Adventures are my speciality

di BreathE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Faramir - Frodo - Sam ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


▌ PROLOGO ▌
 



 
 
 


 “Avrei voluta viverla con te caro Bilbo” pensai posando Lo Hobbit ormai finito nello scaffale.
“Già sarebbe bello … “ riflettei infilandomi sotto le coperte con un sorriso amaro “ … Vivere un’avventura “ sospirai chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dalle braccia di Morfeo, senza sapere che qualcuno era stato in ascolto.
 
« Se è un avventura che desideri giovane amica, devi sapere, che sono la mia specialità ».

 
 
 
 
 ꕥ
 
 

 
 
« Attento a cosa chiedi quando preghi, perché potresti ottenerlo. »
__Stephen King
 



 
Vorrei poter dire, che il mio viaggio nella terra di Mezzo, iniziò in modo poetico.
Magari con l’arrivo di uno stregone sulla porta di casa, o uno scontro fortuito con la persona sbagliata … Invece, dovetti accontentarmi di una secchiata d’acqua in pieno viso e una sequela di parolacce da parte di entrambi.
« Non sulla mia soglia ubriacone! » ringhiò una voce che mi fece rizzare in piedi alla velocità della luce.
« Ma che diamine ?! » urlai sconvolta scuotendomi i capelli dall’acqua.
« Casa mia ti sembra forse il letto di una locanda, eh?! » urlò di nuovo l’uomo sull’uscio, che mi guardava con astio, pronto probabilmente a lanciarmi in capo anche il secchio che teneva ancora in mano.
« No » mormorai confusa senza neppure capire dove fossi.
Avevo bevuto troppo la sera prima ?
Ma che mi fossi addormentata in mezzo alla strada mi pareva impossibile. E non ricordavo di essere andata proprio da nessuna parte, anzi, il mio ultimo ricordo risaliva proprio alla mia stessa camera.
« Allora te ne vai o hai intenzione di restartene qui impalato per tutto il giorno ?! »
« No certo, me ne vado » dissi facendo qualche passo indietro pronta a svignarmela.
 Mi allontanai di qualche metro, mettendo finalmente a fuoco i miei dintorni:
 « Ma dove diamine … » ripetei dopo due passi senza neanche riuscire a finire la frase.
Intorno a me vi era una specie di  villaggio.  Come uno di quelli appena usciti da un libro di scuola o da un documentario di Piero Angela.
Per iniziare, la strada era un ammasso più di fango che di piastrelle. Per non parlare della puzza tremenda che mi invadeva il naso, e le case parevano pronte a crollare da un momento all’altro possedendo più terra che mattoni.
Seguii la via con circospezione, cercando di capire se ero finita nel set di un film o ero (più verosimilmente) in un sogno molto realistico.
 
La gente intorno a me urlava e si agitava, indaffarata in varie faccende, senza che io riuscissi a dare un vero senso a quello che succedeva tutto intorno.
Un signore si stava davvero svuotando la vescica accanto alla porta di qualcuno come se niente fosse in pieno giorno?
Neanche a sentirmi, dalla suddetta porta, ne uscì una donna corpulenta con una scopa fatta da setole di paglia stretta in mano, che riversò in testa all’uomo brandendola come se fosse una spada ed insultandolo,  costringendolo così  a scappare con ancora le braghe calate.
Seguendo le chiappe all’aria dello sconosciuto, il mio sguardo cadde su una figura minuta, che avrei catalogato sotto la voce “bambino” se non fosse stato per i piedi grandi e pelosi e il viso che dimostrava almeno il triplo della sua età.
“Ma che diamine?” pensai iniziandolo a seguire a qualche passo di distanza.
Aveva canditi riccioli castani e delle orecchie più grandi delle mie. Nonostante la statura  minuta, la proporzione del suo corpo era accurata, ma la cosa più strana era che  sapevo perfettamente chi fosse.
Il che era semplicemente ridicolo.
« Ma dove sarà finito quel dannato stregone? Eppure lui e il suo cappello a punta dovrebbero essere facilmente riconoscibili » borbottò il non-così-sconosciuto mentre io rimanevo a bocca aperta.
« Bilbo Bagg-» iniziai ma nel mio stesso momento, proprio quando l’hobbit in questione aveva iniziato a girare la testa verso di me, una empia voce risuonò nell’aria:
« Bilbo Baggins! Ecco dove eri finito, hai forse trovato quel che cercavi? » la mia attenzione fu quindi rapita subito dall’alta figura vestita di  grigio, con tanto di bastone, cappello a punta, barba e capelli lunghi.
I due continuarono a scambiarsi qualche parola, mentre io ero sempre lì, gocciolante, ferma a fissare i due uomini senza capire come tutto ciò fosse semplicemente possibile.
« Tutto bene giovane? » domandò alla fine lo stregone, abbassandosi un po’ e facendo qualche passo verso di me, riempiendomi completamente il campo visivo.
« Io.. » mormorai senza realmente sapere cosa dire.
« Si è forse perso? Che strani abiti indossa » aggiunse Bilbo facendosi anche lui avanti, e costringendomi così a controllare cosa stessi indossando.
Niente di davvero strano, era una semplice tuta da casa: pantaloni neri, felpa anch’essa nera con cappuccio di Assassin Creed e scarpe argentee della Nike. Ma non era difficile immaginare perché secondo loro fossi così fuoriposto.
Beh, io ero fuoriposto.
« Penso sia una fanciulla mio caro Bilbo » disse Gandalf con un mezzo sorriso mentre l’Hobbit arrossiva e  si scusava precipitosamente.
« Oh ma certo che sciocco, mi dispiace mia signora, perdonate la mia svista, è completamente colpa mia sono stato solo colto di sorpresa dai vostri ... Pantaloni. Mi scuso profondamente. »
Toccai la stoffa dei suddetti pantaloni con una mano, ricordandomi che nel libro, le donne indossavano sempre vestiti essendo stato ambientando in un periodo simile al Medioevo.
“Già dentro il libro, quindi cosa diavolo sta succedendo?” mi domandai guardando le due figure, chiedendomi distrattamente, se avessi mai fatto un sogno tanto realistico in passato.
« Perdonatemi io … Voi … » tentai senza sapere come continuare. Come chiedi a qualcuno se stai sognando? Se loro esistono realmente o sono solo frutto di una mente geniale?
« Oh ma certo, siete la fanciulla che Re Elrond mi ha chiesto di accompagnare a Gran Burrone vero? Non credevo foste già arrivata. É una fortuna esserci incontrati per caso » disse Gandalf prendendomi totalmente di sorpresa.
« Cosa? No io - » balbettai ancora confusa, con tanto di occhi sgranati che dovevano farmi sembrare un pesce palla.
«Che fortuna mia cara! Che fortuna davvero» continuò con fare amichevole come se mi conoscesse realmente « Ti stavo proprio cercando, e così avevo perso di vista il caro Bilbo, pensavo ancora non fossi giunta » aggiunse facendomi l’occhiolino.
« Oh … sì …  che fortuna» conclusi cercando di imitare il suo sorriso affabile.
« Certo che la vita di uno stregone è proprio piena. Anche dopo essere andati a caccia di draghi, c’è sempre altro da fare! » disse Bilbo con un sorriso, ma la sua voce aveva un retrogusto amaro, e se era vero che la loro avventura alle montagne solitarie si era appena conclusa, non era difficile immaginare per quale motivo l’hobbit fosse triste .
« Beh ricordati di tenere fede alla tua promessa Gandalf, passa presto a  trovarmi »
« Ma certo mio piccolo amico, tornerò prima di quanto tu creda non preoccuparti»
« Ovviamente è benvenuta anche lei mia signora! Tra lo Stregone, e lei con i suoi strani abiti, sono certo che sarò sulla bocca di tutta la Contea! » disse l’hobbit allegro, facendomi scappare un sorriso genuino.
« Ne sarei onorata » dissi sincera « Mi scuso di nuovo per doverti rubare la compagnia di Gandalf così improvvisamente»
« Oh non dica sciocchezze! Gandalf va e viene sempre come vuole » rispose lui sistemandosi meglio la sacca sulle spalle « Fate buon viaggio » .
« Buon rientro a casa Bilbo » lo salutò lo stregone per l’ultima volta inclinando leggermente il proprio cappello.
Osservai l’hobbit allontanarsi, fino a quando non svoltò l’angolo sparendo così dalla mia vista.
 
« Creature davvero straordinarie gli Hobbit … » mormorò Gandalf incrociando il mio sguardo.
« … Puoi imparare quanto c’è da sapere sulle loro usanze in un mese, eppure dopo duecento anni, non smettono mai di stupirti » conclusi per lui con un sorriso divertito.
« Oh, visione interessante, chi lo ha detto? »
« Tu » risposi « e credo anche che tu lo sappia » aggiunsi incrociando le braccia e guardandolo come se mi dovesse una spiegazione.
« Mai detto niente di simile mi dispiace » rispose lui voltandosi ed iniziando a camminare , seguendo il sentiero opposto a quello di Bilbo « Non ancora almeno » aggiunse criptico.
In fin dei conti aveva ragione, eravamo alla fine del viaggio di Bilbo, mentre la mia citazione, apparteneva alla trilogia del Signore degli Anelli. Mi costrinsi a darmi una mossa, camminando veloce senza più curarmi dei miei strani dintorni per stare dietro alle lunghe falcate dello stregone. Era incredibilmente alto.
Molto più di me, proprio come nei libri si aggirava intorno ai due metri ed io dal mio metro e settanta, dovevo inarcare il collo per poterlo guardare in viso.
« Perché sono qui Gandalf? » domandai quando mi fu chiaro che non mi avrebbe detto niente di più, senza una specifica richiesta.
« Oh ma io cara non ne ho idea » rispose lui affabile mentre inarcavo un sopracciglio scettica « E’ stata la Dama Galadriel , ad informarmi che avremmo dovuto affrontare in futuro, la prova più dura di tutte, lei mi ha detto che avevamo bisogno di tutto l’aiuto possibile, e tu mia cara, eri pronta per un’avventura » continuò mentre si guardava intorno.
« Ma tutto questo non è reale, è solo un sogno » dissi sovrappensiero mentre cercavo di ricordarmi cosa avessi mangiato la sera prima. Qualcosa era andato a male e non me ne ero accorta?
« Reale? Forse io non ti sembro reale? Magari per te è un sogno, ma certamente io sono reale » sbuffò lo stregone con tono offeso, accelerando il passo e andandosi a infilare in una bottega con un piccolo recinto affianco, dove vi erano sistemati cinque cavalli.
Fui costretta quasi a correre per riuscire a stargli dietro mentre lasciava tre monete ad un uomo che puzzava quanto quelle povere bestie.
« Spero che tu sappia cavalcare » annunciò il Grigio stregone senza neppure voltarsi a guardarmi in viso.
L’uomo che era appena stato pagato si alzò, entrò nel piccolo recinto e mise le redini ad una coppia di cavalli, uno baio ed uno grigio, porgendoli poi a Gandalf e aprendoci un cancelletto esterno.
« Beh in realtà io non salgo su un cavallo da quando ero una bambina » dissi guardando gli animali, mentre lo stregone mi depositava in mano un paio di redini, e senza tante cerimonie saliva in groppa al baio.
« Ma in fondo per te è solo un sogno, sono certo non avrai problemi ad adattarti» rispose stizzito, ancora offeso per il mio commento precedente.
Sogno o meno, lo Stregone era proprio permaloso come nel libro non c‘era che dire. Era proprio da me, essere sfortunata anche in un sogno.
Avrei potuto risvegliarmi a Mirkwood, nella corte di Thandruil, e invece dove ero finita? Nel buco puzzolente di Brea.
« Mi dispiace Gandalf non intendevo certo offenderti. É solo che da dove vengo io, tu sei solo il personaggio di un libro» tentai di spiegare mentre mi facevo forza e montavo a cavallo un po’ incerta.
In fin dei conti era comunque il mio sogno, me la sarei cavata alla grande.
« E da dove vengo io, tu non sei niente di più di una mera leggenda, una scritta su un muro, eppure non mi vedi mettere in dubbio la tua esistenza » continuò lo Stregone stupendomi.
“Una leggenda? Su di me?” pensai stringendo forte le ginocchia, prima di rischiare di catapultarmi in terra, non appena il cavallo iniziò a camminare.
Era evidente che non me la sarei cavata alla grande proprio per niente.
Gandalf dovette vedermi in chiara difficoltà con l’animale, perché nonostante continuasse a borbottare tra sè e sé, impostò presto una andatura lenta per entrambi che mi permise di abituarmi alla bestia sotto di me.
 
Continuammo a cavallo in silenzio per quelle che mi parvero intere ore.
E, per quanto sapessi che nei sogni il tempo passava diversamente, iniziavo a credere che mi sarei svegliata nel mio letto e tutta la mia avventura nella Terra di Arda si sarebbe conclusa con me che puzzavo di sterco bagnata fradicia su un cavallo pulcioso.
Eravamo usciti dal villaggio di Brea da una vita, e per quanto mi riguardava, adesso ci trovavamo letteralmente in mezzo al nulla. Gandalf ci stava facendo seguire una  sottospecie di strada, che se non fosse stato per la grandezza, avrei semplicemente etichettato come sentiero.
« Gandalf come si chiama il mio cavallo? » domandai semplicemente per rompere il silenzio, accarezzando la criniera nera dell’animale.
Non era nel migliore degli stati: il pelo era sudicio e anche se tentavo di districarla con delle gentili carezze, la criniera era piena di nodi. Senza contare che potevo quasi intravedergli le costole, quindi era anche  denutrito.
« Solo a Rohan i cavalli comuni possiedono dei nomi, dubito che questo ne abbia mai avuto uno » rispose lo Stregone dopo aver buttato fuori, un cerchio perfetto di fumo dalla sua pipa « Puoi dargliene uno te se lo desideri, sono certo che lo apprezzerebbe. Solitamente i cavalli vengono rimandati indietro, e ritrovano da soli la strada di casa, ma possiamo sempre tornare a comprarlo. Sempre che tu non ti svegli prima » aggiunse in una risata sommessa.
Decisi di ignorare il suo ultimo commento, riflettendo invece, su un nome per il cavallo. Tutti ne meritavano uno, mia madre a casa ne dava perfino alle piante:
« Bucefalo ¹ » dissi soddisfatta « Ti meriti un nome importante » aggiunsi e l’animale parve quasi annuire con uno sbuffo.
« Sembra piacergli » commentò Gandalf facendomi aprire in un sorriso.
« Quindi, Re Elrond eh? » domandai  « andiamo a vedere gli elfi » mormorai eccitata ricordando le meraviglie di cui narrava il libro su Gran Burrone.

 
 
 


Se avessi avuto ancora dubbi che questo non era un sogno comune, questi si dissiparono in fretta.
Ci vollero infatti quattro giorni e tre notti per arrivare a Imladris, e onestamente, non avevo ricordi di aver mai dormito tanto in un sogno.
Ma soprattutto era il dolore nel mio fondoschiena che mi lasciava perplessa, le gambe erano oramai costantemente tormentate da crampi, e ogni volta che ci fermavamo a far riposare i cavalli, temevo che avrei finito per dimenticarmi come si camminava.
Per non parlare del cibo.
Gandalf aveva comprato solo un po’ di formaggio, del pane oramai raffermo e della carne essiccata, tutto semplicemente disgustoso. Era ovvio che nella Terra di Mezzo ancora nessuno avesse scoperto il sale.
 In compenso, riscoprii la dolcezza della frutta, poiché alla fine del secondo giorno, trovammo un albero di mele, e dopo solo tre pasti del cibo da viaggio dello stregone, decisi che quel frutto era il mio nuovo cibo preferito.  Perfino Bucefalo sembrava essere d’accordo con me, nitrendo sempre felice ogni volta che ne condividevo una assieme a lui.
Perlomeno fino a quando non sarei riuscita ad addentare nuovamente una pizza.
 
« Eccoci arrivati presso la casa di Re Elrond » annunciò Gandalf distogliendomi dai miei pensieri e facendomi alzare gli occhi per ritrovarmi letteralmente senza parole.
Gran Burrone era meravigliosa.
 Né le descrizioni di Tolkien né i film erano riusciti a renderle giustizia. Le costruzioni erano enormi ed imponenti, ma allo stesso tempo eleganti e si mescolavano con la natura senza mai oltraggiarla, fondendosi con essa come se ne facessero parte.
Continuai a guardare in estasi, fino a che non arrivammo allo stretto ponte che sormontava sopra vari metri un fiume e rappresentava la via principale per entrare nella città.
« Ma delle ringhiere no? » esclamai guardando le acque terrorizzata. Avevo sempre sofferto di vertigini, e quel ponte era davvero stretto .
« Gli elfi non sono certo creature impacciate, non vi è alcuna possibilità che rischino di scivolare nelle acque  » commentò Gandalf divertito dinanzi al mio disagio.
« Beh mi sembra evidente che gli elfi non mettano in conto gli ospiti » ringhiai tra i denti stringendomi forte al cavallo sotto di me e affidandomi completamente a Bucefalo che sicuramente, era molto più stabile della sottoscritta.
« Non vantiamo molti ospiti della tua razza giovane viaggiatrice »  intervenne melodiosa una voce, che mi fece venire la pelle d’oca da quanto era meravigliosa.
« Benvenuto Gandalf il Grigio, non credevo che ti avrei rivisto a distanza di pochi giorni dalla tua ultima visita con l’hobbit » aggiunse il Re avvicinandosi a noi una volta varcato il ponte.
Dove finalmente mi concessi di distogliere la mia attenzione dalle acque alle mie spalle, portandola all’elfo dinanzi a me. « Porca miseria » mormorai osservando la figura che ci si era parata dinanzi.
 
Dire che era stupendo, sarebbe stato troppo poco. I suoi lineamenti erano pura perfezione: i capelli color mogano e lunghissimi, stavamo perfettamente al loro posto come se fosse appena uscito dal parrucchiere, e anche lui era dannatamente alto, almeno due metri.  Stava camminando oltretutto, ne ero certa poiché era sempre più vicino ma non udivo alcun passo e, nonostante dovessi sembrare incredibilmente maleducata, non potevo far a meno di ammirare il suo viso, cercando di assorbirne ogni minimo particolare senza riuscire a farmene davvero una ragione.
La vista iniziò a vacillarmi , rendendo i suoi lineamenti quasi sfumati, come se avesse una luce dietro di lui che non mi permetteva di coglierlo nella sua interezza.
« Cara non stai respirando » disse Gandalf poggiandomi una mano sul ginocchio.
Distolsi lo sguardo da Re Elrond per incrociare gli occhi dello stregone, e notai che anche lui iniziava ad apparirmi offuscato e ... Inspirai un’enorme boccata d’aria.
« Cristo mi ero dimenticata di respirare »  esclamai sconvolta guardandolo « Credo che lo shock mi abbia rotta Gandalf » aggiunsi facendo ridere il Grigio Stregone.
« Gli elfi possono fare questo effetto su alcuni umani, ma non preoccuparti, vi farai l’abitudine» concluse con ancora il sorriso ad incorniciargli i lineamenti.
Facendomi coraggio, lanciai un’altra occhiata all’elfo, che ero piuttosto certa se la stesse ridendo a sua volta sotto i baffi. No. Niente da fare, la sua bellezza era ancora a dir poco sconvolgente.
« Io ne dubito fortemente » mormorai scendendo infine anche io da cavallo, sperando che le gambe mi reggessero.
Quando fui certa che non mi avrebbero abbandonato da un momento all’altro, detti un’ultima pacca sulla spalla a Bucefalo, ringraziandolo per non avermi mai fatto cadere.
Ascoltai Gandalf raccontare a Elrond come ci eravamo incontrati, e che apparentemente ero io che li avrei aiutati nel prossimo viaggio.
Considerando  che ero a malapena sopravvissuta alla passeggiata a cavallo, con cosa avrei potuto aiutarli, non ne avevo la più pallida idea.
Dubitavo di essere capace di fare qualcosa, che un qualunque membro della compagnia non avrebbe potuto fare meglio. Forse una partita a Candy Crush, ma dubitavo contasse qualcosa in quell’universo.
« Entriamo dunque, sono certo che la tuo ospite sia piena di domande. » concluse il Re, invitandoci a seguirlo lungo una scalinata.
“Di nuovo niente ringhiere” pensai affranta tra me e me.
Come ad avermi letto nel pensiero, Gandalf mi offrì il suo braccio, che presi ben volentieri, e percorremmo assieme le strette scale dietro l’elfo.
 


 
 



« Quindi secondo te Gandalf, la profezia parlava di questa umana ? » domandò per quella che mi parve la dodicesima volta Re Elrond.
Repressi uno sbadiglio con tutta la mia forza di volontà poiché mi pareva maleducato nei confronti del padrone di casa, e mi sarei perfino offesa del suo tono scettico, se non fosse che aveva ragione.
« Onestamente Re Elrond sono perfettamente d’accordo con lei, soprattutto perché alla fine la compagnia se la cava alla grande, Aragorn diventa Re sposa Arwen e tutti vivono felici e contenti » esplosi alla fine con tono ironico prima di capire il mio errore.
Perché Elrond adesso mi guardava come se mi fossero spuntate altre tre teste, e Gandalf stava cercando di trattenere una risata , ma finì per iniziare a tossire fuori il fumo della pipa dallo sforzo.
Ma quello stregone fumava sempre? 
« Come fai tu a sapere di Aragorn?
E che sposi mia figlia è semplicemente ridicolo lei è nelle terre di sua madre, senza contare che non amerebbe mai un mortale. » rispose l’elfo con tono quasi accusatorio.
«Scusatemi, ma in che anno siamo ? » domandai dopo che il silenzio era caduto per vari minuti, con solo le risate sommesse di Gandalf a riempire l’aria.
« Mia cara corre l’anno 2942 » disse lo stregone con un mezzo sorriso sul volto, che stava iniziando ad irritarmi.
“Duemilanovecentoquarantadue?” pensai tirando fuori le mani per fare due conti “Mi sembra di ricordare, che Frodo non  arrivi a Gran Burrone  fino al 3018 “ .
« Ma mancano ancora quasi settant’anni alla creazione della compagnia ! » esclamai sconvolta portandomi le mani tra i capelli.
“Questo significa che Aragorn al momento ha tipo dieci anni e che Frodo non è neppure nato!” pensai afflosciandomi sulla sedia con decisamente poca grazia.
“ Ho incontrato Bilbo a Brea, e la sua avventura alle montagne solitarie si era appena conclusa … Ovvio che manchino ancora almeno settant’anni ” riflettei amareggiata cercando di non farmi prendere dallo sconforto.
 
Effettivamente, l’ultima cosa di cui avevo memoria, era di me che posavo Lo Hobbit nella libreria, perché ero stanca e volevo andare a letto.
Ma così facendo avevo completamente saltato il ritorno di Bilbo nella Contea, casa Baggins e sopratutto dell’adozione di Frodo.
“E per via della mia pigrizia, mi sono guadagnata 70 anni di attesa! Ma in fin di conti nei sogni il tempo passa in modo differente, avverrà tipo un salto temporale o qualcosa di simile “ conclusi noncurante con una semplice scrollata di spalle.
 
« […] Parlerà del futuro, come di uno scritto passato.
Prenderà strade, prima che siano mappate.
Forgerà destini, prima che si formino scintille.
Salverà i defunti prima che vengano alla luce.
Il nostro caos sarà il suo ordine,
poiché sarà il suo cuore a portarne il tumulto [...] »  
 
La poesia di Elrond risuonò nella stanza, una melodia senza note, ma così familiare,  come la ninna nanna di un bambino ormai divenuto adulto.
« Crediamo che questa antica profezia, incisa sul lato di una montagna oramai erosa dal tempo, parli di te giovane umana.  Purtroppo non è completa, non siamo riusciti ancora a tradurla tutta.
La Dama della Luce però, ha riconosciuto in te lo stesso spirito di cui dettano le parole. » concluse guardandomi con aspettativa.
Abbassai lo sguardo per prima, non riuscendo a sostener a lungo gli occhi dell’elfo. Mi morsi il labbro corrucciata, chiedendomi perché avessi un tale groppo in gola, come se il mio timore di non essere all’altezza fosse reale.
« Ma, come è possibile che possa cambiare il destino di qualcuno? Ho venticinque anni, e sono una semplice mortale,  gli eventi di cui conosco  traccia, non entreranno in moto prima di sessant’anni. E la guerra giungerà sulla Terra di Mezzo che io ne avrò novantacinque, sarà un miracolo se non sarò sottoterra. » dissi demoralizzata.
« Dama Galadriel, crede di aver riconosciuto in te, una scintilla dei Valar » disse Gandalf, che aveva finalmente riposto la sua pipa e ora osservava l’orizzonte fuori dalla finestra, dandoci le spalle « Cosa significhi di preciso, non possiamo esserne certi, ma abbiamo ipotizzato che il tempo non ti toccherà fino a quando la profezia non si sarà compiuta, in un modo o in un altro » finì Gandalf girandosi a guardarmi con un sorriso mesto sulle labbra.
« Suona rincuorante » commentai ricambiando il suo sorriso « Se poi così non fosse, posso sempre scrivervi una guida al futuro» aggiunsi, spostano il mio sguardo anche sul Re, ma piegando subito le labbra verso il basso dinanzi lo sguardo severo che incontrai.
« Il destino della Terra di Mezzo si plasmerà con le tue decisioni, sia che tu decida di prenderle, sia che tu decida di non farlo. Ti saremmo tutti grati, se iniziassi a prendere la cosa con più serietà . »
Annuii contrita. Ma in realtà, contavo ancora sul salto temporale perché tanto, quello era solo un sogno. Giusto?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bucefalo ¹ = Era il cavallo di Alessandro Magno.

NdA:
E questo è quanto! Come ho scritto, il paring principale della storia è Legolas/OC, ma ovviamente verranno nominate le altre coppie della saga e forse una di troppo. Devo ancora decidere. Mi spiace se il primo capitolo non è un granchè, ho dovuto dividerlo a metà altrimenti sarebbe stato troppo lungo rispetto a tutti gli altri, spero comunque di avervi incuriosito.
I primi capitoli sono già conclusi, quindi probabilmente pubblicherò il secondo entro la fine della settimana.
Fatemi sapere cosa ne pensate bye bye ~
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


▌ Capitolo 1  ▌   
 
 
 




 
«  Nella vita, ci sono persone che fanno numero e persone che fanno la differenza. »
 
__Anonimo


 
 
Il salto temporale non giunse mai.
Lo attesi: per il primo anno, ogni giorno. Già dal secondo, ogni tre. Per il quarto anno, solo di sfuggita, fino al sesto in cui me ne dimenticai del tutto. Di lui, e di come quello fosse stato per me solo un sogno.
Ricordavo certo, di essere cresciuta in una realtà completamente differente. Era un po’ difficile dimenticarsi auto, grattacieli e cellulari.
Ma oramai la mia realtà nel comune modo di pensare era cambiata. Poiché Galadriel aveva avuto ragione:
non invecchiavo, il mio viso restava immutato dal tempo, anno dopo anno , ma la mia memoria restava pur sempre umana.
Così quando raggiunsi il quinto anno di vita a Gran Burrone, decisi che avrei preso una settimana ogni anno per riscrivere tutti gli avvenimenti del signore degli anelli per essere certa di non dimenticarli mai.
 


 
Gran Burrone anno 2942 della Terza Era  , 0 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Abbiamo affrontato con il Grigio Stregone il tema della tua educazione Valanyar ¹ » disse pacato Elrond un giorno, mentre osservavo gli elfi allenarsi nel campo qualche miglio più in là.
Mi voltai a guardarlo incuriosita. « Come mi hai chiamata ? » risposi guardandolo interrogativa.
« E’ ciò che rappresenti, in Sindarin. Ti chiedo perdono, non ho familiarità con il nome con cui ti sei presentata giorni fa » disse il Re chiarendo anche alcuni dei miei dubbi.
Dato che gli elfi erano una razza molto rispettosa, aveva senso che non volessero rischiare, di pronunciare il mio nome nel modo errato.
« Valanyar andrà benissimo » lo rassicurai notando la sua esitazione, dinanzi al mio silenzio. « Cosa eri venuto a dirmi? » aggiunsi ritornando sul tema d’origine.
« Per quanto tu sappia sicuramente molto sui singoli, la tua conoscenza della  Terra di Mezzo di lascia al quanto a desiderare » annunciò senza scrupoli, facendomi sentire come se fossi un’adolescente al suo primo anno di liceo « Specialmente della nostra lingua » concluse poi, mentre io annuivo consapevole.
« Beh conosco il significato di mellon [ amico] » ribattei ironica ripensando all’indovinello sulle porte di Moria.
« Molto utile, sicuramente » commentò senza perdere la sua faccia austera Re Elrond.
« In ogni caso, farai lezione insieme ad Estel. Imparerai i modi e gli usi dei molti popoli della Terra di Mezzo, e il Sindarin. Anche se lui è sicuramente molto avanti rispetto a te negli studi, sono certo che una presenza umana gli sarà di conforto  ».
Il giovane Aragorn aveva avuto ben poco tempo, per restare un bambino. Non avevo mai visto giovani elfi, ed ero consapevole che fossero rari. Oltre alla presenza di sua madre, ero certa si sentisse molto solo. Un estraneo.
« Che bello torno a scuola » dissi rassegnandomi al mio destino , per poi seguire Elrond che mi accompagnò a conoscere l’erede di Isildur che quel giorno non era altro, che un bambino come tanti.
 


Gran Burrone anno 2944 della Terza Era  , 2 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Cosa fai? Scappi?! Torna qui piccolo delinquente !!! » urlai correndo a perdifiato nel giardino di Imladris certa di star dando spettacolo, nell’eterna pacatezza degli elfi attorno a me.
« Tanto non mi prendi! » urlò a sua volta il tredicenne più avanti, con una pergamena stretta in mano, girandosi per farmi una pernacchia.
“ Non avrei dovuto insegnargliela” pensai ansimando.
« Giuro che ti i mettono qualche pianta strana nella tua colazione la mattina » sbuffai arrendendomi, e lasciandomi cadere ai piedi di un albero, totalmente sfinita.
« No Valanyar, è solo che tu passi tutto il tuo tempo a sedere » ribatté Estel arrampicandosi sull’albero, sotto il quale mi ero adagiata.
« Forse non hai tutti i torti, forse dovrei iniziare a venire anche io ai tuoi allenamenti » aggiunsi guardando il bambino sopra di me, che apriva la pergamena che mi aveva sottratto almeno mezzora prima.
« Oh sarebbe sicuramente più divertente se venissi anche tu » disse il ragazzino « Hai sbagliato a scrivere Osgiliath » commentò ruotando la pergamena verso di me, e mostrandomi la mappa delle Terre di Arda, che mi era stata ordinata di disegnare, per imparare al meglio la geografia del posto.
« Non mi sorprende » mormorai scocciata « Le vostre città sono un ammasso di nomi pieni di H » mi lamentai facendo ridere il bambino.
« Credi che tornerai presto, da dove sei venuta? » domandò poi Estel, scendendo a sdraiarsi accanto a me « Io non voglio che tu te ne vada » aggiunse in un sussurro, arrossendo lievemente.
« Re Elrond sostiene, che starò qui per almeno settant’anni » dissi voltandomi a  guardarlo « Credi che lui si sbagli? » domandai con finto sospetto.
« Re Elrond non sbaglia mai! » esclamò Aragorn guardandomi come se avessi detto una parolaccia.
« Lo credo anche io » aggiunsi con un occhiolino, tirandomi poi in piedi.
« Andiamo Estel, accompagnami dai tuoi insegnanti di scherma,a quanto pare, da domani in poi mi sono guadagnata anche un’ora di ginnastica » dissi gonfiando le guancie scocciata « E restituiscimi quella pergamena » aggiunsi allungandogli una mano.
« Solo se mi prendi!!!! » ribatté il giovane schizzando di corsa, dirigendosi verso il campo di allenamento, con me alle calcagna.
« Se ti prendo ti raso i capelli!!! » minacciai facendo scappare una risata al bambino e continuando ad inseguirlo, sotto gli sguardi sconvolti degli elfi.
 
 

Gran Burrone anno 2949 della Terza Era  , 7 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Cosa stai facendo Valanyar? » domandò una voce, che aveva oramai perso quella nota infantile, alle mie spalle.
« Mi assicuro di non dimenticare mai i nostri destini Estel » risposi guardando i fogli bruciare nel caminetto, oramai illeggibili. Ma era mia abitudine aspettare fino a che non diventassero che cenere, mi rilassava osservare le fiamme ingoiare il destino della Terra di Mezzo.
Mi voltai verso Aragorn, invitandolo a sedersi accanto a me. Il bambino che avevo conosciuto oramai sette anni prima era cresciuto, diventando un ragazzo di diciotto anni, alto quasi come un elfo e non meno elegante. Il suo animo era gentile e il suo cuore grande.
Era stato sicuramente il primo a non farmi più sentire un’estranea in una terra sconosciuta.
« In quei fogli, c’è anche la mia storia? » domandò il giovane poggiando la sua testa sulla mia spalla, osservando con me le fiamme.
Annuii pacatamente, nonostante sapessi, che il ragazzo ancora non aveva idea di quanto lui fosse fondamentale in quelle pagine.
D’altronde, Aragorn era ancora solo Estel, non l’erede di Isildur. Elrond gli avrebbe rivelato la sua vera identità solo al compimento del suo ventesimo compleanno.
« Sarò felice Valanyar ? » mi domandò dopo qualche minuto in tono sommesso, quasi se ne vergognasse.
« Mi assicurerò che lo sarai … Ti farò vivere fino almeno 210 anni! » dissi dandogli un bacio sulla testa, facendolo ridere.
« Perché eri venuto Estel? » domandai al ragazzo quando il fuoco infine si spense e noi uscimmo dalle mie stanze private.
« Volevo chiederti, se tu sapevi qualcosa della sorella di Elladan e Elrohir ²  »
« Come fai a sapere che hanno una sorella? » domandai incespicando sul mio piede dallo shock, ma recuperando in fretta l’equilibrio, soprattutto grazie al braccio di Aragorn sotto la mia mano.
« So che non avrei dovuto, ma li ho sentiti parlare di una certa Stella del Vespro cosa che fanno spesso sempre anche altri Elfi, e ho sempre creduto che fosse una stella vera, appartenente al firmamento … Ma ora conosco i nomi di tutte le stelle » spiegò arrossendo leggermente.
« E quindi hai continuato ad origliare » conclusi divertita prima che lui aggiunse:
« Già, e li ho sentiti dire, che il Re ha posticipato ulteriormente il ritorno della loro sorella dai regni della madre e si chiedevano perché »
« Che cosa ha fatto Elrond?! » esclamai fermandomi nel mezzo del viale guardando il giovane Estel con aria esterrefatta.
« Non dovresti pronunciare il suo nome così, è comunque il Re » ribatté Aragorn mentre io continuavo ad sussurrare oscenità sottovoce.
« Scusami Estel devo andare a fare una chiacchierata con Re » ringhiai pronta a marciargli anche in camera da letto per dirgliene quattro. Inquietante o meno, non gli avrei permesso di rovinare il futuro di tutta la terra di Mezzo per fare il padre-padrone.
« Ma non puoi » disse Estel allibito.
« Pff stammi a guardare ! » soffiai iniziando a correre verso le stanze private del Re di Gran Burrone.
«No intendo che non è qui Valanyar! Ha lasciato la sua casa tre giorni fa, non ti ha salutato perché la tua settimana proibita era già iniziata. Ed è proibito a tutti entrare nelle tue stanze quando scrivi » mi urlò dietro il futuro re degli uomini, facendomi fermare .
« Quel piccolo bastardo » sibilai furiosa. Sapevo esattamente che non poteva essere una coincidenza che fosse magicamente sparito proprio nello stesso periodo.
La regola di non disturbarmi, l’aveva imposta lui per sicurezza, ma negli anni, l’aveva infranta tutte le volte che gli era parso.
« Quando tornerà si sa? » domandai quindi ancora sbuffando
« Credo alla fine del prossimo inverno»
“Quindi tra quasi due anni! Esattamente quando avrebbe detto la verità ad Aragorn e quest’ultimo sarebbe partito per il suo destino, e diventando poi Granpasso! Ma prima deve conoscere Arwen!” pensai disperata. Il Re era evidente, che non comprendeva quanto il desiderio di proteggere sua figlia, potesse completamente distruggere l’esito dell’intero destino di Aragorn e di tutta Gondor.
« Se è giocare sporco che vuole, ha scelto la persona sbagliata, un elfo non ha idea di quanto in basso sappia colpire un umano » dissi con un sorriso sghembo ad Estel, che mi guardava come avrebbe fatto un prete, dinanzi a cui avevi appena bestemmiato.
« Valanyar … ? » sussurrò preoccupato il moro i cui occhi erano ancora pieni di innocenza.
 
 
 

Comunque, tutta quella storia con Elrond perlomeno mi aveva insegnato che forse era il caso di prepararsi un po’ meglio in vista di quello che mi aspettava.
Perché alcune strade si sarebbero formate da sole, ma altre andava tracciate.
E non era forse il mio destino? Quello di plasmare gli eventi della Terra di Mezzo?
Quindi iniziai a prendere molto più sul serio i miei allenamenti, con l’aiuto di Elladan e Elrohir poi, le mie capacità miglioravano considerevolmente, non ero certo ai livelli di un Elfo (e nemmeno del giovane Estel )ma miglioravo, costantemente.
Ogni giorno che passava mi sentivo più sicura di me, e nella mia mente, iniziò a mapparsi lentamente un piano:
iniziai ad unirmi a Gandalf, ogni qualvolta andava da Bilbo, così avrei potuto avere la fiducia del giovane Frodo fin da subito, e gli avrei dato speranza, quando lo stregone sarebbe dovuto cadere nel fuoco.
E soprattutto, ero certa di ricordare che Balin ad un certo punto sarebbe andato dal mezzuomo per confrontarsi con lui in merito alla riconquista del regno di Moria.
Impedirne la morte sarebbe stato un ottimo bonus considerando che ero arrivata troppo tardi per aiutare la stirpe di Thorin.
La parte migliore comunque, era sicuramente la compagnia dell’hobbit. Bilbo era sagace e sarcastico, con modi di fare così diversi da quelli pacati e controllati degli elfi, che andare a trovarlo, era come una boccata d’aria fresca.
 
 

Gran Burrone anno 2951 della Terza Era, 9 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Quel giorno, nella stessa stanza in cui nove anni prima mi fu annunciata la mia profezia, Estel scoprì la sua.
Lo attesi a qualche passo dalla porta, certa che mi avrebbe cercato per una conferma, e la supposizione, fu presto confermata da una porta che sbatteva, e un ragazzo di vent’anni che mi guardava con gli occhi grigi colmi di lacrime non versate.
« E’ dunque questo il mio destino Valanyar ? » sussurrò lanciandosi tra le mie braccia, lasciando scorrere delle lacrime silenziose sulla mia spalle « Ma io non lo voglio » sussurrò contro la stoffa del mio abito, stringendosi come se avessi potuto salvarlo, come se avessi il potere di cambiare il corso del fato.
« Mi dispiace così tanto, ma non c’è nessun altro » sussurrai nei suoi capelli. E Aragorn questo lo sapeva, gli era stato detto: era l’ultimo di una lunga lista di vecchi eroi, era solo. L’ultima speranza per gli uomini. Estel.
« Elrond e mia madre dicono che dovrò partire, unirmi ai Ranger dei Raminghi del nord » mormorò sciogliendo finalmente il nostro abbraccio.
« Lo so » risposi accarezzandogli le guance, e portandogli via l’ultima lacrima dal viso « Ho un dono per te prima, raggiungimi in giardino tra un minuto » dissi incoraggiandolo, lasciando che avesse per sé, qualche minuto per riprendersi.
Quando sparì dalla mia vista, non mi diressi verso il giardino, ma verso il balcone della loggia Est, che dava esattamente sopra i giardini, e seduta sul fianco della fontana, intravidi la donna più bella mai vista.
Non avevo ancora avuto l’onore di conoscere Arwen, ma il suo splendore anche dopo un intero decennio circondata dagli elfi, mi colse di sorpresa.
La stella del Vespro era davvero l’essere più luminoso e meraviglioso sulla quale io avessi mai posato il mio sguardo.
« Posso aiutarvi mia signora? » mormorò una voce dietro l’elfa, chela fece voltare, incontrando così per la prima volta lo sguardo di Aragorn. E da quel momento, tutto proseguì come nel vecchio libro, che ricordavo di aver letto oramai più di un decennio prima.
Per Estel sarebbe stato amore a prima vista, e nonostante la saggezza elfica, Arwen lo avrebbe seguito a breve. Poiché nonostante fosse stata richiamata a Gran Burrone da una lettera di una famosa veggente, invitandola a tornare a casa, con urgenza poiché il destino di molti era in pericolo, ella al momento era sorridente, in mezzo al giardino di siepi di suo padre a parlare con Aragorn, figlio di Arathon, Erede D’Isildur , Sire dei Dùnedain.
“E futuro Re di Gondor” conclusi per il giovane Estel.
Anche se ancora questo lui non lo sapeva, come non sapeva che quella dinanzi a lui, sarebbe stata la sua futura regina, uniti per sempre, da amore eterno.
 
« E così sei riuscita a farlo succedere » tuonò dietro di me una voce fin troppo conosciuta « Aragorn ha fatto la conoscenza di mia figlia »
« Ehilà, Re Elrond … Anche tu da queste parti? » dissi fingendo una  tale nonchalance da far inarcare un sopracciglio all’elfo.
« Potrei cacciarti dalla mia casa oggi stesso per la tua impudenza »
« Potresti »  confermai « Ma non sono stata io, a cercare di impedire il destino annunciato da Valanyar » risposi parlando di me stessa in terza persona,.
« Sappi, che questo non mi impedirà di proteggere mia figlia, mi opporrò con tutte le mie forze alla loro unione »
Annuii consapevole. « Non mi aspettavo niente di meno da lei mio signore »
« Cercherai di fermarmi nuovamente? » domandò invitandomi a seguirlo, per allontanarci dal balcone, e dalla coppia nel giardino sottostante.
« Non credo, avrò altro di cui occuparmi » aggiunsi enigmatica con un sorriso, che sono certa l’elfo ricambiò, se non per un millesimo di secondo.
 


Gran Burrone anno 2952 della Terza Era, 10 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Devi convincerlo a rinunciare a questa follia. A te darà ascolto Valanyar » mi ripeté per quella che mi parve la milionesima volta, la madre di Aragorn.
« Come ti ho già spiegato, non ho intenzione di mettermi tra lui e il suo amore » risposi alzando gli occhi al cielo.
Da quando Aragorn aveva annunciato il suo colpo di fulmine per Arwen, sua madre non gli dava pace, cercando di convincerlo che era una follia sperare di poter corteggiare un’elfa tanto illustre.
« Ma a te darebbe retta. Capirà che il suo destino è altrove, e si lascerebbe questa favola alle spalle » continuò imperterrita.
« La mia risposta, è comunque no. Ora se volete scusarmi … » dissi andandomene nelle mie stanze, senza attendere una risposta dalla donna.
 
« Mia madre ti ha parlato? » domandò una voce dietro di me, facendomi sussultare dallo spavento. Non bastavano gli elfi, adesso anche quel ragazzo mi avrebbe fatto morire d’infarto da quanto riusciva ad essere silenzioso.
« Tua madre mi ha parlato » confermai accennandogli un sorriso « Ma me lo stai chiedendo Aragorn, come se non avessi origliato la nostra conversazione » dissi dandogli una spallata amichevole.
« Perdonami Valanyar, è solo che … Volevo sentire la tua risposta » iniziò guardandosi i piedi, cercando del coraggio, che poi dovette trovare poiché mi guardò negli occhi « Perché su una cosa mia madre ha ragione: non mi permetterei di indugiare oltre in questo amore, se tu mi dicessi che non merita di essere vissuto »
« Non esiste amore su questa terra, che non meriti di essere vissuto mio caro » dissi poggiandogli una mano sulla guancia in una carezza.
« Ma mia madre, sostiene che è follia, che non mi ricambierà mai. »
« Quella, è scelta che spetta solo ad Arwen, nessuno può conoscere la risposta tranne lei »
« Allora, diventerò qualcuno degno di lei, e quando avrò capito la mia strada, tornerò da lei a chiederle se vorrà percorrerla con me » disse infine deciso, suscitando tutta la mia ammirazione.
 

 
Aragorn partì, che il primo fiore di primavera non era ancora sbocciato. Fuori, nel vasto mondo di Arda, lontano dalla mia vista, dove avevo solo un vago ricordo del suo futuro in quegli anni.
« Valanyar? » mormorò una voce melodica alle mie spalle, e onestamente, mi ero abituata a molte cose nella Terra di Mezzo, ma la bellezza di certi Elfi? Oh era impossibile.
Arwen, era esattamente come il suo soprannome presagiva, la stella più brillante di tutte, il cui splendore, oscurava  anche i più bei giardini di Imladris.
« Dama Arwen » la salutai con un breve inchino.
«Ho molte domande da farti Valanyar se vorrai concedermelo » disse soave, invitandomi a passeggiare con lei « Ma prima, vorrei chiedervi dei vostri strani abiti » disse ripercorrendo il mio corpo con gli occhi.
« Oh » mormorai guardando la mia tuta oramai logora, rattoppata troppe volte per essere considerata accettabile, anche nel mio mondo.
« Da dove vengo, ero abituata ad indossare i pantaloni. E senza offesa mia signora, ho imparato molto nel vostro regno, ma camminare senza inciampare nei vostri lunghi abiti, non è tra quelle. » dissi con un po’ di vergogna.
Arwen rise, e la sua risata fu come miele nelle mie orecchie, soave e meravigliosa. Un suono, che avrei voluto poter ascoltare ogni giorno.
« Non è così strano come credete in realtà Valanyar, le donne elfo nel regno di Mirkwood , indossano pantaloni poiché molto di loro scelgono di combattere » mi spiegò con un sorriso che le incorniciava le labbra « Se lo desideri, possiamo chiedere loro di inviarci alcuni dei capi » concluse.
« Oh non vorrei abusare dell’ospitalità di vostro padre » risposi imbarazzata.
Se fosse stato presente, ero certa che ad Elrond sarebbe venuto in mezzo infarto dinanzi alla ridicolezza della mia affermazione. Come se fino a  quel momento, mi fossi mai fatta qualche tipo di scrupolo.
« Manderò la richiesta io stessa » si limitò a rispondere la principessa di Gran Burrone.
« Avevate delle domande per me Dama Arwen? » dissi cercando di riportare la conversazione sul giusto binario »
« Oh sì, mio padre, mi ha parlato di voi, e della vostra conoscenza » iniziò con tono leggermente imbarazzato « Mi chiedevo, se per caso sapevate anche del mio passaggio in questa terra » finì titubante, ed ero certa, che se non fosse stata così eterea e perfettamente composta, sarebbe quasi arrossita.
« Mia signora io conosco solo una delle vostre strade » risposi imbarazzata, ripensando alle parole di Aragorn.
« Mi chiedevo, se in quella che conosci Valanyar, io sia felice » domandò in un sussurrò « Non mi ero mai posta troppi quesiti sul mio destino, poiché ero certa che la mia strada fosse già stata tracciata dinanzi a me. Ma poi tu mi hai riportata a casa, con il cuore in gola temendo per mio padre e invece di una brutta notizia, ho trovato un giovane uomo » continuò facendomi sentire un po’ in colpa a quelle parole, in effetti l’avevo attirata a Gran Burrone, scrivendole che la mia visione sul destino di suo padre era scomparsa dalla mia vista, e che altri potevano essere in pericolo.
Poi una volta giunta, aveva trovato Aragorn nei giardini, e suo padre, perfettamente consapevole del proprio destino, che prendeva il tea con la sottoscritta, come se non avessi un pensiero al mondo.
« Mi scuso, per quella lettera » dissi con una risata imbarazzata, giocando con una ciocca di capelli, nervosa.
« Non farlo, poiché da quel giorno, posso sentire il mio cuore fremere nel petto. E ho avuto una visione Valanyar:
 Quel ragazzo era diventato uomo, e passeggiavamo in questi stessi giardini come se fossimo soli al mondo. Mi guardava come avrebbe fatto un cieco che vedeva il sole per la prima volta ….
Credevo di avere tutto Valanyar, ma da quel giorno mi sono resa conto, di aver vissuto tutta la vita con solo metà della mia anima » disse cogliendomi un po’ di sorpresa, poiché nei libri, si parlava poco del punto di vista di lei.
« Nel vostro futuro mia signora, se sceglierete quella strada, vi sarà molta oscurità » dissi sincera, fermandomi per guardare Arwen negli occhi « Ma è nella più grande oscurità, che le stelle risplenderanno più luminose, alla fine del cammino » conclusi invitandola a guardare le stelle sopra di noi, che parvero quasi brillare più forte.
 


Casa Baggins anno 2954 della Terza Era, 12 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« E così, credi che dama Arwen, sposerà Aragorn » mi domandò l’hobbit eccitato, strappando una risata divertita allo stregone.
« Mi sembra che ti stia appassionando ai pettegolezzi mio caro Bilbo » commentò Gandalf prendendo un sorso del suo tea.
« Non è un pettegolezzo se è Valanyar a raccontarlo, lei sa come andrà a finire, è come se mi stesse annunciando i fatti » ribatté l’hobbit addentando un biscotto all’uvetta.
« Non ne ho la certezza Bilbo, io posso solo indicargli la strada, non obbligarli a percorrerla » dissi divertita, accettando di buon grado a mia volta un biscotto.
« Ma tu credi che loro si sposeranno vero? »
« Farò di tutto, per permetterglielo, se è quello che vorranno » dissi decisa, ottenendo un cenno  di approvazione da Gandalf.
« Che meraviglia, un matrimonio! » disse Bilbo, come l’evento dovesse accadere l’indomani, e non tra quasi sessant’anni.
 


Gran Burrone anno 2961 della Terza Era, 19  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Arwen, colmò il vuoto lasciato dai continui viaggi di  Aragorn con una semplicità che non credevo possibile, parlare con lei era facile, mi istruì sulle leggende e le storie dell’intera Arda, mi aiutò con le mie lezioni di etichetta (nonostante ritenessi i suoi sforzi totalmente inutili) mi comprò infiniti paia di pantaloni, ma soprattutto, mi regalò le mie gemelle.
«Ho riflettuto negli ultimi mesi osservandoti con i miei fratelli durante i vostri allenamenti. Ho visto la tua frustrazione ogni qualvolta che il tuo corpo da semplice donna umana, ti falliva.  E ho capito che la debolezza non risiedeva nel tuo braccio, ma nell’arma »
« Mia signora, la mia spada appartiene all’armeria elfica » risposi assicurandole che la qualità dell’a lama  era innegabile, perfettamente bilanciata, molto più leggera di un’arma degli uomini.
« Non è alla qualità dell’arma che mi riferivo, ma alla tipologia » asserti l’elfa , offrendomi poi due spade avvolte da una stole di velluto.
Erano più corte rispetto a quella con cui mi allenavo, e la lama aveva un taglio orizzontale , con un lato spesso più spesso, ed un altro estremamente affilato e liscio. L’impugnatura era bianca con intarsi d’oro e d’argento, e girandole, notai che entrambe le lame avevano già incisi i loro nomi.
« Mi sono permessa » disse Arwen con tono umile quasi temesse di essersi spinta oltre il consentito « Sono Tiriadir e Eglerib³ . Insieme sono “Guardiane onorevoli” ma pensavo che singolarmente potessero rappresentarti … Poiché sei guardiana dei nostri destini e vuoi proteggerci, ed è un onore averti nella nostra casa  » concluse mentre io guardavo le spade con ammirazione,riconoscendo il simbolo della casa di Elrond incastonato in una delle lame, e quello dei Dùnedain di Aragorn nell’altro.
« Ma non posso Arwen io … E’ il simbolo - » fui fermata dalle sue mani nelle mie, mentre mi invitava al silenzio  con un sorriso amorevole:
« Mio padre ha chiesto di inciderli, perché tu ti ricordi sempre che hai in noi la tua famiglia »
Le lacrime mi sfuggirono dalle palpebre veloci,  senza preavviso, mentre sorridevo piena di gioia ad Arwen, lasciavo cadere quel meraviglioso dono a terra, e la abbracciavo con tutta la fora che avevo in corpo.
« Sorella l’hai fatta piangere? » sentii due voci decantare assieme alle mie spalle.
« Ovvio che voi foste ad origliare da qualche parte, dissi asciugandomi le lacrime in fretta con la manica del vestito e girandomi a rinchiudere i due gemelli in un unico abbraccio.
«Grazie» mormorai di nuovo quando mi fui calmata, prendendo le spade dalle mani di Arwen, che nel frattempo aveva raccolto da terra.
« Beh, che dici andiamo a testarle? » mi domandarono i due elfi mentre Arwen mi prendeva per mano, accompagnandomi con i fratelli, al campo d’allenamento.
 


Gran Burrone anno 2965 della Terza Era, 23  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Un giorno d’autunno giunse un messaggero dalla terra di Dama Galadriel.
Si avvicinò silenzioso al campo di allenamento, e non lo notai fino a quando i gemelli non proposero una pausa ( per me ovviamente) così che loro potessero salutarlo.
La figura conversava pacatamente  con Arwen, e a differenza dei suoi simili di Gran Burrone, questo elfo aveva i capelli biondi e lucenti, come i primi raggi del sole. Il suo sguardo era più severo rispetto ai suoi simili a cui ero abituata, e la sua mano destra restò poggiata sulla spada al suo fianco tutto il tempo.
Dalla postura, intuii con facilità era un soldato, e che il suo rango, era molto inferiore rispetto a quello di Arwen. Anche quando sopraggiunsero i gemelli, nonostante la loro complicità, lui restò al suo posto, rispondendo ai loro saluti con sincerità, ma senza invadere mai i loro spazi, quasi non volesse calpestarne le ombre.
Mi avvicinai quindi incuriosita, sperando di poter ascoltare la loro conversazione e scoprire un po’ di più su il regno della Dama di Luce.
Ma quando giunsi dove erano loro, il sguardo si spostò subito su di me, indagatore e sospettoso:
« Non credevo Re Elrond ospitasse altri umani oltre Estel » disse affabile. Quando in realtà sembrava avesse sputato «Non credevo che Re Elrond avesse adottato altri cani randagi».
Arwen mi aveva detto che gli elfi erano creature molto schive di natura, ma avendo passato tutta la vita a Gran Burrone pensavo che l’esempio di “elfo schivo” fosse suo padre. Non che lui fosse l’esempio di “accogliente”.
« Non è un’umana qualunque lei, Haldir » lo riprese Arwen divertita « Lei è Valanyar, a Lòrien la conoscete con il nome di Valacen⁴ » spiegò l’elfa mentre io prendevo grandi sorsate d’acqua dalla mia borraccia, mimando un semplice “ciao” con la mano verso l’elfo biondo, che sembrò solo irritarsi .
« Tu saresti Valacen? Colei che conosce i destini di tutti noi? » domandò evidentemente scettico, iniziando ad irritare i gemelli, che vidi subito pronti a prendere le mie difese.
Posai una mano sulla spalla al più vicino, che sembrò però rassicurare anche l’altro, suscitando uno sguardo scandalizzato da parte di Haldir.
Si sarebbe presto abituato al fatto che toccassi tutti senza alcun rispetto per il rango sociale. Elrond e Arwen avevano tentato a lungo, fallendo, di istruirmi meglio.
« In carne ed ossa, e conosco anche il tuo Haldir, fratello di Rùmil e Orophin. » dissi sperando di ricordare correttamente i nomi dei fratelli, erano tutti degli scioglilingua.
 « Ricorda che un giorno Nimrodel ti parlerà mostrandoti la verità su coloro che temevi nemici, rivelandoti solo virtuosi nelle ombre. » aggiunsi certa che non si sarebbe dimenticato il mio avvertimento , d’altronde la memoria degli elfi era eterna, e anche se mancavano ancora cinquant’anni al passaggio della compagnia a Lòrien, sarebbe stato brutto non approfittarne ed evitare così a Gimli una freccia in fronte.
« Credevo tu non potessi parlare del futuro » mi riprese Arwen, fin troppo simile al padre in certi aspetti.
« E’ solo un mero indizio, potrà riconoscerlo solo al momento giusto » mi giustificai con una lieve scrollata di spalle.
Ma il mio piano funzionò: Haldir mi guardò con un po’ più di rispetto. Non molto, ma perlomeno, non sembrava più desideroso di schiacciarmi sotto il suo stivale, come una formica.
 

 
Gran Burrone anno 2970 della Terza Era, 28  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo
 
Haldir, restò a Gran Burrone per cinque anni, soprattutto per ovviare alla mancanza dei gemelli che erano stati richiesti da Galadriel a Lòrien .
Nonostante il dissapore iniziale,  l’affetto di Haldir crebbe in fretta, in concomitanza al mio. Ogni mattina mi faceva addestrare con le lame bianche regalatemi da Arwen, il pomeriggio al  tiro con l’arco e la sera era dedicata al combattimento corpo a corpo.
Allenarsi con Haldir era completamente diverso che allenarsi con Elladan e Elrohir:
non permetteva mai che mi scoraggiassi. Mi spingeva sempre al massimo, ma sempre proto a porgermi una mano ogni volta che cadevo,fallivo o mancavo il bersaglio. In breve, diventò il mio compagno d’armi preferito.
Aragorn non apprezzò mai quel mio favoritismo sfacciato, quando, essendo tornato da uno dei suoi viaggi da Ramingo fece sosta a Gran Burrone, e si offrì di aiutarmi nei miei allenamenti, ma lo scartai dopo neanche tre giorni, definendolo inadatto.
« Sembra tu abbia paura di rompermi Aragorn» sbuffai esasperata quell’ultima volta, quando finii per mandarlo al tappeto con un calcio, stufa della sua titubanza nell’attaccarmi con un’arma vera.
« Ma perché ci alleniamo con armi vere? E di chi è stata l’idea di dartene addirittura due?! » domandò facendomi ridere involontariamente, mentre Arwen entrava nel nostro raggio visivo, accompagnata da Haldir.
«E’ stato un mio dono Estel » disse lei con un sorriso che avrebbe illuminato una notte senza luna.
« Mia signora, sono semplicemente meravigliose, vi sono grato per avervi annesso anche la mia casata » rispose lui senza perdere un colpo, e la cosa mi stupì non poco.
Il piccolo monello che avevo conosciuto anni prima un uomo oramai.
« Haldir perché non vieni tu a darmi una mano? Sono certa che Aragorn accompagnerà volentieri al tuo posto Dama Arwen per i giardini » dissi senza neanche provare a trattenere il mio sorriso malizioso verso la giovane coppia.
« Non capisco, perché vuoi indugiarli in un amore impossibile, la Stella del Vespro non può amare un mortale » commentò Haldir quando i due si furono allontanati, guardandomi come se fossi un’orribile persona per giocare in tal modo con i sentimenti di Aragorn.
« Credevo che gli elfi fossero creature sagge Haldir. Perché cerchi di battere con premonizioni azzardate, chi già conosce le risposte del fato? » ribattei nella mia migliore imitazione di Re Elrond.
« Vuoi dirmi che Dama Arwen … ricambierà? » domandò l’elfo biondo turbato.
Potevo capire perché fosse ansioso, supponevo che per lui non avesse senso: rinunciare alla propria immortalità per amore. Ed era preoccupato per la nipote della sua regina. Ma non ve ne era motivo, poiché in realtà, sarebbe stato proprio l’amore a salvarli tutti da Sauron.
«Combattiamo» lo ripresi mettendomi in guardia.
 


Rohan anno 2971 della Terza Era, 29 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Quando Haldir partì verso il suo reame, mi unii a lui, convincendolo a promettermi che saremmo rimasti in contatto, non avevo desiderio di dover attendere ulteriori decenni solo per rivederlo, e lui mi assecondò, inviandomi spesso lunghe lettere, che mi raggiungevano in tutta Arda.
Lasciato Haldir presso i confini di Lòrien m diressi a Rohan, alla ricerca di un Ramingo che si faceva chiamare Granpasso. Curiosa di vedere il mondo al di fuori della sicurezza del regno elfico che mi aveva accolta con tale facilità.

Trovare Aragorn fu più facile del previsto, riuscire a restargli di fianco, un po’ meno.
Il ramingo inizialmente si oppose, definendomi “inadatta” fino a quando non fui costretta a sfidarlo in mezzo all’accampamento, tra i fischi degli altri cavalieri che ci incitavano e le scommesse che viaggiarono veloci. A quel punto, al giovane capitano non restò altra scelta se non affrontarmi.
Il mio stile di combattimento a due lame, impressionò molto gli altri raminghi, soprattutto coloro che appartenevano al popolo di Rohan, essendo soldati formati come cavalieri.
Erano abituati ad usare spade e possenti scudi, non certamente due lame più corte di un braccio.
Il nostro scontrò finì prima di quanto chiunque avrebbe predetto, con Aragorn sdraiato in terra supino e le mie due lame poggiate ad entrambi i lati del collo.
« Baw baur beriad Granpasso. [ Non ho bisogno della tua protezione Granpasso.] » gli soffiai in faccia, prima di allontanarmi, permettendo così all’uomo di alzarsi.
« Se preferisci non avermi attorno, non devi fare altro che dirlo. Ma non osare credere che io abbia bisogno di una balia » aggiunsi guardandolo con disappunto.
Come se quell’ingrato si fosse dimenticato, chi era il maggiore tra noi due, adesso lui poteva dimostrare, anche dieci anni più di me ma io lo avevo conosciuto che era solo un bambino.
Futuro Re o meno, non aveva alcun diritto di trattarmi come se fossi  una fanciulla in difficoltà.
« Perdonami. So che sarai un’ottima aggiunta ai nostri ranghi, e non volevo certamente mettere in dubbio le tue doti di combattente,poiché abbiamo avuto gli stessi insegnanti. E’ stata l’affetto a parlare prima del raziocinio » rispose Aragorn con un breve inchino, attendendo pazientemente che mi passasse l’irritazione, mentre rinfoderavo le mie armi.
« Lui è … Gwend. [Fanciulla ] » disse Aragorn dopo una pausa piuttosto sospetta, ma dato che nessuno dei presenti conosceva la lingua elfica, nessuno poté notare la sottile ironia del ramingo.
Tutti, tranne la sottoscritta ovviamente. Sbuffai divertita, riflettendo che quella situazione dove tutti pensavano fossi un ragazzo per via dei miei pantaloni, era semplicemente ridicola.
 

 
Fu Aragorn, durante quegli anni nella terra degli uomini, a notare la differenza per primo:
« I tuoi occhi, sono cambiati, sono più simili ai miei ogni giorno che passa » mi disse una sera mentre ero di guardia, e lui era venuto a farmi compagnia con gli occhi che osservavano i monti in lontananza.
« Cosa intendi? » domandai incuriosita, desiderando di possedere uno specchio. Non osservavo spesso la mia immagine riflessa al di fuori di Gran Burrone.
« Quando ti ho conosciuta, avevo gli occhi dello stesso colore della terra, erano caldi e profondi » mormorò con un lieve sorriso, perso nei suoi pensieri « Adesso, è come se fossero invecchiati al posto dei tuoi capelli, vi sono delle striature grigie all’interno »  disse stupendomi.
« Forse sono l’unica parte di me che invecchia » supposi ringraziando il fatto che però, la mia vista non era mai in alcun moto peggiorata, anzi, grazie agli allenamenti elfici si era affinata, assieme al mio udito.
« Dovremmo consultarci con Re Elrond quando torneremo a Gran Burrone » sentenziò Aragorn trovandomi d’accordo. Magari non sarebbe stato niente, forse era davvero come aveva involontariamente ipotizzato il futuro Re di Gondor, i miei occhi invecchiavano poiché non era permesso ai miei capelli.
Ma grazie a quella strana evoluzione data dalle mie iridi, i pettegolezzi in merito alla mia provenienza, si diramarono sempre di più, fino a scomparire, perché con i capelli neri, e le iridi sempre più accostabili al grigio, i soldati iniziarono a mettere in giro una voce: che ero il fratello minore di Aragorn. Ed andando solo a nostro vantaggio, nessuno di noi la smentì mai.
 



Confini tra Gondor e Rohan anno 2975 della Terza Era, 33 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Furono le grida, a convincere i raminghi, a superare il fiume che delineava il confine con Gondor. Perché le urla dei soldati, potevano essere ignorate, la guerra d’altronde era orribile per tutti.
Ma quando quelle degli uomini si spensero, e la notte si riempì di pianti infantili, nessuno degli uomini guidati da Aragorn si tirò indietro.
Andai io in esplorazione, come oramai avevamo testato più volte, era la decisione migliore.
Ero più piccola degli altri uomini, e nonostante non fossi ai livelli di Aragorn, la mia agilità era superiore ai grossi raminghi.
« Im adel  [Sono dietro di te] » mormorò Aragorn, poggiandomi una mano sulla schiena quasi in un ripensamento finale, prima di lasciarmi andare come infine faceva ogni volta.
« Imna ad [Torno subito] » risposi facendogli un occhiolino nel buio.
Mi avvicinai cauta, cercando di non fare rumore, passando tra i cespugli che erano strati strappati e calpestati in più punti.
“Come qualcuno che cerca di scappare “ pensai avvicinandomi sempre di più a dove le urla si facevano più chiare, assieme a delle risate.
“ O qualcuno che ti prende alle spalle “ conclusi giungendo al limite di quello che appariva essere un accampamento di fortuna.
Vi erano gabbie di metallo, spesse e sudice, come quelle in cui gli orchi tenevano i loro lupi, ma al momento erano piene di donne, giovani, alcune erano bambine.
La più vecchia, avrà avuto malapena vent’anni. Stavano tutte rannicchiate tra loro, seminude, con gli abiti strappati e la pelle coperta di terra e sangue secco, i pianti sommessi, cercando di scaldarsi a vicenda nella fredda notte.
Spostai il mio sguardo verso il fuoco poco più in là, deglutendo disgustata dinanzi lo schieramento di picche dinanzi ad esso. In cima ad ogni lancia, era stata infilzata la testa di un uomo, ed erano tutte state girate, così che guardassero le gabbie.
Udii dei passi fari sempre più nitidi, e le donne iniziarono a supplicare in modo sommesso, consapevoli di ciò che sarebbe successo a breve. Attesi fino a quando due figure non mi superarono, dirigendosi vero le gabbie ,e quando mi dettero le spalle, mi mossi cauta dietro di loro, emergendo dai cespugli.
Una giovane alzò lo sguardo e mi vide, ma nessuna speranza si accese nei suoi occhi, solo un ulteriore gemito di terrore.
« Ti avevo detto che farle tenere d’occhio dai loro stessi padri era la scelta migliore » gracchiò uno dei due in una rozza risata. Parlava la lingua comune, anche se in un accento che non riconobbi.
Se possibile, la bile mi salì ancora di più in gola, comprendendo adesso, chi erano gli uomini nelle picche, e sentii l’ultimo dei miei rimorsi lasciarmi mentre affondavo le mie lame, nel lati dei colli di ciascuna delle creature, sorridendo dinanzi al loro gemito strozzato, prima che si accasciassero a terra.
« Non temente, i miei uomini sono oltre quel sentiero, vi proteggeranno » dissi girando la chiave nella toppa, che uno dei due aveva lasciato cadendo a terra.
« Altri uomini ? » mormorò una ragazza in un singhiozzo secco, guardando i due cadaveri ai miei piedi con disgusto.
 Seguii i suoi occhi, e mi avvicinai ai corpi, mettendo tre dita sotto l’elmo rudimentale del più vicino che gli copriva il volto, sfilandoglielo.
Il viso di un uomo si rivelò dinanzi a me, con i denti gialli e la barba folta e sudicia, ma pur sempre di un uomo.
« Non vi erano orchi, solo uomini » sussurrò di nuovo la stessa giovane, che dovette comprendere il disgusto nei miei occhi, mentre ancora fissavo la feccia ai miei piedi.
« Ci hanno fatto lasciare il villaggio, dicendoci che un orda di orchi era sulle nostre tracce, siamo scappate nei boschi assieme ai bambini, alcuni dei nostri padri sono venuti con noi per sicurezza, gli altri uomini sono rimasti a difendere il villaggio » continuò « quella stessa notte siamo state attaccate » concluse mentre altre voci, iniziarono a chiamare due nomi, che supposi essere dei cadaveri ai miei piedi.
« Da quanto siete qui? » domandai temendo la risposta.
« Tre giorni ».
« Quanti sono? »
« Una trentina credo » mormorò incerta guardando le altre che annuirono.
« Periranno stanotte stessa e voi sarete libere di tornare a casa, ve lo garantisco » dissi incrociando lo sguardo della giovane e cercando di inviarle tutta la mia determinazione.
Lanciai il segnale di via libera ad Aragorn e gli altri, ma non attesi per vedere le loro reazioni dinanzi le gabbie.
Avevo lasciato la chiave in mano alla ragazza, consapevole, che non desideravano che io aprissi loro la gabbia, finché fossero state circondate da uomini.
 
Lo scontro fu veloce, la maggior parte di loro ubriachi e disarmati, impreparati per uno scontro aperto con dei sodati addestrati. Ma fu il più feroce a cui partecipai.
Avevo sempre creduto che avrei provato repulsione e disgusto nell’uccidere degli uomini.
Con gli orchi era facile, la loro stessa apparenza era mostruosa.
Coloro che finirono sotto i miei fendenti quella notte non lo sembravano, ma erano al pari di qualunque creatura di Mordor.
Caricai le frecce nel mio arco, sfruttando ogni colpo, per colpirli lì dove le armature erano più sottili, ma principalmente, i miei colpi erano impostati per uccidere.
Quando finii nella mischia, sfruttai al meglio le mie lame bianche, aggirandomi per l’ accampamento come  fossi stata posseduta. Prendendo ogni vita senza il minimo rimorso, fino a quando nessuno dei nemici era più in piedi, eccezion fatta per uno dei comandanti, che avevo sotto la punta delle mie lame dopo avergli fatto volare via la spada:
«Mi ucciderai mentre sono disarmato ragazzo? Per delle donne ? » mi schernì « Dove risiede il tuo onore? » disse  togliendosi l’elmo e allargando le braccia in segno di resa, mettendosi in ginocchio dinanzi a me.
Udii passi di colui che poteva essere solo Aragorn, dietro di me,  avvicinarsi e poggiarmi una mano sulla spalla :
« Daro Gwend. [ Fermati Gwend.] »  ordinò cercando di tirarmi via, con cautela.
« Ti prego » mormorò invece un’altra voce, che riconobbi come la ragazza con cui avevo parlato poco prima, era in ginocchio, ai piedi di una delle picche. Aveva chiuso gli occhi all’uomo mutilato su di esse, e l’unica parte pulita del suo volto, era dove erano scorse le ultime lacrime.
« Il mio onore, risiede con loro » dissi incrociando ad X le mie due lame e tagliandogli così di netto la testa dal collo mentre Aragorn urlava un “no!” strozzato alle mie spalle.
Osservai la testa rotolare lontana, con gli occhi ancora spalancati.
« Che cosa hai fatto?! » eruppe un altro soldato alla mia sinistra, mentre io mi limitavo a pulire le mie lame nel mio mantello e a rinfoderarle « Era disarmato » confermò un altro in mezzo al gruppo.
« Non li avreste forse uccisi tutti se fossero stati orchi? » ribattei sostenendo il loro sguardo.
Non gli avrei permesso di giudicarmi, non lo avrei permesso a nessuno di loro.
« Il mondo non è diviso in orchi e uomini. Ognuno di noi ha in sé sia luce che oscurità ma sta a noi, decidere da che parte schierarsi⁵ » dissi guardandoli uno per uno « Non è il loro aspetto, a rendere gli orchi dei mostri, ma le loro azioni. Questo, vale anche per loro» conclusi indicando i cadaveri ai nostri piedi, incrociando poi lo sguardo di Aragorn e sostenendolo.
« Grazie » mormorò la stessa voce alle mie spalle, seguita poi da tante altre, fino a quando anche l’ultimo dei bambini, non mi  aveva fatto un cenno.
« Mi occuperò di riportarli al loro villaggio, da lì, tornerò a Imladris » dissi ad Estel con un breve inchino, congedandomi, prima che potesse essere lui stesso ad allontanarmi.
 



Gran Burrone anno 2976 della Terza Era, 34 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
«Il tuo portamento è cambiato Valanyar. Le tue spalle, portano un nuovo peso.  » disse Elrond guardando assieme a me il fuoco, dove le pergamene  con il futuro della Terra di Mezzo, bruciavano « Cosa turba il tuo cuore? » domandò il Re.
Non era certo un segreto, che ero stata nelle terre degli uomini. Tutti ne erano a conoscenza , avevo scambiato mensilmente lettere con la mia famiglia elfica a Gran Burrone, ma non dovevo essere stata così brava a celare il mio turbamento una volta rientrata.
« Ho ucciso un uomo nell’ultima battaglia » dissi fissando le fiamme, senza avere il coraggio di guardare il Re negli occhi, temendo un ulteriore giudizio.
« Quest’uomo era disarmato, si era arreso.  Ma l’ho ucciso ugualmente, senza pietà » sussurrai « Quello che speravo che sarebbe giunto con il tempo. E’ il rimorso. Ma non ne provo, so che tornassi indietro lo farei di nuovo » conclusi prendendomi la testa tra le mani.
« Se il tuo cuore crede ancora di essere nel giusto, cosa turba il tuo sonno ? » domandò Elrond senza la minima traccia di giudizio. Ma in fin dei conti, per un elfo anziano come lui, una scelta morale, doveva avere ben poco peso, quando si era visto gli ultimi grandi uomini soccombere alla brama dell’unico anello.
« Temo il giorno in cui ritroverò lo sguardo di Estel, temo che mi non guarderà più nello stesso modo » una mano si posò sui mie capelli, accarezzandomeli dolcemente fino a metà schiena prima di risalire e ripetere il movimento per qualche minuto.
« Non credo Valanyar, che potrai mai fare niente, che possa portare Aragorn ad allontanarsi da te. Significhi per lui, più di quanto credi. Gli uomini di Rohan, non erano nel torto, quando credevano che voi foste fratelli » disse portando una mano lungo il mio viso e sotto al mio mento, costringendomi ad incrociare il suo sguardo.
« I tuoi timori, sono infondati » concluse infine, sostenendo i miei occhi con i suoi, fino a quando non mi ritrovai ad annuire assieme a lui.
« Adesso andiamo, i miei figli erano molto preoccupati per te, e non la smettevano di infastidirmi » disse alzandosi e facendomi scappare una risata.
« I vostri figli hanno una media di 3000 anni mio Re, dubito che possano più essere petulanti » commentai divertita, grata che l’elfo fosse venuto a rischiarare la foschia del mio turbamento.
 
 
 
Casa Baggins anno 2977 della Terza Era, 35  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Finalmente un giorno ebbi notizie certa da Gandalf, che un nano di nome Balin era andato a far visita al nostro comune amico Bilbo, colsi la palla al volo, incontrando a metà cammino, anche il vecchio stregone.
« Ho pensato, che questo sarebbe stato uno spettacolo da non perdere » mi rispose lui quando gli chiese perché fosse venuto.
« Potrebbe non piacerti quello che ho da dire » desiderando tutt’altro, che annunciare la morte di un altro della compagnia di Thorin Scudo di Quercia. A Bilbo, forse sarei riuscita a mentire in caso di fallimento, dicendogli che le mie premonizioni non erano certezze. Che era solo una richiesta d prudenza da parte mia, per il nano.
Ma non vi era modo che io ingannassi Gandalf.
« Potrebbe non piacerti quello che ti risponderà mia cara. I nani, sono creature fiere, e non apprezzano i consigli che non concordano con le loro decisioni » rispose lui mentre entravamo nel sentiero che conduceva verso casa Baggins.
Bilbo ci aprì la porta con un enorme sorriso in volto, facendomi quasi ripensare alla mi decisione di parlare con Balin a casa dell’hobbit.
Ma sapevo che il mezzuomo non era certo uno sciocco, e sarebbe stato un insulto alla nostra amicizia, cercare di proteggerlo da un male inevitabile.
 
Inizialmente tutto andò bene, Bilbo mi introdusse alla piccola compagnia di nani, tra cui riconobbi subito il futuro re. I nani raccontarono a Bilbo di come se la stavano cavando sotto la Montagna, dell’ottimo lavoro che stava svolgendo Dàin e dei loro rapporti con il Re di Mirkwood.
« Gli elfi credono sempre di essere un passo sopra di noi » sbuffò uno dei nani, che doveva aver corretto un po’ troppo il proprio tea.
« Anche una decina vorrai dire! Cosa se ne fanno di tutta quella altezza dico io, se invece di combattere guerre e farsi onore, stanno sugli alberi a cantare come uccelli » sbuffò l’altro facendomi inarcare un sopracciglio divertita.
« Temo che abbiamo un concetto di onore diverso dal vostro mastro nano » risposi senza malizia.
« E cosa può saperne dell’onore una donna umana? » rimarcò con un gran sorriso il più ubriaco dei due.
La tavola si gelò, Bilbo scambiò con Gandalf uno sguardo deluso, mentre Balin, cercò di intervenire, meditando che non era quello che il suo compagno intendeva.
« Credo di aver inteso perfettamente cosa il tuo compagno intesse Mastro nano » dissi cercando di ricordarmi che ero un ospite in quella casa, e fare una scenata sulla parità dei sessi, era una perdita di tempo con alcuni abitanti della Terra di Mezzo « E gli suggerirei di tenere per sé i suoi pensieri in futuro, non è saggio mettere in dubbio l’onore di qualcuno, quando non lo hai affrontato in battaglia »
«Una donna in guerra! Questa si che è bella! Oh mia signora la sfiderei in questo momento se non fossi un gentiluomo » rise il nano guardandomi dall’alto in basso.
« Ed io accetterei la sfida Mastro Nano se non fosse che mi è stato insegnato a non umiliare i deboli » sussurrai tra i denti con un lieve sorriso sghembo, ricambiando il suo sguardo di sfida.
Lì, ero certa sarebbe partito un tumulto poiché il Nano si alzò da tavola, brandendo la sua ascia ed urlando oscenità:
« Ishkhaqwi ai durugnul! [Sputerò sulla tua tomba!] »  Mi urlò contro il primo nano, dinanzi alla quale mi feci scappare una risata divertita, poiché era lo stesso insulto che Gimli avrebbe usato contro Haldir una volta che la compagnia sarebbe giunta a Lòrien .
Tutto però tacque in meri secondi, quando Gandalf si alzò, mormorando un incantesimo in una lingua che non avevo mai ancora udito, e i due nani caddero addormentati.
« Ora basta, siamo venuti per offrire consigli non per queste idiozie » sbuffò lo stregone arrabbiato , sorprendendomi.
« In ogni caso Gandalf, non mi sembra cortese quello che ai fatto ai miei nani, la tua accompagnatrice li ha insultati per prima »
« Dovresti invece ringraziarmi mastro Balin, perché ti assicuro che i tuoi nani, avrebbero subito un’umiliazione ancora più grande se li avessimo assecondati nel loro “duello” » sbuffò nuovamente dimostrando quanto trovasse ridicolo quell’atteggiamento.
« E’ cresciuta allenandosi a combattere due guerrieri di Gran Burrone contemporaneamente, due semplici nani, sarebbero stati come una ventata d’aria fresca » ribatté Bilbo sorprendendomi, e donandomi un sorriso di conforto.
« E’ cresciuta a Imladris ? » domandò Balin incrociando finalmente il mio sguardo, con una nota di curiosità.
« Re Elrond mi ha permesso di fare parte della sua casa, da quando arrivai nella terra di mezzo 35 anni fa. » risposi mestamente
« Non dimostra 35 anni » rispose scettico Balin.
« Oh ma infatti ne ho 60 » risposi con nonchalance addentando uno de biscotti sfornati da Bilbo. Restammo qualche minuto in silenzio, per far digerire a Balin l’informazione, che non ero certo un comune essere umano.
« Vi ascolto dunque, Gandalf ha detto che eravate venuti per portarmi consiglio. Di che consiglio potrà mai avere bisogno un nano da una figlia degli elfi? » domandò insospettito il vecchio, dimostrando che avrebbe dubitato delle mie parole, poiché conosceva dove sostava la mia lealtà:
« La spedizione verso Moria è una follia Mastro Balin, vi supplico di ripensarci » dissi guardando il nano negli occhi, la tazza di tea oramai dimenticata.
« Perché? Perché un’umana cresciuta dagli elfi crede di saperne qualcosa? » rispose con  finta pacatezza l’anziano.
« Capisco perché volete farlo, ma non ne vale la pena. Il Mithril che tanto bramate non dovrebbe mai valere quanto la vita di uno solo della vostra gente » esclamai esasperata. 
« Quindi tu conosci i tesori di Moria … E dimmi sono stati forse gli elfi a suggerirtelo? Ne vuole un pezzo anche Re Elrond come a suo tempo richiese Thandruil?! »
« Non osare nano » ribattei furiosa « Re Elrond non rischierebbe una sola goccia di sangue del suo popolo, nemmeno in cambio di tutti i vostri migliori tesori. Lui non è dominato dalla vostra cupidigia »
« Mi dispiace che tu sa rimasta vittima del fascino degli elfi donna, ma non rinuncerò a Moria, era la mia casa, come lo era la Montagna, e come lei tornerà ad esserlo »
« Non sarà nient’altro che la vostra tomba! » esclamai esasperata non riuscendo a credere a quanto fosse testardo .
« Allora farò sì che sia una gloriosa tomba. E ora smettetela di annoiarmi con le vostre stupidaggini e tornate al vostro posto, gli uomini non dovrebbero mai mettere bocca nelle questioni degli nani, tanto più una donna. Non mi renderò lo zimbello di tutti, solo perché la cocca di un elfo ha detto che è pericoloso » sbuffò infine rimettendosi a bere il tea come se niente fosse.
Serrai la mascella, e strinsi i pugni fino a quando le mie stesse unghie non iniziarono a tagliarmi i palmi delle mani.
« Bilbo, ti ringrazio per il tea e mi scuso per averlo sprecato. Spero di rivederti presto. » salutai senza troppe cerimonie, con una velocità che avrebbe fatto corrucciare tutti gli elfi che conoscevo a causa della mia maleducazione, notando con la coda dell’occhio, lo stregone che salutava il nano prima di seguirmi fuori dalla stanza.
« Aspetta! » ci richiamò la voce dell’ hobbit quando ebbimo appena varcato la porta di casa. Mi diede un piccolo fagotto, contenente del pane fresco all’uva e un po’ di formaggio « Per il viaggio » aggiunse accostando il portone alle sue spalle.
« Mi dispiace per Balin, è un po’ burbero, ma è nella sua natura, in fondo è un ottimo nano » cercò di consolarmi il mezzuomo.
« Lo so che è una brava persona, ed è per questo che mi duole restare.  Allietati della sua compagnia senza la mia presenza, sono certa che sarà molto più piacevole » lo salutai nuovamente, promettendo che sì, saremmo tornati presto a trovarlo.
 
« Dunque temi che la spedizione verso Moria, li condurrà ad una morte prematura » disse lo stregone con aria preoccupata, lungo la strada del ritorno « Ma forse vi è speranza, i nani sono ottimi combattenti e non sarebbe la prima volta che si riprendono uno dei loro regni dalle grinfie degli orchi ».
Annui con aria mesta, voltandomi a guardarlo, certa che non fosse facile per lui, considerando che Balin era un vecchio amico. Forse non come per Bilbo, ma Gandalf amava con facilità coloro che incrociavano la sua strada, appariva burbero e scontroso in molte occasioni, ma il suo cuore era grande.
Non doveva essere facile, vivere tanto a lungo e amare tanto, solo per restare ogni volta soli.
« Non è nella loro capacità di combattenti che non ho fiducia Gandalf. Ma non sarebbe la prima volta, che cadono vittime di un male che hanno loro stessi creato » risposi sapendo che avrebbe colto il collegamento con la malattia di cui caddero vittime i Re della distai Durin. La malattia dell’oro, alla fine, li aveva soggiogati tutti.
Colui che avrebbero risvegliato, non sarebbe però stata una malattia, ma un male, che solo uno stregone sarebbe riuscito a respingere, a costo della propria vita.
 



Gran Burrone anno 2980 della Terza Era, 38  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Nessuna malattia pesa nei tuoi occhi » disse Elrond, mentre nella stanza si aprì un chiacchiericcio sommesso.
« Non ci voglio credere, ancora non gliene avevi parlato » sbuffò irritato alle mie spalle Aragorn.
« Me ne ero dimenticata, non passo tutto il giorno a guardarmi allo specchio » risposi avvilita ma felice che niente tra di noi fosse cambiato.
« Forse potremmo andare da Dama Galadriel, lei potrebbe avere le risposte » propose Haldir che era arrivato cinque giorni prima portandomi una lettera di Re Thandruil.
« Metti forse in dubbio le mie conoscenze Haldir ? » domandò Elrond quasi, seccato. « Credi forse che se avessi qualche dubbio, esiterei a chiedere assistenza? » disse in aggiunta evidentemente seccato.
« Dìhena-enni, arod nìn .  [Perdonatemi mio (nobile) signore. ]» disse Haldir sbiancando leggermente, dinanzi la reazione di Elrond.
« Comprendo che i vostri timori siano dati dall’affetto verso Valanyar, ma vi assicuro che è solo inferiore al mio. » concluse il Re facendomi arrossire. Essere al centro dell’attenzione non era cosa per me.
« Beh quindi tutto è risolo. Aragorn aveva ragione, i miei occhi imbiancano al posto dei miei capelli » dissi per sdrammatizzare, dando la sessione per finita e affrettandomi a lasciare le stanze, alla ricerca di uno specchio.
 
 


Gran Burrone anno 2981 della Terza Era, 39  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Valanyar» mi chiamò una voce alle mie spalle, che si rivelò essere quella di Elrond « Non è che sai, dove si trova Arwen in questo momento? » domandò il Re, mentre mi lasciavo sfuggire un sorriso compiaciuto.
« Penso, più o meno intorno a quelle colline, lungo i confini di Imladris » dissi indicando la zona in lontananza.
« E nella tua onniveggenza, ti capita anche di sapere perché sia là  ? » aggiunse con la solita voce austera, senza preoccuparsi di nascondere la pesante nota di sarcasmo che la accompagnava. Era il suo tono da “Mi stai facendo venire il mal di testa Valanyar”.
Sorrisi, mettendogli una mano sulla spalla, nonostante la grande differenza d’altezza, e invitandolo a guardare con me l’orizzonte.
« Temo, stia stringendo una promessa di matrimonio con Aragorn » dissi sentendo subito i suoi muscoli irrigidirsi sotto il mio palmo, portandomi a provare compassione per lui.
« Dunque la stella di Vespro si spengerà » mormorò con gli occhi che brillavano.
« Ha fatto la sua scelta Elrond » mormorai stringendo leggermente la mano, in segno di conforto, prima di lasciarla cadere sulla balaustra accanto alla sua.
« Arwen ha deciso che una vita mortale accanto ad Estel, vale più di mille ere da sola » mormorai desiderando anche io, un amore tanto forte.
« Non avevo anche io, il suo amore? » sussurrò l’elfo, cercando nei miei occhi un conforto che non sarebbe mai stato sufficiente, ad attenuare il suo dolore.
 
 







 
Valanyar ¹ = Colei che ha il potere divino di narrare. Parola composta (inventata) da: [vala] che ha il potere divino ; [nyar] narrare una storia.  Così ho creato il nome per la nostra protagonista, ho pensato avesse senso.
 
Elladan e Elrohir ²  = sono i due figli gemelli di Elrond nel libro, e fratelli di Arwen. Non hanno un ruolo fondamentale per la storia, ma dato che la nostra protagonista abiterà a Gran Burrone per quasi 70 anni, mi sembrava naturale nominarli.
 
Tiriadir e Eglerib ³ = ho preso ispirazione per le spade di Valanyar dalla Wakizashi dei Samurai Giapponesi. Era una spada piccola, che viaggiava in coppia con la classica Katana. I Samurai non se ne separavano mai ed era definita “guardiana dell’onore” (da qui i due nomi che Arwen ha dato alle spade) ed era la lama utilizzata per il seppuku, il suicidio del samurai .
 
Valacen ⁴ = Colei che ha il potere divino di vedere. Parola composta (inventata) da: [vala] che ha il potere divino ; [cen-] vedere. Simile se non uguale, significato di Valanyar. Ho solo pensato che gli elfi di Lòrien,  avendo un dialetto diverso, avrebbero cambiato leggermente anche il nome elfico. (Così come hanno fatto con Aragorn ).
 
Il mondo non è diviso in orchi e uomini. Ognuno di noi ha in sé sia luce che oscurità ma sta a noi, decidere da che parte schierarsi ⁵ = citazione di Sirius Black, tratta da Harry Potter e riadattata: “Il mondo non è diviso tra persone buone e mangiamorte. Ognuno di noi ha in sé sia luce che oscurità ma sta a noi, decidere da che parte schierarci ”.
 

NdA : E così sono finalmente passati la metà degli anni. Aragorn è cresciuto, diventando un uomo fatto e finito.
 Nel prossimo capitolo,  Bilbo adotterà Frodo e l’hobbit inizierà finalmente a far parte della nostra storia.
Spero che la quantità dei nomi affidati alla protagonista, non vi renda troppo complicate le cose ma in breve è conosciuta come: Valanyar dalla maggior parte dei suoi cari , gli elfi di Lòrien, così come quelli di Mirkwood, la conoscono come Valacen, ed infine la razza degli uomini come Gwend, grazie all’ironia del nostro amato Aragorn.
Mi auguro non troviate troppo tirata questa idea, di tutti gli uomini che scambiano Valanyar per un ragazzo, ma a mio parere, erano davvero così poco svegli ( Hanno scambiato Éowyn per un uomo e lei era la loro principessa! ).
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che la storia inizi ad appassionarvi. Se avete voglia, lasciatemi un commento per dirmi cosa ne pensate
A mercoledì prossimo!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


▌ Capitolo 2  ▌   
 
 
 




 
« [...] Se dicono: Chi se ne importa se un'altra luce si spegne?
In un cielo di milioni di stelle, quella tremola, tremola
Chi se ne importa se il tempo di qualcuno è giunto alla fine?
Se un momento è tutto ciò che siamo. Siamo più veloci, più veloci
Chi se ne importa se un'altra luce si spegne?

Beh, a me importa […] »
 
__One More Light ; Linkin Park
 





 
La Contea anno 2981 della Terza Era, 39 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
La prima volta che vidi Frodo stavo andando a trovare Bilbo, era un giorno di fine estate e l’aria era calda e torrida, con quasi nessuno a giro poiché nella calde giornate d’estate, gli Hobbit amavano riposare al fresco all’interno delle loro case.
« Signore potrei unirmi a  lei? » domandò una voce dal basso, costringendomi a fermare Bucefalo in mezzo alla strada e a guardare in basso, molto in basso.
Ai piedi del cavallo vi era un Hobbit, sarà stato non più alto di un metro, aveva un cespuglio di capelli ricci e neri e due enormi occhi blu.
« Allora posso? » insistette di nuovo guardandosi alle spalle con timore crescente « La prego » aggiunse con un tono di voce supplichevole.
Sbuffai divertita, abbassandomi per porgergli una mano, e tirarlo su con me. Il giovane Hobbit, risultò così leggero, che Bucefalo neppure se ne accorse. Riprendemmo il nostro viaggio con semplicità, lasciandoci alle spalle solo le grida di un contadino arrabbiato.
« Lei è il cavaliere che viene spesso assieme allo stregone non è vero? » mi domandò l’hobbit inclinando la testa verso l’alto, così da scorgere il mio viso.
« E’ corretto » risposi « Il mio nome è Valanyar »
« E come siete diventato amico di mio cugino? » domandò il giovane confermando i miei sospetti.
« Bilbo ed io ci siamo conosciuti alla fine della sua avventura, ma all’inizio della mia »
« Deve confondersi mio signore. Gli hobbit non sono creature idonee alle avventure » rispose Frodo divertito « Anche se vi sono strane voci attorno mio cugino, dicerie su un drago » mormorò quasi sovrappensiero portandosi la mano sotto il mento con aria seria.
« Tutte le storie nascondono un fondo di verità Frodo » dissi fermandomi all’incrocio verso casa Baggins.
« Vieni con me ? » domandai invitandolo a seguirmi, ma lasciandogli la possibilità di scegliere.
« Oh no grazie molte però per la sua cortesia mio signore, mi saluti il signor Bilbo! » aggiunse mentre lo aiutavo a scendere. Lo seguii con lo sguardo fino a quando non scomparse nella direzione opposta rispetto a casa Baggins.
« Oh Valanyar sei arrivata! Il tea è quasi pronto » mi salutò una voce che riconobbi come quella di Bilbo, che affacciato sulla soglia, mi aveva scorto in fondo alla discesa.
« Chi vi era con te? » domandò non appena lo raggiunsi, smontando da cavallo e lasciandolo libero di pascolare nel giardino del mezzuomo.
« Un certo Frodo Baggins, credo sia tuo cugino » dissi seguendolo all’interno della sua abitazione fingendo ignoranza.
« Oh sì povero ragazzo, ha perso i genitori qualche anno fa in un incidente in barca. Avevo persino pensato di adottarlo io stesso ma … Sono certo stia meglio con i parenti di sua madre » rispose scrollando le spalle.
« Tu credi mio caro Bilbo? Mi è sembrato piuttosto solo … Forse dovresti parlarci qualche volta » dissi sperando che abboccasse all’amo.
« Oh beh, forse … Qualche volta … » rispose l’hobbit mentre mi anticipava nella sala da pranzo, e io potei aprirmi in un sorriso felino.
 
 

Rohan anno 2982 della Terza Era , 40 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Accertatami che il destino di Aragorn e Arwen si fosse compiuto, costrinsi presto il ramingo a ripartire assieme a me e a  Haldir. Era giunto il momento di andare a Mirkwood per scoprire di cosa avesse bisogno Re Thandruil.
Nella sua missiva era stato vago, e aveva richiesto la mia presenza solo se “vi era ancora tempo prima della mia missione”,  lasciandomi presagire che sapeva più di quanto non avrebbe dovuto.
« Dopo una consulenza con Haldir e i gemelli, ho compreso,di doverti le mie scuse » si aprì un giorno Aragorn, mentre smontavamo il nostro piccolo accampamento, pronti a riprender e il viaggio, con l’elfo in esplorazione di qualche miglio.
Eravamo sempre nelle terre degli uomini, ma la cautela non era sicuramente mai troppa.
« Di cosa stai parlando? » domandai confusa, voltandomi a guardare l’uomo.
« Ero arrabbiato con te, per il tuo comportamento » iniziò passandosi una mano tra i capelli « Per quel giorno ai confini di Gondor » specificò senza aver bisogno di aggiungere altro, poiché non era difficile immaginare per cosa fosse stato arrabbiato.
« E come mai non lo sei più? » domandai invece.
« Haldir mi ha fatto vedere l’evento sotto un’altra prospettiva, ricordandomi che non dovrei mai permettere alle mie paure di offuscare il mio giudizio.
 Quando mi domandò perché pensassi tu lo avessi fatto, io mi limitai a rispondere “perché era furiosa”, lui dissentì, dicendo che sicuramente lo eri stata. Ma ciò che aveva mosso le tue mani, non era stata la furia, ma la pietà …
“Vivere con un incubo ricorrente” mi disse Haldir “ Renderebbe la vita di chiunque miserabile, ma sapere che quell’incubo è ancora fuori dalla porta, la rende invivibile”  »  vi fu una lunga pausa che non interruppi, dove Aragorn finì di sellare il suo cavallo, stringendo il sottopancia prima di voltarsi e prendere la mia mano nelle sue.
« Hai concesso loro un po’ di pace, a discapito della tua, mi vergogno, per averti giudicata » disse infine baciando l’interno del mio palmo sussurrandomi: « Dìhena-enni mello-nim [ Perdonami amica mia ] ».
« Ui, gwandor [ Sempre, fratello ] » risposi prima di abbracciarlo con tutta la forza che avevo nelle braccia, sentendomi come a casa.
 


Mirkwood anno 2982 della Terza Era, 40 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Ci volle qualche mese per raggiungere la nostra destinazione, ma i giorni passarono lieti e veloci, permettendo all’amicizia tra Haldir e Aragorn di crescere con semplicità.
« Siamo tra i loro confini » mormorò sottovoce Haldir, e io annuii certa che lui doveva distinguere un sentiero, dove per me vi erano solo alberi oscuri e terrificanti.
« Una volta questa foresta, era meravigliosa » disse l’elfo guardandosi attorno quasi con dolore « ma ora gli alberi piangono, una malattia li affligge. Un male fuggito da Mordor si aggira tra i loro rami » continuò mettendoci in guardia.
« Lasciamo i cavalli » disse con mio enorme disappunto.
« Sapranno ritrovarci » mi assicurò Aragorn  con un mezzo sorriso.
« Il tuo Bucefalo soprattutto, sono certo che sarebbe disposto ad invecchiare ai confini di questo bosco, piuttosto che lasciarti cavalcare qualcun altro » commentò divertito l’uomo, mentre io regalavo una mela al mio cavallo, sussurrandogli rassicurazioni in elfico e spiegandogli che sarei dovuta andare avanti da sola.
« Come mai, chiami tutti i tuoi cavalli allo stesso modo? » domandò l’elfo per stemperare la tensione, quando riprendemmo la nostra marcia, mentre io mi guardavo attorno sospettosa.
« Oh beh oltre al fatto che sia sicuramente più comodo. Bucefalo è il figlio, del figlio, del mio primo cavallo, che Gandalf comprò per me a Brea. Era mal nutrito, e non aveva mai avuto un nome suo. Elrond lo definì “un animale comune” ma quella stessa bestia, conquistò l’affetto di una cavalla selvaggia nelle terre ad Est .
Hanno avuto un solo puledro, identico al padre, grigio con la criniera nera, e come il padre, si fece montare solo da me, come un passaggio del testimone » spiegai ripensando con affetto al mio primo cavallo.
I suoi eredi, erano cresciuti più possenti e forti di lui, soprattutto grazie alle cure elfiche, ma questo non lo avrebbe mai reso meno  speciale.
« E lo strano nome ? » domandò sempre Haldir oramai quasi incuriosito.
« Da dove vengo, era il nome del cavallo di un potente Re » dissi incerta che sapessero il significato della parola imperatore « la leggenda narra, che il cavallo non permise mai al suo padrone di montare nessun altro animale. E in cambio, lo accompagnò in ogni battaglia, portandolo sempre alla vittoria » spiegai ricordando vagamente la vicenda.
Quella parte della mia vita, era così lontana che ogni ricordo era annebbiato, facevo fatica a ricordare dei semplici nomi, e i volti delle persone che dovevo aver amato in quella vita, erano oramai svaniti.
Un fruscio sopra di noi ci mise in allerta, costringendo Haldir ad incoccare la sua prima freccia, mentre Aragorn sfoderava la sua spada, ed io lo imitai con le mie lame.
« Sono sopra di noi » mormorò Haldir in un lieve sussurro, mentre sentivo una goccia di sudore, passarmi fredda lungo tutta la spina dorsale.
Una freccia soffiò ad un centimetro del mio orecchio, conficcandosi precisa tra i piedi di Aragorn.
« Dialint [Fermatevi ] » ordinò una voce dalle fronde « Man cared ardh ned taur Thandruill ?[ Cosa vi porta nel regno di Re Thandruill ? ] »
« E’ stato il Re a richiedere la mia presenza » dissi rinfoderando le lame in segno di pace e spostando i miei occhi tra le fronde, senza però riuscire a cogliere alcunché.
« Sono certa che mi avesse promesso un’accoglienza migliore » aggiunsi sbuffando quando mi rispose soltanto il silenzio, guadagnandomi un’occhiataccia da Haldir che nonostante avesse abbassato l’arco, non lo aveva riposto.
Tre elfi scesero dagli alberi con un agile salto, apparendo dinanzi a noi come se fossero sempre stati lì.
« Per cosa Re Thandruil potrebbe aver richiesto la vostra consulenza? E per quale motivo una donna umana, utilizza i nostri costumi, ma la sua arma porta lo stemma di Imladris ? » inquisì l’elfo al centro, con il cappuccio ancora calato su metà del volto.
« Lei è Valacen,figlia adottiva di Re Elrond. » intercedette Haldir rinfoderando  arco e freccia, ma portandosi mezzo passo dinanzi a me, a protezione, mentre Aragorn lo specchiò portandosi alla mia destra.
« Non credevo che colei che avuto il potere divino di vedere » disse pronunciando il mio nome come fosse una lista di ingredienti  « fosse una comune umana »
« E io non credevo che l’accoglienza di Bosco Atro lasciasse tanto a desiderare, ma non si può ottenere tutto » sbuffai stufa, incrociando le braccia mentre in un battito di palpebre, Haldir mi si parò completamente davanti, facendomi da scudo con il suo corpo, quando due lame identiche mi vennero puntate contro.
« La vostra insolenza è incettabile » dissero assieme gli elfi dal viso scoperto, che mi guardavano come se avessi sputato sulle tombe dei loro padri.
La figura centrale, quella ancora immobile, fece cenno ai guerrieri di abbassare le spade.
« Mi chiedo se i signori di Lòrien, siano consapevoli che uno dei suoi guerrieri sarebbe disposto a morire per proteggere qualcuno che non appartiene neppure al loro popolo »
« Sangue elfico è stato versato per molto meno, sarei onorato di dare la mia vita per la sicurezza di coloro che amo » ribatté Haldir senza perdere un colpo, guardando la figura incappucciata come se la sua, fosse stata una frecciata diretta al suo interlocutore. Ma se così era stato, io non l’avevo compresa.
Il mio elfo preferito, doveva aver detto qualcosa di giusto, perché il suo interlocutore decise infine di togliersi il cappuccio, rivelando la sua identità.
« Porca miseria » mormorai non appena riconobbi l’elfo dinanzi a me, mentre Haldir s abbassava in un inchino per il principe di Mirkwood.
 
Dovevo ammettere, che non era a quel modo che mi ero immaginata il mio primo incontro con Legolas.
Nelle mie giornate migliori, il nostro primo incontro era costellato di ammirazione reciproca ed io che cercavo di non rimanere incantata a fissarlo troppo a lungo. E in quelle peggiori, il principe di Mirkwood mi vedeva come una umana qualunque , degna di ben poche attenzioni.
Ma mai avrei creduto che sarebbe stato quasi odio a prima vista.
« Non sei stata molto educata » mi sussurrò Aragorn mentre io distoglievo finalmente il mio sguardo dall’elfo principe, dopo averlo fissato per tutta la strada verso il cuore di Mirkwood.
« Scusami? Quello ti ha tirato una freccia in mezzo alle gambe » gli ricordai incredula, venendo ricambiata solo da uno sguardo divertito .
« Sai perfettamente, che non è certo stata una svista, nessuno eccelle più del principe di Mirkwood nel tiro con l’arco »
« Bah » mi limitai a commentare, lanciando una nuova occhiataccia verso l’elfo finendo nuovamente per fissarlo, in ammirazione. Era, come tutti gli elfi, esageratamente bello. Ma era differente dagli elfi di Gran Burrone o Haldir, i suoi lineamenti erano più affilati, simili a quelli di un felino e i suoi modi erano freddi e calcolati, non prudenti e delicati come quelli di Elrond. Si vedeva che era abituato a combattere giornalmente e non a stare seduto nella sicurezza delle sue terre, i suoi occhi che sfrecciavano veloci da un angolo all’altro degli alberi, senza mai perdere il filo della sua conversazione con Haldir.
« Siamo arrivati » disse Aragorn interrompendo il mio ciclo di pensieri, portandomi a guardare dinanzi a me. E quello che vidi mi lasciò completamente a bocca aperta, come la prima volta che vidi Gran Burrone:
« Porca miseria» sussurrai.
La magnificenza del palazzo dinanzi a me era quasi ridicola, la costruzione era sviluppata come se l’albero stesso avesse mutato la sua vera natura per farne una residenza degna di un Re, e le fronde più alte, quelle che erano ricoperte da foglie, apparivano quasi d’oro tanto erano luminose e piene di vita. Era evidente che qui, il male di Mordor ancora non li aveva raggiunti, permettendogli di esprimere tutto il loro splendore.
« Spero che ti asterrai da un vocabolario simile dinanzi al Re » commentò Legolas alla mia sinistra, guardandomi come aveva fatto Haldir tanti anni prima.
Come se fossi un insetto sotto il suo stivale.
Feci per aprire bocca per mandarlo a quel paese, ma Aragorn e Haldir posarono contemporaneamente il palmo della loro mano sopra le mie labbra, zittandomi in anticipo. Sorprendendomi non poco, considerando che Haldir era ancora estremamente refrattario al contatto fisico.
« Traditori » li accusai quando mi lasciarono andare, per poi seguirli offesa.
 
La sala del trono, era imponente, ed incredibilmente pomposa rispetto a ciò che ero abituata.
Perché dinanzi a me vi era un enorme trono formato da un albero di ciliegio in fiore, con un magnifico elfo seduto sopra vestito di abiti suntuosi, e una corona di rami in testa.
Il Re di Mirkwood assomigliava molto al figlio, ma là dove Legolas appariva irraggiungibile, Thandruill, appariva terrificante.
« Vorrei parlare in privato con Valacen » disse infine il Re, facendomi inviare uno sguardo di puro terrore verso Aragorn che urlava “Non puoi lasciarmi qui da sola!” che venne bellamente ignorato, mentre l’umano mi salutava con una pacca sulle spalle, seguito dal mio elfo preferito.
“Traditori” pensai nuovamente sconvolta da tanta slealtà nei miei confronti.
« Anche tu figlio mio » aggiunse Thandruill.
Notai lo sguardo di completo stupore negli occhi del principe, e onestamente, servì tutta la mia forza di volontà per non sogghignare dinanzi il suo sguardo di disappunto.
« Ho il sospetto, che tu sia riuscita in qualche modo a suscitare le antipatie di mio figlio » commentò il Re con un sorriso quasi divertito quando fummo completamente soli.
« Beh è un’antipatia reciproca »
« Spero che la vicenda non offuscherà il tuo giudizio. Ho delle domande per te, in merito al suo futuro » disse accavallando le gambe.
Non mi ero mai resa conto fino a quel momento, del fatto che Elrond nonostante fosse un Re non mi aveva mai fatto sentire inferiore volontariamente. Non come ora stava facendo il Re di Mirkwood, guardandomi dall’alto della sua posizione, dove invece Elrond mi avrebbe invitato ad unirmi a lui per un tea.
Aveva sicuramente due idee di grandezze reali, molto differenti.
« Io non rivelo la strada che i figli percorreranno, ad ogni padre mio signore. Altrimenti nessun destino verrebbe mai a compiersi » risposi infine.
« Capisco, ma gradirei sapere per quale motivo vedo un’oscura ombra, avvicinarsi su di lui, un terrore crescente si sta formando nel mio cuore Valacen e ti prego di dirmi, se mio figlio è vicino alla fine dei suoi giorni » mormorò in un sussurro quasi percepibile per le mie orecchie umane.
Lì capii che nonostante tutta quella fanfare, Thandruil era onestamente terrorizzato. Perché che cosa sarebbe restato al Re, se il suo unico legame con la Terra di Mezzo si fosse spento in modo cruento, come aveva fatto sua moglie?
« L’ombra che percepisce mio Re, ingoierà l’intera Arda » dissi facendo qualche passo avanti, ai piedi delle scale « L’unico anello tornerà alla luce, e la caccia del suo signore sarà spietata » dissi rivelandolo per la prima volta, notando lo sguardo di Thandruil trasformarsi, in curiosità e paura.
« Vostro figlio mio signore, rappresenterà la razza degli elfi nella più pericolosa delle imprese, sarà valoroso e porterà un enorme aiuto alla Terra di Mezzo. Accompagnerà il portatore lì dove potrà e combatterà fino alla fine per tutti noi »
« E perirà nell’impresa? » domandò Thandruill senza incrociare il mio sguardo.
« Non nelle mie previsioni mio signore, egli tornerà da lei, per raccontargli delle sue imprese » dissi sperando di non star facendo un errore a rivelare tanto al Re.
Il silenzio riempì la stanza per vari minuti fino a quando il Re non si alzò dal suo trono, raggiungendomi in fondo alle scale. Mi scrutò a lungo, come se cercasse qualcosa nei miei occhi … Sincerità probabilmente, e dovette trovarla, perché mi dedicò un lieve inchino in un ringraziamento silenzioso.
« Le tue parole portano gioia nel mio Valacen » disse Thandruill « In cambio, ho anche io  delle informazioni per te » continuò il Re invitandomi a seguirlo dietro le scalinate che conducevano al trono, dove risedeva uno specchio d’acqua pura, perfettamente trasparente.
« Avvicinati » mormorò Thandruil suggerendomi di inginocchiarmi dinanzi la pozza d’acqua.
Feci come mi disse, nonostante mi sentissi piuttosto ridicola, e quando mi invitò a sporgermi per osservarvi il mio riflesso, non vi trovai niente di strano.
Se non i miei capelli piuttosto indecorosi, legati sgraziatamente alla base della nuca.
« Cosa vedi? » domandò il Re, e io mi voltai a guardarlo interrogativa perché non sapevo se si aspettasse che io vedessi Mufasa o simili, ma c’era solo il mio riflesso.
« Mio signore non c’è niente »
« Guarda meglio, scava nei tuoi occhi » sussurrò indicandomi il mio sguardo nella superficie riflessa, e non appena lo feci, lo specchio d’acqua formò un cerchio perfetto, come se qualcuno vi avesse fatto cadere un sasso, e quando ritornò ferma, il mio viso era più grande, e poi ancora, e di nuovo, fino a quando il mio iride non aveva preso l’intera pozza e lo vidi.
Il cerchio che rappresentava il contorno del mio occhio, era in realtà come una clessidra vista dall’alto:
i miei occhi da marroni, non stavano cambiando colore, ma lo stavano perdendo, lentamente, un chicco di sabbia dopo l’altro, svenendo nel nulla, lasciando solo il nulla dietro di loro.
« Cosa? » mormorai, osservando una parte del pigmento nel mio occhio, vacillare, fino a cadere lasciando un punto vuoto, che appariva bianco.
« Gli occhi sono lo specchio di una persona.
Da essi puoi capire quanto ella abbia realmente vissuto. I tuoi, segnano il tempo in modo particolarmente esplicito » concluse il Re toccando la superficie dell’acqua, e facendola così tornare, ad un semplice pozza.
Mi alzai seguendolo, più confusa che mai.
« La sabbia nei tuoi occhi, indica il tempo a tua disposizione » disse il Re.
« Il mio tempo per cosa? » domandai toccandomi le palpebre, quasi cercassi qualcosa di differente, sotto la pelle.
« Non ho certezze solo ipotesi purtroppo. Credo che sia il tempo che ti è stato concesso dai Valar per completare il tuo destino » disse il Re aggrottando leggermente le sopracciglia.
« Mi scusi mio signore ma, come fa lei a sapere queste cose? Neppure Galadriel aveva avuto nessuna risposta » dissi confusa.
« Ho conosciuto qualcun altro come te » disse in sussurro il Re, voltandosi a guardare fuori dalla finestra.
« Arrivò in Arda, con un anticipo di migliaia di anni, gli fu donata una viti elfica e i suoi occhi, rimasero perfettamente nocciola per molti secoli »
« Cosa è successo? Quale era la sua missione? » domandai allucinata. Vi era stato qualcun altro, oltre me? E chi lo aveva evocato? Come?
« Non ne ho la certezza, ma credo che il suo destino fosse salvare la linea dei Dùrin » disse con una breve pausa « Ma come ben sai, fallì. Scomparve davanti ai miei occhi uccisa dal dolore, con il suo amore tra le braccia oramai 40 anni fa » concluse il Re con il volto contrito, perso in un ricordo che aveva cercato di seppellire inutilmente.
« Mi dispiace » dissi incerta se allungare o meno una mano in conforto all’elfo dinanzi a me, ma optai per non oltrepassare il limite. Thandruill non era Elrond.
«Ricorda sempre, la missione è stata affidata a te Valacen, e se tu non troverai il modo, nessuno potrà.¹ »
Guardai come lui fuori dalla finestra per molti minuti, senza realmente vedere il paesaggio dinanzi a me, con milioni di domande che avrebbero disturbato il mio sonno, per molte notti.
« Ho un dono per te Valacen » disse il Re catturando nuovamente la mia attenzione.
Mi voltai, notando solo in quel momento, che l’elfo non era più al mio fianco, ma si era avvicinato ad uno scrigno, da cui tirò fuori un ciondolo meraviglioso a forma di lacrima sorretto da una catenella d’oro. Fu solo quando si avvicinò per mostrarmelo che riconobbi il materiale della lacrima come Mithril e che quello dinanzi a me non era un ciondolo ornamentale, ma un ampolla piccolissima.
« Lui è Aian-tcuil ² , è stato custodito dal nostro popolo per molto tempo. Una sola goccia, permette di curare la più letale delle ferite » disse passandomi la catenella sopra la testa, lasciandola ricadere, senza sfiorarmi la pelle del collo.
« Sono certo che saprai utilizzarlo con saggezza » concluse il Re, mentre io ammiravo il meraviglioso dono piena di stupore. La catena era abbastanza lunga da arrivarmi a metà torace, così scostai leggermente il colletto della tunica lasciandocela scivolare dentro, sentendola più al sicuro a contatto con la pelle.
« Ti auguro un buon ritorno a casa » disse il Re riportando i miei occhi nei suoi e congedandomi così dalle sue stanze.
 


Casa Baggins anno 2987 della Terza Era, 45  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Mastro Balin è riuscito nell’impresa Valanyar! » mi accolse Bilbo non appena mi aprì la porta, contagiandomi con il suo sorriso, mentre mi prendeva il soprabito.
« I vostri timori erano infondati, per fortuna è andato tutto bene! Che coincidenza il suo messaggero è giunto proprio una settimana fa » continuò mentre mi invitava ad entrare, accompagnandomi nella sala da pranzo. Lo lasciai parlottare felice, fino a quando non incrociò il mio sguardo mentre mi versava il tea, e comprese:
« Non è una coincidenza non è vero mia signora? » mormorò in un tono più pacato.
« No amico mio » dissi invitandolo a sedersi con me.
« Magari potremmo avvertirlo,fortificherebbe sicuramente la miniera, riuscirebbe a respingere ulteriori nemici » propose l’hobbit.
« Non è un nemico esterno dalla quale cercavo di metterlo in guardia » dissi  cercando di non rovinare l’ottimismo di Bilbo « I nani … Scaveranno troppo in profondità. Schiavi dell’avidità di una nuova vena di Mithril, risveglieranno una forza oscura che era rimasta assopita per molto tempo » spiegai certa che la novella non gli fosse nuova.
« Oh …  Beh allora c‘è poco da fare allora » mormorò triste ma consapevole della debolezza dei nani nei confronti dei tesori.
« Che mi dici del giovane Frodo? Come sta? » domandai cambiando argomento.
« Oh sta bene » rispose tamburellando con le dita sul tavolo « Ho saputo che i parenti di sua madre non se la passano benissimo, e io ho così tanto spazio, quindi stavo pensando … sì, beh, ecco …»
« Di adottarlo? »
« E’ un’idea sciocca non è vero? Perché dovrebbe volerlo » sbuffò con un finta risata.
« Penso stia a lui deciderlo,io credo, che ti si stia affezionando molto » risposi cercando di forzare un po’ la mano.
« Tu dici? Oh beh, potrei, sempre tentare … Suppongo » concluse infine l’hobbit prendendo una sorsata dal suo tea, mentre io facevo finta di non notare il lieve sorriso che gli incorniciò le labbra.
 


Casa Baggins anno 2989 della Terza Era, 47  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Gli anni passarono e arrivò il giorno che sicuramente attendevo di più:
 Il giorno in cui Frodo sarebbe entrato nella vita di Bilbo definitivamente.
Trovai Gandalf a metà strada, come quasi ogni volta, e giungemmo a casa Baggins che era metà Dicembre. La neve aveva ricoperto la contea di un soffice mantello bianco,  dal caminetto un invitante profumo di cioccolata calda si faceva strada dalla collinetta.
« Gandalf! Valanyar! » urlò un giovane hobbit dal giardino, impegnato nel fare quello che appariva come il pupazzo di neve di un troll .
« Buongiorno Frodo» lo salutai lieta del suo entusiasmiamo.
« Bilbo diceva che quest’anno sareste sicuramente passati, ma io non ci credevo.  Sai della novità Valanyar? Mi ha adottato! » disse tutto di un fiato mentre io e lo stregone scendevamo da cavallo.
« Mi sembri entusiasta » risposi scarruffandogli i capelli in testa.
Rispetto alla prima volta che lo avevo visto, era cresciuto di almeno altri dieci centimetri, ma restava comunque più basso di me di almeno mezzo metro.
« Questo farà di te il prossimo Baggins a vivere a casa Baggins, un compito gravoso » aggiunse Gandalf dando una lieve pacca sulla spalla al giovane hobbit, che gonfiò leggermente il petto dinanzi al futuro onore.
« Oh beh sarà un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo » commento Bilbo sulla soglia di casa con una mano dentro la tasca del panciotto.
« Valanyar tu sapevi che le caverne della casa non traboccano di oro come sostenevano ? » mi disse Frodo facendo avvampare Bilbo.
« Che sciocchezza è questa ragazzo?>>
« Oh è una diceria che gira per tutta l contea ! »
« Entrate forza ! E tu ragazzo, raccontami tutto » disse Bilbo chiudendoci in fretta la porta alle spalle, ordinando a Frodo di qua e di là mentre anche lui si affrettava a scaldarci una fetta di torta di mele, da accompagnare alla cioccolata, per scaldarci.
 

 
Casa Baggins anno 3000 della Terza Era. 58 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Ho un problema amica mia, un problema non da poco » disse Bilbo mentre sbuffava un cerchio di fumo dalla sua pipa, ed io osservavo le folte chiome dell’albero sopra di noi.
« Mh? » mormorai solo invitandolo ad andare avanti.
Bilbo non era invecchiato, se non di un paio di anni dalla prima vola che lo avevo visto, oggettivamente  l’unico segno del tempo su di lui, era dato dai capelli oramai bianchi.
« Il mio giardiniere si sta facendo vecchio. E Frodo non ha il pollice verde » continuò con una lieve tosse « Cosa ne sarà dei miei alberi da frutto quando morirò? Ho 110 anni! Non sono certo pochi» continuò assaporando la sua pipa, mentre io prendevo tempo, degustando nuovamente il mio tea.
« Che ne pensi del giovane Samwise ? » chiesi osservando il giovane aiutare il padre con i fiori sotto la finestra di Bilbo « Lui ha sicuramente il pollice verde, e credevo ti fossi affezionato al ragazzo » dissi ricordandomi delle loro lezioni di lettura.
« Sam? » ripeté Bilbo assaporandone quasi il nome « E’ un’ottima idea, così potrebbe prendersene cura anche quando casa Baggins apparterrà solo a Frodo » disse con un tono di voce più basso incrociando poi il mio sguardo con un sorriso malizioso che ricambiai.
« Mastro Gamgee ! Senta un po’ ho una proposta per il più giovane dei suoi figli ! » disse Bilbo alzandosi e dirigendosi verso il giardiniere.
“E anche questa è fatta” pensai soddisfatta, finendo il mio tea e chiudendo gli occhi sotto i raggi del sole.
 


Casa Baggins anno 3001 della Terza Era, 59  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Il compleanno di Bilbo fu una festa sensazionale, vi erano hobbit da tutti gli angoli della contea, e nonostante le pessime occhiate da tutte le parti, io e Gandalf ci godemmo appieno la serata.
Soprattutto quando iniziarono tutti ad alzare troppo il gomito, così che si dimenticarono in fretta della nostra altezza e ci coinvolsero nelle più disparate danze.
« Perdonatemi mia signora posso farvi una domanda? » mi domandò quando la luna era oramai già alta, e il giovane Sam aveva già almeno sei boccali di birra in corpo.
« Ma certo mio caro Sam » dissi sorridendogli dolcemente.  Era l’unica persona, esclusi ovviamente gli elfi, ad aver capito fin da subito  che ero una ragazza.
« Come mai, avete degli occhi tanto curiosi? » domandò il giardiniere dopo un altro sorso, guardandomi a fatica negli occhi « Se non è osare troppo » aggiunse umile.
« Siamo amici mio buon Sam, non dovrai mai temere di parlarmi » dissi allungando una mano sul suo braccio, stringendoglielo delicatamente.
« Tu conosci l’elfico vero? »  dissi mentre l’hobbit annuiva.
« Quindi puoi immaginare dal significato del mio nome, che io non sia proprio una persona comune » continuai cercando di semplificare la cosa il più possibile « Devi sapere che sono molto vecchia, eppure sono comunque umana, ma i Valar mi hanno dato una missione, e in cambio mi hanno dato del tempo » tentai avvicinandomi all’hobbit da sopra il tavolo, quasi fosse un segreto che andava sussurrato .
« Se guardi attentamente, puoi persino riuscire a vedere il tempo scorrere all’interno delle mie iridi » mormorai osservando divertita il giovane che deglutiva nervosamente.
Il nostro momento fu presto interrotto da un drago di fuoco fatto partire da Merry e  Pipino.
 
Quando Bilbo scomparve dal palco, mi voltai verso il punto in cui sapevo sarebbe stato Gandalf, curiosa di ghermirne la reazione, ma era anche lui già svanito.
Così mi avventurai verso casa Baggins, venendo però rincorsa da Frodo:
« Valanyar vieni con noi alla locanda? » mi domandò il giovane hobbit, seguito dal fedele Sam.
« Vorrei caro, ma prima devo accertarmi che il nostro caro Bilbo sia arrivato a casa »
« Vengo con te allora » rispose immediatamente risoluto.
« Oh no non preoccuparti, dopotutto, è la tua serata. Sei un uomo oramai » dissi posandogli una mano sulla spalla, guardandolo fiera.
« Vai e goditi qualche altra pinta in mio nome assieme a Sam » conclusi invitandolo a sbrigarsi, mentre li salutavo con la mano.
Inspirai pesantemente, osservandolo andare via spensierato, sapendo, che sarebbe stata la sua ultima occasione di libertà.
“ Mi dispiace così tanto Frodo” pensai guardandolo scomparire.
Sospirai, incamminandomi verso la collina di casa Baggins attraversando le ombre degli alberi, giusto in tempo per vedere Bilbo allontanarsi da casa, cantando una canzone nanica sulle avventure della montagna solitaria.
La porta di casa era accostata, così entrai senza preoccupazione alcuna, salutando Gandalf con un sorriso mesto, prima di abbassare lo sguardo in terra.
 
«Io vedo la tua paura più profonda figlia di un altro mondo. »  Sussurrò una voce, quasi alla base della mia coscienza.
La voce aveva un che di soave, ma allo stesso tempo mi faceva male ogni qual volta che parlava. Ma non riuscii a trattenermi, avvicinandomi a quell’anello in terra, che appariva così innocuo, nonostante sapessi  che era l’arma più oscura e potente della Terra di Mezzo.
« Hai paura di non essere all’altezza, hai paura di deludere tutti coloro che ripongono così tanta fiducia in te non è vero? Ma tutto questo possiamo impedirlo, assieme. Puoi rendere tutti loro fieri, puoi salvarli dall’oscurità, basterà che tu allunghi la mano, basterà che tu mi raccolga e mi metta al dito … E tutto si risolverà … » mormorò soave la voce mentre nella mia mente, fioriva una visione dove tutti i miei cari erano felci:
Frodo, Sam, Bilbo, erano tutti riuniti nel palazzo di Gran Burrone, festeggiavamo con anche Aragorn ed Arwen ,mentre sedevo accanto ad Haldir ed Elrond che mi diceva quanto fosse fiero di me … Che li avevo salvati tutti ...
Fissai l’anello nello stesso modo in cui avevo osservato il fuoco ardere e bruciare i miei diari ogni anno. Il cuore mi batteva forte in petto, nemmeno stessi correndo da ore, il fiato era corto, e una goccia di sudore mi rigò la fronte.
Fin quando non capii, che il mio stesso corpo stava combattendo contro se stesso per non allungare quella mano,e un empia voce chiamava il mio nome come in una supplica … così feci quello che non credevo nemmeno possibile: distolsi lo sguardo incrociando quello di Gandalf.
Mantenni i suoi occhi nei miei, consapevole che doveva essere stato lui a chiamarmi, e non li distolsi, fino a quando la visione non si fece sempre più distante ed io mi allontanai di qualche passo, sentendomi come se potessi respirare aria fresca per la prima volta dopo decenni.
« Cosa hai sentito ? » domandò lo stregone posandomi entrambe le mani sulle spalle.
« Una voce oscura Gandalf mi ha parlato, ciò che non doveva essere dimenticato, è tornato » sussurrai guardando lo stregone e scorgendoci qualcosa, che non credevo avrei mai visto. Paura.
« Non è possibile » mormorò guardandomi, e poi osservando l’anello in terra.
« Dobbiamo averne la certezza » continuò mentre io annuivo, sapendo che in ogni caso eravamo costretti ad attendere il ritorno di Frodo, poiché nessuno di noi due al momento, aveva il coraggio neanche di avvicinarsi al piccolo oggetto d’oro, tutto furchè dimenticato dinanzi l’ingresso di casa Baggins.
 
Quando Frodo tornò dalla locanda era quasi l’alba e trovò me e lo stregone a sussurrare sottovoce dinanzi al fuoco, vagliando le nostre prossime mosse.
« Se ne è andato non è vero? Ha sempre detto che lo avrebbe fatto » mormorò il giovane Hobbit avvicinandosi a noi, mentre gli prendevo la mano, stringendola in un piccolo abbraccio e sperando potesse trovarci un po’ di conforto, anche se al momento non ne avevo neppure per me.
« Bilbo ti ha lasciato come suo unico erede » mormorai incontrando i suoi occhi, che si aprirono leggermente per lo stupore.
« Casa Baggins e tutto il suo contenuto. Fammi un favore ragazzo, raccoglilo » disse Gandalf porgendo al mezzuomo una busta da lettere vuota e chiudendola immediatamente con uno stemma in cera non appena l’anello vi scivolò all’interno.
« Nascondilo dove nessuno possa trovarlo » gli dissi mentre Frodo guardava confuso prima noi e poi la busta.
« Non aprirla mai » aggiunse Gandalf mentre il giovane hobbit annuiva.
Ci concedemmo qualche altro minuto per consolare Frodo sulla partenza di Bilbo, per poi andarcene  anche noi nella notte.
 Percependo  un alito caldo sul collo, come se qualcuno ci stesse già inseguendo.
 


Gondor anno 3003 della Terza Era, 61  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Con lo stregone Grigio, partii alla volta di Gondor, alla ricerca delle perdute pergamene di Isildur.
Sapevo cosa avremmo trovato, conoscevo la risposta alle domande di Gandalf ma qualcosa mi diceva che andare a Gondor con lui era la scelta giusta.
Giungemmo nel regno di Gondor con due anni di ritardo, poiché Radagast il Bruno, ci aveva avvertito di una strana ombra a Nord.
Seguendo le sue tracce, scoprimmo che gli uomini delle montagne erano in movimento,  in trattativa con dei Pirati viaggiavano in grande numero,  sotto gli ordini una mano bianca.
Quegli uomini si stavano preparando alla guerra, e io sapevo chi ne fosse il burattinaio ma come dirlo a Gandalf?
Ed era giusto avvertirlo?
Mi avrebbe creduto, se gli avessi detto che il suo più vecchio amico, aveva girato le spalle a tutto ciò in cui credevano, cedendo alla paura delle ombre di Mordor? Decisi di tenere per me il mio sapere, almeno per il momento.
Quando giungemmo finalmente dinanzi alle porte di Minas Tirith il mio cuore ritrovò un po’ di pace, sentendomi al sicuro circondata da quelle alte mura.
« Quali sono i tuoi affari qui Mithrandir? » ci domandò uno dei soldati dinanzi all’enorme porta che dava nella città.
« Devo consultare delle pergamene, le nuvole su Mordor sono sempre più nere e forse, all’interno della fortezza vi è un antico scritto che potrebbe tornarmi utile » rispose criptico lo stregone, mentre osservavo la guardia lanciare uno sguardo spaventato oltre le nostre spalle.
« E chi è il ragazzo che viaggia con te stregone? » aggiunse dopo un attimo, quasi si fosse destato da un brutto pensiero.
« Il mio accompagnatore di chiama Gwend. [Fanciulla] . E’ il mio apprendista » rispose il Grigio facendomi l’occhiolino. Era evidente che aveva parlato con Aragorn.
Non era certo la prima volta che venivo scambiata per un ragazzo, ed oramai vi avevo fatto l’abitudine.
Entrammo nella città sotto lo sguardo sospettoso della gente fino alla cittadella, ma non arrivammo fino all’albero dei Re, essendo l’archivio più in basso.
 
Passammo ore a leggere pergamene ammuffite e scritti sbiaditi, fin a quando io mi imposi una pausa, e salii nuovamente in superficie, andando incontro al mio cavallo, che mi aspettava fedele dinanzi il portone.
« Bravo il mio ragazzo » mormorai tirando fuori una mela dalla sacca che portava sulle spalle e dandogliela.
« Mi chiedevo di chi fosse » disse una voce alle mie spalle « La gente si lamentava, che c’era un cavallo elfico dinanzi alla porta della vecchia biblioteca»
« Bucefalo è ben addestrato, sono certo non abbia recato sconforto a nessuno » ribattei difendendo il mio destriero e mettendomi tra lui e il giovane sconosciuto.
« Perdonatemi non intendevo offendervi … ? » disse lasciando la frase in sospeso, in un chiaro tentativo di chiedermi il nome.
« Gwend » risposi con familiarità « Sono qui con Gandalf il Grigio » aggiunsi sperando che lo sconosciuto se ne andasse.
« Oh siete l’apprendista di Mithrandir? » domandò scatenando immediatamente la mia curiosità a causa della nota di rispetto nella voce del ragazzo.
« Perdonatemi non mi sono ancora presentato, io sono Faramir figlio di Denethor, Sovrintendente di Gondor » aggiunse con una punta di amarezza pronunciando il nome di suo padre, mentre mi faceva un breve inchino.
Dunque quel ragazzo era il fratello di Boromir, a giudicare dall’aspetto doveva avere circa vent’anni, eppure potevo già vedere la bontà nei suoi occhi e la gentilezza che lo avrebbero poi contraddistinto in futuro, nel suo sorriso.
« E’ un onore Faramir, figlio del sovrintendente » risposi ricambiando finalmente il suo sorriso,  alla quale lui parve quasi rimanerne abbagliato.
« Perdoni la mia audacia » disse passandosi una mano tra i capelli « Per caso siete un mezzelfo? » domandò prendendomi completamente alla sprovvista.
« Cosa? Come? No io sono completamente umano » risposi non comprendendo minimamente, certamente non avevo il portamento di un elfo, né l’eleganza. Senza contare che ero bassa per un uomo, figurarsi per un elfo, che erano tutti alti sui due metri abbondanti.
« E’ solo che, credo di non aver mai visto un uomo con un viso tanto bello, vi ho scambiato per una ragazza per un momento » confessò evidentemente imbarazzato, mentre percepivo io stessa il calore giungermi fino le guancie.
« Eh? Ah, grazie credo » risposi impacciata, chiedendomi cosa diamine stesse succedendo.
« Sapete vi è una leggenda che viaggia tra le terre degli uomini da prima che io nascessi » ripartì Faramir, distogliendomi dai miei pensieri.
« Parla di un ramingo giunto nelle terre di Rohan molti anni fa, che poi scomparve, solo per riapparire nei momenti di più grande bisogno. Pare che fosse un giovane uomo, dall’aspetto bello quanto quello di un elfo, ma pur sempre umano. Si dice che ogni tanto appaia, nei momenti di più grande difficoltà degli uomini, per ricordarci che un tempo eravamo una razza onorevole anche noi, senza niente da invidiare agli altri abitanti della Terra di Mezzo … E che un giorno, saremmo potuti tornare ad esserlo » mormorò quasi in un sussurro, come se stesse raccontando un sogno che troppe volte, gli era stato ridicolizzato.
« Cosa diamine sta succedendo qua? » domandò una voce alla mia sinistra dando voce hai miei pensieri.
Gandalf ci guardava incuriosito dalla porta spostando gli occhi, prima su di me, e poi sul giovane Faramir con sguardo sempre più divertito, quasi avesse compreso appieno al situazione.
« Faramir, mi stava raccontando di una leggenda locale » risposi con un leggero capogiro.
 Come ero finita in quella situazione esattamente?
E cosa avrebbero detto tutti quegli uomini, se avessero scoperto che io non ero un giovane uomo, ma semplicemente una donna?
Sicuramente a molti di loro, avrebbe fatto bene all’ego.
 

 
Casa Baggins anno 3006 della Terza Era, 64 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Frodo perché c’è un guerriero alla porta? » domandò un giovane Hobbit che riconobbi come Peregrino Tuc.
Era cresciuto dall’ultima volta che lo avevo visto, ma non abbastanza, era sempre un adolescente.
« Non sono un pericolo Mastro Tuc » lo salutai abbassandomi il cappuccio e sorridendo all’hobbit che apparve alle spalle del ragazzo.
« Valanyar! » salutò Frodo correndomi tra le mie braccia tese, stringendo il mezzuomo a me.
« Gandalf mi ha detto che probabilmente saresti arrivata dopo di lui, ha detto che avevi un piano » disse il moro a tono più basso, mentre mi invitava ad entrare, e prendeva con sé il mio mantello da viaggio.
« Come sta Padron Bilbo? » domandò Sam, che sbucò in quel momento dalla cucina, con una teiera calda in mano. Iniziavo a credere che gli hobbit fosse un po’ dei veggenti.
O io ero particolarmente puntuale e ogni volta giungevo alle quatto del pomeriggio per l’ora del tea³.
« Bene, è a Gran Burrone ospite degli elfi, temo che il suo viaggio si sia concluso ad Imladris » dissi guardandolo negli occhi, certo che avrebbe capito. Non avevo idea se i cugini Tuc erano già stati informati dell’anello del potere, quindi evitai di nominarlo.
« La sua volontà è forte, ma il suo corpo ha comunque una certa età. E’ una fortuna per me però, adesso le mie colazioni sono molto più interessanti » confidai agli hobbit strizzandogli un occhio e facendoli sorridere.
« Sono felice che stia bene » disse sincero Frodo « Allora, quale era la tua idea? »
« Oh, ho messo in giro una diceria mio caro, pare che tu sia finito sul lastrico e che a breve ti trasferirai, lasciandoti il nome Baggins alle spalle » dissi suscitando un aria sconvolta in Sam, mentre Frodo annuiva con fervore, pronto a tutto pur di essere d’aiuto.
“Gli hobbit, sono davvero creature straordinarie.” Pensai prendendo la mano del giovane Baggins nella mia, prima di iniziare ad elaborare assieme a lui, un piano più accurato.
 


Gran Burrone anno 3008 della Terza Era, 66  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Mi svegliai in preda al panico, con il sudore freddo e la pelle d’oca, l’urlo ancora in gola come se avesse realmente lasciato le mie labbra.
In quel momento Aragorn entrò nella  stanza, spalancando la porta senza cerimonie e lo sguardo che perlustrò veloce la stanza in cerca del pericolo, prima di cadere sulla mia figura ancora tremante nel letto.
Si avvicinò cauto, come se temesse di spaventarmi, sedendosi nel materasso e offrendomi le sue braccia a  conforto.
Mi ci lancia come se fossero l’ultimo appiglio a questo mondo che avesse ancora un senso.
« Vuoi raccontarmi cosa hai sognato? » mormorò con le sue labbra nei miei capelli, mentre mi accarezzava la schiena come fossi un cavallo selvatico che si sarebbe potuto rivoltare da un momento all’altro.
« Un bosco, gli urukai … un corno spezzato » mormorai con le lacrime che tornavano a riempirmi gli occhi « un uomo che chiamerai compagno.  Che muore, consapevole di aver deluso  tutti: il suo popolo, suo padre, suo fratello … il suo Re » mormorai allontanandomi un attimo per guardarlo negli occhi.
« Questo … E’ il futuro Valanyar non è vero? Non dovresti parlarmene lo sai » rispose lui spiazzato asciugandomi le guance dalle lacrime.
« No, questo non sarà il futuro, non se potrò impedirlo » dissi certa della mia decisione « Domani partirò per Gondor »
« Allora verrò con te »
« No Estel, tu percorrerai un'altra strada. Tua madre sta per lasciare queste terre, devi andare da lei » gli ricordai in un sussurro desiderando di poter andare con lui a salutare per l’ultima volta l’anziana donna, ma oramai avevo preso una decisione:
Era giunto il momento, di scoprire se potevo veramente fare la differenza.  Se vi era un modo, di salvare Boromir, Capitano di Gondor.
« Aragorn » lo richiamai quando fece per alzarsi e lasciarmi di nuovo con i miei pensieri « Verrà da te il Grigio Stregone, quando porterete a termine la missione e condurrai il prigioniero a Mirkwood, assicurati che gli venga negata l’ora d’aria, o fuggirà » dissi tentando un cambiamento ulteriore nel destino di Frodo. Sicuramente, avrebbe preferito di gran lunga una mappa, a Gollum come guida.
Il ramingò annuì, senza neppure chiedermi ulteriori spiegazioni prima di chiudere la porta alle proprie spalle.
 


Rohan anno 3008 della Terza Era, 66 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Ero giunta nelle terre di Re Théoden da solo qualche giorno, con Bucefalo andavamo a passo lento ammirando il paesaggio attorno a noi.
Era primavera e i campi erano in fiore. Rohan appariva meravigliosa nella sua natura incontaminata, disturbata solo da qualche strada secondaria, che guidava mercanti e viaggiatori.
Poi man mano, che avanzavamo, notai che il cavallo teneva le orecchie all’indietro irritato, in ascolto di qualcosa che io non ero in grado di udire.
Quando finalmente fummo abbastanza vicini compresi la sua inquietudine e ci precipitammo al galoppo.
Un gruppo di uomini a cavallo stavano cercando di difendersi al meglio che potevano, attaccati da una decina di mannari.
I loro cavalli nitrivano spaventati, e nel frastuono udii le urla di una bambina terrorizzata, e la vidi poco distante dal gruppo di soldati, su un cavallo che un giovane cercava disperatamente di mantenere in riga senza buoni risultati.
Erano attaccati da due lati differenti: un mannaro sulla destra e due orchi sulla  sinistra.
Mi diressi per prima verso di loro e certa che Bucefalo non avrebbe rallentato la sua corsa, lo feci caricare sui due orchi che ci davano le spalle, mentre io incoccavo due frecce nel mio arco, mirando all’occhio della bestia e uccidendola in un solo colpo.
Gli zoccoli del cavallo, travolsero un orco, mentre un altro incontrò la lama del ragazzo che alzò lo sguardo guardandomi con gli occhi pieni di terrore. Anche lui non poteva avere che solo pochi anni in più della bambina.
« Portala in salvo ad Edoras » gli ordinai certa di ricordare vicina la capitale, mentre incitavo Bucefalo a ripartire, raggiungendo gli altri soldati di Rohan nella mischia mentre caricavo nuovamente il mio arco che fioccò altre tre frecce senza mai mancare i bersagli.
Ma troppi dei cavalieri avevano perso i loro cavalli a causa degli artigli dei lupi per poterli portare in una ritirata, così balzai giù da Bucefalo, accanto ad un uomo ferito e aiutandolo a salire a cavallo.
« Non ti fallirà, prendi il tuo compagno e andatevene! » gli urlai da sopra il rumore degli scontri, indicandogli un soldato poco più in là, che sanguinava in modo copioso da una gamba. « Andate! » dissi sguainando le mie lame e attirando così su di me l’attenzione del mannaro più vicino.
Attesi che il lupo balzasse, per scartarlo di lato e infilzando l’orco sulla sua groppa senza pietà, prima di rotolare su un fianco attaccando la bestia da sotto, colpendola nella pancia dove la sua pelle era meno spessa.
« Alla tua destra ! » urlai ad un soldato appena in tempo, per pararsi dalla sciabolata di un orco mentre io lo raggiungevo coprendolo a sinistra dal fendente di un orco.
Uccisi un altro mannaro da sola, prima che i cavalieri restanti riuscissero a caricare a dovere tre delle bestie con le loro lance, costringendo i lupi restanti alla fuga.
Gli orchi rimasti a piedi perirono sotto le nostre lame, abbandonati dai propri compagni.
« Non credevo che un solo uomo avrebbe potuto fare una simile differenza » commentò sfinito di fianco a me un giovane uomo che mi guardava con stupore, mentre trafiggeva con la lancia, un orco ferito a terra, mandandolo all’altro mondo.
« Non ho mai visto nessuno muoversi come te ragazzo » mi salutò quello che doveva essere il comandante della piccola guarnigione « Ma ti sono estremamente grato per il tuo aiuto, sembra assurdo, ma ero certo che fossimo spacciati prima del tuo arrivo »
Scrollai le spalle, pulendo le mie lame sulla casacca del cadavere più vicino, prima di esaminarlo più attentamente, osservando quella che doveva essere la rimanenza di una mano bianca.
« Ce ne sono molti ultimamente con quel marchio » commentò di nuovo il soldato sottovoce, quasi vi fossero orecchie nemiche in ascolto.
« Ed aumenteranno » commentai prima di aiutarli a controllare che tutti  gli orchi fossero morti, ammassando le loro carcasse in una pira, mentre un paio si occuparono di rattoppare al meglio i feriti e i restanti, di spostare più in là le cinque vittime.
« Torneremo a prenderli con altri cavalli » commentò il soldato « E’ solo un’ora di marcia da qui ad Edoras »
« Il mio cavallo farà ritorno a breve, riposate per qualche minuto e potremo portare i vostri morti con noi » dissi sedendomi su un masso poco lontano.
« Non esiste cavallo che tornerebbe da queste parti dopo aver avuto a che fare con i mannari » sbuffò il più giovane del gruppo, mentre dava fuoco ai cadaveri degli orchi.
Quasi a volergli dare torto a tutti i costi, si udì un nitrito alle nostre spalle, e un cavallo grigio, con la criniera nera apparve in cima alla collina trotterellarmi incontro.
« Grazie amico mio, ho un altro gravoso compito per te » dissi salutando il cavallo e lasciando che mi annusasse in cerca di una ferita. Quando la bestia fu soddisfatta, sbuffò, andandosi ad accovacciare accanto ai cadavere dei soldati.
« Bestia intelligente » commentò il comandante sorpreso osservando poi le rifiniture sulla sella di Bucefalo « E’ un cavallo elfico » mormorò poi con stupore, voltandosi nuovamente verso di me come se fossi nuovamente apparsa dal nulla per salvarli.
Impiegammo solo un’ora a raggiungere Edoras, poiché a metà strada incontrammo un altro gruppo di cavalieri, che era stato inviato ad aiutarci. Bucefalo fu tolto dall’impegno dei cadaveri, poiché i cavalieri di Rohan avevano portato con loro ulteriori due cavalcature, proprio con quello scopo.
Ogni cavaliere montò dietro qualcuno, tranne me, che mi riappropriai del mio cavallo, e accettai di buon grado di seguirli verso Edoras, desiderosa di un bagno e un pasto caldo.
 
« Posso conoscere il vostro nome signore? » domandò una voce giovanile, facendomi alzare la testa dal mio piatto di fagioli caldo, che mi era stato gentilmente allungato alla mensa dei soldati, in segno di ringraziamento per il mio aiuto di qualche ora prima.
« Vedo che stai bene » commentai notando che era lo stesso giovane che avevo salvato « Come sta la bambina? » dissi lanciando una veloce occhiata attorno, certa che però non si sarebbe certo trovata lì.
« Mia sorella è sana e salva, grazie a te »
«Il mio nome è Gwend » risposi prendendo un'altra cucchiaiata di cibo.
« So che non dovrei permettermi, ma vi è un comandante, che parla spesso di un Gwend che gli salvò la vita quando era solo un bambino Ma non potete essere lui vero? Questo comandante è un uomo adulto, e voi dimostrate pochi anni in più di me »
« Credo dunque, tu abbia la tua risposta » dissi alzandomi dalla mia posizione. « Ti consiglio di insegnare a tua sorella ad usare una spada se progettate di uscire spesso dalle mura di Edoras »
« Il mio nome è Éomer mio signore, e ripagherò il mio debito con voi in questa vita o nell’altra » mi disse guardandomi fissa negli occhi, con il fuoco di un vero soldato dietro di essi mentre mi tendeva il braccio.
« Verrò a riscattarlo dunque, Éomer, nipote di Re Théoden » risposi stringendogli la mano in una stretta e sigillando la promessa.
Uscii dalla mensa, lasciandomi gli uomini alle spalle, per ritrovarmi una giovane fanciulla davanti:
Ora sapevo che quella bambina dinanzi a me non era altro che Éowyn, nipote del Re di Rohan, ma negli anni sarebbe diventata un’eroina.
« Salve mio signore » disse facendo un breve inchino, sollevandosi la gonna delicatamente e abbassando lo sguardo « Volevo ringraziarla, per aver salvato la mia vita, e quella di mio fratello » disse incespicando un po’ con le parole, ma lasciando trapelare tutta la sua determinazione.
« E’ un dovere di tutti quelli che vivono in questi tempi bui mia signora, aiutare chi è in difficoltà » risposi inginocchiandomi davanti a lei, così da poterla guardare negli occhi.
« Quando un giorno arriverà il tuo turno, sono certo che farai la mia stessa scelta » dissi portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un sorriso affettuoso.
« Ma io sono solo una fanciulla, non mi è permesso usare la spada. Quelle sono cose da uomini » mi rispose corrucciando leggermente le sopracciglia, come se stesse recitando una frase udita molte volte.
« Non devi rinunciare ai tuoi doveri di dama, puoi fare entrambe le cose. Sono certa che tuo fratello e tuo zio, preferirebbero saperti in grado di difenderti » le dissi mentre lei sembrò pensarci un attimo, osservando l’impugnatura delle mie spade come in ammirazione.
« E potrei anche io proteggere loro? » bisbigliò guardando oltre le mie spalle, come persa in un brutto ricordo.
« Sì Éowyn, avresti la forza di proteggere coloro che ami » le confermai dandole un buffetto sulla guancia prima di alzarmi « Sono stato convocato da tuo zio, mi accompagni? » domandai porgendole la mano.
La bambina la prese, annuendo con fervore e guidandomi verso il palazzo del Re di Rohan.
 
« Ho saputo che hai salvato i miei nipoti,e i miei soldati, te ne sono grato » disse una voce che rimbombò per tutta la sala non appena entrammo nel palazzo, facendo voltare di scatto Éowyn che corse tra le braccia dell’uomo.
« Passavo da quelle parti mio signore non avrei potuto far finta di non vedere » risposi inginocchiandomi in fretta su un ginocchio, certa che Arwen sarebbe stata lieta di vedermi sfruttare le sue lezioni di etichetta, mentre mi inchinavo per il Re di Rohan.
« Di questi tempi, in molti si limitano a guardare dall’altra parte , non è cosa da niente la tua. Dimmi il tuo nome ragazzo e verrai ampiamente ricompensato »
« Il mio nome è Gwend mio signore, e non voglio alcuna ricompensa, se non quella di passare inosservato per le vostre terre » dissi alzando gli occhi verso il Re, certa che mi avrebbe riconosciuta, dai miei anni passati con Aragorn a giro per le terre, che allora erano di suo padre.
« Gwend, il fratello del ramingo » sussurrò con stupore, percorrendo il mio viso con lo sguardo « Ero solo un ragazzo quando vidi tu e tuo fratello per la prima volta. Ora sono un vecchio e tu, sei sempre un ragazzo »
« Il tempo, passa in maniera diversa per me mio signore »
« Lo fa attraverso i tuoi occhi … » mormorò infatti, notando la differenza rispetto a qualche decennio prima.
« Sono diretto a Gondor Sire, se mi concedesse di passare attraverso la breccia di Rohan, mi risparmierei giorni di viaggio »
« Ma certo, preparerò anche una lettera di raccomandazione scritta di mio pugno, così non dovrai fermarti a dare spiegazioni a nessuno » aggiunse invitandomi ad alzarmi.
« Vi ringrazio Sire »
« Posso chiedere in cambio, qualche minuto del tuo tempo per aggiornarmi sui tuoi viaggi? »
I minuti divennero ore, e la compagnia del Re fu così piacevole, che non partii da Edoras prima di qualche giorno.
 


Gondor anno 3009 della Terza Era, 67  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Accidenti ragazzo, Re Théoden in persona garantisce per il tuo passaggio » commentò la guardia alle porte di Minas Tirith, leggendo la missiva che mi era stata donata a Rohan « Cosa ti porta nella città dei Re? »
« Cerco il figlio del sovrintendente » dissi osservando la città bianca, era ancora meravigliosa.
« Il Capitano Boromir è all’accampamento vicino Osgiliath, sta progettando una riconquista del fiume » annunciò la guardia con un sorriso pieno di ammirazione.
« Mi riferivo a Faramir » dissi con un mezzo sorriso.
« Oh, Faramir non c’è, sire Denethor lo ha mandato in un’altra spedizione. Giuro che se non fosse il suo stesso figlio, scommetterei che vuole farlo uccidere » disse la guardia poi sbiancando leggermente, come se si fosse reso solo in quel momento di aver detto troppo.
« Il Capitano Boromir sta progettando una attacco mi avete detto? » domandai fingendo di non aver udito le ultime parole.
« Sì, ha richiamato a se gli uomini proprio ieri, sono certo che raggiungerlo sia una questione di mezza giornata»
« Perfetto allora, ti ringrazio » dissi infine allontana domi dalla guardia dopo essermi ripresa la mia missiva.
 
Al galoppo non impiegai più di cinque ore a raggiungere l’accampamento, fermandomi solo per concedere al cavallo delle brevi soste. La tenda del Capitano non fu difficile da identificare, e una volta ben calato il cappuccio sui miei occhi, lasciai Bucefalo all’abbeveratoio andando incontro ai soldati di guardia.
Domandai di Boromir e loro mi fecero un cenno stanco on la mano, senza neppure chiedermi delucidazioni, lasciandomi passare certi che uno della mia stazza, avrebbe rappresentato un pericolo piuttosto fallace per il loro valoroso signore.
« Tu sei l’apprendista dello stregone » disse il capitano di Gondor, alzando lo sguardo dalle sue carte, che rappresentavano la città di Osgiliath con le possibili tattiche di attacco da parte delle truppe di Gondor contro gli orchi.
« Mi conosci?  » domandai inclinando incuriosita la testa, solo gli uomini di Gondor mi conoscevano come un apprendista e non come un ramingo,  semplicemente perché viaggiavo con uno stregone. Senza contare, che gli uomini di Rohan, non avevano mai fatto troppe domande sui miei occhi, oramai sempre più bianchi, mentre quelli a Minas Tirith adoravano farmelo notare, quasi io non lo sapessi, o fosse per loro una malattia trasmissibile.
« Mio fratello Faramir ha preso con gioia la notizia di un apprendista di Mithrandir, lui è il pupillo dello stregone o qualcosa di simile » disse Boromir dando evidentemente poca importanza all’ammirazione che legava suo fratello a Gandalf « Non ha smesso di parlarne per mesi. Nemmeno fosse tornato il Re o qualche baggianata simile. » sbuffò piegando le labbra all’insù come se stesse raccontando una storiella per bambini.
« Non credi nel ritorno del Re mio signore? » domandai inclinando la testa di lato, con un sorriso di scherno, incrociando le braccia al petto.
« Non credo nei fantasmi. Gondor non ha bisogno di un Re che fugge o che non crede nella sua gente. Mio padre dovrebbe essere il Re »
« Vostro padre è il sovrintendente, non ha le qualità per essere il Re di Gondor »
« E chi sei tu per sapere cosa serve per essere il Re di Gondor? Mio padre c’era ieri quando gli orchi ci hanno invaso, c’è oggi quando riconquisteremo Osgiliath e ci sarà domani per difendere il suo popolo » ringhiò Boromir con rabbia, venendomi a pochi passi dal viso, sfruttando la sua altezza per troneggiare su di me, guardandomi dall’alto come se potesse inchiodarmi con il solo sguardo.
« Non lo vogliamo un Re » sputò con disprezzo l’ultima parola, come se fosse un boccone andato a male, che gli aveva invaso con il cattivo sapore tutta la bocca « E non ho certo bisogno, delle tue stregonerie » concluse dandomi un’ultima occhiata di superiorità, prima di cacciarmi dalla sua tenda, facendomi scortare dalle sue guardie.
“ Beh ho evidentemente toccato un tasto dolente” pensai “ Forse avrei dovuto tirare fuori la missiva di Re Théoden prima di aprire bocca”.
In ogni caso, di andarsene non se ne parlava sicuramente, quindi dovevo trovare un modo per parlare nuovamente con Boromir.
Girai intorno alla tenda del capitano con il cappuccio ancora ben calato sul viso, così che fossi visibile solo dal naso in giù.
Solitamente  miei abiti elfici avrebbero attirato molto di più l’attenzione ma oramai, erosi dal lungo viaggio, apparivano solo abiti da viaggiatore, sicuramente di fattura migliore, ma non così regali da far girare le teste quando passavi.
 
Attesi qualche ora, fino a quando non avvenne il cambio guardia, prima di presentarmi ai nuovi soldati, fingendo di essere arrivata in quel preciso istante, presentandomi come un messaggero di Re Théoden.
La guardia a sinistra si limitò a scostare la tenda, annunciandomi, senza neanche leggere la pergamena che gli porsi, riconoscendo lo stemma di Edoras.
« Un messaggio da parte di Re Théoden? E come mai desidera parlare con me e non con mio padre? » domandò la voce di Boromir dall’interno, che suonava solo incuriosita, non ostile. Segno che probabilmente si era lasciato la nostra discussione alle spalle.
« Beh era a te che voleva offrire il mio aiuto se solo mi avessi fatto parlare » dissi mantenendo un tono socievole, e cercando di mostrargli uno dei miei migliori sorrisi.
« Ti stai prendendo forse gioco di me ? » domandò il capitano.
Era seduto questa volta, e non appena mi riconobbe portò la mano alla spada che portava sul fianco « Credi che solo perché sei l’amichetto di qualche stregone esiterei a tagliarti la testa? » disse di nuovo con un tono di voce basso ma pieno di astio.
« Non ti offro l’aiuto dell’apprendista di uno stregone, ti offro l’aiuto del guerriero Gwend » dissi offrendogli la pergamena del Re di Rohan, dalla parte del sigillo, sperando che non me l’avrebbe stracciata in viso.
« Quel guerriero è solo una leggenda » disse Boromir, ma il suo tono di non voce non era più astioso come poco prima,anzi, ne trapelava il dubbio che divenne visibile anche nella sua espressione, non appena iniziò a leggere la lettera.
Il capitano lesse il foglio più volte, ogni volta rialzando lo sguardo su me, osservandomi dubbioso con la mascella tesa e uno sguardo infuocato.
« Quanti anni hai ragazzo? » domandò Boromir infine richiudendo la missiva « Non dimostri più di vent’anni, eppure Théoden sostiene che sei un grande guerriero che lo ha aiutato in numerose occasioni »
«Ne ho abbastanza » risposi senza sbilanciarmi, irritandolo ulteriormente.
« Senti onestamente? » iniziai cercando di non dire niente di cui poi mi sarei pentita « Sono qui solo perché devo parlare con tuo fratello, che non è qui, quindi fino al giorno in cui non torna io resterò qui. Il che ti porta due scelte: sfruttarmi oppure non farlo»
« Se sei davvero valoroso come questa missiva suggerisce, saresti un ottima aggiunta tra i nostri uomini, mentre se non lo sei, perirai tra le prime file » sentenziò Boromir annunciando così il mio fato.
Sarei restata i soldati di Boromir, a combattere gli orchi in prima fila … Aragorn mi avrebbe ucciso se fossi sopravvissuta.
« Splendido » risposi illuminandomi in un sorriso finto, prima di uscire dalla tenda lasciando il Capitano di Gondor alle sue carte.
 


Gondor anno 3012 della Terza Era, 70  anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo
 
Gli anni passarono veloci.
Un giorno si susseguiva a quello precedente con la stessa monotonia, se non fosse stato, che ogni volta che mi svegliavo sarebbe potuta essere l’ultima.
Boromir aveva mantenuto la sua promessa, mettendomi per ogni attacco nelle prime fila, facendomi combattere accanto a possenti soldati con scudi enormi, come se avesse un senso. Ma almeno mi aveva permesso di restare.
Senza contare, che in guerra le amicizie crescono forti e veloci quando si combatte in prima fila. E’ difficile non ritrovarsi l’uno accanto all’altro nei giorni di quiete, quando ci si era guardati le spalle a vicenda per intere giornate contro gli orchi …
La cosa che mi fece più piacere, della decisione di salvare Boromir dalla morte, fu che nonostante con me fosse stato un vero bastardo, per i suoi uomini era un vero e proprio eroe. E a buon vedere.
Boromir era coraggioso ma non scellerato, non mandava i suoi uomini alla morte con sconsideratezza, come fossimo pedine su una scacchiera, ma studiava per giorni le tattiche, prima di presentarle ai propri sottoposti, accogliendo critiche e seguendo consigli dai più anziani.
Durante le ritirate, era sempre l’ultimo ad andarsene, accertandosi che nessuno restasse indietro e il primo a svegliarsi quando giungeva l’alba, per recuperare i corpi dei soldati caduti, così da restituirli alle loro famiglie, scrivendo di proprio pugno, ogni singola lettere di condoglianze.
In poche parole, Boromir, figlio di Denethor, era un grande Capitano.
 
Quando finalmente Faramir giunse, Boromir era riuscito a conquistare la parte interna della città di Osgiliath, permettendo a Gondor di avere un ultima linea di difesa prima della capitale.
Il più giovane dei fratelli mi trovò che ero di guardia lungo le torri, con gli occhi puntati sull’altro lato del fiume, osservando i movimenti delle creature di Mordor.
« Quando mio fratello mi ha detto che ti eri unito ai nostri ranghi credevo di essere ufficialmente impazzito » disse una voce gentile alla mia sinistra
« Faramir » lo salutai sorpresa che si ricordasse di me « Ma mi dispiace deluderti, non mi sono unita all’esercito di Gondor, ti stavo aspettando »
« E nel frattempo hai ammazzato il tempo sotto le fila di mio fratello? » commentò divertito strappando anche a me una risata.
« Qualcosa del genere »
« Mithrandir mi ha suggerito che forse mi stavi cercando, ha detto che percepiva la tua presenza ad Osgiliath … Non sono mai tornato a casa tanto in fretta » commentò arrossendo leggermente, mentre io ero stata capace solo di concentrarmi su un nome.
« Hai incontrato Gandalf ? » domandai con il cuore in gola
« Lo stregone è in compagnia di un ramingo del Nord, stanno cercando un creatura di nome Gollum » disse incerto, come se l’informazione non avesse senso per lui.
Annuii incupendomi. Mancava sempre meno al giorno della partenza di Frodo dalla Contea, ed io era a Gondor, rischiando la vita ogni giorno, lontana dalla mia famiglia, come se non avessi obblighi più importanti.
« Avevi detto che mi aspettavi? » domandò il giovane distogliendomi dai miei pensieri.
« C’è una cosa che devo dirti, ma non saprei come iniziare » dissi riflettendo su quali sarebbero potute essere la parole giuste.
« Riguarda per caso il futuro ? »
« E tu come fai a  saperlo? » esclamai trovandomi presa completamente alla sprovvista, guardandolo esterrefatta.
« Mithrandir mi ha detto che hai un dono molto speciale, un tipo di chiaroveggenza » rispose semplicemente, appoggiandosi alla colonna accanto a me.
« Oh, alla faccia della segretezza » commentai ripensando a tutte le volte che lo stregone mi aveva detto di fare attenzione, con il mio segreto, di non rivelarlo con leggerezza e bla bla bla.
E lui che faceva? Lo spiattellava ai quattro venti.
« Ho fatto voto di segretezza » si sbrigò ad aggiungere Faramir per rassicurarmi « Solo io ne sono a conoscenza, vi giuro che non ho confidato niente neppure a mio fratello » continuò guardandomi negli occhi come se dovesse trasmettermi tutta la sua sincerità.
« Mi fido Faramir » lo tranquillizzai con un mezzo sorriso.
« Tra sei anni, inizierai ad avere dei sogni. Ti turberanno anche quando avrai gli occhi ben aperti e la premonizione nella visione ti nominerà Imladris. Se attenderai troppo, ne avrà una anche tuo fratello e ne parlerete con tuo padre. Lui manderà tuo fratello a Gran Burrone.
Non devi permettere che ciò accada.  Osgiliath verrà affidata a te, ma le difese crolleranno.
Gondor ha bisogno del suo Capitano » dissi posandogli una mano sulla spalla, cerando di mettere più enfasi possibile nelle mie parole, mentre Faramir mi guardava con un aria ferita.  
« Quindi mio padre ha sempre avuto ragione, sono un debole »
« Nel cammino della vita Faramir, scoprirai che vi sono doti ben più importanti della forza del proprio braccio. Boromir è un grande soldato porterà onore alla sua città, ma tu sei un grande uomo, porterai onore all’intera razza degli uomini se te ne darai la possibilità » dissi guardandolo negli occhi, sperando leggesse la mia sincerità e che trovasse quella fiducia che non aveva in sé stesso in me.
« Gwend scendi! Il Capitano vuole aggiornarci sull’attacco di domani! » urlò una voce da in fondo alle scale.
« Arrivo! » risposi al soldato.
« Domani Boromir attaccherà l’altro lato della città » confidò Faramir.
« E lo conquisterà. » confermai senza dubbi « Non credo noi che ci rivedremo Faramir, figlio del sovrintendente, ma spero farai tesoro delle mie parole » mi congedai dandogli un’ultima pacca sulla spalla, prima di scendere le strette scale della torretta, curiosa di ascoltare la prossima strategia del Capitano di Gondor.
 
 

La Contea anno 3015 della Terza Era, 73 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.

« E’ quasi tutto pronto mia signora, con i giovani Tuc, abbiamo organizzato il viaggio di padron Frodo fino a Brea. » disse Sam, facendomi aprire in un sorriso amorevole. A quanto pareva, gli hobbit avevano tutto sotto controllo.
« Ma mia signora, come mai Gandalf non si è più visto? » domandò il mezzuomo oramai adulto distogliendomi dai miei pensieri, che erano in realtà in linea   con i suoi.
« Temo sia andato a chiedere consiglio ad un amico, ma che al suo arrivo, abbia trovato un traditore » dissi non volendo mentire all’hobbit, che mi guardò preoccupato.
« Speravo che sarei riuscita a tornare prima dal mio viaggio a Gondor, oppure che Gandalf partisse dopo. Ma non ho fatto in tempo ad avvertirlo » sussurrai preoccupata.
« Ma parliamo di Gandalf mia signora! Sicuramente troverà un modo per tornare da noi, è un potente stregone dopotutto » disse Sam cercando subito di sollevarmi lo spirito, rubandomi un altro sorriso.
« Tornerà da noi molto prima, se andrò a dargli una mano » dissi facendogli l’occhiolino .
« Non te ne ho parlato per incupirti Samwise, l’ho fatto solo perché se per caso arrivaste a Brea, e non trovaste né me, né lo stregone vi è qualcun altro su cui potete far fede » dissi fermandolo nel nostro cammino e guardandolo dritto negli occhi per fargli capire, che si sarebbe dovuto ricordare le mi successive parole.
« Sarà un ramingo del Nord, non lo noterai, fino a quando non sarà lui stesso a rivelarsi. Porterà con sé una lettera scritta da Gandalf per Frodo » conclusi attendendo che l’hobbit dinanzi a me annuisse.
« Ma tu ci sarai, non è vero? » cercò comunque conferma il mezzuomo.
« Ti prometto, che farò tutto il possibile per esserci » confermai con un sorriso che speravo gli donasse la rassicurazione che cercava.
« Andate pure serena mia signora, vi prometto che padron Frodo potrà contare su di me » disse deciso Sam, riempiendomi d’orgoglio.
« Ne sono certa » dissi avvicinandomi infine a Bucefalo e montando in sella « Non affiderei la vita di Frodo, a nessun altro che non sia tu, mio caro Sam » conclusi sorridendo dinanzi al suo stupore. Ancora Sam non sapeva come la sua forza e il suo coraggio avrebbero plasmato il destino di Frodo e di tutti noi.
« Siate prudenti » lo salutai infine, prima di partire al galoppo alla ricerca di uno stregone.
 


Foresta di Fangorn anno 3018 della Terza Era, 76 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
Impiegai quasi tre anni a trovare Radagast, avevo quasi perso le speranze nel riuscire di poterlo fare da sola, quando finalmente in una fredda notte di Gennaio fu lui stesso ad apparire nel mio cammino.
« Oh Valanyar è cosa buona che tu giunga da me. Temo per Gandalf, ho percepito la sua presenza verso Isengard ma la dimora del Bianco è avvolta da un’oscura presenza » mormorò il Bruno avvicinandomi alle spalle, e facendomi quasi morire d’infarto.
« Saruman ci ha traditi Radagast, si è alleato con l’oscuro signore » dissi allo stregone sentendo il tempo che iniziava stringere.
Il vecchio dinanzi a me mi guardò orripilato , voltandosi poi a guardare in direzione di Isengard, anche se attorno a noi vi era solo l’oscura foresta.
« Quindi tutto è perduto, se anche il più saggio è caduto … » mormorò togliendosi il cappello e poggiandoselo sul petto, come in lutto.
« La speranza è tenue Radagast, ma pur sempre ella vive » dissi prendendo lo stregone per il gomito, invitandolo a scuotersi dal suo torpore.
« Dobbiamo aiutare Gandalf. Manda un messaggio al Re delle Aquile, chiedigli aiuto. Risponderà » spiegai mentre il Bruno annuiva, rimettendosi il cappello in capo.
« Ne invierò uno anche a Gandalf, per fargli sapere che aiuto è in arrivo » confermò mentre si immerse in una strana cantilena.
Due falene risposero alla chiamata dello stregone, che sussurrò loro in una lingua affrettata e sconosciuta che non conoscevo, ma da cui compresi comunque l’urgenza.
« Adesso io dovrò andare » dissi allo stregone « l’anello del potere è stato trovato e non deve finire nelle mani del nemico » gli spiegai frettolosamente mentre lui annuiva.
« Ma ho un ultimo piacere da chiederti Radagast »
« Cosa Valanyar? »
« Lascia la foresta, permetti agli alberi di risvegliarsi » sussurrai temendo di essere udita da quegli antichi esseri.
« Ma Valanyar, è pericoloso, sono pieni di rabbia, rancore, ferite così profonde che hanno consumato loro le radici » mormorò lo stregone spaventato.
« Lo so » dissi guardando le ombre attorno a noi « Ma anche loro fanno parte di questo mondo, è giusto che lottino per esso, qualunque fazione scelgano » spiegai allo stregone, che dopo qualche minuto di indecisione annuì, mordendosi nervosamente il labbro.
« E così sia, Gandalf ti tiene in considerazione, sarebbe da sciocchi non fare altrettanto »
Ci salutammo infine, augurandoci buona fortuna a vicenda, confidando solo nella speranza che un giorno forse, ci saremmo rivisti.
 


Gran Burrone anno 3018 della Terza Era, 76 anni dal mio arrivo nella Terra di Mezzo.
 
« Mithrandir è giunto? » domandai mentre entravo nella città a perdifiato, mandando il cavallo nelle stalle e correndo incontro ad Arwen che annuì immediatamente.
« Era debole e ferito, ma mio padre si è presto occupato di lui » mi assicurò Arwen prendendomi tra le sue braccia e stringendomi forte, incurante dei miei vestiti sporchi e del cattivo odore.
« Sono passati anni da quando eri partita alla ricerca del Bruno Stregone, nessuno dei nostri emissari sapeva dove eri. Abbiamo temuto il peggio » mormorò nei miei capelli mentre io mi discostavo leggermente dalla dama per guardarla negli occhi.
« Scusami » le dissi sincera « Ma i cavalieri neri sono stati sguinzagliati, quattro viaggiavano alle mie spalle. Dovevo accertarmi che rimanessero concentrati su di me, così da lasciare il passo libero a Gandalf » spiegai alla principessa elfica che annuì comprensiva.
« E ci sei riuscita. Temo che le ferite di Gandalf, siano più nell’animo che nel corpo » disse una voce alle mie spalle che riconobbi immediatamente come quella del Re.
« Il tradimento di Saruman deve avergli fatto molto male » mormorai non osando immaginare come il vecchio stregone doveva sentirsi.
« Se Saruman il Bianco ci ha traditi, non ci rimane molta speranza » disse Elrond aggrottando la fronte, in un espressione di timore.
« L’anello presto giungerà a Gran Burrone » dissi facendo scappare un sospiro stupefatto ad Arwen « Ma non potrà restare certo qui a lungo, arriveranno rappresentanti di tutte le razze a chiedervi consiglio, ognuno di loro per motivi differenti, devi convincerli a restare mio Re. Devono sapere » conclusi sostenendo lo sguardo duro dell’elfo, che non sembrava affatto felice della futura incombenza.
« E tu? Mica vorrai ripartire? » mormorò lui stupendomi per la sua scelta di priorità, ma ritrovando in fretta la parola.
« Sì. Aragorn è solo con quattro Hobbit e cinque spettri sulle loro tracce. Devo trovarli prima che lo facciano loro » spiegai mentre quest’ultimo annuiva.
« Partirai domattina però, non prima di esserti riposata. E porterai con te Elland e Elrohir, la terra è vasta fino a  Brea » disse in un tono che non ammetteva repliche mentre si allontanava, probabilmente per ritornare al capezzale di Gandalf.
« Era molto preoccupato per te » mi confessò Arwen quando suo padre si fu allontanato a sufficienza « Lo eravamo tutti » aggiunse prendendomi per mano e accompagnandomi verso le mie stanze.
« Bilbo soprattutto, anche se in modo molto peculiare » aggiunse poi Arwen dopo qualche minuto di silenzio « continuava a lamentarsi che la colazione senza di te era talmente noiosa, che valeva la pena saltarla »
« Bilbo ha saltato la prima colazione?! » esclamai sconcertata
« Oh assolutamente no, neanche una volta. Creature curiose, gli hobbit » commentò Arwen, ricordandomi che lei non li aveva mai conosciuti, aveva avuto solo i miei racconti e quelli di suo padre.
« Ora vai a riposare, ho come l’impressione che il tuo viaggio sia solo iniziato » mi salutò appena giungemmo dinanzi alle mie spalle, stringendomi in un ultimo abbraccio.
« Non sai quanto è vero » bisbigliai in risposta stringendola a mia volta, prima di congedarmi.
 
 
 
 
 





 
La missione è stata affidata a te Valacen, e se tu non troverai il modo, nessuno potr๠= citazione del Signore degli Anelli, avvertimento fatto da Galadriel a Frodo.
 
Aiantcuil ² = Parola composta che significa “colui che (compie l’azione) di donare la vita”
 
l’ora del tea³ = nello Hobbit, quando Bilbo saluta i nani alla fine dell’avventura gli dice che l’ora del tea a Casa Baggins è alle quattro del pomeriggio.
 
 
NdA : Mi scuso per il ritardo, ma avrò cambiato i paragrafi riguardanti Gondor e Rohan almeno cinque volte trovandoli sempre insoddisfacenti.
Alla fine mi sono dovuta accontentare, lasciandoli come li vedete ora, sennò sarebbe passato un mese e non avrei ottenuto comunque niente ^^’’
 
Questo è l’ultimo capitolo con paragrafi e date, poiché dal prossimo, la storia si svolgerà lineare essendo finalmente arrivata al momento X.
Spero che la mia storia vi piaccia ! Alla prossima!
 
P.S = Avete capito chi era la “Valanyar” che aveva conosciuto Thandruill anni prima? ;)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


▌ Capitolo 3  ▌   
 
 





 
«  Se non puoi fare grandi cose, fai piccole cose in modo grandioso »
 
__Napoleon Hill
 







L’indomani mi svegliai poco prima dell’alba, indossai la mia casacca più pesante che avevo nell’armadio, e uscii dalla stanza dove trovai ad aspettarmi Arwen e i gemelli tutti e tre vestiti da cavallo.
« Mia signora? » dissi guardandola allibita « Non credo di aver udito il Re pronunciare anche il tuo nome » le ricordai mentre la principessa si limitava ad un alzata di spalle e si avviava con i fratelli al seguito verso le stalle.
« Non resterò qui ad aspettare il vostro ritorno » disse semplicemente mentre montavamo a cavallo, e io sussurravo una scusa a Bucefalo nell’orecchio, promettendogli che quello sarebbe stato il suo ultimo sforzo per l’intera settimana.
Arwen ed io ci scambiammo una lunga occhiata, quasi l’elfa mi sfidasse a dirle qualcosa. Ma onestamente, io non ero certamente né Aragorn né tantomeno suo padre e non ritenevo di poter mettere bocca nelle decisioni di qualcuno che era vecchio quasi quanto il mondo stesso.
 Per quello che mi riguardava poi, aveva tutto il diritto di andare a cercare il suo amato.
« Io riprenderò la mia strada da Est, se siamo fortunati, i quattro spettri che mi inseguivano non hanno ancora raggiunto gli altri, e potrebbero concentrarsi nuovamente su di me » i tre elfi approvarono la mia idea, mentre al trotto, raggiungevamo i confini di Imladris.
« Mettete in conto che Frodo potrebbe essere ferito se arriviamo troppo tardi, in tal caso, il primo che arriva lo carica sul proprio cavallo e lo porta dal Re » dissi trovando disturbante di dover usare l’ imperativo con gli elfi, specialmente Elladan e Elrohir. Ma loro non batterono ciglio dinanzi al mio tono di comando limitandosi ad annuire.
« Qual è l’entità della ferita? » domandò Arwen prima di separarci.
« Una lama Morgul » risposi leggendo la comprensione negli occhi dei tre fratelli, e dopo un ultimo saluto, ci dividemmo partendo al galoppo.
 
