Tsunami

di Huffelglee2599
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terrore ***
Capitolo 2: *** Disperazione ***
Capitolo 3: *** Calore ***



Capitolo 1
*** Terrore ***


Terrore


Mi stiracchiai, sbattendo lentamente le palpebre e voltando il capo verso destra, dove ad attendermi vi era una folta chioma di capelli biondi: sorrisi, avvicinandomi a quelle striature color del grano e inspirando profondamente il loro tipico odore di lavanda che inebriò i miei sensi, facendomi sospirare. La lieve brezza data dal mio caldo fiato dovette risvegliarla: il suo corpo si mosse leggermente e il suono di un mugolio sommesso fuoriuscì dalla sua bocca, portando le mie labbra a sollevare lievemente i propri angoli, in un misto di tenerezza e divertimento -“Buongiorno”- sussurrai, con la voce roca e ancora impastata dal sonno, prima di appoggiare la guancia sul palmo della mia mano destra e attendere che il suo sguardo si posasse sul mio: aspettai solamente una manciata di secondi, prima di osservare la sua spalla sinistra ruotare completamente nella mia direzione, sentire il suo calore mischiarsi a quello del mio corpo e prendere visione dei suoi occhi che, nonostante fossero ancora assonati, mi sorridevano felici -“Buongiorno tesoro”- mormorò, sporgendosi in avanti e appoggiando delicatamente le sue labbra sottili sulle mie: sorrisi su di esse, accentuando di poco quel casto contatto, solo per poter percepire la pelle sensibile nel retro del mio collo incresparsi e una sensazione di benessere farsi largo nella mia anima, accelerando il battito cardiaco. Avvertì le sue dita accarezzarmi il fianco sinistro e il palmo della sua mano spingere leggermente il mio bacino contro il suo: sospirai pesantemente, stringendo con forza l’orlo della sua maglietta e allontanando di qualche centimetro la mia bocca dalla sua per riprendere quell’ossigeno che aveva abbandonato i miei polmoni troppo presto. Mi concessi un paio di respiri profondi, prima di tornare ad assaporare le sue dolci labbra: la mia lingua era appena passata sul suo labbro inferiore quando la mia totale immersione nel suo delizioso aroma venne interrotta dal lieve cigolio della porta di legno. Mi staccai dalla bocca di Brittany, sollevando il mio corpo quel tanto che bastava da intravedere un paio di teste emergere dal retro della porta e fare capolino nella stanza: ridacchiai, scambiando uno sguardo d’intesa con mia moglie che, attirata dallo stesso suono, aveva appoggiato i gomiti sul materasso, rivolgendo lo sguardo all’ingresso della camera -“Chi c’è lì?”- domandai in tono giocoso, pregustandomi il momento in cui si sarebbero fatte vedere. Il mio udito cominciò a percepire una serie di bisbigli, all’inizio sommessi poi sempre più rumorosi, finché di colpo ogni suono cessò: rimasi in attesa, con lo sguardo fisso sull’uscio, prima di essere travolta dal caotico trambusto dei loro schiamazzi che accompagnava un accuratissimo assalto al nostro letto -“Buongiorno!”- esordì Evolet, lanciandosi a peso morto sulla mia pancia e iniziando a punzecchiarmi i fianchi con le sue dita: risi di gusto, cercando di sottrarmi alla sua tortura e ricambiare il favore, ma dopo dieci anni di esperienza conosceva molto bene le mie contromosse, riuscendo così a evitare i miei repentini attacchi sul collo. Voltai il capo verso destra, cercando un aiuto, ma quando vidi Brittany soccombere completamente alla velocità delle mani di Luna non potei fare altro che incrementare il suono della mia risata, chiedendomi quale fosse stato l’attimo in cui le posizioni si erano invertite. Impiegai un paio di minuti, prima di riuscire a bloccare il movimento delle sue mani, afferrandole i polsi e tirandomi su per depositarle un piccolo bacio sulla fronte -“Buongiorno tesoro”- sistemai leggermente i suoi biondi capelli, prima di girarmi in direzione dell’altra peste che, dopo l’estenuante tortura, si era appollaiata sulle gambe di Brittany -“E buongiorno anche a questa piccolina”- mi sporsi in avanti, dandole un dolce bacio sulla guancia destra e rivolgendole un tenero sorriso che però non trovò alcun riscontro: sbattei velocemente le palpebre, corrugando la fronte, confusa d’innanzi al suo viso imbronciato e alle sue braccia incrociate. Dischiusi leggermente la bocca, spostando lo sguardo su Brittany per capire che cosa avessi detto di sbagliato, ma lei si limitò a sollevare le spalle, scuotendo lievemente la testa -“Non sono piccola..”- bofonchiò Luna, alzando gli occhi verso Brittany e poi posandoli nei miei per enfatizzare il concetto -“..ho sei anni adesso”- affermò decisa, mostrando con le sue manine il fatidico numero che, per lei, segnava il passaggio nel mondo degli adulti. Ridacchiai, e mia moglie con me, di fronte alla sua espressione che cercava di sostenere in maniera ferrea quello che aveva appena detto: occhi seri e bocca corrucciata, erano quelli i tratti che solcavano il suo viso; tratti che, io e Brittany, sapevamo non appartenere ad una persona come Luna: ci scambiammo una semplice occhiata, consapevoli della carta che avremmo giocato -“Mmh..e così adesso sei grande..”- cominciò Brittany, alzandosi dal letto, mentre Luna annuiva a ripetizione, non prestando alcuna attenzione al passo leggero di Brittany che si dirigeva verso la cucina -“..quindi per colazione niente waffles a forma di principesse Disney?”- percepì il suo respiro spezzarsi, mentre i suoi occhi si spalancavano, cercando subito i miei, come a trovare conferma delle parole appena udite: annuì leggermente, trattenendo a stento la risata che spingeva ad uscire d’innanzi al suo totale smarrimento, dovuto al crollo di quelle certezze così sicure che impiegarono solo una manciata di secondi per infrangersi del tutto -“No aspetta!”- Luna balzò giù dal letto, correndo freneticamente fuori dalla camera -“Aspetta mamma!”- la sentì gridare, tra le risate di Brittany, le mie e quelle di Evolet che, dopo aver sentito il delizioso menù della colazione, si precipitò anche lei in direzione della cucina. Rimasi con lo sguardo fisso sulla porta, mentre l’ombra di un tenero sorriso continuava ad indugiare sulle mie labbra, rendendo la mia espressione sempre più ebete e il mio cuore sempre più leggero: sospirai, prima di alzarmi e raggiungere la mia famiglia nella graziosa e colorata cucina messa a disposizione dal resort per ogni appartamento. Ancora stentavo a credere che avessimo seguito il consiglio di Rachel, prenotando in uno degli alberghi più lussuosi della Thailandia, anche se quello che mi lasciava realmente allibita era il fatto che avrei dovuto ringraziarla una volta tornate dal viaggio: dopo quasi due settimane di soggiorno in quel piccolo paradiso tropicale il mio livello di stress, dovuto alla vita frenetica di New York, si era notevolmente abbassato; inoltre, avevo finalmente avuto l’occasione di trascorrere intere giornate tra coccole e baci. Terminata la colazione ci preparammo per trascorrere la giornata sulla bianca spiaggia che costeggiava il resort: ero intenta a preparare la borsa quando il rapido ticchettio di piedi nudi mi distrasse dal mio compito, facendomi voltare verso sinistra -“Mami..mami..mi si sono rotte le ciabatte”- Luna fece capolino nella camera, mostrandomi dispiaciuta le sue infradito alle quali era saltato il pezzo di stoffa centrale che permetteva al piede di rimanere fisso -“Oh..non preoccuparti..”- le presi, riponendole nella borsa e facendomi un appunto mentale che mi sarei dovuta ricordare di buttarle una volta uscite di casa -“..prima di andare in spiaggia passiamo al mercato e ne compriamo un altro paio..okay?”- Luna annuì, iniziando a saltellare allegramente per la stanza, mentre Brittany faceva il suo ingresso dal bagno con in mano i costumi di ricambio per le bambine: li infilò nella sua borsa, prima di chiudere la cerniera e posizionare la tracolla sulla sua spalla destra -“Allora siamo pronte?”- la voce di Evolet penetrò nelle sottili pareti della nostra camera, mentre la sua risposta affermativa sottolineava la sua disperata urgenza di uscire da quell’appartamento per tuffarsi nelle limpide acque dell’oceano: io e Brittany ridacchiammo, cominciando a spostarci verso la porta d’ingresso -“Ah..Britt?”- la chiamai, ricordandomi che dovevamo fare tappa alle bancarelle -“Dobbiamo fermarci al mercato..a Luna si sono rotte le ciabatte”- al suono di quelle parole Evolet sbuffò leggermente, mentre Brittany sorrise raggiante, rinvigorita da chissà quale pensiero -“Uhh..ottimo! Così magari compro anche qualche vestito e vedo se ci sono delle riviste interessanti”- il tonfo della fronte di Evolet che sbatteva con violenza contro la porta principale fece corrugare le mie sopracciglia e assumere al mio volto un’espressione di rimprovero per la sua totale mancanza di pazienza, ma mi spinse anche a prendere una decisione -“Perché tu e Luna non andate al mercato, mentre io porto miss insofferenza in spiaggia?”- Evolet si voltò di scatto, iniziando ad annuire a ripetizione e a saltellare smaniosa, non prima di avermi rivolto una breve linguaccia -“Okay..allora a dopo”- Brittany si avvicinò, appoggiando delicatamente le sue labbra sulle mie e regalandomi un dolce bacio: sorrisi, una volta staccate -“A dopo”- Uscite dall’appartamento io ed Evolet ci dirigemmo verso destra, procedendo per un sabbioso e ombroso viale, dovuto alla presenza di numerose palme, che ci avrebbe condotte alla fatidica spiaggia. Giunte alla meta mi posizionai nel solito ombrellone, cominciando a disfare la borsa e a stendere i teli sopra ai lettini -“Mami posso andare a fare il bagno?”- sollevai il capo, ritrovandomi una Evolet già completamente svestita e con in mano la sua maschera rossa per poter andare a caccia dei pesci più belli -“D’accordo..”- sospirai, irrimediabilmente sconfitta dal suo incontenibile entusiasmo -“..ma mi raccomando..non allontanarti e rimani vicino alla riva..”- non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase che, dopo due brevi accenni col capo, Evolet schizzò verso il mare -“..appena ho finito ti raggiungo!”- le gridai dietro, prima di sospirare e sollevare gli occhi al cielo. Una volta sistemata la postazione mi apprestai a raggiungere mia figlia: camminai rapidamente sulla sabbia, troppo calda perché i miei piedi potessero indugiare su di essa più di qualche secondo, fino a raggiungere la riva ed immergere le dita nella fresca acqua dell’oceano. Spostai due volte lo sguardo da destra a sinistra, prima di individuare una chioma bionda e un paio di piedini sbattere velocemente sul filo della superfice: sorrisi, incrociando le braccia al petto e osservando i movimenti di Evolet, tra tuffi, verticali e strane acrobazie che avevano la capacità di farmi piangere dal ridere. Dopo una decina di minuti Evolet riemerse dall’acqua, correndomi incontro per condividere la freschezza del suo corpo con la calura del mio: cercai di schivare il contatto, ma dopo pochi istanti mi ritrovai le sue braccia intorno alla vita e percepì un intenso brivido percorrermi la schiena, provocato anche da un forte vento che si era innalzato senza preavviso, dissuadendomi dal fare il bagno. Ritornai con Evolet all’ombrellone e la aiutai ad asciugarsi, soprattutto con i capelli che, una volta nascosti sotto il telo, scompigliai energicamente, provocandole una leggera risata: la divertiva sempre quel piccolo giochino -“Ev..ti andrebbe di rimanere a mangiare qui per pranzo?”- annuì con vigore, mentre il suono ovattato della sua risposta giungeva al mio udito, facendomi sorridere: nella mia mente stava prendendo forma una piccola sorpresa per Brittany -“Ottimo..allora..”- distesi il telo sul tettuccio del lettino per farlo asciugare -“..andiamo al ristorante..così prenotiamo”- mi infilai la maglietta del copri costume, e così anche Evolet, prima di dirigermi all’interno della struttura adiacente alla spiaggia. Eravamo dentro da qualche minuto quando lo stridente gracchiare degli uccelli mi fece voltare in direzione della spiaggia: corrugai la fronte, confusa alla vista di un immenso nugolo di volatili che sorvolavano rapidi il complesso di ombrelloni. Rimasi con lo sguardo fisso sulla battigia, cercando di capire a che cosa fosse dovuto tutto quel trambusto, finché il mio udito non venne distratto dal rumore dei pannelli di plastica che cominciarono a vibrare con fragore, incrementando il battito del mio cuore e l’affanno del mio respiro: che cosa stava succedendo? Le grida che raggiunsero le mie orecchie e l’acqua che si propagava con velocità lungo tutta la spiaggia, travolgendo ombrelloni e lettini, risposero alla mia domanda: il fiato mi si bloccò in gola mentre, afferrando la mano di Evolet, mi precipitavo fuori dal ristorante, cercando una salvezza che, dopo pochi istanti, venne inghiottita dalla forza del mare.
 

