Petrichor

di Ahiryn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Processo ***
Capitolo 2: *** L'Accordo ***
Capitolo 3: *** L'Evasione ***
Capitolo 4: *** La Partenza ***
Capitolo 5: *** I - Accademia - ***
Capitolo 6: *** Il Treno ***
Capitolo 7: *** Una partita a carte ***
Capitolo 8: *** Il Gufo ***
Capitolo 9: *** II - Accademia - ***
Capitolo 10: *** Nel Bosco ***
Capitolo 11: *** La Crisalide ***
Capitolo 12: *** La Celebrazione ***
Capitolo 13: *** III - Accademia - ***
Capitolo 14: *** Moslon ***
Capitolo 15: *** La Dama Rossa ***
Capitolo 16: *** Incubi ***
Capitolo 17: *** Il Ballo ***
Capitolo 18: *** Frattura ***
Capitolo 19: *** IV - Accademia - ***
Capitolo 20: *** V - Accademia - ***
Capitolo 21: *** VI - Accademia - ***
Capitolo 22: *** VII - Accademia - ***
Capitolo 23: *** VIII - Accademia - ***
Capitolo 24: *** Silas ***
Capitolo 25: *** Tempismo ***
Capitolo 26: *** Fango ***
Capitolo 27: *** Henry ***
Capitolo 28: *** IX - Accademia - ***



Capitolo 1
*** Il Processo ***










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Prologo




 

Kieran non riusciva a respirare bene. Aveva una costola rotta e il suo fiato era raschiato, quasi un sibilo, ma non aveva tempo di preoccuparsene. Sentiva dolore ovunque, l’occhio era gonfio e il sangue gli colava dalla testa finendogli fra le ciglia. La faccia era turgida come se fosse stata calpestata, intorpidita per i colpi.
– Perché non muori, Reed?
Il tono isterico dell’avversario lo fece sorridere, sorridere di paura, dolore e stanchezza. Erano entrambi a un passo dal baratro, ma non sarebbe stato lui a cadere.
– Prima le signore – sibilò in risposta, con un sorriso altrettanto folle.
Gli arrivò uno sputo di sangue e saliva in faccia, non aveva le forze né i riflessi per schivarlo. Chiuse gli occhi, ma indietreggiò comunque e avvertì l’aria affilata di un fendente sfiorargli la gola. Non stava più usando la magia, anche lui doveva aver perso troppo sangue.
Si passò la mano guantata sul viso e osservò il suo avversario. Era una maschera di ferite; l’armatura elegante era piena di tagli, l’elmo a forma di falena si era spezzato su metà volto e rivelava un occhio viola pieno di odio e rabbia.
– Arrenditi – provò a dire Kieran. – E forse avranno pietà di te.
Sapeva che erano parole inutili, ma voleva solo temporeggiare, per riprendere fiato e per rimandare l’inevitabile.
Non voleva morire.
Non voleva ucciderlo.
L’avversario non gli rispose neanche. Guardò alla sua destra, dove infuriava il campo di battaglia. Lo scontro era stato cruento come nessun altro, la neve era pregna di sangue e interiora, si sentiva odore i cadaveri bruciati e il fumo si avviluppava nel cielo minaccioso. Il pungente puzzo della polvere da sparo si mescolava a quello del sudore e del sangue; Kieran era assordato dal clangore delle spade, dagli spari delle baionette e dei cannoni, dai fulmini scagliati contro i soldati.
Erano nelle Steppe, a Nord del continente; avevano marciato verso la Rocca del Vespro per intercettare l’esercito nemico e trattenerlo in attesa di rinforzi. Kieran non avrebbe mai attaccato senza la certezza di ricevere man forte. Anche se i loro numeri erano superiori, i nemici avevano alcune fate molto potenti e la Falena, che da solo poteva sbaragliare decine di uomini con la sua magia. Il suo comandante non aveva voluto sentire ragioni, ordinando l’attacco immediato, per poi morire avvelenato la notte prima dello scontro a causa di una spia nell’accampamento. Kieran, che era il suo secondo, aveva dovuto subentrargli all’improvviso e non aveva potuto evitare lo scontro.
I rinforzi non erano arrivati.
L’unica speranza era tenere la Falena occupato il più a lungo possibile così da impedirgli di usare la sua magia e, nel migliore dei casi, ucciderlo. Era stato addestrato per sconfiggere persone come lui, era ciò che significava essere un guerriero di Ferro. Aveva già ucciso, aveva già combattuto, i suoi compagni stavano cadendo e doveva aiutarli.
Allora perché esitava?
– Non ti stanchi mai di essere il loro cane ubbidiente? – sputò l’avversario, a corto di fiato.
La sua voce era una delle più vibranti che avesse mai sentito, a causa del suo sangue fatato era bassa e calda, melodica, anche quando la colorava di quel tono violento.
Non gli rispose, perché sì, era stanco, ma soprattutto era furioso. Furioso col suo comandante incapace, furioso con i suoi superiori che non gli avevano mandato rinforzi, furioso con la Rocca del Vespro che aveva disertato e soprattutto furioso con la persona che aveva davanti, il traditore più spregevole che avesse camminato sulla terra.
– La tua ossessione per me mi lusingava, ma ora ha iniziato davvero a infastidirmi.
Kieran scoprì i denti. – Non darti troppe arie, sto solo rimediando a uno sbaglio.
La risata che si levò dalla Falena era spezzata e stridente. – Sei così una delusione, non ho mai visto qualcuno peggiorare così in fretta, ti hanno trasformato davvero in uno schiavo ubbidiente.
– Sempre meglio che essere un traditore.
La spada scattò verso il suo viso, si tirò indietro e cadde nella finta, ricevendo un calcio dritto sui denti. Tossì sangue e barcollò, il sapore metallico gli invase la bocca e la gola.
Era abituato a quel sapore, era finito spesso in risse o scontri, fin da bambino. Ma solo una volta aveva sentito il sangue di un’altra persona in bocca, ed era quello della persona che gli stava davanti. Aveva il labbro spaccato quando sette anni prima lo aveva baciato, ricordava nebulosamente il sapore del sangue, ricordava le labbra morbide, l’odore della sua pelle e quello della pioggia. Ricordava le urla.
Impugnò la spada a due mani e si concentrò, scacciando ogni ricordo.
Quello era il giorno in cui avrebbe rimediato al suo errore.
 





 
 Il Processo

I
 
 
 
– Kieran?
Sussultò appena quando udì bussare e si rigirò nel letto con un mugugno dolorante. La luce del sole filtrava dalle tapparelle, illuminando in parte la sua camera da letto disordinata. Sparse a terra c’erano alcune bende insanguinate, vestiti sporchi e un paio di bottiglie di liquore.
– Kieran dobbiamo andare, sei sveglio?
Era troppo presto, voleva rimanere ancora in quel limbo inconsapevole. Sapeva che appena avrebbe preso un po’ più di coscienza sarebbe stato di nuovo schiacciato da un macigno di preoccupazioni. No, voleva riposarsi, voleva smettere di pensare.
– KIERAN.
Sospirò irritato e si alzò velocemente; un capogiro lo colse subito e il martellare nella testa si fece più forte. Si trascinò alla porta in ingresso e girò i chiavistelli, aprendo.
Dalia lo osservò scioccata, le sopracciglia bionde aggrottate in modo pronunciato. Aveva ancora il viso graffiato per la battaglia, ma era impeccabile, la divisa da ufficiale dei guerrieri di Ferro pulita e ordinata, le medaglie e i bottoni scintillanti, l’elsa di spada e pistola lucidate.
– Sei ancora in questo stato? Tu… cos’è questo odore? Hai bevuto?
Si poggiò contro lo stipite della porta, affondando il viso contro il braccio. – No – disse subito in un altro mugugno. – Che ore sono?
– Tardi. Il processo inizia fra dieci minuti e non ti sei neanche rasato. Hai bevuto eccome. E senza di me! Egoista.
Accennò un sorriso divertito e stanco.
Si passò una mano sulla pelle ruvida delle guance. Non aveva alcuna voglia di funzionare quel giorno, era una di quelle giornate dove il male minore avrebbe fatto comunque male, non c’era nulla di positivo in quella giornata, dunque non vedeva perché avrebbe dovuto viverla. Voleva eliminarla, come si elimina una pagina da un libro, rimanere morto o incosciente per ventiquattr’ore. Donava volentieri quel giorno a qualcuno che ne avesse bisogno, due amanti che volevano stare insieme un altro po’, un anziano che non voleva morire ancora, una famiglia alla fine delle vacanze dell’Equinozio. Lui a quel giorno rinunciava volentieri.
– Dalia non dargli il tormento – mormorò Thomas, emergendo dalle spalle della ragazza con la sua zazzera di capelli castani.
La sua divisa era altrettanto impeccabile, ma aveva più medaglie di Dalia. Anche se non parlavano mai della questione, era un tasto dolente per tutti.
Dalia gli sorrise divertita. – Tormento? Figurati, io mi diverto a vederlo fare tardi! Solo che poi se ne lamenterà con noi per tutto il giorno.
– Non me ne lamenterò – borbottò e mentì di nuovo. – Venite dentro, mi preparo subito.
Andò a lavarsi, cercando di essere rapido ed efficiente, la sua saletta da bagno era molto spartana, aveva un lavabo, grosse tubature d’ottone che gli portavano acqua tiepida e uno specchio scheggiato. Le tubature facevano un rumore infernale ogni volta che provava ad aprire la caldaia, ma erano resistenti e facevano il loro lavoro, così come la stufa in soggiorno, che doveva rifornire al più presto di carbone.
Iniziò a radersi con lo sguardo spento, non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio.
– Hai comprato quella gazzetta da quattro soldi di Vera Voce? – domandò Dalia dall’altra stanza.
Kieran si sciacquò il viso per svegliarsi. Aveva bisogno di un po’ di caffè. – Me l’hanno regalata – inventò e si asciugò con un panno.
– Oh senti qui, Thomas: il giovane e promettente Kieran Reed, maggiore dei guerrieri di Ferro, ha guidato un’intrepida offensiva ai militanti terroristi, infliggendo una cocente sconfitta alla Legione e alla Falena. Non mi sorprende che le mie cugine mi tormentino per poterti incontrare.
Si udì la risatina complice di Thomas. Si stavano davvero divertendo alle sue spalle.
No, sapeva che stavano cercando di distrarlo e gliene era grato, ma non stava funzionando. Era nauseato.
Indossò la divisa formale nuova, il farsetto blu notte, i pantaloni neri, gli stivali lucidati. La spada al fianco e la grossa pistola dall’altro lato. Attaccò le medaglie e inserì in tasca l’orologio da taschino, si pettinò i capelli rossi spettinati e cercò di dargli un po’ di ordine. Si specchiò soltanto per controllare il suo stato, doveva essere presentabile.
Lo specchio gli restituì un volto che a malapena riconosceva, la pelle era secca e aveva cicatrizzato male gli ultimi colpi, una in particolare sul mento era in rilievo, più chiara. Due borse scure gli appesantivano lo sguardo. Si passò di nuovo le mani sul viso per strofinare via il sonno rimanente e raggiunse i suoi amici in soggiorno.
Stavano leggendo la gazzetta con aria preoccupata, ma dissimularono subito la loro espressione quando lo videro entrare.
– Questo giornale è davvero spazzatura.
Sospirò. – Ne parlano tutti così, quindi non me la prenderei col giornale in sé. Vogliono che il popolo sia contro la Falena.
Lo guardarono. Thomas si alzò e gli poggiò una mano sulla spalla. – Non abbiamo avuto modo di parlarne, ma…
– Non c’è niente di cui parlare – tagliò corto.
Aveva paura all’improvviso. Paura che capissero in che stato riversava.
– Ehi, qui non devi fingere. Silas non è soltanto il mostro sanguinario che dipingono nelle riviste, è anche una persona del tuo, del nostro, passato, ed è legittimo che tu stia male per la situazione.
Si scostò appena. Non aveva bisogno di sentire nulla di tutto ciò. – Non sto male, Silas ha fatto le sue scelte e io le mie. Ora deve conviverci.
– Nessuno di noi giustifica ciò che ha fatto – intervenne Dalia. – Sono la prima che vuole vederlo pagare, ma siamo esseri umani, era un nostro compagno, era il tuo compagno di stanza e, non prendiamoci in giro, lo condanneranno a morte, quindi non fare quella faccia distaccata e impassibile, ti conosciamo.
No, non è vero.
Si stropicciò gli occhi e abbozzò un sorriso. – Allora io propongo di saltare il processo, sederci qui, prenderci per mano e aprire il nostro cuore a vicenda mentre piangiamo per le nostre scorribande giovanili come tre vecchiette all’ora del tè.
– Che sorpresa, stai deflettendo! Attenzione Thomas, abbiamo chiesto a Kieran di esprimere un sentimento, potrebbe esplodere come una palla di cannone.
Thomas scosse la testa. – Siete capaci di non usare il sarcasmo per pochi secondi voi due?
Kieran sbuffò mentre litigava con la medaglia ricevuta di recente, si era impigliata a un filo della divisa che ora si stava scucendo. – Non so cosa volete sentirmi dire.
– Sai che il Consiglio è costretto a prestarti ascolto, se tu volessi fermare la condanna a morte, magari c’è una possibilità che ti ascoltino.
Abbassò la testa. Voleva provare a essere sincero, per una volta. – Ieri sono passato a parlargli, a Silas dico. Ha fatto intendere che preferisce morire, che ci odia tutti e che se lo lasciamo in vita troverà il modo di evadere e – cito – radere al suolo questo fottuto posto. Dunque perché dovrei mettere una buona parola? Perché dovrei cercare di salvargli la vita? È un traditore, un assassino, un terrorista, ha sempre mentito, ho perso il conto delle volte in cui ci siamo scontrati o ha cercato di uccidermi. Voglio solo chiudere questa storia, voglio andare avanti con la mia vita.
– E lo farai davvero, stavolta? – chiese Dalia seria. – Perché non è la prima volta che lo dici.
Finse di aver ricevuto un colpo al cuore. – Oi, piano con le parole, signorina Delicatezza.
– Sono solo sincera.
Si massaggiò il petto in modo teatrale. – Non c’è bisogno di affondare il coltello così in profondità – borbottò. – Comunque dovevo sistemare la situazione, dovevo fermarlo, mi ci sono voluti sette anni e ora finalmente marcisce in galera. Semplice – mormorò tranquillo, come se stesse raccontando di un semplice incarico burocratico portato a termine.
Thomas scoccò uno sguardo fugace e preoccupato all’amica. – Non è mai stata colpa tua, lo sai.
Fece un gesto spazientito. – Lo so, lo so, me lo dite sempre. Avanti, siamo o no in ritardo? Se tardo ancora un po’ mi congedano con disonore e poi sì che mi lamenterò.
– Ti lamenterai comunque.
– Sì, in effetti lo farò.
Thomas poggiò la gazzetta. – Un po’ di ritardo è di moda fra gli aristocratici, ti farai solo desiderare di più.
Dalia alzò gli occhi al cielo. – Ed ecco il nostro nobile da strapazzo che riaffiora. Muoviamoci.
 
*
 
Il palazzo di giustizia si trovava nel centro di Railia, vicino ai Quartieri Dorati e lontano dalle fabbriche e dai fumi sgradevoli di scarico. Per raggiungerlo si poteva prendere la monorotaia, ma Kieran era ormai abbastanza privilegiato da poter affittare una vaporetta decapottabile. Thomas aveva insistito per pagare, ma Kieran non lo aveva neanche ascoltato. Aveva indossato la sua mantella più elegante sopra la divisa e si era accomodato a cassetta accanto al guidatore. Le nuvole grigie e minacciose facevano parte della loro quotidianità, ma sperava davvero che il cielo rimanesse soltanto uggioso e non piovesse; purtroppo gli pizzicavano le vecchie cicatrici e il braccio destro, dunque sapeva quanto la sua speranza fosse vana.
Non aveva proferito parola per tutto il percorso, immerso nei propri pensieri e la destinazione era giunta fin troppo in fretta.
– Ci siamo, pronti per il teatrino? – commentò Dalia, scendendo dal suo posto con un salto elegante.
Thomas richiuse il portasigarette e guardò Kieran. – Direi di sì.
Prontissimo. A darmela a gambe.
L’autista rivolse loro un saluto educato e con uno sbuffo meccanico le ruote della vaporetta ripartirono, lasciando una scia di fumo.
– Sei un po’ pallido – commentò la sua amica mentre salivano i gradoni del palazzo di giustizia.
C’erano diversi gentiluomini che sostavano di fronte e parlavano fra loro, diverse guardie a sorvegliare l’ingresso e un nutrito gruppo di curiosi che sventolava i giornali con la notizia.
– È una tua impressione, sono estasiato all’idea di assistere a questo processo.
– Eravamo quasi a un’intera mezz’ora senza sarcasmo, peccato.
Il tribunale consisteva in un’enorme sala ad anfiteatro, con al centro una pedana di metallo runico dove sarebbe stato incatenato l’imputato. Di fronte a lui il Gran Consigliere e i restanti membri del Consiglio sedevano su seggi rialzati di ferro, imponenti e minacciosi.
Sui muri di metallo ottonato erano appesi quadri e dipinti, mentre a fianco dei seggi principali si innalzavano le statue simbolo della Gardenia.
La sala straripava di persone. Ogni fazione aveva il suo posto, indicato dagli stendardi e c’era un gran vociare che riverberava fra le pareti. La tribuna della Gilda dei Costruttori era la più distante, i suoi occupanti erano ben vestiti con colori dorati, orologi meccanici appuntati sul farsetto e cappelli alla moda. La tribuna dei Forgiatori era meno gremita, di rado i Forgiatori si facevano coinvolgere da vicende politiche, preferivano dedicarsi al loro lavoro. I maghi e gli alchimisti del Diaspro erano a fianco ai Consiglieri, la magia fatata proveniente da loro gli dava ancora un certo fastidio. Per ultima la sua tribuna, quella dei guerrieri di Ferro, tutti in divisa, con armi lucidate e medaglie sul petto, il Generale Hamilton seduto con una postura rigida e autoritaria.
Oltre le Tribune d’Onore erano accalcati sui restanti spazi funzionari, nobili, storici, studiosi e un paio di articolisti. Volti noti e meno noti, ma tutti fra i più alti incarichi, la maggior parte appartenenti a illustri famiglie.
Quando fece il suo ingresso dal corridoio le guardie non gli chiesero alcuna autenticazione. Ci fu un mormorio generale e qualche applauso convinto, messo subito a tacere dal Gran Consigliere.
Kieran salutò il Consiglio con un inchino e subito dopo rivolse il saluto militare al suo generale, imitato da Dalia e da Thomas.
L’atmosfera era ancora preparatoria e molti dei presenti erano in piedi a discutere. Kieran iniziò il giro di saluti, cercando di ricordare i nomi di quelle persone. Per sua fortuna Thomas gli dava suggerimenti da dietro, mentre Dalia gli dava suggerimenti sbagliati per fargli fare qualche gaffe e ridersela.
Era sempre fuori luogo in momenti come quello, Kieran non era come loro e forse era a questo che doveva la sua popolarità. Le persone importanti non lo vedevano come una minaccia, mentre quelle meno importanti si sentivano ispirate. Che poi fosse tutta una questione di fortuna sembrava averlo realizzato soltanto lui.
Sentì una forte pacca sulla schiena e se non fosse stato quasi due metri di altezza e allenamento sarebbe finito lungo per terra.
Oh no, di nuovo questo.
Il capo redattore della Cronaca Oggi gli sorrideva sornione, intenzionato di nuovo a non mollare l'osso; l’uomo più insistente ed irritante del mondo, gli aveva mandato lettere e galoppini e doni per cercare di intervistarlo, ma aveva la fama da cialtrone che rimaneggiava ogni singola dichiarazione, dunque Kieran non voleva averci nulla a che fare. Non voleva parlare con la stampa, voleva tornarsene in qualche accampamento sperduto a fare il soldato, o in qualche posto isolato a fare quello che fanno gli eremiti, ma con più alcool e meno capre da mungere per sopravvivere, lontano dalla capitale e da tutto quello.
– Eccolo qui il nostro Campione, l’ospite d’onore! – esordì sorridendo come se si stesse rivolgendo a un vecchio amico.
Era un uomo di corporatura robusta, con un parrucchino pregiato e due occhi curiosi. Aveva all’incirca una cinquantina d’anni ed era talmente attivo e instancabile che Kieran si augurava di avere quell’energia fastidiosa alla sua età.
– Beh più o meno, visto che non sei tu l’imputato – e si fece una grossa risata.
Questa conversazione sarà l’elemento migliore della giornata e questo è già di per sé molto deprimente.
– Allora ragazzo, sei emozionato? Spaventato? Credi che i sigilli che hanno applicato alla Falena basteranno a tenerlo buono?
– I sigilli hanno sempre funzionato, non sarà in grado di usare la magia in nessun modo, inoltre era ferito gravemente dopo lo scontro e dubito si sia ripreso del tutto – rispose in modo efficiente.
Quello annuì spiccio. – “In alcun modo” – lo corresse affabile.
Kieran arrossì appena e si schiarì la gola. – Avete ragione, perdonatemi.
Non perdevano mai occasione di riprenderlo sul linguaggio, il che gli aveva insegnato abbastanza in fretta a parlare in modo meno informale, ma era comunque difficile per uno come lui e non gliela avevano mai resa semplice.
– Ad ogni modo capisco la tua calma, ma non temi una vendetta? Hai inflitto una bella sconfitta alla Legione, quelli non ci vanno per il sottile! Hai pensato a una scorta?
Guardò Dalia sperando nel suo aiuto, ma era andata a parlare con il suo comandante. – Non me ne preoccupo al momento.
– Secondo alcune voci tu e la Falena eravate amici ai tempi dell’Accademia, anche a quel tempo sospettavi di lui?
Ah! Sapevo che me lo avrebbe chiesto. Dalia mi deve dei soldi.
– Ci conoscevamo, ma non avevamo un rapporto stretto. No, non sospettavo di lui o lo avrei fermato molto prima.
– Proprio tre mesi fa ha preso la città di Mardille e giustiziato arbitrariamente il conte che la governava. La rabbia di questo gesto così cruento ti ha spinto a ottenere la vittoria?
Si portò le mani dietro la schiena, valutando una risposta. Non era rimasto sorpreso dal gesto della Falena, in questi anni di lotta aveva imparato a capire il suo comportamento e il suo modo di agire: non aveva pazienza per quelli che reputava scarti della società come il conte di Mardille, voleva la città per la posizione strategica e se l’era presa, il conte era un ostacolo e andava eliminato. Non agiva sempre così, ma non aveva certo quella taglia esorbitante sulla testa senza un motivo. Era un assassino, un terrorista, un traditore.
Ripeterlo è quasi un mantra.
– Insieme a tutto il resto, immagino di sì – rispose incerto. – Ora dovrei andare al mio posto, è stato un piacere, buona giornata signore.
Si defilò prima che potessero insorgere altre domande scomode e andò a sedersi vicino al Generale.
Il Gran Consigliere prese la parola e i presenti sciamarono nei propri seggi, mentre il brusio si estingueva. Cominciò con alcune comunicazioni tradizionali e il processo iniziò.
Kieran si isolò presto dalla situazione e cercò di pensare a qualcosa che lo distraesse da quel senso di oppressione che aveva nel petto. Era strano, perché i ricordi sicuri e felici iniziavano ad essere troppo pochi, legati ad eventi tragici, a tradimenti.
Ripensò a quella serata dove lui, Dalia e Thomas erano andati a vedere un incontro clandestino di boxe, dentro un baraccone in periferia. L’aria era pregna del fumo dei sigari e delle pipe, era pieno di operai rientrati dalle fabbriche che sbraitavano dalle panche insieme a qualche allibratore losco. Si erano congratulati col pugile ed erano andati a festeggiare con un pittore che era lì per dipingere i corpi in lotta. Era stato davvero divertente.
– E ora fate entrare l’imputato.
Il ricordo si dissolse in un lampo e tutto venne invaso da Silas. La sua mente, la sala, gli sguardi. Non c’era modo di distrarsi o schermarsi dalla sua presenza, non puoi pensare ad altro quando hai una bestia feroce accanto, non puoi fingere che non sia lì, con le zanne scoperte e il pelo rizzato.
Sulla sala calò il silenzio mentre il prigioniero avanzava, trascinato dalle catene. I polsi erano incatenati, aveva stracci logori addosso, macchiati di sangue e sporco. Niente a che vedere con gli abiti eleganti e pregiati che indossava quando era in libertà, quei farsetti bordeaux che prediligeva, i mantelli scuri, i guanti neri. No, niente di tutto quello, era una figura logorata, macilenta, eppure aveva un portamento regale, come sempre. Camminava a testa alta con le labbra appena incurvate in un sorriso, i capelli nerissimi e sporchi che ricadevano fino al bacino, mentre gli occhi violetti saettarono su di lui, come calamitati. Aveva lo zigomo spaccato e un grosso livido violaceo sul lato del viso, il colletto era inzuppato di sangue e aveva croste rosse anche sotto l’orecchio e sulle unghie. Le guardie ci erano andate pesanti, ma non ne era sorpreso purtroppo.
Eppure non dava cenni di dolore o cedimento, avanzava guardando in faccia i presenti con calma, come se stesse scegliendo quale divorare per primo, alcuni distoglievano lo sguardo, altri gli rivolgevano occhiate di odio. Raggiunse il suo posto al centro della sala, sulla pedana, senza proferire parola.
Nessuno riusciva a parlare. Anche con il corpo ricoperto da sigilli magici la sua energia vibrava, riempiva la sala come un profumo bruciacchiato, potente, selvaggia. Magia primordiale delle fate, scorreva a piccole dosi in ciascuno di loro dopo la Grande Migrazione avvenuta secoli e secoli prima, ma pochissimi potevano vantare il titolo di Discendente. Silas era uno di quelli, uno dei pochi a discendere per linea diretta da una fata purosangue.
Ma non era soltanto la sua magia, anche il suo aspetto aveva creato quel vuoto di rumori. Alcuni non lo avevano mai visto e forse non si aspettavano che il vice dell’armata oscura – come solevano chiamarla i giornali più ridicoli – fosse tanto efebico. Con quella pelle di rame, i tratti un po’ affilati, il volto elfico, le orecchie allungate e gli occhi freddi, allungati. Come petali di ciliegio. Aveva sentito definirli così da una nobildonna, ma a suo avviso era un paragone troppo delicato per il suo sguardo. Era bello in modo ultraterreno, no, non bello, attraente, attirante, come un paesaggio spettrale o un dipinto molto crudo, una quercia contorta o un fiore velenoso. Forse era per la sua completa incapacità di fare complimenti che non aveva fortuna in amore, ma definire Silas bello sarebbe stato semplicistico; come tutte le fate, nel suo aspetto c’era qualcosa di disturbante, alieno, qualcosa che ricordava a tutti che l’imputato non era del tutto umano, non come loro, e parte del suo sangue, il suo icore, valeva una fortuna.
– Traditore disgustoso – sibilò una voce da qualche parte.
Kieran però se ne accorse a malapena. Gli tornò in mente la prima volta che aveva visto Silas, quando aveva sedici anni. Gli era stato assegnato come compagno di stanza, elegante, allampanato, i capelli neri che scendevano fino a metà collo, due orecchini d’oro che pendevano luccicanti e uno sguardo vivace, curioso, giovane. Era seduto sul davanzale della loro finestra e il sole crepuscolare s’infilava fra le ciocche nere e rifletteva sulla pelle ambrata. Sì, aveva appena finito di piovere, riusciva a ricordarlo perché era entrato con gli stivali bagnati, per tutti i campi dell’Accademia c’era quell’odore di umido e prato tagliato.
Kieran non era sicuro che quella fosse la sua stanza ed era intimorito all’idea di condividerla con un Vaukhram, sapeva quanto fossero potenti. Appena entrato gli aveva lanciato una moneta e Kieran la aveva afferrata al volo.
Testa e il letto vicino alla finestra è tuo, croce ed è mio, ci stai?
Aveva vinto lui, ma Silas aveva continuato a sedersi spesso sul davanzale.
– Silas Alexander Richard Vaukhram, l’imputato – dichiarò il portavoce, presentandolo. – Erede designato della famiglia Vaukhram, poi diseredato e condannato per i seguenti delitti: alto tradimento, lesa maestà, omicidio plurimo, terrorismo, associazione a delinquere, associazione con fate rinnegate, furto di documenti segreti…
La lista continuò ancora per un po’, a ogni accusa Kieran sprofondava un po’ di più. Silas invece non pareva toccato dalle accuse, solo annoiato. Non gli aveva rivolto più alcuno sguardo, la sua mente sembrava altrove.
– Non si rende neanche conto che questi sono i suoi ultimi momenti di vita, ha il cervello andato quel figlio di puttana.
Non capì da dove fosse arrivato il commento, qualcuno dietro di lui.
– Lo avranno drogato o imbottito di ferro, ai Mezzosangue li rovina.
– Ma lui era come noi, un guerriero di Ferro, noi assumiamo ferro di continuo per combattere le fate.
– Forse lui era esentato, non lo so. Non vedo l’ora di vederlo impiccato.
Kieran sapeva che Silas ai tempi dell’Accademia non era esentato affatto dall’assumere ferro, ma subiva spesso le ripercussioni, aveva dovuto far abituare a poco a poco il suo organismo. Ricordava di averlo sentito vomitare nella notte, anche se lo nascondeva sempre, pian piano aveva sviluppato una resistenza straordinaria.
Non era drogato, forse molto provato, ma era cosciente della situazione, lo vedeva dai suoi occhi. Soltanto che non gli importava, c’era una tale rassegnazione nel suo sguardo, che a malapena riusciva a guardarlo. In quegli anni aveva visto Silas in molti modi durante gli scontri, furioso, divertito, arrogante, ma mai lo aveva visto perdere la sua ferocia. Ora sembrava un guscio vuoto ed era lui il responsabile, lui lo aveva braccato e, dopo sette lunghi anni, sconfitto, per poi consegnarlo alla giustizia.
Lo merita. Merita tutto questo. Ha ucciso il maestro Fergus, ha fatto morire troppe persone. È un traditore, non è mai stato sincero. Mai.
– Come ci si sente? – gli bisbigliò la persona accanto.
– Eh?
– A vedere il proprio nemico giurato in catene.
Nemico giurato. Erano stati nemici per così tanto tempo, si erano sabotati a vicenda con le proprie fazioni, nessuno dei due poteva organizzare un piano militare senza che l’altro si presentasse a disfarlo e a rovinare tutto. Si erano catturati ed erano fuggiti, una storia surreale che aveva alimentato i giornali e gli articoli. Era stata fin troppo romanzata, soltanto una volta Kieran era stato catturato ed era stata organizzata una spedizione di salvataggio, per il resto erano comandanti nemici che si erano trovati contro di continuo, beh, di proposito.
– Stanco – mormorò a stento e socchiuse gli occhi.
Fra poco sarebbe tutto finito.
 
*
 
Erano le quattordici e un quarto quando venne emessa la sentenza, si trovavano dentro il tribunale da quasi sei ore, l’imputato era rimasto in piedi tutto il tempo senza dare segni di cedimento.
Non rimase sorpreso quando alla fine del processo il Consiglio lo condannò a morte, tutti sapevano che sarebbe stata organizzata una spettacolare esecuzione per celebrare il trionfo della Gardenia sui suoi nemici. Per i Discendenti era prevista l’impiccagione affinché i pezzi del corpo rimanessero intatti per poter essere usati per la difesa dello stato. Il sangue, le ossa, la pelle, i capelli, gli occhi, i denti, la lingua, persino i genitali, tutto di un Discendente aveva moltissimo valore, il loro corpo era intriso di magia primordiale più di qualsiasi altra persona ed era l’ingrediente fondamentale per lanciare qualsiasi magia: talismani di ossa fatate, ciondoli, tinture di sangue, guanti di pelle, non era possibile lanciare fatture senza quei prerequisiti. Sul mercato nero avevano un prezzo incalcolabile, soltanto le parti del corpo di una fata purosangue si vendevano a prezzi maggiori, ma lì il livello di rarità cresceva parecchio.
Ogni parte di Silas sarebbe stata smembrata e usata per altre magie una volta morto. Era la prassi per tutti i Discendenti, anche quelli più rispettabili e importanti, alla loro morte il corpo sarebbe tornato allo stato.
Si sentì ticchettare la spalla e girò gli occhi verso Dalia e Thomas, dietro di lui. Avevano uno sguardo amaro. Dalia provò a dire qualcosa, ma venne interrotta da Brandon, uno degli alti comandanti dei guerrieri di Ferro. Questi si alzò in piedi e chiese la parola.
– I guerrieri di Ferro chiedono di poter ottenere le parti del traditore, come merito per averlo catturato e consegnato alla giustizia.
Kieran sentiva di stare per vomitare.
Si udì un verso di disappunto dalla tribuna dei maghi e si alzò una donna con abiti eleganti. – Per piacere, siete stati voi a farvi ingannare per primi, sbaglio o il traditore era un guerriero di Ferro? Avete solo rimediato a un vostro disastro. Inoltre le sue parti non hanno utilità per voi, il Diaspro potrebbe tenerle e conservarle per momenti di crisi o per addestrare nuovi maghi promettenti.
Il Gran Consigliere ascoltò entrambi e poi diede la parola al capo dei Forgiatori, un Discendente anche lui, con la pelle di un verde pallido e occhi liquidi, tipici tratti delle selkie. – Nulla sarebbe stato possibile senza le armi e le armature che noi creiamo, non siamo interessati al sangue, ma reclamiamo le ossa del traditore.
Dalia lasciò uscire un verso disgustato. – Non ho neanche fatto colazione ancora. È aberrante.
Per lui e Dalia lo era parecchio, perché nessuno dei due proveniva da quegli ambienti. Da dove venivano loro di Discendenti quasi non esistevano e queste diatribe erano qualcosa che non conoscevano. Ma fra le Gilde e l’aristocrazia doveva essere frequente.
Kieran non aveva la forza di parlare, guardava le proprie mani in grembo, le gambe troppo lunghe per entrare nella tribuna e desiderava che quel giorno finisse all’istante. Alzò il viso per osservare Silas, che stava al centro in piedi, silenzioso. Non sembrava interessato al dibattito, nonostante si parlasse di smembrarlo e usare il suo corpo.
Brandon non demordeva. – Il Campione l’ha sconfitto! Ha portato innumerevoli vittorie alla Gardenia, è un eroe e un portento, senza di lui la Falena avrebbe tenuto Rocca del Vespro per mesi! Noi abbiamo vinto la battaglia, sacrificando molti dei nostri e combattendo in prima linea, e sì, il traditore era uno dei nostri e riteniamo che a maggior ragione spetti a noi occuparcene.
Silas stavolta gli lanciò un’occhiata, Kieran la sostenne, aspettandosi rancore o odio, ma negli occhi dell’altro c’era qualcosa che non riusciva a leggere.
Sei incazzato? Deluso? Triste? Perché non dici qualcosa, cazzo?
Il Gran Consigliere fece cenno di abbassare i toni e in quel momento prese la parola una donna dalle tribune delle famiglie aristocratiche. Kieran sapeva bene chi fosse: Katherine Marianne Lisa Vaukhram, un cognome che faceva tremare da ben prima che Silas diventasse un terrorista. Lo stesso Gran Consigliere veniva da quella famiglia, occupavano le cariche più alte e prestigiose della società.
– Silas appartiene alla famiglia Vaukhram. Lo comprammo per una somma alta ventitré anni fa e riteniamo che il minimo che possa fare per ripagare la propria famiglia dell’onta e del disonore che ha arrecato, è quella di offrire il suo corpo dopo la morte. È ancora un membro della nostra famiglia e di conseguenza ci appartiene.
Si sentì una risata dall’imputato, così spezzata che tutto il tribunale si zittì. – L’amore materno, incredibile eh? Mia madre non vede l’ora di farsi un bel bagno nel sangue del suo amato figlio adottivo.
– Fa’ silenzio – tuonò una guardia.
La donna non lo considerò nemmeno e mantenne lo sguardo sul Gran Consigliere.
Dalia gli ticchettò di nuovo la spalla. – Ma quella è davvero sua madre? Cazzo, credevo di averli io i problemi coi genitori…
Kieran si sporse appena per bisbigliare: – madre adottiva.
– Lo so, lo so.
Di Discendenti ormai ce n’erano molti pochi, da quando le fate si erano chiuse nelle corti, proibendo alla loro specie di mischiarsi ulteriormente con gli umani, dunque erano rari; le famiglie aristocratiche più potenti erano solite trovarli e comprarli da famiglie povere, per farne gli eredi. Era considerato di enorme prestigio per una stirpe nobile aggiungere un Discendente, tutte le porte si aprivano. Se poi fosse successo qualcosa al Discendente, la famiglia ne deteneva comunque il corpo e poteva farne ciò che voleva. Un guadagno in entrambi i casi.
Silas era stato comprato e adottato dalla famiglia Vaukhram quando aveva quattro anni da ciò che sapeva, era stato nominato erede e cresciuto come un principe. Il suo tradimento aveva gettato parecchio fango sul cognome dei Vaukhram ed era stato uno shock per tutta l’aristocrazia.
– Valuteremo ciascuna richiesta e vi comunicheremo la risposta quanto prima. Per ora il processo è concluso, la sua esecuzione è fissata fra una settimana nella Piazza di Sweetgale, alla fine delle festività.
Le guardie si avvicinarono al prigioniero per riportarlo in cella e Kieran colse un luccichio fra le dita del condannato.
 Non riuscì neanche a reagire che Silas fece un gesto repentino e accoltellò al collo la prima guardia, quella più vicina. Il sangue schizzò contro i suoi abiti e il soldato emise un gorgoglio mentre barcollava indietro. Subito dopo si puntò il pugnale ancora sporco alla propria gola.
Nello shock generale la reazione fu lenta, troppo lenta, il corpo della guardia si ricoprì di una sostanza grigiastra e iniziò a decomporsi man mano che la ferita al collo eruttava sangue.
Necromagia. Realizzò Kieran e saltò oltre la tribuna per fermare Silas. Purtroppo era troppo lontano, non avrebbe fatto in tempo.
Il condannato fece per tagliarsi la gola, il pugnale era imbevuto di necromagia e avrebbe decomposto il suo corpo con una ferita mortale. Morire non bastava, voleva rovinare il suo corpo per impedire a chiunque di usarlo.
La seconda guardia gli afferrò il braccio per fermarlo e l’arma slittò via, tagliando una parte della gola senza andare in profondità; la necromagia però iniziò a diffondersi e grosse vene nere si allargarono sulla pelle di bronzo di Silas.
Nel caos generale si udì un urlo, ma non era di Silas.
– Kieran la tua gola! – urlò Dalia vicino a lui.
Kieran la sentì a malapena, il dolore al collo era straziante e si accasciò a terra contenendo a stento le urla di dolore. Grosse vene nere si arrampicarono sulla sua pelle, voraci. Era ancora lontano da Silas, che osservava la scena scioccato, come se si fosse aspettato tutto tranne che quello.
Venne disarmato e afferrato dall’Arcimago del Diaspro mentre si dimenava dal dolore. Kieran non sentì più nulla perché perse i sensi fra le grida generali.
 
*
 
 
– Si sta svegliando, gradirei che portaste qui l’imputato e che stavolta facciate bene il vostro lavoro, incompetenti.
– Signore lo avevamo perquisito, lui non…
– Non mi interessa, è ovvio che ha spie fra la nobiltà e le Gilde, si sarà fatto passare il pugnale entrando. Scoprite chi è stato, ma prima portatemelo qui in catene.
Kieran sbatté le palpebre e riprese pian piano coscienza. Irrigidì il corpo, come ogni volta che si svegliava, tornò vigile e nervoso, spalancò gli occhi e cercò di tirarsi a sedere.
– Piano piano, sei ancora debilitato, stai fermo.
Si massaggiò la testa e voltò gli occhi in modo febbricitante; apprese subito di trovarsi in quello che appariva come un laboratorio, vedeva tavoli da lavoro con pozioni e pergamene, barattoli di ossa e sangue, librerie su ogni spazio vuoto e una grossa scrivania di acero. La luce filtrava da un rosone a vetri e realizzò di essere dentro il palazzo del Diaspro dall’immagine che la vetrata rappresentava.
Era sdraiato su un lettino a torso nudo e aveva la gola fasciata.
Di fronte a lui apparivano tre figure che mise a fuoco con difficoltà, il suo Generale, Hamilton, il Gran Consigliere Hart e l’Arcimago, Goodwill.
– Cosa… cos’è accaduto. Silas mi ha colpito?
L’Arcimago gli si avvicinò, aveva un aspetto decrepito, ma gli occhi azzurri sembravano vispi quanto non mai dietro gli occhiali a doppie lenti che indossava. Abbassò la seconda lente per studiarlo meglio.
– No, il prigioniero era troppo lontano da te, ha inflitto la ferita a sé stesso, ma per qualche motivo si è manifestata anche su di te.
Kieran sbatté le palpebre, mostrandosi perplesso. – “Anche”? Com’è possibile? Un incantesimo? Aveva un complice?
Il Generale si portò le dita al ciuffo di barba che scendeva dal mento. – Stiamo cercando di capirlo. La ferita sarebbe stata mortale per entrambi se non fosse intervenuto il signor Goodwill. Anche se il taglio non era profondo, era incantata di necromagia e avrebbe decomposto il vostro corpo in poco tempo. Quello che non riusciamo a spiegarci è come abbia fatto a ferire anche te, che eri lontano da lui. Abbiamo analizzato le vostre ferite ed erano identiche.
Kieran non riusciva a seguire, la gola lo stava mettendo a dura prova e si passò una mano sulla fasciatura. – Credevo che i sigilli gli impedissero di lanciare magie – e lo disse con un tono duro, mentre osservava le figure di fronte a sé. – Non sapete quanto possa essere pericoloso con la sua magia libera.
– Calmati, i sigilli funzionano, non ha lanciato alcun incantesimo o l’Arcimago se ne sarebbe accorto.
Il portone di legno si aprì con un grosso cigolio e alcune guardie sciamarono all’interno del laboratorio, trascinarono Silas, che aveva un aspetto pallido e debilitato, la fasciatura intorno al collo macchiata di sangue e gli occhi incavati, appannati dalla rabbia.
– Eccolo qui, lo abbiamo interrogato e continua a dire di non sapere perché tu sia stato ferito – commentò il Gran Consigliere.
Fu lanciato a terra con un calcio e atterrò in ginocchio.
Silas sorrise con rancore fra le ciocche nere. – Perché non lo so, figlio di puttana, volevo solo uccidermi e distruggere il mio corpo, non sapevo di poter portare con me anche il vostro prezioso campione.
Il suo respiro inciampava per l’affanno.
– Menti – tuonò il Generale.
Si avvicinò a lui e gli afferrò un braccio, tirandolo avanti. Estrasse un coltellino dalla tasca e incise una ferita sulla pelle. Silas fece una smorfia, ma non fiatò.
– Dunque?
Si voltarono a guardare Kieran, che girò il braccio per osservarlo. Stava bene, non aveva neanche un graffio.
– Non ha manifestato ferite, forse aveva davvero un complice.
L’Arcimago tossicchiò. – Non possiamo dirlo con certezza. La ferita di Silas era mortale. La mia ipotesi, e speriamo non sia tale, è che a questi due sia stato imposto un Vincolo Vitale.
– Un cosa? – domandò il Generale assottigliando gli occhi.
L’anziano andò a sedersi sulla poltroncina di velluto, il bastone di metallo di fronte a sé fra le gambe. – Magia dei sigilli, molto poco studiata e conosciuta, la usiamo soltanto per i prigionieri perché non ci sono veri esperti nel campo.
– Perché no? – domandò Kieran.
– Perché studiamo soprattutto la magia primordiale fatata e la maggior parte di fate non ama i vincoli e tutto ciò che li riguardi, troppo… duraturi. Gli piace stringere patti, ma la magia dei sigilli è diversa. Dunque non abbiamo una vera branca che se ne occupi, solo qualche studioso solitario che monitoriamo, vista la pericolosità di questa magia. Il Vincolo Vitale ne è l’esempio, può legare la vita di due persone.
Silas che fino a quel momento era rimasto in silenzio, sgranò gli occhi. – Spero stiate scherzando, vecchio.
– Non sto affatto scherzando giovane Vaukhram, il Vincolo Vitale se applicato a due persone pone una condizione: se uno muore, perirà anche l’altro. Purtroppo sono solo teorie, è stato lanciato pochissime volte e non si sa quasi nulla degli effetti di questa magia, è un incantesimo molto potente. Certo, un Discendente potrebbe lanciarlo con le giuste conoscenze…
Si voltarono a guardare Silas che sembrava fuori di sé. – Credete sul serio che vorrei mai legare la mia vita a lui? Mi stomaca solo pensarci.
– Tu ne avevi i mezzi e il motivo, stai cercando di rimandare la tua esecuzione – valutò il Gran Consigliere.
Silas scrollò la testa, come se parlare fosse inutile. – Immagino di essere l’unico ad avere notato che stavo cercando di ammazzarmi – commentò piccato.
Kieran si stropicciò gli occhi. – Signore, avete detto che è solo un’ipotesi. Me ne sarei accorto se mi fosse stata lanciata contro una fattura simile, noi guerrieri di Ferro siamo addestrati e temprati contro le magie.
L’Arcimago si voltò a guardarlo. – Non in questo caso figliolo. Questa non è semplice magia fatata come ti ho spiegato, ed è molto rara e potente, è stata creata dagli umani. È certo che per scagliarla serva qualcosa di voi, una ciocca di capelli, del sangue. Però sì, è un’ipotesi che dobbiamo smentire al più presto.
Il Generale lo osservò. – Come pensate di fare?
Indicò Silas col bastone. – Dobbiamo portarlo vicino alla morte, se il giovane Kieran reagirà sapremo che il Vincolo è stato applicato, altrimenti vaglieremo altre possibilità.
Silas indietreggiò di un passo e cercò di dimenarsi. – Non vi avvicinate – ringhiò.
L’Arcimago tese una mano e iniziò a recitare una piccola poesia, qualcosa sull’aria e il vento e la voce. Teneva nell’altra mano un pendaglio d’osso intagliato dall’aria sinistra, lo stringeva mentre recitava. Il colore sparì presto dal volto di Silas che si portò entrambe le mani alla gola, mentre spalancava la bocca in cerca di ossigeno. Si piegò verso il pavimento, annaspando.
Kieran guardò il Gran Consigliere, incapace di rimanere seduto. – Tutto questo è necessario?
– Lo è.
Prima che potesse fermarli, si accorse di non riuscire a respirare. Fu una sensazione all’inizio, come se stesse trattenendo il fiato, ma quanto lo lasciò andare non poté riprenderlo. Allungò una mano mentre il petto gli scoppiava e le tre figure si voltarono a guardarlo. Anche Silas lo osservò con aria stupita, mentre i capillari degli occhi scoppiavano.
L’Arcimago fermò la magia e posò le mani sul pomello del suo bastone. – Temo che questo confermi la mia ipotesi.
Silas cominciò a boccheggiare mentre riprendeva aria e lo stesso fece Kieran fra i colpi di tosse. – Non è possibile.
Il Gran Consigliere irrigidì il viso. – Cosa dovrebbe significare?
– Che se giustiziate il prigioniero, morirà anche il nostro Campione.
 
 

Ciao a tutti! Mi chiamo Ahiryn e questa è la prima storia originale che provo a pubblicare, e che fatica ç_ç.
Vi ringrazio tantissimo se avete retto questo primo capitolo, l’inizio è sempre un bel cruccio per me. Sarà una storia senza troppe pretese, davvero, qualcosa che intrattenga e faccia divertire, ma mi impegnerò il più possibile!
Vi avviso fin da subito che sarà una storia d’amore, che ci saranno anche scene erotiche prima o poi, ma sarà una slow burn per, beh, ovvie ragioni.
Cercherò di aggiornare frequentemente :D. Per chiunque leggerà la storia, vi inviterei, se ne avete voglia ovviamente, a farmi correzioni, darmi consigli, segnalarmi se qualcosa vi stona, non vi piace, o vi sembra mal fatto, anche per messaggio se non avete voglia di recensire, ho tanto bisogno di indicazioni ç__ç, mi sento sempre alla deriva. Metterò qui la storia nella speranza di migliorarla il più possibile grazie alle vostre critiche e consigli, quindi se vi va mi farebbe davvero tanto tanto piacere, spero che andando avanti diventerò più capace e sciolta. Ma vi ringrazio tanto in anticipo anche solo per averla letta <3, grazie di cuore.
Alcuni chiarimenti che vi possono interessare:
Il titolo è una parola inglese che indica l’odore forte che segue la pioggia, specialmente quando cade su un terreno secco e caldo, e la sua etimologia in greco è pietra e icore, l’icore è il sangue degli esseri immortali.
Silas Vaukhram si pronuncia nella mia testa SAilas Vokhram, ma voi leggetelo nella vostra mente come preferite ^^.
Ancora grazie di cuore per aver letto!
 
 

 

                                    
 



 
 

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Capitolo 2
*** L'Accordo ***





 
L'Accordo

II

 





Silas era legato a una sedia e non era del tutto in sé. Gli occhi faticavano a rimanere aperti, aveva il volto indolenzito e un grumo di sangue e saliva che gli colava dalle labbra umide.
– Nessuna delle informazioni che ha rivelato era vera, ci ha fatto girare a vuoto per giorni!
Un altro colpo e gli sembrò di vedere i volti capovolgersi e le grate della cella moltiplicarsi.
Gli faceva male ogni parte del corpo, non riusciva a guarire o a riprendersi, gli davano poco cibo per tenerlo debole e di tanto in tanto veniva picchiato.
Qualcuno gli tirò i capelli per sollevargli il viso. – Eri così arrogante sul campo di battaglia, guardati adesso.
– Basta, non esagerare, il Campione potrebbe accorgersene.
Il Campione.
Gli veniva da ridere. Kieran un campione? Forse era l’unico a ricordarlo com’era all’Accademia, con la divisa scucita, le mani sporche e sempre sudate, i fogli scritti con quella calligrafia storta e confusionaria. Sì, forse era l’unico ormai e non era neanche certo che fosse stato reale o un’illusione quel ragazzino. Kieran che gli urlava addosso che avrebbe pagato per le sue azioni, che lo avrebbe trascinato di fronte alla giustizia, forse ormai era l’unica realtà che esisteva e che era sempre esistita.
Chissà che goduria per il tuo stupido orgoglio.
– Non può accorgersene se non lo portiamo vicino alla morte, da quello che ho sentito.
– Sì, ma al processo si vedevano i lividi e si è incazzato, quello lì ha una scopa piantata nel culo da sempre, non ho voglia di inimicarmelo.
Più che una scopa direi che ha un vero e proprio tronco.
Non capiva se fosse ottusità o mentire a sé stessi in modo cieco, perché si alterava se le guardie lo picchiavano? Che cosa credeva sarebbe successo una volta riportato in catene alla capitale? Che gli avrebbero organizzato una parata di ben tornato, un banchetto per la rimpatriata? Forse aveva bisogno di placare la sua coscienza.
Ho ingerito troppo ferro.
Il ferro nel suo sistema lo nauseava, la mancanza di cibo e acqua gli stava dando alla testa; non aveva forze, voleva addormentarsi o perdere i sensi, iniziava ad avere pensieri inconcludenti.
– Non provare a svenire, feccia fatata, non ancora.
Alzò il viso verso la guardia e gli sputò il sangue che aveva in bocca. Poi gli sorrise.
– Allora è vero quello che dicono delle guardie di Railia, che sono dei segaioli deboli senza spina dorsale.
Voleva che lo mandassero a un passo dalla morte, così Kieran lo avrebbe sentito. Voleva che vedesse i lividi e le ossa rotte, per infrangere la sua patetica illusione da cavaliere senza macchia.
Non era una questione di senso di colpa, no, perché se lui avesse messo le mani su Kieran le cose non sarebbero andate in modo differente. Ma Silas non avrebbe finto di essere migliore dell’altro, non si sarebbe innalzato su un piedistallo morale.
Gli arrivò un altro pugno in faccia e la sedia si ribaltò indietro con violenza.
Io non gli permetterò di farti del male.
Perché gli tornava in mente ora quella frase? Quel momento?
Forse aveva davvero ricevuto troppi colpi.

 
 *

Le strade di Burlstreet erano ancora sporche per i giorni di festa, i marciapiedi erano invasi da foglie secche, neve infangata e coriandoli, l’aria vibrava di piccole magie sceniche e c’era odore di fuochi d’artificio.
Kieran sperava che nessuno lo riconoscesse, anche se le guardie tendevano a salutarlo sempre con rispetto e da lì si univano anche i cittadini, dunque aveva evitato di indossare la divisa. L’aria fredda era smorzata dal calore del fumo e delle vaporette, ma era piacevole sentire le temperature basse di fine autunno.
Aveva piovuto di recente, ma non ne era sorpreso, anche mentre combatteva contro Silas pioveva. Ricordava lo scontro, le foglie rosse sotto i loro piedi, le magie, il sangue; era già passato un mese.
Entrò in un piccolo forno, che gli ricordava il suo preferito dei tempi dell’Accademia, quando aveva pochi spiccioli con sé.
Prendi sempre una fetta di crostata e del caffè, ogni singola volta. Sei così… noioso.
La voce di Silas gli riecheggiava ancora in testa, scherzosa. Guardò i dolci esposti e in uno sciocco segno di ribellione decise di prendere una fetta di sacher. La gustò nel tavolino più isolato, vicino al caminetto.
Non era affatto buona come la crostata, era così dolce, troppo dolce per i suoi gusti. Sospirò e agitò il cucchiaino nel cioccolato.
Cosa devo fare?
L’Arcimago aveva svolto altri test per cercare di capire la natura del vincolo magico, aveva tentato di spezzarlo ma con scarsi risultati; i vincoli erano tali proprio perché potevano essere rimossi solo dalla persona che li aveva lanciati, ma non sempre era così, a volte non bastava nemmeno l’intervento dell’esecutore. Era così anche per i sigilli impressi su Silas che gli impedivano di usare la magia, soltanto la persona che li aveva applicati poteva rimuoverli.
Per il momento l’esecuzione era stata rimandata, senza che fosse svelata la vera motivazione, e questo aveva già innervosito il popolo e i soldati.
– Volete altro, signore?
Alzò il viso verso la cameriera e guardò imbarazzato il suo piatto ancora pieno. – Un tè, grazie mille.
Come se non fosse bastato tutto questo, il vincolo aveva mostrato un altro inquietante limite.
Per distrarsi dalla situazione, Kieran aveva accettato l’invito della famiglia di Dalia, che viveva in un’altra regione, a passare qualche settimana nella loro tenuta. Man mano che si allontanava dalla capitale aveva percepito una sensazione, come se conoscesse la direzione in cui si trovava Silas. Aveva intuito che il legame gli forniva sempre una direzione indicativa dell’altro, imprecisa, ma forte. Per sua sfortuna a bordo del treno aveva iniziato a sentirsi davvero male, il suo corpo era stato sconquassato da dolori, come se una forza invisibile lo tirasse con violenza indietro. Avevano fermato il treno ed erano stati avvisati i guerrieri di Ferro, che avevano mandato una piccola squadra a recuperarlo.
Sessanta chilometri. Era più o meno quella la distanza massima che poteva mettere fra lui e Silas prima di iniziare a morire; secondo l’Arcimago era difficile stabilire le regole del vincolo ed era probabile che fosse una magia in continua evoluzione.
Non poteva allontanarsi, non poteva uscire dalla regione, non poteva andare in missione.
Era inutile.
Ticchettò il tavolo, nervoso.
E se avessero deciso di ucciderlo comunque?
Kieran era molto popolare fra la gente comune e l’esercito, ma aveva anche tanti nemici che ora avevano l’occasione perfetta per liberarsi di lui. Cercare di essere corretto ed imparziale non lo aveva reso alquanto popolare negli anni.
No, William non lo permetterà. Neanche Bervana.
Non lo avrebbero ucciso a sangue freddo dopo tutto ciò che aveva fatto per loro, no?
– Ecco a voi.
Poggiò la tazzina ornata da ghirigori dorati e lasciò la teiera fumante accanto a lui, con alcuni biscotti glassati sul piattino e un bricco di latte caldo. Prese la tazza fra le mani e guardò di nuovo il giornale sul tavolo che parlava dell’esecuzione rimandata, facendo ipotesi sulla motivazione.
Sarebbe stata fatta un’altra votazione per la fine del mese, una votazione a favore o contro la condanna di Silas e… beh, la sua. Sapeva che i guerrieri di Ferro e i Forgiatori avrebbero votato contro, ma tutti gli altri?
Se solo fossero esistiti maghi in grado di aiutarlo, ma l’unica persona davvero esperta sulla materia viveva lontano, troppo lontano.
Sfilò dal suo diario una pagina dei registri del Diaspro, mentre beveva un altro sorso.
– Higgins… –  mormorò fra sé e sé guardando il pezzo di carta.
L’unico vero esperto di sigilli viveva dall’altra parte del continente, immerso in un alone di mistero e false notizie, oltre il confine, agli inizi delle Terre Spezzate. Non aveva trovato granché informazioni, il governo non amava l’argomento delle magie di sigillo. Aveva provato a chiedere che venisse mandata una squadra a prelevarlo, ma era stato ignorato.
Non manderanno nessuno lì. Gli fa comodo questo giogo, perché possono controllare anche me. E d’altronde io non posso andarci, il sigillo che lega me e Silas mi ucciderebbe se mi allontanassi troppo.
Aveva provato anche a mandare lettere e a comunicare in ogni modo, ma iniziava a credere che le sue lettere venissero controllate.
Dalia e Thomas non sapevano del vincolo, aveva preferito non dir loro nulla, anche se era solo questione di tempo prima che lo scoprissero; la situazione gli pesava troppo per parlarne e per il momento preferiva evitarli. Inoltre si sarebbero offerti di raggiungere l’esperto per lui, ma oltre che inutile sarebbe stato pericoloso, il confine con le Terre Spezzate non era un posto in cui si poteva viaggiare con leggerezza.
Il Gran Consigliere manderà qualcuno, troveranno un esperto che possa rimuovere l’incantesimo, che ne sia capace.
Doveva solo aspettare.
 
*
 
Quando rientrò a casa quella sera, il suo umore era un po’ migliorato, aveva parlato con la ragazza del piccolo forno che era riuscita a tirarlo un po’ su di morale, aveva un modo di fare caloroso e frizzante, e Kieran aveva assunto un atteggiamento piuttosto sciocco: aveva flirtato con lei per un po’, sorridendole nel tentativo di non pensare a nulla. Lei aveva ricambiato il sorriso prima di salutarlo e con un tocco lieve sulla spalla gli aveva chiesto se sarebbe passato anche l’indomani. Le aveva detto di sì senza smettere di sorridere e aveva guardato le sue guance imporporarsi deliziosamente, ma sapeva che non sarebbe affatto tornato. Non era il periodo giusto per infilarsi in qualche altro pasticcio e lui era troppo giù di morale per svagarsi con quella ragazza.
Quel briciolo di buon umore venne però smorzato quando vide di fronte il palazzo del suo appartamento l’ex– sindaco Clifford.
La sua faccia s’inasprì mentre osservava l’uomo sui gradini del piccolo palazzo. Appena quattro mesi prima aveva contribuito al suo licenziamento da un importante città del nord, quando aveva scoperto che il sindaco Clifford gestiva un traffico di esseri fatati molto vasto. I suoi tagliagole ne catturavano sui confini dei boschi o delle zone neutrali e li spostavano illegalmente a bordo dei treni fantasma. Il destino degli esseri fatati era quasi sempre atroce, se non venivano uccisi e smembrati per il mercato nero, finivano negli harem di qualche nobile disgustoso, pronti a sfornare mezzosangue per il prestigio della famiglia. Era illegale, avevano un accordo con le Corti fatate e quel genere di comportamento minava le relazioni pacifiche che avevano instaurato.
Kieran ricordava quel vagone maleodorante e stantio, i corpi tremanti e stretti fra loro al buio. Aveva preso a pugni il sindaco fino a fargli perdere i sensi, ancora adesso la sua faccia non era tornata del tutto a posto. Si era occupato di riportare le fate dove erano state catturate.
Il sindaco era un nobile, dunque Kieran era stato ammonito con asprezza per il suo comportamento violento, ma le accuse che aveva presentato erano almeno riuscite a fargli perdere la carica da sindaco.
La pancia gli si contorse all’istante nel guardare i due tagliagole che lo accompagnavano, guardie del corpo mercenarie.
– Oibò, che incontro fortuito! L’irreprensibile Kieran Reed!
Kieran lo guardò in silenzio, ostile. – Cosa vi porta qui? – domandò freddo.
– Sono desolato per quest’incursione ma avevo urgente bisogno di parlarvi, Campione – e pose una nota di scherno sull’ultimo titolo.
Non che qualcuno intorno a lui lo avesse mai pronunciato con serietà, aveva detestato quel titolo dall’inizio.
– Sono qui.
Erano sui gradini del piccolo e grazioso palazzo bianco, nel quartiere borghese; aveva pochi piani e le finestre provenzali presentavano piccoli davanzali pieni di fiori rigogliosi, tranne il suo dove si erano seccati.
Non lo avrebbe invitato dentro casa.
Il silenzio divenne insostenibile, ma Clifford sembrava calmo, vestito tutto elegante nel suo panciotto, il sigaro che emanava un odore pestilenziale.
– Vedete, Reed, sono qui per proporvi un piccolo accordo.
S’irrigidì e non riuscì a nascondere il suo disgusto. – Non stringo accordi con i trafficanti di corpi come voi.
Il sorriso si congelò sul volto dell’uomo. – L’accordo che vi propongo è quello di ritirare le accuse alla mia persona, se lo farete forse io e la mia Gilda voteremo contro la condanna a morte della Falena.
Kieran sbatté le palpebre e quasi cadde dai gradini. – Voi non fate parte della commissione votante.
Stavolta Clifford ghignò, era così contento che a malapena riusciva a contenersi. – E qui vi sbagliate ragazzo mio. Sono stato nominato vicecapo della Gilda dei Mercanti, ho un enorme influenza e farò parte della commissione votante. Il capo gilda tiene in gran considerazione la mia opinione, è molto anziano e vorrebbe lasciarmi il suo posto, purtroppo è ancora in corso il processo per quella piccola faccenda del contrabbando e c’è una macchia sul mio cognome che mi impedisce di essere un candidato.
Kieran sentiva un fischio nelle sue orecchie, lo stesso che di solito si può ascoltare prima di svenire. Era nauseato e l’acidità di stomaco lo stava logorando.
Si inumidì le labbra e socchiuse gli occhi, trattenendo a stento la rabbia. Le parole gli uscirono basse e ferali. – Mi state ricattando?
Sventolò una mano. – Suvvia non facciamola così tragica! È uno scambio di favori. Anche dopo la vostra morte le accuse rimarrebbero, ma se le ritirate, io vi assicuro che l’intera Gilda dei Mercanti sarà contro la condanna a morte. Mi sembra vantaggioso per voi, no? Non vi chiedo altro che un favore.
Poteva soltanto immaginare che cos’avrebbe fatto quell’uomo a capo della Gilda. Forse non voleva immaginarlo. I capi gilda godevano di immunità e da un punto di vista giuridico avevano un peso maggiore nei processi rispetto a tutti gli altri cittadini. Sarebbe stato molto più difficile fermare i suoi traffici disumani a quel punto.
– Dovete essere davvero radioso per questa nuova turpe possibilità – mormorò e la sua voce suonò minacciosa anche se le sue labbra erano piegate in un sorriso.
Clifford era un uomo di mezz’età dall’aspetto attraente, sembrava più giovane ed era il classico aristocratico che riceveva proposte di nozze da qualunque direzione.
I due tagliagole si mossero lenti, ma Kieran si irrigidì subito e si voltò di scatto a osservarli. Questo suscitò una risata dal Consigliere.
– Rilassatevi, non sono qui per farvi del male, solo per proteggere me visto il nostro ultimo… spiacevole incontro. Anche se forse nessuno aprirebbe neanche un’indagine sulla vostra morte al momento.
Oh questa era decisamente una minaccia. Beh, non aveva intenzione di restarsene inerme. – Perché non ve ne andate, prima che io vi costringa? – tagliò corto.
– Non siete nella posizione di essere maleducato. E non potete di certo comportarvi da bestia come l’ultima volta, non che mi stupisca, considerata la vostra provenienza. Che lavoro faceva vostra madre? Era una servetta o una prostituta?
Ah dunque siamo già agli insulti sui miei natali. Ci ha messo meno del previsto.
– Era una sarta e dovreste fate attenzione a come parlate.
L’occhiata che gli lanciarono i due tagliagole era lampante: era lui a dover fare attenzione.
Il mercante si lisciò il panciotto. – Non credo abbiate capito la posizione precaria in cui vi trovate. Il popolo vi adora, ma odia di più il traditore, così come le alte sfere. Avete disperato bisogno di alleati, Campione. Tutto ciò che chiedo è una semplice dichiarazione, che diciate che vi siete sbagliato sul mio coinvolgimento in quella brutta faccenda. Tranquillo, non dovete rispondermi subito, c’è tempo ancora e so dove trovarvi, non che possiate andare da qualche parte.
Kieran gli diede le spalle ed entrò in casa senza neanche rivolgergli un saluto educato.
Sentiva di dover prendere a pugni qualcosa, quindi se la prese con le sue sedie, lanciandole a terra e sopprimendo un urlo di rabbia. Odiava reagire così, gli ricordava suo padre, ma aveva talmente tanta frustrazione addosso che non riusciva a stare fermo, rischiava di uscire a cercare quel bastardo per prenderlo di nuovo a pugni. Per questo non tornava quasi mai alla capitale, per questo preferiva essere mandato sempre nelle spedizioni a combattere, lui funzionava molto meglio su un campo di battaglia che fra le insidie del Consiglio, delle Gilde e degli aristocratici.
Si sedette sul letto e iniziò a cercare una soluzione. Ce n’era una che continuava a sussurrargli qualcosa in modo seducente, ma ascoltarla significava commettere il più grande sbaglio della sua vita, e questo la diceva lunga considerando quanti maledetti sbagli avesse compiuto in soli ventisette anni di vita.
Analizziamo le mie possibilità.
Mente fredda.
O si adoperava per compiacere i Consiglieri e le Gilde, accettando i loro ricatti squallidi, facendosi manovrare per i loro scopi politici ed economici, oppure cercava di raggiungere l’esperto di sigilli per sistemare questo disastro.
Purtroppo non poteva allontanarsi da Silas e non gli avrebbero mai dato il permesso di spostarlo o di portarlo con sé.
Prese il sacchetto nascosto nel doppiofondo del suo comodino e lo osservò col cuore a mille.
C’era una terza opzione, ma aveva paura anche solo a pensarla davvero. Significava rischiare tutto, non doveva vagliarla prima di aver tentato il tutto per tutto. Forse era già vicino a prenderla davvero in considerazione.
Nei prossimi giorni avrebbe chiesto udienza ad alcuni Consiglieri per sondare il terreno.
Se la situazione gli fosse apparsa peggio del previsto, beh, poteva ricorrere alla soluzione più drastica. A quel punto sarebbe dovuto andare da lui.
 
*
 
Erano passate alcune settimane dalla discussione con Clifford e tutto era precipitato. La votazione si era conclusa a suo favore e questo di per sé sembrava positivo.
Dovrei essere contento almeno del risultato. Sono vivo, no?
 Peccato che per ottenere quel risultato aveva dovuto promettere ogni genere di sporco favore a Consiglieri e nobili, al punto che si domandava se non fosse stato meglio morire con dignità e basta.
Era leale, sì, ma non era un cavallo da traino pronto a essere sfruttato tutta la vita e poi mandato al macello, non era disposto a subire la stessa condanna di Silas per quel maledetto vincolo. La condanna a morte era stata annullata per il momento, ma niente impediva alle Gilde e all’aristocrazia di strumentalizzarla ancora per obbligarlo a nuove corruzioni. I guerrieri di Ferro erano la Gilda più indipendente e autonoma, dunque era molto difficile corromperla o strumentalizzarla. Tenerlo al guinzaglio doveva sembrare un’occasione troppo ghiotta a certe persone per ottenere i permessi necessari a disboscare qualche area protetta dalle fate e costruire nuove fabbriche. Ormai avrebbe dovuto mantenere la parola sulle promesse che aveva fatto, se non voleva ritrovarsi al punto di partenza; questo bastava a rendere il suo umore nero.
Provava parecchio disgusto verso il Consiglio, verso le Gilde e soprattutto verso sé stesso in quei giorni, e certo, questo accadeva spesso ogni volta che beveva un po’, ma era un disgusto diverso stavolta, molto più radicato. Aveva evitato i suoi amici e aveva passato le giornate a bere e a immaginare alcuni individui incorrere in una morte violenta. Era convinto che ci fosse un fondo da raggiungere, ma forse poteva scendere ancora più in basso se si ingegnava a trovare il modo. Non chiedeva molto, solo di potersi prendere una vacanza e svolgere tutte quelle attività che fanno le persone in vacanza, come sospirare sulle rive di un laghetto, fumare un sigaro durante una noiosa battuta di caccia, fare lunghe e inutili passeggiate all’aria aperta a parlare di sport e vaporette, o di qualsiasi argomento parlassero i nobiluomini di solito. Non chiedeva così tanto.
E non ho ancora sentito notizie da William.
Temeva il suo ritorno alla capitale. Non voleva incontrarlo, era certo di non riuscire a reggere.
La sua rumorosa autocommiserazione lo aveva riportato a casa, la sua vera casa, nei quartieri più poveri di Railia, la zona delle fabbriche. Lì l’aria era spessa dai fumi e dall’umidità, la ruggine era ovunque così come la muffa; le case erano baracche ammucchiate lungo il fiume, le poche vaporette presenti erano mezze scassate o prive delle ruote e abbandonate.
Il suo quartiere era un ammasso di casupole povere, ma aveva comunque un che di pittoresco, con il pozzo, le donne che lavavano i panni nel fiume, gli operai e le operaie che sciamavano dalle fabbriche, sporchi e stanchi, i bambini che correvano da una parte all’altra come biglie colorate. Le piccole botteghe erano spartane e umili, vendevano a poco prezzo e chiudevano al tramonto, per poi riaprire all’alba.
Kieran non andò nella sua vecchia casa, ormai non la abitava più nessuno. Suo padre era morto dieci anni prima, non che gli fosse mai dispiaciuto, non era neanche tornato per il funerale. Sua madre invece si era spenta cinque anni prima, mentre era lontano a combattere. Le aveva portato i fiori soltanto una volta, insieme a un cesto di macarons, che adorava e che le regalava sempre quando tornava dall’Accademia con alcuni vestiti a brandelli. Malgrado tutti i suoi rimproveri e le sue lezioni non aveva mai imparato granché a ricucirsi i vestiti da solo e ormai aveva abbastanza soldi da permettersi nuovi abiti.
Si recò invece nella bottega di Magda. Era un piccolo negozietto di magia, Magdalena vendeva talismani, feticci, erbe, impacchi, pozioni e forniva anche consulenze da chiromante. Kieran ormai conosceva abbastanza di magia da sapere che il servizio che offriva Magdalena fosse piuttosto sleale. Non voleva usare la parola cialtroneria, perché Magdalena ci credeva, ma i talismani e gli oggetti che vendeva non contenevano parti organiche di fate, dunque non potevano contenere magia. Spesso non si faceva neanche pagare, accettava qualcosa da mangiare o un invito a cena, era conosciuta in tutto il quartiere ed erano in molti a farle visita per chiedere rimedi o aiuti. Kieran si era convinto che le persone lì avessero soltanto bisogno di qualcuno con cui sfogarsi e parlare, in questo Magdalena era bravissima, non c’era mai un giudizio inflessibile sulle sue labbra, mai una parola crudele, soltanto ascolto.
Raggiunse il negozietto, ancora aperto nonostante il sole fosse tramontato. Aveva una porta in legno decorata da pitture e perline; a fianco compariva una finestra di vetro colorato coperta da una tenda rossa, che rendeva impossibile guardare dentro.
Quand’era piccolo lui e i suoi amici scherzavano sul fatto che fosse una strega che mangiava i bambini cattivi e usava le loro ossa per fare talismani e pozioni. Si sfidavano ad avvicinarsi al suo negozio di notte e addirittura a provare a entrare. Magdalena assecondava i loro giochi fingendosi una strega cattiva, il suo accento dell’ovest poi non aiutava. Alla fine però gli regalava sempre un dolcetto.
Sua madre andava spesso da lei, così come molte persone, soprattutto prima degli equinozi e dei solstizi, per proteggersi dalla magia maligna delle fate. C’erano molte superstizioni, molta scaramanzia e Magdalena era quasi una figura spirituale a cui affidarsi.
Aprì la porta con un respiro profondo e risuonò un campanello in cima alla porta. Scostò la tenda trasparente sull’ingresso e si pulì gli stivali sullo zerbino.
– Arrivo subito – disse una voce femminile da uno stanzino.
Il negozio era piuttosto raccolto, aveva un bancone inondato di paccottiglia mistica, scaffali con cesti pieni di erbe e fiori, ciondoli che pendevano dal soffitto, pozioni impilate sulle mensole, ferri di cavallo, trecce di aglio, bambole di fieno. Al lato del bancone c’era un tavolino coperto da un telo di velluto rosso con due poltroncine consunte una di fronte all’altra.
Quel posto non era davvero cambiato negli anni.
– Kieran?
Sussultò appena e guardò la donna di fronte a sé; era come la ricordava, i capelli castani lunghissimi e striati di bianco, il volto segnato da poche rughe e da qualche neo, gli occhi neri truccati da un ombretto acceso. Indossava un corpetto verde e una lunga gonna scura, aveva il collo pieno di ciondoli e due orecchini di osso. Le mani erano tatuate col simbolo del suo vecchio gruppo di circensi itineranti, di quando era molto giovane.
– Ma guarda chi è tornato a salutare! Te la sei presa comoda – e gli sorrise, mentre poggiava una cesta di spezie che aveva fra le mani.
– Mi dispiace di non essere…
– Shhh, non voglio sentire questo. Ma guarda come sei dimagrito! Stavo proprio facendo il tè, perché non ti accomodi? Ho anche dei dolcetti che mi ha regalato Corinne, la figlia dello spazzacamino in fondo alla strada, te la ricordi?
Si grattò la nuca, sopraffatto da tutte quelle parole. – Se devi lavorare…
Raggiunse la porta e girò il piccolo cartello. – Non dire sciocchezze. Ho appena finito. Non restare lì impalato come uno spaventapasseri!
Kieran si sfilò il mantello e lo posò sull’attaccapanni, attento a non urtare i talismani che pendevano. Quel posto aveva il soffitto troppo basso per lui.
– Ancora un po’ e qui dentro non potrai proprio più entrarci, mijai!
Si sedette al tavolino con fare rigido. Non tornava lì da quasi un anno e si sentiva piuttosto in colpa. Magdalena gli era stata molto vicino nella sua giovinezza e dopo la morte di sua madre.
 Era l’unica famiglia che gli restava in città.
– Sei diventato famoso eh.
– Non dirlo con quel tono sorpreso.
– Io sorpresa? Lo avevo predetto a tua madre anni fa! Tuo mijai farà molta strada, vedrai! E avevo ragione, come sempre.
Ridacchiò. – Come sempre – la prese in giro.
– Mph, sei sempre scettico, eppure eccoti qua.
Rovesciò la testa indietro. – Perché volevo vedere te e la tua radiosa bellezza!
– Non mi servono i tarocchi per leggere le tue bugie.
Rise di nuovo. Non era una bugia, Magdalena era davvero una bella donna, e lui si sentiva un po’ come un bambino che dichiara convinto che sua mamma è la donna più bella del mondo. Il sentimento era uguale.
– Ti vedo troppo magro – commentò con le sopracciglia aggrottate, mentre prendeva un vasetto di miele.
In quelle settimane aveva in effetti perso peso per lo stress. – Sto bene.
– No, sei sciupato, sei alto come un rakta, ma magro come un foglio.
Kieran alzò gli occhi al cielo. Era sempre stato piuttosto statuario e grosso, le sue ossa erano grosse, le sue mani, il suo collo, non era mai stato un tipo magro o minuto, anzi, da piccolo era piuttosto rotondo, ma per Magdalena lui era sempre troppo smilzo.
– Quindi non sono più affascinante? Sei crudele.
Magdalena lasciò uscire un verso di disappunto. – Se continui a non mangiare non troverai più molte gambe disposte ad aprirsi per te.
Arrossì vertiginosamente. – Magda! I– io non… non faccio certe cose! Che modo di parlare è questo! – rispose scandalizzato.
Si passò una mano sul viso per dissipare il rossore.
La chiromante rise di gusto. – Hai passato troppo tempo con i nobili se basta così poco per sconvolgerti, ragazzo. E poi ricordo diversamente.
Borbottò imbarazzato alcune proteste e fu salvato dal fischio della teiera sul fornelletto. Dimenticava sempre che le persone lì avevano un modo ben più colorito di esprimersi. Certo, forse ogni tanto si era divertito con qualche ragazza, ma per un soldato sempre in viaggio era difficile trovare una persona con cui instaurare un rapporto, soprattutto per uno come lui, e poi ormai erano anni che non passava la notte insieme a… ahh ma perché ci rimugino sopra!
La donna tornò con la teiera e versò il liquido fumante in due tazze chiare. Non gli offrì alcun latte, non si usava da dove veniva lei e si sedette al tavolo.
Non ho mai bevuto così tanto tè come in questo periodo. Se solo aiutasse davvero a rilassarsi.
– Hai nuove cicatrici.
Si grattò quella sulla guancia d’istinto, un altro regalo di Silas. – Già, gli ultimi scontri non sono stati facili.
Il suo tono tradì forse una certa amarezza e la donna posò la tazza dopo aver dato un sorso. – Raccontami.
Non se lo fece ripetere. Non voleva disturbarla o trattenerla troppo a lungo, ma quando iniziò a raccontare non riuscì più a fermarsi, era come se avesse tenuto il fiato per tutte quelle settimane, nel tentativo di non dire nulla di cui pentirsi.
– Mi sono infilato in un vero disastro… –  scosse la testa.
Erano mesi che la sua rabbia verso il Consiglio aumentava, erano mesi che le alte sfere si comportavano in modo scorretto e tirannico nei suoi confronti, no, erano anni.
Aveva sputato sangue per loro, si era spezzato le ossa, aveva perso compagni, aveva passato notti insonni a combattere nel fango contro creature terrificanti. Non riusciva a dormire senza avere incubi, i rumori forti gli scatenavano la tachicardia e risentiva il suono delle bombarde: aveva dentro di sé una violenza che non si adattava più a una vita normale. Aveva dato tutto per la Gardenia, si era fatto spedire in ogni lurido avamposto di disperati a rischiare la vita, senza mai protestare. Aveva sconfitto la Falena, uno dei peggiori nemici del loro stato, un criminale inafferrabile e pericoloso, lo aveva trascinato da loro senza fiatare.
E loro lo ripagavano così, con ricatti, minacce, manipolazioni. Il Consiglio lo sapeva, ma non gli importava.
Quando finì di parlare il tè si era freddato e lui si sentiva svuotato.
– Restare in alto ha il suo prezzo e tu hai sopportato molte difficoltà per arrivarci. I guerrieri di Ferro sono strumenti di morte che vengono usati per fare violenza, e una volta esaurito il loro compito vengono gettati in pasto alle fate. Non mi sorprende tutto quello che mi hai detto.
Sbuffò in modo rumoroso. – No, non di nuovo.
La donna alzò il mento. – Sai come la penso.
 – I guerrieri di Ferro proteggono le persone dalle fate. Tu non hai mai visto cosa può fare una fata Purosangue, la loro magia è folle e potente, non hanno bisogno di nulla, ti uccidono facendo bollire il sangue nel tuo corpo o creando piante dal tuo cervello, senza di noi le persone non avrebbero scampo. Loro non mi hanno usato, è sempre stata una mia scelta, tutto questo non significa nulla, è una situazione fuori dall’ordinario, non è con loro che sono risentito, sarò sempre leale al Ferro… – mormorò, non del tutto convinto.
Magdalena non aveva mai ostentato molto entusiasmo per la sua scelta di diventare un guerriero di Ferro, si era sempre dimostrata tiepida a riguardo. Riusciva a capire il perché, il Ferro era la difesa della Gardenia, non erano guardie o soldati comuni, ma guerrieri istruiti e addestrati a combattere le fate e la loro magia, erano una rigida e importante divisione militare d’élite. Essere un guerriero di Ferro non era un lavoro, ma una scelta di vita, la maggior parte non viveva abbastanza da raggiungere l’età avanzata. Le persone come Magdalena, amiche del popolo fatato, li ritenevano degli sterminatori, dei violenti, ma non conoscevano davvero la situazione ai confini. Non avevano mai visto con i loro occhi quello che una fata ostile poteva fare a un essere umano o a decine di loro.
– So che non mi stai dicendo tutto, se qualcosa ti tormenta non è perché non hai una scelta, ma perché ce l’hai, giusto?
Deglutì e bevve il tè freddo. – Dammi tregua Magda…
– Ti butti a capofitto negli scontri senza paura, ma non hai il coraggio di dire ad alta voce i tuoi pensieri? Ah, tua madre ti ha insegnato meglio di così! So che con quel visnakti di tuo padre a casa era difficile esprimere i propri pensieri, ma se la Gardenia è un altro padre pigro e ingrato che guarda solo ai tuoi fallimenti, vale la pena tacere di nuovo?
Lasciò uscire un verso di frustrazione. – Odio quando parli così, avresti fatto faville nei salotti degli intellettuali, io non capisco mai nulla dei loro discorsi.
Gli occhi scuri di Magdalena lo stavano osservando in attesa, pazienti. Aveva acceso dell’incenso e l’aria si era riempita di un piacevole odore dolciastro. Sospirò, appena stordito dall’aroma e cominciò a raccontarle la folle idea che gli era venuta in mente.
– Se vado fino in fondo… non so che tipo di uomo diventerò. Un traditore sicuramente, un uomo senza onore.
– Un uomo che sa pensare con la propria testa. Sei un soldato, d’accordo, ubbidisci agli ordini. Ma sei molto più di questo, hai una coscienza, non sei un ingranaggio di una vaporetta o di un automa, sei una persona.
Scosse la testa, pallido. – C’è un confine da cui non si torna indietro. Il confine che ha passato Silas sette anni fa. Che ipocrita sarei ad andare fino in fondo? Non posso, tutto quello che mi è stato insegnato mi dice che è sbagliato.
– Kieran – mormorò e il suo tono era serio. – Se ti giustiziano insieme alla Falena, cosa ne sarà di tuo fratello?
Sussultò appena e sentì la bocca seccarsi. Non riuscì a rispondere.
– So che mandi quasi tutti i tuoi soldi a lui, ma quanto tempo passerebbe dopo la tua morte prima che qualcuno arrivi a lui? Senza di te non è detto che sopravviva.
Socchiuse gli occhi. L’incenso gli stava dando alla testa. – Lo so. Lo so. Lo so. Un tempo avrei fatto tutto ciò che mi chiedevano forse, per quanto ero disperato, ma ora ho la possibilità di scegliere, di rifiutarmi. A cosa serve arrivare in alto se sono sempre costretto ad andare contro me stesso? Non è per questo che sono diventato un guerriero di Ferro, non è per questo che ho stretto i denti e…
Si passò una mano sul viso.
Che tipo di uomo vuoi diventare?
La domanda che gli aveva rivolto il suo maestro, dieci anni prima, non aveva mai smesso di tormentarlo.
– Anche con Silas non doveva andare così.
– Non volevi che morisse? O lo volevi?
Strinse un pugno sul tavolo e osservò il fondo della tazza. – Per anni ho voluto annientarlo, ero fuori di me per quello che aveva fatto. In parte lo sono ancora. Ma non sono un idiota, so che ci sono molte cose di cui non sono a conoscenza, ci deve essere uno straccio di motivo se uno come Silas getta alla malora una vita radiosa e destinata al successo per diventare un traditore e un reietto. Non che abbia importanza in ogni caso, non è che questo potrebbe mai cambiare il passato.
Magdalena tirò fuori i tarocchi e spostò le tazzine. – Lasciamo parlare le carte.
– Oh sì, è proprio quello di cui avevo bisogno, mettere il mio futuro in mano a dei pezzi di carta, già che ci sei chiedigli se Dalia mi ridarà mai quei soldi che le ho prestato – commentò con un’alzata d’occhio, mentre poggiava il mento sulla mano.
– Smettila di fare lo sciocco – rispose lei pacata. – Vediamo cosa dice il tuo futuro.
– Non capisco come possano aiutarmi, credi sul serio che baserò la decisione più rischiosa della mia vita su un mazzo di carte con dei bei disegni? Sono disperato, ma non così tanto. Non ancora, per lo meno.
Magdalena distese i tarocchi a faccia in giù di fronte a sé e spostando la mano di lato li fece scorrere affinché fossero tutti visibili. – Questi tarocchi mi sono stati donati da una fata Purosangue.
Non sapeva se fosse sincera, ma percepiva una lieve magia fatata da essi. Erano molto vecchi, eppure ancora in buone condizioni, avevano disegni contorti e inquietanti, molto sinistri con tinte scure e cupe.
– Neanche la magia fatata può predire il futuro, detesto dirtelo. Ho studiato le loro magie e so riconoscerle, la preveggenza non rientra fra queste.
– Certo, non delle fate che abitano il nostro continente. Non in quelle che l’essere umano ha conosciuto.
Ebbe un brivido a quelle parole. Nessuno sapeva cosa ci fosse oltre il loro continente, se non per quanto riguardava le Terre Spezzate, e di certo non era posto per esseri umani.
Magdalena prese le sue mani fra le proprie e le passò sopra i tarocchi a occhi chiusi. Kieran si sentiva piuttosto sciocco, ma la assecondò.
Ne estrasse tre e le dispose di fronte a lui.
Il Mago. L’Appeso. Il Diavolo. L’ultima carta era rovesciata.
Magdalena impallidì appena quando vide la carta del diavolo rovesciata, si strinse nello scialle e aggrottò le sopracciglia.
Kieran guardò perplesso le figure. Si sentiva di nuovo come un bambino impaziente. – Beh? Cosa dicono di catastrofico? Avrò ancora i capelli fra qualche anno?
Percepiva la magia più intensa dalla carta del diavolo e spostò anche lui lo sguardo. Fece per toccarla ma la donna glielo impedì.
– No, fermo.
Bloccò le dita a mezz’aria. – Immagino che sia grave dalla tua faccia. Puoi anche dirmi come sarà la mia vita amorosa? Perché è stata piuttosto carente negli ultimi ventisette anni.
Magdalena non rise. – Kieran… la Falena, è un potente incantatore, giusto?
– Lo è, purtroppo.
– La carta del mago vi rappresenta entrambi, è positiva, indica una persona intraprendente che crea la propria fortuna, intelligente che usa i mezzi a sua disposizione.
– Beh per il male, ma sì, Silas è così. È talentuoso e intelligente, per quanto le sue abilità siano votate a devastare la mia vita in ogni aspetto possibile. Non che la prenda sul personale, c’è chi ha un vicino di casa fastidioso, io ho un terrorista ossessionato dall’uccidermi e legato alla mia anima da qualche rituale demoniaco. Capita.
Poggiò il dito sull’appeso. – Anche questa carta è legata a entrambi. Il vostro vincolo è molto forte, i tarocchi non stanno predicendo solo il tuo futuro, ma anche il suo.
Quella frase lo costrinse ad aggrottare le sopracciglia e a farsi più serio. – Cosa significa quella carta?
– Una situazione scomoda, negativa, la carta simboleggia un sacrificio, una condizione sfavorevole da sopportare per raggiungere uno scopo. Richiederà sforzi notevoli, rinunce, prove difficili. Perché reagendo in modo sbagliato, quella che è una situazione dolorosa temporanea potrebbe diventare permanente.
Non voleva farsi impressionare. Sapeva che era soltanto suggestione, Magdalena conosceva ciò che le aveva raccontato e rimaneggiava di proposito, ma iniziava a essere tutto reale in modo inquietante.
– Suppongo sia… accurato – mormorò con tono asciutto. – Se farò una certa scelta.
Infine spostò gli occhi sul diavolo. – E questa?
Magdalena pareva turbata da quella carta. – La fata che mi diede queste carte non era una fata benevola. Mi disse che fintanto che avessi letto le carte alle persone, il futuro si sarebbe aggiustato, a volte nel male e a volte nel bene, ma sempre nel giusto equilibrio. Ancora adesso non so che cosa volesse dire. Mi disse anche che nel giorno in cui fosse uscita questa carta, la nostra riunione sarebbe stata vicina.
– Mi sono perso, lo ammetto.
Prese il diavolo fra due dita. – Non è mai uscita questa carta. Ho il mazzo da vent’anni e mai, neanche una volta è uscita fuori. Non so che cosa significhi che sia uscita ora, lo ammetto, ma simboleggia un grande male, qualcosa che sta arrivando, qualcosa di terribile.
Kieran alzò un sopracciglio. – Allora si riferirà certamente a Silas, gli mancano solo le corna ed è lui sputato uguale pronto a mandare alle ortiche la mia vita un’altra volta.
E Thomas vorrebbe vietarmi il sarcasmo. Che cosa mi rimarrebbe a quel punto? La malinconia? Il fallimento? Il rimpianto? No grazie.
Magdalena scosse la testa, ma non disse nulla. Divenne pensierosa, gli occhi puntati sul disegno grottesco del diavolo.
Kieran non era molto preoccupato da quelle parole, né dal tono scosso di Magdalena. Non credeva in quel tipo di scaramanzia, ed era vero che viveva in un modo di follia e magia e non avrebbe dovuto essere scettico, ma aveva imparato da tempo che, a prescindere dai segnali, il futuro non avrebbe mai preso una direzione facile da prevedere.
– Dunque, le carte hanno qualche consiglio utile o vogliono solo spaventarmi?
Alzò gli occhi scuri su di lui e prese le carte, riunendo il mazzo. – Le carte non danno consigli, predicono il futuro. E sanno già che scelta prenderai. Come lo sai anche tu d’altronde.
Non avrei dovuto chiedere.
 
 *
 
Silas non era del suo umore migliore, ma se doveva essere sincero con sé stesso, – e lui detestava doverlo essere, – era da qualche tempo che non lo era. Da quando aveva perso lo scontro delle Steppe, sconfitto dai colpi di Kieran. Non aveva davvero considerato di poter perdere, certo, Kieran era forte, una delle persone più forti che avesse conosciuto forse, era potenza fisica, bruta, ma anche riflessi e istinto. Ma lui era pur sempre un Discendente, nelle sue vene scorreva il sangue fatato di una fata Purosangue, aveva studiato e approfondito la magia, aveva ucciso ogni maledetto cacciatore di taglie inviatogli dal Consiglio.
Kieran però era inarrestabile. Silas era un discreto spadaccino, aveva pur sempre ricevuto anche lui l’addestramento e ai tempi dell’Accademia riusciva a contrastarlo con scioltezza. Non a vincerlo sempre, no, ma a non essere sconfitto.
– Cammina più in fretta, scherzo della natura.
Le catene lo strattonarono avanti bruscamente, ma non perse l’equilibrio. Aveva i polsi scorticati, ma il dolore non lo preoccupava. Erano poche ormai le cose che lo preoccupavano.
Le guardie lo stavano trascinando da qualche parte; lo avevano prelevato in gran segreto e bendato.
Quando gli sciolsero la benda, si ritrovò in una sontuosa sala di velluto rosso, arredata con divanetti pacchiani, un narghilè di vetro colorato, dei tendaggi trasparenti e alcuni dipinti raffiguranti festeggiamenti, vino e banchetti. Si accorse anche di un letto a baldacchino e iniziò suo malgrado a intuire qualcosa.
Karrol era stravaccato su uno dei divanetti con una ragazzetta giovane fra le braccia, avevano due bicchieri di vino ed erano entrambi nudi.
Il Consigliere non era l’uomo più attraente del mondo, certo, aveva visto di peggio, ma rimase infastidito dall’occhiata languida che gli riservò.
– Ed eccolo qui, la Falena. Ti aspettavo.
Silas incurvò le labbra in un sorriso mellifluo. – Aspettavate me? Oh non dovevate.
Si alzò e gli venne incontro, non prima di aver indossato una vestaglia di velluto blu. Aveva diverse rughe e i capelli spettinati, il fisico un tempo doveva essere stato aitante, ma ora era piuttosto molle.
Gli afferrò il viso con violenza, tirandolo avanti. Aveva un’espressione famelica.
– Ricordi quando ti ho promesso che te la avrei fatta pagare per come mi hai ridicolizzato a Verlain?
Avrebbe voluto avere la memoria corta, ma ricordava bene la cocente sconfitta inflitta al Consigliere. Non era sorpreso, aveva dichiarato guerra al Consiglio, aveva rubato e ucciso tutti quelli che si erano messi in mezzo, sapeva che lo avrebbero fatto a pezzi se avessero messo le mani su di lui.
D’altronde lo avevano già fatto.
– Le mie più sentite scuse consigliere, non ricordo molto i perdenti.
Un pugno in pancia lo fece piegare in due e tossire, non era molto forte, ma lui era debilitato e aveva ancora una costola incrinata.
– Così arrogante. Anche quella volta, infatti non m’importa di ucciderti o torturarti, l’unica cosa che voglio è insegnarti un po’ di umiltà.
Gli strattonò la maglia nel tentativo di denudarlo. – Prima potreste almeno corteggiarmi, Consigliere.
Cercò di trascinarlo verso il letto, ma Silas era irremovibile. Era un soldato e si era addestrato, un vecchio qualunque non poteva certo prenderlo e trascinarlo come una bambola. Rimase fermo agli spintoni irrigidendo i muscoli, era anche piuttosto alto e si divertì a vedere i tentativi goffi del Consigliere. La sua altezza era una delle poche cose che poteva vantare contro Kieran, non era muscoloso quanto lui, anzi, ma almeno era più alto.
– Aiutatemi idioti.
Le guardie lo trascinarono di peso e stavolta resistere fu inutile. Per sua fortuna aveva un’ottima resistenza al ferro, ma gliene avevano fatto ingerire troppo ed era piuttosto esausto. Fu lanciato sul letto di schiena e si ritrovò schiacciato sotto quel porco.
Il Consigliere gattonò sopra di lui. – Prima che ti uccidano, sarebbe un peccato non usare un po’ questo corpo. So che a voi Discendenti piace.
Silas gli mostrò il suo disgusto in un’occhiata, ma non tentò altre mosse. Se voleva fare i suoi comodi col suo corpo, era il benvenuto. Non gli importava d’altronde, era già preparato all’idea.
– Che fortuna che vi si rizzi ancora, Consigliere, altrimenti avrei potuto aiutarvi con un pizzico di magia…
Un altro colpo, stavolta in faccia. Aveva poche certezze nella vita, e una di quelle è che sarebbe morto dopo una battuta sarcastica, tutto il resto non gli importava.
Karrol si aprì la vestaglia e iniziò a smanettare con i pantaloni di Silas, che erano due stracci consunti. Era sporco, i giorni di prigionia non erano stati granché lussuosi.
Aveva il naso spaccato e il sapore del sangue in bocca, non gli sarebbe dispiaciuto svenire, ma era certo che quel maiale lo voleva sveglio per violentarlo.
– Dicevano che eri una puttana nel tuo esercito, Silas.
– E io ho sentito che eravate uno che ci sapeva fare a letto, temo che entrambi rimarremo delusi.
Le mani lo stavano toccando e avrebbe voluto mozzarle; ce la avrebbe fatta se avesse avuto ancora la sua magia. Sentì le dita poggiarsi fra le sue gambe e represse un conato.
– Signore…
Karrol si voltò seccato verso le guardie. – Potete andare.
– Il Campione sta chiedendo del prigioniero, dicono che è molto insistente e non vuole andarsene.
Silas voltò appena lo sguardo.
Karrol grugnì. – Ditegli che sta venendo interrogato.
– Quindi è questo il genere di giochi che vi piace, Consigliere? Devo fingere di provare dolore e implorarvi di smetterla? – domandò divertito. – Ci sto.
Si ritrovò le labbra di quell’uomo premute sul collo, i denti che gli azzannavano la carne tenera per lasciare un segno.
Doveva solo sperare che finisse in fretta.
– Signore, sta davvero insistendo. Potrebbe diventare rischioso…
Karrol lanciò una bestemmia colorita. – Riportatelo nelle celle per ora, poi riportatelo subito qui.
Lo tirarono su per un braccio, ma il Consigliere lo afferrò per i capelli. – Dì una parola e ti faccio tagliare il cazzo, mi hai capito?
Quella minaccia ebbe effetto. Ci teneva ai suoi gioielli. – Ma certo, non vedo l’ora di tornare fra le vostre braccia – rispose alzando gli occhi al cielo.
Non era così falso. Avrebbe preferito qualsiasi cosa a incontrare Kieran. Non mi lascerà mai in pace quell’idiota.
 

Quando lo riportarono in cella trovò l’idiota ad aspettarlo. Era poggiato con le spalle contro il muro scuro della prigione, le braccia conserte e l’elsa della spada che sbucava fra le scapole.
Si confondeva nel buio con gli abiti scuri e i capelli rossi rasati ai lati. Kieran era troppo sgraziato per ricordare la leggiadria delle statue di eroi mitici, ma non aveva nulla da invidiare ai loro muscoli. Bastava guardarlo per avvertire un senso di potenza, bruta e grezza a primo acchito, tesa sotto la pelle dei muscoli. Silas sapeva che era invece uno spadaccino piuttosto agile.
– Dov’era – esordì con un tono talmente autoritario da far dimenticare le due guardie di un possibile punto interrogativo finale. Era un ordine, non una domanda.
– A un interrogatorio.
– Con chi? – chiese sospettoso.
Una delle guardie sembrava meno imbecille del suo compagno e mantenne il controllo. – Con il comandante Aiden.
Non sembrava convinto, ma non fece ulteriori domande. Spostò infine gli occhi sul prigioniero e Silas fu costretto a sostenere lo sguardo e a sorridergli con una finta affabilità. Guardare quegli occhi chiari gli ricordava il momento cocente della sconfitta, quando aveva perso i sensi. Com’era prevedibile Kieran lo aveva risparmiato e catturato.
Lui non gli avrebbe riservato questa premura.
La sua altezzosità morale era ciò che lo avrebbe portato alla tomba e Silas non vedeva l’ora di spedircelo.
Lo chiusero di nuovo in cella con una spinta.
– Lasciateci soli.
– Ma…
– È un ordine.
Le due guardie si osservarono e poi si dileguarono con un certo malcontento. Almeno il Consigliere li aveva corrotti.
Kieran guardò Silas da dietro le sbarre. Quella sua aria autoritaria era così bizzarra, ma era anche vero che erano anni ormai che non incontrava Kieran al di fuori dei campi di battaglia. Quando andavano all’Accademia insieme, il Campione non era ancora un Campione, tutt’altro, aveva una certa timidezza, se ne stava per conto suo, sorrideva come un idiota quando qualcuno era gentile nei suoi confronti. Erano compagni di stanza a quei tempi, ma sembrava la vita di qualcun altro.
Era cresciuto e in lui era più forte il senso di autorità e controllo, sebbene sempre smorzato da quell’aria pensierosa e fuori luogo che non lo abbandonava mai.
– Non sapevo stessi subendo degli interrogatori. Cosa ti hanno chiesto? – domandò diffidente.
– Se l’arrosto va cucinato con le patate o con le carote. Non avevo una vera risposta.
Kieran ignorò la sua risposta e i suoi occhi si poggiarono con lentezza sul naso spaccato e sul segno di morso che aveva sul collo.
Sembrò perdere la sua sicurezza. Si passò una mano sulla nuca e aggrottò le sopracciglia. Forse in quel suo cervellino aveva intuito qualcosa, perché sembrò disgustato.
Silas si poggiò una mano sul morso e gli sorrise in modo beffardo. – Mi hanno fatto domande interessanti. Sei per caso qui per lo stesso motivo?
L’insinuazione lo fece talmente indignare che s’impettì tutto quanto. – Sono state le guardie? Non accetto questo comportamento all’interno della guardia cittadina.
– Sei in ritardo di qualche anno sia per proteggere la mia virtù, sia per non accettare questo comportamento fra le guardie. Ma non mi sorprende, sei sempre stato poco sveglio.
– Eppure non sono io a stare dall’altra parte di queste sbarre.
Touché.
Non era mai stato un gran perdente. Avrebbe restituito il favore con tanto d’interessi. Sperava di non morire prima, ma le sue chances si presentavano piuttosto basse.
– Se non sei qui per sfogare i tuoi rancori personali, allora cosa vuoi? Fare conversazione? Bearti della tua ridicola vittoria? Ripensandoci, non m’interessa, ma mi farebbe piacere che te ne tornassi da dove sei venuto, Reed.
Kieran appariva inquieto. Il suo corpo aveva quest’energia nervosa e le mani guantate non stavano ferme. Il suo viso era sempre piuttosto calmo e affabile, ma le sopracciglia aggrottate tradivano una certa preoccupazione.
Ciò che lo lasciava sempre sorpreso era il suo essere diventato un uomo in tutto e per tutto. Era un ragionamento sciocco, lo sapeva, ma la persona che aveva davanti era così diversa dal ragazzino dell’Accademia. A sedici anni era molto più anonimo, ormai invece aveva una presenza opprimente, uno sguardo diverso, era alto e non mancava di un fisico da barbaro del nord dei racconti, anche se i capelli rossicci e le lentiggini smorzavano un po’ l’aria da duro, ma non la cicatrice che gli attraversava il labbro al lato o quella sul sopracciglio. Cicatrici che forse gli aveva inflitto lui stesso in uno dei tanti scontri.
Kieran guardò di nuovo il segno sul suo collo.
– Chi è stato? Loro…
– Non hanno fatto in tempo, rilassati, sei più pudico di una ragazzina, ora rispondi alla mia domanda.
Non sembrava convinto, ma qualcosa lo stava corrodendo, aveva persino sorvolato sull’insulto.
– Volevo parlare di ciò che è accaduto al processo, del vincolo, di tutta quella, uhm, simpatica faccenda. Ti avranno detto che la commissione ha votato contro la tua condanna a morte.
Glielo avevano detto con un calcio nello sterno, prima di sputargli addosso e ricordargli che lo avrebbero comunque ucciso nel sonno, dopo averlo stuprato magari. Le guardie di Railia avevano uno charm incredibile, doveva ammetterlo.
– Per ora, a quanto pare tengono più al loro cagnolino fedele che al volermi uccidere. Immagino ti lusinghi.
Kieran non raccolse la provocazione, forse non la aveva neanche sentita, era agitato. – Da come hai reagito so che sei… infastidito quanto me.
Silas si sdraiò sulla brandina con le mani dietro la testa. – Lo ero. Ma improvvisamente l’idea del suicidio è diventata ancora più allettante.
Stavolta Kieran sorrise. – Sei l’ultima persona al mondo che lo farebbe, non hai abbastanza spina dorsale. Non sei andato fino in fondo.
Gli piaceva quando diventava aggressivo, era difficile farlo irritare in fretta, ma quando ci riusciva, Silas provava una soddisfazione indescrivibile. – Non serve per forza spina dorsale, serve non avere più nulla da perdere e io sono proprio lì lì. Oltre il fatto che sarei andato eccome fino in fondo.
– Allora perché non lo hai ancora fatto.
Non rispose subito. Poi si tirò a sedere. – Così sarebbe troppo facile, preferisco aspettare, aspettare che tu ti costruisca una vita, che smetta di preoccuparti di questa faccenda, per poi toglierti tutto nel momento in cui avrai più da perdere. Mi piace l’idea di farti vivere nell’angoscia che ogni momento potrebbe essere l’ultimo.
– Mi dispiace deluderti, ma non hai tutto questo potere su di me e io vivo già come se ogni momento possa essere l’ultimo. A dire il vero rischio molto più di te, sono sempre in missione e vengo ferito spesso. A preoccuparti dovresti essere tu.
– Mi ucciderà prima la noia, tranquillizzati. Soprattutto la noia di dover aver a che fare con la tua inesistente personalità anche in cella. È un modo originale in ogni caso per dire che non hai una vita.
Si offese. – Io ho una vita. Entusiasmante per di più. Molto più entusiasmante di quella di chi sta dietro le sbarre, Vauk.
– Mmh, cos’hai fatto ieri allora?
Lo aveva preso alla sprovvista. Biascicò qualche scusa sull’essere andato a teatro e iniziò a inciampare nella risposta. Silas alzò gli occhi al cielo.
– Risparmiami. Cos’altro vuoi?
Si voltò e andò a sporgersi dal corridoio. Poi tornò di fronte la cella con gli occhi febbricitanti.
– Liberarmi di questo vincolo a qualsiasi costo.
– Faresti un favore anche a me, ma se credi sul serio che lo abbia lanciato io, beh oltre che un arrogante sei anche un povero idiota. Aspetta, in effetti lo sei già quindi non mi sorprenderebbe.
Scosse la testa, seccato dal tono. – Chiudi quella bocca un attimo e lasciami parlare.
– Questa è la vera tortura della prigione immagino, è questo il vero interrogatorio, vogliono vedere quanto resisto prima di impiccarmi mentre tu mi parli con quel tuo tono sonnolento.
– So che per tutta la tua inutile vita hai sempre e solo mentito. Dubito che negli anni dell’Accademia tu sia mai stato sincero. Ma ora voglio soltanto sapere una cosa: vuoi togliere o no questo vincolo?
Lo studiò per qualche secondo, le spalle rigide, gli occhi concentrati. – Naturalmente, lo toglierei anche ora se potessi. Non augurerei a nessuno di essere vincolato a te – e le ultime parole arrivarono dense di veleno.
– Bene. Ho trovato dopo settimane di ricerche un esperto di sigilli, ma abita oltre il confine, all’inizio delle Terre Spezzate.
Si passò una mano fra i capelli neri e sporchi. – E?
– E non posso andarci. A causa tua.
– A causa del vincolo vorrai dire. Mandaci uno dei tuoi galoppini, come quella noiosa ragazza, Dina.
– Dalia e no, non sono i miei galoppini e nessuno può andarci al mio posto. Un vincolo deve essere studiato dal vivo, inoltre lo studioso sembra vivere isolato da tutti in una delle Terre Spezzate, non è possibile contattarlo né mandare lettere.
Qualcosa proprio non tornava, Silas si accorse di alcune piccole omissioni, le registrò nella sua mente e passò oltre. – Dove vuoi andare a parare allora.
– Dobbiamo andarci insieme.
Sbatté le palpebre. – Ti permettono di spostarmi?
Sembrava d’un tratto molto stanco. – No. Ma poco importa, andremo comunque.
La rivelazione stavolta lo lasciò frastornato e sorpreso. Forse aveva capito male o forse Kieran era ubriaco o drogato. – Temo di essere talmente abituato a ignorare ciò che dici da non aver capito.
– Ho intenzione di raggiungere l’esperto di sigilli, con o senza il benestare del Consiglio. E tu verrai con me.
Lo guardò nel tentativo di capire se fosse uno scherzo. Era strano, ma conosceva piuttosto bene le espressioni di Kieran, quelle negative almeno. Si erano affrontati talmente tante volte, picchiandosi, insultandosi e ferendosi, che ormai era abituato a distinguere fra una sua provocazione e la verità. E Kieran era una persona piuttosto diretta e onesta, preferiva omettere che mentire, anche se tempo addietro si era definito un grande bugiardo, ma aveva sedici anni ed era il classico atteggiamento di chi deve sentirsi in colpa per tutto. Non vedeva da molto le sue espressioni felici, anzi, faticava ormai a ricordarlo rilassato, aveva quel portamento nervoso e ritto tipico dei militari rigidi e inflessibili.
– Tu… sei serio – commentò e non poté nascondere lo shock nella sua voce. – Vuoi farmi evadere.
Dovette ripeterlo nella propria testa perché sembrava impossibile.
Kieran socchiuse gli occhi. – Non è come credi. E in ogni caso non ho scelta.
– Con il fatto che la mia vita è sfortunatamente legata alla tua, sono costretto a farti presente che un tradimento di questo tipo ti porterà dritto al patibolo.
Aveva gli occhi circondati da occhiaie e il suo viso lasciò trapelare tutta la stanchezza che gli pesava addosso. – A questo penserò io, non deve interessarti.
– Fatico a credere che l’irreprensibile Campione voglia tradire la sua gente. Mi sembra di ricordare che mi hai chiamato spregevole diverse volte per aver fatto la stessa scelta, Reed.
L’occhiata che gli riservò era talmente ostile che per un attimo provò un brivido. – Non paragonarmi a te e non parlare come se mi conoscessi. Finché hai i sigilli la tua magia è sopita, nessuno può toglierteli se non chi te li ha applicati, grazie al vincolo sento sempre dove sei e senza la tua magia, mi dispiace dirtelo, ma non hai possibilità contro di me. Ti porterò dall’esperto di sigilli in segreto e porrò fine a quest’incubo, al che tornerai qui in cella.
Silas si abbandonò a una risata di gusto. – Vedo che hai pensato a tutto Reed! E io cosa ci guadagno?
– La libertà dal vincolo?
– Puoi per cinque secondi smettere di essere così stupido? Credi sul serio che ti seguirò in questo viaggio comportandomi da bravo bambino per poi tornarmene a marcire in cella ed essere giustiziato e smembrato il giorno dopo?
Si alterò. – Questo è il posto che ti meriti ed è qui che tornerai.
– Ci sono comunque dei compromessi.
Ah vide subito il volto di Kieran contrarsi; odiava quella parola. – Di che tipo?
– Del tipo che non voglio finire sulla forca.
Sospirò. – Sono passato a parlarti prima del processo e hai detto, testuali parole: stanne fuori, non m’importa di cosa mi accadrà.
Silas si sentì punto sul vivo. – Beh si sono presentate nuove… prospettive.
Kieran si stropicciò gli occhi. – Ciò che posso offrirti, se tutto andrà bene e non verremo scoperti, è la mia intercessione. Forse mi offriranno un posto fra i Generali di Ferro, questo aumenterebbe la mia possibilità di intercedere.
Il suo tono era dubbioso, non doveva essere entusiasta della prospettiva di entrare fra le più alte sfere dei guerrieri di Ferro, significava entrare in politica. Non era difficile da intuire, Kieran era un guerriero, non un politico.
Un Generale.
Era ridicolo, non credeva neanche che fosse permesso prima dei trent’anni, la sua sconfitta gli aveva davvero giovato alla carriera. Sarebbe diventato anche lui come quella feccia? Forse già lo era, aveva detto una frase sensata: lui non lo conosceva davvero. Non più almeno.
– E dovrei semplicemente fidarmi che intercederai per evitarmi la condanna a morte?
– Al tuo contrario io non parlo solo per dare aria alla bocca. Per me la parola data ha un valore e tu lo sai.
Di nuovo quell’altezzosità morale. Non poteva però dargli torto, Kieran non si sarebbe rimangiato la promessa, non era nella sua natura. E inoltre per raggiungere il confine con le Terre Spezzate avrebbero impiegato almeno tre settimane senza imprevisti, un tempo sufficiente a sbarazzarsi del Campione e scappare. Poteva cercare di contattare il Gufo o Cavana. Sempre che non lo volessero morto.
– La tua intercessione non vale niente, chiunque lo capirebbe, io non tornerò in cella, questo è certo, ma sai anche tu che farò di tutto per non tornarci.
Kieran si avvicinò. – Ci tornerai eccome, ma se ci tieni tanto, puoi provare a scappare. Ti ritroverò sempre grazie al vincolo.
Silas lasciò uscire un verso d’irritazione. Malgrado tutto, i fatti restavano invariati: là fuori aveva comunque una possibilità, qui dentro invece… nessuna. Tanto valeva giocarsela.
Si avvicinò alle sbarre e allungò una mano. – Direi che abbiamo un accordo allora – commentò con un sorriso soddisfatto.
Kieran guardò la mano come se potesse azzannarlo e sollevò piano gli occhi su di lui. La strinse senza distogliere lo sguardo.
– Se farai qualcosa di sospetto, agirò. Non posso ucciderti, ma ci sono molte altre cose che posso fare per tenerti buono.
Silas lo tirò avanti con uno strattone e il Campione fu preso alla sprovvista. Era comunque difficile spostarlo vista la sua stazza, ma riuscì nel suo intento e avvicinò le labbra al suo orecchio.
– Vorrei proprio vedere queste altre cose. Ricordati però che lo stesso vale per te, Campione.
Si tirò indietro con uno strattone. Distolse lo sguardo, ma forse Silas colse un lievissimo rossore alle orecchie. Se d'imbarazzo o di rabbia, era difficile a dirsi.
– … sopportare difficoltà – bofonchiò fra sé e sé contrariato. Si sistemò il guanto. – Lo faremo stanotte, non possiamo aspettare. Ti porterò nel mio appartamento, poi contatterò il Ferro. Mi ordineranno di trovarti e vorranno tenere il tutto segreto, sapere di aver perso un prigioniero del tuo calibro metterebbe in ridicolo la Gilda dei gendarmi e gli stessi Consiglieri, né i giornali né gli altri organi governativi sapranno nulla. Mi daranno la missione in segreto e mi chiederanno discrezione. A quel punto prenderemo il treno per il confine. Dovremo imbarcarci, ma a quello penseremo dopo.
Aveva parlato con l’efficienza rigorosa di un comandante. Silas doveva ammettere di essere stupito, ma quel giorno stava succedendo fin troppo spesso. Kieran non era sempre un idiota, per quanto gli pesasse riconoscerlo. Ma la maggior parte del tempo sì.
– Sospetteranno di te.
– È possibile, ma la votazione si è espresse contro la tua condanna, avrebbe avuto senso farlo prima. Il sospetto ricadrà su qualcuno dei votanti, sanno che hai alleati fra la nobiltà.
Si fece una risata. – Oh sì, moltissimi, mi vengono a trovare tutti i giorni – replicò per nulla divertito. – Io penso che tu sia troppo ottimista. Ti terranno qui come assicurazione e ti uccideranno per ammazzare me.
– I guerrieri di Ferro non lo permetterebbero mai, sono potenti e io ho molta più influenza ora, credi che la votazione sia andata a buon fine per pura fortuna? – sbottò.
Silas lo guardò sorpreso, mentre l’altro sembrava volersi rimangiarsi tutto. – A quanti ti sei venduto per non essere ucciso? – gli domandò con un tono ambiguo. – Gli hai promesso tanti favori? Gli hai offerto la tua compagnia per una notte?
– Non deve interessarti. Ho abbastanza potere da occuparmi di questa missione, non metteranno in dubbio la mia lealtà. È probabile che manderanno qualcuno sulle mie tracce per essere sicuri, ma noi agiremo in fretta. Inoltre sono certo che ogni Gilda manderà qualcuno a cercarti per avere il tuo corpo, il Ferro userà il vantaggio del vincolo e incaricherà me.
– Stai dicendo che sarà una caccia all’uomo?
Kieran si stropicciò gli occhi. – Sì, è quello che temo. Io fingerò di essere uno dei cacciatori, per così dire, e partirò prima di tutti gli altri, con te nascosto.
– Stanotte potrebbe essere un problema.
– Ah sì? Hai qualcosa da fare? – domandò ironico.
– Il Consigliere Karrol mi farà prelevare dalla cella appena te ne andrai ed è probabile che dovrò passare la notte con lui.
L’espressione sbigottita lo ripagò parecchio. Non sembrava in grado di reagire, era disgustato e imbarazzato.
– Q– questo è inammissibile. Perché non me lo hai detto subito?
– Perché non ti riguarda?
– Mi riguarda che un Consigliere abusi di un prigioniero. Mi riguarda se le guardie sono corrotte, e mi riguarda che i prigionieri vengano trattati in modo disumano.
Silas sospirò, ributtandosi sulla brandina con un salto. Cigolò rumorosamente. – Ottimo, hai il mio voto alle prossime elezioni per i capi gilda, sono sicuro che cambierai il sistema con la forza delle tue illusioni.
– Ti ha ferito lui? Che cosa ti ha fatto?
Guardò il soffitto di metallo scuro e resistette alla tentazione di spostare gli occhi su di lui. Voleva interrompere quella ridicola conversazione, ma non voleva apparire turbato. – Mi ha infilato la lingua in bocca e mi ha toccato il cazzo, e io che ricordavo che gli aristocratici dovessero corteggiare prima di fottere. Almeno una passeggiata a Joyful Park poteva offrirmela. Però mi aveva incuriosito, magari mi sto perdendo la scopata della vita senza saperlo.
Mettere a disagio Kieran era uno dei principali scopi della sua vita, al quarto posto, sotto la voce ucciderlo, perché era divertente. Non era un tipo troppo pudico, ma era discreto, ricordava di averlo beccato una sola volta nella stalla in dolce compagnia, ancora sentiva la sua voce mortificata mentre cercava di coprire la ragazza; lo aveva preso in giro per giorni, divertendosi a guardare la sua espressione irritata e la pelle bianca arrossire.
Se solo esistesse una magia per sradicare questi ricordi patetici e ingombranti.
Almeno poteva divertirsi a sbattergli in faccia situazioni e frasi che lo disturbassero.
Difatti Kieran non sembrò prenderla bene.
– È successo altre volte? Da altre persone?
La voce era tornata autoritaria e ferma.
– Purtroppo no, mi hanno solo massacrato di botte che è molto meglio di essere scopato – rispose sarcastico.
– Andrò a fare quattro chiacchiere con il Consigliere.
Ed ecco che tornava un idiota.
– Pessima idea. Non me lo inimicherei in un momento del genere, senza contare che sospetterebbe di te dopo. Non avresti dovuto farti notare mentre venivi a parlarmi. Citando Fergus hai le potenzialità, ma non ti applichi.
– Non dire il suo nome.
L’atmosfera era cambiata repentinamente. Kieran non lo guardava. – Non nominarlo.
Aveva commesso molte cosiddette atrocità negli anni, ma l’omicidio del maestro Fergus era il nucleo dell’accanimento di Kieran nei suoi confronti. La Legione aveva diversi capi, ma il “Campione” non aveva braccato gli altri con la stessa ferocia, con la stessa costanza. Lui era sempre stato il suo bersaglio.
– Mi occuperò io di Karrol. Ci rivediamo fra due ore esatte.
Come voleva occuparsene di preciso? Ebbe un’immagine vivida di Kieran sotto quel porco e fu così bizzarro e interessante immaginarlo in una simile situazione.
Gli venne da ridere a quel pensiero tanto era improbabile. Kieran non sapeva neanche che cosa volesse dire vendersi per sopravvivere.
– Sento che ci divertiremo in quest’avventura – commentò argentino mentre l’altro si allontanava.
Almeno io mi divertirò, quando ti farò pentire di avermi risparmiato.
 

Eccomi di nuovo ^^. 
Questo capitolo era immenso e mi scuso, da qui in poi le cose saranno un po’ più dinamiche, promesso.
Sto cercando di dosare le informazioni per non sopraffare, ma mi rendo conto che non è facile, quindi fatemi sapere se le cose sono troppo confuse o se esagero con le informazioni superflue (le informazioni superflue sono tipo il mio pane quotidiano, potrei scrivere 20 pagine di spiegoni superflui :’D).
Silas anche detto la– verità– ti– fa– male– lo– so fa l’ingresso nei punti di vista. Ha il dente un attimino avvelenato, ma Kieran per ora lo tiene a bada. Più o meno.
 

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Capitolo 3
*** L'Evasione ***





L'Evasione

III
 
 
 
 



Kieran aveva lasciato la prigione di Sidergate per raggiungere il palazzo d’Acciaio, uno dei quattro edifici che circondavano il carcere, nel lato est della città. La notte gli permise di passare inosservato nella zona militare e cercare il colonnello Bervana senza destare attenzioni. Era certo che fosse ancora alzata, non andava mai a dormire prima delle tre di notte, era una di quelle persone instancabili che si ammalavano di lavoro pur di continuare.
Per sua fortuna la avevano rimandata nella capitale una settimana prima a causa di un infortunio, era raro che fosse di istanza in città.
Fu lieto di trovarla sveglia nel suo studio, intenta a studiare la mappa delle zone ancora contese.
Insonne come sempre.
Era una degli ufficiali con cui aveva legato di più nel corso della sua carriera militare, avrebbe davvero voluto che ci fosse un altro modo, ma aveva bisogno di crearsi un alibi e alimentare altri sospetti se voleva che tutto filasse liscio.
– Colonnello?
La piccola lampada ad olio era sbiadita e le lancette dell’orologio a muro erano piuttosto rumorose. Il caminetto crepitava sulla destra, di fronte a una poltroncina di velluto rosso che aveva visto giorni migliori; il tavolo strategico era quasi interamente occupato da una grossa carta geografica ingiallita, fissata da punte agli angoli. Sopra le zone occupate svettavano dei soldatini meccanici di ottone. Contenevano dei piccoli registratori rumorosi che se azionati ripetevano le ultime mosse di quella fazione in poche parole chiavi, che spesso era un metodo più veloce di andare a consultare fogli e scartoffie.
Bervana era in piedi e aveva poggiato un bicchiere di whiskey vicino alla sua pistola col manico in legno. Indossava la divisa degli ufficiali, un farsetto bluette con il simbolo del Ferro ricamato sul colletto, spallacci di metallo dorato, una blusa bianca, pantaloni scuri infilati dentro a grossi stivali lucidi. Aveva uno stocco al fianco e i capelli legati in una treccia.
Al richiamo del nuovo arrivato alzò subito gli occhi stanchi. – Reed? Come mai sei qui?
– Volevo parlare con il prigioniero un’altra volta ora che la votazione si è conclusa. Magari è meno ostile. E volevo anche chiedere se lo avete interrogato negli ultimi giorni.
Bervana cercò di sorridergli, ma era stanca e non la biasimava. Aveva sentito che la situazione ai confini era peggiorata, doveva essere parecchio risentita di non poter essere lì. Fino a qualche settimana fa Kieran era intenzionato a partire per i confini per raggiungerla e a non guardarsi mai più indietro, purtroppo invece era andato tutto a rotoli.
– Volevi interrogarlo a quest’ora, maggiore?
– Io… non riesco molto a dormire in questi giorni. Questa situazione sta diventando insostenibile.
Il segreto per una bugia credibile era sempre quello di condirla di più verità possibile; era così che aveva ingannato suo padre per anni.
Lei annuì, distratta. Gli indicò la poltroncina e Kieran si sedette.
– Whiskey?
– Solo un goccio, grazie.
Gli versò un bicchiere e glielo porse, accomodandosi sull’altra poltroncina. – La Falena ha continuato a negare. La magia ha confermato che fosse sincero, ma non mi fido di certe fatture con uno come lui, lo abbiamo anche malmenato un po’, ma non ha mai ritrattato. Credo che Jeod gli abbia spaccato una costola. Non sanno mai quando fermarsi, poteva ripercuotersi su di te.
Kieran si trattenne dal commentare. Se avesse avuto più spina dorsale, sarebbe stato presente durante gli interrogatori, per impedire che tutto degenerasse. Ma aveva paura di quello che Silas avrebbe potuto dire con lui presente, nessuno gli avrebbe creduto, ma bastava il pensiero a tenerlo alla larga.
– Ho pensato di provare a interrogarlo io visto che non riuscivo a dormire, ma prima quando sono arrivato non era nella sua cella.
Bervana si irrigidì. – Come sarebbe a dire?
– Ho chiesto alle guardie e dopo aver insistito mi hanno detto che era con il comandante Aiden per un interrogatorio notturno.
– Aiden è fuori città – grugnì.
Annuì. – Ho fatto un po’ di pressioni al prigioniero e ha detto di essere stato portato in una stanza della Gilda dei gendarmi dal Consigliere Karrol. Non ho ben capito perché volesse interrogarlo in segreto, però considerata la situazione attuale mi sentirei più tranquillo se ci fosse un ufficiale in certe frangenti. Anche senza magia Silas è pericoloso, ha ricevuto l’addestramento dei guerrieri di Ferro come noi, sa combattere, sa fare a pugni e sa uccidere se deve.
Bervana era disgustata. – Credo di sapere il genere d’interrogatorio che voleva portare avanti. Andrò a congedare quelle guardie per ora e a metterne altre due nel corridoio, non m’importa se sono gendarmi, domani parlerò al nostro Consigliere per dirgli di tenere le sue luride zampe a posto. Non si stancano mai di gettare fango sui gendarmi di Railia, è una vergogna…
Iniziò un lungo borbottio contro i comportamenti dissoluti di alcuni Consiglieri e aristocratici, Kieran finse di ascoltarla come se fosse la prima volta che si lanciava in un’arringa contro i costumi corrotti degli ultimi tempi.
Bervana era una grande guerriera e una comandante paziente e arguta, ma la sua rigidità e compostezza si manifestavano spesso in quei suoi monologhi contro ogni tipo di libertinaggio. I suoi uomini erano fra i più disciplinati in assoluto. E frustrati. Era implacabile con quelli che si azzardavano a frequentare bordelli nei giorni liberi o a infrattarsi con qualche prostituta durante la pausa da un turno. Era contro ogni tipo di eccesso e offesa alla morale, tanto da essersi guadagnata epiteti poco lusinghieri dai sottoposti negli anni. Kieran aveva militato sotto di lei e sapeva che erano soprannomi immeritati: Bervana era davvero capace e abile a tenere i suoi uomini vivi a lungo, riuscendo comunque a ottenere più successi militari di molti altri comandanti. Aveva imparato tanto da lei, e si sentiva un verme a doverla manipolare.
Suppongo che è il tipo di persona che sono ormai.
Doveva stare attento però; Bervana non era un’idiota, cercare di manipolarla eccessivamente la avrebbe insospettita, era stato fortunato a sorprenderla in un momento di stanchezza dove stava sorseggiando un bicchiere. Uno dei pochi momenti di rilassamento.
E io me ne sto approfittando.
– Ti vedo preoccupato.
Alzò gli occhi di scatto dal bicchiere che aveva fra le mani e la guardò come un animale colto in flagrante. – No, solo un po’ stanco.
– So che voi eravate… amici, prima del suo tradimento.
– Non eravamo amici – replicò in fretta.
Non sentiva di mentire. Qualsiasi rapporto di amicizia che avevano avuto ai tempi dell’Accademia, quando dividevano la stanza, non era mai stato reale o autentico.
– Dovresti prenderti qualche giorno, non credo ti possa essere d’aiuto parlare con lui adesso. È molto abile a far saltare i nervi. È tenace, dagli qualche altro mese in isolamento e cederà.
Purtroppo non lo conoscevano a sufficienza per dire qualcosa di simile. Piuttosto che cedere si sarebbe ucciso, per orgoglio forse, più che per lealtà alla sua fazione. Silas non sapeva cosa fosse la lealtà. Ma era logorante e implacabile, sapeva essere paziente e aveva uno spirito di sopportazione incredibile.
Gli venne da sorridere in modo amaro. Non riusciva a smettere di pensare a lui con una certa ammirazione, ma sarebbe stato stupido negare i talenti di quel bastardo, era un prodigio, anche se votato al male.
– Vado a parlare con le guardie. Puoi restare qui se vuoi.
– Credo che andrò a casa, grazie colonnello.
Gli poggiò una mano sulla spalla. – Sono la prima che consiglia allenamento e lavoro per distrarsi dai problemi, ma il corpo ha i suoi limiti ed è controproducente sforzarlo quando non è necessario. Eri ferito gravemente dopo la battaglia e non ti sei fermato un attimo, hai rischiato la vita in tribunale e ora questo. Devi riposarti finché puoi, arrivano notizie infauste dal confine a sud e dal reggimento di Lockwood, so che hai fatto domanda per essere mandato lì…
S’irrigidì. – Era prima che venisse fuori tutto questo – mormorò.
– Non so perché tu voglia andare a buttare la tua vita lì, ammiro il tuo coraggio, ma a maggior ragione ti dico di goderti questi giorni e questa pace.
Non sapeva se fosse la cena o lo schiacciante senso di colpa, ma qualcosa gli stava risalendo per la gola, tanto che fu costretto a deglutire rumorosamente. Gli sembrò di inghiottire rocce e si concentrò per mantenere un atteggiamento calmo. Le preoccupazioni di Bervana erano sempre state piacevoli, ma in quel momento un pugno avrebbe fatto meno male.
– Penso che sarei più utile lì, la vita sedentaria non fa per me – e sorrise.
– Siamo in due allora, qualche settimana ancora qui in città e metterò le mani al collo di qualcuno. Mio marito non mi sopporta più. Noi affrontiamo veri mostri sul campo di battaglia, ma lo preferisco alla burocrazia di questo paese – e scosse la testa, pronta a lanciarsi in un’altra sfilza di borbottii.
 
*
 
 
Erano le quattro esatte di notte quando Kieran agì.
C’erano state molte volte in cui l’ansia aveva reso le sue mani scivolose dal sudore, come la sua prima battaglia con una fata purosangue. Ricordava ancora l’odore dei cadaveri marciti misto a quello dolciastro dei fiori, la risata cristallina e ipnotizzante, le vittime con i corpi intrecciati ai rovi e gli occhi pieni di un orrore impronunciabile. La consapevolezza che perdere non avrebbe significato morire, ma subire sofferenze indicibili per decenni.
Eppure in quel momento l’angoscia gli aveva chiuso lo stomaco in modo altrettanto violento, non era riuscito a mangiare granché e aveva una lieve nausea. Forse perché aveva troppo da perdere o forse perché nel bene e nel male era riuscito a essere coerente con sé stesso e a ubbidire ai suoi superiori fino a quel momento. Aveva sopportato ogni genere di angheria e ingiustizia, aveva pazientato per arrivare fare carriera, ma non aveva intenzione di essere un giocattolo nelle mani del Consiglio. Non voleva morire, non adesso che iniziava a intravedere la cima. Era stanco di essere controllato e manipolato. Il maestro Fergus gli aveva sempre detto che ubbidire agli ordini è importante, ma farsi domande è prioritario.
Non aveva neanche bisogno di porsene troppe, erano già venuti in molti a ricattarlo o a corromperlo. Se voleva essere libero, anche solo in parte, doveva risolvere la situazione.
Ma se qualcuno lo avesse visto…
Si riscosse. Avanti Kieran! Pensa a qualcosa di piacevole, tipo quella volta in cui Silas è scappato a cavallo ed è andato a sbattere contro un ramo rompendosi la testa.
Ridacchiò nervosamente a ripensare al corpo flessuoso che veniva sbalzato via con un’imprecazione.
Doveva mantenere la mente sulle umiliazioni di Silas, quello riusciva sempre a metterlo di buon umore.
 Raggiunse il corridoio della cella. Aveva già addormentato le guardie con una fattura semplice dopo aver usato alcuni capelli di una vecchia fata che aveva sconfitto anni addietro; la magia non era mai stata il suo forte, ma tutti i guerrieri di Ferro dovevano impararne le basi, per capire con anticipo il tipo di magia che il nemico avrebbe scagliato.
Se fossero stati guerrieri di Ferro a guardia di Silas non la avrebbero neanche sentita quella fattura, erano temprati a resistere alla magia, ma il Consiglio aveva negato al Ferro di occuparsi del prigioniero, nonostante questo ne rivendicasse il diritto. Dovevano essere preoccupati che alcuni guerrieri potessero decidere di… occuparsene di persona nella notte; il cameratismo del Ferro poteva rivelarsi molto spietato con chi lo rifiutava e Silas era stato uno di loro prima di tradire. Avevano lasciato la sorveglianza alla Gilda dei gendarmi e questo era il risultato. Poteva già immaginare il Generale Hamilton pronto a umiliare il Consiglio e a denunciarne l’incompetenza.
Silas era sdraiato sulla brandina e sembrava addormentato, ma aprì gli occhi subito quando fu di fronte alla cella. Ogni volta che lo vedeva stentava a riconoscerlo, così magro e pesto.
Avrebbe voluto non sentire quella sensazione negativa quando osservava le sue condizioni, doveva imporsi di rimanere distaccato il più possibile.
– Iniziavo a pensare che te la fossi fatta sotto.
– Metti le mani contro il muro.
Il prigioniero sfoderò uno di quei ghigni insopportabili che alteravano di molto la pazienza di Kieran. E Kieran si riteneva molto paziente, non per vantarsi ma aveva resistito a quattro ore di musiche liriche in un teatro, dunque aveva una lunga capacità di sopportazione. Eppure la voglia di picchiarlo iniziava già a farsi sentire. – Non farmi ripetere.
Quello ubbidì. Si alzò in piedi e si stiracchiò, muovendo il collo e distendendo un braccio.
 – Mi piace questo lato di te: autoritario. All’Accademia avevi quell’aria da garzoncello rintontito.
Aprì la cella mentre tentava di ignorare gli sproloqui dell’altro, usò le chiavi che aveva preso dai due addormentati e la grata stridette sul pavimento. Silas era tenuto in isolamento, lontano dagli altri detenuti, questo giocava a suo favore.
Aveva passato mesi nella prigione di Sidergate come guardia di un Discendente impazzito, un bombarolo che aveva fatto saltare in aria diversi edifici. Pertanto, conosceva bene il funzionamento di quel posto. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe tornato utile per far evadere qualcuno.
– Visto che ti piace questo lato di me, fammi il favore di restartene in silenzio.
Si avvicinò con una corda.
– Dunque sono questi i tuoi gusti, chi lo avrebbe mai detto.
Iniziava a rimpiangere le quattro ore di opera lirica. – Finiscila – bofonchiò e agitò la fine della corda. – Non è il momento di fare il tuo solito teatrino.
Gli tirò le braccia indietro e iniziò a legargli i polsi, ma il contatto con la pelle caldissima delle braccia lo costrinse a rifarlo una volta. Doveva avere un po’ di febbre, ma si sbrigò a interrompere il contatto.
– Se non mi lasci svagare un po’ sarà un lungo e tedioso viaggio.
Diede uno strattone e Silas si girò a lanciargli un’occhiataccia. – Incompetente – mugugnò, mentre la corda gli mordeva i polsi già scorticati dalle catene. – Ora mi spiegherai come faremo ad andarcene? Aprire questa cella è anche semplice per te, certo che essere il Campione non è male, ti si sono aperte un bel po’ di porte rispetto al passato, eh? Ma lasciare la prigione di Sidergate è più complesso, non basterà il tuo bel faccino e qualche “per favore”.
Non aveva bisogno di dirglielo. Sidergate era intessuta di sigilli magici, era una prigione creata per contenere anche persone come Silas. Era scavata nel terreno, al centro della città, dentro un enorme blocco di metallo. Tutto era di metallo lì dentro, ferro e ottone, e nei pasti dei prigionieri fatati venivano aggiunte piccole dosi di ferro in polvere. Li indeboliva tragicamente, e se questo non fosse bastato, le entrate erano chiuse da rune e sigilli molto potenti, che venivano legati a quelli dei corpi dei prigionieri. Silas ne aveva parecchi, gli ingressi lo avrebbero colpito con violenza se avesse provato a oltrepassarli.
– Non passeremo dall’ingresso.
Kieran prese un bel respiro e tirò fuori dalla tasca un foulard pregiato col simbolo di una ragnatela ricamato sopra. Silas lo guardò sbigottito, doveva aver riconosciuto lo stemma. Trasse poi fuori un gessetto rosso sanguigno.
Era l’oggetto più prezioso che avesse mai avuto, aveva provato a farlo valutare e il mago in questione era sbiancato: gli aveva detto di non tirarlo mai più fuori se non voleva ritrovarsi morto e derubato il giorno stesso. Non ne conosceva del tutto la composizione, ma veniva da una fata purosangue antica, sentiva quella magia terrificante ogni volta che lo toccava.
Gli occhi viola di Silas si riempirono di avidità a vederlo. – E questo come te lo sei procurato?
– Non è importante, sai usarlo, no?
Alzò subito lo sguardo su di lui. – Puoi giurarci che so usarlo. Ma con i sigilli non posso adoperare la magia, neanche se proviene da un artefatto di quella portata. I conduttori entrano in risonanza con la nostra magia, se è sigillata non succederà nulla.
– Spiegami come usarlo allora, dovrai essere il più preciso possibile.
Silas sbatté le palpebre. – Questo sarebbe il tuo piano? Ah, sapevo che non potevi essere diventato sveglio all’improvviso e ora ne ho la conferma.
– Non c’è altro modo, credi che non mi sia arrovellato su come farti uscire da qui? Io sono bravo a tenere la gente in questa prigione, non a farla uscire!
Silas pronunciò un’espressione colorita in un’altra lingua e suonò come un insulto. – Il gessetto contiene sangue fatato molto, molto potente, lasciamelo studiare un attimo. Quanto tempo abbiamo?
– Poco, mezz’ora al massimo.
Esitò, poi gli mostrò il gessetto. Silas non poteva raccoglierlo legato com’era, ma lo costrinse ad avvicinarglielo.
– Incredibile – mormorò fra sé e sé, meravigliato, gli occhi viola che luccicavano appena. – Un gessetto, davvero ingegnoso. Il contenuto organico è stato fuso in questa forma per facilitare certi tipi di magie.
– Di che genere?
Inclinò il capo. – Di quelle potenti e pericolose. Quelle che alterano la realtà.
Kieran lo osservò senza dire una parola. Magia astratta, una delle più instabili e sconosciute.
Silas alzò lo sguardo dal gessetto e osservò la parete di ferro.
– Devi disegnare un’entrata sulla parete, più è precisa e meglio è. Poi devi ripetere qualcosa che ti faccia pensare al posto verso cui vuoi andare, una melodia, una filastrocca.
– Rimarrà una traccia se indagheranno?
Scosse la testa. – Il ferro la cancellerà, ma per noi sarà difficile attivarlo, il ferro diminuirà la portata, quindi scegli un luogo vicino. Spero che tu sia migliorato con le arti magiche. È un potente manufatto, persino tu dovresti riuscirci.
Guardò il gessetto poco speranzoso. – Ammetto che il disegno non è esattamente una delle mie tante qualità…
– Immagino che siamo spacciati, perché mi sorprendo d’altronde. Ma non mi darò per vinto subito. Prendi il gessetto e disegna, devi farlo tu, da me la magia non scorre in alcun modo.
Kieran dubbioso ubbidì e iniziò a passare il gessetto sulla parete. Non vedeva quasi nulla e la voce di Silas lo guidò nel processo. Le linee rosse tracciarono quella che per lui era una porta, disegnò un pomello e s’interruppe. Non credeva che un gessetto potesse scrivere così bene sul ferro, ma sapeva di avere in mano un oggetto speciale.
– Ora ripeti qualcosa che ti faccia pensare al luogo dove vuoi andare.
– Ed è così facile?
Lo guardò come se fosse un idiota. – Hai un oggetto davvero potente, dunque lo è. Al mercato nero lo vendono per cifre esorbitanti, giusto un Consigliere potrebbe permetterselo, ipotecando qualche villa, e perché esista, una fata purosangue antica è morta e le sue ossa sono state usate per la polvere e il sangue per il colore. Ti basta come spiegazione?
Kieran guardò il gessetto con aria contrariata. Le fate purosangue erano di per sé rare, ma quelle antiche erano talmente poche che mettere le mani sui loro corpi era pressoché impossibile. La quantità di magia che possedevano era incalcolabile.
E io ne sto sprecando una parte per fare evadere questo figlio di puttana.
– Era un dono. Pensi che si possa usare per spezzare il nostro vincolo?
Non sapeva se gli avrebbe risposto in modo sincero, non gli conveniva d’altronde, ma doveva chiederglielo. Silas osservò la porta disegnata. – Forse, se avessi la mia magia, potrei riuscirci, con grandi difficoltà. Ma purtroppo non ce l’ho. È possibile che i maghi del Diaspro possano usarlo per spezzare il vincolo, non è detto, la magia dei sigilli non si sposa bene con quella fatata, ma se scoprono che hai un artefatto di quel tipo te lo porteranno via e basta, cercheranno di scoprire come facevi ad avere un oggetto così… interessante. Ammetto di essere altrettanto curioso.
La morte di una fata antica era qualcosa che andava segnalato al Ferro e al Consiglio, perché rimescolava la situazione politica. Le fate antiche regnavano indiscusse su alcune zone da centinaia di anni, la scomparsa di una era un evento più unico che raro.
– Era un dono, te l’ho detto.
– Chiunque te lo abbia fatto deve amarti follemente. E avere una gigantesca quantità di soldi immagino.
Sospirò. – Credi che funzionerà?
– Se lo dici con quel tono no di certo. Devi rievocare un’emozione. La magia fatata è emozioni, per questo disegniamo, recitiamo filastrocche o poesie o melodie o preghiere, per focalizzare l’emozione che ci serve.
– Lo so, lo so, non farmi la lezioncina.
Silas era sempre stato molto pedante sulle questioni magiche, non poteva fare a meno di comportarsi da maestrino arrogante quando si entrava in quei discorsi. Notava con dispiacere che in quest’aspetto non era cambiato.
Il primo tentativo andò a vuoto, il secondo non fu da meno. Gli insulti eleganti e nervosi di Silas non aiutavano granché.
– Non riesci a provare una singola emozione? Io non ho mai visto una persona più repressa di te.
Si trattenne dal colpirlo. – Sono agitato e in più sono un soldato, non tutti qui sono irrazionali ed emotivi come te.
– No, hai solo l’emotività di un sasso, uno di quei ciottoli da giardino inutili, come tutti voi umani.
– Al massimo sarei uno splendido quarzo costoso, ma in ogni caso sei umano anche tu.
Alzò gli occhi al cielo. – Solo per metà, fortunatamente. Ritenta, abbiamo poco tempo prima che quei due gendarmi si sveglino.
Il suo appartamento: cos’era che gli suscitava qualche emozione forte lì dentro?
Per qualche ragione gli tornò alla mente il suo cane. Era venuto a mancare da quasi un anno e il suo appartamento era così vuoto senza di lei. A volte storpiava alcune canzoncine amorose mettendo il suo nome quando la accarezzava o le dava da mangiare. Bris è splendida e rumorosa, come una cascata sgargiante e schiumosa, la chioma argentea e ingarbugliata, sempre orgogliosa e mai domata.
La ripeté, mentre sentiva di nuovo quella stretta al cuore di quando era morta. Era sempre stato un po’ solo e Bris aveva davvero dato un senso al tornare a casa fra una missione e l’altra. Si prendeva cura di lei la pasticcera della sua via quando lui era assente per mesi, ma Bris esultava a vederlo ogni singola volta, senza serbare alcun rancore.
Certo che quell’ultimo anno era stato davvero solo.
La porta disegnata ebbe un lieve bagliore e si materializzò nel muro, evanescente come una tenda.
– Ha funzionato – mormorò Silas incredulo. – Mantieni la concentrazione adesso, non rilassarti.
Kieran ripose il gessetto, mentre rifletteva su come l’emozione che lo legava al suo appartamento fosse la solitudine. Non molto piacevole da realizzare. Pensò imbronciato.
Posò la mano sulla maniglia e aprì la porta semitrasparente, afferrando il prigioniero per la maglia.
Era esitante. – Ci sono rischi?
Silas sorrise beffardo. – Con la magia delle fate ce ne sono sempre.
Si buttò dentro e Kieran venne trascinato a sua volta.
Quando attraversarono il passaggio erano nel suo appartamento. Intatti. Lasciò andare il fiato, mentre veniva invaso da un'ondata improvvisa di stanchezza. Aveva la bocca secca e una gigantesca e logorante fame. Barcollò appena mentre accusava gli effetti della magia, ma cercò di riprendersi in fretta.
– Riprova uno scherzo del genere e te la farò pagare.
Si guardò alle spalle per controllare il punto da cui erano entrati. Era ancora lì, evanescente.
– E ora?
– Cancellalo con un panno. Il disegno è da entrambi i lati.
Si voltò per prendere uno straccio e iniziò a rimuovere il gesso, ansioso. Ora che era a casa un po’ di angoscia iniziava a scemare, non molta purtroppo.
Il suo appartamento non era molto ordinato, ma neanche così vissuto, ci tornava di rado. Era quasi sempre lontano in altre città, usava quel posto solo per dormire. Appariva come una pensioncina, molto spartana, un letto, un comò, una libreria poco fornita e alcuni abiti accatastati. C’era un cucinino nell’angolo e un vecchio telegrafo arrugginito sul tavolo; l’unica altra stanza era la sala da bagno, con una vasca comoda, una toilette con specchio e grosse tubature che invadevano il soffitto.
La porta evanescente sparì nel nulla una volta rimosso tutto il gesso. Tentò di recuperarne un po’ dentro un piccolo sacchetto, ma la magia consumava quasi tutto. Per fortuna gli rimaneva ancora più di metà gessetto.
Silas fischiò. – Non ero certo che ce la avresti fatta. Devi essere proprio preso da questa Bris. Potresti presentarmela – lo provocò.
– Bris era il mio cane, ma se vuoi la prossima volta ti organizzo una passeggiata romantica con un maltese di razza – rispose piccato.
Non si era aspettato quella risposta e per una volta riuscì a fargli chiudere la bocca.
Kieran si passò le mani fra i capelli in un gesto stanco, tremava appena e andò a trafficare nel bagno. Silas era ancora legato, ma lo sentì buttarsi sul letto a peso morto senza farsi alcuna remora.
– Questa catapecchia cosa sarebbe? Il tuo rifugio per i loschi affari? Un bordello sotto mentite spoglie? Porti qui le tue sfortunate amanti? Intendo quelle che abitano i tuoi sogni, non quelle reali che non vedi neanche con un binocolo.
Ma quanto parla? Perché non chiude mai quella bocca, pensa di potermi parlare con questa confidenza.
– Sarebbe casa mia – rispose freddo.
Silas cessò di osservare il soffitto e muovere i polsi, voltò lo sguardo. – Stai scherzando, vero? Il Campione vive in questo tugurio? Sono certo che hai abbastanza soldi da poterti comprare un terreno in campagna, una villa e qualche titolo nobiliare. Se non ne hai già.
– Sto sempre in viaggio, cosa dovrei farci con una villa? Quest’appartamento va benissimo.
– Oh sì, ero quasi più confortevole in cella. Sei facoltoso adesso, potresti almeno riammodernare.
– Non sono affari tuoi come spendo i miei soldi. Alzati dal mio letto e smettila di provare a fare conversazione, mi fai così incazzare.
Aveva i pugni serrati e continuava a chiedersi se non fossero già sulle sue tracce, se non lo avessero già scoperto.
Ubbidì seccato. – Hai i nervi a fiori di pelle, inizia col calmarti, o fiuteranno quello che hai fatto. Devi mantenere la mente fredda. A Railia tutti sospettano sempre di tutti, ci saranno altri indiziati.
Kieran lo ignorò con rabbia e poggiò un secchio pieno d’acqua con del sapone e una spugna. Accanto lasciò piegati alcuni abiti semplici da viaggio.
– Il tuo odore è terribile, devi lavarti o non ti faranno salire sul treno. Sbrigati.
– Il mio odore è terribile perché per settimane ho dormito nel fango e mi è stato versato addosso ogni genere di sporcizia.
Kieran accennò un sorriso freddo. – La prendi sul personale? Era solo una constatazione.
– Levati quel ghigno, Reed, sarai tu prima o poi a essere lercio di urina e sputo, o il tuo cadavere almeno.
– Vorrei vederti provare – si avvicinò e sciolse la corda. – Ora sciacquati e non provare mosse strane, non vorrei romperti un’altra volta il naso.
– Almeno il mio si è riaggiustato, al tuo ho fatto un lavoretto squisito.
Kieran guardò i polsi scorticati e feriti, non se n’era accorto prima nel buio. – Dovrò trovarti dei guanti e in treno me ne occuperò.
Silas afferrò il secchio e lo ignorò. – Io me ne occuperò, tu stammi lontano.
Al che lo guardò, aspettando che si levasse dalla sua vista mentre si sciacquava e denudava. Kieran invece si era seduto su una poltroncina e aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia. – Muoviti, devo raggiungere il Generale Hamilton e dirgli che ho sentito la tua presenza spostarsi.
– Vai allora, incamminati ovunque tu debba andare.
– Se credi che ti lascerò libero di girare per la mia casa, sei pazzo.
Silas sembrò afferrare che non gli avrebbe lasciato alcuna privacy, lo guardò sdegnato e decise quindi di rendere tutto molto imbarazzante.
Kieran era un soldato e dunque sapeva rimanere concentrato. O almeno si illudeva di riuscirci. Cercò di pensare all’angoscia dell’essere scoperto mentre Silas si spogliava e iniziava a sciacquarsi via lo sporco, ma non fu semplice. O meglio, il traditore non gliela rese semplice. Si passò una mano sul collo per sciogliere i muscoli, si piegò per strofinarsi via lo sporco.
– Datti una mossa – lo rimbeccò burbero, mentre l’altro si esibiva in una sorta di spettacolo osceno.
La pelle scura in quel momento era lercia e incrostata, i capelli neri unti e sfibrati. Si rovesciò il secchio addosso e l’acqua uscì color fango dalle punte nere della chioma.
Era pieno di lividi, lividi violacei per tutto il corpo ed ematomi, oltre ai simboli dei sigilli. C’erano andati pesanti, non era sorpreso, Silas aveva fatto del male a troppe persone, anche se quel pensiero non lo faceva stare meglio.
Aveva già visto Silas nudo, avevano diviso gli spazi per tre anni in Accademia ed era capitato più volte, ma aveva sempre cercato di farsi gli affari propri; in quel momento però doveva tenerlo d’occhio, lo conosceva troppo bene per abbassare la guardia.
Di certo non ha più sedici anni.
Pensò un po’ imbarazzato. Le fasce dei muscoli sembravano quasi viticci sotto la pelle ed era più slanciato ed etereo rispetto al passato. La prigionia però doveva averlo provato, era troppo magro, anche se aveva ancora quel portamento orgoglioso. In due mesi non lo avevano neanche scalfito, era ancora lì, tutto sarcasmo e crudeltà, senza la benché minima preoccupazione.
– Ti piace quello che vedi? – gli domandò, alzando gli occhi al cielo.
Kieran arrossì appena, resosi conto che sovrappensiero com’era il suo sguardo era caduto verso il basso, dove la pelle era appena più chiara. Era proprio così che speravo fossero le mie vacanze, un pazzo assassino che si spoglia nel mio soggiorno, un sogno.
– Sbrigati – lo intimò di nuovo e distolse lo sguardo per solo un secondo dopo avergli inavvertitamente guardato fra le gambe.
Ma fu un secondo di troppo.
Silas calciò il secchio con una precisione disarmante e glielo lanciò dritto in faccia. Kieran lo schivò per un soffio e subito dopo si rovesciò indietro con la poltrona, per evitare il pugnale indirizzato verso la sua giugulare.
Silas era in piedi, nudo, bagnato e con una lama stretta in mano. Kieran riconobbe il pugnale decorativo che gli aveva regalato il comandante Aiden, lo aveva poggiato nello scaffale sotto la finestra, vicino al letto, dimenticandoselo lì. Silas lo aveva individuato e afferrato nel giro di pochi secondi, quando lui era andato in bagno.
– Sei nudo e senza magia, non fare l’idiota.
Fece un passo avanti, ma Silas girò il pugnale con lentezza, puntandoselo alla gola. – Su su, ora non guastare il divertimento. Parliamo un po’.
– Non abbiamo tempo per i tuoi giochi del cazzo.
Il suo petto era attraversato dai sigilli che contenevano la sua magia. Erano rune rosse e nere impresse sulla carne a fuoco, riceverle era molto doloroso. Apparivano altre cicatrici, alcune inferte da lui negli scontri, altre ricevute chissà dove. Aveva il fisico di un guerriero, anche così magro e deperito sembrava incrollabile e irremovibile. Non doveva dimenticarsi che era un terrorista, un esaltato, quelli come lui non avevano limiti o freni.
Aveva abbandonato il sorriso sfrontato e aveva quello sguardo serio e cupo, gli occhi violetti così infuriati da smorzare la determinazione di Kieran.
– Che rapporti hai con la Tela?
Lo guardò con un’espressione talmente instupidita da aumentare la sua irritazione. – Eh?
– Il gessetto, era avvolto in un foulard con lo stemma della Tela.
– Il foulard era un regalo, così il gessetto. Non ne so nulla della Tela, non è la mia giurisdizione. Io combatto le fate, non i criminali.
Silas lo osservò ancora un po’, poi sembrò decretare che l’altro fosse soltanto un idiota perché rilassò le spalle. Ma non lasciò il pugnale.
Kieran si spazientì dopo aver guardato l’orologio a muro e si fece avanti, nel tentativo di afferrargli il polso. L’avversario lo evitò rapido e con un gesto secco gli piantò il pugnale nel braccio. Kieran fu abbastanza veloce da evitarlo, ma si aprì un brutto taglio sulla blusa bianca che la macchiò di rosso.
Imprecò e gli tirò un gancio prima che l’altro potesse sfuggirgli di nuovo, Silas però lo incassò nel miglior modo possibile e rispose con una ginocchiata dritta in pancia. Fu l’ultimo scambio, perché Kieran gli strappò il pugnale di mano mentre il colpo lo lasciava senza fiato e respinse Silas indietro con forza. Si guardò la ferita al braccio con il viso contratto dalla rabbia.
– Per le fate, vuoi farci ammazzare?! Sei… sei davvero… – non trovò un insulto adatto, si era così forzato a evitare il turpiloquio negli ultimi anni, che ora non era più capace di insultare nel modo giusto. – E mettiti qualcosa addosso che sei nudo! Non capisci che se ci scoprono ci ammazzano entrambi? Se vuoi morire allora ucciditi qui e adesso.
Quello incrociò le braccia, come se l’assenza di abiti fosse irrilevante. – Ti ha distratto, questo conta. Capisco la situazione meglio di te temo, e non posso essere certo che quando rinsavirai non tornerai sui tuoi passi con la coda fra le gambe. Sei sempre stato un soldatino ubbidiente.
– I guerrieri di Ferro non ubbidiscono al Consiglio, hanno la libertà di decidere senza consultarlo se la minaccia lo richiede. Detto questo so benissimo quello che sto facendo, ma è l’unico modo.
Lasciò uscire un verso di disappunto. – E ci credi davvero quando te lo racconti? Hai solo paura di morire.
Strinse i pugni e inspirò piano.
– Sì, ho paura di morire in questo modo insulso. Ma tanto non capiresti neanche se te lo spiegassi – mormorò e abbassò lo sguardo.
– Ti sopravvaluti. Come ho fatto a perdere contro di te, non so spiegarmelo. Sembrava di lottare con un ghiro zoppo.
– Non vorrei uccidermi per sbaglio uccidendo te, anche se la tentazione è tanta.
Si tamponò la ferita al braccio. Il pugnale era poco affilato, ma lo aveva sentito eccome. Era stato davvero stupido ad abbassare la guardia.
Silas si chinò a raccogliere gli abiti e iniziò a indossarli, prima una manica e poi l’altra con la grazia di un principe. Mentre legava i lacci sul petto, sentirono bussare.
Kieran impallidì di colpo e Silas si immobilizzò. Nessuno dei due si mosse, al che l’evaso guardò il Campione cercando di sollecitarlo con lo sguardo. Kieran però sembrava paralizzato.
– Vai – sussurrò a denti stretti l’altro.
– Kieran? Ci sei?
Una voce femminile: era Dalia. Doveva rispondere, non poteva rischiare che sospettasse di lui. – Dammi un momento, mi stavo sciacquando.
Afferrò Silas per un braccio e prese la corda, legandolo in un angolo dove non sarebbe stato visto dall’ingresso. Gli piazzò un bavaglio in bocca ignorando proteste e insulti, poi si guardò attorno nel panico. Fece per andare ad aprire ma un mugugno lo costrinse a voltarsi. Silas gli stava indicando col mento qualcosa.
Ricordò la ferita al braccio e prese una vestaglia da casa, indossandola frettolosamente.
Aprì dopo essersi passato una mano fra i capelli.
Dalia era sull’ingresso in divisa e lo guardava con aria preoccupata. Era a malapena l’alba, avrebbe voluto sapere perché si era presentata da lui a quell’ora ridicola. Era possibile che fosse lì per avvertirlo? Per dirgli che lo avevano scoperto? Sarebbe stata dalla sua parte?
Respira.
– Buongiorno – lo salutò da dietro la porta. – Posso entrare?
Il panico si tramutò subito in nausea. Una di quelle nausee disorientanti e aggressive. – Non è un buon momento.
Lo osservò scettica. – Perché?
Si schiarì la gola. – Uhm, sono in compagnia.
Silas lasciò uscire una sorta di gemito attraverso il bavaglio e Kieran socchiuse gli occhi, mortificato. Non credeva di poter raggiungere quella gradazione di rosso, ma di fronte all’espressione di Dalia si ricredette.
Io lo ammazzo.
L’amica lo guardò incredula. – Me ne sono accorta. Senti un po’, idiota, volevi nasconderci ancora a lungo del vincolo con Silas? Ci hai evitato per settimane e sei qui a spassartela? Hai idea di quanto eravamo preoccupati? Thomas è passato sei volte.
Abbassò lo sguardo. – Non è davvero il momento di parlarne.
– Thomas è rimasto ferito all’Iniziazione di quest’anno, all’Accademia.
Non si mosse. Ogni colore era sparito dal suo volto. – Cosa stai dicendo? Come sta? Cos’è successo? – domandò agitato.
– Si riprenderà, non è nulla di serio.
– Perché è andato lui all’Iniziazione? È un geniere!
Dalia si passò una mano sul viso con aria stanca. – Si è offerto perché mancavano maestri, sono quasi tutti ai confini, i cadetti sarebbero dovuti andare da soli e ci sarebbero state delle morti.
– Perché non ha chiesto a me o a te di andare.
L’amica sospirò e tirò su con il naso in modo nervoso. – Lo sai perché. Ad ogni modo non è per questo che sono passata. Perché cazzo non ci hai detto del vincolo?
Kieran gettò un’occhiata verso Silas, ma tenne la porta socchiusa. – Ascolta, ne parliamo dopo. Va bene così, davvero. Starò in città. Per una volta posso rilassarmi, riposarmi e, e, non so, fare le cose che fanno le persone in vacanza, come una gita, o comprare cose di… uhm artigianato.
Era così pessimo che poteva sentire gli occhi di Silas sulla nuca disapprovarlo. Questo perché con Dalia non era abituato a mentire, temeva che potesse smascherarlo.
La sua collega aveva gli occhi amareggiati. – Magari Silas ha una soluzione, conosce la magia, col tempo potrebbe collaborare.
Socchiuse gli occhi. – No, ci parlerò più avanti, quando mi andrà. Dalia scusami ma ora sono davvero impegnato.
– Ho sentito che hai chiesto per il reggimento di Lockwood.
La frase venne fuori così seria e tremante, che Kieran non riuscì a chiudere la porta come avrebbe voluto. Rimase in piedi rigido, un metro e ottanta di nervosismo. Non sopportava di sentirsi così freddo e distante, non sopportava di non essere capace di abbracciarla e tranquillizzarla come avrebbe fatto un buon amico.
– Si parla di una missione che avrò fra mesi, niente per cui preoccuparsi, soprattutto vista la situazione in cui mi trovo.
– Non dire stronzate – prese fiato. – Vuoi morire?
– Non morirò, Dalia per favore, ti prego – mormorò lamentoso.
Poggiò una mano sulla porta. – Non è un compito alla tua portata, so che pensi di essere una sorta di prescelto.
– Io non lo penso affatto!
– Beh sbagli, a volte penso che tu lo sia, perché sei un prodigio in quello che fai, ma questo non significa che tu sia infallibile. Nessun guerriero di Ferro è tornato… in sé, quelle zone sono perdute, è ridicolo che te la abbiano accordata. Non devi…
– Dalia – scandì esausto. – Ne riparleremo dopo, per favore.
La ragazza sembrò molto delusa e socchiuse gli occhi. – Scusa, è che non voglio che tu ti butti in una missione suicida. Ho sempre pensato che Silas in questo senso ti desse uno scopo.
Oh per tutti gli gnomi!
– Cosa? Deliri.
Alzò gli occhi al cielo. – Lo sai cosa voglio dire, è un po’ come quel libro del cacciatore ossessionato dall’orso che deve cacciare. Lo hai preso e ora come prima cosa getti tutto alla malora.
– Ti sei fatta una nottata in qualche casa dell’oppio? Non sto gettando niente alla malora. Adesso sarei piuttosto occupato.
Dalia provò a sbirciare, ma Kieran non glielo permise. – L’ho notato. Chi è?
– Nessuno che conosci.
– Una signorina di Jolene street?
Si passò una mano sul viso. – Io non vado con le prostitute, Dalia.
L’amica ridacchiò. – Ma se c’era quella ragazzetta a cui avevi anche comprato dei fiori e… ah, maledizione. D’accordo, non insisto per ora, ma ne riparleremo. Stasera?
Annuì frettoloso, pur sapendo che quella sera sarebbe stato su un treno diretto da tutt’altra parte.
Si allontanò e Kieran la guardò con una fitta di rimorso. – Dalia… grazie.
Lei abbozzò un sorriso e lo salutò.
Richiuse la porta esausto, non si era mai sentito così stanco. Tornò da Silas e gli tolse il bavaglio.
– Devo raggiungere il Generale al più presto. Tu aspetterai buono qui o le cose si metteranno molto male.
Per qualche ragione il prigioniero non contestò. Sembrava perso nei suoi pensieri.
 