« Noro lim, Bucefalo. Noro lim! [ Cavalca veloce Bucefalo, cavalca veloce !] » ordinai al cavallo nonostante ci fossimo oramai addentrati quasi nel folto del bosco.
Erano due giorni che correvamo senza riposo, e anche un cavallo elfico prima o poi inizia ad accusare la fatica.
Bucefalo però dovette percepire il mio terrore, che era cresciuto ora che non avevamo più i quattro spettri alle nostre calcagna, temendo che si fossero ricongiunti ai lori compagni.
Il che significava ulteriori inseguitori alle spalle di Aragorn e gli Hobbit.
Fu nel mezzo della notte che notai finalmente le luci di un fuoco improvvisato un centinaio di metri più in là.  Dalla foga, per poco non travolsi il povero Sam, che tornava spedito verso Aragorn con un mazzo di foglie di Atelas in mano.
« Mia signora! » mi salutò come se fossi il presagio migliore mai avuto, nonostante avesse appena rischiato di venire investito,  con gli occhi che gli brillavano dal terrore misto alla stanchezza ed ora, stupore.
« Portami da lui » dissi smontando da cavallo senza preoccuparmi di legarlo, certa che non sarebbe andato da nessuna parte.
Mi condusse in fretta da Frodo, che ansimava vicino al fuoco con occhi vitrei.
« Mastica » ordinai a Merry che mise subito in bocca le foglie senza farmi nessuna domanda, guardandomi con lo stesso sguardo di felicità di Sam, come se con il mio arrivo tutti i pericoli fossero finalmente cessati.
Posai una mano sul viso oramai congelato del giovane Hobbit, cercando la sua coscienza nella patina bianca che minacciava di prendere interamente il suo iride:
« Frodo im Valanyar. Telin le thaed. Lasto beth nîn, tolo dan nana galad. [ Frodo sono Valanyar. Sono venuta ad aiutarti. Ascolta la mia voce, torna alla luce ] » dissi all’Hobbit prendendo le foglie masticate da Merry e mettendole nella ferita della spalla del giovane Hobbit.
Frodo mugolò dal dolore ma una parvenza di sé, parve ritornare poiché i suoi occhi mi misero a fuoco quando pronunciò il mio nome:
« Ho tanta paura Valanyar » mi mormorò l’hobbit vedendomi per la prima volta, ed io mi sentivo inerme dinanzi al suo dolore.
« Andrà tute bene padron Frodo. Valanyar ci ha trovati, riposate ora » mormorò Sam accarezzandogli i capelli all’indietro e cullandolo in un sonno agitato che parve però migliorare leggermente mentre Aragorn entrava con Arwen nella radura.
« Dobbiamo portarlo da tuo padre Arwen solo lui può salvarlo » dissi prendendo nelle mie braccia il giovane hobbit e dirigendomi verso Bucefalo, sotto lo sguardo preoccupato di Estel.
« Il tuo cavallo è nobile, ma gli hai già chiesto molto. Frodo fîr. Ae athradon i hîr,  tûr gwaith nîn beriatha hon. [ Frodo sta morendo. Se attraverso il fiume, il potere del mio popolo ci proteggerà]» mormorò Arwen avvicinandomi il suo cavallo bianco.
«  Rochon ellit im [ Sono il cavaliere più veloce ] » tentai di ribattere consapevole però, che Arwen aveva ragione.
Il mio cavallo era troppo stanco, chiedergli di correre nuovamente giorno e notte con gli spettri alle calcagna era assurdo.
« Gli spettri hanno cavalli di Rohan » avvertii l’elfa, mentre Aragorn la aiutava a salire a cavallo e io le passavo Frodo tra le braccia.
« Fidatevi di me » disse Arwen nella lingua comune, rivolgendosi ad ognuno dei presenti per motivi differenti, mentre noi non potemmo far altro che annuire e osservarla sparire nel folto del bosco al galoppo, ordinando al cavallo di correre come se fosse lo stesso vento ad inseguirlo.
« Mia signora » mormorò Merry alle mie spalle « Sono tre giorni fino Gran Burrone » disse l’hobbit con un espressione di timore.
« Farà in tempo » gli assicurai incontrando poi anche lo sguardo di Sam, per fargli sapere che le mie non ere mere rassicurazioni ma certezze.
« Non sono riuscito a proteggerlo mia signora » mormorò l’Hobbit con gli occhi gonfi di lacrime, ancora girato nella direzione in cui era scomparsa Arwen.
« Lo abbiamo fallito tutti Mastro Sam » disse Aragorn dandogli una pacca sulla spalla, lasciando la mano su di lui fin quando l’hobbit non si fu ricomposto e mi guardò in attesa del da farsi.
« I fratelli di Arwen ci troveranno entro qualche ora. Voi tre salirete sul mio cavallo, io ed Aragorn proseguiremo a piedi » ordinai per far sì di poter viaggiare ad un ritmo sostenuto.
Nonostante non fosse una situazione di emergenza, Bucefalo non si fece pregare per far montare i tre Hobbit, a mala pena notando il cambiamento di peso.
Probabilmente il fatto che ogni volta che eravamo andati da Bilbo, Sam gli avesse preparato le sue mele preferite, aveva a che fare con la faccia di bronzo del cavallo.
Aragorn invece prese le redini di Billy il pony ed accostatosi a me, iniziammo a camminare verso Gran Burrone.
 
« Mi dispiace » disse Aragorn dopo qualche ora, guardandomi con uno sguardo spento che tradiva la profonda fatica d quegli ultimi giorni.
« Aragorn non hai niente da rimproverarti » gli sussurrai sincera per non svegliare gli hobbit che si erano assopiti sul cavallo.
« Nessun uomo può uccidere il Re stregone » gli ricordai prendendo la sua mano nella mia ed invitandolo a scuotersi da quella apatia.
« Perché non mi hai avvertito? Se lo avessi saputo, avrei potuto impedirlo, non mi sarei allontanato » domandò senza una reale accusa, che però percepii lo stesso.
« Supponenza temo. Ero certa che sarei riuscita a tornare in tempo, ma aiutare Gandalf ha richiesto più tempo del previsto »
« Ho atteso a Brea per mesi Mithrandir, dove era ? »
« Prigioniero di Saruman. Lo aveva abbandonato in cima alla sua torre, sperando che l’inverno avrebbe concluso quello che le sue torture avevano iniziato »
« Come sta? »
« Meglio adesso, Elrond ha detto che gli stregoni guariscono in fretta. Temo che sia stato il tradimento di Saruman la ferita più profonda » conclusi mentre il ramingo annuiva comprensivo.
Continuammo a camminare per quasi un'altra ora, in silenzio, prima di scorgere finalmente i due gemelli a cavallo che ci venivano incontro con ampi sorrisi evidentemente portatori di buone notizie.
« Arwen ha attraversato il fiume » ci confermarono quando ci raggiunsero, dando la lieta notizia anche agli hobbit, nonostante sicuramente avrebbero dovuto rivedere Frodo a Gran Burrone con i loro occhi prima di poter ridere di nuovo.
« Andiamo da Frodo » dissi aiutando Merry e Pipino a montare con Elladan, mentre Elrohir prendeva con sé Aragorn e io salivo su Bucefalo con Sam.
« Andiamo » rispose l’Hobbit tra le mie braccia, stringendosi un po’di più del necessario a me, in cerca di un conforto silenzioso che mi limitai a ricambiare senza scompormi.
 

 
 


Quella mattina il sole splendeva come se stesse cercando di riscaldare il cuore di tutti.
La lieta notizia che Frodo era ufficialmente fuori pericolo e che in giornata si sarebbe risvegliato aveva sollevato l’umore di tutti, e finalmente i giovani Tuc erano perfino riusciti a trascinare Sam nelle loro stanze, per obbligarlo a dormire qualche ora in un letto vero e non nella poltroncina accanto al letto del suo padrone.
« E’ una giornata meravigliosa » mi salutò Aragorn appoggiandosi alla balaustra, specchiando alla perfezione la mia posizione e lasciando che le nostre spalle si sfiorassero in una sicurezza silenziosa: “ci sono,sono qui, siamo assieme, va tutto bene”.
Annuii senza emettere alcun suono,e ci godemmo il silenzio della valle, accompagnato solo dal canto mattutino di qualche uccello che usciva dal proprio riparo per andare a cacciare da mangiare nei colli alle spalle di Imladris.
Il vento non era altro con un lieve sospiro tra le fronde,  nonostante fosse ancora mattina presto e l’aria frizzante mi facesse venire la pelle d’oca, non davo accenno di volermene andare, ben decisa a godermi quel momento di quiete fin quando mi fosse stato concesso.
Passarono minuti o forse ore da quando Aragorn era giunto di fianco a me, che i nostri occhi seguirono con lo sguardo l’apparizione di quattro cavaliere, che seguivano il sentiero del ponte più esterno pronti ad entrare a Gran Burrone.
Erano evidentemente degli elfi, i loro magnifici cavalli bianchi e i loro mantelli costosi ne erano un chiaro segno, ma anche fossero stati vestiti di soli stracci, gli elfi erano così facili da individuare.
Con il loro portamento sempre perfetto che gli manteneva la testa perfettamente perpendicolare alla schiena, che se vi avesse provato un umano, sarebbe semplicemente apparso ridicolo.
Gli stranieri giunsero all’entrata di Imladris e quando attraversarono il sottile ponte di pietra,che indicava l’entrata della città un soffio di vento attraversò il loro cammino in modo più impietoso, abbassando il cappuccio di uno dei cavalieri, nello stesso momento in cui l’elfo alzo la testa verso di noi.
Legolas, con la sua chioma bionda, sostenuta solo da una semplice treccia, era ancora più bello di quanto ricordassi, con il sole ad incorniciargli il viso emergeva in mezzo agli altri come un diamante in mezzo a rubini. Erano tutte pietre preziose, ma lo splendore di alcune, sarebbe stato per sempre superiore ad altre.
Se Arwen era la stella del Vespro, ero certa che Legolas fosse la Gemma del Reame Boscoso, perché non era possibile che qualcuno avesse posato lo sguardo sul principe di Mirkwood senza rimanerne letteralmente abbagliato.
« Valanyar tutto bene ? » domandò Aragorn di fianco a me con aria evidentemente divertita « Sembra tu ti sia dimenticata di respirare » commentò il ramingo divertito mentre io distoglievo in fretta l’attenzione, voltandomi verso Estel  e realizzando che avevo veramente trattenuto il respiro, come tanti anni prima quando avevo visto un elfo per la prima volta.
« Andiamo a combattere, ti va? » dissi allontanandomi dalla balaustra, ben decisa ad evitare qualunque domanda mi sarebbe giunta dall’uomo.
Ma Aragorn dovette avere pietà di me, perché tranne che per l’ultima risata sommessa, poi non nominò più l’incidente neppure quando trovammo i gemelli e li invitammo al campo dall’allenamento assieme a noi.
 
« Alla tua sinistra Valanyar »
« No non così, non vedi che la tua difesa  è troppo bassa? »
« Alza di più quel braccio »
« Ok adesso basta! » urlai sconfitta, rinfoderando le mie lame e fulminando i due elfi e il ramingo dinanzi a me « Non so se ne eravate a conoscenza, ma negli ultimi dieci anni sono stata in guerra. Posso badare a me stessa » sbuffai irritata con i miei fratelli adottivi che perlomeno, ebbero la decenza di fingersi imbarazzati, mentre alla mia destra udivo Arwen ridere con i giovani Tuc e Bilbo, che erano venuti ad assistere agli allenamenti.
« E tu » ribattei indicando specificatamente Aragorn « Non mi interessa se adesso sembri un vecchio, dovresti ricordarti chi di noi è il maggiore » mi lamentai, guardando il ramingo che si limitò a rinfoderare a sua volta l’arma, mentre i gemelli ne approfittavano per allontanarsi di qualche passo, lieti che la mia rabbia si fosse concertata su qualcuno che non era loro.
« Andare in guerra a Gondor è stata una sconsideratezza da parte tua » si limitò a commentare Aragorn irritandomi solo i più.
« Ma senti da che pulpito, non sei forse te che hai combattuto i pirati assieme al padre di Denethor? » sbuffai ruotando gli occhi, mentre i giovani hobbit sembrano pronti ad andarsi a cercare qualche seme di zucca, per godersi la scena come gli si conveniva.
« Beh ma io - »
« Io cosa Aragorn? Io sono un uomo? E’ questo che stavi pensando di dire? » dissi iniziando ad avvicinarmi al futuro Re di Gondor, con aria minacciosa.
« Che vergogna Granpasso » commentò Merry in tono canzonatorio.
« Già davvero incredibile da parte tua » gli dette manforte Pipino.
« Semplicemente ridicolo » andò dietro Bilbo, rendendo la scena ancora più comica.
« D’accordo d’accordo, ti chiedo scusa Valanyar » disse Estel alzando le braccia in segno di pace « Chiedo venia, lo sai che non dubito della tua bravura, il mio è solo istinto di protezione » aggiunse sperando di farmi vacillare facendomi gli occhi dolci.
« Non te la caverai così facilmente dannato Ramingo » commentai invitandolo ad estrarre la sua spada per un incontro a due come si conveniva.
« Quando ti metterò al tappeto, ti ricorderai che non stai parlando con una donna qualsiasi » lo sfidai con un sorriso.
« Se mi manderai al tappeto » ribatté lui portando la mano sull’elsa della spada, ma non la estrasse mai, venendo interrotto da uno scudiero che giunse nel campo di allenamento con un richiamo da parte del Re.
« Il Principe Legolas è giunto a Imladris assieme ad altri elfi di Bosco Atro, portano un messaggio per Estel ed il grigio Stregone » spiegò guardando Aragorn, prima di congedarsi, andandosene da dove era arrivato.
« Direi che Gollum è fuggito » commentai prima di dirigerci assieme verso il cuore del regno.
« Gollum? Conosco questo nome » mormorò Bilbo sulla strada del ritorno, aspirando lentamente dalla sua pipa e corrucciando le sopracciglia, perso in un pensiero lontano.
« Eppure l’ho già sentito » continuò tra se e sé senza trovare risposta mentre Aragorn incontrava il mio sguardo preoccupato.
Lui sapeva di come l’anello era giunto nelle mani di Frodo, e quindi prima ancora di Bilbo, ma se potevamo, preferivo evitare di dare questo peso all’anziano Hobbit.
Finché la memoria l’avrebbe fallito, io non gli avrei rivelato nulla di più.
 
 
 
 


« Frodo si sta riprendendo, dobbiamo iniziare a pensare alla prossima mossa, Gran Burrone non potrà celare l’anello per sempre » mi disse Elrond mentre mi affiancava alla ringhiera del terrazzo, osservando con me l’orizzonte.
Il cielo sembrava così limpido ad Imladris, eppure ero certa che gli occhi degli elfi riuscissero a vedere le ombre che si annidavano a Mordor sempre più oscure e minacciose.
« Il temo degli elfi è giunto al termine » aggiunse il Re poggiando la sua mano sulla mia, richiamando il mio sguardo « E’ tempo di annunciare il consiglio »
Annuii, consapevole di non poter più posticipare in alcun modo questo giorno.
Nessuno si era fatto vivo da Gondor. Forse Faramir si era perso lungo la strada o il destino era stato ancora più crudele con lui, d’altronde le terre non erano più sicure per nessuno, neppure per un Capitano di Gondor.
« Hai ragione, è inutile continuare a posticipare l’inevitabile »
Mi mossi assieme a lui, lanciando un’ultima occhiata al sole che tramontava, riempiendo il cielo di colori, che si riflettevano nelle acqua del fiume rendendo la città Elfica ancora più surreale con contorni di rosa ed arancio.
Percorremmo i lunghi corridoi fino alle stanze del giovane Baggins, dove trovammo Sam al suo interno che con un panno umido e qualche goccia di olio profumato, stava lavando i capelli di Frodo seduto su una poltrona, avvolto da una vestaglia e con gli occhi socchiusi evidentemente rilassato.
« Sai che non sei tenuto a farlo Sam » mormorò il più anziano senza aprire gli occhi.
« Certo che lo so padron Frodo, ma voglio farlo. Re Elrond ha detto che non dovete fare sforzi, dovreste dargli ascolto » rispose Sam, abbandonando il panno bagnato per un piccolo pettine con cui iniziò a districare i riccioli dell’hobbit, con un sorriso amorevole. Che ero certa non si stesse neanche rendendo conto di avere in viso.
« Non sapevo che l’igiene fosse considerato uno sforzo nel reame degli Hobbit » commentò l’elfo di fianco a me interrompendo così il momento, quando Frodo aprì gli occhi e Sam alzò il viso notandoci finalmente sulla soglia.
« Valanyar » mi salutò Frodo aprendosi in un sorriso felice. Il suo volto aveva ripreso molto del suo colorito iniziale e le guance erano finalmente colorate di un dolce rossore. Anche se quello, poteva essere anche a causa dell’imbarazzo, dato che le gote di Sam avevano assunto lo stesso colorito.
« Volevo chiederle Mastro Baggins di raggiungerci domani presso la sala del consiglio, per parlare del destino dell’anello. Ne siete stato il portatore fino a questo momento, ed è vostro diritto liberarvene del peso » disse Elrond indicandogli con un lieve cenno, l’oggetto che risedeva nel cassetto del comodino del giovane Hobbit.
« Ma Padron Frodo è stato ferito gravemente! Non potete fare la riunione senza di lui? Sarebbe più saggio farlo riposare » rispose prontamente Sam senza disturbare la delicatezza con cui continuava a pettinare i capelli dell’hobbit più grande.
« Sam ieri sono andato nei giardini assieme a Bilbo, sono certo di riuscire ad arrivare fino in fondo al corridoio domattina » rispose Frodo con un sorriso affezionato, inclinando leggermente il viso per poter incrociare lo sguardo del giardiniere.
Ridacchiai dinanzi alla scena, affatto sorpresa dinanzi al desiderio di protezione di Sam nei confronti di Frodo.
Ero certa che una parte di lui non si fosse mai perdonato di aver permesso ai giovani Tuc di accendere il fuoco per la cena. Ma mai aveva incolpato me od Aragorn, anzi ci aveva più volte ringraziato per esserci presi cura di Frodo. Persino Arwen, mi aveva confidato che il biondo hobbit aveva fatto visita anche a lei, inchinandosi e ringraziandola immensamente per i suoi servigi, grata che avesse corso un tale pericolo per il suo giovane padrone.
Il mondo, aveva bisogno di molte più persone come Sam, che sapevano dare il vero valore alle cose e a coloro che amavano, senza mai darli per scontato.
« Verrà  a scortarlo Gandalf domattina Sam, mi assicurerò che arrivi alla sala senza neppure un accenno di affanno » aggiunsi per rincuorare l’hobbit, che aveva ancora le labbra piegate all’ingiù in una smorfia scontenta.
« Beh mia signora, se me lo assicura lei » sospirò infine arrendendosi e girandosi a prendere un telo asciutto, per tamponare i capelli di Frodo.
« Lieto di sapere che le parole di un’umana hanno più peso delle mie nel mio regno. Non avevo capito che Mastro Baggins sarebbe potuto venire, solo dopo aver ottenuto il permesso del proprio giardiniere » commentò Elrond, lasciandosi tradire dal suo sorriso divertito, mentre io e Frodo ridevamo senza riserve e Sam mormorava delle scuse in chiaro imbarazzo.
« Ci vediamo a cena Frodo? Sam ? » domandai quando il Re si voltò per uscire dalla stanza, invitandomi a fare lo stesso.
I due hobbit annuirono chiedendo se anche la compagnia dei nani che era arrivata la mattina, si sarebbe aggiunta a noi.
« Normalmente ne dubiterei, ma dopo la ramanzina che si sono sorbiti da vostro cugino Bilbo per non essersi presentati a pranzo. Direi di sì » dissi salutandoli nuovamente lasciandoli ai loro ricordi sulle paternali che avevano a loro volta subito da Bilbo quando erano più giovani, ricordando con affetto l’anziano Hobbit.
« Mia signora » mi fermò poco fuori dalle stanze una delle ancelle, mentre io mi chiedevo dove era sparito Elrond in nemmeno mezzo secondo « Il Re mi ha chiesto di informala, che Sua Maestà è andato ad accogliere uno straniero. »
« Uno straniero ? » ripetei confusa mentre la invitavo a mostrarmi la strada che aveva intrapreso Elrond.
« Un uomo di Gondor è giunto ad Imladris »
 
Dire che alle parole del’elfa partii a corsa, sarebbe stato un eufemismo.
Schizzai via talmente veloce, che strappai perfino un’espressione di stupore nel viso della donna, solitamente sempre impassibile.
Era finalmente giunto il momento della verità: quale dei due fratelli era giunto a Gran Burrone?
Era Faramir? O alla fine era comunque venuto Boromir, segnando così il suo destino?
Perché in quale modo, avrei mai potuto impedire la sua morte e quale sarebbe stato a quel punto il prezzo da pagare per aver cambiato il fato?
Ma tutti qui dubbi furono inutili, poiché  una volta sulla soglia della stanza che mi era stata indicata, riconobbi senza troppi indugi il minore dei due fratelli e Gandalf.
Bussai, attirando così l’attenzione sulla mia venuta.
« Voi qui? » domandò Faramir quando si voltò, incrociando il mio sguardo e aprendosi nel più innocente degli stupori.
« Vedo che alla fine avete accolto il mio consiglio » dissi mentre Gandalf non faceva alcuno sforzo per trattenere il suo sorriso divertito, guardando tra me e Faramir come se fosse un mach di tennis particolarmente avvincente.
« Sono partito nella notte, lasciando una nota a mio fratello che gli spiegava che la sua presenza sarebbe stata fondamentale per la sopravvivenza di Gondor, e quindi era più sicuro per me andare ad investigare ad Imladris » rispose dopo avermi concesso un breve inchino, evidentemente incerto del mio grado sociale.
« Dunque credo che adesso siano d’obbligo le presentazioni mia cara » disse il Grigio stregone, ignorando lo sguardo sconcertato di Faramir dinanzi l’uso del femminile.
« Lei mio caro amico, è Valanyar, figlia adottivo di Re Elrond di Gran Burrone e consigliera di tutti noi » spiegò cercando di rivelare un po’ del mio compito al giovane Capitano di Gondor senza sbilanciarsi troppo. « La sua identità nel regno degli uomini doveva restare segreta, ti chiedo perdono per i nostri inganni » aggiunse piegando la testa in avanti, in una richiesta di scuse silenziose che imitai.
Osservammo Faramir in silenzio, dandogli il tempo di assorbire al meglio i miei abiti, che non essendo più quelli da battaglia, nascondevano meno le mie forme femminili e i capelli sciolti adornati solo da piccole trecce che ricadevano ai lati del mio viso, simbolo della casata di Gran Burrone.
« Io non so cosa dire » mormorò l’uomo riportando il suo sguardo su Gandalf, ma solo per un attimo prima di cercare nuovamente i miei occhi « Se non chiedere venia, per il mio ingiustificabile errore » aggiunse con una punta di imbarazzo che gli fece un attimo tremare la voce, facendomi aprire in un sorriso divertito.
« Quindi lei non è la vostra allieva ? » aggiunse osservando Gandalf scuotere la testa, negando l’informazione.
« Mi era parsa una buona idea, poiché i suoi occhi iniziavano a richiamare molto l’attenzione. Ma anche l’uomo più curioso evita di impicciarsi, se teme di venire trasformato in un rospo » spiegò Gandalf mentre io ridacchiavo dinanzi alla spiegazione, consapevole che la domanda successiva doveva essere appena morta in gola a Faramir.
I miei occhi oramai avevano perso molto del loro colore. Lasciando solo due sottili linee centrali, che facevano prendere alla pupilla un effetto allungato, facendo assomigliare i miei occhi a quelli di un felino.
 
« Vuoi ripetere anche a Gwend la tua visione? » domandò Mithrandir attirando l’attenzione di entrambi e sviando il tema del discorso in tutt’altra direzione.
Faramir obbligò con un breve cenno del capo, schiarendosi un attimo la voce, prima di richiamare a sé le parole, che oramai aveva evidentemente imparato a memoria:
 
«  Cerca la Spada che fu rotta,
 A Imladris la troverai;
I consigli della gente dotta
Più forti di Morgul avrai.
Lì un segno verrà mostrato,
Indice che il Giudizio è vicino,
Il Flagello d’Isildur s’è svegliato,
E il Mezzuomo è in cammino »
 
Guardai Faramir perplessa, poiché nonostante avessi cercato di tenere a mente cosa sarebbe successo, sapevo che negli anni mi ero dimenticata vari dettagli, come la profezia che mi aveva appena nominato. Non me l’ero ricordata minimamente, nei miei diari mi ero sempre limitata a scrivere che Boromir sarebbe giunto a causa della visione del fratello, che infine avrebbe avuto anche lui.
« Credo sia il momento per ritirarci mia cara amica, lasciamo Faramir ai suoi pensieri mentre si rilassa dal faticoso viaggio. Se avrai altre domande, potrai porcele questa sera » salutò lo stregone uscendo dalla porta, mentre io lo seguivo lasciando un perplesso Faramir al centro della stanza.
 
Percorsi qualche metro assieme a Gandalf riflettendo sul significato della visione del Capitano di Gondor. Era stata estremamente dettagliata per me che avevo abbastanza elementi da unire gli indizi.
Era invece comprensibile, che per Faramir suo padre e suo fratello, avesse avuto ben poco senso, tranne la parte che faceva riferimento alla città elfica.
« Mia cara vorrei se possibile, che tu mi facessi uno di quelli che in passato chiamavi spoiler » disse Gandalf ripetendo lentamente la parola a lui sconosciuta, testandola sulla lingua in evidente estraneità.
« A quale merito? » domandai incuriosita, poiché Gandalf, non mi aveva mai chiesto niente in merito al futuro. Non ne aveva fatto accenno quando ebbe conferma dell’anello di Sauron, né quando giunto a Gran Burrone, aveva scoperto che ero stata io ad avvertire Radagast.
« E il mezzuomo è in cammino » ripeté in un sussurro preoccupato « Non si riferiva al viaggio di Frodo dalla Contea fino ad Imladris vero? »
« No, mi dispiace » risposi fermandomi sui miei passi e posando una mano sul braccio dello stregone, in un vano tentativo di conforto.
In fin dei conti, che consolazione può esistere per qualcuno, che sa che a breve un suo caro amico affronterà il più oscuro dei pericoli?
« Andiamo a prendere il tea con Bilbo Gandalf? » proposi accennando un mesto sorriso al Grigio stregone, che dopo aver osservato il mio viso per qualche secondo annuii.
« Il tea con Bilbo migliora sempre i nostri umori » annunciò per entrambi mentre io non potevo far altro che concordare.
Il vecchio Hobbit non era certamente più lo stesso da quando aveva abbandonato la Contea, lasciando dietro di sé l’anello del poter dopo ben cinquantanove anni in suo possesso.
Sapevo, come Gandalf, che quella era stata la prova più grande per il povero Bilbo. Una che non aveva neppure saputo di star affrontando e che probabilmente solo lui, nell’intera terra di mezzo, sarebbe mai riuscito a superare.
Ma senza di esso, i segni del tempo avevano finalmente raggiunto il mezzuomo, che lamentava i dolori alle articolazioni e la memoria che qualche volta lo falliva.
Eppure certe cose non sarebbero mai cambiate, come il tea con Bilbo, era sicuramente la cosa di cui più avrei sentito la mancanza una volta lasciata  Gran Burrone.
 
 
 


« Gwend! » udii chiamarmi alle spalle mentre scendevo le scale per dirigermi nei giardini, alla ricerca di un po’ di silenzio prima della cena che sarebbe avvenuta in presenza di tre razze differenti, e conoscendo i protagonisti, ero certa che non sarebbe stato un evento normale.
« Faramir » lo salutai appena l’uomo mi raggiunse. Si era evidentemente lavato e i suoi capelli adesso mostravano persino striature di biondo, nonostante le punte ancora umide. Il suo viso era stata ripulito dallo sporco e dalle fatiche del viaggio, rendendo giustizia ai suoi anni e doveva essersi concesso anche qualche ore di riposo poiché il suo sguardo ora appariva meno stanco.
« Posso unirmi a voi mia signora? » disse invitandomi a prendere il suo braccio, per aiutarmi a scendere le scale nonostante non indossassi nessun vestito che avrebbe reso complessa la mia scesa dalle scale.
Osservai il suo braccio forse per qualche secondo di troppo, perchè le guance dell’uomo si colorirono leggermente, lasciandomi intuire il suo imbarazzo:
« Mi scuso se vi risulto fuori luogo, credo che una parte di me voglia fare ammenda per non avervi trattato con il rispetto che meritavate » spiegò facendo per abbassare il suo gomito, in cui però feci in tempo a passarci la mia mano, accogliendo la sua proposta di minuti prima.
« Mi hai sempre trattato con rispetto Faramir, è ciò che apprezzo di te » dissi in fretta sperando di rincuorarlo mentre riprendevamo la nostra scesa.
I giardini erano in una penombra quasi completa, poiché il sole era calato oramai da un paio d’ore essendo inverno e le fiaccole, erano solo ai lati delle costruzioni dato che gli elfi non apprezzavano interrompere il ciclo del sonno degli animali per un loro capriccio.
« Temo di doverti delle scuse Faramir » dissi mentre camminavamo con lo sguardo basso, per evitare di mettere i piedi in fallo, ma principalmente per poter evitare di guardare l’uomo di fianco a me negli occhi.
Il Capitano di Gondor attese in silenzio, lasciandomi il tempo di trovare da sola le parole, mentre lui si limitava a guardarsi attorno.
« Per farti venire ad Imladris, ho scelto parole, che sapevo che ti avrebbero fatto male, ti ho fatto dubitare di te stesso, solo per un mio capriccio. Per poter fare un mero tentativo nel salvare qualcuno »
« Se ferire il mio ego, ha garantito la salvezza di qualcuno mia signora non hai niente di cui scusarti » rispose immediatamente il soldato, ricordandomi che la sua migliore qualità, era indubbiamente la sua umanità.
Le sue qualità migliori era quelle che avrebbero reso onore all’intera razza dell’uomo e speravo che Aragorn lo vedesse con la stessa chiarezza, con la quale ora io vedevo Faramir.
« Il problema è che non ne ho la certezza, per quello che e so, potrei aver condannato te a morte. O ancora peggio, ambedue voi »
« Gwend, non si può scegliere come morire e nemmeno quando. Si può soltanto decidere come vivere. » disse Faramir prendendo la mia mano che fino a quel momento era stata nell’incavo del suo gomito, tra le sue, fermandoci sui nostri passi, e guardandomi negli occhi.
« Ma se solo il mio perdono può alleviare il peso che grava nel tuo sguardo. Sappi che lo hai » aggiunse abbandonando la sua solita formalità, per farmi comprendere la serietà delle sue parole.
« Continui a mostrarmi solo le tue qualità migliori Capitano di Gondor » lo complimentai concedendomi un sorriso.
« Posso chiedere, chi avete cercato di salvare? » domandò l’uomo quando riprendemmo la nostra passeggiata,  dirigendoci però verso l’interno della città, poiché era quasi ora di cena.
« Tuo fratello » risposi dopo una breve pausa d’effetto, allontanandomi da lui per andare incontro a Bilbo ed un gruppetto di nani, che stavano narrando qualcosa sull’aver fatto un bagno nudi proprio nella fontana dinanzi alla tavola imbandita.
E dato lo sconforto di Elrond, supposi che la storia dovesse essere vera.
Nel frattempo Faramir era ancora paralizzato sul posto, sconvolto dall’annunciò ma basto il bastone di un grigio stregone per riportarlo sulla retta via.
« Aragorn » lo salutai non appena il ramingo entrò nella stanza, seguito da un certo elfo biondo « Legolas » aggiunsi con un leggero inchino e un accenno di sorriso, sperando di poter ricominciare la nostra conoscenza su una pagina bianca.
Ma evidentemente lui non fu della mia stessa opinione, poiché si limitò ad un breve cenno del capo e dopo essersi congedato da Aragorn andò con glia altri elfi nella parte più lontana della tavola rispetto a me e temetti che non fosse una coincidenza.
« Non crucciarti troppo Valanyar, gli elfi hanno la memoria lunga, ma i cuore grande, gli passerà » commentò Aragorn invitandomi a stare di fianco a lui ed Arwen sperando che il ramingo, avesse ragione.
 
 
 
 



L’indomani giunse fin troppo in fretta, con un terrificante mal di testa per aver bevuto troppo la sera prima e Aragorn che bussava alla mia porta senza pietà come se fosse appena scoppiata una guerra.
« Arrivo arrivo » bofonchiai aprendo la porta e trovandomi di fronte il ramingo, perfettamente vestito e pronto ad affrontare un concilio indetto dal Re.
« Ma che ore sono? » bofonchiai stropicciandomi gli occhi e guardandolo da capo a piedi, come se fosse lui quello fuori posto in una casa di elfi sempre perfetti ed impeccabili.
« Tra venti minuti, sarai in ritardo » mi rispose il moro con un sorrisetto divertito, mentre io maledicevo Bilbo per avermi continuato a versare vino ogni qual volta che mi voltavo e mi dirigevo in bagno per darmi una rinfrescata.
Quando riemersi, Aragorn mi guardò con approvazione, segno che non sembravo più una mendicante raccolta in quel momento per strada.  Giungemmo a passo svelto nell’ala Est, scusandoci con Elrond per il ritardo, anche se tecnicamente eravamo ancora in tempo. Senza contare che all’appello mancavano sempre Gandalf e Frodo.
Elrond mi invitò a sedermi alla sua destra, di fianco a Faramir ed altri uomini che non sapevo chi fossero, se non che dovevano essere di un certo lignaggio data la fattura dei loro abiti.
Quando anche gli ultimi due ospiti presero posto nelle loro rispettive poltrone, il concilio ebbe inizio:
 
« Stranieri di remoti paesi e amici di vecchia data, siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor, la terra di mezzo è sull’orlo della distruzione, nessuno può fuggire, o vi unirete o crollerete ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica. Porta qui l’anello Frodo »
Seguii il giovane Hobbit con lo sguardo, sperando di potergli inviargli una sorte di conforto, ma senza osare abbassare lo sguardo sull’oggetto d’oro che poggiò nella piccola tavola di pietra al centro del consiglio. Terrorizzata al ricordo della voce che avevo udito anni prima, le cui promesse ogni tanto ancora si affacciavano tra i miei pensieri, cercando di indebolire la mia volontà.
Udii i mormorii sollevarsi attorno a me, e sapevo cosa stava succedendo. L’anello gli stava parlando uno ad uno cercava di soggiogarli al proprio comando poiché l’oggetto sapeva cosa si sarebbe discusso in quel consiglio, e niente di più l’anello desiderava se non di essere raccolto da uno di quegli uomini, la cui volontà era così facile da plasmare …
 
« Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,
ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul .»¹
 
Alle parole di Gandalf, il cielo si offusco. La Terra parve tremare, come se cercasse di rigirarsi su stessa per nascondersi, fuggire dalle parola che venivano pronunciate dallo stregone.
Gli elfi  stringevano i denti e chiudevano gli occhi come se il loro dolore fosse fisico, la loro stessa pelle non era più radiosa ma aveva assunto una tonalità più grigia come se il sangue avesse lasciato il loro corpo. Incrociai lo sguardo di Frodo, che come me appariva terrorizzato mentre tutto attorno a noi, la natura stessa sembrava contorcersi alla ricerca di una via di fuga in preda allo stesso terrore che attanagliava i nostri cuori sotto un cielo pieno di nubi che non lasciava tralasciare neppure il sottile raggio di sole.
E quanto finalmente Gandalf smise di parlare, mi sembrò di poter nuovamente respirare, i miei polmoni si affannavano alla ricerca dell’aria, come se fino a quel momento fossi stata sul punto di affogare.
« Mai prima d’ora nessuno aveva osato usare le parole di quella remota lingua qui ad Imladris » disse Elrond perdendo per un attimo la sua normale pacatezza guardando Gandalf come se lo avesse appena pugnalato alle spalle.
«Tuttavia non ti chiedo perdono, Signore. Perché la lingua nera di Mordor può essere ancora udita in ogni angolo dell’Ovest l’anello è del tutto malvagio. » rispose Gandalf guardando i presenti uno per uno negli occhi, sfidandoli a mettere in dubbio le sue parole, prima di sedersi accanto a Frodo.
« Mio fratello, direbbe che è un dono » mormorò Faramir di fianco a me « Direbbe di portarlo a Gondor, dove i nostri uomini hanno versato sangue, difendendo i nostri confini e mantenendo al sicuro anche le vostre terre. Perché non usarlo contro il nemico? » continuò osservando l’oggetto d’oro sul piedistallo di pietra.
Il suo tono era diverso rispetto a quello che tanti anni prima, avevo letto di Boromir, non sembrava convinto delle sue parole, pareva solo star esprimendo un idea che non gli apparteneva, voltandosi infine verso Gandalf, a cercare una semplice risposta alla sua proposta.
« Non potete servirvene, nessuno di noi può, l’unico anello risponde soltanto a Sauron, non ha altri padroni  »  rispose Aragorn, incrociando lo sguardo del giovane capitano di Gondor, che si limitò ad annuire sporgendosi poi leggermente verso di me, sussurrandomi in un orecchio:
« Come mai un ramingo ne sa tanto? » domandò evidentemente curioso del ruolo di Aragorn all’interno dell’assemblea, per lui doveva apparirgli strano che fosse presente, soprattutto quando sedeva di fianco agli elfi.
« Non è un semplice Ramingo, lui è Aragorn figlio di Arathon si deve a lui la vostra alleanza » disse Legolas che lo aveva evidentemente udito. Il capitano di Gondor si voltò nuovamente verso Aragorn, stupefatto.
« Aragorn? L’erede di Isildur? » commentò Faramir con un sussurro come se un colpo in pieno petto, gli avesse appena tolto tutto il fiato che possedeva.
« Ed erede al trono di Gondor » specificò Legolas fissandolo intensamente, come se si aspettasse una scenata da un momento all’altro, mentre io incrociavo lo sguardo di Gandalf, che nascondeva a fatica un sorriso sotto i baffi, poiché l’elfo, stava cercando di irritare il fratello sbagliato.
La fame di potere di Faramir, era semplicemente inesistente.
« E’ il nostro Re » commentò stupefatto l’uomo, voltandosi a guardarmi come se gli avessi appena annunciato che la guerra era finita, mentre Aragorn invitava Legolas a non dire altro.
Ma oramai il suo segreto era stato rivelato, e dubitavo, che sarebbe riuscito a fuggire a lungo, dallo sguardo di ammirazione di Faramir.
« Ha ragione Aragorn, non possiamo servircene » intervenne Gandalf per riportare il discorso sulla retta via, dando così qualche altro minuto a Faramir, che continuava a fissare Aragorn come se temesse che sarebbe svanito sotto i suoi occhi, mentre Estel si ostinava a fissare tutt’altra parte, che non fosse verso le sedute degli uomini.
« Non abbiamo altra scelta, l’anello deve essere distrutto » sancì Elrond riportando l’attenzione di tutti sul minuscolo oggetto d’oro.
« Allora cosa stiamo aspettando? » domandò uno dei nani, brandendo in alto la propria ascia e lanciandosi contro il piedistallo, colpendolo con tutta a sua potenza. Ma l’anello non venne che sfiorato dalla potente arma, mentre l’ascia finiva in mille pezzi e il rinculo faceva cadere a terra il nano, che si guardò attorno sbalordito, prima ancora che umiliato.
« L’anello non può essere distrutto qui Gimli figlio di Glòin qualunque sia l’arte che noi possediamo » disse Elrond guardando il nano con comprensione, mentre i suoi compagni lo aiutavano ad alzarsi sbalorditi ancora quanto lui.
« L’anello fu forgiato tra le fiamme del monte fato, solo lì può essere annientato. Deve essere condotto nel paese di Mordor e va ributtato nel baratro infuocato da cui è venuto.
Uno di voi, deve farlo »
« Non si entra con facilità a Mordor » prese parola Faramir raddrizzandosi sulla schiena « I suoi cancelli neri, sono sorvegliati da orchi, lì c’è il male che non dorme mai. Il grande occhio, è sempre all’erta.
E’ una landa desolata, squassata da fiamme cenere e polvere, l’aria stessa che si respira è un’esalazione velenosa. Credo che neanche con diecimila uomini sarebbe possibile … » disse facendo cadere i più vicini a lui, nel totale sconforto.
« Non avete sentito ciò che ha detto Re Elrond ? L’anello desse essere distrutto » esplose nuovamente Legolas, che in tutta onestà, stava iniziando ad irritarmi.
Non mi risultava che Faramir gli avesse fatto niente di male, quindi perché continuava a rispondergli a quel modo?
« E suppongo che pensi che sarai tu a farlo! » eruppe Gimli rimettendosi in piedi pronto a dargli battaglia « Sarò morto prima di vedere l’anello nelle mani i un elfo! »
Esplose la peggiore delle discussioni a cui avessi mai assistito, dove udivo elfi alzare la voce per la prima volta nella mia vita e nani che si limitavano ad urlargli insulti senza neppure cercare di mediare in qualche modo la discussione.
Osservai la scena allibita, prima di rendermi conto che una fastidiosa sensazione si stava facendo strada lungo la mia nuca, quella di essere osservata.
Sentivo un paio di occhi su di me, e mi voltai di lato per incrociare lo sguardo del Capitano di Gondor che mi guardava come se fossi la risposta a tutti i loro problemi.
« Chi io? Ma sei impazzito? » domandai in un leggero bisbiglio scuotendo la testa in negazione con violenza mentre lui scrollava le spalle, domandandomi se dunque avevo qualche candidato migliore per la posizione.
Fu in quel momento, che una voce emerse nel frastuono, e nonostante fossero anni che aspettavo questo momento, non mi trovai preparata.
Il cuore mi si rompeva in petto mentre mi voltavo ad osservare il giovane hobbit che si era alzato, facendosi strada tra i signori molti più alti di lui, ma incredibilmente meno coraggiosi.
« Lo porterò io » disse nuovamente Frodo incrociando anche il mio sguardo.
« Porterò io l’anello a Mordor, solo, non conosco la strada » concluse l’hobbit guardando i presenti uno per uno, che finalmente avevano fatto calare il silenzio sul consiglio.
« Ti aiuterò a portare questo fardello Frodo Baggins, finché dovrai portarlo » disse Gandalf avvicinandosi al Mezzuomo e posandogli una mano sulla spalla, mettendosi dietro di lui.
« Se con la mia vita o la mia morte, riuscirò a proteggerti io lo farò. Hai la mia spada» intervenne Aragorn, inginocchiandosi ai piedi dell’hobbit e prendendogli una mano tra le sue, suscitando un sorriso grato nel giovane.
« E hai il mio arco » intervenne Legolas.
« E la mia ascia » aggiunse Gimli senza perdere un colpo.
« La stessa ascia che hai frantumato due minuti fa? » domandai ironica guardando il nano, prima di mettermi al lato opposto di Gandalf, accanto a Frodo, posandogli a mia volta una mano sulla spalla.
« Non ti lascerò affrontare il mondo da solo amico mio » gli assicurai stringendogli la spalla, mentre Frodo mi riservava un sorriso grato ed Elrond annuiva rassegnato.
« Reggi il destino di tutti noi » commentò Faramir seguendomi poco dopo, donando a Frodo uno dei suoi sorrisi più delicati « Se questa è la volontà del consiglio allora Gondor la seguirà » aggiunse Faramir mettendosi poi di fianco a Gimli e scambiandosi uno sguardo d’intesa con Gandalf, mentre vedevo le spalle del Grigio stregone, rilassarsi leggermente dinanzi alla prospetti di questi compagni di viaggio.
« Ehi! » eruppe una voce da dietro di noi, che mi fece scappare una risata divertita, prima ancora che Sam irrompesse tra le nostre fila.
« Padron Frodo non si muoverà senza di me»
« No certo è quasi impossibile separarvi anche quando lui viene convocato ad un consiglio segreto e tu non lo sei » commentò Elrond mentre io cercavo di mantener un espressione di stupore, mentre mi intrattenevo con un conto alla rovescia mentale, che si concluse perfettamente con l’apparizione anche di Merry e Pipino.
« Veniamo anche noi! Dovrete mandarci a casa legati in un sacco per fermarci » esclamò Merry mentre correva ad unirsi a Sam, passando sotto le braccia del Re Elrond, scatenando in lui un espressione di puro sbigottimento.
« Comunque ci vogliono persone intelligenti per questo genere di missione. Ricerca. Cosa »
« Ma così ti autoescludi Pipino »
« Dieci compagni » sentenziò l’elfo ben deciso ad ignorare l’intromissione degli ultimi due hobbit, fingendo che niente fosse accaduto « E sia, voi sarete la compagnia dell’anello»
« Grandioso. Dov’è che andiamo? »
 
 
 
 



Conclusasi la riunione, passai il primo pomeriggio in compagnia dei giovani Tuc, Frodo e Sam a cui tentai di spiegare pressappoco tutto il percorso che avremmo dovuto fare, per accompagnare il portatore dell’anello verso il monte fato, omettendo ovviamente la parte, dove da un certo punto in poi, sarebbe stato con lui solo Sam.
Dopo qualche ora però notai che i loro sguardi erano sempre più distanti, pronti ad addormentarsi da un momento all’altro, così decisi di lasciarli al loro tea, e mi diressi verso il campo di allenamento dove sapevo avrei trovato Aragorn.
Una volta lì, non feci fatica a scorgere anche un certo biondo che si stava allenando al tiro con l’arco, ma dato che sarebbe stato a breve a corto di frecce, avrei potuto approfittare della scusa, per proporgli uno scontro di lame …
Dopo averlo fissato per alcuni minuti, decisi che o mi sarei data da fare o non ne avrei ricavato un ragno dal buco,quindi mi feci forza, e mi diressi verso di lui.
« Ehi Legolas vuoi allenarti con me? » domandai andandogli incontro con il mio miglior sorriso, ben decisa a rinnovare la nostra ultima- prima impressione.
In fin dei conti avremmo dovuto affrontare pericoli ben peggiori di una semplice antipatia.
Senza contare, che desideravo veramente conoscere meglio il Principe di Mirkwood, suo padre mi parlava raramente di lui nelle sue lettere, e anche dai libri ricordavo ben poco. Senza contare che i libri parlavano della storia, non certamente di come era realmente una persona, ed ero certa che Legolas avesse molto di più da raccontare oltre al fatto di essere uno degli elfi più stupendi della Terra di Mezzo.
« Non vedo perché. Per me non sarebbe certo un allenamento non sei al mio livello » si limitò a rispondere il principe di Bosco Atro voltandosi a guardarmi solo per piantarmi in asso in meri secondi. Andandosene direttamente dal campo d’allenamento, piuttosto che restare in mia compagnia.
« Che cosa hai fatto per irritare così tanto Legolas? » domandò Aragorn, avvicinandosi a me dopo aver interrotto il suo allenamento affiancandomi mentre osservavamo la schiena dell’elfo allontanarsi sempre di più.
« Se solo lo sapessi » mormorai ferita e arrabbiata.
Perché sapevo che Legolas poteva anche non aver intrapreso la sua frase come un offesa, era un dato di fatto che essendo umana, fossi infinitamente meno abile di lui, ma avevo desiderato di avvicinarlo così tante, solo per fallire miseramente.
Ed oggi, che finalmente mi ero fatta coraggio ero stata rifiutata in modo così plateale, che mi faceva male anche quando Legolas non era altro che un semplice sconosciuto per me.
« Posso allenarmi io con te se vuoi » disse Aragorn per consolarmi, invitandomi con lui nell’arena dove era poco prima.
« No grazie, non ne ho più voglia » risposi ringraziandolo con un finto sorriso, prima di allontanarmi.
Sapevo che ero infantile a comportarmi a quel modo, Aragorn sarebbe stato un ottimo allenamento comunque, ma al momento, volevo solo andare nella mia stanza e chiudere la porta al mondo.
La cosa più ridicola, è che potevo sentire le lacrime premere agli angoli dei miei occhi, come delle piccole traditrici che volevano far sapere al mondo quanto quel dannato elfo mi avesse fatta sentire umiliata.
Attraversai i giardini con gli occhi ben piantati a terra, ignorando i richiami alle mie spalle, che suonavano come le voci di Merry e Pipino, per salire la scalinata due scalini alla volta, chiudendo la porta alle mie spalle appena mi ritrovai nella mia stanza, che era diventato per me un luogo tanto familiare.
Ma mi rifiutai di piangere, di cadere così in basso per un mero rifiuto, mentre mi costringevo a dei respiri profondi ripassando mentalmente tutti i libri di Etichetta Elfica, cercando di distrarre i miei pensieri.
 
Quando finalmente mi fui calmata, mi ritrovai persino a chiedermi perché me la fossi presa tanto, quando in fin dei conti era solo un Elfo a cui non dovevo niente.
Avevo promesso a suo padre che sarebbe tornato a casa, e se la sarebbe perfettamente cavata, quindi perché tanto chiasso per diventargli amica?
In fin dei conti non si può certo piacere a tutti, e io potevo vivere benissimo anche con le antipatie di Legolas.
Quando qualcuno bussò alla porta, compresi che dovevo aver saltato la cena, e mi ritrovai ancora più furiosa con l’elfo. Se c’era una cosa che detestavo era saltare quelli che sarebbero stati i miei ultimi pasti con la mia famiglia.
« Avanti » mormorai di pessimo umore.
Dalla porta entrò un giovane hobbit, che mi prese completamente di sorpresa.
« Frodo » salutai comunque felice di vederlo « A cosa devo la tua visita? »
« Non sei venuta a cena, ho pensato che avremmo potuto fare uno dei nostri pic-nic » mormorò incerto tirando fuori da dietro la porta, un paniere che era quasi alto quanto una sua gamba.
« E lo hai portato qui da solo? » dissi sbigottita correndo ad aiutarlo, temendo che avesse sforzato il braccio, affaticando così la ferita.
« Secondo te Sam me lo avrebbe permesso? » domandò il giovane hobbit inarcando il sopracciglio e seguendomi al’interno della stanza, chiudendo la porta alla sua spalle.
Ridacchiai divertita dinanzi alle sue parole, dandogli perfettamente ragione, mentre aprivo la tovaglia sul tappeto dinanzi al camino ricordando il giorno in cui avevo proposto un pic-nic in giardino al giovane Frodo e Bilbo.
Inutile dire che l’hobbit più anziano aveva borbottato per ore, sul fatto che tutti i vicini gli avrebbero dato del matto per mangiare scomodo, sull’erba, quando aveva un ottimo tavolo in sala da pranzo.
In poche parole Bilbo aveva adorato l’esperienza, ed era stato per quel motivo, che ve ne furono tante altre, restando una piccola tradizione anche solo tra me e Frodo.
Apparecchiammo la tovaglia in un piacevole silenzio, seduti a gambe incrociate su di essa, mentre io notavo, che Frodo aveva preso dalle cucine abbastanza cibo da sfamare un esercito.
« Sam ha preparato il cesto » commentò in risposta alla mia espressione sbigottita quando ebbi finito di apparecchiare, facendomi nuovamente ridere.
Il cattivo umore di poco prima, completamente svanito.
«Teme ancora che tu non mangi abbastanza eh? » dissi divertita iniziando a sbocconcellare un po’ di pane al latte con miele e formaggio, per partire con dolcezza.
« A volte, mi dimentico persino io che lui sarebbe molto più giovane di me » confidò imitando la mia pietanza, ma con una evidente predilezione verso la quantità di miele.
« In realtà Valanyar, devo confidarti che quando non sei scesa, ero felice di aver avuto una scusa per poterti venire a parlare in privato » disse dopo aver assaporato il primo boccone « Avrei delle domande da farti »
« Dimmi » risposi incuriosita dal suo disagio.
« Tu, sapevi dell’anello? » domandò toccando sovrappensiero la tasca del panciotto, dove al momento doveva risiedere il piccolo oggetto.
« Sì »
« E perché non lo hai distrutto anni fa, quando il nemico era più debole ? »
« Debole, è una parola che non si accompagna bene con Sauron amico mio. La sua potenza era più nascosta, ma non certamente inferiore. » gli risposi prendendo un po’ di tempo con un sorso d’acqua « Quanto al perché non l’abbia preso io stessa Frodo, è perché sono umana.
Appartengo alla razza degli uomini, la mia volontà verrebbe piegata troppo velocemente. Sono troppo debole » confessai con un sorriso mesto.
« Debole? Tu? E quindi che speranze ho io che sono solo un hobbit? »
« Solo un hobbit ? E’ questo ciò che credi ? » domandai scettica « La forza Frodo, non è solo una questione fisica. La forza è la volontà di proteggere ciò che si ama, a qualunque costo »
« Quindi tu credi, che io sia abbastanza forte? »
« Mi stai chiedendo di dirti il futuro Frodo? »
« No, voglio sapere cosa credi te. Tu credi, che io possa farcela ? »
« Sì » risposi senza esitazione, lasciando che il silenzio tra di noi si prolungasse, mentre lui scrutava il mio sguardo alla ricerca di un’incertezza che non avrebbe trovato.
« Sono felice che verrai con me Valanyar » disse infine in un sorriso « Ma sarà dura non è vero? »
« L’impresa Frodo, richiederà orribili prezzi per tutti noi. Ma per te soprattutto »
« Spero solo, che Sam non si faccia male » mormorò Frodo in un sussurro che era evidente non avrebbe dovuto lasciare i suoi pensieri « E anche Merry e Pipino, e tu ovviamente! » aggiunse in fretta arrossendo vistosamente e cercando di salvarsi da una fossa, che si era scavato lui stesso, mentre io mi limitavo a ridere di buon gusto dinanzi al suo imbarazzo.
« Non vi è niente di male, nel desiderare che qualcuno non si faccia male Frodo. E Sam è una brava persona hai ragione, non si meriterebbe le crudeltà di questa era » dissi infine cercando di stemperare il suo imbarazzo  « Ma tu sei felice che lui venga no? »
« Sì » rispose nascondendosi dietro il suo bicchiere « Volevo dirgli di non venire. Che era troppo pericoloso ma in cuor mio, ero così felice che lo avrei avuto accanto a me, che non sono riuscito a dirglielo »
« Non te lo avrebbe comunque permesso. Questo viaggio Frodo, ti farà mettere in dubbio molte cose, ma su una cosa potrai sempre contare. Sam ci sarà sempre, al tuo fianco, passo dopo passo, non dubitare mai della sua fedeltà » lo ammonii posando una mano sulla sua gamba, stringendogli leggermente il ginocchio in segno di affetto.
« Io non dubiterei mai di Sam » disse guardandomi, come faceva un tempo quando era giovane. Come se cercasse di capire se le mie parole erano l’ammonizione per un evento futuro oppure se stavo solo parlando senza un filtro bocca-cervello.
 « Ma come mai non sei venuta a cena? » domandò l’hobbit facendomi strozzare nel mio stesso boccone, mentre trangugiavo l’intero bicchiere di vino per far scendere il blocco in gola.
« Ah, adesso sembra un motivo così stupido. » dissi notando lo sguardo incuriosito di Frodo « Legolas mi odia, ed io non so perché »
« Legolas è l’elfo biondo che mi ha garantito il suo arco vero? » domandò inclinando il capo, quasi facesse mente locale su chi fosse.
« Sì » risposi divertita dal suo identificativo come “il garante dell’arco”.
« Vi siete incontrati prima di oggi? » chiese incuriosito.
« Sì quasi vent’anni fa, sono andata a trovare suo padre e lui era di guardia ai confini »
« Lo hai insultato non è vero? »
« Come scusa? »
« Aragorn dice che hai un pessimo carattere e che insulti sempre tutti quando vai a  giro da sola »
« Scusami ?! » ripetei shockata. “Quel dannato ramingo traditore!” Pensai ancora a bocca aperta.
« Quindi confermi lo hai insultato » continuò imperterrito l’hobbit.
« Beh lui sì, ma se lo meritava non lo faccio certo di continuo! » sbottai incredula mente l’hobbit addentava un pezzo della sua mela, evidentemente fiero di sé stesso.
Forse non avrei dovuto ridere così tanto riguardo il suo imbarazzo verso Sam, se quello era il suo modo di vendicarsi.
Borbottai qualcosa contro hobbit ed elfi mentre mi versavo un altro calice di vino, ben decisa ad affogare la mia frustrazione nell’alcool.
Frodo mi dette anche il suo bicchiere, e una volta giunti al quarto brindisi ci eravamo completamente dimenticati che il vino elfico non era fatto certamente per gli umani, né soprattutto per piccoli Hobbit.
 
Gandalf ed Elrond ci trovarono che facevamo il bagno vestiti nella fontana dei giardini, mentre io cantavo in modo molto stonato le frasi di una canzone, che da sobria sarei stata certa di non ricordare più. Il cui ritornello avevo ripetuto così spesso che lo stesso Frodo oramai mi accompagnava alla perfezione, nonostante non avesse la più pallida idea di chi fosse Britney Spears:
 
« Ops! I did it again
I played with your heart, got lost in the game
Ooops, you think I’m in love
That I’m sent from above
I’m not that innocent ! » ²
 
« Questo è sicuramente uno spettacolo riprovevole per tutti e due voi considerando che avete ruoli cruciali nella terra di mezzo » commento Elrond guardandomi sul ciglio della fontana con l’espressione che recitava “E’ tutta colpa tua lo so che è colpa tua “ il che era piuttosto vero.
Ma i miei neuroni stavano ballando al ritmo pop all’interno del mio cervello e non stavano facendo certamente il loro lavoro poiché io e Frodo ci guardammo, seduti nella fontana come se non avessimo un pensiero a questo mondo e mettendoci a ridere come idioti, non appena incontrammo lo sguardo gli uni degli altri.
« Forse Mastro Elrond, nel prossimo cesto, faremmo meglio a consigliare al giovane Sam di mettere solo acqua » suggerì Gandalf.
 
« I think I did it again
I made you believe we’re more than just friends ! »
 
Io e Frodo a continuammo a cantare finendo con l’attirare l’attenzione anche degli hobbit più giovani, che risposero in modi completamente differenti alla scena che gli si presentò davanti.
Sam si precipitò accanto a Gandalf e l’elfo, mormorando scuse e pregando Frodo di uscire, mentre Merry e Pipino ci misero meno di mezzo secondo ad unirsi a noi, tuffandosi a loro volta nello specchio d’acqua, che nonostante fosse inverno, era particolarmente piacevole.
« Aragorn! » salutai quando lo vidi raggiungerci assieme ad Arwen, alzandomi in piedi ed allargando le braccia come a chiedergli un abbraccio.
« Il tuo umore è migliorato vedo » si limitò a commentare con un sorriso divertito che specchiava quello di Arwen. Fossi stata sobria, avrei sicuramente fatto un commento sul fatto, che nonostante le loro razze fossero diverse i due amanti si stavano assomigliando sempre di più.
« Credo di aver bevuto troppo »
« Di nuovo » suggerì lui ricordandomi la sera precedente
« Di nuovo » concordai soddisfatta prima di venire attaccata da due hobbit alle spalle che mi trascinarono sott’acqua.
« E’ la guuuerra! » urlò Merry mente Frodo cercava di convincere Sam ad entrare in acqua, ed io inseguivo il giovane Pipino per affogarlo.
« Vieni qui che ti ammazzo! » urlai contrò l’hobbit che mi aveva attaccato il collo.
« Non puoi devo venire con voi a Mordor ! » replicò il giovane Tuc divertito, continuando a schizzarmi con dei genti d’acqua spinti con i palmi delle mani.
« Non sei fondamentale ai fini dell’impresa! » ribattei quando finalmente lo agguanti, trascinandolo con me sotto l’acqua, per riemergere poco dopo sommersi dalle risate degli spettatori attorno a noi.
« Vorrei poter dire che non è mai successo niente di simile a Gran Burrone ma - »
« I parenti di Gimli non hanno fatto il bagno nelle vostre fontane nudi? » dissi interrompendo il Re di Imladris, che mi guardò che quello che un tempo avrei temuto fosse “quanto ti odio” invece adesso riconoscevo come “ma perché ti amo?”, a cui risposi con un sorriso a trentadue denti.
« Quindi ci spogliamo? » domandò Merry, che decretò la fine della serata, poiché venimmo tutti trascinati fuori da Aragorn e Gandalf che dovevano aver deciso che Elrond aveva subito abbastanza infarti per la serata.
 


 
I giorni ante-primi alla partenza trascorsero lenti, con ben pochi avvenimenti degni di nota all’interno del regno, dopo la nostra serata nella fontana.
Faramir aveva preso la decisione di far allenare un po’ gli Hobbit con la spada, sotto l’occhio vigile di Aragorn, che si era ritrovato sulla stessa linea di pensiero del Capitano di Gondor.
Ma infine, anche il nostro ultimo giorno ad Imladris, giunse:
 
« La sua lettera da Mirkwood mia signora » disse una delle ancelle, consegnandomi una lettera del Re Thandruill mentre io la ringraziavo, andandomi a sedere vicino ad Aragorn, che stava leggendo una vecchia mappa su un libro, sperando di trovarvi qualche passaggio dimenticato che avrebbe potuto tornarci utile.
« E’ arrivata appena in tempo » commentò il ramingo mentre io annuivo pensando alla partenza dell’indomani.
« Mio padre vi scrive? » domandò Legolas fissando l’involucro tra le mie dita, come se lo avesse personalmente tradito, mentre io annuivo, chiedendomi perché fosse tanto turbato dall’idea.
« Da quando ho lasciato le tue terre, le sue lettere mi hanno raggiunto negli angoli più remoti nei momenti più inaspettati » commentai guardandolo e accennandogli un sorriso, sperando che mi ricambiasse.
Invece mi guardò se possibile, ancora più offeso, come se fosse colpa mia se suo padre mi aveva scritto, con le labbra che avevano preso una piega talmente dritta che temevo la sua mascella sarebbe rimasta per sempre paralizzata dalla crudezza con cui stringeva i denti.
« Vi è qualche problema? » provai a domandare, sperando che l’elfo mi desse qualche indizio sul perché del suo atteggiamento.
Sapevo che elfi di Mirkwood, così come quelli di Lòrien erano molto più schivi di natura, ma non avevo mai incontrato nessuno trattarmi con la stessa freddezza di Legolas.
Da un elfo ti aspettavi molte cose, ma solitamente erano eleganti anche nelle loro antipatie, e tranne il nostro sfortunato incontro di anni prima, non capivo il perché di quell’astio.
« Puoi almeno dirmi cosa ti ho fatto? Non mi merito tutto quest’odio » sbuffai finalmente irritata dando sfogo ai miei pensieri, mentre aggrottavo le sopracciglia ricambiando lo sguardo irritato dell’elfo.
« Vorresti dunque la mia fiducia? » domandò pronunciando quelle parole come se le trovasse ridicole, prima di scrutarmi nuovamente dall’alto in basso, sbuffare e riprendere ad oliare il suo arco, come se niente fosse, come se io non avessi nemmeno parlato.
Volevo ucciderlo.
E la mia rabbia doveva divampare con chiare onde dal mio corpo poiché Aragorn posò una mano sul mio braccio,e non era di consolazione  o per calmarmi. Era per trattenermi fisicamente sul posto, mentre io lo guardavo tradita, prima di notare il suo cenno del capo con cui mi indicava l’ingresso della sala.
« Gwend ti stavo cercando » mi salutò Faramir quando entrò nella stanza costringendomi a rilassare la mia postura per risparmiarmi domande spiacevoli.
« Sire Aragorn,  Sire Legolas » salutò educatamente con dei brevi inchini scatenando un semplice cenno del capo nell’elfo qualche metro più in là intento a lucidare il proprio arco, ma una vera e propria crisi di imbarazzo da parte di Estel.
Era evidente che non era abituato ad essere trattato con il rispetto regale che meritava il suo lignaggio.
« Vi prego Faramir, non sono il signore di nessuno » tentò Aragorn con un lieve sorriso sperando che così il Capitano cogliesse l’invito e si limitasse a trattarlo come avrebbe trattato il Ramingo.
« Come desiderate » lo accontentò Faramir leggermente confuso, corrucciando le sopracciglia mentre io mi alzavo andandogli incontro, ben decisa a deviare la sua attenzione dal futuro Re.
« Hai detto mi stavi cercando? »
« Sì esattamente, beh in realtà io sono un semplice messaggero l’hobbit più anziano, il Signor Baggins vi stava cercando, ho detto che sarei venuto io a cercarvi poiché appariva piuttosto scosso  » spiegò Faramir con aria urgente evidentemente turbato a causa dello stato in cui aveva trovato l’Hobbit.
Considerando che per l’indomani era prevista la nostra partenza, non era difficile immaginare cosa fosse successo.
« Ah Gwend - » disse Faramir ma venne interrotto prima ancora di poter pronunciare qualcosa che andasse oltre al mio nome.
« Potete per favore smetterla? » disse Legolas facendo voltare me e Faramir verso di lui, anche se ero piuttosto certa che avesse vinto anche l’attenzione di Aragorn poiché i suoi occhi si erano fermati sulla pagina del libro.
« Perdonami mio signore? » domandò Faramir evidentemente confuso, soprattutto davanti al lieve astio che era però stato ampiamente percepito nella voce di Legolas.
« Gwend » disse il biondo pronunciando il mio nome quasi fosse il nome di un insetto particolarmente ripugnante
« E’ la parola elfica per fanciulla vi sarei grato se smetteste di ripeterla come se lei fosse l’unica fanciulla degna di nota a questo mondo. »
Il capitano di Gondor stette in silenzio per qualche secondo, scambiandosi uno sguardo con me, che stavo riflettendo se per caso qualcuno aveva messo del sale nel tea dell’elfo quella mattina o era sempre così irritante.
« In un certo senso però, è esattamente così » rispose alla fine Faramir con un sorriso affabile, mentre Legolas lo guardava interrogativo
« E’ l’unica fanciulla degna di nota, che io abbia mai avuto il piacere di conoscere » continuò l’uomo di Gondor facendomi arrossire dalla testa ai piedi, mentre Aragorn se ne usciva una risata sommessa tra le pagine del suo libro, e il biondo lanciava un’occhiataccia al giovane uomo, prendendo le sue cose e dileguandosi dalla stanza il più velocemente possibile.
« Mi perdoni mia signora non volevo farla sentire in imbarazzo » aggiunse poi Faramir vedendomi paonazza
« Ho solo temuto per la vita dell’elfo se non avessi trovato un modo per stemperare la vostra rabbia » aggiunse facendo a questo giro, ridere anche me assieme ad Aragorn.
« Siete un uomo saggio, Faramir » disse Estel con ancora un sorriso ad impreziosirli il viso da sopra il suo libro, evidentemente dimenticato in grembo.
« Il detto che con l’età aumenta anche la pazienza, è un concetto che non ha mai raggiunto Valanyar » aggiunse il ramingo scambiandomi uno sguardo d’affetto, mente io sbuffavo fintamente oltraggiata.
Iniziava a sembrare una combutta a mio scapito, come era possibile che tutti gli uomini a cui mi affezionavo, alla fine facevano combutta contro di me? Aragorn, Haldir, i gemelli e adesso perfino Faramir.
« Vado da Bilbo » mi congedai dai due uomini prima che potessero mettermi ulteriormente in imbarazzo, ma non senza voltarmi sulla porta, poco prima di uscire dove lanciai un ultima occhiata verso i due uomini che si erano nuovamente chinati sulla stessa pagina.
Estel doveva star chiedendo un chiarimento delle terre dietro i monti di Gondor, ed essendo Faramir molto più esperto, non si era tirato indietro dinanzi alla possibilità di essere d’aiuto.
 
Mi diressi verso le stanze di Bilbo immaginando che lo avrei trovato lungo il corridoi principale, dove vi era un piccolo balcone, con uno scalino che era dell’altezza perfetta per lui per sedersi ad osservare le meraviglie di Imladris. Ma quando vi giunsi, mi accorsi con stupore che non era lì.
Dunque mi diressi verso la sua camera, dove udii un mugolio sommesso, come un animale ferito provenire dall’interno.
Mi affacciai, accorgendomi che era lo stesso Hobbit, rannicchiato in terra ai piedi del letto, che dondolava leggermente avanti indietro mugolando frasi incomprensibili.
« Bilbo ? » chiamai incerta, temendo che quando avrebbe alzato il viso, non sarebbe stato il mio caro vecchio amico, ma una creatura corrotta dall’anello.
Ma per fortuna, gli hobbit erano creature incredibili.
« Oh Valanyar » mormorò alzando leggermente il viso dalle sue ginocchia, alzando la testa quel poco che bastava  per farmi notare che stava piangendo « Ho fatto una cosa orribile. Orribile al povero Frodo … » sussurrò mentre io mi sedevo accanto a lui, cullandolo con le mie braccia, fino a quando il suo viso non fu sul mio grembo e io gli accarezzavo i riccioli bianchi sulla testa, mormorando rassicurazioni senza preoccuparmi di cosa stessi dicendo, cercando solo di calmarlo e far cessare i suo singhiozzi, ricordandogli che poteva piangere quanto desiderava, sarei restata qui con lui.
« E’ tutta colpa di quel mio vecchio anello » sussurrò poi dopo quasi un’ora che eravamo sul pavimento. I pianti erano cessati da vari minuti, ma nessuno di noi aveva più parlato, lasciandoci cullare dal silenzio, mentre le mie dita seguivano percorsi immaginari tra i suoi capelli, aiutandolo a rilassarsi.
« L’ho visto e non so cosa mi sia preso … Quando Frodo lo ha nascosto fuori dalla mia portata … Ti giuro Valanyar volevo ucciderlo. L’ho sentito dentro di me, quel desiderio, volevo riprenderlo, riaverlo tra le mie dita. Il mio tesoro … » aggiunse con una mano girata con il palmo in alto il dito indice dell’altra che tracciava un piccolo cerchio immaginario nel centro, in una memoria muscolare di un gesto tanto abitudinario.
« Allora ho capito che doveva essere qualcosa di davvero brutto, volevo avvertire Elrond ma lo sapeva già. Lo sapevi anche tu non è vero? » domandò finalmente alzandosi e sedendosi di fianco a me, incrociando il mio sguardo.
Annuii colpevole, ricambiando Bilbo con un’occhiata altrettanto triste.
« A che cosa l’abbiamo condannato? » domandò includendo anche me in quell’equazione. E in fin dei conti, non era forse vero?
Quante volte avrei avuto la possibilità di cambiare il corso della vita? Di impedire che la storia facesse il suo corso costringendo così il giovane Hobbit, al destino più crudele?
Ma ero stata una codarda, avevo temuto che nessuno sarebbe mai stato abbastanza forte come Frodo, da percorrere fino in fondo quella strada. E magari avevo ragione, magari avevo fatto la scelta giusta, ma sarebbe comunque stata colpa mia.
« Quando tornerà, non sarà più lo stesso » si rispose Bilbo da solo, rubandomi le parole di bocca, ripetendo quella che tanti anni prima erano stati i discorsi tra lui e Gandalf.
« Lo aiuterai vero? »
« Ovviamente » lo rassicurai guardandolo negli occhi per comunicargli tutta la mia determinazione, mentre lui permetteva ad un lieve sorriso di affacciarsi al suo viso, annuendo soddisfatto.
« Credo sia meglio che vada a scusarmi con il ragazzo» disse ritrovando il suo spirito combattivo mentre si alzava in piedi, pulendosi i pantaloni con i palmi delle mani.
« Lo troverai sicuramente nelle sue stanze, assieme a Sam » gli assicurai mentre l’anziano Hobbit annuiva, uscendo dalla camera con decisione e quasi marciando fino all’altra ala del palazzo, ben deciso a salutare il proprio parente, in un maniera più consona.
 
Io invece mi diressi verso le mie stanze, per preparare le ultime cose, sorprendendomi non poco quando una volta giunta vi trovai Arwen.
« Mia signora » la salutai sorprendendo entrambe per la mia ritrovata educazione, ma ogni volta, l’elfa riusciva a sorprendermi nella sua regalità.
Anche in quel momento, mentre era semplicemente seduta dinanzi al mio caminetto, sul divano a leggere un libro in paziente attesa del mio ritorno.
« Credevo avresti voluto passare la tua ultima sera con Aragorn » dissi mentre lei mi invitava a sedermi accanto a lei.
« Al-agor na gar-meleth ? [ Non hai anche tu il mio amore? ] » disse posandomi una mano sulla guancia, donandomi un po’ del suo calore, mentre io ricambiavo il suo sorriso.
« Ho un dono per te » continuò indicandomi di dargli le spalle, e sciogliendo i miei capelli dalla mia solita coda malferma.
« So che le trecce elfiche non fanno per te, ma ho pensato che per questo viaggio avresti fatto un eccezione » disse iniziando a passare un pettine tra i miei capelli, districandoli prima di passarvi l’unguento, assicurandosi che penetrasse in ogni più piccola ciocca, massaggiando delicatamente la mia cute.
« Ti permetterà di tenere i capelli più puliti, più a lungo e fino a quando non sarai tu a decidere di scioglierli, le mie trecce non ti falliranno » annuii consapevole che non era solo quello.
Gli elfi andavano molto fieri dei loro capelli, e lasciavano solo coloro che amavano toccarli, come loro, toccavano solo quelli di coloro che amavano.
Acconciarli poi, era tutt’altra questione, era estremamente raro che ad un non membro di una famiglia fosse permesso di indossare una particolare acconciatura. Specialmente gli Elfi di Gran Burrone, che avevano solo soldati volontari e che quindi non incrociavano oramai da centinai d’anni la crudeltà della guerra, le trecce erano molto rare, ma estremamente preziose.
Rimanemmo in un piacevole silenzio, fino a quando lei non dichiarò il lavoro concluso, permettendomi di avvicinarmi allo specchio.
La pettinatura di Arwen era stupenda: una grande treccia centrale partiva da sopra la mia fronte,  a cui le si univano, piccole treccine laterali, che poi si legavano alla principale, prima di ricadere lungo le spalle, dove i capelli restanti scivolavano sciolti lungo la schiena. ³
« E’ meravigliosa » le confidai sincera, voltandomi per abbracciarla sperando sapesse, quanto significasse per me che mi riconoscessero a quel modo come una di loro.
Neppure ad Aragorn era stato mai concesso niente di simile, i suoi capelli erano sempre stati tagliati per la lunghezza consona per uno appartenente alla razza degli uomini. Perché alla fine, quello sarebbe stato il suo posto.
« Arwen per quanto riguarda il destino di Aragorn voglio che tu sappia- » dissi pronta a rivelargli che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe sopravvissuto, che sarebbero stati assieme, felici.
Ma  la Stella del Vespro mi interruppe.
« Non c’è niente Valanyar, che tu possa dirmi che il mio cuore già non sappia » disse passando una mano sul ciondolo che portava al collo, la luce del diamante si era notevolmente affievolita negli anni, poiché lei aveva rinunciato alla sua immortalità ma non si era certamente spenta « Qualunque sarà il nostro destino la mia decisione permane. » Concluse con un sorriso timido, lo stesso che riservava a se stessa, ogni volta che Aragorn tornava da uno dei suoi viaggi.
 Era il sorriso di una donna innamorata. E Aragorn ne aveva uno identico, che lo rispecchiava ogni qualvolta, che lo sorprendevo a pensare all’elfa durante le lunghe sere attorno ai falò.
« Buonanotte Arwen » la salutai mentre lei si riprendeva il suo libro e mi lasciava sola a godermi la mia stanza a Gran Burrone. Per l’ultima volta.
 

 
 
 



 
 


 
« Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul .»¹ = Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli.
 

I’m not that innocent ! ² = Valanyar e il nostro amato Frodo, hanno cantato Ops I did it again di Britney Spears. Volevo solo fargli cantare una canone che per qualunque personaggio in Arda, non avrebbe avuto il minimo senso. Ma che chiunque di noi potrebbe conoscere, soprattutto da sbronzi.
 

Acconciatura fatta di Arwen³ = per chiunque sia curioso, l’ho immaginata più o meno così.
 


NdA =  E’ qui! Dal prossimo capitolo, si parte finalmente per la nostra avventura. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi stia intrigando, anche se oggettivamente già la conoscete xD
 
 
NB = Per chi non ha letto i libri ci tengo a precisare che Boromir si dirige a Gran Burrone a causa della visione che era apparsa a Faramir ( tipo a Faramir ce l’ha sette volte e  Boromir solo una volta ) ma Denethor manda Boromir a Gran Burrone, decisione di cui ovviamente poi si pente dicendo  a Faramir, che avrebbe preferito ci fosse andato lui così sarebbe morto lui.
Quindi ho sempre pensato, che il fato c’avesse voluto lui ecco.  E Denethor si era messo in mezzo.
Da qui il mio tentativo di inserire Faramir al posto di Boromir.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


▌ Capitolo 4  ▌   
 
 
 
 
 
 
«  Casa è alle spalle e il mondo avanti.
 Le strade da seguire tante.
Nell’ombra il mio viaggio va finché luce nel cielo sarà.
Nebbia e ombra , oscurità, tutto svanirà.
Tutto svanirà»
 
__Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re
 
 





Aprii gli occhi che il sole non poteva essersi alzato da più di un paio d’ore e gli uccelli cantavano felici fuori dalla mia finestra.
Restai sdraiata nel letto per qualche minuto, per godermi ancora quella pace, quella solitudine che sapevo che durante il viaggio con la compagnia, non avrei più avuto per molto tempo.
In un'altra vita, oggi sarebbe stato il giorno di natale, non che in Arda significasse qualcosa, ma il pensiero mi rattristì in qualche modo.
Quando infine mi alzai mi diressi direttamente verso le specchio, stupita di notare che le trecce di Arwen erano in perfetto stato, come se avesse finito di acconciarmele pochi secondi fa e sicuramente senza che io vi avessi dormito sopra.
Mi andai a lavare godendomi il più a lungo possibile l’acqua calda e quando tornai in camera, notai una nuova tunica all’interno del mio armadio che la sera prima non avevo notato. La apprezzai con dita consapevole che doveva essere un dono di Elrond.
I pantaloni erano in pelle scura, un marrone tanto intenso che con il passare del tempo sarebbe stato confondibile con il nero, la camicia era verde come quella degli di tutti gli elfi Silvani ma più lunga (mi arrivava quasi sotto al sedere).  Nonostante fosse una camicia dall’apparenza leggera, era stoffa elfica, quindi sapevo che mi avrebbe tenuto fresco nei luoghi caldi e riscaldato in quelli freddi.
Presi in mano anche quello che avevo scambiato per una specie di corsetto in pelle, ma si infilava come una canottiera da sopra la testa, per poi stringerlo con i lacci sui fianchi. 
Riconobbi anche lì la fattura, era degli elfi di Lòrien. Dettaglio piuttosto rilevante considerando che loro a differenza di Mirkwood, si erano sempre rifiutati di venderci i loro vestiari. Questo, doveva essere il favore che Elrond aveva richiesto ad Haldir anni prima, dopo il mio primo ritorno da Gondor quando la situazione aveva iniziato a farsi seria.
La veste era in pelle dura, e all’interno doveva avere delle placche in metallo nei miei punti più fatali, come un’armatura leggera. Considerando che gli elfi solitamente non erano minuti come la sottoscritta, doveva essere stata fatta su misura, quindi espressamente per me.
L’idea mi strappò un sorriso. Era bello sapere che le persone a me più care, cercassero di proteggermi anche dove non avrebbero potuto seguirmi.
Tentai qualche fendente immaginario, notando che l’intero completo seguiva i miei movimenti senza mai intralciarli, anche il panciotto in cuoio, nonostante lo avessi stretto per farlo aderire il più possibile, non mi toglieva il respiro nemmeno nelle stoccate più azzardate.
Mi rimirai allo specchio, comprendendo perché non mi era stato donato prima. Stringendosi in vita, accentuava una forma a clessidra al mio corpo, rendendolo indubbiamente dalle forme femminili e i vestiti elfici, che  avrebbero reso chiunque  più bello, mi rendevano carina. Potevo quasi capire perché Faramir, quasi dieci anni prima aveva pensato che fossi un elfo, per un ragazzo avevo comunque lineamenti troppo delicati. Ma non era una novità che gli uomini non vedessero oltre il loro naso.
Sorrisi soddisfatta alla mia immagine un ultima volta, prima di dirigermi verso il comodino ed aprirne il cassetto estraendone il ciondolo a forma di lacrima che mi aveva donato Thandruil.
Nel corso degli anni, avevo temuto di perderlo a portarlo con me, soprattutto a Gondor dove avevo affrontato la guerra per anni, la tentazione di usare quel potere magico sarebbe stata troppa per resistere. Per questo avevo deciso di lasciarla al sicuro a Gran Burrone.
Me lo misi al collo, e lo infilai all’interno della camicia coprendolo da occhi indiscreti.
Probabilmente quasi nessuno ne conosceva le proprietà, ma era comunque un gioiello dall’immenso valore essendo fatto di Mithril. E i nani erano piuttosto sensibili in merito, non avevo alcun interesse nell’inimicarmi anche Gimli.
Mi sistemai la cintura delle spade in vita, infilai le due lame bianche nelle rispettive faretre (una su ogni fianco) e raccolsi la mia sacca uscendo dalla stanza senza voltarmi indietro dirigendomi invece verso le stalle.
Sapevo che saremmo partiti subito dopo colazione, per questo preferivo salutare il mio compagno di avventure adesso.
 
Una volta arrivata alle stalle, mi resi conto che salutare Bucefalo in solitudine sarebbe stato impossibile, poiché anche gli elfi di Mirkwood stavano sellando le loro cavalcature, preparandosi a partire mentre parlavano con il loro principe.
Mi limitai ad un cenno del capo verso gli elfi che non conoscevo, ignorando completamente Legolas in favore del grigio cavallo che non appena mi vide, iniziò a nitrire contento.
« Bucefalo » salutai la bestia accarezzandola sul muso, e allungandogli la sue mele preferite « Devo partire » mormorai all’animale che sembrò comprendermi, iniziando a battere la zampa in terra, quasi a dirmi che era pronto a partire.
Ovviamente al contrario del suo bis-nonno, Bucefalo era quasi completamente un cavallo elfico, quindi estremamente intelligente. Ma nonostante mi fosse sempre parso che capisse perfettamente tutto, era pur sempre un animale.
« Temo che questo viaggio dovrò affrontarlo da sola amico mio » spiegai continuando ad accarezzarlo, mormorando dolci parole in elfico per rasserenarlo.
Il cavallo però non sembrava volerne sapere, con le mele oramai abbandonate nella mangiatoia continuava ad agitarsi, come se volesse aprire lui stesso la porta della stalla.
« Teme che non tornerai » disse una voce alle mie spalle facendomi girare di scatto.
Legolas si era avvicinato, guardando il cavallo con ammirazione, mentre gli parlava anche lui in elfico ma come un sussurro nel vento: troppo veloce e tenue perché io potessi coglierne le parole.
Ma potei percepirne le sensazioni calma, fiducia, serenità, una promessa.
« Non ho compreso il suo nome » aggiunse Legolas voltandosi verso di me, come se avesse avuto un’attuale conversazione con il cavallo.
Io lo guardai sconcertata, consapevole che quella era la prima volta, che Legolas mi rivolgeva la parola senza che vi fosse astio o sospetto dietro.
« Bucefalo » risposi dopo qualche minuto a boccheggiare come un pesce, odiandomi per stare al suo gioco. Avrei dovuto mandarlo al diavolo, dirgli di andarsene da dove era venuto e che sicuramente non avevo bisogno del suo aiuto con il mio cavallo. Ma la sua presenza sembrava far piacere a Bucefalo e io ne ero vagamente affascinata, desiderando di capire, dove la conversazione sarebbe andata a parare.
« Era il nome, anche di suo padre, e di suo nonno e del padre di suo nonno » commentò l’elfo evidentemente scettico, voltandosi verso di me con un sopracciglio inarcato come a sfidarmi di spiegargli il motivo di un gesto simile.
Quindi poteva davvero parlare con il cavallo.
Com’è che a me non lo aveva mai insegnato nessuno?
« Che c’è ? Anche i cavalli di Geralt si chiamato tutti Roach ¹» ribattei mentre il cavallo prendeva le mie parti, evidentemente fiero del proprio nome.
Legolas sembrò capirne ancora di meno, non sapendo Geralt chi fosse, ma non volendo offendere Bucefalo in alcun modo,  si limitò ad annuire trattenendo qualunque battutaccia gli fosse rimasta sulla punta della lingua.
« Dovresti promettergli che tornerai se vuoi che ti lasci andare » disse infine Legolas consapevole che sarebbe stata una bugia da parte mia. Mormorò nuovamente qualcosa di incomprensibile al cavallo, prima di accarezzarlo sulla fronte e dileguarsi come se non fosse mai stato lì, ad avere una conversazione quasi civile con la sotto scritta per la prima volta in … sempre.
« Ma chi lo capisce » sbuffai venendo imitata anche dal cavallo, che mi fece sorridere.
« Non posso prometterti che tornerò amico mio, ma ti assicuro che correremo di nuovo assieme, in questa vita o nell’altra » mormorai sottovoce, come fosse un giuramento fatto ad un Dio nel buio delle proprie stanze quando ormai ogni speranza sembrava perduta.
Non avevo idea del perché ma Bucefalo sembrò cogliere i miei sentimenti dietro quelle parole. Aveva smesso di agitarsi, anche se forse era stato merito di Legolas e quando gliela porsi, mangiò l’ultima mela dal mio palmo prima di dirgli addio, per dirigermi nella sala dove avrei trovato tutti gli altri, per l’ultimo pasto ad Imladris.
 
« Iniziavo a  temere che ti fossi persa » mormorò Elrond appena mi vide entrare dalla porta principale, era seduto a capotavola, in una tavola decisamente imbandita per quella che sarebbe dovuta essere una colazione.
« In casa mia? » domandai in scherno mentre il Re si apriva in un sorriso soddisfatto ed io mi sedevo tra Elladan ed Elrohir.
 Era raro che i gemelli fossero presenti ai pasti ed ancora di più che non fossero seduti assieme, ma sapevo che quello era il loro modo per sentirmi vicina un’ultima volta.
Ci mantenemmo comunque tutti leggeri, tranne per gli hobbit che ovviamente si fiondarono sul cibo,come se non mangiassero da mesi. Era incredibile quanto cibo riuscissero a far entrare in un corpo tanto piccolo. Bilbo non c’era, ma forse era meglio così, temevo che non avrei avuto il cuore di sostenere lo sguardo triste del vecchio Hobbit. Ma ero certa che ci avrebbe seguiti con lo sguardo dalla sua finestra preferita, fin dove gli avrebbe permesso la sua vista.
Anche Aragorn non era presente, ma data l’assenza di Arwen la cosa non stupì nessuno. Doveva essere difficile, lasciarsi andare quando la strada dinanzi a noi era tanto buia.
« Il completo ti dona molto » commentò Elladan a metà del nostro pasto, dandomi un’occhiata di apprezzamento fraterna, mentre Elrohir ed Elrond annuivano concordi.
« E’ meraviglioso » confermai passando una mano sulla pelle del corsetto, accarezzando con i polpastrelli i ricami raffinati, che temevo si sarebbero però sciupati nel lungo viaggio. « Sono certa che mi servirà alla perfezione » aggiunsi notando lo sguardo di Elrond.
Lo avevo già visto, oramai quasi trent’anni prima, quando Arwen aveva dichiarato amore ad Aragorn.
Era lo sguardo di un padre, che non voleva perdere la propria figlia, e per un attimo non mi misi a piangere proprio lì, in quel momento in mezzo alla tavola. Invece lo sostenni, cercando di infondere nei miei occhi tutta la gratitudine che provavo assieme all’affetto, che mi aveva regalato vivere con loro tutti quegli anni.
Elrond annuì come se avesse capito, e riprendemmo a mangiare concludendo i nostri pasti in silenzio.
 
Alla fine concludemmo tutti la propria colazione e consapevoli che non avremmo più potuto posticipare oltre, ci alzammo, raggiungendo il pony di Sam sul limitare del Regno, dove Aragorn già ci attendeva assieme ad Arwen.
Notai che al collo, portava il ciondolo dell’elfa simbolo della sua immortalità ed ora, del suo eterno amore per l’uomo.
Sorrisi ad entrambi, mentre la Stella de Vespro lasciava le mani del suo amato, per abbracciarmi lì davanti a tutti. Mi sorprese il gesto, ma lo ricambiai con tutto l’affetto che possedevo verso di lei.
« Anche tu, torna da me » mormorò quando si fu allontanata abbastanza da guardarmi nel viso.
« Da noi » la corressero parlando come una sola entità  i Gemelli mentre ognuno di loro mi poggiava una mano sulla spalla, formando uno strano triangolo di persone.
Sorrisi ai miei elfi preferiti per l’ultima volta, prima di salutarli definitivamente e affiancarmi a Frodo, che mi prese la mano, stringendola come se volesse inviarmi conforto.
Comprendendo quanto mi costasse lasciare la sicurezza di quella casa.
In fondo, Frodo aveva fatto esattamente a stessa cosa, quando avevamo progettato il suo viaggio, costringendolo a lasciare casa Baggins.
« Il portatore dell’Anello si avvia alla ricerca del Monte Fato. A voi che viaggiate con lui non viene imposto alcun giuramento o obbligo di andare oltre quanto potrete. » Ci congedò Elrond guardandoci uno per uno, soffermandosi qualche secondo in più su me ed Aragorn quasi volesse memorizzare ogni centimetro dei nostri volti:
« Addio. Attenetevi al vostro scopo e possa la benedizione degli Elfi, degli Uomini e tutta la Gente Libera, accompagnarvi. » concluse con un lieve inchino del capo che i restanti presenti imitarono mentre noi davamo le spalle ad Imladris e Frodo prendeva posto in prima fila, seguito da Gandalf.
« Mordor Gandalf, è a sinistra o a destra? » lo sentii mormorare in un live sussurro allo stregone, strappandomi un lieve sorriso.
« A sinistra » rispose il vecchio stregone mettendogli una mano sulla spalla.
 

 


 
Vorrei poter dire, che non vi era molta differenza tra i viaggi che avevo fatto negli anni, e quello che stavo affrontando con la compagnia.
Ma avrei mentito. Detestavo andare a piedi, e lo detestavo ancora di più farlo seguendo il ritmo di uno stregone e di un elfo che sembravano non conoscere la fatica nonostante la veneranda età.
Avevamo lasciato Gran Burrone da due giorni, ma eravamo riusciti solo ora  ad uscire dal bosco e  finalmente ci trovavamo ai piedi dei monti diretti verso Rohan.
In tutta quella sfacchinata però che continuava  a mettermi di pessimo umore però, un lato positivo c’era. Ed era Faramir.
Iniziò tutto con la prima volta che si offrì di portare la mia sacca. Lo guardai quasi offesa, rifiutando in malo modo pensando che me lo avesse chiesto perché ero una ragazza, e quindi adesso davanti ai suoi occhi ero magicamente diventata incapace di portare il mio carico.
Ma poi dovetti ovviamente ricredermi, quando iniziai a notare che il Capitano di Gondor portava sempre due o più zaini, uno era il suo e l’altro era di Frodo.
Il giovane hobbit non faceva in tempo a dirgli che non era necessario che Faramir se l’era già caricato sulle spalle a volte portando anche quello di Pipino che non si tirava mai indietro dinanzi alla prospettiva di rinunciare al peso sulle spalle.
Indagai con Frodo in merito, curiosa del perché Faramir si fosse offerto in modo così silenzioso e costante e il giovane hobbit mi rivelò che Elrond lo aveva avvertito l’ultimo giorno in infermeria che la ferita sotto lo sforzo del viaggio avrebbe continuato a guarire ancora più lentamente all’interno, anche se all’esterno era oramai chiusa quasi del tutto.
Faramir era stato presente alla discussione, così senza neppure porsi il problema portava costantemente lo zaino di Frodo, offrendosi di portarlo anche agli altri, per non farlo sentire in imbarazzo o debole.
« Sai prima di lasciare Imladris, ricordo che Re Elrond ebbe una discussione con Gandalf in merito al valore degli uomini » mi disse Frodo quando un pomeriggio eravamo in fondo al gruppo, poiché era il mio turno di guidare Billy il pony e dato che il limitare del  bosco era ancora un luogo sicuro per noi, Frodo mi era venuto a far compagnia.
Annuii, consapevole che la fiducia nell’umanità era un problema costante non solo per il Re di Gran Burrone, ma anche per lo stesso Aragorn.
« Ma guardando Faramir e Granpasso … Valanyar come può il Re aver perso la speranza? Io vedo così tanto valore in loro che a volte, è quasi umiliante per un semplice hobbit come me »
« Non è colpa di Elrond » dissi sorridendo comprensiva. Dopo aver passato settant’anni circondata da esseri perfetti, comprendevo quanto fosse frustante sentirsi inadeguati.
« E’ stato tradito molto tempo fa da qualcuno che credeva amico. Ha visto quanto la bramosia potesse corrompere in fretta il cuore di un uomo » sussurrai ripensando a quella sera a casa Baggins quando l’anello del potere mi era entrato in testa e per un terribile attimo, ero certa che avrei ceduto alla sua persuasione.
« Isildur » disse Frodo comprendendo di chi stessi parlando « Ho visto la sua spada, è ancora spezzata »
« Aragorn non vuole diventare Re, e fin quando non lo farà è inutile che Narsil venga riforgiata poiché solo il Re di Gondor può impugnarla² » chiarii mentre l’hobbit stava iniziando a creare due crateri nella schiena di Estel da quanto lo fissava intensamente prima di portare la nostra conversazione su temi più leggeri.
 
Giungemmo alla base delle montagne che era primo pomeriggio e dopo esserci accampati ed aver messo qualcosa nello stomaco ero seduta accanto ad Aragorn che assieme a Faramir stavano dando lezioni di scherma a Merry e Pipino.
« Seguiremo questa strada per quaranta giorni se la fortuna ci assiste, la Breccia di Rohan sarà ancora aperta » diceva Gandalf a Legolas mentre osservavano assieme l’orizzonte poiché gli occhi dell’elfo erano cento volte migliori di quelli di chiunque di noi.
« Muovi i piedi » riprese Aragorn Merry mentre si dilettava in degli affondi contro Faramir.
Il Capitano di Gondor continuava a sorridere, invitando gli hobbit a fare di meglio a non tirarsi indietro per paura della lama, poiché in battaglia chiunque avrebbe tratto vantaggio dalla loro insicurezza.
« Se qualcuno chiedesse la mia opinione, e noto che nessuno la chiede » udii Gimli dire a Gandalf ottenendo così la mia completa attenzione, poiché sapevo perfettamente dove sarebbe andato a parare « Potremmo attraversare le miniere di Moria! Mio cugino Balin ci darebbe un benvenuto regale » disse il nano mentre il Grigio stregone cercava i miei occhi scrutandoli come a cercare una speranza che non avrebbe trovato.
« No Gimli » ribatté quindi Gandalf « Non prenderei la strada attraverso Moria a meno che non avessi altra scelta »
« E perché ? La tua donna si era sbagliata, Balin ha ripreso la miniera! » ribatté il nano a questo giro voltandosi verso di me, accusandomi con lo stesso tono con ci fece il cugino tanti anni prima.
Sentii la mia irritazione crescere, e se avessi avuto forse quarant’anni meno, lo avrei probabilmente mandato al diavolo, sbottandogli che suo cugino Balin a non ascoltare i miei consigli, era andato incontro alla morte. Ma non potevo e lo sapevo così mi costrinsi a limitarmi ad un sorriso di scherno che irritò semplicemente il nano.
« No c’è da fidarsi di una donna cresciuta dagli elfi » ribatté lui guardandomi dall’alto in basso, in chiaro disprezzo dei miei costumi ed usanze.
Avevamo oramai ottenuto l’attenzione di Frodo e Sam, ma Aragorn e Faramir erano stati completamente distratti dagli hobbit, impegnati adesso in quella che appariva di più una rissa da bar, ma con molte più risate.
Ero quasi di malumore nei confronti del nano, per dargli retta, mi ero persa il momento in cui Aragorn era finito a gambe all’aria.
« E quella cos’è? » domandò Sam indicando una macchia nera nel cielo alle spalle di Legolas.
« Niente solo una nuvoletta » rispose Gimli.
« Si sposta controvento » aggiunsi notando il movimento dei capelli di Legolas, che si muovevano nella direzione opposta, rispetto alla “nuvoletta”.
« I Crebain da Dunland! » urlò Legolas in avvertimento mentre Faramir e Aragorn si sbrigarono a mettere i quattro hobbit al riparo  prendendone due ognuno e trascinandoli con  sé al riparo tra le rocce, non avevo idea di dove fosse finito Gandalf ed ero quasi certa che Gimli si fosse lanciato in un taglio nella roccia pochi metri più il là.
Feci per imitarli ed infilarmi assieme a Faramir, quando notai che il fuoco acceso da Sam per il pranzo era rimasto acceso, scattai verso la brace, facendo del mio meglio per spengerla senza creare fumo il più velocemente possibile e quando alzai lo sguardo li vidi: orrendi corvi, tre volte più grossi del normale e con becchi tanto aguzzi  e neri che risplendevano al sole.
Pensai di essere fregata, che mi avrebbero visto e io non avevo fatto in tempo a nascondermi, quando una mano mi afferrò dalla cintura sollevandomi e trascinandomi due metri più in là, come se pesassi quanto una piuma e finendo sotto un arbusto.
Eravamo rannicchiati, uno sopra l’altro e avevo il sangue che mi rimbombava nelle orecchie, spostai gli occhi in alto, per vedere a chi appartenesse il corpo che adesso mi schiacciava a terra e riconobbi Legolas.
Non mi stava guardando (grazie al cielo o sarei morta lì per l’imbarazzo), i suoi occhi felini si muovevano ad una velocità inconsulta come se riuscisse a mettere a fuoco uno ad uno di quegli esseri.
Passò un secondo di calma totale poi due ed infine venimmo investiti da un rumore gracchiante di stormi che passavano bassi ad un braccio di distanza da noi.
Ma sarebbe potuta passare un intera mandria di urukai ed io avrei preferito di gran lunga affrontare quella che restare in quella posizione per un minuto di più.
Oltre ad Arwen, non avevo mai osservato un elfo da così vicino, poiché oltre al fatto che solitamente erano trenta centimetri più alti di me possedevano quasi una bolla involontaria attorno a loro e non apprezzavano che venisse infranta. Certo io avevo spesso dato pacche sulle spalle ed abbracci alla mia famiglia, senza mai pormi tanti problemi, ma essere a pochi centimetri dal volto di qualcuno di loro?
Mai.
Continuavo a ripetermi di distogliere lo sguardo dal suo viso, poiché anche se avevo ben poche altre cose che entravano nel mio raggio visivo ero piuttosto certa di risultare inquietante.
Ma la sua pelle anche vista da così vicina, non rappresentava alcuna imperfezione, sembrava come una perla appena pescata, liscia e perfetta che avrebbe riflesso i raggi del sole in un attimo se tu l’avessi spostata alla luce della stella. La pelle diafana aveva un odore particolare, profumava come le mattine d’inverno, quando sono appena sbucati i primi raggi del sole e la rugiada risplende nell’erba.
Salii con lo sguardo, osservando rapita gli zigomi pronunciati e i lineamenti così affilati, completamente diversi da quelli eleganti che ero solita associare agli elfi.
I suoi capelli biondi mi ricadevano ai lati del viso, solleticandomi leggermente le guance che percepii chiaramente andarmi a fuoco quando Legolas abbassò per meno di un secondo lo sguardo nel mio prima di tornare veloce sugli uccelli attorno a noi.
Mi costrinsi a guardare in basso in mezzo a noi cercando di darmi un contegno, che sapevo non avrei trovato fin quando avrei avuto il suo corpo sul mio. Non che ne avvertissi il peso no, ovviamente Legolas si stava sostenendo da solo, con meno di un centimetro tra i nostri corpi ma nessuna parte che entrasse in contatto, solo la sua mano era ancora sotto la mia schiena lì dove mi aveva afferrato per la cintura.
« Sei una stupida » eruppe lui infine sollevando entrambi con una velocità che per poco non mi fece perdere l’equilibrio ritrovandomi tutto ad un tratto in piedi, con un Legolas evidentemente infuriato dinanzi a me, che adesso mi guardava dall’alto.
« Eh? » replicai molto intelligentemente, ancora in iperventilazione.
« Avresti potuto farci uccidere » ribatté lui prima di marciare a qualche passo da me ed io potevo finalmente respirare aria vera, che non fosse il profumo naturale dell’elfo mentre i miei pensieri ritornavano in fila nella mia mente.
« Mi perdoni mia signora avrei dovuto occuparmene io, invece come uno stolto mi sono fatto prendere dal panico » disse Sam attirando la mia attenzione su di sé, mentre io seguivo il suo sguardo sulla brace spenta, qualche metro più in là intuendo finalmente a cosa si stesse riferendo.
« Di nuovo abbagliata hm? » mi prese in giro in tono canzonatorio Aragorn alla mia destra, che era appena uscito da dietro un masso con Frodo, e adesso mi guardava con un’aria canzonatoria che non mi piaceva affatto.
Lo ignorai, riprendendo immediatamente la marcia dietro Gandalf quando propose di passare per il passo di Caradhras.
Almeno avremmo cambiato un po’ di scenario: io adoravo la neve.
 

 

 
 
“ Io la odio la neve” pensai disperata quando lanciai uno sguardo in altro sempre più afflitta alla vista della neve nella montagna che più salivamo più si faceva alta con noi.
 “ E odio gli elfi” pensai guardando con invidia Legolas che ovviamente camminava sulla neve senza neppure lasciare la minima impronta poiché per gli elementi un elfo non aveva peso. Era puro.
Poi che con la sottoscritta fosse un gran bastardo era evidente che a Madre Natura non interessasse.
« Ho origliato una conversazione sai ? » mormorò Merry accanto a me, che aveva seguito il mio sguardo di disappunto nell’elfo.
Mi voltai a guardarlo, invitandolo ad andare avanti.
« Granpasso, ieri notte gli ha chiesto perché si dimostrasse così offeso nei tuoi confronti. Che se ti avesse dato una possibilità avresti fatto ammenda per il torto arrecatogli »
Adesso questa sì che si stava rivelano un’origliata interessante « E lui? » bisbigliai a mia volta assicurandomi che il biondo fosse fuori portata.
Ma era andato molto più avanti in avanscoperta e la nostra conversazione veniva portata via dal vento.
« Lui ha detto che non gli avevi fatto niente. Che era una sensazione a pelle »
« A pelle? » ripetei definitivamente scioccata. Legolas mi trattava con tutto quel disprezzo, per un’antipatia a prima vista? Tutto qua?
« Ne sono rimasto sorpreso anche io » riprese l’hobbit « Pensavo tu gli avessi vomitato nelle scarpe o chissà cos’altro »
« Vomitato nelle scarpe Merry? Davvero? » ripetei senza riuscire a trattenere la mia nota divertita.
« Che c’è? Tu di solito finisci per piacere a tutti ed invece lui ti tratta come se … come se … »
« Gli avessi vomitato nelle scarpe » conclusi io mentre lui annuiva imitando la mia risata.
Avrei voluto sentirmi profondamente irritata dall’elfo, ma in verità ero quasi sollevata. Perché quindi non vi era stato niente di così orribile che io avessi fatto involontariamente, nessun affronto, era solo una questione di antipatia a pelle.
Decisi di abbandonare l’argomento con l’hobbit poiché nonostante le nostre teorie, non ne stavamo ricavando niente di buono e alla fine, vi erano altri otto membri all’interno della compagnia che tenevano a me, l’elfo poteva continuare a trovarmi irritante soprattutto fin quando continuava a salvarmi dai corvi come un istinto involontario.
« Frodo attento! » esclamò Faramir facendoci tutti spostare lo sguardo sulla scena:
Frodo era caduto all’indietro, rotolando di qualche metro su stesso, evidentemente doveva aver preso una lastra ghiacciata o qualcosa di simile.
La sua rotolata fu frenata da Aragorn qualche metro indietro che lo aiutò ad alzarsi e a spazzolarsi via la neve prima che l’hobbit iniziasse a tastarsi in modo frenetico intorno al collo, non trovando più la sua catena con l’Anello del potere legato ad essa.
E lo vedemmo tutti, brillava sotto il raggio di sole come se fosse il gioiello più innocente al mondo, poi fu oscurato da un guanto di pelle, raccolto dalla neve e occultato dalla mia vista.
« Tieni Frodo, facciamo attenzione quella catenina a volte cede » commentò Faramir con nonchalance mentre riaffidava senza batter ciglio l’anello al suo portatore e gli spolverava via la neve dai riccioli scuri mentre l’hobbit si rimetteva la collana.
« Scusami » mormorò il moro a Faramir riprendo a camminare affianco all’uomo come se niente fosse accaduto.
Spostai lo sguardo su Aragorn, abbassandolo sulle sue mani entrambe rilassate suoi fianchi, nessuna di essa che stringeva l’elsa della spada con timore, in un avvertimento silenzioso.
La compagnia, procedeva con la fiducia reciproca.
 
Ovviamente però niente poteva durare per sempre e dopo una settimana di cammino, la montagna diventava sempre più temibile.
Una tempesta di neve incessante continuava ad abbattersi su di noi distruggendo i nostri spiriti e portandoci a proseguire in una marcia silenziosa.
Ero avvolta anche da un pesante mantello adesso, ma nonostante sotto avessi i miei abiti elfici il freddo mi era entrato nelle ossa e battevo i denti oramai ogni secondo, imitata dagli hobbit  che ne risentivano ancor più di me.
« Andiamo avanti ad aprire la strada » suggerì Aragorn a Faramir lasciando gli hobbit scendere dalla loro spalle che si vennero in fretta a rannicchiare verso di me stringendoci assieme per riscaldarci sul fianco della montagna.
Il dannato elfo era in avanscoperta, il mio risentimento verso di lui che peggiorava ogni secondo di più dettato dalla mia invidia nella sua facilità nel camminare sulla neve.
Ma ero certa che non ero l’unica.
I due uomini superarono Gandalf e Gimli che vennero ad unirsi a noi, mentre camminavano larghi nel sentiero, creando una strada tra la neve e spostandola  di lato come se fossero degli spazzaneve umani.
« Bevete » dissi agli hobbit passandogli la borraccia contenete il liquore elfico. Era potente un solo sorso ti ridava forza ed energia e in un momento simile, calore. Non mi azzardai a berne anche io, come non ne offrii né a Gandalf né al nano, dovevamo centellinarlo per gli hobbit, non sapevo per quanto ancora, la montagna ci avrebbe permesso di passare.
« Forse ce la faremo » disse lo stregone inseguendo il mio sguardo, che era svanito in cerca dei due uomini che oramai si erano troppo addentrati nella tormenta per risultarmi visibili.
« Forse » risposi senza neanche fare finta di crederci, e mi dispiacque per lo stregone, avrei voluto fingere di avere più speranza. Ma avevo freddo, ero stanca ed intirizzita. Se non fosse stato che temevo immensamente la miniera, l’avrei quasi proposta io stessa pur di lasciare quella dannata montagna.
« Non tutto ciò che sai, avviene come lo conoscevi, alcune cose possono essere cambiate»
« Non questa » risposi poco sopra il rumore del vento « Lo stregone bianco ci sbarrerà la strada »
Ancora non vi era nessuna voce nell’aria, quindi procedemmo, finendo per raggiungere con maggiore facilità i due uomini, che avendoci aperto la strada, garantirono il nostro passaggio in modo molto più scorrevole, ma dopo qualche ora, anche loro erano oramai sfiniti.
« Riposiamoci » proposi ad Aragorn che oramai quasi ansimava, guardandomi con una stanchezza nello sguardo che non gli avevo mai visto, neppure dopo interi giorni di battaglia.
« Dobbiamo sbrigarci » incitò invece Gandalf.
Era evidente che sperava ancora di farcela, di battere nel tempo Saruman, così ci costrinse a stringere i denti ed andare avanti.
 
Procedemmo per altri due giorni, ma poi il nettare elfico datomi da Elrond prima di partire finì, e non ci fu nient’altro, tranne nostri stessi corpi per riscaldare gli hobbit.
Aragorn aveva sulle spalle Frodo e Sam, Faramir Merry e gli zaini degli hobbit ed io Pipino.
Il più giovane degli hobbit si stringeva a me incitandomi ogni tanto e ringraziandomi del “passaggio”. Era evidentemente mortificato, ma non avrebbe dovuto curarsene, non era certo colpa loro se gli hobbit non erano fatti per un metro e mezzo di neve.
Noi eravamo gli ultimi della fila, il povero pony avanzava a fatica dietro di noi, senza neppure bisogno i incitarlo oramai rassegnato al suo destino.
« Lo hai sentito ? » mi disse tutto ad un tratto l’hobbit, facendomi rizzare i peli nelle braccia, percependo la paura nella sua voce.
« C’è un empia voce nell’aria » urlò di rimando Legolas che ci stava venendo incontro, guardandosi attorno e vedendo sicuramente molto più di noi.
Onestamente ci voleva poco, io vedevo a malapena Faramir in fronte a me.
 « E’ Saruman ! » disse di rimando lo stregone mentre cercava di controbattere all’incantesimo del Bianco inutilmente. Vidi Frodo sporgersi oltre la spalla di Aragorn, per voltarsi a guardarmi in una muta domanda “ Ce la farà?” scossi la testa esattamente poco prima che una valanga di neve ci cascasse in capo, sbilanciandoci tutti e sommergendoci.
Ritrovai in fretta l’aria, portando con me anche Pipino e sollevandolo accanto a me, mentre Faramir faceva lo stesso con Merry e toglieva Sam dalle spalle di Aragorn che cercava di liberare Frodo.
Successe tutto molto in fretta: Aragorn dovette spostare Frodo troppo in là, senza accorgersi a causa della neve che era finito il bordo del “sentiero” e l’hobbit scivolò giù nello stesso istante in cui Legolas urlava il suo nome.
Mi fiondai senza neanche pensarci, prendendo al volo l’hobbit per la mano, mentre sospeso nel vuoto mi guardava pieno di terrore attaccandosi alla mia mano con tutte le sue forze.
Solo la parte inferiore del mio corpo era rimasta snel sentiero, dalla vita in giù ero spiaccicata contro il pezzo di roccia che delineava il fianco, sperando che la neve reggesse qualche altro secondo e non ci portasse giù entrambi.
« Valanyar! » urlò Aragorn mentre Faramir urlava « Gwend ! » ed entrambi mi afferrarono per il mantello, tirandomi verso di loro mente io tiravo a me l’hobbit, portandolo al sicuro.
« Ti ho preso » dissi a Frodo abbracciandolo con forza, mentre lui mi restituiva la stretta,con un respiro affannoso e pieno di terrore ricercando la sicurezza del mio calore con il viso schiacciato contro la mia pancia.
« Dobbiamo abbandonare la montagna » dissi a Gandalf dispiaciuta, mentre la voce di Saruman scuoteva la terra, minacciando valanghe ben peggiori.
« Non possiamo passare sopra le montagne, passiamoci sotto! Attraverso le miniere di Moria » propose nuovamente Gimli anche lui con solo la testa fuori dalla neve.
« Che il portatore dell’anello decida » mormorò lo stregone guardando Frodo, che emerse timidamente da sotto il mio mantello, guardando Gandalf quasi dispiaciuto.
« Attraverseremo le miniere » disse l’hobbit mentre lo stregone annuiva, senza alcuna traccia di risentimento e noi voltavamo le spalle a Saruman, riprendendo la strada a ritroso.
 

 


 
« Mi piace tornare indietro, è come andare a Sud » commentai quando avevamo quasi raggiunto la base della montagna, scivolando lungo il pendio con prudenza ma evidentemente di umore nettamente migliore dopo esserci lasciati tutta la neve alle spalle.
« E cosa c’è di bello nell’andare a Sud? » domandò Pipino mentre aiutavo lui e Merry a scendere.
« E’ come andare in discesa. Ricordati sempre Mastro Tuc, quando sei in dubbio sui tuoi prossimi passi, scegli la strada in discesa, va a Sud » dissi guardandolo negli occhi con aria innocua, ma sperando che si sarebbe ricordato il mio avvertimento.
L’hobbit mi guardo evidentemente confuso, probabilmente troppo educato per dirmi che secondo lui, non stavo avendo alcun senso logico e che probabilmente avevo battuto il capo da qualche parte.
« Ricorda sempre gli avvertimenti di Valanyar Mastro Tuc, non si può mai sapere quando ti torneranno utili » disse Gandalf senza voltarsi, ma facendomi così ottenere lo sguardo di tutti gli hobbit su di me, mentre il più giovane di loro annuiva, evidentemente deciso a non dimenticare le mie parole.
Mentre riprendevo a camminare, incontrai per un attimo lo sguardo di Legolas, e avrei giurato che me lo fossi immaginato se non avessi chiaramente riconosciuto l’ombra del sospetto.
E lì ne fui certa, c’era qualcosa che Legolas non aveva detto ad Aragorn, non era solo una questione di antipatia, vi era qualcos’altro sotto l’astio di Legolas nei miei confronti, qualcosa di profondo, come una vecchia ferita.
« Oh le vecchie mura di Moria! Le porte dei nani sono invisibile se chiuse » disse dopo qualche ora di marcia Gimli, quando giungemmo in quello che per un attimo mi parve un vicolo cieco fiancheggiato da un lago con le acque spettrali. Mi ricordavo del mostro nello specchio.
« Sì Gimli, i loro stessi padroni non li trovano se il loro segreto viene obliviato»
« Perché questo non mi sorprende? » commentò l’elfo facendomi scappare un sorriso divertito dinanzi lo sguardo offeso del nano, che pareva pronto a dargli l’ascia in testa per la sua maleducazione.
« Ithildin. Riflette i raggi de sole e della luna » mormorò lo stregone ignorando completamente i compagni alle sue spalle, mentre io toglievo i sassi di mano a Merry.
« Non disturbare l’acqua » ordinai ad entrambi i cugini, guardandoli seriamente mentre si limitarono ad annuire contemporaneamente  intuendo la gravità del mio tono.
Ma portando così il giovane hobbit ad avvicinarsi al vecchio stregone, che stava facendo alcuni tentativi inutili con la porta.
« Allora cosa farai? »
« Sbatti la testa contro il muro giovane Tuc! E se questo non le fracassa, e mi viene dato un attimo di pace dalle domande sciocche, tenterò di trovare le parole giuste » sbottò lo stregone prima di sedersi, osservando la porta con aria afflitta, mentre lanciai uno sguardo ad Aragorn che in fondo al gruppo stava spiegando a Sam che non potevamo portare con noi il pony nelle miniere.
« Vuoi uno spoiler? » domandai allo stregone poggiandomi alla porta con le braccia incrociate al petto, mentre Frodo si apriva in un sorriso e Gandalf mi sbuffava in faccia il fumo della sua pipa, oltraggiato.
« Giovani » sbuffò borbottando qualcos’altro sulla mia sfacciataggine, prima di girare gli occhi in alto in esasperazione ed annuire.
« E sia » mi concesse.
« Mellon! [ Amico!]  » esclamai teatralmente aprendo le braccia nello stesso momento in cui le grandi porte dietro di me si aprivano con un rumore strascicato e cupo, come un mobile antico che non viene spostato da anni.
« Come facevi a saperlo? » domandò il nano guardando la maestosa porta con ammirazione.
« Me lo ha suggerito Frodo, è un indovinello » risposi senza degnarli di altre risposte, poiché il nano intraprese i primi passi all’interno della miniera.
« Presto Mastro Elfo , gusterai la leggendaria ospitalità dei nani. Grandi falò, birra di malto , carne stagionata con l’osso! Questa amico mio, è a casa di mio cugino Balin, una miniera la chiamano. Una miniera! »
Muovemmo i primi passi al’interno e quando udii i primi scricchiolii mi bloccai, intuendo che non era certo il terreno quello su cui avevo appena messo il piede.
La luce filtrò oltre la porta, riflettendosi nelle acqua del lago ed illuminando i primi dieci metri dinanzi a noi:
Scheletri di nani era sparsi ovunque, insieme ad altri che non avevo mai visto ma che sapevo a chi appartenevano, mentre gli hobbit gemevano inorriditi dietro di me e Legolas raccoglieva una freccia che un tempo doveva essersi impiantata nel cranio di qualcuno.
« Goblin » ci avvertì l’elfo nello stesso momento in cui il nano irruppe in un urlo disperato.
Mi straziava il cuore vedere tutta quella carneficina nonostante avessi sempre saputo che l’avremmo trovata.
Gimli si guardava attorno disperato, porgendosi domande sul come fosse possibile che una cosa simile fosse accaduta, mentre Aragorn e Faramir ci invitavano a scegliere un'altra strada.
« Forse non abbiamo altra scelta se non la breccia di Rohan » commentò il Capitano di Gondor mentre avanzava verso il nano invitandolo a dare le spalle a quell’orrore e offrendogli le sue condoglianze.
« Frodo! » sentii Sam urlare e mi volta di scatto, trattenendo un urlo di terrore alla vista del mostro del lago consapevole di aver fatto un errore di calcolo.
Pipino non aveva disturbato l’acqua, ma la piovra si era risvegliata lo stesso percependo il potere dell’anello, e infatti adesso stava sventolando Frodo in alto nel cielo con un tentacolo, spalancando la sua bocca orrenda e piena di denti aguzzi, pronta a fare cena con carne di hobbit.
« Valanyar!!! » urlò Frodo chiedendomi aiuto mentre mi lanciavo dentro il lago optando per la strategia più veloce e facendomi anche io stessa afferrare da un braccio del mostro, per farmi portare in alto a pochi metri da Frodo e.
« Aragorn! » urlai, ma dopo tanti passati assieme il ramingo aveva già intuito il mio piano. Si portò dentro il lago, mentre Faramir lo copriva impedendo ad altri tentacoli di afferare il futuro Re.
« Al volo! » urlai tagliando di netto il tentacolo che teneva Frodo appeso per la caviglia a testa all’ingiù. Estel prese l’hobbit al volo, iniziando subito a correre verso l’entrata di Moria per portarlo al sicuro.
« Presto nelle miniere! » urlò Gandalf incitando gli altri Hobbit, ma Frodo urlava ancora il mio nome e la dannata bestia non doveva aver preso la bene la perdita dell’arto poiché la presa su di me si fece più dura, strappandomi un gemito di dolore mentre l’armatura elfica mi schiacciava le costole , stritolata anch’essa dal tentacolo.
Cambiai l’impugnatura delle mie lame, cercando di infilzare il mostro più che potevo per convincerlo a lasciarmi, ma l’angolatura era sbagliava e non riuscivo a far altro che ferirlo lievemente, facendolo arrabbiare ancora di più.
A quel punto intervenne anche Legolas che  incoccate tre frecce in una volta sola, riuscì ad avere una buona visuale dell’occhio del mostro. Non appena colpì il bersaglio il mostro ruggì di dolore, agitando i tentacoli in aria come impazzito ma per fortuna, allentò anche inconsciamente la presa su di me, permettendomi di scivolare via e facendomi fare un volo di tre metri con un atterraggio più che doloroso nelle gelidi acque.
Ma non me ne lamentai di certo, mentre Faramir afferrava la mia mano tirandomi fuori dall’acqua con ben poche cerimonie, e correvamo a tutta velocità dentro le miniere coperti dalle frecce di Legolas ed inseguiti dai tentacoli della bestia che nella foga di agguantarci tirò giù le due ante di pietra facendo crollare la porta di Moria sua stessa e chiudendo così lei fuori e noi dentro.
Mi ritrovai ansimante, con le me mani sulle ginocchia, piegata in due mentre riprendevo fiato con una smorfia di dolore notando che ad ogni respiro l’agonia peggiorava. Dovevo essermi incrinata qualche costola.
« Tutto bene ? » disse Frodo venendomi incontro mentre Gandalf faceva luce con il suo bastone ed io annuivo mestamente.
« Tu? » domandai carezzandogli via qualche goccia scura delle acque del lago dalla guancia e scrutandolo dalla testa ai piedi, mentre l’hobbit annuiva di rimando .
«- speriamo la nostra presenza passi inosservata » concluse in quel momento il vecchio stregone dando inizio al nostro viaggio all’interno delle miniere.
Invitai Frodo a raggiungere Gandalf in cima alla fila dove era sicuramente più sicuro e illuminato, mentre io restavo in fondo, affiancata da Faramir.
Mi accorsi che i miei vestiti elfici, erano asciutti come se l’acqua non li avesse neppure sfiorati, ma lo stesso non si poteva certo dire del mantello che zuppo come era, pesava quasi mezza tonnellata.
Lo strizzai il meglio possibile eliminando quasi tutta l’acqua ma con nessuna intenzione di indossarlo nuovamente.
L’aria nelle miniere era pesa, non certamente calda, ma era più che sufficiente per permettermi di indossare solo i vestiti procuratemi da Gran Burrone. Quindi tirai fuori la mia faretra dallo zaino, passandomela sulle spalle per fare posto ed infilai malamente il mantello nella sacca, ma quando feci per mettermelo sulle spalle, una mano me lo sfilò dalla presa.
Mi voltai verso Faramir che con un sorriso complice si era caricato anche il mio zaino facendomi l’occhiolino.
Lo ringraziai con un sorriso e per la prima volta gli permisi di aiutarmi. Sapevo che avrei avuto bisogno di tutte le mie forze in vista delle lunga marcia.
 
La marcia fu dura e incalzante specialmente perché fummo costretti al silenzio per troppo tempo.
La miniera non mi piaceva affatto e non solo a causa del fatto che era tappezzata ovunque di scheletri, segni della battaglia che vi aveva infuriato all’interno, ma anche perché era buia, il soffitto era troppo in alto, le strade troppo strette e i precipizi troppo alti. E come se non bastasse, anche lì, niente ringhiere.
In poche parole, non vedevo l’ora di uscirne.
Lanciai un’occhiata a Gandalf, che camminava spedito in testa a tutti, un po’ per illuminare il passaggio e un po’ perché era l’unico a conoscere la strada.
« Volevo parlarti Valanyar » commentò Gimli affianco a  me.
Io per poco non me ne uscii con un urlo ben poco edificante poiché non mi ero neppure accorta, quando aveva preso il posto di Faramir nelle retrovie.
Il nano camminava a passo sostenuto e nonostante la pesante ascia e l’elmo on sembrava affatto affaticato.
Anzi era evidente che si sentisse molto più a suo agio adesso, all’interno di una grotta iena di cadaveri che poche settimane prima, all’aria aperta circondati dalla radura sconfinata.
In ogni caso quella era la prima volta che mi rivolgeva parola, dopo il nostro incontro con i corvi.
Ero certa che nonostante il suo commento piuttosto maleducato nei miei confronti non fosse stato niente di personale.
Detestava la presenza di Legolas basandosi sul semplice fatto che fosse un elfo, ma parlava poco anche con gli hobbit, nonostante fossero amabili di natura. Era evidente che al nano serviva un po’ di tempo per sciogliersi davvero all’interno della compagnia, fidandosi ben poco degli sconosciuti.
Ma non era niente di nuovo grazie alle storie di Bilbo, mi ero fatta un’idea piuttosto chiara del carattere dei Nani.
«Dimmi » risposi abbassando il tono di voce più che potevo, per non irritare Gandalf più avanti.
« Tu tentasti di avvertire mio cugino tanti anni fa » iniziò Gimli un po’ incerto. Evidentemente le chiacchierate casuali non erano il suo forte.
« Ma tu questo già lo sai »
« Mio padre ci riportò la notizia che una profeta amica degli elfi aveva preannunciato la disfatta di Moria. Ma lo disse con scherno, senza crederci e quando poi anni dopo Balin partì per la spedizione, in pochi ci pensavano ancora, quando poi giunse notizia della sua vittoria. Tutti ridemmo di te »
Mi guardai attorno un po’ innervosita, non capendo dove il nano volesse andare a parare ma avevo immaginato che nel regno dei nani le cose fossero andate più o meno a quel modo.
« Quando giungemmo ad Imladris mio padre ti riconobbe. Abbiamo riso di te insieme » mormorò con tono spezzato, mentre i suoi occhi sondavano per un attimo i cadaveri che ricoprivano la lunga scalinata alle nostre spalle.
« Abbiamo riso » disse di nuovo incontrando adesso il mio sguardo, con gli occhi che gli brillavano. Gli posai una mano sulla spalla, incerta su quale fosse il comportamento più idoneo da avere con un nano dal cuore distrutto.
Non avevo mai voluto quello, non importava quanto Balin mi avesse fatto innervosire ai tempi … Nessuno meritava una simile lezione di vita.
« Per questo io, voglio scusarmi » marcò infine con tono più deciso posando la sua mano guantata sulla mia, che ancora gli stringeva una spalla.
« Accetto le tue scuse Mastro nano. Il mio cuore piange con te per le perdite subite » gli risposi sinceramente. Restammo qualche secondo fermi in un silenzio onorevole per i caduti di Moria mentre Gimli mormorava una preghiera in nanico, che quindi non compresi.
Quando finì mi dedicò un sorriso che non raggiunse mai i suoi occhi, ma riprendemmo a camminare, per raggiungere i nostri compagni che ci stavano aspettando una cinquantina più in là.
«Puoi dare anche a me uno spoiler ? » domandò prima che fossimo a portata d’orecchio, e dio annuivo, sperando non chiedesse niente di troppo compromettente. « Avrò occasione di vendicarmi? »
« Sì. Molto prima di quanto credi » risposi guardando l’oscurità attorno a noi ma restituendo quella determinazione negli occhi di Gimli che ben presto avrei iniziato a riconoscere, come l’ardore Nanico prima di una battaglia.
 
 
Giungemmo ad una scalinata talmente ripida, che mi ritrovai a  farla a carponi come gli hobbit, completamente terrorizzata all’idea di cadere all’indietro, o di lato nel nero abisso.
« Stupidi nani e stupidi elfi mai una ringhiera » continuai a borbottare tra me e me, suscitando le risatine involontarie degli hobbit di fianco, che però si trovarono d’accordo.
« Dategli una piovra gigante e gli correrà incontro, ma degli scalini la faranno fuggire in preda al terrore » mi prese in giro Aragorn alle mie spalle. Mi sarei perfino girata a dirgliene quatto, offesa se Gandalf non mi avesse anticipato evidentemente deciso a fermare sul nascere la nostra discussione.
« Guardate » mormorò spostando il suo bastone verso le lingue più basse della miniera « La ricchezza di Moria non consisteva nell’oro o nei gioielli ma nel Mithril »
Restammo tutti per un attimo abbagliati da tanta bellezza io stessa mi ritrovai a seguire una vena del minerale tanto prezioso con uno stupore che non credevo possibile. Ma a differenza dei miei compagni, distolsi in fretta la sguardo perfettamente consapevole di cosa avesse portato l’avidità dei nani.
« Bilbo ne aveva un maglietta non è vero? » dissi per cambiare discorso e distrarre gli altri.
« Oh sì regalatagli da Thorin » mi rispose nominando il vecchio amico con una punta di tristezza nella voce. Dopo tutti quegli anni, mi chiesi se Gandalf si sentisse ancora in colpa per aver intrapreso quell’avventura.
Certo, i nani avevano ritrovato la loro casa, ma a quale prezzo?
Contavano davvero qualcosa, quattro mura, quando non c’era più una famiglia da scaldare intorno al focolare?
« Un dono regale » commentò Gimli distogliendomi dai miei pensieri.
« Sì non gliel’ho mai detto, ma il suo valore superava quello dell’intera Contea! »
Nonostante la paura dell’altezza, non potei fare a meno di incrociare lo sguardo di Frodo di  fianco a me che mi guardava paonazzo mentre io lo ricambiai con un occhiolino.
Quella maglia gli sarebbe tornata utile, anche se io avrei cercato di evitare di fargli finire la lancia di un troll tra le costole.
 
Arrivati in cima all’orrida scalinata tirai un sospiro di sollievo, e mi lanciai nella prima piattaforma disponibile, con la schiena saldamente al muro.
Faramir fece per chiedermi per quale motivo mi fossi fermata quando Gandalf annunciò che non aveva memoria della biforcazione dinanzi alla quale eravamo appena giunti.
Il Capitano di Gondor mi guardò divertito, prima di prendere gli zaini e posarli a terra, imitandomi.
« Montiamo il campo, è comunque tardi ne approfitteremo per riposare » suggerì Aragorn mentre iniziavamo a montare il “campo” per la notte. Nonostante non avessimo idea di che ore fossero.
A Moria era sempre buio come un eterna notte senza luna.
Facemmo cena in relativo silenzio, ma a questo giro fu sicuramente più piacevole poiché con un piccolo fuoco e del cibo caldo nello stomaco si è sempre di umore migliore, mi offrii anche di fare il primo turno di guardia, ma fui interdetta da Aragorn che invece chiese a Faramir di farlo.
Mi prese da parte, sotto il mio sguardo confuso, mentre raccoglieva uno degli zaini invitandomi a seguirlo in un’insenatura più in là, quasi una piccola stanza.
Forse uno stanzino per le scope per nani o un vecchio passaggio ormai in disuso.
« Perché non mi hai detto niente delle tue costole? Avanti togliti il corpetto e la camicia » sbuffò Aragorn con un cipiglio di disappunto , mentre io strabuzzavo gli occhi guardandolo come se gli fosse appena sbucata un altra testa.
« E tu come fai a saperlo? »
« Legolas ha detto che dovevi esserti incrinata qualche costola, il tuo respiro non era stabile nella scalinata e ti ha visto accigliarti più volte quando ti alzavi ed abbassavi »
Arrossi istintivamente grata per l’oscurità della caverna, non essendomi resa conto di essere stata osservata in alcun modo dall’elfo. Per quanto ne sapevo, non mi degnava mai di uno sguardo. E ne ero sempre stata piuttosto certa, dato che i miei occhi sembravano cercare il suo viso più spesso di quanto mi piacesse ammettere.
« Spo-glia-ti » sillabò Aragorn di nuovo indicandomi la blusa.
« Arwen lo verrà a sapere » ribattei mentre mi spogliavo, restando solo con la fascia di cotone che si stringeva dietro, che fungeva come un reggiseno.
Aragorn passò una mano sulle mie costole, facendomi rabbrividire a causa delle sue dita fredde « Nessuna sembra rotta, ma dai lividi possiamo intuire che ne hai ammaccata qualcuna »
« Queste due a sinistra infatti fanno un male cane » dissi indicandogli la parte che oramai aveva assunto una curiosa tonalità di viola.
Lui annuì aprendo lo zaino e tirando fuori un piccolo contenitore di vetro con dentro una crema emolliente che sapevo avrebbe aiutato a velocizzare il processo di guarigione della pelle che applicò lui stesso con delicatezza, massaggiando la zona finché non fu assorbita.
Poi tirò fuori due pezzi di corteccia lavorata e una benda bianca.
Mi appoggiò prima la corteccia, che lo aiutai a sistemare sul fianco sinistro, così avrebbero aiutato le benda a rendere più rigida la zona e poi fece fare più giri alla fascia bianca fino a quando non la legò alla piccola punta di estremità che aveva lasciato fuori.
« Domattina la stringeremo di più, assieme al corpetto di pelle dovrebbe permetterti di guarire in fretta » mi assicurò mentre mi aiutava a rimettermi la camicia, così che non dovessi muovermi troppo.
« Grazie » risposi con una curiosità che però continuava ad arrovellarmi il cervello.
Perché prima quel dannato elfo mi tratta peggio di una pezza da piedi, poi si prende cura del mio cavallo, poi mi tratta nuovamente come una pezza, poi mi salva dai corvi demoniaci e mi dà della demente, ed ora, scopro che mi tiene tanto d’occhio da conoscere il ritmo del mio respiro.
« Sputa il rospo » disse Aragorn come se avesse seguito il filo dei mie pensieri.
« Legolas … Non lo capisco, mi odia senza un motivo ma poi fa addirittura caso a come respiro ? Ma insomma credevo che gli elfi fossero creature stabili con i propri sentimenti, quasi arrugginiti. Com’è che noi si è beccato il più isterico? » sbuffai notando solo ora quanto quella situazione mi innervosisse.
« Non credo che apprezzerebbe  sentirsi dare dell’isterico »
« Mi hai capito » commentai roteando gli occhi con irritazione.
« Gli ho parlato qualche giorno fa » iniziò Aragorn, e per poco non mi feci scappare un “lo so” ma per fortuna mi morsi la lingua appena in tempo « Inizialmente mi disse che era una sensazione, come se la tua presenza lo irritasse senza un motivo ben preciso. Poi mi ha rivelato che gli ricordi qualcuno, qualcuno di importante ma di cui non riesce ad afferrarne nemmeno il volto come se il ricordo fosse immerso nella foschia »
Fantastico. Quindi se prima credevo che Legolas mi odiasse e basta, adesso sapevo che aveva solo l’Alzheimer, ma che meraviglia.
Mi scambiai uno sguardo con Aragorn che però si limitò ad una scrollata di spalle, segno che anche lui non aveva capito cosa intendesse l’elfo.
Non si era mai sentito dire di uno della sua razza che non ricordasse qualcosa, la loro memoria era perfetta. Era evidente però che Legolas doveva essere cascato troppe volte da quei dannati alberi o qualcosa di simile.
« Andiamo o inizieranno a pensare che la terra ci abbia ingoiato » dissi rinunciando a venire a capo di quella situazione mentre tornavo al campo seguita dal ramingo.
 
Il giorno successivo ci svegliammo, sempre al buio e sempre con Gandalf incerto su che direzione andare. Quindi lo passammo seduti per gran parte della mattinata (anche se non avevamo alcuna certezza di che ora fosse) per l’enorme soddisfazione degli hobbit e delle mie costole a cui Aragorn aveva riapplicato la crema, e stretto la fasciatura.
Non che gli hobbit si fossero mai lamentati della marcia incalzante, beh forse Pipino un paio di volte, ma sicuramente apprezzavano molto di più il poter mangiare con calma e il fumarsi la pipa in santa pace. Strinsero infine amicizia con Gimli che come loro, si rivelò un fan del fumare la pipa.
Praticamente fumavano tutti, tranne me, Faramir e Legolas alla faccia dei polmoni di tutti.
Legolas era il più scontento, era evidente che non gradisse minimamente l’odore di foglie bruciate e a differenza di me e del Capitano di Gondor non vi era neppure abituato.
Anche se probabilmente per lui doveva essere una tortura anche il passare sottoterra tutto di quel tempo, considerando che era abituato a vivere nella foresta all’aria aperta.
Lo stavo osservando oramai da qualche minuto, dando le spalle al resto del gruppo e lui più in basso, in bilico su un tratto della scalinata che a me avrebbe fatto rizzare anche i capelli dal terrore. Quindi notai subito quando lui dovette vedere qualcosa che non gli piaceva.
Incoccò la freccia con una velocità impressionante, mentre io mi alzavo per raggiungerlo, sedendomi nel gradino sotto di lui prima di sporgermi leggermente.
E vidi cosa aveva attirato la sua attenzione:  Gollum.
Alzai il braccio, tirandogli leggermente la manica per spostare su di me la sua attenzione, mimandogli di abbassare l’arco e di farsi più al centro delle scale con me, fuori dalla vista della creatura.
Legolas non ne era evidentemente felice, ma mi accontentò sedendosi accanto a me, dalla parte del barato, grazie al cielo.
« Quella creatura è- »
« So chi è » lo interruppi certa che avrei avuto degli incubi in merito. « Ma non devi ucciderlo »
Legolas mi guardò, il dubbio ben chiaro nei suoi occhi mentre mi studiava. « Spiegami » sibilò senza tanti preamboli.
« La storia di Gollum non può concludersi così con una tua freccia conficcata in un orbita. Per quanto mi farebbe piacere » abbassai lo sguardo sulle mie mani, torturando per qualche secondo le dita mentre l’elfo accanto a me aspettava che continuassi.
« Ha un ruolo nella storia che non possiamo semplicemente cancellare, potrebbe essere la nostra condanna » aggiunsi consapevole che non potevo dire di più.
Legolas non poteva conoscere l’importanza che Gollum avrebbe avuto nel plasmare la storia della Terra di Mezzo, ma soprattutto quanto mi risultasse difficile non ucciderlo io stessa consapevole del dolore che avrebbe causato a Frodo.
Lanciai un’occhiata da sopra le mie spalle al mezzuomo, che al momento stava parlando con Gandalf fitto fitto. Forse l’argomento della loro discussione era simile al nostro.
« Ma tu ci hai avvisato che sarebbe fuggito dalle nostre prigioni, Aragorn mi ha dato il tuo avvertimento »
« E tu ne hai fatto un tale buon uso non è così? » rimarcai.
Lui mi guardò come se mi stesse soppesando. Non sembrava offeso per il mio tono ma neppure dimostrava di vergognarsi del proprio comportamento.
« Comunque il mio è stato un futile tentativo. Alcune cose non posso cambiarle, il destino è già scritto ed io non posso fare altro che osservarlo compiersi. Come questo » dissi amareggiata guardando in fondo alla scalinata, dove sapevo che il numero di scheletri nanici era maggiore.
« Hai cercato di impedire la spedizione a Moria »
Annuii. Ricordando con spiacere quel pomeriggio a casa Baggins, non era stata la mia migliore  prova di tatto. Avevo ripensato a lungo a quel pomeriggio negli anni, chiedendomi se ci avevo provato a sufficienza. Forse cambiando tono, parole avrei potuto evitare quel fato tanto crudele.
Ma Gandalf mi aveva avvertito a non portare il peso dei morti sulle mie spalle, o non ne avrei mai visto la fine.
« I nani non accettano volentieri consigli da qualcuno al di fuori della loro razza » commentò il biondo quasi in consolazione, fattore che mi stupì non poco « Come gli elfi » aggiunse con qualcosa, che avrei giurato fosse un mezzo sorriso. Ma non avrei potuto giurarci poiché sparì dal viso di Legolas troppo in fretta, quando si alzò girandosi verso gli altri.
« Se l’è ricordata! » stava esclamando Merry.
« Oh no Meriadoc. Ma laggiù l’aria non ha un odore così fetido, quando sei in dubbio segui sempre il tuo naso ! » esclamò Gandalf mentre anche io mi rialzavo, raggiungendoli sulla sporgenza con molta meno agilità dell’elfo.
Faramir mi lanciò un’occhiata curiosa quando tornammo assieme, ma io la ignorai con una scrollata di spalle e lo affiancai nella discesa della galleria senza ricevere domande indiscrete.
Avevo già detto che Faramir era il mio preferito?
 

 
 
 
 
« Voglio usare un po’ più di luce » disse Gandalf accanto a me, attirando la mia attenzione per il meglio, poiché finalmente dopo giorni l’aria aveva smesso di puzzare tanto, e tutto attorno me vedevo un solido pavimento. Nessun precipizio in vista.
Quindi o il mio nano si era abituato al fetore della morte, o dovevamo essere in un punto piuttosto largo.
« Ammirate il grande reame e la città dei nani : Nanosterro » la pietra sul suo bastone si caricò di potenza, illuminando fino a duecento metri da noi, lasciandoci tutti sbalorditi.
«Ti fa spalancare gli occhi certo » commentò dietro di me Sam mentre io annuivo, alzando gli occhi verso le enorme volte.
La galleria- sala pareva infinita sia in altezza che in grandezza, sorretta da meravigliose colonne ognuna perfettamente modellata.
Certo ti faceva intuire che qualcosa da compensare i nani ce l’avessero,  per fare soffitti tanto sproporzionati quando a loro sarebbero bastati ed avanzati due metri scarsi. Ma era indubbiamente meraviglioso, anche se in modo diverso rispetto a ciò a cui ero abituata.
Dopo aver visto Imladris e Minas Tirith uno penserebbe di aver già visto quanto di più magnifico una città avesse da offrire e invece …
« No! No! Noo!  » urlò Gimli sfrecciandomi accanto e dirigendosi verso una porta in legno semi-spalancata, gli corsi immediatamente dietro, seguita anche da tutti gli altri solo per trovarlo inerte ai piedi di una tomba in marmo.
« Qui giace Balin, figlio di Fudin, signore di Moria » lesse Gandalf mentre io passavo un braccio attorno alle spalla di Gimli aiutandolo a rimettersi in piedi « E’ morto dunque » sospirò lo stregone incrociando il mio sguardo.
« Mi dispiace Gandalf » gli dissi sinceramente mentre cercavo di calmare i singhiozzi del nano tra le mie braccia.
Ero certa che già lo avesse percepito nel suo cuore, che i suoi parenti erano oramai morti da tempo. Ma la speranza a volte è così crudele, che si attacca a te come una ragnatela e non ti lascia andare fino all’ultimo minuto.
Lo stregone si avvicinò ad uno scheletro nanico che teneva ancora tra le mani una piuma e un tomo aperto sulle gambe, come se avesse scritto fino all’ultimo dei suoi respiri.
« Gandalf » lo richiamai per fargli capire che era meglio andare e non vi era alcun motivo per cui dovesse leggere gli ultimi momenti dei suoi vecchi amici.
« Dobbiamo proseguire, non possiamo indugiare » incalzò Legolas fremendo sulla soglia della porta, mentre osservava nell’oscurità.
Ma Gandalf aveva iniziato a leggere e parevano oramai tutti troppo assorti per dare retta persino a me, così mi limitai a mormorare qualche altra parola di conforto al nano, che tirò su con il naso ma poi si ricompose, ascoltando anche lui il Grigio stregone.
Io mi diressi da Pipino appena in tempo per fargli evitare una sfuriata da Gandalf, consigliandogli di non toccare il cadavere sul bordo del pozzo.
« Ti ricordi le tue lezioni con Faramir ? » domandai attirando anche l’attenzione del giovane Merry, entrambi annuirono.
« Bene vi serviranno, cercate di restare dietro di me vi proteggerò » gli promisi.
« - la terra trema. Tamburi . Tamburi negli abissi. Non possiamo più uscire. Eravamo stati avvisati, ma abbiamo scelto di sfidare il fato e come formiche in trappola nella nostra stessa casa, oggi moriamo. Arrivano. » Gandalf e gli altri alzarono i loro occhi su di me quando il Grigio Stregone chiuse il libro con un respiro strozzato. Un altro amico che se ne era andato per sempre.
Ma il loro lutto durò poco, poiché  un brusio di sottofondo iniziò a spargersi per tutta la caverna al di là della porta, facendosi sempre più forte man mano che avanzava e che ci accerchiava.
« Tamburi » riconobbe Frodo poco più in là estraendo la sua spada, che ora brillava nell’oscurità assieme al bastone dello stregone.
« Arrivano » li avvertii mentre Aragorn e Faramir estraevano le loro spade ed io sbarravo al meglio la porta ormai quasi distrutta assieme a Legolas.
Non avrebbe retto a lungo, ma era sempre meglio di uno scontro aperto, le ante ci avrebbero offerto un minimo di copertura.
« Hanno un troll di caverna » avvertii notando il lieve panico che colse gli occhi dei presenti, prima di riempirsi nuovamente di determinazione.
Lanciai un’occhiata a Sam, che mi annuì e si mise subito dinanzi a Frodo, avvicinandolo al fianco di Gandalf così che fosse protetto.
L’onda d’urto contro la porta, per poco non mi sbilanciò mandandomi a gambe all’aria ma tenni duro, lasciando poi il mio posto a Faramir, mentre io facevo un passo indietro e incoccavo il mio arco mirando tra le fessure della porta.
« Che vengano pure, troveranno che qui a Moria c’è ancora un nano che respira! » urlò Gimli sulla tomba di Balin dietro di noi.
La mia vista non era certamente buona come quella dell’elfo, ma dati gli sforzi dei miei compagni, non era difficile immaginare che là della porta vi fosse una vera e propria calca.
Iniziai a colpire in tutti i punti in cui la porta era oramai rotta, senza sprecarmi a distinguere occhi o bocche ma basandomi solo sui gemiti di dolore che si udivano ogni volta che io e Legolas rilasciavamo una freccia.
Contai i secondi, aguzzando le orecchie e quando scoccai il mio decimo colpo, tirai via Faramir dalla porta per il mantello, appena in tempo, prima che un Troll enorme la sfondasse riversando la sua rabbia in un urlo terrificante.
I Goblin entrarono dentro la sala come un mare in piena, lasciandomi giusto il tempo di mettere in spalla l’arco e sfoderare le mie lame prima di ritrovarmi nella mischia.
Di positivo c’ era, che le mie lame corte erano perfette per le battaglie a calca in quel modo. Di negativo, c’era il fatto che i goblin continuavano ad arrivare, possedendo un intero esercito al loro comando e noi eravamo solo una decina.
Fortuna che i goblin erano combattenti peggiori degli orchi e facevano affidamento sul numero e non sulla tecnica.
« Valanyar! » urlò alla mia sinistra il mio hobbit preferito.
Vi misi mezzo secondo per capire che Frodo con la sua spada luminosa,  aveva attirato le attenzioni del Troll che ora lo stava inseguendo ai confini della sala.
Mi lanciai verso di lui in una corsa disperata, mentre affettavo altri due goblin lungo il cammino, prima di scendere in scivolata passando in ginocchio sotto le gambe del Troll. Aprii le braccia tagliando due profonde ferite parallele sui polpacci del Troll, che urlò pieno di rabbia.
Adesso ero ad avere tutta la sua attenzione.
« Faramir copri Frodo! » urlai al capitano di Gondor, mentre io rotolavo nella direzione opposta all’hobbit, evitando il piede della creatura per un soffio, che cercava di pestarmi con rabbia.
Ma ora zoppicava, ed approfittai di quel vantaggio per guadagnarmi un po’ di strada. Corsi nella parte alta della stanza, decapitando il goblin che mi si parò davanti e parando il colpo di un altro che mi attaccò a sinistra. I due mi rallentarono e quando feci per saltare sulla testa del Troll, mi resi conto che non ce l’avrei fatta, avendo perso la mia occasione quindi conficcai le mie lame nelle sue scapole restandoci appesa.
Sapevo di non aver preso un punto vitale, ma adesso il Troll era decisamente furioso, udii Aragorn urlare il mio nome, mentre la creatura si dimenava, cercando di scrollarmi di dosso.
Tenni duro, evitando per pura fortuna la freccia di un goblin che mi passò ad un centimetro dell’orecchio ma alla fine il cervello della creatura dovette fare due più due e si scaglio contro un muro con tutte le sue forze facendomi perdere la mia presa e mozzandomi di netto il fiato.
Così facendo però conficcò le mie lame ancora più in profondità nella sua carne mugolando ferito abbassando per un attimo la guardia. Fu un secondo sufficiente per Legolas, di saltargli in testa e piazzargli tre frecce nel collo, mandandolo all’altro mondo.
Tutta quella fatica e poi l’aveva comunque ucciso l’elfo.
Mi coprì il tempo sufficiente per farmi raccogliere le armi  mentre mi lanciava un’occhiata di disappunto.
« Cosa? » domandai quando finimmo schiena contro schiena ad affrontare i goblin, cercando di avvicinarci lentamente agli altri.
« Sei sempre avventata » commentò l’elfo. E per poco, sotto il fragore della battaglia non ne persi il commento, gli scoccai un’occhiata dubbiosa, ma non potevo davvero distrarmi poiché i nemici sembrava semplicemente da tutte la parti
«Ah ci sto prendendo la mano! » udii dire a Sam, che in una mano teneva la spada elfica e nell’altra la sua fedele padella. Stese un goblin alla destra di Faramir, sorprendendo anche l’uomo che però si riprese in fretta, facendogli i complimenti, prima di salvarlo da una decapitazione certa.
Pensai che a quel ritmo potevamo farcela, i nemici stavano perdendo numeri consistenti, mentre noi guadagnavamo terreno.
Beh se di terreno potevamo parlare dato che eravamo sempre nella stanza.
Gimli era micidiale, fendeva goblin tutto attorno a sé facendoli a pezzi come se fossero fatti di polistirolo mentre roteava la sua ascia come si fa con un giavellotto.
La maggior parte delle creature iniziavano ad arretrare terrorizzate alla vista del nano.
Merry e Pipino gli coprivano le spalle, finendo tutti coloro che venivano risparmiati dal raggio d’azione dell’ascia. Probabilmente il loro fattore migliore, era quello della sorpresa, poiché i goblin non si accorgevano di loro fino a quando non aggiravano la tomba di Balin, trovando i Tuc.
Ovviamente Aragorn era sempre stato a lunghezza di braccio, assicurandosi che nessuno dei mezzuomini venisse ferito ma se la stavano cavando alla grande anche da soli.
Ma proprio in quel momento udimmo tutti l’urlo disperato di Sam.
« Frodo! » chiamò seguito dal ramingo e mi voltai a vedere l’hobbit cadere a terra con un verso di dolore, mentre un goblin a pochi passi gli aveva conficcato una lancia nel costato.
Sfruttai la momentanea espressione di felicità dei goblin, che sogghignarono soddisfatti vendendo la disperazione dei miei compagni, per farne fuori il più possibile fino a quando non riuscimmo a ricacciarli fuori dalla porta con un ultima carica dei due uomini e Gandalf.
Raggiunsi Sam, che piangeva di fianco a Frodo, mentre Pipino lo guardava disperato e Aragorn cascava in ginocchio.
« Oh Frodo falla poco lunga dobbiamo scappare » dissi senza tante cerimonie, spostando Sam e prendendo l’hobbit sotto il braccio, tirandolo su come niente fosse avvenuto.
Tutti mi guardarono come se fossi impazzita, ma poi notarono la lancia che cadde ai piedi dell’hobbit senza essersi conficcata da nessuna parte.
Frodo tossì attirando nuovamente l’attenzione di tutti « Valanyar un po’ di tatto mi hanno appena trafitto » borbottò l’hobbit alzando gli occhi su di me e dedicandomi un sorriso complice che ricambiai.
« Sto bene » aggiunse poi verso Sam che ora aveva un’espressione radiosa in viso, come se avesse visto per la prima il sole.
« Bene? Dovresti essere morto » disse Aragorn facendosi avanti per esaminare l’hobbit. Frodo scostò leggermente la sua tunica, scoprendo la maglietta di sotto che alla luce del bastone di Gandalf rifletté come vetro.
« In questo hobbit c’è più di quanto non colpisca la vista » commentò Gandalf guardando con sollievo l’amico.
« Mithril . Tu sei pieno di sorprese Frodo Baggins » disse Gimli pieno di meraviglia, guardando la maglia indossata dall’hobbit con più rispetto di quanto avesse mai fatto verso un essere vivente.
I nani e il loro folle amore per le pietre.
« Bene e ora scappiamo » incalzai attirando gli occhi di tutti, prima di udire un boato che scosse anche le pareti.
 
Corremmo disperatamente, aiutando gli hobbit a stare al nostro passo, quasi facendoli levitare da terra da quanto stringevamo loro i colletti.
Ma il boato sembrava sapere esattamente dove stavamo andando e quando giungemmo alla scalinata più stretta e orrenda che avessi mai visto, per poco non mi offrii io di restare indietro ad affrontare il demone.
Faramir dovette scorgere il totale terrore dei miei occhi, poiché andò avanti, prendendo le mie mani e  portandosele sulla schiena, così che lo usassi come ancoraggio per scendere.
Non era la migliore delle soluzioni per chi doveva scendere le scale in fretta, ma gliene fui infinitamente grata.
Scendemmo altre due rampe, prima di udire un ruggito proprio sopra di noi, e ci voltammo per vedere il demonio alle nostre spalle.
« Il Balrog ! » urlai indicandolo a Gandalf, e il terrore si appropriò di tutti nostri cuori, mentre con un colpo di frusta la bestia squarciava le tenebre.
« E’ un nemico al di là delle vostre forze, corriamo presto! » ci incalzò lo stregone mentre continuavamo a correre. Riuscivo quasi a  sentirmi l’alito del mostro sul collo, nonostante fosse a mille metri da noi, ma il calore che emanava era tale da farmi credere che persino l’aria intorno a noi stesse iniziando a bruciare.
Scendemmo quasi due scalini alla volta e per poco non persi completamente l’equilibrio quando Faramir si bloccò all’improvviso in mezzo alla scalinata.
Guardai con orrore dinanzi a noi, il metro buono di scalini mancanti.
Legolas saltò per primo senza nemmeno batter ciglio, aiutando poi Gandalf con Sam e voltandosi verso Faramir. Il capitano di Gondor prese sotto braccio Merry e Pipino e saltò anche lui portando gli hobbit alla salvezza e riprendendo la scesa assieme a Gandalf e Sam.
Quando fu il mio turno guardai l’elfo come se fosse impazzito, mentre Aragorn dietro di me che mi urlava di saltare.
Ed io feci la cosa più stupida del mondo, chiusi gli occhi e mi lanciai.
Percepii i miei piedi toccare terra, quindi dovevo avercela fatta, ma persi immediatamente l’equilibrio prima che due braccia mi avvolgessero, ancorandomi ad un torace.
Riaprii gli occhi terrorizzata alzandoli in verso il viso dell’elfo. La mia espressione doveva essere di pur terrore, perché il suo sguardo di disappunto parve quasi addolcirsi per un attimo. Quasi.
« G-grazie » balbettai  a Legolas che mi rilasciò con delicatezza, accertandosi prima che avessi riguadagnato il mio equilibrio.
« Chiudere gli occhi? Davvero » commentò il biondo facendomi sbuffare divertita nonostante la situazione pressoché tragica, mentre Gimli ed Aragorn stavano avendo una discussione. Mi feci da parte iniziando a scendere le scale, anche se molto più lentamente, rispetto a quando avevo avuto l’aiuto di Faramir.
« Nessuno può lanciare un nano! » sentii urlare Gimli alle mie spalle ed io mi costrinsi a scendere più velocemente consapevole di cosa sarebbe successo a breve. « No la barba no! » lo udii urlare ancora.
Sicuramente era un scena piuttosto comica ed io avrei voluta vederla con tutta me stessa, ma beh, ero impegnata. Toccai il pianerottolo con un sospiro di sollievo, proprio nello stesso momento in cui dietro di me tutto crollava.
Faramir mi venne incontro, dandomi una pacca sulla spalla prima di riprendere la nostra folle fuga.
Corremmo lungo un altro corridoio fino a quando la luce esterna non ci illuminò il percorso.
« Valanyar il ponte è vicino! » mi indicò lo stregone mentre io annuivo  e lui mi penetrò con i suoi occhi un secondo di troppo:
Vi fu come uno scambio di battute silenziose dove il Grigio stregone scendeva a patto con il suo destino, annuendo, consapevole del suo dovere, mentre io sentivo gli occhi brillarmi dalle lacrime che minacciavano di uscire.
Abbandonai Gandalf dietro di me mentre mi costringevo a ricacciare le lacrime al loro posto.
« Aragorn le spade non ci serviranno più a nulla, conducili fuori! » ordinò lo stregone. Vidi il ramingo guardare Gandalf mentre scortava gli hobbit vicino alla porta.
« Mithrandir! » urlò Faramir quando lo vide fermarsi a metà dello stretto ponte, spada e bastone stretti in mano.
«Faramir dobbiamo andare » dissi tirando il Capitano di Gondor verso la porta , spingendo verso l’uscita anche  Aragorn e Frodo.
Ma il giovane uomo non ne voleva sapere, continuando ad osservare la scena con terrore crescente, lottando contro di me per raggiungere il suo mentore.
« Sono un servitore del Fuoco Segreto e reggo la Fiamma di Anor! Il fuoco oscuro non ti servirà a nulla Fiamma di Udur. Ritorna nell’ombra! » alle mie spalle Gandalf ci stava guadagnando tempo, affrontando da solo il Balrog. Dovevo farli portarli fuori.
Spinsi l’uomo di Gondor con tutte le mie forze, che sembrava dibattersi quanto Frodo nel vano tentativo di raggiungere Mithrandir.
Sentii le mie costole fremere per lo sforzo, mentre mi passava di fianco una freccia sbucata dal nulla, che per poco on prese la spalla di Faramir. I gobiln ci avevano raggiunto e ci stavano mirando dalle mura di Moria.
« Tu. Non puoi. Passare! » ordinò il Grigio stregone piantando il bastone a terra, rilasciando tutto il potere che aveva accumulato negli anni sprigionando un’onda d’urto tale da farci barcollare all’indietro.
Il ponte si ruppe crollando sotto i piedi del demone e per un misero secondo, tutti i membri della compagnia esclusi me, tirarono un sospiro di sollievo.
Poi nel silenzio sentimmo un colpo di frusta che partì e catturò lo stregone, sbilanciandolo oltre il ponte.
Per puro istinto Gandalf si attaccò con tutte le forze alla sporgenza e mi guardò negli occhi mentre io gli sillabavo un “mi dispiace” sperando che lo stregone mi avrebbe perdonato.
« Fuggite. Sciocchi » furono le sue ultime parole, prima di venire risucchiato nelle tenebre a combattere il Balrog da solo, nelle tenebre.
Non ebbi il tempo di fare niente, le frecce continuavano a sfrecciarci tutt’attorno e Aragorn trascinò fuori Frodo, mentre io e Faramir portavamo via Merry e Pipino che urlavano il nome dello stregone disperati.
Gimli chiuse la porta alle nostre spalle con un tonfo sordo e il dolore di tutti, raggiunse la superficie dei loro occhi.
Frodo piangeva allontanandosi dalle braccia di Aragorn, mentre Merry e Pipino si aggrappavano mormorando parole sconnesse a Faramir il cui volto era rigato da calde lacrime.
Perfino Gimli nuovamente turbato, urlava di rabbia. Per i suoi fratelli caduti, per Balin, per Gandalf, il dolore era troppo.
Solo io e Legolas restammo impassibili, anche se per motivi completamente sconosciuti.
Sapevo che l’elfo stava soffrendo, solo che per lui l’idea della morte era un concetto sconosciuto. Gli elfi erano creature immortali, non conoscevano il concetto di una vita che si spengeva per sempre e quindi gli occorreva tempo per metabolizzare la perdita.
« Dobbiamo andare » dissi stringendo i pugni per farmi forza, conficcandomi le mie stesse unghie nei palmi.
Faramir alzò lo sguardo su di me, con gli occhi rossi e il dolore così vivo che per un attimo non travolse anche me.
« Gwend per favore, dacci un minuto » mormorò sconvolto.
Ma non ce l’avevamo un minuto, i goblin avrebbero presto avvisato gli orchi e ci avrebbero accerchiati su due fronti, dovevamo raggiungere i boschi di Lòrien in fretta, o saremmo stati perduti.
« Non abbiamo tempo. » dissi dispiaciuta « Frodo, Sam » richiamai gli hobbit, che al suono della mia voce si alzarono come zombie, venendomi incontro con ancora i volti scossi da tremori.
« Tu lo sapevi » mi accusò una voce che mi prese completamente alla sprovvista. Un attimo prima stavo per incrociare lo sguardo di Frodo, un attimo dopo Aragorn era davanti a me, furioso che mi accusava con il dito indice ad un centimetro da me « Tu lo sapevi e non hai fatto niente » sibilò. Dopo tanti anni, era facile riconoscere i sentimenti che viaggiavano negli occhi di Aragorn: dolore, sofferenza, rabbia, rancore.
« Gandalf si fidava di te » mi accusò, ed io per un attimo non riconobbi l’uomo che avevo davanti, che avevo visto crescere. Che credeva in me come se fossi un arto del suo corpo. « Lui si fidava e tu lo hai lasciato morire. Lo hai condotto verso la sua morte! »
« Non ho avuto altra scelta lo sai » risposi a denti stretti, cercando di non dimostrare ad Aragorn quanto mi stesse ferendo. Non era in sé, era arrabbiato, stanco e in lutto. Dovevo farmi scivolare addosso le sue parole.
« Sì ha sempre una scelta, me lo hai insegnato tu »
« Gandalf sapeva che l’impresa avrebbe potuto richiedere la sua vita » cercai di giustificami con il fiato mozzato. Per un attimo fui tentata di vuotare il sacco, di dirgli che Gandalf sarebbe tornato, che non era morto.
Stava solo combattendo, anche in quel momento contro il demone, lo stava facendo per noi che adesso lo stavamo disonorando, perdendo tempo alle pendici della montagna.
Sapevo di non averlo convinto, mi accusava di non aver usato le mie conoscenze per proteggere il nostro comune amico lo avevo deluso e lo sapevo. Il ramingo si limitò a far cadere le braccia lungo i fianchi, in un sospiro distrutto,  allontanandosi come se la stanchezza lo avesse raggiunto tutto insieme.
Mi sentii crollare il mondo addosso perché cosa sarebbe stato della Terra di Mezzo, se io ero appena stata la causa del motivo per cui Aragorn non sarebbe diventato Re?
Cosa ne sarebbe stato di tutti noi, di Frodo, di Arwen, se Aragorn non ci avesse guidati in battaglia perché per colpa mia aveva perso la fiducia nell’umanità?
Avrebbe avuto senso, dopo che persino l’essere umano di cui più si fidava, lo tradiva a quel modo. Speravo solo che con la ricomparsa di Gandalf il Bianco mi avrebbe capita e perdonata.
« Ripartiamo » annunciò il ramingo richiamando tutti a sé. « Frodo » disse invitando l’hobbit ad andare avanti assieme a lui mentre discendevamo l’ultimo tratto di rocce.
Il mezzuomo avanzò a sguardo basso, mentre io sentivo il mio respiro accelerare, sentendomi come se dovessi avere un attacco di panico da un momento all’altro.
Ma poi una piccola mano si posò sulla mia, intrecciandone le dita. Abbassai lo sguardo e Frodo era lì, che mi teneva per mano, con il volto rigato dalle lacrime appena versate, incitandomi a camminare assieme.
« Andiamo » disse Frodo accennandomi un sorriso triste mentre mi stringeva la mano in una dichiarazione silenziosa di appartenenza.
« Andiamo » gli risposi sentendomi come se potessi nuovamente respirare, stringendo a mia volta la mano dell’hobbit.
Se Frodo credeva in me, era abbastanza, avrei avuto tempo per chiarire le cose con Aragorn.
 
 
 
 


















Gerardl e Roach¹ = Geralt di Rivia è un personaggio di libri, videogiochi e ora anche un telefilm di Netflix chiamato “The witcher”, e appunto non importa quale sia il suo cavallo, li chiama tutti con lo stesso nome Roach, senza farne distinzioni.

 
Solo il Re di Gondor può impugnarla ² = nel libro Aragorn già possiede la spada del Re, infatti viaggia con due spade. Ma a me piace la versione del film, quindi ho preferito lasciarla così.
 

 
NdA : E questo è quanto!!!
Che ne dite? Troppo corto per essere già fuori da Moria? Avevo pensato di aggiungere più scene all’interno della miniera ma poi ho preferito aspettare, o mi sembrava un’ammucchiata.
Aragorn non ha preso molto bene la morte di Gandalf ma c’era da aspettarselo, o almeno io non l’avrei presa bene fossi stata al suo posto!
Nel prossimo capitolo però tornerà il BFF della nostra eroina e sono certa che gli restituirà il buon umore …
Senza contare l’incontro con Dama Galadriel che mi inquieta dalla notte dei tempi xD
Beh, alla prossima! Oramai penso si sia capito posto di venerdì, il ritmo mi si è tracciato così ^^’

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


▌ Capitolo 5  ▌   
 
 





 
«  Mi chiedo come siano chiamati gli spazi che separano gli attimi.
Ma è proprio in questi spazi che il dolore picchia più forte,
quando si sente l’assenza di una persona.
Si vive solo il tempo in cui si ama […] »
 
__Sempre - Emanuele Aloia
 
 
 




 
Stavamo oramai correndo senza riposo da quel pomeriggio, dovevano essere state circa le due quando eravamo fuggiti da Moria, poiché il sole era alto. Adesso invece la stella era tramontata da un pezzo e l’aria si stava facendo fredda nonostante la boscaglia, segno che era passata l’ora di cena, e a giudicare dal dolore lancinante che mi procurava ogni singolo passo, dovevo essermi rotta una delle costole già abusate quando il Troll mi aveva schiacciato alla parete.
Rimasi comunque in silenzio, mordendomi la lingua e facendomi forza, lanciando un sorriso incoraggiante a Frodo che mi guardava oramai da un paio d’ore come se temesse che sarei svenuta da un momento all’altro.
Si era perfino offerto di far fermare lui Aragorn ma avevo rifiutato.
Non era solo perché il mio ramingo preferito al momento era conflitto con me, ma anche perché sapevo che gli orchi di Saruman erano stati avvisati dai Goblin della miniera e che ci erano alle calcagna. Dovevamo mettere più terreno possibile tra noi e loro, almeno finché non saremmo giunti sotto la protezione degli elfi di Lòrien.
« Aragorn dobbiamo fare una pausa, gli hobbit sono sfiniti » intervenne in quel momento Faramir, portandosi alla testa del gruppo.
Guardai davanti a me, ed in effetti, Frodo era quello che stava reggendo meglio il ritmo assieme a Merry, ma Sam e Pipino avevano le guance rosse dallo sforzo e il fiatone pesante, facendomi sentire in colpa per non essermi offerta di alleggerirli almeno il carico dei loro zaini. Ma ovviamente se ne era occupato Faramir, e Gimli, dato che il nano portava con sé anche la sacca che mi pareva appartenesse al giovane Tuc.
« Se proseguiamo un altro mezzo miglio Aragorn, ci sono i punti di ricognizione degli elfi. Non sono fortificati, ma le fronde degli alberi ci proteggeranno da occhi indiscreti » proposi portandomi una mano sul fianco in una smorfia sofferente, la fitta si faceva sempre più acuta il che non era un buon segno. Forse le costole rotte erano due.
Il ramingo annuì, invitandomi ad andare avanti assieme a lui per guidarli tutti, mentre io mi apprestavo a raggiungerlo.
« Avrei dovuto notare che eri ferita » mormorò dopo qualche minuto, quando avevamo assunto un passo sostenuto, ma decisamente abbandonato la corsa di poco prima.
Aragorn mi guardò come se temesse di rompermi prima di prendere il mio zaino dalle mie spalle e la faretra, per portarli sulla sua schiena.
« Anni fa, sono stato duro con te, ti ho giudicata. Ed oggi ti ho accusata di nuovo » disse il ramingo guardando un punto impreciso di fronte a sé, rifiutandosi di incontrare il mio sguardo.
Il che poteva dire che si vergognava delle sue azioni, oppure che erano le mie a non essergli piaciute.
« Ero certo che non mi sarei più permesso di farlo »
« Credi ancora che io abbia tradito la fiducia di Gandalf » dissi e non era un domanda. Non mi serviva voltarmi verso il ramingo per sapere che stava annuendo.  Capivo come doveva sentirsi, era comprensibile davvero. Ma avrei preferito … Avrei preferito che non fosse mai successo.
Aragorn era un uomo buono e la sua mancanza di fiducia nella sua razza, era per validi motivi. Ma non ero felice che lui guardasse a me, come rappresentante del buono rimasto negli uomini, perché durante il nostro viaggio altrimenti, non avrei fatto altro che deluderlo e non era giusto.
Aveva conosciuti molti uomini degni della sua fiducia, avrebbe dovuto affidarsi a loro per trovare la sua vera forza.
« Gandalf lo sapeva? » mi domandò dopo qualche altro minuto di silenzio.
« Che sarebbe morto? Chi può dirlo. Sapeva dei pericoli che avremmo corso ad attraversare Moria, era lì quando cercai di avvisare Re Balin » dissi con amarezza.
« Hai avvertito Re Balin che avrebbe potuto trovare la morte a Moria, ma non l’hai detto a Gandalf, perché? »
« Gandalf sapeva che accompagnare Frodo sarebbe stata la spedizione più difficile di tutte, anche tu sai perfettamente che potresti morire, come lo so io. Daremmo la vita per la causa, e così ha fatto Gandalf »
« Avresti comunque potuto avvertirlo »
« Lo stregone era molte cose Aragorn, ma non uno sciocco. Non diffamare in questo modo il suo sacrificio perché desideri dare la colpa a qualcuno. » ringhiai alla fine fermandomi di colpo e guardandolo « Vuoi un capro espiatorio? Fai pure. Ma non credere per neppure un secondo che per me sia stato facile guardare Gandalf cadere. Era anche caro anche a me » soffiai infine trattenendo un insulto della quale mi sarei pentita sulla punta della lingua.
Soffrivamo assieme per la perdita dello stregone e sapevo che adesso Aragorn era arrabbiato quanto era triste che era il dolore a parlare, ma avrei preferito che passasse il suo tempo a piangere piuttosto che infrangere le peggiori accusi su di me. Non è come avessi veramente avuto una scelta.
« Siamo arrivati » aggiunsi poi girandomi verso gli altri, ed indicando a Legolas un albero in particolare.
« Come puoi vederlo? E’ celato ad occhi stranieri » mormorò lui osservando tra le fronde con stupore, osservando quello che per i nostri occhi comuni era invisibile.
 « Ho contato gli alberi, Haldir mi aveva detto del rifugio, gli chiesi anni fa se conoscesse un posto in caso di necessità » E ne avevo tenuto memoria, Haldir non mi aveva mai chiesto il perché, ma ero piuttosto certa che la sua fosse stata un’eccezione particolarmente rischiosa. Non si vendevano i segreti del proprio popolo a chiunque.
« Quanti anni fa? » domandò Merry preoccupato mentre nello stesso istante Pipino mi chiedeva « Quanti alberi ? »
Guardai i due hobbit, avevano i capelli appiccicati alla fronte a causa del sudore, ma la camminata gli aveva affievolito il fiatone. In ogni caso, avevano bisogno entrambi di un po’ di  riposo.
« Quasi trenta anni fa e gli alberi erano quattromilaseicentoventitrè  » risposi voltandomi dall’altra parte a causa di uno sbuffo di risata da parte di Gimli.
« Non stavi scherzando? » mi domandò il nano mentre mi guardava stupefatto, prima di grattarsi il capo da sotto l’elmo. Il sudore doveva avergli irritato molto lo scalpo sotto quel copricapo di ferro.
Scossi il capo, mentre Gimli borbottava qualcosa sui dannati umani che adesso restavano giovani come elfi nonostante la veneranda età.
« E’ sicuro » assicurò Legolas, che nel frattempo doveva essersi arrampicato sull’albero. La sua figura non era minimamente visibile da terra e l’albero non sembrava neppure abbastanza grande per ospitare più di due persone, ma dal nulla, calò una scala di corda piuttosto grande che spariva in mezzo alle foglie.
« Magia elfica » notò quindi Frodo, portandomi a guardare l’albero con la coda dell’occhio.
In effetti a quel modo era notabile che le foglie apparivano quasi appannate, come mosse dal vento o sfumate con il pennello in un dipinto ad olio.
Guardai la scala con timore attaccandomi al primo scalino e costringendomi a salire stringendo i denti, per una volta il dolore sarebbe stato utile distraendo le vertigini dall’altezza.
Salii per prima, e quando arrivai in cima sentii una goccia di sudore, scendermi dalla fronte. Ero sfinita.
« Sei ferita » disse Legolas costringendomi ad alzare gli occhi su di lui.
Eravamo in una enorme piattaforma, che avrebbe potuto contenere facilmente quasi trenta persone in piedi. Legolas era nella parte più esterna, appoggiato ad un ramo che appariva in modo tremendamente sospetto ad una sedia.
Annuii ricordandomi che mi aveva posto una domanda.
Beh più o meno.
« Il troll nella miniera » dissi indicandomi lo sterno certa che avrebbe capito. Lui aggrottò le sopracciglia seguendo le mie mani.
« Sei sempre avventata » mi criticò.
“Ovviamente cosa altro potevo aspettarmi?” Pensai tra me e me mentre ruotavo esasperata gli occhi, per fortuna l’arrivo di Frodo e Sam mi fermarono da qualunque commento ulteriore.
Il giovane giardiniere mi soppesò per un momento, prima di avvicinarsi a me corrucciato.
« Non avrebbe dovuto spingersi tanto mia signora, avrebbe dovuto dirlo ad Aragorn è umana anche lei sa? » mi rimproverò il giovane hobbit aiutandomi ad alzarmi per accompagnarmi più in là, su un ramo nella parte centrale, nella quale mi fece sedere e dove potevo appoggiare la schiena al trono principale.
« Grazie Sam » confidai passandogli una carezza lungo i capelli che oramai sporchi apparivano quasi castani invece del suo solito biondo rosato.
L’hobbit arrossì violentemente prima di iniziare a balbettare qualcosa sul preparare la cena facendo ridere me e Frodo che venne a sedersi ai miei piedi appoggiando la testa sul lato delle mie ginocchia.
Il viaggio doveva aver pesato molto su di lui anche emotivamente, non era certo un bambino ma qualcosa mi diceva, che avesse bisogno di più supporto possibile. Così portai una mano a giocare distrattamente con i suoi riccioli mentre osservavamo assieme Sam prendere le sue cose dalle spalle di Faramir prima di iniziare a pescare ogni genere di cose dallo zaino.
L’uomo ci guardò confuso, ma Frodo si limitò a scrollare la spalle  e a battere una mano sul pavimento accanto a lui, invitando il Capitano di Gondor a sedersi a fianco a noi e godersi lo spettacolo.
 
Aragorn non si prese cura delle mie costole quella notte, né quelle successive. Così mi limitai a stringere di più il corpetto, mormorando un incantesimo elfico che mi aveva insegnato Elrond, consapevole che avrebbe potuto solo allietare vagamente il mio dolore poiché non ero né un elfo né uno stregone.
Cercai di sistemarmi al meglio contro il tronco poichè mi conveniva dormire in posizione semiseduta per non affaticare le ossa mentre mi lasciavo cullare dal vento, gli occhi socchiusi che si perdevano nella forma indistinta di Legolas che mi dava le spalle.
Lo ringraziai mentalmente di essersi offerto di fare il turno di guardi per quella notte. Sapevo che lui era il più instancabile della compagnia, una notte senza sonno era niente per lui, ma il peso emotivo che si portava dietro non era certo da niente. Anche lui aveva conosciuto Gandalf per una vita intera.
 
 
 
 


I giorni successivi ci accolsero con una marcia costante ma meno impegnativa. Tanto era, che iniziai a pensare di essermele solo fratturate quelle costole, poiché iniziavo ad abituarmi al dolore ed era sempre meno lancinante.
Quello, o stavo avendo una emorragia interna che mi aveva bruciato i nervi e io sarei morta a breve senza accorgermene. Ma quella mattina mi ero svegliata ottimista, quindi avevo deciso che forse mi ero solo fatta meno male del previsto.
Lanciai un’occhiata alle mie spalle, dato che oramai ero sempre l’ultima della compagnia, soprattutto per lasciare ad Aragorn i suoi spazi.
Non aveva fatto più commenti in merito alla morte dello stregone o al mio “ruolo” in essa. Semplicemente però ancora non riusciva a lasciarsi tutto alle spalle come se niente fosse, quindi ci eravamo imposti una “tregua” momentanea. Dove ognuno di noi lasciava i propri spazi all’altro.
Solitamente Gimli restava nelle retrovie con me, permettendomi di apprezzare di più la compagnia del nano, ritrovandomi a comprendere sempre meglio l’affetto che aveva legato Bilbo agli altri membri della compagnia di Scudo di Quercia.
Eppure in quel momento accanto a me vi era Legolas, o meglio, l’elfo stava qualche metro più in là, il che era comunque piuttosto strano dato che solitamente era avanti a tutti in esplorazione o accanto al ramingo.
Gli lanciai un paio di occhiate circospetta, chiedendomi se anche lui avesse notato che ci inseguivano, o meglio se lui aveva notato che o stavano facendo, io lo sapevo ma in realtà non n  avevo nessuna prova.
La cosa non mi rendeva meno inquieta.
« Tu sai che non siamo soli » disse alla fine il biondo facendomi quasi inciampare nei miei stessi passi. Quando si era avvicinato?
« Non importa faremo in tempo, i confini di Lòrien sono vicini » dissi guardandomi attorno cercando un segno nelle fronde, ma come sempre i confini del reame della Dama di Luce erano invisibili.
« Non mi stavo riferendo agli orchi alle nostre spalle » bisbigliò poi Legolas guardandosi attorno con sospetto « Gli alberi parlano, sussurrano di nemici vicini » mi resi conto che probabilmente i nemici di cui stavano parlando gli alberi in quel momento, eravamo proprio noi.
Forse Haldir e i suoi fratelli erano più vicini del previsto e ci stavano già osservando? In tale caso, sperai che non seguissero i consigli datigli dalle fronde.
« Gli alberi stanno diventando d’oro » mormorò poco più avanti a Merry osservando le foglie.
Alzai lo sguardo dinanzi a me ed effettivamente, le piante stavano diventando sempre più meravigliose. Il che però li rendeva anche più vivi.
Ci conveniva trovare al più presto gli elfi, o avremmo finito per fare la fine del gatto nel sacco.
« Vi era una canzone che recitava Bilbo a volte su questi boschi vero Valanyar? » domandò guardandomi oltre la spalla Frodo .
Annuii. « La canzone della fanciulla elfica Nimrodel. No ne conosco le parole » mentii fingendomi amareggiata.
Alla mia destra Legolas iniziò a cantare:
 
« Elfica fanciulla d’un tempo passato,
Stella che brilla al vento.
Bianco il suo mantello e d’oro bordato
E le scarpe grigio argento.
 
Una stella sulla sua fronte,
Una luce nei suoi capelli,
Il sole brilla tra le fronde
A Lòrien dei giorni belli ¹»
 
La voce di Legolas era meravigliosa, paragonabile per splendere solo alla bellezza del suo viso. Non stava cantando ad alta voce, tutt’altro ma le parole mi erano comunque familiari e ti cullavano come una ninna nanna in una realtà completamente differente.
Avrei potuto giurare che nonostante il triste tema della canzone, i miei muscoli si sentissero meno afflitti dalla fatica e la mia mente si fosse fatta più vigile, come dopo un buon sonno ristoratore.
Non avrei saputo dire se anche quella fosse magia elfica, ma non era difficile immaginare perché alcuni mortali venivano portati alla follia quando vedevano un elfo cantare.
Una creatura tanto splendida e meravigliosa … Pareva impossibile non innamorarsene.
Gli elfi però non erano certo creature fatte per soddisfare la brama di un mortale, persino tra di loro gli scontri erano comuni, poiché non importava quanto belli potessero apparire, erano potenti. Erano letali.
La strofa successiva morì sulle labbra di Legolas, permettendomi di notare che fino a quel momento, non avevo fatto altro che fissarlo.
Fortunatamente non ero certo stata l’unica a restare incantata dall’elfo, notai persino Gimli riscuotersi con un borbottio generico.
 Distolsi lo sguardo turbata mentre Aragorn dinanzi a noi ci suggeriva di fare silenzio poiché stavamo per entrare in un territorio pericoloso.
 
