Ricostruirsi

di Reginafenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una carriera distrutta? ***
Capitolo 2: *** Forse sì... ***
Capitolo 3: *** Non tutto è perduto (si spera!) ***
Capitolo 4: *** Poteva andare decisamente peggio! ***



Capitolo 1
*** Una carriera distrutta? ***


Midge aveva deciso di prendersi una pausa dal palcoscenico, dopo il frenetico vortice di insicurezza in cui era caduta una volta abbandonata da Shy Baldwin sull’orlo del suo sogno, o meglio, sulla pista dell’aeroporto in cui l’attendeva un magnifico areoplano che avrebbe dovuto condurla in quell’agognato mondo cabarettistico europeo che le era stato promesso.
Si trattava, in realtà, di una voragine interiore che Shy aveva aperto suo malgrado, un vuoto di cui Midge non era consapevole ma la cui tardiva conoscenza le aveva procurato almeno tanto dolore quanto era stata in grado di infliggerne.

Midge conosceva piuttosto bene il senso di sfiducia nei confronti delle altre persone che ora provava Shy. Anzi, la sua esperienza le aveva insegnato che purtroppo di solito erano le persone più care a compiere i peggiori atti di tradimento… Eppure, nemmeno una volta da quando Joel l’aveva lasciata aveva pensato che sarebbe potuto capitare a lei di sedersi dalla parte dell’imputato, di mancare così sensibilmente di delicatezza nei confronti di un amico a cui voleva bene davvero. Forse, tutto questo l’avrebbe portata a giudicare con maggiore clemenza gli errori commessi dal suo ex marito, scoprendosi sorprendentemente molto più fragile e imperfetta di quanto non si fosse mai reputata in vita sua.

Ciò che la infastidiva di più era l’egoismo che l’aveva spinta a servirsi della storia personale di Shy per salvarsi dalla paura del fallimento. Anche se si trattava solo di battute, che probabilmente la gente non avrebbe preso seriamente, la sua mancanza di freni inibitori non aveva tenuto in alcun conto i sentimenti di chi sapeva perfettamente che non si trattava affatto di uno scherzo.
Per quanto potesse autoconvincersi di aver agito in buona fede, Midge non poteva neanche sperare di arrivare a un chiarimento con Shy: Reggie le aveva consigliato di non insistere, altrimenti il “suo” Shy si sarebbe irritato e avrebbe rovinato col suo umore l’entusiasmo di tutto il team, quindi il successo dell’intero tour.

Non era la prima volta che le accadeva di ferire qualcuno, a pensarci bene.
Se con Benjamin non era stata precisamente la sua bocca a fare danni ma la penna vigliacca che l’aveva guidata a scrivere un addio su di un immacolato foglio bianco, questa volta nessuna scusa poteva reggere al fine di mantenere intaccata l’immagine di sé che si auto dipingeva da quando era nata. Era o non era Miriam Maisel la salvatrice in extremis di qualsiasi situazione difficile, di imprevisti o di relazioni in crisi, come quella dei suoi genitori o quella tra Imogene e Archie? Era o non era Midge Maisel la mediatrice, la sollevatrice dei cali di autostima altrui? Nel suo cuore sentiva di volere prima di tutto il bene di coloro che amava, persino della prima persona che le capitava di incrociare per strada e per la quale provava un’istintiva simpatia.
Troppo spesso, però, da quando il suo matrimonio era andato in pezzi, si era dimostrata naïve e tendente a praticare qualcosa che la vecchia Midge non avrebbe mai fatto: fallire come tutti gli esseri umani, anche e soprattutto nelle piccole cose così come nei rapporti sociali fondamentali.

E adesso, addirittura fare shopping aveva perso il suo solito brivido. Midge sedeva ad un tavolino di un coloratissimo bar, in grado di attirare l’attenzione persino di un miope nell’estiva e serale New York City. Sedeva, dunque, sorseggiando con una cannuccia una banalissima limonata, mentre aspettava insieme ad Esther che Ethan finisse la lezione di pianoforte. Le stonature sulla tastiera si potevano avvertire anche da lì: un chiaro segnale che il futuro di Ethan non sarebbe stato nella musica. Anche il suo adorato Martini Dry era stato sostituito da una versione molto più sbiadita che ben si addiceva al suo stato d’animo, ma l’incredibile anticipo con cui si era recata dal maestro di musica confermava più di qualunque altra cosa il drastico cambiamento di vita che stava affrontando negli ultimi mesi.

A quel punto, non le restava che sfogliare svogliatamente le pagine dell’ultima rivista di Vogue per ingannare l’attesa e impartire a sua figlia le prime lezioni in fatto di stile. Se non fosse stato per l’interruzione di una bambina intenzionata a fissarla con lo stesso sguardo inquietante di suo figlio, quando assumeva il vizio di sbucare dal nulla la mattina nella sua stanza senza motivi apparenti, era sicura che la piccola Esther fosse stata catturata dall’immagine del bellissimo tailleur rosa in copertina. Soddisfazione, questa, non da poco per una madre come lei.  

“Ti sei persa, per caso?” Midge rispose allo sguardo della bambina con un’espressione dolce e divertita al tempo stesso. Sistemò Esther nel suo passeggino e guardò l’orologio che aveva al polso: mancavano ancora dieci minuti alla fine di quel supplizio acustico che proveniva dal primo piano dell’appartamento di fronte al bar.

La bambina non disse nulla, ma si limitò a scrollare le spalle. Pe un breve istante Midge ebbe l’impressione che quel viso non le fosse del tutto estraneo, anzi, quella scrollata di spalle aveva un’aria vagamente familiare. Midge si sforzò di ricordare, ricollegando mille volti di gente conosciuta con quello della ragazzina bionda che aveva davanti. Doveva avere, su per giù, la stessa età di suo figlio Ethan, ma presto Midge si arrese all’insolubilità dell’enigma e pensò che fosse più produttivo avviare una conversazione con lei.

