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di Exentia_dream2
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. L'annuncio ***
Capitolo 2: *** II. Voci ***
Capitolo 3: *** III. Miti ***
Capitolo 4: *** IV. Il Calice Di Fuoco ***
Capitolo 5: *** V. L'invito ***
Capitolo 6: *** VI. La prima prova ***
Capitolo 7: *** VII. Cenerentola ***
Capitolo 8: *** VIII. Parole cattive e belle promesse ***



Capitolo 1
*** I. L'annuncio ***


Che misera cosa una sensazione! L’estasi stessa non è, forse, niente di più.
                                                                                                          Emile Michel Cioran.
 
 
 
 
I
L’annuncio
 
       Hermione Granger, studentessa modello, definita da molti la strega più brillante della sua età, quella mattina avvertiva una fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca.
Una persona meno attenta, avrebbe semplicemente creduto di aver dormito male o di avere un qualche piccolo disturbo preciclo.
Una persona meno intelligente, forse, avrebbe collegato il tutto ai postumi della festa che si era tenuta la sera prima nella Sala Comune, per celebrare la riunione dei vecchi Grifondoro e dare il benvenuto a quelli nuovi.
Una persona che non avesse avuto come amici Harry Potter e Ronald Weasley, probabilmente, avrebbe creduto che quel malessere leggero e continuo fosse soltanto dovuto all’ansia da prestazione – il primo giorno di scuola, un nuovo programma da studiare e ripassare almeno tre volte, un nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, l’ennesimo!
Insomma, una qualsiasi altra persona avrebbe dato tutt’altro significato a quella fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca.
Ma non lei.
Difatti, la prima anomalia che scorse, entrando in Sala Grande per la colazione, fu l’espressione funerea dipinta sul viso della McGranitt e, subito dopo, quella assolutamente rilassata di Albus Silente che guardava gli studenti accomodarsi ai propri tavoli con un sorriso a chissà quanti denti.
Quello che Hermione aveva imparato nel corso di quegli anni da alunna di Hogwarts, non estrapolandolo dai voluminosi tomi presenti in biblioteca, era stata l’inaffidabilità delle espressioni sul viso del vecchio Preside: era accaduto, infatti, in una situazione che avrebbe terrorizzato persino il Dissennatore più incallito, che Silente se ne stesse beato a elargire con molto altruismo storie e massime che sembravano non avessero alcun senso, a sorseggiare il suo tè in una bella tazza o a offrire ogni tipo di dolciume esistente.
 Non di meno, pensò, almeno, sarebbe morto a stomaco pieno.
Quella mattina, Hermione si rese conto non essere l’unica a trovare inquietante il viso della professoressa di Trasfigurazione: anche se per motivi totalmente diversi dai suoi, anche Ron credeva che la McGranitt avesse il viso più cinereo del solito.
“Insomma, non vorrei proprio che Fred e George le avessero rifilato una Merendina Marinara.”
Non si aspettava di certo che uno dei suoi migliori amici avrebbe dato davvero peso alle sue impressioni, ma dopo quell’affermazione, non si sentì sollevata nemmeno un po’ di avere con lui un pensiero in comune, episodio più unico che raro, che la sconvolse indicibilmente, eppure riuscì in maniera impeccabile a mantenere la sua aria da ragazza educata qual era.
Quando Silente si avvicinò al leggio, tutti gli studenti caddero in un religioso silenzio e lei pensò finalmente di poter allontanare quella fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca, lasciarla sotto al tavolo e dimenticarsene o perderla strada facendo… scrollarsela di dosso, ecco.
“Bentornati e benvenuti” disse il Preside. “Spero che la colazione sia di vostro gradimento. Per tanto, vorrei augurarvi una buona permanenza a Hogwarts e confidare in voi in un comportamento corretto sempre. E, inoltre, mi farebbe piacere informarvi delle novità che ci saranno in quest’anno scolastico, ma lo farò stasera: a stomaco pieno si accolgono con più piacere le novità! Perciò, buona giornata a tutti e tenetevi pronti per l’annuncio.”
In tutta risposta, Hermione si sbatté una mano sulla fronte, perché era risaputo in tutto il Mondo Magico e non che non fosse legale cominciare un discorso e lasciarlo a metà con la promessa di proseguirlo a  cena, soprattutto quando tra le fila di studenti, c’era chi moriva dalla curiosità per sapere cosa riguardasse l’annuncio.
La giornata proseguì normalmente. Se ne rese conto scorrendo con un dito l’orario scolastico e avviandosi verso i sotterranei, dove ci sarebbe stata la prima lezione dell’anno di Pozioni, ovviamente con i Serpeverde – come l’ora successiva − e con il professor Piton.
Pozioni non era quella che si poteva esattamente definire la sua materia preferita, non per questo, comunque, Hermione s’impegnava di meno a studiarla.
Anzi, a onor del vero, studiava il doppio, ore e ore a prendere appunti e a leggere fino a tarda notte, ma, a dispetto di questo, i suoi voti non andavano oltre l’Accettabile.
“Credo che il suo cervello sia occluso dall’unto dei suoi capelli. Forse, è per questo che non  si rende conto di quanto tu sia brava” le disse Harry al termine della lezione.
“O, forse, perché non sei una Serpeverde!” aggiunse Ron.
“O, forse,” disse lei, le labbra imbronciate e gli occhi lucidi “perché sono davvero una frana in Pozioni!”
L’euforia per l’annuncio, comunque, aveva serpeggiato tranquillamente per i corridoi e si era intrufolata in ogni aula, persino nella Sala Comune di ogni casa. 
E, proprio l’annuncio, sembrava animasse in maniera diversa anche i professori: infatti, Piton non aveva offeso Harry in alcun modo e la McGranitt aveva finto di non vedere l’ennesimo animale mezzo trasfigurato e Ruf, beh… Ruf non aveva fatto addormentare nessuno durante la lezione.
La prova inconfutabile arrivò quando gli studenti di Grifondoro misero piede nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, chiedendosi per il terzo anno di seguito in quale maniera avrebbero studiato la suddetta materia.
Il nuovo professore, Alastor Moody, soprannominato Malocchio, era stato presentato come un ex Auror in pensione, un uomo che affrontava il pericolo senza temerlo in modo alcuno, nonostante le ferite perenni che adesso si portava addosso, come per esempio, la gamba di legno che terminava in un piede a zampa di leone che si trascinava dietro a fatica, o la narice mezza squartata o l’occhio magico che teneva sul viso grazie a una benda, con cui sembrava riuscisse a vedere anche a chilometri di distanza e che copriva malamente la cicatrice sulla guancia.
 “Quando si tratta delle Arti Oscure, io credo in un approccio pratico” cominciò a dire. “Ma prima chi di voi sa dirmi quante sono le Maledizioni Senza Perdono?”
Era fastidiosa, fastidiosissima quella sensazione all’altezza della nuca, ma Hermione Granger,  studentessa modello, definita da molti la strega più brillante della sua età, alzò prontamente la mano e sciorinò come panni stesi al sole tutto ciò che sapeva dell’argomento, perché non si dicesse mai che lei, proprio lei, non conoscesse un argomento prima ancora che fosse presentato dai professori. “Tre, signore” disse.
“E si chiamano così…”
“Perché sono imperdonabili.”
E, imperdonabile, fu anche il modo in cui il professor Moody tenne su tutta la lezione, torturando Neville Paciock facendogli vivere a occhi aperti l’incubo che si premurava di tenere solo per sé.
Per questo, Hermione scattò in piedi e urlò di smettere, con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso.
Si voltò per tranquillizzare Neville con uno sguardo dolcissimo, mentre i Serpeverde se la ridevano sotto i baffi.
Oh, ma insomma! pensò e, nel mentre, il professore si avvicinò pericolosamente a Harry.
Hermione lo sapeva benissimo: essere amica di Harry Potter, il Bambino Sopravvissuto che si portava il sacrificio dei genitori stampato in fronte con una cicatrice a forma di saetta, che attirava guai proprio come le luci attirano le falene, richiedeva una pazienza e uno sprezzo del pericolo che lei aveva acquisito da tempo e, proprio per questo, anzi, nonostante questo, tremò.
Il tremore passò in fretta, poiché, a fine lezione, tutti gli studenti, compresi e soprattutto i Serpeverde, corsero a gambe levate fuori dall’aula e si riversarono nel corridoio come una mandria di bufali inferociti, perché nessuno di loro moriva dalla voglia di assistere a un altro spettacolino macabro a suon di urla di ragni indifesi.
“Indifesi un accidenti!” aveva detto Ron quando lei aveva provato a discutere con loro. “Erano ragni. Ragni, hai presente?”
“Finalmente!” s’intromise Harry. “Questa giornata è finita.”
“Oh no, non che non è finita. Hai dimenticato una cosa importante, Harry. L’annuncio!”
Quando rientrarono in Sala Comune, Hermione si guardò intorno a cercare qualcosa di sospetto che prima non fosse presente: il camino era sempre stato lì, così come il tappeto e le poltrone, persino le scarpe in fondo alla scala erano lì da quella mattina e chissà chi le aveva lasciate e, quando appurò che nulla fosse stato toccato, si sedette, aprendo un libro sulle ginocchia.
“Ma dai, rilassati un po’, almeno qui” le suggerì Ron e lei lo guardò di sbieco perché proprio non capiva che c’erano delle priorità nella vita.
“No, Ronald, devo recuperare.”
“Ma cosa? Oggi è stato solo il primo giorno di lezione.”
“Appunto.”
“Beh, fai un po’come ti pare…”
Quasi sorrise, poi, però, la fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca tornò a farle visita e, questa volta, le sembrò più forte e decisa, come quei mal di testa che non riusciva a mandare via nemmeno con l’aspirina.
Se ne stava lì, tra capo e collo, e Hermione seppe che quel giorno sarebbe successo qualcosa.
Forse, uno di loro sarebbe caduto per le scale e si sarebbe rotto una gamba o, magari, le sarebbe davvero venuto il ciclo e tutto sarebbe passato.
O, probabilmente, sarebbe iniziata la solita scaramuccia tra Grifondoro e Serpeverde o Serpeverde e qualsiasi altra casa… in poche parole, sarebbe successo qualcosa!
 
 
~•~
 
       Hermione Granger continuò a sopportare in silenzio quella fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca: se l’era portata dietro per tutta la mattina, l’aveva adagiata sul bracciolo della poltrona in Sala Comune e, adesso, se la portava a spasso per i corridoi che l’avrebbero condotta alla Sala Grande come un cagnolino fedele che richiede una passeggiata per espletare i propri bisogni.
Un po’ come tutti gli altri studenti si erano portati dietro l’entusiasmo e le ipotesi riguardanti l’annuncio.
“Ehi, Granger” la chiamò qualcuno.
Lei si voltò a guardare la persona con cui avrebbe dovuto interloquire per i successivi due o tre minuti e lo trovò: spalle al muro, atteggiamento aristocratico, sorriso bianchissimo e un’espressione che avrebbe voluto togliergli dal viso a suon di schiaffi – un’espressione che non aveva nulla a che fare con quella funerea della McGranitt né con quella assolutamente rilassata di Silente.
“C’è qualcosa che non va?”
“Oh, no.” disse l’altro. “Volevo solo accertarmi che stessi bene dopo la lezione di Difesa contro le Arti Oscure.”
“Sto benissimo, grazie.”
Quando l’altro fece un passo in avanti, Hermione ne mosse due indietro perché non si dicesse mai che una Grifondoro onesta e leale come lei s’intrattenesse in compagnia e in atteggiamenti equivoci con un Serpeverde. 
“Bene, ne sono davvero contento. Non dimenticare quella cosa” le aveva detto all’orecchio.
Oh, ma quella cosa, Hermione non l’aveva affatto dimenticata e, anzi, ci aveva pensato per tutta l’estate e sapeva bene che non sarebbe potuta andare avanti per le lunghe, perché prima o poi la scuola sarebbe finita e loro due si sarebbero separati e probabilmente non si sarebbero mai più rivisti e, nonostante questa consapevolezza, non si erano affatto risparmiati, anzi, entrambi si erano dati parecchio filo da torcere, fino all’ultimo secondo e l’ultima volta l’aveva avuta vinta lui soltanto perché era un Serpeverde e non perché fosse realmente più preparato di lei.
Proprio per questo, non appena lui fu lontano abbastanza, Hermione gli urlò dietro: “Zabini! E’ soltanto il primo giorno di scuola!”
La cena riempiva già gran parte della tavolata quando lei raggiunse i suoi amici e si concesse un’abbondante porzione di patate arrosto, il bicchiere già pieno di succo di zucca.
Mangiava di gusto e rideva insieme a Harry perché Ron si era quasi infilzato l’ugola con una forchetta quando Silente batté le mani per attirare l’attenzione degli studenti.
“Buonasera a tutti” cominciò il Preside. “vi ho promesso che per cena avrei dato l’annuncio, ebbene, nei prossimi mesi avremo l’onore di ospitare un evento assai emozionante, un evento che non ha luogo da più di un secolo. È con grandissimo piacere che vi informo che il Torneo Tremaghi quest’anno si terrà a Hogwarts… be’, alcuni di voi forse non sanno di che si tratta, quindi spero che quelli di voi che lo sanno mi perdoneranno questa breve spiegazione, e sono liberi di pensare a quello che vogliono.”
Hermione aveva letto Storia di Hogwarts un numero di volte  che non poteva essere quantificato, eppure, l’unica cosa che ricordava del Torneo Tremaghi riguardava l’incidente avvenuto qualche secolo prima a causa di una creatura mortale.
    “Il Torneo Tremaghi fu indetto per la prima volta settecento anni fa” riprese il Preside. “come competizione amichevole tra le tre maggiori scuole europee di magia: Hogwarts, Beauxbatons e Durmstrang. Venne scelto un campione per rappresentare ciascuna scuola, e i tre campioni gareggiarono in tre imprese magiche. Le scuole si alternavano nell’ospitare il Torneo ogni cinque anni, e tutti convennero che fosse un modo eccellente per stabilire legami tra giovani streghe e maghi di diverse nazionalità… almeno fino a quando il tributo di morti non divenne così elevato che fu deciso di sospendere il Torneo.”
A quelle parole, la fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca tornò prepotente e Hermione alzò lo sguardo su Harry, perché sapeva che in quel momento stesse immaginando se stesso prendere parte a quelle missioni suicide e magari uscirne vittorioso, stringendo tra le mani la coppa del Torneo, festeggiare ancora una volta la scampata morte prematura, perché se non c’era riuscito Tu-Sai-Chi non l’avrebbero mica ammazzato un paio di creaturelle mortali.
“Ci furono parecchi tentativi nel corso dei secoli di riportare in auge il Torneo” disse ancora Silente. “nessuno dei quali ebbe molto successo. Comunque, i nostri Uffici per la Cooperazione Internazionale Magica e per i Giochi e gli Sport Magici hanno deciso che i tempi sono maturi per un nuovo tentativo. Abbiamo lavorato molto nel corso dell’estate per far sì che questa volta nessun campione o nessuna campionessa si trovi in pericolo mortale.”
Sì, Harry stava decisamente valutando l’ipotesi di partecipare al Torneo e, anzi, aveva già deciso di farlo, se ne rese conto dallo sguardo febbricitante e dal sorriso che gli spostava gli occhiali.
    “I Presidi di Beauxbatons e di Durmstrang arriveranno in ottobre con la loro squadra scelta di campioni, e la selezione dei tre sfidanti avverrà due giorni dopo Halloween. Un giudice imparziale deciderà quali studenti saranno più degni di gareggiare per la Coppa Tremaghi, la gloria della loro scuola e un premio personale in denaro pari a mille galeoni.”
Furono Fred e George a catturare la sua attenzione, questa volta, mentre elencavano i modi più assurdi per spendere tutti quei soldi e Ron, che dava loro man forte.
   “Pur sapendo quanto ciascuno di voi sia desideroso di portare a Hogwarts la Coppa Tremaghi, i Presidi delle scuole partecipanti, assieme al Ministero della Magia, hanno convenuto di imporre un limite d’età per gli sfidanti di quest’anno. Solo gli studenti dell’età giusta — cioè da diciassette anni in su — potranno proporsi per la selezione.”
Fred si alzò in un gesto di ribellione, ma Silente quasi lo notò o, comunque, non gli diede agio di sfogare la propria frustrazione per una regola così alienante a dispetto di chi, pur non avendo diciassette anni, si sentiva comunque in grado di fronteggiare chissà quali bestie feroci.
 “Questa è una misura che riteniamo necessaria, dal momento che le prove del Torneo saranno pur sempre difficili e pericolose, quali che siano le precauzioni che prenderemo, ed è altamente improbabile che gli studenti al di sotto del sesto e del settimo anno siano in grado di affrontarle. Mi assicurerò personalmente che nessuno studente di età inferiore inganni il nostro giudice imparziale e lo induca a nominarlo campione di Hogwarts”. soltanto in quel momento, il Preside guardò i due gemelli e proseguì: “Pertanto vi prego di non perdere tempo a iscrivervi se avete meno di diciassette anni. Le delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang arriveranno in ottobre e resteranno con noi per la maggior parte dell’anno. So che tutti voi tratterete con la massima gentilezza i nostri ospiti stranieri durante il loro soggiorno, e darete il vostro sincero sostegno al campione di Hogwarts quando verrà designato o designata. E ora è tardi e so quanto è importante che ciascuno di voi sia ben sveglio e riposato quando comincerete le lezioni domani mattina. Ora di andare a letto! Forza, veloci!”
Lo sguardo deluso di Harry, le fece dedurre che l’immagine di se stesso vittorioso gli era appena sfumata dal cervello – e menomale! – e Ron, che di suo non aveva già chissà quale interesse a partecipare, adesso si stava dimostrando un ragazzo intelligente, elencando per quali motivi loro non fossero realmente pronti per quell’evento. 
 
~•~
 
       L’entusiasmo per l’annuncio si era trasformato nello scontento di Harry e dei gemelli e Hermione non ne poteva più.
“Non è giusto” continuava a ripetere Fred, mentre George trafficava con qualche pozione che teneva conservata nel baule.
“Eccola” disse, sollevando un’ampolla. “Questa sarà la nostra porta per accedere al Torneo! Ci presenteremo al giudice imparziale così… chi sarà, tra loro, secondo te?”
“Sono morte delle persone” disse Hermione per l’ennesima volta.
“Sì, ma è stato tanto tempo fa.”
“Non preoccuparti, Hermione, vedrai che vinceremo noi.”
“Sì, vinceremo noi” dissero tutti i maschi in coro e quasi li paragonò a un gruppo di scimmie saltellanti, mentre si stringevano in cerchio con le mani sulle spalle e saltavano in un coro stonato e fuori tempo di “Grifondò, Grifondò, Grifondoro!”
Scosse la testa e si rassegnò quasi subito, perché cosa poteva lei, che era figlia unica e non sapeva come contrastare i capricci di un fratello quasi per niente capace di intendere e di volere, contro una coppia di fratelli,  Weasley tra l’altro? Proprio niente, ecco.
Soprattutto se, a quel duo che correva veloce fuori dalla Sala Comune per presentare il proprio nome al giudice imparziale, si univano Ron e Harry.
Il punto era che lei, quella sensazione fastidiosissima all’altezza della nuca ce l’aveva ancora e non era mai buon segno: lo aveva imparato nel corso degli anni che, se insisteva a starle addosso, era soltanto perché voleva essere ascoltata, perché aveva fondamenta solide su cui sarebbe stato facile camminare, se soltanto avesse mosso i piedi; lo aveva imparato nel corso degli anni che, alcune di loro, sapevano essere invadenti, pretenziose, quasi viscide e s’insinuavano dovunque e poi si sparpagliavano nel cervello come fossero schegge di uno specchio rotto – e no, non li avrebbe sopportati altre sette anni di guai –e potevano far male, sapevano far male, soprattutto quando venivano ignorate.
D’altra parte, però, quella sensazione fastidiosissima all’altezza della nuca, sembrava un po’ campata per aria e, allora, Hermione pensò che non avrebbe avuto alcun senso spremersi le meningi e trovare una soluzione a qualcosa che non aveva lasciato alcun indizio, che era un po’ come vagare in tondo o come chiedersi perché quella volta non era stata in grado di rispondere in un determinato modo in una scaramuccia: inutile, appunto. Imperdonabile.
Pensò che nella vita c’erano delle priorità e che lei aveva il sacrosanto diritto di posizionarle a suo gradimento nella sua lista personale e poco importava se per Ron fosse più importante vivere piuttosto che essere espulsi: a pro di che sarebbe vissuta, se fosse stata mandata via dalla scuola o, peggio, se avesse perso? Perché era meglio morire, era mille volte meglio morire piuttosto che vedere quel sorriso bianchissimo farsi beffe di lei. 
Che poi, a ben vedere, chissà quali sarebbero state le priorità di Ron o quelle di Harry… anzi, tra quelle di Harry, rientrava tra i primi posti sicuramente quella di non arrivare vivo ai vent’anni e non trascorrere una vecchiaia tranquilla tra amici e parenti.
Perciò, la sua, di lista, era sicuramente la migliore, quella definita in maniera precisa, senza scopiazzi vari e quant’altro che non fosse importante per il suo futuro da strega più brillante della sua età.
Quindi, si accoccolò sul divano, con il libro di Pozioni aperto sulle gambe e che si ammazzassero pure, i suoi amici: lei aveva una questione importante da risolvere, perché quella cosa con Zabini, questa volta, voleva proprio vincerla lei, a costo di diventare un tutt’uno con il banco o con la panca in biblioteca o anche con il divano e la poltrona o, addirittura, aggraziandosi in qualche modo il professore di Pozione, anche se le venne il voltastomaco soltanto a pensarci.
Hermione Granger, studentessa modello, definita da molti la strega più brillante della sua età, quella mattina aveva avvertito una fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca.
Una sensazione che l’aveva accompagnata tutta la giornata − come un cagnolino fedele che richiede una passeggiata per espletare i propri bisogni.
Una sensazione che, a un certo punto, le aveva fatto credere che sarebbe successo qualcosa, perché era una verità inconfutabile che a Hogwarts sarebbe successo qualcosa, prima o poi, che fossero cani a tre teste o professori che nascondevano brutte persone sotto i turbanti, o Troll in bagno o diari maledetti che portavano nei bagni e permettevano l’apertura della Camera dei Segreti, liberando un serpente strisciante che se ne andava in giro per la scuola a pietrificare le persone.
Ma, quando vide i suoi amici rientrare con i volti addolorati e delusi, Fred e George invecchiati di parecchi anni, depressi perché in giro non c’era nessun giudice imparziale da corrompere o da convincere, e Harry e Ron che ancora se la ridevano un po’, pensò che, in fondo, quella fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca sarebbe davvero potuta essere il risultato di  una notte durante la quale aveva dormito male, o un qualche piccolo disturbo preciclo, o una serie di postumi della festa che si era tenuta la sera prima nella Sala Comune, per celebrare la riunione dei vecchi Grifondoro e dare il benvenuto a quelli nuovi o l’ansia da prestazione – il primo giorno di scuola, un nuovo programma da studiare e ripassare almeno tre volte, un nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, l’ennesimo! – e che non era affatto una di quelle invadenti che potevano e sapevano far male.
Insomma, quella fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca non era proprio niente: quell’anno sarebbe andato tutto bene.
O, almeno, così sperava.
 