Forse questo è il fondo, ma no, credo di poter scendere ancora più in basso.
Silas era provato dalla stanchezza e dalla fame, quando Kieran lasciò l’appartamento cessò di fingere e si afflosciò contro la poltrona come un vestito spiegazzato. Era stato cortese e lo aveva legato seduto sul mobile, anche se avrebbe potuto lasciargli qualcosa da mangiare.
Non avere la sua magia era come non avere più una gamba. Ogni giorno si sentiva mutilato, con quest’arto fantasma che provava ad agitare e a muovere senza ottenere nulla. Disorientato, cieco, non percepiva la magia intorno a sé o dentro di sé, l’odore dolciastro delle fatture, il sapore di miele del linguaggio fatato e la sensazione vibrante che gli drizzava i peli quando scagliava un incantesimo.
Doveva tornare da Cavana, forse lei avrebbe potuto rimuovere i marchi, ma era più probabile che lo uccidesse. Il fallimento non era molto tollerato nella Legione, soprattutto visto che gli avevano vietato di portare gli uomini alle Steppe, e dopo mesi di prigionia era difficile che lo risparmiassero. Inoltre era possibile che le loro spie li avessero già informati della faccenda del vincolo, in quel caso gli rimaneva davvero poco tempo, sia a lui che a Kieran.
Forse però poteva convincere Cavana, persuaderla a dargli un’altra possibilità, nessuno alla Legione aveva le sue abilità, di certo non il Geco o il Cinghiale come volevano far credere.
Un crampo al braccio interruppe qualsiasi pensiero razionale e si ritrovò a bestemmiare. – Cazzo – sibilò a denti stretti, sporgendosi avanti per allentare la morsa delle corde.
Doveva concentrarsi su altro, un problema alla volta, una volta libero avrebbe pensato alla prossima mossa, per ora doveva pazientare. Doveva sopravvivere.
Alzò lo sguardo a studiare il piccolo appartamento di Kieran, mentre ripensava alle parole della ragazza che era appena passata. Era piuttosto in ordine, quando condividevano la stanza all’Accademia era molto più disordinato. Forse non viveva abbastanza lì dentro da poter essere disordinato, c’era polvere ovunque. Un ritratto appeso vicino all’ingresso rappresentava una battaglia dei guerrieri contro un potente principe fatato, il cielo innaturalmente nero, le creature fatate che sciamavano fameliche contro gli scudi e le baionette, come lupi d’ombra. Non aveva foto personali o dipinti della sua famiglia, ma non era sorpreso, le informazioni su di lui scarseggiavano. Sapeva qualcosa da ciò che gli aveva raccontato in Accademia, sapeva le voci che narravano di questo ragazzino povero e strabiliante che era stato notato dal rettore dell’Accademia un giorno in fabbrica, rimasto talmente colpito da avergli offerto un posto all’Accademia per ufficiali dei guerrieri di Ferro. Kieran stesso gli aveva raccontato che la realtà non è mai bella come la fantasia delle storie.
Era figlio unico da ciò che sapeva, i suoi erano morti qualche anno prima. Non sapeva altro. Dunque l’unica certezza è che era solo, non aveva parenti in vita, proprio come lui. Beh almeno parenti che ritenesse tali, Silas aveva una famiglia adottiva disgustosa che non vedeva l’ora di prendersi un bel pezzo del suo corpo per rafforzare il proprio potere; sua madre era stata quasi più materna del solito al processo, mentre tentava educatamente di rivendicare il diritto a smembrarlo.
Il reggimento di Lockwood? Qual era?
Gli venne da sorridere. La sua vita si era fatta interessante, chissà quanto successo aveva accumulato sulla sua pelle e sulla sua sconfitta. Eppure viveva lì da solo senza motivo, sicuramene aveva accumulato parecchi soldi e li teneva da qualche parte. Patetico. Avrebbe potuto comprarsi una villa nei quartieri Dorati, dotarla di ogni nuova tecnologia, acquistare una vaporetta e pagare un autista, vivere nella parte più alta della città. Di nuovo quell’altezzosità morale insensata, o forse era solo tirchieria.
Il crampo era passato, ma la fame rimaneva. Voleva scivolare nel sonno, il corpo gli faceva male e aveva consumato ogni energia, ma non poteva, doveva rimanere vigile ancora un po’.
Almeno però una buona notizia la avevano portata: i confini erano a pezzi.
Gli venne da sorridere. Era bello vedere che anni di lavoro venivano ripagati, Cavana stava davvero facendo del suo meglio se i guerrieri di Ferro non avevano abbastanza uomini da mandare insieme ai cadetti dell’Accademia durante l’Iniziazione.
Guardò il pavimento assorto.
Avrebbe voluto essere con loro, rivederli, ubriacarsi insieme, festeggiare, la Rondine avrebbe suonato l’ocarina, il Gufo gli avrebbe ricucito le ferite, rimbeccandolo per la sconsideratezza. Drake. Chissà come se la stava passando, quando Drake gli aveva detto di lasciar perdere le Steppe lui lo aveva mandato al diavolo. Era stata l’ultima volta che si erano parlati.
Rovesciò la testa con un sospiro che somigliava più a uno sbuffo tremante. Quei pensieri gli pesavano.
Era soltanto sollevato per adesso di aver scampato la pena di morte. Poteva accettare di morire, ma non che il suo corpo venisse usato per massacrare altri come lui.
Se dovessero prenderti vivo, dovrai usare la necromagia, solo quella può distruggere il tuo corpo fino in fondo.
Il Gufo lo aveva istruito anni prima con una certa amarezza, sapeva già quanto Silas fosse spericolato.
Era l’unico su cui potesse davvero contare là fuori, doveva contattarlo, doveva fargli sapere che era evaso, lui avrebbe scavalcato Cavana per aiutarlo.
Ora però doveva riposare, anche solo per qualche minuto.
 
 *
 
– Non è nella sua cella dunque.
La voce del Generale Hamilton era bassa e monocorde, ma le sue mani si strinsero a pugno sulla gigantesca scrivania in legno dietro cui era seduto.
Kieran era in piedi e Bervana era vicino a lui, rigida e sull’attenti. Si trovavano dentro lo studio, nel palazzo d’Acciaio.
– Colonnello sei certa di questo?
– Appena il maggiore Reed mi ha avvertito di aver sentito la presenza del prigioniero lontano ho controllato e interrogato tutte le guardie presenti. A quanto pare il Consigliere Karrol lo ha prelevato dalla sua cella intorno alle due di notte e lo ha riportato quando il maggiore ha chiesto spiegazioni. Le guardie erano corrotte e hanno mentito. Ho chiesto che venissero sostituite, quando sono tornata a controllare, le nuove guardie erano addormentate. Una fattura debole, ma efficace. Non c’erano segni di scasso, i sigilli sugli ingressi non si sono attivati, devono aver usato una magia molto potente per farlo fuggire o deve essere intervenuto il Consigliere per far disattivare momentaneamente i sigilli. Ho cercato le guardie corrotte, ma non sono riuscita a trovarle, alla Gilda dei gendarmi si sono rifiutati di rispondermi.
Kieran guardò in modo distratto lo studio, elegante ma spoglio nella sua austerità, i quadri erano pochi e semplici, alternati ad armi primitive appese al muro; c’era anche un’antica sciabola con l’elsa in avorio. Kieran amava così tanto le armi da collezione, più dei quadri, più delle sculture, pensare che qualcuno le avesse brandite e usate, mani diverse di epoca in epoca, lo esaltava.
– Maggiore, tu conosci il prigioniero meglio di tutti noi, credi che lo abbiano fatto sparire?
Kieran riportò l’attenzione sul generale, che lo osservava in attesa. Non aveva grandi opinioni su quell’uomo, era un suo superiore, il Generale d’istanza nella capitale, ed era stato un uomo d’azione nei suoi anni migliori. Aveva una bruttissima cicatrice sul labbro che gli sfigurava la bocca, portandola in basso, gli occhi scuri erano contornati di piccole rughe, ma mantenevano una certa intensità.
– Se qualcuno lo avesse portato via, sappiamo che lo avrebbe fatto per vendetta o per ottenere parti del suo corpo, dunque sarebbe stato improbabile per me sopravvivere. Conosco abbastanza la Falena da sapere che il Consigliere ha corso un rischio enorme, è possibile che si sia liberato e sia fuggito, magari aiutato, non mi sorprenderebbe scoprire che il Consigliere sia stato ucciso.
Bervana intervenne: –  è vivo, me ne sono accertata, anche se si è rifiutato di ricevermi. Ma il prigioniero non è con lui.
Una colorita imprecazione lasciò le labbra del Generale e il colonnello Bervana gli lanciò un’occhiataccia.
– Questo non sarebbe successo se avessero permesso al Ferro di sorvegliare il prigioniero, ma no, dovevano affidare il compito a quegli incompetenti della Gilda dei gendarmi, ed ecco il risultato. Un maiale che vuole fottersi il più pericoloso criminale della Gardenia e che se lo lascia sfuggire.
Si alzò in piedi infuriato, trafficò con la grossa pipa in legno e prese i fiammiferi. La accese e iniziò a soffiare.
– Dove è diretto? Puoi percepirlo?
– Verso sud, credo sia diretto verso la regione di Falker, la mia ipotesi è che sia fuggito con una vaporetta o un cavallo per le campagne, senza prendere il treno.
– Chi hai avvertito per ora?
– Nessuno, soltanto voi.
Il Generale annuì. – Hai fatto bene, ragazzo. Dovrò avvertire il Consiglio, presto se ne accorgeranno. Cercheranno di tenerlo nascosto con la stampa, metterebbe in ridicolo la Gardenia, passeremmo per incompetenti.
Bervana sembrava già dell’avviso che fossero tutti piuttosto incompetenti. – Dovremmo inseguirlo, mandare subito una squadra di ricerca, tutti i migliori guerrieri di Ferro non impiegati ai confini. Il maggiore può darci indicazioni approssimative sull’ubicazione della Falena.
– No – la interruppe il Generale, brusco. – Attirare l’attenzione sarebbe uno sbaglio, questa notizia non deve trapelare fra il popolo, uno spiegamento eccessivo di forze sarebbe controproducente. Il Feldmaresciallo vorrà la mia testa se questa storia arriverà agli articolisti. Inoltre siamo in obbligo di informare il Consiglio e le Gilde prima di procedere.
– Ma signore, se ci perdiamo nella burocrazia il prigioniero contatterà i suoi alleati, dobbiamo agire subito, abbiamo un vantaggio, non possiamo aspettare – insistette Bervana.
Kieran deglutì e prese la parola: – non si farà trovare, potrebbe essere ovunque, non ha la sua magia o ce ne saremmo già accorti per le vittime, ma ha molti alleati. Una squadra di guerrieri di Ferro si fa notare, scapperebbe prima di essere trovato.
– Non può allontanarsi troppo, il vincolo glielo impedisce, giusto?
– Sì, ma la zona che copre il vincolo è molto vasta. Il Consiglio vorrà usare il vincolo per provare a trovarlo…
Abbassò il viso e si mostrò preoccupato, sia il Generale che Bervana lo notarono.
Hamilton si lisciò i baffi. – Non appena avremo avvertito le Gilde e il Consiglio ognuno farà a modo suo, la Falena è una preda troppo ghiotta, si sono scannati per il corpo per mesi, ora che è inerme e latitante ogni Gilda manderà qualcuno a ucciderlo in segreto e a riportare il corpo. Lo faranno sparire.
Guardò Kieran, che era pallido. Sembrava contrito. Bervana invece aveva una smorfia di sdegno che le attraversava il viso e la mascella serrata.
– Non sarebbe più facile usarmi per trovarlo? Mandarmi a un passo dalla morte per bloccarlo, ovunque lui sia?
Lo domandò serio, ma sapeva che non avrebbero mai vagliato quell’opzione.
– Non rischieranno di ucciderlo senza prima trovarlo, il suo corpo vale troppo. E dovrebbe essere nostro. Non solo non hanno acconsentito a dare il suo corpo al Ferro, ma vogliono toglierci anche il nostro guerriero più promettente. Cani fino al midollo.
Bervana osservò Kieran. Il volto della donna era rigido, ma non nascondeva il disgusto verso tutta la situazione. – Tutto questo è vergognoso.
– Lo so colonnello, sto solo esponendo quali saranno le reazioni. È improbabile che rivedremo la Falena viva.
Kieran si schiarì la gola. – Se ogni Gilda manderà qualcuno a cercarlo, allora dovremmo fare lo stesso. Abbiamo due vantaggi sugli altri: il tempismo e il vincolo. Io posso rintracciarlo, sento la sua presenza, lo conosco meglio di tutti gli altri e lui non può uccidermi senza uccidere sé stesso. Lo troverò e lo riporterò alla capitale.
Il Generale si portò le dita al mento, pensieroso. – Vorresti andare da solo?
– Silas è mio.
Quelle parole gli uscirono dense di risentimento e non dovette neanche fingere troppo per calcare la voce. Si pentì subito di averlo detto, gli era uscito di getto.
– Anche lui però ti sentirà arrivare, se ti sposti potrà allontanarsi.
– Dovrà dormire, dovrà riposare, è senza forze, senza soldi e senza magia, io invece ho tutte le mie risorse. Se lo bracco giorno e notte non potrà fuggire abbastanza velocemente. Neanche io posso ucciderlo, ma posso spezzargli le gambe e trascinarlo di peso. L’ho sconfitto e catturato quand’era all’apice della sua potenza, non sarà difficile fermarlo ora che è così vulnerabile.
Il Generale e Bervana si scoccarono uno sguardo indeciso.
Kieran poggiò le mani sulla scrivania. – Signore io… sono preparato a morire. Lo sono da sempre. Ma non chiedetemi di rimanere inerme ad aspettare la mia morte, se ci sarà una caccia almeno lasciate che provi a riportarlo da me e a non morire.
– Il Consiglio potrebbe alterarsi se ti lascio andare senza il loro consenso, sei la garanzia che anche se Silas Vaukhram dovesse riunirsi alla Legione, non avrebbe comunque scampo. Allo stesso tempo se verrai ucciso per l’incompetenza del governo, beh, sarà il Feldmaresciallo a volere la mia testa – commentò esasperato. – Mi ha chiesto di tenerti d’occhio.
Si massaggiò la fronte, stanco.
Kieran sentiva la camicia umida dal sudore, era così spaventato che iniziava a essere difficile recitare. Doveva essere più convincente, doveva smuovere la pena nel suo interlocutore. Cominciava a temere che non ci sarebbe riuscito.
– Il Ferro può prendere decisioni senza consultare il Consiglio, se la situazione lo richiede – ricordò Bervana, inflessibile. – Se posso, signore, devo dire che ci hanno riservato un trattamento indegno. Abbiamo vinto una battaglia impossibile e catturato il traditore. Nonostante questo, ci hanno impedito di ottenere il corpo, di partecipare alla sorveglianza, approfittando dell’assenza del Feldmaresciallo che è al confine a lottare in prima linea. Il Consigliere Karrol ha combinato questo disastro per le sue perverse voglie e ora vorrebbero giustiziare sommariamente la Falena in modo illegale e uccidere anche il Campione? In quanto membro dei guerrieri di Ferro non posso assicurare che questo venga accettato dagli altri guerrieri, e credo che io, come gli altri ufficiali, potremmo riconsiderare il nostro silenzio con il popolo se verremmo estromessi dalla situazione. La nostra Gilda non può tollerare queste umiliazioni.
Kieran sbatté le palpebre, incredulo. Il discorso non tentava neanche di velare l’inclinazione minacciosa nella voce e iniziò ad avere paura che Bervana si fosse spinta troppo oltre. Malgrado questo non riusciva a sopprimere il fiotto d’affetto e ammirazione che provava nei suoi confronti.
Sarebbe tutto più semplice se io fossi come lei.
Il Generale però sorrideva, qualche nuvoletta di fumo uscì dalla bocca e allontanò la pipa. – Il tuo discorso non fa una piega, colonnello. A volte con questa burocrazia smidollata bisogna mostrare un po’ di forza. La situazione ai confini è disastrosa, tutto perché le Gilde vogliono i nostri guerrieri a proteggere i loro territori dalle Corti fatate. Non voglio di certo spiegare al Feldmaresciallo di come abbiamo perso sia la Falena che il Campione senza neanche ottenere il corpo del traditore. Questo è un affronto che non possiamo permetterci.
L’equilibrio delicato fra le Gilde era uno dei punti più fragili di rottura del loro governo, in particolare se si parlava dei due eserciti, i gendarmi e il Ferro. Kieran non credeva che i gendarmi si sarebbero rifiutati di parlare con Bervana, questo li faceva apparire molto più colpevoli del previsto. Era stato un colpo di fortuna, ma aveva sottovalutato l’ostilità delle due fazioni militari.
– Anche se tu dovessi tornare col prigioniero, è comunque possibile che lo giustizieranno seduta stante. Cercherò di contattare il Feldmaresciallo, sono certo che lui abbia abbastanza influenza per impedirlo, ma non sappiamo quando sarà in grado di tornare.
“Se” è la parola chiave immagino. Per allora avrò tolto questo maledetto vincolo e avrò rimediato a tutto.
– Non è detto che accadrà, ma se devo rischiare la vita, tanto vale che vada a prendere io stesso il traditore. Forse i maghi del Diaspro troveranno una soluzione nel frattempo.
Il Generale si leccò le dita e prese un foglio dalla risma, intinse la penna d’oca nell’inchiostro e iniziò a scrivere. Applicò un timbro alla fine, chiuse il foglio e lo sigillò con della ceralacca. Ripeté il tutto un altro paio di volte.
– Colonnello, voi avete avuto il maggiore sotto il vostro comando. Garantite per lui? – domandò mentre continuava a scrivere.
Kieran rimase impietrito. Non aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
– Sì signore. Il maggiore è un giovane leale e onorevole. Ha catturato la Falena una volta, avrà successo di nuovo.
Si chiese se quel traditore di Silas si fosse mai sentito come lui in quel momento, un rifiuto umano, un essere indegno.
Posso ancora… posso ancora tirarmi indietro.
Poteva prendere Silas e riportarlo in cella, poteva ancora fermarsi e annullare tutto. Affrontare qualunque destino lo aspettasse con dignità.
Per un attimo gli tornò in mente William che si piegava su un ginocchio per guardarlo negli occhi, dentro la fabbrica rumorosa e sporca. Gli sfilava l’orologio da taschino dorato dalle mani e lo guardava sorridendo.
Volevi derubarmi? Ne hai di fegato, moccioso.
Socchiuse gli occhi e cercò di sciogliere il nodo soffocante che aveva in gola.
No, non poteva più tirarsi indietro.
Il Generale gli consegnò i permessi. – È importante che la notizia non trapeli, ma l’obbiettivo primario deve essere la cattura del criminale, non possiamo in alcun modo permetterci di vanificare la vittoria delle Steppe, significherebbe trasformarla in sconfitta.
Bervana sembrava d’accordo con lui questa volta e annuì con approvazione. Kieran iniziava ad avere i nervi a pezzi.
– Questi sono i permessi e il denaro necessari a inseguirlo senza destare sospetti o rallentare la caccia a causa della burocrazia. Mi aspetto la massima discrezione da te, Campione.
Si portò il palmo aperto sul cuore nel saluto militare e schioccò i talloni, raddrizzandosi.
Almeno questa recita è finita. Mi dispiace. Sistemerò tutto, in un modo o nell’altro.
 
 


Eccomi con il terzo capitolo, qui proprio denso di dialoghi, avvenimenti e considerazioni. Qui ho avuto veramente difficoltà per rendere tutto verosimile.
Kieran però si destreggia, per ora. Silas gli rende tutto più difficile, e che fai, non ce lo metti lo spettacolino sexy ai danni dell'inflessibile guerriero?
Io vi ringrazio tanto per le recensioni che mi avete lasciato ç_ç, per qualsiasi parte che vi sembra troppo frettolosa, inutilmente complicata o non abbastanza complicata, se potete fatemelo notare.
Grazie per aver letto!
P.s. ho cambiato l'immagine iniziale del primo capitolo e ho provato a disegnare da me i profili dei due impiastri, se qualcuno non la avesse vista e fosse curios*, è lì.
 

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Capitolo 4
*** La Partenza ***



 




La Partenza

IV





Prima di rientrare in casa si fermò ad acquistare qualcosa per il viaggio, un po’ di pane e formaggio, un mantello in più, erbe curative e qualche impacco che avrebbe preparato con un fornelletto da viaggio. Aveva già tutto l’occorrente, era spesso in viaggio.
Quando rientrò nell’appartamento, si sorprese di trovare Silas addormento, la testa ciondoloni. Aveva gli occhi incavati e le palpebre che vibravano mosse da piccoli spasmi, i polsi gocciolavano sangue per terra. Forse nell’agitazione aveva stretto troppo le corde, si avvicinò e iniziò a sciogliere il nodo, mentre osservava un raro momento del suo nemico inerme e vulnerabile. Era come guardare una bestia feroce assopita.
Silas si svegliò all’istante e aprì gli occhi arrossati verso di lui. Kieran si era già spostato.
 – Sei ancora vivo, ne deduco che ti abbiano creduto. Chi avrebbe mai detto che il tuo vero talento nella vita fosse mentire? – lo pungolò con voce roca dal sonno.
Finì di sciogliere il nodo e lo guardò tastarsi i polsi con un’aria irrigidita. – Ho degli impacchi e delle bende, sbrighiamoci, dobbiamo partire al più presto.
Attese porgendo una mano per bendare i polsi. Silas la guardò come se fosse avvelenata. – Premuroso da parte tua. Ci penserò da solo. Tu stammi lontano – e la voce si colorò di disprezzo.
Gli tese l’impacco e le bende allora, poi andò a riempire lo zaino da viaggio, tutto senza perdere di vista il suo coinquilino improvvisato. Vederlo occuparsi delle proprie ferite gli riportò alla mente la prima volta che lo aveva visto ferirsi, quando gli aveva rotto il naso. Era anche la prima volta che Silas lo aveva guardato per davvero.
La situazione sembrava simile, ma era cambiato tutto a tal punto che non sopportava neanche il pensiero di quel giorno.
 – Parlami del viaggio.
Kieran interruppe il ricordo. – Prenderemo il treno fino a Grenville, poi ci imbarcheremo per la Costa Bronzea. A quel punto cercheremo una guida per le Terre Spezzate, non dovrebbe essere molto interno l’esperto di sigilli.
Mentre parlava iniziò a spogliarsi della divisa per indossare gli abiti da viaggio. Si legò una cintura lungo il petto e inserì nei taschini alcuni proiettili e oggetti utili, poi fissò il fodero della spada sul fianco, un pugnale e la pistola dall’altro lato.
 – Come prenderemo il treno senza destare sospetti?
Con un movimento secco delle braccia infilò il lungo cappotto bruno che gli arrivava fin sotto alle ginocchia e una sciarpa consunta intorno al collo.
 – Ti coprirai il volto, hanno visto solo manifesti su di te, nessuno mi farà domande, ho dei permessi speciali. Il viaggio in treno dovrebbe durare una settimana, abbiamo una cabina e nessuno ci disturberà.
Silas soppresse una risata. – Ne sembri felice. È alquanto disgustoso.
Kieran non riuscì a fare a meno di arrossire, non sopportava quei commenti, soprattutto considerato quello che era accaduto anni prima.
 – Non vedo l’ora che questa storia sia finita, così da non doverti più vedere.
 – Invece io sono così estasiato di dover guardare quella tua faccia così spesso…
Si stropicciò gli occhi. – Dobbiamo prendere il treno. Indossa quel mantello, la bandana per il viso e gli occhiali di protezione.
Li prese in mano. – Occhiali da saldatore – commentò seccato. – Vuoi farmi apparire come un Forgiatore?
 – Un assistente.
Gli rivolse uno sguardo indignato. – Grandioso.
 
 *
 
La città era in fermento mentre si recavano alla stazione. Erano finiti da un po’ i festeggiamenti per l’Equinozio, ma si avvicinavano quelli del Solstizio d’Inverno. Le persone giravano per botteghe e negozi con entusiasmo, l’aria era densa del fumo delle vaporette e la monorotaia strideva più del solito quei giorni. Volavano spericolati uccellini meccanici controllati da bambini con bretelle e cappellini rossi, i più ricchi avevano giocattoli meccanici ben più impressionanti. Fuori dalle botteghe alcuni automi di bronzo si muovevano a scatti, lasciando uscire una voce registrata ovattata che raccontava le meraviglie del negozio o una melodia.
Silas camminava di fianco a lui con il volto semicoperto dalla bandana, ma non era l’unico, i fumi della città spingevano molte persone a cercare di coprirsi il volto.
Era legato da una corda celata dal cappotto, Kieran non aveva voluto rischiare.
 – Non pensavo ti piacesse questo tipo di giochi.
 – Eh?
 – Portarmi in giro come un cane, darmi ordini. Credevo fossi tu a preferire il ruolo di cane, visto come sbavi ubbidiente per il Consiglio. Lo fai anche con quella tua adorabile ragazza, Dalia? Non sei troppo rigido per soddisfarla come si deve a letto?
Kieran digrignò i denti per nascondere l’imbarazzo. – Dalia è una mia compagna e non parlare in questo modo irrispettoso.
 – Ho offeso il tuo pudore e il tuo onore da quattro soldi?
 – C’è un modo di farti stare zitto?
Ci rifletté, mentre rubava uno degli uccellini meccanici, ignorando il bambino che piagnucolava per riaverlo. Lo studiò e Kieran glielo strappò dalle mani, per restituirlo al suo padrone.
Non erano semplici dispetti, Silas era curioso per natura come voleva il suo sangue fatato, non veniva in città da otto anni e non conosceva le nuove tecnologie. Si guardava in giro, attento.
 – Cos’è la “divisione di Lockwood”? Questo nome mi dice qualcosa.
Kieran schivò una signora anziana che passeggiava con un ombrello di pizzo. – Non ha a che fare con la tua Legione di terroristi, se può farti sentire meglio. Sono questioni riservate dei guerrieri di Ferro.
 – Siccome ho ricevuto la nomina e tengo ancora lo splendido stemma, è come se ne facessi parte anch’io, non credi? Quindi condividi con me quest’informazione, caro compagno.
 – Sarebbe stato tutto così semplice se ti avessero messo un sigillo su quella maledetta bocca.
 – La mia bocca sa fare molte cose, oltre che parlare. Al contrario della tua, che sa soltanto ripetere le parole di altri.
Kieran si limitò a sospirare in modo molto rumoroso.
Cercò di ignorarlo, ma lo sentì ridacchiare. – Basta poco per metterti a disagio.
 – Dovrai impegnarti molto più di così per riuscirci.
Mentre rispondeva i suoi occhi perquisivano ogni passante ed era certo che Silas stesse facendo lo stesso. Se fossero stati scoperti, non lo aspettava soltanto il disonore, la gogna pubblica e la prigione: lo avrebbero ucciso. Sarebbe stato giustiziato con Silas senza alcun tipo di esitazione.
Serrò i denti e cercò di scacciare il brivido di panico. Aveva preso la sua decisione ormai, se c’era una singola, unica linea guida nella sua vita, era cercare di convivere con sé stesso e con le proprie scelte; a volte gli sembrava insopportabile, a volte era più semplice, ma non doveva smettere di provarci.
Silas lo stava osservando. – Rilassati, per essere il tuo primo crimine stai andando molto bene. È normale avere paura.
Il tono derisorio sembrava nascondere una traccia autentica di conforto, ma forse era soltanto ciò che voleva vederci Kieran. – Non sai se è il mio primo crimine. Anche se non posso vantare una lista incalcolabile come la tua.
 – Le tue scappatelle dell’Accademia non contano, Reed.
Scosse la testa. – Ti confondi con te, forse ti ho rotto la testa troppe volte.
Silas all’Accademia era talmente popolare che non aveva neanche bisogno di impegnarsi per trovare qualcuno con cui dividere il letto, inoltre il titolo di Discendente prefissava un futuro radioso fra l’aristocrazia e i guerrieri di Ferro. Almeno era quello che si diceva.
Quando erano compagni di stanza ricordava i biglietti lasciati sotto la porta a ogni ora del giorno, il letto di Silas quasi sempre vuoto durante la notte e gli indumenti della divisa troppo grandi o piccoli fra i suoi vestiti.
Kieran era sempre stato più discreto in questo, anche se non sempre era stato facile. I guerrieri di Ferro godevano di enorme popolarità fra la borghesia e il popolo. Ogni volta che si recavano al villaggio o raggiungevano la città, bastava indossare la divisa per ritrovarsi assediati da ragazze che sventolavano foulard e dalle madri che le spingevano a presentarsi; alle feste e alle cerimonie molti giovani ragazzi li avvicinavano con approcci ambigui incuriositi dall’idea di avere come amanti qualcuno del Ferro, anche uomini sposati.
Silas non poteva essersi accorto delle sue scappatelle, aveva cercato di stare attento, ma uno come lui, che era passato dal non essere niente all’avere immense prospettive… beh, non sempre era riuscito a tenere l’euforia sotto controllo, per così dire.
 – La mia testa funziona bene, non preoccuparti, così la mia memoria – rispose secco.
Kieran non ribatté, perché avevano raggiunto la stazione. Abitava abbastanza vicino proprio perché spesso doveva partire ed era bastato un quarto d’ora per raggiungere il cuore pulsante della città.
La stazione degli Orologi era un gioiellino in tutto il continente, decine e decine di treni a vapore che la attraversavano su vari livelli, mentre la monorotaia la circumnavigava in un abbraccio, accogliendo turisti e viaggiatori. Ovunque erano disseminate vaporette nelle forme più varie, da quelle classiche con il tettuccio aperto e due enormi ruote sottili a sostenerla, alle specifiche auto per turisti, alcune a forma di carrozza, trainate da finti cavalli meccanici, altre chiuse e riservate, altre ancora monoposto. Ogni singola vettura sputava vapore e fumo, che si agglomerava alla nube densa di quello generato dai treni, creando una cappa spessa. Alcune rune dissipavano in parte la pesantezza del vapore e rendevano l’aria nebbiosa, ma non soffocante.
Appesi ovunque comparivano decine e decine di orologi di tutte le dimensioni, forme e colori. Railia era considerata la città degli orologiai, perché dagli orologiai era partita la corporazione che aveva poi dato vita a gran parte delle innovazioni meccaniche che avevano rivoluzionato il loro mondo, la Gilda dei Meccanici. Tuttora traevano grande orgoglio da quella nomea e si organizzavano fiere e concorsi per gli orologi più raffinati e innovativi. Nessuno a Railia mancava di orologio da taschino, sarebbe stato sciocco e bizzarro, come dimenticare di infilare dei calzoni.
 – Il nostro treno, soldatino?
Kieran stava osservando la sicurezza e si accorse con un certo ritardo del tono basso dell’altro. Si voltò e notò subito il suo pallore e gli occhi stanchi nascosti dietro le lenti degli occhiali a fondo di bottiglia. Sembrava esausto e provato, anche se fingeva di essere a suo agio.
Troppo ferro runico. Rifletté, guardando un’altra volta i treni. Erano vere e proprie creature di metallo, alcuni avevano il muso e la coda con forme animali, perché i treni erano prima di tutto delle fortezze. Fortezze contro le fate e soprattutto contro la Caccia Selvaggia. Le pareti di ferro erano molto spesse e il metallo usato veniva prima incantato da rune che ne aumentassero le proprietà, questo veniva usato solo per le prigioni, per i treni e per gli ingressi della città, per scongiurare anche le creature più resistenti.
Silas veniva da un lignaggio molto resistente al ferro, inoltre era per metà umano, ma le sue difese dovevano essere state già sfiancate dalla prigionia e dalle infusioni di ferro, non riusciva a schermarsi da quelle nuove intossicazioni in agguato. Aveva visto alcune volte Discendenti o emissari fatati delle Corti morire da intossicazioni di ferro, il sangue brillante spillargli dalla bocca a fiotti mentre tossivano.
Questo a Silas non sarebbe successo, il suo sangue fatato era diluito, ma c’era la possibilità che perdesse i sensi.
 – Non svenire, ci siamo quasi.
Silas gli rivolse un’occhiata fredda. – Sto bene, idiota, non farci perdere tempo con le tue premure non richieste.
Kieran lo guidò nella fiumana di viaggiatori e turisti appena scesi o in partenza, puntando con sicurezza al binario undici. Aveva letto sul bollettino delle partenze il treno di cui aveva bisogno, sperava che il suo permesso fosse sufficiente.
Un ufficiale in divisa rossa cercava di indirizzare la folla, fischiando e sbraitando contro i ladruncoli che infestavano la stazione. I fischi dei treni coprivano la sua voce, così come la moltitudine di voci affaccendate, i bagagli trascinati.
 – In treno starai peggio? Puoi sopportarlo? – domandò turbato dall’idea.
Per i membri delle Corti Fatate era una tortura, per un Discendente come Silas si avvicinava pericolosamente a essere lo stesso.
Serrò i denti nel tentativo di non mostrare il suo malessere. – In treno starò bene, ora datti una mossa e smettila di chiedermelo.
Raggiunsero il controllore che sostava di fronte l’ingresso al treno, accompagnato da un soldato. – Biglietto?
Kieran estrasse il foglio di autorizzazione e glielo porse, mostrando lo stemma del Ferro. – Sono richiesto con urgenza altrove con il mio assistente, mi dispiace per lo scarso preavviso ma ho bisogno di una cabina per noi due su questo treno. L’amministrazione del Consiglio coprirà i costi e rimborserà i clienti in caso sia necessario farne scendere alcuni.
Il controllore lesse l’ordine con serietà e allargò gli occhi. – Ma certo maggiore, abbiamo una cabina vuota in prima classe, il ragazzo vi condurrà lì. Farò avvertire della vostra permanenza…
 – No. La questione è riservata, mi fareste una gentilezza a non avvertire nessuno. Pagherò i miei extra come gli altri passeggeri, vi ringrazio.
Aveva usato un tono educato, ma calcò la voce di una certa autorità e il controllore annuì e lo rassicurò.
Saliti dentro l’aria era meno densa rispetto a fuori. Il treno era largo, spazioso e caldo, come lo stomaco di una qualche creatura mastodontica; era decorato con un lungo tappeto rosso orlato d’oro e piccoli lampadari di cristallo che avrebbero tremato e tintinnato per tutto il viaggio. Alcuni servitori stazionavano all’ingresso rispondendo alle domande dei passeggeri con aria un po’ esasperata.
Si lasciarono guidare da uno di essi verso la propria cabina.
I treni erano sempre di grosse dimensioni e viaggiavano piuttosto lenti. Gli impedimenti messi dalle fate potevano durare anche giorni ed era necessario che queste fortezze su binari fossero in grado di resistere ed essere confortevoli allo stesso tempo. La coda era la parte destinata al popolo più basso, le cabine erano piccole e anguste, il vagone ristorante poco fornito e di certo non c’erano lampadari di cristalli. La parte dove si trovavano loro era di tutt’altra pasta.
La loro cabina era abbastanza grande da contenere due letti a posto singolo spaziosi ed eleganti infossati in una rientranza, un tavolino da dama con due poltroncine in velluto verde, un divanetto morbido e una vetrina di alcolici e liquori.
Certo che il Generale non bada a spese.
Slegò il suo prigioniero con cautela, dopo essersi accertato di aver chiuso a chiave la porta scorrevole.
Silas si sedette sul divanetto con le braccia spalancate indietro e rovesciò la testa verso il soffitto. Tolse occhiali e bandana con un gesto rabbioso. Aveva il respiro roco, come se avesse corso una maratona e il suo colorito non prometteva bene.
Kieran posò il bagaglio a terra e lo guardò. – Ti senti meglio?
 – Mi sentirò meglio quando lasceremo questa città merdosa – mormorò a fior di voce. – Mi sentirò meglio quando sarai sottoterra – aggiunse in un sussurro denso di veleno.
Sembrava provato, Kieran ignorò l’ultima frase e iniziò a riflettere che non gli aveva dato neanche da mangiare o da bere.
Per sua fortuna sul tavolino era poggiato un cesto di frutta, alcuni dolciumi e delle tartine.
 – C’è del cibo, mangia qualcosa.
 – Avrò bisogno di qualcosa di più sostanzioso.
Kieran aggrottò le sopracciglia. – All’Accademia non eri così sensibile al ferro, e ce ne facevano ingerire di continuo.
Silas si passò una mano fra i capelli neri, sciogliendo la treccia sfatta e lasciandoli ricadere lunghi sulla spalla.
 – Sono anni che non entro in città e non ne assumo. La mia resistenza si è fatta più… debole. Ma non fraintendere, per ridurmi in questo stato hanno dovuto riempirmi di ferro per due mesi ogni giorno in cella. Dunque non credere di poterlo usare contro di me.
Sospirò, stanco. – Era solo una domanda.
Si affacciò fuori dalla cabina e fermò una delle domestiche del treno, chiedendo di poter consumare il brunch in privato. Gli venne portato un grosso carrello di uova all’occhio di bue di un rosso vivo, pancetta croccante e lucida, fette di pane imburrato e patate calde rosolate nelle spezie.
Portò dentro il carrello e passò il vassoio a Silas, che aveva le pupille dilatate dalla fame. I suoi occhi luccicarono, come succedeva molto di rado. Era tipico di chi aveva sangue fatato denso nelle proprie vene, quando erano in preda di forti sensazioni gli occhi potevano assumere un bagliore.
Malgrado la fame insaziabile mangiò composto ed elegante, assaporò ogni singolo boccone e la tensione sembrò lasciare appena il suo corpo. Kieran lo osservò mentre consumava il suo pasto, di sottecchi, senza farsi vedere. Di certo non lo avevano trattato bene in galera. Nonostante quello non toccò la carne e la scansò, senza neanche guardarla.
È vero, dimenticavo che non mangia carne.
Anche così affamato non la degnava di uno sguardo. Alcune corti fatate non ne mangiavano quasi mai, solo quando organizzavano la caccia per onorare la natura, Silas aveva sempre rispettato quella consuetudine del suo retaggio.
Si alzò e decise di mangiare anche le tartine e i dolci offerti dalla cabina, non lasciò una sola briciola a parte tutto ciò che fosse carne, ma non perse le sue buone maniere.
 – Ora mi sento meglio – mormorò crollando sulla poltroncina in una posa sfatta.
Non sapeva se stesse dicendo la verità, ma aveva ripreso un po’ di colore. I suoi occhi erano stanchi, non doveva però abbassare la guardia.
Si versò una tazza di tè caldo. – Mettiamo subito in chiaro delle regole.
Silas alzò gli occhi al cielo. – Non è la tua caserma di manichini questa.
Lo ignorò. – Non uscirai da questa cabina per tutta la durata del viaggio, mi occuperò io di ordinare il cibo e parlare con il servizio. Dormirai legato e – allungò una mano in un gesto evidente, – starai lontano dai coltelli.
Il Discendente sospirò in modo teatrale e con una rotazione del polso tirò fuori il coltello che aveva nascosto e lo piantò sul tavolino. – Almeno te ne sei accorto stavolta, suppongo che anche uno stupido cane possa imparare a forza di bastonate.
 – Non cado due volte nello stesso sporco stratagemma. Credevi sul serio di potermi uccidere con il coltello da burro? Un piano maldestro anche per i tuoi standard.
 – E uccidere anche me stesso? Se volessi davvero farti fuori mi basterebbe una piuma d’oca, da quando siamo partiti hai lasciato talmente tante aperture. Non ho fretta però, c’è tempo.
Scosse la testa e tolse il coltello dal tavolo, sperando che la servitù non se ne accorgesse. – Il bagno è in quella cabina, lo controllerò ogni volta che dovrai andarci, nel caso tu decida di nasconderci qualcosa.
 – Questo sì che è romantico, sei sempre così affascinante con le persone che rapisci?
 – Non ti ho rapito, sei venuto di tua spontanea volontà se ricordi bene.
 – Perché l’alternativa era la morte, ma inizia a non sembrare così male.
Avrebbero potuto continuare all’infinito, Kieran lo sapeva e voleva fermarsi, ma ogni piccolo commento lo irritava e sentiva il bisogno di avere l’ultima parola. Peccato che avere l’ultima parola con quello lì fosse un’impresa impossibile.
Devo mostrarmi superiore.
 – Beh queste sono le regole, che ti piacciano o no – replicò brusco.
 – Come ti pare. Visto che stai parlando di questo, spero che adesso condividerai il piano in modo più dettagliato con me. Che ti piaccia o no dovrò venire con te.
Kieran aveva finito di mangiare e bevve il tè con pochi sorsi, scottandosi la lingua; sistemò i piatti e le stoviglie sul carrello da restituire. Non era meno stanco dell’altro e già temeva per il momento di dormire. Avrebbe dovuto chiudere a chiave la cabina e legare Silas al letto. Già poteva sentire le battute.
Sollevò la sua valigia e la aprì con un click secco delle mollette. La sollevò e ne estrasse una mappa, al che la allungò sul tavolo.
 – L’esperto di sigilli si chiama Cleobert Higgins, a quanto pare è un fattucchiere piuttosto potente che ha studiato la magia latente degli umani ed è stato cacciato dal Diaspro per comportamenti poco consoni e studi non autorizzati.
Silas sembrava poco interessato inizialmente, ma bastò nominare il Diaspro perché abbassasse il viso a osservarlo. – Un membro ufficiale?
 – Già, perciò possiamo immaginare che sia potente.
Tutti i maghi che ottenevano un posto nel Diaspro lo erano, la maggior parte erano Discendenti, ma ciascuno di loro aveva competenze magiche tali da essere considerati piuttosto temibili. Silas era una delle giovani promesse volute dal Diaspro, ma aveva scelto una strada diversa, ignorando i loro inviti a studiare nella loro Accademia e scegliendo i guerrieri di Ferro.
 – Studia magia latente degli uomini – considerò fra sé e sé. – Cosa sai sui suoi studi?
Kieran scrollò le spalle. – I suoi libri analizzano la magia nel sangue umano. La tesi che sostiene in tutti è che gli umani di per sé sono sempre stati magici, ma soltanto la Grande Migrazione del popolo fatato ha attivato la loro magia, che è molto diversa. Non ci sono purtroppo libri sui sigilli, credo siano stati tolti dalle biblioteche o censurati.
 – Chissà come mai.
Kieran aggrottò le sopracciglia. – La magia dei sigilli è troppo pericolosa, e la nostra situazione lo dimostra.
 – Ma il Consiglio se ne serve nelle carceri. Come dovrebbe funzionare? È troppo pericolosa soltanto per chi non ha una casacca appariscente e una poltrona nel Consiglio?
Scosse la testa. Non aveva alcuna voglia di discutere di politica con un pazzo criminale. – Pensa ciò che vuoi.
Silas aveva recuperato un bocchino dal cassetto e si era acceso una sigaretta. Kieran non aveva idea di dove avesse recuperato il pacchetto sgualcito, doveva averlo rubato fra la folla, aveva sempre avuto mani molto leste. L’aria si riempì di fumo presto nella piccola cabina. Silas girò la sedia e ci si accomodò al contrario, poggiando le braccia ciondoloni sullo schienale.
Aveva il respiro roco fino a un minuto fa e ora fuma.
 – Ancora questa risposta, eh?
Rammentò subito la scena a cui si riferiva: Silas che gli urlava contro e lui che rispondeva seccato. Pensa ciò che vuoi.
Bloccò il ricordo prima che sgorgasse nella sua testa indesiderato, doveva rimanere focalizzato sul piano.
 – Ad ogni modo – esordì in un tentativo goffo di cambiare discorso, – il treno ci porterà fino alla città costiera di Grenville, da lì dovremo imbarcarci per la Costa Bronzea. A quel punto potremo raccogliere più informazioni su Cleobert prima di addentrarci nelle Terre Spezzate.
Silas espirò una boccata di fumo e guardò verso la mappa, gli occhi che calcolavano attenti.
 – Dove nelle Terre Spezzate?
 – Non lo so, ma deve stare dentro il confine.
Silas sembrava pensieroso. – E se non fosse così? Se è un Discendente può sopravvivere anche oltre il confine. Come dovremmo cavarcela?
Ci aveva pensato, ma era un problema da affrontare più avanti. D’altronde il suo compagno di viaggio sapeva essere un maniaco del controllo peggiore di lui. – Se non ci fermiamo troppo non dovrebbero esserci problemi, sono abbastanza resistente, sono già stato lì, la magia astratta ci metterebbe giorni a danneggiarmi.
 – Non hai risposto alla mia domanda.
Picchiettò con impazienza il tavolo. L’immobilità gli dava sempre un certo fastidio. – Non ci spingeremo oltre i confini, l’esperto non potrebbe mai vivere lì. Se così non fosse staremo attenti, sarà un’operazione rapida.
Silas non sembrava affatto convinto. – Senza la mia magia sarò carne da macello. Preferirei essere giustiziato che diventare il giocattolo da rompere di qualche Valksha immortale.
 – Non accadrà.
 – Andrà qualcosa storto, ma mi piace il tuo ottimismo immotivato. Insomma, guarda dove ti ha portato. Qui. Con me.
Kieran sbuffò mentre richiudeva la mappa. – Almeno io penso a delle soluzioni, tu a parte essere sarcastico e fare il bell’aristocratico annoiato che apporto stai dando?
 – Oh, pensi che io sia bello? Mi lusinghi, sappi che solo il pensiero di te mi ripugna invece.
Kieran spalancò la bocca nel tentativo di replicare subito qualcosa, ma rimase con quell’espressione idiota, imbarazzato. – Penso che tu sia un assassino e un traditore.
 – Grazie. Ma al momento sono un prigioniero, ricordi? Non è mio compito rendermi utile.
 – Sei più una palla al piede in realtà.
Silas fece per replicare, ma si portò una mano al fianco in alto con un sussulto. Rimase in silenzio per una manciata di secondi, la cenere della sigaretta che si accumulava. La spense con le dita che tremavano e parlò in un sibilo: – devo riposare, se vuoi legarmi fallo, ma inizio a…
Non finì la frase e si passò le mani sul viso. Deglutì e affondò i denti nel labbro per finire di parlare.
 – Riposati. Per ora sono sveglio quindi non ti legherò.
Silas alzò lo sguardo su di lui. Tutta la baldanza era sparita e il suo sembrava il volto di un malato. Sorrise appena, ma uscì fuori una smorfia amara. – Deve darti un certo piacere, vedermi così miserevole e in disgrazia…
Non aggiunse veleno alla constatazione, ma solo amarezza. Il sorriso sparì e rimase un’espressione fioca, spenta.
Eccola.
Uno spiraglio in mezzo alla ridicola facciata che teneva dalla mattina alla sera, che aveva anche ai tempi dell’Accademia, quando era un ragazzo eccentrico e solo. Non era del tutto una facciata, ma una buona percentuale.
Voleva approfittare di quel momento di vulnerabilità per affondare un colpo, per umiliarlo e sfogare la rabbia che ancora serbava. Sottolineare quanto sì, fosse un piacere per gli occhi vederlo così spezzato, ricordargli con crudeltà che lo aveva avvertito, che era soltanto il conto da pagare per le sue azioni.
Eppure non ci riusciva.
Tornò a guardare la mappa. – Non mi ha mai dato piacere, ha sempre solo reso più miserevole anche me. Immagino che fosse ciò che volevi.
Non lo guardò, ma Silas rimase fermo per una manciata di secondi a osservarlo; poi lo sentì alzarsi e andare verso il letto, dove il fruscio delle lenzuola lo accolse dopo che si fu liberato dagli stivali.
– No, non era ciò che volevo. Non è affatto sufficiente. Ti renderò molto più miserevole di così.
La frase era uscita pregna di risentimento, anche se il tono era controllato e caldo, come quello di un amante. Forse per questo gli diede i brividi e faticò a dargli la schiena e a non voltarsi, sentiva un formicolio sulla nuca, una minaccia crescente alle proprie spalle. Sapeva che quella minaccia era lo sguardo pieno di rancore di Silas.
Non controbatté, non ne aveva alcuna intenzione. Sapeva già quali fossero i suoi sentimenti, per quanto tentasse di nasconderli dietro il suo comportamento irritante e frivolo. Sapeva di essere odiato e gli andava bene così.
E allora perché a volte con Silas non riusciva a chiudere la bocca, non riusciva a rifilargli qualche idiozia e basta, blaterava la verità senza rendersene conto? Era uno dei tanti brandelli rimasti della complicità che avevano in passato? No, forse semplicemente non gli importava di mentire.
Aspettò qualche minuto e poi trovò il coraggio di osservarlo, quasi incredulo di ciò che aveva fatto. Anche se lo ripercorreva nella mente non sembrava reale.
Silas dormiva silenzioso, i capelli neri sparsi sul cuscino come una criniera. Kieran sentì i ricordi colpirlo come un colpo di pistola, le notti insonni prima dell’Iniziazione, quando si voltava nervoso a osservare Silas che dormiva scomposto sul proprio letto, i suoi capelli che finivano ovunque sparsi in giro.
Si poggiò contro il tavolo a braccia conserte e prese un bel respiro.
Voleva negare con tutto sé stesso, perché anche solo pensarlo gli sembrava un ulteriore tradimento, una debolezza che aveva rigettato con forza, ma non poteva: faceva ancora male, più di quanto si fosse aspettato.
 
*
 
Silas si svegliò di soprassalto a una manciata di minuti dall’alba, poteva percepire sulla sua pelle l’imminente ascesa del sole. La cabina era silenziosa, ma il treno al contrario faceva un gran baccano. Rimbombava il rumore delle grosse ruote, lo sbuffare del vapore, i vetri che tremavano, il tintinnio delle bottiglie nella vetrina e il cigolare violento del letto. Persino il respiro impercettibile di Reed nell’alcova accanto, quasi inudibile, riusciva a disturbarlo.
Voleva togliersi il sudore dal viso, ma non poteva muoversi. Socchiuse gli occhi mentre il sogno gli danzava ancora di fronte agli occhi, vivido come il soffitto di metallo sopra di lui.
Voltò lo sguardo e trovò Kieran in una posa rigida, militaresca, addormentato. Le armi vicino al letto, la pistola sotto il cuscino.
Riportò lo sguardo sul soffitto con disappunto. Era legato al letto con mani e braccia, non si era certo risparmiato dal pungolarlo con battute oscene durante l’operazione, strappandogli qualche frase di protesta, ma non aveva potuto fare altro. Kieran si era però vendicato, dicendogli di svegliarlo se avesse avuto bisogno del bagno.
Piuttosto si sarebbe ucciso.
Il sogno poi non aveva calmato la sua irritazione. Non gli piaceva affatto sognare ricordi, soprattutto quando erano distorti a quel modo. Così tanta luce, così tanti sorrisi. Non era andata così.
Sbadigliò appena e si contorse per grattarsi la schiena, scivolò su e giù nel tentativo goffo di scacciare il prurito.
Aveva sognato la loro Iniziazione all’Accademia, la sua e quella di Kieran; ma era stata molto più cupa di come il sogno gliela aveva presentata, così come il periodo precedente.
C’erano state urla e pianti. Civili uccisi in modo cruento, fra cui ragazzini, ne avevano ritrovato uno con il corpo trafitto da fiori, alcuni gli uscivano dalla bocca e dagli occhi, impiastricciati di sangue. Non era stata una morte veloce per nessuno di loro. Gli altri cadetti erano stati più fortunati, le canne di bambù li avevano trafitti rapidi, uccidendoli.
Silas era certo di morire. Non poteva fuggire e la sua magia non si avvicinava neanche lontanamente a quella di una fata antica. Ma Kieran non era dello stesso avviso. Aveva caricato la figura eterea a testa bassa con un’agilità e una potenza impareggiabili. Era stato trafitto al braccio sinistro, ma aveva ignorato il dolore.
C’erano stati dei deboli festeggiamenti, presto stroncati dai numerosi cadaveri intorno a loro che avevano dovuto raccogliere e trascinare fino al villaggio. Gli altri avevano vomitato fino a piangere per lo scempio dei corpi, raramente morire per mano d’una fata era una morte normale. Le fate erano ossessionate dalla bellezza, amavano creare capolavori anche nella violenza, i corpi straziati, spezzati, tutto mentre le vittime erano ancora vive, le cose morte le annoiavano presto.
Quello era stato il primo momento in cui aveva pensato che Kieran avesse qualche rotella fuori posto. Ma non la prima volta in cui aveva realizzato che Kieran fosse più talentuoso di quanto desse a vedere. Quel ricordo risaliva a molti mesi prima dell’Iniziazione, quando neanche si era preso la briga di imparare il suo nome, era soltanto il ragazzo senza titolo con cui divideva la stanza.
Quanti anni fa? Dieci? Undici?
Kieran era salito sulla pedana con aria nervosa, ancora adesso ricordava le sue mani scivolose dal sudore e il modo in cui si grattava le lentiggini sotto gli occhi agitati. A una prima occhiata sembrava il ragazzino sopra cui non scommettere, e non era abbastanza interessante perché qualcuno gli gettasse una seconda occhiata.
Se lo avessi guardato bene fin dall’inizio, avrei immaginato tutto questo?
Il treno prese un brutto scossone e tremò così forte da suscitargli una smorfia in reazione.
Kieran non sembrava però essersi svegliato; aveva sempre avuto una sorta di filtro per i rumori pericolosi. Anche quando dividevano la stanza in Accademia. Nonostante quelle volte che aveva sfoderato il pugnale per ucciderlo nel sonno, lui non si era mai svegliato. Forse Kieran avvertiva che non sarebbe andato fino in fondo, non percepiva una vera ostilità da Silas.
Non ne aveva idea, avrebbe solo voluto riavere una di quelle notti indietro e tagliargli la gola. Aveva maledetto ogni giorno la sua debolezza. Senza Kieran avrebbe realizzato il suo scopo molto tempo prima.
Doveva trovare un modo per liberarsi. Le corde erano meno strette di quella mattina, forse poteva forzarle un po’.
Voltò lo sguardo verso la vetrata laterale dove il paesaggio scorreva veloce. Non avevano chiuso la tenda, Kieran da bravo soldato voleva alzarsi con il sorgere del sole. Il treno di metallo aveva un sistema di chiusura in caso di pericolo: le finestre venivano coperte da placche di ferro automatiche e il treno si blindava. In quel momento però era tutto tranquillo. Il panorama notturno era sfocato dalla nebbia, la macchia avvolgeva la pianura come un cappuccio di pelliccia. Si vedevano alcuni fuochi fatui appena visibili lungo il confine del bosco, fiammelle violacee del popolo fatato per segnare il confine. Gli creavano una nostalgia agrodolce, un richiamo atavico. Vedeva le cime dei cipressi carezzate dal vento e immaginava i rumori della notte, le corde dei liuti, i flauti e le lire, i fuochi che crepitavano, i passi di danza che battevano a tempo, il vino e l’idromele bevuto da coppe di fiori e teschi.
Quella notte avrebbe riposato, era troppo debole. Si sarebbe concesso una notte di sonno per ritornare in forze e poi avrebbe pensato a come consegnare il Campione nelle mani della Legione.
 
 

 
Un’informazione, come avete visto alla fine sto pubblicando ogni martedì– mercoledì, quindi farò uscire i capitoli con questa cadenza.
Grazie per aver letto ^^
 

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Capitolo 5
*** I - Accademia - ***




I

Accademia




893 p.U.



Mary Reed era una donna realista e concreta, ma la sua capacità di mentire e apparire ottimista aveva sempre affascinato Kieran. In quanto suo figlio aveva imparato presto a smascherare i suoi bluff e a crearne di credibili a sua volta. Però c’erano momenti in cui voleva fidarsi delle parole di sua madre, sentirsi rinfrancare senza rimuginarci troppo. Sua madre era una persona adulta, doveva saperne più di lui, non avrebbe edulcorato qualcosa soltanto per una rassicurazione temporanea.
Per questo le aveva creduto quando aveva cercato di rassicurarlo sull’Accademia della Spada.
Sono ragazzi della tua età, sono persone istruite e rispettose, ti farai molti amici, ti integrerai alla perfezione. Fra militari non conta la provenienza. È un’opportunità irrinunciabile.
Non ti sentirai fuori posto.
 Essere fuori posto era diventata invece la sua costante esistenza da quando si trovava lì, esistenza non molto lunga visto che aveva compiuto da poco sedici anni. Era certo che non fosse così difficile smettere di essere fuori luogo tutto il tempo, ma gli sfuggivano le regole di quel processo. Beh la sua faccia non aiutava, sempre corrucciata, i suoi sorrisi sembravano aggressivi e la sua postura rigida non metteva gli altri a proprio agio. Suo fratello lo prendeva sempre in giro per questo.
– Sei in ritardo – commentò il maestro Darren spazientito, al che lo guardò incerto, come se non ricordasse il suo nome – siediti, prima che ti faccia punire.
La piccola aula ad anfiteatro era in completo silenzio intenta a osservarlo. I cadetti erano disposti a vari livelli, tutti vestiti in divisa con i loro taccuini di fronte a sé. Si sedette su uno dei posti più vicini, tastandosi la pelle gonfia del viso.
– Bella faccia, mangiafieno.
Kieran non si girò e serrò i denti; aveva un occhio nero, uno dei cadetti dell’ultimo anno gli aveva chiuso la porta della mensa in faccia e poi la aveva riaperta di colpo, mandandolo al tappeto. Aveva sentito qualche risata e una serie di passi che gli sciamavano attorno, prima di riprendersi.
– Silenzio – tuonò il maestro.
Kieran tirò fuori un diario in pelle e una penna d’oca insieme a un barattolo d’inchiostro, si sentiva ancora rintronato dalla porta in faccia e attese prima di intingere la punta.
Non era stato un mese semplice.
L’Accademia della Spada era tutto ciò che avrebbe mai potuto sognare, camere spaziose, cibo di prima qualità, prati verdi curati, corridoi e sale riccamente arredate, divise di tessuti pregiati, tutto ciò che uno come lui non aveva neanche mai sperato. Forse era proprio questo il punto: quello non era il suo posto.
Era un pensiero passeggero e terrificante che scacciava con violenza. I cadetti intorno a lui sembravano determinati a inculcarglielo a forza, perché non erano stati molto gentili queste prime settimane. Andava bene, era abituato ad avere a che fare con ragazzi prepotenti e violenti, veniva da un posto ben peggiore di quello. Aveva ancora la cicatrice sulla coscia di quando Kurt lo aveva ferito con un coltellino per rimetterlo al suo posto di fronte agli altri ragazzini del Buco; era abituato ai litigi, agli insulti, anche alle risse, ma la gente lì dentro era più subdola e lui non poteva contrastarla ad armi pari. Perché dare un pugno al figlio di qualche nobile gli avrebbe causato molti problemi, il rettore lo aveva avvertito. Se voleva restare lì, avrebbe dovuto ingoiare l’orgoglio.
Non era un problema, doveva solo farsi notare dai maestri, impegnarsi più di tutti gli altri, spiccare come poteva.
Finora sta andando davvero bene.
Per il momento era riuscito soltanto a rimanere nell’ombra e a essere riconosciuto come il “contadino”, nonostante non fosse mai neanche stato in campagna. I maestri non sapevano il suo nome, i cadetti lo tenevano alla larga come se fosse un perdente appestato e lui non riusciva a emergere.
– Vaukhram sei in ritardo. Eravate insieme per caso?
Alzò lo sguardo sul ragazzo che era appena entrato, il suo compagno di stanza. Forse era troppo intimo chiamarlo così, visto che per il momento il suo compagno di stanza era più che altro un letto vuoto. Silas Vaukhram, il Discendente, aveva dormito quasi ogni notte fuori, ignorandolo di continuo e chiamandolo Credence. Lo aveva corretto un paio di volte, poi aveva rinunciato, Silas era il cadetto più importante di tutta l’Accademia, dunque era meglio interagirci il meno possibile. Poteva farlo espellere anche solo schioccando le dita, Kieran ne era ben conscio e non aveva cercato un contatto in alcun modo. Non che uno come Silas Vaukhram fosse interessato a rivolgergli la parola, Kieran non aveva titoli né soldi; Silas aveva in abbondanza di entrambi. Era talmente disgustato dall’idea di dividere la stanza con uno come lui che dormiva ramingo in giro. Non poteva chiedere che gli venisse cambiato compagno? O di avere una stanza propria per sé? Il potere di farlo non gli mancava.
– No, ero da solo. Sono desolato maestro. Non ricapiterà.
Il maestro non disse nulla e continuò a esporre gli habitat tipici delle fate. Kieran studiò il suo compagno di stanza che andava a sedersi, la divisa blu aveva il colletto sbottonato fino al petto e i baveri della blusa bianca spiegazzati. Se si fosse presentato lui così, il maestro come minimo gli avrebbe rimbeccato la sciatteria, poco tollerata verso i cadetti.
– Ti stavi divertendo, Vaukhram? – ridacchiò un ragazzo alle sue spalle e lo scosse con fare amichevole. – Di nuovo quella ragazza Forgiatrice?
Stava sussurrando, ma Kieran riuscì a udirli, forse perché si stava impicciando di proposito.
Silas rovesciò la testa per guardare il banco alle sue spalle, in alto. – No, dormivo.
Le persone intorno a Silas sembravano rinvigorite dalla sua presenza, gli parlavano, gli chiedevano qualcosa sottovoce, gli toccavano una spalla o un braccio con fare amichevole.
Avrebbe voluto non sentirsi così arrabbiato e invidioso, erano sentimenti da debole, non voleva provarli. Ma Silas era il genere di persona che Kieran faticava a digerire.
Era ricco, potente, di bell’aspetto, era il Discendente di una fata antica, la sua famiglia controllava gran parte delle fabbriche della Gardenia; come se tutto questo non fosse stato sufficiente, era anche molto abile. Era un combattente formidabile, nessuno alle simulazioni era riuscito a sconfiggerlo ancora, doveva essere stato allenato fin da quando era ragazzino.
Potrebbe avere almeno un piccolo difetto, come l’alito cattivo o la calvizie precoce.
Non che lo conoscesse abbastanza per dire come fosse il suo alito, a giudicare dalla quantità di persone che si vociferava indugiasse in quella bocca… beh evidentemente la gente apprezzava il suo alito.
Silas era l’esatto contrario del fuori posto. Quello era in tutto e per tutto il suo mondo, dentro cui si muoveva sicuro di sé e tranquillo.
È già tanto che io sia qui, non devo essere… avido. Va bene così, è già più di quanto potessi sognare.
Chissà perché quei pensieri erano altrettanto terrificanti.
 
 ⚔
 
– Perché un contadino dovrebbe voler diventare un guerriero di Ferro?
Stava cercando di sciogliere i muscoli prima degli allenamenti, non era granché snodato. – Io non sono un contadino – rispose calmo.
Aveva perso il conto delle volte in cui aveva dato quella risposta.
– Fattore, contadino, stessa cosa.
– Vengo dalla città, non ci ho mai messo piede in campagna – borbottò.
Il ragazzo che lo stava interrogando sembrava scettico. – I campi fuori città?
Oh per Titania! Sbuffò esasperato.
– Sì, quelli, mungevo le mucche, aravo i campi, mangiavo barbabietole a tutte le ore – rispose annuendo. – Una vita onesta.
L’altro cadetto sembrò soddisfatto di quella risposta. – E perché vuoi combattere? Il Ferro è un onore, non è per tutti. E poi serve un titolo, dei soldi…
Era pronto a continuare a prenderlo in giro con altre risposte idiote, ma il maestro li chiamò a raccolta vicino alla pedana degli scontri. Lasciarono gli allenamenti individuali e si raccolsero intorno a lui, sudati e stanchi. Erano una trentina in tutto dei nuovi cadetti, tutti sui sedici anni, pochissime ragazze, la maggior parte maschi.
– Con l’avvicinarsi dell’Iniziazione voglio più scontri a coppie. Gli scontri servono per allenarsi, per esporre critiche e buone idee, non voglio mosse sleali e non voglio accanimento.
Forse a sedici anni è normale sentirsi così spaesati e fuori posto, non poteva saperlo, non aveva mai avuto sedici anni prima di allora, ma era piuttosto certo che molto dipendesse dal fatto che quello non fosse il suo habitat naturale.
Si guardò intorno di soppiatto; a volte aveva la sensazione di essere diverso anche nell’aspetto, di essere più rozzo. Come se non potesse neanche fingere. Jin, che raccoglieva rottami vicino la discarica nel suo quartiere, gli diceva sempre di poter riconoscere chi era nato e cresciuto nel Buco e chi no, c’era qualcosa negli occhi, nella mascella, qualcosa di arcigno, di torvo. Ancora adesso Kieran si chiedeva se gli altri lo vedessero così.
– Bella toppa, Reed – ridacchiò un ragazzo accanto a lui, un bulletto di nome Thomas che non perdeva occasione per prenderlo in giro.
Nonostante fosse figlio di una sarta, non era mai diventato granché bravo a cucire, ma rammendare la sua divisa era l’unico modo per non andarsene in giro nudo. Comprarne un’altra avrebbe significato chiedere soldi al rettore e lui si vergognava troppo. Non che gli importasse di certe offese.
– Grazie, l’ho cucita con amore – rispose sornione, fingendosi davvero lusingato per il complimento.
Era meglio fingersi un povero idiota sempliciotto e ingoiare le offese, non era un comportamento che gli piaceva o che avrebbe mai adottato giù a casa, ma qui era in lande sconosciute.
Thomas rimase interdetto e distolse lo sguardo, bofonchiando uno “strambo” fra sé e sé.
Non si faceva certo prendere in giro da uno che non sapeva neanche che cosa fosse il cucito. Non che lui fosse bravo, ma infilare quel maledetto filo nell’ago era difficile, specialmente con le sue dita grandi.
– Abbiamo già fatto diversi scontri a coppie e sono stati tutti piuttosto penosi, eccetto per Vakuhram. Voglio che la prendiate più seriamente, perché quando sarete là fuori, faccia a faccia con qualche fottuta fata purosangue, non finirà con una scrollata di spalle, ma con le vostre budella usate per le loro collane.
Sempre molto incoraggiante.
Almeno non aveva usato la solita minaccia dei testicoli come orecchini, anche se per Kieran quella rimaneva la migliore, oltre che la più raffinata.
Non che fossero minacce infondate, le fate impazzite da quel che si diceva potevano strapparti gli organi e tenerti comunque in vita, rivoltarti dal dentro al fuori o impalarti e lasciarti a soffrire per una decina d’anni. Però la minaccia dei testicoli faceva sempre un certo effetto.
– Siete qui per diventare la difesa fra la follia di quelle bestie e la civiltà, e quando si combatte contro la follia bisogna essere fermi nelle proprie convinzioni e nelle proprie conoscenze. All’Iniziazione dovrete portare onore alla vostra Accademia più di tutti gli altri. Perché questa è l’Accademia della Spada.
L’Accademia della Spada non era per tutti, avrebbero potuto scrivere questo sui cancelli d’ingresso per essere più onesti, invece l’insegna titolava una frase ispirante in una qualche lingua morta che Kieran non conosceva.
 Anche se chiunque poteva diventare un guerriero di Ferro, quella specifica Accademia era riservata ai comandanti di domani, ai soldati d’élite, era il posto dove le famiglie più importanti mandavano i figli che non avrebbero ereditato granché, per trasformarli in valenti condottieri contro la piaga delle fate sui confini. Oltre che un onore era anche un lavoro molto redditizio, come tutti quelli che coinvolgevano le Gilde.
Tuttavia non si accedeva a quell’Accademia senza un titolo o una gigantesca fortuna. In questo era una sorta di eccezione, era entrato sotto raccomandazione del rettore, che non era un evento così raro quando si parlava di persone ricche senza un titolo; lui però non era neanche ricco, era un nessuno bello e buono cresciuto in una famiglia sgangherata. E purtroppo gli altri cadetti sembravano fiutarlo di continuo.
Pochi anni per compensare la mancanza di studi ed educazione, per recuperare libri, un istitutore privato, il tutto in parte pagato dallo stesso rettore, in parte da sua madre. Aveva frequentato la scuola nel suo quartiere negli anni, ma a parte leggere, scrivere e fare di conto non aveva mai imparato molto altro.
Conosceva e percepiva l’abissale differenza fra lui e gli altri cadetti, le loro maniere, la loro educazione, la cultura. La sua scrittura era molto storta, il suo lessico più limitato, faticava a tenere una certa concentrazione nelle lezioni teoriche ed era lento a leggere. La maggior parte del tempo se ne stava in silenzio, sperando che non notassero troppo quella lieve inclinazione dialettale– popolana che non aveva mai perso. Purtroppo gli altri cadetti sembravano sempre notare le sue differenze, chi con curiosità, chi con un certo riguardo, chi con disprezzo. Non che fosse l’unica eccezione, ma erano in pochi i fuori posto come lui.
–  Reed giusto? Non ti ho ancora visto lottare, porta le tue chiappe sul ring cadetto, vediamo cos’hai imparato in queste prime settimane.
Kieran perse un battito quando venne chiamato e i suoi pensieri si interruppero. Gli altri cadetti si voltarono a guardarlo e sentì subito le orecchie andargli a fuoco. Avrebbe voluto sudare di meno, ma da qualche anno il suo corpo aveva reazioni incontrollabili, gli arti erano cresciuti talmente in fretta che gli facevano male ed era più alto di quasi tutti i suoi coetanei; si sentiva anche più goffo spesso.
Gli arrivò un colpo sul collo da qualche cadetto e sussultò.
– Dai Reed, fallo per la tua fattoria!
– Poveretto, se la sta facendo sotto. Qualcuno gli dia un forcone.
Non aveva idea di dove fosse nata la convinzione che lui venisse dalla campagna, neanche la aveva mai vista. Sapeva soltanto che era troppo nervoso per pensarci.
– Vaukhram, anche tu, sul ring.
Oh merda.
I suoi occhi saettarono sull’avversario con un moto di eccitazione e paura.
– Voi due siete compagni di stanza, giusto?
Kieran annuì in modo meccanico, senza smettere di osservare l’altro.
Silas era intento a stiracchiarsi le braccia e non lo guardava nemmeno. Aveva finito di avvolgere le bende intorno alle mani e si era legato i capelli scuri in un piccolo codino da cui sfuggivano alcune ciocche. Indossava soltanto una maglia bianca, come tutti loro. La sua corporatura con gli abiti appariva piuttosto slanciata, allampanata forse. Aveva un corpo strano, si notava la presenza di sangue fatato, era magro e i suoi arti ricordavano quasi i rami di un tronco, i muscoli intrecciati sotto erano forti, ma diversi da quelli umani. Di solito non si percepiva la differenza, ma bastava osservarlo un po’ perché quella corporatura elegante e affusolata apparisse bizzarra.
Kieran si sentiva molto più sgraziato vicino a lui, era più robusto ed erano alti quasi uguali, ma Silas lo superava appena, anche se non era di certo quello il problema al momento.
 Silas non aveva mai perso quegli incontri e avvertiva già diverse risatine.
– Vaukhram rimandalo a casa dalle sue capre.
Entrarono nel piccolo campo di sabbia rialzato, accolti dalla voce del maestro. Non era un vero e proprio ring visto che non si trattava di boxe, Kieran era sgattaiolato da piccolo a un incontro di pugilato con altri ragazzi del quartiere ed era qualcosa di molto diverso dalla lotta che veniva insegnata nell’Accademia. Era un genere di combattimento corpo a corpo volto a sopravvivere contro esseri agili e veloci, era fatto di prese, colpi frastornati e velocità. La strategia migliore era intrappolare una creatura fatata, erano rapide e potenti, ma mancavano di una grande forza fisica, dunque era più semplice immobilizzarle.
In realtà era meglio evitare lo scontro disarmato contro chiunque sapesse usare la magia, ma dovevano essere preparati ad ogni evenienza.
– Ricordate, è un’esercitazione, ma prendetela seriamente. Soprattutto tu Vaukhram. Niente cazzate.
Questo annuì. – La prendo sempre seriamente – rispose, quasi offeso, ma con un sorriso che non riusciva a nascondere.
Pensa di aver già vinto, beh non mi sorprende, non ha mai perso.
Non sapeva neanche dire se si fosse reso conto di stare per lottare contro il suo compagno di stanza. Era un coinquilino fantasma che si rifiutava di dormire nella sua stessa camera, ma a parte questo non era stato ostile o spocchioso, solo… assente.
Si sistemarono, mentre intorno i cadetti si lasciavano andare a commenti poco piacevoli su Kieran, tifavano tutti per il Discendente e a quanto gli aveva spiegato il rettore, era la norma. Considerato il prestigio dei Discendenti quasi tutti volevano essere notati da lui, farci amicizia, entrare nella sua cerchia, se poi era anche un Vaukhram, c’era poco da aggiungere.
 Kieran invece poteva al massimo ricucirgli male la camicia.
– Interromperò quando lo riterrò opportuno – commentò il maestro e guardò preoccupato Kieran. – Se non ce la fate più, ditelo e battete terra – e continuò a osservarlo con insistenza.
 Anche Silas ora lo guardava, ma appariva distratto, stava pensando ad altro, non lo percepiva come una minaccia.
Si crede davvero migliore di me questo stronzo.
Gli salì un inspiegabile fastidio. Sapeva che gli aristocratici erano migliori di lui sotto molti punti di vista, ma non accettava di essere così sottovalutato, non dagli altri cadetti, non dal maestro e tanto meno non da quel montato di Vaukhram; non dopo tutto l’impegno che ci aveva messo, non dopo quanto aveva investito in quella possibilità.
– Iniziate.
Silas si mosse prima che i suoi occhi potessero vederlo, rapido come un’anguilla. Lo prese lateralmente con un calcio nel fianco e tentò di saltargli sulla schiena per immobilizzarlo. Kieran cercò di reagire, ma non fece a tempo. Il braccio di Silas si strinse intorno al suo collo e lo tirò indietro con forza, bloccandogli la gola. Era più alto di lui, dunque non faticò a sentire il suo respiro accanto all’orecchio. Per essere così agile non avrebbe dovuto avere tutta quella forza.
– Già finita? – commentò divertito un cadetto.
La presa si fece più serrata, voleva fargli perdere i sensi. Kieran però non lo avrebbe permesso. Tirò una gomitata con forza nel suo fianco e poi una capocciata indietro, spaccandogli il naso. Ci fu un verso di sgomento quando Silas si portò le dita al viso per fermare il sangue. Diversi rivoli gli erano colati fra le labbra, a intaccare il sorriso sorpreso.
Kieran aveva il fiatone e raggelò, conscio all’improvviso di quello che aveva appena fatto.
– Ma dai, il ragazzo di campagna sa difendersi – commentò Silas e il suo sguardo perse quella foschia di distrazione e si concentrò su di lui.
Si pulì il naso sanguinante con la maglia, gli occhi lacrimavano per il dolore, ma apparivano determinati.
Kieran lo raggiunse rapido e assestò un calcio alla sua gamba per farlo barcollare indietro. – Non sono un ragazzo di campagna – sbottò ansimante.
In quel momento gli sembrava di essere tornato nel Buco, quando con i suoi amici correva per i vicoli scappando dai ragazzi più grandi che uscivano dalle fabbriche. Doveva essere rapido, doveva essere cauto, ma anche coraggioso. Non doveva farsi mettere in un angolo, non si usciva indenni dall’angolo.
Forse il suo sguardo tradì quei ricordi, perché Silas perse il sorriso e assottigliò le labbra. Strinse i pugni e gli girò intorno come una tigre, capendo di dover fare sul serio.
Era sceso il silenzio, gli altri cadetti trattenevano il fiato, non si erano aspettati che Kieran potesse tenergli testa e già sentiva mormorii contrariati per come gli aveva spaccato il naso.
– I Vaukhram andranno su tutte le furie.
Silas si asciugò di nuovo il naso con il polso. – Non li ascoltare, non lo faranno – replicò serio.
Al che si scagliò contro Kieran; il suo approccio fu più cauto e preciso, ma stavolta Kieran era pronto. Incassò il pugno in viso e avvertì il sangue invadergli la bocca, ma riuscì ad afferrargli il polso prima del secondo colpo. Lo girò su sé stesso come una trottola e frappose una gamba fra le sue per farlo cadere a terra. Funzionò e non appena Silas toccò il pavimento, lo bloccò sotto il suo corpo tenendolo dal collo.
Silas tentò di districarsi con l’agilità, poi provò con la forza bruta e infine assestandogli dei colpi. Kieran non si mosse nonostante il dolore, continuò a schiacciarlo finché il maestro non decretò la fine della simulazione. A quel punto si tolse e Silas si rigirò con uno scatto, gli occhi che emanavano scintille. Provò ad offrirgli una mano, ma la ignorò.
– Il vincitore è Reed – mormorò il maestro, piuttosto stupito. – Complimenti Reed, hai talento. Avete visto come lo ha intrappolato a terra? È fondamentale bloccare l’avversario in modo che non possa muoversi o usare la magia, e bisogna essere rapidi.
Silas si rialzò in piedi, il naso che aveva ripreso a sanguinare. Non gli toglieva gli occhi di dosso.
Gli altri cadetti erano nervosi, non sapevano se congratularsi o farsi gli affari propri. Una ragazza dal viso affilato gli si avvicinò quando scese dal ring.
– Non male Reed, mi è piaciuta quella presa. Anche se all’inizio eri troppo esitante – e gli sorrise.
Era Dalia Tucker, una delle poche cadette entrate con una borsa di studio e una delle pochissime donne dell’Accademia. Aveva occhi vispi e intelligenti, una delle migliori nella scherma.
– Grazie – rispose accennando un sorriso stupito. – Vado a sciacquarmi.
Aveva il labbro spaccato dal pugno. Il cuore gli batteva a mille e non riusciva a calmarlo, a malapena sentiva i suoni intorno a sé.
Raggiunse i bagni, dove le tubature arrugginite si dipanavano sul soffitto, portando acqua fredda. Gli scaffali erano pieni di teli per asciugarsi o pulirsi e alcune panche di metallo bronzeo erano alternate da piccole poltroncine.
Aprì uno dei rubinetti d’ottone e si sciacquò il viso. Alzò la maglia e notò che alcuni lividi si erano formati sull’addome.
Certo che colpisce forte.
Malgrado tutto lo specchio gli restituì un mezzo sorriso gongolante. Aveva sconfitto Silas Vaukhram, aveva sconfitto il migliore dell’Accademia. Certo, il Discendente lo aveva sottovalutato forse ed era partito prevenuto, nonostante non gli avesse dato quest’impressione. Ciò che contava era il risultato.
Voleva esultare, l’adrenalina non sembrava intenzionata ad abbandonare il suo corpo.
– Reed.
Si voltò e si trovò davanti Silas. Si stava sfilando la canottiera sporca di sangue, i capelli scompigliati sfuggiti al codino.
Kieran non riuscì a trattenersi e guardò per un attimo la pelle scura del petto, gli addominali appena accennati e una cicatrice più chiara sul fianco. Era impossibile non guardarlo, anche solo di sottecchi; sapeva che molte persone morivano a causa delle fate dopo averle seguite spontaneamente nei boschi, per qualche motivo era difficile distogliere lo sguardo. Non si trattava di bellezza, era come volersi sporgere a tutti i costi a guardare dentro un pozzo scuro, sperare di cogliere qualcosa di spaventoso.
– Mi dispiace per il naso.
Gli si avvicinò con una certa aggressività. Kieran si accorse che aveva gli occhi umidi. – Facevi tutto l’inetto campagnolo, ci ero cascato pure io! Goditi il tuo colpo di fortuna.
Era troppo vicino, riusciva a vedere tutti i riflessi chiari dei suoi occhi violetti. – Non è molto sportivo da parte tua.
– Non lo sono con quelli come te.
– Quelli come me? – domandò indignato.
Silas lo squadrò. – Quelli che imbrogliano. Quelli che recitano.
Gli rivolse uno sguardo scandalizzato. – Non sai davvero accettare una sconfitta, mingherlino – replicò con uno sbuffo.
Il suo compagno di stanza sembrava pronto per la rissa, in lui c’era una frustrazione che andava oltre lo scontro che avevano avuto, era come se volesse sfogarsi di qualcosa. Kieran aveva troppo il sangue al cervello per ragionarci con lucidità.
– Beh non tutti nascono perdenti, sai? Per alcuni è un’esperienza più unica che rara, ma immagino tu non possa capire.
– Lieto di farti scoprire nuove esperienze, vossignoria, ora se ti levi…
Lo bloccò sul posto. – Chi ti ha insegnato?
– Sarà stata la mia vita da contadino – replicò ironico con un’alzata d’occhi molto esagerata.
Silas non sembrava credergli. – Continuiamo qui.
– Levatelo dalla testa, non voglio guai, fammi passare.
– Hai paura?
Kieran si asciugò le mani sui pantaloni. – Pensa quello che vuoi.
Schivò un colpo e indietreggiò, sbatté contro il lavabo e osservò Silas con rabbia. – Se vuoi prenderle di nuovo, accomodati, viziato del cazzo.
– Allora ce le hai un po’ di palle.
Si svolse tutto troppo in fretta perché Kieran potesse pensare a una strategia. Si scontrarono con molta meno correttezza del ring, prima ancora di reagire si ritrovò per terra a menare pugni alla cieca; si alzò, prese Silas per la collottola e lo sbatté contro il muro. Kieran era più grosso di lui, ma ciò non impedì a Silas di sorridergli con rabbia e di sfuggire alla sua presa con un calcio fra le gambe.
– Giochi sporco – ringhiò, mentre si accasciava sulle ginocchia.
Silas colse quel momento per gettarlo a terra, ma intervenne il maestro a dividerli aiutato dai cadetti. Kieran venne tirato indietro da due braccia mentre un coro di commenti riempiva lo spogliatoio. Aveva la bocca piena di sangue mentre gli levavano Silas di dosso, che ben più agile di lui si divincolò dalla presa emanando sguardi di fuoco ai cadetti che lo avevano afferrato.
Mentre era ancora stordito arrivò la strigliata del maestro, che gli afferrò la maglia a pugno chiuso.
– Domani pulirai le stalle da cima a fondo razza di esaltato, vediamo se ti viene ancora voglia di comportarti come un selvaggio.
Sbatté le palpebre, stordito, e realizzò che il maestro si stava rivolgendo soltanto a lui.
Silas non era stato punito, sebbene la colpa fosse sua.
È un nobile, non pagherà mai.
Gli veniva da ridere.
Se l’era cercata per essere stato un idiota. Sapeva come funzionavano le cose, sapeva che perdeva in partenza contro queste persone, doveva starsene buono e per i fatti propri, invece aveva ceduto alla rabbia e all’orgoglio come un moccioso.
– Mi sono spiegato, cadetto?
Il maestro lo strattonò per la maglia. Kieran lanciò un’occhiata per cercare Silas, ma doveva essersene andato.
– Sissignore.
 
 
La sera in camera Silas non c’era, ne era rimasto sollevato, la situazione era troppo spinosa e non voleva rimanere solo con lui. Soprattutto perché aveva una gran voglia di spaccargli la faccia e questo sarebbe stato controproducente.
Silas non rientrò tutta la notte, non che fosse una novità, era risaputo che avesse comportamenti discutibili, forse era andato a leccarsi le ferite da qualcuno e a farsi consolare per la cocente sconfitta. Avrei vinto anche la rissa se non fossero intervenuti. Pensò altezzoso, ignorando le fitte al fianco per i colpi ricevuti.
Non rientrò neanche la mattina, ma lui d’altronde fu costretto ad alzarsi prima dell’alba per la sua punizione, i lividi erano peggiorati e il labbro si era gonfiato. Era da un po’ che non si svegliava così di malumore.
Raggiunse gli alloggi della servitù al piano più inferiore, gli avevano detto che il capo domestici gli avrebbe spiegato che cosa fare.
La parte che gli bruciava di più era l’aver perso il controllo, aveva promesso al rettore di essere razionale, gli aveva detto di poter sopportare ogni angheria con freddezza. Non gli piaceva cedere alla rabbia così.
E se si fosse vendicato?
Se Silas avesse trovato il modo di farlo espellere? Di togliergli tutto? Magari voleva fargliela pagare, lui non aveva qualcuno alle spalle che potesse aiutarlo. Il pensiero lo nauseava, se avesse sprecato quest’occasione così non si sarebbe mai perdonato.
Non era mai stato nei piani inferiori dell’Accademia, dove dormivano i domestici. Gli creava una strana sensazione, perché per le sue origini quel posto avrebbe dovuto essere più appropriato a lui forse.
I domestici erano già a lavoro, i corridoi dei loro alloggi erano pressoché vuoti. Incontrò un paio di servette, la prima squittì una risata imbarazzata vedendolo, l’altra le diede una gomitata e non osò neanche guardarlo. Kieran impacciato si specchiò su un candelabro per controllare di non avere nulla in faccia. Aveva infilato la divisa in modo svogliato e non aveva neanche allacciato la giacca sulla blusa. La abbottonò, mortificato.
Quando raggiunse la stanza del maggiordomo in fondo al lungo corridoio, rimase imbambolato a osservare la persona che attendeva con una mano nella tasca della divisa e l’altra su una cicca accesa.
Silas non aveva un aspetto migliore di lui, con il naso fasciato e pesto, gli occhi rossi dal sonno e i capelli neri spettinati. Per una volta sembrava in tutto e per tutto un sedicenne, uno molto irritato, con una sigaretta fra le labbra che sembrava spenta da un pezzo.
Ma certo, era venuto a gongolare, gongolare per aver fatto punire solo lui. Era un meschino e un viziato, ne aveva visti di abusi di potere, ma questo piccolo figlio di puttana gli mandava il sangue al cervello.
Prima che potesse strozzarlo, il capo domestico uscì dalla sua stanza tenendo un secchio pieno d’acqua e due scopettoni. Ne porse uno a Silas e un altro a un attonito Kieran.
– Le vanghe per il letame sono nella stalla, questi vi serviranno per il portico. Se non finirete in tempo per le lezioni mi è stato detto che continuerete a fine giornata. Qualcuno verrà a controllare.
Richiuse la porta e li lasciò da soli. Silas non lo degnò di un saluto, lo superò tenendo il secchio e poi si girò a guardarlo.
– Sei ancora nel mondo dei sogni? Finiremo di pulire fra una settimana se continui a dormire in piedi. E io che pensavo che i contadini si svegliassero col buio tutti i giorni.
Kieran era ancora frastornato. Gli andò dietro con passo spedito. – Per l’ultima dannata volta, non sono un contadino.
– Ah no? Un pecoraio allora.
– Sono la stessa cosa.
– Non è colpa mia se sembri un campagnolo, con quell’aria spaesata.
– Sei insopportabile.
– Me lo dicono spesso.
Il suo malumore forse era un po’ migliorato.
 
 ⚔
 
La stalla era situata nei giardini dell’Accademia, non lontano dai grandi cancelli dell’ingresso. L’odore acre di letame non sembrava disturbare i cavalli stanziati nei box, tutti ben curati e puliti. Sbuffavano di tanto in tanto, scacciando le mosche con la coda.
La stalla era divisa da un grosso androne che separava le due file di cavalli, sulla destra erano impilate selle, redini, frustini, spazzole e tenaglie, mentre sulla sinistra c’era l’occorrente per cambiare i ferri degli zoccoli. Sul fondo erano accatastate diverse balle di fieno.
Kieran era abbastanza intimidito dai cavalli all’inizio, era raro che qualcuno li usasse in città. Le prime lezioni di equitazione non erano andate molto bene, il suo cavallo non si era dimostrato amichevole. Qualche carota e zuccherino dopo era riuscito ad ammansirlo a sufficienza da non essere disarcionato seduta stante.
Gli si avvicinò e gli diede qualche carezza sul collo, lo aveva spazzolato pochi giorni prima.
– Come va, Cherry?
Negli ultimi tempi però era migliorato e gli piaceva l’equitazione. Le fate non permettevano a vaporette o mezzi di trasporto meccanici di entrare nei loro territori, dunque l’unico modo per muoversi all’interno delle loro zone senza provocare conflitti era a cavallo. I guerrieri di Ferro non potevano esimersi dall’imparare a cavalcare.
Silas poggiò i secchi d’acqua sul portico fuori dalle stalle e prese le vanghe. Si era fermato a salutare il proprio cavallo, uno stallone bianco dall’aria massiccia.
– Sbrighiamoci, io spalo da questa parte tu da quella, poi laviamo il portico.
– Tu non mi dai ordini – replicò Kieran e prese la vanga.
Silas alzò gli occhi al cielo. – Hai un metodo alternativo da proporre?
– Uhm no.
– Bene.
Iniziarono a pulire di buona lena dopo essersi arrotolati i pantaloni in cima agli stivali; a parte gli sbuffi dei cavalli e il ronzare delle mosche non c’erano altri rumori, nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare. Era appena sorto il sole, le lezioni e gli allenamenti sarebbero cominciati fra due ore.
Kieran rimase in silenzio, immerso nei propri pensieri, si dimenticò quasi del suo compagno di punizione, che invece sembrava più irrequieto.
– Sei forte per avere sedici anni – bofonchiò a un certo punto Silas.
Si passò il dorso della mano sul naso fasciato e fece una smorfia.
Kieran alzò lo sguardo, torvo. – È un modo per scusarti di non saper accettare una sconfitta e averci fatto finire in punizione?
Silas gli rivolse un’occhiataccia, poi sospirò risentito. – Stavi davvero fingendo.
– Fingendo di fare cosa?
– Di essere un sempliciotto. Sempre a testa bassa, non emanavi alcuna minacciosità e invece lotti come un forsennato.
Kieran non sapeva se essere offeso o lusingato. Nel dubbio scelse di essere entrambe le cose. – E quindi? Ti crea problemi?
– Sì. Perché non ti ho mai osservato con attenzione.
Era sempre più confuso da quelle risposte. – Te lo chiedo di nuovo: è il tuo modo per dirmi che ti dispiace?
Abbassò lo sguardo. – Forse.
La risposta era uscita bofonchiata, ma senza alcuna ironia.
Kieran guardò la montagna di letame da togliere di fronte a sé. Non aveva voglia di rendere quella punizione ancora peggiore con un altro litigio. Forse era sufficiente.
– Prima di venire qui ho lavorato in una fabbrica, mi occupavo di trasportare alcuni carichi pesanti.
Silas fermò la pala e si voltò a guardarlo. – In una fabbrica?
– Dopo la scuola, dalle mie parti quasi tutti i bambini fanno dei lavoretti, o aiutano i genitori nelle botteghe o vanno in fabbrica. Io ci sono stato solo un anno e mezzo.
Si poggiò contro la vanga, pensieroso. – Era faticoso?
Kieran guardò gli stivali inzaccherati di letame. – Sì, molto, ma non lavoravo tanto, solo alcune ore. Mia mamma non voleva, c’erano spesso incidenti.
Si sentiva osservato e si voltò. Silas di fatto lo stava soppesando senza mostrare imbarazzo, il mento poggiato sulla cima della vanga.
– Dobbiamo sembrarti tutti molto viziati qui dentro.
Kieran si grattò la nuca. – No, beh ogni tanto, ma anch’io vizierò i miei figli quando sarò ricco – rispose sornione.
Silas ridacchiò. – Vuoi dei figli?
– Non lo so, forse. Hai finito con le domande? Tu perché come fai a vincere sempre?
Scrollò le spalle. – Ho avuto molti tutori privati.
Kieran voleva chiedere altro, ma distratto com’era rischiò un calcio in piena pancia da un cavallo. Si allontanò dal box e ricominciò a spalare. La conversazione si interruppe e stavolta desiderò che Silas ricominciasse a parlare. Gli piaceva in realtà ricevere domande.
Si voltò per cambiare box e si ritrovò il Discendente a un palmo dal naso. Indietreggiò impacciato. – Mi hai fatto prendere un colpo, non venirmi così vicino.
Silas si fermò, imbarazzato. – Scusa, mi dimentico che alle persone può dare fastidio.
Kieran sapeva che i Discendenti potevano avere comportamenti eccentrici a volte e che la loro curiosità era molto più spiccata della maggior parte di umani, ma a volte si dimenticava che il suo compagno di stanza fosse per metà fatato.
– Non fa niente, ma non farlo di soppiatto – bofonchiò.
Silas lo guardava con la testa inclinata, i capelli neri che pendevano da un lato. – Tu sei stato raccomandato dal rettore, giusto?
Prese la maglia con un gesto stanco e iniziò a scuoterla per farci entrare un po’ d’aria fresca; iniziava a sudare.
Sbaglio o Silas si sta dando molto meno da fare di me? Rifletté imbronciato.
Gli rimise la vanga in mano con fare stizzito e Silas tornò a concentrarsi sul letame. Sembrava distrarsi con facilità. – Allora? – lo incalzò.
– Sì, il rettore è la persona che ha garantito per me e ha pagato alcuni tutori prima che venissi qui. È il mio benefattore e gli devo tutto.
– Beh non proprio tutto, i tuoi traguardi sono solo tuoi.
Sbatté le palpebre al tono sereno con cui aveva parlato. Si girò a guardarlo. – Immagino di sì… ma il rettore è un uomo straordinario.
– L’ho sentito, sembra uno tutto d’un pezzo, ci ho parlato poche volte.
Kieran all’improvviso era su di giri. – Lo sai che è il guerriero di Ferro più giovane nella storia ad aver abbattuto una fata purosangue? Aveva solo quattordici anni!
Silas aggrottò le sopracciglia. – Philip il Temerario aveva quasi la stessa età, secondo me avrebbe potuto batterlo.
– Non sai di che cosa parli – protestò. – Il rettore lo avrebbe conciato per le feste.
– Ne dubito. Il Temerario non aveva neanche la pistola all’epoca, visto che non erano state inventate.
Iniziarono a rimbeccarsi e a creare scontri immaginari fra il Temerario e il rettore, ciascuno sostenendo la propria tesi.
– Se il rettore fosse su un’aeronave e con una mano legata dietro la schiena, riuscirebbe comunque a uccidere la fata e salvare tutti.
– Il Temerario aveva perso un occhio da ragazzo, sarebbe stato capace di fare lo stesso anche da cieco.
Non trovarono un vero vincitore alla sfida, ma iniziarono a riflettere su quanto sarebbero stati forti assieme se solo fossero vissuti nella stessa epoca. Silas sembrava saperne molto di storia dei guerrieri di Ferro e ammise infine che il rettore William Rorgerson fosse effettivamente una leggenda.
Per la fine della conversazione avevano finito di spalare il letame e potevano iniziare a sciacquare il portico d’ingresso. Si pulirono gli stivali, anche se entrambi emanavano un odore poco piacevole.
– Sai, se ti infastidisce avermi come compagno di stanza, puoi chiedere un cambio.
Non poté fare a meno di dirlo. Si detestò per il tono appena lamentoso, ma lo pensava davvero e non poteva rimanere zitto.
Silas lo guardò perplesso. Erano sul portico di fronte la stalla; il sole basso della prima mattina feriva gli occhi a entrambi, l’aria era pungente e gli pizzicava le guance.
– Vuoi cambiare compagno, Reed?
– Non stavo dicendo questo! Ma dormi sempre fuori, tu…
Silas scoppiò a ridere. – Non è per te che dormo fuori, certo che sei davvero poco sveglio – rispose divertito. Poi corrugò la fronte, incerto. – Di notte mentre dormo rilascio inconsciamente la mia magia, un pizzico almeno. Man mano che imparerai a percepire la presenza di magia fatata con l’addestramento ti darà fastidio, potrebbe tenerti sveglio per ore.
Kieran gli rivolse uno sguardo sbigottito.
– Cosa?
– Non hai sentito? Sono comunque per metà una fata e qui dentro impariamo a ucciderle le fate. Non era niente di personale.
Stava forse dicendo che si era preoccupato per… il suo sonno? Aveva pensato a non disturbarlo?
Kieran impiegò poco a sentirsi un vero idiota. Aveva passato il tempo a piangersi addosso e a pensare il peggio di quell’atteggiamento di Silas, convinto di essere disprezzato a priori.
Guardò il secchio pieno d’acqua, non sapendo bene come reagire. Non era abituato lì dentro alle premure.
Alzò piano gli occhi su Silas, che appariva in difficoltà. Per la prima volta pensò che il suo sguardo fosse gentile e non affilato, malgrado il volto senz’età e l’atteggiamento sempre sarcastico e sicuro di sé.
– A me va bene, non dà fastidio. È anche la tua camera.
– Sì, ma…
Sbuffò. – Se mi sveglio è un problema mio in caso, non tuo. Inoltre sottovaluti il mio sonno, io dormo come un neonato. Non sono abituato a dormire da solo poi. Sei come un sonnambulo magico, non è un problema, ci farò l’abitudine.
Silas rabbrividì appena per una ventata fredda; si erano affacciati grossi nuvoloni lontani, il sole spariva e riappariva di continuo. Colse l’occasione per distogliere lo sguardo. – Se va bene a te, suppongo vada bene anche a me.
Stavolta fu Kieran a ridere. – Ti serviva il mio permesso, Vauk?
– Oh chiudi il becco, Reed, sono un gentiluomo io.
Gli cinse il collo con il braccio e lo trascinò indietro. – Oh ma allora hai davvero un animo gentile sotto quella presunzione. Un gentiluomo, eh? Raccontalo ad altri, volevi picchiarmi solo per aver perso! – e ridacchiò mentre cercava di mantenere la presa.
Silas rimase interdetto dal gesto di confidenza, s’irrigidì di colpo e le pupille si restrinsero, violente. In pochi secondi sembrò realizzare che Kieran stesse giocando, perché si rilassò e iniziò a divincolarsi.
– Hai avuto un colpo di fortuna, volevo dimostrartelo subito così da non darti false speranze – rispose e tentò di afferrarlo a sua volta.
Mentre si azzuffavano ridendo, il vecchio Nelson trotterellò vicino a loro con la coda monca che scodinzolava.
– C’è il bastardo del custode.
Il bastardino dell’Accademia si fermò vicino a loro, attirato dalle risate; aiutava il custode e se ne andava a zonzo per i giardini a dormire sotto il sole sui prati. Spesso era accompagnato da un paio di gatti pigri che i domestici tenevano per cacciare i topi, dovevano essere nei dintorni.
 Aveva perso un pezzo di coda da qualche parte anni addietro e anche l’orecchia lunga di destra era frangiata.
Kieran si chinò ad accarezzarlo e lo seguì quasi subito Silas. – Non hai qualcosa da mangiare?
– Secondo te mi porto qualcosa da mangiare mentre vado a spalare letame? Per le fate, ne fai di domande sciocche.
– Oh scusa tanto, principino. E comunque io di solito mi porto sempre del cibo nelle tasche.
Silas lo ignorò e grattò le orecchie del bastardino. – Questo cane ha le pulci e le zecche.
– Nessuno è perfetto. Chissà cosa pensa lui di te.
In realtà Nelson sembrava pensare bene di entrambi perché aveva la bocca spalancata e la lingua di fuori penzoloni mentre si godeva le carezze.
Silas si guardò attorno circospetto, poi sollevò appena una delle bende sul naso e grattò la pelle finché un rivolo di sangue non colò lungo la bocca. La afferrò con un dito e la poggiò sul muso del cane. Recitò il verso di una ballata oscena sui capelli sporchi di una dama bellissima e il pelo di Nelson per un attimo fu lucente. Si sgrullò e caddero alcuni esserini morti.
Kieran era senza parole. – Cos’hai fatto?
– Un incantesimo di protezione. Non durerà a lungo purtroppo.
– La magia può fare anche cose del genere?
Silas si parò la faccia dalle leccate del cane; sembrava percepire la magia da lui e appariva euforico.
– La magia può fare tantissime cose, questo è facile – rispose con un sorriso beffardo.
Osservò il rivolo di sangue. – Hai sempre bisogno del sangue per lanciare una magia?
Si pulì il viso con la manica della blusa. – Man mano che diventerò più bravo non mi servirà, imparerò a usare tutto il mio corpo. Il sangue, le ossa e gli organi sono le parti più pregne di magia di una fata e di un Discendente, quindi per ora mi risulta più facile se uso il mio sangue.
Kieran era rapito da quelle spiegazioni, sembrava incredibile poter fare qualcosa del genere. – Allora se mi prendo i pidocchi chiedo a te.
– Ti rasi i capelli di nuovo come tutti, genio.
– E perché tu non li hai rasati?
Si arricciò una ciocca intorno al dito. – Perché anche i miei capelli sono magici, non posso tagliarli troppo – e nel dirlo l’espressione s’incupì appena, ma fu solo per un istante.
Kieran allungò le dita e prese la ciocca delicatamente, mentre Silas lo osservava interdetto.
Guardò i capelli da vicino: erano sottili e nerissimi. – Beh sono comunque i tuoi capelli, se ti va li tagli e basta – e lasciò la ciocca. Rovesciò la testa indietro e socchiuse gli occhi quando il sole fece capolino dalle nuvole. – Ho così tanto sonno.
Silas non lo stava guardando e sembrava evitare il suo sguardo. I capelli gli erano ricaduti sopra l’orecchio a punta. – Dobbiamo finire o dovremo continuare dopo.
– Lo so lo so. La prossima volta che ti batto evita di farci finire in punizione.
– Tranquillo, non ricapiterà mai più che tu mi batta.
Kieran riaprì gli occhi quando il sole venne inghiottito di nuovo dalle nuvole. Si voltò a guardare Silas che stava carezzando ancora Nelson.
Mh? Che strano.
Gli venne da sorridere.
– Che hai da ridere? Ti ho colpito troppo forte ieri?
– Niente – rispose e si alzò in piedi. – Finiamo.
In quel momento non si sentiva così fuori posto.
 
 


Questo è il primo capitolo nel passato, ce ne saranno alcuni che ogni tanto compariranno fra i capitoli nel presente, in particolari momenti, andranno in ordine cronologico.
Kieran e Silas a sedici anni erano decisamente più tenerelli e insicuri.
 

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Capitolo 6
*** Il Treno ***




Il Treno

V




Kieran si svegliò con il sorgere del sole e non fu un risveglio piacevole. Non sapeva se avessero influito di più gli incubi, i sensi di colpa o l’agitazione di dormire con accanto un predatore sanguinario pronto a sgozzarlo nel sonno. In ogni caso aveva un forte mal di testa e si sentiva tutt’altro che riposato.
Nonostante questo spiacevole inizio, seguì la sua routine mattutina. Silas sembrava ancora addormentato, i capelli neri sparsi e annodati, il corpo legato sotto le lenzuola.
Prima ancora di fare colazione si adoperò in qualche rapido esercizio per sciogliere gli arti e scaldare i muscoli. Poi ordinò il cibo in cabina, informandosi sulle condizioni del viaggio con uno dei servitori. Erano in perfetto orario, questo gli restituì un briciolo di controllo. Fergus diceva sempre che nei momenti di agitazione bisognava aggrapparsi alle piccole cose che danno conforto e sicurezza. Per Kieran era quando qualcosa andava da programma; sapere che un treno stava progredendo in orario e avrebbe raggiunto la sua destinazione per tempo gli dava un sollievo irrazionale. Peccato che la sua vita fosse talmente disorganizzata che rare volte gli era concesso quel sollievo.
Si sedette al tavolino a consumare la colazione. Il generale non aveva badato a spese per il suo viaggio. La teiera calda lasciava uscire un profumo di vaniglia e cannella molto delicato, le paste alla crema e i biscotti di burro sembravano squisiti, ma mangiò un po’ di pane con burro e marmellata, si sbucciò una pera e aspettò che la sua tazza di tè smettesse di essere bollente.
– Hai intenzione di slegarmi o pensi di lasciarmi così per l’intero viaggio? Mi aspetto di essere imboccato allora, preferibilmente da qualcuno di grazioso.
La sua colazione era appena stata guastata dalla voce più fastidiosa che esistesse al mondo, roca dal sonno, musicale come quella di tutte le maledette mezze fate.
Era troppo presto per avere a che fare con quell’individuo. Iniziò a rimpiangere di non aver chiesto due cabine separate, almeno per mangiare la colazione senza dover essere disturbato. Sarebbe dovuto andare al vagone ristorante.
– Potresti gentilmente sbrigarti?
– No, credo che me la prenderò con calma, questo pane è così morbido e caldo.
Gli occhi viola assunsero quasi una tinta nera mentre lo minacciavano. Sembrava disturbato quasi quanto lui dal risveglio. Quasi.
Andò a slegarlo con svogliatezza, il pane in bocca e gli abiti ancora slacciati. Silas si tastò i punti in cui la corda aveva stretto, ma i segni erano a malapena visibili, esclusi i polsi dove i morsi delle catene erano ancora evidenti.
– Muoio di fame – sospirò Silas e andò a sedersi al tavolino. Si versò una tazza di tè. – Non servono caffè su questo treno? Ho bisogno di qualcosa di più forte.
Kieran si portò il tè alle labbra. – Domani lo chiederò – commentò disinteressato. – Inizia a dettare meno ordini.
Silas scrocchiò il collo passandoci una mano, legò i capelli in una treccia nera disordinata e iniziò a mangiare. La sua etichetta era superiore a quella di Kieran, riusciva a mangiare biscotti croccanti e farinosi senza far cadere neanche una briciola, la posa eretta, il collo alto. Era pur sempre un aristocratico, malvagio e pericoloso, sì, ma aristocratico.
– Come trascorreremo questa splendida giornata? – domandò con un finto tono argentino e stucchevole.
– Io a studiare il viaggio, tu puoi dormire o startene buono.
Alzò un sopracciglio. – Mi divertivo di più in cella.
Kieran aveva appena finito di prepararsi la seconda fetta di pane e marmellata che Silas la addentò sporgendosi pericolosamente avanti in un colpo solo. I denti tranciarono il pane e gli occhi brillarono di soddisfazione al sobbalzo dell’altro.
– Buono – commentò.
– Prova un altro scherzo del genere e ti rompo il naso – abbaiò Kieran punto nell’orgoglio.
Quello si dondolò con la sedia in modo strafottente. – Sembrava appetitoso. Hai detto che vuoi studiare il piano. Ce l’hai almeno un piano decente?
– Certo che sì. Domani andrò a fare un giro del treno e a dare un’occhiata agli ospiti per essere sicuri.
Sapeva che a bordo del treno c’erano almeno un paio di guerrieri di Ferro, per motivi di sicurezza nessuna locomotiva viaggiava sguarnita di soldati del Ferro. I treni potevano reggere attacchi fatati esterni su grande scala e nessuna fata purosangue poteva entrare al suo interno e rimanere illesa a tutto quel ferro runico. La sicurezza però non era mai troppa.
Dovevano esserci anche diversi gendarmi di guardia, a metà fra la coda e la punta. C’era il rischio che loro o il Ferro potessero riconoscere Silas. Era improbabile che altri passeggeri potessero ricollegarlo alla Falena, l’unica fotografia sbiadita di Silas in circolazione risaliva ai tempi dell’Accademia, insieme ad altri cadetti, dunque era difficile che altri potessero riconoscerlo. Nessuno presente al processo avrebbe potuto essere su quel treno, le Gilde e gli aristocratici viaggiavano in aeronave. A bordo del treno c’era la zona più aristocratica destinata ai viaggiatori facoltosi, nobili minori, mercanti, banchieri e altro, ma nessuno di loro poteva aver avuto accesso al processo.
– Puoi procurarmi almeno un giornale o un libro?
Alzò gli occhi su di lui, mentre rifletteva. Era troppo concentrato e non ascoltò davvero la sua richiesta.
Silas non poteva uscire dalla cabina, questo era imperativo. Anche se le probabilità che qualcuno lo riconoscesse erano molto basse, doveva restare confinato lì per l’intero viaggio.
– Allora? Odio quando t’incanti così.
Si riscosse. – Vedrò se trovo qualcosa.
Per tutta la mattinata e il pomeriggio nessuno dei due mise piede fuori dalla stanza. Si ignorarono per ore, Silas tentava di infastidirlo di volta in volta, ma neanche lui sembrava avere voglia di interagire.
Il silenzio fra loro gli risultava quasi insostenibile a momenti. Gli sembrava che le ore formicolassero e si protraessero più del normale. Quando scese la sera Kieran si sentiva stanco come se avesse corso la distanza percorsa a piedi. Il rimanere vigile lo sfiancava, così come la tensione e il senso di minaccia costante.
Era piegato sul tavolino e stava tracciando con un carboncino leggero il percorso che avrebbero dovuto intraprendere. Fingeva di avere un piano sensato, impedendosi di vedere come tutto gli stesse crollando intorno.
Prese in mano il foglio che aveva strappato dai registri, dove si parlava dell’esperto di sigilli. Non sapeva neanche lui che cosa aspettarsi, che cosa sperava di ottenere. Forse sarebbe stato tutto inutile.
Una mano gli strappò il foglio e Silas si sedette accanto a lui, leggendolo. Alzò gli occhi dalle scritte e tenne il pezzo di carta fra il medio e l’indice.
– Lo hai strappato dai registri ufficiali?
– Ho fatto in modo che lo strappo non si notasse, è un libro che non veniva consultato da anni, non mi ha visto nessuno.
Silas fece un cenno ammirato. – Com’è possibile che tu sia così… attento e preparato nel tradire i tuoi superiori?
Si riprese il foglio con un gesto brusco. – Quando sai come funziona qualcosa, non è difficile sapere come aggirare quel funzionamento.
Non smetteva di guardarlo in modo insistente. Kieran si grattò l’ombra di barba che non aveva potuto radersi e tornò a esaminare la mappa.
– Ora che abbiamo un po’ di tempo e sono fuori da quella maledetta cella, posso chiedertelo: perché? Perché mi hai fatto evadere?
Fermò il carboncino; aveva temuto quella domanda, sperava che la spiegazione datagli in prigione sarebbe bastata, ma la Falena era tutt’altro che un idiota, non perdeva mai occasione di trovare informazioni e sfruttarle.
Silas continuò: – quando ho lasciato l’Accademia…
– Tradito – lo corresse. – Mentendo, rubando e uccidendo.
Fece un gesto spiccio. – Sì, quando ho lasciato i guerrieri di Ferro, o qualunque verbo tu voglia usare, hai iniziato a braccarmi. Mi aspettavo ripercussioni, ma non di ritrovarmi una spina nel fianco come te. Mi hai inseguito passo passo, pronto a sfasciare qualsiasi missione o piano avessi in mente, mi hai dato la caccia per potermi catturare, come un fottuto segugio. Mi sei stato alle costole per sette anni, mi hai catturato e poi mi hai fatto evadere. Perché? Ti annoiavi? Ti sentivi senza scopo?
Kieran poggiò un braccio sulla mappa e lo guardò con serietà. – Eri davvero convinto che non ti avrei braccato fino in capo al mondo dopo ciò che avevi fatto? Che ti avrei lasciato andare, che mi sarei arreso?
C’era una rabbia trattenuta a stento nella sua voce, voleva sopprimerla, voleva nasconderla, ma era impossibile. Ogni volta che si trovava insieme a lui, ricordava quella notte, ricordava tutto ciò che era accaduto. Voleva chiudere la bocca e smetterla di alimentare le sue provocazioni, ma non poteva stare zitto.
– Ero convinto che avresti trovato qualcosa da fare prima o poi, invece che darmi la caccia. Non era nulla di personale e lo sai, non mi è mai importato nulla di te, nel bene o nel male.
Ci fu un momento di silenzio. Forse gli facevano male quelle parole, non sapevo dirlo con certezza in mezzo alla rabbia che provava, ma gettavano sale su ferite mai del tutto guarite.
Si inumidì le labbra mentre rispondeva, il tono talmente misurato da dargli i brividi. Non credeva di poter essere così calmo mentre parlava di quel ricordo.
– Tu hai ucciso l’unica persona che mi abbia davvero aiutato. Mi hai strappato via un maestro e un amico. Mi hai usato, manipolato e ingannato. A causa tua, il suo sangue era anche sulle mie mani, perché mi sono fidato di te. Dopo i primi due anni ho smesso di odiarti, non ne valeva la pena, ma era compito mio rimediare e fermarti, visto che non c’ero riuscito quella notte. Chiamala vendetta, chiamala giustizia, chiamala rimediare a un errore, fa lo stesso. Tu lo hai reso personale nel momento in cui hai ucciso il maestro Fergus.
Calò per un attimo il silenzio.
Kieran aveva già rivolto quel discorso a Silas, anni prima, urlandolo in preda alla rabbia e al dolore, voleva ucciderlo, voleva annientarlo. Era incredibile riuscire a pronunciare quelle parole con autocontrollo, non sapeva se esserne fiero o disgustato.
Sapeva però che non sarebbe importato nulla a Silas. Forse aveva una coscienza, ma ormai era talmente sotterrata che le sue parole non avevano alcun effetto. Ricordava però il suo sguardo inorridito quando gli aveva giurato che lo avrebbe inseguito per tutto il mondo pur di ucciderlo per ciò che aveva fatto.
La solita compostezza di Silas vacillò appena e cambiò discorso. – Non hai risposto alla mia domanda però. Mi odi, d’accordo, lo so da tempo. Allora perché?
Ticchettò sul tavolo. – Il sigillo non è solo un rischio per la mia vita, è un rischio per ogni cosa. Vogliono usarmi, vogliono corrompermi e hanno il potere di farlo. Non voglio che abbiano questo potere su di me. O su di te.
Lasciò uscire una mezza risata. – Non dirmi che ne sei rimasto sorpreso.
– Ho a che fare con la politica della Gardenia da più tempo di te ormai. Molte persone hanno cercato di farmi fuori o escludermi, farmi cadere in disgrazia o rovinare la mia carriera. Il punto è che non avevano nulla da usare contro di me. Ora purtroppo non è più così – mormorò, quasi fra sé e sé.
Silas inclinò la testa e sorrise. – Cosa ti hanno chiesto?
– Non ne parlerò certo con te. Questo vincolo porterebbe a conseguenze disastrose, ho scelto il male minore.
Lo osservava con un certo distacco. – Sei cambiato. Un tempo concetti come il “male minore” ti infastidivano.
Gli veniva da ridere, con ben poca gioia però. Era così che Silas lo ricordava? Come qualcuno di incorruttibile e trasparente?
– Ho risposto, ora puoi smetterla di girarmi intorno come un avvoltoio?
Silas si avvicinò alla vetrina degli alcolici con uno sbuffo. Kieran lo sentì bofonchiare qualcosa, ma non riuscì a udire le sue parole.
 
*
 
Il suo giro per il treno l’indomani si rivelò più utile del previsto. Si era mosso sul pomeriggio tardi, poco prima di cena, sperando di trovare poche persone fuori dalle cabine.
Una parte di lui rimaneva affascinata ogni singola volta che metteva piede dentro uno di quei mostri di metallo. I titani d’acciaio che attraversavano le zone inurbane, gargantueschi, impenetrabili, erano un miracolo della tecnologia moderna. Si articolavano su due piani ed erano molto larghi oltre che lunghi, non erano veloci e richiedevano moltissime risorse, ma offrivano una protezione che in rare occasioni altri mezzi potevano concedere. Le aeronavi erano le uniche altrettanto sicure, le fate non si spingevano così in alto nel cielo. Erano però costose e più ristrette, il rischio di farsi notare sarebbe stato troppo elevato.
Quel treno era piuttosto vecchio, ma ancora scintillante a suo modo. Era un modello di parecchi anni prima e si poteva notare anche dallo stile interno. Il vagone ristorante era elegante e vintage, con il bancone in legno lucido, sedie bordeaux con cuscini di velluto, piccole tende a coprire i tavoli infossati nelle pareti di metallo, lampade a gas opache, dipinti di simposi e feste appesi alle pareti.
C’era anche un vagone dedicato ai giochi, con tavolate di partite a carte e a dadi, l’aria lì era una cappa di fumo per i sigari e i bocchini, gli ospiti sgrullavano la cenere, le donne ridevano alticce, il tutto in una nebbiolina stordente, mentre un ragazzo suonava un pianoforte sul fondo. Quell’area era riservata agli ospiti di un certo livello, la gente comune non era ammessa; bisognava pagare un’iscrizione per potervi accedere.
Avevano anche una piccola sala da lettura, con tavoli singoli dove studiare o lavorare, le pareti sostituite da mensole e librerie. Era possibile trovare lì molti viaggiatori a qualsiasi ora, avvocati che ripassavano carte, economisti, notai, studenti di medicina, meccanica o arti magiche.
I viaggi in treno potevano durare anche settimane: gli imprevisti erano all’ordine del giorno e gli aiuti potevano impiegare ore ad arrivare, se non giorni. Si andava ovunque con quel mezzo, dovevano avere tutto l’occorrente per la lunga permanenza dei loro ospiti. Questo treno non era neanche uno dei più costosi e attrezzati che avesse visto, il Diamante organizzava a bordo spettacoli di burlesque e cabaret, aveva delle saune e dei bagni turchi, un salone di bellezza e un piccolo bordello per i clienti più esigenti.
Si era concesso un giro veloce anche nella coda, dove le cabine ospitavano molte più persone e i servizi erano meno efficienti. Gli ultimi vagoni erano occupati dalla zona cargo, dove erano tenute diverse vaporette, un paio di cavalli e altri carichi pesanti.
Ritornò nella cabina dopo aver finito il giro e raggelò sull’ingresso quando trovò l’interno vuoto. Estrasse subito uno dei suoi pugnali e si guardò attorno, certo che Silas fosse pronto a saltargli addosso da qualche punto cieco.
Merda. Avevo chiuso a chiave!
Controllò negli scompartimenti e negli armadi, guardò sotto i letti e dietro le tende, ma non c’era traccia di lui. Doveva essere uscito.
Un fiotto di panico gli risalì subito per il petto; se qualcuno lo avesse riconosciuto o se avesse fatto del male a uno degli ospiti… no, doveva rimanere calmo e cercarlo. Non poteva lasciare il treno, era sigillato e chiuso, non avrebbe potuto uscire all’esterno e chiamare rinforzi, inoltre non aveva la sua magia.
Cercò di chiudere gli occhi e percepire il vincolo che li univa, ma si rese presto conto che era inutile. Il vincolo poteva indicargli la direzione dell’altro quando erano separati da una certa distanza, ma ora lo percepiva vicino.
Ripercorse il treno a grandi falcate, nel mentre malediceva tutta la stirpe di Silas e sé stesso per aver di nuovo abbassato la guardia.
Per fortuna non dovette cercare a lungo.
Lo trovò nella sala giochi con una sigaretta in bocca, un bicchiere di liquore nell’altra e una giovane ragazza in braccio. Stava giocando a carte ed era circondato da un nutrito gruppo di persone.
Kieran rischiò lo svenimento.
Almeno aveva indossato il travestimento, aveva le orecchie a punta coperte e gli occhi viola riparati da due occhiali a fondo di bottiglia. Gli abiti vaporosi e larghi nascondevano le forme del suo corpo.
– Guardate chi si vede, il mio compagno di viaggio, Reed.
Kieran perse un battito mentre diverse persone si voltavano a osservarlo. Udì dei bisbigli intorno, lo stavano riconoscendo a poco a poco. Sui giornali erano circolate molto di più le sue fotografie ingiallite.
Si fece avanti una donna con un corsetto ricamato e una gonna lunga azzurra. – Siete proprio voi, il Campione! Non sapevamo foste a bordo o vi avremmo invitato alla nostra… festicciola privata. Unitevi a noi, lasciate che vi prenda da bere!
Si schiarì la gola e sfoderò un sorriso educato. – Siete molto gentile signorina, purtroppo sono in via ufficiale e non posso svagarmi troppo al momento. Il mio compagno…
– Oh è adorabile – mormorò un ragazzo seduto vicino a lui. – Si tratta davvero di un vostro apprendista? – e ammiccò.
Aggrottò le sopracciglia, mentre Silas si stiracchiava come un gatto e sgrullava la cenere. – Reed mi sta insegnando tutto ciò che c’è da sapere. È un maestro molto esigente, ma non si rilassa mai. Siamo amici di lunga data noi due. Perché non ti unisci a noi?
Sentì la mano della donna di prima stringergli piano un braccio per invogliarlo a cogliere l’invito. Era incredibile come Silas fosse a suo agio, come se fosse stato in quella situazione decine e decine di volte. Doveva essere andata così, prima che diventasse un traditore della patria. Salotti con aristocratici, passeggiate a Joyful Park nelle giornate assolate o su una vaporetta decappottabile, sport con gli amici, l’opera e le serate di gala. Anche adesso che era un ricercato e un prigioniero si comportava come se fosse tutto normale. Maledetto, figlio di un…
Non poteva insultarlo ad alta voce, ma i suoi occhi emanarono promesse di morte di fronte al sorriso beffardo dell’altro.  Gliela avrebbe fatta pagare eccome, se ne fossero usciti senza essere riconosciuti per lo meno.
Eppure gli sguardi adesso erano verso di lui. Incuriositi, quasi affamati e Kieran faticò a non sentirsi sopraffatto. Doveva essere educato, doveva ricordarsi il giusto modo di rivolgersi a tutti.
– Avete davvero sconfitto il Danzante in un duello all’ultimo sangue?
– Ho sentito che avete affrontato centinaia di fate nella vostra carriera.
Cercò di rispondere a poco a poco, mentre emanava sguardi di fuoco a Silas e scivolava accanto a lui per minacciarlo. Silas lo aveva notato, ma si limitava a guardare le carte con aria divertita.
– Sì, amico mio, raccontateci – mormorò contento, mentre teneva la sigaretta fra il pollice e l’indice.
Perché continua a sorridere come un idiota, non capisce quanto sia rischioso?
Aveva talmente tanta voglia di picchiarlo che gli prudevano le mani.
Si accorse che qualcuno stava difatti osservando Silas con un certo interesse. Un giovane uomo vestito elegante, intento a giocare a carte in un altro tavolo. I suoi occhi lo studiavano con meticolosità. Kieran sperò di sbagliarsi, ma c’era qualcosa di avido nel suo sguardo.
– Maggiore Reed – lo chiamò qualcuno, facendogli distogliere gli occhi.
 Si presentò un uomo di mezz’età con una coda di capelli scuri e due occhiali tondi sugli occhi. – Ho sentito della ritirata che avete ordinato dalle miniere del Mirna e volevo sapere quando avete intenzione di riprenderle.
Kieran iniziava già ad avvertire mal di testa. – Ci stiamo lavorando, appena tutto sarà ultimato io…
– Ragazzo, il titolo che avete non si guadagna per caso! Dovete dimostrare di meritarlo. Non credo che stiate facendo abbastanza per la gente come noi, perdere le miniere del Mirna ha fatto crollare le nostre azioni.
Kieran inasprì gli occhi, mentre ripensava ai minatori rimasti uccisi e a quelli che avevano perduto tutto. A volte gli sembrava davvero di vivere in un mondo separato rispetto a quelle persone. – Farò ciò che posso.
Una delle ragazze si accasciò sul pavimento d’improvviso e tutti i presenti accorsero a sventolarla e a controllarla.
– Un giramento di testa, devo aver fumato troppo – mormorò con voce flebile.
Silas si alzò lasciando le carte. – Anche noi dovremmo ritirarci, è stato un piacere gentili signori e signorine – salutò con un occhiolino e ottenne diversi risolini.
Kieran si trattenne fino all’ultimo prima di trascinarlo di peso nella cabina.
 
*
 
– Qual era il tuo grande piano? Prendere uno di loro in ostaggio?
Silas era sdraiato sul letto con una gamba accavallata e un braccio dietro la testa. – Farmi un giro, una partitina a carte, fumare e bere un po’.
– Credi che questo sia un gioco?
– Sì, e tu fai di tutto per renderlo noioso.
Kieran lo tirò su di peso e lo sbatté contro la parete metallica. – Perché non riesci per cinque minuti a essere una persona seria? Vivi la tua vita come se nulla fosse importante, la tua leggerezza mi ripugna.
Gli occhi baluginarono e si strinsero offesi come non mai. Lo spinse indietro, dimostrando di avere ancora molta forza nonostante la malnutrizione.
– Io prendo sul serio moltissime cose. Ed è il motivo per cui me ne sono andato.
Gli girò attorno come un predatore, senza allontanare gli occhi o perdere il contatto visivo. – Sei una vera delusione rispetto a sette anni fa, davvero. Ti hanno del tutto ammansito.
Kieran voleva così disperatamente picchiarlo. – Sei un traditore spregevole, mi importa ben poco di cosa pensi di me.
– Smettetela di lusingarmi, maggiore Reed, potrei montarmi la testa.
Imprecò. – Non ti stanchi mai di indossare questo personaggio, Silas? Di queste stronzate fastidiose? Non sei fra aristocratici, puoi anche smetterla di recitare questa parte ridicola.
Il sorriso si dissolse dal suo volto. Abbandonò anche la sua posa rigida da esteta e il portamento fiero, sembrava solo minaccioso all’improvviso. – Non tutti possono permettersi di essere così stupidamente onesti. Ah già, neanche tu ormai.
Si stropicciò gli occhi. Voleva nascondere il suo disprezzo, ma non ci riusciva, credeva di poter gestire meglio il rancore che ancora sentiva per Silas, la rabbia, il senso di tradimento.
– Cos’hai fatto a quella ragazza?
Silas alzò gli occhi al cielo. – Per tutte le fate, ora è anche colpa mia se una donna si è stretta troppo il corpetto! Sono senza magia, debole come un anziano, ma posso far svenire le donne con il pensiero, come no.
– So soltanto che dove vai tu le persone si fanno male o muoiono, meglio che rimani nella parte dello stronzo arrogante, che l’innocente non ti riesce affatto bene.
Si sistemò le maniche della blusa, infastidito. – Con te funzionò al tempo.
Fermò il pugno prima di colpirlo e lo abbassò piano, mentre si mordeva le labbra. Non ne valeva la pena.
Silas stappò il whiskey col pollice e si versò due dita nel bicchiere di cristallo. Si sedette in modo scomposto sul divanetto e inclinò la testa. Kieran strinse i pugni e s’impose di calmarsi. Andò a sedersi al tavolo e cercò di scrollarsi di dosso la rabbia.
– Piuttosto – esordì Silas dopo qualche minuto, come se avesse atteso che l’altro riprendesse il solito autocontrollo, – mentre conversavo con quell’adorabile signorina, ho fatto alcune domande…
– Domande? – domandò Kieran allarmato.
Silas poggiò i gomiti sulle ginocchia e incurvò la schiena, pensieroso. – Sui rappresentanti del Diaspro che erano al processo. Soltanto loro sarebbero in grado di lanciare questo tipo di incantesimo vincolante. O qualcuno con enormi possibilità economiche e abbondante sangue di fata nelle proprie vene. Anche se quelle persone non erano presenti, è un evento di cui l’alta società ha spettegolato per giorni.
– Che cos’hai domandato, loro…
– Rilassati Reed, non sono un principiante, sono stato discreto. Non mi sono stati molto d’aiuto, ma sono certo che tu abbia indagato. Chiunque abbia lanciato la fattura, potrebbe essere una risposta più efficace di uno studioso sperduto chissà dove oltre il confine.
Kieran non sapeva come rispondere. – Potrebbe essere chiunque, non solo i maghi del Diaspro. Non m’intendo di magia come te, ma ho pensato che sarà servito il nostro sangue o i nostri capelli…
– Corretto – annuì Silas. – Senza qualcosa del nostro corpo non avrebbero potuto lanciarlo, ma è un vincolo molto articolato, chi lo ha lanciato doveva conoscere un po’ di magia, anche se ammetto che la natura del vincolo mi appare… caotica. Se non era un Discendente e non si intendeva di magia, allora doveva aver accesso ai resti di una fata purosangue potente, e soltanto il Diaspro e le Gilde hanno questa possibilità.
Kieran poggiò un gomito sul tavolo, pensieroso; anche Silas sembrava molto concentrato, ne sapeva molto più di lui di magia d’altronde.
– Articolato e caotico? – chiese cauto.
Bevve un sorso di whiskey e socchiuse gli occhi. – Non ho la mia magia, ma chiaramente il vincolo è potente. Non posso percepire la firma magica, ma c’è qualcosa di strano. Ancora non abbiamo scoperto tutti i suoi aspetti. Questo mi preoccupa, quest’incantesimi tendono a evolversi, a svilupparsi in modo indipendente una volta lanciati.
– E cosa potrebbe accadere? – chiese angosciato.
Si portò il bicchiere alle labbra e scosse la testa. – Non so dirlo, magari non accadrà. Potremmo iniziare a sentire il dolore fisico dell’altro, questo sarebbe un enorme problema.
Si passò una mano sul viso. – Merda.
– Come hai sottolineato, tu sei l’esperto, tu conosci le Gilde e la politica – disse con una punta di ironia. – Chi pensi abbia lanciato questo sortilegio?
Kieran portò la mano sulla nuca e scrollò le spalle. – Può essere un mio nemico come può essere un tuo alleato. Magari entrambe le cose.
– Un mio alleato non lo avrebbe fatto. Il vincolo è pericoloso anche per me.
– Tu ne trai più vantaggi. Hai scampato la condanna a morte, no?
Rovesciò la testa. – Oh per piacere. In ogni caso, hai molti nemici?
– Definisci il “molti”.
Alzò un sopracciglio di fronte al sorriso nervoso di Kieran. – D’accordo, dunque molti. Non mi sorprende.
– Non ho tutti questi nemici, qualche nobile risentito, una Gilda o due offese, ma sono normali reazioni quando fai il tuo lavoro senza preferenze.
Con un cenno della testa indicò la porta della cabina. – Come quel vecchio ingessato di prima. Il Ferro è uno strumento politico, è normale che ti chiedano favori.
– Non per me.
Gli sfuggì una risata, ma non sembrava la solita risata sarcastica, era più autentica. – Posso solo immaginare le facce di questi “nobili risentiti” quando hai respinto le loro richieste. Non mi sorprende che tu abbia nemici segreti che ti lanciano sortilegi. Anche all’Accademia ti sceglievi male gli avversari.
Sembrava divertito e Kieran non riuscì a sopprimere a sua volta un sorriso. – Sono sempre stato più bravo a far saltare i nervi alle persone, invece che a piacergli – commentò un po’ impacciato.
– Lo ricordo bene. Però sembra qualcosa di molto personale. Una ragazza delusa? Un vecchio amante tradito?
Abbassò gli occhi, imbarazzato. – No.
– No?
– Io… non ho avuto… molto tempo per queste cose. Le persone in questione lo sapevano, non si sono mai aspettate nulla da me. E comunque sono anni che… – non concluse la frase e si schiarì la gola. – Ad ogni modo non è possibile. Forse qualcuno dei tuoi, sono molto più numerosi da quel che ricordo.
Silas studiò il bicchiere vuoto e lo osservò con sufficienza. – Cos’è, sei invidioso? Parliamo di sette anni fa, e in ogni caso mi avrebbero lasciato venire impiccato senza complicarsi la vita.
– Magari volevano salvarti.
– Un atto d’amore? Sei un sentimentale, ma è impossibile. Non ho mai avuto quel tipo di legame con nessuno.
Per un solo secondo gli sembrò che gli occhi di Silas lo evitassero di proposito. Si affrettò a imitarlo.
C’è stato un tempo in cui ho creduto che quel legame esistesse. Fra noi. Che sciocchezza.
– E nessuno di loro aveva certe capacità in ogni caso. Sono anni che… ? Finisci la frase, Reed.
Kieran si versò a sua volta da bere. – Non sono affari tuoi.
Silas poggiò la guancia sul pugno. – Anche se eri cristallino e onesto, è possibile che qualcuno abbia frainteso. La gelosia e l’ossessione non sono sempre controllabili – considerò.
– Nessuna delle persone con cui… con cui sono stato avrebbe avuto i mezzi.
– Nessun Discendente?
Gli occhi saettarono su di lui. – Perché sono io quello sotto processo? Tu hai manipolato e sedotto un mucchio di gente.
– Sai benissimo che non è vero, è ciò che hanno sempre detto su di me, ma non ho mai manipolato o ingannato nessuno per venire a letto con me. Lo hanno fatto perché lo volevano. Se poi parliamo di persone gelose, ossessive e patetiche, beh, di quelle ne ho incontrate diverse, ma andavano oltre il mio controllo. Puoi raccontarmi dei tuoi scabrosi amanti, non sono il tipo che giudica.
Kieran alzò gli occhi al cielo. – Perché vuoi farti gli affari miei?
– Sei sempre così sulla difensiva. Sei stato o no con un Discendente?
La gamba si alzava frenetica sotto il tavolo e cercò di fermarla. – Una volta. Ma non sapeva usare la magia, non aveva imparato.
– Era un ragazzo o una ragazza?
– Smettila. Non è rilevante.
Silas gli sorrise appena. – Magari ti ha detto di non saperla usare, ma non era la verità.
Kieran si grattò la testa, sconsolato. – Parliamo di sei anni fa, faceva parte della Gilda dei meccanici. Non so che fine abbia fatto, non ha mai più mostrato interesse per me, dunque non è possibile.
– Com’è stato scoparsi un Discendente?
– Vai al diavolo.
Silas scoppiò a ridere. – Come se suscettibile! Non si può neanche scherzare.
Kieran era provato da quella conversazione e affondò l’imbarazzo nel bicchiere. La sua pelle bianca lo tradiva sempre quando arrossiva.
– Non capiremo mai chi è stato, è un discorso inutile. Ma forse l’esperto di sigilli saprà come romperlo.
Silas ticchettò il tavolo. – Non è certo un processo facile. Senza chi l’ha lanciato potrebbero volerci settimane prima che l’esperto capisca come procedere.
– Lo so, ma non abbiamo alternativa.
Rifletterono entrambi sulla conversazione, senza parlare.
Kieran però riusciva soltanto a chiedersi come fosse passato dal lottare all’ultimo sangue con quell’esaltato al parlarci di vecchi amanti su un treno mentre sorseggiavano whiskey. E poi Magda fingeva di poter predire il futuro, come se una qualche magia avrebbe mai potuto spiegare quell’imprevedibilità.

 
Chi di voi ha letto il capitolo il primo giorno avrà notato che ho deciso di spezzarlo in due. Quindi nel prossimo capitolo leggerà cose già viste. Ho riflettuto che è meglio accorciare i capitoli e magari pubblicare più spesso, così da non farvi affaticare troppo gli occhi mentre leggete. (Mi scuso con chi ha deciso di leggerselo dopo ç__ç, ma è questione di pochi giorni in fondo).
Scusate per il disguido! 

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Capitolo 7
*** Una partita a carte ***


 

Una Partita a Carte

VI


Il giorno seguente Kieran non osò lasciare la cabina. Cercare di capire come Silas fosse riuscito a sciogliere le corde e a fuggire occupò gran parte del suo tempo. Il colpevole si rifiutava di rispondere, mentre passava il suo tempo a dormire come un principe annoiato.
Come era uscito dalla cabina? La aveva scassinata o si era fatto aprire fingendo di essere rimasto chiuso dentro? Kieran nel dubbio aveva ricontrollato di avere la chiave più e più volte.
La sera scese senza che lui avesse davvero trovato una risposta, l’unica soluzione attuabile era quella di rimanere vigile. E di stringere di più i nodi.
Mentre fuori dal treno il sole tramontava fra pennellate vivide di arancio e rosa, Silas si muoveva per la cabina, inquieto come un bambino tenuto troppo tempo immobile. Iniziò a guardare nei vari scompartimenti alla ricerca di una distrazione, svuotava un armadietto e poi passava al successivo. Trovò presto un mazzo di carte Lunvesi dentro uno dei cassetti e le tirò fuori soddisfatto.
Si sedette al tavolo e iniziò a mescolarle, accompagnato dal rumore ininterrotto della locomotiva a cui ormai si erano abituati entrambi.
– Giochi?
Kieran era ancora intento a guardare le corde, che non erano state tagliate; non aveva rubato di nuovo un coltello, almeno di quello poteva essere certo. Nel dubbio però ricontrollò anche quel particolare.
– Non siamo qui per giocare.
– Avanti, Campione. Dovremo rimanere su questo treno per giorni, una partita a carte non distruggerà la tua ossessione verso il dovere.
– Non ho un’ossessione – borbottò. – Come ti sei liberato prima?
Silas sorrise mentre mescolava abilmente le carte. – Vorresti saperlo? Vinci contro di me e te lo svelerò.
– Hai cinque anni per caso?
Non aveva alcuna voglia di giocare, ma Silas era abbastanza corretto quando si trattava di sfide di quel tipo. E forse neanche lui aveva voglia di trascorrere un’altra serata in completo silenzio a fingere di tenersi occupato.
Si sedette dall’altro lato del tavolo. – A cosa vuoi giocare?
– Alla Matriarca, ricordi le regole?
Era abbastanza bravo, si trattava di un gioco di bluff e rilanci. – Sì, le ricordo.
Durante le traversate o all’accampamento era un gioco abbastanza diffuso fra i comandanti di alto grado, molto meno fra i soldati semplici che preferivano giocare a dadi.
Silas si accese una sigaretta e distribuì le carte, poi riempì un’altra volta il proprio bicchiere col liquore.
– Te lo insegnai io.
Kieran sbatté le palpebre mentre guardava il mazzo. – Tu?
– Non ricordi?
Gli tornò alla mente quel pomeriggio piovoso, le lezioni e gli allenamenti erano stati sospesi a causa di un incidente che aveva richiesto la presenza dei maestri; avevano il giorno libero ma la tempesta era troppo violenta per raggiungere la cittadina vicino. Erano rimasti in camera e Silas gli aveva insegnato la Matriarca. Poteva rievocare la scena: due ragazzi seduti per terra a gambe incrociate, illuminati da una lampada ad olio, mentre fuori il cielo tuonava. Avevano anche scommesso, ricordava di aver perso e di essere stato costretto a non lamentarsi mai più dei capelli che perdeva Silas per tutta la stanza.
– No, non ricordo.
Silas sembrò credergli o per lo meno fingere, perché rivolse la sua attenzione soltanto alle carte.
– Bevi?
– No. Quanti bicchieri hai bevuto oggi?
Il prigioniero lasciò uscire un verso esasperato. – Mi spieghi cos’altro dovrei fare? E poi il whiskey che hanno a bordo non è male.
Kieran scrollò la testa e prese le proprie carte. Non era certo un problema suo quanto bevesse Silas, magari da ubriaco sarebbe andato a dormire senza dargli fastidio. Soltanto che ogni volta che lo vedeva bere aveva voglia di partecipare, ma poi rischiava di ritrovarsi legato al letto con un pugnale nelle costole.
Prima che potessero iniziare davvero, qualcuno bussò alla porta.
Kieran s’irrigidì subito e lanciò un’occhiata a Silas. – Non muoverti.
Quello sgrullò la cenere. – Rilassati.
Andò ad aprire la porta scorrevole e si ritrovò i due uomini che erano presenti nella saletta dei giochi dove la ragazza era svenuta il giorno prima. Uno dei due era il signore che gli aveva rimbeccato l’operato militare, l’altro era invece il gentiluomo sospetto che osservava Silas dall’altro tavolo.
Avevano la giacca sottobraccio ed erano in camicia, la catenina degli orologi da taschino che sbucava dai calzoni. Il più giovane teneva una valigetta nella mano, forse aveva appena finito di lavorare nel vagone libreria.
– Scusateci per quest’increscioso disturbo, maggiore, volevamo chiedere a voi e al vostro compagno di viaggio a proposito di una collana scomparsa. La signorina Larkin l’ha smarrita dopo il suo mancamento, è un collier di perle molto prezioso. Abbiamo chiesto a tutti i presenti, vi è capito di vederla?
Kieran sentì l’urgente desiderio di picchiare qualcuno in particolare. – Non preoccupatevi per il disturbo. Sfortunatamente non abbiamo notato nulla. Se possiamo aiutarvi in qualche modo, lasciatecelo sapere. Aveva molto valore?
– Si tratta di perle – rispose il più giovane, con aria rammaricata. Il tono però anche se amabile era suonato pedante, come se si stesse rivolgendo a un povero idiota. – Potremmo parlare con il vostro assistente?
Kieran esitò e in quel momento Silas finì di aprire la porta scorrevole della cabina e sorrise ai due uomini dopo essergli sbucato accanto. Aveva indossato i due occhiali a fondo di bottiglia e aveva i capelli legati in modo da coprire le orecchie a punta. C’erano altri indizi che potevano far intuire il suo retaggio fatato, ma soltanto un attento osservatore avrebbe potuto accorgersene.
– Ma certo, eccomi qua. Anzi, perché non entrate e non vi fate una partita con noi? Avevamo appena iniziato una Matriarca.
Kieran gli pose una mano sul braccio senza farsi vedere e lo stritolò. – Sono certo che questi gentiluomini abbiano di meglio da fare, stanno cercando la collana di…
– Una partita a Matriarca? Perché no – rispose l’uomo baffuto, sistemandosi il panciotto. – Devo però avvertirvi che sono un maestro.
L’altro uomo sorrise a Silas e poi a Kieran. Aveva un che di predatorio nello sguardo. – Abbiamo chiesto a tutti i presenti della collana, con voi la nostra ricerca si esaurisce. Qualche domestico del treno deve averla rubata, non mi sorprende. Mia moglie è sempre sbadata e dà troppa confidenza alla servitù. In ogni caso perdonate le mie maniere, non mi sono presentato. Sono Jonathan Larkin, ma potete chiamarmi John. Il mio irruento amico è invece Frederick Richardson. Una partita con il Campione non mi dispiace affatto per trascorrere una serata. Grazie per l’invito.
Kieran cercò un pretesto educato per non lasciarli entrare, ma dopo l’invito di Silas qualsiasi gesto di rigetto sarebbe stato considerato molto rude. Aveva spiegato il giorno prima che era in servizio, poteva di nuovo usare quella scusa, anche se avevano già visto il tavolino apparecchiato con le carte e i due bicchieri.
Maledetto Silas.
Rimaneva solo la via maleducata, ma era troppo rischiosa. Doveva rimanere su quel treno per molti altri giorni, farsi dei nemici fra i passeggeri più facoltosi non era una buona idea. Inoltre aveva il sospetto che la collana fosse stata rubata da Silas, se il signor Larkin avesse chiesto un’ispezione nelle cabine sarebbe stato davvero un guaio.
Si fece da parte, sconsolato. La sua mente stava già viaggiando; non c’erano oggetti rischiosi alla vista, aveva riposto la mappa e il diario, le sue armi erano poggiate vicino al letto, ma per un guerriero era più che normale. Aveva il gessetto nel cappotto insieme ai proiettili e a qualche altro oggetto, mentre i soldi e il permesso del generale erano nella cassaforte della cabina.
 L’unico enorme problema era Silas e la sua imprevedibilità.
Ha rubato lui la collana? Sapeva che sarebbero venuti a cercarla?
Per Silas non sarebbe cambiato nulla se Kieran fosse stato scoperto, anzi, forse lo voleva. Voleva rovinargli la vita e la carriera. Sperava che avesse un briciolo di buon senso, perché se li avessero scoperti l’intera Gardenia li avrebbe braccati giorno e notte.
I due ospiti si accomodarono al piccolo tavolino al centro della cabina. Poggiarono le giacche eleganti intorno alla sedia e guardarono Kieran che prendeva da bere dalla vetrina. Il treno fischiava e rumoreggiava in continuazione, gli oggetti di vetro tintinnavano di continuo, ma nessuno di loro ci faceva più caso.
– Whiskey?
– Volentieri giovanotto. Che splendida cabina, molto spaziosa, e l’arredamento è davvero di buon gusto.
Silas si accomodò sulla sedia. – Solo il meglio per noi del Ferro – disse sornione. – Fumate, signore?
– Ho i miei sigari, non preoccupatevi. Voi John?
L’altro uomo scosse la testa affabile e sorrise. – Non vorreste un sigaro anche voi, signor…
Kieran sudò freddo e cercò di parlare, ma Silas rispose disinvolto: – Faust.
– Faust, non gradireste un sigaro? Le sigarette sono volgari, se permettete. Le fumano gli operai nelle fabbriche, non i gentiluomini.
Anche se il tono era stato molto educato, le parole non lo furono affatto.
Silas non perse il sorriso ma ripose il pacchetto. Kieran stava versando il whiskey, sperava soltanto che gli venisse sonno con l’alcool e decidessero di tornarsene nella propria cabina.
– John non siate maleducato – lo rimbeccò il più anziano.
– Mi dispiace se ho dato quest’impressione. Ho diversi campi di tabacco e lo dico con cognizione di causa. È solo un consiglio per la vostra immagine.
Kieran percepiva un crescente fastidio da Silas, ma la sua espressione rimase affabile.
– Voi avete perfettamente ragione… John, giusto? Le sigarette sono ahimè volgari, ma noi del Ferro non possiamo sempre prenderci il giusto tempo necessario per gustarci un sigaro. La nostra vita è una corsa continua.
Il più anziano annuì in modo serio. – Ma certo, svolgete un servizio molto pesante, contro quelle maledette creature.
Kieran porse i bicchieri e si sedette. Erano un po’ stretti e l’aria della piccola cabina si riempì subito di fumo fra la sigaretta e il sigaro. Silas iniziò a distribuire le carte.
L’uomo di mezz’età posò il sigaro sul posacenere mentre guardava la propria mano. – Le carte che mi hai dato non sono male, figliolo. Vogliamo alzare la posta?
Kieran aveva un bel gruzzolo di soldi con sé, ma non aveva intenzione di sprecarli a quel modo. Era pur vero che Silas era un maestro in quel gioco, riusciva a ricordarlo bene.
Silas si poggiò contro lo schienale. – Che cosa proponete?
Fu John a parlare, dopo aver incurvato le labbra. – Siete un Discendente, giusto?
Kieran raggelò sul posto, mentre Silas perse appena il sorriso. Tolse gli occhiali e rivelò le iridi violacee. – Siete un acuto osservatore. Il mio compagno qui è molto apprensivo e non vuole che mi riveli, teme i trafficanti e gli schiavisti.
Frederick lo guardava con un certo disagio all’improvviso. John sembrava tranquillo invece.
– La previdenza è legittima. Perché non scommettete qualcosa di voi? Una ciocca dei vostri capelli ad esempio.
– No – s’intromise Kieran, serio. – Non se ne parla.
Aveva parlato con troppa maleducazione e si ritrovò tre paia d’occhi addosso.
– Capisco che teniate alle sue parti e che siano di proprietà del Ferro, ma una semplice ciocca di capelli non può nuocere.
Silas era rigido e fece per parlare, ma Kieran lo interruppe. – Signore, forse non mi sono spiegato: il suo corpo non è oggetto di scommessa. I soldi andranno bene.
Era troppo agitato e stanco per mantenere tutti quei fronzoli nel discorso che piacevano tanto a certe persone. Voleva mandarli via il prima possibile, temeva che potessero riconoscere Silas.
Anche se dovevano essere due semplici uomini d’affari non si fidava. Era troppo rischioso. L’agitazione non gli permise di notare l’occhiata di sottecchi che gli riservò Silas.
Subito dopo sorrise cordiale. – Scusatelo, il mio compagno dimentica le buone maniere a volte. È molto protettivo. Accetto la vostra proposta, ma non taglierò la ciocca finché non vincerete.
Kieran cercò di non dare a vedere la sua contrarietà e iniziarono la partita. Appena i bicchieri si svuotavano li riempiva di nuovo, ma i due uomini sembravano parecchio resistenti all’alcool.
Nel mentre conversarono del più e del meno, di economia, di moda e di politica. Tutti argomenti che annoiavano parecchio Kieran. Si interessò soltanto quando la tematica passò allo sport e al pugilato. Silas invece rispondeva come se fosse interessato a ogni singola parola, aveva sempre avuto questo modo di parlare e di far sentire l’interlocutore pieno di attenzioni.
– Maggiore, conoscete il motivo per cui la condanna della Falena è stata rimandata? Abbiamo letto sui giornali che c’è stato un qualche trambusto.
Kieran guardò le sue carte una terza volta, ma non trovò nessuna mossa vincente. Era una mano davvero sfortunata.
– Non so dirvelo, purtroppo non sono stato preso in considerazione per queste questioni. Eravate al processo?
– No, non eravamo neanche in città. Non siamo di queste zone, veniamo dal Mirna. Eravamo in visita. Non trovate ridicolo che abbiano rimandato la sentenza?
Silas non riusciva a nascondere il sorriso beffardo dietro le carte. – È una vergogna – commentò e bevve un sorso per sopprimere la risata.
Kieran gli assestò un calcio sotto il tavolo e lo vide sussultare. – Credo che il Consiglio abbia le sue ragioni.
Frederick poggiò le carte. – Verità – dichiarò.
Ciascuno di loro mostrò le proprie carte. Silas era l’unico a non aver mentito sulla mano in corso e con un sorriso da gatto si intascò i soldi poggiati al centro. John guardò le carte torvo, non appariva contento del risultato.
– Si vocifera che voi vi siate opposto alla condanna a morte.
Kieran divenne teso. Non osò guardare verso Silas. – Da chi è giunta questa voce?
– Dalla Gilda dei gendarmi.
Si concesse un sorriso affilato. – I gendarmi non provano molta simpatia per noi del Ferro, vi consiglio di non credere a ciò che dicono. So soltanto che la Falena non è più affar mio.
Frederick si lisciò i baffi e lo osservò. – Mi ha sorpreso la vostra manovra alle miniere del Mirna. Ero scettico quando mi hanno detto che voi siete un simpatizzante delle fate, ma queste voci mi hanno incuriosito.
Kieran cercò di non mostrarsi esasperato mentre veniva di nuovo tirato fuori l’argomento delle miniere. Erano davvero insistenti.
Silas prese la parola dopo aver spento la sigaretta. – Il nostro maggiore un simpatizzante? Sono curioso, in base a cosa lo dite?
John sospirò dopo aver guardato le proprie carte. – Il maggiore ha scelto spesso di ritirarsi piuttosto che attraversare il territorio delle Corti e non ha agevolato l’acquisizione di alcune zone in mano alle fate che sarebbero state preziose per le fabbriche e i lavoratori.
Kieran poggiò le carte e portò un braccio indietro. – Il mio lavoro può essere complesso, io ricevo ordini, tutto qui.
– Ma certo, ma certo. Inoltre nessuno vi biasimerebbe per voler proteggere i vostri uomini, le fate sono una piaga. E così anche molti Discendenti, che ormai occupano fin troppi ruoli di potere. Con le dovute eccezioni – rimarcò guardando Silas con aria cordiale.
Kieran era irritato e voleva che quei due se ne andassero all’istante. Iniziò di nuovo a valutare i rischi del cacciarli in malo modo. Si arrese ad aspettare che se ne andassero di loro spontanea volontà.
 – Cerco soltanto di svolgere il mio lavoro facendo in modo che il minor numero di persone ci rimetta.
Mantenersi neutrali nelle risposte era sempre la strategia migliore, era stata una delle prime lezioni che gli aveva impartito William.
– Sapete, maggiore, c’è questa zona, vicino le mie terre, che continua a essere territorio di una fata. Credete che sia possibile per voi… aiutarmi?
– Aiutarvi in che modo?
– A farle cambiare territorio.
Silas si lasciò scappare una risata, ma anche Kieran faticò a non trasformare il suo sorriso divertito in qualcosa di più. – Avete detto che venite dal Mirna, ne deduco che la fata in questione sia qualcuno sotto il Maestrale, re della Corte del Mirna. È una fata antica molto potente. La maggior parte di Corti in quella zona rispondono a lui, anche solo spostarne una o spazzarla via susciterebbe la sua ira. Nessun comandante del Ferro vi aiuterebbe in un’operazione così rischiosa.
John guardò Kieran con aperta sufficienza. – Dovremmo soltanto accettare quest’usurpazione?
– Le fate erano lì da prima.
– Non in quelle terre! Se ne sono appropriate un secolo fa e nessuno ha mai mosso un dito – protestò.
Silas faticava a contenersi. – Certo che no. Parliamo del Mirna. Montagne, gelo, zuppe insipide, campi rigidi, tempeste. Chi scatenerebbe una guerra con una fata antica per quel posto? – replicò divertito.
Kieran gli lanciò un’occhiataccia, ma Silas non lo stava neanche guardando. Osservava John con una certa sfrontatezza.
– Stai parlando della mia terra natale.
– Splendido luogo per una vacanza invernale. Meno splendido quando si tratta di scatenare un conflitto su larga scala. Le fate di quella zona controllano il gelo, mentre gli umani, beh… muoiono con il gelo.
Kieran cercò di distendere gli animi, si era fatto prendere dal fastidio e dall’agitazione. – Posso promettervi che parlerò con i miei superiori, potremo chiedere un’udienza al Maestrale e cercare di contrattare sulle terre occupate.
Frederick spense il sigaro. – Così che quando ve ne andrete, torneranno ad occuparle. Sapete che l’unica soluzione possibile è un’altra, ma con questa linea politica codarda non andremo da nessuna parte.
Kieran socchiuse gli occhi, non sapeva come fosse finito a parlare di politica con quei due, ma non ne poteva già più. Era tutta colpa di Silas, che invece sembrava divertirsi parecchio.
– Credo di aver vinto – mormorò infatti, soddisfatto. – Purtroppo non avrete i miei capelli quest’oggi, che peccato.
L’uomo aveva un sorriso mellifluo. – Un’altra partita, siete d’accordo?
Kieran si rese conto che quello era il momento giusto per intervenire.
– Credo che ora sia il caso di separarci, è sceso il buio ed è ora di cena. La prossima volta che passerete per Railia sarò lieto di ascoltare con più calma il vostro spinoso problema nel Mirna.
I due sembrarono quasi persuasi dalle sue parole concilianti, ma Silas non appariva dello stesso avviso. – Un’altra partita è d’obbligo. Ma che cosa avete da offrire?
– Ora smettila – sbottò Kieran. – Che cosa pensi di fare?
John accettò di buongrado. – Soldi?
Silas mostrò un’espressione annoiata. – Se è tutto ciò che avete, allora non m’interessa. Possiamo concludere qui.
Fece per alzarsi, ma l’uomo lo fermò.
Prese la sua valigetta da terra e la posò sul tavolo. Aprì con un click le due chiusure e sollevò la parte superiore.
– Forse, se siete disposto ad alzare la posta, potremmo rendere la partita più avvincente.
Kieran venne colpito subito dall’odore spiacevole che proveniva dalla valigetta. Ancora prima di vederne il contenuto, si accorse che Silas aveva perso colore.
Nella valigetta c’erano diversi pezzi di fate e Discendenti, non trattati, orecchie mummificate, dita legate insieme, un sacchetto di unghie e due piccoli barattoli pieni di sangue. Al centro era disteso il corpicino minuscolo di una pixie giovanissima, o almeno sembrava una pixie, il suo corpo era essiccato e le ali bloccate da due spilli.
Kieran represse un’ondata di nausea. Molti oggetti venivano creati con parti fatate, ma era raro vedere qualcuno girare con pezzi del corpo ancora non trattati. Kieran inoltre riscontrò diverse illegalità e iniziò a insospettirsi. Non avrebbe potuto catturare una pixie senza molte risorse e alcune parti sembravano fin troppo… piccole per appartenere a Discendenti adulti. Era possibile che fossero appartenute a bambini mezzosangue morti di cause naturali, ma sul mercato nero spesso la realtà era un’altra.
Guardò di sottecchi Silas, che non sorrideva più. La sua postura era rigidissima e non distoglieva gli occhi da quella valigia degli orrori.
– Siete un collezionista? – domandò Kieran e non riuscì a nascondere il disprezzo.
– Un venditore più che altro. Mio nonno mi ha lasciato molti di questi cimeli, altri li ho presi io negli anni. La mia Gilda in questo mi ha sempre aiutato.
Kieran si allarmò per l’ultima frase. – Fate parte di una Gilda?
– Sì, la Gilda dei mercanti. Mi mandano spesso a cercare rarità da vendere ai clienti più esigenti. Visto che stiamo alzando la posta, posso darvi uno di questi pezzi. Ma se vinco io, voglio due vostre dita, signor Faust. Avete delle splendide mani, da pianista. Suonate per caso?
Silas impiegò qualche secondo per rispondere. Kieran non lo vedeva così stordito da molto tempo.
Devo intervenire.
– Signor Larkin, sapete che state infrangendo diverse leggi a trasportare materiale fatato di quella portata senza un permesso?
– Ho un permesso, maggiore.
Kieran non si fermò. – Sono curioso circa la provenienza di ogni singolo pezzo, ma non ho il tempo adesso di interrogarvi. Inoltre la vostra richiesta è passibile di denuncia; ci tengo a ricordarvi che il corpo di un Discendente non può essere usato come merce di scambio finché egli è in vita, neanche per volere dello stesso Discendente. A queste condizioni sono costretto a chiedervi di lasciare la cabina.
Silas alzò lo sguardo. – Accetto. Un pezzo a mia scelta se vinco io. Le mie dita se vincete voi. Avete occhio, sì, di tanto in tanto suono. Quale vorreste?
– L’indice e il pollice.
– Deduco che abbiate con voi gli strumenti per amputarmele.
– Ho detto che la partita è conclusa – ripeté Kieran e guardò Silas, che aveva gli occhi puntati sull’avversario.
John aprì un marsupio di pelle nella valigetta che conteneva vari strumenti chirurgici. Sembravano consunti.
Silas strinse appena un pugno. Aveva perso qualsiasi parvenza di autocontrollo e divertimento, Kieran iniziava a preoccuparsi.
– Calmati – riuscì solo a dire, sottovoce.
– Sono calmo – rispose, con un sorriso talmente freddo da dargli i brividi. – Sto contrattando. In fondo ne ho dieci di dita.
Non gli avrebbe mai permesso di andare fino in fondo. Anche se avesse giocato e perso, Kieran non avrebbe mai permesso a quel macellaio di toccarlo. Se la situazione fosse stata diversa avrebbe trovato il modo di arrestarlo.
Non può non saperlo. Perché ha tirato fuori questa valigetta di fronte a me? Pensa che chiuderò un occhio? Per questo hanno cercato di capire se sono un simpatizzante delle fate?
Qualcosa non quadrava.
Frederick sembrava altrettanto contrariato. – John non credo sia il caso. Abbiamo bevuto troppo, ritiriamoci nelle nostre cabine.
Lo spostò con una gomitata. – Non guastare il divertimento, Fred. Se voi due non volete giocare, potete tirarvene fuori.
Fece per dare le carte, ma Kieran gli bloccò la mano. – Se insistete, sarò costretto a chiamare i gendarmi.
Silas si alzò con un gesto brusco e lo fronteggiò. – Non immischiarti, Reed.
Kieran lo spinse indietro e gli si avvicinò, parlando a bassa voce. – Ora calmati, lo so che sei arrabbiato. Lo sono anch’io, ma non possiamo farci nulla al momento.
Silas gli strinse la mano a pugno sulla maglia. – Ho detto: non immischiarti. O dirò ai nostri ospiti chi sono e grazie a chi sono libero come l’aria.
Kieran lasciò andare un verso di frustrazione. – Non sei lucido – sibilò a bassa voce.
Silas lo ignorò, tornò al tavolo e si sedette. – Fatemi vedere la vostra… collezione. Voglio accertarmi che non siano dei falsi.
L’uomo sembrò quasi indignato dall’insinuazione. Avvicinò la valigetta e Silas allungò una mano per sfiorare il corpicino della pixie. Le sue dita la toccarono con una tale delicatezza, come se stessero sfiorando la seta e gli occhi di Silas si riempirono di amarezza. Kieran lo guardò senza dire altro e tornò a sedersi.
All’improvviso John afferrò la mano di Silas con un gesto deciso. Alzò la manica e scoprì i segni delle catene sui polsi.
– Come mai questi segni, signor Faust?
Kieran perse ogni traccia di colore e Frederick osservò le ferite con sguardo confuso.
Silas strattonò indietro la mano. – Levami le mani di dosso.
– Ho iniziato ad avere qualche sospetto quando siete diventato irrispettoso e ora ne ho la conferma. Le Gilde sanno che siete a piede libero, Vaukhram. A quanto pare il Ferro è arrivato per primo – e lanciò un’occhiataccia a Kieran, – ma possiamo ancora guadagnarci tutti qualcosa dalla sua cattura, non credete, maggiore?
Kieran ebbe appena il tempo di realizzare che cosa stesse dicendo. Rimase imbambolato per una manciata di secondi.
Le Gilde si erano già mosse.
Erano già sulle tracce di Silas. Ci avevano messo molto meno del previsto.
Sono stato un idiota.
Larkin doveva essere un qualche trafficante al servizio della Gilda dei mercanti, il suo atteggiamento gli era parso sospetto fin dall’inizio. Dovevano averlo contattato mentre era già sul treno o poco prima per avvertirlo con discrezione della fuga della Falena.
Però aveva ancora una speranza; l’uomo sembrava pensare che Kieran avesse già catturato Silas, anche se il treno non era diretto verso Railia. Poteva giocarsela a suo favore.
– Siete impazzito per caso?
– Non iniziamo con questo gioco, maggiore. Non conosco l’aspetto della Falena, ma mi è stata fatta una sua descrizione fisica via telegrafo. Certo che siete davvero strabiliante come dicono ad averlo già acciuffato. Visto che però non è ancora in cella, potremmo trovare un accordo che renda tutti felici.
Ah al diavolo. Non ha senso fingere.
– Il prigioniero tornerà in prigione e basta. Questa è la legge – provò ad obbiettare, ma la sua risposta non uscì decisa come avrebbe voluto.
John si lisciò la camicia. – La legge? Il vostro prigioniero se ne andava libero per il treno, non è legato né incatenato, o mi sbaglio? La vostra sorveglianza lascia molto a desiderare, maggiore. Non sarà che avete stretto un accordo? Che cosa vi ha promesso per non tornare in cella? Il suo sangue, le sue parti o la sua compagnia? Voglio semplicemente partecipare a questo scambio. Se mi darete un pezzo del vostro prigioniero, le mie labbra rimarranno sigillate e non rivelerò alla mia Gilda la vostra posizione.
Kieran si alzò di scatto, furibondo. – Come vi permettete di ricattarmi? Non ho stretto nessun accordo! Fuori di qui.
Frederick sembrava sconvolto. – L-la Falena? – balbettò e osservò Silas con occhi spaventati.
– Siete sicuro di essere nella posizione di mandarmi via? Le altre Gilde verranno a cercarlo e sono certo che saranno interessate a sapere dove si trovi e dove sia diretto. Anche i vostri superiori vorranno essere informati di come stiate socializzando col prigioniero. Niente catene, né corde? Quello che fate con lui non mi riguarda, ma potrebbe riguardare il generale Hamilton. Oppure potremmo stringere un accordo fra di noi e continuare ognuno per la propria strada.
Il mondo gli crollò addosso in un attimo. Se Larkin avesse parlato, la sua vita sarebbe stata rovinata. Avrebbe perso tutto.
– Voglio soltanto quello che ho chiesto in palio per la partita. Un paio delle sue dita e non sentirete più parlare di me. Se volete riportarlo in cella, due dita in meno saranno facili da spiegare. Se invece volete tenerlo con voi per rivendere le sue parti o per… uso personale, beh, sarà più docile, non credete?
Kieran stava tremando di rabbia. Aveva appena rimproverato Silas per aver perso lucidità, ma sentì la propria di lucidità andare a farsi un giro per il treno. Le preoccupazioni sulla sua carriera, la sua vita, il suo buon nome, si dimenticò di tutto in un istante.
Sbatté le mani sul tavolo e un bicchiere si rovesciò, inzuppando le carte.
– Ho detto: fuori di qui.
L’ordine uscì dalle sue labbra denso di minaccia e Larkin sussultò appena, teso.
Non fece a tempo a rispondere che uno scossone devastante colpì il treno così violentemente da sbalzarli tutti contro le pareti. Un suono simile al rombo di un tuono si abbatté su di loro e qualcosa esplose nella notte.
Kieran sbatté la testa contro lo spigolo del tavolino e iniziò a sanguinare; Silas riuscì per un pelo a evitare la vetrina, che si rovesciò a terra in un frastuono di vetri infranti. Alcune schegge lo tagliarono.
Frederick era finito contro il divanetto e sembrava aver perso i sensi, mentre John era stato sbattuto a terra. Le luci si spensero e si riaccesero impazzite mentre un frastuono infernale invadeva lo spazio. La bottiglia di whiskey volò a terra seguita dai bicchieri, i cocci di vetro si sparpagliarono per tutta la cabina. Lo stridio delle rotaie li assordò per un attimo e nessuno si mosse.
– Che diavolo – biascicò John, caduto dalla sedia e coperto dai vetri.
Ci fu un momento di interminabile silenzio, poi si sollevarono le urla. Kieran iniziò a raggelare e si tirò su facendo forza su un ginocchio. Tenne una mano sulla testa per riprendersi dallo stordimento.
Silas si alzò ben più rapido e spalancò le tende in un gesto deciso.
A fianco del treno, nella notte, correvano alcuni destrieri di ombre, spiriti bui che cavalcavano l’aria come brezza. In groppa portavano cavalieri foschi, come usciti da un dipinto. Solo gli occhi brillavano di un verde acceso in mezzo ai contorni nebulosi.
Kieran avrebbe riconosciuto quella magia ovunque: erano le ombre della Legione, un incantesimo che annunciava il loro arrivo.
– Cosa succede – domandò nel panico il signor Larkin. – Attaccano il treno?
– Il treno resisterà – mormorò Kieran con sicurezza. – Neanche una fata purosangue antica può distruggere questo tipo di treno e i loro incantesimi sono deboli contro il ferro runico dei treni.
– Ti sbagli – commentò Silas.
Kieran si voltò a guardarlo. – Questo treno è una fortezza.
– La Legione ha molti agenti umani o mezzosangue, come me, loro possono entrare nel treno senza risentire degli effetti del ferro. Probabilmente si sono infiltrati alla stazione e hanno usato degli esplosivi. Non tutto richiede l’uso della magia, caro il mio Reed – e nel dirlo gli sfuggì un sorriso.
La vista dei cavalieri d’ombra sembrava averlo rinfrancato.
Kieran lo osservò con orrore quando lo sentì confermare le sue paure e lanciò uno sguardo alla cabina sottosopra.
– Alla stazione li avrebbero riconosciuti – provò ad obbiettare, ma non ne era così sicuro.
Si sentivano urla e dalla porta della cabina stavano entrando alcuni miasmi; il treno continuava la sua traversata fra le pianure, il fumo della ciminiera più nero che mai. Non era deragliato e non si era neanche fermato, eppure il colpo di prima doveva avere fatto qualche danno.
– Sono i terroristi – boccheggiò John, chiudendo la valigetta e afferrandola. – Maggiore, intervenite. Fate qualcosa!
Kieran era già corso a recuperare le sue armi vicino al letto. Infilò la pistola nella cintura e indossò il cappotto. Afferrò la spada, ma non trovò il suo pugnale.
Quando si voltò vide Silas tagliare la gola a John con un gesto fluido e deciso. Il sangue iniziò a colare mentre l’uomo si portava le mani alla giugulare con un gorgoglio grottesco. Silas lo lasciò accasciare a terra con un tonfo e si voltò verso il corpo incosciente di Frederick.
Roteò il pugnale insanguinato in aria afferrandolo di nuovo dal manico. I bordi ondulati della blusa erano macchiati di rosso, così come il suo viso.
– Ah, così va molto meglio. E ora pensiamo al secondo rifiuto umano.
 


