
«La nostra unica ricchezza è la Speranza e tutto ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio»
Charles si sorprese nel sentire quelle parole: «ma…questo è Il Ribelle di Pearse!»
«Una mia personale interpretazione» precisò.
Maguire strinse il suo compagno in un caloroso abbraccio.  
«L’Irlanda non avrà nulla da temere finché ci saranno uomini coraggiosi come te»
Declan non aveva alcuna certezza, ma riuscì a trovare conforto in quel sincero contatto umano.
 
***
 
Il tenente Schneider si distese nell’erba alta avvertendo i tiepidi raggi del sole sulla pelle.
Il cielo era limpido, in direzione nord-est soffiava un vento leggero, sarebbe stata una splendida giornata per volare.
Quei paesaggi bucolici gli riportarono alla mente i primi voli di addestramento che aveva completato durante la sua formazione a Gatow. 
Hans immaginò di pilotare il suo aereo sopra alle montagne rocciose, alle foreste selvagge e alle verdi campagne. Senza alcun pericolo avrebbe potuto dilettarsi con qualche acrobazia per poi seguire le correnti d’aria e planare sulla costa. Quelle fantasie rianimarono il suo spirito. Il tenente continuò a fissare la volta celeste pensando che sicuramente sarebbe stata una splendida esperienza eseguire manovre da manuale nel neutrale cielo d’Irlanda.
In quel breve periodo aveva avuto modo di notare che in quelle terre non si avvertiva alcuna presenza della guerra. Quella sensazione di quiete e tranquillità era estraniante, per un tedesco la Pace appariva ancora come un’illusione.
Inevitabilmente Schneider ripensò ai suoi commilitoni impegnati a combattere. Una parte di sé si sentiva in colpa per aver abbandonato i suoi compagni, in fondo però era consapevole che, seppur lontano dal fronte, anch’egli stava facendo il suo dovere.
Il suo scontro con il nemico sarebbe stato differente, privo di duelli cavallereschi e atti eroici, inoltre se avesse fallito la sua non sarebbe stata una fine gloriosa.
Nonostante ciò Hans aveva ben compreso l’importanza della sua missione ed era determinato a restare fedele alla sua promessa.
Aveva scelto di diventare un agente segreto, ma in ogni caso avrebbe affrontato il suo destino come un ufficiale tedesco.
Schneider si rialzò fino a sedersi, la ferita al piede era peggiorata dopo la sua avventata traversata a nuoto, per fortuna la sua meta non era troppo distante. Dalla sua posizione rialzata poteva facilmente individuare il campanile della chiesa. Aveva pianificato di raggiungere i confini del villaggio e restare nascosto fino al tramonto, indossando la divisa non poteva rischiare di essere riconosciuto. Se tutto fosse andato per il verso giusto avrebbe potuto trovare un rifugio sicuro per la notte.
Dopo i recenti avvenimenti volle sperare che almeno in quell’occasione la buona sorte potesse assisterlo.
 
***
 
Come ogni mattina James attraversò O’ Connell Bridge in sella alla sua bicicletta. Il centro di Dublino era caotico e affollato, a stento riuscì a muoversi a zig-zag tra la calca di gente senza perdere l’equilibrio. Svoltò in direzione di Merrion Square e si fermò all’incrocio, un tram colmo di passeggeri transitò sulle rotaie. Donnelly attraversò la strada e proseguì cautamente per non urtare pedoni e automobili. 
Passando davanti al Trinity College ripensò agli anni trascorsi in quelle aule come studente, ricordava sempre con piacere quel periodo di libertà e spensieratezza.
Il giovane pedalò fino al Municipio e lasciò il suo mezzo davanti alle caserme della Garda. Per raggiungere il Castello doveva ancora percorrere un breve tratto a piedi. James si sistemò la giacca, osservò l’orologio per controllare di non essere in ritardo e si incamminò tranquillamente lungo la via.
Passeggiando tra la folla notò una ragazza che a fatica tentava di sorreggere un’ingombrante cassa colma di fiori.
Donnelly non esitò ad offrire il suo aiuto.
«La prego, mi permetta di darle una mano»
La giovane lasciò che egli la liberasse da quel carico: «grazie, è davvero molto gentile»
James sollevò la cassa e senza particolare sforzo la trasportò all’interno della bottega.
«Non doveva disturbarsi…»
«Servire il popolo è mio dovere» disse riferendosi alla sua divisa.
La ragazza sistemò un bouquet, scelse un fiore e lo mise all’occhiello della sua uniforme.
Donnelly fu piacevolmente sorpreso da quel gesto.
«Così sono più elegante?»
Ella annuì: «è un bel simbolo per i difensori della Pace[1]»
«A dire il vero non sono un poliziotto, ma apprezzo il suo dono»
Lei abbassò timidamente lo sguardo: «volevo solo ringraziarla per la sua cortesia»
«È stato un piacere, adesso però devo andare»
«Sì, certo. Mi scusi, non volevo farle perdere altro tempo. Le auguro una buona giornata» disse prima di tornare al suo lavoro.
«Aspetti…»
Lei si voltò.
«Quando il fiore appassirà a chi dovrò chiedere per averne un altro?»
La ragazza sorrise: «mi chiamo Julia. Ed io per chi dovrò conservare quel fiore?»
«James»
 
 
Donnelly continuò a pensare a quel gradevole incontro finché non fu costretto a tornare alla realtà presentandosi nell’ufficio del capitano Kerney.
Entrando nella stanza avvertì una certa tensione, l’ufficiale era impegnato nella lettura, tra le mani stringeva il suo fascicolo personale.
Il giovane fu invitato a sedersi davanti alla scrivania.
James tentò di nascondere il nervosismo e si preparò ad affrontare quel colloquio.
«Vedo che ha un buon rapporto con i suoi colleghi dell’Unità Speciale[2]» iniziò Kerney riferendosi al suo ultimo incarico.
«La nostra cooperazione ha portato ad ottimi risultati, lo scambio di informazioni è vantaggioso per entrambe le parti»
«Condivido le sue opinioni. Invece cosa pensa della nostra collaborazione con l’MI5?»
Donnelly guardò il suo superiore negli occhi: «non ho mai avuto problemi con gli inglesi»
«Alcuni ritengono che gli agenti della Corona siano qui per controllarci»
«Esiste la Sezione britannica per questo»  
«Dunque lei ha fiducia in questa alleanza?»
«Fino a prova contraria non ho intenzione di dubitare dell’onestà di una Nazione, nemmeno se si tratta dell’Inghilterra»
Quella risposta sembrò compiacere il suo comandante. 
«Non mi sbagliavo, lei è davvero un uomo equo e razionale»
«Cerco solo di svolgere al meglio il mio lavoro»
«E anche modesto» aggiunse il capitano con orgoglio.
Donnelly rimase in silenzio, in attesa di conoscere il reale motivo di quell’incontro.
Kerney richiuse il fascicolo con le sue informazioni, l’espressione sul suo viso sembrò rilassarsi.
«Mi spiace averla sottoposta a questo interrogatorio, ma queste sono le procedure, non ho potuto fare eccezioni»
«Certo capitano, la prudenza non è mai abbastanza»
«Posso affermare di non aver alcun dubbio su di lei»
«Sono onorato per tutto questo, ma al momento non so ancora perché sono qui»
L’ufficiale non perse altro tempo e rispose senza più tergiversare.
«Agente Donnelly, voglio proporle di occuparsi di un caso di massima importanza che riguarda una questione internazionale»
James sgranò i suoi intensi occhi nocciola: «di che sta parlando?»
«Si tratta di una collaborazione con l’Inghilterra»
«Una collaborazione?»
Kerney porse una cartella al suo sottoposto.
«L’MI5 sostiene che l’IRA si sia alleata con la Germania. Questo potrebbe essere un pericolo anche per l’Irlanda»
James non poté evitare di porsi certe domande.
«Per quale motivo mi ritiene idoneo a questo compito?»
«È un buon agente, non disprezza gli inglesi e conosce il tedesco, mi sembrano tutte valide ragioni»
Le spiegazioni del capitano risultarono convincenti.
«Non ho motivi per rifiutare la sua proposta»
Il suo superiore mostrò un sorriso soddisfatto.
«Presto potrà incontrare il suo collega»
Donnelly si stupì: «egli non è qui?»
«No, è ancora in viaggio. Dovrebbe arrivare a Dublino tra poche ore»
«Posso almeno sapere qualcosa su di lui?» domandò.
«Avrà tutto il tempo per fare la sua conoscenza, non deve preoccuparsi, è il migliore nel suo campo»
James si rassegnò e tornò a sfogliare le pagine del fascicolo.
«Armi tedesche, messaggi in codice…questi indizi sembrano confermare i sospetti britannici»
«Sarà suo dovere scoprire la verità su questa storia»
«La presenza di collaborazionisti tedeschi in territorio irlandese potrebbe compromettere la nostra Neutralità, ma anche favorire gli inglesi non sarebbe un comportamento del tutto leale»
«Lei è decisamente un uomo di legge»
«Sto solo cercando di comprendere la situazione» si giustificò.
«I servizi segreti irlandesi sono disposti a collaborare con gli inglesi per fermare i terroristi dell’IRA»
Donnelly continuò a insistere: «suppongo che anche la guerra abbia la sua importanza»  
Il capitano esitò prima di esporre la verità.
«Esiste la concreta possibilità di un’invasione da parte della Germania»
James trovò che tutto avesse più senso dopo quell’ultima rivelazione. Nel mezzo di quei ragionamenti si lasciò sfuggire un commento di troppo.
«Deve essere difficile mantenere in equilibrio l’ago della bilancia»
L’ufficiale cominciò a mostrare la sua insofferenza.
«Certe questioni non la riguardano»
Donnelly si ritrasse sulla sedia: «ha ragione, deve perdonare la mia impertinenza»
«Ha altre domande riguardanti il caso?»
«No signore»
«Bene, allora è deciso. Per lei questa è una grande opportunità e un’occasione per dimostrare le sue capacità»
«Sono consapevole delle mie responsabilità»
«Mi fido di lei come mi sono sempre fidato di suo padre»
James comprese l’importanza di quelle parole.
«Farò del mio meglio per non deluderla»
«Ne sono certo» affermò il capitano prima di congedare il giovane agente.  
 
James uscì in corridoio, i primi segni di agitazione iniziarono a manifestarsi. Rapidamente raggiunse i bagni e si affrettò a sciacquarsi il volto con l’acqua fresca. Ciò fu d’aiuto, pian piano il battito tornò regolare ed egli riprese a pieno il controllo di sé. Era sempre più difficile mantenere la calma nel suo ruolo.
Ancora faticava a credere a ciò che era appena accaduto, non avrebbe mai sperato di ottenere un simile incarico.
Il giovane alzò la testa e osservò la sua immagine allo specchio, nella sua mente continuò a ricordare la medesima frase.
Lei assomiglia davvero molto a suo padre.
Essere il figlio del tenente Donnelly non era mai stato semplice, ma ciò aveva portato anche i suoi vantaggi.
James prese un profondo respiro, dal primo istante in cui aveva messo piede dentro a quelle mura aveva dovuto compiere delle scelte ed ora si era spinto troppo oltre per tirarsi indietro.  
Non sapeva a cosa avrebbe portato quell’alleanza, ma non poteva sprecare quell’opportunità.
 
James tornò nel suo settore, la prima persona che incontrò fu il sergente McKinley.
«Donnelly, credevo che fossi ancora in servizio ad Harcourt Street» esclamò il sottufficiale con evidente sorpresa.
«Mi hanno affidato un nuovo caso»
«Di che si tratta?» chiese il compagno indicando i fogli che teneva in mano.
James sistemò i documenti sotto al braccio: «top secret»
«Oh, la promozione ti ha portato ai piani alti» scherzò McKinley.
Egli scosse la testa: «sono certo che mi abbiano assegnato un compito che nessun altro avrebbe accettato»
«Adesso capisco…»
«La morte di Ryan ha causato un bel po’ di movimento» commentò Donnelly per cambiare argomento.
Il suo collega annuì: «già, questa volta quei criminali hanno davvero superato il limite»
Egli fu più obiettivo: «l’IRA ha sempre dimostrato di essere pronta a combattere»
McKinley sospirò: «quei terroristi non hanno mai agito senza uno scopo»
James rifletté qualche istante.
«Qualche settimana fa un militante è stato giustiziato, il processo Blaine, ricordi?»
«Credi che l’omicidio di Ryan sia stato un atto di vendetta?»
«Non lo so, ma non sarebbe una novità per l’IRA»
Il sergente scosse le spalle: «in ogni caso quei militanti erano a conoscenza di informazioni riguardanti le nostre indagini»
«Dovremo prendere provvedimenti più severi, gli informatori dell’IRA sono ovunque…»
«Qualcuno pensa che potrebbe esserci una spia all’interno del Castello» 
Donnelly rimase perplesso: «chi è che nutre simili sospetti?»
«L’Unità Speciale ha mandato qui uno dei suoi mastini»
«È assurdo»
«Infatti suppongo che si tratti di un falso allarme, vogliono solo tenerci tutti quanti in allerta»
«Un buon soldato non deve mai abbassare la guardia»
«Ottimo consiglio, ma non siamo in trincea»
«Con quel che sta accadendo anche noi potremmo trovarci presto nel fango» concluse James.
 
Per il resto della giornata Donnelly restò nel suo ufficio per studiare i fascicoli riguardanti la questione tedesca.
Ogni tanto sollevava lo sguardo da quei fogli per osservare il fiore ancora rigoglioso posto sulla scrivania, il pensiero di Julia era la sua unica distrazione.
Donnelly lasciò perdere quei vagheggiamenti e tornò a studiare il suo caso, gli inglesi non avevano molte prove, ma la guerra era un motivo sufficiente per portare avanti le indagini.
James non aveva ancora idea di come avrebbe affrontato la situazione, di certo non aveva intenzione di diventare il tirapiedi di quel misterioso agente dell’MI5.
Il giovane ripensò a ciò che gli aveva rivelato il sergente McKinley. L’omicidio di Ryan aveva destato alcuni dubbi, così qualcuno aveva ipotizzato la presenza di un traditore.
Avrebbe dovuto preoccuparsi a riguardo, ma risultava ironico il fatto che gli agenti dell’Unità Speciale sospettassero del G2, il loro vecchio comandante durante la Guerra d’Indipendenza era stato un abile doppiogiochista[3].
James inarcò le labbra in un sarcastico sorriso, il Castello aveva sempre avuto i suoi segreti.
Era ancora perso in queste considerazioni quando ad un tratto una recluta bussò alla porta.
«Una persona ha chiesto di lei, si tratta di un ufficiale britannico»
Donnelly scattò in piedi: «gli dica che sono pronto a riceverlo»
La sentinella sparì in corridoio, poco dopo la porta si riaprì. Sulla soglia comparve un uomo sulla trentina, alto e snello, impeccabile nella sua divisa. Non sembrava che egli avesse appena terminato un lungo viaggio, il suo volto non mostrava alcun segno di stanchezza. I capelli neri erano perfettamente ordinati e pettinati, due profondi occhi scuri caratterizzavano il suo sguardo rigido e severo.
Il giovane gli porse la mano: «sottotenente James Donnelly»
L’inglese rispose con una stretta decisa e si presentò in modo cordiale: «lieto di conoscerla, sono il tenente Radley Hart»
 
 
 
 
 
 
 
Note
 
[1] La Forza di Polizia irlandese è denominata An Garda Síochána (La Difesa della Pace), di conseguenza i poliziotti sono comunemente definiti “i difensori della Pace”.
 
[2] L’Unità Speciale (Special Branch) è una divisione investigativa della Garda Síochána specializzata in anti-terrorismo e controspionaggio. Per la sicurezza nazionale l’Unità Speciale collabora con l’Esercito e i servizi segreti (G2).
 
[3] Il fondatore dell’Unità Speciale fu David Neligan, una spia che durante la Guerra d’Indipendenza (1919- 1921) collaborò con i repubblicani come informatore infiltrandosi nell’Intelligence britannica.

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Capitolo 5
*** La spia e il soldato ***



5. La spia e il soldato


Al calare delle tenebre il tenente Schneider uscì dalla foresta per seguire il sentiero che conduceva ad un’isolata e tranquilla villa di campagna. Con un ultimo sforzo scavalcò la recinzione di legno e attraversò il giardino fiorito.
Giunto davanti al portone bussò con decisione, non dovette attendere molto prima di avvertire il rumore di alcuni passi.
Ad aprire si presentò una donna dall’aria composta e distinta. Indossava un’elegante camicetta bianca e una lunga gonna scura, i capelli castani erano raccolti in una semplice acconciatura. Non esibiva gioielli vistosi, portava la fede al dito e una piccola croce dorata al collo.  
«Lei è la signora Helen Gifford?»
Ella annuì.
«Sono il tenente Hans Schneider, avrei bisogno di parlare con lei»
La donna riconobbe la divisa e vide la Browning, ma non esternò in alcun modo timore o preoccupazione.
Senza porre alcuna domanda consentì al giovane di varcare la soglia.
Hans mosse qualche passo all’interno del modesto salotto, ancora scosso dai brividi si avvicinò al camino acceso.
La padrona di casa notò che faticava a camminare.
«È ferito?»
«Non è nulla di grave»
Helen sistemò una sedia e invitò il suo ospite ad accomodarsi.
«Devo dedurre che conosca la ragione per cui sono qui» disse Schneider notando la sua calma apparente.
Lei non esitò a dire la verità: «mi hanno avvertita solo della possibilità del suo arrivo»
Il tedesco comprese la situazione. 
«Avrei evitato di disturbarla, purtroppo ho avuto qualche difficoltà»
«Non si preoccupi, può nascondersi qui per il tempo necessario»
«Non resterò a lungo, devo raggiungere Dublino» 
«Domani provvederò ad avvertire mio fratello, lui saprà cosa fare per aiutarla»
Hans annuì, egli era uno dei comandanti che avrebbe dovuto incontrare per conto dell’Abwehr, dunque ciò non lo avrebbe esposto ad altri rischi.
La donna porse al giovane un bicchiere d’acqua.
«Sono certa che questa alleanza potrà essere vantaggiosa tanto per l’Irlanda quanto per la Germania» affermò.  
Schneider si dissetò con un lungo sorso.
«Spero che lei abbia ragione»
 
Hans si sentì decisamente meglio dopo un bagno caldo. Gli abiti del signor Gifford erano di una taglia troppo grande, per indossarli fu costretto a stringere la cintura e arrotolare le maniche della camicia.
Helen si mostrò gentile e disponibile nei suoi confronti, era evidente che non considerasse la sua presenza come un potenziale pericolo.
«La ferita non è profonda, ma deve stare attento, potrebbe ancora infettarsi» disse la donna dopo aver controllato la medicazione.
«Cercherò di ricordare le sue raccomandazioni»
La signora Gifford ripiegò con cura la sua divisa.
«Lei è molto giovane per essere un ufficiale» commentò.
Schneider sospirò: «i miei commilitoni non sono molto più vecchi»
Lei parve rattristarsi al pensiero che quella guerra fosse combattuta al fronte da soldati che in realtà erano poco più che ragazzi.
«Volevo ringraziarla per avermi soccorso» continuò Hans.
«Ho solo rispettato gli accordi»
«So che sta rischiando molto per questo, lei è una donna davvero coraggiosa»
Ella abbassò lo sguardo con aria malinconica.
«La mia famiglia è sempre stata attiva nella lotta per la Libertà. Mio padre ha combattuto due guerre, mio fratello è un ufficiale dell’IRA…»
Helen si prese una breve pausa, i suoi occhi si inumidirono mentre con un gesto nervoso continuò a far girare la fede intorno al dito.
«Quando mio marito è stato arrestato a causa dei suoi ideali anche io mi sono sentita in dovere di fare qualcosa»
 
Schneider salì lentamente le scale poggiandosi al corrimano per non sforzare l’arto ferito. Seguendo le indicazioni raggiunse la stanza degli ospiti. Dopo aver richiuso la porta a chiave si sistemò davanti al piccolo scrittoio e svuotò il contenuto del suo zaino. Le mappe e i documenti, seppur rovinati, erano ancora leggibili. Quei fogli però non avevano molto valore, senza la radio non avrebbe potuto portare avanti la sua missione.
Hans rifletté sulle sue possibilità, aveva degli alleati a Dublino, ma ricordava bene le regole, non poteva realmente fidarsi di nessuno.
In quell’occasione era stato fortunato, da quel momento però non avrebbe più potuto affidarsi al caso. C’era in gioco la sorte della guerra e il destino della Germania, non gli sarebbe stato concesso commettere alcun errore.
Il giovane tentò di analizzare in modo razionale la situazione, nonostante gli imprevisti tutto stava procedendo secondo i piani, aveva stabilito un primo contatto con l’IRA.
Doveva ancora valutare quale sarebbe stata la strategia migliore da adottare nelle fasi successive, ma in quel momento era troppo stanco per prendere qualsiasi decisione.
Il tenente ripose le carte e nascose la pistola, poi iniziò a svestirsi. Si distese sul materasso, poggiò la testa sul cuscino e si rannicchiò sotto alle coperte lasciandosi avvolgere da quel piacevole tepore. Lentamente richiuse gli occhi cedendo alla stanchezza.
 
***
 
Declan si risvegliò sussultando, un grido di terrore soffocò nella sua gola. Il giovane avvertì il cuore battere all’impazzata nel petto, aveva il respiro affannato e la fronte madida di sudore.
Egli restò paralizzato nell’oscurità, soltanto dopo qualche istante realizzò di essere al sicuro nella sua stanza. Aveva avuto un altro incubo, ormai accadeva sempre più frequentemente. Trascorreva intere notti insonni, e quando riusciva ad addormentarsi nei suoi sogni riviveva sempre quei terribili istanti.
La condanna di Blaine continuava a tormentarlo, i sensi di colpa non l’avevano mai abbandonato e la frustrante sensazione di impotenza era diventata ormai insopportabile.
Il ragazzo si nascose il volto tra le mani, a stento trattenne le lacrime. La lotta per la Libertà comportava dei sacrifici, ma perdere il suo fedele compagno era stato un prezzo troppo alto che ancora non era riuscito ad accettare.
O’ Riley ripensò al discorso di Charles. Il suo superiore aveva ragione, doveva continuare a combattere anche per lui, non poteva permettere che la sua morte restasse vana. Il ricordo di Blaine non avrebbe dovuto diventare una sua debolezza, nella sua memoria avrebbe dovuto trovare una motivazione in più per sostenere la battaglia.
Declan cercò conforto nelle parole del suo comandante, in fondo sapeva di non avere scelta, non poteva arrendersi. Era sempre rimasto fedele al suo giuramento e per questo non aveva alcun rimpianto.
 
***
 
Maguire trascorse l’intera giornata nel suo studio, essere un comandante dell’IRA non significava trovarsi sempre nel mezzo dell’azione. Era necessario pianificare le missioni, restare in contatto con gli informatori, organizzare le squadre e confrontarsi con le altre unità. C’erano sempre nuovi problemi da risolvere e decisioni importanti da prendere.
L’ufficiale rilesse più volte il messaggio che aveva tra le mani, era così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi della presenza del suo compagno finché egli non gli rivolse la parola.
«Avevi chiesto di vedermi?»
Charles reagì con un lieve sussulto tornando rapidamente alla realtà.
«Sì, ti ringrazio per essere venuto»
O’ Riley notò l’espressione preoccupata sul suo viso: «è successo qualcosa di grave?»
Il suo superiore assunse un’aria pensierosa: «a dire il vero non ne sono ancora sicuro…»
Declan si incuriosì: «di che si tratta?»
«Gli inglesi stanno indagando al Castello»
Il ragazzo esternò la sua preoccupazione: «sono notizie certe?»
«Il nostro informatore ha segnalato la presenza di un ufficiale britannico» spiegò il comandante.
«Questo potrebbe significare molte cose. Non ha aggiunto altri particolari?»
Maguire negò: «le comunicazioni stanno diventando sempre più complicate»
«Credi che sia stato l’omicidio di quell’agente del G2 ad attirare l’attenzione degli inglesi?»
«Non lo so, ma non è questo l’importante»
«Hai intenzione di prendere provvedimenti a riguardo?»
«No, è meglio aspettare di avere più chiara la situazione»
Declan approvò la sua decisione.
«È di questo che volevi parlarmi?»
Charles scosse la testa: «no, c’è anche un’altra faccenda. Questa mattina ho parlato con mia sorella»
O’ Riley sapeva che il marito di quella donna stava scontando la sua pena in un campo di lavoro.
«Spero che non sia accaduto nulla di grave a Stephen»
Maguire lo rassicurò: «mio cognato non ha niente a che fare con tutto questo»
Declan rimase in silenzio in attesa di ulteriori spiegazioni.
«Un ufficiale tedesco è stato paracadutato vicino a Glencree, in questo momento si trova nascosto a casa di Helen»
Il giovane faticò a credere a quella notizia.
«Dunque tu eri a conoscenza di questa storia» disse con una lieve inflessione accusatoria.
Maguire annuì: «si tratta del nostro contatto dell’Abwehr, è un elemento fondamentale per il piano»
«Quindi adesso è nostro dovere occuparci di lui» intuì O’ Riley.
«Quell’agente deve raggiungere Dublino al più presto»
«Abbiamo provveduto a nascondere e proteggere militanti e informatori, con un tedesco non sarà molto diverso»
«È quello che penso anche io, il problema è che ho bisogno della persona adatta per questo compito»
«Alcuni di noi sono simpatizzanti del Partito, sono certo che troverai qualcuno disposto ad aiutare un nazista. O’ Neil potrebbe essere un buon candidato» suggerì.
Charles si rifiutò: «no, non posso rivolgermi agli esponenti di destra dell’IRA»
O’ Riley gli rivolse un’occhiata interrogativa: «perché no?»
«Voglio che sia qualcuno di obiettivo a controllare quella spia»
Declan porse al suo compagno uno sguardo d’intesa.
«Dunque anche tu hai dei dubbi sulle intenzioni dei nazisti»
«Sono disposto ad accettare alcuni compromessi, ma non permetterò all’Abwehr di prendersi troppa libertà d’azione tra le nostre linee»
«Sono felice di sentirti dire queste cose, anche se temo di sapere dove andrà a finire questo discorso»
Charles guardò l’amico negli occhi: «desidero assegnare a te questo incarico»
Declan manifestò la sua perplessità: «ritieni che sia una buona idea affidare a me la sorte di un tedesco?»
Maguire confermò senza esitazione: «ti conosco bene, sei un uomo leale. Puoi non condividere gli ideali nazisti, ma non tradiresti mai l’IRA»
Il giovane fu colpito da quelle parole.
«Hai proprio trovato il modo di incastrarmi» disse con rassegnazione.
«Non voglio incastrarti. Hai l’esperienza e le competenze necessarie per occuparti di questa missione»
Charles rivelò al suo compagno i particolari del piano, al termine delle sue spiegazioni Declan parve ancora dubbioso.  
«Così dovrei diventare il cane da guardia di una spia tedesca?» domandò con diffidenza.
«Se vuoi vederla in questo modo...»
«Non avrei mai pensato a nulla del genere quando ho accettato le conseguenze del mio giuramento» commentò.
«Sai bene perché ti sto chiedendo questo»
Declan prese un profondo respiro: «per l’Irlanda posso proteggere un nazista, ma non fingerò di essere una Camicia Blu [1]»
«Non sarà necessario, per il tuo compito non serve alcuna copertura. Devi solo accertarti che il piano prosegua come stabilito»
«E se fosse vero? Se i tedeschi stessero cercando di sfruttarci soltanto per vincere la guerra?»
«Fino a questo momento hanno rispettato gli accordi e sono sempre stati leali nei nostri confronti»
«Ciò non significa che lo saranno per certo anche in futuro»
«Se avrai dei sospetti fondati tratteremo la questione al momento opportuno»
O’ Riley rispose con una smorfia contrariata.
«In ogni caso dovrai trattare con rispetto un nostro alleato» rammentò Charles con tono severo.
«Farò del mio meglio» replicò il suo compagno senza troppa convinzione.
Maguire si fidò della sua parola.  
«Un’ultima cosa…»
Il giovane alzò lo sguardo.
«Cerca di stare attento» raccomandò con sincera apprensione.
O’ Riley annuì: «ti farò avere mie notizie quando sarò di ritorno in città»
 
Charles restò immobile anche dopo che la porta si fu richiusa, il suo sguardo rimase fisso nel punto in cui il suo sottoposto era scomparso. Era sicuro di aver preso la giusta decisione, riteneva che Declan fosse adatto per quella missione e non dubitava delle sue capacità.  
Nonostante ciò non poté ignorare timori e preoccupazioni, se fosse accaduto qualcosa al suo migliore amico non avrebbe mai potuto perdonarsi.
Forse era stato egoista nel coinvolgere una persona tanto cara in una faccenda così pericolosa. Sapeva di aver preteso molto, ma non avrebbe mai affidato al suo compagno un compito così rischioso senza una valida ragione. Aveva bisogno di qualcuno di onesto e leale, un militante di cui non avrebbe mai potuto diffidare, per questo si era rivolto a O’ Riley. Si fidava di lui più di chiunque altro.
 
***
 
Il bus avrebbe raggiunto Enniskerry in meno di venti minuti. Declan prese posto accanto al finestrino e poggiò la valigetta sul sedile. Il mezzo era quasi vuoto, sarebbe stato un viaggio breve e tranquillo.
Il giovane pensò al contenuto del suo bagaglio, ancora faticava a credere di star trasportando documenti falsi per una spia tedesca.
Aveva accettato quell’incarico soltanto per rispettare il suo giuramento e per non deludere il suo comandante. Aveva sempre stimato e ammirato Maguire, era stato la sua guida durante il periodo di addestramento nell’IRA e oltre ad essere il suo mentore era diventato anche un prezioso confidente. La loro amicizia era troppo importante per essere rovinata dalla guerra. Non comprendeva il motivo per cui Charles avesse scelto di accettare quelle condizioni, ma si fidava di lui. In fondo egli era soltanto un soldato, non possedeva alcuna conoscenza a riguardo di accordi internazionali e alleanze politiche. Voleva solo sperare di aver preso la giusta decisione per il bene dell’Irlanda.
O’ Riley guardò fuori dal finestrino e restò ad ammirare il panorama che scorreva davanti ai suoi occhi. La campagna irlandese era illuminata dalla calda luce del tramonto, quella vista gli donò una precaria sensazione di pace e tranquillità.  
 
Declan scese alla fermata ai margini del villaggio e si incamminò a passo sicuro verso la sua meta. Ricordava bene la strada per raggiungere la dimora dei coniugi Gifford, in passato anch’egli aveva trovato rifugio in quella casa.
Quando si presentò all’ingresso Helen lo riconobbe immediatamente e lo accolse con la sua solita cordialità.
«Sono contenta che sia andato tutto bene, ti stavamo aspettando»
Declan attraversò il corridoio e raggiunse il salotto. Appena entrò nella stanza notò una figura alta e snella in piedi davanti al camino. Nel momento in cui egli si voltò realizzò di trovarsi di fronte a un vero ufficiale tedesco, il suo aspetto era del tutto conforme alle rappresentazioni che aveva visto sui giornali e nei manifesti di propaganda.
Il giovane indossava abiti civili, ma dal suo fisico atletico e dalla sua rigida compostezza non era difficile credere che in realtà fosse un militare.
Il suo viso, seppur segnato dalla fatica e dalla stanchezza, era caratterizzato da lineamenti sottili e delicati. I capelli biondi, cortissimi ai lati e folti nel ciuffo, erano pettinati all’indietro. Le iridi cristalline illuminavano il suo sguardo vigile e attento.
Il tedesco si avvicinò per presentarsi.
«Tenente Hans Schneider»
L’irlandese rifiutò la stretta di mano.
«Sì, so bene chi è lei» rispose seccamente.
L’ufficiale fu sorpreso dalla sua freddezza, nonostante ciò continuò la conversazione in modo diplomatico.
«A quanto pare è stato ben informato, ma per me lei è ancora uno sconosciuto»
Egli si presentò formalmente.
«Soldato Declan O’ Riley, Dublin Brigade»
«Suppongo che sia qui per ordine del capitano Maguire» intuì.
Declan confermò con un cenno.
«Credevo di incontrare il suo superiore di persona» ammise Schneider lasciando trasparire la propria delusione.
«Per questioni di sicurezza egli ha deciso di affidare a me il compito di accompagnarla a Dublino»
L’ufficiale si mostrò diffidente.
«Comprendo le sue motivazioni, ma questo non era previsto. Non ho alcuna garanzia su di lei»
«Temo che per quel che mi riguarda dovrà fidarsi della mia persona, ma posso dimostrarle che l’IRA è fedele alle sue promesse» affermò O’ Riley guardando il suo interlocutore negli occhi.
Il giovane poggiò la valigetta sul tavolo ed estrasse il suo contenuto.
«Questi sono i documenti che le servono per entrare in città»
Hans prese i fogli tra le mani, nonostante l’inaspettato cambio di programma gli irlandesi stavano dimostrando di essere disposti a rispettare gli accordi.
Il tenente controllò che fosse tutto in ordine, poi ripose le preziose carte all’interno della giacca. Quella prova non era una certezza assoluta, ma rendeva quell’uomo meritevole di una possibilità.
«Bene, soldato O’ Riley, adesso qual è il piano?»
 
 
 
 
 
 
 

 
Note
 
[1] Organizzazione paramilitare che emulava le Camicie Nere italiane e le Camicie Brune tedesche. Fu fondata nel 1933 da Eoin O' Duffy, uno dei principali sostenitori del movimento nazi-fascista in Irlanda.

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Capitolo 6
*** Indizi ***



6. Indizi
 
L’agente Hart estrasse dal taschino della giacca un accendino argentato e avvicinò la fiamma alla sigaretta che teneva tra le labbra.
«Suppongo che voglia pormi qualche domanda» disse espirando una nuvola di fumo.
James, che fino a quel momento era rimasto in rispettoso silenzio, approfittò dell’occasione per soddisfare la sua curiosità.
«Da quanto tempo si sta occupando del caso?»
«Un paio di mesi, da quando è stato trovato il primo carico di armi tedesche al porto di Belfast»
«E per quale motivo ha deciso di portare avanti le indagini a Dublino?»
Radley rivolse lo sguardo alla finestra apprezzando l’affascinante vista sulla città.
«Perché ciò che accade al Nord è deciso qui»
Donnelly non poté contraddirlo.
«Qual è l’obiettivo della sua missione?» continuò.
L’inglese non sembrò porsi problemi di fronte a quella sorta di interrogatorio.
«Ufficialmente collaborare con il G2 per indagare sui rapporti tra l’IRA e la Germania»
«E non ufficialmente?»
Hart rispose in piena sincerità: «catturare una spia tedesca»
James sussultò: «l’MI5 è convinta dell’esistenza di questa spia?»
«Un mese fa il G2 ha intercettato alcune comunicazioni radio, quei messaggi in codice lasciavano intuire l’intenzione dell’Abwehr di inviare un agente sul suolo irlandese»
«Non sapevo che i nostri servizi segreti dovessero ancora rendere conto all’Inghilterra» commentò il giovane con evidente disappunto.
«Soltanto per questioni che riguardano la sicurezza internazionale, come questo caso»
Donnelly provò una profonda delusione nello scoprire che la sua Nazione dietro ad una facciata di neutralità stesse agendo di nascosto a favore degli Alleati.  Nonostante lo sconforto tentò di giustificare tutto ciò, in fondo la guerra era un pericolo reale e concreto anche per l’Irlanda.
«Ha intenzione di iniziare una caccia all’uomo qui a Dublino?» domandò dopo aver appreso il reale scopo dell’ufficiale.
«Se saremo fortunati saranno i vostri indiziati a portarci dal nostro obiettivo»
«Così il G2 potrà arrestare i militanti coinvolti e l’MI5 avrà tra le mani una spia tedesca da interrogare»
Radley annuì: «questi sarebbero gli accordi»
James pensò che i suoi superiori non si fossero comportati in modo onesto, ma se tutto fosse andato per il verso giusto nessuno avrebbe mai scoperto la verità e ciò sarebbe stato vantaggioso per entrambe le parti.
Poiché il suo interlocutore sembrava disponibile allo scambio di informazioni Donnelly decise di continuare a indagare.
«E la questione dell’invasione?»
L’inglese sorrise: «a quanto pare è stato ben informato»
«Ho preteso di conoscere chiaramente ogni dettaglio prima di accettare questo incarico»
Hart fu piacevolmente sorpreso dalla sua iniziativa.
«L’MI5 ha motivo di credere che la Germania potrebbe invadere l’Irlanda per attaccare l’Inghilterra»
«Avete delle prove a favore anche di questa ipotesi?»
«Alcuni documenti forniti dall’Intelligence olandese, le informazioni non sono ancora state del tutto decodificate, ma è sicuro che l’Abwehr abbia un piano in atto qui in Irlanda»
L’irlandese poté ritenersi soddisfatto da quel confronto.
«La ringrazio per avermi messo al corrente della situazione»
«Ho deciso di fidarmi di lei, agente Donnelly»
 
***
 
James rimase piuttosto scosso dopo il primo incontro con l’agente Hart. Aveva scoperto che i servizi segreti irlandesi non erano affatto imparziali in quella guerra e che l’MI5 era sempre un passo più avanti del G2.
Ovviamente l’Inghilterra aveva accesso a molte più informazioni ed essendo coinvolta nel conflitto aveva interessi maggiori nelle attività di controspionaggio.
Per una ragione o per l’altra l’Irlanda era ancora al servizio della Corona.
Donnelly uscì nel cortile interno per una breve passeggiata, aveva bisogno d’aria. Camminando a fianco delle mura tentò di fare ordine nei propri pensieri, non aveva scelta, doveva restare fedele al suo compito e portare avanti il suo dovere.
La collaborazione con l’Inghilterra non sarebbe stata semplice, ma almeno il suo nuovo compagno era stato onesto nei suoi confronti. Aveva deciso di scoprire subito le sue carte, di certo l’aveva fatto per non destare sospetti. Per un ufficiale dell’MI5 era conveniente guadagnarsi la fiducia di un agente del G2.
Donnelly sorrise per l’ironia della sorte, ma ben presto le preoccupazioni tornarono a tormentarlo. Non era certo di poter gestire quella situazione, ma sapeva bene di aver fatto una scelta e non poteva venir meno alle sue promesse.
Per il bene dell’Irlanda avrebbe seguito le regole dettate dall’Inghilterra, almeno per il tempo necessario.
Era ancora perso in questi pensieri quando ad un tratto avvertì una voce alle sue spalle.
«Agente Donnelly!»
Il ragazzo sussultò e si voltò di scatto. Davanti a sé trovò un uomo in borghese, il quale mostrò prontamente un distintivo della Garda.
«Detective Paul Sullivan» si presentò.
James si mostrò riluttante. Ricordò il suo ultimo dialogo con il sergente McKinley, dunque quell’investigatore doveva essere il mastino dell’Unità Speciale.
«Mi ha riconosciuto subito» notò il giovane con diffidenza.
«Be’, a dire il vero non è stato difficile. Qui tutti conoscono il figlio del tenente Donnelly»
Egli tentò di mascherare il suo fastidio: «posso fare qualcosa per aiutarla?»
«Vorrei solo porle qualche domanda, immagino che conosca il motivo per cui sono qui»
«Come sa le voci girano velocemente al Castello, ma non vorrei esser stato mal informato»
Sullivan non si stupì per la sua prudenza.
«Non capisco perché voi del G2 non vogliate capire che siamo tutti dalla stessa parte»
«Può considerare questa rivalità come una sana competizione»
Il detective espresse il suo disappunto con una smorfia.
«Sono qui per indagare sulla possibile presenza di una spia» rivelò per studiare la reazione del suo interlocutore.  
«Ah, già. Un’idea alquanto assurda, non crede?»
«Non direi. Negli ultimi tempi l’IRA ha dimostrato di essere a conoscenza di informazioni estremamente riservate. I militanti non avrebbero mai potuto prevedere le nostre mosse senza un infiltrato»
«Oppure pur di negare la negligenza dei vostri uomini avete deciso di puntare il dito contro di noi»
«Il fatto che lei non voglia collaborare potrebbe indurmi a considerarla un potenziale sospettato»
James non mostrò alcun segno di turbamento.  
«Signor detective, io ho assoluta fiducia nei miei compagni e non voglio dubitare di nessuno di loro. Per questo trovo decisamente oltraggiosa la sua indagine»
Sullivan non si lasciò intimidire da quelle accuse.
«Lei ha un’ottima reputazione e non mi sorprende il suo attaccamento a nobili ideali, ma il pericolo di una spia dell’IRA è reale. L’omicidio dell’agente Ryan ne è la prova»
Donnelly s’irrigidì nel sentire il nome del suo commilitone, quell’evento non l’aveva lasciato indifferente.
«Se davvero è convinto dell’innocenza del G2 non dovrebbe temere la mia presenza» continuò il detective.
James sospirò: «non ho mai affermato nulla del genere. Sono disposto ad aiutarla, ma temo di non poterle essere molto utile»
«Ha notato qualcosa di sospetto negli ultimi mesi?»
«No, ma c’è stato parecchio movimento al Castello con l’arrivo delle nuove reclute»
«Capisco. I novellini però non mi interessano, la spia è qui da più tempo»
«Dubito che un infiltrato dell’IRA potrebbe restare nascosto così a lungo nel luogo più sicuro d’Irlanda» replicò il sottotenente ammirando con orgoglio la merlatura dell’imponente Record Tower.
«Potrebbe trattarsi di qualcuno di insospettabile»
«Una caratteristica fondamentale per una spia» disse il giovane sottolineando l’ovvietà di quell’affermazione.
«Lei ha fatto carriera in fretta» commentò Sullivan notando i gradi sulla sua divisa.
«Ho meritato la mia promozione»
«Non ne dubito»
Donnelly non reagì alla sua provocazione.
«Dunque non ha altro da segnalarmi?»
Egli negò: «mi dispiace, non mi viene in mente nulla»
«Bene, se avrò ancora bisogno di lei tornerò a cercarla»
James si sforzò di sorridere: «sa dove trovarmi»
Sullivan si congedò e tornò all’interno del Castello.
Donnelly rimase ad osservare la sua figura sparire oltre al porticato, infastidito dall’idea che anche l’Unità Speciale stesse ficcando il naso negli affari del G2.
 
***
 
L’agente Hart alzò lo sguardo per osservare il suo compagno seduto al lato opposto del tavolo. Il ragazzo sembrava piuttosto nervoso.
«Qualcosa non va?» domandò.
Donnelly rispose prontamente: «no signore»
L’inglese storse il naso.
«Anche se ufficialmente sono un tuo superiore tra di noi non è necessaria questa formalità. Puoi rivolgerti a me come a un collega»
«Sì signor…ehm…d’accordo»
«Così va meglio. Dovremo lavorare insieme per un po’ di tempo e la tua rigidità mi stava già infastidendo»
«Stavo solo rispettando la gerarchia, e poi siete voi inglesi ad essere sempre così ligi alle regole»
Hart dimostrò di non apprezzare troppo le formalità.
«Credo che ormai sia ovvio che in questa faccenda le regole non abbiano molta importanza»
L’irlandese si insospettì: «l’MI5 è disposta a giocare sporco?»
«Soltanto se necessario»
«Temo che abbia già superato il limite con questa alleanza»
«L’Inghilterra è in guerra»
«E l’Irlanda vuole proteggere la Pace»
«Per questo siamo qui» tagliò corto il tenente.  
Donnelly rifletté sulla situazione.
«Dunque, se le teorie dell’Intelligence fossero vere e noi dovessimo fallire finiremo entrambi a strisciare nel fango delle trincee a sparare ai crucchi come i nostri padri?»
In risposta Radley iniziò a fischiettare la marcia dei British Grenadiers.
«Ti stai prendendo gioco di me?» chiese James indispettito dal suo atteggiamento. 
L’inglese negò: «no, affatto. Sei sveglio per essere un novellino»
«Non sono un novellino» replicò.
«Per quale ragione ti hanno assegnato questo caso?»
Donnelly esitò, di certo non poteva ammettere che era stato il suo cognome a garantire per lui.
«Conosco il tedesco»
«Das ist gut so, mein Freund»
«E suppongo che nessun altro abbia voluto condividere l’ufficio con un inglese» aggiunse ignorando anche quell’ironica risposta.
«Da come ti sei comportato poco fa direi proprio che non sei un unionista»
«No, ma credo che questa collaborazione sia necessaria per entrambe le nostre Nazioni»
Radley concordò con lui.
«Mi spiace, non intendevo essere scortese nei tuoi confronti. Ti stavo solo mettendo alla prova»
«Il novellino è all’altezza della situazione?» domandò Donnelly con tono sarcastico.
«Le potenzialità sono buone, ma spero che abbia ancora molto da dimostrare»
 
***
 
Il lavoro d’ufficio risultò come sempre noioso e impegnativo. Dopo aver esaminato decine di rapporti senza aver ottenuto alcun risultato i due agenti presero l’unanime decisione di concedersi una pausa.
Radley si accese una sigaretta ed iniziò a sfogliare distrattamente le pagine dell’Evening Herald. Ogni tanto sollevava lo sguardo per controllare il suo compagno.
«Lei come si chiama?»
Il ragazzo trasalì: «di che stai parlando?»
«Il fiore…ormai è appassito, ma continui a guardarlo con aria sognante, immagino sia un dono speciale»
«Stai indagando su di me?»
Egli scosse le spalle: «potrebbe essere»
«Be’, queste sono questioni private»
L’inglese sorrise: «avanti, non è un interrogatorio. Sto solo cercando di fare conversazione»
«Non siamo obbligati a fare questo genere di conversazioni»
«Se non vuoi dirmelo dovrò scoprirlo da solo…»
James sospirò, era certo che anche quello fosse un modo per metterlo alla prova. Se si fosse trattato di segreti di Stato avrebbe resistito anche sotto tortura, ma in quel caso per dimostrare fiducia all’inglese fu disposto a cedere. Inoltre aveva le sue valide ragioni per non permettere al suo superiore di dubitare di lui.
«D’accordo. Si chiama Julia, non so altro su di lei, l’ho vista solo una volta»
«Però vorresti rivederla»
Il giovane esitò: «dovrei trovare l’occasione giusta»
Hart mostrò il giornale al suo compagno, nella pagina aperta era ben evidente il manifesto di un evento al Metropole Hotel.
«Se quella ragazza ti piace allora dovresti invitarla a ballare» suggerì.
«Credi che sia una buona idea?»
«Certo, se vuoi far colpo su di lei devi essere romantico, alle donne piace questo genere di cose»
«E tu saresti un esperto nel conquistare le donne?»
«Sono un agente segreto, conosco le persone e so come guadagnarmi la loro fiducia»
James rimase perplesso.
«Tu non mi conosci e non sai nulla nemmeno di Julia»
L’inglese continuò a fumare tranquillamente la sua sigaretta.
«Puoi credere quello che vuoi, ma sono certo che alla fine seguirai il mio consiglio»
«Perché sei così sicuro di questo?»
«Perché i miei sono sempre ottimi consigli»
Donnelly, stanco di sopportare l’atteggiamento presuntuoso dell’inglese, non riuscì a trattenere un’imprecazione tra i denti.
«Imigh sa diabhal! [Vattene al Diavolo!]»
«Agus dúnann tú do bhéal! [E tu chiudi la bocca!]»
Il giovane sbiancò nell’udire quell’inaspettata risposta.
«Conosci anche l’irlandese?» domandò ormai al limite dell’esasperazione.
«No, ma a Belfast ho imparato a rispondere agli insulti» replicò Radley con aria divertita.
James scosse la testa e con rassegnazione tornò al suo lavoro.
 
***
 
Hart poggiò sul tavolo il fascicolo che stava esaminando.
«Questo sembra interessante»
«Di che si tratta?»
«È il rapporto riguardante la retata a Drumcondra»
«L’operazione in cui l’agente Ryan ha perso la vita?»
L’inglese annuì: «il G2 ha trovato alcune prove all’interno di quell’appartamento. In particolare c’è una lettera che potrebbe contenere indizi sui rapporti tra l’IRA e la Germania»
«Suppongo che non ci siano nomi o indirizzi»
«No, ovviamente l’IRA si affida alla sua rete di contatti per questi messaggi. Però le informazioni sono davvero sospette»
«Che cosa dice?» chiese James con curiosità.
Radley lesse ad alta voce: «Gli accordi sono stati conclusi, l’ultimo carico è stato consegnato come previsto»
«Rifornimenti di armi?»
«Molto probabile…»
Il tenente continuò a leggere: «Non vedo l’ora di incontrare il nostro nuovo collegaSono certo che andremo molto d’accordo, dovremo invitare anche i suoi amici per il viaggio a Moore Bay»
James si rivelò scettico: «credi che anche questo sia un codice?»
«Di certo non si tratta di un’allegra rimpatriata»
«Abbiamo motivo di credere che questi “amici” siano i tedeschi?»
L’inglese si alzò per avvicinarsi alla cartina dell’Isola appesa al muro: «se dovessi invadere l’Irlanda dove faresti approdare le truppe?»
Donnelly decise di stare al gioco: «suppongo sulla costa sud-occidentale, dove le scogliere sono meno frastagliate e i fondali non troppo irregolari. La Contea di Clare sarebbe la più adatta»
«E quale zona avrebbe le caratteristiche più favorevoli per lo sbarco?»
«Probabilmente l’area di Kilkee»
Radley indicò il punto sulla mappa: «per la precisione la baia di Moore»
«Dunque una lettera in cui degli uomini d’affari invitano gli amici al mare è una prova inconfutabile dell’imminente invasione?»
«Questa lettera è stata trovata in un rifugio dell’IRA»
«So che l’MI5 sta cercando una buona ragione per intromettersi in questa storia, ma non credi che queste teorie siano un po’ paranoiche?»
«Che altro hanno trovato in quell’appartamento?»
Donnelly prese in mano il rapporto: «una P38, dollari americani e altri messaggi trascritti in codice Morse»
«Tutti questi indizi non sono sospetti?»
L’irlandese alzò lo sguardo: «be’, la pistola e il denaro non mi avevano convinto…ma i messaggi criptati sono decisamente un segnale d’allarme»
«La P38 è l’arma d’ordinanza della Wehrmacht» specificò Hart.
«D’accordo, due su tre» ammise James.
«Tre su quattro, se aggiungiamo la lettera»
 
***
 
Donnelly uscì dai cancelli del Castello riflettendo sulle parole dell’agente Hart. L’idea che i tedeschi potessero invadere l’Irlanda era alquanto assurda, non erano loro i nemici, la Germania non aveva validi motivi per interferire con la neutralità dell’Isola. D’altra parte i servizi segreti non potevano ignorare il pericolo.
In ogni caso avrebbe dovuto trovare il modo di seguire con giudizio le indagini, di certo non era compito suo aiutare l’Inghilterra a vincere la guerra. Egli aveva altri obiettivi.
James continuò a pensare al caso per tutto il tragitto, ma quando raggiunse la sua meta le preoccupazioni divennero altre.
Il giovane rimase immobile sul lato opposto della strada per un tempo indefinito, alla fine si decise a percorrere anche quegli ultimi metri. Appena entrò nella bottega avvertì un intenso profumo di fiori di campo. La stanza era colma di vasi e piante ornamentali di ogni forma e colore.
James mosse cautamente qualche passo all’interno cercando Julia con lo sguardo. La trovò dietro all’alto bancone di legno, era impegnata a scrivere sulle pagine ingiallite di un vecchio registro.
Ella l’accolse con un cordiale saluto: «James, sapevo che saresti tornato»
Donnelly fu lieto di esser stato riconosciuto.
Julia ripose la penna per rivolgere la sua completa attenzione al nuovo arrivato.
«Che posso fare per te?»
Egli si era preparato per affrontare quella conversazione, ma in quel momento ogni suo potenziale approccio gli sembrò soltanto ridicolo. Sapeva di non poter sprecare quell’occasione, così decise di rischiare.
«Be’, io…volevo chiederti una cosa»
Lei rimase in silenzio in attesa della sua domanda.
James tentennò qualche istante prima di trovare il coraggio di parlare.
«Accetteresti di venire a un ballo con me?»
Ella fu sorpresa da quella proposta.
«Sembra un invito ufficiale» commentò notando che per galanteria il giovane si era anche levato il berretto.
«Ci sarà una festa domani sera al Met, sarei felice di andarci in tua compagnia»
Julia non ebbe bisogno di molto tempo per prendere una decisione, quel ragazzo era sempre stato gentile e rispettoso nei suoi confronti, aveva dimostrato di meritare una possibilità.
«Sì, certo…accetto volentieri il tuo invito»
James rispose con un sincero sorriso, il suo sguardo si illuminò. Pur tentando di trattenersi non riuscì a nascondere la sua emozione.
Soltanto un pensiero riuscì a turbarlo in quel momento di pura felicità: doveva ammettere che l’agente Hart aveva avuto completamente ragione.  
 
 

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Capitolo 7
*** Blackheath Park ***




7. Blackheath Park

 
Il tenente Ziegler si avvicinò al muso trasparente dell’Heinkel, una grossa crepa era rimasta in memoria dell’ultima battaglia. Il bombardiere giaceva sul fondo della pista riverso su un lato come un animale ferito.
Il maggiore Bauer era posizionato a pochi metri di distanza, con le mani in tasca e un sigaro in bocca, ad osservare con aria malinconica quel triste spettacolo.  
«Dovrebbe contarli, potrebbe essere un nuovo record qui al campo» commentò riferendosi ai fori dei proiettili sulla fiancata dell’aereo.
«Non è questo il punteggio più alto ambito da un pilota» rispose il tenente.
Il maggiore sorrise: «però anche per questo c’è un premio»
«Non credo che assegnino medaglie per il maggior numero di pallottole inglesi ricevute»
Bauer poggiò una mano sulla sua spalla: «no, ma al circolo degli ufficiali saranno tutti felici di offrirle una birra»
Karl abbassò lo sguardo: «una misera consolazione»
«Lei e il suo equipaggio siete stati fortunati, per poco non vi hanno abbattuti. Avete rischiato di non fare più ritorno»
Ziegler esternò la sua preoccupazione.
«I danni sono irreparabili?»
«Non ho ancora sentito il parere dei meccanici, ma temo proprio che il suo aereo abbia effettuato il suo ultimo volo»
Il tenente si rattristò nel sentire quelle parole.
«Avevamo completato la nostra missione, stavamo tornando alla base quando siamo stati intercettati dal nemico. Ci siamo ritrovati in una tempesta di fuoco, sono riuscito a distaccare l’ultimo Spitfire soltanto dopo un lungo inseguimento, l’inglese ha perso le nostre tracce in un banco di nubi»
«Dovrebbe essere orgoglioso della sua impresa, è riuscito a rientrare senza perdite»
«Il mitragliere Schwarz è gravemente ferito. Era privo di sensi quando l’abbiamo estratto dalla sua postazione, lo sportello è ancora imbrattato con il suo sangue» disse con apprensione.
«Se non fosse stato per le sue abilità come pilota adesso sareste tutti quanti sul fondo del mare, non ha alcun motivo per sentirsi in colpa»
I due ufficiali interruppero quella conversazione avvertendo il rombo di un motore.
Bauer voltò lo sguardo verso la strada notando un’auto in avvicinamento.
«A quanto pare abbiamo visite»
 
Ziegler si allontanò a malincuore dalla pista per andare incontro ai nuovi arrivati. La Volkswagen si fermò davanti all’entrata del campo, un soldato aprì la portiera all’ufficiale seduto al posto del passeggero.
Il tenente si bloccò a qualche passo di distanza, ebbe un lieve sussulto quando riconobbe l’Hauptmann Seidel uscire dalla vettura. La sua espressione seria e corrucciata non fu affatto rassicurante.
Il suo superiore non perse tempo dopo i formali saluti.
«Vorrei parlare con lei del tenente Schneider» disse appena i due si furono allontanati dalla piccola folla di curiosi.
Il giovane ufficiale non comprese il motivo di quell’incontro.
«Ho già fornito all’Abwehr i dettagli della missione al mio ritorno»
«Se sono qui significa che il suo rapporto non è stato soddisfacente»
Egli rimase perplesso.
Seidel decise di esporre chiaramente la questione.  
«Secondo lei quante probabilità ci sono che il nostro agente sia annegato nel Mare d’Irlanda?»
Ziegler non prese nemmeno in considerazione quella possibilità.
«Posso assicurarle che Schneider è stato paracadutato sul suolo irlandese»
«Potrebbe aggiungere qualche informazione sul luogo di atterraggio?»
«Temo di no, le condizioni non erano ottimali per il lancio, scarsa visibilità notturna con forte vento. Ho fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità, ma non posso sapere se il tenente abbia raggiunto la sua destinazione»
«Lei ha idea di quanto sia importante questa missione?»
Il tenente sopportò in silenzio quei rimproveri, era certo che i servizi segreti avrebbero trovato il modo per scaricare la colpa su di lui.
«Sono consapevole delle mie responsabilità e se davvero ho commesso degli errori affronterò le conseguenze»
Seidel restò qualche istante in silenzio, riflettendo attentamente sulla situazione. 
«Lei non è l’unico responsabile, forse è stato uno sbaglio affidare questo incarico a un agente promettente, ma ancora inesperto»
Ziegler ripensò al suo primo e unico incontro con il suo parigrado. Egli non era uno sprovveduto, in lui aveva visto un giovane intrepido e coraggioso. Hans aveva dimostrato di essere pronto a tutto per il bene della Patria, di certo non si sarebbe arreso davanti alle difficoltà.
«Il tenente Schneider è un ufficiale della Luftwaffe, sono sicuro che sappia cosa fare per compiere al meglio il suo dovere» affermò con estrema convinzione.
 
***
 
Hans strinse il nodo alla cravatta e sistemò le pieghe della giacca, il signor Gifford doveva essere un uomo elegante e di buon gusto. Il giovane faticava a riconoscersi senza la sua adorata divisa, d’altra parte doveva iniziare a comportarsi naturalmente come un civile. Anche in quei panni sembrava ancora in uniforme.
Hans tentò di rilassarsi assumendo una postura meno rigida e composta. 
Il tedesco si rimirò allo specchio passandosi una mano tra i capelli biondi, avrebbe dovuto abituarsi, ma in fondo non gli dispiaceva la sua nuova immagine. Stava ancora osservando il suo riflesso quando con la coda dell’occhio intravide la sagoma di Declan alle sue spalle.
L’irlandese si poggiò allo stipite della porta.
«Così sembri proprio un perfetto jackeen [1] di Dublino»
Schneider riconobbe il sarcasmo.
«Perché tutta questa confidenza?»
«Perché qui non sei in Germania ed io non sono un tuo sottoposto»
Il tedesco si voltò verso il suo interlocutore: «d’accordo, Declan. Io non ti piaccio, questo è chiaro»
O’ Riley corresse quell’affermazione.
«Niente di personale, è ciò che rappresenti che non mi piace»
«Se non sei favorevole a questa alleanza non dovresti essere qui»
«Il capitano Maguire si fida di me più di chiunque altro»
«E tu perché hai accettato questo incarico?»
L’irlandese si portò la mano sul cuore: «un soldato dell’IRA è sempre fedele al suo giuramento»
Schneider non dubitò delle sue parole.
«Ascolta, che tu lo voglia o no da questo momento sono un tuo alleato. Non pretendo che mi consideri come un tuo compagno, ma se non dimostrerai almeno un po’ di fiducia nei miei confronti renderai questa collaborazione davvero difficile!»
O’ Riley non poté contraddirlo.
Hans gli porse nuovamente la mano: «allora, vuoi concedermi una possibilità?»
Declan fu costretto a cedere.
«Spero di non dovermi pentire per questo» concluse rispondendo alla stretta.
 
Helen ripensò al colloquio che aveva avuto con il fratello a riguardo di quella faccenda. Charles riteneva che la collaborazione con i tedeschi non avrebbe implicato alcun significato politico e che i loro accordi avrebbero riguardato soltanto operazioni militari che avevano come unico obiettivo la riunificazione dell’Irlanda.
Ella non aveva dubitato delle sue buone intenzioni e non si era rifiutata di concedere il suo supporto.
Non era rimasta sorpresa quando Declan aveva bussato alla sua porta, sapeva che Charles non avrebbe potuto affidare a nessun altro un compito così importante. Suo fratello aveva sempre visto in quel giovane un fedele compagno, oltre che un caro amico.
La donna distolse l’attenzione da quei pensieri avvertendo dei passi sulle scale, poco dopo i due giovani si presentarono in salotto.
Hans approfittò della situazione per porgerle gli ultimi ringraziamenti.
«Avete intenzione di partire a breve?» chiese Helen con tono preoccupato.
Declan annuì: «raggiungeremo Dublino questa notte»
«Prima però dobbiamo rivedere il piano, ho avuto modo di constatare che la Garda sta controllando le campagne con dei posti di blocco» intervenne Schneider.
«Non preoccuparti per questo, conosco un percorso sicuro» affermò O’ Riley con estrema certezza.
«E per entrare in città?»
«Dublino non è sotto attacco, non ci sono frontiere ovunque»
«Bene, ma ti ricordo che abbiamo ancora un problema non irrilevante da risolvere»
Declan gli rivolse un’occhiata interrogativa.
«Non posso di certo camminare per più di quindici miglia!» spiegò il tenente indicando il piede ferito.
Fu la signora Gifford a suggerire una soluzione: «potete prendere l’automobile di Stephen, si trova sul retro»
Hans si voltò verso il suo compagno: «tu sai guidare?»
Declan annuì: «sì, certo»
«Allora prendi le chiavi, non abbiamo tempo da perdere!»
 
I due giovani uscirono all’esterno, a lato del cortile era parcheggiata una Ford V8 nera e lucente. Hans occupò il posto del passeggero mentre Declan si sistemò alla guida.
«Coraggio, metti in moto»
L’irlandese obbedì, ingranò la marcia e raggiunse la strada per poi proseguire in direzione della città. L’automobile si insinuò tra i campi, la visuale notturna era piuttosto limitata. La stradina di campagna si rivelò tortuosa e sconnessa, con pericolosi dossi e grosse buche.
Hans guardò il suo compagno, il quale si destreggiava al volante con una certa scioltezza e non sembrava affatto in difficoltà.
«Tranquillo, conosco la strada a memoria, l’ho percorsa un’infinità di volte. Potrei raggiungere Dublino ad occhi chiusi» lo rassicurò.
«Va bene, ma rallenta un po’…non ci sta inseguendo nessuno»
«Hai paura della velocità? Diamine, sei una spia, il rischio è il tuo mestiere!»
«Credimi, sono abituato a ben altro. Quello che mi preoccupa è l’eventualità che scoppi una gomma, non voglio ritrovarmi a piedi in mezzo al nulla»
O’ Riley obbedì controvoglia, non era certo che avrebbe potuto sopportare di ricevere ordini dal tedesco ancora per molto tempo.
Hans osservò il cielo stellato dal finestrino, era una notte quieta e tranquilla. La sua mente lo riportò al campo d’aviazione dove aveva trascorso gli ultimi mesi in compagnia dei suoi commilitoni. Ricordò le chiacchierate notturne, le risate e i racconti di guerra. Immaginò di trovarsi ancora seduto su una delle ali del suo aereo, mentre con aria sognante fantasticava sulle future battaglie. Davanti ai suoi occhi rivide i bagliori del metallo lucente che risplendeva al chiarore della luna. Quell’immagine così malinconica e poetica svanì all’improvviso.
Un forte scossone riportò il giovane alla realtà. Schneider sobbalzò sul sedile.
Declan sorrise ignorando il suo sguardo di rimprovero.
Il tedesco non replicò, anche se in fondo era certo che egli avesse compiuto volontariamente quella brusca manovra.
 
Dopo aver superato i confini della città Declan continuò a guidare per le strade deserte della periferia di Dublino.
«Qual è il punto di incontro?» chiese Hans, ansioso di potersi finalmente confrontare con un comandante dell’IRA.
«Non c’è nessun punto di incontro» rispose Declan.
Schneider iniziò a insospettirsi: «e dove hai intenzione di portarmi?»
«In un rifugio sicuro, questi sono gli ordini del capitano Maguire»
«Quando potrò incontrare il tuo superiore?» tornò a chiedere con impazienza.
«Non lo so, non sono io a decidere»
Hans sospirò, non sapeva ancora quanto potesse realmente fidarsi dell’IRA, ma per il momento quei militanti erano gli unici in grado di proteggerlo.
«Va bene, spero solo che questo nascondiglio non sia una cantina polverosa e piena di ratti!»
«Non preoccuparti, sei un ospite speciale, Charles ha voluto il meglio per te»
Schneider si stupì, non aveva avvertito alcuna vena ironica in quell’affermazione.
 
Evitarono il centro e passando per strade secondarie raggiunsero la zona residenziale di Blackheath Park. Declan rallentò, svoltò l’angolo e parcheggiò in una via laterale, lontano dalle luci dei lampioni.
Hans esitò qualche istante prima di uscire dalla vettura e seguire il suo compagno.
O’ Riley attraversò la strada, un alto muretto separava il marciapiede dai giardini fioriti delle villette. Si trattava di abitazioni borghesi, ma non troppo appariscenti.
Schneider intuì che l’irlandese era diretto verso un edificio più isolato sul fondo della via.  
I due superarono i cancelli e raggiunsero l’entrata.
«Questo posto sembra abbandonato» notò Hans.
«Lo è soltanto da poche settimane. L’ultimo a nascondersi qui è stato un comandante dell’IRA»
«Posso chiederti che fine ha fatto quell’uomo?»
«È partito per l’Inghilterra per una missione speciale»
Hans non ebbe bisogno di ulteriori informazioni per capire che la suddetta missione consisteva nel mescolare esplosivi.  
Declan salì le scale e aprì la porta dell’appartamento al primo piano.
«Non è il Metropole Hotel, ma dovrai accontentarti»
Schneider mosse i primi passi all’interno, quel luogo era un covo molto più confortevole di quanto avesse immaginato.  
«Questo è un rifugio dell’IRA, ciò significa che ci sono nascondigli segreti ovunque»
Per dimostrare la veridicità delle sue parole Declan si chinò sul pavimento del salotto e sollevò le assi di legno rivelando l’esistenza di una botola. All’interno era stato riposto un mitra Thompson con un caricatore a tamburo da cento colpi e una buona scorta di munizioni.
Hans fu piacevolmente sorpreso da quella scoperta.
«Siete ben organizzati»
«L’IRA ha molta esperienza e tante risorse»
 
Schneider si prese un po’ di tempo per ambientarsi ed esplorare ogni angolo di quella casa.
Dopo un’accurata perlustrazione il giovane tornò dal suo compagno con un’espressione soddisfatta.
«Guarda che ho trovato in cucina…il vecchio inquilino ci ha lasciato una bella sorpresa!» esclamò esibendo una bottiglia di brandy.
«Non credo proprio che quella sia per te»
Il tedesco scosse le spalle: «perché non approfittarne? Avanti, abbiamo entrambi bisogno di un goccetto»
L’irlandese ribatté: «io non bevo insieme ai nazisti»
«L’alcol è come questa terra: imparziale»
Declan ripensò alle raccomandazioni di Charles, non poteva mostrarsi troppo ostile nei confronti del tedesco, aveva già esagerato in quel senso. Inoltre doveva ammettere che l’alcol avrebbe aiutato in quella situazione.
«D’accordo, ma solo per questa volta»
Hans riempì due bicchieri, l’irlandese si sistemò al lato opposto del tavolo. Per un lungo momento restarono uno di fronte all’altro senza proferire parola.
Fu Schneider ad interrompere per primo quell’imbarazzante silenzio.
«Dunque era così che ti saresti aspettato una spia tedesca?»
«Ad essere sincero credevo che l’Abwehr avrebbe incaricato un agente esperto e non un ragazzino alle prime armi»
«Posso assicurarti di essere abbastanza qualificato per questa missione»
«E in cosa consiste la tua missione?» domandò O’ Riley.
«Ho il dovere di incontrare alcuni rappresentanti dell’IRA per conto dell’Abwehr»
Declan insistette sull’argomento.
«Maguire mi ha detto che esiste un piano»
«È di questo che dovrò discutere con i tuoi superiori»
L’irlandese era certo di aver già capito tutto: «voi tedeschi volete convincere l’IRA ad aiutare la Germania a vincere la guerra?»
«Noi possiamo offrirvi una possibilità per riunificare la vostra Nazione, ma ciò potrebbe realizzarsi soltanto con la vittoria del Reich»
Declan bevve un lungo sorso di brandy.
«Sei davvero un ufficiale?» chiese quasi d’istinto.
«Sono un tenente della Luftwaffe» affermò Schneider con orgoglio.
«Quindi sei un aviatore»
Hans annuì: «frequentavo un corso di addestramento per la specialità del bombardamento in picchiata»
«E come mai sei diventato un agente dell’Abwehr
Il tedesco rifletté prima di rispondere, egli stesso si era posto più volte quella domanda.
«Volevo servire la mia Patria e rendermi utile in ogni modo possibile. Quando mi è stata offerta questa opportunità non ho esitato a fare il mio dovere»
Declan provò una strana sensazione nel riconoscere che le sue motivazioni non erano poi così diverse da quelle che l’avevano spinto ad arruolarsi nell’IRA.
«Immagino che abbiano deciso di affidarti questa missione per la tua conoscenza dell’inglese»
«Penso sia uno dei motivi» ipotizzò il tenente.
«Devo ammettere che anche io sono rimasto sorpreso»
Schneider sorrise: «il più grande onore che puoi concedere al nemico è parlare la sua lingua. Suppongo che anche voi irlandesi condividiate questa idea»
O’ Riley comprese il suo riferimento al colonialismo britannico.
«Noi non abbiamo avuto scelta, ma nonostante tutto non abbiamo rinunciato alla nostra identità»
Hans ripensò ai due contadini che aveva incontrato durante la sua fuga nelle campagne di Wicklow.
«Mi piace il gaelico, è una bella lingua, assomiglia un po’ al tedesco»
Declan notò che quella frase era stata pronunciata senza alcuna malizia.
«Tir gan teanga, tir gan anam»
«Che cosa significa?» chiese Schneider con sincera curiosità.
«Una terra senza lingua è una terra senza anima»
«Di certo l’Irlanda non è stata privata della sua anima» commentò il tedesco.
«Lo spirito di questa Nazione ha sofferto per molto tempo, eppure non si è mai spezzato»
«È questo che la Germania ammira di voi irlandesi, siete un popolo forte e valoroso. Non avete mai abbassato la testa e non vi siete mai arresi»
«Abbiamo combattuto per più di settecento anni senza il vostro aiuto» precisò Declan.
«Già, ma con noi potreste sconfiggere l’Inghilterra definitivamente»
O’ Riley non diede troppa importanza a quelle parole.
«Se fossi in te starei attento, qui l’ultima persona che non ha rispettato le sue promesse di Libertà ha pagato con la vita [2]»
«Quel che voglio dire è che questa alleanza potrebbe essere vantaggiosa per entrambe le parti»
Declan restò diffidente: «l’obiettivo dell’IRA non è sconfiggere l’Inghilterra, il nostro sogno è un’Irlanda unita e indipendente»
«Certo, ma voi militanti sapete bene che esiste un solo modo per ottenere la Libertà, ovvero annientare il nemico»
«Non si tratta solo degli inglesi, l’IRA continuerà a difendere l’Irlanda da qualunque pericolo»
Hans guardò il suo interlocutore dritto negli occhi: «se la Germania vincerà la guerra questo non sarà più necessario»
Declan fissò le sue iridi celesti, in quell’intenso sguardo oltre alla determinazione riconobbe anche un familiare desiderio di rivalsa.
L’irlandese si rialzò dal tavolo: «credo di aver bevuto abbastanza per questa notte»
Schneider non disse nulla, ma la sua espressione lasciò trasparire un velo di delusione. Si era quasi illuso di poter instaurare un dialogo costruttivo con il suo compagno, probabilmente aveva preteso troppo.
 
O’ Riley recuperò la pistola e posizionò la sedia vicino alla finestra, preparandosi così ad affrontare il turno di guardia.
Il confronto con Schneider l’aveva scosso profondamente, anche se ancora non riusciva a comprendere quale fosse la ragione del suo turbamento.
Inevitabilmente pensò all’assurdità di quella situazione. Il giovane tentò di farsi coraggio ricordando a se stesso il motivo per cui aveva deciso di accettare quell’incarico.
Aveva una promessa da mantenere e un giuramento da rispettare, nonostante tutto era determinato a portare a termine il suo dovere.
Declan prese un profondo respiro, in quel momento i saggi consigli di Charles gli sarebbero stati utili.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
 
[1] Termine dispregiativo utilizzato per definire gli abitanti di Dublino, considerati “i più inglesi tra gli irlandesi”.  
 
[2] Riferimento all’omicidio di Michael Collins, il quale era stato considerato come un traditore dai suoi stessi compagni dell’IRA che si erano rifiutati di riconoscere il Trattato anglo-irlandese.

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Capitolo 8
*** Questioni politiche ***


8. Questioni politiche
 

Il capitano Maguire era seduto comodamente nel suo studio con la sedia inclinata e i piedi poggiati sul tavolo. L’aria era intrisa dell’acre odore di fumo.
Il telefono squillò all’improvviso, Charles alzò la cornetta restando in silenzio, rispose soltanto dopo aver riconosciuto dall’altra parte del ricevitore la voce del suo compagno che prontamente proferì la parola d’ordine.
«Spero che tu abbia buone notizie» esordì con tono serio.
«Temo di no, signore. La situazione è piuttosto preoccupante»
«Hai scoperto perché gli inglesi sono tornati al Castello?»
«Si tratta della guerra, sono a Dublino per i tedeschi»
L’ufficiale si raddrizzò sulla sedia: «sei sicuro di questo?»
«Sì, ho avuto conferma dalla Sezione britannica»
«Che cosa sanno?»
«Purtroppo più di quanto potessimo immaginare»   
Maguire rimase impassibile.
«E questo misterioso agente dell’MI5?»
Trascorse un breve attimo di silenzio, dopo quell’esitazione la voce tornò a rispondere.
«Un ufficiale, tenente Radley Hart»
Il comandante trascrisse quel nome su un foglio.
«Che cosa hai scoperto su di lui?»
«Nulla, a parte il fatto che è stato trasferito da Belfast. Sembra che sappia muoversi bene qui in Irlanda, ma non ci sono prove che abbia esperienza con l’IRA. L’MI5 nasconde bene il passato dei suoi agenti, egli è come un fantasma»
«Se conosce così bene l’Irlanda deve esserci un motivo» constatò Maguire.
«È troppo giovane per aver combattuto sul fronte inglese durante la guerra»
«Continua a indagare, dobbiamo scoprire chi è davvero quell’uomo»
«Farò del mio meglio»
Charles avvertì una certa preoccupazione.
«Hanno dei sospetti su di te?»
«No, ma l’Unità Speciale sta interferendo con i nostri piani»
«Credi di poter gestire la situazione?»
«Sì, la Garda non ha in mano nulla di concreto»
«Stai attento e non abbassare la guardia, ricordati che hai soltanto una possibilità»
«Sì, signore. Attendo ordini su come procedere»
Maguire rifletté qualche istante prima di prendere una decisione.
«Porta avanti la tua missione, nessun cambio di programma»
«Questo significa che…»
«Fai quel che è necessario, è per questo che abbiamo bisogno di te»
«Sì, signore. Le prometto che farò il possibile per non deluderla»
«Di questo ne sono certo»
Il capitano riagganciò senza aggiungere altro. Quelle novità non erano affatto rassicuranti, ma per fortuna quella spia rappresentava ancora un vantaggio per l’IRA.
Charles era consapevole che le sue decisioni avrebbero avuto delle conseguenze, d’altra parte era disposto a tutto pur di proteggere l’informatore al Castello. Era un elemento troppo prezioso, l’IRA non poteva rischiare di perdere un infiltrato nei servizi segreti.
 
Il comandante era ancora assorto in questi pensieri quando avvertì dei battiti alla porta.
Prontamente diede il permesso di entrare, davanti a lui si presentò un ragazzino. Non poteva avere più di quattordici anni, dal volto arrossato e il respiro ansante era evidente che avesse appena terminato una lunga corsa per raggiungere la sua meta.   
Il nuovo arrivato esitò: «lei è il capitano Maguire?»
Egli annuì: «sono io in persona»
Il ragazzino restò a fissarlo con un misto di ammirazione e timore, il suo sguardo si soffermò sulla pistola che portava alla cinta dei pantaloni.
«Immagino che tu abbia qualcosa per me» lo incitò il comandante.
Il giovane si rianimò e freneticamente estrasse un pezzo di carta spiegazzato dalla tasca della giacca.   
Quella volta Charles fu più generoso del solito e ripagò il messaggero con una cospicua mancia.
«Sei stato bravo, ti sei meritato una ricompensa» affermò riponendo le monete nel palmo della sua mano.
Egli rispose con educazione: «grazie signore»
Maguire lo congedò con tono severo: «adesso torna a casa»
Il giovane obbedì, rapidamente uscì dalla stanza e corse giù dalle scale.
Il comandante richiuse la porta pensando che i suoi compagni non avrebbero dovuto affidare un compito così importante e pericoloso a un ragazzino.
Maguire tornò a sedersi al tavolo per leggere il contenuto del biglietto. Emise un sospiro di sollievo riconoscendo la calligrafia di Declan, il messaggio riferiva che l’agente dell’Abwehr era stato portato al sicuro e che tutto stava procedendo secondo i piani.
Charles era certo che l’amico non vedesse l’ora di liberarsi da quell’ingrato incarico, ma al momento non poteva rischiare, la spia tedesca doveva restare nascosta per il tempo necessario. 
 
Maguire gettò il foglio nel fuoco del camino, poi con aria pensierosa si avvicinò alla finestra, a stento riconobbe il suo riflesso nel vetro opaco. Aveva il volto pallido e gli occhi infossati, quella situazione stava esaurendo tutte le sue energie, ma non era la spossatezza fisica a preoccuparlo. Il suo unico obiettivo era ottenere validi risultati, l’IRA aveva bisogno di una grande occasione ed era anche suo compito fare in modo che quell’opportunità non venisse sprecata.
Anch’egli era rimasto sorpreso quando i tedeschi si erano rivolti a lui, di certo non erano state le sue scelte politiche a renderlo un buon candidato per promuovere quell’alleanza. A differenza di altri comandanti dell’IRA Maguire non aveva mai mostrato alcuna simpatia per le ideologie naziste.
Apparteneva alla fazione di sinistra dell’IRA, aveva avuto rapporti con organizzazioni comuniste e aveva scritto diversi articoli per l’An Phoblacht [1] prima del divieto della censura. Aveva partecipato attivamente al confronto con le Camicie Blu e aveva apertamente sostenuto le Brigate internazionali durante la guerra civile in Spagna.
Tutte queste erano buone ragioni per escluderlo dalle trattative con la Germania, eppure i tedeschi avevano voluto offrirgli una possibilità.
I comandanti dell’Abwehr avevano deciso di fidarsi di lui per un solo motivo, ovvero il suo coinvolgimento nell’assalto alla fortezza di Phoenix Park. In quell’occasione le squadre dell’IRA avevano organizzato un’imboscata per le guardie, si erano introdotte all’interno del fortino ed erano riuscite a fuggire con un consistente bottino di armi, munizioni ed esplosivi.
Quel clamoroso successo aveva davvero impressionato i tedeschi, tanto da convincerli a voler dalla loro parte i valorosi ufficiali al comando della missione.
Così il capitano Maguire era diventato un collaboratore dell’Abwehr.
 
Ripensando al suo passato da fervente repubblicano Charles non poté evitare di ricordare le parole di Declan, le sue accuse l’avevano ferito nel profondo.
Anche se il suo compagno aveva scelto di continuare a combattere al suo fianco sapeva che difficilmente avrebbe potuto perdonare questo suo tradimento. La verità era che nemmeno per lui era stato semplice prendere quella decisione.
Maguire sentiva di non aver avuto scelta, dall’inizio della guerra il Governo irlandese aveva cominciato ad adottare provvedimenti sempre più severi contro i repubblicani. Sembrava assurdo, ma se aveva voluto accettare quegli accordi era stato anche per proteggere i suoi compagni.
La condanna di Blaine era stata soltanto l’ultima di una lunga serie di ingiustizie. Centinaia di militanti erano stati internati nel campo di Curragh. In quella lista di nomi c’era anche il marito di Helen.
Nelle prigioni di Mountjoy la situazione era ormai disperata, le vittime degli scioperi della fame aumentavano sempre di più.
Sembrava che nulla fosse cambiato dai tempi dell’occupazione britannica, per questo l’IRA aveva bisogno di un piano sicuro. Il supporto militare della Germania era davvero la loro unica speranza.
 
