Sotto La Cenere

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella Mattina ***
Capitolo 2: *** Tre Mesi Fa ***
Capitolo 3: *** Due Mesi Fa ***
Capitolo 4: *** Tre Settimane Fa ***
Capitolo 5: *** Quella Mattina ***
Capitolo 6: *** Quella Mattina ***
Capitolo 7: *** Due settimane dopo ***
Capitolo 8: *** Dodici settimane dopo ***



Capitolo 1
*** Quella Mattina ***


What's left to say?
These prayers ain't working anymore
Every word shot down in flames
What's left to do with these broken pieces on the floor?
I'm losing my voice calling on you

 
'Cause I've been shaking
I've been bending backwards till I'm broke
Watching all these dreams go up in smoke

 
Let beauty come out of ashes
Let beauty come out of ashes
And when I pray to God all I ask is
Can beauty come out of ashes?

 
COLLINS!!
La voce del comandante aveva tuonato, quasi più forte del boato con cui quel solaio s’era schiantato sotto i piedi del team dell’Engine 51, travolgendo il cantiere dell’expressway e trascinando fra i detriti il tenente Grainger.
Jessica non prestò la minima attenzione alla sua espressione cupa, né alla voce del capitano che gli faceva eco, poco più debole e vicina, da oltre l’ambulanza. Via il giubbotto, via tutto quello che le poteva essere d’impiccio. Un cenno d’intesa a Gallo, che sapeva spericolato almeno quanto lei; quello rispose allo stesso modo e mise mano a corde e moschettoni.
- No, Gallo. Fermo.- la mano tesa di Casey lo bloccò sui propri piedi, le mani piene di materiale e gli occhi sgranati a chiedere il permesso.
Jess scosse la testa, tornando a guardare verso quella voragine.
- Vado io.
- Collins-
- Vado io, capitano. Imbragatemi e datemi il materiale di base per la lettura dei parametri vitali, un collare taglia L e-
- Collins, no. Dobbiamo aspettare la Squad. Non puoi calarti tu.
- Con tutto il rispetto, Casey; non me ne frega niente. Datemi il materiale, vado io.
- Sei un paramedico, Collins. Non un vigile del fuoco.
- Appunto.
Un sospiro, decidendosi a dare l’ordine ai colleghi rimasti in attesa. Cruz che correva al camion e tornava con l’attrezzatura per reggerla e farla scendere, Gallo che allungava e svolgeva le corde, Sylvie con gli strumenti ed un collare cervicale, annuendo alla collega e sostenendo il suo sguardo deciso.
Vai, Jess. Mi fido di te.
 
- Dovrò farti rapporto, Collins.- Matt le arrivò fronte a fronte, finendo di aiutarla a legarsi, occhi nei suoi – con questa ti giocherai la carriera.
Jess sollevò le spalle, assicurando i moschettoni senza disconnettere il contatto visivo:
- Tornerò a fare la disoccupata. Grazie, comunque. Di questi tre mesi, dico. Siete stati la famiglia che non ho.
- Appunto per questo-
- Compreso lui.- un cenno del viso, ad indicare il tenente Grainger, che appariva immobile in mezzo ai detriti, unico cenno di vita un movimento convulso del petto, ad indicare che respirava ancora. Jess diede uno strattone alla corda, indietreggiando fino al bordo del solaio sbrecciato, lanciando uno sguardo in basso e facendo cenno a Cruz di incominciare a calare – è stato un piacere, lavorare alla 51.

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Capitolo 2
*** Tre Mesi Fa ***


Tre mesi fa.

L’auto accostava al marciapiede, dopo un viaggio di una sola manciata di miglia, che a lei sembrava durato un’eternità.
Un sospiro, lento e profondo; uno sguardo al sedile dietro, invaso di tutto ciò che possedeva raccolto in scatole e pacchetti, prima di sollevarsi verso le mura color mattone della caserma in cui avrebbe passato l’ennesimo breve periodo di transizione, a sostituire una collega in congedo temporaneo per infortunio.

Floating, era il termine con cui indicavano quelli come lei, all’interno del CFD. Quelli in movimento per periodi brevi, limitati, spostati dove necessario per sostituire colleghi in infortunio, in vacanza, o per riempire i buchi. Quelli che non avevano ancora trovato un posto in cui potersi fermare, un porto sicuro. 
E che forse erano destinati a non trovarlo mai.

Esattamente come lei.

Impulsiva, insubordinata. Dotata di una spiccata propensione al disprezzo della propria incolumità e del rispetto degli ordini.
Quelle due righe a margine erano sufficienti a siglare in via definitiva un curriculum pieno di grinze. 
Perché non bastava che il disprezzo per la propria incolumità le avesse consentito di salvare un bambino, meritando quella medaglia sul petto della divisa che indossava nelle grandi occasioni. Non bastava, che le sue azioni sconsiderate e quel non attendere ordini finisse quasi sempre per risolverle, le situazioni.
Non bastava, non sarebbe bastato mai.

Jessica Collins. Trent’anni appena compiuti, un punteggio altissimo all’accademia ed una testa matta grazie alla quale non avrebbe mai fatto carriera. Tre specializzazioni rimaste su carta, ed una bella serie di note di demerito che le avevano fatto guadagnare, in quattro anni e mezzo di servizio, una delle ultime posizioni in graduatoria. 
Non lo sarebbe mai nemmeno diventato, un vigile del fuoco. 
Vai, Jess. Brava, continua così.

Un altro sospiro, chiudendosi dietro la portiera dell’auto e trascinandosi a passi stanchi col borsone calato in spalla.

Oltre la linea d’ombra delle saracinesche aperte, i mezzi della caserma 51 riposavano, in attesa della prossima chiamata, circondati dal rumore di qualche opera di manutenzione e controllo, più quello di un leggero vociare in sottofondo.

Le avevano descritto quel posto come uno dei più difficili di Chicago.
E no, non perché fosse una caserma in cui rimaneva difficile ambientarsi. Anzi, in giro la descrivevano tutti come una piccola famiglia, una piccola sgangherata squadra di fratelli.
La caserma 51 era da sempre la più difficile da imbrigliare e da sottomettere, quella che fin dall’inizio dell’Era Boden dava del filo da torcere a burocrati e dirigenti. 
Quella di cui molti avevano provato a chiudere le saracinesche, senza riuscirci mai.

Sarebbe la tua casa perfetta, Jess.

L’ennesimo sospiro, caricare un sorriso, o almeno provarci, ignorando il resto dei rumori e presentandosi direttamente alla donna che, con aria afflitta e pesante, saliva e scendeva dall’ambulanza ricaricando il materiale.

- Serve una mano?
Una voce maschile la precedette, seguita da una figura vestita di blu e spuntata dal nulla.

- Oh, no, grazie.. ho finito.- la ragazza sorrideva, voltandosi verso l’uomo che le era comparso davanti, mani in tasca ed espressione luminosa.
- Allora sei libera per un caffè.
- Greg.- l’espressione della biondina si caricava di un filo di rimprovero.
- Lo so, lo so che non è proprio il massimo, ma.. è l’unico lusso che ci possiamo permettere, fino a domattina.- quello sollevò le mani, lasciandola scuotere la testa divertita e tendendole una mano per aiutarla a scendere, come fosse stata una principessa pronta a smontare dalla carrozza e seguirlo al ballo.
- Va bè, dai. E caffè sia.