“Se hai perso la voce, forse un bicchiere di limonata potrebbe aiutarti a fartela tornare. Vuoi che te ne ordini un po'?” Adesso, il tono della voce di Midge era diventato ancora più affabile e si poneva in netto contrasto con l’assoluto mutismo della ragazzina, la quale sembrava studiare il suo viso come se anche lei cercasse di ricordarsi dove avesse potuto incontrare una signora così affascinante. Midge ordinò altre due limonate e invitò la piccola a sedersi accanto a lei, con un semplice gesto della mano.

“Sai, di solito le bambine non girano da sole a quest’ora. I tuoi genitori saranno in ansia per te.”

Dopo un breve sorso di limonata, la bambina pronunciò un laconico “Può darsi”, gettando di tanto in tanto un’occhiata all’angolo della strada, quasi si aspettasse di vedere qualcuno sbucare da lì dietro. Evidentemente era fuggita di casa e la stavano cercando, ma la bambina non aveva intenzione di farsi trovare tanto facilmente.

“Questa è mia figlia Esther e io mi chiamo Miriam. Midge se preferisci. Tu, invece, come ti chiami?”

“Kitty. Comunque, grazie per questa…” e indicò il bicchiere mezzo vuoto, “E’ stata molto utile”.

Midge si accigliò leggermente, “Mi sa tanto che tu abbia fatto una bella corsa per arrivare fin qui, ma ovviamente non mi spiegherai il perché, vero?”

Kitty, infatti, scosse la testa.

“Non ti ho sentita arrivare per via di questo…” e alzò una mano in aria, riferendosi al baccano assordante prodotto dalle manine poco sincronizzate di Ethan. Kitty annuì, dimostrando di essere piuttosto sveglia per la sua età.

Quando calò giù il silenzio, entrambe tirarono un sospiro di sollievo e si rivolsero uno sguardo complice. Tuttavia, proprio in quel momento Esther iniziò a piagnucolare per richiamare su di sé l’attenzione di sua madre. Così, Midge dovette alzarsi e prendere in braccio sua figlia per calmarla un po'.
Mentre era di spalle, Kitty si strinse alla sua gonna di tulle color cipria, lasciando intuire a Midge che il gioco del nascondino era finito e che ora la piccola aveva paura del rimprovero dei suoi genitori, o di chiunque la stesse cercando.

Quando si voltò, Midge vide una bellissima ragazza, bionda come Kitty, correre freneticamente verso la loro direzione. Una volta raggiunto il tavolino, la giovane si inginocchiò all’altezza di Kitty e l’abbracciò intensamente, come se non volesse lasciarla più. Dopo qualche minuto, si rialzò cercando di ripulirsi le gambe e la gonna dallo sporco della strada. Era molto provata e con gli occhi lucidi guardò Midge, “Grazie per averla fermata, altrimenti chissà dove sarebbe ora!”

“Si figuri! Kitty si è già pentita e mi stava appena comunicando dove avrei dovuto accompagnarla, giusto?” Fece l’occhiolino alla bambina, la quale non riuscì a non nascondere un piccolo sorriso pieno di riconoscenza.

Ethan andò loro incontro con un’espressione scocciata e gli spartiti nella cartella sotto il braccio, “Mamma, possiamo andarcene, per favore? Papà mi ha promesso che avremmo mangiato la pizza oggi!”.

Midge gli accarezzò i capelli, “Credimi, amore, anche noi non vedevamo l’ora di andarcene! Prima, però, dovresti presentarti a queste due signorine, altrimenti che razza di gentleman saresti?”

Ethan si sforzò di tendere la mano a Kitty, “Io sono Ethan. Adesso possiamo andare?” Aggiunse, rivolgendosi implorante a sua madre. Midge alzò gli occhi al cielo e si scusò con la giovane per i modi frettolosi del figlio.

“Perdoni la curiosità, e anche la mancanza di discrezione, signora…” attese che le venisse rivelato il nome della sua nuova interlocutrice.

“Honey Bruce. Oh, no!  Honey Harlow. Mi scordo sempre di dover usare il mio nome da nubile ora!” Le porse la mano e la strinse energicamente. Bruce, eh? Possibile che Kitty fosse la figlia di Lenny Bruce? Sì, la somiglianza era notevole, eppure Midge si domandava perché non fosse riuscita a coglierla prima. Certo, sapeva che Lenny aveva una figlia, tuttavia, stentava a vederlo nei panni di padre, non perché non fosse premuroso o altro, semplicemente perché Lenny dava l’impressione di essere totalmente indipendente e conduceva da sempre una vita alquanto instabile per garantire la propria presenza in quella di una bambina. Questa scoperta l’aveva lasciata letteralmente senza parole…

“Mamma, lei si chiama Midge.” Disse Kitty, tentando di riempire un vuoto di parole che iniziava a diventare imbarazzante.

Midge si risvegliò da quella specie di torpore in cui era caduta e continuò, “Signora Harlow, perché Kitty si è allontanata da casa? Voglio dire, anche io una volta tentai di fuggire da mia madre quando ero molto piccola, ma il motivo della fuga era molto più futile di quanto possa immaginare. Mi ero innamorata di un cappellino che avevo visto in una boutique del centro e non accettavo il rifiuto di mio padre, così andai da sola e lo acquistai con i soldi della mia paghetta, messi da parte per mesi!”

Kitty rise di gusto, mentre Honey si sfregò la fronte e si sedette un attimo, “Oggi Kitty è tornata da me, dopo aver trascorso il weekend con suo padre. Evidentemente non devo esserle tanto simpatica quanto Lenny!”