***
 
Hans attraversò la stanza avvertendo lo sguardo freddo e severo di Declan fisso su di sé. L’irlandese era rimasto sulla difensiva dopo il loro ultimo dialogo, tornando a mostrarsi distaccato e diffidente nei suoi confronti.
Schneider ormai non aveva più dubbi, l’IRA non l’aveva rinchiuso lì dentro solo per proteggerlo, ma anche per controllarlo.
Questa eventualità non lo turbò particolarmente, era certo che avrebbe potuto approfittare della situazione per scoprire qualcosa di più sui suoi alleati.
Hans iniziò a camminare avanti e indietro nel piccolo salotto, ogni tanto si soffermava davanti alla finestra e scostava le pesanti tende per dare un’occhiata alla strada. La tranquillità di una città in tempo di pace era sempre estraniante.
Schneider tornò sui suoi passi e prese posto sulla poltrona, sedendosi di fronte al suo compagno.
Declan rimase immobile, con i nervi tesi e i muscoli contratti.
Hans fu colpito dalla sua figura. Il suo atteggiamento riottoso l’aveva incuriosito fin dal primo momento, in quel giovane poteva ben riconoscere lo spirito dei ribelli d’Irlanda.
Di certo aveva trovato familiari quei tratti di aggressività, forza e coraggio che venivano spesso elogiati nelle teorie nazionalsocialiste. Non comprendeva come due popoli talmente affini potessero avere visioni così diverse della realtà, eppure era anche questo a stimolare il suo interesse.
«Posso farti una domanda?» chiese il tedesco con tono pacato.
L’irlandese restò in silenzio.
Hans interpretò l’assenza di negazione come una risposta affermativa.
«Che cosa significa essere soldati di un Esercito irregolare?»
Declan fu sorpreso da quel quesito: «che hai detto?»
«L’IRA è stata dichiarata un’organizzazione illegale dallo Stato d’Irlanda nel 1939, dunque ufficialmente voi siete soldati di un Esercito non riconosciuto»
«Non sapevo che fossi un esperto di politica»
«Come ti ho detto, sono ben qualificato per questa missione» disse con la stessa soddisfazione di uno studente che aveva svolto diligentemente i suoi compiti.
O’ Riley rispose con una smorfia.
«La mia domanda era seria» continuò Schneider senza perdersi d’animo.
Declan guardò il suo interlocutore negli occhi.  
«Essere un soldato dell’IRA significa decidere volontariamente di combattere per l’Irlanda. Bisogna essere convinti e determinati per scegliere di prender parte a questa battaglia. Non è la legge che ci obbliga a combattere, siamo noi che decidiamo di imbracciare le armi per ribellarci alle ingiustizie. È il senso di appartenenza a questa terra, la morale interiore e il desiderio di libertà e giustizia sociale a motivare il nostro animo»
Hans rimase impressionato dalla serietà e dalla fierezza con cui il suo compagno aveva esposto quei concetti.
«I vostri sono di certo nobili ideali. La fedeltà alla Patria, l’unità del popolo, la riconquista della propria identità…sai, sono temi abbastanza noti anche a noi tedeschi»
Declan s’irrigidì: «in questa Nazione crediamo nella democrazia»
Schneider non si scompose.
«La vostra forza di volontà è comunque ammirevole» ammise.
L’irlandese mostrò evidente disagio di fronte a quell’elogio.
«È così che hai intenzione di conquistare la fiducia dell’IRA? Con l’adulazione?»
Schneider scosse la testa: «no, affatto. La mia era una semplice considerazione»
O’ Riley non credette del tutto alle sue parole. I modi di fare del tedesco l’avevano alquanto spiazzato, egli si era dimostrato fin troppo accondiscendente. Nemmeno una volta aveva dato prova di essere una potenziale minaccia, e questo in fondo lo innervosiva. 
«Così voi siete l’Esercito repubblicano irlandese…» continuò Schneider.
Declan annuì.
«La Repubblica però possiede già un suo Esercito»
«L’IRA rappresenta l’Esercito del popolo, l’Óglaigh na hÉireann [2] invece è la Forza di Difesa al servizio del Governo irlandese» spiegò O’ Riley.
«Dunque quei soldati sono vostri nemici?»
«L’Esercito, la Garda, i servizi segreti…l’IRA ha molti nemici»
Hans tentò di comprendere la situazione.
«Se il vostro obiettivo è ribellarvi al Governo conservatore e liberare il Nord dal dominio britannico un’altra guerra civile sarebbe inevitabile»
Lo sguardo di Declan si incupì: «se così dovrà essere allora io e i miei compagni saremo pronti a combattere in prima linea»
Hans non fu sorpreso da quella risposta, ormai aveva imparato a conoscere il carattere forte e battagliero del suo compagno.
«La Germania vi sta offrendo un’altra opportunità»
«Forse un’altra guerra» precisò.
«Una guerra che potreste vincere»
O’ Riley, stanco di sentire quei discorsi, restò ad osservare il tedesco con aria perplessa.
«La Germania sta vincendo la guerra anche senza il nostro supporto» disse mantenendosi imparziale sul giudizio.
«Il nostro obiettivo è la disfatta dell’Inghilterra, non possiamo escludere alcun piano d’azione. Avere degli alleati in questa impresa è qualcosa di auspicabile»
In quel caso l’irlandese non poté ribattere. Schneider approfittò di quel suo momento di esitazione.
«Devi ammettere che questa collaborazione non è poi così irragionevole»
Declan rimase scettico: «l’IRA non accetterà mai di combattere per la Germania»
«L’IRA non dovrà combattere per la Germania, ma con la Germania. È questo il significato di un’alleanza»
O’ Riley comprese la differenza, ma restò irremovibile nelle sue convinzioni.
Schneider non insistette sulla questione, considerò un successo già il fatto di essere riuscito a terminare il discorso senza che il suo compagno decidesse di interromperlo o di andarsene bruscamente come era accaduto l’ultima volta.
Era un misero risultato, ma dovette accontentarsi.
 
***
 
Il tenente Hart percorse i lunghi corridoi del Castello avvertendo soltanto l’eco degli stivali che battendo sul pavimento scandivano il ritmo dei suoi passi. Quel solenne silenzio gli suggerì che aveva preso la giusta direzione per raggiungere gli uffici dei comandanti.
Radley svoltò l’angolo ritrovandosi davanti a un paio di guardie, soltanto una di loro si portò la mano al berretto per porgergli il saluto militare.
L’ufficiale non diede troppa importanza a quell’episodio e passò oltre. A Dublino aveva ricevuto una fredda accoglienza, quel soldato non era stato l’unico a rifiutarsi di riconoscere la sua autorità. In quel contesto anche una semplice formalità aveva un forte significato politico.
Hart era consapevole di non essere il benvenuto al Castello, la sua presenza era stata accettata dal G2, ma non tutti avevano visto di buon occhio il ritorno di un agente britannico tra quelle mura.
Il sottotenente Donnelly aveva ragione, probabilmente non erano stati presi in considerazione molti candidati per quella collaborazione.
La Guerra d’Indipendenza era terminata da più di vent’anni, ma secoli di dominio britannico non erano stati cancellati dal Trattato, quelle ferite sanguinavano ancora.
Hart non era fiero di come la sua Patria aveva oppresso quel popolo. Non giustificava la dura repressione messa in atto dalla crudele Divisione dell’Essex e dai corpi speciali dei Black and Tans dopo la Grande Guerra, ma come ufficiale dell’Esercito britannico poteva comprendere le ragioni per cui l’Inghilterra aveva preso provvedimenti così severi in una violenta guerriglia combattuta senza regole dagli avversari.
Radley non aveva particolare interesse per la questione irlandese, il suo unico obiettivo era proteggere l’Inghilterra, indipendentemente da chi fossero i suoi nemici.
Il solo motivo per cui si trovava a Dublino era catturare quella spia tedesca e nulla avrebbe potuto interferire con la sua missione, nemmeno i vecchi rancori dei suoi collaboratori.
 
L’agente Hart si presentò nell’ufficio del capitano Kerney, dopo aver oltrepassato la soglia richiuse la porta alle sue spalle.
L’ufficiale irlandese gli porse la mano.
«Tenente, sono lieto di vederla»
Egli rispose alla stretta e accettò il suo invito ad accomodarsi.
«Spero che la collaborazione con l’agente Donnelly stia procedendo al meglio» disse il capitano ritornando dietro alla scrivania.
Per questo l’inglese non poté lamentarsi: «non ho riscontrato alcun problema»
«Il sottotenente le sembra abbastanza qualificato per l’incarico?»
Radley rispose sinceramente: «è ancora giovane, ma di certo è un ragazzo sveglio»
L’irlandese parve soddisfatto.
«Ero sicuro che egli avrebbe reso onore alla memoria del padre»
L’agente britannico si incuriosì: «anche il genitore era un militare?»
«James è figlio del tenente Liam Donnelly, un eroe della Guerra Civile»
Hart fu sorpreso da quella notizia, ritenne che fosse opportuno approfondire la questione.
«Egli doveva essere un uomo molto stimato…»
«Era un ufficiale delle Guardie di Dublino [3], è stato ucciso dai ribelli dell’IRA durante la Battaglia di Kilmallock [4]» raccontò Kerney.
«È strano, il mio collega non mi ha detto nulla a riguardo»
Il capitano lo rassicurò: «non si preoccupi per questo, di certo non si tratta di sfiducia nei suoi confronti, egli è un ragazzo molto riservato»
Radley pensò che il carattere introverso di James non fosse la sola ragione del suo silenzio e iniziò a sospettare che il compagno avesse deliberatamente scelto di non rivelargli quel fatto non indifferente.
Il capitano Kerney tornò al motivo di quell’incontro.
«Mi hanno riferito che lei non è qui solamente per condurre le sue indagini»
L’inglese annuì: «i miei superiori mi hanno incaricato di occuparmi anche di un’altra questione di massima sicurezza»
L’ufficiale irlandese tentò di mascherare il nervosismo. 
«Di che si tratta?»
«Accordi per un piano di emergenza» disse Hart poggiando un fascicolo sulla scrivania.
Kerney espresse la sua perplessità: «questa Nazione si trova in uno stato di Emergenza da ormai un anno»
«Già, da quando la Germania ha invaso la Polonia trascinando la Francia e l’Inghilterra in questa guerra»
«Ero certo che fosse qui per la guerra» commentò il capitano.
«Voi irlandesi pensate di affrontare questa crisi soltanto con una nuova politica economica e con l’utilizzo della censura?»
«Di quale crisi sta parlando?»
«Un Governo instabile, una Pace precaria, la carestia, gli attentati dell’IRA, il pericolo di un’imminente invasione tedesca…la vostra amata Neutralità vi ha portato a questo»
«Il Presidente de Valera ha preso le sue decisioni per salvare l’Irlanda dalla guerra»
«Temo che per questo sia troppo tardi»
L’irlandese deglutì a vuoto, ma tentò comunque di salvare le apparenze.
«Suppongo che non abbia intenzione di discutere di politica»
«No, non voglio criticare il partito al potere, avete già abbastanza problemi con i sostenitori dell’IRA. Inoltre non ho bisogno di convincere lei o i suoi superiori, questo piano è già stato approvato da chi di dovere, io sono poco più di un umile messaggero»
Il capitano Kerney incrociò lo sguardo severo dell’inglese, poi si decise ad aprire la cartella.
Sul primo foglio era ben evidente una scritta: Plan W.
 
 
 
 
Note
 
[1] Giornale repubblicano pubblicato dal Sinn Féin. A causa degli articoli considerati sovversivi dal Governo la stampa del quotidiano venne interrotta nel 1937.
 
[2] Dal 1924 l’Esercito irlandese non fu più riconosciuto come National Army, ma prese il nome di Óglaigh na hÉireann (letteralmente: Soldati d’Irlanda). Questo cambiamento avvenne sia per non creare continuità con la Guerra Civile appena conclusa sia per sottolineare l’identità nazionale. 
 
[3] Unità dell’Esercito irlandese (National Army) che ebbe un ruolo rilevante durante la Guerra Civile (1922-1923). I militari arruolati nelle Guardie di Dublino erano fedeli seguaci di Collins.
 
[4] La Battaglia di Kilmallock (luglio-agosto 1922) fu uno dei più violenti episodi della Guerra Civile irlandese. Dopo dieci giorni di feroci scontri nelle campagne i ribelli dell’IRA si ritirarono e le truppe del National Army riuscirono ad occupare la città di Kilmallock.
 
 

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Capitolo 9
*** L'attentato ***



9. L’attentato


James si fermò sul ponte per osservare i battelli che navigavano placidamente sulle acque del fiume.
Il giovane prese un profondo respiro riempiendosi i polmoni di aria fresca e avvertendo la brezza che trasportava il profumo del mare. Era una tiepida mattinata autunnale, il sole splendeva nel cielo limpido e azzurro.
Donnelly proseguì la sua camminata in direzione del Castello, pronto ad affrontare un’altra lunga giornata in compagnia dell’agente Hart. Almeno poté confortarsi al pensiero che quella sera l’avrebbe atteso il suo appuntamento con Julia.   
Avvicinandosi alla sua meta il sottotenente percepì qualcosa di strano, inizialmente fu soltanto una sensazione, ma ormai aveva imparato a fidarsi del suo istinto.
James attraversò il cortile avvertendo un certo nervosismo, ben presto si accorse che doveva essere accaduto qualcosa di grave. All’interno del Castello sembrava che tutti avessero un gran da fare, nessuno si accorse della sua presenza.
Donnelly era intenzionato a raggiungere il suo ufficio, ma proprio in quel momento vide il tenente Hart scendere le scale con gran fretta.
«James! Eccoti finalmente!»
«Che cosa sta succedendo?» domandò il ragazzo con aria smarrita.
L’inglese si stupì: «Come? Non sai nulla?»
Il giovane scosse la testa.
«C’è stata un’esplosione questa mattina»
James trasalì: «dove?»
«Alle caserme McKee»
Il ragazzo si allarmò: «ci sono state delle vittime?»
«Non abbiamo ancora informazioni certe»
Donnelly si paralizzò di fronte a quella agghiacciante notizia.
L’inglese l’afferrò per un braccio trascinandolo lungo il corridoio.
«Forza, dobbiamo andare!»
Il giovane, ancora confuso, si lasciò guidare dal suo collega.
I due uscirono nuovamente nel cortile. Hart si avvicinò a un despatch rider [1] che stava per tornare in sella alla sua Norton.
«Hai degli ordini importanti?»
«No, signore. Ho appena portato a termine l’ultima missione. Devo consegnare qualcosa per lei?»
L’inglese fu lieto di aver trovato un irlandese collaborativo.
«No, a dire il vero abbiamo bisogno della moto»
James sbiancò nel sentire quelle parole: «non sarebbe meglio prendere una macchina?»
«Stai scherzando? Con questa confusione e le strade bloccate non arriveremo mai in tempo con una di quelle vecchie auto!»
Il motociclista rimase perplesso: «mi spiace, ma non posso…»
Hart lo interruppe: «abbiamo ordini del capitano Kerney, si tratta di una questione di massima urgenza!»
L’uomo esitò, ma alla fine fu costretto a cedere.
«Appena possibile la riporteremo indietro» promise l’inglese.
Il tenente si sistemò alla guida e incitò il suo compagno a prendere il posto del passeggero. Egli non poté far altro che obbedire. 
«Almeno conosci la strada?» chiese Donnelly con titubanza.
«Più o meno so in che direzione è Phoenix Park…»
«Per raggiungere le caserme devi seguire il fiume e attraversare Sherwin Bridge, poi svoltare a sinistra per Infirmary Road e proseguire dritto fino a Blackhorse Avenue»
«Sapevo che ti saresti reso utile»
James era troppo preoccupato per replicare.
Hart poggiò il piede destro sul pedale d’avviamento, dopo qualche tentativo riuscì ad attivare il meccanismo di compressione, infine con un colpo deciso accese il motore. La motocicletta ruggì.
«Reggiti forte, sarà una bella corsa!»
 
Il tenente accelerò percorrendo a tutta velocità il rettilineo del lungofiume. Ad ogni sobbalzo James s’irrigidiva temendo di perdere l’equilibrio, stringendo saldamente la presa sulle barre di metallo.
Hart aveva un buon controllo del mezzo, ma le sue manovre per le strade affollate di Dublino erano decisamente pericolose. L’ufficiale sorpassò ogni ostacolo cercando passaggi e scorciatoie per raggiungere la meta nel minor tempo possibile.
Superata la paura iniziale e riposta piena fiducia nelle abilità del guidatore James cominciò a trovare piacevole l’eccitazione della velocità, quando la Norton si fermò quasi fu dispiaciuto di aver terminato quella spericolata corsa.
Radley si levò il caschetto e si passò una mano tra i capelli corvini per sistemarli, anche se la sua pettinatura era ancora perfetta grazie alla brillantina.
«Dove hai imparato a guidare la motocicletta?» chiese Donnelly con curiosità.
«In Inghilterra, da ragazzo vivevo in campagna e per andare in giro usavo una di queste» 
James faticò ad immaginare la vita del suo compagno prima dell’esercito.
«Davvero il capitano Kerney ti ha dato degli ordini?» domandò poi, ripensando alla frase con cui aveva ottenuto il permesso di prendere il veicolo.   
L’inglese sorrise: «oh, tu hai ancora molto da imparare!»
 
I due agenti si avvicinarono alle caserme, i soldati avevano chiuso la via, l’ingresso era bloccato da una camionetta posteggiata davanti ai cancelli. 
Una guardia in divisa sbarrò loro la strada, il tenente Hart mostrò il suo tesserino di riconoscimento, l’uomo lo controllò più volte prima di riconsegnarlo.
James rivolse lo sguardo ai due soldati appostati vicino al furgone, entrambi erano armati di mitragliatrice.
Radley infilò nuovamente il documento all’interno della giacca.
«Sai, si dice che durante un bombardamento il luogo più sicuro sia un cratere ancora fumante»
«Per quale motivo?» chiese il giovane.
«Perché è meno probabile che lo stesso punto possa essere colpito una seconda volta»
 
Non fu difficile raggiungere il luogo del disastro, una folla di militari si era radunata intorno all’edificio crollato.
James si mosse cautamente tra i detriti, era la prima volta che si trovava sul campo in un’occasione del genere.  
Radley invece non sembrò particolarmente impressionato ed iniziò subito a ispezionare attentamente la zona in cerca di indizi.
Un uomo in borghese si presentò all’inglese con il titolo di sovraintendente.
Hart osservò l’enorme buco nel tetto sfondato.
«Deve esser stato davvero un bel botto»
«Non è stato un buon risveglio, questo è certo» rispose l’irlandese.
«Ci sono state delle vittime?»
«Sei uomini sono stati coinvolti nell’esplosione, alcuni di loro sono stati estratti dalle macerie in condizioni piuttosto gravi. Al momento non sappiamo se sono in pericolo di vita»
«Ci può dire esattamente che cosa è accaduto?»
«La detonazione è avvenuta all’alba, non c’è stato nessun allarme e nemmeno un colpo d’arma da fuoco»
Hart non si sorprese: «è probabile che i militanti siano entrati dalle scuderie»
«È l’ipotesi più plausibile»
«Qual era l’obiettivo principale?»
«Il Centro di Comando dell’Unità Speciale»
James ebbe un lieve sussulto.
«L’IRA non agisce mai senza una ragione» commentò Radley.
Il sovrintendente sospirò: «deve essere una rappresaglia per quel che è accaduto nel carcere di Mountjoy. L’altra notte sono morti due detenuti dell’IRA»
«C’è stata un’insurrezione nelle prigioni?»
«No, i repubblicani stavano protestando con lo sciopero della fame»
«Siete stati voi ad arrestare quei militanti?»
Il detective si limitò ad annuire.
«Allora credo che non ci siano dubbi a riguardo»
Donnelly continuò ad ascoltare ogni dettaglio con estrema attenzione. La questione, seppur preoccupante, sembrava non riguardare il loro caso.
«Sapete qualcosa sulla bomba?» domandò il tenente.
«Un ordigno artigianale, probabilmente a base di gelignite»
Hart terminò quel dialogo con evidente sconforto.
«Temo che non ci sia niente per noi qui» disse tornando dal suo compagno.
James si guardò intorno osservando gli effetti devastanti dell’esplosione, un intenso brivido percorse il suo corpo.
«Come mai questo silenzio? Non hai detto nemmeno una parola a riguardo di questa faccenda» notò Radley.
L’altro esitò prima di rispondere.
«Ad essere sincero sono un po’ turbato per quel che è successo»
«Una bomba dell’IRA non deve essere una novità per il G2» replicò l’ufficiale.
«No, ma…non ero mai stato coinvolto personalmente»
«È solo una questione di abitudine ed esperienza. Presto non ti farà più quest’effetto»
L’irlandese era certo che il suo compagno non avrebbe potuto comprendere la sua condizione.
«Mi sento comunque responsabile» rivelò.
Egli tentò di rassicurarlo: «non sei stato tu a innescare l’esplosione»
James non rispose restando tormentato dai propri dubbi. Prima di allontanarsi dalle caserme rivolse un ultimo sguardo alle rovine.
«Davvero credi che questi eventi non abbiano niente a che fare con il nostro caso?»
Radley confermò: «si tratta di un’azione isolata, una vendetta dell’IRA nei confronti dell’Unità Speciale»
«Quindi lasceremo perdere un attentato?»
Hart scosse le spalle: «è compito di quei detective trovare i loro terroristi, noi dobbiamo occuparci di questioni ben più importanti. Oppure quando i tedeschi invaderanno l’Irlanda non sarà una sola bomba a preoccuparvi»
 
***
 
Donnelly si sentì un po’ meglio dopo esser rientrato nel suo ufficio, il Castello sembrava essere tornato alla normalità dopo l’agitazione di quella mattina.
Il tenente Hart si presentò nella stanza con una cartella tra le mani.
«Di che si tratta?»
«È il caso a cui stava lavorando l’agente Ryan» spiegò il suo compagno.
«Potrebbero esserci degli indizi utili?»
«Sarà nostro dovere scoprirlo, ma non adesso»
Egli si stupì: «credevo che avessi intenzione di tornare subito al lavoro»
Il tenente si posizionò sul lato opposto del tavolo.
«Prima vorrei affrontare un’altra questione»
James si insospettì: «di che stai parlando?»
Radley assunse un’espressione seria e severa: «vorrei parlare con te del tenente Liam Donnelly»
Il giovane sbuffò e distolse lo sguardo, consapevole di non poter sfuggire da quella conversazione.
Hart pose la sua domanda pur conoscendo già la risposta.
«Egli era tuo padre, vero?»
«È stato il capitano Kerney a dirtelo?»
«Be’, non è il tipo di segreto che si può nascondere a lungo. Prima o poi l’avrei scoperto comunque»
James restò in silenzio.  
«Per quale motivo non mi hai detto nulla?»
«Qui tutti mi considerano solamente come il figlio di un eroe di guerra. Non volevo che anche tu mi vedessi unicamente attraverso la figura di mio padre»
L’inglese scosse la testa: «che stupidaggine!»
«Forse per te non significa nulla, ma per me è importante»
«Intendevo dire che sarei un pessimo agente se mi fermassi alle apparenze e giudicassi le persone soltanto dal loro nome»
James parve tranquillizzarsi.
Il tenente si mostrò comprensivo: «ascolta, tu sei un buon agente e questo dipende soltanto dalla tua volontà. Hai le capacità per dimostrare chi sei realmente senza doverti preoccupare di quel che gli altri si aspettano da te»
Il giovane si stupì di sentire quel discorso da parte del suo compagno, in altre circostanze avrebbe apprezzato quell’incoraggiamento.
«C’è solo una cosa che mi preoccupa» continuò Hart.
James tornò a guardare il suo interlocutore dritto negli occhi.
«Questa indagine non deve diventare una questione personale» affermò freddamente l’ufficiale.  
«Lo so»
«Stai dando la caccia a persone che credono negli stessi ideali di coloro che hanno ucciso tuo padre. Non è un fatto irrilevante»
«Non ho deciso di diventare un agente del G2 per ottenere vendetta e nemmeno per prendere il posto di mio padre»
«Probabilmente è così, ma non puoi ignorare la verità. Il tuo passato è parte di te e le tue scelte sono condizionate da questo»
«Le cose sono diverse da come credi»
Radley era stanco dei segreti del suo collega: «allora come stanno realmente?»
James sospirò: «non ho mai conosciuto mio padre, dico di avergli sempre voluto bene, ma non sono nemmeno certo di questo. Per me lui è soltanto un volto nelle foto di famiglia, niente di più»
«Eppure una parte di te non l’ha dimenticato»
Il ragazzo restò impassibile.
«Io credo che tu abbia deciso di arruolarti anche per sentirti più vicino a lui» continuò Hart.
«Perché pensi questo?»
«Perché tu non disprezzi tuo padre, rimpiangi solo il fatto di non aver avuto l’occasione di conoscerlo veramente. In fondo quando indossi questa divisa hai modo di condividere i suoi ideali e combattere per la sua stessa causa»
James avvertì una fitta al petto, aveva gli occhi lucidi. Provò sensazioni contrastanti, per lui non fu semplice reprimere i sensi di colpa.
Forse un tempo aveva davvero provato quei sentimenti, ma ormai aveva preso la sua decisione. Anche se il suo ricordo continuava a tormentarlo il famigerato genitore restava solo un fantasma del passato. 
«Mio padre non ha niente a che fare con le mie scelte. Adesso basta, non voglio più parlare di lui, soprattutto con te!»
Hart non si sorprese per quella reazione.
«Va bene, come vuoi. Però devi promettermi che rinuncerai per sempre a quella parte di te che considera ancora quei militanti come gli assassini di tuo padre. Il tuo lavoro non è una questione privata»
James mantenne lo sguardo fisso davanti a sé.
«Non preoccuparti per questo, quella parte di me è morta già da molto tempo»
 
***
 
Il caso dell’agente Ryan si rivelò essere un altro buco nell’acqua. In quei rapporti non era presente nessun riferimento alla Germania, le indagini non riguardavano niente di particolarmente sospetto. Il ritrovamento di quelle prove nell’appartamento di Drumcondra era stato solo un colpo di fortuna.  
«D’accordo, per oggi può bastare. Abbiamo sprecato anche troppo tempo!» concluse Hart esternando la propria frustrazione.
James richiuse il fascicolo che aveva tra le mani: «è difficile portare avanti un caso basandosi soltanto su delle supposizioni»
L’ufficiale britannico accettò quel fallimento, ma ovviamente non era intenzionato ad arrendersi.
«I messaggi in codice sono stati tradotti?»  
Donnelly scosse la testa: «non è ancora arrivato alcun risultato»
«Chi si sta occupando della questione?»
«Il dottor Hales è il nostro crittografo, lavora alla National Library»
«Ormai è tardi per andare a controllare, a questo penseremo domani» disse il tenente abbandonando con rammarico la sua postazione.
«Mi spiace, avrei voluto fare qualcosa di più…»
Radley si infilò il cappotto: «per questa sera pensa solo a rimetterti in sesto. Hai bisogno di staccare un po’ da questa storia, è stata una giornata impegnativa»
Egli annuì: «ci proverò»
L’inglese recuperò la pistola e indossò il cappello.
«Divertiti a quel ballo!» concluse prima di scomparire oltre la soglia.
James sospirò, ovviamente Hart aveva capito tutto senza che egli avesse detto una parola.  
 
***
 
Dopo gli eventi di quella giornata Donnelly non era dell’umore adatto per presentarsi a una festa, l’unica ragione che lo convinse a uscire di casa fu Julia. Non avrebbe mai potuto deluderla, e poi non aveva intenzione di sprecare quell’occasione.
James attraversò O’ Connell Street stringendosi nella giacca per ripararsi dal freddo. Si soffermò davanti al General Post Office per contemplare il simbolo della Rivolta [2]. Istintivamente alzò la testa per osservare la bandiera tricolore che sventolava nell’oscurità, sembrava che gli spettri del passato non avessero mai abbandonato quel luogo.
Il giovane distolse lo sguardo e con rassegnazione passò oltre.
Riconobbe facilmente la maestosa facciata del Metropole Hotel, illuminata e decorata per l’occasione.
Provò una strana sensazione nel ritrovarsi in un ambiente così lussuoso e appariscente, circondato da giovani borghesi allegri e spensierati. Il ragazzo si posizionò in un angolo della sala in modo da poter controllare l’entrata e aspettò pazientemente. Osservò l’orologio, era in anticipo, dunque non aveva motivo di preoccuparsi.
Durante quell’attesa pensieri più opprimenti tornarono a vagare nella sua mente. Inevitabilmente ricordò la conversazione avuta con Hart, avrebbe preferito che il tenente non avesse mostrato il suo lato più umano e comprensivo. Era consapevole che egli stesse soltanto cercando di aiutarlo, ma aveva le sue ragioni per voler mantenere le distanze dall’inglese.
James avvertì il peso di tutto ciò che stava accadendo alla sua amata Irlanda: l’attentato alle caserme, i militanti morti di fame in carcere, l’invasione tedesca, gli accordi con l’Inghilterra, i sospetti sul G2…
Avrebbe dovuto ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non crollare, ma sapeva di non avere altre possibilità. Voleva dimostrare di essere all’altezza della situazione, non poteva tradire coloro che avevano deciso di fidarsi di lui. Fino a quel momento non aveva mai esitato a compiere il suo dovere, in quelle condizioni non poteva far altro che rispettare la sua promessa.
Donnelly abbandonò quei tormenti quando riconobbe la figura di Julia davanti all’ingresso del salone. Per l’occasione aveva indossato un abito color pesca stretto in vita, semplice ed elegante.
James si avvicinò presentandosi con un galante inchino.
Ella fu sorpresa da quel gesto: «allora sei un gentiluomo anche senza la tua divisa»
«Avevi forse dei dubbi?»
Julia sorrise: «no, affatto»
La ragazza si guardò intorno con stupore e meraviglia, ammirando le sfarzose decorazioni che adornavano l’enorme sala da ballo.
«Non ero mai stata in un posto così»
«A dire il vero nemmeno io…volevo che questo appuntamento fosse speciale»
Il giovane infilò una mano all’interno della giacca ed estrasse una piccola scatola con un fiocco rosso.
«È solo un semplice dono, per tradizione avrei dovuto portarti dei fiori, ma ho pensato che non sarebbe stata la scelta migliore»
Lei aprì il pacchetto con le mani tremanti, all’interno trovò un grazioso fermaglio argentato. Per dimostrare il suo apprezzamento lo sistemò immediatamente tra i capelli castani.
James restò incantato ad ammirarla: «sei bellissima»
Julia abbassò timidamente lo sguardo, un lieve rossore comparve sulle sue guance.
Egli le porse la mano: «ti ho invitata a ballare, quindi credo di dover rispettare la mia promessa»
La ragazza accettò la proposta e si lasciò accompagnare al centro della sala.
L’orchestra si stava esibendo con un allegro swing.
La giovane coppia iniziò a saltellare tra la folla. James esitò sui primi passi, ma Julia si trovò subito a suo agio a ballare in sua compagnia. Il ragazzo osò di più, la fece girare su se stessa e la riaccolse tra le sue braccia. Ella dimostrò di starsi divertendo, naturalmente tra i due si instaurò una bella sintonia.
 
La musica cambiò, questa volta fu il turno di un lento. James non ebbe bisogno di chiedere un altro ballo, fu Julia ad accostarsi a lui, riducendo le distanze. Il giovane le cinse i fianchi, lei poggiò le mani sulle sue spalle. Restarono così, stretti l’uno all’altra, oscillando lentamente intorno alla stanza.
Egli la guardò negli occhi: «sono felice che tu sia qui con me»
Julia sfiorò delicatamente il suo volto con una leggera carezza: «anche io sto bene con te»
James la strinse ancor più a sé, lentamente si avvicinò al suo viso e la baciò. Lei ricambiò dolcemente.
Quando si distaccarono non ebbero bisogno di dire nulla per esprimere i loro sentimenti.
La ragazza poggiò la testa sul suo petto, lasciandosi avvolgere dal calore di quell’abbraccio.
James avvertì una profonda sensazione di pace. I timori e le preoccupazioni non erano svaniti, eppure mentre stringeva Julia tra le sue braccia sentiva solo il desiderio di credere che sarebbe andato tutto bene.
 
 
 
 
 

Note
 
[1] Corriere militare.

[2] Durante la Rivolta di Pasqua del 1916 l’edificio del GPO fu preso d’assalto dai patrioti irlandesi che con le armi si ribellarono al dominio britannico. L’insurrezione fallì e venne repressa violentemente dagli inglesi, ma l’evento fu fondamentale per l’inizio della Guerra d’Indipendenza.

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Capitolo 10
*** Il nemico del nemico ***


Ringrazio i fedeli lettori che stanno continuando a seguire questo racconto. Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto.
 
 
10. Il nemico del nemico
 

La bottiglia di brandy era mezza vuota, Declan rimase ad osservare il liquido ambrato all’interno del suo bicchiere.
Il tenente Schneider si dimostrò sempre rispettoso e cordiale.
«Sono lieto che tu abbia cambiato idea e abbia deciso di farmi compagnia, non mi piace bere da solo»
O’ Riley sbuffò: «non avevo molte alternative…»
Il tedesco mostrò un mezzo sorriso, cominciava a trovare divertente quell’atteggiamento da ragazzino imbronciato.
«Di solito quando le persone bevono insieme si intrattengono anche con una conversazione»
«Non resterò ad ascoltare un altro dei tuoi discorsi a riguardo di questa alleanza»
Schneider non trovò nulla in contrario: «d’accordo, allora parliamo di qualcos’altro»
Declan restò diffidente: «e di che cosa vorresti parlare?»
«Non lo so…potresti raccontarmi qualcosa di te» suggerì il tenente.
«Se hai intenzione di scoprire qualcosa in questo modo posso già dirti che la tua tecnica è un’inutile perdita di tempo. Sono soltanto un soldato, non ho segreti da rivelarti»
Hans era ormai abituato all’ostinazione del suo compagno, così si armò nuovamente di pazienza.
«Non tutto quello che faccio è un attacco nei tuoi confronti. Si tratta di semplice curiosità, non ho intenzione di estorcerti alcuna informazione»
«Allora credo che troveresti questo dialogo piuttosto deludente»
Schneider insistette: «invece io ritengo che potrebbe essere interessante»
O’ Riley rimase scettico.
«Che cosa vorresti sapere?»
Hans non pensò a lungo prima di porre la sua domanda.
«Come sei diventato un soldato dell’IRA?»
L’irlandese esitò, ma alla fine decise di rispondere.
«Quando avevo sedici anni ho assistito a un comizio del Sinn Féin [1]. Ho ascoltato la voce del popolo, mi sono innamorato degli ideali di Libertà, e in quel momento ho compreso che era mio dovere prendere parte a questa battaglia. Pochi mesi dopo ho giurato fedeltà all’IRA. Al tempo ero soltanto un ragazzino irrequieto, è stato il capitano Maguire a fare di me un buon soldato, fin dal primo momento ha creduto in me e nelle mie capacità»
Schneider non si sorprese di ciò: «avevo intuito che per te il rapporto con il tuo comandante fosse importante»
«Anche tu sei un militare, puoi comprendere il valore del legame che si crea con i compagni di battaglia, è qualcosa di profondo e indissolubile»
Hans annuì, poi abbassò tristemente lo sguardo. 
O’ Riley percepì il suo turbamento.
«Qualcosa non va?»
«No, è solo che…devo ammettere che mi manca tutto questo. Quando ero al campo volavo con la mia squadriglia e avevo i miei compagni. Inoltre tutti noi potevamo sempre contare sul nostro Staffelkapitän. È importante volare con qualcuno a cui puoi affidare la tua vita senza alcun timore. Adesso è tutto diverso»
L’irlandese fu colpito da quella rivelazione e dal suo sincero rammarico.
«Mi dispiace»
Hans non capì: «per che cosa?»
«Per il fatto che tu abbia dovuto abbandonare i tuoi compagni, non deve essere stato facile»
Il tenente dimostrò di star affrontando la sua missione con ammirabile stoicismo. 
«Non ho avuto dubbi quando ho preso questa decisione, e nonostante tutto non la rimpiango»
 
Declan rimase ancora un po’ in silenzio, sospeso nell’indecisione, poi tornò a rivolgere la parola all’ufficiale.
«Che cosa si prova quando si vola con un aereo?»
Schneider si stupì per quella domanda inaspettata, ma fu lieto di aver stimolato la curiosità dell’irlandese.
«Be’, non è semplice rispondere. Ciò che si prova quando si vola è molto soggettivo, nessuno sente le stesse emozioni»
O’ Riley riformulò la domanda: «tu che cosa provi quando voli?»
«Non credo di poter descrivere quella sensazione, so solo che mi sento bene. Può sembrare strano, ma quando mi ritrovò lassù, a metri da terra, non avverto alcuna preoccupazione. Sento di essere solo io con il mio aereo come un’entità unica che si muove verso l’orizzonte. Librare nell’aria è qualcosa di naturale, il volo soddisfa l’innato desiderio dell’Uomo di confrontarsi con l’Infinito, senza limiti»
Declan si lasciò ammaliare dalle sue parole.
«Una volta sono stato ad uno spettacolo aereo a Baldonnel [2], dovevo avere circa dieci anni, mio padre mi accompagnò insieme ai miei fratelli, eravamo tutti emozionati all’idea di vedere quelle macchine volanti. Per tutto il tempo rimasi con il naso all’insù ad ammirare le loro acrobazie…è stato davvero assurdo, non avevo mai visto nulla del genere!»
Hans fu compiaciuto dall’entusiasmo del suo compagno, ma allo stesso tempo provò un’intensa malinconia.  
«Mi sono sempre chiesto come potesse essere lo spirito di uno di quegli aviatori che sembravano così impavidi davanti al pericolo» continuò Declan.
«Voglia di Libertà, desiderio di sfidare il Destino…sono questi i sentimenti che animano un pilota» rispose Schneider.
«È per queste ragioni che hai scelto l’aviazione?»
«Di certo è stato il fascino del volo ad avvicinarmi a questo mondo, ma ho scelto di combattere con la Luftwaffe anche per affrontare con onore questa guerra»
«Che cosa intendi?»
«Una battaglia aerea non è solo una questione di odio e violenza. Anche negli scontri più cruenti c’è rispetto per l’avversario. Esiste una sorta di comunanza tra piloti, indipendentemente dallo schieramento a cui appartengono»
L’irlandese obiettò: «questa è una visione molto romantica, la vera guerra però si combatte nel fango e nel sangue»
«Il conflitto nei cieli è diverso da quello a terra, ma entrambi comportano coraggio e sacrificio»
Declan non poté contraddirlo.
«Dunque voi aviatori non siete soltanto dei folli scapestrati…»
«Un buon pilota deve avere una mente fredda che vegli su un cuore ardente»
O’ Riley trovò particolarmente adatta quella definizione.
«E tu sei un bravo pilota?»   
«Non ho mai avuto l’occasione di dimostrare le mie capacità in battaglia, ma al campo d’addestramento ero uno dei migliori» affermò Schneider con orgoglio.
L’irlandese si aspettava una simile risposta: «non avevo dubbi» 
Hans decise di raccontare tutta la verità.
«Ad essere sincero non è sempre stato così, il mio primo volo con uno Stuka si è concluso con uno schianto»
«Stai dicendo sul serio?»
«Già, ho perso il controllo del velivolo durante l’atterraggio»
«Un inizio promettente» commentò Declan.
«Anche il Barone Rosso ha sfasciato il suo aereo quando ha volato da solo per la prima volta» replicò in sua difesa.
«Il tuo eroe non ha fatto una bella fine» ricordò l’irlandese.
Schneider assunse un’espressione seria e parlò con tono severo.
«Von Richthofen è stato abbattuto in combattimento. È questa la morte più gloriosa per un pilota»
O’ Riley provò una strana sensazione nel sentire quelle parole. Non trovò del tutto estraneo quel discorso, ciò gli riportò alla mente le storie dei martiri che si erano sacrificati per la Patria. In quel momento realizzò che, seppur per diverse ragioni, entrambi erano disposti a morire per la loro causa.
Declan bevve un lungo sorso di brandy, non era ancora pronto ad ammetterlo, ma stava iniziando a comprendere le motivazioni del tenente.
 
***
 
Durante il consueto turno di guardia Declan ripensò a quell’ultima conversazione.
Per la prima volta non aveva considerato quel tedesco come un nazista ciecamente convinto dei propri ideali, ma come un giovane ufficiale, onorevole e coraggioso, disposto a tutto per il bene della sua Patria.
O’ Riley fu profondamente turbato nel riconoscere le evidenti somiglianze tra l’agente dell’Abwehr e i suoi fedeli compagni.
Rapidamente cercò di scacciare quei pensieri dalla sua mente, il tenente Schneider non era un difensore della Libertà, aveva giurato fedeltà al Führer e combatteva per un Esercito invasore.
Il suo animo valoroso poteva conferire un certo romanticismo alla sua figura, ma questo non cambiava la realtà dei fatti.
Declan si trovò in difficoltà nel confrontarsi con aspetti così contrastanti riguardanti il ruolo di Schneider, ripudiava ciò che rappresentava e una parte di sé continuava a considerarlo come una minaccia, eppure qualcosa gli impediva di condannarlo definitivamente.
L’irlandese tentò di ricordare i propri doveri per rimettere ordine tra i suoi pensieri e placare quei tormenti. 
Charles gli aveva assegnato quell’incarico perché si fidava di lui, presumeva che egli non si sarebbe piegato alla volontà di un tedesco e che sarebbe stato obiettivo nel suo giudizio.
Declan si vergognò di se stesso per quella sua esitazione, doveva restare vigile e attento, non poteva permettersi di abbassare la guardia.
 
***
 
Il giorno seguente il tenente Schneider cominciò a mostrare i primi segnali di insofferenza. Nonostante il ruolo che aveva scelto di ricoprire in quella missione egli restava sempre un ufficiale della Luftwaffe. Rievocando la sua passione per il volo, le memorie delle esperienze passate e i suoi sogni di gloria non ancora svaniti non poté evitare di provare un profondo senso di sconforto.
La guerra stava progredendo inesorabilmente, i suoi compagni al fronte stavano combattendo ardentemente per la vittoria, mentre lui era costretto a restare nascosto in quel rifugio, rintanato come un vile coniglio.
«Per quale motivo il capitano Maguire sta rimandando così a lungo il nostro incontro?» domandò esternando la propria irrequietezza.
«Suppongo che voglia essere certo che questo avvenga nel modo più sicuro possibile» ipotizzò O’ Riley.
«Che cosa c’è che non va adesso?»
«Non lo so, in ogni caso Maguire è un comandante attento e previdente, non metterebbe mai a rischio un’operazione»
Schneider sospirò. Fu costretto a rassegnarsi ed accettare quelle condizioni, ma la questione lo impensierì.
Il tenente si fermò al centro della stanza e restò in piedi fissando un punto indefinito davanti a sé. Il suo volto rimase inespressivo e il suo sguardo impenetrabile. In quella posa eretta e composta era ben riconoscibile la sua reale essenza di ufficiale.
Declan guardò il suo compagno con attenzione. Il fascio di luce che filtrava tra le tende illuminava il suo viso definendone i particolari.
L’irlandese poté notare i lineamenti delicati, gli zigomi leggermente sporgenti e le labbra sottili appena socchiuse. I suoi occhi limpidi e cristallini rispecchiavano lo stesso colore del cielo. 
O’ Riley si rese conto di essersi soffermato ad osservare il tedesco troppo a lungo, con un gesto impacciato distolse rapidamente lo sguardo.
Schneider si accorse di ciò, ma finse indifferenza. Si voltò e senza dire nulla scomparve nell’altra stanza.
 
***
 
Il tenente strinse tra le mani i documenti forniti dall’IRA. Quelle carte avrebbero potuto aiutarlo in caso di necessità, ma egli sperava di non dover ricorrere a un altro piano d’emergenza.
La sua principale preoccupazione riguardava i contatti con la Germania, l’unico mezzo di comunicazione sicuro era la trasmittente che aveva perso nell’atterraggio. Non poteva incolpare Ziegler per l’accaduto, il suo commilitone aveva tentato di fare il possibile per svolgere al meglio il suo dovere. Purtroppo quella notte qualcosa era andato storto e per questo la missione rischiava di essere compromessa irrimediabilmente.
L’ufficiale si domandò se i suoi superiori avessero già considerato il fallimento dell’operazione, o se ancora stessero attendendo sue notizie. Nonostante la sua inesperienza l’Hauptmann Seidel aveva riposto piena fiducia nelle sue capacità, non poteva deludere le aspettative dell’Abwehr. Dal successo della sua missione sarebbe potuto dipendere il destino della guerra.
Hans sapeva di dover trovare al più presto un metodo alternativo per comunicare con la base, ma prima di agire voleva confrontarsi con uno dei suoi contatti.
Fino a quel momento il capitano Maguire aveva rispettato gli accordi dimostrandosi leale e affidabile. Si era occupato del suo nascondiglio e, seppur con l’intenzione di controllarlo, aveva anche provveduto alla sua sicurezza. Proteggere una spia tedesca era un interesse per l’IRA, ma Schneider sapeva di non poter commettere errori. Era necessario dimostrare agli irlandesi che la Germania era intenzionata a rispettare completamente gli accordi.
 
***
 
Declan stava ripulendo con cura la sua Webley quando avvertì i passi del suo compagno. Intuì immediatamente le sue intenzioni e quella volta fu lui a precederlo.
«Maguire mi ha rivelato che i vostri accordi riguardano un piano militare…»
Hans annuì.  
L’irlandese sistemò la pistola e la ripose sulla superficie del tavolo.
«Avete intenzione di liberare l’Irlanda con un’invasione? Così come avete liberato la neutrale Danimarca?»
«Sono stati gli Alleati a minacciare la Neutralità di quella Nazione, la Danimarca adesso è sotto la protezione del Reich»
Declan scosse la testa con evidente disaccordo.
«La situazione in Irlanda è diversa» precisò il tenente.
O’ Riley cercò di interpretare il significato di quell’affermazione.
Schneider poggiò anche la sua Browning sul tavolo, dimostrando di non volersi porre in alcuna posizione di vantaggio o superiorità rispetto all’irlandese.
«L’IRA non dovrebbe dubitare dei tedeschi, noi non siamo vostri nemici»
«Il fatto che siate nemici degli inglesi non vi rende meritevoli di fiducia incondizionata»
«Comprendo il vostro punto di vista, ma abbiamo un obiettivo in comune, dovrebbe essere questo l’importante»
Declan rifletté su quelle parole.
Schneider cambiò approccio decidendo di portare la questione sul piano personale.
«Per quanto tu non voglia ammetterlo, i destini delle nostre Nazioni non sono poi così differenti…»
Egli assunse un’espressione perplessa.
Il tenente si avvicinò guardando il suo interlocutore dritto negli occhi.
«L’Inghilterra ha soggiogato il popolo irlandese così come ha messo in ginocchio il popolo tedesco. Abbiamo subìto soprusi e ingiustizie, ci hanno rubato le nostre terre, ci hanno privato di ogni risorsa lasciandoci morire di fame e di stenti. Adesso però è giunto il momento della rivalsa. Insieme potremo ribellarci all’egemonia britannica, spezzare le catene, rivendicare la nostra dignità e riconquistare la nostra identità»
Declan restò allibito, un intenso brivido scosse il suo corpo. Quell’ufficiale tedesco stava ripetendo gli stessi discorsi dei suoi compatrioti che avevano lottato per la Libertà.
Inevitabilmente il giovane ripensò a Maguire e alle sue amate poesie.
 
E dico ai padroni del mio popolo: state attenti!
Attenti a ciò che sta arrivando, attenti ai risorti, a chi prenderà ciò che voi non avete dato.
Pensavate di conquistare il popolo, che la legge fosse più forte della vita, o del desiderio degli uomini di essere liberi? [3]
 
Le accuse di Pearse agli inglesi non erano poi così diverse da quelle del tenente.
Declan si ritrovò inerme davanti alla verità. Impallidì, non riuscì a nascondere il proprio turbamento.
Schneider rimase impassibile, l’irlandese riconobbe ancora una volta il suo sguardo fiero e deciso.
«Adesso comprendi la ragione per cui sono qui?»
O’ Riley non disse nulla, ma il suo silenzio fu più significativo di qualsiasi risposta.
 
***
 
Quella notte Declan faticò ad addormentarsi, si rigirò nel suo giaciglio finché non cadde in un sonno tormentato. Sognò il campo d’aviazione di Baldonnel, vide suo padre e i suoi due fratelli maggiori, tutto era esattamente come nei suoi ricordi. Quando alzò lo sguardo però notò un cielo cupo e tempestoso, non c’era alcun biplano tricolore a librarsi nell’aria con le sue acrobazie. Nel silenzio si udì un ronzio di motori in avvicinamento, pian piano il rumore divenne sempre più forte e intenso.
Ad un tratto uno stormo di bombardieri tedeschi in formazione sbucò dalle nubi, i velivoli scesero di quota per planare sulla campagna irlandese. Al loro passaggio tutto fu avvolto dall’oscurità.
Nel secondo sogno Declan assistette alla condanna di Blaine. Egli era impossibilitato a muoversi mentre dei soldati che indossavano uniformi britanniche legavano e bendavano il suo compagno. Sapeva che in realtà erano stati i suoi connazionali a giustiziare l’amico, ma il suo subconscio gli stava ricordando chi fossero i veri colpevoli.
Il plotone d’esecuzione caricò i fucili e si mise in posizione. Declan tentò di gridare e di intervenire, ma niente usciva dalla sua gola e una forza sconosciuta gli impediva di agire.
Nel momento in cui sentì l’eco degli spari avvertì un’intensa fitta al petto, una macchia vermiglia si espanse sulla sua camicia, il proiettile destinato a Blaine si era conficcato nel suo torace. Se avesse potuto si sarebbe davvero sacrificato per il suo compagno.
Era steso a terra, sopraffatto dal dolore, quando una figura si avvicinò a lui e gli porse una mano. La sagoma era l’ombra indefinita di un soldato, alle sue spalle si stagliava la bandiera rossa, bianca e nera del Reich.
Anche quella visione svanì, all’improvviso si ritrovò nel mezzo di una battaglia. Le strade di Dublino erano avvolte dalle fiamme e dal fumo delle esplosioni, in ogni direzione si udivano i botti degli spari e le grida dei feriti.
Il capitano Maguire gli aveva affidato un incarico importante, aveva ordini per un comandante di brigata.
Per portare a termine il suo compito doveva attraversare un pericoloso tratto bersagliato dalle granate nemiche. Il giovane iniziò a correre avvertendo il terreno che tremava sotto ai suoi piedi.
Per proteggersi dalle schegge si gettò al riparo dietro a un cumolo di macerie. Si rialzò dalla polvere e continuò ad avanzare imperterrito verso la sua meta.
Finalmente riuscì a raggiungere l’edificio diroccato in cui si erano barricati i suoi compagni. Istintivamente salì le scale ed entrò in una delle stanze al primo piano. Lì trovò un ufficiale ad attenderlo.
Il comandante indossava una perfetta divisa dell’IRA, il berretto con lo stemma del Fianna Fáill [4] nascondeva in parte il suo volto. L’uniforme grigio-verde era impeccabile, sulla giacca risaltavano le spalline verde scuro mentre i grandi bottoni d’ottone erano decorati con il classico simbolo dell’arpa. Portava stivali neri e lucidi, il cinturone di pelle stretto in vita metteva in risalto la sua figura snella e slanciata.
Declan si avvicinò di qualche passo, nell’istante in cui incrociò il suo sguardo ebbe un sussulto, aveva riconosciuto immediatamente le sue iridi celesti. Quell’ufficiale all’apparenza sembrava un irlandese, ma in realtà aveva le fattezze del tenente Schneider.
«Soldato O’ Riley, adesso qual è il piano?»
 
 
 


 
Note
 
[1] Partito repubblicano nato dai movimenti indipendentisti irlandesi.
 
[2] Area industriale e agricola ad est di Dublino dove è situata la base principale dell’IAC (Irish Air Corps).
 
[3] Patrick Pearse, Il Ribelle (1915).
 
[4] Lo stemma tradizionale dei Volunteers era un omaggio al primo storico esercito irlandese.

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Capitolo 11
*** Sospetti ***


 
11. Sospetti
 

James attraversò il parco di St. Stephen Green e proseguì verso nord svoltando in Kildare Street. Superò i cancelli e raggiunse quasi di corsa la National Library. Davanti a sé riconobbe la maestosa rotonda e il porticato composto da colonne corinzie.
Il ragazzo entrò nell’edificio ritrovandosi nell’enorme salone, conosceva la strada per raggiungere lo studio del dottor Hales, così salì le scale e si incamminò a passo deciso lungo il corridoio.
La porta era chiusa, Donnelly bussò prudentemente, una voce lo invitò ad entrare.
Quando entrò nella stanza si sorprese nel trovare il suo compagno seduto al tavolo insieme al crittografo.
«Sei in ritardo» lo rimproverò Hart con tono severo.
Il giovane abbassò lo sguardo: «mi dispiace…»
Il tenente ignorò le sue scuse e tornò a rivolgersi al dottor Hales.
«Deve scusare il mio collega per l’interruzione. Il suo racconto è davvero intrigante, dunque come è riuscito a risolvere quell’enigma?»
Il bibliotecario, un uomo sulla quarantina il cui aspetto somigliava vagamente al ritratto giovanile del poeta W. B. Yeats, si aggiustò gli occhiali sul naso.
«Be’, devo ammettere che quella volta non ho dormito per quasi una settimana per trovare la soluzione. Alla fine sono riuscito a decifrare il codice della lettera con un sistema costruito sulla sequenza di parole chiave ripetute»
«La sua competenza nel campo della decrittazione è davvero ammirevole»
«Lei è molto gentile signor tenente, ma io non sono un matematico, non sono un vero esperto in materia»
«I risultati che ha ottenuto dimostrano che lei è più che competente. So che è stato grazie alla sua supervisione che il G2 è riuscito a decifrare le comunicazioni tedesche intercettate dalle vostre stazioni radio»
Hales sorrise: «per quel che posso cerco di rendermi utile»
«L’Intelligence britannica avrebbe bisogno di menti brillanti come la sua»
Il dottore scosse la testa, ma apprezzò i sinceri complimenti dell’ufficiale.
Ancora una volta James fu sorpreso nel notare come l’inglese fosse in grado di entrare in sintonia con qualsiasi interlocutore.
«È riuscito a scoprire qualcosa a riguardo degli ultimi messaggi?» domandò Hart.
Hales tentò di spiegare i problemi che aveva riscontrato in quel caso.
«Ovviamente il codice utilizzato non è mai lo stesso, ciò complica la questione. Una volta trovata una soluzione bisogna ricominciare da capo, per questo per riprodurre ogni schema c’è bisogno di tempo. Trattandosi di comunicazioni brevi composte da poche lettere è ancora più difficile. Per il momento ho tradotto solo uno di quei messaggi»
Radley prese il foglio tra le mani.
«L’Aquila è pronta a spiccare il volo»
James sospirò: «fantastico…un messaggio in codice tradotto con un altro messaggio in codice»
L’ufficiale espose immediatamente la sua interpretazione.
«Be’, direi che questa è solo una prova in più a favore delle nostre teorie»
«Di che stai parlando?»
«Questo dimostra che l’IRA ha pianificato un incontro con un agente dell’Abwehr»
Donnelly si stupì: «come puoi essere certo che si tratti di questo?»
Il tenente rispose con sufficienza.
«L’Aquila…esiste un nome in codice più chiaro di questo per un tedesco?»
James non poté ribattere.
Hart ripose il foglio sul tavolo assumendo un’aria seria e pensierosa.
«Il ritrovamento di queste carte risale a più di una settimana fa…possiamo supporre che ormai L’Aquila sia atterrata»
 
***
 
I due agenti superarono il colonnato e uscirono all’esterno della biblioteca. Il tenente si fermò sulle scale per accendersi una sigaretta.
«Devo dedurre che il tuo appuntamento sia andato bene» commentò espirando una nuvola di fumo.
James restò in silenzio.
Il suo compagno sorrise: «ero certo che avresti seguito il mio consiglio»
«Vuoi che ti dica che avevi ragione?»
«Non sarebbe male, ma non importa. Adesso devi concentrarti sul caso, ricordati che durante le indagini non puoi permetterti alcuna distrazione»
Donnelly si innervosì: «lo so, smettila di trattarmi come un novellino!»
«Non ti tratterò più come un novellino quando tu non ti comporterai più in tal modo» concluse Hart.
James sbuffò, non sapeva per quale ragione stesse cercando di dimostrare qualcosa al tenente, non aveva bisogno dell’approvazione di un inglese.
 
Dopo essere rientrato al Castello Donnelly tentò di chiarire la situazione.
«Dunque L’Aquila è una spia tedesca che l’Abwehr ha inviato in Irlanda grazie all’aiuto dell’IRA?»
Hart confermò quell’ipotesi.
«Quindi questo agente è il nuovo collega dei repubblicani citato nella lettera»
«Sembra che tutto torni» constatò l’inglese.
Il giovane osservò la cartina appesa al muro, il cerchio rosso che indicava la Baia di Moore era ben evidente.
«Continuo ad avere dubbi a riguardo di questo piano» rivelò.
«Ormai è evidente che non si tratta di un falso allarme»
«Ma non abbiamo ancora nessuna certezza»
L’ufficiale britannico affrontò direttamente la questione.
«Che cosa potrebbe accadere se questi accordi dovessero concludersi?»
James provò a immaginare le conseguenze.
«Al confine i tedeschi combatterebbero contro gli inglesi mentre l’IRA darebbe inizio a un’altra guerra civile»
«Sarebbe una vera catastrofe per l’Irlanda»
Lo sguardo di Donnelly si incupì.
«E una probabile sconfitta per l’Inghilterra» aggiunse.
Hart restò impassibile: «in ogni caso è nostro dovere sventare questo attacco»
James si rassegnò, senza dire altro tornò alla sua postazione. Ad attenderlo trovò una pila di fascicoli da analizzare, tutti riguardanti i potenziali sospettati individuati dalla squadra dell’agente Ryan.
 
***
 
Donnelly continuò a pensare al caso anche dopo aver abbandonato gli uffici del Castello. Le indagini procedevano lentamente, ma finalmente sembravano aver trovato la giusta direzione. Gli indizi non erano molti, il tenente Hart però era deciso a portare avanti la sua teoria. Fino a quel momento le prove avevano soltanto confermato le sue ipotesi.
La presenza di una spia tedesca in territorio irlandese era decisamente preoccupante, così come la possibilità di un’imminente invasione.
«Qualcosa non va?»
James tornò alla realtà avvertendo la dolce voce di Julia.
«Scusami…è stata una giornata impegnativa al lavoro»
Lei spostò lo sguardo sulla sua divisa, ma non osò porre alcuna domanda. Sapeva che in ogni caso egli non avrebbe potuto rispondere.
James la rassicurò con un sorriso, poi le porse il braccio per proseguire la loro passeggiata.
Julia si strinse a lui, al suo fianco riusciva sempre a sentirsi al sicuro.
La coppia attraversò Ha'penny Bridge e sostò sul ponte per ammirare il panorama di Dublino alla calda luce del tramonto.
James accolse la ragazza tra le sue braccia e la guardò negli occhi. Sfiorò delicatamente il suo viso, ancora una volta restò ammaliato dalla sua bellezza e dalla sua innocenza. Per un po’ si perse nei suoi pensieri, lentamente il suo sguardo si rattristò. Poteva trovare conforto in quei fugaci momenti di pace e serenità, ma in fondo sapeva che all’ombra di quella guerra le sue speranze erano destinate e restare vane illusioni.
 
***
 
Il mattino seguente il tenente Hart rientrò nel suo ufficio con una cartella tra le mani e un’espressione soddisfatta sul volto.
«Finalmente sono giunte buone notizie!»
James gli rivolse un’occhiata interrogativa in attesa di avere maggiori informazioni.
«Suppongo che tu sappia che la Garda sta perlustrando le campagne in cerca dei rifugi dell’IRA…»
«Sì, sono al corrente della situazione»
«I poliziotti non hanno avuto fortuna con i ribelli, ma hanno trovato qualcosa di interessante per noi»
«Che cosa?» chiese Donnelly avvicinandosi.
Il tenente aprì il fascicolo sul tavolo e mostrò un paio di fotografie al giovane collega.
La prima immagine raffigurava un paracadute attorcigliato tra gli arbusti, la seconda invece mostrava un brandello di divisa.
«Entrambe le prove sono state trovate nella valle di Glencree. Il paracadute era nascosto in un bosco vicino al villaggio, il pezzo di stoffa invece è stato rinvenuto sulle sponde del fiume»
«Di che si tratta esattamente?» chiese Donnelly cercando di esaminare i dettagli del reperto dalla foto in bianco e nero.
«È la spallina di un’uniforme della Luftwaffe. Per la precisione i gradi appartengono a un tenente» spiegò Hart.
James esternò i suoi dubbi.
«Non è detto che sia per forza la nostra spia. Potrebbe sempre trattarsi di un pilota che si è paracadutato da un aereo in avaria. La scorsa settimana un velivolo tedesco è precipitato nella Contea di Meath»
«Non è stato segnalato alcun incidente in quest’aera»
Donnelly restò perplesso: «l’aereo potrebbe essere caduto in mare»
Hart non era convinto che quel tenente potesse essere solo un aviatore sventurato, ma senza ulteriori prove fu costretto ad essere obiettivo.
«In ogni caso è confermata la presenza di un ufficiale tedesco in territorio irlandese, le autorità hanno il dovere di trovarlo e arrestarlo»
 
***
 
Il tenente Hart si occupò di scrivere un meticoloso rapporto per l’MI5, non poteva tralasciare alcun dettaglio per i suoi superiori. Sapeva che in Inghilterra attendevano con ansia sue notizie, l’Intelligence era impaziente di poter catturare una spia tedesca. Radley era consapevole di non poter fallire, quello era di certo l’incarico più importante della sua carriera, c’era in gioco la sorte della guerra, non avrebbe avuto un’altra possibilità.
L’ufficiale britannico era immerso in quei pensieri quando ad un tratto avvertì dei battiti alla porta.
Egli alzò lo sguardo dal foglio e diede il permesso di entrare.
Un uomo in borghese si presentò sulla soglia.
«Oh, mi scusi. Credevo che questo fosse l’ufficio del sottotenente Donnelly…»
«Non ha sbagliato, ma al momento il mio collega non è qui» spiegò Hart.
Il nuovo arrivato si sorprese nel riconoscere la divisa del tenente.
«Dunque lei è il misterioso agente dell’MI5, credevo che la sua presenza al Castello fosse soltanto una diceria»
«Adesso sa che sono davvero qui»
Egli si avvicinò: «è un piacere conoscerla, sono il detective Paul Sullivan»
L’inglese gli strinse la mano presentandosi a sua volta.
«Posso fare qualcosa per lei?»
Il detective decise di non sprecare quell’occasione.
«In effetti un parere esterno potrebbe essere utile per le mie indagini»
«Di che cosa si sta occupando?»
«A dire il vero si tratta di una questione piuttosto delicata e…pericolosa»
 «Sono un agente segreto, sono abituato a casi del genere» replicò l’inglese.
Sullivan parve compiaciuto da quella risposta.
«All’interno del G2 potrebbe trovarsi un traditore, è mio dovere far luce sulla faccenda» rivelò.
Hart fu colpito da quelle parole, ma riuscì a restare impassibile di fronte al suo interlocutore.
«Si tratta di accuse davvero gravi»
«L’Unità Speciale ha valide ragioni per sospettare dei servizi segreti. Negli ultimi tempi l’IRA ha dimostrato di essere a conoscenza di informazioni estremamente riservate. I militanti non avrebbero mai potuto prevedere le nostre mosse senza un infiltrato. L’omicidio dell’agente Ryan ne è la prova»
«Ho letto il rapporto dell’accaduto e devo ammettere che anche io avevo formulato questa ipotesi. È probabile che i militanti sapessero di essere sorvegliati e abbiano teso una trappola per gli agenti del G2»
«Anche lei pensa che potrebbe esserci un traditore all’interno del Castello?»
Il tenente esternò i suoi pensieri: «l’IRA si è sempre servita delle sue spie»
«Già…l’Intelligence britannica ha molta esperienza a riguardo»
«Abbiamo imparato dagli errori commessi durante la Guerra d’Indipendenza»
«Si sta riferendo ai fatti riguardanti la Cairo Gang [1]?»
«Quello è stato sicuramente il più grande fallimento dell’MI5 in Irlanda» ammise Hart.
«Le spie dell’IRA riuscirono a identificare e rintracciare tutti gli agenti…poi sappiamo bene cosa è successo e in che modo vi siete vendicati»
«Quei militanti erano degli assassini»
«Eravamo in guerra, siete stati voi a coinvolgere degli innocenti» precisò Sullivan.
«Non difendo in alcun modo i responsabili del massacro di Croke Park [2]»
«Ed io non intendo incolparla per un crimine commesso dai suoi connazionali vent’anni fa»
Seguì un breve momento di silenzio.
«Quel che volevo dire, senza rammentare spiacevoli eventi del passato, è che la sua collaborazione potrebbe rivelarsi fondamentale» disse Sullivan per allentare la tensione.
«Ha altre prove che possano avvalorare l’ipotesi del traditore?»
«Niente di decisivo, ma dopo l’attentato alle caserme McKee non sembrano esserci molti dubbi»
«Mi è stato riferito che si è trattato di un atto di vendetta per la morte di due prigionieri»
«Oppure potrebbe essere stato un tentativo per distogliere l’attenzione dal Castello e rallentare le indagini»
Hart rifletté sulla situazione.
«La questione riguarda anche la sua sicurezza» continuò Sullivan.
Il tenente non parve preoccuparsi a riguardo.
«Conosco i rischi del mestiere, non sarei qui se avessi paura dei criminali dell’IRA»
«Certo, ha ragione. In ogni caso mi sento in dovere di avvertirla di tenere gli occhi aperti e guardarsi le spalle»
«La ringrazio per aver mostrato interesse per la mia incolumità»
«È anche mio dovere proteggerla»
Hart era consapevole di essere un potenziale bersaglio per l’IRA in quanto ufficiale britannico e agente dell’MI5, ma questo non gli aveva mai impedito di portare avanti il suo lavoro. Era certo di poter gestire la situazione, era sempre stato in grado di riconoscere e affrontare il pericolo.
La solidarietà di Sullivan sembrava sincera, nelle sue condizioni la sua presenza poteva risultare preziosa.
Alla fine di quei ragionamenti il tenente tornò al loro discorso.
«Per quale motivo stava cercando il sottotenente Donnelly?»
«Solo per una formalità. Il mio superiore mi ha chiesto di eliminare il suo nome dalla lista dei sospettati, ma prima di escludere qualcuno dalle indagini voglio essere sicuro. Tornerò a interrogarlo un’altra volta»
«Donnelly è un agente onesto e leale» affermò Hart con piena convinzione.
Sullivan fu sorpreso dal modo in cui l’inglese aveva prontamente difeso il suo compagno.
«Come sa non posso fare alcuna eccezione, finché non avrò prove concrete il suo collega resterà un sospettato come tutti gli altri»
 
***
 
Donnelly trovò la porta chiusa, bussò più volte, ma non rispose nessuno.
Il giovane tornò nell’altra stanza. Ad una scrivania, chinato sulle sue scartoffie, riconobbe l’agente Flanagan, un collega della Sezione britannica.
«Sai dove posso trovare il capitano Kerney?»
Egli rispose prontamente: «al momento non può essere disturbato, è in riunione»
Donnelly guardò l’orologio: «che strano, di solito il capitano è preciso con gli appuntamenti»
«In effetti si tratta di un’assemblea fuori programma. Deve essere importante, partecipano anche gli ufficiali superiori della Sezione britannica»
James si incuriosì: «tu sai qualcosa a riguardo?»
Flanagan aveva un’alta considerazione del suo compagno, che vedeva anche come un buon amico. Si conoscevano dal primo giorno di accademia e avevano lavorato insieme in diverse occasioni, così non esitò a confidarsi con lui.
«Be’, sembra che l’Irlanda sia intenzionata a stringere accordi con l’Inghilterra»
«Che genere di accordi?»
«Suppongo che si tratti di un piano di emergenza, nel caso in cui di tedeschi dovessero invaderci»
James sussultò: «chi ha parlato di invasione?»
«L’MI5, gli inglesi credono che lo sbarco sia imminente»
Donnelly pensò all’agente Hart.
«Credevo che noi fossimo neutrali» disse esternando delusione e preoccupazione.
«Non ci sono certezze con questa guerra, dobbiamo essere pronti per ogni evenienza»
«Dovremmo affidarci agli inglesi?»
«Soltanto per quel che riguarda un supporto militare»
«E se mentre noi pensiamo a proteggere il Sud dai tedeschi gli inglesi decidessero di invadere il Nord?»
«Un’ipotesi alquanto improbabile»
«Per l’Inghilterra questa guerra potrebbe essere la giusta occasione per riaffermare il suo potere in Irlanda»
«Gli inglesi non hanno intenzione di invaderci» lo rassicurò Flanagan.
«Hanno invaso la Norvegia» ricordò James.
«Per motivi differenti. L’Inghilterra ha sempre rispettato il Trattato, non ha motivi per tradire la nostra alleanza»
«E se il vero scopo di questi accordi fosse la riunificazione con la Corona?»
«Gli inglesi devono unire tutte le loro forze per difendere la Patria, il miracolo di Dunkirk non si ripeterà. L’ultima cosa di cui hanno bisogno è un altro fronte su cui combattere»
Donnelly si impensierì.
«Preferiresti che fossero i tedeschi a vincere la guerra?» chiese Flanagan.  
Il giovane scosse la testa: «il mio unico dovere è servire l’Irlanda» 
Il suo compagno lo incoraggiò con un sincero sorriso: «maith an buachaill [bravo ragazzo]»
Donnelly comprese le sue buone intenzioni, ma quella scoperta risvegliò in lui una profonda inquietudine.
 
James uscì in cortile e salutò meccanicamente le guardie al cancello. Decise di attraversare il parco, aveva bisogno di camminare per schiarirsi le idee.
Ancora non poteva credere che il Governo irlandese avesse deciso di scendere a compromessi con l’Inghilterra. La Nazione si trovava in una posizione difficile e delicata a causa del conflitto, ma permettere alle truppe inglesi di occupare il territorio irlandese era sempre tradimento. Era davvero necessario mettere in pericolo l’Indipendenza in nome della guerra?
Il piano d’emergenza per la difesa dell’Irlanda avrebbe potuto essere soltanto un inganno. L’Inghilterra non era un male minore rispetto alla Germania, ne erano prova settecento anni di schiavitù.
Il giovane tentò di calmarsi, quella situazione stava diventando sempre più difficile da sopportare, ma riconosceva l’importanza della sua missione.
Credeva davvero in ciò che aveva detto a Flanagan, il suo dovere era servire l’Irlanda.
James prese un profondo respiro, non poteva più ignorare la verità: Hart era coinvolto in tutto questo.
 
 
 
 
 
 
 
Note
 
[1] La “Cairo Gang” era una rete di spie dell’MI5 che aveva il compito di indagare sui membri sospetti dell’IRA durante la Guerra d’Indipendenza. Probabilmente il nome dell’organizzazione deriva dal loro luogo d’incontro: il Café Cairo di Dublino.
Gli agenti della Cairo Gang furono identificati dal controspionaggio dell’IRA e giustiziati dai militanti.
 
[2] Il 21 novembre 1920 a Croke Park si disputò una partita di calcio tra le squadre di Dublino e Tipperary. Durante questo evento la polizia britannica irruppe nello stadio sparando sulla folla come spedizione punitiva contro le azioni dell’IRA. Questa giornata di violenza viene ricordata ancora oggi come Bloody Sunday.

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Capitolo 12
*** Blackout ***


Come sempre ringrazio i cari lettori che non si sono ancora stancati di questa storia. Spero che la vicenda possa continuare a intrattenervi e interessarvi.
Un ringraziamento speciale ai gentili recensori.
 
12. Blackout
 

Dopo gli ultimi avvenimenti anche Charles era stato costretto a nascondersi, aveva abbandonato la sua villa nell’elegante quartiere di Rathgar e si era rintanato in un rifugio sicuro. Nell’area di Dublino il G2 aveva arrestato un gran numero di militanti e collaboratori con un preoccupante aumento di controlli e retate.  
Le leggi approvate autorizzavano l’arresto e l’internamento di chiunque potesse essere considerato un pericolo per la sicurezza dello Stato. Ovviamente i repubblicani erano i primi della lista.
Il capitano Maguire avvertì un’intensa sensazione di nausea e disgusto, quella di certo non era la Repubblica a cui aspiravano i grandi patrioti. Lo spettro dell’Inghilterra sembrava ancora risiedere al comando della Nazione.
Il comandante si guardò intorno notando soltanto lo squallore di una fredda stanza buia e polverosa. Aveva rinunciato a tutto per quella guerra, ma in fondo ciò non aveva importanza. Finché poteva contare sul supporto dei suoi valorosi compagni non aveva bisogno di nient’altro.
Inevitabilmente ripensò a Declan, in tutto quel tempo non aveva mai smesso di preoccuparsi per lui.
Si era pentito per aver preteso tanto da quel giovane, avrebbe dovuto proteggerlo e non coinvolgerlo in quella pericolosa faccenda. Aveva ammirato la fedeltà che egli aveva dimostrato nei suoi confronti, sapeva che il ragazzo aveva accettato quell’incarico soltanto per non deluderlo.
Ricordava bene le sue parole: voglio soltanto continuare a combattere al tuo fianco.
Quell’affermazione l’aveva davvero colpito, era la prova che Declan vedeva sempre in lui un punto di riferimento e che il loro rapporto era davvero intenso e sincero. Non sarebbe stata quella guerra a rovinare un legame così intimo e profondo…almeno così voleva sperare.
O’ Riley era stato disposto a scendere a compromessi con la sua morale per servire l’IRA, e questo era stato un atto davvero lodevole. In quel momento Maguire si era reso conto di non avere più a che fare con una recluta irrequieta, ma con un soldato determinato a compiere il suo dovere.
Il comandante non aveva mai dubitato della volontà e del coraggio del suo sottoposto, il quale più volte aveva dimostrato di essere pronto a tutto per il bene della Patria.
Charles si abbandonò ai ricordi, nella sua mente rivisse il momento del loro primo incontro.
 
A quel tempo Maguire aveva da poco assunto un ruolo di comando nella Dublin Brigade. Era stato onorato di ricoprire quell’incarico e come giovane ufficiale era pronto a dimostrare il suo valore.   
Tra i suoi compiti come caposquadra c’era anche quello di valutare le nuove reclute, così una sera si era ritrovato a ricevere Declan nel suo studio.
Charles si era portato la sigaretta alle labbra ed espirando una nuvola di fumo si era avvicinato al ragazzo, il quale era rimasto seduto al centro della stanza, immobile come una statua.
«Dunque…per quale motivo vorresti unirti all’IRA?» aveva iniziato il comandante.
Declan aveva risposto prontamente con estrema convinzione.
«Per combattere contro le ingiustizie e liberare l’Irlanda dall’oppressione britannica»
Maguire aveva scosso la testa.
«Sei stato ben indottrinato dai discorsi del Sinn Féin…la gente parla, ma quando è il momento di agire sono in pochi a dimostrare di essere davvero disposti a cambiare le cose. Dico bene?»
Il ragazzo aveva annuito d’istinto, inizialmente si era mostrato intimido dalla figura autoritaria dell’ufficiale. Charles l’aveva squadrato dalla testa ai piedi con uno sguardo attento e indagatore. Aveva notato il suo aspetto trasandato, il giovane indossava abiti sgualciti e una giacca rattoppata. I capelli castani, quasi rossicci, erano arruffati sotto al berretto. Sul suo volto pallido e scarno erano evidenti i segni dalla fame e dalla fatica.
«Tu non sembri uno di quegli studenti annoiati che vengono qui solo per provare il brivido di stringere una pistola» aveva constatato con un sospiro di sollievo.
«Sono un operaio del Liberties»
«Oh, un figlio del popolo» aveva commentato Maguire.
O’ Riley aveva replicato: «non sono comunista»
«Allora sei un vero repubblicano, democratico e socialista»
«La lotta tra partiti non mi interessa. Voglio solo combattere per la Libertà della mia Patria»
Il comandante non si era stupito per quella risposta.
«Capisco. Immagino che tu abbia qualcuno all’interno dell’IRA…un fratello?» aveva ipotizzato.
«No, i miei fratelli non sono coinvolti. Mio padre ha combattuto contro gli inglesi, ma dopo il Trattato ha abbandonato gli ambienti repubblicani. Non ha mai parlato del suo passato, di certo non approverebbe la mia decisione di volermi unire all’IRA»
«Be’, tuo padre sa cosa significa essere un soldato dell’IRA, se non vuole questo per te è perché desidera proteggerti. Sei davvero sicuro di voler prendere questa decisione?»
O’ Riley non aveva esitato prima di rispondere: «sì signore»
«Tutto questo non è un gioco. Per prendere parte a questa battaglia bisogna essere disposti ad uccidere, e se necessario anche a morire»
«Ne sono consapevole»
«L’IRA ha bisogno di veri soldati e non di ragazzini infervorati da vani ideali»
«Lo so signore, se non fossi realmente determinato a lottare per la Causa non sarei qui»
L’ufficiale aveva riflettuto qualche istante, aveva guardato quel giovane negli occhi, nelle sue iridi smeraldo aveva riconosciuto una luce di speranza per la Patria.
Così alla fine aveva deciso di concedergli una possibilità e di metterlo alla prova nella sua squadra.
Declan aveva manifestato il suo entusiasmo con un sincero sorriso.
«La ringrazio per questa opportunità…non la deluderò, promesso!»
Charles non aveva avuto alcun dubbio a riguardo.
 
Maguire si riprese da quei pensieri tornando alla realtà. Entro poche ore Declan avrebbe ricevuto il suo messaggio, la consapevolezza che a breve avrebbe potuto rivedere il suo compagno lo rassicurò.
Non aveva voluto rivelare nulla a riguardo di quell’incontro, preferiva parlare con l’amico di persona. Aveva buone notizie per lui, di certo sarebbe stato lieto di sapere che presto avrebbe potuto liberarsi da quell’ingrato incarico.
 
***
 
Declan voltò lo sguardo verso il corridoio, la porta della stanza del tenente Schneider era rimasta chiusa. Quella sera il tedesco si era ritirato senza tormentarlo con le sue solite domande.
O’ Riley pensò che fosse meglio così, almeno quella volta non avrebbe dovuto sopportare altri discorsi riguardanti quella pericolosa alleanza.
Sapeva che lo scopo dell’agente segreto era soltanto quello di captare informazioni per l’Abwher, ma egli era sembrato davvero interessato alla storia e alle dinamiche dell’IRA. Non aveva mai percepito falsità nelle sue parole, persino i suoi commenti di stima e rispetto per i militanti gli erano parsi sinceri.
Declan scosse la testa, si sentì un idiota, era ovvio che una spia fosse in grado di fingere e mentire senza destare alcun sospetto. D’altra parte Schneider aveva già ottenuto la protezione dell’IRA, e lui era soltanto un soldato, dunque non aveva alcuna necessità di mostrarsi così accondiscendente nei suoi confronti.
Il giovane si trovò tormentato da questi dubbi.
Inevitabilmente ricordò i sogni della notte precedente, le parole del tenente avevano avuto il loro effetto, questo non poteva negarlo. Probabilmente si era lasciato suggestionare da quei discorsi, le proiezioni della sua mente però avevano riportato alla luce timori e preoccupazioni che erano rimaste nel profondo del suo animo.
Una parte di sé avrebbe voluto credere che la Germania potesse essere davvero una speranza per l’IRA, ma allo stesso tempo temeva che quegli accordi avrebbero potuto tramutarsi in una terribile condanna per la Repubblica.
Quei pensieri divennero sempre più opprimenti, il giovane fu costretto a rassegnarsi. In ogni caso non sarebbe stato lui a decidere il destino dell’Irlanda. Se i suoi superiori avessero ritenuto opportuno allearsi con la Germania egli non avrebbe potuto impedirlo. Tutto ciò che poteva fare era restare fedele a se stesso e continuare a combattere per la sua Nazione, con o senza i tedeschi.
Declan tornò a fissare la porta chiusa provando una strana sensazione, un misto di inquietudine e solitudine. 
 
***
 
Schneider si sdraiò sul materasso e poggiò la testa sul cuscino, avrebbe dovuto approfittare di quelle ore di riposo, ma pensieri e preoccupazioni gli impedirono di abbandonarsi a un sonno ristoratore.
Stava iniziando a mal sopportare quella sorta di prigionia, di certo non aveva intenzione di trascorrere il suo tempo a Dublino come ostaggio dell’IRA. Poteva comprendere le ragioni per cui il capitano Maguire avesse deciso di prendere i dovuti provvedimenti, ma quell’attesa stava cominciando a insospettirlo.
Hans sapeva di non avere scelta, dimostrare di non fidarsi dell’IRA era soltanto il modo più stupido per fallire nella sua missione.
In quella situazione gli irlandesi avevano il coltello dalla parte del manico, non poteva fare nulla a riguardo.
Il giovane si rigirò nelle coperte, per un pilota non avere il controllo della situazione era decisamente frustrante.
Il tenente ripensò alle regole che l’Hauptmann Seidel gli aveva rigidamente ricordato prima della sua partenza. In particolare si soffermò sulla prima: non poteva fidarsi di nessuno.
Da quando aveva raggiunto il territorio irlandese si era affidato soltanto ai contatti dell’Abwehr, e anche in caso di emergenza si era sempre attenuto ai piani. L’unico imprevisto era stato Declan.
Razionalmente non avrebbe dovuto fidarsi di lui, eppure non l’aveva mai considerato come una possibile minaccia. O’ Riley aveva dimostrato in più occasioni di essere un soldato onesto e leale, Schneider non aveva motivi per dubitare di lui: quel militante era il suo unico alleato.
 
***
 
La visita del messaggero dell’IRA era stata simile all’apparizione di uno spettro. Hans aveva avvertito dei rumori sospetti nel mezzo della notte, immediatamente si era allarmato ed era corso ad avvertire il suo compagno.
Quando era giunto nell’altra stanza aveva trovato Declan già in allerta, l’intruso aveva lasciato scivolare un foglio sotto alla porta, poi si era dileguato scendendo rapidamente le scale. Schneider si era affacciato alla finestra, ma era riuscito a scorgere soltanto un’ombra.
 
Il tenente ripensò all’accaduto, era successo tutto così in fretta che senza la prova del messaggio avrebbe creduto di aver sognato ogni cosa. Quell’incursione notturna si era rivelata essere un falso allarme, ma almeno aveva avuto la prova che in caso di pericolo sia lui sia il suo compagno avrebbero saputo agire per tempo.   
Schneider era immerso in questi pensieri quando Declan ricomparve in salotto manifestando una certa agitazione.
«Hai ricevuto nuovi ordini?» domandò l’ufficiale riferendosi alla lettera.
L’irlandese rispose con tono serio: «il capitano Maguire vuole vederti»
Hans fu lieto di sentire quelle parole.
«Bene, quando avverrà l’incontro?»
«Questa notte, il punto di ritrovo è il rifugio del comandante»
Schneider provò un brivido di eccitazione all’idea di poter finalmente uscire da quelle mura.
«Immagino di non poter avere altre informazioni…»
«Per il momento no»
Hans aveva facilmente previsto la risposta, anche quella volta doveva sottostare al volere dell’IRA, ma la cosa non parve preoccuparlo. Presto avrebbe potuto confrontarsi con il capitano Maguire a riguardo di quegli accordi come era previsto dai piani dell’Abwehr, questo era l’importante.
 
Declan si preparò per quella missione con insolita esitazione. Era sempre tormentato da dubbi e incertezze.
Fino a quel momento aveva agito soltanto per senso del dovere, ma ormai non poteva più ignorare la verità, quella faccenda lo stava coinvolgendo sempre di più. Aveva iniziato a mettere in discussione la sua integrità, tutto questo a causa di un tedesco. Era perseguitato dai sensi di colpa, in qualche modo sentiva di aver tradito se stesso accettando quelle condizioni. La sua fedeltà nei confronti degli ideali repubblicani non era mai vacillata, ma a questa si era aggiunta una nuova e pericolosa consapevolezza.
O’ Riley prese un profondo respiro, il suo unico ruolo in quella vicenda era rispettare la volontà dell’IRA. Il giovane strinse la pistola tra le dita, il suo dovere era proteggere il tenente Schneider, e anche quella volta come un buon soldato avrebbe eseguito gli ordini.
 