Fu in quell’istante, che entrambi si accorsero di una presenza in eccesso.
- Ehi! Ciao! – la biondina si scosse appena, spostando l’attenzione dal giovane che le stava a fianco – tu devi essere- 
- Collins. Jessica.
- Che rimpiazza Violet sulla 61. Ah.. Brett, Sylvie. Io sarò il tuo caposquadra per i prossimi tre mesi, allora.
Stretta di mano, leggera e veloce. Il sorriso della biondina che si velava appena, nel recitare quelle poche parole.
- Già. Mi dispiace, che-
- Non è successo niente di grave, tranquilla. Ma nell’ultimo intervento ci ha lasciato una caviglia, il medico le ha raccomandato non meno di dieci settimane! - Sylvie tornò a sorridere, scimmiottando un po’ il tono con cui la collega aveva recitato la voce del dottore ed i suoi occhi a roteare verso il cielo – e quindi..
Le mani ad indicarla, percorrendo il suo perimetro. 
- Spero di non deluderti.
- Oh, non mi deluderai. L’ho letto, il tuo curriculum, sai. E ne ho dovuti leggere almeno una decina, fra quelli delle colleghe in mobilità..
- E se il tuo l’ha accontentata, vedrai che potrai reggerli, i prossimi tre mesi. La qui presente Lady Brett è appena appena un pochino esigente, nello scegliere il suo secondo in pattuglia..- il giovane ora prendeva la parola, rivolgendo all’interessata un sorriso che voleva dire più di molte parole, in cambio della sua smorfietta. Jess si limitò ad un’alzata di spalle.
- Dai, andiamo che ti presento la squadra, prima che ci chiamino per uscire.- Sylvie mosse i propri passi, precedendola verso una porta a vetri. Un cenno del viso, ed anche il giovane si mosse, concedendole di precederlo, per poi oltrepassare la porta dietro di lei.
- Ehi.- dita tese contro la sua spalla, e la sua espressione cambiava, arrivandole accanto e percorrendo con lo sguardo la sala ricreativa, con la sua cucina in fondo ed il divano in basso a destra – vai tranquilla. Sono come li descrivono, nessun segreto. Anch’io sono provvisorio, sai. Andrà tutto bene.
Jess annuì, allontanandosi verso Sylvie ed un paio di visi maschili pronti al sorriso.

Il tempo di una veloce presentazione, di nascondere il borsone in quello stipetto privo di nome sull’anta.
Ed i suoi pensieri furono interrotti dalla campanella di una chiamata in arrivo.

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Capitolo 3
*** Due Mesi Fa ***


Due mesi fa.
 
Sylvie era una macchina da guerra. Con in mano il volante o le attrezzature da soccorso, appariva precisa, professionale ed instancabile. E riusciva a non perdere il sorriso, neppure quando doveva superare situazioni che avrebbero cancellato qualsiasi pensiero positivo.
Di lei dicevano che portava il sole, che era il paramedico e l’amica migliore del pianeta Terra. O almeno, di Chicago e dintorni.
 
Forse peccava un po’ di attenzione, quando si trattava di intercettare sguardi o capire segnali del cuore.
O forse no, forse era solo innata modestia, quel suo continuare ad insistere che per lei il grande amore non esisteva e non sarebbe mai esistito.
Con sospiro da principessa delle fiabe sfigata incluso.
 
Stella le faceva il verso, poi si rivolgeva all’ultima arrivata e rideva, riuscendo a contagiarla anche quando Jess non ne aveva proprio voglia.
 
- Sì, sì, tesoro, tu sei sfortunata come un lombrico sotto la pioggia e non troverai mai un uomo che ti ami.- un pomeriggio, Stella era particolarmente carica e scuoteva anche la testa con l’espressione da vecchia zia, voltando appena le spalle allo sbuffo dell’amica raggomitolata sulla panca dello spogliatoio, per spogliarle della maglietta di servizio e ricoprirle con l’amata felpa – lo sappiamo GGià.
- Ma se ha due ufficiali che se la litigano! – la voce di Jess s’era aperta, un filo incredula e due ironica, lasciandole sgranare gli occhi – no, magari tu no, ma io li ho visti, faccia a faccia e orecchie indietro come i gatti a ringhiarsi! E non ce l’avevano di sicuro con me; io casini è da un po’ che non ne combino.
- Che ne sai; potevano litigarsi anche te.- Stella sollevava il mento, fingendo tono di sfida ma confermando la versione della nuova arrivata.
- SSì. Me. HA HA. Non sono mica arrivata ieri, amore.
- Tesoro.
- Miao miao.
- Continuate ancora un po’ e mi sentite gridare.- ora Sylvie s’era alzata in piedi, e le fissava entrambe stortissimo, a braccia incrociate.
- Devi solo decidere, tenente o capitano. Tira un dado.- Jess imitò le sue braccia incrociate, piegando le labbra in sincrono con Stella.
- La potresti tenere.- Stella tese la mano verso la nuova arrivata, ma parlando con l’altra – almeno come consulente matrimoniale.
- Piantàtela.- Sylvie sbuffò di nuovo, voltando le spalle e chiudendo l’armadietto – non sono mai stata tanto in imbarazzo.
- Non è vero che non ti vuole nessuno, lady Brett. E’ che sei stupenda, e se ne accorgono tutti tranne te.
- Credo proprio che ti terrò.- un abbraccio, e sulle labbra della biondina tornava il sorriso.
- E.. ecco.- Jess frugò nella tasca del giubbotto, estraendo un dado e tendendoglielo – per i momenti d’imbarazzo. Ho anche una monetina, se questo non-
- TI.ODIO.TANTISSIMO.
- Devi venire al Molly’s, Jessica – ora era quello di Stella, l’abbraccio – non capisco perché non ti sei ancora mai fatta vedere, in un mese. Siamo tutti fra di noi, potresti ravvivarci lo spirito dopo le battute tristiSSSime di Herrmann.. credo sarebbe una bella battaglia…
- Mah, dai, prima o poi faccio un salto.
- Non lo dire con quella faccia lì! Che c’è? Non avrai soggezione! Paura? Paura di cosa? Di chi? Di Kelly? Guarda che di cattivo c’ha solo lo sguardo quando gli piglia storta.. e comunque a raddrizzargliela stai tranquilla che ci penso io.
- No, è che-
- Che c’è? Cosa.. cosa ti vieta di passare una serata fra amici? Dovremmo essere una famiglia.. o hai qualcuno che ti aspetta a casa?
- No, io.. io a dire il vero non ce l’ho neanche più, una casa.
Lo spegnersi del suo sorriso chiuse le labbra anche alle altre, e stavolta nell’abbraccio di Stella c’era tanta solidarietà.
- Guarda che con noi puoi parlare. Di tutto, non solo di ‘sta qui e della sua presunta sfiga in amore.
- Beh..- adesso era Jess, a raggomitolarsi sulla panca, totalmente priva di allegria – ecco.. va bè, ok. Mi vergogno a morte, ma ci siete solo voi e ve lo posso raccontare. Io.. vi sarete domandate perché di solito arrivo presto, al lavoro. Dormo in macchina, ho trovato spazio in un lotto, a due miglia da qui. Sì, uno di quei posti in cui vivono i poveracci che non arrivano a fine mese. L’avrete letto nel mio curriculum e notato anche sul campo, che non sono propriamente nota per la mia attitudine ad eseguire gli ordini.
- Già. In un mese quanti?
- Richiami del comandante Boden? Tre. Alla terza era più nero del solito.- un filo di ironia, uno scambio di sorrisi, rapidissimo e pronto a ricoprirsi con un velo – quelli di Matt ho smesso di contarli, e mi sa anche lui. Alla mattina ci diamo il buongiorno e la prima cosa che fa è sollevare gli occhi al cielo.
- A me l’hai chiesto, il permesso.
- OK, Sylvie, ma tu sei il mio boss, cioè quello che lo è direttamente su ogni scena, ti mancherei di rispetto se prendessi l’iniziativa mollandoti in un angolo a far da controfigura.
- Se capita di nuovo roba come la tracheotomia acrobatica che hai eseguito a bordo l’altro giorno, sei autorizzata ad fare l’insubordinata quando ti pare. E’ brava, eh.- la biondina la puntava col pollice, annuendo in sincrono con l’altra.
- E io ti dico di nuovo: tienila. Tanto l’abbiamo già sentita, Violet.
- Che vuole tornare a casa-base, già.
- Tienila. E tu..- uno stropicciare di codino alla nuova arrivata, e Stella si lasciava andare ad abbracciarla di nuovo – vienici, al Molly’s. Nessuno ti discrimina perché stai affrontando un momento un po’ low.
- Io.. la verità.. è che con lo stipendio da floating arrivo a malapena a permettermi l’affitto di un posto auto al lotto, e da mangiare. E’ per questo che cerco di evitare tutte le spese in più, e.. che mi farebbe comodo un posto fis-
- Tienila. Brett, tieni lei o ti spezzo le ginocchia. No, ti combino un appuntamento con Casey e Grainger nello stesso posto e nello stesso momento, e poi t’arrangi.
Sbuffo e occhiata al soffitto di Sylvie, poi le labbra a stringersi a cuore, puntando l’indice come tutte le volte in cui le balenava in testa un’idea. Quella con cui di solito risolveva tutti i casini.
- Io ti tengo. E tu vieni ad abitare da me. Sì, Collins Jessica paramedico dalle mille note di demerito dovute alle mille uscite in cui di solito hai ragione tu. Io di stanze ne ho due, potremmo dividere le spese e-
- Fare un uomo per una e siete tutti felici. Passami il dado.
 