Sospirai sconsolata, afferrando la gruccia e riponendo il vestito nell’apposito appendiabiti: dopo quasi dieci minuti di ricerca non ero riuscita a trovare nulla che mi piacesse o che potesse trovare il favore dei gusti di Santana. Lasciai andare un piccolo sbuffo di irritazione, prima di procedere verso l’ultima bancarella su cui avrei posato lo sguardo quel giorno: mi avvicinai al tavolo, passando i polpastrelli sulle diverse collane che occupavano la bianca superfice del ripiano e ammirando le varie pietre incastonate nell’argentato gioiello -“Mamma..mamma..guarda quanti uccelli!”- sbattei velocemente le palpebre, distogliendo l’attenzione da quelle meraviglie per rivolgerla al cielo, dove un enorme stormo di uccelli volava rapidamente verso il centro della città: sorrisi, abbagliata dalla bellezza dei loro colori, appoggiando la mano sinistra sul capo di Luna. Il momento di ammirazione venne interrotto da un assordante frastuono, come di migliaia di vetri che andavano in mille pezzi, e dal vociare delle persone che, di colpo, assunse le sembianze di un grido di disperazione: mi voltai di scatto, avvertendo il battito del mio cuore accelerare la corsa e il mio respiro diventare sempre più precario, quasi fino a scomparire, quando nei miei occhi prese forma la visione di una gigantesca massa d’acqua che si muoveva rapidamente verso di noi. Rimasi bloccata per un istante, talmente terrorizzata dalle conseguenze che la mia mente stava elaborando da non riuscire a controllare nessun muscolo del mio corpo, così rigido e incredulo da sembrare fatto di piombo: solo nel momento in cui avvertì le braccia di Luna circondare disperatamente la mia gamba destra riuscì a riacquistare quel barlume di lucidità che mi permise di sollevarla da terra e di cominciare a correre. I miei piedi si mossero rapidi solo per una frazione di secondo, prima che la violenza dell’onda travolgesse le mie gambe, facendomi cadere di schiena, e sommergesse il mio corpo nella sua infernale spirale: chiusi gli occhi, cercando di trattenere Luna al mio petto, mentre la forza dell’acqua mi spingeva inesorabilmente in avanti, facendomi scontrare con qualsiasi cosa interferisse il suo passaggio. Strinsi i denti, gemendo dal dolore, nel percepire la pelle delle mie ginocchia strusciare sul duro asfalto della strada, la mia schiena sbattere contro le pareti degli edifici e le mie cosce essere lacerate dai rami degli alberi che erano caduti. Nonostante il battito del mio cuore continuasse a pulsare con fragore nel mio petto, estendendosi per tutto il mio corpo, fino alle tempie, sentivo le forze cominciare ad abbandonare i miei muscoli: il dolore alle braccia, dovuto ai numerosi detriti che avevano squarciato la mia carne, era divenuto troppo intenso per riuscire a mantenere, ancora per molto, una salda presa intorno al corpicino di Luna. Dovevo cercare di combattere la pressione dell'acqua che continuava a trascinarmi verso il basso e riemergere, dovevo prendere il controllo della situazione, dovevo respirare: aprì gli occhi di scatto, avvertendo il mio istinto di sopravvivenza risvegliarsi e prendere il sopravvento sulla furia del mare quel tanto che bastava da permettermi di muovere le gambe e allungare il braccio destro verso l'alto, alla disperata ricerca di una via d'uscita. Un lieve singulto lasciò la mia bocca quando percepì i miei polpastrelli essere sfiorati dalla leggera brezza esterna: mossi con vigore le gambe, soffocando tra i denti la sofferenza provocata dalle numerose ferite e dalle diverse botte che il mio corpo aveva subito e cercando di raggiungere l'agognata superfice. Ero sul punto di riemergere quando il mio fianco destro venne reciso da qualcosa di così  appuntito da farmi gridare per il lancinante dolore che mi causò: avvertì i miei muscoli perdere resistenza mentre, costretta ad abbassare la mano per stringere la porzione di pelle trafitta, sentivo il corpo di Luna staccarsi dal mio. Cercai di sorreggerla, di tenerla vicina a me, ma la prepotenza del mare era troppo vorace per concedermi quella possibilità: il pulsare del mio cuore divenne sempre più intenso, mentre percepivo ogni secondo in cui il suo corpo veniva strappato dal mio braccio sinistro. Il suono ovattato della mia voce che gridava il suo nome rimbombò nelle mie orecchie, incrementando lo stato di angoscia che avvinghiava con ferocia la mia anima: non riuscivo più a individuare la sua figura in quelle torbide acque. Con il battito cardiaco fuori controllo nuotai velocemente verso l'alto, riuscendo finalmente ad emergere da quel soffocante abisso: il mio respiro era talmente affannato che ad ogni inspirazione sentivo la mia cassa toracica contrarsi dolorante. Cominciai a guardarmi intorno, disorientata e spaventata da ciò che si poneva d’innanzi al mio sguardo: l'onda aveva raso al suolo ogni cosa, dagli edifici, di cui si riusciva ad intravedere solo il tetto, agli alberi, i cui tronchi galleggiavano sulla superfice, fino alle macchine, le cui carcasse venivano trasportate con facilità dalla corrente. Un singhiozzo si sprigionò nella mia anima, facendola vibrare di puro terrore -"Luna!”- gridai, con tutto il fiato che avevo in corpo, muovendomi freneticamente in tutte le direzioni per tentare di intravedere qualcosa -"Luna!”- urlai, con l’angoscia che attanagliava la mia voce e la disperazione che ghermiva il mio cuore. La corrente continuava a trascinarmi in avanti, impedendo alla mia vista di soffermarsi per più di qualche secondo sulla distesa d’acqua che mi circondava. Il mio corpo iniziò a tremare, mentre una sensazione di vertigine si propagava all'interno del mio spirito, rendendomi incredibilmente debole: l’affanno del mio respiro cominciò ad accentuarsi nel momento in cui avvertì la mia percezione visiva perdere efficacia e la forza che aveva caratterizzato gli ultimi istanti svanire insieme al dolore fisico. Iniziai a muovermi convulsamente, cercando di non lasciarmi sopraffare dalle mie stesse emozioni, ma di combattere quell'insidiosa corrente che tentava in tutti i modi di inghiottire il mio respiro: sollevai il capo verso l'alto, puntando i miei occhi in direzione del cielo, mentre lottavo con il livello dell'acqua e la sua esigenza di trascinare il mio corpo nella desolazione del suo oblio -"Luna!”- gridai di nuovo, con la voce rotta dalle prime lacrime che iniziarono a solcare le mie guance, mischiando il loro calore con quello lasciato dal sangue. Una serie di singhiozzi prese il possesso della mia gola, facendo sussultare di angoscia il mio cuore e di dolore la mia anima: ero avvolta in un’asfissiante spirale di sofferenza e terrore che dava sempre meno spazio al mio respiro e che non mi permetteva di vedere alcuna possibilità di salvezza. Riportai lo sguardo sulla devastazione che mi circondava, tentando nuovamente di individuare la sua figura tra i numerosi detriti che erano stati trascinati fin lì dalla furia della corrente, ma i miei occhi, persi ed appannati, non riuscivano a trovarla: un lamento di frustrazione e impotenza abbandonò la mia bocca, mentre altre gocce salate ricoprivano le mie gote, di fronte allo straziante epilogo. Urlai, con il fiato che si spezzava nel centro della mia gola, con il viso tumefatto e stravolto dal pianto; urlai, mentre il dolore diventava troppo intenso per riuscire ad essere contenuto nel mio corpo e la mia anima si sgretolava, scomparendo per sempre: mi voltai, prendendo sempre più coscienza dei danni causati da quell'enorme onda e chiedendomi in che condizioni fossero Santana ed Evolet, se ce l'avessero fatta. Il mio labbro inferiore tremò, mentre la risposta prendeva forma davanti ai miei occhi, dando il colpo di grazia al mio cuore: deglutì, prima di rivolgere lo sguardo verso il cielo e lasciarmi andare. Percepì il livello dell'acqua alzarsi e raggiungere il mio respiro, ma prima di venire inghiottita dall'oscurità un fragile e spezzato suono raggiunse il mio udito, bloccando il mio sconforto: sollevai la testa di scatto, cercando di identificare il punto da cui era partito quel rumore. Sentivo i battiti del mio cuore accelerare la corsa mentre, con l’affanno nei polmoni, spingevo il mio corpo verso l'alto per avere una visione d'insieme maggiore: dopo tre poderosi slanci intravidi una mano emergere dalla superfice dell'acqua -"Luna!"- cominciai a nuotare in direzione di quel breve accenno di vita, cercando di resistere alle lancinanti fitte che colpivano il mio fianco destro e all'insaziabile forza della corrente che, nonostante mi trainasse in avanti, non mi permetteva di raggiungerla lateralmente, allontanandomi dal punto in cui era apparsa. Digrignai i denti mentre, con tutta l'energia che mi era rimasta, mi lanciavo verso quel barlume di speranza -“Luna!”- mi guardai intorno un paio di volte, finché il livello dell'acqua alla mia destra si sollevò, portando alla luce il suo viso: mi mossi rapidamente verso il suo corpo che aveva iniziato a dimenarsi con insistenza per riuscire a rimanere a galla -"Mamma! Mamma!”- sentire il terrore nella sua voce fu un'altra pugnalata al mio cuore -"Sono qui!”- urlai, con il magone che attanagliava le mie corde vocali e lo stomaco che si contorceva in una stridente morsa. Al suono del mio grido il suo capo si voltò nella mia direzione, facendomi scontrare con l'incredulità dei suoi occhi neri e con l’espressione di panico che contrassegnava il suo viso -"Mamma!”- si mosse verso di me, tentando di raggiungermi, mentre io compivo lo stesso movimento, alla disperata ricerca di quel contatto che mi avrebbe ridato vita e speranza. Dopo una manciata di secondi riuscì ad avvicinarmi al suo corpo quel tanto che bastava da avere la possibilità di sfiorare le dita della sua mano sinistra: percepì i miei occhi diventare sempre più caldi finché, una volta intrecciate le nostre mani, una cospicua quantità di lacrime si riversò sulle mie guance. Circondai il suo corpo tra le mie braccia, stringendolo in maniera così intensa che per un momento temetti di farle male: allentai lievemente la presa, cominciando ad accarezzarle la schiena e a posare una serie di piccoli baci tra i suoi capelli bagnati -"Oh tesoro mio”- tremava, ed io con lei, mentre le sue gambe cingevano con disperazione la mia vita e le sue braccia si incrociavano con paura intorno al mio collo -"Andrà tutto bene..ci sono io adesso..andrà tutto bene"- deglutì mentre, osservando la desolazione che mi assediava, mi risultava difficile credere alle mie stesse parole.
 