A quel punto,tutto accadde piuttosto velocemente, vi fu un cattivo commento su una strega da parte di Gimli e un’incoccamento di freccia da parte di Legolas:
Eravamo circondati. Per un attimo mi feci quasi prendere dal panico, prima di riconoscere la voce più avanti.
«Il nano respira così forte che avremmo potuto colpirlo al buio »
« Haldir » salutai emergendo da dietro i miei compagni incurante delle frecce tese verso tutti noi, me compresa, mentre raggiungevo l’elfo.
Il guerriero mi guardò dall’alto in basso, prendendo in rassegna il mio volto stanco, gli abiti sporchi e il sorriso triste prima di parlare:
« Aspettavo proprio te Valacen, quasi cinquant’anni per comprendere il tuo enigma, per questo ? » domandò indicando la compagnia, e in particolare Gimli, come se fosse un carico di sterco appena consegnato davanti alle porte di casa sua.
Mi aprii nel migliore dei miei sorrisi « Sono venuta a trovarti nel tuo regno dopo tanti anni. Non sei felice? » dissi di rimando mettendo una mano sulla spalla di Gimli e stringendo forte, per far capire al nano di tenere a freno la lingua.
« Sono felice » concordò infine dedicandomi il primo sorriso della serata, cosa che non dovette fare troppo piacere a Legolas, considerando che lui sarebbe stato il principe di un altro reame e invece aveva ancora tre elfi schieratigli contro.
Haldir mi porse la sua mano, dove io poggiai la mia stringendogliela un attimo per ricevere il suo calore, prima che lui mi salutasse come gli avevo visto fare solo con Arwen.
Portò la mia mano verso il suo viso, quasi volesse farmi il baciamano ma sulle nocche, invece delle labbra poggiò la fronte mormorando «Ilaurui anor glawar [Della mia giornata ne sei il sole] » e considerando che gli elfi tutt’attorno rinfoderarono le armi per offrirmi un inchino, pensai che solitamente era un saluto che non veniva usato di frequente.
« Che ti ha detto questo elfo Valanyar? Che vuole? » domandò Gimli in tono scorbutico, guardando Haldir come se adesso fosse un tipo di insetto particolarmente ripugnante.
Se non si fossero odiati tanto, sarebbero stati amici perfetti.
« Riprenditi quella mano, è tua da tenere » aggiunse tirandomi leggermente il gomito, obbligandomi così a sfilare la mia mano da quella di Haldir.
Mi voltai a guardare Gimli, incuriosita dal suo comportamento ma notando lo stesso sguardo di antipatia negli occhi di Merry e Pipino. Faramir pareva solo incredibilmente curioso, mentre Legolas mi stava fulminando.
Ma quella non era certo una novità.
Haldir comunque non si scompose, non lo faceva mai, l’unica volta che lo avevo visto con un cipiglio differente dal solito fu quando Elrond mi stava visitando gli occhi e lui era assieme agli altri a fare da avvoltoio alle spalle del Re, in attesa del responso.
« Mae govannen, Legolas Thranduilion. [ Benvenuto Legolas, figlio di Thandruil ]» salutò poi Haldir il principe di Mirkwood nello stesso momento in cui quello che credevo essere suo fratello, si rivolgeva ad Aragorn: « A Aragorn in Dùnedain istannen le ammen [ Aragorn dei Dùnedain, tu ci sei noto ]».
Legolas ed il ramingo inclinarono leggermente il capo in segno di saluto, mentre io notavo il fumo che a momenti sarebbe uscito dalle orecchie di Gimli e mi sbrigai a far tornare la conversazione in lingua comune.
« Beh si insomma, in parole spicciole abbiamo gli orchi alle calcagna e gradiremmo una scorciatoia in mezzo a Lothlòrien » suggerii appena in tempo, impedendo così al nano di dire qualcosa di stupido.
« Siamo inseguiti dagli orchi? » domandò scandalizzato Sam che si voltò a guardare Faramir che guardò Aragorn che mi inarcò un sopraciglio confuso.
« Da tre giorni » confermò Haldir mentre io mi limitavo ad un sorriso di scuse per i miei compagni.
« E loro come lo sanno? » domandò Gimli rivolgendosi direttamente a me invece che agli elfi.
« Oh … Erano incerti se farci fuori o meno. Poi Legolas si è messo a cantare » semplificai con una scrollata di spalle, della quale mi pentii immediatamente percependo la fitta allo sterno. Dannate costole.
Sapevo che i miei compagni avrebbero meritato una spiegazione migliore, ma ero sfinita, sudicia e dolorante. Non vedevo perché bisognasse parlarne proprio in mezzo al bosco, quando avremmo potuto farlo nei confini di Lòrien, dopo un bel bagno caldo magari.
Certo era anche vero che non avevo nessuna voglia di incontrare Dama Galadriel ma tanto oramai il fatidico giorno era arrivato, non potevamo più rimandare.
« Sono certo che Valacen sia disposta a garantire per tutti voi » iniziò un elfo dai capelli biondo scuro ma molto simile a Haldir, doveva essere il secondo fratello. « Ma non possiamo permettere al nano di scorgere i nostri percorsi. Il cuore del nostro regno è segreto a tutti, e tale deve restare perché possa perdurare » concluse mentre io notavo un’altra occhiata storta da parte di Legolas.
Ero certa che quell’ultimo commento lo avesse piuttosto offeso ed era anche comprensibile poiché gli elfi avevano messo in chiara evidenza le loro preferenze. Non importava che lui fosse il figlio di Re Thandruil, l’eccezione veniva fatta perché io, una mortale, avrei garantito per tutti loro.
Mi chiedevo se quel particolare fosse semplicemente frutto della mia amicizia con il loro fratello maggiore, oppure avesse a che fare con un rispetto generico che vi era all’interno di Lòrien su di me.
In ogni caso me la stavo godendo un monte dato che Mirkwood avrebbe potuto imparare qualcosa su come accogliere i propri “veggenti”.
« Potreste bendarci » propose quindi Faramir mentre io annuivo, prima alzare gli occhi verso le passerelle tra gli alberi.
Erano così in alto che a malapena riuscivo a scorgerle tra le fronde, e potevo a farlo solo perché già sapevo che erano lì, da qualche parte, altrimenti mi sarebbe stato impossibile.
Tutto sommato dato le mie vertigini forse camminare bendata non era poi una cattiva idea. Anzi.
« Che cosa?! » eruppe Gimli scandalizzato.
« Non trattiamo con i nani sin dai giorni oscuri, ritieniti fortunato » ribatté Haldir.
« Ah sì? E sai cosa ti dice questo nano? Ish- » ma lo interruppi malamente, facendo qualcosa di incredibilmente maleducato come piantargli una mano sulla bocca, così che tutto quello che ne uscì fu un unione di suoni incomprensibili.
« Non sarebbe educato Gimli. Tuo padre mi ha detto le stesse parole anni fa, da sopra il tavolo a tea in casa Baggins » lo ripresi colpendolo dove sapevo avrebbe fatto male, per spengere il fuoco della sua rabbia lì dove era nato.
« Capisco » mormorò il nano limitandosi quindi a guardare gli elfi perché prendessero una decisione.
Haldir e i suoi fratelli mi guardarono chiaramente incuriositi ma andarono oltre la vicenda senza darvi troppo peso,  abituati a ben altre stranezze dopo una vita composta da millenni.
« Occorre che solo il nano sia bendato » Gimli sembrava pronto a ridare battaglia a quelle parole, ma mi lanciò un’occhiata quasi di scuse e scelse il silenzio. Il che ammetto, mi fece sentire perfino in colpa.
« Ci benderete tutti. Se lo richiedete a Gimli su il cui valore possiamo garantire, allora è giusto che venga imposto anche a noi. Siamo i suoi compagni » dissi incrociando lo sguardo del nano che si addolcì involontariamente.
Avrei dovuto ricordarmi più spesso in futuro che nonostante l’aspetto austero e i loro modi burberi, i nani avevano un cuore grande per chi gli dimostrava rispetto e gentilezza. Bilbo mi avrebbe detto di essere più paziente nei confronti di Gimli poiché dopo una vita passata con solo il suo popolo, poteva essere difficile per lui comprendere il punto di vista di qualcun altro, ma non impossibile.
« Stai scherzando? Le meraviglie di Lòrien sono famose in tutti gli angoli di Arda » cercò di intercettare Legolas, guardando Aragorn come se  cercasse un appoggio da parte del ramingo.
Ma il moro stava guardando me con uno sguardo fiero e un sorriso involontario.
« No amico mio, ha ragione Valanyar.  O tutti o nessuno » confermò Estel mentre gli hobbit annuivano concordi e Frodo mi dava un cenno di approvazione, soddisfatto della mia risposta.
« Come desiderate » concessero i tre elfi.
 
Ci bendarono che eravamo ancora a terra, ed io per un attimo mi pentii immensamente della mia decisione, chiedendomi come diamine avrei fatto a salire fino alla cima dell’albero senza gli occhi.
Ma ovviamente bastò attendere qualche minuto e fummo accompagnati dinanzi a quella che al tatto, riconobbi come un montacarichi a corda.
Incastravi il piede in un cappio di corda e qualcuno in cima ti tirava su come se tu fossi stato in ascensore.
Mi rèssi alla corda con tutte le mie forze temendo per la mia vita quando il “viaggio” durò più di qualche secondo e probabilmente scandalizzando tutti gli elfi, quando una volta avvicinata alla passerella, mi agguantai a colui che mi tirava con tutto il corpo come un koala all’albero.
« Brennil nim  [ Mia signora] » disse una voce sconosciuta a pochi centimetri del mio orecchio.
Mi apparve perfino giovane per appartenere ad un elfo, il che mi rese incredibilmente curiosa, ma mi limitai a ringrazialo e scusarmi mentre mi assicurava che ero stabile e mi lasciava da sola, al buio.
Non mi mossi neppure quando udii qualcun altro venire tirato su, troppo terrorizzata all’idea di fare un passo nella parte sbagliata e di sfracellarmi a terra.
« Faramir? » dissi quando mi parve di riconoscere la voce dell’uomo ringraziare qualcuno.
« Gwend? » disse mentre io allargavo le braccia in avanti, stringendo tra le dita la stoffa di una casacca.
« Sei tu? » domandai spostando le mie mani a giro per quelle spalle, riconoscendo i capelli lunghi fino alle spalle.
 « Oh sì sei tu riconosco l’odore » dissi portando le mani sulle sue spalle a formare uno strano trenino.
« Intendi dire che puzzo? » domandò l’uomo, ma dal tono potevo intuire che fosse divertito.
« Puzziamo tutti » commentai mentre sentivo un elfo alla mia sinistra confermare. Era Haldir, mi girai in quella direzione, tirando fuori la lingua in una smorfia, sperando di non star insultando nessuno dei suoi fratelli.
Quando finalmente furono saliti tutti, ci misero uno in fila dietro l’altro con le mani l’uno sulle spalle dell’altro (anche se io non avevo mai lasciato andare Faramir) ed iniziammo a camminare in silenzio, disturbati solo dai commenti di Legolas che temevo si sarebbe messo a piangere dinanzi quell’opportunità mancata.
« Suvvia Elfo sei immortale, sono certo che avrai altre occasioni » disse Gimli e per una volta, non parve neppure una frase di scherno, quanta di semplice consolazione.
« Già e poi in quanti possono dire di aver fatto una passeggiata sospesi in aria, in un bosco, bendati? » commentò divertito dietro di me Merry.
« Non mi è permesso uscire spesso dal mio reame » confidò Legolas a bassa voce. Dubitavo se ne vergognasse, in fin di conti eseguiva gli ordini ed aveva un regno da proteggere, ma vi era dell’amarezza nel suo tono, come se il suo desiderio di viaggiare fosse represso da svariati anni.
Poi mi ricordai della tristezza negli occhi di Thandruil mentre parlava dell’altra Valacen, e non mi stupii che preferisse tenere vicino il suo unico figlio. Senza contare che il Re, aveva già perso sua moglie, nel più orribile dei modi.
Legolas soffriva a causa della proiettività del padre, ma era difficile dare torto al Re. Non aveva avuto belle esperienze sul mondo esterno, doveva essergli costato molto mandare via Legolas e affidandosi solo alla mia parola che sarebbe tornato indietro sano e salvo dopo la guerra contro Sauron.
Immersa in questi cupi pensieri non mi accorsi neppure di quando una mezzora dopo, giungemmo finalmente a destinazione, con Haldir che mi sfilava la benda dagli occhi.
« Wow » mormorai voltandomi verso l’elfo alle mie spalle, che mi dedicò un mezzo sorriso.
« Che meraviglia. Sono certo che neanche il Signor Bilbo abbia visto uno splendore simile Padron Frodo » udii dire a Sam poco più in là, mentre l’hobbit moro annuiva, ricambiando il sorriso entusiasta del compagno.
« Dama Galadriel e Sire Celeborn desiderano parlare con voi prima che vi corichiate » ci annunciò un elfo con abiti d’argento alla fine della pedana, che per fortuna si inclinava  fino a formare una semplice discesa a chiocciola, risparmiandoci così l’ascensore di corda.
« Mi occuperò della vostra sistemazione » disse invece Haldir salutando me, Aragorn e Legolas con un cenno del capo, prima di prendere la direzione opposta rispetto al palazzo.
Se di palazzo si poteva parlare, perché di fatto sembrava un enorme sequoia con i gradini, ma nonostante possa suonare strano, in realtà era magnifico.
Vi erano luci sospese per tutta la “città”  che sembravano galleggiare in aria da sole, quello che in un normale bosco avrei definito come muschio, qui risplendeva più di uno smeraldo dando un’aria irreale all’intero posto le cui scale e mura parevano riflettere la luce delle illuminazioni come un vetro, mandando riflessi d’arcobaleno ovunque posassi lo sguardo.
Eppure quello era un albero, ne ero certa, poiché era così antico che avrei giurato di poterlo sentire respirare.
Era molto simile a Mirkwood, se si intendeva che gli alberi si erano modellati per creare le abitazioni degli elfi, ma allo stesso tempo non lo era affatto. Lothlòrien appariva ricca come una città dei nani e molto più pretenziosa di Bosco Atro. Beh se non avevi conosciuto il loro Re.
I reggenti di Lòrien ci vennero incontro, percorrendo la lunga scalinata mano nella mano e per un attimo fui certa che ne sarei rimasta accecata.
La Dama di Luce, non era certo un nome dato a caso, Galadriel risplendeva come neve sotto il sole, accecandoti se avessi avuto il coraggio di guardarla direttamente e non mi stupii quando tutti abbassammo gli occhi a terra.
Lanciai un’occhiata ai miei compagni, e per un attimo mi sentii piuttosto isolata. Ero l’unica donna della compagnia, e probabilmente quindi, l’unica che al momento non sembrasse un pesce lesso.
L’unico che pareva mantenere ancora un minimo di contegno era Legolas, perfino Aragorn era rimasto evidentemente abbagliato dalla bellezza di Galadriel. Certo, perlomeno lui si era ricordato di chiudere la bocca al contrario di Faramir e Pipino.
«Ditemi dov’è Gandalf da tanto desidero parlargli, non riesco a vederlo da lontano. » disse Celeborn.
« Gandalf il Grigio non ha varcato i confini di questa Terra. E’ Caduto » gli rispose la sua stessa consorte.
E qui la domanda mi sorgeva spontanea, se tanto lei aveva le risposte a tutto, perché porci domande? Tanto aveva il potere di prendere le risposte dalle nostre menti senza nemmeno dover compiere un altro passo.
Rabbrividii al pensiero.
« E’ stato preso sia dall’ombra che dalle fiamme. Un Balrog di Morgoth, siamo caduti inutilmente nella rete di Moria » mi voltai verso Legolas che aveva risposto, guardandolo esterrefatta.
Come poteva riassumere tutto in quel modo? Osservai Gimli e Frodo che abbassarono lo sguardo probabilmente sentendosi in colpa alle parole dell’elfo.
Poiché Gimli aveva garantito per Moria e Frodo aveva infine scelto la via, ma come poteva non capire che era come accusarli anche se inconsciamente?
« Mai un’azione di Gandalf è stata inutile nella vita. Non conosciamo appieno il suo scopo »
Benvenuta Colei Che Ha Il Potere Di Narrare” disse una voce nella mia testa facendomi sbarrare gli occhi dal terrore, per incontrare quelli dell’elfa pochi metri più avanti “E’ da molto che desidero conoscerti. Poiché una sola scelta azzardata potrebbe distruggere le vite di tutti noi … E tu ne hai compiute molte” ma nella sua voce non vi era della vera accusa, stava solo enunciando fatti.
Peccato che la sua voce nella mia testa non fosse affatto piacevole. Era come immergersi in un lago d’inverno quando il ghiaccio ne ricopre la superficie:  il tuo corpo ti dà degli avvertimenti, piccole stille di dolore che poi diventano insopportabile ed infine .. Più nulla, e lì sai che per te è troppo tardi ormai.
«Cosa avverrà ora di questa Compagnia? Senza Gandalf non vi è più speranza » disse Celeborn attirando la mia attenzione, e facendomi finalmente distogliere gli occhi dall’elfa.
«Certo che vi è speranza. La compagnia è fedele a Frodo, e finché Frodo vivrà, vivrà anche la speranza » ribattei risoluta e anche piuttosto irritata.
Gandalf era un potente stregone, ma era troppo crudele dire che quindi tutto era perduto solo per la sua scomparsa, soprattutto quando sapevo che Frodo avrebbe affrontato la sfida più difficile da solo.
« La tua voce mi è nuova, ma non il tuo spirito Valacen » mi salutò il Re spostando il suo sguardo vuoto su di me. « Spero che sarai disposta a sacrificare ciò che più ti è caro per la riuscita della tua impresa ».
In qualche modo capii che non si riferiva al viaggio di Frodo ma ad una mia impresa più personale come se alla fine di tutta quella storia, avrei dovuto sacrificare qualcos’altro per la salvezza di Arda. Non me ne preoccupai, ero certa che al momento opportuno lo avrei fatto, avrai rinunciato a qualunque cosa per la salvezza di coloro che amavo.
« Ora andate a riposare , perché siete logori dal dolore e dalla molta fatica. Finché resterete nei nostri confini dormirete in pace » ci congedò Galadriel muovendo il suo sguardo su ognuno di noi.
Riposa oggi mia cara, domani noi parleremo. Abbiamo molto da raccontarci “ mi salutò la Regina di Lòrien telepaticamente. Sapevo che aveva parlato anche ai miei compagni a quel modo, dovendo poi mostrare il futuro peggiore a Frodo, ma per stanotte, ci aveva regalato un sonno senza sogni.
Ed onestamente dopo tutto quello che avevamo passato, era un bel dono.
 

Quando facemmo per tornare sui nostri passi, lo stesso elfo vestito di una stoffa che avrei potuto giurare fosse argento, ci attendeva in fondo alle scale, annunciando a me e Legolas che le nostre stanze erano pronte mentre il resto della compagnia, avrebbe potuto accamparsi ai confini della città, vicino le terme.
« Se i miei compagni non possono dormire in dei letti come me, non ho intenzione di usufruirne » risposi piuttosto infastidita dinanzi a quel comportamento. Capivo che per gli elfi io e Legolas eravamo di un lignaggio differente rispetto agli Hobbit o gli uomini, ma era ridicolo.
I loro signori sapevano a cosa era destinata la nostra missione, nessuno dei presenti meritava un trattamento inferiore solo perché Legolas era figlio di Thandruil o io ero cascata dal cielo.
L’erede di Mirkwood accanto ad Aragorn disse che concordava con me, anche lui preferiva riposare con i suoi compagni, se una stanza non poteva venire adibita per tutti noi.
L’elfo in argento ci giudicò evidente degli idioti, ma nonostante lo sguardo piuttosto espressivo, il viso restò immobile limitandosi ad annuire « Come i signori desiderano » disse prima di accompagnarci lungo un sentiero di pietre che sotto i raggi della luna, parevano risplendere come se fossero fosforescenti.
Passammo dinanzi a quelle che dovevano essere le” terme”, poiché vi erano elfi, immersi nelle acqua che nonostante il gelido inverno parevano godersi la calma della foresta. Probabilmente stavano parlando del più e del meno, ma da quella distanza le loro voci erano ovattate dalla cascata e sembrava solo che stessero sussurrando una melodia.
Desiderai per un attimo unirmi a loro, certo magari dalla parte opposta, ma avrei sicuramente apprezzato darmi una ripulita anche se una parte di me temeva che immergermi nelle acque degli elfi, avrebbe significato la perdita della treccia di Arwen.
Camminammo per qualche altro minuto, prima di giungere in uno spiazzo, dove gli alberi si erano distanziati tra loro, formando un cerchio perfetto con radici tanto alte e nodose da formare una specie di muretto ma con addirittura delle rientranze che apparivano come cuccette.
Compresi che quello doveva essere il posto dedicato ai forestieri, oppure la foresta era appena cambiata per la nostra comodità. Onestamente non ne avevo idea, ma niente pareva impossibile.
L’elfo di Lòrien si congedò nello stesso momento in cui un fuoco iniziò ad ardere dal nulla in mezzo alla radura. Feci un passo avanti, notando immediatamente la differenza tra la terra fino a quel momento e quella invece dello spiazzo, che iniziava ad apparirmi come una stanza a cielo aperto.
Vi era un tappeto di foglie del colore dell’oro che rendevano il terreno così soffice da farmi sentire in colpa all’idea di indossare gli stivali in un posto simile, ma guardando dietro di me, notai che non lasciavo alcuna traccia di sporco come se avessi camminato a piedi scalzi. Gli hobbit mi seguirono, affondando leggermente nel manto di foglie, come se fosse una moquette.
« Il pavimento, è caldo » disse Sam guardandosi i piedi e spostando il peso da un piede all’altro. Mi abbassai, fino a toccare con una mano il tappeto di foglie, ed effettivamente, constatai che vi era una temperatura costante e gradevole che veniva emanata dal sottosuolo. Non avrei avuto grandi problemi nemmeno a dormire in terra.
« Valanyar credo che quello sia il tuo letto » disse Merry indicando l’ultima cuccia sul lato sinistro.
La cuccia era uguale alle altre, percorrendo il cerchio attorno al focolare, ma uno dei rami dell’albero sotto la quale era infossata, calava su di essa, coprendola quasi completamente da occhi indiscreti come un separé naturale.
« Oh » mormorai avvicinandomi al mio letto e posandovi la sacca che Faramir mi aveva restituito poco prima.  Osservai il ramo con curiosità e tentai di toccarlo, ma quando avvicinai la mano lui si spostò rivelando il letto.
Corrucciai le sopracciglia tentando a questo giro di tirarlo a me, e come pochi secondi prima, il ramo si mosse prima che potessi toccarlo, tornando nella sua posizione originale. Era come una porta automatica.
Mi voltai verso Frodo, che aveva immediatamente preso la cuccetta accanto alla mia guardandomi con il primo mezzo sorriso della giornata, stupito quanto me delle meraviglie del regno.
Anche se il sorriso non raggiunse  suoi occhi, mi reputai soddisfatta, bisognava procedere a piccoli passi.
 

Sam e Faramir iniziarono presto a darsi da fare per preparare la cena, a quanto pare gli elfi ci avevano lasciato perfino dei viveri e unendoli alle nostre scorte, si programmava una cena in grande stile da come non ne avevamo da quando avevamo lasciato Imladris.
Mi tolsi il corpetto con un respiro più pesante, chiedendomi se forse non avrei dovuto tenerlo quando mi tornò una fitta allo sterno. Sperai che ad Lòrien fossero bravi a curare almeno la metà di Elrond, così avrei potuto approfittarne per rimettermi momentaneamente in sesto.
A Gran Burrone mi era capitato di continuo, soprattutto i primi anni, allenandomi con i gemelli o cadendo da cavallo.  Purtroppo tendevi a non dare più troppo peso alle ossa rotte quando il Re del tuo Reame, riesce a curarti con un impacco e qualche incantesimo elfico rimettendosi in sesto nel giro di un paio d’ore.
Venni riscossa dai miei ricordi, da un canto elfico che si sollevò nell’aria.
Era meraviglioso, ma portava con sé una tale tristezza che per poco non riuscii a trattenere le lacrime. Anche dinanzi al fuoco, il piccolo gruppo aveva smesso di parlare, alzando gli occhi al cielo come se fossero state le stesse stelle a cantare.
« Un lamento per Gandalf » ci spiegò Legolas riportando ancora più dolore nel cuore dei presenti. Capivo che per loro la perdita fosse una ferita fresca ed estremamente dolorosa, ma per quanto bello, quel canto sembrava solo poter peggiorare il loro umore.
Spostai lo sguardo su Frodo che era l’unico a non essersi unito con il resto della compagnia intorno al fuoco e mi alzai, autoinvitandomi accanto a lui,  sedendomi con una smorfia che però nascosi al meglio per non far preoccupare inutilmente l’Hobbit.
« Non riesco ancora a credere che se ne sia andato » mi disse guardandosi le mani come in cerca di una risposta introvabile, dopo qualche attimo la compagnia riprese a parlare sottovoce per non farsi trascinare anche loro dalla malinconia del canto.
« Le persone che amiamo non ci lasciano mai » gli risposi prendendo le sue mani nelle mie ricercando i suoi occhi « Soprattutto quando la loro storia ancora non si è conclusa »
Frodo mi scrutò per qualche secondo, come se non volesse permettersi di credere veramente alle mie parole.
« Valanyar, cosa intendi? » mormorò abbassando la sua voce, ed accertandosi che gli altri fossero fuori portata di orecchio.
« Ti confiderò un segreto Frodo » dissi accarezzandogli le mani e cercando di dargli un po’ del mio calore. « Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi, anche se non sempre come noi ce le aspettiamo ¹ » confidai facendogli l’occhiolino, mentre osservavo la realizzazione crescere negli occhi del giovane hobbit.
« Ma come è possibile? L’ho visto cadere » mi disse avvicinandosi ancora di più al mio viso in un sussurro « Lui, è vivo? » mormorò cauto,lanciando nuovamente un’occhiata al gruppetto intorno al fuoco, ma nessuno di loro stava facendo caso a noi.
« Sta affrontando la più difficile delle prove amico mio. Anche ora mentre parliamo, sta lottando contro il Balrog … » dissi annuendo e riportando negli occhi dell’hobbit una scintilla di speranza  « … Ma io ho fiducia in lui» aggiunsi credendo fermamente che Gandalf sarebbe riuscito a superare quella prova.
« Anche io» disse l’hobbit aprendosi nel primo vero e caldo sorriso, da quel giorno a Moria.
Il giovane fece per abbracciarmi, ma ci ripensò all’ultimo, evidentemente aveva notato i miei mugolii di dolore in quei giorni, nonostante avessi cercato di nasconderlo.
Avrei dovuto saperlo, che nello stesso modo in cui io cercavo di prendermi cura di Frodo lui lo facesse con me.
« E ho fiducia anche in te, Frodo Baggins » aggiunsi dandogli un’ultima stretta con le mani guardandolo con tutto l’affetto che provavo per lui. Non credevo neppure potesse immaginare quanto per me avesse significato che lui non aveva messo in dubbio il mio affetto per Gandalf neppure per mezzo secondo.
Certo lui conosceva me e lo stregone dallo stesso periodo di tempo, ma ero certa che fosse molto più semplice chiedersi perché ne avessi permesso la morte, come aveva fatto Aragorn, piuttosto che credermi una schiava degli eventi.
« Valanyar? » mi riscosse la sua voce « E se io non ne avessi per me? » domandò come un sussurro.
« Ne ho abbastanza per entrambi » risposi senza perdere un colpo, passandogli una mano tra i riccioli neri in una carezza consolatoria.
Sapevo che la determinazione di Frodo, si incrinava ogni giorno di più che passava, l’anello si faceva sempre più pesante e la perdita di Gandalf era stato un grave colpo.
Decisi, che non mi sarei pentita della mia decisione di dirglielo, se anche avessi peggiorato il mio destino, ne valeva la pena per quello sguardo di gratitudine.
 Ci alzammo insieme, in un muto accordo e ci avvicinammo al gruppetto intorno al fuoco prendendo posto vicino Sam, che si mise subito a lavoro per fare un piatto stracolmo di cibo per Frodo. Un sorriso a trentadue denti gli incorniciò il viso, evidentemente felice che il suo signore avesse ritrovato l’appetito.
Incrociai per un attimo lo sguardo di Legolas, che mi guardava accusatorio come se gli avessi appena pestato il piede, inarcai il sopracciglio in una muta domanda: “Cosa c’è?”
Ma lui si limitò a distogliere lo sguardo andando a sedersi accanto ad Aragorn. Archiviai la cosa, mettendola nel cassetto dei ricordi “ la bipolarità del principe di Mirkwood”.
 
Cenammo quasi completamente in silenzio ma nonostante i canti funebri degli elfi tutto attorno a noi, non fu un silenzio pesante quanto di ritrovo. Eravamo al sicuro per il momento, e nessuno di noi avrebbe permesso che il sacrificio di Gandalf risultasse vano.
Dopo neppure un’ora però la stanchezza si fece sentire e ci sbrigammo a congedarci, tornando nelle nostre cuccette, che parevano integrate di un riscaldamento supplementare, poiché avrei potuto giurare che l’aria tutt’intorno alla conca fosse più calda.
Mi sdraiai con cautela, sistemandomi sul fianco meno ferito, e notando che l’altro letto direttamente davanti al mio, era quello di Aragorn che però mi dava le spalle con il viso girato verso la terra battuta.
Sospirai sperando che prima o poi l’uomo vi sarebbe venuto a capo di quello che era successo e mi avrebbe perdonato, feci un cenno con la mano, e il ramo si chiuse davanti a me donandomi la totale oscurità e un sonno senza sogni, come promesso da Dama Galadriel, mi accolse facendomi piombare nel buio assoluto.
 
 
 



 
La mattina dopo mi svegliai, incredibilmente riposata.
 Sapevo di aver dormito in una cuccia di terra sotto le radici di un albero e invece mi sentivo come se mi fossi appena destata dal mio letto a Gran Burrone.
Uscii dalla nicchia, notando che era ancora prima dell’alba e quindi i miei compagni dormivano ancora e il fuoco scoppiettava nell’accampamento, anche se nessuno lo aveva rifornito di legna da ore.
Guardai in alto, verso l’inizio del sentiero e capii perché mi fossi destata. Haldir era in piedi, all’inizio della radura che mi guardava come se fossi in ritardo ad un appuntamento programmato.
« Buongiorno» lo salutai non appena lo raggiunsi, modulando la mia voce in un sussurro così da non disturbare il sonno dei miei compagni.
« Buongiorno Valanyar » disse chiamandomi come aveva iniziato a fare a Gran Burrone, lo guardai interrogativa, prima di intuire che Valacen era un nominativa più distaccato, come se stesse indicando la mia carica e non la mia persona.
« Volevo mostrarti il cuore del Reame degli Elfi quest’oggi, ma non prima che tu ti sia data una ripulita » aggiunse guardandomi di sottecchi, come se la mia puzza in qualche modo lo offendesse.
« Odori di Goblin » sottolineò mentre io seguivo il suo sguardo su una macchia di sangue nero, che si era confusa con il colore dei pantaloni.
Sbuffai, ma convenni con lui che era il caso di darmi una ripulita, anzi onestamente, non vedevo l’ora. Mi accompagnò lungo gli specchi d’acqua che avevamo visto la sera prima, che al momento erano deserti. Prendemmo però una scala laterale alla cascata, che girando a sinistra e ci portò ad una sezione di piscine interne, dove due ancelle, vestite anche loro di argento ci attendevano.
Dedicarono un inchino profondo a Haldir e uno più lieve a me.
« Loro sono Henemì e Henecô ³, dopo che avranno finito con te, ti saranno guarite anche le costole » ci presentò Haldir mentre io accennavo un inchino un po’ goffo a causa delle ferite.
« Come sai delle mie costole? »
« Il tuo respiro » si limitò a rispondere l’elfo mentre io sbuffavo. Ma certo, gli elfi e la loro capacità di leggermi il respiro.
Iniziavo a sentire la mancanza dei miei elfi di Imladris dove nessuno mi stalkerava per come respiravo.
Haldir si congedò, lasciandomi alla cura delle due elfe, assicurandomi che sarebbe tornato tra un paio d’ore con la colazione per me e il resto della compagnia. Immediatamente gli volli già più bene.
Le due elfe, mi fecero accomodare all’interno della stanza, aiutandomi ad uscire dai miei vestiti fino a quando non fui nuda come un bebè, sotto gli occhi delle due donne perfette e completamente vestite.
Feci per togliere la collana che avevo al collo ma Henemì e Henecô  me lo impedirono parlando nello stesso momento:
« Non fatelo mia signora » mi fermarono « Conosciamo Aiantcuil » pronunciarono il nome del gioiello, con lo stesso rispetto con la quale si pronuncia il nome di una persona.
«Non è qualcosa di cui conviene disporre solo per un bagno o un massaggio. Non è sicuro » le guardai confuse, spostando lo sguardo sulla lacrima di Mithril chiedendomi a cosa si riferissero, eravamo solo noi lì dentro, sicuramente avremmo notato se qualcuno avesse tentato di trafugarlo.
Il mio sbigottimento dovette essere piuttosto palese nel mio volto, poiché Henemì accennò un sorriso gentile:
« La catena che lo sostiene è incantata, nessuno tranne il legittimo proprietario più sganciarla.
Il gioiello non può rompersi né può essere sottratto. Ma se lei lo apre e lo posa da qualche parte aperto,chiunque se lo chiuderà al collo ne diventerà il legittimo proprietario » annuii comprendendo quindi, perché lo stesso Thandruil me lo mise al collo il giorno stesso invece di donarmelo e basta.
Concordai con loro dunque sul lasciarmelo indosso mentre, mi invitavano a sdraiarmi sul lettino supina e loro si intingevano le mani in una strana crema colorata, che sembrava un misto tra dell’olio ed uno degli intrugli di Elrond.
« Il nostro Capitano tiene molto a te » iniziò una delle due. Henemì forse?
Erano anche loro gemelle o sorelle molto somiglianti. Avevano meravigliosi capelli biondi e degli occhi azzurri come il mare in tempesta.
Guardarle a lungo mi faceva sentire inadeguata, così spostai i miei occhi verso il soffitto per non incrociare i loro sguardi.
« E’ un caro amico » risposi con un lieve imbarazzo.
« Deve esserlo, è venuto ieri sera a pregarci di prenderci cura di te questa mattina, prima che il reame si svegliasse. Ha detto che altrimenti non avresti accettato favoritismi »
Beh Haldir mi conosceva indubbiamente meglio di chiunque altro. Perfino di Aragorn, nonostante il ramingo appartenesse alla mia stessa razza.
Probabilmente dipendeva dal fatto che Elrond lo aveva cresciuto con un’impostazione al proteggere coloro che amava, mentre Haldir sapeva che chiunque poteva proteggersi da solo e che se uno non richiedeva il suo aiuto, lui non aveva il diritto di imporsi.
Due modi di amare molto differenti.
« Vi ringrazio per il vostro tempo,e mi scuso per avervelo sottratto » dissi sincera, mentre le elfe mi rivolgeva un sorriso di cortesia identico, che però mi apparve autentico.
Avevano iniziato a massaggiarmi la pelle intorno alle spalle, fino a scendere sulle braccia ed ora stavano  mormorando degli incantesimi in Sindarin antico, passando delicatamente le loro mani sul mio sterno.
Riconobbi l’incantesimo, serviva a far “addormentare” il corpo, così che i nervi si rilassassero e il paziente non percepisse il dolore della cura, come un’anestesia parziale.
Quando iniziai a non sentire più i loro polpastrelli sulla pelle, ma solo a vederli, notai che la loro pressione doveva essere aumentata mentre seguivano i movimenti di ogni costola accertandosi di riposizionarla accuratamente o di guarirla completamente.
Spesero così la successiva mezzora, fino a quando notai un evidente cambio nel mio respiro. Era come se un macigno mi si fosse finalmente sollevato dal petto, permettendomi di inspirare veramente.
« Avevi due costole rotte e tre incrinate mia signora » disse una delle sorelle con un cipiglio preoccupato, mentre l’altra mi scioglieva i muscoli delle gambe, permettendo alla stanchezza accumulata negli ultimi giorni, di evaporare.
« Un mostro marino e un Troll di caverna » risposi con una smorfia colpevole, poiché sapevo di essere stata allenata meglio di così.
In tutto il mio tempo al fronte a Gondor, in quasi cinque anni mi ero fatta male solo due volte, e adesso, in meno di due mesi mi ero già rotta due costole. Volevo battere un nuovo record era evidente.
Le sorelle infine mi aiutarono ad alzarmi, nonostante adesso mi sentissi una meraviglia e mi lasciarono immergere nella vasca dove vi era uno scalino sommerso, per sedersi.
« Questa treccia è opera di Dama Arwen » commentò Henemì mente io annuivo « Temo che le nostre acque la scioglieranno » rispose triste l’altra mentre io mi imitavo ad una alzata di spalle.
« Non poteva durare per sempre » mormorai immergendo i capelli nelle acque, sentendo i vari ciuffi sciogliersi senza alcuna difficoltà o nodo come se la vasca fosse composta da balsamo districante.
Restai a godermi l’acqua calda per qualche minuto, prima di iniziare a lavarmi come di dovere, strusciando ogni singolo centimetro di pelle con il panno fino a diventare rossa.
Quando finalmente mi sentii pulita uscii, amareggiata all’idea di mettermi i miei vestiti sudici, ma quando la prima elfa si avvicinò porgendomi un asciugamano grande quanto un mantello, per tamponarmi il corpo, notai che i miei vestito non erano più sulla sedia.
« Li abbiamo portati a lavare » disse Henecô intercettando i miei occhi, mentre io già sapevo di poter dare la colpa ad Haldir per quel comportamento, poiché di certo le due donne non lo avevano deciso da sole.
« Li avrete in tempo, puliti per la partenza » mi assicurò l’elfa che ne frattempo mi portò un vestito che avrei giurato anni prima di aver visto simile indosso ad Arwen⁴.
Presentava un grosso scollo a barca che mi avrebbe lasciato le spalle semi-scoperte, con un orlo d’argento che riprendeva le maniche e la coda del vestito.
Quello che avevo visto indosso alla Stella del Vespro era blu, mentre quello dinanzi a me era verde speranza. Iniziavo a pensare, che vi fosse una strana fissazione da parte degli elfi, nel volermi far vestire di verde.
«E’ meraviglioso » confidai alle due elfe guardando il vestito con un’espressione ammirata, come non facevo da tempo per un abito.
Mi aiutarono ad indossarlo, poiché mi abbracciava come una seconda pelle il ché mi fece inarcare un sopracciglio piena di sospetto, dato che pareva anch’esso fatto su misura. Si concludeva con una lieve coda, ma non era certamente troppo lungo per me cosa strana dato che nessuna delle elfe aveva la mia stessa statura.
Mi chiesi se anche quella fosse stata una vecchia commissione per me di Arwen o Elrond.
« Dama Arwen lo ha richiesto per voi » disse Henecô leggendomi il pensiero.
Iniziava ad essere inquietante, anche se ero certa che la telepatia fosse un dono esclusivo di Dama Galadriel.
Mi limitai a sorridere sperando che valesse come ringraziamento, mentre le elfe prendevano una boccetta di un liquido cristallino che non riconobbi anche se il profumo era familiare.
« E’ la stessa essenza che ha permesso alla tua treccia di restare intatta » disse Henemì ungendosi le mani e passandole poi tra le mie ciocche. Sarebbe dovuto essere impossibile, ma più le sue dita accarezzavano i miei capelli con quello strano olio, più loro si asciugavano in sinuose onde nere (che ero certa i miei capelli non avessero mai avuto, neppure nei loro giorni migliori).
« Ovviamente non possiamo intrecciarvi i capelli »
« Lo so » la rassicurai quando abbassò lo sguardo, temendo che io lo giudicassi una mancanza di decoro da parte sua, quando in realtà conoscevo la tradizione elfica.
« Vi abbiamo però portata questa, è un diadema elfico prodotto con la linfa dell’albero della casa dei Re » mi spiegarono poggiandomelo in fronte. Non era niente di speciale, un semplice cerchietto di legno che mi girava tutt’intorno alla nuca, chiudendosi sulla fronte con due punte ad uncino.
Muovendomi potei notare gli stessi riflessi arcobaleno che si erano formati a palazzo. Nella sua semplicità, era meraviglioso.
« Impedirà ai vostri capelli di muoversi troppo. Finché non la toglierete per rifarvi la capigliatura, loro resteranno docili onde lungo la vostra schiena » spiegò Henecô facendomi sorridere. Certo che gli elfi di diavolerie simili ne avevano davvero molte, considerando che loro erano incredibilmente belli di natura, avrebbero potuto condividere un po’ della loro meraviglia con il mondo.
Ma in fin dei conti il mondo aveva abbastanza problemi senza dovervi aggiungere la vanità.
Ringraziai le due elfe proprio nello stesso momento in cui udimmo bussare alla porta.
 
Quando aprirono, trovammo Haldir sulla soglia che mi guardò dall’alto in basso soddisfatto.
« Grazie Henemì e Henecô avete preso una pietra di fiume per farne uno smeraldo » si complimentò Haldir guardando le due elfe, che sorrisero radiose.
Forse anche troppo radiose.
Guardai per un attimo tra Haldir e le sorelle prima di intuire, che probabilmente per le due immortali il mio adorato guerriero era un ottimo partito dato che ero certa non avesse donato il suo cuore a nessuno.
Senza contare che mi aveva appena offeso dinanzi a due splendide elfe, quindi per loro era diventato chiaro che non era interessato alla sottoscritta.
« Sì beh, il sasso di fiume ha fame » sbuffai uscendo dalla stanza, e dandogli una spallata programmata prima di voltarmi, inchinandomi con grazia alle due sorelle e ringraziandole nuovamente per il loro tempo.
Henemì e Henecô fecero altrettanto, assicurando che era stato un piacere conoscermi.
Quando la porta si chiuse nuovamente, Haldir mi porse il suo braccio come se fossi una vera fanciulla, per, la prima volta in cinquant’anni.
« Mi concede questo onore? »
« Ma non mi avevi paragonato ad un sasso? » gli ricordai prendendolo sottobraccio senza tante storie mentre scendevamo i gradini.
« Chiederei il tuo perdono amica mia ma, aimè puzzavi veramente »
« Chiedo venia per aver insultato il tuo nobile naso » dissi divertita mentre anche il biondo mi dedicava un sorriso d’intesa.
 
Tornammo all’accampamento che a minuti il mio stomaco avrebbe iniziato a brontolare.
Ebbi soprattutto modo di accorgermi, di non aver mai indossato delle scarpe quando i miei piedi si poggiarono sul tappeto di foglie riscaldato del campo.
« Buongiorno giovani » salutai poiché il commento era applicabile per la maggior parte dei presenti escluso Gimli, e Legolas non era lì.
« Gwend » disse Faramir guardandomi come se mi vedesse per la prima volta. E probabilmente lo era dato che dinanzi a lui avevo sempre indossato abiti per il suo popolo considerati “maschili”.
Trovai la sua espressione, particolarmente divertente.
Era adorabile con le labbra semisocchiuse e le gote rosse, con ancora un commento da concludere sulla punta della lingua.
« Mia signora se vi avessi incontrata ieri mattina, avrei giurato che eravate la creatura più bella della Terra di Mezzo » si intromise Gimli guardandomi anche lui con lo sguardo ammirato, mentre io mi esibivo in un inchino elegante.
« Vi ringrazio Mastro Nano » dissi sinceramente, poiché essere la numero due era comunque un bel traguardo se si contava che per Gimli la donna più bella al mondo era Dama Galadriel, e come dargli torto?
« Io ho sempre saputo che Valanyar era stupenda » disse in tono impettito Sam, quasi dovesse offendersi al mio posto dato che solitamente venivo scambiata per un uomo.
«Siete tutti voi ad essere ciechi » aggiunse mettendo un altro uovo a cuocere in padella.
« E’ vero Sam, tu non lo hai mai messo in dubbio » confermai con un occhiolino verso l’hobbit che arrossì.
« Anche io vi ho detto che eravate stupenda » disse Faramir scuotendo leggermente la testa, come se si stesse riprendendo solo in quel momento da un sogno ad occhi aperti.
« Faramir tu hai creduto che io fossi un elfo uomo » lo corressi incrociando le braccia al petto udendo chiaramente una risata trattenuta da parte di Haldir alla mia destra che tossì lievemente per mascherarla.
« Sì beh … Vi chiedo di nuovo perdono » si limitò a dirmi con un inchino imbarazzato facendo ridere anche me.
« Ah ecco Padron Frodo e gli altri! Erano venuti a cercarti! » disse Sam guardando oltre le mie spalle.
Mi voltai, salutando con un sorriso i nuovi arrivati incrociando i loro sguardi uno ad uno.
Legolas spalancò gli occhi guardandomi e prima che potessi chiedermi se era perché anche per lui era la prima volta che mi vedeva vestita come una donna, me lo ritrovai a mezzo metro da me, con la lama sguainata che avrebbe puntato alla mia gola se non fosse stata per la prontezza di Haldir che aveva incrociato la sua lama con quella del Principe.
« Conosci a chi appartiene la mia lealtà Legolas Thandruillon [ Legolas figlio di Thandruill ].  » disse Haldir con un tono che avrei paragonato a quello della sua Regina, gelido come il ghiaccio, nonostante non avesse minimamente alzato al voce « Scegli con accuratezza la tua prossima mossa » aggiunse facendo un passo in avanti, frapponendosi tra me e il pericolo ma restando in posizione di attacco con la spada alta.
Era come un deja-vù di tanti anni prima in Mirkwood, ma adesso Haldir giocava in casa e Legolas non sembrava intenzionato a retrocedere.
« Legolas » lo richiamò anche Aragorn, appena si riprese dallo shock in cui eravamo caduti tutti a causa delle sue azioni «Legolas abbassa la tua spada » continuò il ramingo piazzandosi accanto a me e mettendo una mano sull’elsa della sua arma, in una chiara presa di posizione.
« E’ una ladra. Quello è uno dei tesori di Mirkwood » disse infine il biondo, dandomi un’ultima occhiata carica d’odio mentre io seguivo finalmente il suo sguardo, notando per la prima volta il ciondolo che brillava al centro del mio petto. Doveva essere fuoriuscito dallo scollo quando mi ero girata, e anche sotto il pallore dei primi raggi del sole aveva facilmente attirato gli occhi dell’elfo.
« Valanyar non è una ladra » mi difese alle mie spalle la voce che riconobbi come quella di Sam, senza però avere il coraggio di voltarmi.
« Legolas me lo ha donato tuo padre anni fa » dissi sentendo la mia voce tremare, mentre posavo una mano sulla spalla di Haldir, pregandolo silenzioso di abbassare l’arma. Ma l’elfo non si mosse.
« Tu menti, mio padre non lo donerebbe mai. E’ l’unico ricordo di- » ma si interruppe prima di concludere la frase, stringendo nuovamente i denti come se stesse ancora pensando a differenti modi in cui uccidermi.
« Sai che Aiantcuil non può essere rubato, solo ceduto » sopraggiunse la voce di Haldir, incrociando lo sguardo del principe « Ultimo avvertimento »
« Attaccarmi sarebbe insulto, mio padre richiederebbe la tua testa » commentò Legolas degnando per la prima volta l’elfo della sua attenzione.
« Ne pagherò il prezzo » ribatté Haldir mentre io feci per muovermi, cercando di uscire da dietro le sue spalle chiedendomi se era completamente impazzito e cercando di frappormi nuovamente tra i due elfi.
Legolas però dovette leggere la determinazione negli occhi di Haldir, o forse aveva finalmente capito che stava dando di matto dinanzi a tutti. Rinfoderò la spada e se ne andò, sparendo tra gli alberi con solo l’urlo di Aragorn a richiamarlo.
Restammo qualche secondo tutti fermi, come se stessimo ancora processando l’accaduto, mentre Haldir rinfoderava la spada e l’unico suono udibile erano le uova di Sam che friggevano nella padella.
 
 



Mi imposi di attendere la fine della colazione per andare a cercare l’elfo, mentre Aragorn spiegava al resto della compagnia del nostro viaggio nelle terre di Legolas tanti anni prima.
Gimli si unì volentieri alla conversazione, informandomi che conosceva la lacrima di Aiantcuil era un gioiello molto prestigioso e che da quel che ricordava, poiché per lui era una storia di tanti avi prima, era stato un dono di nozze da parte di un Re degli elfi, alla propria consorte.
 
« Legolas » mi annunciai nonostante sapessi che doveva aver udito la mia presenza da tempo. Mi sedetti alla base del tronco dell’albero sulla quale si era arrampicato, preferendo guardare la foresta intorno a me piuttosto che verso l’elfo.
« Mi dispiace, Gimli ha riconosciuto il ciondolo. Ha detto che era un dono di nozze di tuo padre a tua- »
« Madre. Era un dono di nozze per mia madre. Anche nella sua statua che cresce nel cuore del regno, è rappresentata con Aiantcuil al collo » mi interruppe l’elfo con un tono amaro.
« Mi dispiace io non lo sapevo » dissi a voce bassa, guardando la meravigliosa lacrima adagiata sul mio petto, chiedendomi nuovamente per quale motivo Thandruil l’avesse data a me.
« Posso restituirtelo » decisi infine facendomi coraggio e mettendomi in piedi, sfilandomi la collana dalla testa e aprendone il morsetto così che potessi porgerla aperta a Legolas e il gioiello cambiasse proprietario.
L’elfo guardò la lacrima a lungo,e troppe emozioni passarono sul suo viso perché io potessi riconoscerle tutte .
Restai in silenzio, paziente con le braccia tese in una muta offerta, nonostante stessero iniziando a pesarmi quando finalmente l’elfo prese una decisione e scosse la testa.
« Non è mio diritto riprendermela quando mio padre l’ha ceduta. Dovevi rappresentare molto per lui per darti qualcosa di tanto potente »
« Non credo che lo abbia fatto per me » dissi finalmente comprendendo il motivo del dono di Thandruil « Anni fa quando venni. Tuo padre ti ha mai detto cosa voleva chiedermi? » domandai abbassando le braccia e rimettendomi la lacrima al collo.
« No» rispose il biodo, e dal tono potei intuire che però lui lo aveva pregato a lungo di rivelarglielo ma il padre aveva sempre taciuto.
« Eppure anche tu devi aver conosciuto l’altra Valacen » dissi corrugando le sopracciglia, nuovamente confusa.
« Quale altra? Esisti solo tu come Valanyar » pronunciando quello che io sentivo più come un vero nome, per la prima volta. La sua risposta mi confuse solo di più.
Avevo dato per scontato che l’elfa fosse stata per tutto il tempo nel regno di Mirkwood, mi ero forse sbagliata? Ma come poteva Legolas non averla incontrata?
Parlavamo di mezzo secolo o poco più, prima del mio arrivo …
Rimanemmo a lungo in silenzio mentre io lo osservavo indagatrice, ponendomi domande che non avevo il coraggio di esporgli. Quando finalmente alzò lo sguardo su di me, mi fissò negli occhi troppo a lungo perché io potessi sopportarlo, così lo distolsi, spostandolo su un punto impreciso alla mia destra nonostante continuassi a percepirlo.
« Credo che tuo padre ti ami davvero molto » dissi infine riportando i miei pensieri, sul gioiello.
« Tu credi che te lo abbia dato per salvarmi la vita in caso di bisogno» disse l’elfo mentre io annuivo iniziando a tormentarmi le mani.
Quella era la conversazione più lunga che io avessi mai affrontato con Legolas e mi metteva enormemente a disagio.
Il principe scese dal suo ramo, saltando con agilità dinanzi a me, senza procurare alcun rumore quando toccò terra. « Non ha senso noi elfi siamo immortali » disse Legolas ricercando il mio sguardo ed abbassandosi leggermente alla mia altezza, momento che mi fece letteralmente avvampare a causa della ristretta vicinanza.
« Emh, sì lo so. Ma dopo … Dopo la morte di tua madre. Forse non vuole restare solo» ipotizzai in un sussurro,  sperando che non si arrabbiasse nuovamente. Sapevo che per loro era ancora un argomento talmente delicato, quante centinaia di anni erano passati? Eppure la loro ferita stillava sangue, come se fosse successo solo ieri.
« Mio padre non vuole rischiare di perdermi definitivamente »si rispose da solo l’elfo, finalmente allontanandosi di qualche passo, permettendomi nuovamente di respirare ma lasciandomi ancora più confusa.
Cosa intendeva dire con definitivamente?
 Aprii la bocca per porgli quella stessa domanda, ma fummo interrotti da Haldir, che si scusò con entrambi prima di annunciami che ero richiesta a palazzo dalla Dama Galadriel.
Lo guardai certa che mi avrebbe accompagnato, invece si limitò a ricordarmi la strada, restando poi indietro per parlare da solo con Legolas.
 
Trovare la Signora di Lòrien fu piuttosto facile, dato che ogni elfo che incontravo mi mostrava la direzione che dovevo intraprendere senza che io neppure gli porgessi domande.
La Dama mi stava aspettando in quella che in un palazzo di pietra avrei definito “corte interna” ma dato che eravamo all’interno di un albero, forse il termine più adatto era tipo: tana dello scoiattolo.
« Hai una domanda per me Valacen? » domandò l’elfa non appena entrai nel suo campo visivo, scendendo le scale.
Ad essere sincera di domande ne avevo quasi una decina, ma decisi di porle quella più impellente.
« Re Thandruill mi ha detto che un tempo vi è stata un'altra Valacen. Ma Elrond mi ha assicurato che non vi è mai stato nessun altro come me, così Gandalf e neppure Legolas ne sa niente. » iniziai ripercorrendo i miei ricordi percependo un'altra presenza nella mia mentre che riconobbi come quella della signora di Lothlòrien dinanzi a me. « Lei l’ha conosciuta? » domandai incuriosita mentre l’elfa mi guardava con uno sguardo vacuo come se non mi vedesse realmente.
« Non ne ho memoria » rispose lei o un sorriso instabile.
« Perché quindi Thandruil è l’unico a ricordarla? »  domandai confusa seguendo la donna che aveva iniziato a muoversi sull’erba con un passo delicato che assomigliava quasi ad un ballo.
Restò in silenzio così a lungo, senza più degnarmi di uno sguardo, che iniziai a credere, che si fosse dimenticata della mia presenza, ma prima che potessi aprire bocca, parlò:
« Elrond ti ha spiegato come amano gli elfi? » domandò criptica.
« Naturalmente. Voi siete creature immortali quindi anche il vostro cuore ha un approccio diverso all’amore. Siete compagni per la vita e se anche il vostro compagno viene a mancare in questa sapete che li rincontrerete una volta saltai dai porti grigi » risposi semplificando il più possibile il concetto, anche se sapevo che non era così semplice.
Non era solo per l’amore di un compagno eterno che gli elfi erano eterni, lo erano anche nelle famiglie o nelle amicizie, per questo Elrond aveva un aria serena quando parlava della moglie, perché sapeva che l’avrebbe rincontrata, e una voce così spezzata quando parlava di Isildur. Poiché il suo affetto per l’uomo non era diminuito neppure dopo migliaia di anni e ricordava il tradimento come se fosse stato ieri.
Forse gi elfi impiegavano più tempo ad amare qualcuno, motivo per cui fossero tanto schivi nei confronti delle altre razze, ma quando lo facevano, davano tutti se stessi.
Per questo aveva rappresentato così tanto per me quando Elrond mi aveva accettato come un membro della sua famiglia, perché ero pur sempre mortale, e un giorno o l’altro avrebbero dovuto portarsi dietro il dolore della mia morte, per tutta l’eternità. Come un ombra eterna sui propri cuori.
« Come ben sai Elrond guarì mia figlia è partita molto tempo fa, poiché nonostante le cure di Elrond i segni delle torture subite le avevano permesso di guarire solo nel corpo, non ne l’anima. Ma adesso è in pace, in attesa del nostro arrivo » mormorò Galadriel con un sorriso amorevole « La mogie di Thandruill, non è stata così fortunata, Elrond le provò tutte, ma era troppo tardi era stata ghermita dall’ombra. » sussultai mentre anche la voce dell’elfa si faceva più pesa o cupa. Sapevo che era un abominio torturare un elfo, poiché essendo un essere completamente puro solo un essere completamente malvagio avrebbe mai potuto fare una cosa simile. Ma ucciderlo fino al punto in cui non sarebbe riuscito a reggere l’eternità era un abominio, saresti stato tu stesso sottoposto ad una dannazione eterna. Era come spegnere per sempre una stella, e credere che on vi sarebbero state conseguenze.
Immediatamente, provai così tanta pena per quel Re che avevo visto così irraggiungibile, lo avevo sì creduto maestoso ma così freddo ed irraggiungibile, come se fosse impossibile da amare veramente come sovrano, non come Elrond. O quanto avevo peccato di superbia, la vita di Thandruill doveva essere una tortura costante, vivere ogni giorno sapendo che a tua metà è perduta per sempre, e che avrai un’intera vita da passare in solitudine, per sempre.
« Perché non è partito? » mormorai alzando gli occhi in quelli Dama Galadriel, non mi piaceva ricambiare il suo sguardo, poiché mi faceva sentire come se mi stesse scavando nella testa, aggirandosi fra tutti i miei pensieri.
Ma in quel momento ero certa che chiunque sarebbe riuscito a leggere le mie emozioni, ero triste e provavo così tanta pietà per quel Re costretto all’eterna solitudine.
« Conosci la risposta »
« Legolas » mormorai finalmente comprendendo cosa avesse intese l’elfo ore prima quando mi aveva detto che suo padre non avrebbe permesso che lui venisse perso definitivamente.
Quindi Thandruill si era condannato ad una vita a metà nonostante avesse potuto evitare tutti quegli anni dell’eternità, semplicemente andandosene là dove il dolore non poteva seguirlo. Indubbiamente Legolas era un figlio molto amato, anche se era comprensibile solo per chi conosceva la triste storia di sua madre, poiché visto da un esterno, il Re appariva come un padre distante e un reggente quasi superbo nella sua immortalità.
“Mai giudicare un libro dalla copertina” mi disse ripensando con quanto durezza avessi giudicato l’elfo la prima volta che l’avevo visto “Che stupida”.
« Ma in che modo questo ha a che fare con l’altra Valacen? » domandai guardando Dama Galadriel, passando i suoi occhi su di me come se non avesse idea di cosa stessi parlando. Si era già dimenticata che mi aveva richiamato lei stessa in merito?
L’elfa mi guardò ancora per qualche secondo, studiandomi, o meglio studiando i miei pensieri, fino a quando non trovò quello che stava cercando, una domanda di svariati minuti prima “ Thandruill mi ha detto che c’è stata un'altra come me, era un elfa. Ma Legolas non sembra ricordarla. Lei l’ha conosciuta?  “ .
« Non ho già più memoria delle tue parole » mormorò Galadriel mentre la domanda risuonava ancora nella mia testa. “ -Lei l’hai conosciuta?
« E’ una magia molto potente quella che continua ad obliare i ricordi di tutti noi » aggiunse mentre versava dell’acqua all’interno di una bacinella che pareva fatta di oro bianco, sostenuta da un albero bianco dello stesso colore, che sembrava nato con quell’esatto scopo.
La Signora di Lothlòrien passò due dita nell’acqua mormorando delle parole in un Sindarin troppo antico perché potessi riconoscere le parole Mi sporsi nello specchio d’acqua, trattenendo il respiro quando apparvero delle immagini mute nello specchio d’acqua:
vi era un elfa meravigliosa, bionda anche lei come la Dama di Luce, ma il suo sorriso era dolce e le sue fattezze delicate ricordandomi di più Arwen nonostante on si somigliassero affatto. Era mano nella mano on un elfo, che facevo fatica a riconoscere come Thandruill perché appariva così felice ed in pace con il mondo, mentre sorrideva perso negli occhi della donna che amava. Vicino a loro apparse un bambino con due graziose orecchie a punta, che correva loro incontro ridendo, prima di lanciarsi tra le braccia del padre per farsi stringere in un abbraccio da entrambi i genitori.
La scena mutò e adesso vi era Thandruill consumato dal dolore ai piedi delle scale della sala del trono,on due sedie comuni alle sue spalle, niente di così pittoresco come avevo visto qualche anno prima. La stanza stessa era diversa, piena di luce, ma man mano che la scena proseguiva appariva farsi sempre più buia e cupa per ogni lacrima che veniva versata dal suo Re.
Thandruil pianse fino a quando non consumò tutte le lacrime che una vita immortale poteva offrire.
« Quando Thandruil perse sua moglie … Fu orribile per tutti, l’intera Arda percepì il suo dolore. La foresta che prima spendeva , colma di amore, si ripiegò su stessa diventando quella che ora conosciamo come Mirkwood. Ma un tempo non era molto diversa da Lòrien » mormorò Galadriel con difficoltà , mentre io ero ancora persa nella visione dello specchio d’acqua.
Stavo osservando Legolas, poco più grande rispetto alla scena familiare di qualche attimo prima. Adesso lui e Thandruill erano in piedi in silenzio dinanzi alla statua di una donna, che portava un ciondolo come il mio al collo, il giovane Elfo dovette dire qualcosa, perché il Re si voltò a guardarlo sorridendogli amorevole, i suoi occhi sprizzarono una luce di felicità prima di spengersi nuovamente tornando opachi dal dolore della perdita.
Un altro cambio di scena, Legolas era cresciuto nel’uomo che conoscevo ma i suoi occhi si portavano ancora dietro un innocenza diversa segno che era ancora giovane per un elfo, stava camminando nei boschi del suo reame, quando incappò un’elfa dai capelli ramati, era come svenuta tra le foglie. La prima cosa che pensai, fu che come tutti gli elfi, era meravigliosa, quando aprì gli occhi scoprii un paio di occhi nocciola.
Le loro vite proseguirono, sempre assieme un anno divenne un decennio che divenne un secolo che divenne un’intera era.  Notai che l’elfo che vedevo nelle acque, era diverso dal Legolas che conoscevo io, lo avrei definito molto più emotivo. Il suo viso si concedeva emozioni molto più facilmente, esprimendosi con più facilità per un lettore esperto.
Se non fossi stata così assorta dalla visione, mi sarei sentita estremamente in imbarazzo per spiare a quel modo nella vita di qualcuno.
« Il suo nome era Tauriel » disse Galadriel costringendomi a distogliere la mia attenzione. « Aveva dimenticato chi era e quale fosse il suo scopo » l’elfa appariva in una sorte di trans, non terrificante come ricordavo che sarebbe stata per Frodo a breve, ma sicuramente era come se fosse posseduta da una forza più grande di lei, i suoi occhi brillavano in modo innaturale e i suoi capelli parevano fluttuare nell’aria, come avrebbero dovuto fare nell’acqua.
« Ma perché Thandruill è l’unico ad averne memoria? » domandai lanciando un’occhiata all’acqua. Vi era Tauriel che piangeva disperata con un nano tra le braccia, che intuii essere uno dei nipoti eredi di Thorin  Scudo di Quercia. Ero certa che se fossi stata lì con lei, quel pianto mi avrebbe ferito le orecchie come delle unghie che grattavano sulla lavagna. Era innaturale vedere un elfo piangere … Una creatura tanto bella, non dovrebbe mai provare tanto dolore.
Thandruill entrò nell’inquadratura e parlò all’elfa che per un attimo alzò lo sguardo sul suo Re.
“I miei occhi, è così che diventeranno” pensai  osservando le sue iridi, che fino a quel momento avrei giurato erano sempre state color cioccolato,ora apparivano completamente bianche, tranne per un leggero rigo più scuro, quasi nero che permetteva di distinguere a completamente bianco con solo una corona nera a delineare il confine tra l’iride e la sclera dell’occhio.
« L’incantesimo non toglie la memoria, sarebbe una benedizione altrimenti, questa è una punizione » disse Galadriel ancora in quel suo stato da semi-posseduta, mantenendo gli occhi fissi sull’immagine di Tauriel. Iniziavo a capir che se non l’avesse fatto, se avesse anche solo sbattuto le palpebre, il ricordo di Tauriel sarebbe nuovamente svanito.
« Ci sono stati tolti i nostri sentimenti, le nostre sensazioni, i nostri affetti verso di lei. Chiunque ne sia entrato in contatto, è stato svuotato. Ma la sensazioni di vuoto, di aver perso qualcosa non se andrà mai, ci tormenterà fino all’ultimo dei nostri giorni »
Non ero certa che la cosa avesse veramente senso, se non ti ricordavi più d qualcuno, se non ricordavi neppure di aver amato qualcuno, cosa c’era di così terribile? Anzi, non era forse una benedizione.
« Se oggi tu morissi e Aragorn si dimenticasse di te credi che per lui la vita continuerebbe come se niente fosse? Non avrebbe più memoria di una sorella, ma il fantasma del tuo ricordo lo perseguiterebbe …
Crederebbe di udire la risata di qualcuno di importante ma una volta che si volterebbe, troverebbe solo un’altra fanciulla sconosciuta, le ombre simili alle tue, lo farebbero scattare, inseguendole fin dietro l’angolo, solo per scoprire che non era mai stato nessuno. Alla nascita del suo primo figlio,  vorrà chiamare qualcuno, qualcuno che per lui è importante per mostrargli il suo erede per prima, ma non  si ricorderà il tuo nome. E’ una condanna Valanyar, non dubitarne » rabbrividii mentre le varie immagini mi perseguitavano. Il viso del ramingo che si accigliava in una smorfia confusa, quasi dolorosa ogni volta, e lo vedevo mentre i suoi capelli diventavano bianchi e si voltava come per parlare a qualcuno, che non era più lì. Che non c’era mai stato.
« Capisci dunque perché Thandruil ne ha memoria? » domandò l’elfa prima di perdere finalmente quella versione di sé così lontana, tornando a guardarmi con il suo sguardo inquietante, ma che perlomeno apparteneva realmente alla persona di fronte a me.
Annuii. Aveva smesso di provare qualunque cosa oramai da millenni, il suo unico cruccio era il suo unico figlio, tutti il resto gli passava accanto come acqua sulla pelle. Anche chi, come Tauriel, lo aveva conosciuto per un millennio ed era come una sorella per il suo amato figlio. Per lui, non era contato niente.
« Lei le aveva voluto bene non è vero? » domandai con un sorriso amaro.
« A chi ti riferisci? » domandò la bionda inclinando leggermente la testa, come se fosse confusa. E lì ebbi la mia risposta.
Galadriel aveva voluto bene a quell’elfa, ma oramai il ricordo di Tauriel aveva abbandonato la sua mente, lasciandola nuovamente sola.
« A nessuno, mi sono distratta mia signora mi scusi » risposi mentre gli occhi di ella bionda mi studiavo indagatori, ma mi costrinsi a pensare a tutt’altro, come alla mia famiglia a Gran Burrone ed ad Arwen prima di congedarmi.
 

 
 


Il primo pomeriggio mi vide assieme ad Haldir e gli altri membri della compagnia, chini su una mappa, mentre l’elfo ci rendeva partecipe dei nuovi schieramenti tutto intorno
« La vostra situazione è molto rischiosa Valanyar » iniziò Haldir mentre apriva una mappa dei confini tutto attorno a Lothlòrien sul tavolo « Gli orchi che vi stavano inseguendo provenivano da dietro la Montagna, da Isengard, i suggerirei quindi di evitare di andare verso Est ma - » spostò il dito nella direzione opposta, per un valico che però portava sempre in direzione di Fangorn, verso la Torre i Saruman  « l’altra direzione potrebbe essere ancora più rischiosa. Il bianco stregone ha lasciato dietro di sé ogni decenza, ha scavato nelle profondità della terra costruendo fucine e stipandole di orchi, usando l’antica foresta per alimentare i sui fuochi » ci spiegò Haldir. Non lo avevo mai visto a quel modo, la sua faccia, per quando apparisse impassibile, mal celava il profondo disgusto che provava all’idea di abbattere tanti alberi per marciare in guerra. « Sta creando qualcosa laggiù, creature più forti e robuste degli orchi, che possono viaggiare anche senza il favore delle tenebre » mormorò dopo una breve pausa ad effetto, mentre Faramir e Aragorn si guardavano con un’espressione preoccupata.
« Sono urukai » dissi dando un nome ai timori di Haldir che si contrasse in un’espressione affranta.
« Come ha potuto farlo …  Quegli abomini appartengono a prima dei giorni bui » mormorò mentre io gli poggiavo cauta una mano sulla spalla, sperando di infondergli un po’ di conforto.
« Potremmo passare da Fangorn » propose Faramir indicando un ulteriore direzione che ci avrebbe portato attraverso la foresta, vicino i confini di Mordor.
« La foresta è viva Figlio di Gondor, non vi permetterà di passare, qualcosa ha allontanato il bruno stregone molti uomini ed orchi sono caduti vittime della loro rabbia »
« Arrabbiati, degli alberi? » commento Gimli con evidente scetticismo, mentre io gli dedicavo un sorriso divertito.
« La foresta è molto antica Mastro Nano, prega di non doverla mai attraversare e in tal caso, ti conviene lasciarti alle spalle la tua ascia prima di inoltrarti » disse Haldir, e per una volta senza alcun astio, anzi con evidente preoccupazione che fece tacere anche Gimli.
« Radagast se ne è andato perché gliel’ho suggerito io, avremo bisogno dell’aiuto di tutti in questa guerra, perfino gli alberi faranno la loro parte » dissi cupa accarezzando la mappa con la punta delle dita, ricercando il fiume.
« Valanyar due dei miei uomini hanno rischiati di essere ingoiati per sempre dalla terra » ribatte Haldir.
« Già, perdonami per non averti avvertito, ho mandato una missiva a Re Thandruill, avrei dovuto immaginare che sarebbe stata utile anche a voi »
« Cosa c’entra mio padre? » domandò Legolas spostano su di me la sua attenzione, mentre io lanciavo un’occhiata cupa ai confini di Mirkwood.
« La guerra raggiungerà tutti gli angoli di Arda » dissi mentre gli uomini attorno al tavolo mi guardavano in attesa di una spiegazione.
« Gli orchi marceranno sul tuo popolo per primo Gimli, i nani difenderanno i loro confini, così anche il lato Est di Mirkwood risulterà protetto. Così ho suggerito al Re di spostare le sue forze verso la parte occidentale del Regno, lo scontro sarà cruento,  Thandruill e  Celeborn saranno costretti ad affrontare una lunga battaglia » dissi senza anticiparne l’esito, sarebbe stato rischioso e lo sapevo, sfidare a quel modo il destino. Ero stata messa in guardia da Gandalf sul non sfidare la volontà della vita, poiché una volta che trovavi la risposta ai suoi quesiti, lei ti avrebbe cambiato le domande.
Haldir mi stava perforandola nuca con il peso del suo sguardo, e perfino Legolas lo vidi tentato a chiedermi altro, ma entrambi gli elfi tacquero poiché la loro millenaria età portava con sé molta saggezza. Non tutti dubbi erano fatti per essere colmati, ed i segni degli Dei erano spesso confusi, quindi niente era certo fino a quando non avveniva.
« Legolas se lo desideri, non sei vincolato ad alcun giuramento. E così te Gimli » disse Aragorn facendomi spalancare gli occhi, era forse impazzito?
« Aragorn non potremmo farcela senza di loro » sibilai guardandolo come se gli fosse spuntata un'altra testa.
« Ma la guerra incombe sulle loro case »
« La guerra incombe ovunque, hai sentito Valanyar. La nostra missione è fondamentale, io resterò dove sono » disse Gimli rivolgendomi un sorriso complice, che apprezzai molto più di quanto non avrei mai creduto possibile. Temevo che il nano avrebbe avuto altre riserve contro di me, ma era evidente che nonostante l’orgoglio ferito, il nano era una brava persona.
Legolas annuì concordando per la prima volta in vita sua, con il nano.
« Valanyar, la guerra, raggiungerà la Contea? » mormorò una voce più tenue alle mie spalle che riconobbi come quella di Pipino.
Gli hobbit erano rimasti indietro, estranei alle mappature di Arda, così avevano lasciato a noi il compito di tracciare una nuova rotta, senza interferire, fino a quel momento.
« Ogni angolo del mondo, è un concetto piuttosto chiaro non credi? » Ribatté Merry evidentemente amareggiato, mentre uno sguardo cupo veniva scambiato tra Sam e Frodo.
« Ma la Contea è una cosa di poco conto, noi non ci immischiamo delle questioni della gente alta. Magari passeranno oltre, noi non siamo certo soldati » aggiunse Sam, alzando gli occhi nei miei speranzoso.
« Io … » tentai non sapendo cosa fare, avrei dovuto mentire? Cercare di rasserenare i giovani hobbit fino a quando non lo avessero scoperto da soli? Ma non era giusto, e loro non erano certo bambini..
« Non ponetele domande a cui non può rispondere. Sapete che non può rivelarci il futuro, è rischioso. » venne in mio aiuto Frodo, attirando l'attenzione dei più giovani su di sè che mormorarono delle scuse sommesse e tornarono seduti in silenzio.
« Se Saruman sta creando un esercito, i primi ad essere invasi saranno gli uomini di Rohan » soppesò Faramir distogliendo la mia attenzione dal futuro della Contea, osservando la mappa e riunendo i punti in cui orchi ed urukai si sarebbero riuniti. « Dobbiamo avvertire Re Théoden »
« Non sarebbe di nessuna utilità, Re Théoden è compromesso » dissi scuotendo la testa.
« Re Théoden ti ha aiutato in passato, come puoi abbandonarlo se ora ha bisogno i te? » domandò Aragorn era evidente che adesso mettesse in dubbio le mie motivazioni on una facilità quasi fastidiosa.
« Non voglio abbandonarlo, è solo che non possiamo aiutarlo, non ancora, ma presto » gli assicurai mentre cercavo di rassicurarlo.
« Ma l’intero popolo di Rohan è in pericolo, gli orchi avranno già iniziato a saccheggiare i villaggi presso il confine. Vuoi dirmi che il loro Re non farebbe niente? » domandò Faramir guardandomi afflitto. Non era difficile credere che per un uomo buono come Faramir, non andare in aiuto dei deboli fosse impossibile, soprattutto quando si è Re, quando quello è il tuo popolo.
« Una mano bianca ha preso il controllo della sua mente, probabilmente non riconosce neppure la sua stessa stirpe» mormorai pensando con tristezza a quello che in quel momento, dovevano star passando Éowyn ed Eomèr.
« Lo stregone è molto potente » concordò Haldir mentre scendeva un’ombra triste sul viso di Faramir, era evidente che l’idea di lasciare gli uomini di Rohan al loro destino, senza fare niente, non gli piacesse affatto. Onestamente non piaceva neppure a me, ma non avevamo altra scelta, non fino a quando non fosse tornato Gandalf.
« Potreste prendere il fiume, le sue sponde sono coperte da fitti alberi e per un tratto, potremo coprirvi le spalle » propose finalmente Haldir, mentre io esultavo dentro di me ma mi limitavo ad annuire pensieroso all’esterno.
« Sfruttando la corrente, gli orchi non riuscirebbero a raggiungerci viaggiando solo di notte » concordò Legolas, indicando la sponda occidentale, che sarebbe stata la strada che gli orchi avrebbero obbligatoriamente preso per proseguire la loro marcia.
Aragorn annuì e suo malgrado perfino Gimli, imitato da Faramir che però aspettò un cenno di approvazione prima da parte mia.
 
 






 
La canzone di Legolas¹ = sono le vere parole della canzone, ne ho scritte solo le prime due parti poiché comunque Legolas non ne ricorderebbe il continuo nel libro, in ogni caso a giro si trova la versione completa.
Spoiler: La fanciulla non fa una bella fine.
 

Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi, anche se non sempre come noi ce le aspettiamo ²= Citazione del personaggio Luna Lovegood da Harry Potter e L’ordine della Fenice.
 

Henemì e Henecô ³ = I personaggi non sono di alcuna utilità nella storia ma pensavo fosse doveroso spiegarvi il perché di tali nomi. Ovviamente sono inventanti da me e capitemi, le ho chiamate per tutto il tempo nella mia testa (e nel testo in realtà) Mimì e Cocò. E letteralmente i loro nomi significano Lei è Mì  e Lei è Cò. Ho messo le vocali chiuse a Cocò solo per renderla meno ridicola.
 


Il vestito di Valanyar⁴ = E’ quello indossato da Arwen nel film durante questa scena. Ma appunto verde.
 



NdA : sono in ritardo CLAMOROSO per andare a lavoro, quindi la seconda parte, non è rivista a dovere mi scuso infinitamente ma sennò avrei dovuto posticipare la pubblicazione a domani sera!
Così ve lo lascio qua adesso, e domani sera lo rimetto in sesto. Quindi avvisati, se volete leggerlo accomodatevi, altrimenti fatelo domani sera che ve lo aggiusto :P
 
Grazie per la vostra pazienza e i vostri commenti <3
 
PS: Lo so Aragorn è testardo come un mulo ma almeno, stiamo iniziando a capirci qualcosa sul comportamento di Legolas giusto? ;) A venerdì!

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 
▌ Capitolo 6  ▌   
 
 






 
«  […] Mi dispiace di averti ferito.
E’ qualcosa con cui devo convivere ogni giorno,
e tutto il dolore che ti ho inflitto
vorrei essere in grado di portartelo via  […] »
 
__The Reason - Hoobastank
 
 
 









 
Una volta conclusa la riunione passai il tempo restante con Haldir, mentre alcuni dei miei compagni si preparavano per la partenza dell’indomani ed altri veniva richiamati per una consultazione da Dama Galadriel.
Ero stata quasi tentata di restare, per poter parlare con Frodo prima che l’incontro con la Dama di Luce avvenisse ma vi ripensai, se l’hobbit ne avesse avuto bisogno, sarebbe venuto lui stesso a cercarmi in seguito, adesso era giusto lasciarlo ai suoi pensieri.
L’elfo di Lothlòrien mi portò a giro per il suo regno, mostrandomene tutte le sue meraviglie. Che erano molte più di quanto mi aspettassi per essere un regno in mezzo ad una foresta.
Vi erano veri e propri pezzi di paradiso ovunque andassimo, da splendidi paesaggi scorgibili dai punti più strani degli alberi, a meravigliose fonti d’acqua termali che avrebbero fatto invidia ad una antica costruzione romana.
Vi trovammo persino degli animali godersi il meritato ristoro, scaldandosi al calore delle acqua nei momenti più freddi delle giornate. Anche se ovviamente Lòrien aveva un clima tutto suo, Haldir mi spiegò che per loro le stagioni non mutavano in maniera regolare, il regno era protetto dalla grazia degli elfi e quindi la temperatura restava sempre in una eterna primavera, mutando solo di pochi gradi in estate ed in inverno.
Lothlòrien rappresentava veramente il cuore dei regni elfici, cullandoti a sé come l’abbraccio amorevole di una madre mentre il suo calore ti si irradiava dentro, scaldandoti.
Giungemmo infine ad un lieve rivolo di acque, che poi conduceva ad un’ulteriore oasi nel bosco sormontata da una piccola cascata. L’acqua era dolce poiché vi era un cervo che si stava dissetando con le sue acque.
La creatura era meravigliosa, ricoperta di un manto così luminoso da apparire d’oro anche sotto i raggi morenti del sole che stava oramai tramontando, ricoprendo la piccola valle di giochi di luce.
Haldir si inchinò leggermente all’animale quando ci la bestia ci vide, rassicurandolo in Sindarin che non avrebbe avuto niente da temere mentre io lo imitavo sentendomi tutto un tratto molto impacciata.
Avevo sentito delle voci, che sostenevano che la magia degli elfi e la loro vicinanza alle creature, permetteva agli animali di vivere una vita più lunga diventando più intelligenti fino a comprendere gli stessi protettori del regno.
Ma quando il cervo piegò a sua volta la testa, in un breve inchino per poi osservarmi con un’espressione curiosa rimasi spiazzata.
Perché vi era così tanta intelligenza in quegli occhi. Non aveva niente a che vedere con la mia sensazione di essere capita come succedeva con Bucefalo, e non mi stava neppure osservando con curiosità animale. I suoi occhi sembravano proprio porre domande: cosa ci fa un umana in queste terre? Perché indossa gli abiti degli elfi di Lòrien?
Haldir quindi attirò la mia attenzione con un lieve colpo di tosse, incitandomi a parlare con un cenno della mano.
« Vuoi che mi presenti? » domandai dopo averlo guardato allibita per qualche secondo. Dovevo fare le presentazioni, con un cervo?
L’elfo annuì, guardandomi come se fossi io quella strana che non stava comprendendo un concetto piuttosto semplice. Mi schiarii la gola, riportando l’attenzione sull’animale, prima di dovermi perfino sentir dire che era maleducazione farlo aspettare tanto.
Effettivamente, l’animale era sempre fermo nel solito punto, con gli occhi fissi nei miei come un erbivoro normale, non avrebbe mai osato fare.
« Emh io sono Valanyar da Imladris, appartengo alla casata di Re Elrond » mormorai incerta , abbozzando un altro mezzo inchino, chiedendomi perché lo stessi facendo.
Ma ogni mio dubbio fu dissipato, quando uno strano calore si diffuse nella mia mente, un’altra presenza telepatica, molto diversa rispetto a quella di Galadriel.
Questa era calda e piacevole, non invasiva, e non si stava intromettendo in nessuno dei miei pensieri, riposava lì come una mano poggiata su una spalla.
La casa di Arwen” mormorò la presenza della mia testa, ed io annuii guardo il cervo completamente sbalordita.
« Molti animali a Lothlòrien hanno avuto il dono della parola, sono rari ma non perduti » mi spiegò Haldir, evidentemente anche lui aveva udito il cervo parlare.
Mi spiegò che vi era ben poco di strano quando in fin dei conti, gli stessi alberi sapevano parlare ed io mi ritrovai a concordare, ammettendo che la cosa effettivamente aveva senso.
« Anche Mirkwood ne aveva molti, adesso è più raro. Gli animali sono diventati schivi da quando l’ombra di Mordor è cresciuta » continuò il soldato mentre il cervo sembrava annuire, comprensivo della refrattarietà dei propri cugini della lontana terra.
Ragni orribili. Non appartengono alla foresta” commentò la creatura rabbrividendo e osservando un punto alle sue spalle per qualche secondo, mentre io mi rendevo conto, che in quella direzione vi era la dimora di Re Thandruil.
I miei fratelli sono guerrieri. Combattono al fianco del Re freddo “
« Il Re freddo? » ripetei rischiando di farmi scappare una risata mentre Haldir mi confermava che era il padre di Legolas.
« Conosci già il nome della mia Signora Galadriel. Lei è la Dama di Luce » aggiunse mentre il cervo annuiva e io iniziavo a fare due più due con i soprannomi elfici, perfino Elrond sapevo che era definito Il Curatore ma non mi ero mai chiesta da dove venisse quel soprannome, dandolo per scontato.
« Quindi siete stati voi a dare il nome Stella del Vespro ad Arwen » dissi esterrefatta.
Il cervo annuì, mentre gonfiava il petto, evidentemente fiero dei loro identificativi. « Ma poco fa l’avete chiamata per nome » aggiunsi confusa, iniziando a parlare all’animale in modo più rispettoso. Era evidente che il mio interlocutore non fosse solo un cervo, anzi, e meritava lo stesso rispetto, che avrei portato ad un essere umano.
La Stella del Vespro è la Creatura più brillante, lei si è meritata il suo nome” guardai confusa gli occhi neri del cervo mentre lui sbuffava, quasi avesse a che fare con una creatura particolarmente ottusa.
Non potevo dargli torto, ero ancora sbigottita all’idea di un cervo telepatico.
Dama Arwen è gentile ci tratta con rispetto. Ci chiama per nome, merita lo stesso trattamento “ concluse prima di annusare l’aria ruotando le orecchie verso destra, da dove proveniva un nitrito in lontananza.
Devo andare” si congedò il cervo con un nuovo inchino, scalpitando leggermente sugli zoccoli quasi stesse aspettando troppo per obbedire ad un ordine.  “ Forse un giorno ci rincontreremo ed anche tu, avrai un nome “ mi salutò prima di svanire nel folto del bosco facendomi intendere che l’ultima parte l’aveva diretta solo a me, e che Haldir non aveva potuto udirla.
Mi voltai verso il mio elfo preferito, guardandolo con una gioia negli occhi indescrivibile mentre lui mi accennava un sorriso divertito. Si stava prendendo gioco del mio stupore e lo sapevo, ma non mi importava. Non era un caso che avesse lasciato quel posto proprio per ultimo, mentre io spostavo nuovamente lo sguardo nel punto in cui era scomparso il cervo.
« Che figata » dissi ad Haldir, che mi guardò come se avessi iniziato a parlare in Nanico ma non me ne curai. Era l’espressione adatta per una situazione simile, in Sindarin non vi era niente che rendesse altrettanto bene.
« Che figata » ripetei aprendomi in un sorriso a trentadue denti, seguendo quasi saltellando Haldir verso la capitale, e riempiendolo di domande su quali creature potessero parlare, quante ne conosceva, come nascevano i soprannomi eccetera.
Tornammo all’accampamento che era ora di cena, ed io lo stavo ancora assillando con le domande più disparate, tanto fu che lui mi portò dinanzi ad Aragorn, lasciandomi letteralmente a lui sostenendo che la sua mente aveva adesso bisogno di riposo per la partenza dell’indomani.
 
« A domattina Haldir, torna presto che ho ancora delle domande per te! » lo salutai prendendolo in giro mentre Aragorn sembrò contagiarsi del mio buonumore, rivolgendomi un sorriso fraterno.
Mi era mancato quello sguardo caldo nei miei confronti.
« In che modo sei riuscita a far perdere la pazienza ad un elfo millenario? » domandò lui incrociando le braccia al petto.
« Aragorn … Gli animali parlano! » risposi entusiasta all’uomo iniziando a raccontargli tutto quello che era successo alla fonte, mettendo una particolare enfasi, nel ruolo di Arwen, ma tralasciando il soprannome del padre di Legolas. Non sapevo perché, ma pensai che fosse un particolare troppo intimo per venire sbeffeggiato ai quattro venti, soprattutto ora che conoscevo la triste storia del Re d Mirkwood.
« Capisci? Arwen è amata proprio da tutti perfino gli animali la rispettano » conclusi parlando animatamente anche con le mani, come non mi succedeva più di fare da un sacco di tempo.
« Animali che parlano ptf » sbuffò Gimli poco lontano, mentre rinforzava il fuoco con qualche altro pezzo di legno per far crescere la fiamma. « Adesso sì che le ho viste tutte »
« Aspetta di sentire gli alberi » lo presi in giro facendogli un occhiolino mentre lui mi ricambiava con uno sguardo incerto.
« Mi prendi in giro non è vero? »
« Gimli io non ti prendo mai in giro sei tu che continui a chiedermelo »
Risposi ricordandogli l’evento di qualche giorno prima quando aveva messo in dubbio le mie abilità nella conta.
« Alberi ... che parlano » borbottò sgomentato « Dannati elfi e le loro diavolerie » aggiunse senza un reale astio facendo ridere me ed Aragorn.
Decisi che per dirgli che in alcuni casi, gli alberi si muovevano persino, avrei atteso un altro po’ di tempo, il nano meritava un trauma alla volta.
« Con quanto amate le vostre pietre preziose Mastro Nano, sono certo che a breve inizieranno a parlarvi anche loro » commentò Legolas apparendo alle mie spalle.
« No grazie ci piacciono proprio perché stanno zitte » disse di rimando Gimli facendo ridere i presenti e sorridere Legolas lasciandomi intravedere finalmente, la profonda amicizia che sarebbe sorta tra i due, portando nuovi livelli di pace tra le loro razze.
 


 
 



Mi svegliai all’improvviso, destata da un lieve fruscio poco distante, e nonostante le foglie del ramo che oscuravano la mia cuccetta come un separé riuscii a distinguere la forma di un hobbit, uscire dal campo per addentrarsi nel cuore del regno, verso il palazzo reale.
Scostai la pianta con un movimento della mano, sedendomi per seguire meglio Frodo con lo sguardo, fino a quando non scomparve dalla visuale, lasciandomi inquieta.
Per un attimo riflettei di rimettermi a dormire, ma abbandonai l’idea, consapevole che non sarei riuscita ad addormentarmi e agitandomi nel letto, avrei solo finito per svegliare i miei compagni. Così mi limitai a raggiungere anche io il perimetro della piccola radura incurante dei piedi scalzi, poiché sapevo che niente avrebbe potuto ferirmi dentro i confini di Lothlòrien.
Infatti ad eccezione fatta per i guerrieri, nessun elfo indossava le scarpe, godendosi appieno la sensazione dei fili d’erba sotto i piedi.
Non feci in tempo a fare qualche metro, che sobbalzai presa alla sprovvista da una mano sulla spalla, trattenendo per puro caso un urlo di terrore, più a causa del contatto improvviso quando ero certa di essere sola, che per un vero timore di venire aggredita.
Mi voltai di scatto, trovando un Legolas con la mano ancora mezza alzata verso di me, che mi guardava … Beh come mi guardava spesso, come se fossi io quella strana perché aveva cercato di farmi venire un infarto in mezzo alla foresta buia.
« Dovresti lavorare sulla tua percezione dell’ambiente circostante » disse a bassa, riprendendomi con lo stesso tono che negli anni avevo sentito usare dai gemelli ed Haldir.
« Io non ho i sensi di un elfo » ricordai anche a lui, rispondendogli come avevo sempre fatto con gli altri. Anche il principe però non sembrò turbato dal mio commento, guardandomi con indifferenza a sostenere che il suo consiglio persisteva.
« Ti serviva qualcosa? » domandai poi dopo qualche secondo, quando nessuno dei due si mosse.
Legolas mi guardò come faceva spesso, anche nella quasi penombra, poiché dava le spalle al fuoco dell’accampamento, non era difficile capire che stava pensando che a suo parere era ridicolo che un elfo potesse aver bisogno di qualcosa nei confronti di un umano.
« Frodo è andato da quella parte » si limitò a commentare lui, indicando la strada con un cenno della testa.
« Lo so » risposi corrucciando le sopracciglia confusa. Cosa c’entrava adesso Frodo? O credeva che i miei sensi umani non mi permettessero neppure di orientarmi ?
« Credevo tu volessi seguirlo » aggiunse l’elfo irritato, come se stesso spiegando una formula elementare ad un adulto ottuso.
« Sta andando da Dama Galadriel » dissi mentre l’elfo continuava a fissarmi inflessibile « Non ho bisogno di seguirlo so già cosa gli dirà » aggiunsi come se fosse una spiegazione. Quando in realtà con chiunque altro mi sari lanciata in una spiegazione sul fatto che origliare le conversazioni altrui era sbagliato. Ma temevo che l’amicizia tra Aragorn e Legolas mi avrebbe tradito velocemente in merito a quello che credevo davvero educato fare, quindi la verità era la risposta più semplice.
L’elfo annuì guardandosi nuovamente alle spalle per qualche secondo, come se potesse ancora seguire i movimenti dell’hobbit.
Ma, era impossibile giusto?
Certo la vista elfica era dieci volte superiore a quella umana, ma non poteva essere così buona, Frodo in quel momento stava sicuramente già parlando con la Signora di Lòrien impegnata a mostrargli lo specchio.
« Conosci ciò che la Dama di Lothlòrien ha detto a tutti noi? » domandò poi in un altro sussurro l’elfo, riportando i suoi occhi nei miei, che distolsi in fretta, fermando il mio sguardo su un particolare qualunque del suo volto, trovando impossibile guardare l’elfo negli occhi troppo a lungo.
« No » risposi muovendo il capo « La mia presenza, cambia alcune cose nel corso degli eventi » cercai di spiegare imbarazzata.
Quello, e il fatto che erano passati settant’anni dall’ultima volta che avevo letto il libro sulla compagnia. Certo avevo cercato di trascrivere nei più piccoli particolari il viaggio e gli eventi più importanti, ma la mia memoria umana mi falliva con una tale velocità … Per molti anni, prima di partire per Gondor con Gandalf mi ero dimenticata della sorte di Boromir nella compagnia.
In quei momenti, avrei voluto nascere anche io da elfo nella Terra di Mezzo come Tauriel, non credevo che la sua memoria fosse stata impeccabile, ma sicuramente sarebbe stata migliore. Era vissuta per più di mille anni in fin dei conti.
« Posso farti una domanda? » dissi stringendo i pugni per farmi coraggio, incrociando per un attimo lo sguardo dell’elfo, sostenendolo per qualche secondo prima di lasciarlo cadere.
« Se conosco la risposta » si limitò a commentare in un tono che mi suggerì, che per lui era una risposta tattica da dare ogni qual volta gli veniva chiesto qualcosa. Forse era un modo di dire di Mirkwood.
« Cosa ti dice, il nome Tauriel? » domandai istintivamente. Ma quando tutto tacque e alzai gli occhi in quelli dell’elfo me ne pentii immediatamente.
« Tauriel? » mormorò Legolas portandosi una mano sulle labbra, come se volesse trattenere la sua stessa voce dal pronunciare quel nome.
Il suo viso si contorse in un’espressione di puro dolore, simile a quella che avevo visto assumere a Thandruill nello specchio. La foresta attorno a noi parve farsi più buia, condizionata dall’umore di lutto dell’elfo, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. E lì mi chiesi se non avessi appena fatto la cosa più orribile di tutta la mia vita.
Non avevo mai visto un elfo piangere, neppure il Re di Mirkwood. Era solo stato intuibile dal capo chino e i singhiozzi che lo percuotevano. Ma adesso dinanzi a me, vi era la visione più struggente a cui avessi mai avuto il dispiacere di assistere.
Legolas mi guardava come se gli avessi appena strappato il cuore dal petto, come se avessi ucciso io stessa l’elfa davanti ai suoi occhi e ora mi stessi prendendo gioco di lui.
Quando però feci per aprire bocca e scusarmi, chiedendogli perdono per la mia crudele curiosità l’espressione di Legolas mutò nuovamente:
nessuna lacrima scese lungo le sue guance nonostante avrei potuto giurare, che fino ad un attimo prima i suoi occhi fosse colmi al punto di straripare e il suo sguardo si fece vuoto e poi confuso, guardandosi le mani come se il suo corpo si fosse mosso contro la sua volontà.
« Ma che cosa? » mormorò tra se e se, toccandosi la fronte ancora corrugata in una smorfia che stava diventando solo di pure stupore.
« Ti chiedo scusa » disse poi notando la mia espressione che era un misto tra il terrore e il dispiacere « Che cosa mi stavi chiedendo? » domandò con il solito tono pacato, come se pochi secondo prima, non avesse rischiato di crollare ai miei piedi distrutto dal dolore.
Gli stessi alberi erano tornati alla normalità, in meno di un battito di ciglia, come se io avessi avuto un allucinazione.
Ma sapevo che non era stato così, quel dolore così crudo era stato reale, per un attimo avevo costretto Legolas a delle pene che lo avevano quasi distrutto. Mi sentii un mostro.
« Ti prego di perdonarmi » mormorai con il fiato spezzato, guardandolo con tutto il rimorso che provavo prima di costringermi a buttare giù il groppo in gola.
« Credo sia meglio che io torni a dormire, domani mattina partiremo presto » dissi fuggendo con finta disinvoltura, superando l’elfo alla velocità della luce, per tornare al sicuro nel mio letto, chiudendo in fretta il ramo dietro di me e rannicchiandomi in posizione fetale.
“ Sono un mostro” pensai mordendomi il labbro inferiore e percependo l’aria attorno a me farsi più calda, come se Lothlòrien stessa cercasse di consolarmi.
Ma non me lo meritavo.
“ E’ stato solo crudele da parte mia. Come ho potuto chiedergli una cosa simile?”
Non importava con quanta freddezza mi avesse guardato fino a quel momento Legolas, non c’era da stupirsi se ogni volta che incrociava i miei occhi, quel dolore gli tornava in superficie. Adesso avevo capito il comportamento dell’elfo a Gran Burrone, perché fosse stato così distaccato e arrabbiato.
Perché ogni volta che vedeva i miei occhi, vedeva qualcuno che non poteva più ricordare, qualcosa che lo aveva costretto a vivere con un vuoto nel cuore, dove prima si trovava l’amore che aveva provato per Tauriel.¹
 
 
La mattina successiva mi svegliai di pessimo umore.
Haldir era già in mezzo al sentiero di uscita dalla radura che non appena notò la mia espressione inarcò un sopracciglio, ma non commentò. Si limitò a porgermi il suo braccio e ad accompagnarmi nella stanza dove sapevo avrei trovato nuovamente Henemì ed Henecô ad aspettarci. Guardai silenziosa il biondo elfo interagire educatamente con le due sorelle chiedendomi come mai non avesse trovato qualcuno da amare. Certo l’eternità era lunga, e probabilmente voleva assicurarsi di trovare la compagna perfetta, ma in quel momento mentre le due donne gli sorridevano amorevoli, dando sfogo a tutta la loro innata bellezza mi ritrovai a pensare che probabilmente Haldir non stava neppure cercando qualcuno. Come se avesse intenzione di vivere solo per fare il guerriero e seguire i suoi signori.
Mi feci un appunto mentale, in cui se mai fossi sopravvissuta a quella guerra avrei aiutato Haldir nel cercare la sua metà, poiché io stessa era curiosa di che tipo di persona potesse ghermire il cuore dello stoico elfo.
« Da questa parte Valacen » mi indicarono assieme Henemì e Henecô, invitandomi ad entrare mentre chiudevo la porta alle mie spalle.
Ovviamente a questo giro nessuna mi aiutò a spogliarmi, anzi concedendomi della privacy si voltarono fingendosi indaffarate con delle fiale  mentre io uscivo dal meraviglioso abito, per riappropriarmi dei miei vestiti da viaggio. E nonostante il dono di Arwen fosse stata, ancora un volta meraviglioso, apprezzai molto di più i pantaloni e la bluse fatti su misura.
Ero certa che anche la Stella del Vespro sarebbe stata a conoscenza della mia preferenza.
« Vi abbiamo preparato delle pomate per accelerare la guarigione mia signora per il viaggio, e anche un po’ del nostro olio elfico, in caso ne abbiate bisogno per i vostri capelli. L’ampolla è piccola non vi occuperà spazio » aggiunse Henecô con un lieve tono diffidente, come se temesse di essersi presa troppa confidenza.
Cercai di dedicarle il migliore dei miei sorrisi, mentre ringraziavo le due sorelle.
Mi avevano preparato una piccola sacchetta da viaggio, non più grande di un marsupio in cui all’interno, dividevano le diverse ampolle dei divisori magnificamente rifiniti in legno.
« Volete tenere la tiara Valacen? » domandò Henemì con un lieve cenno, indicando la mia fronte.
Scossi immediatamente la testa, sfilandomi il cerchietto di legno che come promesso, aveva mantenuto i miei capelli in perfetto stato. Lo riconsegnai alle legittime proprietarie ricordandomi le lezioni di “etichetta” di Elrond. “Se qualcuno ti chiede se vuoi tenere qualcosa, lo sta facendo solo per cortesia, la risposta giusta è rifiutare. Se un elfo desidera donarti qualcosa, te lo dirà lui stesso”.
Infilai per ultimi gli stivali e il corpetto di pelle, notando con piacevole stupore, che nonostante il viaggio, la battaglia e il successivo lavaggio non aveva perso niente del suo iniziale splendore.
« Valanyar » udii chiamarmi una voce aldilà della porta che riconobbi come quella di Aragorn. Le due sorelle gli aprirono, rivolgendosi a lui con un semplice inchino a mezzo busto guardandolo incuriosito.
« Sono ammesse solo le donne in questa sezione » spiegarono facendo leggermente arrossire il ramingo che si scusò prontamente per la sua intrusione.
« Lo so vi chiedo perdono, è solo che Valanyar- » iniziò spostando successivamente lo sguardo su di me, diventando immediatamente più a suo agio « Forse dovremmo fare qualcosa per i tuoi capelli, ho parlato con Sam lui ha detto che potrebbe aiutarti con una treccia se lo desideri, ma forse è il caso di tagliarli come eri solita portarli … prima » concluse sotto lo sguardo sconvolto delle due elfe.
Haldir in tutto ciò era rimasto imperturbabile, mi aveva già visto con i capelli più corti ed aveva compreso senza alcuna spiegazione che nel mondo degli uomini, un “ragazzo” con i capelli così lunghi avrebbe potuto creare incomprensioni.
Annuii scrollando le spalle, poiché negli ultimi settanta anni mi ero tagliata i capelli così spesso che era diventata un abitudine, e se non potevo avere la praticità di una delle trecce di Arwen, tanto valeva toglierli di mezzo o sarebbero stati solo un impiccio.
« Mia signora non potete permetterglielo » sussurrò Henemì, avvicinandosi a me quasi volesse proteggermi dal ramingo.
« Va tutto bene non è colpa di Aragorn, siamo stati costretti altre volte. Gli uomini si fidano più facilmente quando mi credono una di loro » replicai con un mezzo sorriso, divertita dall’espressione di sconcerto nei volti delle due elfe. Era evidente, che l’idea di tagliarmi i capelli le turbava non poco.
« Andiamo a prendervi delle forbici » esalarono assieme facendo attenzione a non dare le spalle al ramingo mentre uscivano dalla stanza. Io e il moro ci scambiammo uno sguardo divertito, mentre mi aggiornava che gli altri stavano facendo i bagagli e che non appena avessimo finito lì saremmo andati ad incontrare la regina Galadriel e Sire Celeborn.
 
Quando Henemì e Henecô tornarono, Aragorn perse poco tempo, dividendomi i capelli in due ciocche e tagliando approssimativamente poco sotto le spalle, in una lunghezza simile a quella sua e di Faramir.
Le elfe trattennero il respiro e per un attimo, temetti che si sarebbero messe a piangere ma restarono a guardare la scena come delle bambine che vedevano per la prima volta un cartone animato.
« Questa è secondo me, la prova più concreta della stupidità umana » se ne esordì Haldir mentre Aragorn poggiava le forbici su un comodino e buttava i capelli nel camino poco lontano.
Guardai il biondo incuriosita. Invitandolo a continuare la sua spiegazione.
« La tua femminilità resta comunque indiscutibile, solo una razza tanto superba potrebbe pensare che la bellezza dei tuoi lineamenti appartiene ad un giovane uomo » concluse facendomi avvampare dall’imbarazzo.
Con ancora le guance in fiamme, spostai lo sguardo sulle due elfe che annuivano dando ragione al loro capitano, mentre Aragorn sorrideva da sotto i baffi.
Haldir non era il tipo di persona che elargiva complimenti, e anche quando lo faceva li esponeva come se fossero semplici dati di fatto, lasciando il suo interlocutore di stucco, e nel mio caso, rosso come un peperone.
Anche se a giudicare dalle reazioni di Henemì e Henecô doveva essere una caratteristica di tutto il popolo di Lothlòrien.
 
Ci congedammo dalle due sorelle, ringraziandole nuovamente prima di tornare all’accampamento con i miei accompagnatori che parlavano distrattamente del nostro viaggio lungo il percorso.
« Buongiorno mia signora » mi salutò Sam con un ampio sorriso non appena rientrai nell’accampamento « E’ un piacere rivedervi nei vostri consueti abiti » disse l’hobbit.
Mi fermai, voltandomi a guardarlo confusa, non capendo se il suo fosse un complimento o meno. Ma pareva impossibile che Sam tentasse di offendermi, era da sempre l’hobbit più educato e gentile, persino più di Frodo anche se in maniera molto differente.
« Ovviamente siete meravigliosa in un abito » specificò l’hobbit notando la mia espressione « Ma così sembrate più a vostro agio. Più voi stessa » aggiunse iniziando a balbettare leggermente ed con le orecchie rosse, iniziando lanciarsi in una sequela di complimenti sul mio aspetto.
« Ti ringrazio Sam, credo di aver capito cosa intendi, ed ‘è vero sono molto più a mio agio in questo modo » lo rassicurai scompigliandogli i capelli con un gesto affettuoso della mano.
Andai verso il mio letto, rimettendomi in vita le lame bianche con un espressione soddisfatta, sentendomi sempre meglio quando sentivo il loro peso familiare sui fianchi. Poi raccolsi lo zaino, dove sistemai la faretra nuovamente piena grazie ad Haldir e gli altri elfi, che si erano anche occupati di buttare via il mio vecchio mantello, lasciandomi uno nuovo di pacca nella cuccetta, mi guardai velocemente attorno, notando che i miei compagni avevano ricevuto lo stesso dono.
Lo indossai sopra i miei vestiti, notando che riprendeva perfettamente il colore della camicia, confermando i sospetti che avevo avuto ad Imladris. Inserii cautamente anche il marsupio con le fiale lasciatemi dalle sorelle poco prima e raggiunsi il gruppetto al centro dell’accampamento.
Nel momento stesso in cui Aragorn stava per aprire bocca, il solito elfo, con la solita aria altezzosa si presentò ai confini anche oggi vestito d’argento invitandoci a seguirlo per condurci da Dama Galadriel e Sire Celeborn. Nonostante oramai conoscessimo alla perfezione il percorso, l’elfo ci lanciò spesso delle occhiate oltre la spalla come ad assicurarsi che lo seguissimo, mentre io e Gimli ci scambiavamo uno sguardo divertito dinanzi a quella diffidenza.
Certo non era difficile immaginare che la maggior parte del popolo di Lòrien non gradisse la nostra presenza nel regno, poiché comunque li mettevamo in pericolo ma nessuno aveva mai osato renderlo così evidente. Soprattutto perché avevamo incontrato ben pochi altri compaesani.
Quando giungemmo nella sala che ci aveva ospitati due giorni prima mi ritrovai nuovamente a trattenere il fiato dinanzi a tanto splendore.
Dama Galadriel indossava un abito bianco, che pareva risplendere di luce propria, e Sire Celeborn la guardava, esattamente come una simile creatura meritava di essere guardata: con la più totale ammirazione.
Si rivolse a noi, prima ancora di voltarsi.
« E’ un giorno triste per tutti, quando dinanzi alla guerra bisogna separarsi quasi con gioia » iniziò mentre io trattenevo uno sbuffo appena in tempo, mentre Aragorn mi dava una lieve gomitata nelle costole per farmi tacere. Era evidente che mi conoscesse troppo bene.
« Mai abbiamo vestito stranieri con indumenti della mia gente. Che i mantelli vi facciano scudo da occhi ostili » stava dicendo il Signore di Lòrien, ma io non lo stavo guardando avendo solo occhi per la sua Regina, come la maggior parte dei presenti.
Ti tornerà utile nel mondo degli uomini Valacen “  si annunciò nella mia stessa a Dama di Luce “ Le menti semplici, quando lo indosserai vedranno esattamente quel che si aspettano di vedere. Un guerrieri immortale di nome Gwend “ continuò mentre la sua figura iniziava a muoversi, avvicinandosi alla compagnia e porgendo doni uno ad uno fino ad arrivare ad Aragorn.
Li guardai scettica poiché tutta quella storia del ramingo, del far partire Arwen verso i Porti Grigi mi mandava solitamente in bestia. Non importava che l’amasse come il primo giorno, non importava che lei avesse una coscienza millenaria , lui si ostinava a volerla proteggere dall’oscurità del mondo anche se si fosse significato non vederla mai più.
« Non ho doni che possano superare quelli che già hai ricevuto » iniziò Galadriel rivolgendosi alla sottoscritta, mentre potevo quasi sentire trepidare Gimli dall’altro lato, e Aragorn rabbuiarsi al pensiero della luce di Arwen.
« Con la benedizione del popolo di Imladris c’è solo un ultimo avvertimento che posso sperare ti sia di aiuto:
quando giungerà la tua fine, quando dovrai pagare il prezzo più alto e ogni speranza sarà perduta e la tua vita sembrerà essersi conclusa ricorda sempre. Quando si percorre il cammino della vita si ha sempre due scelte, andare avanti, o tornare indietro » concluse la Signora di Lothlòrien facendomi impallidire mentre lei passava le sue attenzioni su Gimli come se nulla fosse.
Come se non avesse appena annunciato ai quattro venti la mia morte, sentii una mano stringersi attorno alla mia e mi voltai a guardare Aragorn che mi stava osservando con un terrore negli occhi che non gli avevo mai visto prima. Strinse le mie dita così forte da farmi quasi male mentre per quanto sembrasse ridicolo io trovavo forza nel suo dolore, carezzandogli il dorso della mano con il pollice fino a quando la sua presa non si attenuò.
Avrebbe voluto dirmi qualcosa, probabilmente di eroico come “Non permetterò che ti accada niente” ma non era certamente la sua sfida da affrontare e in quel momento Galadriel aveva appena donato la Luce di Earendil a Frodo e suo marito ci stava congedando.
Mi raddrizzai nelle spalle, sfilando la mia mano da quella di Aragorn dopo un ultima stretta per ascoltare il Signore di Lòrien.
« Il mio fedele Capitano, vi mostrerà il cammino, andate ora poiché è improbabile che farete mai ritorno » concluse Celeborn portando in alto le mani, come se potesse buttarci fuori lui stesso con un colpo di vento magico.
Inarcai un sopraciglio, scambiandomi un’occhiata con Gimli che pareva recitare : Elfi. Scuotendo leggermente il capo dinanzi a tutta quella teatralità.
Personalmente sarei stata benissimo senza mai rimetterci piedi a Lothlòrien, era un posto meraviglioso, ma gli elfi erano incredibilmente schivi, nessuno aveva mai osato incrociare il mio cammino e in tutta onestà continuavo a trovare piuttosto inquietante Dama Galadriel.
Spero di potermi ricordare ancora di te Valanyar di Imladris se mai le nostre strade si incroceranno nuovamente” mi salutò telepaticamente la signora di Lòrien, in un perfetto esempio del perché non avrei voluto visitare il regno di Haldir mai più.
Peccato per gli animali parlanti, forse sarei riuscita convincere Thandruil a farmi incontrare i suoi cervi regali.
« Il mio fedele Capitano » ripeté Gimli in tono canzonatorio rivolgendosi ad Haldir accanto a me « Forse il tuo Re è venuto a sapere della schermaglia dell’altra  mattina » commentò il nano lanciando una sfida all’elfo, che speravo non sarebbe finita con un'altra sguainata di spade da parte di Haldir.
« Sire Celeborn è perfettamente consapevole che non esiterei a prendermi cura di vi rivelaste un pericolo per il Regno » ribatté l’elfo senza battere ciglio, mentre Gimli mi tirava leggermente il mantello mimandomi le parole:
« Non intendeva mica dire che ci ucciderebbe vero? » bisbigliò il più piano possibile, ma ovviamente, non abbastanza per le orecchie di un elfo.
« E’ esattamente quello che intendevo Mastro Nano, lieto che nonostante le nostre differenze, siamo sulla stessa linea di pensiero » in quei momenti, era piuttosto facile ricordarsi che Haldir era ben diverso da qualunque altro elfo di Gran Burrone, che lui era un soldato fedele, non una semplice creatura millenaria amante dei libri.
« Ti voglio bene anche io grazie tante » sbuffai in risposta alla sua ammissione che ci avrebbe attaccati senza troppe domande se il su Sire lo avesse ritenuto opportuno.
« Altrettanto » concordò con me Haldir, guardandomi con gli occhi più statici del mondo in piena rappresentanza della sua sincerità. Segno che non aveva affatto colto il sarcasmo nella mia voce.
Lo guardai divertita, mettendomi solo a ridere con più fragore quando Gimli mi consigliò di ampliare la mia cerchia di amici, perché l’elfo lasciava alquanto a desiderare.
Dopo un breve tratto a piedi, per fortuna con i piedi ben saldati nel terreno, finalmente giungemmo sulla sponda del fiume Anduin dove delle imbarcazioni leggere erano state preparate per noi dai fratelli di Haldir e qualche altro guerriero che però non era presente.
«Gi orchi di Gondor occupano la sponda Est del fiume. Troverete degli stazionamenti sicuri sulla riva opposta ma le creature che portano la mano bianca si stanno avvicinando » ci mise in guardia Haldir « Vi scorterò con i miei uomini in più avanti possibile, dovete riuscire a sorpassare il nemico fino le cascate di Rauros » Annuimmo tutti, ringraziando l’elfo e facendoci aiutare a salire a bordo delle imbarcazioni che risultarono incredibilmente stabili nonostante fossero sul un lieve pelo d’acqua. Anche quando il più pensate di tutti noi, Gimli, prese posto dinanzi a Legolas, la barca non si abbassò neppure di qualche centimetro.
« Valanyar vieni con noi » mi disse Aragorn, riferendosi a se stesso e Frodo che mi guardava con una preoccupazione simile a quella del ramingo. Annuii ai due uomini consapevole che per qualche giorno sarebbero particolarmente appiccicosi desiderosi di accertarsi che niente mi accadesse.
« Non ripensare troppo alle parole della mia Signora. A volte, la spiegazione più semplice è quella che ci sfuggirà fino al momento opportuno » si congedò Haldir aiutandomi a salire davanti a Frodo prima di osservarci salpare via, solo per seguirci lungo le fronde degli alberi dove non potevamo più vederlo ma sapevamo che era lì, a guardarci le spalle.
 

 
 

 
Avevamo concluso il nostro primo giorno sull’acqua e ci eravamo accampati sulla sponda suggeritaci da Haldir per consumare un pasto veloce e riposarci dalla traversata, rasserenati dalla protezione degli elfi di Lòrien quando notai Faramir con un’espressione che non gli vedevo in viso da anni ma che sapevo lo affliggeva spesso nei suoi anni a Minas Tirith.
Era la stessa faccia che aveva quando parlava di suo padre, quando cercava di non essere una delusione e si impegnava al meglio per proteggere il popolo che tanto amava, solo per essere sempre considerato una delusione.
Mi avvicinai al Capitano di Gondor, sedendomi accanto a lui con un sorriso che lui ricambiò immediatamente, rilassando leggermente le spalle tese.
« Cosa ti turba amico mio? » dissi dandogli una spallata leggera in modo amichevole che venne attutita da i nostri nuovi mantelli « Dama Galadriel ti ha detto qualcosa che non volevi sentire? ».
L’uomo mi guardò stupefatto, come se gli avessi appena letto nel pensiero prima di annuire, mordendosi il labbro inferiore.
« Sono così facile da leggere? » domandò Faramir.
« Un po’. » confidai con un occhiolino strappandogli un sorriso timido « Ma credo che La signora di Luce abbia parlato a tutti noi. E solitamente non di cose piacevoli » aggiunsi lanciando un’occhiata a Frodo che se ne stava anche lui in disparte, assorto nei suoi pensieri.
« Ha detto qualcosa anche a voi? »
Annuii « Ma niente che mi rendesse così depressa da starmene per conto mio » lo presi in giro mentre lui mi mormorava delle scuse per la sua sconsideratezza.
Gli lasciai il suo tempo, comprendendo che qualunque cosa gli avesse detto l’elfa non sarebbe certo stata una fiaba della buona notte. A volta parlare con la Signora di Lòrien portava più dubbi che risposte.
« La Dama elfica, mi ha detto che la tua scelta potrebbe risultare in un disastro completo »
«La mia ? » risposi per un attimo confusa, chiedendomi cosa avessi io a che fare con Faramir, prima di capire.
« Si riferiva al tuo ruolo nella compagnia » commentai spostando lo sguardo dinanzi a noi, per non dover incontrate quello dell’uomo accanto a me.
« Ha detto che sarebbe più sicuro, se io prendessi in carico il destino di Boromir … Che avevi già osato troppo, cercando di fare uno scambio »
Sbuffai in una risata frustrata, chiedendomi come gli elfi potessero dare così poca importanza alla vita degli altri, solo perché rispetto alla loro era meno di un battito di ciglia.
« Non ti ho fatto venire al posto di Boromir per sacrificarti come carne da macello » dissi guardandolo oltraggiata.
« Forse non abbiamo altra scelta. Gondor potrebbe non avere un Re che ci unisca tutti altrimenti » mormorò Faramir.
Per essere uno che stava programmando la propria morte, appariva fin troppo razionale. Eppure riuscivo a comprendere attraverso il suo sorriso che sarebbe stato felice di dare la sua vita in nome di Gondor, solo per dare un’opportunità ad Aragorn, per far capire al futuro Re che gli uomini di Minas Tirith meritavano la sua fiducia. Ricordandogli che il trono era suo di diritto e che lui avrebbe potuto fare la differenza.
Per un attimo, mi chiesi se davvero non avessi fatto un terribile errore a far venire Faramir, per quanto mi dispiacesse per Boromir se avessi dovuto scegliere quale dei due fratelli sacrificare … Beh non sarebbe stato quello accanto a me. Mi ero affezionata troppo a Faramir per lasciarlo andare senza combattere.
Mi ricossi in fretta, ricordandomi il motivo per cui avevo scelto di sfidare il destino a quel modo: avevo deciso che Boromir meritava una seconda possibilità, che se non fosse stato annebbiato dalla volontà dell’anello sarebbe stato un grande asso nella manica per la difesa della capitale.
« In realtà ho un piano » confidai a Faramir con un sorriso « Hai poi capito perché avessi richiesto te al posto di tuo fratello? »
« Per salvargli la vita » rispose lui evidentemente confuso sul dove volessi andare a parare.
« Certamente, ma cosa credevi? Che avessi chiesto a te di venire, così che tu potessi morire al posto suo? Hai detto tu steso che Boromir è un soldato migliore di te »
Probabilmente chiunque altro si sarebbe persino offeso dinanzi ad una dichiarazione simile, avrebbe cercato di elencare tutte le qualità che il fratello maggiore non aveva, ma che invece lui possedeva. Invece Faramir, si limitò semplicemente ad annuire, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Boromir era meglio di lui, punto. Fine della storia.
Come un vecchio mantra ripetuto all’infinito, fin da quando ne aveva memoria.
« Dunque perché mi hai voluto nella compagnia Gwend? »
« Perché tu sei forte Faramir, in un modo in cui Boromir non sarà mai. Sauron ci metterà sul cammino delle prove, che solo tu puoi superare » dissi spostando nuovamente gli occhi altrove, persa nei miei ragionamenti.
« Frodo ci lascerà Faramir, prima o poi dovrà percorrere il resto della strada da solo » confessai voltandomi a guardare i restanti membri della compagnia.
Legolas era andato a controllare la situazione più avanti, specchiando Haldir che ci copriva la strada dalla parte opposta.
Aragorn stava preparando la cena assieme a Sam, mentre sorrideva ai commenti dell’hobbit ma mandando entrambi occhiate preoccupate a Frodo che se ne stava da solo più in là.
Poco lontano, Merry e Pipino stavano guardando Gimli affilare la sua ascia, imitando i movimenti del Mastro nano sulle daghe donategli da Dama Galadriel, anche se le lame elfiche non avevano bisogno di essere affilate.
« L’anello Faramir, ci sottometterà tutti, uno per uno, anche adesso per Frodo è più pesante. Io stessa posso sentirlo, sussurrarmi tentazioni nell’oscurità come uno spirito malvagio che si finge la tua coscienza » continuai passandomi una mano dietro al collo come a voler scacciare la sensazione.
«Che speranza abbiamo dunque? » domandò l’uomo guardandomi confuso.
« Abbiamo Frodo, lui ce la farà anche senza la maggior parte di noi, ma non senza tutti » conclusi voltandomi a guardare l’uomo negli occhi, leggendo il suo sguardo quasi con la stessa facilità con la quale riuscivo a fare con Aragorn. Con la differenza che il ramingo era stata una presenza costante nella mia vita e quindi lo conoscevo come il palmo della mia mano, mentre Faramir era una persona così onesta i cui sentimenti erano crudi e facili da leggere.
Era facile affidargli la vita di tutti nelle mani. E lo stavo per fare, gli stavo per affidare la vita più importante di tutti.
« Ho bisogno che tu protegga Sam, Faramir devi assicurarti che Frodo non vada da solo. » gli dissi mentre lui spostava lo sguardo oltre le mie spalle, osservando probabilmente i protagonisti della nostra conversazione.
« Hai detto di avere un piano »
« Ti fidi di me? » domandai quasi sovrappensiero con un mezzo sorriso, prima di accorgermi del mio errore. L’uomo mi guardò per svariati secondi, facendomi temere che la sua risposta sarebbe stata negativa. Probabilmente stava ripensando a Gandalf, a come avevo tradito la fiducia del suo maestro, solo per permetterci di oltrepassare le miniere, ma poi qualcosa dovette connettersi, perché Faramir si aprì nel suo sorriso migliore:
« Certo che mi fido di Gwend » rispose affidandomi letteralmente la sua vita, mentre gli spiegavo il mio piano.
« Tra qualche giorno, quando Haldir avrà smesso di proteggerci, verremo attaccati su questa stessa sponda dagli urukai di Isengard. Proteggi Sam a qualunque costo e se sentirai Merry e Pipino gridare aiuto non andare da loro, resta qui » lo avvisai cercando di mettere più enfasi possibile nell’ultima parola.
Faramir sostenne il mio sguardo mentre io speravo sapesse, che non gli stavo dicendo di abbandonare gli altri due hobbit, ma che ci avremmo pensato noi a salvarli, lui aveva un altro compito. E speravo, un destino differente da quello che era stato scritto per Boromir.
 « Prendete una barca e salpate per l’altra sponda, gli orchi sono stati distanziati. Ma ricorda, non sarete soli.
Vi sarà una creatura di nome Gollum , affida il suo destino al portatore dell’anello ma non fidarti mai di lui. Li guiderai nell’Itilien qui le possibilità saranno due. » lo avvisai mente ci facevamo più vicini, spalla a spalla mentre abbassavo ancora di più la voce per essere sicura che nessuno mi udisse:
« La prima è che non incontrerete nessuno, una volta raggiunti i confini delle regioni, tu li lascerai proseguire da soli - » Faramir aprì la bocca come per interrompermi ma lo bloccai con un gesto della mano e lui mi lasciò continuare « Lo so che sembra assurdo ma avranno molte più possibilità di farcela da soli di quanto tu non creda. La carne umana è troppo conosciuta dagli orchi, fiutarti sarebbe un gioco da ragazzi. »
« L’altra possibilità ? »
« La seconda opzione e temo anche la più probabile: Incontrerete Boromir » lo avvisai mentre il Capitano di Gondor mi guardava incerto, evidentemente chiedendosi il perché del mio tono preoccupato, se avrebbe solo incontrato suo fratello lungo la strada.
« Lui … Cercherà di prendere l’anello Faramir, ad ogni costo, devi impedirgli di avvicinarsi a Frodo » marcai le mie parole con più enfasi possibile, sperando che l’uomo capisse quanto rischioso sarebbe stato avvicinarsi al fratello. Ma forse nessuno più di lui, conosceva Boromir in tutte le sue qualità e difetti.
« Proteggerò Frodo e Sam, a costo della vita » mi promise poggiandomi una mano sulla spalla consapevole di quanto i due hobbit significassero per me, poiché non era solo per l’intero mondo, al momento quello che più avevo a cuore era la mia famiglia. Che io stavo vedendo scivolare dalle mie dita uno dopo l’altro.
« Ci rivedremo a Minas Tirith » mormorai cercando di infonderci sicurezza, ma suonò più come una domanda alle mie stesse orecchie, mentre Faramir mi carezzava gentilmente la guancia  portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 
« Agli ordini mia signora » assicurò lui sorridendomi come se non avesse un pensiero al mondo, mentre io lo imitavo, consapevole che mi sarebbe mancato quel soldato di Gondor all’interno della compagnia.
Ci sarebbero voluti mesi prima che ci rincontrassimo, ma l’importante era che ci riuscissimo.
 
« Di cosa parlavi prima con Faramir ? » domandò Aragorn ore dopo mentre io seguivo il suo sguardo sull’uomo poco lontano impegnato in una conversazione amichevole con Sam e Merry.
« Solo del viaggio » commentai con casualità scollando le spalle, mentre l’uomo al centro dei nostri discorsi si voltava verso noi, sorridente.
« Il giovane Capitano di Gondor credo si sia infatuato di te » aggiunse il moro con un’occhiata complice.
« Potrei essere sua nonna » sbuffai divertita, notando con la coda del’occhio Legolas poco distante, che rientrava dalla sua ronda avvicinandosi a noi. « In realtà, credo solo che abbia un debole per le donne che indossano pantaloni » aggiunsi enigmatica mente Aragorn mi guardava inarcando confuso un sopracciglio.
« Non credevo vi fossero molte donne a questo modo » commentò lasciandosi contagiare dalla mia ironia.
« No infatti, probabilmente, il fatto che la suddetta donna, poi si rivelerà più bella di una mattina d’inverno lo aiuterà nel lasciarsi il mio ricordo alle spalle »
« Ah non vedo l’ora di conoscerla »
« Lo farai, e ti converrebbe anche essere meno te stesso già che ci sei. Ha avuto una vita abbastanza dura senza che tu le spezzi anche il cuore » sbuffai accusando il ramingo con uno sguardo truce.
Aragorn mi guardò diventando quasi paonazzo dinanzi alla mia accusa, guardandosi attorno come i cerca di un appoggio da parte degli altri della compagnia. Ma erano improvvisamente tutti diventati molto impegnati.
« Ed io cosa c’entro adesso? » domandò spalancando le braccia confuso.
« Tu c’entri sempre » risposi facendogli una smorfia con la lingua, mentre gli tiravo una manciata di foglie in faccia, facendolo prima sbuffare incredulo e poi ridere prima di ritrovarmi attaccata da un uomo di quasi due metri con un peso di ottanta kili sulle spalle.
« E’ la lotta che vuoi? » mi accusò iniziando a farmi il solletico mentre io cercavo di levarmelo di dosso ma iniziavo a soffocare tra le risate e il suo peso.
Tutto attorno a noi, Gimli e gli hobbit se la stavano ridendo alla grossa indicandoci, imitati perfino da un Faramir esterrefatto.
Notai che perfino Legolas ci stava guardando con un sorriso sulle labbra, prima di iniziare ad avere la vista offuscata dalle troppe lacrime causate dalle risate.
 
 

 
 
 

« Siamo al confine più esterno » ci disse Haldir la mattina del terzo giorno « Non posso portare i miei uomini oltre » concluse nonostante lo sapessimo.
Il regno di Lòrien aveva già fatto molto per noi e il loro Capitano si era spinto più in là di quanto avrebbe dovuto fare inizialmente per permetterci un passaggio sicuro.
« Grazie per tutto quello che hai fatto Haldir » lo salutò Aragorn, imitato dagli altri membri della compagnia, soprattutto Frodo e Sam che lo ringraziarono in Sindarin facendo fiorire un sorriso sghembo sulle labbra dell’elfo.
Haldir si voltò verso di me, prendendo le mie mani nelle sue, stringendomi delicatamente le mani come se volesse invitarmi a restare, o anche solo per trattenermi qualche altro minuto.
« Naegrannen  awartha le [ Mi causa dolore abbandonarti ] » confessò guardandomi per la prima volta, con così tanta tristezza negli occhi. Doveva costargli molto, lasciarmi andare ad un futuro incerto, per farlo esprimere con tanta sincerità dinanzi un pubblico.
« Andelu i ven. Cen Ad mellonîm [ La via è pericolosa.  Ma ci rivedremo ancora amico mio ] » gli risposi con un sorriso amaro notando il suo disappunto alle mie parole. Sapevo che avrebbe preferito che non gli dessi false speranze, Haldir era l’unico a capire sempre, quando parlavo del futuro perché lo conoscevo e quando invece ne parlavo solo come una speranza lontana.
Sicuramente le ultime parole che mi aveva rivolto Dama Galadriel non aiutavano la mia situazione.
Comunque l’elfo non mi contraddisse limitandosi ad annuire.
« Le aphadar aen. [Siete stati seguiti ] » aggiunse scambiandosi un’occhiata anche con Aragorn, in un avvertimento comune.
« Nai tiruvantel ar varyuvantel i Valar tielyanna nu vilya. [Possano i Valar proteggervi nel vostro cammino sotto il cielo ] » ci congedò infine l’elfo, imitato dai suoi guerrieri sui rami, che ripeterono la stessa frase in una preghiera che per un attimo ci ridette speranza nella nostra missione, cullati dal calore di quella melodia.
« Se tarderai a tornare, verrò a cercarti » mi avverti Haldir strappandomi una risata divertita. Annuii, sfilando le mie mani dalle sue, per raggiungere i miei compagni a bordo delle imbarcazioni.
Non che avessi dato alcuna informazione all’elfo, quindi non poteva sapere quanto sarebbe durata la nostra missione, se un anno o dieci. Ma in qualche modo mi rasserenò sapere che se mai avessi avuto bisogno di aiuto, probabilmente Haldir sarebbe stato uno di quelli che avrebbe smontato mari e monti per cercarmi.
« Quell’elfo non mi piace per niente » commentò Gimli mentre mi sedevo di fronte a lui nell’imbarcazione elfica, con Legolas dietro il nano che era l’addetto ai remi.
Inarcai un sopracciglio, voltandomi a guardare il nano oltre la spalla.
« Non l’avevo notato » sbuffai divertita mentre l’uomo si lisciava la barba, in un azione data dal nervosismo che avevo imparato a riconoscere.
« Non è buono per te Valanyar » aggiunse facendomi finalmente comprendere quali fossero i suoi timori.
« Tra me ed Haldir non vi è alcun romanticismo mastro Nano. Lui è pur sempre un elfo immortale ed io sono un essere umano » commentai divertita sentendo Gimli borbottare qualcosa sul fatto che in ogni caso avrebbe tenuto la sua ascia a portata di mano in caso avesse osato troppo.
« Anche Arwen ed Aragorn sono un elfo e un mortale. Questo non rende il loro amore impossibile » si intromise Legolas stupendomi. Non ci eravamo più rivolti parole da quella sera a Lòrien.
Soprattutto perché avevo cercato di evitarlo il più possibile a causa dei miei sensi di colpa.
« Arwen ed Aragorn sono l’eccezione che conferma la regola » risposi con un sorriso affettuoso, ripensando all’amore che si percepiva perfino nell’aria quando i due erano assieme.
Restammo in silenzio per quasi tutto il resto del viaggio, cullati dal leggero chiacchiericcio nelle altre barche, dove Merry, Pipino e Faramir sembravano andare piacevolmente d’accordo, scherzando sui temi più disparati.
A quanto pareva stavano cercando di convincere il Capitano di Gondor ad andare a trovarli presso la Contea una volta finita la guerra, per mostrargli “le vere gioie della vita”, o così sostenevano i due Tuc.
Il sole aveva iniziato a scomparire dietro i monti più avanti, prima che l’elfo parlasse di nuovo:
« Io credo che rinunciare alla propria immoralità sia la parte più semplice.
Il vero dolore starebbe in quegli attimi in cui si è costretti a vivere senza la persona amata » sia io che Gimli ci voltammo a guardare Legolas in viso, ma l’elfo stava guardando oltre, con gli occhi persi nell’orizzonte senza che riuscisse a vederlo realmente.
Mi chiesi se stava pensando a sua padre, a quanto aveva amato sua madre e a come fosse diventata arido senza di lei.
Forse dal suo punto di vista amare un mortale, era una punizione misericordiosa. Sempre meglio di credere in un per sempre che poi ti veniva strappato  via.
Tacqui poiché vi era ben poco con cui potessi rispondere, ma mi ritrovai a pensare alle caratteristiche che avrebbe dovuto avere qualcuno per farsi amare a Legolas.
Ero certa che l’idea di innamorarsi fosse terrificante per lui. Aveva già perso così tanto anche se non poteva ricordarlo. Eppure proprio per quel motivo una parte di me riteneva che chiunque avesse avuto l’onore di amare, e venire amato dall’elfo sarebbe stata una persona tanto fortunata, da far ingelosire anche il sole.
 
Attaccammo le barche nella riva occidentale, che il sole era scomparso e il cielo era ormai rosso. Il campo era stato organizzato in fretta, oramai con dei gesti abitudinari che non ci costavano neppure un’ora di tempo una volta toccata la terra ferma.
Solitamente Sam si occupava della cena, spesso aiutato da Faramir, io e Gimli ci occupavamo della legna, mentre Legolas ed Aragorn si occupavano delle barche e i restanti Hobbit organizzavano i posti per la notte.
Notai però dopo vari minuti Aragorn che scrutava il fiume.
Erano passate poche ore da quando avevamo superato i confini di Lòrien e quindi sapevano i non avere più nessuno a coprirci le spalle ma pareva che fosse già giorni dalla pesantezza che regnava nell’aria.
« Cosa ti turba? » domandai affiancando il ramingo e cercando con gli occhi qualunque cosa stesse attirando la sua attenzione. E presto lo notai, a circa trecento metri che proseguiva lungo il fiume ma quasi sulla sponda opposta rispetto alla nostra.
« Gollum » disse Aragorn anticipando il mio pensiero. La stretta sull’elsa della sua spada si fece più rigida « Speravo di liberarmene sul fiume, ma è un barcaiolo troppo astuto »
Annuii osservando la creatura « Gandalf mi ha vietato di ucciderlo, sostiene che ha ancora una parte da giocare nella storia » aggiunse sorprendendomi dalla repulsione nella sua voce. Ma in fin dei conti rappresentava un pericolo per Frodo, quindi non era difficile immaginare il perché di tutto quell’astio.
« Ed io ho impedito a Legolas di fare altrettanto a Moria. Il destino di Gollum è collegato all’anello »
« Così come quello di Frodo » disse Aragorn voltandosi a guardarmi, come se avessi appena paragonato un ramo secco ad un fiore.
« Non guardarmi così Estel, io ho piena fiducia in Frodo. Lui non è Smeagol » ribattei stringendo a mia volta i pugni lungo le braccia.
« Smeagol? »
« Così si chiamava un tempo, prima che l’anello ne dominasse la volontà. Non che ne avesse molta, ha ucciso suo fratello in meri minuti alla vista dell’oggetto d’oro » confidai mentre Aragorn corrucciava le sopracciglia, lanciando un’ultima occhiata alla creatura, prima di tornare con me verso l’accampamento.
« Non mi piace per niente saperlo vivo » disse comunque sottovoce mentre rientravamo.
« Nemmeno a me » confidai con un sospiro amaro spostando la mia attenzione su Sam, quando Aragorn si andò ad unire a Legolas.
« Padron Frodo dovete mangiare » stava dicendo l’hobbit senza suscitare alcuna risposta nel compagno, che continuava a dargli le spalle, rannicchiato in posizione fetale sotto il suo mantello.
Sam mi guardò supplichevole, mentre mi mimava un « Non mangia da oggi » con le labbra. Lo guardai stupita, chiedendomi come non avessi potuto rendermene conto. Nonostante le distanze che aveva preso negli ultimi giorni, mi ero sempre costretta ad avvicinarlo, costringendolo a dormire nei momenti opportuni e a mangiare con gli altri quando il pasto veniva preparato. Evidentemente l’hobbit era riuscito ad evitare i miei sguardi con sufficiente accuratezza nelle ultime ore.
« Frodo » lo richiamai, e come per magia il mezzuomo si voltò immediatamente al suono della mia voce cercandomi quasi con un mezzo sorriso, prima di spengerlo quando notò la mia postazione vicino a Sam che teneva ancora il piatto con salsiccia e  fagioli in mano.
« Fai anche la spia Sam? » lo accusò il più anziano con malcelata cattiveria, che fece aprire in una espressione di stupore se stesso, ed inarcare un sopracciglio a me.
« Ma Padron Frodo, dovete mangiare qualcosa … Vi servono forze » tentò debolmente il mezzuomo accanto a me. Abbassai lo sguardo il rossore che avvolgeva il collo del povero giardiniere che parlava come se si vergognasse delle attenzioni che aveva verso il compagno di viaggio.
« Forse Frodo vuole essere aiutato Sam, prova ad imboccarlo » suggerii per smorzare tutta insieme l’atmosfera mentre i due hobbit protagonisti diventavano entrambi rossi come peperoni e i cugini Tuc erompevano in una fragorosa risata, segno che erano stati in ascolto per tutto quel tempo.
« Oh sono certo che a Sam farebbe anche piacere » commentò Merry prendendo una boccata dalla sua pipa.
« Sarebbe un onore per lui sicuramente! » rincarò la dote Pipino, strappando un sorriso anche a me.
Frodo dovette decidere che ne aveva abbastanza, perché si limitò a sfilare il piatto dalle mani del cuoco improvvisato e a riempirsi la bocca di cibo. Un fagiolo alla volta, tra una smorfia ed un'altra, ma almeno stava mangiando.
Mi scambiai un sorriso soddisfatto con Sam, che mi ringraziò con un sorriso gentile, prima di tornare ad osservare il suo padrone mangiare, come se fosse lo spettacolo migliore al mondo. Ero certa che Sam non aveva guardato con tanta ammirazione neppure Dama Galadriel stessa, non importava quanto una creatura sarebbe potuta essere bella, se Frodo si fosse trovato nella stessa stanza, Sam avrebbe guardato solo lui.
 

 
 



« Valanyar vuoi accompagnarmi? » domandò Frodo due giorni dopo con un sorriso timido quando si offrì volontario per andare a cercare altra legna al posto di Gimli.
Annuii, scambiandomi un’occhiata d’intesa con Faramir che mi restituì il cenno, confermandomi che non si sarebbe allontanato dall’hobbit giardiniere.
Camminammo lungo il crinale del fiume per vari minuti, raccogliendo rami in silenzio mentre attendevo pazientemente che Frodo trovasse il coraggio di rivelarmi i suoi pensieri.
«L’ultima notte prima di andare via, ho parlato con Dama Galadriel » iniziò titubante, guardando mestamente a terra con la scusa di cercare altri rami secchi per non dovermi guardare negli occhi.
« Ed ecco lei … Lei mi ha mostrato cosa sarebbe successo alle persone che amavo, se avessi fallito. Cosa sarebbe accaduto alla Contea » continuò in un sussurro tanto lieve quanto doloroso « Ed io, mi dispiace Valanyar so che non avrei dovuto ma- »
« Le hai offerto l’anello » lo interruppi facendogli alzare la testa di scatto, guardandomi pieno di vergogna.
Frodo annuì, mentre io mi avvicinavo a lui. Solitamente avrei fatto qualcosa per rincuorarlo, come stringergli una spalla o passargli una mano tra i capelli, ma le braccia erano impegnate con la legna per il fuoco, così mi limitai ad un sorriso carico di affetto.
« La paura Frodo non è sempre nostra nemica, ci rende quel che siamo, ci permette di affrontare il passo successivo con una scelta in più. A volte ci rende codardi e ci fa fuggire, ma a volte ci porta sulla giusta strada.
Può essere necessario perdere una battaglia per vincere la guerra »
« Non ti ho deluso? » mormorò flebilmente portando i suoi occhi lucidi nei miei.
Frodo era cambiato dall’inizio di quel viaggio, il mezzuomo spensierato, che mi sorrideva con gioia era quasi del tutto svanito. Oramai i suoi sorrisi erano rari e non raggiungevano più i suoi occhi, celati da un’ombra angosciante. La pelle dietro il suo collo era oramai sempre arrossata e le sue mani toccavano la catena con frequenza assidua, per assicurarsi che l’anello fosse sempre al suo posto.
« Non potresti mai deludermi Frodo Baggins. Ho piena fiducia in te » gli assicurai sperando cogliesse la mia sincerità.
« Non credo che Dama Galadriel abbia lo stesso ottimismo »
« Gli elfi raramente vedono la grandezza nei mortali. E’ uno dei loro difetti » commentai scrollando le spalle. In fin dei conti io stessa ero cresciuta in una casa, che aveva condannato il valore degli uomini per gli ultimi duemila anni.
Elrond era stata tradito da Isildur questo era vero, ma perdere la fiducia in tutti loro, mi era parso un po’ eccessivo. Ed era difficile non avere fiducia in una razza dopo che ne avevi certamente visto gli orrori ma anche i suoi figli maggiori. Come Aragorn.
All’improvviso un rombo si fece sempre più vivo da oltre l’altura, mentre un fetore fin troppo familiare mi riempiva le narici. Enormi guerrieri iniziarono ad apparire in lontananza nel nostro raggio visivo, ma non ci avrebbero messo che pochi secondi a raggiungerci correndo a quella velocità.
« Frodo scappa! » gli urlai dandogli una spinta nella direzione opposta agli urukai.
« Corri! Trova Faramir, al fiume! » gli ordinai guardandolo dritto negli occhi per l’ultima volta.
Sapevo che avrebbe desiderato che andassi con lui, per guidarlo e sostenerlo, ma in cuor mio sapevo che non era quello il mio posto. Se fossi andata, alla fine sarei stata solo un pericolo per l’hobbit.
Frodo annuì, mimandomi delle parole che vennero coperte dalle grida degli urukai che partivano alla carica verso di noi. Le capii solo dopo, quando le mie lame si infransero con quelle della mutazione degli orchi di Saruman cosa aveva cercato di dirmi il mio amico. Non ti deluderò.
« Ci rivedremo » gli assicurai con un occhiolino stanco, strappandogli l’ultimo sorriso prima di vederlo correre a perdifiato nel bosco lasciandomi finalmente indietro e correndo verso la momentanea salvezza.
« Cosa credi di fare piccolo umano? » mi ringhiò contrò il primo urukai che mi si parò davanti permettendomi di constatare che il mantello donatomi da Dama Galadriel funzionava proprio bene. Solitamente gli orchi non erano facili come gli umani da ingannare, riconoscevano dall’odore che ero una donna, ma in quel momento, il mostruoso guerriero dinanzi a me, credeva solo di avere a che fare con un fragile ragazzino.
« Uccidere abbastanza di voi così che i cavalieri di Rohan abbiano meno di cui preoccuparsi » sibilai cogliendolo probabilmente alla sprovvista mentre lo caricavo a mia volta, percorrendo l’ultimo tratto con un balzo che mi permise di saltargli con i piedi sul torace, sbilanciandolo con il mio peso mentre entrambe le lame gli si conficcavano nelle clavicole dove sapevo l’armatura essere più sottile.
Il primo urukai cadde a terra, senza neppure aver capito come fosse successo.
Non persi tempo, iniziano a correre parallela al fiume, attirando i nemici su di me e non verso Frodo, mentre l’entità dei nemici si faceva sempre più numerosa.
La differenza con gli orchi, era abissale, se i questi ultimi erano valorosi poiché avevano più paura del proprio padrone che della morte, gli urukai erano delle vere e proprie macchine da guerra.
Ogni volta che paravo un loro fendente mi ritrovavo sbalzata all’indietro dalla forza d’urto e se non fossero state lame elfiche, avrei giurato che le mie armi si sarebbero spezzate sotto i colpi possenti degli orrendi nemici.
Cercai quindi di distanziarli il più possibile, sfruttando a mia favore la pesantezza delle loro armature, mentre sfilavo tra un albero e l’altro zigzagando il più possibile per confonderli. Quando giunsi in un punto abbastanza alto, rinfoderai le lame per sfruttare l’arco, mantenendo la mia schiena ben piantata contro un tronco per non incorrere in colpi alle spalle mentre stringevo i denti per la tensione.
Stavo veramente iniziando a temere che avrebbero finito con il sopraffarmi, non importava quanti ne facessi cadere, poiché per ogni urukai abbattuto tre erano pronti a prendere il suo posto urlandomi contro rabbiosi.
Scoccai l’ultima freccia quasi con un senso di panico, mentre sfoderavo nuovamente le lame, puntellandomi sui talloni così da poter scattare ancora, ma una voce amica risuonò poco più in là:
« Valanyar! Vogliono gli hobbit! » mi stava urlando Gimli, come se già non lo sapessi saputo.
Merry e Pipino si stava dimostrando i cugini più coraggiosi della Contea, indirizzando l’orda su di sé per permettere a Frodo di scappare.
« Arrivo ! » risposi ruotando su me stessa, e dando le spalle agli urukai come una perfetta idiota per correre in aiuto del nano.
Sperai con tutte le mie forze che Faramir facesse come gli avevo detto, che non si avventurasse nel bosco per cercare di salvare anche Merry e Pipino e pensasse solo a proteggere Sam. Lui non possedeva un corno come il fratello, se fosse stato sopraffatto, come stavamo per esserlo tutti noi, nessuno sarebbe potuto correre in suo aiuto.
Mi lanciai con tutte le mie forze contro un urukai dandogli una spallata per sbilanciarlo, appena in tempo per fargli mancare il bersaglio della sua spada, che era stata la testa di Gimli.
Aveva cercato di attaccarlo alle spalla, poiché l’ascia del nano tagliava le loro carni con molta più facilità di qualunque altra arma, mentre urlava rabbioso e cercava di farsi strada verso le urla dei nostri amici.
« Valanyar! » sentii urlare di nuovo e riconobbi la voce di Merry, cercai di farmi forza, decapitando l’avversario successivo e colpendo i restanti due quasi alla cieca, senza accertarmi che i miei colpi fossero stati fatali o meno.
« Valanyar! » urlarono di nuovo entrambi gli hobbit, erano disperati e il terrore era così forte nella loro voce che per poco non temetti che li stessero uccidendo, lì a venti metri da me.
« Merry! Pipino! » urlai di rimando per fargli sapere che stavo arrivando, che sarei giunta anche se alla fine non avrei potuto fare molto per loro.
Ma non li avrei abbandonati.
 Sfruttai al meglio la discesa che mi si aprì davanti, saltando sulle spalle di un urukai solo per spezzargli il collo con una agilità che sapevo avrebbe reso fiero Haldir mentre raggiungevo i due hobbit.
Ero sempre più vicina, e per un attimo pensai quasi di farcela, mentre loro si dimenavano, cercando di colpire i loro aggressori con dei sassi. Fu solo per puro istinto che mi mossi dietro un albero al riparo, appena in tempo poiché una freccia mi sibilò accanto all’orecchio.
Alzai gli occhi sull’urukai che mi aveva attaccato e lo riconobbi anche se non lo avevo mai visto.
Sarebbe dovuto essere colui che avrebbe ucciso Boromir. Ma non era questo il giorno.
« Sei solo una seccatura ragazzino, sarà un piacere cibarmi della tua carne » ringhiò l’urukai mentre i due hobbit correvano a ripararsi alle mie spalle, menando fendenti con i loro piccoli coltelli per non farsi prendere dai due urukai che volevano catturarli. Era incredibile ciò che ti permetteva di fare l’adrenalina durante una situazione di panico totale.
« Alla fine voi urukai siete uguali agli orchi, tutte chiacchiere » sibilai a mia volta, mentre ci accerchiavamo a vicenda con le lame sguainate, sapevo che avrei dovuto fare in fretta, sicuramente lui non sarebbe stato l’unico urukai con un arco e prima o poi avrei rischiato che qualcun altro venisse a cogliermi alle spalle.
« Valanyar! » urlarono di nuovo gli hobbit proprio mentre l’urukai scattava per attaccarmi. Provò a colpirmi con il suo scudo, e quando rotolai di lato per evitarlo raccolse la spada di uno dei suoi compagni caduto, che aveva una lama spessa come una sega mal fatta, ma molto più spessa. Nonostante la rozzezza dell’arma ero certa che un solo fendente di quell’affare ben assestato mi avrebbe rotto il cranio senza problemi.
Quando mi attaccò, svincolai di nuovo a sinistra, ma l’urukai a questo giro fu pronto e mi tirò un calcio che fallii ad evitare, prendendomi in pieno petto.
Rotolai di vari metri, ma per fortuna, aveva preso in pieno il corpetto nella parte con le lastre d’acciaio che attutì il colpo, mozzandomi solamente il respiro.
Lo attaccai nuovamente, infilzandolo all’attaccatura delle placche dell’armatura perforandogli il costato dove però dovetti abbandonare una delle mie lame che restò incastrata.
L’urukai urlò dal dolore e dalla rabbia, mentre io lanciavo un’occhiata agli hobbit che ora urlavano il mio nome con ancora più disperazione e ne intuii il motivo poiché si stavano facendo sempre più lontani, caricati come sacchi di patate sulle spalle di due urukai che correvano lontani nella direzione opposta. Feci per chiamarli, ma avevo distolto troppo a lungo l’attenzione dall’urukai dietro di me che mi sbatté lo scudo dietro la nuca, mandandomi faccia a terra in meri secondi dall’impatto, mentre evitavo per un soffio la sua lama, bloccandola con l’unica spada che mi era rimasta.
Ero schiena a terra, con l’urukai che ringhiava con un sorriso consapevole sopra di me, mentre mi schiacciava forzando la mia stessa lama su di me.
Portai anche la mano sinistra a spingere, posando il palmo sul taglio della lama e spingendo con tutte le mie forze, incurante del sangue che iniziò a scendermi lungo il braccio mentre cercavo di contrastare la forza del guerriero.
L’urukai sbuffò, evidentemente stufo di quel gioco, sollevando la sua arma per darmi il colpo di grazia, ma io fui più veloce, scalciando nel punto dove fino a poco prima si era trovata l’altra mia spada e sfruttando quel momento di accecante dolore dell’avversario per sfilarmi da sotto di lui.
Mi rialzai nello stesso istante in cui il suo scudo volò verso di me, cercai di schivarlo dietro un albero ma fui troppo lenta, trovandomi intrappolata contro il tronco dalla morsa dell’acciaio come sapevo Aragorn sarebbe stato in un'altra vita.
« Hai perso ragazzino » sputò avvicinandosi come se avesse tutto il tempo del mondo, pronto a pregustarsi la mia morte.
Cerca di colpirlo alla cieca con la mia unica spada ma la scacciò via con un colpo secco della sua lama noncurante.
« Dì le tue ultime parole » mormorò l’urukai avvicinandosi e per un attimo pensai che sarebbe finita così. Che sarebbe stato quello il mio destino, morire al posto di Boromir e poi di Faramir, solo per dare ad Aragorn un senso, per permettergli di credere di nuovo nell’umanità.
Non era proprio come avevo sempre immaginato di morire ma andava bene. Come mi aveva detto il giovane capitano di Gondor all’inizio di quel viaggio, quale morte migliore, di quella di dare a tua vita per qualcuno che amavi?
Andava bene così, speravo solo che Legolas non si fosse affezionato neppure un po’ a me, non si meritava dell’altro vuoto nel cuore, era già una persona così sola, meritava di più. Meritava di poter amare senza quelle costanti note di dolore.
Pensai ad Aragorn e sperai che non mi dimenticasse. Sperai che quello  che avevo fatto fosse stato abbastanza per assicurare la riuscita della missione di Frodo.
Pensai a Gandalf, agli hobbit, alla mia famiglia a Gran Burrone e ad Haldir. Ero stata felice di averli conosciuti, ero stata fortunata.
Riflettei se chiudere gli occhi, per poter vedere i volti di coloro che amavo e non la faccia di quell’orrendo urukai, ma qualcosa nello sguardo del mio avversario cambiò.
«Ma che bel gingillo » disse quasi ipnotizzato. Stava guardando un punto che per me era in possibile da vedere ma non era difficile immaginare cosa fosse.
Non sentivo più il peso di Aiantcuil sulla mia pelle, il che era strano poiché solitamente con la camicia e il corpetto per lui era impossibile librarsi dai miei vestiti.
Eppure in quel momento doveva averlo fatto perché lo vedevo riflesso negli occhi del mostro.
L’urukai allungò la mano per prenderlo e non appena le sue dita si strinsero sul gioiello, il guerriero iniziò ad urlare in preda al dolore, mentre delle fiamme blu come il cielo stesso si espandevano dalla sua mano, irradiandosi dal suo palmo fin sopra la spalla, bruciando perfino la corazza fino alle ossa.
Quando il fuoco si spense del braccio non era rimasto che un vecchio ricordo raggrinzito, sette volte più piccolo del braccio sinistro con solo le ossa visibili e la carne bruciata attaccata.
Udii dei passi alla mia sinistra, e se non fosse stato accecato dal dolore e la rabbia, ero certa li avrebbe uditi anche l’urukai, invece si concentrò su di me, stringendo con più forza l’elsa della spada nella sinistra, pronto ad infilzarmi contro quello stesso tronco.
« Non ti hanno mai detto che non si devono toccare le cose degli altri senza permesso? » domandai sarcastica nemmeno un decimo di secondo prima che una freccia gli trapassasse la testa da parte a parte.
Crollò in avanti, ovviamente contro di me, facendomi gemere dal dolore ancora ancorata allo stupido albero dal dannato scudo.
« Ti sembrano battute da fare in un momento simile? » sibilò Aragorn evidentemente scosso mentre strappava lo scudo dal tronco, liberandomi anche del cadavere dell’urukai e scansionandomi da capo a piedi n cerca di ferite.
« Sto bene » dissi istintivamente ma lieta delle sue attenzioni, consapevole che certe cose non sarebbero cambiate « Hanno preso Merry e Pipino » rivelai indicando la parte dove il resto dell’orda si era dileguata, lasciandomi a giocare a giocare al gatto con il topo con il loro secondo in carica.
« Non sono neppure riuscito a raggiungerli » confessò Gimli con vergogna mentre seguiva il punto da me indicato con gli occhi colmi di rammarico.
« Troviamo gli altri » disse Aragorn interrompendo il flusso di pensieri di tutti noi mentre annuivamo.
Mi guardai intorno per cercare le mie lame dove erano state seminate a giro sul terreno, ma trovai Legolas a mezzo metro da me, che me le porgeva con un’aria imperscrutabile.
« Aiantcuil ha protetto fedelmente il suo padrone » disse l’elfo facendomi riportare l’attenzione sulla lacrima al centro del mio petto.
Il ciondolo non brillava più con lo stesso ardore di poco prima, di quando avevo perfino potuto vederlo  riflesso negli occhi color pece dell’urukai. Anzi se ne stava tranquillo, quasi opaco al centro del corpetto, quasi innocentemente, come se non avesse letteralmente bruciato via l’intero braccio di un possente guerriero.
In quel momento compresi cosa intendeva veramente Legolas. Cosa voleva dire possedere un oggetto magico.
Probabilmente non era niente, di terrificante o cosciente come l’anello di Sauron. Ma Aiantcuil aveva capito che ero in pericolo, si era esposto e mi aveva difeso, mi aveva riconosciuto come suo padrone e Legolas aveva fatto lo stesso.
« Grazie » disse prendendo le mie armi bianche dalle sue mani e rinfoderandole al loro posto, dedicando all’elfo un sorriso timido.
E avrei potuto giurare, che Legolas avesse iniziato  piegare le labbra al’insù, in una timida risposta, prima che Aragorn ci riportasse con i piedi in terra costringendoci ad interrompere il contatto visivo per voltarci a guardarlo mentre ci ordinava ci darci una mossa e seguirlo.
Mi riscossi, scuotendo brevemente la testa per riappropriarmi dei miei pensieri mentre lo seguivo a corsa, dirigendomi verso il nostro accampamento, dove avevamo visto per l’ultima volta Faramir e Sam.
 
Arrivai appena in tempo per vederli scendere dalla barca.
Alzarono tutti e tre gli occhi su di me mentre io sentivo che avrei potuto mettermi a piangere da un momento all’altro, ma mi trattenni, alzando la mano in un segno di saluto ma senza azzardarmi ad aprire bocca poiché avrei rischiato solo, di richiamarli indietro per riavere Frodo con me, al sicuro.
Avrei voluto dirgli quanto ero fiera di lui. Che sarebbe stato un eroe per tutti e che se alla fine avesse deciso di mollare, lo avrei capito. Lo avrei riaccolto a braccia aperte con lo stesso ardore …
In realtà una parte di me, quella che teneva a Frodo Baggins come ad uno di famiglia, avrebbe voluto proprio quello, che lanciasse l’anello in fondo al fiume e tornasse con me alla Contea, solo per poter prendere assieme il tea e mangiare panini al latte con il formaggio.
Fingendo per  qualche altro giorno che la guerra non marciava su tutti noi inesorabile. Solo per proteggerlo, perché quando sarebbe tornato non sarebbe più stato il Frodo che amavo, qualcosa dentro di lui sarebbe morto per sempre, e sarebbe stata anche colpa mia.
Avrei voluto che molte cose fossero andate diversamente.
Così mi voltai a guardare Aragorn che mi veniva incontro, mentre Legolas preparava una barca per raggiungere gli hobbit e Faramir dall’altra parte del fiume.
Il ramingo si avvicinò e per un attimo temetti che mi avrebbe nuovamente accusato di averli abbandonati che avrei dovuto fare qualcosa, come quando aveva lasciato Gandalf cadere. Invece l’erede al trono mi prese tra le mie braccia, lasciandomi affondare il viso nel suo petto, e permettendomi di nascondere il dolore che provavo in quell’abbraccio mentre mi sussurrava dolci parole ma che portavano solo un’amara consolazione.
« Non intendi seguirli? » domandò Legolas poiché dovette notare qualcosa negli occhi di Aragorn, che io ancorata al suo calore non potevo vedere.
Mi costrinsi a fare tre respiri profondi, ogni volta inspirando il profumo familiare di Aragorn che mi ricordava sempre i nostri viaggi assieme ed Imladris, il ramingo per me profumava di casa. Alla fine del terzo respiro mi costrinsi a fare un passo indietro e a guardare il moro negli occhi che per un attimo passò il suo sguardo da Legolas, a me, come in cerca di conferma.
« Il destino di Frodo non è più nelle nostre mani » sancì Aragorn facendo spuntare un’espressione di stupore nel volto di Legolas. Era l’unico che non sembrava aver minimamente risentito della battaglia, stava perfettamente immobile, con le mani ancora poggiate sulla barca, come se fosse sempre pronto a metterla in acqua. Ma per il resto era impeccabile, non un capello fuori posto o uno schizzo di sangue a sporcargli i vestiti.
« Dunque è stato tutto vano, la compagnia a fallito. » commentò Gimli appoggiandosi sulla sua ascia con aria affranta. Mi avvicinai al nano, poggiando una mano sulla sua che teneva l’ascia dandogli una strizzata d’incoraggiamento.
 « Mia signora? » mi domandò Gimli come faceva a volte, come se riuscisse a vedere tutti gli anni che mi portavo dietro e si aspettasse che da un momento o l’altro me ne uscissi con una profezia che avrebbe cambiato le sorti del mondo.
« Non abbandoneremo Merry e Pipino al tormento e alla morte. Non finché ci resterà forza. Lasciate tutto ciò che non vi occorre viaggerete leggeri » gli rispose Aragorn.
« Andiamo a caccia di urukai amico mio » dissi guardandolo negli occhi, sorridendo con lui quando gli si riaccese la fiamma della determinazione.
Lanciai un’ultima occhiata alla sponda opposta, dove Faramir, Frodo e Sam erano oramai scomparsi. Pregai che fossero cauti e che niente di male gli succedesse. Sperai che Faramir arrivasse sano e salvo a Minas Tirith e che non incontrassero Boromir lungo la strada. Sperai che Frodo lasciasse aperta la porta del suo cuore anche solo un misero centimetro, per il buon Sam, sarebbe stato sufficiente per raggiungerlo ogni volta.
« Andiamo » ripetei scambiandomi uno sguardo d’intesa con Aragorn prima di partire per la lunga marcia.
 
 
 
 
 
 
 
 












 
 
l’amore che aveva provato per Tauriel.¹ = i tenevo a specificare per non creare confusione, che l’amore che Legolas e Tauriel provavano l’uno per l’altro era fraterno. Tauriel era per Legolas come Valanyar era per Aragorn.
Come avevo già detto gli elfi amano una volta sola, e se il “vero” amore di Legolas fosse stato Tauriel lui sarebbe rimasto vuoto come Thandruil, invece soffre come un cane uguale, ma non per lo stesso motivo. ^^’
 



NdA : Forse avrei dovuto mettere qualche avvertimento, come Slow Burn. Molto slow considerando che in sette capitoli hanno parlato due volte Valanyar e Legolas xD
Spero vi sia piaciuto! Dal prossimo capitolo finalmente il viaggio si farà più avvincente a avremo più sviluppi, spero anche di riuscire a rendere le scene di battaglia in modo accettabile ^^’’
Ciao, e grazie per i vostri commenti fate la mia giornata <3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


▌ Capitolo 7  ▌
 







 
 
«  La morte esisteva già da prima che lei morisse;
prima però la vedevo con il binocolo,
adesso con la lente d’ingrandimento.
E non posso distogliere lo sguardo»
 
__Marica Pietroni
 







 
«Affrettano il passo» commentò Aragorn con un orecchio sulla nuda pietra, ascoltando i rumori della terra.
«Ci hanno fiutato» ribattei raggiungendolo solo in quel momento con una mano su un fianco pregando che la milza non mi esplodesse per lo sforzo mentre mi trattenevo dal buttarmi a terra sfinita.
Eravamo più vicini di quanto saremmo dovuti essere, dovevamo considerando che non avevamo perso tempo a piangere un compagno perduto, nessun funerale e nessun saluto elfico.
Solo un’eterna marcia che andava di giorno in notte senza tregue, spingendo al massimo le nostre energie per non perdere terreno.
«Ce la fai? » domandò Aragorn poggiandomi una mano alla base della schiena, in una lieve carezza.
Annuii, rimettendomi dritta e guardandolo confusa dinanzi al suo sorriso a trentadue denti.
«Ti ricordi quando avevo quindici anni e hai iniziato a obbligare Elladan ed Elrohir a farmi marciare giorno e notte per una settimana intera? » domandò mentre io rispondevo al suo sorriso, capendo dove volesse andare a parare.
« Certo, la prima volta che glielo chiesi, eri così sconvolto che iniziasti a perseguitarmi scusandoti su tutte le malefatte che mi avevi fatto in passato ».
« Non te l’ho mai detto, ma negli anni ogni tanto ho continuato a provare a mantenere quell’esercizio. Con il senno di poi, capii che di rado facevi qualcosa senza un secondo fine » terminò mentre venivamo finalmente raggiunti da Legolas e Gimli. Quest’ultimo evidentemente provato, molto più di me nonostante i nani fossero ben più resistenti degli umani, mentre il primo pareva tornato da una piacevole passeggiata.
Quando Aragorn ripartì, mi scambiai uno sguardo d’intesa con Gimli mentre l’elfo riprendeva a correre senza batter ciglio, andando in cima alla comitiva come se niente fosse.
« Dannati elfi » sbuffammo assieme senza un reale astio ma con un forte rancore mentre riprendevamo anche noi  la dura marcia.
Aragorn aveva avuto ragione, lo avevo fatto allenare per questo preciso giorno, ma a causa degli “impegni” degli ultimi anni io non avevo un ritmo altrettanto buono.
Le mie gambe erano in fiamme, il fiatone era così forte che non riuscivo nemmeno a bere senza soffocarmi con l’acqua e avevo così tanta fame che avrei potuto mangiare un elefante intero. L’unica cosa che per il momento non stavo subendo era la stanchezza, certo il mio corpo era a pezzi e se mi fossi fermata, avrei probabilmente dormito per i successivi tre anni, ma dato che Aragorn non ci permetteva alcuna sosta non vi era pericolo. ¹
« Sono vivi Val ? » domandò il nano accanto a me, fui tentata di commentare sul diminutivo ma decisi di tacere, notando lo sguardo ombroso di Gimli che osservava l’orizzonte pieno di timore.
« Credo amico mio, che gli uruk-hai non sanno a cosa sono andati incontro rapendo proprio Merry e Pipino » risposi facendo la vaga, ma scambiandomi un sorriso con Gimli che ricambiò in uno sbuffo divertito.
« Li uccideranno con le loro chiacchiere senza senso? » domandò sarcastico ma evidentemente più di buon umore, mentre continuavamo a commentare sulle pessime abitudini dei due hobbit, fino a quando ore dopo, Aragorn non si fermò nuovamente, osservando il terreno.
 Mi chinai vicino a lui, raccogliendo la spilla a forma di foglia e pulendola dalla sporcizia così da poterla restituire al proprietario più in là.
« Non a caso cascano foglie di Lòrien » disse il ramingo incrociando il mio sguardo, in cerca di una risposta.
« Sono dunque ancora vivi? » domandò Legolas rivolgendosi a me, con la speranza negli occhi mentre io annuivo.
« Saruman li vuole vivi, non sa quale dei mezzuomini possiede l’anello ».
« Dobbiamo raggiungerli, nono oso immaginare a quali torture potrebbe sottoporli il bianco stregone » aggiunse Aragorn.
Ripresero a correre, come se tutta quella fatica non li sfiorasse nemmeno, anche se perlomeno Aragorn dava più soddisfazione con le guance rosse dallo sforzo e la fronte pregna di sudore.
« Andiamo Gimli! » urlai al nano che finì per rotolare la discesa che si stava apprestando a scendere, facendomi scoppiare in una risata dolorosa.
« Venite, guadagniamo terreno! » ci urlò di rimando Legolas, che assieme ad Aragorn ci aveva già distanziato di un centinaio di metri, mentre io riprendevo a correre abbandonando Gimli nelle retrovie, a maledirci e urlandoci contro che i nani erano sprecati nella corsa campestre.
Mi costrinsi a ignorarlo, per non sprecare il poco ossigeno che riuscivo a trattenere nei polmoni.
Potevo sentire Legolas e Aragorn discutere sulla destinazione che avevano preso gli uruk-hai, confermata dagli occhi dell’elfo che riusciva a vederli cambiare strada in direzione di Isengard.
« Corrono come se avessero alle spalle i padroni con le fruste » commentò dopo qualche altra ora il biondo guardando davanti a sé.
Aveva rallentato il suo passo, per restare con noi nelle retrovie, ma poiché Gimli era ancora più lento della sottoscritta, l’elfo aveva assunto la mia stessa andatura, ogni tanto lanciandomi un’occhiata che avrei giurato fosse preoccupata.
Dovevo avere proprio una brutta cera per far crescere del timore negli occhi di Legolas.
Annuii, guardando nella sua stessa direzione, ma io riuscivo solo a distinguere in lontananza la schiena di Aragorn e il sole che iniziava a tramontare all’orizzonte. Se quella marcia non fosse finita in fretta, sarei crollata.
« Aragorn fermati! Dobbiamo riposare » esclamò Legolas parlando al plurale, nonostante non avesse neanche una goccia di sudore tra i capelli, attirando però l’attenzione del ramingo che si fermò.
Il moro mi guardò preoccupato da capo a piedi quando finalmente lo raggiungemmo, mentre cercavo di mantenermi in piedi con tutta la mia forza di volontà.
« Si sono fermati per la notte » spiegò l’elfo indicando oltre le capacità dei nostri occhi. Iniziavo a chiedermi, se gli elfi riuscissero a vedere le loro Terre con una vista simile, oltre i confini del mondo.
« Allora affrettiamoci, sono a meno di un giorno possiamo raggiungerli » disse il ramingo nonostante il fiatone.
« Per affrontarli con quali forze? » gli fece notare Legolas mentre Gimli ci raggiungeva solo in quel momento, lasciandosi cadere a terra con un tonfo sordo, sdraiandosi a gamba e braccia larghe, prendendo grandi boccate d’aria dalla bocca.
Alzai uno sguardo scettico su Aragorn, che dopo aver osservato per qualche altro secondo il nano annuì. Io non aspettai un altro secondo, per sdraiarmi a terra anch’io, sfruttando senza troppe cerimonie il braccio di Gimli come cuscino, mentre quest’ultimo se ne esordiva con:
« Riposiamo, Valanyar ne ha bisogno » facendoci tutti ridacchiare mentre io lo punivo con una gomitata nelle costole che gli spezzarono il respiro con un guaito dolorante.
Restai immobile a fissare il cielo, probabilmente per quasi un’ora, ascoltando il cuore che mi rimbombava nelle orecchie, rallentando man mano il suo battito, fino a quando anche il respiro non mi tornò regolare e crampi nei polpacci mi abbandonarono.
« Sono troppo vecchia per queste cose » commentai infine, quando mi fui ripresa e un piccolo accampamento di fortuna fu montato dinanzi alla forma russante di Gimli.
Legolas aveva raccolto un po’ di legna, mentre il ramingo aveva cercato della frutta, portando al campo delle bacche dolcissime e qualche mela, per non affaticare i nostri stomaci vuoti e privi di cibo da tre giorni.
« Ricordo che hai sempre odiato correre » aggiunse Aragorn guardandomi da sopra il fuoco prima di avvicinarsi e aprendo il mio zaino, che per tutto il tempo aveva portato Legolas. Dalla sacca tirò fuori una delle fiale del marsupio e una benda pulita per cambiare la fasciatura della mia mano.
« Sei stata fortunata, se la lama fosse affondata un po’ di più, ti avrebbe reciso i tendini » commentò il ramingo sovrappensiero dopo aver tolto le garze sporche ed esaminando con attenzione la ferita.
Stava guarendo bene nonostante la marcia forzata, le medicine elfiche erano un vero e proprio portento.
« Beh sempre meglio il tendine della mano della mia testa » gli ricordai trattenendo un sibilo di dolore quando iniziò a spalmare la crema nel taglio. Aragorn annuì senza neppure sprecarsi a rispondermi poiché sennò saremmo nuovamente tornati in un circolo vizioso dove lui mi criticava per essere stata troppo avventata ed io lo accusavo che lui al mio posto avrebbe fatto letteralmente lo stesso.
« Quegli esseri che abbiamo affrontato » iniziò Legolas attirando la mia attenzione su di sé « Saruman, ha usato gli elfi vero?² » domandò con gli occhi persi dentro le fiamme del piccolo fuoco mentre spiluzzicava qualche bacca dando un’immagine di spensieratezza.
Ma nonostante non conoscessi veramente Legolas, avevo imparato un po’ a leggerlo durante i nostri mesi assieme e notai le nocche bianche della mano stretta a pugno e la rigidità della mascella mentre parlava. Non era semplicemente triste, era furioso. E come dargli torto?
« Sì, corpi deturpati negli anni bui che la terra aveva conservato » mormorai non ricordando esattamente come il Bianco Stregone vi fosse riuscito.
Ma aveva forse importanza? Oramai l’unica cosa bianca rimasta di Saruman erano le sue vesti, e presto avrebbero perso anche loro quello splendore, per rispecchiare il loro padrone.
Legolas alzò lo sguardo per incrociare i miei occhi colmi di dispiacere. Sapevamo tutti quanto fosse abominevole quello che aveva fatto lo Stregone, quanto la sua anima dovesse essere marcita per commettere un crimine simile.
« Awhartha mîn dùath-môr [ Persi nell’oscurità] » sussurrò così piano, che se non avessi visto le sue labbra muoversi avrei creduto di essermelo immaginato.
« Awharatha . Al -awarthol [Perduti. Ma non dimenticati ] » gli risposi desiderando di essere più vicina all’elfo per potergli stringere la mano in un tentativo di consolazione. Invece strinsi l’erba sotto il palmo della mano libera dalla presa di Aragorn, sostenendo lo sguardo dell’elfo, fino a quando lui non accennò un cenno con il capo in un muto ringraziamento. Le sue nocche tornarono del loro colore naturale e la mascella si rilassò, sorrisi tra me soddisfatta.
Forse non avrei potuto fare molto per Legolas, e non era neppure colpa mia se era stato costretto a dimenticare Tauriel ma se avessi potuto garantirgli almeno un po’ di pace, lo avrei fatto.
Il ramingo finì di fasciarmi, lasciandomi andare con uno sguardo soddisfatto sicuramente non solo per il suo lavoro appena svolto, mentre si offriva di fare il primo turno di guardia, invitando me e Legolas ad imitare Gimli e riposare.
Chiusi gli occhi e piombai immediatamente in un sonno senza sogni così profondo che temetti che non sarebbero riusciti a risvegliarmi.
 
 




« Val svegliati » mormorò una voce che riconobbi come quella di Gimli mentre stavo venendo scossa per una spalla con la stessa grazia di un frullatore. Spalancai gli occhi guardando il nano come se volessi ucciderlo con le mie mani, mentre lui alzava in fretta le braccia in segno di resa, borbottando che glielo aveva detto Aragorn di farlo.
« Con questa stessa delicatezza? » domandai schiarendomi la voce, e accettando la borraccia d’acqua che mi porse Aragorn dalla sua sacca.
« Sorge un sole rosso, stanotte è stato versato del sangue » ci annunciò Legolas al posto del buongiorno, mentre io mi tiravo in piedi, cercando di stirarmi i vestiti con le mani nonostante la stoffa elfica non permettesse a nessuna grinza di sciuparne la bellezza.
La sera prima mi ero addormentata con ancora le spade in vita e il corpetto stretto, quindi mi limitai a passarmi le dita tra i capelli con qualche goccia del siero per capelli elfico, lieta che le due sorelle me lo avessero donato, anche se non vedevo comunque l’ora di un bagno. Sicuramente però le mie condizioni erano le migliori tra Aragorn e Gimli che sembrava avere dei nidi per uccelli nei capelli intrigati dal sudore.
Legolas nemmeno a parlarne, era sempre splendido anche appena sveglio, in cima alla collina mentre osservava l’alba e i riflessi rossi del sole risplendevano tra i suoi capelli biondi dolcemente scomposti dal vento. Se non fossi stata così abbagliata dalla sua bellezza, probabilmente mi sarei aperta in una faccia di disgusto simile a Gimli che mi riscosse con una gomitata nel fianco, a causa della sua altezza.
« Smettila di fissare il bellimbusto e preparati per ammirare per i prossimi giorni, solo il mio viso » commentò il nano con una risata possente facendomi sorridere dietro il leggero imbarazzo.
« Oh Gimli credo che sarò costretta a rinunciare a tanto splendore, poiché penso che a breve troveremo un passaggio » dissi prendendo il mio zaino e mettendomelo sulle spalle, prima di scattare, correndo verso Legolas e Aragorn che avevano già iniziato la marcia mentre il nano dietro di me mi urlava di aspettarlo.
« Cosa significa?! Valanyar!  Rispondimi!
Dannata chiromante da due soldi! » m’inveì contro, facendomi quasi inciampare nei miei stessi passi mentre ridevo mantenendomi però a distanza di sicurezza dalla sua ascia.
 