Erano uscite, ridendo ed abbracciate, tutte e tre come tre quindicenni prive di pensieri, lasciando i signori maschietti a scambiarsi sguardi interrogativi.
Femmine, bah.

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Capitolo 4
*** Tre Settimane Fa ***


Non sono mai stata tanto in imbarazzo..
Sylvie era sincera, e un po’ la riusciva a capire. Ne avevano parlato molto, in quelle settimane; una della sfiga in amore, l’altra della sua vita spericolata quanto socialmente isolata. Si erano scambiate impressioni e consigli, ed avevano riso. Avevano riso tanto, pianto abbracciate, sospirato davanti a film romantici condivisi sul divano, giocato col gatto. Sylvie affermava candidamente di aver finalmente trovato l’anima gemella e aspettava la reazione ad occhi sgranati di Jess per prenderla un po’ in giro, poi Jess fischiettava e giocherellava col dado, lasciandola protestare solo sol labiale, e godendosi l’aggrottare di sopracciglia di Matt. Prima di vederlo sospirare e roteare gli occhi al cielo, ovviamente.
 
L’unico che sembrava non partecipare al gioco era l’altro.
Ormai l’avevano capito anche le mattonelle del garage, che il sentimento che legava la biondina al capitano era forte da diventare filo elastico per loro e sabbie mobili per chiunque provasse ad avvicinarsi. Nonostante loro continuassero a ribellarsi –inutilmente-, a resistere, ad allontanarsi per tornare sempre al punto di partenza, se non più vicini. Matt le ringhiava e poi sollevava il pelo con chiunque provasse ad avvicinarla, lei cedeva alle distrazioni e poi ci ripensava in maniera a dir poco clamorosa.
 
E l’altro masticava amaro come il fiele.
 
Jess non aveva mai osato avvicinarglisi più di tanto, divisa fra l’attrazione per quel suo essere sempre così discreto, protettivo e gentile, e la repulsione dovuta al saperlo l’uomo di un’altra.
Sì, perché anche se i suoi tentativi finivano per la maggior parte per fallire, gli sguardi che il tenente lanciava a Sylvie non riuscivano a mentire.
Non stavano insieme, non ufficialmente. Ma il suo modo di starle vicino, il modo in cui la guardava, chiedevano chiaramente di più. Non era sua, forse non lo sarebbe mai stata.
Ma a Jess, per ritenerlo l’uomo di un’altra, bastava vedere dove aveva occhi, testa e cuore.
 
E.. io comunque mi chiamo Greg.
Jess gli aveva sollevato contro occhi distratti, la sera in cui s’era presentato alla loro porta, senza chiedere niente e con un semplicissimo ciao.
- Sylvie arriva subito.- gli aveva indicato l’interno con il pollice teso – vuole entrare?
 
Il tenente Grainger aveva aggrottato leggermente le sopracciglia, annuendo e seguendola fino al soggiorno.
E qui l’aveva sorpresa.
 
- Sei qui da.. quanto, un mese, Collins, due?
- Nove settimane.
- MH. E perché mi dai del lei? Cioè.. perché lo fai solo con me? A parte il comandante, ovviamente. Credevo di averti sentito dire che ti senti in famiglia, alla 51. Che stai aspettando una risposta dal comando per restare, che ci speri. Ti capisco, io sono più o meno nella stessa situazione e-
 
Darti del lei ti tiene lontano – pensò lei, percorrendone la figura con uno sguardo – mi aiuta, a tenerti lontano. Perché non mi ci voglio illudere, con l’uomo di un’altra. Che cosa stupida. Jess, sei stupida. Scritto stampatello maiuscolo. STU-PI-DA.
Le parole si infransero contro la barriera delle sue labbra, traducendosi in un’alzata di spalle e nel suo voltare i passi verso la cucina:
- Un caffè?
- Jess.
- Sylvie arriva subito.
- Io.. si può sapere perché ce l’hai con me? Eppure non mi sembra-
 
I passi del giovane s’erano bloccati sulla porta. Jess gli voltava le spalle, muovendosi come fosse stato trasparente.
Un lampo, un istante. Indietro fino al giorno in cui era arrivata.
 
Trasparente. Era così preso da Sylvie che non s’era neppure presentato. Non le aveva teso la mano, s’era limitato a quelle due parole che sicuramente le erano suonate di pura cortesia. L’aveva sempre trattata con gentilezza e distacco professionale. 
Gli altri la trattavano come fosse stata dei loro da sempre, applausi e grida compresi come quella volta in cui aveva osato salire sul banco del Molly’s ed improvvisare una danza che aveva lasciato Herrmann a bocca aperta. E le aveva fatto meritare applausi a scena aperta da tutti gli altri.
- Kidd! Sei sicura di averle dato una birra sola?
 
Ricordava di averla osservata mentre scivolava all’angolo, aspettava l’occhiata di Stella e si spingeva a sedere sul bancone per poi alzarcisi in piedi, mentre d’improvviso la musica cambiava e tutto il bar esplodeva sotto di lei.
 
She's an animal, a party animal
 
Like an animal, on the dance floor
Silent murderer, haunting after you
She's untamable, but you never know
Make one move, she run out of control
Come on danger girl, let me volunteer
I'm all bulletproof, let's get out of here
Shawty you're the one, but incognito
Kill the lights, let's get loose on the floor

 
She's the lady I wanna know
Kind of chick, out of control
She's a diva and she knows why the club goes wild
She's an animal

 
Jeans, piedi nudi, capelli sciolti sulle spalle come mai nessuno, alla 51, l’aveva vista prima di allora. Herrmann che si barricava spalle alla vetrina, temendo qualche disastro o l’irruzione della polizia, Casey che si appoggiava gomito al bancone e scuoteva la testa, lasciando per un attimo pensieri cupi e broncio di serie. Burgess che puntava l’indice e si fiondava a ballare, trascinando con sé la dottoressa Manning, che tendeva la mano e si tirava dietro Hailey, ben decisa a ballare sì, ma senza mollare la birra e sollevandola invece al cielo. E poi altre tre, quattro, dieci, mentre i maschietti restavano all’angolo a guardare.
Ad ammirarle.
Ad adorarle.
 
Ricordava di aver indirizzato un cenno a Sylvie, seduta lì di fronte ed ancora incredula.
Tu?
- Oh, no, io non-
- Non sai ballare? Andiamo.
- No, no, no.. vai con lei. Vai, vai!
 
Il suo sguardo verde s’era fatto cupo, seguendo quello che la ragazza indirizzava al capitano, rimasto nell’angolo in fondo a destra con l’indice puntato alla nuova arrivata e la testa che si muoveva a ritmo, facendo ogni tanto segno di no ai suoi inviti a mano tesa a farle compagnia sul bancone.
- OK.- il tenente s’era fatto largo in mezzo a quella piccola folla, spingendosi fin quasi a poterla toccare. Ma non aveva osato di più, notando come l’attenzione della ragazza si spingesse dappertutto a parte su di lui.
 