***
 
Declan scese silenziosamente le scale, Hans lo seguì come un’ombra. L’irlandese raggiunse la porta sul retro dell’edificio e con un gesto quasi impercettibile fece scattare la serratura. L’unico rumore che si udì fu lo stridio dei vecchi cardini.  
I due sgusciarono fuori dall’abitazione preoccupandosi di non lasciare alcun segno del loro passaggio.
O’ Riley attraversò il giardino abbandonato cercando di farsi spazio tra rovi ed erbacce. Il tenente riuscì appena a riconoscere la sagoma del suo compagno che avanzava nel buio. Anch’egli arrancò tra le sterpaglie, non poteva vedere nemmeno dove metteva i piedi, si fermò appena in tempo per evitare di cadere in un cespuglio spinoso.
Declan si arrampicò sulle sbarre metalliche e con agilità scavalcò il cancello. Il tedesco lo imitò con gesti più lenti e incerti, dopo la sua ultima esperienza preferì procedere con cautela.
Con un salto si ritrovò sul lato opposto, la strada era avvolta dall’oscurità e dal silenzio.
O’ Riley non perse tempo e riprese immediatamente il cammino. Il tenente inizialmente si sforzò di ricordare il percorso, ma ben presto perse l’orientamento in quel groviglio di strade apparentemente tutte uguali tra loro.
Hans notò che il suo compagno sapeva come muoversi nella notte, di certo conosceva bene la città e i suoi segreti.
 
L’Irlanda aveva dichiarato lo stato di Emergenza, da poche settimane era entrato in vigore l’obbligo di blackout. In realtà non si trattava di un vero e proprio oscuramento, le regole comprendevano restrizioni e limitazioni. Dopo il tramonto Dublino non restava abbandonata al buio totale come le città europee e britanniche, le strade erano scarsamente illuminate, i mezzi circolanti erano autorizzati ad utilizzare unicamente le luci esterne, ovunque le finestre erano coperte da tende oscuranti.
In quel caso Hans fu grato alle leggi del Governo irlandese, la scarsa visibilità giocava a suo favore. Doveva però considerare anche i lati negativi. Nella capitale non era previsto alcun coprifuoco, questo doveva aver portato ad un aumento dei controlli, di certo la polizia aveva intensificato la vigilanza. 
Schneider rifletté sulla situazione, accelerò il passo e si affiancò al suo compagno per interrogarlo.  
«Per quale motivo uno Stato neutrale ha bisogno di un blackout
«Sono soltanto misure di precauzione»
«Vi state preparando alla guerra?»
Declan sospirò: «è colpa degli inglesi, sono loro ad alimentare questa paranoia con la propaganda unionista»
Hans scosse la testa con disapprovazione, l’Abwehr gli aveva mostrato alcuni di quei manifesti in cui i soldati tedeschi erano rappresentati come barbari invasori.
«Se può rassicurarti molti irlandesi non credono agli inglesi»
Hans si sorprese per quella risposta, seppur indirettamente Declan aveva dimostrato solidarietà nei confronti dei tedeschi. 
 
Si stavano allontanando dall’area costiera, ma con il vento che soffiava da est potevano avvertire ancora l’aria di mare.
La stradina che avevano imboccato conduceva ad un giardino circondato da alte mura in pietra, il cancello in ferro battuto era aperto. I due passarono sotto ad un arco ogivale sormontato da una solida struttura triangolare. Hans alzò lo sguardo, una scritta in latino era stata incisa su una targa ormai illeggibile.
Il giovane seguì il perimetro restando rasente alle mura, il sentiero proseguiva nell’oscurità. Al chiarore di luna riconobbe le rovine di una vecchia chiesa. Il tetto era crollato, restava lo scheletro di un modesto campanile, le enormi finestre sulle pareti laterali erano sbarrate da grate arrugginite, la facciata principale era l’unico elemento rimasto completamente intatto.
L’intera costruzione in pietra era avvolta da edere e rampicanti. A lato della chiesa si trovava un antico cimitero, dal terreno spuntavano decine lapidi storte ed erose dal tempo.
Hans fu scosso da un brivido di freddo, quel macabro scenario gli riportò alla mente ambientazioni gotiche e storie di fantasmi.
O’ Riley girò intorno all’edificio e si inoltrò nel camposanto. Il tedesco si guardò intorno con circospezione, non era solo quell’atmosfera suggestiva a inquietarlo. Doveva sempre mantenere alta la guardia, anche se quel luogo sembrava del tutto deserto e abbandonato.
Declan proseguì senza alcun indugio, a metà strada si fermò per aspettare il suo compagno. Hans si avvicinò all’irlandese acquattandosi dietro ad una gelida lapide.
«Dovevamo per forza attraversare un cimitero?»
«Questo è il percorso più breve e sicuro» rispose l’altro in modo pragmatico.
Schneider non poté ribattere, il suo compagno era già sgusciato via nell’oscurità.
 
Il tenente si aggrappò all’estremità del muretto e con una spinta superò anche quell’ostacolo. Per quanto fosse più rischioso fu lieto di tornare per le vie della città.
Hans si accorse che si stavano avvicinando al centro, i vicoli tortuosi si alternavano a strade più ampie, mentre le villette in mattoni circondate dal verde erano state sostituite da palazzi a più piani accostati uno all’altro. I locali avevano chiuso da tempo, i cittadini riposavano nella quiete della notte. Tutto era avvolto dal buio e dal silenzio.
Schneider continuò a seguire Declan muovendo cautamente ogni passo.
O’ Riley si soffermò ad un angolo, si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse alcun pericolo, poi riprese ad avanzare. Stava per uscire allo scoperto, ma all’improvviso fu fermato dal suo compagno. Hans l’afferrò prontamente per un braccio e lo bloccò all’interno del vicolo.
L’irlandese non comprese il motivo del suo gesto, era sul punto di protestare, ma Schneider lo incitò al silenzio. Seppur contrariato fu costretto ad obbedire.
Il tenente rafforzò la presa trattenendo O’ Riley al suo fianco. Entrambi si rannicchiarono contro al muro, uno accanto all’altro.
Declan sussultò percependo la vicinanza del tedesco, poté avvertire il calore emanato dal suo corpo e il ritmo del suo respiro. Egli si voltò leggermente ritrovandosi con il suo viso a pochi centimetri di distanza. Hans era in allerta con i nervi tesi e i muscoli contratti, il suo sguardo era fisso sul fondo della strada.
O’ Riley notò le sue iridi celesti brillare nel buio.
Il giovane si domandò cosa avesse avvertito il suo compagno e pensò a come avrebbe potuto agire, ma non avendo modo di prevedere la situazione non fu in grado di prendere alcuna decisione. Strinse la pistola tra le dita, preparandosi ad ogni evenienza.
Declan si accorse di star tremando, per un soldato esperto come lui non doveva essere difficile mantenere il sangue freddo in situazioni del genere, evidentemente la causa di quel nervosismo non era l’imminente pericolo.
Ad un tratto il rombo di un motore irruppe nella quiete notturna. Comparvero le luci dei fari, poco dopo un’automobile della Garda svoltò l’angolo. Il veicolo di pattuglia si avvicinò lentamente.
Declan trattenne il respiro, istintivamente si appiattì contro alla parete, stringendosi ancor più al tenente.
La Ford nera si fermò in mezzo alla strada, dalla sua postazione O’ Riley poté intravedere le sagome dei due poliziotti. Quegli istanti sembrarono durare all’infinito.
L’auto ripartì, avanzò a passo d’uomo accanto al marciapiede, superò il loro nascondiglio, e infine si allontanò per svanire oltre all’incrocio.
Il silenzio tornò a regnare nelle vie deserte.
I due restarono immobili ancora per qualche istante, poi Schneider mollò la presa e si distaccò dal suo compagno.
Declan, ancora scosso dall’accaduto, si poggiò al muro per rialzarsi. Gli mancava l’aria, il cuore sembrava esplodere nel suo petto.
«Avanti, dobbiamo andare!»
La voce di Hans lo riportò alla realtà. Il giovane si fece forza e tornò focalizzato sul suo obiettivo. Per fortuna non mancava ancora molto alla meta. I due ripresero la loro corsa, attraversarono la strada e scomparvero nuovamente nell’oscurità.

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Capitolo 13
*** Il capitano Maguire ***



13. Il capitano Maguire
 

Quella zona sembrava ancora più oscura e silenziosa rispetto al resto della città. Hans continuò a seguire il suo compagno svoltando in un vicolo angusto e deserto.
L’irlandese era diretto verso un edificio apparentemente abbandonato, Schneider scorse l’insegna sulla quale era stata dipinta la scritta Fleming’s Pub. I due raggiunsero il retro del locale, Declan si fermò davanti al portone e bussò con colpi secchi e decisi. La serratura scattò, ma la catena rimase bloccata.
Un uomo vestito di nero comparve nello spiraglio aperto.
«Parola d’ordine?» chiese lo sconosciuto con aria sospettosa.
O’ Riley rispose prontamente: «Róisín Dubh»
Il militante permise ai due di entrare, poi richiuse la porta alle loro spalle. Hans notò che nella mano destra stringeva una rivoltella Enfield.
«Per quale motivo siete qui?» 
«Il capitano Maguire ci sta aspettando» spiegò Declan.
L’uomo rivolse lo sguardo al tenente, aveva intuito che egli doveva essere estraneo all’IRA.
«Aspettate qui, vi consiglio di non allontanarvi, ovviamente siete sorvegliati»
Hans alzò la testa, nella penombra riconobbe un'altra figura armata appostata sulle scale.  
«Il tuo comandante è ben protetto» commentò a bassa voce.
Anche Declan fu sorpreso da ciò, sul suo viso comparve un’espressione preoccupata. Se Maguire temeva così tanto per la sua incolumità doveva trovarsi davvero in una situazione di effettivo pericolo.
Schneider approfittò di quell’attesa per soddisfare la sua curiosità.
«Che cosa significa Róisín Dubh?» domandò riferendosi alla parola d’ordine.
«La rosa nera. È un antico poema patriottico mascherato da sonetto romantico. Il poeta esprime il suo amore per una fanciulla rivolgendosi a lei con il nome di Róisín Dubh. In realtà i suoi sentimenti non sono per una donna, ma per l’Irlanda. Così la rosa nera è diventata un simbolo per i ribelli»
«È una storia davvero affascinante»
«Già…il passato di questa Nazione non è stato segnato solamente da episodi violenti e sanguinari»
I due avvertirono il rumore di alcuni passi al primo piano, poco dopo l’uomo vestito di nero tornò da loro.
Egli si rivolse a Schneider: «il capitano Maguire è pronto a riceverla»
Declan era intenzionato a seguire il suo compagno, ma il militante lo bloccò.
«Il comandante vuole solo il tedesco» chiarì.
O’ Riley non protestò, seppur contrariato fu costretto ad obbedire alla volontà del suo superiore. Il giovane restò immobile ad osservare il tenente sparire sulle scale.
 
Hans salì i gradini e percorse pochi passi lungo lo stretto corridoio. L’uomo che l’aveva accompagnato gli indicò una porta. Schneider si avvicinò, non ebbe nemmeno bisogno di bussare, una voce forte e decisa lo invitò ad entrare. Il giovane prese un profondo respiro, aveva tanto atteso quel momento, era pronto ad affrontare quell’incontro.
Hans si ritrovò in un piccolo studio, nella penombra riconobbe una figura in piedi al centro della stanza. Immediatamente riconobbe il volto di Maguire, egli aveva l’aspetto di un borghese di buona famiglia, era evidente la sua appartenenza ad una classe sociale privilegiata. La sua indole da intellettuale però non era in contrapposizione alla sua vera identità come ufficiale di un’organizzazione militare clandestina.
Maguire si presentò con una cordiale stretta di mano.
«Dunque lei è Der Adler»  
Il tedesco annuì.
«Suppongo che in queste circostanze possa rivolgermi a lei in quanto tenente Schneider»
«Sì, certamente»
Charles si mostrò gentile e disponibile nei confronti del nuovo arrivato.
«Sono lieto di poterla conoscere finalmente. Ammetto che ero curioso di vedere di persona una spia tedesca»
Hans sostenne il suo sguardo: «spero di non aver deluso le sue aspettative»
«Oh, no. La sua immagine non ha nulla di deludente. E da quel che mi hanno riferito anche le sue capacità non sono da meno…»
Schneider si sentì leggermente a disagio di fronte a quegli elogi.
Il capitano sorrise, poi invitò il giovane a sedersi al tavolo.
«Prego, si accomodi. Ho cercato di fare del mio meglio per riservarle una degna accoglienza»
Il tedesco avanzò con cautela, mosse ogni passo sentendo una vibrante tensione. Era intenzionato a mostrarsi condiscendente con il comandante dell’IRA, ma era consapevole di non poter abbassare la guardia.
Hans prese posto sulla sedia, davanti a sé trovò due bicchieri vuoti. Maguire si avvicinò con una bottiglia tra le mani.
«Ha già avuto modo di provare il buon whiskey irlandese?»
Il giovane scosse la testa.
«Sono certo che le piacerà. Ho deciso di offrirle qualcosa di speciale»
Il capitano aprì la bottiglia di Jameson e riempì generosamente i bicchieri.
«A cosa vuole brindare tenente?»
Schneider si rialzò in piedi: «a questa alleanza. All’Irlanda e alla Germania!»
Maguire approvò e con un plateale gesto levò il bicchiere.
«Sláinte
 
***
 
Declan rimase ad aspettare nell’ampio salone vuoto, i due militanti l’avevano lasciato solo per tornare alle loro postazioni di guardia. Il locale deserto era illuminato da una luce fioca, le finestre sbarrate erano del tutto oscurate. Il giovane si guardò intorno scorgendo soltanto casse abbandonate e mobili impolverati.
Voltò lo sguardo alla parete notando le fotografie appese al muro, si trattava di ritratti raffiguranti alcuni eroi della Guerra d’Indipendenza.  
O’ Riley provò sincero orgoglio nel pensare che suo padre aveva combattuto a fianco di quei valorosi soldati. Sapeva che il genitore aveva abbandonato gli ambienti repubblicani dopo il Trattato per tornare dalla sua famiglia e di certo non poteva biasimarlo per questo, eppure non capiva perché egli non avesse mai parlato del suo passato. Ogni volta che aveva provato ad affrontare la questione lui aveva finito per cambiare argomento e sviare la conversazione senza mai rispondere alle sue domande. I suoi fratelli gli avevano raccontato che il padre aveva vissuto i traumi della guerra e che per questo non voleva ricordare, ma Declan era certo che il silenzio non lo avrebbe aiutato. Quando gli aveva rivelato di essersi unito all’IRA egli non aveva detto nulla a riguardo, non l’aveva rimproverato, si era limitato a rivolgergli uno sguardo severo, ma comprensivo. Forse aveva sempre saputo che sarebbe stato quello il suo destino.
Declan si riprese da quei ricordi e tornò a fissare con apprensione le scale, quell’attesa stava diventando sempre più snervante. Il giovane iniziò a muovere le gambe sotto al tavolo manifestando la propria agitazione. Non sapeva per quale motivo Maguire l’avesse escluso da quell’incontro, ormai anch’egli era a conoscenza del piano. Aveva deciso di prendere parte a quella missione, dunque aveva il diritto di essere messo al corrente di ciò che stava accadendo. Dopo l’alleanza con i nazisti quali altri segreti poteva nascondere il Comando dell’IRA?
Il ragazzo cercò di calmarsi, non aveva mai dubitato del capitano Maguire prima di quel momento.
Non erano solo i piani dell’IRA ad angosciarlo, Declan ne era ormai consapevole.
Aveva tentato con tutto se stesso di mantenere le distanze dal tenente Schneider, dopo gli ultimi avvenimenti però sentiva che qualcosa era cambiato.
In quel momento fu costretto ad ammettere la verità, era davvero preoccupato per la sorte dell’agente tedesco.
 
***
 
Hans bevve il primo bicchiere per cortesia, pur apprezzando il whiskey rifiutò il secondo, doveva mantenere la mente lucida.
Il capitano non sembrava avere fretta di concludere quella conversazione.
«Ho saputo della sua ferita» accennò.
«Non è niente di grave, si è trattato di un incidente. Il taglio si è rimarginato, resterà solo una brutta cicatrice»
«Come è successo?»
«Ho avuto un brusco atterraggio» semplificò il tenente.
«Lei è stato paracadutato nella valle di Glencree e nonostante l’arto ferito ha marciato fino al villaggio di Enniskerry. Ha anche attraversato un fiume a nuoto durante la notte. È stata un’impresa ammirevole»
«A quanto pare è stato ben informato»
«Mia sorella mi ha riferito tutto a riguardo del suo sfortunato viaggio»
«La signora Gifford si è rivelata una preziosa alleata, il suo aiuto è stato fondamentale»
«Helen è l’angelo custode di tutti noi, non ha mai negato il suo supporto all’IRA»
Hans non esitò a credere alle sue parole.
«A proposito del mio atterraggio…purtroppo la ferita non è stata la sola disgrazia. È accaduto qualcosa di ben più grave e per questo ho bisogno di chiedere il suo aiuto»
«Di che si tratta?»
«Durante il lancio ho perso la radiotrasmittente. Devo trovare al più presto un modo per contattare i miei superiori in Germania»
Il capitano non mostrò particolare apprensione.   
«Vedrò cosa posso fare a riguardo, ma per il momento è meglio che lei non provi a contattare nessuno, nemmeno i collaboratori dell’Abwehr qui a Dublino»
La spia si insospettì: «per quale motivo?»
Maguire prese un profondo respiro prima di rivelare la verità: «perché al Castello sono già sulle sue tracce»
Schneider assunse un’espressione interrogativa: «il Castello?»
«Il Centro di Comando dei servizi segreti, il nostro informatore ci ha rivelato che il G2 sta collaborando con gli inglesi per catturare una spia tedesca sul suolo irlandese»
Hans si allarmò: «gli inglesi sanno del piano?»
«L’MI5 deve aver scoperto qualcosa a riguardo dei nostri accordi, così ha incaricato un agente britannico per indagare sulla questione, ogni suo errore potrebbe essere fatale»
Il tenente Schneider cominciò ad avere una visione più ampia della situazione.
«È per questo che ha deciso di rinchiudermi in quel rifugio?»
«Il mio dovere è occuparmi della sua sicurezza»
«Se gli inglesi sono al corrente della nostra alleanza non abbiamo molto tempo»
Il comandante non si scompose: «l’IRA è ben consapevole di questo»
«I miei superiori non sanno neanche che ho raggiunto Dublino, probabilmente credono che la missione sia già fallita. Senza poter contattare i comandanti dell’Abwehr non avremo modo di portare avanti le trattative»
Maguire sorseggiò con calma il suo whiskey.
«Non si preoccupi tenente. In fondo l’Abwehr l’ha inviata qui per verificare l’affidabilità dell’IRA, quale situazione migliore di questa?»
Schneider rimase in silenzio.  
«Se rispetterà le nostre regole noi potremo fornirle le informazioni che sta cercando. Mi sembra un buon compromesso. Lei che ne pensa?»
Il tenente rimase sulla difensiva: «ho già dimostrato di essere disposto a fidarmi dell’IRA»
«E l’IRA ha rispettato le sue promesse. Noi possiamo proteggerla, ma lei deve collaborare e accettare queste condizioni»
 
***
 
Maguire abbandonò la stanza lasciando la spia tedesca sotto la rigida sorveglianza dei suoi uomini. L’ufficiale scese le scale quasi di corsa per andare incontro al suo compagno.
Declan scattò in piedi alla vista del capitano. Charles strinse il giovane in un caloroso abbraccio.
«Sono così felice di rivederti»
Il ragazzo trovò conforto in quel contatto, ma quando si separarono non poté evitare di manifestare la sua apprensione.
«Che cosa sta succedendo? Credevo di ritrovare l’accoglienza della mia squadra e non degli sconosciuti sospettosi»
«Sono i ragazzi della Fingal Brigade, sono tutti soldati affidabili e ben addestrati» spiegò il Maguire.
«Dove sono i nostri compagni?»
Il capitano abbassò tristemente lo sguardo.
«I più fortunati sono stati costretti a lasciare Dublino, gli altri sono stati arrestati dopo le ultime retate del G2»
Declan avvertì un’intensa fitta al petto provando ansia e sconforto nel pensare alla sorte dei suoi commilitoni.
«Ho bisogno di parlarti» continuò il comandante con tono serio.
Il giovane tornò a sedersi al tavolo, Charles si posizionò al lato opposto.
«Volevo dirti che mi dispiace» ammise con puro rammarico.
«Non c’è nulla per cui tu debba scusarti» replicò O’ Riley.
«Sì, invece. Io ti ho deluso, ho tradito la tua fiducia…e ancora peggio, ti ho coinvolto in una missione decisamente pericolosa»
«Non condivido le tue scelte, ma posso comprendere le tue motivazioni»
Maguire apprezzò la solidarietà dimostrata dal suo sottoposto.
«Devo sapere del nostro piano»
«È andato tutto come previsto» confermò il ragazzo. 
«Dunque, qual è la tua opinione a riguardo del tedesco?»
Declan rispose in piena sincerità: «al momento non ho motivo di credere che egli stia cercando di ingannarci»
Il capitano ascoltò l’onesto giudizio del suo compagno.  
«Bene. Sarai felice di sapere che non dovrai farti carico di questa responsabilità ancora per molto»
O’ Riley rimase perplesso: «di che stai parlando?»
«Stavo considerando la possibilità di affidare a qualcun altro il tuo incarico» rivelò.
Il giovane trasalì.
«Hai svolto il tuo dovere, ti sei occupato di portare la spia a Dublino e di tenerla al sicuro per il tempo necessario. Il tuo compito può essere considerato terminato»
Declan si indignò: «non ti fidi abbastanza di me?»
Maguire si sorprese per quella reazione.
«No, non è questa la ragione. Sai bene perché ti ho affidato questa missione»
«Allora perché adesso vuoi liberarti di me?»
«Sto solo cercando di prendere la giusta decisione. Dopo l’arresto di Stephen e la condanna di Blaine non voglio rischiare di perdere anche te. Se dovesse accaderti qualcosa non potrei mai perdonarmi»
Declan provò sincera commozione nel sentire quelle parole, ma era consapevole di non potersi sottrarre al suo dovere.
«So che faresti di tutto per proteggermi, questa faccenda però non riguarda solo noi. C’è in gioco il destino della nostra Nazione ed io non voglio tirarmi indietro»
Maguire si insospettì: «hai cambiato idea a riguardo di questa alleanza?»
«No, ma se l’IRA ha davvero intenzione di collaborare con la Germania non ho scelta, devo fare anche io la mia parte»
«Sei davvero convinto di questo?»
Egli annuì.
«Credevo che non volessi più avere a che fare con i tedeschi»
Declan abbassò lo sguardo.
«Devo ammettere che quella spia è davvero una preziosa risorsa per l’IRA»
Il capitano rifletté sulla situazione, poteva comprendere le motivazioni del suo sottoposto, il quale non voleva sentirsi escluso dalla missione. Sapeva anche di non poter lasciare che questioni personali potessero interferire con i piani dell’IRA, l’affetto che provava per il giovane soldato era innegabile, ma era anche consapevole che non avrebbe potuto proteggerlo per sempre. Era stato egli stesso a coinvolgerlo in quella faccenda ed era conscio di averlo fatto perché aveva completa fiducia nelle sue capacità.
Maguire si rassegnò, in fondo aveva bisogno dell’aiuto di Declan, così decise di rispettare la sua volontà.
«D’accordo, se sei disposto a portare avanti la tua missione non ho niente in contrario. Volevo solo essere certo che non avessi ripensamenti»
Declan rispose con estrema convinzione: «non mi sono mai pentito di aver eseguito gli ordini dell’IRA»
 
***
 
Il capitano Maguire rimase solo con i suoi pensieri. Sperava di poter aiutare Declan sollevandolo da un compito sgradito, invece la sua reazione era stata opposta. Il ragazzo aveva considerato la sua proposta come una dimostrazione di sfiducia nei suoi confronti. Ovviamente non era sua intenzione diffidare del compagno, desiderava soltanto un’opportunità per provare a rimediare al suo tradimento.
In realtà la determinazione di quel giovane non avrebbe dovuto sorprenderlo, egli era sempre stato disposto a tutto per la Patria. Non dubitava in alcun modo della fedeltà di Declan alla Causa, nel suo ruolo di comandante era certo di aver agito correttamente, ma in quanto amico aveva il diritto di preoccuparsi.
Maguire non poté evitare di domandarsi se la decisione del suo sottoposto fosse stata determinata soltanto dal suo attaccamento al dovere o se ci fosse anche dell’altro.
 
***
 
Hans ripensò alla conversazione avuta con il capitano, egli aveva ragione, in quelle condizioni non aveva altra scelta che rispettare il volere dell’IRA. L’ufficiale irlandese gli aveva rivelato la verità in modo freddo e diretto, rivolgendosi a lui senza mezzi termini. Aveva condiviso le informazioni riguardanti il G2 e l’MI5, dimostrandosi leale nei suoi confronti. Allo stesso tempo però aveva voluto sottolineare il fatto che fosse sempre l’IRA ad avere il controllo della situazione.
Schneider era immerso in queste riflessioni quando avvertì dei rumori provenienti dal corridoio.
Il tenente si rassicurò nel riconoscere la figura di Declan entrare nella stanza, nonostante tutto fu felice di ritrovare un volto conosciuto.
Il ragazzo si avvicinò con passi incerti, il suo nervosismo era evidente. Si fermò davanti al tedesco, restò qualche istante in silenzio prima di rivolgergli la parola.
«Io…volevo ringraziarti per quello che hai fatto»
L’ufficiale non capì: «temo di non sapere a cosa ti stai riferendo»
«Questa notte per le strade della città mi hai salvato la vita»
Schneider rispose modestamente: «ho solo messo in atto ciò che ho imparato dal mio addestramento»
«Ti sei preoccupato per me ed hai pensato a proteggermi»
«È questo che fanno i compagni» disse l’altro con naturalezza.
Declan trovò il coraggio di alzare la testa per osservare il volto del suo interlocutore.
«Mi consideri davvero come un tuo compagno?» chiese con voce tremante. 
Hans guardò il ragazzo negli occhi: «certo, per te non è così?»
O’ Riley esitò, ma alla fine annuì mostrando un debole sorriso.
Il tedesco fu piacevolmente sorpreso, era abituato ai suoi modi freddi e distaccati, da lui non si aspettava un simile atto di riconoscenza. Dopo quella prova sembrava che il giovane avesse finalmente deciso di concedergli la sua fiducia.
Hans trovò anche confortante la consapevolezza di non essere solo. Non sapeva quanto potesse realmente fidarsi dell’IRA, ma in quel momento fu lieto di avere Declan al suo fianco.

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Capitolo 14
*** Segreti ***


 
14. Segreti
 

Il tenente Hart studiò con attenzione il rapporto della polizia, c’era qualcosa che non lo convinceva a riguardo di quei ritrovamenti. Il misterioso ufficiale tedesco, che ancora non poteva identificare come L’Aquila, era stato paracadutato in una foresta ai margini del villaggio di Glencree, a poche miglia dal confine con la Contea di Dublino. La spallina della divisa invece era stata recuperata sulle rive del fiume vicino al ponte di Enniskerry, un luogo che si trovava ad una certa distanza e nella zona opposta rispetto a Glencree.
Poteva considerare la possibilità che quel pezzo di stoffa fosse stato trasportato dalla corrente, ma in ogni caso la direzione seguita dal tenente restava sempre la stessa.
Un pilota in difficoltà probabilmente avrebbe cercato di trovare un rifugio senza rischiare di esporsi al pericolo, il suo uomo invece aveva compiuto un percorso considerevole per raggiungere il fiume.
L’inglese aveva esposto i suoi dubbi al comandante della Garda, il quale era già intenzionato a interrogare gli abitanti del luogo nella speranza di trovare informazioni utili. Hart avrebbe preferito scendere in campo, ma non essendo ancora coinvolto nelle indagini non poteva far altro che attendere i progressi della polizia.   
Il tenente richiuse la cartella e rivolse lo sguardo al suo compagno. Donnelly era impegnato ad analizzare i profili dei sospettati individuati dall’agente Ryan.
Quel giorno Hart aveva notato qualcosa di strano nell’atteggiamento del suo collega, il quale si era rapportato con lui in modo più freddo e distaccato del solito. Inizialmente aveva semplicemente ignorato la questione poiché aveva come priorità il caso, ma ora era certo che dovesse esserci una ragione ben precisa per quel suo comportamento.
Radley abbandonò la sua postazione e si avvicinò al sottotenente.
«Qualcosa con va?» domandò mostrando sincero interesse.
L’altro si limitò a negare senza nemmeno distogliere lo sguardo dai fogli che stava leggendo.
Il tenente sospirò, l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento erano altre complicazioni ad ostacolare le indagini. L’inglese strappò le pagine dalle mani del suo sottoposto.
«Si può sapere che ti prende?» chiese il ragazzo indispettito. 
«Sei tu a dovermi dare delle spiegazioni, è tutto il giorno che stai cercando di evitarmi!»
L’irlandese scosse le spalle: «mi sto occupando del caso esattamente come tu mi hai detto di fare»
«Non si tratta solo di questo. È evidente che tu sia arrabbiato con me, ma onestamente non capisco quale possa essere il motivo»
Donnelly sbuffò: «non sono arrabbiato con te»
«Allora di che si tratta?»
Il giovane era certo che il tenente non avrebbe smesso di tormentarlo finché non avrebbe ottenuto una risposta. Così alla fine si decise ad esternare la sua frustrazione. 
«Ho giurato di proteggere questa Nazione e sai cosa ho avuto in cambio? Soltanto menzogne!»
Hart non capì: «che stai dicendo?»
«L’Irlanda ha stretto accordi militari con l’Inghilterra» disse con disprezzo.
Il tenente mantenne apparentemente la calma: «è stato il capitano Kerney a parlarti della questione?»
Egli negò: «non importa come l’abbia scoperto, ormai so che è la verità»
«Si tratta di un piano di emergenza» precisò Hart.
«È per questo che l’MI5 ti ha inviato a Dublino? Per stringere accordi segreti con le nostre autorità?»
L’agente britannico non sentì la necessità di mentire. 
«Il piano è stato approvato già da tempo, io ho avuto soltanto il ruolo di intermediario»
Il ragazzo avvertì gli occhi lucidi: «volete farci credere che i nemici siano i tedeschi, ma in realtà non siete diversi da loro!»
Radley affrontò razionalmente quel confronto, sapeva che la reazione del suo compagno era stata emotiva e impulsiva.
«L’operazione prevede l’occupazione di territori irlandesi da parte delle truppe britanniche con il solo scopo di difesa»
«Avete già tradito il Trattato, potreste venire a meno anche di questi accordi»
Il tenente Hart si rese conto di dover aiutare quel giovane ad aprire gli occhi. Egli era ancora legato ai vecchi rancori del suo popolo, ma non poteva più ignorare la verità. La guerra era un reale pericolo per l’Irlanda.
«Avanti James, smettila di comportarti come un ragazzino idealista. Devi essere obiettivo. Per questa Nazione quale potrebbe essere l’alternativa alla protezione dell’Inghilterra?»
«Gli irlandesi hanno dimostrato di essere pronti a combattere per la loro Patria» replicò con ostinato orgoglio.
«E come potreste difendervi? È stata la RAF a fondare la vostra aviazione, sono le navi britanniche a proteggere le vostre coste e ufficialmente non possedete nemmeno un esercito!»
Donnelly non poté ribattere.  
«L’Irlanda ha avuto la sua Indipendenza, ma ha ancora bisogno dell’Inghilterra» concluse freddamente Hart.
 
James tornò a rivolgere la parola al suo compagno soltanto dopo un lungo silenzio.
«Per quale motivo mi hai nascosto l’esistenza di questi accordi?»
L’inglese rispose onestamente: «la questione non riguardava il caso, e poi sono stato autorizzato a discutere del piano soltanto con gli ufficiali in comando»
Il ragazzo poté comprendere la posizione del suo superiore.
«Dunque l’Irlanda è davvero pronta alla guerra…»
«Spero che ora tu possa capire quanto sia importante questa alleanza, tanto per l’Irlanda quanto per l’Inghilterra»
Donnelly ebbe bisogno di qualche istante per riprendersi e tornare in sé.
«Immagino che tu adesso voglia rimproverarmi»
«Per che cosa?»
«Per aver perso il controllo e aver mancato di rispetto a un mio superiore»
L’ufficiale scosse la testa: «sei preoccupato per il destino della tua Patria, posso comprendere le tue motivazioni»
James guardò il suo compagno, sapeva quanto fosse importante quella collaborazione, non poteva arrendersi, doveva portare a termine la sua missione.
Hart poggiò una mano sulla sua spalla in segno di supporto.
«L’Inghilterra non avrebbe mai tradito il Trattato se non fosse stato per la guerra» disse nel tentativo di rassicurarlo.
Il giovane si stupì nel realizzare che una parte di sé avrebbe davvero voluto credere in quelle parole.
 
***
 
Il rapporto per il capitano Kerney era ormai terminato, James smise di battere i tasti della macchina da scrivere per una breve pausa.
Il tenente Hart era seduto al lato opposto del tavolo, dalla sua aria stanca e afflitta intuì che quell’intensa giornata di lavoro non avesse portato ad alcun valido risultato. Il telefono non aveva squillato, dunque non c’era stata alcuna svolta decisiva nelle indagini della Garda.
Il giovane sospirò e tornò ad occuparsi del suo resoconto. Aveva appena iniziato a rileggere il documento quando all’improvviso fu interrotto da insistenti battiti alla porta.
Donnelly guardò il tenente: «aspettavi qualcuno?»
L’inglese negò rivelandosi anch’egli sorpreso.   
Il ragazzo si rialzò ed andò ad aprire.
«Dottor Hales...» esordì con stupore per quella visita inaspettata.
L’uomo entrò freneticamente nella stanza, era evidente che si trovasse in stato di forte agitazione.
«Devo parlavi di una questione urgente!»
Il tenente lo interrogò immediatamente: «che cosa ha scoperto?»
«Si tratta di alcuni messaggi inviati dall’IRA» rivelò il professore.
«Se è venuto qui significa che contenevano informazioni importanti»
«È questo il problema, ho tradotto il codice del testo, ma ci sono elementi di cui non ho compreso il significato»
Hart assunse un’espressione perplessa.
Il dottor Hales gli mostrò i fogli: «guardi lei stesso. All’interno dei messaggi sono presenti delle serie numeriche, non so a cosa potrebbero corrispondere»
Radley osservò attentamente ogni sequenza notando qualcosa di familiare in quella disposizione di cifre. 
«Sembrano coordinate» affermò dopo un’accurata analisi.
Lo sguardo di Hales si illuminò: «ma certo, questi numeri potrebbero essere gradi di latitudine e longitudine. Come ho fatto a non pensarci prima?»
L’ufficiale aprì sul tavolo una mappa e sistemò la luce della lampada.
Donnelly si avvicinò con viva curiosità.
Il tenente individuò i punti sulla cartina ed iniziò a segnare le località corrispondenti.
James le riportò ad alta voce: «Drogheda, Wicklow e Wexford»
«Sono tutte città portuali sulla costa orientale» notò il dottor Hales.
«Potrebbero essere basi militari della Marina irlandese?» ipotizzò l’inglese.
«L’Irlanda non ha un Marina militare» ricordò Donnelly riferendosi al loro ultimo discorso.
«Mi chiedevo soltanto se questi porti potessero avere qualche interesse strategico» precisò Hart.
«Il nostro Servizio di Marina ha una vera e propria base soltanto a Cork»
Il tenente rifletté sulla questione.
«Allora potrebbero essere rotte mercantili. Tutte queste sono vie di navigazione per l’Inghilterra»
Il professore tornò a sfogliare i suoi appunti: «il nome Kudos le dice qualcosa?»
Hart ebbe un lieve sussulto: «sì, è un incrociatore britannico. Faceva parte della flotta inglese nel Mar di Norvegia. Dopo la ritirata delle truppe da Narvik è stato impiegato per scortare altre imbarcazioni a largo delle coste irlandesi»
«Probabilmente questi sono i porti in cui è stata avvistata la vostra nave da guerra» suggerì Hales. 
«Che cosa vuol dire tutto ciò?» chiese Donnelly ancora confuso.
Hart rispose amaramente: «abbiamo appena scoperto il prossimo obiettivo per i missili degli U-Boot»
Il ragazzo trasalì: «questo significa che…»
«L’IRA ha fornito informazioni ai tedeschi per bersagliare le navi inglesi nel Mare d’Irlanda» confermò il tenente.
 
***
 
James uscì dai cancelli del Castello e si incamminò verso casa tormentato da nuovi dubbi, la rivelazione del tenente Hart e la scoperta dei messaggi dell’IRA erano questioni una più preoccupante dell’altra.
Donnelly sapeva di dover continuare a portare avanti la sua missione, ma non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto sopportare tutto ciò, quel giorno sentiva di aver davvero superato il limite. La sua discussione con Hart ne era stata la prova, in quel momento aveva davvero perso il controllo rischiando di rovinare tutto. Il suo sfogo però gli aveva permesso di scoprire che l’inglese si fidava abbastanza di lui, tanto da mostrarsi tollerante e comprensivo nei suoi confronti.
Il giovane si strinse nella giacca per proteggersi dal vento. Le strade erano ormai deserte, la città oscurata dal blackout era avvolta dalla nebbia.
Il ragazzo avvertì una strana inquietudine, ebbe la sensazione di essere seguito, ma quando si voltò non notò nessuno alle sue spalle. James accelerò il passo, per precauzione afferrò la pistola.
Rapidamente raggiunse l’incrocio e si intrufolò in un vicolo per depistare il suo invisibile inseguitore. Decise di prendere una scorciatoia per abbreviare il percorso e di corsa raggiunse la sua destinazione. Quando giunse davanti al portone si fermò per guardarsi nuovamente intorno. Tutto sembrava tranquillo, non c’era alcun segnale di pericolo.   
Donnelly ripose l’arma, nel suo ruolo la prudenza era necessaria, la paranoia invece l’avrebbe soltanto condotto alla follia. In quel caso pensò che probabilmente si era lasciato suggestionare un po’ troppo dagli eventi recenti, anche se non poté affermarlo con certezza.
 
James rientrò nel suo appartamento avvertendo una confortante sensazione di familiarità. Tornare tra quelle mura era diventato ancor più piacevole da quando sapeva che avrebbe trovato la compagnia di Julia. Preoccupandosi di non fare rumore Donnelly attraversò il corridoio e raggiunse la camera da letto.
Si sorprese nel trovare la ragazza ancora sveglia, riconobbe la sua figura in piedi davanti alla finestra. Appena avvertì la porta aprirsi ella si voltò di scatto.
«James…sei tornato» disse correndo ad abbracciarlo.
Egli l’accolse dolcemente tra le sue braccia.
«È tardi, pensavo che stessi riposando»
«Ti stavo aspettando, ero preoccupata» ammise lei esternando la sua apprensione.
«Mi dispiace…»
Julia percepì il suo sincero rammarico.
«Non è colpa tua, adesso sono solo felice che tu sia qui»
Egli si distaccò leggermente: «potrei dirti che un domani non sarà così e che un giorno non dovrai più aspettarmi alla finestra nel mezzo della notte, ma non voglio illuderti e nemmeno farti false promesse»
«Non pretendo niente di tutto questo»
James non riuscì a reprimere i sensi di colpa.  
«Ci sono cose che non potrò mai dirti» ammise con tono serio.
«So che non potrò mai conoscere questa parte della tua vita e sono disposta ad accettarlo»
Il giovane prese il suo volto tra le mani e la guardò negli occhi.
«Voglio solo che tu sappia che sto facendo tutto questo perché sono davvero convinto di star operando per la giusta causa»
Lei lo rassicurò: «non ho mai dubitato della tua buona volontà»
«Ho sempre agito con l’intenzione di fare del bene»
La ragazza fissò intensamente le sue iridi castane, era certa che egli non stesse mentendo.  
«Ti credo James, tu sei un uomo buono»  
«Come puoi esserne sicura?»
Julia sfiorò delicatamente il suo viso con una tenera carezza.
«Lo so perché ti amo» 
Egli si lasciò sopraffare dai sentimenti: «anche io ti amo»
«Allora tutto il resto non ha importanza» disse lei abbandonandosi tra le sue braccia.
James la strinse a sé baciandola con impeto e passione. L’unico sollievo per i suoi affanni era quell’amore puro e sincero.
Julia ricambiò con il medesimo trasporto, avvertendo lo stesso desiderio.
Il giovane le cinse i fianchi e le lasciò lievi baci sul collo, assaporando la sua pelle e inebriandosi del suo profumo. Lei gli levò la giacca e con gesti frenetici iniziò a sbottonare la sua camicia.
James bramò ancora le sue labbra, la prese tra le braccia e l’adagiò dolcemente sul letto. Lentamente la liberò dall’intralcio dei vestiti, i quali ricaddero sul freddo pavimento insieme alla sua divisa. James scoprì la nuda pelle della ragazza, esplorando il suo corpo con baci e carezze. La sentì fremere ed ansimare al suo tocco. Si fermò per ammirare ancora una volta la sua bellezza. Lei sorrise e lo attirò nuovamente a sé, accogliendolo in un caldo abbraccio. I giovani amanti si unirono in quel dolce e passionale amplesso.
Desiderosi l’uno dell’altra continuarono a cercarsi, avvinghiandosi tra le coperte, tra baci roventi e gemiti soffocati.
 
***
 
Il tenente Hart si ritrovò seduto davanti a un boccale di Guinness al Murphy’s pub. Aveva scelto un tavolo appartato, il locale era piuttosto affollato, gli avventori erano tutti uomini mezzi ubriachi. Le voci e le risate divennero sempre più chiassose, l’intero salone era avvolto dal fumo, un intenso odore di tabacco persisteva nell’aria. La persona che stava aspettando non si era ancora presentata, ma era certo che non avrebbe dovuto attendere ancora a lungo.
L’ufficiale ripensò agli avvenimenti di quella giornata, inevitabilmente ricordò gli accordi segreti del progetto denominato Plan W. L’Intelligence aveva presupposto che in caso di invasione il primo obiettivo dei tedeschi sarebbe stata la città di Cork, ovvero il punto più vicino alle basi della Luftwaffe situate nella Francia settentrionale. Un reggimento dei Royal Marines a Milford Haven sarebbe stato pronto ad entrare in azione nel caso in cui i tedeschi avessero deciso di sbarcare sulle coste del Sud.  Al Nord una divisione della BEF stazionata a Belfast sarebbe intervenuta prontamente. Durante l’avanzata avrebbe superato il confine circondando Dublino per creare una linea di difesa con il supporto del corpo militare irlandese.
Hart provò ad immaginare quali sarebbero state le conseguenze. Ciò avrebbe trasformato l’intera Irlanda in un campo di battaglia, sarebbe stato uno scenario di guerra totale, un terribile e sanguinoso massacro dall’esito imprevedibile.
Il tenente prese un profondo respiro, era suo dovere impedire che tutto ciò potesse accadere. La collaborazione tra l’IRA e la Germania aveva dimostrato di essere reale e pericolosa, quella spia doveva essere trovata al più presto.
Al Castello aveva agito secondo le regole, ora però la situazione richiedeva qualcosa di più.
Sapeva che in questo modo avrebbe tradito un’altra volta la fiducia di James, ma in fondo l’agente irlandese non avrebbe dovuto sorprendersi. Con l’Inghilterra in guerra l’MI5 era disposta a giocare sporco.
Il tenente buttò giù un lungo sorso di birra, il ragazzo aveva dimostrato di essere sveglio e intelligente, ma era ancora troppo ingenuo. In quel mondo non c’era spazio per sentimentalismi ed idealismi.
Hart poggiò il boccale sul tavolo, quando rialzò la testa notò una figura in piedi davanti a lui.
«Credevo di aver visto un fantasma» disse il nuovo arrivato.
Radley rispose a modo: «tra noi due sei tu lo spettro»
L’uomo si sedette al lato opposto e rimase ad osservare il volto del tenente con un certo stupore.
«L’ultima volta che ti ho visto a Liverpool avevi un proiettile conficcato nel petto» ricordò.
Hart preferì non rammentare il passato.
«Come puoi constatare la ferita non è stata letale»  
«Sei stato fortunato Fox»
Egli provò una strana sensazione nel sentirsi chiamare ancora in quel modo.
«Sei sempre a caccia di terroristi?» continuò l’altro.
«No. I militanti dell’IRA mi servono per trovare un altro obiettivo»
«Oh, ti hanno affidato un caso importante. Merito di una promozione?»
«A grado di tenente, è stato un po’ di tempo fa…»
«Capisco»
Hart squadrò il suo interlocutore, il quale appariva come un insospettabile civile. Non avrebbe potuto distinguerlo da qualsiasi irlandese presente in quella stanza.  
«Anche per te sono cambiate tante cose. Qual è il tuo nome adesso?»
«Puoi chiamarmi Barry. Ma ora basta chiacchiere, sei qui per un motivo»
L’ufficiale azzardò la sua richiesta: «ho bisogno del tuo aiuto, mi servono informazioni»
«Che genere di informazioni?»
«Notizie riguardanti i rapporti tra l’IRA e la Germania»
«Ho sentito tante voci sui nazisti, ma niente di affidabile»
«Sappiamo che i militanti stanno proteggendo un agente dell’Abwehr. Il suo nome in codice è L’Aquila, potrebbe essere un tenente della Luftwaffe»
Egli scosse la testa: «mi dispiace, non ho sentito nulla a riguardo»
«Si tratta di una questione importante, c’è in gioco la sorte della guerra» insistette.
«Non preoccuparti, puoi contare su di me. Sarò felice di darti una mano a catturare quel crucco»
«Credi di poter scoprire qualcosa?»
«Ti ho mai deluso?» chiese Barry con un velo di presunzione. 
Hart gli rivolse uno sguardo complice.
«Devo ammettere che la parte del buon ufficiale ti si addice molto, ma ti preferivo quando avevi il coraggio di sporcarti le mani» commentò il suo vecchio compagno.
«Il mio unico scopo all’interno dell’MI5 è sempre stato quello di svolgere il mio dovere»
Barry mostrò un amaro sorriso, poi si rialzò dal tavolo. Prima di scomparire nella penombra del locale diede un’ultima raccomandazione al tenente.  
«Ricorda, per il G2 io non esisto. L’Inghilterra non ha spie in Irlanda» 

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Capitolo 15
*** Un gioco pericoloso ***


 
15. Un gioco pericoloso
 

L’Hauptmann Seidel richiuse la porta del suo ufficio, si posizionò alla scrivania e con calma terminò di fumare il suo sigaro. Il suo sguardo si soffermò sulla fotografia incorniciata della moglie, una donna che tutti consideravano troppo bella per lui. Molti ritenevano che lei l’avesse sposato soltanto per motivi economici. Seidel non aveva mai dato importanza ai pettegolezzi, aveva lasciato che gli altri parlassero, poiché sapeva che soltanto loro due conoscevano l’unica verità. L’ufficiale si concesse qualche istante per perdersi nei ricordi.
Lui e sua moglie si erano innamorati pochi mesi prima dello scoppio della Grande Guerra, quando entrambi erano poco più che ragazzi. Lei aveva atteso il ritorno del suo innamorato dal fronte, scrivendo lettere che lui riponeva sempre con cura nel taschino della sua divisa, vicino al cuore. E alla fine Seidel si era convinto che fosse stato proprio il suo amore a salvarlo da un triste destino.
L’ufficiale sorrise, ma il suo volto tornò ad incupirsi quando i suoi occhi grigi si posarono sul ritratto in divisa del figlio.
Il suo primogenito appena diciannovenne aveva avvertito la chiamata alle armi e quella primavera aveva preso parte alla vittoriosa campagna di Francia. Seidel però non aveva provato alcun orgoglio nel pensare che il figlio si fosse ritrovato a combattere negli stessi campi di battaglia ancora intrisi del sangue dei suoi vecchi commilitoni. Erano state la preoccupazione e l’angoscia a prevalere sul desiderio di rivalsa rimasto sepolto nel suo animo per quasi vent’anni.
Il giovane invece nelle sue lettere aveva esternato un particolare entusiasmo. Era animato dagli ideali bellici, non voleva deludere le aspettative del genitore, e come molti suoi coetanei avvertiva la responsabilità di dover portare a termine quella battaglia per la Germania che la generazione precedente non era riuscita a vincere.
Seidel era consapevole di ciò che avrebbe trovato il figlio al fronte, ma al momento della sua partenza non aveva potuto far altro che mostrarsi fiero di lui, esprimendo forse per l’ultima volta il suo sincero affetto.
 
L’ufficiale si riprese da quei pensieri, con un intenso sospiro tornò alla realtà. Recuperò da un cassetto la cartella personale del tenente Schneider ed iniziò a sfogliare le pagine. Aveva riletto più volte quelle informazioni, domandandosi se fosse stata la mossa giusta affidare ad un agente giovane e inesperto un compito così importante.
Si era fidato del suo istinto, ormai aveva esperienza nel selezionare i candidati più adatti per ogni missione. Fino a quel momento non aveva mai commesso alcun errore, e in fondo era convinto di non essersi sbagliato nemmeno quella volta.
Non ricordava chi gli avesse messo tra le mani quel fascicolo per la prima volta, ma fin dal primo momento era rimasto colpito da quel giovane pilota. Aveva visto in lui qualcosa di più rispetto a tutti gli altri.
L’Abwehrnon aveva bisogno soltanto di animi ardimentosi e valorosi, un buon agente doveva anche saper rispettare gli ordini ed essere dotato di buon senso e sangue freddo. Quel tenente sembrava rappresentare al meglio ciò che stava cercando.
Schneider aveva dato prova delle sue capacità durante il periodo di addestramento, aveva superato tutte le prove con ottimi risultati. Sicuramente aveva dimostrato di essere un agente promettente.
L’ufficiale osservò la fotografia inserita nel fascicolo, doveva ammettere che anche il suo aspetto aveva avuto la sua importanza. Un bel giovane dall’aria innocente era l’ideale per non destare sospetti.
Queste erano le ragioni per cui aveva approvato la decisione di commissionare al tenente Schneider quell’incarico e dopo quell’accurata analisi non trovò nemmeno una motivazione per contestare la sua scelta.
 
Seidel si era già preparato mentalmente il suo discorso per affrontare il colloquio con il colonnello Weiss, ma quando entrò nel suo ufficio e notò la sua espressione severa intuì che il superiore non era dell’umore adatto per ascoltare le sue giustificazioni.  
«Nessuna notizia dell’agente paracadutato in Irlanda?»
Egli negò: «mi dispiace signore, non sappiamo ancora nulla»
«Ormai è trascorso del tempo…»
Seidel rimase impassibile: «ritengo che sia ancora troppo presto per giungere a conclusioni»
«Non siamo nemmeno certi del fatto che Der Adler abbia raggiunto il suolo irlandese»
«Nel rapporto il tenente Ziegler ha dichiarato di aver portato a termine il suo dovere»
«Considera la sua versione affidabile?»
«Egli è un pilota esperto e competente, questo è innegabile» disse in sua difesa.
«Allora l’ipotesi più probabile è che il nostro agente sia stato scoperto»
«Pensa che in questo momento sia rinchiuso in una cella nelle prigioni di Dublino?»
«Nella peggiore delle eventualità potrebbe trovarsi nelle mani degli inglesi»
«La sua mancanza di fiducia nei confronti di un ufficiale tedesco mi sorprende» azzardò Seidel.
Il colonnello non si preoccupò per quella sua affermazione, ormai era stanco di aspettare.
«Non pensa che sia giunto il momento di abbandonare la missione?»
Seidel sussultò: «dovremmo rinunciare al Piano?»
«Questa era la nostra unica possibilità, non abbiamo più tempo»
L’altro tentò di opporsi: «l’Irlanda resta una risorsa preziosa per la Germania»
«Sì, ma l’invasione non avverrà senza l’assoluta certezza di successo»
«Signore, non ho ancora intenzione di abbandonare la missione»
Il colonnello Weiss rispose freddamente: «in questo caso spero per lei che quell’agente sia ancora vivo e che possa fornirci al più presto informazioni utili»
 
***
 
Il tenente Scheider percorse il perimetro di quella stanza fredda e buia. Si trovava ancora nel rifugio del capitano Maguire, sotto la stretta sorveglianza dei militanti dell’IRA. L’ufficiale irlandese aveva cercato di convincerlo del fatto che tutto ciò fosse per la sua sicurezza, ma era evidente che il suo vero intento fosse controllarlo.
Hans non aveva ragioni per diffidare dell’IRA, aveva ordini precisi da rispettare. L’Abwehr gli aveva raccomandato di non mostrarsi troppo diffidente nei confronti dei repubblicani, era necessario creare un rapporto di fiducia tra le due parti. In questo l’agente tedesco non aveva trovato difficoltà, in fondo credeva davvero che ci potessero essere i giusti presupposti per quella collaborazione.
Nonostante ciò iniziava a trovare frustrante quella situazione, non era stato inviato a Dublino per essere trattato come un ostaggio.
In quelle condizioni però non avrebbe potuto fare molto, doveva ammettere che i comandanti dell’IRA erano i suoi unici alleati. Inoltre Maguire aveva dimostrato di essere a conoscenza di molti particolari riguardanti gli accordi, di certo era stato ben informato. Questo significava che i suoi comandanti si erano fidati di lui, considerandolo a tutti gli effetti un collaboratore dell’Abwehr.
Il tenente sospirò, forse non avrebbe dovuto preoccuparsi troppo per le intenzioni dell’IRA, c’erano questioni ancor più gravi. La notizia che più l’aveva sconvolto riguardava il fronte britannico. L’MI5 aveva scoperto che una spia tedesca aveva raggiunto la neutrale Irlanda, non aveva molto tempo. Doveva convincere Maguire a consentirgli di comunicare con i suoi superiori, oppure prendere di sua iniziativa la decisione di rivelare all’IRA l’esistenza dell’Operazione Grün. In fondo quello era l’obiettivo principale della sua missione.
L’Hauptmann Seidel gli aveva raccomandato di eseguire gli ordini e restare fedele al piano anche nel caso in cui si fosse trovato in difficoltà. Dunque che cosa avrebbe dovuto fare in quella situazione?
Sapeva che l’IRA era in contatto con l’Abwehr, quindi il capitano Maguire avrebbe potuto trovare il modo per procurarsi una radiotrasmittente. Il comandante però aveva decisamente una visione più ampia e completa dell’intricata situazione irlandese e in quel momento egli temeva che gli inglesi o i servizi segreti potessero intercettare le loro comunicazioni. Sarebbe stato opportuno esporsi ad un rischio così elevato soltanto per messaggi di vitale importanza.
Il tenente si rassegnò, di certo in una notte non avrebbe trovato la risposta a tutti i suoi dubbi. Alla fine fu un solo rimpianto a restare come un chiodo fisso nella sua mente.
Schneider aveva rinunciato a ciò che più amava per diventare un agente dell’Abwehr, eppure non aveva ancora abbandonato il desiderio di tornare a volare. Gli restava poco più di un’illusione, ma se fosse riuscito a portare a termine la sua missione avrebbe potuto avere la possibilità di prendere parte alla guerra nei cieli come aveva sempre sognato.
Il giovane strinse tra le dita il distintivo argentato dell’aquila che era solito esibire al petto, quel simbolo era tutto ciò che rimaneva della sua identità come ufficiale della Luftwaffe.
Era consapevole di non avere molte possibilità di rientrare vivo in Germania, ma di certo non si sarebbe arreso prima del tempo.
 
***
 
Charles era in attesa di ricevere altre notizie dal Castello, quando il telefono squillò rispose prontamente.  
«Lieto di sapere che tu abbia ricevuto le nuove indicazioni» iniziò il capitano.
La spia chiese immediatamente spiegazioni.
«A cosa è dovuto questo cambio di programma?»
«Sono stato costretto a prendere alcune precauzioni, sai bene quel che sta accadendo»
«Purtroppo non ho potuto fare niente per i nostri compagni»
Il capitano scosse la testa: «la questione non ti riguarda, il tuo compito è ancora più importante»
«Spero che lei abbia già in mente un piano d’azione»
«Certo, ma lo attueremo soltanto quando sarà il momento»
«Non può aspettare ancora a lungo, la situazione è più grave del previsto. L’Inghilterra è sempre pronta ad allungare le mani sull’Irlanda»
Maguire non fu sorpreso: «questo conferma i nostri sospetti»
«Si sta muovendo qualcosa anche per la questione della spia tedesca, ma potrebbe essere un falso allarme»
«Ciò che più mi preoccupa al momento è la tua incolumità» ammise il comandante.
«Ho sempre saputo nascondere la mia vera identità all’interno del Castello»
«Già, ma adesso la pressione sta aumentando»
«Che cosa dovrei fare?»
«Cerca solo di prestare attenzione. Dobbiamo restare cauti, soprattutto dopo l’attentato alle caserme McKee»
«Dunque è stata una sua idea, avrei dovuto immaginarlo. È stata una mossa azzardata»
«Dovevamo tentare, almeno l’Unità Speciale ha ricevuto un nostro messaggio»
«Sei agenti sono stati coinvolti nell’esplosione, tre dei quali erano soltanto delle reclute»
Maguire si stupì: «queste sembrano accuse…non credo che tu sia nella posizione di poter dare un giudizio morale»
«Volevo solo informarla sulle conseguenze delle sue decisioni»
Maguire non si lasciò impressionare da quelle parole.
«Ho letto la notizia sui giornali, l’Irish Times ci definisce sempre “pericolosi terroristi”. Non è cambiato nulla dai tempi della guerra»
«In ogni caso non ritengo necessario coinvolgere altre squadre in missioni del genere»
«Non preoccuparti per questo, pensa a svolgere il tuo dovere. Certe decisioni spettano ad altri»
«Ne sono ben consapevole» si rassegnò il militante.
«Bene, ricordati che ti trovi sempre sul filo del rasoio»
«L’Unità Speciale non ha alcuna prova contro di me»
«Non puoi permetterti di destare sospetti, per questo d’ora in poi dovrai limitare i tuoi rapporti con l’IRA»
«Sì, signore»
«Ah…un’ultima cosa»
«Che vuole sapere?»
«Hai scoperto qualcosa sul passato del tenente Hart?» domandò Maguire.
La voce esitò: «no, ancora niente»
«Neanche i nostri amici del Nord ci sono stati d’aiuto. Dobbiamo scavare più a fondo, sono certo che l’Inghilterra non abbia inviato in Irlanda soltanto un ufficiale di rappresentanza»
«No, questo è ovvio»
«Mi fido di te»
«Ha altri ordini per me?»
«No, sai già quel che devi fare» concluse l’ufficiale.
Il capitano riagganciò con un sospiro di frustrazione, quella faccenda era sempre più problematica. L’infiltrato dell’IRA avrebbe dovuto dimostrare di saper gestire la situazione e di essere pronto a tutto per portare a termine la sua missione. Non si trattava di una spia esperta, ma la sua fedeltà era sempre stata impeccabile. Maguire era ben consapevole di non poter perdere un elemento così prezioso, per questo era disposto a fare il possibile per proteggere il suo informatore.
Il comandante aveva valutato i rischi e le conseguenze. Aveva studiato accuratamente ogni possibilità per la prossima mossa dell’IRA, e a quel punto aveva accettato il fatto che qualche sacrificio fosse necessario.
 
***
 
Declan riprese a camminare avanti e indietro attraverso il salone deserto. L’ambiente angusto e i tavoli vuoti suscitarono in lui un’intensa sensazione di sconforto.
Ad un tratto il giovane avvertì dei passi, prontamente alzò lo sguardo, mostrò un velo di delusione nel notare che la figura sulle scale era una delle guardie del capitano. Declan riconobbe l’uomo vestito di nero.
«Che cosa ci fa qui?» chiese quest’ultimo con aria severa.
«Ho pensato di darvi una mano con i turni di guardia» si giustificò.
«Be’, adesso la tua veglia è terminata»
Il ragazzo non ribatté, rimase in disparte, osservando con più attenzione il suo compagno.
«Maguire mi ha detto che sei un militante della Fingal Brigade»
L’altro annuì: «non sapevo che fossi un amico del comandante, ti ho chiesto la parola d’ordine perché volevo essere certo che fossi un membro dell’IRA»
«Non preoccuparti per questo, Charles mi ha spiegato che la situazione è piuttosto delicata al momento»
«Già, ci sono infiltrati dei servizi segreti ovunque» commentò con tono sprezzante. 
I due restarono qualche istante in silenzio.  
«Dunque tu hai il compito di tenere sotto controllo il tedesco?» domandò il militante con curiosità.
Il ragazzo indugiò: «in un certo senso…»
«Sono certo che non ci sia niente di buono in questa faccenda! Chissà cosa nasconde quella spia…tu hai scoperto qualcosa?»
«A dire il vero non penso che egli abbia intenzione di ingannarci» rivelò con sincerità.
L’uomo scosse la testa: «non pensavo che il capitano Maguire fosse amico di una Camicia Blu»
«Infatti non è così» replicò O’ Riley.
«Se non sei un simpatizzante del Partito allora perché difendi quel tedesco?»
«Io…al momento non ho motivi per sospettare del tenente Schneider»
«È un nazista, questo dovrebbe essere sufficiente per dubitare di lui»
Declan si trovò in difficoltà, fino a pochi giorni prima avrebbe condiviso le sue opinioni, ma dopo aver avuto modo di conoscere l’agente dell’Abwehr anche sotto altri aspetti non poteva più sostenere le sue vecchie convinzioni.
«Il tenente Schneider è un ufficiale onorevole»
Il militante rimase perplesso: «io proprio non ti capisco. Dici di essere un repubblicano, ma hai deciso di proteggere un tedesco. Affermi di non credere negli ideali nazisti e poi ammetti di stimare uno dei loro ufficiali. Insomma, da che parte stai?»
Declan rifletté attentamente prima di dare una risposta.
«Dalla parte dell’Irlanda»
Il suo interlocutore scoppiò a ridere.   
«Sì, certo. Tutti siamo dalla parte dell’Irlanda!»
«È la verità» si difese il ragazzo.
L’uomo in nero non lo contraddisse, limitandosi ad uno sguardo diffidente.
O’ Riley si allontanò in silenzio, avrebbe potuto giustificare le sue scelte spiegando che comprendeva le ragioni di quell’alleanza e che per lui il tenente Schneider non rappresentava più un potenziale pericolo poiché aveva dimostrato di essere meritevole della sua fiducia, ma tutto questo non sarebbe servito.
In ogni caso era convinto che il suo punto di vista non sarebbe stato compreso da quel militante.
 
***
 
Prima di ritirarsi nella sua stanza Declan si affacciò alla porta del tenente, ormai compiva quel gesto per abitudine. Inizialmente aveva lo scopo di controllare il tedesco, ma con il passare del tempo quella visita notturna era diventata una semplice scusa per non restare solo.   
Quella volta O’ Riley percepì immediatamente qualcosa di strano. La luce della lampada era ancora accesa, nella penombra scorse l’ufficiale in piedi, di spalle, immobile nella sua solita posa eretta e composta. Sembrava completamente assorto nei suoi pensieri.
Il giovane si avvicinò, il tedesco si voltò di scatto con un sussulto.
«Declan…sei tu» constatò con un sospiro di sollievo.
L’irlandese si sorprese per quella reazione.
«Chi credevi che fossi?»
Il tenente sbuffò: «i tuoi amici mi controllano come se fossi un criminale»
«Loro non…oh, non importa. Sono entrato solo perché ho visto la luce accesa» 
L’ufficiale abbassò il capo: «in ogni caso non riuscirei a dormire»
O’ Riley era certo che le sue preoccupazioni avessero a che fare con l’incontro con Maguire.
«È successo qualcosa?» domandò.
Hans si sentì in dovere di avvertire il compagno dell’imminente pericolo.
«L’MI5 è a conoscenza della presenza di una spia tedesca in Irlanda. Probabilmente gli inglesi sono già sulle mie tracce»
O’ Riley intuì la gravità della situazione, nonostante ciò provò ingenuamente a rassicurare il tenente.
«Qui sei al sicuro»
Schneider sgranò gli occhi celesti.
«Sì, ma per quanto tempo?» chiese esternando la sua apprensione.
«Questo non lo so, ma il capitano Maguire mi ha affidato il compito di proteggerti ed io non ho intenzione di venir meno al mio dovere»
Hans riconobbe lo spirito combattivo e la determinazione del suo compagno che fin dal primo momento aveva ammirato.
«So che sei un soldato fedele e leale»
«L’IRA rispetterà gli accordi» affermò Declan con cieca convinzione.
Hans non dubitò della buona fede del giovane, ma era consapevole che quelle condizioni avrebbero potuto cambiare se la sua permanenza in Irlanda fosse stata considerata come un rischio troppo elevato per l’IRA.
In quel momento però Schneider non volle pensare a quell’eventualità. Trovò rassicurante la presenza di Declan, quando era con lui sentiva di avere al suo fianco qualcuno di familiare. Si trattava della stessa sensazione che avvertiva con i suoi commilitoni. Ciò era confortante, gli permetteva di non sentirsi completamente solo in una terra straniera, lontano dalla sua amata Patria, dove non poteva parlare la sua lingua ed era costretto a nascondere la sua identità.
Hans si voltò verso il suo compagno fissando i suoi intensi occhi verdi, nel suo sguardo non notò più alcun segno di diffidenza. Scorse una nuova luce, in lui riconobbe una flebile speranza.

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Capitolo 16
*** Tin Town ***


 
16. Tin Town
 

Una gran confusione regnava alla stazione di Birmingham. I viaggiatori si spostavano caoticamente disperdendosi in ogni direzione, le persone in attesa si ammassavano e si accalcavano davanti ai binari.
L’agente Hart era appostato vicino all’ingresso, con sguardo vigile osservava i civili che esitavano davanti ai controlli o che si allontanavano con fin troppa fretta. Le ore passavano, ma ancora non aveva individuato il soggetto che stava cercando.
L’ispettore di polizia percorse lentamente la banchina per poi fermarsi al suo fianco.
«È sicuro che si presenterà?» domandò.
Radley annuì con convinzione.
«Non voglio oppormi alle decisioni prese dall’Intelligence, ma io ritengo che questa mossa sia piuttosto insensata»
«Per quale motivo?»
«Si tratta di un militante dell’IRA in fuga, è ovvio che cercherà di allontanarsi il più possibile dall’Inghilterra. Probabilmente in questo momento ha già raggiunto Holy Island ed è in attesa di imbarcarsi per l’Irlanda» ipotizzò l’ispettore.
«Le autorità non troveranno nessuno al porto di Holyhead» affermò Hart.
«Come può esserne certo?»
«Non bisogna mai sottovalutare l’avversario. Il nostro uomo sa di non poter lasciare l’Inghilterra, per questo non lo farà, almeno non subito. Adesso ha bisogno di un posto sicuro dove nascondersi»
«D’accordo, mettiamo che lei abbia ragione. Ma perché dovrebbe prendere proprio un treno per Londra?»
L’agente segreto si guardò intorno con circospezione, poi tornò alla loro conversazione.
«Lei sa a cosa serve il clorato di potassio?»
L’altro negò con aria perplessa, quel quesito non sembrava avere un nesso logico all’interno del discorso.
Hart si accese una sigaretta mostrando la fiamma al suo collega.
«Spesso viene utilizzato in una miscela di zolfo nella produzione di fiammiferi. Per la precisione è un comburente, l’agente ossidante in una reazione di combustione. Si tratta di una sostanza instabile che può facilmente dar luogo a reazioni violente»
«Tutto questo ha importanza nel caso?» chiese con fare scettico.
«La bomba esplosa a Coventry ha la stessa composizione chimica di altri tre ordigni detonati a Londra negli ultimi mesi. È facile supporre che gli eventi siano collegati. Sono convinto che il nostro fuggitivo abbia intenzione di ricongiungersi con i suoi compagni»
L’ispettore, piacevolmente sorpreso, non poté far altro che elogiare le capacità deduttive dell’agente segreto.
«Dica ai suoi uomini di prestare attenzione e di tenere gli occhi aperti. Lui arriverà e noi non potremo lasciarcelo sfuggire» concluse Hart.
Egli annuì con un cenno, poi si allontanò nuovamente scomparendo tra la folla di passeggeri appena scesi dall’ultimo treno.  
 
Hart si poggiò al muro di mattoni rossi e rimase di guardia all’entrata. I suoi sensi si allertarono quando notò qualcosa di sospetto. Un ragazzo dal lato opposto dei binari sembrò bloccarsi all’improvviso alla vista degli agenti in divisa per poi allontanarsi rapidamente. Indossava un lungo cappotto scuro e aveva il viso coperto dal berretto.
L’inglese non lo perse di vista e con discrezione lo seguì mantenendo una certa distanza.
Il giovane si mosse in direzione dei binari, dopo un po’ si accorse di essere sorvegliato, accelerò il passo e imperterrito proseguì nella medesima direzione. Dopo un attimo di esitazione ripartì di scatto e continuò la sua fuga serpeggiando tra i passanti.
L’agente segreto si gettò all’inseguimento, si fece spazio tra la folla ed estrasse la pistola.
Il giovane scavalcò il cancello e uscì in strada, il suo inseguitore lo imitò con rapidità e agilità.
L’irlandese abbandonò la via principale per infilarsi in un vicolo. Hart svoltò l’angolo di corsa, attraversò Park Street e raggiunse l’estremità di Bordesley Street, ritrovandosi alle spalle del fuggitivo. L’obiettivo era solo e sotto tiro.
«Fermo!» ordinò con fredda imposizione.
Il militante obbedì, ma non sembrò intenzionato ad arrendersi. Si voltò per guardare l’avversario dritto negli occhi, il suo sguardo era carico di odio e rancore. Entrambi poterono udire le grida dei poliziotti che stavano correndo verso di loro. L’irlandese sapeva che in breve sarebbe stato circondato, era consapevole di non avere alcuna speranza, nonostante ciò alzò il braccio per puntare l’arma contro l’agente segreto. 
Un solo sparo echeggiò nel vicolo deserto.
 
Il tenente Hart rivide il corpo esamine di quel giovane disteso in una pozza di sangue. La visione svanì all’improvviso ed egli tornò alla realtà, tra le mani stringeva ancora il fascicolo inviato dal comandante della Garda.
Gli eventi recenti avevano riportato alla sua mente le sue esperienze passate.
Inevitabilmente ricordò le parole del suo vecchio compagno: la parte del buon ufficiale ti si addice molto, ma ti preferivo quando avevi il coraggio di sporcarti le mani.
Hart non riteneva di essere cambiato nel tempo, era sempre disposto a fare tutto ciò che era necessario per portare a termine il suo dovere, indipendentemente dal ruolo che era tenuto a ricoprire per conto dell’MI5.
L’ufficiale abbassò lo sguardo tornando ad occuparsi del caso. Il rapporto a riguardo del misterioso tenente paracadutato nella valle di Glencree non lasciava alcun dubbio, tutti i suoi sospetti furono confermati dalle evidenze e dalle testimonianze raccolte dagli agenti.
Alcuni abitanti avevano riportato l’avvistamento notturno di un bombardiere tedesco, il velivolo solitario aveva sorvolato le montagne di Wicklow per poi svanire all’orizzonte. Due braccianti invece avevano affermato di aver visto un giovane in divisa vagare per le campagne, nell’oscurità era stato scambiato per un ufficiale della Garda, ma entrambi avevano notato un particolare, ovvero che egli faticava a camminare, zoppicava. Questo poteva spiegare il motivo per cui il tenente non aveva superato immediatamente il confine, essendo ferito non era stato in grado di raggiungere la capitale. Enniskerry era stata una sosta forzata.
Era ovvio che quel tedesco fosse L’Aquila, ed era piuttosto semplice ipotizzare che i suoi contatti in Irlanda fossero militanti dell’IRA.
Doveva sperare che l’infiltrato dell’MI5 riuscisse a scoprire qualcosa al più presto, nel frattempo non poteva restare fermo ad aspettare.
Sapeva per certo che i ribelli di Drumcondra erano coinvolti nell’omicidio dell’agente Ryan e che il loro comandante aveva rapporti con l’Abwehr. I principali sospettati sembravano esser scomparsi nel nulla, ma forse tra i militanti arrestati dal G2 avrebbe potuto trovare un anello debole disposto a parlare.
Doveva confrontarsi con un comandante che si era occupato di quelle retate, aveva bisogno di trovare qualcuno che conoscesse per bene le dinamiche dell’IRA a Dublino.
Immediatamente il tenente allungò la mano per afferrare la cornetta del telefono.
 
Come sempre James si mostrò impaziente di conoscere le novità sul caso.
«Sei riuscito a scoprire qualcosa a riguardo di quel tedesco?» chiese immediatamente al suo collega.
L’inglese scosse la testa: «no, ma ho trovato qualcuno che potrà aiutarci alle caserme McKee»
«Di chi si tratta?» domandò Donnelly con curiosità.
«Il sovrintendente Whelan, la sua squadra ha arrestato alcuni militanti nel quartiere di Drumcondra»
«Pensi che qualcuno di loro potrebbe essere disposto a parlare?»
«Whelan ha detto che il nome di Tin Town sta iniziando a spaventare i repubblicani e per questo diversi prigionieri stanno decidendo di collaborare con le autorità per non essere internati»
«Tin Town? Il campo di lavoro di Curragh?»
L’ufficiale annuì.
«Ho sentito storie terribili riguardanti quel luogo. Voi inglesi sapete che cosa succede davvero lì dentro?»
«Secondo l’Intelligence niente di irregolare, ma se queste voci possono servire a convincere i militanti a parlare allora dovremo confermarle»
Donnelly esitò, non era del tutto convinto che quelle fossero soltanto voci. In ogni caso preferì non esternare i suoi dubbi.
«Quando potremo incontrare il sovrintendente Whelan?»
«Non prima di domani» rispose il tenente.
Il giovane prese posto davanti alla scrivania, nonostante gli innumerevoli sforzi non riuscì a mascherare il suo turbamento. Il tenente Hart non ebbe bisogno di molto tempo per riconoscere quei segnali di inquietudine.
«Qualcosa non va?» chiese notando l’espressione preoccupata e il volto pallido.
Egli negò: «non è niente di importante»
L’ufficiale insistette: «così non sembra»
James ormai era consapevole di non poter nascondere nulla al suo compagno.
«D’accordo. Può sembrare assurdo, ma l’altra notte mentre tornavo a casa ho avuto la sensazione di essere seguito»
«E ritieni che questo non sia importante?» lo rimproverò il tenente.
«Il fatto è che non sono sicuro di quel che ho avvertito, forse mi sono solo lasciato suggestionare da questa faccenda»
«Sei un agente del G2, devi imparare a fidarti del tuo istinto»
«Non è così semplice» ribatté.
«Eri davvero in pericolo quella notte?»
Egli abbassò lo sguardo tentennando sulla risposta.
«Io ero convinto di sì, ho anche estratto la pistola, ma quando ho controllato dietro di me non c’era nessuno»
«Non c’era nessuno oppure non hai visto nessuno?»
James comprese la differenza.
«Non ho visto nessuno»
 
***
 
Donnelly raggiunse gli uffici della Sezione britannica, dopo aver consegnato il rapporto si affrettò a tornare sui suoi passi. Attraversò il lungo corridoio ripensando alla conversazione avuta con il tenente, quella faccenda stava diventando sempre più complessa e pericolosa.
Ad un tratto una delle porte alle sue spalle si spalancò: «sottotenente Donnelly!»
Egli riconobbe quella voce senza nemmeno voltarsi.
«Come mai è ancora qui? Non dovrebbe dare una mano ai suoi colleghi a trovare i terroristi che hanno fatto esplodere la bomba alle caserme McKee?»
Il detective Sullivan ignorò quella provocazione ed invitò il giovane ad accomodarsi nel suo studio.
«So che la mia presenza non le è ben gradita, ma deve rassegnarsi. Continuerò a condurre le indagini al Castello finché non avrò trovato la spia dell’IRA»
Donnelly scosse le spalle: «se potessi aiutarla lo farei, ma non ho davvero nulla da dirle»
«Non ho alcun interesse a tormentarla, sto solo svolgendo il mio lavoro»
James restò diffidente.
«Sono qui soltanto perché gli indizi mi hanno portato da lei»
Egli non capì: «di quali indizi sta parlando?»
«A quanto pare si è ritrovato spesso al posto giusto al momento giusto, inoltre si è occupato di tutti i casi che hanno avuto a che fare con questa fuga di informazioni»
«Si tratta semplicemente di coincidenze» replicò in sua difesa.
«Può dimostrarlo?»
«Be’, per certo posso affermare di non aver mai lavorato al caso dell’agente Ryan prima del suo omicidio»
Sullivan controllò la sua cartella: «già, era in servizio alle caserme di Harcourt Street. Casualmente anche quelle unità erano coinvolte nelle operazioni»
«Mi sta accusando di essere la spia?»
«No, non ho prove per dimostrarlo. Le sto soltanto esponendo la ragione per cui non posso lasciarla in pace: lei è un sospettato»
Donnelly avrebbe desiderato protestare, ma era consapevole che in quelle condizioni non avrebbe potuto convincere quell’uomo della sua innocenza. Tutto ciò che poteva fare era mostrarsi tollerante e collaborativo.
 
***
 
Il tenente Hart ripensò a ciò che il suo giovane collega aveva detto a riguardo di quel campo di internamento. Egli era sembrato particolarmente turbato da certe indiscrezioni che erano fuoriuscite da quelle mura.
L’ufficiale britannico decise di indagare sulla questione, se voleva sfruttare quelle informazioni a suo vantaggio doveva prima scoprire la verità.
 
Il capitano Kerney accolse il tenente nel suo ufficio senza troppo entusiasmo, quegli incontri stavano diventando sempre più inopportuni.
«A cosa devo questa visita?» chiese con evidente nervosismo.
«Ho bisogno di parlare con lei di una questione importante»
L’irlandese restò in attesa di ulteriori spiegazioni.
«Si tratta del Campo di Curragh» rivelò l’agente segreto.
Kerney rimase sulla difensiva. 
«L’Intelligence è già ben informata sulle condizioni dei vostri piloti catturati in Irlanda. Come sa gli inglesi sono trattati con rispetto. Questa Nazione è neutrale, le leggi internazionali sono rispettate come previsto dalla Convenzione di Ginevra, anche se non potrei nemmeno definire lo stato dei suoi connazionali come una vera e propria prigionia poiché godono di molte libertà»
«Non è la sezione riservata agli aviatori della RAF a interessarmi, e nemmeno quella per i marinai e i piloti tedeschi. Voglio sapere che cosa sta realmente succedendo a Tin Town» specificò Hart.
Il capitano trasalì: «chi le ha riferito quel nome?»
«Un sovrintendente della polizia segreta militare»
«Noi preferiamo non utilizzare quel termine, sono i repubblicani a definire il campo in quel modo»
Hart non aveva intenzione di perdere tempo con dettagli irrilevanti. 
«D’accordo, come preferisce. Dunque, che cosa sa dirmi a riguardo?»
L’ufficiale esaudì la sua richiesta.
«Il Campo è stato riaperto per volere del Fianna Fáil, siamo in stato di Emergenza e il Governo ha dovuto prendere alcune decisioni fondamentali per la sicurezza della Repubblica»
«È l’Esercito a controllare il Campo?»
Kerney annuì: «ovviamente con la collaborazione della Garda e dei servizi segreti»
«In passato quel luogo è stato teatro di eventi piuttosto cruenti» rammentò l’inglese.
«La Guerra Civile è terminata da ormai vent’anni. Curragh non è più una prigione militare, ma un campo di lavoro e rieducazione»
«Dunque tutte le voci sulle ingiustizie e i maltrattamenti inflitti ai prigionieri sono false?»
Il capitano iniziò ad irritarsi.
«Non vorrà prendere in considerazione le falsità diffuse dalla propaganda repubblicana!»
«Il mio intento è quello di essere il più obiettivo possibile» si giustificò.
«Temo che lei stia soltanto perdendo tempo, inoltre non vedo come queste informazioni potrebbero essere utili per le sue indagini»
«Ho intenzione di interrogare alcuni prigionieri dell’IRA e Tin Town potrebbe essere una preziosa carta da giocare in questa situazione»
«Può spaventare quei militanti come ritiene opportuno, ma deve essere consapevole che la loro rappresentazione di Curragh non ha nulla a che fare con la realtà»
«Spesso le menzogne hanno un fondo di verità» commentò il tenente.
«Con tutto rispetto, lei è un ufficiale britannico, trovo alquanto ipocrita il suo interessamento per i diritti dei prigionieri dell’IRA»
Hart non replicò, non aveva alcun interesse nel difendere i repubblicani, ma era certo che quel colloquio non avesse portato a galla tutta la verità.
 
***
 
Anche quella sera James abbandonò il Castello tormentato da ansie e preoccupazioni. L’interrogatorio con il detective Sullivan era stato lungo e impegnativo da sostenere. Aveva risposto a tutte le domande, ma l’investigatore dell’Unità Speciale non gli era parso soddisfatto, era ovvio che ciò non fosse stato sufficiente a scagionarlo da ogni sospetto.
Il giovane, ormai esausto, attraversò il parco e imboccò la strada di casa senza accorgersi dei passi che sempre più velocemente si stavano avvicinando.
Nell’istante in cui svoltò l’angolo avvertì una presa al braccio, qualcuno alle sue spalle l’afferrò con forza spingendolo contro alla parete.
Il ragazzo tentò di liberarsi, ma si immobilizzò quando avvertì il freddo metallo di una pistola.
James obbedì al volere dei due assalitori che gli intimarono di continuare a camminare. Il primo uomo lo trascinò per il braccio, il secondo invece si posizionò alla sua destra premendo la canna della Webley contro al suo fianco.
I tre oltrepassarono il ponte e svoltarono in un vicolo.
 