Non sapeva cosa fare o cosa dire. Era abbastanza sicura che Lenny non avesse mai parlato a Honey di lei e, anche se tra di loro non era accaduto nulla di più di quanto fosse conveniente in una comune amicizia tra uomo e donna, una parte di lei si sentiva inibita: in Florida avevano quasi superato il limite e poteva ancora sentire le farfalle nello stomaco che aveva provato sulla soglia della stanza del motel in cui soggiornava Lenny, persa in quei meravigliosi occhi dolci immersi nei suoi. Sarebbe potuto scattare un corto circuito per via dell’elettricità presente tra di loro in quel momento. Ciò nonostante, Midge aveva preferito rimandare le scintille ad un tempo diverso da nemmeno lei sapeva cosa, sperando possibilmente in un’occasione perfetta.

“Dov’è ora Lenny?” Osò chiedere timidamente, aspettandosi una reazione quantomeno stupita da parte di Honey.

“E’ qui a New York. Mi pare strano che lei possa rientrare nel pubblico di Lenny, anche se non c’è mai limite alle stranezze della vita. È una sua ‘amica’?” La scrutò attentamente, in cerca di prove estetiche che avvalorassero la sua tesi. Non ne trovò alcuna.

Midge faticò a restare in equilibrio, da una parte trascinata dalla mano di Ethan e dall’altra con il braccio addormentato dal peso di Esther, “Una delle sue fan più accanite, direi. A tal proposito, sarebbe così gentile da farmi un favore?”

Honey assentì, facendole un cenno con la riccioluta chioma dorata.

“Gli direbbe che Midge Maisel lo sta cercando? Tenga...” Rovistò nella borsetta alla ricerca del suo taccuino e di una penna, poi affidò Esther a Honey per poter scrivere qualcosa appoggiandosi al tavolino del bar. Staccò un foglietto e lo ripregò per bene, rendendo chiaro che il messaggio era indirizzato solo e soltanto a Lenny.

Honey prese il biglietto e restituì la piccolina a Midge. La sua espressione tradiva una certa curiosità, ma seppe trattenersi. Si congedarono in maniera amichevolmente sbrigativa, prendendo direzioni opposte. Entrambe, però, sentirono l’impellente bisogno di voltarsi per un istante, giusto il tempo di un’ultima occhiatina che potesse chiarire alcune cose rimaste irrisolte.
“Ma quella non era, per caso, la donna con l’elegante abito verde che aveva pagato la cauzione di Lenny, mentre lei moriva di caldo sul sedile posteriore di un taxi?” Si chiese Honey, senza sapere che Midge scandagliava la sua memoria per ricordare dove avesse visto prima l’ex moglie di Lenny Bruce, con un pizzico di invidia nel petto.


 

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Capitolo 2
*** Forse sì... ***


Quando ritornò nell’appartamento, preso in affitto dopo l’imprevedibile risvolto del tour con Shy, Midge trovò tutte le luci spente. Sicuramente i suoi genitori erano crollati per l’ennesima volta, sfiniti dal trasloco e dall’alcool degli aperitivi consumati a mo’ dì ricarica.

Nonostante fosse da sola – in quanto i bambini avrebbero passato la notte con Joel – non percepiva affatto la solitudine: tanti erano i pensieri che le affollavano la mente, facendole compagnia come una comitiva di amici dalla risata fastidiosa ed estenuante, nel pieno della loro serata di divertimento.

Abbandonò cappello e borsetta su di una poltrona e poi abbandonò sé stessa sul divano del soggiorno, con ancora i tacchi addosso, nel buio più pesto. Sembrava una soffice meringa rosa sprofondata tra i cuscini di un sofà color crema, vinta dalla noia piuttosto che dalla stanchezza.
Sebbene Susie avesse ricominciato a gestire il Gaslight, sperando di racimolare almeno l’essenziale per poter vivere e ripagare i debiti che aveva contratto per colpa del gioco, Midge si rendeva sorda ad ogni invito a salire sul palco rivoltole dalla sua manager.
Susie non voleva ancora arrendersi alla rassegnazione di Midge e si augurava con tutto il cuore che dei piccoli riscaldamenti avrebbero potuto convincerla che fosse arrivato il momento di provare a rimettersi in gioco. Molto probabilmente, quella sera un altro comico cercava di sbancare il lunario al suo posto, dimostrando un quarto del suo talento ma l’energia di un poppante, illuso dal riflesso scintillante di una fama effimera quanto il tempo di un mezzo applauso o di una mezza risata in un locale per principianti.
Susie aveva capito, però, che la tattica dell’inseguimento non funzionava e che la strategia migliore da adottare era il silenzio: smettere di corteggiarla per provocare in Midge il desiderio opposto. Questa era l’ultima chance che le rimaneva, l’unica carta rimastale da giocare.

Il telefono squillò. A quell’ora poteva essere solo una persona, perciò Midge tentò di ignorare quanto più possibile quel suono molesto, ma chi la cercava non mollava la presa e alla fine toccò a lei cedere. La determinazione di Susie doveva essere evaporata ben prima del previsto. Sbuffò, intenzionata a far intendere al suo interlocutore tutto il disappunto per l’interruzione apportata al suo stato di tedio volontario.

“Uffa, Susie! Te l’avrò ripetuto cento volte che non ne voglio saperne nulla!”

Qualche secondo di silenzio prima che il rumore metallico del telefono venisse rotto da una voce calda e decisamente più baritonale di quella di Susie. Le ci vollero pochi istanti per capire a chi appartenesse…

Rimase con la luce spenta e con il cuore che le batteva nel petto all’impazzata, sdraiata con lo sguardo rivolto al soffitto per racimolare i pensieri e tenere a bada le emozioni.

“Da quanto mi è stato riferito, credevo ti fosse gradita una mia telefonata. Mi pare, però, che le cose siano cambiate nell’arco di…quanto? Vediamo un po', due ore? Sai, non sono in grado di tenere bene il tempo, anche se, rispetto a te, mi considero un esperto in questo campo. Vuoi che ti richiami in un altro momento?” La delicata ironia di Lenny fu capace di scioglierle i nervi ancora meglio di quanto avesse potuto fare un drink. Così, riecheggiò nella cornetta di Lenny una risata spontanea e confortante.