I'm no longer brokenhearted
So glad I came here tonight
And I see you got what I wanted
Baby, you got what I like

I can see that you're watching me
Come over, talk to me, need you to give me a sign
You got that something sweet
That don't come easily, it's what I need tonight

I came here for love
For someone to hold me down
I won't give it up, no
I want you to reach out

 
Un’altra canzone, una terza. Poi, una figura a materializzarsi sotto il bancone, indecisa se arrabbiarsi a morte o mettersi a ridere.
- Ma si può sapere cos-? Collins??
- Comandante!
La nuova arrivata chiamava con la mano, a Boden non restava che raggiungerla, tendere le braccia e farla scendere:
- Che punizione vuoi, stasera, Collins?
- Sto festeggiando, signore.- lei raccolse i capelli, prendendo fiato e ricambiando il suo sorriso.
- Che ci hai, da festeggiare?
- Che non m’importa, signore. Cosa farò, dove andrò a finire dopo. Ora sono qui e ho una famiglia. E una casa. E me la voglio godere, finché si può.
- Finché non ti farai ammazzare.
- Non mancherei a nessuno.
- A noi sì.- quello si lasciò andare ad abbracciarla, rivolgendosi poi a chi aveva di fronte al bancone – una birra per me e una alla signorina. Sempre se non hai già esagerato.
 
Il tenente l’aveva vista fare segno di una ad indice teso, mentre Boden le si sedeva accanto e scuoteva la testa con un divertito: allora sei proprio matta così di tuo! Prima di scambiare un tocco di bottiglie.
Aveva lasciato che Sylvie rimanesse accomodata accanto a Casey senza richiamarla né fiatare.
La situazione tornava quella tranquilla di sempre, mentre raccoglieva il giubbotto e scivolava lontano da lì.
 
Perché ce l’hai con me? Che ti ho fatto, di male?
 
Quella voce la sorprese con il cucchiaino nella polvere del caffè.
Jess voltò appena il viso, di tre quarti, senza mostrare più che un briciolo di attenzione.
- Sì. Vorrei che me lo dicessi in faccia, che diavolo t’ho fatto, perché proprio non lo so. Perché mi tieni a distanza, perché se ti capito accanto alla mensa scivoli dalla parte opposta del banco. Voglio capire, ma probabilmente sono stupido, perché non ci arrivo.
Nessuna risposta, il cucchiaino che tornava nel caffè.
- Jess.
- Non importa.- rispose lei, con un filo di voce, mentre quella più luminosa dell’amica faceva capolino dalla scala:
- Arrivo!
- Non importa cosa?
 
Sylvie li trovò lì, lui appoggiato a pugni stretti sul bancone della cucina, lei chiusa a difesa e voltata di spalle.
- Tutto bene? – chiese.
- Sì, tutto bene.- replicò lui, mal celando fastidio – dobbiamo solo chiarire una cosa, e arrivo.
- Non c’è niente da chiarire.- fu la risposta opaca di Jess, nel suo voltarsi fronte a fronte col giovane, che deglutiva stringendo le labbra e si faceva appena indietro, raddrizzando la schiena.
- Allora, possiamo- l’accenno a muoversi di Sylvie fu troncato in due dalla risposta gelida del tenente:
- Non appena ho una risposta. E non mi muovo, Jess.
- Che c’è? – Sylvie guardò lui, poi lei, cercando di capire.
- C’è che la tua amica non mi sopporta, e vorrei che mi dicesse perché.
Avanti.- recitava il cenno a mano tesa di Sylvie.
Non con te presente.- disse lo sguardo di Jess, spostandosi altrove.
Lei si limitò ad annuire, toccò la spalla del giovane e si allontanò:
- Io ti aspetto fuori.
- OK.- replicò quello, veloce, per tornare alla donna che aveva di fronte ed incrociare le braccia.
Allora?
 
Jess emise un sospiro, lasciando perdere il diversivo del caffè, ed osò sollevare gli occhi nei suoi:
- Non amo dare confidenza ai fidanzati delle altre. Specie se si tratta della mia migliore amica. Buongiorno, buonasera, ognuno a casa sua e tutti felici. Non amo dare confidenza e fare la fine della stronza, non amo dare confidenza e farmi delle illusioni senza senso. Quindi buongiorno, buonasera-
- Non sono il fidanzato della tua migliore amica. Pensavo l’avessi capito.
- A me non interessa-
- Neanche a me, Jess. Sono qui per parlarle, e perché la devo chiarire, una volta per tutte, dato che ho avuto una risposta e resto alla 51. Non sono un idiota, lo vedo benissimo che non ho speranze. Usciamo, riceve una telefonata e scappa via con la scusa che un’amica ha bisogno di lei. Penso a te. Impossibile, direbbe Jess ha bisogno di una mano, non sei un’estranea, non c’è niente di male a fare il tuo nome. La invito a passare un fine settimana a sciare, prima accetta facendo finta di esserne entusiasta.. o magari lo è, poi però all’ultimo momento tira di nuovo fuori l’amica e mi lascia da solo come un cretino, con tutto programmato, a metterci su l’anima e poi buttarla nel cesso. Penso di nuovo a te. Cazzo, mi direbbe dobbiamo rimandare perché Jess s’è cacciata in un disastro dei suoi. Mi preparo un va bè, vengo anch’io, se posso essere utile, volentieri. Ma sullo schermo del telefono c’è il suo nome. Casey. Sempre e solo lui. Ci hai visto ringhiare, lo so. Gli ho detto in faccia come la penso, che si rassegni perché sono capace nel mio lavoro, perché lo amo e voglio il posto in cui sono. Che non mi può trattare come uno straccio da pavimenti solo perché esco con lei. Ora sarà felice, che non ne voglio più sapere. Non ne voglio più sapere, di essere quello di riserva, sono stanco di non sentirmi mai dire la verità. Voglio che abbiate il coraggio di dirmelo in faccia. Almeno quello. Greg, mi dispiace ma amo un altro e tu sei stato un diversivo. Greg, a me se crepassi non dispiacerebbe per niente, non sopporto più di vederti con la donna che amo. Greg, mi dai ai nervi perché stai lì a fare il coglione di riserva e a prenderti le briciole, quando non sarai mai felice, se continui così. Non sarai mai felice, esattamente come me.- un sospiro, pesante - non sono l’uomo di un’altra, Jess. Tantomeno della tua migliore amica. Non ammazzi nessuno, se mi chiami per nome o mi rivolgi uno sguardo mentre balli sul bancone o mi tratti con qualcosa di meglio che quel tono. Mi basterebbe che mi trattassi come uno qualunque degli altri. Ci dovrei essere anch’io, in quella che chiami famiglia. E.. – la voce di Sylvie, da fuori, lo distrasse per un attimo, prima di lasciarlo tornare a quello sfogo a pugni chiusi – anche tenente non mi dà fastidio, è il tono con cui lo dici. E io.. lo so che sono stato il primo, a sembrare indifferente. Neppure mi sono presentato, la mattina in cui sei arrivata. Ma vorrei che la smettessimo. Greg. Io.. mi chiamo Greg. Ok?
 
Ora lei abbassava lo sguardo e caricava un sospiro, sembrava che quelle parole le avessero fatto l’effetto di uno schiaffo in pieno viso.
- Poi.. poi ne parliamo con calma, ok? Magari davanti a un caffè, a una birra, o-?
Jess si limitò ad annuire.
- Non- non voglio che ci resti male. Io-
Vai. Rispose lei, con un breve cenno della mano, per tornare al cucchiaino ed al caffè.
Lasciandolo con in fondo alla gola lacrime che non avevano nessuna spiegazione logica.

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Capitolo 5
*** Quella Mattina ***


Quella mattina
 
Il tempo volava, ed il comando non le aveva dato ancora nessuna risposta.
I tre mesi stavano per scadere, e nonostante Sylvie continuasse ad insistere vedrai che ti lasceranno rimanere, riusciva già ad immaginarlo, il giorno in cui avrebbero sollevato insieme l’ultima birra.
Prima dell’ennesimo abbraccio d’addio.
 
Al tenente Grainger la lettera era arrivata, ma il posto tanto desiderato sembrava non avere più nessun interesse, per lui.
Non dopo le parole con cui aveva messo la parola fine ad una storia mai scritta.
 