Il tenente Hart assistette alla scena dalla sua postazione situata dalla parte opposta del fiume. Dopo la rivelazione di quel pomeriggio aveva deciso di non lasciare solo il suo collega. L’ufficiale si era fidato dell’istinto dell’agente Donnelly, il quale inconsapevolmente aveva fiutato il pericolo.
Restando a debita distanza seguì i rapitori attraverso il quartiere industriale nella periferia di Dublino. Le strade divennero sempre più oscure e desolate. Il gruppetto sparì dietro all’ennesimo vicolo. L’inglese si guardò rapidamente intorno, non potevano essere lontani.
Senza troppe difficoltà riconobbe un edificio abbandonato appartenente alla vecchia distilleria.
L’ufficiale britannico si avvicinò all’entrata principale, quella volta affrontò il pericolo ignorando ogni precauzione, sapeva di dover agire rapidamente se voleva salvare la vita del suo compagno.
«Polizia! Aprite!» gridò battendo contro il legno.          
Hart avvertì dei rumori all’interno, a quel punto senza alcuna esitazione irruppe nella stanza.
Il tenente si ritrovò in un ambiente freddo e buio, appena i suoi occhi si furono abituati all’oscurità scorse una figura distesa a terra. Immediatamente si avvicinò.
«James!»
Radley si chinò al suo fianco, il giovane aveva il volto tumefatto e gli abiti macchiati di sangue, nonostante ciò si sforzò di parlare.
«Loro sono fuggiti, sono usciti dal retro»  
Hart corse a controllare pur sapendo che ormai era troppo tardi, i due erano già scomparsi nella notte. Il tenente tornò accanto al compagno ferito per accertarsi delle sue condizioni.
«Come ti senti?» domandò con apprensione.
Donnelly avvertì un rivolo di liquido caldo e viscoso scendere sul viso.
«Sto bene» mentì.
L’inglese l’aiutò a rialzarsi sorreggendolo tra le sue braccia.
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Ammetto di averti seguito, quando mi hai detto che ti sentivi in pericolo non ho potuto ignorare la questione»
«Grazie per avermi salvato» ansimò il ragazzo.
«Non avrei mai potuto abbandonarti» lo rassicurò Hart.
James rispose con una smorfia di dolore.
 
***
 
L’infermeria del Castello era deserta, l’intero edificio sembrava piuttosto tetro dopo il tramonto.
«Sei sicuro di non voler andare all’ospedale?» chiese Hart osservando il gonfiore sul viso del giovane.
Il ragazzo confermò la sua decisione: «a quanto pare non ho niente di rotto»
«In effetti hai dimostrato di possedere un’ottima resistenza» ammise l’inglese.
«Al college ero un discreto pugile, ho imparato a incassare i colpi»
L’ufficiale sistemò al meglio la fasciatura: «non penso che durante quegli incontri ti abbiano mai picchiato con il calcio di una pistola»
James tentò di minimizzare l’accaduto: «non preoccuparti, non è nulla di grave»
«Temo che con quel livido in faccia non avrai più l’aspetto da bravo ragazzo»
«Suppongo che ormai non fosse più adatto a me»
Dopo essersi occupato di medicare le ferite del suo compagno Hart riprese con le sue domande.  
«Sei certo che i tuoi assalitori fossero militanti dell’IRA?»
Donnelly annuì.
«Che cosa volevano da te?»
«Mi hanno fatto delle domande riguardanti le nostre indagini, ma ovviamente io non ho detto nulla»
«Di questo ne sono certo»
Il sottotenente ebbe un lieve sussulto: «credi che la spia sia coinvolta in tutto questo?»
L’inglese sospirò: «è probabile…»
James avrebbe desiderato continuare quella conversazione, ma la stanchezza lo costrinse a desistere.
Il tenente non poté evitare di sentirsi responsabile, era certo che l’aggressione del suo collega fosse in qualche modo legata a lui, era ovvio che l’IRA non avesse scelto un bersaglio casuale.
Ormai non avevano più molto tempo, dovevano trovare la spia del Castello al più presto.

 

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Capitolo 17
*** Accordi e compromessi ***


Ringrazio i lettori che sono giunti fin qui.
Un ringraziamento speciale ai cari recensori per il prezioso supporto^^

 
 
17. Accordi e compromessi   
 

«Londra sta bruciando. La Luftwaffe ha effettuato due grandi attacchi diurni colpendo i moli e le comunicazioni ferroviarie della città. I cieli sopra al Tamigi sono stati oscurati da stormi di bombardieri e caccia tedeschi. Tre ondate di velivoli in formazione hanno superato in più punti lo sbarramento del fuoco della difesa anti-aerea. Violenti scontri si sono protratti per l’intera giornata. La RAF ha subìto gravi perdite. Diversi campi di aviazione nell’aerea Sud-Est sono stati distrutti o gravemente danneggiati, i bombardamenti hanno causato numerosi morti e feriti tra il personale in servizio. I tedeschi non hanno lasciato tregua all’Inghilterra, per ore le bombe hanno continuato a cadere ininterrottamente sul suolo britannico»
Charles concluse la lettura con aria compiaciuta, poi ripiegò il quotidiano per riporlo sul tavolo.
«Deve essere orgoglioso dei suoi commilitoni, sembra proprio che voi tedeschi siate sul punto di vincere la guerra»
Schneider si appropriò immediatamente del giornale per controllare l’articolo con i suoi occhi, mentre egli era bloccato su quell’Isola il conflitto stava progredendo inesorabilmente.
Il capitano Maguire estrasse dalla giacca il contenitore metallico in cui conservava le sue Sweet Aftons. Si portò una sigaretta alle labbra e ne offrì un’altra al tenente, poi accese entrambe con un raffinato accendino decorato con madreperla.
«Purtroppo non sono riuscito a procurarle una radiotrasmittente, la sua è una richiesta difficile da soddisfare»
Hans non fu sorpreso da quella notizia.
«Finché non avrò modo di contattare i miei superiori non potrò esservi utile»
Charles ribatté: «si sbaglia tenente, la sua presenza in Irlanda è decisamente preziosa per l’IRA»
Schneider tentò di interpretare il significato di quella frase.
«Suppongo che lei voglia sapere perché ho voluto tenerla sotto stretto controllo per tutto questo tempo» continuò l’irlandese.
«In effetti credo che lei mi debba almeno una spiegazione»
Il capitano espirò una nuvola di fumo.
«Volevo essere certo che lei non stesse facendo il doppio gioco»
«Con gli inglesi?» domandò Schneider con aria confusa.
Maguire scosse la testa: «oh, no. Questo sarebbe davvero assurdo!»
«Allora di che sta parlando?»
«La Germania ha bisogno di un pretesto per invadere l’Irlanda, avete almeno tre possibilità, e l’IRA è una di queste»
«E quali sarebbero le altre due?»
«Il primo è il Governo irlandese. Anche l’Esercito è a corto di armamenti, gli inglesi non vogliono più fornire risorse belliche all’Irlanda e dubito che gli americani sarebbero disposti a prendere il loro posto»
«Crede che il Governo irlandese abbia stretto accordi con la Germania?»
«Questo dovrebbe dirmelo lei»
«Non sono a conoscenza di alcuna trattativa con le vostre autorità»
Il capitano espresse i suoi dubbi.  
«Sapeva che prima della guerra l’equipaggiamento dell’Esercito irlandese era a imitazione di quello tedesco? Poi quando l’Inghilterra ha iniziato a fare pressioni sulla nostra Nazione i soldati irlandesi sono tornati a sembrare militari britannici. Ed ora che gli inglesi non sono più disposti a supportare l’Óglaigh na hÉireann mi chiedo se il Governo non abbia cercato di riallacciare vecchi rapporti…»
Hans si mostrò scettico: «per quale motivo la Germania dovrebbe sostenere il Governo di una nazione che è intenzionata ad invadere?»
«Perché se questi accordi dovessero fallire diventerebbe di vostro interesse preservare la Neutralità dell’Irlanda. Offrire supporto al Governo è un buon modo per ottenere questo risultato»
Il tenente trovò tutto ciò alquanto assurdo.
«Credo che lei abbia molta più fantasia dei miei superiori»
«Ho le mie ragioni per supporre che queste non siano soltanto teorie»
«Come le ho detto non sono mai stato informato a riguardo di accordi segreti con membri del Governo irlandese»
Maguire assunse un’espressione pensierosa.
«Sono disposto a crederle. Ma a dire il vero non è questa la possibilità che più mi preoccupa. Quel che sospetto maggiormente è che lei possa avere rapporti con i rappresentanti di alcuni gruppi politici»
Schneider rispose in piena sincerità: «l’Abwehr è interessata soltanto ad accordi militari»
«Sta dicendo che tra i suoi contatti non ci sono membri del Fine Gael [1] ed esponenti delle Camicie Blu?»
«Non è per questo che sono qui, ho l’ordine di non intromettermi in nessuna questione al di fuori della mia missione»
Il capitano non ebbe l’impressione che il suo interlocutore stesse mentendo.
«Dunque la Germania non è intenzionata a finanziare altre organizzazioni?»
«No, ormai credo di averle ampiamente dimostrato che l’IRA può fidarsi dell’Abwehr»
Charles rifletté qualche istante, poi rialzò lo sguardo e rivolse un mezzo sorriso al tenente.
«Bene, ora che abbiamo chiarito la situazione posso rivelarle la ragione per cui ho voluto organizzare questo incontro»
Hans restò in attesa con fervente curiosità.
«L’IRA ha un piano, ma ha bisogno del suo aiuto per realizzarlo» spiegò Maguire.
«Credevo che il vostro obiettivo fosse collaborare con la Germania per sconfiggere l’Inghilterra»
«Certo, ma la situazione non è così semplice»
Schneider iniziò a mostrarsi impaziente: «in che cosa consiste il vostro piano?»
«L’IRA è disposta a combattere, abbiamo gli uomini, ma non i mezzi. Abbiamo bisogno di ricostituire un vero esercito, così mentre voi vi occuperete dell’invasione, noi daremo inizio alla rivolta»
«La Germania ha già portato a termine diverse missioni per finanziare l’IRA»
«Questa volta è diverso, non si tratterà di un’azione isolata, ma di una vera insurrezione. Dobbiamo essere pronti alla guerra»
«In questo l’IRA ha una certa esperienza, se non sbaglio è così che avete ottenuto l’Indipendenza»
Lo sguardo del capitano si incupì: «i tempi sono cambiati, non possiamo pensare di fronteggiare il nemico come i nostri padri. L’Esercito del Popolo necessita di organizzazione e rifornimenti»
Il tedesco ascoltò con attenzione le richieste del suo interlocutore.
«Se la Germania dovesse accettare la vostra proposta e provvedesse a fornirvi armi e munizioni, voi sareste disposti a mettere in campo le vostre unità per supportare le truppe della Wehrmacht durante l’invasione?»
Maguire annuì: «ovviamente il Comando dell’IRA si impegnerà a rispettare i termini degli accordi»
Schneider rimase perplesso, i militanti volevano sfruttare quell’alleanza, ma forse stavano pretendendo troppo.
 
***
 
Quella sera Declan si presentò davanti alla stanza del capitano, superò la guardia e bussò con impazienza.
Appena avvertì la voce del suo comandante si precipitò all’interno richiudendo la porta alle sue spalle.
«Ho bisogno di parlarti» iniziò con evidente agitazione.
«Di che si tratta?» chiese Maguire rivolgendo l’attenzione al nuovo arrivato.
«Della questione del tenente Schneider. Voglio sapere se l’IRA ha davvero intenzione di proteggerlo»
«La sorte di quel tedesco non dovrebbe preoccuparti» replicò il comandante.
Il giovane insistette: «ciò riguarda anche la mia missione»
Charles esitò, in fondo poteva comprendere le ragioni del suo sottoposto, così alla fine si decise a fornirgli una risposta.
«Quell’ufficiale è un nostro alleato ed è così che sarà trattato durante la sua permanenza in Irlanda. Ma ovviamente se dovessimo aver prova di un suo possibile tradimento dovremo reagire di conseguenza»   
«Ciò che significa?»
«Come sai l’IRA ha sempre condannato i traditori»
«Il tenente Schneider non è un traditore!» affermò Declan con estrema convinzione.
Il capitano Maguire gli rivolse uno sguardo severo: «non devi dimenticare che egli è una spia, non possiamo sapere quali potrebbero essere le sue reali intenzioni»
Il ragazzo non riuscì a nascondere la sua preoccupazione. Fu costretto ad accettare la realtà, la sua fiducia nei confronti dell’ufficiale tedesco non poteva essere giustificata agli occhi dei suoi commilitoni.
Charles tornò a rivolgersi al suo compagno.
«A proposito della tua missione…ho un nuovo compito da affidarti»
 
Al termine di quel colloquio Declan si ritrovò nuovamente tormentato dai dubbi. Era sempre convinto dell’onestà del tenente. Pur essendo consapevole dei suoi doveri come soldato repubblicano fedele alla Causa una parte di sé non voleva tradire la promessa fatta al tedesco.
Ad essere sincero non sapeva che cosa sarebbe successo se fosse stato costretto a prendere una decisione definitiva.
 
***
 
Il tenente Schneider rifletté attentamente sulla situazione, le trattative stavano progredendo lentamente, ma pian piano stava ottenendo qualche risultato. Aveva consegnato nelle mani del capitano Maguire i preziosi documenti forniti dall’Abwehr così come era previsto dal piano. A quel punto doveva solo affidarsi all’IRA e sperare che gli accordi venissero rispettati. Di certo sarebbe stato tutto più semplice con il supporto dei suoi superiori, ma a quel punto difficilmente gli sarebbe stato concesso di contattare la base. In quelle condizioni poteva portare avanti la missione soltanto con l’aiuto dei militanti. Doveva ottenere le informazioni che stava cercando e trovare un modo per rientrare in Germania. La sua permanenza a Dublino era sempre più pericolosa, di questo ne era certo.
 
Hans si distese sul suo giaciglio rannicchiandosi sotto alle coperte. Poggiò la testa sul cuscino e richiuse gli occhi nel tentativo di addormentarsi. Lentamente si lasciò sopraffare dalla stanchezza, senza nemmeno accorgersene si abbandonò alle fantasie del mondo onirico. Riemergendo dall’oscurità si ritrovò nel cockpit di un Bf109, avvertì il caratteristico rumore metallico del motore Daimler-Benz e il costante ronzio delle eliche. Lo spazio stretto e angusto di quell’abitacolo di alluminio era noto e familiare. Davanti a sé riconobbe il pannello dei comandi, a prima vista poteva sembrare complesso gestire quell’insieme di lancette, leve e manopole, ma in realtà la strumentazione era piuttosto semplice da utilizzare. Tutto era posizionato in modo da risultare intuitivo e funzionale per il pilota.
Il canopy richiuso sopra alla sua testa non gli dava l’impressione di essere intrappolato all’interno della cabina, ma suscitava in lui la sensazione di essere anch’egli parte integrante del velivolo, cosa che effettivamente era vera. Attraverso le griglie metalliche che limitavano la visuale poté scorgere un cielo limpido e azzurro, sotto di sé si estendeva un generico scenario di campagna, tra campi coltivati e verdi colline.
Istintivamente tirò la cloche verso di sé per cabrare. Il muso del Messerschmitt si innalzò, rapidamente l’aereo salì di quota sbucando tra soffici e candide nubi. Livellò e tornò ad assestarsi. I comandi cominciarono ad opporre resistenza, a causa della forte velocità era costretto a stringere la barra con entrambe le mani per compiere le manovre più impegnative. Pur richiedendo un notevole sforzo fisico ciò non era particolarmente difficoltoso per un pilota esperto e abituato a volare in determinate condizioni.
Poiché in quel cielo immaginario il suo caccia non aveva prede il tenente distolse l’attenzione dal mirino della mitragliatrice e liberandosi da ogni preoccupazione si gettò in una spettacolare esibizione aerea, dilettandosi con looping e altre acrobazie.
 
Hans tornò alla realtà avvertendo una lieve pressione sulla spalla destra, qualcuno lo stava scuotendo con delicatezza per destarlo.
«Svegliati, dobbiamo andare!» lo incitò una voce nel buio.
Il tenente riaprì gli occhi con un sussulto.
«Declan…che succede?» chiese ancora frastornato.
«Non possiamo restare qui»
«Cosa? E dove dovremmo andare?»
«In un luogo più sicuro» fu la vaga risposta. 
L’ufficiale si rassegnò, era certo che se avesse posto ulteriori domande non avrebbe comunque ottenuto alcuna informazione. Rapidamente recuperò la pistola e si preparò a seguire il suo compagno. Doveva ammettere che non gli dispiaceva affatto l’idea di abbandonare il rifugio del comandante, ma non sapeva che cosa aspettarsi. La situazione avrebbe potuto degenerare da un momento all’altro, a rassicurarlo restava soltanto la presenza di Declan.
L’irlandese uscì in corridoio e cautamente scese le scale di legno. Schneider si sorprese nello scoprire che le stanze erano deserte, le sentinelle sembravano scomparse nel nulla. Probabilmente erano con il capitano Maguire ad organizzare la fuga.
Hans avvertì soltanto il rumore delle assi sconnesse che ad ogni passo scricchiolavano sotto al suo peso.
I due raggiunsero il retro del locale ed uscirono in strada.
Un taxi era parcheggiato davanti ai cancelli, il tenente riconobbe alla guida l’uomo in nero che li aveva accolti nel rifugio.
Declan corse ad apire la portiera posteriore e fece segno al tenente di salire all’interno. Non avendo scelta Hans non poté far altro che obbedire. Il tedesco prese posto sul sedile, O’ Riley si sistemò al suo fianco.
Il motore si accese con un rombo, il guidatore partì senza fretta per non dare nell’occhio e permettere ai passeggeri di controllare la situazione.
Declan rimase voltato verso il finestrino, scrutando nella penombra con il suo sguardo vigile e attento.
Aveva smesso di piovere, le strade erano bagnate, l’umidità penetrava attraverso la stoffa dei vestiti. Il tenente si strinse nella giacca avvertendo un brivido di freddo. I suoi compagni erano cauti e silenziosi, la tensione era palpabile nell’aria.
L’automobile percorse le vie deserte con i fari spenti.
«Lei è armato signor tenente?» domandò ad un tratto l’uomo in nero.
«Sì certamente. Ho una pistola semi-automatica»
«Che modello?» chiese con fare esperto.
«È una Browning di fabbricazione belga»
«Bene. Spero che abbia anche una buona mira. Nel caso non esiti a sparare, con quei bastardi non deve risparmiare le pallottole!» disse freddamente l’irlandese. 
Hans si domandò chi potessero essere i bastardi. I poliziotti della Garda? Gli agenti del G2? I militari?
Probabilmente per quel militante lo erano tutti quanti.
Era stato ben informato a riguardo delle azioni dell’IRA, perlopiù consistevano in attentati e omicidi.
Schneider si voltò verso il suo compagno, sicuramente anche Declan aveva preso parte a missioni del genere. In fondo egli era un soldato, e come aveva dimostrato era disposto a tutto per difendere i suoi ideali di giustizia e libertà. Alcuni consideravano i militanti dell’IRA come criminali, ma Hans era consapevole che ci fosse qualcosa di più. Comprendeva le motivazioni di quei ribelli, in loro vedeva combattenti e non assassini.
 
Il taxi attraversò la città percorrendo strade secondarie e scorciatoie nascoste. Non trovarono ostacoli o pericoli lungo il tragitto, Dublino riposava nella quiete e nel silenzio della notte.
L’automobile attraversò il ponte sul Grand Canal, svoltò in una via laterale e si accostò al marciapiede. Ancor prima che il veicolo si fermasse Declan aprì la portiera per prepararsi alla discesa. I due uscirono rapidamente, appena l’irlandese ebbe richiuso la portiera l’auto ripartì scomparendo al primo incrocio.
Hans mosse qualche passo ed esplorò la zona con lo sguardo nel tentativo di orientarsi. Era certo che si fossero spostati verso l’area sud della città, da quel che riuscì a individuare nell’oscurità riconobbe un quartiere borghese. Dovevano trovarsi in una zona piuttosto tranquilla, non si respirava la stessa tensione e inquietudine del vicolo poco raccomandabile dove si erano nascosti con il capitano Maguire.
O’ Riley si incamminò lungo il marciapiede, il tedesco lo seguì senza porre domande.  
 
Giunsero davanti a un modesto edificio a due piani, Declan si avvicinò all’entrata principale, bussò alla porta e rimase in attesa.
«Sembra che non ci sia nessuno» sussurrò Hans dopo qualche istante di silenzio.
L’irlandese bussò nuovamente, questa volta in modo più insistente.
Si avvertirono dei rumori all’interno, poterono ben riconoscere l’eco dei passi in avvicinamento.
Finalmente la serratura scattò, dallo spiraglio aperto spuntò il volto cereo e incavato di un giovane alto e smilzo.
Schneider ebbe l’impressione di trovarsi davanti a un fantasma. O’ Riley entrò trascinando con sé il suo compagno.
Il ragazzo dall’aspetto anemico scambiò solo poche frasi con Declan, aveva un forte accento e utilizzava spesso termini in gaelico. Dal suo atteggiamento era evidente che fosse abituato a rapportarsi con i militanti.   
Dopo quel breve dialogo il giovane si limitò a consegnare le chiavi e ad indicare il passaggio per raggiungere le scale.
Al piano superiore i due trovarono un appartamento che sembrava esser rimasto a lungo disabitato. Il nuovo nascondiglio era decisamente meno confortevole rispetto alle precedenti sistemazioni.
Hans terminò il rapido giro di perlustrazione nelle tre stanze e tornò nel piccolo salotto.
«Il ragazzo è un vostro collaboratore?» domandò pur conoscendo già la risposta.
«Nigel si è occupato di nascondere diversi informatori per l’IRA»
Schneider rimase diffidente.   
«Lui conosce la verità sulla mia identità?»
Declan scosse la testa: «no, e probabilmente non gli interessa»
«Davvero? È disposto a rischiare la vita per i repubblicani senza nemmeno sapere il perché?»
«Il suo è un compito discreto e riservato. Inoltre Nigel sa bene che l’IRA ha i suoi segreti e che in certe situazioni le domande sono pericolose»
«È un tipo molto previdente, forse anche troppo…» commentò.
«Possiamo fidarci di lui» lo rassicurò l’irlandese.   
Hans sospirò. 
«Devo confessarti di esser lieto di non esser più sorvegliato dalle guardie del capitano, ma per portare avanti la mia missione devo restare in contatto con il Comando dell’IRA»
«Sono certo che Maguire rispetterà gli accordi»
Schneider aveva dimostrato di essere disposto a fidarsi dei repubblicani, fino a quel momento i suoi alleati erano stati leali e affidabili, ma in quelle condizioni doveva essere pronto a tutto. La situazione in Irlanda si era rivelata ben più complessa del previsto. Non poteva conoscere le mosse dei militanti e il fatto di non aver alcun controllo sull’intera faccenda lo rendeva soltanto succube degli eventi.
In fondo però era consapevole che per rapportarsi con quella realtà doveva fare i conti anche con la precarietà e la clandestinità dell’IRA.
In quel momento Hans ripensò all’Oberleutnant Farnbacher, il quale non era stato soltanto il suo Staffelkapitän [2], ma anche il suo mentore durante il suo periodo di formazione come pilota. In particolare ricordò ciò che il comandante gli aveva detto durante uno dei suoi rimproveri. Come molti dei suoi compagni all’inizio dell’addestramento anch’egli era un giovane avventato ed impulsivo.
 
«La Germania ha bisogno di aviatori che sappiano volare con intelligenza e non di teste calde pronte a farsi abbattere alla prima missione. Si attenga alle regole, quando sarà il momento avrà modo di dimostrare il suo valore»
 
Il tenente poté assodare la veridicità di quelle parole anche per quel che riguardava il suo ruolo come agente dell’Abwehr. Se voleva avere qualche possibilità di salvezza doveva mantenere la mente fredda e i nervi saldi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
 
[1] Partito politico che negli anni ’30 e ’40 fu promotore e sostenitore degli ideali di estrema destra in Irlanda.
 
[2] Comandante di squadriglia.

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Capitolo 18
*** Rivelazioni ***


 
18. Rivelazioni
 

Alle caserme McKee si avvertiva ancora un clima di vibrante tensione. Le guardie scambiavano sguardi truci, il silenzio era quasi inquietante. Le reclute in addestramento marciavano avanti e indietro nell’ampio cortile con i nervi tesi e gli animi irrequieti.
Il tenente Hart varcò i cancelli e senza esitazione si incamminò verso la sede dell’Unità Speciale. L’agente Donnelly si fermò ad osservare l’edificio danneggiato dalla recente esplosione, a testimoniare l’accaduto restava un cumulo di macerie sotto al tetto sfondato.
James restò qualche istante immobile in rispettoso silenzio, poi distolse lo sguardo e si affrettò a raggiungere il suo compagno.
Ad accoglierli trovarono il sovraintendente Whelan, il quale era già stato informato sulla situazione.
«Tenente Hart, è un onore conoscerla» affermò il comandante dell’Unità Speciale con una vigorosa stretta di mano.
«Devo ringraziarla per la disponibilità, il suo aiuto potrebbe essere fondamentale per le nostre indagini»
Whelan apprezzò la sua cordialità.
«Che è successo al suo collega?» chiese notando le bende sul volto del sottotenente.
«Si è trattato di un incidente» rispose prontamente il tenente Hart.
«Un incidente?» domandò l’altro più per curiosità che per sospetto.   
James rimase in silenzio, chiedendosi che cosa avesse in mente il suo superiore.
L’inglese si mostrò tranquillo e sicuro di sé.  
«Con la motocicletta, il ragazzo ama un po’ troppo la velocità»
«Oh, capisco. Scommetto che è caduto sui binari del tram, a mio cugino è successa la stessa cosa mentre era in sella alla sua bicicletta. Bisogna stare attenti con le strade bagnate»
«È quello che gli ho sempre ripetuto anche io, ma ovviamente non ha mai voluto darmi ascolto»
Donnelly, interdetto, non poté far altro che assistere alla sceneggiata del tenente, sopportando in silenzio quell’assurda ramanzina. Era convinto che in fondo Hart si stesse divertendo nel rimproverarlo anche con quella farsa.
Fortunatamente il sovrintendente cambiò presto argomento, riportando l’attenzione sulla ragione della loro visita.
«Come le ho detto alcuni prigionieri sono disposti a collaborare in cambio di una pena meno severa»
«Ha nominato Tin Town» ricordò Hart.
«Sì, a quanto pare le voci che circolano negli ambienti repubblicani stanno convincendo i prigionieri a trattare con le autorità»
«Come mai quel Campo è così temuto dai militanti dell’IRA?»
Whelan parve crucciarsi: «Curragh si è fatto una macabra reputazione ai tempi della Guerra Civile. La sua riapertura ha riportato alla luce gli orrori del passato»
«Di che sta parlando esattamente?»
Il sovrintendente si assicurò che nessuno li stesse ascoltando prima di rispondere a quella domanda.
«Vent’anni fa il Campo è stato teatro di orrendi crimini commessi dell’Esercito. Crudeltà, torture, violenze…nei casi peggiori anche esecuzioni sommarie»
Donnelly rabbrividì.
«E adesso le cose sono cambiate?» chiese Hart lasciando intuire un velo di scetticismo.
«Le assicuro di sì, tenente. Questa Nazione è stata devastata dalla guerra, il popolo irlandese è stanco di soffrire, non vogliamo ripetere gli stessi errori dei nostri padri»
L’inglese fu colpito da quelle parole, era sicuro che egli fosse sincero, ma non era convinto che i suoi superiori fossero della stessa idea.
In ogni caso la questione non riguardava le sue indagini, o meglio, dal suo punto di vista la terribile reputazione del Campo di Curragh giocava a suo favore. Per non rischiare di creare fraintendimenti il tenente tornò a trattare del caso.
«Ho saputo che recentemente la sua squadra ha arrestato alcuni militanti nel quartiere di Drumcondra»
Whelan annuì: «abbiamo avuto una soffiata da un nostro informatore. Durante la retata è scoppiata anche una sparatoria…non ci sono state vittime, ma alcuni militanti sono riusciti a fuggire e due dei nostri detective sono stati feriti»
Hart diede una rapida occhiata al rapporto.
«Può comunque considerarla un’operazione conclusa con successo» commentò passando i documenti nelle mani di James.
«Già, abbiamo ottenuto dei prigionieri senza alcuna perdita»
«Tra di loro qualcuno potrebbe essere disposto a collaborare?»
Il sovrintendente rifletté attentamente.
«Sono tutti molto ostinati, due sono veterani, quindi da loro non può aspettarsi niente. Erano già pronti a morire nel ’19 con Collins e nel ’22 con Lynch, non temono alcuna condanna. L’unico che potrebbe cedere è un ragazzo»
«Pensa che potrei convincerlo a tradire i suoi compagni?»
«Se saprà giocare bene le sue carte…noi abbiamo pensato a spaventarlo a dovere»
Hart prese un profondo respiro.
«Che cosa devo sapere su di lui?»
«Il suo nome è Bernie Ferguson, ha diciassette anni. Lavorava come lattaio, oltre ad essere una staffetta dell’IRA»
«Nient’altro?» 
«No, a parte il fatto che è un culchie»
L’ufficiale rivolse un’espressione interrogativa al suo collega.
«Un ragazzo di campagna» tradusse James, tralasciando il significato dispregiativo del termine.
«D’accordo, andiamo. Non abbiamo tempo da perdere»
Donnelly richiuse la cartella e seguì il suo superiore.
 
Il sovrintendente accompagnò i due agenti nelle prigioni percorrendo un lungo corridoio. James scese lentamente gli scalini di pietra poggiandosi alla parete fredda e umida. Quel luogo con la sua atmosfera lugubre e angosciante sembrava esser rimasto immutato nei secoli.
Whelan si fermò davanti a una cella, un soldato si occupò di chiavi e serratura. Attraverso le sbarre Hart intravide il detenuto legato a una sedia, avvicinandosi notò i lividi sulle braccia e sul volto. Il giovane respirava a fatica, probabilmente era stato colpito anche al costato.
«Ha opposto resistenza» fu la sbrigativa spiegazione della guardia.
Il tenente non disse nulla a riguardo, attese di essere lasciato solo con il prigioniero e Donnelly come testimone prima di iniziare il suo interrogatorio.
Il ragazzo sembrò in soggezione davanti a un ufficiale britannico. Quest’ultimo si rivolse al militante con tono autoritario, ma non minaccioso.
«Sono il tenente Radley Hart, lui invece è il sottotenente James Donnelly. Non siamo della Garda e nemmeno della polizia militare. Siamo dei servizi segreti»
Bernie sussultò, probabilmente scosso dalla notizia che il suo caso avesse attirato l’attenzione dell’Intelligence oltre che del G2.
«Che cosa volete?» chiese tra il sorpreso e il timoroso.
«Informazioni» replicò Hart, chiaro e diretto.
«Non ho intenzione di parlare» fu la fredda risposta.
«Siamo disposti a trattare. Sei fortunato, non a tutti è concesso scendere a patti con l’Intelligence»
Il ragazzo scosse la testa.
«Sei molto giovane, potresti scontare una pena ridotta in carcere e avere ancora un futuro al momento del tuo rilascio»
Egli rimase impassibile.
L’espressione sul viso del tenente si indurì.
«Sai bene qual è l’unica alternativa»
«Non ho paura di essere internato, sono pronto ad affrontare il mio destino»
«Davvero?» chiese Hart esternando la sua perplessità.
L’ufficiale si avvicinò al prigioniero ed aprì la sua camicia per esaminare da vicino gli ematomi gonfi e violacei cosparsi sul suo torace.
«Le percosse di quei soldati non sono nulla in confronto a quello che potrebbero farti le guardie di Tin Town. Un ragazzino come te non resisterebbe per molto tempo all’interno di quel Campo»
Ferguson esitò, l’inglese notò che aveva iniziato a tremare. Sembrava ormai sul punto di cedere, ma all’ultimo momento tornò a resistere.
«No, non potrei mai tradire i miei compagni!» ringhiò.
Hart si allontanò con un sospiro di frustrazione. Era quasi riuscito a spingerlo oltre al limite, ma la sua strategia non aveva funzionato. Avrebbe dovuto inventarsi in fretta qualcos’altro per portare avanti l’interrogatorio.
Inaspettatamente fu Donnelly ad intervenire.
«Sei davvero sicuro di voler rinunciare alla tua unica possibilità di salvezza per proteggere qualcuno che non merita il tuo silenzio?»
Il prigioniero difese i suoi commilitoni: «i militanti dell’IRA sono fedeli e leali»
James si chinò per guardare in volto il suo interlocutore.
«Se i tuoi compagni sostengono di essere così onorevoli allora perché ti hanno abbandonato nel momento del pericolo?»
«Lei sta mentendo! Loro non mi hanno abbandonato!»
«Davvero? Eppure eri solo quando ti hanno arrestato, un proiettile ti ha colpito alla gamba e sei stato costretto a rinunciare alla fuga. Di certo gli altri devono essersi accorti della tua mancanza, eppure nessuno è tornato indietro per salvarti»
Il giovane rimase in silenzio.
«Quale soldato abbandonerebbe un compagno ferito sul campo di battaglia?»
Bernie non rispose.
«Le persone che stai difendendo sono soltanto dei vili codardi»
«Adesso basta! Stia zitto! Non voglio ascoltare le sue menzogne!» gridò il ragazzo ormai in preda alla disperazione.
«Mi dispiace, ma devi aprire gli occhi. Le cose sono diverse da come credi»
«Lei sta soltanto cercando di ingannarmi!»
«No, io voglio aiutarti a prendere la giusta decisione. So che è difficile, ma devi accettare la realtà»
«Di che sta parlando?»
«Sono stati loro i primi a tradirti, Bernie. È questa la verità»
«No! No…non è possibile…»
«Si sono approfittati di te finché sei stato utile, ti hanno illuso con sogni e ideali, ma nel momento del bisogno ti hanno lasciato solo ad affrontare il pericolo. Per quale ragione dovresti fidarti ancora di loro?»
Il giovane abbassò lo sguardo, il suo viso era rigato dalle lacrime.
«Te lo chiederemo soltanto un’altra volta. Sei disposto ad accettare la nostra proposta?»
Il ragazzo, sconvolto e affranto, abbandonò ogni resistenza e alla fine acconsentì tra i singhiozzi.
 
***
 
«Sei stato davvero convincente in quella cella» si complimentò il tenente varcando i cancelli della caserma.
«Lieto di esser stato utile» replicò James. 
«Come sapevi che avrebbe funzionato?»
«Ho pensato che se si fosse sentito abbandonato dai suoi compagni allora avrebbe anche perso fiducia nell’IRA. Senza più alcuna certezza è diventato vulnerabile»
«Ottimo lavoro» constatò l’ufficiale con un’incoraggiante pacca sulla spalla.
«Le informazioni che ci ha rivelato potranno aiutarci?» chiese il sottotenente.
«Dovremo avere conferma della loro veridicità, ma penso proprio di sì» 
Il giovane si limitò ad annuire.
Con aria soddisfatta Hart si accese una sigaretta e si incamminò in direzione del Castello. James accelerò il passo per raggiungerlo.
«Adesso vuoi spiegarmi la storia dell’incidente in motocicletta?» domandò tornando ad affiancare il tenente.
«Non mi sembrava opportuno rivelare il fatto che tu abbia avuto rapporti con l’IRA dopo quel che è successo»
«Dunque dovrei continuare a mentire?»
«Non tutti sarebbero disposti a credere alla tua innocenza in questa situazione, la tua aggressione potrebbe essere vista con sospetto da parte dell’Unità Speciale»
«Sono stato interrogato per ore dal detective Sullivan, se fossi realmente colpevole avrebbe già trovato il modo di condannarmi» disse in sua difesa.
«Finché non troveranno la spia del Castello tu resterai un sospettato»
James fu costretto ad accettare la realtà dei fatti, ma gli restava ancora un dubbio da chiarire.
«Per quale motivo vuoi proteggermi?» 
L’ufficiale alzò la testa per guardare il suo compagno negli occhi.
«Perché credo nella giustizia e…mi fido di te» ammise.
Donnelly fu colpito da quella rivelazione, fino a quel momento non avrebbe mai pensato di dover riporre fiducia e speranza in un inglese.
 
***
 
Il tenente Schneider si allontanò dalla finestra, da quando quell’edificio era diventato il suo nuovo nascondiglio non aveva mai smesso di controllare i movimenti del misterioso collaboratore.
«È uscito di nuovo nel mezzo della notte. Dove credi che stia andando?»
Declan non mostrò particolare apprensione a riguardo: «probabilmente ad un incontro segreto con qualche informatore dell’IRA»
L’ufficiale restò a rimuginare su quella possibilità, poi tornò a sedersi al tavolo.
«Dunque questo è un rifugio sicuro?»
«Per i militanti non esistono rifugi sicuri»
Hans pensò che avrebbe dovuto aspettarsi una simile risposta.
«Immagino che per te tutto questo sia normale» continuò.
Il ragazzo scosse le spalle: «quando ho deciso di unirmi ai ribelli ero consapevole che avrei dovuto rinunciare alla mia vecchia vita. Un soldato dell’IRA deve dedicare tutto se stesso alla Causa, e per questo è pronto a sacrificare ogni cosa»
«E qual era la tua vecchia vita?» chiese Hans con spontaneità.
O’ Riley solitamente evitava di parlare di sé o del suo passato, ma quella volta avvertì qualcosa di diverso. Ormai aveva abbassato ogni difesa nei confronti del tenente, non lo considerava più come un estraneo, così non trovò difficoltà nel confidarsi con lui.
«Ero un operaio del Liberties, lavoravo in fabbrica tutto il giorno, spesso anche per gran parte della notte. Mi spaccavo la schiena per portare a casa il minimo salario per me e mio padre. Lui ha sempre fatto di tutto per me, voleva che avessi un futuro, una vita tranquilla e un impiego onesto. Per un po’ ho provato a renderlo felice, a fargli credere che sarebbe stato così…ma in fondo anch’egli era a conoscenza della verità. Io non ero come i miei fratelli, non ero disposto ad abbassare la testa e accettare un’esistenza di soprusi e ingiustizie. Mio padre ha combattuto per l’Indipendenza di questo Paese, adesso è il turno della mia generazione, ed io devo fare la mia parte per portare avanti la lotta per la Libertà»
Schneider poté ben comprendere la sua condizione, la sua storia non era diversa da quella di molti suoi connazionali, giovani che avevano ereditato il dolore della guerra e che bramavano un’occasione di riscatto.
«Adesso capisco…»
«Che cosa?»
«Il motivo per cui il capitano Maguire si fida di te. Sei un uomo onesto e leale, ancor prima di essere un buon soldato»
Declan si stupì, non aveva mai cercato l’approvazione del tedesco, ma nel sentire quelle parole provò una strana sensazione di appagamento.
Hans accennò un sorriso: «volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me, so che non deve essere stato facile per te accettare questa alleanza»
L’irlandese distolse lo sguardo, temendo che anche solo quel contatto visivo potesse tradirlo.
«Ho soltanto svolto il mio dovere, non mi pento per le mie scelte»
«Temevo che non ti saresti mai fidato di me» confessò il tenente.
«Hai dimostrato di essere un ufficiale onorevole e di meritare la protezione dell’IRA»
Schneider fu lieto di ciò, in quel momento non avrebbe gradito elogi migliori.
 
 
Declan si ritirò nella sua stanza richiudendo la porta dietro di sé. Quella conversazione l’aveva scosso nel profondo. Era sempre più difficile gestire le sue emozioni in presenza del tenente, era confuso e, in parte, anche spaventato da quel che stava accadendo. Era consapevole che tutto ciò avrebbe avuto delle conseguenze, anzi, così era già stato. Per la prima volta aveva messo in discussione gli ordini dell’IRA, e l’aveva fatto con l’intenzione di proteggere il tedesco.
O’ Riley ricordò la discussione avuta con il capitano Maguire, in quell’occasione aveva affermato di voler portare a termine la sua missione per una questione di integrità, perché era convinto di dover svolgere il suo compito fino alla fine. In parte questo era vero, ma in fondo sapeva di non essere stato completamente sincero nei confronti del suo superiore. Ormai ne era certo, non era soltanto per la Causa che si era rifiutato di separarsi dal tenente.
 
Hans restò immobile a fissare la sedia vuota davanti a sé. In quel momento ripensò al suo primo incontro con Declan e a tutto ciò che ne era seguito. Quel giovane era sempre stato onesto e sincero nei suoi confronti, era l’unico di cui poteva realmente fidarsi.
Inizialmente si era avvicinato all’irlandese per suscitare la sua fiducia e convincerlo a collaborare, ma ben presto lo scopo strategico della sua missione era passato in secondo piano. Non aveva instaurato quel rapporto soltanto per necessità, in lui vedeva davvero un buon alleato e un fedele compagno. Sentiva che i loro erano animi affini, per molti aspetti condividevano mentalità ed ideali.
La sua curiosità per quel che riguardava l’IRA non era stata animata soltanto dal suo ruolo di spia, e pian piano il suo interesse si era rivolto sempre più alla persona di Declan. Si era abituato alla sua presenza, apprezzava la sua compagnia, gli piaceva chiacchierare con lui come con un caro commilitone. Doveva ammettere di essersi affezionato a quel ragazzo.
Inoltre egli era un soldato coraggioso e valoroso, meritevole di stima e rispetto.
Eppure c’era anche qualcos’altro che non poteva più ignorare. Qualcosa di ben più intimo e profondo che gli provocava un turbamento non indifferente. Ogni volta che incrociava il suo sguardo e fissava i suoi intensi occhi verdi avvertiva una fitta al petto ed era come se gli mancasse il respiro.
Hans sussultò, un preoccupante dubbio cominciò a insinuarsi nella sua mente. Forse la lontananza dalla sua Patria stava risvegliando in lui sensazioni pericolose e proibite.
Il tenente si morse nervosamente il labbro, cercando di scacciare certi pensieri decisamente indecorosi.
Tornò in sé riportando l’attenzione sull’importanza del suo incarico, niente e nessuno avrebbe dovuto distoglierlo dal proprio obiettivo. Qualsiasi genere di coinvolgimento emotivo avrebbe potuto compromettere la missione.
Hans voltò lo sguardo verso la porta chiusa, ormai era consapevole di non poter più considerare Declan soltanto come un alleato.

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Capitolo 19
*** La retata ***


Ringrazio i fedeli lettori che stanno continuando a seguire questa storia.
Un ringraziamento speciale ai gentilissimi recensori per il prezioso supporto^^
 

19. La retata
 

Hart riprese a camminare avanti e indietro nello studio del capitano Kerney. Ormai non si sforzava più di contenere il nervosismo e l’impazienza. Percorse più volte lo stesso tratto con lo sguardo fisso a terra e le braccia incrociate al petto.  
Alla fine si fermò davanti alla scrivania del comandante manifestando il suo disappunto.
«Che cosa stiamo aspettando ad intervenire? Stiamo solo perdendo tempo!»
L’ufficiale irlandese cercò di esporre le sue motivazioni.
«Dobbiamo recuperare il maggior numero di informazioni a riguardo di quella casa, è opportuno sapere a chi appartiene e chi ci vive prima di presentarci con le pistole puntate…»
«Di quanto tempo hanno bisogno i suoi investigatori?»
«Solitamente qualche ora. Non si preoccupi, c’è una nostra pattuglia a sorvegliare la zona, chiunque tenterà di entrare o uscire prima del nostro arrivo sarà prontamente intercettato»
L’inglese gli rivolse uno sguardo contrariato con la pretesa di ricevere spiegazioni esaustive per quell’assurda negligenza.
Kerney si sentì in dovere di esaudire la sua richiesta.
«D’accordo tenente, le dirò come stanno realmente le cose. Deve sapere che gli uomini dell’Unità Speciale sono noti per le loro azioni…diciamo irruente. Hanno già causato il fallimento di diverse operazioni del G2, è per questo che tra noi non corre buon sangue. La collaborazione tra i servizi segreti e la polizia militare non è così semplice. Data l’importanza di questo caso è meglio programmare per bene ogni dettaglio prima di procedere ed entrare in azione»
«Sarà essenziale una certa discrezione. Una squadra ben addestrata sarà sufficiente»
Il capitano scosse la testa, convinto che l’inglese non avesse compreso la complessità e la delicatezza della questione.
«Ho accettato di assegnare a lei il comando dell’operazione, ma dovrà attenersi alle nostre regole»
«Il sovrintendente Whelan ha già dimostrato di essere disposto a collaborare con i suoi uomini»
Kerney rimase perplesso: «dovrà ricordare loro che non si tratta di una retata come tutte le altre»
Hart si stupì: «ritiene che sia necessario?»
«Quegli agenti sono abituati ad avere a che fare con i militanti dell’IRA, hanno il grilletto facile. Suppongo che lei abbia bisogno di prigionieri da interrogare e non di cadaveri»
Il tenente non poté contraddirlo.
«Crede davvero che quello sia il rifugio della spia tedesca?» chiese Kerney con vivo interesse.  
«Non posso affermarlo con certezza, ma ci sono buone probabilità. L’informatore ha detto che i militanti utilizzano quel nascondiglio soltanto in “occasioni speciali”»
«A cosa pensa che si possa riferire quell’espressione?»
«Non lo so, ma un agente dell’Abwehr è un ospite importante per l’IRA. Sono certo che per lui i repubblicani abbiano riservato il meglio»
Il capitano Kerney concordò con quell’affermazione, poi tornò ad esaminare il rapporto con attenzione.
«Mi sorprende che quel soldato abbia deciso di parlare…» commentò.
«Non era un soldato, ma soltanto un ragazzino spaventato» specificò Hart esprimendo umana compassione nei suoi confronti.  
«La sua testimonianza sarà fondamentale per condannare gli assassini dell’agente Ryan»
L’inglese si limitò ad annuire senza particolare trasporto, sapeva bene che per i servizi segreti non sarebbe stato semplice ritrovare i responsabili dell’attentato di Drumcondra. La questione però non rientrava nel suo interesse, sarebbe stato diverso se il ragazzo avesse fatto il nome del comandante, ma egli era l’unico che ancora si ostinava a proteggere, forse per conservare l’ultimo residuo di fedeltà, oppure per timore delle conseguenze.
 
Donnelly si recò nuovamente negli uffici della Sezione britannica per consegnare altre scartoffie.
«Come stanno proseguendo le indagini con gli inglesi?» domandò l’agente Flanagan.
Il sottotenente alzò lo sguardo dalle sue carte: «forse abbiamo trovato una buona pista da seguire»
Il suo compagno assunse un’aria pensierosa.
«Quell’agente dell’MI5 deve essere un tipo in gamba, ma ormai temo che per l’Inghilterra sia troppo tardi»
Il giovane non capì: «di che stai parlando?»
«Non leggi i giornali? I tedeschi stanno vincendo la guerra!»
Donnelly non seppe come reagire a quella notizia, avrebbe dovuto temere per il destino dell’Inghilterra? Probabilmente sì, poiché la questione riguardava anche l’Irlanda.
In quel momento però non aveva tempo per altre preoccupazioni.
«È meglio che vada adesso, devo occuparmi di questa faccenda per il tenente» affermò recuperando i suoi documenti.
Flanagan non riuscì a trattenere una risatina ben poco professionale.
«Che c’è di così divertente?» domandò James mostrandosi alquanto irritato da quella reazione.
«Oh, non te la prendere…solo che è strano vederti obbedire come un cagnolino a quell’ufficiale britannico»
Egli cercò di non dare troppa importanza a quelle parole.
«Rispetto il tenente Hart perché è un mio superiore, non perché è un inglese» puntualizzò prima di andarsene.
 
***
 
Era da poco passata la mezzanotte, tutto sembrava tranquillo. James poggiò le mani sul volante, pur essendo consapevole che non si sarebbero mossi da lì. Erano fermi da più di un’ora a lato della strada con il compito di controllare quella via deserta, in attesa del permesso dell’Unità Speciale per entrare in azione.
Hart si sistemò comodamente sul sedile, il suo sguardo si soffermò sul livido sul viso del sottotenente.
«Lei che cosa ha detto?»
James ebbe un lieve sussulto, non si era ancora abituato ad essere interpellato in modo così improvviso dal suo compagno.
«Chi?» domandò con aria confusa.
«La tua ragazza…immagino che abbia voluto sapere che cosa ti è successo»
Egli sospirò: «no, non mi ha chiesto nulla. Sa che sono un agente del G2, ha accettato il fatto che nasconda i miei segreti, anche se in fondo credo che abbia capito»
«Le donne sanno sempre molto più di quanto vogliano far intendere»
James si domandò se il suo collega stesse parlando per esperienza, egli era sicuramente un abile conoscitore dell’animo umano, ma non era quel che si poteva definire uno spirito romantico.
«Dunque si tratta di una cosa seria» continuò il tenente.
Donnelly arrossì leggermente, si sentiva a disagio nel trattare certi aspetti della sua vita privata con il suo superiore.
«Io…credo di sì» ammise.
Hart mostrò un’insolita sensibilità di fronte a quel giovane innamorato.
«Posso darti un consiglio?»
«In ogni caso farai quello che vuoi, come sempre» si rassegnò James.
L’inglese rimase serio: «il nostro è un mestiere che non permette di avere una vita semplice, se riesci a trovare qualcosa di buono al di fuori di tutto questo non dovresti lasciartelo sfuggire»
James rifletté su quelle parole.
Il tenente offrì una sigaretta al suo sottoposto, egli accettò. Per un po’ i due restarono a fumare in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
«Hai già partecipato ad azioni come questa?»
Donnelly negò: «non ho avuto molte occasioni per scendere in campo»
«L’importante è mantenere il sangue freddo e non lasciarsi sopraffare dall’istinto. Se eseguirai gli ordini e rispetterai il tuo dovere andrà tutto bene»
James tentò di ricordare al meglio quelle raccomandazioni.
Hart tornò ad osservare gli agenti appostati sul fondo della strada. Il sovrintendente Whelan si distaccò dal gruppo e si avvicinò all’auto dirigendosi verso il lato del tenente.  
«È tutto pronto» disse il comandante dell’Unità Speciale.
«Proceda con cautela. Ricordi ai suoi uomini di non sparare a meno che non sia assolutamente necessario»
«Cercherò di fare il possibile, dopo quello che è successo i ragazzi sono piuttosto tesi»
Hart rispose con tono severo: «dica loro che se non rispetteranno gli ordini andranno dritti davanti alla corte marziale!»
Egli annuì: «questo dovrebbe essere un buon avvertimento»
Il tenente rimase immobile sul sedile mentre Whelan tornò dai suoi. In breve gli agenti si disperdettero e scomparvero dietro l’angolo.
James poggiò una mano sulla maniglia, stava per uscire dall’auto quando avvertì una presa sul braccio. Si voltò verso il suo superiore con aria interrogativa, aspettandosi un ordine o un rimprovero.
«Cerca di stare attento» disse Hart con inaspettata apprensione nei suoi confronti.
Donnelly rispose con un lieve cenno del capo e uno sguardo d’intesa, poi spalancò la portiera per raggiungere i suoi compagni.
 
La strada era silenziosa, nelle abitazioni circostanti le luci alle finestre erano tutte spente, i cittadini dormivano nella quiete della notte. Sopra di loro brillava un cielo stellato, sui tetti si rifletteva il chiarore argenteo della luna.
Il tenente Hart, al comando della sua squadra, avanzava in testa con passo cauto, ma deciso.
Dopo aver superato un muretto di pietra gli agenti raggiunsero una casa più isolata. I poliziotti avevano già circondato l’intera zona, il sovrintendente e i suoi uomini invece avevano raggiunto il retro dell’edificio.
Hart si avvicinò all’entrata principale, fu costretto a forzare la serratura per aprire il pesante portone di legno. L’ufficiale si infilò all’interno e rapidamente salì le scale per raggiungere il primo piano. Donnelly lo seguì senza esitazione.
L’inglese aprì la porta trovandosi di fronte a un uomo armato. Il tenente ebbe un istante di esitazione, poi il suo sguardo si soffermò sulla divisa dell’Unità Speciale. Entrambi abbassarono le pistole.
«Signore, qui non c’è nessuno» dichiarò l’agente.
Hart si guardò intorno, quell’abitazione non era stata abbandonata da troppo tempo, probabilmente erano trascorsi solo pochi giorni. Sembrava che gli ultimi inquilini avessero lasciato l’appartamento con una certa fretta.
Hart entrò in cucina, sul tavolo trovò una bottiglia di brandy ormai vuota accanto a due bicchieri. Quel particolare poteva rivelarsi interessante.
Il tenente tornò nel piccolo salotto, con una rapida occhiata notò una sedia posizionata vicino alla finestra. Affacciandosi scoprì un’ampia vista sulla strada, quello era un buon punto di osservazione per una postazione di guardia.
Attraversando la stanza percepì qualcosa di strano, pestò gli stivali su un’asse sconnessa, segnalando la presenza di una cavità nel pavimento.
«Che cos’è?» chiese Donnelly avvicinandosi con curiosità.
«Una botola» rispose Hart sollevando l’asse di legno.
All’interno era stato riposto un mitra Thompson con una buona quantità di munizioni.
«Adesso non abbiamo dubbi sul fatto che questo sia stato un nascondiglio dell’IRA» affermò l’inglese.
«Già, ma non c’è alcuna traccia della spia» constatò James.
Il tenente dovette ammettere di non aver alcuna prova, il suo istinto però non l’aveva mai tradito: era certo che il tedesco avesse trovato rifugio in quella casa. Poteva ipotizzare che il secondo uomo fosse un esperto militante dell’IRA, il quale aveva il compito di aiutare e proteggere la spia.
Al termine di quell’ispezione il sovrintendente Whelan richiamò i suoi uomini, pian piano gli agenti abbandonarono l’edificio.
Dopo aver varcato i cancelli il tenente Hart si rivolse al comandante dell’Unità Speciale.
«Dovremo interrogare i vicini, anche se dubito fortemente che potranno rivelarci qualcosa di utile»
Whelan si mostrò efficiente e collaborativo.
«Sì, certamente. Lascerò anche alcuni agenti a sorvegliare la zona»
«Mi creda, lui non tornerà» concluse Hart con rassegnazione.
 
***
 
Donnelly guidò senza fretta per le strade deserte, per tutto il tragitto il tenente rimase in silenzio, restando con aria assorta a contemplare il panorama notturno fuori dal finestrino.
«Mi dispiace che le cose non siano andate per il verso giusto»
Egli scosse le spalle: «non è stata una questione di fortuna, sono certo che la spia dell’IRA abbia avuto un ruolo in tutto questo»
«Pensi che sia stato il loro informatore a svelare i progressi delle nostre indagini?»
«È ovvio che i militanti sappiano che siamo sulle tracce del tedesco» intuì l’inglese.
James si preoccupò: «che cosa potremo fare adesso?»
«Ricominciare da capo…anche se sarà tutto più difficile»
«Per quale motivo?»
L’ufficiale abbassò lo sguardo: «l’operazione è stata un fallimento, di certo ci saranno delle conseguenze»
«Il capitano Kerney si fida di te ed è consapevole dell’importanza di questa missione»
«Spero che tu abbia ragione. In ogni caso dubito che sarà entusiasta di riaffidarmi il comando dei suoi uomini»
«Per quel che conta, io ritengo che tu sia stato un ottimo comandante»
Hart apprezzò il supporto del suo collega.
«Adesso è meglio concederci un po’ di riposo, domani torneremo a lavorare al caso»
 
 
Donnelly tornò a casa con la consapevolezza che poche ore di sonno non sarebbero state la soluzione a tutti i suoi problemi. Poteva ancora avvertire l’agitazione accumulata in quella notte di tensione.
Nel tranquillo ambiente domestico, al calare dell’adrenalina, si ritrovò nuovamente tormentato da ansie e preoccupazioni.
Il giovane entrò nella sua stanza, si avvicinò al letto, dove Julia giaceva dolcemente addormentata.
James restò ad ammirarla nella penombra, osservò i lineamenti del suo volto, sul quale riconobbe un’espressione serena e rilassata. Il giovane allungò una mano per sfiorare il suo viso con una tenera carezza.
Ella aprì lentamente gli occhi: «James…»
«Scusa, non volevo svegliarti»
«Non preoccuparti, sono felice che tu sia qui»
Egli sorrise e si chinò dolcemente su di lei per baciarla. Julia ricambiò con passione, esprimendo il forte desiderio con cui aveva atteso quel ricongiungimento.
James si sdraiò al suo fianco trattenendola tra le sue braccia. Julia si strinse a lui poggiando la testa sul suo petto.
Donnelly le accarezzò teneramente i capelli passando le dita tra le ciocche castane.  
«Voglio che tu sappia quanto tutto questo sia importante per me. Il tuo amore è la mia unica certezza»
Lei si sollevò leggermente donandogli uno sguardo colmo di sentimento e speranza.
James l’attirò ancora a sé con un intenso bacio. 
 
***
 
Il tenente Hart era da poco rientrato nel suo appartamento quando dei rumori sospetti attirarono la sua attenzione. Avvertì l’eco di alcuni passi sulle scale, rapidamente recuperò la pistola e si avvicinò con cautela all’entrata.  
Nel momento in cui percepì la presenza sul pianerottolo spalancò la porta di scatto, afferrò l’intruso per le spalle e lo spinse contro al muro puntando l’arma al suo petto.
«Calmati, Fox! È così che accogli gli ospiti in casa tua?»
L’ufficiale riconobbe la spia britannica, immediatamente mollò la presa rispondendo a tono.
«Non ricevo ospiti, soprattutto a quest’ora»
Barry notò la sua aria stanca e sconvolta: «a quanto pare hai avuto una nottata impegnativa»
L’altro sbuffò senza rispondere.
La spia mosse qualche passo all’interno del modesto alloggio.
«Problemi con il nostro Fritz?» domandò.
Radley fu costretto ad ammettere il suo fallimento.
«Credevo di essere vicino alla sua cattura, ma sono arrivato troppo tardi»
«Ti conosco abbastanza bene da sapere che non ti arrenderai tanto facilmente»
«Dall’esito di questa missione potrebbe dipendere il destino della guerra. Il pericolo dell’invasione è reale e imminente. Inoltre se quella spia dovesse rientrare in Germania con le informazioni fornite dall’IRA ci sarebbero delle gravi conseguenze»
Il suo informatore rimase ad osservarlo con aria assorta.  
«Regnum Defende. Ma non è solo per ragioni patriottiche che hai accettato questo caso, vero Fox
«Smettila di chiamarmi così, non sono più un agente sotto copertura»
«Oh, certo signor tenente!» replicò Barry porgendogli un ironico saluto militare.
«Non è il momento di fare gli spiritosi» lo rimproverò Hart.
Il suo connazionale si ricompose: «d’accordo. Ma prima dicevo sul serio, questa storia potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per te. C’è in gioco anche la tua reputazione all’interno dell’MI5!»
Il tenente rimase impassibile: «ciò non ti riguarda»
«Sono solo preoccupato, non vorrei che questa caccia al tedesco dovesse diventare una questione personale»
Hart non era dell’umore adatto per affrontare quel discorso con il suo vecchio compagno.  
«Spero che tu sia qui per darmi buone notizie» disse riportando l’attenzione sulla ragione di quella visita.
«Temo proprio di no…ma ho pensato che questa avrebbe potuto interessarti» disse estraendo una busta dall’interno della giacca.
«Di che si tratta?» domandò Hart prima di aprirla.
«È una lettera che definirei piuttosto sovversiva»
L’ufficiale iniziò a leggere ad alta voce.
 
La Germania sta vincendo la guerra, le cose stanno cambiando, e questa Nazione non può più restare ferma a guardare. Presto anche il Governo si renderà conto di non avere alternative. In caso di invasione gli inglesi sarebbero costretti a intervenire, e così l’Irlanda entrerebbe nuovamente in guerra. Ma da quale parte converrebbe schierarsi? Il Popolo ha già preso la sua decisione, non potranno rinchiuderci tutti a Tin Town.
Gli inglesi non possono più illuderci con le loro false promesse, è una storia che abbiamo già sentito, una storia di sangue e violenza.
La Germania è una speranza per l’Irlanda, i tedeschi sanno cosa significa vivere in una nazione divisa e frammentata, ma che desidera ardentemente l’Unità. Loro hanno sofferto per il Sudetenland, noi per le Six Counties.
Finalmente ci è stata concessa un’occasione di riscatto, insieme potremo ribellarci all’egemonia britannica per riconquistare non solo le nostre Terre, ma anche la nostra Identità.
Questa guerra potrebbe essere l’ultima per un’Irlanda Libera e Unita.
 
«Sembra un discorso per un comizio del Sinn Féin» commentò il tenente.
«Già, immagino che la censura non salverebbe nemmeno una sillaba di quel testo»
L’ufficiale ripiegò il foglio: «come sei giunto in possesso di questa lettera?»
«Ho un complesso giro di conoscenze nelle reti repubblicane…» disse vagamente la spia.
«Ciò significa che non sai chi l’ha scritta» constatò Hart.
«Non ancora, ma posso scoprirlo» affermò Barry.
«Chi sostiene certi ideali con tanta enfasi di certo non si è limitato alle parole, ma deve essere passato ai fatti. Potrebbe essere un collaboratore dei tedeschi, forse è proprio lui a nascondere e proteggere la spia»
«Indagherò a riguardo»
«Cerca di scoprire il più possibile, questa volta dobbiamo tentare il tutto per tutto» disse il tenente con estrema fermezza. 
Barry fissò i suoi profondi occhi scuri, nel suo sguardo riconobbe la ferrea determinazione che l’aveva sempre contrassegnato.
«Farò del mio meglio» promise.
Hart annuì: «ormai non abbiamo più molto tempo»

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Capitolo 20
*** Una lunga notte ***



20. Una lunga notte
 

C’era un passaggio che conduceva al tetto dell’edificio, Hans l’aveva adocchiato dal primo momento in cui aveva messo piede in quella casa. In caso di emergenza quella sarebbe stata una rapida via di fuga.
I gradini erano rovinati e sconnessi, la prima volta in cui aveva provato a salire al buio aveva rischiato di inciampare e ruzzolare giù dalle scale. Dopo quell’incidente aveva imparato ad evitare gli ostacoli, il che poteva sempre rivelarsi utile.
Alla sera, quando le ombre potevano facilmente nascondere la sua presenza dietro ai camini, il tenente si arrampicava sul tetto rivestito di piombo per contemplare il cielo stellato, meditando sulla sua situazione e pensando alla guerra.
Declan non gli aveva impedito di trascorrere del tempo lassù, ovviamente se le condizioni lo permettevano e sempre sotto al suo costante controllo. Hans non aveva dovuto insistere particolarmente per ottenere il suo consenso, forse anche il suo compagno soffriva per quella sorta prigionia, seppur fosse maggiormente abituato alla vita da latitante.
 
Declan rimase ad osservare la figura del tenente da una certa distanza. Poteva comprendere le ragioni per cui il suo compagno avesse desiderato ottenere quel momento di libertà, in fondo egli era un ufficiale della Luftwaffe, per lui era normale provare i brividi dell’altezza e della velocità del volo, non era fatto per restare chiuso tra quattro mura, lontano dall’azione.  
Sapeva di aver trasgredito alle regole permettendogli di esporsi e concedendogli fin troppa libertà. In realtà non credeva che la spia avrebbe tentato di fuggire, o che fosse sua intenzione ingannarlo, ormai non dubitava più della sua onestà. Aveva voluto donargli fiducia, e il tenente gli era stato grato per questo.
Declan sospirò, non poteva più ignorare quella consapevolezza, la presenza di Hans stava acquisendo sempre più importanza.
Il tedesco esercitava una forte influenza su di lui, nei suoi confronti si era scoperto fragile e vulnerabile in un modo che fino a quel momento non aveva mai ritenuto possibile. Per lui aveva messo in discussione i suoi ideali e perfino il suo rapporto con Charles. Aveva mentito al suo comandante per proteggerlo, ormai era troppo tardi per rinnegare la vera ragione dietro alle sue scelte, aveva già superato il punto di non ritorno.
Declan rivolse nuovamente lo sguardo all’orizzonte, provò un profondo sconforto nell’osservare il panorama di Dublino al crepuscolo. Era un’atmosfera suggestiva che alimentava le sensazioni di incertezza e inquietudine che ormai da tempo risiedevano nel suo animo tormentato.
 
Ad un tratto il giovane avvertì il rumore di alcuni passi che si stavano avvicinando. Fu costretto a trattenersi per non voltarsi con troppa impazienza.
Schneider lo raggiunse sedendosi al suo fianco.
Declan fu rassicurato dalla sua presenza, poteva avvertire il ritmo regolare del suo respiro e percepire ogni suo movimento attutito dalla stoffa del pesante pastrano.
Restarono a lungo in silenzio, immobili uno accanto all’altro.
All’improvviso Hans ebbe un sussulto, i suoi sensi si allertarono come se avesse avvertito un richiamo ancestrale e d’istinto alzò lo sguardo al cielo.
Dopo pochi istanti Declan avvertì un ronzio incerto, pian piano il rombo si fece sempre più forte. Un aereo sbucò dalle nubi, si trattava di un bombardiere tedesco, lo avvistarono soltanto per pochi istanti poiché era già in allontanamento.
Anche dopo il suo passaggio Schneider rimase a fissare il punto in cui il velivolo era sparito.
Declan scorse un velo di malinconia nel suo sguardo, non ebbe bisogno di ulteriori indizi per intuire i tuoi pensieri.
«Vuoi tornare lassù, vero?»
Hans sospirò: «so che il mio dovere è portare a termine questa missione, ma sono un pilota, non potrò mai rinunciare a questa parte di me»
L’irlandese ripensò a quando il tenente gli aveva rivelato le sue ambizioni militari.
«Pensi di completare il tuo corso di addestramento?»
Egli annuì, non aveva mai abbandonato il suo desiderio di diventare un pilota di Stuka.
Declan si lasciò suggestionare da quell’idea e provò a ritrarre il tenente nel suo ruolo di ufficiale della Luftwaffe. Non dovette sforzarsi per rappresentare il suo compagno in quel modo. Lo vide nella sua caratteristica posa rigida e composta, con il volto inespressivo e lo sguardo impenetrabile che scrutava l’orizzonte. Lo immaginò con una divisa da aviatore e il giubbotto di pelle, pronto a spiccare il volo come una giovane aquila.
Pensò che fosse quello il suo destino, Schneider doveva tornare a combattere nelle linee tedesche con i suoi commilitoni.
L’irlandese provò un’intensa fitta al petto, l’idea di quell’inevitabile separazione gli provocava una profonda tristezza, ma allo stesso tempo temeva che i sogni del suo compagno non avrebbero mai potuto realizzarsi.
 
Declan si sentiva responsabile per la sorte del tenente, e non soltanto per quel che riguardava la sua missione. Proteggere la spia tedesca non era più l’ordine di un suo superiore, non era un dovere, ma una questione personale. Aveva una promessa da mantenere, una promessa che non riguardava idealismi e patriottismi, ma che implicava valori di integrità e solidarietà.
Il tenente Schneider non era più uno sconosciuto o uno straniero di cui doveva diffidare. Egli aveva conquistato la sua fiducia, aveva dimostrato di essere un ufficiale leale ed onorevole, con dei valori e degli ideali che era disposto a difendere a costo della vita. Nella sua persona aveva riconosciuto la stessa volontà dei suoi commilitoni, sarebbe stato un ipocrita nel non considerare questa verità. Pian piano aveva smesso di considerare il tenente come un potenziale pericolo. Aveva conosciuto il suo animo sempre più a fondo e il loro rapporto era diventato sempre più intenso. E alla fine era nato anche dell’altro. Hans aveva smosso qualcosa dentro di lui, risvegliando sentimenti che non aveva mai provato fino a quel momento. Sapeva perfettamente che quell’attrazione era pericolosa e proibita, eppure non poteva negarla a se stesso. Il problema era che diventava sempre più difficile nascondere ciò che provava, ogni interazione con il tenente richiedeva uno sforzo immane da parte sua per non lasciar trasparire segnali compromettenti.
Sempre più spesso gli capitava di ripensare a quella fatidica notte, quando per le strade di Dublino si erano rannicchiati nell’oscurità, ritrovandosi l’uno stretto all’altro. Nel ricordare quelle sensazioni il suo cuore sobbalzava nel petto e come allora gli mancava il respiro.
Non era in grado di descrivere quelle emozioni, ma reprimerle era una terribile agonia.
 
***
 
La percezione del tempo era alterata dall’immobilità. I rumori della città giungevano lontani e ovattati, interrompendo ad intervalli irregolari la quiete della notte. Nessuno di questi suoni era allarmante, ogni tanto si avvertiva il rombo di un motore che si allontanava verso il centro, o il fruscio del vento che faceva ondeggiare le fronde degli olmi sul viale. Per qualche minuto si era udita anche l’allegra musica di un violino accompagnata dall’eco di qualche risata, probabilmente proveniente dalla finestra aperta di un pub.
Quando la via tornò avvolta dal silenzio Hans si accorse che qualcosa era cambiato nell’espressione del suo compagno. Il tenente percepì la sua inquietudine, questa volta era certo che non riguardasse soltanto il futuro incerto. Declan cercava di fare del suo meglio per dissimulare quella sua angoscia, era tipico del suo carattere non voler esternare il proprio dolore. Era troppo testardo e orgoglioso per ammettere le sue debolezze, e non era di certo quel genere di persona che cercava compassione, soprattutto da parte sua.
Ormai Hans conosceva abbastanza bene l’irlandese da capire che quell’atteggiamento era soltanto una forma di difesa, in fondo egli era ancora un ragazzo, e questo era il suo modo per affrontare la paura.
Schneider notò che il suo sguardo era rivolto verso il lato nord della città, ovvero nella direzione in cui avrebbe dovuto trovarsi il rifugio che avevano abbandonato. In quel momento intuì quale fosse la sua reale preoccupazione.
«Sono certo che il capitano Maguire sia al sicuro»
Declan si stupì nel sentire quelle parole: «come puoi saperlo?» 
«È un ufficiale esperto e competente, sono convinto che abbia ben programmato ogni mossa per sfuggire alle autorità»
Il giovane esternò il suo turbamento: «le retate sono sempre più frequenti, i servizi segreti sembrano intenzionati a ispezionare ogni angolo della città per arrestare i repubblicani. Charles non ha voluto nascondersi nelle campagne come altri comandanti, ha scelto di non fuggire da Dublino, ha detto che il suo posto è qui, nel cuore d’Irlanda»
«Maguire è un uomo d’onore» constatò il tedesco.
Egli annuì: «ha sempre anteposto il bene dell’IRA ad ogni cosa, non ha mai tradito la fiducia dei suoi uomini, per questo non vuole abbandonarli»
Schneider tentò di comprendere la sua condizione, ma per lui era difficile entrare in quel mondo. La sua guerra si combatteva alla luce del sole, faticava a concepire la realtà di una lotta clandestina.
Una parte di sé provò pietà per quei militanti, costretti a vivere nell’ombra, a nascondersi e fuggire nonostante dimostrassero di possedere forza, coraggio e integrità d’animo decisamente considerevoli. Per un nobile combattente doveva essere degradante affrontare il misero destino di un qualunque criminale.
Forse era proprio questo a rendere il loro sacrificio per la Patria ancor più meritevole di stima e ammirazione.
«Immagino che anche tu sia preoccupato per i tuoi compagni» continuò Declan, ridestando il tenente dalle sue riflessioni.
Hans ripensò ai suoi commilitoni, pur provando sincero affetto nei loro confronti non si lasciò trasportare dai sentimentalismi.
«Ogni pilota è consapevole del proprio destino, anche se…suppongo che sia normale temere per la sorte di coloro che combattono al tuo fianco»
Declan poté condividere quelle parole.
«Spero che i tuoi amici stiano bene» 
Schneider si limitò a un lieve cenno del capo. Il numero di piloti abbattuti o dispersi oltre la Manica era sempre maggiore, era logico ipotizzare che anche i suoi commilitoni fossero stati coinvolti in quei drammatici eventi. Nonostante ciò apprezzò il supporto dell’irlandese, che in modo ingenuo ma benevolo aveva tentato di confortarlo.
 
Lentamente la notte si addentrava nelle sue ore più buie, la luna era scomparsa dietro a una nuvola, le stelle brillavano di una luce fredda e distante.
Schneider rivolse uno sguardo furtivo al suo compagno. Inevitabilmente tornò a riflettere sul loro rapporto.
Poteva pensare di essersi affezionato a quel giovane a causa del suo ruolo di alleato. In fondo egli era il solo che aveva dimostrato di tenere davvero alla sua incolumità e di volerlo aiutare senza secondi fini. Forse era per questo che il suo istinto l’aveva indotto a provare simpatia e addirittura affetto nei suoi confronti.
Hans sospirò, sapeva che quelle erano soltanto scuse. La verità era che tra tutti gli imprevisti che aveva affrontato durante la sua missione l’incontro con Declan era l’unico che non poteva gestire in modo razionale.
Aveva infranto le regole decidendo di fidarsi di lui…ed ora che erano stati coinvolti sentimenti ancor più intensi e profondi doveva far fronte alle conseguenze.
Fino a quel momento aveva finto indifferenza, seppur con enorme difficoltà. Ricordava lo sguardo con cui il ragazzo l’aveva squadrato dalla testa ai piedi, soffermandosi sulle linee del suo corpo. Nessuno l’aveva mai guardato in quel modo. L’episodio, seppur in modo più discreto, si era ripetuto anche in altre circostanze, e doveva ammettere che ogni volta aveva avvertito un brivido di eccitazione e la sua mente era stata tentata con pensieri che ben poco si addicevano a un dignitoso ufficiale. Era capitato che, senza nemmeno accorgersene, si fosse ritrovato a ripensare ai sottili lineamenti del suo volto e ai suoi intensi occhi verdi.
Ma ciò che sentiva nei confronti di quel ragazzo non era soltanto attrazione fisica. Declan era un soldato meritevole di stima e rispetto, rappresentava valori che condivideva e ammirava. Riconosceva il fatto che fossero simili in molti aspetti e che riuscissero a comprendersi profondamente. Poteva affermare che tra loro esistesse una forte affinità che nel tempo aveva permesso lo svilupparsi di un’ottima complicità.
Tutte queste ragioni avevano alimentato quell’intimo desiderio che era rimasto sepolto nel suo subconscio e che lentamente, ma inesorabilmente, era cresciuto dentro di sé.
 
***
 
Declan si strinse nella sua giacca, la stanchezza stava iniziando a farsi sentire. Avvertiva le palpebre pesanti, era quasi sul punto di cedere quando all’improvviso sentì una mano sulla sua spalla, l’ufficiale aveva una presa decisa e delicata. Il giovane rimase immobile, paralizzato, mentre Schneider l’avvicinò leggermente a sé per indicargli un punto all’orizzonte.
«Che cosa c’è laggiù?» chiese puntando con il dito alcune luci in lontananza.
Declan aguzzò la vista, cercando di non lasciarsi distrarre da quella pericolosa vicinanza fisica. Il braccio del tenente era poggiato sulle sue spalle, mentre con la testa sfiorava il suo petto, per lui sarebbe stato sufficiente ritrarsi all’indietro per lasciarsi avvolgere da quell’abbraccio. Invece il ragazzo si sporse nella direzione opposta per individuare meglio il suo obiettivo.
«È la zona portuale, in fondo c’è la baia» disse con voce tremante.
«E invece dov’è Baldonnel?» domandò Hans con vivo interesse.
L’irlandese sapeva per quale motivo il suo compagno avesse posto quella domanda, in ogni caso non trovò una valida ragione per non rispondere.
«Dall’altra parte, a sud della città»  
«Ed è molto distante?»
«No…ma si tratta di un’area militare» specificò il ragazzo per scoraggiarlo dal prendere in considerazione idee avventate.
Hans assunse un’aria assorta, quella volta non esternò i suoi pensieri. Non perché non si fidasse di Declan, ma perché egli stesso non aveva ancora preso alcuna decisione. Sapeva soltanto che presto avrebbe dovuto escogitare un piano di fuga, con o senza l’aiuto dell’IRA.
Senza la possibilità di contattare la base non aveva modo di organizzare nemmeno il suo rientro. Esistevano soltanto due modi per abbandonare l’Isola, con un aereo o con una nave. Nel primo caso poteva pensare di raggiungere l’aerodromo di Baldonnel, ma non aveva idea di come avrebbe potuto impadronirsi di un velivolo. Per di più nel mezzo della guerra attraversare incautamente il Mare d’Irlanda e il Canale della Manica era un’impresa che per certi aspetti sembrava ancora più assurda di quella del barone von Hünefeld [1]. Di certo ad attenderlo al campo di aviazione non avrebbe trovato il glorioso Bremen, e per quanto Declan fosse efficiente e collaborativo non era il capitano Fitzmaurice.
Hans scosse la testa, pur ritenendo affascinante e intrigante l’idea di volare intorno al mondo insieme al fedele compagno come i due leggendari aviatori non poteva perdersi in certe fantasie. Rapidamente tornò alla realtà.
La seconda opzione sembrava più semplice, almeno in teoria, ma in pratica era addirittura meno realizzabile. Avrebbe potuto imbarcarsi clandestinamente su un mercantile o un peschereccio, ma nessuna rotta regolare l’avrebbe condotto sulle coste della Bretagna o della Normandia. Ovviamente nessun marinaio era talmente folle da attraversare acque infestate da mine e U-boot, e costantemente sorvolate da bombardieri tedeschi.
Paradossalmente i suoi commilitoni sarebbero diventati inconsapevoli nemici.
La sua fuga era irrimediabilmente compromessa.
 
Hans si riprese da quelle considerazioni accorgendosi che il suo compagno aveva iniziato a tremare per il freddo.
«È meglio rientrare adesso»
Declan si rialzò con fin troppa fretta, sbilanciandosi sulle tegole scivolose rischiò di perdere l’equilibrio. Fu trattenuto dalla salda presa di Schneider, il quale l’afferrò prontamente per la giacca e l’attirò a sé. Il ragazzo si aggrappò a lui per ritrovare stabilità. Quella vicinanza lo fece trasalire, sobbalzò ritrovandosi improvvisamente legato al tenente, ma appena lo stupore iniziale si fu dissolto trovò conforto in quel contatto umano.
Schneider era certo che il giovane non avesse più bisogno del suo sostegno, eppure non allentò la stretta. Una parte di sé, quella che in quel momento aveva preso il sopravvento, non voleva lasciarlo andare.
Mentre si trovava al sicuro tra le sue braccia Declan sentì la necessità di esprimere la sua fedeltà al tedesco.
«Qualunque cosa accada voglio che tu sappia che resterò con te, non ho intenzione di abbandonarti»
Hans lo rassicurò: «lo so, non ho mai dubitato di te»
Il ragazzo fu lieto di sentire quelle parole, in realtà quella sua confessione aveva rivelato molto più al cuore del tenente.
I due si guardarono intensamente negli occhi, entrambi erano consapevoli dell’importanza del loro rapporto, in quel complesso e ingannevole gioco di interessi quel legame puro e sincero restava l’unica certezza.
A quel punto nessuno dei due riuscì più a trovare la forza per opporsi all’attrazione reciproca. Stretti in quell’abbraccio abbandonarono ogni resistenza, lasciandosi sopraffare dai sentimenti. Spinte dal desiderio le loro labbra si unirono febbrilmente in un bacio intenso e appassionato.
 
 
 
 
[1] Nel 1928 il barone von Hünefeld fu il primo ad effettuare la traversata atlantica in volo seguendo la rotta da Est a Ovest, ovvero la direzione opposta rispetto alla prima traversata effettuata l’anno precedente da Charles Lindbergh. Von Hünefeld volò con il suo Junker W 33, denominato Bremen in onore dell’ammiraglia SS Bremen. Facevano parte dell’equipaggio il capitano Hermann Köhl e l’aviatore irlandese James Fitzmaurice. Il Bremen decollò il 13 aprile 1928 dall’aerodromo di Baldonnel e atterrò a Greenly Island, in Canada. Nonostante la meta prefissata fosse New York la traversata dell’Atlantico fu compiuta con successo.

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Capitolo 21
*** Indagini ***


 
21. Indagini
 

Il dottor Hales poggiò la lente di ingrandimento sul tavolo.
«Allora? Lei che ne pensa?» domandò Hart con impazienza.
Egli sistemò la lampada e diede un’altra occhiata ai due fogli per confrontarli. La prima lettera era stata trovata nel rifugio di Drumcondra, la seconda invece era ancora di origine sconosciuta, ma il suo contenuto risultava inequivocabile. Entrambe erano prove dell’esistenza di un legame tra l’IRA e la Germania.
«Be’, signor tenente, da quel che ho avuto modo di analizzare ritengo che la sua ipotesi sia corretta»
L’ufficiale non fu sorpreso: «con quanta certezza potrebbe affermarlo?»
Hales si aggiustò gli occhialetti sul naso: «devo sempre considerare un margine di errore, ma le probabilità che le due lettere siano state scritte da persone diverse sono praticamente nulle»
«Dunque è ormai certo, è il comandante delle squadre di Drumcondra che sta proteggendo la spia tedesca»
«Qualcosa mi dice che lei era già convinto di questo»
Il tenente annuì: «già…ma l’intuito ha bisogno di conferme»
Il crittografo non mise in dubbio la professionalità dell’ufficiale.
«Che cosa pensa di fare adesso?» chiese con curiosità.
«Continuerò a seguire le indagini. Come avevo previsto saranno i militanti dell’IRA a condurmi dall’agente dell’Abwehr»
Il dottor Hales rispose con un cenno di approvazione, poi rivolse lo sguardo alla porta chiusa del suo studio.
«Il suo collega è ancora in ritardo?» domandò, pensando che egli potesse giungere da un momento all’altro.
L’inglese sospirò: «no, questa è una pista che sto seguendo da solo»
Hales esternò la sua perplessità.
«Temo che il G2 potrebbe non gradire la sua intraprendenza»
«Per questo mi sono rivolto a lei in completa riservatezza» spiegò il tenente.
«Per quanto sia disposto ad aiutarla voglio ricordarle che non sono al servizio dell’Intelligence»
«Ne sono consapevole, ma le ricordo che l’Inghilterra è in guerra, credo che lei comprenda bene la gravità della situazione. Spero dunque che possa perdonare i miei metodi poco convenzionali»
Hales prese un profondo respiro: «mi auguro che lei riesca a trovare la sua spia»
«Non ho alcuna intenzione di lasciare l’Irlanda senza quel tedesco» affermò Hart con estrema fermezza.
 