Nonostante la mia previsione, corremmo per diverse ore.
Si poteva però finalmente intravedere del fumo in lontananza che aveva fatto arricciare le sopracciglia nella fronte di Legolas, che si voltò per lanciarmi uno sguardo interrogativo.
« Sono fuori dalla mia vista » disse a voce bassa, per non farsi sentire da Aragorn più avanti.
« Gli uruk-hai sono stati colti alla sprovvista stanotte » lo informai senza aggiungere niente di più, a breve avremmo incontrato i guerrieri di Rohan e loro avrebbero risposto alle sue domande, risparmiandomi così di dover parlare mentre correvo.
La milza non minacciava più di esplodermi, ma le mie gambe non sembravano aver gradito la ripartenza in quarta.
Riconobbi la valle prima di udire il rumore di zoccoli dietro di noi, al quale, venni spinta tra le rocce dall’elfo con una velocità che mi mozzò per un attimo il respiro, ma una delicatezza, che mi ricordò vari mesi prima con i corvi mandati da Isengard.
« Amici o nemici? » mi sussurrò l’elfo nell’orecchio mentre mi schiacciava contro la roccia, mi voltai verso sinistra, dove il rumore si era fatto più forte e i cavalli passavano fragorosi accanto a noi.
Anche Aragorn si voltò, incrociando il mio sguardo in attesa di una mia risposta.
« Amici » gli assicurai mentre il ramingo quindi usciva allo scoperto, richiamando i cavalieri a gran voce mentre io tiravo un sospiro di sollievo quando Legolas si allontanò, permettendomi di pensare razionalmente.
« Sappi che non mi piace neppure questo di biondo. » mi prese in giro Gimli mentre seguivamo gli altri due, e lo fulminai con uno sguardo truce.
Iniziavo a temere, che Gimli si stesse iniziando a divertire un po’ troppo nel prendere in giro la sottoscritta. Avrei voluto avere sempre intorno i due giovani hobbit, così che potessero essere di nuovo loro a intrattenere il nano.
Sollevai il cappuccio lasciando comunque il mio viso scoperto ma certa che almeno avrebbe aiutato l’illusione dei vestiti di Lothlòrien. A differenza degli occhi che era inutile coprire, Éomer li conosceva.
I cavalieri ci accerchiarono in fare minaccioso, puntandoci contro le lance mentre continuavo mantenere un’espressione indifferente, cercando di far rilassare i miei compagni per fargli capire che andava tutto bene.
« Che ci fanno un Elfo, un Nano un Uomo e un Ragazzino nelle Terre del Mark, rispondete e in fretta. » ruggì il cavaliere dinanzi a Aragorn, l’unico senza un’arma puntata contro di noi.
Osservai Éomer mentre il ramingo gli rispondeva, era cresciuto molto dall’ultima volta che lo avevo visto e il suo temperamento non era per nulla migliorato, soprattutto quando minacciò di decapitare Gimli per la sua insolenza. Che in tutta onestà era quasi comprensibile, Éomer era così giovane rispetto ai presenti che per un hobbit non sarebbe ancora neppure stato un adulto.
« - siamo amici di Re Théoden, vostro Re » stava concludendo il moro in quel momento, ma non appena mi aveva nominato, presentandomi come Gwend, potei sentire su di me lo sguardo di tutti i cavalieri.
« Val? Che cosa hai fatto a questi gentiluomini? » mi bisbigliò Gimli avvicinandosi, mentre Legolas sembrava quasi tentato di incoccare nuovamente la freccia del suo arco.
« Siete … quel Gwend? » commentò Éomer dopo vari minuti di silenzio, mentre io mi facevo strada tra i miei compagni e davanti ad Aragorn.
« Ehilà ragazzino, siamo cresciuti » lo salutai con un sorriso allegro, mentre i soldati attorno a lui esplodevano in un chiacchiericcio sommesso e il cavaliere scendeva da cavallo con un’espressione stupefatta, sfilandosi l’ingombrante elmo dalla testa.
« Perdonatemi mio signore, non vi avevo riconosciuto » mi salutò il Capitano con un breve inchino del capo in segno di rispetto, mentre gli altri cavalieri battevano tre volte le armi contro gli scudi, rimbombando nel silenzio della radura. « Sior! ³ » gridarono in coro prima di tornare in posizione, stupendomi non poco.
Mi aspettavo di essere riconosciuta da Éomer non certo da qualcun altro, forse le leggende sul mio nome continuavano ad aleggiare a Rohan ma non ne vedevo il motivo poiché non passavo più dalle Terre dei Cavalli da anni.
« Speravo che un giorno saresti tornato, è da tempo che chiediamo di te a Gondor ma il Sovrintendente ha smesso di risponderci da molto, sostenendo che eri perito in battaglia » mi scambiai uno sguardo allibito con Aragorn, lieta che Faramir non potesse essere lì con noi a testimoniare le bugie di suo padre.
Perché certamente Denethor doveva aver saputo che avevo combattuto assieme a suo figlio per riconquistare la città sul fiume, ma aveva deciso di tenere per sé quell’informazione, mentendo a Rohan.
« Ho lasciato Gondor anni fa dopo alcune battaglie senza dare spiegazioni … É possibile che la mia scelta sia stata male interpretata » risposi in tono neutro, decidendo che l’intera nazione non meritava certo di pagare a causa della sconsideratezza di chi li guidava.
Ci sarebbe stato un giorno in cui i Regni degli Uomini avrebbero dovuto scegliere se unirsi o perire. Non volevo essere la causa di maggiori dissapori perché i regnanti si scambiavano false informazioni.
« Di cosa avevi bisogno? » domandai incuriosita e impensierendomi ancora di più quando vidi Éomer scambiarsi uno sguardo dubbioso con un altro soldato.
« Non sappiamo di chi fidarci, il Bianco Stregone ha avvelenato la mente del Re. Vaga qua e là dicono, come un vecchio con mantello e cappuccio e ovunque le sue spie fuggono alle nostre reti » ammise il giovane condottiero con voce contrita disturbandomi non poco.
« Non siamo spie » intervenne Aragorn attirando l’attenzione di Éomer « Inseguiamo un gruppo di uruk-hai diretti a Ovest. Hanno fatto prigionieri due nostri amici. »
« Gli uruk sono distrutti, li abbiamo trucidati stanotte ».
Mi voltai verso Gimli quando esclamò turbato, chiedendo informazioni sugli hobbit e portando una mano sull’avambraccio di Aragorn, stringendolo leggermente per fargli capire che andava tutto bene.
 Éomer fece richiamare due cavalli, ma poi mi fece cenno con il capo di allontanarmi leggermente dal gruppo, mentre il compagno porgeva le redini delle nostre nuove cavalcature ad Aragorn e Legolas.
« La speranza ha abbandonato queste terre, ma la tua presenza Gwend - » lo fermai prima che potesse finire di parlare poiché non avevamo molto tempo.
« Éomer perché vaghi come un disperso nelle tue stesse terre? Devi tornare a palazzo temo per tua sorella » dissi perentoria lanciando un’occhiata torva intorno a me. Ricordavo poco questo punto della storia, perlomeno la parte che assicurava Éomer a un ruolo nella prima battaglia per la Terra di Mezzo. Ero certa che mi stesse sfuggendo qualcosa, che avrei dovuto avvisarlo di qualcosa, ma non ricordavo cosa.
« Io non ne sono sicuro, ma temo sia in pericolo, sola a palazzo. Vi è un serpente a corte molto velenoso »
« Grima » sussurrò il cavaliere guardandomi con gli occhi spalancati da rabbia e disgusto. « Che cosa crede di fare a Éowyn ? »
« E’ il suo pagamento, il prezzo per aiutare Saruman. Éomer devi tornare a palazzo, per impedire - » Cosa? Impedire cosa?
Cosa sarebbe avvenuto nella notte che sarebbe trascorsa, di così importante che mi stava facendo arrovellare il cervello, senza trovarne una soluzione?
Tutto sembrava tornare: Éomer che ci trovava, Éowyn sarebbe stata salva al nostro arrivo e Théoden liberato. Cosa mi stava sfuggendo?
« Ci troveremo ad Edoras entro due giorni » conclusi infine, scuotendo leggermente la testa per cercare di scacciare via quella brutta sensazione.
Il Capitano di Rohan studiò il mio viso per qualche secondo, probabilmente la sua mente doveva brulicare di domande. “Perché sai tutto questo, e come?” ma nonostante potessi leggere i dubbi nei suoi occhi, alla fine annuì stringendo la mascella e rinfilandosi l’elmo.
« Ti aspetterò Gwend, forse avrò modo di ripagarti finalmente » disse tornado al suo cavallo e montandoci sopra mentre i suoi cavalieri si preparavano alla partenza, rimettendosi in formazione.
« Verrò a riscattare il tuo debito non temere » gli risposi come tanti prima, guardandolo partire con ancora quel dubbio che mi tormentava ma anche quando svanì dalla mia vista, non mi tornò a mente niente degno di nota, così scrollai le spalle, sperando che fosse solo una brutta sensazione e montai a cavallo dietro Aragorn.
 
Prendemmo a riferimento la colonna di fumo che ci aveva indicato Éomer per raggiungere l’accampamento dove avevano affrontato gli uruk-hai mentre nel tragitto, raccontavo ad Aragorn come avevo conosciuto il nipote del Re e a quale debito avesse fatto riferimento prima.
Giungemmo alla pira di corpi che emanava un disgustoso odore di carne bruciata, lasciai il nano cercare tra i cadaveri mentre facevo un cenno ad Aragorn sui segni sul terreno.
« Lascia stare i cadaveri Gimli, non li troverai » dissi di fretta « Le tracce sulla terra, non sono brava come te ne trovare le tracce. Dobbiamo ripercorrere i loro passi fin dentro la foresta » dissi al ramingo che si mise subito all’opera aiutato dallo sguardo acuto di Legolas.
« Fangorn ? Quali pazzia li ha condotti lì dentro? » mi domandò Gimli venendomi accanto a passo svelto, felice di sapere che per i due hobbit, ancora non tutto era perduto.
« Un orco desideroso di papparseli » gli risposi con una lieve scrollata di spalle, mentre il nano lanciava un’altra occhiata alla piramide di cadaveri, notando solo adesso anche i corpi degli orchi. Aprì la bocca come per dirmi qualcosa, prima di limitarsi a scuotere il capo, borbottando tra sé e se che era inutile discutere con i veggenti.
« Da questa parte! » ci richiamò Aragorn che finalmente aveva trovato la pista che ci serviva, costringendo tutti noi ad accelerare il passo quando notò che erano stati inseguiti all’interno del bosco.
« Il loro inseguitore è morto » lo rassicurai appena raggiunsi sia lui sia l’elfo « Ma proseguiamo » dissi mentre ci mettevamo in fila indiana ed io invitavo Gimli ad abbassare l’ascia, poiché le fronde degli alberi iniziarono a muoversi come un contadino rabbioso che aveva riconosciuto dei ladri.
Il nano strabuzzò gli occhi abbassando l’arma, ma stringendo il bastone con ancora più forza.
« I due hobbit sono riusciti a uccidere l’orco? » domandò Gimli per stemperare la tensione che si portava dentro, anche se dinanzi al nome della creatura oscura, gli alberi si piegarono nuovamente su se stessi innervositi.
Mi portai un dito dinanzi alla bocca, suggerendo al nano di parlare più piano, giacché per lui tacere sembrava impossibile.
« No, è stato ucciso da qualcos’altro »
« Cosa? » domandò immediatamente Gimli, mentre Legolas mi lanciava uno sguardo sospettoso da oltre la spalla. Probabilmente l’elfo aveva notato dal mio tono che mi stavo per divertire alle spese del povero nano.
« E’ stato, schiacciato da un albero »
« Uh. » commentò scettico, guardandomi per qualche secondo di troppo prima di aggiungere: « Che fortuna che sia cascato ».
« In realtà lo ha pestato » spiegai voltandomi verso il mio compagno d’armi, che mi guardò strabuzzando gli occhi, prima di fare una piroetta su se stesso, guardandosi intorno nervoso.
« Pestato? Gli alberi, si muovono qui dentro ?! » domandò in un sussurro che però parve un urlo mal trattenuto, facendomi scappare una risata divertita dinanzi l’espressione di Gimli.
In tutta onestà, la foresta di Fangorn non piaceva neppure a me, nonostante fosse molto antica. Era così piena di rabbia e rancore che forse in un tempo passato avrebbe perfino potuto fare parte dell’esercito di Sauron. Ma grazie alla superbia di Saruman, gli alberi erano stati abbattuti e sarebbero stati guidati dalla rabbia cieca degli Ent per le vittime subite dinanzi alla scelleratezza dello stregone.
« Tecnicamente, è stato un Ent » dissi riprendendo il filo del discorso, notando Legolas dinanzi a me voltarsi entusiasta, con un vero e proprio sorriso in volto, che per un attimo mi abbagliò prendendomi totalmente alla sprovvista.
« Un Ent! Un pastore di alberi, temevamo fossero andati estinti » esclamò guardandomi come se gli avessi appena divulgato la notizia più bella degli ultimi cento anni.
Balbettai per qualche secondo, senza neppure sapere cosa volessi dire all’elfo ma non ve ne fu bisogno poiché quest’ultimo si voltò all’improvviso:
« Aragorn, nad no ennas [ Aragorn, là c’è qualcosa ] » avvertì mentre ci affiancavamo tutti l’un l’altro lungo una piccola radura.
« Lo stregone bianco » ci avvertì l’elfo mentre i miei compagni si riscossero dinanzi all’avvertimento, preparandosi a  combattere.
Quando un uomo avvolto da una luce bianca accecante apparve dinanzi a noi, Aragorn provò a colpirlo con la sua spada, ma l’elsa lo bruciò. L’ascia di Gimli si abbatté contro una forza invisibile che lo mandò a gambe all’aria e la freccia di Legolas si spezzò a mezz’aria.
« State seguendo le tracce di due giovani hobbit » iniziò a parlare lo stregone con la stessa voce di Saruman mentre io non me ne curavo, correndo in avanti ad abbracciare un vecchio amico mentre i miei compagni dietro di me urlavano il mio nome pieni di terrore, notando le mie spade ancora ben inserite nelle loro fodere.
« Ce l’hai fatta » dissi quando le mie braccia si avvolsero ad un corpo caldo, stringendo forte per assicurarmi che fosse lì, davanti a me.
« Tu sei caduto » udii dire ad Aragorn alle mie spalle, ed io intuii che la luce doveva essersi assopita, permettendo finalmente ai presenti di vedere Gandalf in viso.
« Mi sei mancato » mormorai quando lo stregone abbassò lo sguardo su di me, sorridendomi fraterno, mentre passava una mano tra i miei capelli, portando via tutto il dolore che la sua perdita mi aveva causato assieme alle incertezze e i dubbi.
« Deve essere stata dura per te amica mia » disse il nuovo Bianco Stregone continuando a carezzarmi come se non avessimo un pensiero al mondo. Come se fosse un pomeriggio qualsiasi a Casa Baggins e la nostra preoccupazione maggiore era far freddare il tea.
« Gandalf » mormorarono Gimli e Legolas alle mie spalle,attirando nuovamente le attenzioni dello stregone, che per un attimo apparve confuso dinanzi all’utilizzo di quel nome.
« Gandalf il Grigio, così mi chiamavano. Io sono Gandalf il Bianco e ritorno da voi al mutare della marea. Una fase del vostro viaggio è terminata, un’altra è iniziata, dobbiamo andare ad Edoras e di volata »
« E va bene » dissi districandomi dallo stregone, raccogliendo la spada di Aragorn che era volata a qualche metro da lui, porgendogliela senza incontrare il suo sguardo.
Non avevo voglia di parlarne, non fino a quando io stessa non avessi avuto tempo di parlare a quattr’occhi con l’ex Grigio Stregone.
« Tutta questa strada dietro a quegli hobbit, per niente? » commentò con uno sbuffò Gimli mentre io gli davo una pacca sulla spalla d’incoraggiamento.
« Merry e Pipino hanno un altro scopo, ci ricongiungeremo a loro, ma non adesso. » dissi camminando accanto al nano mentre Gandalf ci faceva strada verso il limitare della foresta.
« Ha ragione Valanyar, grazie al loro arrivo. Gli Ent si risveglieranno e scopriranno di essere forti! » annunciò lo stregone sorridendoci enigmatico oltre la spalla, mentre Aragorn e Legolas si scambiavano uno sguardo confuso.
« Gli Ent? Non sono gli stessi che hanno pestato quell’orco? Siamo sicuri che gli si possano lasciare dei piccoli hobbit intorno a loro? » mi domandò il nano evidentemente dubbioso mentre io non feci in tempo neppure ad aprire la bocca che fui anticipata da Gandalf.
« Smetti di crucciarti Mastro Nano! Merry e Pipino sono al sicuro, in effetti, molto di più di quanto non stai per esserlo tu! » soffiò lo stregone irritato dalle tante domande.
La morte non lo aveva certamente reso più paziente.
« Questo nuovo Gandalf è più burbero di quello vecchio » mi sussurrò ancora più piano Gimli facendomi ridere ancora di più.
Giungemmo al limitare del bosco dove sorprendentemente trovammo i cavalli di Rohan ad attenderci, anche se avrei potuto giurare che non fosse stata la stessa distesa di terra dalla quale eravamo entrati.
Anzi ne ero certa, poiché non vi era traccia dei cadaveri degli uruk-hai.
« Quello è uno dei Mearas se un incantesimo non inganna i miei occhi. » disse Legolas più avanti, distraendomi dal mio senso dell’orientamento evidentemente andato perduto all’interno della scura foresta.
« Non è possibile, quello sembra- » stava iniziando a dire Aragorn mentre io mi volavo finalmente a guardare Ombromanto che si faceva strada al galoppo da dietro la collina, e accanto a lui, che nitrì non appena incrociai il suo sguardo, un cavallo molto meno regale.
« Bucefalo! » urlai correndogli immediatamente incontro interrompendo il ramingo mentre udivo la risata di Gandalf dietro di me, ma io lo ignoravo in favore di lanciarmi al collo del grigio animale.
Era senza sella, e se fosse stato solamente un cavallo degli uomini, sarebbe stato in condizioni disastrose. Invece nonostante dovesse essere in viaggio da settimane, il suo pelo restava lucido e la criniera sciolta era ancora decorata qua e là, da delle deliziose trecce elfiche.
« Elrond ti ammazzerà ma cosa ci fai qui? » domandai nonostante sapessi che il mio cavallo non sapeva parlare. Ma doveva comunque capirmi, perché nitrì nuovamente, scuotendo leggermente il muso come se non gli interessasse della minaccia, iniziando a scalpitare contendo con gli zoccoli quando lo abbracciai, per poi piazzargli un bacio sulla fronte.
« Mi sei mancato tanto » confessai guardando la bestia negli occhi che sbuffò, facendomi sperare che significasse « Anche tu a me ».
Raggiunsi gli altri, molto più di buon umore, mentre Legolas stava aiutando Gimli a salire a cavallo dell’animale di Rohan e Aragorn mi guardava ancora incredulo.
« Quell’animale è cocciuto quanto te » commentò il ramingo mentre io rispondevo con un sorriso smagliante, voltandomi finalmente per osservare Ombromanto.
Era un cavallo meraviglioso, al cui paragone perfino i maestosi cavalli di Gran Burrone avrebbero sfigurato. La sua criniera spendeva nel sole come se fosse fatto d’acqua ed era capace di restare perfettamente immobile, osservando la scena attorno a sé con occhio calcolatore.
Il tuo compagno ti è molto fedele “ lo sentii dire quando incrociai i suoi occhi, erano profondi e saggi come quelli di Gandalf e nonostante non distolsi lo sguardo, lui non abbassò la testa. Come aveva fatto giorni prima, quel cervo a Lòrien.
« Sono molto fortunata » ammisi con un breve inchino, ricordandomi la lezione di Haldir.
« Ombromanto parla raramente al di fuori della sua razza e mai prima d’ora, con un essere umano » commentò Gandalf mentre saliva a cavallo con un movimento troppo agile per qualcuno che appariva come un vecchio ottantenne.
« Il cavallo parla?! » esclamò scandalizzato Gimli sporgendosi da dietro Legolas mentre Ombromanto sbuffava irritato dinanzi allo stupore del nano, rivolgendogli un’occhiataccia.
Trattenni l’ennesima risata mentre a mia volta salivo su Bucefalo, nonostante fosse passato molto tempo da quando lo avevo montato a pelo.
Negli ultimi anni, eravamo spesso stati in guerra, e con la comodità della sella, era difficile poi tornare a montare a pelo senza paura di ferire il cavallo con un movimento brusco.
Partimmo alla volta di Edoras con il vento che mi sferzava tra i capelli e nonostante sapessi che non saremmo stati accolti nel migliore dei modi, mi ritrovai stranamente felice sentendomi un po’ di più a casa con Bucefalo a dettare il ritmo del galoppo sotto di me.
 
 
 


« La presa di Saruman su Re Théoden è ora molto forte. Credo sia prudente Valanyar, che nel mondo degli uomini per ora tu ti presenti solo come Gwend. » disse scambiandosi uno sguardo d’intesa anche con i restanti membri della compagnia che annuirono, compreso Legolas anche se con molto meno vigore dato che aveva sempre avuto un vecchio astio per quel mio nomignolo. Forse avrei dovuto dire ad Aragorn di raccontargli com’era nato, in quel modo lo avrebbe probabilmente trovato solo divertente e non supponente.
Assicurai il cappuccio più avanti, così che facesse ombra ai miei occhi, ingannando un osservatore disattento sul reale colore delle mie iridi mentre Gandalf rivestiva il suo vestito bianco, con un mantello scuro e decadente che lo faceva assomigliare a un mendicante.
 
Quando entrammo nella città mi stupii di quanto tutto fosse cambiato negli ultimi dieci anni:
Dove prima vi erano bambini a rallegrare le strade, ora vi erano solo sussurri e occhiate di sospetto. La mensa che mi aveva accolto era oramai abbandonata, segno che i visitatori non erano più i benvenuti e persino l’erba aveva assunto un’aria malata. Una volta verde e rigogliosa anche d’inverno, adesso pareva vecchia paglia in una stalla.
« Una volta non era così » dissi rispondendo al commento del nano che paragonò la capitale a un cimitero. Mi avvolse una stana tristezza dinanzi a quella trasformazione. 
In quanto tempo Saruman era riuscito a fare tanti danni? Quanto erano cambiati i cuori degli abitanti di Rohan per non vedere a cosa la malattia del Re li aveva portati?
Le guardie ci bloccarono all’ingresso ed io mi guardai attorno, riconoscendo il soldato dinanzi a me in un vago ricordo ma cercando tutt’altra persona.
« Non potete stare dinanzi a Re Théoden così armati Gandalf il Grigio per ordine di, Grima Vermilinguo » asserì l’uomo che ci aveva bloccato la strada, mentre il ramingo mi scambiava uno sguardo confuso, ed io annuivo seguita da Gandalf.
« Abbiamo incontrato Éomer lungo la strada. Non è ancora giunto? » domandai lanciando un'altra occhiata attorno a me, chiedendomi se il cavaliere non ci stesse aspettando all’interno della dimora del Re, accanto allo zio.
Il soldato dinanzi a me deglutì a disagio mentre prendeva in consegna i nostri averi, comprese le mie spade e l’arco con la faretra, guardandosi ancora più nervosamente attorno, come se temesse di essere ascoltato.
« Éomer è stato giudicato un traditore del suo sangue, rinchiuso nelle segrete » stavo per intervenire, pronta a rivolgermi all’uomo dinanzi a me con una sequela di epiteti ben poco gentili, ma Gandalf mi fermò, poggiandomi una mano sulla spalla e invitandomi alla pazienza.
Perlomeno le mie domande, distrassero le guardie a sufficienza per dimenticarsi del bastone di Gandalf che comunque tirò su una bella sceneggiata, appropriandosi del braccio di Legolas come se fosse veramente un vecchio con poche forze rimaste.
« Attenti a quello che dite, non sarete i benvenuti qui » ci avvisò Gandalf, soffermandosi qualche minuto di più su di me. Sospirai sapendo benissimo cosa significava, davanti a me non avrei trovato un vecchio amico, il Théoden che avevo conosciuto era appassito; sottomesso dall’ombra e da parole più pericolose del letale veleno.
Colui che una volta avrei definito forte e fiero, adesso non sembrava neppure un vecchio ricordo di se stesso, faticavo a vedere il figlio di Thengel dinanzi a me.
Un vecchio semi-assopito sedeva sul meraviglioso trono d’oro, vestito di suntuose vesti che però riuscivano solo a sminuire la personalità che era un tempo.
Spostai finalmente lo sguardo su Grima, che si era scandalizzato alla vista del bastone del vecchio stregone, guardandosi attorno come un topo in gabbia.
Probabilmente in passato avevo conosciuto persino lui, se non ricordavo male era diventato consigliere del Re per le sue doti, non certamente per i suoi inganni. E adesso cosa era diventato anche lui in nome della bramosia?
La versione più riprovevole di se stesso, che aveva tradito tutto e tutti per seguire Saruman che non avrebbe fatto altro che usarlo, fino al giorno della morte di entrambi. Che destino deprimente si era scelto.
Ma forse era in quei momenti che Galadriel aveva più ragione, niente avviene per caso … In fin dei conti, bastava pensare al cognome di Grima per capirne la personalità.
Urlando di rabbia il consigliere del Re si rivolse ad un gruppo di soldati che non avrei mai identificato come uomini di Rohan, se non fosse stato per le loro armature. Li vidi apparire alla destra dello stregone dove si trovava Aragorn, che però non si fece cogliere alla sprovvista, mettendosi immediatamente nel mezzo per impedirgli di attaccare lo stregone mentre con Gimli li combatteva a mani nude.
Mi voltai dall’altra parte, notando che iniziavano a giungere anche verso il mio lato, mentre mi scambiavo un cenno d’intesa con Legolas, piazzandoci sulla destra di Gandalf e permettendogli di proseguire mentre il primo si lanciava su di me, quasi con un sorriso giocoso.
Probabilmente doveva aver creduto che con me lo scontro sarebbe stato facile al contrario dell’elfo che con pochi colpi era già riuscito a stenderne tre.
Cercò di tirarmi un gancio che schivai con facilità, mentre approfittavo del suo momento di confusione per colpirlo con un calcio sul fianco scoperto e mandandolo al tappeto con colpo piatto del palmo contro la sua trachea.
L’uomo boccheggiò confuso, mentre un altro mi apparve da dietro cercando di sbilanciarmi con la forza del suo impatto su di me, invece assecondai il movimento ruotando il braccio attorno alla sua spalla e forzando la presa sul collo, mentre la forza d’urto gli fece fare un giro su se stesso schiacciandolo a terra.
Ci spostammo veloci di avversario in avversario impedendo a chiunque di avvicinarsi allo stregone mentre cercava di esercitare la sua magia, Re Théoden urlava sulla poltrona con una voce sempre più simile a quella di Saruman e noi respingevamo gli attacchi come una macchina ben oliata fino a quando non restammo solo noi in piedi, e alcuni soldati che ci avevano accolto all’ingresso che però se ne erano stati in disparte senza intervenire.
Notai con una piega delle labbra soddisfatta Gimli che aveva atterrato Grima, tenendolo ben piantato a terra con un piede mentre Gandalf rivelava la sua vera forma, lasciando cadere il grigio mantello in terra mostrando la Bianca veste che spendeva di luce propria all’interno della sala.
« Se io me ne vado Théoden morirà » sibilò Saruman attraverso le labbra del Re, spalancando gli occhi e minacciando di alzarsi, come probabilmente non faceva da mesi, ammuffito nella seduta del trono.
« Non hai ucciso me, non ucciderai lui » replicò lo stregone mentre Aragorn si scambiò delle parole sottovoce con qualcuno, mi voltai verso di lui e riconobbi Éowyn nella fanciulla che aveva di fronte.
Anche all’interno della sala, sembrava così fragile, come un fiocco di neve che ti si poggia tra le dita che sai che non potrà sopravvivere per più di qualche secondo.
Ma lei scattò, veloce come non avrei mai creduto possibile quando il Re si accasciò e il suo aspetto iniziò a mutare:
I capelli parvero riassumere il colore dorato che li aveva contraddistinti un tempo, gli occhi si fecero più limpidi rivelando infine il loro coloro naturale, mentre Théoden gemeva dal dolore, come quando ci si risveglia dopo una lunga febbre, pallidi e sfiniti desiderosi solo di una lunga sorsata d’acqua fresca, come se non ci nutrissimo da giorni.
La ragazza guardava il volto dello zio con una speranza tale da essere quasi struggente, ma il suo affetto fu ripagato quando finalmente l’uomo alzò lo sguardo su di lei, accarezzandone lo splendido viso con gli occhi prima di aprirsi in un piccolo sorriso amorevole.
« Io conosco il tuo viso.  Éowyn.  » disse finalmente il Re nella sua vera voce, facendo sentire meglio anche me, mentre attorno a noi le guardie rilasciavano un sospiro liberatorio che neppure si erano accorte di aver trattenuto.
« Cupi sono stati di recente i miei sogni » mormorò l’uomo alzandosi a fatica, prima di riprendere sicurezza nelle proprie gambe aiutato dalla bionda fanciulla.
Gandalf invitò il Capitano delle sue guardie a dargli la sua spada e mentre il Re avvolgeva le dita attorno all’elsa, estraendola in tutto il suo splendore. Avrei potuto giurare che la stanza si stesse illuminando un po’ di più come se stesse dando il bentornato a casa al proprio signore.
In quel momento Théoden spostò lo sguardo su Grima, avanzando verso il suo vecchio consigliere con uno sguardo cupo in volto:
« Il mio stesso consigliere mi ha annebbiato la mente, tradendo me e il suo popolo. La sua stessa casa. Per cosa? » domandò con rabbia e dolore evidenti, mentre ricercava negli occhi del suo servitore un uomo oramai perduto da anni.
Feci qualche passo, entrando nel raggio visivo del Re, che mi guardò prima con sospetto e poi piacevole stupore quando riconobbe il mio viso.
« La domanda ora mio signore è, cosa intendete farne di lui » dissi per impedire a Grima di rispondere, Théoden non si meritava di sapere del prezzo che aveva richiesto per il suo tradimento. Non lo meritava lui, come non lo meritava sua nipote che in disparte non osava avvicinarsi all’uomo che le aveva fatto odiare le sue stesse mura.
« Mi avrebbe fatto camminare a quattro zampe come una bestia» affermò con risentimento il Re, cercando nei miei occhi una risposta che avrebbe trovato solo dentro di sé, mentre decideva il fato di colui che una volta era suo amico. « Eppure eri un uomo giusto una volta puoi tornare ad esserlo. Scegli tra il tuo Re o- » ma non terminò mai la frase poiché Grima gracchiò una risata forzata, sputando in terra a pochi centimetri dai piedi del suo signore mentre lo guardava con un sorriso morto.
« Rohan non avrà mai più un Re! Edoras cadrà e la tua gente finirà dispersa e il tuo nome dimenticato assieme all’ultimo della tua stirpe. » sibilò Grima con un tono mellifluo e rivoltante allo stesso tempo.
Mi ricordava gli incubi che avevo avuto i primi tempi dopo l’incontro con l’anello di Sauron a casa Baggins.
« Resterai sola come desideravi » mi voltai a  guardare la fanciulla ancora trattenuta dalle braccia dello zio, la cui pelle pareva così pallida e fragile, da far temere che lo stesso vento delle pianure avrebbe potuto ferirla. Cosa ne era stata di quella ragazzina coraggiosa, il cui unico desiderio era proteggere i propri cari? Quanti orrori aveva subito tra quelle mura per ridurla a niente di più di un bellissimo fiore ? Un fragile essere che meritava di essere amato, ma che con un semplice tocco, si sarebbe sgretolato tra le dita?
 « Che cosa le hai fatto? » dissi chiudendo la distanza tra me e la figura a terra in una manciata di secondi, poggiando un ginocchio a terra solo per prenderlo meglio per il colletto, tirandolo così che fosse più vicino al mio volto.
« Niente che non volesse » sibilò lui e per un attimo, ero certa che lo avrei finito io stessa, uccidendolo nella sala del trono davanti a tutti. Non era una creatura di Mordor le sue ossa erano più facili da rompere, lo sforzo che mi avrebbe richiesto sarebbe stato così esiguo paragonato alle altre battaglie affrontate.
«Fermo Gwend » mi richiamò Re Théoden  facendo breccia tra i miei pensieri e riportando la mia attenzione sull’ultima dichiarazione del viscido servitore « Dove è mio figlio? Dov’è Théodred ? » domandò il Re mentre sul volto di Grima si formava un sorriso diabolico e Éowyn scoppiava a piangere, sussurrando delle parole, che mi sarei portata dietro per molto tempo.
« E’ morto mio signore, stanotte non ricordate? Si è spento prima dell’alba » sussurrò lei mentre io giungevo alla realizzazione di cosa fosse stata quell’orrenda sensazione.
Mi ero dimenticata dell’erede al trono, mi ero dimenticata di un giovane valoroso che avrebbe sacrificato la sua vita per proteggere la sua gente, andando contro gli stessi ordini di suo padre pur di proteggere le sue terre dagli invasori.
Lo avevo lasciato morire, lasciandogli credere che suo padre era diventato un vecchio senza onore che non aveva più a cuore neppure il suo stesso sangue …
« Non è possibile » mormorai sentendo la stretta delle mie dita allentarsi sul colletto di Grima.
« La tua memoria è così fallibile non è vero? Lo stregone ha così tanta fiducia in te ma tu potrai solo deluderlo, come tanti prima di te » mi sussurrò l’uomo guardandomi negli occhi e in quel momento mi resi conto che lui sapeva chi fossi, e per questo vedeva oltre l’illusione data dal mantello.
« Come?- » tentai completamente presa alla sprovvista.
« Credi di essere l’unica a sapere lo svolgersi degli eventi? » sussurrò quasi nel mio orecchio, facendomi rabbrividire dal disgusto e lì tra le sue parole la riconobbi, la voce di Saruman « I poteri antichi sono tanti e l’oscuro signore lo sa. Fallirai, morirai e sarai dimenticata come la stirpe di Rohan. Senza di lui nessuno guiderà i Rohirrim e la prima nazione degli uomini cadrà » concluse con un sorriso maligno ma lo sguardo perso come se stesse già pregustando la vittoria e poi lanciando un ultimo sguardo pieno di ributtante desiderio verso Éowyn che all’improvviso mi fece mettere assieme tutti i tasselli.
 
Mi alzai di scatto, ignorando la voce di Gandalf che mi richiamava accanto a lui, mentre correvo a perdifiato cercando i sotterranei.
 Scavai nella memoria, sperando che non mi fallisse proprio in quel momento, mentre percorrevo le ali del palazzo d’oro con un senso di panico crescente ritrovandomi finalmente a scendere lunghe scale umide e nonostante non vi fossi mai stata compresi di essere nel posto giusto.
« Pagherete per questo, vigliacchi » sentii direi dietro dall’angolo da una voce sofferente « Siete la vergogna di Rohan »
« Oh ma noi non siamo puzzolenti uomini dei cavalli, prendere la tua vita sarà un piacere ma lo sarà ancora di più riprenderci le nostre terre » rispose un’altra voce con un accento che avevo già sentito in passato, viaggiando assieme a Gandalf il Grigio venti anni prima.
Portai le mie mani sui fianchi, ma lì dove solitamente stavano le mie spade, non c’era nulla, avendole lasciate all’entrata assieme all’arco e le frecce. Trattenni una sequela di parolacce con tutte le mie forze ,mentre svoltavo l’angolo consapevole di poter far affidamento solo sull’effetto a sorpresa.
Tre uomini vestiti come le guardie all’ingresso mi davano le spalle, davanti a loro Éomer aveva una pessima cera, con un grosso taglio che gli attraversava la fronte, il sangue raffermo gli impediva di aprire l’occhio sinistro e ogni volta che respirava si udiva un sottile fischio.
“Probabilmente un polmone perforato” convenni avvicinandomi lentamente, scannerizzando in fretta la prigione senza però trovare niente di utile, vi era una corda di catene poco lontano, ma raccoglierla avrebbe significato fare troppo rumore.
Sapevo che il Cavaliere di Rohan non mi sarebbe potuto essere di alcun aiuto in quella situazione, con le braccia legate dietro la schiena e seduto in posizione scomposta, doveva aver già speso tutte le sue energie.
Percepii un lieve calore nel petto e portai una mano sul collo, percependo la catena che reggeva Aiantcuil, calda tra sotto i miei polpastrelli, la sfilai dalla testa, senza aprirla e arrotolandola attorno ad una mano come se fosse una cintura in cuoio.
« Salutami tuo cugino » sibilò l’uomo con l’arma sguainata, ma prima che potesse calare il fendente sul giovane Capitano intervenni, passando la collana attorno al suo collo come un cappio e tirando con tutte le mie forze per tirarlo contro di me e soffocarlo con la catenella. Ma l’incantesimo della collana si attivò ugualmente cogliendomi alla sprovvista e bruciando la pelle dell’aggressore, fino a percorrere di netto tutto il collo.
Rimasi per un attimo sotto shock, come gli altri presenti nella stanza , il corpo a terra, aveva la testa recisa di netto, ma non vi era neppure una goccia di sangue a giro, poiché il fuoco della collana aveva cauterizzato la ferita.
« E tu chi sei? » sbraitò il primo uomo appena si riprese nello stesso istante in cuoi Éomer urlava il mio nome e io arrotolavo malamente la catena attorno al polso come un largo bracciale, sperando non cadesse.
Feci un salto verso l’ammasso di catene viste poco prima, raccogliendole appena in tempo in entrambe le mani, per bloccare il fendente del primo uomo. La catena gemette sotto l’acciaio dalla spada ma resse, mentre io approfittavo del momento di shock del mio avversario, per colpirlo con un calcio nell’incavo del ginocchio, mandandolo a terra urlando di dolore.
« Alle tue spalle! » mi avvertì Éomer.  Mi voltai appena in tempo per vedere il terzo soldato attaccarmi da dietro: schivai il primo fendente per pura fortuna, nonostante mi procurò un brutto taglio lungo l’avambraccio sinistro. Il rotolamento però, mi permise di allontanarmi a sufficienza per rimettermi in piedi, mentre stingevo la catena come una frusta, fendendola verso il mio aggressore senza dargli tregua.
Era evidente che non fosse uno spadaccino esperto, abituato a combattere con armi molto più rozze e pesanti. Quindi quando finalmente la catena si attorcigliò attorno alla sua lama, mi aprii in un sorriso vittorioso, tirando con forza verso di me e facendo volare in aria l’arma del mio avversario che presi al volo con agilità, abituata a certi trucchetti fin dai tempi di Gran Burrone, prima di puntargli la spada contro e mettendolo schiena al muro mentre gli puntavo la lama alla gola.
« Mi arrendo » mugolò l’uomo lasciandosi scivolare a terra lungo la pietra. Gli lanciai un’ultima occhiata prima di correre verso Éomer per liberare l’uomo dalle corde e potermi accertare della gravità delle sue ferite.
« Éowyn, devi trovarla Gwend … Lei … Éowyn » iniziò l’uomo di Rohan tra un colpo di tosse e l’altro, portai una mano sul suo viso, invitandolo al silenzio quando notai che stava sputando sangue.
« Non fare sforzi. Va tutto bene, Éowyn è salva, Théoden è stato liberato dall’influenza di Saruman » dissi sfacendo le corde attorno ai polsi del giovane, sentii un altro verso di dolore venire da in fondo alla stanza, ma era solo il secondo uomo, quello con il ginocchio rotto, che continuava ad agitarsi, guardando la posizione innaturale in cui era finita la sua gamba.
« Dunque era vero … Theodrèd, lui aveva cercato di dirmelo che quello non era suo padre, ma non avevo capito fino a che punto, non avevo capito … » mormorò Éomer con voce rotta e l’unico occhio aperto che iniziava a brillargli per un dolore che non era fisico.
Quindi era comunque venuto a sapere della morte del cugino.
« Éomer mi dispiace, io- »
« Gwend! Attento!  »  gridò in preda al panico l’uomo tra le mie mani e mi voltai per vedere il soldato che si era arreso, correre verso di noi con la spada del compagno ferito alta, che del il cielo stava già discendendo su di noi. Calcolai che non avrei fatto in tempo ad alzare il mio braccio, con quello slancio non ero nella posizione adatta per riuscire a parare il colpo in modo efficace.
Alzai comunque la lama , piantandola nel muro vicino al viso di Éomer decidendo di salvaguardare prima il futuro Re di Rohan facendo leva sul muro per mettere forza nella parata, quando il nostro aggressore cadde a terra, trafitto da due frecce nel fianco che dovevano avergli trafitto polmoni e cuore attraversando il costato.
Alzai gli occhi verso il corridoio opposto, notando solo in quel momento l’elfo appena giunto a pochi metri da noi. Legolas incontrò il mio sguardo, inarcando un sopracciglio:
« Sempre avventata » mi riprese facendomi sfuggire una risata isterica mentre disincastravo la spada, abbassandola e ringraziando tutti gli Dei che mi vennero in mente per la presenza dell’elfo.
Il principe di Mirkwood si chinò affianco a me, aiutandomi ad alzare Éomer, e passando le sue braccia intorno alle nostre spalle per aiutarlo a sorreggersi in piedi.
Il cavaliere Rohirrim strinse forte i denti, trattenendo i gemiti di dolore mentre iniziavamo a percorrere qualche passo verso l’uscita solo per trovare la nostra strada sbarrata da quasi una decina di persone.
Aragorn mi scansionò da capo a piedi, fulminandomi con lo sguardo quando notò la ferita sul braccio sinistro che perdeva ancora sangue, scivolando lungo la mano.
« Uomini delle montagne. Si erano infiltrati a palazzo. Uno è ancora vivo » dissi per stemperare il silenzio a Théoden che mi guardava come se fosse nuovamente invecchiato tutto assieme.
« Éomer! » urlò una voce di donna da dietro il ramingo. Éowyn  si fece largo la tra folla, raccogliendo il viso dell’uomo tra le sue mani come se fosse stato fatto di cristallo.
La più bella fanciulla di Rohan stava piangendo. Le lacrime gli rigavano il viso come un fiume in piena, le sue guance erano rosse e il suo tormento era stato tale che stava persino singhiozzando mentre pronunciava il nome del fratello, accarezzando i lunghi capelli con estrema delicatezza. Éomer cercò più volte di calmare la sorella senza riuscirvi mentre la giovane mormorava scuse irrazionali coprendo le parole del cavaliere.
« Mia signora » dissi infine in tono sufficientemente fermo da farla voltare verso di me « Éomer sopravvivrà, è salvo. Portiamolo però nelle sue stanze ora dobbiamo guarirlo »
« Puoi aiutarlo? » domandò lei con gli occhi talmente appannati che probabilmente non riusciva neppure a distinguere il mio viso.
« Sì mia signora » le assicurai. Lei allora concesse un cenno del capo, lasciando un bacio delicato sulla guancia non ferita di Éomer e lasciandoci passare per condurci lei stessa alla stanza del Cavaliere Rohirrim.
Mi scambiai con Gandalf un cenno d’intesa, mentre lui inarcava un angolo del labbro all’insù comunicandomi in silenzio la sua soddisfazione, mentre convinceva il ramingo a lasciarmi andare con Legolas, e accompagnando Théoden a vedere la salma di suo figlio.
 
La stanza di Éomer non fu lontana, ma anche con il nostro sostegno, il Capitano di Rohan giunse sdraiato nel suo letto con la fronte pregna di sudore per lo sforzo, il respiro sempre più affannoso assieme ad un fischio sempre più acuto.
« Legolas il mio zaino » gli chiesi senza bisogno di aggiungere altro, che l’elfo uscì dalla stanza alla velocità della luce dopo un semplice cenno del capo mentre iniziavo a strappare il più delicatamente possibile la veste di Éomer per dare un’occhiata migliore alle sue ferite.
« Éowyn -» tentai senza voltarmi verso la fanciulla.
« Non vado da nessuna parte » ribatté lei con un tono incredibilmente duro per qualcuno che doveva ancora avere la gola secca a causa del pianto. Mi voltai verso di lei, cercando di sorriderle il più delicatamente possibile:
« Non oserei mai dirti cosa fare mia signora. Volevo chiederti se potevi portarmi dei panni bagnati, e dell’acqua calda » dissi mentre lei arrossiva ancora di più, annuendo in fretta alla mia richiesta e scusandosi  mentre correva in bagno a reperire bende e garze e chiedeva ai servi dell’acqua calda.
Quando strappai completamente la camicia di Éomer mi trovai dinanzi ad uno spettacolo infelice.
Il torso del ragazzo era cosparso di lividi violacei, che dovevano appartenere alla sera precedente segno che non doveva aver passato una serata tranquilla nelle segrete. Passai delicatamente le dita sulle sue costole, come aveva fatto un mese prima Aragorn con me a Moria, e trovando la costola rotta. Aumentai la pressione, facendo scappare un grido di dolore al cavaliere di Rohan che però non si allontanò dal mio tocco mentre notavo che l’osso non era andato troppo in profondità, forse il polmone era stato solo schiacciato.
Le altre ferite erano escoriazioni e tagli, dati dalle percosse che aveva subito.
Quando Éowyn tornò con una bacinella d’acqua calda e dei panni, trattenne a stento un gemito di dolore alla vista delle condizioni del fratello, ma non si scompose oltre, portandosi dall’altra lato del letto rispetto alla mia, prendendo a sua volta un panno umido ed iniziando a pulirgli il viso con delicatezza, mentre io facevo lo stesso con i pettorali.
Legolas tornò a sua volta pochi minuti dopo, scuotendo un’ampolla come se stesse mescolando due ingredienti assieme segno che aveva già preparato la giusta mistura.
« Ho trovato anche un sacchetto con della foglia di Re essiccata, sarebbe stata meglio fresca ma a Rohan non saprei dove trovarla »
« Foglia di Re? » ripeté Éowyn guardandomi incerta « E’ un’ erbaccia, la diamo da mangiare ai cavalli » mi scambiai uno sguardo di puro shock con il principe di Mirkwood mentre mi passava la mistura e il piccolo sacchetto contenente le foglie secche.
« Ci tornerebbero utile per vostro fratello. Potrebbe procurarcela? » domandò con tutta la cortesia di questo mondo Legolas, come se non le avesse appena sentito paragone una pianta curatrice a dell’immondizia.
« No! » rispose lei istintivamente con lo stesso panico nella voce che aveva mostrato poco prima, mentre io mi limitavo a voltarmi verso l’elfo.
« Pensi di poterla recuperare da solo ? » domandai mentre lui mi guardava per qualche secondo in più del necessario, probabilmente chiedendosi perché mandassi via lui a cercare l’erba che avrebbe potuto essermi d’aiuto e non quella strana ragazza, che avrebbe potuto aiutare suo fratello ma voleva restare testardamente al suo capezzale.
« Certo » disse infine l’elfo uscendo dalla stanza, e lasciandoci ad un silenzio particolarmente pesante.
Mi versai un po’ di olio sulle mani iniziando a passarle nuovamente sul torace del soldato, lasciando che la pelle si anestetizzasse prima di procedere ad usare anche la pomata per una guarigione più  rapida, rimettendo la costola in posizione, e raddrizzandone altre due che si erano incrinate. Poi mi sposai verso il fianco, guarendo gli ematomi più gravi per assicurarmi che gli organi al di sotto non avessero subito danni, e risalii fino alla spalla quasi lussata che dopo qualche passaggio rognoso tornò nella giusta posizione facendo tirare un sospiro di sollievo a Éomer.
« Ieri notte, ho lasciato il capezzale di Thèodred, ero così stanca » iniziò Éowyn attirando l’attenzione di me e di suo fratello, ma gli stava continuando a pulire i capelli dal sangue raffermo, sfuggendo ai nostri sguardi « Stava meglio, era oramai fuori pericolo ne ero certa ma … Questa mattina quando sono tornata da lui era freddo ... Morto » sussurrò lei piena di vergogna mentre suo fratello le raccoglieva una lacrima solitaria, che era sfuggita dalle sue palpebre, in una gentile carezza.
« Non è colpa tua mia signora » dissi sentendomi ancora più in colpa di quanto già non fossi. Non era solo Théoden ad aver perso un figlio, Éowyn ed Éomer avevano perso un cugino che era come un fratello, Rohan aveva perso un grande condottiero e la razza degli uomini aveva perso una brava persona.
Quanto dolore ero riuscita a portare in tutti loro solo perché me ne ero dimenticata ?
« E di chi è dunque? Se io fossi stata lì forse avrei potuto fare la differenza, tanto basta per rendermi colpevole » disse la principessa di Edoras, alzando leggermente il mento all’insù. Era ammirevole che nonostante il dolore e la vergogna per le sue azioni, volesse comunque assumersi le proprie responsabilità senza concedersi  la grazia del dubbio.
« Finito » dissi quando conclusi la poesia di guarigione elfica in un sussurro a malapena udibile. Non ero un elfo quindi le mie parole erano come aria nel vento, ma era una vecchia abitudine appresa da Elrond. « Ora deve riposare. Éowyn bada a tuo fratello, assicurati che non si alzi per le prossime ore deve recuperare le forze » avvertii scambiandomi uno sguardo con la giovane e ricevendo in cambio un suo cenno di assenso.
Mi allontanai dal giaciglio notando che Éomer era ad un passo dall’assopirsi completamente, mentre la sorella lo copriva con un lenzuolo di cotone per non lasciarlo completamente scoperto.
« Gwend » mi fermò la voce del cavaliere « A quanto pare, ho solo raddoppiato il mio debito » disse l’uomo impastando leggermente con le parole e strappandomi una lieve risata « Verrò a riscattare anche quello » dissi prima di uscire dalla porta,lasciandoli in un confortevole silenzio.
 
 
 
 


Mi diressi alla ricerca dell’elfo che mi aveva abbandonato nella stanza alla ricerca dell’Athelas oramai da quasi un’ora senza però più ripresentarsi.
Non che credevo gli fosse successo qualcosa, ma sicuramente ero incuriosita dalla sua assenza, poiché ero certa che non avrebbe avuto problemi a lasciarmi senza una spiegazione, ma non credevo fosse capace di una simile scortesia verso Éomer anche se per lui era poco di più di un semplice sconosciuto.
Lo trovai che mi stava venendo incontro lungo il corridoio, con uno sguardo corrucciato che gli incupiva lo splendido viso permettendo a una singola linea in mezzo alle sue sopracciglia, di esprimere il suo disappunto.
« Tutto bene ? » domandai senza pensare, mentre l’elfo alzava lo sguardo da terra notando finalmente la mia presenza. La piccola ruga svanì come se non fosse mai appartenuta a quel volto, dispiegandosi nella solita maschera impassibile. Ma perlomeno il suo sguardo quando incrociò il mio non era freddo, solo neutro. Alzò il braccio, porgendomi un piccolo mazzo che conteneva circa una decina di foglie che sembravano essere state stirate più volte con le mani.
« Oh grazie » dissi prendendole e facendo ben attenzione a non sfiorare le sue dita con le mie « Credo che aspetterò stasera per fare l’impacco per Éomer, ora sta riposando » dissi in una spiegazione non richiesta, accennando un lieve sorriso che come ogni volta, non venne ricambiato.
« E tu? » domandò l’elfo cogliendomi alla sprovvista.
« Io cosa? » domandai confusa.
« Anche tu sei ferita non hai intenzione di farti un impacco? » domandò indicandomi con lo sguardo il mio avambraccio il cui sangue si era oramai seccato lanciando un colorito sudicio su tutta la parte esposta della pelle e nelle mani, dove si era mescolato con l’olio per Éomer lasciandomi un fastidioso formicolio nei polpastrelli.
«Oh » dissi intelligentemente. Perché quando ero in dubbio, la cosa che mi riusciva meglio era rendermi ridicola davanti a Legolas, fissando il mio braccio come se lo vedessi per la prima volta mentre facevo due conti su quanto mi convenisse chiedere aiuto ad Aragorn con la fasciatura. Era un calcolo facile:
Pro la fasciatura sarebbe stata migliore, Contro sarei stata da sola con il ramingo e magari avrebbe voluto parlare di Gandalf.
« Seguimi » disse l’elfo riprendendosi le foglie dalle mie mani, mentre proseguiva qualche metro in avanti, prima di svoltare a sinistra e nuovamente a destra, in un piccolo salotto dotato di camino e di una graziosa libreria decorata con delle semplici poltrone. Sembrava essere stata una stanza molto amata in passato, ma nessuno doveva più passarci del tempo da anni.
Vi era anche una porta socchiusa, accanto alla quale affacciava una sedia con sopra il mio zaino aperto. Intravidi un piccolo bagno oltre la soglia, dove Legolas entrò prendendo una bacinella d’acqua e mettendola nel mezzo ad un ripiano di legno ed immergendovi dei lembi di stoffa. L’elfo si voltò verso di me, invitandomi ad entrare con un cenno del capo mentre io eseguivo, sentendomi estremamente impacciata mentre finalmente capivo cosa avesse intenzione di fare.
« Oh grazie Legolas ma posso sicuramente cavarmela da sola » dissi inutilmente, poiché il biondo si limitò a sollevarmi la stoffa verde della camicia che copriva il braccio rivelando la ferita nella sua interezza.
Non aveva un bell’aspetto, ma grazie alla pomata usata su Éomer non sentivo neppure una stilla di dolore, comunque sembrava sicuramente peggio di quanto non fosse in realtà a causa dello sporco.
La spada era appartenuta ad un soldato di Rohan, quindi la lama aveva lasciato un taglio netto nella pelle che andava dall’incavo del gomito fino a poco sopra il polso, ruotandosi leggermente.
Tacqui non avendo niente d’intelligente da dire mentre Legolas passava il panno bagnato sul sangue secco, rimuovendolo con delicatezza e sussurrando il poema per velocizzare la guarigione elfica come avevano fatto le dame di Lòrien una settimana prima. Aprii la bocca per dirgli che non ve ne era alcun bisogno, poiché non sentivo comunque niente, ma ci ripensai, chiudendo le labbra. La voce di Legolas era delicata quanto le sue mani, e con l’acqua tiepida che mi percorreva la pelle, mi creava dei brividi che faticavo a non recepire come piacevoli mentre mi perdevo ad osservare l’elfo.
Era piacevole per una volta, vedere il lato più gentile del principe di Mirkwood interagire con la sottoscritta. Lo avevo visto essere educato e perfino galante molte volte con Arwen a Gran Burrone e durante il viaggio con Aragorn con cui evidentemente aveva stretto un’amicizia speciale. Ma non avrei mai creduto che un giorno avrei avuto il piacere di vedere quella stessa premura venire usata su di me.
Sentii le labbra piegarsi in un sorriso involontario mentre mi chiedevo cosa gli avesse detto Dama Galadriel per fargli cambiare atteggiamento nei miei confronti.
Perché sarebbe stato sciocco da parte mia, non notare che Legolas lasciato Lothlòrien era stato verso di me molto meno astioso.
Certo già dalla partenza da Imladris la situazione era migliorata, ma non certo a un livello accettabile. Adesso invece ci ritrovavamo soli, in un’ala del castello senza nessuno della compagnia nelle vicinanze a prenderci cura l’uno dell’altro.
Legolas pulito il braccio, fece a pezzi la foglia di Athelas poggiandola con delicatezza nella parte lesa della pelle fino a ricoprire completamente l’intera ferita.
« Vado a prendere una fasciatura pulita » mi disse incrociando i miei occhi facendomi arrossire nuovamente come una sciocca. Annuii sentendomi la gola improvvisamente chiusa.
Il biondo tornò, con due piccoli rotoli in mano. Ne poggiò uno su il ripiano, mentre con l’altro iniziò a fasciarmi delicatamente l’intero braccio, tutto nel silenzio più totale.
Fui tentata quasi di schiarirmi la voce, solo per convincermi a fare qualcosa che non fosse fissare le sue dita affusolate, muoversi delicatamente lungo la mia pelle facendo tornare ogni volta in vita il mio imbarazzo.
Se qualcuno fosse entrato in quel momento e ci avesse visti, ero certa che sarei sprofondata dall’imbarazzo. Mi guardai attorno, distogliendo per un attimo l’attenzione dalla creatura millenaria dinanzi a me per incrociare i miei stessi occhi, riflessi in un meraviglioso specchio rifinito in argento appeso al muro a meno di mezzo metro da me.
Perché le mie guance erano in fiamme a quel modo? E perché restare sola con Legolas mi rendeva così suscettibile? Certo non eravamo amici, solo semplici compagni di viaggio, ma la sua presenza mi metteva così a disagio che avrei voluto fuggire dall’altra parte del palazzo ma allo stesso tempo, restavo immobile senza azzardarmi neppure a respirare troppo pesantemente. Temendo di interrompere quel momento.
« Ti cambio anche l’altra. Non credo si sia aperta ma è meglio che non rischiare un’infezione poiché stava guarendo bene » disse l’elfo senza alzare il suo sguardo nel mio, mentre io rispondevo con un semplice « Mh mh » appena udibile.
« Questo, puoi rimuoverlo? » domandò Legolas alzando i suoi occhi su di me. Era vicino, nuovamente troppo vicino.
Perché lui era l’unico elfo senza il concetto di una “bolla personale”? E cosa mi aveva chiesto?
« Eh? » risposi saggiamente quando mi accorsi che mi ero persa nei suoi occhi color tempesta un po’ troppo a lungo.
« Aiantcuil » specificò indicandomi con lo sguardo, il gioiello ancora avvolto attorno al mio polso.
« Oh » dissi riprendendo possesso delle mie facoltà mentali e sfilando la collana dalla mia mano che venne via con una tale facilità che mi fece temere che l’avrei potuta perdere in qualunque altro istante se non fosse stata magica.
La fece ripassare nuovamente dalla testa, accertandomi di rinfilarla sotto la stoffa della camicia mentre sentivo sempre addosso gli occhi dell’elfo. Sapevo che aveva accettato il passaggio della volontà del gioiello, ma temevo che la cosa ancora non gli andasse comunque a genio. In fin dei conti, era comunque l’unico ricordo che avesse di sua madre.
“ Finito questo viaggio, mi assicurerò di restituirgliela “ decisi porgendogli nuovamente la mia mano sinistra, con un lieve sorriso imbarazzato mentre lui spostava i suoi occhi nei miei per meno di un secondo, prima di riportarli impassibili sulla fasciatura.
« Com’è finita poi con Grima? » domandai per stemperare la tensione fissando un punto impreciso della chioma bionda che avevo davanti, pur di smetterla di ridicolizzarmi a quel modo.
« Re Théoden ha mostrato le sue migliori qualità. Gli ha offerto due scelte, restare e lottare come scudiero di Rohan o fuggire dal suo padrone, per non tornare mai più. »
« Ha scelto la seconda vero? »
Legolas annuì. Aveva appena sfatto la vecchia fasciatura e si stava accertando che l’impacco fosse ancora in buone condizioni, prima di fasciare nuovamente la mano con la benda pulita.
« Ma tu questo già lo sapevi » disse l’elfo senza alzare gli occhi dal suo compito, mentre io mi mordevo inconsciamente il labbro inferiore.
« Non è così semplice. Il futuro che conosco non è così stabile, non posso avere la certezza di quali direzioni prenderà veramente la storia. »
« Ma sapevi di Gandalf » asserì senza alcuna nota di giudizio.
« Sapevo di Gandalf » confermai mentre l’elfo terminava il suo lavoro, assicurando anche quest’ultima benda con un piccolo nodo, mormorando un’ultima frase in Sindarin che non colsi.
« Aragorn si pente di averti affrontato in quel modo » mi disse Legolas e per un attimo mi chiesi, se tutta quella sceneggiata gentile non fosse avvenuta con questo semplice scopo:
Farmi sapere che il suo migliore amico era triste a causa mia.
« Già, anch’io » dissi raccogliendo stizzita le foglie di Re dal ripiano e uscendo dal bagno, e poi dalla stanza intenzionata ad allontanarmi il più possibile da Legolas « Grazie per le tue cure » aggiunsi in automatico con un cenno veloce del capo.
 
 

 


Il funerale per Thèodred fu struggente. La salma di un giovane uomo mi passò davanti, aumentando il mio senso di colpa fino all’inverosimile, mentre il Re piangeva a pochi metri da me e Gandalf ed Éowyn cantava permettendo al suo dolore di perdersi nel vento assieme alla sua voce.
Éomer accanto a me, si sosteneva malamente con due stampelle di fortuna di legno.  Gli avevo sconsigliato d venire, ma non mi ero opposta quando mi aveva detto che ne aveva bisogno. Doveva dare l’ultimo dei saluti al suo migliore amico, a colui che era stato come un fratello. Colui che sarebbe dovuto essere il futuro Re, e invece era oggi solo una delle tante vittime di Sauron.
« Se solo fossi stato con lui » aveva ripetuto così tante volte il cavaliere Rohirrim fino a consumare le parole stesse.
Ma i rimpianti nella morte, non portano alcuna consolazione, solo ulteriori ferite che avrebbero segnato la tua anima di cicatrici.
Mi strinsi attorno alla mia casacca, il mio mantello elfico era rimasto nella casa del Re, assieme ai miei vestiti che erano a lavare. Non era stato importante, nessuno aveva messo in dubbio niente e mi erano stati portati degli abiti di uomo così regali e con così tanti strati, che avevano coperto le mie forme alla perfezione.
Quando la voce di Éowyn si spense, e uno dopo l’altro i popolani si allontanarono per lasciare un po’ di privacy la loro Re, restai in attesa sotto ordine di Gandalf di Théoden. Quando quest’ultimo fu pronto, dette le spalle alla porta della tomba, che avrebbe per sempre conservato le spoglia del suo amato figlio prima di rivolgerci uno sguardo disperato.
 « La morte di Thèodred non è stata colpa tua » disse lo stregone probabilmente interpretando i pensieri che vagavano pericolosi nella mente dell’uomo.
« Un padre non dovrebbe mai seppellire un figlio » sussurrò Théoden con gli occhi rossi, guardando i fiori che ricoprivano l’erba sopra la tomba.
« Le persone che ci hanno amato mio signore, non ci lasciano mai veramente » gli assicurai facendo qualche passo verso di lui, e poggiandogli una mano sul petto all’altezza del cuore « Possiamo sempre ritrovarle con noi. Qui. ⁴ » dissi senza abbandonare il suo sguardo quando il Re portò la sua mano sulla mia stringendola con forza in un ringraziamento silenzioso. Come se avesse avuto bisogno proprio di quello, di sapere che suo figlio sarebbe sempre vissuto in lui.
« Era forte da vivo. Il suo spirito troverà la strada verso la casa dei tuoi padri » disse Gandalf in una preghiera finale, mentre ci voltavamo tutti e tra, ad osservare un Ricordasempre⁵ volare via dalla corona sopra la porta, portato dal vento verso l’orizzonte.
« Hiro hon hîdh ab ‘wanath [ Possa egli trovare pace dopo la morte ]» mormorai prima di voltarmi dando definitivamente le spalle a Thèodred, imitata dal Re di Rohan e dal vecchio stregone, per tornare a palazzo ad affrontare un tema inevitabile quanto la morte in quei giorni bui.
La guerra.
 
 







 
 
 
 
 
 
 
 
 
La stanchezza nella corsa ¹ = Qui non sto cercando di far sembrare Valanyar una super eroina o simili, poiché alla fine ha la stessa costituzione di Aragorn. Semplicemente una volta lessi una cosa interessante in merito alle maratone che sostengono che la parte più difficile sia arrivare al kilometro 25, dove il tuo fisico ti supplicherà di mollare, ma una volta superato quello, tutti gli atleti sanno che riusciranno a superare il percorso se mantengono il giusto ritmo. Mi pare avessero detto che entrano in gioco delle particolari endorfine che il corpo inizia a produrre, rendendo addirittura difficile fermarsi.
Quante cose si scoprono in quarantena.
 

Creazione uruk-hai ² = mi sono rifatta al film, dove appare che Saruman tiri fuori dal niente i guerrieri uruk, e anche se lui dice che “gli orchi erano elfi una volta” qui io ho leggermente modificato il fatto, rendendo i suoi guerrieri la versione abominevole degli elfi. Spero non vi crei confusione.
 

Sior ³ = Dal dialetto Veneto significa semplicemente signore. Ma pare abbia origini molto antiche tanto che si rifanno ai tempi dell’Italiano volgare.
Volevo un termine di saluto da soldato che suonasse bene come “Ave” o “Ode” ma continuavo ad immaginarmi antichi romani, non cavalieri di Rohan. Quindi ho trovato un’alternativa.
 

« Le persone che ci hanno amato. Non ci lasciano mai veramente, le ritroviamo sempre. Qui » ⁴ = Citazione leggermente modificata, ma evidente di Harry Potter e L’Ordine della fenice del personaggio di Sirius Black.
 
Ricordasempre⁵ = Anche chiamato Simbelmynë. Piccolo fiore bianco delle Terre di Arda.
 
 
 
 
NdA: Allora volevo chiarire una piccola cosa in merito data che mi è stata fatta notare più volte.
Non so quanto possa essere scontato o meno per tutti voi, ma ovviamente mi sono presa delle licenze poetiche per la storia. E’ inutile che mi dite “gli elfi possono amare solo una persona”, “Haldir non è mai uscito da Lòrien nella storia originale”, “ Non c’è alcuna cura elfica e gli animali non parlano”. LO SO’.
Ma sono tutte cose che mi servono a fine di trama, quindi se vi infastidiscono mi dispiace, ma oramai è fatta xD
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che le citazioni di HP non vi mandino troppo al manicomio!
Ho dovuto tagliare un pezzo del capitolo perché sennò diventava ingestibile, ma spero che comunque vi fili tutto liscio e con un senso compiuto ^^’
Alla prossima <3

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


▌ Capitolo 8  ▌
 
 
 







 
«  C’è sempre una scelta giusta e una scelta sbagliata,
e la scelta sbagliata sembra sempre la più ragionevole. »
 
__George Augustus Moore
 
 


 

 
« I Bradi attraversano l’Ovestfalda bruciando qualsiasi cosa: fieno, capanne perfino alberi » Éomer ci stava facendo il punto della situazione.
Non era passato che un giorno dal funerale di Thèodred ma il dolore del lutto per il Re di Rohan non era una scusa per restare silenti nella propria stanza, non quando aveva compreso quanti danni fosse riuscito a fare Saruman nella sua nazione.
« Thèodred ha cercato di respingerli, ha dato la priorità ai villaggi poiché non vi sarebbero stati uomini a proteggerli. I nostri soldati migliori erano qua » disse indicando un punto nella mappa sul confine della Nazione che portava dritta verso Isengard.
« Ho cercato di raggiungerli un mese e mezzo fa, ma al mio arrivo i nostri uomini erano dispersi, ho quindi cercato di trovare vostro figlio ma non ho avuto fortuna. Così abbiamo stanato un gruppo di uruk-hai, gli stessi che Gwend e i suoi compagni stavano inseguendo. Lui mi ha avvertito di una serpe a palazzo e così sono tornato Sire » tralasciò ovviamente la parte, dove una volto giunto ad Edoras era stato accusato di alto tradimento e sbattuto nelle segrete assieme a tutti coloro che non erano riusciti a fuggire e si erano proclamati fedeli al loro Comandante.
Il Re incontrò il mio sguardo le sue labbra erano strette in una linea dritta e i suoi occhi colmi di furore, ma la rabbia non era riversa verso di me. Il sovrano mi ringraziò con un breve cenno, anche se io nella sua liberazione non c’entravo un bel niente.
« Chi guidava le truppe a piedi ? » domandò Théoden. Il suo volto era leggermente impallidito dinanzi a quella situazione disastrosa, ma sapevo che era un uomo forte, non avrebbe ceduto alla disperazione non fino a quando non avrebbe portato in salvo la sua gente.
« Erkenbrand mio signore » annunciò con dolore il giovane condottiero mentre vedevo anche Aragorn cedere ad un’espressione di dolore.
Conoscevo il guerriero in questione, aveva ricevuto la carica di Maresciallo da Théoden stesso, carica che si era ampiamente guadagnato nei suoi anni in guerra quindi era naturale che avesse avuto spesso a che fare con il ramingo.
« Era un grande condottiero, la sua scomparsa segna una ferita profonda nei nostri ranghi » disse il Re mentre Gandalf ricercava il mio sguardo, lanciandomi un sorrisetto che fosse stato da parte di chiunque altro, avrei trovato completamente fuori luogo.
Come al solito il Bianco Stregone, sapeva qualcosa si cui noi eravamo all’oscuro.
« Mio signore dobbiamo rischiare una guerra aperta » suggerii riportando l’attenzione sul tema più imminente:
Isengard e il suo esercito che se non ricordavo male, era formato da circa diecimila guerrieri.
« Se li attirassimo nelle Terre del Mark, avremmo le grandi radure ad aiutarci i nostri cavalli potrebbero essere decisivi nella ribalta » concordò Éomer indicando lo spiazzo a qualche kilometro di distanza dalla capitale.
« Dobbiamo prima liberare questi tre villaggi, portare in salvo le donne e i bambini » aggiunse Aragorn indicando la parte più interna della regione.
Alzammo tutti gli occhi verso il Re, che osservava la mappa distesa nella grande tavola, con aria pragmatica.
« Non possiamo rischiare una guerra aperta » commentò giocando distrattamente con la sua barba con le dita sotto il mento.
« La guerra aperta incombe, che voi la rischiate o no » gli ricordò Aragorn spostando la pedina che rappresentava l’esercito di Isengard all’interno dei confini di Rohan. Assomigliava ad un pedone nero degli scacchi e qualcuno gli aveva disegnato una mano bianca in testa, molto approssimativa.
« Se non ricordo bene Théoden, non Aragorn era il Re di Rohan » commentò l’uomo evidentemente seccato, in un tono che però mi fece stringere i pugni dall’irritazione. Non aveva alcun diritto di parlare a quel modo ad Aragorn, non era costretto da nessuno a restare per difendere la sua gente, eppure era qui con lui a proporre una guerra che avrebbe messo a rischio anche la sua di vita, semplicemente perché sarebbe stata la tattica migliore.
« Allora quale è la decisione del Re ? » domandò Gandalf, appoggiandosi casualmente al suo bastone. Se c’era una cosa della sua personalità che non era cambiata, era che niente e nessuno sembrava mai veramente toccarlo.
Eccezione fatta per Peregrino Tuc ovviamente, mi mancava quel rumoroso hobbit era sempre un’ottima distrazione durante un concilio di guerra simile. In cuor mio però, ero felice che fosse lontano dalla Guerra certo a breve avrebbe attaccato Isengard e a suo modo sarebbe stato comunque in guerra, ma per il momento era al sicuro, probabilmente all’ombra di qualche albero assieme al cugino Merry.
« Ci dirigeremo verso il Fosso di Helm con il grosso dell’esercito, tutti coloro che non sanno lottare invece troveranno riparo presso la fortezza di Dunclivo » disse spostando altre pedine a giro per la mappa, posizionandoli così che ci mostrassero i nostri futuri movimenti.
« Saranno al sicuro solo se il piano non fallisce» gli feci presente, notando la breve distanza che sarebbe richiesta per gli invasori per attaccare anche i civili dopo aver distrutto il Fosso di Helm.
« La fortezza non è mai crollata sotto assedio Gwend non devi temere, resisteremo » disse il Re incrociando il mio sguardo ed accennandomi un sorriso d’incoraggiamento, come se mi sentissi semplicemente pessimista e in realtà non conoscessi in realtà i fatti veri e propri.
Questa però era una parte della storia che Théoden non poteva conoscere, così annuii celando i miei timori dietro una maschera impassibile.
 La fortezza sarebbe crollata, sia che Grima avesse venduto l’unico punto debole delle mura o meno, le forze di Saruman sarebbero state troppo imponenti per permetterci di respingerlo a dovere, sperai solo che saremmo riusciti nell’impossibile anche nella realtà, così come la Compagnia lo aveva fatto nel libro.
 
Uscii dal grande salone dorato, assieme ad Aragorn e Gandalf,il vento sferzava le nostre vesti ricordandoci che l’inverno non si era ancora concluso e che la marcia che ci attendeva sarebbe stata lunga e impervia.
Ascoltai distrattamente i due uomini commentare la decisione del Re e mi ritrovai a concordare con entrambi, nonostante il desiderio di voler proteggere la propria gente fosse ammirabile, il Fosso di Helm avrebbe potuto rappresentare per la nazione di Rohan la distruzione totale.
Eppure non riuscivo a trovare sbagliata la decisione del Re, nonostante militarmente parlando fosse una pessima mossa in un momento simile della guerra, umanamente era comprensibile.
Théoden era un buon Re, teneva veramente la sua gente che a causa dell’influenza di Saruman aveva sofferto molto negli ultimi anni. Non voleva rischiare oltre per il loro bene.
La guardia che ci aveva accolto all’ingresso, stava avvisando i cittadini della capitale che saremmo partiti l’indomani e di preparare bagagli leggeri così da viaggiare veloci. Solo una manciata di ore, per mettere insieme tutta una vita ed infilarla dentro ad un sacco senza sapere se saresti mai riuscito a tornare.
Mormorii di terrore iniziarono a spargersi veloci nella città, voci di un attacco imminente dilagarono prima ancora che niente fosse stato ancora annunciato. Ma in fin dei conti, il fosso di Helm era un messaggio piuttosto chiaro:
Rohan era sotto attacco.
« Théoden è forte, ma temo per la sopravvivenza del popolo di Rohan. Avrà bisogni di voi nella sua ora più buia, è ora che abbandoniate i vostri dissapori, l’intera Terra di Mezzo ha bisogno che restiate uniti, le difese devono reggere. » colui che una volta veniva chiamato il Grigio pellegrino ci guardò con un’intensità degna del suo nuovo titolo, mentre entrambi annuivamo assicurandogli che avrebbero retto.
« So che desideravi parlarmi amica mia, ma le tue risposte dovranno aspettare. Ma sappi questo, poiché non meriti ulteriori carichi sulle tue spalle, hai fatto la scelta migliore per tutti noi. La mia fiducia in te è rimasta immutata ».
Non sapevo a quale dei miei tanti dubbi si riferisse, se all’aver mandato Faramir con Frodo, oppure all’averlo abbandonato all’oscurità e alle fiamme, ma mi costrinsi a ricambiare il suo sorriso, ringraziandolo per le sue parole di conforto.
« Fai attenzione » lo ammonii mentre lui ci rassicurava nuovamente, augurandoci buona fortuna.
« Ricorda Aragorn attendi il mio arrivo alla prima luce del quinto giorno. All’alba guarda ad Est » e detto ciò ci voltò le spalle entrando nelle stalle per andare a reperire Ombromanto e partire per una ricerca, che speravamo avrebbe fatto la differenza tra la sconfitta più dolorosa e la vittoria.
Restammo qualche minuto in silenzio, aspettando di vedere il Bianco Stregone partire verso l’orizzonte a cavallo, per deciderci ad affrontare la nostra realtà.
« Adesso comprendo. Hai dovuto vederlo cadere, così che potesse risorgere più forte » disse Aragorn senza che nessuno dei due si muovesse, con i nostri occhi ancora ben puntate verso le distese del regno di Rohan.
« Già » mi limitai rispondere, mordendomi l’interno della guancia per non aggiungere qualche frase infantile che lo avrebbe solo ferito ed io avrei finito per il rimpiangere.
Sospirai, voltandomi a guardare il ramingo prima che potesse prendere di nuovo parola:
« Non voglio affrontare nuovamente l’argomento Aragorn, capisco perché tu ti sia sentito tradito allora. Come tu capirai come mi sono sentita tradita io, ora che sai la verità »
« Mi -»
« Dispiace? » finii al suo posto incrociando il suo sguardo con un sorriso amaro « Già anche a me ».
« Ti avevo promesso, che non avrei più dubitato di te» ammise guardandomi come se avessi il potere di distruggerlo per sempre.
Potevo vedere i sentimenti di Aragorn che lottavano dentro di lui, dietro il suo sguardo vi era così tanta umiliazione e rabbia per se stesso che mi fece quasi pena. Quasi.
« Avevi due scelte: fidarti di me, oppure non farlo. Mi rattrista sapere che dopo tutti questi anni assieme tu continui a scegliere la seconda » gli risposi prima di inclinare leggermente il capo, in un breve inchino di congedo per fargli capire che la nostra discussione finiva lì.
Non odiavo Aragorn, non avrei mai potuto, eravamo veramente due fratelli in fin dei conti, ma aveva fatto male comunque leggere la comprensione negli occhi di Aragorn quando aveva riconosciuto Gandalf nello stregone Bianco dinanzi a noi nella foresta.
Aveva fatto male vedere tutta quella felicità mutarsi in rimpianto quando aveva incontrato i miei occhi, comprendo finalmente di cosa mi avesse accusato.
Mi ero ripromessa che non avrei fatto pesare al ramingo le sue parole, poiché erano state comprensibili. Dettate dalla rabbia al dolore. Ma dopo tanto tempo ad attendere il ritorno di Gandalf non avevo ancora avuto l’occasione di parlare con il Bianco Stregone faccia a faccia, per scusarmi e chiedergli perdono.
E le accuse di Aragorn, bruciavano oggi più di ieri come se mi fossero state impresse a fuoco sulla pelle.
 
Andai alla ricerca di un po’ di quiete, allontanandomi dal meraviglioso palazzo di Edoras, per costeggiare i confini della capitale, fino a ritrovarmi a camminare lungo le fortificazioni in legno, che avevano una passerella sufficientemente larga da permettermi di camminare senza infastidire le postazioni di guardia, che fissavano annoiate l’orizzonte.
Camminai fino a quando il paesaggio non divenne un disegno sfuocato e tutto uguale, con lunghe distese d’erba, interrotte solo da delle montagne che però erano così lontane che si aveva difficoltà a distinguerle dal cielo.
Mi fermai, appoggiandomi alle mura dinanzi a me, guardando il moto delle nuvole e sperando che i miei pensieri finissero come loro, portati via dal vento.
Non era giusto come avevo trattato Aragorn, avrei dovuto permettergli di scusarsi. Non era colpa sua se aveva reagito a quel modo, in fin dei conti io probabilmente al suo posto avrei fatto lo stesso.
Ma dopo tutta quella storia di Tauriel, mi chiesi se forse l’ex elfa non avesse fatto la scelta migliore.
Dimenticarsi di tutta la sua missione, così da vivere completamente la sua vita. Certo aveva pagato il prezzo più caro,aveva visto l’uomo che amava morirle tra le sue braccia senza che lei potesse fare niente. Era stata dimenticata da colui che per lei era come un fratello … Ma a cosa ti serve essere nei ricordi di chi ami, se tanto la tua vita si è conclusa?
« I tuoi pensieri sono cosi cupi, che stanno facendo cambiare umore anche alle nuvole » si annunciò una voce dietro di me che mi portò ad alzare lo sguardo sul cielo piuttosto che voltarmi verso il nuovo arrivato.
Avevo riconosciuto la voce dell’elfo, e solo lui sarebbe riuscito a cogliermi completamente alla sprovvista a quel modo, a causa dei suoi passi tanto leggeri.
« Alcune persone aspettano la pioggia per non piangere da sole ¹ » risposi notando che effettivamente le nubi che si erano fatte avanti, avevano assunto un’amara tonalità di grigio, ma ero piuttosto sicura che non avrebbe piovuto. Non in testa a noi perlomeno.
Legolas si portò di fianco a me, specchiando la mia posizione, appoggiandosi alla palizzata anche se ovviamente, sembrava molto più elegante nel farlo mentre manteneva almeno un braccio di distanza tra di noi.
Era la seconda volta, in soli due giorni che ci ritrovavamo da soli, lontani da tutti gli altri. Se non fosse stato per il fatto che era semplicemente ridicolo, avrei iniziato a chiedermi se l’elfo non mi stesse in realtà tenendo d’occhio molto di più di quanto avessi creduto possibile.
Effettivamente, era stato anche il primo a trovarmi, sia lungo il fiume Anduin con gli uruk-hai che nei sotterranei di Edoras quando avevo avuto più bisogno di aiuto. Sembrava arrivare sempre in tempo.
Trattenni un sorriso, poiché dubitavo che il biondo avrebbe apprezzato quel pensiero. Volente o nolente, quell’elfo così astioso, mi aveva già salvato la vita più volte di quante gli sarebbe piaciuto ricordare.
« Ho creduto che tu avessi mentito, quel giorno a Lòrien » disse Legolas dopo qualche minuto, con lo sguardo che ancora scrutavano la nuda pianura.
Ruotai la testa verso di lui, appoggiandola sulle mie braccia incrociate sulla palizzata, guardandolo interrogativa.
« A Frodo » specificò cauto « ti avevo udita, mentre gli confidavi che Gandalf era ancora vivo » aggiunse calando leggermente il tono della voce nell’esporre le ultime parole.
« Non è carino origliare Legolas » mi limitai a commentare con un mezzo sorriso, cercando di trattenere al meglio il divertimento nella mia voce, quando la punta delle orecchie, gli si tinsero di un rosa delicato.
Era forse in imbarazzo?
« Perché non lo hai detto a tutti noi? » domandò cauto, voltandosi ad incontrare il mio sguardo mentre io automaticamente lo evitavo, raddrizzando la testa per guardare di nuovo davanti a me.
« Perché ho fatto delle scelte e le mie molto spesso hanno delle conseguenze. Non avevo la certezza che Gandalf ce l’avrebbe fatta … Non volevo darvi false speranze » spiegai nuovamente amareggiata, scoccando un’occhiata veloce alle nuvole sopra di me sperando non iniziasse davvero a piovere per emulare il mio umore.
« Ma l’avresti data a Frodo » ribatté evidentemente confuso mentre lo osservavo con la coda del’occhio, avvicinarsi di un passo, appoggiandosi lungo le mura di legno con il fianco per poter continuare a guardarmi.
Annuii voltandomi ad affrontarlo senza vergogna.
« Frodo ne aveva bisogno » aggiunsi « Sarà costretto ad attraversare la tenebra stessa. Avrà bisogno di tutta la speranza possibile »
« Per questo Sam » aggiunse cercando i miei occhi, finalmente comprendendo le mie intenzioni. Sapevo ovviamente che gli elfi mentivano, ma a Gran Burrone era un’usanza poco apprezzata. L’eternità è così lunga e le bugie sempre così corte, che non vi era posto per loro tra gli immortali.
Ma ovviamente le usavano, le celavano sempre tra grandi giri di parole e rompicapi senza senso solo per far impazzire meglio chi li ascoltava. Il padre di Legolas, Re Thandruil era famoso tra gli elfi per fare grande uso di quell’insolita arte.
« Sam sarà per Frodo, l’eroe che Frodo sarà per tutti noi » conclusi con un sorriso affettuoso ripensando ai volti dei due giovani hobbit.
Dove erano in quel momento? Erano già giunti nell’ Ithilien? Avevano avuto problemi con Gollum? E Faramir? Come se la stava cavando?
« Un arduo compito » mormorò l’elfo quasi sovrappensiero mentre io non potevo fare a meno che concordare. Ognuno avrebbe dovuto fare la sua parte nella storia, mi chiesi se io sarei stata in grado di ottemperare al mio dovere come credeva Gandalf. O se avrei fallito, come Tauriel e come pareva essere stato sicuro Grima.
Restammo per qualche altro minuto in silenzio, prima di muoverci simultaneamente, senza neppure metterci d’accordo per rientrare, quando il sole iniziò a calare all’orizzonte.
 
La strada del ritorno, fu ricca di sguardi e mormorii, causati ovviamente dalla presenza di Legolas.
Vidi molte donne, far cadere ciò che portavano in mano e qualche uomo inciampare nei suoi stessi passi, mentre restavano letteralmente abbagliati dall’elfo, facendomi sentire un po’ più a mio agio con me stessa.
Per lo meno, non ero la sola che rischiava l’infarto ogni qual volta che una di quelle creature si avvicinava troppo, ed io avevo avuto anni per abituarmi alla loro bellezza. Il popolo di Rohan, solo poche ore.
« Scapperai nuovamente, se provo a nominare Aragorn? »
« Non sono scappata ieri »
« Ah no? »
« No, sono solo … uscita molto velocemente dalla stanza» dissi cercando di mantenere la migliore delle mie facce di bronzo, mentre l’elfo sbuffava di fianco a me in un suono che assomigliava terribilmente ad una risata.
Percepivo lo sguardo dell’elfo su di me, che decisi prontamente di ignorare ben decisa a non inciampare come coloro che avevano incrociato il nostro cammino. Ero certa che si aspettassero che Gwend, quello delle loro leggende, non incespicasse arrossendo a disagio solo per dover sostenere troppo a lungo lo sguardo di un principe elfico.
Legolas comunque, dovette percepire dalle mie spalle rilassate e soprattutto, dalla mancata fuga, che poteva addentrarsi nel terreno che riguardava la sorte del suo migliore amico.
« Estel era in pena da molto prima che Gandalf tornasse da noi » iniziò il biondo attirando completamente la mia attenzione, mentre però mantenevo ostinatamente gli occhi verso il terreno.
« Intendi dire che voleva chiedermi scusa già da prima che il Bianco Stregone tornasse, ma non ne ha avuto il tempo? Suona conveniente » commentai cercando di trattenere il sarcasmo nella mia voce. A giudicare dalla leggera pausa di silenzio che susseguì le mie parole, non dovevo esserci riuscita.
« Ti sei mai chiesta cosa fosse venuto a dirmi Haldir quel giorno? »
Mi fermai di colpo, alzando gli occhi sull’elfo che però non si fermò, incurante del mio momentaneo shock mentre mi affrettavo a richiudere la distanza tra di noi.
« Quando hai cercato di uccidermi? Quel giorno? » ribattei voltandomi verso Legolas mentre l’elfo annuiva, e la punta delle sue orecchie si tingeva nuovamente di rosso.
L’imbarazzo gli donava particolarmente.
« Credevo fosse venuto a chiederti scusa » dissi poi con una scrollata di spalle.
In tutta sincerità, dopo, ero stata troppo turbata dall’esistenza di Tauriel per preoccuparmi di cosa avessero discusso i due elfi in mezzo al bosco.
« Affatto » Legolas arricciò leggermente le labbra, come ad intendere che anche secondo lui, quella sarebbe stata la reazione più appropriata « Ma di fatto, è venuto a dirmi che se non avessi fatto ragionare io Aragorn, lo avrebbe fatto lui. A modo suo. »
« Suona come Haldir » commentai sentendo le mie labbra piegarsi in un sorriso pieno di affetto, immaginando la scena senza troppe difficoltà. Una piccola parte di me, quella più meschina, era particolarmente felice di sapere che nonostante Haldir fosse oramai grande amico anche di Aragorn, aveva comunque preso le mie difese.
« Non saprei, mio padre ha sempre guardato con profondo rispetto i guerrieri di Lothlòrien, famosi per il loro senso del dovere. Non avevo mai compreso, che la loro fedeltà potesse essere tanto profonda anche verso delle singole persone »
« Sei colpito dal fatto che non siano solo dei soldati senza cervello? » domandai scettica pronta a lanciarmi in una discussione con l’elfo. Non mi interessava se finalmente con Legolas qualcosa si stesse appianando, non gli avrei permesso di parlare male del mio migliore amico, non dinanzi a me.
« Tutt’altro, anzi, li invidio molto. Deve essere bello, poter lottare con tanto ardore per qualcuno che ami.
Tu non hai visto gli occhi di Haldir quel giorno, ma io sì, ho letto nel suo sguardo la sua determinazione. Ti avrebbe difesa a costo della vita, e se nello scontro fosse stato lui ad uscirne vincitore sarebbe stato pronto a partire per Mirkwood per affrontare la pena che gli avrebbe inflitto mio padre.
Ho visto il desiderio di proteggerti. E’ stato quello ha farmi abbassare la spada:
Non si può vincere una battaglia contro un soldato che ha alle spalle qualcuno per la quale vale la pena morire. » pronunciò le ultime parole come una citazione presa in un libro, o una frase detta da qualcun altro molti anni addietro.
Ne rimasi molto colpita ovviamente, non solo per l’affetto di Haldir che in realtà non mi sorprendeva. Ero certa che anche l’elfo sapesse che anche io ero pronta a sacrificare la mia vita per proteggerlo. Non era certamente una scelta difficile, la mia vita in cambio di qualcuno che amavo? Suonava facile alle mie orecchie.
No, era stato il fatto che Legolas avesse ammesso, di essersi sentito così vulnerabile dinanzi alla determinazione di Haldir.
Mi chiesi se il fuoco che aveva visto ardere negli occhi del soldato dinanzi a lui, gli avesse ricordato che un tempo, era stato solito combattere per qualcuno con lo stesso ardore. Oppure se il fato fosse stato così crudele da togliergli anche quello, e quando aveva visto la determinazione nel proteggermi negli occhi di Haldir, si era sentito semplicemente solo.
 « Quel giorno quando te ne andasti ad incontrare Galadriel e lui restò » riprese il biondo, inconsapevole delle strade che avevano formato i miei pensieri in quella breve pausa « Mi disse che aveva notato lo sguardo negli occhi di Aragorn. Mi disse che lo aveva riconosciuto.
Ovviamente non avevo idea di cosa intendesse ma quando parlando, scoprì che Aragorn ti aveva accusato della morte di Gandalf … avresti dovuto vederlo, credevo sarebbe marciato lui stesso nel campo, per uccidere con le sue mani Estel. Ma non fece niente di simile, la sua espressione, rimase di pietra e quando gli chiesi cosa avrebbe avuto intenzione di fare, mi rispose:
“Niente, Valacen non vorrebbe che io interferissi.
Ma Aragorn è un tuo grande amico e lui si fida del tuo giudizio, dovresti ricordargli che lui quando ha visto il Grigio Stregone cadere, ha perso una guida. Ma lei ha perso molto di più.
Nella migliore delle ipotesi non lo sapeva e ha visto cadere qualcuno che amava come un padre. Nella peggiore, ha dovuto spingerlo lei stessa tra fuoco e fiamme.
Onestamente non saprei dire quale tra i due destini sia il peggiore. “
Non ne parlai con Aragorn fino alla mattina della partenza, vorrei poter dire che non avevo capito cosa intendesse il Capitano delle Guardie ma sarebbe una menzogna.
Ti è stato affidato un arduo compito e ora so di averti mal giudicata, i Valar non avrebbero potuto scegliere persona più degna di te per aiutarci a plasmare il destino della nostra bella Terra » Legolas si piantò dinanzi a me, proprio nel momento in cui eravamo quasi arrivati alle porte della casa del Re.
Il Principe di Mirkwood si inginocchiò, dinanzi a me, mentre mi guardavo attorno con gli occhi spalancati completamente presa alla sprovvista dalla nuova svolta degli eventi accertandosi che non ci fosse nessuno a portata d’orecchio.
« Estad dìhena-enni Valanyar ò Imladris [ Chiedo il tuo perdono Valanyar di Imladris] » continuai a fissarlo completamente sconvolta, mentre lui restava immobile, con il capo basso e un ginocchio a terra in un inchino così referenziale che sapevo che dato il suo rango, avrei dovuto sdraiarmi a terra secondo le lezioni di etichetta di Arwen. Perché dovevi sempre porre il tuo inchino più in basso, quando qualcuno di rango superiore ti salutava. Ma quello non era un saluto, era un richiesta di scuse.
Mi costrinsi ad un contegno, consapevole che il Principe di Mirkwood meritasse almeno una risposta adeguata.
« Garel Legolas ò Eryn Galen². Cuina-govannas si, trenôren boe  gobennas. [ E lo hai Legolas di Erin Galen. Siamo compagni/membri della compagnia adesso, il passato è storia.] » risposi sperando di aver risposto in modo corretto ad un simile gesto, e di non aver osato troppo a non nominare il suo status sociale.
Per fortuna l’elfo dovette apparire soddisfatto, perché con mia grande felicità si rimise in piedi, troneggiando nuovamente su di me dai suoi due metri abbondanti di statura mentre mi dedicava un sorriso timido, che io ricambiai incerta.
Avevamo ancora molta strada da fare, ma era sicuramente un nuovo inizio, poiché adesso sapevo che ci sarebbe stato qualcun altro a guardarmi le spalle. Ed io avrei guardato le sue.
 
 
 
 


Tutto il pomeriggio con il biondo elfo però mi aveva costretto a scendere a patti con il fatto che adesso era mio, il compito di fare un passo avanti e magari scusarmi con il ramingo.
Se era vero che Legolas aveva riferito il messaggio di Haldir, e non avevo motivo di dubitare il contrario, Aragorn doveva essersi sentito molto più in colpa di quanto gli avessi mai augurato.
Del mio risentimento del pomeriggio, non ve ne era più alcuna traccia. Spazzato via da quelle imbarazzanti scuse dell’elfo, che nonostante la vergogna non poteva nascondere quanto le avessi apprezzate.
Anche se adesso, ero ancora più curiosa di capire cosa avesse fatto cambiare in modo così radicale idea all’elfo, ma ero certa che il tempo avrebbe risposto alle mie domande e se anche non l’avesse fatto, oramai Legolas aveva deposto l’ascia di guerra.
Magari tra un po’ di tempo saremmo stati sufficientemente in confidenza perché potessi chiederglielo io stessa. Tipo tra un paio d’anni.
« Mi sono ricordato di una cosa » disse Aragorn prendendo posto accanto a me sulla panca e facendo scorrere un vassoio con una specie di enorme panino tagliato a metà sopra la tavola, distogliendomi completamente dai miei pensieri.
Alzai lo sguardo verso il ramingo, pronta a chiedergli che cosa volesse di preciso, prima di notare il suo profondo imbarazzo nelle orecchie rosse e la guancia infossata, segno che si stava mordicchiando l’interno della bocca come era solito fare quando era nervoso.
Quando ero giunta nella sala, mi ero seduta nel tavolo accanto a quello di Gimli e Legolas, sperando di poter scoprire dal nano da che parte fossero le cucine, e come potevo fare per reperirmi del cibo. Ma il nano mi aveva risposto in modo enigmatico, dicendomi che dovevo solo sedermi e qualcuno me lo avrebbe portato.
Mi era sembrato uno strano servizio, in una mensa per soldati, ma ero ancora troppo stranita dagli eventi per notare veramente qualcosa. Ma adesso era tutto più chiaro.
« Cosa? » mi sbrigai a rispondergli, sperando di non aver assunto un’espressione troppo scettica alla vista del piatto.
« I primi tempi, quando giungesti a Gran Burrone ti lamentavi continuamente del cibo ricordi ? »disse con uno sguardo perso nei suoi ricordi infantili, probabilmente ricordandosi la quantità di volte in cui Elrond mi aveva rimproverato per la mia maleducazione in riguardo a … Beh quasi tutto.
« E chi se lo dimentica, ancora non avete imparato ad usare il sale » ribattei come non facevo da molto tempo.
Mi dovevo essere dimenticata ad un certo punto, che io non ero sempre appartenuta a questo mondo, c’era un altro posto da qualche altra parte.
Ma non ricordavo la strada, non sapevo che direzione avrei dovuto prendere per tornare dal posto in cui ero venuta. Non ricordavo neppure, perché me ne fossi andata. Ma non doveva essere importante, ero a casa qui, nella Terra di Mezzo.
« Già, continuavi a lamentarti, spesso solo con me per non ferire i cuochi. Ed ogni volta quando ti chiedevo cosa avresti voluto mangiare, ripetevi sempre la stessa cosa: che volevi una piz- »
« Pizza! » esclamai assieme a lui, stupita di ricordarmi quella parola che ora sedeva scomoda sulla mia lingua, segno che erano quasi cinquant’anni che non la nominavo.
Aragorn annuì, accennando finalmente un sorriso timido davanti al mio ritrovato entusiasmo, mentre insieme spostavamo gli occhi nel vassoio tra di noi.
« Quindi, mi avresti fatto una pizza? » domandai guardando quello strano panino deforme che avevo davanti. Era composto da del pane basso, simile ad una schiacciata con sopra dei pomodori che avevano visto giorni migliori, tagliati sopra e del formaggio fresco un po’ muffito che assomigliava a del gorgonzola.
Era tutto, tranne che una pizza.
Mi voltai a guardare nuovamente Aragorn con un sopracciglio inarcato, mentre l’uomo si passava una mano tra i capelli, frustrato.
« Ricordo che avevi detto che era fatta con una pasta simile al pane, con del pomodoro e del formaggio e- » si interruppe bruscamente, mordicchiandosi nuovamente l’interno della guancia, prima di allungarsi per riprendere il vassoio « Lascia stare, scusami è stata un’idea stupida è solo che - » in quel momento mi immaginai cosa doveva aver passato il ramingo in quelle ore, arrovellandosi il cervello alla ricerca di un perdono sincero, chiedendosi se non aveva già consumato tutte le sue carte con la sottoscritta mentre io me ne ero stata a guardare le nuvole tutto il pomeriggio.
E poi un ricordo vecchio quanto la nostra storia si era fatto strada dentro di lui. Così aveva passato quegli ultimi momenti: invece di prepararsi alla partenza dell’indomani era andato a giro per tutta Edoras, ricercando il necessario per una “pizza” basandosi su un ricordo di quando era bambino.
Solo nella speranza che lo perdonassi, almeno un po’.
« Nono Aragorn è fantastico! » dissi poggiandogli una mano sul braccio che si era allungato a prendere il vassoio e invitandolo a risedersi. « Va benissimo. Anzi, è una meraviglia! » confessai prendendone una metà e offrendo a lui l’altra, prendendone poi il primo morso appena si fu riseduto.
Il pane era piuttosto raffermo, non c’era un goccio d’olio e di sale neanche a sognarlo ma lo trovai buonissimo. Mi voltai verso il ramingo e mugolando soddisfatta con il boccone sempre in bocca lo invitai ad imitarmi.
L’uomo di dedicò un enorme sorriso a trentadue denti e finalmente addentò anche lui la sua “pizza” soddisfatto della mia espressione.
C’era una cosa in cui gli uomini ci avevano visto giusto, io e Aragorn eravamo realmente come fratelli, non importava cosa la vita ci avrebbe posto davanti e quanto avremmo litigato in futuro, ci saremmo sempre stati l’uno per l’altro.
“Casa è dove è la famiglia” pensai prendendo un altro morso, mentre ballettavo leggermente sulla panca, incurante degli sguardi curiosi che ci stavano lanciando i guerrieri attorno a noi.
« Ignorateli, è quando si dice che i fratelli parlano una lingua tutta loro » sbuffò Gimli nel tavolo accanto, mentre con Legolas si scambiava un sorriso soddisfatto, felice di notare che io ed Aragorn eravamo finalmente tornati in buoni termini.
 
 
 
 
 

L’indomani mattina prima dell’alba, eravamo tutti impegnati nei diversi preparativi. Con Aragorn ci eravamo offerti assieme ad altri soldati, di passare di casa in casa a chiedere se qualcuno aveva bisogno di aiuto con gli ultimi preparativi.
Nelle case dei più giovani, li aiutammo a selezionare al meglio i loro pesi, indicandogli cosa sarebbe stato realmente utile per il viaggio e cosa purtroppo, era meglio lasciarsi alle spalle.
I più anziani non ebbero problemi, figli di una generazione cresciuta guerra dopo guerra, spostarsi verso il Fosso di Helm con i soldati era diventata quasi un’abitudine, molti di loro, avevano persino antichi nascondigli per tutti i beni che si sarebbero lasciati alle spalle.
Nonostante l’aria cupa che c’aveva accolto il primo giorno, e nonostante fossimo sull’orlo della guerra il popolo di Edoras sembrava essersi rinvigorito di ottimismo alla vista del loro Re.
Théoden stesso, girava per la città, invitando il suo popolo a tenere dure, mentre si scusava per la sua decisione e spiegava che era una scelta necessaria. Onestamente, scaldava il cuore sapere che almeno una nazione degli uomini, era guidata da un uomo d’onore.
Forse Théoden non era all’altezza dei suoi padri, ma aveva comunque un cuore buono.
Finiti i nostri giri e con poche ore che ci separavano alla partenza, con Aragorn passammo dinanzi alla stalla, dalla quale stavano provenendo delle urla di disperazione e dei nitriti violenti da parte di un cavallo, evidentemente scosso.
« Vai pure dal Re, ci penso io » dissi notando due stallieri di Rohan in difficoltà mentre il ramingo annuiva, procedendo poi per la sua strada.
Entrai nella stalla trovandomi dinanzi una visione piuttosto infelice, dove un cavallo baio si agitava come se avesse appena avvistato un lupo nella stanza, strattonando le corde tese degli stallieri che cercavano di impedirgli di fare troppo danni ma senza riuscire a calmarlo.
« Mio signore questo cavallo è pazzo! » urlò uno degli uomini non appena mi vide, rischiando di cadere a terra per il suo attimo di distrazione quando il baio lo strattonò con forza nella direzione opposta.
Lanciai uno sguardo al box di Bucefalo, che osservava la scena con le orecchie all’indietro evidentemente a disagio sbuffando con il naso nervoso.
« E’ solo spaventato » dissi prendendo la corda dalle mani dello stalliere.
« Faeste, stile nu. Faeste , stile nu. [ Fermo, sii quieto. Fermo, sii quieto.] » iniziai a mormorare sottovoce, avvicinandomi lentamente all’animale, senza mai smettere di infondere la mia sicurezza in quelle parole.
L’altro stalliere mi guardò impressionato, mentre la corda gli scivolava dalle mani, con il cavallo che non cercava più di scappare, ma restava a scalciare sul posto, comunque nervoso, ma evidentemente più calmo.
Feci un cenno anche al secondo uomo che poteva andare, avevo la situazione sotto controllo.
« Stile nu. Stile nu [ Tranquillo. Tranquillo ] » mormorai nuovamente cambiando solo cadenza della mia voce ad un tono più dolce, avvicinandomi al cavallo fino ad arrivare a carezzargli il muso. Lanciai nuovamente uno sguardo a Bucefalo, che aveva riportato le orecchie in avanti, nitrendo soddisfatto, segno che approvava le mie gesta.
« Hwaet nemađ đe ? [ Senti la guerra che si avvicina? ] » domandai continuando a carezzargli la striscia  bianca lungo il muso, passandogli delicatamente le unghie nel pelo per rilassarlo.
Era un cavallo meraviglioso, ma evidentemente terrorizzato, e a giudicare dalle selle vicino al suo box doveva essere un cavallo da guerra.
« Era il cavallo di mio cugino, si chiama Brego » mi suggerì una voce non molto distante da me in tono pacato. Mi voltai, sorridendo ad Éowyn che era a pochi metri più in là e ora mi guardava con un aria impressionata e triste allo stesso tempo.
« Din nama is cynglic Brego [ Hai un nome da re Brego ] » continuai a parlare al cavallo, fino a quando le sue orecchie non si placarono e i suo occhi trovarono un po’ di serenità sotto le mie mani.
« E’ in lutto » spiegai voltandomi verso Éowyn rispecchiando il suo sguardo di dolore. « Avreste dovuto avere più considerazione dei suoi sentimenti, ha visto molte guerre. Il minimo sarebbe stato lasciargli dire addio al suo compagno » dissi notando lo sguardo confuso negli occhi della dama.
« Mio signore, è solo un cavallo » disse uno degli stalliere che stava preparando i cavalli per i soldati.
« Solo un cavallo uh? » ripetei con un sorriso divertito, voltandomi verso Bucefalo « Vieni qui amico mio, aiuta tuo fratello. » dissi ignorando le esclamazioni di sorpresa, quando il cavallo grigio nitrì, aprendo la porta del box con la bocca, muovendo la maniglia come se niente fosse, mentre si avvicinava al cavallo baio, intrecciando il collo con il suo, non appena lo ebbi liberato dalle corde.
 Permisi ai due cavalli di entrare nella stessa stalla, chiudendo loro la porta alle spalle, nonostante fosse stato evidente che per il mio cavallo non sarebbe stato un problema uscirne.
« Avevo sentito parlare della magia degli elfi, ma non mi sarei aspettata di trovarla in un ramingo che viene dal Nord » disse la dama colpita, mentre io mi concedevo un sorriso soddisfatto dinanzi alle espressioni esterrefatte dei presenti.
« Ho vissuto con loro per la maggior parte della mia vita » confidai voltandomi poi a guardare lo stalliere, che assieme al suo collega di poco prima, continuavano a fissarmi increduli.
« I cavalli di Rohan, sono animali molto intelligenti grazie alle vostre cure. Ma non dimenticate che con il sapere, aumenta anche il sentimento. Non dubitate mai della fedeltà di un animale » li avvertii mentre il più giovane dei due annuiva, prima di aprirsi in un sorriso.
« Faremo tesoro del tuo insegnamento. » mi assicurò con un cenno del capo, prima che io uscissi dalla stalla, lasciandoli ai loro doveri.
 
Quando giunse il momento della partenza, un’enorme carovana si estendeva per tutta la via principale che conduceva a palazzo.
Le bandiere era state abbassate nuovamente a mezz’asta in segno di lutto mentre il popolo di Edoras si guardava attorno, ammirando la loro tanto amata capitale.
« Popolo di Rohan ! Questa non è una sconfitta, noi ritorneremo ! » annunciò il Re, lanciandosi un ultima occhiata alle sue spalle, salutando il palazzo d’oro e la casa dei suoi padri prima di dare il via alla marcia.
Éomer procedeva a cavallo accanto al suo signore, evidentemente indolenzito, ma le ferite peggiori erano riuscite a guarire in tempo per permettergli di affrontare il viaggio con dignità. A cavallo accanto al suo Re.
Certo al contrario degli altri guerrieri, non indossava l’armatura, ma il suo portamento appariva comunque fiero e possente grazie alle grandi spalle e lo sguardo risoluto.
Alla mia sinistra procedeva Aragorn, poi Legolas assieme a Gimli e più avanti riuscivo a scorgere anche la bionda chioma di Éowyn, che doveva essersi fatta carico del cavallo del cugino.
Brego marciava accanto alla fanciulla, a passo lento e lo sguardo basso, ma la sua coda si muoveva ad un ritmo tranquillo e a giudicare dalla sua posa rilassata, la fanciulla doveva aver fatto breccia nelle difese dell’animale.
In quei momenti mi chiedevo come sarebbe stato se anche Bucefalo fosse stato in grado di parlare. Certo, solitamente mi rilassavo grazie al piacevole silenzio che si formava attorno al suo passo cadenzato. Eppure in quel momento ero curiosa di cosa fosse successo nella stalla dopo che me ne ero andata.
Cosa si erano detti i due cavalli? E la principessa di Rohan che ruolo aveva avuto nel colmare il vuoto lasciato dal Principe ereditario?
« A cosa pensi? » mi domandò il ramingo di fianco a me
« A Lòrien, ho incontrato un cervo. Ha detto che gli animali nella foresta sapevano parlare grazie alle amorevoli cure degli elfi. Mi chiedevo se un giorno sarebbe stato possibile anche per una nuova generazione di Bucefalo » dissi dando delle pacche amichevoli sulla spalla dell’animale, che mi ricompensò con uno sbuffò di gratitudine. Al grigio animale, le marce tanto lente non piacevano affatto, soprattutto quando doveva starsene circondato da così tanti altri cavalli ed essere umani.
« Il cervo, lo ha detto? » ripeté Gimli guardandomi di sottecchi, come se fosse specificatamente colpa mia se adesso gli animali sapevano parlare.
Beh tecnicamente solo alcuni, ed erano estremamente rari, e anche Ombromanto non era sembrato interessato a parlare con il Mastro Nano. Evidentemente l’antipatia era reciproca tra animali parlanti e Nani.
« Non credo, non ve ne è nessuno a Imladris giusto? E anche nel regno di mio padre, vi sono solo i Cervi reali » rispose Legolas, ignorando completamente il commento di Gimli mentre Aragorn annuiva pensieroso.
« E anche loro non parlano con chiunque. Quello che ti è stato fatto è un grande onore » aggiunse lanciano uno sguardo nella mia direzione con un lievissimo accenno di sorriso.
Sicuramente il Principe di Mirkwood ci stava provando, era ammirevole.
« Il cervo a Lòrien, mi ha detto che spesso parlano solo con coloro che li chiamano per nome e soprattutto li rispettano » dissi sovrappensiero chiedendomi nuovamente cosa significava “chiamarli per nome”.
 
La mattinata proseguì lentamente, mentre ci facevamo accompagnare nel viaggio da paesaggi meravigliosi, ma pur sempre monotoni.
Ero oramai scesa da Bucefalo, lasciando il mio posto a Gimli a bordo dell’animale poiché Legolas aveva liberato per un po’ il suo e quello di Aragorn, lasciandoli liberi di sgranchirsi le zampe.
Éowyn ci aveva raggiunta nelle retrovie dopo pranzo, accanto a lei Brego, che camminava tranquillo al suo fianco, carico di ceste di cibo che la bionda dama si era offerta di portare al posto del cavallo più anziano di una giovane coppia.
« Gwend, è un nome elfico? » domandò dal nulla Éowyn, come se avesse riflettuto a lungo se esporre o meno quel dubbio.
« Oh qualcosa del genere » dissi scambiandomi un’occhiata con Aragorn che se la rise sotto i baffi.
« E cosa significa? » la bionda fanciulla guardò tra me, ed Aragorn che continuavamo a scambiarci degli sguardi piuttosto affiatati.
“Forza genio e ora che i inventiamo?”
“Io ? E’ il tuo di nome inventati qualcosa, dillo al maschile “
“Fanciullo? E’ ridicolo. Mai”
«Ho forse detto qualcosa di sbagliato? » domandò Éowyn notando il nostro atteggiamento, probabilmente era capitato anche a lei ed Éomer di comportarsi a quel modo quando erano solo ragazzi.
« Emh, è solo che i nomi elfici sono strani. Non come i nani, noi si che abbiamo nomi regali! » commentò Gimli salvandoci da una situazione spinosa, mi voltai verso di lui, ringraziandolo con un sorriso mentre lui si lanciava in una spiegazione sul significato del suo nome, e poi quello di suo padre e di suo nonno e del suo bis-nonno.
« Incredibilmente regali, certo » sbuffò Legolas ma senza alcun astio, con un sorriso giocoso delle labbra. Probabilmente desiderava solo interrompere quella sequela di nomi, accompagnata dalle storie della famiglia di Gimli.
« Cosa ne puoi sapere tu eh orecchie appunta? » ribatté il nano voltandosi a guardarlo con gli occhi socchiusi in un’espressione accusatrice, come se volesse sfidarlo a criticare i suoi avi.
« Sicuramente che i nomi elfici non sono strani. Solo Gwend lo è » aggiunse lanciandomi una breve occhiata attraverso Bucefalo.
« Non accetto critiche da qualcuno il cui nome significa letteralmente “ Foglia Verde” » gli risposi schioccando la lingua con finta saccenza, affacciandomi leggermente oltre il muso del cavallo per guardarlo con aria di sfida.
« Stai insultando il mio nome? » ribatté lui, assumendo adesso lo sguardo che poco prima gli aveva dedicato Gimli, facendomi solo divertire ancora di più,perché era così evidente che Legolas non stesse capendo se il mio commento era davvero denigratorio o meno.
Beh aveva senso, dubitavo che qualcuno avesse mai osato prendere in giro l’elfo, eccezione fatta per Gimli ovviamente, ma al nano si perdonava tutto con la sua aria bonaria. E soprattutto per via della sua ascia.
 « Mi pento di aver posto domanda alcuna » commentò sottovoce Éowyn in un timido sussurro, temendo evidentemente di aver fatto scoppiare una guerra nel mezzo della compagnia, ma portandoci invece a ridere tutti assieme dinanzi al suo viso imbarazzato.
« Non si preoccupi mia signora, fanno sempre così » si limitò a commentare Aragorn, rincuorandola con uno dei suoi migliori sorrisi.
Éowyn dovette restare momentaneamente abbagliata dalla dolcezza del ramingo, perché le sue palpebre si mossero veloci come ali di farfalla prima di ritrovare il pieno controllo e portare l’argomento su un terreno meno accidentato.
 

 
 



Il mattino successivo, ci trovò stanchi e indolenziti dalla lunga marcia, ma niente di paragonabile alla settimana passata ad inseguire Merry e Pipino.
Nessuno aveva preferito interrompere la marcia, e nonostante la sera avessimo fatto una lunga sosta, dove alcuni erano riusciti anche a guadagnarsi qualche ora di sonno, la stanchezza iniziava ad incombere sul popolo di Rohan.
Ci eravamo fermati da pochi minuti, mentre due cavalieri andavano in avanscoperta verso la fortezza per assicurare una strada sicura ai civili e quelli di noi che non avevano ancora avuto il tempo, si concedevano un po’ di riposo.
Io ed Aragorn eravamo sdraiati nell’erba incolta, alle nostre spalle i cavalli facevano uno spuntino leggero con l’erba fresca della collina, mentre noi ci scambiavamo idee sulle varie tattiche di guerriglia che avevamo sperimentato in passato e che avrebbero potuto farci comodo nel Fosso di Helm.
« Miei signori » ci interruppe una voce oramai diventata familiare « Ho preparato uno stufato, non è una gran cosa ma è caldo » ci offrì Éowyn con un sorriso gentile.
Offrì la prima ciotola ad Aragorn che la ringraziò con un breve cenno della testa e la successiva a me che accolsi con un sorriso.
Ci voleva proprio una zuppa calda, per mandare via il freddo della notte e rimettersi in forze per poter proseguire nel viaggio.
« Mio fratello l’altro giorno » iniziò la fanciulla con fare incerto mentre io distoglievo la mia attenzione dal brodo caldo, per voltarmi verso di lei « Vi ha detto che ha un altro debito di vita con voi,perfino mio zio vi tratta come se vi conoscesse da molto tempo. Ma questo non è possibile, non è vero? Voi non potete essere quel Gwend » disse con una lieve risata, come se ciò che stava dicendo, diventava sempre più ridicolo ad ogni parola che pronunciava.
« Vi ricordate dunque di me mia signora, ci siamo conosciuti che eravate solo una bambina » le risposi prima di spostare la mia attenzione su Aragorn, che risputò la sua cucchiaiata di stufato nella ciotola di fortuna con molta poca eleganza.
Forse il brodo era ancora troppo caldo?
« Ma non è possibile, quindi voi avete almeno settant’anni! » esclamò Éowyn accanto a me, guardandomi come se non mi avesse mai visto prima, probabilmente cercando qualche segno di vecchiaia nella mia pelle eternamente giovane.
« Ne ho centouno » risposi mentre lei si portava le mani dinanzi alla bocca in una espressione di shock guardando tra me ed Aragorn, come se ci vedesse di nuovo la prima volta.
« Quindi voi siete quel Gwend! Assieme a Sire Aragorn siete i raminghi di cui parlano le vecchie storie » commentò evidentemente entusiasmata « Siete dei Dùnedain, i discendenti di Numenor beneficati di una lunga vita! Si era detto che la vostra razza fosse diventata leggenda » mormorò lei eccitata mentre le sue guance si tingevano delicatamente di un rosa pallido.
« Sono rimasti pochi di noi » confermò Aragorn per salvarmi dall’inconvenienza di dover mentire.
La fanciulla comunque non doveva averci fatto molto caso, mentre continuava a spostare gli occhi da me al ramingo, raccontandoci spezzoni di storia della quale apparentemente ne eravamo protagonisti.
Alcuni racconti mi erano familiari, guerre evidentemente romanzate a cui avevamo partecipato, altre, come una dove avevo rubato un uovo di Drago ad un Nobile di Gondor per impedire l’estinzione delle maestose bestie, erano evidentemente inventate. Oltre che quasi ridicole.
Fortunatamente venimmo salvati dall’entusiasmo di Éowyn, che per quanto adorabile iniziava a farci sentire in imbarazzo, da una donna di Edoras che richiese la sua assistenza.
« Perdonatemi » si congedò con ancora un sorriso che gli impreziosiva il viso.
Portai finalmente il primo sorso di zuppa alle labbra, risputandolo immediatamente non appena attaccò le mie papille gustative.
Che cosa vi aveva messo lì dentro? Acido muriatico?
« Éowyn torna qua! Mia signora smetta di servire quella zuppa o avvelenerà qualcuno! » la rincorsi buttando immediatamente il contenuto della mia ciotola nell’erba, ignorando Aragorn che mi diceva di starmene zitta perché non sarebbe stato gentile.
C’era poco da essere cortesi, ne andava della vita della gente. Quel brodo era imbevibile e ci avrebbe costretti tutti a rallentare la marcia, se metà della popolazione si fosse sentita male.
« Éowyn! » urlai di nuovo fino a raggiungerla, senza però riuscire a salvare in tempo uno sventurato soldato, che rischiò di soffocare al primo boccone.
 
Il sole era arrivato quasi a centro del cielo segno che dovevano essere circa le undici del mattino.
« Non manca molto per Dunclivo, forse i tuoi timori erano infondati » disse Aragorn mentre come me e i restanti membri della compagnia  ci guardavamo attorno con sospetto.
« Se Saruman ha liberato i mannari ci troveranno, niente sfugge al loro fiuto » gli ricordò mesto Legolas la cui vista era compromessa dai monti sulla nostra destra.
Si era offerto di andare avanti lui stesso in esplorazione, ma il ramingo glielo aveva impedito a ben vedere.
Se anche fosse riuscito ad avvistarli in tempo utili, conoscevamo il senso del dovere dell’elfo. Come chiunque di noi sarebbe restato fermo sul osto, per proteggere il più possibile i civili, senza tornare indietro ad avvisarci, confidando in qualcun altro.
Aragorn non intendeva perderci di vista neppure per un minuto. L’esperienza con Frodo lo aveva in qualche modo segnato.
« Già anche io mi fido della nostre veggente da strapazzo. Solitamente sa il fatto suo » aggiunse Gimli.
« Doveva essere un complimento? » commentai pronta a lanciarmi in una discussione fatta di ironia e battute sarcastiche con il nano, ma fummo interrotti da un corno di Rohan che risuonava empio nell’aria.
Un cavaliere stava giungendo a perdifiato dai monti. Sia lui che il cavallo erano feriti, la bestia presentava dei brutti graffi sulle cosce e i suoi occhi erano colmi di terrore. Il soldato teneva il braccio sinistro in una posizione innaturale, probabilmente aveva difeso se stesso e la bestia con lo scudo e il colpo gli aveva slogato la spalla. Ma perlomeno era ancora vivo. 
« I mannari! Ci attaccano! » iniziò ad urlare mentre ci raggiungeva, guardando la distesa di civili ancora dietro di noi.
« Non possiamo garantirgli un passaggio fino alla fortezza di Dunclivo » continuò avvicinandosi a noi mentre un ragazzo che non poteva avere più di quindici anni alle mie spalle, lo accusava di aver portato i nemici sulle nostre tracce.
« Non essere sciocco, i mannari fiutano le proprie prede a distanza di kilometri, ci stavano aspettando » gli soffiai contro mentre Aragorn si prendeva cura dell’uomo rassicurandolo sul fatto che non fosse stata colpa sua.
« Ci hai concesso dei minuti preziosi per prepararci, hai preso la giusta decisione venendo ad avvertirci, o ci avrebbero colti impreparati » aggiunse il ramingo offrendo al soldato qualche sorso d’acqua mentre l’uomo lo ringraziava, tirando  un mesto sospiro di sollievo.
« Che le donne e i bambini dunque, si dirigano al fosso di Helm. Tutti i cavalieri con me, in cima alla colonna! » ordinò il Re Théoden montando a cavallo.
« Éowyn! » la richiamò suo zio, e la fanciulla corse verso di lui, con un espressione in volto che nascondeva bene la sua paura, mostrando solo le sue migliori qualità.
« Fammi restare con te a combattere » disse lei venendo subito schernita dal fratello, che la guardò come se fosse impazzita mentre il Re si limitava a scuotere la testa.
« Mi servi con la nostra gente Éowyn, guidali al fosso di Helm, prenditi cura di loro poiché se non riusciremo a fare ritorno sarà il tuo popolo da onorare » gli disse il Re prima di dare una tallonata al proprio cavallo, invitando i suoi cavaliere a cavalcare con lui, partendo nella stessa direzione in cui era apparso il soldato.
« Posso aiutarvi! » continuò testarda la bionda dama, guardandomi come se anche io potessi denigrarla da un momento all’altro come aveva fatto suo fratello, dubitando delle sue doti in battaglia.
« Lo so mia signora, ma adesso è il tuo popolo ad avere bisogno di te » le ricordai mentre mi voltavo, facendo un lungo fischio oltre le mie spalle.
« Monta Brego, proteggi la tua gente, accompagnali costeggiandoli a cavallo sulla sinistra. Ricordati di fare su e giù come un pastore con le sue pecore, distribuisci le armi agli uomini più forti. Sei la loro ultima linea di difesa mia signora, non deluderli » la istruii mentre la scintilla nei suoi occhi si faceva più sicura di sé, annuendo, e scoprendo la parte del sottopancia del cavallo del cugino dove era nascosta la sua spada.
« Grazie » mi salutò prima che io stringessi le ginocchia, dando il via a Bucefalo per raggiungere il resto dei cavalieri al galoppo.
 
I cavalli di Rohan erano veloci, ma non più veloci di un cavallo elfico, li raggiunsi, che Legolas stava avvertendo il resto della comitiva che i lupi ci avrebbero colpiti dall’alto.
La scena che si aprì davanti a noi era orribile, niente sembrava muoversi, ma vi erano cadaveri e civili che gemevano, straziati lungo l’erba, contaminando la bellezza di quel posto con il loro sangue, mentre la terra assorbiva la loro pena.
Non ci dettero neppure il tempo di avvicinarci abbastanza per soccorrere qualcuno, che una mandria di mannari guidata da degli orchi sulle loro schiene, discese veloce dal fianco delle montagne più basse, piombandoci addosso da un lato.
Molti cavalli si spaventarono dinanzi agli artigli e i denti dei mannari, ma la maggior parte restarono fermi ai comandi dei loro padroni, abituati agli orrori della guerra, mentre cercavamo di caricare i lupi senza pietà.
Ma erano molti, e nel terreno insidioso le bestie degli orchi avevano un appoggio migliore degli zoccoli dei cavalli. I mannari miravano ai colli dei cavalli, poiché una volta buttati giù dalle loro cavalcature, la maggior parte dei guerrieri non erano in gradi di respingere gli orchi e le bestie assieme.
Legolas uccise la maggior parte dei mannari già nei primi minuti della battaglia. Smontando in fretta da cavallo, per non rischiare di venire disarcionato mentre entrambe le mani erano impegnate a scoccare frecce dal meraviglioso arco bianco di Lothlòrien. Proprio come gli aveva promesso la Dama di Luce, nessuno dei suoi colpi mancò il bersaglio, uccidendo le bestie che avevano avuto la sfortuna di entrare nel suo mirino.
Gimli era a terra, la sua stazza da nano lavorava molto meglio con i piedi ben piantanti nel terreno, mentre la sua possente ascia riusciva a trapassare di netto anche la più robusta delle armature degli orchi.
Con Bucefalo mi portai in alto su un crinale, cercando di imitare l’elfo, per rendermi il più utile possibile mentre caricavo le frecce a raffica.
I miei colpi non erano accorti come quelli di Legolas, riuscendo solo a colpire il nemico mentre restavo a cavallo, senza fermarmi mai, per non rischiare di diventare un facile bersaglio.
Quando la mia faretra si fu svuotata, con Bucefalo iniziammo a caricare la mia mischia di avversari, il mio cavallo era abituato alle orrende creature i Mordor, e scalciava, svincolandosi dalle morse dei denti dei lupi con agilità.
 Stavamo avendo la meglio, ma le perdite che stavamo subendo erano ingenti, senza contare i civili che erano periti lungo il tragitto.
Sperai che nessuno dei nemici fosse sfuggito alla nostra rete, e che Éowyn e gli altri stessero giungendo al Fosso di Helm sani e salvi.
« Gwend! Tuo fratello! » sentii urlare Éomer una cinquantina di metri più in là.
Aveva perso il suo cavallo, ma nonostante ciò restava un combattente fenomenale poiché non vi  era nessuna nuova ferita su di lui, nonostante il combattimento corpo a corpo.
Mi voltai verso la direzione che mi stava venendo indicata, in direzione del ramingo, che stava venendo investito proprio in quel momento da un orco ancora in sella al suo mannaro.
« Noro lim ! [ Al galoppo! ] » urlai in preda al panico al cavallo mentre ci precipitavamo al galoppo verso di loro e il precipizio che si faceva sempre più vicino.
Aragorn era riuscito in qualche modo a disarcionare l’orco, mandandolo a terra, ma il mannaro continuava a correre, e lui restava appeso alla sella della bestia. Evidentemente contra la sua volontà, come se la sua tunica si fosse incastrava.
Cercava di liberarsi, ma non riusciva né a montare in sella né a liberarsi dalla presa sul suo avambraccio. Così ovviamente feci la cosa più stupida che un essere umano potesse mai prendere in considerazione:
saltai sul mannaro, spingendomi dalla groppa di Bucefalo, e atterrando sul lupo seduta malamente ad amazzone mentre estraevo una delle mie lame e tagliavo di netto il filo di cuoio che reggeva la sella dell’animale.
Aragorn fu sbalzato a terra rotolando malamente su in fianco mentre la sella mi si sfilava da sotto il sedere, lasciandomi prendere dal panico mi afferrai alla pelliccia del lupo per ritrovare un po’ di equilibrio e lì compresi il mio errore. Ma era oramai troppo tardi.
« Valanyar! » urlò Aragorn sopra di me.
Incrociai i suoi occhi grigi che in quel momento erano così colmi di terrore da sembrare neri, la mano ancora tesa verso di me quasi sperasse di riuscire ad afferrarmi al volo. Mentre io precipitavo assieme alla bestia nel dirupo e poi sempre più giù fino ad un doloroso impatto nell’acqua fredda, dove tutto si fece buio.
 
 
 
 
 


 
Alcune persone aspettano la pioggia per non piangere da sole ¹ = frase evidentemente plasmata dalla famosa canzone di De Andrè “Il Bombarolo”.
 
Eryn Galen² = Nome originario di Bosco Atro, cioè Bosco Verde il Grande. Prima che diventasse quello che è oggi per Legolas e Val.
 




 
NdA= Mi stuferò mai di sottolineare la fedeltà di Haldir verso Valanyar e la loro amicizia? No credo di no, vi farò venire le carie con quei due.
Se notate qualcosa di strano nei capitole, è perché ho deciso di inserire il capitolo speciale riguardante Faramir, Frodo e Sam. Non cambia niente, solo l’ordine quindi non occorre perdersi a rileggere tutta la storia!
Il capitolo è un paio di pagine più corto rispetto al solito, ma pensavo che la pausa d’effetto fosse a dovere, anche se tutti conosciamo la storia. Ma fatemi un regalo, e fingetevi invasi dal patos causato dal colpo di scena.
Ancora grazie per i vostri commenti che illuminano le mie giornate e a presto <3

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


▌ Capitolo 9  ▌
 







 
 
 
«  Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini,
per essere considerate brave la metà. Per fortuna non è difficile. »
 
__Charlotte Whitton
 
 



 
 


 “Dovresti svegliarti, non è un buon posto per un sonnellino”
“Cosa?” domandai alla voce familiare.
“La Stella del Vespro si sta spengendo, l’oscurità sta raggiungendo anche il Cuore del Mondo. Devi svegliarti.“
“La guerra è giunta a Lòrien?” tentai confusa.
“Non ancora, ma presto. Ti manderò un aiuto”
“Ah sì un aiuto non sarebbe male” ripetei senza dare un senso alle mie parole.
“Ora svegliati, non è certo questa la tua ora e non è gentile far aspettare qualcuno in cambio di una dormita” aggiunse la voce, mentre io finalmente comprendevo dove l’avevo già sentita.
Aprii con difficoltà gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, accecata dalla luce del sole che aumentava solo il mio mal di testa. Un trauma cranico? Fantastico.
 Guardai di fianco a me, notando finalmente degli zoccoli, per poi spostare lo sguardo verso l’alto, incrociando gli occhi di Bucefalo dove mi ero aspettata di trovare quelli di un cervo d’oro.
« Ti ho spaventato eh amico mio? » bisbigliai con la gola secca, mentre il grigio cavallo sbuffava, accucciandosi a terra così che potessi usare la sua criniera come leva per tirarmi sopra di lui.
« Mi dispiace, se ti consola non ho gradito nemmeno io. La prossima volta il bagno lo lasciamo fare ad Aragorn » commentai con una lieve risata, mentre finalmente riuscivo a montare sull’animale, che sbuffò in assenso. Ridacchiai nuovamente, prima di domandare con voce rauca:
« Bello, credi che potremmo ritrovare la strada del precipizio ? Non vorrei che Aragorn avesse dimenticato qualcosa » malamente sdraiata su Bucefalo, ero in una posizione estremamente scomposta, e fosse stato qualunque altro cavallo, probabilmente mi avrebbe fatto cadere alla prima curva nonostante la sella con cui era stato equipaggiato a Rohan.
Ma ovviamente il mio non era un cavallo come gli altri, e senza neppure dargli delle direzioni, comprese le mie parole, riportandomi nei luoghi della battaglia.
Poiché continuavo a perdere coscienza sognando di enormi edifici in metallo, e volti familiari oramai dimenticati nel passato, non avevo idea se il cavallo avesse impiegato ore o semplici minuti a tornare indietro, ma una volta tornati nel campo di battaglia mi ritrovai improvvisamente sveglia, disgustata dall’odore di morte che ora deturpava il percorso.
Attorno a me vi erano rimasti solo cadaveri di orchi e mannari, probabilmente i pochi soldati presenti nella fortezza di Dunclivo erano venuti a prendere i loro caduti per dargli una degna sepoltura.
Scesi malamente da cavallo, avvicinandomi al cadavere dell’orco nella parte più esterna del precipizio, il suo cranio era letteralmente spaccato in due, diventando il banchetto di mosche e altri insetti che non mi sprecai a studiare.
Vi era solo un arma nella legione di Rohan che avrebbe potuto fare un danno simile: l’ascia di Gimli.
L’orco doveva aver fatto qualche pessimo commento in merito alla mia caduta, perché il nano si arrabbiasse tanto da sfogare su di lui la propria frustrazione.
Non lo degnai di ulteriori pensieri mentre gli aprivo il pugno, trovandoci all’interno proprio quello che stavo cercando:  il ciondolo di Arwen.
Raccolsi la stella, guardando la luce che solitamente sarebbe brillata sotto i raggi del sole come uno specchio riflesso. In quel momento invece, il suo bagliore era quasi svanito del tutto, come se la pietra fosse stata scambiata con del comune vetro.
Ma Arwen sarebbe sopravvissuta, sapevo che sarebbe stata abbastanza forte. La Stella del Vespro non si sarebbe spenta, non l’avrei permesso.
« Grazie amico mio, possiamo andare » dissi risalendo a cavallo e mettendo il ciondolo in tasca, dove sapevo sarebbe stato al sicuro prima di accasciarmi nuovamente sull’animale, priva di qualunque nuova forza. E sul dorso di Bucefalo svenni, mentre attraversavamo i terreni della Terra di Rohan per raggiungere i nostri compagni.
 
Giungemmo al Fosso di Helm  nel cuore della notte, con la deviazione per tornare a prendere il ciondolo da consegnare ad Aragorn, avevamo perso qualche ora, ma Bucefalo non era Brego e quindi non aveva avuto un esercito di diecimila soldati da mostrarmi, poiché già lo sapevamo, come sapevamo degli uomini alleati di Saruman unitisi ai guerrieri uruk-hai.
Guardai le imponente mura della fortezza, sedendomi nuovamente in modo composto sulla sella, percependo una fiamma di speranza dentro il cuore alla vista della maestosità delle difese.
Il Fosso di Helm era a suo modo, un’ottima arma da guerra perfettamente oliata.
Evidentemente qualcuno presso le postazioni di guarda, doveva avermi conosciuto ad Edoras, perché senza che io neppure dissi niente, le grandi porte si aprirono e il mio nome iniziò a dispersi nel vento portato di bocca in bocca dalla folla.
« Dei aiutateci » mormorai quando attraversai le porte.
Vi erano soldati accasciati da ogni parte, ognuno portava pezzi di armatura differente, segno che tutti loro avevano uno scopo diverso nell’esercito e si erano tutti riversati nella fortezza come una grande accozzaglia senza più una logica formazione.
Erano molti, se ogni strada fosse stata così gremita, assieme ai soldati sopravvissuti di Re Théoden avrei azzardato un numero intorno alle duemila unità. Comunque troppo poche per l’esercito di Saruman, ma sufficienti per un assedio, se fossero stati altri tempi.
Perché gli sguardi di quegli uomini erano così spenti, il loro viso era scarno e le guance infossate, occhiaie profonde erano visibili in quasi tutti loro e nonostante la mia vista parve sollevarli, come un raggio di sole dopo un lungo temporale, non fu sufficiente a portare alcuna vera determinazione nei loro occhi.
« Gwend! » sentii urlare con più ardore tra la folla.
« Per i Valar sei proprio tu! » mi voltai in direzione della voce, mentre smontavo da cavallo, prima di venire avvolta in un abbraccio e finire stritolata tra le braccia di metallo di un armatura a me sconosciuta.
« Sapevo che saresti tornato! Tu non ci avresti abbandonato … » mormorava incoerentemente Éomer nel mio orecchio mentre io cercavo di ricambiare imbarazzata quella strana manifestazione d’affetto.
« Glielo avevo detto a mio zio, quando sosteneva che nessuno sarebbe riuscito a sopravvivere ad un volo simile. “Ma Gwend sì, lui sopravvivrà” . Ne ero sicuro, ne ero sicuro » continuava a ripetere come se dovesse convincere più se stesso mentre io mi sentivo ufficialmente in imbarazzo.
Forse era il caso di spiegare ad Éomer che io ero fatta di carne e di ossa esattamente come lui, non ero certamente immortale, non volevo credesse a me come un eroe senza macchia e senza paura o qualche sciocchezza simile.
E soprattutto, volevo che fosse capace di accettare la mia morte, quando un giorno sarebbe giunta. L’eternità era per gli elfi, noi eravamo semplici mortali.
« Ehi ragazzino, non mi ha ucciso il capitombolo ma se non mi lasci andare lo farà la tua stretta » mormorai con l’unico fiato che riuscii a far passare lungo la mia trachea, mentre il Capitano di Rohan mi dava un’ultima stretta prima di lasciarmi andare.
Alzai il mio sguardo nel suo, ricambiando il suo sorriso luminoso con uno molto più stanco ma altrettanto sincero.
« Con te è tornata la speranza mio signore » disse Éomer con le mani sulle mie spalle, mentre mi guardava con uno sguardo di pura gratitudine « Gli Dei hanno ascoltato le mie preghiere, il tuo ritorno ridarà fiducia alle nostre truppe, l’esercito di Saruman è spacciato » continuò con un’espressione così radiosa,che iniziò a contagiare anche me.
« A proposito dell’esercito- » iniziai senza mai concludere, poiché un’altra voce ruppe il chiacchiericcio sommesso attorno a noi, facendosi strada tra la folla.
«Dov’è?! Dov’è?! Io lo ammazzo! » Gimli stava spingendo la gente per farsi strada, senza curarsi  di chi vi fosse a bloccargli il cammino, fino a quando non scese tutte le scale dove finalmente risultò visibile anche ai miei occhi.
« Ti dovrei uccidere » disse il nano guardandomi da qualche metro di distanza « Veggente da strapazzo » borbottò da sotto la sua barba in una voce burbera che però copriva solo un tono di voce triste e rotto.
Notai che la sua ascia non era con lui, e aveva indosso solo una casacca e non l’armatura anche se l’elmo restava ad ornargli il capo. Probabilmente era stato svegliato in quell’istante dalla notizia del mio ritorno, dato che anche i suoi stivali erano slacciati e mal messi.
« Tu » mormorò mentre io gli sorridevo e lui mi veniva incontro, spingendo bruscamente via Éomer con una spallata « Sei il guerriero più avventato che abbia mai conosciuto ! Ma come ti è venuto in mente? Oh che tu sia benedetto! » esclamò in controsenso prima di rinchiudermi anche lui in un abbraccio stritolare che cercai di ricambiare al meglio, nonostante  la differenza in altezza.
Gimli odorava di cuoio e sale, ma nonostante la scomoda posizione, lo trattenni il più a lungo possibile, mentre il nano continuava ogni tanto a borbottare qualche insulto.
« Gwend, dovremmo parlare con il Re » disse Éomer poggiandomi una mano sulla spalla, e rompendo quel momento con più delicatezza possibile. Ovviamente non aveva messo in conto l’umore del nano.
« E zitto tu, altro biondino da strapazzo! » ringhiò Gimli mettendosi tra me e l’uomo di Rohan, come se rappresentasse una minaccia « Gwend deve vedere ma Aragorn » disse risoluto e guardandolo in cagnesco.
« Tuo fratello non l’ha presa bene, no, devi andare da lui…
E il principino! Dovevi esserci, credevo che avrebbe ucciso il Re quando ha detto che dovevamo abbandonare i caduti » continuò Gimli evidentemente ancora offeso al ricordo.
Non era difficile immaginare il dolore che avevo procurato ai miei compagni, ma fui comunque sorpresa di sentire che anche Legolas non aveva preso bene la possibilità di una mia ipotetica morte. Mi chiesi se lui e Gimli avevano dovuto trascinare via Aragorn, per impedire al ramingo di venirmi a cercare alle pendici del baratro.
« Tu hai minacciato di farlo Mastro Nano » commentò Éomer con un sopracciglio inarcato, senza scomporsi minimamente quando Gimli gli lanciò un’altra occhiata truce.
« Tuo zio ci ha fatto abbandonare un compagno. Noi Nani non abbandoniamo i nostri compagni » sibilò con durezza, facendo pesare nella sua voce tutta la sua età. Éomer dovette cogliere il messaggio perché tacque, annuendo educatamente come se si fosse reso conto solo in quel momento degli anni di guerra e vita che Gimli aveva sulle spalle.
« Portami da lui amico mio » dissi al nano poggiandogli una mano sulla spalla rassicurante, mentre lui mi faceva cenno di seguirlo.
« Non mi piace quel biondino » bofonchiò sottovoce strappandomi una risata, mentre mi trascinavo di fianco a lui lungo la scalinata del Fosso di Helm che ci avrebbe portato sempre più all’interno della fortezza.
Iniziavo a pensare che a Gimli non piacesse nessuno in generale, e che il fatto che Éomer, Haldir e Legolas fossero biondi fosse solo una casualità. Però dovevo ammettere che oramai iniziavo a trovarlo divertente pure io, nonostante non vi fosse un nesso tra nessuno dei tre.
 
Non dovemmo aspettare molto perché Aragorn si facesse vivo.
Uscì da delle grandi porte dove era stato creato un reparto di fortuna per i feriti e non appena lo vidi, mi fu chiaro che il ramingo non aveva chiuso occhio.
Si era consumato, tenendosi occupato e aiutando le guaritrici di Rohan a badare a più persone possibili, così da potersi distrarre dal proprio dolore ed ignorare momentaneamente la mia perdita.
« Eneg cuiannen [ Sei viva ] » mormorò mentre ci trovavamo a metà strada, andandoci incontro per accogliergli l’uno tra e braccia dell’altro.
Dietro di lui apparve Legolas, con la quale potei scambiare solo una sguardo fugace, ancora sommersa dall’abbraccio del moro.
« Eneg cuiannen [ Sei viva ] » continuava a mormorare il ramingo tra i miei capelli, mentre dopo la veloce stretta, le sue mani iniziarono a percorrere i lineamenti del mio viso, come se avesse rischiato di dimenticarseli per poi portare le sue labbra sulla mia fronte e poi tra i miei capelli, continuando a mormorare: « Sei viva»  con una voce così rotta che a breve sarebbe venuto da piangere anche a me se non avesse smesso.
« Sto bene, va tutto bene. Sono qui » cercai di ricordargli mentre le sue lacrime iniziavano a rigare la mia fronte, ma nonostante le mie rassicurazioni, passarono vari minuti prima che il ramingo smettesse di cullare il mio viso tra le sue mani, lisciandomi i capelli attorno al viso come se fossero la cornice di un quadro prezioso.
« Ho temuto … » mormorò nuovamente con le guance umide, ma senza più alcuna lacrima a disturbare i suoi occhi ancora più marcati a causa del rossore della sclera e le occhiaia profonde.
« Sto bene » ripetei nuovamente, piano come se parlassi con un bambino che non parlava la mia lingua.
« Non farlo mai più » mormorò lasciandomi un ultimo bacio sulla fronte mentre io annuivo, assicurandogli che la prossima volta il bagno nelle acque gelide lo avrei riservato a qualcun altro.
« Dobbiamo andare dal Re Aragorn, deve essere avvertito. L’esercito di Saruman è vicino » dissi incontrando i suoi occhi e cercando di imporgli la mia fretta.
« Tu devi riposare » disse lui facendomi sbuffare impazientita. Sarebbe mai cambiato? Temevo di no.
« Come dovresti farlo tu, lo faremo più tardi, dopo aver parlato con il Re » dissi voltandomi verso Éomer che aveva assistito alla scena assieme a Gimli e Legolas e ora ci guardava con le guance leggermente arrossate, segno che la dimostrazione di affetto lo aveva momentaneamente imbarazzato, sentendosi di troppo durante una riunione simile.
« Ma certo Gwend » disse lui schiarendosi un attimo la voce prima di farmi strada.
« Prima di venire attaccato, hai lasciato cadere questo » dissi posando il gioiello di Arwen nella mano di Aragorn che mi guardò come se gli avessi fatto il miglior regalo al mondo, dopo essere tornata sana e salva da un salto nel vuoto.
« Ho avuto una visione … » mormorò lui con angoscia mentre io gli stringevo forte la mano, per condividere con il ramingo la mia forza.
« Arwen è più forte di ciò che tu o Elrond credete, sopravvivrà. Non permetteremo all’oscurità di spengerla » dissi guardandolo negli occhi e confidandogli tutta la mia determinazione.
Aragorn si perse per qualche secondo nelle mie bianche iridi prima di annuire, concedendomi un sorriso « Hai ragione » disse, e in quel momento, parve davvero crederci.
 
Éomer ci guidò verso suo zio, e noi lo seguimmo, mentre io mi voltavo a salutare finalmente l’elfo che fino a quel momento non aveva aperto bocca:
« Legolas è un piacere rivederti  »
« Vorrei poter dire altrettanto, ma hai un pessimo aspetto » commentò lui scrutandomi da capo a piedi, mentre io mi concedevo un sorriso divertito, poiché per una volta il commento da parte dell’elfo era stato evidentemente ironico. Avrei potuto abituarmi a simili scambi di battute, erano molto più naturali rispetto all’odio incondizionato.
« Mi dispiace averti fatto preoccupare » dissi continuando a camminare lungo il corridoio assieme agli altri, ma prendendo posto tra Gimli e il biondo nella fila che si era involontariamente formata.
« Non ero preoccupato » commentò Legolas con un sopracciglio inarcato.
« Avrei giurato che eri ad un passo dal buttare di sotto anche mio zio da quel dirupo, per convincerlo ad andare a cercare Gwend » commentò Éomer allegro, mentre l’elfo gli scoccava uno sguardo imperturbabile. Come se Éomer fosse stato solo un bambino con la pessima abitudine di dire bugie.
Fortunatamente non ebbe modo di commentare in nessun altro modo, poiché entrammo nella sala del Trono del Fosso di Helm dove si trovava il Re con i suoi consiglieri. Grima escluso ovviamente.
Théoden alzò gli occhi su di me, guardandomi come tanti anni prima, quando aveva riconosciuto il mio nome viaggiare tra le bocche dei sui soldati e poi aveva riconosciuto in me, lo stesso uomo che aveva lottato al fianco di suo padre.
« Gwend, di cosa sei fatto tu esattamente? » mi accolse il Re venendomi incontro e dandomi delle sonore pacche sulla spalla che per un attimo non mi fecero perdere l’equilibrio dalla stanchezza che mi portavo dietro.
« Pelle ed ossa mio signore, proprio come voi » risposi comunque ricambiando il suo sorriso.
« Il tuo ritorno porterà fiducia negli uomini » disse soddisfatto come aveva fatto poco prima suo nipote per poi portarmi dinanzi un tavolo, dove sedevano altri ufficiali. Evidentemente stavano discutendo sulla strategia migliore per proteggere la fortezza.
« Mio signore, Isengard è stata svuotata del tutto » lo avvisai malinconica all’idea di dover essere una portatrice di tali brutte notizie, ma la guerra incombeva e noi non potevamo protrarre oltre quel momento.
« Quanti sono? » domandò il Re.
« Diecimila … come minimo » specificai amareggiata.
« Diecimila? » ripeté uno dei consiglieri con tono terrorizzato, mentre il suo Re mi guardava come se gli avessi appena dato un cazzotto nello stomaco, mozzandogli il respiro.
« Saranno qui al calare della notte » lo avvisai mentre Théoden parve quasi farsi spavaldo, sfidandoli a venire mentre ordinava ai proprio soldati di far preparare tutti i guerrieri presenti nel Fosso di Helm.
Chiunque fosse in grado di combattere, doveva presentarsi in armeria entro la fine della mattina.
« Quel’è il piano zio? » domandò Éomer  avvicinandosi assieme al sovrano e tutti noi, ad un modellino in miniatura del Fosso di Helm.
Théoden lo istruì sui punti di difesa, sulle strategie usate in passato e su come saremmo riusciti a sopravvivere anche per interi mesi se fossimo riusciti a razionare il cibo.
Sospirai, allontanandomi di qualche passo dal tavolino mentre Aragorn e Gimli cercavano di far ragionare il Re, ricordandogli che tale esercito non era stato creato per tenerlo sotto assedio per lunghi mesi, ma per spazzare via il regno degli uomini dalla faccia della terra.
La situazione, degenerò ulteriormente, quando Aragorn fece la cosa più saggia, invitandolo a chiedere aiuto a Gondor.
Ma sapevo che aveva colpito un tasto dolente per l’uomo di Rohan.
Probabilmente già in tempi migliori avrebbe diffidato nel chiedere aiuto al popolo vicino, ma dopo gli ultimi anni passati nel buio della sua stessa mente a causa dei sortilegi di Saruman, non si faticava a capire perché avesse così poco fiducia nella città bianca.
« Non siamo fortunati come te nelle amicizie, le vecchie alleanze sono morte » disse infine il Re, lanciando un’occhiata a Legolas e Gimli, chiudendo una volta per tutte la discussione.
« Gwend deve riposare, trovagli un alloggio Éomer e più tardi vi ritroverete per studiare assieme una strategia vincente » ci congedò il Re uscendo per primo dalla sua stessa sala.
 

 
 


Quando mi destai, fu a causa del russare di Gimli che per tutto ringraziamento, ricevette una pedata sul fianco che lo fece cadere dalla vecchia branda.
Le maledizioni del nano però mi resero subito di buon umore, mentre lui si tirava in piedi, minacciandomi di una vendetta lenta e dolorosa.
Ridacchiai mentre seduta sul la sponda del letto, iniziai a rinfilarmi gli stivali, assicurandomi anche che il mantello di Lòrien fosse al suo posto sulle mie spalle.
« Dove sono Legolas ed Aragorn? » domandai al nano, irritata nel non vedere più il ramingo nella stessa stanza.
Ero certa, che prima di crollare gli avevo specificatamente detto che doveva riposarsi, non sarebbe stato utile a nessuno altrimenti, vivo a metà.
« Penso a fare un giro di perlustrazione. Quando vedrai i guerrieri del Re Théoden … Beh conoscendoti non sarai affatto contenta » inclinai la testa, osservando il nano confusa, prima di lanciare un’occhiata fuori dalla piccola finestra presente nelle mura.
Doveva essere circa mezzogiorno, avevo dormito tutta la mattina.
« Andiamo ti porto da loro » aggiunse Gimli mentre io annuivo, seguendolo fuori dal nostro alloggio.
Dopo nemmeno due minuti che camminavamo, il mio buon umore era già svanito.
Attorno a noi si affrettavano uomini di tutte le età, alcuni vestiti in poco più che stracci, altri in cotte di maglia. Si trascinavano dietro ogni tipo di arma con la stessa sicurezza, con la quale si porta una bomba ad orologeria.
Alcuni mi salutarono lungo il cammino, e parvero quasi illuminarsi, prima di ricadere nuovamente dell’apatia simile a quella di un condannato a morte.
« Stallieri, maniscalchi, coltivatori … Questi non sono soldati. » mi salutò cupo Aragorn non appena mi vide giungere a fianco a lui e Legolas, assieme a Gimli.
« Molti hanno visto troppi inverni » disse mestamente il nano.
« O troppo pochi » aggiunse l’elfo guardando la folla con lo stesso sguardo di dolore che sapevo avrebbe trovato nel mio.
« Non abbiamo nessun altro » commentò mesto un’altra voce.
Mi voltai, notando Éomer per la prima volta. L’entusiasmo di varie ore prima se ne era andato, lasciando posto all’angoscia.
«Avete braccia più giovani, perché vi ostinate ad armare vecchi e bambini? » dissi indicandogli tutto attorno a noi e ricevendo in cambio solo uno sguardo confuso dal cavaliere di Rohan.
« Non vi sono altre braccia Gwend, questo è tutto ciò che abbiamo » rispose lui.
Scossi la testa, poiché sapevo che sarei dovuta essere molto più diretta, se volevo che Éomer mi capisse:
« Quanti anni hai? » dissi voltandomi verso un ragazzetto che si era fatto appena consegnare l’arma, la spada era alta quasi quanto lui.
« Dodici mio signore »
« E voi? » domandai rivolta verso un uomo molto più anziano davanti a Gimli.
« Ottantadue mio signore »
« Gwend che cosa vuoi intendere? » tentò di intercettare Éomer evidentemente confuso.
« E voi? » chiesi infine voltandomi verso colei che supposi essere la madre del bambino di dodici anni a cui mi ero rivolta in precedenza.
« Trenta mio signore » mormorò abbassando lo sguardo non appena incontrò i miei occhi.
« Saresti disposta a combattere al posto di tuo figlio? » domandai ignorando i mormorii degli altri uomini alle mie spalle.
« Subito mio signore! » rispose lei con un ardore tale, che mi fece solo arrabbiare di più verso l’ottusità dei guerrieri d Rohan.
« Io potrei combattere per mio nonno? Ha già dato molto per Rohan » mormorò un'altra fanciulla che si fece strada dalla folla.
« Ed io per mio padre » disse un'altra voce.
« Per favore prendete me al posto dei miei figli » aggiunse qualcun’altra.
« Mio marito è morto nelle montagne permettetemi di vendicarlo»
« Mio fratello ha solo undici anni lasciate andare me »
Le voci si sommarono, una dopo l’altra, ognuna sempre più determinata della precedente mentre mi voltava verso Éomer che ora mi guardava come se avessi completamente perso il cervello.
« Gwend ciò che proponi è follia. Non sono guerrieri »
« E lui forse lo è ? Ti sembra un guerriero ? » dissi indicando un altro bambino che si nascondeva dietro la veste della madre, il martello smussato che gli era stato affidato, pesava tra le sue dita magre come un macigno. « E’ solo un bambino. Non potrà difendere neppure se stesso, figuriamoci qualcun altro » aggiunsi sperando di farli ragionare.
« Ma quelle di cui parli, sono solo donne mio signore loro … »
« Solo donne?! » urlai furiosa andandogli ad un centimetro dal viso. L’uomo retrocesse involontariamente, anche se era una spanna più alto di me, intimorito.
« E’ questo che pensi ? Che solo una donna, valga meno di un uomo? Anche se potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte? » insistetti sentendo la rabbia montare come un fiume in piena.
« Heb-gwilm Gwend [Mantieni la calma Gwend] » mi  disse Aragorn che però mi scrollai di dosso non appena si avvicinò, cercando di farmi calmare inutilmente.
Lo fulminai con un’occhiata, ricordandogli che non sarei riuscita a sopportare quell’idiozia per un minuto di più, quindi poteva aiutarmi, o andarsene.
« Gwend ha un buon punto, le signore di Rohan sono donne forti, potrebbero essere un valido aiuto » disse il ramingo con un tono più pacato, cercando di fare da mediatore, mentre Éomer si voltava a guardare anche lui come se fosse impazzito.
« Sentite non so come funziona tra i Dùnedain, ma qui, le donne non sono fatte per la guerra » ripeté lui senza avere più il coraggio di incontrare i miei occhi, mentre sentivo le mani prudermi dalla voglia di prendere a sberle quel ragazzino.
Ero certa che se non fosse stato per l’arrivo di Théoden sarei saltata al collo di Éomer io stessa,per soffocarlo nella sua stessa idiozia.
« Cosa succede qui? » domandò il Re poggiandomi una mano sulla spalla con fare pacato.
« Gwend ha questa folle idea ... » iniziò Éomer beccandosi un’altra mia truce occhiata, che gli fece ben decidere di chiudere la bocca.
« Ho solo suggerito Sire » intervenni voltandomi verso il nuovo arrivato « Che le donne del vostro popolo, sarebbero braccia sicuramente più forti per la battaglia, rispetto ad anziani e bambini » conclusi esalando tutto con l’ultima goccia di calma che mi era rimasta in corpo.
Passò un minuto, e poi un altro, ed un altro ancora.
Fino a quando la mano del Re non scivolò via dalla mia spalla e il sovrano non alzò lo sguardo sul suo popolo, che ora ci osservava in un religioso silenzio, in attesa di una sua reazione.
E poi, Théoden fece esattamente ciò che avevo temuto, si mise a ridere.
Imitato in coda anche dai suoi uomini, un lieve mormorio di scherno emerse tra i soldati, tranne che da Éomer che continuava solo a guardarmi come se stessi cercando di insegnargli una lezione che non avrebbe mai compreso.
« Oh oh » disse Gimli dietro di me. La sua famiglia, più di chiunque altro sapeva, che non apprezzavo quando qualcuno rideva di me.
« Gwend, amico mio, non essere ridicolo » commentò infine il sovrano quando smise di ridere. Il suo sorriso continuò ad aleggiare solo per qualche secondo in più sulle sue labbra, fino a quando non comprese, che io non lo trovavo affatto divertente.
« Non stai scherzando? » domandò infine l’uomo mentre io scuotevo la testa, con la mascella tesa da quanto stavo stringendo forte i denti dalla rabbia.
« La battaglia non è un posto da donne » ripetè anche lui come se fosse un mantra di famiglia.
« Credi che loro non combatteranno con lo stesso ardore dei tuoi soldati sapendo che dietro quelle mura ci sono i loro figli? Credi che non lotteranno fino allo stremo per proteggerli? » dissi indicando le donne nella piazza sottostante. Alcune stringevano ancora tra le loro braccia i propri figli, altre intimorite, erano retrocesse dietro i soldati, ma la maggior parte ora restava immobile con lo sguardo alto, puntato nella figura del loro Sire. «Non essere accecato dalla tua superbia Re Théoden. Mandare dei bambini in guerra è una follia ».
L’uomo si voltò, guardandomi per la prima volta in tanti anni, con gli occhi carichi di astio. « Tu stai osando troppo, sono il loro Re. Io so cosa è meglio per loro » sibilò portandosi un passo più vicino a me, come a minacciarmi, mentre le guardie della sua scorta di si affiancavano guardandomi però con circospezione.
Sbuffai una risata amara, guardando i soldati come se non fossero niente di più che fantocci di paglia:
« Sei diventato un Re mediocre. Uno dei tanti di una lunga stirpe che preferisce far morire il suo popolo piuttosto che abbandonare il suo ego ed ammettere che proprio le donne potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte ».
Ignorai i mormorii eccitati e le voci di sottofondo che commentava sulla mia sfrontatezza, mentre altri mi davano ragione ma per la maggior parte, erano solo un rumore indistinto.
« E’ perché conosco il tuo valore in battaglia che non chiedo la tua vita. La tua insolenza meriterebbe la pena di morte » mi avvisò Théoden portando la sua mano sull’elsa della propria spada, imitato dai guerrieri dietro di lui, mentre Éomer mi guardava solamente con uno sguardo pieno di timore,come se non sapesse da che parte schierarsi.
Ero ad un passo dal vuotare il sacco. Dallo strapparmi via quel dannato mantello e con esso la sua illusione e perfino a calarmi i pantaloni se necessario.
A gridargli che anche io ero una donna, e che se credeva di avere più coraggio di me in battaglia, poteva dimostrarmelo seduta stante in un duello.
Mentre il rancore verso il Re che avevo così spesso definito un amico e un grande uomo cresceva, portandomi a chiedere se meritasse il mio rispetto, quando era evidente che lui ne aveva per me, solo perché mi credeva un uomo.
« Minui heriannen auth, heniol minui man mahetad [Prima di iniziare una guerra, sappi prima per cosa combatti ¹] » mormorò una voce alle mie spalle che riconobbi come quella di Legolas, mentre l’elfo mi allontanava dal Re tirandomi delicatamente il braccio verso di lui, mentre Aragorn mi superava lanciando all’uomo un’occhiata colma di delusione.
Il ramingo si mise tra me e il sovrano di Rohan e in tono pacato, cercò di spiegargli nuovamente che le braccia di una donna di trent’anni erano sicuramente più sicure di quelle di un ragazzo che aveva visto così poche volte l’estate …  Ma infine era la decisione del Re che importava veramente e tutti noi l’avremmo rispettata, compresa me.
In realtà io non mi sentivo in grado di rispettare proprio un bel niente, ma non volevo mettere nei guai anche i miei compagni, così mi limitai ad ingoiare la mia amarezza.
« La mia decisione, permane:
Voglio che tutti gli uomini e i ragazzi forti capaci di reggere le armi siano pronti alla battaglia entro stasera!
Le donne, i vecchi e i bambini, troveranno rifugio nelle grotte della montagna » Théoden incrociò il mio sguardo, come a sfidarmi a dire qualcosa di più, ma la mano di Legolas sul mio braccio restò salda, invitandomi al silenzio.
Sapevo che non avrei ottenuto niente continuando a discutere, così feci l’unica che mi era rimasta da fare: mi congedai malamente, voltandomi e andandomene nella direzione opposta rispetto ai presenti.
 
 
 


« Piazzeremo le riserve lungo il muro, proteggeranno gli arcieri » disse Aragorn mentre mi illustrava il piano di battaglia, era oramai pomeriggio e nonostante entrambi avessimo dormito solo una manciata di ore la stanchezza ci scivolava via, rimpiazzata dall’adrenalina causata dall’incombere della battaglia.
Annuii concordando con la sua strategia mentre proponevo di tenere i cavalli all’interno del secondo trombatorrione, in caso di crollo del primo, sarebbero stati utili per una possibile carica.
« Continuo a credere, che sarebbe meglio se Aragorn tu ti riposassi invece di imparare a memoria le strade del Fosso di Helm » lo riprese Legolas piazzandosi davanti a noi, e guardandolo con un’espressione che potevo giurare, aveva rubato ad Elrond.
Il ramingo si voltò verso di me,come se io avessi le risposte per tirarlo fuori da quella situazione, ma mi limitai a rincarare la dose.
« Legolas ha ragione, dovresti andare a dormire almeno un altro paio d’ore » disse mentre il moro mi trafiggeva con un’occhiata di tradimento. Per sua fortuna, la nostra attenzione venne presto distolta da una nuova arrivata:
« Mio signore Gwend! Sire Aragorn! » ci venne in contro Éowyn piazzandosi di fronte a me con aria affranta.
« Sarò mandata assieme alle donne nelle grotte » disse la bionda guardando tra me e il ramingo come se avessimo potuto fare la differenza.
« Un incarico onorevole » commentò Aragorn senza battere ciglio, probabilmente sperando solo che quel commento non risollevasse in me l’astio di poco prima.
« Per badare ai bambini , trovare cibo e letti quando gli uomini tornano? Che rinomanza c’è in questo? » domandò la dama evidentemente offesa.
« Mia signora, » intercedetti per calmare il suo spirito « A chi credete che si rivolgerà la tua gente per l’ultima difesa? Dovrete essere forte » dissi concedendole con un sorriso di simpatia, non faticando ad immaginare come dovesse sentirsi.
« Lasciami stare al tuo fianco » ribatté lei prendendomi completamente alla sprovvista, mentre mi scambiavo uno sguardo di puro panico con il ramingo di fianco a me.
« Non è in mio potere imporre questo » le ricordai schiarendomi leggermente la voce imbarazzata.
« Tu non imponi agli altri di restare, lottano al tuo fianco perché non vogliono separarsi da te … Perché ti amano! » esclamò guardandomi come se reggessi il peso del mondo sulle mie spalle, solo per poterla proteggere.
In quel momento Éowyn dovette comprendere cosa mi aveva detto, perché le sue guance si tinsero di un acceso rosa pastello.
« Scusatemi » si congedò, scappando nella direzione in cui era venuta così in fretta, che non ebbi neppure il tempo di processare quello che era appena successo.
« Tu hai proprio un debole per i biondi eh? » commentò Gimli portando la mia attenzione su di lui, mentre Aragorn e Legolas di fianco a me trattenevano a fatica una risata.
Sorrisi involontariamente al Nano, che a differenza mia poté lasciarsi andare ad una grassa risata, mentre io guardavo impensierita il punto in cui era svanita Éowyn.
« Sbaglio, o avrebbe dovuto innamorarsi di me? » commentò il moro al mio fianco, guadagnandosi una gomitata nelle costole per la sua sfrontatezza.
« Non credevo certo che sarebbe successo una cosa simile. Lo spirito di Éowyn deve essere più fragile del previsto » dissi passandomi una mano tra i capelli, frustrata.
« Per quale motivo? » domandò Gimli « Perché si è infatuata di te? Non sei forse nobile quanto Aragorn ? Senza contare che puzzi perfino di meno »
« Mastro nano non è che tu profumi di ciliegio » commentò Aragorn mentre era il mio turno di ridere di gusto, imitata dalla soave risata di Legolas dinanzi al ramingo.
« Bah noi nani odoriamo tutti come le montagne, di terra e pietra! Ecco il nostro profumo! » ribatté il guerriero dandosi delle pacche sullo sterno, con aria fiera e soddisfatta.
« Nel tuo caso, deve essere terra e pietra di un cimitero, puzzi di putrefazione Gimli » aggiunse Legolas cogliendo la palla al balzo, mentre il nano gli urlava contro oltraggiato, avvertendolo che gli avrebbe tolto quel sorrisino soddisfatto con la sua ascia.
Restai a guardare il loro scambio di battute per qualche altro minuto, felice per quei piccoli momenti di felicità, prima della battaglia.
 
Non appena mi congedai dai miei compagni, andai alla ricerca di Éowyn.
La trovai nella prima sala dell’ultimo Bastione, quello riservato al Re e alla sua famiglia, che fissava con aria assente le fiamme nel camino
«Éowyn » la chiamai per non spaventarla arrivandole alle spalle. I suoi occhi erano rossi, segno che aveva pianto da poco, ma non appena mi vide scattò in piedi senza vergogna alcuna, raggiungendomi.
« Vi chiedo perdono per il mio comportamento di poco fa, ma avevo sentito cosa avete detto a mio zio. Lo credete davvero? »
« Cosa? Che le donne possono combattere bene quanto gli uomini? » ribattei inarcando un sopracciglio, ancora irritata al ricordo.
« Sì »
« Certamente. Nessuno nella mia compagnia penserebbe meno di una donna soldato. La razza degli uomini non riuscirà mai a crescere fino a che si porterà dietro dei dogmi tanto ridicoli » soffiai prendendo a camminare su e giù nella stanza, cercando di dissipare il mio malumore.
« Sarebbe bello se più persone la pensassero come voi » disse la fanciulla in un lieve sussurro.
Fu in quel momento mentre la guardavo arrovellarsi le dita in grembo, che mi venne in mente che alla fine, che il loro Re lo volesse o meno, le donne di Rohan sarebbero state costretta combattere per la propria vita.
« Éowyn ho un compito per te » dissi passandomi nervosamente una mano dietro il collo, spettinando ancora di più i capelli senza la presenza dell’olio elfico.
Erano talmente sudici, dopo il bagno nelle acque del fiume e il viaggio verso la Fortezza che mi era sembrato solo uno spreco usufruire del prodotto prima di potermi dare una lavata a modo.
« Dovete solo chiedere mio signore » mi rispose lei con una tale adorazione nello sguardo, che per un attimo ebbi l’istinto di girare i tacchi ed andarmene, non mi piaceva la scintilla che vedevo nei suoi occhi. Iniziavo a temere, che nell’aver allontanato Aragorn dai suoi interessi, avevo solo peggiorato la situazione per la sottoscritta.
Ma vi sarebbe stato tempo anche per discutere di una eventuale cotta da parte di Éowyn, adesso c’erano cose più importanti. C’era una guerra da vincere.
« Tu sarai nella grotta ad Est assieme alle donne e i bambini … Ho bisogno che vi portiate delle armi di scorta all’interno del rifugio. Se la situazione dovesse precipitare, se la fortezza venisse conquistata- »
« Ma questo è impossibile Gwend, non è mai successo il Fosso di Helm ha protetto il popolo di Rohan per generazioni »
« Nessuna fortezza è inespugnabile mia signora, proprio come nessun soldato, è imbattibile »
« Tranne voi forse » commentò con un sorriso timido che mi fece cadere in uno scomodo imbarazzo.
« Comunque » ripresi schiarendomi a voce con un colpo di tosse « Se si avvicinerà la fine, la nostra unica soluzione sarà un’ultima carica decisiva »iniziai mentre lei si faceva seria, pendendo dalle mie labbra come se fosse la prima volta nel corso di tutta la sua vita, che qualcuno le affidava qualcosa di più importante di un vassoio di bicchieri.
« E’ stato deciso che in caso di necessità per un ultima carica, verrà suonato il corno del Fosso. Sarà il vostro segnale mia signora, così come il nostro.
Ma per chi non se la sentisse, conduceteli lungo il sentiero verso le montagne.
Tutti gli altri, partiranno alla carica verso l’uscita, travolgeteli con la vostra furia e non curatevi se chi incontrate avrà il viso di un orco o di un essere umano. Non abbiate pietà, perché loro non ne avranno per voi » la avvisai aspettando che il terrore facesse capolino nel suo sguardo, ma non vidi niente. Solo pura e cruda determinazione.
« Non ti deluderò » disse lei raddrizzando le spalle, ed ergendosi un po’ più in alto.
« Non devi farlo per me Éowyn, fallo per quella bambina così coraggiosa, che desiderava solo proteggere la propria famiglia » dissi ricordandole chi era veramente e a chi doveva la sua fedeltà:
Nessun altro, se non sé stessa.
 
 
 


Verso sera, con Aragorn e Legolas mi diressi all’armeria dove Gimli ci aveva già preceduto, per cercare una cotta di maglia che gli stesse.
Per fortuna la sala era stata quasi svuotata del tutto, il che mi avrebbe permesso di cambiarmi senza dare troppo nell’occhio.
Avrei preferito combattere con i vestiti elfici, ma il mio corpetto, per quanto efficiente, non avrebbe potuto proteggermi quanto sarebbe stato necessario in una battaglia. E di tenere il mantello di Lothlòrien non se ne parlava neanche, sarei stato un bersaglio troppo facile.
Trovammo Gimli, che stava dando un gran da fare ad un soldato di Rohan, evidentemente in difficoltà nel trovargli un’armatura che gli stesse senza dover ricorrere a troppe modifiche dell’ultimo minuto.
« Mio signore Gwend, Éomer mi ha portato la sua armatura di quando era un ragazzo proprio per voi. Sicuramente è la scelta migliore per la vostra costituzione » il soldato doveva ovviamente già conoscermi, perché a differenza di Gondor, non pronunciò la parola “costituzione” come se io fossi malaticcia e debole per essere un ragazzo, ma con rispetto constatando un semplice dato di fatto.
« Vi ringrazio, sarà un onore per me » aggiunsi quando mi porse un’armatura bianca con motivi dorati.²
Era sicuramente troppo appariscente per i miei gusti, ma la fattura era meravigliosa, evidentemente destinata a proteggere un principe, il metallo era leggero ma resistente, e le giunture sulle spalle erano fatte da varie scaglie, assicurando una mobilità nei movimenti ma anche una protezione completa.
I pantaloni non mi sarebbero mai entrati evidentemente troppo lunghi, come la cotta di maglia sotto che incorporava la protezione delle braccia. Presi però con me i parastinchi, anch’essi bianchi con delle rifiniture d’orate che si espandevano sulle piastre di metallo come rampicanti.
« Metti anche i suoi avambracci, se ti stanno troppo larghi possiamo imbottirli. E questi ,così ti daranno più protezione alle mani » disse Aragorn passandomi un pezzo della sua nuova armatura assieme ad un altro pezzo della mia armatura.
Lui era vestito in nero e d’argento e a prima vista avrei giurato che la sua fosse un armatura da arciere, pratica e leggera, ma vi aveva aggiunto un pettorale da fante, per proteggere lo sterno dai colpi più pericolosi.
Presi i guanti neri e in cuoio che mi offrì, stupendomi quando non li trovai troppo larghi, solo leggermente lunghi. La chiusura invece che sopra il polso, finiva quasi a metà avambraccio, ma con l’armatura sopra neppure si notava.
Mi spostai qualche metro più in là per cambiarmi, con Legolas che si parò dinanzi la linea visiva del soldato che mi aveva allungato l’armatura, come se nulla fosse.
Lo ringraziai con un mezzo sorriso, mentre mi toglievo il mantello affidandolo all’elfo assieme al corpetto che lui ripiegò sotto la stoffa di Lòrien senza battere ciglio.
Optai per lasciarmi la casacca elfica sotto, ed infilai la parte superiore dell’armatura senza troppe difficoltà sentendola leggermente larga nelle spalle, ma niente che mi avrebbe veramente svantaggiato in battaglia.
L’armatura doveva pesare però almeno sette kili, e per quanto fosse comoda, sicuramente alla lunga mi avrebbe fatto risentire di tutto quel peso, oramai abituata da mesi a viaggiare leggera.
La camicia sotto era quasi completamente invisibile per fortuna, o con l’armatura bianca sarebbe stata come un pugno in un occhio. Per quanto l’estetica fosse l’ultima dei miei problemi, potevo comunque immaginare lo sguardo di disappunto negli occhi di Haldir nello sciupare con colori scoordinati, un’armatura tanto bella.
Gimli mi avvicinò anche il gonnellino, che era fatto anch’esso di piastre metalliche semimoventi, il tutto collegato da una cintura che incredibilmente, aveva due diversi attacchi per due diversi foderi.
Uscii dal mio riparo, rivolgendomi interrogativa al guerriero di Rohan.
« Éomer da giovane portava due spade? » dissi mentre a capo basso, inserivo Tiriadir e Eglerib nei foderi assicurandoli ai miei fianchi.
« Per un breve periodo ha tentato. Voleva imitarvi mio signore ma … l’arte a due lame non è per tutti » concluse con una lieve punta di divertimento.
Mi ritrovai a ridacchiare, immaginando un Éomer nuovamente giovane che continuava a far cadere una delle due spade, incapace di gestirle entrambe e che sempre più frustrato si arrendeva a portarla solo una.
Legai anche i parastinchi sopra i calzoni neri e mi voltai verso Aragorn che mi guardò con approvazione, mentre Gimli borbottava:
« Fossimo stati in un regno nanico, ti avremmo fatto una vera armatura su misura. Non uno scarto di qualcun altro » ma lo ignorai, poiché probabilmente aveva solo molto a che fare con il fatto che l’armatura era stata di Éomer, e molto poco sulla qualità della sua fattezza.
Fu il turno di Legolas, ma che con grande disappunto di Gimli, impiegò giusto pochi minuti. L’elfo optò per  una cotta di maglia con delle maniche a tre quarti, così che non intralciasse i suoi movimenti con l’arco, e nient’altro.
« Non avete altro da far provare al Mastro Nano ? » domandai voltandomi verso il guerriero, che mi guardò come se mi vedesse per la prima volta, restando imbambolato a fissarmi vari secondi prima di riscuotersi.
« Mi perdoni Gwend è solo … Non avevo mai fatto caso ai vostri occhi » borbottò sbrigandosi a distogliere lo sguardo da me per cercare qualche nuova armatura per Gimli.
« Lo so … un po’ inquietanti eh? » dissi per sdrammatizzare, ricordandomi solo in quel momento che il mantello di Lothlòrien aiutava a celare anche la loro stranezza.
Oh beh tanto Théoden e la sua famiglia, già li vedevano bianchi per come erano, quindi non era un grande problema.  Senza contare che probabilmente il Re di Rohan, mi sarebbe stato alla larga per un po’.
« Oh no mio signore - » iniziò l’uomo di Rohan ma venne interrotto da Legolas che attirò la mia attenzione.
« Non sono affatto inquietanti, non temere. Sono speciali, e come tali preziosi. Non devi vergognartene » disse l’elfo prendendomi nuovamente in contropiede mentre giuravo di star diventando di un colore simile al peperone.
Boccheggiai qualche secondo, incerta su come rispondere mentre Legolas mi guardava come se avesse semplicemente letto la verità in un libro stampato. Quell’elfo doveva smetterla di farmi complimenti dal nulla, possibile che non avesse ancora capito che non ero in grado di gestirli?
« Già e poi si intonano alla tua nuova armatura » aggiunse Gimli che inconsapevole del mio imbarazzo, si stava infilando l’ennesima cotta di maglia che gli scivolò giù lunga fino ai piedi, strappandomi un sorriso.
« Se ci fosse tempo, la farei sistemare. E’ un po’ stretta intorno al torace » commentò il nano facendo ridere tutti i presenti, mentre il soldato di Théoden si sbrigava a prendere delle tenaglie, per tagliare la cotta al guerriero sopra le ginocchia, così che non lo intralciasse nei movimenti.
 
Avevamo appena riportato i capi scartati nei nostri “alloggi”, o meglio nella stanza in cui avevamo dormivamo io e Gimli, mentre Aragorn aveva fatto finta assieme a Legolas, che si udì un richiamo che risuonò per tutto il Fosso di Helm.
 « Non è il corno degli orchi » riconobbe Legolas mentre sfrecciava in testa a tutti noi verso le porte.
« Per i Valar no » mormorai correndo dietro l’elfo, seguita da Aragorn e Gimli mentre ci dirigevamo verso l’entrata della fortezza.
« Cosa ti turba ? » domandò Aragorn prima di distrarsi, alla vista degli elfi di Lothlòrien che marciavano all’interno della grande porta.
« Come è possibile? » mormorò Théoden che come noi, era appena giunto, mentre io sentivo il panico montare riconoscendo il mio migliore amico a capo della guarnigione.
« Porto notizie da Elrond di Gran Burrone. Un’alleanza esisteva una volta tra Elfi e Uomini. Molto tempo fa, abbiamo combattuto e siamo morti assieme. Siamo qui per onorare questa lealtà. » l’elfo fece cenno ai suoi soldati, che si misero in posizione di saluto per il Re di Rohan con una precisione millimetrica da fare invidio a tutti i guerrieri umani presenti.
Ricordavo fin troppo bene cosa significava quell’eventualità, Haldir non si sarebbe dovuto trovare qui, ma allo stesso tempo dopo il nostro ultimo saluto sapevo che non avrei dovuto sorprendermi della sua presenza.
Forse se avessi preso un’altra strada, se io e l’elfo non fossimo mai diventati amici, lui adesso si sarebbe trovato al sicuro nel proprio reame.
Così invece si trovava nel Regno degli uomini, a pochi metri da me.
« Mae govannen, Haldir. [ Benvenuto, Haldir ]» lo salutò Aragorn lanciandosi tra le braccia del soldato, cogliendolo completamente di sorpresa mentre ritrovava la speranza alla vista dell’elfo.
« Siamo fieri di combattere al fianco degli uomini ancora una volta » disse infine il biondo voltandosi poi a guardarmi e corrugando le sopraciglia, dinanzi alla mia espressione afflitta.
«Im telin le thaed mellon-nim [ Sono venuto ad aiutarti amica mia ]» disse Haldir osservandomi da capo a piedi probabilmente in cerca di una spiegazione del mio umore. « Tu puzzi » aggiunse poi, incurante della mia mancata risposta.
« Sì beh ho fatto un volo di settanta metri » dissi prima di avvicinarmi a lui abbracciandolo a mia volta con un solo braccio, prima di salutare con un cenno il resto dei guerrieri e ritornare sul loro Capitano.
« Hai parlato con Elrond? » domandai decisa ad aspettare un po’ più di privacy per qualunque altra questione.
« I gemelli sono giunti per proteggere i confini di Lòrien grazie al tuo avvertimento. Volevano venire loro stessi al Fosso di Helm ma non potevo permettergli di superarmi nelle tue grazie » aggiunse tentando una battuta che strappò un sorriso solo ad Aragorn mentre io increspavo le labbra nuovamente in disappunto.
Haldir notò il mio strano atteggiamento ma non commentò, presentando Aragorn ai suoi guerrieri ed invitandolo a mostrargli le postazioni che gli elfi avrebbero dovuto assumere.
 

 
 


Poco dopo l’arrivo dell’esercito elfico,avevo fatto riunire Haldir, Aragorn, Legolas, Gimli e Éomer in cima alle prime mura di difesa, da dove potevamo scorgere al meglio tutte le postazioni del Fosso di Helm e le loro caratteristiche.
« Arriveranno quando la luna sarà più alta nel cielo, il che ci lascia circa due ore » dissi guardando l’orizzonte, chiedendomi distrattamente se Legolas e Haldir riuscissero a vedere l’esercito di Isengard avanzare verso di noi.
Sapevo che era là fuori all’orizzonte, anche se non riuscivo ancora a scorgerlo.
Saruman avrebbe fatto avanzare i suoi guerrieri al buio, era una vecchia tecnica degli orchi di Gondor che avevo letto anche nei libri di storia ad Imladris:
Avrebbero acceso le fiaccole, rivelando e la loro presenza solo una volta giunti alla base delle mura per infondere tutto il loro terrore nei soldati che nel buio pesto, non sarebbero riusciti a scorgerli fino all’ultimo.
« Le loro scale sono fatte di un ferro troppo spesso per riuscire ad abbatterle, quindi concentriamoci solo sulle torrette che giungeranno quando alcuni degli uruk-hai saranno riusciti a entrare.
Dobbiamo chiedere assistenza ai tuoi arcieri Haldir, loro dovranno occuparsi di abbattere i troll. Le torrette sono piene di nemici, uomini o uruk-hai non farà differenza se riusciranno a riversarsi all’interno del primo trombatorrione. »
« Legolas » continuai rivolgendomi verso l’elfo « Saruman ha un’arma: il fuoco greco. Cercherà di abbattere le mura attraverso quel passaggio di scarico » dissi indicandogli la grata di ferro alla base delle mura « Abbatti qualunque cosa si avvicini troppo » lui annuì senza battere ciglio all’idea di ricevere ordini dalla sottoscritta.
«E noi cosa faremo? » domandò Gimli evidentemente nervoso all’idea di non essere stato ancora nominato nel mio piano, come se non lo ritenessi competente alla guerra.
« Noi Mastro Nano, avremo la parte migliore » gli dissi indicando a lui, Éomer ed Aragorn il ponte che conduceva alla porta principale.
« Le mura sono forti e il portone è resistente, ma per quando forte non riuscirà a reggere per sempre, quando gli arcieri falliranno ad abbattere i portatori del totem, entreremo in gioco noi.
Ci divideremo in due gruppi per poterci alternare: Gimli ed Aragorn ed io ed Éomer.
C’è una porta secondaria che ci permetterà di strusciare dal lato della montagna, è un bel salto per giungere fino al ponte ma è la nostra unica possibilità. Possiamo impedire alle file uruk di raggiungere la porta abbastanza a lungo, perché venga rinforzata di volta in volta. » conclusi girandomi verso i presenti, che si limitarono ad annuire.
« Come sai della porta? » domandò Éomer guardandomi stupito, aguzzando la vista per cercare qualche segno che nella strettoia della montagna vi fosse davvero un passaggio.
« Me lo ha detto tuo zio » risposi senza lasciar trapelare il mio nervosismo, mentre Aragorn e Gimli si scambiavano uno sguardo preoccupato. Evidentemente anche loro si erano dimenticati che solo i membri della compagnia ed Haldir conoscevano la mia vera natura.
« Scusami Gwend, è solo che ne parli come se tu questa guerra l’avessi già affrontata » aggiunse il cavaliere di Rohan con uno sguardo leggermente imbarazzato.
« Tutte le guerre sono uguali giovane Principe, imparerai a conviverci » commentò Haldir, riuscendo a far cadere l’argomento, mentre un’ombra di tristezza passava negli occhi di Éomer.
Probabilmente, non aveva mai pensato che un giorno, sarebbe stato chiamato principe al posto di suo cugino.
« In questo modo riusciremo a resistere fino all’alba? » domandò Aragorn mentre io mi voltavo nuovamente verso l’orizzonte, ad Est, anche se non riuscivo a vedere niente nella notte.
« No » risposi infine « Possiamo solo rallentarli, siamo troppo pochi. E il Fosso di Helm finirà per chiudersi su di noi come una trappola per topi » scoccai uno sguardo verso Éomer, sperando non partisse in quarta a difendere la decisione dello zio come aveva fatto Éowyn, ma evidentemente anche lui, riteneva che Théoden avesse sbagliato nel portare tutti i suoi guerrieri dietro le mura della fortezza.
« Ma che bello » commentò Gimli guardandomi come se fosse colpa mia, se gli avevo appena rovinato l’umore.
« Non ho detto che perderemo la battaglia Mastro Nano » dissi con un sorriso spento « All’alba, quando udirete il corno risuonare nella montagna, ovunque voi siate e con chiunque sia al vostro fianco, partite alla carica. Forse non è molto ma se riusciamo a sincronizzarci tutti assieme in un ultimo attacco potremmo dare abbastanza tempo a Gandalf »
« Credi che Mithrandir tornerà prima della fine? » domandò Éomer.
« Potrei non avere certezze sulla nostra battaglia ragazzino, ma se si tratta dello Stregone non ho dubbi, troverà Erkenbrand. » risposi abbozzandogli un sorriso e dandogli una pacca rassicurante sulla spalla.
« Sempre che sia ancora vivo, lo abbiamo cercato a lungo io e i miei compagni » sapevo che Éomer non voleva certamente dubitare di Gandalf, ma in fin dei conti era comprensibile. Per lui, la speranza aveva lasciato Rohan da molto e il Cavaliere non osava lasciar risiedere la sua fiducia in essa.
Non importava, quando ce l’avremmo fatta la sua gioia sarebbe stata solo più reale.
 