“E da quando avresti deciso di cambiare nome in Susie, sentiamo un po'?”

“A parte gli scherzi, lo sai che mi sono stupito molto nel leggere un prefisso telefonico tipicamente newyorkese sul biglietto che mi ha dato Honey? In realtà, anche solo il fatto che voi due vi foste incontrate mi è sembrato alquanto surreale. Speravo di dover fare una chiamata internazionale e spendere in questo modo tutto ciò che mi rimane in tasca, e invece niente centralino…”

Lenny stava fumando: Midge percepiva i suoi polmoni aspirare ritmicamente il fumo di una sigaretta e rilasciarlo come se si liberasse di un peso fatto d’aria e nicotina.

“Niente centralino e niente centraliniste francesi, mi dispiace per te Lenny! Questa volta dovrai accontentarti della mia voce.” Midge attese, sapendo esattamente che era la sua voce ciò che Lenny desiderava ascoltare.
Fino a quel giorno, non aveva avuto il coraggio di confessargli il motivo per cui era stata tagliata fuori dal tour europeo di Shy Baldwin. Dopo aver deluso Shy, Susie e se stessa, l’ultima persona rimasta di cui temeva il giudizio era proprio Lenny. Quale sarebbe stata la sua opinione al riguardo? E, soprattutto, in quale modo avrebbe influito sull’idea che Lenny aveva di lei?

“Ho come l’impressione che si tratti di una lunga storia.”

Silenzio.

“Lenny, ho perso il senso dell’umorismo e non posso incolpare nessuno all’infuori di me stessa per questo!” Il magone cominciava a salirle su per la gola e sentiva che gli occhi minacciavano un fiume di lacrime. Gli chiuse e attese che Lenny parlasse, ma niente. Lenny, aveva compreso che quelle lacrime avrebbero dovuto fluire dalla foce per renderla veramente libera di esprimersi.

“Siamo nella stessa città, ancora una volta dopo Miami. Che ne dici di scambiarci qualche parola a quattr’occhi e, soprattutto, di fronte a un bicchiere? Hai già cenato, per caso? Conosco un posticino perfetto.”

“No, ma mi piacerebbe tanto rivederti. Devi lavorare stasera?” Chiese, sperando che la risposta fosse un no.

Lenny sospirò, “Oggi sono libero, per tua grande sfortuna. Tuttavia, ti prometto che non ci sarà nessuna romantica atmosfera esotica questa volta.” Si premette una mano sul cuore, rischiando di bruciarsi la camicia con la sigaretta. Anche Lenny era sdraiato, ma su di un letto completamente disfatto, reduce da una guerra di cuscini conclusasi a favore di Kitty.

“Peccato, quelle luci ti donavano parecchio. Raramente si vedono gentiluomini agghindati così per bene!” Midge non riuscì a trattenere l’eccitazione che provava al pensiero di rivederlo.

“Farò finta di crederci, grazie.”

Non sapevano in quale verso condurre il discorso. Troppi non detti pendevano come macigni sul filo immaginario che collegava le loro voci…

Lenny sarebbe passato a prenderla nel giro di dieci minuti, che poi divennero mezz’ora. Midge non riusciva proprio ad essere puntuale! Alla fine, però, anche Lenny dovette convenire che ne fu valsa la pena.
Midge aveva optato per un cambio di outfit, molto più consono alla sera e all’occasione: voleva lasciarlo senza fiato e sentirsi al massimo della forma, almeno all’apparenza. L’abito rosso che aveva addosso metteva in risalto la sua carnagione eburnea, tanto più che le spalle scoperte facevano risaltare il collo e il decolté in maniera sensuale ma pur sempre opportuna ad una donna dotata di buon gusto come lei. Aveva una pochette di satin nero che contrastava ineccepibilmente con il vestito scarlatto e con la lucentezza dei gioielli scelti per completare l’opera. Ma si trattava davvero di Midge o era soltanto quella parte di lei che tutti conoscevano già? La sincerità avrebbe dovuto regnare sovrana quella sera, perciò non avrebbe avuto senso continuare a mentirsi ignorando di non sapere la risposta a quello spietato punto interrogativo.

 

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Capitolo 3
*** Non tutto è perduto (si spera!) ***


Quando aprì il portone, Midge trovò Lenny con le braccia conserte appoggiato all’inferriata del cancello, impegnato a sbrigliare quelli che dovevano essere dei pensieri aggrovigliati nella sua testa. Non dovevano essere pensieri spiacevoli, però. A vederlo dall’esterno, anzi, si sarebbe detto compiaciuto dalle proprie aspettative.

Si accorse della sua presenza come un cieco, appena rinsavito, avrebbe potuto fare dinanzi alla luce del sole, “Ehi, avresti dovuto avvisarmi che saremmo andati alla cerimonia degli Oscar! Quantomeno mi sarei adeguato alla tua eleganza. Ora sono impresentabile, vero?”

“Gli Oscar si tengono d’inverno, Lenny! E tra l’altro, sei tu che mi hai invitata, ricordi?” Lo guardò dritto negli occhi per quella che sembrò un’eternità. In realtà, durò meno di quanto entrambi avrebbero voluto, in quanto sia Midge che Lenny non riuscirono a trattenere lo sguardo l’una sull’altro più a lungo di un minuto, senza rischiare di svelare in maniera troppo impudente i sentimenti che si celavano all’interno delle loro pupille mute. Abbassare le palpebre il prima possibile sembrava essere l’unica soluzione.

“Comunque, non stai affatto male. Tutt’altro. Ecco: hai appena ricevuto un complimento gratis!”