***

Il detective Sullivan parcheggiò l’automobile di servizio a lato della strada, si trovava in un quartiere borghese a Nord della città, uno di quei luoghi da cui provenivano i ragazzini arroganti che al college avrebbe preso volentieri a pugni in faccia. Aveva sempre detestato certi ambienti, forse a volte gli era capitato di invidiare lo stile di vita della classe medio-alta di Dublino, ma preferiva sopportare qualche sacrificio in più piuttosto che entrare in quel mondo di ipocrisia e false apparenze.  
Sullivan si incamminò lungo il marciapiede, ormai conosceva quel percorso a memoria, aveva tenuto d’occhio il suo sospettato abbastanza a lungo, purtroppo senza alcun risultato.
L’interrogatorio con il sottotenente Donnelly non gli aveva fornito alcuna informazione utile. Quel ragazzo poteva essere del tutto innocente oppure estremamente abile a nascondere il suo coinvolgimento. Non aveva ancora trovato alcun collegamento tra l’ufficiale del G2 e l’IRA, il suo comandante gli stava con il fiato sul collo, doveva ottenere qualcosa di concreto al più presto.
Sapeva che in quel momento il principale indiziato non era in casa, dunque quella era una buona occasione per andare a caccia di indizi e interrogare la persona più vicina a lui.
Paul raggiunse la sua meta ed entrò all’interno del palazzo, all’ingresso trovò un portiere dall’aria annoiata, il quale dopo aver compreso che era un piedipiatti lo lasciò passare senza porre ulteriori domande.
Sullivan salì rapidamente le scale fermandosi poi sul pianerottolo. Si sistemò la giacca e si passò una mano tra i capelli biondi per sistemarli. Non si era mai preoccupato troppo del suo aspetto, ma durante i suoi pedinamenti aveva avuto modo di vedere Julia con i suoi occhi, e doveva ammettere che non gli dispiaceva l’idea di esibire il suo fascino davanti a una bella ragazza. Forse in altre circostanze avrebbe potuto tentare di conquistarla, era quel tipo di donna per cui poteva infrangere la regola di non provarci con le fidanzate dei colleghi.
Sullivan sospirò, per esperienza sapeva che le belle donne portavano sempre guai, e per come stavano le cose ne aveva già abbastanza.
Finalmente si decise a bussare, non dovette attendere a lungo, poco dopo la porta si aprì. Davanti a lui comparve una ragazza dal volto angelico e gli occhi dolci. I lunghi capelli castani ricadevano sulle sue spalle. Indossava un vestito azzurro che lasciava le sue gambe scoperte fino alle ginocchia, stretto in vita in modo da delineare i suoi fianchi e le altre curve del suo corpo.
Paul poté affermare che da vicino fosse ancora più bella di quanto ricordasse.
«Lei deve essere la signorina Julia Hannigan»
La giovane confermò.
«Sono il detective Paul Sullivan, Unità Speciale» si presentò formalmente mostrando il distintivo.
Ella parve sorpresa da quella visita inaspettata: «che cosa posso fare per lei?»
«Se non le dispiace vorrei porle qualche domanda a riguardo del sottotenente James Donnelly»
Julia esitò: «per quale motivo sta cercando informazioni su di lui?»
Il detective fu costretto ad edulcorare la sua versione.
«Questioni di sicurezza, in questi tempi la prudenza non è mai troppa»
La ragazza sapeva di non avere scelta, sarebbe stato del tutto inopportuno e sconveniente rifiutarsi di collaborare, inoltre riteneva di non avere nulla da nascondere ed era convinta che la faccenda dovesse essere soltanto un malinteso. Così lasciò entrare il detective e lo invitò ad accomodarsi.
L’uomo si fece strada lungo il corridoio e seguì le indicazioni per raggiungere il piccolo salotto.
«Posso offrirle qualcosa?» chiese la giovane per cortesia.
Il detective valutò la proposta.
«È un po’ presto per il whiskey, direi che un caffè sarebbe l’ideale»
Lei rispose con un lieve cenno e poi scomparve in cucina.
Sullivan approfittò di quella solitudine per guardarsi intorno in cerca di indizi. L’appartamento di Donnelly era semplice e modesto, probabilmente con le sue risorse economiche avrebbe potuto permettersi di più. In generale l’ambiente era piuttosto anonimo, senza la presenza di Julia quella casa sarebbe sembrata decisamente poco ospitale, fredda e vuota. Notò un paio di ritratti di James in divisa, nel primo indossava l’uniforme della Garda e aveva ancora l’aspetto di un ragazzino, il secondo scatto invece era più recente e lo raffigurava come ufficiale del G2. Non trovò nessuna vecchia foto di famiglia, sembrava che per quel giovane non esistesse altro al di fuori della sua carriera militare. Si accorse che non era presente nemmeno un ritratto del padre, il che era piuttosto strano. Una figura così rilevante e significativa avrebbe dovuto avere la sua importanza nella vita del sottotenente.
Sullivan proseguì oltre e sbirciò i titoli dei volumi riposti nella libreria, non c’era neanche uno scritto in gaelico e prevalevano gli autori britannici. Sembrava la biblioteca di uno studente di letteratura, l’elemento più interessante era sicuramente una raffinata copia del Paradiso Perduto di Milton.
Il detective era ancora intento ad osservare gli scaffali quando Julia rientrò nella stanza con una tazza di caffè fumante.
Sullivan la ringraziò con un ampio sorriso, prese posto sul divano e sorseggiò la bevanda calda.
«Davvero ottimo. Non ha niente a che fare con la brodaglia che siamo costretti a ingurgitare in caserma!» esclamò con soddisfazione.
«Lieta che sia di suo gradimento»
Il detective lasciò perdere i convenevoli per cominciare il suo interrogatorio.
«Da quanto tempo conosce il sottotenente Donnelly?»
Julia mostrò un certo nervosismo: «a dire il vero non stiamo insieme da molto, abbiamo iniziato a frequentarci alla fine dell’estate»
«Quindi la vostra relazione è esclusivamente personale e sentimentale»
Lei annuì.
Sullivan si soffermò ad osservare le sue labbra tinte di rosso, lasciò scorrere lentamente lo sguardo lungo il collo sottile e la scollatura non troppo profonda che sembrava essere un invito a stimolare la sua immaginazione, si concesse di fantasticare per pochi istanti, poi tornò con rassegnazione al suo dovere.
«Donnelly le ha mai parlato del suo lavoro?»
«No, ha sempre mantenuto separata la sua professione dalla vita privata»
«E lei non ha mai posto domande?»
«Ho accettato il fatto che James abbia dei segreti, si tratta del suo mestiere»
Sullivan fu sorpreso: «è stata molto comprensiva nei suoi confronti»
«Mi fido di lui, il suo ruolo nel G2 non ha mai interferito con la nostra relazione»
 Il detective constatò di non trovarsi di fronte a una ragazzina sprovveduta.
«Invece quali sono le sue opinioni politiche?» proseguì.
«Non è un argomento di cui tratta spesso, suppongo sempre a causa del suo incarico nei servizi segreti»
«Eppure saprà dirmi qualcosa» insistette.
«Soltanto che spegne la radio ogni volta che trasmettono il programma di Lord Haw-Haw [1]»
Paul appuntò l’informazione sul suo taccuino.
«Interessante…e per quale motivo?»
«Mi sembra ovvio, James non è un estimatore dei nazisti»
Egli assunse un'espressione pensierosa. 
«Be’, in realtà ci sono anche altre ragioni per cui quell’uomo è disprezzato, oltre al fatto di essere un nazista»
Ella non capì: «di che sta parlando?»
«Ai tempi della Guerra d’Indipendenza egli era un informatore al servizio degli inglesi, sono trascorsi vent’anni, ma sono certo che i militanti dell’IRA non abbiano dimenticato il suo tradimento»
«Questo è importante?»
Sullivan scosse le spalle: «forse…»
Seguì un breve momento di silenzio. Paul sollevò la testa dal foglio, Julia cominciava a manifestare apprensione, ma non poteva sapere se ciò fosse dovuto soltanto alla sua presenza. In ogni caso non poté far a meno di notare che l’espressione preoccupata sul suo volto non sminuiva affatto la sua bellezza.
«Mi scusi, non volevo interromperla con le mie considerazioni»
«Non credo di avere altro da dirle a riguardo»
«Anche i particolari come la radio sono importanti. Per esempio, quale giornale legge il suo compagno?»
«L’Evening Herald, come quasi tutti gli abitanti di Dublino»
«Strano, avrei scommesso sull’Irish Times. Considerando la sua condizione sociale sarebbe logico pensare che abbia ideali unionisti»
«Come le ho detto James non ama discutere di politica»
Paul cominciò a trovare irritante quel genere di risposte, d’altra parte poteva comprendere il suo collega, nemmeno lui avrebbe sprecato il tempo a sua disposizione con una donna come Julia parlando di politica.
«Ricorda un episodio particolare in cui è accaduto qualcosa di insolito?»
«Che cosa intende?»
«Non saprei, una visita ad uno strano orario o una telefonata ambigua…»
Ella negò: «non ricordo nulla del genere»
«Per favore, ci pensi attentamente. È importante»
Lei non mostrò alcun tentennamento: «le ripeto che non ho niente da riferirle»
Sullivan fu costretto a desistere.
«Soltanto un’ultima cosa…per caso ha notato qualcosa di strano nel suo comportamento negli ultimi giorni?»
La ragazza scosse la testa: «è molto preoccupato a causa della guerra, come tutti noi»
«Oh, e che cosa pensa Donnelly del conflitto?»
La giovane rispose senza esitazione: «è neutrale come l’Irlanda»
Sullivan non fu sorpreso, apparentemente il suo uomo non condivideva gli ideali nazisti e non sosteneva la propaganda britannica, o era del tutto imparziale o era ben attento a non lasciare dichiarazioni compromettenti.
Il detective si rialzò con rassegnazione, era certo che non sarebbe riuscito ad ottenere nulla di più.
«Spero di non averle arrecato troppo disturbo» disse prima di congedarsi.
Julia lo guardò negli occhi: «non so cosa stia cercando nella vita di James, ma temo che si stia sbagliando»
Paul restò impassibile: «forse ha ragione, ma spero che lei abbia il buonsenso di avvertirmi se dovesse scoprire qualcosa di sospetto»
 
Sullivan uscì nuovamente in strada avvertendo soltanto un’intensa frustrazione. Non aveva scoperto molto, poteva pensare che Julia avesse mentito per proteggere il fidanzato, ma il suo istinto gli suggeriva che ella fosse realmente ignara e innocente. Qualcosa però continuava a non tornare in tutta quella faccenda.
Paul si accese una sigaretta, pensò ancora a quelle labbra rosse leggermente socchiuse, e a quanto avrebbe desiderato serrarle con un bacio.
 
***

L’appartamento era stato completamente messo a soqquadro dagli agenti dell’Unità Speciale. Il pavimento era coperto dagli oggetti che erano stati estratti da mobili e cassetti e poi scaraventati a terra con ben poca cura. C’erano addirittura frammenti di vetro sul tappeto, dei comuni ladri in cerca di tesori nascosti sarebbero stati di certo più discreti.
«Che diamine è successo qua dentro?» domandò Hart con evidente irritazione.
Il sovrintendente Whelan non seppe come giustificarsi: «quando ho ordinato ai miei uomini di perquisire questo posto da cima a fondo non pensavo che l’avrebbero ridotto in questo stato»
«Dannazione! Potrebbero aver accidentalmente contaminato o distrutto delle prove!»
«Posso assicurarle che mi occuperò personalmente di coloro che hanno causato questo disastro»
L’inglese sospirò: «almeno i suoi sottoposti incompetenti hanno trovato qualcosa di utile?»
Il comandante abbassò lo sguardo con aria affranta: «temo di no tenente»
L’ufficiale scosse la testa: «abbiamo già abbastanza problemi, adesso iniziamo anche a sabotare le nostre stesse indagini?»
Whelan non ebbe modo di replicare.
Il tenente si rivolse al suo compagno: «coraggio, vediamo se riusciamo a salvare qualcosa da questo macello!»
Donnelly lo seguì cautamente, facendo attenzione a non calpestare i pezzi di vetro taglienti.
«Non credo che sia rimasto molto da esaminare» commentò il ragazzo.
«Dobbiamo almeno tentare di trovare qualcosa che non sia stato distrutto da quegli inetti»
Il sottotenente sorrise, provò una certa soddisfazione nel vedere il suo superiore che esprimeva disprezzo nei confronti degli agenti dell’Unità Speciale.
«Che stiamo cercando di preciso?» chiese James nella speranza di ricevere qualche indicazione.
L’inglese non fu particolarmente d’aiuto: «qualsiasi cosa che possa assomigliare ad un indizio!»
Donnelly non poté fare altro che eseguire gli ordini e mettersi al lavoro. Ispezionò i mobili per cercare doppi fondi e controllò le assi del pavimento, ma non trovò nessun nascondiglio segreto. Si ritrovò in una camera da letto, miracolosamente i suoi colleghi si erano limitati a spalancare ante e cassetti senza alterare troppo l’ambiente circostante. Il giovane fu sorpreso nel notare certi particolari, nonostante l’intrusione restava evidente che chi avesse soggiornato lì dentro fosse stato attento a rispettare certe regole nell’ordine e nella gestione degli spazi. Tutto ciò sembrava tipico di chi fosse abituato a una rigida precisione militare.
Donnelly uscì dalla stanza e raggiunse il suo superiore nel salotto.
Il tenente Hart si avvicinò alla stufa e aprì lo sportello di metallo, all’interno erano rimasti i resti di un foglio bruciacchiato.
L’ufficiale estrasse i pezzi di carta dalla cenere e li sistemò sul tavolo. Tentò di ricomporre il messaggio originale, purtroppo soltanto una piccola parte si era salvata dalle fiamme e molte parole risultavano comunque illeggibili.
Hart prese tra le dita uno di quei minuscoli frammenti e lo ispezionò con particolare attenzione. 
«Che cos’è?» chiese Donnelly.
L’inglese mostrò un’espressione soddisfatta: «un indirizzo»
 
***

Barry proferì la parola d’ordine alla guardia appostata all’ingresso, l’uomo lo squadrò con aria attenta prima di lasciarlo passare. Egli scese con calma le scale di legno ammuffito giungendo nello scantinato freddo e polveroso che era stato adibito a locale clandestino.
L’agente segreto si guardò intorno con circospezione, il luogo era quasi deserto. Sul fondo della stanza si era radunato un gruppo di ferventi comunisti, parlavano del Congresso Repubblicano e improvvisavano animate arringhe contro il capitalismo.
La spia britannica non ascoltò a lungo quei discorsi, la lotta al comunismo era passata in secondo piano da quando il nuovo nemico era diventato il nazionalsocialismo.
«Buonasera Barry»
L’inglese si voltò verso il cameriere, un giovanotto smilzo dal volto coperto di lentiggini.
«Questa potrebbe essere una buona serata anche per te Timmy»
Il ragazzo intuì il significato delle sue parole: «non ho molto tempo»
«Ho solo voglia di fare due chiacchiere davanti a un boccale di birra»
«Queste chiacchierate sono sempre pericolose» replicò.
«Ma per te sono anche redditizie» precisò la spia.
Timmy si guardò intorno con aria preoccupata: «torno subito con la tua birra»
La spia era certa che egli non avrebbe rifiutato, il ragazzo era abbastanza disperato da accettare senza troppi rimorsi i soldi della Corona. Poiché quel luogo era spesso frequentato dai militanti dell’IRA Timmy aveva modo di scoprire un bel po’ di cose interessanti, per questo era diventato il suo principale informatore sul fronte repubblicano.         
L’inglese non attese a lungo, poco dopo il giovane si presentò al tavolo porgendogli un boccale pieno. Dopo averlo servito si sistemò al lato opposto del tavolo.
Barry bevve un lungo sorso.
«Allora? Hai qualche novità per me?»
«So che l’IRA è responsabile per l’aggressione di quel poliziotto a Rathcoole»
«Ti ho chiesto qualcosa di nuovo, notizie del genere si leggono tutti i giorni sulla prima pagina dell’Independent»
Il giovane sospirò: «che cosa vuoi sapere?»
«Qualcosa a riguardo dei tedeschi»
Timmy deglutì a vuoto ed iniziò a contorcersi sulla sedia.
«Ero certo che sapessi qualcosa» disse Barry.
«Io non…»
Egli lo interruppe: «questa informazione potrebbe valere molto di più rispetto alle altre»
L’altro esitò prima di lasciarsi tentare.
«Quanto?»
Barry propose la cifra, un prezzo irrisorio se confrontato alla salvezza dell’Inghilterra. Per Timmy però quel denaro avrebbe potuto fare la differenza.
«Be’, effettivamente un po’ di tempo fa ho sentito un ufficiale parlare di accordi con la Germania»
«Chi era questo ufficiale?»
Il giovane si rifiutò: «mi dispiace, questo non posso rivelarlo»
La spia conosceva bene quel gioco.
«Qualche banconota in più potrebbe convincerti a dirmi quel nome?»
Quella volta il ragazzo parve davvero spaventato.
«Si tratta di un comandante, se i militanti dovessero scoprire che li ho traditi non esiterebbero a uccidermi!»
Barry restò impassibile: «sono questi i rischi di chi accetta di guadagnare denaro sporco»
Timmy ignorò la critica dell’inglese: «la mia vita non è negoziabile»
«Hai sempre saputo quali sarebbero state le conseguenze della tua scelta»
«Se lo venissero a sapere potrebbero anche fare del male alla mia famiglia»
«Di certo non sarò io a spifferare in giro il tuo segreto»
L’irlandese rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
«Allora? Vuoi il denaro o no?» lo incitò la spia.
Ancora nessuna risposta.
«È una bella somma, credimi, non avrai più una simile occasione»
Timmy si morse il labbro, la sua lotta interiore proseguì ancora per un po’, ma alla fine cedette.
«Era il capitano Charles Maguire, il comandante delle squadre di Drumcondra» rivelò tutto d’un fiato.
Barry sorrise, finalmente aveva tra le mani qualcosa di importante per il tenente Hart.
«E con chi stava parlando?» continuò.
«Non lo so, probabilmente un suo sottoposto, di certo non era un ufficiale»
L’inglese rispose con una smorfia.
«Hai mai sentito nominare “L’Aquila”?»
Egli negò.
«Se dovessi sentire qualcosa a riguardo di una spia tedesca o di un tenente della Luftwaffe cerca di farmelo sapere»
«Sì, certo»
Barry valutò la qualità delle informazioni: «d’accordo, quel che mi hai detto potrebbe essere sufficiente»
L’agente britannico consegnò le banconote come promesso.
Il giovane le afferrò con avidità e le nascose immediatamente all’interno della giacca.
Barry provò allo stesso tempo pietà e disprezzo, per quanto potesse essere utile approfittare della disperazione altrui a volte non riusciva ad ignorarne lo squallore. Quel momento di umana debolezza durò soltanto pochi istanti, come agente segreto era disposto a tutto per compiere il proprio dovere, se avesse voluto difendere la sua Nazione in modo onesto e leale sarebbe diventato ufficiale di fanteria.
L’inglese si riprese da quei pensieri avvertendo la voce di Timmy.
«Hai bisogno di altro da me?» chiese con impazienza e nervosismo.
Barry osservò il bicchiere ormai vuoto: «sì, gradirei un’altra birra»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note
[1] Soprannome con cui era noto William Joyce, politico che durante la guerra fu portavoce della propaganda nazista con la sua trasmissione radiofonica “Germany Calling”.

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Capitolo 22
*** Conseguenze ***


Ringrazio i fedeli lettori che stanno continuando a seguire questa storia.
Un ringraziamento speciale ai carissimi recensori per il prezioso supporto^^

 
22. Conseguenze
 

Quella notte Declan non riuscì a chiudere occhio, si rigirò nel letto, cercando inutilmente di addormentarsi. I pensieri che vagavano nella sua mente non gli concedevano pace. Inevitabilmente tornava a rievocare quel che era accaduto, e con quel ricordo riaffioravano anche mille pensieri e preoccupazioni.
Quando aveva accettato quell’incarico era certo che non avrebbe mai potuto cambiare idea a riguardo di un tedesco. Credeva che si sarebbe ritrovato ad avere a che fare con un odioso nazista, riteneva che non avrebbe mai potuto instaurare alcun genere di rapporto con il suo improbabile alleato. Eppure era stato costretto a ricredersi. Hans si era rivelato essere un ufficiale leale e valoroso, e nel corso della loro conoscenza era riuscito a conquistare la sua fiducia.
Aveva avuto modo di scoprire che in realtà erano molto più simili di quel che avrebbe voluto ammettere, in gran parte condividevano ideali e mentalità.
Ma riconoscere l’onestà e l’integrità del tenente era stato solo l’inizio, poi le cose avevano iniziato a complicarsi. Il tedesco riusciva ad esercitare una forte influenza su di lui, questo era innegabile.
Egli era stato in grado di scalfire la sua corazza di diffidenza, l’aveva convinto ad abbassare la guardia, finché anche la sua ultima difesa non era crollata.
E alla fine era successo l’irreparabile, aveva superato il punto di non ritorno. Nonostante i suoi sforzi per tentare di mantenere le distanze e celare i suoi veri sentimenti non era riuscito a evitarlo. 
Si era sentito al sicuro tra le sue braccia, aveva avvertito sensazioni mai provate prima. Forse era stata l’inaspettata vicinanza fisica o la suggestione della notte, in ogni caso aveva perso il controllo. Era stato un gesto impulsivo, l’aveva baciato con passione e desiderio, cercando le sue labbra finché non gli era mancato il respiro.
In quel momento aveva dimenticato ogni preoccupazione, abbandonandosi al calore di quell’abbraccio.
Declan sospirò, aveva sempre anteposto i suoi ideali davanti ad ogni cosa, ed ora stava prendendo in considerazione l’idea di tradire l’IRA per un avvenente pilota dagli occhi azzurri. Anzi, a dire il vero era già venuto a meno dei suoi doveri. Aveva mentito al capitano Maguire per difendere il tedesco.
Avrebbe dovuto tirarsi indietro quando era in tempo, ma anche nel momento in cui gli si era presentata la possibilità non aveva voluto prendere quella decisione. Si era rifiutato categoricamente, si era impuntato e aveva contraddetto il suo comandante credendo di star facendo tutto ciò soltanto per una questione di integrità e coerenza. Ormai però era certo che le motivazioni che l’avevano spinto ad agire in quel modo non erano né morali né patriottiche.
A quel punto non poteva negare la verità a se stesso, era sempre stato consapevole delle conseguenze, eppure aveva scelto di non abbandonare il tenente. Contro ogni aspettativa aveva preso a cuore la sua missione e si era affezionato all’ufficiale tedesco.
Ovviamente non era orgoglioso di aver tradito la fiducia del capitano, e ciò gli era costato uno sforzo non indifferente. Per la prima volta aveva messo in discussione la sua profonda amicizia con Maguire e il suo giuramento di fedeltà.
Declan ripensò al momento in cui aveva scelto di diventare un militante dell’IRA. Aveva preso quella decisione senza dubbi o ripensamenti, era convinto di essere pronto a tutto per il bene dell’Irlanda. Questo ovviamente lo credeva ancora, eppure qualcosa era cambiato. La questione della spia aveva costretto O’ Riley a vedere le cose sotto un’altra prospettiva. Fino a poco tempo prima non avrebbe mai osato contraddire un suo superiore e nemmeno dubitare delle parole di un ufficiale.
Non aveva mai permesso alle emozioni di interferire con il suo dovere di militante, ma ormai non aveva più dubbi a riguardo, dopo il suo incontro con Hans non era più stato lo stesso.
I sentimenti che provava per il tedesco avevano preso il sopravvento. Aveva promesso a Schneider che sarebbe rimasto al suo fianco in ogni caso, anche se questo avrebbe significato voltare le spalle all’IRA e ai suoi commilitoni. Non conosceva le decisioni dei suoi superiori, non aveva modo di sapere per quanto tempo l’IRA avrebbe continuato a tenere la spia tedesca sotto la sua protezione. Temeva che gli accordi sarebbero potuti cambiare.
Pur essendo animato dal suo estremo senso di giustizia Declan sapeva di star passando dalla parte del torto, almeno per quel che riguardava il suo ruolo di soldato repubblicano. Se per salvare la vita del tenente avesse dovuto infrangere il suo giuramento sarebbe diventato un traditore, e come ben sapeva l’IRA aveva sempre condannato i traditori. Era stato lo stesso Maguire a ricordarglielo.
 
O’ Riley continuò a seguire il filo dei suoi pensieri, arrivando a prendere in considerazione ogni ipotesi possibile. Forse quello era tutto parte di un piano. Non doveva dimenticare il fatto che il tenente Schneider fosse una spia, e se il suo intento fosse stato quello di sedurlo per convincerlo a collaborare?
Declan si domandò se gli agenti segreti fossero addestrati anche per questo, di certo Hans possedeva il fascino e il carisma necessari per lo scopo.
In quel breve periodo il tedesco era riuscito a far crollare ogni sua certezza, portandolo a dubitare delle sue convinzioni più profonde. Il giovane scosse la testa, se era finito in quella situazione non era per un assurdo complotto.
Il giovane rifletté sulla situazione, era sempre stato disposto a lottare per difendere ciò che amava: la sua famiglia, la sua Patria, i suoi ideali…per Hans non era diverso. L’aveva riconosciuto come compagno, l’aveva ritenuto degno della sua stima e del suo rispetto. Soltanto in un secondo momento erano sopraggiunti i sentimenti, e la sua missione era diventata una questione personale.
Quando si era innamorato degli ideali repubblicani non aveva esitato ad andare fino in fondo decidendo di combattere per la Libertà a costo della vita, allo stesso modo ora che aveva compreso ciò che provava realmente per Hans era intenzionato a fare tutto il possibile per salvarlo.
 
***

Il tenente Schneider riprese a camminare in cerchio, percorrendo più volte il perimetro del salotto. Era tormentato da pensieri sempre più angosciosi e pessimisti riguardanti la sua missione. La protezione dell’IRA si era tramutata in una prigionia a tutti gli effetti, inoltre stava iniziando a temere che il suo contatto non si sarebbe più presentato.
Doveva trovare il modo di ottenere quelle informazioni al più presto e organizzare tempestivamente la sua fuga. Il problema era che da solo non avrebbe potuto combinare nulla. Era uno straniero in terra straniera, per di più una spia ricercata dai servizi segreti. Non poteva fidarsi di nessuno. Senza il supporto dei suoi unici alleati per lui sarebbe stato impossibile raggiungere il suo obiettivo.
D’altra parte non sapeva nemmeno quanto avrebbe potuto fare affidamento sull’IRA. Fino a quel momento aveva rispettato il volere del capitano Maguire, così come gli era stato ordinato dai suoi comandanti, ma ciò non aveva portato a nulla di buono. Nonostante i suoi sforzi per instaurare un equo rapporto con gli irlandesi le cose sembravano non funzionare.
Egli aveva rispettato gli accordi per conto dell’Abwehr, aveva fornito all’IRA i piani dell’invasione, ma i suoi alleati si erano rivelati più restii a fare la loro parte. Il fatto che Maguire avesse imposto il silenzio radio con la Germania e non si fosse dimostrato affatto interessato ad aiutarlo gettava ulteriori sospetti sulle reali intenzioni dei repubblicani.
Ricordava l’atteggiamento diffidente e sospettoso del capitano Maguire, le accuse che aveva mosso nei suoi confronti non lasciavano alcun dubbio. L’irlandese non l’aveva mai considerato come un vero alleato, forse non aveva mai creduto in quella alleanza, il suo unico scopo sembrava quello di ottenere il più possibile da quegli accordi. Probabilmente quando si era accorto che la Germania non era intenzionata a scendere a compromessi aveva cambiato idea sulla questione.
A quel punto era plausibile che l’IRA non fosse disposta a concludere quei negoziamenti, oppure si erano sollevati pareri discordanti all’interno della stessa organizzazione. Era evidente che l’arrivo di una spia tedesca a Dublino avesse complicato una situazione già piuttosto instabile.
Schneider non poteva prevedere da che parte avrebbe soffiato il vento, ma in ogni caso sapeva che la sua permanenza in Irlanda stava diventando sempre più pericolosa.
Hans si domandò quanto tempo avesse ancora a disposizione prima che i servizi segreti riuscissero a rintracciare il suo nascondiglio. Considerando la fretta con cui era stato trasferito da un covo all’altro poteva immaginare che la situazione non fosse affatto a suo favore. Era una questione di settimane? Giorni? Ore?
Quell’incertezza rendeva la sua attesa ancora più snervante. Il capitano Maguire aveva parlato di un agente britannico inviato a Dublino dall’MI5 per dargli la caccia. Non sapeva se quelle informazioni potessero essere considerate affidabili, ma questa possibilità avrebbe potuto giustificare l’estrema prudenza adottata dai militanti.
Schneider rifletté sulla questione, in quel momento realizzò che il suo nemico non era più una generica autorità, ma si era incarnato in un essere umano. Per molto tempo aveva pensato che il suo primo avversario sarebbe stato il pilota di un Hurricane o di uno Spitfire. Qualcuno che avrebbe potuto considerare un suo pari, per il quale avrebbe potuto provare rispetto.
In quel caso invece non si sarebbe trattato di un combattimento leale ed onorevole tra aviatori.
Quella era una guerra segreta, senza regole, dove l’unico obiettivo era sconfiggere l’avversario.
Hans sapeva che se fosse stato catturato non avrebbe avuto alcuna possibilità. Sarebbe finito nelle mani degli inglesi, l’Intelligence l’avrebbe interrogato sottoponendolo a indicibili torture per tentare di estorcergli più informazioni possibili, e alla fine sarebbe stato giustiziato.
Il tenente non temeva il suo destino, ma non poteva evitare di pensare a quali sarebbero state le terribili conseguenze. Per prima cosa avrebbe fallito nel portare a termine la sua missione, deludendo le aspettative dei suoi superiori e determinando una grave disfatta per la Germania.
In secondo luogo anche l’IRA sarebbe sicuramente stata coinvolta, e probabilmente Declan avrebbe condiviso la sua stessa sorte.
Schneider inorridì davanti a quella visione terrificante. Indipendentemente dalle circostanze, se fosse accaduto qualcosa a quel ragazzo per colpa sua non avrebbe potuto sopportarlo.
La sua missione aveva acquisito anche un valore personale, aveva qualcosa da perdere, e questo lo rendeva vulnerabile, ancor di più esposto al pericolo.  
 
Hans emise un sospiro di frustrazione, in tutto questo era riuscito a complicare ancor di più la situazione. Aveva ceduto alla sua debolezza, assecondando un desiderio personale, un desiderio che avrebbe dovuto ritenere osceno e immorale.
Non era riuscito a gestire i suoi sentimenti e questo era un errore inammissibile per una spia.
Più tentava di affrontare razionalmente la questione e meno riusciva a comprendere.
Tutto ciò che sapeva era che l’attrazione che provava nei confronti di quel ragazzo non era soltanto una vana infatuazione.
Declan era un giovane coraggioso e ardimentoso, possedeva tutte le qualità del combattente che aveva sempre ammirato ed elogiato. Forse era fin troppo emotivo, però era anche questo suo spirito romantico a donargli un certo fascino.
Nonostante la giovane età aveva dimostrato di possedere una forza di volontà superiore a quella di molti uomini adulti e maturi.
Tutte queste erano valide motivazioni che avevano contribuito a stimolare il suo interesse per quell’irlandese. Oltre a questo doveva ammettere che Declan fosse anche un ragazzo di bell’aspetto. I lineamenti del suo volto, decisi ma non sgraziati, gli conferivano un’aria decisamente intrigante. I suoi intensi occhi verdi l’avevano rapito fin dal primo momento.
Ultimamente era anche riuscito a strappargli un sorriso, scoprendo che incurvava le labbra in modo leggermente asimmetrico, il che lo rendeva davvero irresistibile.
Schneider si sorprese nel ritrovarsi a fare simili considerazioni sull’aspetto del suo compagno, considerando il loro effetto ritenne che fosse opportuno distogliere l’attenzione da quei pensieri.
 
Era probabile che la lontananza dalla Germania e l’impossibilità di contattare i suoi superiori l’avessero ulteriormente distratto dal suo scopo primario. Aveva bisogno di focalizzare per bene il suo obiettivo.
Ripensò a quando gli era stata presentata l’opportunità di diventare un agente segreto. Ricordava di aver appena terminato un volo di addestramento, nel momento in cui era sceso a terra aveva trovato due persone ad attenderlo. Il primo era il maggiore von Reichenbach, il secondo invece era un uomo in borghese.
Hans aveva pensato che lo sconosciuto fosse un curioso spettatore, oppure un giornalista. Non era raro che essi visitassero il campo per scrivere articoli di propaganda. Una volta una sua foto era anche stata pubblicata su un quotidiano come esempio della gioventù destinata a partire per il fronte per rendere onore e gloria alla Patria.  
Quando si era accorto che entrambe le sue ipotesi erano errate Hans aveva iniziato a insospettirsi.
L’uomo misterioso l’aveva squadrato con attenzione, poi aveva sollevato la testa per guardarlo negli occhi. Sul suo volto, inizialmente inespressivo, era comparso un mezzo sorriso di soddisfazione.
«Tenente Schneider, lei è il candidato che stavamo cercando»
Nel sentire quella frase il giovane ufficiale era rimasto interdetto, non aveva idea di quale potesse essere il reale significato di quelle parole.
Soltanto in un secondo momento tutto gli era stato chiarito. L’uomo in borghese si era rivelato essere l’agente Hadel, il quale aveva preteso quell’incontro per una ragione ben precisa. Così gli era stata offerta la fatidica proposta.
Più tardi Hans aveva anche scoperto che era stata proprio quella foto di giornale ad aver attirato l’attenzione dell’Abwehr su di lui.
L’agente Hadel aveva scorto delle potenzialità nel giovane pilota, e dopo un accurato periodo di valutazione aveva preso la sua decisione.
Schneider non aveva riflettuto a lungo, aveva accettato persino con fin troppo entusiasmo. Per prima cosa quella era un’opportunità irripetibile, sarebbe stata una preziosa occasione per dare il suo contributo in quella guerra. Era intenzionato a fare tutto il possibile per servire la Patria, anche se questo significava abbandonare, seppur non definitivamente, i suoi sogni di aviatore.
E inoltre, doveva ammetterlo, aveva trovato decisamente affascinante e intrigante l’idea di diventare un agente segreto.
Ovviamente il suo obiettivo non era stato semplice da raggiungere, ma durante i mesi di addestramento aveva fatto tutto ciò che era nelle sue capacità per dimostrare di essere all’altezza. La sua determinazione era stata fondamentale. I risultati ottenuti avevano convinto i suoi superiori a dargli una possibilità sul campo, ma in fondo era certo che fosse stato l’agente Hadel a fare il suo nome al capitano Seidel.
Inevitabilmente ripensò alle parole con cui il suo comandante gli aveva affidato quella missione.
“Sono certo che saprà svolgere al meglio il suo dovere”
Schneider avvertì il peso delle sue responsabilità. Aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per non deludere le aspettative che i suoi superiori avevano riposto in lui, e nonostante tutto era ancora intenzionato a rispettare la sua promessa.
 
Hans si riprese da quei pensieri avvertendo la porta aprirsi alle sue spalle. Si girò di scatto, trovando Declan in piedi nella penombra della stanza.  
«È ancora presto per il tuo turno di guardia» disse.
«Lo so» rispose semplicemente il suo compagno.
Hans non lasciò trasparire alcuna emozione, ma in cuor suo fu rassicurato dalla presenza dell’irlandese.
Il giovane si avvicinò: «ho bisogno di parlarti»
L’altro rimase in silenzio.
«Voglio che tu sappia una cosa»
Il tedesco assunse un’espressione perplessa.
Declan esitò qualche istante prima di confessare la verità.
«Ho tradito la fiducia del capitano Maguire per proteggerti»
Hans non capì: «di che stai parlando?»
«Charles voleva affidare a qualcun altro il compito di sorvegliarti, ma io gli ho mentito per oppormi alla sua decisione»
L’agente segreto si stupì per quella rivelazione.
«Per quale motivo l’hai fatto?»
«Credevo di voler dimostrare qualcosa, ma la verità è che non ero disposto ad abbandonarti»
Schneider sapeva quanto quel giovane fosse legato ai suoi ideali e anche quanto fosse intenso il rapporto che aveva instaurato con il suo superiore.
«Non avresti dovuto opporti al volere del tuo comandante» fu l’onesto commento, che aveva tutta l’aria di essere un rimprovero.
«Il mio unico intento è stato quello di difenderti. Saresti potuto finire nelle mani sbagliate…avrebbero potuto tradirti!»  
Il tedesco abbassò lo sguardo, poteva apprezzare le nobili intenzioni di quel gesto così sconsiderato, ma in quel momento sentì di avere anche delle responsabilità nei confronti di quel ragazzo.  
«Non ho mai preteso nulla di tutto questo da te»
«È questo che fanno i compagni, si preoccupano a vicenda e pensano a proteggersi» rispose Declan senza alcuna traccia di rimorso.
Hans fu commosso da quella dimostrazione di fedeltà, la determinazione di quel giovane militante era davvero sorprendente.  
Nonostante ciò tentò di valutare razionalmente la situazione.
«Tutto questo è pericoloso per entrambi» sentenziò.
Il ragazzo rimase impassibile: «se avessimo paura di lottare per ciò che amiamo non saremmo qui»
L’ufficiale non poté ribattere, pur essendo consapevole dell’irragionevolezza di quelle parole trovava sempre affascinante ed ammirevole la risolutezza dell’irlandese.
Declan lo guardò dritto negli occhi, senza più alcun dubbio o incertezza. 
Hans sostenne il suo sguardo, ma non resistette a lungo alle sue iridi smeraldo. Sfiorò il suo viso con una leggera carezza, poi con un gesto deciso l’attirò a sé. Il giovane si lasciò avvolgere da quell’abbraccio, la sua presa, allo stesso tempo salda e delicata, riusciva a donargli conforto e sicurezza.
Restarono a lungo stretti l’uno all’altro, avvertendo soltanto i battiti accelerati dei loro cuori e il ritmo irregolare dei loro respiri.
Le loro labbra si unirono lentamente e dolcemente. I due approfondirono sempre di più il bacio, cercandosi e assaporandosi a vicenda, cedendo al desiderio e alla passione.
Declan fu scosso da un fremito quando avvertì le mani del tenente che accarezzavano il suo corpo. Socchiuse gli occhi, abbandonandosi al piacere di quelle nuove e intriganti sensazioni.
Ad un tratto Schneider si distaccò, interrompendo bruscamente quel momento di intimità. L’irlandese, ancora sconvolto da quel turbine di emozioni, fu sorpreso da quella reazione improvvisa. Inizialmente temette che egli avesse avuto un ripensamento, ma ben presto intuì le sue motivazioni. Udì dei rumori al piano di sotto, poi gli echi dei passi si spostarono sulle scale.
Hans si separò dal compagno poco prima che avvertissero bussare alla porta con impazienza ed insistenza.
«Declan! Forza, apri! Ho un messaggio urgente da parte del capitano Maguire!»

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Capitolo 23
*** Sul filo del rasoio ***


 
23. Sul filo del rasoio  
 

«Una fonte anonima?» domandò James con evidente perplessità.
«A volte la fortuna gira anche dalla nostra parte» replicò il sovrintendente Whelan con aria soddisfatta.
Il sottotenente scosse la testa, durante la sua breve carriera aveva avuto modo di imparare che nulla accadeva senza motivo, e quella soffiata risultava piuttosto sospetta.
Il tenente Hart ignorò i suoi dubbi.   
«Dunque che cosa sapete di lui?»
Whelan aprì il fascicolo sul tavolo.
«A dire il vero Charles Maguire è una nostra vecchia conoscenza. È stato arrestato per la prima volta nel 1930 per aver scritto articoli sovversivi sull’An Phoblacht e poi nel 1932 durante una manifestazione anti-imperialista. Era iscritto al Congresso Repubblicano, rosso fino al midollo, nel periodo degli scontri tra i gruppi di sinistra e le Camicie Blu è entrato e uscito più volte dalle stazioni di polizia…»
Il sovrintendente mostrò al tenente una foto segnaletica, il giovane ritratto aveva un occhio nero e il labbro sanguinante, quei fascisti incravattati non erano stati affatto gentili nei suoi confronti. D’altra parte Maguire non era di certo uno di quegli intellettuali che si limitavano alle parole, egli aveva dimostrato di essere disposto a lottare per ciò in cui credeva.
«La storia finisce qui. Non abbiamo più nulla su di lui da almeno cinque anni» disse Whelan sfogliando le ultime pagine.
«Dubito che nel frattempo il comunista ribelle sia diventato un onesto cittadino…non c’è niente a riguardo dell’IRA?»
«Il suo coinvolgimento nei movimenti repubblicani era noto, ma non ci sono mai state indagini a riguardo»
«Per quale ragione?»
«Aveva conoscenze importanti ed era particolarmente stimato in certi ambienti, forse qualcuno ha pensato a proteggerlo. Prima della guerra le cose erano diverse» ammise Whelan.
«In ogni caso è lui il comandante che stiamo cercando» affermò l’inglese.
Il sovrintendente sospirò: «se è così temo che Maguire abbia già abbandonato Dublino, avremo bisogno di tempo per rintracciarlo»
«Io invece credo che sia rimasto in città»
Whelan si stupì: «perché è convinto di questo?»
Hart osservò nuovamente la fotografia: «non è il tipo che fugge davanti al pericolo»
 
Rimasto solo con il tenente Donnelly espresse i suoi dubbi.
«C’è una cosa che non riesco a capire…»
«Cosa?» domandò Hart alzando appena lo sguardo dalle carte che stava esaminando.
«Per quale motivo un uomo come Maguire, un repubblicano convinto, dovrebbe accettare un’alleanza con la Germania?»
«Perché l’IRA ha bisogno di un supporto esterno per sopravvivere. Prima c’erano i russi, poi gli americani…e adesso si sono fatti avanti i tedeschi»
«Questa volta però è diverso, non è soltanto una questione economica»
«Già, c’è in gioco il destino di una guerra»
James rifletté sulla situazione.
«È stato il tuo istinto a indurti a fidarti di quella soffiata anonima?»
«È una pista valida che non possiamo ignorare»
Donnelly accettò quella risposta restando però diffidente. Si affacciò alla finestra con aria pensierosa, domandandosi chi potesse essere il misterioso informatore.  
 
***

Per il resto della giornata James si occupò di scartoffie e documenti, il caso Maguire era passato nelle mani dei detective della Garda, mentre lui e il tenente Hart erano ancora in attesa del via libera del capitano Kerney per tornare in azione sul campo.
In quel tempo Donnelly aveva avuto modo di ripensare alla sua ultima conversazione con Julia, la quale gli aveva raccontato tutto a riguardo della visita del detective Sullivan.
Aveva riflettuto a lungo sulla questione, e se all’inizio era stata l’indignazione a prevalere, alla fine aveva stabilito che la cosa migliore sarebbe stata non fare assolutamente nulla. Era un sospettato, non poteva permettersi alcuna mossa azzardata.
Il giovane sbuffò, era certo che il detective Sullivan stesse portando avanti le indagini spinto più da motivazioni personali che dalla sua logica investigativa. Infatti non c’erano prove, egli aveva sostenuto senza problemi il suo interrogatorio e non si era mai rifiutato di collaborare. Tutto questo però non era stato sufficiente a convincere quell’uomo della sua innocenza.
Voler interpretare a forza la parte della vittima non avrebbe fatto altro che destare ulteriori sospetti sul suo possibile tradimento, e se l’obiettivo di Sullivan era stato quello di provocarlo non poteva abbassarsi a fare il suo gioco.
D’altra parte non era intenzionato a dimenticare l’accaduto, poteva sopportare le sue accuse e le sue insinuazioni, ma quella volta aveva superato il limite decidendo di coinvolgere Julia.
James non aveva voluto rassicurarla con false promesse, la situazione era complessa e delicata, e nel peggiore dei casi le conseguenze avrebbero potuto essere gravi.
Non aveva intenzione di mentire alla donna che amava, sapeva che il suo unico modo per proteggerla era lasciarla all’oscuro di quella storia. Non aveva preteso nulla, eppure lei aveva deciso di restare al suo fianco.
Donnelly si sentì in colpa, l’ultima cosa che avrebbe voluto era essere causa del suo dolore.
 
***

Il capitano Kerney si alzò in piedi, profondamente colpito nell’orgoglio e indignato dalla presunzione del suo interlocutore.
L’altro rimase impassibile, per nulla sbigottito o intimidito dal suo comportamento, aveva capito immediatamente che quello non era altro che un disperato tentativo di far valere la sua autorità.
«Cosa le fa credere che sia disposto a darle un’altra possibilità?» domandò l’ufficiale irlandese.
«Be’, ho diverse motivazioni per pensare che lei non possa rifiutarsi di assegnarmi il comando dell’operazione, ma principalmente ritengo che non abbia scelta» rispose Hart con la sua solita sfacciataggine.
«Questo è troppo. La sua mancanza di rispetto è assolutamente inammissibile!»
«Le mie sono considerazioni obiettive» replicò in sua difesa.
«Si rivolgerebbe in questo modo anche a un suo superiore dell’Intelligence?»
«Ovviamente sì, se mi impedisse di svolgere il mio dovere»
Kerney guardò il tenente negli occhi, era evidente che le sue parole fossero la verità.
«Non abbiamo tempo per fare di questa questione un caso internazionale. In questo momento l’Aquila potrebbe già essere in possesso di pericolose informazioni» protestò Hart.
«E lei crede di essere sul punto di poter catturare questa spia?»
«Se non perdessi tempo a discutere con lei potrei essere ancora più vicino»
«Devo forse ricordarle il suo ultimo fallimento?»
«Non è stato un fallimento. Abbiamo scoperto un indizio che ci ha portati ad una nuova pista che gradirei poter seguire al più presto!»
Il capitano Kerney scosse la testa: «sapevo che lei avrebbe creato problemi»
«Mi creda, i tedeschi causerebbero ben altri problemi se non dovessimo riuscire a fermarli in tempo»
Il comandante del G2 rifletté qualche istante, sapeva di non avere il diritto di intromettersi nelle indagini, inoltre doveva ammettere che in quelle condizioni ostacolare gli inglesi avrebbe significato anche danneggiare l’Irlanda.
«D’accordo, farò convocare al più presto il sovrintendente Whelan…»
«No, questa volta niente Unità Speciale!» obiettò Hart, ancora deluso dalla precedente esperienza.
Kerney si stupì: «che cosa ha in mente?»
«Voglio una squadra ben addestrata. Ho bisogno di agenti esperti e competenti sul campo»
«Al momento il G2 è a corto di uomini…»
«Che altro c’è di più importante della guerra?»
Il capitano sospirò, ancora una volta non poté ribattere.
«Quando ha intenzione di agire?»
«Questa notte»
Kerney si oppose.
«No, sarebbe troppo rischioso»
«Posso pianificare una retata in poche ore» insistette l’agente britannico.
«Forse lei è disposto a rischiare la pelle più degli altri, ma io non metto in pericolo la vita dei miei uomini»
«Le ricordo che anche il tempo è nostro nemico»
«Le assegnerò una squadra al più presto. L’operazione avrà luogo domani notte» affermò il capitano con fermezza.
Quella volta Hart fu costretto a cedere.
«Spero che non sia già troppo tardi» commentò prima di congedarsi.
 
***

L’atmosfera al Castello era sempre più opprimente, si percepiva una certa tensione, quella sarebbe stata una lunga notte.
Il telefono squillò all’improvviso. Hart avvertì una strana sensazione, ormai sapeva quando attendersi brutte notizie.
L’ufficiale ascoltò attentamente la voce dalla parte opposta del ricevitore senza alcuna reazione apparente.
«Sì, certo. Arriviamo subito!» replicò prima di riagganciare con decisione.
James, che aveva assistito alla scena dalla sua postazione, si avvicinò con evidente agitazione.
«Che cosa è successo?»
Hart rispose con tono neutro: «la polizia ha rinvenuto un cadavere»
Donnelly sussultò: «e per quale motivo hanno chiamato noi?»
«Perché accanto al corpo è stato trovato un messaggio firmato dall’IRA»
 
Era da poco passata la mezzanotte, la città riposava nel buio e nel silenzio. L’automobile attraversò le vie deserte con soltanto le luci esterne accese, come prevedeva il regolamento per l’oscuramento.
Dopo aver attraversato il ponte la vettura svoltò in direzione della zona industriale.
I due trovarono la strada sbarrata da un paio di furgoni della Garda. Un poliziotto stava allontanando un piccolo gruppo di curiosi, tra i quali era presente anche un fotografo di giornale, avvertito da chissà chi.
Hart strizzò le palpebre, la luce accecante del flash l’abbagliò per qualche istante.
«Quegli sciacalli sono davvero ovunque, non hanno il minimo rispetto né per le vittime né per il nostro lavoro» commentò con disprezzo.
James concordò con lui, osservando l’uomo che con insistenza cercava di guadagnarsi uno scatto da prima pagina sulla scena del delitto. Soltanto con le minacce il poliziotto riuscì a convincerlo ad andarsene.  
Hart mostrò il distintivo alle guardie e si fece spazio attraverso la barriera di uomini in divisa, seguito prontamente dal suo collega.
Un sottufficiale si distaccò dai suoi compagni per andare incontro ai nuovi arrivati.
«Voi siete gli agenti del G2?»
Il tenente si occupò rapidamente delle presentazioni.
«Sono il sergente Bradley, io e il mio collega eravamo in pattuglia quando abbiamo scoperto il corpo»
«Siete stati voi i primi a trovarlo?»
Egli annuì: «è stato abbandonato nel vicolo, non c’è stata alcuna intenzione di nasconderlo, anzi…sembra che i colpevoli volessero proprio che fosse ritrovato. Abbiamo pensato di avvertire i servizi segreti quando abbiamo notato il messaggio, forse uno dei vostri è in pericolo»
James storse il naso, ma non osò dire nulla.
«Possiamo vedere questo messaggio?» domandò il tenente.
Il sergente mostrò la prova ai suoi colleghi.                
La frase, scritta a mano su un biglietto improvvisato, non lasciava alcun dubbio.
 
Attenzione, spie e traditori, l’I.R.A. non dimentica e non perdona.
 
«È un avvertimento piuttosto esplicito» disse Hart.
«Già, l’IRA non ha lasciato molto all’interpretazione»
«Avete già analizzato il corpo?» 
«Abbiamo solo dato una prima occhiata, volevamo aspettare anche voi»
L’inglese fu piacevolmente sorpreso.
«Non pensavo che la polizia fosse così premurosa»
«Abbiamo presupposto che fosse un caso di vostro interesse»
«Sì, certo. Possiamo iniziare?» chiese Radley con impazienza.
Il sergente non era particolarmente eccitato all’idea di tornare sulla scena del crimine.
«Non è un bello spettacolo. Venite con me»
Il sergente di polizia alzò il telo e ordinò a un agente di illuminare con la torica elettrica il viso della vittima. Il tenente Hart rimase impassibile, ma dentro di sé si sentì rassicurato: quel giovane non era Barry.
Il corpo era disteso su un lato, la testa giaceva in una pozzanghera di liquido vermiglio.
«Che cosa c’era lì?» chiese Hart notando una zona della macchia di colore meno intenso.
«Soldi, una bella somma. Le banconote erano immerse nella pozza di sangue»
«È evidente che chi abbia commesso l’omicidio fosse intenzionato a comunicare qualcosa. Il denaro sporco è un simbolo di corruzione»
«Questo è ciò che accade a chi decide di tradire l’IRA» dedusse Bradley.
«Il ragazzo è stato identificato?»
«No, non ancora. Niente documenti e per il momento nessuno ha denunciato la sua scomparsa»
«Ha il volto tumefatto, non sarà facile riconoscerlo» aggiunse James.
Hart seguì il protocollo ed iniziò ad analizzare il corpo.
«La vittima è un giovane di sesso maschile, età compresa tra i venti e i venticinque anni. Capelli castani e occhi chiari, magro, altezza media»
Il sergente si occupò di annotare meticolosamente le informazioni sul suo taccuino.
«È stato ucciso da un solo colpo di pistola, il proiettile ha perforato il cranio a livello dell’osso coronale penetrando all’interno del lobo frontale. Uno sparo a bruciapelo. Dall’angolazione del foro d’entrata sembrerebbe che la vittima fosse in ginocchio e che il suo assassino abbia premuto il grilletto da una posizione più elevata»
«Una vera e propria esecuzione» commentò Bradley.
Il tenente esaminò il piccolo buco sulla fronte, preciso e letale.
La voce del sergente giunse alle sue spalle.
«Dovremo attendere l’autopsia per recuperare il proiettile»
«Il foro corrisponde a una calibro 38» dichiarò l’inglese con estrema certezza.
Bradley si stupì per la competenza dimostrata dal tenente, era ovvio che avesse esperienza per quel che riguardava gli omicidi dell’IRA.
 
Un agente si avvicinò al sottotenente Donnelly, dopo avergli posto le dovute domande si preoccupò del suo stato. Quel giovane ufficiale gli era parso alquanto scosso dalla situazione.
«Si sente bene signore?»
James annuì con poca convinzione.
L’uomo immaginò che la sua reazione fosse dovuta all’inesperienza.
«È solo una questione di abitudine, quasi tutti reagiscono come lei la prima volta. Vedrà che il prossimo cadavere non le farà più questo effetto»
Donnelly tentò di ricomporsi, a dire il vero non era il primo morto che vedeva in vita sua, ma erano le circostanze a turbarlo, e poi quel ragazzo era così giovane, avrebbe potuto avere la sua età.
James ricordò a se stesso l’incarico che doveva ricoprire, si fece coraggio e con più decisione tornò ad affiancare il tenente.
 
Hart si chinò nuovamente vicino alla salma ed osservò gli ematomi rigonfi su quel volto cereo, il colore violaceo era in contrasto con il pallore della sua pelle. Aveva lo zigomo sinistro fracassato e il labbro spaccato.
«Le percosse sono tutte ante mortem» notò.
«Gli hanno fatto sputare sangue prima di giustiziarlo» rispose Bradley.
«Mi auguro che lo rimettano un po’ in sesto prima di mostrarlo ai parenti per il riconoscimento…sempre che qualcuno venga a cercarlo»
«Già, per certe cose è necessario rispetto» concluse il sergente riponendo il lenzuolo sopra al cadavere.
 
Hart rientrò in macchina e si accese una sigaretta. Si voltò verso il suo compagno, notando il suo volto pallido.
«Che hai? Non dirmi che sei debole di stomaco!»
James scosse la testa: «stavo solo riflettendo sulla situazione»
«E a cosa hanno portato questi tuoi ragionamenti?» chiese con curiosità.
Il giovane esitò prima di esporre la sua idea confusa: «in questa storia c’è qualcosa di strano» 
Hart espirò il fumo: «sembra un omicidio coerente con i metodi dell’IRA»
«È probabile che sia lui l’informatore che ha rivelato alle autorità il nome del capitano Maguire?»
L’altro annuì.
«E allora da dove proveniva il denaro?»
Il tenente Hart s’irrigidì: «smettila di fare il finto ingenuo, conosci bene i mezzi con cui i servizi segreti si procurano informazioni»
Donnelly non era ancora convinto. Quel ragazzo non era un informatore del G2, almeno non ufficialmente, trovava comunque difficile credere che il messaggio dell’IRA fosse rivolto ai servizi segreti irlandesi.
Il sottotenente continuò a guidare in silenzio, nuovi dubbi e sospetti nacquero nella sua mente. Stava accadendo qualcosa, qualcosa di cui era ancora all’oscuro…e se di mezzo c’era un cadavere non poteva essere nulla di buono.  
 
***

In salotto trovò Julia raggomitolata sul divano, si era addormentata attendendo il suo ritorno.
James si posizionò al suo fianco, le accarezzò dolcemente la chioma castana e la baciò sulla tempia.
Lei si destò tra le sue braccia, riaprì le palpebre rivelando un velo di tristezza nel suo sguardo. Non disse nulla, sfiorò il suo viso con il suo tocco caldo e delicato, attirandolo verso le sue labbra.
Al termine del bacio Donnelly si distaccò leggermente.
«Non avrei voluto coinvolgerti in questa faccenda»
«Vorrei solo poter fare qualcosa di più per aiutarti»
James la guardò negli occhi: «hai fatto anche troppo. Sono io che dovrei essere più sincero nei tuoi confronti, ma sai che non posso»
«Non devi darmi alcuna spiegazione, mi fido di te»
«Mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo»
«Non preoccuparti, io desidero solo restare con te»
Il giovane fu commosso da quelle parole, ma non osò rispondere con rassicurazioni o promesse. Julia l’accolse ancora tra le sue braccia. James si inebriò del suo profumo, lasciandole teneri baci sul collo.
Ella percepì la sua inquietudine.  
«È stata una brutta giornata, vero?»
«Terribile» ammise.
La ragazza lo strinse ancor più sé.
«Adesso però non voglio pensarci» sussurrò dolcemente al suo orecchio.
Restarono così uniti in quell’abbraccio, cercando conforto l’uno nell’altra.
Julia si rannicchiò contro al suo petto, lasciando che una calda lacrima scendesse a rigarle il volto.

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Capitolo 24
*** L'unica certezza ***


 
24. L’unica certezza
 

Qualcuno bussò alla porta.
Il capitano Maguire alzò lo sguardo, poi con voce ferma e decisa diede il permesso di entrare. Un suo compagno si presentò sulla soglia, aveva il volto pallido e l’aria stanca. 
L’ufficiale restò impassibile, attendendo che l’altro iniziasse a parlare.
«La missione è stata portata a termine con successo» affermò.
«Bene. Spero che questo sia stato un chiaro avvertimento»
«Sono certo di sì signore. Un cadavere non si dimentica facilmente»
Charles annuì in silenzio. Già da tempo aveva il sospetto che un traditore stesse vendendo informazioni alle autorità, una volta scoperto il colpevole non aveva avuto scelta, aveva dovuto agire di conseguenza.
Il comandante assunse un’espressione pensierosa, era sempre convinto che tra le fila dell’IRA si stesse nascondendo una spia, qualcuno di ben più astuto e intelligente di un ragazzino che accettava denaro sporco per disperazione.
Il problema era che nessuno dei suoi fidati compagni era riuscito a individuare questo infiltrato. Doveva sperare che il messaggio intimidatorio avesse svolto la sua funzione, in questo caso la spia avrebbe presto commesso un passo falso e allora avrebbero potuto riservargli il medesimo trattamento.
Il suo informatore al Castello non aveva scoperto nulla a riguardo, dunque era probabile che a fare il doppio gioco non fosse un agente del G2 sotto copertura.
Il comandante si riprese da quei pensieri udendo la voce del suo sottoposto.
«Il tenente O’ Connor è in attesa dei suoi ordini»
Egli consegnò una lettera nelle mani del messaggero: «queste sono informazioni altamente riservate, sai bene cosa fare»
L’uomo annuì, poi nascose la busta all’interno della giacca.
«E per l’altra questione?»
Lo sguardo di Maguire si incupì: «il Comando ha preso la sua decisione»
Il suo sottoposto accettò quella vaga risposta, consapevole di non essere autorizzato a sapere di più. Senza aggiungere altro il militante si congedò ed uscì dalla stanza.
Il capitano restò seduto al tavolo, si accese una sigaretta ed espirò una nuvola di fumo. Inevitabilmente pensò a tutto ciò che era accaduto da quando quella spia tedesca aveva raggiunto l’Irlanda.
Maguire abbassò lo sguardo, si sentì in colpa per aver coinvolto Declan in una missione così pericolosa. Aveva avuto prova che il ragazzo si era lasciato coinvolgere fin troppo in quella vicenda, anche se non sapeva esattamente in che modo. Pensò che fosse stata la sua inesperienza a fargli commettere degli errori, forse aveva preteso troppo da lui. Era anche certo che fosse stato l’agente segreto a manipolarlo, non c’era altra spiegazione, altrimenti per quale motivo Declan avrebbe dovuto rischiare tanto per difenderlo?
Il capitano sospirò, non era in grado di prevedere le conseguenze di tutto ciò, ma sperava ancora di non dover essere costretto a prendere una decisione definitiva. 
 
***

Declan si avvicinò alla finestra, quella notte Dublino apparve come una città oscura e misteriosa. Ombre furtive vagavano nel buio, l’eco delle campane in lontananza suscitò nel suo animo una profonda inquietudine. 
Ripensò alla conversazione appena avuta con Nigel, il suo compagno aveva sostenuto di non sapere nulla a riguardo dei piani dell’IRA. Era certo che fosse stato sincero, non avrebbe avuto motivo di nascondergli la verità.
Il giovane strinse il pezzo di carta tra le dita tremanti. Non aveva idea di come avrebbe dovuto considerare quel messaggio, potevano esserci vari motivi per cui il capitano Maguire aveva organizzato un altro incontro con il tenente. In fondo egli era l’unico in grado di poterlo realmente aiutare, ma se davvero questa avrebbe dovuto essere una buona notizia, allora perché non riusciva a disfarsi di quei pessimi presentimenti?
Ovviamente era preoccupato per la sorte di Hans, temeva sempre che l’IRA potesse decidere di tradire gli accordi.
Declan fu assalito dai dubbi, forse proteggere la spia non era più una priorità per i repubblicani. In quel caso che cosa sarebbe potuto accadere? 
Se l’agente dell’Abwehr non si fosse più rivelato utile alla Causa quale sarebbe stata la sua sorte?
Non aveva modo di sapere la verità, poteva solo credere alla parola di Maguire, il quale aveva garantito che l’IRA si sarebbe occupata di proteggere Schneider, almeno finché avrebbe continuato a credere nella sua onestà.
O’ Riley si domandò quanto avesse potuto davvero fare affidamento su quella promessa. Conosceva il suo superiore da molto tempo, quella faccenda però aveva cambiato tante cose, finendo per mutare anche il loro rapporto. Non poteva più affermare nulla con certezza. 
La sua amicizia con Charles non era più una garanzia e il suo tradimento l’aveva posto in una situazione davvero pericolosa. Sapeva di non poter incolpare nessun altro se non se stesso per questo.
Declan si domandò se il suo comandante avesse intuito la verità, forse decidendo di non sollevarlo prima dal suo incarico aveva voluto metterlo alla prova. Una prova che sicuramente non aveva superato.
Il ragazzo comprese l’importanza dell’errore commesso, eppure non provò alcun rimorso.
Fino a quel momento non aveva mai messo in discussione le decisioni dell’IRA, non si era mai rifiutato di obbedire agli ordini. Aveva sempre ritenuto che tutto fosse lecito in onore della Causa, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze. Era un soldato, il suo dovere era eseguire i comandi dei suoi superiori.
Adesso però le forze in gioco erano differenti, la sua missione si era tramutata in una questione personale.
Declan percepì un’intensa fitta al petto, dentro di sé sapeva che Hans non era colpevole, ma non avrebbe potuto dimostrarlo. E se l’IRA avesse deciso di condannare la spia niente avrebbe potuto cambiare le cose, nemmeno la sua onesta testimonianza e la sua reale innocenza.   
Il ragazzo strinse i pugni avvertendo una profonda sensazione di rabbia e frustrazione. Ricordò il suo giuramento, non era così che avrebbe voluto agire in nome della Causa, nella quale continuava a credere.
Ripensò ai veri valori dell’IRA, a quelli era sempre rimasto fedele. Sapeva cosa significava lottare per la libertà e conosceva il reale valore del sacrificio.
In quel momento comprese che se i suoi timori si fossero tramutati in realtà avrebbe avuto solo una possibilità per salvare la vita del tenente.
 
Schneider ebbe un’ulteriore conferma della sua condizione di prigionia. Sapeva che l’IRA aveva buone motivazioni per tenerlo sotto controllo, ma la situazione stava peggiorando inesorabilmente.
Ormai non sapeva più se egli fosse ancora considerato come un prezioso alleato da parte dei militanti. Poiché la situazione non gli permetteva in alcun modo di mettersi in contatto con i suoi superiori la sua presenza sul suolo irlandese non era più sfruttabile dai repubblicani, anzi, era diventata estremamente pericolosa.
Non aveva più alcuna certezza, l’unico a cui poteva realmente affidarsi era Declan, ma purtroppo nella sua posizione non avrebbe potuto fare molto per aiutarlo. Inoltre non era sua intenzione esporlo al pericolo.
Hans fu costretto ad ammettere che se l’IRA avesse scelto di tradirlo la sua determinazione non avrebbe potuto salvarlo. Forse in quel caso tentare di scappare sarebbe stata la sua unica speranza, ma senza un valido supporto non avrebbe potuto avere alcuna libertà d’azione. Inoltre in questo modo O’ Riley sarebbe stato colpevole e responsabile per la sua fuga. 
Non poteva abbandonare Declan, conosceva bene quali sarebbero state le conseguenze, e non poteva nemmeno coinvolgerlo in un rischioso piano con scarse probabilità di successo.
Non c’era altra soluzione, doveva rassegnarsi al volere dell’IRA, e nel peggiore dei casi accettare la sua sorte.
Schneider era sempre stato consapevole dei rischi di quella missione, al momento della partenza aveva giurato a se stesso che avrebbe affrontato il suo destino come un ufficiale tedesco.
Il tenente sospirò, l’idea di voler proteggere Declan era soltanto una complicazione. Doveva considerare il fatto di non essere nella Luftwaffe, nel mondo delle spie non c’era spazio né per cameratismo né per la solidarietà, ognuno doveva pensare solo a se stesso per portare a termine la missione ad ogni costo. Dunque avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto? In quelle condizioni non sarebbe stato difficile convincere il soldato O’ Riley a collaborare, magari sfruttandolo per ottenere qualche informazione utile, e poi fuggire con i documenti dell’IRA.
Hans rabbrividì al solo pensiero, era convinto che sarebbe riuscito a ingannare e tradire in nome della Germania, era stato addestrato per questo, ma non avrebbe mai potuto fare tutto ciò con Declan. Si fidava di lui, lo stimava…lo amava.
Il tenente scosse la testa, rammaricandosi ancora una volta per aver ceduto alla sua debolezza.
Nonostante tutto erano sempre le parole dell’Oberleutnant Farnbacher a vagare nella sua mente.
Noi non abbandoniamo mai i nostri compagni.
 
Era ancora tormentato da quei pensieri quando Declan rientrò nel salotto. Il giovane non si preoccupò di nascondere al compagno la sua angoscia, mostrandosi turbato da timori e incertezze.
Egli avrebbe voluto rassicurarlo, ma non osò dire nulla.
L’irlandese si avvicinò finendo per rintanarsi tra le sue braccia in cerca di conforto.
Schneider lo strinse a sé. Erano di nuovo soli e in quel momento nulla aveva più importanza.
Nel calore di quell’abbraccio le paure svanirono per lasciare spazio solo ai sentimenti.
Il tenente sfiorò i capelli castani del giovane accarezzando dolcemente la sua nuca, poi lo attirò verso il suo volto. Le loro labbra si unirono in un lungo bacio appassionato.
Si distaccarono a fatica, avvertendo un intenso fremito che come una scossa elettrica scosse i loro corpi. Si guardarono negli occhi riconoscendo l’uno nell’altro il medesimo desiderio.
Non dissero nulla, non ebbero bisogno di parole per comprendersi. Schneider l’afferrò per la manica e rapidamente l’accompagnò nella sua stanza. L’altro lo seguì lasciandosi condurre dal suo compagno nel suo intimo rifugio.
Appena la porta si fu richiusa Declan si ritrovò con le spalle al muro, trattenuto dal corpo del tedesco che premeva contro al suo.
Nella sua mente ripensò a quando si erano ritrovati nel vicolo pigiati l’uno sull’altro contro alla parete umida. Le circostanze erano differenti, ma doveva ammettere che più di una volta gli era capitato di fantasticare a riguardo.
In quel caso non dovette preoccuparsi di trattenere i suoi istinti, così strinse il compagno a sé, poggiando una mano sul suo fianco e l’altra dietro alla sua nuca, affondando le dita nei capelli dorati.
Hans lo baciò sul collo, mentre le sue mani si insinuarono sotto ai vestiti. Con foga cominciò a spogliarlo gettando gli abiti a terra.
Le calde mani del tenente sfiorarono il suo ventre, scendendo lascive verso il basso. 
Hans avvertì che il ragazzo era ancora rigido e incerto, in quella situazione l’irlandese si rivelò stranamente insicuro. Intuì che non dovesse essere abituato a quel genere di contatto fisico. D’altra parte doveva ammettere che nemmeno lui si era mai spinto così oltre, eppure stava facendo ciò con spontaneità e naturalezza. Stava esplorando il suo corpo per la prima volta, ma le sue dita scorrevano sapientemente sulla sua pelle, come se già conoscessero il modo per sollecitare il giovane.  
Declan sussultò, il suo corpo rispose con fremiti di piacere alle attenzioni e alle carezze del tedesco.
Il giovane socchiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito.
Declan si lasciò travolgere da quel turbine di emozioni e sensazioni, fremendo dall’eccitazione ad ogni tocco.
Con impeto Schneider lo spinse verso il letto, liberandosi freneticamente degli ultimi indumenti. Il ragazzo restò immobile ad ammirare il corpo del suo compagno nella penombra. Aveva un fisico aitante, i muscoli ben definiti risaltavano ad ogni suo movimento. Il suo sguardo si soffermò sulle sue ampie spalle e le forti braccia, proseguì lungo il torace e l’addome scolpito, infine maliziosamente scese anche sotto alla vita.
Hans lo raggiunse sdraiandosi al suo fianco, l’avvolse in un abbraccio e lo baciò sulle labbra. Declan rispose con sempre più ardore, manifestando senza più alcun timore il suo coinvolgimento.
Il tenente si fermò all’improvviso, sollevandosi leggermente per osservare il giovane coricato sul materasso, il quale giaceva supino, accaldato e ansante, i suoi occhi verdi brillavano dal desiderio.
Schneider faticò a riconoscere in lui lo stesso soldato che l’aveva accolto con diffidenza ed estrema freddezza. Al loro primo incontro si era rifiutato di stringergli la mano, ed ora si trovava nudo nel suo stesso letto, voglioso e impaziente di fare l’amore con lui.
Il tedesco sorrise a quel pensiero, le cose avevano decisamente preso una svolta inaspettata per entrambi.
 
Nel silenzio poterono avvertire soltanto i loro respiri ansanti e i gemiti soffocati. Avvinghiati l’uno all’altro si abbandonarono all’irrefrenabile ondata di passione che li aveva travolti. Declan inclinò la testa all’indietro e si morse il labbro inferiore. Aveva gli occhi socchiusi, il volto arrossato contratto dal piacere e i capelli scompigliati. Hans trovò quella visione particolarmente eccitante, rafforzò la sua presa e aumentò il ritmo con veemenza.
Il ragazzo inarcò la schiena, stringendosi ancor di più al corpo vigoroso del compagno.
Alla fine crollarono entrambi sul letto, spossati e appagati.
 
Restarono avvolti in un caloroso abbraccio. I battiti dei loro cuori e i ritmi dei loro respiri erano tornati lentamente alla normalità. I due corpi, nudi e intrecciati, giacevano placidamente sotto alle coperte.
Declan si destò accanto al suo compagno ancora assopito.  Il ragazzo accennò un lieve sorriso e con un tenero gesto scostò una ciocca bionda dal viso del tenente. Rimase ad ammirare il suo profilo e i suoi lineamenti armoniosi. Il volto era leggermente accaldato, mentre le sue labbra appena dischiuse sembravano invitarlo a risvegliarlo con un bacio.
Quando riaprì gli occhi le sue iridi cristalline luccicarono nella semi-oscurità. Immediatamente si guardò intorno, scrutando l’ambiente con attenzione e diffidenza, come per sincerarsi di essere davvero al sicuro.
Quel suo comportamento, così accorto e prudente, ricordò a Declan la vera identità del giovane con cui aveva giaciuto. Tristemente tornò alla realtà.
«Non so per quanto tempo l’IRA potrà continuare a proteggerti» ammise.
Schneider era ben consapevole di ciò.
«Non ho altra possibilità se non quella di affidarmi ai tuoi superiori»
L’irlandese si preoccupò: «il capitano Maguire potrebbe non rispettare gli accordi»
«Stai dicendo che non dovrei più fidarmi di lui?»
«Charles è un uomo d’onore, non si abbasserebbe mai a ricorrere a menzogne e inganni per raggiungere i suoi obiettivi. L’IRA però è in difficoltà e non può permettersi di commettere altri errori»
Il tedesco si insospettì: «che cosa intendi?»
«Negli ultimi tempi i servizi segreti hanno arrestato molti dei nostri compagni, alcuni comandanti sono stati costretti a fuggire e nascondersi. Per noi è sempre più difficile continuare a combattere in questa situazione»
Hans aveva già intuito la gravità della situazione. Ripensò a ciò che gli aveva riferito Maguire durante il loro breve incontro, pur rivelando la presenza della spia britannica aveva omesso ogni dettaglio riguardante le difficoltà riscontrate dai militanti. Era ovvio che l’IRA volesse mostrarsi come un’organizzazione ben più unita e strutturata di quel che fosse in realtà per convincere l’Abwehr a concludere gli accordi.  
«Charles ha bisogno di te per portare a termine il suo piano, ma temo che non sarà disposto ad aiutarti finché continuerà ad avere sospetti sulle reali intenzioni della Germania» proseguì il giovane, esternando i suoi pensieri.
«Il tuo compito per ordine dell’IRA è quello di sorvegliarmi, sai bene qual è verità»
Il ragazzo dovette ammettere che obiettivamente non aveva ragioni per diffidare di Hans.
Restava però la sua parola contro quella del capitano.  
Declan esitò prima di porre la fatidica domanda: «che cosa accadrebbe se l’IRA dovesse negarti il suo supporto?»
Il tenente rispose sinceramente: «forse la mia unica salvezza resterebbe la fuga, ma temo che a quel punto sarebbe troppo tardi»
Il ragazzo non volle credere in quelle parole: «dunque non ci sarebbe più alcuna speranza?»
Hans accarezzò il suo viso e rispose senza alcun rimorso: «se la mia missione dovesse fallire affronterò il mio destino come un ufficiale della Luftwaffe»
Declan avvertì gli occhi umidi, nella sua mente rivide il volto di Blaine, aveva già sofferto per la sua condanna, non avrebbe potuto sopportare un’altra perdita. Non avrebbe potuto sopportare di perdere lui.

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Capitolo 25
*** Ombre ***


 
25. Ombre
 

Quella notte James rimase solo nel suo ufficio. Il tenente Hart si era congedato dopo aver terminato il suo rapporto per il comandante della Garda. L’ufficiale britannico non aveva lasciato trasparire alcuna emozione, ma il suo atteggiamento era diventato sempre più freddo e distaccato. Donnelly era certo che fosse stato il ritrovamento di quel cadavere a indurre il tenente ad alzare improvvisamente le difese anche nei suoi confronti. Si era rifiutato di rispondere in modo esaustivo alle sue domande e il suo allontanamento dal caso era diventato sempre più sospetto.
Il sottotenente Donnelly aveva riflettuto a lungo sulla questione, si era domandato se nella sua condizione avrebbe dovuto rivelare i suoi dubbi ai suoi superiori oppure mantenere per sé certe considerazioni. Manifestando le sue perplessità avrebbe potuto destare ulteriori sospetti, d’altra parte il suo silenzio avrebbe potuto rivelarsi altrettanto dannoso.
Ormai era certo che il tenente Hart non fosse stato inviato in Irlanda con il solo scopo di trovare quella spia. L’Inghilterra aveva altri interessi nell’Isola Smerlando, l’ufficiale britannico non era stato del tutto sincero nei suoi confronti.  
Al termine di quelle riflessioni James prese la sua decisione, così si incamminò giù per le scale alla ricerca del capitano Kerney, nella speranza di trovarlo ancora al Castello.
 
Donnelly bussò con una certa insistenza, appena udì la voce del suo superiore entrò nella stanza.
Il capitano Kerney apparve piuttosto nervoso, era evidente che anch’egli fosse sconvolto dagli ultimi eventi.
James trovò il coraggio di farsi avanti.
«Signore, avrei bisogno di parlare con lei»
L’ufficiale gli rivolse uno sguardo di rimprovero: «ho molte questioni di cui occuparmi, non ho tempo da perdere. Spero che si tratti di qualcosa di veramente importante»
«Si tratta del tenente Hart»
Il suo superiore emise un sospiro di frustrazione: «che altro è successo?»
James esitò prima di rispondere: «credo che egli sappia qualcosa»
«Di che sta parlando?»
«A dire il vero non lo so, ma ritengo che il tenente Hart stia portando avanti altre missioni per conto dell’Inghilterra»
«Su cosa si fondano questi sospetti?»
«Non avevamo alcun indizio per trovare il comandante dei ribelli di Drumcondra, ma al momento giusto è arrivata una soffiata anonima. Potrebbe essere solo una coincidenza, ma io ho la sensazione che il tenente Hart attendesse quella chiamata. Inoltre egli non ha mai dubitato dell’attendibilità dell’informatore»
Il capitano rispose con una smorfia.
«Temo che lei si sia lasciato suggestionare un po’ troppo da questa faccenda. Posso comprenderla, si tratta del suo primo caso importante e questa collaborazione non è affatto semplice da gestire…ma posso garantirle che gli inglesi non stanno tramando nulla contro di noi»
Donnelly reagì d’impulso: «come può esserne certo?»
«Esistono degli accordi che sono sempre stati rispettati»
«In gioco c’è la sorte della guerra. È ovvio che il piano degli inglesi per impedire ai tedeschi di invadere l’Irlanda sia occuparla per primi con le loro truppe…»
James avrebbe voluto continuare il discorso, ma fu costretto a interrompersi per non pronunciare affermazioni ancor più pericolose.
«Sottotenente Donnelly, ho voluto affidarle questo incarico perché l’ho ritenuta all’altezza. Fino a questo momento ha sempre dimostrato di essere obiettivo nel giudicare il nostro rapporto con l’Inghilterra. Speravo che potesse comprendere l’importanza di questa alleanza, ma la sua mancanza di fiducia mi induce a pensare che forse ho preteso troppo da lei»
Il giovane cercò di giustificarsi difendendo la propria presa di posizione.
«Signore, ho soltanto svolto il mio dovere avvertendola di un possibile pericolo. Le ricordo che il tenente Hart non è soltanto un ufficiale di rappresentanza dell’Esercito britannico, è un agente dell’MI5»
Kerney, seppur con qualche remora, fu costretto a difendere l’inglese.
«È un agente esperto e competente. È la persona di cui abbiamo bisogno per portare a termine una missione di interesse internazionale»
In quel momento James capì che l’Irlanda temeva così tanto la guerra da essere disposta ad accattare ogni compromesso pur di evitare di essere coinvolta.
Il sottotenente prese un profondo respiro, poi tornò a rivolgersi al capitano.
«Il giovane che è stato ucciso questa notte era un nostro informatore?»
L’altro restò impassibile: «mi dispiace, non posso darle alcuna informazione a riguardo»
«Si tratta di un caso di omicidio, la Garda vorrà sapere la verità»
«Con tutto il rispetto, questa è una faccenda che non la riguarda»
Donnelly non si arrese.
«Il messaggio ritrovato sulla scena del crimine non lascia dubbi, i militanti hanno individuato la presenza di un infiltrato»
Kerney negò: «impossibile. Non abbiamo agenti sotto copertura»
«Eppure l’IRA è convinta di questo» insistette James.
«I servizi segreti non sono coinvolti in questo omicidio»
«Questo significa che la spia potrebbe non essere un irlandese»
«Oppure si è trattato soltanto di una resa di conti dell’IRA»
«Ma il messaggio…»
Il capitano lo interruppe con un freddo commento.
«Avrei dovuto immaginarlo, lei è ostinato e determinato esattamente come suo padre»
James sussultò nel sentire quelle parole.  
Io non sono come mio padre. La frase restò ancora una volta confinata nella sua mente.
Il sottotenente diede prova del proprio autocontrollo tornando in sé e riprendendo con estrema lucidità il discorso.
«Pretendo solo la verità, è per questo che sono al servizio della Repubblica»
Kerney apprezzò la sua determinazione, ma doveva ricordare al suo sottoposto quale fosse il suo reale obiettivo.
«Le consiglio di tornare ad occuparsi del suo caso. Il suo dovere è proteggere questa Nazione, e al momento la priorità è trovare dei pericolosi criminali che stanno proteggendo e nascondendo una spia nazista. Non c’è altro che lei debba sapere a riguardo di questa faccenda»
 
James si ritrovò nuovamente solo con i suoi dubbi e le proprie incertezze, non sapeva più in che cosa credere veramente.
Il Governo irlandese era disposto a tradire il popolo per proteggere la Pace, l’IRA era determinata ad ottenere la Libertà con la violenza, mentre i servizi segreti erano ancora al servizio della Corona.
Non poteva ignorare la verità, il tenente Hart gli aveva mentito, e ancora non sapeva che cosa gli stesse nascondendo. D’altra parte poteva comprendere le motivazioni dell’agente britannico, anche il suo dovere era servire la Patria.
James non sapeva per quale motivo stesse provando delusione per l’accaduto. Era sempre stato consapevole di non potersi fidare di un inglese, il fatto che in certe situazioni Hart avesse dimostrato di essere migliore di altri suoi connazionali non significava nulla. Era ovvio che il tenente non fosse stato tollerante verso di lui senza motivo, il suo obiettivo era ottenere la sua piena collaborazione.
Il giovane sospirò, per quanto logico era difficile credere che Hart non si fosse mai realmente interessato a lui. In alcune circostanze il tenente si era mostrato particolarmente comprensivo, in un modo che poteva definire sincero. In più occasioni era stato costretto ad ammettere che egli si era comportato come un buon superiore, e a volte si era trovato più a suo agio in sua compagnia rispetto che con altri suoi colleghi.
Il tenente Hart era un ufficiale esperto e competente, l’aveva dimostrato sul campo. Era determinato a portare a termine la sua missione per supportare la sua Patria in guerra, non poteva incolparlo per questo. James non nascondeva il fatto di provare stima e rispetto per il tenente britannico.
Hart aveva anche cercato di aiutarlo sia sul piano professionale sia su quello personale. Forse anche questo era parte della sua interpretazione come agente dell’MI5, ma qualcosa lo induceva a pensare che ci fosse anche qualcosa di più. Si era ritrovato a seguire i suoi consigli, persino le sue confidenze gli erano apparse spontanee e sincere.
Nonostante tutto Hart non aveva del tutto rinunciato alla sua umanità.
 