You only see what your eyes want to see
How can life be what you want it to be
You're frozen... when your heart's not open

 
You're so consumed with how much you get
You waste your time with hate and regret
You're broken... when your heart's not open

 
Now there's no point in placing the blame
And you should know I'd suffer the same
If I lose you... my heart will be broken

 
Love is a bird... she needs to fly
Let all the hurt inside of you die
You're frozen... when your heart's not open

 
Quella mattina s’era presentato all’ingresso, grigio come il cielo di Chicago, dopo aver raccolto definitivamente le proprie cose e liberato l’armadietto alla caserma 40.
Un istante lunghissimo, borsa in spalla e respiro rarefatto, ad osservare le mura di mattoni del posto in cui, ora, non voleva più stare.
 
- Ehi.
Una voce, improvvisa, gli circondò le spalle e lo costrinse a voltarsi.
- Ehi.- rispose, piegando appena le labbra in una smorfia che sapeva di dolore.
- Mi dispiace.- Jess gli s’affiancò, seguendo il suo sguardo verso il punto in cui, oltre la linea della saracinesca, Sylvie e Matt scherzavano amabilmente come nulla fosse mai successo, condividendo lo stesso bicchiere di Starbucks. Greg si piegò appena a guardarla, aggrottando le sopracciglia.
- Lo so, magari era così, che doveva finire, ma.. mi dispiace lo stesso. Per te. Si vede lontano un miglio, che adesso vorresti esserci tu, al posto di quella con il tempo in scadenza.
- Non hai più saputo nulla?
- No.
- Quanto, ancora?
- Quanto mi rimane? – lei lo lasciò annuire – non ne ho idea. Potrebbe essere oggi, domani, fra un mese. Potrei oltrepassare quella porta, e sentirmi apostrofare da Boden che c’è posta per Collins. Sì; ora è a te che dispiace per me, tenente. La verità è che siamo due completi sfigati.
Un’alzata di spalle, quasi in sincrono, poi la mano di lui a posarsi sul suo braccio, a trattenerlo appena:
- Almeno l’hai piantata, di darmi del lei.
- Mi devi ancora quella birra.
- E tu un paio di grattini di consolazione.
 
Jess sgranò gli occhi, puntandosi col pollice e lasciandolo ridere, come non lo vedeva fare da settimane.
Più o meno da quando l’aveva incrociato di nuovo in caserma, nei giorni successivi a quello in cui Sylvie aveva sputato il rospo, dicendogli finalmente la verità e cancellandogli con un rapido colpo di spugna tutte le illusioni residue.
 
- Senti, Greg, io.. non voglio che tu te la prenda, non voglio farti soffrire. Ma.. ecco.. ti ho dato appuntamento perché dovrei dirti una cosa. Io-
- Ami Matt.
- Scu- scusa?
- Ami lui, non me. A me non ci hai neppure mai pensato seriamente. Lui lo sa.
- No, non credo proprio che-
- Non ti preoccupare. Ci ho pensato io.
- Tu.. hai detto a Casey che io-?
- La verità, Sylvie. Ami lui, io sono solo un diversivo. Il tentativo di negarlo, di forzarti a stargli lontano. E non è un ruolo in cui mi piace giocare. Amici come prima, ok?
- O.. ok.
- Almeno la tua amica la smetterà, di trattarmi come fossi un appestato.
- Scusa?
- L’hai.. cioè, l’hai visto, prima, a casa vostra. Che dovevamo-
- Chiarire una cosa, sì. Quindi, Jess-?
- Lei praticamente in questi mesi mi ha evitato in tutti i modi, per paura di.. di farti capire qualcosa di sbagliato, se anche solo mi parlava. Ha paura che tu.. pensi che lei ti voglia rubare il fidanzato, e.. di mandare a monte quello che c’è fra di voi, che siete.. come sorelle.
- Ha delle linee di confine molto marcate, lo so. Ma da qui, a-
- Non amo dare confidenza ai fidanzati delle altre. E farmi illusioni senza senso. Testuali parole, più o meno.
- GREG. Tu-
- Io cosa?
- Fammi capire. Questo è un discorso da una che a te ci tiene, ma ci rinuncia per non rovinare un’amicizia.
- Scusa?
- A me suona così: ti sto lontana perché mi piaci, ma sei il ragazzo della mia migliore amica. E io le voglio troppo bene per-
- No, no. Non lei.
- Perché non lei? Che ha di sbagliato Jess?


Già. Che aveva di sbagliato Jess..?
Che c’era, che non andava, nel movimento dei suoi fianchi, ora che la osservava allontanarsi verso l’ingresso, borsa in spalla ed aria malinconica? Che c’era, in quel suo passare da triste a felice a pazza a buia nel giro di un turno? O nel suo ballare sul bancone del Molly’s come una sirena?
Che c’era, di sbagliato, nel battito che gli aveva fatto perdere, nell’istante in cui l’aveva sorpresa a mostrarsi alle amiche con quel vestito?
 
- WOOOWW..
Stella aveva lasciato crollare la mandibola anche al solo vederglielo estrarre dal pacchetto, dopo aver insistito per almeno un quarto d’ora perché lo aprisse.
- E’ semplicemente un regalo che mi sono concessa con il primo stipendio decente ottenuto in vita mia..- Jess aveva minimizzato, aprendo la carta con cautela e stendendolo davanti agli sguardi rapiti delle ragazze – non è mica firmato!
- Adesso lo vogliamo vedere indossato.- Sylvie aveva teso le mani, ribattendo con ampi cenni di sì ai suoi di no, altrettanto vigorosi.
- E con le sue scarpe, che qui sto notando-
- Ehi! Molla subito!
 
Ridere, cercando invano di evitare che Stella arricciasse le labbra a modo suo, davanti a quello stupendo tacco dodici.
- E queste le avresti comprate per uscire con chi?
- Con nessuno, piantatela.- Jess aveva teso le mani ed era riuscita a reimpossessarsene, tornando a nasconderle nella scatola – ve l’ho detto, mi sono concessa un regalo. Un regalo regalino, giusto per me.
- No no no, signorina! – Sylvie ora le era arrivata addosso con leggere spintine ammiccanti, tipo gatto – qui non la racconti giusta!
- Dai, chi è il fortunato? – Stella aveva teso l’indice di fronte al suo ennesimo tentativo di protesta – NON provarti a dire che l’hai comprato per tornare a ballare sul bancone!
- Chissà.
- Questo è per una serata speciale.
- Già.
- Io non ho serate speciali, pensate per voi!
 
Le due continuavano a scambiare sguardi ammiccanti e smorfiette.
- UFFA. Siete due suocere. Ho per migliori amiche due suocere. Ho solo- insomma, se voglio trovarmelo anch’io, un cavaliere, dovrò vestirmi da femmina, ogni tanto, o no?
- E curarti un po’ di più.. magari un po’ di trucco..
- EH.
- E allora adesso lo provi.
- Come..? Adesso?
- Sì.- aveva risposto Stella, incrociando le braccia con convinzione – vogliamo vedere come ti sta.
- Scarpe incluse.
- Così possiamo darti un consiglio e magari invidiarti a morte, che te lo vedo già perfetto.
- Ok. Ma niente foto e niente farlo sapere a quelli di là.
 
Un sospiro, raccogliendolo ed andando a rifugiarsi nelle docce per fare il cambio. Annuivano entrambe, ma ci avrebbe potuto scommettere, che appena pronta le avrebbero fatto fare la sfilata in sala mensa.
 
E va bè, Jess, pazienza. Stella ha ragione, è perfetto; al massimo i maschi faranno qualche commento e Gallo ti fischierà dietro. Che vuoi che sia.
 
E allora, che ne dit-?
 
Spostare la tenda della doccia, voltare l’angolo ed aprire le braccia stile voilà.
 
E l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di trovare. No, l’ultima delle ultime.
I maschi. Più o meno tutti, a giudicare dalla calca nello spogliatoio. Le due infamone dovevano averli chiamati apposta mentre si cambiava, ed ora mancava solo lo striscione.
 