“Il taxi ci sta aspettando dietro l’angolo.” Le gettò un’occhiata in modo discreto, sorridendo tra sé e sé, chiaramente bramoso di ammirarla in tutto il suo splendore una volta arrivati a destinazione.

“Perfetto.” Disse Midge, trotterellandogli accanto.

Lenny si portò una mano alla bocca, come sua consuetudine nelle circostanze di disagio, prima di rivolgersi nuovamente a lei, “Perdona la mia curiosità, tu sapevi che sarebbe successo?”

Midge rimase perplessa per un attimo, “Sono successe talmente tante cose assurde ultimamente nella mia vita che non saprei a quale ti riferisci!”

“Questo imbarazzo, intendo…” Gesticolò con finta noncuranza, per farle capire che si riferiva alla scarsa loquacità tra di loro, oltremodo inconsueta in altri contesti e in altri momenti della loro amicizia. Pur avendo un mezzo sorriso sulle labbra, le sue parole suonavano serie e pregne di una scomoda verità.

Midge si precipitò sul suo braccio, posando la testa contro il suo bicipite con un’aria improvvisamente familiare e premurosa. Ciò che le aveva detto Lenny era inconfutabile: erano mesi che non si vedevano né sentivano, evitandosi vicendevolmente. Naturalmente, qualcosa nel loro rapporto era cambiata e non potevano pretendere di comportarsi come prima, come quando danzavano abilmente in punta di piedi intorno alla questione, evidente sin dal loro primissimo incontro. L’attrazione continuava a crescere di intensità nel corso degli anni, generando confusione in Midge e inquietudine in Lenny.

“Era quello che speravo non accadesse, ma è accaduto ugualmente.”

“Già, ma questo non vuol dire che le cose debbano rimanere in questa specie di limbo, no?” Lenny fece in modo di prenderla sottobraccio, da vero gentiluomo, e insieme arrivarono vicino al taxi. Aprì lo sportello per permetterle di accomodarsi, poi fece un giro intorno alla macchina e sussurrò all’autista l’indirizzo in modo che per Midge fosse una sorpresa. Si sedette al suo fianco, eludendo l’espressione interrogativa disegnata sul viso della sua fantastica accompagnatrice.

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“Però, quanto è piccolo il mondo!” Esordì Midge, dopo aver spiato oltre la spalla di Lenny con gli occhi sgranati. Anche se avesse potuto, non ci avrebbe creduto: Lenny l’aveva portata proprio al Gaslight. Chissà se Susie ne sapeva qualcosa; se si erano messi d’accordo per persuaderla a esibirsi di nuovo, magari dietro l’inoppugnabile incoraggiamento di Lenny Bruce.

No, Lenny non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Aveva troppo rispetto per lei e una tale mancanza di sensibilità nei suoi riguardi sarebbe stata incompatibile con il suo carattere. Allora, perché condurla proprio lì? Decise di scrutare il suo volto in cerca di qualche indizio che potesse rivelarle l’arcano, ma Lenny continuava a fingere di non saperne nulla alzando le spalle e passandosi la sigaretta da un lato all’altro della bocca: era decisamente diverto, per quanto cercasse di mascherarlo.

Uscirono dal taxi e attesero all’ingresso del locale, che sembrava essere molto affollato a quell’ora. ‘Buon per Susie!’ Pensò Midge con sincerità.

“So che ti devo delle spiegazioni.” Lenny gettò a terra il mozzicone della sigaretta e lo spense con il piede.

“Che però non mi darai, giusto? Sei identico a tua figlia in questo, Lenny.” Midge si portò le mani ai fianchi, come se si trovasse di fronte a un bambino disubbidiente con il quale bisognava esercitare un’enorme quantità di pazienza.

“Ah, sì. Quasi dimenticavo, oggi hai visto Kitty.” Si rabbuiò per un secondo, poi continuò, “Non avrebbe dovuto farlo. Ci ha fatto preoccupare parecchio.”

“Giuro che non l’ho traviata in alcun modo! Forse, potrei averle offerto una limonata e potrei aver esercitato una qualche influenza su di lei avvicinandole la mia rivista di moda, ma non mi è sembrata particolarmente attratta. È così grave?” Si morse un labbro. Vederlo triste e preoccupato le procurava grande dolore, perciò cercò di alleggerirgli il morale.

Lenny inclinò la testa, “Le ho parlato di te.”

“Allora è per questo che è scappata, ne sono certa. Non ne poteva più di sentirti criticarmi!”

“Sono diventato così prevedibile?” Le pupille gli si dilatarono nuovamente, per la seconda volta quella sera.

“No, solo un po' ciarlone, anche se non si direbbe. D’altronde, sono l’ultima a poterti giudicare. Non sai quante volte ho parlato di te a… beh, a un sacco di persone!” Arrossì lievemente.

Mentre la gente entrava e usciva dal Gaslight, loro due erano rimasti in piedi nel punto in cui l’auto aveva lasciato loro, avvolti in una nuvola di fumo che proveniva dalle bocche dei tanti avventori, dalla luce dei led che illuminavano l’insegna del locale e dai colori che risalivano da quella specie di sottoscala da cui vi si accedeva.

“Questo luogo ha qualcosa di magico, in fin dei conti. È qui che ci siamo conosciuti. È qui che mi sono sentita distrutta ed è qui che mi sono ricostruita.” Si guardò intorno e percepì un misto di tenerezza e dolore.

Lenny lo comprese e le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani, “Qualcuno ha detto che il mondo è un palcoscenico e io credo che sia vero, soprattutto per noi. Quello è il nostro posto, Midge. Potresti non accettarlo ora, ma un giorno sarai costretta a farlo.” Ritrasse le mani e le mise in tasca, riassumendo quell’aria timida che aveva prima di parlarle.