Sentivo la mia pelle spaccarsi e i miei muscoli bruciare, mentre tentavo per l’ennesima volta di raggiungere la superfice: mossi con disperata insistenza le gambe e le braccia, fino a quando le mie dita non assaporarono il caldo vento estivo. Una serie di affannati e irregolari sospiri cominciò ad attanagliare il mio udito mentre, con il cuore in gola e gli occhi smarriti, tentavo di intravedere la sua figura: non ero riuscita a resistere alla violenza dell'acqua, non ero stata in grado di tenere salda la presa intorno alla sua mano, l'avevo persa -"Evolet!”- gridai, con la voce smorzata dalla stanchezza e dai primi soffocanti singulti che avevano preso forma nella mia trachea. Continuai a guardarmi freneticamente intorno, mentre la corrente non accennava a darmi tregua, trascinando con insaziabile rapidità il mio corpo verso altre insidie e detriti: mugugnai di dolore nel percepire le mie caviglie essere tagliate dai rami degli alberi e le mie braccia venire martoriate da alcuni pezzi di vetro che erano rimasti incastrati nella mia carne. Un lamento di dolore e afflizione lasciò la mia bocca, mentre avvertivo le mie iridi riempirsi di lacrime e il mio cuore incrinare il suo battito, facendomi mancare per un istante il respiro: ero talmente immersa nella sofferenza della mia anima che quando il mio corpo andò a sbattere contro il tronco di un albero impiegai diversi secondi prima di rendermene conto e di sollevare quelle braccia ormai prive di vita. Abbandonai la fronte sul duro e scorticato legno, distrutta da quell'incessante lotta di resistenza che aveva prosciugato le mie forze e devastato il mio cuore: chiusi gli occhi, mentre le mie spalle cominciavano a scuotersi, colpite da una pioggia di lacrime che si riversò copiosa nelle buie e polverose acque sottostanti. Le mie braccia iniziarono a tremare mentre, stringendo con forza l'albero, mi lasciavo andare ad uno spezzato e angosciante urlo che fece risuonare la mia cassa toracica, vibrare la mia gola e irrigidire il mio spirito: ero in totale balia del terrore e di quella devastazione, osservata dai miei occhi e avvertita dalla mia anima, che continuava a farmi scontrare con la possibilità di aver perso ogni cosa. Scossi il capo, affondando i miei denti nella tremante e scorticata pelle del mio labbro inferiore, mentre, inutilmente, cercavo di contenere quella sofferenza che, secondo dopo secondo, sentivo divorarmi l'anima: gridai, straziata dall'assenza di speranza e dalla paura che non ci fosse più una vita alla quale mi sarei potuta aggrappare. Riaprì stancamente gli occhi, osservando con ormai distaccato interesse la distruzione che mi circondava e non prestando più attenzione alla foga dell’acqua che continuava a voler sommergere il mio corpo nell’oscurità del suo abisso: l’affanno del mio respiro si fece sempre più intenso, mentre percepivo i muscoli dei miei bicipiti perdere vigore, assecondando la fine di una lotta che non aveva più senso portare avanti. Stavo per abbandonarmi al destino quando di colpo mi bloccai: qualcosa aveva attirato l'attenzione dei miei occhi, qualcosa che dal nulla era spuntato dalla superfice dell'acqua, risvegliando il mio battito cardiaco. Deglutì, mentre percepivo il calore delle lacrime raggiungere le mie iridi e colmarle di gioia alla vista di una bionda chioma di capelli bagnati -"Evolet!”- l’affanno del mio respiro e l'incessante pulsare del mio cuore caratterizzarono l'istante in cui il suo capo si voltò, portando alla luce il terrore del suo viso e la speranza dei suoi occhi -"Mami!”- incredula e spaventata iniziò a nuotare verso di me, tentando di raggiungermi, mentre io facevo lo stesso, rinvigorita da una sensazione di speranza che si era impossessata della mia anima non appena avevo udito la sua voce. Mi muovevo con disperata insistenza, cercando di avvicinarmi a lei il prima possibile, ma l’insaziabile aggressività della corrente non mi permetteva di annullare quella maledetta distanza e riabbracciare mia figlia: un lamento di frustrazione abbandonò la mia bocca, mentre osservavo il corpo di Evolet continuare ad allontanarsi dal mio. Respirai profondamente, raggruppando tutte le energie che mi erano rimaste e chiedendo al mio cuore di resistere ancora per qualche istante, giusto il tempo di salvarla, prima di riprendere la mia folle corsa verso di lei. Più il mio corpo si muoveva, più la pesantezza dei miei muscoli cresceva e l'aria nei miei polmoni calava, accentuando il mio dolore fisico e il suono del mio affanno: strinsi i denti, mentre con l'ultima bracciata riuscivo finalmente a percepire il calore delle sue dita. La mia anima venne scossa da un singulto nel momento in cui avvertì il suo corpo intrecciarsi al mio, alla disperata ricerca di quel conforto e di quella sicurezza che io stessa stavo inseguendo. Aumentai la presa intorno alla sua schiena, accarezzandola dolcemente, mentre potevo distinguere il numero delle lacrime che abbandonavano i suoi occhi e sentire con angosciante chiarezza l'intensità dei tremori che accompagnavano i suoi singhiozzi  -“È tutto okay piccola mia..è tutto okay"- tentai di rassicurarla, dandole un dolce bacio sulla fronte, nonostante il tono debole e incrinato della mia voce facesse emergere un'altra realtà -"Ho tanta paura mami"- sussurrò tra i singulti, stringendo con forza i miei capelli e appoggiando il capo sulla mia spalla sinistra. Deglutì, cercando di trattenere la copiosa quantità di gocce salate che avvertivo racchiudere le mie iridi e di prendere tempo per regolare i battiti accelerati del mio cuore e schiarire la mia gola -"Anch'io..anch'io ho paura..”- Evolet sollevò la testa, portando i suoi rossi e umidi occhi nei miei, quasi sorpresa, ma al tempo stesso confortata dalle mie parole -"..ma adesso siamo insieme..”- alzai la mano sinistra, sfiorando con il pollice il piccolo taglio che aveva sullo zigomo -"..vedrai che andrà tutto bene”- mi sporsi in avanti, appoggiando la mia fronte sulla sua, mentre un suo lieve movimento del capo dava sostegno alle mie fragili sicurezze. Chiusi gli occhi, lasciando ad alcune lacrime la possibilità di rigare le mie guance e prendendo un respiro profondo per ripristinare il giusto apporto di ossigeno: nonostante avessi smesso di muovermi il fiato continuava a mancare e i muscoli non accennavano a riprendere vigore, ero stanca e avevo bisogno di reggermi a qualcosa che mi permettesse di recuperare a pieno le mie energie per riuscire a proteggere Evolet -"Mami..guarda"- sbattei lentamente le palpebre, osservando la direzione del suo sguardo, prima di voltare il capo verso destra ed entrare in contatto con il tronco di un albero che sostava a pochi metri da noi: tirai un sospiro di sollievo, assecondando per la prima volta la forza della corrente che ci trascinava esattamente verso quel punto. Stremata dall’implacabile violenza degli ultimi avvenimenti mi accasciai su quel pezzo di legno, trovando finalmente ristoro per le mie braccia, che distesi sopra al tronco, e per le mie gambe che, ormai prive di forza, abbandonai al flusso della corrente. Rimasi in quella posizione per qualche minuto, godendo della sensazione di poter sentire i propri muscoli riacquistare sensibilità e di percepire la frequenza del proprio respiro ritornare al giusto livello, prima di sollevare il braccio sinistro e aiutare Evolet a salire sul tronco: la struttura dell’albero era molto robusta e la grandezza della sua circonferenza ci consentiva di issarci sopra senza alcun particolare pericolo. Nell’ultimo tratto spinsi il suo fianco destro verso l’alto, favorendo così la sua elevazione e permettendole di ritrovarsi seduta sul tronco -“Oh..fai attenzione tesoro”- mi aggrappai alla sua gamba destra, ripristinando quell’equilibro che era venuto meno nel momento in cui il suo corpo si era appoggiato alla superfice del legno. Una volta assicuratami della sua stabilità mi apprestai a fare lo stesso: posizionai i palmi delle mani sulla parte superiore del fusto, prima di raccogliere le energie ritrovate e indirizzarle nei muscoli dei miei bicipiti. Strinsi i denti mentre, tirando fuori il mio corpo dall’acqua, le mie braccia tornavano a tremare, martoriate dalle ferite e dai piccoli frammenti di vetro che, ad ogni sforzo, sembravano insinuarsi più a fondo: percepì il calore del sangue scivolare lungo i miei avanbracci, fino a raggiungere la zona dei polsi, dove presero forma diverse chiazze -“Mami”- sollevai lo sguardo, preoccupata che il tono angosciato di Evolet fosse rivolto a qualcosa che stesse arrivando alle mie spalle, ma dovetti ricredermi quando mi resi conto che i suoi irrequieti e spaventati occhi vagavano sul sangue che colava dalle mie braccia -“È tutto okay tesoro”- sbiascicai mentre, raggiungendo l’apice dello sforzo, riuscivo a sollevare la gamba destra e a portarla dall’altra parte del tronco: mi fermai per un istante, giusto il tempo di riprendere fiato e di attutire il dolore dato dall’indolenzimento dei muscoli, prima di allungare le braccia in avanti e intrecciare le mie dita a quelle di Evolet -“Visto..è andato tutto bene”- accennai un lieve sorriso, sfiorando con i polpastrelli il dorso delle sue mani per cercare di tranquillizzarla e farle alzare lo sguardo. Deglutì, avvertendo il mio cuore infossarsi nel petto, nell’istante in cui i suoi occhi entrarono in contatto con i miei: dalle sfumature delle sue iridi non emergevano soltanto lacrime, paura e angoscia, ma trovava terreno anche una domanda, una domanda a cui non ero in grado di rispondere, a cui non volevo rispondere perché, se da un lato il mio cuore mi suggeriva che erano ancora vive, dall’altro, la realtà sembrava indicarmi la strada opposta, conducendomi in uno stato di sofferenza che avrei potuto benissimo affiancare alla morte. Sbattei velocemente le palpebre, cercando di fermare il calore che si stava impossessando dei miei occhi e di impedire a diverse lacrime di bagnare le mie guance, mentre stringevo la presa intorno alle sue mani -“Loro..”- sussurrai, con la voce debole e spezzata dal magone che ghermiva la mia gola: mi presi qualche secondo prima di ritentare -“..loro..”- il mio labbro inferiore iniziò a tremare mentre, chiudendo gli occhi, mi lasciavo andare allo sconforto: una serie di singhiozzi prese il possesso del mio corpo, facendo scuotere le mie spalle e vibrare la mia anima. L’intensità del dolore che stavo provando venne alleviata dal calore delle braccia di Evolet che avvolsero il mio corpo con urgenza, come se si volesse scusare per avermi implicitamente chiesto della mamma e di Luna: ricambiai prontamente il suo gesto, accarezzandole dolcemente la schiena per farle capire che non doveva sentirsi in colpa. Il benessere portato da quel necessario abbraccio venne bruscamente interrotto da un forte boato: mi voltai di scatto verso sinistra, rimanendo paralizzata alla vista di un’altra onda.