Ero certa che se anche mi fossi messa a fissare un orologio, secondo dopo secondo, il tempo sarebbe passato veloce ed inesorabile comunque.
Assieme ad Éomer eravamo rimasti solo noi, Aragorn e il Re fuori dalla formazione che camminavamo, cercando di incutere fiducia nel cuore degli uomini.
Raggiunsi il reggimento elfico, avvicinando ad Haldir il più possibile, mentre l’arciere al suo fianco mi lasciava il posto per qualche minuto.
Ovviamente aveva iniziato a piovere a diritto ed io non avevo mai odiato tanto un temporale, come in quel momento. Avevo sperato di poter parlare all’elfo in solitudine ma non vi era stato tempo, così mi ritrovavo a farlo adesso, sull’orlo di una battaglia, circondata da gente sconosciuta.
« Anirà beriad mello-nim. Avo idhor harna-ë  [ Volevo solo proteggere un amica. Non credevo che ti avrei ferito facendolo. ] » disse Haldir parlando per primo mentre io mi voltavo a guardare il suo viso che anche nella notte più buia, avrei potuto descrivere senza alcuna fatica.
L’elfo continuava a guardare davanti a sé, a chiunque altro, sarebbe apparso semplicemente serio ma io sapevo la verità, era ferito. Io lo avevo ferito.
« Bad peliannen i vâd na dail lin. [ La strada della vita si estende dinanzi a me ] » dissi continuando a guardare il suo viso senza essere ricambiata. « Baw-sui mar cenich [ Non mi piace quello che vedo] »
« Man cenci? [ Cosa vedi? ] » disse lui incontrando finalmente i miei occhi.
Haldir dovette leggere il dolore nel mio sguardo, poiché spostò la sua mano a stringere la mia, intrecciando per un attimo le nostre dita in un piccolo abbraccio.
« Estelio guru-nìn ne dagor [Dubiti della mia abilità in battaglia ] » commentò lui come se la mia fosse stata solo una battuta, mentre accennava un sorriso « Im alfieri.[ Sono immortale ] »
« Awarthannen. Aderthad mammen toled  [ Abbandonata.  Sarai dove non posso raggiungerti ] » rettificai consapevole di star piangendo, ma data la fitta pioggia, nessuno che non fosse stato un elfo se ne sarebbe accorto.
Haldir dette un ultima stretta alla mia mano, prima di lasciarla scivolare via definitivamente.
« Và, Aragorn si aspetta che tu combatta al suo fianco » mi congedò l’elfo abbandonando il Sindarin così che non avessi altra scelta, se non quella di eseguire il suo ordine. Lo guardai un ultima volta, prima di fare un passo indietro in un inchino svogliato, allontanandomi dalla sua presenza pregando i Valar di far sì che non fosse per l'ultima volta.
“Solo un'altra volta” pensai raggiungendo gli altri membri della compagnia “ Permettetemi di cambiare il corso della vita di qualcuno”.
Pregai, perché il mio prezzo da pagare per la vita di Boromir, non fosse quella del mio migliore amico.
 
 
 
 









 
 
 
 
Prima di iniziare una guerra, sappi prima per cosa combatti ¹ = strofa della canzone dei  The Cab  dal titolo  Angel with a shotgun che recita “ […] Before you start a war , you better know what you’re fighting for […] “
 
 
L’armatura di Eomer da ragazzo ² = Quella data a Valanyar è così. Ovviamente poi lei come descritto, non la indosserà tutta poiché troppo grande, ma almeno abbiamo un’idea generale ;)
 


NdA : Ta daaaan!
Lo so che in questo capitolo non succede praticamente niente, ma spero comunque vi sia piaciuto almeno la metà di uno normale, poiché in realtà è uno dei miei preferiti.
Ritengo sia uno di quelli in cui si vede appieno il valore di Valanyar e ci dà qualcosa in più da aggiungere al suo carattere.
Spero di non aver offeso nessuno, facendo spostare la cotta di Éowyn su Gwend. Ma ritengo che la fanciulla non abbia mai veramente “amato” Aragorn, lei aveva solo bisogno di qualcuno che le ricordasse quanto valesse, e non appena lo a trovato in Aragorn ha perso un po’ il capo. ( Perfettamente comprensibile se volete la mia :P)
Il nostro Haldir è tornato! Anche se preferivamo non averlo dato che aimè, conosciamo l’infame fine che fa nei film. Val non era felice.
 
Fatemi sapere se volete linciarmi o meno, a venerdì e grazie per i vostri commenti che mi aiutano a scrivere capitolo dopo capitolo, una storia trita e ritrita <3

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


▌ Capitolo 10  ▌
 





 
« Non dimenticare:
da qualche parte in mezzo tra
“ciao” e “addio”,
c’è stato amore,
  tanto amore. »

 
_Anonimo
 
 
 



 
Salutai con un cenno Aragorn che assieme ad Éomer era alla guida degli arcieri, ognuno delle rispettive fazioni.
In realtà il comandante degli elfi era comunque Haldir ma aveva lasciato la guida dei suoi uomini al ramingo, uno perché tra gli elfi gli ufficiali più alti combattevano in prima linea, per dare forza ai propri uomini. E due, perché assieme al cavaliere di Rohan poteva gestire gli arcieri di entrambe le razze.
In poche parole, i guerrieri di Rohan non avrebbero preso molto volentieri ordini da un elfo.
Lui mi concedette un ultimo sorriso, augurandomi buona fortuna senza l’utilizzo delle parole, mentre io andavo a prendere il mio posto accanto a Gimli.
Non si vedeva ancora niente, ma potevamo sentirli. Erano proprio sotto di noi, con i loro respiri pesanti e la puzza di morte che li contraddistingueva.
Legolas mi lanciò un’occhiata curiosa, inarcando un sopracciglio come a chiedermi se andasse tutto bene.
Annuii, asciugandomi frettolosamente le lacrime che solo il biondo ora era in grado di vedere, con il dorso delle mani.
« Vorrei … chiedervi un favore » dissi mentre si accendevano fiaccole tutto dinanzi a noi, illuminando l’orizzonte dinanzi il Fosso di Helm, assieme i suoi nemici fino a dove occhio umano poteva scorgere.
Erano così tanti … Non avevo mai visto un esercito tanto imponente tutto assieme.
Gli ultimi cinquant’anni passati a combattere una schiera di avversari dopo l’altra, non erano niente rispetto all’enormità dell’esercito di Isengard.
« Hai scelto un buon momento non c’è che dire » commentò Gimli sbuffando innervosito, notando le facce degli uomini riempirsi di terrore. Dalla sua posizione, non poteva vedere il nemico ma considerando il mare di nemici dinanzi a noi, forse era meglio così. Si sarebbe tenuto più stretto il suo coraggio.
« Riguarda Haldir? » domandò Legolas senza distogliere lo guardo dalla folla, ma con un tono di voce sufficientemente basso perché nessun altro oltre noi tre, potessimo udirlo.
« Tu e i tuoi biondi » sbuffò nuovamente il nano « Di cosa ha bisogno adesso? Che gli pettiniamo i capelli in qualche bella treccia come il principino qui di fianco? » commentò Gimli brusco ma senza alcuna malizia, strappando un sorriso a me e facendo alzare gli occhi al cielo a Legolas.
« Quando Aragorn griderà la ritirata. Vi prego, se potete, proteggetelo » dissi incrociando lo sguardo dei miei compagni.
Sia l’elfo che il nano, furono evidentemente tentati di commentare altro, ma qualcosa nei miei occhi fece ad entrambi cambiare idea mentre si limitavano ad annuire.
Il corno degli orchi scelse quel momento per squarciare il silenzio della notte, annunciando che erano pronti alla battaglia.
« A Eruchin, ù-dano i faelas a hyn an uben thanatha le faelas [ Non abbiate per loro alcuna pietà , perché voi non ne riceverete] » urlò dietro di noi Aragorn, mentre Gimli iniziava a saltellare sul posto, cercando di ottenere una visuale migliore.
« Quanti sono Val? » domandò il nano.
« Molti più di diecimila … » mormorai affranta « … Oserei almeno il doppio » dissi facendo un calcolo mentale che gli uomini di Saruman ci superavano con un rapporto così alto, che in una situazione normale, persino sperare in Gandalf mi sarebbe sembrato impossibile.
« Uh, allora ce ne è per tutti » disse Gimli accennando un sorriso « Facciamo una gara a chi ne fa fuori di più? » propose lui alzando gli occhi verso me e Legolas.
« Ci sto » dissi cercando di ritrovare un briciolo di buon umore, dinanzi ad una vista tanto terrificante.
« Non avete speranze » commentò l’elfo, confermando quindi di accettare anche lui la sfida.
« Thangado a cada ! [ Pronti a colpire! ] » assieme a tutti gli altri, incoccai la prima freccia del mio arco, cercando di battere le ciglia il meno possibile per impedire alla pioggia di offuscarmi la vista.
« Faeg i-varv dîn na lac a nu rac. [ La loro armatura è sottile sotto il collo e tra le braccia. ] » mi consigliò Legolas mentre io mi trattenevo dal lanciare un’occhiata irritata all’elfo.
« Riesco giusto a vedere dove è l’intero orco a questa distanza » sbuffai cercando di mantenere comunque la mia mira il più accurata possibile mentre optavo per andare sul sicuro: cerca di prenderli in testa.
Era difficile sbagliare in quel modo, al diavolo la supervista elfica.
Senza contare che a breve un vecchio avrebbe dato il via allo scontro, uccidendo il primo nemico per pura fortuna.
 

 


 
Quando lo scontro ebbe inizio mi ritrovai più preparata del previsto grazie alle battaglie vissute al fianco di Boromir, la quantità dei nemici era shockante, ma la guerra mi era comunque familiare. I rumori della battaglia avrebbero scosso chiunque alle prima armi, quindi tentai di approfittare della situazione al meglio, scoccando una freccia dopo l’altra, desiderosa di riuscire a fare più vittime possibili prima di ridurmi all’utilizzo delle spade.
« Pendraith! [ Le scale! ] » urlò da qualche parte oltre le mie spalle Aragorn, concludendo in fretta la mia prestazione da arciere, nonostante ero quasi rimasta a secco di frecce.
Come previsto abbandonai arco e faretra ai miei piedi, disponendomi assieme agli uomini di Éomer a protezione dei tiratori elfici, che avevano il compito di abbattere le scale mirando alle sottili corde che tiravano su, lungo le mura.
« Mantenete la posizione! » urlò al mio fianco il fratello di Éowyn mentre restringevamo l’area di arrivo dei nemici, prima di caricare lungo le nostre stesse mura.
La prima scala, era composta da soli orchi.
Gli avversari ringhiarono e si agitarono, cercando di rompere la nostra linea di difesa verso gli elfi, caricandoci come kamikaze. Ma nessuno di noi era un soldato alle prime armi, poiché i più giovani erano stati lasciati nella fortezza con Théoden, così restammo fermi, senza lasciar penetrare nessuno tra le nostre file come una testuggine romana.
A causa della battaglia ravvicinata con i miei compagni, ero costretta ad usare solo una spada, o avrei dovuto abbandonare il fianco di Éomer, ma il Cavaliere di Rohan dimostrò presto la sua abilità in battaglia, intercettando con il suo bianco scudo, anche i colpi diretti al mio fianco scoperto mentre continuava ad urlare ordini ai suoi uomini.
Infilzai l’ultimo orco con una soddisfazione quasi pericolosa mentre dietro di noi si alzavano le ovazioni di vittoria.
« Gwend! Il fianco Est cadrà dovete dividervi! » ci urlò Aragorn indicando il punto dove le mura di cinta si univano a quelle della fortezza.
Lì era possibile vedere che le scale avevano attraccato con maggior successo, obbligando i soldati elfici di Haldir ad estrarre le spade e abbandonare gli archi, per combattere assieme ai soldati di Rohan.
« Voi, seguite Gwend, gli altri, con me! » ordinò il Capitano di Rohan caricando il successivo carico di orchi, permettendoci così di passare attraverso la mischia per raggiungere il versante ordinatoci da Aragorn.
« Perché hanno ceduto? » mi domandò Gimli che al mio fianco correva in aiuto del versante Est, assieme a metà degli uomini di Éomer che mi erano stati affidati.
« I loro capitani non sono stupidi, hanno mandato gli uomini Dunland dove hanno capito non esserci veri condottieri. Gli uomini sono deboli quando combattono tra mostri e la loro stessa razza » urlai felice di poter finalmente estrarre entrambe le lame e mettendomi subito in azione mentre tagliavo la mano ad un orco facendogli cadere l’arma, per poi dargli il colpo di grazia con la lama opposta.
« Ipocrita da parte loro » commentò il nano accennando anche un « sette » sottovoce, mentre uccideva un guerriero calandogli l’ascia in pieno petto.
« Non me ne parlare » dissi scambiandomi un sorriso con Gimli prima di finire ufficialmente nella mischia, menando fondenti verso i nostri nuovi nemici.
« Non cedete loro ulteriore terreno! » ordinai agli uomini verso di noi, mentre i nostri nemici si giravano, urlandoci contro e venendoci incontro a metà strada.
Vedere dei guerrieri umani, con la mano bianca di Saruman dovevo ammettere che faceva il suo effetto, molti di loro, indossavano perfino vesti dei soldati di Rohan.
Fu solo quando colpii il quinto di loro nel ventre, costringendolo a starmi davanti troppo a lungo, che riconobbi la fattura delle loro uniformi.
« Hanno rubato le armature dai soldati caduti » sibilai piena di rancore riconoscendo al casata del figlio di Théoden,  sentendo in me la rabbia di tutte quelle famiglie,che erano state derubate perfino di una salma dei propri cari.
Molti a Rohan non sarebbero stati fortunati come il loro Re, molti non avrebbero avuto nessun corpo da piangere o da seppellire nella tomba di famiglia.
« Caricate! » urlai con ritrovata ferocia mentre assieme agli elfi di Haldir riuscivamo a spingere sempre più uomini contro le mura.
Mi destreggiai tra le prime file, fino a portarmi a pochi metri del cornicione, approfittando della mia vicinanza alla scala più esterna per tirare su la picca di ferro e scardinarla dal muro, facendola crollare sull’esercito sottostante.
Mi voltai, scattando di lato appena in tempo per evitare il colpo di un guerriero, mentre gli facevo lo sgambetto, infilzandolo nella schiena quando rovinò ai miei piedi, solo per sfruttare le due spade come leva, per tirare un calcio in faccia ad un orco prima di decapitarlo.
« Gwend! Sono a dodici! » mi urlò Gimli vari metri più in là.
Troneggiava sopra il cornicione delle mura, posizionato tra due scale mentre decimava chiunque avesse il coraggio di avvicinarsi troppo, imperturbato dal fatto che si trovava sospeso a settanta metri dal suolo.
« Bravo! » ribattei decapitando l’uruk-hai più vicino e sgozzando un altro uomo di Dunland « Io a ventitré! » dissi prima di ruotare le mie lame assieme come due eliche, mettendo fuori combattimento altri due nemici ferendogli entrambi nelle braccia con cui reggevano le armi.
Inizialmente avevo temuto che a causa dell’armatura bianca, sarei stata un facile bersaglio per i nemici, ma le mie preoccupazioni ebbero modo di durare ben poco, poiché a nemmeno mezzora dall’inizio dello scontro, la mia armatura era macchiata quasi ovunque di sangue rappreso, donandomi un orrendo look da “Gwend il sanguinario “.
Scattai nuovamente verso la parte alta delle mura, sfruttando una delle mie tattiche preferite, mentre scivolavo sulle ginocchia mozzando i polpacci a quattro uruk-hai di fila, due su ogni lato, prima di finirli non appena tornai in piedi, con delle stoccate dirette alle loro giugulari.
Detti una sferzata con il piatto della spada, alla testa di un soldato Dunland che mi ritrovai davanti, solo per attirare la sua attenzione su di me, mentre il guerriero di Rohan davanti a lui gli dava il colpo di grazia.
« Possiamo recuperare la formazione » mi confermò lui affiancandomi schiena a schiena mentre in due facevamo il punto della situazione senza permettere ai nostri nemici di avanzare di un passo.
« Dobbiamo respingerli verso il centro, così gli uomini di Haldir potranno riprendere a colpire le scale! » urlai da sopra la mischia mentre il soldato alle mie spalle concordava, impegnato però in uno scontro contro due orchi.
« Haldir! » urlai verso il meraviglioso elfo che senza elmo era così facile fa riconoscere, poiché i lunghi capelli biondi, volavano veloci quasi quanto la sua spada.
« Porta  tuoi arcieri sul cornicione di mura, abbattiamoli con una tecnica a ponte ! »
« A ponte? » ripeté lui guardandomi come se l’idea non gli piacesse affatto.
« Sì! A ponte! » urlai nuovamente prima di voltarmi verso i restanti soldati di Rohan sotto il mio comando che udendo il mio scambio di battute con l’elfo si erano già radunati attorno a me, formando una posizione a “C” tra gli uomini di Saruman e gli elfi di Lothlòrien.
« Scudi! » ordinai mentre la visuale venne sbarrata da coloro che ancora possedevano uno scudo di difesa di Rohan.
« Spingete! » alle mie parole, ognuno spinse il compagno davanti, investendo i nemici come se fossimo uno spazzaneve-umano.
Una lancia trafisse il soldato davanti a me, centrandolo in pieno petto, ma afferrai il suo scudo e presi il suo posto continuando la carica. Contai fino a dieci prima di urlare:
« Giù! » e crollammo tutti a terra, sdraiati supini o proni senza differenza alcuna.
Vidi la confusione negli occhi dell’uruk-hai che troneggia a meno di un metro da me con l’arma sguainata, sarebbe stato necessario solo che me la calasse contro per morire lì, come se non fossi mai esistita.
Ma il primo secondo di sconcerto passò, e prima che potessero ucciderci tutti, una mandria di frecce passò sopra di noi, trafiggendo tutti coloro che erano rimasti in piedi mentre io mi concedevo un ghigno soddisfatto dinanzi all’espressione sconvolta del nemico morente.
Tra chi crollò in ginocchio e chi morì sul colpo, finire gli ultimi rimasti in piedi fu facile, mentre gli elfi riuscivano a riprendere la loro postazione, ed io lasciavo al comando di quella sezione di uomini il soldato di Rohan con cui avevo combattuto spalla a spalla, poco prima.
« Esageri sempre con il gioco di gambe » mi salutò una voce pacata alle mie spalle, in quei pochi minuti di calma che ci eravamo guadagnati.
Mi voltai, sorridendo ad Haldir che troneggiava sulla mia figura come una delle statue del giardino di Imladris, giudicandomi dall’alto del suo splendore per i miei vestiti sciupati.
« Beh sai com’è, il mio maestro lasciava a desiderare» lo presi in giro a mia volta ricambiando il suo mezzo sorriso con uno più sincero.
Poi un botto, come il masso sparato da una catapulta attirò la nostra attenzione. Ci spostammo in avanti, fino ad affacciarci dalle mura, guardando la grande porta che assicurava la sicurezza della Fortezza sotto di noi.
« Quel portone non reggerà a lungo se la sua unica difesa sono quegli arcieri e dei bambini » disse l’elfo costringendomi ad annuire.
Gli uomini di Théoden ne tentavano di ogni, ma dovevano aver finito l’olio bollente e per bloccare coloro che cercavano di sfondare il portone, erano stati costretti a ripiegare su grandi pietre, lanciate dai più giovani e semplici frecce.
Ma gli uruk-hai erano altrettanto intelligenti e adesso avevano iniziato a proteggere coloro che portavano l’ariete con grandi scudi, formando un unico tetto di metallo sopra le loro teste.
« So cosa fare » dissi dando una pacca sulla schiena all’elfo che mi guardò con un sopracciglio inarcato.
« É qualcosa che io approverei? » domandò Haldir fermandomi con una mano sul braccio, stringendo leggermente, lì dove non ero coperta dall’armatura.
« Meglio,è qualcosa che mi proporresti » risposi poggiando la mia mano sulla sua, stringendogli per qualche secondo le dita in un piccolo abbraccio, prima di dargli le spalle costringendomi ad andare dove c’era più bisogno di me.
 

 

 
 
« Éomer! Con me! » urlai da sopra il fracasso della battaglia. L’uomo di Rohan alzò il suo sguardo verso di me, facendomi cenno di aver capito, mentre cercava i raggiungermi, districandosi tra la mischia di nemici ed alleati.
Non restai ad aspettarlo mentre mi dirigevo verso il portone principale, dove gli uomini di Théoden cercavano di non far cedere il portone, spingendo contro di esso con tutte le loro forze.
« Gwend! » mi salutò lui quando mi vide, il diverbio del pomeriggio dimenticato in favore del pericolo imminente. « Il portone non reggerà ancora per molto » mi avvisò, lanciando un’occhiata cupa alle spalle dei suoi uomini, che nonostante i violenti colpi contro le assi non cedevano la posizione di un millimetro.
« Rinforzate la parte centrale, io ed Éomer vi procureremo del tempo » gli assicurai non appena il cavaliere di Rohan mi raggiunse.
« Come? » domandò il Re ricercando in sé la stessa determinazione che vedeva nel mio sguardo.
« Passeremo dalla porta che da sulla montagna, il ponte è sufficientemente stretto. In due possiamo riuscire a trattenerli, bloccandogli la strada. »
« Mi sembra un pazzia ma va bene. Andate! » ci autorizzò il Re mentre io prendevo Éomer per il polso, trascinandomelo dietro tra la folla di soldati che sotto gli ordini del loro Re, iniziarono a radunare le assi di legno e i sostegni per rinforzare la porta.
Trovare la piccola porticina di servizio fu più semplice del previsto, farci passare Éomer un po’ meno.
Il ragazzino era cresciuto in un uomo grande almeno quanto Aragorn, ma a differenza del ramingo, Éomer aveva un’armatura completa addosso, sicuramente molto utile in battaglia, meno se si necessitava di passare attraverso piccole insenature come quella.
« Come faremo a saltare ? » domandò l’uomo non appena riuscì a strisciare fuori la porta, guardando con timore il ponte pieno di orchi.
Trattenni un’imprecazione, notando quando poco spazio vi era per permetterci di giungere sul ponte senza cadere anche noi nel fosso sottostante mentre mi rimproveravo per non aver portato il mio arco.
« Ecco il piano» dissi prendendogli di mano lo scudo,  assicurai nella cinghia di cuoio entrambe le mani e lo poggiai sulla spalla destra, poi mi lanciai sul ponte senza pensarci neppure per un secondo in più.
 
Aragorn mi aveva sempre ripetuto, che quando si ha una tattica perfetta capisci che improvvisare è per dilettanti. Beh io dopo settant’anni, continuavo ad essere un dilettante allora, perché improvvisare mi riusciva benissimo.
« Gwend! » sentii urlare Éomer dietro di me con una tale forza, che probabilmente si era ferito la gola.
Saltai il più lontano ed in alto possibile, sfruttando la forza della mia spinta mentre mi riparavo la testa al meglio dietro lo scudo di Éomer, per caricare gli urukai che stringevano la testa del totem.
L’effetto sorpresa fu determinante, poiché quando capirono cosa gli era piovuto addosso, stavano già cadendo effetto domino:
La mia spallata aveva fatto cadere il primo orco, che perdendo l’equilibrio era caduto contro il totem, che a sua volta aveva sbandato contro il primo della fila dall’altra parte, che poi era caduto di sotto, portandosi dietro il compagno accanto a lui che ne aveva preso un altro e poi un altro.
Tutto si fermò per un istante, mentre dietro di me sentivo Théoden urlare ai suoi soldati di assicurare il portone ed io mi ritrovavo in piedi da sola sul ponte, con un esercito di ventimila guerrieri dinanzi a me.
« Beh, credo proprio che vincerò questa gara caro Gimli » dissi sguainando le spade bianche e sorridendo ai miei nemici.
« Fatevi sotto » sibilai iniziando a far roteare le mie lame come le bacchette di un batterista, mentre gli orchi dinanzi a me iniziavano a caricare e io notavo con la coda dell’occhio, Éomer prendere posto di fianco a me.
Fortunatamente e come previsto, in due riuscivamo abbastanza bene a coprire il ponte grazie al fatto che era stretto e il fossato sottostante discretamente profondo.
Certo il fatto che come ogni costruzione nella Terra di Mezzo, non possedesse ringhiere, non mi rendeva una sua fan, ma il baratro ai lati, risultava piuttosto comodo per togliersi di mezzo in modo semplice ed efficace gli orchi che cercavano di colpirci nei fianchi, buttandoli di sotto.
Stringemmo entrambi i denti mentre cercavamo di caricare fendenti ed affondi senza fermarci neppure per constatare che i nostri colpi fossero andati a segno, troppo impegnati ad accertarci di non finire infilzati a tradimento noi stessi.
« Spero tu abbia pensato anche ad un piano di fuga! » urlò Éomer voltandosi per un millesimo di secondo verso di me. Un lieve sorriso, per quanto incredibile, gli increspava le labbra, come se nonostante la guerra stessa, trovasse quella situazione così surreale divertente.
« Beh, ci sto pensando adesso » replicai senza però potermi gustare la sua reazione poiché un uruk-hai mi dette una spallata a tradimento, rischiando di farmi cadere a terra. Ma Éomer intervenne tagliandogli la mano che reggeva la spada, riducendolo ad un moncherino, mentre io recuperavo il mio equilibrio con una mezza piroetta ed infilzando i due orchi che mi ritrovai davanti nello stomaco.
 
Le braccia iniziavano a farsi pesanti ad ogni stoccata e la spalla destra, quella con cui avevo caricato nella mischia già due volte con uno scudo, mi doleva in un modo particolarmente fastidioso, rallentando i miei colpi anche con tutta l’adrenalina in circolo.
Fortuna era, che i nostri avversari nel ponte erano soprattutto orchi, ma il cavaliere di Rohan sapeva come me, che non avremmo potuto resiste a lungo.
« Gwend! Il cambio! » udii dietro di me assieme ad un tonfo, che apparve tremendamente simile ad un insulto in nanico. Non mi voltai a controllare quando riconobbi la voce di Aragorn, aspettando che lui e Gimli ci affiancassero sul ponte, lasciandogli mano a mano sempre più terreno, mentre noi ci ritrovavamo con le spalle al portone.
« E adesso? » domandò Éomer con un fiatone tale che si mangiò mezza parola, proprio nello stesso istante in cui due corde ci apparvero davanti.
« Prendiamo l’ascensore elfico » risposi infilando il piede nel piccolo cappio in fondo alla fune, venendo imitata dal mio compagno d’armi, per poi venire entrambi issati lungo le mura.
Una volta in cima trovammo Legolas ed Haldir, che mi guardavano con un’espressione così simile, che per un attimo temetti di vederci doppio.
« Qualcosa che io stesso ti proporrei eh? » commentò l’elfo a sinistra mentre i suoi uomini continuavano a lanciare freccie dalle mura sottostanti.
« Beh, è stata un’idea come un'altra » boccheggiai, ringraziando Legolas con un sorriso quando mi porse una borraccia d’acqua, tracannandone metà prima di passarla ad Éomer che non appena la finì esclamò:
« Tu sei completamente pazzo! » il Cavaliere di Rohan mi guardava allucinato ma euforico, sotto lo sguardo ombroso dei due elfi.
« Quello che hai fatto per allontanargli dal ponte? Incredibile! Non ho mai visto un guerriero scellerato quanto te! » un sorriso a trentadue denti gli ornava il viso che in tutta onestà,  era totalmente fuori luogo in una battaglia simile, ma che non potei fare a meno di ricambiare, divertita dal suo entusiasmo nei miei confronti
« Già beh, spero che lo abbiano visto tutti, perché con il cavolo che lo rifaccio¹ » commentai con una scrollata di spalle.
 

 
 

 
Probabilmente ci concessero un riposo lungo almeno una quarantina di minuti, ma di fatto a me parve di essermi seduta in quello stesso secondo, quando Legolas ci avvertì che era il momento di dare il cambio ad Aragorn e Gimli.
Annuii sfinita, prima di voltarmi verso Éomer, che come me si tirò su a fatica, massaggiandosi al meglio la spalla sforzata del braccio con cui usava la spada.
Era inutile iniziarsi a lamentare della stanchezza così presto, saremmo dovuti sopravvivere di sola adrenalina fino all’alba, o non sopravvivere affatto.
Legolas ci accompagnò dinanzi alla porta, mentre lanciavo un’occhiata ammirata al portone principale. Gli uomini di Théoden avevano fatto un ottimo lavoro, la grande porta sarebbe riuscita a reggere per almeno un altro paio d’ore prima che i danno fossero irreversibili.
Éomer passò dalla porticina di servizio per primo, con molta meno difficoltà rispetto a prima volta che ci aveva provato, avendo oramai compreso quale parte del corpo far uscire inizialmente dalla strettoia.
« Aspetta » disse Legolas prendendomi per l’avambraccio ed impedendomi di passare, riportandomi verso di sé.
Gli lanciai un’occhiata confusa, chiedendogli cosa ci potesse essere di tanto importante da dover aspettare che Éomer ci lasciasse soli per una manciata di secondi.
« Prima, stavi piangendo » disse l’elfo prendendomi in contropiede. Il biondo dovette rendersi conto di quanto suonasse maleducato anche ad orecchie umane, perché si affrettò ad aggiungere « Credi che Haldir morirà vero? Per questo ci hai chiesto di tenerlo d’occhio ».
Annuii, riprovando nuovamente quell’ondata di dolore, all’idea di perdere il mio migliore amico.
« Hai Aiantcuil, puoi sfruttarlo. So che hai promesso a mio padre di tenerlo per me ma, è ridicolo. Potresti salvarlo »
« Non è solo quello Legolas. Sono stata avvisata che i cambiamenti che importavo, avrebbero avuto un costo. Se oggi salvassi Haldir con Aiantcuil, chi potrebbe garantirmi che domani non perderei te? » domandai guardando l’elfo negli occhi.
Legolas spalancò gli occhi, evidentemente sorpreso dalla risposta che gli avevo dato. Come se fosse stato strano, che non avrei accettato uno scambio tra la sua vita e quella di Haldir.
Il che in tutta onestà, in qualunque altra situazione lo avrei trovato piuttosto offensivo. Non mi piaceva giocare con la vita delle persone, non lo avrei mai sacrificato neppure se i nostri rapporti fossero sempre stati pessimi.
In tutta onestà, il motivo principale era che non sarei mai riuscita ad infliggere un tale dolore a Thandruill, portandogli via anche il figlio.
« Non posso rischiare» conclusi accennando un sorriso e portando la mano opposta, sopra quella dell’elfo che ancora mi tratteneva per il braccio, lasciandogli cadere la presa.
« Devo andare, fai attenzione lassù » lo salutai senza aspettare una risposta prima di raggiungere Éomer che mi aspettava sempre nello stretto.
« Tutto bene Gwend? » domandò lui notando la mia aria cupa.
« Certo, andiamo, o Gimli ci ruberà tutti gli avversari migliori » lo spronai saltando dopo di lui sul ponte, raggiungendo nello scontro Aragorn e il nano, offrendogli finalmente il cambio per tenere noi occupato il ponte e concedere loro una sosta.
 

 
 


 
Avevo aspettato quel momento da quando Haldir aveva messo piede nel Fosso di Helm.
Ero stata attenta a non allontanarmi troppo, avevo cercato assieme a Legolas di far fuori tutti coloro che si avvicinavano troppo alla grata di metallo sotto le mura, sia che avessero armi sospette in mano, sia che sembrassero sprovvisti di strane diavolerie.
Ma avevo sempre saputo che prima o poi avremmo messo il piede in fallo e tutto sarebbe esploso. Eppure avevo anche sperato che non mi sarei ritrovata proprio sopra le mura quando ciò sarebbe accaduto.
Lo schianto fu così forte che fui sbalzata io stessa dalla fortificazione, con il pavimento che esplodeva sotto i miei piedi:
finii in acqua sbattendo la testa e quando riuscii a tirarmi a sedere, vidi Aragorn partire alla carica assieme a degli elfi di Lothlòrien su un gruppo di uruk-hai che minacciavano di superare un enorme voragine nelle mura.
Mi portai una mano alla testa, ancora confusa, mentre lanciavo un’occhiata attorno notando fortunatamente le mie lame a pochi metri di distanza.
Mi alzai traballante, ma raggiunsi le spade e le raccolsi guardandole con aria vacua prima di ricordarmi tutto quello che sarebbe successo da lì a poco. Le rinfoderai, solo per fare una mezza piroetta su me stessa lanciandomi a tutta velocità verso le scale.
« Haldir! » urlai in preda al panico da dove ero . Cercai di correre il più velocemente possibile ma ogni cellula del mio corpo stava già urlando perché sapevo…
Sapevo, che non sarei riuscita ad arrivare in tempo.
Sentivo Aragorn dietro di me ordinare la ritirata e chiamare il nome di Haldir urlandogli di far andare via i restanti elfi dalle mura fossato.
Vidi Legolas saltare gli scalini davanti a me quattro alla volta per cercare di arrivare prima dal Capitano delle guardie di Lòrien:
Forse lui che l’avrebbe fatta, forse sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per fermare l’inevitabile.
Ma lo vidi, mentre incoccando una freccia, veniva lanciato nuovamente giù dalle mura pericolanti dentro l’acqua del fosso, da un calcio di un uomo di Dunland.
L’elfo riuscì comunque a scoccare la sua freccia di cui ne seguii il corso con determinata fiducia. Era l’arco Galadhrim giusto? La Dama di Luce  gli aveva promesso che non avrebbe mai mancato un bersaglio …
Ma anche le armi invincibili, a quanto pareva potevano fallire, perché la freccia passò a pochi centimetri dalla testa dell’uruk davanti ad Haldir ma non lo uccise e la creatura di Isengard ne approfittò, per infilzare l’elfo con la sua lama, ringhiandogli una risata in viso quando vide la sua espressione di dolore.
Il volto perfetto gli si contorse in una smorfia che avevo pregato di non vedere mai, mentre un rigolo di sangue gli usciva dall’angolo della bocca sporcandogli la candida pelle, fino al mento.
Haldir dette un ultimo colpo di spada con la sua lama, uccidendo il guerriero dinanzi a sé e cercando di restare in piedi.
« Haldir! Dietro di te! » urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, spingendo al massimo i miei muscoli. Ma le mie gambe non erano quelle di un elfo, forse se in questa vita avessi avuto la fortuna di nascere come Tauriel sarei riuscita ad arrivare in tempo. Ma non era andata così, io ero solo umana.
 
Il tempo si mosse come a rallentatore mentre l’elfo incrociava finalmente il mio sguardo, addolcendosi negli occhi come quando scorgi la prima margherita della stagione sotto i tenui raggi di sole.
« Dietro di te! » urlai nuovamente supplicandolo di fare in tempo, ma la lama dell’orco dietro di lui, stava già calando nell’ultimo fatale colpo.
In quel momento, quando tutto mi parve perduto, un oggetto pesante e veloce volò di fianco al mio braccio viaggiando fino ad Haldir che osservò stupefatto un ascia conficcarsi alle sue spalle, colpendo a morte l’aggressore dietro di lui.
« Non quel biondino schifosa creatura! » sentii urlare un certo nano alle mie spalle, almeno venti metri più in là.
Ma non mi fermai ad indagare o ringraziare Gimli, mentre senza neppure curarmi delle morti tutt’intorno a me corsi a sostenere Haldir, che ora si appoggiava malamente al cornicione delle mura con un braccio, mentre con l’altro si teneva premuto la ferita da cui fuoriusciva copioso il sangue.
Vidi alcuni elfi di Lòrien farsi cerchio attorno a noi, trattenendo gli orchi ed impedendogli di avvicinarsi a noi mentre udivo Aragorn supplicarmi di andarmene assieme ad Éomer.
Ma le loro voci erano troppo lontane e distanti, mentre Haldir non riusciva neppure più a tenersi  in piedi e si accasciava su di me, costringendoci entrambi ad una scomoda posizione in ginocchio.
« Haldir forza, dobbiamo portarti via da qui » tentai spingendo il più possibile il panico indietro, mentre portavo le mie mani sul suo volto, costringendolo a guardarmi negli occhi.
« Mel Valr cuinnannem , cenel medui cuil thîr [ I Valar devono avermi benedetto, permettendomi di vedere come ultima cosa il tuo volto ] » disse lui con un sospiro così flebile, che nel fragore della battaglia, rischiai di non udirlo.
« Berth-avo [ Non osare ] » ringhiai mentre la vista si appannava e la voce mi si rompeva in gola.
« Val dovremmo proprio andarcene o qui non resterà in vita nessuno. Non noi, non il tuo bell’elfo » disse Gimli presentandosi accanto a me, con la sua ascia nuovamente in mano.
« Forza aiutami, portiamolo via da qui » disse risoluto scuotendomi nuovamente dal panico che mi aveva attanagliato, costringendomi a darmi una mossa.
« Voi due prendete il vostro Capitano, tutti gli altri, copriamoli » ordinai alzando gli occhi sulle guardie elfiche che mi davano le spalle, cercando di ignorare il dolore che mi percosse, quando le mani di Haldir persero la loro presa sulle mie,ricadendo su di lui come pesi morti.
Mi tirai in piedi, sfoderando le mie lame e  coprendo il buco lasciato dai due elfi assieme a Gimli, mentre gridavo contro i nuovi venuti:  una cinquantina di umani di Dunland che si piazzarono dinanzi a noi, cercando di bloccarci la strada.
« Gwend da questa parte! » sentii urlare Éomer alla mia sinistra, che assieme a un gruppo di soldati presedeva una piccola porta destinata alla servitù, che portava dentro la Fortezza.
« Tangado a cada! [ Pronti a colpire ! ] » sentii invece Aragorn più in alto, forse in cima a delle mura, ordinare agli elfi ancora con lui di coprirci la ritirata.
Con Gimli aprimmo la strada, rivelando appieno quando un singolo nano con la sua ascia potesse essere devastante, mentre la roteava davanti a sé come se pesasse quanto una piuma, abbattendo i proprio nemici  con un solo colpo.
Io sarei dovuta essere stanca. Troppo per riuscire a farmi strada in mezzo ad una tale mischia, con solo due lame bianche, ma orchi e uomini erano così facili da impressionare, mentre retrocedevano con la paura nei loro occhi alla vista della nostra furia.
“Passeremo” mi imposi mentre colpivo i miei nemici alla cieca, ignorando quelli che cercavano di attaccare il nostro piccolo gruppo dai fianchi, determinata solo a portare Haldir verso la Fortezza.
“Passeremo” convenni ancora cercando di non pensare ad altro che non fosse il fiume di sangue che continuavano a bagnare le mie spade confermandomi ogni volta un nemico ucciso, un passo in più, un metro in più verso la salvezza.
« Hado i philinn! [Scagliate le frecce! ] » la voce di Aragorn sopra di noi, permise ad altri venti nemici sui fianchi di perire, mentre finalmente giungevamo a portata di braccio degli uomini di Éomer, che si aprirono ad ali di gabbiano, facendoci entrare nella piccola strettoia prima di seguirci dentro le mura della Fortezza, chiudendo la porta dietro di loro, per poi murarla nuovamente con dei massi, impedendone  un ulteriore utilizzo.
 
Non mi fermai ad indagare oltre, mentre gli elfi si voltavano verso di me, in un silenzioso  « Ed ora? ». La risposta più sensata sarebbe stata “l’infermeria” quella di fortuna organizzata da Aragorn il giorno precedente per i cavalieri feriti, ma era troppo lontana e non sapevo neppure se quello che serviva ad Haldir erano delle cure o una tomba.
« Le Caverne Scintillanti » dissi facendogli strada, mentre i due elfi che trasportavano Haldir, assieme ad un altro paio mi seguivano e gli altri restavano a dare assistenza ai soldati di Éomer e Théoden assieme ad Aragorn e Gimli.
Corsi il più velocemente possibile, sapendo che comunque stavo solo rallentando gli elfi. Spalancai la porta dinanzi a me, ignorando le urla di terrore che provennero dal suo interno, consapevole di aver appena spaventato a morte molti bambini e le loro madri.
« Éowyn! » urlai rovesciando malamente tutta la roba che era sopra una branda di fortuna, per farvi poggiare Haldir « Un guaritore ! » urlai nuovamente iniziando ad aprire l’armature dell’elfo sdraiato, aiutata da un altro e cercando di ignorare gli occhi chiusi del mio migliore amico.
« E’ debole,vivo, ma non per molto » disse l’elfo dinanzi a me mentre io lo ignoravo, concentrandomi solo sulle parole “E’ vivo”.
Éowyn apparve di fianco a me, con le maniche del vestito tirate su e una bacinella d’acqua con dentro delle garze.
Non persi tempo in ringraziamenti mentre pulivo la ferita assieme a lei.
« Il colpo è stato netto, la ferita sembra pulita » commentò la bionda senza battere ciglio. Le ferite di suo cugino dovevano averla abituata a molte cose brutte.
« Và cauterizzata, o perderà troppo sangue » dissi.
« Non avete foglie di Athelas? Potrei fermare l’emorragia in modo più efficace a quel modo » disse un elfo alle mie spalle che riconobbi come Falathar, il secondo in comando, mentre io scuotevo la testa affranta, consapevole che il mio zaino era rimasto in quartieri troppo lontani per poterlo raggiungere in tempi utili.
« Io ne ho » disse una donna che avevo già visto nell’infermeria la mattina precedente con Aragorn « L’elfo della vostra compagnia Gwend, mi ha detto di tenerla sempre in caso di necessità » disse la donna passandomela, mentre io la ringraziavo con tutta me stessa, porgendola a mia volta a Falathar che prese il mio posto davanti Haldir.
Mi portai alla testa dell’elfo inerme, per non intralciare il loro lavoro mentre tutti e cinque si univano attorno al copro del proprio capitano iniziando una lunga cantilena che portò tutti gli umani presenti a tacere, in un religioso silenzio.
La ferita non si rimarginò dal nulla, ma lentamente, molto lentamente. Il sangue smise di sgorgare e quando fu pronta, le foglie di Athelas vennero sminuzzate e poste su entrambi i lati del taglio prima di assicurarlo con delle bende putileportate da Éowyn.
« Non possiamo fare altro, adesso tocca a lui resistere » disse l’elfo guardandomi con aria mesta, segno che non aveva molte speranze per il suo capitano, ma soprattutto per me.
Annuii, concedendomi un’ultima carezza al viso del biondo elfo, prima di costringermi a rimettermi in piedi ed abbandonarlo con lo sguardo. Sarei voluta restare lì al suo fianco, per assicurarmi che il suo cuore continuasse a battere un colpo dopo l’altro, ma non potevo e lo sapevo, i miei doveri erano ancora molti verso i miei compagni.
Non avrei lasciato Legolas, Aragorn, Gimli ed Éomer là fuori da soli mentre piangevo sul corpo di Haldir. Lo stesso elfo se fosse stato in condizioni di farlo, mi avrebbe preso a schiaffi.
 
Il rumore della battaglia ora, risuonava più forte che mai e senza il destino di Haldir ad attanagliare il mio cuore in una morsa di dolore, il mio cervello si mosse per cercare di comprendere tutto ciò che era successo all’interno delle Mura Fossato.
« Perché non vi siete ritirati? » domandai guardando i cinque elfi dinanzi a me « Haldir aveva lasciato il vostro comando ad Aragorn e lui vi ha ordinato di ritiravi, perché non lo avete fatto? » domandai guardandoli negli occhi uno per uno e notando solo in quel momento quanto tutti loro mi fossero stranamente familiari. Fu Falathar a rispondermi per primo:
« Noi siamo la scorta personale dei reali. Quando la moglie di Re Elrond ha lasciato queste terre, ha chiesto a sua madre e a suo padre, di proteggere la sua famiglia. Obbediamo ali ordini di Re Elrond » continuai a guardarlo, comprendendo finalmente, che li avevo visti giungere e lasciare Imladris assieme ad Arwen e  i gemelli, durante i loro viaggi nelle terre della nonna.
«E? » domandai poiché continuavo a non capire.
« Estel era il nostro comandante in battaglia e lo abbiamo seguito, ma il Re ci aveva dato un chiaro ordine: proteggere i suoi figli. Entrambi. » mi ritornò quindi in mente, i guerrieri che si erano divisi in due sezioni poco prima:
dei pochi di loro che erano rimasti in vita dopo l’esplosione, metà avevano seguito gli ordini del ramingo senza indugio mentre l’altra metà, quando mi aveva visto correre nuovamente verso le braccia del nemico, mi aveva seguito, facendomi poi da scudo quando io mi ero accasciata a terra assieme ad Haldir.
« E siete disposti a morire per noi » commentai con rammarico ma estremamente colpita. Anche ad intere nazioni di distanza, Elrond continuava a riconoscere me ed Aragorn come i suoi figli adottivi …
Anche sommersa dal dolore per Haldir, le cure di Elrond mi scaldarono il cuore.
« Noi siamo immortali » mi rispose l’elfo con lo stesso tono piatto che aveva usato ore prima il biondo Capitano, strappandomi un sorriso mesto.
« Già, sembra che io tenda a dimenticarmene » mi limitai a rispondere prima di voltarmi verso Éowyn e gli altri presenti, pulendo distrattamente le mie armi, pregne di sangue.
« Hanno sfondato le Mura Fossato, alla fine, riusciranno ad aprire la loro strada anche all’interno della Fortezza » ricapitolai ignorando i lamenti attorno a me.
A causa dell’invasione io ed Éomer non potevamo rischiare oltre, prendere il passaggio per proteggere il ponte sarebbe stato troppo rischioso. Non ci restava molto da fare, se non difendere la porta noi stessi fino a che non avrebbe più retto, per poi ritirarci ulteriormente.
« Non appena usciremo, portate tutto ciò che avete verso l’entrata, siate pronte a sbarrarla. Quando riusciranno ad entrare, sarà la vostra migliore possibilità, non fatevi trovare impreparate. Organizzatevi con i vostri figli, decidete con le donne più anziane chi passerà attraverso la via delle montagne. »
« E chi non vuole fuggire? » domandò Éowyn con il fuoco negli occhi, mentre un’altra donna la affiancava.
« Chi di voi se la sente resterà a combattere, sarete l’ultima linea di difesa, non vincerete ma potrete dargli abbastanza tempo per consentirgli la fuga » la donna accanto alla Dama di Rohan annuì, poggiando una mano sul braccio della Sua Signora mentre gli diceva che avrebbe combattuto assieme a lei.
Le lasciai ad organizzarsi mentre mi congedavo, preparandomi nuovamente alla battaglia.
« Si riparte » avvisai gli elfi che si limitarono ad annuire, mettendosi in formazione tutt’intorno a me prima di uscire dalle caverne, e ritrovarci nella confusione della fortezza.
 
 
 


Ritrovai Aragorn nella parte più esterna della fortezza, che si consultava con Éomer.
« Stiamo resistendo » mi salutò il ramingo quando riuscii a raggiungerlo. « Queste mura sono troppo spesse per tentare una mossa come quella nelle mura fossato. E il portone grazie i nostri assalti dal ponte, è resistente, potrebbe reggere Gwend » disse il moro con una scintilla di speranza negli occhi, che però morì in fretta quando esaminò la mia espressione truce che studiava il nemico sotto di noi.
« Credi che nonostante tutte le tue precauzioni riusciranno comunque ad entrare »
« Già » risposi mordendomi leggermente il labbro inferiore « Non combattiamo solo contro orchi, uruk-hai  e uomini Aragorn.  Combattiamo anche contro noi stessi, gli uomini sono sfiniti, siamo sempre meno e le arti del Bianco Stregone, sono tante» gli ricordai guardando gli uomini tra le nostre file.
Molti di loro riuscivano a trovare vigore quando combattevano accanto agli elfi, ma in troppi avevano tenuto in mano le proprie armi per troppe ore, la stanchezza prima o poi, li avrebbe falliti tutti.
« Cosa consigli? » domandò Éomer affiancandomi , mentre una linea di soldati elfici incoccava le proprie frecce per tagliare che le corde che issavano le lunghe scale di metallo.
« Non ne ho » ammisi sfiduciata guardando l’uomo di Rohan « Potremmo tentare una carica nelle mura fossato per riprenderci quel pezzo, ma temo che sarebbe solo uno spreco di uomini. Non possiamo vincere così, possiamo solo resistere. »
« L’alba sembra ancora così lontana e dall’orizzonte non si scorge nulla » mormorò il Cavaliere di Rohan con la stanchezza che gli piegava le spalle « Ma mi fido di te Gwend, se dici che verrà, lo farà » ripeté più a se stesso a che a me, mentre dava deciso le spalle all’orizzonte, dirigendosi in aiuto di suo zio nella strada sottostante.
« Come sta Haldir? » domandò Aragorn senza che io volli incrociare il suo sguardo.
« Male, sarà un miracolo se riuscirà a superare la notte » ammisi stringendo così forte i pugni lungo i fianchi che sentii le unghie conficcarsi nei palmi, formandomi piccole mezzelune lungo la pelle.
« So che per te lui significava molto ma non sarà morto veramente lui è -»
« Immortale sì lo so. E cosa me ne viene a me? Non potrei mai più vederlo, gli anni passerebbero inesorabili uno dopo l’altro e io finirei con il dimenticare il suono della sua voce … I lineamenti del suo volto, fino a quando non mi rimarrà solo il ricordo di un affetto divenuto dolore. Ci siamo già passati Aragorn » gli ricordai mentre scansionavo con lo sguardo le postazioni di Théoden sotto di noi, Aragorn dovette cogliere il messaggio che non volevo parlarne perché iniziò ad elencarmi le nostre forze rimanenti, confermandomi che eravamo rimasti tremendamente pochi.
« Finché il Re continuerà a guidarli, loro combatteranno » dissi guardando il sovrano di Rohan urlare incoraggiamenti ai suoi uomini, mentre assieme a loro si affrettava a ricostruire con picche e nuove assi di legno, le falle nel portone.
« E Théoden è un grande guerriero Aragorn si rifiuterà di morire intrappolato nella sua stessa casa, la sua carica sarà la nostra ultima speranza, all’alba. » gli ricordai mentre entrambi lanciavamo uno sguardo ad Est, mancavano poche ore al sorgere del sole.
« Si stanno preparando a superare le mura » lo avvisai indicando gli orchi che marciavano all’interno delle mura fossato con delle scale di fortuna, pronti a sommergerci nuovamente con i loro numeri.
« Non possiamo coprire tutti i fronti » esalò lui con una punta di terrore mentre nello stesso momento la voce del Re di Rohan risuonava tra la folla.
« Gwend! Ho bisogno di te! » lo sentii urlare mentre poggiavo una mano sulla spalla del ramingo, cercando di passargli tutta la forza che possedevo in quel momento, che in tutta onestà non era molta.
 
Mi diressi verso la porta principale, turbata dal calore che pareva aumentare di minuto in minuto mentre scendevo le strette scale in pietra, il più velocemente possibile.
« Gwend! » mi salutò venendomi incontro il Re. I suoi capelli erano talmente sporchi  e sudati, che si tenevano indietro da soli, le membra erano stanche ed ero piuttosto sicura, che avesse una ferita nella spalla sinistra, a giudicare da come angolava il peso e dal sangue raffermo. Ma nonostante tutto, vi era forza nel suo sguardo.
« Gli ordigni di Saruman. Tenteranno di usare quelli contro il cancello, hai qualche altra folle idea ? » domandò lui e mi resi conto che per richiamarmi doveva dire che ne aveva già provate molte, ma fino a quel momento aveva fallito.
« Illustrami la situazione » dissi decisa a trovare una soluzione. Mi spiegò che gli orchi dovevano essersi stufati di fare da esche con l’ariete, e quando la maggior parte degli uruk se ne erano andati, penetrando nel fosso dallo squarcio nelle altre mura, avevano cambiato tattica.
Stavano impilando le loro cariche esplosive lungo la porta sul ponte, riparandosi sotto gli scudi, e gli arcieri non riuscivano ad essere abbastanza accurati, senza contare che avevano finito le pietre da scagliargli.
« Ho un idea mi serve Gimli e tuo nipote, noi da soli ce la caveremo » asserii mentre Théoden mi guardava incerto prima di annuire.
« Che gli Dei siano con te Gwend, solo loro sanno se sei realmente immortale » commentò il sovrano mentre io mi concedevo una scrollata di spalle. Ne avevo abbastanza degli uomini di Rohan che mi credevano invincibile a causa di qualche storia portata da vento, ma si rifiutavano di credere che le loro stesse donne, che li avevano cresciuti giorno dopo giorno, meritassero qualche valore.
«Gimli, Éomer! Ho bisogno di voi! » li richiamai poiché riuscivo a scorgere nella piccola folla solo Legolas che  in quel momento scoccò un’ultima freccia attraverso un buco nella porta di pochi centimetri che, a giudicare dalle urla dall’altra parte, andò a segno.
Il nano mi raggiunse per primo, non aveva il fiatone, ma il sudore gli colava dalla fronte formando strisce di pelle pulita sotto lo strato di sporco e sangue di orco. Sapevo di non essere in condizioni molto migliori, a differenza ovviamente di Legolas, che era praticamente perfetto.
« I tuoi vestiti si sono stropicciati » mi sentii in dovere di commentare, indicando all’elfo la sua tunica verde oliva mentre lui mi salutava con un mezzo sorriso.
« Anche la tua armatura ha qualche schizzo » disse altrettanto ironico, anche se molto più bugiardo. La mia armatura era stata bianca, adesso aveva assunto uno strato di sudicio tale, che se non fossimo stati sempre nel bel mezzo di una guerra me la sarei strappata di dosso disgustata.
« Dobbiamo impedirgli di sfondare il cancello con la loro forza di fuoco, almeno fino a quando non saremo riusciti a ritirare altrove gli uomini. » dissi spiegandogli in breve che Théoden mi aveva appena affidato il compito più impossibile dell’anno.
« E tu hai avuto un'altra delle tue idee? » commentò Éomer ancora memore del mio intervento la prima volta che avevamo spodestato gli uruk-hai dal ponte, mentre io gli facevo l’occhiolino.
« Già» confermai invitandogli a seguirmi lungo le mura superiori alla grande porta, dove gli avrei illustrato il mio piano.
« Se non ti servo, io allora raggiungerò Aragorn » disse Legolas aspettando un mio cenno di assenso, prima di prendere la direzione opposta alla nostra.
 
« I tre di noi, potranno riuscire a coprire l’intera parete se calibriamo a dovere la lunghezza delle corde per la mezzaluna » dissi iniziando a spiegare il mio piano ai miei compagni.
Gimli mi guardò colpito, prima di annuire con vigore, aggiungendo dettagli tecnici qua e là, Éomer invece pareva sempre più perplesso. Lo ignorai.
Arrivammo in cima al muro, che gli orchi stavano già formando un gruppo di folla, piuttosto copioso, anche se tenuti a bada dagli arcieri e dai soldati che continuavano a lanciare i materiali più disparati sulle loro teste.
« La tua idea, sarebbe di calarci con delle corde lungo le mura, coperti solo a una manciata di guerrieri, mentre noi corriamo in verticale, sfidando qualunque legge di gravità, per poter nuovamente difendere il ponte mentre ci affidiamo al Nano per tirarci su a momenti alternati mentre disperdiamo il materiale già accumulato davanti alle porte? » ripeté Éomer guardandomi come in cerca di un crollo psicologico di qualche tipo.
« Esattamente » confermai mentre Gimli analizzava le misure del ponte, iniziando a fare complicati nodi di corda tutt’intorno alla mia vita e poi attorno alle spalle, creando una curiosa imbracatura in pochi secondi.
« Ecco fatto dovrebbe reggere » disse il nano stringendo la corda con espressione soddisfatta mentre il cavaliere dinanzi a me mimava le parole « Dovrebbe? » con la bocca,che ovviamente ignorai, voltandomi a ringraziare il mio compagno.
« Vai per primo Gwend, così vediamo quanto regge » disse il Gimli mentre io annuivo irrigidendo la mascella per farmi forza. Sarebbe stato un bel salto, ed io non ne ero affatto entusiasta.
 
Mi feci forza mentre dalla cima del cornicione mi lasciavo inclinare in avanti, sentendo il sudore formarsi alla base del mio collo quando tentai il prima passo sul muro, affidando completamente la mia vita ai miei compagni.
In quel momento, pensai distrattamente a Faramir e al fatto che se lui fosse stato presente alla Battaglia del  Fosso, non mi avrebbe mai fatto correre un pericolo tale, semplicemente perché sapeva che soffrivo di vertigini. Ma il Capitano di Gondor era da qualche parte con Frodo e Sam, lontano dalla guerra e il più immediato pericolo, o almeno speravo.
« Che diavoleria è quella adesso? » sentii un orco in fondo al ponte commentare e consapevole di essere stata scoperta, mi lasciai cadere completamente, atterrando sugli scudi alzati degli orchi che ancora stavano sistemando li esplosivi.
« Disturbo? » domandai prima di tirare leggermente la corda, segnale per Gimli di sollevarmi di un metro.
I nemici sotto di me mi guardarono stupefatti, togliendo per un attimo la corazza difensiva che li aveva protetti fino a quel momento, lasciando campo libero agli arcieri sopra di me.
La prima e seconda fila crollò come un castello di carte mentre mi lasciavo nuovamente cadere sulla solida roccia del ponte, felice di avere nuovamente i piedi ben piantati sul terreno.
« Questa scena mi sembra di averla già vissuta » commentai prima di partire alla carica cercando di guadagnare più tempo possibile mentre Éomer dietro di me,atterrava ed iniziava a rovesciare nel fosso sottostante tutto ciò che conteneva fuoco greco, liberando al meglio l’ingresso della Fortezza.
Gli orchi che erano rimasti per un attimo interdetti alla vista del mio arrivo, si ripresero in fretta, e nonostante il mio geniale piano, non avevo tenuto in conto quanto fossi stanca e di quanto le mie braccia iniziassero a sentire il peso della battaglia.
Perché i colpi si stava rivelando sempre meno fatali e ogni volta che schivavo una stoccata, mi rendevo conto che ancora una volta, c’erano andati troppo vicino a mandarmi all’altro mondo.
Éomer dovette percepire il mio disagio, perché dopo neanche qualche minuto mi affiancò, lanciai uno sguardo alle mie spalle, e notai che nonostante una parte del carico fosse stata tolta da davanti la porta, un’altra era sempre presente e gli avrebbe facilmente permesso di distruggere la porta.
« Non possiamo frenarli per sempre! » urlò Éomer da sopra il frastuono e lo sapevo, ma non importava quanto cercassi di arrovellarmi il cervello, non riuscivo a pensare a niente che avrebbe potuto tornarci utile.
Ci alternammo un altro paio di volte, mentre Éomer combatteva solo, rallentando i nemici per qualche minuto, io mi lanciavo all’indietro per rovesciare via le cariche dal ponte. Eravamo coperti dagli arcieri ma non sarebbe stato sufficiente, e perdevamo terreno ad ogni secondo che passava.
Dopo neppure cinque minuti, eravamo finiti a combattere contro l’esercito di Isengard quasi con le spalle alla porta, e non ebbi nessun altra soluzione se non gridare a Gimli di riportarci su.
Gli arcieri tentarono di tenere il più lontani possibile gli orchi, ma quando un altro boato squarciò l’aria intuimmo che era inutile continuare a cercare di difendere l’entrata per la Fortezza.
« Hanno sfondato le mura! Entrano nel trombatorrione! » urlavano dei soldati sopra le nostre teste. Sentimmo delle grida disperate e degli accidenti in nanico che risuonarono a pochi metri da noi mentre la nostra corda sobbalzava, lasciandoci nuovamente sospesi a mezz’aria.
« Gimli! » gridai guardando con terrore gli arcieri uruk-hai incoccare un nuovo nugolo di frecce « Tiraci su, ora! » e proprio un attimo prima che gli avversari facessero fuoco, ci ritrovammo sbalzati all’indietro, rotolando oltre il muretto di cinta sopra la porta.
« Ma che diamine? » mi alzai urlando e mi accorsi della strage attorno a noi, gli arcieri uruk non avevano mirato a me od Éomer, ma ai nostri compagni sulle mura, costringendo Gimli a tirarci entrambi su da solo, mentre attorno a lui si era creato un nuovo cimitero.
« Grazie amico mio » dissi al nano che reggeva ancora le corde con i palmi delle mani sanguinanti, bruciati dalla corda per lo sforzo di tirarci su contemporaneamente.
Tagliai la mia corda e quella di Éomer prima di costringere entrambi i miei compagni a mettersi in piedi.
« Dobbiamo andarcene! » urlai quando vidi i primi uomini di Dunland affacciarsi dalle scalinate Ovest.
Presi Gimli per un braccio ed Éomer per l’altro, costringendoli assieme a me ad uno scatto, mentre il nano urlava che voleva restare a combattere e di lasciarlo andare.
Corsi disperata e a perdifiato, ignorando le proteste del più basso della compagnia mentre cercavo di rintracciare Aragorn o Legolas, ma vedevo solo soldati di Rohan che fuggivano, o elfi trucidati ai miei piedi.
« Ritiratevi! » urlai ai guerrieri elfici che trovai sul mio cammino che con un semplice cenno del capo iniziarono a seguirmi, altri cavalieri,quelli che non si erano fatti prendere dal panico alla vista del nemico quando ci notarono tra la folla iniziarono anche loro ad seguirci, mentre iniziavamo a creare un gruppo sempre più grande, facendoci largo tra i nemici.
«Alle caverne! » urlai a chiunque potesse udirmi, mentre Éomer ripeteva il mio stesso ordine, costringendoci nuovamente ad imboccare le gallerie che ci avrebbero condotto nelle stesse.
 
Entrai a rotta di collo dentro le miniere che ancora trascinavo Gimli, mentre lui sbraitava che sarebbe morto sul campo, come un eroe e non riparato in un buco come un topo.
Lo lanciai in terra di malo modo, mentre una cinquantina di soldati di Rohan e venti elfi di Lòrien, ci seguiva dentro.
« Sbarrate le porte! » ordinai agli uomini che si misero subito all’opera, aiutati dalle donne più vicine , mentre  sistemavano le assi a chiusura delle porte in legno.
« Cosa facciamo qui eh Val? Aspettiamo che entrino per trucidarci tutti? Dovevi lasciarmi andare! » strepitò di nuovo il nano facendomi solo infuriare, mentre mi inginocchiavo davanti a lui:
« Vivi oggi, combatti domani Mastro Nano.² Il vostro popolo è valoroso, ma non siete utili a nessuno se morirete per orgoglio » dissi cercando di riprendere fiato, mentre cercavo di fare il punto della situazione.
« Siamo fuggiti, portandoli nelle braccia di donne e bambini! Vuoi farmi credere che questa sia una morte più onorevole ? » ringhiò lui allontanando le mie mani dalle sue spalle mentre soffiava furioso.
« Il Nano ha ragione Gwend, siamo caduti, le ultime difese crollate, non c’è più speranza » mormorò dietro di noi un soldato di Éomer, alla quale poi si unì un altro e un altro ancora, mentre il rombo della battaglia dietro di noi, continuava ad infuriare.
« Non ci resta molto tempo prima che capiscano che ci siamo rinchiusi qui » li avvisai rimettendomi in piedi « Quindi smettetela di lagnarvi e preparati al prossimo scontro » i avvisai prima di scorgere Éowyn tra la folla che mi venne incontro.
« Il vostro amico è ancora vivo, lo abbiamo spostato in fondo alla grotta, un giovane ragazzo veglia su di lui » mi istruì in fretta la ragazza mentre io annuivo distrattamente, non desiderando altro, di poter ignorare la pericolosità della situazione di Haldir.
« Prendete la strada dietro la montagna, fuggite. Se anche dovessimo fallire, a questo modo potremo concedervi più tempo possibile » disse Éomer alla sorella e alle donne dietro di lei, interrompendo la nostra conversazione.
«Per cosa? Per aspettare di morire un altro giorno magari da soli? Per essere prese prigioniere e vendute come schiave se siamo fortunate? » domandò una donna facendosi avanti. Avrei voluto poter dire che sapevo chi fosse, mi guardava come se lei mi avesse visto girare per Rohan per tutta la vita e forse era così, ma io non avevo idea di chi fosse. Solo uno dei tanti volti che avevo incontrato negli anni.
« Mio marito era là fuori a combattere, mio fratello era un cavaliere di Rohan ed è morto assieme al nostro Principe, il mio stesso figlio e probabilmente morto, disperso solo gli Dei sanno dove a marciare in qualche Terra lontana a casa. Quindi ditemi Mio Signore, perché dovrei continuare a scappare? » continuò spostando il suo sguardo di fuoco sul suo stesso Principe mentre il mio sguardo scendeva sulle sue mani dove stringeva una spada.
Guardai dunque tutte le altre donne, e notai che tutte quelle in prima fila erano in qualche modo armate e con un fuoco negli occhi, che mi riaccese una scintilla di speranza.
« Se è ciò che volete, combatterete » dissi bloccando sul nascere qualunque altra frase di rimostranza da parte di Éomer.
 

 
 


I colpi contro lo sbarramento di legno si fecero sempre più forti, rimbombando ovunque nelle grotte.
Ero in prima fila, affiancata da Gimli sulla sinistra ed Éomer sulla destra con le armi strette in pugno attorno alle elsa delle nostre armi con le nocca bianche e gli occhi fissi sulle ultime difese delle caverne dinanzi a noi.
« Come faremo a capire quando sarà l’alba? » domandò il nano senza spostare gli occhi dalla porta.
« Il corno di Helm risuonerà nel fosso così potente che spaventerà gli orchi, gli umani li seguiranno presi dal panico. Gli unici che manterranno le loro posizioni saranno gli uruk-hai » dissi mantenendo anche io la mia posizione « Concentratevi su di loro » ordinai mentre i guerrieri elfici non accennavano a muoversi, mantenendo la posizione a nicchia come seconda fila di difesa, prima degli ultimi soldati di Rohan rimasti con noi, e poi le donne armate con lame smussate o forconi.
« Come fai a saperlo? » domandò Éomer, percepii il suo sguardo sul mio viso, ma per fortuna, proprio in quel momento di gaffe, un suono profonde, simile a mille elefanti che barriscono assieme riempi l’aria, ferendoci le orecchie ma dando il via alla nostra ultima carica.
Alzai le spade sopra la testa, mimando il segnale della carica militare, poiché sarebbe stato impossibile udire la mia voce da sopra il ruggito del corno, mentre correvamo verso la porta in legno, sfondandola come se fosse un grande scudo, sollevando le picche di sicurezza e lasciando che l’intera struttura di legno rovinasse sull’altro lato.
Non ci fermammo, ad indagare sulle vittime fatte, o se coloro rimasti sotto le macerie fossero ancora vivi, continuammo a caricare, investendo con la nostra forza d’urto tutto ciò che trovavamo, sventolando davanti a noi colpi alla cieca mentre urlavamo al di sopra delle nostre capacità vocali, riversando in quell’attacco tutte le nostre forze rimaste.
Ci riversammo nelle strade della fortezza che per un attimo, temetti fosse ancora notte, ma una pallida luce si affacciava timida ad Est e mentre gli orchi urlavano terrorizzati, sbandando gli uni con gli altri e creando panico tra le loro stesse file, noi continuammo la nostra carica, per poi venire affiancati nella strada principale da un altro esercito a cavallo guidato da Théoden in persona che incitava i suoi uomini con la furia di un tifone. Davanti a loro i nemici si lanciavano addirittura dalle mura terrorizzati alla vista della corsa a rotta di collo dei potenti cavalli di Rohan, che come i loro cavalieri, sembravano decisi a morire con dignità. Correndo verso la morte come i loro padri di un tempo.
« Per il Re! » gridò Éomer accanto a me, mentre gli uomini dietro di lui ruggivano con rinnovata energia.
Riuscimmo a respingerli fino al ponte della fortezza, ed alcuni oltre le mura di cinta, ma tutto sarebbe stato perduto se in quel momento,ad est non risuonò un altro corno amico:
«Gandalf! » gridai riconoscendo il Bianco Stregone su Ombromanto che con una scenica impennata, diede il via all’esercito alle sue spalle, che si riversò tra le fila di Isengard come lava da un vulcano.
« Erkenbrand! » urlò Éomer accanto a me, con gli occhi colmi di gioia mentre mi scuoteva per un braccio, guardandomi come se fossi stata io a permettere quel miracolo « E’ vivo! Mithrandir lo ha trovato! » continuo ad urlare frenetico con un sorriso che ancora una volta, non si addiceva al massacro tutto attorno a noi.
« La battaglia, non si è ancora conclusa ragazzino » gli ricordai rima di unirmi a lui e Gimli nella mischia, superando le mura della fortezza e riversandoci nel fossato sottostante.
 
 

 


« Conto finale quarantadue! » disse Legolas scendendo le scale sulla quale io malamente appoggiata, con una grazia degna solo di chi aveva appena fatto una piacevole passeggiata.
Incrociai lo sguardo di Gimli, che se ne stava ancora comodamente seduto sulla sua ultima vita, mentre il nano si apriva in un sorriso soddisfatto.
«Quarantadue? Oh, non male per un principino elfico dalle orecchie appunta eh eh eh » ridacchiò il barbuto mentre io mi avvicinavo assieme a Legolas al guerriero, ma con un espressione completamente differente « Io sono seduto comodò sul quarantatrè! »
A quel commento Legolas incoccò una delle sue frecce, scagliandola dritta nel bulbo oculare del cadavere, annunciando che quello era il suo quarantatré adesso e scatenando una discussione a cui assistetti divertita, lasciandoli bisticciare qualche altro minuto prima di schiarirmi la voce, con un finto colpo di tosse.
« Se voi dilettanti avete finito di litigare » dissi passandomi le dita tra i capelli sporchi, mandandoli all’indietro mentre li guardavo con un sorriso sghembo « Io ho concluso con quota sessantadue » dissi piegandomi in avanti in un inchino sarcastico, scoccandogli uno sguardo divertito attraverso le ciglia mentre i due uomini sbuffavano, iniziando ad elencare tutti i modi in cui io potevo aver “barato” nel conteggio, prima di arrendersi e abbandonare la discussione.
Porsi una mano a Gimli, aiutandolo ad alzarsi per uscire da quella pozza di acqua sudicia, e sopratutto da sopra quel cadavere, mentre proponevo di sederci un attimo al sole, nei gradini sotto le mura mentre aspettavamo Aragorn e Gandalf che si stavano consultando dopo aver lasciato il famoso Erkenbrand a fare rapporto da Théoden ed Éomer.
 
« Ho solo una domanda » disse Legolas elegantemente appoggiato alla stessa colonna sotto cui io e Gimli eravamo malamente stravaccati, ognuno appoggiato all’altro mentre usavo le mie poche energie rimaste per alzare gli occhi sull’elfo.
« Non dovevano esserci dei troll? » disse lui indicando quello che restava, delle prime mura di difesa del Fosso di Helm.
« Oh ... Sì scusami. Battaglia sbagliata » risposi sventolando la mano come se fosse stata una cosa da nulla.
« Avremo altre battaglie così? » domandò Gimli voltandosi a guardarmi svogliato.
« Beh, un paio » mormorai accennando un sorriso divertito dinanzi all’espressione allucinata del nano.
« Ma come Gimli, credevo che qualche scaramuccia non ti spaventasse affatto » lo prese in giro l’elfo.
« No infatti, sono sempre pronto alla battaglia io! » si difese prontamente quest’ultimo, mentre io chiudevo gli occhi, godendomi quei pochi secondi di calma prima della vera tempesta.
« Guarda il lato positivo Mastro nano, avremo più materiale per le nostre scommesse » commentai accenandogli un sorriso, mentre il nano iniziò a darmi ragione, ridacchiando di gusto.
« Mio signore! Mio signore Gwend! » sentimmo urlare un bambino che correva lungo le fila di cadaveri, venendomi incontro a perdifiato, tagliando anche il passaggio a Gandalf che era sceso in quel momento da cavallo, affiancato da Aragorn.
« Ehi ehi, che succede? » dissi alzandomi in piedi, turbata dal panico che vedevo nei suoi occhi, anche se considerando che aveva appena affrontato una guerra, non era poi così fuoriposto.
« Dama Éowyn mi aveva messo a guardia del vostro amico elfo, Mio signore. Mi ha detto di correre da voi se si fosse svegliato » disse mangiandosi alcune parole dalla fretta, mentre gli occhi iniziavano ad inumidirsi.
« Haldir è sveglio!? » dissi prendendogli il viso tra le mani con più delicatezza possibile, incontrando il suo sguardo e sentendo la felicità fluire nel mio.
« No mio signore. Lui … ha smesso di respirare ».
 
 
 









[…]spero che lo abbiano visto tutti, perché con il cavolo che lo rifaccio ¹ = citazione ripresa dal Capitan Jack Sparrow

Vivi oggi, combatti domani.²  = Citazione rubata al film “La mummia”
 
 




 
NdA : Siccome so che vi piacciono molto i finali pieni di suspance … Beh eccoci xD
In realtà mi dispiace, ma beh oggettivamente ci sta bene è d’effetto no ? Almeno mi assicuro che verrete a leggere il prossimo capitolo :P
Vi voglio bene anche io <3 A venerdì!
 
PS: Spero che le scene di battaglia non siano state troppo noiose, ma soprattutto, spero che siano state chiare e scorrevoli! Non le scrivo spesso quindi se non ho reso al meglio la battaglia al Fosso di Helm, mi dispiace molto, poiché è una delle più belle.
 
PPS: Mi spiace soprattutto se trovate molti errori nella prima parte, non ho avuto il tempo di correggerla a dovere, domani provvedo ;)  EDIT: fatto <3 Grazie per la pazienza.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


▌ Capitolo 11  ▌
 
 






 

«  Tutto ciò che hai sempre desiderato è dall’altro lato della paura. »
 

__George Addair
 
 
 
 








 
 
Corsi nelle caverne scintillanti, che ancora non avevo neppure metabolizzato ciò che mi era stato detto.
« Lui … Ha smesso di respirare. »
Ma non era possibile, avevamo vinto e Haldir era forte, perché non poteva semplicemente riprendersi? Perché dovevo venire punita a quel modo, per aver cercato di fare la cosa giusta?
« Lui..Ha smesso di respirare. »
Sentii nuovamente aleggiare nei miei pensieri mentre mi portavo in ginocchio dinanzi la branda in cui era adagiato l’elfo. Era così pallido, che la sua pelle assomigliava ad il riflesso della luce sulle foglie degli alberi di Lòrien.
« Haldir » mormorai prendendo il suo viso tra le mani, accarezzandogli delicatamente le guance con i pollici mentre realizzavo io stessa, che nessun alito di vita fuoriusciva dalle sue labbra.
« Fatemi passare! » urlò Gandalf alle mie spalle, il Bianco Stregone crollò in ginocchio di fianco a me, mormorando parole sconosciute mentre la sua mano aleggiava sopra il torace dell’elfo tra le mie mani. Mi voltai a guardare Mithrandir, aspettando solo che mi dicesse « Mi dispiace » ma quando aprì gli occhi, lo stregone tacque, guardandomi a lungo prima di parlare, come se la parole avessero un sapore amaro.
« Il suo cuore batte ancora, non abbiamo molto tempo » portai le mie dita sulla giugulare di Haldir, in attesa e quando sentii il flebile battito sotto il mo polpastrello, guardai ancora più confusa Gandalf.
Sapevo che comunque non significava niente, il cuore era l’ultimo organo a fermarsi assieme al cervello, sarebbe comunque morto in pochi secondi a causa della carenza di ossigeno.
«Possiamo costringerlo in un sonno eterno » disse lo stregone, continuando a penetrarmi con lo sguardo, come se potessi capire ciò che stava cercando di dirmi.
« Puoi salvarlo? » domandai con voce flebile e confusa.
« No, posso solo rimandare l’inevitabile. Ha bisogno di un vero guaritore elfico. Elrond sarebbe l’opzione migliore per la sua sopravvivenza »
Mi passai la lingua sulle labbra secche, cercando di unire tutti i tasselli, sapevo che non a caso Elrond veniva chiamato il Guaritore, era il migliore tra tutti gli elfi ma non usciva da Gran Burrone da così tanto tempo … Se però Gandalf diceva  che poteva comprargli del tempo per permettergli le cure necessarie … voleva dire che poteva salvarlo, no? Haldir poteva restare con me, nella Terra di Mezzo.
« Dov’è la fregatura? » domandai continuando a tenere le dita sul collo dell’elfo, un altro flebile battito, quasi impercettibile, pochi secondi e Haldir non sarebbe stato altro che un cadavere sotto le mie mani.
« La “fregatura” come la chiami tu ... E’ che è molto rischioso, la sua anima potrebbe perdersi per sempre » corrucciai le sopracciglia, guardando lo stregone come ad invitarlo a continuare ma venni interrotta da Falathar:
« Non potete farlo Mithrandir. Mantenere la sua anima in un corpo morente con solo un mortale come ancora è troppo rischioso. Vorreste davvero condannarlo ad un destino simile? » l’elfo si voltò poi verso di me, cercando di farmi assorbire a pieno il peso delle sue parole « Parliamo di un’esistenza eterna rinchiuso,nel suo stesso corpo. L’immortalità dentro un guscio vuoto … Non augurerei neppure ad una creatura di Mordor un destino simile »
Rabbrividii, voltandomi a guardare il viso di Haldir consapevole che non avrei mai potuto farlo, ero quindi costretta a lasciarlo andare via?
« Elrond è sicuramente in grado di effettuare un risvegli sicuro ed io conosco il contro incantesimo, se Gwend muore, potremo liberarlo e lasciare che torni dalla sua gente come sarebbe dovuto accadere quest’oggi » rassicurò entrambi lo Stregone, vi era un senso di fretta però nella sua voce, per ricordarmi che non avevo più tempo.
« Io … non saprei » balbettai incerta guardando nuovamente il biondo elfo e poi Falathar che alle parole di Gandalf, infine annuì in un secco cenno di incoraggiamento.
« D’accordo Gandalf, ti lego alla tua parola. Se morirò prima di poter tornare a Lothlòrien lo libererai tu stesso o troverai qualcun altro capace di farlo. » dissi guardando il Bianco Stregone negli occhi, che accennò un breve sorriso primo di esporre il giuramento nella lingua elfica, rendendolo inviolabile.
 
« Cosa devo fare? » domandai a Gandalf mentre mi portavo alla testa di Haldir, carezzandogli dolcemente i capelli all’indietro, per lasciare spazio allo stregone.
« Parlagli, dovrò costringerlo ad un coma costrittivo per non farlo scivolare io. Sarà molto pericoloso poiché è quasi al limite. Guida la sua anima, deve sapere che non è ancora il momento di lasciare questo corpo, sii la sua ancora in questo mondo. »
Non avevo idea di che cosa intendesse, non avevo mai sentito Elrond fare niente di simile ma non chiesi ulteriori spiegazioni mentre annuivo, avvicinando le mie labbra all’orecchio sinistro dell’elfo.
« Haldir » mormorai non sapendo di cosa parlare.
Presi un respiro profondo ed iniziai: gli raccontai tutta la nostra storia dal mio punto di vista, del nostro primo incontro, di quando era diventato il mio insegnate e poi il mio migliore amico. Di come i suoi consigli mi tenevano in piedi nei momenti più duri della mia missione, di tutte le volte che mi aveva aiutato, parlando con i miei amici e facendogli comprendere il mio punto di vista, che lui riusciva a cogliere così bene, nonostante fossimo incredibilmente differenti.
Gli ricordai i nostri momenti più semplici assieme, quelli dove eravamo stati solo noi due, sdraiati sotto le stelle di Imladris e lui mi raccontava le storie delle stelle prima di confidarmi che non aveva mai capito, quanto la vita potesse essere bella se vissuta con la giusta compagnia.
« Non andare dove non posso seguirti » lo supplicai infine quando Gandalf mi fece cenno di aver finito.
« Adesso spetta a lui, dovrà combattere per restare in vita ma è un guerriero forte » mi consolò l’anziano mentre io annuivo, lasciando un timido bacio sulla fronte del biondo elfo. Carezzai con lo sguardo il suo viso per l’ultima volta, pregando per l’ennesima volta i Valar di avere pietà di me.
« Cercherò di tornare da te amico mio, se non in questa vita, in un'altra » gli promisi prima di alzarmi ed aiutare Gandalf a fare altrettanto.
Aveva usato molta della sua energia per permettere alle condizioni di Haldir di stabilizzarsi. Ero grata allo stregone, più di quanto non sarei mai riuscita ad esprimergli liberamente.
Falathar mi aiutò, ignorando come me i borbottii insensati di Gandalf che cercò di rassicurarci che stava benissimo, nonostante le ardue imprese che era stato costretto ad affrontare da giorni.
« Accompagnerò io Mithrandir nei suoi alloggi, voi andate. Ci rivedremo prima della partenza » mi assicurò l’elfo, consapevole di quanto avessi bisogno di andarmene da lì.
 


 


 
Uscii dalle caverne, lasciando i preparativi per lo spostamento di Haldir ai restanti elfi mentre mi dirigevo lontano, consapevole di non poter fare nient’altro.
Mi allontanai dalla Fortezza, dirigendomi verso il ponte per vedere se potevo dare una mano in qualche modo, aiutare a portare i feriti oppure occuparmi degli uomini caduti. Non faceva differenza mi bastava rendermi utile, e poter dimenticare per qualche minuto della sorte di Haldir.
Sapevo che nonostante il mio corpo fosse a pezzi, il sonno non sarebbe venuto da me con facilità ed io non avevo intenzione di rivivere la “morte” di Haldir all’infinito.
Vidi Théoden, Éomer ed Erkenbrand, impegnati in una discussione ad una cinquantina di metri dal ponte esterno, così li raggiunsi, cercando di ignorare l’odore di morte che aleggiava tutto attorno a noi.
« - dovremmo ucciderli tutti, finire quello che gli alberi hanno iniziato » stava dicendo Éomer mentre indicava in modo confuso  attorno a sé.
« Ma gli uomini di Dunland sono pur sempre membri della nostra razza, perdoniamoli oramai sono comunque sconfitti » rispose Théoden. Poi entrambi gli uomini notarono la mia presenza e mi accolsero nel loro cerchio, allargandosi per farmi posto.
« Gwend unisciti a noi, forse la tua saggezza potrà aiutarci » inarcai un sopracciglio a quelle parole, guardando Éomer dubbiosa.
Mi ero stati tanti appellativi negli anni ma saggia, non era certamente uno di quello, semmai ero la prova vivente che la saggezza non veniva con l’età.
« Offro sempre il mio parere, anche quando nessuno lo richiede » risposi con un mezzo sorriso, portando le mani dietro la schiena. Notai che Erkenbrand mi guardava con circospezione come se stesse ancora decidendo se fossi o meno un nemico, ma decisi di non badare a lui. In fin dei conti non potevo criticarlo, ai suoi occhi non dovevo apparire come nient’altro che un giovane soldato.
« Mio zio crede che dovremmo risparmiare i sopravvissuti » disse Éomer voltandosi a guardare lo squarcio tra le mura del Fosso di Helm e finalmente compresi a cosa si riferisse.
Non vi avevo fatto caso passando per le strade, ma alcuni sopravvissuti di Dunland stavano controllando i corpi a terra sorvegliati da dei soldati di Rohan che non riconobbi, forse erano arrivati con Gandalf.
« Mi sembra che abbiano già deciso, quelli li stanno uccidendo » dissi indicando un paio di uomini, che infilzarono senza troppi preamboli dei guerrieri sdraiati a terra. Due urli di dolore spezzarono il silenzio della vecchia diga.
« Oh no quelli sono solo orchi ed uruk-hai » commentò il Re con un cenno disinteressato.
« Quindi voi non volete concedere la grazia a tutti i nemici, solo a quelli che vi assomigliano » ribattei passivamente, voltandomi verso i due sovrani che si scambiarono momentaneamente un’occhiata perplessa.
« Sono solo orchi Gwend, creature di Mordor, se li lasciamo andare saranno reclutati in un altro esercito mandato a trucidarci » disse Éomer con un mezzo sorriso, che si spense in fretta non appena notò il mio sguardo vuoto.
« Così come faranno gli uomini di Dunland alla prima occasione. Come hanno sempre fatto » puntualizzai leggermente seccata. Forse cercare della compagnia non si era rivelata una buona idea.
« Per questo propongo di uccidere anche loro, non dovremmo concedergli alcuna grazia » proseguì il principe riprendendo una fitta discussione con lo zio che in tutta onestà, non seguii affatto.
Continuai ad osservare gli uomini di Dunland che assieme a quelli di Rohan cercavano i propri feriti, per aiutarli in qualche modo, e ogni volta che incontravano una creatura di Mordor la trafiggevano senza battere ciglio.
Ancora una volta mi chiesi se fosse veramente giusto. Perché nella Terra di Mezzo era sempre stato così facile tracciare una chiara linea tra buoni e cattivi? Avevo visto con i miei stessi occhi, quanto nessuna creatura fosse perfetta. Che chiunque poteva nascondere in sé un mostro.
Eppure nessuno si chiedeva mai se fosse mai esistito un orco buono. Perché in fin dei conti, chi mai gli aveva dato alcuna possibilità?
«- che ne pensi dunque Gwend? » mi tirò nuovamente in mezzo Éomer, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Mi voltai, guardandolo per un attimo confusa, prima di scuotere la testa in un sorriso mesto.
« Mi dispiace, temo di non potervi aiutare, non ho idea di quale sia la giusta risposta. Se volete scusarmi » disse congedandomi da sola, dirigendomi verso i tre Ent, che ancora aleggiavano ai bordi della radura assieme ad un bosco che era sorto fuori alle mura quella mattina, dal nulla assieme al sole.
 
« Vi ringrazio per il vostro aiuto valorosi Ent e Ucorni. La vostra presenza, ha fatto la differenza tra la sconfitta e la vittoria » salutai non appena li raggiunsi, guardandomi bene a non avvicinarmi più di cinque metri.
Non avevo voglia di venire calpestata quella mattina.
Non avevo mai visto un Ent di persona, ma allo stesso tempo, avevo un vago ricordo di qualcosa di simile di molto tempo addietro, come un disegno fatto da bambina.
Era lo stesso vago ricordo, di cui aveva fatto parte la morte di Haldir.
« E’ da molto che nessuno ci parla Colei che vede il volere degli Dei . Il Bruno stregone ci aveva detto che ti era stato insegnato il rispetto, ma da molto non ne ricevevamo da un umano. Avete la memoria breve voi » rispose quello nel mezzo.
Era l’unico di cui non riconobbi la specie d’albero, non che la botanica fosse mai stata il mio forte ma i due Ent di lato erano chiaramente della specie degli ulivi, mentre quello al centro, era solo … un grande tronco con molto muschio e dei rami bitorzoluti e rotti.
Sembrava uno di quei alberi abbattuti da una calamità naturale,che erano crollati su se stessi, lasciando solo il tronco dietro di sé.
« Non me ne parlare » commentai riferendomi alla memoria a breve termine degli umani « Radagast vi ha parlato di me? Come sta? » domandai incerta sulle sorti dello Stregone nella Terra di Mezzo, non ricordavo niente su di lui.
« Il Bruno non sta mai bene » rispose nuovamente l’Ent ed ancora una volta, non potei dargli torto « Ma è gentile con noi. Pochi siamo rimasti, ma lui ci consoce per nome. »
Iniziavo a pensare che questa storia dei nomi fosse più importante di quanto non avessi dato credito al cervo quasi un mese prima.
« Posso sapere il vostro? » domandai voltandomi per scrutare negli occhi di tutti e tre gli alberi. Gli ulivi però evitarono in fretta il mio sguardo come se fossero timidi.
Forse non erano abituati a parlare con qualcuno che … Beh non fosse un albero.
« Io sono Troncovuoto, i gemelli invece sono ancora troppo giovani per possederne uno. Sono solo ulivi per il momento » commentò l’albero al centro in tono leggero, come se il concetto fosse piuttosto scontato ed io certamente non avrei avuto bisogno di ulteriori delucidazioni.
Decisi di fingere così e mi limitai ad annuire fingendo un’aria intelligente mentre gli alberi dietro di loro muovevano le fronde minacciosi, anche senza la presenza del vento.
« E’ un piacere Troncovuoto e … ulivi » dissi quindi accennando un breve inchino, simile a quello che avevo riservato per il cervo nella foresta.
Gli alberi di lato, abbassarono leggermente le fronde, come una ragazza che si copre il viso imbarazzata.
Mi strapparono un sorriso sincero, mentre Troncovuoto borbottava frase senza senso, evidentemente soddisfatto della mia risposta.
Certo se la loro unica compagnia era Radagast, non c’era da meravigliarsi se si accontentavano di poco.
« Hai notizie da Isengard? » domandai infine perdendomi in una discussione che soprattutto a causa della lentezza degli alberi, mi portò via quasi tutta la mattinata.
 

 
 
 

« Gwend » mi fermò una voce alle mie spalle mentre passeggiavo lungo le mura, cercando di capire quale fosse stata la strada più diretta per le stanze dove avrei trovato i miei compagni. Mi voltai rimanendo discretamente sorpresa quando vidi chi mi aveva chiamato.
« Erkenbrand » lo salutai a mia volta.
« Non vi è piaciuta vero, la proposta del Re? » domandò lui indicando con un cenno della testa, i guerrieri Dunland sotto di noi.
« Non importa cosa ne penso io, è comunque Théoden a decidere » dissi non capendo dove volesse andare a parare.  Dubitavo che avesse verso di me, un complesso dell’eroe simile a quello di Éomer.
« Il Re ha preso molte decisioni sbagliate in passato, come di chi fidarsi » commentò con una chiara amarezza nella voce che mi fece intuire di chi stesse parlando.
Grima, o meglio di Saruman che attraverso l’uomo del Re, era riuscito ad insinuarsi tra i suoi pensieri fino a renderli propri. Guardai il soldato accanto a me di sottecchi, sempre più confusa.
« Ma ne ha prese anche di giuste, vi ha reso Maresciallo » dissi continuando ad osservare l’uomo. Era stato temprato dalla guerra ed in un primo momento, mi chiesi se le rughe sul suo viso fossero state lasciate dal tempo, o dagli orrori della battaglia.
« Già » risposte lui prima di tacere nuovamente, con lo sguardo fermo dinanzi a sé.
Mi spostai incerta, passando il peso del corpo da un piede ad un altro. Avrei desiderato andarmene, ma sapevo che se Erkenbrand era venuto a parlarmi un motivo c’era.
Dovevo solo essere paziente, alcuni uomini restavano arrugginita dalla guerra sugli aspetti più comuni. Come comunicare.
 Tornare alle vecchie abitudini, scontro dopo scontro diventava sempre più difficile e lo sapevo. Serviva poco per concedere una gentilezza simile a colui che in fin dei conti, con i suoi uomini ci aveva salvati tutti.
« Non volevo tornare » disse poi mantenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte, ma potevo intuire che non era quello che stava veramente guardando. I suoi occhi erano persi altrove.
« Quando Gandalf mi ha trovato io, non volevo venire in aiuto di un Re, che ci aveva abbandonato » aggiunse stupendomi.
Ero consapevole, come lui sicuramente, che se vi fosse stato chiunque altro ad assistere a quella confessione, l’avrebbe pagata con la vita.
« Théoden era vittima del maleficio di Saruman » tentai guardandomi attorno per sicurezza, ma eravamo soli sulle mura.
« Lo so, il Bianco Stregone me l’ha spiegato. Non mi interessava »
« Chi hai perso ? » domandai comprendendo finalmente quale fosse il problema, e perché gli occhi di Erkenbrand mi erano così familiari. Erano gli occhi di qualcuno che aveva perso la cosa più cara che possedeva, il suo sguardo era molto simile a quello di un Re elfico di mia conoscenza.
« Mia sorella » disse lui con voce piatta.
Il suo respiro non si inceppò, gli occhi non gli si inumidirono ma il dolore si poteva comunque leggere nelle sue spalle, nel modo in cui restavano rigide come se un macigno gravasse su di loro.
« Mi dispiace molto » dissi abbassando lo sguardo ai miei piedi. Quante persone avevano perso coloro che amavano in quei tempi bui? Persino io vi ero andata così vicina, ma non avevo saputo mantenere una compostezza simile a quella dell’uomo accanto a me.
Se il cuore di Haldir si fosse fermato e basta, Aragorn e gli altri avrebbero dovuto raccogliere i miei pezzi per giorni. Per quanto mi fingessi forte in battaglia, ero ancora così incredibilmente fragile.
Non ero degna delle persone che mi erano state affidate.
Un intero mondo sulle mie spalle? Gandalf doveva aver bevuto quando mi aveva scelto.
« Cosa ti ha fatto cambiare idea? » domandai quindi cercando di distrarmi da quei pensieri pericolosi.
« Non ho mai avuto molto. Mia madre è morta dandomi alla luce, e mio padre ci ha lasciti che ero molto giovane. Mia sorella è sempre stata tutta la mia famiglia, l’unico affetto che possedessi.
Poi giunse la guerra e trovai anche uno scopo. Come avete detto, Re Théoden mi fece Maresciallo. » restai in un religioso silenzio aspettando semplicemente che continuasse da solo, e così fece.
« Con mia sorella morta, ed un Re non meritevole, non avevo motivo di credere più in niente. Ma quando il Bianco Stregone mi ha trovato, ha portato con sé l’unica cosa che mi avrebbe spinto a scendere in battaglia ancora una volta. Un debito di sangue » Erkenbrand finalmente si voltò, incrociando il mio sguardo, riversando in esso tutto ciò di cui aveva appena parlato.
Il dolore per la perdita di sua sorella, la delusione nei confronti del suo Re ed infine … Cos’altro?
«Devi la vita a qualcuno? » domandai tirando ad indovinare.
« Gandalf, portò con sé un nome. Uno che avevo udito spesso, portato dal vento ma che oramai non avevo creduto essere nient’altro che una leggenda. “Deve essere morto oramai, un vecchio” mi ero sempre detto quando il suo nome viaggiava nelle bocche dei soldati.
Perfino quando un giorno di circa dieci anni fa, Éomer disse che lo aveva incontrato. Non gli credei. » compresi finalmente che stava parlando di me.  Delle leggende che evidentemente avevano seguito le ombre mie e di Aragorn.
Non avevo però ricordi sul soldato dinanzi a me, il suo volto non mi diceva niente e la maggior parte delle mie battaglie, erano poi state affrontate a Gondor.
« Avrei voluto non credere neppure al Bianco Stregone ma lui mi disse qualcosa, a cui non potei obbiettare:
“ Se hai ragione, Gwend è morto molti anni fa’. Ma se invece non ce l’hai, lui morirà stanotte” »
Ridacchiai involontariamente, poiché suonava proprio come un discorso da Gandalf. Non ti diceva assolutamente niente, ed infine ti costringeva a fare l’ultima cosa al mondo che avresti voluto fare.
Come tornare in guerra.
« All’inizio quando ti vidi, pensai di essere stato ingannato. Non eri altro che un ragazzino, neppure un grande condottiero data la tua statura e stazza minuta » aggiunse con un tono talmente monotono che trovai quasi maleducato.
« Ehi! » ribattei offesa d’istinto, guardandolo male. Sapevo che quella doveva essere l’idea generale di chiunque mi vedeva ma non era colpa mia se gli uomini preferivano pensare che il loro condottiero era un ragazzetto malmesso piuttosto che una ragazza in perfetta forma.
« Ma poi ho capito che eri tu. Perché nessun altro avrebbe potuto dare una risposta simile, quando hai detto al Re che avrebbe concesso la grazia solo a coloro che gli assomigliavano …
Ti ho sentito fare un discorso simile molti anni fa, allora, dicesti che il mondo non era diviso in orchi e uomini e che in  qualunque delle due razze poteva nascondersi un mostro »
Corrucciai le sopracciglia, spremendo la memoria e ricordando senza troppa difficoltà a quale momento si stesse riferendo.
« Tu eri uno di quei bambini » dissi alzando lo sguardo sul viso invecchiato dell’uomo dinanzi a me.
Cercai di immaginarmelo come un bambino di dodici anni che con il viso rigato dal pianto si stringeva forte alla sorella, all’interno di una gabbia. Torturati e seviziati da altri uomini, a dimostrazione che i mostri non erano solo orchi o uruk-hai.
L’uomo annuì di nuovo sollevando leggermente l’angolo della bocca in uno strano sorriso, mentre notava la mia espressione stupefatta.
 

 


 
Quella stessa sera salutammo gli elfi di Lòrien quella sera stessa. Vi erano pochi di noi, solo io e Legolas a rappresentare la compagnia poiché gli altri erano crollati nelle proprie brande.
«Vi libero da ogni impegno Falathar che tu e tuoi uomini siate di liberi di scegliere per chi combattere da oggi in poi. Portate a casa il vostro Capitano » dissi senza guardare la lettiga che sapevo conteneva il corpo di Haldir.
Per i miei gusti assomigliava fin troppo ad una bara. Avevano attrezzato con due ruote una vecchia branda, assicurando la parte della testa, dietro un cavallo. Poi però avevano anche ricoperto il letto con una copertura in legno, per proteggerlo al meglio dalle intemperie sicuramente, ma non mi piaceva comunque.
« E’ stato un onore lottare al fianco degli uomini ancora una volta. Parlerò con tuo padre, gli farò sapere che se il coraggio degli uomini è legato a quello dei suoi figli, ha fatto male a disperare per tutti questi anni.» rimasi colpita da quelle parole, ma come Legolas, mi inchinai in un rispettabile saluto verso tutti gli elfi dinanzi a noi.
Non capitava spesso che qualcuno si riferisse ad Elrond direttamente come “mio padre” senza cercare di mitigare la cosa on “figlia adottiva” o “parte estesa della famiglia”. Mi piacque particolarmente, poiché significava che alla fine, eravamo riusciti a guadagnarci il rispetto degli elfi di Imladris e del rango che si aspettavano da noi.
« Fate buon viaggio. Possa la grazia dei Valar e degli Elfi, proteggervi sulla strada del ritorno » li salutai un ultima volta prima di osservarli montare a cavallo e sparire all’orizzonte.
Li seguii con lo sguardo mentre si avvicinavano sempre più al limitare del bosco, temendo per un attimo che vi sarebbero passati nel mezzo.
Ma gli Ucorni si aprirono ai lati, permettendo al piccolo gruppetto di soldati di passare, prima di chiudersi dietro di essi, assicurandogli un ritorno sicuro e veloce a Lothlòrien.
 
« E’ per noi ora di riposare Gwend, ti occorre riposo. Solo i Valar sanno come ti sei tenuto in piedi fino ad ora » disse Legolas al mio fianco.
Mi voltai a guardare l’elfo negli occhi, sorridendo dinanzi alla preoccupazione che vi lessi e lieta del fatto che finalmente mi trovassi sufficientemente a mio agio con lui per poterlo guardare senza abbassare lo sguardo dopo pochi secondi.
Annuii, permettendogli di guidarmi verso i nostri alloggi.
Entrammo che Gimli e Aragorn già dormivano, entrambi probabilmente svenuti dalla stanchezza, ero certa che il nano dormisse oramai già da dieci ore ma feci del mio meglio per non disturbarlo.
Mi diressi velocemente in bagno, dove trovai una vasca di acqua oramai fredda ad attendermi, ma non mi feci pregare, desiderosa solo di togliermi tutto quello sporco di dosso.
Passai gli stracci sulla mia pelle, fino a quando non divenne tanto rossa da farmi male, ma almeno sapevo di essere finalmente pulita.
Lavarmi i capelli fu più difficoltoso, dovetti sacrificare un po’ dell’olio di Lòrien per riuscire a districare tutti i nodi, ma alla fine ebbi la meglio e con i capelli ancora fradici, e una semplice camicia di flanella che supposi appartenere ad Aragorn, mi buttai sul letto accanto al ramingo rubandogli immediatamente le coperte prima di crollare in un sonno ristorare.
 


 



 
Partimmo per Isengard due giorni dopo, quando finalmente assomigliavamo un po’ meno a degli zombie che camminavano.
Théoden mandò i cavalieri di Rohan a riprendere la sua gente a Dunclivo mentre Éowyn avrebbe guidato i restanti del Fosso di Helm a casa, fino ad Edoras.
Non avevo più avuto modo e tempo di vedere la nipote del Re, e anche quando venne a salutarci, mi trovò coinvolta in una fitta discussione con suo fratello, per cui non potei concedergli neppure un momento.
 
Il viaggio verso Isengard fu tranquillo e l’unico momento veramente degno di nota, fu la sera attorno al fuoco, quando Erkenbrand e gli altri ci raccontavano delle loro imprese passate.
Io avevo fatto del mio meglio per evitare di venire infilata in mezzo, cercando di godermi le loro chiacchiere di sottofondo senza dover essere presa in causa.
Ma era evidentemente che non sarei riuscita a fuggire per sempre dalla mia stessa leggenda, poiché se ne uscì da sola la terza notte.
Éomer, aveva infine chiesto come io ed Erkenbrand ci fossimo conosciuti, pregando che gli raccontassimo di quel giorno. Ed ovviamente Aragorn aveva stimolato ancora di più la sua curiosità, confessandogli che io ero andato contro i suoi stessi ordini quel giorno.
Quando però il Maresciallo aveva concluso la storia, Éomer non si era comunque ritenuto soddisfatto, chiedendo poi cosa fosse successo dopo che ci aveva riportato a casa e come lui stesso, fosse entrato nell’esercito di Rohan.
« Come forse Gwend ricorderà, il nostro villaggio era tra le foreste ad Ovest, sul confine con il regno di Gondor, ma pur sempre appartenente a Rohan » stava raccontando il soldato, mentre pendevamo tutti dalle sue labbra. Non era il migliore degli oratori, ma godeva di grande rispetto tra i suoi uomini e poiché non si apriva spesso, quando lo faceva erano sempre tutti in ascolto.
« Ah, è il motivo per cui sei finito tra le fila di Re Théoden. Quando è iniziata la guerra sono stati richiamati tutti gli uomini in grado di combattere » intervenni ripetendo quella storia come se fosse stata tratta da un disco rotto.
« Già » confermò lui prima di riprendere la storia « Quando ci riportasti a casa restasti con noi per circa uno o due mesi, aspettando con noi il rientro degli uomini. In quel periodo, ci aiutasti in ogni modo, cacciasti per noi, ti assicurasti che ognuno avesse da mangiare giorno dopo giorno.
Eri sempre lì, pronto a rassicurarci quando gli incubi si facevano vivi, era come se tu uccidessi i mostri un'altra volta. Cacciandoli nuovamente nell’oscurità…» sarebbe dovuto apparire ridicolo, un uomo adulto che all’apparenza aveva quasi quattro volte la mia età era seduto a gambe incrociate sul terreno, raccontandoci di un tempo passato in cui andavo a caccia di mostri per proteggere i suoi cari.
« Quando te ne andasti, restò comunque una pratica tra di noi. Ogni volta che arrivavano gli incubi dicevamo “Non preoccuparti, andrà tutto bene. Gwend verrà a salvarci”. E quando le donne sono cresciute, diventando madri, hanno raccontato dello stesso eroe ai loro figli, e poi ai figli dei loro figli.»
« Quindi è così che si è sparsa la tua leggenda » disse Gimli esalando una lunga boccata di fumo mentre io non potevo fare altro che fissare le fiamme, imbarazzata.
Non mi ero meritata quelle leggende, quelle attenzioni. Non avevo più pensato molto a quelle persone, certo mi era augurata il meglio. Ma non ero mai tornata a controllare che stessero bene. Non ero mai apparsa dal nulla per salvarli da una nuova minaccia.
Non mi ero meritata tutta quella gratitudine.
« Non fare quella faccia Gwend, non ha mai avuto importanza che tu fossi un essere reale o meno, la speranza è sempre stata misera nelle nostre terre.  Ci saremmo aggrappati a qualunque cosa » commentò Éomer notando la mia espressione accigliata. Tentai di ricambiare il suo sorriso, ma mi sentii comunque a disagio.
« Mi dispiace non aver potuto rincontrare tua sorella » dissi comunque voltandomi verso il Maresciallo di Rohan, posandogli una mano sulle sue. La differenza di stazza era impressionante, a confronto le mie sembravano quelle di un bambino anche se erano segnate da calli e tagli come quelle di Erkenbrand. L’uomo di Rohan apprezzò il gesto stringendomela a sua volta e condividendo per qualche secondo il suo calore con me prima di scrollare le spalle con fare indifferente.
« In realtà è meglio così, la vecchiaia l’aveva resa insopportabile. Ti saresti pentito di averla salvata. Ora riposate, monterò io il primo turno » disse strappandomi una risata onesta e leggera, imitata da i restanti uomini attorno al fuoco, prima di andare a prendere posto accanto ad Aragorn che aveva già disteso il suo mantello in terra per evitarci il contatto con la nuda Terra.
 

 


 
« Merry! Pipino! » urlai scendendo da cavallo, incurante dell’acqua che mi arrivava fin sopra il ginocchio.
Mi lanciai verso i due hobbit, che se ne erano stati fino a quel momento, in piedi su un muretto a parlottare con un Ent, ma non appena udirono la mia voce si voltarono, aprendosi in enormi sorrisi.
« Valanyar! » urlarono loro saltandomi poi in collo al volo, ognuno in direzione di una delle mie braccia aperte. Li strinsi a me, ridendo per la semplice ed onesta felicità di rivederli.
Odoravano di acqua stagnate e terra, ma anche di miele, erba pipa e soprattutto di Contea.
Sentii il cuore stringersi pensando a Bilbo e Frodo, ma scacciai via il sentimento malinconico, solo per poter sorridere ancora con i due giovani Tuc.
« Mi siete mancati così tanto » confessai tra i loro capelli mentre ricambiavano la mia stretta, aumentandola all’inverosimile prima di lasciarci.
« Ho capito il tuo consiglio sulle discese ! » mi esclamò poi Pipino entusiasta, mentre Merry si lanciava in un racconto a dir poco troppo dettagliato delle loro avventure, scoccando ogni volta, un’occhiata orgogliosa verso il giovane cugino.
Soprattutto quando iniziò ad illustrarci sulla battaglia ad Isengard.
« Saruman è sempre in cima alla torre, non permette a nessuno di avvicinarsi. Qualche tempo fa, è giunto anche un uomo, sosteneva di essere uno di Rohan ma si è rifiutato di attendere qui il vostro arrivo quando ha saputo della vittoria nel Fosso di Helm» aggiunse poi Pipino con sguardo confuso.
« Grima » dissi voltandomi verso Gandalf che corrucciò lo sguardo, come se non comprendesse le mie preoccupazioni per un vile servitore di Saruman.
« Non è certamente un problema per noi, ma probabilmente sai qualcosa che ancora sfugge alla mia vista » commentò l’anziano guardando la grande torre in lontananza, poi abbassò lo sguardo, rivolgendosi ai due Hobbit.
« Ricordatevi che nella Terra degli uomini, giovani hobbit , il suo nome è Gwend. Non fallitemi. » concluse prima di spronare Ombromanto un po’ più avanti, facendo spazio all’arrivo anche di Théoden ed Éomer, che guardarono incuriositi i mezzuomini ma non posero ulteriori domande.
Erkenbrand e i suoi due ufficiali invece non batterono ciglio segno che dovevano già aver avuto il piacere di incontrare qualche abitante della Contea.
 
Più avanti Barbalbero ci aspettava con un espressione crucciata.
O forse era la sua espressione  tipica, con tutto il muschio che aveva sopra gli occhi, non avrei saputo dirlo.
« Mastro Gandalf, o bene vi siete anche voi Valacen. Troncovuoto mi aveva avvisato. Bene, bene, sono contento che voi siate qui. Legno e acqua, tronchi e pietre, quelli li posso domare ma qui c’è un mago con cui avere a che fare. » disse con voce profonda e lenta. Il suo tono, mi ricordava in qualche modo il vento che si muoveva tra le fronde degli alberi, creando quel rumore sordo in sottofondo. Ogni sua parola era cauta e misurata, come le stesse parole avessero un peso sulla sua lingua.
 Guardai anche io la torre in lontananza e gli Ent che si muovevano con circospezione attorno ad essa, senza mai avvicinarsi troppo osservandola addirittura con ammirazione.
« Anche nella sconfitta Saruman è pericoloso » constatò Gandalf annuendo alle parole dell’albero mentre lanciava una breve occhiata alle sue spalle.
« Suggerisco che solo alcuni di noi vengano. Théoden ovviamente, il Maresciallo, Gwend mio caro e, Aragorn magari? » propose lo Stregone prima che io intervenissi.
« No, Legolas sarebbe una scelta migliore » suggerii ritrovandomi gli occhi puntati contro.
Il ramingo mi guardava confuso, anche se si limitò ad annuire fidandosi del mio consiglio, aspettando solo un ulteriore cenno da parte dello stregone, per prendere Gimli sul suo cavallo.
« Non mi piace che andiate così pochi, non mi piace affatto » commentò il nano guardandomi come a raccomandarmi di essermi cauta.
Facemmo tutti un breve segno di saluto,congedandoci dai nostri compagni, mentre Gandalf ci faceva strada assieme all’Ent, a seguire io e Legolas e poi i due uomini di Rohan.
 
Arrivammo ai piedi della Torre nonostante sentissi Bucefalo sotto di me, innervosirsi sempre di più.
Potevo intuire i suoi pensieri da come sbuffava e spostava il peso da una gamba all’altra, non gli piaceva quel posto, era così carico di stregoneria che pareva annebbiarti la mente.
« Non mi piace » commentò Legolas di fianco a me che stava rincuorando il suo animale con dei sussurri in elfico, mentre riassumeva con tre parole l’animo di tutti.
« Hai combattuto molte guerre e ucciso molti nemici, Re Théoden, e dopo hai ristabilito la pace. Non possiamo discuterne assieme come facemmo in passato, mio vecchio amico? Non può esservi pace tra me e te? » tuonò una voce dall’alto che riconobbi come quella di Saruman.
La sua figura sarebbe dovuta essere troppo lontana per riuscire a metterlo a fuoco in quel modo, eppure riuscivo a distinguere le sue dita che artigliavano il bastone, la sua figura curva e le vesti bianche. Perfino il sorriso affabile era convincente.
Sembrava una versione distorta, dello stregone che avevo davanti a me.
Scossi la testa, per cercare di snebbiare i pensieri mentre dietro di me, Théoden gli rispondeva per le rime. Dimostrando ancora una volta quanto il suo spirito fosse forte.
Saruman però non dovette gradire, notai di fianco a  me, Legolas irrobustire la sua presa sull’arco mentre per sicurezza si portava in mano anche una delle frecce.
Le stesse frecce infallibili che non avrebbero mai dovuto fallire il proprio bersaglio, ma che però non aveva ucciso l’orco che aveva condannato Haldir.
Sospirai, prima di riportare in alto lo sguardo, verso la bianca che si stagliava contro il cielo.
« Cosa vuoi, Gandalf il Grigio, lasciami indovinare: la chiave di Orthanc? O magari le chiavi di Barad-dûr stessa? Insieme alle corone dei Sette Re e ai bastoni dei Cinque Stregoni? » urlò Saruman dall’alto, forse aveva deciso di abbandonare la via della democrazia.
« Il tuo tradimento è già costato molte vite. Altre migliaia sono ora a rischio.  Ma tu puoi salvarle, Saruman. Tu eri addentro ai disegni del nemico. » replicò Gandalf mentre Ombromanto sotto di lui, continuava a scuotere la testa irritato, come se lo Stregone sopra di lui gli stesse sussurrando nelle orecchie.
« Così sei venuto qui per informazioni. Ne ho alcune per te. » ribatté Saruman tirando fuori una grossa sfera di cristallo nero. La superficie della pietra parve assorbire tutta la luce che il sole aveva messo a disposizione per il giorno, portando il gelo dentro ognuno di noi, come quella volta in cui Gandalf aveva parlato la lingua di Mordor ad Imladris.
«Qualcosa di purulento cresce molto al di fuori della Terra di Mezzo. Qualcosa che è sfuggito alla tua vista. Ma il Grande Occhio lo ha veduto … Perfino ora lui aumenta il suo vantaggio. Il suo attacco avverrà presto. Tutti voi morirete. Ma tu questo lo sai, dico bene Gandalf? » Ombromanto si mosse nuovamente sul posto, spazientito, Bucefalo lo imitò, mentre io cercavo di mantenere una mano stabile sul collo del cavallo, sperando che il calore della mia mano lo rasserenasse, ricordandogli che non era solo.
Al di fuori della Terra di Mezzo? Cosa significavano quelle parole? Cosa stava vedendo in quel momento il Bianco Stregone da lasciargli ancora tanta fiducia nel suo signore?
Qualunque cosa fosse, spaventò perfino Gandalf. Un’ombra di puro terrore passò nel sguardo, fu veloce nel nasconderla ma non abbastanza poiché fece l’errore di incrociare il mio sguardo.
Alzai gli occhi, rabbrividendo quando vidi che Saruman aveva i suoi piantati nei miei. E come con Grima nella sala di Edoras non vi erano dubbi su ciò che vedeva.
Una ragazza spaventata,che cercava di fare del suo meglio lottando contro il tempo.
« Gandalf non esita a sacrificare quelli più vicini a lui, quelli che egli professa di amare. Tu dovresti saperlo meglio di altri, lo sai vero? Quali parole di conforto ha avuto verso di te prima di metterti lungo il tuo cammino? Dimmi, assomigliavano a quelle che ha avuto per il mezzuomo? La strada sulla quale vi ha posto può portare solo alla morte » sussurrò lo stregone, ma nonostante la distanza lo udii come se le parole fossero state professate direttamente nel mio orecchio.
Impallidii lo sapevo, mentre il mio cavallo si agitava sotto di me, e Legolas cercava di scuotermi per ottenere la mia attenzione. Ma io stavo riuscendo a vedere … Riuscii a vedere quello che Saruman vedeva nel Palantìr e nonostante fu la visione di un millisecondo mi pietrificò, terrorizzandomi.
« Basta! » urlò Gandalf accanto a me. L’aria riempì a forza i miei polmoni, una luce bianca invase i miei occhi e come erano venuti quei pensieri orrendi se ne andarono, portati via assieme alle ombre nel mio cuore. « Smettila Saruman, vieni giù e la tua vita sarà risparmiata ».
Mi presi la testa tra le mani, percependo l’agitazione di Legolas accanto a me, incerto su cosa dedicare la sua attenzione se i due stregoni che discutevano o io che ancora tremavo, terrorizzata per un ricordo che mi era già stato portato via.
Ma dovevo ricordarmene, cosa avevo visto? Cosa mi aveva terrorizzato a tal punto dal credere che eravamo spacciati? Che Saruman aveva ragione … Che alla fine di tutto, sarebbe finita con la vittoria di Mordor.
Non lasciarlo entrare.” Sentii una voce dentro la mia testa il che, considerando le sue parole mi parve un ossimoro. Con il colpo della palla di fuoco lanciata dallo stregone in cima alla Torre, Gandalf si era fatto più vicino a me e il volto di Ombromanto era ora nel mio raggio visivo.
Il suo potere è grande, ma la sua lingua è più potente. E’ la persuasione che lo rende tanto pericoloso. Non cedere, i burattini non fanno mai una bella fine” commentò il cavallo mentre io cercavo di impormi un respiro regolare.
Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Ombromando aveva ragione, Saruman era sconfitto, stava bluffando, nondovevo concedergli alcun potere.
« Grima, non sei obbligato a seguirlo. Non sei sempre stato come sei ora. Una volta eri un uomo di Rohan. Scendi. » Théoden si fece avanti assieme al suo cavallo, mentre io mi scambiavo uno sguardo inceto con Erkenbrand.
Nessuno di noi due aveva grandi speranze per il consigliere del Re. Personalmente, speravo ancora che Legolas lo facesse fuori.
« Un uomo di Rohan? Cos’è la casa di Rohan, se non una stalla di paglia dove i briganti bevono nel fetore e i loro marmocchi si rotolano per terra insieme ai cani? » lo schernì il bianco stregone mentre la fetida figura vestita in nero, restava cauta di fianco a lui, guardandolo pieno di terrore. Questo Grima, non aveva nessuna speranza.
« La vittoria al Fosso di Helm non appartiene a te, Théoden Signore dei Cavalli. Non sei stato tu a portare il tuo popolo alla salvezza né a guidarli nei loro momenti più bui.
Ma questo già lo sai non è vero? La tua stessa stirpe guarda a qualcun’altro per una guida migliore».
« Ignoralo » dissi a Théoden quanto sentii il suo sguardo su di me.
« Sei sicuro di volerlo difendere Gwend » pronunciò il mio nome come se fosse uno scherzo di cattivo gusto « Perché il Re che tu definisci amico. Non ci penserebbe due volte a chiedere la tua testa se scoprisse il tuo segreto. Tu mi chiedi fiducia Re Théoden ma non conosci neppure coloro di cui più ti fidi. » gli occhi di Théoden si fecero accusatori, ma cercai di mantenere un’espressione impassibile, come a conferma che quello di Saruman non era altro che una bugia.
« Di cosa sta parlando? » disse l’uomo di Rohan squadrandomi nuovamente da capo a piedi come se mi vedesse per la prima volta.
« Mio signore il Bianco stregone è un calunniatore, voi più di tutti dovreste saperlo » intervenne Erkenbrand e per quanto apprezzai il suo tentativo di difendermi, forse avrebbe dovuto trattenere meglio la punta di accusa nel suo tono di voce.
Ma Théoden annuì, scambiandosi un breve cenno d’intesa con il suo Maresciallo, prima di distogliere l’attenzione da me.
Il nostro incontro con Saruman si concluse a quel modo, con lo stregone sulla torre senza più il suo bastone ma ancora in vita così come il suo lacchè.
Théoden lasciò i suoi uomini a presedere i confini di Isengard mentre Gandalf lasciava un incantesimo per rafforzare gli alberi, garantendo così alla nuova generazione di crescere forte e rigogliosa, sotto la guida di Barbalbero e gli altri Ent.
Noi, tornammo ad Edoras dove i festeggiamenti per la vittoria del fossi di Helm, ci attendevano.
 


 
 
 
 
La festa fu uno spasso.
Sarebbe rimasta negli annali delle feste migliori a cui avessi mai avuto il piacere di partecipare.
La mia parte preferita, fu ovviamente quando Gimli rovinò all’indietro quasi svenendo sotto il peso dell’alcool a causa della sua sfida con Legolas.
Non avevo mai riso tanto da prima della partenza da Gran Burrone. E adesso con un buon numero di birre in corpo e i cattivi pensieri lasciati da Saruman oramai dimenticati, mi godevo l’unico dolore che meritasse la mia attenzione.
Il mal di pancia per le grasse risate che mi stavo facendo.
La parte migliore, fu sicuramente che nessuno si sentì in dovere di invitarmi a ballare, poiché tutti mi credevano un uomo. Quindi mi lasciarono in santa pace, a godermi le mie bevute, ridendo e scherzando assieme ad Aragorn ed Éomer mentre Merry e Pipino si dimostravano i veri protagonisti della festa.
Avrei potuto giurare, che perfino Gandalf fosse un po’ alticcio.
 
Dopo quelle che mi parvero ore uscii, trovando soddisfazione nell’aria fresca della notte che mi rinfrescava le guance rosse.
« Ecco dove eri finito » dissi notando l’elfo che osservava l’orizzonte, scrutando oltre buio della notte le vaste pianure fuori da Edoras.
« Spero tu ti senta perlomeno in colpa per aver ridotto Gimli ad una bambola di pezza. Adesso è alla merce di due Hobbit, credo stiano creando un mosaico delle loro avventure sulla faccia del nostro nano preferito » aggiunsi ridacchiando tra me e me.
Non avevo più toccato alcool, da quella sera con Frodo ad Imladris. Il solo ricordo avrebbe dovuto farmi intristire, invece mi rubò un altro sorriso. Segno che forse, stavo iniziando a perdere il conto dei boccali di birra.
« Possiamo fare in modo che non incroci uno specchio per settimane, il suo orgoglio non ne rimarrà intaccato » commentò l’elfo voltandosi verso di me e piegando all’insù l’angolo della bocca, in un sorriso amichevole.
« Oh oh, cosa odono le mie orecchie. Allora hai un senso dell’umorismo » commentai prendendo un sorso della mia birra e collegando il cervello, solo dopo aver già parlato.
Per poco non risputai tutto il liquido ambrato.
« Ti chiedo scusa io … Credo di aver bevuto troppo » dissi maledicendomi più volte, prima di alzare titubante lo sguardo verso il biondo, che però continuava ad osservarmi con lo stesso sguardo divertito di poco prima.
« Va tutto bene, in fondo siamo amici no? » ribatté lui mentre io scrutavo il suo viso. Era, incertezza quella che vedevo nei suoi occhi?
O forse era solo la luce delle fiaccole del palazzo che mi giocavano un brutto scherzo, ma decisi comunque di annuire, sorridendogli complice.
« Certo, amici. » confermai alzando il calice di birra verso di lui in un brindisi silenzioso mentre l’elfo mi sorrideva chiedendomi esattamente quanto avessi bevuto.
Ignorai la sua domanda, limitandomi ad una scrollata di spalle.
« Se siamo amici dunque, credo sia arrivato il momento, che io ti porga le mie scuse » riprese lui dopo qualche secondo di piacevole silenzio.
Mi voltai a guardare nuovamente il suo viso, trovando l’impresa molto più facile grazie alla foschia nel mio cervello data dall’alcool.
Legolas era comunque splendido, anche troppo da sostenere con tutta la birra in corpo, ma per una volta, la sua bellezza non mi metteva a disagio. Anzi mi sentivo fortunata per poterla osservare da così vicino.
Realizzai che era probabilmente un pensiero pericoloso, così strinsi entrambe le mani attorno al boccale, per evitare di fare cose stupide.
« Credo che tu lo abbia già fatto. Ho un chiaro ricordo di te che mi fai morire d’imbarazzo giusto qualche metro più in là » commentai indicando con un cenno del capo il punto in cui si era inginocchiato tempo prima.
« Ma non ti ho mai dato delle spiegazioni. Per il mio disdicevole comportamento all’inizio »
« Disdicevole è un po’ riduttivo … Sei stato un vero bastardo » commentai con troppa onestà. Stupide birre.
« Esattamente » ammise l’elfo ed io riuscii nuovamente a scorgere quello che sospettavo fosse diventato il mio tratto preferito nell’elfo, la punta delle sue orecchie si tinse adorabilmente di rosso.
Il biondo si schiarì la voce, cercando di concedersi un po’ di contegno:
« Quando ci incontrammo la prima volta. Non pensai molto di te, mi erano giunte voci ovviamente di Valacen ma non gli diedi molto ascolto. Avevamo le nostre battaglie nel regno e quando poi sei venuta a trovare mio padre. Beh, in tutta onestà pensai solo che tu fossi una mortale che si meritava una vita particolarmente corta per via della tua lingua supponente »
« Ah grazie » commentai senza riuscire veramente ad offendermi, mentre anzi, mi ritrovavo a ridacchiare all’interno del mio boccale.
Legolas mi concedete un sorriso simile, prima di riprendere il racconto:
« Ma poi gli anni passarono e le voci su di te non si placarono, Aragorn mi raccontò che non invecchiavi e  che il tempo ti lasciava immutata al suo scorrere. Lui però … Lui non mi aveva mai detto dei tuoi occhi » alzai lo sguardo confuso su Legolas, comprendendo che il suo odio iniziale, doveva essere dipeso proprio da quello. Il mio sguardo.
Eppure era stato sempre lui, colui che più di tutti, mi aveva rincuorato così spesso su quel tratto di cui ero incredibilmente insicura.
« Quando giunsi ad Imladris, ti vidi quella mattina affacciata sul bancone. Ho incrociato i tuoi occhi e li ho odiati.
Ho degli incubi ricorrenti sui tuoi occhi, un volto buio che mi fissa dall’oscurità, piangendo, supplicandomi e chiedendomi perché dovesse soffrire a quel modo.
Io sono immobile, non riesco a vedere niente, non vi è nessuna luce attorno a me, solo quelle iridi bianche  piene di rabbia e dolore  che mi fissano…»
Tauriel, lui sognava gli occhi di Tauriel. I suoi occhi perlomeno prima della sua finale scomparsa, il giorno della morte del nipote di Thorin.
« La voce continua a chiedermi “Perché fa così male?” ma io non le ho mai risposto.
Quando ti vidi pensai fosse una coincidenza nonostante il disagio che mi incutevi, ma la prima cosa che chiesi a Re Elrond, fu comunque quando eri giunta nella Terra di Mezzo.
Lui mi rispose nel 2942. Lo stesso anno che sono iniziati i miei incubi »
Tutto ovviamente aveva una spiegazione.
Ovvio che Legolas avesse iniziato ad avere gli incubi nello stesso anno in cui ero arrivata, ma non era stato a causa mia. Lui non poteva ricordarlo, ma quello era stato anche lo stesso anno della morte di Tauriel, di quando la memoria di lei lo aveva abbandonato per sempre.
« Capisco » dissi senza però sapere come continuare, la mia espressione, dovette turbare Legolas, perché l’elfo mi prese la mano libera nella sua, intersecando le nostre dita in una strana stretta di mani.
« Ogni volta che ti vedevo io … Io vedevo quella rabbia e quel dolore e tutto quell’odio lo sentivo come se fosse mio. Ogni volta temevo sarebbe stato pronto a sommergermi se ti avessi guardata troppo a lungo.
Credevo tu fossi una maledizione mandata dai Valar per perseguitarmi. Il fantasma di un incubo come, quando persi mia madre »
Il tempo parve sospendersi mentre guardavo negli occhi dell’elfo:
Il suo dolore era così onesto, che temetti avrebbe potuto passarmelo attraverso il nostro contatto fisico. Ma invece, feci l’unica cosa che bisognerebbe fare quando vedi qualcuno soffrire. Strinsi la sua mano più forte, invitandolo silenziosamente ad andare avanti.
« Sono stato così stupido, se solo mi fossi soffermato nei tuoi occhi più a lungo, forse lo avrei capito fin da subito. Invece ho avuto il coraggio di farlo solo dopo aver parlato con Dama Galadriel.
Quella sera prima di incontrarci nel buio della foresta mi parlò:  
Se non troverai il coraggio di guardare la paura negli occhi, ella ti dominerà fino a  che non udirai il richiamo del Mare, portandoti via dalla Terra di Mezzo per sempre … » Legolas si interruppe, segno che probabilmente la Dama di Luce aveva aggiunto altro, ma l’elfo non mi avrebbe detto cosa. Non stasera.
« La tua paura ero io » confermai alzando gli occhi nei suoi, comprendendo che qualcosa doveva essere successo da quella sera, perché al momento, non scorsi niente negli occhi dell’elfo che non fossero sentimenti positivi.
Legolas mi sorrise così dolcemente, che mi ritrovai involontariamente ad arrossire mentre lui annuiva.
« Quella notte, ho capito quanto il mio comportamento fosse stato puerile.  Avevo temuto così a lungo il tuo sguardo, solo per capire che non eri tu quella dei miei incubi. » l’elfo alzò la mano libera, portandola a riposare sulla mia guancia e se non fossi stata pietrificata sul posto, probabilmente sarei schizzata via, troppo imbarazzata per protrarre quel gesto gentile.
La mia mente iniziava a produrre pensieri sconnessi, mentre mi rendevo conto di quanto fosse ridicola la distanza che ci separava e del calore con cui mi stava guardando Legolas.
« I tuoi occhi non erano freddi o colmi rabbia e odio. Ma erano fatti di luce pura, come stelle in una notte senza luna … Valanyar io - » ma non seppi mai cos’ altro avrebbe voluto dirmi perché, una porta poco lontana da noi si spalancò, facendomi saltare all’indietro come un animale selvatico, voltandomi a guardare il nuovo arrivato.
« Legolas! Val ! Ecco dove eravate! Forza dovete venire io e Merry stiamo per dimostrare a questi uomini il vero significato della parola “festeggiare” ! Stiamo per cantare “Al Drago Verde!” » ci urlò Pipino affacciandosi dal portone e portando con sé il rumore della festa.
Io e l’elfo ci scambiammo uno sguardo imbarazzato, prima di annuire entrambi ed andare ad unirci nuovamente ai nostri compagni.
 




















 
 
NdA : Beh, un piccolo passo avanti per Legolas e Val, un grande passo per l’umanità (?)
Comunque questo è stato solo un capitolo di stallo ovviamente, dal prossimo le cose si rifaranno nuovamente più accese e più interessanti.
Comunque questo è quanto, non posso prolungarmi troppo poiché sto per entrare a lavoro, quindi spero solo che il capitolo vi sia comunque piaciuto e … A Venerdì prossimo!
 
 P.S : Mi dispiace molto per Haldir scusate, ma andava fatto. A tutto c’è una ragione, abbiate fiducia! xD

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


▌ Capitolo 12  ▌
 
 





 
«  Ma perché nessuno mi ascolta? »
 
« Ehi sei di nuovo una donna ora, ricordi? »

 
__Mulan, Disney 1998
 
 






La canzone del Drago Verde fu un successo.
La mia parte preferita fu quando un Éomer fin troppo ubriaco, tentò di imitare i passi di danza dei due hobbit assieme ad un altro soldato, fallendo miseramente quando il tavolo crollò sotto il loro peso umiliandoli, ma facendo fare una grassa risata a tutti i presenti. Me compresa.
Stavo ancora ridendo per la situazione, quando notai lo sguardo del Re su di me, mi voltai verso di lui inclinando la testa in un breve cenno di saluto accompagnato da un sorriso. Ma stranamente Théoden non mi ricambiò, anzi se possibile la sua espressione si fece più cupa fino a quando non mi ritrovai a dover  distogliere lo sguardo, a disagio.
Era forse successo qualcosa di cui non ero a conoscenza? O semplicemente le parole di Saruman turbavano ancora il sovrano di Rohan?
Non volevo che credesse in alcun modo, che la vittoria non fosse stata merito suo. Certo ognuno di noi aveva fatto la sua parte, ma Re Théoden era stato comunque un grande condottiero, speravo che un semplice sussurro da parte del nemico, non fosse bastato ad incrinare per sempre la nostra amicizia. O sarebbe stato fatale, dato che era già stata incrinata dalle nostre divergenze.
Cercai di non farmi turbare troppo da quei pensieri, optando invece per andare alla ricerca di un certo stregone.
 
Trovai Gandalf nella terrazza, che assieme ad Aragorn osservava l’orizzonte.
Sapevo cosa vi era in quella direzione: Mordor.
Da qualche parte oltre la pesante coltre di nubi, un occhio che vedeva tutto era in attesa.
« Nessuna notizia di Frodo? » stava domandando il ramingo allo stregone, che quando mi vide, mi fece cenno di unirmi a loro.
« Niente di niente » rispose l’anziano uomo voltandosi verso di me, in una vana speranza che io avessi più informazioni.
« Abbiamo tempo, ogni giorno Frodo è più vicino a Mordor » assicurai ad entrambi poggiando le braccia sulla ringhiera, e concentrandomi sulle stelle che brillavano sopra di noi, piuttosto che su Mordor ancora così lontana dalla nostra vista.
« Ne siamo certi? » domandò Gandalf poggiando una delle sue mani sulle mie. Mi chiesi se le parole di Saruman, non avessero ferito anche il Bianco Stregone più di quanto non avesse dato a vedere in un primo momento.
Una parte di me, quella più egoistica, si chiese anche se Gandalf avesse le stesse preoccupazioni per la mia sorte, oltre che per quella del mezzuomo.
« Ho completa fiducia in Frodo. E anche in Sam e Faramir, se vi è anche solo una possibilità, sono la squadra giusta per coglierla » dissi girando la mia mano su se stessa e stringendo quella dello stregone.
« Dama Galadriel non approverebbe la tua decisione. Sarebbe stato più sicuro, prendere un’altra strada »
« Certo, facile per lei puntare il dito e consigliarmi chi sarebbe dovuto morire. Ma non è così che funziona, il compito lo hai affidato a me Gandalf, a me soltanto. I sentieri battuti possono rappresentare una strada sicura, o possono soltanto portarti in mezzo ad un  imboscata » ribattei scrollando le spalle con disinvoltura « Non potevo lasciare morire » aggiunsi mettendo più enfasi nelle mie parole, così che suonassero dure e sicure. « Ho fiducia in Faramir, lui non fallirà. Il suo spirito è forte molto più di tutti noi, lui non cederà, proteggerà Frodo e l’anello anche da se stesso quando lo riterrà opportuno » confermai, annuendo vigorosamente anche con la testa.
« Non mi sarei aspettato niente di diverso da te amica mia » commentò l’uomo di fianco a me con disinvoltura. Poti percepire con facilità il suo affetto trapelare attraverso quelle parole, ma vi era stato anche qualcos’altro, che non avevo saputo identificare.
Mi voltai verso lo stregone, in particolare mi concentrai sulla profonda ruga che si era formata nel mezzo alle sue sopracciglia:
« Vedi qualcosa che io non so Gandalf? » domandai cercando una risposta nei suoi occhi che però continuavano a sfuggirmi, fissi sull’orizzonte. Incontrai lo sguardo di Aragorn, e come me lo vidi mutare in un’espressione preoccupata.
« Mithrandir » dissi di nuovo per richiamarlo tra noi.
« Perdonatemi. É solo un brutto presentimento, come un ombra sul cuore. » mormorò sempre con lo sguardo perso, come se stesse cercando di scrutare più avanti di quanto la vista potesse permettergli « Temo che la Casa di Hùrin possa essere in grave pericolo »
« Che cosa?! » esclamai voltandomi verso l’orizzonte come aveva fatto lo stregone, ma per me non c’era niente da vedere. Come probabilmente non c’era stato niente per gli occhi di Gandalf, ma comunque scossi la spalla dello stregone, obbligandolo a distogliere lo sguardo e guardarmi negli occhi.
« Gandalf cosa hai visto? » dissi sondandogli le iridi con le mie. I suoi occhi si incupirono, celandomi i suoi pensieri, ma non gli permisi di allontanarsi di un passo mentre mantenevo lo sguardo su di lui.
« Forse non è niente. Devo riposare, dovremmo tutti » tentò di sfuggire alla mia presa.
« Gandalf » ripetei trattenendolo per la veste e impedendogli di andarsene dal terrazzo senza darmi una risposta.
« Devo riflettere, le scelte affrettate non sono mai le migliori. Ti dirò tutto non appena avrò colmato i miei stessi dubbi. Domani»
« Domani » ripetei legandolo alla parola data. Lasciai finalmente rientrare lo stregone, mentre venivo affiancata da Aragorn che si limitò a poggiare la sua spalla contro la mia, in una muta affermazione di sostegno.
 

 


 
La mattina dopo mi trovò stranamente, piena di nuove speranze.
Nonostante la paura per il destino d Faramir, la storia per il momento si stava svolgendo come previsto e questo significava che a breve avremmo salvato Minas Tirith, Aragorn avrebbe dato prova di essere un vero Re, e il popolo degli uomini avrebbero trovato una vera guida.
Mi era sembrato un buon motivo per essere di buon umore, ovviamente avrei dovuto sapere, che tutto sarebbe quindi andato a farsi benedire.
Sentii razzolare all’interno di una delle stanze alla mia sinistra, mentre attraversavo il Palazzo d’oro di Edoras per ritrovare la sala del trono e presidiare alla riunione che era stata indetta da Mithrandir.
« Che stai facendo? » domandai affacciandomi dalla porta in questione, socchiusa, trovandomi decisamente sorpresa nel trovare Éomer proprio lì. In una libreria.
« Oh, io? Niente » si sbrigò a dire lui non appena mi notò, prese il libro che stava consultando e se lo portò dietro la schiena velocemente, come se lo avessi colto in fragrante in fare chissà quale osceno atto.
Forse per i cavalieri di Rohan, non era una buona abitudine, dilettarsi nella lettura?
« Che c’è? » aggiunse poi in un ottava superiore al suo solito tono, che mi fece ridere sotto i baffi. Scossi la testa, per impormi un minimo di autocontrollo, prima di rispondere alla sua domanda.
« Gandalf ha richiamato tuo zio e noi altri per un nuovo concilio di guerra, andiamo » dissi aspettandolo sulla porta.
Quando Éomer finalmente notò che non avevo intenzione di andarmene senza di lui, saltellò stranamente sul posto, fino a poggiare il libro che aveva nascosto fino a qual momento sullo scaffale più vicino, sbrigandosi a raggiungermi.
Notai con un’occhiata veloce, che doveva trattarsi di una specie di dizionario, ma non mi trattenni oltre, risparmiando l’uomo di Rohan da ulteriori imbarazzi e limitandomi a camminare con lui fianco a fianco in silenzio. Fino alla sala del trono.
 
Come avrei potuto immaginare, il concilio fu un disastro.
Théoden, così come i suoi più alti ufficiali, disprezzarono immediatamente l’idea di marciare nuovamente per una guerra, una aperta poi.
Dopo aver sacrificato tanto al Fosso di Helm, trovai comprensibile il loro timore ma purtroppo i tempi erano funesti per tutti gli abitanti della Terra di Mezzo. Rohan doveva fare nuovamente la sua parte, non poteva limitarsi a difendere solo se stessa, per sempre.
« Non possiamo rimandare oltre Re Théoden, Sauron si muove per colpire la città di Minas Tirith. » dissi appoggiata alla mia colonna con le braccia conserte sul petto.
Gli arti avevano smesso di chiedermi pietà ogni volta che mi muovevo e sapevamo tutti che non avremmo potuto rimandare a lungo la questione.
La vittoria del Fosso di Helm non poteva certo considerarsi totale, le vittime erano state fin troppe da sostenere. Senza contare che forse Isengard aveva perso il suo esercito, ma Mordor ne aveva un altro altrettanto grande, da poter radere al suolo il mondo intero.
Non avevamo più tempo per festeggiare, e fingerci al sicuro tra le mura di Edoras.
« Sembri sapere sempre così tante cose Gwend, figlio dei Dùnedain. Mi chiedo da dove apprendi tanta conoscenza » commentò il Re in tono quasi superficiale, ma scorsi l’amarezza nelle sue parole mentre mi lanciava una breve occhiata carica di un risentimento che non comprendevo, prima di spostare la sua attenzione sul calice di vino tra le sue mani e prendendone un sorso. Ignorando completamente la mia dichiarazione.
Mi scambiai uno sguardo con Gandalf, che mi invitò alla prudenza mentre prendeva lui la parola al mio posto:
« La sconfitta al Fosso di Helm ha mostrato una cosa al nostro Nemico: sa che l'erede di Elendil si é fatto avanti. Gli Uomini non sono deboli come immaginava. C'é ancora coraggio. Forza a sufficienza per sfidarlo, magari. Sauron teme questo.
Non rischierà che i Popoli della Terra di Mezzo si uniscano sotto un'unica bandiera. Ridurrà Minas Tirith al suolo, piuttosto che vedere un Re tornare sul trono degli Uomini. Se i segnali di Gondor sono accesi, Rohan deve prepararsi alla guerra. » tentò lo Stregone con molta più diplomazia.
Vidi Éomer ed Erkenbrand scambiarsi una breve occhiata d’intesa, annuendo piano tra loro mentre iniziavano a sussurrarsi numeri, probabilmente progettando una spedizione di fortuna verso la nazione confinante.
« Dimmi, perché dovremmo correre in aiuto di coloro che ce l'hanno rifiutato? Cosa dobbiamo a Gondor? » rispose il Re posando il calice sul tavolo di legno. Théoden si alzò, lasciando strisciare la sedia sul pavimento, richiamando l’attenzione di tutti i presenti su di sé.
« Mio Signore vi ricordo che voi non avete inviato richieste di aiuti a Gondor per l’ultima battaglia » commentai cercando di tenere la mia voce più neutra possibile, nonostante trovassi fastidioso il comportamento di Théoden.
Capivo che non voleva mettere ulteriormente a rischio la sua gente, ma aveva visto la forza di Isengard, e sapeva che era solo un decimo rispetto a quella di Mordor.
« Se Gondor cadrà, quanto a lungo credete che riuscirete a difendere i vostri confini? Mesi se siete fortunati, sennò parliamo di sole settimane … » gli fece notare Aragorn con il suo tono pacato e conciliatorio.
Éomer annuì, concordando con il ramingo sulla situazione, mentre il Maresciallo si limitò a scoccarmi un’occhiata turbata, spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro.
« Dovete fare un’azione di fiducia Théoden proprio come hanno fatto gli elfi per voi. Non sono forse venuti  per rispettare un antico voto? Adesso è il turno di Rohan di dimostrare la propria grandezza » il Bianco Stregone gli sorrise affabile appoggiandosi con entrambe le mani al proprio bastone bianco.
Sembrava sereno, ma le sue nocche erano pallide e le spalle rigide, capii senza neppure bisogno di una seconda occhiata che era preoccupato.
« Fiducia? Tu vieni a parlarmi di fiducia Gandalf il Bianco ma dimmi, come hai potuto non dirmi chi si nascondeva veramente tra le mie file? » tuonò il Re spostando nuovamente il suo sguardo su di me, carico di rancore.
Vidi con la coda dell’occhio Legolas avvicinarsi lentamente a me, con circospezione, mentre il nano assicurava la sua presa sull’ascia, pronto alla battaglia.
Spostai lo sguardo su di loro, incrociando i loro occhi e facendogli un breve cenno di negazione con la testa. I nostri nemici non erano in questa sala, non potevamo metterci a combattere tra di noi.
« Ho forse fatto qualcosa di sbagliato? » domandai con la mia aria più innocente, sciogliendo le braccia dal petto, ed aprendole in segno di conciliazione.
« Zio di cosa stai parlando? Gwend ci ha aiutato più di tutti, sai che senza di lui non avremmo mai vinto » disse Éomer che in quel momento, dovette comprendere come i restanti membri della compagnia, che aveva appena detto la cosa sbagliata.
La rabbia di Théoden era stata tenuta a bada dal rispetto che avevo dimostrato per lui per tutto quel tempo, dal fatto che lui restava comunque il Re di Rohan. L’unico vero condottiero del suo popolo, ma adesso, Éomer stava dicendo l’esatto opposto, proprio come aveva previsto Saruman.
« La vittoria al Fosso di Helm, appartiene al popolo di Rohan e a nessun’altro » tuonò il Re facendo fare un passo indietro al suo stesso nipote turbandolo.
« Sicuramente non ad un ramingo del Nord, sicuramente non agli elfi di Lòrien e non a Mithrandir. Sono stati i miei uomini a versare la terra con il loro sangue. »
« Nessuno ha mai negato il valore degli uomini di Rohan, nessuno ha mai cercato di prendersi il merito di qualunque vittoria. Se hai qualcosa da dirmi Théoden, forse dovresti farlo adesso dove tutti potranno apprezzare quanto ti risulti facile ascoltare i consigli di Saruman, ma non di coloro che avrebbero dato la vita per te » sibilai evidentemente arrabbiata, mandando così a farsi benedire tutta la diplomazia che aveva cercato di infondermi Gandalf .
Sentii lo stregone sospirare funesto, mentre io facevo qualche passo in avanti, imitata dal Re che si portò a meno di due passi da me, troneggiando su la mia persona come se avesse potuto intimorirmi con una manciata di centimetri in più.
« Vuoi forse farmi credere che quello che vedo non è altro che  un inganno? Non mentirmi Gwend. Io mi fidavo di te » sussurrò lui con un occhiata che se fosse apparsa su chiunque altro, avrei definito “carica d’odio”. Ma non poteva essere non era vero? Che motivo poteva avere il Re, per cambiare completamente la sua opinione su di me?
« Io non vi ho mai mentito » risposi senza battere ciglio, senza retrocedere di un centimetro.
« Allora togli il tuo mantello. Saruman non è l’unico ad essere abile negli imbrogliare gli altri evidentemente anche gli elfi lo sono. Toglietevelo, rivelate chi siete realmente »
E lì compresi finalmente cosa doveva essere successo, il Re aveva aperto gli occhi e aveva visto una donna travestita da soldato.
Non un condottiero che aveva guidato i suoi uomini in battaglia, non un guerriero che aveva combattuto accanto a lui per un intera notte pur di non cedere terreno agli orchi. Ma una donna, una bugia.
Sospirai, arrivando a slacciare la foglia di Lòrien e chiedendomi da quanto tempo il Re riuscisse a vedere sotto la sua illusione.
Perché non poteva essere un caso che avesse scelto proprio il giorno, in cui indossavo i miei abiti elfici donati da Gran Burrone che non nascondevano in alcun modo le mie forme.
« Gwend spesso non ha indossato il suo mantello » gli fece presente Éomer evidentemente confuso mentre lo zio gli scoccava un’occhiata irritata.
« E cosa ha indossato? La tua armatura Éomer, disegnata per un uomo.
Mi chiedo da giorni come ho fatto a non capirlo prima … tutta quella foga nel ritenere che le donne erano in grado di combattere » sbuffò come ad imitare il suono di una risata, e finalmente persi le staffe, lasciando cadere il mantello oltre le mie spalle sciogliendo l’illusione che mi legava ad esso.
« Le donne sono in grado di combattere, o forse volete che ve ne dia un’ulteriore dimostrazione? » commentai mentre il silenzio attorno a noi, si fece fastidiosamente pesante.
Non era difficile immaginare il motivo, per i membri che lo sapevano ovviamente, la caduta del mantello non provocò alcun cambiamento.
Ma anche gli altri presenti, probabilmente ebbero bisogno di qualche minuto : di mettere a fuoco la vista magari, e notare finalmente le linee dei miei fianchi, la morbidezza con cui la blusa verde ricadeva sulle mie spalle e soprattutto, la forma accentuata che il corpetto in pelle dava alla mia vita.
« Gwend ma che ? » sentii dire ad Éomer alle mie spalle. Doveva aver assunto un’espressione piuttosto sconvolta, poiché le labbra del Re si piegarono all’insù in un sorriso soddisfatto, come a dire “sapevo che mi avresti capito”.
« Sempre che Gwend sia il suo vero nome. Chi può anche solo sapere cosa è? Il suo aspetto non è mai cambiato da quando ero giovane, è stata vittima di una maledizione? O forse è lei stessa una nuova creatura nata magari nelle Oscure Terre? Ho ucciso Orchi che possedevano occhi bianchi come i suoi. » sottolineò Théoden e quello, mi ferì.
Mi ero aspettata rabbia, delusione, urli e grida. Perfino accuse di tradimento ma, quello?
Che Théoden mi paragonasse al nemico dopo tutto ciò che avevamo affrontato assieme ?
Mi stava ferendo, più di quanto fui disposta ad ammettere mentre il mio viso restava immutato in una maschera impassibile.
Non gli avrei mai dato quell’ulteriore soddisfazione di potermi giudicare debole, solo perché mi stava ferendo dove sapeva avrebbe fatto più male.
« Quanto a lungo hai parlato con Saruman mio Signore? Questo non siete voi. Gwend può avervi nascosto che era una donna ma- » intervenne Aragorn senza mai completare la frase.
« Già una donna! Gwend, hai mentito al Re che ti aveva offerto ospitalità, hai tradito la fiducia di Rohan e dei miei uomini, ti sei travestita da soldato … La pena per un simile crimine sarebbe ad oggi: la morte » annunciò mentre io impallidivo.
Gimli gridò dietro di me, ma probabilmente Gandalf o qualcun altro lo trattenne, perché non apparve mai accanto a me a piazzare la sua ascia sulla testa di Théoden.
Non seppi che fare, o forse ero impazzita del tutto, mentre sbuffavo un risata amara, chiedendomi se in fin dei conti era proprio per questo che Elrond aveva perso la fiducia nell’umanità. Se anche lui, si era sentito a quel modo quando Isildur aveva dato le spalle a tutto ciò in cui avevano sempre creduto.
Sicuramente era così che si era sentito Erkenbrand, quando aveva saputo che sua sorella era morta a causa della negligenza del Re, vittima di un maleficio.
In quel momento, una parte più distante della mia coscienza pregò perché il Maresciallo non si sentisse anche lui tradito da quella nuova rivelazione. Non volevo infliggergli un’inutile ferita.
Théoden sfilò la sua spada, facendomi solo inarcare un sopracciglio, mentre due ufficiali mi si affiancavano, anche se non osarono toccarmi o mettere mani alle loro armi.
« Ma che fate!? » sentii urlare Gimli. Notai con la coda dell’occhio Aragorn che si dimenava con il nano tra le braccia per trattenerlo, mentre io mi voltavo per incontrare il suo sguardo da oltre la mia spalla.
« Va tutto bene » gli dissi sapendo che nonostante Théoden fosse un grande guerriero, non aveva comunque alcuna possibilità contro di me, non fino a che io stessa ero armata e lui e i suoi uomini erano ad una tale portata delle mie lame.
« Quando sei giunta qui la prima volta, ti ho dato fiducia. Hai salvato la vita di mio nipote ed oggi erede al trono di Rohan. Ma qui finisce il mio debito con te, non esigerò la tua testa:
Una vita per una vita, ho pagato il mio debito¹ » a quel punto rinfoderò la spada, guardandomi negli occhi come se fosse ancora combattuto sulle sue stesse parole.
« Non sarai più la benvenuta a Rohan, avrai fino all’alba di domani per andartene. É tutto, che il concilio si sciolga. » disse concludendo lì la nostra riunione mentre io mi limitavo a fissare il sovrano negli occhi, sperando vi leggesse tutta la delusione che stavo provando.
« Se questo è ciò che il Re ha deciso, mi sottometterò al suo volere » risposi come da protocollo con un breve inchino.
Pensai distrattamente che Arwen sarebbe stata fiera di me,  mi voltai, raccogliendo il mio mantello da terra e rimettendomelo sulle spalle, assicurandolo con la spilla, prima di uscire dalla stanza scrollandomi di dosso la mano di Gandalf che aveva tentato di trattenermi.
Non avevo intenzione di pregare Théoden di perdonarmi o sciocchezze simili, non ero mai stata io a mentire sulla mia identità avevano sempre fatto tutto da soli e per quanto una piccola parte di me sapeva di essere stata responsabile, non mi interessava.
Ero così furiosa con tutti loro e quella stupida ipocrisia di cui si facevano costantemente scudo.
Solo perché ero una donna, adesso non valevo più niente? Tutto ciò che avevo fatto non contava più niente? Mi veniva strappato via ogni onore solo per rassicurare il loro ego?
Per quanto mi riguardava, Mordor avrebbe potuto marciare su Edoras oggi stesso e sarei rimasta a guardare.
 
Sentii il portone dietro di me aprirsi e richiudersi, ma non mi voltai a guardare chi fosse, riconoscendo i  pesanti passi alle mie spalle come quelli di Gimli.
« Una famiglia di biondi, non c’era da fidarsi » commentò dopo qualche secondo che si era fermato accanto a me, osservando anche lui l’orizzonte senza vederlo.
Mi voltai a guardarlo, ritrovandomi a sbuffare involontariamente una risata, non riuscendo a mantenere la mia espressione arcigna quando incrociai gli occhi del nano.
« Mi spieghi cos’è questo astio verso i biondi? Inizialmente credevo fosse solo per prendere in giro Legolas » dissi più per stemperare la mia stessa tensione che per reale interesse.
Come Gimli, dubitavo avesse un’antipatia predisposta verso i biondi.
« I nani biondi sono molto rari. E normalmente a noi nani piacciono le cose rare, ma non i biondi. Gli elfi di Mirkwood sono quasi tutti biondi sai, così spesso se nascevano nani con i capelli chiari, venivano additati e derisi. Come una creatura strana »
« Ma uno dei nipoti di Thorin non era biondo? » domandai inclinando leggermente la testa confusa « Fìli? » soppesai tentando di ricordare vagamente il nome. Il fratello era facile, Kìli, lo avevo anche riletto sulle labbra di Tauriel mentre lo stringeva morente, nello specchio di Dama Galadriel.
Il fratello ogni tanto mi era stato nominato da Bilbo, ma come quello di Thorin, il vecchio hobbit non aveva mai avuto troppo piacere a dire i loro nomi ad alta voce.
Il dolore si faceva più forte in quei momenti.
« Sai anche questo? » disse Gimli riportando i miei pensieri su di lui. Annuii distrattamente mentre il nano riprendeva a parlare, grattandosi la barba sovrappensiero.
« Beh sì lui lo era, ma fino a quando non si sono ripresi la Montagna. Molti non li vedevano di buon vista sai…
Mio padre mi ha spesso raccontato che fin da quando Fìli era piccolo era stato deriso e maltrattato dagli altri nani. Accusato di essere un infiltrato degli elfi. Non c’era da stupirsi che li odiasse tanto e che desiderassi mettersi alla prova a quel modo » soppesò il guerriero accanto a me perso in un ricordo lontano.
Mi chiesi se quello stesso pregiudizio, avesse guidato il pensiero di Gimli la prima volta che aveva visto Legolas. Se quando aveva visto l’elfo di Mirkwood, lo avesse etichettato falso e inaffidabile.
« Ovviamente io non ci credo » aggiunse precipitosamente Gimli.
« Non credi sia giusto giudicare qualcuno solo perché è biondo? » ribattei divertita mentre lo guardavo con un sorriso sornione. Il nano alzò lo sguardo su di me, imitando il mio sorriso per qualche attimo prima di scrollare la spalle con uno sbuffo.
« Hai capito cosa intendo veggente da strapazzo non prendermi in giro. Quei fessi là dentro, non hanno ancora capito cosa li ha colpiti. Solo Erkenbrand sembra avere un po’ di sale in zucca. Infatti lui non è biondo, ma rosso. » ci tenne a precisare il guerriero al mio fianco.
« Come te » gli feci notare mentre ricevevo in cambio una gomitata nel fianco, che mi fece solo sorridere di nuovo « Erkenbrand sta discutendo per me ? » domandai poi scoccando un’occhiata alle mie spalle, verso il portone chiuso.
« Oh quando sei uscita, credevo avrebbe tirato in capo al Re il suo stesso trono, se Gandalf non lo avesse fermato » restai in silenzio, sperando continuasse ad illuminarmi su cos’altro era successo, e così fece:
« Comunque Gandalf lo ha invitato alla prudenza, dicendo che non avresti gradito che si creasse una crepa all’interno delle difese degli uomini di Rohan. Quella frase a Re Théoden gli è piaciuta ancora di meno e così hanno cominciato tutti a discutere. Poi non so altro, sono uscito per venire a cercarti ero certo tu fossi arrabbiata, ma non sei andata molto lontano »
« Credevi me ne sarei andata a giro per Edoras a spaccare tutto solo perché il loro Re mi ha esiliato? » commentai  amaramente sentendomi nuovamente ferita al ricordo.
Non avrebbe dovuto sorprendermi la reazione del Re, eppure mi feriva ugualmente. Ci conoscevamo da così tanto tempo ed era bastato quello?
Fidarsi di Gwend gli era risultato così facile, non avevo immaginato che sarebbe invece stato impossibile fare lo stesso per Valanyar.
« Beh, un po’. Mi sono portato dietro la mia ascia in caso tu avessi desiderato iniziare proprio dalle colonne del palazzo Reale » disse il nano porgendomi la sua arma con un’alzata di spalle, mentre io lanciavo un’occhiata alle colonne intorno a me prima di ridacchiare, scuotendo la testa per far scomparire la folle idea dalla mia testa.
« Ho capito, andiamo allora a cercare quei due hobbit, ti aiuteranno con l’umore e la notizia non si spargerà per un altro paio d’ore » disse il nano con tono allegro mentre mi dava una sonora pacca sulla schiena, obbligandomi a fare due passi in avanti per attutire il colpo. Esaltato, Gimli mi portò con lui in direzione della taverna più vicina.
Non avevo idea del perché, ma a quanto pareva tra la festa della sera prima e il concilio della tarda mattina, lui, Merry e Pipino erano comunque riusciti a scovarla.
 
 
Trovare i giovani Tuc fu incredibilmente facile, nonostante la quantità di alcool ingerita la sera precedente i due erano seduti ad uno dei tavoli centrali della locanda, con almeno sei boccali vuoti vicino a loro.
Certo si stavano persino ingozzando di maiale affumicato e patate arrosto, come se non ci fosse un domani. Ma non c’era da stupirsi, quella per loro era l’ora della seconda colazione.
« Ehi Gwend! Gimli! » ci fece cenno Pipino non appena ci vide, con ancora un coscio di pollo che gli usciva dalla bocca.
Il nano si diresse verso il bancone per ordinare anche per noi due, mentre io prendevo posto al tavolo dei due hobbit, sedendomi di fianco a Merry.
« Come è andata la riunione dei grandi? » sbuffò evidentemente ironico, ed offeso Merry.
Comprendevo quanto per lui doveva essere stato offensivo, in fin dei conti lui e Pipino avevano dato prova di grande coraggio, non avevano partecipato alla battaglia del fosso di Helm. Ma assieme a Barbalbero avevano guidato quella contro Isengard.
Peccato che il Re non sembrava averli presi troppo sul serio, ma in fin dei conti, gli unici che non li avevano trattati inizialmente come bambini, erano stati Erkenbrand e i suoi uomini.
« Non bene, il Re mi ha esiliato » dissi riassumendo le due ore di discussione in quelle poche parole.
« Cosa? » biascicò Pipino mentre entrambi si voltarono a guardarmi allibiti.
Scrollai le spalle, in una vano tentativo di fargli credere che la decisione non mi toccava veramente, senza però riuscirci. In fin dei conti, i due hobbit mi conoscevano da tutta la loro vita.
« Hanno scoperto che Gwend è in realtà anche Valanyar » dissi sperando che così gli avrei reso la situazione più chiara, ma ricevetti solo un altro paio di occhiate interrogative.
« Che sono una donna » bisbigliai trovando la situazione quasi ironica, quando i due si scambiarono un’altra occhiata, sempre più stralunata.
« Gli uomini sono degli idioti » sancì Merry prendendo un lungo sorso dalla sua birra, mentre io mi concedevo un piccolo sorriso.
« Sì direi che riassume abbastanza bene »
« E degli ingrati! Dopo tutto quello che hai fatto per loro! » aggiunse Pipino mostrando a tutti i presenti il contenuto della sua bocca, mentre continuava a masticare e parlare come se niente fosse.
Gonfiò le guancie, mostrandosi offeso al mio posto, mentre io mi ricordavo quanto giovane fosse. Non era neppure un adulto ancora, ma l’impresa lo avrebbe costretto a crescere sempre di più e sempre più in fretta.
« Cosa sono queste visi bui? L’ho portata qui così che poteste sollevarmela di morale, non perché metteste su il grugno pure voi! » si presentò al tavolo Gimli, porgendomi un boccale pieno di birra, assieme ad un vassoio con un altro maiale, che mise tra di noi, mentre lui si sedeva davanti a me e di fianco a Pipino.
« Ho fatto solo in tempo ad aggiornarli sulla situazione Mastro Nano » dissi per placare il suo animo, mentre lui prendeva a sua volta un sorso della bevanda ambrata.
« E invece prima del fattaccio, di cosa avete discusso? Sei stata via delle ore » disse Merry riportando la conversazione nella giusta carreggiata.
Lasciai l’onore di raccontare il tutto a Gimli, che era molto più portato di me, nel mangiare e parlare contemporaneamente, mentre aspirava perlomeno ¾ del maiale da solo.
Dove la mettesse anche lui tutta quella roba, per me restava un mistero. Più basse erano le creature nella terra di Mezzo, più mangiavano.
 


 
 
 
 
Quando nel pomeriggio, i mormorii attorno a noi si fecero sempre più persistenti, mi congedai dalla compagnia dei miei tre compagnia dei miei tre amici per lasciarli continuare a ridere in santa pace, senza doverli per forza contagiare con il mio malumore.
Purtroppo mi fu presto evidente, che la voce si era sparsa e quindi per me non vi sarebbe più stato un angolo di pace disponibile in tutta Edoras. Così andai nell’unico posto, dove possedevo un alleato che mi avrebbe lasciato sola con i miei pensieri: la stalla.
Mi diressi verso il box di Bucefalo che l’animale si stava godendo il suo pasto principale, gli porsi distrattamente le mele che avevo comprato nella locanda, mentre lo osservavo mangiare felice che non potesse invadere i miei pensieri, come alcuni suoi familiari.
« Gwend? » mi richiamò alle mie spalle una voce sottile e titubante, che però in quelle settimane, avevo imparato a riconoscere fin troppo bene.
« Cosa vuoi? » ruggii girandomi per incontrare lo sguardo titubante di Éomer.
Non mi interessava neppure se era venuto o meno in pace, ne avevo abbastanza di sguardi rubati da sotto le ciglia e sussurri che mi rincorrevano ovunque andassi.
Me ne ero andata dalle strade, proprio per starmene in santa pace, ma sembrava che i Valar volessero solo continuare a torturarmi.
« Solo parlarti » disse lui alzando le mani in segno di pace.
« Non ne ho voglia, ora vattene » soffiai nuovamente. Osservai Éomer che se possibile, mi guardava con la stessa espressione spaventata con cui lo avevo conosciuto anni prima. Solo che adesso non era circondato da mannari furiosi, ma solo da me e da dei cavalli di Rohan.
« Perfavore? » tentò lui dopo qualche secondo.
Sbuffai involontariamente una mezza risata. Era quello il meglio che sapeva fare? Chiedermelo perfavore ?
Non gli staccai la testa a morsi, quindi Éomer dovette prenderlo come un invito ad sedersi accanto a me, ai piedi del box di Bucefalo sul piccolo scalino di terra. Non era proprio a quel modo che avrei voluto interpretasse la situazione, ma non interferii.
« Quindi tu … Sei sempre stata una ragazza? Per tutto questo tempo ? » domandò prima di arrossire leggermente quando incontrai il suo sguardo timido, con il mio a dir poco esasperato.
« Già, di solito è così che funziona » confermai con una punta di sarcasmo che neppure mi sforzai di nascondere, mentre il rossore di Éomer si fece sempre più evidente.
L’uomo di Rohan passò i suoi occhi sulla mia figura, soffermandosi su di essa più a lungo di quanto fosse buona educazione, prima di schiarirsi la voce imbarazzato e guardare da tutt’altra parte.
« Ma comunque c’è dell’altro no? » domandò lui dopo una lunga pausa.
« Che intendi? » domandai guardandolo finalmente con una punta di curiosità, l’uomo parve comunque imbarazzato ma un po’ più a suo agio.
Come se avesse trovato un terreno meno accidentato sulla quale camminare.
« Beh a volte ti sei sempre comportata in modo strano … Eri sempre così sicura sugli eventi, come se conoscessi già la loro tabella di marcia. Poi quel giorno in cui sei caduta dal dirupo, Aragorn ti ha chiamata “Valanyar” non aveva pensato di molto al tempo. Ho creduto fosse un termine elfico per “fratello” o simile, poi anche Gimli nelle caverne ti ha chiamato come in un’abbreviazione “Val”, lì ho intuito che vi era qualcosa che non tornava.
Ma è stato l’altro giorno ad Isengard che il nome “Valanyar” non è più uscito dalla mia testa »
«Era quello che stavi guardando stamani prima del concilio. Il dizionario in lingua Sindarin » esclamai rimettendo assieme tutti i tasselli, ricordando anche con estrema precisione gli episodi di cui mi aveva parlato Éomer. Ricordavo che prima dello scontro nelle caverne, lui era rimasto sorpreso dai troppi percorsi che conoscevo, nonostante non fossi mai stata all’interno del Fosso di Helm prima di quel giorno.
« Già, stavo cercando di capire cosa significasse realmente poiché  mio Zio non l’aveva presa molto bene » commentò l’uomo con disinvoltura, attirando appieno al mia attenzione.
« Tu l’hai detto a Théoden? »
« Beh sì , ieri sera alla festa, mi sono confidato con lui. Ho pensato che avrebbe potuto capirci di più, non credevo che avrebbe capito che eri una ragazza » cercò di difendersi Éomer, senza riuscire a comprendere affatto il punto focale della situazione.
« Tu » urlai mettendomi in piedi e guardandolo dall’alto verso il basso con una nuova furia dentro « Hai pensato bene di andare a dire a Théoden che io vedo il futuro, o che comunque lo conosco? Al Re?! Lo stesso uomo che ha perso suo figlio lo stesso giorno del mio arrivo ad Edoras?! » ringhiai non riuscendo a credere alle mie orecchie.
« Cosa ? Beh sì, insomma non ne ero certo, se lo sapevi perché non hai fatto niente? » tentò di difendersi lui, mentre il suo sguardo iniziava a vacillare nel mio.
« Tu credi che mi diverta a giocare con la vita delle persone?! Credi che avrei fatto questo a tuo zio? Un uomo che conosco da quando era un bambino!? » strepitai di nuovo iniziando a marciare su e giù.
Sentivo gli occhi inumidirsi e non per la tristezza, ma per la rabbia. Sapevo che avrei dovuto mantenere un tono di voce più basso, non ero nella situazione adatta per ritrovarmi con un manipolo di guardie alle calcagna, ma a minuti avrei strozzato Éomer con le mie stesse mani.
«E perché allora non hai fatto niente!? Lo hai lasciato morire! Perchè!? » mi accusò a sua volta il cavaliere di Rohan mettendosi in piedi e venendo a grandi passi verso di me.
« Non osare ragazzino » lo avvertii sfilando la mia lama di sinistra e puntandogliela contro il petto, invitandolo a non fare un ulteriore passo in avanti.
« Ritengo che tu e la tua famiglia mi abbiate insultato abbastanza in un solo giorno. Tu piombi qui, e mi accusi di aver lasciato morire tuo cugino ma non sai niente. Perché sentiamo, tu invece dove eri mentre Thèodred moriva eh? E suo padre cosa stava facendo mentre permetteva ad un verme di intossicare la sua stessa nipote?! Dove eravate tutti mentre i vostri uomini morivano e i villaggi bruciavano ?
Tu vieni qui e mi accusi, pensando di essermi in qualche modo superiore, ma non sei niente di più del ragazzino imprudente e spaventato di un tempo. Quindi taci, e fai quello che vi riesce meglio, nasconditi. » sibilai prima di retrarre la mia lama ad andarmene a passo spedito dalla stalla.
Mentre me ne andavo sapevo, che la parte peggiore di tutte, era che non avevo avuto una buona spiegazione da dare a Éomer. Perché che spiegazione è “me ne sono dimenticata?”
Come una morte gloriosa non era una consolazione per un genitore, io non avevo una giustificazione per le mie azioni.
Continuai a camminare, percorrendo tutta Edoras fino alle sue mura, dove uscii ignorando il vuoto attorno a me fino a capire dove i piedi mi avevano portato.
Caddi in ginocchio, mentre urlavo fuori tutta la mia frustrazione per i miei continui fallimenti.
Per Théoden, per suo figlio, per Haldir e per tutti quelli che avevano ancora fiducia in me, e non sapevano che avrei condotto anche loro alla rovina.
Urlai fino a quando la gola non mi fece male, desiderando quasi di piangere ma senza alcuna lacrima da versare se non di semplice frustrazione. Mi accasciai, semiseduta tra l’erba e i Simbelmynë.
 
 
« Questa parte, non c’era nel libro vero? » disse Gandalf apparendomi di fianco come se niente fosse. Dalla voce non sembrava particolarmente turbato, al contrario della sottoscritta.
« Sai che io non ci sono nel libro » ribattei senza spostare il mio sguardo dai fiori che sorgevano sulla tomba di Thèodred. Non avevo idea del perché tra tutti i posti in cui sarei potuta andare, ero finita proprio lì. Ma mi era parso il posto giusto.
Chissà se in un'altra vita ero riuscita a salvare il figlio di Théoden? Chissà se percorrendo quella strada, sarei potuta restare pur venendo scoperta come donna…  Ma vi erano troppi sé, così mi limitai a fare quello che sapevo fare meglio nei miei momenti di maggiore tristezza. Niente.
« E’ un peccato » commentò dopo qualche minuto lo Stregone arrivando perfino a sedersi accanto a me « Sono certo che sarebbe stato molto più interessante » sbuffai, senza riuscire a trovare alcuna punta di umorismo.
Dopo la chiacchierata con Éomer il mio umore se possibile era solo peggiorato, e adesso non mi restavano che una manciata di ore prima di dovermene andare per sempre da Rohan.
« La verità è una cosa meravigliosa e terribile, per questo va trattata con cautela² » disse Gandalf poggiando la sua spalla contro la mia.
Se si stesse riferendo a quello che era successo con Théoden o nelle stalle con Éomer non ne avevo idea, ero stanca sfinita e per una volta, volevo solo poter evitare gli indovinelli dello stregone e avere un elenco puntato delle cose che voleva che facessi. Sarebbe stato più semplice a quel modo.
« Hai già così tanti pesi, non portare anche quello dei morti » disse Gandalf al mio fianco. Sapevo che il suo sguardo ricadeva sul mio viso, così alzai la testa per incontrare i suoi occhi. Li trovai caldi e accoglienti, come l’abbraccio di un genitore, ma anche distanti e tristi come se avessero detto troppi addii nella loro vita, ed ora si stavano preparando a dirne un altro.
« Dovremmo andare a Minas Tirith, avvertirgli del pericolo, non possiamo permettere a Mordor di coglierli completamente impreparati » dissi quasi come un automa, chiedendomi distrattamente come Boromir se la stesse cavando con la difesa di Osgiliath. Sarebbe resistito più a lungo di Faramir?
O lasciandolo lì, avevo solo posticipato la sua morte di qualche mese?
« Hai ragione comunque, Gondor va avvisata » commentò Gandalf facendo nuovamente breccia tra i miei pensieri « Qualcuno deve andare a Minas Tirith »
« Non voglio che ci separiamo ancora » confidai allo stregone, guardandolo con aria triste. Non avevamo ancora avuto nessuna occasione, per parlare davvero e nuovamente, solo io e lui.
In quel  momento, i tea a casa di Bilbo, mi mancarono più che mai.
« Lo so amica mia, i tempi ci sono avversi ma adesso abbiamo un po’ di tempo »
« Cosa intendeva Saruman l’altro giorno? Cosa ti preoccupa? » domandai saltando a piè pari la parte dove secondo le Stregone, Gandalf aveva sacrificato me e Frodo per un bene superiore, mettendoci su un cammino che ci avrebbe solo condotto alla  nostra morte.
Saruman non era certamente un veggente, e poi sia io che l’hobbit sapevamo bene quanto sarebbe stato arduo il nostro compito, non era quello a turbarmi.
« Vi sarà un'altra occasione per questo, abbiamo ancora un po’ di tempo » disse lui indicando con l’indice della mano destra, la mia iride sinistra.
Sapevo che oramai i miei occhi erano completamente bianchi, se non per qualche macchia scura, ad indicare un antico colore oramai perduto.
« E’ così poco Gandalf, credi che rappresenterà anche la mia fine? » domandai abbassando lo sguardo tra le mie mani « Dama Galadriel … Prima di andarmene mi ha detto delle cose … Credi che morirò Gandalf? Come - » Come Tauriel, avrei voluto concludere, ma non lo feci o lo Stregone sarebbe stato costretto a dimenticare anche la stessa domanda che gli avevo posto.
« No mia cara, io non credo » disse lui prendendo le mie mani tra le sue « Proprio come non sono morto io. A volte torniamo indietro sai? Magari diversi, ma sempre noi stessi » disse lui costringendomi ad incrociare il suo sguardo.
« Mi dispiace per averti portato a Moria » confessai ricordando con orrore il momento in cui lo avevo visto cadere.
« Anche a me, ma è stato necessario. Molte cose lo sono e non tutte ci possono piacere. Ma anche questo fa parte del viaggio della vita, non avevi scelta amica mia, non è colpa tua » mi ricordò Gandalf carezzando delicatamente i miei palmi « Ma forse qualcuno puoi ancora aiutarlo » aggiunse confondendomi.
« Vi è una fanciulla che sta soffrendo a causa nostra e non è giusto » annuii comprendo finalmente a chi si riferisse e sentendomi immediatamente in colpa per non averci pensato prima.
« Devo quindi andare » dissi muovendomi per alzarmi, ma venendo trattenuta dallo stregone con una mano sulla spalla.
« Magari possiamo ancora concederci qualche momento, restiamo qua ancora un po’ è una bella giornata, i fiori sbocciano anche nelle avversità qualcuno dovrebbe ammirarli »
Sorrisi, guardando il profilo dello stregone, che con lo sguardo perso verso l’orizzonte e sistemandomi nuovamente al suo fianco, inspirando il profumo dei fiori tutt’intorno a noi.
« Mi sembra giusto, non avremo molte altre occasioni per ammirare la bellezza di questa terra ».
E così passò il resto del pomeriggio, parlando del più e del meno con il mio Stregone preferito, osservando il cielo sopra di noi che cambiava colore.
 