Midge annuì, commossa dall’imbarazzo di Lenny. La generosità di quell’uomo la stupiva continuamente, “Io non sono alla tua altezza, e questo lo sai. Tu hai aperto la strada e, per quanto questo mondo faccia parte anche della mia natura, sei tu la mia più grande ispirazione. Le tue esibizioni mi danno coraggio.”

“Bene, sono felice che ne parli ancora al presente. Forse questa escursione è servita allo scopo che mi ero proposto.”

“Sarebbe?” Gli chiese con una sfumatura di malizia nella voce.

“Non c’è bisogno che te lo dica.”

Midge fece dei piccoli passi nella sua direzione, accorciando la distanza tra di loro. Soltanto un filo d’aria passava tra i loro corpi, tendenti ad una spontaneità difficile da controllare.
Un desiderio così pericolosamente tangibile da farle di nuovo paura, da farle scattare il panico: se avesse ceduto, il loro rapporto sarebbe cambiato in modo imprevedibile e proprio questa incertezza le causava disagio, fondamentalmente perché temeva di perderlo. Se le cose non fossero andate bene, chi poteva garantirle che Lenny sarebbe rimasto nella sua vita? Non avrebbe mai voluto perderlo, per nessuna ragione. Se la comicità era il masso che entrambi, su percorsi differenti, avrebbero dovuto far continuare a rotolare, Lenny era per Midge la colonna alla quale appoggiarsi per riposarsi un po' e viceversa.

Eppure, che senso aveva opporsi alla natura, a un istintivo e piacevole richiamo d’amore? Basta con le bugie.

“Il viaggio finisce qui? Mi sbaglio o mi avevi promesso una cena?”

“Sì, ma avevo anche promesso di ascoltare le tue confessioni. Quale oscuro segreto mi tieni nascosto, Midge?”

“Te lo dirò, anche se non ti piacerà. Puoi portarmi in un luogo più appartato, però? Senza comici o poeti strampalati, intendo.”

“Ovunque tu voglia.”

“Sono stata scortese a Miami, quindi vorrei poter rimediare…”

“Non me la sono presa troppo, a differenza del proprietario del motel. Un tuo giudizio sull’arredamento della stanza sarebbe stato molto apprezzato. Ma se ti accontenti di un sandwich e di un po' di burro di arachidi nel mio modesto appartamento newyorkese, ci sto.”

Midge sorrise, “Beh, allora puoi dire a quel gentile signore che, sebbene mi sarebbe piaciuto passeggiare a bordo piscina e ascoltare le onde del mare in Florida, mi accontenterò di questa piccola e inquinata città.”

“La birra è gratis.” Disse Lenny mentre le indicava la strada, invitando Midge a scostarsi dall’ingresso del Gaslight.

“Niente Martini con olive, allora?”

“Per chi mi hai preso? Sono un uomo rispettabile io!”

‘Sì, è assolutamente vero. L’uomo più rispettabile che abbia mai incontrato, a dispetto dell’ignoranza degli ipocriti perbenisti.’ Rifletté Midge, accarezzandogli teneramente la schiena.

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Capitolo 4
*** Poteva andare decisamente peggio! ***


Per raggiungere il piano in cui si trovava l’appartamento di Lenny dovettero rinunciare alle scale. Uno strettissimo ascensore, in grado di amplificare in maniera rilevante il caldo di una serata che andava progressivamente trasformandosi in una notte incandescente, condusse loro sul pianerottolo fiocamente illuminato da una lampada capricciosa.

“Eccoci arrivati.”

“Infilare la chiave nella serratura sarà un’impresa! Oh, no, non era un allusione erotica, anche se potrebbe sembrare. In effetti lo è, ma non era mia intenzione alludere a nulla di sconcio, credimi.” Midge divenne paonazza e gesticolò piuttosto animatamente, cercando di discolparsi.

Lenny non riuscì a sopprimere un ghigno divertito, “Ho ascoltato e detto cose ben peggiori di questa! Tranquilla.”

“Anch’io, in realtà. Grazie per aver cercato di salvarmi dall’imbarazzo.” Si avvicinò al portone suggeritole, appoggiandosi al muro in attesa che Lenny aprisse, con la mente presente ma anche un po' lontana, “Hai anche tu una strana sensazione di déjà-vu?” Chiese, con un sorriso sulle labbra.

“Già. Ma questa volta è diverso.”

“Già…”

Con la chiave ancora nella serratura, Lenny le si avvicinò. La guardò intensamente, con gli occhi più espressivi che Midge gli avesse mai visto. Gli era perfettamente chiaro ciò che provava per lei: sentimenti fuori dal comune che partivano da dentro e che avevano assunto una forma ancora più definita nel corso degli anni. D’altronde, era lo stesso per Midge.

Non si trattava di mera gratitudine, di complicità o di stima, bensì di tutto questo e tanto altro ancora. Lenny provava affetto e tenerezza per lei, desiderava il meglio per la sua carriera e persino la sua muta presenza bastava a disgelarlo quando si ritrovava in luoghi troppo freddi e oscuri, come un angelo salvifico pronto a risollevarlo o a proteggerlo dalla pioggia.

“Non sarà suggestivo come allora, ma sono abbastanza convinto che non siano i posti a creare l’atmosfera.”

Midge alzò le spalle e annuì distrattamente, fingendo di dare poca importanza a quella frase ma senza sperare di risultare credibile. Appena aperta la porta e oltrepassato l’uscio, il suo cuore prese a battere più veloce del solito e temette che Lenny potesse accorgersene. Perciò, si allontanò da lui e percorse in tutta fretta il corridoio che portava alla zona living, ignorando completamente la confusione generata in Lenny.

Quell’appartamento aveva impressa la firma del suo proprietario, così come il gradevolissimo profumo che Midge associava a lui e a lui soltanto.

Si accorse di sapersi orientare ammirevolmente al buio anche in una casa che non conosceva, ma doveva ammettere che l’impeto della fuga aveva giocato un ruolo non secondario nel coordinare i suoi passi. Così, si ritrovò nella camera di Lenny, seduta sul suo letto disfatto, con la pochette ancora tra le mani e i pensieri più confusi che mai.