- IO.VI.DISTRUGGO.
- Ma smettila, Collins! Per una volta che ti vesti da sembrare una donna, che male c’è? – Mouch era già con lo scatto pronto sullo smartphone, mentre altri annuivano e qualcuno era già arrivato al livello salva e condividi.
- Non è possibile.- lei aveva emesso un sospiro, senza sapere se prendersela o mettersi a ridere, ed incrociando le braccia.
- Sì, che è possibile. Dai, che sei perfetta. Sfilata.
A quell’invito a mano tesa di Casey, si era ritrovata a chiudere gli occhi, prima di muovere una manciata di passi avanti, ed indietro. Contenti?
- Ed è la prima volta che esegue un ordine! – dal suo angolo, Severide aveva innestato una risata generale.
- Mi state prendendo per il culo.
- No, che non ti stiamo-! – Matt era andato ad arginare la sua fuga, raccogliendola e riportandola in mezzo, facendosi più serio e lasciandoceli diventare tutti – stai- probabilmente questo è uno degli ultimi giorni in cui ti abbiamo con noi, e.. e sei bellissima, non serve che te lo dica io, o che te lo dicano loro. Con o senza questo vestito. Sei bellissima, e il fatto fisico c’entra sì e no per il dieci percento.
- Trenta, và.- aveva replicato Mouch, dalle retrovie, facendoli ridere di nuovo, ma stavolta compresa lei.
- Qualcuno ha una faccia che dice anche ottanta.
Adesso Matt sollevava il mento, rivolto al punto più lontano. Attirato da tutto quel vociare, sul confine della porta era comparso il tenente Grainger.
E solo il suo sguardo verde bastava a prendere il posto di un milione di parole.
 
Si erano voltati tutti in contemporanea, tipo mare diviso da Mosè, in attesa di una reazione. Silenzio, sospeso.
Fino a quando il suono di una chiamata non li salvò entrambi.
 
Truck 81, Engine 51, Ambulance 61, car accident, Madison and Des Plaines North.
 
Sembrava un banalissimo scontro fra auto, una in uscita dall’area di parcheggio all’angolo ed una in entrata, se non fosse stato per la posizione in cui giaceva la prima.
Sagoma inclinata di almeno 10 gradi verso il basso, ruote anteriori conficcate in quella che appariva una strana buca.
- Che diavolo ci fa una buca lì? – Mouch si fece avanti fra i primi, rimanendo per un lungo istante con le dita sul mento, mentre gli ufficiali distribuivano ordini e posizioni.
- C’è il cantiere della expressway, sotto.- Matt sollevò la mano e indicò il lato opposto della strada – aiuta gli altri con il cavo di trazione, dobbiamo levarla da lì. Ehi! Dove va quell’imbecille?
 
Un camion, neppure di grossa stazza. Veniva verso di loro, ignorando il perimetro, a passo d’uomo e vacillando appena. Nell’auto della buca, la donna al volante aveva ripreso a lamentarsi, mentre i vigili del fuoco la circondavano con i cunei di legno e le imbragature.
- Ehi! Fermo! Fermo, non lo vede che stiamo lavorando per-? – il tenente Grainger levava il passo, sollevando le mani in direzione del mezzo in avvicinamento.
 
Un istante, soltanto un istante. Una specie di scricchiolio sinistro, poi un boato. La strada che si apriva, sotto il peso del camion, inghiottendolo, e con lui l’autista e l’uomo in divisa.
Il cuore di Jess andò a rimbalzarle all’altezza delle tempie.
 
- Chiamate la Squad 3, presto!
Polvere e confusione, Matt che agitava le braccia e qualcuno che correva a bordo strada, mano e labbra alla radio.
Jess raccolse il respiro e smise totalmente di pensare.
 
Polvere. Odore di polvere, sapore di polvere. In sottofondo, avanti alle sirene, ancora sinistri scricchiolii.
Un leggero strattone, e le sue mani scioglievano il moschettone, lasciandole dirigere i passi verso la divisa grigiomarrone del collega.
Il suono di un respiro, la linea del torace che si muoveva compulsiva. Quegli occhi verdi sbarrati contro i suoi. Un filo di sangue, fra le labbra e giù, lungo il viso.
- Ehi.- Jess andò ad inginocchiarglisi a fianco, percorrendo con le dita il suo perimetro in cerca di danni e di ferite. Arrivò a metà torace e lo sentì emettere un gemito.
- Adesso ti tiriamo fuori.- raccolse la borsa sul fianco, trovò il collare e qualcosa per una prima medicazione. Quelle dita arrivarono a stringere le sue, con forza.
No.- le rispose, con un cenno leggerissimo del viso, portando quello sguardo dal lato opposto.
L’uomo del camion. Prima lui.
 
Jess si ritrovò ad annuire, sollevandosi quanto bastava per perdere il contatto con il calore di quella mano. Voltò la propria, e la trovò sporca di sangue. Uno sguardo indietro, veloce.
L’uomo del camion, Jess. E’ un civile, prima lui.
 
Tremava, tremava come un bambino e continuava a ripetere mi dispiace, come se si fosse reso conto solo adesso del casino che aveva combinato. Jess non gli prestò più che il minimo dell’attenzione dovuta, lo accompagnò alla fune e, assicuratasi che non si fosse fatto male più di tanto, mise in trazione e lo fece sollevare.
Ora l’uomo rimasto a terra sembrava non respirare più.

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Capitolo 6
*** Quella Mattina ***


Quella mattina
 
Il tempo, nella sala d’aspetto del Med, sembrava non passare mai. Intorno, passi convulsi e corpi cosparsi di polvere. Lo sguardo di Matt contro il suo.
Dovrò farti rapporto, Collins. Con questa, ti giocherai la carriera.
 
Ma chi se ne frega, della carriera.
Un sospiro, passandosi la mano fra i capelli e ritrovandola macchiata di sangue rappreso.
 
Il comandante era arrivato come un tuono, con l’idea di prenderla da una parte, sollevarle un dito contro e farle una bella sfuriata. Una delle sue, a voce bassa ma temibile più di qualsiasi frase urlata ai quattro venti.
Un passo, due, una manciata. L’immagine di un medico in camice bianco e mascherina ad interrompere il tutto, scivolando fuori da quella porta a spinta.
 
L’intervento è stato piuttosto delicato, ma è andato tutto bene. Ora riposa, fra qualche ora potrete fargli visita. Siete arrivati appena in tempo, una manciata di minuti ancora e l’emorragia sarebbe stata impossibile da fermare.
 
Jess sentì lo sguardo del comandante entrarle nelle spalle come una lama.
Appena in tempo.
L’emorragia.
 
Raccolse il fiato, ed i passi la portarono a rifugiarsi il più possibile lontano da lì.
 
- Ehi.
La voce di Matt la raggiunse alle spalle, e la sua immagine ancora ricoperta di polvere le si affiancò contro la ringhiera della terrazza dell’ospedale, nel viavai indifferente di medici ed infermieri dotati di camici e caffè.
- Ehi.- Jess si voltò appena, tornando a perdersi col naso all’orizzonte.
- Gli hai salvato la vita.
Un’alzata di spalle, il leggero scuotersi di quel codino.
- Hai avuto ragione, come al solito.- insistette lui, piegandosi appena in avanti ad indagare in occhi che ora apparivano liquidi – se avessimo aspettato la Squad ed i suoi dieci minuti, Grainger non ci sarebbe più. Credo che adesso ti deva qualcosa di meglio, di una birra.
- Non importa..
- Dici sempre così. E non è vero. Senti.. per quella cosa-
- E’ il tuo dovere.
- E’ anche mio dovere annotare nel rapporto che l’aver agito di tua iniziativa si è rivelato fondamentale. Questo non credo lo potranno ignorare, in comando. Magari ti giocherai la carriera, ma.. penso che il comandante Boden sia disposto a combattere, per trattenerti con noi. Sembri tagliata su misura. Per la 51, intendo.
- Matt..
- Ci sono anch’io, disposto a combattere, sai. In qualche modo te la caverai.
 
Sulla via del rientro, neanche Sylvie aveva voglia di parlare. Mani strette al volante, occhi alla strada, e sicuramente lo stesso tremendo bisogno di ficcarsi sotto la doccia per provare a cancellare quella polvere e quelle immagini.
 