 

 
 
Come mi aveva suggerito Gandalf, andai alla ricerca di Éowyn. Per mia fortuna, la trovai lungo le distese della sua città e non all’interno del suo palazzo. Non sapevo neppure, se mi sarebbe stato concesso entrarvi per cercarla.
« Mia signora » la chiamai non appena la trovai, mi dava le spalle ed in cima il piccolo colle che aveva scelto per un po’ di solitudine, non vi era nessun altro oltre a noi due.
« Éowyn » tentai nuovamente avvicinandomi di qualche passo, mentre lei si voltava verso di me con gli occhi gonfi e il naso rosso. Doveva aver pianto.
« Vi prego di capire, che ferirvi non è mai stata mia intenzione » dissi sincera. Se vi era qualcosa in tutta quella faccenda, per cui provavo veramente rammarico, era sicuramente non averlo detto ad Éowyn.
Avevo pensato di farlo quando l’avevo incontrata da bambina, ma era così giovane e il mondo era già stato così crudele nei suoi confronti che non potevo chiederle di portare anche quel peso per me.
« E’ dunque solo di un’ombra e un nome, di cui mi sono innamorata? » domandò lei retoricamente con voce flebile. Teneva le braccia strette al petto come se la gentile brezza primaverile, le procurasse freddo.
« Mio fratello ha dunque ragione, sono solo una sciocca … » aggiunse sottovoce, più verso se stessa che non per me da sentire.
« Non credo sia mai stato questo il caso Éowyn. Credo tu abbia cercato in me, qualcosa in cui credere, qualcuno da ammirare e che ti avrebbe potuto proteggere. Ma mia signora, voi avete tutta la forza che vi serve dentro di voi, non avete bisogno di nessun altro »
« Io … Vi sbagliate. Io non sono come voi, non sono forte come voi Gwend » disse stringendosi ancora di più in sé stessa.
« No infatti, voi lo siete molto di più » dissi avvicinandomi di qualche passo e invitandola ad incrociare i miei occhi, mentre le sorridevo gentilmente « La vostra forza è di un tipo diverso, ma affatto inferiore a quella mia o di tuo fratello. Non sarai mai libera veramente mia signora, non fino a quando non sarai tu a decidere di esserlo. Rohan deve essere la tua casa, non la tua gabbia, le sue mura devono proteggervi non costringervi al suo interno. » dissi raccogliendo con il pollice una lacrima che era sfuggita dal suo occhio sinistro.
Le labbra della ragazza si piegarono lentamente all’insù in un timido sorriso mentre i suoi occhi scavavano nei miei trovando tutta la sincerità di cui avevano bisogno, prima di abbassarsi nuovamente, con fare più timido.
« Vi sono grata per le vostre parole Gwend. Chiunque debba amarvi è molto fortunato »
 « Come lo sarà chi amerà voi mia signora » ribattei mordendomi il labbro inferiore per non farmi scappare altro. Speravo che le mie azioni passate, non avessero in alcun modo potuto intaccare la storia di Éowyn e Faramir. Ero certa che se tutto fosse finito per il meglio per il giovane Capitano di Gondor, allora quest’ultimo non avrebbe avuto altra scelta che innamorarsi perdutamente della dama dinanzi a me.
« Dovete andare vero? » disse lei spostando lo sguardo oltre le mie spalle, non avevo idea di chi fosse rientrato nel suo raggio visivo ma annuii.
« Avete sentito il vostro Re, non sono più la benvenuta. Spero comunque di rivedervi presto mia signora »
« Mio zio si renderà conto dei suoi errori. E’ un uomo di bene » disse prendendo la mia mano tra le sue, come se sperasse in qualche modo di trattenermi.
« Lo so. Théoden è sempre stato un buon amico, spero solo che avrò l’onore di rivendicarlo come tale »
« Addio Gwend » mormorò stringendo la mia mano un’ultima volta, prima di lasciarla andare.
« Addio Éowyn » la salutai infine prima di voltarmi per raggiungere Aragorn che notai appena in fondo alla collina.
Il ramingo mi chiese con una semplice occhiata, se andava tutto bene, mi limitai ad annuire prima di seguirlo, ovunque Gandalf avesse deciso di riunirci nuovamente.
 

 

 
 
La riunione fu istituita nelle stalle, quasi volesse prendersi gioco di me e della discussione avuta poche ore prima con Éomer.
Oramai il sole era calato all’orizzonte e gli animi di tutti erano fiacchi e indisponenti. Solo i due hobbit sembravano in qualche modo di buon umore, mentre mi indicavano il posto vuoto accanto a loro, che mi avevano tenuto da parte.
Andai incontro ad i miei amici, sedendomi accanto a Pipino su una panca di legno che assieme a degli sgabelli, doveva essere stata portata appositamente per quella strana riunione.
Il ramingo lasciò il mio fianco, ma non prima di avermi concesso un ultimo sorriso affezionato, prima di sedersi di fianco a Legolas.
«Ma quindi voi due siete realmente fratelli? » domandò Éomer dopo il breve scambio tra me e il ramingo.
 In realtà avrei preferito che non si fosse mai presentato, avevo creduto che dopo tutto quello che avevamo passato assieme, Éomer mi avrebbe ritenuto degno della sua fiducia. Che perlomeno mi avrebbe concesso il beneficio del dubbio, non certamente che sarebbe andato a spifferare al Re che probabilmente avrei potuto salvare suo figlio ma avevo scelto di non agire. O peggio, che io stessa l’avevo indirizzato verso quella strada.
Ma non potevo certo iniziare ad allontanare tutti coloro che tentavano di riavvicinarsi a me, solo perché io dovevo fare la ragazzina petulante che c’era rimasta male. Avevo più di un secolo, perfino un elfo era considerato un adulto alla mia età, non potevo mettermi a fare scenate contro il cavaliere di Rohan.
« Certo, siamo cresciuti assieme ad Imladris, lo conosco da quando ha dodici anni » risposi fingendo disinvoltura per non lasciar trapelare altro dal mio tono.
« Quindi non è davvero tuo fratello »
« Siamo stati entrambi adottati da Re Elrond di Imladris. Certo che siamo davvero fratelli » ribattei piccata voltandomi a guardare Éomer negli occhi. E tanti saluti alla diplomazia.
Il cavaliere si portò una mano tra i capelli, pettinandoseli con le dita con fare frustrato « Sì certo scusa, solo, è difficile capirti veramente. E’ come se dovessi riprendere le fila di tutto ciò che mi hai detto e tirarne fuor solo le cose vere e non sono molte » puntualizzò lui che di dispiaciuto aveva ben poco. Mi voltai verso di lui, assottigliando gli occhi come se fosse difficile metterlo a fuoco.
« Oh oh » sentii dire Pipino alle mie spalle.
« Già il ragazzo non è molto sveglio » convenne Merry accanto a lui prendendo una boccata dalla propria pipa.
« Le fila di tutto ciò che io ti ho detto? Éomer non mi conosci perché non ti sei mai sprecato a pormi alcuna domanda, avete sempre fatto da soli le vostre assunzioni »
« Sì certo, ma tu ce le hai lasciate fare, non è più così facile fidarmi di te e basta » ribattè lui evidentemente frustrato.
« Ti fidavi di Gwend, perché con Valanyar dovrebbe essere diverso³? » domandai sperando che la mia voce non fosse uscita così rotto come la sentivo. Era davvero bastato così poco non era vero?
Scoprire che ero una ragazza, improvvisamente mi rendeva alla stessa stregua di un traditore come Grima. Mi chiesi se l’ex consigliere del Re, anche lui avesse passato momenti simili, dove era stato accusato o maltrattato ingiustamente, e per questo gli era stato così facile voltare le spalle al proprio RE.
« Avo-dad Valanyar, lû naestangen baw [ Siediti Valanyar, gli serve tempo è inutile insistere ] » disse Aragorn mimandomi pacatamente di tornare al mio posto, lanciai un’ultima occhiata ad Éomer che però evitò il mio sguardo, troppo impegnato a fissare le proprie mani, prima di tornarmene a sedere accanto a Pipino.
Non appena mi sedetti, il giovane hobbit si fece più vicino, avvolgendo le sue mani sul mio braccio tirando leggermente la stoffa, come un bambino che chiedeva l’attenzione di un genitore.
Mi voltai verso di lui, con ancora la tristezza che aleggiava nel mio sguardo, mentre lui mi accennava un sorriso caldo come la Contea nelle torride giornate estive.
« Io preferisco Valanyar a Gwend sai? Gwend è un grande guerriero, ma Valanyar è una brava persona, non è forse questa la cosa più importante? » tentò lui spingendo le sue mani più in basso, fino a trovare la mia e accoglierla tra le sue dita che erano ancora più piccole delle mia.
Guardai l’hobbit, mentre mi ritrovavo a ricambiare il suo sorriso, stringendo le sue dita in un silenzioso ringraziamento.
Gandalf prese le fila della riunione, mentre io mi lasciavo piacevolmente distrarre dal calore del piccolo corpo che accanto al mio, continuava ad abbracciare il mio braccio come se fosse il peluche preferito di un bambino. Eppure in quel momento, era stranamente il bambino a star consolando il suo giocattolo, poiché per ogni secondo che passava in cui Pipino mi concedeva il suo calore, io mi sentivo meglio, minuto dopo minuto. Fino a quando non mi sentii nuovamente un po’ più me stessa.
E non un ammasso di una persona triste e persa nelle proprie recriminazioni.
 
 
« Oh, e questo è il momento in cui entri in gioco te mia cara, ho un compito per te » disse Gandalf attirando la mia attenzione che fino a quel momento, era stata intrattenuta da resoconti della Terra di Mezzo che già conoscevo.
Annuii, sentendomi già pronta e consapevole che non avrei comunque avuto molto tempo da perdere a prescindere da tutto. Ma forse quell’esilio cascava quasi in aiuto, mi avrebbe permesso di andarmene da Rohan senza far credere a nessuno che avessi perso la speranza.
Stavo solo seguendo le decisioni del Re, non fuggendo a causa di una futura sconfitta.
Gli uomini avrebbero potuto riporre la loro fiducia in Aragorn, come avevano fatto in passato. Ed oggi, con Erkenbrand, Éomer e Théoden alla loro guida, erano più forti. Forse gli animi non sarebbero crollai nel momento più cruciale della battaglia.
« L’occhio del nemico si sta muovendo, molto velocemente, qualcosa ha attirato il suo sguardo nell’Ithilien. Uno dei due fratelli potrebbe essere in pericolo » disse Gandalf lanciando un’occhiata che aggiungeva silenziosamente anche molto altro.
Era Faramir ad essere in pericolo, e la causa poteva essere lo stesso Boromir.
Che cosa era successo? Forse lo avevano incontrato e il Capitano di Gondor aveva cercato di rubare l’anello a Frodo. Sapevo che Faramir, avrebbe difeso l’hobbit a costo della vita, ma questo significava forse, che i due fratelli si sarebbero scontrati?
« Partirò subito per l’Ithilien, conosco il percorso che probabilmente hanno preso Frodo e gli altri, ne abbiamo parlato assieme più volte »
« Non puoi andartene da sola è troppo pericoloso! Mordor marcia su Minas Tirith ogni giorno è più vicino alla città bianca. Gandalf, permettimi di andare con lei » prese subito parola Aragorn.
« Sono d’accordo con Aragorn, abbiamo iniziato questo viaggio insieme, dovremmo finirlo come tali »
« E lo faremo » dissi stringendo il ginocchio di Gimli che era accanto a me, in un veloce segnale di gratitudine e affetto. « Ma voi non potete proseguire con me, dovrai convincere Re Théoden a partire Aragorn, dovete restare »
«  Potrei andare io con lei, gli uomini non hanno bisogno di me e non la rallenterei » suggerì Legolas prendendomi completamente alla sprovvista. Lo guardai come se gli fosse cresciuta un'altra testa, mentre Gandalf si lisciava la barba pensieroso.
« Ah scordatelo! Se va orecchie a punta vado pure io! »
« Hai perso la parte Gimli, dove mi assicuravo di non rallentarla? » ripeté l’elfo inarcando un sopracciglio divertito verso Gimli che gli fece un gestaccio che in altre situazioni mi avrebbe strappato una risata.
« Potrebbe essere una buona idea » soppesò lo stregone stupendomi ancora più di prima.
« No cosa? Gandalf, non dovremmo cambiare glie venti lo sai. Legolas deve attraversare la montagna con Aragorn »
« E lo farà, sono certo che farà in tempo, cavalcherà Ombromanto »
« Ma in questo modo tu verrai rallentato »
Lo stregone annuì « E’ vero, ma con un cavallo di Rohan, non perderei più di un giorno, uno e mezzo al massimo. Più che sufficienti per avvertire Rohan del pericolo. E se tu riuscissi a salvare la linea dei Hùrin, potrebbe essere ancora più utile non credi? »
Sospirai, riflettendo su cosa avrebbe portato nel cuore degli uomini di Gondor, la possibilità di avere non solo uno dei loro Capitani a guidarli nella resistenza della città. Ma entrambi.
Probabilmente, molte vite verrebbero risparmiate dall’incuria di Denethor, e con i due capitani e me e Gandalf presenti sulla scena, forse saremmo riusciti a tenere in piedi meglio le difese.
Avremmo potuto salvare così tanti civili…
Spostai lo sguardo su Legolas, incontrando subito i suoi occhi, mi guardava, in attesa di una mia decisione senza volersi intromettere troppo. Mi chiesi cos’altro avrebbe cambiato quello nelle sorti della compagnia.
« Va bene, ma ad una condizione » dissi rivolta verso l’elfo puntando i miei occhi dritti nei suoi « devi promettermi che se ti dirò di andartene e tornare da Aragorn, lo farai » dissi mentre Legolas annuiva.
« Non importa se io sono con una lama puntata alla gola, o morente in mezzo ad una collina. Non ci sono eccezioni a questo giuramento Legolas, lo esigo su tuo onore » dissi mentre sentivo Aragorn trattenere un sospiro ferito all’idea della mia incolumità.
Ma le opzioni erano o queste o niente, non potevo intraprendere un viaggio simile senza potermi fidare al 100% del fatto che l’elfo sarebbe stato pronto per fare la sua parte. A qualunque costo.
« Gwesta-nîm eneth [ Lo giuro sul mio onore ] » promise Legolas portandosi l’indice e il medio sulle labbra e chiudendo gli occhi, come a sigillare il patto.
« Valar gwedhel boe [ Che i Valar ti leghino ad esso ] » conclusi imitando i suoi gesti ignorando lo sguardo preoccupato che si scambiarono Aragorn, Gimli e i due cugini Tuc.
 

La riunione riprese lì dove si era fermata, mentre discutevamo il piano più idoneo per assicurarci l’alleanza di Rohan a Gondor.
« Sono certo che se Gondor accenderà i fuochi di Minas Tirith, mio zio risponderà alla chiamata. E’ un uomo d’onore, non accetterà che delle persone innocenti muoiano » intervenne Éomer, quando fu persino proposto di mentire il Re, fingendo un attacco sul confine per attirare la su attenzione sui pericoli che aleggiavano nella nazione vicina.
« Concordo con Éomer, anche io credo che risponderà ad una diretta richiesta d’aiuto » disse scambiandomi uno sguardo fugace con il cavaliere, prima di riportare il mio sguardo sul Bianco Stregone.
« Quindi è deciso, io partirò alle volte di Minas Tirith per convincere il Sovrintendete a chiedere aiuto, sperando che sia nelle condizioni di richiederlo » aggiunse quasi tra sé e sé le ultime parole, come se qualcosa lo preoccupasse ma non volesse condividere con tutti noi quel pensiero.
« Credi che anche Sire Denethor sia malato, come lo era mio zio? » domandò il nipote del Re, ignorando lo sbuffo umoristico che uscì dalle labbra di Erkenbrand alla parola “malato”.
« No, molto peggio, dietro le decisioni di Denethor, vi è solo la sua coscienza »
« Che lascia molto a desiderare considerando i tuoi racconti sull’uomo » commentò Merry rigirandosi nervosamente l’orlo della manica della propria giubba, mentre mi scoccava un’occhiata preoccupata.
« No infatti, ma forse vi è speranza. Se Valanyar avrà successo forse Denethor sarà in debito con noi e avremo una possibilità » commentò Gandalf poggiando una mano sulla spalla del più anziano dei Tuc, per riscuoterlo dal suo malumore.
« Credo comunque che dovremmo essere preparati anche per un piano alternativo, se non riuscite a convincerlo cosa si fa? » domandò Gimli saggiamente mentre esalava una boccata di fumo dalla sua pipa.
« I fuochi di Minas Tirith sono posti alto, sopra la cittadella, non c’è modo che Gandalf riesca a raggiungerli inosservato » disse Aragorn amareggiato mentre descriveva il percorso a intraprendere, con uno schizzo veloce, fatto con il dito sul terreno.
« Vi è una scalinata molto ripida, e dopo un altare solo per la legna. Senza contare che vi sono delle guardie in costante turnazione per proteggere il segnale. » concluse alzando lo sguardo sui presenti, prendendo in consegna il viso di tutti noi.
« Qualcuno di molto piccolo potrebbe passare inosservato » la buttò lì Pipino attirando l’attenzione di tutti su di se.
« Ti stai proponendo Pipino? » domandai voltandomi verso di lui, per sorridere all’hobbit.
« Beh, sarei anche abbastanza leggero da non appesantire il cavallo. Così Gandalf non verrebbe rallentato, poiché Legolas cavalcherà Ombromanto » aggiunse timidamente. Sentii la sua presa tra le mie dita aumentare, come se stesse cercando di impedire alle sue mani di tremare, mentre il suo viso manteneva un’espressione indifferente come se non avesse proposto di lanciarsi letteralmente, nel mezzo di una guerra.
« Non potreste andare entrambi però, due Hobbit darebbero troppo nel’occhio, anche se piccoli e astuti come voi » fece presente Aragorn guardando preoccupato tra Merry e Pipino. Ero certa che l’idea di lasciar andare via, proprio il più giovane dei due non gli piacesse affatto, soprattutto da quando li avevamo appena ritrovati, dopo averli persi a causa degli uruk-hai.
« Lo so, andrei io, sono più abile di Merry ad arrampicarmi » disse il giovane Tuc mentre ricambiavo con più energia la sua stretta.
Sentii Merry trattenere il fiato, mentre Gandalf annuiva, dando il suo consenso per quella nuova parte della missione, confermandogli  quindi, che i due si sarebbero dovuti separare al mattino.
« E così sia, Legolas e Valanyar partiranno stasera stessa. Io e il giovane Tuc invece, aspetteremo domattina, dopo esserci congedati dal Re, così che non sospetti nulla » disse lo Stregone, concludendo così la riunione.
Éomer si alzò per primo, congedandosi immediatamente mentre sfuggiva al mio sguardo, svenendo per primo fuori dalla stalla.
Avevo sperato, che avrei avuto occasione di dirgli addio, soprattutto quando, avremmo potuto non rivederci mai più.
Mi voltai invece verso i miei due Hobbit, che adesso discutevano animatamente sottovoce, mentre Merry diceva a Pipino quando fosse stupido e folle il suo piano.
« Quello che Merry intende dire, è che siamo entrambi orgogliosi di te. Ma siamo anche preoccupati, perfavore Peregrino Tuc, prenditi cura di te stesso, fino a che non saremo di nuovo al tuo fianco, d’accordo? » dissi poggiandogli una mano sulla spalla.
Il giovane hobbit annuì mentre si lanciava con un braccio verso Merry, ed un altro verso me, stringendoci tutti e due in uno strano abbraccio a tre, che però non sciogliemmo per vai minuti.
« Fate entrambi attenzione amici miei poiché le strade che affronteremo adesso, saranno sempre più insidiose. Ma le sfide che affronterete oggi, vi permetteranno di salvare la Contea domani » dissi ai due giovani amici mentre Pipino alzava lo sguardo nel mio, osservandomi preoccupato.
« La Contea è in pericolo? » domandò turbato.
« Lo siamo tutti Pipino » gli fece presente Merry, mentre io annuivo, con un sorriso amaro sulle labbra.
« Dunque la dichiarazione di Saruman era reale, quando ci ha visto assieme a Barbalbero, prima che arrivaste Valanyar.  Ci ha detto che la sua vendetta sarebbe ricaduta lesta e crudele su casa nostra » aggiunse amareggiato il Tuc più anziano.
« Se Rohan marcerà su Gondor, le truppe che oggi sono a difesa di Isengard verranno richiamate e Saruman fuggirà » confermai mentre Pipino sospirava amareggiato, evidentemente triste all’idea di dover far iniziare una guerra per proteggere una nazione, solo per perdere la sua casa.
« Ma non temete amici miei, il vecchio stregone, imparerà a sue spese, che gli Hobbit non sono creature da sfidare con leggerezza. Proteggeranno con le unghie e con i denti la loro casa, fino a quando non potremmo tornare ad aiutarli » dissi per rincuorarli, mentre li stringevo entrambi in un altro abbraccio, prima di costringermi a separarmi da loro.
« Ho anche un favore da chiederti Meriadoc prima di partire » dissi voltandomi verso l’hobbit. Il giovane annuì, quasi rincuorato di avere l’opportunità di mostrare a sua volta il proprio valore.
« Bada a Dama Éowyn, avrà bisogno del tuo aiuto quando scenderete in battaglia » bisbigliai solo a lui, lontani da orecchie indiscrete. Tranne forse quelle di Legolas, che però stava parlando con Aragorn, dandoci le spalle.
« Andrò in battaglia? » domandò lui evidentemente shockato, prima di aprirsi in un sorriso di sfida che ricambiai con un occhiolino.
« Conto su di voi amici miei, spero di rivedervi presto »
« Fai attenzione Valanyar mi raccomando, solo gli Dei sanno cosà ci farà Frodo se scopre che non ti abbiamo aiutata in ogni modo possibile » commentò il più anziano dei Tuc, rubandomi una risata, prima di dirigermi verso Gimli che se ne stava in disparte vicino Bucefalo, evidentemente in attesa di me.
 

« Mastro nano » lo salutai appoggiandomi alla stessa colonna di legno a cui era appoggiato lui.
« Veggente da strapazzo » mormorò lui mentre metteva via la sua pipa. Restammo qualche secondo in silenzio, guardando la parete dinanzi a noi, come se vi fosse stato impresso qualcosa di particolarmente interessante.
« Vedi di non morirci va bene ? » sussurrò poi incrociando gli occhi scuri con i miei « Questa compagnia diventerebbe incredibilmente noiosa senza di te »
« Anche tu Gimli e sappi, che è stato un onore viaggiare con te. Sono felice di poterti chiamare amico » confidai poggiandogli una mano sulla spalla e dedicandogli un sorriso sincero. Nonostante il dissapore iniziale, eravamo cresciuti molto assieme, finendo per apprezzare le nostre differenze. E ad oggi, non faticavo più a capire come avesse potuto Bilbo affezionarsi tanto alla compagnia di Thorin ScudodiQuercia.
« Altrettanto, sono felice che mio padre si sbagliasse su di te. Non avremmo potuto chiedere una figlia degli elfi migliore per questa compagnia » borbottò quasi mangiandosi le parole, mentre i suoi occhi si facevano leggermente lucidi. Portò la sua mano sopra la mia, che ancora riposava sopra la sua spalla, per stringerla in un gesto affettuoso, prima di farsi da parte, quando Aragorn entrò nella scena.
« Non voglio che tu te ne vada » disse il ramingo non appena Gimli si fu allontanato per andare a parlare con Legolas. « La tua separazione mi addolora troppo, e quello che ha detto Gandalf, non mi è piaciuto affatto »
« Non posso sfuggire alle mie responsabilità Aragorn, tu lo sai più di chiunque altro » dissi carezzando dolcemente il suo viso « Ci rincontreremo presto vedrai »
« Mi preoccupa il giuramento che hai fatto fare a Legolas » insistette lui guardandomi con due occhi colmi di tristezza.
« Ho dovuto Aragorn, sari costretto ad affrontare molti pericoli e voglio che Legolas ti sia vicino, avrai bisogno di lui e Gimli nella montagna » sospirai, affranta dall’idea di non poterlo seguire anche lì. Probabilmente se Théoden non mi avesse esiliato, ed io non avessi cambiato a quel modo il destino di Faramir sarei andata con lui. Ma i cambiamenti oramai erano in corso e nessuno di noi poteva più tirarsi indietro.
Il  ramingo infine mi concesse con sorriso spento, prima di abbracciarmi, stringendomi tra le sue labbra per l’ultima volta prima della battaglia di Minas Tirith.
« Si prudente » gli sussurrai nella veste mentre lui posava un bacio tra i miei capelli, rigirandomi la stessa raccomandazione. Infine fui costretta a separarmi da lui quando Gandalf ci venne incontro per informarci che era giunta l’ora per me e Legolas di partire poiché Ombromanto era appena apparso alle porte della città.
 
 
« Gwend » mi fermò Erkenbrand mentre stavo per infilare la prima staffa e montare su Bucefalo. Invece mi voltai verso l’uomo, per guardarlo meglio con un’aria curiosa.
Il Maresciallo ed io non avevamo parlato molto neppure durante la riunione indetta da Gandalf e anche se avevo saputo da Gimli che aveva affrontato il Re per difendermi,lui non aveva fatto niente per riavvicinarmi dopo ieri mattina.
« Volevo solo che tu partissi sapendo che la mia fedeltà risiede comunque con te. Io e i miei uomini abbiamo parlato, se il fuoco di Minas Tirith verrà acceso Rohan risponderà che il suo Re lo voglia o meno »
« Non è mia intenzione creare una tale crepa nella vostra nazione Erkenbrand io-»
« Non si tratta solo di te. Una volta tu andasti contro l’ordine diretto del tuo comandante per dare pace al mio villaggio, non l’ho mai dimenticato, macerò in onore di quel giorno. Per dimostrare a te, per dimostrare a tutte le razze, che negli uomini c’è ancora valore. » disse sfoderando la sua spada e portandosi l’elsa al petto, battendo il pugno sopra il cuore con un colpo sordo « Sior! » urlò nel silenzio della stalla « Spero che i Valar mi concederanno di incontrarti di nuovo »
Mi morsi il labbro inferiore, per trattenere il sorriso che minacciava di spuntare tra le mie labbra, felice di aver potuto conoscere la storia del Maresciallo, prima della fine.
Lasciai andare completamente la sella, per avvolgere un braccio attorno alle spalle dell’uomo, stringendolo in un mezzo abbraccio, con ancora la sua lama tra di noi.
« E’ stato un onore anche per me Erkenbrand. Il tuo coraggio continua a rendere onore a tua sorella. » mi allontanai poi lentamente, continuando a lasciare una mano sulla sua spalla, guardandolo fisso negli occhi ancora spalancati dallo shock
« Non dubitare però del tuo Re. E’ un grande uomo, si ricorderà di questo prima della fine e tu sarai fiero di averlo chiamato il tuo Signore, ancora una volta » gli assicurai dandogli un ultima pacca sula stessa spalla, aspettando che mi concedesse un cenno di assenso prima di voltarmi e montare a cavallo.
 

 
 

 
« Aspettate! » sentii urlare una volta che fummo già fuori dalle mura, non mi occorse neppure fermare Bucefalo, che rallentò il suo galoppo fino a fermarsi voltandosi indietro.
Ombromanto invece resto fermo più avanti, che con Legolas in groppa doveva aver deciso che ci meritavamo un po’ di privacy.
« Éomer » dissi sorpresa guardando il cavaliere di Rohan corrermi incontro.
« Volevo tu lo sapessi, non voglio che tu te ne vada senza saperlo »
« Di cosa stai parlando ? »
« Se Mithrandir accenderà i fuochi di Gondor come avete previsto, guiderò i Rohirrim in battaglia Gwend anche senza l’autorizzazione di mio Zio » disse piantando entrambi i piedi sul terreno, guardandomi negli occhi per condividere con me, tutta la sua serietà.
« Verresti diseredato » dissi ricordandogli a cosa andava incontro.
« Già ... Speravo che in tal caso, avremmo potuto formare un gruppo. Una banda di esiliati sai, qualcosa di simile » disse accennando un sorriso speranzoso, che non aveva niente a che fare con la pessima battuta che mi aveva appena rifilato.
Ricambiai il suo sorriso, facendo schioccare la lingua divertita mentre la stessa scintilla si accendeva negli occhi di Éomer.
« Dovrai comunque sottostare alla gavetta ragazzino, sarai ai miei ordini personali » lo avvisai prima di tirare verso l’esterno le redini di Bucefalo, stringendo leggermente le ginocchia per farlo ripartire al galoppo per andare incontro ad Ombromanto e l’elfo.
« Non desidero altro dalla vita! » mi urlò dietro Éomer, mentre la mia risata risuonava nella notte ed io e Legolas sparivamo tra le buie pianure di Rohan.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Una vita per una vita, ho pagato il mio debito¹ = Citazione di Mulan, cartone Disney.
 

La verità è una cosa meravigliosa e terribile, per questo va trattata con cautela² = Citazione di Harry Potter e La Pietra filosofale.
 

Ti fidavi di Gwend, perché con Valanyar dovrebbe essere diverso³ = Citazione tratta da Mulan, il cartone Disney. “ Ti fidavi di Ping, perché con Mulan dovrebbe essere diverso? “ è la frasazione reale.
 
 
 
NdA : Siete curiosi per il viaggio di Val e Legolas soli soletti nella Terra di Mezzo vero?
Non vedete l’ora giusto? Beh … E invece no!
Spero che non ci contaste veramente perché il prossimo capitolo invece, parlerà di Sam, Frodo e Faramir!
Credo di riuscire a sistemarlo così che, rientri tutto in un capitolo, e non vi costringa ad aspettare due capitoli per il primo appuntamento di Valanyar e Legolas xD
Conto comunque sul fatto, che sarete felici di sapere che fine aveva fatto il nostro amico Faramir! Non vi siete dimenticati di lui vero? Perché è il mio orgoglio e merita tutto il vostro affetto!
Detto questo, a venerdì!!!
 
PS: Mi scuso per aver postato così tardi, Ciao Darwin mi ha distratta xD

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Capitolo 14
*** Faramir - Frodo - Sam ***


▌ FARAMIR - FRODO - SAM  ▌
 








 
«  Quando non riuscirai a vedere il lato positivo,
mi siederò con te al buio »
 

__Alice nel Paese delle Meraviglie ; Lewis Carrol
 







 
« Frodo scappa! Trova Faramir! Al Fiume! »
Gli uruk-hai si stavano precipitando giù per la collina ad una velocità tale che Frodo per un attimo temette di restarne investito.
Osservò Valanyar sguainare le spade davanti a lui mentre gli urlava di andarsene, di fuggire e trovare il Capitano di Gondor. Ma l’hobbit sentiva la paura stringergli la gola come quella notte, lungo la strada della Contea quando avevano incontrato per la prima volta il Cavaliere Nero.
Una voce nella testa gli sussurrava di restare fermo, di farsi prendere, che quelle creature abominevoli non gli avrebbero fatto del male perché lui era importante. Era il signore dell’anello.
Scosse la testa, incrociando gli occhi della sua più cara amica che gli ammiccò un occhiolino e un sorriso affettuoso, anche in un momento simile, quando si trovava a pochi passi dalla morte.
« Ci rivedremo » gli promise prima di voltarsi ad affronta un uruk-hai grosso almeno il doppio di lei, nello stesso istante in cui l’Hobbit si obbligò a voltarsi e a correre nella direzione opposta.
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie, mentre incespicava tra le foglie e le radici, cercando di sfrecciare il più velocemente possibile verso il fiume.
Era lì che Valanyar gli aveva detto di andare, da Faramir quindi probabilmente era il posto più sicuro. Frodo non si fidava più di nessuno, non del Ramingo di nome Granpasso, non della bellissima e crudele Dama di Luce che aveva incontrato a Lòrien e ben che meno, di sé stesso.
Ma di qualcuno si fidava ancora, e quella persona in quell’istante stava affrontando un intero esercito di uruk-hai per permettergli di scappare, qualunque cosa avesse avuto in mente Valanyar, Frodo si fidava di lei.
Corse più velocemente, cercando di non farsi prendere dal panico quando inciampò su una radice, continuando a scivolare sulle foglie, verso il fiume.
Poteva quasi sentirlo ora, l’odore dell’acqua era sempre più vicino, ma lo erano anche le grida di battaglia dietro di lui e in un momento di idiozia, alzò lo sguardo da terra, voltandosi verso le voci che gridavano il suo nome.
« Frodo! » bisbigliò una voce pochi metri più in là, ma la conosceva quindi si mise a cercare con lo sguardo il proprietario tra le fronde degli arbusti.
Merry e Pipino lo guardavano, immersi dietro un cespuglio.
Appariva a Frodo come un ottimo riparo, probabilmente in quel modo, i suoi familiari se la sarebbero cavata.
Era tutta colpa sua, se adesso stava rischiando tanto, sperò i cuor suo che Sam avesse trovato un nascondiglio altrettanto buono e non fosse allo scoperto, alla ricerca di lui.
« Vieni qui Frodo forza! » urlarono nuovamente ma tenendo un tono sommesso, gesticolandogli lo spazio accanto a se stessi. Ma il moro scosse la testa, sussurrandogli delle scuse che non avrebbero potuto udire, ma che compresero ugualmente leggendogli il labiale:
« Mi dispiace, ma devo andare » gli stava dicendo. Così il più anziano dei due Tuc, prese in mano la situazione, quando vide due uruk-hai farsi strada tra gli alberi. Comprese che gli sarebbero serviti solo pochi passi per notare Frodo. Così fece la cosa più folle e coraggiosa che gli venne in mente, si alzò, attirando su di sé l’attenzione del guerriero.
« Vieni qui feccia disgustosa! Vieni a prendermi! » urlò attirando l’attenzione di tutti i nemici presenti.
Frodo non riusciva a credere ai suoi occhi mentre anche Pipino si tirava in piedi, tirando sassi verso le creature più vicine al suo amico, per attirare il loro sguardo lontano da lui.
« Ehi sta funzionando! » urlò ingenuamente a Merry, che lo prese per un braccio, ed iniziò a tirarlo verso di sé in una corsa scapicollata.
« Lo vedo che funziona! Corri! » Frodo osservò mentre i suoi cugini attiravano verso sé stessi l’attenzione di tutte quelle creature disgustose permettendo a lui, di completare la sua discesa in relativa sicurezza.
Arrivò sulle sponde del fiume, che i rumori della battaglia parvero attenuarsi tra le fronde dietro di lui, mentre in preda al panico si guardava tutt’attorno.
L’accampamento era deserto, Aragorn, Legolas e Gimli dovevano essere in mezzo agli alberi a lottare come Valanyar. Ma Faramir? Dove era il Capitano di Gondor?
« Frodo! » lo richiamò una voce proprio nel momento in cui stava iniziando a disperare « Frodo forza dobbiamo andarcene » disse Faramir entrando nel suo raggio visivo, aveva sulle spalle due zaini e in mano la spada sguainata. Nonostante i suoi occhi saettassero spesso verso i rumori provenienti dagli alberi, la sua postura era calma e sicura, come se si fosse preparato a lungo per quel momento.
« Andiamo, Sam ci sta aspettando, ho riparato una delle barche in quello stretto, in caso fossero giunti fino al fiume » l’hobbit annuì, mentre l’uomo di Gondor gli dava una pacca incoraggiatrice sulla spalla, invitandolo ad affrettare il passo.
Dopo neppure cinquanta metri, Frodo e Faramir ritrovarono Sam e l’imbarcazione elfica. L’hobbit aveva sistemato il suo zaino nella piccola barca, e si stava affrettando a spezzare tutti i remi restanti, tranne ovviamente, quelli destinati alla loro imbarcazione.
« Dobbiamo andare Sam, copriamo i remi restanti e le barche alla belle e meglio tra le foglie dobbiamo attraversare il fiume prima che si accorgano di noi » lo affrettò l’uomo.
I tre compagni lavorarono in fretta e assieme, mentre cercavano di ignorare le grida di aiuto dei giovani Tuc, e soprattutto quelle di disperazione che portavano il nome di Valanyar.
« Andrà tutto bene vedrai, Gwend è un grande guerriero » commentò Faramir dopo un urlo particolarmente straziante, che obbligò Frodo ad alzare il capo in quella direzione.
L’hobbit annuì, cercando di tenere a bada la voce che gli sussurrava tutti gli orrendi modi in cui i suoi amici sarebbero morti, e come lui, utilizzando l’anello li avrebbe potuti salvare.
Ma era una menzogna, e lo sapeva, l’anello li avrebbe solo condannati tutti, doveva essere forte ed ignorare quell’orrendo sussurro.
Si sedette per primo sulla braca, seguito poi da Sam ed infine Faramir che montò per ultimo, dopo averli spinti leggermente più a largo.
Attraversarono le acque in silenzio, mentre i due hobbit facevano del loro meglio per aiutare il giovane Capitano di Gondor a remare più velocemente. Ma le acque del fiume parvero accoglierli, nonostante stessero remando perpendicolari alla corrente, essa non li rallentò, anzi sembrò accompagnarli facilitando la loro traversata.
Frodo si ricordò di fare un ringraziamento silenzioso per le acque, mentre finalmente la piccola imbarcazione attraccava sulla riva, portandoli tutti a scendere.
Faramir porse il suo zaino personale a Sam, poiché era il più leggero e prese su di sé quelli di Frodo e di Sam, che conteneva la maggior quantità di provviste per il viaggio.
 
« E’ Valanyar » sussurrò Sam in mezzo ai due compagni. L’hobbit giardiniere, stava guardando la sponda opposta, e esattamente dall’altra parte, tutti riconobbero la figura slanciata che li osservava dalla riva.
« E’ viva » mormorò grato Sam, mentre i suoi occhi brillavano dalla felicità. Aveva temuto per la sua signora, più che per se stesso, poiché se lei fosse caduta sapeva che il suo amato Signore non sarebbe riuscito ad andare avanti. Occorreva determinazione per salvare ciò che si ama, ma nel tragitto non puoi perdere tutto, o di te non sarebbe rimasto niente.
« Dobbiamo andare » disse Faramir poggiando una mano su ogni spalla dei due hobbit «La strada è lunga » aggiunse mentre Frodo si voltava, lanciando un’ultima occhiata ai membri della compagnia.
Erano giunti anche Aragorn, Legolas e Gimli, ma non vi era traccia di Merry e Pipino. Frodo si rifiutò di pensare al peggio, ma ovviamente quel pensiero sorse comunque nella sua mente, come in quella dei suoi due compagni.
« Sì andiamo » concordò mentre anche Sam iniziava a seguirlo, addentrandosi tra gli alberi assieme a lui.
 


 


 
Camminarono per giorni, fino a quando persero ogni traccia del fiume e degli alberi che lo abbracciavano.
Adesso vi erano solo rocce, su rocce lungo il loro cammino e ogni giorno pareva scorrere nello stesso luogo per i due Hobbit.
Solo Faramir sembrava riuscire ad orientarsi senza problemi, seguiva un percorso, che a quanto pareva gli era stato mostrato da Valanyar stessa. Quando questo fosse successo, i due della Contea non ne avevano idea, ma la situazione li aveva un po’ rincuorati, poiché era un po’ come se la compagnia non avesse mai fallito.
« Mordor » annunciò Faramir da in cima un masso, che precedeva un burrone a picco.
« Spero che gli altri ci arrivino più facilmente, perché così è una faticaccia. Scommetto che è per questo che Valanyar ci ha lasciati andare da soli » commentò Sam mentre si sedeva in terra, sorseggiando un po’ d’acqua dalla sua borraccia prima di porgerla a Frodo, che la prese altrettanto volentieri, accennando un sorriso dinanzi la battuta del compagno.
« Temo che non la rivedrò più » commentò l’hobbit moro, prendendo una piccola sorsata d’acqua, mentre osservava le nubi nere in lontananza.
« Perché dite così Frodo? » domandò Faramir scendendo dalla sua roccia e avvicinandosi al portatore dell’anello.
« Non saprei, quando l’ho guardata l’ultima volta ho come avuto l’impressione che avrei dovuto imprimermi a fuoco nella mente il suo viso. Perché non l’avrei rivista » spiegò cupo Frodo. Nessuno dei presenti ebbe il coraggio di interferire con i sentimenti bui dell’hobbit, mentre nei suoi occhi era possibile leggere tanta cruda tristezza.
« Magari sì Padron Frodo, magari sì » tentò dopo qualche minuto di silenzio Sam, mentre si avvicinava all’hobbit più anziano, prendendogli una mano tra le sue e lasciando che i loro sguardi si incrociassero così che Frodo potesse leggere in essi, tutto l’ottimismo che il Giardiniere portava con sé « Se vi è qualcuno capace di sconfiggere la morte, è proprio lei, la rivedremo vedrete » disse stringendogli nuovamente la mano per trasmettergli il proprio calore.
I due si persero negli occhi dell’altro per qualche altro secondo, prima che Frodo sorridesse, ringraziando il più giovane.
« Sono felice che tu sia con me Sam » disse sincero prima di aggiungere « E anche tu Faramir »
« Oh certo non fate caso a me » commento il giovane Capitano di Gondor che aveva assistito alla scena con un sorriso sornione « Sono solo di passaggio » tentò umoristico, rubando una leggera risata ai due compagni, prima di rimettersi in piedi per valutare il da farsi.
« Dovremmo scendere lungo questo crinale, Sam avete ancora vero la corda donatavi da Dama Galadriel? » domandò il soldato di Gondor, guardando oltre il precipizio. Non si vedeva il fondo il che non faceva ben sperare, ma se non errava, ricordava che la corda elfica tendeva ad essere sempre lunga esattamente quanto ne necessitavi.
Chissà se la Dama Elfica aveva previsto persino che si sarebbero divisi. Sicuramente non aveva previsto lui, poiché gli aveva consigliato di morire lungo le sponde del fiume.
Una volta ancora, Faramir sperò che Gwend avesse ragione sulla strada scelta, e che il suo attaccamento alla vita, non avrebbe finito per condannarli tutti.
« Certo » disse l’hobbit iniziando a frugare nel suo zaino, che Faramir aveva poggiato a terra poco prima di fermarsi.
 
La discesa fu lunga e noiosa, anche se la parte dove Sam preferì rischiare di uccidere Frodo piuttosto che perdere il suo sale per condimenti, tirò su l’umore di Faramir come non succedeva da quando si erano separati dagli altri.
« Potremmo prepararci un pollo arrosto » stava dicendo l’hobbit giardiniere mentre il soldato di Gondor cercava di trattenere l’ennesima risata « Non si sa mai! » persistette il mezzuomo strappando una risata anche al suo padrone.
In quel momento Faramir decise che se avesse potuto, avrebbe dovuto cacciare a tutti i costi un uccello, un fagiano magari non sarebbe stato male, solo per vedere quell’espressione soddisfatta nel viso di Sam.
« Non possiamo lasciarla qui » commentò Frodo riguardo la corda che ancora penzolava lungo l’alto muro di pietra, di cui adesso non si vedeva la fine.
« Ah non c’è niente da fare, il nodo l’ho fatto io. Non si scioglierà facilmente » e così come toccò la corda elfica, ella cadde ai suoi piedi riprendendo la sua normale lunghezza mentre Sam si ritrovava ammutolito a fissare il groviglio ai suoi piedi e Frodo e Faramir se la ridevano di gusto.
In quei momenti, pareva a tutti loro di potersi dimenticare quanto fosse suicida la loro missione ma bastava poco per rovinare ogni volta il loro buon umore.
 
Un sussurrò nella mente per Frodo, o un’occhiata verso la catenella che l’hobbit portava al collo per Sam e Faramir.
La pelle oramai aveva assunto un orrendo colorito come se si stessero preparando ad uscire varie vesciche. La catena elfica avrebbe impedito all’anello di sfuggire, ma a pagarne il prezzo era ancora una volta Frodo che sembrava dover lottare contro un nuovo e costante dolore.
« A breve saremo costretti a medicarti » commentò Faramir guardando sotto la nuca del mezzuomo con preoccupazione.
Frodo tentò di ignorare la voce nei suoi pensieri, che cercava di convincerlo che l’uomo di Gondor cercava solo una scusa per prendersi l’anello. Voleva che abbassasse la guardia così avrebbe potuto ucciderlo e rubarglielo…  E Frodo non poteva permetterglielo no, l’anello gli era così caro, non voleva separarsene. Forse avrebbe dovuto toglierlo da quella catena, sarebbe stato molto più al sicuro al suo dito, sì forse doveva fare così …
Frodo scosse il capo, cercando di schiarirsi le idee mentre alzava gli occhi, incontrando quelli del soldato di Gondor.
Faramir lo guardava con un sorriso triste, non era lo sguardo di un ladro o un traditore, ma di un amico che era preoccupato per lui che voleva solo risparmiargli un minimo di quel dolore. Quell’uomo sarebbe morto per proteggerlo e una parte dell’hobbit lo sapeva, quindi si costrinse ad annuire al giocane Capitano, mentre spostava delicatamente i suoi riccioli neri dalla base del collo.
Sam si avvicinò cauto, mentre osservava la fresca ferita che la catena aveva procurato sulla pelle di colui a cui teneva di più a mondo. In quel momento, voleva solo strappare via quell’orrendo anello dal collo di Frodo e lanciarlo via, lontano, dove non avrebbe più potuto ferire il suo padrone.
Ma la sua signora lo aveva avvertito, Valanyar era stata molto chiara, Frodo non sarebbe mai stato salvo fino a quando l’anello sarebbe esistito. I loro destini erano legati.
« Valanyar mi ha dato un po’ della sua pomata elfica Padron Frodo aspettate. » disse l’hobbit frugando tra le tasche del panciotto  e trovando in poco tempo l’ampolla, nascosta tra vari strati di stoffa.
A Sam era particolarmente cara, Valanyar aveva rinunciato a metà della sua dose per affidargli tutta quella quantità e anche se lei marciava verso la guerra aperta, aveva preferito che l’avesse Sam. E lui non ne avrebbe sprecata neanche una goccia.
Si unse attentamente i polpastrelli di tre dita, prima di carezzare con più delicatezza possibile la pelle rossa e gonfia del collo. Frodo gemette, sentendosi come se qualcuno gli stesse offrendo dell’acqua fresca dopo un intero viaggio nel deserto. La pomata fece subito effetto, mentre sentiva le spalle immediatamente più leggere, e quell’eterno dolore farsi sordo nel retro dei suoi pensieri.
Frodo ebbe uno scorcio del suo passato, di quando non era altro che un ragazzino e aveva raccontato a Valanyar come aveva perso i propri genitori e che iniziava a dimenticarsi il suono delle loro voci.
Riprovò di nuovo quella sensazione di calore che aveva provato allora, consumando sulle spalle della ragazza tutte le sue lacrime, mentre lei gli aveva accarezzato i riccioli senza mai lamentarsi della scomoda posizione, canticchiandogli una dolce melodia per coprire  suoi singhiozzi. Frodo si ricordò cosa aveva provato quel giorno, si ricordò ancora una volta, che non era solo a vivere quella vita, che vi erano persone che desideravano rivederlo per poterlo amare di persona, non appena fosse riuscito a distruggere quell’orribile anello.
« Grazie Sam » mormorò l’hobbit voltandosi verso il suo amico più caro. Sperò di riuscire a trasmettergli il suo affetto in quel breve sorriso e a giudicare dal rossore che si sparse sulle guance del giovane giardiniere, ci riuscì.
 


 



 
« Faramir sei sicuro che non ci siamo persi? Quella roccia credo di averla già vista » disse Sam alle spalle di Frodo e Faramir che stavano camminando uno di fianco all’altro.
Il portatore dell’anello aveva bisogno di distrarsi, poiché quella mattina la testa gli faceva più male che mai, così si era volentieri sottoposto ad una chiacchierata leggera sull’infanzia del Capitano.
Gli aveva raccontato di suo fratello Boromir e del suo incontro con Valanyar. Di suo padre invece, non aveva mai fatto accenno ma Frodo non indagò oltre, ricordandosi che per l’uomo doveva essere un tasto dolente.
« Non preoccuparti Sam, può sembrare che stiamo girando in tondo ma conosco la via » lo rassicurò il Capitano mentre l’hobbit annuiva.
A lui, continuava ad essere tutto familiare quindi si riteneva più grato che mai che il giovane uomo fosse con loro. Era piuttosto certo, che senza Faramir lui e Frodo si sarebbero già persi più volte.
Soprattutto perché Sam avrebbe preso come punto di riferimento quelle orrende nuvole che aleggiavano in eterno su Mordor e avrebbe puntato dritto verso di loro.
Il Capitano di Gondor invece, decideva la loro direzione durante le ore notturne, senza curarsi se a volte Mordor appariva alla loro sinistra o davanti a loro, ieri erano passate ore prima che riuscissero nuovamente ad avvistare l’orrendo posto.
Sam non se ne lamentava, quelle nuvole lo mettevano sempre di malumore.
« Cosa ci è rimasto di cibo? » domandò Frodo dopo un’altra ora, mentre lo stomaco dei suoi compagni gorgogliava, per una volta imitato dal suo.
« Emh… » mormorò il giardiniere frugando nel suo zaino « Pan di Via!  » commentò entusiasta « Ed, ancora Pan di Via! » aggiunse con un sorriso che apparve quasi sincero ai suoi due compagni.
« Riempiti un po’ lo stomaco Frodo, più avanti troveremo degli alberi, cercherò di prenderci un fagiano o un coniglio, così da rimetterci un po’ in forze » commentò Faramir riempiendo di entusiasmo il giovane Sam.
« Questa è una notizia meravigliosa! » commentò l’hobbit mentre prendeva un morso della schiacciata elfica, porgendone più della metà a Frodo che la addentò con molto meno appetito.
« Vedrete padron Frodo vi preparerò una cena deliziosa! Sarà degna di una cena a casa di Padron Bilbo! » annunciò con ritrovato vigore l’hobbit mentre non appena Frodo ebbe finito di spiluzzicare la sua merenda, riprendendo tutti la marcia ma con umore infinitamente migliore.
Niente riusciva a rendere un hobbit felice, quando la prospettiva di una buona cena.
 


 
 
 
 
« Ma la sentite che puzza? Deve esserci una palude rancida da qualche parte qui vicino o che so io. Disgustoso » commentò Sam dalle retrovie, mentre si sventolava una mano davanti al naso.
Faramir e Frodo si guardarono per qualche secondo di troppo, comprendendosi a vicenda fin troppo bene, poiché entrambi avevano riconosciuto il pericolo. Non erano soli ed oramai la distanza tra loro e la creatura di nome Gollum di cui Gwend lo aveva messo in guardia, si era fatta esigua, avrebbe tentato di colpire quella notte stessa e il Capitano di Gondor lo sapeva.
« Vai pure a riposarti un po’ con Sam, io cercherò un posto per la notte, temo che a breve inizierà a piovere non voglio che ti bagni » gli disse onestamente Faramir, mentre mandava il portatore dell’Anello ad avvertire il compagno restante.
Una parte di lui, si chiese se sarebbe stato proprio necessario, forse Gwend si sbagliava e Frodo sarebbe stato d’accordo con l’ucciderlo e tanti saluti. Ma la sua amica l’aveva avvertito che lui non sarebbe potuto restare con gli hobbit fino alla fine del loro viaggio, prima  o poi gli eventi lo avrebbero costretto ad abbandonarli e se la loro unica possibilità fosse stata davvero quella fetida creatura? Come poteva Faramir privargliene?
Senza contare che secondo il Capitano di Gondor vi era qualcos’altro, qualcosa che Gwend non aveva voluto dirgli a proposito di Frodo. Altrimenti, perchè rimandare proprio all’hobbit la sua sorte? Frodo aveva un cuore buono, lo aveva visto Faramir mentre era stato costretto anche ad affrontare i goblin a Moria. Aveva tolto loro la vita perché doveva, ma in nessun momento era parso sicuro di sé, anzi l’idea di uccidere qualcuno sembrava ripugnarlo almeno quanto aver visto lo Stregone cadere.
Dopo meno di un’ora di ricerche il Capitano di Gondor tornò dai suoi compagni, felice di portare buone notizie di un possibile riparo, non lontano da lì poiché iniziava a piovigginare.
Data la situazione geografica, non era proprio l’ideale, ma la sporgenza rocciosa che aveva scovato, era sufficientemente lunga per accoglierli tutti e tre seduti e gli permetteva perfino di accendere un piccolo fuoco. Soprattutto se la pioggia avrebbe continuato a cadere perpendicolarmente grazie all’assenza di vento. Ogni tanto anche loro si meritavano un briciolo di fortuna, e Faramir riteneva che i due poveri hobbit
non si meritassero anche un raffreddore.
 
La notte scese veloce su di loro, Faramir fece sistemare Frodo nella parte più interna al muro mentre lui e Sam prendevano i lati. Nessun membro della compagnia si sentiva a suo agio, ma non avevano altra scelta se non lasciarsi avvicinare da chi li stava inseguendo.
L’uomo continuava a ripetersi le parole di Gwend, di come non avrebbe dovuto ucciderlo, non importava quanto spregevole fosse, la sorte della creatura era legata a Frodo e lui si sarebbe dovuto trattenere dal ferirla mortalmente.
Ma quando i primi rumori si fecero evidenti sotto lo scroscio della pioggia, tutti e tre rabbrividirono mentre il buio portava con sé i bisbigli della creatura di nome Gollum. Sam si costrinse a stringere più forte gli occhi, mentre cercava con tutto se stesso di non spalancarli per guardare sopra di sé, con il suo istinto che gli urlava di scappare il più lontano possibile.
L’acre odore si fece sempre più prominente costringendolo a deglutire per evitare che la cena della sera gli tornasse in gola mentre i sussurri che fino a quel momento erano parsi come un parlottio incomprensibile, assumevano un senso:
« I ladri, i ladri schifosi. Ce lo hanno tolto, rubato » la creatura parlava al plurale come se vi fosse qualcuno assieme ad essa. Ma chi avrebbe mai potuto scegliere di passare un’eternità assieme a Gollum?
Faramir strinse la sua presa sull’elsa della spada mentre drizzava le orecchie.
Doveva essere sopra di loro, un magnifico arrampicatore per riuscire a scendere da una simile roccia senza l’utilizzo di alcun cordame. Piccoli sassi scivolarono tra i suoi capelli e capì che si era spostato da sopra di lui cosa che fece increspare al soldato un sopracciglio. Era certo che la creatura fosse senziente e scaltra per averli seguiti fino a qui, allora perché non attaccava il più forte della compagnia?
« Il mio Tessoro! Maledetti…Noi li odiamo è nostro lo vogliamo! » Faramir riconobbe lo scatto di due gambe che prendono lo slanciò e con un salto repentino si alzò frapponendosi tra Gollum e Frodo che si era alzato anche lui in quel momento.
La creatura era ancora più rivoltante di quando Faramir fosse riuscito a scorgerne sul fiume, ma lo attaccò senza timore mentre si fiondava contro di lui, mirando immediatamente ai suoi punti vitali.
Ma il Capitano di Gondor non era certo un hobbit inesperto, schivò l’attacco girando la spada su stessa e colpendo la creatura con il piatto della lama. Così che non lo ferisse ma lo rintronasse, Gollum si girò folle di rabbia ma ebbe solo il tempo di gridare nuovamente prima che subisse un calcio dritto in bocca dallo stivale di Faramir.
Gollum rotolò di qualche metro, scattò per cercare di atterrare un altro avversario, uno di quegli schifosi hobbit magari, quello magro aveva il suo tesoro, ma fu fermato prima che potesse fare niente, dalla punta di una lama lungo la sua gola.
Gollum gemette, guardando la lama  elfica che risplendeva sotto la luce della luna. Il portatore dell’anello lo minacciava a terra con un’espressione indecifrabile mentre veniva affiancato dai suoi compagni.
« Questa è Pungolo, l’hai veduta altre volte dico bene Gollum? » sibilò Frodo mentre osservava il volto della creatura davanti a lui. Gollum mugolò, come un animale ferito, si raggomitolò su se stesso portando le mani davanti al viso come se fosse abituato a venire picchiato e si preparasse al peggio.
« Tolto, rubato, schifosi hobbit della Contea » mugolò come se stesse parlando con qualcun altro, mentre Sam e Faramir si scambiavano uno sguardo dubbioso. L’uomo rinfoderò la spada facendosi avanti per affiancare il portatore dell’anello che intelligentemente non aveva ancora abbassato la lama.
« Cosa ne facciamo di lui Frodo? » domandò il giovane Capitano osservando la figura rannicchiata a terra.
« Beh lo uccidiamo ovviamente, no? » disse Sam guardando incerto tra il suo Padrone e Faramir. Onestamente non vedeva l’ora di mandare quella schifezza all’altro mondo. Puzzava in maniera terribile e per quanto lo riguardava rappresentava solo un pericolo costante per Frodo. Voleva l’anello e per esso li avrebbe sicuramente uccisi tutti nel sonno alla prossima occasione.  Se Faramir non fosse stato con loro, chissà se sarebbero mai riusciti a trattenerlo.
« Potremmo legarlo » propose Frodo lanciando un’occhiata incerta all’uomo accanto a sé. Faramir ricambiò la sua occhiata con un sorriso mesto.
Avrebbe preferito anche lui ucciderlo e togliersi la preoccupazione una volta per tutte, ma comprendeva Frodo, ora che Gollum era raggomitolato a terra, mendicando pietà tra un insulto e l’altro era difficile non provare pena per lui.
Suo padre, lo avrebbe probabilmente definito un debole per quello e forse era così, ma in certi momenti era grato di non essere uno forte se significava uccidere senza rimorso una creatura tanto distrutta dalla vita.
 
Ovviamente l’unica corda disponibile risultò quella elfica, ma da subito non apparve una buona idea.
Gollum urlava e rotolava cercando di togliersi il cappio dal collo senza riuscirci.
Sam guardava con un misto di fascino ed orrore la creatura che si grattava come se cercasse di strapparsi la pelle dai muscoli, la corda era così larga che la sua testa sarebbe passata dal buco con facilità.
Inizialmente Sam gliela voleva stringere, ma Gollum aveva preso a gridare non appena era entrata a contatto con il suo collo e per quanto all’inizio l’hobbit avesse pensato che fosse un trucco, adesso gli faceva pena chiedendosi se non vi fosse una soluzione migliore, sembrava davvero soffrirne e Sam non era certo un torturatore provetto.
« Tutti gli orchi di Mordor sentiranno le sue urla, non possiamo proseguire in questo modo » annunciò Faramir dando perfettamente voce ai pensieri di Sam.
« Potremmo lasciarlo qui » suggerì l’hobbit passandosi una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore. La mano gli tornò indietro umida e leggermente sudicia, non ricordava neppure l’ultima volta che aveva potuto fare un bagno caldo, gli mancava la Contea ma sperava di puzzare meno della creatura davanti a lui. Quello si che sarebbe stato un affronto.
« Non potete lasciarci qui! Loro ci uccideranno! » supplicò Gollum momentaneamente distratto, crollando sulle ginocchia e spostando lo sguardo implorane sui tre presenti. Sam lo evitò, mentre Frodo e Faramir lo studiavano.
« E non meriti forse la morte? » domandò Faramir guardandolo, l’hobbit più anziano spostò lo sguardo sull’uomo di Gondor, ma lesse nel suo sguardo la stessa pietà che sentiva nel suo cuore. Come lui, Faramir non sarebbe riuscito ad ucciderlo, e abbandonarlo alla stregua degli orchi, sembrava solo un tipo diverso di omicidio e Frodo sapeva che l’uomo che viaggiava assieme a lui, non era il tipo da lasciarsi fuorviare da certe sottigliezze.
« Noi siamo gentili se loro sono gentili. Toglietecela! Noi giuriamo di fare quello che volte. Giuriamo! » disse Gollum accennando un orrendo sorriso con i soli quattro denti rimastigli.
« Non c’è promessa che puoi fare di cui io mi fidi » gli rispose saggiamente Frodo. Anche se non fosse stato vittima della persuasione dell’anello, l’hobbit dubitava che la creatura sarebbe stata degna di qualunque tipo di fiducia.
« Giuriamo di servire il padrone del Tesoro, lo giuriamo sul… sul Tesoro sì! » ribatté esultante Gollum mentre fissava il collo di Frodo, da cui era possibile intravedere una sottile linea dorata come se fosse sotto ipnosi. In quel momento a Faramir fece ancora più pena, ma allo stesso tempo intuì quanto fosse pericoloso. Se anche li avesse accompagnati fino al Monte Fato mantenendo la sua promessa, non avrebbe mai permesso a Frodo di distruggerlo.
« Ti vincoliamo alla tua parola » disse Frodo dopo essersi scambiato uno sguardo d’intesa con Faramir che aggiunse « Possa la morte raggiungerti in fretta se oserai infrangerla ».
Le parole risuonarono solenni nella valle, mentre i Valar stessi sembravano seguire la scena. Gollum si voltò a guardare l’uomo alto, riconoscendo in lui fattezze che non aveva mai scorto in altri, mentre un tuono rimbombava forte nel cielo suggellando il giuramento. La creatura rabbrividì mentre la parte più debole di lui mugolava sapendo in cuor suo che quella sorte sarebbe stata la sua se avesse mancato alla parola data.
« Una nostra amica sostiene che conosci una via nascosta per arrivare a Mordor, una via per degli acquitrini » aggiunse corrucciando le sopracciglia. Gwend gli aveva assicurato che quella strada sarebbe stata più veloce e sicura poiché tranne Gollum, era nascosta a chiunque altro. Certo li avrebbe portati leggermente fuori strada, facendoli avvicinare al nero cancello ma se alla fine gli risparmiava del cammino tra i sassi, era sicuramente la scelta migliore.
« Oh sì! Gollum conosce! Noi vi possiamo portare! » disse la creatura mentre Faramir si avvicinava a sfilargli il cappio. Sam fece un verso di disappunto ma non commentò oltre mentre Gollum tratteneva uno sguardo di terrore alla vicinanza dell’uomo. Ma quest’ultimo non lo picchiò né lo strattonò più forte con la cattiva corda elfica.
Oh no, fu gentile, Gollum non conosceva la gentilezza non la ricordava, ma notò che l’uomo bravo a combattere gli sfilò via la cattiva corda facendo attenzione a non sfiorargli ulteriormente la pelle. La creatura non capì cosa fosse, ma  non gli piaceva il dolore e ora stava meglio senza corda, quindi saltellò un po’ sul posto prima di guardare nuovamente verso il suo Padrone. Il Padrone del tesoro era il suo Padrone e lui l’avrebbe guidato sìsì, verso gli acquitrini avevano detto.
« Venite, seguite Gollum. Lui conosce la strada oh sì! » la creatura scattò in avanti, obbligando il resto della compagnia a stargli al passo. Faramir prese in spalla tutti e tre gli zaini mentre dava una pacca rassicurante sulla spalla di Sam, che si aprì in un sorriso timido.
L’hobbit sapeva che poteva fidarsi dell’uomo di Gondor, ma soprattutto di Valanyar se la sua signora aveva detto che Gollum poteva aiutarli allora era così. E solo gli Dei sapevano, di quanto aiuto avevano ancora bisogno prima di vedere la fine di quel viaggio.
 

 



 
« Credo che Valanyar mi abbia parlato di lui sapete padron Frodo? » disse una sera Sam, quanti giorni fossero passati da l’ultima volta che l’aveva vista l’hobbit non avrebbe più saputo dirlo mentre accampati negli acquitrini, Gollum parlottava tra sé e sé avvilito lamentandosi che non vi era niente da mangiare.
Niente sopravviveva alle paludi dove l’antica guerra era stata combattuta.
L’intera compagnia si sentiva scossa, se per sbaglio uno di loro poggiava lo sguardo nelle acque, trovavano sempre dei visi pronti ad osservarli a meno di un palmo della superficie.
« Non mi stupirebbe, lei ci ha parlato sempre di cose che avremmo capito solo con gli anni a venire … Credo che abbia consigliato anche me, su Gollum » rispose Frodo.
« E cosa vi ha detto ? » domandò Faramir mentre frugava nello zaino, ricercando la carne essiccata che aveva mantenuto proprio per quella parte del percorso.
« Che non avrei potuto salvarlo credo. Non ricordo bene ero ancora un ragazzo, fu prima che Bilbo lasciasse dietro di sé l’anello … » l’hobbit moro si perse per un attimo nei propri ricordi, stupendo Sam quando dopo tanto tempo, accennò un piccolo sorriso « Credo mi stesse raccontando una storia sulle sue Terre, come una leggenda. Vi era un ladro e un Re, ma il ladro era il buono poiché rubava agli ingordi di potere per poter ridistribuire le loro ricchezze con i poveri, ed il Re invece era il cattivo, si nascondeva nel suo castello desideroso solo di più potere e tesoro, ignorando i bisogni del suo popolo.
Fu alla fine del racconto che il fratello del Re, torna dalla guerra ed il popolo è felice perché lui era un Re giusto, così il ladro smette di essere un fuggiasco e il Regno torna a vivere in serenità ed in pace.
Quando me la raccontò, le dissi che l’eroe però era comunque il ladro gentiluomo ma lei mi disse che me l’aveva raccontata per un altro motivo. Voleva che mi concentrassi sui due fratelli che erano stati entrambi Re, ma ognuno aveva scelto un modo diverso di governare:
“ A volte alle persone Frodo viene offerto lo stesso potere di qualcun altro, ma questo non significa che la persona che viene dopo vivrà una vita uguale a quella che l’ha preceduta.  Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità¹. “
Penso stesse parlando proprio di lui, di come non sono condannato a diventare … così. » mormorò Frodo con lo sguardo perso nella figura in lontananza che continuava  muoversi su quattro zampe.
Ma non era mai stato l’aspetto esteriore a turbare Frodo, bensì quello che Gollum portava dentro, poiché le sue fattezze rispecchiavano oramai, solo ciò che era diventato.
« Non potete salvarlo padron Frodo » disse Sam in un sussurro triste, mentre guardava la persona a cui teneva di più in questo mondo, svanire sotto il suo sguardo, piegato dalla forza dell’anello. Cosa sarebbe rimasto, dell’hobbit che tanto adorava e rispettava alla fine di quel viaggio?
Era già cambiato così tanto, che a volte Sam faceva fatica a riconoscerlo, ma non per questo il suo affetto era diminuito, lo avrebbe accompagnato, fino alla fine dei tempi se fosse stato necessario.
« Devo credere che sia recuperabile Sam » mormorò l’hobbit moro. Faramir in quel momento si sentì quasi fuoriposto in quel piccolo gruppo, mentre i due hobbit si guardavano con un tipo di amore e fiducia, che a lui era sempre stato negato. Certo Boromir lo amava e lo sapeva, a differenza di suo padre, ma certamente non si era rivolto mai a lui nello stesso modo in cui Frodo parlava di Sam. Boromir sapeva che Faramir era un uomo di valore ma niente di più, mentre Sam guardava il suo Padrone come se fosse l’essere migliore del creato, come se niente e nessuno sarebbe mai riuscito a superarlo.
 Anche dopo aver visto lo splendore degli elfi, gli occhi di Sam non avevano mai brillato quanto in questo momento, in una lurida palude mentre comprendeva che Frodo aveva bisogno di lui e del suo sostegno.
« Se salvarlo è ciò che desiderate Padron Frodo, allora io vi aiuterò » disse Sam rimboccandosi le maniche mentre tirava fuori dei condimenti dal suo panciotto, buttandoli nella pentola che aveva davanti mentre continuava a mescolare. Scansò la carne essiccata di Faramir, optando invece per la carne di coniglio che il soldato si era procurato prima di addentrarsi nelle paludi e mettendola a cuocere nell’acqua bollente.
« Ehi Gollum! Vieni metti anche tu qualcosa sotto i denti, ci servi in forze se devi guidarci fino alla fine di questo incubo! » urlò l’hobbit da sopra la sua spalla.
Nonostante il silenzio impregnasse la palude, la voce dell’hobbit risultò come ovattata, come se gli acquitrini potessero rubarne la forza.
Ma Gollum lo udì lo stesso, mentre si voltava circospetto verso colui che lo aveva chiamato.
« Altro schifoso pane elfico? A Gollum non piace. Noi non lo vogliamo » ripose la creatura sputando a terra ma avvicinandosi comunque di qualche metro.
« No niente pane » rispose Sam quando vide che si era avvicinato a sufficienza. Tolse un coscio del coniglio dal brodo, poggiandolo su un pezzo di stoffa che passò a Gollum.
« Tieni, ho dovuto bollirlo un po’, era morto da troppo e il sale non può fare miracoli » disse l’hobbit mentre la creatura si avvicinava lentamente, circospetto, annusando l’aria e l’odore che proveniva dalla pentola.
Era forse un imbroglio? Un'altra tattica per fargli bruciare la gola in quel modo terribile come il giorno addietro? Oh ma Gollum aveva così tanta fame, e la carne aveva un odore che conosceva. Oh sì lo conosceva.
Gollum non si fidava degli hobbit no no, non di quello grasso e sopratutto non dell’umano che vestiva pesanti armi affilate che avrebbero fatto a Gollum tanto male. Ma l’odore era così buono, e il suo stomaco così vuoto.
« Non preoccuparti, va tutto bene » lo incoraggiò il portatore dell’anello. Gollum non si fidava neppure di lui, ma vi era qualcosa di diverso negli occhi di questo padrone. Non lo guardava con odio e disgusto.
Gollum lo aveva visto negli occhi degli elfi quando era stato imprigionato dai biondi immortali, l’avevano chiamata pietà. Ma a Gollum loro non piacevano, erano amici del ramingo vestito di nero e dello stregone Grigio.. E loro avevano fatto tanto male a Gollum.
Non quanto l’Oscuro oh no no, torturato così a lungo. Brutti ricordi, orribili.
Gollum si concentrò nuovamente sulla carne.
Si accovacciò solo sui piedi, allungando una mano e sgraffignando in fretta la carne di coniglio prima che l’hobbit potesse riprendersela. Oh se l’hobbit voleva ingannare Gollum non c’era riuscito.
Gollum leccò la pelle, vi era qualcosa che non tornava, non era abituato alla carne cotta, gli piaceva cruda con il cuore che batte ancora e il sangue che gli scorreva tra i denti. Ma non gli bruciava la gola.
Così dette un morso e poi in fretta, divorò l’intero pezzo.
I tre della compagnia osservarono Gollum, Faramir, piegò persino le labbra in un piccolo sorriso. Aveva visto cani abbandonati viaggiare per i territori di Gondor, con le stesse mosse diffidenti. Certo Gwend lo aveva messo in guardia di non fidarsi di Gollum, ma si chiese se forse non fosse giusto pensare come Frodo, e dargli una possibilità.
 « Senza sangue, come ha fatto l’hobbit grasso a togliergli il sangue? Perché poi? A noi piace il sangue » mormorò irritato Gollum.
« Te l’ho già detto » disse Sam evidentemente più spazientito dall’essere chiamato grasso « Era morto da due giorni, ti avrebbe fatto stare male mangiarlo crudo »
« Come se all’hobbit interessasse se Gollum sta male. Ci ha dato il pane elfico ieri, bruciava »sibilò la creatura guardando Sam con una smorfia arcigna.
« Ti ho già chiesto scusa » ribatté l’hobbit giardiniere prima di tornare alla sua zuppa. Per lui e i suoi compagni, sarebbe dovuta cuocere almeno un’altra mezzora. Sopratutto per Frodo,che ultimamente mangiava sempre meno, Sam voleva assicurarsi che la zuppa potesse restare nel suo stomaco. Aveva bisogno di stare in forze.
Il portato dell’anello stava sempre guardando il giovane Hobbit con uno sguardo amorevole. Era così felice che Sam fosse venuto con lui.
Certo era molto grato anche a Faramir ma non era certamente la stessa cosa, mentre il soldato di Gondor lo faceva sentire al sicuro. Sam gli ricordava costantemente di casa sua, della Contea. Gli permetteva di restare attaccato a  coloro che amava, senza sprofondare sempre di più nell’abisso oscuro che oramai aveva preso posto fisso nel retro della sua mente.
Era così grato della presenza di Sam, che avrebbe voluto cacciare l’hobbit per mandarlo al sicuro lontano da quell’orribile persona che sapeva sarebbe diventato. Voleva che Sam si ricordasse di lui, come una persona degna da amare e non come uno schiavo sottomesso dalle brame dell’anello… Ma se lo avesse allontanato, Frodo sapeva, che non sarebbe riuscito a fare che pochi passi prima di soccombere alla volontà di Sauron.
« Un tempo non eri molti diverso da un hobbit, non è vero Sméagol? » domandò il portatore dell’anello alla creatura attirano in fretta l’attenzione di tutti i presenti.
Faramir restò più sorpreso dal fatto che Gollum potesse avere qualcosa in comunque con la pacifiche creature che aveva iniziato a considerare amici. Gwend gli aveva spesso parlato del suo tempo passato nella Contea, e anche personaggi più estroversi come Merry e Pipino sicuramente non avevano niente in comunque con la creatura a meno di un metro da lui.
Ma il più sorpreso di tutti, fu proprio Gollum « Come mi hai chiamato? » mormorò e Sam lo guardò e per una volta provò la stessa pietà con cui aveva visto il suo Padrone guardare quella creatura.
Da quanto tempo si era perso dentro sé stesso? I suoi occhi così grandi e sproporzionati, cresciuti per aiutarlo nel buio delle caverne, adesso sembravano quelli di un animale spaventato, come se avesse appena rivisto il proprio padrone dopo anni che aveva vissuto in mezzo alla strada, tra stenti e maltrattamenti.
« Questo era il tuo nome una vola non è vero? Molto tempo fa ... » continuò Frodo cercando di ricordare tutta la storia che Gandalf gli aveva raccontato della creatura, quando l’aveva scorta nelle miniere di Moria.
« Oh sì… Il mio nome, Sméagol » la creatura lo pronunciò come se si posasse male sulla propria lingua. E così era, Sméagol non esisteva più da così tanto tempo. Gollum si era preso cura di loro negli ultimi secoli e Sméagol era stato dimenticato. D’altronde era una creatura debole e ripugnante … Niente di più di un assassino.
« Il mio nome » mormorò nuovamente. Nessuno della compagnia ruppe più il silenzio, mentre la creatura si allontanava di qualche metro, raccogliendosi tra i suoi pensieri e ciondolando avanti ed indietro.
Il resto dei viaggiatori, mangiò in silenzio non appena lo stufato di Sam fu pronto, ognuno assorto nei propri ricordi nelle proprie colpe del passato, ritrovandosi a chiedersi quanti di loro fossero davvero migliori della creatura chiamata Sméagol. Quanti di loro sarebbero sopravvissuti al suo posto e comprendendo finalmente appieno, i timori dell’attuale portatore dell’anello.
Sam prese una decisione, dove sarebbe stato cauto, come aveva promesso al Capitano di Gondor, ma avrebbe fatto il possibile per aiutare quella ripugnante creatura. Non perché credesse che vi fosse rimedio, oramai era costituita solo da bugie ed inganni, desiderava solo l’anello. Ma per Frodo, il suo padrone se la meritava un po’ più di speranza e Sam lo avrebbe aiutato.
Perché Sam era un brava persone, la migliore probabilmente che avesse mai attraversato quelle nefaste Terre.
 

 

 
 
« Da quanto conoscete Gwend? » domandò una sera Faramir mentre il fuoco scoppiettava danti a loro e l’unico pasto a riempire i loro stomaci era stato del brodo caldo e qualche morso di Pan di Via. Sam teneva le scorte e le distribuiva con molta rigidità, anche se Faramir aveva notato, che l’hobbit giardiniere aveva l’abitudine di dare sempre il pezzo più grande a Frodo.
Il soldato ovviamente, non se ne era mai lamentato e si era guardato bene dal commentare. Aveva imparato molto tempo addietro durante le spedizioni di guerra nella sua prima giovinezza che commenti simili potevano rovinare per sempre i rapporti tra due compagni.
Li portavano a credere che erano indecorosi o perfino, che andavo nascosti ed evitati perché sbagliati. Ovviamente Faramir non ci aveva mai visto niente di male, neppure quando era il suo stesso fratello a prenderlo in giro, dicendogli che non poteva sempre essere “troppo buono” o i suoi compagni avrebbero finito con il credere che fosse una femminuccia.
Ma se c’era una cosa che Faramir aveva imparato, soprattutto grazie ad una certa conoscenza, era che non c’era proprio niente di debole in una donna.
Era stata una donna a metterlo al mondo e una donna gli aveva salvato la vita più volte. In futuro, sperava che avrebbe amato una donna, e se tale fanciulla lo avrebbe guardato con gli stessi occhi con cui Sam guardava Frodo, beh, Faramir si sarebbe sentito l’uomo più fortunato e felice del mondo.
« Conosco Valanyar da quando ero piccolo, anche se inizialmente era solo uno strano personaggio che si aggirava attorno casa Baggins. Sam invece, la conosce da sempre » disse il portatore dell’anello con un sorriso amaro. Parlare di casa sua, gli risultava sempre più difficile, Sam avrebbe voluto non averlo notato ma temeva che il suo Signore avesse sempre più difficoltà a ricordarsi tutte le cose belle della Contea.
« Oh sì! Conosco la mia signora da sempre » disse quindi il giardiniere, ben deciso a coinvolgere Frodo in un ricordo, così da poterlo almeno far sorridere.
« Valanyar è sempre stata gentile con me. Molto più paziente di Padron Bilbo ed è stata lei a consigliare a vostro Zio di prendermi come giardiniere » aggiunse Sam guardando l’hobbit moro negli occhi, che gli scoccò un’occhiata incuriosita prima di sorridere dolcemente. Cosa , che fece ovviamente arrossire il povero Sam.
« Quindi dovrò ringraziare Valanyar anche di questo al nostro ritorno, donandomi te, si è assicurata che la mia vita fosse completa » annunciò il giovane Baggins senza alcuna timidezza, mentre Faramir doveva trattenere una risata sotto i baffi, dinanzi al puro panico che si presentò negli occhi dell’hobbit più giovane.
Sam di suo grado, non sapeva neppure dove guardare, mentre sentiva le guance ribollirgli di calore, con gli occhi di Frodo che gli sembravano brillare più delle stelle nel cielo. Ma la cosa che lo rendeva più felice in assoluto era che Frodo avesse parlato del loro ritorno a casa. Era bello sapere che in lui vi fosse ancora quel tipo di speranza, era stato compito di Sam mantenercela e adesso ne pagava le conseguenze, ma il cuore continuava a battergli all’impazzata più felice che mai.
 
Fu quella stessa notte che gli incubi si fecero più vivi che mai. Frodo si rigirava, scostandosi di dosso il mantello elfico, solo per rabbrividire un attimo dopo dal freddo.
Si arrese, aprendo gli occhi nella semi oscurità, aiutato solo dal lieve tepore del fuoco che ancora scoppiettava a pochi metri da lui.
« Non riuscite a dormire Padron Frodo? » domandò delicatamente una voce alle spalle dell’hobbit. Aveva riconosciuto la voce che gli aveva parlato, ma si voltò comunque, così da incontrare lo sguardo preoccupato di Sam, doveva essere il cuore della notte poiché solitamente Faramir faceva sempre il primo turno di guardia.
Frodo si era più volte offerto di aiutare i due compagni, ma avevano sempre rifiutato, a volte gli avevano persino mentito dicendogli che lo avrebbero svegliato, ma non era mai successo.
L’hobbit si guardò attorno, rabbrividendo un ultima volta prima di tirarsi lentamente a sedere, a pochi metri da lui Faramir dormiva su un fianco dandogli le spalle. Di Gollum nessuna traccia ma lui svaniva sempre nella notte, forse per procacciarsi del cibo, o semplicemente per diventare più inquietante del solito.
« No … Gli incubi » rispose finalmente al suo fedele amico, mentre quest’ultimo si alzava, per andarsi a sedere vicino a lui. Sam gli portò una mano sulla fronte, il contatto fece fremere la pelle di Frodo, che tremò felice al contatto.
« Siete freddo come un ghiacciolo, questi mantelli elfici sono una truffa » commentò l’hobbit sbrigandosi a togliersi il suo, per posarlo attorno alle spalle del portatore dell’anello. Frodo se lo strinse attorno, grato che portasse con sé il calore del suo proprietario e il profumo tipico di Sam che gli ricordava con così tanta nostalgia la Contea.
«Volete parlarne? » domandò dolcemente il più giovane, mentre ancora passava le mani sulle spalle del più anziano carezzando velocemente la stoffa così da poterlo riscaldare più in fretta.
Frodo scosse la testa, ignorando lo sguardo triste del suo compagno. Ma erano vecchi terrori, cose già successe come la caduta di Gandalf, le urla di Merry e Pipino, Bilbo che cercava di strappargli l’anello dal collo a Gran Burrone. Sembrava che non ricordasse altro dalla sua vita se non dolore e sofferenza, eppure era certo di aver vissuto nella più totale felicità e spensieratezza per tutti i suoi anni a casa Baggins. Ma ora, non riusciva neppure a ricordare i fuochi d’artificio del vecchio stregone, i pomeriggi con Bilbo e Valanyar gli svanivamo dalla mente come fumo. Più cercava di trattenerli, per potersi ancorare ad essi, più scivolavano via.
« Ho paura Sam » mormorò l’hobbit sottovoce, stupendo perfino se stesso quando si rese conto di averlo detto ad alta voce « Temo che alla fine di questo viaggio, non ricorderò più chi sono. Per cosa lo sto facendo … » continuò comunque come in trance, mentre fissava un punto impreciso del terreno.
Udì dei moventi, Sam vicino a lui si era alzato e gli si era portato alle sue spalle, sedendosi dietro di lui.
Sam non era la tipica persona che iniziava un contatto fisico, ma riconosceva con facilità che in quel momento il suo Padrone aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi.
Non era tempo per lui, per tergiversare nell’imbarazzo, Frodo aveva bisogno di lui e lui, ci sarebbe stato, come era destino che fosse.
Passo le braccia sotto quelle del portatore dell’anello, attirandolo a sé, così che la schiena di Frodo finisse ad adagiarsi sul suo torace, mentre lo stringeva a sé, poggiando il mento tra i suoi riccioli scuri.
« Ve lo ricorderò io Padron Frodo, io so chi siete » iniziò lui sempre sottovoce, l’hobbit più anziano tremò leggermente al suono della sua voce, ma si sistemò meglio nell’ abbraccio, finendo per poggiare la nuca sulla spalla dell’hobbit giardiniere, così che potesse scorgergli lo sguardo se lo avesse desiderato.
« E chi sono Sam? » domandò Frodo ed in qualche modo si ritrovò ad arrossire. La domanda gli parve più intima di quanto non avrebbe dovuto essere. A volte stare vicino a Sam gli faceva quell’effetto, come le serate d’inverno davanti al camino, poteva sentire la sua pelle gemere con gioia in ogni punto in cui era abbracciato dall’hobbit condividendo il suo calore.
Ma non era solo una semplice questione di freddo e Frodo lo sapeva, ma preferì accoccolarsi meglio tra quelle braccia e lasciarsi cullare dalle parole di Sam.
«Voi siete una brava persona. Qualcuno di forte, avete affrontato questo viaggio per Padron Bilbo, vi preoccupate per gli altri anche se sono forti e capaci. Ogni volta che Valanyar tornava da una spedizione volevate sempre accertarvi che non fosse ferita, quando abbiamo capito che Gandalf era in pericolo vi siete adoperato per raggiungerlo il prima possibile… » la lista continuò per vari minuti. Alternandosi tra fatti accaduti negli ultimi mesi, a quelli di molto anni prima. Sam continuava a parlare, evocando i ricordi migliori che aveva sull’hobbit tra le sue braccia senza alcuna difficoltà come se lo facesse spesso tra i suoi pensieri. Frodo restò colpito nello scoprire che il compagno aveva anche molti ricordi della sua infanzia di quando Frodo lo aveva aiutato nei compiti per la scuola o nelle letture di Bilbo…
In ogni ricordo era possibile quasi toccare con mano tutto quell’affetto e sotto quel dolce incantesimo, Frodo richiuse gli occhi addormentandosi ad un sogno che profumava di Contea e sapeva di Sam.
Frodo, per la prima volta dopo mesi, fece bei sogni, dove neanche la persuasione dell’anello riuscì a raggiungerlo mentre si ricordava appieno cosa fosse la felicità e come ci si sentisse a venire amati.
 
Quando Faramir si destò la mattina dopo e notò i due hobbit abbracciati, si limitò a fingere di continuare a dormire, così da poter dar loro l’opportunità di sciogliere quella leggera intimità se non desideravano che venisse condivisa con il giovane Capitano di Gondor.
E così accadde, quando Gollum venne a svegliarli tutti, Faramir se la prese comoda di proposito e quando riaprì gli occhi, finse di non notare il forte rossore sul viso di entrambi i suoi compagni.
La felicità a volte la possiamo trovare anche nei luoghi più bui².
 

 

 
 
«Dobbiamo fare attenzione da adesso in poi, gli alleati di Mordor si aggirano spesso per queste terre e molti uomini di Gondor si annidano tra di esse per impedirgli il passaggio »
« Beh è una buona cosa però no? Sono i tuoi uomini, male che vada possono aiutarci » commentò Sam mentre scarpinava dietro Frodo lungo una salita particolarmente ripida, che a causa del pesante zaino lo stava mettendo chiaramente in difficoltà.
Faramir lo affiancò, sfilandogli via il grosso carico, e mettendoselo lui stesso in spalla, viaggiando a quale modo con tre zaini sulla schiena. A destra quello di Sam e a sinistra il proprio e quello di Frodo.
« Forse, ma vi sarà anche Boromir tra di loro. Gwend ha detto che potrebbe essere pericoloso » mormorò piano mentre si guardava cautamente attorno, imitato subito dai due hobbit che iniziarono a parlare più piano.
« Credevo tuo fratello ti amasse » disse Frodo lanciando uno sguardo preoccupato al giovane capitano di Gondor, chiedendosi se forse non aveva posto la domanda sbagliata.
« E’ così infatti, ma mio fratello è anche figlio di nostro padre, ama molto il potere » commentò senza più bisogno che dicesse altro. Tutti compresero a cosa si stava riferendo Faramir mentre il portatore dell’anello richiamava Sméagol, invitandolo a stargli vicino.
 
Quella sera, i tre della compagnia erano incerti, il sole non era ancora calato all’orizzonte ma poco cambiava poiché la sua luce non raggiungeva le terre sulla quale stavano sostando.
Gollum vedeva bene al buio, anzi a lui piaceva, oh sì il buio lo faceva sentire a casa, come nelle caverne quando erano solo lui e il suo tesoro.
« Tolto, Rubato » mormorò tristemente lanciando un’occhiata alle sue spalle e verso le re figure che stavano consumando una fetida cena a base di pane elfico.
Bleah. A Gollum non piaceva e non capiva come potessero mangiarlo così spesso, a lui piacevano gli animali vivi o sì, e il sangue che gli scorre lungo la gola mentre lo addenta e quello si dibatte… Oh così dolce, così succoso.
« Ma gli amici del padrone sono stati gentili con noi, ci hanno dato a mangiare » disse un’altra parte di sé, mentre si specchiava nel piccolo lago ad una cinquantina di metri dal campo. L’acqua era putrida, nessun pesce ci sguazzava felice, Gollum era affamato, ma l’umano che sapeva combattere gli aveva dato della carne affumicata.
Non piaceva a Gollum quanto uno scoiattolo, ma non era stata male no, aveva pensato fosse un altro trucco ma alla fine la gola non gli era bruciata e il suo stomaco aveva gradito.
L’hobbit grasso gli aveva detto che era molto saporito grazie al sale, Gollum non ricordava cosa fosse quindi aveva ignorato l’amico del Padrone del tesoro. Inutile hobbit che si ingozzava sempre con lo schifoso pane elfico.
« Io ci ho aiutato, io ci ho procurato sempre da mangiare » ringhiò Gollum nello specchio d’acqua, che gli rispose con l’ espressione rabbiosa di una orrenda creatura, dal volto scavato e pallido come uno scheletro.
« Ma ora Sméagol ha il padrone, lui si prende cura di noi » la creatura riflessa ringhiò di nuovo, ma a lui non interessava ,mentre dava una veloce occhiata alle sue spalle.
Incontrò lo sguardo dell’uomo alto, ma non vide alcun pericolo l’amico del Padrone si limitò a passare lo sguardo su di lui per poi andare oltre cercando pericoli veri. Sméagol non era un pericolo, no, Sméagol avrebbe guidato il padrone dentro Mordor come promesso.
« Falsi! Ti imbroglieranno, feriranno e mentiranno! » urlò Gollum prima di tossire nella foga di far uscire tutta quella rabbia. Quello sciocco doveva capire, solo lui poteva salvarli, lui li aveva sempre protetti, stupidi hobbit non c’era da fidarsi e gli uomini erano tutti crudeli. Avevano sempre fatto male a Gollum, sempre.
« No no il Padrone è mio amico » si lagnò Smèagol mettendosi le mani sulle orecchie. Non lo avrebbe ascoltato, non voleva. Cercò di concentrarsi sulle cose belle, ma non ne conosceva.
Conosceva il tesoro sì, lui era tanto bello ma non erano più loro il Padrone del tesoro, no no… Era un altro adesso.
L’hobbit gentile, l’hobbit che toccava Smèagol con delicatezza, e il Padrone aveva amici gentili, non si fidavano di Smèagol lui lo sapeva, ma sempre gentili erano stati… Gli avevano dato da mangiare sìsì, e l’uomo non lo aveva mai picchiato, mai no no.
Il padrone non lo avrebbe comunque permesso, il padrone era buono. Il padrone guardava Smèagol come se fosse importante, il tesoro non l’aveva mai fatto, no no.
« Tu non hai nessun amico, non piaci a nessuno! » ringhiò nuovamente Gollum frustrato. Quello sciocco cercava di ignorarlo, si rifugiava dietro gli occhi chiusi come un bambino nella gonna della madre, sciocco era. Li avrebbe fatti uccidere sìsì. Loro invece dovevano riprendersi l’anello, era loro!
Era suo. Glielo avevano tolto, rubato…
« Non ascolto non ascolto! Va via! » urlò Smèagol stupendo Gollum.
Da quando pensava di aver voce in capitolo? Lui li aveva salvati per tutti quegli anni, lui li aveva mantenuti in vita. Mentre l’altro oh solo un bugiardo e un assassino era! Un assassino!
« No no non più, non ci servi più » pigolò ancora la creatura. Il riflesso non era più visibile nello stagno, rannicchiato su se stesso, come se stesse cercando di proteggersi  da dei calci Smèagol era in posizione fetale, piangendo sommessamente mentre cercava di cacciare via Gollum.
« Vattene! » urlò stremato continuando a singhiozzare e poi Gollum … Gollum … Dove era ?
Smèagol aprì lentamente le dita davanti agli occhi, guardando davanti a sé spaventato, ma non lo vide da nessuna parte.
Dove era finito?
« Se ne è andato? » mormorò la creatura alzandosi cautamente su quattro zampe, si guardò attorno sempre più frenetico fino ad aprirsi in un sorriso « Noi gli abbiamo detto di andare via, e via lui se ne va! » urlò iniziando a saltare felice tutt’intorno al masso dietro il quale si era inizialmente riparato.
« Sì!!! Libero! Tesoro! Libero! » urlò ancora la creatura, senza realizzare che non era più solo.
Ma non era tornato Gollum oh no, era il giovane Capitano di Gondor ch si era avvicinato dopo aver osservato con attenzione la scena.
 
Una parte di lui, sapeva di non poter riporre troppa fiducia in una creatura tanto instabile, ma allo stesso tempo se qualcosa fosse andato storto e lui fosse caduto. Doveva accertarsi che Frodo sarebbe stato in buone mani, che la creatura lo avrebbe aiutato guidandolo il più vicino possibile al Monte Fato.
L’uomo inspirò, aspettando pazientemente che la figura davanti a lui notasse la sua presenza, e quando lo fece, fu sorpreso di vedere della felicità nel suo sguardo. Come se Smèagol si fosse in qualche modo abituato alla sua presenza e quasi si fidasse di lui adesso.
Proprio come un gatto randagio a cui dando un paio di volte da mangiare, poi ti segue a casa.
« Tutto bene? » domandò automaticamente Faramir poggiando un ginocchio a terra per arrivare alla stessa altezza degli occhi di Gollum.
Aveva notato che alla creatura faceva piacere quando si abbassava, a causa del suo modo di camminare, probabilmente per lui non era facile alzare la testa verso l’alto.
« Oh sì Smèagol è solo ora amico del padrone! Libero ! » gli rispose lui facendo una strana piroetta sul posto mentre sorrideva con i pochi denti ancora a sua disposizione.
Faramir contro ogni aspettativa sorrise, intenerito in qualche strano modo dalla felicità della strana creatura.
« Smèagol » ripeté il Capito chiamandolo come Frodo gli aveva detto era il suo vecchio nome. Sia lui che Sam avevano iniziato a farlo, sembrava fare piacere a Frodo e anche Gollum pareva più a suo agio attorno a quel modo, come se il suo corpo preferisse quella personalità rispetto all’altra.
Essendo Faramir un uomo di intelletto oltre che di forza, non vi aveva messo troppo a capire le due diverse personalità della creatura. Come gli aveva detto Gwend, Smèagol era sì colui che aveva ucciso il proprio fratello per l’anello ma era anche la parte migliore di sé e forse dopo tutto quel tempo ad essere l’orribile e subdola creatura di nome Gollum, voleva dimostrare di poter essere anche qualcos’altro.
« Ho un compito per te » disse pacatamente attirando su di se i grossi occhi chiari. Smèagol non capiva, un compito?
 Ma lui ne aveva già uno, portare il Padrone a Mordor, oh sìsì quella era la promessa fatta, Sméagol si ricordava bene.
« Se finissimo accerchiati da degli uomini, fuggi porta il Padrone in salvo va bene ? »
« Il padrone è in pericolo? » domandò Smèagol guardando oltre la spalla del capitano. No no, il padrone stava bene, dormiva ora. L’hobbit grasso gli stava mettendo sulle spalle anche il suo mantello. Faceva bene, l’hobbit grasso non ne aveva bisogno, il Padrone invece aveva sempre freddo.
«Non ora, ma potrebbe esserlo se veniamo attaccati Smèagol, portali al sicuro, c’è un lago sacro a diverse leghe da qui. Lo riconoscerai è pieno di vita » tentò di spiegare il più semplicemente possibile Faramir. Non era facile parlare con Gollum, spesso non era certo che capisse quello che stava dicendo, ma allo stesso tempo capiva molto più di un bambino o un animale ma aveva dei totali vuoti come se si fosse dimenticato l’utilità di una specifica cosa.
« Vita? Pesci?! Smèagol piacciono i pesci! » urlò eccitato guardandosi attorno come se il lago fosse nelle vicinanze.
« Sì ci sono i pesci bravo. Se Frodo sarà in pericolo e io vi tirò di fuggire, portalo lì va bene ?  »
« Padrone in pericolo, salvo con i pesci » annuì Smèagol piegando leggermente la testa di lato. Continuò a guardare l’uomo che lo ricambiò con un’espressione incerta come se non fosse convinto che avesse capito.
Ma Smèagol aveva capito, se qualcuno cercava di fare male al Padrone, lui lo portava in salvo dai pesci, e magari poi mangiavano. Pesci buoni e l’hobbit grasso era sempre di umore migliore dopo aver mangiato.
« Ti ringrazio Smèagol » disse infine Faramir alzandosi di nuovo e dedicando alla creatura un sorriso gentile prima di tornare dai suoi compagni verso il fuoco.  Tranquillizzò Sam, dicendogli di riposare e che lui avrebbe fatto il primo turno di guardia senza notare mai lo sguardo di completo stupore che gli aveva dedicato la creatura di nome Gollum.
 
Sméagol era stato ringraziato, era passato molto tempo dall’ultima volta. Ma qualcosa adesso era caldo proprio nel ventre di Smèagol, ma non era fame, cosa era?
Non bruciava come il pane elfico però no no, era piacevole. Smèagol non sapeva, non capitava era passato troppo tempo da quando qualcuno lo aveva ringraziato.
Decise però di cullare quella sensazione e per la prima volta da quando aveva iniziato il viaggio con il suo nuovo padrone, Smèagol si avvicinò al campo, raggomitolandosi vicino al fuoco e dormendo la sua prima notte, assieme al resto della compagnia. Al sicuro, dopo che qualcuno lo aveva ringraziato.
 

 


 
I giorni erano proseguiti tranquilli e veloci, senza che vi fossero brutti incontri. Ma Frodo poteva vedere quanto Faramir fosse turbato, continuava a guardarsi intorno come se fosse indeciso sui propri passi eppure il portatore dell’anello sapeva che non poteva essersi perso, era ovvio dallo sguardo con cui delle volte guardava la terra o gli alberi attorno a loro, era chiaro da come sapeva sempre da che parte fosse Minas Tirith.
Frodo aveva sentito grandi cose sulla città Bianca di Gondor, Valanyar gli aveva raccontato che era meravigliosa pari ad un reame elfico ma con ogni caratteristica di una città degli uomini. Per quello che ne sapeva in quella città vi era anche un trono, che apparteneva ad Aragorn se mai fosse andato a reclamarlo.
« Cosa ti preoccupa? » domandò infine il portatore dell’anello alzando il viso verso il compagno.
Faramir si riscosse dai suoi pensieri abbassando gli occhi su Frodo e accennando un sorriso spento. Il suo amico appariva invecchiato di dieci anni, la sporcizia disturbava la sua pelle altrimenti diafana e scure occhiaie affossavano i suoi occhi facendogli assumere uno sguardo stralunato.
Nonostante la pomata e le loro cure, la ferita sul collo lasciata dal peso dell’anello, si faceva sempre più livida ed evidente. Faramir temeva che alla fine gli avrebbe lasciato un’orrenda cicatrice, simile ad una bruciatura.
« Temo che il mio tempo con voi sia quasi giunto al termine, ma faccio fatica a costringermi ad andarmene » confidò lanciando un ultimo sguardo attorno a sé. Tutto appariva tranquillo, nonostante in sottofondo, fosse certo di poter udire un rumore che avrebbe dovuto riconoscere ma che al momento sfuggiva dalla sua memoria.
« Se ti è di consolazione, anche noi non vogliamo che tu te ne vada. Ci sei caro Faramir di Gondor » rispose sinceramente l’hobbit sorprendendo non poco il suo interlocutore. 
L’uomo si imbarazzò improvvisamente, stupito della facilità di quel commento e soprattutto della sua sincerità. Aveva compreso, che tra gli hobbit i sentimenti non venivano coperti da strati di frasi vuote e sotterfugi, erano creature semplici: se ti amavano te lo dicevano, se non lo facevano non ti restavano attorno. Eppure per qualcuno come Faramir, a cui l’affetto non era mai stato donato con facilità quel semplice commento significava molto più, di quanto Frodo avrebbe mai potuto sapere.
« Anche voi mi siete cari » confidò infine con imbarazzo, ma ricevendo in cambio un semplice sorriso sincero e una lieve pacca sul braccio.
 
Frodo aprì le labbra, probabilmente per deviare il discorso o commentare in qualche modo, ma fu anticipato da Sam che si guardò attorno confuso, imitato da Gollum.
«Cosa è stato? » domandò l’hobbit e Faramir comprese finalmente cosa era quel rumore sordo in sottofondo, mentre faceva gettare tutti i presenti a terra, sporgendosi poi dal burrone più vicino.
Una vista infelice gli si aprì davanti mentre acquattati tra i cespugli, sotto i loro un enorme esercito radunato da tutti gli angoli della Terra di Mezzo avanzava inesorabilmente verso il cuore della sua nazione.
« Chi sono? » gli domandò Frodo sottovoce, ma il Capitano di Gondor non ebbe la forza di rispondere mentre osservava affranto la mole di persone che era riuscito a radunare il nemico. Solo le file che aveva sotto gli occhi, sarebbero bastati per tenere sotto assedio Minas Tirith per mesi per non parlare degli Olifanti…
« Uomini crudeli, malvagi servi di Sauron. L’Oscuro li raduna tutti. Tra non molto lui sarà pronto per l’ultima guerra che ridurrà tutto il mondo nell’ombra … » rispose alla sua sinistra Gollum, con un tono di voce così straziato che se Faramir non lo avesse visto, avrebbe pensato che non fosse nient’altro, che un uomo comune, terrorizzato davanti al potere di Sauron che non desidera altro che vivere in pace la sua vita, senza guerre… Senza morte.
« Sono nemici dunque, speriamo periscano tutti  » sintetizzò Sam mentre Faramir studiava le espressioni degli uomini sotto di lui.
« Nemici? Il loro senso del dovere non era minore del vostro … Mi domando come si chiamino, da dove sono venuti. Se hanno veramente un cuore malvagio e quali menzogne o minacce li hanno condotti a marciare lontano da casa.
Se non avrebbero preferito restarvi in pace … La guerra farà di tutti noi dei cadaveri. » concluse amaramente sentendo su di sé lo sguardo dei suoi compagni. Perfino Gollum lo guardava con uno sguardo indecifrabile, prima di rizzarsi in piedi dal terrore, Faramir reagì di conseguenza forgiato da anni e anni di esperienza.
La spada calò su di lui, che già si stava voltando parando il fendente, strattonò con l’altra mano il mantello di Frodo mettendolo in piedi e portandolo dietro di sé, mentre Sam si tirava anche lui in piedi.
I due hobbit sguainarono le proprie armi, fronteggiando i nuovi nemici che però si fermarono non appena ebbero una buona vista sul panciotto di pelle di Faramir dove l’albero bianco appariva consumato, ma sempre presente.
« Fermi! » giunse una voce dalle retrovie. Frodo e Sam si strinsero ,mentre Faramir sentiva Smèagol mugolare agitato, avrebbe voluto girarsi per ricordargli la sua promessa ma non si azzardò. Giudico comunque un punto a suo favore, che la creatura non se fosse già data a gambe.
« Faramir? » risuonò una voce dalle retrovie mentre i soldati che aveva davanti a sé, si guardavano attorno smarriti. Il giovane Capitano però non abbassò la spada, semmai strinse con ancora più vigore l’elsa, consapevole che avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
« Fratello! » esclamò uno dei guerrieri facendosi strada tra di essi ed entrando nel raggio visivo di tutti i presenti « Credevamo foste spie » lo salutò Boromir con un sorriso a trentadue denti.
Frodo giudicò, che sembrava sinceramente felice di rivederlo, ma mantenne una posizione guardinga, notando che Faramir continuava a fargli scudo con il suo corpo.
Se possibile, Faramir sembrava ancora più spaventato di quando aveva scorto l’esercito di Mordor, accennò anche lui un sorriso al fratello, ma la felicità non raggiunse i suoi occhi, anzi sembrava fosse pronto a darsi alla fuga.
Frodo non capiva, Valanyar gli aveva assicurato che i due fratelli si amavano, ma sapeva anche che Faramir se ne era andato nella notte forse macchiandosi di tradimento quando era andato a Gran Burrone. Non aveva mai capito appieno cosa fosse successo, ma la sua amica aveva fatto uno scambio di fratelli o qualcosa di simile, gli era sembrato un dettaglio poco importante ai tempi.
« Boromir » lo salutò Faramir abbassando la spada ma senza rinfoderarla, la sua stretta nell’elsa, rimaneva ferma.
« Fratello ero così preoccupato! Sei sparito per mesi nessuno sapeva che fine avessi fatto! Nostro padre è furioso e crede che tu sia morto. L’ho temuto persino io prima di… Beh questo » disse indicandolo in piedi davanti a lui.
Boromir si avvicinò al fratello a grandi passi, come se nono notasse la posizione ancora schiva dell’altro uomo ed aprì le braccia, stringendolo i un abbraccio.
« Sei sano e salvo,che ti è successo? Cosa ti ha trattenuto dal tornare a casa? » domandò ancora tra i suoi capelli, mentre gli posava un bacio sulla fronte.
Boromir era così felice, dopo mesi e mesi di battaglie e perdite, finalmente gli Dei stavano ricompensando la sua dura fatica con un simile dono. Sorrise nuovamente, mentre oltre la sua schiena udiva un lesto mormorio da parte dei suoi uomini, sulla compagnia alle spalle di Faramir.
Il Capitano di Gondor non vi aveva posto alcuna attenzione inizialmente, troppo emozionato alla vista del fratello.
Era vivo! Dopo che aveva quasi perso ogni speranza, eppure eccolo lì sano e salvo e … « Cosa ci fai qui fratello? » domandò dunque dopo qualche minuto di esitazione, notando che il soldato dinanzi a lui continuava a tacere.
« Come mai non sei tornato a casa? Dove sei stato? » continuò frustrato dal silenzio dell’uomo davanti a lui mentre spostava lo sguardo sul resto della compagnia.
Alle sue spalle vi erano come due bambini, Boromir non aveva mai visto niente di simile, ma i loro volti apparivano adulti e guardinghi e poi ancora più indietro, una creatura disgustosa e quasi completamente nuda se non per un misero gonnellino di stoffa.
Quella era sicuramente una compagnia che non si sarebbe aspettato da Faramir.
« Sono andato a Gran Burrone ricordi? » tentò Faramir per riportare su di sé l’attenzione del fratello, forse Gwend si era sbagliata, forse Boromir non avrebbe tentato di fare niente. Magari lui sarebbe potuto tornare a Gondor con il fratello e lasciar proseguire Frodo e gli altri per la loro strada, guidati da Gollum.
« Oh sì ci sono giunte delle voci dopo che Rohan è stata attaccata » disse il fratello maggiore riportando gli occhi su Faramir « L’unico anello è stato trovato fratello » disse accennando un sorriso che a Sam non piacque per niente.
L’hobbit più giovane quindi  fece un piccolo passetto in avanti per portarsi a coprire meglio la figura di Frodo mentre Gollum, gemeva in un pigolio così acuto che attirò l’attenzione del Capitano di Gondor su di sé.
« Faramir chi sono loro? » domandò finalmente scrutandoli uno per uno, fino a che finalmente non lo vide.
 
Un raggio di sole passò tra le nubi e cadde precisamente sulla camicia di Frodo, restituendo agli occhi di chiunque stesse guardando un leggero riflesso dorato.
Il tutto durò meno di un secondo ma fu sufficiente, per imprimere nel volto di Boromir uno sguardo entusiasta mentre con le labbra socchiuse si passava la lingua tra i denti come un felino che avvista la propria preda.
« Lo hai trovato, Faramir lo hai trovato » mormorò senza riuscire a staccare gli occhi dal collo di Frodo « Dunque le voci sulla compagnia erano vere, hai portato l’anello a Gondor bravo, qui sarà al sicuro » mormorò quasi tra se e sé.
Faramir si spostò coprendo completamente la visuale del fratello su Frodo.
« L’anello non è nostro da usare fratello » lo supplicò il più giovane. Ma riusciva a sentirlo lui stesso, dietro di sé la persuasione dell’anello si faceva più forte che mai, mentre gli sussurrava di prenderlo di farlo suo.
Oh suo padre sarebbe stato così fiero di lui e suo fratello lo avrebbe rispettato, sarebbe stato l’eroe di tutti, non era forse quello che Faramir desiderava?
Si vide davanti a suo padre che gli porgeva l’anello del potere e Denethor lo guardava con così tanto amore negli occhi, portandolo in piedi accanto a lui, mentre annunciava che quello era suo figlio, l’eroe di Gondor.
Faramir scosse la testa,cercando di scacciare via quell’illusione.
« Fratello, tu porti un dono … Possiamo usarlo contro di lui! Posiamo usarlo contro Mordor e vincere la guerra » mormorò Boromir irritato dal fratello che ora gli oscurava la vista del piccoletto. Riconosceva la posizione di Faramir, gliela aveva insegnata lui stesso era pronto a difendersi, ma da cosa? E da chi?
Vi era solo lui davanti al fratello, non vi erano pericoli … E l’anello del potere era così vicino. Avrebbero potuto risolvere tutto.
Oh sì, la guerra sarebbe stata loro da vincere e lui avrebbe regnato su Gondor, come un Re.
« No Boromir, la missione della compagnia è di distruggere l’anello. Non può essere usato » ribatté Faramir mentre sentiva Gollum agitarsi dietro di sé, guardò velocemente alle sue spalle senza voltarsi, sfruttando il riflesso della spada e vide la creatura tenersi le mani sulle orecchie come se tentasse di tenere una voce lontana dai suoi pensieri.
La persuasione dell’anello si stava facendo sempre più potente e Faramir poteva vedere la follia farsi strada negli occhi del fratello. Come poteva essersi piegato così facilmente? Come poteva non capire che l’anello voleva solamente ingannarlo?
« Padron Frodo! » gemette Sam alle sue spalle, l’hobbit più anziano era crollato tra le braccia del suo compagno, con gli occhi rivolti all’indietro, mostrando adesso solo la parte bianca dell’occhio mentre gemeva dal dolore evidentemente torturato dai bisbigli dell’anello.
« Faramir dobbiamo portarlo via di qui! » lo incalzò l’hobbit giardiniere mentre cercava di tenerlo in piedi. Ma l’uomo più giovane non si fidava in quel momento a dare le spalle al proprio fratello mentre si sentiva bloccato in una situazione di stallo.
« E’ una benedizione fratello non vedi? Questa è un’occasione per Faramir, Capitano di Gondor di mostrare le sue migliori qualità. Scostati, lasciamelo ammirare e poi portiamolo assieme nella città Bianca dove sarà al sicuro » la voce di Boromir era cambiata, pareva quasi suadente ora, alle orecchie di Faramir ma gli procurò anche un immenso terrore. Era questa dunque, la vera natura di suo fratello?
La sua forza era tutta lì? Cinque minuti dalla vista dell’anello e già aveva perso il lume della ragione.
Fece un passo indietro, frapponendo la spada tra sé e suo fratello.
« Non farmelo fare » lo supplicò mentre sentiva Sam iniziare a trascinare Frodo il più lontano possibile, un passo dopo l’altro.
« Faramir, vi prego » sopraggiunse un altro soldato che Faramir conosceva fin troppo bene, era Madril il suo secondo in comando avevano affrontato così tanti pericoli assieme, da averne perso il conto.
« Conoscete le leggi del nostro popolo, le leggi di vostro padre. Se incrociate la vostra lama con Boromir pagherai il fio con la vita. » gli ricordò con gli occhi colmi di tristezza. Il soldato non capiva perché il giovane capitano si stesse frapponendo a quel modo tra l’anello e suo fratello non erano loro il nemico, perché lo stava facendo?
« Con quali trami e inganni ti hanno riempito il cervello è fratello? E’ stato quell’apprendista e Mithrandir non è vero? » ringhiò Boromir sguainando a sua volta la propria spada.
« Ti manda Gwend? » domandò Madril ancora più confuso. Conosceva il ragazzo delle leggende, aveva combattuto assieme a lui in prima linea, quando lui stesso aveva molti meno anni ma poi era svanito. Aveva temuto fosse morto ma invece, era sempre vivo? Faceva anche lui parte di quella strana compagnia?
« Mi manda Gwend » confermò Faramir ritrovando forza e volontà in quell’affermazione. I suoi amici contavano su di lui, non li avrebbe delusi.
Era stanco di deludere coloro che amava, se con la sua vita o la sua morte avrebbe potuto fare la differenza, allora era quella la sua strada.
 
« Pagherò il fio con la vita, ma non ti lascerò prendere l’anello Boromir » avvisò.
« Potresti prenderlo tu » suggerì Boromir sorridendo quando il fratello perse un po’ della sua audacia, ma il minore si riprese in fretta, stringendo i denti mentre continuava a camminare all’indietro, mettendo sempre più distanza tra se stesso e il fratello « Non userei mai l’anello neppure se Minas Tirith crollasse e io fossi il solo a poterla salvare! » urlò prima di voltarsi verso i suoi compagni, guardandoli per quella che temette sarebbe stata l’ultima volta.
« Fuggite! Smèagol guidali dove sai, da lì il percorso per la scala sarà sicuro! » gli urlò dietro. Non aveva idea se la creatura avrebbe rispettato la parola data e neppure, se sarebbe riuscito a trovare il lago sacro ma Faramir non aveva tempo di tergiversare mentre si voltava pronto ad affrontare i suoi avversari.
La sua lama si scontrò contro quella di suo fratello.
Il metallo cozzò contro il metallo, mentre il minore dei due menava fendenti solo per trattenere il proprio avversario mentre invece Boromir lo attaccava senza esitazione un colpo dopo l’altro.
Sotto la sua furia cieca non vedeva suo fratello, ma un folle che si frapponeva tra lui e l’anello del potere.
Ma il sentiero sul baratro era stretto e nessuno dei guerrieri poteva passare se prima non eliminavano Faramir.
Al contrario di Boromir però gli altri soldati esitavano, non capivano le scelte del loro Capitano più giovane ma sapevano che era un uomo buono. Forse non un grande guerriero come Boromir ma teneva sinceramente al suo popolo e gli pareva impossibile che accettasse di tradirli a quel modo.
« E’ una follia fratello, ti prego! » supplicò Faramir mentre parava l’ennesima stoccata.
Non avrebbe potuto guadagnare molto altro tempo, suo fratello era molto più forte di lui e se non fosse stato guidato da quella furia cieca, lo avrebbe già sopraffatto.
Vide un punto cieco sul fianco di Boromir ma Faramir lo ignorò. Certo avrebbe potuto colpire suo fratello, costringerlo ad arretrare e ferirlo forse abbastanza da far guadagnare ancora più tempo agli hobbit. Ma non ne ebbe il cuore, dove stava la sua lealtà, se non verso colui che lo aveva sempre amato e difeso?
Quello che aveva davanti non era il suo amato fratello, ma Boromir viveva ancora, da qualche parte oltre quell’uomo impazzito.
« Ti prego » mormorò ancora ma la stoccata successiva fu troppo per lui, mentre la sua lama volava oltre il baratro lasciandolo disarmato.
Chiuse gli occhi, desiderando di vedere qualunque altra cosa che non fosse il suo stesso fratello ucciderlo, si scusò con tutti quelli che aveva fallito.
Pregò perché Frodo riuscisse nell’impresa e che Minas Tirith si salvasse. Prego che Aragorn trovasse la forza di diventare Re e che suo fratello non si struggesse tutta la vita per averlo ucciso.
Pregò che Gwend vivesse una vita lunga e felice, e per una volta senza guerre e dolori. Gli Dei glielo dovevano, troppe sofferenze da portare per delle spalle mortali … Sperò che non si sarebbe sentita in colpa, e poi si scusò perché sapeva che lei avrebbe pianto la sua perdita.
 
Quando finalmente fu colpito però, non fu come si sarebbe aspettato. Non fu infilzato da una lama, tanto più venne sbalzato dal suo posto e si ritrovò a spalancare gli occhi, mentre scivolava sulla nuda terra giù dalla montagna, rotolando su se stesso e sbatacchiando contro tronchi di alberi e cespugli.
Nella follia più pura, gli parve di udire Frodo urlare il nome di Valanyar, ma forse fu solo portato male via dal vento. Oppure l’hobbit invocava il nome di chi aveva più caro nei momenti di sconforto?
O più semplicemente, Frodo aveva urlato il suo di nomi, mentre ora rotolava lungo la montagna sperando che la fortuna lo assistesse evitando di sfracellarlo da qualche parte lungo la discesa.
Si portò le braccia attorno alla testa per proteggerla, mentre rovinava per qualche minuto fino a fermarsi.
Aprì lentamente gli occhi, emergendo da dietro le sue stesse mani.
Che cosa era successo lassù?
Qualcuno lo aveva come spinto, forse Boromir lo aveva lanciato via di lato per passare.
Sperò comunque di aver guadagnato abbastanza tempo per Frodo e gli altri. Gollum era una creatura scaltra, se solo la sua fedeltà fosse durata un po’ di più forse ce l’avrebbero fatta. Forse.
Il giovane capitano di Gondor si mise in piedi, notando che era rovinato giù dal fianco della montagna, che dava sul suo regno. A meno di un paio i kilometri da dove era, poteva riconoscere una delle uscite fognarie, un passaggio sicuro forse per riuscire a raggiungere la capitale.
Cercò per qualche minuto la sua spada, pregando che fosse da quelle parti, ma non la trovò così si arrese, iniziando a camminare verso l’unico posto che avrebbe potuto offrirgli un qualche tipo di riparo Osgiliath.
 
 
 
 
 

Il primo ad avvistarlo fu Pipino, il giovane hobbit aveva tenuto per la maggior parte del tempo gli occhi chiusi, poiché il viaggio a cavallo proprio non faceva per lui.
Si era affacciato dall’animale per evitare di sporcare il mantello di Gandalf in caso la nausea avesse avuto la meglio e … Beh vi era solo un uomo che riusciva ad assomigliare tanto ad Aragorn senza avere neppure un tratto estetico in comune.
« Gandalf, Faramir! » indicò il giovane allo stregone che sterzò immediatamente il cavallo in quella direzione.
La riunione fra l’hobbit e il soldato fu particolarmente toccante, mentre Pipino si sentiva felice come non mai, lieto che il suo primo amico nella compagnia se la fosse cavata. Lui e Merry si erano spessi chiesto cosa fosse stato di loro da dopo il fiume, ed ora era qui davanti a lui e perlopiù incolume tranne per qualche taglio superficiale.
« E’ bello rivederti Faramir, ma avremo tempo per i saluti, adesso dimmi: come sta Frodo? » domandò lo Stregone con urgenza, il giovane Capitano di Gondor accennò un sorriso, comprendendo appieno le paure dello Stregone, mentre riportava Pipino sul dorso del cavallo così da potersi dirigere assieme a Mithrandir verso la città bianca.
Gandalf era un ottimo ascoltatore, tacque per la maggior parte del racconto assieme a Pipino, troppo immerso nella storia mentre il più giovane reagiva vocalizzando alcuni dei suoi timori, ma perlopiù con semplici esclamazioni di stupore.
L’uomo di Gondor raccontò della loro separazione dal fiume, dell’incontro con Gollum del loro viaggio lungo gli acquitrini fino all’Ithilien dove era stato costretto a lasciare i due Hobbit a causa di suo fratello che era caduto vittima della persuasione dell’anello proprio come gli aveva predetto Gwend lungo le sponde del fiume nel reame elfico.
« Non credevo vi sarebbe stata più alcuna particella di bontà dentro Gollum, mi stupisce che Frodo sia riuscito ad estrarla, ma temo per questa nuova e singolare fiducia » commentò infine lo stregone.
« Non preoccuparti Gandalf, c’è Sam con Frodo,è un hobbit scaltro non permetterà a nessuna creatura di fare del male al portatore dell’anello. Lo stesso Sauron sarebbe perduto se tentasse di fare del male a Frodo sotto la supervisione di Mastro Samvise » tentò di rassicurarlo l’uomo, mentre si concedeva un sorriso  sornione.
Sapeva certo quanto Gandalf che dare troppa fiducia a Smèagol avrebbe potuto condannarli, ma allo stesso tempo era difficile condannare Frodo per una simile scelta. Faramir capiva quel desiderio di favorire quella poca speranza, era sempre più facile condannare la parte crudele nei cuori delle persone, ma lasciar fiorire quella buona per non condannare gli sbagli del passato?
Secondo Faramir quella, rappresentava la vera fiducia nell’umanità.
« Quindi non hai avuto nessuna notizia da Valanyar? » domandò Mithrandir mentre lo splendore di Minas Tirith entrava completamente nel loro raggio visivo.
« Nessuna » confermò confuso il Capitano di Gondor.
« Strano però che tuo fratello ti abbia semplicemente lasciato andare » commentò l’hobbit che seduto sopra il possente cavallo di Rohan, pareva a Faramir come un bambino di dieci anni scarsi. Si chiese cosa avessero pensato a Rohan dei due mezzuomini della Contea, se li avevano trattati con il rispetto che meritavano o meno.
« E’ vero, ma ieri sera Osgiliath era in fiamme, credo che possa aver attirato su di sé lo sguardo di Boromir. Sono certo che anche sotto l’influenza dell’anello, mio fratello sceglierebbe di salvare a sua gente » rispose Faramir mentre Pipino si mordeva il labbro inferiore, preoccupato per i suoi compagni, oramai sempre più distanti da lui,e Gandalf annuiva pensieroso.
« Speriamo che sia così » commentò lo stregone. Oramai la nuova compagnia era giunta davanti alle possente porte della Capitale, dove gli antichi Re li avrebbero giudicati.
« Per ora, speriamo che tu possa godere di un buon bentornato a casa caro Faramir » aggiunse sovrappensiero con un mezzo sorriso verso l’uomo. Mithrandir fece finta di non notare come il sorriso di Faramir vacillò, poiché sapeva che il padre del giovane Capitano era spesso stato ingiusto con il suo figlio minore.
Ma dopo le tante peripezie che lo avevano costretto lontano da casa, quale padre non sarebbe stato felice di rivedere il proprio figlio sano e salvo?
 
 
« Quell’albero Gandalf! E’ bianco! » mormorò il giovane Pipino guardando con stupore il grande tronco che si diramava pieno solo di rami secchi e poi, proprio nella cima più alta, dove era costretto a socchiudere gli occhi, eccolo lì, un bocciolo!
« Quello è l’Albero Bianco di Gondor, l’albero dei Re » disse Faramir guardandolo con rispetto, mentre sorrideva dolcemente, alla vista della sua meravigliosa città.
In quei mesi lontano da essa, gli era mancata molto, ma aveva capito l’entità del suo affetto, solo quando aveva temuto di perderla per sempre.
« E’ in fiore » gli fece notare l’hobbit, cogliendo completamente di sorpresa il giovane Capitano,lui non aveva mai visto l’albero in fiore, sotto il suo sguardo si era solo fatto sempre più debole e rigido come fosse stato colpito troppo in fretta dalla vecchiaia.
« Non è possibile » mormorò l’uomo facendo voltare anche Gandalf in direzione del grande albero. Si sforzarono a seguire il piccolo indice di Pipino che gli indicava proprio lì. Dove in alto a sinistra vi era un minuscolo bocciolo, da cui se si guardava attentamente era anche possibile intravederne il colore.
« L’albero lo sa, sa che il Aragorn è vicino. Percepisce che a breve un uomo degno si siederà sul trono di Gondor » disse Faramir attirando l’attenzione del Bianco Stregone che lo guardò con un sorriso ammirato.
Valanyar ci aveva visto giusto. Nella sua vita, Gandalf aveva avuto il piacere di conoscere molti uomini d’onore, ma in pochi possedevano una tale quantità di qualità come invece possedeva Faramir di Gondor. Era un peccato che il suo stesso padre non potesse vederlo come lo stava vedendo in quel momento il vecchio Stregone.
Mentre il Capitano di Gondor sorrideva, dinanzi ad una speranza divenuta certezza, dove non aveva alcun timore di perdere tutti i suoi titoli per il bene del suo popolo. Se anche Aragorn non fosse mai giunto, forse Minas Tirith avrebbe comunque avuto un Re degno, si ritrovò a pensare Mithrandir.
« Sarebbe meglio non pronunciare il nome di Aragorn in presenza di tuo padre. » avvisò lo stregone guardando entrambi i membri della compagnia « Ah e tenete Valanyar fuori da qualunque discussione, non sarebbe saggio  » annuirono nuovamente « Non dimentichiamoci neppure, di non fare cenno dell’anello e Frodo, se abbiamo fortuna tuo fratello non è ancora tornato a fargli rapporto » concluse lo stregone marciando qualche passo più avanti.
« Forse Mithrandir, sarebbe più opportuno se io e Pipino non parlassimo affatto » accennò con un sorriso divertito Faramir, imitato dal giovane hobbit che ridacchiò sotto i baffi, prima di ricomporsi in fretta a causa dell’occhiataccia che gli dedicò Gandalf.
« Mi sembra sensato » concluse lo stregone annuendo ai due, prima di spalancare le grandi porte che li avrebbero condotti nella sala del trono.
 
Denethor si trovava a molti metri da loro seduto su un trono, che però sostava ai piedi di una lunga scala nella cui cima, vi era un trono assai più magnifico e festoso. Quello che Pipino avrebbe senza dubbio identificato come un trono da vero Re.
Perfino l’intero palazzo d’oro di Re Théoden pareva impallidire, dinanzi a tale meraviglia.
« Salute a te, Denethor, figlio di Ecthelion, Signore e Sovrintendente di Gondor. Giungo con notizie in questa ora buia e con consigli. » salutò per primo il Bianco Stregone.
Il sovrintendente, alzò lo sguardo sui nuovi arrivati, senza dimostrare il minimo piacere nel rivedere il proprio secondogenito sano e salvo dopo tanto mesi, soprattutto perché il suo sguardo rimase fisso sullo Stregone.
Faramir non si era aspettato molto, non capiva perché ogni volta che tornava da una missione, si illudesse a quel modo… Che ogni volta sarebbe andata diversamente, che suo padre lo avrebbe accolto come ogni volta accoglieva Boromir. Felice ed orgoglioso.
Invece per lui, dopo tanti mesi lontano da casa, non vi era altro che indifferenza.
« Forse giungi per spiegare questo. Forse sei qui per dirmi perché hai mandato un traditore tra le mie file. » disse Denethor costringendo i presenti ad abbassare lo sguardo su ciò che il Sovrintendente aveva poggiato in grembo.
Sopra le sue gambe, Faramir riconobbe immediatamente le due spade bianche e a chi appartenevano. Mentre faceva qualche passo in avanti, scombussolato e Pipino urlava il nome di Valanyar senza che neppure Gandalf potesse reagire sufficientemente in fretta per fermare il giovane hobbit.
Ma lo stregone Bianco percepì il cuore piangergli, troppo impegnato a non crollare lui stesso emotivamente mentre i suoi occhi si posavano sui simboli sulle else delle spade:
Sia il simbolo della casata di Elrond che quella di Aragorn erano irrimediabilmente coperte dal sangue.
« Forse giungi per spiegarmi con quale incantesimo hai fuorviato il mio sciocco figlio, portandolo a cercare di uccidere il suo stesso fratello » il Sovrintendente conquistò nuovamente l’attenzione dei presenti, ma per poco poiché un uomo fuoriuscì dalla porta a pochi metri del trono minore.
« Boromir » lo guardò stupefatto il fratello minore. Quando questi alzò lo sguardo Faramir non riuscì a vedere alcuna traccia di follia nei suoi occhi ma la cosa non lo rassicurò minimamente poiché anche le sue mani erano insanguinate e il suo viso era dura mentre si fermava alle spalle di suo padre.
« Che cosa avete fatto!? » urlò Pipino marciando in avanti, mentre lacrime calde gli scorrevano lungo le guance. No non poteva essere vero, Valanyar non poteva essere morta, non aveva alcun senso.
« Che cosa hai fatto Denethor? » mormorò anche lo stregone sentendosi come se il terreno, potesse sprofondargli via da sotto i piedi. La sua Valanyar dopo tutti quegli anni, ma non aveva alcun senso, come poteva Boromir averla trovata in così poco tempo, quando il giorno prima si era affrontato con Faramir nell’Ithilien?
« Tu credi di essere saggio, Mithrandir. Ma con le tue sottigliezze non hai discernimento. Credi che gli occhi della Torre Bianca siano ciechi? Io ho visto più di quanto tu sappia. Con la tua mano sinistra mi useresti come scudo contro Mordor, e con la destra cercheresti di farmi uccidere dal tuo soldato di notte! Ma io ho scoperto i tuoi piani Stregone, nessun ramingo possederà il Trono di Gondor.
Tieniti pure quel traditore di mio figlio, usa lui come nuova cavia da macello necessiterai di un rimpiazzo dopo aver perso il tuo apprendista » sputò le parole con una rabbia quasi famelica, mentre lo stregone riconosceva la follia negli occhi dell’uomo e sapeva che niente avrebbe potuto guarirlo, non l’incantesimo più potente non la migliore medicina.
« Boromir che cosa hai fatto? » sussurrò Faramir con gli occhi che ancora saettavano dalle lame bianche insanguinate alle sue mani.
« Quello che andava fatto fratello. Io so quale è il mio posto, se vuoi accusare qualcuno dal tuo piedistallo accusa te stesso, poiché se è morto è a causa tua. Ha proposto uno scambio: una vita per una vita » concluse con un sogghigno trionfante mentre scrollava le spalle disinteressato, piantando i suoi sulla figura del Bianco Stregone che per un attimo vacillò così pericolosamente che apparve semplicemente come vecchio con il bastone.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità¹. = Harry Potter e la Camera dei segreti.
 

La felicità a volte la possiamo trovare anche nei luoghi più bui².= se uno si ricorda di accendere la luce! -Harry Potter e Il Calice di Fuoco.
 
 



 
NdA: Sto diventando brava vero con questi finali alla cazzo … emh, colpi di scena, non trovate? xD
Nella prossima torna Valanyar! E quindi il POV della storia, tornerà regolare dal suo, spero che leggendo i capitoli di fila, il cambiamento di narrazione costante non vi abbia creato noie e che risulti scorrevole. Solitamente preferisco scrivere in prima persona, proprio perché poi temo di incasinare tutto ^^’’
Se invece qualcuno di voi ha avuto problemi per come ho protratto la relazione tra Frodo e Sam e si sente offeso, beh problema vostro ;)
Probabilmente dovevo aggiungere altro in questa nota, ma non ricordo più cosa … quindi alla prossima!
Con Val e Legolas ;)
 
Mi scuso ovviamente per il ritardo, anche se, considerando che questo capitolo è quasi infinito, un po’ me lo meritavo no? xD Ho tagliato comunque un po’ di scene, poiché temevo che sennò sareste morti di noia, ma per il resto spero che vi sia piaciuto!
PS: Sono 16.000 parole! 16.000!!! xD Il capitolo più peso che abbia mai scritto ^^’

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


▌ Capitolo 14  ▌
 
 








 
«  Vai e digli che lo trovi carino.
Cosa potrebbe mai succedere di male? »
 
« Potrebbe sentirmi »

 
__F.R.I.E.N.D.S
 
 





 
Ci eravamo accampati ai margini di una delle tante distese d’erba, vicino a delle rocce che da seduti ci permettevano anche un riparo dal sole, mentre i cavalli mangiavano e si godevano un po’ di meritato riposo.
« Cosa stai guardando? » domandò Legolas non appena tornò dall’aver sciolto Ombromanto dalle redini per farlo pascolare in pace.
Bucefalo era stato meno fortunato, ignorando la scomodità delle corde, per mettersi immediatamente alla ricerca dei suoi fiori preferiti da mangiare. Ma d’altronde il mio era un cavallo da guerra, molto più abituato di Ombromanto a quelle sfacchinate senza un apparente motivo.
« Quanto tempo ci rimane » risposi enigmatica mentre l’elfo si sedeva di fianco a me, non abbastanza che i nostri fianchi si toccassero ma a sufficienza per mettermi a disagio se fosse stato uno sconosciuto. Ma mi stupii di notare che le mie membra non si tesero pronte a scattare, infastidite dalla vicinanza, anzi mi ritrovai quasi più in pace con me stessa, come succedeva quando mi addormentavo vicino ad Aragorn. Sapevo di fidarmi di Legolas.
« In che senso? » domandò nuovamente, probabilmente anche leggermente spazientito. Solitamente, erano gli elfi ad essere enigmatici non gli esseri umani e a nessuno di loro piaceva mai, quando tentavamo di togliergli il primato.
Ridacchiai della sua espressione corrucciata, invitandolo ad affacciarsi oltre alla mia spalla per guardare assieme a me.
In grembo portavo una delle lame, Tiriadir per la precisione quella con il simbolo della casata di Imladris. Tutto ciò che avevo a ricordarmi dove fosse la mia vera casa.
Inclinai leggermente la spada, così che vi fosse riflesso il mio viso, aumentandola poi ancora maggiormente  per far sì che risaltassero solo i miei occhi riflessi nella lama.
« Vedi i punti scuri nelle iridi? » domandi indicando i piccoli punti marroni ancora a giro per i miei occhi, non erano più abbastanza da far sembrare i miei occhi quelli di un gatto, anzi, oramai ad un approccio veloce parevano quasi invisibili. Ma se qualcuno si fosse soffermato ad esaminare più a lungo le mie iridi, avrebbe notato che vi erano almeno cinque piccoli punti scuri, tre nell’occhio sinistro e due nel destro.
Legolas annuì, corrucciando le sopracciglia mentre rispondeva al mio sguardo attraverso la spada.
« Rappresentano il tempo che mi è stato concesso dai Valar per aiutarvi. Quando i miei occhi saranno completamente bianchi, allora il tempo sarà esaurito e la missione conclusa, nel bene e nel male » dissi studiando quei piccoli punti scuri come se desiderassi imprimermeli a fuoco nella mente.
Avrei voluto avere più tempo, nonostante mi fosse stato quasi un secolo, mi sembrava non fosse stato abbastanza, quante cose in più avrei potuto fare, se avessi avuto a disposizione centinaia di anni a mia disposizione, come aveva avuto Tauriel?
Mi sarei anche io persa in me stessa, dimenticando i miei doveri?
« E dopo? Cosa succederà quando i tuoi occhi diventeranno completamente bianchi? » domandò l’elfo girando il suo viso verso il mio, obbligandomi a fare lo stesso.
Legolas mi guardava con un sguardo preoccupato che avevo visto altre volte, nelle persone che mi amavano e che rappresentavano oramai la mia famiglia adottiva.
« I miei anni riprenderanno probabilmente a scorrere come quelli di un normale mortale. Compirei finalmente ventisei anni, suppongo » dissi divertita accennandogli un sorriso « Invecchierei … » aggiunsi nuovamente più malinconica.
Non avevo mai invidiato l’immortalità degli elfi, forse perché ero abituata ad essere umana ma mi era sempre sembrata una vita triste. Vivere in eterno e vedere così tanti cambiamenti ma così lentamente …
No era certa che non facesse per me, già dopo i primi dieci anni a Gran Burrone, avevo dovuto iniziare ad andare in guerra con Aragorn perché temevo che sarei impazzita sempre chiusa lì dentro a fare le stesse cose.
« E se invece tu fallissi? » domandò Legolas spostando il suo sguardo verso l’orizzonte. Il suo viso si era indurito, come quando si sa che si sta per ricevere una brutta notizia e si cerca di non fare una scenata, mostrandoci quindi indifferenti.
Sorrisi nuovamente, ma in modo più privato, sentendo una piacevole sensazione di calore avvolgermi lo stomaco come una coperta calda.
« Se fallissi, svanirei. Nessuno di voi saprebbe neppure che sono mai esistita » ammisi amaramente ma senza un reale timore. In tutta onestà temevo il fallimento completo meno del previsto, soprattutto perché la vera riuscita della missione, dipendeva tutta da Frodo e Aragorn. Certo io avrei potuto indirizzarli nella giusta direzione, ma per il resto erano loro a dover vincere le loro battaglie.
Ed io non avevo nessun dubbio sulla loro riuscita.
« Che cosa?! » esclamò l’elfo furioso voltandosi anche con il corpo verso di me, mentre mi poggiava una mano sulla spalla, quasi volesse riscuotermi dalla follia appena annunciata.
« Che significa? » mi incalzò nuovamente mentre io portavo la mia mano sopra la sua, in una carezza confortante.
Lo sguardo di Legolas si posò per un attimo sulle nostri mani, mentre la punta delle orecchie gli si tingeva di un rosso che oramai avevo imparato a riconoscere, ma i suoi occhi rimasero risoluti invitandomi a dargli delle risposte.
« Che non vi ricorderete più di me. Sarà come se non ci fossi mai stata. Avrai tutti i tuoi ricordi della compagnia, del consiglio a Gran Burrone, delle battaglie … Ma non mi troverai in essi, non sapresti neanche che c’era qualcun altro di cui sentire la mancanza » esalai infine sentendo la gola chiudersi come se strozzata, mentre sentivo il mio cuore sempre più pesante, e mi veniva voglia di piangere.
Sbattei le palpebre, non capendo perché improvvisamente mi sentissi a quel modo, quando ero certa che quell’eventualità era molto lontana dalla realtà.
Rabbrividii, come se fosse tornato l’inverno, notando i colori attorno a me farsi più spenti. I cavalli avevano smesso di brucare e ora erano voltati verso di noi. Trovai curiosa la cosa, prima di capire che non stavano guardando tutti e due, ma solo Legolas.
Alzai gli occhi sul viso dell’elfo e lo trovai sempre immobile a guardarmi, in una smorfia di dolore che riconobbi uguale a quella di un paio di mesi prima a Lothlòrien, quando avevo pronunciato il nome di Tauriel.
Non vi era una foresta magica a questo giro a piangere per lui, ma la natura attorno a noi, parve comunque cogliere il gelo che avevo portato nel suo cuore perché io stessa mi sentivo come se potessi crollare a piangere da un momento all’altro.
« Legolas » mormorai guardandolo, ma l’elfo mi guardava senza vedermi, perso in un filo di pensieri che non prevedeva la mia intromissione. Forse la mia confessione gli aveva fatto scattare un nuovo ricordo di Tauriel?
« Legolas guardami » dissi prendendogli il viso con tutte e due le mani, avvolgendogli gentilmente il volto così da costringerlo a farmi entrare nel suo raggio visivo.
« Legolas sono qui, guardami » l’elfo spostò finalmente i suoi occhi su di me, mentre notavo che i suoi occhi brillavano sotto la luce del sole di lacrime non versate.
« Non credevo che gli Dei potessero esser così crudeli » mormorò infine dopo qualche minuto in cui, avevo temuto che avrei dovuto prenderlo a schiaffi in faccia per riscuoterlo da quella situazione di stallo. Era parso così immobile e pallido, da apparire come Haldir quasi dieci giorni prima, ad un passo dalla morte con  la sua anima che si stava preparando a dire addio per sempre al suo corpo.
« Ehi va tutto bene » dissi sorridendogli sinceramente. Non credevo che la notizia di una mia possibile dipartita, avrebbe potuto ferirlo a quel modo. Certo avevamo fatto dei passi avanti, ma sapevo che gli elfi si affezionavo agli altri esseri viventi con particolare diffidenza.
Sembrava che Legolas, fosse destinato ad infrangere ogni aspettativa che mi ero fatta sugli elfi in generale. Ogni volta che credevo di averlo compreso, faceva sempre l’esatto opposto come se giocasse ad un gioco che solo lui poteva vedere.
« Sono qui » aggiunsi carezzandogli leggermente le guance con i miei pollici. L’elfo mi restituì il suo sguardo con una tale intensità, che in un solo attimo mi sentii pervadere da un’ondata d’imbarazzo. Realizzando quanto fossimo vicini e che nonostante quello, il suo volto restava inspiegabilmente perfetto.
Sentivo il suo fiato sfiorarmi le mie labbra e avrei voluto allontanarmi da tutte le emozioni che mi suscitava, con tutta la mia forza di volontà. Peccato che fosse evidente che il mio corpo non voleva collaborare mentre restavo immobile sotto il suo sguardo come se fossi io quella con il viso catturato tra le sue mani.
« Promettimi che ci resterai » disse facendomi andare il cervello ancora più in escandescenza quando realizzai che neanche lui si stava allontanando, anzi se possibile mi sembrava ancora più vicino, mentre riuscivo perfino a vedere il mio viso riflesso nei suoi occhi.
Dovevo apparirgli ridicola, rossa come un peperone, con gli occhi spalancati come un animale braccato e la completa perdita di cognizione mentale.
« Eh? » domandai come sempre, in modo molto intelligente, quando perdevo completamente il filo del discorso. Finalmente riuscii a portarmi qualche centimetro più indietro, ritrovando un po’ di sanità mentale assieme alla distanza che aumentava tra di noi, anche se Legolas non mi permise di lasciargli andare via il viso mentre tratteneva l mie mani con le sue, sulle proprie guancie a fargli da cornice.
« Promettimi che non te ne andrai. Promettimi che non mi- … che non ci lascerai » ripeté inciampando per un secondo nelle sue stesse parole.
Annuii lentamente, desiderando soprattutto da potermi allontanare da quella situazione, così che il mio cuore potesse darsi una calmata e smetterla di scalpitare come se fosse invaso dall’adrenalina nel mezzo di una battaglia. « Te lo prometto » sancii infine, esalando lentamente e riprendendo il tanto desiderato fiato quando mi permise di riprendermi le mie mani che portai immediatamente al petto, incrociandolo sotto le braccia come ad impedirgli di fare nuovamente qualche altra sciocchezza. Come toccare nuovamente l’elfo.
« Credo che possiamo riprendere il cammino, i cavalli sembrano sazi » analizzò lui dedicandosi una breve occhiata tutt’attorno, mentre io mi voltai a guardare Bucefalo, come se lo vedessi per la prima volta in vita mia.
Il cavallo mi ricambiò lo sguardo dedicandomi una lunga sbuffata che assomigliava terribilmente ad una risata, ma optai per non tergiversare oltre, mentre mi limitavo a raccogliere la mia lama e rimetterla nel fodero, per poi dirigermi frettolosamente verso l’animale
 
 
 
 
 

Avevamo abbandonato il galoppo per un passo tranquillo, i cavalli non potevano certo correre all’infinito, e dato il solo pomeridiano che ci scaldava le spalle, era quasi un piacere passeggiare lungo la strada che ci permetteva di avvicinarci sempre di più alle montagne.
«Posso farti una domanda? » domandò Legolas mentre Ombromanto rizzava le orecchie interessato. Il cavallo parlava raramente con Legolas, ma ascoltava sempre ciò che l’elfo aveva da dire, come se ogni parola meritasse la sua attenzione.
A differenza di Bucefalo che l’unico momento in cui mostrava interessato a quello che avevo da dire, era quando tenevo una mela in mano.
« Certo » risposi ricercando con lo sguardo tra le alte rocce intorno a noi, una possibile evidenza del passaggio degli hobbit o Faramir. Anche se sicuramente il primo a notare qualcosa sarebbe stato Legolas ma questo non voleva dire che non avrei dovuto fare anche io la mia parte.
« Ho notato che nessuno ti chiama mai per il tuo vero nome, neppure Aragorn. Come mai? » disse Legolas facendomi corrucciare le sopracciglia costringendomi a voltarmi verso il mio interlocutore.
« Cosa intendi? Il mio nome è Valanyar » risposi guardandolo come se gli fosse spuntata un’altra testa poiché era una domanda piuttosto sciocca per un elfo, lui li conosceva oramai tutti i miei nomi e per quanto rispondessi ad ognuno di essi, Valanyar era da sempre stato quello più rappresentativo. D’altronde fino all’arrivo di Haldir ad Imladris non sapevo neppure che ne avevo un altro.
« E’ il nome che ti è stato dato al tuo arrivo nella Terra di Mezzo no? Ne avrai avuto anche un altro prima, non capisco perché nessuno ti chiami mai a quel modo »
« Oh » mormorai comprendendo finalmente cosa intendesse.
Legolas era l’unico a farmi domande sul mio passato, nessuno vi era mai stato particolarmente interessato immaginando semplicemente che io venissi da un altro continente, solo la mia famiglia elfica di Imladris, Bilbo ed Aragorn sapevano la differenza e avevamo abbandonato ogni teoria così tanto tempo prima, che aveva perso ogni aspettativa.
« Certo che ne ho uno » dissi passandomi una mano tra i capelli frustrata. Bucefalo dovette percepire il mio cambiamento di umore perché anche lui si irritò, nitrendo infastidito mentre Ombromanto piegava le orecchie all’indietro segno che anche lui risentiva del mio malumore.
« Non devi dirmelo se non vuoi » intercedette immediatamente Legolas.
« Non avevo intenzione di dirtelo » ribattei prima di sospirare, rendendomi conto quanto fossi suonata sfrontata nella mia risposta.
Lui non aveva colpa alcuna, era solo che le sue domande mi mettevano sempre a disagio, stava cercando di capirmi meglio ed era una cosa che solitamente avrei apprezzato, ma mi costringevano ad attingere a dei ricordi così sfuocati da essere dolorosi.
« Mi dispiace è che … Ho pochi ricordi di prima del mio arrivo a Gran Burrone e sono così sfuocati. Ricordo di aver letto la storia della compagnia in un libro, ricordo palazzi enormi e grigi ricordo … ricordo un mondo popolato solo da uomini » sussurrai certa che Legolas sarebbe comunque riuscito a sentirmi « E’ tutto così confuso, credo che abbia tutto a che fare con un sogno? Forse ho dormito per tutta la mia vita e Gandalf, Galadriel e Elrond mi hanno svegliato con l’incantesimo io … Non lo so » risposi onestamente « Ma conosco il mio nome, ho una voce che me lo ricorda a volte nei miei sogni.  E’mia madre che mi chiama, credo » aggiunsi con un sorriso amaro.
Avevo affrontato una discussione simile anni prima con Frodo quando mi aveva confessato di star dimenticando il volto dei suoi genitori, che aveva paura che gli sarebbero sfuggiti per sempre da un giorno all’altro.
Gli avevo confessato che anche io non ricordavo più niente di mia madre, immaginavo che potesse aver avuto i miei stessi occhi marroni, o almeno quelli  che avevo prima, gli stessi capelli scuri che da lunghi apparivano con dolci onde e se li tagliavi troppo, ti ritrovavi con un nido d’uccello crespo in testa.
Probabilmente la sua  pelle era stata olivastra come la mia? Pallida d’inverno ma che bastavano i primi raggi d’estate  a farla abbronzare …
Scossi la testa rendendomi conto che probabilmente tutti quei pensieri erano inutili, importava bene poco da dove venissi, non vi sarebbe stato comunque più nessuno ad aspettarmi, avevo centouno anni, mia madre doveva essere morta molto tempo prima.
« Comunque il mio nome si posava strano sulle bocche degli abitanti della Terra di Mezzo, e quando Elrond mi ha detto che il mio nome in Sindarin era “Valanyar” mi è sembrato appropriato.
Il mio a quei tempi d’altronde significava Messaggera degli Dei » dissi ricordando l’episodio di quasi settanta anni prima con un sorriso.
Non mi piace” intervenne Ombromanto sorprendendo anche Legolas, che spalancò gli occhi stupefatto come ogni volta che il cavallo faceva l’onore di condividere i suoi pensieri anche con lui.
“ I nomi sono una cosa importante, vanno ricordati. E’ pericoloso non ricordarsi il proprio, potresti finire con il dimenticarti chi sei “ aggiunse inclinando leggermente il muso verso sinistra, così che potessi incontrare il suo sguardo.
« Ma io ho un nome, e so chi sono. Sono Valanyar, di Imladris facente parte della Reale famiglia di Elrond e sorella di Aragorn figlio di Arathon ed erede al trono di Gondor » risposi raddrizzando immediatamente la schiena, come a rispecchiare il leggiadro portamento elfico .
Legolas mi guardò per qualche secondo, come se avesse voluto aggiungere qualcosa a favore della tesi di Ombromanto, ma qualcosa dovette fargli cambiare idea, perché si limitò a sorridermi ed annuire.
« Sono d’accordo con Valanyar, non sono le nostri origini a definirci. A volte si è chi si vuole essere  » concluse dando una carezza delicata lungo il pelo del collo del cavallo.
Ombromanto sembrò apprezzare ma ci chiuse fuori da i suoi pensieri, mentre io mi scambiavo un cenno di ringraziamento con l’elfo.
Dovevo ammettere che era bello, sapere di averlo sempre dalla mia parte.
 

 
 

 
« C’è un avamposto di Gondor là » soppesai osservando il fiume in lontananza. Eravamo quasi all’entrata del sentiero che ci avrebbe permesso una scorciatoia verso l’Ithilien, e non potevo credere che fosse stata una coincidenza che il mio sguardo fosse caduto proprio sulle bandiere di Gondor.
Vi era forse qualcosa che mi sfuggiva? Ricordavo gli eventi che si sarebbero scatenati se Faramir fosse stato Capitano, avrebbe portato gli Hobbit ad Osgiliath perché attaccata. La città era in netta minoranza a causa dei continui attacchi degli orchi da tutte le sponde del fiume.
« Proteggono il fiume. Ma verranno annientati, vedo Pirati almeno a due giorni di distanza, forse tre se non avranno il vento a favore » studiò Legolas al mio fianco, lo guardai ammirata, come sempre mi capitava quando riusciva a vedere o sentire cose che per me erano troppo lontane.
« A cosa stai pensando? » domandò quindi l’elfo incrociando il mio sguardo, mi morsi il labbro inferiore combattuta, mentre mi voltavo nuovamente verso l’accampamento sul fiume. Era un piccolo porto, probabilmente prima della guerra veniva usato solo dai pescatori dei villaggi vicini. Al momento l’unica forma di vita presente erano i soldati.
Erano una guarnigione piuttosto numerosa, Boromir aveva fatto bene i suoi calcoli poiché vi saranno stati almeno mille uomini, ma non sarebbero mai bastati. Un numero simile davanti alle forze di Mordor? Non avrebbero neppure rappresentato un ostacolo.
« Vorresti avvisarli » concluse da solo l’elfo mentre seguiva con me lo sguardo verso la guarnigione di Gondor. L’elfo sospirò probabilmente dandomi dell’idiota in tutte le lingue che conosceva ma si limitò a sorridere benevolo quando infine, rincontrò il mio sguardo.
« Inizi a conoscermi » ribattei ricambiando il suo sorriso con uno più grande.
« Giusto un po’ » confermò lui evidentemente soddisfatto, mentre entrambi facevamo contemporaneamente cambiare direzione ai cavalli, dando così le spalle al sentiero che stavamo per imboccare, e dirigendoci verso le acque più a Nord.
 
Impiegammo non più di qualche ora per raggiungere l’accampamento, abitudinariamente tirai su il cappuccio del mio mantello, celando la stranezza dei miei occhi, tranne a chi già la conosceva.
Dubitavo di conoscere davvero qualcuno di quei soldati poiché mi sembravano tutti, tristemente troppo giovani. Evidentemente addestrati e costretti alle armi in fretta e furia, così che potessero proteggere i confini delle loro case a costo della loro stessa infanzia.
« Chi siete? E cosa porta un elfo ed un ramingo nelle Terre di Gondor? » domandò uno dei due soldati di ferma al sentiero. La loro divisa era sporca e consumata segno che erano oramai anni che non gli era più permesso di tornare a casa, ma i suoi capelli erano pettinati e la barba era stata fatta da meno di due giorni, segno che il loro comandante esigeva il rispetto delle vecchie tradizioni.
« Il mio nome è Gwend, e lui è Legolas di Bosco Atro. Veniamo per parlare con il vostro comandante, un nemico troppo potente si staglierà su di voi, sono qui per offrirgli consiglio » dissi cercando di imporre nella mia voce, la stessa autorevolezza con la quale avevo ingannato i soldati di Boromir anni prima.
I due di guardia si scambiarono un’occhiata scettica, segno che non avevano la più pallida idea di cosa stessi parlando e men che meno chi fossi, prima di limitarsi ad un cenno di assenso.
« E sia, lasciate qui le vostre cavalcature, sarà il Comandante a decidere se vale la pena o meno, di ascoltare i vostri consigli » rispose saggiamente il più anziano dei sue.
Sia io che Legolas scendemmo da cavallo, senza neppure disturbarci a legarli a qualche parte, certi che i due animali non si sarebbero neppure allontanati.
I soldati ci guidarono attraverso varie tende e visioni di soldati spenti e con ben poco speranza rimasta ad animargli il volto. Alcuni avevano persino perso pezzi di armatura, oppure non si erano sprecati a vestirsi completamente. Nonostante la calma apparente, era evidente che non doveva essere passato molto tempo da quando avevano subito le ultime perdite. Il dolore impregnava l’aria come il fumo di un falò.
Quando ci trovammo davanti ad una tenda messa meglio delle altre capimmo che dovevamo essere dinanzi il famoso Comandante, il soldato di guardia entrò probabilmente per annunciare la nostra presenza ed io sorrisi tra me e me attirando l’attenzione di Legolas, che mi dedicò una domanda silenziosa inarcando il sopracciglio.
« E’ solo che, mi ricorda molti anni fa quando incontrai Boromir, nonostante abbia per lui sfoderato il mio migliore fascino, mi cacciò più volte dalla sua tenda » dissi ridacchiando tra i baffi al ricordo. Anni prima ero stata davvero disperata, dopo la mia decisione di coinvolgere Faramir nella compagnia era giunta a Gondor solo per scoprire che il fratello minore era via per l’ennesima missione suicida a causa del padre. E il fratello era stato un vero bastardo negli anni a venire che avevo passato in attesa.
« Fammi indovinare, ti sei presentata nella sua tenda senza nemmeno degnarti di presentarti e hai preteso che facesse quello che gli suggerivi mh? » ribatté Legolas retorico beccandosi una lieve gomitata nelle costole da parte mia.
« Ma smettila io non sono così »
« E’ esattamente come ti sei presentata la prima volta che ti ho vista. “Io sono Valanyar e voi altri dovreste fare come dico” » aggiunse l’elfo ridacchiando della mia espressione fintamente offesa, mentre mi trattenevo dal tirargli ancora un’ennesima gomitata.
« Ti sbagli, sono stata l’esempio dell’educazione » persistetti raddrizzando la schiena non appena il soldato di poco prima riuscì dalla tenda, seguito da un altro guerriero visibilmente più vecchio.
« Che gli Dei mi maledicano se non sei proprio tu! » disse venendomi incontro e chiudendomi in un abbraccio stritolatore che mi permise immediatamente di riconoscere chi avevo davanti.
« Accidenti quanto sei invecchiato male Damrod! » lo salutai stringendolo a mia volta. Il comandante si voltò indicandomi al suo sottoposto con un sorriso a trentadue denti che sorprese anche il ragazzo.
« Questo è Gwend! Questo Disgraziato era sempre con me in prima fila perché continuava a far infuriare il Capitano come nessuno mai! » Legolas mi lanciò un’occhiata divertita come a dire “Stavi dicendo?” che ignorai voltandomi dalla parte opposta « Pensavo tu fossi morto ragazzo! » continuò Damrod prendendomi le spalle tra le mani e scuotendomi verso di lui.
« Allora? Cosa ti ha riportato a Gondor? » domandò con gli occhi che gli brillavano, come se fossi la prima buona notizia che riceveva da, beh da sempre.
« La flotta di pirati che sta per attaccarvi e radervi al suolo » dissi dopo una lieve pausa di silenzio in cui avevo cercato di affrontare la situazione in modo diverso, solo per poter dare torto a Legolas. Ma forse un po’ l’elfo aveva ragione, in fin dei conti io ero davvero Valanyar ed era sempre meglio che gli altri facessero come gli dicevo. D’altro era per il loro bene che lo facevo, un grazie sarebbe stato sufficiente.
 
 
Convincere Damrod che Osgiliath sarebbe stata attaccata la cosa migliore da fare sarebbe stato andare là e abbandonare la postazione perché sennò sarebbero morti da entrambe le parti fu piuttosto facile.
Mentre invece, convincerlo a seguire quel piano fu tutto un altro paio di maniche.
Vi fu un consiglio, il Comandante richiamò la maggior parte dei suoi uomini più anziani tutt’intorno ad un falò così che potessi presentare a tutti ciò che sapevo e ciò Legolas aveva visto. Quegli uomini non mi conoscevano, come non si fidavano degli elfi, quindi convincerli ad andare contro un ordine diretto del loro Capitano fu una delle cose più difficili che mi ritrovai a fare negli ultimi vent’anni.
Una parte di me pensò a Théoden e a quanto avrebbe desiderato avere uomini simili, che si limitavano a rispettare gli ordini, ignorando i miei consigli in favore di quelli del loro Re.
Ma Gondor non aveva un Re, il problema era proprio quello e quei soldati sapevano che il loro Capitano aveva sempre voluto il meglio per loro quindi non li avrebbe semplicemente lasciati a morire se non lo avesse ritenuto utile per la guerra.
Nominai Faramir e Mithrandir, cercai nei loro ricordi qualcosa che li ricongiungesse a me, così che potessero capire da soli che potevano fidarsi delle mie parole che non stavo cercando di ingannarli.
E funzionò, nessuno di loro credeva più che io stessi mentendo certo, ma non vollero comunque abbandonare la loro postazione, se Boromir li aveva mandati lì a morire, anche solo per rallentare quei pirati allora sarebbero morti con onore.
Perché sapevano che il Capitano della Torre Bianca, era un uomo d’onore e non gli avrebbe mai chiesto di fare un simile sacrificio se non perché non c’era altra soluzione, se era per Gondor che sarebbero dovuti morire di lì a quel qualche giorno, così sarebbe stato.
« Cosa farete ora? » ci domandò Damrod mentre ci riaccompagnava dai nostri i cavalli.
« Boromir tenterà un’imboscata contro gli Haradrim, cercheremo di raggiungerli prima che la vittoria gli volti le spalle » risposi con una lieve scrollata di spalle, qualcosa passò nello sguardo del soldato di Gondor che non riuscii ad identificare.
« Haradim, Pirati, Sudroni e orchi da Mordor. Che speranze abbiamo di vincere questa guerra Gwend? » mi domandò l’uomo mentre mi osservava riprendere il mio posto sopra il dorso di Bucefalo.
Abbassai lo sguardo, non riuscendo a dedicargli nient’altro se non un sorriso messo.
« Se l’anello non verrà distrutto? Nessuna amico mio. Sauron ci annienterà  fino a che sia gli uomini, che tutte le altre razze, non saranno neppure un ricordo custodito dalla nuda Terra. » risposi sinceramente. Poiché la cosa più stupida che potevi fare con un veterano, era mentirgli o cercare di addolcirgli la pillola.
Damrod mi sorrise, dandomi un ultima pacca sulla gamba ed augurandoci buona fortuna, mentre noi, riprendevamo il nostro viaggio alla ricerca di Faramir.
 

 
 
 

La nostra ricerca proseguì per quasi un altro giorno ed un'altra notte. Ovviamente fu solo grazie all’udito elfico di Legolas che riconobbe gli olifanti da kilometri di distanza, che trovammo la giusta strada appena in tempo.
Sempre che di giusta strada potessimo parlare, tecnicamente eravamo una decina di metri troppo in alto. Ci affacciamo appena in tempo per riuscire a scorgere Frodo e Sam che arretravano, tirati via dai mantelli anche da Gollum mentre Faramir si parava coraggiosamente dinanzi suo fratello, intimandolo a non proseguire oltre.
I minuti parvero rallentare mentre i due fratelli si contendevano, il minore continuava a supplicare il maggiore di smetterle, di tornare in sé. Ma Boromir era guidato da una furia cieca, che lo avrebbe fatto ammazzare se solo non avesse avuto davanti qualcuno che lo amava.
Vidi Faramir evitare più volte di non colpire il fianco scoperto del Capitano più anziano, proprio per non ferirlo, peccato che non stesse ricevendo gli stessi favori in cambio.
Mi agitai sul posto, preparandomi a scattare in avanti.
« Che cosa pensi di fare? » disse Legolas riprendendomi per il braccio quando minacciai di affacciarmi troppo dalla sporgenza.
« Legolas non posso lasciare che si uccidano »
« E quindi cosa farai? Non puoi combatterli da sola, non mentre tu vuoi farli ragionare e loro cercano di ucciderti! »
« Se lo uccide, Boromir non se lo perdonerà mai. Non ci sarà nessuno a guidare l’ultima difesa di Gondor, Minas Tirith sarà perduta  » gli feci presente voltandomi nuovamente verso i due fratelli, come temevo la situazione era degenerata e adesso Faramir era ad un passo dal perdere l’arma.
Nonostante la distanza non faticavo ad immaginare quanto fosse dura in quel momento per il giovane Capitano. Cosa lo avevo costretto a fare?
Se non fossi stata tanto stupida e avventata, il suo destino non lo avrebbe mai costretto a battersi contro il suo stesso fratello per proteggere Frodo. No non potevo permettergli anche di morire per quella stessa causa, anche se sapevo che lo avrebbe fatto senza mai condannarmi.
« Va bene, quale è il piano? » domandò l’elfo lasciandomi il braccio e guardando nuovamente sotto di noi.
« Oh non c’è un piano » dissi prima di lanciarmi verso la scena sottostante.
 Il volo non fu dei peggiori, il salto era poco meno di cinque metri d’aria, poiché la distanza era data dalla lunga discesa di terra, ma in fin dei conti mi ritenni soddisfatta quando atterrai sul lato di burrone inclinato, finendo così per spingere via Faramir dalla scena e farlo ruzzolare lungo il baratro sottostante.
« Ehilà » salutai parandomi davanti a Boromir e ritrovando l’equilibrio appena in tempo, mentre il Capitano di Gondor mi guardava con un odio negli occhi che non gli apparteneva ma perlopiù appariva, sorpreso.
« Ma che cosa? » commentò guardandomi da capo a piedi mentre un po’ di sanità mentale sembrò tornargli nelle iridi, come se stesse cercando di mettere a fuoco chi aveva davanti.
« Valanyar? » esclamò una voce alle mie spalle che però non mi fermai ad analizzare poiché si stava già facendo sempre più lontana « Avete le visioni Padron Frodo andiamo, lei è a kilometri da qui, dobbiamo andarcene » gli rispose una voce che riconobbi come quella di Sam mentre mantenevo lo sguardo fisso sull’uomo davanti a me.
Boromir continuava a spostare lo sguardo tra me, il baratro e le mie spalle, nonostante non ci fosse sicuramente nessuno da vedere lì. Le voci dei due Hobbit erano state troppo lontane perché lui ora potesse vederle oltre la curva.
« Boromir, sono io Gwend » dissi cercando di farlo tornare in sé, mentre portavo in alto le mani, perché la smettesse di registrarmi come una minaccia.
Ma forse sopravvalutai la mia bravura nel leggere le persone, oppure sottovalutai la persuasione dell’anello nel sottomettere le persone perché nonostante lo sguardo rabbioso negli occhi di Boromir e l’urlo spaventato di Legolas sopra la mia testa, registrai troppo tardi la mossa successiva del soldato di Gondor per riuscire ad evitarla.
La sua lama mi trapassò da parte a parte sul fianco sinistro, mentre boccheggiavo con il mezzo sorriso di poco prima ancora sulle labbra.
« Boromir … » mormorai sputando sangue quando lui estrasse la sua lama, il suo sorriso di follia scemò così rapidamente che sarebbe stato quasi divertente se non fossi stata sul punto di morire dissanguata.
« Gwend? Oh mio Dio cosa ho fatto? Che ci fai tu qui ? » disse in preda al panico facendosi avanti per sostenermi, mentre sentivo le ginocchia iniziare a cedere sotto il mio peso, mi sforzai di continuare a respirare, mentre il Capitano di Gondor lasciava cadere la sua arma per sostenere la mia maggior parte del mio peso mentre cercava di fermare il flusso di sangue che fuoriusciva copioso dalla feria, con la stessa stoffa del mio mantello.
« Levagli le mani di dosso! » sentii una voce gridare dall’alto che riconobbi con facilità, alzai lo sguardo su di lui e lo vidi in alto nel crinale con l’arco incoccato in una freccia che puntava dritta alla testa di Boromir.
«Legolas » lo ripresi guardandolo e cercando con tutte le mie forze di non fare qualcosa di stupido come svenire o cadere anche io nel baratro dietro Faramir.
Lui probabilmente era riuscito a sopravvivere alla caduta, con solo qualche nuovo livido, io con la ferita che in quel momento mi ritrovavo dubitavo sarei stata altrettanto fortunata.
« Hai promesso » gli ricordai mentre vedevo il suo sguardo vacillare e finalmente spostava lo sguardo da Boromir a me.
« Non puoi chiedermelo adesso » mi supplicò con così tanto dolore nella voce, che fui certa che avrebbe fatto male perfino a me quella separazione.
I suoi occhi erano colmi di dolore e preoccupazione, e mentre la sua presa nell’arco restava sempre impassibile, un incoccata ancora mortale per Boromir se solo avesse lasciato andare la freccia, i suo occhi tremavano di incertezza. Il colore delle sue iridi mi apparve quasi sfumato a causa delle lacrime non versate e mi sentii immediatamente ancora più in colpa perché in quel momento compresi veramente, che Legolas di Bosco Atro, avrebbe sofferto per me se fossi morta. E non perché ero cara ad Aragorn o ero un membro della compagnia, ma perché ero divenuta cara a lui e sapeva, che non sarebbe riuscito ad affrontare la mia morte con la dovuta indifferenza che quei tempi richiedevano a tutti noi. Eppure io sapevo anche, che non poteva rimanere.
« Legolas » iniziai guardandolo con tutta la determinazione che sapevo di poter possedere, anche se in quel momento me la sentivo sfuggire come acqua tra le mani.
« Sei vincolato a me con un giuramento e sotto di esso ti ordino - »
« Per favore » mormorò in un sussurro così flebile che temetti di essermelo immaginato, ma la disperazione nei suoi occhi faceva intendere ben altro.
«- di andartene. Trova Aragorn, combatti al suo fianco e guidalo nel suo cammino » conclusi senza riuscire ad immaginare cosa significasse un simile scambio di battute per tutti i presenti.
Ma gli uomini restanti erano evidentemente tutti troppo scioccati, alcuni continuavano a guardare tra me e Legolas, altri, erano affacciati dal burrone sottostante alla ricerca di Faramir senza fortuna alcuna.
L’elfo continuò a guardarmi per qualche secondo prima di ritrarre la corda del suo arco, riprendendosi così in mano la sua freccia ed annuì tristemente, concedendomi un’ultima occhiata che sembrava chiedermi un’ulteriore giuramento, uno dove gli avrei potuto assicurare che ci saremmo rivisti.
Quando finalmente Legolas  si voltò per scomparire dalla mia vista, mi voltai verso Boromir che mi guardava ancora sconvolto, con le mani sporche dal mio stesso sangue e un’espressione di totale confusione, sul perché l’elfo non l’avesse ucciso.
Sorrisi dinanzi a quella sua buffa espressione, prima di svenire, crollandogli tra le braccia come una pivella alle prima armi.
 
Mi svegliai che attorno a me vi erano solo mura e colonne senza un vero tetto, e faceva freddo, troppo per essere primavera. Sapevo perfettamente dove mi trovavo, c’era un solo posto in tutta la Terra di Mezzo che riusciva ad essere così fastidiosamente umida undici mesi su dodici. Osgiliath.
Mugolai di dolore, tentando di voltarmi di lato per mettere a fuoco i volti delle voci che sentivo tutt’attorno a me, al mio verso di dolore il parlottio tacque. Chiusi gli occhi, inspirando ed espirando dal naso per cercare di tenere sotto controllo il dolore che sentivo nell’addome.
Ricordai cosa era successo e gemetti nuovamente, dannato Boromir, dannato anello e dannato buco nella pancia.
« E’ sveglio? » domandò una voce che si fece sempre più vicina.
« Beh si è mossa no? » rispose un'altra.
« Vado a controllare » aggiunse un’altra ancora che fui certa di conoscere.
« Ma a te non era stato ordinato di andartene, perché sei sempre tra i piedi? » domandò scontroso un certo Capitano che riconobbi immediatamente come Boromir.
Aprii nuovamente gli occhi, strizzando forte le palpebre così da mettere meglio a fuoco i volti che accerchiavano la mia periferica visiva.
« Legolas? » sussurrai dopo qualche secondo confusa, chiusi di nuovo gli occhi pensando fosse un problema di messa a fuoco, ma quando li riaprii l’elfo era sempre lì vicino ad un Boromir con un labbro spaccato che mi guardava più o meno con lo stesso sguardo di mala sopportazione che mi aveva sempre dedicato.
«Ma non ti avevo detto di andartene? » domandai iniziando a dubitare dei miei ricordi. Forse in realtà era successo qualcos’altro? Ma allora cosa ne era stato di Faramir?
«  Già è quello che gli ho detto anche io, ma orecchie a punta qui è più testardo di un mulo. Voleva assicurarsi che stessi bene » commentò il Capitano di Gondor beccandosi un’occhiataccia dall’elfo che però ignorò con la stessa bravura che era solito mostrare Gimli all’inizio. Mi chiesi se sarebbero stati buoni amici quei due, Gimli e Boromir. Sicuramente sarebbero stati pericolosissimi nel mezzo di una taverna dopo aver svuotato troppe pinte.
« Ti avevo detto di andartene » ribattei automaticamente cercando di mettermi a sedere, solo per venire prontamente bloccata da due paia di mani che mi costrinsero a restare sdraiata.
A giudicare dalla scomodità della mia schiena, ero stata adagiata su una panca, ma poiché la maggior parte dei presenti sembrava stare in piedi, intuii che non dovevano esserci state molte opzioni.
« Non potevo lasciarti, ti avevano ferito » ribatté l’elfo inginocchiandosi accanto a me e poggiando una mano sulle mie che però sfilai frettolosamente, allontanandomi dal suo tocco.
« Non è quello che ti ho chiesto Legolas. Hai giurato che te ne saresti andato se te lo avessi detto, e invece sei tornato indietro » lo ripresi voltandomi verso i lui, la rabbia fu un sentimento che abbracciai volentieri, mi distraeva dal dolore e al momento mi permetteva perfino di ignorare la piccola folla attorno a noi.
« Aragorn ha bisogno di te, dovresti essere da lui- » iniziai solo per venire interrotta da uno sguardo altrettanto freddo e tagliente.
« Aragorn sa cavarsela perfettamente da solo non ha bisogno di me » aggiunse facendomi solo infuriare ancora di più, mi tirai su, scacciando via le sue mani quando provarono nuovamente ad impedirmelo. Mi sedetti che avevo già il fiatone per lo sforzo ma lo ignorai mentre tiravo su il mento, tirando su la mia migliore maschera di indifferenza mentre fulminavo l’elfo.
« E credi che io invece ne abbia? Non ho bisogno di te Legolas del Reame Boscoso, né di nessun altro. Prenditi la tua pietà e vattene »
« No, non è questo che intendevo, so benissimo che puoi badare a te. E’ solo che Aragorn- »
Non gli concessi di continuare oltre mentre lo interrompevo, solo per cacciarlo una volta per tutte dalla mia vista.
« Heren Legolas Thandruillion caned dortha-nìm lhonn. Nunnen peth si aphada-Aragorn, pendrath gaer egleriad eithannen cuia-gaw  [ Ti ordino Legolas figlio di Thandruill di rispettare il tuo giuramento. Legato alla tua parola vattene adesso e trova Aragorn, continua il tuo destino al suo fianco o se mai incrocerai la mia strada dovrai pagare il prezzo della vergogna ] » il cielo tuonò sopra di noi, come se gli stessi Dei fossero offesi dinanzi al comportamento dell’elfo. O forse erano offesi con me che avevo il coraggio, di parlare a quel modo con una delle creature più perfette che avesse mai camminato sulla Terra di Mezzo. Ma poco mi importava di cosa fosse la risposta, poiché Legolas strinse i denti così forte che la sua mascella si irrigidì mettendo in evidenza i suoi zigomi.
I suoi occhi tempestosi, apparivano piene di parole non dette mentre si alzava con i pugni chiusi lungo i suoi fianchi.
«Anìra-raddanën [Sia fatta la tua volontà] » rispose solamente l’elfo, suggellando la chiusura del patto. Dubitavo che avessero veramente un qualche fondamento magico, ma Legolas parve combattere quasi contro se stesso mentre mi concedeva un ultimo sguardo prima di andarsene svanendo dalla mia vista tra la folla i soldati, probabilmente alla ricerca di Ombromanto.
Tutta la rabbia che mi aveva dato la forza di tenermi ritta fino a quel momento evaporò, ritrovandomi nuovamente boccheggiante, sdraiata lungo la panca.
« Beh è stato interessante » commentò sopra di me Boromir con voce piatta, mentre invitava tutti i suoi sottoposti a riprendere le proprie posizioni. « Adesso, spiegami come hai convinto il mio comandante più fedele a lasciare un intero avamposto scoperto, per venire a salvare questa fazione di Osgiliath appena in tempo. »
« Damrod è venuto? » domandai stupita guardando Boromir speranzosa, tirando un sospiro di sollievo, quando l’uomo sopra di me annuì accennando un perfino un sorriso, piegando leggermente un angolo delle labbra all’insù.
 

 
 
 
 
La giornata passò tra una spiegazione e l’altra, mentre on Boromir ci aggiornavamo di tutti i passi compiuti dal nemico e dagli alleati, cercando di farci una chiara idea, della scacchiera che era in quel momento la Terra di Mezzo.
Fino a quando giunti a poco prima del tramonto, Boromir non congedò tutti gli ufficiali restanti, invitandoli ad andarsene dalla stanza mentre si avvicinava a me con un nuovo set di fasciature e dell’acqua in una piccola coppa.
« E’ l’ora di ripulire la tua ferita, se ti prendi un’infezione, le cure del tuo elfo saranno state inutili » disse inginocchiandosi al lato della panca sulla quale ero sempre sdraiata. Iniziò a sbottonarmi la camicia, ignorando il mio sguardo di panico totale, dubitavo che il mantello sarebbe riuscito a mantenere il mio segreto se il Capitano di Gondor mi avesse visto senza niente indosso .
« Emh Boromir vedi, forse questo è un buon momento per avvertirti che - » tentai inciampando leggermente nelle mie stesse parole, mentre l’uomo alzava il suo sguardo nel mio, inarcando un sopracciglio scocciato.
« Per dirmi cosa? Che sei una donna? » domandò guardandomi come se avessi scoperto l’acqua calda. Mantenni lo sguardo sul soldato dinanzi a me, ritenendomi completamente colta alla sprovvista mentre lui si stava evidentemente godendo la situazione, ridacchiando sotto i baffi.
« Quando? » domandai cercando di assumere un’espressione meno allucinata, almeno per togliergli quel sorriso soddisfatto dalla faccia.
Boromir iniziò a sfare la fasciatura che a quanto pareva, era stata fatta quella mattina da Legolas mentre continuava a parlarmi come se niente fosse « Quando l’ho capito? Quasi subito ovviamente. Hai sempre avuto un viso troppo bello per essere quello di un ragazzo ma poi con il tempo era diventato evidente. Non ti lamentavi mai, ma ti stancavi più facilmente di altri potevo vederlo, senza contare che eri sempre … Beh pulita »
« Hai capito che ero una donna perché tengo alla mia igiene personale? » commentai sbattendo le palpebre come un allocco.
« Esatto » si limitò a commentare lui con un leggera scrollata di spalle mentre iniziava delicatamente a pulire il contorno della mia ferita.
Era profonda e pulsava ancora sangue non appena la sfiorava, le foglie di Athelas che Legolas vi aveva messo, dovevano essere la mia intera scota, ma non erano evidentemente abbastanza per aiutare a velocizzare la guarigione. Boromir si morse il labbro inferiore, come a volersi impedire di commentare in alcun modo, quando gemetti per un passaggio delle sue dita un po’ troppo pesante.
« Come mai non hai detto niente? » gli domandai spostando il mio sguardo altrove, optai per il cielo.
Le stelle erano invisibili oltre quell’orrenda coltre di nuvole, ma sapevo che c’erano ancora lassù da qualche parte. Quel pensiero mi rincuorò.
« Non erano affari miei. Ognuno sceglie come morire e poi eri un buon combattente, cosa importava se eri un uomo o una donna? » disse retoricamente mentre io mi ritrovavo a sorridere al cielo e lui richiudeva cautamente la fasciatura.
« Grazie Boromir » dissi mentre lui mi rispondeva con l’ennesima scrollata di spalle « E’ solo una fasciatura » disse fingendo, o senza comprendere veramente, per cosa gli fossi grata. Forse era vero che io e Boromir eravamo troppo diversi per essere amici, probabilmente avremmo continuato a pestarci i piedi a vicenda per il resto delle nostre vite, ma in quel momento fui grata del mio egoismo. Del mio voler scegliere di salvare entrambi i fratelli, anche Boromir aveva molto da poter insegnare al mondo.
 