Lenny si presentò con una smorfia di stupore misto a dolcezza e attese all’ingresso, ricordandosi di accendere le luci solo dopo che i suoi occhi si erano già abituati al buio e riuscivano a contemplare Midge anche senza l’aiuto dell’energia elettrica.

“Non voglio che tu senta il bisogno di fuggire da me, Midge.”

“Starti accanto mi provoca delle sensazioni che non riesco a controllare.”

Lenny si morse il labbro superiore, “E cosa potrebbe accadere di così terribile se le lasciassi scorrere?”

“Beh, potrei sbagliare. Rovinare la nostra meravigliosa amicizia e finire col deluderti o, peggio, perderti. Nella vita ho programmato tutto, ho fatto sì che tutto fosse perfettamente in regola, fino a quando il mio matrimonio non è fallito. Allora ho capito di dover fare i conti anche con gli imprevisti, persino con quelli davvero spiacevoli, e non voglio che la nostra relazione finisca tra quelli.”

Midge si voltò per guardarlo, ma appena finito il suo discorso si accorse che Lenny era scomparso all’improvviso.

“Ma... dove diavolo sei finito?” Midge si alzò e spiò oltre la soglia della camera da letto. Il suono, lievemente attutito dalla distanza, della voce di Lenny la raggiunse dopo un attimo.

“Vado a onorare la mia promessa.”

E, infatti, tornò con due bottiglie di birra congelate. Una volta offertane una alla sua ospite, si fece consegnare la borsetta e la posò delicatamente su uno dei comodini. Poi, con la massima naturalezza invitò Midge a sedersi accanto a lui sul soffice materasso, cosparso di matite e fogli da colorare. Assaporarono la birra in assoluto silenzio.

“Sai, è buffo sentirti parlare così. Credevo ti fossi liberata di quegli inutili fardelli e avessi accettato le distorsioni, i paradossi della vita come elementi costitutivi della bellezza della vita stessa. Senza gli errori che cosa saremmo? La vita non è perfetta, Midge.”

“Da quando saresti così saggio?” Indicò i pastelli e il quaderno con le pagine strappate, ribadendo il sarcasmo implicito nella domanda.

Lenny sorrise, “In fondo lo sono sempre stato, no? Altrimenti perché la gente pagherebbe per ascoltarmi parlare?”

Finse di rifletterci un po' su, “Giusto.”

In realtà, non tardò molto affinché Midge si ritrovasse soprappensiero, incantata a guardare un punto indefinito dell’angolo della bocca di Lenny, riflettendo su quanto si sentisse stupida e superficiale. A Lenny non sarebbe mai venuto in mente di nascondersi dietro la figura di un suo amico per salvarsi la pelle, sbattendo in faccia a un centinaio di persone la delicata verità di una vita costruita su impalcature di menzogne, necessarie a tenere in piedi il gioco da cui dipendevano anche le vite di tanti altri.

Lenny si rese conto della sua preoccupazione e le prese la mano, stringendola forte nella sua. Era un gesto estremamente tenero e insieme eccitante, che comunicava un forte senso di protezione.

“Non avresti dovuto farmi un resoconto delle ultime novità? Perché Shy ti ha dato forfait all’ultimo minuto?”

Midge fece un respiro profondo e gli raccontò la verità, in tutta la sua spietata franchezza.

“Lo so, ora avrai una pessima opinione su di me e non posso rimproverartelo. D’altronde, sono colpevole in tutto e per tutto.” Si batté, afflitta, una mano sul petto.

“E invece ti sbagli. La corte ti ha assolta, figliola. Va pure in pace...” Lenny imitò il tono paternalistico di un sacerdote, per poi aggiungere sarcasticamente, “Per quello che vale!”

Midge reagì increspando le labbra in segno di malinconico compiacimento, “Ho afferrato il messaggio, ma non pensi che abbia esagerato?”

Lenny scosse la testa, “Con tutto il rispetto che nutro per te, credo che questa sia solo la prima delle tante lezioni che imparerai facendo il nostro mestiere. La voce della nostra coscienza è amplificata dall’allungamento automatico del nostro braccio sul palcoscenico, in modo che gli altri la possano sentire.”

“Non parlerei mai di te sul palco. Mai.” Asserì con una gravità del tutto estranea alla solita Midge, come se Lenny l’avesse offesa.

“E perché mai? Dai, Midge! Ti ho sentita dissacrare persino tuo marito quella sera al Gaslight, senza farti tanti problemi e, credimi, va bene così.” Giocherellò con la bottiglia di birra, evitando accuratamente il suo sguardo. Di cosa aveva paura? Forse temeva di leggere tra le righe un significato più profondo e di interpretare secondo le sue aspettative il senso delle parole di Midge.

“È diverso. In questo caso non c’è niente di divertente su cui scherzare. Sai, dentro di me c’è un posticino con su scritto “Lenny” e l’accesso a quell’angolo della mia anima è vietato agli estranei.”

“Strano che due comici non sappiano fare ridere l’uno dell’altra! Potrebbe non esserci materiale a sufficienza, però, il che giustificherebbe il paradosso.”

“Hai detto che i paradossi fanno parte della vita. Forse è arrivato il tempo di smetterla di ignorarli.”

Midge si tolse le scarpe e si adagiò delicatamente su di un lato del letto. Chiuse gli occhi, aspettando che fosse Lenny a sbloccare la situazione, infine tese la mano e lasciò che questa cadesse sull’altro lato del letto. Diede qualche colpetto invitante al materasso, aprendo un occhio per monitorare la reazione di Lenny. Dopo aver parlato con lui, si sentiva leggera come lo zucchero filato sul bastoncino di legno in una domenica di primavera, e ora la consapevolezza del giusto peso da attribuire all’errore commesso con Shy sembrava una tirata d’ossigeno dopo un’apnea durata mesi.