Stavolta esce prima il capitolo proprio perché lo avevo spezzato. Chi ha il temperamento peggiore qui, Kieran o Silas? Non lo so, ma i momenti in cui perdono davvero le staffe sono sempre divertenti per me.
Grazie per aver letto.

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Capitolo 8
*** Il Gufo ***


 


Il Gufo

VII





 


Kieran rimase immobile a osservare il corpo di John a terra, il piccolo tappeto ornato assorbiva il sangue come una spugna. La valigetta era a accanto a lui, chiusa.
Silas si stava dirigendo verso il secondo uomo, Frederick, e non sembrava intenzionato a fermarsi.
Lo raggiunse in due falcate e gli assestò un pugno in faccia. Silas barcollò indietro, ma non cadde e Kieran gli strappò il pugnale dalla mano.
– Che cos’hai fatto? – urlò mentre guardava il cadavere in terra.
Silas sollevò il viso ammaccato e tirò i capelli indietro. – Era feccia e lo sai. Ci aveva scoperto, andava fatto o avrebbe avvertito la sua Gilda.
– Ci ha scoperto perché tu li hai condotti da noi! – gridò e lo afferrò per un braccio. – Sei completamente pazzo, lo hai ucciso a sangue freddo.
– Voleva farmi a pezzettini, o mi sbaglio?
Kieran sentiva il fiato correre dietro ai suoi pensieri, ma era troppo agitato. Il treno stava rallentando e le urla continuavano a crescere, così la puzza di fumo.
– Dobbiamo uccidere anche l’altro, sa troppo.
– No! – ringhiò e lo spintonò indietro. – Non uccideremo nessun altro.
Silas rovesciò la testa, irritato. – Potrebbe essere la Legione ad aver attaccato il treno, ma a prescindere da quello se lo lasci in vita scopriranno che sei con me. Il vecchio deve morire.
Kieran tremava di rabbia. – Avevi pensato tutto dall’inizio, vero? Per questo hai rubato la collana della ragazza?
Gli sorrise. – L’ho rubata perché mi piaceva e avevo bisogno che perdesse i sensi per rubargliela. Sapevo che sarebbero venuti a cercarla, sapevo che questo ti avrebbe messo in difficoltà e speravo che avrebbero fermato il treno per un’ispezione. Invece hanno soltanto cercato di corromperti. Così prevedibili e noiosi. Per me puoi anche lasciarlo in vita, sei tu che perderai tutto d’altronde.
Kieran guardò Frederick, svenuto fra i vetri vicino al divanetto. Sanguinava dalla testa, ma respirava. Qualcuno urlò aiuto dal corridoio, da qualche parte risuonò un colpo di pistola.
No, ancora questa linea non l’ho varcata. Non posso varcarla. Ma se lo lascio in vita…
– Se non ci riesci, posso farlo io – gli concesse Silas. – Così non dovrai sporcarti le mani. Consideralo un favore personale per avermi fatto evadere.
– Smettila – mormorò Kieran portandosi una mano alla testa.
– Sei un soldato, uccidi anche tu. Hai ucciso fate, hai ucciso Discendenti e hai ucciso umani che li aiutavano, perché questa scena?
Tentò di calmarsi, ma ottenne soltanto d’infuriarsi ancora di più. Lo tirò avanti per la blusa insanguinata. – Quello era dovere! Erano fate impazzite che avevano sterminato decine di persone. Era su un campo di battaglia. Questo è soltanto un omicidio!
Silas non sembrava smosso dalle sue parole. – Uccidere quindi è giusto soltanto a determinate condizioni? Comodo così.
Aveva perso il controllo fin troppo in fretta. Quanto ci era voluto perché Silas facesse la prima vittima? Tre giorni? Come aveva potuto lasciare che ciò accadesse?
– Il tempo stringe – lo incalzò Silas. – Crederanno che siano morti nell’attacco. Nessuno li ricondurrà a te.
Come a rimarcare quella frase, rimbombarono altri spari in lontananza.
Kieran aprì la cabina con uno scatto e spinse Silas nel corridoio. Prese fiato e strinse una mano a pugno, portandosela vicino alla bocca come se volesse dargli un altro pugno; invece richiuse la porta a chiave dietro di sé. – Non lo ucciderai.
Silas scrollò la testa.
– Come preferisci, Campione.
 
*
 
Il corridoio era un tappeto di vetri per i lampadari crollati. Alcune persone correvano ancora verso la punta del treno, un paio di domestici li urtarono violentemente per scansarli. Qualsiasi cosa fosse successa sembrava provenire dalla coda.
Kieran aveva la spada in una mano e la pistola carica nella cinta, e guardava verso l’ingresso della carrozza letti. – Pensi davvero che sia la Legione?
– Sì.
– Hanno saputo presto della tua evasione – e un sorriso macabro gli attraversò il viso. – Visto che non posso uccidere te per quello che hai appena fatto, posso sempre sfogarmi con loro. Non gioire troppo presto, Silas, i tuoi compagni non ti aiuteranno.
Silas rimase in silenzio per qualche secondo, meditabondo.
Sono qui per aiutarmi?
Voleva crederci, voleva crederci con tutto sé stesso, ma temeva che la risposta fosse diversa. Non voleva scoprirla, perché avrebbe significato essere davvero solo. Avrebbe avuto nemici ovunque e riconquistare la fiducia e la stima di Cavana sarebbe stato… molto arduo. E lui era già piuttosto stanco. La sua unica speranza era che ci fosse anche il Gufo. Drake non lo avrebbe lasciato morire.
– Ti uccideranno, Reed.
Si voltò a guardarlo con occhi febbricitanti. – Moriresti anche tu, perciò sarà meglio di no, non credi?
Il vincolo era davvero un problema. Ne erano a conoscenza? D’altronde come avevano fatto a sapere così presto della sua evasione? Avevano poche spie, Kieran inoltre aveva mentito al Generale sulla direzione che avrebbe preso. Nessuno sapeva che fossero a bordo di quel treno.
Forse avevano visto Kieran imbarcarsi, ma questo avrebbe significato che lo stavano spiando già da tempo.
Se lo stavano spiando, sapranno del vincolo?
Kieran avanzò per il corridoio fra le luci intermittenti, poi afferrò una domestica che stava fuggendo con un braccio insanguinato. – Cos’è accaduto?
– Terroristi! Erano nascosti all’interno della carrozza merci. Hanno fatto esplodere un vagone per far entrare i loro compagni a bordo. Ci stiamo barricando verso la punta mentre aspettiamo il Ferro e i gendarmi.
– Quanti sono? – domandò col tono improvvisamente d’acciaio.
La poverina tremava. – N– non lo so, credo una decina!
Troppi. Pensò Silas con fredda calma.
Kieran non poteva sperare di tenergli testa. Il suo forte erano le creature fatate o i Discendenti, ma da solo non avrebbe potuto gestire così tanti uomini.
– Dove sono le guardie del treno? E i due guerrieri di Ferro?
– Sono corsi a fermarli, ma non sono ancora tornati… con loro ci sono due Mascherati della Legione – balbettò terrorizzata.
Di bene in meglio.
Silas cominciò a sudare freddo. Chi aveva mandato? Charlotte? Drake? Sperava davvero non Red, era il più ingestibile e aveva un odio spiccato nei suoi confronti. In ogni caso spedire non uno, ma due ufficiali della Legione ad assaltare il treno su cui viaggiava era un’azione talmente sconsiderata, talmente aggressiva che… beh si sentiva quasi lusingato. Di certo dopo la disfatta delle Steppe volevano lanciare un messaggio forte contro il Consiglio, ma sapevano davvero che lui era a bordo?
Kieran non aveva preso bene la notizia, il suo incarnato già pallido era diventato ancora più esangue. Sapeva che le guardie non avrebbero fatto ritorno.
Ormai era conoscenza comune che i Mascherati della Legione, i comandanti, come lui, fossero tutti mezzosangue delle fate. Erano utilizzatori di magia capaci e addestrati. E contro la magia le speranze di uno scontro equo calavano sempre a picco.
– Dodici contro uno? E due comandanti. Sei ancora certo di volerti sfogare con loro?
Il treno si era fermato e i rumori dei pistoni della locomotiva, delle bielle e delle ruote motrici erano scomparsi. Si udivano soltanto alcune grida, sporadici colpi di pistola e passi al piano superiore del treno.
Silas cominciò a riflettere sulle procedure. Forse erano già stati spediti guerrieri di Ferro dalla cittadina più vicina, mentre i pochi a bordo erano stati uccisi nell’esplosione. Attacchi così deliberati andavano raramente a buon fine, i rinforzi erano rapidi ad arrivare e le rapine richiedevano troppo tempo. Ma uccidere un bersaglio così importante o portarlo via poteva essere un’azione più rapida.
Kieran s’incamminò per il corridoio, schivando le persone spaventate che lo oltrepassavano. Silas sbatté le palpebre e lo seguì.
– Dove stai andando?
– Le guardie avranno bisogno di man forte.
– Per le fate, sai benissimo che sono morte.
Non lo ascoltò e proseguì contro i pochi che fuggivano dalla parte opposta. Silas afferrò uno dei vetri lunghi spezzati dei lampadari e lo soppesò.
– Avanti, fai il bravo Reed. Sapevi fin dall’inizio che era un piano sciocco e ora sei circondato. Hai due ufficiali della Legione che stanno venendo qui con non si sa quanti sottoposti, hai me dall’altra parte e sei solo.
Si voltò a guardarlo e osservò il vetro. – Non puoi uccidermi senza morire.
– Esistono cose peggiori della morte. Chiedi a chi è tornato dopo decenni di torture delle fate, la mente un colabrodo senza più compattezza. Lasciami parlare con loro e farò in modo che questa non sia la tua sorte.
Kieran aveva uno sguardo pericoloso. – Sai benissimo che piuttosto che cadere nelle loro mani e farti fuggire, mi toglierei la vita qui e ora.
Lo avrebbe fatto? Non sapeva dirlo con certezza, Kieran era imprevedibile a volte. Doveva guadagnare tempo, soprattutto perché non aveva idea di quale fosse il piano della Legione in quel momento.
Questa è l’ultima possibilità che ti concedo, Silas. Non deludermi.
Cavana aveva detto quelle parole, ma forse c’era un modo per rientrare nelle sue grazie. Non avrebbe di certo assaltato un treno solo per ucciderlo, no? Doveva convincerla a pensare al quadro generale: l’impatto che avrebbe avuto il ritorno della Falena sulla Gardenia, l’umiliazione per il Ferro e il Consiglio. Certo avrebbe dovuto inventarsi qualcosa per convincerli a lasciare Kieran in vita se voleva sopravvivere, ma poteva persuaderli a lasciargli tenere un giocattolo personale. L’idea non gli dispiaceva neanche troppo. Se avesse avuto molto tempo a disposizione forse avrebbe potuto spezzare quella sua cieca ubbidienza. Non avrebbe mai pensato a una simile possibilità fino a qualche mese fa, ma Kieran aveva alzato la testa per la prima volta contro il Consiglio. Doveva pur significare qualcosa.
Kieran ignorò le sue elucubrazioni con sdegno perché ricominciò a camminare.
– Non hai sentito quello che ho detto?
– Ho sentito. Ti sto ignorando.
Silas incespicò per seguirlo, irritato. – Vuoi darti una calmata?
– No.
Perché cercare di non farci ammazzare quando questo qui vuole così tanto morire?
Ci fu un’altra scossa per il treno, un ragazzo che stava correndo inciampò e Kieran lo afferrò al volo.
– Stanno arrivando!
– Vai verso la punta. Ci sono altri dietro di te?
Scosse la testa. – Sono morti o sono fuggiti fuori dal treno.
Il volto di Kieran s’incupì. Silas sentì la preoccupazione crescere. Ci sarebbero state ripercussioni molto gravi. Avevano assaltato treni, ma al nord, dove il controllo dei guerrieri di Ferro era più sfiancato. A pochi giorni dalla capitale sembrava molto più rischioso.
– Li blocchiamo noi, tu vai.
Silas si scansò per lasciar passare il ragazzo e guardò Kieran come se fosse impazzito. – Credo tu abbia battuto la testa troppo forte.
Kieran era livido. – Questo è quello per cui hai tradito? Civili uccisi come bestie da macello? Nella coda non ci sono neanche i nobili e i gentiluomini che odi tanto, c’è la gente comune. Ma immagino che non t’importi, in fondo sei un aristocratico anche tu.
L’accusa lo punse sul vivo più di quanto avrebbe voluto. – Non sono più un nobile, hai scordato? Ammetto che l’attacco è stato… sciatto, dal mio punto di vista. Io avrei assaltato la punta, ma non è detto che siano tutti morti. La Legione non agisce così, non uccide indistintamente.
A meno che non ci fosse stato Red. Il Cinghiale era molto meno incline a lasciare sopravvissuti, Silas non aveva mai accettato i suoi metodi. La violenza indiscriminata non era il suo stile.
Kieran scosse la testa con un sorriso amaro. Il sangue si era indurito lungo la linea della mascella e non gocciolava più dalla ferita alla tempia. – Questa è tutta colpa tua. E mia. Queste persone stanno morendo perché ti ho fatto evadere – e si portò una mano al viso.
Non sopportava quella sua espressione spezzata, lo infastidiva. Era solo questione di tempo prima che la Legione arrivasse al loro corridoio, a quel punto Kieran sarebbe stato spacciato. Se anche li avessero risparmiati, Kieran sarebbe finito prigioniero e Cavana non ci sarebbe andata per il sottile con lui.
Quelli erano i suoi ultimi momenti di libertà, a prescindere da ciò che Silas pensasse o dicesse.
 – Rimuginare e piangersi addosso non serve a nulla. Per una volta hai scelto per te stesso, non pentirtene adesso. Non è un male.
Kieran lo guardò sconvolto. – Non è un male? Guarda dove mi ha portato!
– Ti ha portato ad andare contro un sistema malato.
– Finiscila. L’ho fatto per non crepare, non perché condivido le tue folli idee – replicò furioso.
Silas non sapeva neanche perché insistesse. Perché gli importasse. – Avresti potuto farti corrompere, soddisfare le richieste e i favori. Ma non lo hai fatto. Hai messo la tua idea di giustizia sopra la legge.
Kieran non sembrava disposto ad ascoltarlo. – Chiudi la bocca. Non parlare come se mi conoscessi.
– Lascia che me ne occupi io e farò in modo che ne usciremo vivi.
– Noi forse. E cosa mi dici di tutte le persone che sono morte?
Silas sospirò. – Che cosa ti aspettavi? La Legione ha dichiarato guerra al Consiglio e alle Gilde. Pensi che una guerra non abbia vittime? Pensi che la parte opposta non abbia fatto vittime?
– Un tempo ti importava delle vittime.
L’accusa gli arrivò come uno schiaffo in piena faccia. Strinse i pugni. – Sono certo che molti siano scappati. Lascia parlare me.
Kieran sembrava tormentato. – Non posso fidarmi di te, hai appena sgozzato un uomo perché ti ha provocato!
– L’ho fatto per proteggerci.
Kieran lasciò andare il respiro con una mezza risata. – A questo punto tanto non importa più nulla.
Continuò a camminare fino a raggiungere la carrozza ristorante, dove i tavoli erano rovesciati e le stoviglie riverse a terra fra mille cocci. Le luci avevano smesso di lampeggiare impazzite e si erano spente, anche i colpi di pistola sembravano essersi quietati. L’odore di polvere da sparo e un altro più chimico dell’esplosivo continuavano però a impregnare l’aria.
Kieran si fermò sull’entrata del vagone e puntò la pistola contro l’uomo che emerse dal fondo. Indossava un lungo cappotto di cuoio nero e una maschera inquietante a forma di gufo che lasciava scoperti solo due occhi verdi innaturali. I capelli lunghi erano legati in tante trecce scomposte e ricadevano alle sue spalle. Aveva un braccio sanguinante e un pezzo della maschera saltato via. Accanto a lui si affacciarono altre persone, vestite con abiti rozzi; un paio indossavano abiti da meccanici e saldatori, forse quelli che si erano infiltrati a bordo.
I soldati che militavano nella Legione erano spesso ex– operai, lavoratori o militari della gendarmeria che avevano disertato. Erano armati con strumenti rudimentali, ma un paio avevano imbracciato le baionette della sicurezza del treno. Dovevano averle prese dai cadaveri dei gendarmi.
– Drake – mormorò.
Soppresse un moto di gioia a vedere il Gufo. Erano passati pochi mesi, ma gli sembrava di non vedere Drake da molto più tempo. Il sollievo gli invase il petto come acqua fresca e quasi si vergognò per quel moto infantile di speranza che lo investì. Non era più un bambino, aveva smesso di esserlo molto prima del previsto, ma con Drake tornava a sentirsi così, le sue responsabilità e preoccupazioni si allentavano. Forse perché lo aveva tirato fuori dai guai di continuo, forse perché gli aveva detto “non preoccuparti, me ne occupo io” talmente tante volte che aveva perso il conto.
Gli era mancato e quando lo vide sentì le settimane di prigionia colpirlo con violenza, come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
Il sorriso gli morì quando vide accanto a lui un individuo mascherato che non conosceva. Indossava abiti variopinti e la maschera color bronzo aveva la forma di un rettile. Impiegò qualche secondo per capire chi fosse, ma la riconobbe dai capelli lunghi e annodati di un biondo vivo, dalle lievi squame che aveva sul collo, piccole come petali. Marion, l’attendente di Cavana. Doveva aver fatto carriera mentre lui era prigioniero, forse era il suo rimpiazzo.
Si sentì afferrare al braccio da Kieran, che osservava i nuovi arrivati con freddezza. Avvertì subito la punta del pugnale spingergli contro il fianco.
– Vuoi davvero portare avanti questo gioco? – sibilò.
Kieran non disse nulla, tenne il pugnale contro di lui e lo sguardo sui nemici.
– Non fate un altro passo – ordinò.
Drake e gli altri sembravano provati; erano feriti e avevano gli abiti sporchi di fuliggine. Marion sanguinava dal collo e gli occhi gialli li osservavano dalla maschera, ostili.
Silas non si mosse, ma sfoderò un sorriso. – Amico mio, è un piacere per gli occhi rivederti. Avete dato spettacolo vedo, un po’ sopra le righe per i miei gusti, ma approvo l’iniziativa.
Il Gufo lo guardò con occhi stupiti. Abbassò le lame ricurve di ossa che teneva fra le mani.
– Silas? Sei davvero tu?
Il genuino stupore dell’amico lo lasciò interdetto.
– In carne e ossa! Non siete qui per questo?
Una luce di paura gli illuminò gli occhi per un attimo. – No. Siamo qui per lui – e indicò Kieran con la lama. – Cavana lo vuole urgentemente. Vivo. Sono settimane che aspettiamo lasci Railia, ma non ha più intrapreso alcun viaggio. Lo stavamo tenendo d’occhio.
Silas mostrò tutta la sua confusione. Anche Kieran apparve sorpreso.
– Me? Da quando la Legione fa prigionieri? – ringhiò.
Drake non lo degnò neanche di uno sguardo e continuò a osservare Silas.
 Cavana voleva lanciare un messaggio forte e vendicarsi della disfatta inflitta dal Campione, ma perché prenderlo vivo? Perché non ucciderlo e basta?
– Perché lo vuole vivo?
Marion intervenne. La sua voce sottile era fastidiosa come nei suoi ricordi. – Non ti riguarda.
Il tono velenoso lo lasciò indifferente. Ricordava fin troppo bene il modo in cui cercava sempre di mettere Cavana contro di lui, provando a manipolarla. Non raccolse la provocazione, ma il tono baldanzoso lo insospettì.
 – Beh tanto meglio, ho dei piani per lui.
Kieran gli rivolse uno sguardo aggressivo e dubbioso. Spinse il pugnale contro il suo fianco e Silas gli lanciò un’occhiataccia.
Drake gli stava sorridendo, ma c'era qualcosa di inquieto nel suo sguardo. – Le nostre spie non erano più operative, quindi non abbiamo ricevuto più notizie su di te. Sono davvero felice che tu stia bene.
Silas abbozzò un sorriso più impacciato. Non sapeva esprimere il calore che quella frase gli suscitava.
Marion fece un passo avanti. – Andiamo via, il Ferro sarà qui a momenti e noi siamo già esausti. È strano, trovarti qui con lui – e lo squadrò da cima a fondo, – senza catene – aggiunse, sospettosa.
Erano uno di fianco all’altro e Silas non era legato né incatenato.
 – Abbiamo stretto un accordo per ora. Mi ha fatto evadere lui.
Kieran si voltò a guardarlo e fece per parlare, ma Silas gli lanciò un’occhiata eloquente.
Non parlare del vincolo.
Sperava davvero che quell’idiota non iniziasse a blaterare a proposito del vincolo, o tutto sarebbe degenerato molto in fretta.
Il Gufo sorrise appena e socchiuse gli occhi. – Il Campione ti ha fatto evadere? Le tue doti di persuasione non smettono mai di stupirmi, marmocchio.
– Che posso farci, sono un talento naturale – rispose, confortato dal nomignolo affettuoso. – Ho bisogno per ora che resti in vita, perciò gli ordini di Cavana capitano a pennello, legatelo e andiamocene via da questo rottame.
Si accorse solo in quel momento dello sguardo di Drake. Evitava di incrociare i suoi occhi. Quel dettaglio lo innervosì.
Spostò lo sguardo su Marion. – Ti hanno dato il mio posto, Marion?
– Sono la Salamandra adesso. No. Il Cinghiale ha preso il tuo posto. Io ho preso il suo.
Forse fu il tono con cui lo disse, ma Silas percepì più goliardia del solito. Marion non aveva mai mostrato simpatia nei suoi confronti, ma c’era una sfrontatezza nella sua voce che non gli piaceva.
– La Salamandra? – e lasciò uscire una risatina di scherno. – Altisonante. Spero che Cavana ti lasci tenere il titolo, dopo il mio ritorno intendo.
Marion sul momento non disse nulla, ma sfoderò un sorriso freddo. – Oh io credo proprio che lo farà. Ora muoviamoci.
Silas non si mosse. – Qualcosa ti diverte?
– Molte cose in effetti.
Guardò Drake. – C’è qualcosa che dovrei sapere?
Uno degli uomini sussurrò nell’orecchio del Gufo. Questo gli rispose a bassa voce e gli uomini sciamarono indietro, verso le carrozze della coda.
– Dopo parleremo. Adesso dobbiamo sbrigarci.
Kieran accanto a lui sembrava una statua di cera. Il temporeggiare di Silas gli stava facendo comodo e questo lo infastidiva, ma doveva prima accertarsi della situazione.
– Parlare? Non prendermi per idiota Drake, cosa succede? Perché quell’inetta è un ufficiale adesso?
Marion si sfilò la maschera e mostrò un volto giovane, alieno, gli zigomi lisci come pietre e il naso stretto e all’insù. Aveva un sorriso gongolante, come se si stesse divertendo più del solito.
– Red lo diceva che saresti riuscito a evadere. Magari scopandoti qualche carceriere. Ci è andato vicino – e guardò Kieran con strafottenza.
Kieran le restituì uno sguardo inebetito e impiegò qualche secondo per cogliere l’allusione.
– Come ti permetti – blaterò offeso.
Silas serrò i denti. – Sempre una persona di classe il nostro Cinghiale. Questo cos’ha a che fare con quel tuo sorriso del cazzo?
Marion scoprì i denti in quello che sembrava un ghigno. – Pensavi sul serio di poter tornare come se nulla fosse?
– Ora finiscila – sbottò Drake. – Prendete il Campione e andiamo via di qui.
Silas strinse gli occhi. – No, voglio sentire cos’ha da dire.
– Non è il momento adatto.
Si grattò un taglio sul braccio, doveva esserselo procurato con i cocci di vetro. – Io non vengo da nessuna fottuta parte finché non parlate.
Marion lasciò uscire un verso di disappunto. – Se ci tieni tanto, ti accontento: Cavana ti ha tolto il suo favore. Se torni, affronterai le conseguenze.
Silas sbatté le palpebre. – Cosa?
– Perché tre settimane fa una delle nostre basi è stata assaltata dai gendarmi? Come sapevano dell’ubicazione, del contenuto e del numero di affiliati? Inoltre ben due spie al nostro servizio sono state arrestate. Le due che ti hanno passato il pugnale in cella. Tutto questo non ti dice nulla?
Impietrì. La mortificazione gli invase lo sguardo. – Mi hanno picchiato e torturato, ma non ho mai parlato! Hanno usato la magia su di me per strapparmi quell’informazione e ho cercato di bloccare tutte le questioni più rilevanti e dirottarli su qualcosa di meno importante.
Il ricordo di quelle settimane gli riempì la mente, si sentiva nauseato soltanto a ripensarci.
– Non sarebbe successo se tu non ti fossi fatto prendere vivo. Ma dovevi fare di testa tua, vero? Il Cinghiale lo ha sempre detto a Cavana che eri una mina vagante. Abbiamo investito molto per consegnarti un pugnale con la necromagia proprio per fare sì che tu ti uccidessi e non rivelassi le nostre informazioni. Lo avevi in cella, ma non lo hai usato. Hai aspettato di essere in tribunale, dove chiunque avrebbe potuto fermarti.
Silas aveva i pugni serrati. – Era importante per me farlo in tribunale. Non volevo essere salvato, ma dovevo lanciare un messaggio! Era importante che loro vedessero, che capissero che piuttosto che dargli il mio corpo lo avrei distrutto.
Marion scosse la testa. – Perciò hai di nuovo messo quello che era importante per te di fronte alla causa. Questo è sempre stato il tuo problema, Vaukhram. Cavana e Drake sono stati davvero permissivi con te, ti hanno lasciato fare ciò che volevi, ma non poteva andare avanti per sempre. Hai disubbidito agli ordini, hai dirottato parte dei nostri uomini per le Steppe e hai perso. Ti sei fatto prendere vivo, hai rivelato informazioni preziose. Chiediamo al tuo nuovo amico, qui. Il Campione. Dimmi: i tuoi superiori cosa farebbero a un comandante che non solo ignora gli ordini, ma sabota in modo irreparabile la propria fazione?
Kieran sembrava senza parole, come se non si fosse aspettato di essere tirato in mezzo. Aprì la bocca e guardò Silas. Di risposta questi tenne gli occhi puntati su Drake, che invece non osava parlare.
– Allora?
– Cosa… cosa importa?
Marion fece un gesto stizzito. – Verrebbe processato per tradimento. Ed è quello che ti aspetta.
Silas non riusciva a parlare. Guardò Drake nella speranza di un suo intervento. – Hai idea di quello che mi hanno fatto in cella? Non avrei mai parlato se non avessero usato la magia.
Drake aveva uno sguardo afflitto. – Silas so tutto questo. E mi spezza il cuore. Sono certo che sia solo una formalità, Cavana ha un occhio di riguardo per te. Sei evaso, stai bene. Questo è l’importante, troveremo una soluzione. Lei ti tiene in gran conto.
No, non è vero.
Cavana aveva un occhio di riguardo per la sua magia, perché era potente, senza quella non aveva valore ai suoi occhi. Gli aveva già concesso una seconda possibilità, non gliene avrebbe garantita un’altra.
– Mi farà uccidere e lo sai.
Drake si sfilò la maschera, rivelando il volto sfregiato. Il naso aquilino era sormontato da due occhi verdi come giade, uno dei quali appariva spalancato per la bruciatura intorno alla parte destra del viso. Anche se erano separati da una manciata d’anni, era sempre sembrato molto più vecchio di lui, quel genere di vecchiaia che non è data dall’età, ma dalle tragedie, quella vecchiaia che corrode da dentro.
– Non avresti dovuto farti prendere vivo.
Le parole gli rimbombarono nelle orecchie come una seconda condanna. – Non avevo intenzione di farlo.
Kieran gli aveva risparmiato la vita arbitrariamente, non si aspettava di sopravvivere.
– Ho portato alla Legione decine di vittorie, con il mio ingresso la Legione ha iniziato a essere temuta e a fare proseliti ovunque. Ho fatto tutto ciò che Cavana mi ha chiesto, ma conta solo il fallimento? Non hanno valore le mie vittorie?
Marion finse un’occhiata annoiata. – Risparmiaci la retorica, Falena. Vieni con noi e affronta la giustizia della Legione. L’hai amministrata tu stesso molte volte, o mi sbaglio? Non lo hai ucciso proprio tu il precedente secondo in comando di Cavana?
Cercò di ignorarla e concentrarsi su Drake. Doveva convincerlo, doveva appellarsi a lui. – Sai che mi farà fuori. Non deve andare così.
Il Gufo s’infuriò e lasciò uscire un verso di frustrazione. – Non guardarmi così, moccioso. Credi che non abbia provato a intercedere con Cavana? Stavolta l’hai combinata troppo grossa, neanche io posso proteggerti.
– Allora lasciami andare via.
Kieran si girò verso di lui. – Cosa?
– Taci – borbottò. Tornò a rivolgersi a Drake. – Me ne andrò per la mia strada se non posso tornare.
Marion avanzò di un passo con una spada di ossa fra le mani. – Oh non credo proprio. Hai esaurito la tua utilità per la causa. Ma il tuo corpo la continuerà per te. Per la libertà: soldato nella vita, arma nella morte. Hai dimenticato il tuo giuramento?
Silas continuava a osservare Drake, ma questo socchiuse gli occhi. – Silas… sai ogni cosa della Legione, dalle nostre basi, ai nostri piani e il tuo corpo potrebbe essere un’arma potente nelle mani dei nostri nemici. Non hai la tua magia, giusto? Sei vulnerabile agli attacchi. Non possiamo lasciarti andare così, cerca di capire.
Ormai aveva colto il punto. Era una consapevolezza che non avrebbe voluto apprendere in quel momento o a quel modo.
A parti scambiate non avrebbe mai permesso a Cavana di mettere le mani su Drake. Era tutto ciò che gli rimaneva, non avevano legami di sangue, ma da quando sua sorella lo aveva affidato al Gufo, aveva sempre pensato a lui come a un fratello.
Puoi fidarti di lui, Silas. Soltanto di lui.
La voce di sua sorella gli giungeva distorta dal passato, materna, ma forse era soltanto la sua nostalgia, perché non era mai stata una donna molto premurosa. Gli aveva però donato un fratello, Drake, una persona su cui contare nei momenti di solitudine.
Per Drake però non era così. Prima di Silas c’era stato il dolore, c’era stata sua sorella e il loro amore, c’era stata la causa e la Legione. La sua fedeltà non avrebbe vacillato per salvarlo. Si fidava dei metodi della Legione e non avrebbe fatto eccezioni. Neanche per lui.
Ed è giusto così. Se non si trattasse di me, anch’io avrei ritenuto giusto punirmi. Me lo merito.
Sì, se lo meritava davvero. Il suo rancore per Kieran lo aveva acciecato, aveva gettato tutto alla malora per quel conflitto. Non si era ucciso perché sperava di uscirne vivo, aveva scelto di suicidarsi al processo per poter umiliare i Vaukhram un’ultima volta di fronte a tutti.
Nessuna di queste azioni era stata fatta per la Legione. Era stato tutto per sé stesso.
No, non tutto.
– Se Cavana mi avesse mandato i rinforzi, se avesse creduto nella riuscita della battaglia, la disfatta delle Steppe sarebbe stata una nostra vittoria. Invece continua a essere ossessionata dall’Araldo. È lei che ha perso di vista l’obbiettivo!
– Ora basta – lo interruppe Drake. – Dobbiamo muoverci. Vieni con noi.
Silas prese il respiro. – Drake – mormorò piano. – Mi sei rimasto solo tu, ho la Gardenia alle calcagna e non ho la mia magia.
– Stavolta no, marmocchio. Non posso tirarti fuori da guai. Se mi avessi dato ascolto non saremmo giunti a questo.
L’amarezza si tramutò in rabbia, una rabbia violenta come non la sentiva da molto tempo. Stava perdendo il controllo delle sue emozioni ed era qualcosa che non riusciva a gestire.
– Sei un ipocrita del cazzo, lo sai questo, vero? Hai fatto una promessa o mi sbaglio?
La voce gli uscì spezzata e si odiò per quel tono, perché Kieran lo stava guardando e non voleva mostrargli quella debolezza.
Drake strinse le mani sulle else delle due armi che stringeva in mano. – Sì. Ma ho fatto anche un giuramento alla Legione. La situazione è troppo delicata perché uno come te se ne vada in giro così. Conosci i nostri piani, le nostre strategie, i nostri nascondigli, e sei in compagnia del nemico come se non avesse sabotato i nostri piani innumerevoli volte.
La collera gli colorò il viso. – Non ho mai parlato! Mi hanno torturato e picchiato, mi hanno sputato addosso, mi hanno umiliato, ma non ho mai tradito la Legione! – urlò e quei due mesi di prigionia gli crollarono addosso come macigni. Le botte, gli sputi, le ossa rotte, il terrore di non uscirne vivo, del suo corpo smembrato e usato dai suoi nemici per nuocere alle persone che amava.
– Come potete pensare… – prese fiato perché era scosso, – come potete credere che io possa farvi questo?
Drake si massaggiò gli occhi. – Lo sai il perché. Se solo mi avessi dato retta tutto questo non sarebbe successo!
– Quindi hai intenzione di uccidermi a sangue freddo? Come se fossi un nemico e basta?
– No! – protestò il Gufo e il volto divenne una maschera di orrore. – Questo mai. Vi porteremo da Cavana entrambi. Sarà lei a decidere della tua sorte. Subirai un processo e sono certo che andrà tutto bene.
Un altro processo.
Non riusciva a crederci. Tutto quello era di un’ironia davvero crudele. Sapeva che Cavana aveva perso il senno da quando quel maledetto Araldo girava per la loro base, ma non pensava che si sarebbe giunto a quello.
Ha messo Drake contro di me.
Il Cinghiale, Marion e l’Araldo. Tre persone con cui si era sempre scontrato nelle decisioni della Legione. Avevano aspettato il suo primo scivolone e la sua assenza per avventarsi su di lui e screditarlo agli occhi di Cavana.
Il sangue gli ribolliva nelle vene. Se solo avesse avuto ancora la sua magia.
Indietreggiò di un passo. Non sarebbe morto lì, no, si rifiutava di accettarlo. Guardò verso Kieran, che non aveva proferito parola. Ricambiò il suo sguardo, anche se smarrito e confuso.
Sperò che quell’idiota ricordasse ancora i segni con le dita che avevano inventato all’Accademia per le missioni. Da dietro la schiena piegò l’indice e il medio nel tentativo di attirare la sua attenzione.
Kieran notò subito il gesto. Impiegò qualche secondo per prendere una decisione, ma alla fine fece un cenno impercettibile col capo.
– Silas vieni con noi, non c’è più tempo. Vuoi finire nelle mani del Consiglio? Così che possano usare il tuo corpo contro di noi?
Socchiuse gli occhi, stomacato. – Stai dicendo che mi concedi di scegliere il mio carnefice? Generoso da parte tua.
Kieran s’intromise. – Nessuno andrà da nessuna parte.
Drake gli rivolse uno sguardo circospetto. – Questo è il tuo giorno fortunato, Campione. Non morirai qui.
– Ora – mormorò Silas a voce inudibile.
Si lanciò indietro verso l’uscita della carrozza ristorante. Kieran si apprestò a seguirlo, ma si ritrovò la spada di Marion addosso. Parò il fendente con la spada e indietreggiò. La ragazza sussurrò qualcosa per evocare una magia e alcune rune brillarono sulla lama d’ossa. Aggrottò le sopracciglia per la fatica, mentre le rune apparivano e sparivano, deboli.
Le armi d’ossa dei Mascherati erano potenti artefatti magici, Silas preferiva il ferro, non apprezzava l’idea di servirsi delle ossa di persone come loro. Inoltre a contatto con le armi runiche dei guerrieri di Ferro la magia usciva indebolita; ed era proprio ciò che stava accadendo in quel momento.
Kieran la interruppe prima che potesse portare a termine l’incantesimo: usò la forza bruta per spezzare la sua difesa e con un calcio in pieno stomaco la gettò lontano da sé.
Corse fra le due porte scorrevoli. Chiuse la prima e uscì dalla seconda senza guardarsi indietro. Drake pronunciò qualcosa alle loro spalle e l’aria venne risucchiata verso il fondo.
Silas tenne la seconda porta con il suo peso. – Prendi tutto ciò che è infiammabile e i fiammiferi.
– Fai reggere a me la porta, tu sei…
– Sbrigati! Se entrano sei l’unico qui che ha una spada di ferro runico. Muoviti!
Kieran non se lo fece ripetere e corse per il corridoio a recuperare il necessario.
Silas avvertì il primo colpo alla porta, una scarica di vento devastante che quasi lo fece saltare indietro. Le porte scorrevoli avevano poco metallo, di norma il treno si sarebbe dovuto blindare, ma visto che l’aggressione era interna il conducente aveva preferito non farlo. Era stata una buona idea, o avrebbero fatto la fine del topo.
– Silas – tuonò una voce. – Così peggiori soltanto le cose.
– Va’ al diavolo Drake. E pensare che mia sorella mi disse di fidarmi soltanto di te. Povera sciocca.
Ci fu silenzio dall’altra parte. Voleva annientarlo, ma più di quello voleva fargli sentire rimorso. Era convinto di essere ormai immune a quel dolore, forse era presuntuoso pensare che il tradimento smettesse di fare male con il tempo.
– Sei un maledetto traditore – gli ringhiò mentre continuava a tenere la porta. – Credevo di poter contare su di te – e l’asprezza gli graffiò la voce.
– Ho lottato per farti avere una seconda possibilità quando hai voltato le spalle a tutti. Ho implorato Cavana e le ho offerto la mia vita. Ma tu hai deciso di fare di nuovo di testa tua e ora viaggi con il nemico. Devi affrontare le conseguenze, se non sei colpevole di nulla, Cavana ti risparmierà. Te lo prometto. Devi fidarti di me.
Socchiuse gli occhi e non rispose, mentre un secondo colpo devastante si schiantava contro la porta scorrevole. Sentì qualcosa spezzarsi nel legno.
Kieran tornò con tutto l’occorrente e il fiatone. – Ecco qui.
– Daremo fuoco a tutto ciò che non è ferro. Versa l’alcool sui tappeti e sulle sedie.
Ubbidì frettolosamente. – E come usciremo? La punta è blindata e le uscite sono chiuse. Senza contare che se anche troviamo un modo di lasciare il treno, ci inseguiranno.
Silas iniziò a riflettere. – Sai cosa c’è nella zona cargo?
Kieran ebbe un lampo. – Ho visto alcune vaporette e dei cavalli, se non hanno fatto troppi danni, qualcuna potrebbe essere intatta. Ma come le raggiungiamo?
Silas guardò verso l’alto e Kieran capì. – Il secondo piano potrebbe essere inagibile, ma può funzionare. C’è una scaletta più avanti.
Il terzo colpo mandò in frantumi la porta. Silas venne sbalzato via e i frammenti di legno e metallo gli ferirono gli occhi. Soppresse un grido quando avvertì un dolore lancinante al fianco e alla testa.
– Silas! – urlò Kieran e lo afferrò al volo.
Si tenne alla sua stretta, lo guardò impugnare i fiammiferi e accenderli insieme. Li lanciò sul pavimento pregno di alcool e iniziò a correre, trascinando Silas che si teneva in piedi con fatica.
Sentì una vampata bollente alle spalle e il crepitare del fuoco che iniziò a divorare ogni superficie cosparsa di liquore. Gettò un’occhiata indietro e le fiamme gli danzarono di fronte agli occhi feriti.
Un colpo di baionetta li sfiorò in mezzo al fuoco, Kieran sussultò, si schiacciò contro la parete e lo trascinò dietro senza smettere di sostenerlo.
– Fermatevi, non sparate! – gridò Drake sopra le fiamme.
Silas sentiva il sangue gocciolargli lungo il viso e faticava ad aprire gli occhi, gli bruciavano e vedeva alcune macchie sfocate. Il fumo gli riempiva i polmoni e il sudore gli aveva appiccicato i vestiti alla pelle. – Posso camminare, lasciami.
– Stai sanguinando.
Si staccò con una spinta e proseguirono per il corridoio. Le cabine erano quasi tutte aperte, i passeggeri erano fuggiti verso la punta senza curarsi di nulla.
– La valigetta… possiamo prenderla – mormorò Silas, ma le fitte alla testa interruppero le ultime sillabe con un lamento.
– Non possiamo tornare indietro.
 Trovarono la piccola scala a chiocciola in legno lucido che portava al piano superiore del treno. Silas iniziò a salire e gli scalini si sdoppiarono nella sua visuale. Tenne saldamente le mani sul corrimano di metallo e riuscì a raggiungere il corridoio del secondo piano, dove si trovavano gli alloggi del personale del treno.
Il tetto era molto più basso, entrambi furono costretti a incurvarsi; le cabine disseminate per il corridoio erano più che altro delle semplici cuccette. Non c’era più nessuno neanche in quella zona, erano tutti fuggiti avanti.
– Raggiungiamo il carro scorta, dietro la locomotiva – ansimò. – Da lì potremo salire sul tetto del treno. Perderanno tempo a cercarci e non sentiranno i nostri passi da sotto mentre raggiungiamo la coda.
Anche Kieran iniziava ad accusare la tensione. Guardava Silas come se non fosse sicuro di cosa stesse accadendo. Non che Silas potesse aiutarlo in quello, riusciva a malapena a mettere un passo dietro l’altro senza perdere i sensi.
 – Mi sembra una buona idea. Andiamo.
Corsero per il corridoio stretto e basso fino a raggiungere l’ingresso del carro scorta. Era l’unica carrozza scoperta, quella che conteneva i rifornimenti di carbone e acqua per il funzionamento della caldaia. Si trovava proprio prima della cabina di pilotaggio e della grossa locomotiva.
Era separata dalle altre carrozze grazie a una spessa porta metallica, chiusa con una manopola.
Alcuni singhiozzi spaventati li raggiunsero e Silas abbassò lo sguardo verso il pavimento; erano sopra le carrozze della punta. Sotto di loro dovevano essere stipati i passeggeri che si erano nascosti e barricati.
Kieran posò la spada e afferrò la manopola di ferro.
– Li troveranno? – domandò mentre iniziava a girarla con forza.
Silas ascoltò le voci sommesse dei passeggeri al piano inferiore. Molti dovevano essere scappati, non sarebbero mai entrati tutti nei primi vagoni.
– Cercano noi, ma sanno di avere poco tempo. Il Ferro sarà qui in una manciata di minuti. Non perderanno tempo con i civili.
 La porta metallica si aprì con un pesante cigolio. – E come sanno che non ci siamo nascosti proprio fra i civili?
Subito li investì una folata di vento gelido e Silas rabbrividì con quella misera blusa strappata che indossava. L’inverno sapeva essere davvero inclemente nelle pianure.
– Perché sanno che se aspetto qui arriverà il Ferro e mi riporterà in prigione. Dobbiamo andarcene prima che il Gufo ci raggiunga e prima che arrivino i tuoi compagni del Ferro.
– Ma…
– Possiamo parlarne dopo?
Uscirono e si richiusero la pesante porta alle spalle. Si trovavano su una piccola pedana di metallo che li separava dalle scorte di carbone esposte al vento. Accanto a loro una piccola scaletta inchiodata li avrebbe portati sui tetti dei vagoni.
– Ci siamo quasi. Sali prima tu.
Silas esitò; si sentiva malfermo, aveva un forte senso di nausea e vertigine. Annuì e iniziò ad arrampicarsi, le mani scivolose dal sudore non lo aiutarono nell’impresa.
Il vento freddo gli soffiava in viso senza sosta, tanto che il sangue cominciò ad asciugarsi sul viso e i capelli vennero strattonati indietro. Anche se il treno era fermo, la pianura era più ventosa che mai, gli alberi della macchia si agitavano furiosamente e le nuvole nel cielo scuro tuonavano. Si arrampicò anche Kieran e iniziarono a correre verso i vagoni finali.
Se fossero riusciti a raggiungere il bosco di Tarvenia, forse avrebbero potuto nascondersi, la Legione si sarebbe fermata. Quelle zone appartenevano alla Crisalide, non avrebbero oltrepassato i confini per commettere violenza.
Aveva il fiatone e la testa gli girava. Sentì Kieran tirarlo su per un braccio e spingerlo avanti.
– Reggiti a me.
– Non toccarmi.
– Smettila di fare l’idiota, moriremo entrambi se non mi ascolti. Capiranno presto che siamo fuggiti sopra le carrozze. Sei ferito, rischi di cadere dal treno. Mi sto solo salvando la vita, d’accordo?
Silas emise un rantolo che suonò come un ringhio. Accettò la mano di Kieran e si sostenne a lui.
Iniziarono a camminare velocemente sopra i vagoni, era questione di minuti prima che Drake domasse il fuoco e capisse dov’erano finiti.
Attraversarono tutte le carrozze senza mai fermarsi, diverse persone fuggivano dal treno a piedi, urlando. Kieran sembrava sollevato nel vedere così tanti passeggeri correre via, significava che molti nella coda erano ancora vivi.
Quando erano ormai vicino alla carrozza merci ci fu un’altra esplosione alle loro spalle. Kieran volò quasi via dal treno, cadde violentemente di schiena sul metallo scuro e afferrò una ringhiera.
Silas venne sbalzato a pochi passi dal vagone cargo, dove il metallo del treno era deformato per le esplosioni e aveva una voragine.        
Cercò di issarsi in piedi, ma iniziò a perdere conoscenza. Aveva provato a rimanere cosciente, ma la perdita di sangue e i frammenti di ferro nella sua carne annientarono la sua resistenza.
Morire così sarebbe davvero l’ultima delle beffe.
 
*
 
Quando riaprì gli occhi, sentì il vento strattonargli i capelli indietro. Cercò di mettere a fuoco, ma la sua vista sembrava difettosa, aveva alcune macchie nella sua visuale. Guardò il cielo notturno e la macchia che incombeva su di loro con le enormi schiere di alberi. Per secondo gli giunse il rumore del motore e della vaporetta, che sussultava sul terreno poco pratico della pianura e sputava fumo con qualche protesta.
Aveva le labbra secche ed era sdraiato sui sedili posteriori. Aveva un bendaggio rudimentale sul fianco.
Alzò il viso e vide Kieran guidare la vaporetta, seduto a cassetta. Aveva la maglia sulla schiena sporca di sangue e il collo sudato.
– Ci inseguono?
Si voltò con un sussulto e lo studiò con espressione preoccupata. – Non lo so, ma ci siamo quasi. Sei svenuto per… – tirò fuori l’orologio da taschino e imprecò quando si accorse che era spaccato, – beh per un bel po’. Come ti senti?
Si sentiva così male che a malapena riusciva a restare cosciente. – Non morirò – gracchiò.
– Hai bisogno di cure. Purtroppo non sono riuscito a prendere nulla. I soldi, i documenti, è andato tutto perduto – mormorò afflitto.
Silas aveva un po’ di soldi, quelli vinti a carte che aveva intascato, ma non erano molti e alcuni erano volati via quando era stato sbalzato.
– Pe ora pensiamo a scappare.
– Credi che si fermeranno?
Annuì. – Non sono così folli da provocare una fata antica. La Crisalide vieta la violenza nei suoi boschi.
– E noi? – domandò preoccupato Kieran. – Non rischiamo di provocarla?
Era una possibilità. – Basta che non entriamo con la vaporetta e ci comportiamo secondo le sue regole.
– Riposati, ti sveglio appena siamo arrivati.
Silas guardò indietro; la vaporetta era senza tettuccio e il freddo della notte gli mordeva la carne. Tremava di freddo, ma fu sollevato nel vedere che non avevano nessuno alle calcagna. Dovevano aver rinunciato per l’arrivo dei guerrieri di Ferro.
Il treno era ancora lì, immobile, un mostro nero mastodontico adagiato in mezzo alla pianura. Alcune spirali di fumo si levavano dalle carrozze, ma non riusciva a vedere altro. Chiuse gli occhi con una smorfia di dolore.
 – I miei occhi hanno qualcosa?
Kieran si voltò. – Sono molto rossi, sembra che siano esplosi alcuni capillari. Hai bisogno di cure o di un medico.
Lo silenziò con un gesto secco. – Pensa a guidare. Io me la caverò.
Non sembrava convinto, ma non disse nulla. Si stava trattenendo dal chiedergli diverse cose, poteva percepirlo, ma Silas non sarebbe stato in grado di rispondere in quel momento. Era rigido per il freddo e si strinse in un angolo. Guardò la ferita al fianco con stanchezza.
Drake gli aveva voltato le spalle. Cercò di pensare a qualche arguta frase sarcastica nella sua testa per rendere il tutto più accettabile, ma non gli sovvenne nulla di intelligente o confortante.
Non aveva più niente ormai. Persino quell’idiota di Kieran aveva qualcuno da cui tornare, degli amici, dei compagni. Chissà se il Geco era stato d’accordo con quella decisione, quando si trattava di discussioni era sempre dalla sua parte.
No. Basta.
Conosceva quel gioco della sua mente e non ci sarebbe cascato. Avrebbe potuto perdersi per ore a immaginare la reazione del Geco e fingere che si sarebbe arrabbiato per lui, e provare a figurarsi Drake che avrebbe chiesto scusa, pentendosi. Fin da piccolo era sempre stato fin troppo bravo con quel genere di illusioni e sogni, anche quando lo ferivano. Anche quando provava a immaginarsi i suoi genitori attanagliati da un improvviso senso di colpa, che gli chiedevano scusa e cambiavano, diventando persone amabili e affettuose.
Rovesciò la testa indietro, esausto. Era troppo grande per quel genere di conforto spicciolo.
Eppure continuava a rivivere il momento in cui Drake gli aveva avvolto quella coperta logora intorno al corpo, per confortarlo. Singhiozzava più forte di lui, aveva a malapena diciott’anni, mentre Silas era ancora dodicenne. Cercava di rincuorarlo per sua sorella, ma Silas aveva capito già all’ora che tentava di rincuorare sé stesso.
– Ascolta, quell’uomo…
– Non parlare – sussurrò Silas. – Lasciami in pace.
Si voltò a dargli le spalle. Kieran non proferì più parola.
 


Eccomi qui.
Ho pubblicato un pizzico più tardi, anche perché questo capitolo mi ha messo in ginocchio. E' stato molto frenetico e non trovavo un attimo per correggerlo, sono stata interrotta spesso, quindi penso che ci siano più refusi del solito ç__ç.
Però almeno sono successe molte cose importanti. Pure alla Legione sanno essere molto duri.
Spero non sia risultato troppo confuso, la scena e la situazione erano frenetiche e forse alcune cose le ho scritte in modo troppo precipitoso.

 

 

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Capitolo 9
*** II - Accademia - ***


 


II

Accademia




893 p.U.



– Perché no?
Dalia bevve un po’ d’acqua e continuò a tagliare la fettina di carne nel piatto. – Perché abbiamo corporature diverse, tu sei molto più grosso di me, non ho le competenze per aiutarti con la scherma. Possiamo allenarci insieme se vuoi.
Kieran si frenò dal rispondere con la bocca piena, ma mostrò un bel broncio. – D’accordo allora, tieniti i tuoi segreti – borbottò.
Dovevano parlare a voce alta nella mensa, il chiacchiericcio era assordante. Le lunghe tavolate di legno erano piene di cadetti, lungo i muri erano appesi quadri e dipinti di banchetti e di battaglie. Avevano recitato il giuramento e si erano lanciati sul cibo, dopo avrebbero avuto le simulazioni ed erano tutti smaniosi di rimettersi in forze.
Kieran aveva una fame insaziabile, consumava energie a un ritmo disumano, cadeva addormentato appena metteva piede in camera e aveva a malapena il tempo o le forze di pensare.
– Non sono segreti, ognuno ha le sue specialità, la mia è la scherma.
Dalia era davvero la più abile schermista dei nuovi cadetti, l’unica che superasse Silas. Da un po’ di tempo erano diventati amici, forse perché entrambi erano senza titolo, oppure perché lei era simpatica e alla mano. Kieran era sollevato di non dover più mangiare da solo. I pasti erano diventati molto più piacevoli in compagnia. A volte Dalia si comportava in modo rigido e fra loro c’era ancora un lieve imbarazzo, ma Kieran voleva rafforzare la loro amicizia. Non sapeva bene come, per il momento si limitava a mangiare con lei e a conversarci.
– Dov’è Silas?
– E cosa ne so io.
– Non siete grandi amici voi due?
Si strozzò con l’acqua. – Sono il suo compagno di stanza, mica la sua badante – bofonchiò.
Si era accorto che mancava, ma Silas era sempre a zonzo a causare guai, era irrequieto e girovago, non si piegava ai ritmi dell’Accademia, continuava a seguire i propri con testardaggine.
– Potresti chiedere a lui per la scherma, ti darebbe una mano.
– Sarebbe come ammettere che lui è più bravo di me.
La ragazza aggrottò le sopracciglia e trattenne un sorriso. – Ma lo è.
– Per ora – ribatté fiducioso.
Da quel lontano giorno della simulazione fra Kieran e Silas erano passati ormai mesi. Quello che molti credevano sarebbe stata un’eccezione, una svista, uno scivolone del ragazzo d’oro dell’Accademia, divenne invece la normalità.
La rivalità fra Kieran e Silas, la loro competizione continua, il loro sfidarsi a ogni allenamento, a ogni esercizio, a ogni test, li aveva resi entrambi piuttosto conosciuti fra le mura dell’Accademia; e se questo per Silas era già un fatto, per Kieran era qualcosa di nuovo. Le loro scenate venivano chiacchierate da tutta l’Accademia, erano una fonte continua di pettegolezzi e scommesse, si rubavano le vittorie ed erano sempre i primi a proporsi.
Dividere la camera era diventato più frenetico. Silas aveva iniziato a dormire più spesso con lui ed era capitato più di una volta che avessero parlato fino a notte fonda di tattiche, strategie e di quanto il maestro Graham avesse un alito mefitico.
Silas aveva l’incredibile capacità di imitare e prendere in giro alla perfezione ogni singola persona. Si metteva un monocolo di sua proprietà e ricreava l’accento del capo domestici, s’incurvava e parlava sbiascicando e diventava l’addetto al telegrafo. Kieran rideva fino alle lacrime, non avrebbe mai pensato che Silas fosse così divertente. C’erano diverse persone a casa con cui si trovava bene, ma quelle che riuscivano a scatenargli quell’ilarità erano pochissime e Silas era di certo al secondo posto. Dopo suo fratello forse.
La sua nuova quotidianità era molto più sopportabile e aveva paura a dirlo ad alta voce, ma non si sentiva così felice da diverso tempo. Scriveva spesso lettere a sua madre e a suo fratello, cercava di sbafare meno con l’inchiostro e usare una calligrafia piccola piccola per far entrare tutto quello che doveva dire. E c’era davvero tanto da dire, ma gran parte delle sue lettere erano occupate da Silas. Gareggiare con il Discendente aveva dato uno sprono in più a ogni singola lezione, sentiva di essere migliorato davvero e di non potersi fermare per alcun motivo. I maestri avevano imparato il suo nome e avevano diverse aspettative su di lui, anche gli altri cadetti ormai lo riconoscevano.
Non sapeva come definire Silas. Un amico? Un avversario? Un avversario. Suonava così fiabesco, come le storie che gli raccontava sua madre a proposito del famoso spadaccino gentiluomo, Reix. Anche lui aveva un rivale. Era imbarazzato a definire così Silas, ma gli dava quel senso di avventura ed esperienza, come se fossero già guerrieri di Ferro esperti. E per quanto a volte non sopportasse granché alcuni lati di Silas, dal suo atteggiamento beffardo, alla sua scarsa capacità di accettare la sconfitta, al modo in cui si inalberava se la camera era troppo disordinata, doveva ammettere che Silas era molto più di quanto avesse pensato.
– Credi che per l’Iniziazione potremmo chiedere di essere nello stesso gruppo? – domandò Kieran, usando la forchetta per prendere le ultime briciole.
Dalia si stava pulendo le labbra con un tovagliolo. – Credo saremo divisi per blocchi di camere, ma in ogni caso devi stare tranquillo. Per uno come te l’Iniziazione sarà un gioco da ragazzi.
La frase lo innervosì subito. – Vorrei che fosse così, ma sono quello qui dentro che conosce meno il mondo fuori e poi le mie valutazioni nei test teorici sono penose… ho scoperto che rompere il naso al Discendente non è motivo di valutazione, tsk, follia pura.
– E io che credevo ti avrebbero eletto Feldmaresciallo seduta stante.
Sorrise. – Forse devo rompergli anche altro.
Nel momento in cui lo disse vide Dalia trattenere un sorrisetto e arrossì subito, grattando la forchetta con il piatto. Si passò una mano sul viso. – Aveva un suono ambiguo, vero?
– Leggermente – ridacchiò.
Abbassò la testa e bofonchiò qualche scusa.
 
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Ritornò in camera dopo gli allenamenti che a malapena si reggeva in piedi, voleva posare la divisa e andare a farsi un bagno alle sorgenti termali, era l’unico giorno in cui era concesso. Sentiva collo e schiena doloranti, i muscoli in fiamme, aveva i palmi delle mani sanguinanti e si era sbucciato ginocchia e gomiti cadendo. Voleva sciacquarsi e riposarsi senza pensare all’Iniziazione e a quanto ne fosse spaventato. Era molto bravo a evitare i pensieri angoscianti, ci girava intorno senza affrontarli finché non lo investivano in pieno. Beh forse non era così bravo.
Sull’ingresso della camera c’era Silas e non era solo.
La loro stanza si trovava in fondo a un breve corridoio dietro l’angolo, abbastanza isolata, le altre camere erano prima della svolta. Aveva una porta di legno elegante e una maniglia d’ottone, il numero era segnato in oro, la dodici. Sapeva che le altre Accademie minori avevano camerate di cadetti che dormivano insieme, ma lì era tutto molto più lussuoso.
– Ti ho detto di levarti dalle palle, Siegan, non costringermi a spaccarti la faccia.
Il tono di Silas grondava ostilità, non c’era granché di quel sarcasmo che usava di solito.
Qualcuno è di buon umore.
Silas non perdeva quasi mai la sua aria canzonatoria e irritante, si comportava sempre come se fosse tutto un gioco, perciò non era abituato a vederlo arrabbiarsi senza giochetti o mezzi termini.
Non aveva ancora svoltato l’angolo, sentiva solo le loro voci.
Siegan.
Il quartogenito della famiglia Siegan, un ragazzo piuttosto piazzato e petulante, che passava le giornate a lamentarsi degli altri fratelli e del cibo della mensa. Non un individuo molto simpatico, le uniche interazioni che aveva avuto con lui consistevano nel fingere che l’altro non gli avesse insultato la madre o i vestiti.
Si sporse appena per vedere la situazione: Silas era contro la porta a braccia conserte con uno sguardo talmente freddo da far sembrare il vento invernale fuori una brezza estiva; l’altro ragazzo gli stava addosso e aveva una mano artigliata sul suo fianco e l’altra sulla cintola dei propri calzoni.
– E dai Vaukhram, non fare il prezioso adesso, so le voci che girano su di te. Vieni con noi in città stasera, non puoi rifiutarti all’infinito. Berremo tutta la notte e andremo per bordelli. Ma se vuoi possiamo rimanere da te stanotte. Siamo quasi tutti maschi qui, e a te piace, quindi ci guadagniamo tutti, no?
Silas tirò fuori un sorriso, ma sarebbe stato più corretto dire che qualcosa di affilato gli tirò su gli angoli delle labbra. – Quali voci, Siegan? Spero mi abbiano reso giustizia.
– Fin troppa, siamo tutti curiosi. Le nostre famiglie si uniranno presto, non credi che dovresti mostrarti più amichevole con il tuo futuro parente?
– Una cugina che non ho neanche mai visto sposerà uno dei fratelli che odi tanto, mi sembra esagerato definirti un parente. Forse è più appropriato parassita.
Siegan gli afferrò il colletto. – Perché non mi fai entrare e la smetti di blaterare? Guarda che sono stato spesso al bordello giù in città con gli altri, e ci sono alcuni ragazzi travestiti, alcuni hanno sangue fatato… so quello che faccio.
Kieran rifletté che era meglio farsi gli affari propri. Stava assistendo a qualcosa di privato di cui non conosceva le dinamiche e non voleva rischiare di inimicarsi nessuno. Il rettore gli aveva detto di rispettare le gerarchie, se voleva rimanere all’Accademia e non tornare a marcire in una fabbrica.
Eppure Silas aveva un atteggiamento molto difensivo, aveva alzato una mano per mettere spazio e l’altro gliela aveva afferrata. Sapeva che non aveva alcun bisogno d’aiuto, infatti era quasi più preoccupato per l’incolumità del pallone gonfiato, che forse non si rendeva conto di quanto fosse forte l’altro. Finisce male sicuro, Silas lo ucciderà.
– Forse non mi hai sentito, mentecatto, tira fuori il tuo cazzo e sarà l’ultima volta che lo vedrai attaccato al tuo corpo. Pagare una persona perché ti dica quello che vuoi sentirti dire non è saperci fare, è essere patetico. Se sei così disperato hai sempre una mano. Ora vattene, il mio compagno di stanza sta tornando.
– Ti scopi lui quindi? Il contadinotto? Voi mezzosangue siete davvero voraci. Abbiamo tutti bisogno di sfogarci qui e tu sei predisposto per questo, avanti – sussurrò e si portò una mano al bottone dei calzoni.
Kieran rimase indignato da quell’accusa e strinse i pugni. E poi la gente diceva che i nobili avevano una parlata pulita, avrebbe voluto fargli sentire quei due!
– Ti conviene farti indietro, o non ti farò uscire vivo dall’Iniziazione.
La minaccia suonò così vera che anche Kieran rabbrividì. Silas aveva perso ogni genere di sarcasmo o tono strafottente, c’era solo gelo nella sua voce. Non sembravano parole vuote.
– A me non frega niente di chi sei o cosa c’è nel tuo sangue, parlami ancora così e dirò agli altri di farti una visitina stanotte. Non saresti il primo che viene trascinato nelle stalle e passa una brutta nottata. Non ti conviene farti nemici i Barbari.
La risata di Silas suonò crudele. – I Barbari? È così che vi fate chiamare tu e i tuoi amici? Lo dicevano che eri il buffone di famiglia! Chi ha scelto questo nome? Tuo fratello di tre anni?
Continuò a ridere e Siegan alzò un pugno con rabbia.
Silas glielo afferrò con violenza, lo rigirò con uno strattone e lo sbatté contro il muro. Gli spinse il braccio piegato contro la schiena, strappandogli un grido.
Kieran girò l’angolo e fece rumore nel camminare. – Dovrei andare in camera – esordì impassibile arrivato di fronte ai due litiganti.
Siegan si voltò fulminandolo e si riabbottonò velocemente la patta dei pantaloni. Silas lo lasciò andare e indietreggiò.
– Tu sei il contadinotto, come diavolo ti permetti di usare questo tono informale con noi? Ma chi pensi di essere, palla di grasso che non sei altro?
Siegan sembrava molto imbarazzato che Kieran lo avesse sorpreso in quella posa e gli urlò addosso senza remore. Kieran si guardò gli abiti e aggrottò le sopracciglia. Aveva messo su massa, ma definirlo palla di grasso gli suonava molto scortese.
Silas anche non sembrava contento della sua intromissione, ma non disse nulla, limitandosi a guardarlo con una certa curiosità.
– Chiedo umilmente scusa signor Barbaro, starò più attento. Ora vorrei entrare nei miei alloggi se sir Barbaro me lo permette.
Silas non riuscì a trattenere oltre una risata e si passò una mano sulla bocca senza davvero nasconderla.
Siegan lo osservò con intenti omicidi, ma si rese presto conto di essere circondato. Kieran era stanco e irritabile, aveva già i pugni serrati e non aveva nulla da invidiare all’altro in quanto a muscoli e stazza, Silas era un metro e ottanta di freddezza e minacciosità, con quegli occhi viola e maligni.
Si limitò a stringere il pugno sulla maglia di Kieran e provare a tirarlo avanti, senza riuscirci. – Questa me la segno, Reed. Guardati le spalle, che i Barbari non dimenticano.
Kieran non batté ciglio, ma gli lanciò un’occhiata di sufficienza. I Barbari e poi non si alzano se la domestica non ha acceso il braciere nella stanza.
 Se credeva di spaventarlo, avrebbe dovuto impegnarsi di più. E trovare un nome meno ridicolo.
Si allontanò senza dire altro.
Si distese la maglia annoiato e guardò Silas, aspettando che si togliesse per farlo passare. Questo gli bloccò la porta con un braccio, ma Kieran ci passò sotto agilmente, ignorandolo.
– Sono stanco, voglio andare alle sorgenti e basta.
Silas lo seguì in stanza, deluso da come aveva aggirato la sua tecnica sopraffina. – Ho apprezzato la battuta, ma avresti dovuto tenere il naso fuori.
– Dovevo aspettare la fine del dramma per entrare nella mia camera? No grazie.
– Ti ho sentito, eri lì da un po’, non dovevi intervenire – rimarcò duro. – Credi sul serio che non avrei potuto stendere quell’idiota? Mi hai battuto una volta, ma sono comunque il migliore.
Kieran gli fece il verso mentre toglieva la divisa e prendeva i calzoni bianchi che usava per le sorgenti e il mantello. Fuori il freddo era comunque molto rigido.
Sono comunque il migliore gne gne. Continua a ripetertelo. Volevi finire di nuovo in punizione? Comunque l’ho fatto per la nostra porta, non volevo la sporcassi di sangue – rispose sarcastico.
Si voltò e si ritrovò faccia a faccia con Silas. Aveva uno sguardo più adulto degli altri cadetti, soprattutto quelle rare volte in cui si mostrava serio.
Non riesce mai a rispettare gli spazi personali.
Fece un passo indietro.
– Per quanto ridicoli, Siegan e i suoi amici non sono persone con cui scherzare. Non prenderanno mai di mira me, sanno chi sono e non osano, ma non si farebbero scrupoli con te, Reed. Perciò non sfidarli.
La sua voce mostrava una live preoccupazione e aveva aggrottato la fronte.
Kieran scoppiò a ridere e lanciò la maglia della divisa sul letto. – Quasi ci credevo, sembravi così serio.
– Non sto scherzando – lo riprese. – I loro genitori sono membri altolocati delle Gilde. Non li sottovalutare, potrebbero prenderti di mira.
– E?
Silas sbatté le palpebre. – E farti passare dei brutti momenti. Io tiro sempre molto la corda, ma perché posso permettermelo – sembrava in difficoltà. – Quello che voglio dire è che non sono persone da prendere alla leggera.
Il discorso gli fece andare il sangue al cervello e poco ci mancò che lo spintonasse indietro. – Non so perché siete convinti che io venga da una realtà dove tipi come questi non esistevano. Esistono eccome, sono solo meno ben vestiti. So cavarmela da solo, Vauk, lo faccio da sempre.
Gli diede una spallata per farlo spostare e Silas si tolse scuotendo la testa. – Io ti ho avvertito, idiota. Poi non venire a piangere da me.
Deve sempre avere l’ultima parola, quanto non lo sopporto.
– Sarai tu a piangere! – replicò lamentoso.
Si allontanò in fretta prima di dargli modo di rispondere ancora.
 
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– E quindi Silas mi ha inchiodato il bordo del pantalone con la spada e me lo ha tirato giù. Se n’è approfittato che era un po’ scucito e mi ha lasciato in mutande di fronte agli altri cadetti. Ma questa la paga, eccome se la paga, alla lezione del Maestro Hammer gliela farò scontare.
Aveva parlato ininterrottamente per diversi minuti e aveva colorito il racconto con movimenti e gesti per rendere tutto più sentito. Aveva le guance accaldate e il viso illuminato dal sorriso.
William sedeva alla sua scrivania in modo composto, le dita intrecciate sul panciotto e una ruga di preoccupazione fra le sopracciglia scure. Era appena stempiato, ma si presentava come un uomo affascinante, i capelli erano striati di bianco, aveva una barba curata e due occhi stanchi.
A differenza della maggior parte di Discendenti, il rettore aveva pochi elementi che lasciassero intuire il suo sangue fatato. Gli occhi avevano striature nere lucide che in determinati giorni invadevano la cornea, le orecchie avevano una lieve peluria chiara sulla punta, ma per il resto sembrava molto umano.
Il suo studio agli occhi di Kieran era elegantissimo, dalle poltroncine antiche in velluto rosso e oro, ai dipinti dalle tinte cupe, alle armi d’epoca appese ai muri. Non aveva mai visto nella sua vita una stanza così ricca, aveva paura di toccare qualsiasi cosa. D’altronde William Rogerson era il rettore dell’Accademia, generale dei guerrieri di Ferro, vicecapo della Gilda.
Ed era anche il suo benefattore.
– Sono contento che ti stia facendo degli amici. I maestri mi stanno parlando positivamente delle tue capacità.
Sorrise appena. – Ho ancora molto da imparare.
William annuì. – Certo, ma sei volenteroso. I tuoi genitori ti hanno scritto? – domandò.
– Mia madre, mi ha scritto di ringraziarvi di nuovo per ogni cosa.
– Sei tu che hai permesso tutto questo, ti sei meritato questo posto.
Non ne era così certo, ma s’imbarazzò lo stesso e William lo guardò con una certa dolcezza.
– Kieran siediti un attimo per favore.
Ubbidì e il tono lo innervosì subito. Non sembrava di rimprovero, ma era più serio.
William si sporse in avanti e poggiò i gomiti sulla grossa scrivania di mogano. La divisa elegante aveva diverse medaglie appuntate ed era pulita come se fosse nuova. Aveva guanti bianchi sulle mani che in quel momento stava toccando in riflessione.
– La tua… amicizia con il Discendente è molto positiva, soltanto che dovresti fare attenzione.
Kieran quasi si strozzò con la frase. – Non siamo amici! – replicò veemente. – Lui è uno sbruffone e un idiota.
Era ancora arrabbiato per quello che gli aveva detto in camera. Si sentiva così superiore, gli dava ai nervi.
Il direttore non lo stava davvero ascoltando, o almeno era l’impressione che dava. – Rivalità e amicizia spesso vanno di pari passo. Percepisco dalle tue parole che provi della stima per lui.
Bofonchiò qualcosa nel tentativo di negare. – No, voglio dire, non tollero il suo comportamento spocchioso, però sa quando assumersi le sue responsabilità e vuole che io…
– Stai dritto quando parli, Kieran.
Si rizzò subito e questo suscitò una risata dal rettore. Lo prendeva spesso in giro quando ubbidiva ai suoi ordini con quella prontezza.
– Riposo, cadetto.
William gli allungò una grossa foto sbiadita; ritraeva un giovane soldato, il color seppia gli intristiva lo sguardo.
– Quello era Leroy Penr, era in Accademia l’anno scorso. Era amico del giovane Vaukhram prima che quest’ultimo entrasse in Accademia. La famiglia lo ha ritirato per gli scandali che lo hanno colpito a causa del Discendente. Si dice che i due avessero un rapporto di amichevole rivalità agli inizi.
Kieran aggrottò le sopracciglia e un sorrisetto spontaneo gli inarcò le labbra. – Signore io non credo affatto che Silas abbia certe intenzioni con me. So della sua… reputazione, ma ritengo che non mi riguardi. Non è l’unico qui dentro ad avere comportamenti, ecco, insomma, inappropriati.
– Non lo è, siete ragazzi e cercate degli sfoghi, è normale alla vostra età, ma è l’unico che sfida il decoro apertamente e questo ai nobili e alle famiglie non piace, perché per quanto ingiusto possa essere, ci sono regole sociali in quest’ambiente. Lungi da me fare la morale a qualcuno, Kieran, sappiamo entrambi che è solo una questione di apparenze, ma… mi preoccupo.
– Non dovete preoccuparvi, manterrò un atteggiamento decoroso e disciplinato.
Gli sorrise per il tono. – Lo so ragazzo, detesto doverti fare questo discorso, il giovane Vaukhram sembra davvero promettente, ma voglio che tu faccia attenzione. Ci sono cose da cui neanche io potrei proteggerti. Silas non segue molto le regole sociali, ma può permetterselo.
Kieran guardò di nuovo la foto. – Che genere di regole?
Il suo di ambiente era completamente diverso e non aveva idea di quale fosse il problema nello specifico. Silas non era di certo l’unico a divertirsi in giro, proprio l’altro giorno aveva sorpreso due cadetti con le mani nei reciprochi pantaloni negli spogliatoi. Anche a casa succedeva spesso, non che lui avesse molte esperienze, ma ricordava come i ragazzini più grandi andassero sempre nel magazzino della fabbrica, dove c’erano alcune coperte; si sentivano spesso versi da lì, maschi, femmine, a nessuno importava, finché non trascuravano il lavoro. Tutti lo sapevano, tutti lo facevano.
– Quelle che riguardano le apparenze. I ragazzi di buona famiglia per l’alta società devono mantenere il decoro, Kieran. È consuetudine sposarsi giovani e mettere al mondo dei figli, soprattutto per i Discendenti, con altri come loro. Non è bene prima di quel momento costruirsi una reputazione troppo dissoluta, è segno di mancanza di autocontrollo e disciplina.
– Ma voi non siete sposato – osò dire.
William annuì. – Vedi, Kieran, io non posso avere figli purtroppo. Questo mi ha permesso di concentrarmi sulla mia carriera.
Kieran sapeva che William era il primo Discendente ad aver raggiunto quella carica all’interno dei guerrieri di Ferro. Solitamente i Discendenti venivano instradati in una carriera nel Diaspro o in altre Gilde che richiedevano l’utilizzo della magia. Ma Rogerson era una leggenda e tutti sapevano che sarebbe stato il prossimo Feldmaresciallo.
– Il punto è che lui può permettersi certi atteggiamenti, ne uscirà sempre in piedi – s’interruppe, come se cercasse le parole adatte. – Quello che voglio dire, Kieran, è che non devi dimenticare che lui è un nobile, mentre tu non lo sei.
Quella frase gli torse lo stomaco e lo gettò subito nel malumore. – Lo so, ma non conta quando ci affrontiamo. Non conterà sul campo di battaglia, quando saremo compagni.
William si riprese la foto e si tirò indietro contro la sedia. – Conta sempre figliolo. Questo non significa che non possiate costruire un’amicizia solida, anzi, ti incoraggerei a coltivarla, ma voglio solo che tu faccia attenzione. Lui sarà Feldmaresciallo un giorno, non perché lo merita, ma perché la sua famiglia lo vorrà in quella posizione.
– Lui è capace, potrebbe meritarselo – rispose con una lieve freddezza.
Silas poteva essere un presuntuoso a volte, ma era bravo, più di tutti gli altri e si impegnava, non prendeva mai nulla sotto gamba e faticava il doppio degli altri cadetti. Non gli piaceva il modo in cui il rettore aveva sminuito il suo impegno.
William accavallò le gambe. – Perdonami, non volevo sminuire le sue capacità. Il punto è che non importerà a nessuno se lo avrà meritato oppure no. La famiglia Vaukhram è una famiglia di duchi, ha membri di spicco in tutte le gilde, il prossimo Gran Consigliere sarà Jerome Hart, prozio del giovane Silas. Riesci a capire quello che voglio dire?
Sapeva che i titoli nobiliari avevano perso molto potere da quando la monarchia era stata abolita in favore del Consiglio, molti secoli prima. Lo aveva studiato a storia, ma erano per lo più chiacchiere. Certi titoli corrispondevano a talmente tanti ettari di terra, che era sciocco sminuire il loro potere. La famiglia Vaukhram risiedeva nella Lunvenia e la possedeva quasi interamente.
Silas è l’erede di un’intera regione.
Il pensiero gli asciugò la bocca quasi immediatamente e avvertì una sensazione molto sgradevole nel petto. Lui al massimo poteva ereditare una casa e anche malmessa.
Certo, in realtà non sarebbe stato l’unico erede, ma cambiava poco la situazione.
– Silas non dimenticherà mai le tue origini, ricordati che i ragazzi di famiglie nobili sanno essere molto crudeli, specialmente quelli come Silas. Ti chiedo solo di agire con cautela, perché neanche io potrei proteggerti dall’ira della famiglia Vaukhram o da troppi scandali. Non volevo tirare fuori questo discorso, sei giovane e devi viverti la tua età come ti senti, farti amici, imparare e anche divertirti. Ma per quanto vorrei livellare ogni differenza con gli altri cadetti, la tua situazione sarà sempre particolare. Ho promesso a tua madre che ti avrei protetto, anche a costo di dover essere rigido. Ti chiedo soltanto di fare attenzione.
Abbassò la testa. – Lo so, voi…
Non riusciva a esprimere la sua riconoscenza, ne era inondato e avvertiva un forte calore. – Non dovete preoccuparvi per me, vi prometto che starò attento.
Si sentì scompigliare i capelli. – Non volevo essere troppo duro. A breve ci sarà l’Iniziazione e sono sicuro che farai faville.
Era certo di star tremando, perché quelle parole erano coltellate di ansia. –  Sarò all’altezza di quest’Accademia.
– Non sentirti sotto pressione, se io ho visto qualcosa in te, è perché quel qualcosa c’è ed è qui – allungò un dito e gli toccò il petto con l’indice. – Perché non mi finisci di raccontare del tuo scontro con Silas?
 
 
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Nei giorni successivi aveva cercato di focalizzarsi sugli allenamenti senza lasciarsi distrarre, ma a volte gli pesava davvero dover tenere quest’atteggiamento rigido e distaccato. Il giorno libero gli altri cadetti andavano con le vaporette nella cittadina più vicina a festeggiare, giocare a dadi o nelle bische, a chiedere a qualche ragazza di paese di ballare durante la festa dei fiori o anche semplicemente a bere insieme nei pub.
Lui se ne restava ad allenarsi in Accademia, pressoché da solo nel campo, mentre fuori la sera si presentava invitante con i suoi divertimenti e svaghi.
Posò le mani sulle ginocchia e si asciugò il sudore. Il freddo della notte era pungente come mai, la neve si era posata sui tetti dell’Accademia e sui muretti, il campo d’allenamento era stato sgomberato quel pomeriggio, ma il terreno era duro e congelato. Aveva sudato parecchio e si sentiva accaldato, ma il vento gelido gli alitava sul collo facendolo rabbrividire.
Si poggiò per terra e posò la spada smussata che usavano per gli allenamenti.
Molti sostenevano che ormai fosse inutile allenarsi con le armi bianche, che pistole e baionette fossero il futuro, ma era un discorso che non valeva per i guerrieri di Ferro. I loro nemici infatti erano in grado di distruggere i proiettili prima che li sfiorassero spesso ed era molto più dispendioso usare il ferro runico su ogni singolo proiettile. Le armi bianche restavano ancora le più efficaci, ma si chiedeva quanto a lungo sarebbe stato così.
– Ormai avranno iniziato senza di noi – borbottò una voce maschile dai porticati che cingevano il campo d’allenamento.
– Rilassati per una volta, abbiamo tutta la notte.
Le lampade a gas illuminavano debolmente la nebbia serale e distinse a malapena le due figure, mentre il rimbombo dei loro stivali si perdeva nel campo.
Erano due cadetti attardatisi in biblioteca. Stavano raggiungendo l’ingresso per andare a prendere la corriera; la maggior parte poteva permettersi di affittare una vaporetta alla moda e un autista, erano tutti piuttosto ricchi lì dentro, ma alcuni prediligevano la corriera che era più economica.
Li guardò allontanarsi con una stretta allo stomaco. Dalia lo aveva invitato, dicendogli che sarebbe andata a teatro. Lui non era mai stato a teatro nella sua intera vita, non aveva neanche dei vestiti adatti, ma il problema è che non si sarebbe rilassato.
Strinse le dita sui ciuffi d’erba secchi e guardò il cielo. Le parole del rettore gli pesavano addosso come un macigno. Più credeva in lui e più si sentiva terrorizzato. Quella era la sua unica possibilità.
La maggior parte di cadetti aveva alternative, ma non lui. Avevano famiglie facoltose alle spalle, o conoscenze importanti, piani di riserva in caso di fallimento all’Iniziazione, ma non Kieran. Quella era l’unica possibilità per una vita dignitosa e giocarsela significava… significava essere destinati alla vita che avevano avuto i suoi genitori. Significava perdere tutto.
– Sei in posa per un dipinto o devi andare urgentemente in bagno?
La voce canzonatoria di Silas gli fece rovesciare la testa, i capelli castani rossicci scivolarono giù e lo guardò al contrario.
Indossava un farsetto elegante e un mantello da sera monospalla che gli copriva un braccio, aveva i capelli neri corti pettinati all’indietro e un lungo orecchino d’oro che scendeva sulla spalla e terminava in una piccola pietra verde. Sembrava di ritorno da una festa e aveva il labbro spaccato.
– Che vuoi? – domandò di cattivo umore.
– Non posso passare di qua, è di tua proprietà il campo d’allenamento?
Alzò gli occhi al cielo. Non aveva le forze di avere a che fare con Silas in quel momento, soprattutto perché era invidioso, invidioso di come quel ragazzo riuscisse a essere un portento e allo stesso tempo ad andare alle feste e a passare le notti chissà dove, senza che questo influisse. Poteva immaginare quello che il Discendente pensasse di lui, un poveraccio che doveva ammazzarsi di fatica per imparare le lezioni più semplici, che non andava mai da nessuna parte, che non aveva amici e se li aveva rimaneva comunque in disparte.
Questo sì che è piangersi addosso. E poi cosa m’importa di quello che pensa questo qui.
Aspettò che se ne andasse, ma rimase lì fermo a metterlo a disagio. Il silenzio iniziò a pesargli presto.
– Immagino ti sia divertito – e indicò con un cenno del capo i suoi abiti.
Era ancora seduto sul terreno umido, mentre Silas era in piedi accanto a lui. – Un po’, una ragazza suonava il flauto e mi ha ricordato le feste della Corte della Magnolia.
Alzò gli occhi a guardarlo e capì presto che era un po’ alticcio. Gli occhi erano arrossati e non sembrava del tutto in sé. Non parlava quasi mai del suo essere Discendente o in generale delle corti fatate, Kieran non aveva idea che ci avesse mai avuto a che fare.
Da un lato si sentì subito incuriosito; studiavano quotidianamente le corti fatate, la loro divisione interna, le strutture, le gerarchie, le usanze, per quanto difficile, ogni corte aveva modi di fare molto diversi, ma era importante analizzare i comportamenti dei loro bersagli. Dunque in teoria conosceva qualcosa ormai, ma a conti fatti non aveva neanche mai visto una fata purosangue dal vivo.
E non ci teneva troppo a incontrarla presto.
– Sei stato dentro una corte fatata?
– La Magnolia è una delle poche fate antiche che permetteva due volte l’anno agli esterni di venire alla sua corte a festeggiare, nei boschi di Ravenwood, vicino alla villa estiva dei Vaukhram.
Kieran aggrottò appena le sopracciglia quando lo sentì usare quella definizione. Dei Vaukhram, perché non dice “della mia famiglia”?
Non era la prima volta che lo notava.
Incrociò le gambe in modo goffo e si fece attento. – E com’era?
Silas cascò a sedere con poca grazia. Forse era più ubriaco di quanto sembrasse. – Incredibile – mormorò con gli occhi che brillavano. – La musica non smette mai, quella dei flauti e delle lire e delle ocarine, sembra quasi che sia il bosco stesso a cantare, le bevande sono dolcissime e dense, appiccicose, i frutti così maturi che non riesci a rimanere pulito quando li addenti. Le fate indossano vestiti molto diversi, i guerrieri hanno armature di legno e foglie autunnali sugli spallacci, si balla tutta la notte, si caccia, si canta, si fanno magie, e si fa sesso.
Kieran quasi si strozzò con l’ultima parola. – Cosa? La Magnolina permette la commistione con gli esterni?
– No. Gli esterni sono obbligati a ingerire degli impacchi che bloccano la fertilità per la notte, ma per il resto sono liberi di unirsi con chi vogliono, dove vogliono, purché siano loro a essere invitati. Visto che sono ospiti non possono fare richieste di questo genere. Ed è abbastanza improbabile che un principe fatato si unisca con un umano per esempio, ci sono comunque delle gerarchie. Però le fate delle corti sono curiose, volubili, non hanno quella rigidità che abbiamo qui nelle città; quindi se sei abbastanza fortunato, ti rivolge il suo interesse.
Sapeva che le corti fatate erano luoghi spesso disinibiti, ma non pensava così tanto. Era difficile immaginarlo per lui, soprattutto immaginare Silas in quella situazione.
– Non fare quella faccia.
– Quale faccia?
– La faccia di chi giudica.
– Non sto giudicando proprio nessuno. È che non… non capisco.
Non era una persona particolarmente pudica, ma non riusciva comunque a immaginarsi in un contesto del genere.
– Sono feste per onorare la vita e la natura, il sentirsi vivi, sono soltanto tradizioni diverse. Poi ogni corte ha le sue regole, quindi posso parlare solo per questa, ma quando sei lì tutto scorre naturale, non senti il disagio che proveresti a una festa in una villa fra i nobili.
Poggiò la guancia sul pugno, pensieroso. Sembrava davvero un principe fatato in quel momento, con le orecchie a punta, la pelle scura che brillava sotto la luce della luna, i capelli disordinati e il volto pensoso. Un principe con una parlantina molto colorita di solito.
– Non so se potrei trovarmi bene in un contesto del genere.
Silas si lasciò sfuggire un sorriso. – Ti avrei portato con me se ti avessi incontrato prima. C'è un particolare rituale per chiedere udienza a una fata antica. Un giorno te lo mostro.
– Puoi portarmi con te? – domandò su di giri. – Non ti disturberei!
– Purtroppo no. Non più.
Aggrottò la fronte. – Non puoi tornarci?
Le sue labbra si strinsero per un attimo. – La Magnolia e la sua corte non accettano più gli esterni, non posso tornarci purtroppo.
Lo aveva detto con una nota amara, qualcosa gli aveva davvero intristito lo sguardo. Forse era la prima volta che gli vedeva quell’espressione amareggiata e non era sicuro di come si sentisse.
– Ne incontrerai sicuramente altre nella tua vita, sei pur sempre un Discendente, hai il loro sangue, ne sono sicuro.
Abbassò lo sguardo. – Magari anche voi lo avete.
– Forse abbiamo qualche antenato fatato, chi può dirlo, ma se anche fosse, in noi è completamente diluito, lo sai. Ma non in quelli come te – rispose perplesso, l’alcool doveva averlo davvero stordito.
Voltò gli occhi lillà verso di lui. Il labbro aveva iniziato a gonfiarsi e la guancia spinta dal pugno aveva reso il suo viso paffuto. – Perché non ti diverti mai, Reed? Sei così ossessionato dall’idea di essere il migliore? Questa sera saresti potuto andare anche tu in paese.
Si risentì subito. – Manca solo un mese all’Iniziazione, non posso perdere tempo.
– Te la caverai.
Un’altra fitta. – Facile per uno come te dirlo.
Si tirò di nuovo in piedi e alzò lo sguardo verso i portici. – Spero che almeno dopo l’Iniziazione smetterai di fare il musone da solo al buio nei campi d’allenamento. Potresti venire con me una volta.
Abbassò lo sguardo. – Non credo che siano feste adatte a me – bofonchiò.
– Ti preoccupi troppo. Allora potresti scegliere tu dove andare.
Kieran si concesse un mezzo sorriso. – Mi piacerebbe andare a bere qualcosa in un pub e basta.
Gli porse una mano. – E sia! Dopo l’Iniziazione. Promesso?
Guardò la mano, perplesso. – Perché ci tieni tanto?
Ritirò un attimo la mano, incerto. – Perché mi annoio.
– Che vorrebbe dire?
– Che con te mi diverto.
Kieran non era abituato a quella schiettezza. I rapporti con le persone non erano semplici, ma Silas li rendeva ancora più bislacchi. Chi parlava così di solito? Nessuno. Beh a parte suo fratello.
– E poi dovresti stare attento.
– Attento? A cosa? Alla tua presenza molesta e fastidiosa?
Non smetteva di guardare i portici. – A Siegan e ai suoi.
Roteò gli occhi. – Ancora con questa storia. Non si ricordano neanche come mi chiamo.
– Ormai tutti sanno come ti chiami, Kieran.
Il suo nome in bocca a lui suonava strano, gli diede un leggero brivido. – Beh, ti ringrazio per le tue accorate preoccupazioni. Non sapevo che avessi così paura per me, la prossima volta dedicami una canzone d’amore con l’ocarina già che ci sei – lo canzonò, sorridendogli beffardo.
Silas gli lanciò un’occhiataccia e ritirò la mano del tutto. – Ho solo paura che dopo tu possa venire a piagnucolare da me, voi contadinotti siete così ingenui.
Si alzò in piedi, arrabbiato. – Chiamami così un’altra volta e vediamo.
– Come? Contadinotto o ingenuo?
– I– i– in tutti e due i modi! Devi smetterla! Non sono un contadino.
Incrociò le braccia. – Non è mica un’offesa, o la reputi un’offesa? I contadini sono lavoratori onesti che ci permettono di avere il cibo a tavola.
Arrossì di rabbia. – Non era quello che… il punto è che io non sono un contadino! Oh, vai al diavolo – sbottò e se ne andò via borbottando insulti, mentre lo sentiva ridere alle sue spalle.
 
 
 ⚔
 

Sono contenta che tu ti stia facendo degli amici. Ascolta sempre quel buon uomo del rettore e non creare disturbo. Impegnati più che puoi. Il nostro vicino sta bene. Anche tuo padre sta bene, credo che gli manchi, anche se non lo dice. Il nostro vicino oggi mi ha aiutato a cucire, è diventato davvero bravo. Ti ha fatto questa sciarpa rossa, io l’ho solo aiutato. Mi ha ordinato di chiederti quando ti lasceranno venirci a trovare.
 
Kieran rilesse la lettera con un sorriso dolce in viso. Sua mamma non sapeva scrivere molto bene, di sicuro doveva averla scritta Henry la lettera mentre lei dettava. Non era stato molto sottile a chiamarsi “il nostro vicino”, ma tanto nessuno avrebbe sbirciato le sue lettere. Gli altri di solito andavano alla stazione del telegrafo quando dovevano comunicare con le famiglie, erano in pochi a ricevere posta come lui.
– Ricevi parecchie lettere tu – commentò Silas, seduto alla finestra con un ginocchio piegato indietro.
Chiuse immediatamente la missiva. – Uhm, sì, mia madre.
– E tuo padre?
Piegò per bene la lettera. Era meglio gettarla via, non si poteva mai sapere. – Mio padre cosa?
– Ti scrive lettere?
– Non ce l’ho un padre – mentì con disinvoltura.
Silas aggrottò le sopracciglia. – Credevo che una volta tu lo avessi nominato.
– Non l’ho mai conosciuto – replicò deciso.
Gli dava molta soddisfazione fingere di non avere un padre, quasi sollievo. Il suo d’altronde non poteva neanche essere chiamato padre, perciò non era davvero una bugia. Fingere di non avere un fratello gli pesava molto, perché Henry era il suo migliore amico, oltre che una persona straordinaria. Fingere di non avere un padre invece lo divertiva, era una giusta ripicca verso quella sottospecie di uomo.
– Tua mamma verrà a trovarti dopo l’Iniziazione?
Ci sarebbe stato un ballo o qualcosa del genere, l’alta società sembrava ossessionata dai balli, che nella sua esperienza erano delle feste ma meno divertenti e dove non si ballava neanche così tanto. Nel Buco ballavano sempre durante il Solstizio d’Estate, si mettevano i tavoli lungo la via, si preparava carne di maiale e di tacchino alla brace, si suonava e si ballava. Lui non era considerato un gran ballerino, ma trovava molto divertente muoversi a ritmo di musica.
Al ballo sarebbero state invitate le famiglie dei cadetti. Tutto questo ammesso che l’Iniziazione andasse a buon fine.
– No, meglio di no. Non le ho detto del ballo.
– Perché no?
Si gettò sul proprio letto, esausto. Era tutto il giorno che si allenava e si era storto una caviglia che ora gli dava parecchi problemi. La stese sul cuscino. – Non c’entrerebbe nulla con le altre famiglie – commentò.
Silas sbatté le palpebre. – Ti vergogni di lei?
– Certo che mi vergogno di lei. Parla male, non sa esprimersi bene e verrebbe vestita con qualcosa cucito da lei.
Gli arrivò un cuscino in piena faccia. Lo tolse con stizza. Silas lo guardava imbronciato. – Ma che discorso è? Ti scrive sempre, ti manda abiti cuciti a mano come quella sciarpa.
Kieran strinse la sciarpa che aveva realizzato suo fratello e la arrotolò di nuovo.
– Non ho detto che non le voglio bene, soltanto che sarebbe fuori luogo qui. Ma va bene così. Non potrebbe venire in ogni caso.
Silas si accese una sigaretta con un fiammifero. – Tu pensi troppo a queste persone. Mi sarebbe piaciuto conoscere la deliziosa signora Reed.
– Sì, così provavi a portartela a letto.
Alzò il naso, fingendosi indignato. – Mi offendi. Le donne mature soltanto se vedove o divorziate.
– Ti ho detto che non ho un padre.
Sorrise. – Appunto.
Gli tirò il cuscino indietro e l’altro lo schivò ridacchiando. – Solo perché hai un bel faccino non puoi permetterti di parlare così di mia madre. Immagino che essere belli dia una spinta all’autostima, eh?
Aggrottò le sopracciglia quando Silas non rispose. Si sporse a guardarlo: anche se la sua pelle era scura, si accorse del rossore che gli aveva infiammato le guance.
Kieran scoppiò a ridere. – Stai sempre a parlare di sesso, ma se dico che sei bello ti imbarazzi? Sei davvero strano tu.
Silas aveva cambiato colore. – Chi si imbarazza? È che tu te ne esci così, sei davvero strano.
– Ti sta bene per aver detto quelle cose della mia mamma – lo rimbeccò, infantile. Guardò alle sue spalle, oltre la finestra. – Devo andare, Dalia mi ha chiesto di allenarci insieme con la scherma.
Il suo coinquilino sembrava ancora imbarazzato. – Oggi era il nostro giorno libero e non hai smesso un attimo di allenarti. Sai che all’Iniziazione devi arrivarci vivo, vero?
– Sì, ma devo recuperare. Sono indietro.
– Non sei indietro.
Non lo ascoltò e si alzò. La caviglia gli mandò qualche fitta dolorosa. – La maggior parte di voi sapeva già sparare e tirare di scherma.
Silas annuì. – Questo dovrebbe farti capire il tuo livello.
Fraintese la risposta e lo guardò irritato. – Il mio livello?
– Sì. Ci hai recuperato in pochi mesi partendo da zero. Kieran… sei uno dei migliori qui. È impossibile che tu non ce la faccia.
Uno dei suoi principali talenti era sempre stato mentire. Non lo diceva tanto per dire, era davvero bravo a raggirare le persone, a inventarsi storie e a pronunciare il falso con disinvoltura. In parte era grazie a suo padre, erano anni che raggirava quel povero idiota, ma era anche un talento che riteneva innato. Prima di entrare in Accademia si era ripromesso di mentire il meno possibile. Voleva un nuovo inizio e aveva cercato di darsi delle regole, di frenarsi quando sentiva il bisogno di blaterare qualcosa d’inventato.
Eppure per qualche motivo ci era riuscito di nuovo. Erano tutti convinti che fosse bravo e che se la sarebbe cavata all’Iniziazione.
– Meglio non rischiare.
– Credi che un giorno farà la differenza? Hai ancora la caviglia gonfia e…
Strinse i pugni. – La vuoi finire? Non sei mia madre. Non hai degli amici con cui passare il tempo oltre a me? Sei pedante. Per me è importante, non è qualcosa che voi potete capire.
Silas lo guardò senza parole, preso alla sprovvista. – Come vuoi – disse soltanto freddo e si concentrò sulla finestra.
Kieran provò una punta di rimorso, ma non aggiunse altro. Prese le sue cose e lasciò la stanza.
Mancava meno di un mese all’Iniziazione.
 
  ⚔
 
Negli ultimi giorni non aveva dormito molto, l’agitazione lo teneva sveglio. Si trovava in un'impasse: era troppo stanco per portare a termine il compito più elementare, ma quando toccava il letto le sue ansie non gli permettevano di chiudere gli occhi. Il risultato era una costante irritabilità e forti mal di testa che non lo lasciavano mai in pace.
– Kieran?
Se fosse dovuto tornare a casa non avrebbe retto la vergogna e lo smacco. Era incredibile quanto il fallimento lo terrorizzasse all’improvviso.
– Kieran?
Dalia schioccò le dita di fronte a lui e si ridestò.
– È una causa persa, sta così da giorni – mormorò Silas piccato. – Attenta che se glielo fai notare ti ringhia contro.
Erano nell’armeria a pulire le pistole. Dalia si era offerta di mostrargli come si facesse e lui aveva accettato. Silas si era accodato per qualche motivo e aveva già finito. Non gli piacevano molto le armi da fuoco.
L’armeria di solito era vietata ai cadetti, ma Dalia era diventata amica con il responsabile e veniva spesso lì da sola. Erano seduti al grosso tavolo di metallo al centro, circondati da armi appese, poggiate sulle mensole o infilate nelle rastrelliere. C’erano veri e propri secchi di proiettili e alcune vecchie pistole lucidate e disposte in fila.
– Pensavo all’Iniziazione.
Entrambi i due presenti sospirarono esasperati. Sapeva di essere pedante, ma lui era fatto così. Quando qualcosa lo tormentava, non riusciva a pensare ad altro.
– D’accordo, basta.
Silas spostò i grossi proiettili con il braccio e liberò il tavolo. – Ascolta. L’Iniziazione può essere pericolosa, ma non sarai solo. È probabile che saremo nello stesso gruppo noi due. Il supervisore valuterà i nostri comportamenti, ma dai retta a me, non ti manderanno via. Non mandano via nessuno, Kieran. I confini peggiorano di giorno in giorno, hanno bisogno di uomini e – notò l’occhiataccia di Dalia, –  e di donne, hanno bisogno di soldati più che mai. Secondo te possono permettersi il lusso di mandare via un cadetto promettente?
Il suo discorso lo aveva un po’ rassicurato in effetti. Annuì e si passò una mano fra i capelli. – Scusatemi.
Ricominciò a seguire le indicazioni di Dalia, che si trovava molto a suo agio a parlare con Silas. I loro discorsi tendevano a essere un po’ troppo intellettuali per i suoi gusti, ma gli piaceva essere lì in tre, sperava che diventasse una routine.
Dovette interrompere prima per andare a studiare la lezione del Maestro Fergus. Insegnava la storia dei guerrieri di Ferro, che a suo avviso era uno spreco di tempo. Loro avrebbero dovuto imparare a combattere e a uccidere le fate, insegnamenti pratici, non noiose vicende del passato. Non era del tutto inutile, ma avrebbe dovuto essere secondario. Mancavano poche settimane all’Iniziazione e lui doveva buttare del tempo prezioso a leggere tomi di storia invece che a imparare a sparare.
Fuori dall’armeria, per il corridoio, trovò l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quel momento: Siegan era poggiato contro il muro e stava parlando con Thomas Valiant, un altro degli spocchiosi ragazzi del suo gruppo dei Barbari. Ogni volta che pronunciava quel nome gli veniva da ridere.
Cercò di ignorarli, ma appena si accorsero di lui cessarono di parlare. Thomas gli lanciò un’occhiata di sufficienza, salutò l’amico e s’incamminò per il corridoio. L’altro invece gli si parò davanti per bloccargli la strada. Siegan era un tipo abbastanza grosso e di bell’aspetto, aveva un viso pulito e sbarbato, occhi nocciola e capelli biondi rasati. Se la cavava anche piuttosto bene negli allenamenti, non aveva mai lottato con lui alle simulazioni, ma lo aveva visto perdere contro Silas, perciò non gli interessava affrontarlo.
– Ti allenavi per il tuo futuro ruolo nella servitù? – gli domandò e indicò con un cenno del mento l’armeria.
Lo ignorò come era ormai solito fare. Certi insulti non li sentiva più, era incredibile il potere dell’indifferenza a volte.
Siegan gli si piazzò davanti di nuovo quando lo vide provare ad andare oltre. – Non dovresti credere a tutto quello che ti dice Vaukhram. Per qualche strana ragione è interessato a te, ma non mi sorprende. È piuttosto infoiato il ragazzo. L’attrattiva di scoparsi una contadinotta o una servetta posso capirla. Certo mi si ammoscia all’istante se devo pensare a te piegato a quattro zampe.
Il modo di parlare di Siegan lo disturbava più di tutti gli altri. Non erano le volgarità, ma l’assoluto sprezzo che metteva in esse. Inoltre per qualche ragione sembrava aver preso sul personale che lui e Silas andassero d’accordo.
– Lieto di colorare le tue fantasie. Ora se permetti…
– Hai letto i registri delle ultime Iniziazioni?
– No e non m’interessa.
Siegan sorrise. – Dovresti. A morire o a essere feriti o cacciati sono sempre i cadetti come te e come quella puttanella della tua amica. I supervisori sabotano chi non ha un titolo o li lasciano morire. C’è un accordo fra l’aristocrazia e i supervisori, nessuno vuole che qualche poveraccio ignorante diventi un giorno comandante dei propri figli. Riesci a immaginartelo? Chi prenderebbe mai ordini da qualcuno di rango inferiore come te?
Kieran si era girato per difendere Dalia, ma l’ultima parte del discorso gli tolse le parole di bocca. Studiò l’espressione compiaciuta di Siegan.
 Mentiva?
 Non poteva essere la verità. Alcuni dei maestri non avevano un titolo da ciò che sapeva. Certo non avevano realizzato chissà quale carriera, ma era impossibile che i supervisori si comportassero in maniera così disonesta con i cadetti.
Nondimeno doveva controllare i registri. Era una buona idea, dare un’occhiata alle Iniziazioni precedenti. Doveva essere pronto a ogni evenienza.
– È vero che mancano soldati, ma per quello ci sono le Accademie minori. Questa è quella dei futuri ufficiali. Tu al massimo puoi lustrargli le scarpe.
Kieran serrò i denti. – Perché ti brucia così tanto che uno come me sia qui? Cosa tolgo a te?
– La dignità? C’è una divisione per un motivo. E quando sarò Feldmaresciallo mi assicurerò che venga rispettata. Non come quell’incompetente mezzosangue del rettore.
Kieran inspirò all’improvviso, tremante di rabbia. – Attento a quello che dici, Siegan.
Avvicinò il viso a pochi centimetri dal suo. – Altrimenti? Se mi sfiori con un dito sarai espulso seduta stante e te ne tornerai alla tua vita di merda. Contro i Siegan neanche quell’inetto del rettore potrebbe proteggerti.
Kieran tirò indietro il pugno per caricarlo e lo scagliò contro il suo viso. Poco prima di poterlo colpire si sentì tirare indietro. Una mano gli bloccò il polso e lo abbassò con fatica. Si voltò e incontrò lo sguardo stupito di Silas.
– Fermati – gli disse, sorpreso.
Strattonò indietro la mano. – Mollami.
– Sì, lascialo, voglio vedere cosa fa – commentò Siegan.
Silas si girò a guardarlo. – Sparisci, Siegan. Lui forse non può spaccarti la faccia, ma io sì. Posso aprirti la testa in due e ricevere solo una breve lavata di capo. Meglio che te ne vai.
Anche Dalia era uscita dall’armeria e guardava la scena con freddezza. Siegan era soddisfatto e li superò, diede una spallata alla ragazza, o almeno ci provò, ma Dalia si scostò agile e lo osservò con impercettibile disprezzo.
Kieran lasciò andare il respiro e fronteggiò Silas con gli occhi. – Non dovevi intrometterti.
– Quando lo dico io però non va bene! Senti chi parla. Se lo avessi colpito avresti davvero potuto essere cacciato, ti ho detto che gli devi girare alla larga. Non è da te perdere il sangue freddo e lasciarti condizionare da quell’idiota.
Non è da te.
Come se Silas sapesse cos’era da lui. Poteva mostrargli soltanto quella versione patetica di sé stesso, la versione che incassa ogni insulto senza mai replicare e alzare la testa. A casa non era così, a casa poteva rispondere a tono a chiunque senza trovarsi una famiglia nobile alla porta pronta a distruggere la sua vita.
– Devo controllare i registri. Ci vediamo dopo.
Si allontanò con la testa piena di pensieri preoccupanti. Ogni volta che credeva di aver colmato un po’ la voragine che lo separava dagli altri, quella si riapriva più enorme e spaventosa.
Silas lo aveva difeso esercitando il potere della sua famiglia. Non sapeva cosa in questa frase gli bruciasse di più. A parti inverse lui non avrebbe potuto fare alcunché.
Per qualche strana ragione è interessato a te.
Perché Silas gli stava appresso? Aveva detto che si annoiava. Trovava divertente passare il tempo con uno come lui per distrazione?
Silas non dimenticherà mai le tue origini.
Si fermò nel corridoio.
Silas lo stava prendendo in giro? Non c’era alcuna ragione valida per cui uno del suo rango decidesse di passare i pomeriggi o gli allenamenti con uno come lui.
Di essere amico di uno come lui.
Cercò di scrollare via quei pensieri che gli congestionavano il respiro. Doveva allontanare tutte quelle distrazioni stupide e concentrarsi sull’Iniziazione.
 

 
Ciao!
Anche questa settimana ho pubblicato prima, ma perché sono relegata in casa a studiare xD, la pubblicazione tornerà settimanale presto, scusatemi.
I capitoli nel passato hanno toni molto diversi, con quella spruzzata liceale xD. Il secondo capitolo nel passato è molto denso di informazioni. Avrete notato che c’è un approccio abbastanza “tranquillo” all’omosessualità. In parte è un assioma della storia, ma ci sarà anche una piccola piccola spiegazione sul perché ci sia quest’accettazione. È un discorso legato molto anche ai mezzosangue e alle fate, vi sarete accorti che c’è un interesse un po’ morboso verso Silas che va oltre la sua reputazione.
Kieran sa essere un pochino esasperante nei suoi sedici anni, ma dal mio punto di vista è normale per un ragazzo come lui essere così insicuro e spaventato a ogni passo. Anche se inizialmente non sembra, Kieran è molto più schivo di Silas.
Scusate se questa volta ho blaterato molto nelle note. Grazie per tutti i consigli che mi date e per aver letto fin qui.
A presto!

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Capitolo 10
*** Nel Bosco ***


 

Nel Bosco

VIII




L’aria di campagna li accolse col suo freddo pungente, l’odore di campi ed erba bagnata era smorzato da quello acre del fumo del treno, che ancora si riversava nel cielo con le sue spire cineree in lontananza.
Doveva aver nevicato qualche giorno prima, la neve si era mischiata al fango ed era rimasta a tratti fra le fronde stanche.
Kieran aveva guidato la vaporetta per mezzora, senza fermarsi, poi avevano proseguito a piedi, inoltrandosi nel bosco che si richiudeva sopra di loro, fitto e inospitale.
Si erano fermati soltanto per crollare a terra senza fiato né forze, zuppi di sudore per la tensione, infreddoliti, le gambe che tremavano dallo sforzo. L’erba ghiacciata non era molto confortevole, ma erano entrambi feriti e avevano bisogno di riprendere le forze. La radura li avvolgeva silenziosa, mentre il loro respiro affannoso produceva nuvolette di condensa.
Kieran aveva la punta del naso arrossata e gli occhi cerchiati dalla stanchezza. – Non ci inseguiranno qui?
– No, non oseranno.
– E sei certo che la Crisalide ci lascerà in pace? Non ama molto noi del Ferro.
Silas deglutì appena e si asciugò il sudore con il fondo della maglietta. Tremava. Il vento invernale era implacabile sulla sua pelle sudata.
Incrociò le mani e si afferrò i polsi; pronunciò alcune parole per scaldare il proprio sangue, ma si arrestò quasi all’istante e imprecò. Continuava a compiere certi gesti in maniera automatica, come se la sua magia fosse ancora assieme a lui.
Kieran lo stava osservando e Silas tolse le dita dai polsi e le infilò sotto le ascelle, per scaldarle.
Subito dopo sciolse il bendaggio rudimentale e guardò la ferita con una smorfia. – La Crisalide è molto neutrale, tiene all’ospitalità, dunque non possiamo cacciare nei suoi boschi né danneggiare la natura. Se ci comportiamo bene non avrà nulla da ridire, potrebbe persino ricompensarci.
Kieran non sembrava entusiasta all’idea. – Come dovremmo mangiare?
– Mangeremo frutta e verdura. Se vuoi carne, puoi mangiare animali solo se già morti.
Kieran si tirò a sedere e si voltò a guardare Silas. – Non ho ben capito tutto quello che è accaduto sul treno. Mi hai salvato la vita però.
– Ho salvato la mia vita. Un tempo eri più sveglio.
Annuì e sospirò. La spalla di Kieran sembrava dargli fastidio, forse era uscita o si era lussata quando era caduto di schiena, non sapeva dirlo con certezza, ma aveva la maglia umida di sangue. O forse il proiettile lo aveva preso di striscio.
– Volevano… ucciderti?
Silas anche si era seduto, incurvato per limitare il dolore al fianco. – Sei un acuto osservatore.
– Sanno del vincolo?
Voleva mentire, ma sarebbe stato controproducente. – Probabilmente no, non ancora. Non hanno spie così in alto. Ma lo scopriranno presto.
Kieran era confuso. – Sei anche tu uno dei loro ufficiali. Perché ti hanno trattato in questo modo?
– Lo ero. Ho perso.
Sentiva il suo sguardo addosso. – Non per tua volontà. È sempre stato questo che ti aspettava in caso di fallimento?
Socchiuse gli occhi. – Non farlo.
– Cosa?
– Non cercarmi delle scuse. Mi fa imbestialire.
Kieran poggiò le braccia sulle ginocchia. – Sto solo cercando di capire. Posso farti delle domande, visto che i tuoi compagni ti vogliono morto o è vietato? – domandò sulla difensiva.
Silas rovesciò la testa. – Puoi farle, ma non cambia il fatto che farò tutto ciò che è in mio potere per non tornare in cella, Reed.
– Puoi provarci. Perché vogliono farti fuori? Che tu abbia perso o no, sei una risorsa, non ha alcun senso sbarazzarsi di te.
L’altro osservava le stelle nel tentativo di razionalizzare. Non poteva dire a Kieran che già una volta aveva tradito la Legione e che gli era stata data una seconda possibilità. Poteva optare però per una mezza verità.
– Sono una risorsa con la mia magia. Così? Valgo più da morto. Inoltre, il Consiglio mi ha interrogato e ha usato ogni mezzo per strapparmi informazioni. O fai finta di non sapere?
– La magia non lascia scelta.
Silas sbuffò in modo rumoroso. – Kieran, è così che funziona nella Legione. Ho fatto di testa mia. Farsi prendere vivi è già un tradimento. Non sei l’unico che sta collaborando col nemico se non te ne sei accorto.
Calò il silenzio per qualche secondo.
– Era da anni che non ti sentivo chiamarmi per nome.
Sbatté le palpebre in un’espressione instupidita. Quando alzò il viso Kieran aveva un mezzo sorriso quasi divertito.
– Sei esasperante, davvero.
– Lo so, lo so – rispose e il suo sguardo era provato dallo sfinimento. Si osservò le mani. – Ascolta: ora noi abbiamo lo stesso obbiettivo: raggiungere l’esperto di sigilli, vivi e senza farci notare dal Consiglio o dalla Legione. Per quanto il Consiglio scoprirà presto che ero sul treno che è stato attaccato dalla Legione…
– Ti daranno la caccia?
Scrollò la testa. – Non lo so. Cercheranno di mantenere il silenzio e manderanno forse qualcuno sulle mie tracce. Certo è che se quell’uomo, Frederick, dovesse parlare in giro di ciò che ha visto, la situazione peggiorerebbe.
Silas lasciò uscire un verso di disappunto. – Io te lo avevo detto.
– La questione – lo interruppe Kieran con freddezza, – è che in questo momento siamo nella stessa barca. Tu non puoi scappare finché hai questo vincolo, io non posso tornare a casa.
 Gli porse la mano, stavolta con più convinzione. – Stringiamo una tregua finché non sarà il momento di tornare indietro. Io non mi fido di te e questo non cambierà, ma non ci serve la fiducia se a guidarci è lo stesso traguardo.
Silas guardò la mano e poi l’espressione seria di Kieran. Quel discorso era stato così retorico, doveva davvero aver passato del tempo fra l’alta società di Railia.
– Non ho nulla in contrario a questo piano, ma ciò non significa che mi limiterò a eseguire i tuoi ordini. Devo però aggiungere una clausola: se vuoi che io collabori, le cose non si faranno solo a modo tuo.
L’espressione di Kieran divenne incerta e la mano si ritirò un pochino. – No.
– Non hai neanche sentito cosa stavo per dire!
Gli occhi chiari del Campione divennero più freddi. – Il modo in cui hai agito sul treno è inaccettabile. Se vuoi che questa tregua funzioni mi devi promettere che non farai più qualcosa di simile senza consultarmi. Hai ucciso un uomo a sangue freddo come un animale. Non m’importa di come vivi adesso, non puoi agire così.
Il tono paternalistico gli diede presto ai nervi. – Consultarti? Non sei il mio comandante, Kieran. Questa non è la tua caserma e io non sono “uno dei tuoi”. Non ti devo rendere conto di ciò che faccio. Mi hai tenuto legato in stanza e poi ti aspetti che io ti consulti?
Una vena gli si gonfiò in fronte, ma attese qualche secondo e sembrò reprimere l’insulto velenoso che aveva sulla punta della lingua.
– Stavi dicendo che vuoi che qualcosa si faccia anche a modo tuo: spiegati – deviò discorso, secco.
– La città più vicina è Moslon, ci sono stato diverse volte. Lì i treni non passano per i giorni del Solstizio, dovremmo cercare altri mezzi o aggirare le leggi. A chi pensi di rivolgerti?
Moslon era una città piuttosto grande, al confine con la regione della Lunvenia. Non era industriale e tecnologica come Railia, ma era una metropoli piuttosto vivace. Perfetta per confondersi fra gli stretti vicoli dei bassifondi.
Rifletté. – Ho qualche contatto fra le guardie…
– No. Le possibilità sono due: rivolgerci alla criminalità o rivolgerci al governatore Dalton.
Kieran lasciò uscire una smorfia. – Che razza di scelta è? Non collaborerò con dei criminali. E l’aristocrazia è troppo pericolosa, ci esporremmo.
Silas tossì appena e si tastò il fianco. La testa gli stava esplodendo e i suoi occhi emanavano fitte lancinanti.
– Perché devi sempre essere così difficile? Arriviamo, facciamo qualche moina e otteniamo un passaggio in aeronave. Sei il Campione, per Titania! Sfrutta questa cosa.
– Tu dai per scontato che la nobiltà provi simpatia nei miei confronti, ma non è affatto così, mi disprezza. Sono i soldati e l’esercito a stimarmi.
Silas si passò una mano sulla fronte. – Non conta la simpatia, conta il potere e l’interesse, tu per loro hai entrambe le cose. Se anche volessero deriderti, cosa importa? La notorietà ha sempre un valore, nel bene o nel male. La figlia del governatore era una ragazza in gamba, potresti scavalcare suo padre e parlare con lei.
Kieran indossò un broncio molto poco militaresco. – D’accordo, ci penserò. Ma se le cose si faranno a modo tuo, si faranno anche a modo mio. Non ucciderai più nessuno a meno che non sia per difesa.
– Era per difesa.
– Smettila, offendi la tua e la mia intelligenza con queste risposte da bambino.
Silas sorrise, stanco. – Non posso promettertelo, ma d’accordo. Cercherò di contenermi e… – sospirò, – di consultarti. Contento?
I brividi interruppero le ultime sillabe. Il vento fra gli alberi emetteva un suono lugubre; sperava davvero che le nuvole sopra la loro testa sarebbero rimaste innocue. Non sapeva come superare la notte vestito a quel modo, si sarebbe ammalato di sicuro.
– Accendiamo un fuoco, non credo che alla Crisalide darà fastidio se prendo rami e pigne già in terra. La sua presenza è… spaventosa come sempre – mormorò Kieran e guardò fra le fratte scure del bosco.
Silas non riusciva a percepire la magia della Crisalide, non con i marchi. Ma sapeva che per un guerriero di Ferro essere così vicini a una tale fonte di magia fatata era snervante. Kieran appariva piuttosto irrequieto.
Si voltò di nuovo verso di lui e lo studiò. – Ho ancora il mio cappotto e…
– Se ti azzardi a offrirmelo, Reed, te lo riduco a brandelli.
S’imbronciò di nuovo. – E sarei io quello difficile? Sei ferito, stai morendo di freddo e nei prossimi giorni sarai un peso se ti ammali. Io ho più massa, dunque soffro meno il freddo di te – spiegò con un pizzico di saccenteria.
– Parliamo del piano – tagliò corto, cambiando argomento.
Kieran sbadigliò sonoramente poi si alzò per prendere qualche ramo. – Ho capito, criminali o l’alta società. Conosci qualche criminale? Perché io no. A parte te intendo.
Silas lo guardò cercare ciocchi poco umidi caduti per terra. Iniziò a scavare una buca dove accendere un fuoco da campo senza creare danni.
– Conosco dei contrabbandieri e dei trafficanti a cui rivolgerci.
– Contrabbandieri – ripeté Kieran, per nulla convinto. – Frequenti sempre ottime compagnie.
Portò i rami nella buca e inserì diverse foglie secche e pigne raccolte in giro.
– Sono feccia, ma hanno molte risorse.
– Vorranno dei soldi.
Anche Silas sbadigliò e la testa gli lanciò un’altra scarica di dolore. – Non necessariamente.
Preferì non approfondire e Kieran sembrava troppo stanco per mettersi a porre domande.
Impiegò diversi minuti per accendere il fuoco, c’era troppa umidità. Dopo diversi fallimenti, i fiammiferi lo aiutarono. Accese il fuoco e il buio della radura si illuminò con un crepitio.
Il calore delle fiamme gli diede subito un brivido di piacere e le loro ombre vennero proiettate sui grossi tronchi del bosco. Qualche creaturina scappò fra i cespugli e le fratte, colta in flagrante dalla luce.
Kieran si sfilò piano la maglia e guardò lo squarcio che aveva sulla spalla. Trafficò nella tasca del lungo cappotto che aveva poggiato di lato ed estrasse ago e filo.
– Se vuoi posso guardare la tua ferita.
– Sei anche un guaritore adesso? Non finisci mai di stupirmi.
Ritirò la mano. – Hai un brutto taglio, anche in fronte.
– Lo farò da solo, ma grazie infinite per le tue premure. Scaldano il mio corpo anche più di questo fuoco, signor Reed. Perché non mi stringete fra le vostre forti braccia? – rispose teatrale.
Kieran lo ignorò e iniziò a studiare la ferita sulla propria spalla. Faticava ad arrivarci ed era sul braccio destro. Alzò gli occhi verso Silas, come sperando in una sua offerta d’aiuto, ma questo si limitò a rivolgergli uno sguardo annoiato.
Non forzare la mano, spezza-ali.
Lo guardò ricucirsi la spalla tirando il filo con i denti. Quando ebbe finito rinfilò piano la maglia e il cappotto, poi gli lanciò ago e filo. Silas li afferrò e li guardò con poca convinzione. Non era il suo forte ricucire una ferita, si era sempre curato con la magia.
– Hai ancora il gessetto?
Si toccò una tasca. – Certo.
– Però non hai i documenti e i soldi.
– Li ho messi nella cassaforte, mentre dal gessetto non mi separo mai. Tutto quello che era ancora nel cappotto ce l’ho con me, ma non è molto.
Silas valutò se convincerlo a usarlo per guarire le sue ferite, ma era troppo pericoloso. Guarire con la magia era molto difficile e stancante, sbagliare poteva dire peggiorare di molto le condizioni della persona. Non sarebbe stato come in prigione, Kieran non era un mago, le sue capacità erano quasi nulle, non poteva usare il gessetto per azioni troppo complesse.
– Vuoi che lo usi?
– No. E non lo userei qui, alla Crisalide non piacerebbe.
Silas si guardò la ferita al fianco, lo straziava ogni volta che provava a muoversi. Era abituato a ferirsi, ma era difficile che restasse a lungo senza guarirsi. Provò ad affondare l’ago, ma la mano di Kieran lo fermò.
– Fermo, hai ancora dei frammenti di metallo dentro, non puoi ricucirla così.
Li sentiva, ma non aveva idea di come estrarli.
Kieran sfilò dalla cinta un coltellino e lo poggiò sul fuoco. – Puoi lasciarmi fare? Non potrai camminare domani con quella ferita e ci rallenterai.
Alzò gli occhi al cielo. – Il tuo charme mi lascia sempre senza parole, Reed. Fa’ quello che devi fare, visto che ci tieni tanto.
Si tolse la blusa con movimenti goffi e alzò un braccio per scoprire la ferita. Kieran prese il coltellino.
– Non sono un medico, ne troveremo uno appena saremo a Moslon.
Avvicinò la lama alla ferita. Silas guardò affascinato. – E come lo pagheremo? Con il mio sangue? Di questo passo non me ne rimarrà molto – e provò a ridere, ma la risata s’interruppe bruscamente per il dolore.
Kieran iniziò a togliere i frammenti di metallo aiutandosi con la lama. Silas strinse la mano a pugno sull’erba e si addentò l’interno della gengiva.
– Ho finito, erano solo un paio – mormorò, mentre sbirciava l’espressione dell’altro. – Ora la ricucio.
Scaldò l’ago sul fuoco e lo infilò nella carne. Silas lasciò andare il respiro e ansimò. Aveva il corpo coperto da sudore freddo. – Bastava dirlo che volevi una scusa per toccarmi.
Kieran bloccò l’ago. – Bene, continua a blaterare queste idiozie, se ti distrae.
– Sei sorprendentemente delicato. Forse le tue amanti non erano così insoddisfatte.
Lo vide arrossire appena. – Perché devi rendere ogni situazione strana? E smettila di parlare della mia vita sessuale.
– Sono quei rari momenti in cui non sembri un automa e ti comporti da umano.
Sollevò il viso a guardarlo, stupito. – Non mi comporto da automa. Non fraintendere la persona che sono, con la persona che devo essere quando sto insieme a te. Sei un nemico e non posso abbassare la guardia – rispose brusco.
Aspettò qualche secondo prima di continuare a cucire, come se volesse accertarsi di essere concentrato.
Non ha torto. Non so com’è ormai quando si rilassa, quando è in buona compagnia o si diverte. Con me è sempre sulla difensiva.
– E come saresti, di grazia?
Lo aveva colto alla sprovvista. – Tu parli troppo.
Sorrise. – Hai chiesto una tregua. Avanti, che genere di persona sei adesso?
– Il genere di persona che non scambia quattro chiacchiere con un criminale.
Silas roteò gli occhi. – Raccontami una tua serata tipica quando non sei in servizio.
Kieran tagliò l’ago dopo aver finito con la ferita al fianco e osservò quella sulla fronte. – Scostati i capelli.
Li tirò indietro. – Allora?
Infilò l’ago nella pelle e Silas strinse gli occhi, mentre una goccia di sangue gli scivolava lungo la tempia.
– Se sono in città vado al pub con Dalia e Thomas e altri del mio reggimento. Oppure vado a vedere qualche incontro di pugilato o alle esposizioni degli automi. Se sono in viaggio leggo una rivista e mi bevo un bicchierino nei miei alloggi. Non muoverti.
Spostò gli occhi sull’ago, senza riuscire a vedere. – Non vai mai a qualche festa?
– Di rado.
– A giocare d’azzardo?
Inclinò la testa. – Qualche volta, con Thomas.
– E pensare che ti disprezzava in Accademia ed era amico di Siegan.
Si inumidì le labbra. – Tutti possono cambiare. Eravamo ragazzini – replicò, indulgente.
Eravamo ragazzini. Ma questa giustificazione a me non l’hai mai concessa.
– Ti è sempre piaciuto il pugilato, avevi persino quella rivista autografata da quel tipo…
Si voltò a guardarlo, indignato. – “Quel tipo” è Karl Boyega, ed è il campione in carica – borbottò. – È il pugile più forte di tutta la Gardenia! E io sono uno dei pochi che lo ha seguito fin dagli esordi.
Silas trattenne una risata. In certi aspetti era davvero rimasto uguale. – Conduci la vita che volevi, sarai soddisfatto.
Aggrottò le sopracciglia. – Lo sono. Mi piace la mia vita – mormorò difensivo.
Silas non lo schernì come al solito, il dolore lo stava mettendo a dura prova. Si zittì e iniziò a concentrarsi sul non perdere i sensi. Non era tanto il fianco, ma la testa. Continuava ad avere punti ciechi nella vista e gli sembrava che fossero aumentati. Ma forse era solo suggestione.
– Eri molto legato a quell’uomo? – domandò Kieran all’improvviso.
– Chi?
– Il Gufo.
Osservò l’ago, chiedendosi quanto mancasse. – Perché, sei geloso di me?
– Se hai ancora la forza per dire queste stronzate significa che stai bene. Ma non hai risposto.
Non voleva parlarne. Non che avesse importanza. – Mi sembra chiaro che no, non siamo legati. Non come credevo almeno. Immagino che a tutti capiti di sbagliare – commentò scanzonato. – Sembra che io e Drake non potremo più andare al pub insieme a bere – e lo guardò in modo eloquente.
Kieran spezzò il filo con il coltellino e concluse la cucitura. Si fermò, come se volesse dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
– Non è il massimo, ma dovrebbe reggere fino a Moslon.
Si alzò, tornò al di là del fuoco e ripose le sue cose. Silas rinfilò la maglia e si sdraiò, esausto.
– Andrà bene. Smettila di preoccuparti come una ragazzina.
– Mi preoccupo per me. Non vorrei svegliarmi freddo a causa di un tuo dissanguamento notturno.
Aveva un grazie sulle labbra che non osò proferire, non dopo quella risposta brusca. C’era un limite al mostrarsi debole, lui lo aveva superato da un pezzo.
– Come farai a tornare dalla Legione in questo modo? Non era questo il tuo brillante piano?
Silas inasprì il viso. – Magari non lo farò. Magari mi darò anch’io al contrabbando. O magari tornerò, ucciderò Cavana e prenderò il suo posto.
– Quanta lealtà.
– La stessa che mostri tu, o mi sbaglio?
Non replicò, ma percepì di averlo punto sul vivo.
– Nella Legione non siamo mossi dalla lealtà, ma da una meta comune. Lo hai detto tu stesso, no? Non serve la fiducia quando si è mossi dallo stesso obbiettivo. Ognuno di noi è lì per scelta e ha rinunciato a tutto per quell’obbiettivo. Cos’è la lealtà a confronto.
Forse la frase gli uscì più crudele di quanto avesse voluto, o forse lo disse di proposito.
– I tuoi occhi sembravano dire altro però, quando il Gufo ha sputato sulla tua lealtà.
Strinse la mascella. – Non parlare di cose che non sai, Campione. Non sforzare quel tuo cervellino, continua a pensare ai tuoi incontri di pugilato e alla tua infantile invidia per i nobili che ti porta a leccare il pavimento dove camminano. Deve essere dura, sentirsi sempre inferiore e cercare l’approvazione di gente che ti disprezza.
– Fottiti, Vauk.
– Volentieri. Ora posso dormire o hai altre domande stupide da rivolgermi? Fai la guardia già che ci sei.
Gli diede le spalle e si coricò su un fianco. Era pieno di rabbia in quel momento. Verso Kieran, verso il Gufo e verso sé stesso.
Che cosa diavolo si sarebbe inventato adesso? Perché non ne andava mai bene una?
Era così maledettamente stanco.
– Chi è l’Araldo?
Silas riaprì gli occhi. – Meglio che tu non lo sappia.
– Perché mi volevano vivo?
Lasciò andare un sospiro irritato. – Cosa ne dovrei sapere io? Forse Cavana vuole pareggiare i conti.
Non sentì risposta. Resistette all’impulso di girarsi, ma alla fine cedette e si sporse per sbirciarlo.
Kieran guardava il fuoco con aria preoccupata e amareggiata.
– Volevano usare il tuo corpo.
– E quindi?
Sollevò gli occhi su di lui. – Sapevo che usavate parti fatate, ma credevo che non usaste le vostre. Pensavo che fosse una questione di principio per voi.
Silas voleva insultarlo e mettersi a dormire, ma Kieran sembrava interessato. Non aveva mai mostrato la benché minima curiosità sulle motivazioni che avevano spinto Silas a tradire tutti, gli aveva sempre urlato addosso il suo odio senza mai davvero chiedergli perché. Silas d’altronde non si era mai fermato a spiegargli le proprie ragioni, perché non avrebbe avuto senso. Kieran aveva tutti gli strumenti per arrivarci da solo.
Rifletté su che cosa dire. Voleva suonare il più neutrale possibile, non voleva apparire come se stesse tentando di portare Kieran dalla sua parte. Non gli importava di convincere nessuno, lui andava per la sua strada e basta. Sapeva che a prescindere non avrebbe mai potuto fargli capire le proprie ragioni, ma non voleva apparire come se ci stesse provando.
 Fra loro c’era stato troppo cattivo sangue, le sue cicatrici ne erano una prova. Quello che aveva subito in cella era in parte responsabilità della persona che aveva davanti. Lo aveva consegnato ai suoi carnefici senza guardarsi indietro.
E d’altro canto lui… lui gli aveva strappato una persona cara. Ed erano ferite che nulla poteva ricucire.
– La Legione vuole l’abbattimento del Consiglio e delle Gilde. Vuole che vengano smantellate, che i Consiglieri siano processati per i loro crimini disumani e condannati a morte. Che le famiglie aristocratiche vengano spogliate dei loro privilegi e delle loro rivendicazioni sui Discendenti. Che le leggi di tutela sui Discendenti non siano delle cazzate per perpetrare il loro sfruttamento, ma delle autentiche leggi protettive.
Kieran poggiò un braccio sul ginocchio. – So tutto questo. Ho letto il vostro manifesto. Ho intercettato anche la vostra rivista clandestina.
– Sì, ricordo. Hai arrestato il caporedattore.
– Il mio comandante lo ha arrestato. Io ero lì ai suoi ordini.
Silas scrollò la testa. – Ad ogni modo sai benissimo che quella che vogliamo è una rivoluzione. Come potremmo combattere ad armi pari se non usassimo i nostri corpi? Se li sfrutta il Consiglio e le Gilde va bene, ma se lo facciamo noi per noi stessi allora no?
Kieran aveva un’espressione intellegibile. – Non sembrava che volessero sfruttare il tuo corpo per il tuo interesse.
S’innervosì. – Invece è così. Perché la causa che portano avanti è giusta. Al momento ci sono delle complicazioni nelle alte sfere, ma gli errori delle persone non rendono una causa meno giusta.
– Cos’è per te un errore, Silas? Uccidere Fergus era un errore? – domandò con veemenza.
Socchiuse gli occhi, esausto. – Ti stavo soltanto rispondendo.
Kieran scosse la testa. – Quello che mi fa incazzare è che vuoi farmi passare per il mostro, il cane ubbidiente di un governo malato. Ma le cose non si cambiano così come fate voi. Cavana ha stretto accordi con fate impazzite, le ha scagliate contro villaggi rurali che non c’entravano niente con gli affari politici o lo sfruttamento dei Discendenti. Diffonde il terrore sui più vulnerabili perché sa di poterli colpire, devasta i campi per danneggiare il Consiglio, ma i veri danni li subiscono sempre gli altri. Far esplodere fabbriche con operai dentro, bruciare i campi che riforniscono le città. E tu l’hai aiutata a perpetrare tutto questo senza mai guardarti indietro. Com’è che lo chiami? Errori? O fanno parte della tua “giusta causa”?
Silas lo ascoltò sfogarsi, incassò le accuse, ma rimase in silenzio. Era troppo a pezzi per controbattere e forse non ne sarebbe neanche stato in grado. Non c’era una risposta giusta. Aveva abbastanza consapevolezza da sapere che gli orrori elencati da Kieran erano azioni disumane e ingiustificabili.
Ma se non avesse lottato con tutti i suoi mezzi per quelli come lui… beh, non lo avrebbe fatto nessun altro. Non sempre era stato d’accordo con Cavana, si era opposto ad alcune operazioni, ne aveva incoraggiate altre, i dubbi lo avevano divorato a ogni passo. Erano stati anni durissimi se confrontati con la vita che aveva prima; ma quando si trovava faccia a faccia con il marcio di quella società provava vergogna per aver pensato anche soltanto un attimo di abbandonare la causa.
Non sapeva difendersi da quelle accuse e non gli importava farlo. Era troppo stanco.
– Tutto questo… non ha importanza. Non di fronte a quello che c’è in gioco.
Kieran scosse la testa, come se non ne volesse più sapere. – Farò io la guardia per primo. Riposati – tagliò corto in modo brusco.
Non impiegò molto tempo ad addormentarsi, era prosciugato. Si assopì avvolto da una malinconia che non riusciva a scacciare. Molte volte prima di dormire si era guardato dentro con terrore, domandandosi: ne vale la pena? I dubbi erano strabordati in quel giorno di tre anni prima, quando era tornato sui suoi passi. Ma aveva capito quella volta che non c’era una terza opzione. Non c’era un modo per lottare che prescindesse la violenza. Non era importante che ne valesse o no la pena. Qualcuno doveva farlo, qualcuno doveva crederci. E gli andava bene essere quel qualcuno.
 
*
 
Per attraversare il bosco di Tarvenia ci volevano almeno tre giorni di cammino visto che non potevano spostarsi con il buio se non volevano finire in qualche fosso; Silas però era ancora ferito e sebbene si sforzasse di non darlo a vedere, erano costretti a fare continue pause.
Il bosco era selvatico e inagibile, nessun sentiero lo attraversava, fronde, radici, percorsi interrotti, un saliscendi di viottoli intricati coperti di neve dove scivolare e rovinare giù rischiava di essere semplice.
Kieran si stancava più che altro a rimanere sempre concentrato su dove metteva i piedi e a trasportare le sue armi, mentre la presenza della Crisalide lo poneva in un continuo stato di allerta. Era come un artiglio premuto contro una vertebra, aveva i nervi a pezzi.
Silas era sfinito in modo preoccupante. Kieran aveva tutto fuorché preoccupazione da riservare al suo ex compagno, ma le sue condizioni fisiche iniziavano a dargli qualche pensiero. Il problema di malnutrizione, l’avvelenamento da ferro e la ferita che si era procurato nella fuga dal treno sembravano averlo portato oltre il limite. Non si reggeva in piedi, scivolava di continuo, rabbrividiva spesso e rimaneva indietro. Anche le sue battute taglienti e i suoi commenti odiosi erano spariti, ogni forza era concentrata sul non svenire.
Sapevo che sarebbe stato un peso. Se solo avesse accettato il cappotto.
Kieran all’inizio aveva deciso di farsi gli affari propri; Silas non era debole, anzi, era una delle persone più forti che conoscesse. Ma quando aveva rischiato di cadere giù per un burrone e rompersi l’osso del collo, Kieran lo aveva afferrato di colpo per il polso. Aveva registrato due informazioni importanti: il polso era coperto di sudore freddo e la sua pelle scottava.
Silas non aveva voluto ammettere di avere la febbre, gli aveva rivolto un insulto a mezza bocca e aveva continuato a camminare. La notte accendevano un piccolo fuoco e Kieran lo sentiva rabbrividire.
Il secondo giorno era crollato svenuto mentre si districavano nel trovare un percorso, neanche aveva provato a chiedere una pausa.
Kieran rimase a guardare sul momento, preso alla sprovvista, poi si chinò a controllarlo con una certa concitazione. Sentiva a sua volta un po’ di malessere e temeva che avesse a che fare con il vincolo che li univa.
Nell’esaminarlo gli aprì un occhio e si accorse che il sangue nella cornea sembrava aumentato. Aveva pensato a una rottura dei capillari ma iniziò a preoccuparsi.
– Levati – gracchiò la voce di Silas.
Kieran tolse le mani e lo osservò con attenzione. – Facciamo una pausa, mangiamo qualcosa.
– Taci, posso andare avanti.
– No, non puoi.
Raccolse il fiato per insultarlo ma rischiò soltanto di perdere l’equilibrio. Il fiato era concitato e la pelle verdastra. Si scostò con uno strattone e annuì in segno di resa.
Kieran non lo perse di vista mentre trovavano un piccolo spazio dove fermarsi, ma non diede altri segni di imminente perdita dei sensi.
La piccola radura dove decisero di fermarsi si apriva dolcemente su un piccolo stagno ghiacciato, dove un grosso salice coperto di neve si piegava a sfiorare il pelo dell’acqua. La vegetazione era stretta intorno in modo quasi soffocante, sul terreno comparivano le impronte di alcuni animali, forse cervi.
– Fiabesco – mormorò Silas senza fiato in un debole tentativo di apparire in sé.
Andò a sedersi contro il tronco del salice, le mani in grembo, il petto che si abbassava e alzava faticosamente.
Kieran rifletté sul da farsi e la sua mente si impostò subito sulla modalità soldato; dovevano mangiare qualcosa di più sostanzioso, ma era vietato loro cacciare. Doveva avere la fortuna di trovare un animale morto o morente e sperare che andasse bene.
– Ho bisogno di pochi minuti, nient’altro.
– Hai bisogno di un medico.
Silas era rigido come un tronco e i suoi occhi non avevano mai cessato di emanare minacce silenziose. – Non morirò, quindi smettila di avere questo comportamento apprensivo da puledra innamorata. Non stai rischiando la vita, conosco il mio corpo.
– Tipico di te pensare che io mi comporti così perché temo per la mia vita. Immagino che un egoista possa immaginare solo egoisti intorno a sé.
– Meglio egoista che idiota, perché è questo che saresti se ti stessi preoccupando per me. Io ti lascerei a marcire in un fosso.
– Io ti trascinerei in tribunale e in prigione. Oh, aspetta: l’ho già fatto.
Silas si alzò con un ringhio. – Ho davvero voglia di spaccarti la faccia.
– Fidati è reciproco. Che cos’hai? È la ferita al fianco?
Si risedette con un tonfo. – No.
– Allora cosa?
Si passò una mano fra i capelli neri e sporchi. – La testa, mi fa sempre male. E non ci vedo bene… – mormorò.
Kieran iniziò ad allarmarsi. – Perché non lo hai detto subito? Razza di idiota.
– Non urlare, non hai sentito che mi scoppia la testa? Non è che puoi farci qualcosa in ogni caso.
– Ti avevo detto che dovevo tenerla io la porta.
Lo guardò senza parole. – Mi ritengo una persona calma, ma il desiderio che ho al momento di romperti il culo non so neanche esprimerlo.
Kieran guardò verso il bosco. – Resta qui e riposati. Vado a cercare qualcosa da mangiare.
Silas si portò le braccia dietro la testa e si sistemò contro il tronco. – Chi si muove.
Si allontanò nel tentativo di trovare frutti che potessero saziare Silas. Sarebbe stato più semplice se avesse accettato di mangiare carne, magari poteva convincerlo.
 
*
 
– Non ho trovato molto.
Silas aprì gli occhi dolorosamente quando sentì la voce di Kieran. Era scivolato nel sonno. La testa lo stava uccidendo, gli bruciavano la gola e le orecchie, ed era nauseato. Faticava ad alzare la testa, voleva solo dormire.
– Silas?
Sussultò a sentire il proprio nome in bocca a Kieran. Sollevò gli occhi appannati e lo mise a fuoco. – Cos’hai trovato?
Poggiò a terra la sciarpa rossa che portava sempre al collo. Sopra erano accumulate alcune castagne, bacche di rosa canina e corbezzoli. Erano una manciata, a sufficienza per una persona. Nell’altra mano aveva un piccolo uccello stecchito, e a giudicare dallo stato di putrefazione, non sembrava granché commestibile.
– Con l’arrivo della prima neve non si trovano molti frutti temo. Però posso ripulire questo storno, togliere le parti andate.
Silas guardò le bacche. – Io non mangio carne, prendilo tu.
Kieran era chinato sui calcagni. – Queste bacche non ti basteranno mai. Saresti più in forze.
Abbassò lo sguardo. – Kieran per favore, non insistere – disse, stremato.
– In prigione cos’hai mangiato?
– Manicaretti divini cucinati dai migliori cuochi della regione.
Non gli disse che quando le guardie avevano capito che respingeva i pasti con la carne lo avevano forzato a mangiarla. Non era tanto il sapore della carne, che aveva quasi scordato, ma il modo in cui avevano cercato di cancellare la sua dignità; di deumanizzarlo con ogni mezzo.
– Allora tieni tutte le bacche. Metto sul fuoco le castagne. Magari dopo ne cerco altre. Non ho trovato molto, non sono un grande esperto di boschi.
Gli dispose i frutti vicino e cessò d’insistere come gli aveva chiesto. Forse era la stanchezza, la febbre o il dolore, ma quando prese la prima bacca in mano sentì un fiotto di riconoscenza invaderlo.
Patetico. Non lo fa perché è preoccupato per te. Lo fa per il vincolo. Ha distrutto la tua vita e ti ha trascinato in prigione, ricordi? Ti ha mutilato della tua magia.
Sì, ricordava tutto quello, ma in quel momento era troppo esausto e stordito per pensarci.
– Grazie – mormorò, senza guardarlo.
Addentò la bacca e Kieran lo guardò stupito, come se non credesse alle proprie orecchie. Quegli occhi grigi sembravano spesso apatici, ma quando si spalancavano a quel modo erano molto più leggibili di quanto non dessero a vedere.
– Di nulla.
Silas mangiò le bacche e accettò le castagne calde, poi la nausea ebbe il sopravvento. Al di là di quanto si sentisse a pezzi, odiava quella situazione. Odiava vedere Kieran accudirlo come una cazzo di badante. Era… insostenibile per lui. Chiunque avesse lanciato quel vincolo doveva essere un vero figlio di puttana.
Kieran non smetterà mai di odiarmi. E di conseguenza non posso fare altro che odiarlo anch’io. Non che mi risulti difficile.
Non chiedeva di stare bene, ma soltanto di non dover soffrire. Voleva non sentire nulla.
La febbre iniziava davvero a renderlo delirante. Voleva dormire, ma era ancora pieno giorno, non poteva fermare la marcia in questo modo.
– Io…
– Riposati. Non ha senso correre con te in queste condizioni.
Serrò gli occhi. – No, dammi cinque minuti e ci sono.
Kieran sospirò. – Sono stanco io, d’accordo? Voglio mangiarmi questo dannato affare, e magari cercare altre castagne.
Il fuoco illuminava la sagoma di Kieran, intenta a cuocere le poche parti commestibili dello storno morto.
Quel giorno non aveva abbastanza spirito per combattere. E perché avrebbe dovuto importargli di approfittarsi di Kieran? L’orgoglio era qualcosa di così stupido e non necessario. Però contava sempre troppo nella sua vita, purtroppo.
– Domani non sarò un peso – commentò, serio.
Kieran lo osservò con sufficienza, il viso poggiato sulla mano. – Che ti prende adesso? Sei stato una piattola fin dall’inizio ed eri pure contento nello snervarmi. Lo hai detto tu stesso che il tuo compito non era “renderti utile”.
– Bene, siamo già al momento in cui usi le mie frasi contro di me. Mi piace quando il metterti i bastoni fra le ruote sia una mia scelta, e non una scelta obbligata.
Scoppiò a ridere. – Tipico di te, arrabbiarti perché mi stai rallentando non volontariamente. Mai visto qualcuno più capriccioso di te.
Voleva replicare in modo sagace, ma era troppo frastornato. Kieran d’altronde sembrava divertirsi ad avere quel potere su di lui al momento.
– Vai al diavolo.
Il bastardo gli sorrise, conscio di aver vinto quel piccolo scontro. – Sto già qui con lui purtroppo.
 
 *
 
Quella notte Kieran sognò il Gufo. All’inizio vedeva piume nere e occhi luminosi come fiaccole. Poi prese forma nell’uomo che conosceva. Il suo sguardo era indecifrabile. L’occhio spalancato dalla cicatrice non lo spaventava, non lo aveva mai spaventato.
Pronunciò alcune parole, e la propria voce gli suonò bislacca, distorta.
Il Gufo spalancò le ali scure e aprì la bocca per replicare. Kieran non sentì la risposta però, perché le labbra di Drake emisero un bubolato intenso e sonoro.
Si svegliò di soprassalto e avvertì il nevischio poggiarsi sul viso. Il sogno si dissipò come fumo e gli rimase addosso soltanto una lieve nostalgia che non riconosceva. Cosa stavo sognando?
Aprì gli occhi stanchi e il buio gli pesò addosso come un macigno. Il fuoco si era spento e il braciere illuminava solo fiocamente i dintorni. Alzò il viso e sollevò una mano a raccogliere la neve che stava scendendo lenta. La radura si era imbiancata e dai ciocchi carbonizzati si levava un debole vapore.
Rabbrividì e si strofinò le braccia.
Di questo passo sarebbero morti di freddo in pochi giorni. Dovevano trovare un rifugio, una caverna, una rientranza nella pietra.
Si alzò e in quel momento si accorse che Silas ansimava pesantemente. Si avvicinò; tremava in maniera incontrollata, gli occhi chiusi e il colorito più pallido che mai. La ferita alla testa era peggiorata.
– Silas?
Gli toccò una guancia con un colpetto: scottava. – Silas, svegliati.
Cercò di scuoterlo, ma ottenne solo qualche biascichio esausto. Gli sollevò un occhio e notò con orrore che era rosso in modo preoccupante.
– Merda.
Silas era messo troppo male. Doveva agire subito, prima che si avvicinasse a… non voleva pensarci. Se era in pericolo di vita presto anche lui avrebbe iniziato ad accusare lo stesso male, a quel punto avrebbe potuto fare ben poco. Ricordò con un brivido la sensazione che aveva provato al processo, quando Silas aveva tentato di pugnalarsi la gola. Quel dolore lacerante e improvviso, non era riuscito neanche a capire che cosa stesse accadendo prima di perdere i sensi.
 Aveva poco tempo, non sapeva se la nausea che avvertiva fosse colpa del vincolo o di quel maledetto storno avariato.
Si tolse il cappotto e lo avvolse intorno a Silas, i suoi abiti erano zuppi per il sudore. Starnutì una volta rimasto solo con la blusa. Cercò di ravvivare il fuoco, ma i ciocchi si erano inumiditi.
Iniziò a sentire il panico montare. Non poteva allontanarsi per cercare una grotta e non aveva idea di come muoversi. Trascinare Silas era fuori questione, sarebbe riuscito a portarlo per brevi distanze, ma era troppo pesante perché fosse in grado di proseguire con lui in spalla e senza cappotto.
Devo provarci comunque.
Si chinò e cercò di caricarselo sulla schiena, ma la spalla gli lanciò una fitta lancinante. Lo poggiò di nuovo a terra e guardò la ferita. Era messa ancora male, avrebbe sentito un dolore infernale a prenderlo in braccio.
Rimase in ginocchio fra la neve, nel tentativo di trovare una soluzione in fretta. Guardava Silas nella speranza che si svegliasse e gli rivolgesse qualche insulto a mezza voce come al solito.
Stava per morire?
Non sapeva dirlo, non era un medico, ma di certo non stava bene. Silas era resistente, ma non a tal punto. Mancava almeno un altro giorno di cammino per uscire dal bosco, poi avrebbero dovuto attraversare la campagna per raggiungere Moslon. Era troppo tempo.
Estrasse il gessetto. Forse poteva usarlo per guarire Silas. E se avesse peggiorato le sue condizioni? Era un artefatto troppo potente perché potesse usarlo con leggerezza. In prigione aveva avuto un’ora di tempo e Silas che lo guidava.
La magia di una fata antica è potente, ma difficile da gestire.
Mentre lo pensava venne folgorato da un’idea.
Si passò una mano fra i capelli, zuppi di neve e si guardò attorno, spaventato.
Forse…
No, era troppo pericoloso. Però se avesse eseguito il rituale in modo corretto forse il prezzo sarebbe stato contenuto, non avevano infranto le regole.
– Silas? – tentò un’ultima volta.
Le palpebre si schiusero appena. – Euphe?
Mmh?
– Chiederò udienza alla Crisalide. A meno che tu non abbia un piano migliore da suggerirmi per non morire.
– Non lo so – mugugnò senza voce. – Dille che non mi va oggi, Euphe.
Lo sentì delirare, senza capire a chi si riferisse. Euphe? Euphemia?
Era il nome di sua sorella? Non riusciva a ricordare.
– Lo prenderò come un sì.
Si sfilò spada, pistola e utensili di ferro. Prese anche il gessetto e iniziò a scavare una buca. Sotterrò tutto e ci lasciò sopra alcune pietre disposte con un certo ordine.
Non avrebbe potuto trovare tre covoni di mais in quella situazione, se non allontanandosi oltre il bosco, dunque iniziò a raccogliere aghi di pino secchi caduti sul terreno. Mise insieme tre mazzetti folti e li legò con il filo da cucito. Bruciò il primo, aspettò qualche secondo e proseguì con quello dopo. Mormorò la sua richiesta e guardò il fumo salire verso il cielo. Quando si consumò accese il terzo e attese.
Ora doveva solo aspettare e vedere se la Crisalide gli avrebbe concesso un’udienza.
In caso contrario iniziava a temere davvero che quel bosco sarebbe stato la loro tomba.
 
 


Eccoci qui, un capitolo un po’ statico, per riprendersi. Il punto di vista rimbalza di continuo fra Kieran e Silas con l'alternarsi dei paragrafi, spero non sia stato disorientante, pensavo che alternare avrebbe reso più dinamica questa parte, anche per mostrare i pensieri dei due durante questi giorni di cammino. Però se il cambio vi è sembrato spiazzante o troppo salterino non esitate a dirmelo, magari cambio qualche parte e cerco di uniformarla a un solo punto di vista.
Silas in questi capitoli sta sempre con un piede nella fossa, poveretto, ma presto le cose cambieranno e tornerà più padrone di sé stesso e del suo destino.

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Capitolo 11
*** La Crisalide ***




La Crisalide

IX

 


Dopo quasi un’ora iniziò a pensare di essere stato ignorato. Aveva riacceso un fuocherello debole con difficoltà e aveva adagiato Silas accanto nel tentativo di scaldarlo.
Senza cappotto aveva cominciato a tremare lui stesso; non aveva idea di come Silas avesse retto quei giorni senza coprirsi. Il battere dei suoi denti gli aveva impedito all’inizio di udire i nuovi arrivati.
I loro passi erano così lievi sulla neve da essere a malapena distinguibili nel vento.
Kieran sentì i peli drizzarglisi lungo le braccia quando avvertì la magia fatata così vicina a lui.
Erano almeno cinque. Resistette all’impulso di recuperare le sue armi e socchiuse gli occhi, attendendo.
Quando li riaprì, era circondato. Di fronte a lui un volto dorato e lucido occupava la sua visuale. Gli occhi allungati erano liquidi come mercurio, il piccolo naso all’insù era spruzzato di lentiggini verdi. Una cicatrice gli attraversava la fronte, i bordi dello sfregio erano sfumati di verde.
 La figura appariva molto più alta di un normale essere umano. Sulla sua spalla era seduta una piccola pixie dagli occhietti neri come quelli di una mosca, con ali frastagliate che sbattevano infreddolite.
Cinque fate esploratrici. Meglio delle guardiane.
Era appena sollevato.
Le fate esploratrici erano fra le più peculiari della loro specie. Erano intelligenti, veloci e silenziose. Sapevano parlare bene la lingua degli umani ed erano la principale causa dell’esistenza dei mezzosangue. Si spingevano oltre i confini della loro corte, camminavano fra i campi e fra i villaggi quando non erano viste. A volte aiutavano i contadini gentili, rendevano i loro raccolti più rigogliosi o curavano il bestiame ammalato. Altre volte, se scacciate o trattate con violenza, potevano ritorcersi contro in maniera disturbante.
Non era raro che rapissero neonati o adulti e li restituissero senza memoria. I bimbi tornavano spesso mutati nell’aspetto. Se adulti, tornavano con un mezzosangue fra le braccia.
Non sempre però era violenza. A volte nelle loro esplorazioni s’invaghivano di qualche umano e restavano fin quando era loro possibile. Fra le gerarchie delle corti, le fate esploratrici erano le meno schive e disabituate agli umani, avevano più familiarità.
– Uno spezza-ali – mormorò la voce limpida dell’esploratore. Era stupito e incuriosito.
I capelli ricci e ramati apparivano gonfi e arricciati, gli abiti di cuoio e legno erano biancastri e ricoperti da aghi di pino. Si mimetizzavano fin troppo bene.
Gli altri quattro non avevano un aspetto più umano, con la loro statura innaturalmente alta, i corpi magri e flessuosi come rami, la pelle sfumata di colori bizzarri.
Una lama di ossa si puntò contro la sua gola. La alzò, senza fare movimenti bruschi.
– Perché uno spezza-ali chiede udienza alla nostra regina? Spiega le tue ragioni, forestiero.
Le altre fate esploratrici parlarono fra di loro in una lingua musicale e sibillina. Kieran capiva qualche frase, aveva studiato alcune delle lingue delle corti, ma erano in continua evoluzione.
– Il mio compagno è ferito gravemente. Vi prego, è per metà fata, aiutatelo. Non abbiamo intenzioni ostili e siamo disarmati, abbiamo rispettato le regole d’ospitalità della regina. Per favore.
Due degli esploratori stavano già osservando Silas, il primo piegato sui calcagni a esaminare il corpo infreddolito e svenuto del Discendente.
Disse qualcosa con tono allarmato e quello che sembrava il capo esploratore annuì. Ripose l’arma e ordinò ai suoi uomini qualcosa.
Si voltò verso Kieran e allungò una mano. Kieran fece il gesto di poggiarci qualcosa sopra e ritirò la mano, chinando il capo. La fata sembrò soddisfatta.
– Verrete con noi. Porteremo il tuo compagno. Seguici.
Kieran si alzò, sollevato. Non doveva rilassarsi troppo. Sopravvivere agli esploratori era semplice.
Sopravvivere alla regina poteva rivelarsi più complesso.
 