 
Angolo Autrice:
 
Io lo so, che forse un po’ vi siete stancati di me, ma beh… io proprio non ce la faccio a non condividere con voi le mie pazzie.
Ora, però, voglio presentarvela.
Questa storia si svolge nel 1994, tenendo conto soltanto in parte degli avvenimenti di Harry Potter e il Calice di Fuoco e, ovviamente, alcune situazioni saranno del tutto stravolte, anche per quanto riguarda il seguito della Saga.
Il discorso di Silente riguardante il Torneo è esattamente quello che ha scritto la Rowling, perché, diciamocelo, non avrei saputo presentarlo in maniera migliore.
E sì, lo so che questo discorso si sarebbe dovuto svolgere la sera dello Smistamento, ma per esigenze di copione l’ho spostato di un giorno, mi sono presa questa piccola licenza che spero non faccia storcere il naso  a troppi di voi.
Anche la coppa del mondo verrà raccontata più avanti, con un salto temporale non indifferente, ovviamente, sempre ai fini della trama, perciò, per favore non odiatemi.
Ho inserito l’OOC perché, sì, molte situazioni o atteggiamenti o personaggi risulteranno, appunto, OOC.
 
Questa non sarà una storia d’amore o, almeno, non soltanto.
E niente, spero che questa storia vi piaccia e che io possa ritrovare la vostra compagnia in questa mia nuova avventura. Per le novità, per gli aggiornamenti e spoiler, vi aspetto su Instagram e Facebook: Exentia_dream2. Poi, appena saprò come fare, inserirò il link del booktrailer della storia.
 

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Capitolo 2
*** II. Voci ***


Davvero mostruoso che la gente vada in giro dicendo alle nostre spalle cose che sono assolutamente vere.
Oscar Wilde.
 
 
 
 
 
II
Voci
 
       Girava voce, nei corridoi di Hogwarts e soprattutto nei dormitori femminili di Grifondoro, che i maschi di Durmstrang avessero fisici scultorei, volti tanto belli da portare alla pazzia chiunque li guardasse, un fascino d’altri tempi e maledetti, perché accecati dalla voglia di mantenere intatto questo loro aspetto da belli e dannati.
“Credo che potrei sbavare ore sulla divisa di uno di loro” stava dicendo Ginny. “Ovviamente, mentre la divisa è sul pavimento.”
Hermione arrossì violentemente quando l’amica le rivolse un sorrisino allusivo, tacendo i motivi per i quali la divisa di uno degli alunni di Durmstrang dovesse trovarsi sul pavimento e non a coprire le loro membra.
“E le donne?” si azzardò a chiedere lei.
“Le donne sono… esattamente come i maschi, solo che non hanno il p…”
Questa volta, Hermione decise che non fosse proprio il caso di ascoltare il seguito della frase, perciò sollevò le mani  con la speranza che l’amica capisse, mentre lei si nascondeva dietro la cascata di capelli.
Calì Patil, seduta su una delle poltrone, tirò un sospirò sognante e le altre due le rivolsero un’occhiata interrogativa.
“Cosa c’è?” le chiese allora Ginny.
“Non lo sapete? Dopo la prima prova del Torneo si terrà un ballo, il Ballo del Ceppo, al quale possono partecipare soltanto gli alunni del quarto anno, a meno che una di noi non venga invitata da uno dei campioni o, comunque, da qualcuno più grande.”
Era ovvio che Hermione lo sapesse: lei sapeva sempre tutto. Più ovvio ancora fu la reazione di Ginny che si spalmò sul divano e, di conseguenza su Hermione, a mo’ di tappeto, disperandosi perché era assolutamente convinta che nessuno potesse invitare una bambinetta che aveva messo in pericolo tutti aprendo la Camera dei Segreti.
O, forse, disperandosi sapendo che Harry Potter non avrebbe potuto invitarla perché non avrebbe partecipato al Torneo e, quindi, quella regola, a detta della piccola Weasley, impediva la realizzazione della storia d’amore tra lei e il Bambino Sopravvissuto.
Che poi, il fatto che il Bambino Sopravvissuto, sbavasse letteralmente ai piedi di Cho Chang, era un piccolissimo dettaglio.
 Insomma, era risaputo anche dai maghi che il sogno di ogni ragazza fosse quello di partecipare a un ballo e trovare il ranocchio da baciare, o magari accontentarsi del lupo che l’avrebbe mangiata o, ancora di più, trovare il vero principe azzurro.
“Che diamine!” disse Ginny. “Davvero, non è giusto avere così tante limitazioni… e poi parlano di fraternizzare con gli altri studenti. Ma ci pensi? Senza offesa, eh, ma di cosa potresti parlare tu con un ragazzo se non di libri?” le chiese, rivolgendole uno sguardo in bilico tra la mortificazione e l’invidia.
“Magari troverai qualcuno che t’inviti” rispose Hermione, senza lasciarsi scalfire minimamente dalle parole dell’amica.
All’esterno.
A fior di pelle.
Dentro era tutt’altra storia.
Hermione, comunque, la perdonò immediatamente, perché era consapevole della frustrazione che l’amica provava ogni qualvolta Harry non si accorgeva della sua presenza, quindi sempre.
Ginevra Molly Weasley si era innamorata perdutamente di Harry Potter il primo settembre di qualche anno prima e, adesso che la guardava, si rese conto che non c’era quasi più ombra della bambinetta impacciata che era stata, che raccontava i suoi segreti a un diario stregato.
Anzi, a dirla tutta, Ginny sembrava essere cresciuta molto proprio dopo quell’avvenimento da cui il suo personale principe azzurro l’aveva salvata e, che il principe in questione si sentiva soltanto un ragazzino perseguitato era cosa di poco conto.
“Comunque” stava dicendo ancora. “se qualcuno dovesse invitarmi, vorrei che fosse più bello di Harry… così magari crepa d’invidia e si accorge di me.”
Nonostante fosse la strega più brillante della sua età, nonostante si tenesse alla larga da esseri umani di sesso opposto – eccezione fatta per Harry e Ron e, a volte, Neville −, nonostante i suoi principi azzurri fossero quelli delle favole che le raccontava la mamma prima di dormire, Hermione si trovò a fantasticare sul Ballo del Ceppo e, in cuor suo, sperò vivamente che qualcuno si accorgesse anche di lei.
La questione del Ballo, comunque, aveva rinfrancato anche l’animo dei gemelli che, dopo il fallimento della loro impresa studiata nei minimi dettagli per mettere il proprio nome all’interno del Calice, adesso distribuivano sorrisi a destra e a manca, fingendo interesse vago e buttando lì inviti che prontamente venivano rifiutati, perché nessuna fanciulla sana di mente avrebbe accettato il proprio invito ricevendo in dono una Crostatina Canterina o una Pasticca Vomitosa.
E, da quando aveva cominciato a girare la voce del Ballo del Ceppo, tutta quella messinscena e quei finti sospiri svenevoli era continuati per un mese intero, tra una lezione e l’altra, nei weekend.
Persino nella biblioteca, luogo in cui i gemelli non si erano mai addentrati e, comunque, anche in quel caso non erano stati capaci di trovare una dama o, perlomeno, non l’aveva trovata George.
Per questo, quando Ginny gli aveva chiesto di invitare lei e di darle così la possibilità di diventare una principessa in cerca dell’amore eterno, lui dapprima aveva storto un po’ il naso e, subito dopo, aveva accettato l’invito.
 
~•~
 
       Erano voci, quelle riguardanti il Ballo del Ceppo, perché nessun professore aveva accennato loro di questa particolare tradizione.
Erano voci, quelle secondo cui a quel Ballo, le persone potessero trovare l’amore della vita o che avesse legato indissolubilmente chiunque si scambiasse anche solo una parola sotto al vischio.
Erano voci, quelle secondo cui partecipare al Ballo, avesse significato mostrarsi in tutta la propria bellezza.
Erano voci, ma Ginny Weasley si era assicurata la partecipazione a priori. E se ne andava a sbandierarlo in giro fieramente, tenendo, ovviamente, nascosta l’identità del suo cavaliere.
Così come faceva lui, eh.
E, gongolante com’era, quel pomeriggio aveva sottoposto Hermione a una dura sessione di sartoria immaginaria, descrivendo nei minimi particolari l’abito che avrebbe voluto indossare.
“Forse blu o verde. Il verde mi dona, lo so. O rosso, rosso fuoco. Così, magari Harry brucia d’invidia!”
Hermione non aveva per niente voglia di ascoltare i metodi con cui l’amica avrebbe voluto vedere il ragazzo di cui era innamorata contorcersi dalla gelosia, anche perché, a dir la verità, credeva fermamente che lui non l’avrebbe degnata di uno sguardo, tanto era preso da Cho.
Ma questo evitò di dirglielo – mai mettersi contro un Weasley, soprattutto se femmina.
“Sì,” le disse, invece. “il verde ti starebbe bene.”
Erano voci, sicuramente, anche quelle che prevedevano l’arrivo delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbatons per la settimana.
Le voci, però, che fossero fondate o meno, avevano il potere di far impazzire tutti.
Quella mattina in particolare, Hermione aveva notato uno smercio di trucco babbano e non, di pozioni per rendere i capelli più belli, il sorriso più luminoso, filtri d’amore che andavano a ruba. 
Ogni singolo pezzo alla modica cifra di un polmone. A volte, due.
E poi non pagano i propri elfi, pensò, osservando un gruppo di giovani Serpeverde che acquistavano i suddetti prodotti di bellezza per mano di alcune alunne di Corvonero.
Le ragazze di Corvonero erano sempre state ottime pozioniste e ne traevano vantaggio proprio in situazioni simili, come era successo in passato e come accadeva sempre in realtà, anche se Hermione non ne era a conoscenza, perché era troppo impegnata a sostenere la sua battaglia contro lo sfruttamento degli elfi domestici, a lasciare loro cappelli e calzini sparsi per la Torre, per far in modo che li trovassero e si ritenessero liberi, con l’unico risultato, però, di offenderli e rendersi conto che i loro dormitori non sarebbero stati puliti a lungo.
Eppure, ci aveva messo tanto cuore a cucire per loro, a lottare per i loro diritti e la loro libertà ed era rimasta amaramente delusa dal loro comportamento, perché non riusciva a credere al fatto che gli elfi preferissero una vita di soprusi piuttosto che la libertà. Per accontentare chi, poi?
In quel dispiacere, comunque, e di fronte a quel commercio illegale, Hermione trovò la risposta a una domanda che da un po’ di tempo le girava per la testa, ovvero: come aveva fatto Fred Weasley a convincere Angelina Johnson a essere la sua dama. 
Si voltò a guardare Ginny e quando questa affermò di aver capito, Hermione annuì.
Non prevedeva certo che l’amica si alzasse e si avvicinasse al tavolo dei Corvonero per acquistare il filtro d’amore che aveva intenzione di rifilare a Harry, in un modo o nell’altro, perché tanto ci sarebbe andata al Ballo e, allora, avrebbe avuto centinaia e centinaia di occasioni per far sì che Harry s’innamorasse di lei.
Finse di non vedere.
Anche perché, fu lei stessa a nascondersi in un angolo, aspettando l’arrivo di qualcuno che le aveva promesso uno scambio, una fialetta di Tricopozione Lisciacapelli barattata con un compito di Aritmanzia.
Proprio lei, che aborriva quello spaccio, proprio lei che si era imposta di non sognare a occhi aperti.
Proprio lei, che, alla fine, non aveva ricevuto nemmeno l’invito per quel fantomatico Ballo del Ceppo.
Perciò, quando quel qualcuno le arrivò alle spalle, Hermione parve quasi ripensarci… ma, alla fine, allungò la mano in cui teneva la pergamena ben arrotolata e salutò con un gesto del capo l’alunna che le allungava la fiala di pozione.
E, se proprio non avesse usata per il Ballo, l’avrebbe fatto in qualche altra occasione, sperando che, prima o poi, la zazzera rossa dietro cui stava perdendo i sogni si accorgesse di lei e la invitasse a bere qualcosa insieme, da soli, in quello che sarebbe stato sicuramente un insulto a un’uscita romantica.
Ma le sarebbe bastato. Le sarebbe bastato davvero.
 
~•~
 
 
       Non erano più voci, quelle che riguardano l’arrivo delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbatons.
Difatti, i rappresentanti di entrambe le scuole giunsero a Hogwarts qualche giorno dopo l’affissione del cartello che annunciava il loro arrivo.
Gli studenti di Beauxbatons arrivarono trainati da una bellissima carrozza trainata da cavalli alati e si esibirono in un elegante inchino accompagnato dal volo di farfalle bianche, di svolazzi di eleganti tuniche azzurre e sospiri trasognati e persino Hermione rimase affascinata dalla bellezza delle ragazze, dall’eleganza dei ragazzi che s’inchinavano al cospetto dei professori, dalla loro Preside, mezza gigante, che si muoveva leggera ed elegante, come fosse stata una di quelle farfalle che aveva visto volare poco prima; quelli di Durmstrang, invece, arrivarono con una nave che uscì direttamente dalle acque del Lago Nero, esibendosi, poi, in acrobazie accompagnate da giochi di fuoco a cui Silente dedicò un applauso contento.
Loro, così composti nelle divise rosso sangue che indossavano, così duri nei lineamenti, nei gesti: sembravano soldati, con il colbacco sulla testa e nemmeno l’ombra di un sorriso sulla bocca.
Fu Ron a catturare la sua attenzione, facendo il nome di Victor Krum affiancato dal Preside, Igor Karkaroff, e un altro ragazzo biondo che camminava fiero e altero, come se il mondo intero fosse suo e che la imbarazzò non poco, emanando superiorità da ogni parte del corpo e guardando dritto davanti a sé; lui che, tra tutti i volti rigidi e i lineamenti duri, aveva davvero  il viso di un principe delle favole, proprio come lei l’aveva sempre immaginato.
Suo malgrado, si ritrovò a immaginarlo al galoppo di un cavallo bianco, con l’armatura scintillante, pronto a baciare la propria principessa per spezzare l’incantesimo e risvegliarla dal suo sonno eterno.
Erano voci, quelle secondo cui gli studenti di Durmstrang fossero tutti belli e dannati, ma, per una volta, Hermione pensò che non tutte le voci che circolavano nei corridoi di Hogwarts fossero infondate.
Accompagnò con gli occhi gli studenti di Beauxbatons che si sedettero al tavolo delle case a cui appartenevano, colmi di tipiche pietanze francesi, mentre quelli di Durmstrang occuparono il tavolo dei Serpeverde.
Fu quasi con apprensione che si rese conto che il ragazzo biondo che aveva visto poco prima stesse fissando Harry con insistenza e uno sguardo che non riuscì a definire, perciò lo guardò a lungo prima di voltarsi verso l’amico e accorgersi che non si fosse accorto per niente di essere al centro dell’attenzione di qualcuno, fino a quando, non si portò una mano alla fronte ed emise un respiro soffocato.
“Cosa c’è, Harry?” gli chiese.
“La cicatrice.”
L’altro, invece, di rimando, si piegò leggermente in avanti, come se avesse appena ricevuto un pugno allo stomaco, Hermione, però, questo non lo vide, anzi.
Quando rialzò lo sguardo, il ragazzo che fino a poco prima stava fissando Harry, adesso era impegnato in una conversazione pacata con Blaise Zabini e lei scosse la testa per mandare via il pensiero e la paura.
I tavoli si riempirono di cibo e tutti gli alunni presero a mangiare, chi sospirando ancora e rivolgendo alle studentesse di Beauxbatons paroline dolci, chi, invece, continuando a guardare Victor Krum come fosse Dio sceso in Terra.
Nel compenso, nonostante l’improvviso bruciore della cicatrice di Harry e strozzamenti vari dovuti al fatto che le francesi sorridevano a tutti, la cena proseguì tranquillamente.
Anche i professori sembravano essere rilassati, a parte l’ombra lieve dell’espressione funerea che la McGranitt aveva avuto dal primo giorno di scuola che, in ogni caso, sorrideva gentilmente alla Preside e agli altri insegnanti, parlottava fitto fitto con qualcun altro e poi, di tanto in tanto, abbracciava la Sala Grande con lo sguardo.
 
~•~
 
       Il ragazzo biondo che aveva guardato Harry per tutta la durata della cena, aveva la schiena poggiata a una colonna, entrambe le mani nascoste sotto il mantello e un ghigno a tagliargli la faccia a metà.
Hermione lo guardò da lontano e le sembrò strano il fatto che lui fosse lì e non insieme agli altri studenti di Durmstrang.
Sembrava fosse in attesa di qualcuno in particolare e lei sperò vivamente che tutto questo non avesse niente a che fare con nessuno di loro tre, ma, ovviamente, sapeva bene che quando si trattava di loro tre insieme c’era sempre qualche guaio dietro l’angolo. O, per l’appunto, appoggiato a una colonna.
Difatti, non appena si avvicinarono a lui, il ragazzo li fermò allungando un braccio a fare da ostruzione alla rampa di scale che li avrebbe portati alla Torre di Grifondoro. 
“Tutta Hogwarts non fa altro che vantare la tua presenza, vero, Harry Potter?” chiese. “Io mi chiamo Malfoy. Draco Malfoy” disse, tendendo la mano verso Harry.
Harry non la guardò neppure e, probabilmente, l’avrebbe allontanata, ma Ron ruppe il silenzio dissimulando una risatina, fino a quando Malfoy non inclinò leggermente il viso per guardarlo e riprese: “Trovi buffo il mio nome, vero? Non c'è bisogno che chieda a te come ti chiami. Mio padre mi ha detto che tutti i Weasley hanno capelli rossi, lentiggini e più figli di quelli che si possono permettere.”
Il viso di Ron assunse lo stesso colore dei capelli e Hermione lo vide stringere i pugno fino a far sbiancare le nocche.
Così, in quello che sembrava un duello silenzioso di sguardi carichi di rabbia e disprezzo, lei fece un passo avanti, a tendere la mano al suo interlocutore, contro ogni logica, a dispetto del veleno che lui sembrava sputare fuori dalla bocca come fosse un serpente, e si presentò: “Io sono Hermione Granger.”
Fu lui a ritrarre la mano, questa volta, a farle piovere addosso quegli specchi d’acqua ghiacciata che teneva negli incavi oculari.
“Ma come osi?” stava dicendo Ron, il viso, se possibile, ancora più rosso di qualche minuto prima, perciò l’intervento di Zabini che allontanava Malfoy le sembrò quanto più vicino ci fosse a una benedizione.
“Conoscevate già Malfoy?” chiese Hermione a voce bassa, mentre l’altro era poco distante da loro.
“Mai sentito nominare” rispose Harry.
“Ho sentito parlare della sua famiglia’ disse Ron con l’aria di chi non aveva affatto voglia di estrapolare discorsi e fare nomi che per anni non avevano fatto dormire nessuno dei tre. “Sono stati tra i primi a tornare dalla nostra parte dopo che Tu-Sai-Chi è scomparso. Hanno detto che sono stati stregati. Papà non ci crede. Dice che al padre di Malfoy non serviva una scusa per passare dalla Parte Oscura.”
E, allora, Draco tornò indietro, il viso vicinissimo a quello di Ron, quasi volesse  respirargli addosso la minaccia di rimangiarsi quello che aveva appena detto, di ingoiarlo e non ripeterlo mai più.
Così, tornò indietro anche Zabini, a strattonarlo e a tirarlo via: “Andiamo via, Draco.”
Il Diavolo non è mai brutto come lo si dipinge, le diceva sempre sua nonna, che l’accoglieva in casa con un abbraccio e un bacio sui capelli, senza che lei desse mai un vero senso a quelle parole, che negli anni avevano assunto la forma di una scusa cattolica e cristiana per espiare le proprio colpe, la debolezza di aver ceduto alla tentazione, così come Adamo aveva ceduto di fronte alla mela che gli offriva Eva.
O, addirittura, credendo che fosse uno scongiuro a lei, che aveva portato in qualche modo il male in una famiglia rispettabile e normale, per la magia che le scorreva nel corpo.
Le capì soltanto in quel momento, le parole che le diceva sempre la nonna.
Hermione capì quella stessa sera che il Diavolo poteva vestirsi da angelo, sorridere e mostrare la sua vera essenza attraverso il flusso delle parole.
Se ne rese conto stando in piedi, un passo avanti ai suoi due migliori amici.
E capì che, il Diavolo, poteva avere una bella voce e usarla per ferire chiunque senza spargimenti di sangue.
Eppure, ne aveva lette di favole, Hermione: avrebbe dovuto sapere che il lupo si era travestito per mangiare una bambina innocente, che si era avviata nel bosco da sola, un po’ come Harry si era incamminato nel Mondo Magico con la responsabilità di essere il Bambino Sopravvissuto, colpevole di aver fatto morire i propri genitori, così come Cappuccetto rosso era colpevole della morte della nonna, divorata dal lupo.
Avrebbe dovuto saperlo, lei che aveva la Bibbia sul comodino a casa, che il Diavolo era stato l’angelo più bello del Paradiso,  mandato all’Inferno per aver peccato di superiorità nei confronti di chi sarebbe stato sempre un gradino più in alto di lui, castigato per orgoglio, per stupidità tipica dell’essere umano.
Capì che l’immaginario collettivo secondo cui il Diavolo avesse gli occhi rossi era del tutto insussistente, come gran parte delle voci che circolavano a Hogwarts.
E capì che, a volte, il ghiaccio sapeva resistere anche al fuoco.
“E’ odioso” concluse, battendo i piedi sui gradini. “Ma si crede di essere?”
“Strano che tu non lo conosca” disse Ron. “Tu sai sempre tutto.”
Hermione allargò le narici: proprio non sopportava di essere presa in giro a quel modo, perciò girò le spalle ai due amici, soprattutto al sorrisino fuori luogo di Harry, e riprese a salire le scale sbuffando per palesare la propria indignazione. 
A cui era abituata, certo, ma che comunque le faceva male, perché anche lei si era impegnata ad apparire più carina, legandosi i capelli, sorridendo più spesso, smettendo per un po’ di nascondersi dietro alle copertine pesante dei libri, per sbirciare se lui stesse guardando o meno, magari arrossendo un po’ o un po’ tanto, e Ron, invece, sembrava proprio non vederli, tutti i suoi sforzi.
E chissà se vedeva lei, tra l’altro.
Chissà se l’aveva mai vista e se mai l’avrebbe fatto, perché Ron, lei lo sapeva bene, non era altro che quello che mostrava agli altri: un mangione, uno scavezzacollo che correva senza sosta dietro a Harry Potter, il Bambino Sopravvissuto, il futuro Salvatore del Mondo Magico.
E Ron era soltanto il suo segugio −  come un cagnolino fedele che richiede una passeggiata per espletare i propri bisogni.
“Parola d’ordine” chiese la Signora Grassa nel ritratto.
“Draco dormiens.”
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
 
 
Lo spaccio di Pozione d’amore avviene davvero, ve lo ricordare, vero? Forse non in questa precisa occasione e, sicuramente, non a questo modo… però, mi divertiva troppo l’idea, perciò…
 
L’avviso affisso in bacheca è una cosa che si legge soltanto nei libri, poiché nel film tutto viene spiegato da Silente prima della cena; l’ingresso delle due delegazioni, invece, è presa dai film.
 