Ore dopo, la discussione sul da farsi sull’armata di Mordor che si faceva sempre più vicina e consistente aveva raggiunto un punto morto.
Così decisi di fare quello che mi riusciva meglio per irritare il Capitano di Gondor, dire la mia:
« Beh io avrei un piano » mormorai da dove ero sdraiata malamente su una panca con la mia mano ancora poggiata sul lato della ferita che aveva ripreso a pulsarmi dolorosamente.
« Siamo tutti orecchie » ribatté Boromir voltandosi verso di me e guardandomi da oltre la sua spalla.
« Sì beh non ti piacerà … Dovremmo dare alle fiamme questo lato della costa » risposi ricevendo in cambio solo occhiate allucinate che mettevano in dubbio la mia sanità mentale.
Boromir sospirò, come lo avevo udito fare migliaia di volte nelle battaglie affrontate assieme ogni volta che io aprivo bocca « I tuoi piani non mi piacciono mai, ma purtroppo funzionano. Avanti spiegati meglio e ci adopereremo per realizzarlo » i più anziani tra i soldati, quelli che già mi avevano conosciuto di vista o di nome borbottarono tra loro, scrollando lievemente le spalle e annuendo assieme al loro capitano, che in effetti era così. Tutti gli altri invece, si voltarono a guardare i veterani come se la mia fosse stata una malattia facilmente trasmissibile e adesso ne pagavano anche loro le conseguenze.
« Ci serviranno quindici uomini. Dopo il tramonto quando gli orchi di Mordor abbasseranno le proprie difese noi ci infiltreremo tra i loro armamenti.
Tengono sicuramente i capanni vicino alle sponde del fiume, così che lo scarico sia immediato e veloce. E questo andrebbe  nostro vantaggio, dobbiamo cercare un solo tipo di carico quello che contiene il fuoco greco. E’ un artefatto dello Stregone Saruman, se riuscirete a rubarlo vi permetterà di dare fuoco perfino al fiume » dissi accennando un sorriso pieno solo di sofferenza quando tentai di tirarmi a sedere, sentendo la ferita muoversi e lacerarmi dentro dal dolore.
« Dare fuoco al fiume? Ma questa è follia » iniziò a mormorare qualcuno dei soldati scambiandosi dello occhiate frustrate tra di loro.
« Ho sentito voci di simili diavolerie. Sembra che Re Théoden abbia dovuto affrontarli nell’ultima guerra. Tu c’eri non è vero? Alla Battaglia per Il Fosso di Helm  » domandò Boromir voltandosi completamente verso di me, scavalcando con una gamba la panca su cui era seduto, ritrovandocisi così a cavalcioni da potermi guardare senza doversi voltare.
« Già è stata uno spasso » ribattei ripensando brevemente al mio ultimo scambio di battute con il suddetto Re.
« Accidenti forse le leggende sono vere, sei davvero immortale » commentò rivolgendomi uno sguardo ammirato Madril mentre io in quel momento mi sentivo tutto tranne che immortale.
Boromir dovette arrivare alla mia stessa conclusione perché sbuffò perfino una risata quando io mi limitai a commentare con un « Beh il tuo Capitano ha cercato di dimostrare in modo piuttosto esemplare che non lo sono » dissi rendendomi conto, che non avevo mai sentito tanto la mancanza di Aragorn come in quel momento. Un guaritore vero e proprio faceva sempre comodo non c’era che dire, già potevo immaginarmi la sequela di insulti con la quale mi avrebbe salutato, non appena mi avrebbe rivista.
La discussione tornò sulla retta via, mentre io descrivevo il carico che probabilmente era stato portato da Isengard. Saruman era piuttosto fissato con il voler ricevere i propri meriti e sicuramente, aveva contrassegnato le casse con la sua classica mano bianca.
« Dobbiamo mandare anche un messaggio a mio padre. Sicuramente avrà saputo del passaggio così vicino a noi da parte dell’anello. Vorrà una spiegazione » disse Boromir passandosi una mano tra i capelli che a causa del sudore e del sudicio avevano assunto una paio di tonalità di scuro in più. Ma rispetto a tutti i soldati presenti, era sicuramente colui che aveva prestato più attenzione alla sua estetica, poiché si era anche evidentemente lavato il viso alla belle e meglio quella mattina. Non potevo dire lo stesso di tutti i restanti presenti.
« Dovreste mandargli un messaggio scritto. Così che non venga messa in discussione la parola del messaggero » suggerì il sottoufficiale mentre io osservavo la scena ancora malamente appoggiata al muro dietro la mia panca, quasi aggrappandomi con le dita alla seduta in legno.
Le cure di Boromir stavano facendo effetto,e  perlomeno adesso riuscivo a reggermi a sedere ma temevo che avrei rischiato di riaprire la ferita solo provando a muovermi più velocemente di un lemure addormentato. Senza contare che faceva un male cane e dovevo aver perso più sangue del previsto poiché la mia pressione restava sempre così bassa da annebbiarmi la vista.
« Potremmo usare le sue spade. Nessuno usa due lame in quasi tutta la Terra di Mezzo, vostro padre capirà sicuramente »
« Cosa? » ribattei confusa guardandomi attorno come se fossi appena arrivata. Era evidente che mi dovevo essermi appena perso qualche pezzo d conversazione perché cosa c’entravano adesso le mie spade?
« E’ un ottima idea, Gwend dammi le tue spade manderemo quelle a mio padre » disse Boromir marciando verso di me con una mano tesa.
Come se uno potesse chiedermi di donargli una parte di me così, per hobby. Come se niente fosse, e come se non avrei preferito marciare a piedi fino a Minas Tirith e tirare una bastonata in capo al Sovrintendente tutta da sola, piuttosto che dargli le mie spade.
« Non se ne parla » ribattei poggiando immediatamente una mano su una delle due else con fare protettivo.
« Non è come se ti servano a qualcosa, seduto in eterno su quella panca » commentò il Capitano di Gondor, guadagnandosi una delle mie migliori occhiatacce che ovviamente gli scivolarono via come acqua.
Discutemmo per quella che Boromir si lamentò essere un eternità mentre a mio parere, fu troppo poco. Ma alla fine sfoderai le spade, guardandole con amarezza mentre Madril me le sfilava di mano con gli occhi così felici che sembrava quasi le stessi donando a lui.
« Vi avverto che le rivoglio indietro, o non sarà la mia vendetta di cui dovrete preoccuparvi. La furia di Arwen sarebbe devastante » li avvisai mentre l’uomo impallidiva leggermente, alzando lo sguardo su di me.
« Chi è costei ? Un altro stregone? » domandò l’uomo di Gondor mentre Boromir sorrideva da sotto i baffi poggiandogli una mano sulle spalle.
« Molto peggio amico mio, è una principessa, figlia di Re Elrond »
« E perché un principessa elfo dovrebbe spaventarmi ? » domandò Madril confuso, guardando tra me e Boromir con un sorriso ironico che notando le nostre espressioni serie, si spense in frette.
« Capisco, farò attenzione Gwend » mormorò congedandosi frettolosamente mentre Boromir gli urlava dietro di sporcarle un po’ con del sangue, così per dargli un effetto più drammatico.
Sospirai, accasciandomi ancora di più contro le fredda mura alle mie spalle, sperando che Arwen mi perdonasse per aver macchiato a quel modo il suo meraviglioso dono.
 

 
 

 
All’alba, l’incendio che avevamo creato nella parte opposta della sponda di Osgiliath si era spento, e con esso era arrivata la risposta del sovrintendente che richiedeva a Boromir di tornare a palazzo per aggiornarlo sull’attuale situazione della città e su qualcos’altro.
« Usa il fuoco rimasto per dare alle fiamme il fiume ogni sera dopo il tramonto, rallenterà l’avanzata degli orchi » stavo consigliando Madril mentre rifacevamo in fretta assieme agli altri, il punto della situazione.
« Non per sempre » commentò Boromir crucciato mentre si grattava sovrappensiero la barba.
« No, non per sempre, la guerra alla fine raggiungerà le porte di Minas Tirith » confermai tristemente, mentre i soldati di fronte a noi si scambiavano uno sguardo terrorizzato. E non per sé stessi, non era la loro vita che avevano a cuore, ma quella delle persone che riponevano in loro, la loro salvezza. Quella delle famiglie all’interno delle mura della capitale.
Boromir lanciò uno sguardo amaro verso la città bianca, fosse stato suo fratello o qualunque altro soldato, probabilmente avrei cercato di consolarlo in qualche modo, di ricordargli che non era solo. Ma non mi azzardai neppure a stringergli una spalla con la mano, in solidarietà. Ognuno affrontava la battaglia successiva con il proprio carico di bagagli, Boromir era un grande Capitano, si sforzava sempre di portare anche quello degli altri.
Soprattutto adesso temevo, che si sentisse come se avesse qualcosa da dimostrare, probabilmente a se stesso, che poteva riscattarsi e che quella versione distorta di un Boromir soggiogato dall’anello non era la sua vera natura. Ma solo una parte, che avrebbe potuto domare, per tutta la vita per il bene della sua gente.
« E’ ora, andiamo » ci congedò il Capitano di Gondor mentre io mi sforzavo di non dare a vedere troppo quanto temessi quel viaggio.
Bucefalo mi avrebbe portato fino alle porte della città, ma poi saremmo andati a piedi fino la cittadella dove avremmo dovuto incontrare suo padre. Perlomeno non avevano dovuto sporcare ulteriormente il mio aspetto, tra lo sporco nei capelli e il sangue sui vestiti, sembrava un miracolo che stessi ancora in piedi. Mi chiesi se anche il mantello stesse facendo la sua parte in quella farsa, poiché ero certa di non essere messa così male, come dovevo invece apparire.
 
 
« Non sarò gentile con te » mi avvertì Boromir prima di aprire le grandi porte,che ci avrebbero condotti da suo padre.
« Sai che novità » gemetti tra i denti mentre il Capitano di Gondor mi lanciava davanti a lui di malagrazia, continuando a camminare con passo impetuoso, senza curarsi che io riuscissi o meno a stargli dietro con le mani legate davanti a me, i capelli incrostati di sangue e sudicio.
La faccia sofferente, mi riuscì sena problemi, poiché effettivamente stavo patendo come un cane.
I polsi mi dolevano a causa delle corde troppo strette, le gambe non le sentivo neppure più dopo la lunga camminata nella città e la ferita all’addome non cessava un minuto di bruciarmi, ricordandomi ogni secondo quanto in profondità fosse andata la lama di Boromir.
« Boromir, figlio mio » disse suadente il sovrintendente mentre si alzava dal trono in fondo alle scale sulla quale era seduto prima del nostro arrivo.
« Ho ricevuto il tuo dono » continuò mostrando le mie lame che erano ora un ornamento riposto sopra lo schienale della sua seduta.
Avrei voluto arrabbiarmi a quella vista, ma l’unica cosa che riuscii a provare fu ribrezzo, non le aveva neppure pulite, erano sempre lì, luride di sangue come Boromir le aveva sporcate per dare più crudezza al suo messaggio ma erano state appese sopra la testa dl sovrintendente come se dovessero dimostrare la pericolosità del suo nuovo possessore.
« Ma non capisco perché lui sia ancora vivo » aggiunse indica nomi mestamente con l’indice, per poi spostare immediatamente lo sguardo, come se fossi un essere ributtante a cui sola vista gli avrebbe rovinato la giornata.
Beh almeno quella era una cosa che avevamo in comune, anche io detestavo guardarlo, con tutta me stessa.
« Lui sa » ribatté Boromir prendendomi per i capelli e tirandomi indietro la testa, così che il mio viso fosse esposto alla luce del sole che filtrava dalle finestre, quasi accecandomi a contrasto con i miei occhi.
« I sui occhi vedono il futuro padre. Lei conosce i movimenti dell’anello e di Mordor, possiamo sfruttarla a nostro vantaggio » il Capitano di Gondor alleggerì leggermente la presa, supposi giusto per evitare che mi staccasse l’intero scalpo poiché a mio parere, continuava a farmi un male cane.
Spostai lo sguardo sul sovrintendente, sentendomi quasi rabbrividire dinanzi alla follia che lessi nel suo sguardo. Sapevo che se Boromir avesse deciso di finire lì quella farsa e di vendermi realmente a suo padre come merce di scambio, per me sarebbe stata la fine. Lottai contro il mio stesso istinto per non attaccare l’uomo di fianco a me che mi costringeva in ginocchio dinanzi un padre tanto ignobile. Ma mi costrinsi a non fare niente, poiché era quello che volevamo, che l’attenzione del Re ricadesse completamente su di me, così che non avrebbe richiesto la vita di Faramir in cambio del suo tradimento.
« Ma certo. Ma certo figliolo. Tu sì che mi capisci, tu vedi la reale grandezza a cui siamo destinati! Ma dobbiamo farla parlare come? » mormorò Denethor mentre si avvicinava di qualche passo, istintivamente mi mossi all’indietro, nonostante fossi in ginocchio e con ancora Boromir che mi teneva per i capelli, ma non volevo che quell’essere ripugnante mi toccasse o temevo che avrei mandato tutto all’aria, uccidendolo con le mie stesse mani.
« Beh padre, anche Gwend l’invincibile, parla se invitato a farlo con i giusti strumenti » Boromir pronunciò l’ultima parola così seducentemente, che mi ritrovai a guardare il Capitano di Gondor con un misto di shock e paura quasi reali. Ero certa che lui non avrebbe esitato a torturare il nemico per ottenere le informazioni che gli servivano a difendere Gondor, e per quanto ne sapevo, Gandalf e Aragorn a modo loro non erano stati molto più indulgenti con Gollum, quasi un anno prima. Eppure l’idea mi ripugnava comunque, nonostante non potessi giudicare nessuno dei presenti a causa delle mie azioni passate e presenti, mi era sempre piaciuto ritenermi ad un livello di giustizia diversa. Dove non sarei mai scesa ad usare le stesse crudeli tattiche del nemico, contro di lui.
« Beh questo spiega perché mi stia sporcando il pavimento » commentò Denethor con un’occhiata sprezzante e un leggero risolino. « Adesso vieni figlio mio, raccontami pure cosa è successo con calma, con un bel bicchiere di vino. Il nostro ospite, non andrà da nessuna parte » il sovrintendente si allontanò da me e da Boromir, dirigendosi verso la tavola imbandita mentre io venivo legata alle basi di una colonna come un cane, con un ulteriore cappio che mi passava perfino dal collo, a pochi metri da loro.
Supposi che quella per chiunque altro sarebbe stato solo un’ulteriore tortura ma il mio stomaco era ancora sazio dalla colazione della mattina e personalmente sarei più volentieri morta di fame, piuttosto che accettare il cibo che ora si trovava su quella tavola.
Perfino Boromir non sembrava più a suo agio come lo ricordavo anni dapprima, adesso guardava gli avanzi nei piatti del padre con rabbia contenuta, probabilmente pensando alle razioni di cibo a cui erano costretti i suoi soldati, mentre l’uomo che avrebbe dovuto guidare l’intera nazione era impegnato a  rifocillarsi, girandosi dall’altra parte ogni qualvolta il suo figlio maggiore lo informava delle nuove perdite.
D’altronde per Denethor quei soldati non erano i figli o padri di qualcuno, erano solo pedine nelle sue mani e poco importava se qualcuna cadeva, faceva parte del gioco.
« Dunque hai scoperto i piani del Bianco Stregone? » domandò Denethor quando oramai annoiato dal fatto che la care si era raffreddata, aveva iniziato a giocarci svogliatamente con la forchetta.
« Sì padre, abbiamo catturato Gwend che cercava di penetrare nella città durante le ore più buie » lo disse con un tale tono piatto e fasullo, mentre fissava l’interno del suo calice con disinteresse che fui colpita quando Denethor non mise minimamente in discussione le sue parole, anzi riuscì a marciarci sopra da solo, come se tutto quello che stava succedendo attorno a lui avesse un senso ed ogni evento accadutogli negli ultimi giorni, si stava ricollegando ad oggi.
« Ah ma certo adesso sì che tutto ha un senso. Quel dannato stregone sa che la mia mente non è facile da raggirare come quella di quello sciocco di mio figlio. Per questo mi manda il suo apprendista prediletto come sicario! » Denethor si aprì in una leggera risata gutturale che se non fossi stata legata ad una colonna malconcia e dolorante, me ne sarei andata solo per non dover sopportare oltre la sua presenza. Era così pieno di se stesso che non facevo fatica ad immaginare perché neppure Boromir lo amasse.
Nonostante fosse il figlio prediletto, quello perfetto e magnifico, era evidente che in realtà il sovrintendente vedesse in lui, solo quello che voleva vedere, non quello che era realmente. Come se davanti al vero Boromir vi fosse uno specchio ed ogni volta che Denethor lo guardava rivedeva in lui le sue “migliori” qualità.
Per fortuna la successiva frase di completo delirio fu interrotta da uno dei soldati che avevamo visto prima presidiare di guardia le grandi porte d’accesso alla sala dal Re.
« Mio Signore, lo Stregone Bianco è entrato in città, con lui vi è anche vostro figlio Faramir » annunciò l’uomo di Gondor prima di inchinarsi e aspettare ordini.
Osservai il viso di Boromir stupendomi di quanto il suo volto riuscisse a mascherare le sue emozioni al contrario di quello del fratello. Ma i suoi occhi mentivano con molta meno facilità, poiché non appena udì il nome di Faramir si illuminarono come se li avessero appena tolto dalle spalle un intero muro di cemento.
Era stato sinceramente terrorizzato di aver fatto male alla persona che amava di più a questo mondo. Sapevo che se Boromir aveva accettato tutta quella messinscena, non l’aveva certamente fatto per un bene superiore come Gandalf e neppure per Gondor stessa. No, l’aveva fatto per suo fratello Faramir, per tentare di onorarlo in qualche modo se avesse finito per scoprire, che le sue azioni gli erano costate la vita.
« Padre non farete del male a Faramir non è vero? E’ stato avvelenato dalla magia di Mithrandir » intercedette Boromir quando il sovrintendente ruggì con rabbia a quelle parole, urlando al tradimento e a come osavano, come si permettevano di entrare nei suoi domini come se fosse casa loro.
« A cosa serve quell’inetto Boromir? Perché ti ostini sempre a difenderlo? » soffiò Denethor voltandosi verso suo figlio mentre dava un calcio pieno di rabbia alla favola imbandita rovesciandola in terra.
I servitori sbucarono dalle mie spalle in silenzio e veloci, come se fosse una scena che vedevano tutti i giorni e in poco tempo ripulirono il pavimento, spostando il tavolo adesso vuoto, a ridosso del muro.
Boromir guardò il cibo oramai inutilizzabile venire buttato in dei sacchi che poi probabilmente sarebbe andati a riempiere la pancia dei maiali.
Il Capitano di Gondor scosse le spalle con fare indifferente, avvicinandosi al padre con passo lento e misurato mentre mi superava con uno sguardo di finto disinteresse.
« E’ solo che non è un grande pericolo, se riuscissi a farlo tornare dalla nostra parte, per Gandalf sarebbe una sconfitta mentre se non ci riuscissi … Beh mio fratello non è mai stato un granché con la spada » aggiunse sotto lo sguardo ammirato del padre, che comprese esattamente ciò che Boromir desiderava. Se Faramir si fosse rivelato una nullità come Denethor temeva, Boromir stesso gli avrebbe tolto quella vergogna dalla vista.
« E sia, porta Gwend nelle segrete, io ho degli ospiti da accogliere » confermò il Sovrintendente con un sorriso malevolo mentre rendeva le mie spade che avevano fino a quel momento ornato lo schienale del suo trono, e portandosele in grembo, guardandole come se fossero un gioiello estremamente raro.
Boromir mi slegò dalla colonna, trascinandomi via con la solita poca grazia, tirandomi anche per il cappio che avevo ancora intorno al collo, mentre io guardavo le mie spade con amarezza, giurandomi che le avrei a breve riavute al mio fianco.
 
Scendemmo così tanti gradini, che Boromir dovette avere pietà di me, perché mi aiutò a camminare con una mano sotto l’ascella, portando su di sé una parte del mio peso.
Non incontrammo nessuna guardia, cosa piuttosto strana se dovevo dire la mia, poiché anche sena spade, ero certa che fuggire da un simile sotterraneo sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Certo non sapevo orientarmi bene quanto Gimli sotto terra, ma potevo cavarmela.
« Vi è qualcosa che potrei dire per lasciar comprendere ai tuoi compagni che stai bene senza attirare l’attenzione di mio padre? » domandò Boromir quando finalmente giungemmo in una nuova sala.
L’aria era fredda  e pesante, segno che dovevamo essere nel cuore della montagna, l’unica luce, proveniva dalle torce lungo il corridoio, qualche metro più in là.
Nel centro della sala era disposta una colonna, con un telo scuro riverso sopra, che copriva un qualche tipo di oggetto sferico. Anche lì nessuna guardia, solo quello strano piedistallo, posto davanti a quasi una decina di celle.
Con mi sorpresa però, Boromir non mi condusse dentro nessuna di esse, ma anzi mi accostò al muro dove vi erano delle corte catene di ferro, che finivano in delle manette.
Mi legò i polsi costringendomi in ginocchio davanti al piedistallo, con le braccia semi-sollevate sopra di me.
« Ti sembro una che sta bene ? » sbuffai trattenendo l’ennesimo gemito di dolore quando mi mossi per cercare di trovare una posizione che avrebbe costretto la mia ferita il meno possibile.
« Hai capito non ti lagnare, hai passato cose peggiori di questa » allontanò la questione con semplicità Boromir costringendomi ad alzare la testa verso di lui.
Era strano per me, ricevere un commento tanto diverso rispetto a quelli a cui ero abituata con i miei compagni, Aragorn e Legolas mi avrebbero probabilmente cullato tutto il tempo, dicendomi che ero stata avventata e che non avrei dovuto correre un rischio tale. Che si dispiacevano per il mio dolore e avrebbero fatto tutto il possibile per alleviarmelo.
Invece Boromir sapeva di che tempra ero fatta, e a quanto pareva aveva sempre saputo che ero una ragazza, e la cosa mi faceva in realtà estremamente piacere. Mi sentivo trattata come se fossi una che valeva davvero, che non aveva bisogno i alcun aiuto e che se c’era da fare le cose in grande poteva farle da sola. Anche se faceva un male cane.
« Se riesci, prova a dirgli “una vita per una vita” credo che Gandalf capirà » dissi tentando quasi di scrollare le spalle, ma ripensandoci appena in tempo.
Vi fosse stato anche Aragorn nel piccolo gruppo, ero certa che il ramingo avrebbe capito al volo mentre con lo stregone non ne potevo essere certa, sperai di sì, così da non costringerlo ad uno shock troppo lungo.
« “Una vita per una vita”?  » ripeté di nuovo Boromir mentre si slacciava dalla cintura la sua borraccia, avvicinandomela alle labbra così da farmi bere qualche sorso. Non potevamo sapere quanto a lungo sarei dovuta restare lì dentro.
« Già sono state le ultime parole di Re Théoden prima di esiliarmi da Rohan » risposi non appena ebbi finito di bere, ringraziando Boromir con un mezzo sorriso quando mi spostò i capelli dalla faccia, sistemandomeli dietro le orecchie.
« Credevo che Théoden fosse tuo amico » disse Boromir  abbassando lo sguardo su di me « Cosa gli ha fatto cambiare idea? »
« Ha scoperto che ero una donna » sussurrai malinconicamente guardando fisso dinanzi a me, per non incrociare i suoi occhi. Sentii il suo sguardo sul mio viso per qualche altro secondo e qualunque cosa vi lesse, fu sufficiente per farlo tornare sui suoi passi. Non mi disse che gli dispiaceva, non sarebbe stato da lui, ma mi poggiò una mano sulla spalla accompagnata da una leggera stretta di consolazione prima di lasciarmi completamente sola, ad affrontare la noia mortale delle segrete di Minas Tirith, andandosene.
 
 
 
 






NdA : Suppongo che sarebbe meglio che io tacessi e basta a questo giro on è vero? ^^’ Forse farei una figura migliore …
 In tutta onestà, ero certa che avrei postato ieri. Ma è evidente che qualcuno ce l’ha con me, perché ho fatto il vaccino e ovviamente mi è venuta la febbre a 39 e mezzo e ho cercato di scrivere qualcosa combattendo contro il mal di testa per tutta la settimana.
Come si può intuire dal mio ritardo, ha vinto il mal di testa xD
Nemmeno ci provo a dirvi che la prossima volta posto di venerdì come dovrei, perché magari è quello che porta sfiga e se non lo dico, magari ce la faccio davvero ^^’
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante l’attesa e che mi urlerete dietro nei vostri commenti  *-* che sono ovviamente la mia parte preferita in tutta la storia <3
 
PS: Mi sono ricordata, cosa mi ero scordata sabato scorso. Era: Buona Pasqua ._.
Beh oramai è andata sarà per quella del 2022 eh xD

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


▌ Capitolo 15  ▌
 
 








 
«  Qualsiasi persona normale di tanto in tanto prova la tentazione di sputarsi nelle mani,
issare la bandiera nera e cominciare a tagliare le gole. »

 
__H. L. Mencker
 









Inginocchiata davanti ad una colonna coperta da un telo, con niente e nessuno a tenermi compagnia se non i miei stessi pensieri, non avevo idea di come stesse andando lo scambio di battute sopra di me.
Avrei giurato, di aver udito la voce di Pipino rimbombare lungo le gallerie, ma era stato un suono così sordo che probabilmente me l’ero solo immaginata.
Sbuffai verso l’alto, cercando di togliermi dalla faccia l’ennesimo ciuffo di capelli che mi ricadeva sugli occhi. Aragorn era davvero un pessimo parrucchiere armato solo di un coltello, e senza l’olio elfico a domare i miei capelli, alcuni ciuffi mi continuavano a cadere davanti il viso irritandomi a morte.
Fu così che mi trovò Denethor ore dopo, irritata dai capelli e dolorante dalla ferita sul fianco.
Quando apparve nel mio raggio visivo, ovviamente non gli dedicai niente di più che uno sguardo annoiato. Non avevo riconosciuto i passi che si erano fatti sempre più vicini nelle gallerie, ma era stato proprio quello a mettermi in guardia. Avrei dovuto immaginare che Boromir non sarebbe tornato immediatamente, probabilmente aveva cercato di avvicinare Faramir, oppure non voleva rischiare di dare troppo nell’occhio continuando a scendere per parlare con un prigioniero, in ogni caso, adesso mi ritrovavo disarmata ed incatenata ad un muro, mentre suo padre mi si stagliava di fronte nel pieno delle sue forze e con un ghigno soddisfatto ad incorniciargli il viso.
Decisi, che le mie possibilità di metterlo al tappeto erano comunque del quaranta per cento, sessanta se solo si fosse avvicinato un po’ di più.
« E questa fu la fine di Gwend, guerriero sconosciuto, dimenticato da tutti. Scommetto che Mithrandir non aveva previsto che avresti fatto una simile fine » commentò con le mani riunite dietro la schiena e sporgendosi leggermente con il viso verso di me, come se parlasse ad una bestia con la quale si sentiva particolarmente misericordioso.
« Se la mia fine vi sembra divertente sovrintendente …  Allora adorerà cosa il destino ha in serbo per voi » risposi guardandolo attraverso le ciglia e concedendomi perfino un sorriso malizioso, che si abbinò alla perfezione con lo sguardo d’odio che mi dedicò subito dopo, seguito da una smorfia piena di rabbia.
« Stai mentendo » soffiò iniziando a fare su e giù davanti a me, ritornando ogni pochi metri al punto di partenza.
Mi limitai a ridacchiare sottovoce, ignorando le sue richieste solo per rispondergli con delle frasi senza senso in elfico che lo irritavano e spaventavano solo di più non essendo in grado di comprendere la lingua.
« Smettila! » urlò tirandomi uno schiaffo con il dorso della mano. Sarebbe stato il primo di tanti, ma io mi limitai a continuare a guardarlo attraverso le ciglia, mentre gli sorridevo, godendomi la furia che prendeva possesso del suo sguardo ogni volta che mi rivolgeva una domanda a cui io non avrei dato risposte.
« Non vuoi dirmi dov’è l’anello? E va bene, come potrà Gondor sovrastare il potere dell’Oscuro? Le sue armate sono a pochi giorni da noi se ti interessa vivere, dovresti dirmelo. » disse assumendo un tono di voce che forse in altri tempi, sarebbe stato persuasivo, ma che oggi era rotto dalla paura e dalla fretta.
« Finalmente una domanda intelligente » risposi bagnandomi le labbra secche con la lingua. Denethor si avvicinò di qualche passo interessato, probabilmente credendo di avermi finalmente piegato.
« Rinuncia alla tua carica, metti Faramir al tuo posto così che Gondor avrà un uomo degno al suo comando per l’arrivo del Re » dissi guardandolo retrocedere di nuovo di qualche passo.
« Gondor non ha bisogno di nessun ramingo da strapazzo. A Gondor non serve un Re! A me, io ne sono il sovrano! » urlò sputando nella foga piccole particelle di saliva.
« Non ti è concessa l’autorità per negare il ritorno del Re. Sovrintendente » gli ricordai sputando l’ultima parola come veleno mentre lui riprendeva a fare su e giù come una folle, inveendo contro me, Gandalf, Aragorn e chiunque ritenesse di averne colpa.
« Qualunque cosa hai passato con Boromir sarà una sciocchezza rispetto a quello che ti farò passare io se non risponderai alle mie domande!!! » urlò infine rabbioso Denethor tirandomi un ceffone sul viso, spaccando con facilità il mio labbro inferiore, a causa del mio lieve stato di disidratazione.
Sorrisi, passandomi la lingua sul taglio che il suo anello mi aveva procurato e continuando a sorridergli, godendo della follia che si faceva sempre più strada nel suo sguardo, frustrato dalla mia mancanza di collaborazione.
« Attento sovrintendente, tutto ciò che mi farai, ti verrà restituito dieci volte tante. Io. Lo. Vedo. » sussurrai pronunciando le ultime parole e imitando uno sguardo da folle.
Non dovetti sforzarmi troppo, poiché l’esempio perfetto ce lo avevo comunque davanti agli occhi mentre mi vedevo riflessa nel suo sguardo, che per un attimo si impregnò di paura, prima di sputarmi in viso, maledicendomi con tutto se stesso ed allontanandosi di qualche passo.
« Non mi fai paura! » mi urlò contro, evidentemente spaventato ma anche pieno di rancore.  « Ti farò rimpiangere la tua supponenza ! Scommetto che vorrai parlare eccome con me, dopo qualche giorno, in sua compagnia! » urlò come un esaltato, scoprendo il colonnino che si trovava a qualche metro da me e rivelandomi finalmente cosa nascondeva il telo bianco.
La sfera di Anor.
« Vedremo se riderai ancora! » disse sputando nuovamente ai miei piedi, mentre si affrettava ad uscire dalla stanza, risalendo per la galleria e lasciandomi una volta per tutte.
 


 
 
 
 
Bruciavo.
Stavo bruciando ma la mia pelle non si disintegrava e la voce nella mente non mi dava pace, aumentando il fuoco, aumentando il dolore. Anche quando non mi sembrava più possibile continuare a sopportare oltre, il dolore aumentava, ferendomi la gola. O forse erano le mie stesse grida a ferirmi, mentre mi dimenavo, cercando di liberarmi dalle catene che mi imprigionavano i polsi ed ignorando il dolore della pelle che veniva lacerata. Che cosa importava? Era solo un dolore sopra l’altro ed io stavo bruciando.
Sentivo l’Oscuro pormi domande su Frodo e l’unico anello ma io lo ignoravo, serrando gli occhi.
Lui mi continuò a lasciarmi ardere, fino a quando non mi ritrovai ad essere solo un corpo accasciato su se stesso, sfinito e dolorante, tenuta in posizione semiseduta solo dalle catene che mi imprigionavano i polsi.
Il fuoco cessò ma il mio sospiro di sollievo durò poco poiché iniziarono le visioni:
 
Vidi Elrond rinchiuso in una prigione fatta di pietra, il suo viso era illuminata da una luce fioca che non proveniva dall’interno della stanza. Io suo occhi erano spenti e del Re forte e austero che conoscevo non vi era che un pallido ricordo. Il suo viso era smunto e magro, gli occhi infossati. A quella vista, il mio cuore pianse chiedendomi chi avrebbe mai potuto fare una cosa simile ad un signore degli Elfi.
Scossi la testa cercando di ricordarmi che non era reale, era tutto un imbroglio di Sauron.
« Valanyar, figlia mia » mormorò l’elfo nella visione, alzai gli occhi involontariamente, incontrando i suoi. Apparve l’ombra di un sorriso prima che riabbassasse lo sguardo parlando tra sé e sé « No non può essere lei… Valanyar non c’è più. Via … Via … E’ andata via » riprese sottovoce mentre io mi sentivo morire, con gli occhi pieni di lacrime che mi appannavano la vista, ma non riuscivano ad offuscare il dolore che quella visione mi procurava.
Rimasi in quella cella con Elrond per quelli che mi parvero mesi ma alla fine, la scena cambiò.
Vi era la Contea in fiamme, gli hobbit che avevo imparato a conoscere ed amare viaggiavano legati con delle catene. Frustati e costretti al lavoro forzato … Tutto ciò che vi era stato di bello in quella terra, era svanito sotto il passaggio del nemico.
Seguivo Sam con lo sguardo, cercando di non pensare a quello vero, per non guidare il nemico sui loro passi, mentre passava davanti casa Baggins.
Adesso il giardino era in rovina, gli alberi da frutto di Bilbo erano morti, uno Stregone crudele ora vi abitava all’interno. Vidi Grima che dalla finestra incrociò il mio sguardo e mi sorrise: « Ora sai cosa si prova » sembrava dirmi.
 Lo ignorai tornando con lo sguardo sugli hobbit che avanzavano, feriti e doloranti lungo il sentiero lasciandomi lì, inerme, ad assistere alla scena mentre i miei amici veniva frustati davanti i miei occhi.
La scena cambiò ancora, ancora ed ancora.
Ogni tanto la voce di Sauron si faceva viva e mi chiedeva perché continuassi a combattere, arrendersi sarebbe stato così semplice, ma io stringevo i denti e chiudevo gli occhi.
Era una menzogna, tutta una menzogna, solo una menzogna.
Ero più forte di così, potevo farcela. Potevo sopportarlo.
 
“ Fa così male” pensai mentre delle nuove lacrime coprivano la scia di quelle oramai secche  che mi avevano rigato le guance, ed io urlavo con la gola che mi bruciava poiché non potevo sapere se erano passate ore o giorni dall’inizio di quelle visioni.
Balbettavo incoerente, supplicando Sauron di smetterla, mentre cercavo di schermare la mia mente per impedirgli di propormi altre immagini dolorose.
Ma ricordarmi che erano tutte menzogne del nemico, si faceva sempre più difficile mentre gli singhiozzavo di smetterla … E poi, finalmente tutto si fece buio, spengendo insieme tutto il dolore e permettendomi nuovamente di avere pieno accesso ai miei pensieri.
Alzai lo sguardo titubante sulla colonna, scoprendola nuovamente sicura, sotto un telo bianco e davanti ad essa, un hobbit con il fiatone la guardava con un’espressione disperata.
« Pipino! » urlai quando lo riconobbi, facendolo girare su se stesso per riuscire a vedermi incatenata al muro, l’hobbit mi corse incontro abbracciandomi con tutta la forza che aveva in corpo mentre incurante del mio stato mi stringeva a sé, affondando il viso tra mio il collo e la spalla.
« Oh Valanyar sei viva! Che gli Dei siano benedetti lo sapevo » singhiozzò a pochi centimetri dal mio orecchio. Con le mani mi lisciò all’indietro i capelli, osservando il mio viso e ridendo con me una risata piena solo di tutto il dolore che si era portato dietro fino a quel momento.
« Mi dispiace Pipino, ho dovuto farlo capisci? » dissi guardando l’hobbit che ancora piangeva lacrime di felicità, mentre si passava la manica sotto il naso, annuendo vigorosamente.
« Ho capito che c’era qualcosa che non andava. Tu che venivi cattura e proprio per questo Faramir veniva risparmiato … E quando poi Gandalf ha detto che era stata un crudele coincidenza che Boromir avesse usato le stesse parole di Re Théoden …  Beh ti conosco, non esistono le coincidenze » mormorò lui tirando nuovamente su con il naso.
Lo guardai con il cuore che sembrava potermi esplodere da quanto mi sentivo fiera di lui. Pipino non era altro che un ragazzo, troppo giovane per essere lanciato nel bel mezzo di una guerra eppure noi, i grandi, saremmo stati spacciati senza di lui.
« Sei stato bravo Peregrino Tuc » mi complimentai con lui sorridendogli di nuovo e abbassando finalmente lo sguardo sul suo vestiario « Sei una guardia della Cittadella ora? » domandai riconoscendo i suoi abiti. Li avevo visti anni prima indosso a Faramir, anche se già ai tempi all’uomo andavano stretti.
« Boromir mi ha dato l’incarico, ha detto a suo padre che gli avrebbe fatto comodo avere una “leva di scambio”. Non mi piace per niente, ma almeno ha distolto l’attenzione di Denethor da Faramir » aggiunse guardando l’albero bianco, che sulla casacca blu, ora gli ornava il petto.
« Boromir ha convinto suo padre che farti suddito, era un’ottima occasione di rivalsa verso Gandalf. Dato che ha dimostrato tanto attaccamento verso i mezzuomini » gli spiegai mentre Pipino studiava le catene che mi stringevano i polsi, tirando gli anelli al incassati al muro, come se vi fossero speranze che potesse strapparle a mani nude.
« Tu per caso non hai le chiavi per aprire questi cosi vero? » domandò Pipino mentre io gli lanciavo uno sguardo divertito attraverso le ciglia.
« No temo non sia usanza di Gondor lasciare le chiavi ai prigionieri » risposi con uno sbuffo « Perché non provi a chiedere a Faramir? Questa è casa sua saprà come funzionano » proposi mentre il giovane hobbit annuiva, assicurandomi che sarebbe tornato a breve prima di riprendere a correre verso la galleria e poi sù per le scale.
 
 
 

 
A quanto pareva Boromir le chiavi le aveva lasciate proprio a Faramir. Peccato che il giovane non se ne era accorto in un primo momento, troppo impegnato ad insultare il fratello maggiore, chiedendogli come aveva potuto uccidermi solo per ordine diretto del loro padre e perché non capisse che aveva solo cercato di fare la cosa giusta, guidando l’anello lontano da Gondor.
Boromir ovviamente durante la scenata aveva mantenuto la sua parte, additando il fratello come un traditore e ricordandogli quale fosse il suo posto, oppure, non lo avrebbe più potuto difendere con suo padre. Nel frattempo Denethor si era gustato la scena sbocconcellando dell’uva e dando dell’idiota al figlio minore.
Quando Faramir mi vide in catene, impiegò quasi tutta la strada del ritorno per credermi ed accettare il fatto che Boromir mi aveva sì incatenato ma che eravamo tutti dalla stessa parte, contro il loro folle genitore.
Beh questo moderatamente, ovviamente il Capitano di Gondor non voleva saperne niente di Aragorn e di un futuro Re, ma non potevo certo chiedergli di fare pace con tanto odio radicato, in pochi giorni, vi sarebbe stato tempo per dettaglio.
Raggiungere l’ala del palazzo dedicata a Faramir fu più facile del previsto, grazie alla carenza di guardie durante la notte, ma personalmente fu un tortura. La strada pareva non finire mai, il fianco mi faceva male, avevo sete e fame senza contare che non avevo la più pallida idea, di quanto tempo avessi passato in quelle segrete.
Quando finalmente, mi ritrovai sdraiata sulla branda del giovane Capitano, quasi gemetti di piacere.
« Accidenti ma che diamine ti è successo? » mi domandò Faramir mentre sfasciava la mia ferita, scoprendola. Evidente la fasciatura di Boromir non aveva retto, ma non c’era da meravigliarsi dopo quasi ventiquattro ore passata incatenata alla parete.
« Beh tuo fratello mi ha affettato e tuo padre mi ha dato qualche manrovescio » risposi accennando un sorriso ironico, per non caricarlo di troppi rimorsi inutili. Niente di ciò che era successo era colpa sua, e Faramir doveva smetterla di caricarsi sempre di tutto il peso del mondo.
« Comunque non è grave come sembra » aggiunsi tirandomi leggermente su con i gomiti, osservando la ferita da quella strana angolazione.
Aveva ripreso a perdere sangue e anche se non stavo più svenendo come qualche giorno prima, non lo ritenevo un buon segno.
« Non è grave? E’ un miracolo che la lama non ti abbia reciso qualche organo. Saresti morta » disse ricoprendo immediatamente la ferita con delle garze pulite e applicano un po’ di pressione, per non disperdere il sangue.
«Pipino nella cassapanca del bagno, troverai una cesta con delle scatole, dentro di vi sono ago e filo. Sterilizzali e portameli d’accordo? » disse gridando oltre la sua spalla, mentre io trattenevo una rispostaccia. Anche quella non era colpa di Faramir, stava solo facendo il minimo indispensabile per non farmi morire nel suo letto, dovevo apprezzare il suo senso di cavalleria.
 L’hobbit iniziò a trafficare da qualche parte oltre la porta, sicuramente eseguendo gli ordini che gli erano stati impartiti mentre io ripensavo alle parole di Faramir.
« Forse ci sono andata vicina, non posso esserne sicura. So che della mia guarigione se ne è occupato Legolas ma non ho avuto il tempo di porgli domande » aggiunsi schiarendomi la voce imbarazzata. Il giovane Capitano mi lanciò un’occhiata curiosa che ignorai, salvata dall’imbarazzo di dover rispondere ad un possibile interrogatorio, dall’arrivo del giovane Peregrino.
L’hobbit giunse con un vassoio che poggiò alla destra di Faramir, dove aveva preparato ago filo e delle garze, assieme ad una candela accesa ed una ciotola d’acqua calda.
Il soldato lo ringraziò con uno dei suoi splendidi sorrisi, prima di scoprire nuovamente la mia ferita, rivelando nuovamente il sangue che per il momento sembrava essersi nuovamente fermato, anche se adesso mi imbrattava mezzo addome.
« Quello è … sangue? » ebbe il tempo di commentare Pipino prima che gli occhi gli si girassero all’indietro della testa e svenisse, cadendo a terra con un piccolo tonfo sordo.
Io e Faramir ci affacciammo dal letto giusto per assicurarci che non si fosse rotto il capo, prima di riportare la nostra attenzione sulla mia ferita.
« Beh ora che il mio assistente non è più disponibile, toccherà a te aiutarmi » disse divertito mentre io trattenevo un'altra bestemmia tra i denti.
L’ora successiva passò a quel modo, tra Faramir che mi raccontava aneddoti della sua infanzia ed io che rispondevo alle sue domande sulla Contea. Doveva essere rimasto stranamente affascinato dalla creature con cui aveva viaggiato ma soprattutto, oltre ad essersi affezionato aveva imparato a rispettarle molto. Apprezzava la semplicità con la quale affrontavano la vita e la loro capacità di amarsi. Non solo fra di loro, ma anche nelle proprie piccole gioie quotidiane, il giardinaggio, la cucina, la lettura… Comprendevo che per Faramir che aveva vissuto solo una vita di battaglie e risentimenti, quel mondo doveva apparire come un piccolo paradiso.
« Il mondo avrebbe bisogno di meno uomini, e più hobbit » si lasciò sfuggire il Capitano di Gondor mentre mi passava una panno caldo a ripulire la pelle tutt’intorno alla ferita, appena ricucita assieme. Faramir era stato il più delicato possibile, ma ovviamente aveva fatto un male cane, e avevo sentito in modo sempre più allarmante la mancanza di Aragorn.
« Un vecchio amico di Bilbo gli disse “Se fossero più numerosi coloro che preferiscono il mangiare, il ridere e il cantare all’accumulare oro, questo mondo, sarebbe migliore” » recitai con un sorriso amaro.
I ricordi dei pomeriggi passati sotto gli alberi da frutto di Bilbo a bere tea e mangiare pane al latte mi riempirono di nostalgia.
Aveva pronunciato spesso quelle parole ogni qual volta la malinconia dell’avventura gli attanagliava il cuore, lui ovviamente non mi aveva mai detto chi fosse stato a riferirgli quelle parole, ma non ve era stato bisogno, poiché lo sapevo ugualmente. Mi chiesi quanti rimpianti si portasse dietro Bilbo quando ripensava a Thorin e alla compagnia, se fosse stato per quello che si era sforzato tanto di fare il Baggins a casa Baggins.
Sicuramente era per via di quel sentimento che aveva preso Frodo con sé, e mi piaceva pensare che alla fine lo avesse fatto restare, perché quell’amore aveva fatto breccia anche nel suo cuore facendogli avere degli indimenticabili e semplici, attimi di pura felicità.
« Era un amico saggio » commentò Faramir pulendosi  le mani insanguinate nel panno più vicino prima di voltarsi verso il giovane Tuc che era sempre a terra, ma aveva iniziato a russare.
« Adesso andiamo, ti lavo i capelli. Puzzi Gwend » aggiunse con un sorriso a trentadue denti che faticai a ricambiare.  Il viso di Haldir mi passò davanti agli occhi dinanzi a quella battuta e nuovamente quel giorno, compresi il dolore del mio vecchio amico Bilbo. La vita avrebbe continuato a ferirmi in eterno, con piccoli commenti simili, se non fossi riuscita a riavere indietro il mio migliore amico.
« Andiamo » risposi invece a Faramir, scivolando con attenzione giù dal letto e dirigendomi con lui verso il bagno.
 

 
 
 

Dopo il lavaggio dei capelli, Faramir mi lasciò riposare.
Quando mi svegliai era di nuovo giorno e scoprii di aver dormito per quasi ventiquattro ore e che a breve avremmo avuto ospiti per fare il punto della situazione.
A quel punto mi concessi un altro bagno caldo, dove Faramir mi prestò una delle sue camicie ed un paio di vecchi pantaloni che mi andavano troppo larghi, prima di cambiare tutte le mie fasciature.
Mi lamentai per la metà del tempo, ma controbattere fu impossibile. Il giovane uomo si ritenne soddisfatto, solo quando anche il più piccolo taglio fu medicato e ogni parte esposta fu coperta con delle fasciature. Perfino i miei polsi si ritrovarono fasciati come quelli di un giocatore di tennis, a causa delle escoriazioni lasciate dalla catene.
« Uno stregone come me, alla mia età, costretto a passare dal vicolo di servizio ed entrare dalla finestra, inaccettabile » udii sbuffare Gandalf dalla stanza accanto.
Gli sorrisi non appena entrò dalla porta, facendo ben attenzione a non battere la testa, mentre cercava di ripulire il suo mantello alla belle e meglio.
« Credo che una volta la compagnia di Thorin sia dovuta passare dalle fogne di un bagno. Poteva andarti peggio amico mio » commentai andandogli incontro, mentre lui notandomi nella stanza, si riprese immediatamente venendo verso di me a sua volta, per rinchiudermi in un caldo e delicato abbraccio.
« Oh sì forse hai ragione amica mia » commentò trattenendomi a sé per qualche secondo più del solito, prima di lasciarmi andare, passandomi una mano tra i capelli bagnati « Mi hai fatto prendere un bello spavento sai? Non farlo mai più » aggiunse con uno sguardo affettuoso, mentre io mi limitavo ad annuire con un sorriso e tornavo al mio posto su uno sgabello, dove iniziai ad asciugarmi la testa.
« Dovremmo mascherare in qualche modo la tua presenza » disse Gandalf dopo qualche minuto mentre io mi tamponavo i capelli con un telo, prima di passarci tra le ciocche, qualche goccia di olio elfico, e pettinandomeli all’indietro così che non avrei più avuto problemi con i capelli negli occhi.
« Già, dubito che il mantello degli elfi di Lothlòrien possa niente contro il tuo aspetto oramai » commentò Faramir mentre lanciava un’occhiata turbata al mantello insanguinato buttato in un angolo della stanza la sera prima assieme alla mia camicia verde. Era un vero peccato, avevo adorato quella blusa.
Adesso indossavo una camicia bianca di Faramir da giovane, con Aiantcuil che mi risplendeva nel mezzo al petto, come se anche lui si godesse la sua meritata libertà, dopo tutti quei mesi passati a nascondersi sotto i miei abiti.
« Potremmo travestirla da donna » propose Pipino con un gran sorriso « Sono certo nessuno la riconoscerebbe » ebbe anche il coraggio di aggiungere mentre io gli tiravo addosso l’asciugamano che avevo appena finito di usare, facendo ridere perfino Gandalf.
« Temo Mastro Tuc, che la nostra Valanyar qui, non sia molto abile a tenersi in piedi con degli abiti “appropriati” alla sua figura » commentò lo stregone guadagnandosi anche lui un’occhiataccia da parte mia.
Quando l’hobbit emerse da sotto il telo con uno sguardo confuso, Faramir aggiunse:
«Lei e gli abiti non vanno molto d’accordo, non ricordi a Lòrien? Inciampava ci continuo nella gonna e si lamentava che la stoffa si impigliava tra le sue spade » l’hobbit a quel punto annuì, ricordando i mesi passati quasi con un sorriso, soprattutto adesso che Gandalf era di nuovo con noi, sembrava che potevamo perfino riderne assieme, come se il peggio fosse passato.
Peccato che non lo era affatto, semmai, al peggio, vi eravamo proprio nel mezzo.
« No il problema più grande è nella sua statura, se la travestiamo da soldato, chiunque saprebbe riconoscerla, nessun uomo è così basso » commentò Boromir entrando nella stanza e donandomi un’occhiata che andava da capo a piedi e sembrava esattamente esprimere cosa ne pensasse di me, ovvero niente di buono.
« Allora potremmo vestirla da hobbit! » esclamò divertito l’unico rappresentante della suddetta razza.
« Pipino » mi limitai a dire mentre lui si voltava rivolgendomi un sorriso a trentadue denti, credibile quando una lettera di scuse da parte di Denethor.
 
Con l’arrivo di Boromir, la riunione ebbe modo di iniziare.
Gandalf fece presente i piani ed i movimenti del nemico mentre noi mettevamo in conto che Rohan andava avvisata o nessun tipo di aiuto sarebbe mai giunto a Gondor. Senza contare, la questione che secondo me, era la più urgente al momento.
« I soldati di Osgiliath verranno sterminati Boromir, non possiamo rimandare, devi convincere tuo padre ad imporre una ritirata » Faramir si mosse sulla sua sedia, apprensivo, mentre lanciava un’occhiata fuori dalla finestra in direzione del fiume.
« Vi sono abbastanza uomini per proteggere il fiume per qualche altro giorno, dobbiamo rallentare l’avanzata di Mordor » mi ricordò Boromir come se non capissi il suo punto di vista sulla situazione attuale.
Ma io sapevo più di ciò che i comunicati potevano dirci, e avrei solo voluto che l’uomo dinanzi a me, si fidasse abbastanza del mio giudizio per affrontare la decisione in modo differente.
Ma non sarebbe successo, potevo vederlo nel suo portamento, dalle braccia incrociate al petto e lo sguardo che continuava ad evitare al mio, dal sorriso irritato che gli si affacciava in viso ogni volta che parlavamo di tattiche militari, differenti dalla sue.
« Boromir, verranno trucidati. Gli orchi vi colpiranno dal fiume,sarà un attacco diretto, Maldir non avrà speranze » insistetti mentre Gandalf sospirava non azzardandosi ad intromettersi troppo nella discussione. Sapevo che la fiducia di Boromir nello stregone, era pari a zero, come suo padre non si fidava di chi aveva  potere sulle menti altrui. Soprattutto dopo ciò che si era sentito dire su Re Théoden e  Saruman, il Capitano di Gondor manteneva le distanze. Lo rispettava certo, ma non gradiva che mettesse bocca nelle decisioni di Gondor.
« Per questo andrò ad avvertirli. Porterò con me ulteriori duecento uomini, le difese reggeranno » insistette voltandosi verso di me e puntandosi con i piedi. Lessi nei suoi occhi quello che le sue parole non sottolinearono: che lui sapeva quello che faceva, che la sua decisione era la migliore per il suo paese e che quella città non era la mia casa natia quindi non avevo diritto di accusarlo di negligenza. Lui era fedele ai suoi compagni ed io lo sapevo, ma sarebbero ugualmente morti tutti se non si fossero ritirati in tempo.
« Boromir scenderanno in campo i nazgûl e le loro bestie » tentai disperatamente mentre il Capitano di Gondor sembrò sbiancare leggermente, prima di voltare nuovamente lo sguardo verso la finestra, osservando il fiume come poco prima aveva fatto il fratello minore.
« Non importa cosa ci attaccherà, le difese di Osgiliath devono reggere il più possibile vi sono troppo civili a Minas Tirith, è il cuore del regno.
Ho giurato di proteggere questa nazione Gwend se è con la mia morte che riuscirò a farlo, così sia » sancì spostando su di me il suo sguardo che mantenni per qualche minuto, supplicandolo silenziosamente prima di annuire, arrendendomi.
« Fa ciò che devi  » conclusi ricercando con le mani l’elsa della spada con lo stemma della casata di Aragorn, che però non trovai appesa al mio fianco. Sospirai sentendo la mancanza di quel gesto abitudinario. « Nel frattempo noi attiveremo il segnale per Amon Dîn, Rohan deve poter arrivare in tempo ».
Boromir annuì senza controbattere. Sapevo che l’idea di chiedere aiuto al popolo vicino non gli piaceva ma al contrario di suo padre non avrebbe negato una simile occasione di rivalsa contro Mordor. Sapeva che con Rohan e Théoden sarebbe giunto anche Aragorn ma quella probabilmente per Boromir era una discussione che poteva essere rimandata.
 

 
 

 
« Ah ah! » gridai esultante mentre alzavo il capo verso l’alto, imitata dai miei due compagni « Me lo ricordavo da queste parti » aggiunsi indicando con il dito indice, una vetta della montagna che sbucava dopo una lunga scalinata dalla cittadella.
« Cos’è? » domandò Pipino aguzzando la vista e socchiudendo gli occhi per seguire il punto indicato dal mio indice.
« Quello Mastro Tuc, è il segnale di aiuto che va acceso per richiedere aiuto a Rohan » spiegò lo stregone con un sorriso bonario, che non piacque minimamente al giovane della Contea.
« Bello » commentò guardandolo per l’ultima volta prima di voltarsi verso di me.
« Quindi tu vai Val e noi facciamo la guardia? Gandalf è un pugno in un occhio con questi abiti bianchi, si vede lontano un miglio » commentò inconsapevole dell’espressione scioccata che il suo commento aveva portato sul viso delle Stregone.
Ridacchiai, prima di scuotere la testa, ed indicargli l’inizio delle scale.
« Oh no, è la tua occasione per mostrare a tutti il tuo valore. Io sono ferita » gli ricordai indicando il punto dove si trovava la mia fasciatura, anche se al momento are al sicuro sotto vari strati di bende e garze.
« Cosa, quello? » ripeté Pipino indicando la pancia « E’ solo un taglietto » aggiunse scrollando le spalle.
« Ma se sei svenuto quando lo hai visto » gli ricordai inarcando il sopracciglio ed incrociando le braccia davanti al petto.
Pipino aprì bocca, forse per dire qualche altra fesserie, ma fu interrotto da Gandalf, che stufo del nostro battibecco gli dette una bastonata in testa.
« Oh e basta! Ragazzo mio, c'é un compito da svolgere. Un'altra opportunità per uno della Contea di dimostrare il suo valore. Và e non devi deludermi. » disse incoraggiante.
Il suddetto esempio di valore, mi guardò disperato, ma mi limitai ad un sorriso d’incoraggiamento che affranto, lo fece iniziare a camminare verso l’entrata del passaggio.
Io e Gandalf ci spostammo verso il terrazzo dove avevamo una migliore visione del segnale successivo e appoggiati alle ringhiere ammirammo entrambi il paesaggio.
Mi sistemai nuovamente meglio quello che ne rimaneva del mio mantello, che oramai assomigliava più ad un poncho rispetto al dono fattomi da Dama Galadriel a Lòrien.
La foglia era ben nascosta all’interno del tessuto, ma il cappuccio mi tornava particolarmente comodo: avevamo convenuto che alla fine il travestimento migliore, sarebbe stato quello più semplice. Così Faramir si era limitato a prestami un paio dei suoi pantaloni scuri che assieme alla camicia bianca ed un'altra bluse scura sopra, nascondeva perfettamente le mie forme facendomi semplicemente passare per un ragazzino qualunque.
Il “poncho” era stato ovviamente necessario per nascondere i miei occhi bianchi, altrimenti sarei stata facile da sgamare tra la folla,ma con il cappuccio calato fino a metà fronte dei servitori fedeli a Faramir, ci avevano confermato che la magia del mantello faceva sempre il suo dovere.
« Pipino è riuscito nella sua impresa » dissi sorridendo verso l’orizzonte ed alzando lo sguardo verso lo Stregone che come me, aveva le labbra piegate all’insù.
« La speranza, divampa » confermò attorno a noi mentre i soldati di guardia urlavano, facendo girare  tutt’intorno la notizia. Il fuoco di Amon Dîn era accesso, Gondor chiedeva ufficialmente aiuto.
Pregai con tutta me stessa perché Théoden mostrasse al mondo il suo lato migliore, portando Rohan a rispondere alla chiamata.
« Il giovane hobbit mi ha detto che hai avuto molto contro cui lottare durante la tua prigionia » iniziò lo stregone spengendo il mio sorriso e quel momento felice, solo per ricondurmi verso quegli orribili ricordi.
« Vuoi raccontarmi cosa la Sfera di Anor ti ha mostrato? » domandò Gandalf.
Sospirai, sapendo che non era una domanda che avrei semplicemente potuto ignorare, così mi concessi solo quei pochi attimi per ritrovare il coraggio di cui necessitavo, osservando all’orizzonte il fuoco di Amon Dîn.
« Se è stata la sfera veggente a rendere Denethor quello che è oggi non mi sorprenderebbe » iniziai con rammarico, consapevole comunque, che il sovrintendente era sempre stato un pessimo padre nei confronti di Faramir, dalla morta della moglie.
« Ho visto l’occhio per primo. Ha cercato di entrarmi nella mente ed io ho lottato e più opponevo resistenza più Sauron mi bruciava dentro facendomi ardere viva centinaia di volte. Non importava quanto lo supplicassi, che chiudessi gli occhi o che cercassi di ricordarmi che non era veramente lì. Io andavo a fuoco e bruciavo » dissi iniziando a giocare distrattamente con l’orlo del mantello che ora mi arrivava alla vita. 
« Non so quanto tempo abbia lasciato passare, ma alla fine quando non ha ricevuto risposte sull’anello ha iniziato a mostrarmi altre immagini. Il fuoco era meglio » confidai mordendomi il labbro inferiore mentre lo stregone mi poggiava una mano sulla spalla.
« Continua » mi disse, non vi era pietà nella sua voce, troppo preoccupato che io potessi aver rivelato qualcosa al nemico. Qualcosa che lui non aveva visto o previsto, qualcosa che io mi sarei lasciata sfuggire… Come se non avrei preferito morire piuttosto che tradire Frodo.
« Ho visto Elrond, rinchiuso in una torre. La sua pelle era cerulea come quella di un fantasma, mormorava il mio nome come in una preghiera …
Ho visto la Contea bruciare e venire saccheggiata, gli hobbit resi schiavi in catene. Ho visto Arwen morire, mentre la Stella del Vespro si spengeva e le nubi di Mordor raggiungevano Gran Burrone. Ho visto Aragorn perire sul campo di battaglia e mentre cadeva in ginocchio, mi diceva che era stata colpa mia, che io avrei potuto evitarlo … » continuai sentendo la voce spezzarsi in gola. « Sai cosa mi ha mostrato. Il futuro di coloro che amo, se fallissi. Se Frodo fallisse » aggiunsi facendomi forza ed incontrando lo sguardo di Gandalf che imperturbabile mi scrutava gli occhi come alla ricerca della menzogna nel mio racconto.
Sostenni il suo sguardo, poiché sapevo che non vi sarebbe stato altro modo per assicurargli la fedeltà mentre infine, lo stregone annuiva.
« Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tanto dolore amica mia » disse stringendo la mano che aveva posato sulla mia spalla, in un incoraggiamento silenzioso.
« Non importa, non è ancora successo niente di tutto ciò, possiamo impedirlo. Possiamo vincere »
« Già, siamo ancora in tempo ad impedirlo » ripeté lo Stregone portando il suo sguardo verso l’orizzonte. Oltre Osgiliath tra le nubi di Mordor, ma con tono così titubante che mi fece quasi temere che lui ancora una volta, sapeva qualcosa in più e che aveva deciso di tenermene all’oscuro.
 

 
 

 
Boromir era partito la mattina dopo, e nonostante avessero finito le scorte delle armi di Saruman rubate agli orchi giorni prima, resistette per altri tre giorni e tre notti.
Con Pipino, Gandalf e Faramir, che era stato lasciato a presidiare la città dal fratello maggiore, facemmo a turno per tenere Osgiliath sotto controllo dalle mura. Ovviamente fu all’alba del quarto giorno che vidi l’oscurità farsi sempre più fitta sulle ultime difese al fiume, nonostante il sole stesse sorgendo, i suoi raggi non riuscivano a penetrare attraverso la folta coltre di nubi.
E poi li vidi:
« Gandalf ! I Nazgûl ! Boromir ha bisogno di aiuto! » dissi correndo dentro la stanza dello stregone senza tante cerimonie, poiché non vi era alcun tempo  da perdere per bussare. Avevo visto le creature alate raggiungere la città sul fiume, sapevo che a breve la ritirata sarebbe stata l’unica opzione che restava a Boromir.
Avevano resistito fino all’alba quindi gli orchi non li avrebbero seguiti verso le mura della città dove i raggi del sole li avrebbero accecati, ma gli stregoni portavano con loro l’oscurità di Mordor e avrebbero potuto fare una strage dei cavaliere rimasti.
« Cavalca assieme a me, il tuo cavallo è l’unico che può stare al passo con Ombromanto » avrei voluto chiedergli come faceva ad essere sicuro che il bianco animale fosse già tornato dopo aver accompagnato Legolas, ma decisi che sarebbe solo stata una domanda stupida da parte mia.
Annuii, mentre Pipino mi lanciava uno sguardo pieno di preoccupazione e terrore, e Faramir mi lanciava il suo arco personale mentre io mettevo in spalla la faretra piena di freccia.
« Fai attenzione » si raccomandò prima di seguirci fuori « Io porterò i nostri migliori arcieri sulle prime mura, così a consentirvi del fuoco di copertura » disse mentre io e Gandalf sfrecciavamo lungo le strade della cittadella, superando le prima mura come se fossimo posseduti mentre io urlavo il nome di Bucefalo, certa che ovunque fosse mi avrebbe sentito.
Gandalf invece fischiò, richiamando probabilmente l’attenzione del bianco cavallo dei Mearas che apparve una cinquantina di metri dopo, assieme a Bucefalo.
Il mio cavallo, per fortuna era rimasto sellato, non avevo idea se qualcuno degli uomini di Boromir avesse tentato di prendersi cura di lui, ma conoscendo il carattere dell’animale aveva travolto chiunque avesse tentato di avvicinarlo senza il mio consenso.
« Bravo il mio cucciolo » lo salutai salendo in sella, da destra, per risparmiare lo sforzo al mio fianco ferito, mentre usavo le cinture lungo la sella, per assicurare le mie gambe al cavallo, legandole con delle cinghie.
Mi erano state fatte mettere da Elrond quando avevo iniziato a tirare con l’arco sotto consiglio di Haldir. Era un ottimo addestramento per i principianti che non desideravano cadere da cavallo ogni due minuti mentre provava ad usare l’arco in contemporanea.
Sia io che Gandalf spronammo in avanti i cavalli, non trovammo nessuno ad ostacolare il nostro cammino mentre passavamo attraverso l’enorme cancello di protezione della città, probabilmente aperto sotto ordine di Faramir.
Sentimmo sopra di noi il giovane capitano urlare ordini ai propri uomini, prima che le urla dei nazgûl prendessero il sopravvento ferendomi i timpani.
Ignorai l’istinto di tapparmi le orecchie mentre Gandalf sussurrava un incantesimo sui cavalli, per proteggere le bestie da quelle orrende urla, mentre noi li incitavamo a correre verso la bocca della morte.
 
Il viaggio che qualche giorno prima, aveva richiesto varie ore, adesso fu compiuto in nemmeno mezzora, mentre Bucefalo ed Ombromanto sfidavano il vento stesso portandoci sempre più vicini agli uomini di Boromir.
Quando lo vidi tirai un sospiro di sollievo prima di incoccare la prima freccia del mio arco mirando alla bestia alata più vicina. Dovevo fare attenzione o avrei rischiato di colpire gli uomini che cercavano di fuggire dal nazgûl.
Scoccai la freccia nello stesso istante in cui il potere di Gandalf si riversò nella pietra in cima al suo bastone, riempiendo di luce il terreno dinanzi a noi fino al cielo, riempiendo i cuori di speranza e fiducia mentre io seguivo il moto della mia freccia fino all’ultimo che si conficcò nel collo della cavalcatura del nazgûl.
Non ero Legolas, non avevo speranze di riuscire abbattere una di quelle creatura con una sola freccia, quindi non persi tempo a felicitarmi del colpo appena piazzato e continuai a scoccare una freccia dopo l’altra, mirando dove lo ritenevo più a portata. Due tre, quattro frecce si conficcarono nell’ala sinistra dell’animale in capo al gruppo fino a quando gemendo, non si ritirò invertendo la sua rotta.
Adesso ne mancavano solo altri due.
Mirai immediatamente al secondo mentre vedevo Boromir voltarsi oltre le sue spalle e vedere gli uomini a piedi disperati, cercare di raggiungere la salvezza. Ma colpi di freccia spuntavano dalle loro spalle, da Osgiliath, uccidendoli a decine ogni pochi minuti.
Bastò quel momento di distrazione del Capitano di Gondor, perché finisse preda della bestia alata, che si rovesciò sulle prime file della cavalleria, spazzando via i vari cavalieri tra cui Boromir.
« Noro lim Bucefalo! Noro lim beria- Boromir ! [ Cavalca Bucefalo! Cavalca a proteggere Boromir!] » urlai consapevole di star chiedendo l’impossibile al mio cavallo, ma sorprendendomi Bucefalo nitrì, spingendo al massimo i suoi zoccoli mentre Gandalf gridava il mio nome alle mie spalle ma io lo ignoravo, spingendoci sempre più avanti e incoccando l’arco per mirare agli orchi che cercavano di abbatterci dalle mura.
Passai nel mezzo alla cavalleria di Gondor che si aprì facendoci passare, mentre noi raggiungevamo il loro Capitano che stava continuando ad urlare ai suoi uomini la ritirata, trascinando in spalla un soldato ferito ad una gamba, mentre Boromir stesso era ferito poiché riconobbi una freccia spezzata, incastrata nella piega della sua armatura sopra la spalla.
« Il tuo cavallo non potrà portarci tutti » mi urlò Boromir mentre Bucefalo curvava bruscamente. Udii le parole di Boromir ma mi costrinsi solo ad abbattere gli orchi nelle mura, mentre l’animale sotto di me invertiva la direzione, gioendo internamente quando udii due grida di dolore, comprendendo di aver abbattuto i miei bersagli.
Bucefalo era finalmente riuscito a girarsi, dando ora le spalle al nemico ed obbligandomi solo a contare sulla sua abilità, poiché non potevo girarmi per mirare all’indietro.
Affiancammo Boromir che  caricò in groppa a Bucefalo il soldato ferito mentre io lo guardavo furiosa, allungandogli nuovamente il braccio.
« Forza sali idiota che non sei altro! » gli ordinai mentre vedevo Gandalf ricacciare via il secondo nazgûl.
A breve non saremmo più stati a favore della sua luce. Ma proprio mentre Boromir stava per riaprire bocca e dirmi di andarmene un’altra voce si intromise tra di noi.
« Le tue battaglie sono inutili mortale, la tua fine è vicina. Il nostro signore lo sa, lui l’ha visto » risuonò una voce dall’alto mentre il cavaliere dei nazgûl si faceva sempre più vicino minacciando di investire nuovamente con la sua bestia, gli uomini che arrancavano a piedi, desiderosi solo di raggiungere le lontane mura di Minas Tirith.
« Il tuo stregone si sta ritirando, dimmi chi verrà adesso in tuo aiuto sciocca mortale? » sibilò nuovamente mentre la sua bestia stava per atterrare davanti a tutti noi. Mi voltai, lanciando un’occhiata disperata a Mithrandir ma come aveva detto il servo di Sauron, Gandalf era troppo lontano impegnato a potare tutti gli altri cavalieri al sicuro.
La bestia atterrò davanti a noi, mentre io facevo riscendere da cavallo il soldato ferito, consegnandolo nuovamente al suo capitano. L’uomo gemette quando toccò terra, ma cercò immediatamente di mettere più distanza possibile tra se stesso e la bestia che ora si era posata a terra, spalancando le sue fauci su tutti noi mentre Bucefalo si faceva strada tra gli uomini, così che noi fossimo tra la cavalcatura del nazgûl e gli uomini di Boromir.
« Gwend » disse il Capitano di Gondor alle mie spalle ma non mi voltai, mentre incoccavo l’ennesima freccia, davanti alle risate del nazgûl.
« Corri Boromir, correte tutti. Verso le mura presto! » gli ordinai mentre l’uomo ferito urlava « Non ce la faremo mai! » in quello stesso istante Bucefalo nitrì, così forte che superò persino il frastuono del ruggito  della bestia alata impennandosi su due zampe più volte, e ogni volta che ricadeva, nitriva più forte. Come un grido di guerra di cui io non avevo mai sentito parlare.
« I cavalli! » urlarono alcuni degli uomini attirando l’attenzione anche dello stregone nero, che come me si voltò verso il cancello di Minas Tirith che era ora spalancato, mentre un’intera mandria di cavalli si stava riversando, correndo verso il nazgûl come non avrebbero mai potuto fare.
Perché i cavalli di Gondor era cavalcature meno nobili di quelle di Rohan, più selvatiche e facilmente si spaventavano in guerra. Ma in quel momento, mentre Il Bianco Stregone aumentava il potere della sua pietra infondendogli coraggio e determinazione la voce di Ombromanto riempì i miei pensieri.
Correte amici miei, aiutate colui che vi chiede aiuto. Riconoscete il suo coraggio, fatelo vostro, affrontate le tenebre e salvate i vostri cavalieri! “ la frase veniva ripetuta, ancora ed ancora, mentre diventava un sussurro di sottofondo nei miei pensieri. Mi voltai nuovamente verso lo stregone, che urlò di frustrazione quando la sua bestia alata spiccò in volo per non venire travolta dai centinai di cavalli che gli galoppavano incontro.
« Ci rivedremo mortale. Tutti coloro che ami, subiranno la mia vendetta! » mi ruggì contro mentre Bucefalo nitriva per l’ultima volta, sbuffando nel cielo alle parole del servo dell’Oscuro mentre i soldati salivano a cavallo, aiutando i compagni feriti fino a quando tutti non riprendemmo la nostra corsa verso Minas Tirith.
« Che cosa è stato? » mi domandò Boromir guardando sconcertato il cavallo che sotto di lui, galoppava verso casa senza che lui dovesse dargli alcun ordine.
Lanciò un’occhiata verso Gandalf, che per primo aveva raggiunto la sicurezza delle mura della capitale mentre io accennavo un sorriso stanco, dando delle breve pacche sul collo al mio cavallo, ringraziandolo.
« Ci sono molte forze che muovono il destino di molti Boromir. Gli uomini hanno iniziato a perderne memoria, portando così se stessi ad una vita più povera, ma potreste ricordare le vecchie leggende portare onore agli altri abitanti della Terra di Mezzo. Puoi iniziare oggi, ringraziando Ombromanto, il signore dei Cavalli. » dissi non appena la maestosa bestia bianca entrò nella mia visuale.
Boromir mi guardò di nuovo, probabilmente pronto a ricacciare i miei ringraziamenti verso il cavallo in un posto dove non mi batteva il sole, ma poi il suo viso impallidì, come neanche le ferite della guerra erano riuscite a fare.
Il Capitano di Gondor si voltò verso il cavallo dei Mearas probabilmente richiamato in una conversazione telepatica che non avrebbe mai più dimenticato.
Io invece, decisi di ignorare i due, per concedere la mia attenzione al vero eroe della giornata mentre mi slacciavo le cinghie che tenevano i miei polpacci ancorati alla sella, scendevo e mi portavo davanti a Bucefalo per abbracciarlo, mentre il cavalo sbuffava soddisfatto.
Quando mi ritenni soddisfatta mi allontanai, continuando ad accarezzargli distrattamente il muso mentre ci dirigevamo assieme verso le stalle.
« Ti meriti almeno un secchio di mele » gli annunciai soddisfatta mentre il cavallo sbuffava, annuendo con la testa e strappandomi una lieve risata.
« Va bene hai ragione, facciamo rubare a Pipino anche un po’ di zucchero. Che importa se ti fa male? Te lo sei decisamente guadagnato » aggiunsi mentre il cavallo mi sbandava leggermente addosso con il muso, come se cercasse di darmi una pacca amichevole con il naso. Ombromanto aveva ragione, ero proprio fortunata ad avere un amico tanto fedele, il suo tris-nonno, sarebbe stato fiero di Bucefalo.
 
 
 


Ovviamente la gioia non durò a lungo.
Pipino venne a cercarmi qualche ora dopo, dicendomi che Denethor aveva richiamato Faramir dall’infermeria, dove ora si trovava Boromir per richiedergli udienza.
Niente di strano, se non fosse stato, che tutti quelli presenti in sala erano stati fatti uscire, ed ora tra le strade il terrore viaggiava veloce nei visi dei cavalieri sopravvissuti a causa delle voci di una nuova spedizione verso Osgiliath.
La decisione di intrufolarmi a palazzo, per sentire in cosa consisteva la conversazione padre-figlio, venne da sé.
 
« … Non dovremmo con tanta leggerezza abbandonare le difese esterne, difese che tuo fratello a lungo ha tenuto intatte. » stava dicendo Denethor a Faramir non appena riuscii ad arrivare a portata d’orecchio, nell’oscurità della sala, illuminata solo vicino al trono e lungo la navata.
Il sovrintende parlava facendo restare il suo stesso figlio in ginocchio, con il capo chino come se non fosse neppure degno neppure di guardarlo in viso.
« Cosa vuoi che faccia? » domandò Faramir mentre io mi sporgevo lievemente dalla mia colonna. Ero in perfetta penombra e nonostante non scorgessi molto di Denethor a causa del folto mantello di pelliccia e la prospettiva, la figura di profilo rientrava perfettamente nel mio cono visivo.
Il giovane uomo strinse in pugni, chiudendo gli occhi, come se si preparasse a ricedere dei colpi fisici e non degli ordini dettati da un genitore.
« Tuo fratello crede che la tua fedeltà appartenga ancora a Gondor, quindi questa è la tua occasione per dimostrarmelo. Non cederemo il fiume nel Pelennor senza combattere. Osgiliath va riconquistata. » spiegò senza che io potessi vedere la sua brutta faccia. Eppure non faticavo ad immaginarmi la sua espressione: un sorriso sadico che gli fioriva in volto, con la stessa velocità con cui il panico prendeva possesso dei lineamenti di Faramir.
« Mio signore. Osgiliath è stata invasa » lo supplicò il Capitano mentre io stringevo i denti.
Lo aveva chiamato mio signore. Non padre.
Mi chiesi se il suo amato genitore non gli avesse tolto anche quella concessione, come se avesse perso ogni diritto dal suo ritorno da Gran Burrone. Mi chiesi che tipo di incubi aveva dovuto affrontare Faramir mentre Sauron rendeva reali i peggiori che avessi mai avuto nella mia testa, probabilmente il giovane uomo li aveva affrontati come realtà al piano superiore.
« Molto deve essere rischiato in guerra, tuo fratello lo sa, hai visto le ferite che si è procurato per proteggere la sua patria. Dimmi, tu credi di riuscire a fare altrettanto? » domandò sarcastico Denethor, schioccando la lingua sulle ultime parole, come se trovasse ridicola la sola ipotesi.
Mentre osservavo Faramir stringere i pugni e guardare suo padre con gli occhi lucidi di rabbia, mi chiesi per quale motivo il sovrintendente fosse diventato un uomo tanto crudele nei confronti di una persona meravigliosa come suo figlio.
Forse, se fosse stato un buon padre, il Capitano di Gondor non sarebbe stato chi era oggi, forse sarebbe stato più meschino ed egoista ma non ne sarebbe valsa la pena, per fargli sapere che sì, anche lui era speciale ed amato?
« Farò quello che posso in sua vece mentre è in convalescenza, ma devo comunque avere il suo permesso prima di smuovere le truppe, d’altronde il Capitano della Torre Bianca è ancora lui » disse Faramir tirando un po’ più in su il mento, osservando l’uomo sopra il trono con quasi un’aria di sfida.
« Come ho sempre saputo. Un vigliacco, un pezza nelle mani di uno stregone … Tu non vali niente » e con quelle amabili parole si congedò, mentre io osservavo il soldato inchinarsi rispettosamente l’ ultima volta, prima di tirarsi in piedi e dargli le spalle incamminandosi verso l’uscita.
Non appena udii la porta chiudersi alle sue spalle, uscii lentamente dall’ombra, accertandomi con discrezione che non vi fossero ulteriori guardie nella grande sala mentre mi avvicinavo silenziosamente al sovrintendente che bofonchiava qualcosa tra i denti che suonavano come ulteriori insulti verso Faramir.
Mi avvicinai fino a quando noi gli fui accanto, sfilando senza far rumore le mie lame da sopra lo schienale del suo trono e aspettando pazientemente che notasse la mia ombra, che creata dalla torcia alle mie spalle, si allungava oltre i suoi piedi.
Non servirono che pochi altri minuti, prima che l’uomo tremasse, sussurrando un « Chi va là? » e si voltasse di scatto, incontrando la punta delle mie lame a pochi centimetri della sua carotide.
« Salve Denethor, è giunta l’ora di pagare il conto » gli dissi imitando il sorriso sadico che lui poco prima aveva rivolto al suo stesso figlio.
« Tu- Qui come… come è possibile? » balbettò guardando le mie lame davanti a sé come se fossero dei serpenti pronti a morderlo.
« Mica avevi veramente creduto, che sarei morto nelle tue segrete, dimenticato da tutti, vero Denethor? » dissi mentre gli facevo cenno di alzarsi, spingendolo poi bruscamente nella direzione delle gallerie che grazie a lui avevo imparato a conoscere.
 
 
 




 
 
 
NdA : Ce  l’ho fatta!!!! E’ venerdì gente! Sono tornata sulla retta via! xD
Pare impossibile ma possiamo gioirne assieme.
Sono anche stata brava, niente finale pieno di suspense o roba simile. Anzi il capitolo è decisamente mediocre, poiché è l’ennesimo intermezzo prima della battaglia. Poiché siamo così vicini alla fine, mi chiedo se avete capito dove prima o poi andrò a parare xD
Comunque manca poco alla fine del libro, ma non così tanto alla fine della storia, spero vi interesserò a sufficienza, da farvi continuare a leggere e commentare, mi dispiacerebbe lasciarla inconclusa : )
Detto ciò, vi ringrazio per tutte voi che invece mi commentate tutte le settimane, siete delle belle anime e vi mando a casa una Faramir per uno in omaggio se resterete fino in fondo! T.T
A presto! <3

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


▌ Capitolo 16  ▌
 










 
«  Le fiabe non dicono ai bambini che i draghi esistono.
I bambini sanno già che i draghi esistono.
Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi. »

 
__Gilbert Keith Chesteton
 
 






 
«Quindi cosa hai intenzione di fare? Uccidermi? Come voleva quello stolto del tuo stregone? In fondo non sei nient’altro che una pedina nelle sue mani, uno stolto senza cervello! » strepitò Denethor nella galleria vuota, con ancora la mia lama puntata tra le sue scapole, mentre scendevamo nelle profondità della montagna dove giorni prima ero stata scortata da Boromir.
Mi chiesi se Denethor nel frattempo fosse più sceso, secondo Faramir ero rimasta vittima delle visioni di Sauron per quasi un giorno intero, però da quella mattina era passato un bel po’ di tempo, eppure Denethor non aveva mai dato l’allarme per la mia fuga.
Forse aveva pensato che ero stata trasferita in qualche altra cella? O più semplicemente morta, quell’opzione appariva altrettanto plausibile.
« Ma Denethor voi non valete niente » dissi riproponendogli le stesse parole che aveva usato contro suo figlio Faramir poco prima « Cosa vi fa credere che qualcuno si prenderebbe la briga di perdere del tempo con voi? Siete solo un vecchio, rinchiuso in un palazzo che neppure vi appartiene. Mi fate solo pena » mentii in tono sfrontato e canzonatorio, poiché in realtà il Sovrintendente di Gondor non mi faceva neppure pena.
Tutt’altro, non avessi tenuto a Faramir e alla sua amicizia, probabilmente avrei ammazzato il vecchio con le mie stesse mani e senza neppure troppi rimorsi. Ma il giovane Capitano se ne sarebbe dispiaciuto, poichè nonostante tutto, amava suo padre.
Giungemmo alla fine della galleria, illuminata dalle fiaccole per entrare nel corridoio dove era stato posizionato il palantìr e a dove Boromir mi aveva incatenata qualche giorno prima.
Feci avanzare Denethor lungo il muro, fino a dove ero stata legata a terra io. Era facile da ricordare quale tra le tante manette fossero quelle giuste, poiché non dovevano pulire spesso. Il mio sangue sporcava ancora il pavimento dove adesso sostavano i piedi di Denethor.
« In ginocchio » gli dissi puntandogli nuovamente la lama alla gola e frapponendomi tra lui e il colonnino che sosteneva la sfera di Anor.
« Io sono il comandante in carica di Gondor! Non mi inginocchio per nessuno! » gridò urlandomi in viso mentre io mi aprivo in un lieve sorriso sadico.
« Ti inginocchierai per me » insistetti mentre lui mi sputava ai piedi, sfidandomi con lo sguardo a chiederglielo di nuovo.
Inarcai un sopracciglio, ritrovandomi particolarmente alterata, e non solo per quello che aveva detto a Faramir prima, non per come lo aveva trattato per tutta la vita. Ma per quanto debole la persona davanti a me fosse diventata.
Denethor II sarebbe potuto essere un grande signore degli uomini e per un periodo lo era stato.
Ma il vecchio di fronte a me, non era neppure un’ombra di ciò che sarebbe potuto diventare. Il suo stesso popolo soffriva di perdite eterne e costanti, eppure era pronto a lottare nuovamente per proteggere i propri vicini, si sostenevano l’un l’altro e in un modo o nell’altro cercavano di andare avanti.
E chi avrebbe dovuto guidarli? Se ne stava rinchiuso in una sala del trono a trangugiare cibo e a giudicare tutti coloro che riteneva inferiori, mandando perfino i propri figli in missioni suicide troppo soggetto all’influenza di Sauron per capire che quella determinazione che lo aveva portato a guardare il palantìr, lo avrebbe distrutto rubandogli tutto ciò che contava veramente.
Mi scostai leggermente per mettermi di lato, solo per tirargli un calcio nella piega del ginocchio, obbligandolo a piegare le gambe e a franare rovinosamente a terra.
Mentre ancora mi stava insultando, con il viso ricoperto dal suo stesso mantello,gli presi il polso sinistro assicurandolo alla catena agganciata alle mura, per poi fare lo stesso con un’altra manetta, assicurandola al braccio opposto.
« Cosa hai intenzione di fare eh? Credi davvero di potermi incatenare nel mio stesso palazzo?! » urlò alzando il viso in uno scatto veloce, cercando di rigettarsi alle spalle il mantello.
« Perché credi forse che qualcuno verrà a cercarti quaggiù? » ribattei piegando un angolo delle labbra all’insù « No Denethor, ti dimostro come posso essere misericordioso. Vuoi passare tutti i tuoi giorni ad impazzire davanti a ciò che ti mostra Sauron senza fare niente per impedirlo? Ti accontento » dissi facendo qualche passo indietro, verso la colonna del palantìr e gettando a terra il telo che ricopriva la sfera di Anor.
« Buona visione » conclusi poi ignorando le sue grida e lasciandomelo alle spalle come lui aveva fatto con me, mentre ripercorrevo all’insù la galleria notando che più salivo più le sue grida si mescolavano con il frastuono della superficie, rendendole impercettibili.
 

 
L’idea di aver lasciato Denethor alla stessa tortura a cui ero stata costretta, mi impensierì a tal punto che passai le ore successive a ripulire le mie lame nella più minuziosa accuratezza.
Dimenticatemi molto velocemente del vecchio sovrintendente, ero intenta a non rincorrere nella furia eterna di Arwen se avesse mai visto l’elsa delle mie spade sporche a quel modo.
Quando finalmente lo stemma di Imladris risplendette sotto i raggi del sole mi potei ritenere soddisfatta ed uscii dall’ala del palazzo nella quale mi ero nascosta.
Sgattaiolai fuori senza farmi notare dalle guardie, passando attraverso le vie della servitù che non mi degnò neppure di uno sguardo, mentre mi dirigevo fuori dal palazzo senza una vera meta, fino a ritrovarmi nei pressi dell’albero bianco.
L’albero dei Re era più piccolo di come lo avevo immaginato, ma dovevo ammettere che irradiava potere e sapere, mettendomi perfino leggermente in soggezione. Fossimo stati in un regno elfico, probabilmente avrei creduto che avrebbe iniziato anche lui a parlarmi da un momento all’altro.
Ma eravamo in una città degli uomini, e l’albero bianco stava appassendo da così tanti anni, che se non avessi saputo dell’arrivo di Aragorn lo avrei dato per spacciato.
Sforzai lo sguardo, socchiudendo le palpebre, alla ricerca del bocciolo che Pipino giurava di aver visto il giorno del loro arrivo a Minas Tirith, prima di venire colta di sorpresa da una mano che si poggiò delicatamente sulla mia, richiamando la mia attenzione verso il basso.
« Peregrino Tuc » lo salutai con un sorriso mentre l’hobbit mi affiancava completamente, lasciando la mia mano per mettersi le mani in tasca.
« Gandalf è cupo, la guerra è vicina non è vero Val? » domandò lui guardando nella mia stessa direzione, ma a differenza di me, non si stava osservando l’albero bianco, bensì molto più in là verso l’orizzonte e il buio eterno di Mordor.
« Sì amico mio » confermai poggiandogli la mano che poco prima aveva sfiorato, sulla spalla « Non possiamo più andarcene da qua, possiamo solo sperare che l’aiuto venga da noi » dissi stringendogli leggermente la casacca, in un gesto affettuoso.
« Hai riavuto le tue spade » commentò lui guardano le lame che adesso erano tornate al loro posto sul mio fianco, mentre io mi illuminavo in un’espressione soddisfatta.
« Oh è stata una gentile concessione del Sovrintendente » dissi con una lieve scrollata di spalle « Sai dov’è Faramir? »  aggiunsi sviando la sua attenzione.
« Era andato da Boromir, di qualunque cosa avessero iniziato a discutere, è stato in fretta cacciato fuori dalla casa di cura dalla donna che la gestisce. Pare che Boromir fosse impazzito e minacciasse di uccidere Denethor o cose così » disse l’hobbit grattandosi i riccioli castani, oramai un po’ troppo lunghi, poiché gli sfioravano le spalle.
« O cose così » ripetei io divertita prima di spiegargli cosa era successo, raccontandogli della richiesta che Denethor aveva fatto a Faramir poche ore prima e che quindi non c’era da stupirsi se il fratello maggiore l’avesse ripudiata con tanto vigore.
Non apprezzavo molte cose di Boromir, in realtà solo due: era un grande Capitano e amava veramente suo fratello.
« Ma tu perché sei qui? » domandai poi non appena conclusi la mia spiegazione.
« Oh me ne ero completamente dimenticato! Gandalf ti cercava! » disse lui guardandomi e  spalancando gli occhi come un cervo spaventato.
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli e gettandoli all’indietro, lasciando cadere anche il cappuccio del mantello alle mie spalle.
« Ah Pipino, e poi ti chiedi perché Gandalf ti prende sempre a bastonate nella zucca vuota » lo presi in giro mentre lui arrossiva leggermente, prima di salutarci e separarci ognuno con la propria destinazione.
Mi incamminai verso l’ala del palazzo dedicata a Faramir, stupendomi leggermente quando trovai il giovane Capitano ad aspettarmi sulla soglia, seduto su uno dei gradini. Forse Pipino vi aveva messo davvero molto a riferirmi quel messaggio, ma considerando che io stessa ero stata impegnata altrove, decisi che l’avrei coperto con le stregone mentre sorridevo all’uomo di Gondor ed entravo nella stanza dopo di lui.


 
 
 

 
Gandalf si trovava all’interno e non appena mi vide si tirò su dalla sedia in cui era seduto, accogliendo con un sorriso così spento, che non raggiunse mai i suoi occhi.
« Credo sia giunto il momento per  te amica mia di abbandonare l’anonimato. Questi uomini, hanno bisogno di Gwend. Lascia decidere a loro se vederti come l’apprendista stregone o il Ranger, ma bisogna assicurarsi che ricevano tutta la speranza a cui possano aggrapparsi » lo stregone si avvicinò alla finestra per osservare il paesaggio ma guardando oltre le mura di Minas Tirith, osservando l’orizzonte da cui persino il sole oramai sembrava volersi nascondere.
Io e Faramir lo affiancammo mentre annuivo alle parole del mio vecchio amico e lui si voltava verso di noi, con uno sguardo così preoccupato che sembrò fosse appena invecchiato dinanzi i nostri occhi.
« La guerra sta già marciando su Minas Tirith, se nessun aiuto verrà in tempo … Beh dobbiamo comunque farci trovare pronti ».
Faramir sospirò, probabilmente cercando di non farsi prendere dal panico, come me in realtà.
Non era la prima battaglia che affrontavo, né la prima guerra e secondo la storia, quella non sarebbe stata neppure l’ultima, ma sarebbero morti così tanti visi conosciuti in questo scontro che temevo che io stessa alla fine, non sarei riuscita a sopravvivere.
Le mie conoscenze avrebbero davvero potuto aiutarci a resistere più a lungo? A risparmiare qualcuno magari?
« Andiamo, dobbiamo trovarti qualcosa da mettere » mi invitò Faramir dandomi una lieve pacca sul braccio e portandomi a seguirlo in una camera secondaria.
Era la stessa dove qualche giorno prima, aveva tirati fuori gli abiti che indossavo al momento, e che aveva permesso a Pipino di avere una divisa della giusta taglia.
« Altri abiti di quando eri un ragazzetto? » intuii accennando un sorriso mentre apriva una cassapanca che doveva essere rimasta chiusa molto a lungo, a giudicare dalle ditate di polvere che spiccavano sull’apertura.
« Mi dispiace non ho altro da offrirti, forse potremmo provare a chiedere a qualche soldato più giovane in città … » mormorò imbarazzato, con la pelle sul collo che assumeva una leggera sfumatura di rosso e lo sguardo, che si spostava da me ai vestiti nella cassapanca.
Alzai un sopracciglio, appoggiandomi alla parete con sempre più disinvoltura nonostante la ferita sul fianco. Non era miracolosamente guarita ovviamente, ma grazie all’aiuto della magia di Gandalf, adesso la mia fasciatura non si allentava, stringendomi sempre al punto giusto, così che non rischiassi di tirare troppo i punti.
« Faramir ero ironica, i tuoi vestiti andranno benissimo » lo tranquillizzai immediatamente leggermente confusa, dinanzi al suo ritrovato imbarazzo nei mie confronti.
Si comportava come se fossimo tornati a quasi quattro mesi prima a Gran Burrone, e lui avesse appena scoperto che era una ragazza.
« E’ solo che, trovo ingiusto che tu non possa semplicemente mostrarti per ciò che sei. Hai fatto così tanto per così tanti e sei comunque costretta nasconderti … » mormorò abbassando lo sguardo ai suoi piedi, sospirando piano prima di rincontrare i miei occhi « Ti meriteresti molto di più, ma tutto ciò che ottieni in cambio sono altre responsabilità » disse lanciando uno sguardo alla porta alle mie spalle, evidentemente riferendosi agli ordini di Gandalf.
« Boromir ti ha parlato di Re Théoden non è vero? » dissi comprendendo finalmente, dove fosse nato tutto quel suo bisogno di rendermi nuovamente giustizia.
Non sapevo cosa frullasse appieno tra i suoi pensieri, ma avevo notato come guardava a volte Gandalf quando mi parlava e nonostante la sua curiosità dovesse essere stata tanta, non mi aveva neppure chiesto cosa ne fosse stato di Aragorn e gli altri. Forse per non irritare il fratello o forse, perché si ricordava come il ramingo si era comportato nei miei confronti dopo che lo stregone era caduto.
« Non è giusto » rispose annuendo alla mia domanda. Chiuse le mani a pugno lungo i fianchi, come i bambini che avevano appena imparato le prime lezioni sulla vita e adesso, distinguevano da soli il buono dal cattivo anche nella realtà, e non più solo nelle favole.
Scrollai le spalle, non sapendo come altro gli rispondergli perché la pensavo esattamente come lui. Non era giusto.
Ma non lo era semplicemente perché negli anni avevo ritenuto Théoden un amico, avevo conosciuto suo padre e avevo combattuto per il suo popolo. Eppure gli esseri umani erano così, volevano tutti accanto grandi persone, ma nessuna che potesse essere più grande di loro e metterli nell’ombra.
« Cerchiamo questi vestiti dai » dissi avvicinandomi a lui, e invitandolo ad iniziare a scavare in quella cassapanca.
 

 
 

 
La ricerca portò un buon esito.
Adesso avevo un nuovo paio di pantaloni in cuoio nero con annessi parastinchi in metallo, una nuova camicia bianca e sopra una cotta di maglia con una casacca nera che sulla schiena aveva ricamato l’albero dei Re.
Mi fermai davanti allo specchio nell’angolo della sala, osservando il mio aspetto e sentendo già la mancanza del mio mantello di Lòrien. Non che avrebbe fatto la differenza in battaglia, ma per quanto a Gondor mi conoscessero come l’apprendista di Gandalf, avevo una pessima sensazione sull’immagine che mi restituiva lo specchio.
Ma forse erano solo i miei occhi ad infastidirmi, da quella distanza, sembravo veramente una creatura di Mordor, con la circonferenza dell’iride nascosta dalla penombra, il mio sguardo assomigliava a quello di un’orrenda creatura che non aveva nient’altro se non due pupille nere su uno sfondo bianco.
Scostai lo sguardo passandomi una mano tra i capelli e spostando i ciuffi più fastidiosi e lunghi dietro le orecchie prima di prendere in mano Aiantcuil, che brillava di luce propria sul mio petto e portarmelo dinanzi al viso.
Sarebbero morti in così tanti in quella battaglia, chi avrei dovuto salvare?
Il ciondolo vibrò, quasi avesse capito che stavo pensando a lui mentre sorridevo mesta, prima di nasconderlo nuovamente al sicuro tra i miei vestiti, sotto la casacca.
Nel complesso non stavo male, decretai legandomi in vita le mie due faretre non più vuote, riflettendo che però, avevo cambiato più abiti e schieramenti io in quei  quattro mesi, di quanto non avessi mai fatto in un’intera vita.
Uscii dalla stanza, per trovare solo Faramir ad aspettarmi.
« Pipino è venuto a richiamare Mithrandir. E’ giunto il Signore del Lossarnach con almeno duecento guerrieri e anche mio zio è stato avvistato, sarà qui in meno di un’ora. » mi aggiornò con un sorriso che non riuscii a restituire.
Erano numeri così esigui che non riuscii a farmi contagiare dal suo buonumore,  neppure alla notizia che sarei riuscita a rivedere un vecchio amico.
Sapevo che entrambi i Signori, avevano tolto quegli uomini a discapito delle loro stesse difese ed era onorevole. D’altronde gli uomini stavano per affrontare una guerra contro l’impossibile e l’impossibile sarebbe stato richiesto per vincere quello scontro.
Così con il giovane capitano di Gondor, andammo a trovare Boromir sperando in un miglioramento nelle sue condizioni, così che potessimo presenziare un nuovo concilio di guerra.
 
 
 
 


Arrivammo da Boromir che il Capitano di Gondor era pallido come i lenzuoli sotto di lui, ma se ne restava seduto sull’angolo della branda, come se non avesse l’intero letto a disposizione per sdraiarsi.
« Era avvelenata vero? » dissi guardando con molto scetticismo la fasciatura che gli abbracciava tutta la spalla ancora macchiata di sangue. Da sotto di essa, era facile riconoscere i capillari che viaggiavano a fior di pelle completamente neri, come se al posto del sangue, stessero trasportando inchiostro.
« Già » replicò Boromir lanciandomi un’occhiataccia, evidentemente non era per niente felice di vedermi ma concesse un sorriso fraterno a Faramir, quando assunse un’espressione preoccupata dinanzi alle condizioni del fratello.
« La curatrice non ha potuto fare altro? » domandò Faramir avvicinandosi al maggiore e ispezionando da vicino la pessima fasciatura.
Boromir lo lasciò fare, anche se evidentemente irritato da tutte quelle attenzioni, parlarono di più e del meno per qualche minuto, fino a quando il maggiore dei fratelli fu sicuro che il minore, non sarebbe partito a breve verso nessuna missione suicida affidatagli dal padre.
« Bei vestiti comunque, erano tuoi vero Faramir? » disse il Capitano di Gondor per cambiare discorso. L’uomo più giovane annuì, mentre io scrollavo le spalle con indifferenza.
« A quanto pare non posso vestirmi da sempliciotto di campagna se dobbiamo scendere in guerra » replicai facendo un breve giro su me stessa per mostrargli l’albero dei Re sulla mia schiena.
« Sembri comunque un sempliciotto » commentò Boromir schioccando la lingua.
Assottigliai le palpebre, pronta a rispondergli per le rime quando ovviamente il fratello minore si intromise con uno dei suoi migliori sorrisi.
« Io trovo che tu stia bene invece. Ma quando uno è bello, è bello sempre anche se lo vesti da sempliciotto » commentò con un sorriso affettuoso e spostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi, facendomi  arrossire.
Avrei dovuto legarli prima della battaglia, o magari metterci qualche altra goccia di olio anche se ero certa che dopo le prime ore, ci avrebbe pensato il sudore a tenerli fermi.
« Oh fratellino finalmente hai fattola tua mossa? » disse Boromir allungandosi per dargli una forte pacca sul sedere.
« Eh? » domandò Faramir mentre sia io che lui guardavamo confusi il Capitano di Gondor.
« Ma sì avrai una cotta per lei da quando? Vent’anni? » soppesò fingendo di non notare l’imbarazzo che prese fuoco sulla pelle dell’uomo più giovane mentre io nascondevo un sorriso divertito dietro il palmo della mano.
« Boromir ma di cosa parli! Ho scoperto che era una donna quattro mesi fa! » urlò in mezzo all’infermeria, costringendomi a guardare da un'altra parte per trattenere una risata, mentre la voce di Faramir diventava particolarmente acuta.
« Non lo sapevi? » domandò Boromir evidentemente confuso, guardando prima me e poi suo fratello minore, facendo passare lo sguardo tra noi almeno una decina di volte prima di sbuffare divertito.
« No! E poi Gwend è impegnata, non oserei mai! » aggiunse facendomi girare verso di lui alla velocità della luce.
« E con chi sarei impegnata? » domandai guardandolo scandalizzata come se gli fosse cresciuta una pianta di pomodori in testa. E considerando che il suo viso era ancora rosso a causa delle affermazioni di Boromir, l’opzione era perfettamente plausibile.
« Con l’elfo biondo no? Lui mi ha detto che non avrei dovuto permettermi di fare mosse avventate con te » mormorò piano quasi ricordasse il giorno della conversazione con timore.
Le mie sopracciglia schizzarono in alto, mentre spostavo lo sguardo persino su Boromir, che però non era di nessun aiuto mentre mi guardava divertito.
« Emh, parliamo di Haldir? Lui è solo un amico » dissi confusa cercando i ricordare quando il Capitano delle guardie avesse preso in disparte Faramir per parlargli.
« No, l’amico di tuo fratello, Legolas » disse mentre io sentivo nuovamente il viso andarmi a fuoco, prima di strozzarmi con la mia stessa saliva e tossire lievemente presa dal panico.
Boromir rise, pentendosi subito della sua decisione quando iniziò a gemere di dolore a causa della spalla ferita, cosa che migliorò nuovamente il mio umore.
« Che cosa ti ha detto di preciso? » tentai quindi cercando di ricompormi, mentre Faramir sembrava sentirsi leggermente più a suo agio ma anche più confuso, dinanzi al mio imbarazzo.
« Che non era una buona idea farmi strane idee su di te. Avrebbe potuto rivelarsi pericoloso … Mi parlò quel giorno lungo il fiume, dopo che stilammo assieme il piano di fuga con gli hobbit verso l’Ithilien » aggiunse incerto, passandosi una mano dietro il collo, come se temesse di aver detto qualcosa di sbagliato.
« Oh » ripetei ricordando qualcosa su quel giorno: Aragorn mi aveva perfino fatto una battuta su una possibile infatuazione di Faramir e se non erravo, Legolas era stato a pochi passi da noi…
« Sì ma … Beh diciamo che con Legolas abbiamo avuto delle incomprensioni. Non lo ha detto per il motivo che pensi tu, lo ha detto perché credeva veramente che io fossi un pericolo … per te » dissi evitando il suo sguardo e muovendo le mani ancora imbarazzata.
Non volevo rivelare troppo della relazione tra me e Legolas, sicuramente l’elfo non si meritava che la sua vita venisse spiattellata dinanzi a degli estranei, ma come gli era venuto in mente di avvertire Faramir a quel modo? Come non poteva aver capito che l’uomo avrebbe frainteso?
Era un elfo vissuto per centinaia di anni per la miseria, e ancora non aveva capito come funzionava il cervello degli uomini?!
« Oh, d’accordo » si limitò a dire Faramir, provando evidentemente della pietà nei miei confronti. Cosa per cui gliene fui eternamente grata, specialmente quando cercò di riportare il discorso sullo stato di salute di Boromir.
« No no, non mi incanti fratellino, questa è la tua occasione dunque per fare la tua moss- » non gli permisi di proseguire oltre mentre gli detti malamente una spinta proprio sulla spalla ferita, facendolo urlarle di dolore mentre una sequela di insulti partirono dalle sue labbra e cercò di tirarmi un calcio, che però evitai facilmente spostandomi di lato e dietro suo fratello.
« Stavi dicendo? » dissi con la mia voce più falsa ed angelica mentre Boromir sembrava trattenersi dal mettermi le mani al collo, prima di schioccare la lingua e far cadere l’argomento.
« Non ti uccido solo perché ci farai comodo » mi disse guardandomi con tutto l’odio che sicuramente provava mentre io mi limitavo a continuare a sorridergli in modo sornione.
 
 
 
La discussione passò alle prossime strategie che avremmo dovuto intraprendere e a come suddividere i guerrieri e i rispettivi comandanti.
Nel frattempo tornò anche la famosa capo-guaritrice che dopo avermi dato una lunga e confusa occhiata si limitò a concentrarsi solo sul suo paziente, ignorando i commenti di Boromir che continuava a sostenere stesse “bene”.
Era evidente che la donna avesse avuto a che fare con troppi soldati idioti che erano passati lungo la sua casa della guarigione, per concedere delle attenzioni differenti all’ennesimo capitano.
Quello fu il momento in cui scelse di arrivare anche Imarahil sorridendo alla vista del nipote che stava imprecando contro la donna sulla cinquantina, che lo stava ignorando come se fosse niente di più di un bambino petulante, e non il figlio del Sovrintendente.
Decisi che quella guaritrice, mi stava particolarmente simpatica.
« Boromir, Faramir » li salutò avvicinandosi per accogliere quest’ultimo in un mezzo abbraccio.
« Valanyar » disse l’uomo salutandomi con un breve inchino ed un cenno del capo.
« Come è che voi due vi conoscente? » bofonchiò Boromir mentre cercava di allontanare cautamente la guaritrice, che per tutta risposta gli schiaffeggiò via la mano quando cercò di impedirle di sfasciare completamente la benda.
« E’ uno dei Dùnedain, ero presente alla sua incoronazione quando suo padre morì quasi dieci anni fa. Lo avvisai che avrebbero avuto dei problemi con i corsari di Umbar » dissi mentre lui annuiva prima di aggiungere « Ma ci siamo conosciuti ad Imladris, suo padre Elrond, è sempre stato un nostro ottimo amico, mio padre si affidava spesso al suo consiglio » aggiunse mentre io mi ritrovai nuovamente ad imbarazzata. Non ero abituata a sentire riferire Elrond come mio “padre”.  Solitamente io ed Aragorn eravamo i “figli adottivi” certo, ma proprio per questo la differente presentazione in qualche modo mi imbarazzava.
Come se adesso avrei dovuto tenere le spalle più dritte ed essere un esempio migliore, per difendere l’onore del mio Re. Era strano in pratica.
« Quindi un altro che sapeva che Gwend era una donna. Fratellino eri rimasto solo tu » disse Boromir ridacchiando sommessamente prima di smettere per imprecare, quando la guaritrice, poggiò la garza umida con troppo forza sopra la ferita.
Avrei potuto giurare che fosse stato un incidente dato che si scusò prontamente, ma il suo sorriso soddisfatto, mi fece invece intuire le sue preferenze, per quanto riguardava i suoi due signori.
« Comunque potremmo avere un problema, sono andato a cercare vostro padre. Ma le guardie mi hanno riferito che nessuno lo vede da questa mattina »
« Come è possibile? » disse Faramir voltandosi a guardare il fratello allarmato. Boromir si accigliò prima di spostare  suoi occhi accusatori su di me.
« Come hai riottenuto le tue spade? » domandò con la sua migliore voce di comando. Peccato che l’avessi sentita così spesso, e ignorata così tante volte anni addietro, che aveva perso per quanto mi riguardava, tutto il suo vigore.
« Oh beh questa mattina, dopo aver incatenato il Sovrintendente nel cuore della montagna » risposi poggiando le mani sull’else delle spade, concedendo alle lame delle carezze affettuose.
« Oh Dei » disse Faramir coprendosi il viso con una mano esasperato, mentre Boromir urlava un « Che cosa?! » che richiamò l’attenzione di tutta l’infermeria solo per beccarsi un altro schiaffetto da parte della guaritrice.
Adoravo quella donna.
 

 
 
 

Sorbita l’ennesimo urlo da parte di Boromir, e uno sguardo da cucciolo bastonato di Faramir mi arresi, ed esasperata tornai dal sovrintendente per liberarlo. Non che avessi avuto intenzione di lasciarlo lì a vita, ma un po’ della sua stessa medicina non gli avrebbe di certo fatto male.
Insomma, era difficile peggiorare quando si era Denethor.
« Dunque è questo che sei. Ti fingi un uomo retto Gwend dei raminghi del Nord, ma non sei altro che un uomo minore, come tutti gli altri » Denethor mi guardava con il furore negli occhi mentre ancora legato dalle catene. I suoi polsi poco prima delicati e perfetti iniziavano a possedere delle ferite gemelle alle mie.
« Fosse per me, ti lascerei qui a marcire fino a quando non moriresti per l’autocombustione data dalla tua stessa rabbia. Ma qualcuno più saggio di te, mi ha insegnato che non spetta a noi decidere chi deve vivere e chi deve morire a questo mondo, quindi Denethor figlio di Ecthelion io ti offro una scelta:
Brucia nella tua superbia, rinchiuso nel tuo palazzo dove nessuno sentirà più parlare di te, oppure sfrutta quelli che potrebbero essere i tuoi ultimi attimi per dare un senso alla tua vita »
« Le tue parole sono vuote. Non vi è speranza … Credi che anche se nascosto in questo buco, non abbia visto le forze di Mordor? Verremo spazzati via, trucidati tutti … Gondor non sarà che un ricordo perduto nel tempo … »
Mi avvicinai al palantìr sulla colonna, sfiorando il meraviglioso cristallo nero che aveva smesso di mostrare le armate di Sauron al mio arrivo.
Poggiai senza esitazione il palmo sopra la sfera, coprendo l’occhio del nemico con la mano aperta, non appena apparve all’interno della Sfera Anor  mentre cercavo di imporre il mio volere a quello del nemico.
Non fu facile, sapevo quanto la mia mossa fosse azzardata. Nessuno prima di Denethor era mai riuscito a resistere alla magia del nemico ma mentre sentivo le prime gocce di sudore sfuggirmi dalla fronte e il cristallo sotto le mie dita bruciarmi il palmo da quanto era freddo, l’occhio iniziò a vacillare. Resistetti alla tentazione di strappare via la mano e scappare lontano da quella stanza, e quasi spingendo fisicamente la mano più a fondo nel cristallo dissi:
« Tu non comandi la Sfera di Amon, vattene. Il palantìr è una magia che non ti appartiene fu creato quando fosti distrutto la prima volta. E anche oggi, fallirai.
 Io non sono il Sovrintendente, le tue armate non mi spaventano, vattene e torna a guardare dalla tua torre. » soffiai tentata quasi di ritrarre la mano quando l’occhio senza palpebra, parve guardarmi nuovamente dentro,e  come aveva fatto giorni addietro per delle ore infinite, il signore Oscuro parlò, facendo scorrere un intero brivido di gelo lungo a mia spina dorsale.
Rammenta le tue parole Narratrice dei Valar, rammentale poiché con esse hai segnato il tuo destino. Quando ci incontreremo sul campo di battaglia, per te sarà la fine. Cadrai esattamente dove io vorrò, dove io l’ho visto succedere .”
Denethor gemette dietro di me, facendomi intuire che anche lui aveva sentito la minaccia della voce dell’Oscuro, ma infine l’occhio di Sauron svanì e la sfera si spense, prima di riaccendersi quasi, mostrandomi ciò che volevo mostrare a Denethor.
« Guarda Sovrintendente, ammira:  la speranza » dissi mentre mi spostavo di lato, permettendogli di vedere le immagini che si stagliarono all’interno del palantìr:
 
Vi era Théoden in cima ad una collina, che guardava i suoi guerrieri dall’alto. Erano troppi guerrieri per rientrare tutti all’interno della visione, ma nonostante i grandi numeri il Re di Rohan era chiaramente preoccupato. Si impose comunque un’espressione piena di determinazione mentre guardando i suoi uomini urlava « Domani, marceremo contro Mordor! Per Gondor! » urlò egli uomini sotto di lui risposero come in un eco, mentre Éomer si affiancava all zio poggiandogli una mano sulla spalla.
 
 La scena cambiò e adesso  vi era Faramir che passava tra le file dei soldati sopravvissuti ad Osgiliath, portando ogni guerriero nella posizione ottimale, mentre senza timore, lanciava occhiate alla marea di orchi che si avvicinavano alle mura.
« Proteggeremo la nostra meravigliosa città, Rohan sta arrivando, resisteremo perché Gondor può farcela! Perché questa è l’alba della nuova Era e noi vi saremo per assisterla ! » i soldati accanto a lui ruggirono un grido di guerra, ritrovando il coraggio di cui necessitavano mentre con determinazione riprendevano le loro posizioni, dritti e fieri dinanzi il nemico sempre più vicino.
 
Un nuovo cambio, adesso Boromir stava discutendo con l’infermiera.  Voleva alzarsi dal letto, ma ancora una volta lei continuava a spingerlo giù, pregandolo di non fare il bambino mentre gli diceva che doveva riposare.
« Siete stato avvelenato! Cascherete in terra come una bambola se non vi riposate! » gli stava urlando lei con le guancie rosse, sembrava pronta  a legarlo letteralmente al letto se non gli avesse dato ascolto.
« La guerra incombe donna! Il mio posto è con i miei uomini, mi rifiuto di morire in un letto! Il campo di battaglia è il mio posto ! » urlava incurante delle bende che si stavano nuovamente macchiando di sangue, segno che il veleno impediva alla ferita di rimarginarsi a dovere.
« Mio signore, non servite a nessuno vivo a metà! Riposate qualche altra ora vostro fratello vi avvertirà in caso di necessità » lo ribeccò lei facendo probabilmente uso, di tutta la pazienza a sua disposizione.
Boromir parve ritrovare il senno per un attimo prima di rimettersi nuovamente in piedi, facendo probabilmente venire un’ulcera di disperazione alla donna.
« Hai ragione la battaglia è troppo vicina, i malati, i vecchi e i bambini vanno portati nella cittadella là saranno al sicuro »
« A palazzo mio signore? » domandò lei evidentemente shockata dalla proposta, poiché non lo spinse nuovamente sulla branda « Ma vostro padre non lo permetterà mai ».
« Mio padre sa che Gondor è un regno composto dalle persone, non dalla terra. Il proprio popolo è il cuore della nazione, non certo una sala del trono ed una corona d’oro » ribatté lui mentre negli occhi della curatrice, qualcosa cambiò una nuova si accese nelle sue iridi mentre il suo sguardo si addolciva e adesso rispondeva a Boromir con qualcosa di molto simile al rispetto.
« Sì Capitano » gli rispose con lei con un sorriso così delicato e dolce, che potei giurare imbarazzò l’uomo di Gondor che si sbrigò a voltare in fretta lo sguardo.
 
Un nuovo cambio e Mithrandir camminava per le strade della città, mormorando incantesimi e rassicurando i più giovani. Ogni volta che delle parole lasciavano le sue labbra in lingua antica, una nuova fatica si sommava ad altre sulle sue spalle, costringendolo a camminare più piano, o a stringere con più prudenza il suo bastone.
Pipino accanto a lui lo guardava preoccupato, mentre gli consigliava di prendersi una pausa.
« Non abbiamo tempo per della pause mastro Hobbit, i soldati di Gondor non si riposano da giorni e per altri gironi ancora non potranno farlo, dobbiamo aiutarli Peregrino Tuc, ripagare con tutto ciò che possediamo il loro valore » sorrisi amorevolmente dinanzi l’espressione decisa di Pipino che annuiva, prima di riprendere il cammino assieme a Gandalf.
 
« Perché mi mostri queste cose? Non ha importanza, niente lo ha, verremo annientati . Le forze di Mordor sono troppo potenti … » mormorò il Sovrintendente, rifiutandosi di guardare oltre mentre abbassava il suo sguardo ed io ricoprivo con il telo la sfera di cristallo, prima di avvicinarmi a lui e infilare la chiave nelle toppe di metallo che gli incatenavano i polsi, sfilandogli le due manette di ferro.
Ma nonostante Denethor fosse ora libero della catene, non si alzò, restando immobile in ginocchio, rannicchiato dentro il suo stesso mantello, con i capelli scomposti che lo facevano assomigliare ad un vecchio pazzo.
« Non si po’ scegliere come si viene a questo mondo. Sei nato Sovrintendente, la tua carica è stata tua di diritto dalla nascita. Ma puoi scegliere come verrai ricordato.
Se non vuoi farlo per te stesso, fallo almeno per i tuoi figli, loro moriranno per proteggere Minas Tirith.
Avete il doppio della loro esperienza nel mondo, eppure sono loro che possono ancora insegnarvi così tanto … Andate da loro, guidate il vostro popolo »
«Non non mi muoverò da qui » ringhiò ancora rabbioso il sovrintendente, con lo sguardo perso sulla sfera, adesso nuovamente coperta dalla stoffa « Che seguano chi vogliono, perfino il Grigio Stolto, benché la sua speranza sia fallita io, rimango qui ¹».
Vorrei dire che rimasi sorpresa dalla facilità con cui Denethor era pronto ad abbandonare i suoi figli, il suo popolo, solo perché non trovava la forza di tirarsi in piedi. Vorrei poter dire che mi fece pietà.
Invece, mi fece solo schifo, come sempre mi aveva fatto e non sprecai altri secondi del mio tempo per andarmene, lasciandolo solo in compagnia del suo adorato palantìr.
 

 
 

 
« Sei una donna molto particolare Valanyar di Imladris » mi salutò Imrahil non appena svoltai l’angolo. Mi aspettava nella penombra della galleria appoggiato al muro con le braccia incrociate.
Gli sorrisi iniziando a camminare su per la galleria, affiancata dal Principe di Dol Amroth.
« Non avete intenzione di andare a prendere vostro cognato? » domandai senza realmente temere una ritorsione per le mie gesta. Come aveva detto Boromir poco prima in infermeria, adesso a Gondor vi erano fin troppe priorità per farne di me la prima.
« Da quello che ho sentito, mio cognato è libero di muoversi, ma poiché lo hai lasciato solo nella stanza con la Sfera di Anor … Dubito che lo farà » si voltò verso di me, costringendomi a fermarmi a metà scale, per poter incontrare il suo sguardo « Sai che il palantìr lo porterà alla follia. Avresti potuto salvarlo, portandogliela via » disse lui studiandomi come se fossi un indovinello particolarmente complesso.
« Non ho intenzione di fare questa scelta per lui, se sceglierà la follia come avete predetto, non ho intenzione di ritenermene responsabile » dissi scrollando le spalle mentre riprendevo la nostra camminata sfuggendo al suo sguardo. Non mi importava se secondo lui, a quel modo avevo giocato un tassello importante nella vita del sovrintendente. La vita di tutti d’altronde era fatta di scelte, era giusto che Denethor facesse la sua.
« Credi che Re Elrond approverebbe la tua decisione? » domandò quindi il Principe, colpendomi dove sapeva che avrebbe ottenuto la mia attenzione.
Ma in tutta sincerità? Ero piuttosto stanca di tutti quei Signori che erano sempre pronti a giudicare ogni mia azione. Tutti mi richiedevano aiuti o consigli ma non appena mi vedevano agire, erano sempre i primi a puntare il dito.
« Elrond è una brava persona » risposi determinata a continuare a salire, nonostante sapessi che l’uomo accanto a me potesse percepire con facilità la mia irritazione crescente « Ed un guaritore. Una persona buona non incatenerebbe mai qualcuno ad una parete costringendolo a rivivere i suoi peggiori incubi »
« Quindi ritieni che ti giudicherebbe, e che non vorrebbe che tu lo facessi, quindi perché? » insistette accelerando anche lui il passo per potermi affiancare lungo la salita, mentre la luce della sala sopra di noi, si faceva sempre più vicina.
« Perché io mi ritengo una persona giusta. Non mi piace stare a guardare Imrahil » dissi voltandomi verso di lui, e probabilmente mancandogli anche di rispetto mentre abbandonavo ogni appellativo « Si dice di non giudicare mai qualcuno, non prima di aver camminato almeno un miglio nelle sue scarpe. Mi piace assicurarmi che sia un concetto che valga per tutti »
« E chi assicura te alla giustizia? Chi giudica Valanyar? » ribattè lui in un tono meno accusatorio del previsto, solo curioso.
« La gente come te, i buoni. » conclusi accennandogli un sorriso, mentre lui scuoteva la testa, rispondendomi con uno simile prima di fare assieme l’ultimo passo ritrovandoci in cima alle gallerie
 
Arrivammo nella sala del trono scoprendo che era giunto un nuovo alleato. Il cui soprannome era letteralmente Hirluin il Bello ed una volta che il mio sguardo si posò su di lui, non potei dargli torto.
Lo salutai con un cenno della testa, a cui rispose con un occhiolino malizioso che mi fece immediatamente arrossire, prima di rischiare di spiaccicarmi a terra.
« Gwend vecchia canaglia! » venni accolta alla mia sinistra da una manata così forte sulla mia spalla, che mi costrinse a fare un paio di passi in avanti per non perdere l’equilibrio.
« Salve Forlong » lo salutai massaggiandomi la spalla appena accusata, mentre gli accennavo un sorriso « Vedo che la tua pancia è cresciuta ancora » dissi guardando l’enorme sporgenza a forma di collina,che l’uomo aveva dinanzi a sé.
Il vecchio rise di gusto, ricordandomi molto Gimli dopo qualche birra di troppo, nonostante fossi certa che l’uomo fosse perfettamente sobrio.
« E tu invece hai sempre la stessa faccia da mingherlino! Possibile tu ancora non sia cresciuto come un vero uomo? » ribatté avvicinandosi per un'altra pacca, che però riuscii prontamente a schivare « Avrai quanto oramai? Trecento anni? » aggiunse ridendo.
Forlong mi aveva sempre preso in giro per la mia altezza, e quando in passato avevamo combattuto assieme, ad ogni banchetto della vittoria aveva cercato di farmi mangiare almeno un maiale intero.
Merry e Pipino avrebbero sicuramente apprezzato le attenzioni del signore del Lossarnach.
 

 
 
 

« L’esercito di Mordor marcia su di noi, saranno qui prima del calare della notte, nessun ulteriore aiuto può giungere a noi per proteggere la città. Dobbiamo prepararci a resistere all’assedio » e con queste parole Gandalf sancì l’inizio del nuovo concilio di Guerra.
Gli uomini iniziarono a dibattere tra di loro, mentre Faramir cercava di tenere il conto di quanti aiuti fossero giunti dai Feudi del Sud.
« Siamo circa novemila soldati » conteggiò amaramente il giovane Capitano di Gondor. Forlong fischiò in assenso a quel numero, ma quando nessuno rispecchiò il suo buon umore, si guardò mestamente attorno.
« Diecimila soldati dietro a delle spesse mura gente! Potremmo resistere per mesi, senza contare che Rohan sarà probabilmente a meno di due giorni di viaggio. Possiamo farcela! » persistette cercando di contagiare i presenti e passandomi un braccio attorno alle spalle, scuotendomi con vigore.
« Gwend » disse Faramir ricercando il mio sguardo, imitato da gli altri presenti « Di quanti numeri parliamo? Qual’ è la mole dell’esercito di Mordor? »
Sospirai, sfilandomi via dall’abbraccio del vecchio panzone, per guardare uno per uno i comandanti. Boromir ovviamente non era presenta, ma ero certa che avesse già dato le sue diposizioni in merito a suo fratello.
« Sauron crederà che tu abbia condotto l’anello del potere al sicuro nella Capitale. Intere legioni sono state sguinzagliate.  Se Aragorn riuscirà a fermare i Corsari, parliamo comunque di almeno ottantamila unità nemiche. » affermai  iniziando a cercare di far chiarezza tra i miei pensieri, camminando in su e in giù davanti i presenti.
« I Nazgûl scenderanno in guerra, il Re Stregone stesso guiderà almeno quarantamila guerrieri tra orchi ed uruk neri. Alla quale però dobbiamo aggiungere gli uomini delle Terre dell’Est … Faramir hai detto di aver avvistato gli Olifanti qualche giorno fa, prima che tuo fratello vi trovasse. » aggiunsi desiderando di ricordare i numeri con più precisione, ma sapendo di non poter fare di meglio o avrei finito per dargli informazioni inesatte.
« Vi saranno Nove bestie alate, uno per ogni Re. E molti Troll di Montagna e d’Elite. Alcuni di loro porteranno un ariete estremamente pericoloso. Andranno abbattuti costantemente o il cancello della città finirà per cedere » li avvisai ricordandomi poi di avvertire Faramir e Hirluin sui Troll che invece avrebbero spinto le torri piene di nemici. I due uomini annuirono, assicurandomi che avrebbero avvertito i proprio arcieri e che si sarebbero fatti trovare pronti.
« Dove impiegherete le guardie della cittadella? » domandò lo zio dei due Capitani di Gondor mentre continuavo a fare il punto della situazione.
« Le guardie della Cittadella resteranno qui, sotto ordine di mio fratello. Saranno l’ultima linea di difesa per i civili » disse Faramir lanciando uno sguardo alle porta chiuse che davano nel piazzale esterno.
« I civili? Vuole portarli tutti qua? » domandò il vecchio Forlong con espressione stupita « Boromir è cresciuto su proprio bene. Ben fatto! Queste sono le cose importanti, un regno senza il suo popolo è come un corpo senza un cuore! » trattenni un sorriso dinanzi a quelle parole, chiedendomi se non fosse stato proprio quel vecchio svariati anni prima a proporre il paragone ad un giovane Boromir.
« Bisogna avvertire anche gli uomini delle prime linee » aggiunsi ricordando un episodio particolarmente macabro.
« Quando i primi colpi di catapulta partiranno, non saranno offensivi » dissi prendendo una breve pausa per guardare gli uomini davanti a me uno ad uno, fino a soffermarmi su Gandalf.
« Hanno dissacrato i soldati uccisi a Osgiliath … Vi verranno restituiti » dissi lasciando che ognuno di loro si facesse la propria idea di ciò che sarebbe stato in quelle catapulte, mentre anche il più vecchio dei comandanti sembrò non trovare più niente per cui sorridere in una simile situazione.
« Non che non apprezziamo. Ma com’ è che questo ragazzino sa tutte queste cose? » domandò Hirluin ricordandomi che tra i presenti, era l’unico che non mi aveva mai conosciuto.
« Oh lui è Gwend ! Un grande guerriero famosissimo a Rohan! » disse Forlong con un gran sorriso nello stesso momento in cui interveniva Faramir dicendo:
« E’ l’apprendista di Mithrandir » così come Himrail invece se ne uscì con:
« Chi è? Lei è Valanyar la figlia adottiva di Re Elrond di Imladris, i suoi occhi conoscono la storia della Terra di Mezzo, è una narratrice benedetta dai Valar » ovviamente quasi tutti gli occhi iniziarono a spostarsi tra il Principe e me, mentre Gandalf si sforzava inutilmente di trattenere uno sbuffo divertito.
« Oh capisco » disse il vecchio panzone avvicinandosi a me, e scrutandomi il viso come se lo vedesse per la prima volta « Sei una donna, ma certo! » disse dandomi un’altra sonora pacca sulla schiena che minò il mio equilibrio. Faramir mi aiutò, prendendomi sotto il gomito appena in tempo ed evitandomi una rovinosa caduta.
« Questo spiega perché eri un mezzo-cacio d’uomo! » annunciò mentre io cercavo di rispecchiare il suo sorriso, lieta semplicemente che non avesse preso male la notizia.
Alla mia sinistra apparve anche Hirluin, che si chinò leggermente per potermi parlare a pochi centimetri dal  viso:
« L’ho capito dal primo momento che ti ho vista, la tua bellezza era troppo delicata. Pensa a quanto sarebbero meravigliosi i nostri figli » disse con un sorriso ammaliatore.
Diventai rossa come un peperone mentre istintivamente facevo un passo indietro, allontanandomi dal soldato e dal suo sorriso sornione.
« Non abbiamo tempo per queste sciocchezze. Gli uomini stanno sistemano il pietrame attorno alle catapulte di difesa, non abbiamo più molto tempo » si intromise Gandalf mentre io tiravo un sospiro di sollievo per il cambio di direzione della discussione.
Boromir scelse quel momento per spalancare le porte della sala del trono, lasciando entrare la flebile luce del sole nella grande sala.
Data la colorazione, notammo tutti con timore, che era quasi il tramonto. Nonostante l’altitudine, adesso che le porte erano state aperte, era possibile udire l’esercito di Sauron che marciava, sempre più vicino.
« E’ finito il tempo delle strategie. Mordor è alle porte, la guerra ha inizio » ci annunciò con la luce che gli splendeva da dietro, riflettendo i suoi ultimi raggi sull’ armatura del guerriero e facendolo apparire come gli eroi dipinti negli affreschi della sala.
« Quindi come devo chiamarti? Valanyar? O Val per gli amici? Ma potremmo essere molto più di questo » mi fece ritornare con i piedi a terra il signore di Pinnath Gelin strappandomi anche una mezza risata.
« Gwend andrà benissimo » risposi invece mentre lui piegava eccessivamente le labbra all’ingiù fingendo un’espressione triste.


 
 
 

 
Ovviamente in memoria dei vecchi tempi, Boromir mi affidò la prima linea.
Avrei voluto controbattere e fargli notare che ero ferita e quanto fosse ingiusto, ma invece una piccola parte di me fu perfino felice. Guidavo i mille uomini che erano sopravvissuti all’incursione su Osgiliath e dato che i più vecchi erano volti conosciuti, dovetti persino riconobbero che quella del Capitano di Gondor era stata una buona idea.
Accanto a me, vi erano Hirluin e i suoi trecento uomini, schierati in mezzo ai miei così da potersi alternare con i quattrocento arcieri di Minas Tirith. I movimenti di difesa erano già stati concordati mentre oltre il cancello, dall’altra parte delle mura, vi erano Faramir e suo fratello.
Gandalf avrebbe continuato a muoversi nella città, per infondere coraggio alla popolazione. Forlong e i suoi erano a difesa del cancello; mentre Imrahil si occupava delle difese interne e soprattutto dell’abbattimento delle creature alate, se si fossero fatte troppo vicine.
Sotto di noi, i Campi del Pelennor brulicavano di nemici.
Il Re stregone non era in testa all’esercito con mia grande sorpresa. Ma ero comunque certa che sarebbe apparso non appena le tenebre avrebbero favorito al meglio l’avanzata della sua cavalcatura.
Anche senza i nove nazgûl, la vista dinanzi a noi era terrificante.
« Siamo spacciati, non possiamo farcela » mormorò un giovane soldato di fianco a me, con il sudore che gli colava lungo il viso, come lacrime.
Si voltò per incrociare il mio sguardo, con il panico negli occhi, ma nonostante questo non si mosse dalla sua postazione.
« No, forse non vinceremo » iniziai attirando l’attenzione di tutti i soldati vicini, compreso Hirluin alla mia sinistra « Forse l’unica cosa che potremo fare sarà quella di rendergli la vita difficile. Ma per batterci, dovranno riuscire ad ucciderci, e per ucciderci dovranno avere il fegato di stare di fronte a noi. E per fare questo, dovranno essere pronti a morire anche loro!² » urlai attirando ancora di più, l’attenzione degli uomini vicini, mentre davo le spalle al nemico sentendo gli occhi dei soldati di Osgiliath puntati su di me dove per un attimo, non dovevano confrontarsi con l’orrore dei nemici così vicini « Ma noi, non ce ne andremo in silenzio nella notte. Noi non ci arrenderemo senza combattere. Noi continueremo a vivere e a lottare e noi sopravvivremo!³ PER GONDOR! » urlai alzando un braccio verso il cielo, mentre un esplosione di grida seguitava alle mie parole e il nome della nazione risuonava in angolo della città, dando la carica ad ogni singolo soldato e rimpiazzando la paura con la determinazione.
 
Poi le catapulte del nemico fecero  fuoco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[…] perfino il Grigio Stolto, benché la sua speranza sia fallita io, rimango qui ¹ = tali meravigliose parole sono state veramente pronunciate dal nostro adorato Sovrintendente.
Poiché di solito cito il film e non il libro, ho pensato di sottolinearlo ;)
 
 
Forse l’unica cosa che potremo fare sarà quella di rendergli la vita difficile. Ma per batterci, dovrà riuscire ad ucciderci, e per ucciderci dovranno avere il fegato di stare di fronte a noi. E per fare questo, dovranno essere pronti a morire anche loro!² = Ovviamente modificato al plurale ma è la citazione di Rocky IV
 
[…]Ma noi, non ce ne andremo in silenzio nella notte. Noi non ci arrenderemo senza combattere. Noi continueremo a vivere e a lottare e noi sopravvivremo!³ = citazione leggermente modificata, ma appartenente al film Independence Day.
 
Hirluin = mi scuso con chiunque abbia letto i libri e trovi questo personaggio OCC. Perché in tutta onestà ci sta, anzi credo sia così al 100% unico dilemma è che io non me lo ricordo minimamente xD
Ricordo di aver letto di lui, e vagamente la sua parte nella battaglia, ma in tutta sincerità non ricordo neppure se lui arriva assieme agli uomini di Rohan oppure partecipa con i suoi uomini anche all’assedio.
Avendo il vuoto totale e girellando sui vari siti per trovare delle risposte ho deciso che mi avrebbe fatto comodo per l’assedio e quindi è finito a combattere accanto alla nostra Valanyar con la sua nuova affascinante personalità.
Se qualcuno era affezionato al personaggio originario, chiedo venia.




 
NdA : Beh insomma, cambio il classico venerdì con il “posto tra il venerdì e il sabato, la coerenza è perduta gente!”
Ieri era pronta ma avrei postato comunque la sera tardi e senza averlo corretto, non ve lo meritavate gente suvvia! Non adesso poi che siamo sempre più vicini alla fine!
 
L’ho già annunciato ad alcuni di voi nelle recensioni (quindi a tre persone ma bisogna adattarsi e a voi vi amo particolarmente <3)
Questa storia si conclude con la fine della trilogia del Signore degli anelli e quindi a breve. Ma, conclusa potrete finirla lì (il finale avrà senso quindi non dovete temere dubbi amletici od altro) però io ho previsto il seguito, quindi poi potrete tornare continuare l’avventura con Valanyar dove avranno risposta tutte le domandine più fastidiose che vi siete fatti!
In ogni caso, capirete poi ;) A presto e grazie per apprezzare la mia storia <3
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


 
▌ Capitolo 17  ▌
 







 
«  Perché sono sempre le persone migliori a morire? »
« Perché quando cogli dei fiori, quali scegli? »
« Quelli più belli »
« Esattamente »
 
_Anonimo
 
 








« Scudi! Scudi! » urlai con tutto il fiato che avevo in gola agli uomini al di sotto delle mura, avvisando sia i soldati di Forlong che i fanti di Minas Tirith per le strade, mentre la pioggia di teste cadeva su tutti noi.
Forlong e il Principe Imrahil compresero immediatamente, urlando ai rispettivi uomini di non cedere al panico, ma troppi di loro si ritrovarono sgomentati da quel macabro spettacolo, formato da volti tanto familiari.
« Oh Dei » mormorò Hirluin accanto a me, sporgendosi oltre la mia spalla per vedere le centinaia di teste che ora occupavano le strade della Capitale. Noi due eravamo stati fortunati, assieme a Faramir, trovandoci sulle mura non eravamo stati costretti a ripararci da quell’attacco immorale.
« Non pronunciarli invano, sia mai che anche loro decidano di schierarsi dalla parte di Mordor » dissi riscuotendo l’uomo, e riportandolo con me in posizione, mentre Faramir ordinava alla sua linea di arcieri di fare altrettanto.
« E’ eresia pura detta da te bellezza, il tuo nome significa letteralmente Voluta dai Valar o qualcosa di simile giusto? » disse cercando di riprendere possesso del suo solito umorismo mentre incoccava a sua volta l’arco ed io urlavo ai nostri uomini di mettersi in posizione.
Gli arcieri di Faramir avevano già le corde tese, e quando anche gli uomini di Hirluin li imitarono
io ordinai alla guarnigione di Osgiliath di tenersi pronta a fare altrettanto, mentre già sentivo la mancanza del mio arco. Era andato distrutto nella battaglia al Fosso di Helm e dato che me ero dovuta andare nella notte da Rohan, non avevo certamente avuto tempo di trovarmene un altro.
« Significa “Colei che ne il potere divino” in realtà » risposi al Signore di Pinnath Gelin, non riuscendo a fare a meno di rispondere al suo sorrisetto sornione con un’alzata di occhi al cielo. Chissà se a Gimli sarebbe piaciuto, i suoi capelli erano rossi, non biondi, forse lo avrebbe apprezzato più di qualunque altro condottiero di Rohan.
« Soldati di Gondor! » urlai per richiamare all’ordine le mie truppe.
Tutti gli uomini si voltarono verso me, cercando di ignorare al meglio che potevano il dolore nel vedere i propri compagni seviziati a quel modo.
« Avremo tempo per piangerli, ma non è oggi. Oggi, lottiamo! Oggi … li vendichiamo !» urlai incitandoli a sfruttare al meglio la rabbia nei loro cuori. Nello stesso istante Faramir dall’altra sponda delle mura ed Hirluin di fianco a me, davano ordine agli arcieri di fare fuoco.
« Ricordatevi, mirate ai Troll! » li istruii mentre i miei compagni ordinavano il via anche per la seconda fila.
E così, in una pioggia di frecce sotto un cielo senza sole ma coperto solo da nubi oscure, la battaglia per il mondo degli uomini, ebbe inizio.
 


 
 
 
 
 
 
L’assedio era nel suo vivo, ma nonostante la potenza di Mordor, la posizione di Minas Tirith appariva stabile.
Grazie alle azioni coordinate di Faramir ed Hirluin gli arcieri riuscivano a tenere la situazione sotto controllo, ed ogni volta che una torre aveva la malaugurata fortuna di attraccare, ci pensavamo io e Damrod assieme a i nostri uomini di Osgiliath.
La guarnigione, nonostante fosse stata quella che aveva avuto meno tempo per recuperare le forze, diede grande prova di sé. Gli uomini erano sì stanchi, ma la vista dei propri fratelli trucidati li aveva anche resi pieni di determinazione e grazie alla grande quantità di comandati, riuscivamo a tenere tutti in riga.
L’aiuto maggiore ovviamente veniva da Gandalf, specialmente quando i nazgûl scesero in campo.
Solo il Re Stregone restava più in disparte, guidando l’assedio alla grande porta, senza però ottenere dei veri risultati. Mentre gli altri sei, volteggiavano tra le mura di Minas Tirith portando con loro il terrore ed il panico nei soldati che armavano le catapulte mettendo a dura prova Boromir e Imrahil che doveva contrastarli.
Non avrei potuto definire la nostra situazione rosea, ma perlomeno non stavamo perdendo e quello era sicuramente già molto considerando che avevamo iniziato quell’assedio da quanto ? Ore? Semplici minuti?
Non avrei saputo dirlo con certezza poiché il cielo sopra di noi non mutava mai. Non si vedeva né la luna né il sole, oppressi costantemente dalla nube carica di potere oscuro di Mordor.
Tagliai una mano all’orco che era appena uscito da una torretta armato di ascia, solo per poi infilzarlo con l’altra lama in pieno petto.
Con i soldati formavamo un semicerchio sulle stesse mura, così da impedire agli invasori di raggiungere gli arcieri dietro di noi, ma per quanto ne abbattevamo, sembrava che vi fossero sempre altre cento torri alle loro spalle, cariche di altrettanti nemici.
Sentivo la mancanza del resto della compagnia, non che i miei attuali compagni se la stessero cavando male, anzi, ma non avrebbe fatto male la bravura di Legolas con l’arco o la distruzione di Gimli e la sua ascia.
« Che fai soldo di cacio batti la fiacca?! » domandò una voce poco più in là, accompagnata da un risata e strappandomi dai miei pensieri mentre io riprendevo fiato, asciugandomi il sudore della fronte, con un movimento distratto del braccio. Sicuramente avevo fatto peggio che meglio e dovevo avere un pessimo aspetto, ma sorrisi all’uomo che mi venne incontro mentre uccideva due uruk-hai con un’abilità che né la sua grande pancia, né la sua età avrebbero dovuto permettergli.
Eppur Forlong sembrava il più in forma di tutti, mentre oltre ad uccidere i nemici, riusciva a confonderli con le sue chiacchiere senza senso. O forse li stendeva con il suo pessimo alito, non avrei potuto accertarmene da quella distanza.
« Guarda che brutto muso che ha questo poverino » commentò prima di infilzarlo nello stomaco, allontanandolo poi da sé con un calcio. L’uomo nemico cadde a terra, schiena a terra come una tartaruga ribaltata, me il suo posto venne in fretta rimpiazzato da un orco.
Ridacchiai non potendone fare a meno, mentre mi facevo strada verso Forlong, uccidendo altri due orchi ed un uruk-hai lungo il mio percorso che avevano superato la prima fila di soldati.
« Mi scusi! » urlai non appena gli fui abbastanza vicina « Non so come sia finito da queste parti, ma ci sarebbe una battaglia in corso! I vecchi devono restare nella cittadella assieme ai bambini! » gli dissi mentre lui mi imprecava dietro qualche insulto per aver osato prenderlo in giro, ed io mi facevo strada nelle retrovie scappando appena in tempo da una suo calcio che per poco non gli fece perdere l’equilibrio, mandandolo a gambe all’aria.
Il suo secondo in comando, doveva esserci abituato, poiché lo sostenne con lo scudo dietro la schiena, mentre sgozzava con la mano opposta un guerriero Variago.
« Come ti permetti ragazzino! Vieni qui che ti insegno io a portarmi del rispetto, io sono un grande Signore! » mi urlò dietro dimenticandosi per un attimo, che ero una donna, e che eravamo alleati.
« L’unica cosa di grande che ti è rimasta Forlong, temo sia la pancia! » lo prese in giro da qualche metro dietro di me Hirluin, mentre il signore in questione iniziava ad urlare insulti anche verso di lui, e raccoglieva letteralmente un orchetto da terra, sollevandoli come se fosse una sacco di riso, prima di tirarcelo addosso, mancandomi per un pelo.
Mi voltai quel tanto che mi bastò per infilzare ed uccidere lo sventurato, mentre Hirluin dietro di me rincarava la dose, seguito da una grossa risata « Ah vedi Forlong! La panza è così grossa che nemmeno ti vedi i piedi! Non puoi neppure avvicinarti per colpirmi a dovere! ».
 Sghignazzai nuovamente, portandomi una mano armata sulla pancia, sentendo una fitta legata alla ferita che ancora cercava di guarire.
Fino a quando vi era in gioco l’adrenalina era facile dimenticarsene, ma ogni qual volta che quei due bisticciavano era difficile ricordarsi che saremmo potuti morire tutti da lì a pochi minuti.
« Ragazzi volete smetterla?! Ci sarebbe una guerra in corso! » disse Faramir dall’altro lato della strada, sulle mura opposte.
« Scusa mamma! » urlò Hirluin di rimando dimostrandogli che non aveva pietà neppure per il capitano di Gondor, mentre io gli sorridevo apertamente e lui mi lanciava il centesimo occhiolino della nottata.
« Già mi ami eh? » domandò pieno di sé mentre io sbuffavo un’altra risata e mi rigettavo nella mischia con i miei uomini dopo quella breve “pausa”.
La guerra non doveva essere posto per le risate, eppure mi ritrovai più a mio agio in quel momento, di quanto non mi fossi sentita nei giorni precedenti. I miei compagni mi mancavano, ma non ero comunque sola nell’affrontare quell’orrore.
 

« Gwend! Gwend! Valanyar! Come diamine ti chiami! » sentii le urla di Hirluin prima che l’uomo riuscisse effettivamente ad entrare nel mio campo visivo.
Con gli uomini ci eravamo allontanati volontariamente dai suoi, così da poter creare un muro umano più efficace considerando le perdite subite. Dovevamo mantenere più distanza possibile tra i suoi arcieri e i nemici che attraccavano grazie alle torri che si erano avvicinate troppo.
« Che c’è?! » dissi girandomi verso di lui, dopo aver infilato la spada di destra, dritta nella bocca di un uruk-hai e sfilandola con aria disgustata. Odiavo quando mi venivano incontro urlandomi addosso, la trovavo una mossa stupida considerando che le loro armature erano praticamente perfette.
Mi voltai verso l’uomo ancora scocciata, mente due soldati prendevano la postazione appena lasciata vuota da me, ed io mi ritiravo dietro il loro scudo umano avvicinandomi al Signore delle Colline Verdi.
Pulii le lame sui miei stessi pantaloni, certa che Faramir gli avrebbe dato fuoco non appena avessi tentato di restituirglieli alla fine di tutta quella storia.
« Che diamine è- » iniziò Hirluin urlando ancora come un adolescenze impazzito, mentre mi prendeva quasi per il colletto, facendomi affacciare lungo le mura « Quello?!! » concluse indicandomi l’enorme ariete a forma di lupo, con tanto di fuoco verde che gli spuntava dalle fauci.
« E’ Grond » dissi trattenendo un gemito preoccupato. Era ancora più grande di quanto lo avessi mai immaginato, la grande porta della città era alta quasi quanto le mura, circa trenta metri, ma quell’ariete arriva tranquillamente almeno a venti. Perfino i troll  che lo spingevano arrivavano ad essere alti solo come le zampe.
« Quello è l’ariete di cui mi parlavi? » mi urlò nuovamente nell’orecchio con una nota più acuta del normale « Quello?! » ripeté ancora evidentemente allucinato.
I suoi uomini, a meno di una cinquantina di metri da noi, dovevano comunque aver ricevuto ordini specifici da Hirluin perché mentre il loro comandante continuava a scuotermi per il colletto, come se non avessi degli occhi perfettamente funzionanti, continuavano ad attaccare incessantemente il nemico.
« Hirluin, basta ho capito! » gli urlai a mia volta scacciando via la sua mano dalla mia maglietta e dandogli un lieve cazzotto sulla spalla, per fargli capire che doveva farla finita.
« Non possiamo metterlo fuori gioco. Un incantesimo del Re Stregone lo protegge. I tuoi uomini possono solo continuare a cercare di abbattere i Troll » ripetei afflitta.
Il problema era,che i suoi uomini ci stavano evidentemente già provando ad abbattere le creature che trascinavano l’ariete, ma servivano decine e decine di frecce per abbatterne uno, ed avevano anche altri avversari da affrontare.
« Tutto qui? Nessun’altra idea geniale? » mi domandò spalancando le braccia al cielo il Signore di Pinnath Gelin.
Spostai lo sguardo da lui e i Troll, consapevole che nonostante fosse un grande guerriero, l’uomo non aveva mai avuto a che fare con le bestie delle montagne.
Abitava lontano dal loro territorio natio, il suo regno era composto da meravigliose colline e boschi sconfinati. Un sacco di verde, nessuna montagna. Nessuna montagna, nessun Troll.
« I troll di montagna, hanno un punto debole alla base del collo. Legolas, l’elfo che viaggiava nella compagnia con me e Faramir, ne ha fatto fuori uno con solo un colpo » tentai scrollando le spalle semi-disperata.
Non accennai al fatto che avevamo impiegato quasi mezzora e che io in quel frangente mi ero rotta tre costole per contrastare la creatura. Hirluin mi sembrava già abbastanza sconvolto, senza aggiungere ulteriori cattive notizie.
« Già ma i miei uomini non sono elfi! Come pretendi che possano colpire un punto così piccolo, da una simile distanza? » mi fece notare lui mentre io mi passavo una mano esasperata tra i capelli.
« Damrod! » urlai richiamando il Comandante della sezione a Nord del fiume, che a causa del mio intervento, si era ritrovato a diventare un mio sottoposto come punizione dettata da Boromir stesso.
Il vecchio “collega della prima linea” non ne era parso minimamente offeso, cosa che aveva solo fatto infuriare il suo Capitano ancora di più, costringendo anche lui alla prima linea.
« Ti affido il comando devo parlare con Faramir! » gli dissi aspettando un cenno d’assenso dall’uomo prima di andarmene e lasciare momentaneamente il mio in secondo a cavarsela da solo, mentre mi dirigevo con Hirluin verso la grande porta, affacciandoci dalla parte interna delle mura, per attirare l’attenzione di Faramir. Non appena il Capitano più giovane ci notò, si sporse a sua volta dalla sua parte, ritirandosi leggermente nelle retrovie.
Sotto di noi la voce di Forlong risuona a piena potenza, perlopiù urlando insulti ai suoi stessi uomini, ricordandogli che solo le mezze calzette retrocedevano per qualche tonfo di ariete in più.
« Come abbattiamo quei troll? » mi domandò Faramir, urlandomi da circa quindici metri di distanza e facendo un gesto vago verso l’esterno, con la mano che teneva lo scudo.
Sbuffai, chiedendomi perché tutti lo chiedessero a me.
Era grandi guerrieri anche loro, o mi sbagliavo? Non è che conoscevo un trucco magico per farli svanire e basta non ero veramente una veggente come diceva Gimli, le idee dovevano venirmi prima di poterle mettere in pratica.
 « Potresti dire a Boromir di calibrare le catapulte a corda contro l’ariete ? » ipotizzai mentre Faramir mi guardava scettico.
« Le catapulte della città non sono così precise, rischieremmo di buttare giù le nostre stessa mura! » mi fece presente il Capitano di Gondor mentre un enorme sasso ci passava sopra la testa, sfracellandosi contro una torre più avanti.
« Quindi fino ad ora stavate mirando a caso? » domandai mentre l’uomo dall’altro lato mi rispondeva con una scrollata di spalle.
« Fidati, se è Boromir che si occupa delle catapulte è bene che tiri a caso, ha una pessima mira » commentò Hirluin accanto a me dandomi una lieve pacca sulla schiena, mentre io mi voltavo a cercare il suddetto Capitano con lo sguardo, trovandolo ad urlare ordini qualche bastione più in su.
Non avevo idea di cosa stesse dicendo ai suoi uomini, ma era piuttosto evidente, che fosse arrabbiato. Anche quella però, non era certamente una grande novità.
« Le frecce penetrano la pelle di quelle sottospecie di rinoceronti che trainano Grond ?! » urlai nello stesso momento in cui una palla di fuoco colpiva il terzo livello, riempiendo l’aria di un mesto boato.
Faramir si voltò verso la porta che separava l’esercito di Sauron e quello di Minas Tirith, nonostante gli svariati metri di distanza, potevo vedere la stanchezza che già pesava sulle sue spalle, era sicuramente preoccupato a morte per il fratello, Boromir aveva insistito a partecipare alla battaglia, nonostante fosse ancora in convalescenza e le nostre possibilità di vittoria erano così scarse che mi sarei disperata perfino io, se non avessi saputo diversamente.
« No » ammise affranto scuotendo il capo. Mi morsi il labbro inferiore, consapevole di non avere nessuna idea geniale il che mi faceva sentire ancora più inutile, ma vedere Faramir così afflitto? Mi spezzava il cuore considerando che era sempre stato il più fiducioso della compagnia.
« Allora noi aiutiamo Forlong ad assicurare al meglio la porta, tu Hirluin guida anche gli arcieri di Faramir » dissi incrociando lo sguardo del Capitano di Gondor, che annuì mestamente, probabilmente grato all’idea di prendersi una “pausa”.
« Ehi aspettate, perché a voi due è concesso un appuntamento tête-à-tête e a me no? Voglio venire anche io! » sbuffò il Signore di Pinnath Gelin, tirandomi la manica della tunica come un bambino petulante.
Mi voltai verso di lui, inarcando un sopracciglio e fulminandolo con la mia migliore espressione da “Hai finito?” che solitamente nella Contea era riservata a Merry e  Pipino.
Hirluin deglutì, con più forza del necessario, prima di aprirsi in un sorriso a trentadue denti:
« Ovviamente stavo scherzando! Non guardarmi con quell’aria truce o ti verranno le rughe » aggiunse scappando lontano dalla mia portata prima che potessi pestargli un piede per buona misura, mentre ritornava in fretta dai suoi uomini, rimettendosi in volto l’aria seria, carica di determinazione che mi aveva colto alla sprovvista a causa della sua bellezza, quando lo avevo visto per la prima volta.
 
 
 


 

« Quell’Hirluin è impossibile » mi lamentai immediatamente con Faramir, non appena lo rincontrai in fondo alle scale.
« Sapevo che lo avresti adorato » commentò lui mentre riprendevamo a camminare, passando per la strada principale e dirigendoci verso la l’enorme cancello di Minas Tirith.
« Scommetto che Boromir me lo ha affiancato sperando che mi uccidesse per esaurimento nervoso » mi limitai a commentare, ben decisa a non ammettere che in realtà mi ero già affezionata a quello strano personaggio. In realtà considerando che era uno degli uomini più belli che avessi mai visto ed un grande combattente, mi stupiva che non fosse impegnato con qualcuna. E mi stupiva ancora di più, che avesse risposto alla chiamata d’aiuto di Gondor, venendo lui stesso a guidare i suoi uomini. Probabilmente era per questo che lo rispettavano tanto e non battevano ciglio, neppure dinanzi alle sue battute peggiori.
« Chi può saperlo » commentò Faramir con una scrollata di spalle, ed accennandomi un nuovo sorriso.
“ Sì” pensai grata di quel breve attimo di felicità “ E’ una fortuna che Hirluin sia venuto in nostro aiuto” decisi prima che tutto crollasse e che gli orrori della guerra si facessero così vivi in me, che mi avrebbero dato gli incubi, per molti anni a venire.
 

Iniziò tutto con la scoperta della testa di Madril.
Notai il cadavere dell’uomo mentre stavo appiccando i fuochi lungo le mura, per proteggere al meglio le catapulte dai Nazgûl. Certo vi era la possibilità che gli incendi dilagassero per tutta la città, ma eravamo giunti ad un tale livello di disperazione, che ci era sembrata l’idea migliore.
Il viso del mio vecchio amico mi guardava, dimenticato assieme ad altri in un angolo della strada, come un pezzo di pane andato a male. Mi avvicinai, cercando di trattenere il respiro per non dover avere a che fare con il terrificante tanfo, che oramai stava invadendo tutte le strade.
L’espressione di Madril era contratta in un’eterna smorfia di dolore e mentre avevo sempre saputo, che era stato tra  caduti all’attacco di Osgiliath poiché non era tornato assieme a Boromir e gli altri, la sua vista fu un duro colpo.
Ero stata fortunata fino a quel momento, non avevo mai dovuto perdere qualcuno a cui tenevo davvero, perfino quando avevo quasi perso Haldir alla fine avevo potuto tirare un sospiro di sollievo. Il mio amico elfo alla fine era stato trasportato a casa, in attesa delle cure che il mio Re Elrond gli avrebbe potuto concedere, quindi se io fossi riuscita a sopravvivere alla Guerra dell’Anello un giorno lo avrei rivisto.
Per Faramir invece non sarebbe stato così, il suo migliore amico era stato trucidato, ed usato come arma per creare il panico tra le file della sua città, ed invece di piangerlo, il Capitano era stato costretto ad ingoiare il rospo e tirare avanti.
“ Avremo tempo per piangerli” avevo detto ai miei uomini oramai quasi un giorno prima. Ma chi ero io per poter dire loro una cosa simile?
Io che adesso, mentre guardavo la testa mozzata di un vecchio amico, volevo solo correre a nascondermi in un angolo ed ignorare il resto del mondo e tutta la sua crudeltà.
Sospirai, costringendomi ad alzarmi, mentre raccoglievo un telo sudicio, vari metri più in là, lo stesi in terra e iniziai a poggiarvi ognuna delle teste, prima di chiudere il telo come un sacco da viaggio e sistemarlo al meglio sulla soglia di una porta, dove fosse facilmente visibile.
« Hiro hon hîdh ab ‘wanath [ Possiate voi trovare pace dopo la morte ] » mormorai chiudendo gli occhi sottovoce, poggiando tre dita sulla stoffa in una silenziosa speranza « Onoreremo il vostro sacrificio » aggiunsi prima che un boato irrompesse nella stessa aria e sopra di me, notassi Boromir che urlava disperatamente il nome di suo fratello.
Mi voltai in quella direzione e dove avrei dovuto trovare solo la sicurezza dell’enorme porta della città, ora ci si stagliava un gigantesco lupo di ferro dove dinanzi ad esso, ruggiva trionfante il nazgûl più potente: il Re Stregone
 

 
 

 
Corsi con tutta la forza che avevo in corpo risalendo la strada e poi le scale delle mura, saltando i gradini due alla volta mentre mi ritrovavo a sguainare le spade dinanzi ad uno spettacolo sconcertante.
« Mio Dio » mormorai vedendo i miei uomini che venivano trucidati, vi erano così tanti orchi ed uruk-hai e semplicemente nemici che per qualche secondo rimasi allibita, troppo sgomentata perfino per capire a chi concedere il primo aiuto.
« Gwend! » sentii urlare ad un centinaio di metri da me, mi riscossi, facendomi strada tra le fila di uomini verso il mio secondo in comando.
« Amico mio, credo che questa sia la fine » mi salutò Damrod infilzando un avversario e rompendo il naso ad un altro con un colpo di scudo che aveva cercato di attaccarlo da sinistra.
« Il primo livello verrà presto abbandonato, ritiriamo gli uomini nella strada principale » dissi uccidendo due orchetti con una sola sferzata di spade. Erano talmente tanti, che pareva di colpirli anche involontariamente, mentre gli uni pressati contro gli altri si ostruivano a vicenda i movimenti.
« Ritirata! » urlai quindi mentre cercavo assieme a Damrod di creare un passaggio abbastanza sicuro, così che i nostri uomini potessero iniziare a scendere lungo la strada.
Le due lame bianche roteavano dinanzi a me, creando dinanzi a me uno scudo roteante e particolarmente tagliante.
Era una sciocca tecnica che mi avevano insegnato i gemelli i primi anni, non poteva essere letale ma avevo scoperto che contro gli orchi, era particolarmente utile. I servi di Sauron tendevano a spaventarsi in fretta, quando il proprio avversario aveva n sé, una determinazione a loro sconosciuta.
Ci avvicinammo sempre di più, iniziando a scendere lentamente per le strette scale, cercando di permettere a più uomini possibili di trovare riparo alle mie spalle. Quando finalmente anche l’ultimo soldato rimasto mi superò, scattai i più velocemente possibile, cedendo il terreno delle mura ai nemici per correre a perdifiato lunga la strada e raggiungendo Gandalf nella prima linea, che sembrava rappresentare l’unica linea di difesa tra noi e il nazgûl più potente.
Tirai un sospiro di sollievo quando notai Faramir vivo e vegeto poco più in là, accanto ad Hirluin, anche loro osservavano la silenziosa sfida tra Mithrandir e il capo dell’esercito di Mordor.
 
Il Re Stregone si fece di lato, quasi schernendoci con una risata, mentre con un semplice cenno della mano dette iniziò all’attacco di qualunque creatura fosse dietro di lui.
« Siete soldati di Gondor! Qualunque cosa attraversi quel cancello, non cederete terreno! Puntate! » ci ordinò Gandalf partendo alla carica con Ombromanto, dando enorme prova del suo coraggio mentre più di venti troll corazzati ed armati di mazze chiodate ci correvano incontro a loro volta, ringhiando feroci.
I nostri nemici non potevano formare grandi file all’interno della città, ma neppure noi riuscivamo ad affrontarli con molta facilità, per abbattere un solo troll, perdevamo ogni volta almeno venti uomini.
I soldati erano stanchi e la prontezza dei nostri riflessi, diminuiva con ogni minuto che passava. Cercammo, per quelle che mi parvero ore, di mantenere la posizione mentre i morti attorno a noi non facevano altro che aumentare.
« Caricate! » ci urlò ancora Gandalf, mentre assieme ad Ombromanto viaggiava tra le nostre fila per aiutarci con la sua magia. Ogni volta che il vento portato dal suo cavallo mi sfiorava, mi sembrava di poter resistere a quel modo per altri dieci mesi, ma poi lo Stregone era costretto ad allontanarsi per usare altrove la sua magia e l’effetto svaniva sempre più velocemente.
« Uomini! Carica! » urlò la voce di un Principe che avevo imparato a riconoscere con facilità anche nel fragore della battaglia. Imrahil  apparve dalla strada maestra con cinquanta cavalieri al seguito, armati di lance e scudi che caricarono i Troll, come se non fossero un esempio di morte certa.
Cercammo di fare lo stesso, rincuorati da quella ritrovata forza militare mentre caricavamo a nostra volta verso i dieci troll restanti, urlando con tutto il fiato che avevamo in gola, cercando perfino di coprire il fragore della battaglia per ritrovare tutto il coraggio che il nazgûl continuava a cercare di portarci via.
Corsi il più velocemente possibile, scegliendo di utilizzare la mia tecnica preferita, sfruttando la mia statura minuta mentre in scivolata, passavo sotto le gambe ad un troll tagliandogli i tendini di Achille dietro i calcagni, solo per poi rialzarmi e  con un salto laterale crollargli sulla schiena, dove affondai entrambe le lame alla base del collo.
Mi guardai attorno, in piedi sulla creatura, respirando a fatica mentre tiravo un leggero sospiro di sollievo nel notare che Imrahil era riuscito con i suoi cavalieri ad abbattere la maggior parte dei troll e gli altri soldati, avevano pensato ai restanti.
Ci voltammo tutti verso l’entrata, stupiti che ancora non apparisse nient’altro e chiedendoci perché il comandante delle forze Oscure apparisse così tranquillo, mentre ci guardava da sotto l’arco della porta come se fossimo solo insetti che non stavano neppure opponendo una vera resistenza.
« Mortale, non sai riconoscere la morte quando la vedi? » domandò il nazgûl e per qualche ragione, non faticai ad immaginare che il messaggio fosse diretto a me.
Poi dalle spalle dello Spettro emersero nuovi nemici come un fiume di inchiostro, scatenando nuovamente, l’inferno in terra.
 
« Gwend! Damrod! La guarnigione di Osgiliath! Ci serve tutta qua! Dove sono i vostri uomini?! » mi urlò Faramir affiancandomi mentre cercavamo di trattenere il più a lungo possibile l’invasione per le strade.
« Faramir, siamo tutti qui » mormorai incrociando il suo sguardo e ritrovando nei suoi occhi, la mia stessa disperazione.
Il Capitano di Gondor urlò mentre raccoglieva uno scudo da terra, caduto a qualche compagno oramai perso per sempre, e caricammo dietro di esso con tutta la forza che a cui la disperazione ci permetteva di attaccarci.
Non saremo potuti resistere per molto temo, le forze di Sauron ci invadevano come se non vi fosse mai fine al suo esercito mentre con Faramir e gli altri non potevamo far altro che retrocedere. Perdendo terreno ad ogni passo .
« Abbandonate! La città è perduta! Rifugiatevi nel secondo livello ! » urlava Gandalf sopra di noi, ma con Faramir eravamo troppo vicini alle prime file, se noi ci fossimo girati per la ritirata, saremmo morti e con noi, avremmo portato tutti gli altri uomini.
Quindi i cento di noi che avevano abbandonato ogni speranza, tenevano duro, stringendo la fila spalla a spalla mentre passo dopo passo cercavamo di far guadagnare tempo a tutti i soldati dietro di noi che battevano in ritirata.
« Moriremo » mormorò accanto a me un ragazzo che per gli Dei, appariva così giovane da spezzarmi il cuore.
« Per chi stai per morire ragazzo? » domandai mentre affondavo la lama nella spalla dell’avversario davanti a lui, che aveva cercato di colpirlo sul fianco, fallendo grazie al mo intervento.
« Per la donna che amo e per il figlio che porta in grembo » mormorò scartando di lato con enorme abilità, e strappando di mano la lancia all’uomo di fronte a lui, solo per piazzarla in terra e infilzando due nemici: un uruk e un soldato di una terra lontana.
« Sembra un ottimo motivo anche per vivere » dissi cercando di non pensare a quanti dei miei uomini avevano lasciato coloro che amavano alle proprie spalle.
 
Un altro passo indietro, un altro mezzo metro di terreno perso.
E così resistemmo, perdendo così tanti uomini al minuto, che mi resi che una volta usciti da quella situazione, non i sarebbe più stata nessuna guarnigione di Osgiliath da guidare alla vittoria.
La maggior parte dei miei uomini, erano morti e a noi non restavano che una manciata di minuti.
Il ragazzo accanto a me, urlò di dolore, rischiando di cadere tra le braccia dell’orco che lo aveva trafitto nella coscia se non lo avessi tirato a me, uccidendo con un movimento feroce l’avversario.
« Gwend! Entrate dobbiamo chiudere! » mi urlava Faramir alle spalle, ma non potevo nemmeno girarmi, mentre cercavo di tenere la mia posizione e tenere in piedi il ragazzo ferito che continuava comunque a difendersi al meglio con il lato sano.
« Amico mio, se non te ne vai adesso- »  iniziò il mio secondo alla mia sinistra, con un tono he assomigliava troppo alla rassegnazione.
« Damrod non ti lascio qui a morire » ringhiai azzardando nuovamente una stoccata e uccidendo l’uomo davanti a me, che urlò di dolore e cadde all’indietro. Altri tre presero il suo posto.
« Sono vecchio amico mio, ero già vecchio quando finimmo in prima linea per aver irritato il Capitano Boromir ti ricordi? » domandò lanciandomi un’occhiata che notai solo con la coda dell’occhio, ma on potevo permettermi distrazioni e non capivo perché Damrod continuava a rivolgersi a me come se fossimo già morti « Allora ero stato punito, mandato a servire il mio paese perché non ero niente di più di uno stupido ubriacone … » l’uomo ebbe anche il coraggio anche di azzardare un sorriso al ricordo, il racconto non lo distrasse dal colpire l’avversario davanti a sé « Mi avete salvato la vita quante volte Gwend? Dieci ? Venti? Abbastanza da farmi capire quanto la vita fosse preziosa…  Io l’ho vissuta la mia, è stata una bella avventura, adesso è il turno di quel ragazzo » aggiunse. Udii nuovamente Faramir urlare il mio nome, seguito da Hirluin, ma come potevo farlo? Come potevo voltarmi e abbandonarli a quel modo? Erano i miei uomini, se dovevano morire, era giusto che io lo facessi con loro.
« Non posso lasciarti » mormorai ancora reggendo al meglio il peso del soldato ferito mentre lanciavo occhiate preoccupate ai pochi uomini che ancora difendevano quella posizione disperata. Neanche loro meritavano di morire.
« Dovrai  farlo Gwend, o avrai questo ragazzo sulla coscienza. E’ il destino di tutte le brave persone come te. Per quel che vale, è stato un onore, morire combattendo con te, ancora una volta » e così dicendo si girò senza più darmi l’opzione di obbiettare ulteriormente mentre Hirluin usciva dalla porta, caricandosi anche lui il giovane sulle spalle e costringendomi a seguirlo dietro la seconda linea di mura.
Quando le porte si chiusero alle nostre spalle, vi furono vari minuti di assoluta immobilità, mentre tutti noi ascoltavamo le grida dei nostri compagni al di là della porta, che venivano uccisi uno dopo l’altro … Inevitabilmente.
« I loro nomi, non saranno dimenticati » annunciai ai presenti in tono grave, sperando che saremmo sopravvissuti, per onorare questo giorno e la memoria dei caduti.



 
 

 
Eravamo momentaneamente al sicuro, ma non vi era alcun modo di portare in salvo i feriti.
Halet¹, questo avevo scoperto essere il nome del soldato ferito, sarebbe comunque morto e il ragazzo lo aveva capito prima di me.
« E’ inutile mio signore, i guaritori sono nella cittadella. Nessuno può entrare od uscire, ordine del Capitano Boromir » mormorò per invitarmi a fermarmi. Lo guardai, prima di avvicinarmi ad un muro sufficientemente sgombro, facendocelo scivolare lungo i mattoni per dare io stessa un’occhiata alla sua ferita.
Aveva un pessimo aspetto e l’emorragia era troppo estesa, in queste condizioni, avrebbe avuto qualche ora al massimo.
« Ehi ehi ragazzo non puoi morire, hai un figlio che ti aspetta ricordi? » dissi con un sorriso, cercando di potergli passare un minimo di speranza, anche se io non ne possedevo per me, e dandogli dei lievi colpi sulle guance con la mano, non appena iniziò a chiudere gli occhi.
Aveva bisogno di aiuto, o almeno di un antidolorifico, ma probabilmente non avrebbe ricevuto niente di simile fino alla fine della guerra. Ma di Rohan, ancora nessuna traccia.
« Non è- » mormorò tentando anche un lui un sorriso mesto « Non è mio figlio » concluse nuovamente mentre tossiva sangue, a causa della lieve risata che gli era sorta, non appena aveva notato la mia espressione.
« Sono patetico non è vero? » domandò, per poi proseguire prima che potessi aggiungere qualcosa « L’ho sempre amata, da quando eravamo ragazzi. Ma lei ha sempre amato mio fratello e quando degli aiuti sono stati richiesti dalla cittadella … Non potevo lasciarlo andare non credi? La sua morte l’avrebbe annientata »
« E la tua credi che invece le passerà inosservata? » commentai quasi acidamente, ma non era rivolta al ragazzo morente la mia rabbia e neppure alla sua amata, come non a suo fratello. Solo all’ingiustizia di quella situazione. Era così dannatamente giovane, Minas Tirith non meritava di perdere una persona tanto preziosa.
Il giovane scrollò le spalle, causandosi solo un’espressione più acuta di dolore, prima di rinunciare ed aggiungere « Se anche lei penserà a me, una volta all’anno per ricordarmi. Ne sarò felice » disse come se fosse la spiegazione più semplice al mondo, mentre a me non restava altro da fare, se non essere completamente impotente.
« E voi mio signore? » mormorò con il sangue che usciva così copioso dalla ferita, che mi chiesi come poteva ancora trovare la forza per parlare, tanto più con un mezzo sorriso sul volto « Avete qualcuno che amate così tanto, da morire per loro? »
« Sono fortunato, ho molti per cui morire » risposi carezzandogli all’indietro i capelli umidi.
« E quindi molto per cui vivere, una grande fortuna davvero » disse con l’ultimo fiato, prima di spengersi per sempre con gli occhi spalancati su un mondo, che non era più in grado di vedere.
Forlong mi apparse di fianco, poggiandomi una mano sulla spalla e stringendomela così forte da farmi male. Ma gliene fui grata mentre alzavo lo sguardo sul Signore di Lossarnach.
Aveva profonde occhiaie che rendevano più evidente la sua età avanzata, i riccioli brizzolati, erano oramai di un colore scuro dato dal sangue di amici e nemici e la polvere e la terra della città, si era depositata nelle linee della sua pelle, come se un bambino si fosse divertito a disegnargli le rughe.
Cercai la forza di sorridergli e prenderlo in giro per quell’aspetto così terribilmente trasandato ma non la trovai. Mi limitai ad abbassare nuovamente lo sguardo su Halet e con due dita, gli chiusi delicatamente le palpebre.
« Perché noi vecchi continuiamo a vivere e i giovani a morire? » mormorai quasi a me stessa, ma ovviamente Forlong sentì la mia domanda e le sue nocche si conficcarono con più audacia nella mia maglia, mentre percepivo il suo peso su di me, come se mi stesse usando per sostenersi.
« Soldo di cacio il vecchio qui sarai tu, quanti anni hai in più di me? Trenta? Quaranta? Secondo il tuo ragionamento io dovrei morire prima di te, e non ne ho alcuna intenzione! » disse lasciando la presa sulla spalla, solo per darmi un’ ulteriore pacca dietro la nuca che per poco non mi sbilanciò sul cadavere del ragazzo.
Lo adagiai a terra, osservando nuovamente i lineamenti delicati, e la perdita che il mondo aveva subito con la sua prematura dipartita, prima di alzarmi ad affrontare il vecchio comandante.
« Ho già organizzato tutto, io e Imrahil faremo a gare di pisciate sulla tua tomba! » aggiunse ridendo di gusto e poggiandosi una mano sulla pancia come una donna incinta. I soldati vicini ci scambiarono occhiate curiose, alcuni accennarono perfino un sorriso e scossero la testa, probabilmente grati di una personalità come Forlong ancora tra le loro file.
« Dubito che il Principe Imrahil abbia accettato una cosa simile » dissi iniziando a camminare con lui per raggiungere gli altri. Non vedevo Hirluin da almeno un’ora e qualunque cosa stesse facendo, ero intenzionata ad offrirgli un cambio o avrebbe finito per crollare.
« Infatti, non l’ho mai fatto » disse una voce dall’alto venendoci incontro, gli avrei accennato un sorriso, ma dalla sua espressione, decretai che non era il caso.
« Ehi non sai neppure di cosa stessimo parlando! » replicò offeso Forlong.
« Se riguarda una qualsiasi serata con te, la mia risposta è “no” » ribatté lui prima di girarsi vero di me:
« Gwend stanno per superare le seconda mura, non sono spesse come le prime quindi potranno ospitare solo un numero limitato di soldati. Abbiamo bisogno che i migliori di loro vadano là » e questa era evidentemente la categoria in cui riteneva rientrassi io.
Annuii senza perdere tempo, invitandolo a farmi strada mentre mi aggiornava anche sugli spostamenti dei due Capitani di Gondor e Mithrandir.
Risalii le mura, che quasi fui felice di poter smettere di pensare a tutto ciò che avevamo perso, per concentrarmi in qualcosa di semplice ed automatico, come uccidere i nostri invasori.
 

 
 

 
 
« Valanyar! » mi richiamò Mithrandir. Sarebbe stato impossibile per me registrare la sua voce nella battaglia, soprattutto ad una simile distanza. Ma il suo grido rimbombò lungo le mura e le vie della città come portata da un vento caldo e carico di magia, che costrinse i miei avversari a piantarsi con più forza sulle proprie gambe, per non perdere l’equilibrio.
Approfittai di quella momentanea distrazione dei tre orchi davanti a me, per dare due ultimi fendenti con entrambe le spade, incrociando le braccia a forma due grandi X disarmandone uno e abbattendone il secondo mentre a quello centrale, gli concessi un calcio in pieno torace, che lo mandò a cadere all’indietro.
« Il nazgûl! Sta attaccando la cittadella! » urlò nuovamente lo stregone che finalmente riuscivo ad avvistare , mentre si faceva largo lungo la strada.
« C’è Boromir lassù, devi andare da lui! » mi gridò prima di tornare indietro sui suoi passi per portare aiuto alle file di Faramir che cercavano di difendere il proprio livello.
Ma certo Valanyar, vai, scala l’intera città di Minas Tirith in piena battaglia, cosa vuoi che sia?
Trattenni un’imprecazione costringendomi a guardarmi attorno proprio nel momento in cui la terza fila di mura, dove dei soldati cercavano di caricare le catapulte a corda, una bestia alata atterrò, iniziando ad uccidere tutti gli uomini di Gondor a portata di zanne, aiutato dallo spettro che la cavalcava.
« Imrahil! » urlai notando l’uomo sotto di me in sella al suo cavallo che sembrava appena aver ottenuto un attimo di pace, mentre sgozzava l’ultimo avversario.
« Una spinta? » dissi indicando le mura poco sopra di lui, dalla quale la catapulta a corda sporgeva, oramai dimenticata dai soldati in preda al terrore.
Il Principe mi guardò evidentemente confuso prima di annuire e sollevarsi lo scudo sopra la testa con entrambe le mani, io pregai i Valar, mentre la voce di Haldir nella mia coscienza, mi urlava che era una pazzia ed io: saltavo.
Atterrai con entrambi i piedi sullo scudo di Imrahil mentre lui assorbiva il mio peso e mi spingeva verso l’alto, dandomi lo slancio per saltare ancora atterrando contro il muro, mentre allungavo le mani per prendere al volo la corda che ciondolava dalla catapulta oramai distrutta dal peso della bestia alata.
Mi detti nuovamente la spinta con i piedi, camminando contro il muro, mentre lottavo contro la forza di gravità reggendomi alla corda per poi sfruttare un movimento ad arco, ritrovandomi in piedi sulle mura.
« Vai così soldo di cacio! » urlò una voce poco lontana che riconobbi come quella di Forlong mentre con i suoi uomini cercava di farsi strada poco più in là per raggiungermi.
Atterrai che già stavo sfilando le spade bloccando la stoccata della lama dello stregone che mi minacciava ancora a cavallo della bestia.
« Ci rincontriamo Julwanavun², sapevo che non saresti riuscita a sfuggirmi per sempre »
« Vorrei ricambiare il sentimento, ma voi sette portate tutti gli stessi stracci, quale degli avidi Re dimenticati saresti? » dissi facendo ruotare le mani nelle mie mani come eliche sul fianco, più per un effetto scenico che per una vera utilità, e mettendomi in posizione di difesa.
« Perché non scendi da quell’uccello e provi ad affrontarmi lealmente? Oppure sai di non avere alcuna possibilità? » urlai cercando di imprimere nelle mie parole, la mia migliore sfacciataggine nonostante il terrore che mi attanagliava il cuore. Non credevo di aver veramente alcuna speranza contro il nazgûl, ma se fossi riuscita a farlo scendere dalla bestia alata, forse sarei riuscita a prendere “in prestito” la suddetta cavalcatura.
Lo spettro, rise, ma mi assecondò. Scese dalla sella e iniziò a ruotare la sua lunga arma, come se fosse la lancia di un cavaliere. La sola differenza è che era una spada, incredibilmente lunga che assieme all’ampiezza del suo braccio, raggiungeva probabilmente
 i due metri, ed era seghettata verso l’interno così che se uno sventurato avesse avuto la sfortuna di farsi sfiorare da un’arma simile,non sarebbe riuscito ad estrarsela.
Scartai di lato, facendo così tante finte e costringendolo a ruotare su se stesso almeno tre volte, mentre
potevo quasi percepire la sua rabbia. Di positivo c’era che non sembrava aver capito cosa volessi fare, ed era più che sensato considerando che era l’idea più folle che avessi mai avuto nella mia vita. Persino più folle del lanciarmi dalle mura del Fosso di Helm.
Rinfoderai le spade, mentre il nazgûl mi guardava come se fossi un uccello che continuava a sbattere contro un vetro e partii a corsa, lanciandomi con tutta la mia forza verso la testa della bestia alata, che presa alla sprovvista ringhiò e si abbassò, appena in tempo perché io potessi dargli un calcio nel naso e sfruttando la sua cresta come appiglio, per issarmi sulla sua schiena.
« Non puoi vincere questa battaglia » mi avvertì lo stregone mentre io mi dibattevo cercavo di tenere a bada la bestia sotto di me, notai le staffe della strana sella in cui ero seduta, e le lame che possedeva sul poggiapiedi, dietro il tallone. L’animale aveva dei tagli profondi e netti proprio all’altezza del ventre, come stoccate di una tallonata particolarmente dolorosa.
Strinsi i denti, già odiando quello che stavo per fare, mentre mi ritrovavo a commettere un orrore simile, spinsi indietro i piedi, infilando le lame sui talloni in profondità della bestia mentre questa urlava dal dolore e gemeva, issandosi in volo nello stesso istante in cui io ritirai i piedi.
« Dovresti saperlo oramai, c’è sempre un prezzo da pagare » disse nuovamente il servitore di Sauron diversi metri da me, mi guardava dal basso, come se il fatto che fossi riuscito a rubargli la cavalcatura non lo impensierisse.
« Va’ soldo di cacio! A questo ammasso di lenzuoli ci penso io ! » udii urlare Forlong poco più in là e lo vidi, mentre si rimetteva in piedi e si lanciava contro un avversario fuori dalla sua portata.
« No stupido vecchio non farlo! » urlai disperatamente cercando di mantenere in posizione la bestia alata sopra i due contendenti « Vattene! » urlai nuovamente mentre il nazgûl si voltava, parando il colpo della lama di netto, come se non gli costasse niente prima di affibbiargli una mano con la mano guantata dal ferro così pesante, che lo mandò a sbattere ari metri più  in là.
« Scegli Julwanavun, chi salverai? » domandò mentre da sopra di me, udivo l’urlo disperato di Gandalf e Pipino. Alzai lo sguardo, quel tanto che mi serviva per riconoscere in cima alla cittadella la presenza del Re Stregone.
« Gwend, và da Boromir » sputò Forlong mentre si rimetteva in piedi, utilizzando la sua lama come bastone mentre io continuavo ad incitare la bestia sotto di me a riatterrare, ma proprio come il suo padrone doveva volere, l’animale non si mosse, mentre dall’alto mi costringeva ad assistere.
Il vecchio si alzò, girandosi nello stesso momento in cui tentava un fendente contro il nazgûl, ma lo spettro deviò la lama come se niente fosse, lanciandogli la spada lontana.
« Forlong! » urlai ancora  pensando addirittura di buttarmi di sotto, pur di poter andare lì e raggiungerlo, aiutandolo in qualche modo mentre l’uomo veniva strattonato per il collo, con le dita di ferro dell’armatura del nemico che gli si conficcavano nella pelle.
« Guarda cosa succede a coloro che dici di amare » disse lo spettro e prima che potessi intervenire, lanciandomi io stessa o le mie lame, lo decapitò , come se non valesse niente mentre io urlavo dalla disperazione e desideravo solo ucciderlo con le mie stesse mani e poco importava che non potessi.
« La cena» disse il nazgûl lanciando la testa verso la bocca dell’animale, ma con le lacrime che ancora mi segnavano il viso tirai fuori le mie lame e le piantai con tutta la mia forza nella schiena della bestia che urlò nuovamente, gemendo dal dolore mentre freneticamente, iniziava a volare cercando di scrollarmi i dosso mentre la testa del mio vecchio amico, ricadeva in terra, per le strade come un oggetto senza valore.
 