*
 
Man mano che camminavano nel bosco innevato, Kieran iniziò a notare dei lievi cambiamenti. Cessò di provare quel freddo insopportabile e iniziò a sentire un piacevole tepore. Gli alberi intorno a lui non erano spogli, ma ricoperti di foglie variopinte, secche e pronte a cadere. Il bianco della neve lasciò il posto ai colori dell’autunno, rosso, giallo e castano. Il sentiero che stavano percorrendo era inondato da foglie purpuree cadute che scricchiolavano sotto i loro piedi. La luce dell’alba illuminava i colori caldi di quel panorama ancora intoccato dall’inverno.
Il Solstizio è fra due giorni.
Si ricordò di questo particolare. I luoghi della corte bloccavano l’arrivo dell’inverno fino al Solstizio, la magia della Crisalide prolungava l’autunno.
Le temperature erano basse, ma non c’era neve; di contro iniziò a starnutire per le foglie e i fiori che il vento sollevava e spargeva nell’aria di fronte a lui.
-Siamo quasi arrivati – lo informò il capo esploratore. – Qual è il tuo nome? – gli domandò.
-Kieran Reed.
La fata lo ripeté ad alta voce per imparare la pronuncia e qualcosa si accese nel suo sguardo. – Il famoso Campione – commentò con una punta d’ironia. Si grattò la cicatrice verde. – Sarà divertente – aggiunse con una risatina che risuonò come un lieve cinguettio.
Il senso di oppressione che aveva nel petto stava dilagando, s’ingrandiva passo dopo passo. Era addestrato per rimanere saldo di fronte al terrore primordiale che avvertiva fin nelle ossa, ma nessun guerriero di Ferro poteva rimanere impassibile davanti alla magia di una fata antica. Gli tremavano le ginocchia e il proprio fiato gli rimbombava nelle orecchie, assordante.
Le fate esploratrici non erano state molto di compagnia, non si fidavano di lui e gli lanciavano sguardi guardinghi. Soltanto il capo esploratore gli aveva rivolto qualche domanda con aria cordiale, ma alcune frasi suonavano come prese in giro. Erano in due a portare Silas, che aveva ancora indosso il suo cappotto scuro e la sua sciarpa rossa. Kieran si concentrò sui bordi della sciarpa che strusciavano a terra, inzuppandosi fra le foglie secche e umide dell’alba.
Impiegarono un’ora per raggiungere il cuore del bosco. Da ragazzo Kieran aveva creduto che le corti avessero entrate segrete o nascoste per raggiungere i loro luoghi, ma non era così.
 Una fata antica non avrebbe mai nascosto la sua presenza nel proprio regno. Quel bosco le apparteneva, era la sua casa e il suo dominio, nascondersi sarebbe stato un segno di debolezza.
Una schiera di aceri rossi si allargò sul sentiero, formavano un’arcata colorata che dava su quella che sembrava una radura. Due enormi sequoie segnavano l’ingresso, scavate all’interno e occupate da due fate in postazione di guardia.
Fate guardiane.
La loro magia era più potente e gli occhi luccicanti puntarono su di lui, attenti a ogni sua mossa.
Kieran iniziava a non sentirsi bene. Il suo addestramento gli urlava di voltarsi dall’altra parte e scappare senza guardarsi indietro. Purtroppo era tardi per provarci.
La radura in cui fecero il loro ingresso era in penombra, i rami delle grosse sequoie e delle conifere si intrecciavano fitte e lasciavano trapelare soltanto alcuni raggi. Un fiumiciattolo gorgogliava fra le radici e l’erba dorata, l’acqua limpida trascinava con sé diverse foglie rosse cadute. Kieran si accorse subito dei teschi sul fondale e sollevò lo sguardo su altro.
Dalie, ortensie e crisantemi coloravano i contorni della radura e i numerosi sentieri che s’intrecciavano; fiori autunnali, fin troppo grandi e ricurvi, alcuni avevano un corpo umanoide aggrovigliato alle piante e immobile, anche i tronchi delle querce mostravano volti scavati nel legno e aprivano due occhietti gialli al suo passaggio.
Man mano che proseguivano vedeva diverse fate affacciarsi a osservarlo. Alzò gli occhi e vide l’intricato intreccio di case e vie che collegavano le sequoie. Le piccole abitazioni avevano la forma di lanterne di legno e pietra, erano prolungamenti naturali degli alberi e sembravano realizzate da veri artigiani tanto erano precise e simmetriche. Vedeva dentro alcuni alberi lunghe scalinate a chiocciola per raggiungere le abitazioni soprastanti. Poche fra le fate di alto rango possedevano un paio di ali, non a caso erano introvabili anche nel mercato nero e valevano una fortuna spropositata.
Alcune teste fecero capolino fra i funghi e i cespugli; una volpe si allontanò frettolosamente al suo passaggio e fuggì fra le gambe di un ragazzo fatato con il corpo dipinto di ghirigori dorati e rossi.
Seguì il fiumiciattolo che risaliva per un piccolo pendio fra gli alberi dove le rocce si sollevavano appuntite come spine a segnare lateralmente alcuni gradini fatti di radici.
S’incamminarono su di essi, di fronte a loro s’ingrandiva l’immagine di un’abitazione più grande di tutte le altre, scavata nella pietra, sul versante di una collina. Non era chiaro dove iniziasse la pietra e dove finisse il legno degli alberi che si fondeva nel creare una piccola reggia naturale; la forma non ricordava alcuna abitazione prodotta dagli umani. Kieran non sapeva niente di architettura, ma aveva parlato una volta con uno studioso di edilizia che gli aveva dato il tormento per essere inserito in un’ambasciata dei guerrieri di Ferro presso la corte della Danzante. Era appassionato di architettura fatata, non esistevano molti libri a riguardo e voleva scrivere e disegnare tutto ciò che vedeva.
Kieran non aveva termini di paragone, perché quelle strutture non avevano nulla a che fare con quelle degli umani, erano di una cultura e di una popolazione che concepiva gli spazi e l’ambiente in modo troppo diverso da loro. Rimase comunque ammirato di fronte a quelli che dovevano essere gli alloggi della Crisalide.
Lo spiazzo che precedeva gli ingressi era occupato da una radura ancora più rigogliosa e colorata, le pennellate autunnali sembravano uscite da un dipinto, Kieran sarebbe rimasto meravigliato se non avesse avuto quella paura attanagliante.
Lì erano disseminati morbidi cuscini, tappeti di foglie e tavoli di radici pieni di coppe e vassoi in legno. I frutti erano enormi e lucidi, le bevande colavano succose da calici di ossa e pietra.
Di fronte appariva un’enorme sequoia con il legno scavato da quello che doveva essere stato un fulmine; al suo interno c’era un trono di resina che aveva la forma di un bozzolo aperto con violenza sul davanti.
Devo restare calmo.
Intorno al banchetto comparivano diverse fate, alcune abbigliate con armature di cuoio e lame d’ossa, altre con vestiti eleganti e corone di fiori autunnali. Nessuno indossava colori o piante che variassero dall’autunno. I loro occhi erano umidi e interamente colorati, la cornea era a malapena visibile. Erano alte e allampanate, più di qualsiasi umano, alcune avevano ali sottili sulla schiena che si univano allo strascico del vestito. I loro volti apparivano allungati e curiosi, i capelli cambiavano colore quando la luce del sole mutava.
Il trono di resina si apriva in modo violento intorno al corpo della Crisalide, che sedeva in penombra dentro l’albero.
Kieran si accorse a malapena della musica di un flauto che s’interruppe. Iniziava a essere zuppo di sudore mentre osservava la Crisalide. Il suo potere era come l’aria rarefatta della cima di una montagna, lo stordiva di paura.
La fata esploratrice sbatté la lancia d’osso. – Perdonate l’interruzione e la nostra forma invernale. Ho trovato lo spezza-ali e il mezzosangue nel bosco, chiedevano un’udienza con voi, mia regina. Ha domandato udienza seguendo il rituale.
Si udì un mormorio, ma Kieran a malapena se ne accorse. Tenne gli occhi su di lei.
Indossava un immenso abito di foglie autunnali e fiori, le ciglia e i capelli di rame ricordavano la resina del trono. La pelle color ambra era ciò che le aveva procurato il suo nome: lucida e dura come quella di una crisalide pronta a schiudersi, trasparente in alcuni punti, lasciava intravedere le ossa oblunghe al di sotto.
Gli occhi neri privi di cornea erano ravvivati da una scintilla di interesse e lo osservavano. Non c’era età sul suo volto, non un’età che Kieran potesse riconoscere. Non era giovane, né anziana, non c’erano segni che potessero indicare i suoi anni, non in termini umani per lo meno.
La regina fece un cenno con il capo verso l’esploratore e guardò Kieran. Sorrise e mostrò una bizzarra dentatura, arcuata e aguzza.
Le fate esploratrici adagiarono Silas a terra, fra le foglie rosse e secche. Dormiva ancora, ma non tremava più.
Kieran sapeva di non dover parlare se non interpellato, questo se voleva uscirne vivo. La magia della Crisalide gli stava drizzando ogni singolo pelo in corpo, era talmente intollerabile che non aveva neanche il coraggio di sollevare la testa.
Mi ucciderà. Mi ucciderà. Mi ucciderà.
– Spezza-ali, come mai non sono stata informata prima del vostro arrivo? Perché giungi qui da solo a chiedermi udienza? Se è a nome dei tuoi compagni spezza-ali che parli, non ti ascolterò in queste misere condizioni e senza doni.
– No, non parlo a nome loro. Chiedo perdono per il mio aspetto inappropriato. Ho chiesto udienza per implorare il vostro aiuto. Il mio compagno è gravemente ferito.
La fata spostò lo sguardo su Silas in modo ozioso e lo fermò sul sangue che imbrattava i suoi abiti. – Vorresti che lo aiutassi? Posso salvarlo, ma non vorresti vederlo dissanguare ancora? Potrai tenere il suo sangue. Com’è che lo chiamate voi umani? Icore?
Era un tranello, ma rispose di getto comunque: – no, vi prego, aiutatelo. È un mezzosangue, ha sangue fatato anche lui. Ha seguito le vostre regole e non ha toccato carne.
La fata sprofondò appena sul trono come una bambina annoiata. – Dovrei aiutarvi? Perché dovrei aiutare uno spezza-ali?  
– Non vi chiedo di aiutare me, ma di salvare lui.
Si alzò in uno scatto e Kieran sussultò appena mentre avanzava verso di lui, le foglie autunnali che cadevano e marcivano dal suo abito. Dietro di lei si allungavano due enormi ali scure, chiuse e coperte di ragnatele. Le portava come uno strascico pesante, sembrava che non le aprisse da molto tempo ormai.
Si fermò di fronte a lui. Era alta e larga quasi il doppio di lui, s’incurvò per guardarlo in viso e la sua figura imponente lo adombrò.
Il volto da vicino era ancora più affilato e spigoloso di quanto sembrasse; il mento era appuntito e gli zigomi sporgevano come piccole lame, gli occhi di ossidiana gli davano un senso di terrore atavico. Guardare in una caverna o in un pozzo senza fondo gli avrebbe dato meno i brividi che osservare quelle fessure buie.
Inclinò la testa e spostò lo sguardo sulla spalla. Alcune farfalle si poggiarono sulla parte squarciata della blusa, dove si trovava la ferita.
– Imbratti i miei boschi con il tuo sangue sporco. Sento il ferro che ti scorre nelle vene.
Si portò una mano alla spalla e chinò la testa. – Non era mia intenzione offendervi in alcun modo, perdonatemi.
Con un movimento repentino si spostò alle sue spalle. Le altre fate assistevano alla scena in silenzio, alcuni con un sorriso gongolante in volto.
La mano enorme si serrò sulla spalla e premette con forza, strappandogli un gemito. Strinse fino a farlo cadere su un ginocchio. Kieran contrasse il viso dal dolore e iniziò a tremare. Avrebbe potuto strappargli il braccio con un pizzico di magia, far marcire la sua ferita.
– La tua fama sanguinaria è giunta fino a noi. Si parla molto di te fra le fate: capelli come foglie d’autunno e il ferro anche negli occhi. Fra la tua gente ti chiamano Campione. Da noi la tua notorietà ha ben altro accento.
Kieran ansimò mentre i punti saltavano uno dopo l’altro. La Crisalide lo tirò di nuovo in piedi con un gesto brusco. La magia s’irradiava dalle sue dita come acqua fresca e la pelle riassorbì la ferita sulla spalla.
– Il tuo sangue ferroso non deve macchiare la mia corte.
La ferita si stava rimarginando, ma Kieran era ancora nella sua presa e non riusciva a smettere di tremare.
Avvicinò il volto al suo orecchio da dietro. Il fiato umido e freddo gli soffiò sulla pelle come brina. Una goccia di sudore gli colò lungo la mascella.
– Shhhh – sussurrò quando lo sentì tremare. – Non ti ucciderò. Tempo fa una mia piccola e adorata creatura è ritornata fra le mie braccia. Era stata catturata dai vostri cercatori e incatenata. Mi ha raccontato dell’umano dai capelli autunnali che l’ha liberata.
Kieran alzò appena la testa. Aveva scordato che una delle fate catturate dal sindaco Clifford veniva dal bosco di Tarvenia.
Si accorse di una giovane fata che si sporgeva dal tronco di un albero. Aveva la pelle di un verde smorto, bianca sul petto e al centro del viso. Lo sguardo rosso mora era impaurito e i capelli annodati erano intrecciati intorno al collo come una sciarpa.
Gli sembrò di riconoscerla, ma non era certo fosse lei.
– Lei è vostra figlia?
Capì di aver detto qualcosa di sciocco perché una fata scoppiò a ridere alla sua destra.
La Crisalide con un gesto allontanò la fata. – No, ma è un membro della mia corte. Perciò non ti ucciderò. Ma aiutarvi? Non essere sciocco, piccolo mio. Cosa vorresti offrirmi?
Lasciò la presa, sollevò con una mano l’abito d’autunno vaporoso e tornò di fronte a lui.
Kieran aveva temuto quella parte. – Che cosa desiderate in cambio della sua vita?
Gli occhi volubili della regina osservarono di nuovo Silas. – Un giovane mezzosangue del Crestato. Che peccato, suo padre era di una bellezza inimitabile, riconosco in lui i suoi colori.
Il Crestato?
Rimase immobile. Sapeva che Silas non fosse un mezzosangue qualunque, era figlio di una fata antica, ciò lo rendeva più potente di molti altri Discendenti come lui. Nessuno sapeva con certezza quale fata antica lo avesse generato, neanche Silas, avevano teorie e idee, ma era rimasto a lungo un mistero.
Il Crestato occupava la zona vulcanica sul mare di fronte la Costa Bronzea, ma circa un ventennio prima era sparito nel nulla ed era stato rimpiazzato da una fata purosangue meno potente. Succedevano a volte queste situazioni e venivano spesso accompagnate da tumulti. Un cambio di guardia dopo secoli poteva essere traumatico.
– Vuoi che gli salvi la vita, ma non è in pericolo. Sopravvivrà anche senza le mie cure e la mia magia.
– Dite sul serio?
Si era preoccupato così tanto per niente? Eppure si era svegliato nauseato e disorientato dopo quel sogno che non riusciva a ricordare bene. Forse era davvero ciò che aveva mangiato.
Gli sorrise materna, ma i denti arcuati verso il di fuori non lo rassicurarono. – Certo bambino mio, non possiamo mentire noi fate. Ma perderà la vista, il sangue si sta raggrumando dentro i suoi occhi.
Kieran guardò il corpo svenuto di Silas senza sapere come comportarsi.
La Crisalide osservò la sua reazione con avidità. – Provi dispiacere?
– Io…
Allungò le dita a sistemargli una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come se si stesse rivolgendo a un bambino. Le dita avevano più falangi di quelle di un normale essere umano e l’unghia sulla punta era acuminata e ricurva.
– Vuoi che guarisca i suoi occhi?
– Potete farlo?
Il volto della fata s’inasprì all’improvviso e alcune piccole linee scavarono il volto liscio come pietra. – Metti in dubbio le mie parole?
Kieran per poco non ebbe uno sfortunato incidente nei pantaloni. La voce della Crisalide aveva riecheggiato nella sua testa come un tuono e una fitta di dolore gli aveva attraversato il corpo.
– No! Perdonatemi! La mia è– è… meraviglia.
No, più che meraviglia in quel momento provava soltanto terrore.
Il volto tornò come prima, accompagnato da uno sbuffo. – Avete portato novità in una giornata oziosa. I tuoi sentimenti mi intrattengono. Voglio aiutarvi, ma offrimi qualcosa in cambio che mi delizi.
Alcune farfalle si posarono sul lungo e affusolato dito; una andò a sparire fra i capelli disordinati della regina e le ciocche la intrappolarono come una ragnatela. La Crisalide si sistemò i capelli con una sgrullata e la farfalla scomparve.
– Che cosa desiderate in cambio dei suoi occhi?
Poggiò un dito al centro della sua fronte e l’unghia scavò un lieve taglio. – Mmh vorrei molte cose. Il tuo senso del gusto? Il ricordo dolce di una giornata importante. La sensibilità nelle tue dita. Potrei rubare i tuoi prossimi sogni quando dormirai. Tu che cosa preferiresti darmi?
Kieran strinse i pugni. Non era andata molto bene. Aveva già stretto accordi con le fate e il prezzo era stato quasi sempre accettabile. Fate ben più crudeli erano capaci di chiedere un occhio o dieci anni di vita o i ricordi di una persona cara che sarebbe divenuta un’estranea. Queste erano richieste tollerabili, ma piuttosto spiacevoli.
Doveva escludere i sogni, significava dare potere alla Crisalide per le prossime volte che avesse dormito e non poteva permetterselo.
– Un ricordo.
La fata agitò le dita e alcune piccole luci ronzarono intorno a esse. – Un ricordo? Ne voglio uno grazioso. Qualcosa che abbia gioia, nostalgia e anche amarezza. Pensaci.
Kieran voleva pensare a un ricordo poco importante, ma sapeva che non la avrebbe saziata.
Nel panico cercò di non pensare a suo fratello. Si impegnò per escluderlo dai ricordi e questo fu il suo primo sbaglio.
La Crisalide forse colse un lampo di riluttanza nel suo sguardo perché unì indice e pollice di fronte ai suoi occhi, come se tenesse qualcosa di delicato fra i polpastrelli.
Kieran capì che non avrebbe aspettato. Dirottò il ricordo su qualcosa di meno grave, meno rivelatore, meno pericoloso, ma i suoi pensieri divennero ingarbugliati. Gli tornò in mente la prima volta che aveva mostrato a suo fratello il mare. Era un giorno di tempesta e le onde si alzavano violente. Suo fratello aveva gli occhi sbarrati dalla meraviglia mentre il vento gli strattonava i capelli.
Il ricordo venne brutalmente interrotto quando la Crisalide tirò indietro le dita come se stesse sollevando un filo. Ci fu un violento strappo e Kieran avvertì un dolore sconquassante per la mente. Il naso cominciò a sanguinargli e si accasciò sulle ginocchia, tenendosi la testa. Non riuscì a controllarsi e vomitò quel poco che aveva ingerito, mentre le lacrime si accavallavano ai lati del naso.
La Crisalide gli alzò il viso tirandolo per i capelli e guardò la scia rossa di sangue che colava lungo la bocca e il mento.
– Non sgocciolare quel sangue qui.
Kieran si affrettò a pulirsi con la manica della blusa, ma l’eco del dolore gli rimbombava nelle orecchie. Cercò di riprendere fiato, i suoi pensieri erano nebulosi.
– Che ricordo interessante. Agrodolce, dal gusto delicato.
Kieran la guardò imbambolato senza sapere di che ricordo parlasse. Aveva un vuoto all’improvviso e avvertì la paura: che ricordo le aveva appena ceduto? Era qualcosa di molto importante?
La Crisalide aveva uno sguardo divertito e meravigliato. – Il tuo prezioso fratello è davvero… intrigante. Più giovane di te, vulnerabile come una piccola crisalide che non ha abbastanza forza da rompere il proprio involucro. Lo hai rotto al suo posto, ma in questo modo non ha mai sviluppato la forza necessaria per volare, povero piccolo. È per questo che sei diventato uno spezza-ali? Per proteggerlo? Astuto e lungimirante.
Kieran era una maschera di orrore e la Crisalide sembrò avere pietà di lui. – Non avere paura. Soltanto una fata molto sciocca nuocerebbe a quel sangue. Il tuo ricordo è solo mio da gustare per questo giorno. Un vero peccato per le sue condizioni. Ci sono mali che neanche la nostra magia può guarire, ma di certo sai già tutto questo.
Era talmente frastornato che non osò dire nulla. Lo strappo ai suoi ricordi era fresco e dolorante, aveva la mente appannata, gonfia, come una ferita pulsante.
– Guarirò gli occhi e le ferite della Falena, conosco anche la sua di fama. Anche se le sue ali sono state spezzate da te. Che malinconia non sentire il canto della sua magia, non che voi umani possiate capirlo.
Kieran osservò Silas e socchiuse gli occhi. Voleva rispondere, ma si trattenne. Iniziava a essere davvero provato.
– Sarete ospiti della mia corte e festeggeremo insieme la celebrazione preparatoria per il Solstizio. Puoi rifocillarti, purché tu rimanga rispettoso delle nostre leggi.
 
*
 
Silas era immerso in un sogno bizzarro. Percepiva qualcosa di fuori posto mentre si guardava attorno.
Correva per i vicoli di Railia insieme ad altri bambini. I fumi delle fabbriche coloravano il cielo di un grigio acre e l’aria aveva un odore forte e nauseabondo. Ma non gli importava. Rideva a crepapelle mentre scappava da qualcuno. Si voltò e vide un ragazzo più grande inseguirlo.
– Muoviti Kieran che quello ce le dà di santa ragione!
Silas rimase interdetto quando il ragazzino davanti lo chiamò. Sentì la propria bocca rispondere e diverse farfalle gli sfuggirono dalle labbra, librandosi nell’aria grigiastra.
– Andiamo al covo, lì non potrà seguirci!
Svoltò l’angolo e gli si parò davanti una vaporetta variopinta e alata.
– Attento!
Silas si svegliò all’improvviso e si tirò su di scatto. Strinse i pugni sulla coperta e riprese fiato, mentre rivedeva di fronte agli occhi la vaporetta alata che gli veniva addosso.
Kieran?
Si passò una mano sul viso, confuso. Che razza di sogno era quello? Sembrava così vivido, così reale.
Impiegò qualche secondo per capire dove si trovasse e in che stato fosse. Era nudo, questo era già di per sé un cattivo segno, a meno che vicino a lui non ci fosse qualcuno di grazioso.
No, anche stavolta mi sveglio da solo.
Aveva una coperta intrecciata di foglie sopra le gambe e si trovava dentro una sorta di stanza in legno e pietra, spoglia. Una piccola finestra a rombo sembrava dare su un panorama di sequoie e alberi autunnali.
L’aspetto più sorprendente era però che si sentiva bene; no, anzi, si sentiva in perfetta forma, come non accadeva da mesi. Non provava dolore in nessuna parte del corpo, aveva di nuovo le forze, i suoi occhi vedevano bene e non avvertiva alcun mal di testa.
Guardò la ferita al fianco, ma non aveva più neanche un segno.
Dove mi trovo?
Provò a usare la magia, ma rimase deluso. Era ancora bloccata. Si guardò il petto e vide i sigilli ancora impressi sulla carne.
Entrò all’improvviso una persona dall’arco in fondo alla stanza. No, non una persona.
Una fata.
Era un ragazzo dai tratti spigolosi, aveva la pelle ruvida come quella di una corteccia e dello stesso colore. I capelli erano nodosi, gli occhi verdi come linfa.
– Come ti senti? – domandò squillante e rivelò una dentatura affilata.
Teneva sulla mano un piccolo vassoio di legno con qualcosa da mangiare sopra, mentre nell’altra stringeva una grossa campanula riempita d’acqua limpida.
– Molto bene direi. Posso chiederti dove mi trovo e chi sei? – domandò con calma.
Aveva talmente tante energie in corpo che voleva subito alzarsi, ma non prima di aver mangiato, il suo stomaco era vuoto da troppi giorni.
– Io sono Lyran e siete alla corte della Crisalide. Eravate molto ferito, il vostro compagno spezza-ali vi ha portato qui e ha chiesto udienza alla nostra regina.
Silas drizzò le orecchie. – Cosa? Puoi raccontarmi cos’è accaduto dall’inizio?
La richiesta sembrò metterlo di buon umore. – Ma certo!
Poggiò il vassoio e si sedette vicino a lui. Lo studiò con attenzione e sfiorò i sigilli sul petto. Ritirò la mano, turbato.
– Posso toccarvi? La vostra magia è silente.
– Già, una vera disdetta. Puoi toccarmi, se mi racconti cos’è accaduto.
Afferrò la ciotola sul vassoio e annusò con un brivido di piacere i funghi cotti e caramellati. Li mangiò con le mani senza preoccuparsi troppo dell’etichetta per una volta. Poi passò al grappolo d’uva fresca, dopo aver bevuto un sorso d’acqua ed essersi anche strozzato.
Lyran lo esaminò fin nei particolari e sollevò anche la coperta. – Siete davvero bislacco.
– Non hai mai visto un mezzosangue?
Scosse la testa. – Sono ancora giovane.
In effetti ora che lo esaminava meglio si accorse che era un ragazzino fatato, non doveva avere più di quattordici anni. – Potresti raccontarmi? – lo incalzò e afferrò un altro chicco.
Lyran allargò gli occhi. – Oh, giusto!
Anche Silas a volte si concentrava talmente tanto su qualcosa da dimenticare le richieste o le persone intorno. Era tipico delle fate, si lasciavano facilmente distrarre quando qualcosa le interessava o attirava la loro curiosità.
Lyran cominciò a raccontare cos’era accaduto, nel mentre gli rivolgeva diverse domande su Kieran e su di lui. Era molto interessato alle orecchie di Kieran per qualche motivo.
– Perché sono così piccole? Non hanno la punta.
Silas ascoltò in silenzio e cercò di rimanere impassibile, ma poggiò il grappolo d’uva quando ebbe sentito tutto il resoconto.
– Avrei… perso la vista?
Lyran annuì frenetico e si grattò una guancia, lasciando cadere un pezzetto di corteccia dalla pelle. – Sarebbe stato un peccato! Avete gli occhi del colore delle susine!
Silas poggiò un braccio sul ginocchio. – Che cos’ha voluto in cambio la vostra regina?
– Un ricordo del vostro compagno. Le è piaciuto abbastanza da aiutarvi.
Non seppe come prendere quella notizia. Kieran aveva impedito che lui rimanesse cieco a suo discapito.
Perché?
Gli avrebbe fatto comodo se Silas avesse perso la vista, sarebbe stato molto più inoffensivo e alla sua mercé. Forse temeva che il vincolo potesse causare anche a lui col tempo la cecità? Non aveva alcun senso però.
Non poteva pensarci al momento, doveva accantonare quei pensieri. Gli mettevano addosso un’agitazione che non voleva provare.
– Dov’è lui adesso?
– Lo spezza-ali? È nei dintorni.
– Possiamo… lasciare la corte?
Lyran sorrise con un pizzico di malevolenza e il volto efebico assunse tinte maligne. – No! Ve ne andrete quando la regina deciderà che potrete andarvene!
Silas aveva temuto quella risposta. Doveva parlare con la Crisalide o rischiavano di rimanere bloccati lì per anni dietro ai capricci di una fata antica e della sua corte.
– Potrei riavere i miei abiti?
Lyran scosse la testa, divertito e scappò via dalla stanza.
Grandioso.
*
 
Una manciata di minuti dopo era riuscito a recuperare un paio di pantaloni di tela larghi e a uscire dall’abitazione che lo ospitava. Si era ritrovato parecchio in alto rispetto al terreno, circondato da sentieri di rami sospesi e piccole case a forma di lanterne.
S’incamminò lungo uno dei ponti in legno, socchiuse gli occhi di fronte al vento che gli soffiava fra i capelli e respirò a pieni polmoni. Non sentiva dolore alle costole, stava così bene che aveva voglia di correre.
Imboccò una delle scalinate a chiocciola dentro il tronco di una sequoia, mentre diverse fate si affacciavano a osservarlo. Erano curiose, ma non sembravano ostili. Lo erano raramente con i mezzosangue.
Si guardò intorno, ammirato, mentre cercava Kieran. La bolla autunnale in cui riversava la radura non permetteva al freddo esterno di penetrare, ma stare a torso nudo gli strappò un brivido.
Impiegò poco per trovare Kieran. Seguì il capannello di fate incuriosite che guardavano verso una certa direzione.
Il Campione era seduto da solo vicino al torrente. Nessuno gli si avvicinava e riceveva sguardi piuttosto perplessi dalle persone intorno. Un bambino fatato però si era fatto coraggio, gli aveva poggiato sui capelli una ghirlanda di fiori e stava agitando le braccia mentre raccontava qualcosa. Kieran gli sorrideva teneramente, ma aveva il volto stanco.
– Non ha paura di te, incredibile.
Kieran drizzò gli occhi al suo commento e alzò lo sguardo su di lui senza poter reprimere un sorriso sorpreso. Sembrò rendersi conto della sua reazione fuori luogo e dissimulò subito l’espressione. Si alzò in piedi e tolse la ghirlanda, si spazzolò i pantaloni dall’erba e gli andò incontro dopo aver salutato il piccolo fanciullo fatato.
– Come ti senti?
Silas invidiò la sua maglia, anche se i capelli neri sciolti che gli ricadevano sul petto erano piacevoli da sentire addosso. – In gran forma. Tu?
– Io? Io sto bene. È strano che non avesse paura di me in effetti.
Silas gli prese la corona di fiori dalle mani. – Hai rispettato le loro regole, questo ha molto valore. Dai tempo agli altri, stasera saranno più tranquilli.
Kieran sembrava impacciato. – Soprattutto perché tu me le hai spiegate. Fatico a ricordare le regole di ogni corte.
Indossò la corona di fiori, soddisfatto. – Ricordavi però il rituale per chiedere udienza. Non ti sottovalutare così tanto, Campione. Hai avuto una buona pensata.
Il complimento gli venne spontaneo; era troppo tardi per rimangiarselo. Sperò che l’altro ci vedesse del sarcasmo. Era sfiancante dover soppesare ogni singola frase.
– Lo ricordavo perché me ne parlasti tu, in Accademia.
– Ah… è vero – mormorò a disagio. – Non so bene cosa sia accaduto. Dovevo essere piuttosto esausto ieri notte.
Kieran guardò verso i teschi nel torrente. – Credevo stessi morendo. Non sapevo cosa fare.
Silas si portò una mano alla nuca. Perché all’improvviso non aveva idea di che cosa dire? Aveva dormito troppo forse, non aveva la solita reattività.
– Hai avuto un’idea rischiosa, ma sensata. Il ricordo che hai donato, pensi di sapere su che cosa vertesse?
Una linea di preoccupazione gli incupì lo sguardo. – Non sono sicuro. Non mi va di parlarne.
Appariva scosso. Di sicuro non doveva essere stato facile fronteggiare la Crisalide da solo. Aveva gli occhi stanchi e tracce di sangue incrostato sul mento.
Silas voleva… non sapeva che cosa voleva. Ringraziarlo? Rassicurarlo? No, che razza di pensieri gli balzavano in mente.
– Senti dolore?
Kieran si riscosse. – Eh? Io?
– Quel genere di magia può essere violento. Hai sanguinato e sembri scosso. Senti dolore?
Lo osservò interrogativo, come se non capisse le sue intenzioni. – Ho solo un po’ di mal di testa. Soltanto che mi ha ricordato l’Iniziazione.
Silas era a piedi nudi e le foglie umide erano piacevoli sotto le sue dita. – Quella volta fu diverso, la Crisalide segue un codice.
Kieran si toccò la gola, come se solo parlarne gli togliesse l’aria. – Lo so, non dovrei reagire così. Sono solo contento che nessun altro del Ferro mi abbia visto così spaventato.
Silas si portò le mani ai fianchi e sollevò un piede, togliendo le foglie appiccicate. Alcune risate intorno a loro due lo distrassero e vide un folletto inseguire una bambina. – Al tuo posto avrebbero dato una nota di colore autunnale alle loro braghe, se capisci cosa intendo…
La tensione sul suo viso si sciolse in una risata. – Avevo ingerito troppo poco cibo, o avrei fatto la loro stessa fine temo.
Silas si accorse che nonostante la battuta appariva davvero provato. Kieran aveva visto fin troppe volte ciò che una fata poteva infliggere a un umano, soprattutto alla sua mente.
– Il mal di testa dovrebbe passare a breve, è una magia invasiva, ma le fate sanno come non danneggiare la mente della persona quando non hanno quelle intenzioni. Ti hanno guarito dalla ferita alla spalla?
Si toccò il punto interessato. – Sì, sto bene. Sono solo stanco. Come mai sei così apprensivo all’improvviso? – domandò provocatorio.
Silas allungò le braccia, gli prese il viso fra le mani e gli sorrise malevolo. – Sei ingiusto, io mi preoccupo sempre per la tua salute, Reed.
Gli prese i polsi e li allontanò, seccato. – Dillo senza quel ghigno e potrei quasi crederti. Devi smetterla di toccarmi.
– Scusa, dimentico sempre che con uno come te basta poco per scatenare una reazione lì sotto.
Kieran si stropicciò gli occhi. – Vedo che sei di nuovo fastidiosamente in forma.
Si stiracchiò con aria soddisfatta e si lanciò avanti, esibendosi in una verticale. La corona di fiori cadde a terra, camminò sulle mani con i capelli che gli ricadevano di fronte al viso; sorrise, poi con un salto tornò in piedi. Sentì la risata di una bambina ed eseguì un inchino verso il punto della voce.
– Mi sento in forma! – confermò sornione.
– Sei ancora magrolino – replicò Kieran, studiandolo. – Potrei romperti le ossa con un pugno.
Silas lo guardò con sufficienza. – Perché non ci provi? Ho ancora i miei muscoli.
Roteò gli occhi. – Era solo una considerazione. Sei ancora sottopes – non finì la frase che un calcio da parte dell’altro in pieno petto lo mandò lungo. Inciampò senza fiato e cadde sulla riva del torrente, bagnandosi i pantaloni.
Silas si chinò a sorridergli. – Non montarti la testa, Campione. Sei sempre con la guardia abbassata, non ti starai rilassando troppo?
Kieran sembrava pronto a una sfuriata, ma Silas gli offrì una mano. Era di buon umore e ora che stava bene sentiva di potersi comportare più liberamente, senza ferire il proprio orgoglio.
Reed la prese e si tirò in piedi, sgrullando l’acqua dai pantaloni e borbottando. – Ti ucciderei dannazione. Fa freddo.
– Te la sei cercata. In ogni caso: dobbiamo trovare il modo di andarcene.
Kieran si passò un dito sotto il naso arrossato. Sembrava allergico a tutte quelle piante.
– La Crisalide ha detto che potremo andare via domattina, dopo il rituale di preparazione per il Solstizio.
Silas si allarmò a sentirlo. – La celebrazione?
Si grattò la testa. – Credo. Perché?
– Nulla. Non dovrebbe essere pericoloso, ma è meglio se stiamo lontani dalle fate di alto rango. I loro dispetti sono più crudeli.
Kieran appariva piuttosto riluttante. – I miei ricordi… possono prenderne altri? – domandò incerto.
La brezza gli soffiò addosso l’odore dolciastro del liquore. Silas si voltò e vide alcune fate preparare dei focolari, altre che si occupavano di portare cesti di frutta e grosse fiasche.
– Sì, potrebbero anche levarci il ricordo di questi due giorni.
Si passò una mano sul viso, pallido. L’idea sembrava spaventarlo. – Dove sono il mio cappotto e la mia sciarpa?
Silas alzò un sopracciglio. – Perché lo chiedi a me?
– Te li ho dati perché stavi morendo di freddo. Ci tengo, pensi che me li ridaranno?
Aveva la voce tesa e gli occhi grigi preoccupati. Silas ripensò al giorno in cui aveva ricevuto quella sciarpa, dieci anni prima; adesso era vecchia e consunta, sfilacciata sui bordi.
– Vado a recuperarli, tu aspetta qui.
– Non sai dove siano.
Gli rivolse un gesto seccato mentre camminava. – Li cercherò, volevo farmi un giro in ogni caso. Devo anche ritrovare i miei stivali e una maglia. Ci vediamo alla celebrazione.
Lo vide annuire e tornare a guardarsi intorno, solo. Silas lo osservò per qualche secondo, poi distolse gli occhi. Gli avrebbe chiesto spiegazioni più tardi, adesso non aveva alcuna voglia di intraprendere la solita battaglia contro sé stesso.
 
 

Ciao!
Questo capitolo mi ha fatto sudare, è pieno di descrizioni, il povero Silas per 3\4 stava nel mondo dei sogni. Spero di aver trasmesso in parte quello che volevo e mi dispiace se mi sono dilungata, ma era la prima volta che vi presentavo una fata antica.
Il prossimo sarà più divertente, per me almeno xD.
A presto e grazie per tutti i vostri commenti, davvero.
 

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Capitolo 12
*** La Celebrazione ***



 
 

La Celebrazione

X



 


La cerimonia di preparazione per il Solstizio era una festa dove s’invocava un inverno clemente e si preparavano le abitazioni per sopportare le basse temperature. La musica dei flauti e delle ocarine riempiva ogni angolo della corte, mentre diffusi ovunque apparivano fuochi blu magici, da cui si dipanava un calore intenso. Il fiumiciattolo si era ghiacciato e quella notte la magia che manteneva la corte in autunno sarebbe cessata, lasciando entrare la neve nella radura.
Di fronte la villa della Crisalide alte fiamme blu divampavano flessuose, le fate ballavano e si muovevano sinuose fra i canti e le luci, alcune si dondolavano giocando su altalene di fiori, altre si esibivano in giochi di magia; liquori densi e succosi zampillavano dalle pareti di roccia e su tavoli di tronchi torreggiavano decorazioni floreali ed enormi spiedi in legno di frutta e verdure. Le foglie autunnali volteggiavano mosse da un vento magico e le lucciole si muovevano operose nei pochi punti non illuminati dalle fiamme.
Silas aveva ritrovato il cappotto e la sciarpa di Kieran, contrattando con la fata dispettosa che lo aveva accolto al risveglio. Più che contrattato aveva tirato con forza fino a strappargliele dalle mani e la fata per ripicca gli aveva arricciato tutti i capelli. Se li era legati in una treccia nel tentativo di domarli, ma il risultato non era stato un granché.
Era andato a presentarsi alla regina prima di tutto il resto e a ringraziarla per la sua misericordia.
Nonostante non fosse più un guerriero di Ferro da molti anni, presentarsi a una fata antica gli annodava ancora le budella.
La Crisalide però si era mostrata più affabile nei suoi confronti. Non tutte le fate gradivano i mezzosangue, ma li apprezzavano di più degli umani, soprattutto se gli umani in questione appartenevano al Ferro.
– Hai mai incontrato tuo padre?
Silas alzò gli occhi viola verso di lei dopo essersi inchinato e la studiò, meravigliato. Indossava un abito vaporoso per la celebrazione con i colori dell’autunno sulla cima e quelli invernali sul fondo; le sfumature sembravano vive e quando la luce dei fuochi le illuminava si contorcevano. Sul capo portava fiera due corna da cervo enormi e ramificate, decorate da nastri colorati, ellebori e poinsettie.
Alcune piccole pixie volavano fra le corna a sistemare i fiori invernali della regina, una si era addormentata nel corno più alto e riposava rannicchiata.
 – Il Crestato? No, non ho mai avuto questo piacere. Ho saputo pochi anni fa che fosse mio padre.
Kieran lo aveva accompagnato dalla regina, seppur restio a incontrarla di nuovo. Si teneva in disparte, ancora scosso, ma a quella frase lo studiò, incuriosito. Silas finse di non vederlo.
La regina annuì, comprensiva. – Hai i suoi occhi.
– Lo conoscevate?
– Sì. Era molto irrequieto, spesso crudele, come il mare che amava.
Silas non aggiunse altro, non era interessato a conoscere la sua sorte. Aveva scoperto anni prima che suo padre fosse il Crestato, una fata antica potente scomparsa quando lui era bambino. Continuava a non avere idea di chi fosse sua madre, i ricordi dei suoi primi quattro anni di vita erano nebulosi. Era probabile che fosse morta, i parti dei mezzosangue da parte di donne umane erano spesso problematici.
 I Vaukhram d’altronde dicevano di averlo comprato da una famiglia povera, ma mentivano.
 La maggior parte di aristocratici strappava i mezzosangue dalle famiglie più misere o dalla strada, altrimenti ci pensavano i trafficanti del mercato nero a scovarli e a portarli via. Era il motivo per cui le fasce basse del popolo conoscevano meno i Discendenti, era rarissimo che un mezzosangue crescesse con i popolani senza essere portato via.
È raro che un mezzosangue arrivi alla maggiore età con tutti i pezzi del corpo attaccati.
Si corresse, tetro.
Dopo aver ringraziato la regina, Kieran e Silas si erano seduti al margine della radura, vicino a uno dei fuochi blu, accanto a un acero intrecciato con una grossa roccia; non erano lontani da alcuni flautisti e la musica li invadeva febbricitante. Avevano mangiato e bevuto in abbondanza, rifocillandosi, avvolti dall’aura festosa e musicale.
Kieran teneva un calice di legno nella mano e aveva due piccole trecce ai lati della testa, tenute ferme da due foglie sfumate di rosso. Silas gli aveva suggerito di rendersi più presentabile, la regina non voleva brutture alla sua festa.
– Non sapevo che avessi scoperto l’identità del tuo genitore fatato – commentò Kieran, mentre mangiava altri funghi speziati in una cesta piena di uva, castagne, nespole e lamponi. Immerse poi una piccola ciotola nell’enorme casseruola in terracotta sul fuoco, dentro cui galleggiava una zuppa di cavolo viola, decorata con olio di pino e noci.
La annusò con un brivido di piacere e iniziò a sorseggiarla.
Aveva ripreso colore in volto e appariva meno provato di quella mattina. La scolò in fretta e si leccò le labbra.
Silas salutò con le dita una fata dalla pelle color arancio che gli sorrideva da un’altalena. Era quasi tentato di raggiungerlǝ. – Lo scoprii qualche anno fa. Avevo già i miei sospetti.
– Non vuoi sapere dove sia finito? – mormorò prendendo altra zuppa. – Ah è davvero squisita. Morivo di fame.
– No, non m’interessa. Le fate antiche hanno dozzine di mezzosangue sparsi per il mondo, sono vive da centinaia di anni. Perché dovrei cercarlo?
Kieran aggrottò le sopracciglia. – Tu non puoi andare a cercare nessuno, sei un prigioniero. Ti chiedevo soltanto se non fossi curioso.
Silas sbadigliò. – Non è qualcosa che mi disturba. Mi ha donato la magia e anche un aspetto piacevole alla vista, non m’importa del resto. Inoltre, una fata antica come genitore può rivelarsi molto complicata. Se volesse comandare sulla mia vita non potrei mai contrastarlo. Mi va bene così.
Il crepitio del fuoco era coperto dalle note di un liuto delicato, mentre una voce femminile intonava un canto in una lingua dai suoni pastosi. Era quasi ipnotica. Silas poggiò il calice contro la roccia da cui zampillava altro liquore scarlatto.
– Sembra che persino tu abbia attirato l’attenzione di qualcuno – mormorò e si passò il polso sulle labbra umide per pulirsi.
Kieran guardò alla sua sinistra, dove una giovane fata gli sorrideva, seduta sul tappeto di foglie rosse poco più in là, a un altro falò. Era molto graziosa e non mostrava alcuna timidezza nel sorridere al Campione.
Quest’ultimo ricambiò con un sorriso più discreto, poi distolse lo sguardo.
– Non ti piace?
– Non andrò a letto con una fata – rispose aspro.
Silas inclinò la testa. – Perché no? Sei preoccupato per i suoi genitali? Spesso sono simili ai nostri, anche se non puoi mai saperlo davvero. O temi di metterla incinta? Il liquore che hai bevuto ti impedisce di essere fertile per la notte.
Guardò stranito dentro il calice e lo poggiò a terra. – Le fate sono pericolose.
– Sei sotto la protezione della Crisalide, non può farti del male.
La ragazza si era avvicinata, sembrava incuriosita, aveva il volto illuminato dall’interesse. Kieran si accorse dell’accostamento e la tenne d’occhio, rigido.
– Secondo me vuole attaccarti e ucciderti.
– Cosa?
Alzò gli occhi al cielo. – Vuoi rilassarti? – e scosse la testa con disappunto. – La spaventerai se continui a tenere quello sguardo ostile.
– È la mia solita faccia questa.
– Ah, già, peccato.
Si grattò la nuca e addolcì un po’ lo sguardo. La ragazza parve incoraggiata dal gesto perché si sedette accanto a lui. Il viso verdastro era in parte macchiato di bianco, gli occhi rossi erano vispi e divertiti.
– Lei è la fata che ho aiutato… – commentò fra sé e sé.
Silas la osservò. – Quella che hai salvato dal sindaco Clifford?
Annuì.
– Adorabile. Ti avrà visto come il suo cavaliere in armatura scintillante.
Kieran sbuffò e agitò la mano per farlo tacere.
La fata disse qualcosa in una lingua che nessuno dei due comprese.
– Scusami, non ho capito – mormorò Kieran con impaccio.
La fata aggrottò la piccola fronte, pensierosa. Poi indicò il cielo notturno e le stelle.
– Le stelle?
Annuì frenetica. Toccò con un dito il naso di Kieran e poi indicò di nuovo le stelle.
– Sta dicendo che hai le stelle sul viso – gli spiegò Silas, vedendolo perplesso.
– Eh?
– Parla delle tue lentiggini. È un complimento, sta cercando di sedurti d’altronde. È piuttosto intraprendente.
Kieran sembrò stupito e poi le sorrise. Prese un fiore da terra e glielo appuntò dietro l’orecchio. La ragazza apprezzò il gesto, ma era concentrata sul cappotto e la sciarpa di Kieran. Glielo aprì, curiosa, cercò di togliere la sciarpa e per poco non lo strangolò. Se la sfilò per mostrargliela ed evitare di farsi impiccare.
– Se le dai qualcosa di tuo, la conquisterai.
– Credevo fosse lei quella interessata.
Silas gli sorrise, complice. – Ti sto dando un consiglio.
Trafficò nel cappotto ed estrasse un vecchio manifesto di una mostra di quadri che gli aveva passato Thomas per invitarlo. L’immagine del dipinto in anteprima era color seppia, sbiadita, ma si vedeva in modo chiaro.
La ragazza prese il manifesto con un interesse vivido, lo annusò e iniziò a studiarlo. Al che guardò verso gli alberi e poi verso di lui. Gli prese una mano con le dita lunghe e delicate.
Kieran sembrò intuire le sue intenzioni, perché ritirò la mano.
– Ti tiri indietro? Ci sta rimanendo male.
– Stai zitto, non posso allontanarmi da te.
Roteò gli occhi. – La tua dedizione alla causa è lodevole, ma lo sai che non potrei andare da nessuna parte. Sarebbe un’offesa alla Crisalide. Per una volta che qualcuno s’interessa a te.
– Si dà il caso che succeda molto più frequentemente di quanto pensi – borbottò.
La fata allungò il volto verso di lui e mostrò la pelle lucida e morbida del collo. – Tu… bellissimǝ – mormorò con voce incerta, imitando il suono della loro lingua.
Kieran sorrise del piccolo errore e si grattò un orecchio. – Uhm grazie, anche tu lo sei.
Le indicò il fuoco e cercò di mettere insieme alcune parole nella sua lingua per farle capire che doveva restare lì. La fata apparve delusa, ma si sdraiò al loro focolare e continuò a studiare il manifesto.
– Perché lo hai fatto?
Kieran stava cercando qualcosa nel suo cappotto. – Perché non mi fido ad andare a letto con una fata. E sarebbe sconveniente.
Silas guardò dentro il proprio calice e bevve un sorso. – Non sto parlando di questo. Parlo di dare un ricordo per la mia vista.
– Con te cieco il viaggio sarebbe diventato problematico, soprattutto adesso.
Riusciva davvero a fingere con un’espressione disinvolta e sincera, forse era davvero un talento nel mentire, il che lo spingeva a mettere in discussione molte delle cose che sapeva su di lui.
– Non mentirmi.
Kieran prese un chicco d’uva e lo ingoiò, senza guardarlo. – Non ti devo spiegazioni.
Silas guardò il fuoco blu che si agitava di fronte ai loro occhi. – Ricordi quando ti dissi che ti avrei portato alla corte della Magnolia se avessi potuto?
Il Campione posò l’uva e osservò le fate che ballavano intorno ai fuochi, battendo i piedi a ritmo di musica mentre i flauti diventavano più incalzanti.
– Sì, me lo ricordo.
Accennò un sorriso. – Sembra che dieci anni dopo si sia avverato qualcosa di simile, anche se avrei rivisto meglio le circostanze.
Kieran si guardò attorno. – Molti hanno paura di me.
– Sei sotto la protezione della Crisalide, questo basterà. Domani le chiederò di restituirti il ricordo.
Si voltò a osservarlo. – Si può fare?
Silas giocò con il lobo dell’orecchio, dov’era solito indossare orecchini. Le magie che strappavano o manipolavano i ricordi erano appannaggio delle fate. Gli umani non riuscivano a replicare con la stessa precisione la magia della memoria, mandavano in frantumi la mente della persona, lo aveva visto succedere. Lui stesso non avrebbe potuto rubare un ricordo senza rischiare di rovinare qualcosa nella mente della vittima. Quando lo avevano interrogato, avevano usato droghe e illusioni per strappargli informazioni, magie inibitorie. Non avevano potuto scavargli nei ricordi.
– Dipende, ma tentar non nuoce. Le offrirò un mio ricordo in cambio. Non voglio essere in debito con te.
La risata di Kieran lo spinse a voltarsi e la stessa fata gli rivolse uno sguardo sorpreso. – Che cos’è che ti diverte tanto?
– Tu, ovviamente. Non cambi mai su certe faccende. Ormai il prezzo è stato pagato, non stuzzichiamola con altre richieste.
Silas strinse un pugno. – Io… non ti ho mai chiesto di farlo.
– Non ti arrendi, eh? L’ho fatto perché non volevo mutilarti di qualcos’altro. So quanto conta la magia per un Discendente, è come perdere uno dei sensi. Non c’era motivo di infierire.
La frase gli drizzò appena la schiena. – Infierire? Ti senti in colpa per caso?
Kieran si era macchiato la maglia con il liquore e stava cercando di ripulirlo. – Avere pietà per te non significa che io mi senta in colpa.
Silas sbatté le palpebre.
– Cosa?
Rinunciò a pulire la blusa e sospirò. – Non voglio compatirti più di così.
Di solito la frase sarebbe suonata come un’offesa, ma ciò che sconvolse Silas era il tono calmo di Kieran. Non stava cercando di offenderlo, era serio mentre pronunciava qualcosa di così presuntuoso e imperdonabile. Perché Kieran era un maledetto guerriero di Ferro, un figlio di puttana arrogante e ambizioso, gli erano bastati pochi anni per assorbire la superbia delle Gilde e dei nobili.
Dimentico ogni volta quanto riesca sempre a deludermi con poche parole.
Si alzò dal suo posto. Versò il proprio calice nel fuoco e ci fu una vampata. Kieran tirò indietro la sciarpa con un sussulto e la fata osservò Silas, stupita.
 – Ho perso l’appetito.
Si allontanò nel tentativo di non colpirlo in faccia.
 
*
 
Euphemia Vaukhram era tremendamente orgogliosa. Silas ricordava quando gli aveva rivoltato il viso con uno schiaffo soltanto perché le aveva suggerito di scusarsi e chinare la testa con i loro genitori adottivi. La aveva vista sfigurare persone in volto per il suo orgoglio, lasciarne morire altre. Era figlia di una fata antica molto crudele e orgogliosa, e gli diceva sempre “il mio sangue me lo impone”. 
Silas sapeva di avere i sintomi dello stesso orgoglio distruttivo di sua sorella, era abbastanza sveglio da sapere che non c’era niente di nobile nel perdere le staffe per qualsiasi cosa. Era un atteggiamento sciocco e irrazionale, ma quando sentiva il sangue ribollirgli nelle vene non poteva frenarsi, non poteva mordersi la lingua. A volte si sfogava con la magia, ma in quel momento avvertiva la distruzione prudergli sulle mani.
Kieran lo compativa.
Era talmente sicuro di sé dopo averlo sconfitto che credeva di essere su un maledetto piedistallo. Aveva salvato i suoi occhi per pietà, come un dio benevolo che concede una grazia al povero fedele indifeso.
Continuò a camminare finché la radura non rimase alle sue spalle e le luci dei fuochi cessarono di illuminarlo. Si guardò i polsi dove le cicatrici delle catene erano ancora lì.
Nella sua vita era stato mortificato e umiliato innumerevoli volte, fin da quando i Vaukhram lo avevano trascinato nel loro orfanotrofio degli orrori. Negli anni era stato picchiato, insultato, abusato e degradato. Gli avevano sputato addosso, lo avevano gettato nel fango e le settimane di prigionia erano state la ciliegina sulla torta.
Eppure quelli erano attacchi che il suo orgoglio poteva sopportare. Perché quando a umiliarlo erano persone che per lui valevano meno della merda sotto le sue scarpe, non c’era motivo di sentirsi mortificati. Non c’era motivo di provare vergogna. E lui la vergogna non la provava quasi mai, perché era un sentimento ancora più stupido dell’orgoglio.
Con certi individui non bastavano gli insulti e i calci per far provare a Silas qualcosa.
Con Kieran bastava una frase.
Bastava una frase per far contorcere il suo orgoglio, per farlo vergognare al punto da volergli tagliare la gola sul momento.
Perché? Perché aveva quel potere su di lui? Quando glielo aveva concesso? Come poteva trasformarlo in una nullità come tutti gli altri? Dopo anni credeva che le cose fossero cambiate.
Si fermò accanto a un laghetto ghiacciato, al limitare della corte. Poteva vedere il confine magico, la neve al di là della barriera. Forse il freddo gli avrebbe schiarito le idee.
Sentì un forte rumore alle sue spalle, un colpo d’aria che gli sollevò i capelli. Si voltò e trovò la Crisalide intenta a osservarlo. Aveva le grosse ali nere distese ed erano gigantesche; ali da falena, con due occhi disegnati nel mezzo, occhi veri che sbattevano le palpebre e lo studiavano.
La Crisalide si grattò con le lunghe dita l’attaccatura delle ali e le scosse per sgrullare le ragnatele. – Era da qualche anno che non le usavo, a volte l’ozio mi intrappola nella stasi e dimentico di vivere. Succede, dopo secoli.
Silas nel buio della sera vedeva la pelle trasparente e lucida della fata brillare, cosparsa da una polvere luminosa. I capelli lunghi fino a terra e annodati erano coperti da lucciole, mentre l’abito era stato quasi interamente divorato dai colori invernali.
– Mia regina, non volevo allontanarmi – mormorò frettolosamente e si portò una mano sul petto.
Questa guardò verso la neve. – Non siete prigionieri, ma ospiti. Anche se tu sei un ospite più gradito.
Non lo consolava chissà quanto, era merito di Kieran d’altronde se erano sopravvissuti. – Vi ringrazio, mi onorate.
– Ti vedo turbato. Volevo poterti parlare in privato, senza che il tuo carceriere fosse presente.
– Sapete…?
Raccolse una lucciola e la tenne delicatamente sulla mano. – Avverto i fili magici che vi uniscono. Un incantesimo molto caotico, ma potente. La magia dei sigilli non è la mia specialità. Altrimenti avrei potuto ucciderlo.
Silas sospirò, stanco. – Lo avrei ucciso io più che volentieri se avessi potuto.
Rimase in silenzio e la Crisalide si distrasse a osservare la neve che scendeva oltre la barriera. Il silenzio non sembrava pesarle, così come l’attesa. Gli occhi neri brillavano sotto la luce della luna.
– Sono sempre stata interessata al nome che ti sei dato. Falena. Le mie fate esploratrici mi hanno raccontato fatti interessanti sulle tue gesta. Come mai questa scelta?
Silas si sentì imbarazzato. Era un nome che aveva scelto nei suoi diciassette anni, ma aveva un significato fin troppo personale. Quando Cavana gli aveva chiesto quale animale volesse essere, lui non aveva esitato a dare quella risposta. Gli era rimasto incollato addosso, aveva imparato da quella esperienza che non si dovrebbe permettere a un moccioso arrabbiato di trovarsi un titolo. Da ragazzo si prendeva davvero troppo sul serio.
– Mia madre diceva che ero una falena da baco da seta, un essere inutile.
La Crisalide sembrò capire. – Una falena che non vola e che non può mangiare; a causa dei vostri mostri sputa fumo e fuliggine non può mimetizzarsi per il suo colore candido, non come qui da noi. Esserini davvero indifesi e sfortunati. Non sono mai entrata in quelle vostre strutture grottesche che tingono il cielo di nero, ma le ho viste nei ricordi di molti. Migliaia di crisalidi uccise nell’acqua bollente, poche lasciate in vita per produrre altri che verranno uccisi. Per la vostra seta.
Silas non credeva di aver mai spiegato a qualcuno le motivazioni di quel nome. Ma se la Crisalide gli rivolgeva una domanda, era meglio rispondere con sincerità.
– Esatto mia regina, la mia famiglia possiede molti setifici nella Lunvenia. In un periodo di particolare ribellione, quando avevo tredici anni, mia madre mi portò a vedere una delle fabbriche.
Mi disse che io ero stato scelto per essere una falena da baco da seta. Una creatura che deve solo riprodursi e morire di fame senza l’apparato digestivo; mettere al mondo altri bachi da seta che verranno sfruttati dagli uomini e uccisi. Che non può volare, che non può più sopravvivere nella nostra società del ferro. O qualcosa del genere, mia madre amava queste metafore ridicole. Mi disse che le crisalidi di baco da seta morivano nell’acqua bollente, perché il loro bozzolo serve per la seta. Io non volevo piegarmi a quel tempo, lei mi ricordò che ero ancora una crisalide e che potevo scegliere se morire subito come gli altri bachi da seta o diventare una falena inutile e fare il mio dovere.
Osservò le farfalle pallide che sbattevano freneticamente le ali intorno alla Crisalide. Quel ricordo era ancora vivo nella sua testa per molti motivi. I piccoli operai bambini che infilavano le mani nell’acqua bollente per uccidere le crisalidi, le loro mani che sanguinavano, i bozzoli che morivano.
Non sapeva come sentirsi, pensare di essere ancora più in basso, di essere privilegiato nella sua sfortunata esistenza. Ormai tanto era nel passato.
 Aveva dato alle fiamme quello stesso setificio con quel tiranno di suo cugino dentro.
Ripensarci gli tirò fuori un sorriso.
– Ma vicino alle fabbriche, nelle metropoli, le falene sono sempre più scure, da piccolo le osservavo. Quando entravano la notte nei miei alloggi le studiavo, avevo molti libri. Ce ne sono di tanti tipi, si mimetizzano scure sulle betulle coperte di fuliggine, si nascondono, si nutrono a volte di cose morte e sopravvivono. Credo che scelsi di proposito di essere una falena differente, i miei abiti sono sempre stati neri sul campo di battaglia. Sapevo che mia madre avrebbe ricordato il discorso leggendo i giornali e si sarebbe strozzata con il suo laudano. Era divertente, l’idea che a rovinarle la vita fosse la sua falena inutile. Suppongo che mia madre mi abbia passato questo modo sciocco di usare le metafore come armi in fin dei conti…
La Crisalide inclinò il capo e gli occhi neri sembrarono avvolgerlo. – Una donna crudele.
Scoppiò a ridere. – Oh è un eufemismo.
– Con l’atteggiamento di una regina.
Si grattò la testa. – Sì, lo ha sempre avuto. Una tiranna più che altro.
La Crisalide gli allungò una falena dalle ali bianche e frastagliate, la passò sul suo dito e Silas la prese con delicatezza.
– I nomi che ci diamo hanno sempre più valore di quelli che vengono scelti al nostro posto.
Silas si ritrovò a concordare e carezzò le ali della falena sul suo dito. Esserini adorabili, lo aveva sempre pensato, quando entravano nei suoi alloggi l’estate provava a disegnarle; purtroppo non aveva mai avuto molto talento con il disegno.
 Iniziò a calmarsi. La presenza della regina era ancora minacciosa, ma non c’era ostilità in lei e all’improvviso il suo corpo si stava rilassando. Forse perché non aveva mai raccontato quella storia ad alta voce, neanche a Drake. Si vergognava con lui, temeva che gli avrebbe ricordato che la loro causa non era dettata dalla vendetta.
Peccato che la sua di causa fosse iniziata come una banale storia di vendetta.
– Il ricordo che vi ha donato Kieran… potrei chiedervi la grazia di un altro scambio? Vi donerei il ricordo che più vi aggrada.
La Crisalide si portò le dita sulle labbra, riflettendo. – Ho gustato quel ricordo, sono disposta a darvelo in cambio di una memoria di vostra madre.
– Potete anche prendervele tutte, per quanto mi riguarda.
– Uno basterà, troppi potrebbero nausearmi.
Chiuse gli occhi e scelse uno dei tanti ricordi atroci che conservava. Non doveva essere troppo doloroso, quelli gli servivano per continuare a odiarla ferocemente. Ne scelse uno lontano, quando il suo primo dente aveva iniziato a dondolare. Sua madre glielo aveva strappato senza aspettare un secondo e da lì aveva preso a controllargli sempre appena dondolavano lievemente. Li toglieva con violenza senza che fossero pronti a cadere, li conservava, assieme al sangue che perdeva.
La Crisalide strappò il ricordo come sua madre gli strappava i denti. Fu doloroso e iniziò a sanguinare.
Si asciugò il naso e gli occhi, ma non cadde in ginocchio. Rimase in piedi, stordito.
– Qualsiasi ricordo fosse, è certamente una liberazione.
La Crisalide socchiuse gli occhi e il suo volto si velò d’amarezza. – Che disgrazia che uno dei figli del Crestato sia stato trattato in questo modo. Avrebbe potuto sfigurare la tua bellezza.
Silas non disse nulla. Gli importava ben poco della bellezza, ma da una fata antica era il massimo di empatia che poteva ricevere e gli andava bene.
Le dita affusolate tennero una piccola fiala di vetro; dentro si agitava un liquido azzurro fumoso, chiuso da un tappo di sughero.
– Questo è il ricordo dello spezza-ali, l’ho già gustato a sufficienza. Se lo berrai, sarà tuo, ma non potrai farne altro uso. Questa memoria è molto interessante, non che compromettente per uno come lui. Non so come potrebbe servirti, ma ti ha tolto la tua magia. Questo potrà bilanciare.
Silas prese la fiala con meraviglia. Al buio non riusciva a vederla bene, ma il liquido all’interno luccicava. – Non merito la vostra gentilezza.
– Ho ancora un debito verso tuo padre.
Alzò il capo. – Io non ho mai conosciuto il Crestato. Non credo sapesse della mia esistenza prima di sparire.
La Crisalide osservò di nuovo i fuochi della celebrazione e le ali frustarono l’aria, producendo uno schiocco. – È possibile, ma poco importa. Sei sangue del suo sangue, hai anche la sua bellezza da giovane. Questo ricordo è tuo, puoi distruggere la vita dello spezza-ali o farlo tuo. Farebbe qualsiasi cosa perché non venga diffuso, l’ho percepito nei suoi sentimenti.
Silas osservò il liquido con trepidazione. Che razza di ricordo poteva essere? L’irreprensibile e incorruttibile Kieran aveva qualche altro losco segreto? Forse era il ricordo dell’evasione, doveva essere l’azione più grave che avesse mai compiuto. Aveva una gran voglia di consumarlo, ma poi avrebbe perso il suo valore.
– Oppure potresti restituirglielo.
Silas sfoderò un sorriso malevolo. – Non credo che lo farò.
Infilò la fiala dentro la blusa, in una piccola tasca interna.
Aveva bisogno di un'assicurazione per quando tutto sarebbe andato a rotoli. Iniziava a capire che Kieran non era così onesto come voleva dare a vedere.
Non ne era certo, ma solo in quella prima settimana lo aveva visto mentire con tanta disinvoltura innumerevoli volte. Cominciava a temere che se il Consiglio o le Gilde li avessero trovati, Kieran se la sarebbe cavata. Aveva sicuramente qualche giustificazione pronta, un incantesimo, un rapimento, una colluttazione. E d'altronde finché il Feldmaresciallo lo proteggeva, distruggerlo sarebbe stato difficile. William Rogerson aveva un potere immenso e Kieran era il suo figlioccio spirituale. Anche se da anni era bloccato ai confini e molti se ne approfittavano, non avrebbe mai lasciato che Kieran venisse imprigionato o accusato di tradimento.
Silas in quel caso si sarebbe ritrovato solo e senza prove. La sua parola non sarebbe valsa a nulla.
Si toccò la tasca.
Con quel ricordo però non avrebbe potuta farla franca. Era una prova per portarlo a fondo con lui o da usare contro di lui. Magari poteva anche essere un dono per Cavana, in modo da tornare nelle sue grazie.
Cosa aveva commesso di così scandaloso? Le fate d'altronde non potevano mentire, la Crisalide doveva essere sincera.
Prova pure tutta la pietà che vuoi verso di me, Campione. Credi di essere intoccabile, più furbo degli altri. Ma non lo sei.
– Anche l'orgoglio mi ricorda tuo padre.
Silas sentì le dita della regina sfiorargli un braccio e si allarmò per un attimo. –  L'orgoglio è comune a tutte le fate. È una nostra maledizione.
Parlare come se fosse uno di loro era arrogante, ma pensava davvero ciò che aveva detto.
La Crisalide rise e la sua risata aveva un suono talmente delizioso che Silas si ritrovò ad arrossire. Gli sembrava di aver udito un suono cristallino, talmente piacevole da rimanerne assuefatto.
Gli sollevò il volto con le dita e avvicinò le labbra alle sue. Il suo respiro era gelido come l’inverno, profumava di fiori appassiti e more.
– Non sbagli, ragazzo. Ma non farti accecare dal tuo orgoglio. Proprio perché non posso mentire so riconoscere chi vive di menzogne. E lo spezza-ali non dice una cosa sola che sia davvero sincera. Deve essere sfiancante, vivere così. Stai attento a non fare la sua fine.
Silas socchiuse gli occhi e ricevette quel bacio senza sottrarsi. Lo ricambiò, nella speranza che la regina non volesse altro da lui.
Fare la sua fine?
Silas era un gran bugiardo e tutti lo sapevano, la prima reazione che riceveva era sempre diffidenza. Grazie a ciò blaterava i suoi veri pensieri di continuo, senza essere creduto e gli andava bene così.
Le labbra erano rigide contro le proprie, sentì le sue dita sfiorargli la schiena. Fra quelle mani lunghe non era altro che una bambola, avrebbe potuto sollevarlo e fare di lui ciò che voleva.
La paura tornò nei suoi occhi. Non avrebbe potuto sottrarsi o rifiutarla senza incorrere nella sua ira.
Invece lo lasciò andare. Si toccò le labbra e la lingua. – Anche in te scorre il ferro, il tuo sapore non mi soddisfa.
Silas temeva che le ginocchia gli avrebbero ceduto. Avere un amplesso con una fata antica era un desiderio di morte, bastava poco perché rompessero i loro giocattoli umani, a volte senza rendersene conto. Non era nelle condizioni di sopravvivere a una simile esperienza.
Anche se morire così forse non sarebbe così male.
D’altronde secoli di esperienza dovevano essere gratificanti da vedere in azione.
Forse non avrebbe dovuto pensare a certe cose con quella leggerezza. Beh, la curiosità non poteva eliminarla da sé stesso. Un po’ come l’orgoglio.
 
*
 
Kieran non aveva idea di dove fosse finito Silas. Il suo volto si era scurito ed era andato via come una vaporetta coi freni rotti. Doveva averlo fatto davvero imbestialire.
Sospirò e bevve un altro sorso. La fata accanto a lui continuava a riempirgli il calice e la lasciava fare. La regina sembrava tenerla in considerazione, dunque avrebbe potuto essere una fata d’alto rango; non voleva rischiare di offenderla.
– È sempre stato così, ma è peggiorato in fatto d’orgoglio – mormorò alla fata, come se potesse capirlo.
Forse aveva esagerato a rispondere a quel modo, soprattutto visto che Silas sembrava collaborativo e di buon umore. Ma era meglio così. Che cos’avrebbe dovuto dirgli? Che non avrebbe potuto restare con le mani in mano a guardarlo perdere la vista perché era un debole? Perché era talmente patetico che provava dispiacere e senso di colpa nei suoi confronti? Che vedere i segni della prigionia su di lui lo inondava di un rimorso che non avrebbe dovuto provare?
No. Se avesse mostrato anche solo uno spiraglio di queste debolezze, Silas se ne sarebbe approfittato. Era nella sua natura ingannare e circuire, non poteva dargli alcun appiglio. Doveva essere chiuso e inflessibile, o sarebbe di nuovo cascato nella rete, come in Accademia.
La fata al suo fianco si stiracchiò e tornò a rivolgergli l’attenzione. Si sporse verso di lui, gli occhi grandi e rossi come rubini. Era molto graziosa, per quanto bizzarra, la sua pelle al tatto era liscia e fredda come quella di un serpente.
– Vuoi un po’ di liquore? – le domandò e le allungò il proprio calice.
Lei accettò di buon grado e la bevanda le colò al lato delle labbra, finendo lungo il collo.
Gli passò nuovamente il calice e Kieran la imitò. Non sapeva cosa fosse quel liquore, ma era la bevanda più squisita che avesse mai bevuto, era già al quarto calice e sentiva di non averne abbastanza. Gli girava appena la testa, ma era piuttosto resistente all’alcool di solito.
La fata poggiò le mani sulle sue e lo guardò negli occhi. Aveva un sorriso furbo e invitante, due fossette si formavano agli angoli della bocca.
– Io… non posso – cercò di dire, con poca convinzione.
Silas era sparito, di sicuro era in giro a sfogarsi, non si sarebbe accorto nessuno se si fosse lasciato andare per qualche minuto. D’altronde non voleva in alcun modo che Silas se ne accorgesse, non doveva dargli modo di pensare che avesse abbassato la guardia.
Tutto scorre più naturale.
Gli aveva detto così Silas anni prima e aveva davvero voglia di cedere, anche solo per qualche minuto.
La fata gli carezzò il viso e toccò incuriosita l’ombra di barba che aveva sulle guance. Non aveva potuto radersi negli ultimi giorni e non gli piaceva molto avere quell’aspetto sciatto.
– Ti dà fastidio? – le domandò.
Quella strofinò la mano contro la sua guancia e sorrise divertita.
Ah dannazione. È così graziosa.
Anche se non aveva mai avuto rapporti con una fata e non era del tutto convinto che fosse una buona idea. Potevano essere dispettose, se non crudeli. Conosceva guerrieri del Ferro che ci avevano rimesso molto più che la loro dignità…
La fata di fronte a lui però sembrava davvero invitante e innocente. La aveva salvata, quindi perché avrebbe dovuto fargli del male? Si sporse coraggiosa e gli scoccò un bacio sulle labbra, delicato e freddo come la sua pelle.
Magari solo per poco.
Non doveva bere alcool dalle sue labbra, sapeva di persone ammaliate che soltanto dopo anni avevano ripreso coscienza di essere lontani da casa da troppo tempo. Doveva stare attento ad altri dettagli, regole fondamentali quando si aveva a che fare con una fata, ma non le ricordava tutte in quel momento. Non doveva bere una sua lacrima? Qualcosa del genere.
Magda aveva ragione, rimuginava sempre troppo. Erano stati giorni atroci, anzi, settimane. Silas non poteva scappare, che cosa c’era di male? Non sentiva il calore di un’altra persona da anni.
– Uhm, qual è il tuo nome? – domandò alla fata con voce bassa.
Cercò di farsi capire e dopo poco la vide annuire.
– Rhys.
– Rhys, io mi chiamo Kieran.
Fece per alzarsi, ma Rhys si sedette su di lui. Gli baciò la pelle sotto l’orecchio e strofinò il naso contro i suoi capelli. Kieran guardò l’intricato abito di fiori e foglie, chiedendosi se fosse più complesso di un corpetto o di un’armatura. Era abbastanza brillo e non sarebbe stato in grado di aprire abiti così complicati. Già con i corsetti riusciva sempre a rendersi ridicolo.
Rhys però gli venne in aiuto e si sfilò il vestito con un movimento flessuoso. Al di sotto era nuda e la sua pelle splendeva illuminata dal fuoco.
Lo distese e versò per sbaglio il liquore sul terreno. Kieran sapeva che altre fate li stavano osservando e iniziò a provare un certo disagio.
Qui?
Non gli rispose e le sue dita andarono ai suoi calzoni. Socchiuse gli occhi e ignorò il suo pudore.
Nessuno dell’alta società poteva vederlo. Non era in città, ma fra le fate. Sarebbe rimasto tutto fra quegli alberi.
Un atteggiamento decoroso e disciplinato.
Riaprì gli occhi e cercò di scacciare via quel comando. Non era un comportamento indecoroso, non lì fra le fate.
Gli veniva da ridere. Era un traditore della patria, un bugiardo, un ipocrita e si preoccupava ancora del decoro?
Si tirò a sedere e la prese fra le braccia. La baciò e scese con le labbra sui suoi seni. Prese il calice rovesciato, finì di bere il liquore rimasto e tornò sulle sue labbra. La distese sotto di sé in un movimento agile. Con le dita scese fra le sue gambe e la scrutò per assicurarsi che volesse andare avanti.
Rhys si morse il labbro e andò incontro alle sue dita con il bacino.
Soltanto per poco.
 
*
 
Silas guardò il corpo di Kieran mezzo nudo sdraiato di fronte al falò. Era addormentato, aveva i capelli sfatti, diversi segni sul collo e alcune fate incuriosite intorno che lo osservavano e lo pungolavano. Aveva soltanto un mezzo abito di foglie, aveva perso maglia, pantaloni e stivali. Non gli avevano lasciato neanche le mutande.
– Che spettacolo pietoso.
Chiaramente aveva appena finito di divertirsi, ma della fata di prima non c’era alcuna traccia. Si era portata via il suo cappotto?
Kieran era voltato su un fianco e dormiva sereno, chissà da quanto tempo non si lasciava un po’ andare, aveva un’espressione beata e le labbra arrossate e lucide. Anche da ragazzo non reggeva molto l’alcool, anche se era convinto di essere un bevitore resistente.
Silas si sedette sui calcagni. – Sono stato via solo dieci minuti, non molto lusinghiero, Campione.
Fece scorrere gli occhi sui muscoli delle braccia e sul petto, poi scese con lo sguardo. Non lo vedeva nudo dai tempi dell’Accademia e dovette ammettere con sé stesso che era cresciuto piuttosto bene in quegli anni.
Non mi sorprende che riscuota attenzioni.
Distolse lo sguardo, infastidito dai suoi stessi pensieri. Forse anche lui avrebbe dovuto lasciarsi un po’ andare.
Allontanò le fate intorno e poggiò un braccio al lato del suo corpo, sporgendosi. – Tesoro mio, ne vuoi ancora? – mormorò in una voce smielata.
Kieran sollevò le palpebre offuscate, ma non sembrò dargli attenzione. Lo scansò con una spinta e si passò le mani sul viso, stordito.
– Ti sei divertito? Non credevo saresti andato fino in fondo.
Si voltò verso di lui con lo sguardo appannato. Sembrava ancora ubriaco.
– Sì – mormorò con la voce roca. – Ma si è presa i miei vestiti.
Silas scoppiò a ridere. – A volte lo fanno. Mi dispiace.
Si guardava in giro spaesato. Rabbrividì per una ventata fredda e allungò le mani verso il fuoco. Passò una mano fra i capelli e si grattò il segno del morso che aveva sul collo. I suoi occhi erano febbricitanti.
– Non ti credevo così intraprendente. In Accademia non capivi mai nulla di queste cose.
Kieran aveva gli occhi persi nelle fiamme. – Questo è solo quel che volevo far credere. Le persone si fidano di più di chi si comporta in modo ingenuo.
Silas aggrottò le sopracciglia e voltò lo sguardo verso di lui. Lo studiò. Gli occhi avevano un lieve bagliore.
– Ah sì? Sono certo che sia così, ma ti sopravvaluti. Certe cose non le hai mai capite.
Kieran gli spostò una ciocca dietro l’orecchio e Silas s’immobilizzò. – Che diavolo fai? – domandò, colto alla sprovvista.
– Forse eri tu a non capirle. Perché in Accademia volevo costantemente fare con te quello che ho appena fatto con lei – sussurrò e avvicinò il viso.
– Che cosa cazzo stai dicendo?
Silas sul momento entrò nel pallone e sbatté le palpebre, incredulo. Kieran gli prese le spalle come se volesse spingerlo verso il basso. Silas gli piantò una mano sulla faccia per allontanarlo.
– Maledetto frustrato, toglimi le mani di dosso.
Qualcosa gli scattò nella mente quando non lo vide reagire all’offesa. Gli afferrò il mento con una mano e lo strattonò di lato bruscamente. Aveva sul collo un piccolo bruco azzurro avvinghiato alla sua pelle.
Lo strappò piano e lo adagiò sul terreno. Kieran si riscosse appena e l’opacità lasciò i suoi occhi, che tornarono normali. Si grattò il punto in cui il bruco era avvinghiato alla sua pelle e si massaggiò gli occhi.
– C-cos’è successo?
Silas cercò di mettere un po’ di distanza fra loro senza farsi notare. – La tua nuova fidanzata ti aveva ammaliato.
– Cosa? Quando? – e si guardò attorno circospetto.
Si accorse di essere nudo e imprecò, coprendosi. – Dove diavolo sono i miei vestiti? Stavamo… non ricordo cos’è successo quando abbiamo finito.
Silas scosse la testa. – Era per giocare con te. E con me. Ho rotto l’incantesimo, calmati.
Kieran poggiò le braccia sulle ginocchia. Aveva le orecchie in fiamme.
Se non lo odiassi mi farebbe quasi tenerezza. Quasi.
 – Non ricordo nulla. Non me ne va mai bene una. Che stavo facendo? Che vuol dire per giocare con te?
Ebbe pietà di lui e non gli riferì di quello che gli aveva appena detto. Anche perché non avrebbe saputo ripeterlo ad alta voce. Non era divertente se anche lui era in imbarazzo.
Che comando gli aveva impartito la fata per fargli dire qualcosa del genere? Gli ammaliamenti delle fate erano spaventosi, non avrebbe saputo replicare certe magie con facilità.
– Ti sei addormentato e russavi. Eri rumoroso e sbavavi.
Kieran lasciò uscire un verso esausto. – Lo sapevo che non dovevo farlo. Mi sta bene. Avevo appena ritrovato il mio cappotto.
Silas chiamò con un fischio un’altra fata che ridacchiava e le parlò in uno dei ceppi fatati più comuni di cui conosceva qualche parola, sperando che capisse. Quella gonfiò le guance, offesa, ma annuì.
– Te li riporteranno, smettila di piagnucolare.
Kieran si spazzolò i capelli con le mani. – Non posso crederci. Quanto sono stato addormentato?
– Più che altro quanto sei veloce? Sono stato via una manciata di minuti. Sei davvero fuori forma.
Gli tolse il calice dalle mani e bevve un sorso. – Non è divertente.
– Lo è parecchio invece – e faticò a contenere una risata.
Gli vennero riportati i suoi indumenti e li strappò dalla mano della fata con stizza. Questa scappò via ridacchiando.
Saltellò per rinfilarsi i pantaloni e ricadde seduto mentre indossava la blusa. Prese il calice e lo riempì alla fontanella zampillante della pietra.
– Tu dov’eri finito? – vociò per nascondere l’imbarazzo, come se fosse colpa di Silas che si era allontanato.
– Ho fatto un giro, ho avuto una conversazione interessante con la Crisalide. Anche se era in vena di altro.
Kieran lo guardò come se fosse impazzito. – Hai perso il senno? Non hai un briciolo di autocontrollo? La Crisalide ti romperebbe le ossa.
– Non mi faccio fare la morale dall’idiota che si è ritrovato nudo e ammaliato dalla prima fata che gli ha rivolto gli occhi dolci.
Gli zigomi si colorarono di rosso. – Chiudi la bocca, una fata antica è un’altra questione. Se ti spezza in due mentre ve la spassate, crepo anch’io.
– Stai tranquillo, mi piacciono le cose estreme, ma non così tanto. Anche se ammetto di essere curioso – commentò divertito. Ripensò poi alla fiala che gli aveva dato. – Ho provato a riottenere il tuo ricordo, ma non sono riuscito a convincerla. Sembra che le sia piaciuto davvero tanto.
Kieran guardò nel calice, il volto arrossato dall’alcool. Era tornato di cattivo umore. – L’importante è che lo tenga lei e nessun altro.
– Perché? È un ricordo compromettente?
Gli rivolse un’occhiata ostile. – Non fare domande. Ti avevo detto di lasciar perdere, quel che è fatto è fatto.
Silas si sdraiò e osservò il cielo che sbucava a tratti fra i sentieri intrecciati della città fatata.
Le abitazioni erano illuminate fiocamente e alcuni lumini creavano pozze di luce lungo i sentieri sospesi. Fra le fronde degli alberi fitti era possibile intravedere il cielo stellato, nuvoloso e scuro.
– Nessuno ti ha obbligato. Ma tu eri troppo impietosito per non comportarti di nuovo così. Come quando mi hai risparmiato la vita.
Kieran appariva troppo ubriaco o forse erano i postumi dell’ammaliamento. Si stropicciò gli occhi.
– Ti dà così fastidio se ti compatisco?
Serrò i denti. –  Se non capisci il perché, sei tu l'unico da compatire.
Io non ti avrei risparmiato.
Kieran era sudato e dondolò il calice con le dita. – Anche tu mi risparmiasti.
Silas sgranò gli occhi e si tirò su di scatto. – Non dire sciocchezze.
– In Accademia.
Si strozzò con la risposta che voleva dare. Si inumidì la gola con un po’ di liquore e mostrò tutto il suo cipiglio contrariato. Cercava sempre di dimenticare e riusciva a scordarsi di quel momento di debolezza.
– Quindi è per questo?
Sospirò e posò il calice sul terreno. Aveva i capelli sudati e intinse le mani a coppa nella cesta piena d’acqua fredda. Si sciacquò il viso e il collo dal sudore.
– Non mi piace vederti così, non lo faccio con presunzione.
– Così?
Abbassò il viso. –  Piegato o spezzato.
Silas sbatté le palpebre. –  Non mi sono piegato né spezzato, non ancora. Succederà soltanto quando perderò la voglia di combattere e reagire, e fidati, non accadrà mai. Se vuoi annientare qualcuno non puoi permetterti di distogliere lo sguardo quando ci riesci. È da codardi.
Kieran poggiò il viso sulle braccia. Faticava a rimanere concentrato. Silas gli tolse il calice dalla mano visto che era diventato inesorabilmente lento nel rispondere. Lo poggiò a terra.
– Domani dovremmo ripartire, dacci un taglio col bere.
Kieran emise un suono contrariato a metà fra un lamento e un grugnito. – Forse è per questo che non ho mai presenziato ai tuoi interrogatori: per codardia. Non voglio toglierti il tuo orgoglio. Non saresti più tu e nulla di tutto questo avrebbe senso.
Silas non gli toglieva gli occhi di dosso. – Sei ubriaco e delirante – concluse e scosse la testa.
– Un po’ – farfugliò. – Le fate continuavano a offrirmi da bere, alcune di alto rango, non potevo rifiutarmi. Però sto dicendo la verità.
Socchiuse gli occhi. Non voleva continuare quella conversazione. Non sapeva neanche se quella fosse la verità. – Ad ogni modo posso ancora vedere ed è merito tuo, qualunque sia la stupida ragione che ti ha spinto ad aiutarmi. Se sei un idiota mi fa soltanto comodo. Perciò ti ringrazio.
Kieran poggiò la testa sulle braccia intrecciate. Gli sorrise. – Mi piace però quando quell’orgoglio crolla per i giusti motivi.
La tasca gli sembrò all’improvviso un po’ più pesante. S’inumidì le labbra e distolse lo sguardo.
– Sei ridicolo quando bevi. Ho bevuto il doppio di te e sto bene, non sai quello che dici.
– So quello che dico – replicò in un biascichio. – Silas… quali erano quelle malattie veneree fatate a cui stare attenti?
– Mi sorprende che tu sia sopravvissuto fino a questo momento da solo.
 
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Ciao!
Partiamo dalle cose belle: lo splendido disegno che ha realizzato una mia amica per Silas e Kieran. Erano come li immaginavate? Per me sono esattamente così. Silas è moolto alto, scuro di pelle e di capelli. Kieran è più basso, ma più grosso, roscetto e con un’espressione non tanto amichevole. Si chiama Eteon6 e vi lascio qui il suo link perché è bravissima (nei prossimi capitoli metterò anche gli altri disegni di uno e dell’altro e poi lo inserirò completo). 

https://twitter.com/Eteon6?s=09&fbclid=IwAR0Fmj6OVlxJn2jk5Icid8uFBirJPbET4ZL0HmxD6lf5uxhXlO_Hsyx_uRE

Devo mettere una piccola nota stavolta. Qualcuno di voi si sarà accorto dell’uso della schwa nel testo. Per chi non lo sapesse, la schwa è questa lettere “ǝ”. Viene usata negli ultimi tempi in italiano per indicare gruppi misti o persone non-binary o di cui non si conosce il sesso preciso. È una sorta di neutrale.
 La verità è che in questa storia le fate hanno una biologia sessuale diversa dagli umani, non s’inseriscono solo nelle categoria “uomo” e “donna”.  La lingua italiana non mi aiuta ed è difficile enfatizzare quest’aspetto. Dopo un confronto con una mia amica ho deciso di usare la schwa, senza abusarne. Penso sia interessante che gli umani abbiano dovuto coniare un’espressione per indicare alcuni membri fatati che non possono essere identificati né come donne né come uomini. La fata infatti si rivolge a Kieran con l’espressione usata più spesso dagli umani verso le fate e lui capisce l’errore e ci passa sopra ovviamente.
Volevo chiarire quest’aspetto, ma tanto è una cosa da nulla minima.
 

 

 

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Capitolo 13
*** III - Accademia - ***




III


Accademia




 

893 p.U.



– Durante l’Iniziazione verrete mandati sul campo a squadre di cinque, con altri cinque guerrieri dalle Accademie minori e un supervisore. Se credete che sia semplicemente una formalità, allora vi conviene uscire adesso da quest’Accademia. L’Iniziazione può rivelarsi fatale per alcuni cadetti, per quanto il supervisore provvederà a proteggervi, parliamo di fate e non si può mai prevedere come andranno le cose. Sarete tenuti a usare le conoscenze e gli strumenti che vi sono stati forniti in questi primi mesi, ma soprattutto sarete messi alla prova nel seguire gli ordini e nel mantenere il sangue freddo. Ognuno di voi potrà tirarsi indietro prima del giorno, vi avranno indorato la pillola, ma durante l’Iniziazione non si può escludere il rischio di ferimento o morte, benché noi ci occuperemo di evitarlo in ogni modo. Nessuno di voi sarà giudicato per essersi tirato indietro, ci vuole coraggio a sapere quando fermarsi e a riconoscere i propri limiti, ma se deciderete di continuare dovrete essere preparati a quello che vi aspetterà.
La maggior parte di cadetti appariva infiammata dal discorso, alcuni si mostravano preoccupati, pochi del tutto disinteressati. Erano nel campo d’allenamento in piedi e in formazione, sull’attenti in file ordinate, mentre il rettore da una pedana spiegava l’imminente evento che da lì a una settimana si sarebbe svolto. Mancava pochissimo, i cadetti dell’ultimo anno passavano sotto i porticati e li guardavano, alcuni curiosi, altri scuotendo la testa.
Kieran riusciva a malapena a restare sveglio.
Il rettore lo guardava e lui temeva che la sua paura gli affiorasse in viso, era così stanco e debilitato, che anche solo tenere gli occhi aperti gli costava fatica. Erano giorni che dormiva poche ore e si sfiancava, il corpo gli faceva male ovunque ed era troppo esausto per pensare anche alle nozioni più semplici. Si sentiva rallentato e poco lucido, aveva perso due simulazioni negli ultimi giorni, una con Silas e una con un altro ragazzo. Non aveva mai perso con altre persone oltre a Silas, sentiva che tutti lo stessero superando e lasciando indietro, aveva avuto un momento di luce che si era subito offuscato.
Doveva rimanere concentrato. Per la maggior parte di cadetti ci sarebbero state oltre occasioni nella vita, ma non per lui. Se fosse stato scartato o espulso, la sua vita sarebbe finita.
Non aveva niente al di fuori di quella possibilità. William aveva investito su di lui, era stato l’unico a vedere qualcosa in lui quel giorno. Nessun altro ci aveva creduto, gli doveva ogni cosa e non poteva dimostrarsi indegno di quella fiducia. Solo l’idea gli serrava il petto. Non aveva mai avuto tanta paura di fallire, forse perché non aveva mai avuto una possibilità concreta di uscire dal fango.
– Per qualsiasi informazione chiedete a uno dei maestri o usate la biblioteca, a breve riceverete informazioni sui vostri compagni di squadra, conoscetevi e imparate i punti forti di ciascuno. Siete congedati, potete proseguire con i vostri allenamenti. Che il vostro ferro mai si spezzi.
Reagì in modo flemmatico al saluto militare e si passò una mano sul viso. Il rischio maggiore dell’Iniziazione era per la vita, ma si poteva anche essere scartati. Se il maestro avesse reputato il cadetto inadatto o incapace alla vita del Ferro, avrebbe avuto la facoltà di comunicarlo e scartarlo.
Non doveva capitare, non a lui, questo era ciò che importava.
In quei giorni aveva cercato di evitare Silas. Non solo era distratto dalla sua presenza, aveva quest’insana voglia di parlargli, di raccontargli di strategie, mosse e manovre come avevano fatto nelle ultime settimane, senza smettere di battibeccare e fare gli sbruffoni, ma era anche incapace di confrontarsi con lui. Aveva perso due volte e sentiva di aver già perduto il suo ruolo di rivale, per quanto fosse un pensiero sciocco e infantile.
Per Silas era solo un gioco, voler primeggiare ed essere il migliore, un passatempo, mentre per lui era l’unica speranza di farsi notare. Non doveva dimenticarsi che venivano da mondi diversi, per quanto la vita militare gli facesse credere che non era così.
– La manovra che hai usato contro Jeff era ridicola e goffa, ho visto automi meccanici meno rigidi di te.
Ritornò con la testa al presente: era tornato in camera a cambiarsi.
La stanza era ordinata dalla parte di Silas, mentre era piuttosto a soqquadro dal lato di Kieran. Era una stanza molto ampia, con due letti comodi nei lati esterni, due scrivanie di legno, una lampada a gas e un armadio. Doveva sbrigarsi a riordinare, le ispezioni a sorpresa erano sempre più frequenti e il disordine veniva punito.
Non è facile evitarlo.
Pensò irritato. Erano pur sempre compagni di stanza e Silas si era fatto più loquace negli ultimi tempi.
– Vado ad allenarmi – rispose con freddezza dopo aver rifatto il letto.
Silas gli rivolse uno sguardo perplesso, ma non commentò.
Condividendo la stanza si ritrovavano a bisticciare spesso, per il disordine, per i rumori, per le divise che a volte erroneamente scambiavano. Si era dovuto recare agli allenamenti con quella blusa stretta e morbida. Eppure Silas non era uno sgradevole compagno di stanza; era ordinato e tranquillo, non era molto silenzioso, ma quando parlavano di tecniche e allenamenti erano capaci di andare avanti per ore.
– La tua blusa si è scucita.
Kieran guardò ansiosamente il tessuto e notò il grosso buco sfilacciato. Andò alla propria scrivania, rovistando fra gli arnesi di cucito. La situazione sembrava grave.
Silas lo osservava in silenzio, seduto stravaccato alla scrivania, i capelli nerissimi tirati indietro da un laccio.
– Non puoi ricucire quel buco, ti serve una toppa.
– Stai zitto.
Non sarebbe andato in giro con un’altra toppa sulla maglia della divisa, si rifiutava, non voleva sottolineare ancora di più quanto fosse fuori posto.
– Merda.
Silas si alzò in piedi. – Prendine una delle mie. Dopo l’Iniziazione avrai uno stipendio.
Fermò le mani. Si sentiva infuriato per qualche motivo, forse la mancanza di sonno, la stanchezza o la sua insistenza. Non capiva, nessuno lì dentro capiva.
Si alzò e gliela tirò in faccia. Silas agitò le braccia per togliersela dal viso e lo guardò scompigliato. – Che diavolo ti prende?
– Sai dove puoi infilartela la tua carità da quattro soldi. Non ho bisogno della tua pietà.
– Mi fai pena per come combatti, non per i buchi nella divisa, idiota.
In quel momento capì che non avrebbe passato il giorno d’Iniziazione. Quella certezza lo colpì come una bastonata e si sentì sopraffare.
Non ce la avrebbe fatta. Quello non era il suo posto, non lo era mai stato. Tutti erano più qualificati, lui non aveva neanche una divisa di riserva. Sarebbe dovuto tornare a casa, in quella casa. William avrebbe preso il tè con altri nobili, rifuggendo le domande su quel randagio incapace che aveva inserito all’Accademia.
Gli arrivò una sberla che quasi gli rigirò la faccia e il panico s’interruppe. – Datti una calmata e respira.
Si accorse di avere i pugni così serrati che le nocche erano sbiancate e i palmi gli facevano male. Aveva il respiro pesante e stava sudando freddo.
– Dà qua.
Gli strappò la blusa dalla mano e recitò un detto volgare sugli abiti bucati. Silas usava sempre espressioni sconce o popolari per le sue formule magiche, come se lo divertisse. Usò l’ago per pungersi il dito e versò una goccia di sangue fra i fili blu notte della scucitura. Questi si aggrovigliarono fra loro fino a richiudere il buco.
Kieran guardò la piccola magia con un’espressione inebetita. Silas si leccò il dito e gli restituì la blusa, aveva gli occhi stanchi all’improvviso.
– Non vedevo una scena così patetica da quando Parrish si è infilzato il piede da solo. È una stupida divisa, rilassati. Devi stare calmo. Se ti si rompe, rubala a qualcuno.
– Io non posso rubare, se mi beccano mi espellono. Non tutti qui dentro possono fare quello che vogliono senza conseguenze.
Silas s’irrigidì e accennò un sorriso freddo. – Tu pensi…? Vivi davvero in un mondo di fantasia se pensi che io sia libero di fare ciò che voglio.
– Anche se smettessi di allenarti ti farebbero comunque feldmaresciallo, vincerai sempre, al contrario delle persone come me. Sarai sempre un raccomandato del cazzo.
L’espressione di Silas cambiò, per un solo attimo i suoi occhi sembrarono feriti. Quell’emozione si dissipò velocemente dal suo sguardo, sostituta da qualcosa di più duro e ostile.
– Allora è di questo che si tratta. Invidia. Non accetti di aver perso per due volte di fila e devi trovare una scusa con te stesso, sminuire le mie vittorie per sentirti meglio.
Kieran arrossì, furioso, punto sul vivo. – Vuoi negarlo? Anche se io fossi il migliore, non cambierebbe nulla. Sono comunque il povero idiota che non ha una divisa di riserva e non ha i soldi per prendersene un’altra.
Silas gli sorrise, odioso. – Certo che è così, la storia della meritocrazia è una stronzata, conta solo la tua provenienza qui dentro come ovunque. Ma il punto è che tu non sei il migliore a prescindere.
Lo afferrò per la collottola. – Mi fai imbestialire! Sei un presuntuoso e un idiota.
– No, tu mi fai imbestialire. Sei un talento e ti metti a piangere come un moccioso per un buco sulla divisa, stai sempre ad allenarti, hai smesso pure di dormire, lo abbiamo capito, sei il più devoto! Bravo, è questo che vuoi sentirti dire? Che lo meriti più di tutti gli altri? Con quale diritto? Butti giudizi su di me senza sapere nulla della mia situazione, credi di avere il diritto di sminuire gli sforzi degli altri soltanto perché non sei nobile?
Lasciò la presa e si allontanò rabbiosamente.
– Lasciami in pace.
Silas era calmo. – Volentieri.
 
 
 

Quand’era tornato dagli allenamenti, Silas non era in camera. Non era rientrato quella notte, mandando in fumo le buone intenzioni di Kieran che voleva provare a scusarsi. Detestava questo suo atteggiamento, perché spariva? Non gli dava la possibilità di parlare e sì, magari litigare ancora, ma di confrontarsi.
Non che avesse granché desiderio di parlare. Aveva commesso il madornale errore di ascoltare Siegan e consultare i registri degli scorsi anni sull’Iniziazione.
Non aveva mentito, il tasso di mortalità e scarti nei confronti dei cadetti meno agiati era allarmante, se non sistematico. Infortuni, morti ed espulsioni. Un numero troppo alto per essere frutto del caso.
Questo lo metteva in una condizione di svantaggio innegabile. Per essere accettato non sarebbe bastato essere bravo. Avrebbe dovuto essere impeccabile.
Nei due giorni seguenti sgattaiolò ad allenarsi fino a tardi, la mattina saltava le lezioni teoriche se era troppo stanco. Sentiva di non migliorare, il polso era così infiammato e a malapena riusciva a tirare fendenti contro i manichini.
E se fosse stato troppo tardi per lui per imparare?
Non poteva competere davvero con Silas che si addestrava da anni.
William cercava di calmarlo, gli strofinava i capelli e gli aveva anche regalato una divisa nuova, ma non poteva alleviare il peso che Kieran avvertiva.
Non si era mai sentito un fifone o un vigliacco, era sempre stato piuttosto coraggioso fra i suoi amici del Buco. Eppure era come se il suo coraggio fosse evaporato, non aveva le forze di essere intrepido, non aveva abbastanza energie per quella sfida.
La notte crollava esausto e sudato sul letto, gli occhi gli si chiudevano dal sonno e non aveva tempo di studiare gli argomenti teorici e non gli interessava nemmeno.
 La camera vuota gli infondeva sconforto.
Non aveva mai sentito Silas protestare se teneva la lampada a gas accesa fino a tardi per studiare, o se russava o si rigirava nel letto. Silas era molto più silenzioso quando dormiva, ma ogni tanto si agitava appena e la sua magia fuoriusciva da lui, statica, elettrica, svegliando Kieran con una sorta di vibrazione.
Riconoscere la magia fatata era una delle prime abilità che gli venivano insegnate. Ci voleva molta concentrazione ed esercizio, ma tutti i guerrieri di Ferro imparavano a percepire la presenza di fate potenti nei dintorni quando si concentravano. La loro magia si posava sulla pelle dei guerrieri con un fremito, l’aria diventava elettrica e sentivano piccole e impercettibili scosse sulle braccia e sulla schiena.
Silas in quanto Discendente di una fata antica aveva una magia fatata molto potente, il suo sangue era denso della primordiale energia silvana, di notte ogni tanto la rilasciava inconsapevolmente a piccole dosi.
Non quelle notti però. Era solo in stanza, il letto di Silas rifatto e vuoto. Di sicuro era in giro a divertirsi o a qualche festa mondana nella villa di un nobile a giocare a dadi e a spassarsela, mentre lui si corrodeva dall’ansia.
Non erano soltanto i soldi o la posizione il problema, ma il talento. Silas era talentuoso, non sapeva che cosa volesse dire dover faticare più degli altri come Kieran.
Non avrei dovuto reagire così.
Era stato meschino. Silas aveva cercato di aiutarlo e lui si era sfogato contro di lui.
Aveva cercato di avvicinarlo quel terzo giorno, almeno per dirgli di tornare a dormire in camera, ma aveva ricevuto una brusca sorpresa.
Silas era in corridoio a parlare con Siegan e un paio di suoi compari. All’inizio aveva pensato che stessero di nuovo discutendo e aveva valutato se intervenire, ma poi lo aveva visto ridere di gusto e afferrare Siegan sottobraccio. Il gesto familiare gli aveva ricordato quel giorno nelle stalle e aveva distolto lo sguardo, imbambolato.
Erano diventati amici? Forse aveva deciso di frequentare persone del suo ambiente, di accettare la proposta di Siegan.
L’ho trattato peggio io in fondo.
Rendersene conto gli aveva tolto ogni briciolo di buon umore e aveva rinunciato a scusarsi.
Quel giorno aveva storia del Ferro, e per quanto non fosse in alcun modo preparato, era sollevato perché i suoi muscoli non avrebbero retto allenamenti fisici, il polso in particolare.
Era tornato in camera per prendere la sciarpa, le temperature erano scese, ma non la aveva trovata da nessuna parte. Nel panico si era messo a cercare anche fra gli oggetti di Silas, senza successo.
Perché non sono mai ordinato.
Aveva dovuto rinunciare ed era corso in aula, mentre cercava di riflettere su dove la avesse lasciata.
Silas a lezione sembrava del solito umore, composto, elegante, gli occhi distratti.
Voleva parlargli, ma l’orgoglio gli era d’intralcio, soprattutto dopo averlo visto così amichevole con quell’idiota.
– Reed, parliamo dei Valksha, spiegaci cosa sono e perché sono pericolosi.
Kieran strizzò gli occhi e sentì un brivido. Si alzò in piedi dalla tribuna più alta, cercando di mettere insieme alcune delle informazioni che ricordava, il silenzio dell’aula gli sembrava assordante. Si era seduto lontano nella speranza di passare inosservato, ma non era servito.
– I Valksha sono i regnanti fatati delle Terre Spezzate. Le loro corti sono molto diverse da quelle che conosciamo e sappiamo pochissimo su di loro, hanno un sistema di, uhm caste, molto rigido e hanno molti schiavi.
Il maestro fece un gesto seccato. – Elabora, Reed.
Si azzannò la gengiva, cercando disperatamente con gli occhi una via d’uscita. – S-sono molto potenti perché vivono in terre più selvatiche, non civilizzate e con una presenza esigua di ferro sul territorio. Controllano enormi zone che sono impregnate dalla loro magia e l’ambiente e le persone sono mutate proprio a causa di questo, sono luoghi folli che non seguono le leggi della natura, dove la magia astratta ha alterato la realtà. Gli umani che attraversano quei luoghi perdono il senno e vengono mutati dalla magia. Un Valksha è molto più potente di una fata antica del nostro continente, ma rimangono nei loro territori oltre la Costa Bronzea perché la loro sensibilità al ferro è più spiccata.
Il maestro annuì e si sistemò gli occhiali tondi. – E i Discendenti?
– I Discendenti di un Valksha sono più instabili e potenti, hanno un aspetto meno umano e vanno segnalati al Ferro. Ma è difficile che arrivino nel nostro continente perché le fate Valksha non rilasciano quasi mai gli umani che catturano e sono molto gelosi dei loro mezzosangue.
Aveva la voce roca dal sonno e forse il maestro se ne accorse. – Da che cosa viene il termine Valksha?
Esitò. – Ecco… non ricordo.
– Avevate da leggere il diario di Lady Halldora, l’unica guerriera di Ferro che abbatté un Valksha. Puoi spiegare come ci riuscì e quale tattica militare utilizzò con il suo esercito?
– Io non l’ho ancora finito – ammise a voce bassa.
Il maestro gli lanciò un’occhiata per nulla sorpresa. Il maestro Fergus lo aveva trattato come un idiota fin dalla prima lezione, non si accaniva con lui, ma sembrava sempre prevenuto nei suoi confronti, anche quando lo premiava riusciva a offenderlo, trattandolo come un poveretto che aveva raggiunto il massimo dei suoi sforzi.
– Le imprese dei guerrieri di Ferro sono ciò che ci permette di creare nuove strategie. Non vanno accantonati. Essere un soldato si compone anche di molta teoria e studio, non siete semplici guardie, ma guerrieri di Ferro.
– Avete ragione, mi dispiace.
– Vaukhram?
Questo alzò la testa distratto. Si tirò su in piedi. – Halldora bloccò l’avanzata dell’esercito di Hilian lo Spinato, il Valksha folle che provò a marciare sulle nostre terre durante il Consiglio di Ferdinand III. Il principe fatato aveva tenuto in ostaggio la cittadina di Casternia per mesi, rendendo ai guerrieri impossibile il compito di intervenire. A quel tempo le città non erano metropoli di ferro come adesso e le fate a volte riuscivano a conquistarle. I Valksha sono creature molto indecifrabili e al contrario delle normali fate non amano stringere accordi o accettare pagamenti, sono molto più inaffidabili e caotici, ma proprio per questo sono molto meno abili nel nascondere le loro emozioni e nell’aggirare l’incapacità di mentire. Halldora realizzò presto l’arroganza di Hilian e gli propose una resa con l’inganno, offrendo fra i tributi tre fanciulli e tre fanciulle fra i più belli della regione. Si offrì fra i tributi, che erano tutti guerrieri del Ferro, e in questo modo riuscirono a ucciderlo con le prime granate metalliche che vennero create proprio in quest’occasione. Congegni di ferro runico che esplodono in frammenti di metallo affilati e colpiscono tutto ciò che c’è nei dintorni.
Continuò a parlare e ad aggiungere dettagli. Kieran non aveva idea se lo stesse facendo apposta, ma era talmente umiliato che voleva lanciargli lui una bella granata di metallo in faccia.
Si voltò a guardarlo e vide nei suoi occhi una sorta di scintilla.
– Halldora era giovane ed era una delle prime donne ad accedere a una posizione di comando nel Ferro, le avevano dato questo compito impossibile perché era ritenuta sacrificabile in quanto donna – continuò con un certo entusiasmo.
Non poteva neanche detestarlo, perché era evidente l’entusiasmo di Silas mentre ripeteva i fatti. Era un topo da biblioteca quando si trattava di queste faccende, non era spocchia o presunzione, ma genuino interesse.
– Direi che è sufficiente – lo interruppe il maestro Fergus con un sorriso divertito.
– Sì, dacci un taglio, saccente – bofonchiò un cadetto non identificato.
Silas arrossì appena e si sedette.
La lezione proseguì per un’altra ora, Kieran forse si addormentò, perché quando riaprì gli occhi vide i cadetti sciamare dall’aula ad anfiteatro e dirigersi verso i campi d’allenamento.
Si alzò per imitarli, ma la voce del maestro Fergus lo intercettò.
– Reed, una parola.
Iniziò ad agitarsi. Voleva sgridarlo di nuovo? Non aveva alcuna voglia di sentire una ramanzina al momento.
Lo raggiunse alla grossa cattedra di metallo in basso e aspettò che i cadetti uscissero. Silas gli gettò un’occhiata rapida, ma non indugiò oltre e lasciò l’aula.
Kieran si presentò al maestro come un condannato a morte. Avrebbe dovuto saltare la lezione e andarsi ad allenare, così da evitare quest’ulteriore umiliazione.
Il maestro Fergus era un uomo giovane, con una zazzera di capelli ricci castani e due grossi occhiali tondi a fondo di bottiglia. Zoppicava e si muoveva ovunque con un bastone di metallo che aveva un’aria minacciosa.
– Reed, sono più le volte che non ti vedo che quelle dove ti presenti.
Abbassò lo sguardo. – Mi dispiace, mi sono infortunato in uno degli allenamenti – mentì nel tentativo di tirarsene fuori in fretta.
Fergus poggiò il mento sulle mani incrociate, seduto alla cattedra. – Ah sì? – guardò di lato, pensieroso. – So che le cose non sono semplici per quelli come noi.
Kieran alzò gli occhi. – Come noi, signore? – ripeté confuso.
Gli sorrise e sistemò i piccoli occhiali tondi e la montatura dorata. – Sono figlio di un operaio, venni ammesso all’Accademia su intercessione di un sacerdote che avevo salvato da una creatura fatata aggressiva; aveva connessioni all’Accademia e garantì per me.
Sbatté le palpebre, sorpreso. – Non lo sapevo.
– Non vado certo in giro con una targhetta! Ma so quanto l’Iniziazione possa essere pesante per qualcuno come te. Ho notato che sei deconcentrato, hai accantonato gli studi teorici.
Si grattò la nuca. – Non è così, ero solo distratto oggi, ma sto studiando.
Il maestro si esibì in un sorrisetto indulgente. – Inventare scuse è un’arte, Reed, su cui devi ancora lavorare. Posso farti una domanda? Perché vuoi diventare un guerriero di Ferro?
Kieran aveva una risposta pronta e gonfiò il petto. – Per diventare il protettore delle persone e difendere il popolo.
Fergus lasciò uscire una risata. – Intendevo la vera ragione e non quella declamata all’assemblea d’ingresso.
La vera ragione? Per suo fratello e per sé stesso, o almeno credeva. – Perché voglio una vita diversa. Una vita dignitosa – mormorò e la frustrazione colorò appena il suo tono.
Il maestro incrociò le braccia. – Sai, ho molti contatti con le guardie, se l’Iniziazione dovesse andare male o se dovessi voler cambiare strada, potrei raccomandarti per la guardia cittadina. Chi ha frequentato l’Accademia è tenuto in grande considerazione e otterresti una posizione di prestigio.
Kieran aveva la bocca spalancata e non era certo che il suo interlocutore fosse serio. – Non prendetevi gioco di me.
– Non lo farei mai. Potrei contattare un comandante oggi stesso se tu lo volessi.
Sentì una strana rabbia invaderlo. – Perché mi dite questo? Credete che non sia adatto o capace?
Sospirò e prese in mano il bastone. – Sai perché studiamo i guerrieri di Ferro come Halldora?
– Per imparare le loro tattiche e strategie.
– Anche, ma non solo. Halldora fu un’eroina, ma ebbe una vita miserabile. L’uomo che amava era nella città che venne presa in ostaggio dal principe fatato, insieme ad altri suoi compagni di Ferro. Il Valksha li sbaragliò all’arrivo. Li rese schiavi, li torturò, li spezzò e poi se ne liberò. Quando Halldora arrivò, gettò ai suoi piedi i loro occhi, aveva tenuto soltanto quelli che trovava belli. Halldora perse tutto in quella guerra, le persone della zona uscirono a fatica da un anno di orrore nelle mani di un folle, alcuni non si ripresero mai. I guerrieri di Ferro non mettono in gioco solo la vita, ma la loro dignità di esseri umani, la loro libertà. Loro ignorano gli scontri politici e le questioni degli uomini, il nostro nemico è antico e primordiale, non risponde ad alcuna legge. Il nostro compito, il nostro lavoro non finisce mai, e se cadiamo nelle mani del nemico ci aspetta l’inferno. La nostra Gilda è quella con il lavoro più ingrato.
Si ticchettò con il bastone la gamba di metallo. – Questa la persi nello scontro delle Secche, sul mare della Costa Bronzea. Un cavaliere della corte di Aima, una fata selkie me la portò via. Le fate sanno essere crudeli, ma hanno senso dell’umorismo. Mentre ci affrontavamo mi disse che avevo gambe veloci, gli piacevano. Persi i sensi per un colpo di bombarda vagante. Mi svegliai mezzo morto sulla battigia per il dolore atroce, mentre il mio avversario cercava di prendersi le mie gambe. Mi tranciò la prima, gli sparai in testa prima che potesse prendermi la seconda.
Kieran era ammutolito e non riusciva a dire nulla d’intelligente. Si sentiva all’improvviso così stupido per i pensieri di poco prima.
– Perché – riuscì solo a domandare, inorridito.
– Perché le fate giocano e spesso rompono i loro giocattoli. Molti dei membri delle corti fatate non conoscono per niente noi umani, sono incuriositi, come un gatto è incuriosito da una piccola creatura in movimento. Io fui fortunato in fondo, altri vennero trascinati nelle acque e per quanto ne sappiamo sono ancora in mano loro, e soltanto la Dea sa che cosa gli avranno fatto in tutti quegli anni.
– E non si potevano salvare? Non si poteva combattere ancora?
Fergus gli rivolse un sorriso amaro. – Kieran, li respingemmo a malapena per salvare i villaggi delle coste, difendere era il massimo risultato ottenibile. La verità è che siamo in svantaggio contro le fate e tutto ciò che possiamo sperare è di cercare di essere sempre capaci di difendere le persone dalla furia e dal caos delle fate – si inumidì le labbra, facendo una pausa. – Ti racconto questo perché voglio che tu rifletta su cosa significherebbe per te diventare un guerriero di Ferro. Non mi aspetto che tu abbia una risposta alla tua età, ma se quello che cerchi è solo una vita dignitosa, allora forse questa non è la tua strada. Ci saranno momenti in cui il tuo voto ti sembrerà l’inferno. La maggior parte di persone in quest’Accademia ha avuto una scelta, sento che tu sei convinto di non averla. Te la sto dando, sappi che quest’offerta rimarrà valida fino al giorno del Voto, fra due anni.
Kieran non sapeva come rispondere a tutto quello. – Sul libro di Halldora c’è scritto anche delle sue perdite? – domandò, sentendosi in colpa per non averlo ancora iniziato.
– No, quello è un libro di strategia militare.
Prese dalla cattedra un piccolo volume vecchio e rilegato. – Questa è una copia del suo diario, se vuoi leggerlo posso prestartelo, ma debbo avvertirti: è una lettura molto amara.
Lo prese con attenzione. – Perché il Valksha fece qualcosa del genere?
– Sono esseri che vivono per centinaia e centinaia di anni, in luoghi selvaggi, magici e primordiali. Non hanno la nostra concezione etica, le vite umane sono insignificanti ai loro occhi. Alcuni sono così antichi che non ricordano neanche la loro stessa vita. Non puoi sperare di capire la loro mente o i meccanismi che li spingono a volte a essere così crudeli. Un bambino che stacca le ali a una farfalla e la immobilizza con uno spillo si sente pieno di meraviglia a studiarla e anche potente nell’averla sotto il suo controllo.
– Cercate di scoraggiarmi – constatò, ma non era arrabbiato, capiva che era una premura quella che gli stava usando.
– Di farti riflettere. Il tuo compagno di stanza, ad esempio, è un grande appassionato di Halldora, ha letto dalla biblioteca tutto ciò che è stato scritto su di lei, i suoi diari, i suoi appunti, i resoconti dei suoi compagni. È venuto anche a lamentarsi di un’incongruenza storica e a chiedermi spiegazioni. Ha studiato i Valksha per conto suo e le atrocità che hanno commesso. Ma non mi sorprende, un Discendente che sceglie questa strada è soltanto perché lo vuole, perché sa a cosa sta andando incontro, per quanto a volte sia troppo… esuberante. È giusto che lo sappia anche tu.
Quelle parole gli avevano smosso qualcosa, non sapeva se fosse invidia, umiliazione, ammirazione o rabbia, forse tutto insieme, ma strinse la presa sul diario.
– Prometto che ci rifletterò. Ma non ho intenzione di tirarmi indietro.
Era sciocco dirlo, ma farsi da parte a questo punto avrebbe significato essere un codardo e deludere comunque William.
Il maestro annuì. – La mia offerta rimarrà valida fino al Voto, e ora vai, che ti ho già trattenuto troppo a lungo. Sarò clemente fino alla fine dell’Iniziazione, ma dopo non accetterò più le tue assenze. Se hai bisogno di aiuto o hai dei dubbi, puoi venire da me, nessuno si aspetta che tu faccia tutto da solo a sedici anni.
Kieran strinse il diario e si azzannò la gengiva perché sentì la tensione sciogliersi appena dalle sue spalle. Non capiva perché si sentisse a quel modo.
– Grazie – mormorò e forse aveva la voce incrinata. – Io… darò il massimo quando finirà l’Iniziazione.
– Non c’è bisogno di dare il massimo, soltanto il minimo indispensabile per cavarsela là fuori, Kieran.
Annuì frenetico e farneticò altri ringraziamenti e scuse.
 
 
 
 
Quel pomeriggio aveva deciso di riposarsi. Aveva il polso troppo infiammato, le mani sbucciate e si era assentato dalle simulazioni. Avevano un massimo di tre permessi all’anno per assentarsi dalle simulazioni, Kieran aveva dovuto usare il primo.
Non si reggeva in piedi, ma non riusciva neanche a dormire. Dunque si era fermato nella piccola biblioteca a leggere il diario che gli aveva fornito il maestro Fergus.
Era rimasto talmente assorbito dalla lettura, accanto alla piccola lampada a gas, che non si era accorto di come fosse calata la notte.
Decise di interrompere il libro per non rischiare di avere gli incubi, le pagine contenevano descrizioni fin troppo grafiche. Da un lato lo affascinavano, dall’altro lo inorridivano.
Spense la lampada e s’incamminò verso i dormitori nel buio dei corridoi. I suoi passi rimbombavano per gli androni spaziosi dell’Accademia e sperò di non essere sorpreso dalla servitù.
Era vietato oltre una certa ora lasciare i dormitori, escluso il giorno festivo, ma erano clementi se qualcuno si era attardato nella palestra o in biblioteca.
Forse avrebbe potuto iniziare una conversazione con Silas partendo dal diario di Halldora. Per provare a riavvicinarsi. Era stanco di litigare e di tornare in una stanza vuota. Si era comportato in modo immaturo, Silas voleva solo aiutarlo.
– Un po’ tardi per girare, mangialetame.
Kieran venne afferrato da quattro braccia e non riuscì neanche a urlare che un panno gli venne schiaffato in bocca. Si dimenò con tutta la forza possibile, inarcando la schiena fino quasi a spezzarla, scalciando e tirando capocciate. Non riuscì a liberarsi, ma sentì un verso ovattato di dolore quando colpì uno dei suoi aggressori in faccia.
– Porca puttana.
– Fai silenzio.
Venne trascinato dentro un grosso capannone di metallo che riconobbe presto come la stalla. L’odore di fieno e cavalli era inconfondibile, così come il suono dei loro sbuffi e quello delle mosche.
Lo trascinarono a uno dei pali dei divisori e lo legarono con forza, la corda gli morse la carne bloccando la circolazione.
Alzò finalmente lo sguardo, ma ancora prima che potesse mettere a fuoco nel buio gli arrivò un pugno dritto in faccia. Il sapore di sangue gli invase la bocca e rimase frastornato.
– Allora, contadinotto di merda, hai ancora voglia di guardarmi in faccia? Quelli come te devono imparare un po’ di umiltà.
La voce bastò perché capisse di essere assieme ai Barbari, o come caspita si facessero chiamare. Mise presto a fuoco i loro sorrisi sadici e gli occhi pieni di ferocia. Ragazzi nati e cresciuti con uno strapotere, sembravano tutti su di giri per quella spedizione punitiva. Soltanto Thomas si teneva in disparte e appariva riluttante. Puzzavano di alcool in modo nauseabondo, dovevano aver bevuto parecchio.
Ognuno di loro indossava una mantella rosso bordeaux con lo stemma cucito di un’ascia. A quanto pare darsi un nome ridicolo non gli era bastato.
Sputò di lato il sangue e fu sollevato di non aver perso nessun dente. Girò lo sguardo sugli aggressori e li studiò. Decise di urlare aiuto, gonfiò il petto, ma uno di loro tirò fuori un piccolo coltello.
– Oh non ci provare.
– Credete che terrò la bocca chiusa? – ringhiò e agitò i polsi. – Non vi ho fatto niente! Lasciatemi in pace.
– Puoi dirlo a chi vuoi, sai che non verremo espulsi. Non certo per uno come te. Hai alzato troppo la testa e i Barbari ti hanno notato. Siamo molti più di quanto tu creda, è una tradizione che va avanti da decenni. Persino alcuni maestri ne fanno parte. Serve per fare in modo che l’integrità del Ferro non venga mai meno.
– Cosa?
Il più spilungone dei ragazzi rise. – Siamo i protettori del buon nome del Ferro, come lo erano i nostri padri e i nostri nonni. Ci assicuriamo che gente come te non infanghi la nostra Gilda.
Kieran vide Siegan avvicinarsi; fece scorrere le mani legate in alto e si drizzò in piedi, al che gli tirò un calcio dritto in faccia, spaccandogli il naso. Quello si portò le mani in viso e imprecò, mentre il sangue zampillava.
– Figlio di puttana.
Non fece a tempo a sorridere che gli arrivò un colpo in testa, stavolta il dolore si espanse in modo preoccupante e sentì il sangue gocciolargli dalla testa. Ricadde seduto, stordito. Vide in mano a uno dei ragazzi un asse di legno, ma prima di riuscire a riprendersi ricevette un pugno sullo stomaco.
– Questo rottinculo fa il cagnolino del Discendente e pensa di essere qualcuno. È lui che rompe il culo a te o sei tu a farlo? Dicci un po’ di quell’infoiato.
La testa pulsava senza sosta. Sgrullò il viso per rispondere.
Gli sputò il sangue addosso. – Fottiti, Siegan. Valessi un decimo di Silas e forse potresti aspirare a diventare lo spala-letame di un guerriero di Ferro.
Un altro colpo che gli mozzò le ultime sillabe. – Ah sì? Guardate che cane fedele! Ehi, ma si può sapere che gli hai fatto a questo qui?
– Sono solo un ottimo compagno di stanza, perché lo metti in dubbio?
Kieran alzò di scatto la testa e vide emergere dall’ombra della stalla Silas. Vestito così di nero si confondeva nel buio, soltanto i suoi occhi apparivano chiari. Aveva la stessa mantella rossa che indossavano gli altri, la portava sulle spalle con ben più grazia di loro.
– Certo, non voglio dubitare, ma non capisco perché inzuppare il tuo cazzo in questo qui. Chissà che malattie ha preso nei bassifondi – gli disse Siegan.
Rimase immobile, stupito, ma calmo. E pensare che William lo aveva anche avvertito.
Lo osservò per qualche secondo, la bocca appena aperta che colava saliva e sangue. Aveva un’espressione proprio da idiota in quel momento, ma non c’era da stupirsi, si sentiva un vero idiota.
Avrebbe dovuto farsi gli affari propri fin dall’inizio.
– Guarda come c’è rimasto male – commentò uno dei ragazzi. – Ma cosa pensavi?
Uno di loro tirò fuori la sciarpa rossa che gli aveva cucito suo fratello. Se la sfregò fra le gambe e rise.
– L’ha cucita la tua mammina? E io che credevo che fosse una prostituta.
Kieran guardò Silas con occhi fiammeggianti. Doveva averla presa lui.
– Restituiscimela.
Siegan prese il coltello e la squarciò nel mezzo. Poi gliela buttò ai piedi.
– Eccola. Dai non prenderla male, le diamo un po’ di lavoro da fare per distrarsi, che prendere cazzi tutto il giorno nei bassifondi diventa estenuante sennò.
Non disse nulla. Aveva perso la maggior parte del suo spirito combattivo. Doveva ritrovarlo e andarsene da lì. Anche se era già troppo tardi.
Non doveva azzardarsi a piangere. Non se lo sarebbe mai perdonato, non di fronte a quelle bestie. Si azzannò la lingua e respirò profondamente, anche se gli occhi gli pizzicavano. Aveva il volto intorpidito per le botte, ma il voltafaccia di Silas era una secchiata d’acqua gelida molto più dolorosa.
Me lo merito. Stupido, stupido!
Silas lo osservava in silenzio, nei suoi occhi c’era qualcosa d’insistente, ma Kieran girò lo sguardo con sdegno.
– Finiamola dai, domani dobbiamo svegliarci all’alba.
Uno di loro aveva un martello per montare i ferri di cavallo in mano e si fece avanti. – Ci sono tanti altri lavori che si possono fare con le mani spaccate, no?
Kieran ebbe davvero paura in quel momento.
– Hai detto che all’Iniziazione quelli come me vengono scartati o lasciati morire. Quindi perché vuoi farlo? Se pensi che verrò scartato, perché fai questo?
Siegan si strofinò il naso. – Se molti come te vengono scartati, è perché i Barbari gli fanno una visitina qualche giorno prima da più di cinquant’anni. È difficile sopravvivere all’Iniziazione con le dita spaccate o con un trauma cranico. Ma se ce la fate ugualmente allora vi guadagnate li diritto di stare qui, diritto che non vi appartiene altrimenti.
Kieran avvertì il proprio battito accelerare.
Valutò le sue opzioni: implorare di essere perdonato, distruggere il suo orgoglio e sperare di essere risparmiato.
Mentre lo pensava sapeva che non lo avrebbe fatto.
Kieran non era una persona così orgogliosa, ma non poteva implorare quelle bestie. Sarebbe stato come ammettere di essere spazzatura, di non valere nulla, di essere inferiore. Mentiva di continuo per scappare da brutte situazioni, ma c’erano momenti in cui la razionalità andava gettata alle ortiche.
I suoi sforzi sarebbero stati vani, tutto quello per cui aveva lottato e in cui aveva sperato. Tutto alla malora per un picco di orgoglio.
Ma cosa sarebbe rimasto di lui dopo aver implorato? Non era fatto solo di carne e bisogni, non era un animale, ma un essere umano. Se non era importante in quel momento l’orgoglio, cos’era importante allora?
– Sai che in questo modo dimostri di avere paura di lui?
La voce di Silas era calma e controllata, ma fermò la mano di Siegan. – Eh?
– Tutto questo è una perdita di tempo. Non passerà mai l’Iniziazione. Ma se lo saboti, beh, qualcuno potrebbe pensare che tu abbia paura che lui superi la prova. Che lui possa superare te.
Siegan gli afferrò la collottola. – Che fai adesso? Ti tiri indietro?
Silas lo superava in altezza e non si scompose. – Dico soltanto che lo hai già pestato, se infierisci più di così qualcuno potrebbe pensare che tu lo tema.
Thomas prese la parola. – Siegan, andiamo a dormire, cosa ce ne importa di Reed. Si farà uccidere da una fata, è un povero incapace. Non voglio mettermi nei guai.
-A forza di ascoltare le tue lagne da pisciasotto ci spunterà a tutti una figa, Tommy. Stai zitto. Fammi capire perché il nostro nuovo amico all’improvviso prende le difese di questo qua.
Lo spinse indietro e Silas si riaggiustò il colletto. – Sono solo preoccupato per il tuo onore.
– L’onore è proprio ciò che sto difendendo. Quello di tutti noi.
– Lascia fare a me allora, non è giusto che ti diverta solo tu.
Kieran osservò Silas a occhi sbarrati. Non poteva dire sul serio. C’era un limite all’essere dei bugiardi figli di puttana. Avrebbe potuto rovinarlo altre mille volte, perché farlo adesso e a quel modo?
Siegan gli rivolse uno sguardo dubbioso. – Forse dopo.
Tornò a rivolgersi a Kieran e fece un cenno al ragazzo che teneva in mano il martello.
– Sta tremando, fra poco inizierai anche a piangere e a pisciarti sotto?
Tremava davvero e aveva il cuore a mille, ma il sangue gli era defluito tutto al cervello. – Spaccale bene, perché se mi libero ti farò ingoiare i tuoi e i loro denti, Siegan.
La voce gli era uscita roca e spietata come poche altre volte. Non aveva mai voluto così tanto uccidere qualcuno nella sua vita. Non voleva dargli una lezione, voleva ammazzarlo di botte, strangolarlo e spaccargli quel sorriso a pugni.
– Che paura!
Siegan strappò il martello dalle mani dell’amico, dopo aver sentito il tono di sfida di Kieran. Si avvicinò pronto a tirare il primo colpo, quando una mano gli afferrò i capelli e gli sbatté la testa contro il legno con violenza. La fronte prese in pieno un chiodo che sporgeva dal legno e Siegan si accasciò a terra con una traccia di sangue che gli scendeva sul volto.
Silas prese il martelletto dalle sue dita e colpì al viso la seconda persona più vicina; gli spaccò i denti e si udì un’imprecazione.
Poi andò dietro Kieran e iniziò a sciogliere il nodo. Nel frattempo, pronunciò alcune parole sottovoce e l’aria divenne elettrica e statica.
Una scossa e si gonfia di mestizia il cuore cedevole – sussurrò il verso di una poesia e gli occhi viola brillarono appena.
Non fece in tempo a sciogliere il nodo, sei mani lo afferrarono e lo trascinarono indietro, una si serrò sui capelli.
Il primo a toccarlo venne scaraventato contro la parete da una forte scossa elettrica. Ci fu un rumore improvviso che ferì le orecchie dei presenti. Il ragazzo fulminato si accasciò sul pavimento, svenuto, mentre un leggero fumo si alzava dalla sua mano.
Gli altri due non vennero colpiti e lo trascinarono dietro con rabbia cieca. Venne loro in aiuto quello a cui aveva spaccato i denti, che sbatté Silas a terra.
– Bastardo deviato, non ce ne frega niente che sei il Discendente, se ti trasformiamo in uno storpio ti rimanderanno comunque a casa. Prendi uno dei ferri di cavallo, glielo inchiodiamo sullo stomaco, così gli passa la voglia di lanciare magie.
Thomas indietreggiò nel buio. – Ragazzi basta, non possiamo metterci contro i Vaukhram! State esagerando, smettetela!
– Chiudi la bocca fighetta e vai a controllare l’entrata.
Kieran cominciò a strattonare i polsi quando vide Silas a terra. Non era uno scontro alla pari, ma solo un pestaggio violento.
Silas si schermò dietro le braccia per parare i colpi, cercava di rialzarsi, ma glielo impedivano a calci. Menò qualche pugno a sua volta, ma appariva esausto per la magia che aveva usato. Un colpo lo prese in testa e rimase stordito. I due aggressori se ne approfittarono, il primo dei ragazzi gli afferrò la blusa e la strappò con violenza. L’altro aveva preso il ferro di cavallo, ma lo posò e si sporse.
Kieran si rese presto conto che stava diventando qualcosa di peggio di un pestaggio quando vide uno dei ragazzi sfilarsi la cintura dei pantaloni.
– Svegliamo Siegan che è svenuto?
– No, poi vorrebbe scoparselo per primo.
Non sapeva se Silas avesse perso i sensi, era riuscito a mandare al tappeto due di loro, ma altri tre gli stavano addosso come animali famelici.
– Siete disgustosi! Lasciatelo andare – urlò furibondo.
Sentì una risata. – No, lasciali fare – mormorò Silas con voce bassa. – Fagli tirare fuori i loro cazzetti ridicoli, sono solo delle cagne in calore.
Un pugno interruppe l’ultima parola e uno dei ragazzi lo voltò con violenza a pancia sotto e rise. Gli spinse la testa a terra e armeggiò con i suoi pantaloni.
– Se non ti guardo in faccia, sembri davvero una donna, Vaukhram.
– Non toccatelo – gridò Kieran, scioccato.
– Ne vuole anche lui a quanto pare – commentò uno dei ragazzi. – Tranquillo, dopo il Discendente ci divertiremo anche con te, se ne avremo voglia. Anche se con quella faccia non so come potrebbe venirmi duro…
Il nodo si era allentato e iniziò a strattonare le mani con forza fino a scorticarsi i polsi. Non sapeva che cosa stessero facendo, ma iniziava a essere fuori di sé.
Riuscì a sciogliere il nodo con uno strattone, prese l’asse di legno e con un colpo tramortì il primo, che stava a cavalcioni sopra Silas. Inferì con altre tre bastonate prima di passare agli altri.
Silas non era svenuto e approfittò subito dell’esitazione dei suoi aguzzini per assestare una capocciata al più vicino e tirarsi su. Era a torso nudo e gli colava sangue dal collo e dal viso, iniziavano già a comparire lividi sulla pelle scura.
Kieran capì poco di ciò che successe dopo, ma iniziarono a volare pugni e calci in modo erratico. Venne sbattuto contro il pilastro e i cavalli nitrirono spaventati e agitati. Era coperto di fieno e la maglia gli si era slabbrata per quanti strattoni aveva subito. Iniziò a menare pugni alla cieca, privo di qualsiasi lucidità, le nocche spaccate e la bocca un impiastro di sangue e saliva.
A un certo punto ci furono alcune scariche elettriche, deboli, ma rumorose e due degli avversari sussultarono per il dolore.
Si sentì strattonare da dietro e si voltò per dare un altro pugno, ma era Silas, con lo zigomo rotto e il labbro sanguinante, i capelli erano sfatti e appiccicati al viso, il petto si abbassava e si alzava per il fiato corto. Aveva il suo stesso sguardo selvaggio e violento, gli sorrideva. Teneva in mano la sua sciarpa.
– Tagliamo la corda, Siegan si sta svegliando.
Lo tirò indietro e Kieran lo seguì correndo senza voltarsi indietro.
 
 
 
 
Si fermarono a riprendere fiato solo quando la porta della loro stanza si chiuse. Kieran ci sbatté i palmi sopra, il petto che si alzava e abbassava furiosamente. Si voltò e poggiò la schiena contro la porta, al che scese piano a terra, esausto. La testa gli faceva parecchio male, così come il petto. Era da tantissimo tempo che non veniva pestato così forte, forse non era mai accaduto, quand’era piccolo prima o poi un adulto interveniva.
Silas non sembrava stare meglio; si era accasciato sulla poltroncina in modo scomposto, non dopo aver tirato fuori dalla scrivania una fiaschetta di metallo. Aveva grossi lividi sul petto, segni di morsi ed ematomi, i pantaloni erano slacciati e il suo viso aveva ammaccature violacee e sangue incrostato. Le nocche erano sbucciate e aveva almeno un dito rotto.
– Perché… anf… eri con loro? – domandò fra un respiro e un altro.
Silas non alzò neanche il viso a guardarlo. – Non è importante.
Effettivamente non lo era.
Si alzò con uno sforzo e gli venne vicino. Silas spostò gli occhi esausti su di lui. – Ti avevo detto di non metterti contro di loro.
– Sì sì, me lo avevi detto – sbuffò.
Di fronte alla poltroncina si accorse dello stato in cui riversava Silas. Aveva molti più ematomi di lui, lo avevano tramortito e riempito di botte, ma soprattutto avevano provato di peggio.
Alzò una mano. – Come ti senti? Loro… – non riuscì a finire la frase, non sapeva che cosa dire.
Silas distolse lo sguardo. – Sto bene, mi riprenderò. Anche se sono ancora tramortito, domani sarà un brutto risveglio.
La voce cercò di essere ferma, ma uscì tremolante.
Anche Kieran aveva dei leggeri tremiti. – Dobbiamo farli espellere.
Silas socchiuse gli occhi. – Purtroppo, non è possibile.
– Perché no? Dopo quello che ti hanno fatto!
Bevve un sorso dalla fiaschetta e strizzò gli occhi. Gliela offrì e Kieran la prese. – Non puoi sperare di farli espellere, le loro famiglie sono troppo potenti. Ma ci lasceranno in pace, me ne occuperò – mormorò, abbattuto.
– E come?
– Chiederò alla mia famiglia – rispose a voce inudibile. – Per quanto non volevo doverci ricorrere…
Kieran era frustrato e furioso. Voleva… non sapeva cosa, voleva ringraziare Silas, scusarsi, accertarsi che stesse bene. Era scosso e su di giri, non riusciva a ragionare lucidamente, ma sentiva fitte di gratitudine invadergli il petto, insieme a questo forte senso di cameratismo che non aveva mai provato prima.
Silas era scosso da leggeri tremiti e chiuse gli occhi nel tentativo di ritornare in sé. Si portò un ginocchio al petto e cercò di togliersi il sangue dal viso.
– Credi che Siegan si riprenderà?
Gli occhi di Silas apparivano più scuri del solito. – Non sarebbe male se morisse.
Kieran aggrottò le sopracciglia a non cogliere il sarcasmo o l’ironia nel tono, ma non poteva star parlando in modo serio.
– Perché erano così ossessionati da te? Siegan poi, sembrava geloso.
Buttò giù un sorso dopo averlo detto e scrollò il viso, disgustato. – Cos’è questa roba?
Era fortissimo. Non beveva quasi mai, ma quel liquore era imbevibile. Poggiò la fiaschetta con la gola in fiamme.
Silas incrociò le gambe con attenzione e si massaggiò il petto sui lividi, mostrando una smorfia di dolore. – Spirito di Banshee, non l’hai mai bevuto? Si chiama solo così, non fare quella faccia, non è davvero lo spirito di una banshee – e rise. – Lo bevono nel Mirna, lo so, non è il massimo. Comunque… avrai sentito le voci su di me, no?
Sì, le aveva sentite, senza capirne del tutto l’origine. – Qualcosa.
Gli sorrise, dopo aver percepito la bugia. – Non ti preoccupare, non mi offende. So cosa dicono di me, che sono una puttana e un donnaiolo, che partecipo a orge e mi prostituisco nei bordelli, che mi eccito durante gli scontri e faccio sesso negli spogliatoi con la prima persona che entra…
Kieran era imbarazzato. Non aveva sentito tutte quelle voci e non voleva chiedere se fossero vere. Non che fossero affari suoi.
– Pensi che siano vere?
– Non m’interessa.
– Non fare il superiore, rispondi sinceramente – bofonchiò.
Kieran si stava pulendo con un panno il sangue dalla faccia e abbozzò un sorriso. – Sono cresciuto nei bassifondi, fra le prostitute e la spazzatura. Alcune mie amiche della fabbrica guadagnavano soldi così con i ragazzi più grandi. Alle feste del Buco si appartavano tutti, ci si ubriacava e si trovava qualcuno con cui passare la notte. Onestamente non me ne importa nulla di quello che fai nel tuo tempo libero.
Silas lo osservava incuriosito. – Anche tu ti appartavi?
Arrossì appena. – Certo – rispose un po’ sbruffone.
– Non ci credo granché.
– Non m’interessa, come non m’interessa cosa dicono su di te.
– Lo so, l’ho capito, mi hai persino difeso con Siegan! Vale un decimo di me, eh?
Kieran cercò di nascondere il viso in fiamme. Sapeva davvero come pungolarlo.
– Per metà sono fatato, mia madre o mio padre erano una fata antica, non so chi dei due. La gente tende a dare per scontato che io per questo motivo sia costantemente in cerca di compagnia, credono che il sesso per me sia come salutare o sbadigliare e che una violenza mi piacerà comunque. Le fate tendono a essere più… disinibite e quindi vengono considerate promiscue. Inventano storie su di me per questo motivo. Inoltre sono più giustificati se il loro amante è fatato, è molto più tollerato fra la nobiltà anche se sono sposati, credono che il nostro sangue li spinga a volerci avere, come se fosse colpa nostra, un richiamo ancestrale, un ammaliamento inconscio. Forse non sai molto queste cose perché i Discendenti sono rari dalle tue parti, ma è così che veniamo visti.
Kieran era disgustato e furioso. – Io penso che siano solo ripugnanti. È una sciocchezza questa del sangue fatato.
– E come lo sai?
– Lo so e basta, dare la colpa a queste idiozie per la mancanza di autocontrollo. E poi io non mi sento a quel modo quando sono vicino a te.
Silas si grattò la nuca. Non sembrava molto contento. – Per fortuna direi – mugugnò e distolse lo sguardo.
– Ma allora dove te ne vai le notti che non sei qui?
Aprì la bocca e la richiuse. – Beh ho detto che non sono come mi descrivono le calunnie, non che io non mi diverta mai – rispose esitante. – Ogni tanto mi piace, soprattutto con i cadetti più grandi. Sanno molte più cose. Ma non succede così di frequente, molti cadetti non provano alcun interesse verso i maschi. E non è vero che ho messo incinta una serva, non sarei mai così incauto da non farci attenzione! E non andrei neanche con la servitù, non mi sembrerebbe giusto nei loro confronti, e…
Kieran scosse la testa e rise. – Non ti devi giustificare con me. Ma perché non ti trovi qualcuno che ti piaccia tanto e basta? Non è faticoso così?
Silas lo guardò in un modo strano per un attimo, poi spostò lo sguardo. – Che senso avrebbe? La mia famiglia sceglierà la persona che sposerò, e sarà una donna Discendente, come me.
Aggrottò le sopracciglia. – E a te le donne piacciono?
– Sì. Ma mi piacciono più gli uomini e non voglio che siano altri a decidere per me.
La schiettezza lo imbarazzò. Quando parlava a quel modo Silas sembrava più maturo di lui e questo lo irritava.
– E a te?
Aveva temuto quella domanda. – Non lo so, credo mi piacciano le ragazze.
– Credi?
Scrollò le spalle. – Da dove vengo io si sperimenta… insieme. Maschi e femmine. Forse anche i ragazzi. Non lo so, non penso molto a queste cose.
– Non sembri molto sveglio in effetti. Hai mai…?
L’argomento non metteva Kieran di buon umore e cercò di scacciare quei pensieri.
– Quando avevo quattordici anni con una ragazza più grande.
– Ti piaceva?
Scrollò le spalle. – I più grandi mi hanno detto di raggiungerla sotto il canale, che mi avrebbe fatto qualcosa di bello perché lo faceva con tutti. Non mi piaceva così tanto lei, era un po’ manesca quando spiegava.
Silas trattenne una risata. – Spero che tu non la abbia affrontata come affronti l’Iniziazione, altrimenti povera ragazza…
Gli rivolse un gestaccio. – Perché non mi dici tu la tua prima volta visto che ti senti così bravo.
– Con un uomo o con una donna?
La risposta lo prese alla sprovvista. Era curioso su entrambi. – Tutti e due.
– Con una ragazza è stato poco prima che entrassi in Accademia. Lei si chiama Marise e l’ho conosciuta ad alcuni circoli intellettuali che frequentava mia sorella. Ho avuto un’infatuazione per lei che è durata parecchio, forse se n’è accorta a un certo punto.
– E perché non sei rimasto con lei?
Poggiò il viso su una mano. – Ti sorprenderai, ma dopo un po’ non mi volle più. Sul momento ci rimasi molto male, continuavo a pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato.
– Questo non mi sorprenderebbe.
Alzò gli occhi al cielo. – No, ero stato un vero gentiluomo. È solo che non era interessata a me, a volte è soltanto questo.
Kieran aveva abbastanza paura dei rifiuti, di qualsiasi genere fossero; si chiese se la prima volta che Silas si era presentato era ancora malinconico per questa Marise. Non riusciva a ricordarlo.
– E con un uomo?
– Beh non un uomo nel senso canonico del termine; era un cavaliere della corte della Magnolia. Era poco più grande di me.
Sbatté le palpebre, sorpreso. – Una fata purosangue? Non avevi paura?
– No. Gli umani fanno più paura in questo.
Pronunciò la frase con una certa amarezza. Kieran guardò i lividi e la scena di poco prima lo investì in pieno.
– Tu non lo hai mai fatto con un ragazzo?
Drizzò le orecchie. – No! – rispose di getto e mentì. – Non quello.
Silas gli sorrise e ticchettò il bracciolo. – Sai che secoli fa c’era la pena di morte se sorprendevano due uomini o due donne insieme? – e mimò il gesto di un cappio.
Kieran si tenne un panno sulla testa, pigiando la ferita. – Eh? Perché? Ma se lo fa un mucchio di gente. Guarda che ho studiato storia, non ricordo niente del genere.
– Non scrivono queste cose sui libri di storia ormai. Prima della Grande Unione non era accettato. Poi quando le fate si mescolarono agli umani divenne più normale, le fate avevano spesso compagni dello stesso sesso. Uno dei primi re fatati a dialogare con gli umani aveva un amante che lo seguiva ovunque agli incontri diplomatici. Nessuno si sarebbe mai azzardato a dire nulla a una fata antica, soprattutto secoli fa che non avevamo neanche la metà delle conoscenze tecnologiche che abbiamo adesso. Le fate erano potenti, belle e stravaganti, cambiarono profondamente la nostra cultura.
Non sapeva se credergli. – Beh qui dentro avrebbero impiccato tutti allora.
Silas scoppiò a ridere e Kieran lo seguì presto, alternando risate e lamenti. – Aaah, mi fa male tutto.
– Anche a me, domani non riuscirò a muovermi dal letto.
– Grazie… per avermi aiutato.
Silas sprofondò ancora di più nella poltroncina. – Non sarebbe successo se mi avessi ascoltato.
– Non ricominciare.
Si alzò con una smorfia di dolore e si sfilò la maglia appiccicaticcia per il sangue. Voleva lavarsi, ma non aveva il coraggio di lasciare la stanza. Nel buio della camera notò appena gli occhi di Silas che lo osservavano, per poi distogliersi in fretta. Con quei lividi sul viso sembrava quasi che stesse arrossendo, ma dovevano essere gli ematomi che si gonfiavano.
Silas prese dal letto la sciarpa rossa che aveva gettato sopra prima di sedersi sulla poltrona e guardò lo squarcio con aria afflitta.
– Perché hai preso la mia sciarpa – domandò Kieran con aria ferita.
Non voleva suonare accusatorio, ma gli uscì comunque un tono lamentoso.
– Mi hanno detto di rubare qualcosa a cui tenevi, per dimostrare che ero davvero con loro. Scusa, mi serviva per capire che cos’avessero in mente.
Passò una mano sullo squarcio, lo strinse con entrambe le dita e mormorò una melodia. Le maglie rosse si riagganciarono a poco a poco finché lo strappo non si ricucì del tutto. Silas si stravaccò sulla poltroncina, coperto di sudore freddo e gliela restituì.
Kieran la prese, ammutolito. – Non c’era bisogno, vuoi collassare?
– È stata colpa mia, quindi volevo rimediare. Non volevo rubartela.
La prese fra le mani, sentiva in qualche modo la traccia magica di Silas, impercettibile che sfumava via. Gli diede un brivido.
– Perché ti sei fatto picchiare per me? – domandò schietto.
Silas teneva gli occhi ostinatamente lontani da lui. – Che domanda stupida è?
– Non è una domanda stupida! Stai sempre a insultarmi.
– Anche tu se è per questo.
I suoi insulti non erano per ferire, lo divertiva rispondere a tono, certo non sempre, a volte era davvero irritato, ma era come un gioco fra di loro. – Io scherzo. A volte.
– Anche io. Non quando dico che sei un perdente e un idiota però.
Gli tirò una scarpa, stizzito.
– Preferisco te a loro. Semplice.
Iniziava ad avere freddo e raccolse una maglia da terra. – Beh grazie tante, quelli là sono feccia della peggior specie, ci mancherebbe – replicò, offeso.
– E dai Kieran, quante storie. Ormai siamo amici, è normale che sia dalla tua parte.
Si bloccò mentre infilava la maglia slabbrata. – Oh.
Rimase inebetito. Aveva avuto tanti amici nella sua vita, certo, lì dentro aveva solo Dalia, e non era semplice sentirsi sempre isolato e fuori posto, però il calore che avvertiva era inusuale.
C’era qualcosa di davvero piacevole nell’idea che una persona come Silas lo reputasse un amico. Forse perché Silas era un portento, intelligente, furbo ed eccentrico, quindi si sentiva un po’ speciale a essere definito suo amico, come se di riflesso anche lui fosse un portento, intelligente, furbo ed eccentrico.
Non sapeva come replicare. Non era bravo con le parole. – La prossima volta ricambierò il favore.
– Spero non ci sarà una prossima volta – commentò dolorante.
– Mi dispiace per come mi sono comportato in questi giorni, so di essere stato un idiota.
Silas allungò una mano per farsi aiutare. Kieran gliela porse e lo tirò su. – Quello lo sei sempre. Sei stato più uno stronzo.
Incassò l’insulto. – D’accordo, uno stronzo. Ho sfogato le mie frustrazioni su di te, mi dispiace.
Silas andò a prendere altri abiti. Si guardò il corpo con aria disgustata. – Non fa niente, non sono uno che se la prende per queste cose. Mi sento così sporco con la saliva di quelli lì addosso e non voglio sapere cosa sia questo liquido appiccicoso.
Kieran gli passò il panno che usava per gli allenamenti e la fiaschetta d’acqua. – Tieni.
Silas li prese, infiacchito. Gli diede le spalle con un certo impaccio, e iniziò a pulirsi nella penombra.
La schiena non era messa meglio, ma aveva un taglio sotto la scapola che sanguinava. – Stai sanguinando qui, forse un chiodo, aspetta…
Cercò di tamponare, ma Silas si voltò e lo spinse indietro con violenza. – Non toccarmi.
La voce era tesa e turbata. Kieran alzò le mani di scatto. – Ti ho fatto male?
Silas mostrò un’espressione afflitta. Scosse la testa e guardò a terra, mortificato. Stringeva il panno fra le mani e sembrava scosso.
Kieran rifletté che forse non voleva essere toccato dopo quello che era successo. Per la terza volta quel giorno si sentì un idiota. Troppe volte in un giorno solo.
– Scusa. Non volevo spaventarti.
Gli uscì un verso che suonava come un ringhio. – Non mi hai spaventato. Non mi hanno spaventato neanche loro. Mi fanno solo schifo.
Si passò il polso sugli occhi per strofinarli e gli diede di nuovo le spalle. Kieran rimase immobile e gli guardò la schiena un’altra volta. Era scura e ampia, gli ematomi erano più visibili dove le mani lo avevano stretto.
L’idea che lo avessero ferito a tal punto da renderlo così turbato e umiliato gli mandava il sangue al cervello. Mortificare una persona orgogliosa come Silas avrebbe dovuto essere un reato, non sopportava che gli avessero fatto questo. Sperava di avergli rotto almeno un paio di ossa nella scazzottata e che a Siegan rimanesse la cicatrice in fronte per sempre. Magari il chiodo lo aveva reso più intelligente, la speranza era l’ultima a morire.
– Non guardarmi a quel modo, sei inquietante; sto bene.
Distolse lo sguardo, colto in fallo. – Lo so, mi dispiace di averti coinvolto – balbettò.
– Ti dai troppe arie. Non ho bisogno del tuo aiuto per mettermi nei guai.
Vederlo a quel modo gli riaprì una ferita e si sentì sopraffatto.
No. La mia situazione è diversa. Non è la stessa cosa.
Scrollò via quei pensieri spaventosi e si passò le mani fra i capelli. – Silas, ho iniziato a leggere il diario di Halldora, sai?
Si voltò, gli occhi che all’improvviso brillavano. – Sul serio? Te lo potevo prestare io! Lo sai che è la testimonianza più approfondita che abbiamo sui Valksha?
Gli venne da sorridere. – Davvero?
Annuì frenetico. – Aspetta, forse da qualche parte ho il volume enciclopedico sulle Terre Spezzate. L’ho ruba-, preso in prestito da un ragazzo, ha i disegni autentici dello studioso che accompagnò Halldora.
Kieran si sedette, esausto e sbadigliò. La tensione lasciò del tutto il suo corpo e quella notte dormì come non dormiva da settimane.


 
  finito

 

 
Capitolo immenso, perdonatemi, ma almeno è piuttosto dinamico.
Ci sono taaante informazioni qui molto cruciali, ma tanto se ne parlerà anche più avanti.
Potete vedere il disegno completo di Silas e Kieran, che io adoro davvero tanto, spero vi aiuti a visualizzarli meglio (anche se nel disegno sono adulti). Vi metto la fonte dell’autrice che è davvero brava: eteon6,
 
https://twitter.com/Eteon6?s=09&fbclid=IwAR0Fmj6OVlxJn2jk5Icid8uFBirJPbET4ZL0HmxD6lf5uxhXlO_Hsyx_uRE

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Capitolo 14
*** Moslon ***





Moslon 

XI


 



‒ Ha nevicato ancora mentre eravamo alla corte.
Il bosco imbiancato delle prime ore del giorno li avvolgeva in un freddo abbraccio. Il ghiaccio ricopriva alcuni dei rami, la neve scricchiolava sotto i loro stivali man mano che avanzavano. I torrenti erano si erano congelati e la neve luccicava quando veniva illuminata dal sole.
‒ Almeno ora non muoio di freddo – commentò felicemente Silas.
Indossava un poncho pesante tessuto dalle fate. Doveva essere impregnato di magia, perché Kieran avvertiva alcune tracce innegabili dei loro incantesimi. Sembrava realizzato con qualche pelliccia di un animale molto grande, le fate seguivano regole bizzarre quando si trattava degli animali.
Li avevamo scortati nel luogo dove li avevano prelevati e Kieran aveva potuto riprendere i suoi oggetti e le sue armi. Si era assicurato per prima cosa che il gessetto fosse ancora lì.
‒ Dobbiamo concentrarci sulla nostra prossima mossa – commentò con uno sbadiglio.
Silas staccò una stalattite da un ramo e ne osservò la punta come se volesse infilzarci qualcuno. – Io ti ho già dato alcune idee.
‒ Questi trafficanti… ci si può fidare?
‒ Sono criminali, è normale che la risposta sia no.
Sbuffò. – In che occasione hai svolto affari con loro?
Silas gettò la stalattite nella neve. – Quando dovetti scappare dalla regione. Quando fuggii dall’Accademia.
Kieran si voltò a guardarlo. – Quindi è così che riuscisti a fuggire. Credevo che ti fossi nascosto da qualche tuo amante o qualcosa del genere.
Silas lo guardò con sprezzo. – Sai bene che in quel periodo non avevo alcun amante e conosci anche il motivo.
Kieran socchiuse gli occhi per un attimo e si concentrò sul non pensare al passato neanche per un secondo.
‒ Come se ci credessi.
Gli uscì una risata. – A distanza di otto anni sfoderi ancora la tua gelosia. È piuttosto patetico.
Kieran agitò l’indice guantato contro di lui dopo aver accorciato le distanze. – Non è gelosia, è conoscere il tuo nemico. Hai mentito su tutto, dunque perché non mentire anche su quello? Non che m’interessi.
Silas scosse la testa, come se non gli importasse. – Ad ogni modo furono di parola con me. Sono persone d’affari, ma dobbiamo comunque essere cauti.
A Kieran quel piano non piaceva affatto. Non poteva andare alla sede del Ferro di Moslon, c’era il rischio che fossero stati avvertiti della situazione.
Si passò una mano fra i capelli.
Parlare con il governatore forse era l’opzione meno rischiosa, strappare un posto sulle aeronavi in partenza. Certo era che dal governatore il rischio di incontrare nobili presenti al processo era molto più alto e Silas avrebbe dovuto mostrarsi per ottenere il biglietto.
‒ Non abbiamo soldi per pagare i trafficanti.
Silas si indicò. – Stai scherzando? Ogni parte del mio corpo vale un mucchio di soldi.
Kieran si fermò di punto in bianco. – No.
‒ Come scusa?
‒ Non otterremo il passaggio così. Mi rifiuto. È troppo rischioso.
Silas lo osservò divertito. – Non fare il santo adesso, hai anche tu parti fatate che usi, o mi sbaglio?
‒ La questione è diversa. Non sai cosa potrebbero chiederti.
‒ So già cosa mi chiederanno ed è un prezzo conveniente, che ho già pagato una volta.
Kieran si avvicinò. – Ovvero?
‒ Tu lascia fare a me.
‒ Se mi dici così sono ancora meno incline ad appoggiare questo piano.
Silas sospirò. – Parliamone quando arriveremo a Moslon, abbiamo ancora un giorno di cammino – replicò, evasivo.
 
*
 
‒ Ho bisogno di farmi un bagno – brontolò Silas dopo aver buttato il poncho sul letto.
Kieran si tolse il cappotto e lo appese, al che sfilò la sciarpa, stanco. Guardò le mura piene di muffa della stanza e sentì le travi di legno scricchiolare sotto i suoi piedi. Gli sembrava che il legno fosse marcio in alcuni punti e l’odore dell’acqua sporca gli invadeva le narici.
Silas si spostò nell’altra stanzetta e le tubature iniziarono a protestare lamentose.
‒ Suppongo che il bagno sia da escludere.
Kieran lo raggiunse nel bagno, dove la caldaia sibilava impazzita e fumava. La vasca di ceramica scheggiata si stava riempendo di acqua torbida, marrone e densa. Una delle tubature doveva avere una perdita perché l’acqua sporca gocciolava sul pavimento.
Silas gli sorrise. – Non dire che non ti porto mai in posti di classe.
Kieran guardò la pozza di acqua scura e girò la manopola, chiudendo quel rumore infernale. – Immagino sia il massimo che possiamo permetterci al momento. Questa pensioncina cade a pezzi, sta sprofondando nella melma.
Silas aprì appena la finestra sul lago di Moslon, dove il panorama era più desolante che mai. Il cielo nuvoloso era coperto da una coltre nera di fumo che usciva dalle ciminiere delle fabbriche sul lago. L’acqua era torbida e ribolliva dove le turbine si agitavano, il freddo non la aveva potuta ghiacciare. Alcune barche a vapore solcavano il pantano per arrivare all’altra sponda.
‒ Una delizia, mi era mancata Moslon col suo tanfo di palude e piscio.
Kieran guardò le strade strette di palafitte di metallo che emergevano dal lago, gli edifici erano talmente serrati che alcuni sentieri si dipanavano fra i tetti, dove i comignoli sputavano fumo.
Alle loro spalle la città si arrampicava lungo le colline che abbracciavano il lago; man mano che gli edifici uscivano dal pantano, l’aspetto dei quartieri migliorava, le palazzine avevano colori più puliti e le strade in pietra si aprivano su piccole piazze pittoresche. Sulla cima della collina appariva l’aerostazione e poco più sotto il palazzo del governatore.
Kieran si poggiò sul davanzale, spazzò via la neve sporca e guardò giù dalla pensioncina: uno spazzacamino camminava coperto di fuliggine con una maschera nera sul viso. Si tolse il cappello di stoffa per salutare una signora, che indossava a sua volta una maschera azzurrina piena di fiocchetti a coprirle il viso.
‒ Per fortuna che ho intascato i soldi da quel tipo, com’è che si chiamava? Ferdinand?
‒ Frederick – lo corresse, freddo. – Non dureranno una settimana.
Richiuse la finestra saldamente, l’aria iniziava già ad appesantirsi.
Silas si poggiò contro la vasca. – Per l’appunto. Devi decidere: trafficanti o il governatore? Se vuoi andare dal governatore dovremo usare i soldi per comprarti un abito decente. Vestito così non ti riceverà nemmeno. Non sarebbe male se ti lavassi e ti radessi anche, sembri un morto di fame.
Kieran si passò una mano sulla guancia, seccato. – Scusami se non ho potuto profumarmi e abbellirmi mentre pensavo a salvare il tuo culo.
‒ Oh a me questo stile da pittore fallito pieno di debiti piace, è il governatore che potrebbe avere qualcosa da ridire.
Kieran allungò una mano. – Dammi i soldi rimanenti.
‒ Piano con le richieste.
Gli si avvicinò. – Non costringermi a perquisirti.
Silas sembrò rifletterci un attimo. – A che cosa ti servono?
‒ Voglio sapere quanti ce ne rimangono.
‒ Abbiamo cinquecento ottoni.
Kieran cercò di afferrarlo e quello si scansò agile. – Dammi quei soldi. Tanto dovremo andarcene insieme, voglio solo farmi dei calcoli.
Aprì le braccia. – Fai pure allora. Perquisiscimi – mormorò beffardo.
Il Campione lo guardò in difficoltà. – È troppo presto per stare dietro ai tuoi giochetti. Collabora un po’.
Silas sospirò e infilò una mano dentro la blusa. Tirò fuori un mazzetto spesso rilegato.
Kieran lo prese, sciolse il nodo e guardò le grosse banconote stropicciate. Si stupì a vedere che fossero davvero cinquecento. Lo esaminò, chiedendosi se non li avesse nascosti negli stivali. Le fate non glieli avevano toccati, si era dimenticato di togliere i soldi.
‒ Bene, devo svolgere una commissione.
‒ Come prego? Che genere di commissione? I soldi ci servono.
Kieran lo guardò minaccioso. – Avrei ancora i miei soldi se i tuoi amici della Legione non ci avessero attaccato, quindi non hai diritto di parola.
Silas aprì la bocca, indignato. – Erano lì per te, non per me! Quindi, a rigor di logica, la colpa è tua e di nessun altro – precisò.
Scosse la testa e tornò nella stanzetta principale, dove il letto matrimoniale bastava a provocargli degli scompensi. Non aveva più la corda e guardò quella della tenda, chiedendosi se potesse smontarla.
‒ Non mi farò legare di nuovo.
‒ Come faccio ad assicurarmi che non andrai da nessuna parte?
Silas guardò la finestra opaca e scheggiata con aria diffidente. – Pensi che sia pazzo? L’aria è tossica e i criminali di Moslon sono grandi cacciatori di mezzosangue. Ma anche se volessi farmi un giro, sai che non potrei scappare. Non ho nessun posto dove andare, né una casa dove tornare. Di cosa ti preoccupi? – il suo sguardo si fissò su un punto senza guardarlo, poi osservò di nuovo la finestra. – Non ho dove fuggire, non c’è bisogno di legarmi.
Kieran avvertì una leggera mestizia nella sua voce e prese il cappotto. – Andrò a comprare due maschere.
‒ E un abito?
‒ Che cos’hai offerto ai trafficanti?
‒ Credi sul serio che offrirei qualcosa che non posso dare? Che mi farei tagliuzzare? Parliamo del mio corpo, so che ti piace guardarlo, ma fidati che ci tengo anch’io.
Kieran si strinse la sciarpa con stizza e ci affondò il viso dentro, irritato. – Quando vuoi contattarli?
‒ Posso andare appena prendi le maschere.
‒ Andremo insieme.
Sbatté le palpebre. – Questo sarebbe meglio di no…
Kieran non lo stava ascoltando. – O insieme o nulla.
E senza aspettare la risposta dell’altro uscì e chiuse la porta.
 

La torre di comunicazione svettava fra le palazzine strette dei quartieri borghesi, dove si trovava la stazione del telegrafo. Aveva camminato fra le strade ammassate e strette, per poi uscire in quelle più ampie dei quartieri di mezzo. Non c’erano vaporette a Moslon, lo spazio era limitato e i vapori di quest’ultime avrebbero peggiorato l’aria già tossica della città. In compenso una monorotaia vecchia e lenta circumnavigava la cittadina, passando sopra il lago mefitico.
Senza maschera doveva coprirsi il volto con la sciarpa, era meglio non inalare troppo l’aria di quel posto, i tombini lasciavano uscire fumi poco rassicuranti e odori chimici.
-Maschere a cinque ottoni l’una! Sicure e graziose, traspiranti, ma con stile!
Si avvicinò al venditore ambulante, che teneva un banchetto su ruote pieno di maschere in gomma semplici e di qualità discutibile. Non dovevano fermarsi molto, sarebbero andate bene.
Si sfilò un paio di banconote e le porse all’uomo, che indossava a sua volta una grossa maschera verde, gli occhi coperti da lenti di vetro spesse e le labbra da un bocchettone.
‒ Prediligete un colore?
Le guardò e decise di prenderne due a caso. Salutò con un cenno del capo l’uomo e indossò subito la propria maschera, al che iniziò a respirare con meno esitazione.
Raggiunse in mezz’ora la stazione del telegrafo, Moslon era una città piuttosto contenuta e lui aveva un passo veloce e nervoso.
Non amava dover ricorrere a certi mezzi, ma fu costretto a mostrare alla ragazza all’ingresso le armi che aveva con sé; recavano sopra i marchi del Ferro e dei suoi gradi, e sarebbero bastate come garanzia anche senza documenti per fare un po’ di pressione.
‒ Avrei bisogno di un favore, la Gilda del Ferro è disposta a pagare per la vostra discrezione.
La ragazza all’ingresso non aveva fatto storie quando aveva chiesto che il centralinista che lo avrebbe messo in comunicazione con la sua chiamata lasciasse poi il centralino per farsi un giro. Non voleva rischiare di essere ascoltato. Aveva spiegato che erano affari interni del Ferro, ma aveva accompagnato la sua richiesta con una somma di denaro. La ragazza gli aveva sorriso e aveva chiamato uno dei centralinisti, impartendogli ordini specifici.
Era una precauzione sciocca, ma necessaria. Questa piccola corruzione gli era costata cento ottoni, avrebbe dovuto inventarsi una scusa plausibile con Silas.
Era stato poi condotto in una delle cabine telefoniche che davano sulla sala del centralino.
Il grosso telefono in ottone era attaccato al muro, mentre accanto sul tavolo appariva un telegrafo.
Il vetro gli mostrava l’enorme sala del centralino, dove i dipendenti premevano pulsanti di fronte a loro nella confusione di mille squilli e mille cavi.
Prese il ricevitore e se lo portò vicino all’orecchio, iniziò a digitare i numeri roteando il dito e avvicinò il viso al bocchino in cima.
Socchiuse gli occhi mentre attendeva. L’operatore gli chiese con chi volesse essere contattato.
‒ Brenner, venticinque di Ellenwood.
L’operatore eseguì, al che attraverso il vetro lo vide alzarsi e lasciare il suo posto per andare a fumare una cicca. Kieran iniziò ad aspettare, nervoso, e passarono una manciata di secondi.
Qui villa Shirleen, con chi ho il piacere di parlare?
‒ Grima?
La voce della donna si riempì di calore. – Signore! Aspettavamo sue notizie. Che bello sentirvi. È successo qualcosa? Ho detto a Chris di controllare il telegrafo giorno e notte, visto che non siete solito chiamare.
Aveva la bocca impastata. – Ho avuto alcuni problemi. Puoi chiamare Henry?
Grima parlò svelta e impartì a qualcuno un ordine. – State bene, signore?
‒ Sì, sto bene. Lì? Come vanno le cose?
Tutto nella norma. Il vostro cavallo sembrava essersi ammalato, ma il padroncino lo ha rimesso in sesto. Le spese sono state contenute, se volete i conti esatti posso…
‒ Non preoccuparti, ne parlerò con mio fratello. Lui come sta?
Ci fu una piccola pausa. – Il padroncino va a giorni alterni. Ultimamente sta bene, gli piace stare molto all’aperto ed è difficile farlo tornare dentro quando calano le temperature. Gli pesa la solitudine, signore. Il medico ha detto che come ogni inverno la malattia si è arrestata, ma due settimane fa aveva dolori molto forti, ha voluto prendere del laudano.
Si passò una mano sul viso e guardò verso il telegrafo. – Ho capito, se lo chiede dateglielo, non rischiate di rimanere senza. Con l’inverno andrà un po’ meglio.
Si udì una voce seccata che riconobbe fin da subito. – Signore, il… il padroncino dice che non vuole parlarvi.
Si stropicciò gli occhi. – Digli che mi dispiace.
Di cosa ti dispiace?
La voce era cambiata. Il tono di Henry era freddo, un po’ altero come sempre, ma Kieran si sentì subito sollevato a sentirlo. Guardò distrattamente gli operatori sotto di lui, che lavoravano senza sosta, ma la sua mente era altrove.
‒ Mi dispiace di essermi assentato così a lungo. La situazione si è complicata, non so quando potrò passare.
Ci furono diversi secondi di silenzio. – Ero preoccupato a morte – mormorò la voce. – Ti aspettavamo più di un mese fa. Hai mandato un inutile telegramma e nient’altro. Ero certo che sarebbe successo qualche disastro, ma nessuno mi dà mai retta.
‒ Sto bene, ho solo… ‒ lasciò andare il respiro. – Non so quando riuscirò a tornare. Posso lasciare tutto nelle tue mani?
Certo – rispose offeso.
‒ Nello studio c’è il libro dei conti e delle spese, mi aspetto che tu sia parsimonioso. Grima può aiutarti se…
Lo interruppe bruscamente. – So già tutto, come credi che possa riempire le mie giornate altrimenti? Mi sto già occupando delle spese e della villa e degli animali e della servitù.
Si grattò la nuca. – Non essere così. Quando torno ti porto un regalo, cosa vorresti?
Un cane o un gatto.
‒ Ancora? Siamo già pieni di cani e gatti e conigli e cavalli – rispose, facendogli il verso.
Una pistola allora.
Kieran si zittì. – E sentiamo, a cosa ti servirebbe una pistola adesso?
Per imparare a sparare. È una nobile occupazione con cui dilettarsi.
Gli spuntò un sorriso. – A chi vuoi sparare?
A te che non mantieni mai le promesse.
Abbassò gli occhi. – Mi dispiace. Non voglio che giochi con le pistole Henry.
Lo sentì sbuffare. – A volte sembri dimenticare che non sono né un ragazzino né un idiota, e che sono di gran lunga più pericoloso di te. Inoltre, mi annoio.
‒ Va bene, ti porterò un altro cane. Ormai tanto abbiamo un serraglio.
Basta che vieni tu, non m’importa di cosa porti.
Sentì una stretta al petto. Si passò una mano sul viso. – Appena posso tornerò. Se non dovessi farmi sentire per troppo tempo, Grima saprà che cosa fare.
Sei in pericolo?
‒ No, stai tranquillo.
Ci fu una pausa. – Posso mandarti qualcuno con dei soldi.
‒ Lascia perdere, non è il momento di esporsi.
Lui è con te?
Deglutì appena e socchiuse gli occhi. – Non al momento, ma sì.
I tuoi capi si sono assunti un bel rischio nel farti viaggiare con lui per il paese. Non credevo si sarebbero fidati.
Kieran si schiarì la gola, ma si limitò a concordare. Aveva volutamente ommesso la parte dell’evasione nel telegramma, rassicurando suo fratello. Era più semplice fargli credere che fosse una missione voluta dalle alte sfere del Ferro. D’altronde Henry era un ragazzo così ingenuo che bastava poco per trarlo in inganno.
Ho letto che i suoi compagni gli hanno voltato le spalle, anche se non so i dettagli.
Aggrottò la fronte. – Dove lo avresti letto?
Esitò. – Ne parlavano su un giornale.
Gli si gonfiò una vena. – Non starai leggendo ancora quella rivista?
Si tratta dell’unico giornale che dice le cose come stanno.
Poggiò una mano sul microfono e mimò un’imprecazione senza pronunciarla. – Henry ne abbiamo già parlato.
Non puoi decidere cosa posso o non posso leggere.
Si guardò intorno e si inumidì le labbra. ‒ Posso se leggi riviste – abbassò la voce fino a quando fu quasi inudibile, ‒ proibite. Dove te la sei procurata?
Poteva vederlo alzare gli occhi neri al cielo. – Non angustiarti, so come comportarmi, sono io il padrone quando non sei presente, no? E ciò vuol dire quasi sempre. Per di più sai bene che so difendermi – e la voce ebbe un’eco distorta per un attimo, come una risata che si propaga in una caverna, come due toni dissonanti. – Sembra che si siano organizzati di nuovo a stamparla. Non ha avuto molta risonanza la vostra retata, eh?
Cercava di irritarlo con quel tono provocatorio, ma gli suscitava soltanto preoccupazione. – Passami Grima.
No. Non se hai intenzione di dirle di togliermi la rivista.
Si spazientì. – Se qualcuno della servitù la diffonde, potrebbe essere preso per un simpatizzante e indagherebbero sulla villa. Cerca di riflettere.
Beh io sono un simpatizzante – replicò tronfio.
Si morse un pugno nel tentativo di avere pazienza. – Henry pensa prima di dire certe idiozie, sei in comunicazione, te l’ho già spiegato.
Questi erano i motivi per cui era costretto a corrompere i centralinisti, suo fratello non sapeva che cosa volesse dire fare attenzione.
‒ Se dici di poterti occupare della villa devi capire la pericolosità di certi gesti, Henry. Vuoi essere trattato da adulto, comportati come tale. Se ti do un ordine, devi seguirlo. Per favore, non farmi stare in ansia, ho troppe cose a cui pensare, non voglio aggiungere anche la tua sconsideratezza.
Aveva parlato con fin troppa durezza e non lo sentì rispondere sul momento. – L’ha dimenticata il medico, non ho ordinato a nessuno di procurarmela – mormorò con voce ferita. – Non sono così irresponsabile.
Si pentì di essere stato brusco. – Scusa, sono in una situazione... scomoda.
Sarebbe stato più tranquillo se Magda avesse raggiunto suo fratello a Ellenwood, ma si era sempre rifiutata, era testarda come un mulo. Gli diceva sempre di non voler entrare nella sua gabbia dorata.
Forse se contattassi il signor William, potrei inviargli un telegramma e…
‒ No! – tuonò, pallido. Ci mancava che mettesse in mezzo il Feldmaresciallo. – Henry, promettimi che non lo chiamerai, qualsiasi cosa accada. Se ho bisogno lo contatto io.
D’accordo, calmati. Potreste venire qui, magari potrei trovare una soluzione.
Gli sfuggì una risata amara. – Non porterei mai quel traditore a casa mia, ci venderebbe ancora prima di mettere piede nella nostra proprietà.
La Fa… ‒ s’interruppe appena prima di pronunciare il nome e si schiarì la gola. – Lui è il combattente più corretto della sua, uhm, fazione. Non lo farebbe.
Alzò gli occhi al cielo. L’idolatria di suo fratello verso la Falena non faceva che peggiorare, prima o poi avrebbe dovuto affrontare questo problema in modo risolutivo. – Ha cercato di uccidermi innumerevoli volte, sai?
Credevo non potesse ucciderti senza morire.
‒ Sì beh mi ha quasi spinto al suicidio per esasperazione, conta comunque.
Udì una risata, grattata dal suono metallico del ricevitore. Sorrise. – Io penso che non ci venderebbe.
‒ Perché sei un moccioso idealista. Quello lì venderebbe chiunque, non ha onore.
Mentre lo diceva sentì di star pronunciando una falsità, ma forse voleva solo scoraggiare suo fratello.
In ogni caso d’accordo, non venite allora. Ma deve esserci qualcosa che posso fare per aiutarti – commentò frustrato.
Sbadigliò, stanco. – Certo che puoi. Riguardati e occupati della villa fino al mio ritorno. Lascio tutto nelle tue mani, quindi non mi deludere. Come ti senti?
Risuonarono alcuni abbai ed Henry che cercava di placare i cani. A giudicare dai ringhi poderosi doveva essere Jenny.
Sto bene. Mi sento meglio rispetto allo scorso anno. Penso che sia cambiato qualcosa e forse la soluzione è nella magia.
Kieran iniziò a udire campanelli d’allarme, ma un no netto non sarebbe bastato con suo fratello. Serviva un po’ di manipolazione.
‒ Potrebbe essere in effetti, ma dobbiamo procedere con attenzione. Per ora chiedi a Grima alcuni libri, quando tornerò penseremo alla pratica. Per adesso concentrati sulla teoria, è importante che io sia con te per certe cose.
Prendere tempo, prendere sempre tempo. Non avrebbe mantenuto quel proposito e avrebbe trovato altre scuse una volta alla villa, ma ora che era lontano poteva solo agire così.
‒ Ho già letto e riletto tutti i libri che abbiamo nella tenuta, so già tutto quello che devo sapere.
‒ E se dovessi ferire qualcuno? Vuoi assumerti questo rischio?
Era il solito meschino bastardo a giocare questa carta, ma non aveva scelta.
Henry non parlò per qualche secondo. – Hai… ragione. Forse è meglio se ti aspetto.
Annuì, soddisfatto. – Ora devo andare, riguardati e non metterti nei guai. Passami Grima.
Sentì un’esitazione da parte dell’altro. – Sì, signore. Ti voglio bene. 
Tornò al telefono la sua domestica. Kieran attese qualche secondo. – Grima, non far venire più questo medico, licenzialo. Non voglio che entri più nella villa e abbia a che fare con Henry. Riprendi i contatti con quello precedente.
Signore, il dottor Jargen chiedeva prezzi esorbitanti.
‒ Lo so, non fa nulla. Se Henry fa domande, inventati una scusa. Ora devo andare. Ah, togli quella rivista a mio fratello. Falla sparire.
 