Donnelly scosse il capo, pur riconoscendo il valore dell’inglese non doveva dimenticare quale fosse il suo reale obiettivo.
Ultimamente i dubbi erano tornati a tormentarlo. Non sapeva più in che cosa credere. Poteva comprendere il gioco degli inglesi, e per questo non poteva incolpare Hart. Al contrario non poteva giustificare in alcun modo le decisioni del Governo irlandese.
L’approvazione di quell’alleanza, l’esistenza degli accordi segreti, la sottomissione dell’Esercito…erano tutti segnali più che preoccupanti per le sorti dell’Irlanda. 
Dall’altra parte i metodi dell’IRA si erano rivelati sempre più crudeli e spietati. Tutto era iniziato con l’assassinio dell’agente Ryan, poi c’era stato l’attentato alle caserme McKee, e infine l’omicidio del giovane informatore. La sanguinosa guerra civile era terminata da più di vent’anni, ma la sete di vendetta non si era ancora placata. Era tutto necessario per la Causa, in questo credevano i militanti.
E lui in che cosa credeva?
Prima di ritrovarsi invischiato in quella faccenda avrebbe risposto che credeva nei valori di Giustizia e Libertà. Aveva sempre sostenuto l’Indipendenza del suo Paese, aveva preso la sua decisione senza alcun rimorso. Il problema era che nel tempo aveva perso i suoi punti di riferimento. Tutti quei sacrifici a cosa avrebbero portato? Un tempo si era illuso di poter davvero fare la differenza, ma ora che aveva scoperto quel mondo di intrighi, menzogne e violenza non sapeva più a cosa dare la priorità. Lealtà e Indipendenza, Pace e Libertà erano concetti divenuti inconciliabili. Non si poteva ottenere l’uno senza escludere l’altro.
Restare fedele al volere del Governo irlandese avrebbe significato accettare l’alleanza con l’Inghilterra sacrificando così l’Indipendenza che l’Irlanda stessa aveva conquistato dopo settecento anni di schiavitù, tra sanguinose guerre e violente rivolte.
Invece il desiderio di Libertà sostenuto dai repubblicani si era tramutato in un inarrestabile vortice di violenza. Gli ideali dell’IRA erano nobili e condivisibili, ma era difficile giudicare quelle azioni, per la legge erano soltanto crimini, ma c’era anche un altro punto di vista da dover considerare.
Tutto poteva ridursi a una semplice domanda: che cosa si era disposti a fare per la Causa?
Eppure quel cadavere era un monito per tutti, anche per lui. Per un istante James rivide il corpo freddo riverso nella pozza di sangue.
Forse doveva semplicemente guardare dall’altra parte, fingere che tutto ciò fosse semplicemente inevitabile.
Come un buon soldato doveva obbedire senza porsi domande, senza dubitare delle decisioni prese dall’alto.
James ripensò al giorno del suo giuramento, insieme alle nuove reclute della Garda aveva marciato lungo O’ Connell Street tra gli applausi e l’approvazione dei suoi concittadini. Che cosa si aspettava quella gente dalla sua divisa? Di certo non quello che egli stesso rappresentava.
James pensò che in fondo fosse sua la colpa. Si era illuso di poter portare avanti la sua missione senza conseguenze.
Donnelly tentò di riprendersi, in assenza di imprevisti presto quella storia sarebbe giunta al termine, il tenente Hart sarebbe scomparso dalla sua vita, e allora tutto sarebbe tornato come prima.   
Il giovane sospirò, si stava illudendo di nuovo…indipendentemente da come si sarebbero concluse le indagini nulla sarebbe potuto tornare come prima.  
 
***

Il tenente Hart si strinse nella giacca per ripararsi dal vento e dalla pioggia che aveva iniziato a cadere sempre più intensamente. Allungò il passo sguazzando con gli stivali nelle pozzanghere.
Ad un tratto l’ufficiale si fermò, aveva già notato una vettura sospetta, ed ora aveva la certezza che il mezzo l’avesse seguito per una buona parte del percorso.
L’automobile nera si avvicinò lentamente, rallentò fino a fermarsi a fianco del tenente.
«Ha bisogno di un passaggio?»
Radley riconobbe il detective Sullivan alla guida.
«Che coincidenza, lei è apparso al momento giusto» commentò.
Paul notò che l’altro non era affatto sorpreso dal suo intervento.
«Sapeva che la stavo seguendo, vero?»
«Per pedinare qualcuno dovrebbe essere più discreto»
Sullivan ignorò la sua risposta irriverente.   
«Ha intenzione di accettare o no?»
Hart si guardò intorno con circospezione, alla fine decise di salire in macchina.
L’autista ripartì.
«Vuole darmi un indirizzo falso o preferisce girare a vuoto?»
Radley rispose senza confermare nessuna delle due possibilità: «può proseguire in direzione di Merrion Road»
Sullivan obbedì, guidando senza fretta tra la pioggia e l’oscurità.
L’inglese si voltò verso il suo interlocutore: «suppongo che il suo non sia stato soltanto un atto di gentilezza»
«In effetti vorrei portare avanti il nostro discorso da dove l’avevamo interrotto»
«Da come stanno progredendo le indagini devo dedurre che non abbia trovato le prove che stava cercando»
Il detective sbuffò: «se fossi in lei ascolterei con attenzione quel che ho da dirle»
L’ufficiale rimase perplesso: «di che sta parlando?»
«Del fatto che il primo sospettato in queste indagini sia il sottotenente Donnelly»
«Sta dicendo che egli potrebbe essere la spia?»
«Il mio dovere è proteggerla, dunque voglio che lei sappia che il suo collega potrebbe essere un traditore»
Hart voltò lo sguardo verso il finestrino.
«Crede che non abbia pensato a questa possibilità?»
«Allora perché continua a fidarsi di lui?»
«Perché se avesse voluto tradirmi avrebbe già avuto molte occasioni, per come stanno le cose adesso non ho motivo per dubitare del sottotenente»
Paul non si lasciò convincere.
«Forse sta solo aspettando il momento giusto»
Radley rifletté su quelle parole, sarebbe stato stupido da parte sua ignorare questa eventualità, ma una parte di sé voleva continuare a credere nell’innocenza del suo compagno.
«Per quale motivo crede che Donnelly sia colpevole? Se non sbaglio dopo il suo interrogatorio avrebbe dovuto escludere il suo nome dalla lista dei sospettati»
«Sono stati gli indizi a portarmi da lui, il suo coinvolgimento nelle indagini potrebbe essere correlato alla fuga di informazioni»
«Eppure non ha trovato altre prove contro di lui»
Sullivan mantenne lo sguardo fisso davanti a sé: «speravo che lei potesse rivelarmi qualcosa»
Il tenente ebbe un momento di esitazione. James si era rivelato particolarmente utile per le sue indagini, se il suo obiettivo era avvicinarsi all’IRA era ancora suo interesse proteggerlo.
Era anche vero però che il ritrovamento del cadavere aveva danneggiato quel precario equilibrio. James non era un ingenuo, aveva già dei sospetti e probabilmente avrebbe presto scoperto che la spia a cui faceva riferimento il messaggio dell’IRA era in realtà un inglese. Rivelare al detective il misterioso rapimento del compagno avrebbe potuto essere una rapida soluzione per quella brutta faccenda, ma restava l’ultima mossa a sua disposizione.
Era una questione che avrebbe preferito gestire personalmente, inoltre le accuse di Sullivan non sembravano avere alcun fondamento certo.
«Non ho mai notato nulla di sospetto nel comportamento del sottotenente Donnelly» mentì.
Paul sospirò: «lei si fida del suo istinto?»
Hart confermò: «sì, devo ammettere che il mio istinto mi ha salvato la pelle in più occasioni»
«Be’, io le dico che non mi fido di Donnelly, c’è qualcosa che non mi convince in tutta questa storia»
L’inglese trovò familiare quella sensazione.
«Purtroppo non può condurre le sue indagini affidandosi soltanto all’istinto»
Sullivan non poté contraddirlo. I suoi superiori pretendevano dei risultati, ma egli stava ancora barcollando nel buio. Quello rischiava di diventare il più grande fallimento della sua carriera. Ormai non aveva più molto tempo per trovare il colpevole. Se non fosse giunto ad una valida conclusione di certo l’avrebbero sollevato dal caso.
Il detective rallentò per accostarsi al marciapiede, era giunto a destinazione.
«Mi dispiace, temo di averle solo fatto perdere tempo» disse Hart prima di congedarsi.
«Mi prometta almeno che penserà a quel che le ho detto…e che terrà gli occhi aperti»
L’inglese annuì: «le auguro una buona notte signor detective»
Sullivan ricambiò con un lieve cenno.
Il tenente uscì dalla vettura, richiuse la portiera e si allontanò senza fretta. Dopo pochi passi avvertì il rombo del motore, si voltò solo per osservare l’automobile sparire dietro l’angolo.
 
Dopo aver vagato abbastanza a lungo senza meta per i vicoli di Dublino Hart raggiunse il suo appartamento.
Il tenente ripose la pistola, mancava poco all’alba, avrebbe dovuto sfruttare quel poco tempo per riposare, ma pensieri e preoccupazioni lo mantennero sveglio. Continuò a ripensare alla conversazione appena avuta con il detective. Come sempre aveva deciso di anteporre il successo della missione alla sua incolumità, ma quella volta c’era qualcosa di diverso.
Forse era la ragione per cui aveva voluto difendere Donnelly a preoccuparlo. Non poteva negarlo, aveva rivisto se stesso in quel giovane, un se stesso del passato, quando ancora non aveva rinunciato a tutto nel nome della Patria.
Aveva voluto concedere una possibilità al suo collega, ma era consapevole che se avesse avuto conferma del suo tradimento non avrebbe più potuto aiutarlo.
Il telefono squillò all’improvviso, il trillo acuto interruppe la quiete notturna.
Hart rispose prontamente. 
«Suppongo che tu già sappia quel che è successo»
Radley riconobbe immediatamente la voce del suo connazionale.
«Barry…sono felice di sentirti. Credevo che tu…»
Il tenente si bloccò all’improvviso lasciando la frase in sospeso.
«Che fossi morto? Diamine Fox, pensavo che avessi più fiducia nelle mie capacità!»
Hart fu rassicurato da quella notizia: «posso fare qualcosa per te?»
Barry negò: «sono in un posto sicuro, ma temo di non poter più fare molto per aiutarti, è meglio che non mi esponga per un po’»
«Capisco. Però ho bisogno di sapere una cosa»
«Cosa?»
«Il ragazzo che è stato ucciso era un tuo informatore?»
L’altro confermò.
«Era un militante?» chiese l'ufficiale.
«No, non era coinvolto direttamente negli affari dell’IRA»
«Dunque non sapeva niente dell’Aquila»
«Purtroppo è stato ucciso prima che potesse scoprire qualcosa»
«È probabile che sia stato giustiziato proprio questo»
«Vuoi sapere altro su di lui?»
«No, non è necessario. Il messaggio dell’IRA è stato chiaro e diretto, qualcuno potrebbe avere dei sospetti su di te»
«Non dovresti preoccuparti di questo, sai bene che la priorità è trovare la spia tedesca»
Hart prese un profondo respiro, non poteva ignorare le proprie responsabilità, ma era anche consapevole che per portare avanti la sua missione doveva essere disposto ad accettare i rischi.
«Al Castello potrebbero aver intuito qualcosa» continuò il tenente.
«Sono certo che tu sappia cosa fare»
Radley tentò di replicare, ma dall’altra parte non ricevette più alcuna risposta. Avvertì solo un ronzio sempre più flebile e distante, quando riagganciò ebbe la sensazione di aver appena ascoltato la voce di un fantasma.

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Capitolo 26
*** Promesse ***


 
26. Promesse
 

Il capitano Maguire vagò tra i tavoli abbandonati del Fleming’s Pub, l’ospite che lo stava attendendo aveva affrontato un pericoloso viaggio oltre al confine. Prima di raggiungerlo l’ufficiale si soffermò vicino alle scale. Il martire Cathal Brugha, il valoroso comandante Eamon Martin, il generale Tom Barry e i leggendari ribelli del Cork…
Charles ammirò le fotografie appese al muro, una generazione passata di eroi e combattenti che avevano dedicato la loro vita alla Causa. Erano trascorsi vent’anni dalla grande illusione di Collins, in tutto quel tempo la guerra per l’Indipendenza e l’Unità d’Irlanda era stata combattuta ininterrottamente da uomini altrettanto coraggiosi e valorosi. Nonostante tutto il popolo irlandese non si era mai arreso.
Per quanto tempo avrebbero dovuto ancora combattere?
Il capitano non ebbe alcun dubbio nella risposta, finché i figli d’Irlanda sarebbero stati in catene avrebbero continuato a lottare per la Libertà.
Era ancora immerso in questi pensieri quando si presentò al suo commilitone. Si trattava di John Daly, ufficiale della Belfast Brigade, nonché il suo contatto e rappresentante del Comando del Nord. Oltre ad essere un fidato comandante Daly era anche un buon amico, nel corso del tempo i due ufficiali avevano avuto modo di conoscersi intimamente, arrivando a consolidare quel rapporto che poteva appartenere soltanto a due compagni di battaglia.
Purtroppo non c’era nulla di amichevole in quell’incontro, si trattava di una questione importante, l’IRA doveva fare la sua scelta definitiva.
Charles prese il suo posto al tavolo e con calma apparente riempì i due bicchieri di whiskey.
«Dunque, come stanno procedendo i negoziamenti?» domandò John dopo aver bevuto un lungo sorso.
«Tutto sta andando secondo i piani» lo rassicurò Maguire.
John alzò lo sguardo: «mi fido di te, ma ho bisogno di prove concrete»
Charles sorrise, poi estrasse i documenti che aveva ricevuto dal tenente Schneider e li porse al suo compagno.
«I tedeschi sono intenzionati a fare sul serio»
Daly esaminò i fogli con particolare attenzione: «questi sono i piani di invasione?»
«Come promesso» disse Charles.
«Sono autentici?» domandò il compagno con la voce tremante per l’emozione.
Egli annuì: «l’Abwehr ha rispettato gli accordi»
L’altro mostrò un’espressione soddisfatta.
«Quindi hai incontrato l’Aquila…» continuò.
Maguire rispose con un cenno di assenso.
«Bene. E che cosa pensi della spia?»
Il capitano rifletté qualche istante prima di rispondere onestamente.
«Inizialmente speravo in qualcuno di più esperto, ma sono costretto ad ammettere che il tedesco sa il fatto suo»
Daly si incuriosì: «dimmi qualcosa in più»
«Be’, per quanto non provi alcun piacere ad elogiarlo, devo dire che ha tutto quel che serve per essere un perfetto agente segreto. È sveglio, perspicace, determinato e carismatico, questo forse anche troppo…»
Nel sentire quelle ultime parole John si insospettì.
«Perché dici così?»  
Charles rispose con una smorfia: «a quanto sembra uno dei miei uomini si è lasciato coinvolgere fin troppo in questa faccenda»
«E questo ha a che fare con il tedesco?»
«Penso che sia stato lui a manipolarlo con chissà quale metodo da spia» replicò con disprezzo.
Daly rimase perplesso.
«Non credo che una spia possa avere interesse nel manipolare un semplice soldato»
Charles non poté contraddirlo: «in effetti sarebbe una teoria piuttosto assurda»
«La cosa però ti sta preoccupando più del dovuto» notò il suo compagno.
Il capitano distolse lo sguardo, non poteva nascondere la verità a un uomo che sapeva leggere la sua anima.
«Il fatto è che ho affidato al soldato O’ Riley il compito di sorvegliare il tedesco» rivelò finalmente.
Daly cambiò atteggiamento: «oh, adesso capisco. Si tratta del tuo prediletto»
Maguire ignorò quel commento.
«Declan è sempre stato un buon soldato. Ho voluto metterlo alla prova, ero intenzionato a promuoverlo a caposquadra, ma temo di aver affrettato troppo le cose»
«Ti conosco bene, non sei uno sprovveduto. Se hai affidato un compito così rilevante a quel ragazzo è perché ti fidi di lui. Non avresti mai preso una decisione simile se non fossi stato certo della sua lealtà»
Charles rifletté su quelle parole, probabilmente all’inizio era stato così, ma ora non aveva più alcuna certezza. Una cosa però era vera.
«Non avrei potuto assegnare a nessun altro una missione tanto importante»
Daly tornò a guardare il capitano negli occhi: «allora cos’è che ti preoccupa realmente?»
Il comandante di Drumcondra rispose in tutta sincerità.         
«Il fatto che per O’ Riley questa potrebbe essere diventata una questione personale»
«Credi che potrebbe essere un problema per noi?»
«Non lo so. Di certo non mi aspettavo un simile comportamento da parte sua»
«Ha eseguito i tuoi ordini, la spia è al sicuro, non hai nulla da rimproverargli»
Maguire cercò di non pensare al peggio, non era il caso di esporsi più di quanto non avesse già fatto. Rapidamente tornò in sé, pentendosi per aver mostrato al compagno la sua debolezza.
«È assurdo…pensi che sia un idiota, vero?»
Daly scosse la testa: «sei preoccupato per un amico, non c’è niente di male in questo, ma anche tu devi tenere a mente l’obiettivo. Nulla è più importante della Causa»
«Questa è sempre una mia responsabilità»
«L’hai detto tu stesso, Declan è un buon soldato. E poi è il figlio del vecchio comandante O’ Riley, uno come lui non tradirebbe mai l’IRA»
«È poco più di un ragazzo…»
Maguire si interruppe, le parole morirono in gola. Non era un ipocrita, la scorsa notte aveva ordinato di giustiziare un giovane per tradimento, sapeva che se simili sospetti fossero ricaduti su Declan non avrebbe potuto riservargli una sorte differente.
John poté comprendere la sua sincera apprensione.
«Non ho intenzione di giudicarti per le tue scelte, fai quel che ritieni opportuno per concludere con successo la missione»
Maguire intuì il significato di quelle parole, se voleva salvare Declan prima che fosse troppo tardi quella era la sua ultima possibilità.
John tornò a discutere del piano, e in particolare della sorte della preziosa spia. Il Comando del Nord aveva particolare interesse per concludere al più presto quegli accordi.
«Possiamo procedere con la prossima mossa?» domandò con insistenza.
Il capitano assunse un’aria pensierosa: «dipende da quel che vogliamo ottenere»
«L’obiettivo dell’IRA è la Libertà, e se per questo dovremo sconfiggere l’Inghilterra sul campo di battaglia sarà soltanto un’inevitabile conseguenza. Sono i tedeschi a voler annientare il nemico, noi non abbiamo altri interessi in questa guerra»
«Conosco la situazione e so bene che questa alleanza potrebbe essere più che favorevole per entrambe le parti. A questo punto non vedo altra possibilità se non quella di fidarsi dei nostri alleati»
Daly confermò: «l’Aquila è la nostra unica speranza»
Maguire sospirò: «purtroppo non è così semplice…»
«Non abbiamo molto tempo. L’incertezza potrebbe compromettere la nostra affidabilità. Se l’Abwehr dovesse negarci il suo aiuto allora tutti i nostri sacrifici risulterebbero vani»
«So che voi al Nord siete abituati a trattare con i tedeschi, ma qui la questione è ben più delicata»
«Oltre al confine siamo pronti a combattere, ma non possiamo insorgere da soli. Questi accordi potrebbero essere la nostra unica possibilità per ottenere l’Indipendenza. I tedeschi ci hanno sempre offerto il loro aiuto per combattere gli inglesi»
«Lo so, tutto questo però avrà delle conseguenze»
«Abbiamo sempre combattuto per quest’Isola, non ci arrenderemo adesso, non ora che siamo così vicini alla vittoria»
Maguire tenne i dubbi per sé, non era certo il momento di tirarsi indietro.
«D’accordo. Mi occuperò della questione al più presto»
Daly mostrò un sorriso compiaciuto, prima di congedarsi porse al compagno i fogli che contenevano le preziose informazioni richieste dall’Abwehr.
 
Maguire abbandonò il rifugio quella stessa sera, non voleva correre rischi inutili, soprattutto con un agente britannico sulle sue tracce. Doveva sperare che tutto andasse secondo i piani, anche se quella faccenda riguardava principalmente la spia del Castello. Dopo gli ultimi avvenimenti avrebbe potuto diffidare anche del suo infiltrato, ma se guardarsi le spalle era indice di prudenza, la paranoia lo era di follia.
Il capitano lasciò perdere quei pensieri per dedicarsi alla sua principale preoccupazione, ovvero la sorte del soldato O’ Riley. Aveva sempre considerato Declan come la perfetta incarnazione del soldato repubblicano, in lui rivedeva la poetica figura del ribelle. Persino la sua ostinazione era una caratteristica che aveva imparato ad apprezzare, anche quella era una dimostrazione della sua determinazione. Fin dal primo momento nel suo sguardo aveva riconosciuto il desiderio di rivalsa e libertà che animava lo spirito di un vero irlandese.
Ma non poteva più perdersi in queste fantasie, purtroppo la realtà si era rivelata differente. Declan aveva tradito la sua fiducia, indipendentemente da quale fosse il reale interesse dell’IRA.
Forse era stata la sua ingenuità o la sua inesperienza a portarlo ad agire in quel modo. Non poteva accusare Declan senza assumersi almeno una parte della responsabilità. 
La verità era che aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo, con il tempo tra loro si era consolidato un sincero rapporto fraterno. In ogni caso non poteva considerare Declan come un suo semplice sottoposto, gli voleva bene, e questo gli impediva di essere imparziale nel suo giudizio.
Charles ripensò a un episodio avvenuto poco tempo prima, probabilmente era stato proprio quel confronto avuto con il suo sottoposto a convincerlo a coinvolgerlo in quella torbida vicenda.
 
***

Il capitano si appostò davanti alla finestra ed osservò con aria assorta le strade di Dublino ormai buie e deserte. Si portò la sigaretta alle labbra, espirando una nuvola di fumo che si dissolse nell’aria umida.
All’improvviso avvertì dei battiti alla porta.
Declan si presentò nel suo studio, puntuale come sempre.
«Mi hanno riferito che volevi parlarmi. Di che si tratta?» chiese il ragazzo senza esternare alcuna preoccupazione.
Maguire non rispose, limitandosi a rivolgere al soldato uno sguardo di rimprovero.
Il giovane non si scompose pur intuendo quale potesse essere la ragione di quell’incontro.
Charles si avvicinò di qualche passo, fermandosi di fronte al suo sottoposto.
«Il tenente O’ Connor mi ha raccontato quel che è successo durante l’ultima missione» disse freddamente.
Declan sostenne il suo sguardo. 
«Ho soltanto svolto il mio dovere» replicò in sua difesa.
«Hai disobbedito ai miei ordini»
«L’ho fatto soltanto per proteggere i miei compagni»
L’ufficiale scosse la testa: «è stato un grave errore. Come puoi aver commesso un’azione così sconsiderata?»
Declan ascoltò i rimproveri senza ribattere, e senza mai abbassare la testa.
«Vuoi punirmi per questo?»
Maguire pensò che avrebbe dovuto almeno per mettere a freno la sua sfacciataggine, ma era consapevole che agendo in quel modo non avrebbe fatto altro che motivarlo ulteriormente. Ormai conosceva bene il suo spirito ribelle.
«No, vorrei che tu imparassi a stare al tuo posto quando ti è richiesto. Sei un buon soldato, ma con queste tue iniziative finirai solo per metterti nei guai…capisci quello che intendo?»
«Che cosa avrei dovuto fare? Restare nascosto come un codardo mentre i miei compagni rischiavano la vita?»
«Ritieni che mettere in pericolo te stesso oltre che gli altri tuoi commilitoni sia stata una decisione ragionevole?»
«Preferisco pagare le conseguenze delle mie azioni piuttosto che avere rimpianti!»
«Questo ti rende onore, ma non vorrei che tu confondessi il coraggio con la sconsideratezza»
Il ragazzo non mostrò alcun ripensamento: «in certe situazioni l’avventatezza è necessaria»
«Non devi metterti in pericolo per darmi prova del tuo valore»
Declan sgranò gli occhi verdi: «se è così allora perché continui a trattarmi in questo modo?»
«A cosa ti stai riferendo?»
«Per quale motivo l’altra notte non mi hai voluto con la tua squadra?»
Charles ebbe un lieve sussulto.
«Continui a sostenere di considerarmi come un vero soldato, ma la verità e che non mi ritieni all’altezza!»
«Per favore, smettila di dire falsità, lo sai che non è così»
Il giovane sbuffò.
«Guarda in che situazione siamo. Mi stai rimproverando come un bambino»

Il capitano iniziò a perdere la pazienza.
«Oh, dannazione! Non so davvero più come fare con te! A volte credo che tu voglia solo farmi impazzire!»
Declan continuò ad insistere.
«Per te sono soltanto un ragazzino!»
Charles cedette, abbandonò il suo ruolo di comandante dell’IRA per rivolgersi al suo amico in piena sincerità.
«Hai ragione, fino a questo momento ho sempre voluto proteggerti, ma devi credermi, l’ho fatto soltanto perché tengo davvero a te…e se dovesse accaderti qualcosa non potrei mai perdonarmi»
Declan non rimase indifferente alla sua confessione, ma non si lasciò sopraffare dai sentimentalismi.
«Ho deciso di unirmi all’IRA per combattere, ed è quello che ho intenzione di fare»
Maguire rifletté su quelle parole, in ogni caso sapeva che non avrebbe potuto evitare l’inevitabile ancora a lungo.
«Riprenderemo questo discorso quando mi dimostrerai di essere più responsabile» concluse lasciando la questione in sospeso.
Il ragazzo non poté fare altro che accettare quella condizione, abbandonò la stanza deciso a fare del suo meglio per mantenere la parola data.
 
***

Alla fine Maguire aveva deciso di dare una possibilità al suo sottoposto, in fondo sapeva che non avrebbe potuto proteggerlo per sempre, inoltre credeva davvero in lui e nelle sue capacità.
Charles emise un sospiro di frustrazione, era convinto di aver agito come un buon comandante, nonostante tutto. Non sapeva che cosa fosse successo, ma a quel punto i rimpianti non sarebbero serviti a nulla.
Il capitano ripensò a ciò che gli aveva rivelato Daly e alle intenzioni dell’IRA, sapeva di non avere altra scelta se non quella di eseguire gli ordini dei suoi superiori.
Per quanto assurda quell’alleanza restava davvero l’unica salvezza in una situazione così disperata. L’operazione Grün consisteva in un piano militare per l’invasione dell’Irlanda. Le truppe tedesche sarebbero sbarcate sull’Isola e con il supporto dell’IRA avrebbero conquistato terreno fino al confine, dove avrebbero potuto raggiungere il loro vero obiettivo, ovvero combattere gli inglesi al Nord.
E poi che cosa sarebbe successo?
In caso di sconfitta l’Irlanda sarebbe tornata ad essere una colonia britannica, ma questa non era una possibilità contemplata per chi credeva ferventemente nella vittoria.
Maguire era disposto a credere e sperare, e l’unica speranza perché quel piano potesse concretizzarsi era l’Aquila.
 
***

Anche quella volta Declan incontrò da solo il suo comandante. Il giovane entrò nella stanza guardandosi intorno con circospezione, dopo aver annunciato l’arrivo di Maguire Nigel era scomparso nel nulla. Il suo pensiero andò al tedesco, il quale era rimasto nella sua stanza, ovviamente sotto il controllo dei militanti.
Maguire lo accolse con insolita freddezza, il suo volto rimase inespressivo, così come il tono della sua voce.
Declan non parve preoccuparsi a riguardo, il suo unico interesse era scoprire qualcosa di più a riguardo delle intenzioni dell’IRA.
Il capitano mosse qualche passo nella sua direzione, incrociò le braccia al petto e rivolse al suo sottoposto uno sguardo di ghiaccio.
«Voglio sapere che cosa è successo»
Il giovane rimase perplesso: «di che stai parlando?»
«Sai bene di che sto parlando»
Declan continuò a fingere indifferenza: «temo di non capire»
Maguire assunse un’espressione sempre più severa.
«Mi sto riferendo al tuo improvviso interesse per la sorte di un ufficiale tedesco»
Il giovane non lasciò trasparire alcun turbamento: «è mio dovere proteggerlo, sono stati questi i tuoi ordini»
«Certo, ma la tua missione avrebbe dovuto concludersi già da tempo. Non ti troveresti in questa situazione se ti fossi limitato ad obbedire al mio volere»
Declan non ebbe il tempo di ribattere, il capitano proseguì il suo discorso.
«Ho dovuto insistere per convincerti ad accettare questa missione, all’inizio non volevi avere nulla a che fare con quel tedesco. È stata proprio per la tua diffidenza nei suoi confronti che ti ho ritenuto adatto per questo incarico. Eppure le cose sono cambiate piuttosto in fretta. L’ultima volta non hai esitato nel prendere le difese di quella spia»
Il ragazzo rispose in piena sincerità: «il tenente Schneider ha dimostrato di essere un ufficiale onesto e leale»
«Hai forse dimenticato che quell’uomo in realtà è un agente dell’Abwehr
«No, ma…la verità è che non credo che egli sia un traditore»
Maguire sospirò: «non è questo il punto»
«Dunque qual è il problema?»
«Il fatto che per te questa missione sia diventata una questione personale»
«Perché stai dicendo queste cose?»
L’ufficiale non esitò a fornire spiegazioni.
«È ovvio che quell’agente segreto ti abbia manipolato per convincerti a stare dalla sua parte»
«Non è come credi…Hans non ha mai tentato di ingannarmi»
Charles alzò un sopracciglio con aria perplessa: «Hans?»
O’ Riley non obiettò, ormai negare sarebbe stato inutile.
Maguire non riuscì a trattenere la sua indignazione.
«Dannazione Declan, si può sapere che ti è preso?»
L’altro non rispose, in ogni caso non sarebbe riuscito a spiegare ciò che provava realmente.
«Sai perché ho voluto affidarti questo incarico?»
Declan rimase ancora in silenzio.
«Perché mi fidavo di te»             
Il giovane era consapevole di aver deluso il suo comandante, ma ormai nemmeno questo aveva più importanza. Il suo unico pensiero era salvare la vita del tenente Schneider.
Il capitano si mostrò sconvolto e affranto.
«Mi dispiace, non avrei dovuto coinvolgerti in tutto questo»
Maguire prese la sua decisione, doveva intervenire prima che fosse troppo tardi. Avrebbe potuto affidare a Declan qualche compito nelle retrovie, in modo che potesse restare per un po’ al sicuro nelle campagne. Forse avrebbe avuto il tempo per riflettere sui suoi errori.
«Da questo momento il tenente Schneider non è più sotto la tua custodia» affermò al termine di quelle considerazioni.
Declan avvertì una stretta al petto.
«La tua missione è giunta al termine» continuò il capitano, riconfermando la sua decisione.
«Che ne sarà di lui?»
«La questione non ti riguarda. Non più»
«Avevi promesso che l’IRA avrebbe provveduto a proteggerlo»
«L’IRA ha sempre mantenuto le sue promesse»
«Tutto questo è assurdo! Per quale ragione dovrei abbandonare la mia missione?»
«Perché tu sei un soldato ed io sono il tuo comandante, e questo è un mio ordine»
Declan non accettò quella vaga risposta. Fino a poco tempo prima non avrebbe mai osato diffidare dell’IRA e opporsi al volere del suo comandante, ma ora riteneva di non avere più niente da perdere.
«Sollevarmi dal mio incarico in questo momento sarebbe un grave errore» azzardò.
Maguire non si stupì per la sua ostinazione.
«Per quale motivo?» domandò.
«Perché il tenente Schneider si fida di me e di nessun altro»
Charles scosse il capo. Guardò il suo compagno negli occhi, riconobbe la sua determinazione, la stessa che aveva sempre ammirato ed elogiato, eppure quella volta notò qualcosa di diverso. Qualcosa era cambiato in lui e nel loro rapporto, non era difficile giungere all’ipotesi che tutto questo avesse a che fare con l’incontro con il tedesco.
Charles sapeva che il suo sottoposto era fin troppo emotivo e impulsivo, e probabilmente era per questo che si era lasciato coinvolgere fin troppo in quella situazione.
Aveva tentato di far aprire gli occhi al giovane, ricordandogli quale sarebbe dovuta essere la sua priorità in quanto soldato dell’IRA, ma nemmeno questo era stato sufficiente.
O’ Riley aveva dimostrato di non temere per il proprio destino tanto quanto per la sorte dell’ufficiale tedesco. Tutto ciò era veramente assurdo e incomprensibile per il comandante.
Ormai Charles non voleva nemmeno più sapere quale fosse la verità, il suo unico pensiero era salvare il suo compagno da quella che ai suoi occhi era soltanto una follia.
«Tu non ti stai rendendo conto di quanto sia pericoloso tutto questo»
«Non mi importa, sono disposto ad affrontare le conseguenze»
«Per favore, cerca di comprendere. Sto rischiando molto per concederti una possibilità di salvezza»
Declan restò impassibile, quelle parole per lui ormai non avevano più alcun significato. Aveva già preso la sua decisione, in ogni caso sarebbe rimasto a fianco del tenente, come aveva promesso.
«Per quale motivo non vuoi ascoltarmi?» chiese Charles ormai al limite dell’esasperazione.
In quel momento Declan pensò che il suo superiore non avrebbe mai potuto capire. Dal suo punto di vista forse Maguire avrebbe potuto riconoscere la lealtà e l’onestà del tenente, ma non avrebbe mai potuto comprendere il loro rapporto.
«Tu hai completamente perso il senno a causa di quel tedesco!» commentò l’ufficiale.
Declan non reagì, l’espressione sul suo volto non rivelò alcun rimorso.
Charles non si perse d’animo, desiderava fare il possibile per salvare la situazione. A quel punto sapeva che l’unico modo per proteggere Declan e farlo rinsavire prima che fosse troppo tardi era permettere al tenente Schneider di lasciare l’Isola al più presto.

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Capitolo 27
*** Traditori ***


Ringrazio i fedeli lettori che stanno continuando a seguire questa storia, ormai siamo giunti all’ultima parte del racconto.
Un ringraziamento speciale ai gentilissimi recensori per il prezioso supporto^^
 

27. Traditori   
 

Le prime luci dell’alba filtravano attraverso le tende, la stanza era illuminata dai tiepidi raggi dorati. James si destò percependo il corpo caldo di Julia ancora stretto a sé. La ragazza si era addormentata poggiando la testa al suo petto. Il giovane restò immobile ancora per un po’, voleva assaporare ogni istante di quel momento.
Osservò l’espressione dolce e serena sul viso di Julia, sfiorandola con una lieve carezza.
Ripensò alle parole del tenente Hart. Se riesci a trovare qualcosa di buono al di fuori di tutto questo non dovresti lasciartelo sfuggire.
James sospirò, era consapevole di non poter fare promesse alla sua amata. Non poteva darle alcune certezza, non voleva che lei soffrisse a causa sua. Sarebbe stato egoista da parte sua legarla a sé con quelle condizioni. Eppure Julia aveva dimostrato di essere disposta a rimanere al suo fianco, nonostante tutto.
James si sentì in colpa, era stanco di nascondere la verità, anche se questo era l’unico modo con cui poteva proteggerla. Aveva creduto di poter gestire quella situazione, ma quando erano entrati in gioco i sentimenti le cose si erano complicate.
Doveva però ammettere che l’amore che provava per Julia restava il suo unico conforto, di questo ne era certo.  
James si liberò delicatamente dal suo abbraccio e facendo attenzione a non svegliarla si rialzò dal letto.
Raggiunse il bagno, si sciacquò il viso con l’acqua gelida, poi rimase ad osservare il suo riflesso allo specchio. Nella sua mente rivide il ritratto di suo padre, non poteva ignorarlo, il capitano Kerney aveva ragione, le somiglianze erano innegabili. Aveva ereditato i suoi lineamenti e i suoi grandi occhi nocciola.
Ma le similitudini non si limitavano soltanto al piano fisico, poteva rivedere suo padre in quasi ogni aspetto della sua vita. Tutto ciò era assurdo, in un modo o nell’altro aveva finito per ripetere lo stesso percorso del genitore, seguendo le sue orme passo per passo.
James non aveva molti ricordi nitidi di suo padre, la sua era stata una figura poco presente nella sua infanzia. Liam Donnelly era stato un militante durante la Guerra d’Indipendenza, era rimasto fedele a Collins, e dopo il Trattato era diventato un ufficiale del National Army. Le due guerre l’avevano tenuto lontano dalla sua famiglia. James non aveva mai biasimato il genitore per questo, aveva compiuto le sue scelte, così come lui aveva preso le sue.
Non ricordava cosa avesse provato quando aveva saputo della sua morte, ma sapeva di non aver pianto. Forse non aveva avuto modo di comprendere il valore di quella perdita, oppure sentiva di aver già perso il padre da tempo, o di non averlo mai avuto realmente al suo fianco.
Il giorno del funerale c’era stata una parata, una modesta folla si era riunita al cimitero di Glasnevin per onorare il sacrificio di un uomo che tutti consideravano come un eroe di guerra.
La bara del valoroso ufficiale avvolta nella bandiera tricolore era stata trasportata al cimitero sulle spalle dei suoi fedeli commilitoni e seppellita sottoterra mentre le trombe militari intonavano l’estremo saluto.
Ricordava la forte stretta di sua madre, e poi una serie di uomini in divisa che si abbassavano su di lui per stringergli la mano e dargli premurose pacche sulle spalle. Ripetevano tutti le stesse frasi di conforto, più o meno con la medesima compassione.
James era ancora un bambino, eppure aveva avvertito il peso di quell’eredità. Essere il figlio del tenente Donnelly era già diventato un compito di grande responsabilità.
James si riprese da quei ricordi, non era più un ragazzino, eppure sentiva ancora la stessa frustrazione e impotenza di fronte a quegli eventi.
In quell’istante realizzò che avrebbe potuto compiere le stesse scelte di suo padre: accettare l’alleanza con l’Inghilterra, fare carriera nel G2, assicurarsi un futuro insieme alla donna che amava.
James fissò il suo riflesso allo specchio, avrebbe potuto…se fosse stato come suo padre.
 
***

Il tenente Hart tornò alle caserme McKee per interrogare nuovamente il prigioniero. Il sovrintendente Whelan non ebbe nulla da ridire a riguardo e accompagnò l’inglese nelle prigioni senza nemmeno lamentarsi per il mancato preavviso.
Donnelly seguì il suo superiore fin dentro alla cella, questa volta non aveva idea di quel che volesse ottenere. Credeva che il ragazzo avesse già parlato a sufficienza, difficilmente avrebbe rivelato altro. Dovette però considerare che Hart non avrebbe mai organizzato quell’incontro se l’avesse ritenuto soltanto una perdita di tempo. L’espressione fredda e decisa del tenente indicava che egli era davvero determinato a far cantare nuovamente quel ragazzino per ottenere le informazioni di cui aveva bisogno.
Trovarono il prigioniero legato alla sedia, teneva il capo chino, affranto e rassegnato.
Hart non perse tempo, si posizionò di fronte a lui e iniziò il suo interrogatorio.
«Suppongo che tu sappia perché siamo tornati da te»
L’altro si mise subito sulla difensiva.
«Non dirò nessun nome»
Hart scosse la testa: «non vogliamo nomi. Conosciamo già l’identità del tuo comandante»
Bernie sgranò gli occhi.
«Il capitano Charles Maguire è l’uomo che stiamo cercando e tu dovrai aiutarci a catturarlo» affermò l’inglese.
«Ho già detto tutto quello che sapevo, ho rispettato gli accordi!» protestò il ragazzo.
L’ufficiale replicò con tono severo.
«Temo che non sia così. Hai omesso delle informazioni importanti, credevi di poter ingannare l’Intelligence?»
Bernie negò.
«No, io…non…non avevo intenzione di ingannarvi» farfugliò con voce tremante.
Hart lo guardò dritto negli occhi: «adesso hai solo due possibilità. O collabori con noi, oppure sarai destinato a Curragh con l’accusa di aver tradito i tuoi compagni»
Il giovane sapeva di non avere scelta.
«Che cosa sai del Fleming’s Pub?» domandò l’agente britannico.
Il prigioniero deglutì a vuoto, per qualche istante rimase in silenzio, ma alla fine rivelò la verità.
«So che è un covo di repubblicani»
Il tenente continuò con le sue ipotesi: «è il rifugio del capitano Maguire?»
Il giovane confermò.
«È lì che si trova la spia?»
Bernie assunse un’espressione confusa: «non so di che cosa sta parlando»
«Davvero? Ne sei sicuro?»
Egli annuì.
«Non hai mai sentito parlare dell’Aquila
L’altro negò scuotendo la testa.
«E non hai mai avuto a che fare con un tenente della Luftwaffe
«Non ho mai visto nessun tedesco!» affermò con decisione.
Al tenente il ragazzo parve sincero.
«Il tuo comandante, che ti ostini a voler difendere, sta proteggendo un nazista» disse freddamente.
Bernie sussultò.
Hart intuì che egli non stesse mentendo, era davvero sconvolto dalla notizia.
«D’accordo, lasciamo perdere la spia. Chi altro si nasconde lì dentro?»
«Ho detto che non vi darò alcun nome»
«Almeno puoi dirci in quanti sono?»
Il giovane esitò prima di rispondere.
«L’ultima volta in cui sono stato al rifugio erano solo in quattro»
«Erano presenti altri ufficiali dell’IRA?»
Il prigioniero non rispose.
«D’accordo. Che altro puoi dirci?»
Bernie iniziò ad agitarsi: «non devono sapere che ho parlato»
«Tranquillo, non possiamo lasciarti andare, ma ti prometto che resterai fuori da questa storia se ti dimostrerai collaborativo fino alla fine»
Il giovane cedette.
«C’è una porta sul retro, è quella usata dai militanti per accedere all’edificio. È chiusa dall’interno e sorvegliata»
«Esistono altre vie di fuga?»
Bernie negò: «le finestre sono sbarrate»
L’ufficiale sorrise: «bravo ragazzo. Ero certo che non ci avresti deluso»
 
Al termine dell’interrogatorio Hart tornò dal suo collega, il quale era rimasto immobile e in silenzio per tutto il tempo.
«Dunque qual è il piano?» domandò il sottotenente.
L’inglese dimostrò di avere le idee chiare.
«Circonderemo l’edificio, i militanti si ritroveranno in trappola»
«Si difenderanno, probabilmente sceglieranno di morire piuttosto che essere catturati» ribatté James.
«Dovremo agire con prudenza, in ogni caso non saremo noi ad aprire il fuoco»
Donnelly annuì, ma non riuscì a nascondere una certa preoccupazione.
 
***

Il detective Sullivan si portò nervosamente la sigaretta alle labbra, nel suo studio l’aria era intrisa dell’intenso odore del tabacco. Aveva incaricato un suo collega di svolgere alcune ricerche e la sua ultima telefonata gli aveva lasciato intuire che egli avesse trovato qualcosa di significativo.
Paul non dovette attendere a lungo, dopo poco qualcuno bussò con un’inconfondibile insistenza alla sua porta.
Il nuovo arrivato, l’agente Davin McKenna, si presentò nel suo ufficio con un’aria stanca, ma un’espressione più che soddisfatta.
«Devo dedurre che ci siano novità sul caso» constatò Sullivan.
McKenna annuì.  
«Di che si tratta?» domandò il detective con impazienza.
«Ho scoperto qualcosa di particolarmente interessante. Ovviamente il sottotenente Donnelly era coinvolto in tutte le indagini, ma vuole sapere chi controllava quei documenti per la Sezione britannica?»
Paul attese la risposta.
«L’agente Padraig Flanagan. Se non sbaglio anche il suo nome è nella lista dei sospettati»
Sullivan confermò: «Flanagan ha spesso lavorato a fianco di Donnelly, hanno collaborato in diverse occasioni»
«Dunque potrebbe essere lui il responsabile, di certo aveva facile accesso a quelle informazioni. Magari ha anche cercato di far ricadere le accuse sul collega»
Il detective dell’Unità Speciale rifletté attentamente su quella nuova ipotesi.
«Ho interrogato più volte l’agente Flanagan, anche lui è risultato pulito»
Lo sguardo di Davin si illuminò: «adesso però possiamo dimostrare che egli ha mentito»
Sullivan gli rivolse un’occhiata interrogativa.
L’agente estrasse una fotografia dal fascicolo che stringeva tra le mani e la mostrò al suo compagno.
«Flanagan ha sostenuto di non aver mai avuto a che fare con certe opinioni politiche, eppure qualche anno fa il nostro uomo indossava la divisa della Garda di giorno e l’uniforme delle Camicie Blu di notte»
Paul osservò l’immagine che ritraeva un gruppo di giovani in uniforme paramilitare che con orgoglio imitavano il saluto nazista. Nonostante avesse ancora le fattezze di un adolescente con il volto coperto di lentiggini Flanagan era ben riconoscibile.
Il detective rispose con una smorfia: «al tempo c’erano tanti poliziotti iscritti all’ACA [1] quanti ubriachi nei pub la notte di San Patrizio!»
«Be’, stavamo cercando collegamenti con l’IRA, sappiamo che alcuni dei loro leader si sono schierati dalla parte dei nazisti…e se fosse proprio la Germania il fulcro di questo complotto?»
Sullivan rimase perplesso.
«Dunque quale potrebbe essere la prossima mossa per dimostrare la fedeltà di Flanagan ai suoi vecchi ideali? Chiedergli di intonare l’inno di Horst Wessel?»
L’altro mostrò un sarcastico sorriso.
«Sono certo che alla sede del Fine Gael troveremo prove sufficienti»
Sullivan approvò, ma restò diffidente a riguardo. Il fatto che l’agente Flanagan sostenesse gli ideali nazisti poteva essere fuorviante.
Non era nemmeno troppo sospetto il suo comportamento, conoscendo la situazione da vicino Flanagan poteva aver mentito per non essere coinvolto nelle indagini, e forse per evitare di macchiare la sua reputazione riportando alla luce qualche segreto del passato. Ma questo non significava per forza che fosse lui la spia dell’IRA.
Sullivan si riprese da quelle considerazioni, stava complicando troppo le cose. In certi casi la soluzione più ovvia si rivelava essere quella giusta.
Non poteva escludere la possibilità di essersi sbagliato. Eppure continuava ad avvertire una strana sensazione, non era solo per orgoglio che si rifiutava di credere nell’innocenza del sottotenente Donnelly, il suo istinto non gli aveva mai mentito.
 
***

La squadra che il capitano Kerney aveva affidato all'inglese era composta da detective e agenti speciali della Garda. Il tenente Hart riuscì facilmente ad ottenere la stima e il rispetto dei nuovi colleghi. Gli irlandesi approvarono le decisioni dell’ufficiale britannico e si dimostrarono collaborativi e disponibili durante tutte le fasi di pianificazione.
Anche in quell’occasione Donnelly ebbe prova dell’esperienza e dell’indiscutibile competenza del tenente. Poteva facilmente comprendere per quali ragioni l’Intelligence si fosse rivolta a lui per quella missione.
«Credi che troveremo qualcuno in quel rifugio?» domandò James quando i due rimasero soli.
Hart fu realista nel rispondere: «non è il nascondiglio della spia, ma di certo il tedesco è stato lì per incontrare il capitano Maguire»
«Quindi potrebbero esserci indizi o testimoni»
«È quello che spero. Dopo la retata a Blackheath Park non possiamo permetterci un altro fallimento»
James tentò di rassicurarlo.
«Il capitano Kerney si fida di te»
Hart si voltò verso il suo interlocutore: «e tu? Ti fidi di me?»
Il sottotenente distolse lo sguardo, onestamente non sapeva cosa rispondere. Ormai sapeva che l’inglese gli aveva mentito, ma poteva comprendere le sue motivazioni. Forse una parte di sé desiderava davvero fidarsi di lui.
«Sei un mio superiore. Sul campo sono disposto a rispettare le tue decisioni e obbedire ai tuoi ordini»
Il tenente apprezzò la sincerità, in quelle circostanze era consapevole di non potersi aspettare di più. Non poté biasimare il giovane, la sua diffidenza era giustificata.
Hart sapeva che in quel mondo non poteva realmente fidarsi di nessuno, ma per portare a termine quella missione aveva bisogno del sostegno del suo giovane collega. Non voleva entrare in azione con qualcuno che non fosse disposto a collaborare. Infine voleva essere certo che il ragazzo non commettesse qualche avventatezza, per questo aveva intenzione di tenerlo sotto il suo controllo.
James cedette alla curiosità: «hai dimostrato di avere un’avvalorata esperienza con i militanti dell’IRA»
Radley attese l’inevitabile domanda.  
«Eri un agente sotto copertura?»
L’inglese rimase in silenzio, ma la risposta risultò piuttosto ovvia.
«Non deve essere stato facile condurre quel tipo di vita. Sei stato costretto a ingannare, mentire, tradire…»
L’espressione sul volto del tenente si indurì.
«Ho sempre fatto tutto quel che era necessario per la Patria»
Donnelly non si stupì per la sua reazione.
«Dunque hai sempre anteposto il dovere ad ogni cosa»
«Non mi sono mai pentito per questo» replicò freddamente.
«Ciò non significa che tu non abbia sofferto»
Hart fu colpito da quelle parole, ma all’apparenza non lasciò trasparire alcuna emozione.
Il giovane intuì di essersi spinto troppo oltre, non aveva il diritto di ficcare il naso in questioni così intime e personali.
Donnelly era intenzionato a chiedere scusa per la sua impertinenza, ma quando rialzò lo sguardo il tenente gli aveva già voltato le spalle.
 
***

L’operazione ebbe inizio poco dopo il tramonto. Due agenti erano appostati all’entrata principale dell’edificio per bloccare il passaggio, il terzo poliziotto e i due detective invece seguirono il tenente Hart e il sottotenente Donnelly sul retro.
Il vicolo era buio e deserto, quel pub abbandonato sembrava davvero il luogo perfetto dove nascondersi per i militanti di un’organizzazione clandestina.
Il tenente Hart bussò alla porta con decisione, poiché nessuno rispose decise di ritentare, ma anche quella volta non avvertirono nulla.  
A quel punto l’agente britannico si rivolse al suo compagno: «stai indietro»
Il giovane obbedì indietreggiando di pochi passi. L’inglese non aveva tempo per forzare la serratura, con un paio di colpi ben assestati sfondò il portone di legno.
L’ingresso era completamente avvolto dall’oscurità, gli agenti entrarono all’interno con cautela. Furono costretti a muoversi a tentoni lungo lo stretto corridoio. Raggiunsero il salone principale vagando tra tavoli polverosi e le bottiglie vuote lasciate sulle assi ammuffite. L’eco dei passi era accompagnato dal rumore del legno scricchiolante e del vetro che si frantumava sotto alle suole.
«C’è qualcuno? Rispondete! Polizia!»
Non si udì alcuna risposta, quel silenzio innaturale risultò alquanto sospetto. Hart ordinò a James di restare di guardia con l’agente O’Shea, mentre egli iniziò a dirigersi verso le scale seguito dal detective Buckley.
Donnelly esitò, sapeva che l’inglese aveva deciso di lasciarlo al margine dell’azione per tutelarlo e non esporlo direttamente al pericolo, ed era consapevole di avere una promessa da mantenere nei suoi confronti.
Il giovane però sentì di dover fare qualcosa, non poteva restare solo fermo a guardare. Nell’istante in cui vide il tenente avvicinarsi ai gradini non riuscì a trattenersi. Nel momento in cui avvertì il pericolo l’istinto prese il sopravvento. Con uno scatto corse in avanti, afferrando il suo superiore per il braccio.
Radley udì un grido, ma non riuscì a comprendere a pieno le parole, proprio in quell’istante una raffica di proiettili si abbatté sulle scale.
Il detective Buckley rispose al fuoco, riuscì a sparare solo un paio di colpi prima di essere trafitto da una seconda raffica. L’uomo cadde a terra, agonizzante in una pozza di sangue. I suoi compagni non poterono fare molto per soccorrerlo, ormai era troppo tardi.
Hart era poggiato contro alla parete, se non fosse stato per l’intervento del sottotenente sarebbe stato lui il primo obiettivo. Appena tornò in sé l’ufficiale si preoccupò per il suo compagno.
«James…»
Il ragazzo era inginocchiato a terra, con una mano premuta sulla ferita al fianco. Non emise alcun lamento, ma il suo volto era contratto in una smorfia sofferente. I suoi vestiti erano impregnati di sangue.
Radley si chinò accanto a lui e tentò di rassicurarlo mentre cercava di contenere l’emorragia.
«Tranquillo, adesso devi stare calmo. Vedrai che andrà tutto bene…»
Donnelly si sforzò di parlare: «mi dispiace»
Hart guardò il sottotenente negli occhi, nel suo sguardo scorse sincero pentimento. In quel momento un dubbio si insinuò nella sua mente, ma non ebbe tempo per riflettere.
L’ufficiale fu riportato bruscamente alla realtà avvertendo l’eco di altri spari. Rapidamente ordinò all’agente O’Shea di portare al sicuro il compagno ferito, poi si affrettò a raggiungere gli altri che nel frattempo erano riusciti a liberare il passaggio al piano superiore.
James percepì grida lontane, suoni ovattati e immagini offuscate. L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il corpo del detective Buckley, il quale giaceva inerme sul pavimento, ormai privo di vita.
 
 
 
 
 
 
[1] Army Comrades Association, organizzazione paramilitare associata al partito Fine Gael, istituita principalmente in opposizione ai movimenti comunisti nel 1932.
 





Per chi è interessato lascio una mappa che potrebbe aiutare a comprendere meglio dove si stanno svolgendo le vicende. Ho aggiunto una breve legenda segnalando gli eventi principali collegati ai luoghi. Spero possa essere utile. 
Grazie ancora per il sostegno, alla prossima^^

Plan of Dublin, 1939 (
Geographia Ltd, London)




 Rifugio di Blackheath Park  - Il primo nascondiglio dove Declan porta Hans al suo arrivo a Dublino
Drumcondra (Fleming's Pub) - Rifugio del capitano Maguire 
 Castello di Dublino - Centro di Comando del G2 
Caserme McKee - Centro di Comando dell'Unità Speciale, luogo dell'attentato descritto nel capitolo 9. 
 Rifugio di Rathmines - Nascondiglio raggiunto da Hans e Declan dopo il primo incontro con il capitano Maguire, e dove i personaggi si trovano attualmente. 

 

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Capitolo 28
*** Zeitnot ***


 
28. Zeitnot
 

L’orologio appeso al muro ticchettava con costanza e precisione, le lancette giravano inesorabilmente, ogni secondo era scandito dal rumore meccanico degli ingranaggi. Era da poco passata la mezzanotte, dopo tutto quel tempo dall’interrogatorio non era ancora sorto nulla di rilevante.
Il detective Sullivan non fu sorpreso dall’atteggiamento del sospettato, il quale continuava imperterrito a dichiarare la sua innocenza.
L’agente McKenna aveva tentato di estorcere più informazioni possibili dal presunto traditore, inizialmente con la semplice insistenza, ma ben presto aveva perso la pazienza ed era passato ad altri metodi.
Sullivan era rimasto impassibile, non si era lasciato impressionare né dalle grida di dolore né dalla vista del sangue. Era disposto a tollerare anche la violenza, se questo poteva essere un modo efficace per ottenere ciò che stava cercando.
Trascorse ancora un po’ di tempo prima che il detective si decidesse ad intervenire.
«Adesso basta!» sentenziò con estrema fermezza.
Il suo compagno si allontanò mostrando un’espressione contrariata, probabilmente era convinto che con la forza avrebbe potuto ottenere una confessione, ma Paul era ancora dubbioso sulla sua colpevolezza.
Il detective prese posto al tavolo e fissò il sospettato con meticolosa attenzione. Quello davanti a lui appariva soltanto come un uomo fragile e spaventato.
«Non sono io la spia del Castello» disse con voce tremante.
«Temo che dovrai fare qualcosa di più per convincermi»
«Ho mentito sul mio passato, questa è stata la mia unica colpa»
«A dire il vero abbiamo scoperto che hai ancora un ruolo attivo all’interno del partito»
Flanagan rimase in silenzio.
Sullivan sospirò: «non mi piacciono i nazisti, ma ad essere sincero non li disprezzo più dei comunisti. Per me i criminali sono tutti uguali»
«La supplico, deve ascoltarmi! Io sono innocente!»
Il detective si sentì a disagio, assistere alla disperazione di un uomo ormai privato della sua dignità era sempre qualcosa di pietoso.
«L’unica cosa che mi interessa è la verità» affermò.
«Dunque è disposto a credermi?» chiese Padraig con tono speranzoso.
«Ritengo che se fossi realmente colpevole avresti tentato di difenderti in modo migliore, e sono anche convinto che una spia dell’IRA non avrebbe mai implorato il nemico chinando il capo con tanta facilità»
Flanagan era troppo sconvolto per replicare all’umiliazione.
«Per favore, lei è l’unico che può aiutarmi»
«Anche se volessi non sarebbe facile. Ti trovi davvero in una brutta situazione»
«La prego, deve credermi, non sono un traditore»
Sullivan si rialzò senza aggiungere altro. L’agente McKenna lo raggiunse con discrezione davanti alla porta.
«Pensi che sia sincero?» domandò.
«I militanti dell’IRA sono addestrati per resistere agli interrogatori, una spia deve avere autocontrollo e sangue freddo…quello laggiù non sembra affatto l’uomo che stiamo cercando»
Devin non poté contraddirlo.
«Allora? Che ne facciamo di lui?» 
Sullivan rivolse un’ultima occhiata a Flanagan.  
«Per questa notte lasciatelo in cella, un po’ di tempo dietro alle sbarre potrebbe comunque essergli utile»
 
Ripercorrendo i corridoi deserti del Castello Paul ripensò al suo confronto con il tenente Hart. L’agente dell’MI5 aveva dimostrato di non essere come molti suoi connazionali, ammetteva gli errori commessi dall’Inghilterra ed era disposto a riconoscere e rispettare i diritti del suo popolo. Per quanto non provasse particolare simpatia per quell’inglese aveva dovuto accettare il fatto che fosse suo dovere proteggerlo. Per questo l’aveva messo in guardia sul possibile doppio gioco del sottotenente Donnelly. Eppure l’ufficiale britannico non aveva voluto ascoltarlo. Sembrava ostinato ad avere fiducia nel suo collega, anche se questo avrebbe potuto esporlo al pericolo.
A quel punto Sullivan si domandò se davvero un giovane alle prime armi avrebbe potuto ingannare un agente della Corona esperto e competente. Probabilmente si era sbagliato, il vero colpevole doveva essere rimasto nell’ombra e lui non era riuscito a scovarlo.
Sullivan emise un sospiro di rassegnazione, senza prove non poteva dimostrare nulla. Doveva prendere una decisione, a quel punto gli restavano solo due possibilità: arrestare l’agente Flanagan pur dubitando della sua colpevolezza oppure ammettere il suo fallimento.       
In quelle condizioni, con una Nazione sul piede di guerra, era certo che i suoi superiori non gli avrebbero permesso di scegliere liberamente. Il tempo a sua disposizione era ormai esaurito e per salvare le apparenze l’Unità Speciale aveva bisogno della sua spia da giustiziare.
Sullivan non era mai stato un uomo dalla solida moralità, nonostante ciò aveva scelto quel mestiere perché credeva in certi valori. Era certo che Flanagan non fosse un’anima pura e innocente, ma sarebbe stato ingiusto condannarlo per un reato che non aveva commesso.
 
***

L’eco degli spari rimbombò nell’edificio abbandonato, il tenente Hart scorse i lampi fiammeggianti sul fondo del corridoio. Rapidamente salì gli ultimi gradini e si affrettò a raggiungere i suoi compagni.
I poliziotti erano riusciti a crearsi un varco per raggiungere il piano superiore e avvicinarsi alle altre stanze, ma i militanti che si erano barricati all’interno erano determinati a difendersi ad ogni costo.
Hart si rannicchiò contro al muro per proteggersi, i botti erano così vicini da far tremare le pareti. L’ufficiale prese un profondo respiro, si era ritrovato altre volte in situazioni simili, sapeva come affrontare uno scontro armato.
Cercò di non pensare al compagno ferito, quello non era il momento di lasciarsi sopraffare dalle preoccupazioni. Per lui non era stato semplice abbandonare James in quelle condizioni, ma nemmeno quell’evento drammatico aveva potuto distoglierlo dal suo obiettivo.
Hart non era stato in grado di comprendere la motivazione di quel gesto. Il giovane aveva disobbedito ai suoi ordini, scegliendo di mettere a rischio la sua incolumità per proteggerlo. Era certo che se non fosse stato per il suo intervento quelle pallottole non l’avrebbero risparmiato. James sapeva che egli non era stato del tutto sincero nei suoi confronti, probabilmente aveva intuito quale fosse il suo ruolo in quella faccenda, conosceva il gioco dell’Inghilterra. Eppure, nonostante questo, non aveva esitato a salvargli la vita.
Il tenente non era riuscito a trovare una risposta logica e sensata a tutto ciò. Anche le ultime parole che gli aveva rivolto prima di perdere i sensi erano state ambigue. Per quale motivo avrebbe dovuto dispiacersi?
Radley aveva formulato le sue ipotesi, ma non era ancora sicuro della loro validità.
L’inglese tornò bruscamente alla realtà avvertendo l’ennesimo sparo. Prontamente rispose al fuoco, uno dei proiettili colpì il suo avversario a un fianco. L’irlandese cadde a terra urlando e contorcendosi per il dolore.
«Fermo! Non sparare!»
Hart bloccò in tempo un agente che già aveva puntato la sua arma contro al militante ormai inerme.
Altri spari provenienti dalla strada lasciarono intuire che in realtà Bernie aveva mentito, doveva esserci un’altra uscita e i ribelli ne avevano approfittato per tentare di fuggire. Radley però aveva abbastanza esperienza e conosceva bene i rifugi dell’IRA, pianificando la retata non aveva lasciato punti scoperti.
Dopo essersi assicurato che la situazione fosse completamente sotto controllo l’inglese ripose l’arma e si avvicinò al militante rimasto colpito. La ferita era profonda, senza un rapido intervento sarebbe sicuramente morto dissanguato.
L’ufficiale si chinò su di lui per soccorrerlo, alle sue spalle l’agente che poco prima aveva puntato la sua Webley al giovane agonizzante rimase immobile.
«Non dovrebbe sforzarsi tanto per salvarlo, in ogni caso non parlerà»
Hart non fu sorpreso dalla sua freddezza.
«Sarà comunque condannato, il bastardo ha ucciso il detective Buckley!» gridò l’irlandese con odio e disprezzo.
Radley continuò a premere con forza sulla ferita: «forza, aiutami o giuro che ti spedirò davanti alla corte marziale con l’accusa di insubordinazione!»
L’agente non comprese le ragioni del tenente, ma la severa minaccia lo convinse ad obbedire agli ordini.
 
In strada regnava una gran confusione, il passaggio era ostacolato dai veicoli dell’esercito e dalle ambulanze. Rinforzi e soccorsi erano giunti prontamente. Ancora non era possibile stabilire il numero effettivo delle vittime di quella sparatoria. Altri due agenti e tre militanti erano stati portati via con urgenza in gravi condizioni.
L’ufficiale britannico arrancò tra il fumo e la polvere. La prima persona che incontrò fuori dall’edificio fu il sovrintendente Whelan, il quale lo raggiunse di corsa.
«Tenente, è ferito?» chiese con apprensione notando il sangue ancora fresco sulla sua divisa.
Egli scosse la testa: «no, sto bene»
«È stato uno scontro terribile» commentò Whelan.
«Siamo caduti in un’imboscata, ciò significa che i militanti erano a conoscenza delle nostre mosse» fu la risposta fredda e razionale dell’agente dell’Intelligence.
«Dunque la spia esiste davvero, i sospetti dell’Unità Speciale sono confermati»
Hart s’irrigidì, ma non osò esporsi a riguardo.
«Abbiamo identificato i militanti coinvolti, purtroppo il capitano Maguire non era tra loro»
«Era tutto parte del piano, questo era soltanto un diversivo»
«L’attacco dell’IRA è fallito, ma temo che la sua spia abbia guadagnato tempo prezioso»
Il tenente fu costretto ad ammettere che quella era la verità.
Whelan notò che l’inglese non era nelle condizioni per riprendere il suo ruolo di comando. Con insolita premura l’afferrò per un braccio e lo condusse verso la sua auto.
«Venga con me, penserà domani mattina a fare rapporto. Adesso ha bisogno di riposare»
Radley tentò di opporsi: «no, per favore, mi porti all’ospedale»
Il sovrintendente si preoccupò: «aveva detto di non essere ferito»
«Devo vedere il sottotenente Donnelly»
Whelan non fu in grado di stabilire se la sua fosse una richiesta personale o professionale, in ogni caso mise in moto il veicolo e si preparò ad inoltrarsi a tutta velocità tra le strade buie e deserte di Dublino.
 
***

Il tenente Schneider estrasse dalla tasca della giacca una sigaretta, l’accese con un fiammifero e con un gesto meccanico la portò alle labbra. Continuò a fumare assorto nei suoi pensieri, camminando avanti e indietro nella sua stanza.
L’incontro con il capitano Maguire aveva fatto sorgere altri dubbi e incertezze. Il comandante dell’IRA sembrava disposto ad aiutarlo, ma fin quanto avrebbe potuto fidarsi di lui?
Ricordava bene l’avvertimento di Declan, l’IRA non era forte e unita come voleva far credere. Era probabile che le promesse di Maguire fossero soltanto menzogne, forse non c’era nessun piano…
Il tedesco scosse la testa, in realtà fino a quel momento l’IRA si era dimostrata onesta e affidabile nei suoi confronti. Gli accordi erano stati rispettati, nonostante tutto era riuscito a ottenere le informazioni richieste dall’Abwehr.
Razionalmente i repubblicani non avevano ragioni per tradirlo, ma forse non avevano nemmeno le risorse per salvarlo.
Maguire aveva parlato del coinvolgimento del Comando del Nord, ma non poteva immaginare a cosa avrebbe portato questa collaborazione. Non sapeva se i suoi superiori avessero realmente fiducia nell’IRA, quell’alleanza, per quanto potenzialmente vantaggiosa, si era rivelata fin troppo debole e precaria.
In ogni caso Hans non aveva altra scelta, doveva affidarsi all’IRA se voleva avere una possibilità per tornare in Germania.
Con il passare del tempo il tenente aveva iniziato a perdere le speranze, la missione si era rivelata ben più complessa del previsto, fin dal primo momento in cui aveva messo piede sul suolo irlandese aveva dovuto affrontare difficoltà e imprevisti. Grazie al suo addestramento da agente segreto era riuscito a trovare una soluzione anche nelle situazioni più estreme, ma era finito in qualcosa di più grande di lui, aveva perso il controllo e non aveva più alcun potere decisionale.
Il fatto che gli irlandesi continuassero a lasciarlo all’oscuro delle decisioni più importanti non era per nulla rassicurante. Inoltre il capitano Maguire gli era parso ancor più diffidente del solito, era evidente che non si fosse mai realmente fidato di lui, ma ora sembrava addirittura disprezzarlo. Durante l’ultimo colloquio si era ritrovato a dover sostenere il suo sguardo freddo e accusatore. Aveva quasi avuto la sensazione che potesse trattarsi di una questione personale.
La sua permanenza a Dublino era soltanto un pericolo per l’IRA, questo era ormai evidente.
Il tenente sospirò, la situazione era ormai disperata. La sua missione era irrimediabilmente compromessa, la speranza di tornare vivo in Germania restava una vana illusione.
Hans era disposto ad accettare la sua sorte, ne era sempre stato consapevole, erano quelle le regole del gioco. Ciò che non poteva più sopportare era la prigionia, perché in fondo era a questo che era costretto.
C’era soltanto un motivo per cui aveva deciso di non disobbedire al volere dell’IRA, e questa ragione era Declan. Se avesse tentato la fuga di certo egli sarebbe stato ritenuto l’unico responsabile.
Anche quando aveva avuto la possibilità non aveva mai approfittato delle circostanze e tantomeno del rapporto di fiducia che si era creato tra lui e il giovane irlandese.
Se c’era qualcosa di vero in quel mondo di inganni e menzogne era quel legame, così intenso e profondo da essere diventato totalizzante per entrambi.
I sentimenti che provava per Declan si erano rivelati incorruttibili. Il sincero e incondizionato affetto di quel ragazzo restava il suo unico conforto.
 
Hans si riprese dai suoi pensieri avvertendo il rumore di alcuni passi sulle scale, ormai aveva imparato a riconoscerli, non poteva confonderli in alcun modo.
Quando la porta si aprì non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la figura del suo compagno.
Declan entrò nella stanza, senza dire nulla si avvicinò al tenente. Si fermò al suo fianco davanti alla finestra, restò in silenzio, limitandosi ad osservare un punto indefinito nell’oscurità.
Il giovane ridusse ulteriormente le distanze. Lentamente allungò la mano fino a sfiorare quella del tenente con un gesto quasi impercettibile.
Hans percepì la sua inquietudine, istintivamente provò il desiderio di rassicurarlo.
Il tedesco cercò con più decisione la mano del suo compagno e la prese con delicatezza, intrecciando le dita con le sue.
Declan si strinse a lui, lasciandosi avvolgere da quell’abbraccio.
Il tenente sfiorò il suo volto con una dolce carezza, l’irlandese lo guardò intensamente negli occhi.
«In questo momento voglio solo stare con te» ammise con un sussurro.
Hans rispose baciandolo con passione.
I due si abbandonarono l’uno nelle braccia dell’altro, dimenticando ogni tormento.
Ormai non avevano più molto tempo a loro disposizione, ogni istante era unico e prezioso.  
 
***

Hans si rialzò dal suo giaciglio, raccolse la giacca che nella frenesia del momento era stata gettata a terra e recuperò un oggetto dalla tasca interna. Abbandonò nuovamente il vestito sulla sedia e tornò indietro.
Nella penombra si soffermò ad ammirare il corpo del giovane disteso nudo sul letto. Aveva un fisico snello e asciutto, ancora troppo acerbo per essere quello di un uomo. Eppure era già stato segnato dalla fame, dalla fatica e dalla lotta.
Declan era coricato su un fianco con il volto poggiato al cuscino. I capelli dai riflessi ramati erano scompigliati, alcuni ciuffi si erano appiccati alla fronte leggermente sudata. Il viso dai lineamenti delicati era arrossato, su di esso poteva riconoscere un’espressione apparentemente angelica, le labbra sottili erano inclinate in un dolce sorriso.
Quella visione era allo stesso tempo innocente e voluttuosa.
Hans allungò una mano e lentamente lasciò scorrere le dita lungo la sua schiena. Lo sentì reagire con un lieve fremito al suo tocco. Si chinò su di lui, lo baciò sul collo sottile e l’avvolse in un tenero abbraccio.
Declan si rigirò tra le sue braccia, lo guardò negli occhi, poi poggiò la testa sul suo petto. Mentre erano così vicini i loro cuori battevano all’unisono.
Restarono qualche istante stretti l’uno all’altro, poi il tedesco si distaccò leggermente. Fu in quel momento che decise di consegnare il suo distintivo di pilota nelle mani del giovane irlandese.
«Qualunque cosa accada voglio che sia tu ad averlo»
O’ Riley esitò: «non posso accettarlo»
«Per favore, è davvero importante per me»
Declan strinse tra le dita quel pezzo di stoffa così prezioso ed esaminò con attenzione la sagoma dell’aquila argentata.
«Sai qual è il motto degli aviatori irlandesi?»
Egli scosse il capo.
«Forḟaire agus Tairiseaċt»
«Che cosa significa?» domandò Hans continuando ad accarezzargli dolcemente i capelli.
«Vigili e leali»
Il tenente rifletté sul significato di quelle parole, di certo erano entrambe qualità imprescindibili per un buon pilota. Inevitabilmente ripensò ai suoi commilitoni, credeva che il suo unico obiettivo fosse tornare a combattere, ma le cose si erano complicate ulteriormente. Ovviamente sentiva l’attaccamento al dovere, in quel momento però le sue preoccupazioni non riguardavano più solo la guerra. Sapeva che la priorità era la missione, ma c’erano questioni che non poteva lasciare in sospeso.
Provò una profonda angoscia al pensiero di doversi separare da Declan.
Il tedesco sciolse l’abbraccio, distolse lo sguardo, l’espressione sul suo volto si incupì.
«Io…devo andarmene da qui» rivelò tristemente.
«Lo so» fu la semplice risposta.
Schneider esternò i suoi sensi di colpa.
«Dopo tutto quello che hai fatto per me non posso abbandonarti al tuo destino»
«Non preoccuparti per me. Devi portare a termine la tua missione»
Ancora una volta Hans ebbe prova della stoica determinazione del suo compagno.
«Hai mentito a un tuo superiore. Per questo potrebbero accusarti di tradimento»
«Non sono pentito per ciò che ho fatto»
Hans non si stupì nel sentire quelle parole, ma allo stesso tempo non riuscì ad accettarle.
«Hai anteposto la mia incolumità al tuo dovere»
«Ho rispettato la mia promessa, avevo il dovere di proteggerti»
Il tenente assunse un tono severo: «non hai pensato alle conseguenze delle tue azioni?» 
«Sono consapevole di aver fatto la scelta giusta»
Il tedesco fu commosso dalla fedeltà del giovane irlandese. Declan aveva disobbedito agli ordini, ma non aveva mai tradito i suoi ideali.
«Dovrai dire al capitano Maguire che sono stato io a obbligarti a mentire»
Il ragazzo sgranò le iridi smeraldo: «cosa?»
«Io sono una spia ed è questo che fanno le spie: mentono, ingannano, tradiscono»
«Tu non sei così» ribatté il giovane.
Schneider ignorò le sue proteste.
«È l’unico modo, se farai ricadere le accuse su di me potrai avere una possibilità di salvezza»
L’altro si oppose con indignazione.
«Non mentirò, non ti incolperò come un vigliacco per salvarmi la pelle. Ho voluto difenderti perché hai dimostrato di essere un ufficiale onesto e leale, sono sempre convinto di questo»
Hans comprese il valore di quelle parole, ma per quanto ammirevole, l’ostinazione di Declan sarebbe diventata la causa della sua stessa condanna.
Il tenente ne era consapevole e riteneva anche di avere delle responsabilità. Tutto ciò era assurdo, ma dentro di sé sapeva di non poter agire diversamente. Contro ogni logica desiderava proteggere quel giovane, anche se questo avrebbe significato perdere del tutto la fiducia dell’IRA.

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Capitolo 29
*** La spia del Castello ***


 
29. La spia del Castello
 

James riaprì gli occhi, la sua vista era offuscata, riconobbe a stento ombre distorte nell’oscurità. Avvertì la gola secca e la testa pesante, doveva trovarsi ancora sotto l’effetto dei farmaci. Si era risvegliato in una fredda stanza d’ospedale, soltanto dopo un po’ ebbe la certezza di essere solo, il silenzio divenne sempre più opprimente. Il giovane tentò far ordine nella sua mente, ma i suoi ricordi erano frammentati e confusi. Ad un tratto percepì un’intensa fitta di dolore al fianco. James sollevò il lenzuolo, la fasciatura era ancora sporca di sangue. Ripensò alle parole del tenente Hart, il suo ultimo ricordo era proprio l’ufficiale britannico che tentava di soccorrerlo rassicurandolo con frasi di conforto.
Donnelly trattenne una smorfia di dolore e prese un profondo respiro. Era troppo debole per reagire, in quelle condizioni non c’era nulla che potesse fare.
Il ferito poggiò nuovamente la testa sul cuscino, avrebbe dovuto temere per la sua sorte, ma ormai non poteva più evitare l’inevitabile. Era solo una questione di tempo.
Sopraffatto dall’incertezza James si ritrovò a ripensare a tutto quel che era accaduto. Le sue riflessioni lo riportarono nel passato, a dove tutto era iniziato. Ripercorse pian piano ogni tappa che l’aveva condotto in quella drammatica situazione.
 
***

Inverno 1935.
Con il passare degli anni il giovane James Donnelly aveva passivamente accettato l’eredità del padre, decidendo così di seguire il suo esempio. Per tutti egli era un eroe di guerra, sentiva che fosse suo compito rendere onore al genitore che si era sacrificato per la Patria, inoltre non voleva deludere le aspettative di coloro che lo circondavano. Tutti sembravano certi del suo destino e alla fine anche James si era convinto che un giorno avrebbe indossato la divisa del padre, combattendo per i suoi stessi ideali.
Per queste ragioni dopo il college aveva deciso di arruolarsi nella Garda. A diciotto anni James era un giovane poliziotto con una brillante carriera davanti a sé.
Il giorno in cui prestò giuramento non poté evitare di confrontarsi con la figura del padre. Si pose domande alle quali non riuscì a trovare risposta, accorgendosi così che in realtà c’era ancora molto che non conosceva di lui. Non poteva più accontentarsi delle solite risposte vaghe ed evasive. Ormai non era più un ragazzino, era convinto di poter affrontare la verità.
Quella stessa sera James decise di indagare sul suo passato. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui aveva trovato il coraggio di riportare alla luce i ricordi del genitore prematuramente scomparso, ma sapeva che sua madre aveva conservato ogni cosa con particolare cura e riguardo.
James rovistò a lungo tra oggetti personali e vecchie fotografie finché qualcosa non attirò la sua attenzione. All’interno di un libro dalle pagine ingiallite trovò una lettera. Era certo di non averla mai vista prima, la busta era stata ben riposta, sembrava che suo padre avesse voluto preservarla.
Il giovane esaminò il foglio con attenzione, la data risaliva al febbraio del 1922. La Guerra d’Indipendenza era terminata da pochi mesi, lo Stato Libero d’Irlanda era nato solo da alcune settimane, l’Inghilterra aveva accettato le condizioni del Trattato.
A quel tempo Liam Donnelly si era unito al National Army, probabilmente era in quel periodo che aveva ottenuto la carica di ufficiale.
Spinto dalla curiosità James iniziò a leggere.
 
Mi dispiace che le cose siano dovute andare in questo modo. Hai preso la tua decisione e anche se non condivido la tua scelta posso comprendere le tue motivazioni.
Qualunque cosa accada voglio che tu sappia che non provo alcun rancore, soltanto dolore, per il tuo tradimento. La Libertà ha il suo prezzo, noi abbiamo dovuto sacrificare la nostra amicizia.
La guerra è guerra, entrambi sappiamo qual è il nostro dovere.
Addio, mio vecchio compagno. Voglio ricordarti per come eri e non per quello che sei diventato.
Ad un futuro migliore, per un’Irlanda Libera e Unita.
 
La firma non aveva nulla di familiare per James, quel nome gli era del tutto sconosciuto. Riuscì però ad intuire chi potesse aver scritto quella lettera. Sicuramente doveva trattarsi di un militante dell’IRA, un compagno di suo padre che aveva combattuto al suo fianco durante la Guerra d’Indipendenza. Dopo il Trattato Liam si era unito all’esercito, mentre il suo ex commilitone doveva essere rimasto fedele agli ideali repubblicani. Così i due si erano ritrovati su fronti opposti.
James comprese che quel rapporto dovesse esser stato davvero importante per entrambi, il significato di quelle parole era intenso e profondo.
 