Le sirene. Le voci che si rincorrevano, le grida, gli ordini.
I piedi oltre il vuoto, quell’uomo che tremava. La luce grigia del cielo contro il buio di quella voragine. La terra e la polvere sotto le scarpe, gli occhi che non aspettavano di veder tornare giù la corda, armata della barella spinale, per tornare accanto al profilo del collega.
Cercare il suo respiro. Il cuore in gola, davanti al filo di sangue che cresceva, lungo la sua guancia.
 
Greg.. Greg! Sta’ tranquillo, sono qui. Ti faccio uscire tutto intero, promesso. Mi devi ancora quel caffè.
 
La voce cercava di mantenersi ferma, le mani tremavano appena. Quegli occhi verdi si riaprivano, carichi di terrore, e non lasciavano più il contatto coi suoi.
- Andrà tutto bene.
Assicurare i moschettoni, dopo averlo protetto con il collare e il bustino per la schiena. Uno strattone alla corda, aspettare che Cruz e gli altri tirassero su. Quelle dita, caldissime, a cercare le sue.
- Sono qui. Non ti mollo, sta’ tranquillo. Adesso i ragazzi ti portano su, ci vediamo in cima.
 
Attese occhi al cielo che la barellina fosse tirata oltre il profilo della voragine, che il moschettone tornasse giù e che il viso preoccupato di Gallo facesse di nuovo capolino. Altro strattone, e si lasciò trasportare.
Fu solo una volta con i piedi a terra sull’asfalto che, ruotando i palmi e trovandoli rossi di sangue, si rese conto di quello che aveva fatto.
 
No. Non hai sognato, Jess.
 
- Tutto bene? – la voce di Matt la sorprese con l’asciugamano fra i capelli.
- Sì.. sì, più o meno.
- Vieni.. meriti almeno qualcosa di caldo, e un po’ di riposo. Boden ha chiesto di poter restare non operativi per almeno un paio d’ore, direi che ne abbiamo tutti bisogno.- il capitano la precedette lungo il corridoio, prima di fermare i passi all’improvviso e voltarsi – ah. Ti vuole nel suo ufficio.
Annuire, masticando amaro. Cedergli la custodia dell’asciugamano e raggiungere il proprio destino, circondata dagli sguardi dei colleghi, totalmente privi dell’allegria che avevano avuto solo una manciata di ore prima.
 
- Signore..
- Chiudi la porta, Collins. Per favore.
- Sì, signore.
 
Per favore. Il comandante le dava un ordine, aggiungendoci due parole che difficilmente usava. Soprattutto di fronte ad uno dei suoi gesti di insubordinazione.
Jess non osò chiedere nulla, raccolse le mani dietro la schiena e si mise in attesa.
 
- Siediti.- quello le indicò una sedia, lasciò che ci si accomodasse come su un cuscino di spine, a viso basso. E gli sfuggì un piccolissimo sorriso, cancellato al volo dalla solita espressione severa – Collins, quello che hai fatto oggi-
- Chiedo scusa, signore.- replicò la ragazza, sollevando uno sguardo che, al contrario della voce, non mostrava soggezione.
- Di cosa?
- Di averle mancato di rispetto, di aver bypassato al catena del comando, facendomi calare senza attendere la Squad.
- Sei stata parecchio avventata, sì. Hai costretto il capitano a darti il suo permesso, fermo restando che il mio non ce l’avevi. Che non si ripeta.
Jess si limitò ad un lungo cenno di no con la testa, tornando a fissare il pavimento e mordicchiandosi le labbra.
- Un polmone. Quattro costole rotte, una gli ha perforato un polmone. Tornerà in servizio fra poco più di due mesi, grazie a te. Dieci minuti.- ora il comandante le si appoggiava davanti, spalle alla scrivania, tendendo l’indice – i dieci minuti che ci ha messo la Squad ad arrivare, e fra tre giorni avremmo dovuto vestirci di nero per seppellire un altro collega. Sei un’insubordinata, Collins. Un’orribile, ed irriducibile, insubordinata. Di quelle che non sono disposto a lasciar andare via tanto facilmente.
 
Jess sollevò lo sguardo di scatto, all’inaspettata fine di quella frase. Lo fissò in quello del comandante, aspettando il suo cenno di assenso con il cuore a mille.
- Rapporto o non rapporto, dovranno passare sul mio cadavere, per farti lasciare la 51.
Una punta di sincero orgoglio, e stavolta fu lui, a ritrovarsi a vacillare, sommerso da un abbraccio.
- Fuori di qui.- le indicò la porta, senza più nasconderlo, il sorriso - fuori di qui, Collins, prima che mi rimangi anche le virgole, di quello che ti ho appena detto.

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Capitolo 7
*** Due settimane dopo ***


Il comando non s’era ancora fatto sentire, non in via ufficiale. Non era ancora stato scritto da nessuna parte, che il paramedico Collins avrebbe smesso di galleggiare fra le caserme del CFD per poter finalmente alloggiare in un porto sicuro. Però non era cambiato nulla; viveva ancora da Sylvie, continuava a dormire nella solita branda vicino alla porta ed al ronfare di Mouch, e a lasciar sollevare gli occhi al cielo al capitano.
Aveva smesso di contare le settimane temendo che finissero, e di litigare con la sabbietta del gatto.
 
Ma qualcosa restava, dell’antica malinconia, dell’antico sentirsi inadeguata, scomoda e provvisoria. Qualcosa che proprio non riusciva a lasciarla, insieme al nodo che le legava la gola ogni volta che sentiva pronunciare quel nome.
 
Il primo istinto era stato quello di mantenere il silenzio e tenere a freno la curiosità, evitando di essere la prima a chiedere ed aspettando che fossero gli altri a dare notizie.
Non voleva. Non voleva, che pensassero che teneva a lui in modo diverso da quello definito dal legame professionale.
Ma poi i suoi piedi avevano smesso, di ascoltare la testa, ed erano finiti a farsi guidare dal cuore. Oltre il profilo della vetrata del Med, e su, fino a quel quarto piano. Felice di non aver incontrato nessuno, nessun commento, nessuna domanda.
La stanza era in fondo al corridoio, un angolo abbastanza appartato, lontano dal brusio dell’orario di visita. Nessuno nei dintorni, o sulla porta. Nessuno, accanto al letto in cui, avvolta dalle lenzuola ed affiancata da un monitor che ne sottolineava i battiti, riposava l’ombra del tenente Grainger.
 
Un istante, lunghissimo, senza trovare il coraggio di avvicinarsi. Poi un passo, un altro. Silenzio, nel raccogliere quella seggiolina, accostarla al letto e lasciarcisi cadere.
Te l’ho promesso, che ti ci avrei fatto uscire, di lì.. apri gli occhi, tenente. Mi devi ancora quel caffè…
 
Dita, caldissime ed improvvise, a raggiungere le sue contro il bianco delle lenzuola. Occhi, verdi e liquidi, che si aprivano pian piano a cercarla, lasciando che le labbra si piegassero in un sorriso.
- Ce l’abbiamo fatta, hai visto.- Jess si ritrovò a ricambiare, leggera, stringendo piano quelle dita fra le sue ed avvicinandosi un po’ – non è che ne sei uscito proprio tutto intero, ma.. almeno rimediabile con lo scotch. No, no.. non ridere, che sennò finisce che ti si riapre qualche buco. Tieni duro. Io sono qui, ok?
Un cenno, minuscolo, a dirle di sì. Ed in quegli occhi più nessuna ombra di terrore.
Il tenente lasciava le dita fra le sue, stringeva appena.
 
E’ andata, Greg. Ora sei al sicuro.
 
C’era tornata una volta, due, tre. Non appena i piedi si decidevano ad oltrepassare quella porta a vetri e salire le scale, sempre sperando che non ci fosse nessuno a fare domande, rimanendo per tutto l’orario di visita lì, seduta accanto al letto, la mano nella sua e nessun bisogno di parole.
 
Una mattina, quell’inaspettata presenza le bloccò i passi oltre la linea della porta, vietandole di entrare.
 