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Capitolo 2
*** Disperazione ***


Disperazione


Ricordavo di come trascinavo il mio corpo in avanti, di come Luna rimaneva aggrappata al mio collo e di come le lacrime iniziarono a scivolare lungo le mie guance quando il mio sguardo intravide un appezzamento di terra, emerso dopo che, in seguito alla seconda onda, l’acqua aveva iniziato a ritirarsi con la stessa rapidità con la quale era arrivata. Ricordavo di come avessi velocizzato il passo per riuscire a raggiungere quell’area in superfice e di come mi fossi accasciata al suolo, stringendo Luna al mio petto, ma poi il nulla, non mi ricordavo più niente. Percepì la mia mente abbandonare il mondo dei ricordi e tornare alla realtà: corrugai lievemente la fronte, sbattendo con fatica le palpebre, mentre il mio udito veniva risvegliato da una serie di strani rumori. Dischiusi la bocca, inumidendomi le labbra secche, prima di deglutire e mettere a fuoco il bianco di un soffitto: aggrottai le sopracciglia, cominciando a muovere leggermente il mio corpo per cercare di capire il luogo in cui mi trovassi. Ero sdraiata sopra a qualcosa di duro e freddo, forse un tavolo, mentre il mio capo trovava ristoro su una superfice più morbida e soffice: tentai di sollevarmi, stringendo con forza i bordi di quel piano, ma non appena i muscoli del mio addome si contrassero il mio fianco destro venne colpito da un dolore lancinante, così acuto e intenso da farmi spalancare la bocca e inumidire gli occhi, costringendomi a ritornare nella posizione iniziale. Appoggiai la mano destra sulla ferita, bloccandomi per un momento quando i miei polpastrelli sfiorarono la ruvida stoffa di una fasciatura: il mio respiro cominciò ad affannarsi mentre, voltando il capo a destra e a sinistra, prendevo sempre più coscienza di che cosa avesse lasciato quell’enorme onda e dei danni che aveva provocato alle persone e alle loro vite. Chiusi gli occhi, deglutendo e cercando di non lasciare che i miei pensieri e il mio cuore si soffermassero sul terreno della paura e dell’angoscia, ma di trattenerli in quella piccola porzione di speranza che tentava di rimanere aggrappata alla mia anima: rimasi con le palpebre abbassate per qualche minuto, lasciando che fosse il mio udito a contemplare la frenesia di quel corridoio, dove ciò che si riusciva a percepire erano i passi svelti e irrequieti degli infermieri, i lamenti di sofferenza e dolore delle persone accanto a me e le grida di disperazione di coloro che avevano perso i propri cari. Riaprì gli occhi di scatto, con l’affanno che scuoteva il mio corpo e una soffocante morsa che ghermiva il mio stomaco: mi girai sul fianco sinistro, aprendo la bocca per permettere a quella stretta di liberarsi sotto forma di acqua e saliva. Mi accasciai su quel lato, incrociando per qualche istante lo sguardo della donna accanto alla mia brandina: aveva abrasioni su tutto il corpo, in particolare sulle braccia, dove alcuni pezzi di pelle erano stati recisi così in profondità che sembravano sul punto di staccarsi. Deglutì, mandando giù un conato di vomito, prima di riposizionare la testa sul cuscino e passarmi il dorso della mano sinistra sulla fronte sudata: sentivo il corpo ribollire di calore, nonostante i miei vestiti e i miei capelli, ancora leggermente bagnati, creassero una sorta di patina umidiccia che però, invece di rinfrescarmi, non faceva altro che incrementare la sofferenza fisica che stavo provando. Mi mossi irrequieta sulla barella, cercando ossigeno per i miei polmoni e ristoro per il mio battito cardiaco che si era accentuato nell’istante in cui i miei occhi si erano resi conto che mancava qualcosa, o meglio, qualcuno -“Luna..”- sbiascicai, con la gola secca e l’affanno nella voce, mentre spostavo lo sguardo da una parte all’altra del corridoio, senza però riuscire effettivamente a vedere qualcosa visto che la ferita al fianco destro non mi permetteva di sollevarmi per più di qualche centimetro -“Luna..”- il ritmo delle mie pulsazioni si allineò con quello del mio irregolare e angosciante respiro, dando vita ad uno stato di inquietudine che racchiuse la mia anima nella sua soffocante spirale: una sensazione di vertigine si diffuse nel mio corpo, facendo rabbrividire la mia pelle e rendendo instabile la mia vista. Strinsi i bordi del lettino, contraendo i muscoli dell'addome per tentare di sollevarmi: digrignai i denti, mentre il dolore al fianco destro non accennava a porre un freno alla sua intensità e alcuni tremori iniziavano a prendere il controllo dei miei polsi, rendendo ancora più difficile la mia elevazione e instabile il mio già precario equilibrio -"Dov'è..dov'è mia figlia?”- avevo lo sguardo rivolto al corridoio d'innanzi a me, cercando di attirare l'attenzione delle persone che passavano da quel punto, ma nessuna di loro sembrava riuscire ad ascoltare la mia richiesta, troppo concentrate nelle loro faccende o racchiuse nella loro sofferenza. Con il corpo ancora scosso dai tremori e la pelle traboccante di sudore mi voltai verso destra, cercando un aiuto dall'uomo sdraiato di fianco alla mia brandina -“Hai..hai visto la mia bambina?”- un suono gutturale emerse dalla sua bocca, accompagnato da un breve movimento del capo che confermò la negatività della sua risposta. Deglutì, abbassando lo sguardo, mentre una fitta di paura pugnalava il mio cuore e una asfissiante morsa attanagliava il mio respiro, rendendo debole il mio corpo e fragile il mio spirito: percepì distintamente l'attimo in cui le mie iridi vennero avvolte dal calore di quelle lacrime che, pochi istanti dopo, si riversarono sulle mie guance. Che cosa era accaduto? Perché Luna non era con me? Dove l'avevano portata? Dovevo sapere come stava: appoggiai entrambi i palmi delle mani sul bordo destro della brandina, cercando di fare leva su quelle poche energie che mi erano rimaste per riuscire a spostare le gambe verso quel lato e tentare di alzarmi. Avevo appena mosso di qualche centimetro la mia gamba destra quando il suono di una voce mi fece bloccare e, per un secondo, perdere l'equilibrio, facendo sbilanciare pericolosamente il mio corpo in direzione del pavimento: sollevai la testa di scatto, rimanendo con il fiato incastrato in gola alla vista di lei che correva rapidamente verso la mia postazione -“Mamma!”- chiusi gli occhi, lasciando che le sue piccole braccia circondassero il mio collo e il suo odore invadesse le mie narici, regalandomi la sensazione di essere tornata a casa: sospirai tremante, ricambiando il suo abbraccio e liberando i miei occhi dalle ultime lacrime di disperazione -"Dov'eri andata?”- le domandai, mentre accarezzavo i suoi capelli e racchiudevo il suo viso tra i palmi delle mie mani, ancora incredula di avere la possibilità di immergermi nelle sue iridi -"Volevo vedere mami e Evolet..ma non sono riuscita a trovarle. Dove sono?”- Abbassai leggermente lo sguardo, sbattendo con decisione le palpebre per impedire il formarsi di quelle lacrime che sapevo non essere in grado di fermare, mentre intrecciavo le mie dita alle sue, cercando di nascondere l'instabilità della mia voce e l'incertezza delle mie parole: deglutì, prima di prendere un respiro profondo -"Loro..ehm..”- un nodo alla gola mi bloccò il fiato, costringendo il mio corpo a prendersi un momento per ripristinare il giusto apporto di ossigeno al mio cuore -"..loro..adesso sono da un'altra parte..”- le sopracciglia di Luna si corrugarono, evidenziando la confusione e lo stato di spaesamento che traspariva dai suoi occhi  -"Sono in un posto come questo?”- dischiusi leggermente la bocca,  prima di inumidirmi le labbra e distogliere lo sguardo dal suo per riporlo sull'unione delle nostre mani -"Ehm..si..”- sospirai infine, non riuscendo ad evitare che una piccola lacrima scivolasse lungo la mia guancia destra alla visione della sua bocca che si estendeva in un ampio sorriso: la spazzai via velocemente, ricambiando con insicurezza la sua espressione -"Perché..perché però adesso non ti sdrai qui con me..poi andiamo a cercarle..okay?”- il tono della mia voce era spezzato e portava con sé anche una certa nota di urgenza, dovuta alla paura che potesse chiedermi altro, qualcosa che avrebbe arrestato per sempre il mio respiro. Per fortuna Luna non si accorse della mia angoscia e, annuendo felice, si spostò sul mio lato sinistro: la aiutai ad evitare il mio vomito e ad arrampicarsi sulla brandina, fino ad avere il suo viso a pochi centimetri dal mio. I miei occhi si inumidirono, mentre le accarezzavo la guancia sinistra e le depositavo un dolce bacio sulla fronte -"Ti voglio tanto bene”- mi sorrise, avvicinandosi al mio petto e prendendo tra le sue mani una ciocca dei miei capelli -“Ti voglio bene anch’io”- mormorò, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dal tocco leggero dei miei polpastrelli che vagavano tremanti e spaventati lungo la sua schiena.
 