La presentazione tra Draco, Harry e Ron, come ci racconta la Rowling, avviene durante il primo anno, ma avrete capito che in questa storia, le cose sono diverse: Draco, infatti, frequenta la scuola di magia e stregoneria di Durmstrang e non Hogwarts, per cui, mi pareva giusto farli presentare in questo momento.
In questa storia, inoltre, non è stato Lucius Malfoy a dare a Ginny il diario di Tom Riddle, ma un qualsiasi altro Mangiamorte.
 
Draco e Blaise e, ovviamente, il resto dei Serpeverde, si conoscono già, perché tra famiglie Purosangue è impossibile non conoscersi. O, almeno, credo.
 
 
Un’altra licenza, l’ho presa per la storia riguardante la religione di Hermione, ma anche qui, serve ai fini di tutto il racconto.
 
Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Buon proseguimento di Pasquetta.
 
A presto.

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Capitolo 3
*** III. Miti ***


 
Verrà un giorno in cui la generazione mistica di Gesù dall’Essere Supremo nel ventre di una vergine, sarà paragonata alla generazione di Minerva dal cervello di Giove.
                                                                                                                  Thomas Jefferson.
 
 
 
 
III
Miti
 
       La nave era ancorata al molo del Lago Nero e copriva con la propria ombra il terreno circostante: sembrava un relitto approdato per caso sulle rive, con le luci tetre delle lanterne a illuminare in modo sinistro il ponte e tutti i fantasmi che si portava dietro.
L’alba del primo Novembre sorgeva pigra in un cielo terso e Venere, immobile e luminosa, a contendersi con la Luna lo sguardo delle due aquile disegnate sulle vele spiegate.
E Draco odiò l’Astronomia e tutte le stelle, persino quella da cui aveva ereditato il nome, che non brillava come avrebbe dovuto e aveva sacrificato le proprie ali in onore della nascita di una nuova costellazione.
E se le avesse avute lui, quelle ali… Sarebbe scappato via e, magari, si sarebbe avvicinato al Sole e le avrebbe lasciate sciogliere, allargando le braccia per godersi appieno quella caduta e morire annegato da quel mare che non avrebbe restituito il suo corpo.
O, chissà se, come Teseo, sarebbe stato in grado di trovare l’uscita di quel labirinto che era la sua anima, nessuna Arianna da raggiungere né fili di lana da seguire e soltanto il Minotauro – mostri e paure e dolori che si portava dentro – da cui salvarsi.
O era già successo e la terra su cui posava i piedi era il Purgatorio in cui avrebbe dovuto dannarsi in attesa che l’Inferno spalancasse le porte.
Oppure, invece, tutto ciò non era mai accaduto e lui era davvero vivo e vegeto… e, in quel caso, le avrebbe prestate a Potter, le ali, dopo averle manomesse, e l’avrebbe guardato schiantarsi al suolo e, con un po’ di fortuna, sarebbe stato l’unico a sentirlo spirare.
Per una giustizia divina che gli aveva tolto il padre, l’onore del proprio nome e lo aveva allontanato dal nido e dal seno caldo di sua madre, costretto al gelo dei paesi dell’Est, reso ombra di un uomo che scongiurava il ritorno del più grande mago oscuro per ripulire il mondo dalla feccia e di un ragazzo che era tutto quello che lui non avrebbe mai voluto essere – eroe degli inferiori, sopravvissuto, Grifondoro.
Con il sole ancora celato dietro le montagne, Draco lasciò la nave per passeggiare lungo le rive del Lago.
Tutto intorno era silenzio, una quiete così immobile che gli fece tremare i muscoli.
Li sentì sulla pelle, quei brividi. Penetrare tutti gli strati di epidermide e scuotere le ossa, in un fremito che si manifestò soltanto nello scatto deciso con cui contrasse la mascella.
Era un mattino desolato, triste. Così solitario da non essere nemmeno annunciato dal cinguettare dei tordi.
Sollevò di nuovo lo sguardo verso il cielo, rimestandosi nelle iridi il baluginio biancastro in cui si confondevano  la Luna e Venere e la costellazione da cui aveva ereditato il nome.
Si perse anche lui di fronte alla nascita di un giorno che, a Durmstrang, sarebbe durato troppo poco.
Come se il mondo e l’Universo intero sapessero che, in quel luogo, fosse prediletta l’oscurità.
La foresta si estendeva ai lati delle rive del Lago, abbracciandolo nel modo che soltanto la natura conosce, rendendo spettrali le ombre nere che cominciavano ad allungarsi sulla superficie: sembravano mantelli di Mangiamorte, quelli che aveva sempre visto andar via da casa sua, da bambino, tra una lezione di pianoforte all’altra, mentre suo padre se ne stava chiuso nel proprio ufficio, accogliendoli come vecchi e benvenuti amici, da accogliere a braccia aperte e con un sorriso rarissimo che Draco non gli aveva mai visto sul volto.
Dava le spalle al castello, come a non voler guardare il nido di feccia che era diventato la scuola che avevano frequentato i suoi genitori e che Narcissa avrebbe voluto frequentasse  anche lui, insistendo a lungo sulla faccenda e abbassando il capo davanti alla decisione di Lucius, perché non si dicesse che un Malfoy non sapesse farsi rispettare da una donna né che non sapesse come incutere timore e far prevalere le proprie ragioni;  perciò, quando suo padre aveva presentato la sua iscrizione a Durmstrang, Narcissa aveva soltanto dovuto restare in silenzio.
Nel silenzio di quell’alba, che somigliava tanto a quello di sua madre, però, qualcosa gli fece tendere i muscoli, allertare i sensi, l’udito soprattutto, e si irrigidì..
Draco aveva imparato a stare fermo, ad appiattirsi sul terreno nel caso in cui fosse stato sorpreso da qualcosa o qualcuno, ma, questa volta, non lo fece: rimase fermo ad aspettare.
Strinse la bacchetta nel pugno, il mento poggiato sulla spalla e gli occhi ridotti a due fessure, mentre il rumore che lo aveva disturbato − o sorpreso – si avvicinava.
Erano foglie calpestate e un respiro tranquillo, uno strisciare di mantello impercettibile, eppure lui lo sentì distinto e chiaro.
Attese ancora un secondo prima di voltarsi, l’asta di legno tesa in avanti, un incantesimo penzolante dalle labbra e poi… si bloccò.
“Chi è là?” chiese al corpo ancora celato che lo aveva raggiunto.
“Chi è là?” ripeté una voce femminile.
Draco mosse un passo in avanti e lo stesso fece l’ombra, scoprendosi e rivelando la propria identità.
Hermione Granger lo fissava senza esprimere alcuna emozione.
“Che fai qui?” chiese lui.
“Che fai qui?” reiterò l’altra.
“Stammi lontana.”
“Stammi lontano.” 
Draco si passò pacatamente una mano tra i capelli, allargando le dita per tenerli fermi sullo scalpo e riordinare i pensieri, senza celare il fastidio e lo sdegno di averla di fronte.
“Vattene via.” disse ancora.
“No.”
“No?” questa volta fu lui a ripetere, in un’eco che sembrava rimbalzare in quel silenzio che ormai era stato spezzato.
“No.”
Lui si approssimò alla riva, specchiandosi  nello specchio d’acqua e lei parlò di nuovo: “Il Lago è ghiacciato.”
“Il lago è ghiacciato” replicò, mentre guardava il suo riflesso frastagliato sulla superficie solida.
E chissà come sarebbe stato, affogare – in acqua come Icaro − o nel dolore, cooperando alla perdita eterna del padre – come Teseo − , perché Draco lo sapeva che sarebbe toccato a lui, prima o poi, chinare la testa e servire il male, eppure… allo stesso modo, sapeva che avrebbe chinato la testa e sarebbe perito.  
La bocca si sollevò leggermente e lui pensò che, prima o poi, anche lui sarebbe morto, come Narciso, per amore di se stesso, del proprio cognome, del sangue purissimo che gli scorreva nelle vene e gli infiammava il corpo d’orgoglio e avrebbe continuato a specchiarsi dovunque, persino negli occhi di lei per poter vedere il proprio riflesso e godere del potere che aveva di distruggerla, renderla brandelli all’interno e farla crepare all’esterno. E, forse, allora, sarebbe morto soddisfatto di ogni gesto compiuto in una vita vissuta alla difesa dei propri principi e che perisse anche lei, disgraziata e consumata lentamente, fino a che non ne fosse rimasta soltanto la voce esanime e, poi, neppure più quella. 
Si allontanò a passi lenti, in un silenzio che sembrò innaturale, senza voltarsi a guardare se l’amica di Potter fosse ancora lì e poco gliene importava, in ogni caso.
 
~•~
 
       Aveva già notato il soffitto stellato che fungeva da tetto alla Sala Grande e le centinaia di candele sospese che illuminavano l’ambiente, i quadri alle pareti che elargivano risate sommesse e saluti calorosi, tuttavia, non ne fu particolarmente colpito né provò lo stupore che, invece, avrebbe dovuto provare dinnanzi a tanta bellezza.
Era seduto al fianco di Theodore Nott, l’unico che lui avesse mai trattato da pari e che, con il tempo, aveva sedato l’astio silente che, in un certo qual senso, legava Draco e Zabini.
C’erano volute innumerevoli cene di famiglia − durante le quali, a stonare il quadro perfetto di purezza, era soltanto la presenza degli elfi domestici – e altrettante partite amichevoli di Quidditch nel giardino della villa di Theo.
Era stato alla fine di una di queste che i tre si erano stesi sull’erba e si erano raccontati in silenzio le costrizioni della propria educazione e le mancanze genitoriali: Theo aveva scherzato pesantemente sulla possibilità di candidarsi a prossimo marito della madre di Blaise, prima o poi, lui aveva risposto che sarebbe stato un piacere: “Almeno avrò qualcosa in comune con te. E sei giovane, perciò potresti soddisfarla più a lungo di altri” aveva detto.
Malfoy, suo malgrado, si era trovato a ridere di gusto a quella frase che, di allusivo, aveva davvero niente.
Quando Harry Potter e la sua cricca si sedettero al tavolo dei coraggiosi di spirito e stupidi suicidi, Draco aveva sollevato leggermente il capo, soffermandosi un po’ di più sulla figura della ragazza.
“Hermione Granger” cominciò Blaise. “Una delle streghe più brillanti di tutta Hogwarts, se non l’unica. Amica di Potter e Weasley, ma questo lo avrai già capito, e nata babbana.”
A quell’affermazione, Draco storse la bocca in un’espressione di puro disgusto: le gesta eroiche di Potter erano giunte fino a Durmstrang, accompagnate da solerti adulazioni e una punta di terrore.
Di nuovo, Malfoy si rese conto di non provare lo stupore che avrebbe dovuto, mentre un senso di repulsione faceva capolino nello stomaco e pensò che, se ci fosse stato lui in quella scuola, allora il Bambino Sopravvissuto sarebbe stato lodato e ammirato per poco e lui, magari, adesso non avrebbe avuto un padre esule e condannato, impazzito per un piano conclusosi con l’ennesima vittoria della feccia umana che infettava l’aria, sporcava il selciato su cui lui stesso poggiava le suole delle scarpe.
Annuì soltanto a quella spiegazione non richiesta, poi, si spostò accanto agli alunni di Durmstrang e rimase lì durante tutta la durata del pasto.
 
~•~
 
 
       In onore delle estati trascorse a Villa Malfoy, tra gli agi e il calore di un affetto muto, Draco accettò l’invito di Theo ad allenarsi con loro.
Impugnò saldamente la sua scopa e si diresse al campo, accompagnato soltanto dal rumore dei suoi passi.
Era sempre stato un solitario, uno che si faceva gli affari suoi e non s’impicciava di cose che non gli riguardavano affatto, ma, in quel momento, si sentì quasi assalito dalla solitudine che gli camminava affianco tra quelle mura sconosciute.
Giunto allo spiazzo, disegnò con lo sguardo l’aria circostante, un campo molto più grande rispetto a quello di Durmstrang, gli anelli posizionati ai margini e gli spalti vuoti.
Soltanto quando arrivò la squadra dei Serpeverde, Draco si scrollò di dosso quella sorta di strano eremo che, ormai, era insito in lui.
Strinse le mani sul manico e salì a dorso della scopa, librandosi leggermente più in alto rispetto agli altri, lui, che a Durmstrang ricopriva il ruolo di cacciatore, a Hogwarts s’improvvisò cercatore e si lanciò all’inseguimento del Boccino d’oro.
Il freddo che lo aveva investito la mattina, adesso, era carico di un’umidità che gli incollava i capelli al viso, mentre lui tendeva i muscoli e dava velocità alla sua corsa.
Affinò la vista, concentratissimo sullo svolazzare dorato di quelle ali sottilissime che continuavano a sfuggirgli… E se le avesse avute lui, quelle ali…
Quando un Bolide colpì la coda della sua scopa e lui fu disarcionato, cadendo al suolo, aspettò qualche secondo prima di alzarsi e guardare negli occhi la persona che l’aveva colpito: Harry Potter era fermo di fronte a lui.
“Il campo è nostro, Malfoy.”
“Dovresti sapere, Potter, che non tutto ti è dovuto. Io sono in compagnia dei miei amici” disse, rimarcando con voce prepotente l’ultima parola.
Harry Potter non parve impressionato e, anzi, sollevò il mento in segno di sfida.
“Harry” lo chiamò la voce dell’amica che si portava sempre appresso. “Avresti potuto fargli del male.”
Gli nacque spontaneo il pensiero di essere stato spodestato da un trono che gli sarebbe spettato di diritto, se soltanto Krum non lo avesse occupato. Un trono a cui era susseguito quel dannato Potter e la sua voglia di inquinare l’aria, con le sue manie di grandezza e onnipotenza, mescolandosi al peggio del peggio ci fosse sulla terra, lui che aveva ammazzato con il suo pianto di neonato il più potente mago oscuro di tutti i tempi, sottoponendo i suoi discepoli  a prove difficilissime pur di tenere ancora il sedere su quel cuscino caldo.
E lei, che adesso si preoccupava di richiamare il suo migliore amico, di difendere lui per motivi del tutto ignoti, con i capelli che si agitavano nel vento e gli occhi arrossati: una maga, pronta a proteggere un uomo e a mettersi contro chi l’affiancava da anni, proprio come Medea aveva protetto Giasone.
“Dovresti anche imparare ai tuoi amici a chiudere la bocca.”
“Questo tuo atteggiamento è totalmente fuori luogo, Malfoy.”
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue.”
Hermione sapeva quale fosse il significato di quella parola, lo aveva imparato il primo anno da Seamus, che si era prodigato nella spiegazione e nel racconto della sua famiglia: di come suo padre fosse stato sul punto di tirare le cuoia scoprendo l’identità di sua moglie e di suo figlio, e di come li avesse abbracciati subito dopo.
E, allora, quella parola, era diventata  dolcissima.
Ma, da quella bocca di Diavolo, quella stessa parola che pronunciata da Seamus appariva così mielata, così amorevole, sembrava essere uscita come il peggiore degli insulti.
Nondimeno,  Draco non poteva saperlo.
E, allora, nell’intimità di se stesso, tremò e si sentì pietrificato dallo sguardo che lei gli puntò addosso − con i capelli che si agitavano nel vento e gli occhi arrossati, animati dallo stesso fervore con cui Medusa uccideva proprie vittime guardandole in viso.
Forse, per smettere quella sensazione, porre fine all’intorpidimento dei muscoli, avrebbe dovuto tagliarle la testa, mostrarla ai più come fosse stato un trofeo e sentirsi l’eroe della propria gente, come Perseo, compiendo quel gesto e ripulendo il mondo dal sangue sporco che quel mostro di Hermione Granger si portava in corpo.
D’altro canto, sapeva benissimo chi lei fosse, prima ancora di sentire il suo nome, prima ancora che di avere conferma da Blaise Zabini: ne aveva sentito il fetore e l’imbratto che soltanto lui sembrava riuscisse a riconoscere.
O, forse, erano stati i racconti di Lucius a disegnargli perfettamente la Mezzosangue nel cervello.
 
 
~•~
 
       Si ritrovò nuovamente solo all’ombra della nave, proprio come era capitato quella mattina e sperò che nessuno venisse a disturbarlo. Non una sudicia Grifondoro, almeno.
Perciò, quando qualcuno gli posò una mano sulla spalla, Draco si ritrasse di qualche centimetro per guardare in faccia chi avesse deciso di fargli compagnia.
Viktor Krum, cercatore e capitano della squadra, fece un leggero cenno con il capo e disse, con il duro accento bulgaro: “Hogwarts è molto diversa da Durmstrang. Anche le ragazze. Sono… belle.”
Non si scompose più di tanto, perché quelle ragazze di cui parlava Viktor erano esattamente che lui aveva visto da bambine imbellettate da abiti di tulle e modi cortesi proveniente di una rigida educazione; le aveva anche viste crescere, in realtà, fiere della purezza che scorreva loro nelle vene, perfettamente consce di quale sarebbe stato il loro posto nel mondo. Annuì soltanto.
Viktor, invece, ricominciò a parlare: “Io mi presenterò per partecipare al Torneo.”
Questa volta, Malfoy inclinò leggermente il mento verso il suo interlocutore, lo guardò come avrebbe guardato il proprio eroe e disse che sì, sarebbe stata la cosa giusta da fare.
“Il Preside ci tiene particolarmente e io voglio farlo. Vinceremo, Draco, me lo sento. E, se tu fossi stato più grande, mi sarebbe piaciuto contendermi con te la partecipazione.”
Non disse nulla e puntò lo sguardo nel punto in cui, all’alba di un sole discreto, quella dannata Mezzosangue aveva avuto la boria di giocare con lui a ripetere le sue stesse frasi.
“Quindi” disse dopo un po’. “Si terrà anche il tradizionale Ballo del Ceppo.”
“Sì.”
“Chi inviterai?”
“Io… io non so qual è il suo nome, ma riuscirò a scoprirlo: so già quali sono i posti che frequenta. E tu, hai già questo a qualcuna di accompagnarti?”
Draco si voltò completamente, fronteggiando il proprio capitano e mettendo sul viso l’arroganza tipica dei Malfoy, di chi sa che tutto il mondo può appartenergli, e tirò su un angolo della bocca in un sorriso storto che non gli deturpò i lineamenti. “Io non ho bisogno di chiedere: ho già la mia dama.”
Viktor parve leggermente offeso da quelle parole e, se si fosse sentito insultato più del dovuto, comunque, non lo diede a vedere.
“Bene” disse ancora il cacciatore. “E’ tardi. Buonanotte.”
 E lo disse così, con il tono chi non ammette repliche, di chi è sempre secondo in alcune cose – nel gioco a causa di Krum, nel cognome a causa di Potter − , ma comunque primo ad avere il posto caldo nel cuore di una donna – Pansy Parkinson per il Ballo del Ceppo, Astoria Greengrass per il resto della vita.
Donne che, tra l’altro, non avrebbero dovuto vergognarsi di sporcarlo con il loro sangue né di ricalcare i suoi passi; donne che sicuramente avrebbe potuto avere anche Krum, dopo di lui; donne che non avevano niente a che vedere con la feccia che imbrattava Hogwarts e, quindi, avevano tutto il diritto di poter varcare la soglia di casa sua, di calargli le braghe; che, se anche avessero sporcato le lenzuola con la loro innocenza, sarebbero state perdonate, perché la misericordia che avrebbe provato di fronte a un gesto simile avrebbe valicato di gran lunga lo scempio di vedere una macchia di sangue – sangue purissimo – sul candore delle coperte, niente in confronto all’orrore di dover condividere l’aria con certa gente.
Lui che, l’innocenza, l’aveva persa dietro pagamento, perché non si dicesse mai che un Malfoy non sapesse soddisfare una donna o non sapesse come donare piaceri che pretendevano solo, nello scambio equo che erano, altrettanti godimenti.
Quella notte, comunque, Draco Malfoy non riuscì a dormire, perdendo gli occhi nella notte senza luna che diventata piccolissima attraverso gli oblò della cabina, mentre il russare leggero dei suoi compagni gli raccontava quanto fosse mille più piacevole quel suono rispetto alle voci dei mostri che gli si sedevano al bordo del letto e che gli accarezzavano le gambe per rendere nota la loro presenza… come se lui non sapesse che erano lì, troppo vicini per poter essere ignorati e, forse, anche troppo lontani per poter essere ascoltati.
Perché, Draco lo sapeva, i mostri avevano sempre qualcosa da dire prima di essere sconfitti ed erano parole di cui lui non poteva sopportare il peso né il rumore.
Si rigirò nel letto, dando le spalle all’oblo, perché, come gli aveva insegnato suo padre, esistevano anche mostri a cui dover dare la vista della propria schiena, l’indifferenza per mostrare la propria superiorità, come la Mezzosangue che Potter si portava a spasso – forse, anche nel letto.
Quella Mezzosangue , che lo guardava senza ammazzarlo, e di fronte alla quale Draco si era sentito come Prometeo, legato e costretto a farsi mangiare il fegato da un’aquila che rappresentava la collera di vederla ancora lì, ad aprire la bocca come fosse il vaso di Pandora, suggerendo a Potter di andare via, di lasciar perdere e, nel mentre, facendo piovere su di lui tutte le disgrazie del mondo, con la propria voce e il puzzo e la presenza, e la vergogna di essere nato in un’epoca indegna per quelli come lui. 
Non chiuse occhio perché, il fegato, lui lo sentiva a pezzi davvero, per motivi del tutto sconosciuti, mentre annegava davvero, come avrebbe voluto fare durante la prima alba a Hogwarts, in fiumi che conosceva soltanto lui, appassionato di miti greci, come il Cocito e l’Acheronte e chi avrebbe potuto sentirli, i suoi lamenti e i suoi dolori, se non i giudici dell’inferno che non avevano ancora una decisione sulla sua anima, ferma sulla soglia a guardare Persefone che era sposa di un altro – di Potter.
E non la guardava per altro, se non per l’odio smisurato che provava nei suoi confronti e nei confronti di chi lo aveva spedito negli Inferi soltanto nascendo e vincendo chi combatteva per la supremazia dei Purosangue, sopravvivendo alla causa giusta con una irrilevante cicatrice – che non aveva niente a che fare con la sua − e restando orfano di genitori che avevano tradito il proprio io per convivere con quei  miserabili, che non rendevano il mondo un posto migliore.
Per convivere con quelli come lei che, per un’ingiustizia divina era una maga, e che si atteggiava come se quei poteri fossero un diritto anche suo. E, invece no, quel diritto non le spettava, perché nelle vene aveva l’impurità di chi non discende dai maghi, nessuna stirpe a cui portare rispetto; per il tanfo che aveva addosso, per aver affiancato il Bambino Sopravvissuto nelle sue mirabolanti azioni suicide, per il suo sangue sporco.
 