*
 
Silas aveva deciso di aspettare Kieran allenandosi. Benché la Crisalide lo avesse rimesso in sesto, non aveva potuto annullare del tutto gli effetti della malnutrizione e dell’immobilità causati dalla prigionia. Era fuori allenamento e lo sapeva, senza la sua magia poi diventava imperativo rimettersi in forma.
Guardò lo stipite della porta, provò ad attaccarcisi per fare alcune trazioni e gli rimase in mano un pezzo di legno. Lo nascose sotto il letto e si limitò a rimanere con i piedi per terra mentre si allenava.
Avrebbe voluto avere una spada e una pistola, doveva procurarsi un’arma. Kieran non gliene avrebbe mai lasciata una, con la sua mania del controllo insopportabile. Forse avrebbe potuto ottenere un coltello dai trafficanti.
Alla fine dell’allenamento crollò esausto e sudato sul letto rigido. Era fuori forma, ma per fortuna quei mesi non avevano annullato i muscoli nel suo corpo. Guardò il soffitto crepato, pensieroso.
Doveva trovare un modo per non far venire Kieran con sé alla Dama Rossa, ma quel bastardo si era preso i soldi. Sbadigliò e la stanchezza del viaggio iniziò a pesargli. Si assopì per una manciata di minuti, ma furono sufficienti.
Quando riaprì gli occhi vide il suo volto, ma non era il suo viso attuale. Era lui a diciassette anni. Gli occhi viola, la pelle scura, i capelli corti. Si guardava dall’esterno, era intento a leggere un manuale di magia con molta attenzione.
Alzò gli occhi viola verso di lui e sorrise. – Cosa c’è?
Portò le mani avanti e gesticolò. – Nulla, stavo pensando ad altro!
La voce non era la sua, né tanto meno le mani candide e rovinate. Entrambe appartenevano a Kieran.
Lui era Kieran.
Il Silas adolescente sbatté le palpebre e due ali nere di falena si chiusero sul suo sguardo.
‒ A che cosa stavi pensando con quella faccia da ebete?
La domanda lo mandò nel pallone, perché stava pensando al suo profilo. Il naso all’insù di Silas, gli occhi assorti, i capelli bagnati che gocciolavano acqua torbida. – Al pranzo, sto morendo di fame – si sentì mentire.
Silas chiuse il libro e le pagine si bagnarono con la melma, ricopriva ogni superficie, e saliva, veloce. Qualcosa gli afferrò il polso, una mano sbucata dal pantano. Cercò di trascinarlo in basso e avvertì un’improvvisa angoscia.
‒ Dove vai, ragazzino?
La voce gli diede i brividi e le unghie affondarono nel polso. Le dita erano viscide e serrate.
Alzò gli occhi verso il Silas ragazzo, che lo osservava impassibile. – Aiutami!
‒ Perché dovrei?
‒ Silas?
Aprì gli occhi di scatto e si tirò a sedere con un ansimo.
Si guardò attorno, febbricitante e capì di essere a Moslon, nella pensioncina. Era coperto di sudore e qualcosa gli stava mordendo la carne. Alzò il braccio e vide nell’interno del polso una sorta di simbolo sottopelle, scuro, ma scomparve in un attimo alla vista.
Levò gli occhi e trovò Kieran che lo osservava impensierito. – Stavi avendo un incubo.
Silas si guardò le mani ed erano di nuovo del suo colore di pelle, le dita affusolate che conosceva, i polsi segnati dalle cicatrici.
Cos’era quel sogno?
Un senso di estraniamento lancinante lo colpì in pancia. Gli sembrava di essere stato strapazzato da una violenta corrente d’acqua. Sentiva ancora quella presa salda sul suo polso.
Kieran stava sfilando la sciarpa e aveva in mano due maschere per i fumi tossici dalle decorazioni semplici, non molto sfarzose e dettagliate. Continuava a osservarlo perplesso, accortosi dell’agitazione dell’altro.
Silas si passò una mano fra i capelli, pensieroso. – Quanto le hai pagate?
‒ Centodieci.
Strabuzzò gli occhi. – Ma sei impazzito? – si schiaffò la mano in faccia. – Sapevo di dover venire con te, ti hanno fregato, quelle maschere scadenti non valgono neanche la metà di centodieci. Credevo che uno come te sapesse contrattare!
Kieran sbuffò. – Sono di buona fattura.
Scosse la testa, esasperato. – Lasciamo perdere.
Lo guardò poggiare le maschere e togliersi il cappotto. Sembrava più di buon umore rispetto a prima, stava persino fischiettando.
Silas d’altronde era ancora scosso dal sogno. Iniziava ad avere una certa apprensione.
‒ Per caso sei mai stato investito da una vaporetta?
Kieran si voltò. – Te lo avevo raccontato?
Lo sguardo di Silas appariva allarmato. – Quando?
‒ Quando avevo undici anni forse, mi ruppi il polso.
‒ Come avvenne?
Kieran aggrottò le sopracciglia, perplesso e si sedette sull’unico tavolino della stanza. – Stavo scappando da alcuni ragazzi più grandi. Ma che cosa c’entra?
Silas si adombrò appena. – Ti è capitato di fare sogni su di me ultimamente? – domandò con estrema serietà.
Kieran stava bevendo un sorso d’acqua e si strozzò – Che razza di domande fai? Sei impazzito? – replicò agitato.
Alzò gli occhi al cielo. – Non intendevo quel genere di sogni. Le tue fantasie perverse su di me non m’interessano.
Strinse le mani sul bicchiere. – Ti giuro, se non la pianti di…
‒ Parlo di sogni che riguardano me o persone della mia vita.
Lo osservò, confuso. – Non lo so, non ricordo quasi mai i sogni che faccio. Perché ora mi stai facendo queste domande? Pensi a un incantesimo della Crisalide?
Si alzò e gli venne vicino. Kieran si tirò indietro d’istinto, ma Silas lo ignorò e gli afferrò il polso. Guardò la pelle chiara e le vene, ma non vide altro.
‒ Si può sapere che stai facendo?
Silas si accarezzò il mento, pensieroso. – Se dovessero capitarti sogni di questo tipo, avvertimi.
Perché?
‒ Sono preoccupato per una questione. Ma non ha senso allarmarsi prima del tempo.
Aveva sognato un evento del passato di Kieran, ma forse era un aneddoto che gli aveva raccontato in passato e che era riaffiorato, non poteva escluderlo. Ma perché aveva avuto per due volte di fila sogni dove era Kieran? Non era qualcosa di usuale o comune, persino le emozioni non sembravano le proprie.
Forse si stava agitando troppo, il sogno gli appariva già piuttosto confuso. Accantonò quelle preoccupazioni e tornò a sedersi sul letto. Kieran appariva talmente confuso da essere divertente.
‒ Detesto quando fai così. Se non vuoi parlare di una questione allora non tirarla fuori.
Silas lo ignorò, ancora pensieroso. ‒ Hai fatto quello che dovevi?
‒ Sì, comprare le maschere.
Le guardò, non molto convinto. Era stato via fin troppo tempo per svolgere soltanto quel compito.
 – Ascolta, sarebbe meglio che tu non venissi all’incontro. Sei uno del Ferro e la cosa si fiuta da parecchio lontano. Potrebbero reagire male.
‒ Io non mi occupo di criminali, ma di fate.
Annuì. – In un certo senso anche loro – commentò, nervoso.
Kieran assottigliò gli occhi. – Sono nemici del Ferro?
‒ Beh nemici è una parola forte, sono trasgressori delle regole del Ferro, che è una questione molto diversa.
Il Campione incrociò le braccia. – Io vengo, se darà loro fastidio ce ne andremo. Non sono in servizio per ovvie ragioni e non farò caso alle… illegalità che vedrò – rispose di malumore.
Silas non era comunque soddisfatto. – Non ti convincerò mai a restare qui, vero?
Gli strappò un sorriso. – Esatto.
 
*
 
Se Kieran avesse potuto scegliere un posto da cancellare dalle mappe, quello sarebbe stato Moslon. Una città che continuava a sprofondare nel pantano di un lago tossico, dove i fumi delle fabbriche ristagnavano, bloccati dalle montagne intorno. Le strade di palafitte erano cedevoli e maleodoranti, la fuliggine unita alla neve imbrattava ogni palazzo e superficie. Gli spazzacamini erano ombre onnipresenti sui tetti, alcuni appollaiati come corvi. Kieran non era abituato a vederne così tanti, ma lì a Moslon erano addetti a ripulire anche le strade e i tetti quando la fuliggine delle fabbriche diventava troppo condensata. Le loro maschere lo inquietavano, non gli piaceva non poter vedere il volto delle persone che aveva davanti.
‒ Eri già stato a Moslon? – gli domandò Silas, schivando un passante.
‒ Sì, qualche anno fa, ma non in questa parte della città. Lo stato di degrado è peggiore di quel che pensassi.
Ogni passante indossava una maschera, erano tutte diverse e variopinte, accomunate da un bocchettone che filtrava l’aria tossica. Nessuno usciva senza per quelle strade se non voleva ammalarsi, ma erano anche parte della moda della città, alcune indicavano la professione della persona, come le maschere nere degli spazzacamini.
‒ I giacimenti di questa zona mandano avanti la Gilda dei Forgiatori e dei Meccanici, e danno molto lavoro, non ci rinunceranno mai.
‒ Lo so, ma qualche anno e questo posto sarà inabitabile.
Silas rise attraverso la maschera. – Lo è già.
La spada e la pistola erano nascoste dal cappotto, ma in mezzo alla calca non era facile tenerle salde.
Qualcuno lo urtò vicino alle gambe e riconobbe subito quella tecnica. Si voltò per afferrare il ragazzino che aveva tentato di derubarlo e si ritrovò una bambina dal viso di un colorito malaticcio, le labbra secche e un occhio coperto di cataratte.
Silas si voltò a esaminarla. – Una ladruncola? Non ha neanche una maschera.
Kieran la teneva per un braccio. – Hai qualcosa di mio.
Senza dire una parola tirò fuori le banconote. Aveva le mani spellate. La osservò, turbato.
Silas si tolse la propria maschera e gliela consegnò. – Inizia con l’indossare questa, signorina. Serve più a te che a me. Tienila da conto che questo sveglio qui l’ha pagata cinquantacinque ottoni, lo so, è un povero idiota. Dalle qualche soldo e andiamo.
Kieran sfilò una delle banconote e senza farsi vedere gliela poggiò sulle piccole mani. Iniziò a riflettere sull'offrirle qualcosa da mangiare, ma la ragazzina si allontanò senza ringraziare e venne inghiottita dalla folla dei passanti.
 Si voltò a guardare Silas. – E tu come pensi di fare?
‒ Qualche ora non mi farà ammalare, ma prestami la tua sciarpa.
Per favore.
Alzò gli occhi al cielo e allungò una mano. Se la sfilò e Silas la avvolse intorno alla bocca e al naso, coprendo gli occhi dietro i capelli.
Ripresero a camminare e Kieran rise. – La Falena ha un cuore davvero tenero – sussurrò, divertito.
Silas lo guardò con sufficienza. – Lo sai vero che dal mio punto di vista sei tu la persona spietata che lavora per le Gilde, vero?
Kieran perse il sorriso. – Io non ho mai fatto saltare in aria fabbriche però.
‒ Dovresti provare ogni tanto, dà grandi soddisfazioni.
Quando arrivarono a destinazione, Kieran guardò l’edificio di fronte a sé con un brutto presentimento. Osservò le donne succinte che adescavano i passanti, abbigliate con corpetti scollati e gonne aperte; indossavano maschere decorate da marchi viola. I tendaggi rossi, la lieve musica frenetica del pianoforte che proveniva dall’interno, insieme alle risate maliziose lasciavano poco spazio all’immaginazione.
‒ Mi hai portato in un bordello.
‒ La tua perspicacia è ciò che mi tiene in vita. Benvenuto alla Dama Rossa.
Osservò le donne e una di loro incontrò il suo sguardo e gli sorrise. – Perché siamo di fronte a un bordello.
‒ Perché il mio contatto si trova qui.
Si girò e s’incamminò per la via. – Ce ne andiamo.
Silas incrociò le braccia. – Tu vai.
Kieran si stropicciò gli occhi, seccato. – Perché un contrabbandiere dovrebbe trovarsi qui? Non è… ‒ abbassò la voce. – Non è appropriato per noi, per me stare qui.
Silas gli sorrise. – Non eri tu a essere cresciuto in quartieri così? Cos’è successo? Troppo tempo a fare l’ipocrita perbenista con gli altri gentiluomini?
Kieran era contento di avere addosso una maschera, perché non voleva mostrare la sua espressione importunata. – C’è qualcosa a cui devo stare attento? – domandò e cambiò argomento.
Silas si rimboccò la sciarpa. – Cerca di non avere quell’espressione da cane da guardia. Fai innervosire le persone.
‒ Non te purtroppo.
‒ E cerca di restare in silenzio, fai parlare me.
‒ Tanto non chiudi mai la bocca a prescindere.
 


Capitolo mooolto di passaggio, stavolta cortino, per riprendere fiato, anche perché deve succedere tanta roba in questa città.
Moslon riprende da Venezia, ma Venezia è la mia città preferita al mondo ç_ç, questa è una sua versione terribile e invivibile.
Grazie come sempre e a presto!
 

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Capitolo 15
*** La Dama Rossa ***





La Dama Rossa

XII


 



Nonostante la zona dove sorgeva, la Dama Rossa era un bordello alquanto sfarzoso e frequentato. La musica del pianoforte risuonava allegra e accompagnava ballerine e ballerini su un piccolo palco di metallo, dove danzavano coperti da pochi veli. I tavolini erano occupati da molti clienti che fumavano narghilè colorati e bevevano alcool scadente. Il fumo impregnava l’aria del primo piano e Kieran non faticò a riconoscere il profumo dolciastro dell’oppio e dei fiori spettro.
Un uccellino meccanico suonava una nota quando l’ingresso si apriva, accogliendoli nell’anticamera spaziosa e illuminata da un lampadario di cristalli rossi. Dal soffitto pendevano talismani e pietre riflettenti, avvolti da nastri legati a forma di farfalla.
 Dietro un bancone coperto di velluto stava un automa, gli ingranaggi visibili erano decorati da fiori e merletti, un lungo abito rosso sfarzoso lo copriva fino a terra. Gli occhi tinti da bambola erano dritti e vuoti. Muoveva a scatti la testa e aveva un numero segnato sul petto che aumentava quando qualcuno entrava nel bordello. Sembrava soltanto decorativa, vicino infatti c’era una ragazza dall’aria annoiata che leggeva un giornale e sorseggiava del tè. Aveva un corpetto stretto e succinto, le labbra dipinte di un rosa chiaro, gli occhi contornati da brillantini. I capelli albini e la pelle opaca ricordavano quella delle fate, ma la ragazza era chiaramente umana.
‒ Cinque ottoni per accedere alla sala degli spettacoli. Le tariffe sono diverse per ognuno dei nostri ragazzi e ragazze, ma la base di partenza è trenta ottoni. Se volete tenere le maschere sono venti ottoni in più.
Aveva parlato senza neanche alzare la testa, svogliata. Kieran fu indeciso se togliersi la maschera, ma alla fine la sfilò e la appese all’ingresso. Silas si avvicinò al bancone con la sua aria indolente e smaliziata, i capelli neri legati in uno chignon disordinato.
‒ È bello rivederti Liv.
La ragazza alzò gli occhi su Silas e impiegò qualche secondo per metterlo a fuoco. Man mano che lo riconosceva, un sorriso da volpe le colorò lo sguardo.
‒ Non posso crederci. Per tutte le corti! Che diavolo ci fai qui, Falena? Dicevano che ti avevano già appeso per il collo e che la tua pellaccia era in mano al Consiglio!
Silas poggiò il gomito sul bancone. – Sono difficile da ammazzare – e ammiccò verso Kieran.
Questo roteò gli occhi al cielo, seccato.
‒ Ti prendo in parola stavolta! Certo che sei cresciuto parecchio dall’ultima volta, in che guaio ti sei messo stavolta? Di nuovo in fuga?
Il tono scherzoso prese Kieran alla sprovvista, ma Silas aveva ancora la guardia alzata a giudicare dai suoi occhi.
‒ Una lunga storia, ho di nuovo bisogno dei servizi della Dama. Vedo che tu hai fatto carriera invece.
La ragazza gonfiò un po’ il petto. – Non prendermi in giro. È un bel passo avanti stare dietro al bancone, soprattutto negli ultimi tempi. I clienti chiedono cose sempre più strane e fingere di essere un mezzosangue è stancante.
Le sfiorò una guancia. – Non hai bisogno di fingere, sei già molto graziosa.
Kieran lo osservò con sufficienza e scosse la testa, mentre la ragazza ridacchiò e allontanò le sue dita con un gesto scherzoso.
‒ Non graziosa quanto te, avresti potuto fare parecchi soldi a lavorare qui. Beh se avessi aggiustato quel tuo caratteraccio, ma di certo ad alcuni clienti sarebbe piaciuto.
Silas aveva perso la sua baldanza di poco prima. – Sei gentile, ma non è il posto adatto a me temo. Però non mi dispiacerebbe fare di nuovo affari. Credi che potrei incontrare la Dama? O qualcuno in sua vece?
Si grattò la nuca. – Non lo so, è molto impegnata. Gli ultimi tempi sono stati… difficili, i soldi scarseggiano, la città è sempre più una fogna.
‒ Sono sicuro che le farebbe piacere rivedermi.
Liv si sporse a guardare Kieran con occhi curiosi. – Siete qui con Silas?
‒ Lui è con me. Ma aspetterà fuori se preferisci.
‒ Io vengo con te o ce ne andiamo – replicò, brusco.
Liv lo studiò ancora e alzò un sopracciglio. – Non incontra persone che non conosce.
Silas le prese una mano. – Ti prego Liv, ricordi quando ti ho aiutato con quel tuo problemino? Guarda che curare certe infezioni con la magia è parecchio faticoso, sono rimasto quasi due giorni a letto a riprendermi!
Sbuffò. – Suppongo che in effetti tu mi abbia aiutato quella volta… ah e va bene. Vedrò cosa posso fare. Aspettate qui.
Si voltò e tirò fuori una chiave dalle gonne. La infilò nel petto dell’automa, che con un cigolio rumoroso scivolò di lato, lasciando apparire un ingresso stretto nel muro. La ragazza sparì al suo interno, inghiottita dal buio.
‒ Problemino?
‒ Un’infezione piuttosto grave, qui dentro è frequente. Le magie di cura sono talmente costose.
Kieran guardò verso la sala degli spettacoli. – Quanti giorni sei stato qui?
‒ Non molti.
‒ Pagasti così? Curando le prostitute dalle malattie veneree con la magia?
Silas ticchettò il bancone con le dita. – Non esattamente.
Prima che potesse chiedere altro, la ragazza uscì di nuovo dal tunnel e si soffiò una ciocca via dal viso.
‒ Vi riceverà, ma dovete lasciare le armi fuori.
Kieran reagì portando una mano sull’elsa della spada. ‒ Non abbiamo intenzioni ostili.
– E allora a che cosa ti servono?
Silas ridacchiò. – Sono contento di vedere che non hai perso la tua parlantina.
La ragazza sorrise e si distese le gonne. – Detto da te è un complimento!
Kieran sospirò seccato e sfilò spada e pistola. Li pose dietro il bancone a malincuore, ma tenne il coltellino nello stivale. Mentre deponeva le armi, vide un uomo ubriaco scendere dalla scalinata a destra del bancone, sorretto da un mezzosangue dall’aria eterea. Dai veli e dalla corporatura era impossibile dire se fosse maschio o femmina, forse nessuno dei due, ma era davvero seducente.
Kieran arrossì appena e distolse lo sguardo. La bellezza dei mezzosangue e delle fate era qualcosa di difficile da descrivere, soprattutto perché spesso si presentava aliena, lontana da ciò che loro conoscevano e definivano come “umano”.
‒ Nick, vieni qui a sostituirmi!
Il mezzosangue si voltò con un sorriso. Depositò il vecchio ubriaco su uno dei divanetti e andò dietro il bancone. Quando gli passò vicino Kieran venne investito da un tanfo di alcool e fumo.
‒ Chi sono i tuoi amici? – domandò curioso e avvicinò un dito a Silas.
‒ Nessuno che ti interessi. Mi raccomando, non ti distrarre.
S’inoltrarono nel tunnel, guidati da Liv, mentre il Discendente inclinava il volto efebico a osservarli sparire oltre l’automa.
La galleria era umida e opprimente, dopo pochi metri si ritrovarono a camminare fra le pozze. Liv si era alzata le gonne oltre le ginocchia.
 ‒ Hanno i fiori spettro qui dentro, riconosco l’odore – commentò Kieran a bassa voce, serio.
Silas annuì. – Ne vorresti un po’?
‒ Se trafficano questa droga, vuol dire che lavorano con la Tela.
Si voltò a guardarlo. L’umidità gli aveva appiccicato qualche ciocca addosso. – Non pronuncerei quel nome a voce alta con tanta disinvoltura, soprattutto qui. In ogni caso è ovvio, tutti i trafficanti e i criminali devono rendere conto alla Tela. Sono gli unici che raccolgono i fiori spettro al confine.
Kieran era nervoso. Abbassò la voce. – Allora sono più pericolosi del previsto.
‒ La Dama si limita a traffici più sicuri e meno sanguinari, la Tela la rifornisce e basta.
Il tunnel aveva diverse diramazioni e girarono sulla sinistra, dove una porta rossa bloccava la loro strada.
Liv bussò in una sequenza e l’ingresso venne aperto, illuminandoli di una luce fioca rossastra.
Il profumo era talmente forte e invadente che Kieran aveva fastidio al naso, soprattutto perché il puzzo dei canali di scolo si era mischiato in un odore acre.
Si ritrovarono in una saletta opprimente, piena di cucce scavate nel muro dove erano accasciati uomini e donne, gli occhi cisposi e arrossati, la pelle ruvida come una cartaccia. Le pipe e i narghilè erano accanto a ogni cliente, il fumo invadeva la sala in una cappa irrespirabile.
Kieran guardò i corpi immobili buttati nelle cuccette, le labbra macchiate di viola come se fossero dipinte.
Silas si schiarì la gola. – Deve aver ampliato i suoi affari…
‒ Tu dici?
‒ Kieran, penso davvero che dovresti aspettare fuori – sussurrò.
Osservò la luce bassa e rossastra di quella sala. – No, anch’io ho bisogno di un passaggio sul treno.
‒ Sei un guerriero di Ferro, lo capiranno, non è sicuro per te qui.
‒ Non farò nulla per attirare l’attenzione, ma è meglio non dividersi.
Silas socchiuse gli occhi, esasperato e riprese a seguire Liv, schivando i corpi sui cuscini.
Entrarono in un’altra porticina e si ritrovarono in quello che doveva essere lo studio della proprietaria: era una grossa stanza luminosa piena di affreschi mangiati dall’umidità e dalla muffa; aveva una scrivania intagliata e una libreria piena di statuette e libri. Un tavolino più piccolo era occupato da una macchina da scrivere e dietro di esso un ragazzo sonnecchiava.
Anche lì l’odore dei fiori spettro era forte e Kieran si accorse che provenivano dalla pipa della donna in piedi di fronte a loro.
La Dama Rossa, perché la sua pelle bianca era macchiata in più punti da voglie rosse che sembravano fiori, gli occhi erano bordeaux e i capelli scendevano lunghi fino a terra; aveva orecchie a punta e il naso schiacciato, le sue labbra erano di un viola innaturale, come quelle dei corpi drogati e ammucchiati nell’altra sala. Indossava una gonna cucita con ali di farfalle e un corpetto pieno di foglie e petali, era difficile dire quanti anni avesse, sembrava una donna di mezz’età, ma le rughe sul suo viso erano armoniose e simmetriche.
Un uomo sostava seduto alla scrivania fumando un sigaro, l’altro invece stava ritto in piedi con le braccia incrociate; le loro facce non apparivano molto amichevoli, Kieran sapeva riconoscere dei criminali incalliti quando li vedeva.
Silas fece un piccolo inchino e prese la mano alla donna in piedi. – Gabrielle, siete sempre splendida.
Le baciò uno degli anelli con delicatezza e si tirò indietro. La donna lasciò uscire una boccata di fumo dalla lunga pipa ornata che stringeva in mano e gli sorrise.
‒ Silas Vaukhram. Non avrei mai creduto di rivederti qui. Di nuovo in fuga?
Sorrise, nervoso. – Sempre.
Gli uomini stavano squadrando Kieran. Uno si avvicinò e iniziò a perquisirlo, poi passò a Silas. Non trovò il coltellino e questo gli diede un po’ di sollievo. La sua allerta era al massimo.
‒ Vi inviterei a sedervi, ma mi avete presa in un momento spinoso, non posso dedicarvi troppo tempo.
‒ Ma certo, ve ne ruberemo poco. Anche se permettetevi di farvi i complimenti per aver esteso l’attività.
Gabrielle guardò verso la porta. – Ti ringrazio, ho iniziato a investire in ambiti più… redditizi. Non c’è bisogno di essere così formali, ci conosciamo da tanto ormai.
Quando parlava strizzava gli occhi senza accorgersene, come se le dessero fastidio. Inclinò la testa ed esaminò il suo simile.
‒ Vorrei poter ricambiare il tuo complimento, ma ti vedo molto dimagrito, Silas, il tempo non è stato così clemente, dico bene?
‒ Qualche mese sfortunato, nulla che non si possa risolvere.
Gabrielle si sporse a osservarlo. – E chi sarebbe l’uomo imbronciato in tua compagnia?
Kieran distolse lo sguardo da Liv che lo stava sfiorando mentre usciva e lo riportò sulla donna di fronte a sé.
‒ Lui è Kurt, è un mio affiliato.
Gabrielle lo studiò e avvicinò la pipa alle labbra. – Sembra un soldato. Gendarme o spezza-ali?
Silas lo guardò come se fosse colpa sua e Kieran cercò di lamentarsi con gli occhi che non aveva fatto alcunché.
‒ Sono del Ferro – rispose per sé.
‒ Ah sì? Il tuo sguardo sembra molto corrucciato, sei qui per arrestarmi o hai bisogno di sfogarti?
Silas si sporse a dare una pacca a Kieran. – Quella è solo la sua brutta faccia, non può farne a meno, ma non devi preoccuparti di lui. Non farà un fiato, è con me, mi ha fatto evadere e ha bisogno di lasciare Moslon.
Gabrielle però sembrava interessata a Kieran all’improvviso. Si avvicinò e dalle narici uscì altro fumo.
‒ Un guerriero di Ferro che aiuta la Falena? Non si finisce mai di imparare.
Gli girò intorno, lo sguardo fatato catturato da qualcosa.
Kieran lasciò scivolare di nuovo gli occhi sulla pipa e la donna sorrise. – Sei interessato ai fiori spettro? Mi farebbe comodo avere qualcuno disposto a recuperarmene un bel po’, dicono che voi del Ferro siete resistenti alle magie fatate. Molti degli uomini a cui ho offerto il lavoro non sono mai tornati, le Terre Spezzate e i Valksha non perdonano. È una disdetta, in questo modo siamo costretti a dipendere da altri. Non sareste interessati a un lavoretto?
Si scostò il fumo con le dita. – Sono costretto a rifiutare – mormorò e fece un passo indietro. – Non vorrei diventare il giocattolo di qualche Valksha.
La donna rise appena. – Un peccato. Ne vuoi un po’?
Gli porse la pipa, la punta macchiata di viola dove le labbra la avevano stretta. Scosse la testa.
‒ Tutto d’un pezzo, come ci si aspetterebbe da voi del Ferro. Hai mai assaggiato i fiori o le foglie spettro?
Era capitato, mentre era in servizio al sud della Gardenia. Un mezzosangue drogava e uccideva persone dell’alta società in modo efferato, era stato mandato ad affiancare il gendarme a carico delle indagini. Lo aveva convinto ad assaggiare la droga per capire meglio la mente del nemico, o qualcosa del genere, non era molto bravo in lavori investigativi.
 Anche se i traffici illeciti dei fiori spettro non erano del tutto competenza del Ferro, erano comunque piante mutate dalla magia fatata delle Terre Spezzate, crescevano solo al suo confine ed erano allucinogeni potenti che potevano portare a mutazioni impreviste. Se fosse stato un giorno ordinario per lui avrebbe fatto chiudere quel posto e arrestato ogni singola persona. Peccato che non viveva più giorni ordinari da un po’.
‒ Sì, non fanno per me – rispose, secco.
Silas gli mandò altre occhiatacce per il modo laconico e distaccato con cui stava rispondendo.
‒ Ma la vostra pipa è molto graziosa – provò ad aggiungere, impacciato.
Il suo compagno socchiuse gli occhi e scosse la testa, come se non potesse credere a tanta idiozia.
La Dama non disse nulla, ma mantenne lo sguardo su di lui. ‒ Ma sentiamo, di cos’hai bisogno questa volta, Silas?
L’interpellato seguì Gabrielle con gli occhi, ma gli dava le spalle ed era concentrata su Kieran.
‒ Dobbiamo lasciare Moslon. In fretta. Sappiamo che i treni sono… inattivi durante i primi tre giorni del Solstizio, ma non i treni fantasma, giusto? Ci chiedevamo se potessi inserirci a bordo di uno di questi, sei stata così utile l’ultima volta, che so di poter contare sul tuo prezioso aiuto.
Kieran non era per nulla contento di tutto quello, ma doveva restarsene in silenzio. Imbarcarsi come clandestino su un treno fantasma era forse il punto più basso della sua vita, anche se molte esperienze tenevano testa a quella nuova e squallida situazione.
Avrebbero dovuto procurarsi degli abiti pesanti, i treni fantasmi erano gelidi visto che trasportavano solo merci e non avevano persone a bordo. Senza contare che procedevano fin troppo lenti e non avevano protezioni adeguate contro le fate.
‒ Ricordo quando venisti da me otto o nove anni fa, eri un ragazzino tutto spaventato – commentò divertita, il tono quasi smielato.
Kieran lo sbirciò, curioso.
Silas non sembrava interessato a rivangare. – Sì, beh è passato molto tempo e ora ho di nuovo bisogno dei tuoi servigi, così va la vita.
Gabrielle si voltò a osservarlo e abbassò la pipa. – E immagino che vorresti pagare come hai pagato l’ultima volta? Ma qui i passeggeri sono due, o sbaglio?
Kieran aggrottò le sopracciglia. – Al momento non ho molti soldi con me, ma ne ho tanti da parte.
Uno dei due uomini si lasciò scappare una grossa risata e spense il sigaro nel posacenere, tossendo e ridendo all’unisono.
Gabrielle osservò Kieran quasi con tenerezza. – Non prendo passeggeri a credito.
Silas alzò appena la testa e si sistemò la blusa. – Per il passeggero in più posso darti qualcosa di me. Una fiala del mio sangue.
‒ Lo sai che non m’interessa così tanto. Lo trovo macabro e di cattivo gusto. Ho il mio di sangue, certo non è potente come il tuo, ma mi basta. Ci penserei forse per le tue palle o per il tuo cazzo, i genitali dei mezzosangue sono molto rari, i nobili spesso non li conservano. Sai come vanno le cose, il perbenismo…
Silas rabbrividì appena. – Temo di non poterteli dare, mi servono ancora.
‒ E quando morirai?
‒ Spero che rimarranno attaccati al mio corpo… per ricordo.
Kieran sbatté le palpebre e si voltò verso Silas, ignorando quella ridicola conversazione. – Come pagasti la prima volta?
Gabrielle arrotolò un dito attorno ai capelli neri della Falena. – Pagò col suo corpo. Per un cliente.
Silas non sembrava entusiasta che lo avesse detto ed evitò lo sguardo di Kieran. – Se il prezzo è doppio significa che potrai avermi due volte in questo tuo posto delizioso. Non una di più.
Kieran era senza parole. Lo strattonò indietro per un braccio. – Assolutamente no – ringhiò. – Sei impazzito? Non si era parlato di questo.
‒ Calmati, lascia che me ne occupi io.
Gesticolò ferocemente con le mani. – No! Non a questo prezzo. Hai sentito che cos’ha detto? – domandò, sconvolto.
‒ Non è qualcosa che mi mette a disagio. E da quel che ricordo non eri uno che giudicava.
Si tirò indietro, punto dal ricordo di quella loro conversazione. – Non si tratta di questo, non voglio che paghi il mio passaggio in questo modo.
‒ Purtroppo, non posso andarmene se non c’è anche il tuo culo a bordo.
Gabrielle tossì appena e riportò l’attenzione su di sé. – Falena, quella volta ti proposi quest’accordo perché eri disperato e inoltre sapevo che qualcuno avrebbe pagato parecchio per averti. Sei un mezzosangue di alta qualità, avevi la pelle liscia e morbida dei nobili, un aspetto curato e in salute. Ora sei smunto e sporco, ma di nuovo disperato e chiedi ben due passaggi, uno dei quali per un maledetto guerriero di Ferro. Credi che sia sufficiente?
Silas assottigliò lo sguardo e sorrise in modo affilato. – Stai per caso insinuando che non sono abbastanza? Mi ferisci.
Gabrielle gli diede un buffetto, ma il suo sguardo era velenoso come i fiori che fumava.
 ‒ Ognuno di voi si pagherà il prezzo da solo. Il tuo amico qui ha un corpo a sua volta, o mi sbaglio?
Kieran spalancò la bocca, sorpreso, mentre Silas sgranò gli occhi. – Cosa? Vuoi lui?
Si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa. – Qui ho molti mezzosangue, nessuno con il tuo retaggio, questo è certo, ma quanto pagherebbero alcuni clienti, uomini e donne, per poter aver un rapporto sessuale col Campione del Ferro?
A sentire il titolo entrambi sussultarono appena, Silas però non perse il sangue freddo.
‒ Non dire idiozie, nessuno dei tuoi clienti crederebbe mai che sia davvero lui.
Gabrielle agitò la pipa e roteò gli occhi. – Qui si vendono fantasie. Qualcuno ci crederebbe, altri fingerebbero di crederci. Non vedo perché la mia richiesta vi risulti così indigeribile, un posto sui treni fantasma parte da un costo di duemila ottoni. Una serata con una prostituta ne frutta neanche cinquanta, vi sto facendo un prezzo di favore. Una mezz’ora con qualche ricco cliente per lasciare la città senza essere visti, in sicurezza, lontano da qualunque controllo.
‒ Non siamo così disperati – ribatté Silas, ma l’incertezza gli colorò la voce.
Gabrielle scoppiò a ridere e i suoi uomini la imitarono. Aprì un cassetto e tirò fuori un giornale, si leccò un dito e girò le pagine.
‒ Kieran Reed, giusto? Sai che tre giorni fa è uscita la notizia che la Falena sia fuggito o sia stato ucciso di nascosto per prenderne i pezzi?
Kieran sentì il fiato sparirgli dalla gola.
‒ Sembra che sia successo qualcosa durante una nottata di guardia e sono coinvolti un Consigliere e una guerriera di Ferro, il colonnello Bervana.
Qualsiasi traccia di colore morì sul suo volto e non riuscì a dissimulare. Gabrielle ripiegò il giornale e sorrise.
‒ La tua faccia sembra alquanto disperata, Campione.
Poggiò la pipa sulla scrivania e gli andò incontro con passi decisi. Kieran era ancora frastornato e la osservò stupito. – Cosa mi ha tradito?
‒ Seguo molto i giornali, come hai visto. Non so quali siano le ragioni che ti hanno portato qui, ma le immagino, e mi sembrate parecchio fottuti. Perché quindi non trovare un accordo? Per quanto la Falena sia un’attrazione incredibile, anche tu lo sei. Diverse persone pagherebbero per averti dopo le tue ultime imprese.
Gli tirò avanti il mento con un gesto brusco e Kieran impietrì, mentre la donna lo studiava. – Dicevano che avevi un aspetto rozzo, ma invece hai una fisicità particolare.
Gli sfiorò le cicatrici e gli sollevò le labbra. – Hai ancora tutti i denti, anche se questo è scheggiato. La tua pelle cicatrizza molto male, ma non stonano su di te questi segni. Sei robusto, i clienti più problematici potrebbero divertirsi con te.
Uno dei due uomini rise, mentre il ragazzo dietro la macchina da scrivere lo esaminava, annoiato.
Kieran guardò la pelle candida e scarlatta della donna, il suo profumo si confondeva con quello dei fiori secchi e della droga. Ebbe un capogiro, i suoni si abbassarono a poco a poco e il suo corpo cessò di rispondere ai comandi.
Pesava come un macigno, non riusciva neanche a respirare a pieni polmoni. Una patina di sudore freddo gli ricoprì la pelle.
Riconobbe quella sensazione e iniziò ad allarmarsi. Cercò di fare un passo indietro.
Si sentì strattonare la maglia. – Se con gli uomini non ti si alza, ho delle droghe che ti aiuteranno.
Gabrielle continuò a studiarlo, mentre rifletteva. – Larry, portami qui le foglie spettro e prepara la stanza rossa.
Il ragazzetto ubbidì, si alzò e uscì fuori dallo studio.
La Dama allungò una mano e gli afferrò i capelli in modo brusco. Li controllò. – Devo accertarmi che tu non abbia parassiti.
Non piangere, ragazzino.
Quella voce gli ferì le orecchie, ma era ancora abbastanza lucido da sapere che nessuno aveva pronunciato quelle parole, eppure gli sembrava di sentirle sussurrate nel suo orecchio.
No. Non perdere il controllo.
La stanza si inclinò e gli diede le vertigini. Aveva bisogno di vomitare.
Doveva muoversi, doveva riprendersi.
Ora basta – interruppe Silas e afferrò il polso di Gabrielle con un gesto brusco.
La sua voce gli arrivò ovattata, ma appena la donna indietreggiò, i suoni ricominciarono ad arrivargli. Si portò una mano alla bocca, così nauseato da sentire i conati in gola.
 – … detto che non è parte del pagamento e lo stai rintronando con la tua droga.
Silas si era frapposto fra lui e Gabrielle, ma Kieran era ancora scosso dai tremiti.
Si passò una mano sul viso sudato, attonito da quella reazione. Non gli capitava da tanto, come aveva potuto lasciare che accadesse in un momento così delicato?
Riprenditi, dannazione.
‒ Non si è rifiutato, mi sembra – commentò la donna e i suoi cani da guardia si fecero avanti.
Silas lasciò la presa e guardò Kieran, aspettando che dicesse qualcosa, ma aveva chiuso gli occhi per mitigare la nausea.
‒ Non importa, abbiamo soldi, abbiamo parti fatate e hai me. Questo è il pagamento che possiamo offrirti, prendere o lasciare.
Gabrielle aveva un bagliore offuscato negli occhi, sorrise, la droga le aveva macchiato i denti di viola. – Sei geloso del tuo amico? Puoi assistere se vuoi. Lo farò iniziare per gradi.
‒ Ho capito. Hai perso l’occasione. Ce ne andiamo.
Gli energumeni dell’entrata si avvicinarono a un cenno del capo di Gabrielle. Silas s’irrigidì.
‒ Vuoi usare la forza? Come sei caduta in basso.
‒ Gli affari vanno male, sempre meno turisti per colpa della tua Legione che assalta i treni, Falena. Inoltre i mezzosangue da reclutare per la Dama Rossa scarseggiano e ottenerli dai traffici della Tela è sempre più dispendioso.
Silas la osservò con disgusto. – Ti sei data a questo genere di trattative? Sei disgustosa. Tradisci la tua stessa gente.
‒ La mia gente? Per piacere. Cos’ho in comune con un viziato come te? Non potremmo essere più diversi. Se proprio vuoi biasimare qualcuno, la colpa è dell’alta società, strappano tutti i Discendenti dalla strada e dalle famiglie per tenerseli, ma poi vengono nei bordelli per scoparseli. Forse i più ubriachi e ignoranti scambiano Liv e le altre per mezzosangue quando le trucco, ma molti altri sono più intenditori.
Silas sbirciò Kieran di sottecchi, in attesa che reagisse. – Lui non è un mezzosangue.
‒ No, per l’appunto. Ma ho diverse richieste che potrebbe soddisfare. Lasciamelo per una notte e avrete il vostro passaggio fuori da Moslon in sicurezza. So che ti tiene al guinzaglio, non percepisco la tua magia, hai ancora i sigilli. Questo è un buon momento per renderlo più… docile, nei tuoi confronti.
Kieran capì a malapena il discorso, ma realizzò che Gabrielle stava cercando di mettergli Silas contro.
Silas d’altro canto appariva furibondo. ‒ Che cosa pensi di fare? Picchiarlo e farlo violentare? Hai visto quanto è grosso questo qui? Spaccherà i denti ai tuoi clienti.
‒ Per quello abbiamo le droghe. E la magia. Pensaci bene.
‒ Perché lo vuoi tanto? Qual è la vera ragione?
Mosse il collo, oziosa. – Mi sembra ovvio. Perché è un guerriero di Ferro. Perché si è messo in mezzo a uno dei più grandi traffici di mezzosangue della regione, perché è famoso e ha tutto da perdere. Tu, invece, non hai niente da perdere, non ti ricapiterà un’occasione come questa.
Il sospiro seccato di Silas risuonò per la stanza. – La mia risposta è no.
Si voltò verso Kieran con sguardo indagatore. – Sei fra noi?
‒ Eh?
Assottigliò gli occhi. – Stai bene?
Kieran lo guardò. – Sono in me, stavo riflettendo – mentì, ma la bugia gli uscì con un filo di voce e Silas non sembrò credergli.
‒ Riprenditi – gli ordinò, poi tornò a fronteggiare Gabrielle. – Noi ce ne andiamo, grazie per l’offerta, siamo costretti a declinare.
La donna si avvicinò. – Ve ne andrete quando lo deciderò io.
‒ Questo è un pessimo modo di fare affari, non mi sorprende che le cose ti vadano male.
Gabrielle lo ignorò e fissò gli occhi su Kieran. – Sento una sorta di energia provenire da te, quando ti ho toccato hai confermato la mia sensazione… ‒ mormorò fra sé e sé. – Hai con te qualcosa di interessante?
Kieran raggelò e non si mosse. Aveva portato con sé il gessetto, ma era quasi impossibile accorgersene, la traccia magica si percepiva soltanto toccandolo. Che lo avesse sfiorato mentre gli metteva le mani addosso?
Gabrielle notò il suo stupore. – Non fare quella faccia, il mio Gilbert qui perquisisce le persone in modo diretto, mentre la mia Liv lo fa con sottigliezza. Quando ti ha sfiorato, con i gesti mi ha comunicato che sei in possesso di qualcosa di interessante e toccandoti ho avuto la conferma. È flebile addosso a te, che sei imbottito di ferro, ma la percepisco.
Silas era indietreggiato in modo impercettibile. – Credevo che le parti fatate non ti interessassero. Sono macabre, no? Ti ho offerto il mio sangue.
Gabrielle staccò gli occhi da Kieran a fatica. – Sì, dei mezzosangue. Qui parliamo di qualcosa di più.
Prima che Kieran potesse muoversi, la Dama prese qualcosa in mano. Soffiò una strana polvere luccicante verso il viso di Kieran, che non fece a tempo a spostarsi e la prese quasi in pieno. Silas gli diede una spinta all’ultimo, ma non riuscì a sottrarlo dalla traiettoria.
Riposa fra le braccia della Dea.
Un sonno improvviso gli colpì gli occhi e il corpo. Barcollò, stordito, mentre le palpebre gli si chiudevano, ma combatté contro quella sensazione e cercò di non accasciarsi.
I muscoli gli si sciolsero come gelatina e iniziò a sognare, nonostante fosse ancora sveglio.
‒ Incredibile, allora è vero che voi del Ferro siete più resistenti agli incantesimi. Chiunque altro sarebbe già crollato.
Vedeva in modo confuso e sfocato. Silas si mosse, i suoi contorni sbiaditi. Afferrò Gabrielle per le spalle e la gettò a terra con violenza, tramortendola quando batté la testa.
Kieran, rintontito com’era, ricordò le prese che gli insegnavano in Accademia. Era sempre meglio placcare e incapacitate un essere fatato, Silas non aveva mai perso quello stile di combattimento.
Si sentì afferrare per un braccio e trascinare verso l’uscita. Uno degli uomini tentò di agguantarlo, ma Silas estrasse il coltellino di Kieran e glielo conficcò nel braccio. L’avversario però ricambiò il gesto e con un manrovescio rivoltò la testa a Silas e quasi lo mandò a terra.
Subito dopo si voltò verso Kieran e gli assestò un pugno dritto in pancia. Rimase senza fiato e quasi cadde in ginocchio, mentre tossiva.
‒ Cazzo.
Con il sonno che gli intorpidiva i muscoli riuscì comunque a tirare un colpo a sua volta. Le nocche si spaccarono quando incontrarono la mascella del bastardo di fronte a lui.
Venne di nuovo strattonato indietro e si voltò. Silas sedicenne gli sorrideva, esaltato. Sbatté le palpebre e scrollò la testa, mentre il ricordo si sbiadiva. Era sì Silas, ma adulto, pesto e furioso.
‒ Non ti addormentare! Dobbiamo filarcela, muoviti!
Si lasciò trascinare fuori dallo studio, rintronato. ‒ Dove… andiamo?
Gli arrivò un pugno in pieno viso e si ritrovò a inciampare fra i corpi dei drogati e a cadere. La botta gli aveva aperto una ferita sul sopracciglio, ma il torpore stava scemando.
‒ Figlio di puttana, non ti arrendi proprio tu – urlò Silas da qualche parte, mentre usava un narghilè come arma e lo frantumava sulla schiena del malcapitato.
Liv, che era all’ingresso della sala, urlò e si sentirono voci concitate alle loro spalle. Silas afferrò la ragazza per il braccio con violenza.
‒ Dammi la chiave.
‒ Silas, io…
Gliela strappò dalle gonne e la gettò indietro. ‒ E tu muoviti, bell’addormentato!
Corsero lungo il tunnel fino ad arrivare alla porta-automa. Silas infilò la chiave e iniziò a imprecare, mentre Kieran lo osservava con gli occhi gonfi di sonno.
L’automa finì di scivolare lateralmente e i due uscirono, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando la chiave nella toppa.
Silas gli lanciò spada e pistola e corsero fuori dal bordello.
‒ Non mi sento bene – biascicò Kieran, mentre il sonno ritornava.
‒ Lo so, metti un piede dopo l’altro e corri.
Qualcuno scese dal piano di sopra e uscì dalla sala degli spettacoli, urlando ordini in cagnesco.
Si sentì afferrare per il polso e trascinare avanti, impiegò qualche secondo per capire che era Silas. Cercò di seguire l’ordine, ma gli sembrava di nuotare contro corrente. Voleva solo sdraiarsi e dormire, non gli importava dove, le palpebre erano così pesanti che a malapena riusciva a tenerle sollevate.
‒ Eccoli! Prendeteli!
Un colpo di pistola gli risuonò vicino all’orecchio, ovattato, seguito da un’imprecazione di Silas.
‒ Io lo avevo detto, ma tu no, voglio venire anch’io Silas, so cavarmela Silas, io dico che sono del Ferro come un idiota, che problema ci sarà?
‒ Sei troppo… veloce – mormorò con uno sbadiglio.
Silas si voltò e pigiò un dito sulla ferita al sopracciglio. Kieran sussultò e il dolore gli diede una scossa.
Lo allontanò con una smorfia. – Ahia.
‒ Buongiorno, hai dormito bene? Potresti correre prima che ci uccidano?
Si passò le mani sulla faccia e capì di essere in mezzo alla folla di Moslon, su una delle strade principali. L’aria tossica gli grattava la gola e il naso.
‒ Dove siamo?
‒ Non possiamo tornare direttamente alla pensioncina, ci troverebbero.
Si sentì afferrare dal colletto del cappotto indietro. Qualcuno urlò vicino e le persone si scansarono. Cadde a terra e vide sopra di sé una serie di maschere che lo osservavano, altre che scappavano.
Silas prese la sua spada e la puntò contro uno dei criminali.
‒ Dateci l’artefatto e tutto andrà bene – abbaiò uno degli uomini.
Kieran si tirò di nuovo su e sentì un altro colpo di pistola. Stavolta era partito da Silas, che gli aveva sfilato anche l’arma da fuoco.
‒ Qualcuno chiami i gendarmi! – urlò una donna fra i passanti che si disperdevano terrorizzati.
Si sentì strattonare di nuovo dal suo compagno di fuga e ricominciarono a correre fra i vicoli, schivando i passanti.
‒ Ruba una maschera! – gli ordinò Silas.
Kieran si guardò attorno e cercò di strapparne una da un signore. Questo agitò il bastone per colpirlo e Silas lo trascinò di nuovo via.
Stava ridendo a crepapelle, dopo averne afferrata una. – Come si fa a essere così incapaci?
Kieran aveva il fiatone e il sopracciglio sanguinante. – Sta’ zitto, io non sono un ladro come te e ho i sensi rallentati!
Si infilarono in un vicolo senza pensarci, ma quando arrivarono in fondo si accorsero di essere in trappola.
Le voci degli inseguitori si facevano più vicine. Silas sembrò riflettere in fretta.
‒ Togliti il cappotto.
‒ Eh?
‒ Sbrigati.
Gli sfilò il cappotto e la sciarpa e li buttò a terra dietro di loro, fra la sporcizia e la melma. Silas si sciolse i capelli e li lasciò ricadere lunghi sulle spalle, si abbassò la blusa, poi spinse Kieran contro il muro, dove era più buio.
‒ Che diavolo fai – protestò il Campione, schiacciato contro la parete.
Silas però guardava verso l’inizio del vicolo, dove la luce del sole arrivava flebile.
‒ Lì c’è qualcuno! – gridò una voce.
Silas gli afferrò il viso con un gesto deciso e lo baciò, coprendo i loro volti dietro ai capelli.
Kieran si ammutolì e rimase immobile, pietrificato. Aveva gli occhi aperti e vedeva le ciglia lunghe di Silas accarezzargli le guance. Sentì alcune voci, una pericolosamente vicina a loro che si fece una risata sguaiata e poi si allontanò.
Silas aveva aperto gli occhi ed erano spostati di lato, verso l’inizio del vicolo.
Si tirò indietro e si pulì la bocca col dorso della mano. – Aspettiamo qualche minuto e poi andiamo, credo che la abbiamo scampata per ora.
Kieran era ancora contro il muro, senza il cappotto iniziava a percepire un freddo pungente.
Silas si tirò su la blusa, i capelli sciolti gli coprivano metà del viso.
Si animò e lo spinse violentemente addosso al muro, tenendo il braccio di traverso contro il suo collo. – Non provare mai più a fare qualcosa del genere!
‒ Era per passare inosservati e ha funzionato, a Moslon la gente si apparta di continuo viste le stradine, i ponti e i vicoli, e soprattutto le maschere.
‒ Stronzate! So cosa stai cercando di fare, non pensare che io ci caschi di nuovo.
Silas non si mosse. – Ovvero?
Si tirò indietro e sputò a terra. – Toccami ancora e ti rompo il braccio.
L’altro non rispose subito. Kieran era pronto a ricevere qualche battuta del cazzo ed era vicino al perdere del tutto la testa quel giorno.
Silas invece non cambiò espressione. – Mi dispiace, era soltanto per nasconderci. Smettila di frignare, non volevo farlo neanche io. In questo modo mi hanno scambiato per una donna e hanno pensato che fossimo due persone appartate – rispose, con uno sforzo evidente nel mostrarsi razionale e convincente.
‒ Non m’importa, se proprio ti vengono queste grandi idee, vedi di chiedere prima di attuarle!
Gli occhi di Silas apparivano contrariati e aveva un’espressione impacciata. ‒ Ti ho detto che mi dispiace! Quante storie…
Kieran riprese il cappotto con un gesto brusco. – Non farlo più – ribadì. – Lasciamo perdere. Io devo riprendermi dall’incantesimo, ho bisogno di riposare un attimo.
‒ Il nostro alloggio è vicino, ce la fai a proseguire?
Annuì e lo precedette, irritato.
 
*
 
Erano tornati nella pensioncina senza fiato e senza un nuovo piano. Kieran era di umore nero, aveva una nuova cicatrice in faccia, un gran mal di testa e aveva perso entrambe le maschere appena comprate. Per non parlare del gesto sconsiderato e inopportuno di Silas.
Se prima almeno godevano dell’anonimato in città, ora i criminali della Dama li avrebbero cercati e stanati come ratti. Come se non avessero già abbastanza persone alle calcagna.
Lanciò la sciarpa sul letto con rabbia e si sedette, socchiudendo gli occhi. Silas era nel loro bagno a provare nuovamente a far funzionare le tubature e la caldaia. Non aveva osato fare parola per tutto il tragitto e Kieran si era goduto una rara occasione di silenzio.
Era così infuriato, con Silas e con sé stesso, per tanti, troppi motivi.
‒ La vecchia proprietaria mi ha detto che se lascio scorrere l’acqua per un bel po’ smette di sembrare putrefatta. Ma ha consigliato vivamente di non berla però – disse a voce alta dall’altra stanza e ruppe il silenzio.
Kieran aveva davvero bisogno di un bagno, puzzava e profumava al contempo, era intorpidito dagli strascichi dell’incantesimo e voleva togliersi di dosso lo sporco di quella città fatiscente e paludosa. Voleva togliersi di dosso le mani di quella donna, l’odore delle droghe, l’immagine del giornale e il bacio di Silas.
‒ Perché hai fatto accordi con quelle persone?
La voce gli era uscita brusca e accusatoria, Silas si affacciò con le maniche arrotolate e i capelli tenuti su con il coltellino rubato a Kieran.
Devo riprendermelo al più presto.
‒ Dovevo scappare dalla capitale, te l’ho detto. Quando fuggii dall’Accademia non c’era una corriera della Legione con una coccarda di benvenuto ad aspettarmi, dovevo cavarmela da solo. Era quello o la forca.
Kieran aveva tirato fuori alcune garze e gliene passò una. – E hai accettato un pagamento del genere.
Silas le prese e si guardò le nocche spaccate; ne succhiò una, sovrappensiero.
– Non è stato il mio periodo migliore. Ma non importa, ricordo poco. Ho bisogno di lavarmi e immagino anche tu. Poi dovremmo pensare a un nuovo piano.
‒ Chi era il cliente?
Scrollò le spalle. – Un pezzo di merda, ma in ogni caso ero troppo imbottito di foglie spettro per rendermi conto di quello che succedeva. Gabrielle però mantenne la parola data.
Kieran non riusciva neanche a parlare. Non si era mai interrogato troppo su come Silas se la fosse cavata per fuggire dalla città, non aveva pensato a quanto fosse stato difficile. Se ripensava a mente fredda a lui, diciottenne, nelle mani di un animale che... no, nessuno aveva puntato una pistola alla testa di Silas costringendolo a tradire. Erano state sue scelte.
Perché allora provava rimorso? Lui non aveva alcun controllo sulle sue azioni a quel tempo. Non avrebbe potuto convincerlo a restare neanche se ci avesse davvero provato.
In quei giorni non mi ero ancora rassegnato. Lo avevo cercato ovunque ed era qui, a vendersi per sopravvivere.
Scrollò di dosso quei pensieri, non riusciva ad affrontarli, avvertiva di nuovo quella nausea lancinante aggredirlo; allo stesso tempo però sentiva di dover sapere, di dover chiedere, non importava quanto fosse doloroso.
‒ Ti fece del male? – domandò in un sussurro.
‒ Perché chiedi queste cose? – sbottó Silas con tono sconfitto. – Mi hai malmenato un mucchio di volte in questi anni e anch’io. Abbiamo provato a ucciderci a vicenda, quindi cosa importa se uno sconosciuto mi abbia fatto o no del male?
‒ Sai che è diverso, è completamente diverso.
‒ Non lo è. Potevo difendermi.
‒ Lo hai fatto? Ti sei difeso?
Alzò gli occhi verso Silas, che pareva infastidito. – La tua faccia non la pensa come la tua bocca. Non fare domande di cui non vuoi sentire la risposta. Sono certo che entrambi abbiamo passato momenti dimenticabili in questi anni. Ho fatto quello che dovevo per sopravvivere e ho avuto la fortuna di dimenticarne gran parte. Non molti possono dire altrettanto.
Voleva replicare in così tanti modi. Voleva scuoterlo, prendere a pugni qualcuno, ma rimase seduto come un idiota.
‒ Non significa che non sia stato doloroso per te.
Silas socchiuse gli occhi e agitò le mani come se volesse afferrarlo. ‒ Smettila di fare così! Smettila di dire certe frasi.
‒ Non era per compatirti.
Serrò i denti e scosse la testa. – Lo so, ma tieniti per te anche la tua empatia, e il tuo dispiacere e tutte queste emozioni. Perché non riesci a capire che non voglio sentirti dire queste cose? Ma perché cazzo devi dirle?
‒ Non sono un pappagallo addestrato che parla solo per farti contento. Se ho qualcosa che voglio dire lo dico.
‒ È tardi per esprimere il tuo dispiacere, perché non riesci a capirlo? Che senso ha pronunciare queste parole? Non riesco a capirti, sei sveglio quanto un sasso, eppure io non riesco a capirti, la dea mi è testimone. Sei discontinuo e scostante, mi fai venire il mal di testa.
Kieran iniziava a offendersi e tornò sulla difensiva. Sapeva di essere contraddittorio, ma non voleva sentirselo dire.
– Tu eri disposto ad accettare di nuovo un pagamento del genere.
Gli veniva da vomitare.
‒ Ora sono più grande. Avrei gestito tutto molto meglio!
‒ Non… ‒ sospirò, frustrato. – Non è quello il punto.
Aveva un’aria sfrontata all’improvviso. – Voi altri siete troppo rigidi. Date troppa importanza a queste cose.
Kieran scosse la testa e socchiuse gli occhi. Si passò le mani sul viso. – Ti prego, non fare mai più qualcosa del genere per una mia richiesta. Non farlo e basta. Non m’importa se lo fai per te stesso, ma non per me.
Il suo tono suonò forse troppo impercettibile, perché Silas perse l’irritazione e distolse lo sguardo. – Come preferisci. Ma anche tu hai esitato.
‒ Cosa?
Non lo guardava. – Quando Gabrielle si è rivolta a te, credevo le avresti spaccato la faccia, invece ti sei fatto tutto docile. A malapena ti riconoscevo, per un attimo ho creduto che le avresti aperto la gola, ma invece te ne sei rimasto fermo come una statua, non ti avevo mai visto così.
Kieran si avvolse la garza intorno alle nocche spaccate. – Volevo trovare un modo per non mandare tutto alla malora, tu stesso mi hai detto di non farlo – mentì, deglutendo.
Silas emanò scintille dagli occhi violetti. – Oh no caro, non osare mettermi in bocca parole del genere. Non ti ho detto di prostituirti per il piano! Uscirò pazzo a parlare con te.
‒ Hai appena detto che diamo troppa importanza a queste cose, era il tuo stupido piano e reagisci così? Inoltre, non avrei mai accettato il suo squallido accordo, volevo trovare un… compromesso.
‒ Un compromesso? Tipo un lavoro di bocca?
Si umettò le labbra, irritato. – No, razza di idiota. Speravo in qualcosa di non sessuale, ecco, ma stavo riflettendo.
‒ Lo hai davvero considerato – commentò a metà fra l’incredulo e il meravigliato. – Perché? Sei la persona più orgogliosa che conosca! Ti saresti venduto a dei criminali per un passaggio su un treno? Ma chi sei tu?
‒ Non hai nessun diritto di farmi la morale, considerato che era il tuo piano di partenza. E comunque non lo stavo considerando!
Silas alzò le braccia al cielo. – Già, ma io sono io, va bene se lo faccio io. Forse ti ho davvero picchiato troppo forte negli ultimi anni.
Kieran aveva la bocca spalancata. ‒ Cosa diavolo dovrebbe significare che va bene se lo fai tu? Non ti nascondere dietro alla cazzata che per un mezzosangue è più facile, quando sei stato proprio tu a insegnarmi che non è affatto vero!
Silas arretrò di un passo, come se avesse ricevuto uno schiaffo. – Intendevo dire che io così in basso ci sono già caduto, no? Sapevo a cosa andavo incontro.
Aveva davvero voglia di annegarlo in uno dei canali della città. ‒ Questo è ciò che mi è sempre mancato meno di te, la tua completa incapacità di ammettere quando qualcosa ti ferisce. Non avresti neanche dovuto nominarli i trafficanti se il prezzo era questo.
‒ Non avevamo molta scelta e il prezzo non era così alto.
Si alzò in piedi per fronteggiarlo. ‒ Non so cosa vuoi dimostrare fingendo che non t’importi, ma sei ridicolo. E sarei io quello orgoglioso, sappiamo entrambi che in questo raggiungi vette d’idiozia inarrivabili per me.
‒ Pensala come vuoi. Non voglio sprecare fiato con un idiota.
‒ Se sono un idiota potevi lasciare che Gabrielle andasse fino in fondo con me e accettare la sua proposta, che mi drogasse e mi portasse in una delle stanze. E tu dai a me dello scostante.
Silas incrociò le braccia e si tamponò la ferita sullo zigomo con la manica. Frappose un po’ di distanza fra loro due e rimase in silenzio per qualche secondo, corrucciato.
Kieran era già pronto a chiudere la conversazione, a mandarlo al diavolo e a farsi una bella dormita, quando l’altro si decise a rispondere.
 – Ci sono diversi modi di voler distruggere qualcuno, quello non rientra nei miei. Qualcosa del genere non farà mai parte dell’odio che ho per te. Non mi abbasserò mai a quei livelli. Soltanto perché ci troviamo su fronti opposti non significa che devo trattarti in modo così disumano. Ci sono persone, come te, che non mi sembrano in grado di riprendersi da certe cose. Non credo che riusciresti a convivere con una simile esperienza. O forse non voglio conviverci io con l’idea di aver lasciato accadere qualcosa del genere. Pensala come vuoi.
Kieran rimase immobile, risentito perché tutta la rabbia era evaporata col tono serio e impercettibile di Silas. Aveva l’espressione di chi si aspettava un discorso di tutt’altro genere. Forse un lievissimo rossore gli colorò la punta delle orecchie, ma fu costretto ad abbassare lo sguardo mentre elaborava le parole. Silas a volte era così diretto che lo destabilizzava.
Quindi è come pensavo. Lui non sa nulla di quello che è successo.
Ne era intimamente sollevato, aveva vissuto nella paura che Silas tramite la Legione avesse scoperto alcuni retroscena compromettenti. Sapeva di non doversi sentire sollevato, ma era qualcosa che non aveva le forze di affrontare. Non al momento.
‒ Sono un uomo adulto, so gestire queste situazioni.
‒ Non ne sono convinto da come hai reagito. Ed è giusto così, nessuno di noi saprebbe come reagire. Figuriamoci uno che passa tutto il tempo con quei perbenisti dell’alta società come fai tu.
Accennò un mezzo sorriso. – Ho passato molto tempo anche fra i soldati.
Si prese qualche secondo per rispondere, voleva articolare una frase, un pensiero autentico, ma alla fine tirò fuori soltanto un laconico: ‒ in ogni caso ti ringrazio.
‒ Non abbiamo ottenuto nulla se non qualche livido, non devi ringraziarmi.
Rimasero in silenzio per un po’. Kieran avvertiva una sorta di familiarità, ma non voleva abbandonarcisi. Aveva avuto un momento di debolezza e il suo arcinemico era lì a prendere le sue difese. Ciò non rendeva però Silas affidabile, evidenziava soltanto quanto Kieran fosse solo.
 Forse a preoccuparlo davvero era quella vocina nella sua testa che voleva tutto quello; che voleva vedere Silas agire a quel modo, voleva che gli importasse come gli era importato un tempo.
Peccato che non c’era stato nulla di vero.
O forse no. Ma se anche gli fosse importato per un attimo, se anche qualcosa di quel periodo fosse stato autentico e sincero per Silas, compensava con tutto ciò che aveva fatto? Si poteva tornare indietro? No. Perciò sperare era ancora più stupido, ancora più sciocco, perché al di là di quanto potessero essere volubili la lealtà e l’affetto di Silas, era lui che doveva rimanere fermo nelle sue posizioni. Era lui che non poteva ritrattare o ritornare sui suoi passi, aveva già compiuto diversi scivoloni, voltandosi a guardare indietro.
Dalia gli avrebbe detto che forse un po’ gli piaceva, infliggersi quei pensieri. Forse perché a esaminarli ancora e ancora sperava che la soluzione sbucasse chiara, come in una formula alchemica in cui si era perso un passaggio nella fretta. Ma per queste situazioni non ci sarebbe mai stata una risoluzione ovvia, poteva soltanto prendere posizione e sperare di non crollare con le conseguenze.
‒ Dovremo andare nei quartieri borghesi per prendere un abito, anche se la tua divisa sarebbe stata meglio.
Sovrappensiero com’era si limitò ad annuire. Gli importava ben poco di prendersi un vestito al momento.
Si sdraiò sul letto, esausto e ignorò l’occhiata perplessa di Silas. – L’incantesimo mi ha fatto più effetto del previsto, ho bisogno di riposare un po’.
La fattura era stata il disastro minore di quella giornata; l’incontro con Gabrielle lo aveva fatto piombare in un luogo oscuro e non sopportava che la sua fune di fuga fosse stato quel disonesto traditore.
Silas si sedette sul letto dall’altro lato, si portò un ginocchio al petto e ci poggiò un braccio sopra. – D’accordo, io mi farò un bagno. Se mi trovi morto saprai… ah no giusto, sarai morto anche tu. Beh riposati. Le botteghe chiuderanno fra tre ore, abbiamo ancora tempo.
Avrebbe voluto che non fosse così piacevole sopportare le conseguenze.
Ma forse non lo avevano ancora raggiunto.
 

 
Ciao!
Scusate il ritardo. Ho iniziato a lavorare la settimana scorsa e sono tornata a casa sempre tardi ç___ç, quindi per forza di cose tornerò a un capitolo a settimana, anche se a volte potrei scivolare di qualche giorno.
Questo capitolo è frenetico, ma impazzisco per queste situazioni xD. Sono un po’ di parte e vorrei abbracciare Silas ogni tanto :’), che ha talmente poca cura di sé stesso. Ma anche Kieran, perché è sincero solo quando si arrabbia.
A presto!
 
 
 

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Capitolo 16
*** Incubi ***





 
Incubi

XIII


 


Billy calciò la sua sedia con un sorriso da peste e Silas lo ripagò della stessa moneta fin quasi a buttarlo per terra. Si unì anche Lia e il tavolo della piccola mensa cominciò a vibrare, scosso dai colpi.
‒ Dai, non riesco a mangiare! – protestò Jo con fastidio, mentre tentava di bere la zuppa.
Billy diede un calcio particolarmente forte e la piccola Marian venne inondata da un piatto di brodaglia bollente.
‒ Basta! – lo interruppe Silas e si alzò con un saltello.
Si avvicinò a sua sorella e la controllò. Era già in lacrime, stringeva le mani sul vestitino di raso che indossava, ma non osava lasciar scappare un lamento.
‒ Su su, non è successo niente – le sorrise e le asciugò il bavero. ‒ Billy sei il solito coglione!
‒ Non puoi dire quella parola.
‒ Sì che posso.
‒ No.
‒ Sì.
‒ No.
‒ Sì.
‒ Poi ti portano nella stanza dei bambini cattivi.
Silas gli fece una pernacchia e prese Marian per la piccola mano. Doveva cambiarsi, era troppo sporca, persino i boccoli lucidi erano stati inzuppati.
Prima che potesse lasciare la sala da pranzo, la porta si aprì. La prima persona a entrare fu sua sorella maggiore, Euphemia. Aveva una guancia arrossata e gli occhi verde smeraldo che emanavano bagliori ostili. Trascinava una chioma foltissima di capelli bianchi, annodati e pieni di polvere dove strusciavano a terra. Le orecchie a punta erano piene di orecchini preziosi, aveva un portamento regale e, anche se aveva solo tredici anni, appariva molto più grande ai suoi occhi.
Tutti a tavola sorrisero a vederla, ma persero presto la contentezza quando dietro di lei uscì Leroy.
‒ Lia? Vieni con me un attimo per favore ‒ vociò l’uomo e agitò la mano guantata.
La voce era roca per i sigari che fumava a ogni ora del giorno, fino a impregnare gli abiti, i capelli e gli occhi di chi gli stava vicino.
La bambina sbiancò e le piccole squame sulla sua pelle fremettero. ‒ Non mi sono comportata male!
‒ Ma certo. Non ti preoccupare. Saluta gli altri, li rivedrai dopo.
Si voltò a guardare Silas, terrorizzata. Si avvicinò a lei dandole la mano e cercò di metterla dietro di sé. ‒ Lia deve finire di mangiare – provò a dire, incerto.
‒ Vuoi venire tu al suo posto?
Il cuore gli batteva a mille, aprì la bocca per rispondere, ma Euphie si frappose. ‒ Lia, non fare scenate. Ci rivedremo più tardi.
La bambina scoppiò a piangere, ma l’uomo non si lasciò impietosire e la trascinò via per un braccio nel silenzio generale. Silas sentiva la paura rimbombargli nelle orecchie, la mano era sudata dove aveva stretto quella di Lia.
‒ Silas, mi accompagni nei giardini?
Sua sorella lo guardava con occhi eloquenti: voleva parlargli. – Marian si è sporcata con la zuppa, volevo cambiarla.
Gli piaceva prendersi cura dei più piccoli, Euphie si occupava sempre di tutti e lui voleva aiutarla.
Infatti si accorse dello stato in cui riversava la piccola e allungò entrambe le mani. Una la prese Marian e l’altra la prese Silas.
‒ Voi fate i bravi e finite di mangiare.
Uscirono e raggiunsero presto i giardini. Le temperature di inizio estate erano miti e Euphie sfilò il vestitino alla bimba, lasciandola in biancheria.
Si sedettero all’ombra del vecchio salice, cullati dalle fronde e dalla brezza estiva.
I prati che circondavano la villa sembravano acquosi e sfumati, ondeggiavano di fronte ai suoi occhi.
Silas però guardava oltre, verso l’ala est dell’edificio grottesco che li sovrastava, dov’erano le stanze per i bambini cattivi. O almeno così li chiamava sua madre.
Marian iniziò a giocare con i fiori, strappandoli e portandoseli in bocca, le sue orecchie erano molto lunghe anche per una mezzosangue e le muoveva quando era felice.
Euphie la guardò e sorrise, poi si rivolse a Silas. ‒ Non metterti in mezzo quando Leroy viene a prendere i bambini.
‒ Lia non è stata cattiva. Non ha fatto niente di male! Io sono più cattivo di lei – protestò. ‒ Rispondo sempre male e combino un mucchio di disastri. Lia è stata sempre brava.
Euphie guardò verso il sole, senza distogliere lo sguardo. ‒ Silas ora voglio dirti una cosa: non esistono i bambini cattivi. Esistono solo adulti cattivi. Questo è come un gioco e noi dobbiamo vincerlo.
‒ Non mi piace questo gioco. A Billy quando lo hanno portato nelle stanze dei bambini cattivi gli hanno tolto un dito.
Sua sorella aveva uno sguardo così stanco ed emaciato. Prese la piccola Marian che si era capovolta e le tolse un insetto di mano, pulendole la terra dalle dita.
‒ Silas… non ti devi affezionare troppo, loro non rimarranno per sempre con noi.
Aggrottò le sopracciglia. Per qualche motivo temeva già quella possibilità. ‒ Perché? Sono nostri fratelli.
Si passò le dita sugli occhi. ‒ Lo so, ma non sono stati… abbastanza forti. Non sono abbastanza potenti. Noi siamo stati scelti come eredi.
Non gli piaceva quel discorso. Le strinse le gonne. ‒ Io voglio che restiamo tutti insieme e andiamo sull’isola delle fate dei dolci.
Euphie rise. ‒ E cosa sarebbe?
Scrollò le spalle. ‒ Non lo so, Jo dice che c’è stato ‒ replicò, divertito.
‒ Non dovresti credere a tutto quello che ti dice.
Ridacchiò. ‒ Faccio finta di credergli, perché lo fa stare meglio quando non si sente bene.
Sua sorella gli carezzò i capelli e lui chiuse gli occhi. Era raro che lo toccasse, ma a lui piaceva ricevere quei gesti, avrebbe voluto che succedesse più spesso.
‒ Silas, loro non rimarranno con noi. Non tutti i mezzosangue sono forti allo stesso modo.
‒ Io posso aiutarli. Posso svolgere i loro compiti e fare alcune magie al loro posto.
Euphie scosse la testa. ‒ Non servirebbe – disse, malinconica.
Silas aiutò Marian ad alzarsi e questa gli strinse la manina sulla camicia. ‒ Anche lei? – domandò con un filo di voce.
Sua sorella guardò la piccola. ‒ È troppo presto per dirlo, se sarà adatta, i Vaukhram la terranno.
‒ Altrimenti?
Euphie osservò la villa, gli occhi incavati. ‒ Terranno soltanto quello che gli servirà di lei.
Silas non era certo di che cosa volesse dire, ma sembrava qualcosa di brutto, perciò strinse le dita in quelle della sua sorellina e la avvicinò a sé. Non voleva che le capitasse nulla.
‒ Vorrei così tanto che tu non dovessi farti carico di questa cosa come me. Sono stanca, di vedere i miei fratelli sparire – sussurrò e la sua voce s’incrinò.
Gli diede un buffetto e Silas strizzò gli occhi. Vedere sua sorella con gli occhi umidi lo innervosiva, non era abituato.
‒ Ma noi dobbiamo andare avanti e vincere il gioco.
‒ Perché?
Sua sorella gli sorrise; aveva i denti affilati e le labbra sottili si distesero a mostrarli. I suoi occhi, le cui palpebre si aprivano in orizzontale, luccicarono.
‒ Perché quando saremo abbastanza potenti, uccideremo tutti gli adulti cattivi.

*
 
Quando Kieran riaprì gli occhi, sentiva di averli umidi, ma non aveva idea se fosse stata la stanchezza o il sogno.
Si tirò a sedere con flemma, spaesato. Aveva i capelli rossi arruffati e il viso intorpidito. Si passò le mani sulla pelle, mentre i volti dei bambini offuscavano ancora i suoi pensieri.
Billy, Jo, Lia, Marian.
Euphiemia.
Che razza di sogno era quello? Non c’era nulla di familiare, il luogo, le persone, i nomi. Troppo vivido per essere un normale sogno, anzi un incubo. Gli adulti avevano volti scuri e grotteschi, le loro voci rimbombavano e l’ala est della villa era cadente e spaventosa.
Si portò una mano al petto, il cuore contratto da una morsa di angoscia e terrore.
‒ Silas? ‒ chiamò, confuso.
Nessuno gli rispose. La pensioncina era vuota. Era uscito mentre lui dormiva?
Si allarmò subito e cercò di alzarsi dal letto, ma sentiva le gambe malferme.
Doveva ricordare quel sogno. Ripeté i nomi ad alta voce mentre indossava gli stivali e prendeva il cappotto.
Si fermò quando vide una nota scritta in una calligrafia elegante.
Sono andato a cercare un abito adatto per te. E se anche non fosse così, è inutile che ti metti a cercarmi, non mi troveresti. Aspetta e fai il bravo cane da guardia.
Guardò con irritazione la nota mentre si risedeva sul letto, passò una mano fra i capelli e le dita rimasero impigliate nei nodi.
Euphemia.
Era certo che fosse la sorella maggiore di Silas, gliene aveva parlato in passato, pochissime volte. Era venuta a mancare quando lui aveva quattordici anni, forse meno, ma non gli aveva mai raccontato le circostanze. Nel sogno era una mezzosangue maestosa, pur avendo solo tredici anni aveva un’aura di potere e un aspetto da adulta. Possibile che fosse lei?
Conosceva anche il nome di Marian Vaukhram, come tutti d’altronde. Nel sogno era una bimba dagli occhioni lucidi, molto diversa dalla figura di cui aveva spettegolato l’alta società per settimane. Era infatti l’attuale erede dei Vaukhram, subentrata quando Silas aveva tradito. La aveva incontrata un paio di volte, una ragazza dallo sguardo di ghiaccio, maga del Diaspro.
Non aveva invece mai sentito di altri fratelli, ma Silas parlava molto poco della sua famiglia anche da ragazzo. Sapeva che sua madre era una persona discutibile, un po’ come ogni singolo Vaukhram, e Silas aveva sempre avuto un rapporto instabile con loro.
Nel sogno però c’era qualcosa in più. Qualcosa di orrendo e atroce, una sensazione di paura e orrore che non sapeva spiegarsi. I dettagli iniziavano già a disperdersi e cercò di afferrarli.
Silas mi aveva chiesto dei sogni, ha combinato qualcosa?
Decise di scendere e andare a comprare carta e inchiostro, voleva appuntarsi il sogno per non scordare neanche un dettaglio. Si toccò le tasche e notò che i soldi erano spariti. Guardò meglio intorno e con immenso disappunto si accorse che mancavano anche le sue armi.

*
 
Silas camminava mascherato per le strade e i canali di Moslon. Era nella zona borghese, dove le vie e le piccole piazze erano pulite, l’aria più respirabile e i fiori dei balconi davano un tocco di colore e brillantezza. Le maschere erano ben diverse da quelle dei pontili: vistose, riccamente decorate di oro e argento, piene di richiami al mondo fatato, da corna nodose, ad ali di farfalla intorno ai buchi degli occhi. I più altolocati si distinguevano perché le maschere erano composte da parti fatate autentiche, che fosse la pelle, i capelli o le ossa. Si potevano riconoscere dagli avvoltoi che gli ronzavano intorno, arrampicatori sociali e donne di malaffare.
Silas aveva una maschera molto semplice e saltava all’occhio con quegli abiti. Per questo aveva minacciato e derubato un giovane riccastro piuttosto ubriaco, prendendogli vestiti e maschera. Il poveretto aveva capito a malapena cos’era accaduto, ma si sarebbe ripreso. Non erano che pochi spiccioli, Silas lo sapeva bene.
Camminare da solo per quelle strade, armato, gli aveva restituito un briciolo di controllo, di lucidità. Era di nuovo in possesso della propria libertà, per quanto mutilata. Ogni volta che provava a evocare la magia, sentiva quell’innaturale immobilità, quel silenzio disturbante. Era doloroso, non sapeva spiegare o paragonare quella mancanza a nient’altro, ma era logorante continuare a provarci senza ricevere risposta dal suo corpo.
Le armi che aveva preso da Kieran gli davano un leggero conforto, ma non sufficiente a eguagliare la sua magia.
‒ Bell’abito, anche se troppo audace ‒ commentò un uomo, notando che stava osservando la vetrina di una bottega.
Era di fronte al negozio di una sartoria piuttosto in vista, gli abiti esposti erano di ottima qualità e alla moda.
‒ Troppo audace mi piace ‒ rispose, divertito. ‒ Vuol dire che mi si noterà.
L’uomo non sembrava concordare troppo, ma Silas s’incamminò via con un gesto educato del capo. Per ora si sarebbe limitato a osservare alcune vetrine, sarebbe tornato più tardi o l’indomani con Kieran a comprare un abito per il suo incontro con il governatore. Kieran non si era mai tolto di dosso quell’aria da popolano fuori luogo, anche quando aveva iniziato a guadagnare, comprava vestiti di cattivo gusto o poco eleganti. Si esaltava di fronte a pacchianate improponibili, all’Accademia si era presentato con un farsetto color oro che sembrava uscito da una commedia satirica del secolo scorso. Il che lo aveva sempre divertito, Kieran al tempo era così genuino anche sul vestire.
Quel ricordo gli strappò un sospiro indesiderato. Che cosa gli era saltato in mente nel vicolo? Era convinto di poterlo baciare in modo del tutto disinteressato e che l’altro avrebbe capito le sue motivazioni. Non si era aspettato una reazione così violenta.
So cosa stai cercando di fare, non ci cascherò di nuovo.
Voleva davvero mostrarsi intoccato da quell’accusa, perché rimanere feriti da certe parole era così banale e lui detestava essere banale.
Kieran doveva essersi convinto in quel suo cervellino bacato che tutto ciò che era accaduto fra loro all’Accademia fosse stato una sorta di gioco per lui. A volte temeva davvero di avergli provocato qualche trauma cranico di troppo negli anni, perché soltanto un povero imbecille poteva giungere a una simile conclusione. O qualcuno con giganteschi problemi di autostima e forse Kieran era entrambe le cose. Era sempre stato ansioso e insicuro all’Accademia, sempre a dubitare della sua amicizia, della sua stima, dei suoi sentimenti, sempre a volere conferme come un cane affamato.
Non era più quel ragazzino, ma forse si teneva ancora alcuni strascichi, come d’altronde tutti quanti.
Si spazzolò i capelli incastrati fra la maschera e sospirò di nuovo, seccato.
No. Doveva smettere di vedere in Kieran la stessa persona dell’Accademia. Era cambiato fin troppo, in lui c’era qualcosa di molto più cupo; forse in parte era colpa sua, non ne aveva idea, ma non doveva farsi illusioni.
Kieran lo avrebbe riportato in cella. Lo avrebbe di nuovo trascinato in mano a quelle persone che volevano abusare di lui, ucciderlo e smembrarlo. Una volta tolto il vincolo non avrebbe esitato, e, per quanto detestasse ammetterlo, sul piano fisico non riusciva più a contrastarlo come ai tempi dell’Accademia. Negli ultimi anni si era allenato soprattutto da un punto di vista magico, aveva tralasciato l’addestramento fisico dell’Accademia. Tirava ancora di scherma, si addestrava per rimanere in forma, ma non dedicava lo stesso ammontare di tempo di Kieran.
Senza la sua magia non avrebbe potuto vincere facilmente uno scontro fisico, non senza giocare sporco. Se fossero arrivati a quel punto, se Kieran lo avesse sopraffatto per imprigionarlo ancora, si sarebbe ucciso, dunque era meglio evitare di ritrovarsi in quella situazione.
Si fermò di fronte a un pub dall’aria silenziosa. Un piccolo automa a forma di cameriera si levava meccanicamente il cappello a dare il benvenuto. Un impercettibile simbolo era inciso sulla parete, fra i fiori, quasi invisibile alla maggior parte di passanti.
Socchiuse gli occhi. Sapere che la stessa persona che sarebbe morta per lui ai tempi dell’Accademia, ora non si facesse alcuno scrupolo a riconsegnarlo in mano a quei mostri lo feriva più di quanto avrebbe voluto ammettere. Probabilmente neanche se avesse implorato, Kieran si sarebbe impietosito al punto da lasciarlo andare, e questa consapevolezza lo nauseava. Non che avrebbe mai potuto pregarlo, il suicidio era una via più accettabile per lui.
Il vincolo mi ha salvato la vita. Non Kieran. Kieran mi avrebbe lasciato morire. Ha lasciato che mi torturassero.
Certo, era passato prima del processo a chiedergli se volesse vivere, a blaterare che poteva intervenire. Come se qualcuno gli avrebbe mai dato retta, a volte non si rendeva proprio conto del mondo in cui viveva. Forse voleva provare a pulirsi la coscienza o forse non voleva vederlo morire, ma i suoi tentativi per aiutarlo erano stati inesistenti.
Aveva sempre pensato che fosse giusto così, che anche lui avrebbe avuto la stessa freddezza e lo stesso distacco nella situazione inversa.
Ma era davvero così?
Guardò la boccetta con il ricordo di Kieran.
Sarebbe stato capace di lasciarlo morire? Di consegnarlo a Cavana e disinteressarsi della sua sorte?
Non era affatto certo della risposta.
‒ Si va in scena.
Entrò nel pub dopo aver preso un bel respiro. Venne subito accolto da un forte odore di alcool e stufato, cibo cucinato e speziato. Il cambio di luce gli ferì gli occhi, l’interno del pub era molto più scuro, le uniche luci provenivano da lampade a gas deboli, le finestre erano chiuse dalle tapparelle.
Era piccolo e raccolto, neanche quattro tavoli vicini fra loro, con sgabelli alti e dai cuscini morbidi, qualche poltroncina accanto al caminetto acceso e un bancone intagliato sul fondo. Le pareti erano decorate da maschere del secolo scorso, più grosse e rozze, ma funzionali e resistenti. Una grande mappa decorata della vecchia Moslon, prima della costruzione delle fabbriche, ricopriva la parete vicino al caminetto.
L’ambiente era piuttosto vuoto, un paio di individui parlottavano fra di loro nel tavolino più remoto, mentre bevevano da piccoli bicchierini in vetro. L’oste era seduto vicino al bancone e stava sonnecchiando, in attesa dei clienti serali.
Silas si avvicinò senza attirare troppo l’attenzione su di sé, si sfilò la maschera soltanto quando fu di fronte al taverniere. Si schiarì la gola e lo svegliò.
Gli allungò due ottoni, mentre veniva osservato.
‒ Vorrei mettermi in contatto con la Libellula.
Aveva parlato in un sussurro. Gli occhi dell’uomo persero l’offuscamento dato dal sonno e divennero affilati.
‒ Voi due, fuori.
‒ Come?
Ripeté il comando ai due clienti, che ubbidirono contrariati. Quando furono da soli, il taverniere tirò fuori dal bancone una vecchia pistola e osservò Silas.
‒ Sono passati un paio d’anni, quindi forse non ti ricordi di me ‒ provò a dire il mezzosangue con un tono amichevole.
Grugnì. ‒ Mi ricordo eccome di te, Falena. La Libellula è impegnata, non può stare dietro a un traditore.
‒ Che parola forte, non credi? Se tu potessi mettermi in contatto con lui, sono certo che potrei offrirgli qualcosa d’interessante.
‒ Vattene.
Silas portò una mano alla propria pistola e la estrasse. ‒ Non credo che lo farò.
Prima che potesse trasformarsi in una sparatoria, una figura si affacciò dalle scale. ‒ Fermati Coz.
Un mezzosangue scese al piano inferiore, trascinando due ali sottili e rovinate, troppo logorate per potersi librare. Il volto femmineo era allungato e furbo, gli occhi neri assonnati.
‒ Falena, ti aspettavo.
La sua voce era sempre sottile, non alzava mai il tono e non era possibile sentirlo in mezzo alla confusione. Scese qualche scalino, poi si avvicinò a Silas con un sorriso stanco e lo abbracciò.
Questo ricambiò la stretta, impacciato e gli sembrò di venire riscaldato dopo l’umidità delle strade.
‒ Non credevo che fossi qui, sapevo che eri in zona, ma non speravo di incontrarti già oggi.
La Libellula si stiracchiò. ‒ Dicevano che saresti passato per Moslon. Cavana mi ha dato ordine di tenere gli occhi aperti, quindi sono qui.
Alzò un sopracciglio. ‒ Per uccidermi?
‒ No, per il Campione ‒ e sbadigliò.
Non riusciva a capire l’interesse improvviso di Cavana per Kieran, prima che venisse catturato non nutriva la benché minima attenzione per lui, anzi, biasimava sempre Silas per l’eccessivo tempo che dedicava a ostacolarlo.
‒ Non… contatterai Cavana per me, Zeph?
La sua risata era appena nasale, ma gli suonava familiare. ‒ No. Non mi riguarda, io gestisco i reclutamenti. Inoltre hai sempre fatto di testa tua, il capo avrebbe dovuto capirlo prima. Perché mi sei venuto a cercare?
Fece un gesto a Coz che iniziò a preparare due bicchieri. Fece per prendere un liquore qualsiasi, ma Zeph gli lanciò un’occhiataccia e il barista sospirò irritato, prendendo un whiskey dall’aspetto più costoso.
‒ Sono qui per… patteggiare. Credevo fossi in missione.
‒ Moslon è la mia giurisdizione e avevo degli ordini. Forse ti risulta bizzarro che qualcuno li segua, ma normalmente è così che funziona ‒ rispose ridacchiando.
Ricambiò il ghigno e sollevò il bicchiere. ‒ Immagino. Possiamo parlare?
Silas si accomodò su uno degli sgabelli e ripose la pistola, mentre Zeph si accomodò sull’altro, stendendo le ali malridotte. Non riusciva mai a distogliere lo sguardo, gli ricordavano quelle di suo fratello Jo, eleganti, ma martoriate.
 Avere le ali per un mezzosangue era davvero raro e valevano una fortuna, Silas non poteva fare a meno di guardarle, così sottili, eteree, e così logorate. Erano strappate in più punti, avevano dei buchi dove i proiettili avevano forato e dove i coltelli avevano inciso.
‒ Spero di poter essere trattato come se fossi in terra neutrale.
La Libellula bevve il bicchierino. ‒ Smettila di stare sulla difensiva, se avessi voluto ti avrei già ucciso, no?
‒ Arrogante, come sempre.
‒ Detto da uno come te è un complimento. Vuoi patteggiare, bene, che cosa vuoi che faccia?
Gli era mancato Zeph. Non sempre erano andati d’accordo, soprattutto per quel piccolo problemino riguardante la violenza incontrollata che talvolta assaliva la Libellula, ma aveva un vissuto simile al suo, erano sempre riusciti a capirsi. Purtroppo non tutte le ferite di Zeph erano visibili, alcune avevano lasciato segni permanenti nel suo io che non si sarebbero rimarginate. Dovevano essere ferite infette e dolorose. Aveva visto quegli occhi apatici accendersi soltanto di brutalità o terrore. A volte sembravano le uniche due emozioni che ancora coloravano il suo sguardo: avere paura o infliggerla.
Era sempre un monito sul genere di persona che Silas non voleva diventare. Per quanto fosse meschino pensarlo di un amico.
Ticchettò il bancone con le dita. ‒ Che tu contatti Cavana. In cambio del suo perdono, potrei offrirle qualcosa di valore.
Zeph tirò fuori una piccola scatola di metallo dorato e ne estrasse una sigaretta. La accese su una delle lampade ed espirò una boccata di fumo.
‒ Fatico a crederti.
Sorrise. ‒ Ho un ricordo molto… compromettente sul Campione. Qualcosa che voleva gelosamente custodire. Glielo offrirei, come ammenda.
L’interesse balenò sul volto della Libellula. ‒ Un ricordo di che tipo?
‒ Dovrete consumarlo per scoprirlo, ma gli è stato sottratto dalla Crisalide, che lo ha donato a me. Mi ha assicurato che è qualcosa di scandaloso. Visto che Cavana in questi giorni è così ossessionata da lui.
La Libellula rise e le sue ali vibrarono. ‒ Tu non hai idea del perché, vero?
‒ No e neanche m’interessa.
‒ E pensare che sei quello che lo conosce meglio fra di noi.
Frenò l’irritazione. ‒ Non m’importa dei suoi sporchi segreti, saranno qualcosa di noioso come la sua intera personalità. Voglio solo tornare a bordo, non ho ancora finito con i Vaukhram. Sono ancora in piedi e il Gran Consigliere con loro. Si stanno già riprendendo dal mio arresto, non impiegheranno molto a trovare altri mezzosangue e a ricominciare le loro attività.
‒ Questo è sempre stato il tuo problema, Falena. Tu guardi soltanto alla singola situazione e non al grande piano.
‒ Io guardo alle vittime, me ne fotto del grande piano.
La Libellula girò il mignolo nel suo bicchiere e se lo leccò sovrappensiero. Le sue unghie erano lunghe e ingiallite. ‒ Dammi il ricordo.
‒ Non così in fretta. Non l’ho portato con me. Contatta Cavana, voglio la sua parola.
‒ Come vuoi. Drake non la finisce più di cercare di farti perdonare, sai?
A quelle parole sentì un tocco di calore e la sua espressione divenne vulnerabile per qualche secondo.
‒ Quando mi consegnerai il ricordo?
‒ Nel momento in cui avrai contattato Cavana.
La Libellula sbuffò. ‒ Facciamo fra tre giorni allora.
‒ Troppo tempo.
Scoprì appena i denti. ‒ Due giorni, prima non è possibile.
Guardò l’alcool nel suo bicchiere. Avrebbe trovato un modo per temporeggiare, Kieran non poteva andarsene senza di lui.
‒ D’accordo. Se mi accorgerò che hai chiamato rinforzi o altro, distruggerò il ricordo.
 

Kieran aveva camminato per la stanza come un animale in gabbia, ripromettendosi di strangolare Silas al suo ritorno. Nella mente gli si affacciava ogni genere di scenario nefasto, da fabbriche esplose a nobili uccisi. Per non parlare dei criminali alle loro calcagna, se lo avessero trovato? Sapeva difendersi, ma era comunque da solo.
Perché si era addormentato? Perché non era rimasto vigile?
Mentre imprecava contro sé stesso, la porta si aprì e lasciò entrare un Silas stanco e abbigliato con vestiti non suoi. Aveva una camicia fin troppo elegante e un cappotto di buona fattura.
Gli diede giusto il tempo di togliersi la maschera, prima di afferrarlo per le spalle e sbatterlo contro il tavolo.
‒ Che cos’hai fatto?
Silas guardò la posizione in cui erano e aprì la bocca per fare una battuta, ma la richiuse quando si accorse dell’espressione furibonda di Kieran.
‒ Ho comprato dei dolciumi da un fornaio e ho guardato per il tuo abito. Erano squisiti, ho ancora le dita appiccicose per lo zucchero.
A rimarcare ciò gliele passò in faccia e sulle labbra. ‒ Assaggia.
Kieran gli afferrò i polsi con una mano. ‒ Perché hai preso le mie armi?
‒ Per difendermi in caso gli uomini della Dama mi trovassero.
‒ Non puoi uscire senza il mio permesso, sei un prigioniero. Non te lo scordare, non sei libero di fare come ti pare. E non lo sarai mai più.
Gli occhi di Silas si incupirono. ‒ Non sei il primo che me lo dice. Eppure eccomi qui, fuori dalla gabbia.
Lo tirò su in piedi tenendolo dal colletto. Gli prese le armi e i soldi, poi lo spinse via.
‒ Ti stai prendendo troppe libertà, forse hai scordato la natura del nostro accordo e pensi che sia una gita di piacere.
Silas si tastò il collo dove il colletto della blusa lo aveva stretto. ‒ Io non dimentico proprio un bel niente. Sei tu che non dovresti abbassare la guardia.
Gli lanciò un’occhiata contrariata e si stropicciò gli occhi. ‒ Non mi serve un abito per incontrare il governatore.
Silas lo esaminò da cima a fondo. ‒ Forse non ti sei accorto che hai vestiti sporchi di sangue e fango.
‒ Odio queste perdite di tempo. Che cosa importa di quello che indosso, sono in missione per quanto gli riguarda.
‒ Ascolta: già sembrerà sospetto che chiedi a lui per due posti in aeronave senza rivolgerti al Ferro, se ti presenti in queste condizioni apparirai colpevole di qualcosa. Hai pensato a una scusa?
‒ Credevo di dirgli che sto indagando su alcuni membri corrotti del Ferro e quindi non posso rivolgermi a loro.
Silas accennò un sorriso. ‒ Mi piace. Hai davvero un talento per l’inganno come mi raccontasti all’Iniziazione.
Il complimento non gli suscitò alcun piacere; ricordava ancora vividamente la loro conversazione durante l’Iniziazione.
Io so mentire molto bene, il fatto che tu non te ne sia accorto dimostra che è vero.
Kieran aveva gli occhi umidi quando gli aveva raccontato di quel piccolo scorcio di sé stesso, ancora oggi si pentiva di quell’ammissione.
‒ Andiamo a prendere l’abito, dovremo parlare di alcune cose.

*
 
Tornarono insieme di fronte alla vetrina che Silas aveva sbirciato quel giorno, muovendosi fra la folla nel tentativo di non dare nell’occhio.
Il sole stava tramontando su Moslon e il lago paludoso luccicava sotto i raggi del sole morente. Le temperature avevano iniziato a calare e una lieve nevicata scendeva sui tetti e sulle strade.
I mendicanti e gli operai della parte sprofondata sparivano lì fra i quartieri emersi, le vie erano pulite e ben tenute, i lampioni funzionanti e s’intravedevano anche alcune vaporette.
 Kieran continuava a ripetere nella propria testa il discorso da rivolgere al governatore, ma non era certo di ricevere aiuto. Due biglietti su un’aeronave non erano chissà quale richiesta per una persona ricca, ma anche il più piccolo favore poteva essere un pretesto per chiedere qualcosa in cambio.
Continuò a rimuginarci anche quando si trovò di fronte la vetrina del negozio, la maschera che aveva appena comprato gli sfregava i punti dove era stato ferito per la rissa e lo soffocava.
‒ Costa troppo ed è vistoso e appariscente.
‒ Non vedo cosa ci sia di male.
Kieran adocchiò un altro abito, con le spalle bombate di un’ocra sbiadito. ‒ Quello mi sembra più adatto.
Silas roteò gli occhi. ‒ Puoi per cinque secondi smettere di comportarti da contadinotto senza buon gusto? È color vomito ed è inguardabile.
‒ Vai a farti fottere.
‒ Sai che è molto probabile che il governatore ti chiederà di presenziare al suo ballo in cambio dei biglietti? Il ballo è domani.
Arricciò il viso. ‒ Non abbiamo tempo per queste scempiaggini e inoltre è troppo rischioso.
‒ Il governatore, come i suoi predecessori, deve aver pestato i piedi a qualcuno per finire a occuparsi di Moslon. Nessuna persona davvero importante dell’alta società di Railia parteciperà al suo ballo, Moslon è una città fatiscente e viene evitata e derisa da chi conta davvero. Far presenziare te porterebbe un po’ di prestigio alla serata.
‒ Non ha alcun senso. Non sono nobile.
‒ No, infatti, per questo sei interessante. Sei nel tuo picco di celebrità, la gente vuole sapere di te e della tua storia.
 Kieran cessò di dargli corda, non sarebbero mai stati d’accordo. Era un piano fin troppo rischioso per lui, avrebbe dovuto reggere un’intera serata di domande e menzogne.
‒ Non sarebbe meglio parlare direttamente con sua figlia, Susanne? Lo hai detto tu stesso che lei è più disponibile. Sanno tutti che è una simpatizzante della Legione ed è donatrice e membro attivo del Movimento di Liberazione dei Discendenti.
Silas infilò le mani nelle tasche del cappotto e osservò la vetrina con occhi persi. ‒ Passiamo a un altro negozio.
S’incamminò verso un’altra bottega, senza aspettarlo. Kieran si accorse di come aveva accelerato il passo e gli andò dietro.
‒ Lei ti aiuterebbe, ci aiuterebbe.
‒ Quest’abito forse smorzerebbe quella tua faccia sempre incazzata.
Kieran assunse l’esatta espressione descritta. ‒ Non credevo che fosse un argomento così delicato per te. Allora esiste qualcosa che ti mette in difficoltà. Le parlerò io, non farò il tuo nome.
Silas aveva il volto coperto dalla maschera, ma il suo silenzio era preoccupante. ‒ Non so se sia una buona idea. Lo avevo proposto prima di sapere la situazione alla capitale. Ormai verrà fuori che sono evaso, se la coinvolgiamo potrebbero scoprirla.
Quelle parole furono uno schiaffo in pieno viso per Kieran. ‒ Vuoi farmi credere che ti importa di lei? ‒. Si fermò per concedersi una risata. ‒ Non farmi ridere adesso.
Scosse la testa, impassibile di fronte all’accusa. ‒ Credi quello che vuoi.
‒ Se la sua famiglia è caduta in disgrazia, la colpa è tua.
Non sapeva perché fosse arrabbiato, forse perché a Silas non importava di rovinare la sua di vita, mentre si faceva scrupoli con altri. Non con una persona qualsiasi poi, ma con la donna che era stata sua amante durante il secondo anno all’Accademia per giunta.
Non si difese dall’accusa. ‒ Proprio per questo non voglio causarle altri guai. Susanne ha troppo da perdere.
‒ Ma vuoi che coinvolga suo padre.
‒ Il governatore è una persona separata, lei ne uscirebbe danneggiata, ma in piedi. Se invece la colpa dovesse ricadere su Susanne, potrebbero arrestarla.
Kieran scosse la testa. ‒ E pensare che sei stato tu ad abbandonarla. Chi immaginava che fossi ancora così preso da lei.
Silas sospirò, irritato. ‒ Non parlare di cose che non sai. È una brava persona e non voglio nuocerle ancora. Non c’entra niente il passato.
Quella delicatezza non si accordava proprio al suo carattere. Kieran dopo anni riusciva ancora a sorprendersi per lati di Silas che non conosceva o che non immaginava. E a ingelosirsi.
Sono davvero patetico.
Ricordava le voci che circolavano al loro secondo anno di Accademia. Lui era uno dei pochi a saperne la vera natura; Silas aveva sviluppato dei sentimenti profondi per Susanne ed era stato quel periodo a cambiare davvero il loro rapporto. Forse perché lui si era reso conto di provare qualcosa che andava ben oltre l’amicizia, o forse perché vedere Silas avere quello sguardo premuroso verso un’altra persona gli aveva lasciato un vuoto dentro che non era riuscito a spiegarsi per diversi mesi.
Alla fine dei conti Silas non aveva potuto continuare quella relazione, la sua famiglia si era messa di mezzo a causa del rango basso di Susanne. Qualunque cosa fosse successa, aveva mandato Silas sull’orlo di una crisi. Aveva scatenato una violenta rissa con alcuni cadetti più grandi e aveva rischiato di farsi cacciare. In quei giorni non era mai in camera e le sue… attività notturne erano diventate più spudorate.
‒ Allora non la coinvolgerò ‒ concordò.
Notò il piccolo sospiro di sollievo uscire da Silas. Non sapeva come sentirsi di fronte a quella reazione. Lo rincuorava sapere che era ancora capace di provare preoccupazione per gli altri. D’altronde lo sconfortava capire che quel sentimento non sarebbe più stato rivolto a lui.
Smettila.
‒ Silas… hai mai avuto dei fratelli di nome Billy, Jo e Lia?
Gli occhi del mezzosangue dietro le lenti della maschera si sbarrarono, sconvolti. Rimase per una manciata di secondi in silenzio, poi sembrò risvegliarsi.
Spinse Kieran verso l’ombra di un vicolo, dove non sarebbero stati ascoltati. Si sfilò la maschera appena e rivelò un colorito esangue.
‒ Li hai sognati?
‒ Sì… credo, era tutto molto vivido. Come fai a saperlo? Cosa mi hai fatto?
‒ Non ti ho fatto niente, imbecille. Ti ho spiegato sul treno che la natura del nostro Vincolo potrebbe essere peggiore di quello che pensiamo. E questo lo conferma. Si sta evolvendo.
La risposta iniziò a preoccuparlo, ma cercò di mantenere la calma e capire meglio la situazione. ‒ Potresti essere più chiaro? Non tutti abbiamo studiato magia come te.
Silas abbassò gli occhi. ‒ Cos’hai sognato?
Cercò di riflettere e ricordare più dettagli possibili. ‒ Ho sognato di essere te. Ero in una villa e mangiavo con altri bambini. Poi un uomo veniva a prendere la bambina di nome Lia e una ragazza di nome Euphemia mi portava nei giardini per parlarmi.
Silas indietreggiò appena come se fosse stato colpito. ‒ Allora è così, non sono solo sogni. Sono ricordi. Questo è un mio ricordo.
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Un tuo ricordo? Non sapevo che avessi fratelli e sorelle, mi avevi parlato solo di Euphemia e Marian.
Il volto di Silas era una maschera di dolore all’improvviso. ‒ Loro non sono sopravvissuti. Billy, Jo e Lia sono morti molti anni fa.
All’improvviso l’angoscia del sogno sembrò riafferrargli il petto e sentì una vampata di rabbia e dolore che non seppe spiegarsi. Fece un passo avanti, perché in qualche modo vedeva di aver sconvolto Silas.
‒ Mi dispiace ‒ mormorò e si sentì davvero stupido a non essere in grado di dire altro. ‒ Sembravano dei bambini davvero dolci. Io non avevo idea…
Sapeva di dover riflettere sul perché avesse sognato i fratelli scomparsi di Silas, ma in quel momento non riusciva a non guardare i suoi occhi spenti e addolorati.
‒ Lo erano.
‒ Perché non me ne hai mai parlato?
Era ipocrita a chiedere qualcosa del genere, ne era consapevole.
‒ Perché poi avrei dovuto dirti anche com’erano morti e non è qualcosa che voglio fare. In ogni caso anch’io ho sognato alcuni tuoi ricordi. È evidente che quando dormiamo a volte il Vincolo si diverte a farci rivivere momenti dell’altro.
Kieran si era soffermato sulla prima parte della risposta, ma il brusco cambio di argomento lo prese alla sprovvista. Impiegò quasi un minuto intero per elaborare e pian piano perse ogni traccia di colore in viso. Afferrò Silas per la giacca, gli occhi sgranati.
‒ Cos’hai sognato su di me? ‒ domandò con voce bassa e minacciosa.
‒ Nulla di rilevante. Ma credo che non decidiamo quali ricordi vedere, non sono neanche legati alle attività dell’altro. Mentre tu dormivi io ero sveglio, dunque non abbiamo alcun controllo su quando e come si presenteranno questi sogni-ricordi.
Kieran era sull’orlo di un’altra crisi di nervi. ‒ Allora dormiremo a turni e quando ti vedrò agitarti ti sveglierò.
‒ È ridicolo, non possiamo controllare quest’effetto. A me non importa della tua vita e dei tuoi segreti, rilassati.
‒ Parliamo con un mago. Esisteranno degli impacchi per non sognare, esisterà un modo.
‒ Devi calmarti innanzitutto.
Kieran scosse la testa e iniziò a muoversi nervosamente nel vicolo. ‒ Non dirmi di calmarmi, non ti voglio nella mia testa!
Silas incrociò le braccia. ‒ Te la prendi come se fosse colpa mia, sono vittima del Vincolo quanto te. Neanche io sono felice di averti a sbirciare nei miei ricordi.
Kieran all’improvviso si sentiva di nuovo nauseato. Entrò con uno scatto nel negozio di prima, mentre cercava una soluzione. Doveva essercene una, c’era sempre una soluzione, bastava ragionarci.
Se Silas avesse sognato certi ricordi del suo passato, sarebbe stato tutto perduto.
‒ Buonasera signori, come posso aiutarvi?
Non rispose subito alla domanda.
Era incapace di controllare quei sogni, ma doveva esserci un qualcosa che li attivava o li provocava. Non ne sapeva abbastanza per ricavare un metodo per contrastarli. Non avrebbe dovuto parlare così serenamente a Silas del sogno avuto su di lui, avrebbe potuto provare a manipolarlo e a fargli credere che erano solo sogni bislacchi e non veri ricordi. Invece ormai era tardi.
‒ Eravamo interessati all’abito esposto ‒ rispose Silas al suo posto. ‒ Potrebbe mostrarcelo, gentilmente?
Il negoziante si allontanò, mentre Kieran passava in rassegna ogni possibile soluzione, lo sguardo perso e focalizzato su quell’ingarbugliamento di problemi e bugie che non faceva che aumentare.
‒ Sento che stai di nuovo perdendo la testa. Hai così tante cose da nascondere?
Si voltò a guardarlo ed ebbe un’ondata di orrore al pensiero che quegli occhi viola potessero assistere ad alcune scene del suo passato.
‒ Perché sta succedendo tutto questo, perché proprio tu ‒ sussurrò, esausto dall’ennesimo atroce ostacolo.
Silas non infierì su di lui e iniziò a guardare alcuni gilet dall’aria costosa. ‒ Guarda il lato positivo, se anche dovessi vedere qualcosa d’inopportuno, non saprei che farmene. Nessuno mi crederebbe, no?
‒ Io non voglio che tu assista a certe cose ‒ replicò con veemenza.
Silas sospirò. ‒ Va bene, potremo dormire a turni se ti fa stare meglio, per quanto non è detto che ci agiteremo nel sonno.
Kieran però si rilassò appena e si passò le mani sul viso. ‒ Stasera andrò dal governatore. Dobbiamo sbrigarci, il Vincolo sta diventando sempre più pericoloso.
Silas sembrò allarmarsi appena. ‒ Stasera sarebbe da maleducati, faresti una pessima impressione. Dovrai andare domattina sul presto.
‒ Non aspetterò un’intera nottata.
‒ Vuoi che ti ascolti? Presentati a un orario appropriato. È il tramonto e finché raggiungiamo il palazzo e ti fai ricevere passeranno ore.
Kieran si grattò la nuca, mentre il negoziante tornava con l’abito. ‒ D’accordo, ormai tanto ho iniziato questa farsa, tanto vale andare fino in fondo.
 

Silas aveva accettato suo malgrado di dormire a turni alterni per controllarsi, benché la trovasse un’idea ridicola e infruttuosa. Kieran però appariva fin troppo ansioso per quel nuovo sviluppo e Silas aveva scelto di non alimentare quel nervosismo per non rischiare di destare sospetti sull’accordo che aveva stretto con la Libellula.
Se avesse dovuto essere sincero, non era entusiasta neanche lui per quel nuovo potere del Vincolo. Continuava a chiedersi chi potesse averlo lanciato, era una magia potente e instabile, ma anche fin troppo personale.
Sdraiato nel letto, con Kieran che puliva la pistola accanto a un lumicino, faticò ad addormentarsi.
C’erano innumerevoli ricordi che non voleva mostrare a quello lì. La sua infanzia in cima a tutti, angosciante e dolorosa, non voleva la pietà di Kieran, non voleva che il ricordo dei suoi fratelli venisse usato come un fonografo da ascoltare nelle giornate di ozio. Il periodo in Accademia aveva molti punti oscuri che non aveva mai mostrato a Kieran, così come gli anni in cui si erano odiati. Anche se si odiavano ancora, o almeno credeva.
Si girò su un fianco, pensieroso. Forse ciò di cui aveva più paura era pensare che Kieran vivesse la sua vita attraverso i sogni e scegliesse comunque di rimprigionarlo. Di braccarlo, di ferirlo e di ucciderlo. Scegliesse ancora una volta di non vedere, di considerarlo un nemico, di non mostrargli pietà. Perché a quel punto avrebbe dovuto davvero ucciderlo, avrebbe saputo dell’Araldo e del piano di Cavana. Non avrebbe potuto lasciarlo in vita.
Cercò di scrollarsi di dosso quei pensieri. Ormai aveva stretto il patto con la Libellula, era solo questione di tempo prima che Kieran calasse a picco. Aveva fatto la sua scelta e doveva conviverci, Kieran lo avrebbe di nuovo odiato ferocemente, ma lui sarebbe stato libero e sarebbe tornato al suo obbiettivo.
Scivolò con nervosismo nel sonno, accompagnato dal respiro impercettibile del suo compagno di stanza, come quando erano in Accademia. Ma non si sentiva a suo agio come allora, era teso, ma riuscì ad addormentarsi fra quei pensieri turbinosi.
Iniziò a sognare, le sue notti non erano mai tranquille e ricordava spesso lucidamente i propri sogni.
All’inizio si perse fra le immagini e i colori, senza porsi alcuna domanda, distaccato dalla realtà come ogni volta che si ritrovava a percorrere quei sentieri fumosi e sconnessi. Sapeva di essere agitato e di star provando dolore, di avere paura, una paura terribile; aveva il volto bagnato di lacrime, ma non trovava l’origine di quell’angoscia.
Si toccò un orecchio, schiacciato dal peso della persona sopra di lui, ma non tastò la consueta punta. Era un orecchio da umano, così come le sue dita erano bianchicce e piccole. Le guardò, ammirato, avevano alcuni calli, erano rovinate e familiari; qualcosa lo strappò dall’immersione del sogno.
Realizzò di essere dentro un ricordo.
Realizzò di essere di nuovo Kieran.
Il sogno divenne lucido all’improvviso, tutto si assestò in una noiosa cameretta di qualche bettola, i rumori si abbassarono, i colori s’intiepidirono.
Silas era di nuovo Kieran, e a giudicare dalla grandezza delle dita e da come si sentiva, non doveva avere più di quattordici o quindici anni.
Devo svegliarmi.
Pensò, contrariato. Non voleva saperne nulla del passato di Kieran, non a quel modo casuale e forzato. Aveva ottenuto il ricordo dalla Crisalide per la disattenzione dell’altro, era stata una partita che il Campione aveva perso, ma questo era diverso.
Voleva davvero svegliarsi, ma ben presto non divenne solo un desiderio, ma un’assoluta necessità.
Perché qualcuno gli stava facendo del male.
Silas prese coscienza a poco a poco di essere sdraiato su un letto, schiacciato dal peso di un uomo che lo teneva fermo senza stringere. Il suo corpo era sconquassato dal dolore e dalla debolezza, aveva il viso impiastricciato di lacrime e voleva solo che tutto quello finisse al più presto. Voleva singhiozzare, voleva urlare, ma non poteva, doveva andare fino in fondo, non poteva tirarsi indietro.
‒ Non piangere, ragazzino ‒ sussurrò la voce dell’uomo in modo quasi stucchevole.
C’era una sorta di affetto nelle sue parole, che bastò a rincuorarlo appena. ‒ Ho paura. Mi fai male.
‒ Passerà, fidati di me.
Le emozioni di Kieran lo investirono, violente, ma erano le proprie a turbarlo; Silas voleva urlare, voleva scappare da quel sogno o uccidere quell’uomo, voleva distruggere tutto ciò che aveva intorno. Non riusciva a vedere il volto della persona che si muoveva sopra di lui, ma era molto più grande, molto più adulta e i suoi versi lo nauseavano. Voleva vomitare, strizzò gli occhi per non vivere un secondo di più di tutto quello, sentiva che il ricordo di Kieran stava danneggiando anche lui.
Cercò di strisciare via, vide le braccia di Kieran coperte di lentiggini frapporsi fra lui e l’uomo che aveva il volto affondato contro la spalla. Due mani lo afferrarono fermamente.
‒ Non scappare, ho quasi finito.
Silas si svegliò di soprassalto e urlò. Tirò un pugno al volto di fronte a lui e si accorse tardi di aver centrato in piena faccia Kieran, che si portò una mano al naso sanguinante.
Era scosso dai brividi e aveva il corpo ricoperto di sudore freddo.
‒ Che cazzo fai, il mio naso! Stavo cercando di svegliarti.
Silas tentò di riprendere fiato, mentre le immagini appena vissute gli si accavallavano di fronte agli occhi, nauseabonde. Levò lo sguardo su Kieran, che lo osservava.
‒ Cos’hai sognato? Era un mio ricordo?
Scosse la testa e deglutì. ‒ No, non era un tuo ricordo.
Mentì senza neanche pensarci.
D’altronde non poteva davvero essere un ricordo.
Non era possibile.
‒ Ne sei certo? Cos’accadeva? Voglio saperlo.
Un’ondata di brividi lo pervase. Gli sembrava di avvertire ancora il dolore fra le gambe e le mani che lo stringevano e quel fiato sul collo che ansimava. Era così disgustato, si sentiva violato e furioso.
‒ Ti ho detto che non era un tuo ricordo! Fammi respirare ‒ gli urlò e si alzò dal letto.
Andò verso il bagno e si controllò nei pantaloni. Era certo di trovare del sangue, ma non vide niente. Si poggiò contro la porta.
‒ Stai bene? ‒ gli domandò l’altro, bussando.
‒ Sto bene, puoi lasciarmi pisciare in pace o devi venire qui a tenermi l’uccello?
Dall’altra parte arrivarono solo dei borbottii contrariati e lo sentì allontanarsi.
Doveva essere soltanto un incubo, per quanto vivido, preciso e reale.
No, è impossibile. Kieran è sempre stato grande e grosso, nessuno avrebbe potuto… nessuno…
Che cosa diavolo aveva appena vissuto?
 


Salve a tutti!
Scusate tanto per queste due settimane di stallo, sto cercando di ritrovare un equilibrio ora che le mie giornate sono sempre piene. Ma non preoccupatevi perché la storia andrà avanti a prescindere ^^.
Risponderò a tutte le recensioni con calma ç__ç, scusate davvero il ritardo, sappiate che mi avete davvero tirato su nelle giornate di lavoro, mi dispiace molto farvi attendere per la risposta. Grazie infinite per la pazienza.
 

 
 

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Capitolo 17
*** Il Ballo ***


Buonasera a tutti.
Sono sparita sei mesi e quindi penso meritiate (i pochi che c’erano e ci sono ancora xD) una spiegazione.
Ho trovato lavoro, vi avevo già avvisato, ed è stato più difficile di quanto pensassi all’inizio. Non ho mai giorni liberi, anche i giorni di malattia sono mal visti. Alla fine di quelle otto ore spesso mi vedo con il mio ragazzo, con cui ho iniziato a costruire un rapporto da Luglio. Sono stata sola e senza lavoro per diversi anni, quindi non è stato facile all'improvviso saper gestire la mia nuova vita.
Ci sono state novità belle e novità brutte, sono cambiate tante cose, ritrovare un equilibrio sembra ancora molto difficile, ma non smetterò di provarci.
Detto questo riprenderò a pubblicare, questo capitolo me lo sognerò la notte per anni; in sé non ha nulla di speciale, anzi, ma le energie fisiche e mentali che ha richiesto sono state esagerate. Sono molto insoddisfatta e voglio solo superare questo momento ‒ della mia vita e della storia ‒. Proverò a pubblicare ogni due settimane, non assicuro nulla purtroppo, ma ho preparato un po’ di pagine successive. Il problema è stato questo maledetto capitolo.
 
Breve riassunto dopo la lunga pausa, se ricordate tutto potete saltarlo:
Kieran e Silas sono i protagonisti della storia e sono nemici. Dopo aver frequentato l’Accademia per diventare guerrieri di Ferro insieme, le loro strade si sono misteriosamente divise ponendoli su fronti opposti. Entrambi hanno vissuto la frattura come un tradimento, facendosi guerra per anni. Kieran come servo della legge e del Consiglio, Silas come ricercato e terrorista. Alla fine dello scontro però, quando Kieran pensava di aver messo la parola fine sullo scontro, accade qualcosa: i due vengono legati da una magia che incatena le loro vite. La morte di uno causerà anche la morte dell’altro. Decidono quindi, mal volentieri, di unire le forze per trovare l’esperto di sigilli che possa sciogliere il vincolo e renderli liberi.
 
Negli ultimi capitoli:
Kieran e Silas sono giunti nella città di Moslon dopo l’attacco al treno e l’incontro con le fate. Sono in cerca di soldi e di un passaggio in aeronave per continuare l’itinerario come concordato. Dopo una visita finita male al bordello della Dama Rossa per cercare aiuto, i due devono trovare un’altra strada attraverso il governatore e il ballo per il Solstizio che sta organizzando. Sfortunatamente per loro il vincolo sta crescendo d’intensità e oltre a legare le loro vita inizia a mischiare i loro sogni.
Silas per riconquistare il favore di Cavana ha contattato un membro della Legione, la Libellula; ha promesso un ricordo importante di Kieran, che sembra diventato un bersaglio della Legione per motivi che Silas non conosce. Il ricordo è imbottigliato, un dono della Crisalide e Silas non sa che cosa contenga.
Al tempo stesso Kieran cerca di nascondere gli scheletri che ha nell’armadio, dal suo ignoto fratello alle vicende scabrose del suo passato.
 




 
Il Ballo

XIV
 
 
Se Kieran avesse pensato a qualcosa di “scomodo” avrebbe potuto scorrere molte immagini nella propria testa. Un abito scomodo, un incontro scomodo, un amante scomodo, un segreto scomodo, un divano scomodo. Non avrebbe mai pensato però di definire un’intera serata a quel modo. Scomoda, urticante, come una coperta bitorzoluta o un paio di scarpe strette. Era così che si sentiva in quel momento, vicino alla balconata del palazzo, dove volteggiavano gli invitati nei loro abiti variopinti. Le luci dei lampadari scintillavano sui pavimenti lucidi e sulle maschere stravaganti dei presenti; la musica dei flauti scimmiottava quella delle fate, ma il gusto aristocratico e mondano era ben distante dalle note selvagge dei popoli fatati.
L'enorme sala era stata decorata con sculture di ghiaccio, piante innevate, fiaccole blu e quadri che ritraevano lande gelide e distanti. Al centro torreggiava una fontana, le cui acque erano cristallizzate in uno spruzzo congelato. Malgrado l'aspetto freddo dell'arredamento e delle decorazione c'era però un piacevole torpore all'interno che permetteva di girare anche con abiti scollacciati. Il mantenimento delle sculture doveva essere opera di qualche magia.
Kieran non osava starsene in disparte come avrebbe voluto, rimanere immusoniti in un angolo avrebbe attirato molti più sguardi e commenti, conosceva bene quelle dinamiche ormai. Aveva conversato con decine di persone e non aveva più energie, mantenere quell’atteggiamento cortese ed educato lo sfiniva. Portare un paio di scarpe strette sarebbe stato meno scomodo di indossare quel sorriso di circostanza forzato, quando le uniche emozioni che provava erano negative.
Il governatore lo aveva di fatto obbligato a presenziare alla serata, in cambio di una cabina riservata a bordo dell’aeronave. Non aveva avuto molta scelta, ma sentiva di essere al limite. La rivelazione sui sogni lo aveva gettato nello sconforto e aveva tentato di dormire il meno possibile. Aveva così tanti segreti, non se n’era mai reso conto come in quel momento che rischiava di essere esposto. Quand’era successo? C’era stato un prima e un dopo quella vita di bugie o non aveva mai conosciuto esistenza diversa?
‒ Maggiore Reed, che incredibile sorpresa trovarvi qui al ballo!
Un momento per togliersi quel sorriso scomodo, che doveva rindossarlo subito. Tanto il suo viso appariva sempre poco amichevole, questo lo sapeva bene, ma non aveva mai smesso di sforzarsi.
Sentiva inoltre lo sguardo del governatore addosso in alcuni momenti, un uomo vanesio che amava sfoggiare ospiti inusuali alle sue serate. In quell'occasione aveva indossato una maschera con corna autentiche di una fata delle steppe che avrebbe disgustato Silas non poco. Per lo meno quell’inutile serata avrebbe portato a un risultato: sarebbe stato lontano da Silas per qualche ora, il che iniziava a diventare necessario. Erano giorni che si trovavano a contatto e lui era a tanto così dall’ucciderlo. O dal cedere e abbandonarsi a quei pensieri che gli dicevano di dargli un’altra possibilità, che erano ben più pericolosi del suo desiderio di decapitarlo.
Silas poi era stato strano quella mattina, più del solito almeno; non aveva incrociato i suoi occhi, non aveva usato il suo solito tono sarcastico e si era anche risparmiato le battute sessuali da quattro soldi. Gli aveva parlato con una sorta di remissività e questo non era mai un buon segno. Forse stava architettando qualcosa, Silas non era capace di comportarsi in maniera decente per così tante ore di seguito.
Aveva dovuto lasciarlo solo nella pensioncina e non aveva idea di che cosa stesse combinando, ma di certo era meglio saperlo lontano da quel palazzo.
La festa organizzata dal governatore per il solstizio era una festa in maschera, come da tradizione per Moslon. Le maschere erano a tema invernale, così come gli abiti: fate delle nevi, lupi, volpi, creature del gelo e del freddo. Il ghiaccio dominava i colori, accompagnato dall’argento e dall’oro bianco.
Kieran era stato presentato dal governatore, la sua maschera copriva soltanto gli occhi ed era servita a ben poco nel nasconderlo. Gliela aveva fornita il governatore stesso di fronte al suo momentaneo problema economico.
Si specchiò distrattamente nella vetrata che portava alle balconate: i suoi abiti erano blu notte, la maschera sul viso era bianca, allungata sui bordi e intagliata a formare folate di vento e piccoli aculei di ghiaccio. Non gli donava affatto, la sua pelle già bianca e i capelli rossi stonavano con quei colori, ma non gli importava granché. Silas avrebbe detto comunque che non sapeva scegliersi gli abiti, perciò si era rassegnato da tempo al suo pessimo gusto nel vestire.
‒ Ho sentito che anche l’ultima proposta di matrimonio non è andata a buon fine, suo padre non riesce a trovarle uno sposo interessato.
‒ Ahimè, non mi sorprende affatto mia cara, avrebbe dovuto scegliere meglio le sue compagnie notturne.
La ragazza diede uno schiaffetto all’amica e risero entrambe sottovoce, spensierate.
Molto meno spensierato era invece l’oggetto dei pettegolezzi della serata: Susanne Carvel, figlia del governatore.
Forse si accorse del suo sguardo, perché voltò il proprio verso di lui. Kieran distolse gli occhi all’istante e ignorò l’occhiata intensa che gli pizzicò la schiena.
‒ Maggiore ‒ si presentò un altro gentiluomo, di cui finse di ricordare il nome.
Continuò a spostarsi da un ospite all’altro, fra conversazioni distratte e domande di circostanza; continuava però a tenere d’occhio Susanne di sottecchi, che invece non sembrava preoccupata di nascondere i propri sguardi.
Che cosa vuole? Perché non viene a scambiare i saluti?
Lo innervosiva.
Al contrario della maggior parte di presenti, gli abiti di Susanne non avevano nulla a che fare con le fate; aveva un abito indaco dalle maniche larghe, la gonna vaporosa mostrava ricami argentati e un piccolo strascico. I capelli biondi erano raccolti in uno chignon e il volto era coperto da una maschera sgraziata, di metallo, con una lacrima in ferro attaccata sotto l’occhio destro. Quella che sembrava una bislacca collana grigia, era intrecciata intorno al collo, come una catena.
Kieran aveva sentito fin troppe voci su Susanne, da semplici pettegolezzi a conversazioni accese. Possedeva uno dei più grandi atelier del continente e fin dal principio aveva usato le sue creazioni e la moda come un’arma puntata contro l’alta società. Usava abiti e accessori per lanciare messaggi politici e si serviva dei ricavati per finanziare il suo partito. Era apprezzata fra i circoli più alternativi, ma spesso faceva breccia anche fra gli aristocratici conservatori che non riuscivano a resistere alle sue creazioni.
‒ Stasera d’altronde c’è anche il maggiore Reed, forse si rassegnerà a prendersi qualcuno senza un titolo.
Kieran ebbe appena il tempo di elaborare le calunnie, che Susanne iniziò ad avanzare verso di lui.
Si fermò dove stava e represse l’istinto di fuggire. Afferrò un calice di vino e nascose il viso nell’alcool.
Soltanto quando fu vicina poté notare che lo strascico del vestito era colorato di rosso e argento, come una scia di sangue fatato.
‒ Davvero di cattivo gusto ‒ gracchiò un invitato sottovoce.
‒ Da quanto tempo, maggiore.
La voce di Susanne aveva un’inclinazione molto meno zuccherosa e falsa di quella di molti altri lì dentro; Kieran faticò davvero a mantenere il solito sorriso.
Aveva il volto molto truccato, le labbra erano colorate di un grigio scuro e gli occhi dietro la maschera erano contornati da sfumature nerastre, che ricordavano la fuliggine.
Lui di moda non capiva davvero niente, ma l’armonia nell’aspetto della ragazza lo lasciava frastornato, l’alternarsi di colori delicati e violenti, il ferro sulla pelle lattea, il rossetto aggressivo e conturbante. Non c’era da sorprendersi che fosse una delle poche persone al mondo ad aver davvero fatto perdere la testa a Silas.
Le prese la mano, dove piccole catenelle d’argento ricoprivano le dita e si congiungevano a grossi bracciali sui polsi. La baciò.
‒ Fin troppo ‒ mentì.
Gli occhi di Susanne lo squadrarono in un battito di ciglia, forse a osservare i suoi vestiti. Aveva sentito fin troppe volte Silas decantare lodi da ubriaco sugli occhi boscosi di Susanne, che gli ricordavano il colore delle castagne nelle corti fatate e gli aceri in fiore e tutte altre scempiaggini ridicole che Kieran aveva dovuto sorbirsi al tempo.
Sono normali occhi castani.
Pensò, un po’ risentito immotivatamente da quello sguardo intenso.
La donna si guardò intorno, continuava a sorridere malgrado le voci e le malelingue. Non sembrava un sorriso affilato come quello che avrebbe assunto Silas, ma forse era soltanto molto più brava a mentire.
‒ Vi rivolgo a malapena la parola ed ecco che si alza il chiacchiericcio. Vi andrebbe di farli parlare per qualche altro minuto?
Kieran non ebbe tempo di rispondere che la donna lo prese a braccetto. ‒ Camminiamo un po’, vi aggrada?
Si era dimenticato come rispondere in modo adeguato e si limitò ad annuire come un ebete.
Le donne così intraprendenti sono sempre le più ingestibili.
Pensò, imbronciato. Dalia di certo gli avrebbe rimbeccato qualcosa per quei pensieri.
La accompagnò sulle balconate, dove molti ospiti si erano fermati a conversare e a bere sotto un cielo tetro e nuvoloso; i loro scialle di pelliccia li scaldavano, ma il freddo era smorzato da piccole stufe in ferro battuto disseminate in punti strategici. La luna irradiava una debole luce fra le nubi e la città paludosa di Moslon brillava di fiaccole e lampioni notturni. I fumi delle fabbriche si perdevano nel cielo scuro e si poteva quasi dimenticare che fossero lì.
Si fermarono vicino una delle piccole stufe in ferro e Susanne sfoderò un piccolo porta sigarette in argento.
‒ Vi state divertendo?
Accese la lunga sigaretta con un acciarino ed espirò una piccola boccata di fumo.
‒ Sì, è uno splendido ricevimento.
Agitò appena la mano che teneva la sigaretta e sospirò. ‒ Se lo dite voi. Come mai siete qui di passaggio? Il Ferro non ha luoghi più importanti dove spedire un soldato della vostra levatura?
Ignorò il tono sarcastico. ‒ Questioni riservate, sono desolato.
Susanne annuì. ‒ Vi sta intrattenendo la permanenza a Moslon? Ci eravate già stato?
Bevve un altro sorso dal proprio bicchiere, ma il vino gli asciugò la bocca. ‒ In passato. Ha il suo… fascino.
Stavolta le scappò una piccola risata. ‒ La sincerità non è il vostro forte, a quanto vedo.
Aveva gli occhi appena arrossati e strascicava le parole. Doveva aver bevuto più di un bicchiere quella sera.
L’impressione gli venne confermata quando afferrò il bavero della sua giacca con violenza. Kieran fece un passo indietro quasi inciampando, e si affannò a controllare che nessuno avesse visto.
Già la sua carriera era sull’orlo di un collasso, ci mancava soltanto che quella donna desse il colpo di grazia. La sua reputazione poteva soltanto nuocergli.
‒ Non mordo, osservavo solo i vostri vestiti. Li ha scelti mio padre, vero? Non ha mai avuto gusto quell’uomo, solo soldi per le stoffe.
‒ Vi prego di non fare più gesti del genere.
Gli sorrise melliflua. ‒ O altrimenti?
Si guardò intorno con aria divertita. ‒ Se ora urlassi che mi avete messo le mani addosso, chissà a chi dei due crederebbero. È vero che mi considerano una poco di buono, ma tu sei pur sempre una nullità senza alcun titolo.
Gli si ghiacciò il sangue nelle vene. ‒ Perché? Non vi ho arrecato alcun male.
‒ So che avete fatto carriera grazie alla battaglia delle Steppe, avete catturato la Falena. Non arrivano più notizie ormai dalla capitale. Lo hanno ucciso?
Il tono era cambiato radicalmente, tanto che Kieran venne preso alla sprovvista dalla freddezza della sua voce.
‒ No, è vivo, nelle prigioni ‒ mentì.
I giornali non avevano divulgato ancora della fuga, ma avevano fiutato che qualcosa era accaduto, visto il clima teso fra i gendarmi ed il Ferro.
‒ Siete fortunato che io e mio padre non concordiamo mai su nulla. Io non vi avrei lasciato entrare qui dentro.
‒ Perché ho fermato un terrorista?
‒ Perché lo avete consegnato a quei macellai. Perché lo avete tradito.
Sapeva di doversi fermare, non doveva raccogliere la provocazione, ma con Susanne era diverso. Aveva parlato poche volte con lei in Accademia, era venuta sporadicamente in visita per incontrare Silas. Non si erano mai trovati molto, lei era fin troppo ribelle per andare d’accordo con qualcuno come Kieran. Per non dire viziata. E forse era proprio per quello che le invidiava.
‒ Avresti potuto farlo ragionare quando c’era ancora tempo, se ti stava così a cuore la sua sorte ‒ replicò aspro.
Susanne gli lanciò un’occhiata disgustata. ‒ Non ero io a stare accanto a lui in quel periodo, o mi sbaglio?
Si ritrasse, come se fosse stato colpito. ‒ Credo che una ragazza come te, che non ha neanche idea di cosa sia la vita vera, dovrebbe frenarsi dal parlare di cose che non conosce.
Vide le sue parole andare a segno, perché gli occhi di Susanne luccicarono di rabbia. Aprì la bocca per replicare, ma la richiuse, come se non trovasse le parole.
‒ Questi abiti non vi donano, maggiore, ma la gelosia vi dona ancora meno.
‒ Vi ringrazio per la piacevole conversazione, signorina ‒ rispose e si allontanò, irritato.
Che razza di maleducata.
Si presentava da lui per insultarlo dopo anni che non si erano visti, non aveva alcun rispetto delle norme sociali. Non gli erano mai piaciute le persone così dirette, gli comunicavano mancanza di autocontrollo e disciplina. Anche lui a volte perdeva le staffe, ed era vero che quando accadeva gli capitava di frantumare qualcosa nei dintorni, ma tentava sempre di non arrivare così in là.
Si passò una mano sul viso, cercando un angolino dove nascondersi per il resto della serata. Ma non c’era alcun posto dove sprofondare, non poteva sfuggire agli sguardi e alle parole. Doveva parlare con altri invitati, doveva mostrarsi normale e disinvolto.
Iniziava a invidiare davvero Silas, poteva immaginarselo a zonzo per le strade di Moslon, lontano da quell’atmosfera soffocante.
Si allentò il colletto con fastidio e sentì alcune voci sorprese provenire dalle sue spalle. Si voltò e notò un gruppetto di ospiti che conversava con un’invitata piuttosto alta. Era venuta con un baronetto della capitale, Vallis, un ubriacone che si era fatto bandire da quasi tutti gli ambienti aristocratici per i suoi eccessi. La ragazza doveva essere la sua accompagnatrice per la serata, neanche gli ospiti sembravano riconoscerla.
Al contrario della maggior parte di invitati, i suoi abiti avevano fin troppo rosso, così come la maschera che le copriva interamente il volto. Era bianca e scarlatta, mischiata, come sangue sulla neve.
Si voltò verso di lui e Kieran impiegò una manciata di secondi per realizzare che cosa stesse accadendo.
L’invitata mosse le dita verso di lui in un gesto di confidenza, una sorta di saluto, senza farsi vedere. Sul momento non comprese, ma bastò un secondo sguardo sulla figura allampanata per sentire la cena risalirgli lungo la gola.
Io gli rompo tutte le ossa stavolta, fosse l’ultima cosa che faccio.
 
*
 
Silas non aveva potuto ignorare quell’irresistibile divieto posto da Kieran. Perdersi una serata di gala per rimanere in una mansarda fatiscente e maleodorante? A volte il Campione dava ordini insensati.
Aveva provato a farsi un giro, era tornato nel pub della Libellula e si erano fatti qualche bevuta insieme. Aveva tentato di distrarsi da quel sogno raccapricciante, di scrollarselo di dosso, ma non era servito a nulla.
Nate gli aveva procurato la maschera e gli abiti, il suo sorriso macabro si tingeva di divertimento di fronte alle follie di Silas e l’alcool non aveva aiutato. Il rischio di farsi riconoscere era reale, dunque aveva optato per abiti da donna e una maschera femminile. Da lì imbucarsi alla serata era stato facile, sapeva come muoversi fra quelle persone, conosceva i loro nomi, i loro amici e parenti.
Questa volta è davvero incazzato.
Lo sguardo di panico e rabbia negli occhi di Kieran era impagabile. Aveva perso colore e sembrava voler venire verso di lui per afferrarlo e lanciarlo giù dalla balconata.
Si allontanò fra gli invitati prima che potesse tenere fede a quelle promesse di vendetta.
Rubò un calice in giro e si districò fra gli ospiti, cercando Susanne con lo sguardo.
Sapeva di non dover farsi notare eccessivamente, malgrado la maschera rischiava di essere riconosciuto, era meglio parlare il meno possibile e tenersi in disparte.
D’altronde non era interessato a combinare guai, ma non avrebbe ammesso di essersi presentato lì per tenere d’occhio Kieran.
Il sogno lo aveva destabilizzato. Se doveva limitarsi all’effetto che aveva avuto su di lui, poteva dire con certezza che vivere quel tipo di violenza attraverso gli occhi di un altro era sufficiente per creare in lui una frattura, da qualche parte, nella sua mente. Aveva creduto che i sogni fossero un fastidioso inconveniente, ma ora si rendeva conto di quanto fossero rischiosi anche per la loro sanità mentale. Aveva già sufficienti esperienze traumatiche da non voler vivere quelle di altri, non era in grado di sopportarle, non così. Era nel corpo di un’altra persona, era soltanto un ricordo, ma lo aveva vissuto, aveva vissuto quella violenza.
Si passò una mano sulla nuca, mentre una patina di sudore tornava a coprirgli la pelle.
E poi c’era Kieran.
In più di dieci anni di conoscenza non aveva mai dato il benché minimo cenno che gli fosse capitato qualcosa di così insostenibile. Si erano raccontati tanto l’uno dell’altro e sì, avevano anche tenuto molto per sé, ma Kieran si era sempre mostrato… non sapeva come definirlo. Imbarazzato forse, curioso, inesperto, per quel poco di cui avevano parlato e che avevano provato a fare. Spensierato.
O forse no, forse erano i suoi ricordi di un periodo felice a ingannarlo. La sua reazione alla Dama Rossa era già di per sé strana, ma anche in passato dovevano esserci stati momenti di quel tipo.
Nel sogno Kieran non opponeva resistenza, ma il riverbero del suo dolore mentale e fisico era sufficiente per sapere che l’esperienza non era stata voluta da lui. Però non era tutto lì, una parte di lui sentiva di doverlo fare.
Perché?
Era una questione di soldi? Lo aveva fatto per quello? I sentimenti di Kieran però erano più contorti, non riusciva a districarli, ma erano emozioni degradanti, disperate.
Scosse la testa e tentò di scrollarsi via quel dolore di dosso. Quella rabbia. Non lo riguardava, non avrebbe mai dovuto assistere a qualcosa di così doloroso, non era giusto. Non voleva sentirsi così, non voleva pensare a Kieran a quell’età, solo nelle mani di un essere del genere. Aveva sempre creduto che Kieran fosse diverso da lui, così austero verso sé stesso, che nessuno avrebbe mai potuto obbligarlo a qualcosa di così mortificante. Non riusciva neanche a immaginare il peso di quel ricordo per lui. Non voleva pensarci, come non voleva riflettere sul fatto che non gli avesse mai confidato niente di tutto quello.
Silas lo aveva fatto sentire come se non potesse parlargliene?
Importava la risposta? Perché si poneva certe domande? Non aveva più nulla a che fare con lui, Kieran non era mai stato suo, e non era neanche più un amico o una persona della sua vita.
Perciò non aveva alcun senso provare quella rabbia, quella frustrazione, quella… pietà. Era ingiusto e sbagliato, andava contro tutto ciò in cui credeva.
Non avrebbe mai potuto parlargli del sogno, avrebbe ottenuto una leva su Kieran che non voleva in alcun modo usare.
Impallidì quando iniziò a riflettere sul ricordo di Kieran chiuso nella boccetta, il ricordo donatogli dalla Crisalide.
Possibile che avesse a che fare con quell’esperienza?
Gli venne la nausea solo a pensarci, si sentì sporco all’idea di aver barattato una memoria tanto atroce. Strinse la mano sulla boccetta del ricordo e socchiuse gli occhi.
Non poteva avere la certezza di che cosa fosse contenuto lì dentro. Ma d’altronde perché gli importava? Perché ne era così sconvolto?
Scivolò da un ospite all’altro senza indugiare troppo nei convenevoli. Sapeva chi evitare, persone che potessero riconoscere il suono della sua voce. Aveva coperto ogni parte del suo corpo, dalle mani protette da guanti, al collo racchiuso da un elegante fazzoletto, al volto nascosto dalla maschera. Aveva sempre avuto un aspetto fin troppo riconoscibile.
Sapeva di non dover cercare Susanne, di non doverla avvicinare, ma iniziava a sentirsi nuovamente con le spalle al muro. Era stanco di essere circondato da nemici, stanco di dover sempre misurare le parole, di pronunciare soltanto frasi affilate e caute. Voleva rivedere un volto amico, sentire una voce familiare, qualcuno di cui poteva fidarsi. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era trovato fra amici, fra persone fidate.
La trovò in fretta fra gli invitati, vestita di grigio, come una lama.
Si avvicinò con cautela quando la vide distaccarsi dagli altri e dirigersi verso le balconate. La seguì e sentì a sua volta di essere seguito dal suo cane da guardia, fumante di rabbia.
L’aria pungente della sera penetrò attraverso gli abiti e il suo fiato lasciò uscire una nuvoletta di condensa. Il rumore di un’aeronave in partenza coprì i suoi passi mentre si avvicinava a Susanne. Il rumore di quegli affari era infernale, non gli erano mai piaciuti molto; li trovava sgraziati e assordanti, oltre che poco sicuri. Forse ciò aveva a che fare con la sua paura per le altezze, ma per lo più non apprezzava il loro aspetto, con quel pallone enorme in cima, le alette laterali rigide, le cabine dagli oblò ovali al di sotto. Assomigliavano a una qualche creatura alata mai nata, le ali avevano penetrato la membrana dell’uovo, ma il corpo non ne era mai uscito fuori.
‒ Per quanto ancora avete intenzione di seguirmi? Vi avviso che se le vostre intenzioni non sono delle migliori, fareste meglio a tornarvene dal vostro uomo.
Silas conosceva bene quel tono diffidente; Susanne aveva sempre con sé un amuleto di ossa con cui praticare la magia, glielo aveva donato una vecchia fata, per ringraziarla.
‒ Le mie intenzioni raramente sono fra le migliori.
Susanne si voltò di scatto, il vento le sollevò i capelli e lo stupore le riempì gli occhi. Si portò una mano alla bocca e deglutì.
Si ricompose in fretta per non dare alcun cenno rivelatore ad altri ospiti usciti sulle balconate e si schiarì la voce.
‒ Dovevo capirlo. I tuoi abiti sono fin troppo stravaganti e non hai seguito il tema della serata.
‒ Parli proprio tu? Mi sono contenuto, non volevo risaltare troppo, anche se gli abiti femminili mi donano.
Le strappò un sorriso. ‒ Beh non credo tu ci sia riuscito.
Incrociò le mani di fronte alle gonne e osservò per un attimo il pavimento. ‒ Sei vivo ‒ sussurrò e la voce le mancò.
‒ Naturalmente. Me la sono vista brutta però.
Susanne spostò appena la ciocca bionda attorcigliata dall’orecchio, gli occhi persi in qualche riflessione.
‒ Non sono venuta alla capitale per il tuo processo. Non volevo assistere.
Silas poggiò le braccia sul cornicione. ‒ Hai fatto bene, è stato uno spettacolo squallido, anche se divertente.
Non voleva guardarlo, le mani perlate erano chiuse a pugno. ‒ Credevo che ti avessero ucciso nelle prigioni, ti ho immaginato spesso da solo in una cella, in balia di quella violenza…
‒ Ehi lo sai che non è così facile mettermi fuori gioco. Poi non potevano rovinare troppo il mio corpo. Ora sono di nuovo libero, no?
Strinse le dita e si schiarì la voce. ‒ Ho trattato molto male il maggiore Reed poco fa, per averti lasciato morire nelle prigioni. Invece sei qui. E c’è anche lui. Eravate molto amici, devo dedurre che abbia ritrovato un briciolo di buon senso?
‒ Diciamo che al momento i nostri obbiettivi coincidono, ma devo fare ancora come dice lui. O almeno fingere.
Gettò un’occhiata di sottecchi a Kieran. ‒ Lui ti tiene in pugno. Come?
‒ Non è semplice da spiegare, ma la situazione cambierà.
‒ In Accademia ti voleva così bene, e ora è un cane del Consiglio.
Silas non si voltò a guardare Kieran. ‒ Mi ha fatto evadere, di certo qualcosa in lui non è allineato a loro o non lo avrebbe mai fatto.
‒ Lo difendi?
Sorrise fiaccamente. ‒ Non è così male. Anche io gli ho fatto del male.
Susanne scosse la testa, le labbra assottigliate. ‒ Lo hai fatto anche a me, ma so distinguere dal male personale quello di una causa. Lui ne ha fatto una questione personale.
Silas non disse nulla. Aveva sognato spesso di dirle che la aveva allontanata per colpa della propria famiglia e del rischio che correva, ma ormai non avrebbe avuto alcun senso. Aveva talmente represso quei sentimenti che infine si erano dissipati, e anche per lei doveva essere così. Riesumare certe questioni la avrebbe solo messa in un angolo, quando lui voleva per una volta lasciarla serena.
Se solo fosse riuscito ad attuare lo stesso piano razionale con Kieran.
‒ Mi dispiace, sai? Per come mi sono comportato ai tempi dell’Accademia.
Susanne accennò un sorriso. ‒ Ho sempre saputo che i Vaukhram ti avevano obbligato, Silas.
Sbatté le palpebre. ‒ Ah sì? ‒ balbettò, sentendosi un imbecille.
‒ Pensi di essere tanto sveglio e sfuggente, ma non è così, lo sai? Speravo che mi chiedessi di scappare insieme o qualche sciocchezza adolescenziale. Ma tu non lo hai mai fatto.
Deglutì e si allargò il colletto. ‒ Non potevo. Ero in una posizione perfetta per sabotarli e passare informazioni alla Legione. Non potevo rinunciare a tutto quello.
‒ Lo so, e sono contenta che tu non lo abbia fatto. Per quanto i tuoi metodi non vadano d’accordo con i miei ‒ si concesse una piccola pausa, poi abbassò il tono. ‒ Hai bisogno di aiuto? ‒ sussurrò.
Silas si lasciò un attimo avvolgere da quella frase e la tentazione di abbandonarsi a quell’offerta gli scavò dentro. Si ritrasse però e scosse la testa, abbozzando un sorriso.
‒ Ho il soldatino lì, finché saremo vincolati, mi proteggerà e io dovrò proteggere lui. Me la cavo sempre.
Susanne si voltò a guardare Kieran, che sussultò quando i loro occhi s’incontrarono. ‒ Non è limpido. Ad ogni modo non m’interessa, permettimi almeno di darti dei soldi.
‒ Io non…
‒ Non hai voce in capitolo. Il denaro è un aiuto semplice ma sempre efficace.
Silas voleva rifiutare con più veemenza, ma avevano disperato bisogno di soldi. ‒ Puoi farli recapitare a Kieran? Se dovessero indagare apparirebbe meno sospetto per te.
Susanne parve offesa e il trucco metallico formò piccole pieghe sugli occhi. ‒ Sono per te, non per lui.
‒ Al momento è la stessa cosa.
Sospirò ed emise un piccolo schiocco di disapprovazione con la lingua, una cattiva abitudine che non le era mai passata. ‒ Come preferisci.
‒ Grazie Susanne.
Alzò appena il mento in un gesto di orgoglio che mascherava l’imbarazzo. ‒ Non ringraziarmi. Non sai se puoi davvero fidarti di lui.
Silas non commentò ulteriormente e aspettò che Susanne cambiasse argomento. Voleva sentire i nuovi pettegolezzi dell’alta società, le voci, i cambiamenti, non pensare a questioni pesanti anche solo per una manciata di minuti.
 
*
 
Kieran posò il calice che aveva finito di tracannare nervosamente, mentre seguiva con gli occhi Silas e Susanne. Non sapeva che cosa pensare di quell’incontro, se non alla minaccia di trovarsi in minoranza. Quella donna poteva schioccare le dita e fargli passare brutti momenti, e ora era insieme al suo maledetto nemico e prigioniero. Le avrebbe chiesto aiuto per scappare o per farla franca, non doveva perderli di vista.
Se pensava alla situazione a mente fredda, forse era sempre stato destino che andasse a quel modo. Anni prima in Accademia aveva temuto che Silas decidesse di compiere qualche follia per amore e fuggire con quella ragazza, ma non era mai accaduto. Forse aveva troppo da perdere. Ma ora? Ora non gli era rimasto più niente, nulla che lo trattenesse dallo scappare con Susanne.
A parte il Vincolo.
E lui.
Avrebbe dovuto essere così romantico in Accademia e fare la sua fuga d’amore quando ancora poteva, perché nel presente, Kieran aveva ancora bisogno di lui per levarsi quel vincolo.
Lo hai tradito.
Gli veniva una gran rabbia soltanto a ripensare a quelle parole. Nessuno aveva obbligato Silas, erano state sue scelte. Non si era mai pentito, non si era mai scusato, sempre quella tracotanza, quell’indolenza.
Che cosa poteva saperne Susanne di cosa volesse dire essere traditi? Mettere qualcuno di fronte a tutto senza che quel qualcuno fosse disposto a fare altrimenti? Forse era soltanto questa la differenza fra loro due. Per Kieran nessun ideale era più importante delle persone. Per Silas no.
Lui aveva grandi ambizioni, forse anche grandi eroismi a suo modo, ed erano ciò che lo alimentava e lo animava. Silas era libertà, era politica, era lotta, era rivoluzione. Kieran… era soltanto Kieran. Riusciva a malapena a tenere i pezzi insieme.
‒ Perché bevete da solo a una festa come questa? – gli domandò un uomo dall’aspetto cordiale.
Aveva i capelli tenuti da un codino e il volto coperto da una maschera da cervo con lunghe corna affusolate.
Non lo riconobbe.
‒ Non fate caso a me, sono soltanto perso nei miei pensieri, signor… ?
‒ Helkins, ci siamo incontrati un paio di volte.
Kieran impiegò qualche secondo per ricordare e iniziò a cambiare colore.
Si picchiettò il petto con un pugno per l’alcool bloccato in gola e deglutì nel goffo tentativo di dissimulare.
Perché doveva sentire quel nome adesso? Perché lì?
Helkins, tracciatore dei gendarmi. Uno dei più giovani e promettenti, non che origine di molte delle sue notti insonni negli ultimi quattro anni.
Sembrò notare il suo volto pallido dietro la maschera malgrado la pronta dissimulazione di Kieran e un piccolo sorriso gli tirò gli angoli della bocca. Gli occhi nerissimi e il volto squadrato avevano un carisma aggressivo, qualcosa di intimidatorio.
Kieran si schiarì la gola. ‒ Ma certo, Helkins, come mai qui a Moslon?
‒ Credo per il vostro stesso motivo.
Si sporse appena e avvicinò le labbra al suo orecchio. ‒ Per la Falena.
Lo allontanò con discrezione. ‒ Non venitemi così vicino.
‒ Non preoccupatevi, maggiore, non sono qui per sedurvi. Di nuovo.
Il colore tornò prepotente sul suo viso, insieme a un fiotto di rabbia. ‒ Siete inopportuno e maleducato ‒ mormorò fra i denti.
Se credeva che la serata non potesse peggiorare… sembrava che si fossero messi tutti d’accordo per umiliarlo e farlo infuriare.
Il sorriso appena accennato del tracciatore era difficile da digerire, tanto che impiegò un po’ per rielaborare le sue parole.
La Falena. Sta cercando Silas.
Doveva muoversi con grande cautela, ricordava bene le sue insidie.
Era a malapena ventenne quando Helkins lo aveva adescato dentro una locanda di Railia. Lo aveva visto interagire con un altro ragazzo e il suo istinto predatorio lo aveva portato su Kieran. Al tempo aveva ancora qualche… speranza, di capire meglio sé stesso, i suoi desideri, e non era stato difficile per il gendarme ottenere la sua fiducia. Helkins lo aveva portato quella stessa sera in posti poco raccomandabili, che un gentiluomo non dovrebbe frequentare. I suoi ricordi non erano limpidi, aveva bevuto troppo e riusciva a riprodurre a stento i contorni della villa che avevano raggiunto; l’abitazione di un pittore edonista che dava feste scandalose mentre dipingeva. Ricordava però chiaramente il suo imbarazzo e la sua meraviglia quando Helkins aveva scambiato un bacio appassionato col pittore e poi con la ragazza nuda che gli faceva da musa per il quadro.
E ricordava il suo modo invitante di trascinarlo con sé in quelle effusioni, la carezza della modella, il bacio del pittore.
Era andato via di gran fretta prima di compromettersi ulteriormente, senza salutare né Helkins né il padrone di casa.
 Da quel giorno il gendarme non aveva perso occasione per tormentarlo e venire a chiedere piccoli favori. Non aveva niente da usare contro di lui, alcuna prova, ma Kieran era sempre a disagio in sua presenza, si sentiva esposto.
‒ Il maggiore Reed e il Capitano Helkins nella stessa stanza! E che parlano in modo pacifico per di più. Poi dicono che fra il Ferro e la gendarmeria non scorra buon sangue.
Un goffo signore sovrappeso con una parrucca argentata si gettò in mezzo alla loro conversazione e strinse la mano a entrambi con energia. Kieran prima di entrare in Accademia aveva una stretta di mano molto debole, ma ricordava di aver notato subito da ragazzino il modo forte in cui le mani degli altri si serravano sulla propria. Uno dei maestri lo aveva redarguito, dicendogli di non stringere le dita come una maledetta checca, e di metterci vigore.
Helkins sembrava piuttosto irritato dall’interruzione, ma lo mascherò bene. ‒ Signor Peacock, sapete che i veri gentiluomini pensano con la propria testa e non danno peso a queste voci.
‒ Quando incontrerò un vero gentiluomo mi accerterò di scoprire se ciò che dite è vero.
A Kieran sfuggì un sorriso: gli piacevano gli uomini schietti. Malgrado tutto anche Helkins non sembrò prendersela.
‒ Touché. Ma io e il maggiore abbiamo già lavorato assieme, è un soldato molto preciso.
Il signor Peacock annuì. ‒ Chissà per quale motivo in bocca a voi non sembra un complimento. In ogni caso, fra poco ci ritireremo nel salone interno del governatore per i giochi. Spero che abbiate con voi i vostri soldi, o meglio i miei soldi.
Helkins rise. ‒ Temo che mia moglie non approverebbe altri sperperi, per mia sfortuna.
‒ Ed è per questo che mi sono scelto una moglie più sperperatrice di me, capitano.
‒ Siete stato lungimirante. Vedremo di raggiungervi appena possibile.
Peacock si allontanò per andare a giocare a dadi e li lasciò soli. Kieran aveva sperato che si fermasse a parlare con loro ancora un po’, così da evitargli quella conversazione, ma era rimasto deluso.
‒ Perdonatemi, non volevo approcciarvi in questa maniera. Non mi aspettavo di incontrarvi, ho provato a contattarvi, ma eravate già partito. So chi state cercando e so che nessuno conosce la Falena meglio di voi. Vorrei che collaborassimo.
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Collaborare?
Helkins studiò uno degli invitati e voltò gli occhi in giro. Il suo modo di osservare le persone intorno a lui rese Kieran molto nervoso.
Devo avvertire Silas. Dobbiamo andarcene subito da Moslon. Un tracciatore è già troppo rischioso.
‒ Sì. Ci sono diverse persone delle Gilde sulle sue tracce, ma nessuno oltre a noi due è ancora giunto qui a Moslon. Noi abbiamo subito pensato a questa destinazione. Dopo l’attacco al treno, è evidente che non ha più persone su cui contare.
‒ Era la meta più vicina con l’attracco di aeronavi, non richiedeva particolare intuizione.
‒ E perché siete qui al ballo?
Kieran iniziò a sudare freddo. ‒ Ecco, io… per raccogliere indizi.
‒ Susanne era la sua amante, oltre al fatto che ha diversi agganci.
‒ Sentite, non sono interessato a collaborare. So perché lo fate, dubito che alla Gendarmeria importi all’improvviso di unire le forze con noi del Ferro su una situazione così delicata.
Helkins assunse un’espressione fredda, ma i suoi occhi tradirono un certo sdegno. ‒ Mi deludete. Mettete in mezzo la politica? I soldi? Io voglio solo il merito, che potremo dividerci. Non m’importa del resto.
Vedeva l’ambizione lampeggiargli negli occhi. Questo lo rendeva ancora più pericoloso, perché non era corrompibile. Quelli come Helkins avevano una sete di gloria che poche cose potevano soddisfare. Non molti gendarmi avrebbero chiesto di collaborare, non gli importava dei battibecchi fra le Gilde, voleva portare a termine il lavoro. Ed era piuttosto bravo a farlo, perché nonostante la sua reputazione scandalosa, la Gendarmeria continuava a tenerlo e ad affidargli incarichi di spessore.
‒ Che cos’avete scoperto? ‒ domandò a voce inudibile.
Helkins sorrise. ‒ Che la nostra Falena è debole al richiamo delle luci. Sono piuttosto certo che si trovi nei paraggi.
Kieran soppresse l’ondata di nausea che lo colpì feroce. Non si impegnò per nascondere il pallore.
‒ Qui? Che cosa ve lo fa pensare?
Helkins guardò dentro il proprio bicchiere con aria annoiata. ‒ I miei uccellini hanno parlato di trambusto nei quartieri dei bordelli, di un mezzosangue che ha dato problemi.
‒ Potrebbe essere chiunque. Inoltre non riuscirebbe mai ad entrare qui dal governatore.
Helkins voltò gli occhi in giro. ‒ Ditemelo voi. Uno come lui ci riuscirebbe o no?
‒ Lo sopravvalutate ‒ rispose e cercò di dissimulare l’attimo di esitazione.
‒ A meno che non riceva aiuto dall’interno; tuttavia ci sono troppi accompagnatori ingaggiati per stabilire chi sia, più della metà hanno interagito con Susanne. Se ci mettessimo a interrogarli, la ragazza potrebbe intervenire. Non sono un ospite molto gradito, ed è risaputo che la figlia del governatore non vi trova simpatico, ci farebbe cacciare con la minima scusa.
‒ La vostra ipotesi mi sembra un azzardo ‒ tentò di dire. ‒ Silas è avventato, ma non stupido, non verrebbe qui.
‒ È disperato, quindi è costretto a rischiare. Avrei già ordinato di chiudere le entrate e controllare tutti i partecipanti se avessi autorità, ma non mi ascolterebbero. Inoltre sarebbe un’idea sciocca.
È la fine, mi scopriranno.
‒ Ah sì?
Helkins indicò le maschere con un gesto. ‒ Ci ho pensato molto in questi giorni. Conosciamo l’identità della Falena perché era famoso anche prima di unirsi alla Legione, ma non conosciamo l’identità di nessun altro membro. Forse si nascondono anche loro fra la nobiltà o le Gilde, sotto il nostro naso.
‒ Silas ha subìto diversi interrogatori, anche con la magia. Non avrebbe potuto nascondere certe informazioni.
‒ A meno che non ne fosse anche lui all’oscuro, per preservare l’identità dei suoi compagni. Ha rivelato nomi insignificanti, ma io sono dell’idea che possa condurci da loro.
Kieran aveva la bocca secca. ‒ I passeggeri del treno sopravvissuti hanno dichiarato che la Legione ha cercato di ucciderlo, non di salvarlo.
Il sorriso di Helkins era una lama. ‒ Siete molto informato, ancora abbiamo notizie vaghe e confuse sull’attacco, ma voi sembrate sempre essere un passo avanti a tutti.
Kieran s’inumidì le labbra col bicchiere. ‒ Questa è la mia caccia, Helkins, e non voglio che altri s’intromettano.
Questi alzò le mani, divertito. ‒ Ehi, voglio solo aiutare. La Falena non m’interessa così tanto, ma i suoi compagni sì. Se hanno provato a ucciderlo lo faranno di nuovo e se saremo lì, torneremo alla capitale con più di un comandante della Legione.
‒ Ci rifletterò. Ora vorrei parlare con gli altri ospiti.
Helkins annuì. ‒ Io mi sono trattenuto fin troppo, devo tornare ai miei alloggi, il governatore… beh non gradisce la mia presenza. Ci tenevo a parlarti.
L’improvvisa confidenza lo mandò su tutte le furie. ‒ Ci siete riuscito ‒ sibilò. ‒ Ora lasciatemi in pace.
‒ Come desideri, partner.
Aprì la bocca per controbattere, ma Helkins stava già raggiungendo l’uscita. Il suo tono canzonatorio lo aveva innervosito più di tutto il discorso.
Dobbiamo andarcene subito.
 