Sylvie. Era Sylvie, e quella la sua inconfondibile treccia a spina di pesce calata con ordine sulla schiena. Sua la voce, suo il tono gentile.
La sua migliore amica sedeva su quella stessa sedia, in quella stessa posizione.
La stessa che fino ad allora era convinta di aver occupato solo lei.
 
E stavolta, quella voce debole e calda rispondeva.
 
- Hanno detto che ne avrai per almeno due mesi. Tieni duro. Ti danno abbastanza da mangiare?
- Sì..
 
Jess non riuscì ad evitarlo. Non era entrata, ma era arrivata allo scoperto quanto bastava per vederlo. Lui, la mano nella mano, un debole sorriso liberato dal respiratore. I capelli fra i cuscini, un braccio abbandonato e l’altro a mostrare alla propria ospite la flebo. Un ridere leggero, che Sylvie ricambiava.
 
Il nodo si staccò dal cuore ed arrivò a chiuderle la gola. Nessuna domanda, nessuna parola e nessuna spiegazione. Voltò i passi, e si allontanò da quel posto il più veloce che poteva.
 
Sylvie non se n’era neppure accorta, di quella presenza a spiarla da oltre il confine della porta.
Qualcun altro sì, ed era morto un sorriso.

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Capitolo 8
*** Dodici settimane dopo ***


Dodici settimane dopo
 
Risplendeva il sole, quella mattina, sulle mura della caserma 51, e dopo il rientro dalla prima missione di quel turno i camion erano ancora circondati dal movimento degli uomini intenti a riordinare il materiale e gli equipaggiamenti.
Le labbra che si stiravano in un sorriso, riconoscendo in quello con la cartellina in mano il capitano Casey, e fermandosi ad ascoltare le buffe proteste di Herrmann.
No, l’ambulanza non era ancora rientrata, avrebbe dovuto aspettare. Poco male, aveva tutto il tempo del mondo..
 
Eccola, la sagoma bianca, il segnale di retromarcia mentre si accomodava nel proprio stallo. Le mani di Sylvie che si staccavano dal volante, la portiera che si apriva e la sua sagoma che scivolava giù con un saltello.
Ma non era lei, quella per cui era venuto qui, schiena ancora leggermente dolorante e quindici giorni di anticipo sul rientro previsto al lavoro.
 
EHI! guardate chi si rivede!
Il primo, a notare quella presenza oltre la linea d’ombra delle saracinesche, fu Matt. Sorriso aperto, braccio teso, rispose al suo cenno di saluto e lo lasciò avvicinare, a ricevere sorrisi, saluti e pacche sulle spalle da tutti gli altri.
- Come stai?
A quella domanda, il tenente si ritrovò ad aprire le braccia, leggero:
- In piedi. Un po’ ammaccato, ma.. ancora tutto intero.
- Già. Colpa di quella lì.- Matt sollevò il mento, in direzione delle ragazze in avvicinamento, lasciando annuire il collega e aprire il sorriso di Sylvie.
- Ehi! Bentornato! Come stai? Tutto bene? – la ragazza levò il passo, quasi correndo ad abbracciarlo, mentre l’altra si bloccava accanto al profilo del Truck 81, per poi voltare le spalle nella direzione opposta e scomparire.
- Sì.. sì, tutto ok.- il tenente si passò una mano fra i capelli, rispondendo all’abbraccio ma con poca energia – ho.. ancora una decina di giorni di malattia da scontare, sono sotto antidolorifici per il mal di schiena, ma in settimana ho la risposta definitiva del dottore.. se tutto va bene, dovrei tornare a rompervi le scatole in un paio di settimane.
- Bene, dai.. allora ti aspetta una bella festa al Moll-
- Sylvie, mi puoi- mi scusi, un secondo? – mani tese, il tenente allontanò quel contatto e lasciò che Matt annuisse, sorridendo, prima di levare il passo dietro a Jess.
 
Ehi.
Quella voce la raggiunse alle spalle, trovandola in cerca del proprio cellulare. Nessuna reazione visibile, a parte il cuore che accelerava.
- Stai.. cercando di scappare?
- No..- la ragazza si voltò con esitazione, trovandoselo davanti a sbarrarle la via di fuga, braccia tese e mani ben salde agli sportelli dell’ambulanza – non trovo il-
- Ora ti inventerai che hai dimenticato il cellulare, mh?
- L’ho, dimenticato.- Jess si piegò in avanti, oltre la barella, raccolse qualcosa e glielo mostrò, sollevando le sopracciglia e posizionando lo smartphone nella tasca dei jeans – perché?
Greg tese la mano, lei la accettò con un sospiro ed una minuscola smorfia, scendendo ed accennando a passargli oltre.
- Ora, stai scappando.
- No, che non sto scappando.. da cosa dovrei-?
- Oh, io in questo non ti posso aiutare. Forse dal fatto che sei una stronza di dimensioni bibliche?
- Scusa?
- Già. Rischi la carriera, e forse il posto nel CFD, per salvarmi la vita. E-
- Direi che era la minima sindacale del dovere.
- Non il tuo venire in ospedale e starmi accanto mentre ero attaccato al respiratore. E poi sei sparita.- un sospiro, lasciandole sollevare per l’ennesima volta quelle spalle ribelli – e, come al solito, senza spiegazioni. Ah, no, qui la spiegazione credo di averla, sai. Non amo dare confidenza ai fidanzati delle altre. Non hai capito niente, Jess.. lei era lì seduta.. e parlavamo di te.
- Male, magari.- lei provò l’ironia, ma quel piccolo broncio fu costretto ad arrendersi, davanti a quegli occhi verdi.
- Già. Parlavamo di una ragazzina ribelle e dei suoi sentimenti, quelli che non sa, o non vuole esprimere, perché lei è forte ed indipendente e sa badare a sé stessa ed anche agli altri.. e forte lo è davvero, ma poi si chiude a riccio per paura che qualcuno o qualcosa la ferisca; perché lei lo sa già, che quel qualcuno la ferirà, senza nemmeno indagare.. e si fa così piccola e leggera da diventare trasparente, minuscola, così minuscola che non riesce ad essere notata neanche dagli occhi da cui vorrebbe essere guardata. E ammirata. E adorata.- un passo avanti, lei indietreggiava, tornando a sostenere quello sguardo con ostinazione, ma senza rispondere – dal basso, mentre balla sul bancone. O mentre indossa quel vestito. E pensare che era così bella, con quel vestito..- un altro passo, lei che di nuovo si ritraeva. Ed arrivarle guancia a guancia, facendo della voce un velo – te lo ripeterò all’infinito, Jess.. non sono l’uomo di un’altra.. e non credo di esserlo mai stato..
- Non-
-..Non importa? Non è vero, Jess. Non è vero, che non importa. Non per me.
 
L’ennesimo sospiro, scuotere leggera la testa, palmo puntato sul suo petto e passi diretti di nuovo a sfuggirgli.
- Jess! – il tenente alzò appena la voce, quanto bastava per essere sentito dagli altri, e voltare qualche sguardo in direzione della ragazza, già arrivata mano alla porta.
No. Basta. Gridò una voce, nella sua testa, mentre levava il passo e andava a chiuderla contro l’anta, sorprendendola e costringendola a voltarsi, prima di raccoglierle il viso fra le dita e legarla a sé con un bacio.
Al vederlo scattare in quel modo, Cruz si era staccato dalla sedia in modalità difesa, per poi bloccarsi e sgranare gli occhi in direzione del resto dei colleghi.
E questo cosa-?
 
Truck 81, Engine 51, Ambulance 61, Squad 3. Structure fire, Cermak and Carpenter.
 
La chiamata li sorprese così, lui addosso a lei, contro la porta d’ingresso. Le labbra ancora sulle labbra, il fuoco delle mani di Greg sui fianchi di Jess, i pugni di Jess artigliati alla camicia di Greg.
E un coro tipo ola che si levava dalla platea, lasciandoli ridere prima di separarsi.
 
Aspettami qui.
 
Sta’ attenta.
 
Intesa, in quello scambio di sguardi, e più nessuna parola, nell’aria coperta dal suono delle sirene.

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