 
Angolo Autrice:
 
Eccoci qui, finalmente troviamo il punto di vista di Draco.
 
Questa storia, ormai lo sapete, è una What if? con vari salti temporali: sappiamo tutti che Draco ha quella discussione con Hermione in Harry Potter e la Camera dei Segreti, ma si stanno conoscendo ora e, quindi, mi sembrava giusto rimarcare questa cosa adesso.
 
Riguardo il suo ruolo da giocatore di Quidditch a Durmstrang, immagino che no, non sarebbe stato capitano e cercatore proprio perché lo è Viktor Krum, e farlo battitore mi sembrava davvero esagerato, perché immagino che ci voglia un bel fisico per ricoprire tale ruolo e Draco, almeno fisicamente, rispetta il canon.
 
In ogni caso, lo troviamo appassionato di miti greci e amico, in un certo senso di Krum (anche se non so se lo sarebbe diventato davvero, se avesse frequentato Durmstrang).
 
Per quanto riguarda la cicatrice di Draco, beh… scoprirete presto cos’è.
 
Credo di aver detto tutto… e spero di sapere cosa ne pensate di questa storia.
 
A presto.

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Capitolo 4
*** IV. Il Calice Di Fuoco ***


 
Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare.
Giorgio Faletti.


 
IV
Il Calice di Fuoco
 
       “Chiunque desideri proporsi come campione deve scrivere a chiare lettere il suo nome e quello della sua scuola su un foglietto di pergamena e metterlo nel Calice, che restituirà i nomi dei tre più meritevoli di rappresentare le loro scuole. Il Calice verrà esposto stasera nella Sala d’Ingresso, dove sarà liberamente raggiungibile per tutti coloro che desiderano gareggiare.” disse Silente, guardando con occhio attento tutti gli alunni presenti in Sala Grande.
Harry si muoveva convulsamente sul proprio posto, forse perché a priori gli era stata negata la partecipazione al Torneo.
“Per garantire che nessuno studente di età inferiore a quanto richiesto cada in tentazione. continuò Silente, traccerò una Linea dell’Età attorno al Calice di Fuoco una volta che sarà stato posto all’Ingresso. Nessuno al di sotto dei diciassette anni potrà varcare questa linea” riprese il Preside.  “Infine, vorrei ricordare a tutti coloro che desiderano partecipare che il Torneo non va affrontato con leggerezza. Una volta che un campione sarà stato scelto dal Calice di Fuoco, lui o lei sarà tenuto a partecipare al Torneo fino alla fine. Inserire il vostro nome nel Calice costituisce un contratto magico vincolante. Non è concesso di cambiare idea una volta diventati campioni. Vi prego dunque di essere molto sicuri di voler prendere parte alla gara, prima di mettere il vostro nome nel Calice. Ora, credo che sia il momento di andare a dormire. Buonanotte a voi tutti” concluse il vecchio mago.
Hermione aveva creduto di trovarsi di fronte un uomo alto, possente, che avrebbe potuto spaventarla con il solo movimento degli occhi; un uomo che le avrebbe ricordato l’uomo nero di cui aveva paura quando era una bambina; un uomo tetro, scostante.
Invece, a fare bella mostra di sé su un baule antichissimo, c’era una grossa coppa di legno rozzamente intagliata, la cui unica particolarità erano le fiamme blu e bianche che fuoriuscivano dalla bocca.
Fred e George ritornarono sull’idea di assumere la Pozione Invecchiante, Harry e Ron si chiedevano a quale scopo fossero presenti anche Ludo Bagman e Bartemius Crouch, mentre lei continuava a guardare quello che Silente aveva definito il Calice di Fuoco: era una vecchia coppa, anche abbastanza deteriorata, come poteva tale oggetto ricoprire la carica di giudice imparziale?
Quando la cena giunse al termine, Hermione e i suoi amici si avviarono per lasciare la Sala Grande, dandosi ancora mentalmente degli stupidi per aver creduto che il giudice imparziale potesse essere una persona.
Fu la voce di Alastor Moody ad attirare la loro attenzione, quando pronunciò il nome del suo migliore amico, e il movimento brusco con cui il Preside di Durmstrang si voltò nella loro direzione: aveva gli occhi sbarrati e l’espressione di un pazzo sul viso.
Hermione trasalì sotto quello sguardo, lasciando che il lieve terrore che provava le si dipingesse sul viso, chiedendosi come facesse Harry a restare impassibile.
C’era qualche studente accalcato dietro di loro, qualcun altro era addirittura salito sulle panche per vedere cosa stesse succedendo, e, nel momento in cui il professore di Difesa contro le Arti Oscure liquidò Karkaroff, la maga lo ringraziò con un’occhiata lieve e un po’ dubbiosa: aveva notato la sua assenza a cena e ora si chiedeva da dove fosse arrivato.
Hermione Granger, studentessa modello, definita da molti la strega più brillante della sua età, una mattina aveva avvertito una fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca, che tornò prepotente quando vide Ludo Bagman andare via da solo, senza la compagnia di Bartemius Crouch.
 
~•~
 
       “L’abbiamo appena presa” disse Fred che, come il gemello, aveva una folta barba sul mento.
Senza dar ascolto a quello che diceva Hermione riguardo le protezioni apposte attorno al Calice di Fuoco, Fred riuscì a superare la barriera magica e, subito dopo, fu raggiunto da George: erano entusiasti della loro idea, del modo in cui avevano raggirato la magia ed era facile intuirlo dai loro sorrisi.
Ad un tratto, però, furono sbalzati lontano dal calice, a distanza di qualche metro e, mentre si massaggiavano il didietro, Hermione, con l’espressione tronfia di chi ha avuto ragione per l’ennesima volta, si avvicinò per dire loro che li aveva avvisati… le parole, però, le furono tolte di bocca da Silente che, adesso, si stava intrattenendo con i gemelli, facendo i complimenti alle loro barbe. Niente di particolare rispetto alla sua, ma migliore in confronto a quella di altri alunni che avevano utilizzato la Pozione Polisucco per candidarsi a campione di Hogwarts.
In ogni caso, quel sabato mattina, gli studenti erano liberi dalle lezioni, perciò oziavano tra i giardini esterni e i corridoi, altri restavano in Sala Grande a discutere o nei propri dormitori, altri ancora si spingevano fino al Lago Nero ad ammirare la nave dei loro ospiti.
Hermione, Harry e Ron, invece, si incamminarono lungo la stradina che li avrebbe portati alla casa di Hagrid. Non avevano ancora visto nessuno studente di Durmstrang, ma, in compenso, scoprirono che quelli di Beauxbatons dormivano nella carrozza con cui erano giunti a Hogwarts.
Hermione aveva camminato fin lì accompagnata dal tintinnio delle spille del CREPA e la speranza che Hagrid l’avrebbe sostenuta in quella lotta, perciò rimase particolarmente amareggiata quando il mezzo gigante rifiutò di iscriversi – e dopo aver trovato l’artiglio di un qualche animale nel suo stufato.
Se tutto ciò sconvolse solo lei, quello che accadde poco dopo, invece, fece sentire Harry e Ron allo stesso modo: avevano notato l’acconciatura e l’abbigliamento di Hagrid, avevano tossito a causa del tanfo del profumo che aveva indossato e, infine, l’avevano visto abbandonarli alla capanna per correre dietro la gonnella di Madame Maxime.
Fu Ron questa volta a esporre con chiarezza i fatti, dicendo: “Lei gli piace!”
I tre fantasticarono un po’ su quale sarebbe stato l’aspetto dei figli del loro amico e della Preside di Beauxbatons, poi, dato che il cielo si era scurito, la sera stava calando su Hogwarts con una sottile pioggerellina, decisero di rientrare.
Sulla strada del ritorno, Hermione si accorse di quanto Ron guardasse ammirato la figura di Viktor Krum e pensò che avrebbe pagato oro per avere quello stesso sguardo su di sé; on, ovviamente, non si accorse di niente e si sedette al proprio posto, indicando il Calice di Fuoco che, adesso, si trovava davanti al tavolo dei professori.
In Sala Grande, tutti gli studenti sembravano essere in attesa soltanto di conoscere il nome dei campioni e non di gustare le portate del banchetto; anche Harry sembrava aver perso l’appetito, nonostante avesse digiunato a pranzo.
Quando Silente si alzò, comunque, il brusio che aveva ravvivato la cena cessò immediatamente e, nel seguire i movimenti della tunica del Preside, Hermione notò nuovamente l’assenza del professor Moody e la presenza di Bartemius Crouch.
Scosse la testa per mandar via la stessa fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca che, più di un mese prima, l’aveva tenuta sull’attenti per un giorno intero e che era tornata a farle visita quel sabato mattina. Non era niente, lo sapeva: lo aveva appurato una sera, quando aveva creduto che i suoi amici potessero farsi del male e  poi, invece, erano tornati tutti interi. Sarebbe andato tutto bene…
Il Preside cominciò il suo discorso, chiedendo a coloro che sarebbero stati nominati campioni delle proprie scuole di accomodarsi in una stanza adiacente alla Sala Grande.
Era uno spettacolo suggestivo: tutte le candele erano state spente a favore del fuoco che bruciava nella coppa e, quando il primo foglio di pergamena uscì dal Calice, Silente lo raccolse e lesse il primo nome: “Il campione di Durmstrang è Viktor Krum.”
La sala esplose in un fragoroso applauso, mentre il bulgaro spariva dietro una porta e portava con sé i complimenti del proprio Preside.
Il secondo campione a essere chiamato fu Fleur Delacour, che si muoveva con un’eleganza innata tra i tavoli, mentre le sue compagne scoppiavano in lacrime perché non erano state sorteggiate per rappresentare Beauxbatons.
Il Calice di Fuoco s’illuminò ancora e tutti gli alunni trattennero il fiato fino a quando Silente disse: “Il campione di Hogwarts è Cedric Diggory.”
Questa volta le urla di giubilo e gli applausi durarono a lungo a dispetto del corruccio che mostrava Ron, mentre anche Hermione si univa alla gioia comune, battendo le mani e sorridendo.
Silente impiegò qualche minuto a ristabilire la calma, poi riprese a parlare: “Bene, ora abbiamo i nostri tre campioni. Sono certo di poter contare su tutti voi, compresi gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang, perché diate ai vostri campioni tutto il sostegno possibile. Acclamando il vostro campione, contribuirete molto…”
La voce del Preside si interruppe quando dal Calice si elevò un’altra fiammata dentro cui galleggiavano due fogli di pergamena.
Ad animare la Sala Grande, adesso, era una curiosità che non si poteva raccontare a parole e la mano del vecchio mago pareva essere soggetta a una magia potentissima, mentre si avvicinava alla carta e la stringeva con forza.
L’assenza di rumori che seguì quel gesto era innaturale, quasi come se qualcuno avesse lanciato l’Incantesimo del Silenzio per zittire tutti: furono minuti interminabili, durante i quali Silente continuò a guardare le pergamene che teneva tra le mani. Quando rialzò lo sguardo sui presenti, disse soltanto: “Harry Potter e Draco Malfoy.”
Allora, Hermione capì cos’era quella fastidiosissima sensazione all’altezza della nuca e ritrattò con se stessa il pensiero che aveva formulato più di un mese addietro e qualche minuto prima, perché adesso lo sapeva con una certezza assoluta – una certezza inconfutabile, contro cui non si possono sollevare dubbi −: non sarebbe andato tutto bene.
 
~•~
 
       Il tempo nella Sala Grande sembrò fermarsi: Hermione guardò prima il suo migliore amico, che se ne stava con lo sguardo basso sulle proprie gambe, in un misto tra la sorpresa e l’orgoglio di essere stato scelto, e poi a Draco Malfoy, che era sbiancato maggiormente, somigliando a un cadavere scavato, con lo sguardo vitreo piantato sul tavolo.
C’era qualcosa che non andava in tutta quella storia, a meno che… a meno che Harry non avesse mentito a tutti, convincendo un alunno più grande a mettere il suo nome nel Calice del Fuoco.
Ma Malfoy no, non sembrava di certo il tipo che avrebbe rischiato la vita per uno stupido premio.
I due ragazzi si guardarono per un attimo infinito e chissà cosa si dissero in quello sguardo perso, un po’ spaventato e incredulo.
Poi, Harry si voltò a guardare Hermione e Ron e lei non se la sentì di dire qualcosa: era sconvolta, molto di più di quanto lo fosse stata la mattina appena trascorsa, quando Hagrid non aveva voluto sostenerla nella sua lotta per la libertà degli elfi domestici.
“Non ho messo il mio nome nel Calice” cominciò Harry: adesso aveva l’aria assente, sembrava essere chissà dove, in un posto lontanissimo da dov’era realmente. “Voi lo sapete che non l’ho fatto.”
Hermione non riuscì a rispondergli, né a trovare parole che potessero consolare lo stato in cui era: qualcosa non andava, lo sapeva e le tornò in mente il primo anno di scuola, quando Harry era stato vittima di un professore impossessato da Voldemort e aveva rischiato di morire, e il secondo anno quando veniva accusato di essere l’erede di Salazar, perché parlava il serpentese e sembrava aver aizzato una vipera contro un compagno, e a rischiare di morire quella volta era stata Ginny.
Però, questa volta, l’unica cosa che le fu chiara era la voglia del suo migliore amico di partecipare a quel Torneo: lo aveva sentito fare piani per superare prove che non sapeva in cosa consistessero, progetti su come sperperare i galeoni vinti… ma Malfoy.
Non sapeva niente di lui, di cosa avesse fatto nei primi anni di scuola, se qualcuno l’aveva accusato o meno di essere erede di un mago oscuro, eppure, Ron aveva detto che la sua era una stirpe di Mangiamorte che sostenevano fermamente la causa di Voldemort.
“Davvero” disse ancora Harry.
Questa volta non ci fu nessun applauso, soltanto un brusio che la confondeva, dentro cui si perdevano voci cattive e ingiurie contro il suo migliore amico e contro lo studente di Durmstrang che aveva la loro stessa età e che, quindi, non avrebbe potuto partecipare al Torneo.
Ma com’era possibile?
Silente, a quel punto, batté le mani e chiamò a sé i due ragazzi.
Hermione li vide avanzare a passo lentissimo verso il tavolo dei professori, senza mai osare alzare lo sguardo, forse per la vergogna di aver imbrogliato ed essere stati scoperti: pareva un cammino lunghissimo quello che i due stavano compiendo, come se volessero rimandare al più tardi possibile la punizione che sarebbe loro toccata.
“Non ci credo!” disse Ron e lei si voltò a guardarlo perché era lo stesso pensiero che aveva avuto dal momento successivo alla scoperta di quei nomi, senza però tramutarlo in parole: se l’era tenuto per sé, come un segreto da custodire e non rivelare a nessuno e, invece, Ron aveva avuto il coraggio di dare voce a quel pensiero e dirlo proprio a lei.
“Nemmeno io” rispose Hermione, mentre Harry e Draco Malfoy si fermavano di fronte al Preside.
Silente li guardò con una freddezza che Hermione non gli aveva mai visto negli occhi, un miscuglio di delusione e collera, poi indicò loro la strada per entrare nella stanza dov’erano già gli altri campioni.
Hermione si fermò sull’espressione grave della professoressa McGranitt e su quella vagamente stralunata di Hagrid, che questa volta non finse un sorriso né fece un cenno di saluto quando Harry gli passò davanti.
La maga guardò il Calice di Fuoco che, adesso, era tornato ad essere una vecchia coppa malmessa, nemmeno l’ombra di una fiammella ad animarla, poi un movimento al tavolo dei professori attirò la sua attenzione e lei osservò i Presidi, alcuni insegnati e Ludo Bagman sparire oltre la porta dietro cui i campioni nominati erano in attesa.
“Sono sicuro che Silente c’entri qualcosa” bisbigliò Ron.
A quella affermazione, Hermione sbarrò gli occhi e scosse il capo: “Non credo, hai visto che faccia aveva?”
“Beh, sappiamo tutti che Harry è il suo pupillo, no?”
“Smettila, Ron. Harry non ha messo il suo nome nel Calice.”
Vide la gelosia e il senso di inferiorità martoriare i lineamenti del ragazzo che aveva di fronte e ne ebbe paura, ma gli posò una mano nell’incavo del gomito per tranquillizzarlo. “Harry è nostro amico” riprese. “Non ci mentirebbe mai. E poi, dimentichi che è stato nominato anche un altro campione, Ron.”
“Lo sai anche tu che Harry avrebbe voluto partecipare a tutti i costi.”
“Basta, Ron: io gli credo e dovresti farlo anche tu.”
Hermione tornò a guardare il tavolo dei professori, quasi vuoto e non vide l’amico che chiudeva gli occhi per contenere la rabbia e stringeva i pugni con una ferocia inaudita. Lo vide soltanto andar via, a un certo punto, mentre lei restava seduta a sentire parole che non avrebbe mai voluto ascoltare, che mettevano in cattiva luce un ragazzo che aveva messo in pericolo se stesso pur di salvare gli altri, che non si beava affatto della fama che lo aveva preceduto all’ingresso del Mondo Magico.
 
~•~
 
        La Sala Comune di Grifondoro, ormai era deserta: c’era solo lei a guardare il fuoco crepitare nel camino, in attesa che il migliore amico tornasse e le dicesse cosa realmente era successo.
Le faceva male la gola, aveva urlato fino a sembrare isterica contro i suoi compagni per difendere l’onore e l’integrità del suo migliore amico, eppure nessuno cominciò a crederle.
Poi, però, uno alla volta, tornarono tutti a farle compagnia, qualcuno a testa bassa, qualcun altro dicendo che forse aveva ragione: Harry non aveva messo il suo nome nel Calice.
Soltanto Ron mancava all’appello e lei pensò che era il caso di lasciarlo perdere, di fargli sobbollire la rabbia e di dargli il tempo di capire che nessuno aveva tradito la loro amicizia.
“Dovremmo festeggiarlo!” disse Seamus e Hermione sorrise, perché sì, dovevano festeggiare.
In fondo, lo aveva detto anche Silente che bisognava dare ai propri campioni tutto il sostegno possibile e loro – coraggiosi, leali Grifondoro – avrebbero sostenuto il Bambino Sopravvissuto fino a che ce l’avrebbero fatta.
Si sentì particolarmente felice dopo quel ritorno, nonostante dentro di lei ci fosse ancora qualcosa che la preoccupava… probabilmente, però, era soltanto l’ennesima prova che il suo migliore doveva affrontare e lei, come sempre, gli sarebbe rimasta accanto.
Quando Harry tornò, comunque, il malessere generale sparì: alcuni studenti lo trascinarono nella Sala Comune, altri gli offrivano da bere e da mangiare, altri ancora gli chiedevano come avesse fatto a superare la Linea dell’Età e perché non li avesse resi partecipi della sua idea di partecipare al Torneo Tremaghi.
Harry, però, non era affatto contento di tutte quelle attenzioni né di essere stato scelto come campione − nonostante nei giorni precedenti avesse fantasticato su tale possibilità −, perciò Hermione lo allontanò dalla calca con una scusa e lo fece sedere sulle scale che portavano ai dormitori maschili.
“Non ho messo il mio nome nel Calice” disse ancora lui, come a volersi giustificare, come se volesse trovare negli occhi dell’amica quella luce di fiducia che aveva sempre avuto quando si era trattato di lui.
Hermione evitò il suo sguardo per un po’, poi gli sorrise e disse: “Chi è stato, allora?”
“Non lo so.”
“Perché lo avrebbe fatto? Insomma, è contro le regole.”
“Hermione” cominciò piano, la voce ridotta a un respiro sottilissimo.
Sembrò esserci tutta la paura del mondo in quel sospiro e, a quel punto, Hermione alzò gli occhi su di lui e lo strinse in un abbraccio che aveva il sapore dell’affetto incondizionato e del supporto perenne che lei gli avrebbe sempre dato.
“C’è stata una discussione, prima…” riprese sempre a voce bassa. “Malocchio crede che qualcuno voglia uccidermi. Ancora.”
“Ma non è possibile, Harry. Noi l’abbiamo sconfitto.”
“Lo sai anche tu che la cicatrice continua a bruciare, Hermione. C’è qualcosa che non va.”
Hermione lo sapeva, aveva avuto la stessa sensazione qualche ora prima, ma mancava sempre un pezzo per completare la sua teoria. “Se anche c’entrasse Voldemort, perché è stato nominato anche Draco Malfoy?”
“Non lo so. Forse… Karkaroff ha messo il suo nome nel Calice per avere più probabilità di vincere.”
“Non aveva la certezza che uscisse anche l’altro nome, però.”
“No. Credo sia stato lui a inserire le due pergamene.”
“Ma Karkaroff non è…”
“Non lo sappiamo, Hermione. Io mi sono informato e so che è stato al seguito di Voldemort, anche se poi ha collaborato con il Ministero, ma, lo sai, lo ha detto anche Sirius: un Mangiamorte resta sempre un Mangiamorte.
“Non credo, Harry. Karkaroff ha tradito la sua causa, perché ti vorrebbe morto?”
“Forse, questo è il prezzo da pagare per tornare nelle schiere di Voldemort.”
Hermione tremò senza riuscire a nasconderlo e Harry la guardò con lo sguardo di chi si sente perennemente in colpa per essere venuto al mondo.
“Non lo so, Harry… in fondo, non era nemmeno certo che uscisse il tuo nome.”
“Ma è uscito e, adesso, deve solo trovare un modo per uccidermi.”
“Non essere sciocco, Harry. Non essere sciocco…”
Lo diceva sempre quando voleva sviare un discorso: non essere sciocco, Ron  − quando lui aveva rovesciato una pila di libri aspirando a una bella vacanza dalle lezioni −;   non essere sciocco – quando la McGranitt le aveva concesso l’utilizzo della Giratempo per frequentare più corsi e Ron l’accusava di essere uscita dal nulla −; non essere sciocco – quando Ron era convinto che Harry volesse uccidere Sirius per vendicare la morte dei genitori −; non essere sciocco, Harry – quando erano riusciti a fuggire dai Mangiamorte e Harry aveva proposto di separarsi e di nascondersi a Grimmauld Place.
 Adesso, però, quella frase sembrava non poter allontanare i pensieri di Harry dalle sue elucubrazioni mentali, perché erano troppo vicine a ipotesi con una base solida su cui poggiare e lei, per l’ennesima volta, si ritrovò a tenere per sé pensieri spaventosi e la flebile speranza che alla fine sarebbe andato tutto bene.
Ma se così non fosse stato? Se Harry avesse avuto ragione e Karkaroff avesse trovato un modo per ucciderlo e far tornare al potere il mago oscuro? E se Harry non fosse sopravvissuto a quelle prove?
Ah, non essere sciocca, Hermione!
 