 *
 
Riuscì ad afferrare Silas quando partirono le danze, approfittò della confusione e della musica per stringere la mano sul polso magro del suo prigioniero. Lo trascinò all’ombra dei pergolati sulle balconate e zittì ogni protesta. Fu molto attento a qualsiasi possibile sguardo, ma era certo che qualcuno lo avesse visto comunque. Agli occhi degli altri invitati era solo un uomo che aveva afferrato una bella donna pagata per intrattenere gli ospiti.
Questo non mi rincuora.
Silas aveva il volto nascosto e gli occhi violetti adombrati dalla maschera. Non aveva idea di dove avesse rimediato quegli abiti femminili, sapeva soltanto che era al limite della sopportazione con le sue trovate eccentriche e teatrali.
‒ Che diavolo ci fai qui?
Scandì ogni parola con esasperante lentezza, calcò sulle gutturali con violenza e le sue dita si strinsero sulla presa.
Silas con altrettanta forza staccò la mano dal proprio polso e sistemò la maschera che si era storta.
‒ Non alterarti, diventi paonazzo quando ti arrabbi.
‒ Ascoltami bene: devi andartene subito. C'è un tracciatore della Gendarmeria piuttosto in gamba sulle tue tracce, è appena andato via ed è fin troppo vicino a trovarti. Dobbiamo lasciare la città al più presto.
Silas alzò un sopracciglio. ‒ Piuttosto in gamba? Colgo una nota di stima nel tuo tono.
Kieran, preso alla sprovvista, tartagliò sulle prime sillabe. ‒ È‒ è un'analisi oggettiva.
‒ È l'uomo con cui stavi parlando prima? Quello mascherato da cervo? Come si chiama?
‒ Helkins.
‒ Non lo conosco.
‒ Si è affermato negli ultimi anni e prima di adesso non era mai stato molto coinvolto negli affari della Legione.
‒ Ma ora anche la Gendarmeria deve riscattare il proprio onore ‒ commentò divertito Silas. ‒ Sembravate conoscervi da come parlavate.
Kieran evitò il suo sguardo. ‒ Una conoscenza superficiale in alcune situazioni di lavoro, nient'altro. Mi ha chiesto di collaborare per la tua cattura.
‒ Se gli dirai di no sembrerà sospetto.
‒ Non troppo, non siamo in buoni rapporti, sa che è improbabile che accetti di collaborare.
Silas spostò gli occhi dagli ospiti a lui con estenuante lentezza. ‒ Se la conoscenza è superficiale, come fate a essere in cattivi rapporti? È successo qualcosa?
‒ No! ‒ si affrettò a rispondere. ‒ Ma è una persona... senti non ti deve importare. Tu devi solo pensare ad andartene.
Si affossò ancora di più nell’ombra mentre parlava. Silas notò quel gesto e voltò gli occhi curiosi in giro.
‒ Chissà quante voci si staranno spargendo su te che ti apparti con un'accompagnatrice sconosciuta.
Si passò una mano sul viso. ‒ Silas per favore, perché devi rendere tutto così difficile?
‒ E tu perché devi essere così ossessivo sul controllo? Credi che sia così idiota da farmi scoprire? Ho lasciato un nome falso riconducibile a una prostituta, ho afferrato il baronetto Vallis che era già ubriaco e gli ho ricordato di essere la sua accompagnatrice. Se anche dovesse capire che ero qui, per qualche motivo, penserebbe soltanto che sei un bravo tracciatore anche tu e che sei sulle mie tracce. Non ti fidi di me e va bene, ma puoi fidarti almeno delle mie capacità e del fatto che io non sia un idiota completo? Inoltre, se dovesse trovarci, basterà ucciderlo.
‒ Non ucciderò un uomo perché tu eri troppo annoiato per tenere il tuo culo al sicuro nascosto come avevamo concordato.
‒ Io non ho mai concordato nulla. E comunque se ci sta col fiato sul collo prima o poi ce lo troveremo davanti. Come pensi di agire? Lo corromperai?
‒ Non si farebbe corrompere, so com’è fatto.
Silas inclinò il viso. ‒ Oh, per questo lo guardavi così.
Kieran socchiuse gli occhi e cercò di calmarsi. ‒ Perché sei venuto qua. Per parlare con Susanne? Per chiederle di farti fuggire?
‒ Le ho chiesto dei soldi, per entrambi. Dovremo pur mangiare e alloggiare da qualche parte, Susanne non si approfitterà di questo favore. Le ho anche chiesto di farli avere a te, in questo modo non ci saranno sospetti né su di te né su di lei.
Kieran si sentiva irrazionalmente tradito. ‒ Non abbiamo bisogno dei suoi soldi ‒ sputò.
‒ A me sembra di sì.
‒ Posso procurarmeli io. Non capisci che ci hai messo in pericolo tutti, compresa lei.
Silas lo ignorò. ‒ Lasciamo perdere. Tornerò alla pensione, ma prendi quei soldi, ne abbiamo bisogno e lo sai. Vai ai tavoli da gioco e siediti vicino a Susanne. Scommetti quei pochi spiccioli che ci rimangono. Ti farà vincere un paio di volte, così non desteremo sospetti per i soldi. Poi torna alla pensione. Non fare tardi, domani dovremo partire.
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Frattura ***





Frattura

XV



 
Kieran passò il pollice sulla lingua per contare meglio i soldi, ma aveva la bocca secca e impastata per l’alcool. Non riuscì a finire il conteggio e ci rinunciò; il signor Peacock non aveva smesso di riempirgli il calice ogni volta che si svuotava.
Troppi soldi.
Rifletté mentre lo stomaco gli mandava segni di protesta per tutto quello che aveva bevuto nervosamente.
Susanne era stata fin troppo generosa e questo non gli andava giù. Tutti quei soldi per Silas, come i clienti della Dama Rossa. Volevano comprarlo e lui non aveva alcun problema a vendersi.
Cercò di scacciare quei pensieri maligni e intrusivi. Lui era l’ultima persona che poteva giudicare l’operato di Silas, non c’era nulla che Kieran non avesse venduto di sé stesso, neanche i suoi ideali.
Tornava dalla serata con la maschera in mano e il foulard sciolto intorno al collo. Era stanco, aveva tentato di non dormire la notte prima e ora ne subiva le conseguenze. Non avvertiva il freddo pungente della notte sulla pelle bollente, ma era stordito dai fumi della città che lo nauseavano.
Nevicava. I tetti spigolosi delle case erano stretti fra loro, come infreddoliti. Le stradine imbiancate gorgogliavano in prossimità dei tombini e rilasciavano liquidi nerastri che imbrattavano la neve. Alcuni lampioni a gas illuminavano i ponti e le stradine, aiutati dalle luci calde che provenivano dalle case. Non gli sarebbe dispiaciuto sedersi di fronte a un caminetto con un bicchiere di liquore nella mano in quel momento.
Sgrullò la neve dai capelli rossi e guardò verso l’alto senza riuscire a scorgere il cielo, soltanto la neve che scendeva lenta.
Quel tempo nevoso gli rievocava tanti ricordi, quasi tutti legati alle feste del Solstizio. Al villaggio dov’era nato non era una celebrazione soltanto festosa, ma un vero giorno sacro nel quale venivano rivolte offerte al bosco. Nei quartieri di Railia invece si cucinavano caldarroste e vin brulé caldo, si accendevano falò per la città, si danzava e ci si scambiava dolci caramellati e doni come segno di affetto.
In Accademia si organizzava un ballo, fra l’alta società era usanza più comune per festeggiare. Nei giorni a seguire molti cadetti tornavano alle loro rispettive case per qualche giorno. Ricordava che Silas restava sempre in Accademia, senza tornare a casa. Un anno era rimasto con lui a causa di alcune ferite che non gli permettevano di muoversi eccessivamente.
Era un bel ricordo; loro due nella biblioteca, vicino al caminetto che si lamentavano dei maestri e degli allenamenti troppo estenuanti. In quel periodo era stato felice, genuinamente felice. Non sapeva niente del futuro che incombeva e viveva giorno per giorno con grandi aspettative.
Ho già iniziato a piangermi addosso.
Se avesse dovuto condividere i suoi sogni con Silas in Accademia, avrebbe avuto davvero paura, ma forse nella sua ingenuità lo avrebbe trovato liberatorio. Un modo di essere sincero senza doverlo essere davvero. Si fidava ciecamente di Silas d’altronde.
 Ora invece voleva soltanto urlare, ogni segreto rivelato avrebbe potuto distruggerlo e Silas era la persona di cui doveva più diffidare.
Prima di raggiungere la pensioncina attraversò una piccola piazza spoglia in cui convergevano diversi ponticelli di metallo; nel centro sbucava un pozzo arrugginito e ricoperto di neve sopra cui erano stati adagiati alcuni fiori invernali. Uno strato nero e sporco di neve stava pian piano scomparendo sotto la nuova nevicata, ancora immacolata.
La luce di un lampione avvolgeva debolmente le panchine usurate di ferro e una figura appollaiata lì a contemplare la sera. Kieran riconobbe subito quella postura familiare e quel modo di tenere le mani giunte quando era assorto. Si avvicinò e per poco non scivolò sul ghiaccio con il suo equilibrio instabile.
La piazza era deserta. Quelle zone della città non erano sicure la notte e stare all'aperto troppo a lungo era sempre una pessima idea. In lontananza abbaiò un cane e si udì il frastuono di vetri infranti, ma ogni suono veniva mangiato dalle fabbriche e dai loro rumori infernali. Le turbine arrugginite non smettevano di girare, mentre le scavatrici e le pompe d’acqua continuavano imperterrite anche nella notte il loro lavoro. Gli operai lavoravano dall’alba al tramonto, ma capitava spesso che fossero costretti a doppi turni. A Moslon i sindacati non erano attivi come nella capitale, erano tutti troppo ammalati per sollevare la testa.
Silas era seduto sullo schienale della panchina, aveva i capelli raccolti sotto un cappello a cilindro e indossava un elegante cappotto di stoffa nera. Doveva aver rubato gli indumenti al baronetto prima di andare via. Si era tolto gran parte del trucco, ma aveva alcune sbavature intorno agli occhi.
‒ Che ci fai qui?
‒ Ti aspettavo. Non riuscivo a dormire con questi rumori infernali, volevo guardare il cielo allora, ma non si vede niente. Questa città è una vera fogna.
Kieran cascò a sedere vicino a lui con un tonfo. Era ancora padrone di sé, ma l'alcool non aiutava la sua coordinazione. Tirò fuori i soldi dalla giacca e glieli mostrò.
‒ La tua amica è stata fin troppo generosa.
Silas osservò i soldi e abbassò lo sguardo. ‒ Lo è sempre stata.
Kieran ripose i soldi con un’espressione di sufficienza. Dal suo punto di vista era facile essere generosi quando si nasceva con tutti quei soldi.
Perché sono così infastidito.
Cercò di scrollarsi via la solita irrequietezza crescente che lo prendeva allo stomaco quando qualcosa sfuggiva al suo controllo. Il coinvolgimento di Susanne lo aveva scosso più del previsto.
‒ Quell’Helkins sembrava piuttosto insistente. Come mai tanta sfacciataggine nei confronti del Campione?
Cercò di asciugare le ciglia rosse imbiancate. ‒ Non ho intenzione di parlare di Helkins, Silas ‒ replicò secco.
‒ Hai detto che c’è cattivo sangue fra di voi. È successo qualcosa, ti ha… è stato inappropriato con te? ‒ domandò cauto.
Kieran rise. ‒ Inappropriato è la parola giusta direi. La sua intera vita è inappropriata.
Si voltò e trovò gli occhi violetti di Silas che lo scrutavano con attenzione. Aveva quell’espressione concentrata di quando cercava di capire un rompicapo.
‒ Lui è più anziano di noi.
‒ Sì, di una decina d’anni penso.
Silas ticchettò la neve della panchina. ‒ Quando lo hai conosciuto? Da ragazzino? ‒ incalzò.
Kieran alzò un sopracciglio. ‒ No, Helkins non è nobile da quel che so, ma aveva una discreta fortuna. Non è delle mie zone, l’ho conosciuto sei o sette anni fa.
Lo vide elaborare l’informazione, sovrappensiero. Era nervoso. Kieran se ne accorse subito; era talmente raro vedere Silas abbandonare la solita irritante disinvoltura, che il suo nervosismo spiccava subito all’occhio. Continuava a tenere le mani giunte e a grattarsi l’orecchio a punta. Quando qualcosa lo preoccupava diventava meno umano per qualche motivo, si avvicinava troppo con il viso, osservava in modo insistente e inclinava il capo di lato, un gesto tipico delle fate quando tentavano di comprendere qualcosa.
‒ Oggi eri strano ‒ commentò, serio. ‒ Sei stato strano anche stamattina, quando ti sei chiuso in bagno.
Silas studiò le linee sul proprio palmo come se potesse nascondercisi dentro. Le seguì con il dito ed evitò lo sguardo dell’altro.
Kieran trattenne un sorriso quando lo vide compiere quel gesto. Si metteva spesso a seguire le linee della mano quando era nervoso o sovrappensiero in Accademia, non si accorgeva di apparire bizzarro e strano quando iniziava. Lo trovava spesso immerso nei propri pensieri così, incurvato su una sedia. Era il suo modo di focalizzarsi. Una volta gli aveva accennato che per le fate e per i mezzosangue era più complesso a volte mantenere l’attenzione ed elaborare sentimenti contrastanti insieme, che potevano avere problemi a concentrarsi e a rimanere attenti.
‒ Ho sognato vecchi ricordi. Miei, non tuoi, non fare quella faccia. Ricordi sgradevoli.
Kieran si allentò il colletto e sciolse il laccio. Aveva la gola irritata dai fumi, ma non riusciva a indossare la maschera in quel momento, aveva bisogno di un po’ di aria, per quanto mefitica.
‒ Il bordello te li ha suscitati?
Silas lo guardò per un attimo come se volesse dire altro. ‒ Sì, in un certo senso. Spiegare che cosa si prova è un’impresa. Sei mai stato costretto a fare qualcosa del genere contro la tua volontà?
Kieran impiegò qualche secondo per elaborare la domanda. Si grattò la barba che non aveva tagliato e guardò verso l’acqua scura dove ondeggiavano piccoli strati di ghiaccio.
‒ Cosa intendi? ‒ rispose e strizzò gli occhi più volte.
‒ Ti hanno mai forzato a usare il tuo corpo come non avresti voluto?
Pian piano prese coscienza della domanda e la foschia sparì dalla sua espressione, sostituita da una mano fredda premuta sulla schiena. Il gelo della questione lo riportò coi piedi per terra e rimase in silenzio.
Perché Silas gli poneva quella domanda?
‒ Perché pensi che mi sia successa una cosa simile ‒ mormorò e scandì ogni lettera come se fosse impronunciabile.
Silas si agitò appena sul proprio sedile. ‒ Sei un soldato quindi vendi continuamente il tuo corpo al governo, come arma.
Kieran alzò gli occhi al cielo. ‒ Intendevi questo? Mi fa troppo male la testa per sorbirmi altre tue opinioni sul Ferro.
‒ Quello che volevo dire…
Sembrò esitare e si morse il labbro, indeciso. Appariva in difficoltà. ‒ Ci sono cose che, ecco, non voglio che tu ti senta… sei maledettamente orgoglioso, ma non devi pensare di doverti vergognare, no, volevo dire di doverti… ‒ iniziò a incartarsi con le parole e sospirò quando capì che Kieran aveva smesso di seguirlo.
‒ Ho pensato che qualcuno in passato ti avesse costretto a fare qualcosa quando ho visto la tua reazione alla Dama Rossa. Sembravi spaventato, annichilito.
Kieran avvertì la terra mancargli sotto i piedi. Se aveva un po’ di nausea ora era certo che avrebbe vomitato. Una patina di sudore freddo gli ricoprì la pelle e faticò molto per mantenere un atteggiamento distaccato e neutrale.
Qualsiasi lucidità svanì dalla sua testa.
Doveva dirottare subito quella conversazione a qualsiasi costo.
Lasciò uscire una risata forzata. ‒ Silas so cosa stai cercando di fare, ma potevi inventare qualche inganno migliore. Mi hai visto? Credi sul serio che qualcuno riuscirebbe a soggiogarmi così facilmente?
‒ Non è sempre una questione di forza fisica. Anzi, non lo è quasi mai. Cosa starei cercando di fare secondo te?
‒ Cercare un punto di contatto con me per manipolarmi, ma potevi trovare qualcosa di meglio che questa fantasia ridicola.
Silas sospirò e si chinò in avanti con le mani giunte.
‒ Se mi sono sbagliato è meglio così.
‒ Certo che ti sei sbagliato e la tua insinuazione è assurda.
Gli lanciò un’occhiata intensa. ‒ Perché?
‒ Perché lo è. Smettila di paragonarmi a te, smettila di credere che ci sia qualche disgrazia o ferita nascosta a farmi agire come agisco. Vuoi che ci sediamo a parlare di sentimenti e stronzate simili? A raccontarci le disgrazie della vita mentre ci facciamo le trecce? È tardi per quello, non credi? Quei tempi li abbiamo già avuti e sappiamo entrambi come sono finiti. Le tue strategie d’inganno sono sempre più scadenti, Vauk.
Una distanza. Doveva creare più distanza possibile, subito. Doveva far passare a Silas ogni voglia di ficcare il naso.
Silas si tolse il cappello con un sorriso amaro. ‒ Lo dici come se fosse qualcosa da disprezzare, non era per rievocare i vecchi tempi, non m’importa di qualsiasi stronzata tu abbia fatto mentre eri intento a rovinare la mia vita. Ci sono questioni per cui non esiste una fazione o un’inimicizia che tengano, ci sono questioni che possono avere un solo giudizio, anche se a pronunciarlo è il tuo peggior nemico.
‒ Per quanto tu abbia vissuto lo spirito dell’Accademia per finta, dovresti sapere che questi discorsi li lasciamo agli altri, non abbiamo il lusso di metterci a snocciolare i nostri sentimenti in continuazione.
Silas cercò di mantenere un tono calmo. ‒ Non nasconderti dietro la rigidità militare, perché non siamo più in Accademia e abbiamo superato gli anni in cui avevamo paura di apparire deboli.
Quello che voglio dire è che, anche se siamo su fronti opposti o ci odiamo, esistono faccende su cui possiamo mostrarci umanità e… solidarietà, senza che questo significhi nulla.
Kieran sollevò le braccia, esasperato. ‒ Non funziona così, Silas. Non puoi stabilire tu quali sono le cose importanti per cui mostrare solidarietà ‒ e lo pronunciò con scherno. ‒ Vuoi dire che anche se ci odiamo devi compatirmi se qualcuno mi violenta? Credi che sia peggiore di provare a uccidermi? Di ammazzare qualcuno che amavo? Non ci sono vere tregue quando la persona che hai davanti vuole distruggerti. Non hai il diritto di compatirmi o di dire frasi del genere.
Scosse la testa. ‒ D’accordo, non vuoi parlarne, non avrei dovuto tirare fuori l’argomento.
Perché all’improvviso si sentiva così arrabbiato? Non si era neanche accorto di avere i pugni serrati.
‒ Non c’è nulla di cui parlare e anche se ci fosse, no, non vorrei parlarne con te o con nessun altro. Non ho il costante bisogno di vomitare sugli altri i miei drammi personali.
Silas infilò la mano nel taschino e trovò una fiaschetta laccata d’oro. Pulì il beccuccio e bevve un sorso, rabbrividendo.
‒ Un regalo del baronetto, ha buon gusto in fatto di alcolici — tentò di sdrammatizzare, prima di inumidirsi le labbra e tornare serio. — Ti ho chiesto a proposito di questo soltanto perché per me è sempre stata... dura parlarne. Soprattutto di ciò che è accaduto alla Dama Rossa dopo la mia fuga. Visto che l'ultima persona ad avermi toccato prima di quel momento eri stato tu.
Kieran rimase immobile dove si trovava, il sangue sembrò defluirgli dal corpo.
Lo aveva fatto davvero. Aveva aperto quella scatola, aveva tirato fuori qualcosa che non doveva essere tirato fuori. Gli aveva detto di non insistere, gli aveva detto di stare zitto e chiudere la bocca, ma no, lui non poteva smettere di tormentarlo, non poteva smettere di manipolarlo.
Fu come se qualcuno avesse aperto una faglia dentro di lui e le emozioni che aveva intrappolato zampillarono incontrollate. Si passò le mani sul viso.
‒ Tu sei davvero senza vergogna.
Silas sbatté le palpebre e lo osservò. – Cosa?
‒ Sei… ‒ gli mancava il fiato. – Menti e manipoli con una facilità disarmante, non smetti mai, mai neanche per un secondo di continuare a tirare i fili, come se fossi ancora il tuo burattino. Ci provi con il sesso ogni singola volta, con le tue battute, con i tuoi doppi sensi. E quando fallisci diventi ancora più meschino e dici frasi del genere. Vuoi farmi parlare del mio passato, vuoi insinuartici per avere meglio il controllo, come un parassita che si nasconde dentro una ferita infetta.
Silas aveva gli occhi sgranati. – Sei impazzito?
Kieran si alzò rabbiosamente. – Sono davvero stanco. Superi il limite ogni maledetta volta. Visto che hai tirato fuori l’argomento, forse vuoi sapere cos’accadde a me dopo la tua fuga. Di come mi arrestarono, di come mi torchiarono giorno e notte per capire dove tu fossi, mi interrogarono ancora e ancora, credendo che io fossi tuo complice. Tutti quelli a conoscenza della situazione mi ritenevano un traditore, pensavano che fossi il tuo maledetto cane. Mi hanno minacciato e picchiato. Non avevo nessuno accanto, il maestro Fergus era morto, per causa mia che mi ero fidato di te. Non permettevano a nessuno di vedermi, neanche al rettore. Mi hanno torturato con la magia per farmi parlare di te, la tua famiglia era presente a ogni singolo interrogatorio. Chissà per quale motivo visto che non potevano prendersela con te, se la presero con me. Io ho subìto tutte le rappresaglie del tuo gesto, sono piombate su di me, non su di te. Hai rischiato di distruggere la mia vita, tutto quello che mi ero costruito! Mi hanno rilasciato dopo aver fugato ogni sospetto di complicità, ma sapevano che cos’eri per me. Ho dovuto implorare per non essere congedato, ho dovuto subire umiliazioni di ogni sorta e sono stato promosso all’Accademia con una macchia di disonore sulla mia carriera che mi perseguiterà per sempre. Ho dovuto faticare più di tutti per dimostrare che non ero tuo complice negli anni a seguire. Perché la gente sapeva, sapeva quello che mi avevi fatto.
‒Quello che… ti avevo fatto? – ripeté Silas, la voce che gli mancava.
Il volto era contratto a quelle parole, ma gli occhi esprimevano tutto il suo stupore. Non ne era neanche a conoscenza.
Questo figlio di puttana non si è mai neanche chiesto che cosa mi fosse accaduto.
Kieran si passò le mani fra i capelli. – Tu hai fatto nascere a forza dentro di me quei sentimenti, li hai innestati come una malattia e poi mi hai usato! Sapevi perfettamente come rigirarmi, mi avevi talmente in pugno che ti ho anche difeso. Ho continuato a dire al rettore che tu non eri affiliato alla Legione, che ti ricattavano, che doveva esserci una spiegazione. Mi sono sentito in colpa per la mia reazione di quella notte. Ero sicuro che saresti tornato indietro, che ti saresti preso le tue responsabilità e che avremmo affrontato insieme tutto quello, che ero stato troppo duro. Ero certo ch-che sarebbe stato come il nostro primo scontro sul ring, quando non avevi permesso che soltanto io venissi punito. Ma non lo hai mai fatto. Non sei mai tornato. Se non fosse stato per il rettore, mi avrebbero impiccato. Lui è riuscito a farmi passare per un povero idiota infatuato senza arte né parte che era stato ammaliato e usato, con questa difesa ha convinto i pochi coinvolti della mia innocenza. È stato un incubo di cui non riuscivo a vedere la fine. Ho perso il rispetto di tutti. Invece tu eri qui, a prostituirti per scappare e raggiungere i tuoi complici, non hai pensato neanche per un attimo a me. Io invece non riuscivo neanche a chiudere occhio, ogni minuto pensavo a dove fossi, se stessi bene. Ero certo che ti avessero rapito o costretto —. S'interruppe per riprendere fiato, deglutì a forza e quasi si strozzò con il veleno delle parole successive: — non è passato neanche un mese che hai attaccato una fabbrica e ucciso tuo cugino. Sei ricomparso così. Non una lettera, un biglietto lasciato in Accademia, niente. Il tuo gesto valeva più di mille parole però. Eri libero, lo eri sempre stato, anche se fino a quel momento non volevo crederci. Non ti fregava nulla dei cocci che ti eri lasciato dietro, mentre la mia cazzo di vita collassava e andava in pezzi, tu eri già andato oltre. Avevi fatto tutto solo per usarmi.
Cercò di calmarsi, non si era neanche accorto di aver alzato man mano la voce fino a gridare.
Silas lo guardava ma non sembrava riconoscerlo, tremava, forse di rabbia. – Tu credi davvero che questi pensieri non mi abbiano tormentato giorno e notte in Accademia? Che non abbia cercato di evitare a ogni costo che tu venissi coinvolto? Che non abbia agito così anche per tenerti fuori da tutto questo? Non avresti dovuto essere lì quella notte, non avresti dovuto seguirmi! Ti avevo detto di tornare indietro! ‒. Si passò una mano sul viso in un vano tentativo di riprendere il controllo. ‒ Pensi  che io abbia fatto tutto di proposito? Credi che sia stato un mio piano quello di affezionarmi a te? Spiegami perché. A che cosa mi servivi, tu? Tu che non eri nessuno, che non avevi potere e non valevi niente politicamente. Quale fottuto vantaggio traevo a “manipolarti”?
Kieran sentiva di star andando in pezzi, ma iniziò a parlargli sopra senza farlo finire. Alzò la voce per sovrastarlo. Odiava farlo, odiava parlare sopra gli altri per zittirli, ma gli ribolliva il sangue nelle vene. – Proprio perché non avevo nulla e nessuno, ero perfetto. Qualcuno che si attaccasse a te, qualcuno che avesse bisogno di te ‒ e lasciò uscire una risata spezzata, – volevi un complice, un burattino, un giocattolo rotto da lasciare indietro quando non ti fosse servito più.
Gli afferrò il colletto con la mano stretta a pugno. Aveva le pupille dilatate e il viola degli occhi che luccicava appena. ‒ Perché sarei dovuto tornare io? Dovevo tornare e farmi uccidere per qualcuno che non aveva neanche provato a capire le mie azioni, a chiedermi una spiegazione? Perché tu non sei venuto con me? Perché non mi hai cercato? Non contemplavi nemmeno l’idea! Credi che io non abbia sperato ogni anno che tu aprissi gli occhi? Che tu potessi capire le mie ragioni e unirti a me? O anche solo che tu smettessi di provare a catturarmi e uccidermi? Sono andato via, ma non ho cercato in alcun modo di rovinare la tua vita. Ti ho lasciato in pace, e sì, mi puoi recriminare la mia indifferenza, ma nient’altro. Tu invece ti sei messo alle mie calcagna, riversandomi addosso il tuo odio e il tuo disprezzo di continuo. Hai continuato ancora e ancora a sabotare la mia vita. Volevo solo essere libero! Tu però non potevi permettermelo. Ho tenuto la Legione lontana da te all’inizio, ma tu non ti fermavi, giorno e notte, mi volevi morto a ogni costo.
‒ Era l’unico modo che avevo per dimostrare la mia innocenza. Ma non fraintendere, l’ho fatto sempre con piacere ‒ rispose in un sorriso rancoroso. ‒ Se tu fossi stato davvero indifferente mi saresti stato lontano fin dall’inizio. Invece mi hai sedotto. E ora insisti, insisti con la stessa tecnica usata anni fa. Credi che io sia un completo imbecille, quando puoi star certo, che non mi fiderò mai più di nessuno come mi sono fidato di te. E questo non significa che non faccia male, ma tu sei talmente disgustoso che pur di manipolarmi mi apriresti le gambe qui e ora.
Il pugno che gli arrivò in faccia lo gettò quasi a terra, sulla neve fangosa. Silas aveva il viso che era una maschera di rabbia.
‒Sei delirante, Kieran. Mi dai la colpa di essere diventato una persona orribile, che vive chinando il capo e mentendo, quando sei sempre stato così. Non riesci ad accettare che in Accademia tu provassi sentimenti per la persona che ti ha ferito. Lo capisco, tutti vorremmo dimenticare di aver amato chi ci ha voltato le spalle. Ma tu credi talmente tanto alle tue stesse bugie che pensi sia stato tutto un mio complotto. Quella notte mi hai urlato che mi avresti ucciso, ricordi? Non hai cercato di “risolverla insieme”, eri fuori di te, mi hai guardato come se fossi un mostro. Ti chiedevo di ascoltarmi, di lasciarmi spiegare, e tu mi hai puntato contro una spada e mi hai zittito con urla e accuse. Dici che mi hai difeso dopo? Che speravi che io tornassi da te? Sei un maledetto ipocrita. Il tuo fragile orgoglio è così patetico che deve inventarsi scuse per sopravvivere.
Silas gli si avvicinò finché il viso non fu a pochi centimetri dal suo. – Perché non riesci ad accettare che eri tu quello disposto ad aprire le gambe, non mi hai implorato di scoparti quella volta che eri ubriaco, in camera, quando ti dissi di no?
Gli occhi di Kieran si colorarono di un’ira violenta e ricambiò il pugno, furibondo. – Questo perché sei un maledetto mezzosangue. Sono costretto a volere queste cose da te.
Silas scoppiò a ridere mentre si asciugava il sangue. – Credi sul serio di ferirmi così? È tenero, lo ammetto, ma anche subdolo usare le mie confessioni contro di me. Quindi volevi scoparti anche il tuo prezioso rettore mezzosangue?
Kieran lo afferrò per le spalle e lo sbatté contro il lampione. Un po’ di neve cadde a terra e la luce ebbe qualche spasmo. – Sei solo un viziato in cerca di attenzioni. Non potevi accettare la rigidità della tua famiglia e te ne sei andato come il codardo che sei, avevi problemi con mamma?
Silas gli graffiò il collo nel tentativo di afferrarlo e lo spinse via con forza. Provò a colpirlo con un calcio e Kieran lo parò, afferrandogli la gamba.
‒Non tutti eravamo così senza spina dorsale da accettare gli abusi del proprio genitore, Reed. Forse tuo padre ti ha picchiato a tal punto da renderti uno smidollato.
Kieran voleva rompergli la gamba, aveva perso qualsiasi briciolo di controllo. Silas però colmò la distanza e gli assestò una capocciata in viso. Il sangue gli riempì la bocca e sputò a terra per farlo uscire. Si separarono e rimasero in silenzio per qualche secondo, ansanti, pronti ad azzannarsi.
‒ Quando questa storia sarà finita ti trascinerò di nuovo in cella e ti guarderò venire giustiziato col sorriso sulle labbra. Avrei dovuto lasciarti morire quando potevo. Avrei dovuto lasciare che gli amici di Siegan andassero fino in fondo. Questa è l’unica solidarietà che otterrai mai da me, Falena.
Silas allargò gli occhi e qualcosa di contorto e meschino gioì in Kieran per un attimo, perché era riuscito a fare breccia, era riuscito davvero a ferirlo. Gli venne da sorridere, ma l’espressione di Silas raffreddò quella felicità distorta in un attimo. Rimase in piedi con la faccia intorpidita per i colpi.
‒ La verità è che io non potrei mai essere come te – mormorò Silas. – Mi hai reso il nemico della tua storia, ma non potrei mai essere crudele come te. Neanche se ci mettessi tutto me stesso. Ed è per questo che non vincerò mai contro di te.
Silas raccolse il cappello e si asciugò il sangue dal naso. Si voltò e fece per andarsene.
‒ Tu non te ne vai.
Lo afferrò per la manica e quasi la strappò. Silas non stava facendo resistenza e guardò la mano stretta intorno al cappotto.
‒ Va bene, allora incatenami, trascinami alla pensioncina da bravo guerriero di Ferro, picchiami fino a farmi perdere i sensi. Sono stanco di tutto questo. Sfoga tutto l’odio che hai per me, rompimi i denti e le ossa, sbrigati, non mi opporrò.
Kieran non si mosse, si limitò a riprendere fiato e a guardarlo con rabbia. All’improvviso era turbato dal suo riflesso negli occhi dell’altro. Lasciò la presa come se si fosse scottato e abbassò il braccio.
‒ Come pensavo.
Silas riprese a camminare e sparì fra i vicoli, lasciando Kieran solo accanto alla panchina.
 
*
 
La Libellula era intenta a distillare nelle cantine un piacevole liquore da alcune bacche fatate, quando al piano di sopra udì sbattere una porta e volare una sedia contro il muro.
Gli alambicchi di vetro tintinnarono e dal soffitto scivolò un po’ di polvere. Partì uno sparo prima che potesse anche solo poggiare i suoi strumenti.
Si diresse al piano superiore con una certa irritazione e trovò Silas intento a urlare contro Coz che aveva fatto partire un colpo. Un tavolo e qualche sedia erano stati rovesciati, l’unico cliente che si era addormentato nel pub si svegliò di soprassalto e scappò dall’ingresso.
‒ Brutto idiota che non sei altro, mi hai quasi preso con quel proiettile.
‒ Sei entrato qui dentro urlando e lanciando sedie, che cazzo avrei dovuto fare.
Zeph soppesò se intromettersi nel litigio, poi decise di lasciarli sfogare un po’ e sedersi su uno dei suoi sgabelli. Liberò le ali rinchiuse dietro la schiena e queste si adagiarono di lato con grazia. Passò l’unghia appuntita sul legno del bancone e ticchettò con fare annoiato.
Silas aveva un bel livido in viso e il colletto della camicia macchiato di sangue. Ma più di qualche segno in faccia, a colpirlo furono gli occhi: fiammeggiavano, febbricitanti, di rabbia, delusione, agitazione, era difficile dirlo. Non sembrava del tutto in sé.
‒ Possiamo calmarci tutti quanti? ‒ commentò con flemmatica calma.
Prese un po’ di spirito di Banshee e lo versò nel bicchiere che porse a Silas. Aveva bisogno di qualcosa di forte.
‒ Ne deduco che il ballo non sia andato come credevi ‒ commentò con un ghigno. ‒ Chi ti ha colpito?
Silas buttò giù il bicchiere e scosse la testa. ‒ Non è importante.
Zeph allungò le dita e toccò la fronte di Silas, dove un bel bernoccolo si stava gonfiando. A volte Vaukhram con le sue espressioni esasperate o rabbiose gli ricordava il volto di suo figlio, quando era ancora vivo.
‒ Coz portami una delle bistecche che abbiamo nel ghiaccio.
Arrivò un grugnito in risposta, ma ubbidì e scese la scala di legno che portava a quell’acquitrino che chiamavano cantina.
‒ Sei ferito? ‒ domandò, senza particolare emozione nella voce.
Silas si scrollò di dosso il suo tocco. ‒ No.
Prese la bistecca fredda che Coz gli porgeva. ‒ Questo ti aiuterà.
‒ Potresti guarirmi con la tua magia, Zeph, invece che spiaccicarmi della disgustosa carne in faccia.
Toccò il piccolo corno che aveva al collo, lo strinse fra i polpastrelli con fare protettivo. ‒ Non ne ho intenzione.
Gli occhi di Silas si sollevarono sul pendaglio e assunsero tinte malinconiche, ma non disse nulla. Chissà, forse sapeva che un tempo quel piccolo corno era appartenuto a un bambino mezzosangue. Ormai non restava che quello fra le sue dita.
‒ Le tue emozioni però sono fuori controllo, se tu potessi usare la magia ne vedremmo delle belle ‒ e sorrise. ‒ Cavana ha sempre ammirato il tuo modo emotivo di lasciar uscire la magia.
Silas lo incenerì con lo sguardo. ‒ Non tutti sono apatici come te.
‒ Non sono apatico, sono soltanto distaccato.
‒ Lotti comunque per una causa.
L’idealismo di Silas a volte era tenero. ‒ Certo, ma non come te o come Drake o come Cavana. A me interessa soltanto far più danni possibile, che sia con la Legione o per conto mio mi è indifferente. Per questo non m’importa di consegnarti a Cavana. Le passerà, le quisquiglie fra di noi sono inutili.
Silas si sedette e s’inumidì le labbra. ‒ Non so se vivere come fai tu sia un tormento o una benedizione.
‒ Nessuno dei due.
All’inizio era stato entrambe le cose, ma ormai le sue emozioni si erano affievolite. Per lui era una questione di prospettiva, il modo in cui si osserva un quadro e si mette a fuoco sul panorama sfocato e distante. Nulla aveva più una reale importanza, sentiva gioie flebili quando impiegava il suo tempo per distrarsi, mentre alcune emozioni più forti lo invadevano quando uccideva qualcuno del Ferro. Ma era tutto ovattato e passeggero.
Silas lo guardò con quella sua bizzarra pietà e abbassò lo sguardo. Vaukhram era stato troppo con gli umani a suo avviso e a volte questo emergeva nelle sue espressioni non richieste. Gli umani erano bravi a essere atroci e compassionevoli contemporaneamente, non si sentivano neanche troppo ipocriti in questo. Una fata, per quanto volubile, non avrebbe mai potuto serbare in sé due emozioni così forti insieme. Non avrebbe mai potuto vivere di tanta incoerenza.
Silas estrasse dalla tasca del pantalone una piccola fiala di cristallo. La teneva fra l’indice e il medio senza neanche guardarla.
‒ Ecco a te, come promesso, il ricordo del Campione che la Crisalide ha conservato.
Zeph allungò una mano, ma Silas ritrasse la propria.
‒ Nessuno sa che cosa racchiuda, potrebbe anche esserci Kieran che fa le trecce ai cavalli per quanto ne sappiamo. Devi promettermi che a prescindere io verrò tutelato.
Zeph non dava importanza alla parola data come concetto, ma da un punto di vista pragmatico trovava più semplice dire qualcosa e farlo, piuttosto che mentire.
‒ Questo dipende da Cavana. Posso prometterti che a prescindere dai suoi ordini non troverai in me un nemico.
Sembrava riluttante. ‒ Suppongo di dovermi accontentare.
Gli porse la fiala senza aggiungere altro. Rovesciò la testa indietro e socchiuse gli occhi.
‒ Lasciami dormire qui stanotte.
Zeph non gli stava prestando attenzione. ‒ Fa ciò che vuoi.
Silas si sporse oltre il bancone. ‒ Ho bisogno di bere. Il tuo cane da guardia si unisce a noi?
Ricevette un altro grugnito in risposta e gli sorrise. ‒ Lo prendo come un sì. Visto Coz? Stiamo diventando amici ‒ lo canzonò.
Afferrò un altro liquore e lo versò in tre bicchierini.
‒ Versa e sta zitto ‒ mugugnò l’altro.
Silas ridacchiò e ingollò il liquore in un sorso.
È turbato.
Rifletté la Libellula. Probabilmente c’entrava il Campione, Silas era sempre stato vulnerabile a quell’umano.
Ripensò agli ordini di Cavana: voleva Kieran Reed vivo. Voleva scavare nella sua testa, cercava qualcosa, un’informazione e forse era contenuta proprio lì, in quella fiala.
 Zeph la osservò con una punta d’interesse; il ricordo prezioso di un guerriero di Ferro. Chissà che cosa nascondeva, se fosse stato un tesoro avrebbe voluto rubarglielo, se si fosse trattato di una persona cara, gliela avrebbe strappata, se fosse stato un segreto avrebbe voluto diffonderlo, se avesse contenuto un rimpianto gliene avrebbe creati altri.
Sorrise.
Torturare i guerrieri di Ferro riusciva ancora a dargli qualche emozione in fondo.
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** IV - Accademia - ***


Anche qui un mini-riassunto è d’obbligo, perché è passato molto dall’ultimo capitolo nel passato.
Kieran e Silas hanno intorno ai sedici-diciassette anni e sono cadetti al primo anno di Accademia del Ferro. Sono compagni di stanza e amici. Il rettore, William, è un mezzosangue nonché il protettore di Kieran, colui che lo ha raccomandato per farlo ammettere all’Accademia.
Dopo i primi mesi si avvicina finalmente l’Iniziazione, ovvero l’esame effettivo d’ingresso nel Ferro. Il maestro Fergus cerca di incoraggiare Kieran e gli regala il diario di una famosa guerriera del Ferro chiamata Halldora. La notte prima dell’Iniziazione hanno partecipato a una rissa contro un altro cadetto di nome Siegan che voleva rovinare qualsiasi futuro nel Ferro per Kieran. Insieme si sono difesi e sono riusciti a spuntarla, anche se l’Iniziazione è alle porte.



 
IV


Accademia




 

893 p.U.
 
 

Il giorno dell’Iniziazione era stato impossibile nascondere i segni delle botte e le nocche spaccate. Kieran e Silas si presentarono pesti e stanchi, ma i loro avversari non erano da meno. Erano stati convocati tutti di fronte al rettore per discutere dell’increscioso incidente.
Siegan non era presente. Kieran aveva sbirciato fra gli altri cadetti convocati senza vedere la sua faccia furibonda. Thomas era cupo e imbronciato, gli amici di Siegan lo avevano spintonato e lui non aveva reagito.
‒ Non lo hanno convocato? ‒ bisbigliò a Silas.
Il suo compagno di stanza si massaggiò il petto lì dove aveva ancora qualche graffio. ‒ Credo che non riuscirà ad alzarsi dal letto per giorni, gli ho rotto la testa contro un chiodo.
‒ E se fosse… morto? ‒ domandò, improvvisamente terrorizzato.
‒ Se fosse stato così lo avrebbero già saputo tutti. Stai tranquillo.
Il maestro Darren li aveva squadrati a uno a uno prima di iniziare a urlare. Le vene del collo gli si erano gonfiate e si era talmente infervorato da strozzarsi con la propria saliva. Kieran guardò Silas contrarre il viso quando venne inondato dalla saliva delle urla e soppresse una risatina.
Il rettore intervenne con ben più calma; gli occhi fatati esaminarono ciascuno di loro e si soffermarono su Kieran qualche secondo di troppo. Quello sguardo deluso lo costrinse ad abbassare la testa e a guardarsi i piedi con vivido interesse.
Sapeva che cosa stesse pensando, infatti il suo sguardo si spostò su Silas in modo imperscrutabile.
‒ Se scegliete di tacere ne pagherete le conseguenze al vostro ritorno. Nessuno escluso.
La sua voce era talmente autoritaria che i compagni di Siegan si ritrovarono tutti a fissare il pavimento come Kieran, e lo stesso Silas non riuscì a fare a meno di apparire colpevole e di guardare altrove.
Nessuno di loro parò. Kieran ne rimase stupito, ma sentiva fin nelle ossa che parlare di ciò che era accaduto sarebbe stato un gesto inaccettabile. Voleva dire ogni cosa, voleva raccontare di che cos’avevano provato a fare quelle bestie accanto a lui, ma non riuscì a dire nulla. Osservò Silas di sottecchi, che stava in piedi vicino ai suoi aguzzini, impassibile. Voleva davvero mantenere il silenzio?
Ognuno di loro inventò una scusa diversa: le scale, gli allenamenti, una brutta caduta da cavallo. Nessuno tirò fuori la nottata trascorsa e i maestri non avevano tempo per torchiarli.
Fergus scosse la testa e lanciò un’occhiataccia sia a Silas che a Kieran, poi vennero dimessi e mandati in infermeria.
Avevano qualche ora prima di doversi presentare nel campo di allenamento principale per lo smistamento dell’Iniziazione. Dopo essere stati medicati con più cura, furono spediti in camera fino all’orario prestabilito col divieto di uscirvi.
Nonostante la notte passata in bianco, nessuno dei due era intenzionato a dormire.
‒ Ci manderanno assieme in missione ‒ commentò Silas, osservando il soffitto.
Entrambi erano sdraiati sui rispettivi letti, troppo stanchi per muoversi ancora.
Kieran stava leggendo il diario di Halldora, ma era vigile alle parole di Silas. ‒ Che cosa te lo fa pensare? Perché siamo compagni di stanza forse?
‒ Non credo. Ho origliato una conversazione del rettore, manderanno i cadetti in piccole squadre a seconda delle valutazioni che hanno ricevuto dai maestri fino a questo momento.
Le sue valutazioni erano state piuttosto buone, escluse quelle prettamente teoriche.
‒ E?
‒ Le nostre valutazioni sono allo stesso livello e i maestri sanno che diamo il meglio di noi quando siamo nello stesso gruppo.
Kieran abbassò un attimo il diario. ‒ Come fai a sapere le mie valutazioni?
Silas agitò una mano. ‒ Non è importante. Ma ci manderanno insieme.
‒ Mmh.
Non riusciva a concentrarsi sulle sue parole in quel momento, il diario di Halldora non lo stava incoraggiando come avrebbe voluto. Aveva iniziato a leggerlo da quando il capitano glielo aveva consegnato, ma non era certo se continuarlo.
Dalla vita di un’eroina si aspettava molte cose, ma non quella disperazione. Prima di imparare a leggere, sua mamma gli raccontava le storie di Reix, il paladino dei loro racconti popolari, c’erano tante favole che lo riguardavano e due volte l’anno mettevano in scena alcune sue imprese con le marionette in piazza, durante il Solstizio d’estate, quando il villaggio era in festa. Reix era un personaggio di fantasia, ma Kieran amava ogni singolo dettaglio delle sue imprese. Appena aveva imparato a leggere grazie agli studi pagati da William, aveva recuperato tutti i romanzi cavallereschi, l’epica, le epopee, le tragedie, tutto ciò che avesse in sé quei valori, quel senso di onore, li aveva assorbiti come una spugna, divorandoli.
La realtà era ben diversa. Halldora scriveva di solitudine, di perdita, di dolore. Le righe erano dense di rammarichi e rimpianti, di incubi e di orrori.
Kieran non era riuscito a pensare di dormire dopo aver letto di come Halldora aveva ritrovato una ragazzina di sedici anni finita in mano al Valksha quando ne aveva dodici. La aveva privata di tutto, degli occhi, della lingua, di alcuni organi, il tutto senza ucciderla; la magia dei Valksha era ancora oscura e poco conosciuta, si diceva che fossero in grado di scomporre un corpo senza ucciderlo.
La ragazzina aveva subito ogni tipo di violenza, era magra e denutrita, e incinta.
È troppo tardi solo con la morte. Ma quando succede qualcosa di peggiore della morte, come si fa ad andare avanti? Cosa dire a queste persone, quando tutto ciò che riesco a pensare è “sarebbe stato meglio se fossero morte”? Quando sei vivo non puoi nasconderti dalla vita, non puoi dire “è troppo tardi” anche se per te lo è, anche se la tua vita è stata rovinata ancora prima di iniziare. Devi andare avanti con quello che ti è rimasto, il mondo non si fermerà, non puoi nasconderti dal futuro, anche se sei un guscio vuoto.
Kieran non riusciva a sentire quelle parole come qualcosa di vicino. Malgrado tutto era certo che queste cose a lui non sarebbero successe, che lui non avrebbe permesso che fosse “troppo tardi” in nessun senso. Sapeva mentre lo pensava che fosse stupido e ingenuo, ma era una sicurezza irrazionale, quel tipo di sicurezza che forse avevano tutti i cadetti ancora. A me non succederà.
Perché è più semplice pensarla così.
‒ Ti vedo assorto nel diario di Halldora. Lo stai apprezzando?
‒ Mi fa orrore ‒ mormorò Kieran, chiudendolo. ‒ Erano… altri tempi.
Silas si tirò a sedere. ‒ Non lo erano, Reed. Combattere con le fate significa anche quello, a volte per loro l’orrore è solo un gioco e il dolore un divertimento.
‒ I Valksha però non sono qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci ‒ disse nervosamente.
Vauk poggiò un braccio sulle ginocchia. ‒ Ci dovremo sempre preoccupare del Valksha. Anche se sono oltre oceano, anche se le difese metalliche li tengono lontani dal nostro continente, loro sono lì, potenti come nessun’altra fata. Conosci il reggimento di Lockwood?
Kieran lo aveva sentito, ma ancora non era ben informato sui vari reggimenti. ‒ Di sfuggita.
‒ Sono i soldati al confine con le Terre Spezzate, vicino a uno degli avamposti frontali alla Giungla dei Miraggi. Parliamo dei guerrieri di Ferro più temprati e disperati. Spediscono lì le mele marce o i soldati che sono stati coinvolti in scandali. I pochi veterani della divisione di Lockwood li trovi al manicomio di River Street, deliranti e ossessivi.
Ebbe un brivido a sentire quella storia. ‒ Perché non mandano più uomini?
‒ Ci sono di mezzo questioni politiche ed economiche. Il confine si sposta di continuo, perdono terreno e lo riguadagnano. L’importante è cercare di non farsi spedire mai lì. Con molta fortuna si può sopravvivere a una fata purosangue, per quanto difficile e traumatico. Ma a un Valksha… no. A quelli non si sfugge.
Kieran guardò le scritte consunte sul diario e le sfiorò col dito. Ripensò alla ragazzina incinta di cui parlava Halldora.
‒ Hai mai sentito parlare di mezzosangue nati da un Valksha?
Silas ebbe un momento di esitazione, ma scosse la testa. ‒ Non gli è permesso di essere liberi. Sono molto più potenti di un normale mezzosangue. E instabili. Quando il Ferro o la Gendarmeria ne scovano uno sono obbligati a imprigionarlo. Ma non ti preoccupare, in questa parte del continente è impossibile che ve ne sia anche solo uno. I pochi che esistono sono tutti al confine, verso i villaggi accanto alla Giungla e le terre della costa.
Kieran poggiò il diario sul comodino e rielaborò le informazioni. Guardò l’orologio da taschino poggiato sulla sedia e constatò che mancava ancora un’ora.
L’Iniziazione però cominciava a spaventarlo in un modo diverso.
Era un rito obbligato e pericoloso, perché sarebbero stati mandati in missione sul campo. I cadetti venivano inviati a rispondere ad alcune richieste d’aiuto in gruppi piccoli composti da cadetti dell’Accademia della Spada e cadetti di Accademie minori del Ferro, assieme a un ufficiale che avrebbe supervisionato. Si trattava di richieste semplici, ma con le fate non si poteva mai dare nulla per scontato e il numero di feriti era sempre alto. Non era una prova pensata per i deboli di cuore e serviva a scoraggiare i più indecisi e meno inclini a rimanere a combattere.
Quasi ogni anno capitavano incidenti e feriti, ma sapeva che fino a dieci anni prima le stime erano molto più drammatiche. Le morti fra i cadetti all’Iniziazione erano consuetudine, ma le famiglie nobili erano insorte, chiedendo più sicurezza e ritirando i loro figli. Avevano raggiunto una mediazione con la supervisione dell’ufficiale, ma questo non aveva eliminato la percentuale di mortalità, la aveva solo incredibilmente ridotta.
Erano però un paio d’anni che nessun ragazzo perdeva la vita. L’ultima era stata una ragazza, una giovane di una famiglia di proprietari terrieri, era morta dissanguata per una ferita inferta alla gamba. Non era riuscita a riunirsi al gruppo in tempo e gli altri la avevano trovata quando era troppo tardi.
Kieran non sapeva chi sarebbero stati i cadetti del suo gruppo e neanche gli importava, ma aveva solo una certezza: non avrebbe permesso che morissero. Non avrebbe iniziato il suo percorso così, con il rimorso, con la meschina felicità che non fosse toccato a lui. No, non poteva accettarlo. Sentiva che se uno di loro fosse morto, non avrebbe continuato per quella strada, perché non accettava di iniziare con un fallimento del genere. Si sarebbe guastato tutto irreparabilmente.
‒ Percepisco che ti stai arrovellando su qualcosa. Quando ti agiti diventi silenzioso e contrai il viso come se avessi problemi di stitichezza.
Kieran lo fulminò. ‒ Io non…
‒ Non ti preoccupare, saremo insieme, non ci fermerà nessuno ‒ commentò tronfio.
‒ Certo, si arrenderanno pur di non sentirti blaterare tutto il tempo.

 
 
 

 

‒ Siccome sono capitato con voi, avrò un’Iniziazione più difficile? Questo è davvero ingiusto.
Il treno tagliava le pianure verdi e rigogliose del Dwein senza fare fermate. Rigurgitava fumo nero nel cielo e fischiava di continuo anche nella notte. La carrozza dove si trovavano tremava per gli scossoni ed era difficile concentrarsi.
Kieran non prendeva il treno da quand’era bambino ed era rimasto affascinato a metterci di nuovo piede. Il suo stupore non si era esaurito lì ed era cresciuto man mano che il personale del treno gli forniva assistenza. Dormivano nella stessa carrozza in piccole cuccette e mangiavano nel vagone ristorante dove gli venivano serviti manicaretti deliziosi.
Erano sottoposti alla solita e rigida etichetta militare, dovevano alzarsi alle sei, rifare i propri letti, presentarsi all’appello puliti e rasati con le divise in ordine. Ma trovarsi su quel treno aveva diradato per il primo giorno le paure di Kieran, che aveva passato i momenti liberi a girare ogni carrozza, ammirato.
In quel momento avevano appena finito di consumare il pranzo e si avvicinavano alla meta.
Kieran stava ricontrollando l’indice delle provviste come gli era stato ordinato dal capitano in modo sgarbato. Silas invece era concentrato a leggere il dossier della missione, le gambe elegantemente accavallate mentre spostava gli occhi sulle stesse righe ancora e ancora.
‒ Dovresti esserne grato – mormorò, senza staccare gli occhi dal dossier. – Sei capitato con persone competenti, al nostro contrario.
Thomas si alzò dalla poltroncina con impazienza. Non era molto contento di essere il terzo elemento assegnato alla loro squadra, non dopo ciò che era accaduto nelle stalle. Kieran ricordava che Thomas era stato l’unico a cercare di fermare Siegan, ma ciò non voleva dire che non lo reputasse un bastardo viziato senza spina dorsale che aveva rischiato di rovinare la sua vita.
Dobbiamo pensare alla missione adesso. Ricordò a sé stesso.
Alzò una mano. – Non litighiamo, dobbiamo rimanere concentrati sulla missione.
‒ Non mi faccio dire cosa fare da uno come te.
Kieran non lo guardò per fargli capire quanto poca importanza attribuisse alle sue parole.
 – Dobbiamo collaborare.
Silas chiuse il dossier. – Perché se io ti insulto ti inalberi, mentre se lo fa questo smidollato non batti ciglio?
Il bersaglio dell’insulto si strozzò con il tè che aveva di fronte. ‒ Come mi hai…
‒ Non iniziare. Dobbiamo starci con la testa, è pericoloso.
Thomas scoppiò a ridere. – Sono tutte leggende quelle sui cadetti che muoiono.
‒ Ci sono i referti, una delle vittime era figlia del capitano Ruth.
Guardò Kieran come se fosse un povero idiota. – Non parlavo certo di queste persone. Sanno tutti che l’Accademia protegge chi ha un titolo, mentre è più dura e spietata con persone di rango inferiore. Quindi forse tu dovresti preoccuparti in effetti.
Silas si concesse una risata. – Stai attento, o farai perdere la pazienza anche a questo qui, e poi chi salverà il tuo culo? Perché io di sicuro non lo farò.
Kieran rinunciò a cercare di pacificare, non gli interessava ed era anche piuttosto offeso e preoccupato per le parole di Thomas. Ricontrollò nuovamente le provviste, come se la missione dipendesse da quello. La sua gamba non smetteva di salire e scendere, aveva mangiato le unghie fino alla carne viva ed era passato direttamente alle cuticole.
Silas guardò il tavolino che non la smetteva di tremare a causa della gamba di Kieran. ‒ Hai finito con l’indice?
‒ Volevo rileggerlo un attimo.
Glielo tolse da sotto gli occhi e Kieran iniziò a protestare. ‒ Sono sei volte che lo controlli. Devi calmarti. Perché non provi a parlare con i cadetti delle altre Accademie? C’è quello che fuma sempre che è simpatico, credo si chiami Zack, e anche quello senza un dito è un tipo divertente.
Kieran guardò di sottecchi gli altri tavoli, dove i cadetti erano intenti a giocare a carte e a ridere, mentre fumavano.
Il Ferro era composto da quattro Accademie di guerrieri, ma soltanto quella della Spada forgiava gli ufficiali, le punte di diamante, i futuri comandanti. Questo era il motivo per cui si accedeva solo con ingenti fonti di denaro o forti raccomandazioni dai piani alti.
La missione d’iniziazione però prevedeva tre studenti da ogni Accademia per ogni unità, nessun rango superiore, se non quello del capitano che li avrebbe accompagnati.
I ragazzi provenienti dalle altre Accademie apparivano così diversi da loro, che Kieran stentava a credere di venire dal loro stesso contesto. In treno si erano passati sigarette, parlando con un forte accento delle loro zone e creando subito un legame di amichevolezza; le loro divise erano più sciatte e un paio di loro avevano alcune cicatrici. Il loro linguaggio era decisamente più scurrile, ma gli suonava familiare, quasi rassicurante.
Tom aveva un’espressione diffidente ogni qualvolta che doveva rivolgersi a loro; i cadetti d’altronde non esitavano a ridacchiare alle sue spalle e a chiamarlo con un’espressione dialettale che significava scopatroll, o qualcosa di simile. Silas invece aveva passato del tempo in loro compagnia in quei giorni, bevendo, giocando d’azzardo di nascosto e facendosi volere bene. Questo non lo aveva protetto da qualche presa in giro di troppo, era pur sempre un nobile, nonché un mezzosangue, e quei cadetti lo sapevano fin troppo bene. Silas però sapeva difendersi la maggior parte delle volte.
Kieran si sentiva fuori posto. Sapeva di essere un pesce fuor d’acqua fra i nobili, ma sapeva anche che si sarebbe sentito a disagio ormai fra i cadetti delle altre Accademie.
‒ Perché non le vai a parlare invece di fare gli occhi dolci?
Quasi cadde dalle nuvole e guardò Silas, che non aveva staccato lo sguardo dal fascicolo. – Come?
‒ Ai ragazzi e a quella graziosa cadetta che ti sta fissando.
Voltò di poco la testa e notò una ragazza, capelli castani, un viso simpatico pieno di lentiggini, lievemente indurito dalla mascella squadrata.
‒ Non me n’ero neanche accorto. E comunque no.
‒ Perché no? Si chiama Jean e ha un caratteraccio, ma ha una risata contagiosa ed è una cadetta eccezionale.
Kieran s’irritò. ‒ Ho detto di no.
‒ Hai paura che siano invidiosi?
Abbassò gli occhi. – No, penseranno sicuramente che abbia avuto fortuna e di fatto è così.
Silas finalmente alzò lo sguardo e mostrò un’espressione di sufficienza. ‒ Sei molto noioso a volte.
Levò il dito medio nella sua direzione, senza neanche guardarlo, ma avvertì il suo sorriso. – Stai consumando quel fascicolo. E poi dicevi a me di smetterla con l’indice.
‒ C’è qualcosa che non mi torna.
Alzò un sopracciglio, continuando a osservare la ragazza. Per un attimo lo guardò di rimando e distolse gli occhi. – Cosa?
Silas si leccò un dito e voltò la pagina. – Il villaggio di Orenburg ospita cinquecento anime, è piuttosto isolato ed è vicino alla zona della Piangente.
‒ Abbiamo un patto molto solido di non belligeranza con la Piangente e la sua corte nel bosco accanto, giusto?
Silas aveva uno sguardo pensieroso. – Sì, il bosco abbraccia il villaggio da est ed è piuttosto vasto, c’è sempre stata un’integrazione rispettosa da parte della corte della Piangente e della gente di Orenburg, a cui è vietato inoltrarsi nei meandri del bosco. Negli ultimi anni non ci sono state violazioni da ambo le parti, hanno rapporti pacifici.
‒ Dunque?
‒ Dunque sappiamo che due bambini nel giro di pochi giorni sono spariti e qualcuno dice di aver visto le fate portarli via, ma la Piangente ha sempre risolto queste dispute in modo piuttosto veloce e spiccio, ho letto altri casi ed è estremamente punitiva con i suoi che violano le leggi del patto, come lo è con gli umani che lo fanno.
Kieran riportò l’attenzione su di lui. – Pensi che non siano state le fate?
‒ Normalmente lo penserei. Capita spesso che gli umani incolpino fate e folletti di crimini commessi da loro per odio e paura; ma ho letto nel registro delle alleanze e nei referti storici che il patto fra Orenburg e la Piangente è sempre stato uno dei più solidi e consolidati, la gente di Orenburg va d’accordo con le fate del bosco, non c’è ostilità, loro non vogliono le fate nel villaggio e non vanno nella loro corte, ma ci sono anche testimonianze di alcuni umani invitati ai Solstizi e di doni scambiati. Perché inventarsi quest’accusa all’improvviso? Il resto del villaggio non lo avrebbe permesso.
‒ Forse allora è vero, le fate purosangue sono imprevedibili. Poi se sono antiche come la Piangente è ancora più probabile che perdano la ragione.
Silas lo fulminò. – Non tutti. Sai perché la chiamano così, la Piangente?
Cercò di ricordare cosa c’era scritto nel fascicolo. – Per qualcosa che riguarda le sue lacrime.
‒ Perché le sue lacrime sono petali di fiore, e quando riescono a farla piangere, che sia di felicità o di tristezza, la natura diventa più rigogliosa. È una fata interessata alle emozioni delicate, non tutte sono violenza e sangue.
‒ Sai che non possiamo escluderlo. C’era scritto che non si hanno notizie della Piangente, è possibile che sia intenzionata a rompere l’accordo.
‒ E lo fa rapendo due bambini? Che cosa ci guadagna? Non avrebbe senso.
Kieran si passò una mano fra i capelli. – Le fate rapiscono bambini da centinaia di anni.
‒ Gli Scambiati non hanno nulla a che fare con questo. Non li rapiscono, li scambiano, ed era una pratica che usavano in tempi antichi. Non si hanno casi del genere da decine e decine di anni.
‒ Indagheremo e capiremo cos’è successo.
Silas appariva nervoso. Annuì e chiuse il fascicolo.
‒ Quando saremo lì interrogheremo gli abitanti, noi tanto dobbiamo solo supervisionare e riferire poi la situazione ai piani alti, no?
Silas ticchettò il tavolo. – Per l’appunto – commentò, non del tutto convinto.


 
 
 
Orenburg era un villaggio di taglialegna e contadini, stretto nell’abbraccio di un rigoglioso e fitto bosco. Era situato presso le sponde di un torrente che spariva nella boscaglia.
Il tempo sembrava essersi fermato in quel luogo, l’industrializzazione delle metropoli e dei borghi cittadini non aveva ancora attecchito, ma non era affatto inusuale in paesini di campagna come quello, privi delle grandi fabbriche, delle motovetture, dei treni sbuffanti, degli automi, delle aeronavi. Forse a volte volavano sopra le loro teste oscurandoli, distanti.
Alcuni elementi però erano riusciti a trovare posto anche lì: una vecchia vaporetta decappottabile, di un modello ormai antiquato, stanziava all’ingresso, vicino la piccola villetta del sindaco: una pompa d’acqua arrugginita che veniva azionata con stridii insopportabili da un vecchissimo automa mezzo scassato. Una piccola torre del telegrafo accanto alla villa del sindaco, piuttosto malconcia.
Kieran non aveva sempre vissuto in città, ma conservava ricordi piuttosto sfocati del suo periodo al villaggio; quegli anni fra le strade polverose e rumorose della capitale, nella zona industriale, in mezzo ai macchinari, le fabbriche, le proteste, le file per il pane, le sigarette, i prodotti chimici erano stati tutto il suo mondo per diverso tempo. Mettere piede in quel luogo riaccese in lui la nostalgia per le sue origini. Ricordò il bosco fitto e scuro che incombeva su di lui quando si azzardava oltre le recinzioni, ricordava gli ululati lontani, il freddo inclemente dell’inverno, l’aria profumata di pino e carne cotta che trascinava il vento.
Sembrava così tanto tempo addietro, eppure erano passati poco meno di dieci anni.
Udiva un cinguettare continuo e lo scorrere del torrente, ma a parte quei piccoli suoni regnava un silenzio profondo e quasi alienante per lui, non riusciva a evitare di osservare ogni singolo elemento con meraviglia.
‒ Ti senti a casa? – domandò Tom fra l’ironico e l’incuriosito quando lo vide così ammirato.
‒ Non ero mai stato fuori dalla città ‒ mentì, ma non la percepì come una vera bugia.
Assottigliò appena gli occhi e si voltò a guardare Silas. La sua pelle scura aveva un che di lucido e luminoso, una sensazione impercettibile, ma la sua magia sembrava rinvigorita. Anche i suoi occhi avevano un colore più acceso e intenso; li socchiuse, cullato dalla forte assenza di ferro di quel luogo che corroborava la sua magia.
Il capitano raggruppò i cadetti con un ordine spiccio e subito tornarono in riga, concentrati.
Entrarono nel villaggio senza incontrare nessuno sull’ingresso. Dopo pochi passi si accedeva alla piccola piazza centrale, con un pozzo e alcune botteghe che vi si affacciavano; c’erano un paio di carretti abbandonati e un tappeto di foglie chiazzava l’acciottolato della strada, come se non venisse pulita da giorni; sui bordi del pozzo era stato abbandonato un cesto con del pane rinsecchito e alcuni ortaggi.
Avevano provato a bussare alla casa del sindaco senza ricevere risposta, ma nel vedere il silenzio innaturale che aveva preso possesso del luogo, Kieran avvertì subito un moto di paura.
Si concentrò.
Era diventato bravo a percepire la magia fatata, era sicuro che se alcune creature fossero state nel villaggio, se ne sarebbe accorto.
I formicolii che lo colpirono furono quasi dolorosi, i peli si rizzarono e un gancio allo stomaco lo scosse violentemente, dandogli un senso di nausea e pericolo enormi. Riaprì gli occhi sudaticcio e ansimante.
‒ Non farlo – mormorò Silas, mentre il capitano bussava a un’altra porta.
‒ Cosa… cos’era – balbettò, scosso da un senso di terrore.
‒ Siamo vicini al bosco di una fata purosangue antica, certo, lei è nei meandri del sottobosco, ma la sua magia ha una portata enorme, se provi a percepirla ti ritroverai solo spaventato a morte. Tutte le fate purosangue hanno una presenza opprimente.
‒ Come una violenta tempesta che si avvicina – ripeté, sentendosi un idiota.
Scrollò il corpo per riprendersi, ma la sensazione schiacciante e distorta gli rimase sottopelle, come un fastidio.
‒ Dove sono tutti? – domandò Tom a voce alta con irritazione.
Il capitano tornò dall’ennesima bussata senza risposta. – Sono chiusi in casa. A chiave. Non vogliono parlarci.
‒ Come? Perché! Ma è ridicolo – sbottò Tom.
Kieran era parecchio preoccupato. – Non esiste un sorvegliante?
‒ È affiliato al sindaco, ma nessuno ci risponde.
‒ Buttiamo giù la porta e via – propose Silas disinvolto. – Non abbiamo tempo da perdere, ed è una violazione non fornire assistenza ai guerrieri di Ferro se la richiedono con urgenza. Loro ci hanno contattati per un’emergenza, dobbiamo agire di conseguenza.
Kieran era stranamente d’accordo con lui.
Buttarono giù la porta del sindaco a spallate senza incontrare troppa resistenza, le case erano vecchie e malmesse.
L’ingresso del piccolo municipio sembrava vuoto. Il posto dell’assistente si trovava sull’ingresso, dietro una scrivania invasa di fogli ma era vuoto, così anche la postazione del sorvegliante accanto al telegrafo. In fondo all’ingresso appariva lo studio del sindaco, pieno di librerie polverose e occupato principalmente da una grossa cattedra scura con documenti di ogni sorta impilati sopra.
Si udì uno scricchiolio e il capitano portò una mano all’elsa della spada e un’altra sulla pistola, guardando in direzione delle scale. Kieran lo imitò goffamente, preso alla sprovvista.
Si affacciò un uomo sulla quarantina dall’aria disordinata e sfatta; i pochi capelli sulla testa erano sfibrati e sporchi, gli occhi cerchiati da occhiaie avevano un paio di occhialini tondi sul davanti. Si stropicciò il panciotto spiegazzato in un gesto nervoso.
‒ Cosa succede? – domandò, spaesato e assonnato.
Sembrava reduce da una sbronza, Kieran aveva visto suo padre sbronzo a sufficienza da riconoscere i postumi.
‒ Il sindaco presumo – commentò il capitano, senza togliere la mano dall’arma.
‒ Certo che sono il sindaco, voi… avete sfondato la mia porta? – domandò esterrefatto.
Kieran guardò imbarazzato la voragine vuota. – Non avevate risposto al campanello e abbiamo pensato al peggio. Siamo desolati.
Quello si massaggiò gli occhi, stanco. – Suppongo che voi siate i guerrieri di Ferro di cui ho richiesto l’intervento due mesi fa.
Kieran s’irrigidì. – Due mesi? – non poté fare a meno di ripetere, osservando il capitano.
‒ Fa’ silenzio Reed – lo zittì questo, serio. – Il Ferro era molto impegnato, siamo venuti prima che abbiamo potuto.
‒ Comunque troppo tardi, signor… ?
‒ Capitano Hitch.
Il sindaco fece un gesto esasperato con la mano. – Capitano, è questa l’efficienza del Ferro? Ci avete abbandonato alle fate, abbiamo mandato decine di richieste d’aiuto, isolati dalle città a pregare…
Tom s’infervorò. – Come osa un sindaco di qualche buco sperduto parlare così a un capitano del Ferro? – lo riprese sdegnato.
Il sindaco gli riservò un’occhiata pietosa. – Poteva anche essere il gran Consigliere in persona, poco importa, siete in ritardo, hanno già ucciso la maggior parte di noi.
Kieran assieme agli altri perse colore. Silas fece un passo avanti. – La Piangente ha infranto l’accordo?
Il sindaco andò a sedersi alla scrivania e ci cadde sopra come se il suo corpo fosse diventato estremamente pesante, nonostante fosse magro come un chiodo. – Non lo so. Hanno iniziato a sparire dei bambini, allora abbiamo imposto delle ronde per evitare che si avvicinassero ai boschi, poi un giorno hanno aggredito una ragazzetta, Mary, che era andata col fratellino al torrente. Ha cercato di evitare che trascinassero via suo fratello, le fate le hanno strappato un braccio ed è morta dissanguata presso il fiume. Il villaggio è insorto e hanno deciso di dare alle fiamme il bosco, sono partiti con le torce, il torrente ha restituito solo alcuni dei corpi, questo è successo una settimana fa.
Kieran era scioccato. Silas era impallidito quanto lui, ma aveva ancora abbastanza sangue freddo da porre domande.
‒ Era mai capitato che la Piangente agisse in modo così efferato?
C’era un silenzio teso e nervoso nella stanza. Il capitano sembrava incredibilmente preoccupato.
‒ No. A volte è capitato che qualcuno di noi superasse il confine imposto ed entrasse nel territorio della Corte. Veniva punito e trattenuto dalle fate tante settimane quanta la distanza che aveva superato del confine prima di essere scoperto. Poi li restituivano, vivi, a volte con qualche pezzo di meno, ma dimentichi di quello che avevano subito. Questo trattamento soltanto in caso di diretta effrazione degli accordi. Se una fata infrangeva il trattato, eravamo autorizzati a fare lo stesso, ma non è mai capitato, la Piangente era molto rigida.
Il capitano ascoltava silenziosamente, ponderando la situazione. – D’accordo, dovrò farvi altre domande, nel frattempo noi indagheremo lungo il confine.
‒ Il confine è pericoloso – precisò.
Il capitano lo guardò. – Avete visto la Piangente superarlo direttamente?
‒ No, ma alcune fate esploratrici lo hanno fatto.
‒ Le fate esploratrici non sono un problema.
Il sindaco lo osservò come se fosse un idiota. – Capitano, con tutto il rispetto, benché siano fate minori, appartengono a una delle più antiche Corti esistenti, non sono…
‒ Signor sindaco, ci lasci fare le nostre indagini, poi invieremo le nostre riflessioni e testimonianze al quartier generale, così che possano mandare una squadra più massiccia.
‒ Voi… non siete qui per risolvere le cose? – domandò pallido.
‒ No, questi ragazzi sono novellini, siamo qui solo per indagare la situazione e riferire.
Era sbiancato. – Ma prima che arrivi un’altra squadra, le fate invaderanno il villaggio! – mormorò spaventato. – Ci sono ancora donne e bambini qui, terrorizzati, nessuno sta più lavorando, i campi sono vuoti, se ci abbandonate, ci condannerete a morte!
Il capitano non si lasciò impietosire. – Come vi ho spiegato, noi siamo qui solo per riferire.
‒ Almeno evacuate il villaggio – pregò esausto. – Siete venuti qui in treno e poi con le vaporette, giusto? Per favore portate le persone via.
‒ I costi non coprono l’evacuazione, oltre il fatto che dove dovremmo portarvi?
Kieran era sconcertato dal tono di sufficienza che stava avendo il capitano. Silas lo guardava con disprezzo e anche Tom sembrava a disagio, tanto che tentò una mediazione.
‒ Non penso sia un problema – osò dire. – Posso pagare io, per la mia famiglia non sarà un problema, se queste persone hanno bisogno di aiuto… ‒ mormorò, indeciso.
Il capitano lo fulminò. – Non dire sciocchezze, cadetto. Ne riparleremo, per ora la risposta è no. Ora andremo a indagare.
Thomas si zittì e rivolse al sindaco un’occhiata di rimorso, poi distolse gli occhi. Kieran non riuscì a dire nulla, né tanto meno ad alzare lo sguardo verso il vecchio sindaco.
‒ Cacciafalene codardi ‒ biascicò a mezza voce l’uomo, gli occhi devastati dalla risposta del capitano.
Si avvicinò a Silas con aria incerta, torturando il bordo del panciotto per sistemarlo. Lo prese in disparte cercando di non farsi notare, ma Kieran rimase appena indietro per origliare.
‒ Ragazzo, tu sei un mezzosangue, non è così?
Aveva posto la domanda con un tono molto basso, dunque Silas si adeguò alla conversazione e gli prestò orecchio con disinvoltura.
‒ È così signore ‒ rispose con rispetto.
Il sindaco si tolse gli occhiali. ‒ Quelli come te hanno una sensibilità diversa per queste faccende. Devi provare a intercedere col vostro capitano. Non m’importa di sopravvivere, ma le donne e i bambini non meritano questa fine.
Silas deglutì appena. ‒ Cercherò di fare il possibile. Ma aiutatemi a capire cos’è accaduto. Credevo che l’accordo fosse solido.
Il sindaco scrollò le spalle. ‒ Lo credevamo tutti. Ma a essere onesti non tutte le fate sono state aggressive, alcune hanno tentato di aiutarci.
Kieran voltò appena la testa, mentre Silas appariva sorpreso. ‒ Disubbidendo alla Piangente?
‒ Da molti anni abbiamo rapporti cordiali con le fate esploratrici della Piangente. Venivano qui accompagnate da una fata guardiana di alto rango, Zario. È una fata lealissima alla Piangente e una delle sue predilette, ma quando sono iniziati gli attacchi lui e altre fate hanno cercato di difendere il villaggio.
‒ Perché non lo avete detto al capitano?
Il sindaco tirò fuori un sorriso stanco e amaro. ‒ A quell’uomo non importa neanche degli esseri umani, credi che gli importi di distinguere fra fate amichevoli od ostili? Ho avuto molte volte a che fare con il Ferro e se hanno una scusa per uccidere ogni fata che hanno davanti non si pongono domande.
Silas abbassò la testa e annuì appena con occhi tristi. Kieran guardò quel gesto con un certo disappunto. Non era affatto d’accordo, il Ferro poteva essere duro, rigido e a volte spietato, ma erano anche diplomatici nei confronti delle fate e mantenevano la pace.
‒ Le fate ostili hanno iniziato a dipingersi il volto di rosso, le puoi distinguere così. Non so cosa sia accaduto nel bosco, ma non tutti erano d’accordo lì dentro. Zario pattuglia il confine per cercare di proteggerci. Se dovessi imbatterti in lui, fa’ in modo che quell’imbecille del tuo capitano non lo uccida.
Silas fece un gesto d’assenzo con fermezza. ‒ Non preoccupatevi.
Si allontanò per riunirsi agli altri e incontrò gli occhi indagatori di Kieran, mentre il sindaco tornava verso lo studio.
‒ Hai origliato?
Arrossì. ‒ Non ne ho potuto fare a meno.
Il mezzosangue scosse la testa mentre raggiungeva l’uscita. ‒ Meglio così. Mi aiuterai se incontreremo questa fata guardiana almeno.
Kieran aggrottò le sopracciglia. ‒ Dovremmo seguire gli ordini prima di tutto ‒ cercò di mediare.
Silas si fermò sulla porta e si voltò verso di lui. ‒ Kieran, ti sarà capitato di vedere dei gendarmi abusare del loro potere. Giusto?
Annuì con poca convinzione. ‒ Nel Buco succede di continuo.
‒ Se noi uccidiamo fate innocenti, siamo uguali a quei gendarmi. Ti chiederanno di uccidere fate che non hanno commesso alcun crimine decine di volte. Hai intenzione di seguire sempre gli ordini come un cagnolino ubbidiente? Credi che un ufficiale debba comportarsi così?
‒ Non parlarmi come se fossi un idiota. Qui un crimine è stato compiuto eccome, un crimine atroce.
‒ Non puoi punire tutti per le azioni di pochi. Esistono fate buone come esistono fate malvage e sanguinarie, ed è lo stesso per gli umani. Una Corte è come un villaggio, non ci vivono solo guerrieri; se il Ferro richiede una Purga verrà sterminata ogni singola fata al suo interno, compresi i bambini. Dobbiamo capire bene le dinamiche di quest’attacco, per evitare tutte queste morti da entrambi i lati.
Il capitano richiamò i cadetti con voce spiccia, ma nessuno di loro due si mosse. ‒ So benissimo tutto questo, ma penso che prima di disubbidire deliberatamente a un ordine, si possa provare a ragionare con chi ha emesso l’ordine.
Silas si grattò il collo dove la divisa lo irritava. ‒ Dillo a queste persone, che rimarranno qui a morire.
Kieran contrasse il viso. ‒ Se ci fosse un modo per aiutarle…
‒ Il modo c’è: l’evacuazione. Ma a quel figlio di puttana incompetente non importa, perché poi la burocrazia lo sommergerebbe. Sono quattro contadini insignificanti, non valgono lo sforzo per lui. Dovrebbero trovargli una nuova sistemazione e spendere fondi pubblici per farlo.
‒ Non alzare la voce ‒ protestò Kieran agitato. ‒ Potrebbe sentirti. Non puoi rivolgerti così a un superiore, neanche se sei tu.
Silas appariva controllato, ma i suoi occhi erano furibondi e la sua magia era diventata pungente e ostile. ‒ Non m’importa. Incontreremo molti ufficiali come lui nel tempo, hai intenzione di ubbidire e basta senza mai alzare la testa di fronte a una scelta sbagliata?
Si sentì punto sul vivo. ‒ Non tutti hanno la possibilità di comportarsi come te, Silas. Io ho solo quest’occasione.
Silas gli venne vicino, troppo vicino, il suo volto era a pochi centimetri. ‒ Basta con questa scusa. Il maestro Fergus ti ha offerto un posto nella gendarmeria. Io non ti farei congedare e tornare in fabbrica, ho i miei agganci. Le alternative di riserva le hai, perciò non farti scudo di questa scusa per rifiutarti di alzare la testa.
Era molto irritato dal tono di Silas e voleva rispondere con qualche frase velenosa.
‒ Avrò bisogno del tuo aiuto se incontreremo fate non ostili. Non meritano di morire e lo sai. Possono aiutarci.
Si fermò dal replicare in modo piccato quando sentì il tono preoccupato di Silas. Non era la voce di chi voleva litigare, era la voce di chi cercava supporto.
‒ Lo sai che puoi contare su di me.
Silas gli sorrise con gratitudine e una punta di sollievo, al che gli assestò una pacca sulla spalla. ‒ Ora raggiungiamo gli altri.


 

 
Nel tempo successivo il capitano Hitch provò a contattare i superiori, ma la torre del telegrafo era stata danneggiata e non c’era modo di recapitare messaggi. Il telefono invece non era un oggetto contemplato in quel piccolo villaggio.
Riunì tutti i cadetti di fronte la villetta del sindaco dopo essersi acceso una sigaretta. Aveva il volto stanco e occhi torvi, continuava a passare la mano sulla cicatrice che aveva in testa, a lato della testa rasata.
‒ La situazione qui a Orenburg è peggiore di quanto ci aspettavamo. Andremo al torrente a indagare e a segnare il confine di non accesso. Al che io, il cadetto Vaukhram e il cadetto Graham torneremo all’Accademia dove informeremo immediatamente i superiori e il rettore. Il cadetto Reed resterà qui nell’attesa di rinforzi a capo del gruppo. Mi aspetto che gli altri cadetti ubbidiscano ai suoi ordini fino all’arrivo dei rinforzi.
Kieran rimase pietrificato. Sentì un sapore acido in bocca e faticò a deglutire. L’inizio del discorso in qualche modo lo aveva spinto erroneamente a pensare a un qualche elogio, a una ricompensa, ma gli era bastato sentire il resto per capire quanto avesse frainteso.
‒ Io, capitano? ‒ domandò e avrebbe voluto che la sua voce non suonasse così flebile.
Uno dei cadetti alle sue spalle sputò a terra e disse qualcosa in dialetto stretto. Nessuno di loro però protestò.
‒ Certo, le tue valutazioni e il tuo profilo ti rendono il più adatto per il compito. Resterai qui al villaggio ad attendere ulteriori istruzioni. Collaborerai con il sindaco e manterrai la posizione fino all’arrivo dei rinforzi.
Vide negli occhi di Silas lo stesso shock che provava in quel momento. Si voltò a guardarlo, le iridi viola piene di paura e sconcerto.
Paura per lui.
Sapevano entrambi che le fate sarebbero tornate a finire il lavoro. Sapevano entrambi che cosa significassero quegli ordini.
Guardò i cadetti che sarebbero rimasti con lui, fra cui la giovane che aveva sorpreso a guardarlo e che ora appariva tesa e seria. Ragazzini, come lui, vestiti con divise troppo solenni e zaini troppo pesanti. Avevano occhi preoccupati e stanchi, ma erano soldati e dunque nessuno osò protestare. Nessuno disse ad alta voce ciò che pensavano tutti.
E di fatto neanche Kieran. Rimase muto un’altra volta, senza esternare le parole che aveva sulle labbra.
Le fate ci uccideranno tutti.
 

Ciao!
So che mi odiate per il cambio di tempo ç__ç, ma vi assicuro che non vi lascerò appesi troppo a lungo con il litigio. 
Metto qui alcune informazioni che magari nella premessa erano fuoriluogo.
I Valksha di cui Kieran parla, sono le fate delle terre non colonizzate dall'uomo, oltre il mare. Essendo terre prive di ferro e con una flora rigogliosissima e dominante, ospitano fate molto più potenti di quelle che hanno nel continente, anche di quelle antiche. Ne parlavano in vecchi capitoli, ma era soltanto un chiarimento in caso fosse sfuggito, anche se al momento non è rilevante.
Seconda cosa, quando parlo di "fate" purtroppo sembra che mi riferisco sempre a persone femminili, ma è un termine che in questa storia può indicare altri tipi di genere.
Grazie per aver letto e a presto ^^

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Capitolo 20
*** V - Accademia - ***



 
V


Accademia




 

893 p.U.
 


Perché io?
‒ Sei il più adatto.
La voce del capitano gli arrivò ovattata.
Il più adatto.
Il più sacrificabile.
Era così chiaro che avvertì qualcosa di forte bruciargli gli occhi. Gli veniva da piangere, ma aveva imparato da molto tempo a non farlo, non davanti agli altri.
Sentiva il panico invaderlo e cercò di trovare un briciolo della sua forza interiore. Era un’occasione in fondo, l’occasione che aspettava per dimostrare chi era. Poteva farcela, doveva soltanto difendere il villaggio e non morire. La difesa era più semplice dell’attacco e così aveva anche la possibilità di agire, di fare qualcosa e non restare a guardare mentre quelle persone morivano.
In quel momento però si rese conto che a lui di quelle persone non importava nulla. Perché doveva essere proprio lui a morire per loro? Perché? Aveva altri che dipendevano da lui, aveva lottato molto più di quel vigliacco di Thomas, allora perché doveva essere lui a rimanere lì?
Si sentì un codardo e un egoista, ma se avesse potuto andarsene e lasciarli tutti lì, lo avrebbe fatto.
Sono vergognoso.
Quei sentimenti così bassi e pieni di terrore lo annichilivano, dov’erano finite tutte le belle promesse che si era fatto prima di partire? Dov’era il voler portare tutti a casa sani e salvi?
Gli altri cadetti erano stati condannati con lui senz’appello e Kieran si piangeva addosso anche se il capitano lo aveva messo a capo.
Non sentiva altro al di fuori dei battiti forsennati del suo cuore. Non osava muovere gli occhi, temeva che tutti avrebbero notato il suo sconvolgimento.
‒ Li state condannando a morte.
La voce di Silas freddò il suo panico, come acqua ghiacciata su una bruciatura. Il mondo cessò di avere quella patina ovattata e si riempì di nuovo di rumori. Alzò lo sguardo sul suo compagno, che teneva le labbra serrate per non dire altro.
Il capitano si girò irritato. ‒ Stai al tuo posto Vaukhram.
‒ Non potete lasciare questi cadetti qua! O restiamo tutti o non resta nessuno.
Kieran osservò Silas impotente. Come faceva ad avere quel maledetto coraggio? Da che cosa gli scaturiva? Non aveva paura delle conseguenze? Della morte?
Silas d’altronde tremava mentre parlava, ma la sua voce era ferma. Inaspettatamente Thomas annuì.
‒ Non mi sembra corretto lasciare qui i cadetti, né i villici ‒ osò dire. ‒ Sono pochi, possiamo portarli via con noi.
‒ Non mi ripeterò una seconda volta. Siete a un passo dal congedamento e dall’espulsione. Se un superiore vi da un ordine, dovete ubbidire. Come se quell’ordine vi arrivasse direttamente dagli dei.
Silas accennò un sorriso. ‒ Volete che le persone e il Ferro rimangano, così da avere un pretesto più forte per sterminare la Corte della Piangente. Volete una Purga e volete la gloria di condurla voi. E volete che Kieran Reed rimanga qui, così da non dovervi preoccupare di sabotare la sua Iniziazione.
Il capitano lo afferrò per il colletto e lo tirò avanti bruscamente. ‒ Quando saremo in Accademia ti renderò la vita un inferno, cadetto. Scriverò un rapporto dettagliato sulla tua insubordinazione. Qualcuno deve rimanere qui, è la procedura, e che Titania mi fulmini piuttosto che lasciare qui te o il cadetto Graham. Le vostre stupide famiglie mi distruggerebbero. Prendetevela con loro invece di frignare da me.
‒ Io resto qui ‒ sputò fra i denti. ‒ Potete scrivere che è stata una mia scelta.
Kieran lo tirò indietro, spaventato. ‒ Silas, no. Non dire idiozie.
‒ Se me ne andassi e basta non potrei più guardarmi allo specchio.
Il capitano lo trascinò avanti dal colletto e lo buttò a terra. ‒ Tu sei un soldato Vaukhram. Un soldato non mette in discussione il suo comandante durante una situazione stressante, un soldato è una macchina che esegue gli ordini. Se non ti sta bene, puoi portare il tuo culo mezzosangue fuori da quest’Accademia e dal Ferro o impegnarti a diventare il nuovo Feldmaresciallo. Adesso andremo al torrente e non voglio sentire altri piagnistei da femminucce.
Silas rimase a terra, il colletto della divisa slabbrato lì dove il capitano lo aveva stretto e scagliato a terra.
‒ Mi sono spiegato?
‒ Sì, signore ‒ rispose Kieran prontamente, interrompendo la risposta che Silas stava per pronunciare.
‒ In marcia. Non voglio più sentir volare una mosca.
 
 ⚔
 
‒ Silas se continui così ti farai cacciare, neanche tu puoi tirare tanto la corda.
Erano in fila a coppie in marcia verso il torrente. Il sole fresco del mattino non aveva mantenuto la stessa intensità e una lieve nebbiolina aveva avvolto la valle e il bosco. Si erano incamminati lungo il sentiero sterrato, guidati dal gorgogliare dell’acqua; c’era un’atmosfera cupa fra i cadetti, nessuno aveva parlato granché durante il tragitto. Thomas aveva provato a parlare con il capitano, mentre Silas si era limitato a imprecare e a restarsene furioso per i fatti propri.
‒ Reed chiudi il becco ‒ replicò fra i denti.
‒ Non chiudo il becco, idiota. Non voglio il tuo aiuto, né la tua pietà.
Silas si voltò verso di lui, repentino. ‒ Ne stai facendo una questione d’orgoglio? Ah! Sei incredibile. Ogni volta che penso che tu non sia stupido come sembri mi fai ricredere. Qui parliamo di vita o di morte, per te, come per loro ‒ e indicò con un cenno del capo gli altri cadetti. ‒ Non rimarrete qui.
‒ Il villaggio non può rimanere senza protezione. È il protocollo.
‒ Oh al diavolo il protocollo. Se la Piangente è diventata violenta, non avete speranze di salvezza. Hai idea di che cosa può fare una fata purosangue così antica?
Kieran infossò la testa nelle spalle. ‒ Forse con una strategia…
Silas calciò un ramo mentre attraversavano il vasto castagneto che precedeva l’ingresso del bosco. Gli alberi erano fitti e numerosi, ma non invadevano il sentiero tracciato. In autunno dovevano essere uno spettacolo di colori, Kieran si chiedeva se li avrebbe mai visti.
 ‒ L’unica strategia è essere tanti e armati e circondati di ferro. Voi siete una dozzina di cadetti sedicenni incapaci e qualche villico armato di forcone e grembiule. Non farmi ridere.
‒ E tu potresti fare la differenza? ‒ gli domandò provocatorio.
Rise. ‒ Oh no, morirei come voi, la mia magia a confronto sono trucchi da dilettante.
‒ Purtroppo sono i miei ordini ‒ commentò Kieran asciutto.
‒ Puoi ignorarli.
Scosse la testa. ‒ Se li ignoro verrò espulso dall’Accademia e dal Ferro, e probabilmente punito.
‒ Ma sopravvivresti.
Kieran si stropicciò gli occhi. ‒ Sarebbero costretti a risarcire la mia famiglia in caso di… dipartita. Sarebbero comunque molti soldi ‒ considerò con una tale amarezza che gli venne da piangere seduta stante.
Silas allargò gli occhi. ‒ Questo è quello a cui pensi? Al risvolto economico? Cazzo, si tratta della tua vita, non ci tieni alla pelle? Al tuo futuro?
‒ Quale futuro? Sopravvivere e tornare a essere un nessuno qualunque? Darmi alla criminalità o spaccarmi la schiena in fabbrica per tutta la vita? Se quello è il futuro che mi aspetta sopravvivendo, allora non lo voglio. Voglio vivere alle mie condizioni, o non voglio vivere.
Quelle parole gli uscirono da qualcosa di più profondo della gola e dello stomaco.
Silas rimase a corto di parole di fronte a tanta testardaggine e balbettò appena mentre cercava di suonare convincente. ‒ E-esiste una mediazione, Kieran, te l’ho detto. Hai altre opzioni.
‒ Un conto è essere cacciato o espulso. Un conto è la pena per insubordinazione. Macchierebbe la mia carriera anche in altre Gilde.
Cercò di passare oltre, ma Silas gli bloccò la strada. ‒ Con un piccolo aiuto metteremmo a tacere ogni cosa. La maggior parte di ufficiali è corrompibili ‒ mormorò a bassa voce. ‒ Esistono tante posizioni di rilievo nella gendarmeria che chiuderebbero un occhio.
‒ Bene, allora candidati. Io non voglio essere un gendarme. Voglio essere un guerriero di Ferro.
Lo superò con una spallata senza dire altro. Quel discorso lo aveva stancato.
 
 ⚔
 
Il castagneto occupava la piana e parte della collina fino all’infittirsi del bosco ed era diviso dal famigerato torrente dov’era avvenuto l’attacco ai bambini. Malgrado il racconto di sangue, le acque scorrevano placide fra le due sponde erbose, inoltrandosi nel bosco a est e nel villaggio a ovest. Era piuttosto largo da necessitare di un piccolo ponticello di legno per attraversarlo. Ai pioli erano legati nastri e mazzetti di fiori e frutta. Erano gesti di rispetto e pace verso il popolo fatato, lo stesso ponte costruito in legno era un atto di buona fede.
Silas poi spostò gli occhi sui forconi conficcati nel terreno e sul cartello che scoraggiava chiunque dall’avvicinarsi al bosco.
Sembrava tutto così tranquillo, l’acqua gorgogliava fra le rocce e i fiori, i passeri svolazzavano rapidi intorno al ponticello, mentre più in fondo un cervo intento ad abbeverarsi fuggiva fra gli alberi di castagne. Sembrava di trovarsi già dentro il bosco, ma i sentieri, i muretti di pietra e la presenza di un pozzo facevano pensare diversamente. Poteva immaginare quel luogo in autunno, un tappeto di foglie rosse, i bambini che raccoglievano le castagne fra gli alberi rigogliosi. Ma ora, avvolto dalla nebbia e dal silenzio, trasmetteva un’aria ben più tetra.
Il capitano Hitch tirò fuori dalla sacca alcuni pezzi di metallo. Erano piccoli pioli spessi, creati dalla Forgia per costruire una difesa verso le fate. Ogni cadetto ne tirò fuori altri dalla sacca che ciascuno portava sulla schiena. In dotazione avevano sufficienti strumenti per difendersi da un attacco semplice, polvere da sparo, proiettili, un coltello e alcune provviste, ma nient’altro. Silas aveva rubato anche una bottiglia di whiskey dal treno, aveva creduto stupidamente di godersi un campeggio con qualche cadetto e con Kieran, invece ora si ritrovava solo lo zaino più pesante degli altri.
‒ Sistemate i pioli lungo il torrente a dieci centimetri l’uno dall’altro. Facciamo in fretta.
Silas guardò con sufficienza il pezzo di metallo che teneva in mano. Sarebbe servito a ben poco contro questa corte, nei dintorni non c’era abbastanza ferro per indebolirle davvero e sicuramente la maggior parte sapevano volare.
Kieran iniziò a infilare i pioli energicamente come se il terreno fosse responsabile delle sue disgrazie. Silas scosse la testa a vederlo e si allontanò appena da loro.
Cercava nella sua testa un modo per evitare quello scenario disastroso.
Perché? Non mi riguarda. Non sono in Accademia per salvare umani o per fare amicizia.
Cavana era stata chiara, avevano bisogno di qualcuno all’interno, qualcuno che spiasse il Ferro continuamente. Era la sua occasione per farsi valere, per essere notato da Cavana e messo a parte del grande piano.
‒ Stupido piolo ‒ borbottò Kieran vedendolo rovesciarsi.
Erano anni che non vedeva l’ora di fuggire da tutto quello, di scappare dalla sua famiglia.
È solo un moccioso, cambia idea come cambia abito, non puoi affidargli una missione così delicata.
Ebbe voglia di spaccare qualcosa soltanto a ricordare quelle parole. Doveva dimostrare che erano sbagliate. Non poteva esitare o lasciarsi impietosire.
Guardò Kieran e distolse lo sguardo quando i loro occhi s’incontrarono.
Ah che pena, sembro una fottuta ragazzina infatuata.
‒ Vaukhram datti da fare ‒ tuonò il capitano.
Grugnì, infastidito e si allontanò dal gruppo per stare in pace coi propri pensieri.
Si discostò dagli altri, oltrepassando diversi alberi. Alcuni avevano la corteccia incisa, come se fossero stati colpiti. Ne sfiorò uno e avvertì una sensazione di inquietudine sottopelle. L’ambiente circostante entrava in risonanza con la sua magia, questo lo faceva sentire energico come non mai, ma lo contagiava con emozioni che non gli appartenevano. La natura era… non sapeva spiegarlo, ma avvertiva una tensione forte nella linfa vitale degli alberi, nell’acqua, negli animali.
Un lieve rumore ovattato lo mise subito in allerta, ma non compì alcun gesto repentino. Spostò gli occhi verso l’albero accanto e vide qualcosa sporgere da dietro il tronco. Con cautela aggirò l’albero e s’immobilizzò di fronte a due occhi rossi come il sangue.
La fata accasciata a terra e nascosta dietro il tronco appariva ferita. Fra i capelli rossi raccolti sbucavano diverse corna bianche come legno di betulla. Guardando meglio la creatura si accorse che il suo intero corpo richiamava i colori chiari delle betulle. Silas sapeva che il tronco di betulla era candido, ma più invecchiava e più veniva segnato da striature nere. Il corpo della fata era bianco e legnoso, attraversato da infinite venature scure a segnare la sua veneranda età. Doveva avere molti più anni di loro, ma il suo aspetto era giovane e senza tempo. Il volto aguzzo era magro e affilato, gli zigomi sporgenti avevano piccoli ematomi e il naso appuntito sanguinava. Gli abiti di tela e corteccia erano stracciati sul fianco, dove un brutto taglio perdeva un sangue rosso, denso e punteggiato da un luccichio. Icore.
Era difficile definirne il sesso, aveva tratti più maschili, ma sapeva quanto fosse sciocco quel pensiero con una fata.
Teneva fra le dita una lancia di ossa e le ali arancioni avvolte intorno al corpo a mo’ di protezione.
Osservò Silas con occhi febbricitanti, strinse la mano destra sulla lancia mentre allungò la sinistra verso di lui nel gesto inconfondibile degli incantatori.
‒ Fermo. Non voglio farti del male ‒ sussurrò Silas e posizionò le mani a palmo aperto verso l’alto.
A giudicare dalla fierezza dello sguardo e dall’armatura di corteccia e ossa, doveva essere la fata guardiana di cui parlava il sindaco.
Uno scricchiolio alle spalle lo fece voltare: Kieran era dietro di lui e guardava la fata con occhi sbarrati. Portò la mano all’elsa, ma Silas gli bloccò il polso.
‒ No.
Kieran lo guardò sorpreso e per un attimo il suo viso si riempì di frustrazione. Ritrasse le dita dall’arma e rimase in silenzio. Gli altri, ancora distanti a posizionare i pioli, sembravano non essersi accorti di cosa stesse accadendo fra gli alberi.
Con movimenti lenti e cauti, Silas sfilò il proprio fermaglio dai capelli, lo poggiò sulla mano destra e lo offrì, mentre chinava il capo.
‒ Non vogliamo farti del male, siamo qui solo di passaggio. Volevamo capire che cosa fosse accaduto. Puoi aiutarci?
Silas sentì Kieran serrare la propria mano sulla sua spalla e ne fu molto infastidito. ‒ Vauk… guarda ‒ mormorò, spaventato.
Solo in quel momento si accorse di una seconda figura. Una bambina nascosta dietro la fata, il suo aspetto era umano in tutto e per tutto, indossava pantaloni rattoppati e una maglia sporca di marmellata. Aveva lo sguardo ostile e determinato, occhi nerissimi e intensi, teneva le mani aggrappate alla schiena della fata, come a volerlo proteggere.
‒ Ciao ‒ la salutò Silas, tentando di capire cosa stesse accadendo.
La bambina si strofinò le mani fra loro per pulirle e lasciò andare alcune foglie. Silas notò che stava applicando degli impacchi sulla pelle della fata prima della sua interruzione.
 ‒ Se gli fate del male vi sgozzo come maiali, fottuti tronti ‒ minacciò, con una marcata difficoltà nel pronunciare le dentali.
Kieran trattenne a stento un sorriso. ‒ Ci ha appena dato dei tronti ‒ commentò divertito.
Anche Silas sorrise. ‒ Credo che la parola che cercavi fosse stronzi.
La ragazzina sembrò indignarsi ancora di più, fece un rumore di risucchio e sputò a terra. Aveva un coltello al fianco e portò le piccole dita al manico.
La fata però intervenne e la coprì con le ali, come a volerla proteggere. ‒ Kenna ‒ la ammonì e la bambina protestò appena per poi mettere su un broncio.
Sembravano… legati. Silas li osservò con curiosità, poi controllò che nessuno degli altri cadetti avesse notato la loro assenza, ma per ora erano ancora lontani.
‒ Suppongo che tu sia Zario ‒ esordì.
La fata lo osservò con occhi confusi. Scoprì appena i denti appuntiti mentre osservava Silas. ‒ Mezzosangue, tu e i tuoi dovete andarvene da qui. Subito. Torneranno.
Silas realizzò che stava parlando in una lingua incomprensibile a Kieran, uno dei ceppi fatati meno comuni. Lo osservò e vide infatti lo smarrimento nel suo sguardo.
Certo, le fate guardiane non conoscono il nostro linguaggio. Il sindaco ha detto che accompagnava le fate esploratrici, probabilmente erano loro a tradurre per lui.
Esitò, senza sapere come agire. Non poteva dare a vedere di conoscere bene quel linguaggio, rischiava di apparire sospetto. I guerrieri di Ferro imparavano alcuni dei dialetti fatati più parlati, ma non nei primi mesi di Accademia.
‒ Capisci che cosa dice? ‒ lo incalzò Kieran.
Silas annuì. ‒ Sì, a stento. Probabilmente il sindaco e il villaggio non riuscivano a capirla per chiedere cosa fosse capitato.
Si domandò se la bambina lo capisse, ma tornò a rivolgersi direttamente a lui nella sua lingua. ‒ La regina del Pianto ha commesso questo?
Le sue parole ebbero un effetto devastante negli occhi rossi e privi di cornea della fata. Il volto bianco si raggrinzì e nuove crepe nere si formarono sulla pelle. La ragazzina si aggrappò alle corna che gli uscivano dai capelli rossi per calmarlo.
‒ No, mai la mia regina avrebbe commesso qualcosa di tanto atroce ‒ rispose, e la sua voce pulita e musicale si macchiò di dolore. ‒ La Piangente è morta. La Corte è in pezzi. Una nuova regina ha preso possesso del bosco. Visnia, sua figlia e principessa.
La notizia lo colpì allo stomaco. Silas perse ogni traccia di colore. ‒ Morta? Non è possibile… come?
La bambina guardò impensierita la fata quando tossì sangue. Rantolò, esausta, ma non lasciò la lancia. ‒ Smettila di fargli tante domande, figlio di puttana! Non vedi che Zario è ferito? Aiutatemi!
La fata le fece cenno di tacere. ‒ Kenna è una bambina umana molto coraggiosa, le sue emozioni sono come tempeste, ma non lasciarti travolgere. Guarirò ‒ e sorrise appena, mostrando i denti sporchi di sangue. ‒ La Piangente non sarebbe mai caduta di fronte ad alcun nemico. Solo il suo stesso sangue avrebbe potuto ucciderla, perché la mia regina si fidava. Visnia aveva diversi seguaci, noi guardiane abbiamo lottato, sono morti tanti dei loro e tanti dei nostri, poi gli umani si sono messi in mezzo. Il bosco è perduto.
Silas stava sudando freddo, Kieran gli tirò una manica per sapere che cosa stesse dicendo. Iniziò a tradurre per lui e vide lo sconvolgimento fiorire nei suoi occhi.
‒ Ci sono molti seguaci di Visnia ancora?
Zario distese appena una delle lunghe gambe legnose in una posa più rilassata. ‒ No, ma abbastanza. Ho difeso il confine finché ho potuto, i loro attacchi sono continui e repentini. Molte di loro sono ferite, Visnia stessa è ferita dopo lo scontro con sua madre, ma non posso avvicinarmi per sfidarla.
E nel dirlo guardò la bambina.
‒ Attaccheranno il villaggio? ‒ domandò Kieran nervoso, e Silas tradusse.
‒ Sì, Visnia ucciderà tutti. Odia gli umani, non ha la saggezza di sua madre, esige sangue per il bosco, vuole schiavi e servitori come le regine di Oltremare.
Kieran e Silas si scambiarono uno sguardo pallido. ‒ E la bambina?
Kenna alzò gli occhi dalla ferita di Zario.
‒ Mi appartiene ‒ mormorò a voce bassa, quasi in un ringhio. ‒ I genitori me l’hanno donata e affidata prima di soccombere. Visnia voleva mangiarle il cuore. Starà con me finché tutto non si aggiusterà, poi la restituirò alle genti umane.
Silas ebbe conferma che la bambina riusciva a capire qualcosa delle parole della fata, perché aggrottò le sopracciglia. ‒ Io voglio restare con te.
Zario le diede una carezza stanca, quelle dita dalle unghie lunghe e arcuate non sembravano così spaventose mentre sfioravano delicatamente i capelli aggrovigliati della bambina.
Silas si voltò a guardare Kieran. ‒ C’è stato un… colpo di stato nella Corte, per questo la Piangente non è intervenuta a fermare la strage, perché è morta. Questa principessa fatata, questa Visnia, è in preda alla follia. Dobbiamo evacuare il villaggio, o subirete tutti un destino peggiore della morte.
Lo sparo partì prima che entrambi riuscissero a muoversi. Bucò l’ala della fata e si conficcò sul tronco dietro con un boato.
Entrambi si voltarono verso lo sparo e videro uno dei cadetti con la pistola dritta di fronte a sé e un sorriso determinato.
‒ Beccato ‒ cantilenò soddisfatto. ‒ Capitano! Abbiamo una schifosa tarma qui!
La fata urlò per il dolore mentre si teneva l’ala lacerata. La bambina lasciò uscire un urlo di orrore e si frappose fra la fata e i cadetti. Sfoderò subito il coltello.
‒ Figli di puttana! Stronzi! Vi cavo gli occhi a tutti!
Zario con dita tremanti si preparò a evocare la magia e puntò gli occhi rossi sul cadetto che aveva aperto il fuoco.
Questo alzò di nuovo la pistola, ma Silas si frappose. ‒ No! Non è pericoloso!
Il capitano giunse sul posto correndo e osservò la scena con sguardo aggressivo. ‒ Che diavolo sta succedendo?
Kieran tentò di mediare. ‒ La fata ci stava aiutando spiegandoci la situazione, non è ostile, ha protetto la bambina.
Solo in quel momento gli ultimi arrivati sembrarono rendersi conto della presenza della ragazzina che urlava bestemmie e insulti. Si erano avvicinati anche gli altri cadetti e stavano formando un capannello intorno a loro.
‒ Vaukhram, Reed, legate quell’essere e trascinatelo qui. Dobbiamo interrogarlo.
Silas era ancora di fronte la pistola. ‒ Gli accordi non ‒.
‒ Gli accordi sono infranti, Vaukhram. Portami la fata o fatti da parte.
‒ Abbiamo le informazioni che servono, non c’è bisogno di farle del male. Parlerà se la tratteremo con il rispetto che merita. Non è ostile ed è dalla nostra parte.
Il capitano lo colpì al viso con un pugno, gettandolo a terra. ‒ Questa è la seconda volta in un’ora che disubbidisci a un superiore. Al ritorno la sconterai, Vaukhram, racconterò ogni cosa della tua insubordinazione.
Silas si asciugò il sangue dal naso mentre reprimeva il dolore. Vide Kieran frapporsi fra lui e il capitano, ma una sensazione dolorosa gli invase il corpo. Affondò le dita nel terreno e gli sembrò di avvertire qualcosa.
La fata voltò gli occhi verso il bosco con una torsione del collo innaturale. ‒ Arrivano ‒ sussurrò.
Silas seguì il suo sguardo in modo istintivo, rimase imbambolato per qualche secondo a scrutare le fronde fitte del bosco. Tutti i cadetti riuscivano a sentire il malessere causato dalla pressione magica farsi sempre più forte e pressante, come una nausea crescente.
Inizialmente ebbe difficoltà a vederle: si confondevano con le ombre dei rami, fra il fogliame dei castagni. Il rumore delle loro ali somigliava a quello delle lenzuola sbattute dal vento, così come l’odore della loro magia ricordava il profumo della resina e di fiori appassiti.
Emersero con un grido che risuonò come uno stridio acuto, un urlo lacerante che gettò ciascuno di loro a terra con le orecchie sanguinanti.
Silas premette forte ai lati della testa, la mandibola contratta dal dolore mentre non riusciva a muoversi a causa della magia.
‒ Sono qui! ‒ urlò per sovrastare il rumore.
Le fate piombarono su di loro come una frana violenta. Il cadetto che aveva sparato fu il primo a cadere, trafitto alla gola da una lancia d’osso. Il più prossimo a lui venne accerchiato da due fate alate, iniziò a sparare, urlando, ma senza risultati. Le fate lo afferrarono dalle braccia e una terza aprì diverse ferite sulle sue giunture. Ognuna si prese un pezzo con uno strappo violento e lasciarono cadere un busto senza vita a terra. La loro ferocia risuonò fino al villaggio, urlavano, i volti tinti di colori brillanti, le ali pitturate di sangue che falciavano l’aria come lampi rossi.
Erano così rapide che Silas riusciva a malapena a vederle. Uno sprazzo colorato gli venne contro, ma non riuscì a raggiungerlo.
Il corpo della fata venne trafitto da una lancia e rimase conficcato contro il tronco dell’albero più vicino. Zario incombeva sul cadavere con la piccola Kenna appesa alla schiena. Silas non aveva notato la sua altezza prima, ma ora che era in piedi si sentiva quasi bassino accanto a lui.
Zario si chinò a terra e raccolse quello che somigliava a un elmo di ossa e foglie. Lo indossò fino a coprire interamente il volto; soltanto gli occhi rossi spiccavano nella fessura.
Roteò la lancia e si gettò contro un altro nemico. Silas osservò ammirato la fata guardiana che sbaragliava l’avversario, non aveva mai visto tanta grazia e tanta forza in un combattente, i suoi movimenti erano precisi e leggeri, come se non gli suscitassero alcuno sforzo. La ferita però gettava fin troppo sangue e il corpo aveva lievi spasmi ogni qual volta che compieva una torsione dolorosa.
Il capitano Hitch uccise la seconda fata con un proiettile dritto in fronte e ne ferì un’altra con la spada prima che potesse allontanarsi.
‒ Ritiriamoci! ‒ urlò a pieni polmoni.
Risuonò l’urlo di una bambina mentre una delle fate provava a strapparla dalla schiena di Zario. Lo avevano circondato.
‒ Visnia li vuole vivi entrambi ‒ comandò una delle fate nemiche.
Silas si era a malapena rialzato, stordito dall’attacco improvviso e famelico dei nemici. Gli tremavano le gambe ed ebbe giusto la forza di sfoderare la pistola. Provò a puntarla sulla fata che aveva appena strappato Kenna dalla schiena del suo protettore, ma non riuscì a fare fuoco. Aveva paura di colpire la ragazzina.
‒ TRADITORI ‒ urlò Zario, mentre si voltava per afferrare la bambina.
Un calcio lo raggiunse sulla ferita e il dolore gli attraversò il volto. Cadde su una delle ginocchia con un rantolo. La fata nemica serrò la presa su Kenna, che provò a morderla e a dimenarsi, al che iniziò ad allontanarsi. Zario cercò di rialzarsi, ma le radici degli alberi si mossero con uno rumore sinistro e si attorcigliarono attorno al suo corpo ferito.
Kieran si lanciò in avanti per afferrare la bambina mentre la portavano via, levandosi in volo. La mano si chiuse nel vuoto e il suo corpo ricadde nel torrente.
‒ Silas spara! ‒ gli urlò quando riemerse dall’acqua.
Anche se le intenzioni erano quelle, fu costretto a cambiare bersaglio quando vide una fata puntare Kieran e muovere le mani verso di lui. Riconobbe i gesti di una fattura nei movimenti delle dita; si affrettò a spostare l’arma, prese la mira e aprì il fuoco. Il bersaglio precipitò dall’alto con uno stridio sgraziato.
Entrò trafelato nel torrente e trascinò Kieran indietro. ‒ Dobbiamo andarcene. Subito.
‒ La bambina, loro… ! ‒ non aveva fiato per articolare altro, era fradicio dalla testa ai piedi.
Il viso aveva due scie di sangue dove l’urlo aveva ferito i timpani. Sembrava sotto shock, non riusciva a muoversi, pallido e tremante in mezzo al caos.
La bambina urlò il nome di Zario ancora una volta mentre la fata che la teneva stretta spariva fra gli alberi. Silas si guardò attorno, terrorizzato e vide intorno a sé una disfatta sconcertante.
‒ Dobbiamo correre al villaggio ‒ balbettò.
Quattro cadetti giacevano morti in terra, Thomas e gli altri avevano formato un cerchio e si difendevano schiena contro schiena sparando e agitando le spade. La cadetta di nome Jean tirò indietro Thomas quando uscì dalla formazione per errore e con un fendente preciso uccise la fata di fronte a lui.
‒ Scappate verso il villaggio! ‒ urlò il capitano.
Si strozzò con l’ultima frase. Si portò le mani al collo dove una radice si era attorcigliata. Sterpaglie e radici irruppero dal terreno e afferrarono ogni suo arto. Lo trascinarono in ginocchio e poi tirarono indietro con violenza. Si sentì un crack assordante, ma il capitano non cessò di urlare. Le radici si ritirarono nel terreno e il corpo venne inghiottito dal fango fra il rumore di ossa rotte e pelle lacerata. Le urla continuarono finché non venne completamente assorbito.
Silas scosse Kieran, che osservava la scena con un orrore indescrivibile negli occhi, poi si voltò per fuggire verso il villaggio. Trovò tre fate a bloccargli la strada, ferite, ma ancora feroci.
‒ La via per il villaggio è bloccata ‒ esalò, disperato.
Zario era riuscito a tagliare le radici che lo intrappolavano. ‒ Scappate nel bosco, se tornate al villaggio le porterete con voi e uccideranno tutti. Andate.
Aveva parlato ansimando, ma sembrava pronto a lottare ancora.
Silas sentì a stento quello che gli stava suggerendo. L’urlo lo aveva lasciato frastornato e il panico non gli permetteva di ragionare lucidamente.
Non posso morire qui. Non posso morire prima di essermi vendicato. Prima di poter salvare Marian.
Alzò un piede di scatto quando avvertì qualcosa di legnoso stringersi sulla caviglia. Inciampò mentre le radici lo afferravano.
Kieran estrasse la spada e con un colpo secco recise la radice. Afferrò Silas per la maglia con uno strattone e iniziarono a correre verso il bosco. Si tuffarono nel torrente e nuotarono fino alla sponda opposta senza prendere mai fiato; si aiutarono a tornare in piedi e corsero veloci fra i castagni, saltando ostacoli senza voltarsi. Gli abiti inzuppati li rallentavano, ma nessuno dei due era intenzionato a fermarsi. Intorno a loro udirono anche gli altri cadetti sopravvissuti disperdersi verso la boscaglia, spinti dalle lance delle fate. Nessuno di loro ragionava più lucidamente, come animali braccati cominciarono a correre alla cieca.
Silas udì uno sbattere d’ali fin troppo vicino, si voltò e trovò una delle fate incombere su di lui. Lo avrebbe raggiunto a breve. Cercò di puntare la pistola, ma aveva le mani così sudate che gli sfuggì dalle dita. Saltò di lato per evitare la punta della lancia diretta contro il suo stomaco.
‒ Silas!
 Vide Kieran caricare la fata a testa bassa, come un carro lanciato giù da una salita. La placcò con violenza e si schiantarono a terra fra rami secchi e foglie.
Ricordate: contro il vantaggio alato delle fate la mossa migliore è sempre quella di cercare di portarle a terra. Trascinatele giù, ferite le ali, ma eliminate il vantaggio.
La lezione gli rimbombò nelle orecchie e seppe per certo che anche Kieran la ricordava bene. Lo vide tenere la fata sotto di sé e colpire le ali nel tentativo di tenerla lontana dal cielo.
‒ Merda ‒ gracchiò Kieran nel panico, di fronte ai versi striduli e violenti della fata, che reagì con una forza spaventosa. Estrasse un pugnale d’osso e Kieran cercò di bloccarle il polso, terrorizzato.
Silas ebbe pochi secondi per decidere. Cercò di sgomberare la mente, di evocare la magia, ma le dita gli tremavano così tanto che non riusciva a tenerle ferme.
Kieran teneva la fata sotto di sé mentre tentava di schivare il pugnale puntato contro il suo volto. Girò la testa in tempo per evitare una coltellata nella guancia, gonfiò le braccia per lo sforzo e una vena gli pulsò sulla fronte quando la fata lo respinse indietro.
Non funziona.
La sua magia non stava funzionando, i suoi pensieri erano un groviglio di caos e il suo corpo non gli rispondeva.
Stavano arrivando le altre fate sopravvissute, pochi secondi e sarebbero stati spacciati.
Un urlo squarciò i suoi pensieri e vide Kieran tenersi il braccio lì dove il pugnale si era conficcato.
Silas avvertì le emozioni scorrergli nelle vene, si leccò il sangue fra le labbra e una forte energia statica lo pervase.
Si sentì un tuono assordante e un fulmine trapassò la fata, che urlò mentre piccoli incendi divampavano lì dove il fulmine aveva colpito. L’odore di carne bruciata li invase e una coltre di fumo iniziò a espandersi.
‒ Kieran!
Questo, tenendosi il braccio, si voltò a guardarlo: aveva lo sguardo sconvolto e gli occhi infossati. Si rialzò, instabile sulle gambe e barcollò appena. Le ultime fate gli erano addosso ormai. Tentò di ricongiungersi con Kieran, ma i nemici si divisero a inseguirli.
‒ Corri Silas! Ci ritroveremo nel bosco!
Silas sapeva quanto fosse una pessima idea. Era probabile che quella fosse l’ultima volta che lo vedeva. Doveva avvisarlo, doveva…
‒ Non fidarti del bosco! ‒ riuscì soltanto a gridare, poi fu costretto a correre.
Scappò nel bosco, inseguito da risate cristalline e da quelli che, per la prima volta, gli sembrarono mostri alati e bellissimi.
 
 ⚔
 

Buonasera a tutti!
Questi capitoli come state notando sono un pochino diversi dal solito, c’è molta azione e avventura (?). Vi avviso che saranno quattro in totale i capitoli nel passato, poi torneremo al presente. Ero molto indecisa se spezzarli, ma penso che si sarebbe rotta troppo la narrazione. Vi chiedo perciò di avere pazienza se le scene di azione non sono le vostre preferite ç__ç, ma l’Iniziazione è un momento cruciale per Kieran e per Silas, sia per le loro idee future e per le persone che diventeranno, sia per l’evolversi del loro rapporto ^^.
Mi dispiace se le scene d’azione risultano “confusionarie”. Ho provato a renderle più chiare possibili nonostante il ritmo frenetico e caotico della scena, se c’è qualcosa che vi è sfuggito o che ho scritto in modo troppo confuso non esitate a dirmelo.

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Capitolo 21
*** VI - Accademia - ***




VI


Accademia




 

893 p.U.
 


Kieran non aveva il coraggio di uscire allo scoperto.
Era rintanato dentro un albero cavo e aveva paura anche solo di respirare troppo rumorosamente. I suoi occhi si erano abituati all’oscurità, ma a tratti la vista si sfocava. Era madido di sudore, il cuore gli batteva all’impazzata e sentiva un dolore pulsante e feroce diffondersi dal braccio. Aveva un gran bisogno di svuotare la vescica e i crampi insopportabili gli attanagliavano lo stomaco.
Non sarebbe uscito da quel tronco. Doveva rimanere nascosto fino all’arrivo dei guerrieri di Ferro. Che fossero giorni o settimane, non doveva uscire.
Lo avrebbero trucidato, lo avrebbero fatto a pezzi.
Singhiozzò, rannicchiato dentro l’albero, la ferita sul braccio non la smetteva di sanguinare e il dolore gli annebbiava la testa.
Si asciugò il viso bagnato da lacrime e sangue, e tentò di controllare la ferita. La fata lo aveva pugnalato nel braccio e il dolore che aveva provato era indescrivibile. Osservò il buco nella manica con occhi preoccupati. Le vene del braccio erano di un viola acceso, le più vicine allo squarcio si stavano tingendo di nero.
Veleno? O magia? Forse una combinazione di entrambi, non era abbastanza esperto da distinguerle, né da saper intervenire.
Se non esco da qui morirò comunque.
Passò le mani fra i capelli sudaticci e unti, al che cercò di convincersi a lasciare quel nascondiglio.
Gli altri cadetti avevano bisogno di lui. Quella bambina era stata portata via. Silas era solo nel bosco.
Cos’era che diceva sempre sua madre?
Un passo dopo l’altro.
Non doveva farsi sopraffare.
Iniziò a stilare una lista di priorità per ritrovare un po’ di calma e autocontrollo.
Doveva trovare Silas. Insieme avrebbero potuto elaborare un piano. Quella era la priorità e l’elemento che aumentava le speranze di sopravvivenza.
Le mani gli tremavano ancora, ma si sentiva più calmo.
Strisciò fuori dal tronco con cautela dopo essere rimasto in ascolto per qualche minuto.
La luce del sole veniva tamponata dai rami intrecciati degli alberi e dalle grosse fogli cuoriformi.
Poggiò una mano sul tronco per sorreggersi e come prima cosa liberò la vescica per evitare spiacevoli incidenti in caso di scontro. Per lo stomaco non poteva fare granché al momento, era meglio non vomitare, aveva perso già sangue e liquidi, sarebbe rimasto senza forze.
Come avrebbe rintracciato Silas?
Non c’era modo lì dentro.
Poteva solo sperare che Silas conoscesse una magia per trovarlo. Doveva aspettare che questo si verificasse. Fino a quel momento avrebbe potuto cercare gli altri cadetti e studiare il territorio.
Controllò i proiettili e la condizione dei suoi abiti. Poggiò lo zaino a terra. Estrasse alcune bende e avvolse la ferita al braccio. Quando strinse il nodo lasciò uscire una bestemmia per cui sua madre lo avrebbe ammonito. Rimase indeciso se togliere le placche metalliche dell’armatura, ma alla fine decise di tenerle.
Fai un bel respiro.
Il bosco era scuro e molto diverso da come lo immaginava. Imponente, aggrovigliato, dispersivo. Per qualche strano motivo, era molto più vasto di come appariva da fuori. Gli alberi erano enormi e altissimi, l'occhio vagava a lungo prima di perdersi fra i muri di rami in alto. Un sali e scendi di grosse radici fra il terreno discontinuo e collinare rendeva faticoso e difficile proseguire. Le fronde si presentavano impenetrabili, se non per sporadiche chiazze di luce solare che bucavano il tetto foglifero. Il terreno fangoso scompariva fra i cespugli, le erbacce e gli aghi d’istrice. Si chinò a raccoglierne uno e si guardò attorno. Non sentiva rumori di animali intorno a sé, neanche un cinguettio. Alzò il viso, preoccupato.
Le fate convivevano pacificamente con la fauna, erano persino protettive e potevano diventare molto ostili con i cacciatori. Si accompagnavano a cervi, lupi, falchi, non nuocevano agli animali. Perché allora regnava quel silenzio? Dov’erano tutti gli animali?
Iniziò a camminare, senza smettere di guardarsi le spalle. Non sapeva orientarsi granché in un bosco, conosceva soltanto qualche nozione base. Aveva con sé una bussola e sapeva che il cuore della corte doveva trovarsi più a est, ma a parte quell’indicazione non aveva idea di dove dirigersi.
Vagò per quelle che gli sembrarono ore, il senso del tempo sembrava confondersi dietro i suoi occhi stanchi. Il volto gocciolava sudore a ogni passo e sentiva di avere la febbre. Il braccio aveva cominciato a intorpidirsi e avvertiva un formicolio sempre più esteso.
Doveva stare attento, doveva tenere d’occhio le fronde e controllare che nessuna fata lo vedesse.
Silas si stava dirigendo verso la corte? No… forse era uscito dal bosco, era tornato al villaggio. Ma il torrente non era sicuro e il confine era sorvegliato, per questo li avevano scoperti.
Rallentò, incerto. Dove credeva di andare? Aveva perso il senno?
Halldora avrebbe proseguito.
Ma lui non era come lei. E non lo sarebbe mai stato.
Udì un urlo distante nel cuore del bosco, ma non capì da dove venisse. Accelerò il passo, incalzato da una sensazione che non sapeva spiegare. La ferita si stava espandendo e aveva iniziato a gocciolare un sangue nerastro e fetido.
Avevano studiato i diversi tipi di magia conosciuti finora e quella... quella aveva tutta l’aria di essere necromagia. Nessun medicinale avrebbe potuto guarirlo, nessun bendaggio o iniezione. Neanche i più abili chirurghi dell’Ospedale di Vanheim sarebbero riusciti a salvarlo senza la magia. L’unico modo era amputare, ma l’infezione sembrava troppo in là per quello.
Chissà se avrebbero ritrovato il suo corpo alla fine di tutto quello.
 
 

Forse passò un’ora o forse due giorni. Impiegò tutte le sue energie per muoversi e riprendere a camminare.
Stava per morire.
Non poteva salvarsi in alcun modo.
Prendere atto di ciò aveva avuto un impatto violento nella sua mente. Il suo corpo aveva smesso di muoversi, come se non lo trovasse rilevante o prioritario, mentre i suoi pensieri si erano spenti come il motore di una vaporetta.
Dopo aver singhiozzato in ginocchio come un moccioso e aver sbattuto i pugni a terra e chiamato sua madre in cerca di aiuto, si era però rialzato. Non aveva più lacrime ed era esausto e spezzato.
Forse una fata come Zario potrebbe guarirmi con la magia.
Cercò una via d’uscita, un modo, finché non abbandonò quei pensieri pieni di terrore.
Doveva preoccuparsi di ciò che poteva ancora controllare.
Forse era spacciato o forse no. Di certo gli rimaneva ancora la possibilità di scegliere come morire. E non voleva morire singhiozzando lì per terra.
Non sapeva quanto tempo avesse prima che l’infezione compromettesse del tutto il suo corpo, perciò accelerò il passo.
Incontrò una sola fata nel percorso verso est e si nascose, silenzioso, mentre questa pattugliava il bosco volando a gran velocità. Sembrava diretta verso ovest, forse si dirigeva al torrente.
Intraprese il sentiero accidentato da cui era giunta la fata e faticò per non cadere dalla stanchezza.
Attraversò un piccolo laghetto nascosto dalle fronde di un salice piangente. Lì intorno alcune pietre erano state incise da linee geometriche, i massi semisommersi mostravano i volti stilizzati e scolpiti di alcuni animali, come gufi e lupi.
Scostò il fogliame rigoglioso che s’immergeva nelle acque verdi e superò la radura.
Il sole gli ferì gli occhi e l’aria cambiò violentemente, come se fosse uscito da una cantina buia e umida.
Kieran non riusciva a spiegarsi ciò che vedeva e sentiva; udiva risate cristalline, note di un’ocarina armoniosa, cinguettii dolci e melodiosi, e il profumo di limoni maturi, di fiori e zucchero caramellato, e poi ancora lavanda e anice dolciastro. Il bosco era fitto e ombroso fino a poco prima, ma ora la luce filtrava dai raggi calorosa e creava giochi di luce, le foglie verdi brillavano e la clorofilla scorreva quasi luccicante nelle venature, come nettare divino. Grossi e spropositati funghi raccoglievano l'acqua piovana e offrivano un piacevole riparo alle piccole creature luminose che svolazzavano ridenti.
Le voci giocose lo invogliavano ad avvicinarsi, toni caldi e bassi come quelli di un amante.
Tentò di fare un passo avanti, ma un ammonimento lo fermò.
Non fidarti del bosco.
Silas aveva gridato qualcosa del genere prima di correre.
Gli sembrò di udire anche la sua risata fra quelle fronde invitanti. Forse aveva trovato gli altri cadetti, forse aveva già risolto la situazione.
Una mano ferma lo bloccò per il polso prima che potesse avanzare. Si voltò e incontrò gli occhi tesi di Silas. La luce del sole illuminava le iridi viola e la pelle lucente.  Con un gesto lento e misurato, Vaukhram si portò l’indice di fronte al viso e gli intimò di non parlare.
– Indietreggiamo, cerchiamo un rifugio – sussurrò.
Kieran distolse dolorosamente gli occhi dall’ambiente circostante. – Sono illusioni? – boccheggiò.
Ogni respiro era così dolce, aveva l’acquolina in bocca e un senso devastante di nostalgia, nostalgia per ricordi mai avuti ed emozioni mai provate.
‒ Non del tutto, le corti sono intrise di magia e crescono influenzate da essa. Gli odori che senti sono il risultato di una magia che ha modificato piante, terriccio e fiori permanentemente qui. Ci sono vegetali unici, non seguono le regole della natura a noi conosciute, come neanche gli animali. Quindi dobbiamo fare estrema attenzione.
Kieran indietreggiò, ma i suoi occhi sondarono la natura rigogliosa di fronte a lui, l’acqua cristallina e i suoni armoniosi.
A poco a poco la luce si espanse come colore su una tela; fu come notare il volto di un conoscente fra la folla, qualcosa che a primo acchito aveva sorvolato con lo sguardo. Soltanto che era impossibile non accorgersene.
Trattenne i conati e Silas lo tirò indietro lentamente. Kieran incespicò, il fiato bloccato in gola.
I corpi degli abitanti del villaggio si stagliavano di fronte a loro, almeno una ventina, trafitti da grossi rami. Il legno li aveva trapassati con precisione, elevandoli in alto e tenendoli sopra le loro teste. I rovi delle fronde si erano amalgamati ai loro corpi e alcuni fiori crescevano dai loro occhi e dalle loro labbra.
Fra di loro c’era anche il corpo di uno dei cadetti e a giudicare dagli spasmi del suo corpo non era ancora morto.
‒ Dobbiamo aiutarlo ‒ rantolò.
Silas contrasse il viso. ‒ Non possiamo fare nulla per lui, i fiori crescono dentro di lui, i suoi organi sono già collassati. Purtroppo è caduto nella trappola. Non è più cosciente ed è immerso in un’illusione. Non morirà soffrendo.
Kieran si sorresse al tronco del salice, febbricitante. ‒ Tutto questo non può essere reale, questo orrore è solo un incubo, un terribile incubo.
Silas lo guardò preoccupato. ‒ Stai bene?
Gli uscì una risata disperata e scosse la testa. ‒ No, affatto.
‒ Ho trovato un rifugio, una piccola caverna. Nascondiamoci lì per ora.
 
 
 
 
Per entrare nella grotta furono costretti a strisciare dentro la tana di un animale non identificato, poi le pareti di roccia si allargarono fino a creare uno spazio più ampio che proseguiva in profondità. Si sentiva il gorgogliare dell’acqua e a giudicare dalla presenza di stalagmiti doveva essere una caverna scavata dal torrente.
Kieran si accasciò a sedere, scosso dai brividi. Silas si spazzolò via il fango dalla divisa e guardò il tunnel da dove erano strisciati. Estrasse un gessetto bianco dalla tasca e si posizionò di fronte all’entrata.
‒ Credi ci stiano cercando? ‒ ansimò Kieran.
Silas stava disegnando alcune rune sull’ingresso, ma sembrava incerto. – Naturalmente, ma forse daranno prima la caccia agli altri.
Questo non lo faceva di certo sentire meglio. Aveva sfilato l’armatura e aveva rimboccato la manica larga della blusa spiegazzata, aveva grosse chiazze di sudore sulla schiena, sotto le ascelle e intorno al collo, i ciuffi di capelli sulla nuca erano umidicci, correre in armatura era veramente sfiancante.
‒ Rune magiche?
Silas mostrò tutta la sua incertezza. – Dovrebbero invogliare a non cercare nella grotta, ma non so quanto possano essere efficaci contro una fata come quella. 
‒ Sai già fare rune così articolate – constatò, sorridendo.
Si batté le mani sporche di gesso e ripose i gessetti. – Studio magia da sempre e sono portato, ma è una disciplina che richiede la mente sgombra e lucida, non si sposa bene con situazioni frenetiche. Ho cercato di trovarti con un trucchetto, ma continuavo a perderti. Poi ha funzionato.
‒ A me sembra che te la sia cavata.
Poggiò la testa indietro contro la roccia, gli occhi gli si incrociarono per un attimo. Silas assottigliò lo sguardo nel buio e si avvicinò.
‒ Cos’è quest’odore…
‒ Credo sia la mia carne, che marcisce.
Di fronte al viso gli danzavano ancora gli schizzi di sangue del maestro. Ricominciò a tremare.
‒ Non credo mi resti molto tempo.
Chiuse gli occhi. Sentì il calore di una fiamma accanto a lui. Quando li riaprì Silas gli era di fronte. Lo guardava, pallido. Prese il braccio con delicatezza e scostò la benda insanguinata. Lasciò uscire un’imprecazione. – Perché non me lo hai detto subito?
‒ Perché… non avrebbe fatto… alcuna differenza ‒ rispose affannosamente.
La testa iniziò a ciondolargli e gli occhi a chiudersi. Silas lo schiaffeggiò senza scrupoli.
‒ Devi rimanere cosciente. Non ne usciamo vivi altrimenti.
Sempre quell’aria pragmatica. – Io non ne esco vivo, ma tu puoi farcela.
Gli prese il braccio con più forza, i denti serrati per la tensione. – L’arma era intrisa di necromagia, ma il ferro nel tuo sangue ha rallentato molto l’infezione. C’è ancora tempo.
Tolse del tutto il bendaggio rudimentale. Kieran contrasse il viso dal dolore. ‒ Che differenza vuoi che faccia? I rinforzi non arriveranno mai in tempo.
‒ Non hai bisogno di loro ‒ lo contraddisse Silas, concentrato. ‒ Ora stai fermo. Devo concentrarmi.
Qualcosa cadde a terra e Kieran ebbe a malapena la forza di osservare. Vide un paio di piccoli vermi bianchi, alzò gli occhi e notò che altri ne uscivano dalla ferita.
Si ritirò indietro, scioccato, ma Silas cercò di tenerlo fermo con vigore. – La loro magia marcente è sempre… affascinante. I maghi umani non sanno usare la necromagia come loro ‒ commentò con una punta di ammirazione. ‒ Provo ad annullarla, ma non posso assicurarti che funzionerà.
‒ Annullarla?
Prese un pugnale dalla cintura e si passò la lama sulla mano non dominante, aprendo un taglio non troppo profondo. Kieran cercò di fermarlo, ma quello gli lanciò un’occhiataccia.
Poggiò il palmo aperto sulla ferita e iniziò a intonare una lieve melodia, aveva il suono del carillon che teneva in camera, note malinconiche. Le vene del suo corpo brillarono di un colore violaceo e la pelle perse un po’ di colore, i suoi tratti fatati divennero più marcati e il suo aspetto assunse un che di alieno e inumano.
Kieran avvertì un dolore insopportabile invaderlo e lasciò uscire un verso strozzato. Silas tolse le mani di scatto, spaventato.
‒ Scusa ‒ mormorò. ‒ Guarire è la magia più difficile. Io… l’ho fatto pochissime volte.
Si sentiva più stanco di prima. ‒ Stai tranquillo.
‒ No! ‒ rispose. ‒ Lasciami riprovare.
Kieran scrollò le spalle. Non aveva granché da perdere d’altronde.
Silas tentò ancora, i suoi lineamenti si assottigliarono, le iridi emanarono un luccichio spettrale e il suo sangue iniziò a gocciolare veloce.
La ferita smise di marcire, si rimarginò molto poco, mettendo su una crosta scura e minacciosa. I vermi si dissolsero e il nero si ritrasse dalle sue vene, succhiato indietro dalla magia di Silas.
Tolse il palmo con un gesto esausto e iniziò a rabbrividire. – Non ci credo che ci sono riuscito. Per Titania. La magia dei purosangue è spaventosa – mormorò rauco, senza fiato.
Ricadde indietro con un sospiro esausto e iniziò a fasciarsi il palmo. Il sudore per lo sforzo gli aveva appiccicato i capelli al volto. Tossì più volte e portò le dita alla tempia con una smorfia.
Kieran si guardò il braccio, sconvolto. Il dolore era ancora presente, ma molto più sopportabile; la febbre era scesa e riusciva a muovere la spalla.
 Alzò gli occhi su Silas, senza parole. – Tu… mi hai appena salvato la vita – balbettò.
‒ L’ho sempre detto che sei un tipo acuto ‒ ribatté con un’alzata d’occhi.
Kieran si passò le mani sugli occhi. ‒ Credevo di essere spacciato, credevo che non avrei più rivisto la mia famiglia ‒ e la voce s’incrinò fino a sparire.
Rimase per qualche secondo con i pugni premuti contro gli occhi. Si asciugò le lacrime, imbarazzato. ‒ Scusa, tutto questo mi ha… ora mi do un contegno.
Silas inclinò la testa, studiandolo. ‒ Le emozioni non sono qualcosa che mi turba, Kieran. Le hanno tutti.
‒ Non è appropriato che un soldato pianga ‒ ribatté, ostinato.
Cercò di dirlo con forza, ma aveva ancora la voce arrochita dal pianto. All’improvviso si vergognava parecchio del suo crollo.
Silas aveva smesso di guardarlo. ‒ In ogni caso non è ancora detto che rivedrai la tua famiglia. Prima dobbiamo uscirne vivi.
Aprì i primi bottoni della blusa per respirare meglio e si tirò i capelli indietro. Kieran lo osservava, travolto dal senso di gratitudine e sollievo. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che la sua vita avesse incrociato qualcuno come Silas. Qualcuno che gli guardava le spalle, che lottava per lui, che sfidava i superiori, le gerarchie e persino le fate più feroci per lui. Qualcuno di così coraggioso. C’erano state persone che lo avevano amato profondamente, ma nessuna di loro purtroppo era mai stata abbastanza forte da proteggerlo a sufficienza, come sua madre, che era la persona più forte che conoscesse. Si era dovuto arrangiare da solo per gran parte del tempo, ma con Silas sentiva di potersi lasciare andare.
Perché io?
Perché uno come lui lottava e proteggeva uno come Kieran?
In realtà non gli importava la risposta. Voleva solo fare lo stesso, voleva solo proteggerlo, aiutarlo e lottare con lui.
Mentre lo pensava guardò l’apertura della blusa e il profilo del suo viso, i graffi che aveva sulla guancia e l’ematoma del pugno del capitano. La pelle d’ebano era fredda e lucida come una pietra levigata, l’incavo del collo mostrava una curva morbida e delicata, malgrado le vene tese.
A volte si ritrovava a pensare a quanto quella pelle gli facesse uno strano effetto, come un cibo invitante. Si raccontava che fosse normale guardare Silas a quel modo, perché era il perfetto esempio di tutti i loro migliori canoni estetici, era armonioso, aggraziato, affilato e morbido allo stesso tempo, col naso appena appuntito, occhi allungati e stretti, tratti alieni, distanti. Aveva alcune cicatrici più chiare e a guardarlo da vicino presentava altre imperfezioni, come piccoli sfoghi sulle guance, alcuni denti lievemente storti, ma Kieran non riusciva a smettere di osservarlo, a volte pensava di esserne assuefatto e si chiedeva se fosse come guardare un bel dipinto o una statua realistica e ben fatta. Si diceva che fosse normale guardare così a lungo qualcosa o qualcuno di bello, che chiunque fosse dotato di un paio di occhi funzionanti avrebbe passato minuti interi a esaminare di sottecchi l’aspetto di Silas.
In quel momento però non sentì nulla di normale nel proprio sguardo; non erano i soliti tratti a calamitare i suoi occhi, ma tutti quei dettagli che gli erano diventati familiari. Le sopracciglia aggrottate, i piccoli nodi fra i capelli, gli orecchini che Silas metteva in ogni occasione, il modo in cui portava l’unghia del pollice fra le labbra quando era pensieroso, le dita che ticchettavano la propria gamba, nervose.
Era già sudato di suo, ma per qualche motivo iniziò ad avere ancora più caldo vedendo Silas aprire la blusa sul petto. Il cuore ebbe un sussulto inaspettato e Kieran si ritrovò confuso e agitato senza motivo apparente. Osservò ancora il pollice fra le labbra di Silas e represse il folle istinto di toccare quelle labbra con le proprie dita.
‒ Ti senti ancora male? Ci metterà un po’ a fare del tutto effetto la mia magia.
Silas si accorse del suo sguardo e inclinò il capo, studiando il suo viso per scovare segni di dolore.
Kieran avvertì il volto andargli a fuoco e uno strano panico invaderlo. Distolse lo sguardo.
‒ No, sto molto meglio.
‒ Ah sì? Sei rosso, forse è uno sfogo.
Scosse la testa con forza. ‒ Sto benissimo.
Silas sogghignò e aprì un po’ di più la blusa. ‒ Non starai facendo pensieri inappropriati su di me, cadetto.
L’accusa lo mandò talmente tanto nel pallone che reagì con un’indignazione pari a quella di un re. ‒ Ti arriva poca aria al cervello quando usi la magia? Dici le cose più stupide!
L’altro ridacchiò appena in modo nervoso. ‒ Stavo solo scherzando, sei sempre troppo rigido, Reed.
Bofonchiò qualcosa, ma gli veniva da ridere. Era ancora vivo, poteva sentire paura, imbarazzo, contentezza. Poteva ancora sentire qualcosa, per quanto fragile.
-Silas… grazie, per avermi salvato ‒ sussurrò, tenendosi il braccio. ‒ Io non lo dimenticherò mai.
L’altro agitò la mano, imbarazzato. ‒ Di niente, e poi hai cominciato tu quando hai deciso di caricare quella fata come una vaporetta impazzita. Ora però devo riposare. Oggi ho usato troppa magia, non so quando mi riprenderò. Non so se ci troveranno – la sua voce suonava angosciata. ‒ Anche tu devi riposare, hai perso sangue e il ferro in te ha faticato per contrastare l’infezione magica. Riprendiamo le forze, poi decideremo che cosa fare.
 
 

Quando Kieran tornò cosciente, era scesa la sera. Non c’era luce nella caverna, ma era scomparso anche il piccolo spiraglio di sole che sbucava dal tunnel. L’umidità di quel posto non era stata clemente col suo corpo.
Guardò la ferita e notò con piacere che si era molto ridotta. Spostò gli occhi sul corpo di Silas addormentato e sorrise.
Credono tutti che sia un talento, ma non hanno idea di quanto lo sia davvero.
Tirò fuori dallo zaino una mela che aveva portato dal treno e iniziò a tagliarla a spicchi. Scosse Silas per svegliarlo, ma non ottenne risposta. Si sporse e notò che aveva il respiro flebile.
‒ Silas?
Questo aprì debolmente gli occhi e venne scosso da un brivido. Si tirò a sedere con flemma e poggiò la schiena contro la roccia. Appariva pallido e debole.
‒ Stai bene?
Annuì e deglutì. ‒ Neutralizzare la necromagia è stato… molto più faticoso di quanto pensassi. Il mio corpo è pesante, non so neanche se riuscirei a correre in questo stato.
Kieran gli allungò uno spicchio di mela. ‒ Intanto devi mangiare.
Silas osservò lo spicchio. ‒ E la buccia?
Sbatté le palpebre. ‒ Dici sul serio? Non mangi carne e lasci le bucce della mela?
Voltò lo sguardo, punto sul viso. ‒ Non mi piace la buccia.
Con un sospiro iniziò a sbucciare alcuni spicchi. ‒ Come sua maestà desidera. Certe volte dimentico che sei un bel viziatello.
‒ Sono selettivo, è ben diverso.
Li prese e li addentò, socchiudendo gli occhi. Mangiarono in silenzio la mela, ognuno perso nei propri pensieri.
Kieran aveva ritrovato un briciolo di calma, ma Silas invece appariva provato. Aveva un aspetto stanco e malaticcio, i suoi occhi erano turbati e spaventati. La magia usata lo aveva in qualche modo… consumato. Non sapeva bene spiegarsi il motivo, ma qualcosa in lui era spento ed emaciato.
‒ Come ti senti?
Silas si passò una mano fra i capelli e una ciocca venne via. ‒ Male.
‒ Cosa ti succede?
Deglutì e si leccò le labbra secche. ‒ Io canalizzo il mio stesso corpo per lanciare magie. Non è diverso dal sollevare pesi usando la propria forza. Il mio corpo ha un limite, che posso estendere allenandomi ogni giorno. Se provi a sollevare un peso troppo eccessivo per il tuo corpo, rischi di spezzarti qualche osso, di farti venire un’ernia e di rimanere senza forze e coi dolori per diverse ore. Per me è più meno la stessa cosa. Ho sforzato troppo il mio corpo, ho superato il limite e mi sento come se non mangiassi da giorni.
‒ Se recuperassimo un… pezzo delle fate nemiche per lanciare magie, sarebbe la stessa cosa?
Inclinò la testa con aria stanca. ‒ Non proprio, faticherei sicuramente meno, ma anche se usiamo il corpo di altre fate per canalizzare la nostra magia, attingiamo sempre almeno in parte alla nostra energia vitale.
Kieran si affannò per tirare fuori qualche altra provvista. Non era un medico, ma sapeva per certo che a stomaco vuoto era difficile ritrovare le forze.
‒ Ne usciremo vivi.
Era consapevole che dirlo non lo avrebbe reso reale, ma vedere Silas così sconfitto e turbato lo scoraggiava. Aveva bisogno di instillare speranza, quanto bastava per non farsi distruggere dalla paura.
Silas sollevò piano gli occhi su di lui. ‒ Non dire cose che non pensi.
‒ Io non ‒.
‒ Sei l’unica persona onesta in quest’Accademia, non iniziare a mentire adesso.
Quella considerazione gli strappò una risata nervosa. Tremava ancora nella sua divisa, non aveva idea di come sarebbero sopravvissuti a tutto quello. Avrebbe rivisto sua madre? Henry? Il rettore?
E Magda, Dalia.
Prese un po’ di carne essiccata dalle provviste, ricordandosi stupidamente che Silas non la avrebbe mangiata. Ne mangiucchiò un pezzo.
‒ Credevo sarebbe durato ancora un po’ ‒ mormorò, la voce roca dal dispiacere.
‒ Cosa?
‒ Questo sogno ‒ rispose amaro. ‒ L’Accademia.
Silas era intento a mordicchiarsi un’unghia con gli occhi piantati verso il basso, ma alzò di poco la testa a quelle parole. ‒ Sogno? Strana scelta di parole. Non hai mai raccontato a nessuno come tu sia riuscito a entrare. Visto che non menti mai. Preferisci aggirare certe domande.
Kieran cercava di tenere le mani occupate spezzettando la carne.
Non sopportava quelle parole. Non sopportava che Silas avesse quest’idea falsata di lui, manipolata. Non voleva andarsene fra altre bugie, non voleva che la sua vita si concludesse nella menzogna.
‒ Sono molto bravo a mentire invece o a omettere ‒ commentò con voce esile. ‒ Ne è la prova che ho convinto persino uno come te. Sono sempre stato un gran bugiardo.
Silas sbatté le palpebre, curioso. Non sembrava credergli, ma decise di incoraggiarlo. ‒ Ah sì? E perché?
‒ Per mio padre.
‒ Credevo che non avessi un padre.
Kieran abbozzò un sorriso. ‒ Ho un uomo che mi ha concepito e che abita nella mia stessa casa, ma non è un padre.
Vide lo sguardo di Silas realizzare e si grattò la nuca. ‒ Non è un buon padre ‒ constatò, come se fosse qualcosa che conosceva personalmente.
‒ La mia famiglia ha antenati fatati ‒ rispose Kieran con tono calmo. ‒ Sai che è comune alla maggior parte di persone ormai, avere almeno un lontano antenato di origine fatata.
Lo vide annuire. Era difficile trovare umani che non avessero neanche un briciolo di sangue fatato, ma era ininfluente. Soltanto i diretti figli di fate purosangue presentavano un valore; avere un bisnonno o un trisavolo fatato non arricchiva in alcun modo una famiglia. Forse si ereditava una predisposizione lieve alla magia, ma il sangue umano annacquava del tutto quello fatato.
‒ Almeno è quello che raccontava mia nonna, ma noi sappiamo che è la verità. Né io né lei né mio padre abbiamo ereditato niente di utile dai lontani antenati fatati, non abbiamo la loro bellezza o la loro grazia né tanto meno il talento con la magia. Il sangue umano nella nostra famiglia è sempre stato più forte. Se non per una sfortunata mutazione.
Silas appariva concentrato sulle sue parole. ‒ Una mutazione? ‒ domandò cauto.
‒ Si può chiamare anche così. Mio padre non può mentire.
‒ Cosa? Dici sul serio? ‒ balbettò, stupito. ‒ Non può mentire? Mai?
Kieran annuì. ‒ Mai. Come le fate purosangue. Tutto ciò che il sangue fatato ha tramandato a mio padre è questa maledizione.
Voleva fermarsi, ma sapeva di non poterlo fare. Aveva bisogno di spiegarsi, di dirlo a qualcuno. Di far capire che non era del tutto colpa sua.
Silas sembrava perso in qualche elucubrazione. ‒ Avevo sentito di casi simili, ma soltanto nei luoghi più prossimi alle Terre Spezzate dove la magia muta anche gli umani, i villaggi vicino alla Giungla, o quelli presso le Fosse degli Echi. È incredibile, neanche noi mezzosangue la maggior parte delle volte ereditiamo questo tratto fatato. Figuriamoci a distanza di generazioni.
La meraviglia nella sua voce strappò quasi un sorriso a Kieran. ‒ Già, siamo sempre stati portati ad avere sfortune uniche. Ad ogni modo mio padre non ha mai potuto mentire. Anche provandoci non ha mai potuto fingere di essere un genitore decente. I ricordi piacevoli che ho con lui si contano sulle dita di una mano, mentre ho centinaia di immagini del tubo arrugginito con cui amava picchiare me o mia madre.
Le ultime parole gli uscirono fuori piene di veleno e fu costretto a riprendere fiato. ‒ Sono sempre stato terrorizzato da lui. Anche nelle altre famiglie spesso era così, ma mio padre era considerato alla stregua di un appestato, era deriso da tutti. Ricordo le prese in giro degli altri bambini, mi facevano così vergognare di lui. Lui poi si sfogava su di noi. Rovinava ogni cosa, ogni festa, ogni evento con le sue scenate da ubriaco. Accusava mia madre di mentire, accusava tutti di mentire sempre, non come lui. Mia madre cuciva per guadagnare, sai quante volte le ha stracciato un corredo finito accusandola di chissà quale menzogna? Non lavorava e non guadagnava lui, ma si permetteva certe cose.
Silas ascoltava senza emettere un fiato, ma quando lo vide zittirsi cercò di farlo continuare. ‒ Accusava anche te di mentire?
Kieran era sopraffatto dal disgusto verso quell’uomo. Strinse le labbra e scosse la testa.
‒ No. Io avevo una fortuna: mio padre era convinto che avessi ereditato la sua stessa maledizione. Che non potessi mentire. E io glielo ho sempre fatto credere. Finché c’è stato con la testa almeno, negli ultimi anni non si alza neanche più dal letto per fortuna.
Silas allargò la bocca. ‒ Non posso crederci. Lo hai convinto di questo? E lui ti ha creduto?
‒ Credo che all’inizio fosse un modo di imitare mio padre, lui diceva sempre la verità in faccia agli altri senza curarsi di nulla e io quando ero ancora molto piccolo tendevo a imitarlo. Poi ho capito l’utilità di quella convinzione e l’ho usata a mio vantaggio.
‒ Davvero astuto. Eri un bambino e hai elaborato questo stratagemma da solo.
Kieran non sapeva come accogliere quel commento. ‒ Per anni ho dovuto interpretare una persona sincera e onesta, una persona che non sa mentire. Dovevo dire bugie credibili, a volte dovevo espormi, era una continua prova per non farmi scoprire da mio padre. Ci trovava gusto a farmi dire verità scomode, gli dava un senso di potere umiliarmi con la mia sincerità obbligata. Quando la facevo a letto, quando non capivo qualcosa o quando mi vergognavo. Ammettilo, dì a tua madre che ti sei pisciato sotto. Cose così.
Silas aveva gli occhi contratti. ‒ Non capirò mai come un genitore possa trattare così un figlio.
Kieran scrollò le spalle e continuò: ‒ se mentivo dovevo apparire il più sincero possibile. A volte mi aiutava mia madre, lei faceva ciò che poteva. Ci presi gusto dopo un po’, adoravo prenderlo per i fondelli, rigirarlo come volevo. Per questo mentire mi riesce così bene, spesso non riesco a evitarlo. Da quando sono in Accademia ho cercato di non farlo, di mentire il meno possibile, soprattutto a te. Se posso evitarlo, lo evito, ma a volte è difficile resistere. A volte vorrei mentire anche su scempiaggini, su discorsi di circostanza. Dire che ho letto quel libro anche se non è vero, che conosco una persona che non ho mai visto. Mentirei anche su questioni che non mi portano alcun beneficio, sull’orario in cui ho mangiato per esempio o sul giorno del mio compleanno. Non so perché lo faccio, non so come fermarmi. Lotto ogni giorno contro la tentazione di mentire, a volte sembra che io non riesca a evitarlo. Cerco di essere me stesso, di far capire agli altri chi sono veramente e di non dire sempre falsità, ma fallisco troppo spesso.
Non riusciva a smettere di parlare. Doveva fermarsi, prima di perdere ogni briciolo di rispetto da parte di Silas, prima di vedere nei suoi occhi la diffidenza. Non voleva rovinare l’immagine che Vauk aveva di lui, non voleva che potesse guardarlo in modo torvo o cauto.
Silas sospirò e gattonò fino a lui. Gli si sedette accanto, così da guardarlo meglio. Era fin troppo vicino e Kieran ritrasse appena il viso, imbarazzato. Sentiva il suo odore, misto a quello di sudore e sangue.
‒ Credo che tu ci riesca ogni giorno. Tutti mentiamo, Kieran, di continuo, non è qualcosa di così grave come pensi. Mi sembra che tu ti affligga troppo per qualcosa che è nella natura di ciascuno di noi.
‒ Nel mio caso è diverso ‒ replicò, agitato. ‒ Io non riesco a farne a meno.
Silas poggiò la guancia sulla mano. ‒ Hai un vizio.
‒ Un vizio?
Annuì. ‒ Io pure ne ho. L’importante è non farsi distruggere la vita e tenerli a bada. Sei davvero troppo duro con te stesso, forse perché tuo padre era ossessionato da questa faccenda dell’onestà…
‒ Lo era. Pensava che tutti lo prendessero costantemente in giro, e aveva ragione. Io però ero quello che lo faceva più di tutti.
‒ Se lo meritava di essere preso per i fondelli. Ma non è che tutto ciò che sei è una bugia. Riesci comunque a far emergere il vero te. Sei uno dei pochi in Accademia che non ha mai cercato di accattivarsi la mia compagnia, sei sempre stato te stesso con me. Che si trattava di spaccarmi il naso sul ring o insultarmi dopo. Hai tenuto testa a Siegan, avresti potuto mentire per salvarti, dirgli che avresti lasciato l’Accademia, ma non lo hai fatto. Non m’importa se dici che hai letto un libro che non hai letto, se provi a dirmi che non hai sporcato tu per terra in camera o se t’inventi di non avere un padre. Le fate mentono di continuo pur non potendolo fare, manipolano e rispondono in modo vago e ambiguo. Sono le tue azioni che ti definiscono e che fanno capire agli altri chi sei.
Kieran si toccò la ferita e affondò il viso nelle braccia incrociate. Gli sembrava che qualcuno lo stesse guarendo da un’altra infezione.
‒ Se lo dici tu ci credo ‒ sussurrò. ‒ Tu sei sempre te stesso, Silas. Non stai mai zitto, dici sempre quello che pensi, non hai paura di urlarlo in faccia ai superiori o persino al Gran Consigliere. Vai sempre per la tua strada e non t’importa del giudizio di nessuno.
‒ Di qualcuno m’importa ‒ rispose a voce bassa. ‒ Del tuo m’importa.
Distolse gli occhi e gli zigomi pallidi mostrarono un accenno di colore. Kieran gli diede una lieve spallata affettuosa e rise. Silas alzò gli occhi al cielo e tirò fuori il suo sorriso beffardo.
‒ Non hai risposto alla mia domanda però. Come sei entrato in Accademia. So che è per il rettore, ma come.
Kieran sbuffò, colto in flagrante. Guardò a terra. ‒ Ho derubato il rettore. Venne alla fabbrica dove lavoravo io, erano di proprietà della sua famiglia. Non sapevo chi fosse, ma aveva un orologio da taschino d’oro che gli sbucava dai pantaloni. Lo derubai, ma lui se ne accorse. Invece di punirmi però vide qualcosa in me a quanto pare. Dice sempre che se ne accorse per puro caso e che rubare un ufficiale del Ferro è un’impresa non da poco.
Silas stava ridendo di gusto e si teneva la pancia. ‒ Eri un ladruncolo?
‒ No! ‒ rispose frettoloso. ‒ Voglio dire, non sempre. A volte. Quando ne avevo davvero bisogno, non sono molto agile. Da quel giorno non ho più rubato niente.
Almeno quella parte poteva risparmiarsela. Silas però continuava a ridere.
‒ Anche perché in quel caso avresti avuto due vizi! Sei una sorpresa continua, Reed. Il rettore ha visto bene.
Kieran divenne timido all'improvviso. – Lui è come un padre per me. So che non dovrei dirlo, ma mi ha dato più lui in pochi anni che mio padre in una vita. Non riuscirò mai a sdebitarmi.
– Sì, sapevo che eri il suo cocco. Ma la storia del furto è fantastica. Che moccioso sfacciato che eri!
‒ Non capisco se è un complimento.
‒ Lo è, accettalo. 
 
 
 
 
‒ Sono solo congetture e lo sai.
Dopo essersi riposati per qualche ora, avevano deciso di uscire dal nascondiglio e cercare altri sopravvissuti. Si erano dati il tempo limite di mezza giornata, se non avessero incontrato nessuno, avrebbero cercato un modo per mettersi in salvo. Kieran era meno incline ad andare via, ma Silas era stato categorico. Non era in forma e voleva lasciare quel posto.
Mentre camminavano cauti per il bosco, avevano tentato di ricostruire alcuni scenari possibili, ma entrambi erano fin troppo stanchi per ragionare con la giusta acutezza.
La fata Visnia era una principessa fatata, figlia della Piangente, questo le aveva permesso di uccidere sua madre.
A giudicare dalle parole di Zario, c’era stato uno scontro fra i congiurati ‒ se così potevano essere chiamati ‒ e le milizie della Piangente. Questo voleva dire che la fazione vincitrice di Visnia non poteva esserne uscita senza perdite. Magari il motivo di un attacco così improvviso e feroce al torrente stava proprio lì; dovevano essere veloci ed efficienti a eliminare il Ferro, prima che questo si organizzasse e colpisse in un momento di vulnerabilità.
‒ Lo so, lo so ‒ replicò Kieran e scostò alcuni rami per chinarsi e avanzare. ‒ Ma è una possibilità concreta.
‒ Non se le forze di Visnia erano molto maggiori.
L’umidità della sera si era attaccata al viso come un lenzuolo bagnato. La notte si preparava a tramontare e presto i raggi dell’alba avrebbero sfiorato il bosco con delicatezza.
I versi degli animali continuavano a essere assenti, si udiva soltanto il bubolare di un gufo verso est, lì dove iniziava il territorio della corte.
Continuarono a camminare, stanchi, seguendo quelle che sembravano orme di stivali. Nessuno dei due era un gran seguitore di tracce, non si sentivano molto speranzosi di ritrovare gli altri.
‒ Kieran è inutile. Dobbiamo cercare di lasciare il bosco il prima possibile, gli altri avranno fatto lo stesso e ‒.
Kieran lo zittì con un gesto improvviso e scrutò le fronde. ‒ Lo hai sentito?
Anche Silas si mise in ascolto, silenzioso, e i suoi occhi si allargarono appena.
‒ Vi prego, vi prego…
Una voce familiare arrivò ovattata dall’alto, oltre la parete scoscesa della collina boscosa. Iniziarono a risalirla tenendosi ai rami e alle radici che sbucavano del terreno, facendo attenzione a non scivolare sul muschio umido e a non fare troppo rumore.
Arrivati in cima si acquattarono dietro un tronco spezzato e osservarono la scena che gli si parava davanti.
In ginocchio nel fango erano presenti tre cadetti: il primo era Thomas, col volto tumefatto e l’armatura scheggiata. Singhiozzava e chiedeva pietà. Gli altri due erano cadetti delle Accademie minori di cui non ricordava il nome. La ragazza aveva il naso spaccato e la divisa imbrattata di fango, erba e sangue, guardava a terra senza parlare. Il suo compagno muoveva nervosamente gli occhi, terrorizzato. La pelle acneica del viso era piena di sfoghi rossi e non smetteva di sussurrare qualcosa fra sé e sé.
I loro carcerieri erano due fate. Dal nascondiglio del tronco, Kieran ebbe finalmente la possibilità di studiarle con calma. Erano così aliene rispetto a lui, avevano una forma umanoide slanciata e aggraziata, una pelle lucida e compatta, due occhi sopra il naso, un paio di labbra, mani e piedi, sì, gli arti erano tutti nei punti giusti, ma nessuno avrebbe mai potuto definirli umani. Le gambe erano secche e ben più lunghe di un corpo umano, il busto e il bacino erano così stretti che avrebbe potuto avvolgerli con le mani. Le vene si srotolavano lungo il corpo in rilievo come venature di una foglia o radici nel terreno. Le loro armature non erano strumenti rudimentali o arrabattati, erano di ottima fattura, in legno e in osso, perfettamente levigate e dipinte. Apparivano leggere e dinamiche, non pesanti e fastidiose come le loro.
La più alta delle due fate aveva un’ala strappata e un braccio ferito, parlava al suo simile in una lingua musicale e ferina. Il compagno anche non era in ottime condizioni, aveva una fasciatura intorno all’occhio e la sua lancia era spezzata.
‒ Guarda ‒ mormorò Silas, stupito.
Ferito e legato da fil di ferro stava Zario. La fata guardiana appariva incosciente fra la stretta spietata del metallo. Kieran riconobbe il rotolo di ferro che ciascuno di loro teneva nello zaino. Le fate dovevano averlo preso dai cadetti per impedire a Zario di ribellarsi.
Astuto.
A volte dimenticava che il nemico non era una bestia ferale e instupidita, ma un essere pensante e intelligente che poteva ricorrere ai loro stessi stratagemmi.
Erano solo due, ma avevano i tre cadetti in pugno. L’alba illuminava il gruppetto con oziosa energia, ma non spingeva la sua luce fino al nascondiglio di Kieran e Silas.
Devo aiutarli.
Doveva intervenire al più presto, fare qualcosa. Li avrebbero uccisi a momenti. Non sembravano legati, ma erano tutti e tre provati ed esausti, feriti, disidratati e affamati forse. Se avesse distratto le fate uscendo allo scoperto, si sarebbero alzati e le avrebbero affrontate tutti insieme. Avevano soltanto bisogno di un diversivo per aggredirle.
Cercò di alzarsi, ma una mano gli premette la spalla e lo spinse giù. ‒ Datti una calmata.
Girò la testa verso Silas; le sue occhiaie si erano fatte più marcate, ma aveva ripreso un po’ di colore nelle ultime ore.
‒ Non possiamo lasciarli lì.
 ‒ Cos’hai intenzione di fare?
‒ Caricare le fate. Si distrarranno e Thomas e i due cadetti le aggrediranno da dietro.
Silas ascoltò assorto. ‒ Non funzionerà.
‒ Perché?
Guardò fra i buchi del tronco le figure. ‒ Thomas è uno smidollato, gli altri due sono feriti. Se distrai le fate, scapperanno e ti lasceranno morire.
‒ Questo non…
‒ Ascolta. Le milizie fatate non sono composte da quattro idioti raccattati da qualche anfratto umido del bosco. Parliamo di guerrieri abili e attenti, guerrieri che hanno combattuto battaglie di ogni sorta. Le fate vivono molto più degli umani, ora come ora non puoi pensare di affrontare una fata esperta in uno scontro diretto. Da quanto tempo usi la spada? Sei mesi? Quelle lì vivono con la lancia in mano da decenni. Oltre al fatto che sapranno usare la magia. Il nostro unico vantaggio è questo ‒ e indicò la pistola, ‒ insieme al ferro.
Kieran rimase frustrato dalle sue parole, ma sapeva che aveva ragione. ‒ Che cosa suggerisci?
‒ Dobbiamo sparargli. Il problema è che da questa distanza schiveranno lo sparo, sono troppo agili.
‒ Forse uno di noi potrebbe distrarle mentre l’altro spara.
Silas rifletté e posò la propria sacca a terra. Estrasse la bottiglia di liquore che aveva portato dal treno e la guardò con amarezza.
Prese le garze di scorta e le infilò nella bottiglia, bagnandole con l’alcool. Infine tirò fuori un acciarino.
‒ Possiamo lanciarla contro le fate, l’esplosione le lascerà disorientate.
Kieran guardò la bottiglia e sorrise. ‒ Oh Silas, ti adoro.
Quello arrossì e abbassò gli occhi. ‒ Sì, beh, non ho mai fatto niente del genere, ho solo seguito alcune lezioni degli artificieri del secondo anno, ma non so se funzionerà.
‒ Se la lanciamo e non esplode? Avremo rovinato il nostro vantaggio.
‒ In quel caso dovrai sparare alla bottiglia. Sei un bravo tiratore, no?
Kieran esitò, poi annuì. ‒ Scoppierà un incendio.
‒ Le altre fate verranno qui a domarlo, noi ci saremo già allontanati. Però dobbiamo essere veloci, lancerò la bottiglia, dopo lo scoppio spara a tutte e due più veloce che puoi.
Si prepararono. La fata dall’ala spezzata afferrò Thomas per i capelli e ne studiò il volto, interessata. Gli raccolse una ciglia dal viso e la poggiò sulla propria lingua, curiosa.
Silas lanciò la bottiglia dopo averla accesa.
Si schiantò sul terreno pieno di foglie ed esplose in uno scoppio assordante, scagliando frammenti di vetro e fiamme. Le fate vennero colpite in pieno dai residui, rimasero disorientate e si tennero le orecchie a punta con le mani. Alcuni vetri colpirono anche Thomas e i cadetti che lanciarono un urlo spaventato.
Kieran sparò in testa alla prima senza esitare. Non credeva di riuscirci, non aveva mai sparato a un altro essere vivente, si era soltanto esercitato molto in Accademia. La fata cercò di scostarsi, ma il proiettile le forò la tempia. Si accasciò a terra, coperta dall’ala ferita.
Fece fuoco contro la seconda, ma questa si spostò con una velocità disumana. Si voltò verso Kieran, e tese la lancia contro di lui pronta a ucciderlo.
Prima che potesse fare altro, Thomas e gli altri due cadetti a sorpresa la afferrarono con violenza da dietro e la trascinarono a terra. La ragazza tirò fuori uno dei pioli metallici e glielo conficcò in gola con un colpo forte e assestato.
Il corpo della fata si contrasse e si dimenò per qualche secondo, poi cessò di muoversi.
Per una manciata di secondi il bosco si riempì dei loro ansimi e nessuno osò parlare. Alcune fiammelle crepitavano lì dove la bottiglia era esplosa e stavano lentamente attecchendo sulle sterpaglie umide.
Thomas e i due cadetti si voltarono a guardarli. Kieran aveva abbassato la pistola, si scostò le ciocche sudate dal viso e poggiò le mani sulle ginocchia. Il cuore gli batteva all’impazzata.
‒ State bene?
Thomas annuì e si asciugò gli occhi. ‒ Ci avete salvato la vita ‒ osservò, incredulo.
Aveva il volto sporco di fango e sangue, un occhio nero e gonfio che continuava a strofinare.
Guardò Kieran e Silas come se volesse dire qualcosa, ma fu interrotto.
‒ Dobbiamo allontanarci subito ‒ commentò la ragazza. ‒ Arriveranno.
Kieran si voltò verso Zario e notò che aveva gli occhi scarlatti aperti e puntati su di loro. Si inginocchiò, cauto e con movimenti lenti sciolse il fil di ferro per liberarlo.
La ragazza gli prese il braccio. ‒ Che diavolo fai?
‒ Non è ostile. È dalla nostra parte.
Jean. Sì, si chiamava così quella ragazza. Aveva il volto contratto, ma si limitò ad annuire e a farsi da parte.
Zario aprì le ali una volta libero e si passò le dita sulla spalla ossuta per sciogliere i muscoli. Fecero tutti un passo indietro, intimoriti da quella creatura. Seguivano i suoi movimenti con occhi attenti, ma Zario sembrava poco interessato a loro.
Si chinò a raccogliere una delle lance delle due fate morte. Voltò il corpo della prima e le diede una carezza. Mormorò qualcosa d’incomprensibile, ma Kieran percepì un sincero dolore nella sua voce.
Dolore.
Il suo viso appariva contratto, di rabbia, sì, ma anche di sofferenza. In quel momento sembrava molto più come loro. I suoi cari erano appena stati colpiti da una guerra intestina, chissà quanti amici aveva perso in quello scontro.
Kieran si sentì strano di fronte al dolore di quella fata, quasi arrabbiato. Non voleva vederlo.
Zario si alzò, la pelle di betulla venne sfiorata da un raggio di sole e sembrò che le venature nere fossero aumentate; si rivolse a Silas senza guardare gli altri. Iniziò a parlare.
‒ Dice di seguirlo, che conosce un posto dove riorganizzarsi.
‒ E ci fidiamo? ‒ domandò Thomas, scettico.
‒ Non abbiamo scelta ‒ rispose Silas. ‒ Altre fate sopravvissute potrebbero arrivare qui a momenti. Dobbiamo nasconderci per il momento.