Ruotai le lame all’interno della carne della bestia, mentre piena di rabbia le ordinavo di salire, riuscendo a tenermi aggrappata alla creatura come molti mesi prima avevo fatto a Moria, con il troll.
Giunsi all’altezza della cittadella, che Boromir stava fronteggiando il Re stregone, con la spada sguainata lo fronteggiava cercando di non cedere al terrore che sicuramente stava facendo presa sul suo cuore.
« Io so chi sei Boromir, figlio del sovrintendente. La morte avrebbe dovuto trovarti mesi fa, credo sia il momento di rimettere in piano la bilancia » soffiò il nazgûl mentre io mi dibattevo sopra la mia bestia, cercando di farmi venire un’idea che non fosse precipitare da settanta metri d’altezza.
Boromir strinse più forte la propria presa sulla spada e in quel momento, mi resi conto per cosa stava lottando.
Dietro di lui il portone del palazzo era serrato e Pipino giaceva a pochi metri da esso, illeso ma disarmato. Un altro soldato non doveva aver avuto la stessa fortuna.
Boromir, rappresentava l’ultima linea di difesa per i civili e i feriti all’interno, compreso il suo stesso padre.
Il Capitano di Gondor urlò e caricò contro la bestia, ma l’animale scartò di lato evitandolo sotto il comando delle redini del suo cavaliere poi, il Re Stregone scivolò con eleganza dalla sella, sguainando la strada e irradiando il suo alito nero in tutta la piazza.
« Scendi stupida bestia » ringhiai cercando di conficcare ancora più in profondità le lame nella carne dell’animale. L’animale gemette, lanciando un verso rauco nel cielo ed attirando l’attenzione dei presenti sotto di me.
Pipino urlò il mio nome, mentre Boromir ripartiva all’attacco, caricando il nazgûl come se avesse davvero una possibilità. Lo stregone lo scartò con un colpo di spada mentre rideva del terrore che leggeva negli occhi del suo avversario.
« La morte, ti sta chiamando » disse nuovamente prima di affondare la sua lama nuovamente. Boromir provò a parare il colpo, ma il braccio ferito, o la stanchezza gli avevano fatto perdere velocità e la lama nera riuscii a tagliare la pelle del suo avambraccio.
« Boromir! » urlai assieme a Pipino mentre la scena sotto di me apparve muoversi a rallentatore. Il nazgûl si voltò, pronto a tornare alla sua cavalcatura, mentre il veleno si faceva strada nel braccio di Boromir che ora disarmato era caduto in ginocchio.
« Saziati della sua carne » ordinò il Re stregone alla bestia, quest’ultima si mosse ma apparve Pipino che si frappose come il migliore degli sciocchi, tra l’animale e il Capitano di Gondor. La bestia scattò in avanti e mentre fece per chiudere le proprie fauci sul giovane, Boromir strattonò l’hobbit verso di sé ed io urlai. Ancora così piena di rabbia mentre ruotavo con tutta la forza che possedevo le spade nella carne della bestia, uccidendola, e costringendola a scontrarsi in caduta libera contro quella del nazgûl , così che entrambi si ritrovarono ad accartocciarsi su se stessi.
Saltai dal dorso appena in tempo, rotolando per vari metri sulla piazza. Gemetti, mentre udivo Pipino urlare il mio nome ed io pregavo gli Dei di non farmi perdere i sensi dal dolore.
Mi alzai a fatica, grata di non essermi rotta una caviglia ed imitando il mio vecchio amico, mentre mi tiravo in piedi con l’aiuto delle mie stesse lame prima di alzarmi, spostandomi verso i miei amici come scudo.
Boromir stava gemendo dal dolore, e Pipino aveva un volto così bianco che sarebbe potuto passare per un cadavere se non fosse stato impegnato a cercare di fermare l’emorragia del Capitano di Gondor.
Mi spostai a fatica verso di loro mentre la mia attenzione restava sull’ammasso di bestie alate, ed un nazgûl che si stava velocemente liberando da quell’ammassò di ali.
« Pipino credi di poterlo portare via? » domandai lanciando una rapida occhiata verso di loro. Vi era così tanto sangue, che per un attimo temetti che alla fine l’hobbit doveva essere rimasto ferito in qualche modo, ma poi notai l’arto insanguinato di Boromir, dove vi sarebbe dovuto essere il suo braccio, non vi era altro che carne dilaniata.
Dal gomito in giù, la bestia gli aveva staccato via l’arto.
« Pipino devi fermare quell’emorragia! » urlai prima di fare la cosa più stupida al mondo.
Voltai le spalle al mio nemico e corsi verso il Capitano di Gondor, fregandomene del nemico a cui avrei dato le spalle e che non avrebbe impiegato più di una manciata di secondi, per tirarsi fuori dalla carcassa della bestia morta ed aiutare la sua cavalcatura a fare altrettanto.
« Andrà tutto bene vedrai, resisti, andrà tutto bene » mormorai in automatico strappandomi un lungo pezzo della camicia che tenevo sotto la cotta di maglia. Vi legai il moncherino,  fasciandolo il più stretto possibile solo per bloccare il sangue, senza rischiare di farlo morire d’infezione.
« Pipino la tua cintura » gli ordinai frettolosamente mentre l’hobbit obbediva, sfilandosela e passandomela alla velocità della luce, mentre continuava a lanciare occhiate preoccupate alle mie spalle.
« Dobbiamo portarlo dalla guaritrice » dissi a Pipino mentre il suo sguardo terrorizzato incrociava il mio.
« I civili sono chiusi dentro il palazzo reale per la loro sicurezza, Boromir ha fatto trasferire nella sua ala l’ospedale da campo » cercò di spiegarmi tra un balbettio e l’altro.
« Bene, apriamo le porte » insistetti prima di essere costretta a riportare la mia attenzione sul Re Stregone.
« Dov’è Gandalf? » mi domandò Pipino in preda al panico, mentre io lanciavo un’ultima occhiata ai miei amici e mi alzato, raccogliendo le mie spade da terra.
« Val? Val torna qui » mi implorò il giovane hobbit, nonostante dovesse sapere che non potevo farlo. Quello non era un incubo, non si poteva stringere più forte gli occhi e nascondersi meglio sotto le coperte, a volte i propri mostri vanno affrontati, anche se si sa che saranno loro a vincere.
« Sono un avversario al di fuori delle tue possibilità mortale » sibilò il nazgûl avvicinandosi.
Sentii ogni fibra del mio corpo intimarmi di scappare, di voltarmi e correre nella direzione opposta. Ma proprio come non era fuggito Boromir, ora non potevo fuggire io.
« Lo sò » mi limitai quindi a rispondere, stringendo di più la presa sulle mie spade, mentre il Re Stregone inclinava la testa di lato, quasi incuriosito.
« Forse Khamûl³ aveva ragione su di te mortale. Saresti stata una scelta migliore, piegarti al volere del nostro Signore Sauron sarebbe stato un piacere » la voce del nazgûl, appariva fredda e tagliente come lo era stata quella del suo compagno, ma se possibile dopo la morte di Forlong il suo alito demoniaco mi stava facendo più effetto, mentre mi ritrovavo a stringere i denti e a sfruttare tutta la mia forza di volontà per muovere i piedi, costringendomi a fare qualche passo in avanti.
« Di che diamine stai parlando? Una scelta migliore di cosa? » urlai cercando di scacciare la paura che si stava sempre più impossessando di me, facendomi quasi impazzire, mentre credevo di star perfino vedendo un ghigno sotto quella testa senza volto e ricoperta solo dal nero tessuto degli stracci che indossava.
« Di chi » sottolineò nello stesso momento in cui stava per alzare la spada ed io mi puntavo sui piedi per darmi lo slancio necessario per contrattaccare ad un eventuale sferzata, nonostante il nazgûl sembrasse ben deciso a limitarsi ad una “amichevole” chiacchierata, ma non potevo permettermi inutili illusioni. Mi avrebbe fatto a pezzi.
« Il vecchio stregone ha fallito, il vostro Capitano è morto, la città è invasa. Il mondo degli uomini cadrà » disse lo stregone in un tono che avrei potuto giurare fosse quasi di sdegno.
« Non oggi » soffiai cercando una forza d’animo che in realtà non possedevo, il suo respiro mi pietrificava dal terrore, e se affrontare l’altro nazgûl era stato difficile, per il Re stregone appariva quasi impossibile mentre la creatura alata sbatteva le ali, minacciosa, alle sue spalle.
E poi per un attimo, tutto tacque poiché un corno risuonò lungo i Campi Pelennor e poi sempre più su lungo tutta Minas Tirith fino a dove ci trovavamo io e il Re stregone.
Il mio volto si aprì in un’espressione di quasi pura gioia, riconoscendo il suono dei corni di Rohan mentre l stregone urlava furioso, dandomi le spalle come se non valessi più nulla e ritornando dalla sua cavalcatura.
Come lui aveva fatto con me, lo ignorai mentre mi lanciavo a sinistra per affacciarmi il più possibile dalle mura del piazzale, solo per poter vedere ancora per me troppo lontani, ma così ben riconoscibili gli stendardi di Rohan.
« Théoden » esalai come se fosse la parola stessa per speranza  « I cavalieri di Rohan! » iniziarono ad urlare lanciando un’occhiata piena di gioia alle mie spalle ed incontrando gli occhi gonfi di lacrime dell’hobbit più giovane della compagnia.
Mi staccai immediatamente dalle mura, ignorando quello spettacolo di speranza, per tornare da Boromir che stava sudando freddo e oramai era ad un passo dall’incoscienza.
« Non possono vincere questa guerra da soli » mormorò con un filo di voce il Capitano di Gondor « Devi guidarli tu Gwend, guida Gondor … alla vittoria » aggiunse un attimo prima che i suoi occhi gli girassero verso l’interno dell’orbita, perdendo definitivamente i sensi.
« No Boromir! » urlò l’hobbit in preda al dolore, mentre io allungavo una mano in un automatico moto consolatorio mentre gli carezzavo la spalla.
« Dobbiamo portarlo dentro, deve vedere un guaritore » insistetti on sapendo neppure se vi era qualcosa che un guaritore avrebbe potuto fare. Ma avrei tentato, almeno per non distruggere completamente le speranze del mio giovane amico.
« Non tu- … Tu devi- … Ha detto- » mormorò tra un singhiozzo e l’altro Pipino. Tirò su con il naso, guardandomi come aveva sempre fatto da quando l’avevo per la prima volta conosciuto a casa Tuc.
Come se la mia presenza fosse la soluzione a tutto, come aveva fatto anche Frodo alla sua età.
Non capivo come potesse avere ancora tutta quella fiducia in me, quando io mi sentivo uno straccio senza più alcuna utilità.
« Lascia che ti aiuti a portarlo dentro » dissi prima che una voce alle mie spalle mi interrompesse.
« Aiuterò io mio nipote, tu vai, Mithrandir richiede la tua presenza » annunciò Imrahil apparendo letteralmente dal nulla alle nostre spalle, mentre io mi costringevo a non sbuffare offesa, per il mancato aiuto che alla fine Gandalf mi aveva fatto arrivare.
« D’accordo » mi limitai a rispondere, alzandomi come un automa senza non riuscire più a degnare neppure di uno sguardo i soldati presenti.
« Bucefalo! » urlai richiamando il mio stallone che in neppure qualche minuto mi raggiunse, giungendo dalle stalle reali dove doveva averlo sistemato Faramir in mia assenza.
« Andiamo bello, un'altra battaglia ci aspetta » gli dissi prima di montargli in sella e ripartire, come se avessi mai avuto, l’occasione di fermarmi.
 
« Faramir! E’ Théoden, Rohan è qui! » urlai richiamando l’attenzione del giovane Capitano di Gondor non appena lo vidi, nuovamente in testa alle guani giorni, spronando le sue truppe a dare il massimo. Faramir fece una mezza piroetta, facendosi largo tra le sue stesse mura a colpi di scudo e spada fino a quando non ebbe anche lui uno scorcio dei Campi Pelennor.
« Sembrano così pochi » mormorò guardando ‘orizzonte, in realtà il numero dei cavalieri di Rohan , appariva maestoso ma l’esercito di Mordor era comunque un enorme chiazza nera, che occupava interi kilometri quadrati tutt’innanzi Minas Tirith.
« Non temere, il loro coraggio compenserà le mancanza » dissi nello stesso momento in cui contro ogni previsione i cavalieri partirono al galoppo, urlando e con le armi sguainate sopra la testa.
L’esercito davanti a loro apparve confuso e poi, quando i cavalli si infransero tra le loro file come un mare in tempesta, il panico esplose tra le file di Mordor.
« Mio fratello, come sta? » domandò il giovane incupendosi. Ci scambiammo una lunga occhiata dove soppesai se mentirgli o semplicemente alleggerirgli la pillola, ma dopo tutto quello che noi avevamo passato assieme non me la sentivo. Dovevo molto a Faramir, il minimo che potessi fare, era essere onesta con lui.
« La bestia del nazgûl gli ha portato via mezzo braccio, ha perso molto sangue. Quando l’ho lasciato alle cure di tuo zio, aveva appena perso i sensi » mormorai incapace di sostenere il suo sguardo.
Avevo chiamato a Faramir a Gran Burrone, nella speranza di salvare il fratello maggiore da una sorte ignobile, ma cosa avevo ottenuto in cambio? Il giovane Capitano era stato comunque costretto a veder eil lato peggiore del maggiore che tanto stimava ed amava ed ora, come se non fosse stato abbastanza, probabilmente lo avrebbe perso comunque. Perché poi, un uomo come Boromir, sarebbe veramente riuscito a portarsi avanti nella vita, ora che non aveva più un braccio con cui combattere?
« Ehi Gwend » mormorò poggiandomi due dita sotto il mento, invitandomi a guardarlo nuovamente negli occhi « Non è colpa tua. Tutti noi sapevamo che saremmo potuti morire, ma abbiamo scelto di combattere comunque proprio come te » annuii, comprendendo che quindi aveva saputo della morte di Forlong, ma il suo discorso non mi rincuorò.
Che senso poteva avere, richiamarmi per affrontare quel viaggio con loro, se alla fine non riuscivo a fare alcuna differenza?
I miei amici erano morti comunque, le perdite erano stati così ingenti che Gondor avrebbe impiegato decenni a riprendersi da queste guerre, ma allora, perché io ero stata portata nella Terra di Mezzo? A quale scopo?
« Eccovi finalmente! Vi stavo cercando dappertutto, evidentemente Imrahil pensa che con un viso come il mio, le buone notizie possano diventare meravigliose se sono io a riferire i messaggi » disse Hirluin giungendo in quel momento di fianco a noi.
Non avevo idea del quando o del come, ma l’uomo si doveva essere sciacquato il viso. I suoi occhi brillavano come di luce propria mentre i capelli rossi, adesso legati in una treccia frettolosa lasciavano intravedere la mascella squadrata e gli zigomi accentuati. Le labbra erano piegate all’insù, in un sorriso perenne a cui oramai mi ero involontariamente affezionata e che con il senno del poi, gli invidiavo.
« E che notizie porteresti? » domandai sentendo un po’ dello stress, scivolarmi via dalle spalle, mentre Hirluin vi passava un braccio intorno, come se ci conoscessimo da tutta una vita.
Non lo scacciai, silenziosamente grata di quel breve contatto umano.
« Rohan è guidata da dei folli! » iniziò entusiasta « Secondo Imrahil non avrebbero dovuto avere alcuna possibilità, vedete quanto siano inferiori di numero? E invece l’esercito di Mordor sta battendo in ritirata. Dobbiamo riunire tutti gli uomini nel primo livello, così potremo riprenderci la città » concluse muovendo le mani, per spiegarci come il Principe avesse progettato la carica finale.
Era un buon, piano, forse potevo finalmente tirare un sospiro di sollievo, la battaglia non si era certamente conclusa ma magari il peggio me lo ero lasciato alle spalle.
Ma sapevo che non era così, avevo ancora Théoden da trovare e da salvare. Se c’era una cosa di cui mi ero stufata era di veder morire i miei amici, avevo Aiantcuil con me e in questa occasione, sapevo di poter fare la differenza.
 

 


 
« Ehi non dovrebbe esserci anche tuo fratello tra i guerrieri di Rohan? Se è bello anche solo la metà di te, magari potrei sposare lui » commentò Hirluin alla mie spalle mentre io uccidevo l’uruk-hai davanti a me per poi girarmi, ad incontrare il sorriso dell’uomo dietro di me.
Ma quando mi voltai, il suo sorriso aveva perso ogni calore, mentre dagli angoli della sua bocca colava del sangue.  Hirluin abbassò lo sguardo sul suo torace, imitato immediatamente da me, mentre guardavo piena di orrore la spada che gli sbucava dal petto, trafiggendolo da parte a parte.
« Gwend? » gracchiò riuscendo solo a sputare più sangue mentre io sentivo invadermi dal panico.
Lo scambio di sguardi non dovette durare più di un battito di ciglia, ma la scena mi si svolgeva davanti come a rallentatore mentre il guerriero Sudrone ritraeva via la sua sciabola, riservandomi un ghigno soddisfatto.
Il Signore di Pinnath Gelin crollò in ginocchio e poi a terra, mentre i Campi del Pelennor si riempivano del suono di nuovi corni da guerra che preannunciavano l’arrivo degli Olifanti e le armate Haradrim.
Abbassai nuovamente lo sguardo sulla figura del mio amico a terra, consapevole che probabilmente a me sarebbe stata riservata la stessa fine se Faramir non mi fosse apparso accanto, tagliando di netto la testa del guerriero nemico che aveva appena ucciso il mio compagno.
« Hirluin » mormorai abbassando lo sguardo sul cadavere ai miei piedi, ero solo vagamente consapevole che la guerra ancora infuriava e che probabilmente ero ancora viva solo a causa della confusione che i nuovi arrivati avevano causato.
Ma ai miei piedi, il mio nuovo amico, giaceva in una pozza di sangue che adesso stava ricoprendo l’erba, malamente accasciato sopra il cadavere di un orco, il suo bellissimo volto ancora mi ricambiava lo sguardo ma gli occhi erano ora vitrei  e il sorriso solitamente sempre impresso sulle sue labbra, era scomparso.
Ne avevo perso un altro
« Gwend, Théoden ha bisogno di noi. » mi ricordò Faramir accanto a me, mi dette una pacca veloce sulla spalla mentre io alzavo gli occhi su di lui, inerme.
« Théoden ha bisogno di te » ripeté nuovamente, scandendo bene le parole così che facessero breccia nel mio dolore, risvegliandomi.
Non mi concessi ulteriori secondi, consapevole di cosa significava l’arrivo degli Olifanti « Andiamo » dissi voltandomi e ritrovando in fretta Bucefalo, mentre montavo a cavallo imitata da Faramir ed il suo baio, prima di girarmi verso gli uomini di Imrahil  e gli altri.
« Chiunque abbia un cavallo, ci segua, gli altri proteggano la città, andiamo ad aiutare Re Théoden! » urlò Faramir prima di partire alla carica seguito da almeno altri duecento cavalieri.
Bucefalo era il più veloce, non avevo idea di dove fosse Mithrandir, speravo con Boromir me non potevo neppure sapere, se Gandalf avrebbe potuto aiutarlo con la sua magia. O se ne avesse ancora l forza.
Spronai ancora di più Bucefalo alla carica, quando riconobbi con troppa facilità il Re stregone ed il suo nazgûl.
La picchiata della bestia alata era già iniziata ed assistetti impotente, all’investimenti di quattro cavalli con i rispettivi cavalieri, dove tra loro riconobbi Théoden. Attorno a lui, solo una quantità indecifrabile di morti Rohirrim.
 
« Più veloce » ordinai al cavallo, abbattendo i nemici attorno a noi senza degnarli mai di una seconda occhiata,mirando solo ad avvicinarmi il più possibile al Re di Rohan.
Potevo vedere in lontananza un’altra sezione dei Rohirrim caricare verso due Olifanti, imparando dalle perdite appena subite e optando per tattiche differenti, nonostante fossero la prima volta, che vedevano bestie simili.
Riconobbi l’elmo di Éomer tra le tante teste confuse, e pregai che tenesse duro il più a lungo possibile, mentre io mi precipitavo da suo zio.
« Ignora la bestia amico mio, noi pensiamo al Re » dissi quando sentii Bucefalo iniziare ad innervosirsi mentre l’uccello alato ringhiava e soffiava contro un soldato, l’unico che adesso si frapponeva tra il nazgûl e il Re di Rohan.
« Ti ucciderò se osi toccarlo » urlò una voce che riconobbi come quella di Éowyn mentre il mio cuore nel guardarla, in piedi da sola, davanti al secondo nemico più temibile della Terra di Mezzo mi riempiva di orgoglio .
« Non metterti tra la bestia e la sua preda » soffiò il Re stregone mentre smontavo da cavallo per avvicinarmi al Re di Rohan. Acquattandomi il più possibile e piano piano ed avvicinandomi alla figura, spezzata in due dal peso di un cavallo.
Éowyn a pochi metri da me scartò di lato prendendo di sprovvista l’enorme bestia e tagliandogli la testa di netto con soli due colpi ben assestati, mentre la creatura rovinava a terra, portando il suo cavaliere con sé.
Éowyn si voltò, riconoscendomi mentre io gli facevo un cenno distratto, indicando suo zio.
« Forse posso salvarlo, trattieni lo spettro » dissi mentre lei annuiva, rimettendosi in fretta in posizione di difesa con la spada alta e lo sguardo fisso sul suo avversario.
« Théoden » mormorai avvicinandomi alla figura sofferente, che udendo il suo nome gemette, per lo sforzo di aprire gli occhi. Essi si persero nei miei per qualche secondo mentre cercava di mettermi a fuoco, riconoscendo nel mio viso un volto familiare ma fuori dalla presa dei suoi pensieri, fino a quando non dovette comprendere chi fossi.
« Conosco il tuo viso … Gwend » mormorò flebilmente. I suoi occhi si addolcirono e nello sforzo di piegare leggermente le labbra all’insù, un rivolo di sangue gli sporcò la bionda barba fino al mento.
« Ehi amico mio » lo salutai prendendo la mano che aveva iniziato ad alzare tra le mie « Sei venuto » dissi sentendo la mia voce rompersi in gola, mentre i suoi occhi si velavano di tristezza e vergogna.
« Non potevo … voltarmi dall’altra parte » mormorò anche lui tossendo sangue mentre io stringevo la mia stretta nella sua mano, riconoscendo le parole che ci eravamo rivolti  quasi vent’anni prima, quando avevamo iniziato a chiamarci “amici”.
Lasciai che il dolore e la tosse, scemassero, mentre Éowyn a pochi passi da me urlava di dolore, colpita sul braccio dall’arma del Re Stregone, feci quasi per mettermi in piedi, ma lanciando un’ultima occhiata al Re confuso tra le mie mani mi trattenni.
Quella non era la mia battaglia, se Éowyn non avesse trovato il modo di portarla a termine, nessuno ci sarebbe riuscito, tantomeno io. Ciò che potevo fare però, era aiutare un vecchio amico.
« Sire » dissi richiamando i suoi occhi sempre più stanchi sul mio viso « Ho una cura, posso salvarti… Permettetemi … » mormorai liberando una delle mie mani dalle sue, prima di portarla intorno al collo e tirando la catena per far uscire la lacrima di Mithril.
Aiantcuil brillava di luce propria, come una piccola stella, l’unica in quei campi della pena. Il Re mi guardo confuso, prima di spostare lo sguardo verso il cielo, sempre coperto dalle nere nuvole portate da Mordor.
« E il soldato che sta combattendo? Lui merita più di me, in molti lo fanno » mormorò quasi parlando tra sé e sé mentre io tenevo il gioiello tra le mani, a occhi passi dal viso del Re.
« Il soldato, è vostra nipote Sire. Non avrà bisogno di Aiantcuil, sopravvivrà » dissi mentre negli occhi di Théoden passavano milioni di emozioni diverse, rima di rincontrare di nuovo il mio viso, nello stesso istante in cui il Re Stregone urlava verso il cielo, probabilmente ferito alla gamba da un valoroso hobbit.
« Io. Non. Sono. Un uomo!  » urlò Éowyn, e le sue grida di dolore si mescolarono a quelle del nazgûl. Per tutto il mio tempo nella Terra di Mezzo, avevo aspettato quel giorno piena di orgoglio e curiosità, ma oggi che questo girono era giunto, la mia attenzione era tutta su un vecchio amico, che mi guardava con gli occhi uccidi, il sorriso amaro e la morte negli occhi.
« E’ stata una fortunata, che tu sia arrivata da noi Gwend, tu le hai dato la forza di cui aveva bisogno. Io non l’ho mai capita … »
« Non sono stata io Théoden, Éowyn aveva tutta la forza di cui aveva bisogno, dentro di sé »
La protagonista di tali parole arrancò, crollando nel lato opposto al mio del Re, mentre guardava tra me e lui confusa, tenendosi un braccio pregno di sangue al petto.
« Puoi salvarlo? Gwend? Perfavore… » mormorò carezzando con la mano buona, i capelli del Re all’indietro.
« Cosa diceva il mio destino Gwend? Era qua, la mia fine non è vero? Nella storia che a volte narri con il Bianco Stregone e tuo fratello, quando pensate che nessuno vi ascolti » Théoden parlava con me, ma i suoi occhi erano fissi sul viso della nipote, permettendogli un sorriso lieve e sincero come se avesse appena ricevuto, una dose dell’antidolorifico più potente.
« Sì ma non serve, sono qua in questa storia, posso cambiare il tuo destino. Posso salvarti. » dissi caparbia mentre con il pollice passavo sopra l’apertura del gioiello a forma di lacrima, rivelando il liquido bianco all’interno.
« Lo hai già fatto … Lasciami andare. Vado dai miei padri dove della gloriosa compagnia non dovrò più vergognarmi » mormorò mentre le sue palpebre traballavano, tradendo la debolezza del suo corpo.
« Gwend? » mormorò con un fiato di voce così basso, che intuii solamente che stava pronunciando il mio nome, poiché il mio orecchio non riusciva ad udirlo.
« Sono qua » gli assicurai stringendo più forte la mano che ancora li reggevo, mentre con l’altra richiudevo l’apertura della lacrima, rimettendo Aiantcuil al sicuro.
« Perdonami per ciò che ho fatto io … Me ne vergogno adesso, non era così che speravo di farmi ricordare … da un amico» mormorò mentre calde lacrime iniziavano a rigare il mio volto appannando mila vista.
« Va tutto bene, è tutto apposto » mormorai con la voce spezzata « Non è così che ti ricorderò abbiamo passato così tanto assieme che quell’episodio è una sciocchezza io- »
Ma fui interrotta da Éowyn che posava una mano sulla mia, con quella intrecciata ancora con il Re « Gwend, non può più sentirti, se ne è andato » mormorò con una delicatezza che non meritavo.
Alzai lo sguardo sul viso del Re, oramai impassibile e senza vita, mentre su nipote mi stringeva con più forza la mano, invitandomi a farmi coraggio.
Non era giusto, sarei dovuta essere io a farle forza, lei aveva appena perso suo zio, la sua figura paterna … Ed io, mi appoggiai sulla spalla del Re, mormorandogli una preghiera elfica sotto voce, prima di alzare la testa, ed urlare al mondo il mio dolore.
 

 


 
Fù il mio stesso cavallo a farmi tornare in me, quando mi si avvicinò incitandomi con il muso e carezzandomi delicatamente il viso con il naso. Era preoccupato potevo sentirlo, scalpitava con gli zoccoli anteriori come ogni volta che era nervoso, e dato che la battaglia era ancora in corso faceva bene.
Éowyn, davanti a me, ora fissava un punto impreciso alle sue spalle piena di orrore, mentre il suo viso già naturalmente pallido, perdeva sempre più colore a causa dell’ingente perdita di sangue ed il veleno della ferita in circolo.
Da qualche parte non troppo lontano, probabilmente anche Merry aveva bisogno di aiuto, ed io non potevo permettermi di crollare proprio ora.
Mi tirai in piedi, tirando su con il naso e stringendo i denti mentre identificavo la paura di Éowyn in un orco che si stava avvicinando lentamente e a carponi.
Lo riconobbi come uno dei comandanti, mentre senza troppi preamboli mi avvicinavo a lui, piantandogli una scarpa sulla schiena, trattenendolo pancia a terra prima di conficcargli la lama destra dritta nella base del collo, uccidendolo.
Tornai da Éowyn che aiutai a rimettersi in piedi ed avvicinandola a Bucefalo, aiutandola ad issarsi sopra il cavallo.
« Hai bisogno di cure mia signora, Bucefalo ti porterà al sicuro » le assicurai mentre lei cercava di controbattere in qualche modo, aprendo le labbra per dire qualcosa, prima di svenire sul cavallo senza neppure l’occasione di lanciare un altro sguardo al corpo di suo zio.
In quel momento mi raggiunse Faramir a cavallo, mentre io ritrovai facilmente Merry a pochi metri della carcasse della bestia e prendendolo in collo tra le braccia, mi rassicurai, percependo il suo corpo sempre caldo, anche se la sua coscienza si era momentaneamente spenta.
« Portali al sicuro nella cittadella. Solo Aragorn potrà aiutarli davvero a fine battaglia, ma fino ad allora, non permettere a nessuno di sfiorarli con un dito » gli ordinai probabilmente osando fin troppo poiché Faramir era il capo in comando della propria città. Ma il Capitano di Gondor si limitò ad annuire, probabilmente intuendo il mio bisogno di assicurarmi la salvezza di almeno quei due amici.
Sapevo che anche Faramir doveva essere torturato dal dolore, Boromir aveva perso coscienza oramai da molto, ma fino a quando non avremmo vinto la battaglia, niente poteva essere fatto per il Capitano di Gondor.
« Non preoccuparti amica mia, mi prenderò cura di loro » mi assicurò prima di ricordarmi di essere prudente ed io lo osservavo cavalcare verso la città per qualche secondo ancora, prima di fare l’esatto opposto, rilanciandomi nella mischia come se non avessi combattuto per un giorno e due notti senza riposo.
 


 
 
 
 
« Gwned? » mi salutò una voce alle mie spalle, ritrovandomi presto accerchiata da alcuni cavalieri Rohirrim mentre infilzavo il decimo orco del momento.
Era stata una fortuna che fossero giunti, ad un certo punto, mi ero ritrovata quasi completamente circondata dai nemici, quasi non capendo come potessi essere finita così tanto al centro della mischia, ma poi i cavalieri avevano caricato e sotto il comando di Éomer avevano costretto gli uomini e gli orchi che mi accerchiavano, alla fuga.
« Ragazzino » lo salutai con fatica, appoggiandomi alla spada destra come se fosse un bastone.
« Gwend mio zio… » mormorò abbassando lo sguardo, mentre io mi ritrovavo a fare lo stesso, piena di vergogna.
« Lo so, mi dispiace » dissi senza aggiungere niente su Éowyn, non vi era motivo perché si preoccupasse anche per lei, avrebbe avuto tempo per scoprire che sua sorella rimasta ferita nella battaglia.
Potei finalmente notare Bucefalo, che stava tornando da me. Il cavallo aveva appena varcato le mura di Minas Tirith e ora galoppava a perdifiato nella nostra direzione, scartando i nemici con una naturalezza sorprendente.
« Éomer! » urlò qualcuno alle nostre spalle « Sire, i pirati stanno attraccando al fiume! »
« Altri alleati di Mordor? » sospirò affranto stringendo la preso sull’elsa della spada con più decisione. Sicuramente stava facendo un veloce calcolo mentale delle forze che gli erano rimaste e aveva compreso, che non sarebbero state abbastanza, per respingere ulteriori nemici.
« Éomer, gli aiuti arriveranno, non fargli superare nuovamente le mura della città » dissi infiltrandomi nei suoi pensieri, proprio nel momento in cui Bucefalo ci raggiungeva ed io gli saltavo in groppa.
« Cosa hai intenzione di fare? » domandò lui con il respiro pesante « Qualunque cosa tu stia pensano, possiamo affrontarla assieme » mi ricordò poggiandomi la mano libera dalla spada sul  braccio sinistro, avvicinandomi leggermente a sé.
« Fidati di me, io metto fuori gioco quel gigante e voi raggiungete Imrahil alle porte della città» dissi indicando l’enorme bestia, che guidata dai Sudroni, si stava facendo strada verso di noi
« E i corsari? » domandò dubbioso un altro cavaliere che non riconobbi.
« Loro sono i nostri rinforzi » assicurai mentre Éomer sosteneva il mio sguardo, prima di annuire « Mi fido di te » confermò prima di ordinare ai Rohirrim di partire alla carica, prendendo larga la curva così che niente potesse frapporsi tra me e il nuovo avversario. L’Olifante.
 
 
 
Voltai Bucefalo, pronta a caricare nella totale disperazione e solitudine anche quel’Olifante. Non potevo permettere ai Rohirrim di subire ulteriori perdite , anche on l’arrivo dei morti, la situazione non si era semplicemente, magicamente capovolta. Aveva richiesto altre vite ed ulteriori scontri ma stavamo finalmente vedendo la fine del tunnel, perdere altri a cui tenevo proprio ora mi sembrava troppo ingiusto perché io potessi ulteriormente sopportarlo.
Stavo per stringere le ginocchia, incitando Bucefalo al galoppo quando lo notai: l’intera impalcatura che costituiva l’enorme sella dell’animale era stata divelta e adesso solo una figura, i cui capelli risplendevano sotto il sole come una nuova stella, si muoveva sul manto grigio.
Sorrisi, prima ancora di comprendere appieno ciò che stavo vedendo mentre  l’elfo abbatteva da solo il gigantesco animale e scivolava lungo tutta la sua proboscide attendo in piedi a pochi metri.
« Legolas » lo salutai scendendo da cavallo e volando a corsa tra le sue braccia, come se fosse davvero il primo raggio di sole in tutta la settimana, dimenticando per un attimo il pessimo modo in cui ci eravamo salutati mentre lui si voltava verso di me e i suoi occhi passavano dalla confusione alla realizzazione.
« E comunque conta per uno! » urlò il mio nano preferito ad una cinquantina di metri più in là e dovette riconoscermi anche lui poiché lo udii domandare « Valanyar?! » come se non potesse credere ai suoi stessi occhi.
Nel frattempo io stavo già abbracciando l’elfo, con il viso schiacciato contro il suo torace, mentre dietro la sua schiena, le mie mani lo abbracciavano con ancora le spade incrociate. Legolas di conto suo, dovette ritrovarsi completamente spiazzato poiché non dette cenno di voler ricambiare il gesto, mentre le sue braccia restavano semi-aperte, incerte a mezz’aria su cosa dovesse farci.
« Valanyar? » mormorò infine incerto, mentre io ispiravo per l’ultima volta il suo profumo di bosco e muschio, prima di discostarmi da quel contatto.
« Grazie di essere arrivati » mormorai mentre sentivo un fiume di anime passarci vicini, creando il panico tra le linee nemiche, e anche tra quelle amiche, ovunque andassero, uccidendo ulteriori Haradrim nemici.
« Val che ti è successo? » mormorò lui alzando una mano come se volesse poggiarla sul mio volto, ma dovette ripensarci poiché come poco prima, restò a mezz’aria osservandomi come se mi vedesse per la prima volta.
« Legolas io - » iniziai senza sapere come concludere:
- sono così stanca che potrei crollare a minuti?
- sono quasi morta almeno dieci volte?
- mi dispiace aver rischiato che le mie ultime parole per te siano state quelle?
« -io li ho persi. Tutti. Non sono riuscita a salvarli » conclusi infine voltandomi verso la città che ancora in fiamme, aveva bisogno di aiuto, poiché gli invasori non avevano certamente deciso di ritirarsi senza combattere.
Lo sguardo dell’elfo si addolcì, nonostante dovesse ancora provare molta rabbia nei miei confronti, ma evidentemente comprese che una singola parola sbagliata avrebbe potuto farmi crollare, proprio lì, nel bel bezzo di una cimitero da battaglia.
« Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere. Hanno combattuto per proteggere coloro che amavano, perché credevano in qualcosa di più del male di Mordor, non rendere vano il loro sacrificio rendendolo un tuo errore. Il mondo dovrà onorarli » annuii mordendomi forte il labbro inferiore, e facendo qualche respiro profondo mentre Legolas, nonostante quello dovesse essere il peggiore degli aspetti con la quale mi ero presentata dinanzi al perfetto elfo, mi elargiva una carezza leggera come il soffio del vento, mentre on due dita incorniciava il mio viso come se tentasse di sfiorare la superficie dell’acqua, senza infrangerla.
« Ehi piccioncini! » urlò Gimli che doveva averci appena raggiunto, oppure aveva assistito alla mia crisi proprio lì a due metri da me, non potevo saperlo poiché mi sembrava che con la sua presenza, avesse appena scoppiato la bolla di un’altra realtà.
« La non si vince da sola, forza andiamo! C’è ancora molto da fare » ci riprese prima di rigettarsi nella mischia, imitato da Legolas che riprese a correre dietro l’amico, scoccando frecce come se non avesse fatto altro, da quando era nella culla.
«Legolas … Grazie » dissi al vento, certa che l’udito elfico mi avrebbe aiutato a portargli quel messaggio, prima di montare nuovamente a cavallo.
 

 

 
 
I nemici si facevano sempre più radi e per ogni avversario che uccidevo avevo sempre da controllare lo stato di almeno altri tre dei nostri uomini.
I cavalieri Rohirrim giacevano ovunque e nonostante ci fossero anche molti nemici feriti a terra, preferii concentrarmi sui nostri alleati.
La rabbia che avevo avuto in corpo, quella che mi aveva fatto andare avanti per giorni interi, adesso mi stava abbandonando. Ero ferita e malridotta, le mie dita stringevano così forte l’elsa delle mie spade, che temevo non sarei più riuscita a lasciarle e l’adrenalina era oramai un ricordo così lontano, da avermi solo lasciato il fiatone.
Udii un rumore alle mie spalle, una corsa e dei movimenti incerti, non attesi oltre prima di voltarmi, incrociando le lame a mezz’aria pronta a tagliare di netto chiunque fosse il mio avversario, ma le mie lame cozzarono contro una spada che riconobbi, ancor prima della persona che la impugnava.
La spada dei Re, era l’unica lama che riusciva a brillare anche sotto un cielo senza sole e mentre abbassavo lo sguardo sul volto del suo proprietario, trovai lo sguardo di Aragorn, che mi guardava come se non potesse credere ai suoi occhi.
Non faticavo a domandarmi il perché, dovevo avere un aspetto terribile con il viso e i capelli pieni di sangue nemico ed amico. I miei vestiti avevano assunto delle tonalità più scure a causa di tutte le vite che avevo perso in quei giorni e il dolore continuava a volermi trascinare in terra, per paralizzarmi e costringermi ad affrontare le perdite subite.
« Valanyar, sono io, Estel » mormorò il ramingo quando non abbassai immediatamente le mie lame, mi parlò con lo stesso tono e rassicurante con la quale gli parlai io quando scoprì di essere l’erede di Isildur, quando aveva avuto bisogno una certezza nella sua vita e quindi si era diretto subito da me con un randagio che riconosceva il padrone.
Solo in quel momento il randagio ero io e mentre abbassavo le lame, lui doveva averlo capito poiché mi disse esattamente ciò che volevo sentirmi dire:
« Va tutto bene Valanyar, è finita, abbiamo vinto » mormorò invitandomi a lanciare uno sguardo alla mia sinistra mentre voltandomi vedevo gli ultimi nemici di Mordor  battere in ritirata verso il fiume, fuori dai Campi Pellenor  dai Rohirrim o si ritrova messo con le spalle al muro dagli spiriti della montagna.
« E’ finita » disse ancora senza accennare un sorriso, me il suo sguardo si addolciva delicatamente, mentre io finalmente accettavo la realtà e rinfoderavo le mie spade « Abbiamo vinto »
« Vinto? » mormorai guardandomi nuovamente attorno, lanciai un’occhiata alla meravigliosa città bianca, che era ancora pregna di terrore e fuochi che continuavano a minacciarne la stabilità « Non credo» dissi, il prezzo per quella vittoria era stato troppo alto.
 
 
 
 
 




 
 
 
 
Halet¹ = Non ricordo se c‘è anche nel libro(?) Ma comunque è lo stesso nome del ragazzino con cui parla Aragorn al fosso di Helm prima della battaglia. Quindi se il nome vi suona familiare è per questo motiv, ma ovviamente non sono la stessa persona.
 
 
Julwanavun ² =  secondo il traduttore del “Black speach” (La lingua Nera di Mordor) significa letteralmente “Unwanted” quindi Indesiderata.
 Valanyar ha vinto un altro nome, fatele gli auguri ;) Ci tiene particolarmente a riceverne 28 tipo Aragorn, peccato che questo lo usino i nemici quindi a noi ci importa il giusto.
Tengo comunque a precisare che invece il Re stregone la chiama semplicemente “mortale” perché non la ritiene degna di nessun altro appellativo. [Ma d’altronde lui aveva Éowyn di cui preoccuparsi altro che Val ;)]
 
 
Khamûl³ = Il secondo nazgûl più potente. E’ quello che alla “sconfitta” del Re Stregone, guida poi il restante esercito di Mordor e lo stesso che parla con Valanyar prima di uccidere Forlong.
 




 
NdA : Che c’è? Perché mi guardate male? E’ venerdì ed io ho postato di venerdì, tutto regolare u.u
*Finge ignoranza spudoratamente*
Mi scuso però, perché anche se ho avuto tempo per scrivere e correggere, molti errori mi sono sicuramente sfuggiti, avevo previsto di fare due capitoli, ma poi ho unito tutto in uno (venticinque pagine xD) però in settimana cercherò di correggere tutto il capitolo al meglio. Volevo solo evitarvi di darmi per dispersa^^’
Ma tornando a noi…
Allora avete pianto? Almeno un pochino per qualcuno di loro!?
Lo spero, non perché sono sadica ma perché spero che a quel modo si comprenda meglio il crollo mentale alla quale è andata incontro Val durante i giorni dell’assedio.
E se avete pianto, vuol dire che almeno un po’ vi eravate affezionati ai personaggi, nonostante la breve apparizione.
Personalmente, ho quasi pianto scrivendo la scena di Théoden e mi chiedo se qualcuno di voi credeva, che si sarebbe salvato grazie ad Aiantcuil ;)
Eh… siamo sempre più vicini alla fine, i capitoli si contano su una mano sola! Ma così vicini … Che ho già scritto l’epilogo! :P
 
A presto <3

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


▌ Capitolo 18  ▌
 
 











 
 
 
« […] In un’altra vita, sarò la tua ragazza
Manterremo le nostre promesse e saremo noi due contro il mondo.
In un’altra vita, farò in modo che tu possa restare
Così non dovrò dire che sei stato tu, ad andartene [...]»
 
_ The One That Got Away _ Katy Perry
 
 
 






 
 
Non partecipai alla liberazione dei morti.
Osservai da lontano Aragorn che rispettava il suo giuramento, nonostante il giudizio contrario di alcuni presenti.
Non me ne stupii, anche se non avessi già saputo che si sarebbe comportato a quel modo lo conoscevo troppo bene per non sapere, che ogni giuramento con lui veniva rispettato. Era un uomo d’onore.
Dopodiché, gli dissi di recarsi presso la casa della guarigione, o meglio a palazzo, nell’ala riservata a Boromir dove i curatori erano stati messi al riparo, lì avrebbe potuto aiutarli con la sua conoscenza e avrebbe potuto creare degli ospedali da campo più vicini ai tanti feriti di Gondor, senza dover affaticare i soldati a percorrere tutte quella strada.
Io restai assieme ai cavalieri di Éomer e agli uomini di Imrahil, per dedicarci all’unico compito oramai restatoci:
« Un ferito! »
« Anche qua, due soldati hanno perso coscienza! »
« Presto portate un carro abbiamo dieci cadaveri! »
« Questo non ce l’ha fatta »
« Neanche lui »
« Questi tre neppure »
« Altri cinque cavalieri di Rohan morti » dissi togliendo le dita al collo dell’ultimo soldato. I loro corpi erano ancora caldi, quindi li avevamo mancati per  poco, ma non avevo neppure più la forza di arrabbiarmi.
Nessuno di noi ne aveva più, oramai il conteggio delle perdite, andava avanti da ore.
« Gwend, sei a pezzi dovresti andare a riposarti » mi invitò gentilmente Éomer alla mia sinistra. Anche lui aveva appena chiuso gli occhi ad un fante di Minas Tirith, lo aveva trovato che respirava ancora, ma essendo costretti a dare la priorità ai feriti meno gravi non ce l’aveva fatta.
Il futuro Re di Rohan non aveva potuto fare nient’altro per quel giovane, se non, non lasciarlo morire da solo.
« Non credere che non sappia quanto sia stanco te ragazzino. Sono cinque giorni di marcia da Edoras a qui. Riposerò, quando anche gli altri potranno farlo » mi limitai a commentare portandomi di fianco a lui e osservando assieme le pianure che pullulavano di cadaveri.
« Erkenbrand, è rimasto indietro vero? » domandai con voce spenta mentre camminavamo lungo la distesa di corpi, aiutandoci a vicenda per spostare da una parte i nostri caduti.
« Sì, inizialmente voleva venire ma, sembra che tu gli abbia consigliato di seguire gli ordini del Re » rispose accennandomi un sorriso incerto. Non aveva ancora saputo di Éowyn quindi per lui adesso il dolore più grande riguardava suo zio e considerando le perdite subite da Rohan mi sembrava un peso sufficiente.
Speravo che non mi avrebbe portato rancore, una volta scoperte le condizioni di sua sorella. Sapevo che Éowyn era forte, e non era in pericolo di vita in modo imminente. Ma era tutto ciò che era rimasto ad Éomer.
« Mi chiedo se sia riuscito ad impedire la fuga di Saruman » soppesai voltandomi verso Isengard anche se da dove eravamo, non potevamo scorgerne neppure l’alta torre.
« Forse gli hobbit gli daranno un filo da torcere migliore di quel che pensi » commentò lui dandomi una lieve pacca sulla spalla in modo consolatorio.
« Gli hobbit? Hai conosciuto Merry e Pipino, non sono creature nate per la guerra »
« Merry è diventato uno scudiero di Rohan nell’ultima battaglia. A dispetto di ogni mio miglior giudizio » commentò lui stupendomi che lo sapesse. In breve mi raccontò che Théoden stesso aveva garantito per l’hobbit, e che uno dei cavalieri si era offerto per portarlo in battaglia con sé.
« E’ vero, perché tu dubitavi della portata del loro braccio » aggiunsi ricordando che nella storia, Éomer aveva avuto molte battute infelici per i mezzuomini. E le donne, ma la situazione era migliorata molto da allora.
« Un grave sbaglio » confermò facendomi l’occhiolino.
« Non sai ancora quanto grande » confermai imitando il suo mezzo sorriso, prima di tornare alla nostra ingrata missione.
 

 
 

 
Quando alla fine mi fu concesso di dormire. Crollai.
Per un giorno e due notti non riaprii gli occhi. I miei sogni furono pullulati da incubi, i volti amici che avevamo perso durante l’assedio mi perseguitarono ma nonostante non volessi fare altro che svegliarmi, e lasciarmeli alle spalle, il mio corpo aveva tutt’altra idea.
E quando infine mi svegliai la mia prima destinazione, fu la casa della guarigione.
Sapevo che lì avrei probabilmente trovato anche Aragorn, impegnato ad aiutare Éowyn e Boromir poiché le mani di un Re erano le mani di un guaritore, ma io non mi stavo dirigendo lì per lui.
Avevo scoperto parlando con delle guardie della cittadella a colazione, che uno di loro sposato era sposato con una delle curatrici e che quest’ultima, aspettava un figlio.
Dopo tante ore a rivivere la morte di Halet, mi sentivo in dovere di andare a controllare che i suoi familiari stessero bene come primo ordine del giorno.
« Voi siete Gwend, vi conosco, cercate il Capitano Boromir? » mi domandò con un sorriso appena accennato. I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle ma scuri come quelli del fratello e i suoi occhi avevano una sfumatura di ambra così intensa da farmi ricordare le chiome dorate degli alberi di Lothlòrien. Nonostante la stanchezza che gli segnava il viso, era facile riconoscerne la bellezza. Un uomo fatto e finito, non ancora acerbo a causa della giovane età.
« No sono venuto per voi,  siete il fratello di Halet non è vero? » domandai andando dritta al punto.
« Voi …  Conoscevate mio fratello? » domandò sgranando leggermente gli occhi, evidentemente sorpreso.
« É morto tra le mie braccia, volevo, volevo sapessi che è morto da eroe. Il suo ultimo pensiero è stato rivolto a te e alla tua famiglia »
« Vi ringrazio » mormorò abbassando lo sguardo verso il pavimento, per poi rialzarlo su una delle guaritrici alle sue spalle. La ragazza era qualche anno più giovane di lui e doveva essere circa al sesto mese di gravidanza.
« Sarei dovuto andare io quando i rinforzi sono stati richiamati in città io … Io dovevo andare, era il mio compito » confessò riportando gli occhi nei miei « Ma Halet me lo ha impedito, ha detto che avevo un figlio in arrivo e che mia moglie mi avrebbe pianto e che aveva bisogno di me ed io ... Ed io come un codardo l’ho lasciato andare.
I soldati dicono che voi siate un grande guerriero Gwend, e allora ditemi, cosa dice questo di me? Ho lasciato che mio fratello minore morisse per me, è davvero così che si protegge una famiglia? » i suoi occhi ora brillavano, e le sue palpebre erano così scure e incavate da rivelarmi che negli ultimi giorni non doveva aver dormito che poche ore. Forse proprio per aiutare più persone possibili, come se ciò avesse potuto rimediare alla scelta che era stato costretto a compiere.
« Qual è il vostro nome? »
« Hama mio signore » mormorò con lo sguardo basso e le mani giunte dinanzi a sé.
« Un soldato si riconosce dalla sua forza nel raccogliere la spada ed andare nel campo di battaglia. Alcuni direbbero che è quello il vero coraggio, essere ricordati nei miti e nelle leggende come un grande condottiero. Ma è per i nostri figli che combattiamo quelle guerre Hama, forse il tuo nome non verrà ricordato nella storia, ma verrà pronunciato da tuo figlio per chiamarti giorno dopo giorno.
Halet ha fatto sì che tu potessi sfruttare il tuo coraggio per qualcosa di altrettanto eroico, essere un buon padre e con i tempi che corrono, non è poca cosa » gli assicurai poggiandogli una mano sulla spalla e stringendo forte.
L’uomo alzò lo sguardo nel mio, con le lacrime che oramai scendevano copiose lungo le sue guancie rivelando tutto il dolore che si era portato dentro negli ultimi giorni. Mi abbracciò con impeto ed io non potei fare a meno di ricambiare mentre lo stringevo con tutte le mie forze sperando potesse ancorarsi a qualcosa di reale a questo mondo.
Mentre Hama piangeva, con il suo volto incassato nell’incavo della mia spalla, i miei occhi incontrarono quelli della fanciulla che doveva essere sua moglie.
« Grazie » mormorarono le sue labbra anche se non potevo udirla da quella distanza. Sorrisi amaramente, pensando che nonostante il mondo avesse perso un ragazzo valoroso, Halet aveva saputo il fatto suo nonostante la giovane età.
Per alcune cose valeva proprio la pena morire.
 


 
 

 
La mattinata nelle stanze della guarigione fu prolungata di malo modo dall’arrivo di Pipino che mi richiamò da un’altra parte dell’ala, dove evidentemente avevano bisogno di me.
Seguii il giovane hobbit, scoprendo con mio enorme disappunto che il vecchio Sovrintendente aveva dato di matto e che ora era stato isolato in una stanza.
Impiegammo meno di un minuto a raggiungere gli altri, che in un piccolo semicerchio, si affacciavano all’interno della stanza, imitai il giovane hobbit, andandogli dietro ed avvicinandomi a Gandalf e Faramir, mentre Denethor dinanzi a me sedeva in un angolo, con le braccia avvolte attorno alla sfera di Anor come se ne dipendesse la sua stessa vita.
« Sei qui dunque, anche tu, vuoi portarmela via non è vero? Vai a dire che sono pazzo! Ma non lo sono! Io lo sapevo! Lo sapevo! Ed ho perso tutto … Tutto! Oh Boromir, il mio adorato figlio Boromir. Perduto. Perduto… » mi urlò contro non appena i suoi occhi incrociarono i miei. Ma none ro certa che riconoscesse veramente chi fossi, poiché i suoi occhi erano iniettati di sangue e sibilava verso chiunque facesse un passo in più nella sua direzione.
Come sempre, Denethor era sordo a qualunque altra voce, specialmente a quella di Faramir che inutilmente, cercava di fargli ritrovare la ragione.
« Valanyar? » mi richiamò Gandalf con gentilezza. Alzai lo sguardo sul vecchio stregone che mi guardava con il suo sorriso così caratteristico, che lo faceva assomigliare ad un anziano affettuoso e ad un vecchio amico al tempo stesso.
« Tu puoi salvarlo » aggiunse indicando con un cenno del viso Denethor.
Spostai lo sguardo sul sovrintendente.
Per una volta, forse in tutta la sua esistenza, adesso l’uomo mi faceva davvero pena.
Dopo la battaglia si era già aggirato per il palazzo in stato confusionale, con il palantir tra le mani, urlando suppliche senza senso e spaventando i suoi stessi sudditi. Era stato infine portato dalle guardie nell’infermeria per prendere un calmante o simile ma invece,  lì aveva ricevuto il colpo di grazia.
Vedere Boromir sanguinante e cadaverico, steso su una branda e senza un braccio per lui era stato troppo. La sua mente non aveva retto al peso di tutti quei terribili presagi e probabilmente credendo il suo stesso figlio preferito perduto per sempre, una parte di lui era morta veramente.
« Aiantcuil » aggiunse Gandalf probabilmente credendo,che non fossi riuscita a seguire la sua linea di pensiero « Può curare le ferite più mortali e tra queste, anche quelle della mente » mi spiegò poggiandomi una mano sulla spalla con fare fraterno mentre adesso avevo sempre più occhi addosso, carichi di aspettativa.
Toccai con la mano sinistra la gemma, sovrappensiero. Nonostante le fiaccole alle pareti ci consentissero una luce quasi fioca, la lacrima brillava come se fosse stata esposta al sole.
Abbassai lo sguardo sul gioiello, osservandolo ma senza davvero vederlo prima di prendere parola , la lacrima di Mithril fremette, come in assenso ai miei pensieri.
« Non userò Aiantcuil su Denethor, troppi che meritavano di vivere sono caduti. Usarla su di lui? Sarebbe uno schiaffo in faccia alle loro gesta » risposi decisa alzando gli occhi sullo Stregone.
Lo sguardo di Gandalf vacillò, come se avessi reagito in un modo che non aveva previsto, e probabilmente era così.
Avevo sempre cercato di fare la scelta giusta, migliore, e spesso questo significava una scelta sulla stessa linea di pensieri dello stregone, ma evidentemente oggi non era così.
« Valanyar » mi chiamò Aragorn facendo qualche passo verso di me « Gondor ha perso molto, potresti ridare speranza al suo popolo. Denethor non è stato un cattivo sovrintendente  » intervenne il futuro Re.
Il silenzio calava pesante, gli occhi di tutti parevano ora giocare un match di ping-pong  tra me ed Aragorn mentre io scoprivo di non essere arrabbiata, come ero certa sarei stata giorni addietro, dinanzi una proposta simile.
« Ma neppure il migliore. Ha fatto le sue scelte, e le sue scelte lo hanno portato a questo » dissi indicandolo con un cenno del mento « Non merita la mia pietà, né la tua »
« Da quanto, hai deciso che potevi assumerti il ruolo di giudice, giuria e carnefice Valanyar? » domandò Gandalf di fianco a me, rivolgendomi uno sguardo deluso « Non permettere alla rabbia di guidare le tue gesta, sei migliore di così » aggiunse nuovamente con un sorriso affabile che non ricambiai.
Sapevo che stavo venendo giudicata, e sapevo che qualunque fosse la prova che Mithrandir mi stava affidando, non l’avrei superata se non avessi accettato di aiutare Denethor.
Lo stregone davanti a me, non era Gandalf il grigio, l’amico di una vita che mi seguiva nelle gite a casa Baggins perché la mia vicinanza era “interessante”. No, quello dinanzi a me era Gandalf il bianco, lo stregone saggio che si aspettava che io seguissi i consigli che mi venivano dati.
« Aiantcuil è stato affidato a me, e mia è dunque la decisione. La mia risposta, è no » ribattei decisa, sostenendo il suo sguardo senza neppure batter ciglio mentre aspettavo che la realizzazione prendesse forma nei suoi occhi. Quando mi ritenni soddisfatta mi voltai ed uscii dalla stanza, la discussione per quanto mi riguardava si era conclusa lì, se non erano d’accordo potevano provare a togliermi Aiantcuil nel sonno.
Non era affar mio, come desideravano perdere un arto.
 
 
 
Uscii dal palazzo, ritrovandomi involontariamente a passeggiare fino al bianco albero dei Re.
Mi sedetti nella sua prossimità in una delle panchine, il bocciolo che giorni prima era ancora chiuso e quasi invisibile, oggi aveva tanti piccoli amici. Nessuno di loro era ancora però, pronto a schiudersi.
« Credi anche tu, che avrei dovuto aiutare il sovrintendente? » domandai senza neppure voltarmi.
Non ce ne era bisogno, sapevo perfettamente chi fosse poiché, non lo avevo sentito arrivare, ma mi era semplicemente apparso accanto come se i suoi passi non procurassero  rumore alcuno.
« Al contrario, non posso negare che ne sarei rimasto deluso » mi voltai verso Legolas, inclinando leggermente il viso all’insù per poter raggiungere il suo sguardo.
Era in piedi, di fianco alla panchina di marmo con le braccia conserte, e lo sguardo perso, come me poco prima, lungo la chioma spoglia dell’albero bianco.
Effettivamente, nessuno probabilmente poteva capire meglio di Legolas il mio desiderio di non usare con avventatezza il potere di guarigione che mi era stato donato da suo padre.
Sua madre, non ne aveva approfittato, decidendo così di svanire per sempre da questo mondo, lasciando la sua famiglia nel dolore della sua perdita.
Era stata disposta a tanto, perché aveva ritenuto che altri avessero potuto averne diritto più di lei. Usarlo sul sovrintendente a confronto, mi appariva così indegno da farmi rabbrividire.
« Allora, puoi sederti con me » lo apostrofai con un sorriso. Legolas si voltò, illuminando anche lui l’intera piazza, con un’espressione allegra e spensierata che non era facile vedergli in volto. Almeno non per me.
« Ne sarei onorato, ma Aragorn mi ha mandato a chiamarti. Non voleva discutere di Denethor, bensì di Mordor »
« Ah la guerra, per un attimo me ne ero dimenticata » risposi con finta leggerezza alzandomi in piedi.
« Davvero? » domandò l’elfo porgendomi il suo gomito come se fossi nuovamente una fanciulla di Imladris.
« No » risposi più sincera, ma molto meno amara mentre tornavamo senza fretta dentro il palazzo e poi, verso la sala dei Re.
 

 
 
 
 
 
« Frodo è passato oltre la mia vista, l’oscurità sta aumentando » mormorò Gandalf distogliendo lo sguardo dalla finestra, per voltarsi verso tutti noi, avvicinandosi e sfruttando il suo bastone, come un vero vecchio. Caricandoci sopra il proprio peso e sospirando ad ogni passo, come se l’ultima battaglia lo avesse decimato di ogni forza.
« Se Sauron avesse l’anello, lo sapremmo » gli fece presente Aragorn. Gli era stato offerto il trono per sedersi, ma aveva ovviamente rifiutato, optando invece per stare spalla a spalla con me, poggiato alla colonna dove avevamo la visuale dell’intera sala.
«E’ solo una questione di tempo. Ha subito una sconfitta sì … ma dietro le fila di Mordor il nostro nemico, si sta riorganizzando » spiegò lo stregone avvicinandosi alla panca sulla quale sedeva Boromir e accomodandosi ad un passo dal Capitano di Gondor.
Il fratello di Faramir non aveva una bella cera, era più bianco delle bende che gli avvolgevano il braccio monco e il dolore, avrebbe dovuto costringerlo a letto, ma ovviamente aveva voluto far parte della riunione. In fin dei conti, era l’autorità più alta di Gondor adesso che suo padre era, indisposto .
« Che rimanga lì! Che marcisca, perché interessarcene? » sbuffò Gimli con la lunga pipa ancora tra le labbra. Il nano si era accomodato sul trono del sovrintendente. Boromir inizialmente sembrava aver avuto da ridire, ma qualunque obbiezione avesse avuto in merito, se l’era tenuta per sé.
Faramir invece, aveva avuto per il nano solo uno sguardo divertito.
« Perché migliaia di orchi si trovano tra Frodo e il Monte Fato. L’ho mandato alla morte » commentò avvilito Gandalf, alzano i suoi occhi su di me. Era triste ed afflitto, come se riservasse lo stesso rammarico anche per la mia sorte, oltre che per quella dell’hobbit.
O forse dopo il nostro ultimo diverbio, stavo iniziando ad immaginarmi le cose.
« Frodo può farcela. Assieme a Sam, hanno bisogno di passare inosservati attraverso le pianure di Gorgoroth. Hanno bisogno di un diversivo che attiri dalla parte opposta lo sguardo del Grande Occhio e questo, possiamo darglielo noi » dissi accennando un sorriso fiducioso verso Gandalf, sperando ritrovasse la determinazione necessaria, per affrontare la prossima battaglia e che almeno un po’, mi perdonasse.
« Tu vuoi marciare sul nero cancello » intuì Boromir guardandomi di sottecchi, il suo sguardo era colmo di dolore ed odio. E me lo meritavo, sapeva come me, chi sarebbe stato richiamato alle armi e a marciare su Mordor:
Gli uomini di Gondor.
« Gwend, non possiamo farcela » commentò Éomer da qualche metro più in là, guardandomi preoccupato.
« Non combatteremo per la vittoria amico mio, non per noi stessi  almeno » gli feci presente cercando di rincuorarlo con il mio sguardo .
« Ma potremmo dare a Frodo una possibilità, se tenessimo l’Occhio di Sauron fisso su di noi » mi venne dietro Faramir, comprendendo il mio piano. Annuii mentre Aragorn aggiungeva :
« Renderlo cieco ad ogni altra cosa che si muove… »
« Un diversivo » confermò Legolas accennando finalmente un sorriso, da quando avevamo iniziato quella cupa discussione.
« Certezza di morte. Scarse possibilità di successo … Che cosa aspettiamo? » sbuffò Gimli strappandomi un sorriso involontario, imitata anche da Faramir ed Aragorn.
« Sauron sospetterà una trappola, non abboccherà all’amo » ci fece presente Gandalf mentre  l’ex ramingo al mio fianco faceva un passo avanti, proponendo allo stregone la sua idea.
« Oh io credo di sì, Valanyar ha detto che Sauron usava il palantir per manovrare ciò che poteva vedere Denethor. Potremmo usare quel canale di comunicazione a nostro vantaggio » si voltò verso di me « Hai detto che Sauron crede che Faramir abbia portato l’anello a Minas Tirith, avrà sicuramente saputo del mio arrivo, crederà che adesso, l’anello sia in mano mia » conclusa quasi trionfante.
« Non mi piace che tu utilizzi quell’affare, non dopo come ha ridotto quel vecchio » mormorò Gimli senza alcun umorismo, sistemandosi meglio nella sua seduta reale, evidentemente contrario all’idea di Aragorn.
« Gwend potrebbe farlo, ha già affrontato il palantir » disse Boromir indicandomi con il mento. Distolsi lo sguardo dal Capitano, sentendomi immediatamente a disagio poiché non desideravo affatto ripetere l’esperienza, e non mi piaceva lo sguardo che il Capitano di Gondor, continuava a rivolgermi di sottecchi.
« Ha ragione Aragorn, deve farlo lui. Sarebbe molto più efficace » disse Gandalf prendendo parola e distogliendo l’attenzione di tutti da me, facendomi tirare un sospiro di sollievo, mentre ringraziavo mentalmente l’anziano mago.
« E dunque, una nuova guerra sia » mormorò amaramente Boromir sottovoce, trovando lo stesso sconforto in ognuno di noi poiché sarebbe toccato ai presenti, informare gli uomini del passo successivo.
Un nuova battaglia, significavano nuove perdite non importava per quale causa lo stessimo facendo. Non era mai una bella notizia.
 
 

« Ho un compito per te amica mia » mi si avvicinò Gandalf mentre Aragorn prendeva congedo da tutti noi, andando a “conversare” in privato con Sauron accompagnato da Gimli e Faramir, che probabilmente lo avrebbero aiutato a recuperare la Sfera di Amor dalle mani di Denethor.
« Come sempre » commentai accennando un mezzo sorriso mentre le mie dita accarezzavano delicatamente il gioiello che tenevo in mano. Era il ciondolo di Arwen, quello che la Stella del Vespro aveva donato anni prima ad Aragorn.
Non avevo dovuto insistere a lungo perché il futuro Re me lo lasciasse, ultimamente non chiedeva più motivazioni in merito alle mie azioni, si limitava ad assecondarmi con un sorriso, ricordandomi sempre di più il bambino che avevo conosciuto settant’anni prima a Gran Burrone.
« Ho saputo del tuo scontro con uno dei nazgûl e Boromir mi ha detto che persino il Re stregone ti ha parlato come se quest’ultimo ti conoscesse »
Annuii, lanciando un’occhiata distratta a  Boromir, che ci stava evidentemente ascoltando. Ero stupita che fosse rimasto cosciente a sufficienza da comprendere il nostro scambio di battute.
« Lo spettro lo ha chiamato Khamûl, so che è il secondo nazgûl più potente. É quello che ora prenderà il comodando delle fila di Mordor dato che il Re Stregone è stato sconfitto da Éowyn » commentai spostando lo sguardo su Éomer, che si era immediatamente irrigidito, sentendo il nome della sorella ferita.
« Quel nazgûl, mi ha chiamato Julwanavun » aggiunsi scrollando le spalle, non avendo idea di cosa significasse. Avevo solo intuito che era una parola della lingua nera di Mordor.
« Si riferiva a Gwend, come se lei fosse stata un’alternativa, l’ha definita “una scelta migliore” » aggiunse Boromir mentre Legolas si avvicinava a noi, con un’espressione evidentemente preoccupata.
« Migliore rispetto a chi? E cosa vuole da Valanyar? » domandò immediatamente l’elfo, poggiando incosciente una mano, sull’elsa della spada, come se dovesse mettersi a combattere da un momento all’altro.
« Questo non possiamo saperlo con certezza » rispose Gandalf con un mezzo sorriso che significava, che aveva qualcosa di molto di più di una semplice ipotesi, ma non l’avrebbe condivisa con nessuno dei presenti fino a quando non ne avesse avuto l’assoluta certezza.
« Vorrei che tu, ti occupassi di trattenere il nazgûl in caso dovesse scendere in battaglia » aggiunse poi Gandalf, facendo esplodere una mini-sommossa  tra gli uomini presenti, mentre io tacevo, cercando di digerire la notizia.
« Mithrandir non può chiederle questo! Sarebbe una follia! » intervenne Legolas facendosi ancora più avanti di qualche passo.
« Almeno ci permetta di aiutarla! Posso combattere assieme a Gwend » aggiunse Éomer.
« Ed io con loro! » si unì immediatamente Pipino mentre lo stregone scuoteva il capo.
« Ognuno di voi, avrà il proprio compito, questo, non può riguardarvi » si limitò a commentare Gandalf mentre io deglutivo a forza, sperando che la paura non trapelasse dai miei occhi come la sentivo scorrere nelle mie vene.
Incrociai nuovamente lo sguardo di Boromir, i cui occhi ora erano così in lutto, che sembrava gli fosse morto qualcuno davanti agli occhi. Come se la mia vita fosse stata precariamente appesa ad un filo fino a quel momento, e il bianco stregone avesse appena deciso di tagliarlo di netto.
« Allora amica mia, puoi farlo? » domandò di nuovo con un tono di voce caldo, come quella di un nonno amorevole. Come se non mi stesse praticamente condannando a morte certa.
« Ma certo Gandalf » gli assicurai stringendo i denti, e imprimendomi in viso una maschera impassibile, mentre annuivo con un finto sorriso ad incorniciarmi il volto.
 


 

 
 
«Posso parlarti? » domandò Legolas.
« Certo » confermai con un sorriso, mentre lo invitavo ad accompagnarmi nella mia passeggiata. Certo non vi erano paesaggi naturali come in un regno degli elfi, ma Minas Tirith era senza dubbio stupenda e potendo girare tra la gente, era facile trovare un modo per distrarsi ed essere d’aiuto al popolo di Gondor.
Mi faceva sentire utile.
« Il nazgûl, è un nemico troppo potente, neppure i migliori soldati elfici sono mai riusciti a sconfiggerlo tu … Non puoi farcela » commentò dopo qualche secondo di silenzio.
Mi voltai verso di lui, continuando a camminare con disinvoltura al suo fianco.
Leggere Legolas, era diventato così semplice nelle ultime settimane: la mascella irrigidita, le dita delle mani che si muovevano in veloci piccoli scatti, come se cercassero di resistere alla tentazione di chiudersi a pugno, e soprattutto, il suo sguardo era distante, come se non volesse incrociare il mio di proposito.
Era preoccupato, era evidente.
« So di non avere alcuna possibilità di sconfiggerlo. Come lo sa Gandalf. » tentai di rassicurarlo addolcendo il mio tono « Mithrandir vuole solo far sì che lo trattenga, sfruttando a nostro vantaggio l’interesse che ha mostrato per me durante l’assedio » aggiunsi cercando di non mutare in alcun modo il tono della mia voce.
Volevo rassicurarlo e non fargli capire quanto in realtà, anche io fossi terrorizzata all’idea di affrontare il nazgûl. Durante l’assedio ero sopravvissuta ad entrambi gli scontri per puro miracolo.
« Gli spettri non sono creature che si possono semplicemente “sfidare” senza conseguenza Valanyar. Le persone che sopravvivono a simili incontri si contano sulle dita di una mano. E nessuno ne esce mai indenne! Guarda come è finita con Boromir! »sbottò Legolas agitato. Si fermò sul bordo della strada, ad un passo delle mura basse e si voltò verso di me.
«Legolas cosa vuoi che ti dica? E’ una guerra, siamo tutti in pericolo e tutti potemmo morire da un giorno all’altro » risposi con un scrollata di spalle, che sembrò solo farlo arrabbiare di più.
« Ma perché proprio te! Perché hai accettato? Perché gli permetti di trattarti come un'immortale quando sei la più fragile di tutti noi? Ti sei forse dimenticata che l'ultima delle sue spedizioni ti ha quasi uccisa?! » mi urlò quasi in viso.
Per chiunque altro, forse sarebbe apparso semplicemente un po’ alterato, il suo tono di voce non era certo così alto e la sua posa non era minacciosa ma io potevo vederlo con estrema facilità poiché avevo imparato molti anni prima a leggere gli elfi.
Legolas era furioso, avrebbe potuto ridurre Minas Tirith al suolo con la sola forza datagli dalla sua stessa rabbia.
« Perché io devo tutto a Mithrandir, ed è qui che risiede la mia fedeltà vorrei che tu lo accettassi » ribattei in tono neutro, rifiutandomi di lasciarmi intimidire dal principe di Mirkwood.
« Cosa farai quando uno di questi giorni ti chiederà di saltare nelle stesse fauci del Monte Fato?! » soffiò nuovamente lui facendo vari passi verso di me, sostandomi ad un palmo dal naso e sfruttando la differenza di altezza tra di noi, per troneggiare su di me.
« Gli chiederò da quanto in alto » risposi senza batter ciglio e concedendogli solo un’ultima e fredda occhiata prima di voltarmi e andarmene.
 
 

 
 
 

Aiutare la gente di Minas Tirith fu per me un ottimo passatempo, mi permise di ignorare tutti i miei problemi, futuri ed attuali che fossero e mi resi utile.
Quando il sole tramontò oltre le mura, mi ritrovai ad ammirarlo da dove, vari giorni prima avevo guidato la guarnigione di Osgiliath durante l’assedio.
« Voi siete Gwend non è vero mio signore? » domandò una voce alle mie spalle che mi costrinse a voltarmi abbandonando la vista dei Campi Pellennor .
« Chi chiede di me? » dissi quando incrociai lo sguardo del soldato che mi aveva rivolto parola.
Era a pochi passi da me, e alle sue spalle vi erano almeno una sessantina di uomini, alcuni sembravano appena usciti dall’infermeria dubitavo però, che avessero ottenuto il permesso di una guaritrice.
Mi chiesi distrattamente se forse non avrei dovuto allarmarmi, tutti i soldati erano armati e mi stavano accerchiando, come una pozza d’acqua scura lungo le mura della fortezza. Ma nessuno di loro aveva uno sguardo ostile: vi era tanta stanchezza sì, e tristezza , e rassegnazione, ma nessuna rabbia.
Perlomeno non ne miei confronti.
« Sono Galahad¹ mio signore, vengo dalle Colline Verdi, dove il mio signore ci guidava con giustizia. Questi sono alcuni dei suoi uomini, quelli che ancora possono combattere. E loro invece- » disse indicando gli uomini che gli restavano  più sulla sinistra con armi e vestiti differenti ed un chiaro stemma sui pochi scudi presenti.
« Voi siete gli uomini di Forlong » mormorai riconoscendo il simbolo del Lossarnach.
Uno dei più anziani annuì senza però proferire ulteriore parola, così tornai a guardare il giovane che aveva preso parola inizialmente.
« Cosa posso fare per voi? » domandai stupidamente.
Come se davvero avessi potuto aiutarli in qualche modo, ero riuscita a mala pena a non morirci io nell’assedio di Minas Tirith. Mentre i loro signori, uomini giusti e coraggiosi, erano periti sotto i miei occhi senza che io potessi aiutarli.
« Il Re mio signore, o meglio il futuro Re, vostro fratello credo. Ha detto che intende partire per attaccare il nero cancello con le nostre ultime forze non è vero? » domandò abbassando per un attimo lo sguardo sulle mani che stringevano con forza la cintura di cuoio che gli teneva il fodero della spada.
« Non dovete sentirvi obbligati ad andare, siete assolti da ogni dovere. Gondor vi deve la sua lealtà e sarete ricompensati per ciò che avete fatto.
Il richiamo alle armi del Re, non era diretto a voi, potete restare e rimettervi in forze » mi affrettai a dire rendendomi conto che Aragorn si doveva essere attirato non poco odio per la sua dichiarazione.
I comandanti potevano capire la sua posizione, ma le persone comuni, le donne, i bambini e gli stessi soldati ? Come potevano comprendere quel nuovo Re che arrivava dal nulla e gli chiedeva di andare incontro a morte certa?
Di nuovo.
 « No mio signore noi vogliamo venire, vogliamo combattere » intervenne il giovane. Il suo sguardo era ancora intimorito ma adesso era deciso, come se avesse afferrato qualcosa di importante e non era più intenzionato a lasciarsela scappare.
« Allora cosa? » domandai incerta, cercano una risposta negli occhi di quegli uomini, guardandoli uno per uno, alla ricerca di una risposta.
« Vorremmo che foste voi a guidarci in battaglia. Voi eravate assieme ai nostri signori nei loro ultimi istanti, voi avete combattuto assieme a loro e- »
« E non ho potuto salvarli » lo interruppi stringendo così forte i pugni lungo i fianchi, da far penetrare le unghie nei palmi delle mani « Ero sempre lì, ad un passo da loro e non … non ho potuto … No, non sono stato in grado -»
« Non era compito vostro la sicurezza del Signore del Lossarnach, non insulti a quel modo il nostro signore. Forlong era un grande guerriero. Non aveva certo bisogno che qualcuno gli facesse da balia, ha fatto ciò che ci si aspettava da lui, ha combattuto fino all’ultimo, per un amico. Vi chiedo, Gwend, di rispettarlo questo » si intromise l’anziano che poco prima non mi aveva riferito parola limitandosi ad annuire. Gli uomini al suo fianco e  alla sinistra di Galahad annuirono con lui, guardandomi con determinazione.
« Avete perso i  vostri uomini nell’assedio, e sappiamo che Mithrandir vi ha affidato un compito importante. Portateci con voi, guidate le nostre spade e assieme, vendichiamo i nostri compagni caduti » aggiunse il vecchio facendo un passo avanti nello stesso istante in cui lo faceva anche Galahad.
Entrambi tirarono fuori le proprie spade e le presero con entrambe le mani, allungando le due lame verso di me, come se volessero cedermele.
Li scrutai nuovamente tutti, guardandoli uno per uno, ma neppure il soldato più malridotto abbassò il suo sguardo e così, annuii.
« Sarà per me un onore » accettai posando una mano su ognuna delle due spade che mi erano state offerte, senza davvero prenderle ma solo sfiorandone con i polpastrelli la lama.
 
 
 
 
 

Avevo deciso di andare a cercare Legolas.
O meglio, ero alla ricerca di Aragorn che avrebbe avuto degli ottimi consigli da darmi, prima di indirizzarmi verso l’elfo.
Invece, mi ritrovai a fare quasi un salto all’indietro, prima di svoltare l’angolo, riconoscendo fin troppo bene la voce che parlò pochi metri più in là:
« E’ davvero così difficile credere che io possa tenere a lei?- » domandò Legolas mentre io mi spostavo ancora di più dentro l’insenatura del muro, nascondendomi meglio tra le ombre della sera.
« -A volte credo che vederla morire, potrebbe uccidere anche me » aggiunse flebilmente mentre io portavo una mano davanti alle labbra per impedire allo stupore di lasciare la mia bocca.
« Oh mello-nim » mormorò Aragorn con un sospiro.
Potevo quasi vederlo, mentre poggiava una mano sulla spalla dell’elfo « Nessuno si aspetta che un tramonto ricambi la nostra ammirazione » disse l’uomo come perso in un emozione che in qualche modo era anche sua.
« Cosa intendi dire? » domandò Legolas come un sussurro.
« Quando Arwen mi ha rivelato di ricambiare il mio amore io ho provato molte sensazioni.
Una tra queste, era la negazione. Non riuscivo a credere che un essere tanto meraviglioso potesse concedere più di un oncia della sua attenzione ad un mortale come me, figurarsi amarmi. Mi ci è  voluto del tempo per accettarlo davvero, nonostante la totale felicità che le parole di lei mi portavano … Ancora oggi , io sono un tale sciocco. Prima di partire, ho cercato nuovamente di allontanarla da me, suggerendogli di vivere la sua vita immortale » disse il futuro Re, lasciando che le ultime parole quasi si perdessero nel vento.
« Come hai potuto? Dopo che lei era pronta a rinunciare alla sua luce per te? » domandò sconcertato Legolas.
Aragorn, probabilmente in quel momento, aveva piegato le labbra all’insù un tenero sorriso. Faceva sempre così, quando si soffermava a pensare alla sua amata.
« Volevo proteggerla » mormorò « Come tu ora vuoi proteggere Valanyar. Ma ognuno ha i suoi doveri verso questo mondo e chi li affronta a testa alta come Val andrebbe eguagliato, non ostacolato.
Non credere che non abbia paura di morire, ne ha tanta »
« Ed io l’ho aggredita credendo che il suo comportamento fosse da impavida …» comprese l’elfo con voce bassa e dura.
Mi morsi il labbro inferiore, serrando anche gli occhi nel mio nascondiglio, cercando di non far trapelare la mia presenza ma sapevo, che l’unico motivo per cui non ero stata scoperta, era perché Legolas doveva essere profondamente turbato.
La conversazione si spostò su una nota più neutrale, fino a quando i due non si congedarono decidendo che la notte avrebbe portato consiglio ad entrambi.
L’indomani sarebbe stata una lunga giornata.
 
 

« Sai non dovresti origliare le conversazioni degli altri Valanyar, è maleducato, me lo hai insegnato tu stessa » mi riprese la voce di Aragorn facendomi quasi morire di infarto, lì e in quell’istante.
« Sì ma ti ho anche insegnato a come farlo senza farti scoprire » risposi non appena ritrovai la capacità di sfruttare le mie corde vocali.
« Cosa,cosa intendeva prima Legolas? » domandai sfuggendo al suo sguardo, ma intuendo che l’elfo doveva aver intrapreso la direzione opposta  « Quando ha detto che teneva a me? »
« Hai davvero bisogno che ti spieghi una cosa simile? Valanyar hai più di cento anni non credevo di doverti spiegare una cosa simile »
Gli detti una gomitata nelle costole per buona misura « Non intendevo in quel senso cretino » lo insultai cercando di andare in escandescenza e sperando che le ombre coprissero il mio imbarazzo.
« E’ solo che, non riesco ad immaginarlo. Legolas fino a qualche mese fa mi odiava, poi abbiamo trovato dei compromessi certo ci siamo chiariti ma, da qui ad essere più che amici? Non osavo immaginarlo » mormorai quasi in un sussurro.
« Credo che abbia passato così tanto tempo ad osservarti per tenerti d’occhio che non ha potuto fare a meno di notare soprattutto le tue doti migliori.
Onestamente Valanyar non mi sorprenderebbe se si fosse innamorato di te »
« Ora innamorato mi sembra una parola grossa » bofonchiai arrossendo fino alla punta delle orecchie.
«Tu credi? Io ho capito di amare Arwen nello stesso istante in cui l’ho vista. Al tempo ti ricorderai, avevo diciassette anni e sarebbe potuto apparire pretenzioso da parte mia, come se fosse stata solo la sua bellezza ad affascinarmi. Ma allora, già sapevo che lo splendore del suo viso, non era niente paragonato a quello della sua anima » disse voltandosi a guardare oltre le mura, le montagne e i boschi che in quel momento, dividevano i due amanti.
« Forse secondo te “amore” è una parola usata a sproposito, ma non importa quanto sia piccolo il bocciolo di una pianta, alla fine il fiore si schiuderà comunque, quindi che male c’è a chiamarlo fin da subito con il suo nome? »
Corrucciai le sopracciglia, non desiderando niente di più che fuggire lontano da quell’ Aragorn poetico, che faceva similitudini tra me e Legolas, paragonando i nostri sentimenti a dei fiori. Ma in fin dei conti era cresciuto anche lui sotto gli insegnamenti di Elrond.
L’elfo, sarebbe stato incredibilmente felice di scoprire che in almeno uno dei suoi due figli umani, i suoi insegnamenti avevano attecchito.
« La vera domanda comunque resta, cosa provi tu » disse tornando a guardarmi e carezzandomi delicatamente i capelli, come se fosse diventato lui, il maggiore tra noi due.
« Io? » ripetei nuovamente cercando una risposta alla sua domanda:
 Cosa provavo per Legolas?
Fino a poche ore prima, lo avevo definito un compagno e un amico ma adesso? Era davvero cambiato qualcosa solo perché avevo origliato la loro conversazione o mi stavo solo lasciando condizionare dall’idea, che un elfo potesse essere innamorato di me?
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
Galahad¹ =  Se qualcuno di voi ha mai visto Kingsman allora sapete come immaginarvi questo soldato e da chi prende il nome. Per tutti gli altri, pensate semplicemente ad un giovane Colin Firt .
 
 
 
 
NdA: Eccomi!!!!
Lo so, lo so cent’anni per un capitolo così e così non ve o meritavate e oramai le mie scuse le buttate nel cesso. E c’avete ragione.
Comunque vi tocca sopportarmi perché oramai siamo quasi alla fine e quindi siete costretti!!!
Allora vi annuncio le date per i prossimi capitoli, mi sono organizzata tra lavoro, casini e imprevisti, e almeno se ve lo scrivo, così mi costringo anche a rispettare la tabella di marcia.
Il prossimo capitolo, farà un salto di 2 settimane, quindi lo posterò per l’Undici Giugno. Voglio tenermi larga perché il capitolo sarà anche quello tra le 20/25 pagine quindi meglio stare sicuri ecco.
(Se l’11 non lo vedete di sera, non tremate, magari ero a cena fuori e lo posto il 12 mattina)
Quello dopo ancora, invece sarà regolare il venerdì dopo ovvero il diciotto. Perché è un po’ più corto, ma soprattutto perché l’ho già scritto xD
 
PS : Sì ci sono un sacco di citazioni sparse non segnalate, ma non ricordo con precisione da dove. Appena ritrovo la nota dove le avevo appuntate, aggiorno ;)

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


▌ Capitolo 19  ▌
 
 
 
 





 
 


 
« Pensandoci bene, apparteniamo anche noi alla medesima storia, che continua attraverso i secoli!
Non hanno dunque una fine i grandi
racconti? »

 
« No, non terminano mai i racconti .
Sono i personaggi che vengono e se ne vanno, quando è terminata la loro parte.
La nostra finirà più tardi … o fra breve »
 
__ J.R.R. Tolkien
 
 
 










 
Qualunque sentimento compresi di provare per Legolas, si ritrovò costretto ad attendere un giorno migliore, poiché l’indomani fui svegliata con la notizia che Denethor, sovrintendente di Gondor, si era lanciato dalle alte mura della torre più alta della città bianca, durante il cambio della guardia. La guaritrice che per ultima l’aveva visto la sera prima, lo aveva definito perfino “tranquillo” non come avrebbe ricordato il suo signore ma un’ombra che vi andava molto vicina. Per un attimo, aveva pensato che fosse tornato quello di un tempo, di quando ancora non aveva perso la sua amata moglie.
A darmi la notizia, fu il Imrahil.
« Mi dispiace per la tua perdita, aveva sposato tua sorella. Era uno di famiglia per te » dissi mentre mi chiudevo i bottoni della blusa verde con cui avevo lasciato Gran Burrone, oramai mesi addietro.
Avevo creduto che fosse stata buttata, ma assieme al corpetto donatomi da Arwen, Faramir lo aveva tenuto di conto e fatto lavare e nonostante le pessime condizioni, la servitù era riuscita a rappezzarla in qualche modo. Non era più elegante, anzi oramai sembrava quasi uno straccio, ma era stata una meravigliosa sorpresa. Sarebbe stato bello affrontare quell’ultima guerra, con qualcosa che apparteneva a casa.
« Faramir non ha preso bene la notizia » mormorò l’uomo limitandosi ad un semplice cenno alle mie parole di cordoglio.
« Una parte di lui, probabilmente sperava ancora di essere riconosciuto degno dal proprio padre » dissi abbassando lo sguardo sulle mie mani per non dover far leggere ad Imrahil i miei timori.
Avevo portato via anche quello al giovane Capitano di Gondor non era vero? Perlomeno nella storia originale Denethor comprendeva quanto valore avesse Faramir, anche se mi era sempre apparsa come una scusa creata dalla sua stessa follia. Invece a questo giro, avevo costretto entrambi i figli ad osservare la follia del proprio padre consumarlo.
« Temi che ti porterà rancore per non aver usato quella gemma? » domandò il Principe di Dol Amroth indicando il mio petto con un cenno del capo.
Aiantcuil brillava sul mio petto, con la luce di una vera stella, sembrava piacerle, non dover essere costretto a nascondersi sotto i miei vestiti. Oramai quasi tutti quelli che viaggiano con me sapevano della sua esistenza, quindi era inutile nasconderlo.
« Tuo nipote? Sai che è una persona molto migliore di noi, Faramir incolperà se stesso, il palantir e perfino il destino stesso, ma non mi accuserebbe ma, neppure se fossi stata la causa della sua stessa morte » dissi un sorriso affettuoso. Il sovrano di fianco a me, mi imitò, piegando le labbra all’insù e con gli occhi colmi di amore verso quel familiare che nonostante ne avesse passate fin troppe, riusciva a portare in sé le migliori qualità degli antichi Re.
« Ma perché eri venuto a chiamarmi? Dubito che il tuo primo pensiero alla notizia della morte di Denethor fosse stato darmi la notizia di persona » dissi chiedendomi se forse, Imrahil si era aspettato che io mostrassi qualche segno di rimorso.
Ma in realtà, mi ero aspettata che ci sarebbe potuta essere un’evoluzione simile e ancora una volta, mi ritrovai a notare quanto questa guerra mi avesse cambiata. Forse alla me di decenni prima, non si sarebbe permessa di farsi semplicemente scivolare via la morte di Denethor, ed invece alla Valanyar di ora non aveva neppure guastato il buongiorno.
« Boromir ha chiesto di te » rispose il Principe, mentre io alzavo lo sguardo nel suo. I suoi occhi erano oscurati, come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa di spiacevole.
Decisi però di non soffermarmi troppo su di essi, avevo fatto dei sogni inquieti e probabilmente, mi stavo ancora facendo condizionare dagli incubi che mi avevano inseguito durante la notte.
« Allora andrò subito da lui » dissi appuntando sulla camicia la spilla a forma di foglia che mi era stata donata a Lothlòrien. Il mantello oramai era ingestibile,ma non volevo separarmi anche da quella, come non avrei mai voluto separarmi dal mio migliore amico.
 
A Boromir era stata nuovamente concessa della privacy. Non si trovava nella sua stanza, poiché la sua parte del palazzo era ancora in parte infermeria, ma doveva essersi appropriato di una delle stanze per gli ospiti.
Bussai  svogliatamente sulla porta, affacciandomi prima con la testa, quando mi invitò ad entrare.
« Gwend ti stavo aspettando, entra e chiudi la porta alle tue spalle » ordinò senza degnarmi di non più di uno sguardo prima di tornare a fissare un punto impreciso oltre la finestra, che dava nel corridoio opposto a quello da cui ero arrivata.
Varcai la soglia, sbirciando velocemente l’ambiente circostante, senza stupirmi troppo nel trovarlo incredibilmente sobrio.
Boromir era seduto sul letto, con la schiena poggiata alla parete e le gambe stese lungo il materasso, quel che restava del suo braccio, gli ricadeva di fianco, come un vestito di pessima fattura che non vorresti dover indossare mai.
« Come stai? » domandai mentre lui riportava brevemente lo sguardo su di me, per poi abbassarlo sul suo moncherino, ed infine tornare a guardare fuori dalla finestra.
« La guaritrice ha detto che il ramingo ha estirpato tutto il veleno lasciatomi dal nazgûl, la ferita sta lentamente guarendo ». Il “ramingo” non Aragorn, non “tuo fratello” e sicuramente non “il futuro Re di Gondor”. Annuii non sapendo cos’altro dire.
“Che fortuna?” non lo sembrava affatto, Boromir era il Capitano della nazione, ma aveva perso il suo braccio dominante. Sperai veramente e con tutto il cuore, di non averlo condannato ad un fato molto peggiore della morte, a causa della mia iniziale ingenuità.
Distrattamente, mi chiesi se la Valanyar di oggi, sapendo quale sarebbe stato il prezzo da pagare, avrebbe continuato a percorrere la stessa strada, che avevo intrapreso più di cinquant’anni fa.
« Posso farti una domanda? » dissi mentre l’uomo nel letto inarcava un sopracciglio, come se fosse improvvisamente colpito dalla mia ritrovata gentilezza. Dettaglio che immediatamente mi irritò.
« Come se tu non facessi tutto e sempre di testa tua. Da quando in qua mi chiedi perfino il permesso? » ribatté lui parlandomi con lo stesso tono strascicato, con la quale mi si era sempre rivolto.
Fui tentata di mandarlo al diavolo ed andarmene, e forse la Gwend di quando lo aveva conosciuto, più giovane ed orgogliosa lo avrebbe fatto. Ma questa Valanyar invece? Che aveva compreso così da vicino quanto la vita fosse breve,sapeva che ogni occasione non colta, era un’occasione persa.
« Prima della battaglia, hai detto a Faramir di aver sempre saputo che ero una donna » dissi poggiando il palmo delle mani sulle elsa delle spade, in un gesto abitudinario. « Conoscendoti, mi stupisce che non tu non mi abbia cacciata. E invece non solo mi hai permesso di restare, ma mi hai perfino coperto- »
« La guerra non è posto per le donne » mi interruppe Boromir con lo stesso tono con cui avevo sentito ripetere quella frase in passato a centinaia di uomini e comandanti prima di lui. Di recente, avevo udito le stesse parole provenire dalle bocche di due cari amici, come Éomer e Théoden.
« E’ una frase che spesso è stata tramandata di soldato in soldato, fin dai tempi bui. Ma ho sempre creduto che allora, avesse posseduto un significato diverso, non credo intendesse che le donne erano troppo deboli per affrontare la guerra, tutt’altro. Credo che si riferisse al fatto erano gli uomini, ad essere deboli…
Ho visto fare cose a uomini che tornati a casa venivano definiti “rispettabili” o dei veri “gentiluomini” … Ma nel campo di battaglia, usando la guerra come un mantello si macchiavano di colpe che mi facevano prudere le mani  » confessò abbassando lo sguardo sull’inca mano rimastagli, adesso chiusa in un pugno minaccioso.
Sbarrai gli occhi, profondamente sorpresa da quella rivelazione. Potevo quasi tastare con mano, quanto il solo ripensare a quegli eventi passati, portasse un’ombra di malcelato disgusto sul viso di Boromir. Odiava il se stesso del passato che non aveva potuto cambiare le cose, odiava il suo stesso padre per aver permesso che una simile “usanza” fosse stata tramandata senza batter ciglio di uomo in uomo...
« Ricordo, che quando mi unii alle tue truppe tu eri diventato da poco Capitano e  che gli uomini si lamentavano perché non concedevi a nessuno di “abbandonarsi ai propri istinti”. E’ di questo che stiamo parlando non è vero? »
« Saccheggiare, stuprare, uccidere bambini in nome di una vendetta personale ed insensata. Non era questa la Gondor in cui credevo. Mi era stato detto che non avrei mai potuto farci niente, che quella era la natura umana » sbuffò irrigidendo così tanto la mascella, che temetti si sarebbe rotto un dente.
«  Ed io che per tutti questi anni ti ho creduto solo un bastardo arrogante, e invece adesso salta fuori che in passato hai solo cercato di proteggermi »
« Proteggerti? Ma fammi il piacere. Quello che stavo proteggendo era il numero di soldati tra le mie file, solo i Valar sanno quanti ne sarebbero caduti se avessero osato toccarti … Avresti decimato così tanto che le mie file, che avresti costretto Gondor a perdere la guerra » sbuffò lui senza nessuna pietà.
Mi morsi le labbra per trattenere un sorriso traditore, che probabilmente lo avrebbe solamente irritato di più, prima di chiedergli per quale motivo mi avesse chiamato.
E così passò la quasi totalità della mattinata, spiegando per filo e per segno le mosse che avrebbe intrapreso Aragorn, mentre gli permettevo anche di sbirciare nel futuro, raccontandogli che una parte degli uomini si sarebbero tirati indietro ma che alla fine, ne saremmo usciti vittoriosi.
 « Gwend » pronunciò lui dopo qualche secondo di silenzio nel momento in cui io, l’avevo presa per una forma di congedo e stavo per andarmene.
 Fu il suo tono gravoso a fermarmi sul posto, con ancora una mano sulla maniglia.
« Ho bisogno che tu mi prometta che farai in modo che Faramir torni, anche a costo della tua vita » sentenziò alzando il suo sguardo nel mio, e per un attimo, mi parve quasi che fosse a pochi passi da me, tanto i suoi occhi mi perforavano dentro.
« A costo della mia vita? Boromir questi sono ordini che uno non darebbe neppure ai suoi soldati » ribattei con ironia lanciandogli un sorriso da oltre la spalla, comprendendo finalmente il vero motivo di quella visita.
« Lo so, ma io non lo sto chiedendo ad un soldato qualunque. Lo sto chiedendo a te, e dopo tutti questi anni, potrò anche trovarti un’insopportabile so-tutto-io, ma su una cosa mi troverai sempre d’accordo con gli altri, mantieni sempre le tue promesse »
« Farò sì che Faramir torni da te Boromir, è una promessa » sancii ricambiando a lungo il suo sguardo prima di aggiungere « Quindi nel frattempo cerca di non lanciarti da nessuna torre solo perché ne senti la mancanza » soffiai mentre lui mi urlava una sequela di oscenità contro ed io chiudevo la porta alle mie spalle appena in tempo, mentre la brocca d’acqua che fino a pochi secondi prima si era trovata sul comodino accanto al letto, finiva a frantumarsi contro il legno della porta.
 

« Sai, un giorno di questi finirà per farti uccidere da un sicario » mi salutò Faramir nel corridoio. Era appoggiato sulla parete opposta, segno che mi stava aspettando già da qualche minuto, mentre le oscenità proferite da suo fratello nei miei confronti, continuavano a riecheggiare dall’altra parte della porta.
« Mi cercavi? » domandai fingendo totale innocenza. Il giovane soldato sorrise dinanzi alla mia espressione, invitandomi a camminare con lui.
« Ti ricordi quando ci siamo visti per la prima volta? » mormorò quasi sottovoce. Le sue gote erano di un adorabile sfumatura di rosso e i suoi occhi brillavano di una felicità, che sembrava quasi tangibile.
« Certo, mi chiedesti se ero un elfo » commentai con un lieve sorriso, trovando quasi un senso di pace nel vedere il ragazzo di fianco a me imbarazzarsi in nome di un ricordo di quasi vent’anni prima.
« Eri così bella per un ragazzo che non sapevo come altro capacitarmene. E poi venni a Gran Burrone, dove scoprii che eri una fanciulla » si fermò incrociando il mio sguardo, senza riuscire a celare il proprio disagio.
Faramir mi prese una mano tra le sue, iniziando a giocare distrattamente con le mie dita mentre cercava evidentemente il coraggio per continuare quell’imbarazzante confessione.
« E Gwend, quel giorno pensai che nessuna donna al mondo sarebbe mai stata in gradi di uguagliarti. Capii subito che non avrei mai potuto guardare nessuna come guardavo te... » confessò lui mentre io iniziavo a sentire il mio istinto primordiale, che mi gridava di fuggire nella direzione opposta, il più velocemente possibile.
« Faramir io- » cercai di intercedere iniziando a sentirmi mortificata. Probabilmente il mio imbarazzo era così facilmente visibile sul mio volto, da fare quasi pena al giovane soldato che quando posò lo sguardo sul mio viso, ridacchiò divertito.
« Non temere non ti sto per consegnare il mio cuore. Se c’è una cosa che questo viaggio mi ha insegnato è che non sei alla mia portata. Non sono degno di te, non sarei abbastanza per te. 
Ma quando vidi di cosa eri capace, ammetto che avrei voluto esserlo e per un po’ ci ho sperato. Ma oramai so che non siamo compatibili, però quel giorno a Moria, quando Gandalf cadde e Aragorn ti voltò le spalle e chiunque al tuo posto sarebbe crollato. Capii che possedevi una forza che invidiavo, che avrei voluto avere anche io e soprattutto, avrei voluto al mio fianco qualcuno che come te, combatteva per cosa era giusto ».
Chinai leggermente la testa di lato, percependo l’imbarazzo affievolirsi man mano che comprendevo che Faramir parlava di me, come un popolano parla del proprio Re.
Mi ammirava, lo affascinavo perfino, ma non mi avrebbe mai messo al suo stesso piano. Se un giorno avesse avuto l’occasione di sfiorarmi, l’avrebbe fatta scivolare via, perché non voleva rompere quella bolla di illusa perfezione che aveva affibbiato al suo regnante.
« E tu credi di averla conosciuta, questa persona? » compresi accennando un sorriso lupesco.
« Io … Gwend la Dama che mi avete fatto portare al sicuro quel giorno: Éowyn » mormorò con un sorriso fanciullesco « Ella assieme al nazgûl , deve aver trafitto anche il mio cuore. Non riesco a pensare a nient’altro che non sia il suo viso »
« Ok » ripetei osservando volto di Faramir, assumere un’espressione di così innocente estasi da farmi quasi invidiare il suo modo di amare « Sei disgustoso » dissi dandogli una lieve pacca sulla fronte per togliermi da davanti quell’espressione imbambolata.
« Se vuoi che Éowyn ricambi il tuo amore, dovrai impegnarti, non venire a sognare ad occhi aperti da me » dissi riprendendo la nostra marcia, poiché adesso la direzione verso la sala della guarigione iniziava ad avere un senso.
« Ci ho provato, ma è fredda nei miei confronti, come se il suo cuore fosse già stato rotto irrimediabilmente » mormorò abbassando lo sguardo con un’espressione triste.
« Sai ho parlato con il Mastro Nano » riprese poi in un tono completamente differente « Sembra che questo qualcuno, sia proprio tu Gwend»
Mi fermai nel mezzo al corridoio, di nuovo, voltandomi verso di lui imbarazzata, non faticando ad immaginare cosa gli avesse raccontato Gimli.
Lui e la sua fissazione contro i biondi, con due pinte di birra avrebbe venduto al migliore offerente qualunque dei  miei trascorsi a Rohan.
Sospirai passandomi una mano tra i capelli « Non era mia intenzione ferire od ingannare Éowyn » dissi voltandomi a guardare la porta che un centinaio di metri più in là, mi avrebbe condotta dalla Bianca Dama di Rohan.
« Forse invece era così che doveva andare. Forse tutti e due dovevamo avere il cuore spezzato da te. Così da poterci guarire a vicenda »
« Che idea stucchevole Faramir » ribattei senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.
« Allora mi aiuterai? » domandò il giovane Capitano di Gondor, mostrandomi un broncio così adorabile da farmi perdere qualunque speranza, di poter ignorare ulteriormente la situazione.
« Va bene. Cosa vuoi che faccia? » domandai dettando a quel modo, sotto gli ordini di Faramir, le mie ultime ore nella Città Bianca.
 


 
 


 
« Mia signora » la salutai avvicinandomi, mentre la osservavo voltarsi prima con timore e poi con un enorme sorriso ad incorniciarle il volto.
« Gwend! Speravo di potervi rivedere e parlare con voi prima che partiste » mormorò passando il suo sguardo sul mio corpo. I suoi occhi si soffermarono sui lineamenti del mio fisico, che assieme al busto di pelle, mettevano in evidenza la vita stretta e dei fianchi più formosi rispetto a quelli di un uomo. Mi resi conto che quella era la prima volta che poteva “vedermi” realmente, poiché il suo sguardo era sempre stato ingannato dall’illusione del mantello elfico.
Il suo sorriso si incrinò ma non sparì e quando i suoi occhi ritrovarono i miei erano adoranti come li avevo sempre ricordati.
« Mi dispiace, sono passata a trovarti solo quando il veleno ti aveva resa incosciente, ma mi sono accertata più volte con Aragorn sulle tue condizioni. Vedo che adesso, state meglio » dissi passando il mio sguardo sulla sua corporatura. Sembrava impossibile che fosse stata proprio quella fanciulla dall’apparenza tanto fragile, a sconfiggere uno dei più temibili servitori di Sauron.
« Sire Aragorn è stato provvidenziale mi ha salvato la vita, come voi ed il vostro compagno. »
« Intendete Faramir? » domandai mentre le gote di Éowyn si coloravano di un rosa delicato.
« Sì lui è stato molto gentile con me, è passato spesso a trovarmi, nonostante dovesse aver ben più importanti preoccupazioni … Probabilmente si è sentito in dovere di farlo, poiché mi avevi affidato a lui » sul finale la sua voce calò, diventando un mormorio appena distinguibile mentre sfuggiva la mio sguardo.
«Faramir è un buon amico, ma se è restato al tuo fianco è perché è stato colpito dal tuo ardore, non certo obbligato da un mio ordine » tentai di incoraggiarla mentre lei però, continuava a sfuggire ai miei occhi.
« Ardore? Ma certo, d’altronde per un Capitano di Gondor non devo apparire che come una selvaggia fanciulla del Nord »
« Non permettere ai tuoi dubbi di avvelenarti. Se hai delle domande su Faramir sarò lieta di risponderti, ma non permettere a te stessa di dubitare di una brava persona, a causa delle tue insicurezze » la ripresi con delicatezza mentre lei assumeva un’aria sconcertata e gli occhi gli si bagnarono dalla vergogna, mentre frettolosamente abbassò di nuovo lo sguardo, prima di sedersi sull’angolo di quello che doveva essere, il suo giaciglio.
« Vi chiedo perdono Gwend è che io sono così … confusa » mormorò poggiando una mano sul braccio fasciato, che teneva legato al collo per aiutare la ferita a rimarginarsi più velocemente.
« Conosco Faramir da quando non era che un adolescente, se i vostri dubbi sono causati da lui, credo di potervi aiutare » dissi sedendomi di fianco a lei, poggiando una mano sulla con delicatezza.
Éowyn osservò le nostre dita quasi intrecciate con un sorriso prima di prendere parola:
« Desideravo il tuo amore Gwend, eri per gli occhi di tutti grande e potente ed io ambivo alla fama, alla gloria volevo essere innalzata dalle cose meschine che strisciano sulla terra » mormorò senza permettere alla sua voce di incrinarsi ma continuando a tenere lo sguardo basso, sulle nostre mani « E come grande soldato tu eri ammirevole, poiché eri per tutti un signore tra gli uomini il più grande che oggi esista. Una leggenda il cui solo nome riusciva a riscaldare gli spiriti dei Rohirrim più coraggiosi, mio fratello e mio Zio compresi » aggiunse mentre io sperai che i miei capelli sciolti coprissero a sufficienza l’imbarazzo che sicuramente in quel momento stava sfociando lungo il mio collo e le mie orecchie.
« Quando ho scoperto che eri una donna ne sono rimasta ferita certo ma soprattutto ho provato un’enorme senso di vergogna. Perché dopo tutta quella ammirazione che vi avevo donato, dopo che vi avevo giudicato assieme agli altri irraggiungibile ed innalzato più in alo dei comuni uomini ho capito che eri come me. Una donna e ho capito che era questo che intendevi dirmi tanti anni addietro, potevo essere io a forgiare il mio destino, potevo essere io  a proteggere coloro che amavo, non avevo bisogno che nessun altro lo facesse per me. Ho creduto di poter fare la differenza »
« E l’hai fatta mia signora. E non per merito mio, la Dama Bianca di Rohan ha brillato come signora del suo popolo e come guerriera Rohirrim ha protetto il suo Re fino all’ultimo e quando questo non è stato abbastanza, lo ha vendicato. Qualunque dubbio attanagli il tuo cuore Éowyn, sappi che non devi provare più niente a nessuno. Sei riuscita in un’impresa impossibile anche per il più glorioso guerriero elfico: hai sconfitto il Re Stregone, il servo più potente di Sauron. » le assicurai stringendole la mano con delicatezza.  « Qualunque siano i vostri dubbi mia signora, posso rassicurarvi con una certezza:  Non esisterà mai gabbia  con ferri abbastanza spessi da potervi trattenere, né pareti abbastanza strette da potervi piegare »
Non avevo idea di cosa avrebbe voluto sentirsi dire Éowyn in quel momento, ma capii che qualcosa di giusto dovevo averlo detto, poiché per la prima volta dopo tanti anni, gli occhi della Bianca Dama di Rohan si illuminarono di felicità pura e semplice. Poiché per troppo tempo a  quella forte fanciulla, era stata negata.
« Siete ancora voi però, l’eroe della mia storia preferita » mormorò lei mentre una sola lacrima di felicità le rigava le pallide guance, facendola apparire ancora più delicata e preziosa.
« E conto di rimanerlo per sempre mia signora. Chiunque avrà la fortuna di poter chiedere la vostra mano, potrà accontentarsi del ruolo di comparsa » commentai strappandole una lieve risata che portò qualche soldato più in là a voltarsi verso di noi. Intravidi Faramir tra di essi e lo sguardo che si rispecchiò nei suoi occhi mi fece realizzare che per il giovane capitano di Gondor, erano finiti tempi per delle cotte fugaci, era giunto quello di dedicarsi al vero amore. Sorrisi anche io alla Bianca Dama, restando con lei a chiacchierare, fino a quando quella fastidiosa ombra di malinconia, non svanì completamente dal suo sguardo ed io non fui richiamata da Galahad per la partenza.
 
 
 

 
 


« Valanyar ? » mormorò la figura nell’angolo della cella, il solo doveva essere morto al di fuori di quella prigione, e con esso le stelle e la luna poiché il buio che avvolgeva quella stanza pareva quasi surreale.
Solo una fiaccola lungo il corridoio, quasi una ventina di metri più in là, mi aveva permesso di notare l’uomo contro la colonna.
« Conosco questo posto » mormorai facendo qualche passo in avanti « Mio signore Elrond siete voi? » dissi inginocchiandomi dinanzi l’elfo. La figura alzò lo sguardo nel mio, ma i suoi occhi non erano caldi e pieni di saggezza come li avevo imparati a conoscere. Né tantomeno mi osservavano con un lieve irritazione, che lo rendevano solo più paterno dinanzi l’eternamente giovane volto.
« Figlia mia, tu non dovresti essere qui » mormorò lui muovendosi come per alzare le braccia per sfiorarmi, ma dovette ripensarci poiché il suo sguardo fu attirato da qualcosa alla nostra destra, lo seguii con i miei occhi, ma vedevo solo il nero delle ombre.
« E’ solo un sogno » tentai di dire per scacciare la paura. Non mi piaceva quell’Elrond che sembrava così simile a colui che conoscevo, ma che no avevo mai visto. Cosa mai avrebbe potuto spaventare un elfo millenario che aveva visto così tanto e vissuto così a lungo?
« Chi ti ha portato qui? » domandò l’elfo voltandosi verso di me. I suoi occhi erano incavati e lo sguardo era probabilmente iniettato di sangue, come se non dormisse da settimane. Ma gli elfi non avevano bisogno di dormire, non come gli umani, quindi come era possibile che il suo corpo apparisse così stremato?
« Nessuno mi ha portata qui, niente di tutto questo è reale » dissi inclinando leggermente il viso. Allungai una mano, così da poter toccare delicatamente la sua.
La pelle sotto i miei polpastrelli mi apparve così incredibilmente fredda, da farmi quasi credere che fosse reale, ma la sensazione non durò che un attimo.
« Esatto, niente è reale Valanyar. Ricordalo, tornerà tutto come un tempo, è la cosa migliore da fare … »
« La cosa migliore per fare cosa? » ripetei confusa.
« Un salto temporale, nei sogni funziona sempre così, non ti ricordi? Sei stata tu stessa a dirmelo, molti anni fa »
« Un salto temporale? » ripetei sentendo come familiari quelle parole sulla lingua. E in quel momento ricordai, come succede a volte nei sogni, ti ricordi un fatto accaduto nella realtà anche molti anni prima. Ma il problema dei sogni è che poi, quando ci svegliamo, ce li dimentichiamo.
« Questo era un sogno » realizzai spalancando gli occhi ed incontrando nuovamente quello del mio padre adottivo, che mi sorrise così amorevolmente da ricordarmi il solito Elrond di Imladris.
« Mi mancherai »
« Cosa? Perché? Io non voglio andarmene, non voglio svegliarmi. Elrond che cosa significa?  E cosa ci fai tu qui? Non è così che va la storia »
« Devi andartene, dove lui non può trovarti »
« Lui chi? Sauron? E dove dovrei andare? Io sono già a casa non voglio andare da nessuna parte - »
« Devi svegliarti è l’unico modo »
« Dimmi cosa sta succedendo » mormorai in preda al panico mentre il buio incominciava ad ingoiarlo, e lui con me. I pensieri si fecero sempre più confusi, fino a quando non ricordai più, neppure cosa mi era appena tornato in mente.
« Svegliati! » mi tirai a sedere nel letto mentre affannavo disperatamente. Con il fiatone e il cuore che correva a mille, il sudore iniziava a seccar misi sulla pelle, riempiendomi di spiacevoli brividi di freddo.
Che cosa … Che cosa era stato?
Corrucciai le sopracciglia, qualcosa mi aveva spaventato da morire, una realizzazione? Avevo ricordato qualcosa, ma cosa?
Iniziai a contare i miei respiri, fino a quando il mio cuore non tornò al suo normale ritmo e il freddo non lasciò il posto al tepore delle coperte.
 
 
Scossi la testa, consapevole che non avrei potuto semplicemente tornare a dormire, così mi alzai, scoprendo che doveva essere ancora notte inoltrata. Gandalf era di guardia sul limitare Este dell’accampamento, così decisi di andare da lui.
Non impiegai più di una decina di minuti a raggiungerlo, salutando con un cenno della testa, i pochi uomini che incontrai lungo il mio cammino.
« Mithrandir » lo salutai avvicinandomi con passo felpato, ma senza ovviamente riuscire a coglierlo alla sprovvista  « Se lo desideri, puoi andare a riposare, il sonno sembra non voler ancora venire da me questa sera,  e sarebbe sciocchi restare svegli in due » commentai portandomi al suo fianco ed osservando l’orizzonte assieme.
« Cosa turba il tuo riposo mia giovane amica? Hai l’aspetto di qualcuno che ha appena visto un fantasma » commentò lo stregone voltandosi verso di me con uno sguardo turbato, come se avesse visto anche lui Elrond in quella cella.
« Continuo a fare questo incubo da giorni. All’inizio non riuscivo a ricordarlo ma ormai, inizia ad essere difficile allontanarlo » confessai incrociando le braccia al petto per ricercare un po’ del mio calore corporeo.
Gandalf rimase in silenzio a guardarmi, invitandomi a riunire i miei pensieri, prima di esporglieli.
« Vedo Re Elrond, pallido, deperito … Una pallida ombra del Re di Imladris. Lui può vedermi e mi dice che non è sicuro che io resti con lui, che dovrei svegliarmi come se sapesse che è solo un sogno? Ma allo stesso tempo, non lo so Gandalf, è come se parlasse della realtà stessa? Sono così confusa … L’unico pensiero che mi rincuora è sapere che sicuramente è solo un incubo. Sogno Elrond da prima della battaglia, ma non è possibile, poiché Aragorn lo ha incontrato e stava bene. Era diretto verso Lòrien, per concludere le cure di Haldir e svegliarlo … » conclusi quasi addolcendo la mia voce alla fine. Non potevo fare a meno, di ritrovare un po’ di felicità e calore all’idea che il mio migliore amico era salvo. Se fossi sopravvissuta a quell’ultima battaglia, avrei potuto rivederlo.
« Gandalf io, come sono arrivata a Gran Burrone? Ricordo Brea, ricordo dell’incontro con te e Bilbo. Mi ero probabilmente no? Ma prima di allora … i ricordi sono così confusi che non hanno alcun senso … » domandai infine dopo qualche minuto di silenzio da parte dello stregone.
« Tu mi stai chiedendo di dirti, da dove vieni » mormorò lui spostando lo sguardo ancora più lontano dell’orizzonte, dove i miei occhi non potevano seguirlo.
« Esatto, perché negli ultimi anni, ho sempre tralasciato il pensiero, non ho mai avuto desiderio di tornare, e sapevo che mi avevi richiamato qui assieme a Re Elrond perché avevo una missione da compiere ma … Dal giorno delle visioni nella Sfera di Anor io non ne sono più sicura, mi chiedo se forse non ci sia di più.
Gandalf cosa significano tutti questi dubbi? Sto forse impazzando come Denethor? » domandai poggiando istintivamente una mano al petto dove sapevo avrei trovato Aiantcuil. Forse, se avessi bevuto dalla goccia di Mithril tutto avrebbe ritrovato un senso.
A distogliere completamente la mia attenzione e a distruggere anche il mio malumore, fu la risata sommessa che sfuggì dalle labbra dello Stregone di fianco a me.
«Impazzire, come Denethor… Tu… che sciocchezza » bofonchiò coperto dai colpi di tosse causata dalla mesta risata, mentre io mi voltavo a guardarlo, senza neppure riuscire ad irritarmi come avrei voluto.
« Gandalf sono seria » dissi stringendo le labbra in una linea sottile. Il vecchio si voltò verso di me, con un’espressione che gli avevo visto in volto mille volte, durante i pomeriggi a prendere il tea a casa Baggins.
« Amica mia, dubiti forse delle mie azioni? Credi che questo vecchio, oramai non sia più affidabile nelle sue decisioni? » domandò lui confondendomi ulteriormente.
« Cosa? No certo che no, mi fido di te più di chiunque altro Gandalf, lo sai » risposi immediatamente avvicinandomi al Bianco Stregone. Certo il nostro rapporto era cambiato rispetto a quando lui era stato “Il grigio” avevo temuto che anche il suo rispetto nei miei confronti fosse diminuito, temevo spesso di averlo deluso irrimediabilmente. Ma per me niente era cambiato davvero, era sempre Gandalf. LA mia guida, il mio pilastro in quella Terra, come da sempre, era anche stato Elrond.
« Allora perché dubiti delle mie scelte? Non ricordi forse, che sono stato io a sceglierti amica mia? »
« Sì certo ma … Non ti penti forse, adesso, della tua decisione? » mormorai abbassando lo sguardo, vergognandomi persino, come una figlia che sapeva di avere la disapprovazione del proprio genitore.
« Io? Nemmeno per sogno, sei cresciuta ben oltre ogni mia aspettativa. A volte non approvo le tue scelte, e quindi? Valanyar, mia cara » iniziò poggiando una mano sulla mia testa, come si fa con un cucciolo di cane « Ti ho scelta perché volevi vivere un avventura, perché avevi la stoffa per farcela e guarda dove ci ha portato! Non dubitare di te mia cara, perché io non lo faccio neppure per un istante. Sono fiero di te, il fatto che a volte i nostri pensieri siano contranti, sono una consolazione per me. Non era di un burattino che aveva bisogno la Terra di Mezzo, ma di un eroe » disse lui scompigliandomi i capelli con affetto.
Arrossii ulteriormente, alzando lo sguardo per guardarlo attraverso la coltre di capellic eh mi aveva fatto ricadere sul viso, imbarazzata da quella sua ammissione di palese affetto « Io non sono un eroe » mormorai mordendomi il labbro inferiore.
Gandalf sorrise, come faceva un tempo, quando era ancora il Grigio Pellegrino « Sono certo che il giovane Frodo, dirà queste stesse parole, quando verrà etichettato come tale » commentò con disinvoltura, prima di alzarsi a fatica, come se le sue giunture fossero rimaste ferme troppo a lungo.
« Adesso se vuoi scusarmi, credo che andrò a dormire. Sarebbe da sciocchi restare svegli in due, tu goditi il silenzio della notte e che esso, possa portarti consiglio » aggiunse in uno strano saluto, allontanandosi con passo incerto, come se avesse bisogno veramente del suo bastone per muoversi.
Sorrisi a quella vista, pensando a quanto in fin dei conti, tutta la compagnia era cambiata, senza in realtà, cambiare affatto.
 
 
 
Passai forse ore,ad osservare il cielo cercando in loro delle risposte, poiché quella sera le stelle sembravano brillare con più intensità.
« Quale pensiero rattrista il tuo sguardo amica mia? » domandò una voce che oramai avevo imparato a riconoscere fin troppo bene.
« Pensavo alle mie origini » mi voltai verso Legolas che aveva preso posto nel tronco, seduto accanto a me  « mi chiedo se alla fine di questo viaggio, ci si aspetti che io torni a casa. »
« Cosa intendi dire? »
« Sai da dove vengo? » domandai voltandomi verso di lui con un sorriso mesto.
I capelli di Legolas erano stranamente sciolti, nessuna treccia li tratteneva e il vento li faceva volteggiare liberi intorno al suo viso, dandogli un’area eterea.
L’elfo corrucciò leggermente le sopracciglia, in un’espressione confusa mentre i suoi occhi incontravano i miei, mi chiesi distrattamente come dovevo apparirgli, se anche io gli apparivo irraggiungibile come lui sembrava a me.
« So che sei stata richiamata da un antico incantesimo. Valacen è il tuo nome, colei che parla in nome degli Dei … Ma da molto sei solo Valanyar di Imladris facente parte della Reale famiglia di Elrond e sorella di Aragorn figlio di Arathon ed erede al trono di Gondor » rispose mimando la risposta che diedi a Ombromanto settimane prima, mentre viaggiavo in solitario assieme a Legolas.
Sorrisi nuovamente, sentendomi riscaldare quasi come con un abbraccio a quelle parole.
« Temi forse di fallire? Come mi raccontasti tempo fa? Temi di svanire portando con te i ricordi che abbiamo assieme? » mormorò mentre attorno a  noi, la notte si fece più buia. Era più facile, ora che sapevo dei sentimenti di Legolas, comprendere fino in fondo perché la sua angoscia si manifestasse anche nella natura attorno a lui.
« No, tutt’altro » dissi poggiandogli una mano sul braccio, cercando di rincuorarlo con quel semplice contatto. Funzionò, il vento che ci sferzava il viso tornò ad essere caldo e gli alberi attorno a noi, ripresero a muovere pacatamente le loro chiome. « Semplicemente, mi sono affezionata a questa terra e alle sue persone, e forse non ricordo bene cosa mi attende a “casa” ma... vorrei che questa fosse casa mia. La verità Legolas, è che ho paura di finire questo viaggio, perché temo che alla fine, mi venga chiesto di andarmene. Ed io non voglio » confessai quasi con vergogna mentre spostavo il mio sguardo sull’orizzonte buio.
Mi sentivo una sciocca a confidarmi a quel modo con Legolas. Era un elfo vissuto migliaia di anni, ed anche io avevo una certa età, eppure non potevo fare a meno di sentirmi turbata.
« Stai iniziando a far crescere lo stesso timore nel mio cuore Valanyar, non voglio separarmi da te » mormorò l’elfo mentre io sentivo la sua voce farsi più flebile, quasi trovasse quei pensieri inopportuni. Sentii il petto scaldar misi dall’imbarazzo e dal piacere che mi dava nel sentire Legolas esprimere quei sentimenti verso di me. Forse era confuso sul nostro rapporto come lo era io, ma non potevo negare quanto fosse piacevole sentirgli dire che non voleva separarsi da me.
Sorrisi nuovamente, certa del rossore sulle mie guance, ma finsi un brivido, sperando che così l’elfo lo conducesse al freddo della notte.
« Ma il viaggio dovrà comunque concludersi prima o poi, abbiamo una missione » dissi incrociando meglio al petto le braccia.
« E se invece non accadesse? Se questo timore che ora ti confonde, non fosse nient’altro che una menzogna. Cosa farai? » domandò Legolas.
Mi voltai nuovamente a guardarlo poiché probabilmente lui non sapeva quanto a spaventarmi maggiormente, fosse proprio la sua esistenza. Sarei riuscita a sopravvivere al dolore di perdere la mia famiglia per sempre? Forse.
Non rivedere quella meravigliosa terra, mi avrebbe creato una nostalgia insopportabile ma lui … Lui era al centro dei miei desideri più di ogni altra cosa, avrei potuto sopportare un cuore spezzato per non rivedere più Faramir e gli altri, altri meravigliosi paesaggi avrebbero potuto colmare il mio vuoto per quelli persi ma lui… dove avrei mai potuto ritrovare una creatura simile a Legolas ?
E non perché il nostro rapporto si era evoluto in modo così strano, o perché lui fosse meraviglioso ed etereo, più di qualunque altro elfo che io avessi mai conosciuto.
Ma bensì, perché ogni suo sguardo mi scaldava il cuore, e ogni suo tocco faceva aggrovigliare il mio stomaco come una bambina alle prima armi. Se si soffermava troppo a lungo tra i miei pensieri, avrebbe potuto farmi passare un’intera notte insonne, senza che poi  io potessi risentigliene.
« Non mi permetto di indugiare a lungo su questo pensiero, o finirebbe con l’avvelenarmi » risposi infine con la voce che mi si spezzava, poiché senza rendermene conto, le lacrime si erano raccolte nei miei occhi,  ora rotolavano libere sulle mie guance.
« Valanyar »mormorò Legolas allungando due dita, e raccogliendo l’ultima goccia che scappò dalle mie palpebre.
« E poi ti ho fatto una promessa ricordi? » mormorai certa che il mio viso stesse andando a fuoco mentre le sue dita permanevano sulla pelle del mio viso, carezzandomi delicatamente come se fossi fatta di cristallo e nono osasse trattenersi a lungo.
« Certo che sì, ti ho legata ad essa, come potrei dimenticarmene? » rispose lui con voce calda, che però mi provocò un brivido lunga tutta la spina dorsale.
Restammo a lungo così, scambiandoci sguardi confusi e sorrisi sinceri, grati per la reciproca compagnia, fino a quando l’alba non sorse e i miei timori erano scomparsi, allontanati senza che me fossi resa conto, dalla semplice presenza di Legolas.
 
 
 
 
 


 
Riprendemmo il cammino, solo per poi fermarci in un nuovo accampamento di fortuna, due giorni più tardi, poiché una riunione d’emergenza fu richiesta dal nuovo, anche se non ufficiale, Re di Rohan.
« Il morale degli uomini Aragorn è basso, dovremmo fare qualcosa i dubbi sono pericolosi, come una mela marcia in un paniere » commentò Éomer affacciandosi dalla tenda e richiudendola dietro di sé quando ebbe finito di osservare gli uomini, che allestivano l’accampamento di fortuna.
« A forza di starti vicino, adesso anche questo biondino parla per indovinelli » sbuffò Gimli dandomi una gomitata nelle costole per attirare la mia attenzione.
« Ma la sua è una giusta osservazione Mastro Nano, Éomer teme che gli uomini che non hanno più fiducia in se stessi, possano contagiarne altri. E un esercito pieno di soldati dubbiosi è un pessimo esercito per iniziare una guerra » gli spiegai scambiandomi uno sguardo complice, con il giovane Rohirrim.
« E non poteva dirlo così? Invece di tirare in ballo le mele? » borbottò il nano strappandomi un mezzo sorriso.
Quando infine anche Legolas e Faramir giunsero, eravamo quasi tutti all’appello, tranne il Principe Imrahil che era rimasto con i suoi uomini, per presidiare i confini mentre gli altri soldati montavano le proprie tende.
I problemi che furono scorti tra le file dell’esercito ricco di alleati, ma non di braccia, furono molti; mentre le soluzioni furono ben poche.
Ognuno dei presenti aveva dubbi differenti e nonostante l’ottimismo di Aragorn, gli animi non si abbonirono.
« Gandalf avremo bisogno di aiuto contro le bestie alate dei nazgûl » commentai voltandomi verso il Bianco stregone ben intenta a portare la discussione verso un problema, per la quale potevo proporre anche una soluzione.
Mithrandir si voltò verso di me, aspirando lentamente dalla sua lunga pipa, per poi espirarne il fumo, come un gatto che si stava sollazzando al sole e sapeva di avere tutto il tempo del mondo.
« Stai pensando a Radagast non è vero? Riponi molta fiducia nel Bruno stregone » mormorò il vecchio, accennandomi un breve sorriso e concedendomi uno sguardo più lungo della sua frase, come se stesse cercando di leggermi dentro.
« Il Bruno Stregone? » ripeté Legolas di fianco a Gimli, si voltò a guardarmi oltre la testa del nano.
« Mio padre non ha una buona opinione di lui, si dice che il suo metro di morale sulla vita degli abitanti della terra di mezzo sia un po’ rotto » tentò l’elfo inclinando leggermente il viso, come un cucciolo confuso dinanzi a quella parola così fuori luogo, quando ci si riferiva ad un grande stregone.
« Di che diamine sta parlando orecchie a punta? » borbottò nuovamente il nano affianco a me. Non capivo perché Gimli si ostinasse a bisbigliare come se parlasse solo con me, dato che il tono della sua voce era talmente forte da permettere  tutti i presenti di udirlo alla perfezione.
« Radagast è uno Stregone dei boschi, se dovrà scegliere se salvare la vita a te o ad un coniglio. Beh sceglierà il coniglio » risposi semplicemente mentre il nano strabuzzava gli occhi, strozzandosi con il fumo della sua stessa pipa.
« Un coniglio?! » esclamò oltraggiato.
« Non prenderla sul personale Gimli, ognuno ha una preferenza diversa sull’importanza degli esseri viventi. Stregoni come Radagast sono molto importanti per l’equilibrio del mondo » dissi mentre gli davo delle leggere pacche sulla schiena, per aiutarlo a riprendere in fretta il regolare ritmo del suo respiro.
«Sì ma, un coniglio? » ripeté nuovamente il guerriero, scuotendo poi la testa e iniziando a borbottare tra sé e sé su come gli Stregoni fossero tutti pazzi, a modo loro.
« E tu credi che sarebbe disposto a venire in nostro aiuto? » mi domandò Éomer attirando la mia attenzione.
« Lui? Assolutamente no, ha ben altro a cui pensare, ma magari potrebbe aiutarci a chiedere aiuto alle Aquile » proposi mentre Gimli mi guardava di sottecchi.
« Altri animali parlanti, bah. Mio padre però diceva che le aquile sono molto intelligenti, hanno già aiutato il nostro popolo una volta … ma sono molto orgogliose » concluse lisciandosi la barba con una mano. Perlomeno, sembrava essersi momentaneamente dimenticato, della faccenda del coniglio.
« Come tutte le creature della Terra di Mezzo » commentò Gandalf ottenendo il mio totale sostegno, mentre mi scambiavo uno sguardo divertito con lo stregone.
« Non so molte cose, Éomer cavaliere di Rohan, ma una cosa credo di averla imparata, se Valanyar ha un suggerimento, per quanto follo, seguirlo, è sempre la scelta migliore. » concluse mentre il giovane biondo annuiva, concordando con lui, sotto i vari aspetti. Soprattutto in quello, in cui le mie idee venivano definite delle vere e proprie “follie”.
 
 
« - e quindi alla fine Aragorn ha deciso che faremo una breve sosta per portare tutti coloro che non sono sicuri dell’impresa al cento per cento, a presidiare quella Fortezza » conclusi riassumendo anche gli ultimi attimi della riunione a Imarahil.
« Mi sembra un buon piano » concordò lui osservando però come me, il numero esiguo di soldati a nostra disposizione « Tu credi nella riuscita di questa impresa non è vero Valanyar? » domandò lui con uno sguardo carico di rammarico. Forse anche lui, si pentiva della sua decisione di seguire Aragorn, così facendo aveva condannato i suoi uomini al suo stesso destino, poiché nessuno di loro si era tirato indietro, quando il futuro Re di Gondor glielo aveva chiesto.
« Ne usciremo vittoriosi » confermai concedendogli uno dei miei migliori sorrisi, e sperando così, di restituirgli un po’ di speranza.
« Comandante! …  Comandante!? … Capitano?! … Capitano! »
« Sai credo che quel soldato ce l’abbia con te » mi fece notare Imrahil, costringendomi a voltarmi verso sinistra da dove proveniva il richiamo.
« Oh Galahad » lo salutai stupita « Mi stavi chiamato? Non ti ho udito » dissi spostando lo sguardo velocemente verso il Principe e congedandomi da lui con un cenno d’assenso, per andare incontro all’uomo che era appartenuto all’avanzata di Hirluin.
« Abbiamo percorso quasi tutto l’accampamento assieme, se non avessi avuto modo di conoscere la verità, vi avrei creduto più sordo del vecchio Forlong » disse il giovane senza però risparmiarmi di un sorriso.
« Perdonami dovevo avere la testa da tutt’altra parte »
« Vi ho chiamata, comandante, e poi capitano. Forse preferivate un altro termine di carica? In fin dei conti siete la sorella del futuro Re » disse lui portandosi una mano sotto il mento e grattandosi distrattamente la barba che aveva iniziato a crescere, non potendosela più fare da giorni.
« Oh assolutamente no » dissi trovando ancora strano, che nessuno degli uomini avesse battuto ciglio nella rivelazione che fossi una donna. Gli uomini di Forlong era comprensibile, il vecchio panzone era stato una tale caricatura da vivo, che chiunque altro appariva fin troppo nella norma. Ma anche gli uomini di Pinnath Gelin non avevano avuto nessuna rimostranza, forse qualche chiacchiera di sottofondo ma nessuno mi aveva guardato in modo diverso. Considerando quanto avevo imparato essere Gondor maschilista, mi pareva impossibile.
« Quindi comandante va bene ? » tentò Galahad nuovamente abbassandosi leggermente all’altezza del mio viso, per richiamare la mia attenzione, che si era nuovamente spostata altrove.
« In realtà preferirei solo Gwend ? » tentai passandomi una mano tra i capelli imbarazzata « Non ho alcun diritto di appropriarmi di un titolo simile, non ho mai combattuto in vere guerre se non nell’ultimo anno o una decade fa, ma ero sotto il comando di Boromir, quindi mi sentirei inappropriata a rispondere ad un tale ruolo di comando »
« Quindi, solo Gwend? » tentò di nuovo di precisare lui mentre io annuivo, accennandogli un sorriso.
« Posso farti anche una domanda Galahad? » dissi camminando insieme a lui, per tornare nella part sud-est dell’accampamento, dove sostavano i miei uomini.
« Certamente »
« Come è possibile che abbiate preso così bene la notizia che sono una donna? Senza offesa, ma da Rohan sono stata letteralmente esiliata appena il fatto è stato scoperto, e ho vissuto a Gondor abbastanza a lungo da sapere, che non siete una nazione così avanzata come vorreste fare credere » dissi probabilmente con più acidità di quanto quel singolo soldato meritasse. Galahad era un giovane di bell’aspetto, doveva essere sulla trentina e i capelli erano castano scuro, la mascella squadrata mi ricordava quella del suo ex comandante: Hirluin. Anche se la bellezza di quest’ultimo era stata di gran lunga superiore, soprattutto a causa dei loro occhi. Lo sguardo di Galahad ricordava molto quello di un cucciolo di labrador, con gli occhi tondi e le iridi scure, pareva un personaggio che non avresti mai associato con un combattente, ma semmai con un “pezzo di pane”.
« Il nostro Signore ce lo disse quasi subito, uscito dal consiglio, giunse da noi proclamando che si era innamorato e che per nostra fortuna, il nostro futuro regnante era perfino una donna! E per questo avrebbe avuto un erede » il soldato sorrise, abbassando lo sguardo sui suoi piedi, come perso nel ricordo « Il nostro Signore, è sempre stato un grande uomo, un po’ eccentrico forse ma non potevamo chiedere di meglio. Suo padre aveva avuto tutt’altro modo di insegnare,e come i regnanti precedenti aveva usato la mano di ferro su tutta la sua popolazione. Non era un cattivo sovrano sia chiaro, solo era uno come tanti altri.
Ma quando arrivò Hirluin, fu come l’arrivo della primavera dopo un rigido inverno. A differenza dei suoi padri lui fu un vero Signore. Abbassò le tasse, istituì giorni di riposo ed emise un nuovo decreto, uno che cambiò la nostra vita in meglio. Lo definì “Un diritto alla vita”, vietò che nel suo dominio chiunque morisse di fame, ognuno doveva aiutarsi a vicenda e se non potevamo farlo tra di noi, saremmo dovuti andare a chiedere asilo a lui e la cosa che ci stupì davvero, fu che Hirluin fu sempre pronto ad intervenire, a sporcarsi le mani nei campi con noi, a combattere in prima linea se venivamo attaccati, ad ospitare bambini rimasti orfani nel proprio castello … »
« Non sapevo che sotto il suo carattere così eccentrico, nascondesse così tante qualità » mormorai quasi vergognandomene, poiché io per prima ero stata così pronta a giudicare quel giovane regnante che tutti etichettavano semplicemente come “il bello”.
« Forse è per questo che ci è stato portato via. Anche i Valar volevano  graziarsi della sua bellezza » mormorò Galahad, permettendomi finalmente di comprendere  le vere origini di quel sopranome.
« Ma per rispondere alla tua domanda, chi credi che sia rimasto a proteggere Pinnath Gelin? Perché così tanti di noi hanno potuto rispondere alla chiamata di Gondor, nonostante le perdite che tutti stiamo subendo? Non posso parlare per gli uomini di Lossarnach, ma per quanto ci riguarda, è da quando Hirluin a preso le redini del nostro paese che nessuno si permette più di guardare dall’alto in basso una donna. ¹» sorrisi insieme a lui, rimpiangendo di non aver mai visitato il suo paese in tempo di pace. Sarebbe stata sicuramente un’esperienza molto più costruttiva.
« E comunque, chiunque ti abbia vista combattere, non oserebbe mettere in dubbio il tuo valore. Sempre che non desideri rimetterci la pelle » aggiunse ridacchiando.
Continuammo a parlare del più e del meno, sorprendendomi di quanto fosse facile interagire con quegli sconosciuti, che avrebbero per sempre avuto uno spazio tutto loro nei miei affetti.
Giungemmo dinanzi alla lieve brace che avrebbe dovuto riscaldare quella sezione di accampamento, che tutti gli uomini erano già stati radunati. Sorrisi ad ognuno dei presenti, felice di rivedere nei loro occhi, uno sguardo altrettanto amichevole.
Non volevo permettere che nessuno di loro soffrisse più del necessario, nessuno di loro doveva più morire in nome di Gondor o di una giusta causa, non se io avessi potuto impedirlo. E così, iniziò una nuova riunione, tutta nostra.
 
 
 
 
 
 

 « Ho ascoltato la tua discussioni con gli uomini di Hirluin e Forlong, se posso dire la mia, il tuo piano fa acqua da tutte le parti » mi si avvicinò Legolas prendendomi completamente alla sprovvista, ma riuscii ad impedirmi saltare letteralmente sul posto dallo spavento. Maledetti passi felpati da elfo.
« Legolas non si origliano le conversazioni altrui » ribattei prima di strozzarmi con la mia stessa saliva, ricordando ciò che io avevo fatto giorni addietro, ascoltando allo stesso modo la confessione dell’elfo di Bosco Atro.
Tossii leggermente, cercando di scacciare il mio imbarazzo, assieme alla mia prematura dipartita.
« Non è questo il punto. Hai degli uomini, sfruttali, che senso ha tenerli nelle retrovie per proteggerti da lontano? » ribatté lui ignorando completamente la mia affermazione e spostandosi dinanzi a me, così da impedirmi il cammino.
« Sai bene quanto me che non è il numero a fare la differenza contro un nazgûl il suo alito nero riuscirebbe a riempire il terrore di tutti gli uomini che mi affiancherebbero »
« E tu forse sei immune a quella paura? Eri totalmente a pezzi quando ci siamo rivisti nei Campi Pelennor, non puoi permetterti di affrontarlo da sola, ti schiaccerebbe! » disse senza curarsi di coloro che avrebbero potuto udire la nostra conversazione. Non era da lui mostrarsi agitato a quel modo, eppure stava succedendo di nuovo, per la seconda volta in pochi giorni.
« Non hai fiducia in me Legolas? Credi che non possa farcela? » lo accusai sapendo, che il mio era un colpo basso. Lo avrei costretto a mettere in dubbio le mie abilità come combattente e sapevo che l’elfo, non avrebbe mai fatto niente di simile, poiché riconosceva appieno la mia bravura con le lame. Stavo sfruttando quella debolezza, per impedirgli di esprimere appieno le sue preoccupazioni.
« Non è questo, ma sei sempre stata troppo avventata.  Dovresti riflettere di più su ciò che i tuoi passi stanno per fare » ribatté lui stringendo i denti. Avrebbe voluto aggiungere altro ne ero certa, ma si stava trattenendo perché sapeva che altrimenti lo avrei cacciato nuovamente in malo modo, come era successo a Minas Tirith. Iniziava a conoscermi Legolas, meglio di quanto potevo veramente apprezzare, mi spaventava sapermi così esposta con lui.
« Non sono avventata, agisco d’istinto e fino ad ora, non mi ha mai fallito » ribattei spostando lo sguardo oltre la sua spalla per non essere costretta ad incrociare i suoi occhi. Sapevo che altrimenti, vi avrebbe scorto tutta la paura che in realtà mi attanagliava il cuore, all’idea di affrontare nuovamente Khamûl.
« Fino ad oggi , ma prima o poi la tua scelleratezza ti costringerà a correre in aiuta di qualcuno che non puoi salvare e sarà la tua condanna » soffiò l’elfo irrigidendo la mascella. Sapevo che quelle parole, facevano male anche a lui, non solo a me, ma era comunque un boccone amaro da mandare giù, quello che la mia vita, sarebbe dovuta valere più di coloro che mi avevano dato la loro completa fiducia.
« Potrei morire anche se me ne restassi in un cantuccio nascosta. Possiamo tutti morire Legolas. Lo sai meglio di me … Che differenza vuoi che faccia? » domandai ferita alzando finalmente lo sguardo nel suo. Ma quello che trovai mi stupì, poiché non vi era alcuna rabbia, solo un immenso dolore.
« Fa differenza … la fa per me. Io, non posso permettere che tu muoia »  mormorò quasi in un sussurro l’elfo, con gli occhi che gli brillavano come se fossero invasi da delle lacrime nascoste « Non posso permetterlo » sussurrò nuovamente « Ne morirei anche io Valanyar » concluse incorniciando il mio viso tra le sue mani mentre mi inchiodava sul posto con i suoi occhi e il mio battito cardiaco si impennava in una folle corsa sotto il suo tocco.
« Io- » balbettai guardandolo e dimenticando per un attimo che eravamo ancora nel bel mezzo dell’accampamento «Legolas tu … io-» tentai nuovamente in modo sconclusionato mentre le labbra dell’elfo si pegarono in un sorriso così dolce, che sentii le gambe tremare sotto quel peso.
« Io sono innamorato di te mia signora, mi sono innamorato di te, come si fa per addormentarsi, prima lentamente, e poi, profondamente e perdutamente. » confessò come se non esistessimo nient’altro che noi in quel momento.
Avrei voluto fingere stupore, ma lo avevo sospettato, come potevo non averlo fatto? La discussione tra lui e Aragorn aveva lasciato ben poco spazio al fraintendimento ma forse, non mi ero mai aspettata che quell’elfo, sempre così stoico ed orgoglioso, si confessasse proprio con me, una mortale così mediocre ed avventata.
« Ma Legolas noi non possiamo, Sauron -» balbettai a caso « La guerra- » tentai cercando un filo conduttore tra i miei pensieri, ma riuscivo solo a sentire il mio cuore stringersi in una piacevole morsa dinanzi alla sua dichiarazione.
« Noi mia signora? » ribatté invece lui cogliendomi di nuovo di sorpresa ed addolcendo ulteriormente il suo sorriso « Vi è dunque un noi? » aggiunse avvicinando il suo viso al mio mentre continuava a tenere le mani sulle mie guancie, impedendomi così di fuggire dal suo sguardo indagatore.
Annuii. Sentendo le guance andarmi a fuoco, e il cuore battermi così forte nella cassa toracica da rimbombarmi nelle orecchie. Passai la lingua sulle labbra secche, cercando di inumidirle per sciogliere un po’ della mia tensione, ma sentendomi solo avvampare ulteriormente, quando lo sguardo di Legolas,si spostò sulla mia bocca.
« Allora per adesso, questa consapevolezza mi basterà. » mormorò allontanandosi di un passo e facendo scivolare le sue mani dalle mie guancie alle mie braccia, fino a prendere le mie mani nelle sue. « Non vedo l’ora che questa tua avventura si concluda Valanyar di Imladris, così che potremmo iniziarne una solo nostra »
« E’ una promessa? » sussurrai rendendomi quasi ridicola, ma senza poter fare  ameno di cercare di stemperare la situazione, o ero certa che sarei potuta morire proprio ora, proprio lì ed in quel momento, sotto lo sguardo così amorevole di Legolas.
« E’ una promessa » confermò lui stringendomi un’ultima volta le mani, prima di lasciarmi andare.
 


 
 
 
 
 
Quando giungemmo finalmente in vista del nero cancello, gli umori di tutti iniziarono ad incupirsi.
Aragorn viaggiava in testa, al centro della prima fila, alla sua sinistra vi era Legolas che portava anche Gimli e accanto all’elfo Gandalf con Pipino, io viaggiavo alla sua destra sopra Bucefalo, accanto a me vi era Faramir e poi Éomer.
Il cavallo sotto di me sbuffò ed io gli concessi una pacca amichevole sul collo, sperando di rincuorarlo, sarebbe stata, si sperava, la nostra ultima battaglia assieme.
« Dove sono? » mormorò l’unico hobbit presente poiché Merry era stato costretto a restare a Minas Tirith, sotto le cure della guaritrice di Gondor.
« Che il Signore della Terra Nera venga avanti! Che giustizia sia fatta su di lui! » urlò quindi Aragorn. La sua voce risuonò nell’arido terreno dinanzi al nero cancello, come portata dal vento.
Per qualche minuto, non accadde nulla, poi si udirono dei colpi di frusta ed infine, la porta dell’inferno si aprì, ma non si spalancò, bensì un messaggero uscì da quella terra maledetta.
« No fidatevi delle sue parole, saranno solo menzogne per farvi cedere alla paura. Fidatemi di me, non delle sue prove » dissi mentre Aragorn mi invitava andare con lui e la piccolo comitiva di condottieri, verso La Bocca di Sauron.
« Il mio padrone, Sauron il Grande, vi porge il benvenuto. Vi è qualcuno in questa folla con l’autorità di trattare con me? » salutò la creatura non appena fummo a portata d’orecchio.
Le sue apparenze erano disgustose, una strana corona di metallo,che ricordava la torre dell’occhio in miniatura e poi nel suo volto nient’altro, se non per un’enorme bocca dai denti acuminati come piccole spade.
« Noi non veniamo per trattare con Sauron, infedele e maledetto. Dì questo al tuo padrone: le armate di Mordor devono disperdersi. Egli deve lasciare queste terre e non farvi ritorno » rispose Gandalf mentre Ombromanto si agitava sotto di lui, scalciando nervosamente.
“ Non mi piace per niente” lo udii dire “ Puzza di morte, e di qualcosa di peggiore “ mormorò il bianco cavallo tra i miei pensieri, mentre io continuavo distrattamente ad accarezzare il collo di Bucefalo certa che si sentisse nervoso, almeno quanto il cavallo sulla quale procedeva Mithrandir.
« Ah! Vecchio Barbagrigia. Ho un pegno che mi è stato ordinato di mostrarvi. » disse l’essere dall’enorme bocca, prima di tirare fuori la maglia di Mithril che tutti noi, riconoscemmo come quella di Frodo.
Non attesi oltre, mentre Pipino si apriva in un’espressione di dolore, seguito da Gimli.
« Il Mezzuomo era caro a voi, vedo. Sappiate che ha sofferto grandemente per mano di chi l’ha ospitato. Chi avrebbe detto che un essere così piccolo potesse sopportare tanto dolore? -» iniziò dunque la Bocca di Sauron, cercando di fare appello all’amore che i miei compagni provavano verso Frodo, per condurli alla disperazione.
« Taci vile creatura, poiché io conosco la verità. Ve lo siete fatto sfuggire, da sotto il naso … Dimmi quante frustate hai ricevuto dal tuo padrone per essere stato tanto stupido? » sibilai facendomi avanti, mentre Bucefalo ubbidiva al mio comando come se potesse percepire la sicurezza nelle mie parole, e volesse rendermi fiera di lui, guardando la morte dritta in faccia.
« Tu sai che non puoi ingannarmi con le tue bugie io conosco la storia del mondo » dissi drizzando un po’ di più la schiena e sperando di riuscire ad infondere un po’ di coraggio nel cuore dei miei amici.
Gli ultimi uomini delle Terre libere erano rimasti con noi, e ci avevano accompagnato fino alle porte della Morte, non potevamo permettere che ci vedessero vacillare ora.
« Julwanavun² » mormorò la bocca di Sauron prendendomi alla sprovvista. Era lo stesso nome, con cui mi aveva chiamato il nazgûl durante l’assedio della città Bianca. « Mi è stato molto parlato di te, ti farà piacere sapere che i tuoi peggiori incubi sono solo una realtà … Tu vorresti forse salvarli? Sei solo una sciocca, e per la tua stoltezza, tutti coloro che ami ne pagheranno le conseguenze. O sì, il mio padrone ha dei piani per te, prevedranno il più lento e doloroso tormento. Soffrirai e supplicherai, fino a quando non sarai tu stessa a toglierti la vita, infrangendo tutte le tue promesse » sibilò. E nonostante non avesse gli occhi, o almeno io non potessi scorgerli, mi sentii trafiggere dalla verità delle parole, come se sapessi perfettamente di cosa quella creatura stava parlando e di cosa sarebbe successo, se non fossi arresa lì, in quell’istante.
Il panico dovette affiorare nel mio sguardo poiché poco più in là, di fianco a me, Aragorn di mosse, spostandosi sull’altro lato della creatura serva a Sauron.
« E chi è costui? L’erede di Isildur? Per fare un Re non basta una lama elfica spezzata-» non gli fu permesso di concludere la frase, poiché il futuro Re , gli recise la testa dal collo con un unico fluido movimento, incrociando poi i miei occhi, con tutta la determinazione che aveva sempre posseduto, fin da bambino.
« Io non ci credo! » urlò guardandomi mentre Gimli bofonchiava qualcosa sulla fine delle trattative « E non lo farai neppure tu Valanyar. Frodo è vivo hai detto, e dunque, combatteremo » concluse prima di voltare il suo cavallo, ordinando a tutti noi di seguirlo, obbligandoci a rientrare tra le nostre file, mentre io cercavo di calmare il battito del mio cuore.
 
« Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei…  » iniziò Aragorn galoppando dinanzi a tutto l’esercito che dinanzi l’esercito che Mordor stava riversando nella terra antecedente, doveva apparire come un pugno di uomini « Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli Uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Ma non è questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l'Era degli Uomini arriverà al crollo. Ma non è questo il giorno! Quest'oggi combattiamo! Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella terra vi invito a resistere, Uomini dell'Ovest! » concluse prima di partire alla carica, e come l’onda dello Tsunami, il silenzio avvolse il tempo, per uno, due, tre secondi ed infine … Un unico grido di battaglia emerse delle gole di tutti noi e ci tuffammo verso il nemico, pronti a seguire il nostro Re, fino alla morte.
La battaglia ci mise alle strette molto più in fretta di quanto avessi previsto, ma come nei miei migliori ricordi. Gli uomini tennero duro, ci spalleggiammo l’un l’altro, proteggendoci ognun i fianchi scoperti degli altri e dimostrando quanto un vero Re, fosse capace di unire tutti i regni degli uomini e non, sotto un'unica bandiera. Per la salvezza della Terra di Mezzo stessa.
E poi scesero in campo i nazgûl e tutto ciò per cui stavamo combattendo sembrò infrangersi contro un muro di pure terrore.
Il nuovo primo condottiero di Sauron, scese nella mischia mancando epr un soffio Éomer e presa dalla rabbia cieca corsi ad affrontarlo, poiché avrei permesso ai Valar di farmi tanti torti, ma non avrei mai permesso a Rohan di perdere un altro Re.
Éowyn non meritava di perdere suo fratello, io non meritavo di perdere un amico e gli uomini liberi non si meritavano di perdere un compagno tanto eroico.
«Combatti con me! Hai detto che sono io il tuo bersaglio no? Eccomi dunque! » urlai mentre Bucefalo si impennava dinanzi la bestia alata, soffiando contro la creatura come se i suoi zoccoli potessero qualcosa contro i denti affilati dell’avversario.
« Non potrai scappare da me Julwanavun non esiste mondo dove tu possa rifugiarti » sibilò il nazgul come se stesse per farsi una risata.
« Non ho idea di cosa tu stia parlando, io non sto fuggendo » ringhiai tra i denti stringendo un po’ più forte l’impugnatura delle mie lame.
« Ma lo farai, e quando succederà io ti inseguirò e ti troverò »
« Hai finito di chiacchierare o pensi di uccidermi prendendomi per sfinimento?! » urlai seccata invitandolo come una perfetta idiota a farsi avanti ed affrontarmi.
Il nazgûl sogghignò, accettando la mia sfida e scivolando giù dalla sella della bestia, mentre io facevo altrettanto da quella di Bucefalo. Il cavallo nitrì, evidentemente in disaccordo, ma io non volevo rischiare in alcun modo, che il mio amico finisse tra i denti della cavalcatura dello spettro.
 
 
« Gwend! Alla vostra destra! » urlò da dietro Faramir mentre io scartavo dunque nella direzione opposta lanciando un colpo con la spada alla cieca, senza però riuscire a colpire il mio avversario.
« Valanyar dietro di te! » udii Legolas vari metri più in là, ma mi fidai del suo giudizio mentre rotolavo in avanti, girandomi immediatamente con le spade incrociate, bloccando così il fendente del nazgûl.
Il mio fiato iniziava ad essere così pesante che temevo stesse venendo udito da vari metri di distanza.
Stranamente, nonostante i miei uomini ce la stessero mettendo tutta per sostenere la battaglia e il mio scontro privato, lo spettro non si rifaceva mai su di loro, restando sempre concentrato su di me.
« Sei forte Julwanavun ma non abbastanza, nessuna profezia è stata mai dettata a tuo nome. Perirai e sarà per mano mia, questa è l’unico futuro che potrai avere »
Le sue parole si iniettarono all’interno del mio spirito, come infinite schegge di vetro, la paura riaffiorò in superficie come se non avessi mai ritrovato il mio coraggio e il peso della sua spada sulle mie lame elfiche si fece sempre più pesante.
« Il mondo degli uomini finirà e tu, crollerai » disse alzando in alto la spada probabilmente pronto a scoccare il suo colpo finale, ma nello stesso momento in cui tentò di farlo, la sua stessa cavalcatura, gli fù lanciata addosso come una palla da bowling, rovinandogli addosso e seppellendolo sotto il suo peso, lasciandomi completamente illesa e stupefatta.
« Ma che diamine? » mormorai a mezza voce prima di alzare lo sguardo sulle decine di enormi ombre che ora ricoprivano il campo di battaglia dall’alto.
« Sempre hanno bisogno di aiuto gli umani. Mai che riescano a concludere da soli le loro guerre » udii l’aquila più vicina lamentarsi, prima di lanciarsi a tutta velocità contro un nazgûl e la sua bestia, combattendo con becco ed artigli come se la paura naturale dell’alito nero dei servi di Sauron, non potesse scalfirla.
« Le aquile! » urlarono gli uomini mente io osservando il cielo mi aprivo in un sorriso trionfante, c’eravamo quasi, avevamo quasi vinto, mancava così poco che avrei potuto sfiorarlo.
Mi voltai verso il Monte Fato nello stesso momento in cui Khamûl emerse dalla carcassa della sua bestia, ma non tentai di mettermi neppure in posizione difensiva, troppo presa dagli eventi all’orizzonte.
Alle sue spalle, il monte Fato prese ad eruttare e la nera torre che sosteneva l’occhio di fuoco, iniziò a sgretolarsi

 
 
 
 



Gandalf era appena salito su un’ aquila, i nemici correvano nella direzione opposta alla nostra  disperdendosi ovunque a vista d’occhio e  noialtri non potevamo fare altro che sorridere al cielo. Le nubi di Mordor si stavano disperdendo e nonostante l’eruzione del Monte Fato, nessuno di noi sembrava veramente preoccupato.
« E’ fatta » mormorai aprendo le braccia al cielo, mentre una lieve brezza mi scalfiva, portando via con sè tutti i dolori e le fatiche degli ultimi giorni.
« E’ finita » concordò al mio fianco Aragorn, salutandomi con un sorriso a trentadue denti, che ricambiai con la più assoluta sincerità.
« Gandalf troverà Frodo senza problemi? » domandò Legolas venendoci incontro da un centinaio di metri più in là.
Annuii, scambiandomi anche con lui un sorriso vittorioso « Avrà bisogno di cure, ne avranno bisogno sia lui che Sam. Ma sì… Andrà tutto bene» confermai facendo un passo verso l’elfo per andargli incontro, ricordando la promesse che ci eravamo scambiati e sentendomi quasi consumare dalla felicità.
E udendo quelle parole, il fato stesso la prese come una sfida, mentre un’enorme voragine si aprì ai miei piedi, facendomi cadere per vari metri prima che presa dal panico, riuscissi ad aggrapparmi ad una lieve sporgenza nel cratere appena apertosi.
Alzai lo sguardo verso il cielo, sentivo le urla di Aragorn e poco dopo, il ramingo apparve sull’orlo del baratro, sporgendosi con un braccio.
« Val grazie agli Dei, forza tirati su » mi incitò sporgendosi ancora di più mentre io abbassavo lo sguardo sotto di me. Lo feci per cercare un appiglio con i piedi ma invece, mi ritrovai in preda al pure terrore dinanzi alla vista dell’abisso senza fine.
« Non guardare in basso, guarda me, ehi andrà tutto bene. Forza cerca di raggiungere la mia mano » intervenne di nuovo la voce di Aragorn.
« Oddio »mormorai mentre sentivo la presa delle mie dita farsi sempre più debole, tentai un allungo, ma rischiai solo di perdere  la già precaria presa, mentre rialzavo gli occhi in quelli del ramingo.
« Dai Val puoi farcela prendi la mia mano »
 Il busto di Aragorn era quasi completamente oltre il burrone probabilmente in equilibrio precario mentre i capelli gli incorniciavano il viso, togliendola luce al suo sguardo mentre io tentavo di tirarmi su.
Fallii nuovamente non avendo abbastanza presa sulla roccia per issarmi, se solo fossi riuscita a trovare un altro appiglio forse...
Ma i miei piedi continuavano a dimenarsi cercando disperatamente qualunque tipo di sporgenza nella
parete innaturalmente liscia.
« Non osare lasciare la presa » sopraggiunse un altra voce che si sporse a sua volta il più possibile.
Legolas aveva un’espressione stoica in volto mentre stava probabilmente calcolando alla velocità della
luce quanto tempo mi rimaneva prima che le mie dita mi fallissero.
Provò a sporgersi ulteriormente ma rischiò solamente di capovolgersi finendo anche lui nel burrone, riprese l’equilibrio appena in tempo lasciandosi scappare un’imprecazione tra i denti.
« Legolas io posso sporgermi il più possibile mentre tu mi tieni dalle gambe d’accordo? Forza » propose il
futuro Re di Gondor mentre i miei mignoli perdevano la loro presa , e poi gli anulari...
«Aragorn » mormorai in preda al panico. L’uomo scosse la testa, cercando di richiamare le mie mani nelle sue, ma vi era almeno mezzo metro tra di loro ed io... stavo scivolando via.
« Sarai un grande Re, sono cosi fiera di te fratellino » mormorai mentre la mia mano sinistra perdeva la
presa, strattonandomi sempre più in basso.
« Valanyar! » gridarono disperatamente le due figure sopra di me.
« Legolas mi dispiace così tanto, avrei voluto ... avrei voluto poter mantenere quella promessa. Quella vita insieme, il provarci, sarebbe stato bello » confessai con le lacrime che già scorrevano lungo le mie guance.
« Ti ho detto di non osare! » urlò sporgendosi così tanto, che Aragorn fù costretto a tenerlo per la tunica, tirandolo verso di sé per impedire all’elfo di cadere con me.
«Ricordati di sorridere. Non diventare come tuo padre. Legolas io- » tentai prima che una voce facesse breccia tra i miei pensieri, tagliandomi il fiato in gola. Sembrava distante e lontana ma cosi familiare che attirò completamente la mia attenzione poiché apparteneva all’unica persona che avrebbe potuto  riportarmi alla lucidità.
« Devi andartene Valanyar è l’unico modo, devo proteggerti. Mi sei troppo cara figlia mia, torna a casa, lì sarai al sicuro » e sotto il peso di quelle parole , le ultime forze mi abbandonarono ed io, caddi nel vuoto.
Aragorn  e Legolas sopra di me gridarono il mio nome disperatamente ma alla fine il buio, mi inghiottì completamente.
 



 
 
 



 
« La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo³ »
 
 


 
 
 
 
 



 
« Svegliati! Dai tesoro svegliati! »
Aprii gli occhi di soprassalto, tirandomi a sedere con una velocità tale che la testa mi diede una fitta di dolore, confondendomi i sensi.
«Oh finalmente! Quanto avevi intenzione di dormire oggi è ragazzina ? Solo perché sei la festeggiata non vuol certo dire che puoi dormire fino a pranzo! Forza in piedi! »
Mi voltai verso la donna che mi stava parlando, era in piedi di fronte a me e mi guardava con un sorriso a trentadue denti. Il suo viso non mi risultò sconosciuto, le rughe attorno agli occhi gli concedevano uno sguardo più maturo ma anche infinitamente caldo. I suoi capelli castano scuro erano legati in una crocchia disordinata e dei ciuffi ribelli le ricadevano attorno al viso incorniciandoglielo, donandogli un’aria quasi giovanile.
« Mamma? » domandai con un filo di voce sconvolta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 









 
 
Pinnath Gelin¹ = una vera patria femminista? Ne dubito assai, ma dopo aver buttato tanto letame addosso ai regni della Terra di Mezzo, mi sembrava doveroso rendere almeno uno di questi posti un posto felice xD E avendo già modificato il personaggio di Hirluin a mio piacimento, ho pensato di fare la stessa cosa, anche con la sua patria.
Lasciatemi fare, mi ero affezionata al ragazzo T.T
 

Julwanavun²= per chiunque non se lo ricordasse, significa “Indesiderata” nella lingua Nera di Mordor.
 

La vita è un sogno dal quale ci si risveglia morendo³ = Citazione di Virginia Woolf
 
 





NdA parte 1 : Scusate. Scusate. E ancora scusate.
Lo so così non riesco nemmeno a  farvi godere la storia come si deve, e come meriterebbe, ma questa settimana è stata un inferno, ho trovato un altro lavoro e quindi mi sono dovuta mettere sotto e devo ancora abituarmi ai nuovi ritmi.
Mi dispiace davvero perché alla storia comunque ci tengo e sopratutti a voi che mi avete seguito con pazienza fino in fondo, non ve lo meritate un trattamento simile. Spero di riuscire a non dover più fare ritardi simili, anche se oramai, avrete smesso di credermi ^^’
 
Di positivo c’è che è quasi finita, quindi smetterò di stressarvi con le mie scuse.  Grazie soprattutto a siriusxme , Nemesis98 e Greenleaf che mi avete sostenuta e sopportata fino ad ora. Come avrei fatto senza di voi? Non avrei fatto, che se mi ritenete una schiappa così, sappiate che senza queste 3 io avrei mollato a metà strada di sicuro <3
Quindi grazie, grazie, grazie <3
 


NdA parte 2: Avete pianto? T.T Perché io ho pianto.
In realtà se non lo avete fatto è comprensibile, io sono solo triste perché è finita.
Beh non è finita - finita. Ma ci siamo capiti.
Nel prossimo capitolo, l’epilogo! Che pubblicherò venerdì prossimo senza posticipazioni folli di alcun tipo :) L’ho già scritto quindi a questo giro non dovrei fare la figura della bugiarda come al solito T.T
 

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


▌ Epilogo  ▌
 








 
[…]  « E se smettesse di sognare di te, dove credi che tu saresti? Dove credi che il tuo io esisterebbe? »
« Dove io sono ora , naturalmente, qui! In questo preciso posto in questo istante. E questo basta  » rispose Alice.
« Niente affatto, mia povera Alice  » disse Piripipù sprezzante « Tu non saresti e non esisteresti in nessun luogo. Perché tu sei ed esisti realmente dal profondo del tuo intimo solo perché sei qualcosa dentro il suo sogno » […]
 
_Alice nel paese delle meraviglie - Lewis Carroll
 







« mamma? »  domandai con un filo di voce sconvolta.
 
« Siamo ancora nel mondo dei sogni eh? Dai su vedi di darti una mossa  una mossa Iris¹ !» commentò divertita uscendo dalla stanza, ed accostando la porta alle sue spalle.
Iris... da quanto tempo non sentivo quel nome? Il mio nome.
Mi guardai attorno cercando di riconoscere l’ambiente in cui mi trovavo, ma riconobbi ben poche se non qualche foto nelle mensole della libreria. Ero io, in alcune ero qualche anno più giovane in altre un
adolescente, ma ero facile da identificare ...
Scostai le coperte, tirandomi lentamente in piedi, per poi alzare la maglietta che avevo indosso. La mia pelle era immacolata, nessuna cicatrice, nessun muscolo perfettamente definito, nessuna ennesima ferita sanguinante. Solo una bella pancetta che mi guardava come se non avesse mai saltato un pasto o fatto un addominale in vita sua.
Mi avvicinai richiamata da un libro che doveva essere stato rimesso a posto di furia, poiché la costola era leggermente in fuori.
« Lo hobbit » lessi accarezzando il titolo del libro con due dita.
« Non è possibile» mormorai iniziando a capire finalmente cosa stava succedendo.
Era stato tutto un sogno... tutti quegli anni, quelle emozioni, quegli affetti... un sogno.
Non erano veri, solo personaggi frutto della fantasia di qualcun altro... non erano veri.
« Un sogno? » ripetei nuovamente mentre le lacrime mi uscivano dagli occhi, bagnandomi il viso
e il mio sguardo si spostava sulla parete quasi completamente spoglia dinanzi a me.
Il calendario segnava in rosso una data, il mio ventiseiesimo compleanno.
« Non era reale » mormorai ancora crollando in ginocchio e cercando di trattenere i singhiozzi più rumorosi, mentre gli ultimi anni di vita mi passavano davanti agli occhi come se stessi morendo di nuovo:
La mia vita a Gran Burrone, il desiderio di rendere Re Elrond fiero, la mia famiglia, Arwen, i gemelli ed Aragon. Bilbo, Frodo ed Haldir ed infine ... lo sguardo di Legolas prima che cadessi nel burrone.
« Non è giusto » mi lamentai stupidamente sottovoce, con i palmi delle mani premuti contro le labbra per non farmi sentire da mia madre che sentivo canticchiare un allegro motivetto dalla cucina.
« Non era vero niente » ripetei ancora tirando su con il naso e cercando di scacciare qual dolore lancinante dal petto.
Alzai il colletto della maglietta, per asciugarmi le lacrime e lo sguardo mi cadde sul mio petto nudo al di sotto del pigiama: un meraviglioso gioiello a forma di lacrima risplendeva sulla mia pelle, un gemello composto da una lega che non esisteva in natura nel mio mondo. Lo stesso gioiello che mi aveva accompagnato nelle ultime avventure ed ora, stava vibrando piano, emanando una luce soffusa che produceva un lieve calore.
Aiantcuil brillava al centro del mio petto, ricordandomi come avesse sempre posseduto una vita propria.
Smisi di piangere, veloce come il panico mi aveva sopraffatto svanì, mentre ricoprivo il gioiello con la maglietta ed allontanavo le ultime lacrime con il palmo della mano.
Perché se Aiantcuil era tornato con me, voleva dire che era tutto vero.
E se era tutto vero, voleva dire che la Terra di Mezzo era un posto reale.
E se la Terra di Mezzo era un posto reale … c’era un modo per tornare. Ed io lo avrei trovato.
 

 
 
 

Quando la battaglia davanti al nero cancello ebbe fine. I protagonisti della storia dentro al libro si ritrovarono persi in delle emozioni che non riuscivano a comprendere.
Aragorn era sdraiato su un baratro, accanto a Legolas con un braccio teso, rispecchiando perfettamente la posizione dell’elfo. Entrambi guardavano giù verso il baratro come se avessero cercato di tirare su qualcosa, o di salvare qualcuno. Ma non ricordavano chi potesse essere, mentre si guardavano a vicenda confusi, stupendosi delle smorfie di dolore che segnavano così pesantemente i loro volti.
Legolas, il meraviglioso figlio di Thandruil, uno stoico elfo che aveva affrontato gravi battaglie e vissuto per più di mille anni, aveva gli occhi rossi a causa delle lacrime versate, ma per chi o per cosa non ne aveva più la più pallida idea.
Il futuro Re di Gondor si alzò in piedi con difficoltà, venendo raggiunto dal suo amico Gimli che lo sostenne al meglio per un braccio, ma lui continuò a barcollare guardandosi attorno.
Mancava qualcuno, lo sentiva ne era certo. Ma chi?
« Dov’è? » mormorò guardandosi attorno mentre veniva imitato dall’elfo e dal nano che come a lui si guardavano attorno turbati. Perfino Faramir assieme al nuovo Re di Rohan Éomer erano turbati, continuando a ricercare tra i sopravissuti un volto familiare che però non riuscivano a trovare.
« Chi ? » domandò quindi Imrahil, confuso dallo strano comportamento dell’ ex ramingo e dei suoi compagni, persino suo nipote sembrava aver perso una parte di sé. Eppure erano tutti lì.
Il Monte Fato alle loro spalle eruppe nuovamente, ruggendo nel cielo tutta la sua furia e attirando così l’attenzione dei presenti.
« Credo …  Credo mi stia sfuggendo qualcosa. Qualcosa di importante » mormorò Aragorn voltandosi verso i due migliori amici.
« Qualcuno » specificò Legolas guardando anche lui l’amico con aria distrutta. Ma alla fine, i tre furono costretti a riprendere la marcia dietro gli altri per tornare a casa, richiamati più volte dal Principe di Dol Amroth.
 
Solo Legolas si voltò di nuovo quando oramai il cancello di Mordor era fuori dalla vista di qualsiasi mortale, un suono aveva attirato la sua attenzione, e guardando più attentamente, notò che un meraviglioso cavallo grigio si agitava e piangeva, nitrendo fino a quando non dovette avere più voce in corpo.
Legolas comprese che quell’esemplare era stato cresciuto dagli elfi, e non aveva il dono della parola ma non gli sarebbe certo servita in quel momento.
 Il messaggio era chiaro mentre l’animale correva, a volte saltando i crepacci lungo il terreno, facendo movimenti azzardati che rischiarono di farlo cadere nel buio più volte, ma non si fermò continuando a piangere e a cercare.
« Dove sei? » sembrava dire « Perché non torni? » e ancora « Cosa farò senza di te? » fino all’ultimo latrato : « Ti prego non lasciarmi » .
“E’ un cavallo fortunato” pensò Legolas senza neppure rendersene conto “ Almeno lui,  sembra ricordare chi ha perso”.
 
Ma il pensiero gli sfuggì in fretta dalla mente, come una promessa infranta e si trovò semplicemente a  voltarsi, per raggiungere i propri compagni.



 
 
 

Quando Frodo si svegliò, la prima cosa che vide fu il volto sorridente di Gandalf.
E fu una visione meravigliosa perché questo significava che lei aveva avuto ragione, che lui non era mai morto e che quindi ora potevano tornare tutti assieme a Casa Baggins, a passare i pomeriggi assieme come ai vecchi tempi.
Poi la porta si spalancò e Merry e Pipino entrarono nella stanza, riempiendolo di felicità. Poi giunse Aragorn, seguito da Legolas e Gimli ed infine Faramir. Frodo era felice, ma i suoi occhi continuavano a soffermarsi sulla porta aperta, come se qualcuno mancasse all’appello.
Quando entrò Sam, una parte di lui pensò che doveva essere stato il buon hobbit a mancargli, non esisteva un Frodo senza Sam. Non sarebbe mai sopravvissuto, Frodo, senza il suo Sam.
Così sorrise, incrociando lo sguardo dell’hobbit giardiniere, ed ignorando quella confusa sensazione che gli diceva, che la compagnia, non era completa.



 
 



Éowyn attese il ritorno di Faramir dalle porte del palazzo. Le era stato detto che non poteva allontanarsi oltre. E lei non voleva disobbedire alla guaritrice ma era stata in ansia per così tanti giorni ... Desiderava sapere se il giovane Capitano di Gondor ce l’aveva fatta.
Quando Faramir entrò nel suo campo visivo assieme ad Éomer, lei corse ad abbracciare i due uomini più importanti della sua vita, rise come non rideva da anni e si sentì finalmente completa, prima di fare un passo indietro, ed intristirsi.
« C’è qualcosa che non va Mia Signora? Il braccio vi fa male? » domandò Faramir premurosamente, spostandosi in avanti, subito pronto ad aiutarla per qualunque bisogno.
« No non è quello è solo che … Siete tornati tutti sani e salvi? »
« Siamo stati molto fortunati, le nostre perdite sono state molto limitate, onestamente, ci aspettavamo perdite molto più intingenti considerando il ristretto numero di uomini a disposizione »
« Oh » disse Éowyn cercando un viso familiare tra i visi alle spalle dei due uomini « E’ una notizia meravigliosa » si limitò a commentare, non trovando nessuno degno della sua attenzione, mentre accompagnava i due uomini all’interno del palazzo, per aiutarli a coricarsi.
 

 
 


 
« Buone notizie! » udì la figura distesa sulla tavola di legno, dire ad una voce familiare.
« Sembra che Gondor abbia vinto la guerra! L’oscuro è stato sconfitto, se così fosse, forse il Bianco Stregone, potrà sapere cosa è successo al nostro Capitano »
« Ci deve sicuramente delle spiegazioni. Perché condurlo ad un sogno eterno? Senza avere nessuno che legasse la sua anima al suo corpo, è pura follia. Nessun elfo può sopportare una simile magia senza qualcuno che ancori a questo mondo » commentò un’altra voce, forse la sorella di quella di prima?
« Speriamo che se riuscirà a svegliarlo, Haldir sarà sempre sé stesso. In fin dei conti era un elfo forte, prima della battaglia del fosso di Helm » mormorò di nuovo un’elfa donna, con timore evidente.
« Continuo a non comprendere perché abbia insistito ad andare, non gli sono mai piaciuti gli umani - »
Le voci si fecero sempre più distanti, e a causa del suo corpo ancora debole, l’elfo non riuscì più a ghermire altro, da quella misteriosa conversazione.
“Di cosa stanno parlando?” pensò amareggiato “Perché sono giorni che nessuno fa più il suo nome?” soppesò ancora.
Se avesse potuto, probabilmente avrebbe corrucciato le sopracciglia. “ Già e lei mi avrebbe schiacciato le due rughe di espressione che mi si sarebbero formate, prendendomi in giro “ pensò mentre un piacevole calore gli si spandeva nel petto, prima che il dubbio gli si insinuasse tra i pensieri.
“Lei chi?” soppesò cercando di riportare alla mente il volto di colei, a cui teneva così tanto. Ma più si sforzava di pensarci, più gli scivolava via, come fumo tra le mani … Cercò di aggrapparsi a qualunque cosa, il colore dei suoi occhi, della sua pelle dei suoi capelli, ma niente sembrava tornargli in mente. Anzi nel momento stesso in cui si concentrava, il ricordo svaniva, nonostante un attimo prima, fosse stato lì.
“No no, non posso perderla” pensò agitandosi in preda al panico, per la prima volta nella sua lunga esistenza. Mai aveva ceduto al panico, era un valoroso guerriero ed era considerando stoico anche tra quelli della sua razza, ma in quel momento, era irriconoscibile.
Il suo corpo era immobile, sulla tavola di legno, condannato ad un’esistenza eterna, rilegato in sé stesso, fino a quando non fosse stato risvegliato da …
“ Valanyar! “ urlò nella sua mente con tutta la forza che possedeva. Lo sforzo fu tale, da quasi condurlo all’incoscienza, di nuovo, dopo due mesi a combattere il suo stesso corpo per non morire. Ma si aggrappò a quel nome con tutte le sue forze e nonostante bruciasse più della lava liquida non lo lasciò scivolare via da sé.
“Valanyar” pensò di nuovo “Valacen, è la persona più cara che ho. Non la dimenticherò. Non ti dimenticherò”
“ Valacen, amica mia, dove sei?” mormorò sentendo le sue forse farsi sempre più deboli e la sua coscienza scivolare via, ma anche così non permise alla sua mente di dimenticare quell’unica parola.
“Valanyar” mormorò di nuovo, prima che lo sforzo lo prosciugasse, obbligandolo ad un oblio eterno.
 
 
 












 
  ▌FINE  ▌
 
 
 
 
 












Iris¹ = La Dea messaggera degli dei Greci. Lo stesso nome difatti significa “messaggera degli Dei” come aveva anticipato a Legolas qualche capitolo fa ;)
 







NdA: E’ finita gente!!! O meglio, non lo è ;)
E’ finita la prima parte dell’avventura di Valanyar, sto scrivendo attualmente la seconda che però ho diviso da questa poiché sarà completamente originale rispetto all’opera di JRR Tolkien.
Non so dirvi quando la pubblicherò, volevo farlo non appena avessi avuto almeno 7 capitoli scritti e corretti, così da non dovervi di nuovo costringere ad attese interminabili come queste negli ultimi capitoli.
Quindi questa storia ora farà parte di una seria intitolata Adventures are our speciality , e la seconda parte invece si intitolerà Adventures are your speciality.
 
Spero che questo viaggio con Valanyar vi sia piaciuto e spero che tornerete con lei nella Terra di Mezzo nel prossimo! Vi sono davvero, davvero, davvero, davvero grata per il vostro supporto, e vi saluto poiché una parte di me piange da giorni T.T
 
A presto <3

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