 
 Angolo Autrice:
 
In questo capitolo, ci sono molte differenze rispetto alla storia che tutti conosciamo.
Innanzitutto, anche Draco viene chiamato a partecipare al Torneo Tremaghi, cosa che nella stesura originale non avviene.
Come la scoperta sulla vera identità di Igor Karkaroff: nel libro, infatti, Harry lo scopre nel capitolo 19, da Sirius.
Tutto quello che dice Silente è fedelmente ricopiato da Harry Potter e il Calice di Fuoco.
“Un Mangiamorte resta sempre un Mangiamorte” probabilmente, non è davvero una frase di Sirius (forse la dice qualcun altro, forse non esiste nemmeno), ma, in questo caso, credo che sia azzeccatissima.
Se per caso è una frase già presente in un’altra storia, ovviamente, tutti i crediti vanno all’autrice.
In più, nella stesura della Rowling, i nomi vengono estratti dal Calice a fine ottobre, qui, invece, tutto ciò accade il 2 novembre (la nostra “festa dei defunti”), proprio in previsione di ciò che accadrà durante il Torneo.
 
Bene, credo di aver detto tutto.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e a presto.

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Capitolo 5
*** V. L'invito ***


Questo è ciò che significa essere amati… quando qualcuno desidera toccarti, essere tenero.
Banana Yoshimoto.
 
V
L’invito
 
 
       Harry non aveva chiuso occhio: dopo aver parlato con Hermione, era andato a cercare Ron per assicurarsi che anche lui gli credesse, ma era tornato poco dopo in Sala Comune con le spalle curve e la bocca dritta, rintanandosi in un silenzio ostile che Hermione non si sentì di spezzare; lo accompagnò con lo sguardo nelle ombre create dal fuoco che crepitava nel camino, poi gli coprì la mano con la propria: Harry la guardò per un solo secondo, nessuna emozione sul viso, mentre lei provava a dargli conforto con un sorriso dolcissimo. “Io ti credo” gli disse con un filo di voce e anche questa volta il suo migliore amico non proferì parola.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, rassicurarlo in qualche modo che le cose tra lui e Ron sarebbero tornate come prima, eppure, in quell’assenza di suoni, Hermione capì che, di fondo, c’era la rabbia che Harry provava a tacitare, perciò glielo disse così, come fosse una verità inconfutabile: “Devi scrivere a Sirius, non puoi tenergli nascosta una cosa del genere.”
Harry sollevò di nuovo lo sguardo su di lei e lei, di nuovo, gli sorrise: “Lo verrà a sapere comunque.”
Il suo migliore amico le chiese di accompagnarlo alla Guferia, così, poco dopo, entrambi camminavano nei corridoi quasi vuoti, nel sole freddo di quella domenica mattina: lo osservava, mentre continuava a tenere il capo chino, a perdersi nel pensiero che le persone a cui voleva bene lo credessero capace di imbrogliarli a tal punto e, quando anche Edvige si allontanò da lui, offesa perché aveva affidato la sua posta a un altro volatile, Harry sospirò.
“Harry…” lo chiamò dolcemente Hermione.
“Prima Ron, poi tu. Non è colpa mia.”
Ed eccola, quella rabbia che voleva far tacere, che gli stava pesando sul petto come fosse un macigno enorme, che adesso riverberava nello sguardo di un ragazzo innocente che veniva condannato colpevole a priori.
“Io ti credo” gli disse ancora e lui si lasciò avvolgere dalle sue braccia, unico porto caldo e sicuro in cui non si sentiva colpito dalle cattiverie altrui.
Erano stati giorni difficili, in cui lui era tornato a isolarsi dal mondo che, tra l’altro, evitava di rivolgergli la parola e, anzi, gli faceva pesare il solo fatto che respirasse, con occhiate torve e risate esplose alle sue spalle: lo trattavano come fosse un buffone di corte e Hermione si era trovata più di una volta a puntare la bacchetta contro qualcuno che si fermava a prenderlo in giro.
“Tu e Hagrid siete gli unici che mi credono” disse una sera, con il pensiero rassegnato di dover rimanere solo nella vita, per sempre, raccontandogli di quanto si fosse sentito fuori posto durante la pesa delle bacchette e di fronte a Rita Skeeter, sentendosi un verme mentre la giornalista gli faceva domande a cui lui non avrebbe mai saputo rispondere − non lo sapeva, Harry, quanto si sbagliasse a sentirsi un verme di fronte al più schifoso degli insetti travestito da donna −, e di quanto, poi, avesse preso coscienza del pericolo che correva solo dopo aver parlato con Sirius.
 
 
~•~
 
       Hermione passava gran parte del tempo in Biblioteca sia per cercare informazioni sul Torneo Tremaghi, capire quali sarebbero state le prove dell’edizione che si sarebbe tenuta di lì a qualche giorno, sia per studiare.
Tra quegli scaffali e il rumore frusciante delle pagine che spostava, aveva trovato la sua pace personale, un mondo in cui nessuno osava fiatare nel rispetto delle regole che vigevano all’interno dell’ambiente, al contrario di tutto quello che accadeva nei corridoi.
Ultimamente, però, quella pace che lei tanto amava, veniva interrotta dal brusio e dal vociare che alcune alunne creavano quando in Biblioteca entrava Viktor Krum.
Hermione lo aveva guardato tante volte, il viso imbronciato e le sopracciglia dritte, mentre tutte lo acclamavano, e Madama Pince aveva rinunciato al suo ruolo di bibliotecaria amante del silenzio.
“Io sono Viktor” le annunciò una voce dura, con un forte accento bulgaro.
Erano trascorsi pochi giorni da quando era uscito l’articolo di Rita Skeeter che raccontava la vita di Harry e lei, ormai, si era abituata a difendere l’amico a spada tratta, anche senza che la persona che si trovava di fronte dicesse qualcosa a riguardo.
“Non ti dirò niente su Harry” esordì lei, il mento alto in tutta la sua fierezza.
“Non voglio sapere niente di lui… voglio solo sapere come ti chiami” e lo disse così, con una dolcezza smaccata dall’accento forte e un sorriso appena accennato sul viso. “Posso sedermi qui?”
Hermione non rispose: semplicemente, guardò il ragazzo prendere posto accanto a lei e sorriderle ancora, leggermente imbarazzato.
“Io sono Viktor” disse ancora. “E tu?”
“Hermione.”
“Sei molto bella, Hermi-un.”
Lei scosse la testa, il capo calato e i capelli a nasconderle il viso: per la prima volta, sentì un lieve calore risalirle lungo le guance  e provò a nasconderlo in ogni modo.
Viktor, invece, le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le sollevò il viso, sistemandole due dita sotto al mento. “E’ solo la verità.”
Allora, il sorriso che lei aveva provato a celare, nacque spontaneo sulle labbra e  fu lo specchio di quello che si disegnò sul viso del giovane che aveva di fronte.
“Io spero di vederti, più tardi.”
“Oh… io, ecco, non so…”
“Buona giornata, Hermi-un.”
Se c’era un motivo per rivedere più tardi il campione di Durmstrang, era certamente quello di insegnargli la giusta pronuncia del suo nome e, nel momento in cui stava per dirgli che sì, le avrebbe fatto piacere rivederlo, si accorse che lui era già andato via, seguito dalla stuoia di ragazzine che sospiravano ancora.
 
~•~
 
       Insegnare il suo nome non le era mai sembrato tanto difficile, eppure, Hermione scoprì che quel pronunciarlo tante volte e ascoltarlo altrettante le piaceva: ogni volta che Viktor provava a chiamarla, lei scoppiava a ridere. Dopo poco lui la imitava e non c’era segno di offesa nel suo sguardo né di vergogna: se ne stava lì, a ridere con lei del suo nome impronunciabile, senza mai smettere di guardarla.
A volte, le spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come aveva fatto qualche giorno prima in Biblioteca, altre, invece, osava una carezza sulle braccia, scostandosi non appena lei s’irrigidiva e faceva un passo indietro per allontanarsi.
Era strana, Hermione: occhi che sapevano parlare e un sorriso che gli provocava un calore delizioso nel petto, così piccola e grande al tempo stesso, eppure sembrava non saperlo e lui se ne accorgeva ogni volta che la ragazza arrossiva a un suo complimento, chinando la testa per celare l’imbarazzo, perché per lei era tutto nuovo e Viktor non poteva saperlo.
Non poteva sapere che lei si guardava poco allo specchio, che si sentiva soltanto il cervello di un Trio che con il tempo aveva imparato a lavorare come fosse una persona sola; che non aveva mai lisciato i capelli né truccato gli occhi, perché aveva bisogno di qualcuno che l’amasse per quel che era. E, forse, quel qualcuno non si era ancora reso conto di quanto fosse bella, dentro e fuori, ma lui sì.
“Hermi-un” il ragazzo cominciò con voce gentile e le braccia ferme lungo i fianchi per evitare che lei scappasse. Accennò un sorriso, poi riprese: “Vuoi venire al ballo con me?”
Viktor era un bel ragazzo, le spalle larghe e una corporatura possente, incuteva timore solo a guardarlo e sorrideva raramente. Aveva sul viso un’espressione dura e una voce profonda, ma, in quel momento, a Hermione ricordò un bambino… uno di quelli a cui brillano gli occhi davanti a un giocattolo nuovo e chiedono con ingenua spontaneità di ricevere quel gioco in regalo, con le mani unite in una preghiera muta affinché il proprio desiderio diventi realtà, e la promessa di trattarlo bene, quel gioco, di non romperlo e averne cura.
Forse, per Viktor, lei era un trenino, forse un nuovo modello di Nimbus o, addirittura, un Boccino d’oro difficile da afferrare… e, forse, fu il modo in cui la guardava, in attesa impaziente e fiero, a spingerla a distendere un braccio e prendergli la mano, fermando lo sfarfallio delle ali – lei, che era davvero un Boccino d’oro – , per dargli la possibilità di chiudere le dita e legarle in qualche modo alle sue.
“Mi farebbe piacere” disse lei e il bulgaro, allora, intrecciò davvero la mano a quella di Hermione, portandosela alle labbra e baciandone il palmo.
Lei aveva le gote arrossate e lo sguardo liquido di meraviglia perché, per la prima volta da quando aveva cominciato a frequentare Hogwarts, qualcuno era riuscito a guardare oltre i suoi capelli, aveva graffiato la corazza che si era cucita addosso e non l’aveva guardata soltanto perché era la migliore di Harry Potter: per la prima volta, lei era soltanto Hermione e, a quel punto, quasi non le dava più fastidio che il ragazzo che aveva di fronte sbagliasse la pronuncia del suo nome, anzi.
D’improvviso, il ricordo di se stessa che comprava una fiala di pozione Lisciacapelli le attraversò la mente e sorrise, scuotendo la testa.
Viktor si sporse in avanti, avvicinandosi un po’ e guardandola con una confusa curiosità e chiese: “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No” rispose Hermione, un sorriso tenue a incurvarle le labbra. “Non hai detto niente di sbagliato.”
 
~•~
 
       Non era mancato modo di sorridersi appena, tra una portata e l’altra della colazione e del pranzo; lanciarsi di tanto in tanto occhiate sfuggenti e trovare gli occhi dell’altro già addosso, a vagare teneramente tra il groviglio di capelli e le pieghe della divisa, come se, in qualche modo, lui provasse a memorizzare il suo viso e la linea del collo. E Hermione lo sentiva, quel calore imporporarle le guance e quel leggero fastidio allo stomaco che era l’emozione di essere guardata così, di essere toccata così: in punta di dita, chiedendo un permesso silenzioso di andare oltre il polso e raggiungere finalmente la mano e allacciarla alla propria; in punta di labbra, fermandosi sempre più vicino all’angolo della bocca, senza per questo sembrare invadente.
Era tenero, Viktor, quando sollevava il calice di succo di zucca al suo indirizzo e le sorrideva come se le stesse raccontando il segreto più bello del mondo, concedendo la sua attenzione a lei e a lei soltanto, senza dar peso ai sospiri di altre ragazzine che sospiravano appena lui muoveva le ciglia.
E quanta invidia avrebbero provato, se solo avessero saputo.
Hermione partecipò a quel brindisi muto incurvando le labbra in un sorriso timido; Harry e Ron di fronte a lei continuavano a chiedersi chi invitare al ballo, senza mai degnarla di uno sguardo, come se lei non fosse una possibile candidata. E, comunque, avrebbe rifiutato il loro invito, certo, perché lei al Ballo del Ceppo sarebbe andata con Viktor Krum, eppure si sentì ferita da quella mancanza e si chiese se, in fondo, non sperasse ancora che Ron la invitasse… anche solo per capire che sì, anche lui sapeva che lei esistesse e che la vedesse bella, in qualche modo.
Invece, Ron, aveva gli occhi che saettavano tra il tavolo dei Corvonero e quello dei Tassorosso e, com’era prevedibile, evitava accuratamente quello dei Serpeverde; Harry, invece, guardava Cho con un insistenza tale che quasi sembrava non respirasse e, forse se ne rese conto anche la ragazza, di quanto pesasse quello sguardo, perché si voltò nella sua direzione e lui, sorpreso di essere ricambiato, si trovò sul punto di morire soffocato e sputacchiò il contenuto del bicchiere direttamente sulla propria divisa.
Ron non sorrise e Hermione non mancò di notarlo e, nonostante i suoi migliori amici ancora non parlassero tra loro, lei seppe che quello era il modo di Ron di sostenere Harry.
A interrompere quel pensiero, fu la voce fastidiosa e strascicata di Draco Malfoy che si sistemò a cavalcioni sulla panca proprio di fronte al Bambino Sopravvissuto, guardandolo con biasimo e una punta di derisione a brillargli nelle iridi. “Molto carine queste spille, non credi Potter?” chiese, osservando la spilla su cui risaltava la scritta Potter fa schifo, calunniando il nome del protagonista come fosse il peggiore degli essere umani e esaltando Cedric  Diggory, l’altro campione, come se fosse davvero migliore di tutti gli altri.
Hermione sollevò gli occhi per osservare il tavolo dei Tassorosso e vide, però, che Cedric provava una sorta di repulsione per quelle spille: aveva uno sguardo vagamente irritato posato sul quel cerchietto d’acciaio e, a differenza degli altri alunni, non ce l’aveva appuntato sulla divisa come fosse una medaglia d’onore.
“Che cosa vuoi?” chiese Harry, stringendo con forza il calice ormai vuoto, una goccia di succo di zucca ancora in bilico sul mento.
“Non durerai più di dieci minuti, te lo dico io. Dieci minuti dall’inizio della prima prova, intendo. E, probabilmente, ti sto sopravalutando.”
“E tu quanto pensi che durerai: due minuti ti bastano per morire?” Harry lo guardava dritto negli occhi, mentre i suoi compagni di Casa scoppiavano a ridere, infastidendolo al punto che lui fece per alzarsi e andare via, ma la mano di Malfoy lo bloccò lì dov’era e disse con tutta la cattiveria del mondo a scivolargli dalle labbra: “Tranquillo, Potter, a breve raggiungerai i tuoi genitori e non li dovrai più piangere.”
Poi, se ne andò così com’era venuto, tornando al tavolo dei Serpeverde, con un’eleganza innata che disturbò Hermione oltre ogni limite. Stava per alzarsi per avvicinarsi e Schiantarlo, la bacchetta già stretta tra le mani e uno sguardo furente, ma Harry le fece un cenno leggero con il capo e lei capì che non era di quello che aveva bisogno il suo migliore amico.
“Torniamo in Sala Comune, Harry” gli suggerì, senza mai staccare gli occhi da Malfoy.
Il suo migliore amico accettò l’invito e, mentre salivano le scale della Torre, le chiese: “Andiamo a Hogsmeade?”
“Va bene” la voce leggera e la voglia di trasmetterla a lui, quella leggerezza che da troppo tempo non gli vedeva sul viso.
“Vado a prendere il Mantello, aspettami qui.”
“Ma… perché?”
“Ho bisogno di stare un po’ tranquillo, Hermione… e l’unico modo per non essere deriso è quello di nascondermi: sono stanco di tutta questa situazione.”
“Va bene” questa volta acconsentì senza spronarlo a non nascondersi, perché sapeva che Harry aveva ragione, che, a volte, il peso di una parola in più poteva far incurvare le spalle e sbaragliare tutte le certezze: era successo anche a lei, quando si era resa conto che Draco Malfoy aveva l’aspetto di un principe, ma l’anima di un mostro e la bocca di un serpente, avvelenata da chissà quali sentimenti verso tutti quelli che non erano come lui, che di puro avevano il cuore e non il sangue.
Hermione non si accorse di Harry fino a quando lui non la chiamò e, per le strade del villaggio, provò a fare di tutto per non sembrare una pazza che parlava al nulla.
“Sembro una scema, qui seduta da sola” disse, una volta seduti al solito tavolo ai Tre manici di scopa. “Meno male che ho portato qualcosa da fare” aprì il quaderno dentro il quale teneva il registro dei membri del CREPA, in cui Ron e Harry erano stati nominati rispettivamente segretario e tesoriere. Che loro, poi, non avessero mai attinto ai propri doveri come componenti del comitato era una cosa di poca importanza, anche perché era una causa in cui sembrava credere solo Hermione e loro, da buoni amici qual erano cercavano di sostenerla, non condividendo del tutto i suoi pensieri: insomma, Harry aveva visto più di una volta Dobby prendere a testate il muro perché non aveva svolto un ordine e, piuttosto che vedere gli elfi ridotti a piccole mummie, preferiva di gran lunga vederli lavorare al servizio di qualcuno che li trattasse bene. Ecco, forse questo era un punto da far notare a Hermione, ma quando lei cominciò a parlare di coinvolgere gli abitanti del villaggio, Harry capì che non era il caso e che era meglio desistere.
Hermione ordinò due burrobirre e madama Rosmerta la guardò in tralice, borbottando qualcosa su quanto fosse deleterio l’alcolismo. “Ecco, lo sapevo che mi avrebbero scambiata per una pazza ubriacona!” si lamentò Hermione; Harry scoppiò a ridere e s’irrigidì soltanto quando il professor Moody chiamò il suo nome, allontanandosi subito dopo insieme a Hagrid.
“Hai paura?” gli chiese d’un tratto l’amica e il Bambino Sopravvissuto la guardò come se la vedesse per la prima volta.
Tirò un respiro profondo, come se avesse avuto bisogno di tutto l’ossigeno possibile per parlare senza interruzione e, infatti, così fece: “Non so cosa mi aspetta, Hermione. Non so cosa c’è lì fuori, quali saranno le prove e ho paura che Malfoy abbia ragione: quanto posso durare? Non lo so, io… io vorrei tirarmi indietro. A volte, vorrei non essere chi sono.”
“Harry, tu sei speciale e vivrai: insomma, sei già sopravvissuto una volta, no? Supererai anche queste prove.”
Il ragazzo fece un sorriso tirato e spostò lo sguardo verso la porta, al tavolo a cui era seduta Cho Chang che non indossava la spilla per tifare Cedric Diggory né per offendere lui. “Vorrei invitarla al Ballo” disse all’improvviso, come se la paura per il torneo fosse scomparsa da un momento all’altro.
Hermione guardò nella sua stessa direzione, chiedendosi perché il suo migliore non le domandava con sarebbe andata al Ballo del Ceppo, perché non aveva la curiosità di saperlo… perché lei avrebbe voluto dirlo, che sarebbe stata la dama di Viktor Krum e al diavolo tutto quello che aveva detto sulla Finta Worky e sul fatto che tutte le ragazze sospirassero al suo passaggio soltanto perché era famoso; lei aveva imparato a sospirare per le carezze che il giovane le dedicava, quando le metteva le dita sotto al mento per farsi guardare e per guardarla. Alla fine, però, disse solo che era ora di rientrare al castello.
 
~•~
 
       “Sono contento che tu abbia accettato il mio invito, Hermi-un. Credevo di avertelo chiesto troppo tardi.”
Era timido, il sorriso di Hermione, mentre Viktor le diceva a modo suo che era bella, che credeva che qualcun altro, a parte lui, la corteggiasse. “Non ho ricevuto molti inviti, in realtà” gli disse in uno guizzo di sincerità che la fece arrossire.
“L’importante è che tu non li abbia accettati.”
“Viktor, posso farti una domanda?”
“Sì.”
“Perché eri sempre in Biblioteca?”
“Era l’unico posto dove potevo guardarti, no? E, poi, volevo già chiederti di venire al ballo con me…”
Hermione arrossì ancora di più e pensò che, se ci fossero stati Ron o Harry a guardarla, probabilmente l’avrebbero presa in giro per sempre. Invece, erano soli, lei e Viktor, a passeggiare sulle sponde del Lago Nero: lui  le raccontava di Durmstrang, lei ascoltava come se le sue parole fossero quelle delle favole più belle e si trovò del tutto impreparata quando il ragazzo le si fermò di fronte e inclinò leggermente la testa verso di lei.
Hermione sapeva cosa stava per accadere: glielo suggeriva il battito frenetico del cuore e il calore che sentiva salirle lungo le caviglie, eppure non si sentì mai impreparata come quel momento.
Chiuse gli occhi per nascondere l’imbarazzo, si chiese cos’avrebbe dovuto fare adesso, com’era che si diceva a un ragazzo come Viktor che quello era il suo primo bacio, come poteva non apparire ingenua e piccola e come…
Smise di pensare nel momento in cui la bocca di Viktor si posò delicatamente sulla sua, labbra screpolate e la leggera prurigine della barba accennata sul viso.  Era tenero, casto, pulito quel bacio, così delicato da farle credere che, forse, non era reale. Poi, però, una parte del suo cervello metabolizzò quello che stava succedendo e capì che sì, era reale e che non sarebbe andato oltre, perché non era quello sfioramento di labbra a essere tenero, casto, pulito: era Viktor.
Era Viktor, che adesso l’aveva stretta a sé in un abbraccio per niente superbo, con le mani che vagano sulla schiena rigida e impaurita, con premura tale che lei sentì la pelle bruciare. “Sei così bella” le disse.
E Hermione non pensò a Ron, a come sarebbe stata la sua bocca o il suo tocco. Semplicemente, dedicò a se stessa e quel ragazzo che aveva di fronte il caleidoscopio di emozioni che l’attraversò in quel momento.
Quando Viktor si allontanò da lei, poggiando il mento sui suoi capelli, Hermione aveva gli occhi lucidi di un’emozione nuova, che la faceva sentire più grande dei suoi quasi quindici anni e capì – forse solo in quel momento – che tra tutti gli alunni di Hogwarts o Durmstrang o Beauxbatons, Viktor era l’unico con cui avrebbe voluto andare al Ballo del Ceppo.
Quando rientrò alla Torre di Grifondoro, portava ancora sul viso i segni della nuova esperienza che aveva vissuto, che le aveva lasciato lo strascico di un batticuore accennato. Superando il buco nel muro, trovò Ron seduto davanti al camino. “Che ci fai qui?” gli chiese.
“E tu dove sei stata?”
“In biblioteca” mentì prontamente. “Buonanotte, Ron” aggiunse, quando capì che l’altro non avrebbe risposto.
Seduto sui gradini, invece, in attesa che lei tornasse, c’era Harry, lo sguardo perso e le mani a torturarsi tra loro. “Harry” lo chiamò lei.
“Sono stato da Hagrid, Hermione. I Draghi.”
“Non capisco…”
“La prima prova: dovremmo combattere contro i draghi.”
Hermione tremò, scossa dalla voglia di tornare fuori e avvertire Viktor per far sì che non si facesse troppo male e che ne uscisse in qualche modo vincitore, invece, si sedette accanto al suo migliore amico e appoggiò la testa sulla sua spalla.
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Come ho già detto, questa storia ricalca a grandi linee quello che accade in Harry Potter e il Calice di Fuoco, o almeno, qualcosina c’è, dai.
Ovviamente, ci sono avvenimenti che ho modificato del tutto a causa della trama che ho in testa: tra questi, troviamo l’invito di Viktor Krum e il primo bacio tra lui e Hermione (nessuno di noi sa quando e com’è avvenuto, credo) e il fatto che Harry racconti a Hermione la sua scoperta.
Le spille con su scritto POTTER FA SCHIFO sono presenti anche nel libro, ma in questa storia non è stato Draco Malfoy a stregarle.
 