 
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Ciao a tutti!
Ho dovuto tagliare un pezzetto di questo capitolo che inserirò nel prossimo ç__ç, sennò veniva troppo lungo.

Dopo il prossimo si tornerà al presente.
Forse non riuscirò a mettere il nuovo capitolo entro domenica o lunedì perché ho un esame questo venerdì, in caso slitterà di qualche giorno.
A presto e buon San Valentino ^^''.
Fonte immagine: 
https://www.artstation.com/artwork/GBPDa (Kamila Szutenberg)
 

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Capitolo 22
*** VII - Accademia - ***


 


VII


Accademia




 

893 p.U.
 


Zario li aveva condotti in una caverna nascosta dallo scrosciare di una cascata. Aveva spiegato loro che i nemici non li avrebbero seguiti lì, a causa della presenza elevata di ferro e minerali.
Kieran non aveva mai visto un posto simile nella sua vita.
Era evidente che la magia della corte avesse penetrato quel luogo in profondità, perché non c’era niente di “normale” in quella caverna. Cristalli di ogni forma e colore sbucavano dal terreno e s’incrociavano fra loro come lame, formando un gioco di luci e specchi vivacissimo. Le pareti di roccia erano coperte da muschio, ma in alcuni punti alcuni rampicanti diventavano bioluminescenti. Grossi e storti funghi crescevano ovunque lungo la caverna, alcuni alti quanto un bambino.
L’acqua divideva in due la grotta e si andava a unire alla cascata che copriva l’entrata.
Malgrado quel luogo fosse stato permeato dalla magia della corte vicina, doveva avere un elevata quantità di ferro, perché lo stesso Zario sembrava intaccato da quel posto, ma manteneva un contegno dignitoso e stoico.
Kieran non poteva fare a meno di paragonarlo ai comandanti del Ferro e di cercare di imitarlo nell’atteggiamento. Gli dava un senso di sicurezza averlo vicino, il che gli provocava una sorta di senso di colpa. La fata si era accorta un paio di volte di essere osservata e aveva guardato Kieran di rimando, quasi divertita.
In quel tunnel umido e angusto si medicarono le ferite, si raccontarono gli ultimi avvenimenti e si salutarono calorosamente. Erano persone che conosceva a malapena, ma Kieran era così felice di vedere altri cadetti vivi. Non voleva pensare al fatto che del loro gruppo rimanessero soltanto loro cinque; non voleva fermare i suoi pensieri sugli altri ragazzi che fino a pochi giorni prima giocavano a dadi e ridevano sul treno, eccitati e intimoriti dall’Iniziazione.
Thomas lo abbracciò, come se fossero vecchi amici e lo ringraziò per avergli salvato la vita. Sembrava avere i nervi a pezzi, aveva gli occhi incavati e tremava. Kieran non avrebbe mai pensato che la stretta di quel ragazzo potesse farlo sentire confortato. Era come se fossero rinati quel giorno, e tutto ciò che era accaduto in Accademia appartenesse alla vita di qualcun altro.
Thomas andò anche da Silas, per dirgli grazie, ma il Discendente gli rispose in modo tiepido e distaccato.
‒ Avete visto Zack? ‒ domandò speranzosa la ragazza, mentre si legava i capelli aggrovigliati. ‒ Ci ha fatto scappare ed è rimasto indietro a combattere.
La sua voce era carica di angoscia. Vedendo le loro facce senza risposta, si rivolse direttamente a Silas.
‒ Silas, giusto? Chiedilo a questo qui, chiedigli se lo ha visto. Per favore.
La sua voce riecheggiava fra le pareti di roccia e cristalli, ma lo scrosciare rumoroso della cascata copriva i toni alti.
Silas non sembrava contento di come Jean gli aveva posto quella richiesta, ma ubbidì di malavoglia. Zario si guardava il foro nell’ala con fastidio, ma rispose senza degnarli di troppa attenzione.
‒ Dice che lo hanno preso e portato da Visnia insieme ad altri tre cadetti. I prigionieri sono una dozzina, credo che… questa parola non l’ho ben capita, oh ‒ impallidì appena, ‒ Visnia vuole sacrificarne alcuni per la sua incoronazione.
Jean si portò le mani alla bocca e Kieran la vide per la prima volta crollare. Gli occhi le si inumidirono e le sfuggì un singhiozzo.
Zack doveva essere piuttosto importante per quei cadetti, lo aveva visto sempre al centro del gruppo, sorridente e rumoroso.
‒ Dobbiamo fermarla ‒ balbettò Jean. ‒ Dobbiamo intervenire! Chiedigli quanti nemici rimangono.
Silas la guardò come se fosse uscita di senno, anche Kieran esitò. La cadetta però guardava tutti con insistenza.
‒ Ci sono un mucchio di persone, bambini forse e i nostri maledetti compagni. Non possiamo andarcene.
Li osservava uno per uno, ma tutti distoglievano lo sguardo. Kieran non ci riuscì stavolta, la guardò, rivedendo in lei un po’ di Halldora.
Ha ragione.
Prima gli era sembrato impossibile anche solo pensare di avvicinarsi ad altre fate, ora invece si sentiva più coraggioso. Forse era la mancanza di sonno, o il trovarsi di nuovo fra volti alleati.
Zario teneva gli occhi su di lei e iniziò a mormorare qualcosa. Silas ascoltò quello che diceva con crescente irritazione.
‒ Fantastico ‒ bofonchiò.
Jean lo scosse. ‒ Che ha detto? ‒ ringhiò, col forte accento delle sue zone.
‒ Che andrà ad affrontare Visnia. La sfiderà a una sorta di duello.
‒ Chiedigli quello che ti ho chiesto! ‒ vociò, imperativa.
Silas ubbidì un po’ risentito dai modi della ragazza. ‒ Dice che le fate in grado di combattere sono pressoché tutte morte. Potrebbero restarne un paio, ma ferite. Sembra che il nostro amico qui ne abbia uccisi parecchi prima di farsi catturare.
Kieran vide lo stesso pensiero serpeggiare fra ciascuno di loro. Un pensiero timido, spaventato, ma improvvisamente concreto.
Aveva paura anche solo a pronunciarlo nella sua mente.
Forse c’è una possibilità.
‒ Potremmo… farcela ‒ mormorò fra sé e sé.
Erano in cinque, se fossero riusciti a liberare i prigionieri sarebbero stati anche più numerosi. Magari alcune delle persone catturate erano altre fate come Zario, ostili alla nuova regina. Se la fata guardiana avesse tenuto a bada questa principessa sanguinaria forse… forse avrebbero avuto una speranza.
La stessa determinazione sembrò crescere negli sguardi degli altri. Non osavano dirlo ad alta voce, ma ognuno di loro aveva le proprie motivazioni per valutare quella folle possibilità. Persino Thomas sembrava galvanizzato dalla nuova atmosfera di rivalsa.
‒ Mio fratello maggiore è nei genieri ‒ esordì, calmo. ‒ Prima dell’Iniziazione mi ha dato questa, un po’ per goliardia, un po’ per precauzione.
Si piegò sulle ginocchia e prese dallo zaino un congegno di metallo con alcuni spunzoni in rilievo. Kieran impiegò qualche attimo per riconoscerla.
‒ Una granata di ferro runico ‒ commentò Silas fra i denti, come se vedesse un oggetto orrido.
Thomas annuì, cauto. ‒ Io volevo usarla prima, ma so di cadetti che hanno perso un braccio nel lanciarla male. Ho avuto paura, ma se fossimo nei guai uno di voi… io non so se potrei farlo.
‒ Lo farò io ‒ disse la ragazza e tirò su con il naso. ‒ La lancerò io. Non m’importa di perdere un braccio se posso portare quei mostri all’altro mondo con me.
Kieran arrossì appena a sentire tanto coraggio. Si sentiva improvvisamente speranzoso. Doveva essere determinato come loro, come Silas che non aveva mai esitato da quando erano arrivati, come quella Jean.
Era probabile che Visnia vedendo la granata puntasse alla persona che la teneva in mano.
Ricordò come il capitano l’avesse messo al comando del piccolo gruppo prima che tutto andasse alla malora. Doveva farsi valere anche lui, non doveva essere da meno.
‒ Tu sei ferita ‒ le fece notare e prese la granata con attenzione. ‒ Lascia che me ne occupi io.
La inserì piano nella sua borsa.
‒ Kieran ‒ lo interruppe Silas con una certa urgenza. ‒ Posso parlarti? Da soli?
Aggrottò la fronte e annuì, sorpreso da quella richiesta insolita. Andarono in disparte, lontano dagli altri, vicino allo scrosciare dell’acqua.
‒ Ti senti male?
Silas si passò il pollice sotto il naso e poggiò le mani sui fianchi. Non aveva un bell’aspetto, il suo colorito era ancora smorto e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. Era sporco, come tutti loro e aveva i capelli unti di fronte al viso. ‒ No. Ma penso che tutto questo sia un errore. 
Kieran lesse della preoccupazione nel suo sguardo e s'imbarazzò appena all'idea che fosse preoccupato per lui. Era una sensazione così calda.
‒ Pensavi anche che sarebbero fuggiti invece di aiutarmi. E invece ti sbagliavi.
La sua risposta sorniona sembrò colpirlo più del previsto. Spostò gli occhi sui tre cadetti che discutevano di tattiche fra di loro e su Zario, che affilava la lama d’osso con una pietra.  
‒ Dai Vauk, pensiamo a un piano, quel tuo cervello paranoico ci servirà. Se ti senti troppo debole resterai dove rischi meno.
Fece per tornare dagli altri, ma le dita di Silas si serrarono sul suo polso.
Abbassò la voce. ‒ Morire qui sarebbe uno spreco.
Kieran ebbe una scossa a sentire quella stretta, ma rimase confuso dal discorso. ‒ Che intendi?
Divenne serio. ‒ A me dispiace per la bambina, per i villici e per Jack e gli altri cadetti.
‒ Si chiama Zack ‒ lo corresse Kieran e allontanò piano la mano, stranito.
Non si ricordava neanche i loro nomi? Ma se aveva giocato e parlato con loro più di lui sul treno.
Silas sembrava indifferente ai loro nomi all’improvviso. ‒ Sì, Zack, scusa. Voglio dire che a me dispiace per loro, vorrei aiutarli tutti, se ci fosse la possibilità. Ma non possiamo buttare le nostre vite così. Valgono di più di…
‒ Di cosa? ‒ domandò un po' brusco. ‒ Più delle loro?
Non lo guardava, evitava i suoi occhi. ‒ Kieran, non ne vale la pena.
Di sicuro stava fraintendendo le sue parole. Fino al giorno prima Silas aveva sbraitato contro il comandante, urlando che sarebbe rimasto al villaggio con loro, a lottare. Aveva insistito per salvare le persone scomparse, per aiutare il sindaco, con il rischio di essere congedato e punito. Era lecito avere paura, ma perché tirare fuori un discorso del genere? Che cos'era cambiato? Perché ora si tirava indietro?
‒ Silas, almeno pensiamo a un piano, se non te la senti, nessuno ti costringerà. Sei ancora debole e va bene così.
Le sue parole sembrarono una doccia gelida per Silas. ‒ Non essere stupido! Non c’è speranza. Visnia può rifiutare il duello e massacrarci tutti con una facilità disarmante.
La veemenza della sua risposta lo prese alla sprovvista. Aveva gli occhi sbarrati.
‒ Non puoi saperlo. Se ci tiriamo indietro li ucciderà.
‒ Non mi riguarda.
Stavolta a ricevere uno schiaffo in pieno viso fu Kieran.
Era certo di aver frainteso, certo di essersi immaginato quel tono ostile. Sentì Thomas richiamarli indietro, ma a malapena se ne accorse.
 Lo osservò per qualche secondo. ‒ Cosa?
 
 

Silas socchiuse gli occhi quando la voce fastidiosa di Graham li raggiunse di nuovo e si sporse oltre Kieran.
‒ Dateci un minuto ‒ replicò seccato.
L’acqua della cascata rischiò di sovrastare le sue parole, ma gli altri cadetti sembrarono capire che non era il momento adatto e tornarono a parlottare fra loro. Zario appariva nervoso, ma si era seduto pazientemente su una roccia ad aspettare.
Silas preferiva guardare ogni dettaglio della caverna piuttosto che riportare gli occhi sulla persona che aveva davanti.
‒ Cosa vuol dire che non ti riguarda?
Aveva blaterato quella risposta di getto e voleva rimangiarsela, ma non sapeva come fare. Con Kieran tirava fuori troppo spesso la verità e i suoi reali pensieri, anche quando non avrebbe mai dovuto farlo.
Cercò di ammorbidire il concetto dietro parole più dolci. ‒ Kieran io… ho delle responsabilità. Sono l’erede dei Vaukhram, capisci? La mia famiglia ha investito molto su di me. Gli abitanti di questo villaggio sono dei poveretti incappati in una situazione atroce, e farei ogni cosa in mio potere per aiutarli, evacuarli e lottare perché vengano mandati rinforzi, ma morire in modo terribile e doloroso? Per loro?
Kieran si portò le dita alla bocca, come per sopprimere qualcosa di sgradevole che aveva sulla punta della lingua.
‒ Che cosa stai cercando di dire esattamente? Perché non credo che qui si tratti solo della tua paura di morire. Quella ce l’abbiamo tutti.
Reed d’altronde non era un idiota e certe volte ricordarselo era un tormento. Spostò gli occhi sui cadetti che parlavano con Thomas, sbraitando e agitando le braccia.
Quando li aveva conosciuti sul treno aveva pensato di potersi divertire con loro, la gente del loro ceto era molto meno ingessata degli aristocratici e anche meno problematica da molti punti di vista. Aveva scherzato con loro, aveva bevuto con loro, ma non aveva mai smesso di avvertire quel divario enorme che li separava.
Non era una questione di soldi, non era per le loro divise vecchie, per l'aspetto meno curato, per le sigarette e l'alcool scadenti, era molto più di quello; dai loro discorsi, agli improperi, alla sguaitezza fino alle volgarità, alle loro opinioni, al loro modo di esprimersi.
Distolse lo sguardo con urgenza.
Morire per uno di loro o per gli abitanti del villaggio era impensabile per uno come lui. Silas provava davvero pena per quelle persone, voleva davvero aiutarle, ma gettare la sua vita era un prezzo molto diverso.
‒ Tu pensi di valere di più di loro. Pensi che la tua vita valga più della loro perché sono… cosa, gente semplice, povera, contadini?
L’accusa di Kieran lo fece trasalire, ma anche indignare. Nessuno lì si era imposto per salvare il villaggio se non lui, era stato preso a pugni dal capitano per quel motivo.
 ‒ Che cosa c’entra che sono contadini? Non è importante. Io non sono come Siegan o come…
‒ Thomas? ‒ domandò Kieran con un sorriso amaro. ‒ Perché Thomas si sta mettendo in prima linea.
Il Discendente contrasse il viso. ‒ Dico quello che pensi anche tu, solo che non vuoi sentirlo o crederci.
‒ Devi essere più specifico.
Si passò una mano sul viso. ‒ Se ci fosse un modo sicuro…
‒ Lo sai che moriranno e di una morte terribile. Potevamo salvare la bambina, ma tu hai dato la priorità ad altro.
‒ Avevo paura di colpirla! È ridicolo, non siamo ancora all’altezza di tutto questo. Vogliamo marciare contro una fata così potente per gente qualsiasi?
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Queste persone contano su di noi.
‒ Queste persone non contano nulla!
Lo aveva fatto di nuovo. Aveva alzato troppo la voce e Jean gli gettò uno sguardo. Si ricompose e abbassò il tono.
‒ Lo so che suona... meschino da parte mia, ma è la verità. Che siano vive o morte il mondo rimarrà lo stesso, non si sposterà di un millimetro. Per noi è diverso. Pensa quando torneremo da qui, pensa come ci accoglieranno. Siamo sopravvissuti a qualcosa di atroce, abbiamo combattuto contro fate purosangue e abbiamo vinto. Avremo il potere di impedire che eventi simili si ripetano in futuro. Quando saremo in alto, faremo in modo d'intervenire in tempo. Ma qui, oggi, non c'è più niente da fare. Queste persone non possono cambiare il loro destino, ma noi possiamo ancora decidere il nostro.
Kieran appariva talmente disgustato da quelle parole che faticò a mantenere la calma. ‒ Ho sentito questi discorsi decine di volte da un mucchio di persone diverse nella mia vita. Non avrei mai pensato di sentirli da te. Ti comporti sempre come il difensore degli ultimi, dei poveri, dei diversi, ma sei un bell’ipocrita del cazzo. Sotto sotto pensi comunque che la tua vita valga più della loro, che per diritto di nascita tu sia più importante. Esattamente come il capitano.
‒ Oh per piacere, mi attacchi così soltanto perché non voglio morire senza motivo?
‒ Lo sai che non è così. Sono proprio un idiota. Ti vedo ogni giorno sfidare l’autorità, rischiare di farti espellere, e io ti guardo sempre con ammirazione; ma in realtà è facile per te essere coraggioso in quei momenti, perché sono tutte cose di cui non t’importa. Non ti importa di essere cacciato dal Ferro, non ne hai paura, avrai sempre il culo coperto. È facile essere coraggiosi quando non rischiamo di perdere qualcosa che abbiamo a cuore. Ma ecco come tutto cambia quando c’è in ballo la tua pelle. Per questo ora ti comporti così!
Silas aveva gli occhi aperti come quelli di un animale spaventato. ‒ La mia pelle vale un mucchio di soldi, sai? Se ora delle persone esterne dovessero decidere chi salvare fra di noi, salverebbero me. Ne sei consapevole?
La risposta gli uscì come un’eco lontana. Sì, aveva già sentito quelle parole, era stata sua sorella a pronunciarle a uno dei loro fratelli, prima che venisse ucciso.
Perché alla fine tutti venivano uccisi, tranne chi contava veramente.
Ricordava ancora una giornata d’inverno nevosa e rigida in cui avevano passeggiato per le vie di Railia dopo essersi fermati a una sala da tè. Sua sorella lo teneva per mano mentre lui andava dai mendicanti a porgere dei soldi. Era quasi un gioco per lui, lo divertiva e lo faceva sentire bene, perché gli dicevano grazie e lo guardavano con riconoscenza. Era una bella sensazione.
Sua sorella gli dava gli spiccioli, ma non si avvicinava mai. Sembrava non vedere neanche gli indigenti.
Quel giorno avevano incontrato anche un bambino. Vendeva giocattoli di legno e passeggiava come un fantasma per le vie, malaticcio, magrolino e infreddolito. Silas si era sentito colpito come poche volte, perché era un bambino, come lui, come i suoi fratelli. Aveva provato a regalargli la sua spilla d’argento, ma sua sorella gliela aveva strappata dalle mani.
Non sentirti in colpa per loro, esistono davvero poche persone al mondo per cui valga la pena sentirsi in colpa. Di certo non per la plebe o qualche orfanello. La plebe conta meno della polvere in questo mondo, se tu non sei fra loro è perché sei un Mezzosangue. Varrai sempre più degli altri. Anche il nostro sangue è una merce preziosissima, ogni parte di noi è costosa. Credi che l’oro s’impietosisca per la polvere?
‒ Questo significa forse che tu meriti di vivere più degli altri?
La domanda di Kieran interruppe bruscamente il suo ricordo. Gli occhi grigi del cadetto che aveva di fronte erano implacabili e a volte lo facevano sentire miserabile come gli sguardi dei mendicanti. Immeritevole.
A sua sorella Kieran non sarebbe mai piaciuto, se fosse stata ancora in vita. Euphemia maltrattava i domestici e li percuoteva di continuo, guardava dall’alto in basso chiunque non avesse un titolo nobiliare, a meno che non si trattasse di mezzosangue come loro. In questo Drake era sempre stato diverso, lui vedeva il suo nemico nell’aristocrazia e aveva sempre cercato di insegnare altro a Silas.
A volte era stato crudele con la servitù come sua sorella, a volte benevolo come Drake. Ora come ora sapeva solo di essere in una posizione di potere rispetto a loro.
‒ Nessuno ha detto questo ‒ rispose, stanco. ‒ Ma la mia vita non è insignificante come la loro. Il mio futuro inciderà sulla vita di molti, è un dato di fatto. La loro? Non conterà mai davvero.
Mentre lo diceva sapeva di pronunciare una bestialità, ma era la cruda verità. Il loro mondo funzionava così, era ingiusto e orrendo, ma non era colpa sua se le cose stavano così.
Kieran lo guardava allibito, come se non credesse che quelle parole venissero da lui. 
‒ La tua presunzione è indescrivibile, come... come fai a essere così insensibile – pronunciò, più sorpreso che infuriato. 
La sua mente era un groviglio di mortificazione e rabbia. Giustificazioni di ogni tipo vorticavano nella sua testa ed era pronto a esporle, a sostenerle. Dentro di sé, in fondo, sapeva che fosse ingiusto, sapeva che sentirsi migliore o superiore agli altri era un sentimento rivoltante, la pura essenza di sua madre e della sua famiglia. Ma non riusciva a respingere quella sensazione: a conti fatti lui contava davvero più degli altri.
‒ Non posso morire qui.
Kieran si inumidì le labbra. ‒ Credo che è la prima volta che ti vedo così terrorizzato. Sei proprio con le spalle al muro. Da quando ti conosco non hai mai mostrato tanto di te come in questo momento. Immagino che sia vero che le persone tirino fuori il loro vero carattere nelle difficoltà. Da un lato ho sempre saputo che guardavi tutti dall’alto in basso, sia la gente del tuo stesso rango, sia chi è inferiore. Con quelli della mia risma hai una sorta di... di... simpatia spocchiosa! Ecco, sì, come se ci concedessi una grazia, forse perché vuoi provocare gli aristocratici, soltanto per poterti sentire migliore anche di loro. Ho pensato di essere un’eccezione magari, ma quelli come te non hanno eccezioni. Si sentono migliori di tutti e basta. Guardi una cadetta come Jean e pensi che sia una bifolca, una bifolca coraggiosa, sì, ma le sue origini sono una macchia di sporco per te. Lo vedo da come li guardi, da come ti comporti. Io però non credevo... 
‒ Sei ingiusto ‒ replicò Silas in un sussurro. ‒ Io ho il massimo rispetto per le persone come te o lei, so che avete dovuto faticare e…
‒ Quella si chiama “pena”, non rispetto. Il rispetto è un’altra cosa. Non riesci neanche a vederci come tuoi pari.
Silas non sapeva come ribattere. La prima volta che Kieran lo aveva sconfitto si era sentito mortificato in modo incredibile, perché a batterlo era stato una nullità, una persona insignificante, addirittura senza un titolo. Col tempo si era vergognato di quella reazione, perché Kieran era diverso da come pensava.
‒ Tu non sei come loro ‒ blaterò, sperando di migliorare le cose. ‒ Sei percettivo, consapevole, intelligente. Sei disposto a imparare, ad ascoltare, a cambiare idea.
Aveva detto qualcosa di sbagliato, perché Kieran si accese di rabbia all'improvviso.
‒ Io sono come loro invece, e non me ne vergogno. Che cazzo ne sai tu se loro sono intelligenti oppure no? Pensi che solo tu e quei viziati dell’Accademia siate svegli? Pensi di essere così intelligente perché hai letto qualche idiozia in più rispetto a loro? Hai avuto talmente tanto tempo da buttare nella tua vita da poter passare i pomeriggi a leggere! Credi che sia un merito? Che ti nobiliti rispetto a noi? E pensare che hai letto tanto e non hai imparato niente.
Non riusciva a parlare. Era avvilito, ma allo stesso tempo anche pieno di rabbia. Sentiva di non meritare quelle accuse, non si era mai comportato come gli altri nobili, era sempre stato dalla parte di Kieran, lo aveva aiutato e difeso cercando di mettere da parte ogni pregiudizio.
‒ Cercavo di farti un complimento.
‒ Proprio tu mi fai questo discorso? Se ti dicessi che sei diverso da quelli come te, ti sentiresti lusingato?
Scostò il viso. ‒ Non è la stessa cosa. E non c’entra nulla. Vuoi davvero odiarmi perché ritengo tutto questo una follia?
‒ Questo c’entra eccome. Non gettarla sulla razionalità quando te la stai solo facendo sotto.
‒ Certo! ‒ buttò fuori. ‒ I-io sono terrorizzato. Non posso morire qui, non posso, capisci? Sono destinato ad altro.
Sua sorella glielo aveva sempre ripetuto. I mezzosangue non erano solo speciali, erano superiori in tutto agli umani. Erano il passaggio evolutivo successivo a fate e umani, per questo li tenevano sotto controllo.
Silas ricordati di andare in letargo. Riposa, sta’ al sicuro, nascosto. Il sangue è debole in questa famiglia, ma il male è forte. Rigetta il sangue, fai tuo questo male.
Sua sorella gli aveva recitato quei versi prima di morire, ma lui aveva capito fin troppo bene.
Non era il sangue a essere rilevante, ma il potere, i titoli. Per arrivare dove voleva doveva diventare come la sua famiglia, pensare come loro, essere come loro. C’era un motivo se quelle persone dominavano sugli altri e decidevano della vita degli altri a piacimento.
Se qualcuno avesse analizzato un’aristocratica come sua madre e una donna come Jean, non avrebbe avuto dubbi su chi fosse superiore dei due. L’istruzione, la conoscenza, il denaro, i mezzi, i sottoposti, le infinite possibilità, tutto questo la rendeva superiore, come se fosse di un’altra razza.
Per Silas era lo stesso. Poteva guardare quei cadetti e pensare che le loro vite valessero quanto la sua, provare a convincersene con tutto sé stesso, ma nel profondo sapeva che non era così.
Non avrebbero mai potuto cambiare il mondo, o lasciare un segno, la loro vita sarebbe stata sempre limitata dalle loro origini.
Provava così tanto disgusto per sé stesso, quei pensieri lo facevano sentire sporco, ma non riusciva ad abbatterli. La sua famiglia aveva avvelenato il suo giudizio, la sua percezione di sé, ma era forse colpa sua quella disparità? Lui aveva già i suoi problemi, aveva già le sue battaglie.
‒ Sei destinato ad altro ‒ ripeté Kieran con amarezza. ‒ Pensi di essere una sorta di prescelto? Che gli altri siano comparse nel tuo spettacolo?
‒ Mi fai la morale, ma non l’hai mai fatta alla tua amichetta Dalia o a Thomas lì. Credi che per loro sia diverso? Sono ricchi e potenti, chiedi a Thomas se sposerebbe mai una donna come Jean. Chiediglielo. Chiedi a Dalia se morirebbe per un contadino qualunque. Se sposerebbe mai uno come te.
Non voleva ferirlo, ma vide di esserci riuscito.
Kieran scosse la testa, le labbra strette. ‒ Non me ne frega niente di loro al momento. Sì, forse tutti voi vi sentite più colti, ricchi e importanti degli altri. Ma da te mi aspettavo di meglio. Da te io… non credevo che mi guardassi come gli altri. Di continuo mi sono chiesto perché uno come te perdesse il suo tempo con me, se tu mi vedessi come tuo pari. E la risposta ora la so.
Le ultime parole gli uscirono dolorosamente e a fatica.
‒ Io ti vedo come mio pari. Te l’ho detto, tu sei diverso dagli altri, come me.
‒ Quindi mi hai scelto come amico perché sono quasi al tuo livello?
‒ Continui a rigirare le mie parole. Quello che io vorrei…
Lo interruppe. ‒ Scusa, Silas, ma non me ne importa nulla di quello che vorresti tu al momento. Forse sei diventato mio amico per indispettire tutti, non lo so.  Mi hai salvato la vita, ti ho detto che non me lo scordo, te ne sarò sempre grato. Però, per favore, dimmi: moriresti per me?
Aveva le guance rosse per lo sforzo e la vergogna di porre quella domanda, Silas si sentì intimorito dal tono.
– È-è una domanda semplice. Quando ho visto quella fata che stava per raggiungerti ho perso la testa. Sapevo che mi avrebbe ucciso, ma l’ho aggredita comunque. Ho dato per scontato che tu avresti fatto lo stesso per me. Perché sono un idiota e non imparo mai.
Silas fu preso alla sprovvista. ‒ Ma certo che è così.
Nel momento in cui lo disse seppe che era una bugia. Qualcosa di viscido e meschino gli strisciò nel petto; si era sentito tante volte impotente e debole, ma mai come in quel momento si sentì un uomo infimo.
Osservò il terreno roccioso sotto i suoi piedi, spaventato.
Kieran gli piaceva. Gli piaceva tanto e non solo come amico. Era in gamba, divertente, coraggioso, interessante. Era genuino in un modo che lui non sembrava comprendere. Era diverso da tutti ai suoi occhi.
Ma era una persona qualsiasi. Un cadetto qualsiasi senza alcuna utilità per il suo obbiettivo. Aveva chiesto all’inizio di essere messo in stanza con una persona ininfluente e così era stato. Kieran doveva servirgli solo come copertura, perché un poveretto dei bassifondi non comportava una minaccia per lui.
Ma non era più così. Kieran era una vera e propria minaccia al piano di Cavana. Era acuto e percettivo, e soprattutto era leale e fedele al rettore. Già salvargli la vita era un rischio, ma morire per lui?
No.
Mai.
Aveva dedicato tutta la sua vita alla Legione. Aveva soltanto undici anni quando sua sorella lo aveva portato di fronte a Cavana.
Lui aveva una causa per cui vivere, ed era più di quanto avesse la maggior parte di persone nella propria vita. Aveva un dovere e un debito, verso i fratelli che erano morti al suo posto.
Devi compatire i tuoi fratelli, ma mai pensare che avresti dovuto meritarlo tu. Loro non erano al tuo livello.
‒ Lo so che stai mentendo ‒ mormorò Kieran.
Alzò di scatto la testa. Voleva negare, ma sentiva che farlo lo avrebbe reso ancora più nauseante. ‒ Ti conosco da qualche mese, Kieran ‒ rispose in un sussurro. ‒ Ma ho conosciuto me stesso per tutta la mia vita.
‒ C’è qualcuno per cui moriresti al momento?
Per la missione. Solo per quella.
‒ No, nessuno.
Morire per le persone era sciocco e inutile, morire per una causa invece aveva molto più senso. Come avrebbe potuto aiutare Marian altrimenti?
Gli occhi di Kieran lo compativano all’improvviso. ‒ Perché?
Le parole gli uscirono a forza, come se venissero strappate via. ‒ Perché nessuno lo merita. Io mi sono guadagnato il mio posto, mi sono guadagnato la mia vita. Non voglio buttarla via per qualcuno di irrilevante.
Volle rimangiarsi quello che aveva appena detto nell’istante in cui lo pronunciò. Vide il dolore che aveva appena inflitto negli occhi di Kieran e cercò di rimediare.
‒ Per questo voglio che rinunci. Torniamo al villaggio, lascia perdere tutto questo. Sai anche tu che è una follia. Non devi morire per loro, tu vali più di queste persone.
Kieran sospirò nel tentativo goffo di scacciare un rischio di pianto. ‒ Non ti avrei mai costretto a venire e a rischiare la tua vita se non te la sentivi. Non ti avrei mai neanche giudicato per aver avuto paura. Ma non è per la semplice paura che vuoi andartene. E io non ho nient’altro da dirti.
‒ Aspetta. Io non ti ho giudicato per la faccenda delle bugie, non ti ho giudicato perché sei un bugiardo…
Gli rivolse uno sguardo spento. ‒ Silas l’unico che giudica tutto e tutti sei sempre tu. Io mi limito ad accettare quello che già so: che nessuno all’Accademia della Spada mi vedrà mai per quello che sono. Nessuno dimenticherà mai da dove vengo.
 
 
 
 
Kieran tornò dagli altri con un’espressione molto più cupa. Il suo umore era nuovamente precipitato, ma in qualche modo la discussione con Silas aveva attutito la paura.
‒ Pensiamo a un modo per liberare tutti ‒ esordì con distacco.
Trovò espressioni curiose e perplesse, ma nessuno chiese alcunché. Silas tornò fra loro in silenzio ed evitò accuratamente i suoi occhi.
‒ Silas andrà al villaggio a evacuare gli abitanti rimasti. Ha usato troppa magia e a malapena si regge in piedi ‒ inventò.
Non sapeva neanche perché stesse mentendo per coprirlo, ma era meglio che non perdessero la grinta di poco prima.
Forse non voleva che gli altri lo vedessero codardo e spocchioso come lo aveva appena visto lui.
Spostarono gli sguardi su Silas, che osservava Kieran a labbra strette. ‒ Vi sarei solo d’intralcio ‒ mormorò.
Jean gli lanciò un’occhiataccia, ma evitò di manifestare i propri pensieri.
Discussero per una mezz’ora su come procedere, usando Silas come tramite fra loro e Zario. Le difficoltà comunicative si sarebbero potute rivelare molto problematiche, ma riuscirono col suo aiuto a farsi un’idea della posizione dei prigionieri.
Stabilirono un abbozzo di piano e decisero come dividersi. Quando non ebbero più bisogno dell’aiuto di Silas come intermediario, Kieran lo salutò freddamente.
‒ Ti conviene incamminarti, ci vorrà un po’ per evacuare il villaggio.
Riuscì a parlare senza emozioni e si sentì fiero di sé per il proprio autocontrollo.
‒ Cerca di restare in vita, Reed.
La voce gli arrivò ovattata, vicino la cascata. Non gli rispose né si voltò a guardarlo, ma bastarono quelle parole perché il cuore gli sprofondasse nel petto.
Idiota, stupido.
Sperava di udirlo tornare indietro, affiancarlo, dirgli che non lo avrebbe lasciato morire.
Voleva che si sentisse terribilmente in colpa, che venisse tormentato da quell’ultimo saluto.
Non resistette alla fine e si voltò a guardare. Di Silas però, non c’era più alcuna traccia.
 
 
 
La corte era ormai a un passo da loro.
Il piano era semplice e a detta di Kieran bambinesco; avrebbero accompagnato Zario nel cuore della corte, a quel punto lui avrebbe sfidato la nuova regina a duello. Zario era stato molto chiaro, almeno uno di loro avrebbe dovuto accompagnarlo fin dalla regina. Visnia di fronte a un pubblico forestiero sarebbe stata meno incline a rifiutare il duello, le fate tenevano molto alla propria immagine e alla propria gloria, non avrebbe accettato di apparire vigliacca di fronte a un guerriero del Ferro.
Il ruolo dell’accompagnatore però creava molti problemi. Zario era ferito, stanco e non sembrava in grado di vincere quel duello, dunque c’erano alte possibilità che la persona al suo fianco facesse una brutta fine.
Nessuno di loro quattro aveva parlato. Kieran alla fine si era offerto. Lui teneva fra le mani la granata e in caso la situazione precipitasse sarebbe stato il più vicino per usarla.
Non sapeva neanche perché si fosse offerto, ma era certo che avesse a che fare con le parole di Silas. Voleva prendere le distanze dalla sua vigliaccheria, se doveva morire, avrebbe voluto farlo in modo coraggioso. Chissà, magari Silas avrebbe rimpianto per sempre di non essere stato al suo fianco. Oppure lo avrebbe dimenticato e Kieran sarebbe diventato soltanto il ragazzo sfortunato con cui aveva passato qualche mese piacevole il primo anno di Accademia.
Perché si sentiva così ferito?
Questo gli faceva ritornare in mente quando dopo un torto di suo padre, sua madre smetteva di mangiare. Lui si arrabbiava e le chiedeva perché.
Voglio che si senta in colpa. Voglio che ci tenga.
Gli sembrava di capire in quel momento, ma era un sentimento così doloroso e acuto che voleva scacciarlo al più presto e concentrarsi solo sullo scontro imminente.
Kieran avrebbe accompagnato Zario, così avevano infine deciso.
Gli altri tre cadetti si sarebbero avvicinati in modo cauto dai limiti della corte e avrebbero raggiunto i prigionieri. Avevano con sé un binocolo per tenere d’occhio la situazione.
Ognuno di loro era armato, ognuno di loro era terrorizzato ma anche pieno di adrenalina.
Kieran non aveva idea di che cosa aspettarsi dalla corte di questa Visnia. Non aveva mai visto una corte fatata se non per alcuni disegni e foto di esploratori e ambasciatori che vi erano stati.
Per questo quando ci mise piede, gli sembrò di aver lasciato il mondo conosciuto alle sue spalle, e aver varcato la soglia di un altro pianeta.
Le tinte del bosco cambiarono bruscamente, il verde cupo lasciò il posto a sfumature vivaci di rosa, lavanda e celeste, che riempirono i suoi occhi spalancati. Gli alberi giganteschi avevano chiome lillà e le foglie cadute ricoprivano il fiume violetto che serpeggiava tiepido fra le sponde.
Cercò di abbracciare tutto con lo sguardo, ma non vi riusciva, ogni angolo era una nuova scoperta. Il terreno era invaso da sentieri che portavano alle abitazioni, veri e propri palazzi scavati nel legno degli alberi, con scalinate e ponti intorno ai tronchi e fra i rami altissimi delle chiome.
Non erano le case rudimentali che Kieran si era aspettato, riusciva a vedere uno stile architettonico complesso ed elaborato, porticati colonnati sospesi fra gli alberi, corrimani decorati, ampie balconate dalle balaustre in pietra. Una città sospesa fra i tronchi mastodontici.
 Ovunque danzavano grosse e calde lucciole che scendevano fin dentro il fiume con un tintinnio. Grossi e spropositati funghi attorniavano le acque rosate insieme a specie di piante che Kieran non aveva mai visto. I rampicanti erano violacei e gonfi, come vene esposte e si abbarbicavano lungo gli alberi. Fra i rami apparivano baccelli grandi quanto la testa di un uomo, alcuni squarciati che avevano riversato un succo denso e rosato.
Anche gli animali lo lasciarono a bocca aperta. Ce n’erano migliaia, tutti gli animali del bosco riuniti lì. Non erano concentrati su di loro, brucavano, dormivano, ma erano talmente tanti che si faticava a camminare sui sentieri.
L’intera corte annegava nel profumo inebriante di splendidi fiori azzurri. Tappezzavano i tronchi, le strutture, le radici e i sentieri, somigliavano a campanule, ma non aveva mai visto quei boccioli.
‒ Fiori Piangente ‒ mormorò Zario, vedendo il suo sguardo ammirato.
Kieran sussultò appena quando lo sentì articolare quelle due parole. I fiori della Piangente. Forse erano il suo simbolo, i suoi prediletti.
Dopo l’iniziale sbalordimento, iniziò a vedere i segni del conflitto. Alcuni alberi avevano grossi squarci lungo la corteccia, uno era crollato e con esso tutta l’abitazione costruita intorno e all’interno. Le porte apparivano sbarrate e non si levava un suono dalle case.
A poco a poco però vide degli individui affacciati alle balconate. D’istinto portò le dita alla spada, ma si rilassò quando incontrò gli occhi vispi e giovani di bambini fatati. Pochi e silenziosi, li guardavano con curiosità e interesse. Uno di loro gli sorrise mostrando i dentini aguzzini, lo salutò con un gesto timido della mano.
Kieran non riuscì a ricambiare il saluto, troppo sbigottito da quella vista.
Erano dei semplici bimbi, avevano ali e corpi diversi dal suo, ma sembravano spaventati e malinconici.
Zario li osservò uno per uno con occhi preoccupati. Uno dei bambini spiccò il volo dal balcone e con movimenti inesperti e goffi si precipitò fra le braccia di Zario. Si avvinghiò a lui e iniziò a parlare a raffica. Grosse lacrime gli scendevano dagli occhi a mandorla, ma prima di toccare terra si trasformavano in petali. La pelle stessa, ricoperta da una sorta di sudore nervoso, produceva dei piccoli petali che uscivano dai pori impiastricciati di sangue.
Zario gli carezzò le ali e la testa, poi gli disse qualcosa con una voce così dolce e calda, che Kieran si sentì un po’ rinfrancato pur senza aver capito.
Il bambino annuì, poi osservò Kieran. Gli consegnò quella che sembrava una ghianda e volò di nuovo verso l’alto.
Kieran osservò la ghianda, perplesso e quando alzò il viso vide che Zario gli sorrideva. Indicò la ghianda e disse qualcosa, poi rise appena.
La infilò in tasca e cercò di spezzare la tensione sorridendo a sua volta.
Quello non era lo spettacolo che si immaginava. Non sembrava esserci più nessuno se non fate molto giovani e spaventate. Man mano che si avvicinavano al cuore della corte, la distruzione intorno a loro aumentava. Apparirono i primi corpi, avvolti dalle radici o dai rampicanti. Su alcuni erano stati poggiati i fiori azzurri della Piangente mentre la terra li riassorbiva.
Il senso di oppressione che aveva nel petto ormai dilagava incontrollato.
‒ Reed!
Si voltò e vide grosse gabbie di legno e pietra in fondo a uno dei sentieri. Erano situate fra due enormi alberi, circondate da rami di spine.
Prima di vedere loro però, Kieran guardò annichilito i cadaveri, stretti nell’abbraccio dei rampicanti. Le mosche gli ronzavano intorno e alcuni animali azzannavano parti del corpo esposte, trascinandosi via i pezzi.
Molti di loro erano nudi e avevano un buco nel petto, lì dove un tempo c’era stato il cuore. Ora erano avviluppati dai rampicanti come sculture macabre e alcuni rami riempivano la voragine nel torace.
‒ Reed! ‒ lo chiamarono nuovamente.
Si riscosse e ignorò il ronzio delle mosche, avvicinandosi piano alle gabbie fino a trovarsi a pochi centimetri. C’erano alcune fate prigioniere, abitanti del villaggio e tre cadetti sopravvissuti, fra cui Zack, che ferito e ansante era riuscito a ricordarsi il suo nome.
In una gabbia a parte erano trattenuti i bambini. Ce n’erano tre umani e due fatati. La ragazzina era fra loro.
Zario si avvicinò alla gabbia e quella piagnucolò a vederlo, sollevata.
Kieran si avvicinò a Zack. ‒ State bene?
Il cadetto aveva il naso spaccato, gonfio e violaceo, ma tirò fuori un ghigno nervoso. ‒ Sì, per ora. Anche se non mi dispiacerebbe fumare un’ultima sigaretta. Quella puttana folle si diverte a denudarci, stuprarci se le va e poi a strapparci il cuore. Sei stato catturato?
‒ No. Sono qui per aiutarvi.
Zack lo guardò scettico. ‒ Come?
Prima che potesse spiegargli il piano, due fate armate piombarono su di loro con le lance protese.
Kieran tentò di allungare il coltello a Zack, ma il legno della gabbia si animò e tentò di impedirglielo in una stretta aggressiva.
Il cadetto però riuscì a sfilargli il coltello e con un movimento fluido a riporselo nei pantaloni, senza cambiare espressione.
Zario stava parlando con le due fate carceriere. Indicò anche Kieran, che era più teso che mai.
‒ Cacciafalene, ora verrete entrambi dalla regina.
La sua lingua suonò quanto mai atroce in bocca a quella fata ostile, ma ubbidì senza opporre resistenza.
 
 
Era rimasto stupito che le guardie non li avessero fermati prima, ma si rese ben presto conto che non c’era più nessuno ormai della milizia fatata. Forse qualche fata era dispersa nel bosco o pattugliava il confine, ma lì nella corte non sembravano più esserci fate combattenti. Alcune che intrecciavano ghirlande sui cadaveri o si occupavano degli animali e dei feriti, ma non sembravano in grado di brandire un’arma, avevano occhi scavati e spaventati. Qualcuna era anche ferita, come una giovane fata dalla pelle azzurrina che aveva le ali strappate.
Il trono di Visnia era in cima a una scalinata di pietra, di fronte a un gigantesco albero che appariva molto antico. Ghirlande rosse scendevano dai rami, insieme a ossa e corna di animale. I fiori azzurri erano spariti, sostituiti da petali vermigli. Un tappeto di fiori rossi attorniava il trono, Kieran ripensò alle immagini medievali dei grandi re del passato che percorrevano lunghi tappeti scarlatti per raggiungere il seggio reale. Ma quella distesa di fiori ricordava tutt’altro, somigliava più a una lunga scia di sangue.
Il trono sembrava una mano scheletrica aperta, fatto di rami contorti che s’innalzavano in alto come aculei. Accanto, in ginocchio sui fiori, stavano due umani. Un uomo e una donna, nudi e feriti. La loro pelle era piena di abrasioni, i capelli erano stati decorati da fiori e avevano una collana di ossa stretta intorno al collo; erano prostrati accanto alla regina come due animali. Visnia accarezzò i capelli di lui e poi le ferite, divertita dalla smorfia di dolore che attraversò il viso dell’uomo.
Kieran cessò di avanzare. Il respiro gli andò di traverso e fu certo di essere sull’orlo di un attacco di panico.
La creatura di fronte a lui era l’essere più inumano che avesse mai visto. Alta il doppio di lui con arti sproporzionati e dalla forma contorta; le ossa degli avambracci si aprivano a formare due cavità nel centro, per poi ricongiungersi vicino ai gomiti ossuti e appuntiti. Le gambe erano nascoste da un abito sontuoso, rosso come il sangue e magico. Sul tessuto erano cucite decine di occhi, che sbattevano le palpebre e osservano, febbricitanti.
Kieran si sentì male di fronte a quegli occhi di colori e forme differenti, alcuni umani, alcuni fatati.
Due in particolare di un azzurro vivo come lapislazzuli erano appuntati sul petto, fieri, enormi e liquidi; sembravano due spille preziose, ma le iridi si posarono su Zario con un velo di malinconia.
Kieran in qualche modo seppe che quegli occhi erano appartenuti alla Piangente, perché avevano gli stessi colori dei fiori che decoravano la corte.
Visnia li indossava fiera, come se fossero uno splendido accessorio.
Gli occhi di sua madre.
Si costrinse ad alzare ancora lo sguardo e a osservare il volto di una creatura tanto immonda e spietata. Avrebbe voluto che quella crudeltà fosse riflessa da un aspetto disgustoso, ma non trovò niente del genere.
Il viso di Visnia era un idillio, un insieme di linee affilate e delicate al contempo; la pelle bianca come la neve era increspata da squame fungine, come la corteccia di un albero coperta da funghi lignicoli. Sulla testa le squame si allargavano e si arricciavano, formando onde legnose rossastre.
Aveva labbra scarlatte, piene, un piccolo naso perlato e occhi neri come gocce d’inchiostro. Uno dei due occhi però era occupato da un fiore azzurro che stonava su di lei, sembrava crescere nell’orbita e scavare una ferita.
Sarà stato l’ultimo regalo di sua madre.
Gli occhi neri lo osservarono e lui si sentì inghiottito da un senso di orrore e piacere che non poteva spiegare in nessuna lingua conosciuta agli uomini.
Zario iniziò a parlare e gli sembrò che la sua voce arrivasse da lontano. Aveva un tono deciso e roboante, ma gli giunse distante all’inizio.
Visnia rispose con note deliziose, un suono che Kieran non aveva mai sentito. Le parole sembravano sussurrate con malizia e calore, ogni lettera gli creava un brivido.
‒ Un umano dai colori dell’autunno! ‒ mormorò poi, rivolgendosi a lui con un gridolino eccitato.
Sorrise e mostrò una fila di denti poco rassicurante.
Kieran resistette alla tentazione di gettarsi in ginocchio e chiedere pietà. Chinò il capo e si accorse di tremare.
‒ Ti sorprende che parlo la tua sgradevole lingua, umano?
‒ N-no…
‒ Mia madre volle insegnarmela. Ogni suono ricorda quello di un animale morente, ma neanche il cinghiale emette rumori tanto sgraziati prima di spirare. Una razza ripudiata dalla natura stessa, senza una goccia di bellezza e grazia.
Kieran a malapena l’ascoltava, sentiva soltanto il proprio cuore esplodergli nel petto.
Visnia sfiorò con le dita ossute e lunghe gli occhi di sua madre. ‒ Eppure lei trovava della bellezza in voi, nelle vostre emozioni effimere, fugaci. Ammetto che ho iniziato ad apprezzare alcuni vostri vezzi.
Prese la donna per il collo e la trascinò su di sé come se fosse un giocattolo. La adagiò sulle proprie gambe con fare amorevole. La donna non emetteva un suono, aveva il volto incrostato di lacrime e gli occhi pieni di orrore.
‒ Sapete essere molto malleabili e ubbidienti, più degli stessi animali a volte.
Passò le dita fra i seni della donna, sulla pancia segnata da smagliature. ‒ Ero affascinata dal vostro corpo e ho esaminato diversi interni. Ho trovato più bellezza nascosta dentro di voi, che al di fuori. Come il vostro cuore, ancora palpitante pure se strappato. Rosso e vivido come una rosa.
Fermò le dita sul petto della ragazza e aprì un taglietto con l’unghia. Fece una pressione e Kieran iniziò a temere che la avrebbe uccisa lì e adesso.
La prigioniera sembrò pensare lo stesso, perché perse i sensi dal terrore.
Visnia sospirò, infastidita. Baciò l’umana sulle labbra come se fosse la sua piccola e le accarezzò i capelli.
‒ Anche se il vostro cuore è fisicamente grande, è più flebile di quello di un piccolo coniglio.
Lanciò a terra la ragazza con svogliatezza. ‒ Per fortuna ora di schiavi ne ho tanti. Nessuno però con i colori dell’autunno come te, umano.
Kieran decise in quel momento che piuttosto che finire a quel modo si sarebbe ucciso, non sarebbe mai diventato uno schiavo di quella creatura.
Zario sollevò la lancia contro di lei e ripeté la proposta.
Visnia sembrava seccata. Kieran notò in quel momento che si toccava il fianco, lì, dove una macchia di sangue aveva intaccato il tessuto del vestito.
Non riuscì a seguire lo scambio di battute, al che Zario gli passò un petalo raccolto da terra e gli fece cenno di mangiarlo. Ubbidì.
‒ Così potrai capirmi, ragazzo.
Sussultò a sentire la voce di Zario parlare la propria lingua. Gli ricordò quella del maestro Fergus, forse perché sembrava saggia e stanca.
‒ La magia della corte può concedere questa grazia, Visnia ha accordato che tu potessi seguire la nostra disputa.
La regina fece un cenno col capo. ‒ Tutti devono sentire Zario il traditore della sua razza ‒ e nel sorridere gli angoli della bocca raggiunsero quasi gli angoli degli occhi.
‒ L’unica traditrice qui sei tu, Visnia. Disonorevole e codarda. Se conservi anche solo una goccia dell’icore di tua madre, mi affronterai e combatterai con me come vogliono le antiche leggi.
La risata della regina ricordava i cinguettii di mille rondini. ‒ Le antiche leggi? Le uniche leggi che contano sono quelle dei re d’Oltremare! Conquisterò questo continente e glielo offrirò in dono.
Kieran impiegò qualche secondo a capire che stesse parlando dei Valksha. Perse colore a quella minaccia. Non aveva mai pensato che le fate indigene volessero unirsi alle fila dei Valksha, era un pensiero spaventoso.
‒ Rifiuti, dunque?
‒ Perché un duello, quando posso uccidervi entrambi?
Zario osservò per un attimo Kieran, che era ormai verdognolo. Aprì la bocca e provò a parlare, ma non gli usciva la voce. S’inumidì le labbra.
‒ Non conosciamo la vostra forza ‒ sussurrò.
Visnia voltò la testa verso di lui come quella di un gufo. ‒ Cosa bofonchi, umano? Parla più forte o non parlare.
Si schiarì la gola. ‒ Dovreste dare prova della vostra potenza. Le parole… le parole si possono dimenticare. I fatti no. Dite che non c’è bellezza in noi, allora mostrateci, prima di ucciderci, la bellezza della vostra potenza in duello.
Aveva concordato quella frase con Zario, su suggerimento di Silas. Le fate erano facili da provocare, ma andavano sempre lusingate.
Visnia di fatto sembrò gradire le sue parole. ‒ Voglio che tu veda la potenza della tua nuova padrona. Così quando ti farò mio schiavo, mi adorerai con la giusta devozione. Il potere è importante, ma saperlo esercitare con grazia è una qualità di cui molti sono sprovvisti ‒ e nel dirlo osservò Zario con un’espressione sfrontata. ‒ E sia, combatterò contro di te, Zario. Così le tue ossa e il tuo sangue si mescoleranno a quelle di tua figlia e della tua amata regina. Pensare che eri il suo amante prediletto, ma mia madre non ha mai davvero visto la vera bellezza.
Accarezzò gli occhi azzurri sul petto con dolcezza nel dirlo, ma la sua voce trasudava crudeltà e ironia.
Kieran vide Zario per un attimo perdere lucidità, il volto si contrasse e si spaccò in venature scure. Si ricompose però e annuì con fermezza.
‒ Un duello fra le statue degli antichi fey, soltanto noi due.
‒ Oh no, mio dolce Zario ‒ lo interruppe con tenerezza.
Si alzò e la sua statura impressionò Kieran. Si sgrullò la schiena e spalancò le ali, adombrandoli. Due enormi ali rosse li sovrastavano, ali piene di licheni e funghi sporgenti che sembravano averle ricoperte; un grosso squarcio lacerava l’ala sinistra, sanguinante e stropicciata.
‒ Tutti dovranno assistere. Abitanti e prigionieri, tutti dovranno guardarti cadere.
Kieran seppe in quel momento che sarebbe finita nel sangue.

 
 
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Ciao a tutti!
Avevo promesso che sarebbero stati 4 capitoli ma ho dovuto dividere questo in due ç__ç, sono desolata, ma altrimenti veniva un pastrocchio.
Scusate la piccola pausa, ma ho un po’ di pensieri per il lavoro, vi ringrazio davvero per la pazienza.
Questo è un capitolo di passaggio, ma piuttosto pesante a mio avviso, quindi intanto vi ringrazio di aver letto fin qui xD.
Silas qui ha svelato un lato molto infimo. Diciamo che non ha mai nascosto di sentirsi “migliore” degli altri, è sempre stato un pochino presuntuoso, però ha sempre bilanciato con una certa umiltà quando serviva. Qui però, di fronte alla possibilità di morire, non ha sentito né visto più nulla.
Silas qui è un adolescente ancora, un adolescente ricchissimo e appartenente a una famiglia molto potente. Schiocca le dita e le persone fanno di tutto per compiacerlo. Era impossibile che non sviluppasse un ego un po’ spropositato ^^’’, acuito dal fatto che è aristocratico e anche se non vorrebbe averlo, ha un certo pregiudizio introiettato verso chi sta più in basso di lui.
Ancora grazie per aver letto i miei sproloqui e a presto!
Art by: 
https://www.artstation.com/gjosic, Goran Josic.
 

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Capitolo 23
*** VIII - Accademia - ***


 

VIII


Accademia




 

893 p.U.
 



Le statue degli antichi fey, come li aveva chiamati Zario, erano un luogo di assoluto silenzio.
Kieran si sorprese di vedere tutte quelle rovine di pietra ricoperte e invase da grossi rampicanti, non aveva mai visto nulla del genere. Sembravano rovine di piccole case dalle forme oblunghe con incisioni circolari, ma non sapeva spiegarsi che cosa fossero. Le sue conoscenze storiche e archeologiche erano molto scarne e non aveva idea se quei resti fossero appartenuti a qualche civiltà umana del passato.
Lì di fronte si srotolava una vasta radura immersa nell'oscurità; statue stilizzate di antiche fate si succedevano come pezzi disordinati su una scacchiera. Erano ricoperte di muschio, licheni e fiori. Alcuni volti e corpi erano levigati nel legno degli alberi, nei massi e sui tronchi caduti. Sembrava di aggirarsi per un giardino pieno di persone intrappolate nella natura, incastrate negli alberi e nelle pietre.
Ricordava davvero un giardino reale abbandonato o un luogo maledetto.
I prigionieri vennero fatti sfilare fra le statue e legati ai margini della radura ad alcune radici in modo che potessero vedere bene lo scontro. Erano troppi, alcuni erano esausti o feriti, portarli via di soppiatto sembrava all’improvviso un’impresa impossibile.
Gli abitanti ancora vivi e liberi della corte presero posto sui grossi rami degli alberi, i bambini si sedettero con le gambe penzoloni, a distanza dal centro dello scontro.
Si stava mettendo davvero male; doveva farsi venire in mente un modo per sistemare tutto, perché non gli rimaneva molto tempo.
A Kieran era stato concesso un piccolo scranno di legno dove sedersi per assistere al combattimento, per il suo ruolo di accompagnatore di uno dei contendenti.
Si concentrò sulla situazione e valutò in fretta una soluzione.
Da dove si trovava, sarebbe stato difficile aiutare i prigionieri, che erano esattamente dalla parte opposta della radura. Forse però i tre cadetti sarebbero riusciti a scivolare alle loro spalle e a liberarli.
Rimaneva il problema delle due guardie. Erano due fate malconce e ferite, ma ancora armate e vigili.
Doveva sperare che Zario riuscisse a spostare lo scontro più in là, così da celare alla vista di Visnia i prigionieri. A quel punto avrebbe potuto svicolare dalla sua postazione e attaccare le due fate.
Cercò di comunicare il piano a Zario, che si stava ricoprendo le mani di uno strano nettare profumato.
Indossava l'armatura levigata e il suo elmo di ossa. Era in piedi, accanto a lui, pronto per il duello. Se lo avesse incontrato senza conoscerlo, ne avrebbe avuto una gran paura, sembrava un guerriero davvero temerario.
Aveva raccolto i capelli rossi in una treccia, e la pelle bianca di betulla era coperta quasi interamente dall'armatura e da quel nettare scivoloso.
‒ Potresti affrontarla in volo.
Zario osservò i prigionieri e poi le statue. Nel suo sguardo c'era una rassegnazione malinconica, come se essere arrivati fin lì fosse già una sconfitta troppo grande.
‒ Visnia è ferita all'ala. Non si leverà in volo se non sarà costretta o provocata. Mi incalzerà con la sua magia da terra.
Kieran rifletté. ‒ Come posso aiutarti? ‒ domandò ansiosamente.
Non conosceva affatto Zario e neanche trovava qualche somiglianza con un essere come quello. Era una creatura distante da lui, ma in quel momento gli sembrava che ci fosse un legame fra di loro.
Era disposto a morire per tutti loro, e lo faceva con uno stoicismo e una determinazione che aveva visto ben poche volte nella sua vita.
Zario sembrava quasi una divinità ai suoi occhi giovani, un guerriero eterno e costruito solo di idealismi.
La fata gli rivolse una lunga occhiata. ‒ Loro distruggeranno la mia casa, se dovessi vincere.
Non era una domanda.
‒ Loro?
Sfiorò con l'unghia lo stemma del Ferro appuntato sulla placca metallica di Kieran. ‒ Verranno qui con i loro demoni di metallo e insozzeranno il bosco di piombo e morte.
Kieran seppe che quello era un momento cruciale.
Tutto ciò che doveva fare era mentire, mentire come sempre. Dirgli che non sarebbe accaduto, che anzi, li avrebbero ringraziati per l'aiuto reso.
‒ Sì.
La sua risposta fu laconica e spettrale.
Non poteva mentire a una persona che andava a rischiare la vita per loro. Non poteva.
Quella era stata la sua casa e quelli erano i suoi simili, i suoi cari.
Zario lasciò che i suoi occhi sondassero il bosco.
‒ A prescindere da cosa accadrà, sia che Visnia trionfi o perisca, se vedrai un'altra alba domani, dovrai dire loro che nessuna fata è sopravvissuta.
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Come?
‒ Voi umani sapete mentire, mentite di continuo, giusto? Menti, dì loro che nessuna fata è rimasta in vita. Periti tutti in una guerra intestina fra fratelli in cui gli umani sono rimasti coinvolti. Puoi farlo, piccolo guerriero?
Kieran aveva la bocca secca, ma l'appellativo gli colorò le guance. ‒ Sì, certo. Ma verranno a controllare. Pattuglieranno il bosco.
Annuì. ‒ Se sopravvivrò porterò via la mia gente. Un'altra corte ci ospiterà, abbiamo alleati. Se dovessi morire gli altri migreranno da soli in luoghi più ospitali. Non Visnia però, che cadrà sotto i vostri colpi. Lei non abbandonerebbe mai la corte, non dopo averla conquistata.
Kieran si toccò la nuca. A quel modo non li avrebbero braccati, sì, era una buona idea.
‒ Lo farò, ma Visnia cadrà oggi.
Zario sorrise e per un attimo vide in lui lo stesso giocoso atteggiamento delle altre fate. Ma scomparve, inghiottito dalla serietà del momento.
Kieran voleva porgli molte altre domande, la curiosità lo divorava e temeva che quella fosse l’ultima volta che lo vedeva vivo.
‒ Ha ucciso tua figlia?
Zario smosse la terra con il manico della lancia. ‒ Sì. Mia figlia Velia, sua sorella.
Kieran aggrottò le sopracciglia e qualcosa scattò nella sua testa. ‒ Visnia è tua figlia?
La fata prese una piccola coccinella poggiata sulla spalla di Kieran e se la poggiò fra i capelli. Sembrava confuso dalla domanda. ‒ No. La seconda nascita di Visnia non mi riguardava, io ho avuto il compito di occuparmi di quella di Velia.
La risposta lasciò Kieran molto disorientato. Ricordava vagamente qualche lezione sul fatto che le fate affrontassero due gestazioni, che era il motivo per cui i purosangue faticavano a riprodursi come gli umani, ma non aveva idea di che cosa significasse quella risposta.
Forse sbagliava a vedere la Piangente come madre e Zario come padre, ma quelli erano i suoi capisaldi e non conosceva altre varianti.
‒ Mi dispiace ‒ disse allora, preferendo non porre altre domande, benché fosse curioso.
‒ Velia non avrebbe mai potuto vincere contro sua sorella. Aveva il cuore delicato di sua madre e la mia pessima attitudine alla magia.
Kieran si torturò il labbro. ‒ Perché Visnia ha fatto tutto questo?
Il volto di Zario si contrasse, diventando affilato e inumano. ‒ I funghi che crescono sui tronchi possono infestarli e farli marcire, poi diffondersi sugli altri e pian piano uccidere un intero bosco. Così è stato per lei. In un viaggio diplomatico si è recata nella corte dell’Abissale, fra la terra e l’Oltremare. Lì è stata infettata da un fungo a noi sconosciuto. Ha marcito il suo interno e vi ha preso possesso.
Kieran non riusciva a capire se fosse una sorta di metafora della corruzione da parte di idee pericolose o se stesse parlando di qualcosa di letterale. Era difficile seguire quei discorsi.
‒ Qualcuno l’ha corrotta? ‒ osò domandare.
Zario sembrò accorgersi che non lo stava del tutto seguendo. ‒ Anche voi umani vi ammalate. Noi soffriamo di epidemie e malattie diverse. Non siamo fatti di sola carne, come voi, ma anche di magia e natura. Molte fate uccidono per il potere, credo che questo sia un concetto a te familiare. Guerre fratricide sono frequenti anche da noi. Ma qui è accaduto qualcosa di diverso. Visnia è stata infettata.
Prima che potesse approfondire quella faccenda, Visnia camminò fra le statue e richiamò Zario con un verso lugubre. I suoi schiavi erano stati trascinati dai prigionieri, ma la donna non sembrava essersi ripresa.
Kieran prese posto sul piccolo scranno di legno posto fra due statue e guardò un’ultima volta Zario con occhi ansiosi. Questo avanzò fra le sterpaglie e si posizionò di fronte a Visnia. Era più basso di lei, nonostante fosse più anziano e più antico.
Aspettarono qualche minuto, ma lì sotto l’intreccio di rampicanti, rami e chiome degli alberi era impossibile capire che ora fosse e dove si trovasse il sole.
Una fata anziana comparve fra di loro; Kieran la osservò stupito, perché si era convinto in qualche modo che non esistesse l’invecchiamento fra le fate, nonostante non fosse così. Era rugosa come un tronco, le gambe erano rami affusolati che la tenevano in equilibrio, camminava strascicando due ali appassite. Notò diversi rampicanti srotolarsi da lei e si accorse che non poteva camminare più di tanto, il suo corpo era legato a un grosso albero; osservò sconvolto i rami che sparivano dentro il corpo della fata, sembrava essersi animata dal suo sonno soltanto per quel duello.
Seguire le sue parole era fin troppo complesso per Kieran, aveva un modo di esprimersi astruso e disordinato.
‒ Che volteggino i duplici portatori di morte, si prestino occhi e sangue alle scolpite leggi perdute degli antichi Danzanti delle stelle…
Aggrottò le sopracciglia, ma gli sembravano un mucchio di frasi rituali senza un vero senso logico.
Zario guardò verso il cielo e così fece Visnia, che sollevò il capo al cielo con un ghigno presuntuoso.
La vecchia fata venne tirata indietro dai rami e si accartocciò di nuovo nell’albero come un amante stretto dalle braccia della sua metà.
Ci fu un momento di silenzio e quiete nella radura, poi lo scontrò iniziò. Zario scattò in avanti con un colpo d’ali e piombò addosso a Visnia. Questa parò il colpo con un movimento fluido e aggraziato. Nella mano teneva un’arma dalla forma oblunga diversa da qualsiasi arma umana che Kieran avesse mai visto, una lama dentata di ossa con un manico lungo quanto quello di una lancia.
‒ Povero dolce Zario, imputridito dalle emozioni umane. Mia madre ti teneva sempre stretto al petto, ma senza di lei avvizzisci come un frutto avariato.
Malgrado la provocazione, Zario rimaneva concentrato. Roteava la lancia come se fosse parte del suo corpo, aveva una guardia infrangibile e incalzava Visnia con colpi precisi e potenti. Kieran era certo di non aver visto nessun cadetto combattere con altrettanta velocità e grazia, soltanto alcuni ufficiali eguagliavano in qualche modo quello stile.
Visnia d’altronde non era da meno, benché rimanesse in difesa, scivolava sui piedi come se stesse danzando; un passo dietro, poi di lato, una piroetta che sollevava le sue ali e i suoi abiti, si piegava indietro e come se seguisse un famoso ballo di corte, incrociava i piedi avanti e girava intorno al corpo di Zario.
Se non avessero avuto le armi fra le mani, avrebbe potuto pensare che stessero conducendo un nuovo tipo di valzer, si stringevano e si allontanavano, battevano i piedi e sollevavano la terra calcando ogni passo con ritmo.
Nulla di umano è paragonabile a questo.
Usavano le ali per darsi slancio o equilibrio, intanto si tagliavano, si ferivano e il sangue schizzava intorno a loro.
Visnia affondò un colpo insidioso contro Zario e lui mosse appena le unghie affilate e chiuse le dita a pugno. Grosse radici si sollevarono e si avvinghiarono alle braccia di Visnia, al suo collo e alla sua vita. Fermarono il suo affondo.
Visnia rise, di quella risata dolce e atroce che Kieran trovava quasi insopportabile.
‒ Vuoi già giocare con la magia?
Zario mosse di nuovo le dita e la bocca di Visnia si chiuse di colpo con un movimento innaturale, sigillata dalla magia del contendente. La regina sbarrò gli occhi e il nero della cornea si accese di ira.
‒ La tua lingua ha bisogno di riposo, giovane Visnia. So che ti piace il suono della tua voce, ma tanta superbia è sintomo di bruttezza per ogni creatura.
Sorrise nel dirlo, mentre Visnia disfaceva la magia che le teneva la bocca sigillata. Le radici caddero avvizzite dalle sue braccia e sfiorò gli occhi di sua madre.
Kieran sentì un’ondata di magia sollevarsi, una sensazione atroce di pericolo imminente; gli sembrava che quella magia fosse una creatura, una creatura bloccata dietro un velo che cercava di bucare la realtà e irrompere nel loro mondo. Schiacciato e impaurito si tenne allo scranno e guardò il fango sul terreno avvicinarsi. La terra assunse la forma di mani scheletriche e melmose che si trascinavano verso Zario a centinaia, come braccia di soldati moribondi.
‒ Va bene, vecchia e testarda fata, e magia sia ‒ sibilò Visnia, e le braccia di fango si protesero all’unisono contro Zario.
 
 
 
 
 
Silas si voltò nel silenzio del bosco. Aveva sentito un grande afflusso di magia rimescolargli lo stomaco.
Le fronde chiuse però non offrivano alcuna vista e ormai si era allontanato dalla corte. Si passò le mani fra i capelli con un brivido e faticò a distogliere lo sguardo. L’istinto di guardarsi le spalle era troppo forte, il bosco silenzioso e scuro gli appariva ostile in ogni suo anfratto buio.
Ricominciò a mettere un piede dopo l’altro, stanco.
Se n’era andato. Non si era voltato una seconda volta, voltarsi era il primo segno di cedimento.
Non avrebbe rivisto quei ragazzi. Non avrebbe mai più rivisto Kieran.
Avrebbe voluto che il suo ultimo ricordo del volto di Reed fosse rancoroso, perché era capace di prendere quella rabbia e scagliarla contro altro.
Purtroppo non c’era rancore nei suoi occhi. Solo un’immensa amarezza.
Se solo non avesse fatto pressioni per dividere gli alloggi con una persona come lui. Forse la sua Iniziazione sarebbe stata diversa.
Si fermò nel bosco e si stropicciò gli occhi.
Perché era così doloroso? Kieran non era nessuno, un ragazzo senza niente di importante per lui. Era insicuro, musone e di poche parole, era goffo e impacciato, sudava troppo e i suoi stivali dopo un allenamento sembravano intrisi di necromagia per l’odore mefitico che emanavano. Era un bugiardo, rigido e fedele come un cagnolino ai piani alti. Passava un tempo immane a tagliare quegli stupidi peli che chiamava barba.
Pensò a come sarebbe stato tornare in quella stanza sapendo che Kieran non vi avrebbe mai fatto ritorno. L’ultima notte lì era la notte che avevano lottato contro Siegan e i suoi. Probabilmente c’erano ancora i panni insanguinati con cui si erano puliti, la sciarpa che gli aveva riparato di sua madre.
Ebbe un tuffo al cuore a pensare a sua madre, a questa donna misteriosa che era felice e speranzosa per il figlio che aveva avuto una simile opportunità.
Più avanzava e più gli sembrava di avere il cuore sprofondato in un luogo oscuro e distante.
Si sistemò la sacca sulla schiena e continuò a camminare con umore funereo.
Aveva aiutato Kieran più che poteva, lo aveva difeso e curato con la magia, lo aveva salvato dalle illusioni del bosco e da Siegan. E ora quell’ingrato gli chiedeva di morire assieme a lui?
Si era sentito così generoso e magnanimo a difendere Kieran mentre nessuno lo faceva, ma ora era abbastanza lucido da vedere quella smorfia presuntuosa di autocelebrazione che gli compariva quando aiutava un povero ragazzo sfortunato.
Kieran aveva ragione, ma lui non riusciva a tornare indietro.
Aveva paura, così paura che non voleva neanche voltarsi.
Non voleva morire. Non voleva soffrire.
Si passò un braccio sugli occhi e represse un singhiozzo.
Perché tutto doveva essere così brutale? Non sapeva da dove venisse la violenza peggiore in lui, dal suo sangue umano o da quello fatato. Da un lato la codardia, l’opportunismo e la bassezza, dall’altro la presunzione, l’ossessione e la superbia.
Fece un altro passo. I suoi fratelli e le sue sorelle gli volteggiavano intorno, come quel lontano giorno del suo compleanno. Ballavano e ridevano, rincorrendosi e urlando. Marian ballava sui suoi piedi e rideva con quegli acuti che lui adorava.
Sopravvivere aveva un prezzo e lui lo sapeva meglio di chiunque.
Più sopravviveva agli altri e meno voleva vivere. Di volta in volta si sfaldava un pezzettino di sé stesso e nulla sembrava valere più la pena.
Kieran non ce la avrebbe fatta. Il suo destino era una pietra rara, speciale, per qualche motivo, ma si sarebbe spento nel silenzio e nell’anonimato.
Perché era andato? Perché aveva messo da parte il suo istinto di sopravvivenza? Perché doveva comportarsi a quel modo e farlo sentire tanto miserevole e codardo?
Era certo che se Kieran fosse diventato un ufficiale del Ferro, non avrebbe mai chiuso gli occhi di fronte a una situazione come quella dei Vaukhram. Non avrebbe mai accettato mazzette per non vedere se i nobili rapivano bambini mezzosangue o ne uccidevano per i pezzi.
No. Per questo stava andando a morire, per questo le alte sfere del Ferro erano popolate da corrotti figli di puttana. Gli incorruttibili morivano giovani, come eroi, sì, ma non erano gli eroi a gestire il loro mondo. Erano i mostri.
Mostri come lui.
‒ Ah.
La mano su cui aveva inciso il taglio gli bruciò quando scostò un ramo con forza. La fasciatura si era allentata e ormai era vecchia e sporca.
Poggiò la sacca per terra con un sospiro seccato e cercò altre bende per cambiarla. Incontrò con le dita la copertina rigida e rovinata di un piccolo libro. Lo tirò fuori con una certa amarezza.
Era un piccolo manuale di tattiche scritto da Halldora stessa, gli piaceva in modo particolare quell’edizione perché erano state integrate le note e le riflessioni della stessa Halldora, con tanto di dubbi e perplessità.
Lo aprì e guardò la dedica in prima pagina.
Solo guerra senza te.
Lesse quella frase con un nodo in gola. Halldora la aveva scritta per il suo amato, un guerriero del Ferro ucciso dallo Spinato. Non si era mai ripresa davvero. Pochissimi sapevano che Halldora non fosse davvero una nobile, il suo titolo era una farsa che era venuta fuori più avanti. Aveva concluso la sua vita in miseria, alcolizzata e sola. Il Ferro tendeva a omettere quella parte.
Sopravvivere le ha portato solo infelicità.
Aveva fatto la differenza, questo non si poteva negare, ma a quale prezzo?
Sfogliò le pagine e vide le annotazioni del maestro Fergus. Gli aveva chiesto giorni prima se Kieran avesse bisogno di aiuto con lo studio. Era un insegnante competente e brillante nonostante la sua provenienza.
Fece una smorfia a quel pensiero involontario. Non riusciva a farne a meno.
Lanciò via il libro in un impeto di rabbia che andò a schiantarsi contro un albero e cadde fra la terra fangosa.
Solo guerra senza te.
 
 
 
I due combattenti erano stanchi e sanguinanti. Zario era pieno di ferite e coperto di fango. Aveva ematomi lì dove le mani di melma lo avevano ghermito e scorticato, ma non aspettò neanche pochi secondi per prendere fiato. Tornò a incalzarla e ad attaccarla violentemente, si librò in aria per evitare le sue magie e il duello si fece più serrato.
Kieran vide con la coda dell’occhio alcune figure avvicinarsi ai prigionieri. I tre cadetti erano arrivati ad aiutare gli altri, ma erano fermi a causa delle due fate a guardia.
Si erano sporcati di fango i volti e le divise, avevano cercato di mimetizzarsi e aveva funzionato, si notavano con difficoltà.
Thomas gli fece un cenno circolare con il dito che lui colse al volo. Avevano subito improvvisato un nuovo piano, non erano affatto stupidi o impreparati, anzi, sembravano più determinati di lui.
Scivolò dal suo scranno e iniziò a muoversi verso gli altri. Non aveva un piano preciso, sperava di riuscire a eliminare le due fate abbastanza velocemente da fare in modo che Visnia non se ne accorgesse. Le due guardie d’altronde erano perse a guardare lo scontro, stregate e ammirate.
Sgattaiolò dietro gli alberi così da arrivare ai prigionieri senza passare nel mezzo della radura, ma facendo il giro largo per sbucare alle spalle delle guardie.
Un grido di dolore lo arrestò dove stava. Si girò a guardare lo scontro col cuore in gola.
Zario aveva sferzato il volto di Visnia con un colpo, sfigurandolo; le agguantò l’abito per tirarla in avanti e strappò gli occhi azzurri dal suo petto.
‒ Sei sempre stata indegna del suo sguardo ‒ sibilò e lanciò via i due bulbi, che appassirono immediatamente come petali e si sfransero.
Visnia lanciò un urlo di orrore e sbigottimento, si gettò in ginocchio per raccogliere gli occhi, ma non rimaneva nulla fra la terra. Le lunghe falangi delle dita si strinsero intorno al fango mentre un lamento acuto le eruttava dalla gola.
‒ Cos’hai fatto, insulsa nullità!
Gli occhi neri le si riempirono di lacrime cristalline; ogni lacrima che s’infrangeva sul terreno dava vita a fiori vermigli, di una bellezza intensa.
Con un’ira violenta e devastante si strappò un lichene dalla pelle, che sanguinò. Lo intrappolò fra le mani finché non si formò una sostanza scura e vischiosa che vorticava tra le dita.
Kieran riconobbe una piccola nube di necromagia e tremò solo a vederla.
Visnia la indirizzò contro Zario, in un movimento fluido delle lunghe dita, ma all’ultimo cambiò bersaglio. Alzò la testa rapace verso gli alberi e la scagliò su uno dei bambini appollaiati sui rami.
L’incredulità di Zario fu pari a quella di tutti gli altri. Il bambino lasciò uscire un verso di sgomento e le ali presero a battere nel tentativo di librarsi e scappare. Non avrebbe fatto in tempo.
Attacca i più giovani della sua stessa gente.
Quel comportamento andava oltre la sete di potere e la superbia.
Le due guardie si alzarono in volo per intervenire, ma erano troppo lontane. Kieran approfittò del loro allontanamento per correre dai prigionieri.
Thomas e gli altri sbucarono da dietro e cominciarono a strappare i rampicanti e a tentare di liberare tutti.
‒ Aiutateci ‒ singhiozzò un anziano dall’aria malmessa e sporca.
In modo concitato approfittarono della confusione, mentre diverse ombre sfrecciavano sulle loro teste.
‒ I rampicanti si riallacciano ‒ imprecò Jean.
Zack le consigliò di usare i paletti di ferro runico per romperli, rallentavano la magia.
Kieran alzò lo sguardo senza resistere, per controllare la situazione e vedere se il bambino fosse stato colpito.
Con sua sorpresa però lo vide in aria, distante dal colpo. Aveva il volto efebico pieno di orrore.
La necromagia aveva investito in pieno Zario, che stava precipitando privo di sensi o forse morto. Doveva essersi messo in mezzo.
 Il bambino lo afferrò con tutte le sue forze, evitandogli lo schianto. Iniziò a battere le piccole ali per planare e rallentare la caduta, poi ruzzolarono entrambi fra le statue dei fey.
Zario non si muoveva più. Qualcosa gli corrodeva la pelle del corpo e del viso a una velocità impressionante.
‒ Kieran! Concentrati! ‒ sibilò con violenza Jean.
Riportò la sua attenzione sui prigionieri e si affrettò a tagliare tutto ciò che imprigionava i cadetti e gli abitanti del villaggio. Guardò le fate catturate e si occupò di liberare anche loro nonostante gli sguardi diffidenti o impauriti.
‒ Correte attraverso il bosco, non voltatevi, raggiungete il villaggio. Aiutate i feriti.
Sperava che riuscissero a orientarsi, nel dubbio consegnò la bussola a un uomo che appariva ancora lucido e in grado di dirigere gli altri.
‒ Zitta, stai buona ‒ pregò Thomas.
Kenna si dimenava alla vista di Zario immobile e della regina Visnia che incombeva su di lui. Voleva raggiungerlo.
Kieran la trattenne per un braccio e le tappò la bocca, ma i prigionieri stavano facendo fin troppo rumore. Alcuni piangevano, altri erano già scappati a gambe levate nel bosco senza guardarsi indietro. Alcune fate erano volate verso i bambini o verso lo scontro, disperdendosi.
Kieran non capiva più che cosa dicessero, ma Visnia doveva aver violato una sorta di codice, perché persino le sue guardie sembravano riluttanti a difenderla.
‒ Le antiche leggi sono state violate ‒ tuonarono centinaia di voci all’unisono.
La frase rimbombò fra le statue, roboante e misteriosa. Sembrava provenire dalle statue stesse, dalla natura, dal cielo.
Visnia si guardò attorno e rise sprezzante. Un’ondata di magia sgorgò da lei e investì le fate ostili che aveva intorno, scagliandole lontano. Alcune afferravano i più giovani e fuggivano volando via, un paio di fate si erano avvicinate a Zario nel tentativo di aiutarlo. La più agguerrita delle guardie venne fatta a pezzi dalle altre fate sopravvissute, l’altra abbandonò le armi e sparì verso la corte. Non rimase quasi più nessuno e in poco tempo tornò il silenzio.
Kenna si divincolò dalla sua presa, ma Kieran la afferrò di nuovo per un soffio.
‒ Lasciami, stupido troll! Dobbiamo aiutarlo!
‒ Morirai, Kenna ‒ ringhiò. ‒ Scappa nel bosco, subito.
‒ No, brutto stronzo! Mi rimane solo Zario!
Kieran imprecò per tutto quel baccano.
Visnia era in piedi, ferma e sembrava entrata in una sorta di trance. Continuava a guardare il punto dove gli occhi di sua madre erano stati distrutti.
 ‒ Va bene, lo aiuterò, ma segui quest’uomo e correte fino al villaggio, va bene? Andate tutti verso il villaggio.
Uno degli abitanti rimasti prese Kenna in braccio e annuì. La bambina aveva il viso sporco e graffiato, gli occhi grandi pieni di lacrime.
‒ Lo aiuterai davvero, signore del Ferro? ‒ balbettò con voce esile.
Gli pianse il cuore a mentire, ma non sapeva se Zario fosse ancora vivo e avvicinarsi al corpo era impossibile con Visnia nel mezzo.
‒ Certo, hai la mia parola.
Si allontanarono proprio mentre Visnia pareva riprendersi. Le grandi ali frustarono l’aria un paio di volte, mentre il volto si contorceva. Il fiore azzurro nella cavità dell’occhio gocciolava sangue e alcuni piccoli funghi gli uscivano dai lati delle labbra, come herpes.
‒ Erano miei. Erano miei, miei, miei, i suoi occhi erano miei, la mia eredità, il mio diritto di nascita, la mia corona. ERANO MIEI, MIEI MIEI MIEI MIEI MIEI MIEI.
La voce spezzata urlava quel ritornello come un automa difettoso, Kieran iniziò a sentire la sua voce risuonargli nella testa fino a diventare dolorosa. Si portò le mani sulle orecchie, ma il dolore non cessava.
‒ MIEI MIEI MIEI MIEI MIEI.
Stavolta però si erano preparati e inserirono i piccoli tappi creati con la stoffa per limitare i danni. A poco a poco anche Thomas e gli altri lo imitarono.
Nel frattempo però Visnia aveva smesso di avanzare verso Zario e verso le due fate che lo stavano curando.
Si era voltata verso di loro.
I suoi occhi nero pece li osservarono, curiosi, e Kieran colse il preciso momento in cui l’ostilità più feroce scintillò nel buio di quelle iridi.
Non poteva esprimere il terrore di quel momento. Qualcosa di atavico si risvegliò in lui e in un attimo gli sembrò di tornare bambino, quando le ombre della notte gli parevano mostri grotteschi e cruenti. Passava ore sveglio, spaventato a immaginare di trovarsi di fronte a un mostro invincibile, e lui, un semplice bambino, sarebbe corso da sua madre e insieme sarebbero fuggiti.
Fu come se quegli incubi trovassero compimento in quel preciso momento. Nei denti sporgenti e affilati della regina, nell’occhio nero sbarrato, nell’aspetto mostruoso e slanciato che si allungava su di loro come un’ombra. Non c’era più traccia di quella grazia e bellezza che la aveva contraddistinta, c’era soltanto un essere disturbante pronto a farli a pezzi.
Piccoli insulsi umani.
La sua voce era cambiata e piombò sulla radura come il suono assordante di un tuono.
Si lanciò su di loro ancora prima che Kieran potesse dire agli altri di disperdersi. Aveva pensato di coprire la fuga degli abitanti, ma quando vide quell’essere volare con un colpo d’ali verso di loro, abbandonò ogni proposito coraggioso.
‒ Scappate! ‒ urlò Jean.
Iniziarono a correre in direzioni diverse e a disperdersi fra gli alberi. Kieran corse senza voltarsi e la schiena gli bruciò per la paura di essere raggiunto. Oltrepassò le statue e deviò verso la parte più buia del bosco; in uno sprazzo di lucidità sperò che lì dove la luce filtrava meno gli alberi si chiudessero in modo più compatto. Questo forse le avrebbe impedito di volare e di essere così veloce.
 Sentì alle sue spalle alcuni spari e urla, rumori di combattimenti e sbattere di ali, ma non si voltò.
Una risata disumana riecheggiò nel bosco e accompagnò Kieran fino agli anfratti più bui della selva.

 
 
 
Non sapeva da quanto tempo fosse nascosto lì, fra le enormi radici di un albero centenario. Gli sembrava quasi di esserci nato in quell’oscurità.
Era buio e umido, sentiva gli insetti zampettargli sulle mani ed era certo di averli anche nella divisa. Aveva smosso il terreno per celarsi, non vedeva granché, ma le radici lo celavano alla vista.
Zack lo aveva seguito in quella parte del bosco ed era nascosto dentro un tronco scavato da un fulmine. Lo vedeva abbastanza bene da lì: madido di sudore, schiacciato contro il tronco, gli occhi invasi dalla paura.
Un urlo non lontano da loro invase il silenzio; alcuni uccelli si levarono spaventati dalle fronde. Kieran li invidiò con tutto sé stesso.
La terra vi tradisce, figli del ferro…
La sua voce risuonò fin troppo vicina, stava venendo verso di loro e sembrava intenzionata a prendersi il suo tempo.
La sentiva girare fra gli alberi, famelica, folle e potente. Kieran non osava muoversi né emettere un suono.
Non sarebbero usciti vivi da lì. Li avrebbe stanati uno alla volta come animali e li avrebbe ammazzati.
Cercò con gli occhi un nascondiglio, qualsiasi punto dove sgattaiolare via e sparire, ma aveva la mente annebbiata dalla paura. Non ragionava più, gli sembrava che tutto intorno a lui fosse sfocato, udiva soltanto il martellare del proprio cuore.
Sbatté le palpebre e la radura buia si tramutò in un lucente prato, pieno di fiori colorati, rigagnoli d’acqua e fate giocose che si lavavano. Dilatò le narici all’odore del pane bruscato e imburrato, dei dolci morbidi alla cannella e del caffè denso e amaro di Magda.
La tentazione di uscire ai raggi caldi del sole lo spinse quasi a correre, voleva giocare con quelle fate, mangiare, bere e ridere. Era tutto finito, non c’era più nulla di cui avere paura.
S’immobilizzò mentre provava a scostare le radici. Sgrullò la testa nel tentativo di scrollarsi di dosso quelle sensazioni suadenti.
A poco a poco la radura tornò buia e inospitale, scomparve ogni immagine cristallina, lasciando posto a radici contorte e sterpaglie ingarbugliate.
Zack scostò appena la testa, gli occhi illuminati dall’ammaliamento; Kieran gli fece cenno di rimanere nascosto.
Volete giocare, intrattenetemi ancora con la vostra paura.
La voce di Visnia arrivava distorta, grottesca, aveva perso qualsiasi traccia di dolcezza e sonorità, era grave, sdoppiata e profonda.
Un abitante del villaggio corse fra i loro tronchi, urlando, ma Visnia lo raggiunse. Fu come vedere una trappola scattare o un predatore appostato chiudere le fauci in uno scatto.
 I rami lo intrappolarono in una stretta mortale, gli aprirono braccia e gambe per non farlo muovere e lo sollevarono da terra.
Kieran lo vide dimenarsi dal suo nascondiglio, chiedere aiuto e pietà. La regina entrò nella visuale di Kieran con passi lenti e strascicati, le lunghe ali ripiegate la seguivano come uno strascico da sposa. Visnia aveva lo sguardo sfigurato e il sorriso che ormai si allungava famelico fino alle orecchie.
Shhh, piccolo mio, shhh…
Premette la mano sul petto e ignorò le urla di quel poveretto. Con una pressione che appariva leggera gli sfondò il torace e gli ghermì il cuore. Il corpo ebbe diversi spasmi, ma le urla di dolore cessarono.
Kieran era scivolato di lato sul tronco, fuori dalle radici; il sudore gli gocciolava dal naso e represse diversi conati. Era a un passo dal perdere il controllo della sua vescica e della sua sanità mentale, quando udì Zack urlare.
Si affacciò e vide i rampicanti trascinarlo fuori dal suo nascondiglio, da Visnia. Puntò le unghie nel terreno e si dimenò, piangendo, man mano che le piante lo tiravano da lei. Aveva perso la presa sulla pistola.
Kieran seppe all’istante che sarebbe stato il prossimo; uscì dal nascondiglio e iniziò a sparare in preda al panico. Visnia si sottrasse ai colpi con un movimento repentino e disumano, poi si voltò verso di lui e balzò nella sua direzione.
Iniziò a correre, corse a perdifiato, cercando scorciatoie strette fra le fronde e i cespugli di rovi. Gli tornarono in mente le goliardate nel Buco, quando scappava dai teppisti più grandi e saltava fra i barili e le tubature. Ricordò quando era scappato da quei criminali che aveva provocato o quando era fuggito da Siegan e i suoi con Silas.
Nulla era paragonabile a quello.
Avvertiva il respiro furioso di quell’essere, lo sbattere forsennato delle sue ali che frustava l’aria.
Si scostò e un’artigliata gli aprì una ferita sul fianco e sulla schiena. Rotolò via mentre evitava i rampicanti di Visnia e ricominciò a sparare. La maglia gli si inzuppò di sangue, ma il dolore era ancora attenuato dall’adrenalina.
Approfittò del fumo degli spari per lanciarsi dietro un altro albero, lontano da lei, e celarsi alla vista.
Si era scorticato il mento rotolando e sentiva il sangue gocciolare fino a terra. Non osava respirare, tremava così forte che gli sembrava di essere a un passo dal collasso.
 ‒ Dove sei, guerriero dell’autunno? Non celarti alla tua regina. Sarò clemente con te, ti renderò il mio schiavo prediletto.
Se solo avesse potuto rivedere Henry e sua madre un’ultima volta. Mai come in quel momento avrebbe voluto stringerli e dirgli che gli dispiaceva. Gli dispiaceva di morire lì, di averli abbandonati. Senza di lui avrebbero trovato Henry prima o poi, sua madre non ce la avrebbe fatta da sola.
Voleva sentire di nuovo l’abbraccio di sua madre. L’ultima volta che la aveva vista non le aveva neanche parlato del ricevimento dopo l’Iniziazione, perché si vergognava all’idea di farla venire in mezzo all’alta società. Si era scostato con uno sbuffo dal suo bacio affettuoso. Si era ripromesso innumerevoli volte di tornare a casa a salutarli, con un mazzo di fiori magari per lei e uno per Henry, ma aveva sempre rimandato. Doveva allenarsi, doveva studiare, non aveva tempo.
Eccoti qui.
La voce era a un soffio dal suo viso. Non provò neanche a scostarsi, rinunciò in partenza e avvertì i rampicanti di Visnia avvilupparsi intorno al suo corpo e trascinarlo avanti.
La regina sembrava spasimare per ghermirlo, come un bambino con un nuovo giocattolo.
Ho cambiato idea, voglio sapere se il tuo cuore è rosso come i tuoi capelli.
Sperò che tutto quello finisse in fretta. Almeno sarebbero stati pochi secondi di agonia.
Uno sparo esplose nel silenzio, trapassandole la spalla e prendendo di striscio anche Kieran. L’urlo grottesco che risuonò accanto alle sue orecchie lo stordì.
Visnia voltò la testa di un giro completo per cercare la fonte dello sparo.
Kieran faticò a mettere a fuoco, lo sparo e l’urlo lo avevano frastornato, tanto che per qualche secondo pensò di avere le traveggole.
In cima alla radura scura, un ragazzo mezzosangue dall’aria spaventata teneva fra le mani una carabina.
Tirò indietro il braccio nel tentativo di ricaricare, terrorizzato.
Silas?
Era lui.
Era davvero lui. Non poteva essere un’illusione o un sogno.
Visnia però si voltò nuovamente verso Kieran, decisa a finirlo prima di passare al suo nuovo aggressore.
‒ Tutte le principesse fatate sono così sgraziate? Il tuo aspetto grottesco è un’offesa alla natura e al bello.
La regina tornò a osservarlo. ‒ Cosa pronunci, insignificante mezzosangue?
Kieran riusciva a vedere che Silas stava sudando di paura. ‒ Mi hai sentito, fiore appassito che non sei altro. Se fossi tuo figlio piangerei ogni giorno per origini così indegne! Non ho mai veduto fattezze tanto mostruose.
I rampicanti si strinsero dolorosamente su Kieran per un attimo, che represse un gemito, ma poi lo lasciarono cadere. Visnia si era voltata del tutto verso Silas e la sua attenzione era concentrata interamente su di lui.
Un buffone mezzuomo manca alla mia corte. Coprirò il tuo corpo nudo di spine e ortica mentre ballerai per me. Poi ti ucciderò un po’ alla volta, così da prolungare il mio divertimento e scacciare la noia.
Silas sparò un altro colpo, ma la mancò. Visnia in un battere d’ali si avvicinò a lui. Il Discendente lasciò cadere la carabina, troppo pesante, e iniziò a correre.
Kieran rovinò a terra e iniziò a boccheggiare. Alzò lo sguardo e vide Visnia scagliarsi nella direzione di Silas. Cercò di alzarsi, e, barcollando, gli andò dietro.
 
 
 
Silas sapeva di essere un idiota. Non gli importava un fico secco di quelle persone lì, eppure stava per crepare per una di loro. Sua sorella lo stava guardando sicuramente con disprezzo e disappunto dall’alto.
Un sorriso folle di paura gli increspò il viso mentre correva. Non riusciva a fare a meno di ridere, era una reazione che non controllava quando era terrorizzato. A volte gli accadeva anche quando soffriva, quando era morta sua sorella ad esempio. Gli veniva una risata isterica che le persone intorno a lui confondevano con follia o sadismo. In un certo senso gli faceva comodo, perché quella reazione a volte spaventava le persone.
Le radici sul suo percorso iniziarono a sollevarsi dalla loro posizione e a stiracchiarsi, come gambe addormentate. Si sgrullavano la terra e si protendevano per afferrarlo.
Il terreno iniziò a smuoversi e a tremare, un altro cadetto venne cacciato fuori dal suo nascondiglio e iniziò a correre parallelamente a lui.
Silas vide le radici tendersi per afferrarlo. Schivò la prima, ma non riuscì a evitare la seconda. Gli si avvolse intorno alla gamba e rovinò a terra, sbattendo il mento. Iniziò a sanguinargli copiosamente e con una smorfia tentò di tirarsi su, ma le radici lo stavano ricoprendo.
‒ Aiuto! ‒ urlò verso l’altro cadetto.
Questo gli passò accanto, ma non osò fermarsi, troppo spaventato. Silas allora lo afferrò per le gambe nel tentativo di tirarsi su e lo fece cadere a terra nella trappola di radici.
‒ No, lasciami! Figlio di puttana ‒ urlò il cadetto, dimenandosi.
Silas sentiva Visnia a pochi passi da loro che rideva a vedere quella scena pietosa. Con le braccia strette nella morsa iniziò a evocare la magia nel tentativo di contrastare quella della regina. La fronte gli si imperò di sudore e il sangue dal mento prese a scorrere più velocemente. Era uno sforzo titanico, gli sembrava di provare a spezzare il metallo con le mani. Bastava allentare un po’ la morsa per fuggire, solo questo.
Le radici si allentarono appena e lui sgusciò fuori, agile.
‒ Non lasciarmi qui! Ti prego! Aiutami! Perché lo hai fatto?
Il cadetto gli afferrò una gamba. Silas in preda al terrore gli assestò un calcio e scivolò indietro. ‒ Mi dispiace ‒ balbettò.
Il pensiero di aiutarlo non lo sfiorò neppure. Lui o me.
Si rialzò e ricominciò a correre, mentre il cadetto urlava, stritolato dalle radici. Quel suono gli squarciò qualcosa in testa, gli venne da vomitare, ma continuò a correre senza fermarsi.
Non andò lontano.
Alcuni rampicanti pieni di spine gli si avvolsero intorno alla mano e venne tirato indietro con forza. Ricadde a terra con un tonfo che gli tolse il fiato.
Un mezzuomo coriaceo, ma pur sempre un essere a metà.
I rampicanti iniziarono a stringersi e le spine gli bucarono la pelle. Soppresse un urlo man mano che la morsa si stringeva. Le dita si accavallarono una sull’altra e le ossa si ruppero. La pelle della mano sanguinava per le spine e lui iniziò a urlare.
Visnia con un gesto delle dita mosse i rampicanti, che iniziarono a trascinare Silas verso di lei.
Pensa Silas, pensa.
C’era sempre un modo, bastava arrivarci e tentare.
Ma in quel momento il dolore della mano martoriata e le urla coprivano tutto il resto.
 
 
 
Kieran non ebbe difficoltà a ritrovarli, le urla di Silas squarciarono il silenzio del bosco. Erano urla strazianti e quando arrivò sul luogo col cuore in gola ne capì anche l’origine.
Silas era terra, i rampicanti stavano riducendo la sua mano destra a una poltiglia di sangue mentre lo trascinavano verso Visnia.
Si guardò intorno, disperato, ma non sapeva come intervenire, come aiutarlo. Spararle sarebbe servito a poco, era troppo vigile e veloce per i proiettili, forse sarebbe riuscito a colpirla una volta, ma non sarebbe bastato.
Ebbe un lampo di lucidità e si ricordò della granata. Con foga aprì la sacca ed estrasse la granata di ferro runico avvolta in un panno. Si concesse un sorriso disperato, ma le urla di Silas lo incalzarono.
Lanciò la granata con forza, contro la testa di Visnia. Questa la afferrò con un gesto rapace e spostò gli occhi a osservare l’arma.
Kieran perse pian piano il sorriso.
Non la aveva attivata.
Non aveva sfilato il beccuccio in cima.
S’impedì di cadere sulle ginocchia, mentre si odiava di un odio così feroce, che se avesse potuto uccidersi all’istante lo avrebbe fatto.
Buono a nulla. Idiota, ritardato, incapace, figlio di puttana.
Ogni parola aveva la voce di suo padre.
Aveva condannato tutti loro. Aveva commesso un errore madornale. Gli avevano affidato la granata e lui non solo si era scordato di averla, ma la aveva appena sprecata. Aveva deluso tutti, e ora sarebbero morti.
Visnia con aria annoiata lanciò la granata dietro di lei, disinteressata, e tornò a concentrarsi su Silas. Doveva avergli dato un attimo di tregua, perché le urla erano cessate momentaneamente, sostituite da lamenti, ma erano appena ricominciate.
Kieran aveva gli occhi pieni di lacrime, ma scorse un luccichio dietro Visnia, lontano fra gli alberi. Mise a fuoco e vide Jean sdraiata su un rialzo col fucile in mano, un occhio socchiuso.
‒ Muori mostro immondo! ‒ urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Sparò.
Visnia si scostò d’istinto, ma il proiettile non era diretto a lei. Colpì la granata caduta a terra accanto alla regina, che esplose con un rumore assordante.
Kieran si buttò a terra, mentre centinaia di lame e chiodi di ferro runico esplodevano tutto intorno. Il frastuono dell’esplosione risuonò per il bosco.
 Visnia emise urli striduli e grotteschi man mano che i pezzi di metallo la trapassavano e la ferivano. Si schermò con le ali, che vennero ridotte a brandelli e stracciate.
Kieran la guardò proteggersi e realizzò che la granata non la avrebbe uccisa. Sanguinava da decine di buchi, ma era ancora in piedi, impazzita di rabbia. Dalla sua bocca colavano sangue e piccoli baccelli bianchi che vomitò a terra insieme ad alcuni fiori. Aveva la mascella spaccata, un pezzo di metallo le aveva trapassato la guancia.
Era un’immagine orrifica, crivellata di buchi e ferite, le ali ridotte a pochi brandelli sanguinanti, il collo sporco di una sostanza biancastra.
Ma era ancora in piedi.
Prese fiato e lasciò uscire un urlo così devastante che la terra sembrò tremare. Gli uccelli si alzarono in volo e gli animali storditi dall’esplosione si ripresero e fuggirono in un lampo.
Kieran non attese che si riprendesse. Estrasse la spada e corse verso di lei con passi grandi e veloci.
Visnia voltò la testa martoriata verso di lui e la inclinò, i brandelli di carne che pendevano lì dove era stata bucata.
Dalle sue dita scaturì un fiotto di magia necrotica, che si tese fino a lui come uno schizzo di fango denso. Kieran però lo schivò con una scivolata e continuò a correre. La fata lanciò uno strillo di rabbia e frustrazione, l’occhio sopravvissuto talmente gonfio e sanguinante da sembrare un bocciolo pronto a schiudersi.
Vide la magia formarsi di nuovo fra le sue mani e le radici intorno a lui si mossero repentine. Saltò in avanti e ricadde violento con una capriola goffa, ma si rialzò con un colpo di reni e accelerò.
Visnia però fu più veloce stavolta e non gli diede il tempo di schivare la sua magia necrotica. Kieran decise che la avrebbe presa in pieno e avrebbe resistito pur di uccidere quell’essere. Poi, sarebbe morto, ma la avrebbe portata con sé.
Un’ondata di vento però scostò la nube di necromagia. Kieran guardò alla sua destra e vide il braccio libero di Silas proteso verso di lui. Il suo viso era una maschera di dolore, ma con l’ultimo fiato rimastogli in corpo aveva trovato la forza di evocare una magia e far uscire un debole soffio di vento per proteggerlo.
Bastò.
Si lanciò sul corpo di lei e la trafisse al torace con la spada. La gabbia toracica fece resistenza, ma lui non si trattenne, usò tutta la sua forza per sfondarla. Le ruppe le ossa mentre la trafiggeva. I suoi artigli gli aprirono tagli sulle braccia e il viso, ma Kieran non si fermò e continuò ad affondare. Gli urli striduli di quella creatura ormai avevano perso ogni traccia di umanità.
L’occhio osservò Kieran e una luce sinistra si mosse al suo interno.
‒ C’è ancora tempo per lui. L’Ailanto giungerà. E il sole tramonterà per sempre sull’umanità.
Dopo pochi attimi fu tutto finito. La tensione gli si sciolse dal corpo, le ferite, la stanchezza e la paura provata presero il sopravvento. Ricadde indietro lasciando l’elsa della spada. Perse i sensi prima di poter raggiungere Silas.
 
  
 
Un raggio di sole s’insinuò fra i suoi occhi socchiusi. Li strizzò con un leggero fastidio e iniziò ad aprirli a poco a poco. La sua vista incontrò un soffitto di tela scuro e una lama di luce che s’infilava da un’apertura sull’ingresso.
Cercò di tirarsi su, ma alcuni dolori lo pervasero, riportandolo sdraiato. Si accorse di essere su una brandina, avvolto in morbide coperte. Aveva alcune fasciature dove era stato ferito al fianco. Voltò lo sguardo, smarrito. Non ricordava cosa fosse accaduto, era stato soltanto un terribile incubo?
Dopo pochi attimi comprese di trovarsi in una grande tenda d’accampamento. Accanto a lui c’era un’altra brandina su cui dormiva Silas Vaukhram col respiro appena udibile.
Aveva il mento fasciato e alcuni tagli sul viso, la mano era interamente fasciata fino all’avambraccio e tenuta sollevata da alcuni lacci.
Gli bastò vedere Silas per ricordare tutto ciò che era accaduto. Si tirò a sedere di scatto, ignorando il dolore. Aveva indosso solo dei pantaloni di tela e non aveva idea di dove si trovasse.
Fuori dalla tenda si sentivano voci, ordini impartiti e carichi spostati.
Dove siamo?
L’ingresso della tenda venne scostato e il sole invase l’interno; si portò una mano al viso per schermarsi e in controluce distinse a malapena la figura sull’entrata. Richiuse la tenda e si avvicinò nella penombra.
‒ Kieran? Ti sei svegliato?
Riconobbe subito quella voce ferma e autoritaria: William.
Il rettore prese uno sgabello e si sedette accanto alla sua brandina. I suoi occhi erano invasi da venature nere di preoccupazione. Indossava con eleganza la divisa da ufficiale e l’armatura, le stelle appuntate sul petto; i capelli scuri erano legati in un codino ordinato che nascondeva le orecchie a punta.
‒ Come ti senti?
‒ Signore ‒ salutò, in uno scarso tentativo di mettersi sull’attenti. ‒ Bene, sto bene. Cos’è accaduto?
Il rettore alzò un sopracciglio. ‒ Questo dovrai dirmelo tu. Siamo arrivati ieri notte in aeronave dopo che la vostra squadra non era rientrata dall’Iniziazione.
‒ Quanto tempo è passato?
‒ Il sindaco ci ha detto che tre giorni fa siete stati ritrovati presso il fiume insieme agli abitanti del villaggio sopravvissuti. Vi hanno portato nel villaggio e curato, ma la maggior parte di voi non si è svegliata se non due giorni dopo. Forse siete stati colpiti da una magia fatata. I miei uomini stanno setacciando il bosco, ma sembra non sia rimasta alcuna fata sopravvissuta.
Kieran aggrottò la fronte, confuso. Com’erano arrivati al fiume? Non ricordava più nulla dopo lo scontro con Visnia. Forse le fate sopravvissute li avevano portati lì.
‒ C’erano altre fate alla corte?
Ricordò la promessa fatta a Zario e scosse la testa. ‒ No, erano tutte morte ‒ rispose.
William annuì. ‒ Quando starai meglio mi scriverai un rapporto completo su cos’è accaduto. Lo farete tutti. Quando non ho visto tornare la tua squadra… ‒ s’interruppe per un attimo e si inumidì le labbra. ‒ Non parliamone adesso. Devi riposare.
‒ E Silas? Silas come sta?
Il rettore spostò lo sguardo sull’altro ragazzo addormentato. ‒ Si riprenderà, ma dovrà essere visitato dai maghi del Diaspro. Ha consumato troppa magia ed è in una sorta di letargo, non sappiamo quando si sveglierà, ha spinto il suo corpo oltre il limite, potrebbe rimanere addormentato per settimane. La sua mano inoltre è messa piuttosto male, o almeno quello che ne rimaneva.
‒ Gliela rimetteranno a posto? ‒ domandò ansiosamente.
William sospirò e lo spinse sdraiato con una leggera spinta. ‒ Non preoccuparti adesso. La famiglia Vaukhram è ricca e potente, hanno innumerevoli risorse. Il giovane Silas starà bene. Siete entrambi sopravvissuti contro una fata molto potente. Mi hanno raccontato che sei stato tu a ucciderla.
Gli sembrava irrilevante in quel momento. ‒ Gli altri? Come stanno i cadetti? E Kenna?
‒ Dopo potrai vederli. La bambina di cui parli mi ha detto di darti questo. Tieni.
Gli porse un piccolo ramoscello a cui era legato un messaggio. Kieran lo srotolò.
La betulla è viva. Ti è grata.
La calligrafia era troppo elegante per essere stata scritta da quella bambina indisciplinata. Forse la aveva aiutata il sindaco.
Realizzò che parlavano di Zario. Doveva essere sopravvissuto; li aveva addormentati e riportati vicino al villaggio, poi era partito forse con gli ultimi della corte.
‒ Ha detto che potevi leggerlo solo te ‒ rise William con dolcezza.
Richiuse il messaggio, nervoso. ‒ Voleva ringraziarmi ‒ mentì.
‒ Ma certo. Ora riposa. Non preoccuparti, è finita.
Kieran annuì e rimase sdraiato, sorridendo al rettore finché non fu uscito. Una volta rimasto solo provò a chiamare un paio di volte Silas, ma non ottenne risposta.
Osservò il soffitto della tenda per una manciata di secondi.
Si accorse a malapena di essere scoppiato a piangere. Si girò su un fianco e soppresse i singhiozzi nel cuscino. Lo inzuppò di lacrime, mentre sfogava l’orrore e la paura provati, il sollievo di essere vivo.
Sperava davvero che Silas si svegliasse presto.
Perché era certo che lui non avrebbe più dormito sonni tranquilli.
 

Ciao a tutti!
Siamo alla fine di questa lunga parte nel passato, che dovrò rivedere sicuramente ancora e ancora, specialmente questo capitolo. E' un capitolo parecchio lungo che mi ha consumato, deve essere rivisto in un po' di cose ^^'', ma intanto eccolo qui.
Silas ha cambiato idea per Kieran, ma tutto questo ha avuto delle ripercussioni importanti su entrambi che emergeranno a poco a poco.
Dal prossimo si ritorna nel presente ^^.
 
 

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Capitolo 24
*** Silas ***


 

Silas

XVI



Silas era sdraiato sul lettino accanto a lui in quella tenda soffocante fuori da Orenburg. Il volto era graffiato e sporco, gli occhi chiusi e il corpo nascosto da una coperta ruvida.
Starà bene?
Voleva guardarlo ancora, ma quando si voltò per controllarlo un’altra volta non trovò nessuno.
Il letto della pensioncina era vuoto.
Passò entrambe le mani sul volto, mentre il sogno si allontanava in un groviglio sfocato. Non gli piaceva sognare il passato, soprattutto quando riguardava Silas.
La stanza era illuminata dalle luci fioche dell'alba e al suo interno non c’era nessun altro a parte lui.
Si tirò a sedere con una smorfia, aveva un gran mal di testa. La nausea gli arpionò lo stomaco e lasciò uscire un verso che era a metà fra un rantolo e un lamento.
Si era addormentato con gli abiti della sera prima, aveva i capelli ingarbugliati, un'ombra di barba e alcuni ematomi sul viso.
Silas non era rientrato.
S’inumidì le labbra secche, aveva la bocca impastata e cercò la brocca d’acqua. Bevve un sorso, poi bagnò il collo e la nuca.
Ripensò alla notte prima con disappunto.
Aveva combinato un vero disastro.
Decise di riempire la tinozza e immergerci direttamente il viso. L’acqua fredda gli pizzicò il volto, ma gli diede qualche sollievo rispetto ai pensieri oppressivi che lo tormentavano.
Non poteva dire di non essere più arrabbiato, Silas aveva passato il limite, ma avrebbe dovuto gestire tutto con molta più calma, senza toccare tutti quei nervi scoperti.
Gli ho detto che lo avrei riportato in cella a morire.
Ributtò la faccia nell’acqua e la tirò fuori a malincuore.
Era da un po' che si tormentava con quel pensiero e s'interrogava su che cosa fare.
Riportare Silas in cella era troppo pericoloso.
Avrebbe potuto spifferare tutto sull'evasione e le infrazioni di Kieran, magari non gli avrebbero creduto o magari sì.
Inoltre, per quanto poco importante, Kieran non voleva vedere Silas morire.
Chiuse la manopola arrugginita e le tubature cessarono di lamentarsi. L’acqua era fresca, ma non aveva un odore piacevole. Andò alla piccola finestra e scrutò fuori, distratto.
Lo aveva voluto morto per i primi anni, ma la rabbia poi era scemata. A volte si riaccendeva, sapeva che tutto il rancore e il dolore erano ancora lì, ma le motivazioni di Silas erano complesse quanto le sue.
Non era riuscito a ucciderlo alle Steppe e anche prima del processo aveva provato a evitargli la condanna a morte.
Erano tentativi deboli, perché la sua determinazione era debole. Sapeva che a guidarlo erano sentimenti irrisolti e il bisogno di addormentarsi con la scusa "almeno ci ho provato. Sono diverso da lui".
Ma poi si era spinto troppo oltre.
Che cosa voleva farne di lui?
Si logorava in cerca della risposta. Si era spinto fin lì e per cosa? Non poteva tornare indietro, non poteva riportarlo in cella, dargli una pacca sulla spalla e continuare con la sua vita come se nulla fosse. Non dopo tutto ciò che era successo.
Il suo desiderio di fuggire lo spaventava, era sempre più immenso e incontrollabile.
C'era una soluzione alternativa: fingere la morte di Silas.
L'unico modo era spezzare il vincolo e fingere di aver ucciso Silas. Avrebbe raccontato che il vincolo era uno stratagemma di Vaukhram e che Kieran non era mai stato davvero in pericolo di vita. Avrebbe dovuto riportare delle spoglie, ma con la collaborazione di Silas forse ce la avrebbe fatta.
Questo piano però necessitava della condizione che Silas sparisse dalla circolazione, e Kieran faticava a credere che avrebbe accettato. Era pur vero che la Legione lo aveva ripudiato, non aveva più la sua magia per i sigilli e i danni che poteva provocare erano minori.
Ma se si fosse messo in mostra? Se fosse venuto fuori che Kieran aveva mentito?
Forse a quel punto non sarebbe più importato. Avrebbe spostato Henry e tutte le persone della tenuta il più lontano possibile dalle zone centrali, in qualche terreno sperduto verso il bosco dei miraggi. Lì i controlli erano inesistenti.
Gli investimenti che aveva fatto nel campo industriale sarebbero bastati.
E lui? Lui sarebbe sparito.
Quel pensiero gli dava un sollievo indescrivibile. L'idea di sparire nel nulla, di lasciarsi tutto e tutti alle spalle.
Frenò quel sogno a occhi aperti e cercò di rallentare quei pensieri. Doveva restare con i piedi per terra, pensare a un problema alla volta.
Devo trovarlo.
Non aveva intenzione di scusarsi, soltanto di parlargli con più calma e lucidità. Prima però doveva capire dove diavolo fosse finito.
 
 *
 
Il primo luogo da cui decise di iniziare le ricerche fu lo stesso da cui era fuggito il giorno prima.
Non sapeva come indagare nei pressi della Dama Rossa senza rischiare di incombere in qualche tirapiedi criminoso.
Era plausibile che Silas si fosse rifugiato lì dopo essersi riconciliato con la Dama, per quanto sperava che non fosse così stupido.
Se soltanto il vincolo gli avesse indicato precisamente la sua ubicazione, ma percepiva soltanto che era ancora in città e doveva accontentarsi.
Aveva nascosto il capo con un cappello da gentiluomo e sbirciava l’ingresso del bordello dall’angolo di un edificio storto.
Il tempo era stato inclemente, aveva ricominciato a nevicare sui tetti asimmetrici delle case di Moslon. Alcuni bambini correvano per le strade strillando le ultime notizie e vendendo i giornali per una moneta, le maschere color bronzo avevano piccole scritte sui lati a indicare la professione di quei ragazzini. La mattina erano tutti molto indaffarati, gli operai si erano già recati nelle fabbriche e le donne invadevano le strade; giravano da una bottega all’altra con i volti coperti e i capelli nascosti da cuffie o scialle.
‒ Avevate detto che la vostra merce non viene da Black’s Creek. Ma mia figlia ha vomitato per giorni. Anche queste vengono dalla baia? ‒ domandò diffidente una signora mentre esaminava le verdure.
Il mercante si sistemò la maschera sul volto, che sembrava stargli un po’ larga e aveva una lente in vetro scheggiata. ‒ Mia signora, mi offendete, la mia verdura è soltanto importata. Vostra figlia si sarà ammalata per altri motivi. Non vedete il verde brillante?
Quasi nessuna donna teneva per mano i figli, la maggior parte preferiva lasciare i bambini chiusi in casa, lontano dalle esalazioni.
Kieran pensava con amarezza a quei ragazzini chiusi fra quattro mura, senza potersi sfogare. Nella sua infanzia non gli erano mai mancati gli spazi dove correre, giocare, saltare, il villaggio e poi il Buco erano il suo mondo da esplorare, dagli edifici abbandonati alle misteriose fognature.
‒ Fammela vedere tesoro, aprimi le gambe ‒ implorò un uomo ridendo alla donna che fumava fuori dal bordello.
La ragazza avvolte da un vaporoso abito succinto gli accennò un sorriso, ma non ubbidì all’ordine e continuò a fumare, poggiata contro il muro.
Potrei pagare qualcuno per entrare e controllare. Se solo non avessi finito i soldi.
‒ Oh tu sei il bel ragazzo che accompagnava Silas, non ti riconoscevo con la maschera. Posso aiutarti?
Sussultò e si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con la ragazzetta che si trovava all’ingresso del bordello l’ultima volta che erano stati lì.
Le guance rosse gli occhi giovani erano cerchiati dalla stanchezza. Non era abbigliata come l’ultima volta, aveva un cappotto scuro legato sul collo, e un foulard intorno ai capelli. Non portava una maschera, forse si era allontanata per una manciata di minuti. Teneva sottobraccio un cesto di frutta.
‒ Liv… giusto?
‒ Corretto. Non preoccuparti, la Dama non vi sta più cercando.
Riassunse un po’ di contegno. ‒ Oh, beh, ottimo. Ti ringrazio per l’informazione.
La ragazza si sporse oltre di lui. ‒ Come mai sei qui da solo? Cercavi compagnia?
La strizzatina d’occhio gli suscitò imbarazzo e indignazione. ‒ Cosa? Assolutamente no! Ero qui nei paraggi.
Liv scrollò le spalle. ‒ E dove hai lasciato Silas? Sta bene?
Non lo aveva visto dunque. Non era passato per il bordello. Questo gli dava un certo sollievo che non avrebbe dovuto provare.
‒ Sì, sta bene, te lo saluterò.
Liv gli porse una mela. ‒ Gliela porteresti? Adorava le mele di Moslon quando era qui, vengono dal bosco vicino, sono importate. Per scusarmi…
Kieran prese il frutto verde con un certo divertimento. ‒ Gliele sbucciavi tu immagino ‒ commentò ironico.
Silas in Accademia era molto viziato sul cibo, spizzicava il piatto allontanando tutto ciò che non appariva commestibile ai suoi occhi, come avrebbe fatto un bambino. Spesso rifilava a lui quello che non mangiava alla mensa, e Kieran era molto meno schizzinoso.
Dopo pranzo sbucciava sempre una mela e ne offriva metà a Silas, che si rifiutava di mangiare la buccia. Era diventata un’abitudine.
Liv rise in modo forzato, come se Kieran stesse dicendo una battuta che lei non aveva compreso.
‒ Oh no, Silas le divorava con tutta la buccia. Era famelico. Ora devo andare o la Dama mi farà punire. Saluta Silas da parte mia!
Kieran rimase impalato con la mela in mano. Non si era neanche premurata di dargliene due.
Era stato sciocco con quel commento, Silas non aveva avuto aiuti una volta fuggito dall’Accademia, doveva essere giunto a Moslon con una fame disumana. Inoltre, dubitava che la Dama gli permettesse di fare lo schizzinoso col cibo pagato da lei.
Si doveva essere arrangiato.
Ripensò a ciò che aveva gridato contro Silas la sera prima e un’ondata di rimorso lo investì.
No. Nessuno l’ha costretto a tradire. Nessuno l’ha costretto ad andarsene. Nessuno l’ha costretto ad affrontare questo schifo piuttosto che rimanere.
Già.
Aveva preferito l’infamia, la fuga, la fame, la prostituzione e la violenza piuttosto che la sua vita dorata nella famiglia Vaukhram.
Silas aveva tutto.
Potere, soldi, bellezza, magia. Non gli mancava niente, aveva servitori pronti a stendere tappeti ovunque camminasse e tutte le strade innanzi a lui aperte. Una carriera gloriosa che lo attendeva nel Ferro, offerte di matrimonio come se piovessero, una villa che probabilmente era grande quanto l’intero Buco dov’era cresciuto Kieran.
E aveva rinunciato a tutto. Aveva abbandonato tutto per una vita di stenti, di umiliazioni, di morte e combattimenti.
Perché?
Se lo era chiesto molte volte, senza osare pronunciarlo; ma era una domanda in cui inseriva sempre sé stesso. Perché mi ha lasciato? Perché non mi ha mai detto nulla?
Non si era mai fermato a pensare a un altro perché. Perché aveva rinunciato a tutto?
Aveva spesso pensato che non avesse perso certi privilegi, che avesse conservato una bella sommetta di nascosto, ma non era così.
D’altronde quella notte era successo tutto all’improvviso, Silas non doveva essere pronto alla partenza; le indagini avevano rivelato che il piano della Legione prevedeva un ruolo molto più a lungo termine per Silas, ma quella notte i loro piani erano andati a rotoli. Silas era dovuto fuggire frettolosamente, senza soldi né altro.
In un vezzo di ribellione addentò la mela.
Masticò la polpa friabile con un’espressione contrariata. Non era affatto buona, forse si era abituato male negli ambienti altolocati che aveva preso a frequentare.
E forse per il Silas affamato e in fuga non aveva fatto differenza il sapore.
Chissà se quando le mangiava pensava mai a lui.
 

Girovagò per i vicoli fatiscenti di Moslon senza sapere bene dove andare o dove cercare, passò per la stradina dove Silas lo aveva baciato per prenderlo in giro e ripensò a quell’evento con fin troppo imbarazzo.
Di Silas non c’era traccia e lui sentiva la frustrazione crescere passo dopo passo. Era sempre così, lui che inseguiva e cercava quel bastardo, per parlarci, per ucciderlo, per scusarsi. Silas non era uno che rendeva mai facile qualcosa, alla prima difficoltà lasciava tutto e spariva. Era un comportamento ingiusto che feriva più della rabbia e degli insulti.
Guardò verso l’alto, dove sorgeva il palazzo del Governatore. Non poteva essere stato così sciocco da recarsi lì, giusto? No, sarebbe stato davvero troppo pericoloso.
Il dubbio non lo abbandonò le ore dopo, mentre continuava a passeggiare con il volto coperto dalla maschera. Dopo la notte prima aveva ancora la voce roca e la bocca riarsa, aveva inalato troppi fumi di quel posto.
Ogni tanto buttati fra la neve c’erano corpi di mendicanti troppo poveri per comprarsi una maschera; gli occhi apparivano cisposi e la bocca era coperta da uno straccio di tessuto bagnato.
Camminò fra i pontili del lago, sprofondati per metà nella melma e nelle acque torbide. C’erano alcune chiatte che facevano avanti e indietro fra le banchine e le fabbriche dall’altra parte del lago. Le maschere dei pescatori e dei braccianti erano molto più spesse, di un metallo sporco e spesso, le lenti in vetro large come fondi di bottiglia. Avevano l’intero corpo protetto da tute scure, da guanti e da grossi anfibi ai piedi. Toccare la melma del lago doveva essere tossico ormai. Malgrado ciò si vedevano comunque alcuni bambini soli correre lungo le sponde a piedi nudi, incuranti delle pozze scure che calpestavano. Raccoglievano le cianfrusaglie affondate nella melma, rovistavano, come topi nella spazzatura.
Come hanno ridotto questo posto. Nessuno dovrebbe vivere così.
Ormai Moslon importava quasi tutto, compreso il pesce; c’erano ancora pescatori che si spingevano sul lago, ma le creature vive erano poche e tossiche.
Si raccontava che il lago di Moslon fosse abitato da selkie un tempo, da una piccola corte di fate acquatiche che lo rendevano rigoglioso. Dalle cronache del Ferro sapeva che era vero, ma erano state spazzate via molti secoli prima.
‒ Dove diavolo si è cacciato quell’idiota.
Silas continuava a non essere da nessuna parte. Fu quasi tentato di chiedere aiuto a Helkins ma rinunciò per i rischi.
La neve scricchiolava sotto i suoi stivali, mentre lui ripercorreva nella mente la serata prima, ciò che era stato detto e che non si poteva rimangiare.
Aveva sognato l’Iniziazione, forse perché litigare con Silas gli aveva riportato alla mente quel primo vero litigio serio. Quel primo confronto.
A volte sentiva ancora le urla mentre Visnia stritolava e lacerava la mano di Silas. I mesi dopo non erano stati semplici per nessuno dei due, fra incubi notturni, sensi di colpa e riabilitazione… Silas era stato l’ombra di sé stesso per settimane, l’incapacità di stringere le dita sull’elsa lo aveva colpito più del previsto.
Anche negli anni dopo Silas aveva sempre impugnato le armi nella mano sinistra. Kieran non ci aveva dato più peso, acciecato dalla rabbia, ma ogni volta che Silas aveva avuto difficoltà a respingere un suo attacco o una sua stoccata, la ragione stava proprio nell’Iniziazione. Silas era uno spadaccino eccezionale e quel giorno aveva perso la possibilità di impugnare correttamente la spada con la destra. Imparare daccapo con la sinistra era stato stancante e faticoso per lui.
Si fermò in mezzo alla strada e sollevò il viso verso il cielo, dove nuvole grigiastre si erano annidate. La neve scendeva flemmatica e si poggiava sulle sue ciglia.
Silas. Silas. Silas.
Era come un malessere di cui non riusciva a fare a meno, aveva il suo nome sempre in bocca, sempre in testa, nel passato, nel presente e nel futuro, aveva contaminato tutta la sua vita, ogni spazietto, ogni anfratto. Non riusciva a passare una manciata di minuti senza nominarlo o pensare a lui, senza odiarlo, senza sentire la sua mancanza o avvertire il peso del tradimento. Era un mal di testa che non andava via, s’interrogava sulle sue azioni fino a essere nauseato, fino a capirci meno di quando aveva iniziato a pensarci.
Era stanco di stare dietro ai suoi giochetti, voleva parlare con franchezza.
Ancora un po’.
Sarebbe stato dietro a quel gioco ancora per un po’.
 
 
Susanne era molto meno appariscente con abiti di tutti i giorni, ma ci teneva a mostrarsi sempre elegante. Con il corpetto celeste che le alzava i seni, le maniche bombate, la lunga gonna in stile impero dai bordi ricamati. I capelli erano legati in uno chignon che lasciava due piccole ciocche bionde arrotolate. Gli orecchini di metallo stonavano su quell’accostamento delicato di colori.
Kieran si sentiva molto rozzo col suo cappotto lungo di pelle marrone, gli stivali consunti e la faccia di chi aveva dormito poco e male. Seduto sul divano di quel piccolo salottino elegante aveva paura a sfiorare qualsiasi cosa, dai servizi di porcellana sul carrello, alle statuette esotiche poggiate sopra il caminetto acceso, al tavolino in vetro su cui la domestica stava poggiando il tè e un ricco assortimento di biscotti e macarons.
Sembrava un piccolo soggiorno usato soltanto dalla ragazza, le pareti erano tappezzate da librerie con una scala in legno che scorreva fra di esse, c’era un divano lungo su cui sdraiarsi e due poltroncine. Un gatto panciuto dormiva ozioso sul davanzale imbottito della finestra, mentre un grosso cane stava accucciato di fronte al camino.
Susanne era seduta sulla poltroncina come una regina e sorrise alla domestica. ‒ Grazie Mary, puoi andare. Se qualcuno chiede di me, dì che non voglio essere disturbata.
‒ Ma certo signorina ‒ rispose quella, ritirandosi.
La porta in fondo al salottino si richiuse in un cigolio.
Con un gesto delicato della mano lo invitò a bere. ‒ Prego.
Kieran ubbidì e prese la tazza di porcellana. Accavallò le gambe e cercò di non mostrare quanto fosse a disagio.
Quella stanza profumava di lavanda e legna bruciata, il tè odorava di bergamotto, ma il puzzo dei vicoli melmosi di Moslon era ancora nelle sue narici, e forse anche addosso a lui.
‒ Ieri sono stata… troppo aggressiva. Volevo rimediare, prego, non fare complimenti.
Kieran bevve un sorso e accettò un biscotto dal piattino che gli porgeva. Era tutto delizioso.
La ragazza versò un po’ di latte nel proprio tè e intinse del miele. ‒ Vedere Silas in salute mi ha fatto ricredere su di te. So che hai ancora il coltello dalla parte del manico, ma almeno non sei un brutale assassino.
‒ Il brutale assassino è lui, in realtà ‒ replicò con un certo livore.
Si pentì subito del tono e aggiunse del miele anche al proprio tè. Magari poteva aiutare.
Susanne non negò e bevve un sorso. ‒ Hai ragione, non giustifico le sue azioni. Come mai sei qui, Kieran? Credevo che doveste partire.
Si era scottato la lingua e poggiò un attimo la tazza. ‒ Mi chiedevo… se Silas si nascondesse qui.
La ragazza sbatté le palpebre e represse un sorriso con educazione. ‒ Oh cielo, pensate che gli abbia dato asilo da voi?
Non raccolse la provocazione. ‒ Voglio solo sapere se è qui.
‒ Può darsi. O può darsi di no. Prima vorrei parlare con te.
‒ Non sono qui per questi giochetti, mia signora ‒ e pronunciò l’ultimo appellativo con un certo sarcasmo.
Susanne lo ignorò e osservò distrattamente un quadro alle sue spalle. ‒ C’è una domanda che mi sono sempre posta negli anni, e ora posso rivolgertela; mi sono sempre chiesta quanto tu sapessi di lui, delle sue motivazioni.
Stava cercando di prendere tempo? Non lo sapeva, ma non riuscì a esimersi dal rispondere.
‒ A parte urlare slogan politici e ripetere quattro concetti utopistici sui Discendenti, non mi ha mai detto nulla. Se con te lo ha fatto, beh, sei fortunata.
Detestava quella punta di gelosia nella sua voce. Bevve il tè nel tentativo di nascondere il tono dell’ultima frase.
Susanne ticchettò il bracciolo della poltroncina con l’unghia. ‒ No, non ha mai voluto parlarmene. Molte persone non vogliono parlare del proprio passato per riservatezza. Credo che Silas invece provi vergogna e paura per quello che si è lasciato alle spalle.
‒ Non so se Silas conosce il significato della parola vergogna… ‒ ironizzò.
Susanne accennò appena un sorriso. ‒ Di recente sono stata a Cajasca, vicino all’enorme complesso di fabbriche dei Vaukhram. Hanno eretto un monumento per le vittime dell’attentato, vederlo mi fa sempre molto effetto. Sai come andò esattamente?
Kieran lo sapeva eccome. Solo a ripensarci lo stomaco gli si torse e il viso si adombrò. ‒ Certo che lo so. Silas ha commesso una strage ingiustificata.
‒ Intendo: conosci i dettagli?
Sospirò. ‒ Conosco il modo di agire della Legione e di Silas. Hanno colpito le fabbriche delle più potenti famiglie della Gardenia, dei governatori delle regioni e dei nobili. Di quelle che hanno molti Discendenti. Li hanno danneggiati economicamente. Ogni membro squilibrato di quel gruppo ha il suo metodo, a Silas piace proporre patti e alternative, per giocare.
‒ Per offrire una salvezza.
Agitò la mano, seccato. ‒ Per piacere. Non è così e quella strage lo dimostra.
‒ Non mi hai ancora risposto: conosci i dettagli?
S’inumidì le labbra. ‒ Cornell Vaukhram era nella fabbrica metallurgica quel giorno, per controllare alcuni conti. Silas e il Cinghiale avevano passato i mesi prima a far girare opuscoli e giornali clandestini fra gli operai, alcuni dei quali si erano arruolati fra le loro fila; altri li avevano comprati con i soldi, altri ancora erano membri della Legione stessa. Hanno occupato la fabbrica e Silas ha offerto a suo cugino Cornell lo stesso patto che offre a tutti: venire allo scoperto così che loro non avrebbero toccato gli altri dipendenti, o rimanere nascosto mettendo in pericolo gli operai.
Quello era il modus operandi di Silas.
La scelta.
Tu o loro.
Kieran non aveva mai capito il perché di quel metodo, ma aveva sempre mostrato un suo codice malato e distorto in questo.
Colpiva quando era certo che i proprietari fossero nel territorio della fabbrica, così da poterli ricattare. Se il proprietario della fabbrica accettava di venire allo scoperto per proteggere gli operai, Silas risparmiava sempre tutti. Creava danni ingenti ai macchinari e manometteva in modo definitivo l’edificio, ma non toccava nessuno, neanche il responsabile.
Se si rifiutava, lo andava a prendere con la forza e non era raro che nelle fabbriche scoppiasse il panico e la violenza.
Ma quella volta, la sua primissima operazione, qualcosa doveva essere andato storto.
Cornell Vaukhram si era rifiutato di uscire allo scoperto dalla camera blindata della fabbrica, che era occupata dalla Legione. Aveva abbandonato gli operai al loro destino.
Il Cinghiale era il membro più cruento della Legione, e doveva aver agito per conto suo, prendendo la fabbrica con la forza e uccidendo chiunque gli si opponesse. Con l’arrivo dei gendarmi nella fabbrica era avvenuta poi una vera carneficina.
Silas si era preoccupato solo di uccidere suo cugino, senza curarsi della strage che aveva scatenato col suo giochetto.
‒ Cornell si è rifiutato e lui e il Cinghiale hanno ucciso tutti.
Susanne lo fulminò. ‒ Non andò così.
‒ Ti sbagli.
‒ Ho parlato con diversi operai e responsabili sopravvissuti al massacro. Silas cercò di calmare il Cinghiale, e la violenza avvenne da entrambi i lati. I gendarmi spararono indistintamente.
‒ Silas iniziò quel gioco del caz-… q-quel maledetto gioco, sapeva che suo cugino non sarebbe mai venuto allo scoperto, ha messo in mezzo persone innocenti.
Susanne abbassò lo sguardo. ‒ Hai ragione. Ma era un ragazzino.
‒ Aveva diciott’anni, un’età sufficiente per sapere che poteva trasformarsi in un bagno di sangue.
‒ Non aveva mai partecipato alle operazioni della Legione, gli hanno affiancato il Cinghiale perché sapevano che non gli avrebbe permesso di tirarsi indietro. Tu vedi la Legione come un gruppo di esaltati e pazzi che agiscono senza un senso. Ma ti sbagli. La Legione è in tutto e per tutto una fazione che si oppone al governo. Sono finanziati e ben organizzati, hanno contatti con la Tela, hanno ranghi e gradi molto rigidi, hanno ordini e condanne per insubordinazione. Silas è un loro ufficiale, non è un pazzo che agisce come vuole. Quella era la sua prima operazione e ha cercato di fermare la strage, ma non era abbastanza importante per essere ascoltato.
Kieran non voleva sentire. Susanne era fin troppo di parte, dimenticava che oltre a quella c’erano stati altri episodi, altri eventi, Silas aveva ucciso fin troppe persone, perfezionando il suo metodo.
‒ Non capisco dove tu voglia arrivare.
Susanne aveva finito il tè, mentre quello di Kieran si era freddato. Lo bevve per non darlo a vedere, gli capitava di continuo quando era agitato.
‒ Ti sei mai chiesto perché chieda a queste persone di scegliere se consegnarsi o lasciar morire i propri dipendenti?
‒ Perché adora tenerli in pugno.
Scosse la testa. ‒ Mi deludi, Kieran. Tu sei stato molto tempo con lui e sai che c’è un’ombra atroce dietro queste scelte, queste parole. Un trauma terribile.
‒ Un trauma ‒ ripeté, asciutto.
‒ Credi che sia soltanto pazzo?
Esitò. ‒ In parte, credo che odi la sua famiglia e per delle buone ragioni, ma che questo non giustifichi tutta la violenza.
‒ Sai di sua sorella maggiore?
Il modo in cui cambiava argomento e poneva le domande somigliava quasi a un interrogatorio. Quella ragazza avrebbe fatto faville fra i gendarmi. Continuava a disorientarlo e a metterlo in difficoltà. Senza accorgersene aveva cominciato a sudare.
‒ Euphemia Vaukhram?
Annuì. ‒ Sai com’è morta?
Non ne era sicuro. ‒ Di malattia, Silas mi disse che morì di malattia.
‒ Euphemia venne uccisa dai Vaukhram.
Kieran allargò appena gli occhi. ‒ Lo dici con una certa sicurezza ‒ osservò e si schiarì la voce.
Susanne si poggiò contro lo schienale. ‒ Ho indagato, grazie ad alcune conoscenze. Euphemia era l’erede dei Vaukhram, ma era una spia della Legione. Ha coinvolto Silas quando aveva undici anni.
‒ Undici?
Non riuscì a trattenersi.
Undici anni? Che cos’avevano da chiedere dei terroristi a un ragazzino di undici anni?
Non aveva idea che il suo coinvolgimento fosse così in là nel passato.
‒ Sì, undici. Capisci quindi che l’influenza di sua sorella e della Legione è stata molto opprimente per tutta la sua vita. I Vaukhram scoprirono di Euphemia e la uccisero. È molto difficile ottenere informazioni, ma alcuni ex-dipendenti parlano di altri fratelli e sorelle, misteriosamente scomparsi…
Kieran era scettico. ‒ Si dicono molte cose sui Vaukhram, non vedo perché tu dovresti sapere tanti dettagli. Voci di corridoio e calunnie non sono prove, cara. Perché vuoi trovargli per forza una scusa? Non ti fa sembrare lucida e oggettiva.
Susanne perse un attimo quella sua calma fredda e serrò le labbra. ‒ Lui ha mentito anche a me, sai? Ho cercato risposte… qualcosa. I Vaukhram sono esseri spregevoli e lo sai. Dici a me che sono poco lucida. E tu? Quanto ti ha plagiato il Ferro? Non riesci a pensare con la tua testa?
La rabbia tornò prepotente. ‒ Intanto io non ho mai fatto saltare in aria fabbriche.
‒ Hai dato ordine di una Purga però.
Quell’osservazione freddò le sue parole. Rimase imbambolato con la bocca mezza aperta, chiedendosi come diavolo facesse a conoscere quella storia.
‒ È una faccenda diversa.
‒ Oh non lo pensi davvero. La corte della Mirante, gli ufficiali stanziati in quella zona hanno firmato l’autorizzazione della Purga. C’era anche la tua firma.
L’accusa bruciò più di quanto si fosse aspettato. Forse perché la aveva temuta per anni.
‒ Le fate avevano massacrato i villaggi nei dintorni, avevano rapito e ucciso contadini, viaggiatori, mercanti, tutti quelli che attraversavano quelle zone o ci vivevano. La Mirante aveva perso il controllo, aveva violato gli accordi, sapeva a che cosa andava incontro.
Susanne si sporse e abbassò la voce. ‒ E questo giustificava lo sterminio di tutte le fate sotto il suo dominio? Ettari bruciati, fate fatte a pezzi, bambini uccisi…
‒ Molti furono risparmiati.
‒ Pochi. Le spoglie che ottenne il Ferro però furono inestimabili. Credevi davvero che fosse l’unica soluzione o lo hai fatto per la tua carriera? Ti fruttò un avanzamento di grado o mi sbaglio?
Kieran si alzò in piedi di scatto e la porcellana sul tavolino tremò. ‒ Non parlare di cose che non conosci, sputi sentenze dal tuo castello dorato, come se avessi la più pallida idea di che cosa patiscano i guerrieri di Ferro mandati sul campo. Quelli erano i miei uomini, i miei compagni, uccisi come carne da macello da una fata impazzita. Sai che cosa si prova a trovarsi di fronte a una matriarca fatata e a chiederti se la tua morte sarà veloce o lunga e insopportabile?
‒ Hai percepito accusa nella mia voce? Sto soltanto dicendo che recrimini a Silas quello che hai commesso anche tu.
Kieran non sapeva come replicare. Sapeva di non doversi giustificare, ma non sopportava quelle accuse.
‒ Ero un ufficiale di basso grado che doveva essere riabilitato a causa delle puttanate di Silas. Hai idea delle pressioni che mi hanno fatto per firmare quel documento?
Susanne non lo guardava. ‒ Non so perché tu me lo dica, non credo ti interessi il mio di perdono.
‒ Non cerco il… ah lascia perdere. È stato un errore venire qui.
Afferrò il cappotto che si era sfilato e la maschera, li prese sottobraccio e fece due passi verso la porta.
‒ Partecipasti alla Purga?
Si fermò vicino l’uscita del salottino e si voltò.
‒ No. Il Feldmaresciallo mi richiamò altrove. So che fu…
‒ Un bagno di sangue.
Si passò le mani fra i capelli. ‒ D’accordo, ho capito, io e Silas siamo disgustosi allo stesso modo. Dove vuoi arrivare? Perché ti importa che io lo perdoni?
Si spazzolò il vestito dalle briciole dei biscotti ed evitò il suo sguardo. ‒ Perché devo trovare un senso a… voi. Non mi ha permesso di aiutarlo, ma lo avrebbe permesso a te.
Pronunciò l’ultima sillaba fra i denti, in un atteggiamento che aveva ben poco dell’eleganza eterea che aveva mostrato fino a quel momento.
Kieran sentì un sorrisetto spuntare sul proprio volto contro la sua volontà. ‒ La gelosia non vi si addice ‒ la scimmiottò.
Lei voltò lo sguardo, irritata. ‒ Non è gelosia la mia, è soltanto il mio terribile vizio a voler primeggiare. I miei pensieri sono occupati da… qualcun altro.
Non approfondì ma vide gli zigomi colorarsi appena.
Chissà quale scellerato si è trovata questa volta.
Pensò, con una punta di meschinità. Sapeva di essere l’ultimo a poter parlare.
‒ Silas è qui o no?
‒ No. Non è passato. Ma ha sempre avuto un certo gusto per il melodramma, sarà a bere da qualche parte se lo hai offeso.
Ci mancava soltanto che la Falena andasse in giro ubriaca a far sapere a tutti che era a piede libero.
‒ Non sei stata d’aiuto.
‒ Non era mia intenzione esserlo, Campione.
 
*
 
Kieran rientrò alla pensioncina che era notte fonda; lo stomaco gli brontolava e in pochi giorni li avrebbero sfrattati. I biglietti per l’aeronave avevano validità cinque giorni, ma di questo passo non sapeva se le cose si sarebbero aggiustate per allora.
Rimase seduto a letto con la pancia vuota e una sensazione di abbandono fin troppo familiare.
Lo stava facendo di nuovo.
Kieran aveva parlato in modo troppo aspro e Silas era sparito, proprio come dieci anni prima.
Diede un calcio alla sedia più vicina, rabbioso.
È un vero figlio di puttana.
Ringhiò nella sua mente, furioso. Gli sembrava quasi di essere dentro a qualche mito perverso degli antichi, una costellazione ferma nel cielo, sempre intenta a raggiungere qualcuno che non avrebbe mai afferrato. Sempre alle calcagna di qualcuno che gli sarebbe sempre sfuggito.
Come se io volessi tutto questo. Non doveva andare così.
Perché non aveva misurato le parole? Forse Silas voleva ingannarlo o forse… no, l’altra opzione lo terrorizzava ancora di più. L’idea che stesse provando a rassicurarlo e forse a confidarsi.
Voleva crederci, voleva abbandonarsi a quella prospettiva, ma non poteva permetterselo.
Che cosa sto facendo?
Chissà dove si sarebbe trovato se avessero giustiziato Silas settimane prima. Una voce gli suggeriva che non se la sarebbe passata tanto meglio.
Devo dormire. Domani cercherò nei pub.
Guardò verso la finestra storta e sgangherata, domandandosi se Silas non stesse dormendo all’aperto fra i fumi tossici. Da solo.
 

Passati altri due giorni, aveva iniziato a perdere le speranze. Senza soldi e senza cibo si trascinava in giro per la città, afferrando chiunque gli ricordasse Silas di corporatura e chiedendo in giro di lui. Oscillava fra momenti di rabbia e rassegnazione, voleva rinunciare a cercarlo, aspettare che tornasse da solo, ma non era nel suo carattere.
La pensioncina lo avrebbe mandato via l’indomani e lui non sapeva più che cosa fare.
Senza Silas non poteva partire, o la lontananza li avrebbe uccisi. Ma restare lì in quelle condizioni sarebbe stato impossibile.
Aveva contattato Helkins solo per poter mangiare, gli aveva dato appuntamento in un pub e si era fatto offrire del cibo. Non aveva mai avuto problemi a sfruttare le persone o a manipolarle, quel tipo di orgoglio apparteneva più a chi non aveva dovuto ingannare la gente fin dall’infanzia per andare avanti. Era vero però che lo infastidiva, perché non riusciva a credere di essersi ridotto a questo.
Helkins era stato più professionale e aveva condiviso con lui la sua pista; era così precisa, che Kieran non era neanche riuscito a godersi il pasto tanto atteso.
Helkins sospettava che Silas fosse stato aiutato dall’interno.
Per sua fortuna le sue ipotesi riguardavano più che altro l’intervento del Diaspro o di qualche mago, perché l’evasione era difficile da spiegare e la magia usata doveva venire da un artefatto potente.
Il gessetto gli era pesato nella tasca e per qualche secondo si era chiesto se ci fosse un modo per usarlo, per trovare Silas.
Kieran però non sapeva quasi nulla di magia, se non qualche fattura elementare; senza la guida di Silas non avrebbe saputo neanche da dove iniziare, gli artefatti non erano come oggetti onnipotenti capaci di accogliere le richieste e realizzarle. Dovevano essere studiati e maneggiati in un certo modo. Funzionavano come le armi; lo stocco più pregiato e appuntito sarebbe stato comunque inutile nelle mani di qualcuno che non aveva mai praticato la scherma.
Kieran allora si era prodigato per depistare Helkins. L’importante era parlare di supposizioni e anche contraddirsi o ritrattare, accogliere i suggerimenti di Helkins stesso o innestargli un’idea.
Di solito era facile lasciare che un proprio piano maturasse nella mente dell’interlocutore tanto da convincerlo di aver avuto lui quell’idea senza l’influenza di nessuno.
Helkins però era più acuto di così e non fu facile. Parlarono per quasi due ore, consultarono le mappe, ordinarono altro da bere.
Kieran aveva il vantaggio della conoscenza, ma non doveva tradirsi.
‒ Se capiamo la sua destinazione, lo avremo in pugno.
Già.
Gli sembrò quasi di vedersi dall’esterno; un corrotto, un manipolatore, pronto a sabotare le indagini e a coprire un terrorista.
Verso la fine della serata, avevano stabilito di seguire due piste diverse così da coprire più terreno. Kieran sarebbe andato verso Cajaska, Helkins verso Grayville.
Era inutile dire che Kieran non si sarebbe mai recato davvero lì. Ma avrebbe incluso Helkins nel piano; se avesse finto la morte di Silas, avrebbe dato metà del credito a lui, così da evitare che facesse ulteriori indagini.
Quando il pub era ormai pieno soltanto di gentiluomini ubriachi e giocatori incalliti, Helkins aveva messo via le carte e aveva offerto a Kieran una pinta di birra. L’atteggiamento professionale aveva lasciato il posto a un viso più rilassato e a un sorriso indagatore. Si era acceso un sigaro e aveva iniziato a chiedergli della sua vita, di alcune voci su lui e una donna non identificata.
Kieran gli aveva fatto credere di essere brillo, così da fargli abbassare la guardia.
‒ Voglio sapere una cosa sola Reed. È vero che te lo sei scopato?
La domanda gli aveva suscitato parecchio fastidio, ma aveva bevuto per nascondere la smorfia.
‒ Perché lo pensi?
‒ Perché molti lo pensavano, quando eravate cadetti.
Kieran aveva un braccio poggiato sul legno del tavolo. Voleva davvero andarsene.
‒ No, non è mai successo.
‒ Dici sul serio? Ah lo sapevo, sei un tipo troppo rigido. Ti ho messo in imbarazzo? Dimentico che sei ancora un moccioso per alcune faccende. Non prendertela, gli aristocratici sono tutti degli snob con una scopa nel culo in fin dei conti.
Helkins non parlava in modo derisorio, era curioso e malizioso. Gli piaceva parlare di argomenti ritenuti tabù, aveva un interesse per la sessualità degli altri che era quasi genuino, il suo modo di spiazzare le persone e scandalizzarle.
Kieran voleva rispondergli di pancia, sbottare che non erano argomenti appropriati, che non voleva ripetersi, che non erano affari suoi. Ma era una buona occasione per far credere a Helkins di avere qualcosa su di lui, che Kieran si fidava al punto da aprirsi.
Si finse nervoso, ma non dovette impegnarsi molto. ‒ Una volta ‒ mentì. ‒ Una volta sola. Ma non mi piace parlarne. È stato uno sbaglio giovanile.
Helkins scoppiò a ridere e ordinò un’altra birra. ‒ Oh se solo i miei sbagli avessero quell’aspetto ‒ sghignazzò ubriaco.
La sera continuò ancora con quel tenore finché il proprietario non gli chiese di andare via. Kieran era sobrio, ma finse una camminata barcollante. Helkins iniziò a parlare di una festa a casa di un fabbricante di maschere molto abile e molto libertino.
Kieran si ritrasse e, dopo averlo salutato, s’incamminò verso la pensioncina.
Almeno quella serata, per alcune ore, era riuscito a togliersi Silas dalla sua mente. Era inconcepibile come una persona assente potesse essere così opprimente e ingombrante. Non era lì, eppure risucchiava ogni pensiero, ogni riflessione.
Ritornò nella pensioncina accompagnato da piccole fitte speranzose. Forse era rientrato, forse era dentro.
Ma quando aprì la porta, si ritrovò di nuovo solo. Gli oggetti erano tutti allo stesso posto, nessuno era passato.
Richiuse la porta con delicatezza e assaporò la delusione amara di tornare in una stanza vuota. Era intrappolato in una sorta di pantomima tragicomica del suo passato, le stesse emozioni, le stesse speranze e le stesse delusioni. Ma se in passato ci si abbandonava disperatamente, ora era più consapevole. Avrebbe dovuto sapere che Silas non sarebbe tornato, lo avrebbe torturato ancora col suo distacco, il suo sangue freddo. Come riusciva a mantenere quell’atteggiamento imperturbabile?
Si abbandonò sul letto, stanco. La sua mente era fiacca, provata, perché si perdeva negli stessi percorsi ancora e ancora. Fra un vicolo cieco e un altro riuscì a trovare il sonno.
 
 *
 
‒ Che idea ti sei fatto sul maestro Francis e la sua morte?
Kieran sentì la propria voce porgere la domanda, ma finse di non sentirla. Continuò a guardare le fitte righe del tomo di magia che stava studiando.
‒ Vauk? Non ignorarmi!
Due mani gli chiusero il libro con uno sbuffo e alzò gli occhi. Osservò il proprio volto di fronte a sé, ma più giovane, più sorridente, meno scavato.
‒ Lo stavo leggendo quello ‒ si udì borbottare.
La voce di Silas. La propria voce.
Un altro sogno. Sono di nuovo Silas.
Sentiva più nitidezza rispetto all’ultima volta, ma non aveva il controllo. Alcuni elementi si sfocavano, i volti sparivano e si ricomponevano come un’immagine riflessa nell’acqua, un mondo specchiato e deforme.
‒ Pensi che lo abbiano ucciso? ‒ chiese a voce bassa.
Silas si riprese il libro e non rispose.
Kieran sapeva di doversi allontanare da quel sogno, da quei ricordi, ma stavolta scelse di rimanere.
Voleva sprofondarci dentro, scavare, esporre ogni pensiero, ogni emozione. Voleva smontare la mente in cui si trovava, la mente legata alla sua e vedere se fra tutte quelle bugie e quegli atteggiamenti costruiti ci fosse… Silas.
‒ Non lo so, Reed, potrebbe essere stato un suicidio. Altrimenti questo posto pullulerebbe di guerrieri del Ferro e gendarmi, avrebbero interrogato tutti i cadetti.
La verità che veniva distorta dalle sue parole. A quel tempo Kieran era ancora troppo inesperto per cogliere quella bugia, ma ora la percepiva chiaramente. Una mezza verità era sempre il modo migliore di mentire.
Il maestro Francis era precipitato dalla balconata della torre del telegrafo, schiantandosi al suolo. Il gesto era stato dichiarato un suicidio all’inizio, ma poi era venuta fuori col tempo la colpevolezza di Silas.
La sua prima vittima.
Scava.
Qualcosa gli faceva resistenza. Una forza che si opponeva al suo rovistare, che tentava di scacciarlo, di bloccarlo.
Doveva essere la mente di Silas. Era ben più forte di molte altre alle magie, era temprata e allenata, inoltre il suo sangue fatato gli concedeva una certa resistenza.
‒ Ti ho chiesto che cosa pensi davvero ‒ mormorò il Kieran del ricordo, tamburellando sul proprio libro di storia del Ferro.
Silas studiava il volto di Kieran con emozioni che lo imbarazzarono. Non aveva mai pensato che qualcuno potesse vederlo a quel modo. La linea della mascella, gli occhi grandi e caldi, i capelli rossi disordinati. Avvertiva l'affetto e il desiderio di Silas, un'emozione intima e innocente, segreta.
Ma era un sentimento superficiale. Doveva andare più a fondo.
Silas abbassò il viso e tornò a osservare il tavolo, ma la vista era sfocata.
Tremava.
Kieran voleva sfondare ogni resistenza e setacciare il sogno fin nei suoi anfratti più intimi, ma si fermò prima di violare la mente e i ricordi di Silas.
Lasciami entrare.
Non fece alcuna forza, ma le emozioni di Silas lo invasero. All’inizio fu un brivido, una sensazione, poi fiorirono ovunque e lo pervasero.
Paura.
No, vero e proprio terrore. Un fiume in piena che non si era aspettato, si sentì travolgere. Terrore che Kieran potesse scoprirlo, che tutti potessero scoprire ciò che aveva fatto.
Era stato un incidente, avevano lottato e il maestro era precipitato di sotto. Lo aveva sorpreso mentre comunicava con la Legione, non avrebbe dovuto usare il telegrafo…
Lo avrebbero ucciso, lo avrebbero smembrato. Avrebbero indossato le sue ossa e la sua carne come ninnoli da consumare. Come avevano fatto con sua sorella, come avevano fatto con tutti gli altri. Sarebbe stato capace di uccidersi prima? Lui non voleva morire.
E Kieran lo avrebbe scoperto. Lo avrebbe odiato e ripudiato come tutti gli altri. Doveva dirglielo, doveva confessare, doveva chiedergli perdono per quegli anni di bugie, spiegargli ogni cosa, spiegargli dei Vaukhram.
In quel modo lo avrebbe solo coinvolto di più. Doveva prendere le distanze, smettere di rivolgergli la parola, allontanarlo di fronte a tutti, prenderlo a pugni. Se lo ripeteva ogni settimana, e ogni settimana era di nuovo lì.
Finché era stato con Susanne era riuscito a toglierselo dalla testa, a mettere una distanza fra di loro, ma adesso era di nuovo al punto di partenza.
‒ Silas? Ti senti poco bene? Stai sudando.
Le dita di Kieran gli sollevarono una ciocca e lui si ritrasse bruscamente. Trattenne il fiato e ogni emozione.
‒ Sto bene. Sono solo stanco.
Si afflosciò sulla sedia e decise di smettere di pensarci. Fai tuo quel male. Rigetta il sangue.
 
 *
 
Kieran rinvenne dal sogno con un sapore acido in bocca, ma evitò di muoversi perché sentì qualcosa di freddo premuto contro la gola.
‒ Non muoverti.
La voce di Silas era bassa e ferale.
Sbatté le palpebre per mettere a fuoco, mentre riprendeva coscienza dal sonno.
Sembrava ancora notte fuori dalla pensioncina, il vento ululava contro i vetri e le persiane sbattevano; la neve si era accumulata sul davanzale e alcuni spifferi gelidi invadevano l’interno.
Kieran però era concentrato soltanto sulla figura di fronte a lui, illuminata debolmente da una candela che tremolava a ogni spiffero. La cera era colata ovunque e lo stoppino si era quasi consumato del tutto per la sua dimenticanza.
Silas era accanto a letto con un pugnale in mano. La sua silhouette era poco visibile nella penombra, ma quando la candela lo illuminava proiettava un’ombra ben definita sul muro e mostrava gli occhi violetti febbricitanti. Aveva i lacci della blusa slacciati e i capelli sciolti coperti di brina, come se si fosse precipitato da lì senza aspettare che finisse la tempesta.
‒ Silas?
Non riuscì a nascondere il sollievo nella propria voce impastata dal sonno. Era così felice di vederlo che si vergognò di quell’emozione, ma non gli importava di reprimerla in quel momento, voleva soltanto parlare.
‒ No, sono il Gran Consigliere ‒ rispose con un’alzata d’occhi vertiginosa.
Kieran tentò di tirarsi a sedere, ma la lama spinse contro la pelle in modo doloroso.
‒ Non muoverti.
‒ Non essere sciocco, se mi uccidi morirai anche tu.
Silas non sembrò intimorito dalla minaccia. ‒ Forse è quello che farò. Brutto figlio di puttana, hai approfittato del vincolo per scavare nei miei ricordi.
Se n’è accorto?
Lo stesso Kieran ne era a malapena cosciente. ‒ Eri sveglio? Dov’eri? Dove sei stato?
‒ No, dormivo, ma l’ho percepito. Ho studiato la magia molto più di te, hai tentato di violare i miei ricordi. Sei davvero un bastardo…
Cercò di fare movimenti lenti. ‒ Non l’ho fatto per scoprire segreti sulla Legione. È stato… non ho resistito.
Sentì una puntura sulla gola e fu certo che si fosse aperto un piccolo taglietto.
‒ Che scusa ridicola sarebbe? Se userai il vincolo per leggere nei miei ricordi, allora tanto vale morire qui. I miei pensieri sono miei, miei e di nessun altro. I sogni su di te mi sono stati forzati e ho cercato di rispettare la tua mente. Sciocco da parte mia credere che avresti avuto lo stesso rispetto.
Si sentì colto in flagrante, ma non aveva agito per ledere. ‒ Posso parlare? Mi togli il coltello dalla gola?
Silas sembrò valutare davvero se ascoltarlo oppure no. Aveva gli occhi offuscati.
‒ Perché dovrei farlo? Io morirò in ogni caso, o mi sbaglio?
La mano era ferma, ma la voce esitava. Kieran notò solo in quel momento che appariva provato. Dov’era stato in quei giorni? Dove aveva dormito, che cosa aveva mangiato?
‒ Perché non voglio dire ciò che devo dire con un pugnale puntato alla gola. Non voglio che sembri condizionato da questo.
Silas aggrottò la fronte a quelle parole, perplesso. Ritrasse il polso e rinfilò il coltello nel piccolo fodero al fianco.
‒ Tanto posso sempre tagliare la mia di gola per ucciderti. Anche se non mi darebbe la stessa soddisfazione.
Il tono teatrale strappò quasi un sorriso a Kieran, ma lo abbandonò presto e s’inumidì le labbra.
‒ Innanzitutto, dove sei stato? Ti ho cercato ovunque.
Silas si chinò per sfilare gli stivali fradici che aveva ai piedi e si sgrullò la neve dai lunghi capelli scuri. ‒ Non sono stato al freddo se ti preoccupi per me ‒ rispose con tono stucchevole. ‒ Avevo bisogno di trascorrere qualche giorno senza vedere la tua faccia.
Kieran annuì in modo distratto. ‒ Moslon non è così grande, ma non sono riuscito a trovarti. Sei sempre stato bravo a sparire.
‒ Non così bravo ‒ lo contraddisse e accese un’altra candela con un fiammifero. ‒ O non mi avresti mai preso.
La luce proiettò subito le loro ombre sui muri scrostati. Fuori il vento era talmente violento che sembrava che una creatura stesse tentando di forzare la loro finestra.
‒ Non ti riporterò in cella.
Silas ripose i fiammiferi e spostò gli occhi su Kieran con lentezza estenuante.
‒ Cosa stai dicendo?
Un lampo illuminò a giorno la stanza. Si passò le nocche sulle labbra secche, pensieroso. ‒ Non ti riporterò da loro, quando avremo spezzato il vincolo, ognuno andrà per la propria strada.
Fu pervaso da un sollievo che non credeva possibile, una sensazione corroborante di libertà. Pensare che aveva rimandato così tanto quella decisione nella sua testa, terrorizzato, e sarebbero bastate poche parole per farlo sentire meglio. Aveva temuto che il senso di colpa lo soverchiasse, ma invece si rimpicciolì, si eclissò di fronte a un trionfante ed egoistico sollievo.
Aveva già provato quella sensazione e sapeva quanto fosse pericolosa, ma di recente aveva assaporato il piacere di scacciare un onere insostenibile e non era pronto a rinunciarci.
La vita di Silas non finirà per causa mia. Non sarò io il giudice né il boia.
Era debole, codardo o forse soltanto egoista, non gli importava. Quella non era una decisione che prendeva per Silas. Quella era una decisione che prendeva per sé stesso.
Doveva andare fino in fondo.
Aveva respinto con tutte le sue forze l’oppressiva presenza di Silas nella sua mente, la aveva rifiutata, soppressa, denigrata. E non era servito a nulla, anzi, aveva peggiorato tutto.
Se Silas era così influente sulle sue azioni, sul suo umore, sulla sua vita, era giunto il momento di smettere di averne paura e di iniziare a capire il perché.
Forse non ci sarebbero state altre occasioni.