Mi sembrava di poterla ancora sentire, mentre con la sua travolgente forza mi trascinava di nuovo nel buio, mentre con la sua crudele insistenza rendeva sempre più difficile riuscire a reggersi a quel tronco, fino a costringermi a mollare la presa: un intenso dolore si era impossessato della mia coscia sinistra, riducendo al limite le mie possibilità di restare ancorata a quella superfice galleggiante. Per l’ennesima volta il mio respiro era stato soffocato e la mia vista offuscata, per l’ennesima volta avevo avuto paura e avevo concentrato i miei pensieri sulla mia famiglia, in particolare su Evolet, ma a differenza di quello che era accaduto la prima volta non ero rimasta succube della mia angoscia, riuscendo così a riemergere. La sensazione di sollievo che aveva attraversato la mia anima alla vista di lei che era ancora aggrappata a quel tronco era stata talmente profonda che mi pareva davvero di riuscire a percepirla anche nel momento che stavo vivendo: avvertì un flusso di calore raggiungere il mio occhio destro e colmarlo di quella lacrima che, felice e leggera, scivolò lungo la mia guancia. Lei era spaventata e avrebbe voluto raggiungermi, ma io l’avevo pregata di non farlo, l’avevo supplicata di rimanere ancorata a ciò che poteva darle la salvezza, promettendole di restare viva e di tornare a cercarla. Così mi ero allontanata, dalle lacrime che avevano rigato il suo viso e dalla sua mano sinistra protesa verso di me, trascinata da una corrente che avevo sperato potesse darmi una seconda possibilità, anche se il lieve movimento delle mie palpebre mi fece intendere che quella speranza era stata accolta: i miei occhi si immersero nel bianco di un soffitto mentre, deglutendo, restituivo alla mia gola secca la giusta porzione di saliva. Rimasi ferma, contemplando il rumore del mio debole respiro e l’incredibile sensazione di tornare in vita: dischiusi la bocca, mentre cominciavo a muovere le dita delle mani, avvertendo i miei polpastrelli entrare in contatto con una fredda superfice, e a contrarre i vari muscoli del mio corpo. Digrignai i denti, mugugnando di dolore, nel sentire la pelle della coscia sinistra tendersi per poi ritrarsi improvvisamente, in un movimento che inumidì i miei occhi: allungai la mano in avanti, sfiorando con incertezza le protuberanze che solcavano la mia carne, fino a raggiungere il punto che sentivo pulsare con maggior intensità. Corrucciai le labbra in una smorfia di sofferenza, mentre indugiavo con le dita sulla parte esterna della coscia, cercando di stabilire la gravità della ferita, provocata dal pezzo di un ramo particolarmente sporgente, e di conseguenza le condizioni del mio corpo: dovevo assolutamente andare da mia figlia. Strinsi con vigore i bordi di quella sorta di branda, irrigidendo i muscoli  dell'addome per cercare di sollevarmi: le mie braccia, così come tutto il mio corpo, iniziarono a tremare, ancora impreparate a sostenere il peso del mio busto che continuava la sua ascesa. L'irregolarità del mio respiro non fece altro che accentuarsi mentre, una volta seduta, i miei occhi dovettero scontrarsi con ciò che quell'onda aveva lasciato dietro di sé: sofferenza e disperazione era tutto quello che si riusciva a percepire in quel corridoio, urla di dolore e pianti di sconforto era tutto ciò che si poteva ascoltare e l'unica cosa che continuava a incontrare la mia vista era il sangue. Scossi il capo, chiudendo gli occhi per tentare di scacciare dalla mia mente le immagini che il mio sguardo aveva incrociato e per allontanare dal mio cuore le grida che il mio udito aveva colto: non poteva essere accaduto realmente, non a noi, non alla mia famiglia. La sensazione di vertigine che si diffuse nel mio corpo si accompagnava al movimento del mio petto che, sollevandosi con insistenza, mi lasciava priva di ossigeno: il rumore dei miei sospiri era così forte da riuscire a soffocare i dolorosi suoni che mi circondavano e i pensieri che affollavano la mia testa, ma al tempo stesso non faceva altro che incrementare lo stato di angoscia in cui sostava la mia anima. Deglutì, prima di riaprire gli occhi e spostare il peso sul lato destro della brandina, pronta a mantenere la mia promessa: mossi la gamba destra, riuscendo a piegare il ginocchio e a condurre la pianta del mio piede fino alla freschezza del pavimento. Un sospiro tremolante abbandonò la mia bocca, mentre cercavo di avvicinare l’altra gamba alla sponda della barella: il dolore continuava ad irradiare la mia coscia, rendendo difficile qualsiasi spostamento, così come il sangue che, nonostante la presenza di una fasciatura, non accennava a ridurre la sua espansione, scivolando sulla mia pelle e sgocciolando sulla superfice del lettino. I miei occhi si inumidirono mentre, mordendomi la lingua, soffocavo nella mia gola il grido che accompagnava la lieve contrazione del quadricipite: rimasi ferma per un istante, aspettando che il dolore si affievolisse, prima di ripartire -"Mami!”- avvertì il mio respiro spezzarsi mentre, sollevando la testa di scatto verso destra, i miei appannati occhi si immergevano nella figura di Evolet. Incredula d’innanzi al suo volto che si faceva sempre più vicino rimasi immobile, con la bocca leggermente dischiusa e l’intenso rimbombo del mio battito cardiaco a fare da sottofondo al mio silenzio: dovetti attendere l’istante in cui le sue braccia si chiusero intorno al mio corpo per capire che non si stesse trattando di una mia allucinazione. Chiusi gli occhi, sospirando tremante, mentre circondavo la sua schiena e lasciavo che alcune lacrime rigassero le mie guance: incrementai la stretta, appoggiando la mano destra sulla sua cute e intrecciando le mie dita fra i suoi capelli ancora umidicci -“Tesoro mio”- mormorai, con la voce rotta dai primi singhiozzi che iniziarono a scuotere le mie spalle, prima di darle un bacio sulla tempia e affondare il viso nell’incavo del suo collo. Il mio corpo cominciò a rilassarsi, mentre la mia anima tornava a respirare, liberata dall’opprimente e soffocante sensazione di angoscia che aveva caratterizzato ogni secondo del mio risveglio, e i battiti del mio cuore ritrovavano quella pace che solo il calore di casa poteva donare. Restai aggrappata a lei e al suo famigliare odore, finché non percepì il suo corpo scuotersi e l’umidità delle sue lacrime bagnare la mia pelle: mi allontanai dalla sua spalla, sollevando lo sguardo verso il suo viso e racchiudendolo tra i palmi delle mie mani -“Mi dispiace”- sussurrò, abbassando il capo e concentrando l’attenzione sul pavimento. Corrugai la fronte, confusa d’innanzi a quelle parole che lasciavano un vuoto nel mio stomaco e che stringevano il mio cuore in una morsa: feci una leggera pressione sulle sue gote, cercando il motivo di quel turbamento nei suoi occhi -“Tesoro..per cosa?”-  le domandai, preoccupata dal rossore che contornava la sue iridi e dal suo sguardo che continuava a sfuggirmi: la vidi deglutire mentre, incrociando agitata le sue dita, cercava di trovare il coraggio per alzare la testa e rispondermi -“Io..non..non ho mantenuto la promessa”- mormorò, distogliendo nuovamente l’attenzione dal mio volto che assunse un’espressione di perplessità e spaesamento di fronte a ciò che aveva detto e al timore che traspariva dal tono della sua voce. Stavo per chiederle di cosa stesse parlando quando il movimento della sua mano destra sul suo avanbraccio attirò la mia attenzione: una serie di ferite ed escoriazioni si estendevano lungo tutta la sua pelle, dal dorso delle mani fin quasi alla spalla; una serie di lesioni che prima non c’erano: riportai velocemente i miei occhi nei suoi, rendendomi conto che non era rimasta su quel tronco. Un sospiro tremolante abbandonò la mia bocca, mentre abbassavo le mie mani dal suo viso alla ricerca delle sue: le racchiusi con vigore tra le mie, chiudendo gli occhi per un istante, giusto il tempo di rallentare il battito del mio cuore e di ridurre la spirale di angoscia che aveva attanagliato il mio stomaco al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere e alla visione di lei che veniva trascinata con violenza dalla corrente -“Mi dispiace tanto mami ma..”- sollevai il capo, incrociando il suo sguardo che, ansioso e preoccupato, mi osservava incerto -“..avevo paura di rimanere sola”- il singhiozzo che fuoriuscì dalla sua gola venne accompagnato da una serie di lacrime che inumidirono i suoi occhi e bagnarono le sue guance: il mio labbro inferiore tremava mentre, alzando il braccio sinistro, cercavo di asciugare dal suo viso tutto il terrore e lo spavento che doveva aver provato, supponendo che non le rimanesse più nessuno -“Non..non sei sola..okay?”- mi sporsi in avanti, appoggiando la mia fronte sulla sua e circondando il suo volto tra le mie mani -“Ci sono io..sono qui e..e..”- deglutì, chiudendo con forza gli occhi per evitare che quel pensiero distruggesse le mie speranze e incrinasse il mio cuore quel tanto che bastava da farmi provare dolore -“..ci sono anche la mamma e Luna”- a quelle parole Evolet spalancò i suoi occhi neri nei miei, guardandomi impaurita, ma al tempo stesso dando fiducia alla mia affermazione: annuì lievemente, prima di stringermi in un poderoso abbraccio. Restammo in quella posizione per diverso tempo, finché lo sforzo a cui dovevo sottoporre i miei muscoli divenne troppo elevato: mi sdraiai sulla brandina, mettendomi sul fianco destro per permettere ad Evolet di distendersi vicino a me. Accolse subito la mia richiesta, avvicinando il capo al mio petto e stringendo tra le sue dita una ciocca dei miei capelli: sorrisi a quel gesto che, nonostante fosse cresciuta, non l’aveva mai abbandonata, dandole un bacio sul capo e racchiudendo il suo corpo nel mio.
 