Credo di aver detto tutto, a presto.

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Capitolo 6
*** VI. La prima prova ***


Purtroppo a volte non è possibile scegliere il momento in cui combattere. 
Possiamo solo farlo con coraggio quando ci viene chiesto.
Giorgio Faletti.


 
VI
La prima prova
 
 
       Appena sveglia, Hermione si guardò allo specchio: aveva sul viso un miscuglio di emozioni che si alternavano tra loro senza che lei potesse comandarle: la commozione per il suo primo bacio, l’ansia di dover dire a Viktor dei draghi, la paura per quella prima prova a cui avrebbe dovuto partecipare anche il suo migliore amico, il terrore di poter perdere qualcuno a cui voleva bene; tra tutte, però, quella che trovava il proprio spazio e il proprio tempo, era l’incredulità, perché continuava a esaminare il suo riflesso e non vedeva nulla di quello che vedeva lo studente di Durmstrang – come sei bella – e nulla di quello che in lei aveva visto Draco Malfoy – lurida Mezzosangue − : c’era solo una ragazza, riflessa nello specchio, con le gote arrossate e i capelli ingarbugliati al pari delle sue emozioni.
Sulla scia di quel pensiero, comunque, Hermione emise un respiro e s’incamminò verso l’uscita del dormitorio.
Era una giornata strana, come quelle che si programmano nel minimo dettaglio e poi tutto va a rotoli, Hermione se ne accorse nel momento in cui si recò in Sala Grande e Viktor non era seduto al tavolo dei Serpeverde a fare colazione. Il resto del tempo, nonostante lo strano vuoto che sentiva all’altezza  del seno, passò tranquillo, fino a quando Harry non la portò con sé: “Dobbiamo trovare un modo per sconfiggere i draghi” le disse.
“Potremmo andare in Biblioteca per…” non terminò la frase, perché il suo migliore amico la trascinò nel luogo che  lei aveva suggerito.
Stavano sfogliano libri da un po’, quando Harry intravide Viktor Krum avanzare tra i corridoi e lo maledisse, perché in quel momento aveva solo bisogno di concentrazione, ma Hermione arrossì violentemente, tanto che nascose il viso tra le pagine del grosso tomo che teneva tra le mani.
Sapeva che il ragazzo era andato lì per vederla, eppure, decise di aiutare il Bambino Sopravvissuto, di trovare insieme a lui una soluzione per superare la prima prova del Torneo.  Aveva un lieve senso di colpa ad attagliarle il petto, perché sapeva che più rimandava l’incontro con il bulgaro, più lo metteva in pericolo, sottraendogli il tempo necessario per prepararsi ad affrontare il drago, ma rimase lì dov’era.
La soluzione arrivò presto, grazie all’aiuto del professor Moody. Hermione e Harry trascorsero l’intero pomeriggio ad allenarsi negli incantesimi d’Appello, lui che si dannava e lei che lo invogliava a provare e riprovare, promettendogli che non avrebbero smesso fino a quando non ci sarebbe riuscito.
“Prova ancora” gli diceva con voce dolce ma decisa. “Concentrati di più” lo richiamava. “Ce la puoi fare, Harry” lo spronava, lo incoraggiava.
Una parte della sua mente era da qualche parte nel castello alla ricerca di Viktor e delle parole che avrebbe dovuto dirgli per avvisarlo del pericolo che avrebbe corso; l’altra era troppo impegnata a combattere la paura e il senso di vuoto che provava ogni volta che pensava a come si sarebbe sentita se qualcosa fosse andato per il verso sbagliato. Quando succedeva, scuoteva la testa e allontanava quei pensieri, poi tornava a concentrarsi sul suo migliore amico, che adesso aveva Appellato una piuma e una pergamena, e sul ricordo di quel primo bacio che Viktor le aveva regalato soltanto qualche ora prima.
Fu soltanto a pomeriggio inoltrato che Hermione si avvicinò al Lago Nero e lo trovò lì, in ginocchio davanti allo specchio d’acqua e lo sguardo perso chissà dove.
“Draghi” gli disse con voce flebile, convinta che lui non l’avesse sentita arrivare. Viktor, invece, l’aveva sentita, dandole il benvenuto con un sorriso dolce prima ancora che lei parlasse.
“Ti piacciono i draghi?” le chiese leggermente confuso.
Hermione negò con un movimento della testa, i capelli a danzarle intorno al viso come rami di salice piangente. “No. Durante la prima prova dovrete combattere contro i draghi.”
“Me la caverò. Eri con Harry Potter prima.”
“Sì, dovevamo…” s’interruppe, perché non sapeva se era davvero giusto fidarsi totalmente di lui e perché, dicendogli la verità, si sentiva quasi come se stesse tradendo la fiducia che il suo migliore amico aveva sempre riposto il lei. “noi dovevamo fare una ricerca di Erbologia.”
Il bulgaro la guardò sorpreso, perché in realtà non si aspettava che lei rispondesse davvero alla sua domanda e le baciò la fronte in quel movimento delicato che sembrava non gli si addicesse mai e invece…
Hermione si sollevò leggermente sulle punta, mentre le mani di lui le fasciavano il viso come una coperta calda pronta a ripararla dal freddo. Tenero, casto, pulito quel bacio, diverso e uguale a quello che li aveva uniti soltanto la notte precedente, mentre lei arrossiva e lui le insegnava altri modi d’amare.
“Tiferai per me?” glielo chiese sulla bocca e Hermione sorrise come se lui avesse detto qualcosa di estremamente divertente, poi gli rispose con sincerità:  “Tiferò per Harry, ma se vincessi tu non mi dispiacerebbe. Ora, però, devo andare.”
“Dove?”
Ad aiutare il migliore amico, ad Appellare quanti più oggetti possibili, anche quelli che crediamo siano persi; a trovare una soluzione che non preveda la sua morte, a dirgli che sarò con lui sempre, che lo sosterrò in tutti i modi che conosco. “A dormire. Sono molto stanca.”
 
~•~
 
       “Draghi” gli disse Viktor avvicinandosi.
Era una sera strana, piena di emozioni a cui Draco non sapeva dare un nome, sensazioni che gli avevano preso la mano da quando il suo nome era stato sputato fuori da quel maledetto Calice e chissà chi, tra tanti, era a volerlo morto, perché se c’era una cosa di cui lui fosse fermamente convinto era che qualcuno lo volesse fuori dai piedi, conducendolo in un gioco in cui anche il più forte si sarebbe fatto male, figurarsi lui, che forse sarebbe morto prima ancora di Potter. A differenza del Bambino Sopravvissuto, però, Draco non aveva avuto nessuno che gli si stringesse attorno e nessuno che facesse di tutto per screditarlo, come chi aveva stregato le spillette del Torneo; a differenza di Krum, Draco non aveva nessuna Mezzosangue che gli girasse intorno solo per estorcergli segreti e tattiche e, d’altra parte, era stato proprio lui a isolarsi: non aveva scritto nemmeno a suo madre e, semmai fosse morto in una delle prove, Narcissa avrebbe pianto i resti del suo corpo e poi, magari, avrebbe bruciato Hogwarts e Durmstrang perché l’avevano privata dell’unica vita che era riuscita a concepire e pazienza, tanto lui non ci sarebbe stato più.
“L’ho invitata al Ballo” disse Viktor, allontanandolo dai suoi pensieri e dal senso di impotenza che gli stava serpeggiando sulla bocca dello stomaco.
Non ci fu bisogno di chiedere a chi si riferisse, perché lì aveva visti insieme e li aveva guardati con disprezzo e nausea, come se fossero mendicanti insozzati e pestilenti pronti ad afferrargli le mani e a tirarlo con loro nel fondo di quel sudiciume in cui il bulgaro stava sguazzando, scambiando la melma per oro colato.
“Dovrebbero farti schifo, quelle come lei” suggerì, mentre un conato acido gli risaliva la gola.
“Perché?”
“Perché non è come noi: è una mezzosangue, è feccia.”
“E noi cosa siamo, Draco?”
Soltanto in quel momento, il biondo posò lo sguardo sul suo interlocutore, disgustato da quelle parole sbagliate, negazioniste delle proprie origini e favorevoli alla mescolanza di sangue.
“Noi siamo purosangue, Krum. Ricordatelo la prossima volta” non aggiunse nient’altro, se non un sospiro di frustrazione e guardò altrove, finché l’altro non lo lasciò da solo.
 Quando il cielo si schiarì e l’alba accarezzò la nave, Draco si rese conto di essere rimasto fuori tutta la notte e di non aver dormito nemmeno un’ora: erano state le budella attorcigliate e la paura di perire davvero a tenerlo sveglio, a fargli dannare il cervello, spremendolo come uno straccio vecchio, mentre pensava a come sconfiggere un drago e chissà cosa avrebbe dovuto affrontare nella seconda prova, semmai avesse superato la prima e se non fosse impazzito, nel frattempo.
 
       La Sala Grande era un giubilo eccitato che urlava il nome dei campioni, un via vai di soldi passati da mano in mano, fino a che non giungevano a chi di dovere, scommesse su chi avrebbe capitolato per primo – il suo nome sul gradino più alto di un podio immaginario.
Draco si sfregò il pollice e l’indice sugli occhi, la testa a pulsare dolorosamente e la stanchezza attecchita nei muscoli. Non lasciò intravedere a nessuno le paure che si agitavano dentro lui e camminò come se lo spazio che lo separava dal tavolo dei Serpeverde fosse suo per diritto di nascita e forse lo sarebbe stato prima o poi.
“Sei pronto?” gli chiese Theo, mentre riempiva il piatto di porridge e glielo porgeva come se fosse una mattina normale, come se lui non stesse davvero andando a morire, masticato dalle fauci di un drago.
Allontanò il piatto e voltò appena il viso nella direzione dell’amico.
“Immagino tu voglia mantenerti leggero per la prima prova” disse ancora l’altro, facendo un’incurante alzata di spalle. “Almeno, però, bevi un po’.”
“Sembri mia madre, Nott.”
Theodore rimase turbato da quelle parole e gli si dipinse sul volto un’espressione confusa, poi incurvò le labbra in un sorriso e disse: “Sì, sarei proprio una bella donna, a mio parere.”
Forse, se non fosse stato così spaventato, Draco avrebbe riso; se non fosse stato così ossessionato dall’idea di poter morire, si sarebbe accorto di star guardando il tavolo dei Grifondoro, con gli occhi fissi su Hermione; se non fosse stato così alterato da tutto quello che era successo nei giorni precedenti, si sarebbe accorto che l’altra stava ricambiando il suo sguardo con una punta di smarrimento incastrato tra le ciglia lunghe.
Forse, se non si fosse sentito così smarrito, avrebbe capito che, in fondo, ci si poteva salvare anche quando si aveva l’impressione di non avere una via d’uscita.
E, invece, non si accorse di niente e si ridestò dai suoi pensieri soltanto quando la sua visuale fu coperta da una tunica rosso sangue, indossata con la fierezza che soltanto chi era stato eletto a campione e aveva l’appoggio di qualcuno che credesse in lui poteva ostentare.
Alla fine, decise che di alzarsi e andare via.
Il tempo scorreva con una velocità impressionante: sembravano essere trascorsi appena cinque minuti da quando aveva finito la colazione e, invece, era già quasi ora di pranzo.
Draco non avrebbe saputo dire come aveva trascorso quelle ore ( se sfogliando libri sui draghi in Biblioteca o attendendo con ansia che cominciasse il Torneo), ma, quando vide la Sala Grande riempirsi di nuovo e il tavolo ricoperto di cibo, si sentì improvvisamente inadatto.
Era un Malfoy, era superiore a quasi tutti i presenti in quella sala ed era anche uno studente preparato… allora perché si sentiva così inadeguato? Non ebbe il tempo di trovare una risposta, perché Igor Karkaroff si avvicinò ai suoi studenti, guardandoli come fossero armature ammaccate pronte per essere messe a nuovo e brillare della propria antica gloria. “I campioni devono incontrarsi nel parco” disse, senza dare una parola a cui appigliarsi in caso di smarrimento o se la paura avesse prevalso su tutte le altre emozioni, oscurando la loro preparazione.
Si chiese a cosa avrebbe pensato nel momento in cui si fosse reso conto di non avere più speranze. Forse, al ricordo del viso di sua madre o, forse, al sangue puro che avrebbe macchiato il suolo, uno spreco assurdo!
Entrarono in una tenda in cui Ludo Bagman li accolse con un saluto caloroso e nervoso. “Accomodatevi: è giunto il momento di informarvi” cominciò, mostrando un sacchetto di seta viola. “Dovrete estrarre un modellino della cosa che state per affrontare. Il vostro compito è quello di recuperare l’uovo d’oro che questo… ehm, che questa cosa protegge.”
Draco scattò in piedi, il viso tirato e più pallido del solito, i pugni tanto stretti da conficcarsi le unghie nella carne e lasciarne il solco. “Non ho intenzione di morire per recuperare uno stupido uovo d’oro!” urlò.
“Nessuno ha detto che lei morirà, signor Malfoy. E, comunque,, non può tirarsi indietro.”
“Non messo il mio nome nel Calice di Fuoco. Tutto questo è… inammissibile.”
“Nemmeno il signor Potter ha presentato il proprio nome, eppure è qui e non sta facendo tante moine come lei.”
“Mio padre lo verrà a sapere e allora..” ma non riuscì a concludere quella minaccia, perché Bagman lo interruppe, richiamandolo alla calma: “L’unica cosa che suo padre verrà a sapere sarà l’esito delle prove, signor Malfoy” si concesse qualche attimo di silenzio, poi riprese: “Non sappiamo perché il suo nome sia stato inserito nel Calice… ma, forse, per lo stesso motivo per cui è stato inserito quello del signor Potter.”
Se c’era una speranza di uscire vivo da quello scontro, Draco se la vide sfumare davanti agli occhi nel momento esatto in cui il suo cervello elaborò quelle parole, per vederla sparire del tutto dopo aver scoperto quale drago avrebbe dovuto affrontare: un nero delle ibridi.
 
       Era stata un’attesa snervante, riempita dal vuoto che sentiva nella testa e dal marasma di voci che si agitava fuori dalla tenda: erano rimasti solo lui e Potter, seduti agli angoli opposti della tenda, evitando di guardarsi negli occhi e poter trovare la propria paura riflessa nello sguardo dell’altro. Non era certo vergogna di scoprire le proprie emozioni, più che altro era la repulsione di avere qualcosa in comune con il Bambino Sopravvissuto per miracolo al Signore Oscuro e che, forse, non sarebbe sopravvissuto al suo Ungaro Spinato.
Soltanto quando sentì il sibilo di un fischio, Draco si rese conto di essere rimasto da solo e che, a breve, sarebbe toccato a lui.
Avrebbe voluto scappare, darsela a gambe e non farsi trovare mai più, diventare esule e non tornare in quella tenda nemmeno in cambio di un lauto pagamento e, invece, quando un altro fischio decreto la fine della prova di Potter, Draco non riuscì a muovere nemmeno un muscolo.
 
       Il drago se ne stava accoccolato sulla sua covata, sembrava dormisse. Solo che aveva gli occhi aperti, viola e incattiviti. Era un esemplare enorme, con la scaglie basse lungo il dorso e la coda che terminava in una punta a forma di freccia. Le ali piccole, simili a quelle di un pipistrello, erano chiuse a metà.
Draco deglutì rumorosamente e si sentì smarrito.
Si avvicinò cauto all’animale, evitando di fare movimenti bruschi per innervosirlo e gli girò intorno per capire quale fosse il modo migliore di fargli scoprire il nido e recuperare l’uovo.
Quando alzò lo sguardo per guardarsi intorno, vide soltanto grosse rocce alte e sottili e terreno. Il pubblico sugli spalti sembrava essere sparito, così come le urla e la voce di Ludo Bagman che chissà cosa stava dicendo, se lo elogiava o meno.
Scartò immediatamente l’idea di Appellare la sua scopa, per non scopiazzare la prova di Potter e si riscosse dai suoi pensieri solo quando il drago si mosse.
Era un mostro e lui era perso, avrebbe dovuto trovare una via d’uscita per lasciarsi alle spalle quel labirinto di paura e fuoco e, se soltanto avesse avuto un filo da seguire…
Sembrò tornare in sé immediatamente dopo aver formulato quel pensiero e si guardò di nuovo intorno, studiando l’ambiente e il dorso del Nero delle Ibridi: c’era un appiglio lì, tra le squame e poco importava se si fosse ferito in qualche modo, l’importante era uscirne vivo.
Appellò una catena pesantissima, gli anelli larghi e le estremità arrugginite. Sperò che funzionasse.
Si sporse in avanti, inserendo una delle squame nel cerchio posto all’inizio della catena e si mosse lentamente, facendo in modo che il drago lo seguisse. Solo che qualcosa andò storto e l’animale lo strattonò con una forza inaudita, facendogli perdere il controllo sulla presa, rovesciandolo a terra come un pupazzo.
Alla prima fiammata, Draco si rimise in piedi e cominciò a correre, perché se proprio non poteva essere Teseo, allora sarebbe diventato Arianna, che spiegava il gomitolo che indicava l’uscita.
Si allontanò di qualche metro  e la bestia lo seguì riluttante, fino a quando non riuscì a recuperare la presa sulla catena e la agitò con tutta la forza che aveva in corpo, poi riprese a correre.
I muscoli delle gambe bruciavano e lui credette più volte di essere sul punto di crollare e cadere, i polmoni si contraevano spasmodicamente in cerca di un’aria che lui non poteva fermarsi a recuperare.
Gli dolevano le mani e cominciava a vedere sfocato a causa della fatica a cui stava sottoponendo il proprio corpo, eppure non pensò nemmeno per un secondo di interrompere quello che stava facendo: non si era mai sentito tanto attaccato alla vita, al muscolo che gli batteva frenetico all’interno nella gabbia toracica, perciò continuò a correre e a correre ancora.
Ad un certo punto, però, la catena si stese in maniera del tutto innaturale, facendolo cadere a terra e avvolgendosi attorno al braccio che la tirava. Il drago compì un movimento brusco con il muso e il rumore scricchiolante e il dolore che gli trafisse l’arto gli fecero capire che, ormai, aveva le ossa rotte.
Guardò alla sua destra e si rese conto di essere praticamente vicinissimo al nido, poi tornò a guardare l’animale che aveva di fronte: se poche ore prima il tempo sembrava correre velocissimo, in quel momento, Draco si rese conto che ogni secondo passava a rilento e, se davanti al Lago Nero aveva creduto di immaginarsi sua madre nel momento in cui si fosse reso conto di non avere alcuna speranza, adesso si rendeva conto che non era così.
Il drago lo guardava con voracità, quasi sul punto di spalancare le fauci e inghiottirlo… magari sarebbe arrivato tutto intero nello stomaco e non ridotto in poltiglia, ma qualcosa gli diede la forza di reagire.
Contro ogni sua previsione, contro ogni pensiero logico e per un motivo che non riuscì a capire, l’immagine che vide nelle iridi della bestia fu la figura di Hermione Granger che si presentava a lui, la mano tesa e un cipiglio antipatico sul viso; Hermione Granger che usciva dall’ombra e giocava a fare l’eco di tutto ciò che lui le diceva; Hermione Granger che camminava fianco a fianco con Viktor Krum, che gli sorrideva e gli teneva le mani; Hermione Granger che stringeva Potter per consolarlo e dargli coraggio.
Un coraggio che lui non aveva mai avuto, a differenza del Bambino Sopravvissuto; un coraggio che  non gli sarebbe appartenuto in nessun modo, ma che in quel momento, gli fece ribollire il sangue nelle vene – sangue purissimo che si stava sporcando con la visione di una Mezzosangue.
Strinse un pungo di terra tra le dita e lo issò contro il drago, mirando dritto agli occhi. Quando l’animale cominciò ad agitarsi, Draco si sentì tirare indietro, vedendo il nido in cui erano riposte le uova allontanarsi di qualche metro. Provò a liberare il braccio, il dolore che per qualche secondo lo accecò e gli fece sperare di morire in fretta e il bruciore che seguì dopo essere stato sfiorato da una fiammata sputata dal drago.
Poi, quando credette di essere sul punto di aver perso tutto, riuscì a liberarsi dalla catena e a correre e correre, fermandosi soltanto dopo aver recuperato l’uovo d’oro.
Si voltò immediatamente e vide che una decina di uomini erano accorsi  a domare il drago e, soltanto in quel momento, si guardò le mani e vide che sì, ce l’aveva fatta.
“Ce l’ha fatta! Ce l’ha fatta!” l’urlo di Ludo Bagman servì a risvegliarlo e fargli rendere conto di tutto quello che succedeva intorno: la folla era esplosa in applauso che gli provocò un calore al centro del petto, i Presidi annuivano compiaciuti dalla riuscita di quella prova, forse sollevati dal fatto che nessuno di loro aveva perso la vita e, senza volerlo, si voltò nel punto in cui era seduta Hermione Granger che tirava un sospiro di sollievo.
“Una prova incredibile, superata quasi senza l’uso della magia! Proprio come quella del signor Potter! Incredibile. Incredibile, signori e signore.”
Draco non fu molto contento di quel paragone, ma non ebbe il tempo di pensarci troppo perché qualcuno gli stava dicendo di andare in Infermeria a farsi curare e, allora, poco importava che lo avessero paragonato a quel cretino, poco importava che negli occhi del drago avesse visto il riflesso di quella sudicia Mezzosangue.
Poco importava tutto, perché ce l’aveva fatta. Era vivo.
 