Nei giorni seguenti Donnelly continuò le sue ricerche, in breve riuscì a trovare un indirizzo dove poter cercare il suo testimone. Il giovane non perse tempo, la sua curiosità lo spinse ad agire senza nemmeno riflettere sulle possibili conseguenze. In fondo stava per presentarsi da uno sconosciuto per riportare alla luce i ricordi del doloroso periodo della Guerra Civile.
Per Donnelly però quella era una questione personale, il mittente di quella lettera poteva essere l’unico legame con il passato del padre.
James si presentò davanti all’ingresso al termine del turno, indossando ancora la divisa da poliziotto. Non sapeva cosa aspettarsi e fu sorpreso di ritrovarsi di fronte ad un elegante villetta nel quartiere di Drumcondra.
Bussò alla porta con fin troppa decisione e impazienza. Immediatamente avvertì il rumore di alcuni passi, non dovette attendere a lungo prima di ritrovarsi davanti al padrone di casa. Si trattava di un uomo di circa cinquant’anni, alto e snello, i capelli erano ingrigiti e qualche ruga gli solcava il viso, ma i suoi occhi azzurri brillavano di vitalità.
Il giovane iniziò a parlare in modo impacciato: «mi scusi per il disturbo, io sono…»
«Il figlio di Liam Donnelly» rispose l’altro terminando la frase.
James confermò, sorprendendosi per la prontezza con cui egli aveva riconosciuto la sua identità.
L’uomo guardò il ragazzo negli occhi, poi mostrò un malinconico sorriso.
«Sei davvero uguale a lui» commentò con gli occhi lucidi dall’emozione.
James esitò sulla soglia.
«Avanti, entra» continuò il proprietario spalancando la porta.
«Grazie signore»
«Per favore, chiamami Seamus. E non rivolgerti a me in modo così formale, se no mi ricordi che sei un poliziotto» disse con leggera ironia.
Il ragazzo annuì e lo seguì prima sulle scale e poi lungo il corridoio. L’appartamento era spazioso e ben arredato, James intuì che dovesse trattarsi di una famiglia borgese e benestante. I due raggiunsero il salotto, al centro della stanza c’era un ampio tavolo in legno scuro, accanto ad una libreria e un pianoforte.
Seamus invitò il giovane a sedersi per poi posizionarsi davanti a lui. Per un po’ restò in silenzio, osservando con attenzione il suo ospite. Provò una strana sensazione davanti al figlio del suo vecchio compagno, sentimenti che credeva assopiti da tempo tornarono a manifestarsi.  
«È vero, assomigli molto a tuo padre, non al tenente Donnelly, ma a Liam»
James ebbe un lieve sussulto, non si era mai confrontato con il passato, aveva iniziato a detestare l’immagine fittizia di suo padre, ma ora riusciva a vederlo sotto una luce diversa.
Seamus estrasse una sigaretta dal taschino della giacca e ne offrì un’altra al giovane, il quale rifiutò educatamente.
«Come mai hai deciso di venire da me proprio adesso?»
«Ho trovato una tua lettera tra gli oggetti di mio padre, lui l’aveva conservata»
«Così non avevi mai sentito il mio nome prima d’ora?» chiese portandosi la sigaretta accesa alle labbra.
«No, non conosco niente del passato di mio padre, per me lui è sempre stato soltanto il tenente Donnelly»
«Non mi sorprende che tua madre non ti abbia mai raccontato di me. Non posso biasimare Molly per questo, poveretta, deve esser convinta che suo marito sia morto per colpa mia»
«Per quale motivo dovrebbe credere che tu sia responsabile?»
Seamus sospirò.  
«Liam è morto in battaglia ed io ero schierato dalla parte avversaria, dunque, in un certo senso tua madre ha ragione»
«Hai combattuto a Kilmallock?»
Egli annuì: «non ho sparato io a tuo padre, ma se fosse toccato a me avrei premuto il grilletto. Eravamo in guerra. Lui avrebbe fatto altrettanto»
James fu colpito dalla freddezza di quelle parole.
«Dunque consideri mio padre un traditore?»
«Non l’ho perdonato per aver abbandonato l’IRA, ma in realtà non ho mai provato odio nei suoi confronti. Liam era mio amico, ho sofferto per la sua perdita, nonostante il fatto che ormai avesse rinunciato alla lotta per la Libertà»
Il giovane rifletté su quelle parole.
Seamus terminò di fumare la sua sigaretta. La sua mente si perse tra i ricordi, sembrava fosse trascorsa un’intera vita da quando considerava Liam come un fratello e Molly come una sorella.
«Così tua madre non si è più risposata?» domandò.
«No. Amava davvero mio padre e non ha voluto nessun altro uomo al suo fianco»
«Avrei dovuto immaginarlo, Molly non ha mai tradito una promessa. È comunque triste pensare che sia rimasta sola tutto questo tempo, era una donna giovane e bella quando è rimasta vedova»
James si sentì a disagio nel sentire qualcuno parlare in quel modo di sua madre.
Seamus continuò ad esternare i suoi pensieri: «sono certo che abbia fatto del suo meglio per crescere un figlio da sola»
«Lei ha fatto molti sacrifici per me, le devo davvero tutto»
«Sono sicuro che tua madre sia orgogliosa di te» lo rassicurò.
James percepì sincerità e umanità nelle sue parole. Confortato da ciò pian piano riprese coraggio.
«Sono venuto qui per conoscere qualcosa di più su mio padre…tutti mi hanno sempre raccontato che egli era un eroe, ma questa è solo una versione della storia»
Seamus fu piacevolmente sorpreso dalla sua determinazione.
«Bene ragazzo, se è quel che vuoi, ritengo che tu abbia il pieno diritto di conoscere la verità»
 
Da quel giorno James tornò frequentemente e costantemente a trovare Seamus, non solo per parlare di suo padre. Inevitabilmente imparò a conoscere più da vicino l’IRA e i suoi ideali di Libertà.
Avrebbe dovuto considerare quell’uomo come l’assassino, seppur non materiale, di suo padre, invece provava sempre più interesse e ammirazione per lui.
Tutto ciò che aveva sempre cercato nel falso mito del tenente Donnelly l’aveva trovato realmente in Seamus. Aveva anche scoperto un lato di suo padre che sentiva ben più affine al suo essere, non quello del militare che aveva rinunciato ai suoi ideali per eseguire gli ordini, ma quello del ribelle che aveva combattuto davvero per liberare l’Irlanda.
Queste nuove consapevolezze iniziavano però ad essere in contrasto con le sue scelte di vita. James aveva deciso di arruolarsi perché credeva nell’ideale di giustizia ed era convinto di fare del bene indossando quella divisa. Pian piano però aveva scoperto anche il lato oscuro di quella realtà. La Garda non era immune alle ingiustizie, alla corruzione e alla violenza. C’erano tante contraddizioni nella società irlandese, molte avevano origini dalla sanguinosa Guerra Civile, e quell’ambiente era sicuramente lo specchio di una Nazione ancora divisa e frammentata, dove ancora sopravvivevano odio e rancore.
Se dentro di sé James era tormentato da dubbi e incertezze all’apparenza continuava a svolgere il suo dovere. Agli occhi di tutti era sempre un giovane poliziotto dal futuro promettente, tanto che in poche settimane ottenne addirittura una promozione.
Quella sera Donnelly decise di festeggiare in compagnia di alcuni colleghi. Anche in quell’occasione mascherò abilmente la propria disillusione. Forse credeva ancora di avere una possibilità in quel mondo, oppure una parte di sé si era già rassegnata.
Al termine della serata James restò solo al tavolo. Aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, percepiva i sensi offuscati dai fumi dell’alcol. Il giovane si prese la testa tra le mani, quando rialzò lo sguardo notò un paio di figure in piedi davanti a lui. Si trattava di due uomini in abiti scuri, entrambi dal volto freddo e inespressivo.
«James Donnelly?» domandò il più alto con voce atona.
Egli non rispose, ma gli sconosciuti in nero non ebbero bisogno di una reale conferma.
Uno dei due l’afferrò per un braccio costringendolo ad alzarsi.
James si allarmò: «chi siete? Che cosa volete da me?»
«Avrai le risposte a tempo debito, adesso faresti meglio a seguirci senza fare domande»
Il giovane tentò di opporsi: «lasciatemi andare! Sono un poliziotto!»
Nel momento in cui posò la mano destra alla cinta dei pantaloni scoprì di non avere più la sua pistola. Al contempo notò che i suoi rapitori erano entrambi armati. Era certo che essi non avessero alcun timore di sparare in caso di necessità.
Immediatamente il ragazzo pensò alla fuga, ma il senno che gli era rimasto riuscì a convincerlo a non compiere mosse azzardate.
I due trascinarono il loro ostaggio fuori dal locale e senza mollare la stretta lo condussero per le strade deserte. L’aria gelida aiutò Donnelly a riprendersi dalla leggera sbornia. In quelle condizioni però non poté far altro che lasciarsi condurre verso la misteriosa meta, nella speranza che quei due non fossero intenzionati a fargli del male.
Dopo un breve giro del quartiere James fu accompagnato all’interno di un’abitazione, apparentemente quel luogo sembrava disabitato. Donnelly fu portato in una stanza che doveva essere uno studio, all’interno non c’era ancora nessuno.
Anche quando fu lasciato solo James ebbe la certezza di essere controllato. Non dovette attendere a lungo, poco dopo la porta si riaprì e un terzo sconosciuto comparve sulla soglia.
Il nuovo arrivato era piuttosto diverso dagli altri, si trattava di un giovane in abiti eleganti. Doveva avere solo pochi anni in più di lui, ma ai suoi occhi appariva già come un uomo adulto e maturo. Il suo atteggiamento severo e la sua compostezza gli conferivano una certa autorevolezza.  
Lo sconosciuto si avvicinò al tavolo restando in silenzio. L’osservò accuratamente, squadrandolo con attenzione. Al termine di quella sorta di ispezione si sedette davanti a lui e finalmente si decise a rivolgergli la parola.
«James, è un piacere conoscerti. Mio padre mi ha parlato molto di te, ha detto cose davvero interessanti sul tuo conto»
Donnelly sussultò, esaminando meglio quel volto riconobbe i lineamenti familiari del suo interlocutore.
«Sei il figlio di Seamus?»
Egli confermò: «qui tutti mi conoscono come il tenente Maguire, ma tu puoi chiamarmi Charles. Un tempo i nostri genitori erano buoni amici, noi possiamo dimenticare i vecchi rancori della guerra. Che ne pensi?»
Il ragazzo esitò mostrandosi diffidente: «il tuo invito non è stato molto amichevole»
«Mi spiace che i miei compagni ti abbiano spaventato, ho preferito ricorrere ai metodi dell’IRA. Volevo essere sicuro che non ti rifiutassi di incontrarmi»
«Loro non mi hanno spaventato» replicò James per difendere il suo orgoglio.
Charles sogghignò: «bene. Suppongo che tu voglia conoscere il motivo per cui sei qui»
Donnelly annuì tentando di non esternare troppo la propria preoccupazione.
«Non ho intenzione di perdere tempo, quindi giungerò subito al punto. Ritengo che tu abbia delle ottime potenzialità, sarebbe un peccato non sfruttarle. Noi abbiamo bisogno di qualcuno come te»
James assunse un’espressione perplessa: «qualcuno come me?»
«Già, l’IRA necessita sempre di occhi e orecchie nella polizia»
Nel sentire quelle parole il ragazzo sobbalzò sulla sedia. 
«Mi stai chiedendo di diventare un traditore?» domandò con voce tremante.
«Credo che tu non abbia ancora compreso il tuo valore. Potresti diventare un’arma preziosa. Sei un candidato insospettabile, nessuno potrebbe immaginare che il figlio del tenente Donnelly, un ufficiale assassinato dai militanti dell’IRA, sia in realtà una spia»
«Io…non sono certo di poterlo fare»
«Perché non dovresti? In questo momento hai due alternative, puoi vivere il resto della tua esistenza come un ipocrita, oppure agire per il bene di questa Nazione»
«So perché mi stai dicendo questo»
«Ti sto forse mentendo?»
«No, ma…»
«Allora devi fidarti di me. Credimi, noi vogliamo la stessa cosa: un’Irlanda Libera e Unita»
«La guerra non è l’unica soluzione»
Maguire scosse il capo: «non la guerra, ma la rivolta del popolo. È questo il solo modo che abbiamo per far valere i nostri diritti»
Donnelly vacillò, poteva comprendere le ragioni dell’IRA e in parte condividere i suoi ideali, ma ciò andava ben oltre al confronto politico.
Charles lo guardò dritto negli occhi: «tu non sei come tuo padre»
James si sentì colpito nel profondo: «che cosa vuoi dire?»
«È questo che vuoi dimostrare, vero? Adesso hai l’occasione di rivelarti per chi sei veramente, prendendo questa decisione. Tuo padre ha rinunciato a combattere per la Libertà, si è arreso proprio quando l’Irlanda aveva bisogno di uomini leali e coraggiosi. Tu invece che hai intenzione di fare?»
James capì di non poter più tornare indietro, non c’erano alternative, ormai doveva prendere la sua decisione definitiva. C’era però una questione che l’ufficiale dell’IRA sembrava aver trascurato.
«Non sono un militante, non sono stato addestrato per questo»
Charles sorrise: «sei stato addestrato tutta la vita per questa missione»
 
***

James si riprese da quei ricordi, per anni aveva svolto il suo dovere senza destare alcun sospetto, prima nella polizia e poi nell’esercito, fino a diventare la spia del Castello. Aveva creduto di poter continuare ad obbedire agli ordini dell’IRA senza provare rimorsi o rimpianti, si era illuso di poter vivere di sole menzogne, ma ora che aveva provato il desiderio di qualcosa di reale e sincero tutto aveva perso il suo significato.
L’incontro con Julia gli aveva rivelato l’esistenza di un futuro differente. Il suo amore l’aveva posto di fronte ad un’alternativa, che in breve tempo era diventata la sua unica speranza di salvezza.
Per quanto assurdo, era stato il tenente Hart, un agente britannico, a fargli comprendere ciò che provava realmente.
Il rapporto con Hart era complesso, inizialmente era stato arduo e difficile da accettare, ma in qualche modo l’inglese era riuscito a conquistare la sua fiducia. Aveva veramente provato stima e ammirazione nei suoi confronti, e aveva sofferto nel tradire e mentire ad una persona che riconosceva quasi come un amico.
D’altra parte Charles era stato chiaro: la Libertà aveva il suo prezzo, in questo caso, la sua vita o quella di Hart.  
Nel corso di quella torbida faccenda però la storia si era complicata ulteriormente. I metodi dell’IRA erano diventati sempre più estremi e violenti. Prima la sparatoria a Drumcondra, poi l’attentato alle caserme McKee e infine uno spietato omicidio.
Anche l’alleanza con la Germania era una questione pericolosa, eppure per mantener fede alla sua parola Donnelly non si era rifiutato di proteggere l’Aquila e compromettere le indagini, almeno fin quanto aveva potuto. Il tenente Hart non era certo uno sprovveduto.
James aveva però compreso che Radley teneva davvero a lui quando aveva scelto di non denunciarlo al detective Sullivan. L’agente dell’MI5 aveva voluto proteggerlo anche quando l’esperienza e il buon senso avrebbero dovuto avvertirlo del suo possibile tradimento.  
Non sapeva se il tenente avesse avuto interesse nel mentire a suo favore, in ogni caso aveva consapevolmente scelto di fidarsi di lui. Ed ora cosa sarebbe successo?
La sua vita era nelle mani dell’inglese.
Inevitabilmente pensò a quel che era accaduto durante la retata. Aveva agito d’istinto per proteggere la vita del tenente. Per quale motivo l’aveva fatto? Ad essere sincero James non lo sapeva, ma dentro di sé sentiva di aver fatto la cosa giusta. Come sempre aveva agito con le migliori intenzioni.
Forse, inconsciamente, aveva voluto confessare per mettere a fine a quella condizione che ormai non gli causava altro che sofferenze. Era certo che Hart avesse capito, l’aveva letto nel suo ultimo sguardo.
James socchiuse gli occhi, non aveva paura di affrontare il suo destino, era sempre stato consapevole delle conseguenze. Non si era mai pentito per le sue scelte, ma gli restava un unico rimpianto. Il suo ultimo pensiero prima di abbandonarsi alla stanchezza fu per Julia.

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Capitolo 30
*** Possibilità ***


 
30. Possibilità
 

Una spia bloccata e isolata in territorio straniero, senza alcun mezzo a disposizione per poter contattare la base, non aveva molte possibilità di salvezza. Hans era consapevole di non poter sperare in un miracolo. Rivalutando razionalmente la situazione doveva ammettere che la sua missione era fallita già all’istante del suo atterraggio. La sua determinazione l’aveva convinto a perseverare, ma ora il tempo a sua disposizione era scaduto.
L’IRA doveva prendere una decisione, non era soltanto la sua vita ad essere nelle mani del capitano Maguire.
Il tenente si sentì come in attesa della sua condanna, d’altra parte quel nascondiglio per lui non era stato altro che una prigione. Fino a quel momento era stato trattato come un ostaggio a tutti gli effetti.
L’impossibilità di agire era diventata insostenibile, in quelle condizioni pensare a mantenere i nervi saldi non faceva altro che irritarlo. Era pur sempre un pilota della Luftwaffe, se doveva morire lontano dal campo di battaglia voleva almeno farlo con dignità. Anche in quanto agente dell’Abwehr sentiva di dover fare qualcosa. Obbedire al volere dell’IRA era stata la mossa giusta per qualche tempo, ma ormai temeva che nemmeno i suoi unici alleati potessero fare qualcosa per aiutarlo. Ad essere sincero non sapeva nemmeno se considerare i repubblicani come suoi alleati. Certo, era ancora vivo, ma aveva ragione di credere che senza l’aiuto di Declan le cose sarebbero andate diversamente.
Schneider si sedette sul bordo del letto prendendosi la testa tra le mani. Se poteva far fronte al fallimento della sua prima e unica missione non era altrettanto in grado di accettare il sacrificio del suo compagno. Sapeva che Declan avrebbe scelto di condividere la sua stessa sorte piuttosto che tradirlo.
Hans fu costretto ad ammettere la verità, egli stesso si era comportato in quel modo. Si era rifiutato di fuggire anche quando ne aveva avuta l’occasione, era rimasto a fianco di Declan, si era fidato di lui. Non si era pentito per le sue scelte, dentro di sé sentiva di aver fatto la cosa giusta. Non avrebbe mai potuto abbandonare Declan, prima perché aveva bisogno di lui, e poi perché sapeva che egli sarebbe stato l’unico a pagare le conseguenze delle sue azioni. Aveva tentato in ogni modo di non esporlo al pericolo.
La loro condizione però era peggiorata inesorabilmente, ogni tentativo di proteggersi a vicenda era stato inutile se non ancor più dannoso. Ma non aveva importanza, non più ormai.
Schneider non riuscì a pensare ad altro, anche in quel momento Declan restava il suo unico conforto.
 
***

Hart aveva cercato di ignorare la verità il più a lungo possibile, almeno finché la situazione aveva giocato a suo favore. Il sottotenente Donnelly era stato un utile alleato, in diverse circostanze il suo aiuto si era rivelato fondamentale. Non si era liberato del suo improbabile compagno quando i primi sospetti avevano iniziato a insinuarsi nella sua mente perché sapeva di aver bisogno di lui per risolvere il caso.
Ormai però non aveva più dubbi: il sottotenente Donnelly era il traditore che tutti stavano cercando all’interno del Castello. Doveva ammettere che il ragazzo aveva celato abilmente la sua vera identità, il ruolo che ricopriva come giovane ufficiale, per di più figlio di un eroe di guerra, era insospettabile.
Non aveva ancora chiaro il motivo per cui si era ostinato a proteggerlo per tutto quel tempo, forse una parte di sé voleva credere che tutta quella faccenda fosse soltanto un enorme malinteso.
Detestava ammetterlo, ma in James rivedeva se stesso, o meglio, riconosceva quella parte di se stesso alla quale aveva dovuto rinunciare per diventare un agente segreto.
In qualche modo si era affezionato a quel giovane, aveva voluto concedergli una possibilità. A quanto pareva una possibilità di troppo.
Il tenente britannico non aveva mai permesso alle emozioni di prendere il sopravvento, per questo era diventato un agente valido e affidabile. Questa volta però qualcosa gli aveva impedito di essere completamente obiettivo nei confronti del suo giovane collega.
Era stato un suo sbaglio, oppure ne era sempre stato consapevole?
Hart scosse la testa, in ogni caso una cosa del genere non sarebbe mai più dovuta accadere.  
Radley conosceva bene il mondo dello spionaggio, sapeva perfettamente di non potersi realmente fidare di nessuno ed era consapevole dei rischi del suo mestiere. Aveva interpretato per anni il ruolo dell’agente sotto copertura. Era stato costretto a mentire, tradire, a volte anche a uccidere. C’erano ombre oscure nel suo passato, non era mai riuscito a liberarsi dal peso di certe colpe, ma nonostante tutto non si era mai sottratto al suo dovere. 
In quel caso però avvertiva qualcosa di diverso, una parte di sé non riusciva a considerare James soltanto come un vile traditore.
Si sentiva anche responsabile, non poteva trascurare il fatto che Donnelly avesse rischiato la vita per salvarlo. Si erano protetti a vicenda, mettendo a rischio le rispettive coperture.
La situazione era delicata e complessa, non era solo un gioco di spie e traditori.
Hart non aveva ancora preso una decisione definitiva. Razionalmente avrebbe dovuto svuotare il sacco e denunciare Donnelly al detective Sullivan, il quale sarebbe stato lieto di arrestare il suo principale indiziato.
L’agente britannico provò profondo ribrezzo, per assurdo consegnare James nelle mani della giustizia gli parve un’opzione terribile. 
Aveva bisogno di riflettere, quello era un problema che avrebbe risolto con la sua coscienza soltanto dopo aver portato a termine la sua missione. Al momento il suo unico obiettivo era catturare la spia tedesca.
D’altra parte finché James giaceva semi-cosciente in un letto d’ospedale non poteva più nuocere a nessuno, nemmeno a se stesso.  
 
Hart si presentò nell’ufficio del capitano Kerney, il fatto che l’ufficiale irlandese avesse richiesto di vederlo con tanta urgenza non lasciava intendere nulla di buono.
L’agente britannico era stanco di discutere, ma sapeva di dover difendere la sua posizione con le unghie e con i denti.
«Suppongo che lei sappia perché ho voluto convocarla» iniziò Kerney.
Hart restò in silenzio.
«Lo sapevo, non avrei dovuto affidarle il comando di un’altra squadra»
«Tutti i militanti coinvolti nell’imboscata sono stati arrestati» precisò il tenente.
«Ha disobbedito al mio volere e ha messo in pericolo i miei uomini»
«Non avevamo più tempo, dovevamo intervenire. Il detective Buckley aveva approvato il piano»
«Il detective Buckley è morto»
Hart sospirò.
«La sua presenza qui ha creato fin troppi problemi, ho cercato di fare il possibile per agevolare questa alleanza, ma adesso ha superato il limite»
«Il G2 deve rispettare gli accordi»
«Ne sono consapevole, ma lei non può continuare ad agire a suo piacimento qui dentro!»
«Capitano, forse non ha chiara la situazione. Sono qui perché dei militanti stanno nascondendo un agente dell’Abwehr»
Kerney rispose con una smorfia infastidita.
«Ad essere sincero non ho ancora avuto conferma dell’esistenza di questa fantomatica spia»
«Le prove sono più che evidenti, come può constatare gli indizi hanno portato a dei risultati»
«Le sono davvero riconoscente per il lavoro che ha svolto con l’Unità Speciale, ma…ecco…non credo che questa alleanza possa continuare ancora a lungo»
Radley comprese il vero significato di quelle parole.
«Quando avrò catturato la mia spia potrà rispedirmi senza troppi complimenti oltre al confine»
Kerney ignorò la sua irriverenza.
«Ritengo di averle concesso anche fin troppe libertà»
«Che cosa ha intenzione di fare?»
«Considerando quel che è successo non vedo altra soluzione. Presto il caso tornerà sotto il controllo delle autorità irlandesi»
L’inglese protestò: «non può negarmi il suo supporto proprio adesso. Le indagini devono essere portate a termine»
«Mi dica tenente, ha in mano qualcosa di concreto? Ha un piano per catturare quel tedesco?»
Hart fu costretto al silenzio, ovviamente non poteva far parola dei suoi metodi alternativi e delle sue indagini segrete.
«Temo di no signore, ma se potesse darmi la possibilità di…»
«Le ho già concesso tante possibilità e mi sono pentito di averlo fatto» fu l’amara risposta.
«Siamo vicini alla verità, il sovrintendente Whelan può confermarlo» insistette Hart.
«Il sovrintendente Whelan mi ha riferito che ha criticato i suoi uomini considerandoli inetti e incompetenti»
L’inglese rispose in modo diplomatico: «mi sono sentito in dovere di disapprovare certi metodi piuttosto…controproducenti per le indagini. Lo stesso comandante ha concordato sul mio giudizio»
«Può anche essere così, ma non devo essere io a dirle che nessuno qui è entusiasta di prendere ordini da un inglese»
«Mi dispiace capitano, ma per come stanno le cose lei non ha scelta. C’è un motivo per cui l’MI5 ha affidato a me questo incarico»
Kerney guardò il tenente negli occhi riconoscendo il suo sguardo freddo e determinato. Ancora una volta fu costretto a cedere alla sua irrispettosa ostinazione.
«D’accordo. Le concedo ancora un po’ di tempo, ma non voglio più problemi con lei, intesi?»
Hart si congedò sbrigativamente: «farò del mio meglio signore»
 
Il tenente uscì dalle mura del Castello stretto in una morsa di frustrazione. Sapeva di non avere più molto tempo a disposizione, le autorità irlandesi non avrebbero tollerato un altro suo fallimento, mentre i suoi superiori in Inghilterra erano sempre più impazienti di mettere le mani sull’Aquila. La sua missione non poteva fallire, c’era troppo in gioco, compresa anche la sua reputazione nell’MI5.  
Hart ripensò alle parole di Barry: non vorrei che per te questa caccia al tedesco dovesse diventare una questione personale.
Non poteva negarlo, la caccia al tedesco era diventata ormai un’ossessione, ma riteneva che fosse inevitabile. Il fatto che fosse disposto a tutto per raggiungere il suo obiettivo era ciò che faceva di lui un buon agente segreto.
Hart si fermò sul ponte per ammirare il tramonto sul Liffey. Le acque del fiume risplendevano di riflessi dorati. Per un istante il tenente tornò indietro nel tempo, percepì il calore del sole sulla pelle, il vento tiepido della brughiera tra i capelli e fu avvolto da una piacevole sensazione di pace e tranquillità. Un ricordo che credeva perduto per sempre riaffiorò nella sua mente.
 
When streams of light pour down the golden west,
And on the balmy zephyrs tranquil rest
The silver clouds, far-far away to leave
All meaner thoughts… [*]
 
Radley sbatté le palpebre, i suoi occhi scuri si voltarono verso le strade affollate di Dublino. Improvvisamente tornò alla realtà, i suoi pensieri si concentrarono sul caso. Si trovava a un punto morto con le indagini, la retata a Drumcondra era stata soltanto una perdita di tempo. Aveva arrestato un buon numero di militanti, ma nessuno di loro avrebbe parlato. E comunque c’erano poche possibilità che qualcuno di loro sapesse la verità sull’Aquila.
Aveva bisogno di una svolta decisiva.
 
***

Declan teneva tra le mani la preziosa aquila argentata, ogni suo pensiero era rivolto al destino incerto del tenente. Quell’attesa stava diventando sempre più snervante.
«Non capisco, perché Charles non vuole dirmi nulla? Si tratta della mia missione, perché continua a tenermi all’oscuro?» si lamentò.
Nigel espirò una nuvola di fumo: «sai come è fatto il capitano, vuole sempre avere tutto sotto controllo. Devi fidarti di lui»
Il ragazzo distolse lo sguardo, provava sempre stima e ammirazione per il suo superiore, ma era consapevole che egli dovesse rispettare il suo ruolo di comandante. La Causa era l’unica cosa contava, e lui aveva tradito ciò che era più importante. Era pronto ad affrontare le conseguenze delle sue scelte, ma non voleva arrendersi senza lottare per la vita di Hans. Quella sensazione di impotenza lo stava distruggendo.
«Tu sei esperto nel nascondere militanti e informatori» disse al suo compagno.
«In effetti mi occupo di questo da diverso tempo»
«Quindi hai già vissuto tutto questo»
Nigel si portò la sigaretta alle labbra: «direi proprio di sì»
Declan manifestò sempre di più la sua apprensione: «che cosa pensi che accadrà adesso?»
Egli scosse le spalle: «la spia è qui da fin troppo tempo, questo non è più un posto sicuro»
«Dunque?»
«L’IRA non potrà proteggere quel tedesco ancora per molto e se Maguire non dovesse trovare una soluzione…»
Declan lo interruppe bruscamente: «lo so…so cosa potrebbe succedere…»
Nigel si stupì per la reazione del suo compagno, non l’aveva mai visto in uno stato così fragile e vulnerabile.
Il ragazzo si rifugiò in se stesso tentando di non pensare inevitabilmente al peggio.
Il suo compagno si avvicinò con premura e attenzione.
«Per quale motivo ti importa tanto?»
Il giovane strinse nuovamente il distintivo tra le dita, dentro di sé conosceva bene la risposta a quella domanda.
«Immagino che tu conosca il valore di una promessa»
Egli annuì.
«Tu non tradiresti mai la fiducia di un tuo compagno, vero?»
«No, non potrei mai» affermò l’altro con convinzione.
Declan avvertì gli occhi lucidi: «non avresti paura di perdere qualcuno a cui tieni davvero? Non faresti di tutto per proteggere una persona cara?»
«Suppongo di sì»
Il giovane non aggiunse altro, aveva già rivelato più del dovuto.
«È così che ti senti in questo momento?»
Declan non rispose, si abbandonò sconsolato sulla sedia, non aveva nemmeno più la forza di reggersi in piedi.
Nigel poggiò una mano sulla sua spalla e gli offrì una sigaretta: «prendi, ne hai proprio bisogno»
 
***

Il capitano Maguire osservò il tedesco seduto al lato opposto del tavolo. Il giovane tenente alzò appena la testa, aveva il volto pallido e gli occhi stanchi, in quel momento di sconforto aveva abbandonato anche la sua solita compostezza.
«Prima che lei decida del mio destino avrei una sola richiesta, la prego, per me è importante»
Il comandante dell’IRA acconsentì: «ho notizie piuttosto urgenti da riferirle, ma se la questione è davvero così importante sono disposto ad ascoltarla»
Hans era ormai rassegnato.
«Voglio sapere quale sarà la sorte del soldato O’ Riley»
Charles fu sorpreso da quella richiesta, trovò curioso il fatto che poco tempo prima Declan gli avesse posto la medesima domanda a riguardo del tedesco.
«Per quale ragione desidera saperlo?»
«Perché non voglio che egli sia condannato ingiustamente»
Maguire fu colpito dal senso di responsabilità di quel giovane ufficiale. Non comprendeva il legame che si era creato tra lui e il suo sottoposto, ma doveva riconoscerne l’importanza che aveva acquisito per entrambi.
«Il suo comportamento è stato riprovevole per l’IRA» dichiarò.
Hans dovette ricorrere a tutta la sua forza d’animo per non lasciar trasparire l’intensa sensazione di dolore che aveva iniziato a trafiggerlo come una lama affilata.
«Declan non è un traditore, lui…voleva solo proteggermi come aveva promesso» rivelò.
Il capitano prese un profondo respiro: «ne sono consapevole»
«L’unica colpa di quel ragazzo è di essere fin troppo fedele ai suoi ideali, tanto da aver disobbedito ai suoi ordini per questo»
Charles non poté restare indifferente, la spia stava dimostrando di conoscere a fondo il suo compagno. Quel tentativo di difesa, per quanto disperato, era prova che il tedesco avesse davvero a cuore l’incolumità di Declan. Forse aveva sbagliato nel giudicarlo così severamente.
«Non ho intenzione di condannare il soldato O’ Riley per la sua…be’, possiamo definirla insubordinazione. Certo, non lascerò correre l’accaduto, ma so che egli è un buon soldato, nonostante tutto»
Il tenente fu grato al comandante per la sua sincerità, si rassicurò nel sentire quelle parole, una luce di speranza tornò ad illuminare il suo sguardo. Qualunque sarebbe stata la sentenza dell’IRA era disposto ad accettarla con la consapevolezza che il suo amato avrebbe avuto salva la vita.
Charles poggiò il bicchiere ormai vuoto sul tavolo.
«Il suo tempo qui a Dublino è scaduto, lei deve lasciare l’Isola al più presto»
Hans sgranò le iridi celesti, si stupì nel sentire quella frase, ciò significava che l’IRA gli stava offrendo una via di salvezza. Rapidamente tornò in sé, tentando di comprendere cosa dovesse essere accaduto.
«Siete riusciti a contattare l’Abwehr?» domandò.
L’ufficiale irlandese negò: «l’IRA ha un piano per permetterle di raggiungere la costa francese»
Schneider rimase perplesso.
«In che cosa consiste questo piano?»
«Una nave dell’Irish Naval Service è ormeggiata al porto di Bray. Ovviamente il capitano è uno dei nostri, ha accettato la missione senza alcuna esitazione. La bandiera tricolore dovrebbe consentirle una traversata sicura, per quanto possa essere sicuro il mare in tempo di guerra»
Hans non credette a quelle parole, riteneva di non avere più alcuna speranza e all’improvviso tutto era cambiato. Sembrava troppo semplice.
Maguire notò la sua indecisione.
«Non si fida ancora di me, vero tenente?»
«Dopo tanta diffidenza mi sorprende tutta questa generosità nei miei confronti»
«Lei non sa molte cose, mentre era nascosto qui l’IRA ha fatto di tutto per proteggerla»
Schneider alzò lo sguardo: «suppongo di doverla ringraziare per questo»
«L’IRA rispetta sempre le sue promesse»
«Perché non mi avete permesso di contattare l’Abwehr
«Tenente, ha dimostrato di essere un agente acuto e sagace. Immagino che a questo punto possa giungere da solo alla più ovvia conclusione»
Hans non dovette ragionare a lungo: «voi…non avete più nessuna radio»
«Suppongo che esistano altre ricetrasmittenti in Irlanda, ma non sono in mano nostra. Poco prima del suo arrivo c’è stata una retata, il G2 ha trovato la radio e parte di codici e messaggi»
Hans ripensò a quel che gli aveva confidato Declan, l’IRA doveva salvare le apparenze quando in realtà la situazione era ben più drammatica di quanto i suoi rappresentanti volessero ammettere.
«Questo dimostra quanto sia importante un rapido intervento della Germania, non abbiamo più molto tempo»
L’agente segreto rifletté attentamente, non poteva contestare in alcun modo l’intraprendenza e il coraggio di quei combattenti, ma quel che i militanti pretendevano dall’Esercito tedesco era assurdo.  
Inoltre la questione irlandese si era rivelata decisamente complessa, i suoi superiori avevano sottovalutato la situazione.
«Lei è un elemento importante per l’IRA, i miei superiori vogliono essere certi che torni sano e salvo in Germania per consegnare quei documenti e per portare a termine gli accordi» continuò Maguire.
Schneider non poté far altro che stare al gioco, quella era la sua unica via di fuga, non avrebbe avuto un’altra possibilità. Non sapeva quali sarebbero state le reali conseguenze della sua missione, ma ciò non aveva importanza. Il suo obiettivo era riportare in Patria preziose informazioni militari, non rispettare i patti dell’IRA.    
«Dunque ha davvero intenzione di aiutarmi a fuggire?»
Maguire annuì: «questa è la soluzione migliore per tutti»
 
***

A quell’ora tarda l’enorme salone circolare era deserto. L’ambiente era illuminato dalla luce soffusa delle candele, ovunque si percepiva soltanto freddo e umidità. Lungo le pareti si susseguivano enormi dipinti raffiguranti scorci della città e paesaggi bucolici. Busti di marmo raffiguranti volti severi si alternavano alle enormi librerie di legno antico. Più si addentrava nei corridoi bui e più avvertiva l’intenso odore di polvere e muffa.
Hart salì le scale della biblioteca e a passo svelto raggiunse lo studio del dottor Hales. Bussò con decisione ed insistenza, non dovette attendere a lungo. La porta si aprì con un fastidioso stridio di cardini arrugginiti.
«Tenente, grazie per essere arrivato così in fretta» disse Hales con evidente preoccupazione.
«Speravo di ricevere una sua chiamata»
Il professore esitò: «a dire il vero è stata la polizia di Wicklow a trovare nuovi indizi»
L’inglese parve irritato da quella notizia.
«Per quale motivo non mi hanno avvertito?»
Hales sospirò: «mi dispiace, temo che non tutti si fidino di lei come sto facendo io in questo momento»
Il tenente britannico non si stupì per la diffidenza degli irlandesi, per fortuna il crittografo era rimasto dalla sua parte.
«Avanti, di che si tratta?» lo incitò Hart prendendo posto davanti alla scrivania.
«Gli agenti hanno trovato altri messaggi dell’IRA. Mi sono occupato di tradurli, erano in gaelico. In alcune di queste lettere è nominata l’Aquila»
Radley esaminò i fogli, soltanto l’ultima riga non era stata tradotta in inglese.
«Che cosa c’è scritto?»
«La Stella del Nord brillerà al calar delle tenebre»
Hart sbuffò: «che diamine è? Una poesia?»
«Non credo proprio signore, deve avere un significato. Guardi, queste sembrerebbero altre coordinate»
L’ufficiale confermò: «ha già controllato?»
Hales aprì una vecchia mappa sul tavolo ed indicò un punto preciso.
L’inglese non fu sorpreso nello scoprire la località segreta: «il porto di Bray»
 
 
 


 
 
 
[*] John Keats, Oh! How I love, on a fair summer’s eve

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Capitolo 31
*** Illusioni ***


Ringrazio i fedeli lettori per la costanza e la pazienza. Purtroppo in questo periodo non ho molto tempo da dedicare alla revisione del racconto, ma spero di non farvi attendere troppo per la pubblicazione degli ultimi capitoli.
Un ringraziamento speciale ai carissimi recensori per il prezioso supporto.
 
 
31. Illusioni
 

Declan ascoltò con estrema attenzione le indicazioni del suo comandante, il quale aveva provveduto a pianificare ogni particolare nei minimi dettagli. Il capitano non aggiunse alcun commento personale sulla questione, limitandosi ad esporre chiaramente il piano al suo sottoposto. Al termine del discorso Maguire alzò la testa per osservare il volto del suo compagno.
«È tutto chiaro?» domandò.
O’ Riley annuì.
«Bene…non sei più un novellino, quindi suppongo di non doverti dare altre raccomandazioni»
Il giovane si stupì per il comportamento del suo superiore, ormai era abituato alle eccessive premure che manifestava nei suoi riguardi, preoccupandosi per lui prima di ogni missione.
«I tuoi consigli mi sono sempre stati utili» ammise vincendo in parte il suo orgoglio.
«Già, ma da quel che ricordo hai sempre preferito fare di testa tua»
Declan pensò di essersi meritato quel rimprovero.
«Ero soltanto un ragazzino testardo quando ho deciso di unirmi all’IRA»
Maguire provò una certa malinconia ripensando al loro primo incontro.
«Spero solo che questa storia possa concludersi al più presto» concluse con estrema freddezza.
Declan non riuscì a lasciar andare il suo compagno in quel modo.
«Aspetta…»
Maguire si fermò al centro della stanza.
«Che altro c’è?» chiese con aria infastidita.
«Volevo ringraziarti»
Il capitano si voltò mostrando un’espressione perplessa.
«Per che cosa?»
«Per esserti fidato di me e per aver concesso una possibilità al tenente Schneider»
Charles scosse il capo.
«Non è stata una mia decisione. Il Comando del Nord è convinto che la spia dell’Abwehr possa essere la nostra ultima possibilità per ottenere il supporto della Germania. Per questo mi è stato ordinato di provvedere alla sua fuga»
Il giovane cercò di fare del suo meglio per nascondere la propria delusione. Sapeva di non poter pretendere nulla dal suo comandante, non dopo quel che era successo.
«Credi che per me sia semplice affrontare questa situazione?» chiese Maguire notando la sua espressione affranta.
Declan rimase in silenzio.
Il capitano sbuffò: «avrei dovuto prendere gli adeguati provvedimenti quando ti sei rifiutato di eseguire i miei ordini per la prima volta»
«In fondo però sapevi di non poter affidare questa missione a nessun altro» replicò il ragazzo.
«Fin dal primo momento ero certo che la tua ostinazione mi avrebbe creato problemi, ma devo ammettere di averti sempre ammirato la tua determinazione. Ero convinto che una buona guida avrebbe potuto trasformare la tua avventatezza in eroico coraggio. E nonostante tutto non ritengo di essermi sbagliato»
O’ Riley si stupì nel sentire quelle parole.
«Per quanto assurdo e insensato, il tuo è stato un atto di coraggio»
«Sono consapevole di essere un traditore per l’IRA»
Charles non era intenzionato ad affrontare la questione in quel momento, ma non riuscì a trattenersi dall’esporre i suoi dubbi.
«Un semplice traditore non si sarebbe comportato in quel modo. Hai messo a rischio la tua vita per proteggere quel tedesco…quello che non riesco a capire è perché hai fatto una cosa del genere»
«Il tenente Schneider si è rivelato essere un ufficiale leale e onorevole, non avrei mai potuto permettere che venisse condannato ingiustamente»
Il capitano lo guardò negli occhi: «dunque non hai alcun rimorso per quel che hai fatto?»
Il ragazzo rispose in piena sincerità: «no, dentro di me so che non avrei potuto agire diversamente»
Maguire avvertì una fitta di dolore, quelle parole lo ferirono come una pugnalata in pieno petto. Fu costretto a ricorrere a tutta la sua forza d’animo per porre fine a quella conversazione.
«Adesso il tuo unico obiettivo deve essere portare a termine la missione che ti è stata assegnata»
Declan percepì una profonda amarezza nel tono del suo comandante. Il giovane non poté far altro che annuire e congedarsi con la consapevolezza che, qualunque sarebbe stata la decisione definitiva di Maguire, egli non sarebbe riuscito a perdonarlo.
 
***

Julia strinse tra le dita il fermaglio argentato avvertendo il volto inumidito dalle lacrime.
Osservando quel prezioso dono la ragazza non poté evitare di ricordare gli eventi di quella notte. Quando aveva conosciuto James egli si era presentato come un giovane onesto e gentile, dedito al suo dovere, dall’animo puro e di buon cuore. Non poteva credere che quelle fossero soltanto menzogne.  
Nei suoi confronti James era sempre stato leale e sincero. Il loro rapporto era basato su sentimenti puri e profondi.
Julia non si era mai illusa a riguardo di quella relazione, sapeva che non sarebbe stato semplice amare un uomo in divisa, ma questo non era mai stato un ostacolo per lei. Aveva accettato i compromessi, consapevole che il suo incarico come agente del G2 avrebbe sempre avuto un ruolo centrale nel loro rapporto. Era stata paziente e comprensiva in ogni occasione, aveva sostenuto Donnelly nelle sue notti di sconforto, quando il suo animo era dilaniato da sensi di colpa o da preoccupazioni per ragioni destinate a restare oscure e misteriose. Anche nei momenti più difficili era rimasta a fianco dell’amato, aveva condiviso il suo dolore, alleviando i suoi tormenti e le sue sofferenze. Non aveva mai preteso di conoscere la verità, era certa che qualunque fosse il suo segreto non avrebbe potuto cambiare ciò che provava per lui.
Aveva scelto di riporre fiducia nella persona che amava, non provava alcun rimorso per questo.
Julia ripensò ai sospetti e alle accuse del detective Sullivan, inizialmente aveva cercato di giustificare il suo compagno credendo che tutto ciò fosse soltanto un assurdo malinteso, ma pian piano i dubbi avevano cominciato ad insinuarsi nella sua mente. Nonostante ciò si era ostinata a difendere James anche quando le certezze sulla sua innocenza avevano iniziato a vacillare.
Aveva pensato concretamente alla possibilità che egli fosse colpevole, ma anche in quella circostanza non era riuscita a considerarlo soltanto un criminale. Era convinta che le sue intenzioni fossero sempre state buone, anche nel caso in cui avesse commesso i suoi errori. Forse avrebbe potuto comprendere meglio le sue motivazioni se avesse saputo la verità, ma ormai nemmeno questo aveva più importanza.
Non aveva intenzione di abbandonare James al suo destino, temeva però che il suo amore non sarebbe stato sufficiente a salvarlo.
 
***

In un freddo e polveroso appartamento non troppo distante dall’East End di Londra un giovane uomo di nome Robert Heaney conduceva una precaria, ma eccitante esistenza. Aveva lasciato gli studi universitari per unirsi a un gruppo di attivisti socialisti, trovando compagni fedeli e determinati. Credevano in grandi ideali ed erano abbastanza giovani per pensare di poter cambiare il mondo. Partecipavano a manifestazioni, assemblee e rivolte. Combattevano nella polvere e nel sangue, incassando pugni e manganellate, orgogliosi di portare avanti la loro lotta contro le ingiustizie della società.
Tra di loro Robert aveva trovato un prezioso amico, un giovane e ardimentoso adepto di nome Tom.
E poi c’era Daisy, sua sorella, un raggio di sole in quella tempesta. La ragazza non era coinvolta in quei loschi affari, ma offriva spesso aiuto e ospitalità ai compagni di lotta del fratello. Robert si era innamorato di lei, anche se allora non riteneva che ciò fosse possibile. Credeva di aver solo bisogno di qualcosa di più, qualcosa di umano e vero, qualcosa che potesse fargli dimenticare chi fosse in realtà. Per un breve periodo quel sentimento era stato il suo unico conforto.
Ma Daisy sapeva che Robert nascondeva un pericoloso segreto. Non era certa di come l’avesse capito, forse l’aveva avvertito fin dal primo momento, dalla tristezza del suo sguardo, dall’amaro sapore dei suoi baci, oppure dalla disperata passione con cui faceva l’amore con lei.
Poi Robert Heaney era scomparso all’improvviso, così come era apparso nel nulla tra la scura polvere e la densa nebbia dell’East End.
 
La verità era che non era mai esistito nessun Robert Heaney. Documenti falsi, storie inventate…per un agente dell’Intelligence era stato facile impadronirsi di un’identità fittizia per scavare negli ambienti socialisti in cerca di informazioni riguardanti i loro leader. Un grosso carico di armi rubate era stato nascosto tra i docks di Londra, i servizi segreti britannici erano intervenuti in tempo, recuperando il prezioso contenuto e arrestando i principali responsabili, tra i quali anche il fratello della bella Daisy.  
Era stato un gran successo, la riuscita dell’operazione aveva accresciuto la reputazione del giovane agente, permettendogli di fare carriera. Eppure il protagonista di quella impresa non era stato affatto soddisfatto di se stesso. Aveva servito la sua Patria tradendo persone oneste e leali che si erano fidate di lui e perdendo l’unica donna che avesse mai amato.
In quel momento l’agente segreto aveva capito di non potersi permettere alcun tipo di coinvolgimento nelle sue missioni. Ciò avrebbe potuto compromettere il suo ruolo, sarebbe stato troppo rischioso esporsi in quel modo. Le relazioni personali lo rendevano vulnerabile, era la prima nozione che aveva imparato e la prima regola che aveva infranto. Non poteva più permettersi simili mancanze.
Così era riuscito a farsi strada in quel mondo, rinunciando definitivamente a quella parte di sé ancora legata ad affetti e sentimenti.
 
Hart si riprese da quei pensieri avvertendo una profonda sensazione di sconforto. Era trascorso tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva rammentato quegli avvenimenti e proprio in quel momento determinati ricordi erano riaffiorati nella sua mente. Probabilmente era stata la vicenda di James a risvegliare in lui le memorie del passato.
Erano ormai passati diversi anni, eppure provava ancora malinconia e tristezza ogni volta che ripensava a Daisy. Credeva che con il tempo sarebbe riuscito a dimenticarla, ma non era stato così. 
Quella ragazza era stata la sua unica eccezione, forse era questo a renderla così speciale. Era l’ideale di qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.
Più volte si era domandato per quale motivo lei non avesse deciso di tradirlo, era certo che avesse sempre saputo la verità. Era ovvio che se lei avesse rivelato il suo segreto l’avrebbe sicuramente condannato.
Provava sincero rammarico al pensiero che il suo silenzio fosse stato prova del suo amore.
 
Il tenente riempì nuovamente il bicchiere di whiskey, quello non era il momento di abbandonarsi alla malinconia e ai rimpianti. Doveva prepararsi per tornare in azione, non poteva permettersi alcuna distrazione dal suo obiettivo.
Hart ripensò alle parole del suo compagno: non vorrei che questa caccia al tedesco dovesse diventare una questione personale.
Barry aveva colpito nel segno, pur conoscendo solo parte della verità. C’era un motivo per cui quella missione era così importante per lui.
 
L’ufficiale seduto dietro alla massiccia scrivania di legno scuro l’aveva squadrato con estrema attenzione, quasi come per accertarsi che egli fosse realmente davanti ai suoi occhi.
«Agente Radley Hart, nome in codice: Fox»
Egli si era limitato ad annuire.
«Lei è stato un ottimo agente, probabilmente il migliore della sua unità…ma a Liverpool ha commesso un grave errore»
Il giovane aveva risposto prontamente: «sono disposto ad assumermi le mie responsabilità»
«Ho letto più volte il rapporto. Lei ha disobbedito agli ordini, la missione è fallita, la spia che doveva catturare è riuscita a fuggire e a causa del suo ingiustificabile colpo di testa due suoi colleghi hanno perso la vita»
Hart aveva avvertito un nodo alla gola e gli occhi lucidi, per un istante aveva rivisto i corpi inermi dei suoi compagni distesi in una pozza di sangue.
«È stata colpa di un imprevisto, le cose non sarebbero dovute andare in quel modo» aveva tentato di spiegare con voce tremante.
«Lei era al comando dell’operazione, è stata sua la decisione di agire»
Radley aveva chinato il capo restando in silenzio, non aveva potuto replicare in alcun modo, era consapevole delle sue responsabilità.
Il suo comandante era tornato ad esaminare i fogli che teneva tra le mani.
«Ho visto che ha superato gli esami fisici, ma il medico ha detto che dovrebbe restare a riposo ancora per un po’. È rimasto a lungo in ospedale tra la vita e la morte. Aveva un proiettile conficcato nel petto, una ferita del genere avrebbe potuto ucciderla!»
«Ma non è successo. Io sono qui davanti a lei, ho superato le prove e sono pronto a tornare in azione» aveva ribattuto fremendo per l’impazienza.
«Mi dispiace, non posso autorizzarla a tornare in campo. Anzi, temo proprio che la sua carriera come agente sotto copertura sia destinata a concludersi qui»
«Ha intenzione di sollevarmi dal mio incarico?»
«Considerando l’accaduto questo è inevitabile»
«Dunque vuole sbarazzarsi di me?»
«Non sto dicendo questo. L’MI5 ha altri progetti per lei»
Hart era rimasto diffidente: «di che sta parlando?»
«Ha molta esperienza con i ribelli irlandesi, come sa la situazione al confine è sempre più preoccupante. La polizia di Belfast sarà sicuramente lieta di collaborare con qualcuno come lei»
Radley aveva scosso il capo: «non posso crederci…vuole liberarsi di me in questo modo?»
Il suo superiore aveva lasciato scivolare la cartella sulla superficie del tavolo.
«Questi sono gli ordini, agente Hart. Non può discutere a riguardo»
Radley aveva riconosciuto di ritrovarsi con le spalle al muro, non avrebbe potuto fare altro che accettare quelle condizioni o rinunciare per sempre alla sua carriera militare.
«Deduco che questa sia la mia punizione»
«Non poteva pensare che non ci sarebbero state conseguenze» era stata la fredda risposta.
Radley aveva stretto i pugni fino ad avvertire le unghie conficcarsi nella pelle, faticando per mantenere un degno autocontrollo.
«Sono certo che si troverà bene sotto alla Mano Rossa dell’Ulster» aveva commentato l’ufficiale mostrando un sorriso sghembo.
«Non mi sta lasciando altra scelta»
«Si preoccupi soltanto di compiere al meglio il suo dovere. In passato ha dimostrato di essere un agente di valore, chissà…magari in futuro potrà avere una nuova occasione per riscattarsi»
 
Gli occhi scuri del tenente brillarono nella penombra della stanza, aveva atteso a lungo quel momento, quella era la sua unica possibilità per dimostrare il suo valore ed espiare le sue colpe. Desiderava riconquistare la piena fiducia dei suoi superiori, sentiva di non avere altro scopo nella sua vita. Era stanco di convivere con i fantasmi del passato, non aveva alternative se non affrontare la questione una volta per tutte.
Il fatto che l’avessero ritenuto degno di quell’incarico era già un segnale positivo, ma a quel punto non poteva fallire. In quella faccenda non c’era in gioco soltanto la sua reputazione, il destino della guerra avrebbe potuto dipendere dall’esito della sua missione.
Hart buttò giù l’ultimo sorso di whiskey. Questa volta era determinato a portare a termine il suo compito senza commettere sbagli.
Non avrebbe potuto far fronte ad una sconfitta: doveva catturare l’Aquila ad ogni costo.
 
***

Hans ammirò dalla finestra un panorama insolito ai suoi occhi, riusciva a distinguere fin troppe luci nella notte. Nonostante l’ordine del coprifuoco non tutti gli edifici erano stati completamente oscurati. In quella città la guerra sembrava ancora lontana, tanto da poter ancora vivere senza il timore dei bombardamenti.
Il tenente si domandò quale sarebbe stata la sorte di quell’Isola. La Libertà appariva come una lontana illusione anche dopo anni di sanguinose guerre e atroci sofferenze. E quella Pace precaria era più dolorosa di qualsiasi conflitto per un esercito di coraggiosi soldati costretti a nascondersi come comuni criminali.
Forse per loro l’alleanza con la Germania era davvero l’unica possibilità, ma due Nazioni così simili e opposte allo stesso tempo difficilmente avrebbero potuto trovare un punto di equilibrio. La sconfitta dell’Inghilterra poteva essere un vantaggio per entrambe le parti, ma forse questo obiettivo comune non sarebbe stato sufficiente. La Germania doveva vincere la guerra, mentre l’Irlanda sognava l’Unità.
Il tenente si allontanò dalla finestra e tornò a sedersi a fianco del suo compagno, il quale non aveva ancora detto una parola dopo il suo ritorno nel rifugio.
«Il tuo comandante ti ha rivelato i particolari del piano?» domandò Hans manifestando una certa apprensione.
Il giovane annuì: «domani sera prenderemo l’ultimo treno per Wicklow, non devi preoccuparti per il viaggio, non avremo problemi con i documenti forniti dall’IRA. Arriveremo a Bray con l’oscurità. Quando avremo raggiunto il porto potrai considerarti al sicuro»
«Credi che potrebbero esserci complicazioni?» domandò.
L’irlandese non poté rispondere con certezza.
«Temo di doverti chiedere ancora una volta di fidarti dell’IRA»
Hans tentò di non esternare troppo la sua preoccupazione mascherandola dietro a un debole sorriso: «fino ad ora non mi sono pentito per questa scelta»
Declan rinnovò la sua promessa: «sai che in ogni caso resterò al tuo fianco»
L’ufficiale avvertì il peso delle sue responsabilità: «hai fatto anche troppo per me»
«Ho svolto il mio dovere come un buon compagno»
Hans comprese il significato di quelle parole, per i militanti dell’IRA essere compagni era come essere fratelli, indicava un legame che andava oltre alla condivisione di valori e ideali. Poteva associare questo concetto al cameratismo, ma in realtà era qualcosa di più.
Il tedesco ripensò a quel che Declan gli aveva detto durante i primi giorni di convivenza, probabilmente era questo che significava essere soldati dell’Esercito del popolo. 
Sapeva che Declan era venuto a meno dei suoi doveri per proteggerlo, e poteva solo immaginare quanto potesse essergli costato tutto ciò.
In quel momento decise di rivelargli ciò che gli era stato riferito dal suo comandante.
«Il capitano Maguire mi ha garantito che non sarai condannato per avermi protetto, non ho motivi per dubitare della sua parola»
L’irlandese fu sorpreso: «hai discusso del mio destino con Charles?»
«Volevo assicurarmi che tu fossi al sicuro»
«Non avresti dovuto preoccuparti, quella tra me e Maguire non è una questione che ti riguarda»
«Probabilmente hai ragione, ma…dovevo dire al tuo comandante la verità»
«Ovvero?»
«Che tu sei sempre rimasto fedele ai tuoi ideali»
O’ Riley apprezzò il gesto del compagno, ma dubitò che questo avrebbe potuto cambiare le cose.
«Sai, credo che il tuo comandante tenga davvero a te. Sei un buon soldato, nonostante tutto non vuole perderti» constatò il tedesco.
Declan parve rassicurarsi nel sentire quelle parole.
«Che cosa farai quando la tua missione sarà conclusa?» continuò Hans.
La risposta del giovane militante fu piuttosto ovvia.
«Continuerò a combattere per la Libertà della mia terra»
«Sarai costretto a fuggire e nasconderti come gli altri militanti»
«Farò quel che sarà necessario per il bene della mia Nazione»
Hans esitò qualche istante, poi rivolse al suo compagno uno sguardo afflitto.
«Mi dispiace» ammise con sincero rammarico.
Declan non capì: «per che cosa?»
Il tenente prese un profondo un respiro.
«Con te voglio essere sincero, non posso mentirti. Quello che l’IRA pretende dalla Germania non potrà mai realizzarsi»
Il ragazzo sgranò i suoi occhi verdi: «di che stai parlando?»
«Non ho mai avuto l’intenzione di ingannarti. Credo davvero in tutto quel che ti ho detto a riguardo di questa alleanza, ma…le cose qui si sono rivelate ben più complesse del previsto. I rapporti tra l’IRA e l’Abwehr sono vantaggiosi per entrambe le parti, ma temo che non possiate sperare in nulla di più. La Germania ha bisogno di certezze per vincere questa guerra»
Declan non fu in grado di nascondere del tutto la propria delusione, ma riuscì a comprendere i limiti di quegli accordi. In fondo era sempre stato convinto che non sarebbe stata quella guerra a rendere libera la sua Patria.
«Ti ringrazio per avermi detto la verità»
Hans strinse la sua mano e lo guardò negli occhi.
«Non volevo abbandonarti con una falsa illusione»
Declan fu costretto a fronteggiare la realtà, in ogni caso quella era l’ultima notte che avrebbero trascorso insieme. Da un lato questo pensiero era rassicurante poiché sapeva che Hans sarebbe stato al sicuro lontano dall’Irlanda, ma dall’altra parte quella separazione era fonte di profondo dolore.
Il ragazzo poggiò dolcemente la testa sulla spalla del suo compagno.
«Posso chiederti una cosa?» domandò con un lieve sussurro.
Il tedesco annuì.
«Quando hai sorvolato l’Isola, almeno da lassù hai avvertito il vento della Libertà?»
Schneider sorrise, stringendo il giovane a sé in un caldo abbraccio: «certo, era un vento forte e impetuoso, difficile da governare, ma era impossibile ignorare il suo richiamo»
Declan socchiuse gli occhi, provando ad immaginare le sensazioni evocate dal pilota. Una parte di sé volle credere nel significato di quelle parole.
I due restarono stretti l’uno all’altro, abbandonandosi a tenere carezze e baci appassionati.
In quegli ultimi istanti da condividere entrambi avevano bisogno di conforto e speranza.

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Capitolo 32
*** Bray (Parte I) ***


 
32. Bray

Parte I
 

James si destò avvertendo una presenza nella stanza, riconobbe il profilo del nuovo arrivato appena i suoi occhi si furono abituati alla luce.
«Tenente…»  
Radley rimase ad osservarlo con distacco, freddo e inespressivo.
Il giovane comprese immediatamente le ragioni di quella visita: «ero certo che avresti scoperto la verità»
«Temo che non ci sia molto da dire a riguardo, ma c’è una cosa che proprio non riesco a comprendere…»
Donnelly mantenne apparentemente la calma.
«Che vuoi sapere?»
«Perché hai rischiato la vita per salvarmi? Tutto stava procedendo secondo i piani dell’IRA, non avevi più motivazioni per continuare a proteggere un agente della Corona»
James distolse lo sguardo: «deve esserci una ragione per ogni cosa?»
«La tua scelta non è stata quella di un traditore»
«Io…volevo solo fare la cosa giusta. Per una volta ho scelto di agire secondo la mia volontà e non per obbedire agli ordini»
Hart rifletté su quelle parole, il suo istinto gli suggeriva che egli fosse sincero.
«Sei stato un abile doppiogiochista, ma sei caduto nell’errore più grave che potessi commettere, hai dimenticato tu stesso quale parte servire»
«Credevo che l’IRA avrebbe potuto liberare l’Irlanda, ma mi sbagliavo. Tutto ciò che i ribelli sono riusciti ad ottenere è stato un inutile spargimento di sangue»
Hart ripensò alla riluttanza del suo compagno tra la polvere e i detriti delle caserme McKee e davanti al cadavere del giovane informatore. Il suo turbamento non era stato determinato dall’emotività o dall’inesperienza, ma dai sensi di colpa e dai rimorsi.
«Dunque riconosci e ammetti i tuoi errori»
«Non è così semplice. Ritieni che abbia sbagliato a credere nei valori del mio popolo?»
«No, non sto dicendo questo. So bene cosa significa combattere per un ideale, non posso biasimarti per aver permesso alla speranza di offuscare la ragione»
Donnelly non si aspettava tanta comprensione da parte del tenente.
«Le cose si sono rivelate diverse da quel che pensavo. L’IRA ha solo cercato di sfruttarmi a suo piacimento, mentre per l’Esercito non sono mai stato altro che l’ombra di mio padre»
«E tu? Che cosa volevi veramente?»
James trovò particolarmente difficile trovare una risposta a quella domanda, ormai temeva di aver dimenticato chi fosse in realtà.
«Il mio unico intento, nel bene e nel male, è sempre stato quello di fare il mio dovere per l’Irlanda»
Hart non restò indifferente davanti a una simile dichiarazione.
«Che significato ha adesso il tuo dovere?»
Il ragazzo abbassò lo sguardo con evidente sconforto: «non lo so…»
«Devi tornare a prendere il controllo di te stesso, senza più dare ascolto al volere dell’IRA o all’eredità di tuo padre»
James non capì: «perché ti ostini a fidarti di me dopo tutto quello che ho fatto?»
«In un modo o nell’altro ho avuto prova delle tue capacità. Sarebbe un peccato perdere un agente così promettente»
«Non sono un agente dei servizi segreti, sono soltanto un vile traditore»
Il tenente scosse il capo: «hai dimostrato di essere migliore di quel che credevi»
«Che importa? Ormai è troppo tardi»
Hart sospirò: «in realtà ci sarebbe ancora una possibilità, ma per questo dovrai essere tu a decidere. Questa volta non potrai avere dubbi o ripensamenti, sarà la tua scelta definitiva»
Donnelly rivolse al suo vecchio compagno uno sguardo sospeso tra la diffidenza e la speranza.
 
«Spero che tu decida con il giusto buon senso» concluse l’inglese dopo aver avanzato la sua proposta.
James non osò ancora esprimere alcun parere a riguardo.
Hart si rialzò dalla sua postazione: «non so se ci rivedremo, in ogni caso voglio che tu sappia che non mi sono pentito per averti protetto. Sono consapevole di aver fallito nel mio ruolo, forse per una volta anche io ho creduto di fare la cosa giusta disobbedendo agli ordini»
Il giovane si stupì, nonostante tutto il tenente aveva deciso di confidarsi con lui con estrema sincerità.
«Che hai intenzione di fare adesso?»
«Devo portare a termine la mia…la nostra missione» rispose con estrema determinazione.
Donnelly ebbe un lieve sussulto: «sei riuscito a scoprire il nascondiglio del tedesco?»
«Sappiamo che l’Aquila tenterà la fuga dall’Irlanda questa notte, resta l’ultima occasione per catturarla»
James non riuscì a nascondere del tutto la sua preoccupazione, sapeva che Hart era intenzionato fermare il nemico ad ogni costo e questo pensiero continuava a turbarlo profondamente.
 
***

La stazione era ormai deserta, l’ultimo treno diretto a Wicklow era fermo sui binari.
Hans continuò a camminare mantenendo la testa china e le mani in tasca, Declan restò al suo fianco per tutto il tragitto.
I due si fermarono sulla banchina, non volevano dare l’impressione di avere troppa fretta di salire su quel vagone, c’era ancora tempo prima della partenza.
Declan si accese una sigaretta e approfittò di quell’occasione per guardarsi intorno. Non notò nulla di allarmante e nessuna presenza sospetta.
Il tedesco si sistemò il berretto cercando di imitare il suo compagno.
«Sembro ancora uno di quei jackeen di Dublino?» domandò.
Declan ricordò il modo in cui l’aveva schernito al loro primo incontro.
«No, adesso sembri proprio un vero irlandese» rispose con un sincero sorriso.
 
Il vagone era quasi vuoto, i pochi viaggiatori non prestarono alcuna attenzione ai due giovani, i quali presero posto scegliendo la zona più isolata e appartata. Entrambi si guardarono introno con circospezione, in quei casi la prudenza non era mai troppa. Quando furono certi che nessuno potesse ascoltarli tornarono a discutere del piano.
Il tedesco non esternò i suoi dubbi per non allarmare il compagno, ma l’altro intuì con una certa facilità i suoi pensieri.
«In ogni caso non saremo soli» rivelò Declan per rassicurarlo.
«Che significa?»
«La zona sarà sorvegliata da una squadra di Wicklow»
Hans non fu sorpreso: «è stato il capitano Maguire a organizzare tutto?»
Egli annuì.
«Le autorità potrebbero essere a conoscenza del piano?»
Declan non poté fornire una risposta certa.
«Il porto di Bray non è un posto sicuro, ma è la nostra unica possibilità»
Hans cercò di non esternare la propria preoccupazione. Ovviamente era intenzionato a fare tutto il necessario per portare a termine la sua missione, ma allo stesso tempo si sentiva responsabile per la sorte di Declan. Aveva promesso a se stesso di proteggere quel ragazzo,
Declan aveva già dimostrato più volte di essere disposto a rischiare la vita per salvarlo, non pretendeva altre prove della sua fedeltà. Ora i ruoli si erano scambiati, doveva essere lui a salvaguardare l’incolumità dell’irlandese. Se a Bray la situazione si fosse rivelata troppo pericolosa non avrebbe esitato a impedirgli di seguirlo nella sua fuga, anche a costo di tradire la sua fiducia.
Dopo aver preso quella sofferente decisione Hans tornò alla realtà, tentò di distrarsi dai pensieri più cupi e opprimenti cercando un’ultima volta conforto in quegli intensi occhi verdi.
 
Il viaggio proseguì tranquillamente fino alla fermata di Dalkey, dove salirono alcuni poliziotti. Hans controllò la situazione dal finestrino, l’espressione sul suo volto rimase impassibile. Declan decise di stare al gioco, esternare ansia o preoccupazione avrebbe soltanto peggiorato la loro condizione. Ancor peggio sarebbe stato tentare la fuga.
Il tedesco scambiò uno sguardo d’intesa con il suo compagno, quella era la prova definitiva che avrebbe stabilito se l’IRA aveva realmente rispettato gli accordi.
Gli agenti della Garda iniziarono a perlustrare i vagoni, non sembravano cercare qualcuno in particolare, ma qualcosa pareva turbarli.
Un poliziotto si fermò davanti ai due giovani.  
«Biglietti e documenti, prego»
Senza alcuna esitazione il tedesco gli mostrò i documenti falsi forniti dall’IRA.
L’uomo non si soffermò più del necessario, a stento si assicurò che la foto fosse abbastanza somigliante alla persona davanti a sé. Con la stessa superficialità controllò le carte di Declan.
«È successo qualcosa?» domandò Hans fingendo ingenua curiosità.
«No, si tratta soltanto delle nuove procedure di sicurezza. Sembra che tutti siano impazziti a causa della guerra…ad essere sincero io non comprendo tutto questo allarmismo»
«I giornali sono convinti che la guerra arriverà presto anche qui»
«Non credo che ciò sia possibile. Noi siamo neutrali e la Corona non può più sfruttarci come ai tempi della Grande Guerra, dico bene?»
«Già, sarebbe assurdo» commentò Declan nella speranza di concludere al più presto quella conversazione.
Il poliziotto riconsegnò i documenti nelle loro mani, sembrava che tutto fosse in regola.
«Godetevi il fine settimana, dicono che il tempo sarà perfetto per la pesca!»
Hans rispose con un rassicurante sorriso, Declan invece rimase serio scambiando soltanto un lieve cenno per congedarsi.
L’uomo si allontanò di qualche passo, poi all’improvviso si fermò e frettolosamente tornò indietro.
«Signori, scusate ancora un momento…»
Declan sfiorò la pistola all’interno della giacca, pronto ad estrarla in caso di necessità.
Il poliziotto poggiò una mano sulla spalla del tedesco: «per caso avete una sigaretta? Temo di aver finito la mia scorta»
O’ Riley si rilassò, cambiò taschino e tirò fuori una delle sue Sweet Afton.
«Grazie, molto gentile. Mia moglie non sopporta il fumo e dice che dovrei smettere, ma sapete com’è…i turni di notte sono così estenuanti!»
 
***

L’agente Flanagan si massaggiò i polsi doloranti e arrossati finalmente liberi dalla stretta delle manette. Il collega con le chiavi in mano non osò guardarlo in volto, probabilmente ancora dubitava della sua completa innocenza. Nonostante ciò aveva obbedito agli ordini del detective Sullivan, quell’uomo restava senza dubbio un nazista, ma non era lui il traditore.
L’agente McKenna restò ad osservare la scena con le spalle al muro e le braccia incrociate al petto. Scosse il capo con aria delusa e affranta, l’espressione severa sul suo viso era prova della sua disapprovazione per la decisione del suo superiore.
Flanagan si fermò davanti a lui: «credo proprio che lei mi debba delle scuse»
Devin alzò lo sguardo senza riuscire a nascondere l’astio nei suoi confronti: «in ogni caso ci saranno delle conseguenze»
«Non sono un criminale»
«Ha mentito durante un interrogatorio ufficiale e la sua condotta ha compromesso le indagini, non penso proprio che potrà continuare ad indossare questa divisa ancora a lungo»
«Potrei supporre lo stesso per lei e il suo caro detective se non riuscirete a risolvere il caso in tempo. La sparatoria dell’altra notte ha aumentato il numero delle vittime, ricordo anche l’attentato alla caserma McKee…almeno io non ho morti sulla coscienza»
Il poliziotto al suo fianco avvertì la tensione, con impeto trascinò via Flanagan spingendolo verso il corridoio prima che la situazione potesse degenerare.
Ancora scosso per l’accaduto Devin si incamminò nella direzione opposta in cerca del suo compagno, aveva bisogno di una spiegazione più che convincente per giustificare il rilascio di un simile sospettato.
 
Appena raggiunse l’ufficio del detective entrò con impeto senza nemmeno bussare.
«Flanagan è un uomo libero»
L’altro si limitò ad annuire senza lasciar trasparire alcun genere di coinvolgimento.
«Che cosa ha intenzione di fare? Avevamo un uomo pronto per essere condannato e lei ha voluto rilasciarlo!» protestò Devin con irruenza.
«È questo il suo ideale di giustizia? Condannare il primo sospettato che capita sottomano? Dannazione, non si vergogna per quel che ha appena detto?»
McKenna tentò di giustificarsi: «egli non è innocente»
«Non sia così impulsivo agente, sappiamo entrambi che Flanagan è un bastardo, ma questo non ha nulla a che fare con il caso»
«È un nazista» insistette.
«Questo dimostra soltanto che non è lui la spia dell’IRA. Il nostro uomo è un repubblicano infiltrato nei servizi segreti, non un esponente del partito»
«Sta pensando al sottotenente Donnelly?»
Paul confermò.
«La sua sarebbe una copertura perfetta, ma quale motivo avrebbe per collaborare con l’IRA? Perché avrebbe scelto di tradire gli ideali del padre? Insomma, potrebbe avere quel che ognuno di noi desidera, chiunque lo considera come il degno erede di un eroe di guerra. Perché rinunciare a tutto questo?»
Sullivan rifletté qualche istante prima di rispondere.
«Perché il sottotenente Donnelly non è un sostenitore del Trattato, per lui suo padre non è un eroe, ma un traditore»
Il suo sottoposto rimase perplesso: «come può saperlo?»
«Ho avuto modo di indagare a fondo sul nostro sospettato. Donnelly non prova né stima né rispetto per suo padre, tanto da non voler nemmeno ricordare la sua figura»
«Questa è una prova?» domandò Devin con evidente scetticismo.
«È un indizio che non possiamo trascurare»
«E il tenente Hart? Se Donnelly fosse davvero la spia di certo l’IRA avrebbe già attentato alla sua vita»
«Certo, sarebbe così, a meno che l’IRA non fosse interessata a conoscere le intenzioni dell’Intelligence. Questo spiegherebbe anche perché quell’inglese non è ancora riuscito a catturare l’agente tedesco: hanno saputo anticipare le sue mosse»
«Pensa che un agente esperto e competente come il tenente Hart non abbia avuto alcun sospetto?»
«Vuole sapere la mia opinione? Io sono convinto che Hart conosca già da tempo la verità, ma che non abbia parlato per portare avanti indisturbato le sue indagini»
«Sono solo altre supposizioni»
«Un agente britannico non rifiuterebbe protezione in Irlanda se non nascondesse qualcosa»
«È tutto così…complicato»
«No, non è complicato quando si intuisce il meccanismo. Ognuno ha il suo obiettivo ed è disposto a tutto per portare a termine la sua missione, in certi casi anche a collaborare con il nemico»                                                                              
Devin si arrese: «d’accordo…allora…qual è la nostra prossima mossa?»
«Aspettare»
McKenna non capì: «aspettare che cosa?»
«Ho dato l’ordine di arrestare Julia Hannigan in quanto collaboratrice dell’IRA»
Devin collegò rapidamente quel nome al caso.
«Possiamo farlo?» domandò con esitazione.
«Da quando l’Irlanda si trova in Stato di Emergenza è stato stabilito che chiunque sia sospettato di avere rapporti con organizzazioni illegali possa essere arrestato e internato per garantire la sicurezza della Repubblica»
McKenna percepì un brivido di inquietudine.
«Ritiene di poter ottenere una confessione tramite il ricatto?»
Sullivan si accese una sigaretta con aria soddisfatta.
«Ne sono certo»
 
***

Il tenente Hart osservò il profilo delle colline in lontananza dal finestrino dell’automobile.
«Siamo quasi arrivati signor tenente» lo informò l’agente alla guida.  
«Bene, non abbiamo molto tempo. Una squadra dell’Unità Speciale dovrebbe già essere sul posto…»
«Sì, signore. Sono tutti in attesa dei suoi ordini»
Hart parve soddisfatto da quella notizia. Per una volta sembrava che tutto stesse procedendo come previsto. Quella volta non poteva concedersi errori, era disposto a giocarsi il tutto per tutto per catturare quella spia. Sapeva che se avesse semplicemente circondato il porto avrebbe soltanto permesso all’Aquila e ai suoi alleati di scoprire il suo piano. Sarebbe stato un fallimento, non avrebbe avuto un’altra occasione per scoprire i futuri piani dell’IRA senza il prezioso aiuto di James.
La soluzione migliore sarebbe stata illudere la spia di poter fuggire, ciò significava che avrebbe dovuto esporsi a un maggior rischio senza un’adeguata copertura. Ma questo non aveva molta importanza, non era di certo la prima volta che si trovava ad affrontare una simile situazione, non aveva mai temuto il pericolo.
Doveva anche ammettere di provare un certo appagamento nel pensare di trovarsi faccia a faccia con l’Aquila, in fondo ormai quella era diventata una questione personale. Dopo tutto quel tempo e infiniti sforzi avrebbe potuto mettere fine a quella storia.
Era inoltre convinto che la cattura di una pericolosa spia nazista avrebbe potuto permettergli di riconquistare la stima e la fiducia dei suoi superiori. Dopo l’incidente di Liverpool non aveva più avuto l’occasione di dimostrare a pieno il suo valore. Sentiva di dover rimediare agli errori del passato per redimere se stesso.
Era consapevole che in gioco c’era la sua reputazione, il suo destino come agente dell’Intelligence si sarebbe deciso quella notte. Il suo futuro dipendeva dall’esito di quella missione. Non poteva nemmeno pensare di fallire, ciò non avrebbe solo segnato la fine della sua carriera, sarebbe stata una sconfitta personale impossibile da sopportare.
 
***

Bray era un piccolo villaggio di pescatori, un luogo tranquillo e isolato sulla costa orientale. Percorrendo le stradine deserte e avvertendo la brezza marina Hans ripensò alle parole del poliziotto, sicuramente in altre circostanze quel paesino sarebbe stato l’ideale per una vacanza.
Il tedesco non ebbe molto tempo per perdersi in quelle fantasie, ben presto scorse il primo segnale di pericolo. Immediatamente avvertì il suo compagno.
«Guarda, laggiù ci sono delle luci»
Il giovane notò il bagliore delle torce elettriche.
«Potrebbe trattarsi della polizia del porto, qui sono più preoccupati del contrabbando di astici che della guerra» ipotizzò Declan.
«In ogni caso è meglio cercare un’altra strada e tenere gli occhi aperti»
L’irlandese concordò con lui, rapidamente individuò un percorso alternativo per raggiungere il molo. I due scavalcarono un muretto di mattoni e cautamente scesero verso la baia seguendo un sentiero sterrato. Muoversi nell’oscurità su un terreno scosceso non era affatto semplice, ma non c’erano alternative se volevano raggiungere la loro meta senza farsi notare.
Erano ormai giunti alla spiaggia quando all’improvviso udirono l’eco di uno sparo. Declan trasalì.
«Non credo affatto che quei poliziotti abbiano trovato un ladro di aragoste!» fu il commento del tedesco.
«Proveniva dal lato opposto della baia, devono essere i militanti di Wicklow»
«Credi che il loro sia un diversivo?»
«Lo spero…avanti, dobbiamo raggiungere la nave al più presto!»
Hans si lasciò guidare dal suo compagno fino agli scogli, i due dovettero arrampicarsi sulle rocce per superare quell’ultimo ostacolo.
In quel momento sembrò che tutto fosse tornato alla tranquillità, l’unico rumore che potevano avvertire era il costante infrangersi delle onde.
Declan allungò un braccio verso il tedesco, egli strinse saldamente la presa accettando il suo aiuto.
«Svelto, riesci a vedere la nave? È quella laggiù» disse il giovane indicando una sagoma galleggiante ben distinguibile dagli altri pescherecci.
Hans annuì: «sì, certo…non è molto distante»
Declan stava per riprendere la loro corsa, ma il tenente lo bloccò. Aveva avuto prova che le autorità fossero a conoscenza dei piani dell’IRA, se la polizia avesse organizzato un’imboscata non avrebbero avuto alcuna via di fuga.
«Da qui in poi proseguo da solo» affermò con decisione.
«Hans…»
«Torna indietro e raggiungi i tuoi compagni, loro hanno bisogno di te» continuò imperterrito.
Il ragazzo protestò: «no, non posso abbandonarti qui!»
Egli continuò ad insistere: «non te lo sto chiedendo, il mio è un ordine!»
«Tu non sei un mio superiore!»
«Ma anche io sono un tuo compagno, non è così?»
Declan non poté ribattere.
«Per favore, ascoltami. Devi fidarti di me»
Il giovane irlandese dovette ricorrere a tutta la sua volontà per restare lucido e razionale, sapeva che ogni istante era prezioso e che discutere non avrebbe risolto nulla. Alla fine, seppur a malincuore, fu costretto a cedere.
«D’accordo, ma…ti prego, cerca di stare attento»
Hans rispose con un cenno, era certo che quello sarebbe stato un addio, ma non era il momento di abbandonarsi ai sentimentalismi. La missione restava la sua priorità, l’unico modo in cui poteva esprimere il suo amore per quel ragazzo era proteggerlo dal pericolo.
 
Schneider si addentrò da solo nel piccolo porto, tentando di muoversi il più velocemente possibile da un nascondiglio all’altro senza farsi notare. Cercò di non pensare a Declan, non era così che avrebbe voluto lasciarlo, ma in fondo era certo di aver fatto la scelta giusta.
Il tenente era quasi giunto a metà strada quando si accorse di non essere solo. Il sospetto si tramutò rapidamente in certezza. Schneider si guardò intorno con attenzione, ma non riuscì a scorgere nulla oltre ai mucchi di reti aggrovigliate e alle barche a remi abbandonate a riva. Eppure percepiva un’ombra furtiva muoversi nelle vicinanze, invisibile e silenziosa.  
Si domandò se non fosse soltanto una suggestione, ma proprio in quell’istante distinse il rumore di alcuni passi sulle assi scricchiolanti. Hans si voltò di scatto, ma non fu abbastanza rapido. Ancor prima che potesse puntare l’arma avvertì un’intensa fitta al braccio. La Browning scivolò dalle sue dita e cadde a terra.
Il tedesco si accasciò con un gemito di dolore, stringendo al corpo l’arto ferito. Una figura si mosse nell’oscurità, la canna di una Webley brillò al chiarore della luna.
Hans non fu in grado di scorgere il volto dell’avversario, ma udì chiaramente la sua voce.
«L’Aquila ha un’ala spezzata, temo proprio che in queste condizioni non potrà più alzarsi in volo»

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Capitolo 33
*** Bray (Parte II) ***


 
33. Bray

(Parte II)
 

Hans avvertì la testa pulsare dal dolore, un brivido gelido scosse il suo corpo. Sotto di lui percepì il legno freddo e umido del molo. Il rumore della risacca lo riportò alla realtà. Strinse i denti e trattenendo un gemito tentò di sollevarsi da terra sorreggendosi sul braccio sano, ma poco dopo scivolò nuovamente sulle assi bagnate. Rotolò su un fianco, inerme e ormai privo di forze. La ferita al braccio continuava a sanguinare, era troppo debole per rialzarsi in piedi.
In quell’istante udì l’eco di alcuni passi seguito dalla voce che aveva udito in precedenza.  
«Finalmente ci incontriamo, ho atteso a lungo questo momento»
Il tono era freddo e deciso, lo sconosciuto parlava un tedesco fluente e privo di accento. Era anche evidente che il misterioso interlocutore avesse ben chiara la sua identità.
Schneider notò una figura muoversi nella sua direzione, quando fu abbastanza vicina poté distinguere nitidamente la sua persona. In piedi davanti a lui si ergeva un uomo avvolto in un cappotto nero. I capelli corvini perfettamente ordinati sotto al cappello. L’espressione sul suo volto rimase impassibile, il suo sguardo rigido e severo era particolarmente intenso, quasi magnetico.
Hans si paralizzò davanti alla canna della pistola, per un breve istante non fu in grado di muovere nemmeno un muscolo. Non ebbe bisogno di ulteriori conferme per riconoscere in lui un agente segreto. Egli era la spia britannica così temuta dal capitano Maguire.
Schneider avvertì il cuore battere con ritmo irregolare nel petto. In quell’occasione non riuscì a mantenere il suo solito autocontrollo. Fu sorpreso nel ritrovarsi faccia a faccia con l’avversario, per di più in quelle condizioni. Si era domandato più volte come sarebbe stato il suo primo incontro con un inglese, ma non era certo così che l’avrebbe immaginato. Inoltre il suo aspetto non corrispondeva affatto all’ideale del nemico britannico che aveva imparato a conoscere in Germania. Pur cercando di dissimulare le sue reali sensazioni provò una certa suggestione. Quell’uomo dava l’impressione di essere pienamente sicuro di sé. Aveva la discrezione di una spia, ma possedeva al contempo la determinazione di un vero combattente.
Hans pensò all’Oberleutnant Farnbacher, anch’egli era dotato di un simile carisma. La sua sola presenza sprigionava una forza magnetica, chiunque restava ammaliato dalla sua figura così distinta e vigorosa. Tutti i suoi cadetti lo consideravano tanto temibile quanto intrigante. Hans provò le medesime sensazioni di fronte all’inglese. Dovette così riconoscere di essere al cospetto di un degno avversario.
 
Il tenente Hart si avvicinò cautamente al giovane ferito mantenendo il revolver puntato davanti a sé. Come aveva previsto tutto era andato secondo i piani. Sapeva che illudere la spia di poter fuggire si sarebbe rivelata la tattica migliore per imprigionarla nella sua trappola. Non si era nemmeno sorpreso nello scoprire che l’IRA aveva organizzato un diversivo per coprire quella fuga, per le autorità non era stato difficile illudere i ribelli di essere riusciti nel loro intento. Ora che l’Aquila era nelle sue mani la sua missione poteva considerarsi conclusa con successo. Aveva dimostrato non solo ai servizi segreti irlandesi, ma anche ai suoi superiori, di essere l’agente esperto e competente che tutti apprezzavano e stimavano prima dell’incidente di Liverpool. Aveva rimediato agli errori del passato, quell’arresto era tutto ciò di cui aveva bisogno per salvare la sua reputazione e la sua carriera nell’Intelligence.
L’inglese si fermò a pochi passi dal tedesco: «così saresti tu il pilota che si è paracadutato a Glencree?»
Hans rimase in silenzio.
Il tenente Hart ridusse ancora la distanza e si chinò per osservare da vicino il prigioniero. Guardando per la prima volta il volto del suo avversario esternò un certo stupore.
«Dannazione, ero convinto di avere a che fare con un agente dell’Abwehr, tu sei soltanto un ragazzino!»
Schneider guardò l’inglese dritto negli occhi con aria di sfida senza mostrare alcuna esitazione.
«Sono un ufficiale della Luftwaffe» replicò con ostinato orgoglio.
L’agente britannico parve divertito dalla sua reazione, sul suo volto comparve un’espressione soddisfatta e compiaciuta. Le sue labbra si inclinarono in un sarcastico sorriso.
«Non importa. In ogni caso sei la spia che l’Intelligence sta cercando, con la tua inesperienza sarà più semplice estorcerti informazioni»
Il tedesco rispose con una smorfia di disprezzo. Sapeva che l’intento dell’inglese era soltanto quello di irritarlo e innervosirlo per renderlo ancor più vulnerabile, ma non riuscì a restare del tutto indifferente nell’udire quelle parole.
Hart ebbe l’impressione di trovarsi davanti a un animale in trappola, il giovane continuava imperterrito a mostrare i denti, pur essendo consapevole di non aver più alcuna via di scampo.  
 