Mugugnai, corrugando la fronte, prima di sbattere lentamente le palpebre e mettere a fuoco ciò che avevo davanti: gli angoli della mia bocca si distesero in un piccolo sorriso alla vista di Luna che dormiva placidamente al mio fianco, racchiudendo tra i suoi palmi le dita della mia mano destra. La sensazione di pace e calore che si diffuse nel mio cuore mi riportò per un momento a casa, nel mio letto, con l’odore della colazione che arrivava dalla cucina e le lenzuola sfatte, reduci da un’intensa sessione di coccole mattutine: chiusi gli occhi, inumidendomi le labbra e cercando di trattenere il rumore del singulto che si era formato non appena la mia mente era tornata alla realtà. Deglutì, respingendo il calore delle lacrime, prima di sporgermi in avanti e appoggiare la mia bocca sulla sua fronte, in un bacio che speravo potesse risvegliarla: la mia voce era ancora troppo instabile perché riuscisse a dare il via ad una giornata che sapevo mi avrebbe distrutta. Per fortuna l’intensità del mio contatto e i rumori di sottofondo di quel corridoio bastarono a farle dischiudere le palpebre: ridacchiai mentre, stropicciandosi gli occhietti, la sua bocca si spalancava in un rumoroso e immenso sbadiglio -“Hey..”- sfilai le mie dita dalla sua mano, cominciando a punzecchiarle la pancia per avere la possibilità di riempire la mia anima del suono della sua risata che, in poco tempo, colmò il silenzio di quella corsia, oscurando i lamenti di dolore e le grida di disperazione. Mi lasciai investire dalla vibrazione delle sue corde vocali, sperando che mi desse la forza necessaria per affrontare tutto quello a cui sarei andata incontro nel tempo successivo -“Dai mamma..”- ridacchiò, tentando inutilmente di allontanare le mie dita dal suo corpo: avevo bisogno di sentirla e vederla felice ancora per un po' -“Okay..okay..la smetto”- allontanai le mie armi di tortura dal suo addome, sorridendo d’innanzi alla suo viso che continuava a trasmettere serenità e gioia: si sollevò leggermente dalla branda, prima di lanciarsi verso il mio collo, racchiudendolo fra le sue braccia, e iniziare a ricoprire il mio viso di piccoli e teneri baci. Non opposi alcuna resistenza, consentendo al mio cuore di cibarsi di quel meraviglioso momento: la strinsi a me, non prestando attenzione al dolore della ferita che cominciava a diventare sempre più intenso a causa dei miei movimenti e della lieve pressione dei piedini di Luna sulla mia pancia -“Quando andiamo a cercare mami e Evolet?”- i muscoli del mio corpo si irrigidirono, mentre avvertivo le pulsazioni del mio cuore perdere un battito al sentire la sua richiesta: distolsi lo sguardo, sbattendo velocemente le palpebre per contenere lo strato di lucidità che aveva preso il possesso delle mie iridi -“Ehm..”- riportai i miei occhi nei suoi, cominciando ad accarezzarle la schiena per avere qualcosa che riuscisse a ridurre la soffocante morsa sulla mia anima -“..ci..ci andiamo adesso”- il sorriso che continuava a sostare sulla sua bocca non fece altro che allargarsi ancora di più, arrivando a contagiare i suoi occhi che, illuminandosi, costrinsero le mie labbra a ricambiare la sua espressione. Luna si sporse in avanti, lasciandomi un bacio sulla guancia destra, prima di scendere dalla brandina e cominciare a saltellare verso il corridoio adiacente a quello in cui ci trovavamo: deglutì, mentre avvertivo il vuoto racchiudere il mio stomaco nella sua stretta e l’angoscia attanagliare il mio cuore, di fronte alla sua felicità che probabilmente sarebbe stata spezzata. Con il magone che ghermiva la mia gola e lo strato di lucidità che ricopriva le mie iridi mi sporsi verso destra, cercando di sollevare il mio corpo da quella brandina: digrignai i denti, mugugnando di dolore, mentre facevo leva sui muscoli delle braccia, tentando di evitare la contrazione dell'addome. Sospirai tremante, appoggiando la mano destra sulla ferita e concedendomi un momento per riprendere fiato e asciugare il sudore che impregnava il mio viso: sollevai il braccio sinistro, passandomi la corta manica della maglietta sulla fronte e sul collo. Respirai profondamente, prima di compiere l'ultimo passo e poggiare il peso del mio corpo sulla pianta dei miei piedi: chiusi gli occhi, mentre una piccola sensazione di vertigine si faceva spazio nelle mie ossa, rendendole deboli, e nella mia mente, offuscando la mia vista. Attesi che quello stato di instabilità cessasse, per poi dischiudere le palpebre e procedere lentamente verso l'uscita, allontanandomi da quell'inferno di dolore solo per addentrarmi in un altro: ogni angolo di quell’edificio non faceva altro che incrementare la mia angoscia e la mia disperazione, strappandomi dall’anima quel barlume di speranza la cui luce era ormai asfissiata dalla paura. Raggiunta la fine del corridoio Luna mi prese per mano e, seguendo la velocità del mio passo, mi accompagnò in direzione dell'ingresso principale: durante il tragitto i miei occhi si soffermarono di sfuggita sulle persone che occupavano le varie corsie, troppo spaventati e sconvolti per avere la forza di reggere altra sofferenza e morte. Riuscì a prendere un paio di bende da un carello, prima di lasciare definitivamente quella struttura adibita ad ospedale e immergermi nel surreale e inquieto silenzio che accompagnava l’immensa devastazione generata dall'enorme onda: mi fermai per un istante, con l'ossigeno che faticava a raggiungere i miei polmoni e le ginocchia che avevano iniziato a tremare d'innanzi al vuoto, alla prospettiva di ciò che era rimasto. Aumentai la stretta intorno alla mano di Luna, cercando di trovare il coraggio che solo lei sarebbe stata capace di darmi per affrontare il lungo e straziante cammino che avrebbe atteso la nostra anima: deglutì, prima di voltarmi verso sinistra e dirigere il mio corpo in direzione della spiaggia, in direzione della mia famiglia. Non sapevo esattamente quanto tempo fosse passato, ma l’intenso calore del sole aveva reso la mia pelle particolarmente bagnata, le mie gambe troppo stanche per riuscire a reggere altri chilometri e la mia vista eccessivamente debole per avere l’audacia di esaminare, di nuovo, ogni persona sdraiata su quelle barelle: la prima volta il mio sguardo era stato sfuggente, da un lato oltremodo impaurito per riuscire a soffermarsi per più di qualche secondo sul viso dei vari sopravvissuti, dall’altro, così ansioso di trovare un segno di famigliarità che non ero stata in grado di controllare la rapidità con la quale aveva scandagliato ogni centimetro di quell’ospedale da campo; la seconda volta, invece, avevo imposto ai miei occhi di essere calmi e precisi, di non avere fretta di passare al corridoio successivo, ma quella mia decisione non aveva fatto altro che aggravare le condizioni della mia anima, incrinando le mie speranze e riducendo al minimo le mie forze. Mi sbilanciai verso sinistra, lasciando che il mio corpo trovasse sostegno nella durezza del muro che indicava l’ingresso dell’ennesimo ospedale: sospirai, chiudendo gli occhi e appoggiando la mano destra sul rovente capo di Luna che, stremata dall’intenso percorso, si reggeva stancamente alla mia gamba. Mi inumidì le labbra secche, prima di dischiudere lentamente le palpebre e prendere un respiro profondo: ero distrutta, fisicamente ed emotivamente, ero a pezzi, ma l’ombra della palma alla mia destra era più distante rispetto all’entrata della struttura e il bisogno di sapere se almeno i loro nomi fossero presenti sulla lista era più forte rispetto alla necessità di riparare il mio corpo dal sole e di riposare i miei occhi. Mi piegai verso Luna, raccogliendo le energie rimaste per essere in grado di prenderla in braccio e condurla sul lato sinistro -“Mamma”- mugugnò, appoggiando il capo sulla mia spalla e circondando tra le sue braccia il mio collo -“Ancora un momento tesoro..okay?”- annuì lievemente, avvicinando la fronte all’orlo della maglietta. Respirai profondamente, prima di staccarmi dalla parete e procedere a tentoni in direzione dell’apertura principale: le mie ginocchia erano troppo fragili e le piante dei miei piedi estremamente lacerate per riuscire ad avere un’andatura costante che mi permettesse di raggiungere in poco tempo l’ingresso. Dopo una manciata di minuti l’intenso calore del sole abbandonò la mia pelle, sostituito dalla delicata e refrigerante ombra che segnava il passaggio nella prima stanza dell’ospedale: mi concessi un secondo di pausa, lasciando al mio corpo il giusto tempo per recuperare il minimo di energia e preparando la mia anima ad assorbire tutto ciò che sarebbe venuto. Feci vagare lo sguardo per tutto l’atrio, finché la mia attenzione venne catturata da un paio di infermiere che stavano inserendo una serie di fogli all’interno di una carpetta: mi avvicinai a loro, sperando che la funzione di quei pezzi di carta fosse la stessa che avevo riscontrato nel secondo ospedale da campo -“Io..ehm..scusatemi..”- le due donne interruppero il loro lavoro, sollevando lo sguardo e prestandomi la più completa attenzione -“Si?”- mi schiarì la gola, prima di deglutire e aumentare la stretta intorno al corpo di Luna, come se averla più vicina avrebbe potuto attutire qualsiasi dolore -“Ehm..sto cercando Santana Lopez e Evolet Lopez-Pierce..sono..sono qui?”- avvertì il mio cuore accelerare il ritmo delle sue pulsazioni e il mio respiro farsi leggermente affannato, mentre le due ragazze controllavano la lista dei nomi presenti in quella struttura. Le pagine scorrevano velocemente tra le loro dita, accentuando il mio stato di angoscia e rendendo incredibilmente nervosa la mia attesa: percepì il mio cuore salire fino alla gola quando, una volta cessato il lieve strusciare di fogli, i loro sguardi si posarono su di me -“Mi dispiace ma..non le abbiamo trovate”- la fitta che travolse il mio stomaco fu così profonda da farmi mancare il fiato per diversi istanti: non potevo credere che non fossero nemmeno lì, dopo tre ospedali ancora niente. Un sospiro tremolante lasciò la mia bocca, mentre sbattevo con insistenza le palpebre per impedire alle mie iridi di accogliere le lacrime che sentivo sopraggiungere -“Ehm..grazie lo stesso”- sussurrai, con il tono di voce incrinato e la gola bloccata da un soffocante nodo. Rivolsi a entrambe l’accenno di un sorriso, prima di fare un passo indietro e prepararmi ad uscire: stavo per voltarmi quando una delle due infermiere non richiamò la mia attenzione -“Aspetti”- mi girai di scatto, credendo e sperando che fossero riuscite a individuare i loro nomi, ma l’attenzione dei loro occhi non era rivolta alla lista e il timore che traspariva da essi mi fece intendere che nulla di quello che avevo supposto fosse giusto: deglutì, stringendo di riflesso Luna e attendendo che fosse la loro voce a prendere parola -“Sa per caso dove fossero quando è arrivata l’onda?”- corrugai lievemente la fronte, sbattendo con rapidità le palpebre, mentre tentavo di dare una spiegazione a quella domanda e al tempo stesso di rispondere: la mia mente era talmente affaticata che sembrava aver vissuto una settimana in più rispetto ad egli eventi che erano accaduti solo la mattina precedente -“In..in spiaggia”- riuscì a percepire ogni secondo in cui la pelle delle mie mani cominciò a diventare fredda e l’irregolarità del mio respiro iniziò a prendere il sopravvento sulla velocità dei miei battiti: l’occhiata di preoccupazione che si erano scambiate non aveva fatto altro che rendere reali le mie paure -“Hanno..hanno trovato molte persone lì..ma ecco..”- la donna alla mia destra si voltò in direzione della sua collega, come se cercasse una sorta di aiuto -“Forse le conviene guardare nel campo qui vicino..ci sono..ehm..hanno trovato diverse persone..”- dischiusi leggermente la bocca, mentre il significato delle loro parole risuonava con prepotenza nella mia anima, recidendo ogni illusione che avevo tenuto stretta nel mio cuore: boccheggiai un paio di volte, con gli occhi che si facevano sempre più lucidi e lo stomaco che tentava di reprimere le contrazioni dei primi singhiozzi -“Okay..grazie”- riuscì a mormorare, prima di voltarmi e dirigere i miei passi verso l’uscita. Non appena la calda luce del sole investì il mio viso le mie guance vennero invase da una pioggia di gocce salate: singhiozzai, chiudendo gli occhi e avvicinando ancora di più Luna al mio petto. Con il corpo scosso dai tremori dei singulti e la vista appannata dal calore delle lacrime mi diressi verso la palma: avevo bisogno di qualcosa a cui appoggiarmi, altrimenti anche il mio fisico sarebbe sprofondato nell’oblio della morte. Una volta raggiunto il tronco mi lasciai cadere a terra, trattenendo a stento il grido che si era formato con violenza nella mia gola a causa della ferita al fianco destro: appoggiai la mano sulla fasciatura, prima di sollevarla in direzione della bocca per contenere il rumore dei singhiozzi che continuavano a far tremare la mia anima. Ero in frantumi, distrutta dalla consapevolezza che non c’era più alcuna possibilità, che tutte le speranze erano svanite, lasciandomi senza nulla a cui aggrapparmi: l’ennesimo singulto risuonò nella mia cassa toracica, scuotendo il mio corpo e ciò che rimaneva del mio cuore. Cominciai ad accarezzare la schiena di Luna, mentre le lacrime insistevano a scorrere lungo le mie gote e la mia anima si perdeva nella disperazione della realtà.
 