Angolo autrice:
 
Eccoci qui, con il sesto capitolo di questa storia… a cui credo di dover aggiungere delle spiegazioni:
1: non sappiamo se Viktor Krum sia a conoscenza di cosa gli aspetta durante la prima prova, né sappiamo se Hermione gli abbia detto qualcosa a riguardo, ma visto che la trama lo richiede, beh, concedetemi questa piccola licenza;
2: il drago scelto per Draco è un Nero delle Ibridi, un esemplare che può raggiungere i nove metri di lunghezza. Ha sul dorso delle squame basse ma che sono molto pericolose;
3: l’idea di prendere la catena e creare una sorta di labirinto con essa, in cui poi il drago viene imprigionato, prende spunto dal mito di Teseo e Arianna, secondo il quale la donna salva l’uomo dal Minotauro dispiegando un gomitolo di lana che indichi al suo amato la via d’uscita.
 
Credo di aver detto tutto... e niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto. 
 
A presto. 

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Capitolo 7
*** VII. Cenerentola ***


Non dimenticarti, piccola, che a mezzanotte precisa l’incanto finirà, e tutto tornerà come era prima.
Fata Smemorina.
 
 
VII
Cenerentola
 
       C’era una volta, in una terra lontana lontana…
I giorni successivi alla prima prova trascorsero abbastanza velocemente: Hermione, decisa a liberare gli elfi domestici dalla schiavitù, per la prima volta, attraversò il passaggio segreto di cui aveva scoperto l’esistenza grazie a Fred e George e, una volta giunta nelle cucine, fu così felice di rivedere Dobby e Winky che quasi pianse per l’emozione e decise di dirlo subito ai suoi migliori amici.
Nel frattempo, le lezioni proseguivano e, durante una di queste, Harry scoprì che, essendo uno dei campioni, avrebbe dovuto aprire le danze assieme alla propria dama. Il viso del Bambino Sopravvissuto si trasformò in una maschera di orrore, molto più terrificante di quella che gli si era cucita addosso al cospetto dell’Ungaro Spinato: imparare a ballare, trovare da qualche parte il coraggio di chiedere a Cho Chang di essere la sua dama, ripassare tutte le materie per non avere un brutto voto ai test finali prima della pausa natalizia… tutto questo, fece sentire Harry stanco e nervoso, eppure Hermione rimase ferma sull’intenzione di spronarlo ogni giorno affinché risolvesse l’enigma celato all’interno dell’uovo d’oro. “Sbrigati Harry” gli diceva e lui rispondeva annoiato, dicendo che aveva più di due mesi di tempo per provarci, che era Natale e aveva bisogno di riposo. Ovviamente, Hermione non giustificava quel suo atteggiamento e, piano piano e senza nemmeno accorgersene si allontanò da lui quel tanto che bastava per non pensare all’imminente ripasso, al Ballo e all’avvicinarsi della seconda prova.
Fu proprio quello a tranquillizzarla un po’o, forse, fu la vicinanza di Viktor.  Difatti, mentre tutte le ragazze fremevano nell’attesa di ricevere l’invito per il Ballo del Ceppo, Hermione trascorreva le mattine in biblioteca a godere in silenzio dei sorrisi che il bulgaro rivolgeva solo a lei, arrossendo di tanto in tanto, ancora incredula che proprio lui avesse notato una come lei, che faceva di tutto per nascondersi e passare inosservata e che difendeva se stessa camminando fiera, il mento alto e gli occhi sempre vivi; i pomeriggi, invece, erano minuti e ore in cui aveva l’impressione di star vivendo una favola: Viktor era un principe irraggiungibile che, però, aveva fatto tanta strada solo per giungere a lei, per regalarle baci dolci e carezze pulite, posando le dita persino sugli stracci che erano i suoi abiti e facendola sentire vestita dell’abito più bello e prezioso: le sue mani.
Nessun cavallo bianco, nessuno scintillio di spade o draghi da sconfiggere – non per salvare lei, comunque – e nessuna strega cattiva da contrastare. C’erano soltanto loro due in quelle passeggiate infinite durante le quali lui la guardava come se fosse un dono divino, qualcosa che andava oltre l’inconcepibile semplicità di una bellezza senza fronzoli e lei, sguardi timidi e felicità accennata, stava ferma a prendersi tutto quello che Viktor le regalava senza chiedere niente in cambio, se non la sua compagnia.
Hermione si chiese come sarebbe stato continuare a scrivere quella storia, quanto avrebbe impiegato a districarne la trama e a renderla leggibile ai loro cuori, che battevano timidamente in quei tramonti invernali, e come si sarebbe sentita quando finalmente avrebbe scarabocchiato commossa la sua frase preferita, con l’emozione che attraversava la piuma, macchiando qui e lì la pergamena. E vissero tutti felici e contenti.
 
~•~
 
“Hermione, Neville ha ragione… tu sei una ragazza…”
Era una sensazione strana, sentire il cuore d’un tratto pesante e i polmoni raggrinzirsi al suono di quelle parole dette con tanta leggerezza.
Non pensava più a Ron romanticamente, eppure la consapevolezza di non essere nient’altro che libri e cervello per uno dei suoi migliori amici la fece sentire tremendamente fuori posto. Forse, se non si fosse sentita tanto ferita, sarebbe scoppiata in lacrime e gli avrebbe urlato contro, dandogli dello stupido e, invece, alzò lo sguardo e rispose con fierezza: “Non posso venirci con te, perché ci vado già con un altro.”
“No, non è vero!” disse Ron. “L’hai detto solo per liberarti di Neville.”
Avrebbe pianto lo stesso, lo sapeva, nonostante ostentasse un orgoglio pericoloso e ingombrante negli occhi. Avrebbe pianto e Ron l’avrebbe presa in giro. Sospirò rumorosamente per contenere la rabbia e la delusione che sentiva crescere dentro, mentre in qualche angolo di cuore si posava cauto il pensiero che forse chi si veste di stracci non potrà mai davvero essere una principessa, e disse: “Solo perché tu cu hai messo tre anni per accorgertene, Ron, non vuol dire che nessun altro ha capito che sono una ragazza.”
Le sentiva, le lacrime che premevano per uscire. Le sentiva così forti e vicine che decise di allontanarsi, di andare via dal dormitorio e di correre tra le braccia di chi l’aveva guardata per com’era davvero e che faceva di tutto affinché quegli occhi, lucidi e arrossati, guardassero lui allo stesso modo.
Correva, eppure, le sembrava di essere sempre più lontana dal punto in cui lo trovava sempre, mentre aspettava che lei lo raggiungesse, strappando foglie dagli alberi per regalarli a lei come fossero fiori rari e bellissimi; correva, ma le sembrava di essere ancora ferma con le spalle al muro accanto al ritratto della Signora Grassa; correva e non le importava di urtare gli altri studenti. Correva per arrivare da lui.
E lui era lì, con la schiena poggiata a una colonna del giardino e gli occhi chiusi, a farsi cullare da un sole che chissà se sarebbe riuscito a scaldare anche lei e ad asciugarle le lacrime che ormai le avevano bagnato le ciglia e le guance.
“Viktor” lo chiamò, la voce ridotta a un sussurro sottile e tremante.
“Hermi-un!” lui l’accolse aprendo le braccia, stringendogliele attorno al corpo con una delicatezza che la fece tremare ovunque, dentro e fuori.
“Viktor… tu pensi che io sia bella?” gli chiese, calando il capo per la vergogna che provava di fronte a quel sorriso gentile e buono, per la paura che anche lui, principe dell’est, potesse dirle che lei non era altro che libri vecchi e sfilacci di un abito che non le sarebbe mai stato bene indosso.
“No, non lo sei.” seguì un silenzio strano, durante il quale Hermione avvertì il pensiero di poco prima farsi più grande, occupare più spazio nel suo piccolo cuore. E se fino a quel momento era riuscita a non piangere, sentiva che adesso non ce l’avrebbe più fatta a trattenersi.
Il bulgaro le mise il pollice e l’indice sotto il mento, sollevandole il viso perché la voleva guardare, vedere le sue emozioni e impararle tutte, mentre le diceva una verità che per lui era assoluta, quindi riprese a parlare sottovoce, quasi come le stesse confessando i segreti nascosti dell’universo: “Non per me: tu sei bellissima, Hermi-un. La più bella di Hogwarts e Durmstrang e Beauxbatons.”
E, allora, il pensiero che le aveva occupato il cuore divenne piccolo piccolo, fino a sparire del tutto e le lacrime, che adesso le imbrattavano il viso, lasciavano una scia di contentezza ingenua, mentre il sorriso esplose in una luce di affetto e timidezza, incurvandole le labbra e schiudendole come i petali di un fiore: vestita di stracci puliti trasformati in un abito meraviglioso e inadeguatezza diventata stupore, Hermione, per la prima volta in tutta la sua vita, si sentì bella davvero.
… una bellissima giovane dal cuore puro.
 
~•~
 
La mattina di Natale era cominciata con lo scartare i regali ricevuti da parte di Harry e Ron che, oltre al pacchetto incartato, le donò un sorriso di scuse sincero.
Quando arrivò in Sala Grande, Hermione si meravigliò di trovare al posto in cui era solita sedersi un bellissimo fermaglio a forma di fiore tempestato di strass, a cui era legato un fiocco rosso grande tanto da coprire l’oggetto. Lo strinse tra le mani come fosse un segreto e si guardò intorno, convinta di poter scoprire chi le avesse mandato quel regalo e, infatti, lo trovò qualche metro distante, seduto al tavolo dei Serpeverde, che la guardava fisso, senza nemmeno battere le ciglia. Si sentì quasi mortificata al pensiero di aver comprato niente per lui e sicuramente non avrebbe potuto rimediare in alcun modo, perciò abbassò lo sguardo, imbarazzata e colpevole.
Si disse che avrebbe dovuto fare qualcosa a riguardo, ma ebbe l’impressione che il suo cervello avesse smesso di funzionare per elaborare un’idea dell’ultimo minuto.
La distrasse Ginny che le sfiorò il braccio ammiccando e sorridendo, mentre i suoi migliori amici la guardavano con gli occhi spalancati e la bocca aperta a formare una perfetta o.
“Scommetto che te lo manda il ragazzo con cui andrai al ballo” disse uno dei due e lei annuì, incapace di proferire parola, emozionata al punto che credeva che, se avesse parlato, la voce sarebbe uscita tremolante e lei proprio non voleva far capire ai due ragazzi quanto importante per lei era stato quel gesto plateale e intimo: non  c’era nessun biglietto accanto al fermaglio, il che era un bene perché in quel modo avrebbe potuto tenere nascosta l’identità del suo cavaliere ancora per un po’, ma riceverlo in quell’ambiente aveva fatto sì che tutti gli occhi fossero puntati su di lei. “Dovremmo fare una battaglia a palle di neve” disse per stemperare l’imbarazzo che le colorava le gote.
“Oh, sì, Fred e George sono già fuori” l’avvertì Ron.
Era strano guardarlo e non provare più quello che credeva fosse amore, e sorridergli, nonostante l’offesa che le aveva arrecato soltanto la sera prima e lei lo perdonò, perché non riusciva a non volergli bene.
La neve cadeva fitta su Hogwarts e ricopriva il parco con uno strato di candore che faceva venir voglia di toccarla, di plasmarla nelle mani e vederla sciogliere al contatto con il calore della pelle.
Hermione si era stretta nella sciarpa, cercava di evitare in qualunque modo possibile di rispondere a Ron che le domandava con insistenza con chi sarebbe andata al ballo. “Non te lo dico, non insistere” gli diceva, mentre perdeva gli occhi sul manto bianco che abbracciava gli alberi, e guardava oltre le colonne del porticato, con la speranza di vedere Viktor. Non l’aveva ancora ringraziato e aveva un gran voglia di farlo, perché lui era riuscito a farle sentire il calore del Natale, di quel periodo magico che con la magia aveva davvero poco da fare, nonostante fosse il primo Natale lontano da casa e lontano da mamma e papà, nonostante la mancanza che avvertiva di stringerli e addobbare l’albero insieme a loro, mentre veniva raccontato, come ogni anno, il canto di Natale.
Hermione era sicura che lo Spirito del Natale Passato l’avrebbe portata in una camera colorata di rosa, a osservare il modo in cui da bambina fingeva di dormire per far passare più in fretta il tempo, gli occhietti chiusi e le mani unite in preghiera, e le avrebbe fatto ascoltare il suono dei suoi piedini che calpestavano la moquette e terminavano la corsa soltanto di fronte all’albero, fermandosi nell’abbraccio caldo dei suoi genitori, mentre lei scartava i regali; lo Spirito del Natale Presente, probabilmente, l’avrebbe portata a Hogwarts, a vivere quei giorni in cui tutto sembrava essere scritto dalla penna di un autore che non ammetteva finali tristi, perché non poteva esserci, un finale triste, nei giorni pieni di emozioni nuove che Hermione stava vivendo; e lo Spirito del Natale Futuro, chissà, forse l’avrebbe accompagnata per mano in una casa piccola e accogliente, a rimirare se stessa nei sorrisi ingenui e gli occhi sognanti dei suoi figli… si chiese chi sarebbe stato l’uomo che avrebbe avuto accanto e il suo cuore scalciò un po’ quando si rese conto di essersi fermata al centro del corridoio, con la speranza che quell’uomo fosse Viktor e, magari, avrebbe potuto regalargli qualcosa di significativo, qualche fotografia in cui erano accanto ai loro bambini o un nuovo modello di scopa per imparare finalmente a volare insieme a lui e non avere più paura.
 
~•~
 
       Il principe le venne incontro, la prese per mano e ballò con lei. E non volle ballare con nessun’altra; non le lasciò mai la mano, e se un altro la invitava, diceva: “E’ la mia ballerina.”
Era bellissima, Hermione, seduta mentre Ginny le acconciava i capelli, le sistemava il fermaglio dietro la nuca e le diceva: “Hai fatto bene a comprare questa pozione, sarebbe stato impossibile pettinarti!”
La lasciava fare, con quei tocchi lievi e dolcissimi con cui le stendeva il rossetto sulle labbra, il sorriso dolce di chi osserva qualcosa di bello pronto a scoprirsi al mondo.
Era bellissima, mentre scendeva le scale con la paura di inciampare, provando a stare in equilibrio allargando le braccia e le dita, la preoccupazione a disegnarle una ruga al centro della fronte, dispiegata subito dopo aver sceso l’ultimo scalino; guardava l’intera sala come se non l’avesse mai vista e si fermò un secondo sotto una ghirlanda di vischio: le pareti erano ricoperte di brina d’argento scintillante, i lunghi tavoli della Sala Grande erano sostituiti da altri più piccoli, illuminati da lanterne all’interno di cui bruciava una fiammella blu come quella del Calice di Fuoco e a lei restò il respiro imbrigliato in gola di fronte a quello spettacolo.
Era bellissima, avvolta nel suo abito azzurro. Glielo disse Viktor, avvicinandosi al suo orecchio e lasciandole un bacio lieve sulla fronte e, nonostante l’accento duro con cui lui le pronunciò, a lei sembrarono le parole più dolci del mondo. Ed esplosero tutti i suoni, tutte le voci, perché adesso, mentre lui le tendeva la mano, per Hermione scomparve tutto in un boato di emozioni e rimasero solo loro due, a guardarsi e a sorridersi, prima di cominciare a ballare.
Non aveva notato il modo in cui Harry l’aveva guardata, come se l’avesse vista per la prima volta soltanto in quel momento; non aveva visto la consapevolezza che lei fosse una donna posarsi sul viso di Ron, che la osservava da lontano, come si osservano le cose belle, senza avvicinarsi troppo per paura di romperla, perché era bella, Hermione. Era bellissima.
Non si accorse nemmeno del disgusto che ostentava Draco Malfoy ogni volta che alzava lo sguardo e lo posava sulla stoffa del suo abito, smarrendo se stesso su quelle pieghe, chiedendosi come sarebbe stato essere salvati dai mostri grazie ai fili azzurri di quel vestito  e rendendosi conto soltanto in quel momento che era salvo solo grazie a lei, che non aveva srotolato nessun gomitolo, eppure gli aveva indicato l’uscita. Hermione non si accorse nemmeno delle occhiate che le lanciavano le altre ragazze, sia perché volteggiava al centro della sala con Viktor sia perché era bellissima, vestita del riflesso della sua anima e di tutto ciò che si portava dentro senza mai mostrarlo agli altri.
Quando la musica cessò, Hermione avvertì il calore affiorarle alle guance e abbassò gli occhi, poggiando la testa sul petto del suo cavaliere e si lasciò cullare per qualche minuto dal battito accelerato del suo cuore e si chiese se anche il suo battesse allo stesso modo, con la stessa voglia di farsi sentire.
Viktor le sorrise e, soltanto allora, Harry e Ron si resero conto di quanto quella lontananza dalla loro migliore amica facesse loro male.
Hermione si avvicinò, il fiato ancora corto a causa del ballo, le labbra increspate in un sorriso incredulo e divertito. “Fa caldo, vero?” chiese ai due ragazzi, le mani a sventolare davanti al viso. “Viktor è andato a prendere da bere.”
Era una favola, quella che stava vivendo. E come in ogni favola, anche nella sua doveva esserci il cattivo di turno pronto a ferire la principessa, a farle del male laddove le ferite non erano visibili e nemmeno curabili, perché si sa: i graffi lasciati sul cuore sono quelli che non guariscono mai, che, di tanto in tanto, ci fanno ricordare quanto le persone a cui vogliamo bene ci rendano fragili quando diamo loro il potere di farci del male.
E quel male, quel dolore, quella lama che le squarciava il petto in due usciva dalle labbra di un ragazzo che aveva creduto di amare, a cui aveva dato tutta se stessa in un viaggio a senso unico e a cui, nonostante tutto, voleva un gran bene. Per questo, avrebbe voluto dirgli che se l’era meritata quella rabbia che gli rosicava lo stomaco, quella sorta di gelosia che adesso gli vibrava negli occhi e nelle orecchie e lo rendeva cieco e sordo, perché lei gli era stata di fronte sempre, pregando che lui si accorgesse della sua esistenza…
Il malumore, però, gli fece ingoiare tutte quelle parole come bile, gliele fece scivolare nella gola senza che lei potesse gettarle fuori. Guardò il suo migliore amico, seduto a gambe aperte con un’espressione soddisfatta in viso e, in quel momento, gli sembrò il peggiore dei mostri.
Si allontanò in silenzio, la magia che prima l’aveva incantata adesso sembrava essere svanita, perché anche gli incantesimi più belli finivano per riportare tutto a come era prima.
 
~•~
 
      Le raccontarono che se n’era scappata al tocco di mezzanotte, e con tanta furia da lasciarsi cadere una delle sue scarpette di vetro, la più bella del mondo; che il figlio del re l’aveva raccolta, che per tutto il resto del ballo non aveva fatto altro che guardarla…
Ginny rientrò tardi, quella notte, ancora un po’ imbronciata perché Harry non l’aveva invitata al ballo, ma comunque soddisfatta, perché era riuscita ad andarci con Neville e non con suo fratello.
“Oh, sei qui” le disse, trovandola accoccolata su una delle poltrone in Sala Comune. “E’ stata proprio una bella festa, ci siamo divertita tanto, vero?”
“Sì” rispose Hermione, guardandola con un sorriso che celava tutta la tristezza che aveva indossato prima ancora di spogliarsi del suo abito, ma non disse nulla e continuò a sorridere, perché non aveva voglia di rovinare un momento così bello per l’amica con le sue lagne.
Calì le raggiunse qualche minuto più tardi, sfregando le mani tra di loro per scaldarsi un po’. “Avete saputo cos’è successo?”
“No” risposero in coro Hermione e Ginny, i volti di chi non aveva bisogno di ascoltare altre storie assurde.
La ragazza, però, sembrò non notare le loro espressioni e trattenne il respiro per un po’, forse per creare una suspense  che nessuna delle due apprezzò. “Beh, allora?” la intimò Ginny.
“Ho sentito dire che qualcuno ha litigato durante il ballo…” Hermione smise di respirare, spaventata dall’idea che qualcun altro avesse assistito a quel litigio. Quando Calì però smentì quel pensiero, lei si portò una mano al petto in segno di conforto e continuò ad ascoltare quello che l’altra aveva da dire: “Non so, credo siano due alunni di Tassorosso, ma non ne sono del tutto sicura. Beh, alla fine, la ragazza è andata via, mentre il ragazzo è rimasto lì, chiedendo a tutti se avevano idea di dove lei fosse andata. Sinceramente da me non è venuto nessuno e, se anche fosse successo, non avrei potuto aiutare quel povero ragazzo, perché non so nemmeno con chi ha litigato.”
“Ed è questa la storia sconvolgente che avevi da raccontare?”
“Non è finita, Ginny. Per favore, non interrompermi.”
“D’accordo” disse la piccola Weasley.
Calì le rivolse un’occhiata ostile, poi, come se nulla fosse riprese a parlare: “E voi avete presente Draco Malfoy, sì? Quel ragazzo di Durmstrang che non degna nessuno di uno sguardo… comunque, appena la voce di questo litigio è giunta alle sue orecchie, lui ha cominciato a cercare qualcuno in tutta la sala e deve essersi accorto che chi cercava non c’era, perciò si è avvicinato alla porta e lì ha trovato una scarpa, l’ha presa tra le mani e l’ha guardata come fosse stata un oggetto preziosissimo, poi è uscito e non è più tornato.”
Hermione s’immobilizzò e le sembrò di non avere più capacità motorie, allo stesso modo di quando l’aveva pietrificata il Basilisco, perché lei sapeva a chi apparteneva quella scarpa: l’aveva persa lei, correndo per allontanarsi da Ron e l’altra l’aveva nascosta sotto il letto nel dormitorio.
E, allora, pensò che, forse, la sua favola non era ancora finita, pensò che il principe sarebbe corso a salvarla per regalarle il lieto fine che meritava e sperò che fosse ancora una volta Viktor a farla sorridere.
“Secondo me, lui è innamorato della ragazza che ha perso la scarpa” disse Calì il tono solenne di chi sta raccontando una verità inoppugnabile.
“Lui chi?” chiese Hermione, con le budella attorcigliate per la paura di ascoltare quella risposta che, quando arrivò, le risuonò nei timpani come una condanna urlata a gran voce dalla Grifondoro che aveva raccontato quella storia che somigliava alla favola di Cenerentola.
Calì alzò lo sguardo su di lei, gli occhi indignati e accesi di un sentimento che Hermione non seppe riconoscere: “Draco Malfoy… è ovvio, no?”
 
 
 
 
Angolo autrice:
 
Eccoci quei con il settimo capitolo: a differenza di altri, questo, al momento, è quello che ha molte più differenze rispetto al testo originale, ma… questa è una what if? e non tutto sarà uguale alla storia che tutti conosciamo. 
Mi piaceva l’idea di paragonare Hermione a Cenerentola, perché credo che le somigli molto, abiti fatti di stracci a parte.
Le frasi in corsivo sono estrapolate in questo modo: la frase di apertura del capitolo e le due successive dal cartone animato della Disney;  la terza dalla favola dei fratelli Grimm e la quarta da quella di C. Perrault.
 