Ogni persona facente parte della vita di Midge pretendeva il rispetto della sua privacy, quindi nessun coinvolgimento nel suo lavoro, imponendole così un forte limite alla creatività. Lenny, invece, le garantiva una libertà senza riserve, tanto che il rischio di andare fuori dalle righe o di intraprendere una strada mentale secondaria diventava più allettante che percorrere la terra già battuta, nel chiuso di un locale quanto nella vastità del mondo.

Adesso Lenny si era rivolto verso di lei. Gli sfuggì un piccolo sorriso in grado di illuminargli l’intero volto, “Pensavo che quando ti fossi decisa a provarci sarebbe stato troppo tardi.”

“L’ho capito solo ora, anche se lo presumevo già da un po'.”

Lenny la raggiunse, sdraiandosi al suo fianco. Con la testa appoggiata sul palmo di una mano, non riusciva a smettere di guardarla, meravigliandosi continuamente della fortuna che aveva avuto ad essere arrestato la stessa notte di Midge. Erano passati tre anni da allora.

“Vorrei che me lo dicessi.” Midge si sistemò su un fianco, senza interrompere, nemmeno per un secondo, il contatto visivo con lui.

Lenny inarcò le sopracciglia, con un’espressione incerta sul volto.

“Che ti sei innamorato.” Rispose Midge al posto suo. Non aveva più alcun senso continuare ad essere ambigui.

“Suona meglio detto da te.” Replicò in maniera estremamente seducente, quasi un sussurro impercettibile all’udito.

Midge si avvicinò e gli baciò l’angolo della bocca. Lenny le tolse un orecchino e le accarezzò il lobo scoperto. Non erano mai stati così vicini.

“Ti va di scommettere?” La esortò con uno sguardo eloquente ma tacendo sull’argomento della sfida. Lo spirito competitivo di Midge non tardò a palesarsi e, dopo nemmeno un minuto, si tradusse in un impulsivo sì.

“Scommetto di riuscire a resisterti almeno fino a domani mattina. Buona notte, signor Bruce!”

Tutto ad un tratto si sollevò dal letto e afferrò la borsetta, facendo in modo di non perdere l’equilibrio mentre si rinfilava le scarpe, una dopo l’altra nel corridoio. Sentiva Lenny camminare con tutta calma dietro di lei.

“Grazie della fiducia! Avresti potuto rimanere a letto anziché prenderti il disturbo di accompagnarmi sino alla porta…” Disse con una punta di risentimento nella voce.

“Speravo che nel tragitto cambiassi idea. E comunque dovresti ricordare che il signor Bruce è mia madre.” La raggiunse sulla soglia della porta, con sguardo divertito ma anche un po' deluso.

“Spiritoso!” Posò la mano sulla maniglia, pronta ad aprire il portone. Lenny la guardò allontanarsi verso il pianerottolo per raggiungere l’ascensore. Midge era un caldo uragano a cui non si poteva impedire di stravolgere, con la sua dirompenza, quanto si trovava di fronte, ma era anche una persona ferita nel suo affetto più profondo, disillusa sull’amore e bisognosa di ricredersi.

Entrambi appartenevano alla medesima categoria, solo che tra i due era Midge quella apparentemente più cauta. Lenny, dal canto suo, avrebbe sempre rispettato qualsiasi scelta lei avesse fatto. In quel momento, Midge stava scappando di nuovo, intimorita dalla tangibilità dei suoi sentimenti e dalla possibilità che tutto ciò fosse troppo reale da gestire per una come lei. Quanto avrebbe dato per poterla vedere serena e sorridente, come era apparsa a Miami, quando si era presentata l’occasione in cui entrambi risultavano sincronizzati sull’orologio giusto.

“Ci sarai domani? Oppure si tratta solo di un altro scherzo?” La voce di Lenny si era ridotta a un mormorio, mentre le sue mani erano occupate a trattenere l’orecchino di Midge, come se nel dolore provasse giovamento a lambire una parte di lei. Midge notò che non la guardava più negli occhi e che aveva assunto l’atteggiamento di un cucciolo indifeso, sebbene si sforzasse di non darlo a vedere.

“A patto che tu ci sia per sempre.” Ora Midge si trovava nell’ascensore e lo guardava con estrema serietà dalle sbarre del cancelletto esterno. A quella affermazione Lenny alzò la testa e le si avvicinò con gli occhi lucidi.

“Ogni volta che vorrai.”

Midge annuì: quello era il massimo che poteva promettere Lenny, ma per lei significava tutto. Allungò un dito oltre le sbarre, facendogli segno di andarle ancora più vicino. Poi, appoggiò una mano sul suo petto e lo baciò calorosamente sulle labbra.

Dall’esterno provenivano suoni di musica jazz, trasportati dalle onde sonore da chissà quale locale, e ciò funse da suggestivo sottofondo alla scena. Lenny ne approfittò per staccarsi dolcemente dalla sua bocca, così poté notare il rossore sulle gote di Midge.

“Sei in imbarazzo per caso?”

“Non esserne sorpreso. Non capita tutti i giorni di baciare Lenny Bruce! Sai, sei un uomo molto corteggiato.”

Lenny scrollò le spalle e assunse un’aria modesta, “Mi stupisce che sia proprio tu a dirlo. Comunque, non vorrei infierire ma hai appena perso la tua scommessa.”

Midge diede il comando di apertura e uscì dall’ascensore appropinquandosi graziosamente verso l’ingresso dell’appartamento. Prima di entrare si voltò oltre la spalla per dare un’occhiata ammiccante a Lenny, “Dovrai farti perdonare…”

Lenny la seguì ponendole un braccio attorno alle spalle, ben lieto di passare il resto della notte facendo ammenda insieme a lei.

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