***

Ai confini del villaggio di Bray i poliziotti si ritrovarono coinvolti in una violenta sparatoria. I militanti avevano barricato il sentiero che scendeva al porto in modo da ostacolare l’avanzata dei rinforzi.
Il comandante della Garda pensò di non aver assistito a nulla del genere dai tempi della guerra civile. La situazione era degenerata rapidamente. All’inizio aveva creduto di poter gestire facilmente la situazione poiché i suoi agenti avevano catturato senza troppe difficoltà alcuni responsabili. Era convinto che come altre volte i militanti si sarebbero dati alla fuga dopo aver constatato lo svantaggio numerico, ma questa volta i ribelli si erano dimostrati determinati a portare avanti lo scontro.
In quel momento l’ufficiale fu raggiunto da un agente, il quale si presentò con il fiato corto e un’aria sconvolta. La sua uniforme era strappata e macchiata di sangue.
«Signore, dobbiamo avvertire al più presto i soccorsi. Ci sono dei feriti gravi!»
Il suo superiore tentò di rassicurarlo, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era diffondere il panico tra i suoi agenti.
«Il sentiero a ovest è stato minato, non si può proseguire oltre»
«Ciò significa che siamo isolati?»
Il ragazzo non ebbe il coraggio di confermare quella terribile notizia.
A quel punto il comandante decise di confrontarsi con il sovrintendente dell’Unità Speciale.
«Voi sapevate che si trattava di un’imboscata?»
Whelan non rispose direttamente alla domanda, limitandosi a rivelare lo stretto necessario.
«Abbiamo un piano da rispettare»
«Il piano prevede anche di sacrificare i miei uomini?»
Il sovrintendente si indignò sentendosi colpito nel profondo da quelle accuse: «ovviamente no. I rinforzi arriveranno presto, non sarà questo imprevisto a fermarci»
Il comandante della Garda non si mostrò soddisfatto da quelle risposte ed iniziò a insospettirsi.
«Non so cosa abbiate in mente voi dei servizi segreti, ma io non resterò qui fermo ad assistere a un simile disastro!»
Whelan lo trattenne afferrandolo per la manica della divisa: «si tratta di una missione importante, non possiamo intervenire direttamente finché non avremo catturato la spia»
L’altro non riuscì a trattenersi dal commentare freddamente: «credevo che avessimo smesso di prendere ordini dagli inglesi»
Whelan restò professionalmente in silenzio, lanciando però un’occhiata avvelenata al suo collega.
Alla fine si rivolse al giovane agente: «torna dai tuoi compagni e informali che i soccorsi arriveranno al più presto. Nel frattempo circondate la zona per evitare la fuga dei ribelli e occupatevi dei prigionieri»
Egli annuì con un cenno, ma l’espressione sul suo viso pallido non riuscì a nascondere la preoccupazione.
 
L’agente Heaney attraversò di corsa le strade polverose e deserte. I vicoli di Bray si erano tramutati in un campo di battaglia. I militanti dell’IRA avrebbero potuto nascondersi ovunque, decidendo di aprire il fuoco da un momento all’altro.
Il poliziotto tentò di non pensare al peggio, si appiattì contro ad una parete ed impugnò l’arma con più decisione. Prese un profondo respiro e facendosi coraggio uscì allo scoperto. Aveva appena mosso pochi passi fuori dal suo nascondiglio quando all’improvviso il silenzio della notte fu interrotto dal botto di alcuni spari. Istintivamente Heaney si gettò a terra e strisciò verso un muretto di pietra in cerca di riparo. Era accaduto tutto velocemente, ma il giovane riuscì ad individuare l’origine degli spari. Notò due figure muoversi nell’oscurità. Rapidamente puntò la pistola e sparò senza esitazione.
Il primo colpo andò a vuoto, il secondo invece colpì uno dei due fuggitivi alla gamba. Questo si accasciò a terra con un grido di dolore. Il suo compagno non perse tempo, lo raccolse da terra e sorreggendolo lo trascinò via. Heaney stringeva ancora l’arma tra le dita, solo in quel momento si accorse che la sua mano stava tremando. Il giovane tornò a rannicchiarsi dietro al muro di pietra, era rimasto colpito da quell’atto di cameratismo, tanto che qualcosa gli aveva impedito di sparare un altro colpo. Egli tentò di non lasciarsi distrarre, anche se il messaggio del comandante non era affatto rassicurante restava suo dovere recapitarlo.
Soltanto dopo essersi assicurato che la strada fosse sicura trovò la forza di rialzarsi e riprendere la corsa per ricongiungersi con i suoi compagni.
 
Heaney raggiunse il casolare abbandonato dove si era barricata la sua unità riferendo le ultime notizie.
Dopo aver ascoltato attentamente le sue parole due ufficiali discussero animatamente sulla questione.
«Non possiamo attendere l’intervento dei rinforzi, dobbiamo tentare un piano d’azione» affermò il primo con decisione.
«Non ritengo che sia opportuno esporre gli uomini ad un ulteriore pericolo»
«Sono addestrati anche per questo»
L’altro sbuffò: «gli ordini sono di non intervenire»
«D’accordo. Vuole la verità? L’Unità Speciale non giungerà in nostro soccorso senza aver prima portato a termine la sua missione»
Il secondo ufficiale emise un sospiro di frustrazione: «fino a questa notte credevo che le storie riguardanti spie tedesche in Irlanda fossero soltanto assurdità»
«A quanto pare la guerra è più vicina di quanto potessimo immaginare»
«Guardi che cosa sta accadendo: sparatorie, feriti, mine e barricate…siamo già in guerra!»
«Dunque dovremo agire di conseguenza» fu la pronta risposta.
Dopo qualche istante di esitazione l’ufficiale più riluttante fu costretto a cedere: «a queste condizioni temo proprio che lei abbia ragione»
«Lieto che sia riuscito a comprendere il mio punto di vista»
«Che cosa ha in mente?»
«Non abbiamo molta libertà d’azione, ma l’obiettivo principale deve essere liberare il sentiero»
 
***

La luce argentea della luna si rifletteva nelle acque increspate dalle onde. Declan si rannicchiò dietro al suo nascondiglio, era certo di aver avvertito dei rumori sospetti. L’irlandese attese qualche istante completamente immobile, il suo respiro era appena percettibile. Quando rialzò lo sguardo tutto sembrò essere tornato alla normalità, non avvertiva più nemmeno gli spari in lontananza, quell’irreale silenzio parve addirittura inquietante. Probabilmente si era lasciato suggestionare da quella tetra atmosfera, e di certo la tensione di quei momenti non era d’aiuto per mantenere i nervi saldi. Ma non erano soltanto le circostanze a turbarlo, da quando aveva lasciato il suo compagno non era riuscito a liberarsi da quella terribile sensazione. Qualcosa dentro di lui continuava a tormentarlo, non poteva darsi pace per aver abbandonato Hans al suo destino. Era davvero stata la scelta giusta?
In quel breve tragitto non aveva mai smesso di pensare alle sue parole, non poteva credere che quello fosse stato il loro addio. Il giovane avvertì un’intensa fitta al petto. Sapeva che Hans aveva soltanto voluto proteggerlo, questa consapevolezza alimentava il suo senso di colpa. D’istinto provò l’impulso di tornare sui suoi passi e ricongiungersi con l’amato, dovette ricorrere a tutta la sua buona volontà per reprimere quel desiderio.
Declan scosse la testa, inevitabilmente ricordò i rimproveri del capitano Maguire. Quello di Hans era stato un ordine, e anche se lui non era a tutti gli effetti un suo superiore era suo dovere di soldato obbedire alla sua volontà, indipendentemente dalle conseguenze.
Inoltre se avesse disobbedito avrebbe dato prova di non fidarsi di lui. Declan abbassò tristemente lo sguardo, ormai rassegnato. Per una volta avrebbe dovuto mettere da parte la propria impulsività, non solo per rispettare il suo ruolo, ma anche per mantener fede alla sua promessa.
 
***

Hans si guardò intorno, anche se ormai non aveva più molte speranze non era intenzionato ad arrendersi tanto facilmente. Il suo sguardo si soffermò sulla Browning che era caduta a terra, la pistola non era troppo distante, sarebbe stato rischioso tentare di recuperarla, ma a quel punto non aveva scelta.
Era pronto a giocarsi l’ultima carta, ma sfortunatamente non ebbe nemmeno il tempo di mettere in pratica quel disperato tentativo. Radley intuì le sue intenzioni e prontamente calciò via l’arma per sicurezza.
«Non provare a fare il furbo con me, conosco bene questi giochetti. Credimi, non hai alcuna possibilità»
Hans fu costretto ad abbandonare quell’idea, purtroppo le parole dell’inglese non erano altro che la verità. Non avrebbe potuto ingannare in quel modo un agente dell’MI5.
Il tenente Hart tornò a rivolgersi al suo ostaggio.
«Ho studiato ogni tua mossa dal tuo arrivo in Irlanda, per tutto questo tempo sei riuscito a sfuggirmi. Per quanto non mi faccia onore devo riconoscere che sei stato abile oltre che fortunato»
Hans fu sorpreso da quelle parole.
«Anche se gran parte del merito per aver ostacolato le mie indagini deve essere assegnato all’IRA» precisò Radley.
Il tedesco ebbe un lieve sussulto.
«Le autorità irlandesi non avranno bisogno di molto tempo per catturare il capitano Maguire, soprattutto ora che la sua preziosa spia all’interno del Castello non potrà più essergli d’aiuto»
Schneider ricordò quel che gli aveva rivelato Declan a riguardo dei punti deboli dell’IRA, egli era stato del tutto sincero nei suoi confronti.
Il tenente Hart sembrò leggergli nella mente.
«Dov’è adesso il tuo compagno?» domandò.
«Non…non so di che sta parlando» mentì Hans.
L’altro rispose con un amaro sorriso.
«So che non ti sei nascosto da solo per tutto questo tempo. L’IRA ha voluto tenerti sotto controllo, oppure ha pensato solo a fornirti un compagno di bevute?» ironizzò.
Schneider colse il riferimento alla bottiglia di brandy che aveva condiviso con Declan nel rifugio di Blackheath Park. Se quel nascondiglio era stato scoperto dalle autorità significava che la spia britannica era stata sulle sue tracce fin dall’inizio. Dunque i sospetti e i timori del capitano Maguire non erano affatto infondati.
«Forse nemmeno lui ha mai davvero creduto in te, altrimenti non ti avrebbe abbandonato» continuò Hart con tono pungente.
Hans non diede ascolto a quelle parole, non avrebbe mai potuto dubitare della fedeltà di Declan, e sapeva bene quanto fosse costato al suo compagno quell’abbandono. Non poteva accusarlo di alcuna colpa. Da parte sua invece sentiva di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per aiutarlo. Nonostante tutto aveva rispettato la sua promessa, aveva deciso di affrontare da solo il pericolo per proteggerlo. Non aveva rimpianti per questo. Persino in quel momento pensando all’amato riuscì a trovare conforto.
L’inglese riprese il suo discorso: «i militanti hanno davvero fatto di tutto per proteggerti, ma alla fine temo che abbiano commesso un grave errore. Non avrebbero dovuto fidarsi di un tedesco»
Hans rifletté su quelle parole, era consapevole di aver mentito a Maguire per ottenere le informazioni necessarie all’Abwehr, ma la sua priorità era sempre rimasta la sua missione.
«Non sono un traditore» affermò.
L’espressione sul volto di Hart si indurì.
«Per il momento, potresti ricrederti dopo aver trascorso il giusto tempo in prigionia. Sono certo che in Inghilterra non saranno clementi nei confronti di una spia nazista. Potrebbero riservarti le stesse torture dei ribelli…per quanto crudeli si sono sempre rivelate efficaci»
Schneider alzò la testa e guardò l’agente britannico in volto, non mostrò alcun timore nei suoi confronti. Era disposto ad accettare il suo destino, ma avrebbe scelto di farsi ammazzare piuttosto che essere catturato come prigioniero.
All’improvviso si avvertì l’eco di un’esplosione provenire dalla strada che portava al villaggio. Il botto fu talmente intenso da far vibrare le assi del molo. L’evento fu così inaspettato da indurre Hart a voltarsi verso la nube di fumo che si era innalzata sulla collina.
Hans approfittò di quell’attimo di distrazione per avventarsi sul suo avversario. Si gettò su di lui intenzionato ad affrontarlo con le ultime forze che gli erano rimaste. I due caddero a terra, l’inglese batté la testa contro alle dure assi di legno, per i primi attimi si lasciò sopraffare dal tedesco, il quale cercò inutilmente di strappargli l’arma dalle mani. Appena Hart riprese il controllo di sé riuscì a reagire imponendosi con la forza sull’agente dell’Abwehr, il quale si era rivelato un ostaggio riottoso e imprevedibile.
Alla fine l’inglese tornò a sovrastarlo, con impeto si rialzò in piedi, puntò il revolver contro al tedesco e sfiorò il grilletto.
 
Hans avvertì lo sparo, ma non percepì alcun dolore. All’istante si sorprese nel realizzare di non esser stato colpito. Vide l’inglese barcollare davanti a sé per poi crollare a terra, esanime in una pozza di sangue.
Ancora scosso e confuso il tedesco si affrettò a recuperare la sua pistola, ma la ripose immediatamente appena avvertì una voce familiare gridare il suo nome.
«Declan!»
Il suo compagno lo raggiunse di corsa, scavalcò il corpo dell’inglese e si chinò al suo fianco.
«Hans…stai bene?» domandò con apprensione.
L’altro confermò nel tentativo di rassicurarlo.
Declan sentì la necessità di giustificare quel suo atto di insubordinazione, seppur eseguito a fin di bene.
«Mi dispiace per aver disobbedito ai tuoi ordini, ma non avrei mai potuto lasciarti andare da solo!»
«Mi hai salvato la vita» constatò il tenente.
«Sei ferito» si preoccupò il giovane notando il sangue sulla manica della sua giacca.
Hans lasciò che Declan si occupasse di stringere un pezzo di stoffa intorno alla ferita per bloccare la perdita di sangue.
«Non è così grave…svelto, non possiamo restare qui. Lo sparo avrà già allarmato gli altri poliziotti»
Declan annuì, rapidamente aiutò il compagno a rialzarsi e sorreggendolo lo trascinò al riparo.
 
La nave dell’Irish Naval Service era ancorata al molo, sulla fiancata si poteva leggere la scritta Polaris, la Stella del Nord.
Declan e Hans attesero qualche istante nel loro nascondiglio per recuperare le forze, assicurandosi che tutto fosse tornato alla tranquillità. Il pericolo sembrava essere passato.
«Dunque questo è davvero un addio» disse l’irlandese.
Hans l’attirò a sé, le loro labbra si unirono in un ultimo bacio intenso e appassionato. Quando si distaccarono Declan rivolse tristemente lo sguardo verso il mare.
Il tedesco esitò, pur essendo consapevole di quel che avrebbe dovuto fare non ebbe la forza di abbandonare così Declan al suo destino.
«Non dimenticherò mai tutto quello che hai fatto per me, te lo prometto»
Il ragazzo trattenne a stento le lacrime.
Schneider guardò il suo compagno negli occhi: «Forḟaire agus Tairiseaċt»
«Forḟaire agus Tairiseaċt» ripeté il giovane irlandese con la voce tremante per la commozione.
In quel momento i due avvertirono il botto degli spari sempre più vicini.
«Non c’è più tempo, forza, adesso devi andare…» lo incitò Declan.
Il tenente annuì, con dolore si separò da quell’abbraccio e si preparò ad affrontare quell’ultimo ostacolo che lo separava dalla salvezza. Si voltò ancora una volta prima di uscire allo scoperto, poi iniziò a correre lungo il molo.
Declan seguì i suoi movimenti scorgendo la sua ombra nell’oscurità, con ansia e apprensione attese che il compagno raggiungesse la sua meta.
 
Hans si arrampicò su una fune cercando la via più rapida per saltare a bordo della nave. Sopportò il dolore al braccio e a fatica restò aggrappato alla corda per non scivolare in acqua. Appeso nel vuoto tentò di sollevarsi per aggrapparsi alla falchetta. Fortunatamente un marinaio giunse in suo soccorso.
«Appena in tempo, il capitano stava per abbandonare il porto senza il suo carico. La situazione è peggiorata rapidamente» disse lo sconosciuto traendolo in salvo.
Hans intuì immediatamente di avere a che fare con un militante che indossava la divisa della Marina irlandese, il quale doveva esser ben informato sui fatti.
In quel momento altri due uomini giunsero sul ponte, probabilmente allarmati dalla sua intrusione a bordo.  
Il suo soccorritore si rivolse a loro con estrema fermezza.
«Tornate al lavoro e avvertite il capitano! Dobbiamo salpare immediatamente!»
L’equipaggio si dimostrò fin da subito preparato ed efficiente, Hans non dovette attendere molto prima di avvertire la nave in movimento. Istintivamente si voltò verso terra, l’oscurità gli impedì di distinguere nitidamente le ombre in lontananza, ma riuscì a riconoscere una figura sul molo. Il tenente accennò un sorriso, restò immobile incurante del vento gelido, osservando quel punto sempre più distante. Ben presto anche quell’immagine svanì nella notte e la costa irlandese scomparve all’orizzonte.

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Capitolo 34
*** La giusta decisione ***



34. La giusta decisione
 

Donnelly si ritrovò a vagare per le strade di Dublino dopo aver abbandonato il vecchio ospedale. Camminava con passo incerto, era debole fisicamente e sconvolto dalle notizie ricevute nelle ultime ore. Sapeva di non avere altra scelta se non quella di recarsi al Castello per costituirsi e confessare. Era pronto ad affrontare la sua condanna, ormai sentiva di non avere più nulla da perdere.
James si trascinò a fatica fino all’incrocio, urtò un passante, il quale senza troppa educazione lo intimò a stare attento per poi andarsene con indignazione.
Il giovane ignorò l’accaduto, stava per riprendere il cammino quando ad un tratto fu affiancato da due sconosciuti. Non riuscì nemmeno ad aprir bocca, immediatamente avvertì il freddo metallo di una pistola premuta contro al fianco.
«Non vogliamo farle del male, ma adesso deve venire con noi»
Donnelly non poté far altro che obbedire, pur non credendo a quelle parole. Pensò che quegli uomini fossero militanti dell’IRA, forse Maguire aveva iniziato a dubitare della sua lealtà e aveva deciso di ucciderlo prima che egli potesse parlare. Questa idea lo terrorizzò, non perché avesse paura di morire, era pronto per questo, ma prima doveva pensare a liberare Julia. Soltanto quando si fu calmato si accorse che ciò non sarebbe mai potuto accadere. Era certo che non ci fossero altre spie al Castello, nessuno avrebbe potuto tradirlo, almeno non in quel modo. Ma chi avrebbe avuto interesse a rapirlo se non i membri dell’IRA?
I due lo spinsero all’interno di un’automobile, una Ford V8 color petrolio. Il veicolo partì con un rombo di motore, percorrendo a gran velocità le strade in direzione di Merrion Square.
Per tutto il tragitto James continuò a domandarsi cosa potessero volere da lui quelle persone e chi fosse il reale mandante.
L’automobile si fermò davanti a un palazzo decadente dall’aspetto ben poco invitante. I rapitori trascinarono Donnelly sulle scale scricchiolanti e lo condussero all’interno di un appartamento al secondo piano. La stanza sembrava uno studio abbandonato, il freddo era quasi insopportabile, l’umidità penetrava attraverso la stoffa raggiungendo perfino le ossa.
I due uomini scomparvero chiudendo la porta alle sue spalle. James restò immobile, nella penombra riuscì a distinguere una figura in piedi davanti alla finestra. La sagoma si mosse avvicinandosi senza alcuna fretta. Indossava un completo scuro e aveva l’aspetto di un elegante uomo d’affari, il che risultava decisamente fuori luogo in quell’ambiente. Aveva gli zigomi leggermente sporgenti, gli occhi chiari illuminavano uno sguardo vigile e attento. Era piuttosto giovane, non poteva avere più di trent’anni.
«Agente Donnelly, lieto di conoscerla. Si accomodi, prego» disse indicando il tavolo al centro della stanza. La voce atona e la pronuncia priva di inflessioni non fornirono alcuna informazione utile per determinare la sua provenienza.
James avanzò lentamente, la fasciatura al fianco doleva ad ogni movimento.
L’uomo in nero si accese con calma una sigaretta offrendone una al suo ospite. Donnelly accettò mostrando gratitudine, cercò di fare il possibile per non esternare troppo la sua preoccupazione.
Lo sconosciuto sorseggiò il suo brandy: «vuole favorire?»
Egli scosse la testa: «da buon irlandese preferirei del whiskey»
L’altro sorrise, poi ignorando la sua risposta riempì un altro bicchiere e lo allungò verso di lui.
«Sembra un po’ nervoso, beva, l’alcol l’aiuterà a rilassarsi»
James osservò il liquido ambrato, senza esitazione buttò giù l’intero contenuto così in fretta da avvertire la gola bruciare.
«Così non va un po’ meglio?»
Donnelly rispose con un colpo di tosse.
L’uomo ripose la bottiglia: «già, questo non è il miglior brandy in circolazione, ma temo che dovrà accontentarsi»
«Non credo che lei mi abbia condotto qui solo per bere in mia compagnia»
«Perché no? In fondo lei potrebbe intrattenermi a lungo con le sue storie in quanto sottufficiale del G2»
«Qualcosa mi suggerisce che non potrei dirle niente che non sappia già»
«La sua vicenda è molto interessante, considerando che ha collaborato con uno dei migliori agenti dell’MI5, ovvero il tenente Hart»
Il giovane avvertì un’intensa fitta al petto e gli occhi lucidi, non aveva ancora avuto il tempo di accettare quel lutto, la notizia della morte del tenente Hart l’aveva sconvolto più di quanto avrebbe dovuto permettere.
Era consapevole che l’agente britannico non avrebbe mai tollerato un fallimento, per lui quella missione era diventata una questione personale, non avrebbe mai rinunciato a portare a termine il suo dovere. Il suo unico errore era stato quello di permettere al suo desiderio di rivalsa di prevalere su ogni cosa, alla fine era questo che l’aveva portata alla sottovalutazione del pericolo. Almeno questo era ciò che era riuscito a dedurre dalle poche informazioni in suo possesso.
Aveva imparato a conoscere profondamente il suo compagno, dentro di sé sapeva che egli non avrebbe esitato a rischiare tutto per recuperare ciò che aveva perduto. Il tenente Hart aveva rinunciato a tutto per la Patria, era stato disposto a perdere la sua identità e a mascherare i suoi sentimenti. Aveva accettato di servire l’Inghilterra anche a costo della sua felicità. Per quanto avesse sempre cercato di nasconderlo ai suoi occhi James era convinto che avesse sofferto per questo. In fondo Hart aveva perso la sua vita molto tempo prima di morire.
L’uomo parve avvertire il suo dolore: «mi dispiace per la sua morte, è sempre difficile far fronte alla perdita di un buon agente, ma penso che anche lei sappia bene quanto sia pericoloso questo mestiere»
James abbassò lo sguardo, per lui Hart non era soltanto un collega, doveva ammettere che il loro rapporto era stato molto simile ad un’amicizia. Per questo provava sincero rammarico per averlo tradito.
«L’Aquila è riuscita a fuggire, ma non è ancora tutto perduto. Nonostante il fallimento della missione possiamo ancora trarre vantaggio dalla situazione. Ed è qui che entra in gioco lei, agente Donnelly. Il tenente Hart mi ha fornito un rapporto dettagliato su di lei, l’ho tenuta d’occhio per tutto questo tempo, e direi che non mi ha affatto deluso, anzi, sono addirittura sorpreso dal fatto che un ragazzino alle prime armi sia riuscito ad ingannare così a lungo un agente della Corona esperto e competente»
Finalmente James si decise a porre la fatidica domanda: «chi è lei?»
«L’unico che può salvarle la vita»
«È un ufficiale dell’Intelligence
Egli annuì: «sono il Colonnello Jackson»
James si domandò se il grado militare corrispondesse alla realtà o se si trattasse di un nome in codice, quell’uomo sembrava davvero troppo giovane per quella carica. In ogni caso non aveva molta importanza.
«Per quale motivo dovrei fidarmi di lei?»
«Temo che nella sua situazione non abbia molta scelta»
Donnelly restò diffidente.
«Se deciderà di rivelare tutto quello che sa all’Intelligence potremo agire in suo favore»
«In che modo?»
L’altro sorrise: «anche l’Unità Speciale ha i suoi segreti, per proteggerli non esiterebbe a far cadere le accuse su un nostro protetto»
Il giovane parve stranito: «di che sta parlando?»
Il Colonnello esitò qualche istante, poi si decise a rivelare la verità.
«Dei crimini commessi da alcuni dei vostri ufficiali durante la guerra civile. Noi inglesi abbiamo contribuito a insabbiare alcune scomode verità…questi favori trovano sempre modo di rivelarsi utili»
James avvertì nausea e disgusto al pensiero che i suoi colleghi stessero nascondendo un oscuro passato, ma ancor di più lo turbò il fatto di sfruttare queste ingiustizie per avere salva la pelle.
«Perché l’MI5 vuole aiutarmi? Sapete la verità e siete anche consapevoli che le informazioni in mio possesso non sono tanto preziose da costringervi ad esporvi in questo modo!»
«Ovviamente l’accordo comprende anche dell’altro…»
James rimase in silenzio con aria ancor più sospettosa.
«Se accetterà la nostra proposta dovrà lavorare per noi»
«Che significa?»
«Significa che dovrà diventare un agente dell’Intelligence»
Donnelly si sentì sempre più confuso: «tutto questo non ha senso!»
Il suo interlocutore non si scompose: «oh, mi creda. All’interno dei Servizi Segreti può accadere di tutto»
«Perché vorreste un traditore dalla vostra parte?» 
«Le sue capacità potrebbero rivelarsi molto utili. La sua esperienza come spia dell’IRA è qualcosa che nessuno dei nostri agenti può vantare nella propria carriera»
L’espressione sul volto del sottotenente si incupì: «ho commesso degli errori, ma sono sempre rimasto un irlandese»
Il Colonnello non diede troppa importanza a quelle parole.
«L’Inghilterra è in guerra e l’Irlanda desidera mantenere la pace, per il bene di entrambe le Nazioni è necessario mettere da parte vecchi rancori»
James si mostrò riluttante.
«Ho sempre accusato mio padre per questo, per aver tradito la sua Patria in favore della Corona!»
Jackson scosse le spalle: «i tempi stanno cambiando. Una cosa non esclude l’altra, anzi...collaborare con l’Inghilterra potrebbe rivelarsi l’unico modo per proteggere l’Irlanda»
James rifletté su quelle parole, aveva ben riconosciuto le intenzioni manipolatrici dell’inglese, ma non poteva ignorare la verità. L’esperienza con il tenente Hart gli aveva dato prova che l’unico modo per fronteggiare un pericolo comune era unire le forze.  L’invasione era qualcosa di molto più vicino e concreto di quanto le autorità irlandesi volessero ammettere.
Il Colonnello guardò il giovane negli occhi: «non è facile da ammettere, ma nel mezzo di una guerra è necessario giungere a compromessi. Voi irlandesi avete ancora bisogno della nostra protezione, così come a noi serve la vostra collaborazione»
James prese un profondo respiro, aveva sempre temuto di diventare come suo padre, ma in quel momento non provò né ribrezzo né vergogna. Il tenente Hart aveva avuto ragione anche nel valutare il loro rapporto, non odiava davvero il suo genitore, in lui restava soltanto il rimpianto di non averlo mai conosciuto realmente. Ed ora che si trovava davanti a una simile decisione poteva comprendere a pieno le sue motivazioni.
 
***

Fino a quel giorno il sovrintendente Whelan aveva visto il perimetro del campo di Curragh soltanto da lontano, in quanto parte di quell’aerea era destinata all’addestramento militare delle nuove reclute. Provò una forte inquietudine nell’oltrepassare il filo spinato e nel camminare vicino alle baracche dei prigionieri.
Non gli fu concesso avvicinarsi più del necessario, le guardie lo accompagnarono immediatamente nell’edificio principale perché potesse condurre il suo interrogatorio.
Il comandante dell’Unità Speciale attese in una stanza fredda e buia in compagnia di altri due uomini in divisa, i quali sembravano controllarlo con fin troppa premura.
Finalmente la porta si aprì e un prigioniero venne condotto all’interno, le guardie lo trascinarono al tavolo e con forza l’obbligarono a sedersi.
Whelan guardò con attenzione il nuovo arrivato. A stento riuscì a riconoscerlo, egli non assomigliava affatto all’uomo che aveva arrestato. Era dimagrito in modo impressionante, aveva il viso scarno e gli occhi incavati. Perfino il suo sguardo, ormai spento e vacuo, non era più lo stesso.
«Prigioniero 326, Stephen Gifford» urlò una delle guardie per confermare la sua identità.
«Prigioniero politico» precisò il diretto interessato con un tono di voce più basso, ma altrettanto deciso.
Il sovrintendente rimase perplesso nel sentire quelle parole.
«Temo che non abbia ben chiara la situazione. Lei non è un prigioniero politico, è stato condannato con l’accusa di essere un militante dell’IRA»
«Sono un repubblicano, non un criminale»
Whelan ribatté con tono tagliente: «per la legge non c’è più differenza»
«Certo, prima i comunisti e adesso i repubblicani…chi saranno i prossimi sui quali il governo scaricherà ogni colpa?»
«Non sono qui per discutere di politica» chiarì il sovrintendente.
«Quelli come lei non discutono, obbediscono e basta, non è così?»
Whelan ignorò quel commento.
«Ritengo che lei abbia avuto tempo sufficiente per riflettere sul nostro accordo»
L’altro sbuffò: «noi non abbiamo alcun accordo»
«La proposta è ancora valida»
La risposta fu una smorfia di sdegno e disgusto.
Il sovrintendente si armò di pazienza: «qual è la ragione del suo ostinato silenzio?»
Anche questa volta Gifford non lo degnò di una risposta.
«Chi sta proteggendo? Suo cognato? Sua moglie? Oppure entrambi?»
Stephen rimase imperturbabile.
«Ho letto alcuni dei suoi articoli, lei è un uomo intelligente, direi addirittura brillante. È triste vederla in queste condizioni, trattato come un comune criminale»
«Dunque anche lei ha un animo patriottico, i miei scritti sono tutti in gaelico»
«Forse ha ragione. D’altra parte non sarei qui se non avessi a cuore il destino di questa Nazione»
Il prigioniero restò sempre diffidente.
«Conosce le ragioni di questo interrogatorio?»
«Non importa, non ho parlato in passato e non parlerò nemmeno ora»
«Le sto offrendo un’ultima possibilità per ridurre la sua condanna»
«Non sono un ragazzino spaventato, con me queste tecniche non funzionano»
Whelan ignorò la sua risposta.
«Deve aiutarci a trovare il capitano Maguire. Qualunque informazione potrebbe rivelarsi utile»
«Lei sta sprecando tempo interrogando un prigioniero. Sono rinchiuso a Tin Town da quasi un anno, come potrei sapere quel che sta accadendo al di fuori da qui?»
«Non si prenda gioco di noi signor Gifford, sappiamo bene che le informazioni continuano a circolare all’interno del campo»
Stephen ebbe un attimo di incertezza, non confermò né negò la veridicità di quell’affermazione.
«Forse non riterrà più che il capitano Maguire sia meritevole del suo silenzio dopo aver saputo che è stato lui ad organizzare l’attentato alle caserme McKee, nel quale sono morti tre dei nostri agenti. Maguire è anche responsabile dell’assassinio di due detective dell’Unità Speciale e un ufficiale dell’Esercito britannico»
«Ogni guerra ha le sue vittime» fu la fredda reazione.
«Lei è un uomo civile, un intellettuale. Come può permettere che questi crimini restino impuniti?»
«La lotta per la Libertà richiede compromessi e sacrifici»
«Lei stesso ha affermato di non essere un criminale, ma proteggere un terrorista è un crimine a tutti gli effetti»
Gifford scosse la testa: «anche se le spiegassi le mie ragioni non credo che potrebbe capire»
«Sono irlandese, conosco la storia del mio popolo. Desidero anche io la Libertà e l’Indipendenza che sostenete di voler ottenere, ma non in questo modo. L’Irlanda non ha bisogno di altri spargimenti di sangue, la guerra civile ha già causato abbastanza sofferenze. Le nuove generazioni non devono ereditare l’odio dei nostri padri»
«Non è una questione di odio, la Causa non può essere abbandonata. Gli ideali sopravvivono alle guerre»
«Se non collaborerà questa volta non avrà più l’occasione di contrattare con le autorità»
Stephen lo guardò dritto negli occhi: «ormai ho già accettato la mia condanna»
Whelan tentò di non esternare il suo turbamento.
«Devo dire che il suo spirito romantico è in un certo senso ammirevole, ma mentre lei continua a difendere ciecamente i suoi ideali io preferisco vedere le cose per quello che sono davvero»
«Non è tutto così semplice, non esiste un’unica verità»
«La mia verità è la giustizia» 
«Questo fa di lei un uomo rispettabile, per questo sono lieto che sia stato lei a condurmi qui. Per quanto sia contradditorio il fatto che un uomo dalla rigida morale come lei sia al servizio di un sistema spietato e crudele»
Whelan osservò il livido violaceo sul volto del suo interlocutore.
«Mi dispiace, so che cosa accadeva in questo campo vent’anni fa, ho paura che le cose non siano affatto cambiate»
Nel dire ciò lasciò trasparire sincero rammarico.
Ormai il sovrintendente era rassegnato al fatto che Gifford non avrebbe mai accettato di tradire non solo i suoi ideali, ma anche le persone che amava. Aveva tentato, ma non avrebbe mai potuto pretendere tanto.
Whelan pensò al triste destino di quell’uomo, di certo non avrebbe lasciato presto Curragh, e solo Dio poteva sapere se sarebbe uscito vivo. Per quanto credesse nella sua colpevolezza la sua umanità lo portò a provare compassione nei suoi confronti.
«Sono stato a perquisire casa sua, non importa il motivo dato che non è stato trovato nulla di rilevante per le indagini. Ho promesso a sua moglie che le avrei recapitato un messaggio da parte sua»
Stephen alzò la testa, una luce di speranza illuminò il suo sguardo.
«Voleva solo che sapesse che è sempre nei suoi pensieri e che prega per lei ogni notte»
La sua espressione parve addolcirsi al ricordo dell’amata moglie, ma fu solo questione di pochi istanti. Gifford tornò rapidamente in sé.
«La ringrazio, non era obbligato a farlo»
Il sovrintendente non disse nulla, ma pensò che nonostante tutto un uomo nelle sue condizioni avesse bisogno di conforto.
 
***

Le pareti del rifugio tremarono al passaggio del treno sulle rotaie, poi il silenzio tornò a regnare nel piccolo scantinato.
Il capitano Maguire alzò lo sguardo alle assi ammuffite del soffitto: «è assurdo, quest’estate abitavo in una villa in stile vittoriano con giardino. Ero un uomo stimato e rispettabile prima che iniziasse questa caccia alle streghe»
«Tutti noi abbiamo fatto delle scelte» rispose John.
«Non mi sto lamentando per quel che ho dovuto sacrificare, a dire il vero non ho alcun rimpianto, ma a me non piace nascondermi. Ho sempre affrontato il nemico in prima linea. Capisci cosa intendo?»
Daly annuì: «per il momento è meglio aspettare che si calmino le acque, poi potremo pensare alle prossime mosse»
«Hai ragione. A proposito, hai ricevuto altre notizie?»
Il comandante del Nord negò: «niente di nuovo. Sappiamo che l’Aquila è riuscita ad abbandonare l’Isola. Sembra che tutto si sia svolto secondo i piani»
«Già, anche se lo scontro a Bray è stato più violento del previsto»
«Era prevedibile che le squadre di Wicklow non avrebbero perso l’occasione di aprire il fuoco contro la polizia»
«È stato un azzardo. Avrebbero potuto esserci conseguenze ancora più gravi!»
«Forse…d’altra parte la guerra non è una prospettiva così lontana»
«Non possiamo rischiare di far fallire tutto in questo modo! Sappiamo bene che senza il supporto della Germania non avremmo alcuna possibilità!»
«Certo, ma non possiamo avere la certezza che la spia porti a termine la sua missione»
Maguire esitò: «non ci sono buone probabilità che la nave giunga a destinazione?»
John rifletté qualche istante: «è un tratto breve, ma pericoloso. La bandiera irlandese non è sufficiente a garantire l’immunità in quelle acque. E poi un viaggio per mare è sempre rischioso. Per il momento possiamo solo attendere e sperare per il meglio»
«Il capitano Kelly è un vecchio lupo di mare, mi fido di lui. Inoltre è sempre stato fedele all’IRA, conosce bene l’importanza di questa missione»
Daly tornò a preoccuparsi per l’incolumità del suo compagno.
«Dopo tutto quello che è successo dovresti allontanarti da Dublino per un po’»
Maguire si rifiutò: «non abbandonerò la mia città, i miei compagni hanno ancora bisogno di me»
«Abbiamo perso ogni contatto con la spia del Castello, non possiamo più permetterci di commettere errori»
«Ne sono consapevole, ti chiedo solo di avere pazienza e fidarti di me»
«Non c’è mai stato un momento in cui non abbia avuto fiducia in te» lo rassicurò John.
I due comandanti restarono per un po’ in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Fu l’ufficiale di Belfast a rompere il silenzio: «che cosa farai con il soldato O’ Riley?»
Maguire sospirò: «ad essere sincero non ho ancora preso una decisione definitiva»
Lo sguardo del suo compagno si indurì: «conosci bene le leggi dell’IRA, un traditore deve essere condannato»
«Hai ragione, ma una parte di me non riesce a considerare Declan come un traditore. Non posso assegnare a lui ogni colpa, io stesso ho delle responsabilità in quel che è successo»
«Stai parlando nelle vesti di ufficiale o in quelle di amico?»
«Entrambe» ammise.
John non poté biasimarlo per questo, era intenzionato a restare neutrale in quella faccenda, prendere quella decisione non era suo dovere. Alla fine però non riuscì a trattenersi dall’esprimere la sua opinione.
«È pur vero che, in un modo o nell’altro, quel ragazzo ha portato a termine la sua missione»
«Sono il suo comandante, non posso passare oltre al fatto che abbia disobbedito agli ordini»
«A volte un soldato deve anche affidarsi all’istinto, per qualche ragione O’ Riley ha voluto fidarsi del tedesco e alla fine ha preso la giusta decisione»
«Questo non giustifica il suo atto di insubordinazione»
«So che è una decisione difficile, ma penso che tu sappia cosa fare»
Charles fu costretto ad ammettere la verità: «non posso giudicare Declan soltanto in quanto mio sottoposto, questo lo sai bene»
Daly tentò di analizzare la situazione.
«O’ Riley era consapevole della sua condizione, avrebbe potuto fuggire, ma non l’ha fatto» considerò.
«Questo non mi sorprende, Declan non è un codardo, non ha mai avuto paura di affrontare il suo destino»
«Dunque ha avuto il coraggio di assumersi la responsabilità delle sue azioni»
«Declan è un buon soldato, di questo ne sono certo» affermò Maguire con decisione.
«È ancora giovane, sono convinto che potrà imparare dai suoi errori»
Charles concordò con il suo compagno, quella situazione era complessa e delicata, era consapevole di non poterla affrontare restando imparziale, ma dentro di sé sapeva di star prendendo la giusta decisione.
In quel momento ripensò al suo ultimo colloquio con la spia dell’Abwehr, in quell’occasione aveva promesso che avrebbe fatto tutto il possibile per salvare Declan. Non sapeva perché si fosse sentito in dovere di rassicurare il tedesco a riguardo, forse aveva riconosciuto in lui la sua stessa apprensione.
Doveva riconoscere che il tenente Schneider era stato onesto e leale nei confronti dell’IRA, Declan non si era sbagliato.
Charles sospirò, avrebbe desiderato dimenticare al più presto quella faccenda. Ora che quella storia era finita non avrebbe più dovuto preoccuparsi, doveva solo sperare che tutto potesse tornare alla normalità.

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Capitolo 35
*** Questioni irrisolte ***


 
35. Questioni irrisolte
 

La guardia davanti al cancello scattò sull’attenti e meccanicamente porse il saluto al suo superiore. L’Hauptmann Seidel rispose con un rapido gesto. Salì gli scalini con passo deciso, come sempre alzò lo sguardo per osservare gli stendardi del Reich, il colore rosso appariva ancora più vivido e intenso in contrasto con il grigiore del palazzo e del cielo autunnale.
Altre due sentinelle erano appostate di fronte alle colonne, Seidel le superò avvertendo una strana sensazione, non si era mai trovato a suo agio all’interno di quell’edificio, ma ultimamente sembrava che il Comando di Berlino avesse stretto ancor più i suoi artigli intorno alla Sezione britannica dell’Abwehr. L’ufficiale era convinto che ci fossero spie incaricate di fare rapporto su altre spie, ormai non si poteva più avere fiducia di nessuno. Non sapeva esattamente che cosa ci fosse a monte di quell’oscuro piano, ma era ovvio che persone importanti considerassero i servizi segreti potenzialmente pericolosi. Seidel non credeva che quelle operazioni avessero come unico obiettivo quello di arrestare i nemici del Reich. Erano fin troppe le persone scomparse in circostanze più che sospette.
Doveva stare attento ad ogni sua mossa, sempre che il suo nome non fosse già finito in una lista di traditori senza alcuna valida ragione. Anche una parola di troppo avrebbe potuto rivelarsi fatale.
La sua mente era oppressa da questi cupi pensieri mentre percorreva a testa china i corridoi deserti dell’ala ovest. Quando rientrò nel suo ufficio trovò l’agente Hadel ad attenderlo in piedi davanti alla scrivania.
La spia era un uomo alto e ben piazzato. I suoi occhi di ghiaccio caratterizzavano uno sguardo imperturbabile mentre il suo volto era deturpato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra. Indossava un lungo impermeabile sopra agli abiti civili, un leggero rigonfiamento all’interno della tasca destra rivelava la presenza della pistola.
L’ufficiale fu sorpreso da quell’incontro non programmato.
«Agente Hadel…non mi aspettavo di trovarla qui. A dire il vero credevo che fosse in missione»
L’altro sorrise: «sono sempre in missione»
«Il suo rientro ad Amburgo non era previsto» replicò il comandante con tono severo.
«Non si preoccupi, non ho intenzione di fermarmi a lungo in città. Infatti sono qui per richiedere la sua autorizzazione per partire per la Francia»
Inevitabilmente Seidel pensò a suo figlio, non aveva più avuto modo di rivederlo dopo la sua partenza quella primavera. Le cose non erano più state le stesse da quando egli era partito per il fronte, anche il suo rapporto con la moglie ne aveva risentito. La donna soffriva profondamente per quella separazione, tanto da abbandonarsi sempre più alla disperazione.
Seidel si era imposto di mantenere un certo distacco dalla questione, almeno all’apparenza, ma per entrambi era difficile accettare l’eventualità di poter perdere il loro unico figlio in quella guerra.
Il capitano si riprese da quel momento di sconforto per tornare alla realtà.
«Per quale motivo dovrei spedirla in Francia?» domandò prendendo posto dietro alla scrivania.
Hadel si accese una sigaretta e con calma la portò alle labbra.
«Ho avuto notizie dal porto di Brest» disse espirando una nube di fumo.
Seidel rimase perplesso: «che genere di notizie?»
«Una nave irlandese è affondata poco lontano dalla costa, probabilmente a causa di una mina. L’equipaggio è stato soccorso dai nostri compagni della Kriegsmarine. Uno dei sopravvissuti afferma di essere tedesco e sostiene di possedere preziose informazioni per i servizi segreti»
L’ufficiale ascoltò quel resoconto con estrema attenzione.
«Ci sono prove che stia dicendo la verità?»
Egli annuì: «deve trattarsi dell’Aquila!»
Seidel trasalì: «è certo di questo?»
«Direi proprio di sì, non può essere un impostore. Da quel poco che ha rivelato ha dimostrato di conoscere particolari del piano e anche la descrizione che mi è stata fornita corrisponde perfettamente»
Il capitano stentò a credere a quelle parole: «come può essere possibile?»
Hadel scosse le spalle: «a quanto pare l’Abwehr ha sottovalutato le capacità di un giovane agente valoroso e determinato»
«Non abbiamo avuto notizie del tenente Schneider per settimane…la sua missione in Irlanda era ormai considerata fallita»
«Le mie spie non deludono mai» commentò l’agente con presunzione.
«Le sue spie?» domandò il capitano con aria scettica. 
Hadel mostrò un’espressione soddisfatta.
«Sono stato io a reclutare il tenente Schneider come agente segreto, ho riconosciuto fin dal primo momento le sue ottime potenzialità»
«Se tutto quel che sta dicendo è vero allora significa che ha fatto il suo dovere» rispose semplicemente il capitano.
«In ogni caso ritengo di essere la persona più adatta ad accertare la sua identità per conto dell’Abwehr»
Seidel rifletté qualche istante. La possibilità che il tenente Schneider fosse riuscito a portare a termine la sua missione poteva rivelarsi una preziosa risorsa. L’Operazione Grün era stata sospesa, ma nel mezzo del conflitto con l’Inghilterra l’Abwehr avrebbe potuto sfruttare al meglio quelle informazioni.
Finalmente Seidel prese la sua decisione rivolgendosi all’agente con tono autoritario.
«D’accordo, sarà suo compito recarsi a Brest per controllare la situazione e nel caso riportare l’Aquila in Germania»
Hadel si congedò con una virile stretta di mano: «non si preoccupi signore, la questione sarà risolta al più presto»
 
***

Il detective Sullivan batté con rabbia un pugno sul tavolo.
«Tutto questo è assurdo! Lei non può impedirmi di svolgere il mio lavoro!»
Il capitano Kerney scosse la testa: «arrestare civili innocenti non è parte del suo lavoro»
«La legge mi permette di interrogare qualunque sospettato»
«Questa storia è durata anche troppo a lungo, le ho concesso fin troppe libertà nello svolgere le sue indagini. Per altro lei non è stato in grado di ottenere alcun valido risultato»
«Sappiamo entrambi che il sottotenente Donnelly è coinvolto in questa storia»
L’ufficiale non si espose a riguardo: «ha avuto l’opportunità di dimostrare la sua colpevolezza, ma non è stato in grado di provare la veridicità delle sue accuse. Adesso la sua sembra più una cieca ostinazione nel non voler ammettere un suo errore»
Sullivan rispose con una smorfia di disprezzo: «non posso credere che lei stia proteggendo una spia dell’IRA!»
«Adesso basta! La sua condizione è già abbastanza compromessa, le consiglio di non peggiorare la situazione»
Il detective ripensò a tutto quel che era accaduto da quando aveva ricevuto quell’incarico. Aveva ancora tante domande senza risposta, e purtroppo aveva la certezza che l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo a far luce sulla vicenda era ormai scomparsa.  
«Il tenente Hart sapeva la verità, forse è morto proprio per questo» ipotizzò.
«Come le ho detto senza prove le sue teorie restano soltanto vaghe supposizioni»
«Deve riconoscere che chiunque intorno a me abbia cercato di fare del suo meglio per compromettere le indagini»
«Il caso non è più di sua competenza, mi dispiace» concluse freddamente il capitano.
Paul non poté far altro che arrendersi, seppur con estrema insofferenza.
«Spero che in futuro non debba pentirsi per questa decisione»
«Mi creda, non ho altra scelta»
«Questo caso diventerà il più grande fallimento della mia carriera» commentò con amarezza.
«Non deve considerare questa vicenda come una questione personale. Lei è senza dubbio un buon detective, deve solo accettare il fatto di non essere infallibile»
Egli mostrò un ironico sorriso.
«Conosco le regole, e da come si sta comportando deduco che la posta in gioco deve essere davvero alta»
Kerney rimase in silenzio.
«Non posso oppormi alla decisione di un superiore, ma voglio che sappia che non tutti sono come lei. Per quelli come me la verità non è sacrificabile» affermò con ostinazione.
Il capitano non si lasciò impressionare da tanto coinvolgimento in nome della giustizia. Egli stesso conosceva bene il significato di una simile rinuncia, aveva dovuto cedere a compromessi fin da quando aveva scelto di prender parte alla sanguinosa guerra civile. La Pace aveva il prezzo più alto di tutti.
«Questo le rende onore detective, ma forse dovrebbe considerare anche che non tutto è sacrificabile a favore della verità»
Sullivan prese un profondo respiro, si congedò formalmente e uscì da quell’ufficio richiudendo la porta alle sue spalle. Con l’animo colmo di rassegnazione si incamminò verso le scale. Ormai non gli restava altro che abbandonare il Castello con tutti i suoi segreti.
 
***

James salì le scale il più velocemente possibile, spalancò la porta di casa e con ancora i polmoni in fiamme iniziò a chiamare il nome di Julia.
Appena la vide comparire in corridoio corse ad abbracciarla.
«Stai bene?» chiese con sincera apprensione.
Ella annuì per rassicurarlo, ma James la sentì tremare tra le sue braccia.
«Mi dispiace per tutto quello che è successo. Non avrei mai voluto coinvolgerti in questa storia»
«Ho temuto di non rivederti più» rivelò la ragazza tra i singhiozzi.
Il giovane si distaccò, l’espressione divenne seria sul suo viso e il suo sguardo si rattristò.
«Io non posso chiederti di continuare a sopportare tutto questo»
Lei non capì: «che cosa vuoi dire?»
«Non voglio essere la causa delle tue sofferenze, voglio che tu sia felice e so che l’unico modo in cui posso dimostrarlo è lasciarti andare via da me»
Julia lo guardò negli occhi: «è davvero questo che vuoi?»
«La mia volontà non ha più alcuna importanza»
«James…»
«La verità è che non potrò mai fornirti nessuna certezza o farti alcuna promessa, non potrò mai essere la persona di cui hai bisogno. Meriti qualcuno migliore di me»
«Non ho mai preteso niente di tutto questo e non ho mai desiderato nessun altro»
Il giovane avvertì una fitta al petto: «desidero solo che tu sia al sicuro»
Julia prese la sua mano stringendola dolcemente: «so di essere al sicuro quando tu sei con me»
James ripensò alle parole del tenente Hart, al tempo aveva considerato fastidiose e inopportune le sue intromissioni in questioni che riguardavano la propria vita privata, ma ora avrebbe avuto bisogno di quei preziosi consigli.
Se riesci a trovare qualcosa di buono al di fuori di tutto questo non dovresti lasciartelo sfuggire.
James parlò in piena sincerità: «hai visto com’è la mia vita. Stare con me significa accettare compromessi, segreti e menzogne»
«Il nostro rapporto potrebbe essere qualcosa di diverso, qualcosa di vero»
Donnelly si commosse nel sentire quelle parole: «sarebbe bello…ma non voglio illuderti. Hai avuto prova di quel che potrebbe accadere»
«So che il nostro amore è sincero, questo è tutto ciò che importa»
«Dopo tutto quello che è successo ti fidi ancora di me?»
Julia sfiorò il suo viso con una tenera carezza: «non ho mai dubitato della tua buona volontà, qualunque sia stata la tua scelta»
Il giovane provò una piacevole sensazione di calore a quel lieve tocco e si rassicurò nel sentire quelle parole. Trovò del tutto irrazionale l’incondizionato supporto di Julia, ma forse era proprio di ingenuità ed innocenza che aveva bisogno.
«Ti amo, questa è la mia unica certezza» ammise.
Lei rispose con un bacio dolce e appassionato.
James la strinse a sé, a quel contatto ogni suo dubbio svanì all’istante. Non voleva perdere la persona che amava, era consapevole che quel sentimento restava la sua unica salvezza. Non voleva nemmeno commettere i medesimi errori del tenente Hart, e se un giorno avesse dovuto condividere il suo stesso destino non voleva avere alcun rimpianto.
Aveva bisogno di una ragione per credere di star facendo la cosa giusta, proteggere i suoi cari era una motivazione più che valida per continuare a lottare, seppur accettando ardui compromessi. Soltanto l’amore di Julia avrebbe potuto continuare a donargli conforto e speranza.
 
***

Declan era deciso ad affrontare le conseguenze delle sue azioni. Non era mai fuggito dalle sue responsabilità e in quanto soldato dell’IRA era pronto ad accettare la giusta sentenza per il suo atto di insubordinazione.
Non aveva intenzione di giustificarsi per aver disobbedito agli ordini, era consapevole di aver agito contro il volere del suo comandante per salvare la vita della spia tedesca. Sapeva che l’IRA non avrebbe tollerato un simile comportamento, egli aveva anteposto questioni personali al dovere, tradendo così il suo giuramento.
Declan strinse tra le dita il distintivo argentato della Luftwaffe, quel prezioso dono era tutto ciò che gli restava di Hans. Il giovane pensò agli ultimi istanti trascorsi insieme, non poté evitare di interrogarsi sul destino del tenente. Si domandò se egli fosse riuscito a giungere a destinazione sano e salvo, preoccupandosi per la sua sorte. Aveva fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per salvare la vita dell’amato, non c’era nulla di cui potesse rimproverarsi, nonostante ciò continuava a chiedersi se avesse realmente agito nel migliore dei modi. Non riusciva ancora a rassegnarsi al fatto di non poter più fare nulla, se non sperare per il meglio.
Dentro di sé aveva sempre saputo che quella separazione sarebbe stata inevitabile, ovviamente era felice che Hans fosse riuscito a fuggire dall’Irlanda, ma questo non poteva impedirgli di soffrire nell’incertezza.
Declan si riprese da questi pensieri avvertendo il rumore di alcuni passi. Rapidamente nascose il distintivo all’interno della tasca della giacca e tentò di ricomporsi.
Poco dopo il capitano Maguire entrò nella stanza.
Il giovane si rialzò in piedi trovando il coraggio di guardare in viso il suo superiore.
Charles non stupì, aveva già avuto prova in diverse circostanze del sangue freddo del suo sottoposto.
«La missione si è conclusa con successo, alla fine sei riuscito a portare a termine il tuo compito. Almeno questo devo riconoscerlo» esordì il comandante.
Declan rimase in silenzio, ma non riuscì a nascondere una certa diffidenza, era convinto che ci fosse altro dietro a quelle affermazioni. Era ormai conscio del fatto che Maguire non lo considerasse più degno della sua fiducia. In passato aveva sempre potuto far conto sul loro rapporto di amicizia, ma dopo quel che era accaduto Declan era certo che egli non avrebbe mai potuto perdonarlo.
Charles prese un profondo respiro, anch’egli sembrava nervoso e a disagio in quella situazione.
«Non ho intenzione di rimproverarti come un ragazzino, abbiamo discusso già abbastanza a lungo sulla questione. Sai bene perché non posso ignorare il tuo atto di insubordinazione. Hai tradito la mia fiducia e hai disobbedito ai miei ordini»
Declan non tentò di giustificarsi.
«Nonostante tutto sono sempre dell’idea che tu sia un buon soldato» rivelò Maguire.
O’ Riley sussultò: «lo credi davvero?»
«Sì, per questo ho scelto di non accusarti di tradimento»
«Ritieni che sia meritevole di una seconda possibilità?» chiese il ragazzo con titubanza.
Maguire annuì: «voglio sperare che tu abbia modo di riflettere sugli errori commessi»
Declan pensò al significato di quelle parole, non considerava le sue scelte come errori. In quanto soldato avrebbe dovuto rimproverarsi per il suo coinvolgimento emotivo. Quel che provava per Hans però era qualcosa di più, non erano stati soltanto amanti, ma anche compagni. Entrambi credevano in grandi ideali e condividevano mentalità simili. Si erano riconosciuti come animi affini, ed era stato questa sorta di cameratismo ad unirli ancor prima dei sentimenti, tanto da indurli a rischiare la vita l’uno per l’altro.
Tutto questo però non avrebbe potuto giustificare il suo comportamento agli occhi del capitano Maguire.
«Mi dispiace per averti deluso» 
Charles riconobbe sincero rammarico, ma nessun pentimento.
Nonostante tutto l’ufficiale non riuscì a considerare Declan come unico colpevole. Una parte di sé riconosceva ancora in lui quel giovane dallo spirito ribelle impaziente di fare il suo dovere nella lotta per la Libertà. Voleva credere che fossero state le circostanze a indurre il suo sottoposto a comportarsi in quel modo. Forse aveva preteso troppo da quel ragazzo, per questo alla fine non era riuscito a gestire una situazione ben più grande di lui.
Tutte queste erano ragioni che avevano portato Maguire ad un giudizio più clemente. Oltre a questo non poteva ignorare il sincero affetto che continuava a provare nei suoi confronti. Aveva sempre cercato di proteggere Declan, dunque considerava ciò anche un suo fallimento. Si sentiva in parte responsabile e riteneva che fosse stato uno sbaglio coinvolgere un giovane soldato ancora inesperto in una missione così pericolosa.
Al termine di quelle considerazioni Maguire si decise ad esporre la sua volontà al suo sottoposto.
«Ho pensato molto alla tua situazione e alla fine ho preso una decisione definitiva. Raggiungerai gli uomini del tenente O’Connor sulle colline di Kilmacanogue, nelle retrovie»
Declan non poté obiettare, il suo comandante lo conosceva abbastanza bene da sapere che avrebbe considerato ciò come una severa punizione.
«Gli ordini sono chiari?» domandò il comandante.
Egli annuì.
Maguire guardò il giovane negli occhi: «addio soldato O’ Riley»
Declan dovette ricorrere a tutta la sua forza d’animo per mantenere un degno autocontrollo di fronte a quel freddo saluto. Rispose formalmente, deciso ad abbandonare Dublino per compiere il suo dovere.

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Capitolo 36
*** Epilogo ***


 
36. Epilogo
 


Germany calling, Germany calling!
Si è concluso con successo l’attacco aereo alle basi della RAF a Lough Erne, in Irlanda del Nord. Questa è la prima vittoria che permetterà di espandere il nostro dominio alla conquista dell’Atlantico. Il Führer ha espresso il suo orgoglio per un'altra eroica impresa che ha dimostrato la superiorità della Wehrmacht. I valorosi piloti della Luftwaffe hanno affrontato con coraggio questa missione…

 
«Dannazione! Spenga quella radio, ho sentito abbastanza!»
Il dottor Hales girò la manopola mettendo a tacere la voce nasale e gracchiante di Lord Haw-Haw.
«Avremmo potuto evitarlo» commentò James con amarezza.
«Crede che queste informazioni siano state fornite ai tedeschi dall’IRA?»
«Ne sono certo»
Il crittografo assunse un’espressione preoccupata: «ritiene possibile che esistano ancora rapporti tra l’IRA e la Germania?»
Donnelly annuì: «questo conferma il fatto che i militanti stiano continuando a ricevere armi dai tedeschi in cambio di informazioni»
«Esiste dunque la possibilità di un accordo militare?»
James s’irrigidì: «non sono autorizzato a parlare di certe questioni con un civile»
Il professore insistette: «direi di essere ormai coinvolto del tutto negli affari del G2»
Donnelly gli rivolse un’occhiata diffidente.
«Voglio solo sapere se l’invasione rappresenta un pericolo per l’Irlanda» precisò.
James decise di essere sincero nei suoi confronti: «non ufficialmente, ma esiste un piano di emergenza per questa eventualità»
Hales capì che la situazione era ancora incerta, la fine di quella guerra appariva ancora lontana.
Donnelly scrutò con attenzione il suo interlocutore: «posso farle una domanda?»
Egli annuì.
«Per quale motivo ha scelto di continuare a collaborare con l’Inghilterra?»
Il professore sospirò: «questa guerra non ci ha lasciato molte alternative»
«Lei è un unionista?»
L’uomo scosse la testa: «sono soltanto realista. Questa Nazione non può sopravvivere senza compromessi»
«Suppongo di doverla ringraziare per quel che sta facendo»
«Ad ognuno il suo dovere. Non è così tenente Donnelly?»
James sussultò nel sentirsi chiamare in quel modo. Il tenente Donnelly era sempre stato suo padre, doveva ancora abituarsi a questo cambiamento. Nella sua mente ricordò la conversazione avuta con il tenente Hart, egli era l’unico che aveva realmente analizzato a fondo quel delicato e complesso rapporto. L’inglese era riuscito a provare profonda empatia nei suoi confronti, comprendendo che per lui quell’eredità era un peso e una condanna.
Tu non disprezzi tuo padre, rimpiangi solo il fatto di non aver avuto l’occasione di conoscerlo veramente. In fondo quando indossi questa divisa hai modo di condividere i suoi ideali e combattere per la sua stessa causa.
Se prima aveva tentato di non dare troppa importanza a quella sentenza adesso non poteva fare altro che accertarne la veridicità. Aveva finalmente compreso il valore di quelle scelte, non provava più odio o disprezzo per un uomo che aveva rinunciato ai propri ideali per proteggere le persone che amava. Si era confrontato con ideali differenti, aveva scoperto realtà ben più complesse.
Si era avvicinato alla figura del padre, ma questo non significava che fosse rassegnato a diventare come lui.
Anche in questo l’agente Hart era riuscito a leggere nella sua anima.
Sei un buon agente e questo dipende soltanto dalla tua volontà. Hai le capacità per dimostrare chi sei realmente senza doverti preoccupare di quel che gli altri si aspettano da te.
«Va tutto bene?» chiese il crittografo notando lo sguardo vacuo e assente dell’ufficiale.
Egli si riprese tornando in sé.
«Mi scusi, è che…questa promozione è stata inaspettata»
«Da quel che mi ha riferito il capitano Kerney è stato un avanzamento di carriera meritato»
Il giovane rimase in silenzio.
«Le sue indagini hanno portato a buoni risultati» continuò il professore.
«Purtroppo non siamo ancora riusciti a catturare il capitano Maguire»
«Sono certo che sia solo una questione di tempo»
«Lei ha molta fiducia nelle mie capacità» dedusse il tenente.
«Perché non dovrei? Ha dato prova di essere un agente determinato e competente sul campo»
«So che conosce la verità su di me, dovrebbe considerarmi un vile traditore»
Hales guardò il giovane negli occhi: «so che è un ufficiale del G2 assegnato alla sezione britannica. So che collabora con l’Intelligence e che è un agente sotto copertura tra le fila dell’IRA. Sta svolgendo il suo dovere, non mi importa di quel che è stato in passato, adesso stiamo dalla stessa parte»
Donnelly parve rassicurarsi.
«Ho sempre cercato di fare la cosa giusta, anche se questo non è mai stato abbastanza»
«Ha imparato dagli errori commessi, dimostrando di meritare una seconda possibilità. Il tenente Hart sarebbe orgoglioso di lei»
James si commosse nel sentire quelle parole: «lo crede davvero?»
Il crittografo confermò con convinzione, era certo che l’ufficiale britannico avesse sempre avuto a cuore il destino del suo giovane compagno. Non stentava a credere che fosse stato lui a garantire in suo favore prima della sua tragica scomparsa.
Alla fine il suo piano aveva funzionato, salvare la vita di James era stata la sua ultima missione compiuta con successo.
Il tenente Donnelly tornò a rivolgere la sua attenzione alle carte disposte sul tavolo.
«È riuscito a decriptare gli ultimi messaggi?»
«Purtroppo temo di aver bisogno di ancora un po’ di tempo. Come le ho detto altre volte i codici sono sempre più complessi»
L’ufficiale abbassò il capo con rassegnazione. Aveva portato a termine il suo compito consegnando quei messaggi all’Intelligence, non c’era altro che potesse fare.
 
Anche quella sera Donnelly si rinchiuse nel suo ufficio al Castello. Aveva bisogno di tempo per riflettere, quale sarebbe stata la sua prossima mossa? In quel gioco di forze doveva cercare il giusto equilibrio. Sarebbe stato possibile avvantaggiare l’Inghilterra senza danneggiare l’Irlanda? Forse sì, se l’Intelligence avesse mantenuto la sua parola. Purtroppo non tutti gli inglesi si erano rivelati onesti e leali come il tenente Hart.
Allo stesso tempo doveva rispettare il suo ruolo di ufficiale del G2 e mantenere la sua credibilità nei confronti dell’IRA per non destare sospetti.
A volte Donnelly si preoccupava per la facilità con cui riusciva a mentire e tradire, ma gli era sufficiente ricordare il motivo per cui stava facendo tutto ciò per rassicurarsi.
Era ancora perso in queste considerazioni quando l’agente McKenna entrò nella stanza per recuperare alcuni documenti. Il nuovo arrivato si stupì per la presenza del suo superiore.                «Signor tenente, come mai è ancora qui?»
«Dovevo terminare di scrivere un rapporto» rispose prontamente.
Il suo collega notò il suo volto stravolto dalla stanchezza.
«Dovrebbe tornare a casa e riposare un po’»
James si prese la testa tra le mani: «probabilmente ha ragione»
L’agente osservò l’orologio: «è tardi, sua moglie sarà in pensiero»
Il tenente sospirò: «già…in ogni caso non potrei essere d’aiuto in queste condizioni»
McKenna si avvicinò manifestando un’insolita cortesia: «a proposito, non ho ancora avuto occasione di porgerle le mie congratulazioni»
James esitò, doveva rassegnarsi al fatto che tra quelle mura le voci girassero in fretta.
«Questa mattina mi hanno riferito la lieta notizia» rivelò il suo compagno.
«Oh, certo. La ringrazio, probabilmente presto avrò bisogno di qualche suo consiglio» disse pensando che in quel particolare ambito il suo collega avesse ben più esperienza.
«Be’, essere padre è un mestiere che non si può insegnare. Non sarà semplice, ma posso assicurarle che quando stringerà suo figlio tra le braccia per la prima volta avvertirà soltanto il desiderio di amare e proteggere quella creatura»
Donnelly sorrise, fino a poco tempo prima non credeva possibile che sarebbe tornato a provare gioia nel cuore.
 
Sulla strada di casa James rifletté ancora una volta sulla sua posizione. Aveva accettato ogni compromesso riponendo tutte le sue speranze di salvezza in quell’alleanza. Aiutare l’Inghilterra a vincere quella guerra era l’unico modo per preservare la Pace.
Sopportare tutto ciò non era affatto semplice, ma ogni sera riusciva ad avere conforto al pensiero che avrebbe trovato Julia ad attenderlo. Ogni volta che tornava tra le sue braccia sentiva di poter abbandonare quel mondo di inganni e menzogne per essere soltanto se stesso. Il suo amore puro e innocente restava il suo più grande conforto. L’imminente arrivo di un figlio aveva rafforzato ancor di più quel legame, una nuova vita era una speranza per il futuro.
Per questo non aveva rimpianti a riguardo della sua decisione, era disposto a tutto per proteggere chi amava.
 
***

L’agente Hadel osservò l’Hauptmann Seidel mentre richiudeva in un cassetto i documenti riguardanti l’Operazione Grün.
«Dunque i piani sono cambiati?» azzardò.
L’ufficiale non si sentì in dovere di giustificare la decisione dei suoi superiori.
«L’Irlanda non è più una nostra priorità» fu la vaga risposta.
Hadel guardò il capitano dritto negli occhi.
«Lei ha sempre saputo che questa operazione non avrebbe mai potuto avere successo, vero?»
Seidel sostenne il suo sguardo e rispose freddamente: «l’Abwehr aveva bisogno di conferme»
L’agente segreto non si sorprese, anche questo faceva parte del gioco dello spionaggio. Mettere alla prova la fedeltà e l’affidabilità dell’IRA era un compito rischioso e pericoloso, ma l’Aquila era riuscita a portare a termine la sua missione, rivelando che la situazione era ben più complessa del previsto. Era ovvio che l’Abwehr non avrebbe rinunciato del tutto a quella alleanza tanto preziosa quanto fragile, probabilmente continuando a stringere accordi con i ribelli. Sul versante militare però l’IRA era un’organizzazione troppo debole e frammentata per poter essere di supporto. Inoltre un’eventuale invasione avrebbe richiesto un consistente impiego di forze belliche che la Germania non poteva permettersi a quel punto della guerra.
Hadel immaginò che fossero queste le ragioni per cui i suoi superiori avevano abbandonato il piano originale, senza però troncare ogni rapporto con i repubblicani. Restava utile il fatto che gli inglesi potessero continuare a temere una possibile invasione.
Al termine di quelle considerazioni Hadel pensò alla sorte del giovane che aveva coinvolto.
«Ho saputo che il tenente Schneider è tornato al servizio della Luftwaffe»
«La sua unica richiesta è stata quella di poter essere riassegnato alla sua unità» spiegò Seidel.
«È un peccato che abbia rinunciato al suo incarico, era un agente molto promettente» disse l’altro esternando la sua delusione. 
«Era l’uomo di cui avevamo bisogno per portare a termine la missione in Irlanda, questi erano gli accordi. Come sa i piloti sono arguti e coraggiosi, ma spesso si rivelano imprevedibili»
Hadel sospirò, in fondo era sempre stato consapevole che non avrebbe potuto tenere a lungo un aviatore lontano dalle nuvole. Schneider si era rivelato un alleato prezioso per l’Abwehr, ma il destino dell’Aquila era tornare a volare.
 
***

Le montagne di Wicklow sorgevano in lontananza oltre a un sottile strato di nebbia, le cime rocciose erano ancora coperte da uno strato di ghiaccio e neve. Declan ammirò quel paesaggio ormai familiare con una piacevole percezione di pace e tranquillità. Il tempo sembrò fermarsi, il giovane restò immobile avvertendo i tiepidi raggi di sole sulla pelle e il vento tra i capelli.
Era ancora abbandonato a queste sensazioni quando ad un tratto udì dei rumori sospetti, qualcuno si stava avvicinando. Istintivamente portò la mano alla pistola, ma lasciò l’arma appena riconobbe la staffetta dell’IRA. Il nuovo arrivato percorse il sentiero in sella al suo cavallo dal mantello grigio. Non ebbe bisogno di confermare l’identità del soldato, conosceva bene i volti familiari dei ribelli che avevano trovato rifugio in quelle alture.
Il giovane smontò dalla groppa dell’animale e rapidamente corse a consegnare la preziosa lettera che teneva al sicuro nella giacca.
«Un messaggio da Dublino» annunciò con il respiro affannato.
Declan prese il foglio tra le mani, lesse attentamente il contenuto senza lasciar trasparire alcuna emozione. Si trattava di nuovi ordini, presto la sua squadra sarebbe tornata in azione.
«Devo portare una risposta?» chiese il messaggero.
L’altro scosse la testa: «no, non è necessario. Puoi andare»
Il giovane esitò, poi prese coraggio: «a dire il vero pensavo di restare»
O’ Riley gli rivolse un’occhiata indagatrice.
«Voglio unirmi ai ribelli»
Declan non fu particolarmente colpito da quella rivelazione, nonostante i tempi difficili erano sempre più numerosi coloro che decidevano di schierarsi dalla parte dei militanti. D’altronde l’IRA era sempre stato l’esercito del popolo.
«Perché sei venuto da me?» chiese con curiosità.
«Perché desidero far parte della sua squadra e combattere al suo fianco. Tutti sanno che i suoi uomini sono i più forti e valorosi!»
«Davvero?» domandò piacevolmente sorpreso.
«Dicono che lei abbia partecipato all’imboscata a Enniskerry e all’incursione alle caserme di Wicklow»
O’ Riley rispose con un sorriso inequivocabile, entrambe le notizie corrispondevano alla realtà.
«Dovresti rivolgerti a un ufficiale, non spetta a me una simile decisione»
Il giovane tentò di protestare, mostrando sempre più insistenza.
Dopo un po’ Declan si arrese alla sua ostinazione: «se vuoi puoi restare al rifugio per questa notte, domani mattina penserò ad avvertire il tenente O’Connor»
Lo sguardo del ragazzo si illuminò: «farebbe questo per me?»
Egli annuì, poi lo congedò indicandogli la strada da seguire per raggiungere i suoi compagni.
Quando il giovane si fu allontanato oltre la boscaglia Declan rimase nuovamente solo con i suoi pensieri. Quell’incontro aveva riempito il suo cuore di orgoglio e speranza. L’IRA aveva bisogno di nuove reclute, era rassicurante sapere che il desiderio della rivolta non aveva mai abbandonato l’animo degli irlandesi.
La lotta per l’Indipendenza era lontana dal giungere alla fine, ma l’importante era resistere.
Declan tornò a contemplare il profilo delle montagne, nel silenzio udì un acuto strido. Proprio in quel momento un rapace si innalzò sopra la sua testa per poi planare sulla vallata. Iniziò a volteggiare in cerchio, seguendo le correnti d’aria con le enormi ali spiegate. Declan restò ammaliato ad ammirare il volo veleggiato dell’aquila. La sagoma del volatile si stagliava all’orizzonte in tutta la sua maestosità ed eleganza.  
Sul volto del giovane comparve un malinconico sorriso. Ripensò all’Aquila tedesca, nella sua mente il suo ricordo era più vivido che mai. Non avrebbe mai potuto dimenticare ciò che Hans era stato per lui, avevano condiviso ideali, segreti e infine anche sentimenti. Quel rapporto, così intimo e coinvolgente aveva cambiato la sua vita per sempre.
Il giovane si asciugò una furtiva lacrima, ancora una volta si era lasciato sopraffare dalle emozioni pensando ad Hans. Pur non avendo più avuto sue notizie dentro di sé sapeva che egli era ancora vivo ed era certo che avesse mantenuto la sua parola.
Con questa consapevolezza Declan si incamminò nuovamente sul sentiero, determinato a fare la sua parte per rispettare quella promessa.
 
***

Il tenente Schneider era stato avvertito con il minimo preavviso per quell’appuntamento. Nel mezzo dell’avanzata verso Leningrado le truppe dello Heer richiedevano il costante supporto aereo, i campi d’aviazione sul fronte orientale erano in continuo fermento. La sua unità non faceva eccezione.
L’ultimo pensiero nella mente di Hans era sprecare tempo prezioso in questioni di propaganda, ma quella volta non aveva potuto evitarlo. Per qualche ragione un reporter con buone conoscenze aveva insistito per incontrarlo e il suo comandante con orgoglio gli aveva concesso questa possibilità. Hans dovette ricorrere a ciò che aveva imparato nella sua esperienza nell’Abwehr per fingere accondiscendenza. Non era la prima volta che si interfacciava con la stampa, il suo nome iniziava ad essere riconosciuto al fronte come in Patria, soprattutto dopo la sua decorazione. Per quanto una parte di sé provasse soddisfazione non era quel genere di attenzioni che gradiva, tutto ciò che desiderava conquistare era il rispetto dei suoi compagni e dei suoi superiori.
In ogni caso non aveva avuto scelta. Hans prese un profondo respiro, poi si decise ad entrare nell’ufficio del suo comandante. Ad accoglierlo trovò due uomini in abiti civili, il primo armato di penna e taccuino, l’altro di macchina fotografica.
«Tenente Schneider, è un onore conoscerla» esclamò il giornalista con evidente emozione.
L’ufficiale rispose alla stretta di mano.
«Temo di non avere molto tempo da dedicarle»
«Le prometto che non le ruberò un secondo in più del necessario, come ho garantito al suo comandante. In Patria c’è gran richiesta di notizie dal fronte. Giovani ardimentosi come lei sono l’orgoglio del popolo tedesco. Saranno anche queste storie a darci la forza di vincere la guerra!»
Hans non parve apprezzare particolarmente quelle adulazioni, avrebbe voluto tornare al più presto dai suoi compagni, poter mettere qualcosa sotto ai denti e riposare prima della prossima missione, ma in fondo era consapevole che anche ciò faceva parte del suo dovere. Si sforzò così di sorridere quando il fotografo l’accecò con il suo apparecchio. L’espressione sul suo volto non riuscì a mascherare del tutto il nervosismo e la stanchezza.
Il giornalista però non parve notare il suo disagio e cominciò con impazienza ed insistenza la sua intervista.
«Perché non inizia a narrarci di come ha conquistato la Croce di Ferro?» domandò riferendosi all’onorificenza appuntata al suo petto.
Schneider sospirò, non amava elogiare pubblicamente le sue imprese, soprattutto perché quell’uomo si aspettava un racconto avvincente di eroismo e patriottismo, non avrebbe trovato in alcun modo interessanti questioni puramente tattiche di volo o strategie militari. In quel caso avrebbe dovuto limitarsi a riportare l’accaduto, senza soffermarsi troppo sui particolari per non annoiare il suo interlocutore.
«Questa medaglia mi è stata assegnata a seguito di una missione di salvataggio avvenuta con successo. Ho pilotato il mio aereo oltre le linee sovietiche per soccorrere un aviatore che era stato abbattuto in territorio nemico. È stata un’operazione rischiosa, quella zona abbondava di paludi, non era facile individuare un’area sicura per l’atterraggio. Inoltre non avevo molto tempo a disposizione, i sovietici avevano individuato il sito dello schianto, eravamo bersagli esposti e vulnerabili. Il mio compagno, il tenente Reinhardt, era ferito. Per portarlo al riparo ho dovuto trasportarlo di peso nell’abitacolo. Non è stato semplice far ripartire il motore in quelle condizioni, ormai eravamo circondati dal nemico, la nostra unica speranza era volare via prima che fosse troppo tardi. Fortunatamente sono riuscito a decollare, non ricordo molto di quei momenti, se non i lampi dei proiettili. Ma nemmeno il cielo era sicuro, uno Šturmovik ci ha inseguiti tentando di abbatterci sul confine, con qualche acrobazia e una manovra piuttosto azzardata sono riuscito a distaccarlo. Sono tornato al campo con il velivolo in pessime condizioni, ma io e il tenente Reinhardt eravamo ancora tutti interi»
«La sua decisione di mettere a rischio la propria vita per salvare un commilitone è davvero ammirevole»
«Non avrei mai potuto abbandonare un compagno in difficoltà»
«Ho avuto modo di constatare che il valore del cameratismo è sacro per i piloti della Luftwaffe»
«Deve sapere che quando si è lassù è tutta una questione di sintonia e complicità, non si può volare con qualcuno a cui non si potrebbe affidare la propria vita»
«Già, in effetti il vostro è un compito ancor più rischioso e pericoloso in questa guerra»
Schneider distolse lo sguardo, recentemente aveva appreso che il tenente Ziegler e l’Oberleutnant Farnbacher erano caduti in battaglia. Pur rattristandosi per la loro perdita non si era lasciato sopraffare dal dolore. Aveva brindato alla loro memoria, con l’unico conforto che entrambi avessero incontrato una fine dignitosa e valorosa. La morte nei cieli era la più onorevole per un pilota.
«Tenente…»
Hans tornò alla realtà rivolgendo nuovamente la sua attenzione al giornalista. Le seguenti domande non furono particolarmente entusiasmanti poiché nessuna gli lasciava molta libertà nel rispondere. Per Schneider fu solo una questione di pazienza.
«Un’ultima domanda. Ormai tutti riconoscono il suo aereo grazie alla rosa nera dipinta sulla fusoliera. Qual è il suo significato?»
Hans avvertì un nodo alla gola. Ripensò a quando Declan gli aveva rivelato che cosa significasse l’emblematica Róisín Dubh per i militanti dell’IRA.  
«Riguarda una vecchia poesia, la rosa nera è il simbolo di una promessa»
Il giornalista si incuriosì: «che genere di promessa?»
«Principalmente di fedeltà alla Patria, ma anche agli ideali e ai compagni di combattimento»
«La rosa è un simbolo molto romantico, non crede? C’è forse anche una motivazione più personale?»
A quella domanda Schneider manifestò la sua insofferenza: «credevo che fosse qui per avere notizie della guerra!»
«Sì, ma…in generale il mio intento è riportare storie dal fronte. E, ecco…a dire il vero sono stati altri piloti a suggerirmi questa ipotesi. Insomma, i suoi compagni pensano che quel simbolo sia dedicato a qualcuno di speciale per lei»
«Può lasciare che ognuno pensi quello che vuole a riguardo» replicò il tenente con indifferenza.
«Oh, certo! Un po’ di mistero potrebbe rendere la sua figura ancora più interessante»
Schneider riconobbe l’ironia della situazione, quell’uomo non aveva idea di star conversando con una spia dell’Abwehr che aveva affrontato una pericolosa missione in un’isola straniera per recuperare preziose informazioni militari. L’unico segreto a cui sembrava interessato era uno stupido pettegolezzo.
Doveva però ammettere che un fondo di verità era stato intuito dai suoi compagni. Quel simbolo era qualcosa di più per lui. Gli ricordava la promessa che aveva fatto a Declan. Era stato il suo modo per sentirlo ancora vicino, era questo a donargli forza e speranza durante ogni missione.
Era conscio del fatto che l’irlandese gli avesse salvato la vita, era stato lui a permettergli di realizzare il suo sogno di aviatore. Per questo riteneva di non poter dedicare a nessun altro ogni sua vittoria.
 
Hans attraversò il campo con aria pensierosa, quell’intervista l’aveva scosso più del dovuto. Durante quella passeggiata si concesse qualche istante per abbandonarsi ai ricordi. Il tempo trascorso insieme a Declan era stato breve, ma estremamente prezioso. Aveva riconosciuto in quel giovane idealista e sognatore uno spirito affine e complementare, lui era l’unico che era riuscito a mettere alla luce i suoi sentimenti più profondi e sinceri. In Declan aveva trovato molto più di un alleato. Doveva ammettere di avvertire la sua mancanza. A volte gli sembrava di rivederlo negli occhi verdi di Kurt, il suo fidato mitragliere.
Hans tentò di reprimere le sensazioni scaturite da quel senso di vuoto e sconforto, pian piano tornò in sé riconquistando lucidità e compostezza. La sua unica certezza restava quella promessa. A donargli conforto restava la consapevolezza che entrambi fossero uniti dal senso del dovere.
Il tenente tornò alla realtà udendo un familiare ronzio. Immediatamente sollevò lo sguardo, per un breve istante il cielo sopra alla sua testa fu oscurato dalle ombre proiettate da una squadriglia di Stuka in formazione.
Hans restò ad osservare con orgoglio e ammirazione i suoi compagni in volo. I bombardieri dominarono dall’alto la desolata steppa. Le sagome dei velivoli si stagliarono contro la luce rossastra del tramonto per poi scomparire all’orizzonte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Ringraziamenti
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno voluto accompagnarmi in questa avventura, seguendo le vicende di questi personaggi dall’inizio alla fine.
Grazie a chi è stato così gentile da lasciare un suo parere a questa storia.
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94, Enchalott, Old Fashioned, paige95 e Streganocciola per il costante supporto^^

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