E sì, anche questa volta credo di aver detto tutto.
 
A presto.

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Capitolo 8
*** VIII. Parole cattive e belle promesse ***


Si può sputare su una rosa, ma è ancora una rosa.
Marty Rubin
 
VIII:
Parole cattive e belle promesse
 
 
       Hermione non aveva dormito, lo si capiva dagli aloni violacei che le circondavano gli occhi arrossati. Aveva anche pianto, rigirandosi tra le mani la scarpetta che le era rimasta in ricordo dell’unica sera in cui si era sentita bella, provando ad accantonare la storia che le aveva  raccontato Calì e facendo tacere il dubbio che Ron le aveva insinuato nel cervello, perché non poteva essere vero che Viktor si fosse avvicinato a lei solo per indebolire Harry. La bocca poteva mentire e i baci potevano essere bugiardi, ma gli occhi no… e lei li aveva visti, gli occhi di Viktor, quando le accarezzava il viso e i capelli, lucidi di un sentimento nuovo mescolato a un po’ di alcol.
Anche quella mattina, dall’altro lato della Sala Grande, lui la guardava allo stesso modo. Hermione avrebbe voluto guardarsi intorno, vedere se i suoi migliori amici le fossero accanto, accertarsi in qualche modo che quello che aveva detto Calì fosse solo una bugia, e invece… invece non riusciva a distogliere lo sguardo dal bulgaro, mentre lui mangiava il suo porridge con una calma tale che anche lei, con i dubbi seduti sulle spalle e una paura estranea nel cuore, se ne sentì pervasa. L’avvertì scivolare lungo la spina dorsale, insinuarsi tra le vertebre fino a farle intorpidire i muscoli; un calore lieve a solleticarle sottopelle, allo stesso modo con cui il sangue le scorreva nelle vene: lento, delicato, disinvolto, continuando la strada che portava al cuore senza che lei potesse far niente per fermarlo. Le lasciava brividi che le arricciavano la cute, un susseguo di carezze invisibili fatte di pupille e universi, quando Viktor finalmente tornò a guardarla.
Questa volta, la Grifondoro accennò un sorriso nella sua direzione, nascondendo il viso nel vapore del tè che aveva versato in tazza poco prima. Fu lui a muovere il primo passo per avvicinarsi: si sedette all’altro capo del tavolo per tenerla di fronte, poi le prese le mani, massaggiandole le dita con devozione, come a voler lasciare parte di se stesso tra le falangi e i palmi, godendo in religiosa quiete il rossore che le risaliva sul volto. “Buongiorno, Hermione” disse, orgoglioso di aver imparato la giusta pronuncia del suo nome.
Hermione rimase con la testa bassa, a ingoiare vapore e sensazioni dolcissime, un nodo tra la lingua e la gola grazie a cui riuscì a emettere un sospiro stentato.” Viktor, tu… tu sai dire il mio nome!”
Lui annuì e, forse, fu l’unico a sentire quella frase uscirle dalla bocca e ne fu contento, perché le cose belle si dicono sottovoce, con il fiato imbrigliato da qualche parte nel corpo, lasciando a chi ascolta il piacere di sciogliere i nodi per trasformarli in suoni.
Era toccante scoprire nei suoi occhi l’affetto che le riversava addosso e che, in alcuni momenti, sembrava un motivo che l’ammoniva perché, anche se solo per poche ore, lei aveva dubitato di quel sentimento.
Viktor la informò che sarebbe andato al Lago a nuotare, poi le baciò la fronte e si allontanò, uscendo dalla Sala Grande e lasciandola lì, seduta al tavolo dei Grifondoro, più confusa e spaventata che mai.
Ron emise uno sbuffo contrariato e alzò gli occhi al cielo, Harry gli assestò una gomitata leggera nelle costole e Ginny gli rivolse un’occhiata torva, ma Hermione non vide nulla di tutto quello che le era successo intorno, perché aveva ancora lo sguardo fermo nel punto in cui lui era scomparso.
 
~•~
 
       Era stato un pomeriggio strano, in cui ai dubbi si erano aggiunte le offese che le aveva mosso contro Rita Skeeter e le prese in giro di Ron che, dopo il litigio al Ballo del Ceppo, le rivolgeva la parola solo per i convenevoli o quando era invitabile porle una domanda. Proprio per questo, Hermione, adesso, non riusciva a stare ferma e camminava a passo di marcia all’interno del dormitorio, approfittando del fatto che non ci fossero le sue compagne di stanza, sbuffando rumorosamente ogni volta che aveva l’impressione che i pensieri le annodassero la mente. Di tanto in tanto, si sedeva sul letto e lo sguardo correva dritto sull’abito che aveva indossato al ballo.
La scarpa che non le era fuggita dal piede, invece, giaceva ancora lì dove l’aveva nascosta, come un bel ricordo da custodire. E come il peggiore… perché è così che ci si sente quanto alla prospettiva di poter vivere una favola si interpone la realtà che ci si siede di fronte e ci presenta il conto: divise a metà. E Hermione si sentiva esattamente così. Si alzava, dopo un po’, per accarezzare la stoffa morbida con una mano, mentre l’altra s’imbrigliava nel crespo indisciplinato dei suoi capelli. Si chiedeva, nel bel mezzo di quelle carezze, cosa avesse visto Viktor in lei e se, alla fine, non avessero ragione Ron e la Skeeter: in fondo, era solo una ragazzina che aveva ceduto al corteggiamento silenzioso di un bel ragazzo… e chi poteva garantirle che la galanteria del bulgaro non fosse solo un modo per scoprire i segreti del suo migliore amico? Chi le assicurava che le volesse davvero bene?
La parte irrazionale del suo cervello, non faceva altro che fomentare le sue paure; quella razionale, invece, le ricordava che il campione di Durmstrang si era avvicinato a lei molto prima che il nome di Harry uscisse dal Calice di Fuoco, con quella gentilezza d’altri tempi e un sorriso che dedicava solo a lei. Lo aveva osservato, Hermione, nei momenti in cui era in mezzo agli altri e aveva notato, con una punta di soddisfazione che non sorrideva quasi mai, se non quando i loro occhi s’incontravano.
E quello… quello non poteva essere un modo per estorcerle informazioni. Non solo, almeno.
Si dimenava tra le due metà di se stessa quando il suo sguardo si posò sulla Gazzetta del Profeta su cui faceva bella mostra di sé una fotografia di Hagrid e non ebbe nemmeno il tempo di pensare il da farsi, che era già uscita dal dormitorio e aveva trascinato i suoi migliori amici oltre il ritratto della Signora Grassa.
“Dove stiamo andando?” le chiese Harry, ma lei non rispose e continuò a camminare, tenendo i due ragazzi sottobraccio, fiera e orgogliosa come solo lei sapeva essere.
“A risolvere una questione importante” disse d’un tratto, senza mai rallentare l’andatura.
“Non devi vederti con Krum, oggi? E, a proposito, visto che sei… ehm, sua amica o qualsiasi cosa tu sia, potresti chiedergli di farmi un autografo?” le chiese Ron e lei, questa volta, si arrestò al centro del corridoio, rivolgendo all’amico uno sguardo d’ammonizione. “Dobbiamo evitare che Hagrid si licenzi, Ron, quindi non è il momento di pensare a queste cose.”
Nessuno dei tre disse altro, fino a quando non giunsero a destinazione: le tende erano ancora tirate, dall’interno proveniva il lamento spento di Thor. Bussarono un paio di volte alla porta, ma, come nei giorni precedenti nessuno venne ad aprire. Allora, Hermione, spazientita, urlò: “Hagrid! Hagrid, adesso basta! Lo sappiamo che sei lì dentro! Non importa a nessuno se tua madre era una gigantessa, Hagrid! Non puoi permettere a quella viscida Skeeter di farti questo! Hagrid vieni fuori, ti stai comportando…” ma le parole le morirono in gola quando si trovò faccia a faccia con Silente.
Il vecchio Preside li salutò con tono amorevole, poi si spostò di lato per permettere loro di entrare. Hagrid era seduto al tavolo, un boccale di tè tra le mani, i capelli tutti aggrovigliati e gli occhi gonfi. Le fece una tenerezza infinita: era strano veder un uomo tanto grosso piagnucolare come un bambino di fronte alla cattiveria delle persone. Per un po’ nessuno parlò, fino a quando Silente non disse: “Per caso hai sentito quello che stava gridando la signorina Granger, Hagrid?”
Hermione arrossì e si chiese se il suo modo di mostrare l’imbarazzo fosse uguale a quello di Ron, poi disse dolcemente: “Hagrid, quello che è scritto sulla Gazzetta è una bugia.”
Il Mezzogigante scosse la testa. “No, è tutto vero. E’ tutto vero: la mamma mi ha lasciato quando ero solo un fagotto, i giganti non sanno cos’è l’amore, sono esseri perfidi.”
“Ma tu non lo sei… Torna a insegnare, Hagrid. Ti prego, ritorna ci manchi davvero” aggiunse Hermione. “La lezione con la professoressa Caporal è stata davvero bella e interessante, ma non è la stessa cosa. Tu… tu sei il nostro insegnante preferito.”
Hagrid continuò a tacere, perciò Silente si sentì in dovere di prendere in mano le redini della situazione. “Mi rifiuto di accettare le tue dimissioni, Hagrid, e mi aspetto che tu torni a lavorare lunedì. Ci vediamo a colazione alle otto e mezzo nella Sala Grande. Niente scuse. Buon pomeriggio a tutti.”
Quando rimasero da soli, Hagrid mostrò loro una fotografia che lo ritraeva insieme a suo padre, un ometto piccolo e sorridente, raccontando l’orgoglio che aveva provato quando era arrivata la lettera da Hogwarts: aveva le lacrime pronte a sgorgare e tirò su con il naso un paio di volte. Diceva tutto quello che gli passava per la testa, senza seguire un filo logico e, infatti, a un certo punto disse: “Eri proprio bella al ballo, Hermione, insieme a quello lì. Si vede che ti vuole bene.”
A quelle parole, Hermione sollevò il mento ed espresse la sua gioia abbracciando il Mezzogigante, che ricambiò goffamente: gli posò la mano piccola nella piega del gomito e gli sorrise con tutta la dolcezza del mondo. “Hagrid, quello che ha scritto quello scarafaggio è solo una bugia e io ne sono più che sicura e sai perché? Perché mi ha detto che io sono una stupida ragazzina.”
Quando l’uomo capì cosa significassero quelle parole, si rivolse al Bambino Sopravvissuto: “La sai una cosa, Harry? La prima volta che ti ho visto mi ricordavi un po’ me. Niente mamma e papà, e credevi che a Hogwarts non ti ci saresti mica ritrovato, ti ricordi? Non eri sicuro di essere all’altezza… e adesso guardati, Harry! Campione della scuola!” disse, fermandosi per bere un sorso di tè, poi riprese con tono serio: “Lo sai cosa mi piacerebbe, Harry? Mi piacerebbe se vinci, davvero. Fagli vedere, a quelli, che uno non deve essere purosangue per farcela” arrestò il flusso delle parole per guardare di nuovo Hermione, stringendole la mano che lei aveva ancora sul suo braccio. “Non devi vergognarti di quello che sei. Fagli vedere che è Silente che ha ragione, a prendere tutti, basta che sanno fare le magie. Come va con quell’uovo, Harry?”
“Benissimo. Davvero benissimo” rispose Harry e fu solo per un attimo che sul viso gli si dipinsero tutti i sensi di colpa e smarrimento che provava, eppure a lei non sfuggì nemmeno una di quelle emozioni.
Soltanto una volta fuori dalla capanna di Hagrid, nel tardo pomeriggio, Hermione rivolse la parola al suo migliore amico. “Non è vero, non ci sei ancora riuscito” e non voleva essere un richiamo, tuttavia , Harry se ne sentì colpito a tal punto che non riuscì a mentire anche a lei, sintetizzando la verità in una risposta brevissima: “No.”
 
~•~
 
       La sera scese tranquilla e la cena fu ravvivata dalle risate degli studenti e gli applausi che provenivano, di tanto in tanto, dal tavolo dei Serpeverde. Doveva essere successo qualcosa di bello da quelle parti, perché tutti gli alunni davano pacche sulle spalle a Viktor e a Draco Malfoy, complimentandosi con loro per chissà quale evento che Hermione non riuscì a comprendere a causa della distanza che intercorreva tra le due tavolate.
Avrebbe voluto essere lì, capire cosa c’era da festeggiare, ma quando Viktor alzò gli occhi per guardarla, si rese conto che, in fondo, non le importava.
E tutti i dubbi che aveva tenuto seduti sulle spalle, le offese della Skeeter e le parole che Ron le aveva rivolto al ballo, adesso erano state sostituite da quelle che le aveva detto Hagrid quel pomeriggio e, finalmente, si sentì leggera – con una nuova consapevolezza a muoverle le gambe – ora che aveva capito che non aveva senso dare potere a un pensiero che le avrebbe fatto solo male, che avere il terrore di un evento non faceva altro che renderlo reale, perciò non aveva senso avere paura di perdere Viktor, perché non sarebbe successo.
Si alzò lentamente e si avviò fuori dalla Sala Grande, senza aspettare che lui la seguisse, perché sapeva che sarebbe riuscito a trovarla. Nel loro posto, all’ombra di quell’albero che si specchiava nelle acque del Lago Nero, con i rami spogli che si allungavano a proteggerli, nonostante l’inverno fosse più forte.
In quell’attesa, Hermione si cullò nel ricordo di tutte le emozioni che Viktor le aveva fatto provare, facendogli scoprire un sentimento che credeva di conoscere, perché lei era sicura di essere innamorata di Ron fino a quando non era arrivato lui nella sua vita. Adesso sapeva che Ron era un porto in cui tornare sempre, ma non per sempre, perché esistono baie meravigliose che trasmettono una sicurezza tale da farci soffocare e lei no, non voleva soffocare: voleva respirare a pieni polmoni, imparare da Viktor tutto quello che ancora non aveva imparato.
Quando sentì il rumore delle foglie scricchiolare sotto il peso dei passi che si avvicinavano, Hermione chiuse gli occhi e le labbra le s’inarcarono in un sorriso prima ancora di vedere chi si stesse avvicinando, aspettando con impazienza una carezza che però non arrivò.
“Morire assiderata…” disse Draco Malfoy, “Bella idea. Una Mezzosangue in meno non può essere che un bene” concluse, il tono cattivo di chi vuole ferire.
“Dov’è Viktor?” gli chiese lei, con tutta la dignità di cui disponeva, il mento alto a sfidare il ragazzo che aveva di fronte, innervosita da quella vicinanza che non era nemmeno tanto prossima, perché lui se ne stava fermo a più di un metro da lei, lo sguardo fisso sul fianco della nave, l’espressione aristocratica e dura sul viso, il pretesto di non volersi infettare se per caso l’avesse sfiorata, la paura perché da quando l’aveva vista riflessa negli occhi del drago, durante la prima prova, non aveva fatto altro che pensare a lei, la necessità di non tradire di ideali di una vita per circostanze che non comprendeva. Non la guardò, nemmeno quando riprese a parlare. “Non qui, a quanto pare. Evidentemente ha capito che non sei alla sua altezza.”
“Tu non sai niente di me e Viktor.”
“No, ma vedo come ti affanni per farti notare da lui, come gli stai intorno. Quelle come te non sono per quelli come noi, Mezzosangue.”
Erano lame, quelle parole, che la trafissero da parte a parte, eppure, lei non si lasciò scalfire. “Puoi dirmi tutte le cattiverie del mondo, Malfoy, io non mi vergogno di ciò che sono.”
Si chiese come aveva fatto a paragonarlo a un principe delle favole la prima volta che l’aveva visto, a paragonarlo a Lucifero quando l’aveva sentito parlare, con quella voce imperdonabile che faceva male, come una maledizione. Il Diavolo non è mai brutto come lo si dipinge, lo sapeva da tempo, eppure non aveva mai creduto che, invece, il Diavolo fosse capace di presentarsi al mondo con un’eleganza innata e i capelli biondi, il portamento di uno a cui spetta tutto per diritto di nascita. Scosse la testa, ricacciando indietro il pensiero che l’aveva colta nel momento in cui lo aveva visto arrivare, e le parole di Calì le sembrarono una menzogna assurda: non c’era nulla in lui che mostrasse la smania con cui era andato alla sua ricerca, nulla che le facesse capire che tutto quello che le aveva raccontato la sua compagna di dormitorio fosse vero − lui ha cominciato a cercare qualcuno in tutta la sala e deve essersi accorto che chi cercava non c’era, perciò si è avvicinato alla porta e lì ha trovato una scarpa, l’ha presa tra le mani e l’ha guardata come fosse stata un oggetto preziosissimo – e niente, niente che indicasse che quel ragazzo potesse provare un sentimento positivo per lei, mentre la guardava con un’espressione disgustata a deformargli i lineamenti. − lui è innamorato della ragazza che ha perso la scarpa.Le mancò l’aria, ebbe la sensazione che i polmoni si stessero rattrappendo sotto quella verità che Draco Malfoy le stava riversando addosso.
“Dovresti, invece” le suggerì lui, voltandosi a guardarla, con gli angoli della bocca tirati in su e gli occhi che parevano ghiaccio ripidissimo. “Si stancherà di te non appena capirà la feccia che sei.”
E, come l’albero sotto cui si era riparata, Hermione perse tutte le sue foglie, mostrandogli una brina d’occhi che non le colò sulle guance solo per orgoglio. Eppure erano visibili, quelle lacrime in bilico, e sembravano stelle pronte a cadere, a lanciarsi al suolo per depositarsi ai suoi piedi, mentre lei restava immobile con il cuore mordicchiato … se le sentì crollare addosso tutte in una volta, foglie secche e comete, a bucarle l’anima e appiccare incendi laddove era più fragile, terra già martoriata da offese meno dolorose. Ed era quello che voleva Draco: farle male, ferirla, schiacciarla come uno scarafaggio a tal punto da sentire lo scricchiolio del guscio sotto le suole delle scarpe. Voleva vederla sfiorire, ma non aveva messo in conto che, a ogni inverno, seguiva la primavera e che un fiore, anche se soltanto stelo, resta sempre un fiore.
E arrivò Viktor, a portarle il calore di cui aveva bisogno, vestito di rosso sangue e un colbacco a coprirgli la  testa. Si avvicinò piano, cingendole le spalle con un braccio e rivolgendo all’amico un’occhiata carica di ostilità. “Hermione, va tutto bene?” le chiese, stringendosela sul petto, come a volerla tranquillizzare solo con il battito del suo cuore. Eppure, Hermione, questa volta, non riuscì a calmarsi, lo sguardo ancora fisso su Draco Malfoy e le parole incastrate nelle corde vocali. Annuì e, dopo minuti che sembrarono interminabili, disse: “Sì… solo, rientriamo. Qui c’è troppo freddo.”
Non attesero che Malfoy si congedasse e durante il tragitto Hermione non proferì parola, la tensione nei muscoli perché alle paure, ai dubbi, si era aggiunta la sensazione di non essere all’altezza del campione di Durmstrang. Il silenzio nei corridoi sembrava assumere forme diverse per ognuno di loro, ma quando Viktor si rese conto della preoccupazione di Hermione, si appoggiò al muro e la strinse più forte. “Va tutto bene?” le chiese nuovamente.
Avrebbe voluto rispondergli, ma come poteva raccontargli del miscuglio che le viveva dentro se era lei stessa a non capire? Come poteva dirgli che, forse, Draco Malfoy aveva ragione? 
“Viktor, io…” cominciò, fermandosi un secondo dopo, il capo ancora calato per la vergogna.
“Tu?” le carezze infinite che le disegnò sulla schiena, perché doveva pur esistere un modo per toglierle dal viso quella tristezza. “Tu, cosa?”
Allora Hermione prese il coraggio a due mani, aspettò di riempirsi i polmoni e, quando lui le sollevò il volto per obbligarla a guardarlo, disse: “Tu mi vuoi bene?” e in quelle  parole c’era tutta l’incertezza del firmamento. Provò a trattenere il fremito che le attraversò il corpo, insieme al gelo, nonostante fosse avvolta nel mantello e nella sciarpa, pensando che quel freddo non dipendeva dalla stagione né dalla neve che si stava sciogliendo. Sicura che, quel freddo, se lo sarebbe portata dentro per sempre.
Viktor la guardò a lungo, le labbra incurvate nello sforzo di non ridere: era convinto di averle dimostrato più di una volta quanto tenesse a lei − invitandola al ballo, promettendo a se stesso di vincere il Torneo per lei, mettendo il suo nome nel Calice di Fuoco per la gloria, sì, ma soprattutto, affinché lei si accorgesse di quel ragazzo che andava in biblioteca solo per avere l’illusione di starle accanto − eppure sembrava non essersene ancora resa conto. Così, senza dirglielo direttamente, le suggerì anche che aveva risolto l’indovinello dell’uovo d’oro. “Te lo dimostrerò nella prossima prova…” 
La Grifondoro fece un passo indietro, il sangue che le batteva copioso sulle pareti del cranio. “Cosa? Potrebbe essere pericoloso” lo spavento a farle tremare la voce.
Il bulgaro, allora, si avvicinò a lei, le soffiò quella verità a un millimetro dalla bocca, per fargliela scendere nello stomaco, nei polmoni, nell’anima. “Andrà tutto bene, te lo prometto” poi, la baciò come aveva fatto la prima volta, lambendo piano la lingua e il palato, perdendosi nel sapore che aveva il gusto di una vittoria così vicina che quasi lo fece vibrare d’emozione.
Quando si allontanò per guardarla ancora, come fosse un tesoro prezioso, troppo delicato e bello, portò con sé il bisogno che lei aveva ancora di quel contatto. La strinse più forte, il mento poggiato sulla testa per respirare l’odore dei suoi capelli. “Fidati di me. Andrà tutto bene, te lo prometto.”

 
Angolo Autrice:
 
Questo capitolo è stato una dannazione, davvero! Non starò qui a raccontarvi tutti i capricci che ha fatto il pc né tutte le parolacce che ho detto… però, voglio dirvi, che alcuni avvenimenti qui subiscono un salto temporale importante.
La frase iniziale si riferisce a tutto quello che viene detto a Hermione ( le offese di Rita Skeeter, le prese in giro di Ron e le cattiverie di Draco.)
Alcuni dialoghi presenti sono farina del sacco della Rowling, perciò onore a lei.
Io, personalmente, ho voluto un gran bene a Viktor Krum e credo sia giusto farvelo conoscere per come lo immagino io e spero stia piacendo anche a voi questo personaggio, come spero vi stia piacendo la storia.
 
Adesso me ne vado, promesso.
 
A presto.
 

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