Sospirai, esausta dalle ore di cammino accumulate dalle mie gambe e dall’intensità dei raggi del sole che sbattevano con insistenza sul mio capo: mi fermai, sollevando il braccio sinistro e passandomi il dorso della mano sulla fronte sudata -“Facciamo una pausa?”- accolsi il consiglio di Evolet, annuendo e spostando il peso sulla gamba destra in modo tale da riuscire a piegarmi all’indietro e a sedermi per terra senza nuocere eccessivamente sulla ferita alla coscia: un lieve lamento di dolore fuoriuscì dalla mia bocca mentre, aiutandomi con le mani, distendevo la gamba sinistra fino ad appoggiarla sul polveroso suolo. Chiusi gli occhi, godendomi la sensazione di percepire i muscoli del mio corpo rilassarsi e le piante dei miei piedi trovare un momento di tregua dal fastidioso e bruciante sfregamento delle abrasioni sulla dura e sporca superfice, prima di prendere la fasciatura che avevo recuperato nel mio corridoio quella mattina e cambiare il bendaggio. Gemetti sofferente nell’instante in cui, una volta srotolata la vecchia e sanguinosa garza, portavo allo scoperto la ferita e la sua infezione: avvicinai le dita alla lesione, facendo scorrere con tremante leggerezza i miei polpastrelli sui piccoli pezzi di legno che erano rimasti incastrati nella mia carne durante la collisione con una parte del tronco. Rimasi a contemplare i danni della perforazione per alcuni secondi, prima di sospirare e avvolgere la mia coscia nella nuova e pulita benda -“Mami”- richiamata dalla sua voce sollevai lo sguardo, sorridendo alla vista di lei che mi porgeva un pezzetto di mela -“Grazie tesoro”- allungai il braccio sinistro, sfilandole il boccone e portandolo alla bocca: chiusi gli occhi, gustandomi il sapore dolciastro della mela e la sua consistenza acquosa, necessaria per recuperare le forze e affrontare l’ennesimo ospedale. Durante il nostro tragitto verso la zona centrale della città  eravamo incappate in due strutture che soccorrevano i sopravvissuti, ma in nessuna di esse avevamo trovato traccia di Brittany o Luna: dolore, sofferenza, sangue e morte, erano quelli gli unici segni di cui i nostri occhi si erano fatti testimoni, mentre si erano soffermati sui volti e i corpi delle persone; segni che avevano reciso la mia anima, fatto vacillare le mie speranze e inumidito i miei occhi: sembrava che ad ogni corridoio che percorrevo, ad ogni barella che superavo le possibilità di ritrovarle si riducessero sempre di più, come se ci fosse un numero massimo di sopravvissuti, come se la visione di tutti quegli spazi già occupati precludesse la loro esistenza. Sbattei velocemente le palpebre, mentre quel pensiero si addentrava nella mia mente, bloccandomi il respiro e racchiudendo le mie iridi in un intenso vortice di calore: abbassai il capo, cercando di nascondere il rossore dei miei occhi e quell’angoscia che, attanagliando il mio cuore, si sarebbe tradotta in una serie infinita di lacrime. Un sospiro tremolante abbandonò la mia bocca, mentre tentavo di ridurre la soffocante presa del magone che dalla gola si stava estendendo fino allo stomaco: il mio corpo era contratto, dolorante, così come la mia anima che percepivo stridere e gridare di terrore, in attesa dell’istante in cui si sarebbe frantumata. Volevo urlare, volevo piangere e liberarmi da tutto quello che mi stava divorando dentro, ma non potevo lasciare che la disperazione prendesse il sopravvento sulla speranza, su quella speranza che avevo promesso a Evolet: sollevai lo sguardo, osservando il suo viso che, concentrato e attento, stava già scrutando le persone che si aggiravano vicino all’ospedale da campo a pochi metri da noi, alla ricerca di famigliarità -“Pronta?”- non sapevo esattamente a chi stessi rivolgendo quella domanda, ma quando lei si voltò, incrociando i nostri occhi e annuendo decisa, una sensazione di calore si diffuse nella mia anima, donando un minimo di sollievo e conforto alle crepe del mio cuore: respirai profondamente, prima di posare i palmi delle mie mani a terra e fare leva sui muscoli per sollevarmi. Una volta raggiunta la posizione eretta, grazie all’aiuto di Evolet, cominciammo ad incamminarci lentamente in direzione della struttura: i miei passi erano così instabili e la mia ferita così dolorante che l’unico modo che avevo per riuscire ad andare avanti era mettere un piede alla volta, zoppicando e distribuendo parte del mio peso sul braccio destro di Evolet. Nel corso del breve tratto non avevo potuto evitare al mio sguardo di andarsi a posare su ogni centimetro di quell’edificio, cercando con assidua insistenza qualcosa di conosciuto per evitare di addentrarmi in quella spirale di sofferenza, ma i miei occhi non erano stati in grado di intravedere nulla, così, giunte all’ingresso, mi costrinsi a superare la soglia e a focalizzare l’attenzione sull’ambiente circostante, fino alla visione di un infermiere che, ad un tavolo, stava scrivendo su dei fogli bianchi: sospirai, prima di intimare ad Evolet di aspettarmi e procedere verso di lui. Più mi avvicinavo a delle possibili risposte, più avvertivo i battiti del mio cuore accelerare, il mio stomaco racchiudersi in una ferrea morsa e una sensazione di vertigine propagarsi in tutto il mio corpo, accentuando la mia precarietà fisica e visiva: mi fermai, chiudendo gli occhi e tentando di calmare il tumulto a cui era sottoposta la mia anima, ma senza ottenere alcun risultato, poiché la mia incertezza non aveva fatto altro che incrementare le mie paure. Deglutì, sbattendo le palpebre e riportando lo sguardo sulla speranza d’innanzi a me -“Mi scusi..”- l’uomo alzò il capo, sospendendo il suo lavoro e concedendomi il suo interesse -“..sto..sto cercando due persone..ehm..”- incanalai dell’ossigeno nei miei polmoni, mentre intrecciavo in maniera frenetica le mie tremanti e sudate dita, alla affannosa ricerca di qualcosa che potesse distrarre la mia anima da quell’attimo -“..Brittany S. Pierce e Luna Lopez-Pierce”- le mie tempie cominciarono a pulsare, inondate dal frastornante rumore dal mio battito cardiaco che sentivo espandersi in tutti i miei organi, mentre il mio respiro faticava a superare la soglia della gola, bloccandosi nel centro della trachea e ampliando il peso del magone che sostava lì immobile. Il mio udito dovette attendere alcuni minuti, prima di percepire il silenzio, segno che i polpastrelli del ragazzo avevano smesso di sfogliare con rapidità i vari fogli presenti: i miei occhi si inumidirono mentre, soffermandomi sul suo sguardo, prendevo visione del suo dispiacere e della sua preoccupazione -“Non le ho trovate..mi dispiace”- percepì ogni istante in cui la mia anima si squarciò, frantumandosi in mille pezzi d’innanzi all’ennesima speranza infranta. Lasciai che le lacrime racchiuse nelle mie iridi si riversassero con forza sulle mie guance, dando sfogo a quel dolore e a quell’incredulità che stavano logorando il mio cuore: iniziai a scuotere il capo, cercando di allontanare della mente e dal corpo l’eventualità di averle perse per sempre perché semplicemente non poteva essere vero, non potevo vivere senza la maggior parte del mio cuore -“Non..non è possibile..io..”- i primi singhiozzi cominciarono a scuotere il mio corpo, incrinando la mia voce e rendendo affannoso il mio respiro -“..questo è..è il terzo ospedale..e..”- mi bloccai, di fronte allo sguardo dell’infermiere che celava la risposta al motivo per il quale probabilmente non le avessi trovate da nessuna parte: sospirai tremante, permettendo ad altre gocce salate di rigare le mie gote e ad altri singulti di prendere il possesso della mia gola -“Forse..”- scossi il capo, sollevando la mano sinistra per fermare quelle parole che avrebbero sicuramente distrutto la mia esistenza -“Non..senta non è possibile..lei..ricontrolli”- la mia voce tremava, così come il mio corpo, completamente in balia del terrore e di quella verità che non avevo il coraggio di vedere -“Signora..”- -“Ricontrolli!”- gridai, con l’angoscia che attanagliava la mie corde vocali e la disperazione che solcava ogni centimetro del mio volto. L’uomo non si scompose, continuando ad osservarmi comprensivo e addolorato, come se fosse testimone di una sofferenza a cui non poteva porre rimedio -“Mami”- mi voltai di scatto verso destra, deglutendo alla vista dei suoi occhi che, arrossati e impauriti, vagavano confusi nei miei, alla ricerca di una risposta per ciò che era accaduto: boccheggiai per un istante, tentando di non far emergere la mia devastazione interiore, prima di rivolgermi nuovamente all’infermiere -“Mi scusi”- mormorai, asciugandomi rapidamente le lacrime e voltandomi in direzione dell’uscita: avevo bisogno d’aria. Non mi soffermai sull’acuto dolore che sentivo alla coscia sinistra, sulla sensazione del sangue che scivolava lungo la mia gamba e nemmeno sul bruciore che avvertivo alle piante dei piedi, mentre mi allontanavo a passo svelto dalla dura realtà: se ne erano andate per sempre. A quel pensiero il mio stomaco si contrasse, come se fosse stato colpito da un pugno, il mio battito cardiaco si spense, arrestando il mio respiro, i frammenti della mia anima si dispersero nell’oblio della mia sofferenza e le mie guance si bagnarono di tutte quelle lacrime che avevo avuto paura di versare: una serie di rumorosi singhiozzi travolse il mio corpo, accentuando l’instabilità della mia andatura e rendendo precaria la mia vista. Uscì dall’ospedale e, senza effettivamente prestare attenzione a dove stessi andando, cominciai a dirigermi verso la strada -“Brittany! Luna!”- urlai, con tutto il fiato che mi era rimasto, cercando di ricevere un segno della loro presenza, ma nemmeno l’eco della mia voce riuscì a raggiungermi -“Brittany! Luna!”- ritentai, sperando che in qualche modo potessero sentirmi, ma tutto quello che ottenni fu l’angosciante silenzio della desolazione che mi circondava: chiusi gli occhi, crollando a terra e inginocchiandomi sulle migliaia di detriti che aveva causato quella maledetta onda. Mi piegai in avanti, mentre un lamento di dolore riecheggiava nella mia gola, accentuando lo strazio che stava prendendo forma all’interno del mio corpo -“Noo!”- gridai, con la fronte appoggiata sulle macerie e le mani che stringevano con forza ciò che rimaneva di intere abitazioni, di intere vite -“Noo!”- in quel momento tutta la disperazione che avevo cercato di nascondere e reprimere esplose, travolgendo con violenza ogni aspetto di ciò che ero: il mio corpo, scosso dai continui e aggressivi singhiozzi, tremava incontrollato, i miei occhi, gonfi e arrossati dalle lacrime, riflettevano l’essenza di un’anima spenta e vuota, mentre il mio cuore, contrito e lacerato, sprofondava nel silenzio dei suoi assenti battiti. Rimasi a fissare il nulla davanti a me, ascoltando il suono del mio dolore che, dalla mia bocca dischiusa e bagnata di lacrime e saliva, si disperdeva nell’immensità della mia sofferenza, finché qualcosa di caldo e rassicurante avvolse la mia carne, riversando vita nella mia morente anima: un battito rimbombò nel mio corpo, così potente e inaspettato da farmi sbattere le palpebre e rivolgere il capo verso destra, dove ad attendere il mio sconforto vi era una luce, mitigata dalle lacrime e dalla paura, ma pur sempre una luce di speranza. Lasciai che le sue braccia calmassero i tremori del mio corpo, ripristinassero l’ossigeno nei miei polmoni e donassero un minimo di sollievo ai miei tormentati occhi, fino a quando non fui in grado di sollevarmi leggermente da terra e racchiudere nella mia anima il mio sostegno vitale -“Scusami tesoro..scusami tanto”- mai avrei voluto che lei mi vedesse in quello stato, ma dopo l’ennesima aspettativa andata in frantumi non ero riuscita a reggere l’intensità della sofferenza che ne era derivata. Evolet strinse la presa intorno al mio corpo, restituendo alla mia anima quel pizzico di speranza di cui necessitava per credere che, forse, non tutto era perduto.