 

Ciao! Vi chiedo scusa per questa lunga pausa, ma mi sono cambiati gli orari a lavoro e ho dovuto un attimo riabituarmi. Un capitolo di passaggio, ma importante per Kieran e la sua risoluzione. Malgrado il titolo il povero Silas è comparso poco ^^'', ma è stato centrale.
Nel prossimo avremo finalmente un benedetto confronto.
A presto e grazie mille per la pazienza e i commenti, risponderò a quelli che mi mancano domani, vi chiedo scusa se a volte ci metto tanto, ma voglio rispondere in modo approfondito a quello che mi dite! Buona lettura :)

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Capitolo 25
*** Tempismo ***




Tempismo

XVII
 

La donna di fronte a lui indossava l’uniforme in modo impeccabile, i bottoni dorati luccicavano nella cabina in penombra. Era sera e l’Amaranta solcava le nuvole indisturbata. Era uno degli ultimi modelli di aeronavi, più piccola e dinamica, veloce e meno rumorosa.
‒ Mi avete fatta chiamare, generale?
La voce della tenente arrivava quasi ovattata. William posò il sigaro nel posacenere, seduto sulla poltrona vicino all’oblò. Una luce opaca illuminava il suo angolo e il piccolo comodino in mogano su cui era poggiato un bicchiere di brandy. L’altro angolo invece era nel buio, ma luccicavano gli occhi dorati di Ulric.
William riaprì il fascicolo che aveva di fronte a sé e girò alcune pagine. ‒ Mi dispiace molto di avervi portata con me, tenente, ma purtroppo non potevo fermarmi troppo nella capitale e avevo urgente bisogno di parlare con qualcuno che conoscesse il maggiore senza la presenza di orecchie indiscrete.
Dalia Tucker annuì. ‒ Ma certo.
‒ Potrei avere un compito per voi, ma prima ho bisogno di sapere bene come sono andate le cose e perché il maggiore appaia irrintracciabile.
La donna raccontò per filo e per segno gli ultimi mesi, senza tralasciare alcunché. Esitò parlando del giorno dell’esecuzione e del vincolo.
‒ Dobbiamo preoccuparci, generale? Credete che gli sia accaduto qualcosa? Che la Falena lo abbia catturato?
Il generale agitò le dita e ravvivò il sigaro con un pizzico di magia. Sollevò gli occhi dal fascicolo alla ragazza. ‒ Non ancora. So che è stato visto alla stazione, probabilmente sta seguendo una pista e vuole procedere per conto proprio. Ad ogni modo ho i miei riguardi su questa storia, sono certo che le altre Gilde abbiano mandato cacciatori di taglie e sicari alla ricerca del giovane Vaukhram, è una preda troppo appetibile sia politicamente che economicamente. La nostra destinazione è Porto Ruggine, da lì vorrei che voi iniziaste a indagare con discrezione sui movimenti delle altre Gilde.
‒ Porto Ruggine? ‒ domandò, confusa. ‒ Perché non i Moli Celesti?
‒ Ho un presentimento che la Falena passerà da lì, ma con i suoi mezzi non potrebbe mai attraccare ai Moli Celesti. Inoltre la città è un punto nevralgico per le Gilde, ci saranno molti movimenti. So che hai partecipato a diverse operazioni sotto copertura, hai esperienza in questo.
La ragazza annuì con vigore, le braccia dietro la schiena. ‒ Potete contare su di me, generale.
‒ Bene, sono felice di sentirlo. Parleremo durante il viaggio dei dettagli della tua missione, per ora riposati.
La ragazza si congedò, ma prima di uscire trovò il coraggio di porre una domanda. ‒ Signore, se il vincolo fosse ancora attivo, che cosa ne sarà di Kieran?
William le sorrise nel modo più rassicurante che conosceva. ‒ Non permetterò che gli facciano del male. Hai la mia parola.
Dalia ricambiò il sorriso e uscì dalla sua cabina.
Il generale accavallò gli stivali lucidati della divisa e richiuse il fascicolo. Il brandy non lo stava aiutando affatto a distendere i nervi, forse un tè sarebbe stato più appropriato.
‒ Temo che Kieran non sia stato del tutto onesto con il Ferro e che si sia infilato in qualche pasticcio. Non è mai stato particolarmente… lungimirante quando si trattava di Vaukhram.
Le sue riflessioni non ricevettero risposta. D’altronde Ulric non poteva parlare da quando la Tela gli aveva strappato la lingua per rivenderla, ma sapeva ascoltare. Sorseggiava una brodaglia verde calda e accarezzava un piccolo corvo che aveva in grembo. Le mani erano piene di cicatrici, così come il viso sfigurato. William non amava il proprio volto da quando un paio di fendenti gli avevano lasciato alcuni sfregi ben visibili, ma da quando conosceva Ulric si era sentito piuttosto sciocco per quei pensieri. Doveva essere stato splendido, prima di finire nelle mani della Tela, un mezzosangue davvero pregiato. Purtroppo anche uno dei meno fortunati. 
‒ Avrei dovuto esserci.
Ulric fermò le carezze e alzò gli occhi dorati su di lui. Occhi freddi e pieni di rimprovero, le labbra chiuse in una linea sottile.
‒ Lo so, non guardarmi così, ma se la notizia del vincolo fosse arrivata per tempo, sarei andato nella capitale molto prima.
Bevve un altro sorso e aprì un dossier diverso, molto più spesso del precedente. Titolava a lettere maiuscole il nome completo di Silas.
‒ Kieran ha mentito. Deve essersi fatto convincere dal giovane Vaukhram. Non è facile resistere a un’influenza di quel tipo.
Ulric non sembrava d’accordo e alzò appena il mento, contrariato.
‒ Ognuno di noi ha una o più debolezze, che sia l’alcool o il sesso o il gioco d’azzardo. Per Kieran è quel mezzosangue. Credevo di essere stato chiaro dopo il tradimento, ma certi vizi sono duri a morire.
Ulric mosse le dita e gli domandò se questa volta lo avrebbe denunciato.
William socchiuse gli occhi. ‒ Sai che non posso. Ma non lo perderò più d’occhio. Dovrò rimetterlo in riga, per quanto l’idea non mi piaccia. Si farà uccidere se continua così. Prima però è meglio aiutarlo, anche contro il suo volere. Avrei dovuto insistere col matrimonio, se avesse sposato quella ragazzetta dei Campbell avrebbe avuto più remore a sparire così. Ma si è opposto con una tale fermezza…
Ulric scosse la testa. Lo hai viziato.
William poggiò il mento sul pugno chiuso e osservò il sigaro con sguardo distante. ‒ Immagino che lui sia la mia debolezza.
Richiuse il dossier con un gesto secco. ‒ Prima di arrivare a Porto Ruggine faremo una sosta nelle campagne del Feldwer. Ho delle idee di dove possa essere, ma penso che dovremmo fare una visita al giovane Henry. Magari suo fratello saprà convincerlo a desistere da qualsiasi follia abbia intrapreso.
Ulric grattò la testa del corvo. Aveva dita affusolate e delicate, una corporatura alta e stretta. Ancora adesso William ignorava molti dettagli della sua storia, ma gli importava poco, era leale ed era letale, due qualità estremamente preziose.
Ci aiuterà?
‒ Chissà. Henry è molto meno… tranquillo, di Kieran. Credo che ti piacerà, è tutto il tuo contrario.
Ulric emise un grugnito infastidito, ma i suoi occhi si accesero per un attimo della tipica curiosità delle fate.
‒ Speriamo solo che per Kieran non sia troppo tardi.
 
 *
 
Non ti riporterò in cella.
Lo aveva pronunciato con una tale solennità che si sentì sciocco durante il silenzio che ne seguì. Moslon era una città abbastanza rumorosa anche di notte, ma quel giorno la tempesta copriva ogni altro suono. Il battere della grandine, i tuoni sempre più vicini e il tremare dei vetri riempivano la stanza.
Silas era immobile, il volto per metà illuminato dalla luce della candela. Si passò una mano fra i capelli con un sospiro quasi seccato.
‒ Ah sì?
La domanda uscì fuori con una punta di scherno.
Non gli credeva. E perché avrebbe dovuto? Kieran stesso faticava a credere di aver preso una decisione tanto stupida e avventata. Ma se doveva essere del tutto sincero, non era stata neanche una scelta difficile. Seguire ciò che voleva davvero non era mai difficile, per quanto pericoloso.
Osservò le proprie mani in grembo con particolare interesse, senza alzare la testa. Non riusciva a guardare Silas, temeva di essere trasparente in quel momento.
‒ Sì. Una volta annullato il vincolo, andremo ognuno per la propria strada. Quello che farai sarà affar tuo. Dirò al Consiglio e al Feldmaresciallo di averti ucciso. Troverò delle prove e le falsificherò.
Lo scetticismo di Silas appariva inscalfibile. ‒ Dunque, è questo il piano a cui hai pensato in questi giorni? Farmi credere che non mi riporterai in cella per convincermi a stare buono e a non creare problemi? Ammetto che mi aspettavo di meglio da un bugiardo della tua levatura. Devo insegnarti sempre tutto io ‒ e sospirò con fare teatrale. ‒ Una bugia deve essere credibile perché l’altro ci caschi, Reed.
Kieran lo lasciò blaterare, mentre cercava le parole per rispondere. Guardò verso la finestrella sgangherata e si concentrò sulla grandine e sulla pioggia, gli sembrava che calmassero la sua inspiegabile agitazione. ‒ Ho preso la mia decisione. Puoi crederci o no, non m’importa ‒ ribadì inflessibile. Si rese conto di non aver aggiunto nulla per convincerlo della veridicità delle sue parole, cercò allora di deragliare il discorso su un piano razionale e distaccato: ‒ se ti riportassi indietro, potresti parlare.
Silas si esibì in una risata finta e iniziò a camminare per la stanza. A quanto pare Kieran non era l’unico nervoso. ‒ Sappiamo entrambi che potrei dire qualunque cosa e nessuno mi crederebbe. Oltre al fatto che stavolta morirei prima di subire qualunque interrogatorio, non mi lascerebbero superare la prima notte. Ti creerebbe molti più problemi inscenare la mia morte. A quante persone dovresti mentire? Quante di queste ti crederebbero? Perché dovresti farlo? Perché vorresti mai lasciarmi andare dopo anni d’inseguimenti e con un tale rischio? Non sempre sono un uomo razionale, ma sono pur sempre uno studioso e so valutare un accordo in termini di convenienza. Lasciarmi andare è l’opzione più rischiosa e contraddittoria per te. Non giocare con me, non ti conviene.
Kieran percepiva la propria frustrazione crescere a ogni parola. Perché doveva rendere tutto difficile? Perché doveva costringerlo a spiegarsi? Perché non poteva accettare quella concessione senza sollevare tutto quel polverone?
‒ Non userei un trucchetto così squallido per farti collaborare.
‒ Mi sembra chiaro che il tuo onore valga molto meno di quanto dai a vedere. Quasi dieci anni a sabotare ogni mia azione, a cercare lo scontro con me, e ora mi dai una pacca sulla spalla e mi dici che mi lascerai andare?
Kieran si stropicciò gli occhi. ‒ Io non ‒ si fermò prima di parlare, ma concluse la frase a stento, fra i denti, ‒ io non riesco a ucciderti.
Un tuono molto vicino fece tremare tutta la stanza, ma nessuno dei due sussultò; sembrava che non sentissero nemmeno la tempesta.
Silas non era impressionato dalla confessione. ‒ Lo so ‒ rispose, laconico. ‒ So che non ne sei capace, non sei riuscito a uccidermi nelle Steppe. Per questo mi hai consegnato al Consiglio, perché lo facessero loro al tuo posto.
Non credeva che lo avesse capito, ma d’altronde non poteva ingannarlo come ingannava gli altri. ‒ Hai ragione, è così. Ma ho capito che non cambiava nulla, che ti giustiziasse il boia o la mia spada, ero sempre io a ucciderti. Non voglio essere la causa della tua morte.
Si sentì sollevare per il colletto, non fece resistenza e si ritrovò faccia a faccia con Silas. ‒ Mi prendi per il culo? L’altra sera mi hai trattato come spazzatura, hai detto che ti saresti goduto la mia esecuzione. Tu volevi uccidermi, lo hai voluto per anni ma non hai avuto il fegato. Questo non ti rende migliore, ti rende solo debole e patetico.
Kieran staccò con delicatezza le sue mani dal proprio colletto e indugiò sulla pelle di Silas più di quanto avrebbe voluto. Non aveva più sfiorato quelle dita e si sorprese a sentirle così indurite e piene di calli. Da ragazzo erano molto più morbide.
Silas tolse le mani bruscamente, confuso da quel gesto. ‒ Non rispondi? Lo sai che ho ragione, sei un indeciso, un codardo e una banderuola. Non hai spina dorsale, non sai prendere una decisione se non ti viene ordinata, non hai il coraggio di assumerti le tue responsabilità, di andare fino in fondo alla strada che hai scelto.
Kieran non riusciva a rispondere. Era davvero trasparente allora, e Silas non sembrava intenzionato ad avere pietà. La sua voce era carica di rancore, ma c’era anche qualcos’altro, il suo corpo tremava di rabbia e di agitazione.
Gli assestò una spinta. ‒ Dì qualcosa! L’altro giorno ne avevi di cose da dire su di me, su ciò che valgo, su quanto avresti goduto a vedermi morire. E oggi ti presenti tutto remissivo e cerchi di addolcirmi con questa stronzata. Pensi di potermi prendere in giro come prendi in giro tutti, di potermi manipolare, ma io so chi sei davvero.
‒ E chi sono davvero, Silas?
Gli prese il mento e lo tirò avanti. Guardava le sue labbra. ‒ Sei una puttana, Reed. Molto più di quanto lo sia io. Ti vendi al miglior offerente e combatti per lui. Calpesti il tuo onore ogni volta che ti conviene, ti rimangi le promesse, anche quelle che fai a te stesso, se può servirti a ottenere qualcosa che ti serve. Usi le persone e ti lasci usare in cambio di favori. Questo ti frustra e ti fa provare disgusto per te stesso, perciò sei pieno di rabbia, ma da bravo irresponsabile quale sei, la rivolgi sempre contro gli altri, mai contro te stesso.
Avrebbe dovuto sentirsi annientato da quelle parole, ma per qualche motivo gli davano sollievo. Forse era del tutto impazzito, ma c’era un che di rassicurante nel sapere che almeno una persona nel mondo non lo credesse più di ciò che era.
Cercò lo sguardo di Silas stavolta, che gli lasciò andare il mento con un verso di disappunto e si allontanò, distogliendo gli occhi.
Silas sapeva essere crudele, ma era evidente che quell’atteggiamento fosse una difesa. Non per questo le sue parole ferivano meno.
‒ Mi dispiace per come mi sono comportato l’altra sera. Ho perso il controllo, perché tu hai toccato argomenti personali.
‒ Cercavo solo di –! ‒ si mangiò la fine della frase con frustrazione.
‒ Di aiutarmi ‒ concluse secco Kieran con un’espressione rassegnata. ‒ Perché? Non vale lo stesso discorso per te?
‒ Ti ho spiegato il perché. Solo perché sei un nemico non significa che debba essere disumano con te, che non possa mostrarti rispetto. Ma tu hai dovuto sputare e calpestare il mio intento, hai dovuto trascinarmi al tuo livello di odio, rancore e crudeltà, dove esiste solo scorrettezza e disprezzo.
Kieran non si era aspettato che la discussione andasse così. Aveva sempre pensato a Silas come a una persona cinica, ma si rendeva conto in quel momento che era lui a esserlo.
Per un attimo provò una sensazione di estraniamento da sé stesso, come se non si riconoscesse. Ripensò all’Iniziazione, a quando aveva messo tutto a repentaglio per salvare degli sconosciuti, quando si era disperato per il cinismo di Silas di fronte a quella violenza.
Perché ora era lui il freddo bastardo?
Henry aveva ragione: era cambiato e in peggio.
‒ Sono davvero pieno di rabbia e un bugiardo, sono tutto ciò che hai detto. Non puoi neanche immaginare quanto… per questo niente di quello che ti ho urlato l’altra sera era vero.
Silas aprì le braccia. ‒ Sai quanto m’importa di quello che urli da ubriaco, i tuoi insulti non mi toccano. Sono le tue intenzioni a preoccuparmi.
‒ Sei libero di non credermi. Non cambia nulla. Hai detto che agisco solo per il mio tornaconto ed è così anche in questo caso.
‒ Non otterresti nulla lasciandomi andare.
Scosse la testa. ‒ Ti sbagli.
Silas aveva uno sguardo irritato e confuso, forse perché non riusciva a seguirlo. ‒ Pensi che io sarò in debito con te o qualche idiozia simile?
‒ No. Ma per una volta le cose andranno come io voglio.
‒ Come tu vuoi ‒ ripeté Silas, asciutto. Si inumidì le labbra e scrollò le spalle. ‒ Questa conversazione è inutile, sono stanco e voglio riposarmi.
‒ Perché è così difficile da credere?
Silas non rispose, i suoi occhi cerchiati da occhiaie erano persi in qualche elucubrazione. La rabbia era ancora lì, ma stava subentrando una malinconia che preoccupava Kieran ancora di più.
Anche lui… anche lui ha paura di cedere con sé stesso.
Riusciva a vederlo; fin dall’inizio di quel viaggio Silas aveva avuto piccoli cedimenti nei suoi confronti, perché erano sempre stati uguali in quello. Kieran aveva rotto quel silenzio complice, quelle concessioni reciproche che avevano avuto durante il viaggio.
Doveva insistere affinché gli credesse, sentiva che era importante, che era l’unico modo per continuare il loro viaggio e uscirne vivi.
Gli afferrò un braccio. ‒ Avevi ragione tu. La dignità non va negata neanche a un nemico. Ma io non riesco neanche più a considerarti come tale. Chi voglio prendere in giro? In questo momento sei il mio unico alleato.
Silas lo spinse indietro con un gesto brusco. Aveva gli occhi spalancati. ‒ Ma cosa stai dicendo? Hai battuto la testa? Hai bevuto di nuovo o sono le esalazioni di questa città?
‒ Sono in me, non preoccuparti. Ti sto parlando seriamente.
Non sembrò credergli e lo studiò, quasi preoccupato. ‒ Sei in te? Non farmi ridere. Perché non diresti mai certe frasi con lucidità. Non pensi sia tardi per questo? Se avessi vinto io alle Steppe, ti avrei ucciso.
‒ Lo so.
La propria risposta gli scatenò quasi una risata, visto che pochi minuti prima la sua ammissione di non riuscire a ucciderlo aveva suscitato la stessa risposta.
Silas sembrava smarrito. ‒ Allora come fai a definirmi un tuo alleato?
Kieran si massaggiò appena l’attaccatura del naso. ‒ Non so risponderti. So soltanto che sto meglio quando non ti odio. Quanto tu… non mi odi. È umiliante dopo tutto ciò che è successo, lo è ‒ e rise senza allegria. ‒. La verità è che non posso e non voglio controllarti, non voglio più decidere della tua vita e della tua morte, non dovrebbe… non dovrebbe spettare a me accidenti! Perché io non sarò mai oggettivo con te, posso sforzarmi con tutte le mie forze di essere distaccato, implacabile, ma non ci riesco, non sarò mai così. Non sarò mai lucido con te. Hanno lasciato che mi avvelenassi per darti la caccia, che mi riempissi di rabbia, nessuno mi ha fermato, nessuno mi ha chiesto se volessi fermarmi. Non dovevo essere io a braccarti, è stato un tormento senza fine. Ma tutti se lo aspettavano da me, e io pensavo in qualche modo che fosse compito mio. Non mi è mai importato della Legione o del Consiglio, odio la politica. Voglio lasciar andare ogni cosa, voglio chiudere questa storia.
Cercò di riprendere fiato, ma vide Silas tentare di infilarsi nel discorso e gli parlò sopra. ‒ Io non ho i tuoi grandi ideali, io reagisco alle situazioni che ho davanti. E tu mi hai tolto una persona cara, mi hai manipolato e ingannato. Quella era la situazione che avevo di fronte a me, solo quella. Lo so che non ha senso quello che sto dicendo, non sono importanti queste farneticazioni. Ma puoi credermi se ti dico che non voglio e non posso riportarti da loro. È troppo tardi per quello.
Kieran non riusciva a smettere di parlare. A volte si sbagliava o si correggeva, si mangiava le lettere e le parole uscivano frettolose. Avrebbe voluto dare solennità a quel discorso, ma gli suonarono come vaneggiamenti. Non sapeva neanche lui che cosa volesse dire, voleva essere sincero, ma non aveva idea di come si facesse. Cercò di esprimere quello che sentiva, in piccola parte, perché decifrare il caos di emozioni che lo tormentavano sarebbe stato impossibile.
Alzò lo sguardo su Silas per capirne la reazione fino a quel momento; il Discendente appariva sbigottito, aveva gli occhi allargati come se si fosse aspettato tutt’altro.
‒ Io non capisco ‒ mormorò Silas e la voce suonò ruvida. ‒ Lo sai che non si può risolvere così. Tu mi odi, mi detesti con tutto il tuo cuore. L’ho visto nei tuoi occhi. Tu vuoi manipolarmi.
Gli venne da ridere. ‒ L’hai detto tu stesso che sono una banderuola. Ho tradito il Ferro… ho voltato le spalle a tutti, sono qui con te, invece che a chiedere aiuto al Feldmaresciallo o ai miei amici. Perché loro non devono sapere che non riesco a mettere i miei doveri di fronte a te. Se lo sapessero perderebbero ogni stima di me. Loro non capirebbero, non sanno cosa voglia dire avere a che fare con te. Non è qualcosa che può lasciarmi indifferente. Non voglio ucciderti, non voglio più combatterti e non voglio neanche ricostruire un rapporto con te. Voglio lasciarmi alle spalle tutto, concludere il viaggio e continuare con la mia vita.
Silas fece un passo in avanti, venendogli troppo vicino. Quegli occhi fatati erano sempre stati il tormento più grande, il modo in cui si puntavano su Kieran, come se lo inchiodassero dove si trovava. Un tempo bastava che quelle iridi si posassero su di lui per mandarlo in subbuglio. Ora riusciva a sostenerle, ma non ne usciva mai indenne.
‒ La tua vita ti porterà ancora a scontrarti con me, lo sai. Forse la Legione non mi perdonerà e forse non recupererò la mia magia, ma non smetterò di lottare per ciò in cui credo. Non mi ritirerò in una fattoria a mungere mucche e a vivere d’agricoltura.
‒ Ma forse è quello che farò io.
Silas lo osservò come se fosse del tutto impazzito. ‒ Eh? Sono i temporali che ti spingono a delirare o cosa? Vuoi dirmi che ti ritireresti?
‒ Non sono affari tuoi.
Non mollò la presa. ‒ Ora che sei all’apice della carriera? Per piacere. E poi non funziona così, non ti lascerebbero andare via.
‒ Ci sono molti modi. Ho abbastanza soldi ora da comprarmi un titolo e vivere di rendita in una villetta modesta. In questi anni mi sono dato da fare.
‒ Tu adori essere un guerriero di Ferro.
Si poggiò contro il comodino e lasciò che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi. Il tono scandalizzato di Silas lo divertiva. ‒ Che cosa te lo fa credere?
‒ All’Iniziazione hai detto che non avresti accettato un tipo di vita diverso.
‒ Avevo i miei motivi. La gloria mi piace, tanto, e ormai so soltanto essere un guerriero di Ferro, ma ho altre cose per cui vivere.
Silas scosse la testa. ‒ Hai perso il senno? T-tu non dici sul serio. Vuoi tirarti indietro? Perché? Per me? Sarebbe patetico ‒ vociò, offeso.
‒ Non darti troppe arie adesso. Era pianificato fin dall’inizio.
Stavolta lo vide accusare il colpo. ‒ Pianificato? Da chi?
‒ Da me e da mia madre. Ma non è importante. Non so che cosa farò, ma troverò una soluzione.
Silas espirò e iniziò a camminare per la stanza in modo frenetico. ‒ Credevo che fosse una missione per te, quella di fermarmi.
‒ E l’ho fatto.
La risposta secca affondò con estenuante precisione nell’avversario. Silas fermò la sua camminata nervosa e si voltò, i capelli sciolti lo seguirono con uno schiocco.
‒ Sì. Lo hai fatto. E poi mi hai liberato. Era una specie di gioco per te?
Kieran avrebbe voluto che la risposta fosse quella. ‒ No. Era personale. Te l’ho spiegato, perché devi fare tutta questa storia? Che cosa vuoi che ti dica ancora?
Silas allargò le braccia. ‒ Dunque mi lascerai andare e basta? Dopo anni che mi hai braccato e picchiato e ferito…
‒ Anche tu lo hai fatto.
‒ Dopo avermi quasi ammazzato e trascinato in catene di fronte a un tribunale di avidi bastardi che mi smembrassero pezzo per pezzo per usare il mio corpo.
Kieran contrasse il viso, un guizzo di rabbia lo pervase. ‒ Tu avresti fatto lo stesso.
‒ No. Io non ti avrei consegnato alla Legione per essere torturato e interrogato. Ti avrei ucciso con le mie mani, rapidamente.
Stavolta fu lui ad avvicinarsi, il volto a un palmo dal suo. ‒ Ah sì? Lo avresti fatto? Sono felice che per te uccidermi sia così semplice, dovresti darmi qualche lezione.
Silas alzò un indice di fronte al suo viso. ‒ Non farmi incazzare di nuovo, Reed. Non provocarmi, stavi andando bene. Ora non metterti a fare la vittima, sai che non ho mai voluto ucciderti finché non hai reso la mia vita un inferno. Non avevo nulla contro di te e se fossi riuscito a ucciderti, avrei portato il peso di averti coinvolto per il resto dei miei giorni.
Kieran rimase quasi spiazzato dalla sincerità di Silas. In tutta quella discussione era riuscito a essere molto più onesto e diretto di lui, che farneticava da diversi minuti per non scoprirsi troppo.
‒ Allora che cosa vuoi sentirmi dire? Vuoi che te lo giuri? Che te lo prometta? Non ti basta come prova essere qui?
‒ Hai tradito il Ferro perché non avevi scelta, ma la tua lealtà opportunistica va oltre questo.
Kieran iniziava a irritarsi per l’insistenza di Silas. A volte era davvero poco intuitivo o acuto nei suoi confronti. ‒ Io sono leale soltanto alla mia famiglia ‒ osò dire.
Silas non sembrò capire quella risposta, sapeva che Kieran aveva perso sua madre e non aveva altri parenti. Forse credeva che si riferisse alle persone che amava.
‒ Pensavo che il Ferro fosse la tua famiglia.
‒ La mia famiglia? ‒ e un sorriso sbilenco gli contrasse il viso. ‒ Era un guerriero di Ferro. Hai visto qualcosa in un sogno, vero? Su di me. Un uomo del Ferro mi ha…
Aveva risposto con troppa veemenza, ma non concluse la frase. Contrasse la mascella, mentre i tuoni facevano tremare i vetri e le giunture di quella vecchia pensioncina. Silas frenò quello che stava per dire e si ammutolì.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, senza dire nulla. Gocciolava acqua in diversi punti, dovevano esserci delle falle nel tetto. Kieran a malapena si accorse di una grossa goccia d’acqua fredda che gli colpì la testa.
Entrambi però sobbalzarono quando udirono alcune imprecazioni e urla dal piano di sotto; la vecchia della pensione aveva iniziato a sbraitare per un allagamento.
Forse mancava poco all’alba, Kieran non era del tutto sicuro di essere uscito dal sogno in cui si trovava.
‒ Perché non me lo hai mai detto ‒ mormorò Silas con la voce più delicata che gli avesse sentito, quasi esitante.
Kieran guardava a terra, ma era calmo. ‒ Non c’è niente da dire. Non ne parlerò e tu non riaprirai mai più l’argomento. È soltanto perché tu capisca. Amo il Feldmaresciallo, i miei compagni. Ma non ti riporterò da loro. Non c’è altro da dire.
Lo disse con tono definitivo, categorico, stanco di essere contraddetto. Alzò lo sguardo con cautela e vide il volto di Silas contratto da una sorta di orrore.
‒ Tu… stai dicendo sul serio.
‒ È quello che sto cercando di dirti da quando sei entrato.
Silas aveva iniziato a mordicchiarsi l’unghia del pollice, sovrappensiero. Kieran sapeva che era un gesto di estremo nervosismo per lui, lo aveva visto cedere a quel vizio poche volte in Accademia, quando lo stress e le pressioni avevano la meglio di lui. In quanto aristocratico, Silas non cadeva mai in gesti maleducati o volgari, non lo aveva mai visto ruttare o ridere sguaiatamente o aggiustarsi il cavallo dei pantaloni come invece facevano spesso i soldati dei ranghi inferiori, e anche molti comandanti più illustri. Silas era un esempio di buone maniere ed eleganza, ma il modo in cui si stava mordendo le unghie aveva poco di entrambi.
‒ L’altra sera tu ‒ tentò di dire nuovamente con aria accusatoria.
‒ Mi dispiace per l’altra sera. Ho avuto un comportamento inaccettabile e indecoroso da ogni punto di vista.
Silas cessò per un attimo di martoriarsi le unghie e lo osservò intimorito. I suoi occhi erano aperti come se stessero realizzando qualcosa. Si passò una mano sul viso.
‒ Tu hai un tempismo davvero di merda ‒ sussurrò con voce incredula. ‒ Perché io ti ho già venduto.
Kieran aggrottò la fronte, confuso. ‒ Come?
Lasciò ricadere le braccia. ‒ La Legione ‒ balbettò. ‒ Ora hanno il tuo ricordo.
Per un attimo non capì di che cosa stesse parlando. All’improvviso tutto divenne chiaro.
E il suo cuore precipitò in qualche antro buio.

 
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Buonasera  e buona Pasqua in ritardo! Scusate la poca proficuità del periodo, ma ora le cose si scalderanno ^^.
Non trovo in alcun modo la fonte dell'immagine, che sarebbe il generale William, quindi la lascerò qualche giorno e poi la toglierò per correttezza, era solo per dare un'idea fisica del personaggio.
 
 

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Capitolo 26
*** Fango ***


 

Fango

XVIII
 




‒ Kieran, dì qualcosa.
La tempesta si era acquietata. Le tapparelle avevano smesso di battere, i tuoni erano lontani e ovattati, i vetri non tremavano più. Una flebile luce albeggiante trapassò le finestre, la pioggia era cessata ma rimaneva il costante gocciolio delle perdite.
Due colpi alla porta li colsero entrambi di sorpresa. ‒ Il piano inferiore è allagato, le vie sono allagate di melma ‒ sbiascicò la vecchia. ‒ Vi conviene restarvene qui e uscire quando le strade saranno libere.
Nessuno dei due rispose e quella con un grugnito seccato si allontanò dalla loro porta.
Kieran era ricaduto a sedere sul letto con occhi persi nel nulla. La sua mente era intasata come le tubature di quella pensioncina.
‒ Il mio ricordo? ‒ domandò di nuovo in un tentativo flebile di fare chiarezza.
Non sapeva che cosa ci fosse in quel ricordo, avendolo ceduto lo aveva anche dimenticato, ma sapeva per certo che avesse a che fare con suo fratello. Glielo aveva strappato senza pietà, un prezioso ricordo su Henry in mano a quei terroristi senza scrupoli.
Inspirò piano e lasciò uscire l’aria con un colpo di tosse.
Eccolo.
Era forse quello il momento in cui tutto sarebbe crollato? Era forse quello il momento dove la vita veniva a riscattare il conto delle sue menzogne? Non aveva mai avuto le mani sul timone, ma in quel momento aveva perso anche quel briciolo di controllo che gli rimaneva.
‒ Kieran, ascolta…
‒ Quando. Quando lo hai dato alla Legione.
‒ Tre giorni fa.
Alzò il viso di scatto. ‒ Possiamo ancora fermarli. Possiamo recuperarlo.
Silas sbatté le palpebre di fronte a quella risolutezza. ‒ Non è così semplice.
Non lo ascoltò. ‒ Avevi un contatto qui a Moslon, dov’è? Andiamo. Adesso.
Il mezzosangue socchiuse gli occhi. ‒ Non penso che me lo restituirà così facilmente.
Kieran però era sordo alle sue parole. Si affacciò alla finestra e controllò lo stato delle vie; erano invase dall’acqua melmosa del lago, i canali erano strabordati sulle passerelle e solo i ponti emergevano. L’acqua gli sarebbe arrivata alle ginocchia, ma non doveva essere pericoloso.
Era solo l’alba ma Moslon era già in fermento. I cittadini svuotavano le case dall’acqua con i secchi, cercavano di sturare gli scoli intasati e stendevano i tappeti fradici.
Non sapeva se definire quell’impegno un segno di grande stupidità o grande tenacia, ma si rivedeva in loro; continuare a lottare in una città ingolfata che sprofondava nella melma, non arrendersi all’inevitabile, ma stringere i denti.
Anche se è tardi, devo fare tutto ciò che è in mio potere. Tutto.
Tornò da Silas a passo spedito. Questo indietreggiò, cauto. Gli poggiò le mani sulle spalle e strinse le dita. ‒ Silas ti prego, quel ricordo è troppo importante. Dobbiamo recuperarlo, c’è tutto ciò che ho di più importante. Ti sto implorando.
Silas appariva sconcertato da quella reazione. Con un po’ di imbarazzo distolse lo sguardo.
‒ Ti prego. Dobbiamo andare.
‒ Ora calmati. Andrò a parlarci, cercherò di farmelo restituire. Ma perché è così importante? Cosa c’è di così compromettente? Qualunque scandalo…
‒ Non è uno scandalo ‒ sussurrò. ‒ Ci andrebbe di mezzo qualcuno che mi è molto caro, qualcuno che amo, lo ucciderebbero.
Non era la risposta che Silas si era aspettato a giudicare dalla sua espressione. Sembrava sul punto di porre altre domande, ma si fermò.
‒ Ho capito. Puoi accompagnarmi, ma non entrare. Qualunque cosa accada lascia che ci pensi io, o finirà male. Va bene?
Kieran annuì più volte e abbassò le braccia.
Perché la Legione era interessata ai suoi ricordi? Possibile che… sapessero dell’esistenza di Henry?
Doveva ragionare, ma il cuore gli martellava furioso, coprendo i pensieri più elementari.
Strizzò gli occhi e prese fiato. Chiuse i pugni e cercò di tornare in sé.
La Legione non era il Ferro.
Cavana era una terrorista spregevole quanto i suoi sgherri, ma forse c’era una speranza che non avrebbero fatto del male a Henry se avessero saputo di lui. Il Ferro d’altronde non avrebbe avuto pietà invece.
‒ Mi dispiace.
La voce di Silas infranse i suoi pensieri e per un attimo non capì che cosa volesse dire. Lo osservò e tornò con i piedi per terra.
Lui mi ha venduto.
Aveva usato quella scelta di parole. Una persona normale avrebbe scelto un lessico meno incriminante. Avrebbe potuto mentire, dire che glielo avevano strappato, che lo avevano costretto, ma era stato fin troppo chiaro.
Lo aveva venduto, sì. Quel bastardo, bugiardo e traditore aveva appena compromesso il segreto più importante della sua vita.
‒ Come hai ottenuto quel ricordo?
‒ Dalla Crisalide, me lo ha donato.
Assottigliò le labbra. ‒ E lo hai tenuto per te, anche se lo avevo sacrificato per salvarti la vista! ‒ sputò, furibondo.
‒ Era la mia assicurazione per non tornare in cella. L’altra notte, dopo quello che hai detto, l’ho consegnato alla Libellula. Sapevo che erano interessati a te per qualche motivo, ho proposto uno scambio per tornare nelle grazie di Cavana. Ho agito d’impulso perché ero furibondo.
Kieran serrò la mascella. Non aveva le forze per essere arrabbiato, stava venendo sopraffatto.
‒ Non sai quello che hai fatto. Se lo ottengono distruggeranno tutto quello per cui ho lottato, tutti i sacrifici e gli sforzi.
Silas sembrava voler dire qualcosa, ma si contenne. ‒ Ti aiuterò a riprenderlo.
Kieran scosse la testa. ‒ Ormai…
‒ No. La Libellula è qui a Moslon, il ricordo è nelle sue mani, le parlerò e me lo farò ridare. Non perdere la testa, calmati. Risolverò tutto. Te lo prometto.
Lo scansò. ‒ Non promettere.
‒ Non ho paura di fare promesse. Ti dico che aggiusterò ogni cosa.
‒ Perché? Perché dovresti farlo? Cosa ti importa?
Silas si grattò la testa in difficoltà. ‒ Perché è stato un comportamento scorretto e disonorevole. Hai sacrificato quel ricordo per aiutarmi e io l’ho venduto. Ho agito contro ciò che ho detto, a proposito del rispetto. Non scadrò più in basso di così, permettimi di rimediare.
Kieran non aveva scelta d’altronde. Si limitò ad annuire, silenzioso, con un groppo in gola.
 
*
 
Attraversarono le vie della città devastata dagli allegamenti e dalla tempesta. Sapeva che in giorni di tempesta come quella venivano mandati subito operai e tecnici che controllassero lo stato della diga che divideva il lago in due. Moslon si trovava nel bacino più secco; era stata un’idea del precedente governatore, per cercare di tenere una metà del lago meno inquinata e per creare più spazio per nuove costruzioni.
 Le risate dei bambini erano acute e squillanti mentre si rincorrevano nella melma e giocavano spensierati. Silas avanzava a fatica con l’acqua torbida alle ginocchia, nauseato dall’odore di fogna che aveva riempito le strade.
Le fondamenta di alcune case erano sprofondate e i proprietari piangevano, intenti a recuperare i propri beni senza che qualche trave marcia gli crollasse in testa. Silas provava un senso di oppressione in quel luogo, era come guardare un animale morente trascinarsi senza forze per vivere qualche altro secondo. Se la natura fosse stata misericordiosa, avrebbe spazzato via quella città marcente; invece lasciava che si consumasse a poco a poco nel fango.
L’unica salvezza erano gli scoli e i pozzi, un sistema piuttosto articolato, con una rete di tubature che attraversava tutta Moslon; ma a causa del fango spesso s’intasavano e bisognava intervenire.
Si lasciarono alle spalle la parte più bassa della città e iniziarono a risalire le vie in pietra che si arrampicavano sul colle urbanizzato.
Anche i quartieri più in vista non erano stati risparmiati dalla tempesta; le vie erano allagate e i pozzi strabordavano acqua marrone. La situazione era molto meno tragica, le case erano più solide, il terreno su cui erano erette più affidabile e inoltre si trovavano in un punto più alto.
 Nondimeno nessuno si avventurava per le strade allagate, se non i servitori e alcuni lavoratori. Ovunque giravano gli Sgorgascoli, o come li chiamava la maggior parte delle persone, i Sudici; operai silenziosi di Moslon che avevano l’ingrato compito di liberare gli scoli e i pozzi della città in momenti di piena. Indossavano uno scafandro e un grosso elmo metallico a forma di sfera che non ne mostrava il volto. Si potevano incontrare solo a Moslon e svolgevano un lavoro miserabile. S’immergevano nei grossi pozzi di Moslon e nella rete di tubature e scoli per togliere le occlusioni. Il continuo contatto con le melme e lo sporco della città non gli garantiva una vita lunga, oltre al fatto che durante quei giorni di temporali rischiavano di morire annegati nel fango.
Silas sapeva che un tempo la Libellula era stato uno di loro. Un lavoratore invisibile che permetteva il funzionamento di quella città; aveva nascosto per anni la sua natura di mezzosangue dentro lo scafandro. Per questo si era fatto stanziare lì, era la sua città, la sua palude e non voleva lasciarla.
‒ Quanto manca?
‒ Siamo quasi arrivati.
Kieran fremeva d’impazienza, percepiva il suo nervosismo. Doveva agire con la massima cautela, o sarebbe finita male.
‒ La Libellula ‒ domandò Kieran, ‒ com’è? Non si sa molto di lei.
Silas scansò con il piede qualcosa di putrido che galleggiava di fronte a loro. ‒ La sua magia è pericolosa e al contrario degli altri lui non ha niente da perdere. Non ha un limite quando si tratta dei suoi nemici.
Kieran si era adombrato. ‒ Dunque è un folle.
Silas gli indicò uno sgorgascoli che s’issava sopra uno dei larghi pozzi per immergervisi. ‒ Era uno di loro. È un mezzosangue dal corpo molto prezioso ed è raro che quelli come lui sopravvivano indisturbati tanto a lungo, ma gli sgorgascoli sono invisibili. Nessuno lo notava mai e nessuno vedeva il suo aspetto sotto lo scafandro, teneva le ali nascoste. Quando ebbe un figlio pensò la stessa vita per lui, ma qualcosa andò storto. Non so i dettagli, ma so che qualcuno del Ferro annegò il figlio in uno degli scoli, mentre lavorava. Poi ne prese i pezzi e lasciò solo quello che non gli serviva.
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Kieran era inorridito. ‒ Il Ferro non ha l’autorità di…
‒ Sai benissimo che non funziona così. Il figlio di Zeph era un mezzosangue senza valore, aveva poco sangue fatato. Se fosse stato di valore, allora avrebbero punito l’assassino per aver intaccato una potenziale ricchezza per l’aristocrazia ‒ e gli venne da ridere. ‒ Ma così a nessuno importava.
Kieran non disse nulla, ma Silas poteva leggergli nella mente: a me sarebbe importato. Era questo che forse stava pensando, ma sapeva che dirlo ad alta voce sarebbe stato sciocco e inappropriato.
‒ E come ha fatto uno sgorgascoli a diventare un membro di spicco della Legione?
‒ So che dopo la morte del figlio divenne l’amante di una nobildonna, cambiò vita radicalmente, ebbe modo di studiare la magia. Non so molto altro, Cavana seppe di lui perché arrivavano voci di misteriosi omicidi fra le famiglie illustri di guerrieri di Ferro. Mogli avvelenate, figli trovati annegati eccetera eccetera.
Kieran ormai camminava accanto a lui. ‒ Un assassino seriale ‒ mormorò, pallido.
Si fermò dove stava, l’acqua sporca che gli arrivava poco sopra le caviglie ormai. Aveva uno sguardo smarrito.
‒ Prendeva di mira le famiglie di guerrieri del Ferro? I loro cari ‒ rifletté e le parole gli uscirono a fatica, ingarbugliate.
‒ Da quello che si racconta per lo meno, lui non ha mai confermato né smentito, solo Cavana sa la verità.
Percepiva un turbamento crescente in Kieran. Silas era piuttosto stranito dalla percezione elevata che aveva verso le emozioni dell’altro. Gli sembrava di provare sensazioni di disagio e paura crescenti, ma le avvertiva estranee a lui. L’umore di Kieran lo contagiava come un fetore.
Era forse… ?
Scosse la testa, senza volerci pensare. ‒ Andiamo.
‒ Silas.
Si voltò e si schermò appena il viso con le dita per il raggio di sole che gli ferì gli occhi. Kieran aveva i pugni stretti, la sua silhouette appariva nera in controluce.
‒ Se ha il mio ricordo, se lo ha consumato, non può sopravvivere. Non deve sopravvivere.
La voce uscì ruvida, bassa, come se avesse qualcosa di acuminato in gola. Silas colse la sfumatura minacciosa, ma non lasciò che lo intaccasse. Doveva mostrare di avere il controllo.
‒ Non ucciderò un mio compagno.
‒ Hai promesso.
‒ Ho promesso che risolverò le cose.
‒ Se ha consumato il ricordo, distruggerà la mia vita. Sai che è uno squilibrato, non puoi lasciare che viva, ucciderà chi amo.
Le sue parole erano alquanto misteriose; a chi si riferiva? Possibile che Kieran avesse un amante segreto? Effettivamente era plausibile, avrebbe spiegato perché in questi dieci anni non si fosse sposato. Ma perché la Legione era interessata ai ricordi di Kieran? Forse aveva a che fare con i suoi ordini o con il Feldmaresciallo.
‒ Avrà tenuto il ricordo intatto per consegnarlo a Cavana. Me lo farò restituire o lo ingannerò per riaverlo. Non c’è bisogno di ricorrere alla violenza. Promettimi che aspetterai fuori e non interverrai.
‒ No.
‒ Come?
Kieran assottigliò gli occhi. ‒ Non ti prometto un bel niente. Ti lascerò provare. Se non ci saranno alternative, lo ucciderò.
Silas si arrese e scosse la testa. Era inutile tentare di farlo ragionare, avrebbe dovuto risolvere la situazione in fretta.
 
 
 Il pub non era scampato agli allagamenti e l’acqua putrida sbatteva contro la porta in legno massiccio. Kieran si poggiò contro il muro, sotto il tettuccio di legno che lo riparava dal sole.
Aveva la blusa bianca imbrattata da schizzi di fango, il fondo del cappotto impregnato di marrone e gli stivali sotto il livello dell’acqua. I capelli erano arricciati dall’umidità e il suo sguardo segnato dalle occhiaie e dall’impazienza.
Silas gettò un rapido sguardo agli occhi grigi di Kieran ed ebbe un lampo del suo volto dieci anni prima, la notte in cui il maestro era morto.
Oggi non sarà civile.
No, se Kieran fosse entrato nel pub, la situazione sarebbe degenerata. Non c’erano sconti né dubbi nei suoi occhi, c’era una risoluzione ferrea, assoluta.
‒ Aspettami qui.
Gli rispose con un rigido cenno del capo. Silas entrò nel pub sperando che ne sarebbe uscito indenne e con il ricordo in mano.
Il cambio radicale di luminosità fu quasi doloroso; il sole forte del mattino sparì dietro la porta di legno, lasciandolo nell’oscurità. Il pub era chiuso e immerso nell’ombra, le tapparelle erano abbassate, le luci spente. L’acqua aveva riempito la sala e ondeggiava appena intorno alle gambe di legno. Le sedie erano rovesciate e poggiate sopra i tavoli, mentre il bancone era vuoto.
Zeph era seduto su uno degli sgabelli, intento a mangiare la sua colazione. Un secchio semipieno d’acqua era poggiato a terra vicino a lui, doveva aver cercato di pulire, ma non sembrava scosso dall’acqua che aveva invaso il pub.
Aveva la sua solita aria mite e tranquilla, ma c’era un che di pensieroso nei suoi occhi distaccati.
Silas andò a sedersi accanto a lui. Gli ultimi due giorni era stato di rado al pub, aveva girovagato per Moslon in cerca di chiarezza. Aveva la sensazione che Zeph stesse orchestrando qualcosa con il suo sgherro, ma aveva preferito non impicciarsi. Forse erano ordini di Cavana.
‒ Già di ritorno? Che cosa prendi?
Stava mangiando una colazione piuttosto ricca, con uova, cornetti salati e pancetta. Zeph non era mai stato vegetariano come la maggior parte di loro, ma aveva sempre avuto uno scarso appetito.
Accanto al piatto stava una bottiglia di vino di un’ottima annata. Era presto per bere e non si spiegava quella scelta peculiare. Stava forse festeggiando qualcosa?
Si versò un po’ di alcool sporgendosi oltre il bancone. ‒ Bel disastro.
Zeph portò alle labbra un boccone. Indossava una blusa bianca elegante, con un lungo merletto sulla spaccatura del collo e sulle maniche. Aveva l’accenno di barba ben curato e i capelli chiari legati in un codino.
‒ Nulla a cui non sia abituato.
Silas si guardò intorno. ‒ Dov’è il tuo amico?
Bevve un sorso di vino. Solo in quel momento Silas notò la pipa poggiata poco più in là.
 ‒ In viaggio per conto della Legione.
Quella risposta non gli piacque per nulla. ‒ Ho un favore da chiederti. Sono certo che potremo accordarci come due gentiluomini e trovare una soluzione.
Zeph sollevò appena gli occhi su di lui. Erano occhi così freddi e spenti, poteva immaginare la sua maschera da sgorgascoli quando era più giovane, le lunghe ali intrappolate nello scafandro.
‒ Un altro favore? Sei davvero impegnativo, Falena.
‒ Sono certo che c’è qualcosa che io possa offrirti.
Non appariva molto intrigato dall’offerta. ‒ Parliamo prima di ciò che io posso offrirti, di quello che vuoi da me.
Silas ticchettò il bancone. Sarebbe stato molto più abile a gestire quella trattazione se avesse avuto qualche ora di sonno in più, ma era esausto, infreddolito e i sentimenti rabbiosi e spaventati di Kieran gli penetravano sottopelle come un prurito.
Deve essere il vincolo. Continua a crescere.
‒ Ho bisogno che tu mi restituisca il ricordo che ti ho consegnato.
Zeph rise appena mentre si portava il bicchiere alle labbra. Non sembrava essere il suo primo sorso, Silas notò un paio di bottiglie vuote e si accorse che i suoi zigomi pallidi erano rossicci.
‒ Mi chiedevo quando saresti tornato a chiederlo. Che cosa ti ha spinto a cambiare idea?
‒ Una prospettiva diversa. Lo porterò di persona a Cavana.
‒ Non per il Campione, dunque ‒ commentò con voce calma. ‒ Ti ha detto cosa contiene? Per questo sei qui?
Silas rimase perplesso da quell’accusa. ‒ Importa davvero il suo contenuto? Devi restituirmelo.
Zeph annuì e poggiò il bicchiere. D’improvviso strisciò il braccio sul bancone in un colpo secco e lanciò bicchieri e bottiglie a terra. Il frastuono dei vetri infranti arrivò anche fuori dalla taverna, dove Kieran stava aspettando.
‒ Dove sono le tue buone maniere, Falena?
La voce della Libellula era distorta, una vena gli pulsava sul collo. Poggiò le mani sui vetri rotti e li schiacciò per sporgersi in avanti. Scricchiolavano sotto la sua pelle, lasciando tracce di sangue, ma non sembrava darvi peso. Quando ebbe il volto a un soffio da quello di Silas, si fermò.
‒ Che cosa stavi dicendo?
Silas non si lasciò intimorire, rimase immobile, sostenne lo sguardo senza cedere.
‒ Quel ricordo, lo rivoglio. Non ho bisogno di intermediari per parlare con Cavana.
Giocò con i vetri macchiati di sangue. ‒ Lo so che menti, Silas ‒. Prese una bottiglia ancora intatta e un bicchiere mezzo rotto. Si versò da bere, lasciando impronte di sangue sul vetro. ‒ Vuoi riportargli il ricordo, lo so perché ti ho fatto seguire. Sei tornato da lui.
La confessione avrebbe dovuto gelarlo, ma in realtà non era sorpreso. Sapeva che Zeph non poteva essere da solo lì a Moslon, dovevano esserci altri membri della Legione in giro, sue spie.
‒ Non c’entra niente, non ho scelta al momento. Sono legato a lui, ma non ha a che fare con il ricordo. Quell’idiota non sa neanche che è in mano mia.
Lo zittì con un dito e bevve un sorso. ‒ Tu sei morbido con quel cacciafalene, morbido come la membrana delle mie ali. Pensi di avere ancora tempo di scegliere situazione per situazione, di poter ritrattare quando qualcosa non si adegua ai tuoi canoni di giustizia. Ma il tempo delle ritrattazioni è finito. O lo uccidi o non lo uccidi. Non ci sono terze strade.
Silas realizzò che Zeph doveva essere in uno dei suoi picchi di instabilità e violenza.
Questo non ci voleva.
Doveva aver bevuto parecchio prima che lui arrivasse e a giudicare dalle sue pupille forse aveva anche fumato dell’oppio, ma la sua perspicacia era ancora lì. Silas non poteva competere con lui senza la propria magia. C’era qualcosa di strano. Dov’era Coz? Perché Zeph aveva stappato bottiglie così pregiate e aveva passato la mattinata a ubriacarsi?
‒ Lo sai che mi trovi del tuo stesso avviso. Kieran è solo un mezzo, e quando lo sconfiggerò, magari lo terrò come prigioniero per divertirmi e sfogarmi nei giorni no.
La Libellula gli sorrise e finì di scolare il bicchiere. ‒ No, mischiarti con loro è riprovevole, so di cosa parlo. Cavana pensa che possa essergli utile, per il piccolo mezzosangue. Ma io dico di ucciderlo di fronte a lui.
Silas aggrottò le sopracciglia, senza capire di che cosa stesse parlando. Il piccolo mezzosangue? A che cosa si riferiva?
‒ Mi piace come ragioni ‒ lo assecondò e forzò un sorriso crudele.
‒ Farlo a pezzi di fronte a lui. I suoi pezzi sono inestimabili, gli troveremo un utilizzo anche da morto. Picchiarlo, torturarlo, ucciderlo di fronte al cacciafalene. E poi fare lo stesso a lui.
Silas aveva un nodo allo stomaco, perché sapeva che Zeph non parlava a vanvera. La sua crudeltà, il suo sadismo, li aveva visti all’opera. Il suo odio era un groviglio caotico e imprevedibile, tanto che a volte la stessa Cavena aveva problemi a gestire il suo operato. Un temperamento instabile che era peggiorato nel tempo. Molti pensavano che il Cinghiale fosse il membro più efferato della Legione, ma a suo avviso era molto più controllabile e prevedibile. Zeph invece non seguiva alcun percorso stabilito.
Ma di chi stava parlando? Gli sembravano i deliri di un pazzo.
‒ Non che abbia importanza a questo punto.
‒ Allora non diamo il ricordo a Cavana ‒ sussurrò Silas. ‒ Ce ne occuperemo noi due. Lo berrò io e ti racconterò che cosa contiene.
La Libellula rise, una risata spezzata, sinistra. ‒ Ti credi tanto furbo, Falena. Lo riconosco, ti sei distinto e hai meritato il posto accanto a Cavana. D’altronde nessuno di noi poteva competere con la tua magia. Ora però non hai più alcun valore per noi. Ma sai cosa? Voglio venirti incontro. Ti restituirò il ricordo, se mi porterai un orecchio di Kieran Reed. Mozzaglielo e portamelo.
Silas trasecolò un attimo, ma poi si calmò. Ne avrebbe trovato un altro somigliante, non doveva allarmarsi.
‒ Se è questo che vuoi.
‒ Glielo taglierai di fronte a me. Perché non lo fai entrare?
Raggelò. Lo sguardo di Zeph era soddisfatto, i lineamenti fatati gli conferivano un che di maligno e distorto. ‒ So che lo hai portato con te, da bravo traditore quale sei. Non ho creduto neanche per un istante che saresti potuto tornare fra le nostre fila, non ti avrei mai aiutato con Cavana. Hai già avuto la tua seconda possibilità e l’hai bruciata. Non puoi cambiare la tua natura, sei debole e scostante, come la tua stirpe.
Silas non raccolse le provocazioni. ‒ E qual è la tua natura, Zeph?
‒ Sarò sempre uno sgorgascoli, niente più, niente meno.
La risposta sembrò velargli lo sguardo di tristezza e nostalgia. Le ciglia bianche gettavano ombre sottili sulle guance. Se non avesse avuto occhi tanto freddi e inumani, Silas avrebbe saputo scorgere meglio la sua bellezza. Era scarno, magro, come un albero in inverno.
‒ Allora non hai intenzione di restituirmelo?
‒ Sì, tagliagli un orecchio e consegnamelo.
‒ Qui?
‒ Qui. Ora.
Silas allungò la mano verso la bottiglia. ‒ Se entra qui ci innervosiremo tutti. Facciamoci una bevuta e basta.
Zeph bloccò il percorso della sua mano sul bancone e applicò una lieve pressione. I vetri gli penetrarono nella carne.
‒ Ho detto: fallo entrare.
‒ Vuoi ucciderlo?
‒ Voglio solo divertirmi un po’.
Agitò le dita e aprì la porta del pub con un colpo secco. L’acqua schizzò indietro e in avanti per il contraccolpo. Kieran era in piedi di fronte all’entrata, lo sguardo di chi è stato colto in flagrante.
‒ Accomodati, Campione.
Aveva le spalle rigide e un’espressione guardinga, ma poggiò la mano sullo stipite della porta ed entrò nella penombra del pub. Richiuse la porta senza chiedere il permesso.
‒ Kieran Reed, non ho mai avuto il piacere di incontrarti.
‒ La Libellula, suppongo.
La postura di Zeph era rilassata, le maniche larghe della camicia pendevano dai polsi bianchicci. Voltò appena la testa per esaminare Kieran, si prese il suo tempo a osservarlo. Gli occhi non sembravano vederlo davvero, ma notarono la mano sulla fondina e la spada stretta al suo fianco.
‒ Vorresti indietro il tuo ricordo. Mi chiedo quanto lo vorresti.
‒ Nomina il tuo prezzo.
Si girò anche con il resto del corpo verso di lui. La blusa aveva alcuni merletti consumati e sprofondava dentro i pantaloni stretti; se li tirò appena su e poi si poggiò con i gomiti sul bancone.
Aveva una posa tracotante e sicura di sé, Silas diventava più nervoso a ogni secondo che passava. Loro erano due, Zeph non aveva scampo da solo, eppure se ne stava rilassato a sorridere, come se avesse appena vinto una partita a scacchi.
‒ Uno scambio! Davvero diplomatico da parte tua. Sì, voglio che Silas ti tagli un orecchio e me lo dia. Mi piace conservare parti di voi, per quanto inutili e poco graziose.
Silas cercò gli occhi di Kieran, che bruciavano di una risoluzione spaventosa. ‒ D’accordo.
‒ Non diciamo idiozie ‒ intervenne Silas. ‒ Non siamo barbari né selvaggi, possiamo trovare un accordo più dignitoso per tutti.
Zeph abbassò il mento a osservarlo. ‒ Voi aristocratici pensate che tutti debbano adattarsi alle vostre regole ipocrite. Non c’è niente che possiate offrirmi, voglio solo vederti mutilarlo.
Se Kieran glielo avesse chiesto, lo avrebbe fatto. Era abituato a sporcarsi le mani, ma non avrebbe agito senza il suo permesso. L’idea lo disturbava parecchio, ma era certo di poter essere veloce.
Rifiuta. Non ne vale la pena.
Cercò con gli occhi di comunicargli quel messaggio. Zeph non sarebbe stato soddisfatto da quella piccola violenza.
‒ Ti ho detto che va bene. Ma prima mostrami il ricordo.
Zeph allungò una mano sullo sgabello accanto, ma invece di estrarne la boccetta, tirò fuori una maschera. Era diversa dalle maschere di Moslon, era la sua maschera della Legione; il volto scolpito in modo essenziale, i grandi e colorati occhi da Libellula forati da due buchi. La mandibola aveva piccole tenaglie ai lati della larga bocca, consumati. Le ali vibrarono per un attimo, anche i monconi delle due ali piccole adagiate su quelle lunghe.
‒ Le libellule sono sparite da Moslon da decenni. Le larve muoiono nell’acqua inquinata del lago, hanno bisogno di acque pulite. Io sono cresciuto qui, fra i canali sporchi e melmosi, ma sono sopravvissuto, anche se a stento. E ormai è quasi ora.
Silas si accorse della postura rigida di Kieran e capì che Zeph stava evocando la magia.
‒ Gli umani invece proliferano nello sporco, si moltiplicano nell’inquinamento, divorano e contaminano tutto. Promisi a mio figlio che lo avrei portato a vedere un lago pulito un giorno. La città lo faceva ammalare. Era andato a liberare uno scolo da solo, era la prima volta che non lo accompagnavo. Stava facendo il suo lavoro, un lavoro sporco e ingrato, ma lui era eccitato e contento. Si divertiva. Il tuo ricordo è una promessa che io non ho potuto mantenere. Gli hai mostrato il mare e la sua reazione genuina e felice mi ha fatto pensare a mio figlio. Dimmi, perché lui non ha avuto questo diritto? Perché l’ultima cosa che ha visto prima di morire era il fango di questa città che gli entrava nei polmoni?
Kieran allargò gli occhi a poco a poco mentre realizzava qualcosa, la sua espressione un misto di orrore, dispiacere e paura. Silas cercò di non ascoltare le parole di Zeph. Sentiva una rabbia disumana a immaginare un guerriero del Ferro che teneva la testa di un bambino nel fango fino a ucciderlo. A volte la sua mente cercava delle scappatoie da tutta quella crudeltà, cercava di sussurrargli “magari non è andata così, magari è soltanto annegato da solo, magari nessuno lo ha ucciso”. Ma poi si ricordava che il suo corpo era stato fatto a pezzi.
Conosceva la bestialità di chi commerciava e acquistava parti fatate, aveva visto con i suoi occhi la mancanza di scrupoli, la violenza, l’assenza di qualsiasi morale, empatia e umanità. Eppure inorridiva ancora, veniva scosso dalla testa ai piedi come le prime volte.
Non è il momento di lasciarsi sopraffare.
Doveva reprimere il turbamento. Zeph era diventato molto minaccioso e sembrava pronto ad attaccarli. Silas aveva con sé un pugnale, ma non voleva rischiare di ferirlo gravemente. Senza farsi notare afferrò una bottiglia. Poteva colpirlo e farlo svenire prima che fosse tardi.
L’aria del pub era diventata pesante e stantia, le pozze d’acqua sul pavimento avevano delle lievi vibrazioni.
Zeph voltò la testa e osservò un orologio a cucù appeso al muro. ‒ Volevo spiegarvi le mie ragioni. Non perché io voglia la vostra comprensione, no, di quella non mi è mai importato; ma perché voi sappiate.
Kieran s’inumidì le labbra. ‒ Sappiate cosa?
‒ Il perché ‒. Prese un bicchiere e lo sollevò. ‒ Al fango! Alla melma che inghiottirà Moslon!
L’orologio a cucù scattò e un piccolo uccellino uscì dal suo cantuccio ad annunciare le otto del mattino.
Zeph sorrise con sollievo, bevve e indossò la maschera.
Dopodiché tutto si annerì.
Il corpo di Silas venne scaraventato contro la parete e vide la porta esplodere alle spalle di Kieran. Le bottiglie scoppiarono una dopo l’altra in una nube di vetri, ma i rumori erano già stati risucchiati. Zeph stesso dopo aver allargato le braccia venne scaraventato contro la parete.
Non c’erano suoni, solo il silenzio e il fumo. Dalla porta spalancata iniziò a entrare un fiume di melma, mentre i colori vorticavano sfocati.
Silas boccheggiò con il viso immerso nel fango e nei vetri. C’era odore di bruciato e di sporco.
Alcuni sibili bassi e ovattati gli sollecitarono le orecchie insanguinate. Sembravano voci, lontane, distanti.
Urla.
Si issò sulle braccia e rimase gattoni, zuppo di acqua lercia. Alcuni vetri gli si erano conficcati nel gomito e temeva di avere i timpani feriti. Iniziò a tossire, il fumo gli faceva lacrimare gli occhi.
Si alzò con le gambe malferme mentre un torrente di fango invadeva il pub. Gettò un’occhiata a Kieran che si stava alzando a fatica, il volto sanguinante e gli occhi disorientati.
Corse fuori e inciampò più volte mentre la visuale si rovesciava; si sostenne alle ante dell’ingresso e guardò fuori. Nei suoi occhi sconvolti comparve il riflesso di alte colonne di fumo nerastro, che salivano oltre gli edifici. Era difficile vedere di fronte a sé a causa del denso vapore bianco che permeava ogni cosa. No, non vapore. Fumo.
Aveva messo un piede fuori dal pub e subito qualcuno lo urtò, per poi correre via nel panico. Si sforzò di mettere a fuoco, ancora stordito dalla prima esplosione. Decine di figure sfocate si accalcavano risalendo le vie, i torrenti ingrossati di acqua e fango li intralciavano.
Un’altra esplosione lo mandò quasi a terra. Tutto tremò di nuovo e Silas cadde in ginocchio nell’acqua. La gente urlava e correva man mano che le strade venivano invase da violente correnti d’acqua.
‒ Che cos’hai fatto ‒ urlò ma non sentì bene la propria voce, solo l’arsura della gola e lo sforzo delle corde vocali.
I sibili si acquietarono e tutti i rumori tornarono all’improvviso, una cacofonia di urla ed esplosioni.
L’acqua sembrava dotata di vita propria, allungava le sue dita in ogni via e trascinava Moslon con sé. Dalle case iniziavano a scemare decine di cittadini che si accalcavano verso l’attracco delle aeronavi e il palazzo del governatore. Scivolavano sui gradini ormai sommersi, si spintonavano fra le vie strette.
Silas rientrò nel pub incalzato da una ferocia e un terrore innominabili. ‒ Che cos’hai fatto ‒ ripeté e la sua voce cedette sulla fine, stravolta.
Zeph si era rialzato, aveva rivoli di sangue ovunque e muoveva le dita come se ascoltasse un suono meraviglioso. Il volto era nascosto dalla maschera ammaccata e da quegli occhi da insetto inespressivi. ‒ Qualcosa che volevo fare da un po’. Avevo solo bisogno di aspettare il momento giusto.
Bombe. Bombe disseminate per la città. Aveva aspettato un momento di piena, un momento in cui la tempesta aveva già messo in ginocchio Moslon per attivarle e farla sprofondare. Doveva aver bersagliato i canali, le piccole dighe e i pozzi.
No. Non può essere.
Un terrore primordiale lo colse quando venne folgorato da un pensiero.
Non avrà… ?
Kieran era in piedi, un rivolo di sangue gli attraversava la guancia e osservava Zeph a occhi sgranati.
‒ Perché.
‒ Allora non hai ascoltato prima?
La voce di Zeph era gutturale per il fumo, ma ancora calma e controllata. Le centinaia di urla quasi coprirono la sua risposta.
‒ Non fate gli innocenti, avete pensato anche voi che questa città fosse un errore, un qualcosa da cancellare.
‒ Non con le persone ancora dentro! ‒ gridò Silas.
Ripensò alla Dama Rossa, a Liv, ai bambini che giocavano nella fanghiglia vicino alla pensioncina. Erano le zone più precarie, i torrenti di melma e detriti rischiavano di trascinarli via.
No. Non poteva essere un piano orchestrato da Cavana. Cavana non era una folle, ma una stratega, non avrebbe mai distrutto un’intera città di innocenti per provare qualcosa, i suoi obbiettivi erano studiati e dovevano sempre portare a un guadagno, economico o politico.
La diga nel lago però è ancora intatta. Per ora.
‒ Perché adesso?
La voce di Kieran era a malapena udibile nel caos di urla e crolli che proveniva da fuori. L’acqua continuava ad aumentare.
‒ Perché la tempesta mi ha servito l’occasione perfetta. E perché così non raggiungerete mai Coz. Ho bevuto il ricordo, ma ho trascritto il suo contenuto. È partito per consegnarlo a Cavana.
Kieran impallidì. ‒ Lo sapevo. Lo hai visto.
Zeph sgrullò le ali dal fango, una era sanguinante e stropicciata da un lato. ‒ Sì.
‒ E nonostante questo…
‒ Pensavi che mostrassi pietà? Dovresti ringraziare che lo abbia mandato a Cavana. Io sarei partito per scovarlo e trucidarlo.
Kieran si lanciò su di lui prima che Silas potesse capire di che cosa stessero parlando. Alcuni passanti corsero di fronte al pub trascinando bagagli e bambini attraverso il fiume che riempiva le strade. La porta sfondata galleggiava nell’acqua e si udivano gli ordini impartiti dai gendarmi di Moslon.
Zeph non riuscì a difendersi dal pugno di Kieran, ma fletté le dita come se fossero aggrappate a qualcosa. Si levò un gorgoglio dall’acqua melmosa, che iniziò a ribollire sotto le gambe di Kieran. A poco a poco si alzarono impercettibili volute di fumo e la temperatura dell’acqua intorno al Campione salì. Kieran urlò mentre il calore gli ustionava le gambe e le mani, arretrò goffamente per uscire dal cerchio di acqua bollente.
Zeph non perse tempo, sollevò uno schizzo d’acqua rovente con una mano e la lanciò addosso a Kieran; questo chiuse gli occhi e tentò di ripararsi, la pelle sfrigolò quando incontrò il bollore. Zeph con un pugnale in mano si lanciò per conficcarglielo nel petto.
Silas allungò le mani d’istinto per fermare il turbinio di acqua bollente fra di loro, e imprecò con violenza quando si ricordò della sua magia bloccata.
‒ Kieran, attento!
Reed aprì gli occhi mentre serrava i denti per le ustioni e usò la propria maschera di rame per parare il pugnale. La lama si conficcò dentro il ferro ed entrambi caddero in acqua. Zeph non aveva speranze in un confronto fisico, il suo corpo era molto più esile di quello di Kieran, ma la sua magia era imprevedibile.
Un altro boato scosse il pub fin nelle fondamenta. Silas voltò di scatto la testa, mentre tentava di individuare il luogo dell’esplosione. Sembrava molto più lontana delle altre.
Troppo lontana.
‒ No…
Non poteva aver commesso una simile atrocità. Non poteva aver fatto saltare la diga.
Fuori da lì la folla sembrava una massa indistinta di caos e urla, le strade erano invase da persone e da gendarmi. Tutti correvano lungo le salite, verso l’alto.
La parte bassa di Moslon stava per essere spazzata via.
Corse fuori, senza riflettere, schivò i cittadini in fuga e si affacciò alla via principale da cui si potevano vedere i quartieri più lontani, in basso, palafitte, passerelle e piccoli ponti di ferro. I moli, la Dama Rossa, la pensioncina.
L’acqua inghiottì tutto. Una violenta massa d’acqua, fango e detriti strabordò sulla terra e tornò indietro con un risucchio, le case sparpagliate come foglie cadute, i pontili sommersi o crollati, tutto distrutto.
Silas urlò, sgomento, gli occhi sgranati mentre l’onda si calmava. Dozzine di vite spezzate, annegate, schiacciate. Gente povera, malata, operai che si recavano in fabbrica, pescatori, sgorgascoli intenti a svolgere il loro lavoro. Uccisi senza un lamento, inghiottiti dal lago.
La diga non era interamente crollata, riusciva a scorgerla in lontananza. Le bombe avevano aperto una grossa voragine fumante da cui era piombata la massa d’acqua che aveva travolto Moslon bassa. Il rischio che il resto della diga crollasse era reale.
In quel caso neanche loro avrebbero avuto scampo.
La folla continuava a scemare intorno a lui, i sopravvissuti della città bassa si stavano rovesciando nelle strade e i gendarmi non venivano ascoltati. Silas venne spintonato con violenza e udì uno sparo in lontananza.
Dobbiamo andarcene. Dobbiamo andare via da qui.
Con uno slancio corse verso il pub per recuperare Kieran.
Non riusciva a respirare. Non riusciva a ragionare.
Forse era ancora addormentato, forse era solo un incubo.
Faticò per rientrare nel buio della locanda, ormai l’acqua gli arrivava alle ginocchia. I due avversari erano dove li aveva lasciati, ma Kieran aveva vinto.
Teneva Zeph stretto da dietro, immobilizzato, le ali schiacciate contro il suo corpo. ‒ Hai distrutto una città! Hai ucciso centinaia di persone! ‒ urlò, qualsiasi traccia di calma che aveva abbandonato il suo viso. ‒ Tu non uscirai vivo da qui ‒ ringhiò.
Zeph rideva, i tratti efebici del volto contratti per il dolore. ‒ Dai capelli colorati e dagli occhi scompigliati, traditori dell’accordo sono i figli di un re INGORDO.
Silas riconobbe la filastrocca e intuì la sua prossima magia. L’acqua vorticò intorno a Kieran, che aveva le braccia impegnate a tenere fermo Zeph.
‒ Ferma la fattura ‒ gli intimò, facendo pressione su un braccio. ‒ O ti spezzo l’osso.
Non riuscì a finire la frase che l’acqua putrida con un gulp flessuoso gli entrò in bocca. Il liquido iniziò a fluire fra le sue labbra, che a causa della pressione rimanevano aperte. Un getto continuo contro naso e bocca che gli impediva di respirare. Kieran cercò di scansare il volto, ma l’acqua seguiva i suoi movimenti. Lasciò la presa e usò le mani per tapparsi le labbra, ma aveva le vie respiratorie ostruite dalla melma.
‒ Lo ucciderai! Ferma l’incantesimo! ‒ urlò Silas. ‒ Fermalo e ti lascerò andare!
Zeph si limitò ad alzargli il dito medio. ‒ Ti farò un favore oggi, porterò questo bastardo all’altro mondo con me. Così forse ricorderai chi è il vero nemico.
Kieran ormai aveva cambiato colore. Tolse le mani per vomitare l’acqua ingerita, ma il getto riprese a colpirlo, brutale. Cadde a terra senza forze, le vene sulla fronte paonazza sembravano pronte a esplodere.
All’improvviso la magia s’interruppe.
Kieran vomitò, fango e acqua uscirono dalla sua bocca e dal suo naso, misti a lacrime e sangue. Respirò a pieni polmoni, la gola irritata dalla magia. Cercò di parlare, ma non aveva fiato per articolare neanche una sillaba.
Alzò il viso, gli occhi rossi per i capillari esplosi.
Silas aveva pugnalato Zeph al petto. Questo aveva le mani vicino alla ferita e osservava il pugnale, sorpreso.
Barcollò, ma Silas lo afferrò prima che cadesse. Lo sostenne e s’issò sul bancone del pub per sfuggire all’acqua crescente.
Zeph aveva la bocca piena di sangue, Silas aveva usato tutta la sua forza per sfondare la cassa toracica e pugnalarlo al cuore, ma non sapeva neanche dove la lama fosse sprofondata. Sapeva soltanto che c’era un lago di sangue.
‒ Porca puttana Zeph ‒ imprecò, la voce incrinata. ‒ Perché, perché mi hai costretto a questo. Tutte quelle persone…
‒ Un tempo non eri così. Un tempo esigevi sangue ‒ gracchiò la Libellula. ‒ È stata la morte di Rondine a cambiarti?
Silas sussultò a sentire quel nome; gli era stato vietato così a lungo che provò un moto di paura a udirlo.
‒ Forse.
Gli tremavano le mani.
Quella realtà, quel momento, era tutto da rifare. Voleva svegliarsi, voleva un’altra possibilità. Non poteva essere andato tutto così male, non potevano essere morte centinaia di persone, non poteva aver ucciso un suo compagno. Socchiuse gli occhi. Se solo avesse avuto il potere dei Valksha di alterare la realtà, avrebbe cambiato quella realtà in un istante. Non c’era fine al peggio, rimpiangeva quello che un’ora prima gli era sembrato l’inferno.
Un animale morente che va abbattuto.
Non aveva forse concepito un pensiero simile poco prima a proposito di Moslon? Il suo solito sprezzo, la sua solita presunzione e superbia. Nessuno aveva udito quel pensiero a parte lui, ma si sentì sporco, malvagio, ignobile come mai.
‒ Tutte quelle persone… ‒ ripeté fra i denti.
‒ La loro vita non era vita.
‒ Non stava a te deciderlo! ‒ urlò e strinse le mani sul suo corpo.
Zeph guardò il soffitto mentre veniva scosso dai tremiti. ‒ È il mio lavoro. Ho liberato per sempre questo scolo intasato chiamato città.
Kieran si avvicinò, ancora riluttante a parlare a causa della gola in fiamme. ‒ Dov’è andato il tuo uomo ‒ sussurrò roco.
‒ Non te lo dirò solo perché sto morendo, cacciafalene.  
Silas sobbalzò quando uno schianto fece tremare di nuovo le pareti. Altre urla, distanti, e lo sciabordio forte dell’acqua rimbombò fino a loro.
Zeph allungò una mano piena di sangue e afferrò Kieran per la maglia zuppa.
‒ Tuo fratello è uno di noi ‒ tossì e il sangue imbrattò il fazzoletto bianco che aveva legato al collo. ‒ E grazie a lui, l’Ailanto epurerà questa terra. Come io ho epurato questa città.
Si afflosciò nella presa di Silas man mano che la vita lo abbandonava. Aveva perso i sensi e il suo battito era quasi inudibile.
‒ Zeph…
Silas gli tenne la testa, mentre il suo corpo si spegneva. Lo adagiò sul bancone con delicatezza e si guardò il sangue che gli imbrattava le maniche e le dita. Socchiuse gli occhi e abbassò la testa.
Si voltò piano verso Kieran, che aveva gli occhi sgranati. Silas impiegò qualche secondo per analizzare le ultime parole.
‒ Tuo… fratello?
‒ Deve essersi confuso.
La voce uscì immediata, costruita. Silas non lo ascoltò neppure; guardò di nuovo verso la Libellula e ricordò le frasi insensate di prima. Si portò il polso alla bocca, per sopprimere il conato che gli stava salendo a causa dell’odore di sangue e icore sparso sul pavimento. Fu costretto ad allontanarlo quando il sangue sulle mani gli diede il voltastomaco.
Ho ucciso un compagno.
Serrò i denti e represse ogni turbamento. Aveva giurato a sé stesso che una volta libero dai Vaukhram non si sarebbe mai più macchiato del sangue dei suoi compagni o della sua famiglia, che nulla al mondo lo avrebbe messo di nuovo contro i suoi alleati. Promesse e propositi calpestati in quel momento, gettati nel vuoto. Anche ora che era libero e padrone del suo corpo si ritrovava a uccidere quelli come lui. Spregevole, non era altro che spregevole, non aveva onore, non aveva dignità. Tutta quella gente morta, tutte quelle vite spezzate. Per cosa? Per chi?
‒ Silas dobbiamo andarcene da qui. Questo posto verrà invaso da gendarmi e guerrieri del Ferro. Dobbiamo prendere l’aeronave prima che la situazione precipiti o i controlli ci impediranno di partire. Ci arresteranno!
Andarsene. Kieran aveva più sangue freddo di lui in quel momento. Dovevano semplicemente fuggire? Abbandonare tutte quelle persone, lasciare che la città sprofondasse.
Kieran tremava, zuppo fino ai piedi, gli occhi incavati da dolore e impazienza.
Silas ripiegò le braccia di Zeph. Guardò il ciondolo al suo collo, con un piccolo corno. Doveva essere stato di suo figlio.
E tutti i bambini che oggi hai ammazzato, loro che scelta hanno avuto.
‒ Silas ti prego ‒ lo incalzò Kieran e cercò di voltarlo.
Si ribellò a quel tocco con un gesto brusco. Era certo che avrebbe vomitato se Kieran gli avesse mostrato dell’affetto. Si odiava così tanto in quel momento che voleva solo essere picchiato e abusato, non voleva alcun tocco gentile, non voleva niente che somigliasse a una parola di conforto. Non ne aveva il diritto, non mentre centinaia di persone annegavano e venivano spazzate via dai detriti e dall’acqua.
‒ Maledizione Zeph ‒ ringhiò con la voce rotta.
Per i suoi drammi personali non si era accorto di nulla, si era fatto gli affari propri e quello era il risultato.
Kieran non provò a toccarlo di nuovo, ma continuò a chiamarlo e a dirgli che dovevano scappare.
Silas si passò una mano sul viso e si calmò quel tanto che bastava per articolare una frase.
‒ Hai un fratello. Ed è un mezzosangue ‒ esordì.
 Posò lo sguardo su quello di Zeph, i suoi occhi aperti erano freddi e vuoti. Si voltò poi verso Kieran mentre ripiegava le maniche della camicia nel tentativo di nascondere le macchie di sangue. ‒ Spero che ne sia valsa la pena, di nascondere tutto questo. Ora, se permetti, mi dirai tutta la verità.


 
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Anche questo capitolo è stato lungo e difficile, non sono per niente soddisfatta, ma tenerlo in ostaggio a una certa mi sembra anche fuoriluogo. Oggi è il mio compleanno e ci tenevo a pubblicare ^^, anche perché siamo a un punto di svolta. Diciamo che questa sarebbe la "fine prima parte", ma in realtà continuerò a pubblicare come faccio ora.
Ho avuto una giornata bella pesantina, quindi perdonatemi, ma risponderò alle vostre fantastiche e istruttive recensioni domattina col sole e un caffé in mano. Io vi ringrazio sempre tantissimo, se volete farmi qualsiasi appunto, correzione o consiglio sono sempre apertissima e felice, so quanto può essere pesante a volte fermarsi a lasciare un commento o una nota, quindi a prescindere grazie di cuore. Malgrado la tragedia di questo capitolo, un lato positivo c’è, Silas ora sa la verità xD, meglio tardi che mai.

L'immagine rappresenta Zeph più o meno come lo immaginavo, forse un tantino più etereo e con le ali. Qui sotto la fonte.
 https://mobile.twitter.com/bbthou/status/1247867339195871232

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Capitolo 27
*** Henry ***




SECONDA PARTE


Prefazione

 
Zartiaki.
Traditore.
Radinka lo aveva sibilato fra i denti, quasi sputato. La versione della gente dell’est gli piaceva molto di più della loro. Una parola ruvida, spezzata, da gettare in faccia al suddetto traditore.
E Silas di traditori ne aveva conosciuti molti nella sua vita.
Da chi lo aveva messo al mondo, a chi lo aveva accolto in una finta casa accogliente. Da fratelli, che avevano tentato di ucciderlo nel sonno o avvelenarlo, da amanti, che lo avevano diffamato e abbandonato. Da Cavana, che gli aveva voltato le spalle una volta diventato inutile. Da mentori, compagni, amici.
Quel zartiaki però era forse il peggiore di tutti e quel tradimento aveva un sapore diverso.
Sapeva di sangue tanto per iniziare, perché aveva la bocca spaccata. Sapeva di ferro, che gli bruciava lo stomaco e il corpo dall’interno. Sapeva dell’odore fresco degli enormi abeti del confine.
Sapeva del tè di Cleobert.
Sapeva di Kieran.
Silas non aveva forze neanche per sollevare il capo. Era rinchiuso nel carro e l’aria soffocante gli toglieva il respiro. Se ne stava afflosciato in un angolo come un vestito sgualcito.
Lui si rialzava sempre. Ma iniziava a essere stanco, una stanchezza troppo radicata in lui.
Da quando il vincolo era stato reciso, la solitudine dei propri sentimenti e pensieri era diventata insopportabile.
Non sognava più.
Guardò i propri polsi incatenati e logorati. Era tornato al punto di partenza, ma con una nuova mutilazione.
Non c’è amore senza perdita.
Glielo aveva detto una volta Rondine. Amare significava prepararsi a una perdita inimmaginabile. Tutti prima o poi perdevano l’amore, se non per scelta, la morte li divideva.
In questo caso però c’era una scelta.
La volontà di Kieran. In fondo non era nato tutto per sua volontà? Non era sempre stato Kieran a tirare i fili della sua persona? Era sempre stato una marionetta nelle sue mani.
Un cavallo sbuffò e la fessura della luce venne oscurata da due occhi impossibili da non riconoscere.
‒ Mi dispiace, Silas.
Non rispose a quella voce. Si sentiva impermeabile ormai alle sue bugie.
Era un prigioniero di guerra ancora una volta. L’ultima.
Non c’era più nessuno al suo fianco, nessuno che potesse tirarlo fuori da guai stavolta.
Oppure… no?
Qualcuno era lì con lui.
 Nell’angolo buio del carro, una presenza. Sbatté le palpebre e qualcosa gli afferrò le viscere, come una mano artigliata che stringeva il suo cuore.
Tu non sei solo. Tu sei un noi.

 
 

Henry

XIX
 
 
Moslon non c’era più.
Rimanevano alcuni quartieri ancora in piedi, ma la maggior parte si trovava sotto il lago di melma. Il crollo della diga aveva spazzato via gli ultimi residui di quella vecchia e stravagante città. Le acque verdi ondeggiavano contro la collina e le strade rimaste intatte.
I resti galleggiavano, piccole isole di detriti spostate dalle acque. Alcune figure nuotavano fra la melma per raggiungere le sponde, altri ancora navigavano su piccole imbarcazioni alla ricerca di superstiti.
Silas non riusciva a distogliere gli occhi.
Da lassù non sembrava reale, le persone erano puntini sfocati, le case distrutte erano giocattoli fatti a pezzi. Come quando da bambino si lanciava in acqua nel torrente vicino la villa e a volte l’acqua gli strappava dalle mani i giochi in legno.
‒ Silas, le tue maniche.
La voce di Kieran gli arrivava da un posto lontano. Lo osservò senza vederlo, poi esaminò lo stato della sua camicia. I polsini erano impregnati di sangue lì dove aveva sostenuto Zeph.
Silas era consapevole di non essere una persona sempre fredda e razionale, ma era logico e pianificatore la maggior parte del tempo. Rimanere in vita fino a quel momento era una prova sufficiente di quella convinzione, Silas pianificava, di continuo, come rimanere in vita, come avere vendetta, come raggiungere un obbiettivo, come proteggere qualcuno.
A causa di ciò, quando tutto sfuggiva alla logica e a una possibile pianificazione Silas perdeva il controllo. Un simile eccidio sfuggiva a ogni logica e i suoi molteplici piani erano andati in confusione.
Cercò di semplificare, scomporre in parti elementari tutto ciò che era accaduto, come per un’equazione matematica complessa o una frase da tradurre lunga e articolata.
Scomporre il più possibile.
Zeph aveva sterminato centinaia di persone.
Silas aveva ucciso Zeph per salvare la vita a Kieran.
Non sapeva quale realizzazione fosse più illogica.
‒ Magari Liv è riuscita a salvarsi.
Kieran aveva parlato con tono flebile. Silas si stava rimboccando di nuovo le maniche per nascondere il sangue. ‒ Forse.
A giudicare dallo sguardo preoccupato di Kieran, doveva avere davvero una brutta cera in quel momento. E perché non averla? Era troppo provato per fingere che andasse tutto bene. Andava tutto così male che non sapeva neanche a chi dare la colpa. Principalmente a sé stesso.
Ora doveva anche fare i conti con il fatto di aver ucciso un suo compagno per salvare il suo peggior nemico.
Alleato.
Ah già, ora giocavano a fare gli alleati. Dopo tutti i tiri mancini che si erano fatti, le ferite inferte, le umiliazioni. Dopo tutto il rancore e le delusioni. Dopo che i colpi di Kieran erano stati così violenti sul campo di battaglia dal togliergli il fiato, mentre gli spaccavano le ossa. Mentre lui lo bruciava con la magia e rideva del suo lamento, gli creava nuove cicatrici che non sarebbero mai andate via.
Tutto quello e ora aveva ammazzato per lui. Aveva ucciso uno dei suoi senza esitare.
Kieran si passò le mani fra i capelli. ‒ Temevo che non saremmo riusciti a partire. È stata dura.
Dura era un eufemismo. Aveva avuto molte brutte giornate negli ultimi tempi, fra torture, esecuzioni e incidenti mortali, ma forse quella era la peggiore. Forse quello era il suo fondo, non lo sapeva, aveva sempre pensato che per lui non ci fosse alcun fondo, che avrebbe potuto scendere ancora più in basso all’infinito.
Qualcuno si affrettò nello stretto corridoio dell’aeronave, spingendo gli altri dentro una cabina.
Erano riusciti a partire. Si erano sciacquati il sangue e avevano raggiunto il porto delle aeronavi. Una fiumana di persone aveva invaso gli attracchi e avevano dovuto sgomitare per raggiungere il punto d’imbarco. I loro biglietti, firmati dal governatore stesso, erano bastati a dar loro la precedenza su quella folla di disperati.
Silas aveva sentito decine di mani strattonarlo indietro e si era fatto violenza per non lasciarsi inghiottire.
Avevano una piccola stanzetta privata con due posti di velluto accanto all’oblò. Non avevano bagagli con loro e per il decollo nessuno dei due aveva aperto bocca.
Kieran non aveva guardato la città, anzi, aveva tenuto la testa girata in modo ostinato dalla parte opposta, la gamba che saliva nervosamente su e giù. Si mordeva le pellicine del pollice, sovrappensiero e si grattava le ferite delle bruciature sul viso, lucide macchie rosse.
Silas aveva osservato dall’oblò Moslon che si rimpiccioliva, aveva guardato con un peso insopportabile nel petto le vie sommerse, le case distrutte, le fabbriche spente. La città era un ricordo, la folla di sopravvissuti appariva sempre più come una massa scura e caotica.
Cercò di pensare a Susanne, lei era lì, lei avrebbe preso in mano la situazione, non avrebbe permesso che tutte quelle persone rimanessero senza aiuto, avrebbe organizzato i soccorsi, avrebbe investito per aiutare tutti. Sì, lei era forte, era il leader di cui Moslon aveva bisogno in quel momento.
Continuò a guardare la città anche se era doloroso, continuò finché le nuvole coprirono la visuale e il vetro gli restituì l’immagine del proprio volto.
Il motore dell’aeronave produceva un rumore infernale, gli causava fitte di mal di testa continue. Nessuno dei due era in vena di parlare. Silas stava afflosciato, spento, Kieran aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto sepolto contro i pugni.
Non c’era uno scenario peggiore di quello.
Silas si alzò in modo nervoso. ‒ Vado a cercare qualcuno dei domestici per rimediare degli abiti puliti e qualcosa da bere.
Si aspettava una pioggia di proteste da parte di Kieran come quando erano sul treno e lo aveva lasciato legato nella cabina.
Invece non disse nulla, un cenno del capo di assenso e poi di nuovo nel suo mondo di preoccupazioni e movimenti nervosi delle gambe.
La verità.
Giusto.
Non poteva lasciarsi andare. C’era ancora una questione della massima urgenza da affrontare.
Stava lasciando a Kieran il tempo di rimettersi in sesto, di calmarsi. E anche a sé stesso.
Poi avrebbe affrontato quella faccenda come affrontava ogni cosa nella sua vita: sfacciataggine, disperazione e stile. Soprattutto stile.
I corridoi dell’aeronave erano meno stretti di quelli del treno; nella prua c’erano i sedili panoramici a file da due, dove venivano serviti alcolici e rinfreschi. Nel mezzo stavano le piccole cabine private, strette come ripostigli, ma intime.
Sul fondo dell’aeronave stavano i posti meno ambiti e costosi, sedili numerosi e asserragliati fra di loro, vicino al motore dove il rumore diventava più forte e insopportabile.
In quella situazione però i passeggeri non avevano granché voglia di bere e passare un viaggio piacevole a chiacchierare sui pontili panoramici.
Silas impiegò un po’ per trovare un addetto dell’aeronave, dovevano aver organizzato la partenza in fretta e furia. Era pieno di profughi, di bagagli abbandonati lungo i corridoi, di gente sporca e spaventata che si faceva forza. Anche i passeggeri borghesi o più illustri non avevano una bella cera, con i pantaloni eleganti inzaccherati di fango, gli abiti sfarzosi rovinati.
Gli addetti erano vestiti con redingote rosse che li identificavano dagli altri. Silas riuscì a chiedere alcuni vestiti e qualcosa di caldo e di forte da bere.
Il cameriere tornò poco dopo accompagnato da un altro con alcuni abiti dell’equipaggio sottobraccio e un vassoio.
‒ Possiamo portarvi altro, signori? Delle coperte? Avete bisogno di cure?
Silas si chiese se quel servizio fosse stato offerto anche ai passeggeri sulla poppa.
‒ Stiamo bene così.
Rimasti soli, Kieran continuava a evitare i suoi occhi. Da quando lo aveva lasciato non aveva cambiato posa, in compenso si era passato talmente tante volte le mani nei capelli che alcuni ciuffi rossi si raddrizzati con un certo risentimento.
Silas espirò per riprendere la calma e il controllo di sé.
Non fare scenate da vedova in lutto. Sei un Vaukhram.
Glielo diceva sempre sua sorella.
Si sfilò la maglia e rivelò alcuni tagli e lividi dovuti all’impatto per l’esplosione. Si aspettava il solito sguardo di panico e sconcerto da parte di Kieran quando iniziava a spogliarsi, ma invece non lo trovò. Si spogliò anche lui, rivelando ferite e lividi altrettanto numerosi.
‒ Ti ha pugnalato?
‒ Solo di striscio.
‒ Mettici un po’ di alcool.
Kieran non gli rispose. Finì di cambiarsi e ritornò nel suo silenzio pensieroso, come se non lo avesse sentito.
Silas sospirò. Pazienza. Abbi pazienza.
Versò il caffè in due tazzine e poi del whiskey nei bicchieri. Ne allungò uno a Kieran, gli occhi puntati su di lui. Questi finse di non vedere l’offerta di pace, si sistemò la sciarpa rossa e intrisa di fango come a nascondercisi dentro.
– Vorrei che tu mi raccontassi cos’è accaduto e com’è possibile che tu abbia… un fratello Discendente.
Kieran guardò la tazza di caffè fumante, esausto. Si grattò una delle bruciature sul viso e fece una smorfia di dolore. Si passò la lingua sulle labbra secche e sanguinanti a causa della fattura di Zeph.
Rimase ostinatamente in silenzio.
È così che vuoi giocare?
‒ Kieran, ormai la verità è venuta fuori. Il ricordo arriverà a Cavana.
‒ Per colpa tua ‒ frecciò, incapace di trattenersi.
La sua voce era acre, rovinata dal getto di fango che la aveva invasa.
Silas deglutì. ‒ Per colpa mia.
L’ammissione sembrò smorzare appena l’indurimento dal volto di Kieran. Silas gli allungò un panno dopo averlo imbevuto con un po’ di alcool. ‒ Ti sanguina di nuovo la fronte. E passalo dove ti ha quasi pugnalato.
Kieran lo prese, incerto. ‒ Grazie. A te sanguina il braccio.
Silas piegò il gomito per osservarlo e notò che la nuova camicia si stava macchiando di sangue lì dove i vetri lo avevano tagliato. Le esplosioni gli lampeggiarono di fronte agli occhi di nuovo.
Abbassò il braccio senza darvi peso.
‒ Conoscevi bene la Libellula?
‒ No. Beh ho avuto spesso a che fare con lui, abbiamo svolto alcune operazioni insieme. Negli ultimi giorni ero stato al suo pub, mi aveva ospitato.
Kieran si strofinò di nuovo il volto sporco di fango. ‒ Non sapevi nulla dell’attacco?
Silas gli rivolse uno sguardo sbigottito. ‒ Pensi sul serio che se lo avessi saputo gli avrei permesso di portarlo a termine?
‒ Ma erano i suoi ordini, no?
‒ No ‒ replicò, categorico. ‒ Tu non sai com’è Cavana. Cavana non avrebbe mai dato simili direttive. Se ha preso di mira alcune città, è stato per conquistarle, non per distruggerle. Non ama le carneficine.
Kieran guardò verso l’oblò. ‒ La ammiri.
‒ Certo che la ammiro. Cavana è la prima persona in questo mondo che ha detto non ci sto, che ha sacrificato tutto per la causa, che ha portato avanti le nostre ragioni con intelligenza e strategia. Per quelli come noi ribellarsi è più difficile di quanto pensi. Nessuno ci tutela davvero, opporsi significa con molte probabilità andare incontro a una morte orribile. Tutti pensano che se qualcuno è oppresso come reazione naturale avrà quella di ribellarsi. Nessuno riflette mai sul fatto che forse la persona oppressa non è così lieta di rischiare la pelle pur di smettere di essere oppressa. Che forse anche lei vuole sopravvivere. Cavana è stata la prima a dare una scelta diversa.
Non ricevette una risposta piccata stavolta, soltanto silenzio. Vedeva il suo volto riflesso nell’oblò ed era esausto, spaventato.
‒ Ucciderebbe un mezzosangue per colpire me?
Silas sbatté le palpebre. ‒ No. Mai. Non ucciderebbe uno di noi per qualcosa di così futile. Cercherebbe di usarlo, questo sì.
Kieran si stropicciò gli occhi con un sospiro. ‒ Mi hai salvato la vita lì. Hai… ucciso uno dei tuoi.
‒ Zeph aveva perso la ragione ‒ rispose e chinò la testa. ‒ E poi sarei morto anch’io.
‒ Avresti potuto colpirlo in testa, farlo svenire.
Sì, era vero, avrebbe potuto provarci. Ma era stato preso dal panico. Neanche si ricordava del vincolo, forse la mancanza d’aria che aveva iniziato a sentire era dovuta a quello, ma lui aveva smesso di riflettere.
Per quel tipo spettinato e sporco che lo guardava con occhi spalancati.
Non ci ricascherei mai.
Non era così stupido. Aveva sempre avuto un pessimo gusto in fatto di infatuazioni, ed era recidivo come pochi. La maggior parte delle volte era stato lasciato, per una moglie, per un marito, per una “brava ragazza”, per la sua famiglia, perché era un mezzosangue e andava bene come amante ma non come altro. Aveva dato la sua quota di delusioni, ma spesso era soltanto prevenzione.
Insomma, c’era un limite a tutto. Kieran gli faceva solo venir voglia di tirare pugni e calci al primo poveretto che gli fosse capitato a tiro.
E allora perché?
Perché in un mondo diverso avrebbero potuto essere di più? In un mondo diverso Kieran avrebbe riservato le sue premure a uno come lui, invece di trascinarlo in catene e dargli un cazzotto. In un mondo diverso Kieran gli avrebbe sorriso ogni volta che lui fosse entrato in una stanza, gli avrebbe comprato regali, lo avrebbe difeso, lo avrebbe…
Lui aveva rifiutato quel mondo.
Cercò di imprimersi nella mente le parole dell’altra notte, quando Kieran lo aveva aggredito e insultato.
Era bastato accennare al loro rapporto per scatenare quella reazione. Kieran lo rigettava con tutto sé stesso. Lui doveva fare altrettanto.
‒ Non ero lucido ‒ disse, asciutto. ‒ Non riuscivo a ragionare.
Kieran lo soppesò appena, poi si strofinò le nocche, ansioso. ‒ In ogni caso ormai non ha senso nasconderlo. È troppo tardi.
L’ammissione lasciò Silas senza parole. Fino a quel momento aveva creduto che ci fosse stato un fraintendimento, ma Kieran aveva appena smontato quella convinzione.
‒ Allora Zeph diceva la verità. Tu hai davvero un fratello mezzosangue.
Kieran incassò le spalle e la testa come se un oggetto pesante gli fosse crollato addosso. – Non era niente di personale. Non l’ho mai detto a nessuno, perché nessuno doveva sapere. Me lo avrebbero portato via. Ma tanto è andato tutto a rotoli ‒ e rise appena, allargando le braccia, ‒ tutto alla malora. Ogni sforzo, ogni sacrificio, tutto a puttane.
Silas non sapeva come sentirsi di fronte a quelle parole. Lo shock iniziale era ancora ben presente e non riusciva a rielaborare quelle informazioni. Kieran e un fratello. Non un fratello qualunque, ma un mezzosangue.
Come aveva fatto a nasconderlo per così tanti anni? Com’era possibile che né lui né altri lo avessero scoperto? Avrebbe dovuto capirlo molto tempo prima, Kieran aveva sempre avuto una certa dimestichezza verso i Discendenti.
Per tutto questo tempo proteggeva suo fratello.
Avrebbe voluto non sentire quel calore, come se lo riguardasse personalmente.
‒ Credi sul serio che avrei mai potuto tradirti su una questione tanto delicata? Credi che avrei permesso che un ragazzo mezzosangue venisse strappato alla sua famiglia? Avevo abbastanza influenza all’ora da impedirlo.
Kieran accennò un sorriso amaro. ‒ Neanche tu avresti potuto impedirlo. Nessuno avrebbe potuto impedire che lo portassero via.
Silas aggrottò la fronte, ma decise di andare per gradi, non voleva rischiare che si chiudesse di nuovo senza dire altro. ‒ Quanti anni ha e come si chiama?
‒ Lui… si chiama Henry. Ha compiuto diciott’anni da poco.
Henry.
Il calore che animò quel nome gli suscitò emozioni bizzarre.
Kieran lo aveva pronunciato con affetto, riluttanza, timidezza. Non c’era modo di sbagliarsi, stava parlando di qualcuno che amava davvero. Forse lo aveva anche sentito pronunciare quel nome nel sonno una o due volte, pensando che fosse un suo vecchio amico.
‒ Un ragazzino ‒ rifletté. ‒ Ha nove anni meno di te. Com’è possibile? Vivevi a Railia e sono certo che nella capitale non si vedano fate.
Poteva essere accaduto durante un viaggio. La madre o il padre erano stati attaccati o sedotti da una fata purosangue?
‒ No. Non andò così.
La sua riluttanza nel continuare lo stava spazientendo ma si impose di rimanere calmo. Era un segreto innominabile per Kieran, doveva cercare di essere comprensivo e paziente.
Anche se odio essere paziente.
Bofonchiò nella sua testa.
‒ Perché pensi che te lo avrebbero tolto? Perché la tua famiglia era povera? Le grandi famiglie strappano i mezzosangue alle famiglie più povere. Ma non lo avrei mai permesso se tu me lo avessi detto. Ti avrei aiutato.
Kieran si passò le dita fra i capelli. Appariva prosciugato. ‒ Forse è meglio che parta dall’inizio. Ma Silas, se mai userai queste informazioni per fare del male a mio fratello, sappi che non esiterò a tagliarti la gola, anche se il vincolo sarà ancora attivo.
Silas non aveva così tante certezze nella vita come dava a vedere, sapeva quanto le persone e il tempo fossero imprevedibili. Ma in quel momento era certo con tutto sé stesso che non avrebbe mai tradito Kieran su quello.
‒ Hai la mia parola. Porterò tutto questo nella tomba.
Kieran assottigliò gli occhi. ‒ Anche contro la Legione?
‒ Anche contro Titania in persona.
Reed si passò le mani sul viso, per darsi coraggio. Prese il bicchiere di whiskey e ci si specchiò dentro. ‒ Lui è la mia famiglia, è il mio migliore amico, è la mia casa. Se dovesse accadergli qualcosa, non so come andrei avanti.
Quelle parole scavarono qualcosa dentro Silas che non riuscì a fermare. Era come se vedesse Kieran per la prima volta e tutto quello che non gli giustificava, non gli perdonava, avesse trovato un senso.
Aveva sempre pensato che Kieran volesse mostrarsi migliore di ciò che era, ma sotto la sua carrellata di errori, menzogne e manipolazioni, c’era qualcosa di molto più genuino e puro.
Eppure io l’ho amato.
Lo aveva amato senza neanche sapere di tutta questa parte della sua vita, come se avesse amato un disegno o una figura ritagliata. Come si poteva provare sentimenti così forti verso qualcuno di cui si conosceva solo la punta?
No, forse non era così. Quello che aveva provato per Kieran era legato ai suoi gesti, al suo modo di pensare e di agire, spettri della sua vera natura e di quel segreto.
‒ Kieran non ho mai neanche usato quello che c’è stato fra noi per metterti nei guai agli interrogatori o con la Legione. Pensi davvero che userei un ragazzino mezzosangue per ferirti? So essere spregevole e disonesto, ma non fino a questo punto. E tu lo sai.
Kieran annuì con cautela, ma bevve un grosso sorso. Vuotò il bicchiere senza neanche prendere fiato.
‒ Perché pensi che debba succedergli qualcosa? È vero che per legge i figli mezzosangue andrebbero segnalati e questo potrebbe causarti problemi nel Ferro. Ma nella tua posizione ormai nessuno ci farebbe caso.
Sospirò pesantemente e toccò la sciarpa che aveva intorno al collo, come se gli desse coraggio. – Io non sono di Railia, sono nato oltre la Costa Bronzea, in uno dei villaggi al confine con le Terre Spezzate. Più a sud che a nord. Ho mentito sul fatto di essere nato e cresciuto in città.
Silas represse una risata. ‒ Allora quando ti chiamavano campagnolo non erano così lontani.
Kieran assottigliò le labbra. ‒ Non ero un contadino, vivevo nelle campagne vicino alla Giungla dei Miraggi, ma non lavoravo la terra. Però suppongo di sì, ero un campagnolo.
La menzione alla Giungla lo mise in allerta. ‒ Non sono mai stato in quelle zone. Troppi cacciafalene al confine.
Kieran lanciò un’occhiata di sottecchi a Silas per controllare la sua reazione, ma la sua battuta sull’essere un campagnolo sembrava averlo rassicurato. ‒ Sì, è vero. Lì la vita è piuttosto diversa, il pericolo costituito dal confine è enorme. I villaggi non si fidano degli ufficiali del Ferro che vengono dall’entroterra, ma hanno un legame speciale con i guerrieri stanziati lì; vengono considerati eroi, leggende. I loro accampamenti sono diffusi ovunque. La mia vita per i primi nove anni è stata abbastanza tranquilla, mio padre era un postino, viaggiava di continuo in vaporetta per consegnare pacchi e lettere ai paesini nei dintorni, io andavo sempre a guardare gli accampamenti del Ferro con gli amici. Mia madre era una sarta, veniva pagata per cappelli alla moda, bambole, corredi nuziali, cose così. Avevamo una vita semplice, ma dignitosa. Capita spesso che le persone ai confini nascano con qualcosa di peculiare, la magia delle Terre Spezzate a volte ci influenza fino a questo punto. Mio padre, come ti raccontai, nacque con la peculiarità di non poter mentire. Mai. Esattamente come le fate. E questo lo rovinò.
Fece una pausa, ma Silas lo incoraggiò con lo sguardo. – Offese persone che non avrebbe dovuto offendere, gli chiesero un parere e lui rispose sincero, incapace di mentire. Erano ubriachi, una di quelle situazioni che degenerano velocemente. Venne trascinato e abbandonato la notte nelle Terre Spezzate, da quel che so lo riempirono di botte e lo legarono a un albero. Sparì nel nulla e noi non avemmo più notizie di lui per un anno. Che tu ci creda o no, capita più volte del previsto in quelle zone, è una disgrazia, ma non si può fare molto quando qualcuno è perduto. Oltre il confine è territorio dei Valksha, noi umani non riusciamo neanche a sopportare la quantità di magia che pervade quei boschi.
Silas iniziò a temere la continuazione. ‒ I Valksha, li hai mai visti?
‒ Mai. Anche perché non sarei vivo per raccontarlo. Le protezioni del Ferro sono molto efficaci. Ma a volte alcuni paesini vengono spazzati via. I territori dei Valksha… non so come spiegartelo. È come vivere accanto a un vulcano attivo. Dormi sempre con le borse pronte e un occhio aperto.
Silas aveva letto molte testimonianze. Le Corti della Gardenia erano potenti, numerose e anche pericolose. Ma erano tutte conosciute e studiate, c’erano accordi e rapporti con gli umani, spesso tesi e logorati, ma c’era un contatto.
Non c’era invece alcun contatto con i Valksha.
Erano fate primordiali, lontane dalla loro civiltà, potenti, antiche. Le loro terre erano talmente pregne di magia che gli umani perdevano il senno ad attraversarle; erano esseri inumani, vecchi come la stessa storia della Gardenia, capaci di alterare la realtà con la loro magia. Non c’era modo di stipulare accordi o intavolare trattative, erano esseri al di là della loro comprensione.
‒ Tuo padre sparì nella Giungla dei Miraggi?
Kieran annuì. ‒ Un anno dopo ricomparve al confine. Era nudo, denutrito, mutilato, coperto di cicatrici terribili e teneva in braccio un neonato. Fui io a trovarli, mi recavo ogni giorno vicino al confine, sperando di rivederlo. Non avevo un gran rapporto con mio padre, ma mi dicevo che era comunque mio padre.
Ricordo che mi consegnò in braccio il neonato e iniziò a urlare come un matto. Urlava in una lingua che non conoscevo e si strappava i capelli. Arrivarono altri del villaggio, fra cui mia madre e cercarono di aiutarlo. Io però guardavo il bambino. Quel bambino era diverso da qualunque mezzosangue avessi mai visto.
Silas era attento, immobile. – Tuo fratello è per metà Valksha – comprese, meravigliato.
Ne seguì un silenzio spaventoso. Silas non riusciva a fiatare, si ripeteva che era impossibile, che qualcosa del genere non sarebbe mai potuta sfuggire all’occhio del Ferro. Se i mezzosangue della Gardenia dovevano essere segnalati e registrati, qualunque figlio di un Valksha doveva essere consegnato al Ferro, che si occupava di eliminarlo. Erano considerati incontrollabili e inconciliabili con la società civile.
La sua voce si perse nel rumore dell’aeronave. ‒ Non riesco a crederci. Un mezzosangue figlio dei Valksha, dei re e delle regine di Oltreoceano. Q-questo è incredibile, significa che è più potente di tutti i Discendenti nati nella Gardenia. E il suo corpo… il suo corpo vale un patrimonio. Era figlio di tuo padre?
‒ Sì, aveva i suoi stessi capelli rossi. Ma per il resto era davvero poco umano, diverso dai soliti Discendenti. Non potrebbe mai passare inosservato con facilità, inoltre la sua connessione con la natura e con gli animali è qualcosa di spaventoso. Le persone intorno a me iniziarono a fare gesti scaramantici vedendolo. Io so solo che mentre lo tenevo in braccio rise e agitò le mani. Poi mi prese una ciocca di capelli e se la mise in bocca – mormorò. ‒ Non è che non capissi perché ne avessero paura, ma io… io pensavo solo al fatto che fosse indifeso. È inappropriato forse da dire, ma era come quando mia madre mi chiedeva di uccidere i topi che catturavo, anche quelli più malaticci. Non ci riuscivo, mi sembrava una crudeltà colpire un animale così piccolo. Credo che in quel momento mi sentii allo stesso modo, non lo vedevo come mio fratello, non ancora, ma era un esserino indifeso ed era fra le mie braccia.
Si zittì per un attimo. Il sorriso sulle sue labbra si dissipò in fretta. – Mia madre non volle neanche guardarlo all’inizio. Lo tenni io e lo portai a casa. Nei villaggi al confine è comune avere una guida spirituale, non è molto usato nell’entroterra. Li chiamiamo i Guardiani, c’è un Guardiano in quasi tutti i villaggi, sono spesso mezzosangue che comunicano con il bosco e ci aiutano a sopravvivere. Ci rivolgemmo a lui, temevamo che il Ferro avrebbe potuto mettere sotto sorveglianza il villaggio, e questo avrebbe creato problemi per il commercio.
Il Guardiano da noi disse a mia madre di abbandonare il bambino nei boschi, non di ucciderlo, perché avrebbe offeso la madre, ma di lasciare che lo divorassero i lupi e le ordinò di eseguire un rituale e aspettare la luna nuova.
Silas aveva il viso contratto. ‒ Divorare dai lupi? Un neonato?
‒ Non è così sconvolgente, nei villaggi rurali i bambini nati malati o deformi vengono spesso abbandonati nei boschi purtroppo, anche i mezzosangue. Nei villaggi c’è molta superstizione, non si dà valore al loro corpo come lo si dà alla sfortuna. Per Henry non era diverso.
Silas scopriva sempre di nuove atrocità inflitte a quelli della sua specie, non c’era mai una fine all’orrore. ‒ Che un mezzosangue abbia suggerito una simile linea di azione…
‒ Il Guardiano pensava al bene del villaggio, non c’era cattiveria nei suoi modi. Mia madre si occupò di lui a malapena in quei giorni, non voleva guardarlo né toccarlo. Nessuna donna lo avrebbe mai voluto allattare, evitavano la nostra casa e lasciavano mazzetti di verbena di fronte alla porta e incensi per allontanare il male dal villaggio. Alcuni lasciavano anche animali sgozzati o uccellini morti. Quindi mi occupavo io di lui, gli davo il latte degli animali. Forse un bambino normale non sarebbe sopravvissuto, ma lui non era un bambino normale. Chiedevo consiglio a mia madre e lei piangeva e urlava. Una volta acconsentì a cullarlo per farlo addormentare, visto che mio padre era tormentato dai pianti del bambino e io non ci riuscivo. Quando arrivò la luna nuova mia madre uccise un coniglio e usò il sangue per colorare la fronte del bambino. Poi lo portò al limitare del bosco e io la accompagnai. Il sangue avrebbe attirato le bestie. Lo lasciammo in una cesta, solo, nel buio.
Silas notò il turbamento nella sua voce e allungò una mano per sfiorarlo. Si fermò, sconvolto da quell’impulso; incrociò le braccia con imbarazzo e scrollò via quella sensazione inopportuna.
‒ Tutti avrebbero agito allo stesso modo.
Non sembrava d’accordo, ma annuì. ‒ Le persone ci evitavano da giorni, nessuno ci parlava, mio padre era impazzito ed era naturale dare la colpa a quel bambino. Perciò non dissi nulla. Poche ore dopo, di notte, tornai in quel punto e lo trovai che piangeva. Non riuscivo a lasciarlo. Io non ci riuscivo proprio. Me n’ero preso cura fino a quel momento, aveva i miei stessi capelli. Lo presi in braccio e si calmò subito, io lo calmavo, come se sentisse che non gli avrei mai fatto del male. Pensai di nasconderlo, elaborai un piano stupido su dove tenerlo, non ero molto sveglio, volevo nasconderlo come si nasconde un gattino randagio, ero un moccioso e ragionavo come tale. Ma mia madre mi aveva seguito e ricordo che vidi nei suoi occhi il mio stesso dispiacere. Nessuno di noi due riusciva a lasciarlo lì. Lo portammo a casa, di nascosto, ma la situazione era insostenibile. Con mio padre che aveva perso il senno e le persone che ci evitavano, era solo questione di tempo prima che accadesse qualcosa di brutto. Mia madre decise di lasciare il confine.
Lasciammo tutto e partimmo per la capitale, dove nessuno sapeva chi fossimo. Tenemmo Henry chiuso in casa senza mai uscire, mentre mio padre iniziò a riprendersi. Mai del tutto e si diede all’alcool.
Silas non riusciva a nascondere il suo stupore. – Ma certo, Railia è piena di ferro, di sicuro sopprimeva molto la magia di un mezzosangue come tuo fratello, e nei bassifondi i guerrieri di Ferro non girano mai, non ne hanno motivo, era un buon posto dove nasconderlo, tua madre era davvero intelligente. Il Feldmaresciallo sa di tuo fratello?
Kieran fece un cenno d’assenso. – Lo derubai nella sua stessa fabbrica e mi scoprì. Era ammirato e divertito, ma volle riportarmi a casa, sentiva qualcosa di strano da me. Infatti, percepì la magia di Henry ed entrò allarmato, io mi misi in mezzo per difendere mio fratello e questo gesto a quanto pare lo colpì.
‒ William Rogerson è un Discendente, non mi sorprende. Ti ha aiutato a tenerlo nascosto?
‒ Mi ha aiutato quando sono entrato in Accademia e rischiavo continuamente controlli approfonditi. Con i soldi del Ferro ho comprato una tenuta isolata dal mondo e l’ho intestata a mio fratello. Tutti i miei soldi vanno lì ed è lì che lo nascondo.
Silas si prese qualche attimo per rielaborare tutto. Si passò le dita fra i capelli, ma si incastrarono fra i nodi. Iniziò a legarli in una treccia, sovrappensiero.
Kieran lo osservava in silenzio.
‒ In Accademia le lettere che ricevi erano anche da parte sua?
‒ Certo. La sciarpa me l’ha cucita lui.
Quel dettaglio lo lasciò sconcertato. Si era arrabbiato così tanto per la sciarpa al tempo.
‒ Avrei voluto che tu me lo dicessi.
Voleva davvero non sembrare accusatorio, ci provò, ma non gli riuscì. Se solo avesse avuto quell’informazione, tutto sarebbe stato diverso fra di loro. Forse.
Kieran scosse la testa. ‒ Tu mi hai per caso detto tutto ciò che ti riguardava?
Touché.
Non voleva soffermarsi sul passato, anche se avrebbe dovuto rivedere certi ricordi con occhi diversi. Gli sembrava di aver vissuto in una casa per anni per poi scoprire un’ala segreta e inaccessibile a tutti tranne che a lui. Forse non era il paragone migliore, ma era troppo stordito per elaborare pensieri intelligenti.
‒ Parlami di lui.
‒ In che senso?
‒ Che tipo è? È cupo e rigido come te?
Voleva smorzare l’atmosfera perché Kieran sembrava sul punto di vomitare. Era pallido e continuava a stropicciarsi gli occhi stanchi.
‒ No, lui non è come me. È vivace e gioioso, curiosissimo, instancabile. È dotato di una vitalità che io non ho mai avuto. A me sembra di essere nato stanco. Purtroppo però le sue emozioni hanno delle conseguenze. A volte l’immobilità, la solitudine lo annichiliscono e diventa… pericoloso. Le piante marciscono, il cibo ammuffisce, le persone intorno iniziano a sentirsi deboli. Una volta in piena estate ha iniziato a piovere solo sulla tenuta. Quand’è felice invece fiorisce ogni fiore, ogni pianta, anche se è inverno, i frutti nella dispensa hanno un sapore squisito, gli animali si infilano in casa, lo cercano ovunque.
Silas sapeva di avere uno sguardo pieno di meraviglia. ‒ Incredibile, è come avere una giovane divinità in casa. E quando è arrabbiato?
Kieran scosse la testa. ‒ Henry non si arrabbia mai.
Aggrottò la fronte. ‒ Non è possibile.
‒ Invece è così. Henry è terrorizzato dai sentimenti di rabbia, odio, a causa di nostro padre. Vedi lui non ha mai alzato le mani su Henry, la sola vista di lui lo terrorizzava, ma lo faceva con me e nostra madre. Henry sapeva che arrabbiandosi avrebbe peggiorato tutto, ma a volte cercava di intervenire, di fermarlo. È complicato, ma reprime qualsiasi emozione di quel tipo. Se qualcuno urla o impreca vicino a lui, rimane turbato. Ferire, uccidere, non sono azioni che contempla. Non solo non mangia animali, ma nessuno all’interno della tenuta può mangiarli o ucciderli. Ha una connessione profondissima con le creature, anche con gli insetti. Si cosparge le dita di miele e sfama pure le mosche ‒ e alzò gli occhi al cielo.
Silas, da persona che si arrabbiava frequentemente, non contemplava uno stile di vita scevro di rabbia. Gli sembrava terribile. ‒ Non credo gli faccia bene, non arrabbiarsi mai.
‒ Non posso costringerlo. La maggior parte del tempo è di buon umore, tranne quelle giornate dove si sente molto solo.
‒ Vive lì da solo?
Una corrente d’aria fece tremare l’aeronave e le loro tazzine. Silas si sentiva così sporco senza essersi potuto fare un bagno dopo Moslon. Voleva concentrarsi solo su questo Henry, che gli dava emozioni di meraviglia e calore, senza pensare a tutto il dolore di qualche ora prima.
Ho sempre pensato che convincere Kieran della nostra causa fosse impossibile, che non riuscisse a capire. Ma ha sempre avuto paura di esporre Henry. Forse c’è ancora una possibilità.
Kieran guardava la tazzina vuota di caffè con rammarico, aveva gli occhi rossi e gonfi dal sonno.
‒ No. Sarebbe impossibile per lui gestire una villa del genere da solo, malgrado riesca a far fare agli animali di tutto. Sapevo di dover trovare persone fidate che si occupassero della casa, ne sarebbero bastate poche, non avevo bisogno di una folla di domestici. Finché mia madre era viva, dovevo preoccuparmene meno, ma con la sua morte è diventato un problema pressante. La prima che ho assunto è stata Grima. Suo figlio era un mezzosangue e venne assassinato per il corpo. Era una donna povera, non aveva più niente e nessuno. Venni messo io sul caso insieme ad alcuni gendarmi perché era una faccenda irrilevante per i piani alti. Riuscii a trovare il colpevole e a portarlo alla giustizia. Collaborai molto con lei, mi ricordava un po’ mia madre. Quando le indagini si conclusero, le offrii il lavoro. Mi era riconoscente e non aveva più nulla da perdere o da guadagnare.
Silas si lasciò sfuggire un sorrisetto. ‒ Persone che ti dovevano qualcosa e che ti erano leali.
‒ Lo dici come se fosse meschino. Le pago molto bene, gli ho offerto un nuovo luogo dove vivere, non devono spendere soldi per il cibo o per un letto caldo.
Alzò le mani. ‒ Non ti stavo criticando, era un’osservazione positiva. Non è diverso da come ha iniziato Cavana.
Il paragone non sembrò piacere a Kieran. ‒ Al momento ho solo cinque persone che lavorano alla villa. Henry è molto legato a ognuno di loro, ma non sono sufficienti perché non senta la solitudine. Lui vorrebbe che io fossi sempre lì, ma ora come ora è impossibile.
Silas si portò le mani dietro la testa e si poggiò indietro. Iniziava ad avere una certa fame, ma non voleva interrompere la conversazione, moriva dalla curiosità di sapere di più.
‒ Con il potere che ha, potrebbe andarsene in giro e assumere qualsiasi forma. Basta che si tenga alla larga dai campi del Ferro. Hai detto che ha diciotto anni, voglio dire, ormai è pressoché un adulto. Immagino che voglia visitare il mondo o cose simili.
‒ Non può andarsene in giro.
Aggrottò le sopracciglia a quella risposta categorica e gli venne un dubbio. ‒ Kieran da quanto tempo tuo fratello non lascia la tenuta?
Evitò il suo sguardo, rammaricato. – Da otto anni.
Silas sbatté le palpebre, inorridito. – Cosa?
‒ Non posso lasciarlo uscire. Verrebbe ucciso. Questo è il massimo che posso fare per lui, la tenuta è grande, è piena di cose da fare, animali, libri, occupazioni. Non gli faccio mancare nulla ed è al sicuro.
Poggiò di nuovo i piedi a terra dal tavolino su cui li aveva poggiati. Cercò di sorridere con affabilità. ‒ Kieran ascolta, io capisco che sei… protettivo. Tutto questo mi ricorda mia sorella in un certo senso. Ma non puoi rinchiuderlo in una villa per sempre, impedirgli di fare ciò che vuole.
Serrò i denti. ‒ Tu non capisci. Lui non conosce niente del mondo fuori, non conosce le persone, le città. Non sopravvivrebbe mai.
‒ E accompagnalo, mostragliele tu queste cose. Kieran, non puoi tenerlo segregato dal mondo. Soprattutto per un Discendente, è crudele.
Kieran si riempì un altro bicchiere di whiskey, come se l’argomento richiedesse nuove energie.
‒ Henry… non è in salute. L’instabilità del suo sangue lo ha fatto nascere con una malattia fatata, o qualcosa del genere. I suoi arti si stanno trasformando in legno, ogni anno avanza un pezzettino di più in primavera e in estate, mentre si arresta in autunno e in inverno. Per ora gli ha preso le gambe e quindi fatica a camminare.
Il tono di voce di Kieran era funereo.
L’entusiasmo di Silas si consumò come una fiamma soffocata e il suo sorriso scomparve.
Guardò il proprio bicchiere, amareggiato.
‒ Da quanto?
Kieran si umettò le labbra. ‒ Forse da sempre, ma ha iniziato a evolversi quattro anni fa.
‒ Ma non è mortale, giusto?
Kieran guardò verso l’oblò e scrollò le spalle, come se gli mancasse la voce per rispondere. ‒ Chi può saperlo? Nessuno ci capisce nulla di come funzioni il suo corpo, il suo sangue, la sua magia. A volte soffre terribilmente il dolore, o s’indebolisce. Ha compromesso la sua mobilità ormai, ma non so dire come si evolverà.
Silas conosceva l’argomento. ‒ Ho studiato le malattie fatate, sono molto diverse da quelle che affliggono noi e sono legate a squilibri magici. Sono più frequenti quando il padre è fatato e la madre umana, perché la gestazione che offre il corpo umano non è sufficiente spesso per i mezzosangue. Però in passato sono stati curati casi simili, ci deve essere un modo.
Kieran guardò verso il soffitto dell’aeronave, stanco. ‒ Credi che non abbia cercato ovunque? Ho consultato ogni libro, parlato con ogni mago o medico o esperto. Ho cercato nei registri storici, ho parlato con altri Discendenti, non ho trovato niente di rilevante.
‒ Il Diaspro…
Socchiuse gli occhi. ‒ Silas ragiona, non potrei mai portarlo dai maghi del Diaspro. Lo studierebbero come una cavia. Poi lo ucciderebbero e arresterebbero me per averlo nascosto.
Silas aprì la bocca, ma la richiuse all’istante.
La Legione avrebbe potuto aiutarlo forse, ma di certo quella risposta non gli sarebbe piaciuta. E d’altronde come lo avrebbe potuto spiegare senza tradire ulteriormente Cavana?
‒ In quanto mezzo Valksha ha un potere enorme. Potrebbe curarsi da solo con la magia.
A giudicare dall’espressione di Kieran, Silas stava ponendo tutte le domande sbagliate. ‒ Che ho detto?
‒ Henry non sa usare la magia.
Sbatté le palpebre. ‒ Come?
‒ Nessuno poteva insegnargliela. Ed è meglio così. La sua magia è pericolosa.
Silas faticò per mantenere il controllo e inspirò. ‒ Questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito e non mi sorprende che a pronunciarla sia stato tu.
Kieran lo guardò sconcertato. ‒ Come ti permetti?
‒ La magia per i mezzosangue è come un quinto arto, che ha bisogno di muoversi e che serve al corretto funzionamento del loro corpo. Non è qualcosa che puoi sopprimere. Nel caso di Henry poi è ancora più impellente il bisogno di sfogare la magia. Non insegnandogli a controllarla lo hai reso una bomba ad orologeria!
‒ Non potevo rapire un mago e costringerlo a essere tutore di mio fratello! Non avevo modo di insegnargliela e quindi la cosa migliore era vietargliela.
Silas aveva molto da dire sulle capacità genitoriali di Kieran in quel momento, ma si trattenne. ‒ Grande piano, davvero. Hai mai pensato al fatto che la sua malattia possa derivare proprio da questo? Non usare la magia fa spesso ammalare i mezzosangue. È come avere un organo del corpo che non fa nulla ma richiede energie. Che prende, senza dare.
L’accusa penetrò in Kieran come una pugnalata. ‒ Lo sapevo, non potevi evitare di sfogare i tuoi giudizi non richiesti? Stai dicendo che è colpa mia se si è ammalato?
‒ Non volevo dire questo ‒ mentì, perché era in tutto e per tutto quello che stava dicendo. ‒ Ma lo aiuterebbe usare la magia, lo farebbe sentire meglio e gli darebbe modo di difendersi anche senza di te. Che cosa ne sarebbe di lui se ti accadesse qualcosa?
Kieran respinse quelle supposizioni con forza. ‒ Questo non ti riguarda. Henry erediterà una fortuna se dovessi morire.
‒ I soldi non basteranno a proteggerlo, soprattutto se non è abituato alle persone e ai loro inganni.
‒ Mi hai chiesto di raccontarti la verità. L’ho fatto e fidati, non avrei mai voluto rivelarlo a nessuno. Non devo renderti conto di come gestisco la sua vita.
Silas si portò una nocca alle labbra in un sorriso esasperato. ‒ Povero Henry. Sono certo che lui vorrebbe prendere qualche decisione da solo. Invece si ritrova un fratello asfissiante addosso!
‒ Sei incredibile. Conosci la verità da un quarto d’ora e riesci già a farmi incazzare con il tuo fare da sputasentenze. Henry è un adolescente, è normale che abbia momenti di ribellione, ma fa sempre ciò che dico alla fine.
La parte davvero esilarante era che Kieran lo pensasse davvero. Le fate erano disubbidienti per natura, e così i mezzosangue. Gli faceva quasi tenerezza per quanto ne era convinto.
Non riuscì a trattenersi dal ridere.
‒ Che cosa ridi adesso? Mi dai sui nervi.
‒ Rido di te. Sembri tua madre.
‒ Come ti permetti?
Silas scrollò le spalle. ‒ Era un complimento!
Kieran bofonchiò qualcosa. ‒ Pensi che sia stato facile?
‒ No ‒ lo interruppe prima che potesse aggiungere altro. ‒ Penso che sia stata la cosa più difficile della tua vita e che nessun altro ci avrebbe neanche provato. Non so neanche che cosa dire. Avrei voluto avere qualcuno nella mia famiglia che mi amasse come tu ami Henry. Dovresti andarne fiero.
Non voleva fingere di pensare qualcosa di diverso.
In quel momento era felice. Era convinto che la tragedia e la disumanità di quella mattina gli avessero tolto ogni fiducia nel futuro. Era pervaso dalla rassegnazione e dall’amarezza.
Quella conversazione lo aveva riempito di piccole fitte di speranza e gioia. Sapere che esistevano persone come Kieran, persone disposte a fare tutto per proteggere un mezzosangue, gli dava modo di respirare di nuovo.
Kieran appariva pietrificato. Voltò il viso verso l’oblò, come se non volesse mostrarsi.
Silas si chiese se qualcuno glielo avesse mai detto, di essere fiero di lui per Henry. La risposta era no a giudicare da come aveva serrato i pugni.
‒ No, ho fatto tanti sbagli lungo il percorso. Non sono mai con lui, non riesco a renderlo felice. E ora la Legione saprà di lui. Anche se sospetto che lo sapessero già in qualche modo.
Poggiò una mano contro la bocca, di traverso. Aveva gli occhi lucidi, ma non sapeva dire se era per la stanchezza o per altro.
‒ Henry non conosce cattiveria. Non sopporto l’idea che qualcuno possa fargli del male.
‒ Perché non mi racconti qualcosa di lui?
Alzò lo sguardo su Silas, quasi con timidezza. ‒ Di che tipo?
‒ Aneddoti, ricordi buffi o divertenti. Abbiamo un viaggio lungo di fronte a noi. Voglio fare il punto della situazione e pianificare le nostre prossime mosse. Ma non oggi, oggi non voglio più preoccuparmi di nulla. Voglio sentire di Henry.
Kieran si poggiò contro lo schienale e accennò finalmente un sorriso. ‒ Ci vorrà altro caffè in questo caso. E whiskey.
‒ Mi piace già l’inizio di questi racconti.
 
 *
 
Un grosso cane dal pelo lungo e disordinato lasciò uscire un woof basso e controllato. Gli era stato appuntato un papillon blu sul petto, perché Darlington era il più educato dei suoi cani. Era un cane pastore dal pelo bianco e fulvo, con occhi chiarissimi.
Woof.
Il primo era stato d’avvertimento. Questo di rimprovero.
‒ Non ti rende onore protestare come un cane randagio di periferia ‒ replicò Henry, calmo. ‒ Lo so che non sei d’accordo, ma devi fidarti di me.
Woof. Woof.
Altri due. Doveva essere molto contrariato dalla faccenda, Darlington non si esprimeva mai in maniera così maleducata.
Il grosso cane pastore chiuse la bocca e tirò il muso indietro con un certo disappunto.
‒ Gioca con Puré e fai il bravo.
Darlington guardò il cagnolino mezzo spelacchiato che si stava morsicando una zampa e sembrò decidere che quel consiglio fosse un affronto al suo essere cane. Si andò perciò a sedere sul grosso cuscino sotto le vetrate, in silenzio.
Henry avrebbe voluto grattargli le orecchie per cancellare l’offesa, ma i suoi occhi luccicavano di meraviglia. La pelle era imperlata di sudore e sentiva dolori misti a fitte di piacere.
Fra le sue mani si agitavano alcuni sprazzi di colore, piccole scintille di energia. Le dita lunghe e affusolate tremavano per la concentrazione, Henry tirò fuori la lingua per lo sforzo, man mano che le luci fra i suoi palmi crescevano.
Assunsero le forme di vere e proprie sfere colorate, una era calda come il fuoco, un’altra vibrava di elettricità e un’altra ancora si ghiacciava mano a mano.
Puré aveva smesso di ciancicarsi la zampa e guardava allibito la magia; con un guaito andò a rintanarsi fra le zampe di Darlington. Anche Achillea miagolò contrariata e andò a ripararsi fuori da lì, seguita da Rum, Cumilla, Sir Harold, Penny e tutti gli altri.
Le sfere erano grandi ormai come ruote. I vetri della serra tremarono e i vasi appesi al soffitto iniziarono a ondeggiare avanti e indietro.
‒ Ci siamo.
Tolse le mani con lentezza, attento che le sfere rimanessero sospese. Prese il violino poggiato ai suoi piedi e lo accostò al collo, dove i licheni e i piccoli funghi avevano creato un perfetto cuscinetto.
Dietro le spesse lenti degli occhiali, i suoi occhi fremevano e accompagnavano il sorriso folle ed eccitato.
Suonò la prima nota, che rimbombò nella serra fra le piante e gli animali seduti a guardare.
Aveva le dita affusolate, lunghe e strette come rami, le spostò sulle corde mentre con l’archetto iniziava a tratteggiare una melodia.
Per ora avrebbe iniziato con una semplice, la ninnananna che gli cantava sua madre.
A ogni nota le sfere di energia vibravano, volteggiavano e s’ingrandivano. La musica le accompagnava e le guidava, reagivano alla sua melodia.
Si concentrò. Voleva fonderle insieme.
‒ Oh no.
Darlington si espresse in un woof molto preoccupato, il pelo arruffato dalla magia che pervadeva la serra. Prese Puré fra i denti e si avviò verso il punto più lontano dal padroncino.
‒ Oh cielo, oh cielo!
Le sfere sfuggirono alla presa di Henry; due di loro schizzarono in direzioni diverse, mentre quella di elettricità gli esplose davanti con un rombo terribile. Riuscì a stento a coprire il violino col suo corpo, che sentì i capelli lunghi e disordinati drizzarsi, iniziò a tossire per il fumo, mentre il rumore di cocci di vetro riempiva il silenzio di quel tranquillo pomeriggio.
Agitò una mano per scansare il fumo, mentre tossiva e scuoteva il viso folgorato. Un muso umido gli urtò la mano e sentì una leccata. Darlington lo osservava con occhi eloquenti, ma non abbaiò, come ci si aspettava da un cane gentiluomo.
‒ D’accordo, avevi ragione. Stavolta. Ma non ce la avrai la prossima ‒ e sorrise sornione, il volto talmente fitto di lentiggini da non lasciare spazio a nient’altro.
Un urlo soffocato lambì entrambi e Grima apparve sull’ingresso della serra, gli occhi sbarrati e una mano sul cuore. La cuffia che avrebbe dovuto tenerle i capelli ricci e scuri era stropicciata e sgualcita, grosse ciocche uscivano disordinate dal viso sudato.
‒ Per tutte le fate, che cos’avete combinato questa volta!
Darlington prese in bocca la stampella di metallo bronzeo e la portò subito al padroncino. Questo la afferrò e camminò con qualche difficoltà fino alla domestica.
‒ Sono stati i gatti ‒ mormorò con assoluta convinzione.
Gli arrivò uno scappellotto sulla nuca. ‒ Siete impossibile. È il dodicesimo buco che aprite in questa villa! Che cosa dovrò dire al padrone quando rientrerà? Che i gatti hanno aperto una voragine sul tetto?
Henry sentì Achillea saltargli sulla schiena con passo felpato. Strusciò la coda sotto il suo collo e lui le grattò il mento.
‒ Signorina Grima, non dovreste sottovalutare i gatti.
‒ Chiamarmi signorina non vi aiuterà, giovanotto.
Sfoderò un sorriso colpevole e irresistibile. ‒ Neanche dirvi che oggi siete molto graziosa?
La donna si portò una mano al viso. ‒ Sapete che vostro fratello non vuole che usiate la magia quando lui è lontano. Volete farlo arrabbiare di nuovo?
La minaccia sortì un pochino d’effetto, ma non sufficiente a farlo davvero pentire. Kieran non si arrabbiava quasi mai, ma quando si arrabbiava sapeva mettergli un po’ di agitazione. La magia era uno di quegli argomenti per cui si arrabbiava fin troppo.
‒ Magari ci farà l’onore di farsi vedere, il grande Campione ‒ rispose con una punta di risentimento.
Si grattò i licheni sotto il collo e uscì dalla serra. Darlington gli camminava accanto, sempre pronto ad aiutarlo se fosse inciampato.
Fuori dalla serra il sole era alto e intenso, Henry si immerse nella luce del primo pomeriggio con un brivido di piacere; le temperature erano molto rigide ancora e la neve aveva ricoperto la villa, ma era una bellissima giornata.
La villa sorgeva in mezzo a quel panorama invernale, circondata da ettari di terra coperti di neve. La sua casa. La sua prigione.
‒ Dovreste studiare ‒ gli ricordò Grima inseguendolo lungo il sentiero di ciottoli, sgombro dalla neve. ‒ Cain ha detto che sono giorni che non studiate.
Henry fece una smorfia. ‒ La matematica è stupida e noiosa.
‒ Ma vi servirà se un giorno vorrete gestire al meglio questa villa.
La frase in qualche modo lo fece incespicare. Quando pensava che sarebbe rimasto lì per sempre, la lentezza e l’affaticamento che sentiva nelle gambe aumentava, come se si stessero definitivamente trasformando in radici. Un giorno avrebbero smesso del tutto di muoversi e lui sarebbe rimasto bloccato lì per sempre.
Ebbe un brivido.
Le ali sulla schiena s’irrigidirono, legate nelle corde di seta.
Grima gli allungò subito una mano per aiutarlo, ma lui la rifiutò ostinato. Fece forza sulla stampella metallica per non cadere.
‒ Il padrone chiamerà, non siate in pensiero.
No, non avrebbe chiamato. Era insieme a Silas Vaukhram a vivere chissà quale avventura, mentre lui era lì, intrappolato nella stessa giornata da otto anni.
Pensare a Kieran lo frustrava.
‒ Tornerà presto.
‒ Ah per piacere Grima, sono grande per le favolette della buonanotte.
Magari Magda sarebbe passata a trovarlo. Aveva ragione lei a disprezzare il Ferro. Niente di buono ne era uscito da quando Kieran ne faceva parte. Da ragazzo era giocoso, sorridente, amava passare il tempo con lui. Con il Ferro la sua vitalità si era pian piano sopita, come se fosse stata consumata.
‒ Che ne dite se oggi cuciniamo insieme a Jane qualcosa?
Grima cercava di allontanare i pensieri negativi da lui, ma non era così semplice.
Una farfalla nera si poggiò sul corno sinistro e Henry la guardò con un sorriso mesto.
‒ Oggi sono u-u-un po’ giù.
Di fronte al balbettio cessò di parlare, irritato. Oltre che del suo corpo, doveva preoccuparsi anche di quando le parole non gli ubbidivano. Si passò la lingua sulle labbra e socchiuse gli occhi.
‒ Scusami Grima, credo che mi ritirerò nelle mie stanze. Ho ancora quel manuale da leggere e odierei far andare di nuovo a male quei dolcetti squisiti che prepari con amore ‒ mormorò con un che di teatrale.
Lei gli prese il viso, ignorando le sue proteste, e gli diede un buffetto, lì dove la pelle s’increspava con alcuni licheni e funghi. Henry capiva molto Achillea e i suoi gatti quando qualcuno lo afferrava così.
‒ Volete vedere quanto sono bello? ‒ e sorrise, strafottente.
‒ Vostro fratello vi ha promesso che stavolta vi avrebbe portato al fiume, ricordate?
Il ricordo gli accese una scintilla nello sguardo. Avrebbe voluto che arrivasse in quel momento, non desiderava altro. Voleva mostrargli i progressi con la magia e lui allora… allora non si sarebbe arrabbiato, sarebbe rimasto meravigliato, gli avrebbe detto che era stato incredibile. Poi sarebbero andati al fiume e lo avrebbero risalito insieme. Si sarebbero tirati l’acqua contro anche se le temperature erano sotto lo zero, avrebbero riso, scherzato. Come facevano un tempo.
‒ Ha fatto tante promesse ‒ mormorò, la voce incolore e gli occhi che si abbassavano.
Si sentiva meschino e infantile a fargliene una colpa, era un uomo ormai e detestava comportarsi come un moccioso petulante, ma Kieran proprio non capiva. Per lui un impegno mancato non era niente, ma per Henry era un’occasione attesa sei mesi, un’aspettativa delusa dopo settimane di trepidante attesa e di solitudine.
Un ronzio distante gli fece voltare la testa in modo innaturale. Grima lasciò un singulto a vederlo girare il collo a quel modo, si dimenticava sempre di quanto potessero essere impressionabili gli umani.
‒ Lo senti?
‒ Cosa?
Il cuore iniziò a rivoltarsi dall’eccitazione. ‒ Una vaporetta ‒ sussurrò, la bocca asciutta.
Si portò due dita alla bocca e fischiò. Un bel cavallo nero arrivò al galoppo dalle stalle, gli zoccoli che lasciavano grandi impronte nella neve. Aveva gli zoccoli folti di pelo e una chioma piena di fiori.
Anche Carbone indossava un papillon, rosso e si fermò vicino a Darlington con uno sbuffo. Henry si fece aiutare proprio dal cane a montare in sella, poi strinse le cinghie intorno alle gambe. Aveva lasciato la stampella nella bocca di Darlington, che gliela avrebbe portata da lì a poco.
Si chinò e sussurrò nell’orecchio di Carbone.
Questo si lanciò al galoppo verso il confine della tenuta, dov’era situato il cancello d’ingresso. Ignorò le grida di Grima che gli diceva di aspettare.
Il vento gli strattonò indietro i capelli rossi e s’infilò nelle orecchie a punta. Dal suo corpo volavano foglie secche e farfalle che erano rimaste appollaiate sulle sue corna.
È tornato.
Doveva essere Kieran. E se fosse stato in compagnia di Silas?
Quel pensiero lo lasciò frastornato dalla gioia. Fremette, immaginando tutto quello che voleva chiedergli. Come avrebbe dovuto presentarsi? Non era pronto a incontrarlo!
Molto piacere signor Silas. Sono un mezzosangue come voi, ho sentito molto parlare di voi. Principalmente male, ma come scrisse Guró, l'importante è che non smettano di parlare di voi, giusto?
No, forse sarebbe stato fuori luogo.
Gli chiederò se anche lui si è strozzato con le proprie foglie al mattino. Sì, mi sembra più educato.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando notò che sulla vaporetta non c’era affatto Kieran.
Fermò Carbone con una parola e rimase a osservare i due uomini che si avvicinavano alla tenuta.
Darlington gli portò la stampella ed emise un ennesimo woof, stavolta di allerta.
Riconobbe subito uno dei due individui: William Rogerson.
 

Ciao a tutti!
L'inizio del capitolo è diverso perché sarebbe la seconda parte della storia.
Finalmente arriva Henry ^^.
Presto o tardi vi farò vedere una sua immagine.
Il suo cane più fedele, Darlington, è un pastore australiano di razza.
Grazie a tutti per i commenti o per aver seguito la storia fin qui.
Non ci crederete ma stiamo già a 300 pagine ^^'', quindi complimenti per aver letto tanto!

 

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Capitolo 28
*** IX - Accademia - ***



IX


Accademia




 

893 p.U.
 



‒ Silas?
La voce era appena un sussurro. Silas era sveglio da un po’ ormai, ma il sussurro lo richiamò in superficie. Era rimasto a osservare il soffitto della tenda e a sperare di ritornare in quel sonno angusto e tormentato in cui si trovava.
‒ Ehi… come ti senti?
Come un insetto calpestato ripetutamente.
Non aveva risposto. Ogni movimento gli causava dolore alle ossa, ai muscoli. Aveva abusato della magia e questa gli aveva imposto il suo prezzo.
Voltò appena la testa, dove la luce del giorno filtrava dall’entrata della tenda, sollevata. In controluce appariva la figura massiccia di Kieran, china su di lui a controllare le sue condizioni.
Senza che dovese dire alcunché, Kieran gli passò una tazza piena d’acqua fresca e lo aiutò a bere.
‒ Ce la faccio ‒ mormorò ed ebbe un sussulto a udire la propria voce così logorata e roca.
Gli rimbalzò in testa il ricordo di Visnia che lo torturava e le proprie urla che non riusciva a contenere.
Non osava guardarsi la mano. Non osava.
‒ Cos’è successo?
‒ Abbiamo ucciso Visnia. È finita.
Ricordava in modo vago di aver usato il suo ultimo briciolo di energie per proteggere Kieran dalla necromagia che stava per investirlo. Poi il suo corpo era collassato.
‒ Io non ho ucciso proprio nessuno ‒ bofonchiò.
‒ Mi hai permesso di arrivare da lei indenne e ucciderla. Mi hai salvato la vita.
Non voleva sentire nulla di tutto quello. Si accorse di essere a petto nudo, indossava soltanto delle braghe sgualcite. Stava morendo di fame.
‒ Dove sono i miei vestiti?
‒ Credo li abbiano buttati, erano… beh qui ci sono degli abiti.
Allungò di riflesso la mano destra per prenderli e il dolore gli arrivò fino al cervello senza alcun preavviso. Piegò il braccio in una smorfia di dolore e guardò l’enorme fasciatura insanguinata che gli imbozzolava la mano.
‒ Ehi ehi, non farlo più, stai fermo. Devi stare calmo, sei ancora malconcio.
Voleva aprire quella fasciatura. Voleva vedere le condizioni della sua mano. Rimosse il primo stato e intravide la carne gonfia sotto le bende.
Kieran gli bloccò l’altra mano. ‒ No.
Alzò lo sguardo di scatto. ‒ Mollami.
Gli occhi grandi di Kieran erano lucidi come quelli di un dipinto ancora fresco. ‒ Devi darle il tempo di guarire. Stai tranquillo.
Udì fuori dalla tenda il rumore di alcuni rami spezzati e una pigna forse si staccò da un pino e cadde sul terreno, schiantandosi.
Silas però sentì soltanto il suono raggelante dei rampicanti di Visnia che lo raggiungevano e gli laceravano la carne. Divenne esangue e il corpo prese a tremargli in modo violento.
Gli occhi di Kieran s’ingrandirono a quella reazione e lo sostenne.  Si alzò dal panchetto su cui era seduto e andò ad accendere il grammofono nella tenda. Una lieve melodia si diffuse nello spazio ristretto.
Silas non riusciva a parlare, gli sembrava che il suo corpo venisse sconquassato dalla paura. Chiuse gli occhi, mentre un sudore freddo iniziava a ricoprirgli la fronte. Si concentrò sul suono della musica per distrarsi.
Le dita di Kieran gli sfiorarono un braccio. ‒ Ti aiuto a vestirti, va bene?
Annuì in modo sbrigativo. Aveva troppa paura anche per vergognarsi di quel bisogno.
I gesti di Kieran furono fin troppo cauti e delicati, mentre gli infilava la camicia dalle braccia e gliela abbottonava. Silas aprì gli occhi e guardò quelli concentrati di Kieran.
‒ Ti piacevo più senza maglietta, ammettilo.
La voce gli uscì tesa e nervosa, ma Kieran sembrò illuminarsi di fronte a quella battuta. ‒ Idiota ‒ replicò, ma stava sorridendo.
Silas attese qualche secondo. ‒ Ho ancora una mano almeno?
‒ Certo. Non essere melodrammatico.
‒ Cos’hanno detto?
Non lo guardava. ‒ Che avrai bisogno di tempo per guarire.
Il tempo era l’unica cosa che davvero non aveva. ‒ Quanto tempo?
Scrollò le spalle. ‒ Stasera ci sarà una festa a Orenburgh, in nostro onore ‒ aggiunse con un sorriso sornione.
Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma una festa era l’ultima cosa che voleva in quel momento.
Chi altro era morto? Lo avevano visto abbandonare quel ragazzo a morte certa e continuare a correre? Ebbe un brivido.
‒ Vuoi uscire? Il sindaco vorrà ringraziarti. E anche gli altri mi chiedono come stai.
Scosse la testa. ‒ Dopo ‒ gracchiò.
Non aveva neanche le energie per pensare. Tornò a sdraiarsi, attento alla mano. Sapeva che dopo un po’ di dormite si sarebbe sentito più leggero e quell’angoscia opprimente sarebbe scemata. Era un metodo collaudato, lo usava da sempre; il sonno era l’unico nascondiglio che avevano dalla vita quando diventava troppo schiacciante. Lui amava dormire, amava nascondersi dalla vita.
Si girò su un fianco. Sentì una mano poggiarsi sulla spalla.
‒ Grazie per essere tornato indietro.
Perché sono tornato indietro?
‒ Ti rimetterai e io ti aiuterò.
Se non mi rimetterò, non mi vedrai mai più.
 
 
 
 
La festa aveva coinvolto i soldati accampati a Orenburgh e i cittadini. Molti erano ancora feriti, alcuni non si erano alzati dal letto, gli occhi smarriti in qualche incubo fatato.
Ma nessuno voleva più compiangere i morti, disperarsi per le perdite. I sopravvissuti volevano sentirsi vivi, volevano festeggiare il ritorno.
Il piccolo paesello era stato allestito con grandi tavolate piene di cibo, musica popolare che risuonava dalla piazza e botti di birra e sidro per chiunque volesse dimenticare gli orrori di Visnia per una notte.
C’erano stati balli e spettacolini divertenti da parte dei soldati più vivaci; Zack si era vestito da donna e aveva intrattenuto il pubblico con esilaranti siparietti insieme a Jean. Entrambi si erano ubriacati subito dopo la cena, assieme a Thomas, che era collassato vicino al pozzo mentre un paio di soldati più grandi lo sostenevano ridendo.
Il sindaco si era profuso in grandi ringraziamenti per i cadetti del Ferro, Silas aveva sentito i suoi occhi addosso mentre la tristezza gli colorava la voce.
Non aveva partecipato ai festeggiamenti. Gli altri cadetti avevano provato a coinvolgerlo, dimentichi di come Silas fosse stato pronto ad abbandonarli a morte certa, ma lui aveva declinato con un sorriso.
Kieran non aveva smesso di ronzargli intorno come una mamma preoccupata, chiedendogli in continuazione se sentisse dolore o fosse stanco. Silas rispondeva ogni volta con un sospiro seccato e buttava giù un altro sorso di liquore.
In qualsiasi altra circostanza avrebbe apprezzato quelle premure, ma non così.
Era una vittoria quella?
Aveva tanto il sapore di una sconfitta.
‒ Vuoi qualcosa da bere?
‒ Per Titania, Reed! Datti una calmata. Posso camminare da solo. Beviti un po’ di sidro e rilassati.
Kieran gli rivolse uno sguardo da cane bastonato.
Si sente responsabile.
Silas lo aveva sempre detto che Kieran era brillante su certe faccende e tragicamente ottuso su altre.
Inclinò la sedia di legno su cui era seduto, che iniziò a dondolare pericolosamente sotto gli occhi attenti di Kieran.
Finì di mangiare la pannocchia imburrata calda di brace e poggiò il rimasuglio di fronte a sé sul tavolo di legno.
‒ Vai con gli altri a divertirti, io sto bene.
Kieran continuava a osservare le gambe anteriori della sedia sollevate. ‒ Vorrei che non facessi così. Se cadi, la tua mano…
‒ Al massimo mi rompo anche l’altra. A quel punto che farai? Mi verrai a pulire il culo?
E rise, ma ottenne solo uno sguardo per nulla divertito da parte di Kieran. Quel ragazzo non aveva davvero senso dell’umorismo.
‒ Preferisco stare qui.
Scosse la testa, rassegnato. Peggio per lui.
Avrebbe voluto che non gli facesse così piacere.
Bevvero insieme per il resto della serata, ma non parlarono granché fra di loro. Silas non sapeva neanche da dove iniziare in ogni caso.
Uno dei bambini si avvicinò a Kieran e gli chiese di come avesse ucciso Visnia la Folle. Kieran lo accontentò, omettendo i dettagli cruenti, ma non l’aiuto di tutti gli altri cadetti.
Silas ascoltò in silenzio, incredulo e quasi indignato.
Kieran aveva davvero ammazzato Visnia con la sua spada. Si era lanciato verso quel mostro come in un racconto epico.
Lo osservava di sottecchi, una ruga fra gli occhi stanchi gli aveva increspato lo sguardo.
Cos’è questa sensazione?
Aveva avuto paura di raccontare la verità a Kieran, ma nel profondo una parte di lui era convinta che quel ragazzo lì gli fosse... leale. Si era nutrito di quei pensieri egocentrici, aveva pensato che Kieran gli dovesse qualcosa e avrebbe accettato la sua verità, le sue macchinazioni. Silas lo aveva aiutato, lo aveva protetto, lo aveva difeso, senza di lui Kieran non sarebbe durato granché in Accademia e questo doveva significare qualcosa.
In quel momento Silas realizzò il suo enorme abbaglio.
Kieran non gli doveva niente.
Kieran stava diventando qualcuno con le proprie forze e nel loro rapporto non c’era più uno squilibrio di potere, una mancanza da ripagare. Kieran stava percorrendo la propria strada e non si sarebbe fermato per nessuno. Non era un ragazzetto senza titolo bisognoso di qualcuno come Silas che lo prendesse sotto la propria ala.
Non poteva controllarlo, non poteva dare per scontata la sua lealtà o la sua amicizia.
Si asciugò la nuca, sudaticcia e guardò a terra.
Poteva rivoltarglisi contro e aveva dimostrato di essere forte e determinato. Doveva forse... temerlo? Si sarebbe rivoltato contro di lui se avesse saputo che Silas era un traditore?
‒ Ti senti bene?
‒ Per nulla. Ho ancora troppo poco alcool in corpo. E anche tu.
‒ Non vorrei ubriacarmi... non reggo molto l’alcool.
Alzò un sopracciglio. ‒ Tu?
Si grattò una ferita sulla guancia. ‒ Sì, e allora?
Afferrò un bicchiere scheggiato e lo poggiò di fronte a Kieran. ‒ Una piccola sfida allora, come ai vecchi tempi.
‒ I “vecchi tempi” sarebbero qualche mese fa, Silas.
Annuì fischiettando e afferrando la bottiglia.
 
  

Quando la serata si consumò nell’alcool, nei balli e nelle celebrazioni, la notte si avvicinava ormai all’alba. Molti dei cadetti si erano addormentati sui tavoli, qualcuno aveva trovato una dolce compagnia fra i cittadini. La musica era cessata e i fuochi accesi per i morti si erano ormai estinti.
Silas aveva convinto Kieran ad allontanarsi dalla piazza; alticci e malfermi sulle gambe avevano camminato verso il fiume, ridendo fino a piegarsi in due e spintonandosi.
L'alcool purtroppo non aveva diminuito il senso di protezione di Kieran nei suoi confronti, ma lo aveva accentuato in modo fastidioso. Continuava a chiedergli della mano, dimenticandosi ogni cinque minuti di aver appena posto la domanda.
Si sedettero in riva al fiume, sfilarono gli stivali e immersero i piedi a mollo mentre attendevano l’alba.
Solo stare presso quel fiume sarebbe stato impossibile senza alcool in corpo, Silas avvertiva il terrore in agguato, distante, attutito dal liquore nelle vene. Kieran non doveva sentirsi tanto diversamente, perché scrutava il bosco al minimo rumore, benché i suoi occhi fossero arrossati e poco vigili.
‒ Siamo ancora vivi ‒ mormorò Silas con un certo orgoglio.
‒ Lo siamo.
Poggiò le braccia indietro e rivoltò la testa con un grosso sospiro. Spostò il peso del corpo sulla mano buona, mentre evitò di usare l’altra. ‒ Sei una bella spina nel fianco tu. Con quei discorsi moraleggianti.
‒ Stai zitto, sei tornato, no?
Silas sentì i ciuffi d’erba sotto le dita. ‒ Sono tornato per te. Non per loro. Questo mi rende comunque una persona riprovevole.
La voce gli uscì più amareggiata di quanto avrebbe voluto. A volte sperava che ammettere di essere meschino lo rendesse meno meschino di altri. Sono migliore di tanti altri perché almeno io sono consapevole di ciò che sono. Come se questo avesse un qualche valore. Cercava sempre una scusa o un sotterfugio per sentirsi migliore degli altri, anche nel male.
Guardò Kieran di sottecchi che si stropicciò gli occhi e sbadigliò. ‒ Le motivazioni di una buona azione non m’interessano. Sei tornato e basta. Conta più questo. Non sei d’accordo? Io credo che...
Non lo stava davvero ascoltando.
Il profilo della mascella era graffiato da piccoli tagli e i capelli rossi erano arruffati dalla brezza notturna. Silas guardò le acque placide del fiume, alla ricerca di una qualche razionalità. Poi riportò gli occhi violetti su Kieran.
Al diavolo. Domani neanche ce lo ricorderemo.
Prese la nuca di Kieran in un gesto rapido e poggiò le labbra sulle sue con voracità. Notò appena lo stupore dell’altro sul momento e con la mano buona cercò di tenersi ancorato a lui. Era certo di beccarsi un pugno o un rifiuto violento, non era così lucido da pensare alle conseguenze.
Kieran rimase immobile, il corpo rigido come un tronco.
Gli dirò che ho perso una scommessa. Perché sono un fantastico codardo.
Con sua grande sorpresa non arrivò alcun pugno e il corpo caldo di fronte a lui non lo rifiutò.
Venne inondato di trepidazione quando lo sentì ricambiare il bacio, cauto, lento.
Le labbra di Kieran erano sottili e secche, ma calde come una tazza di caffè. Sapeva di liquore di bacche, odorava di fumo dei fuochi, resina di pino e sudore.
Premette i polpastrelli contro la sua nuca umidiccia e lo attirò di più a sé, con forza. Kieran si lasciò stringere docilmente, voltò appena la testa e schiuse le labbra per prendere fiato.
A discapito del suo carattere respingente, si lasciava guidare con dolcezza. La mano destra si era serrata sul fianco di Silas, nervosa, mentre le labbra si facevano più coraggiose.
Non avere paura.
Uno di loro due stava tremando, non sapeva chi. Silas era elettrizzato, qualsiasi paura si era annacquata con l’alcool.
Gli morse un labbro e gli afferrò i capelli rossi, ma si accorse di aver esagerato quando lo vide scostarsi. Aveva gli zigomi arrossati e gli occhi in subbuglio.
Dì qualcosa di rassicurante.
‒ E pensare che bastava baciarti per farti chiudere la bocca.
L'arrivo dell’alba immortalò le sue parole come un bel dipinto senza capo né coda attaccato al muro di qualche casa borghese senza gusto. Il sorriso strafottente di Silas si congelò in una smorfia di chi sa di essere un grande idiota.
 Kieran lo fulminò con lo sguardo, gli occhi a metà fra la rabbia e la mortificazione.
‒ Non è divertente. Che ti è preso?
S’irritò e andò subito sulla difensiva. ‒ Lo è invece. Stavo solo giocando. Non sai divertirti per caso?
Non controllava gli angoli della sua bocca, aveva un sorrisetto odioso che non riusciva a mandar via.
Che sto dicendo?
Kieran appariva confuso e irritato, ma l’imbarazzo era ancora lì, sui suoi zigomi. ‒ Ti sembra il modo di giocare? Fallo di nuovo e ti colpisco anche se sei ferito ‒ abbaiò mezzo ubriaco, ‒ idiota ‒ aggiunse fra i denti.
Afferrò i propri stivali e li infilò con fretta, poi si alzò in piedi e tornò sui propri passi, disorientato. Si voltò un’ultima volta a lanciargli un’occhiataccia prima di sparire verso la cittadina.
Silas calciò l’acqua con forza e serrò le dita sui fili d’erba, strappandoli.
 
 
 
Per il resto della nottata non aveva dormito un granché; era riuscito a ritrovare la sua tenda e a collassare sul letto con un tonfo. Kieran non era lì e la paura iniziò a essere più reale man mano che l’effetto dell’alcool scemava.
Aveva appena rovinato tutto?
Pensò ad alcune scuse per ingannarlo, per fargli credere che fosse stato uno sciocco errore dovuto all’ubriacatura. Glielo avrebbe spiegato l’indomani con calma, senza comportarsi da idiota magari.
I bagordi erano finiti e il sonno lo accolse fra quei pensieri agitati.
Domattina sistemerò tutto.
Ma quella mattina non andò come lui aveva previsto.
A svegliarlo fu un suono familiare e spaventoso quanto il battito d’ali delle fate che li avevano aggrediti.
I piccoli tonfi di un bastone in legno, accompagnati dai rintocchi di due tacchetti su stivali eleganti.
Quando l’apertura della tenda venne scostata, Silas era già sveglio, si era piegato a sedere in attesa.
Venne colpito dai raggi di sole freddi del mattino, che lo costrinsero a socchiudere gli occhi.
Il puzzo di sigari si diffuse nell’aria non appena l’uomo fece il suo ingresso, accompagnato dal Rettore.
Leroy era invecchiato in quegli anni, aveva diverse rughe sul viso, gli occhi cadenti ma ancora lucidi d’intelligenza; indossava abiti da viaggiatore, un lungo cappotto, stivali infangati e una bombetta a coprire la testa rasata.
Quando era bambino la sola vista di Leroy lo terrorizzava e aveva bagnato il letto fin troppe volte per averlo sentito aggirarsi fra i suoi fratelli la notte, intento a sorvegliarli.
Silas aveva lavorato molto su sé stesso per tramutare ogni singola emozione debole in rabbia; una rabbia cieca e silenziosa che divorava qualsiasi tipo di paura. La vista di Leroy gli scatenava una frenesia omicida che lo galvanizzava.
‒ Buongiorno cadetto, vedo con piacere che almeno qualcuno di voi è sopravvissuto alla nottata ‒ tentò di scherzare William. ‒ Tua madre ha mandato questo gentiluomo a prenderti. Sarai affidato alle cure dei Vaukhram. Prepara le tue cose.
La signora Vaukhram veniva a reclamare la mercanzia, voleva vedere di persona quanto fosse rimasta danneggiata. Resistette all’impulso di guardarsi la mano e si finse tranquillo e disinvolto.
‒ Lo aiuto io ‒ disse Leroy con quella voce consumata e catarrosa a causa dei sigari.
William fece un cenno con il capo e uscì dalla tenda.
A giudicare dall’aria frizzantina che era entrata nello spazio coperto, doveva essere mattina presto, forse il sole era sorto da poco ed era passata un’oretta da quel disastroso bacio. Tutti stavano ancora dormento, compreso Kieran.
‒ Riesci a camminare?
‒ Sì, scimmione idiota che non sei altro. Faccio da solo. Tu levati dalla mia vista, che mi dai la nausea con la tua puzza.
Uno dei vantaggi di essere l’erede dei Vaukhram, era che adesso Leroy era al di sotto di lui. Questo non significava che fosse meno pericoloso, ubbidiva davvero soltanto a sua madre e a uno schiocco di dita di lei avrebbe ammazzato Silas senza cerimonie.
Ora però che era cresciuto, Silas lo aveva superato nella gerarchia della casa e poteva trattarlo come spazzatura senza ricevere ripercussioni. E lui amava trattarlo come spazzatura.
‒ Il signorino si è svegliato di buon umore ‒ ironizzò con un sorriso che faceva invidia ai carcerati.
‒ Non mi hai sentito, ammasso di sterco? Sparisci. Aspettami fuori che la tua puzza mi disgusta.
Lo ignorò, anche se un luccichio di rabbia gli brillò negli occhi. ‒ La signora vuole che facciate subito ritorno, partiremo adesso.
‒ Partiremo quando ne avrò voglia.
Di nuovo quel sorriso. ‒ Siete certo di volerla fare aspettare? È già molto contrariata. La vostra mano poi non sembra in buone condizioni, dovreste accettare il suo aiuto finché ve lo offre.
La minaccia bastò per far tornare un accenno di lucidità in lui. Non voleva andarsene così, abbandonando tutto e tutti senza neanche salutare. Senza sapere se li avrebbe rivisti.
Doveva scusarsi con Kieran, imbastargli qualche scusa ridicola e controllare che fra loro fosse tutto a posto.
Si stropicciò gli occhi e sospirò, rassegnato. Era meglio che Leroy non vedesse affatto Kieran, che non sentisse neanche il suo nome.
‒ Non voglio certo sputare sulla generosità della mia adorata madre ‒ rispose con un sorriso affilato. ‒ Fammi il piacere, razza di inetto, raccogli tu le mie cose e vedi anche di sbrigarti.
Voleva davvero prendere tempo e restare un altro po’.
Ma quando i Vaukhram chiamavano, lui doveva rispondere.
 


Buongiorno a tutt*. Innanzitutto scusate per la lunga attesa, ho avuto concorsi ed esami da studiare, inoltre questo capitolo continuava a venire troppo lungo e ho dovuto spezzarlo ç__ç, sono cose che mi fanno arrestare e frustrare.
Scusate anche se non ho ancora risposto alle recensioni, volevo darvi subito il capitolo e in questi giorni risponderò con calma ai vostri commenti adorati <3. Ci sono diversi capitoli, come questo, che vanno tanto rivisti e corretti, ma per ora voglio solo andare avanti e pensare a un mega ultra lavoro di editing più avanti.
Grazie come sempre e scusate la lunga assenza.

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