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Capitolo 3
*** Calore ***


Calore


Appoggiai la guancia sinistra sul suo capo, chiudendo gli occhi e lasciando che il mio olfatto si inebriasse del profumo dei suoi capelli, così simile a quello di Santana: sospirai tremante, prima di  depositare tra le sue ciocche nere un piccolo bacio e continuare con quell’ipnotico movimento sulla sua schiena che aveva permesso al mio corpo di arrestare i violenti tremori, al mio cuore di stabilizzare la velocità dei battiti e alle mie guance di asciugarsi. Intrecciai le dita della mia mano destra alle sue, respirando profondamente e sbattendo con rapidità le palpebre per riuscire ad arginare il magone che, facendosi strada nella mia gola, rendeva lucide le mie iridi: il pensiero che sarei dovuta andare in quel campo per cercare la mia famiglia stava logorando la mia anima, allontanando il mio corpo dalla prospettiva di alzarsi e raggiungere un luogo che avrebbe potuto segnare l’inizio del mio dolore, ma ero anche a conoscenza del fatto che dovevo sapere se vi era ancora una qualche speranza da perseguire. Deglutì, incrementando la stretta intorno al suo corpo, prima di sporgermi in avanti e darle un bacio sulla guancia destra -“Forza piccola mia..andiamo a cercare mami e Evolet”- le sussurrai, non riuscendo a contenere il leggero strato di umidità che racchiuse i miei occhi alla vista delle sue labbra distese in un raggiante sorriso: mi avvicinai, appoggiando la bocca sulla sua fronte, alla ricerca di quel coraggio che mi avrebbe permesso di affrontare qualsiasi sofferenza. Dopo aver spostato Luna dalle mie gambe distribuì il mio peso sul lato sinistro del corpo, facendo leva sui muscoli delle braccia per essere in grado di sollevarmi da terra: gemetti, digrignando con forza i denti, mentre percepivo la pelle intorno alla ferita tirare e spezzarsi, accentuando le dimensioni della lesione e la quantità di sangue che da essa fuoriusciva. Una volta in piedi appoggiai il palmo della mano destra sulla fasciatura, comprimendo la lacerazione, mentre con le dita dell’altra mano incrociavo quelle di mia figlia: chiusi gli occhi, lasciando che la mia anima incanalasse più ossigeno possibile, prima di cominciare a camminare. Nonostante la temperatura fosse molto elevata le strade erano gremite di persone e il mio sguardo non poteva fare altro che spostarsi freneticamente in tutte le direzioni, cercando di non perdere l’occasione di individuarle in quelle insidiose vie, ma nulla sembrava catturare l’attenzione dei miei occhi, conducendomi così in uno stato di angoscia che fece accelerare le pulsazioni del mio cuore e il ritmo del mio respiro: era come se l’unico luogo in cui le avessi potute trovare fosse quel dannato campo. Riportai la concentrazione sul sentiero davanti a me e sulla destinazione che dovevo raggiungere, deglutendo nell’istante in cui intravidi alcune persone riversarsi su un corpo: aumentai la stretta intorno alla mano di Luna, cercando qualcosa che avrebbe potuto distrarla dalla distesa di cadaveri in cui ci saremmo imbattute di lì a poco. Non avrei mai voluto allontanarmi da lei, neanche per un singolo istante, ma nell’attimo in cui avevo notato alcuni bambini giocare con una palla non avevo potuto fare altro che intimarla ad andare da loro, raccomandandole di rimanere sul lato sinistro della strada e non avvicinarsi per nessuna ragione a quello destro: un sospiro tremolante abbandonò la mia bocca, mentre il mio sguardo si soffermava sulla sua figura che correva in direzione delle fragorose risate dei suoi coetanei. Sbattei velocemente le palpebre, asciugandomi una lacrima che era sfuggita al mio controllo, prima di dirigermi verso il lato opposto della via: ad ogni passo che compivo il mio stomaco si racchiudeva in una soffocante morsa, il mio cuore incrementava le sue pulsazioni, sotto il peso di un respiro troppo precario, e la mia anima rimaneva in bilico, tra la paura del dolore e il sollievo della speranza. Con gli occhi lucidi e la gola oppressa da un magone iniziai ad osservare la fisionomia dei vari cadaveri che, posizionati uno di fianco all’altro, si estendevano su tutto il ciglio della strada: ogni volta in cui il mio sguardo si soffermava su alcune ciocche di capelli biondi o intravedeva una porzione di pelle mulatta il mio corpo si irrigidiva, bloccandomi il respiro, il mio cuore si contraeva sofferente e la mia anima si preparava a sbilanciarsi verso l’oblio. Avevo percorso solo qualche metro quando i miei piedi si fermarono di colpo: sollevai il capo, voltandomi di scatto, mentre la voce di Luna che gridava il nome di Evolet investiva di incredulità il mio udito, portando il mio cuore ad accelerare i suoi battiti e il mio respiro a incrementare il suo affanno. I miei occhi iniziarono a vagare frenetici per tutta la via, accompagnati dall’impazienza dei miei passi che non attesero nemmeno un secondo prima di seguire il suono di quel miracolo: mi diressi dall’altra parte della strada, non troppo distante dal punto in cui avevo detto a Luna di recarsi, allungando il collo e alzandomi sulle punte dei piedi per riuscire a scorgere con i miei occhi quell’inaspettata speranza che aveva sfiorato le mie orecchie. Il mio sguardo continuava a spostarsi con rapidità, ansioso di concedere alla mia anima la possibilità di trovare quella pace che avrebbe riportato l’equilibrio nel mio spirito, ma le mie iridi non riuscivano a individuare nulla: l’irregolarità del mio respiro e l’intensità del mio battito si accentuarono, così impauriti dall’eventualità che quella voce fosse solo frutto della mia immaginazione da diffondere nel mio corpo una sensazione di vertigine che rese precaria la mia stabilità e annebbiata la mia vista. Lo sconforto cominciò a prendere il possesso del mio cuore, inumidendo i miei occhi di quel dolore che solo l’ennesima illusione infranta poteva scatenare: abbassai il capo, sconfitta da una sorte che conduceva i miei passi verso un’unica possibilità. Sospirai, riportando l’attenzione sul lato opposto della strada, prima di riprendere a camminare: ero avanzata solo di qualche metro quando il rumore di famigliari risate travolse il mio udito, arrestando il movimento del mio corpo e inducendo i miei occhi a chiudersi di scatto, spaventati all’idea che potesse trattarsi di un’allucinazione generata dalla mia mente ormai distorta dalla sofferenza. Respirai profondamente, preparando la mia anima al solito silenzio, prima di voltare la testa verso sinistra, in direzione di quella fantasia: dischiusi le labbra, mentre il mio cuore palpitava incredulo nel mio petto e il mio fiato si disperdeva nella mia gola, sopraffatto dalla visione di Luna che trovava ristoro tra le braccia di Evolet. Un lieve e sorpreso risolino sfuggì dalla mia bocca, mentre i miei occhi venivano avvolti da un intenso calore che, in pochi attimi, invase le mie guance: un singhiozzo di pura gioia risuonò nella mia cassa toracica, dandomi la spinta per procedere velocemente nella loro direzione -“Evolet!”- al suono del mio grido il suo capo si sollevò di scatto e le sue iridi spalancate si posarono sulle mie -“Mamma..”- si staccò da Luna, alzandosi in piedi, mentre il suo sguardo incredulo continuava a vagare sul mio viso, come se stesse cercando di capire se fosse reale o meno -“..mamma!”- urlò, nell’istante in cui comprese di non avere a che fare con una mera illusione, cominciando così a correre verso di me: mi inginocchiai per terra, attendendo che il suo corpo si rifugiasse tra le mie braccia, e quando avvenne, non potei fare altro che stringerlo a me con tutte le forze che avevo. I palmi delle mie mani percorrevano con foga la sua schiena e il suo capo, tentando di avvolgere e sentire ogni parte della sua figura per assicurarmi che fosse tutto vero, mentre le mie umide e tremanti labbra le lasciavano una scia infinita di baci, dalla tempia fino alla guancia sinistra. La coccolai per interi minuti, sussurrandole parole di incredulità e conforto, prima di allontanare la sua testa dalla mia spalla e prendere visione del suo volto: accarezzai con i polpastrelli le sue gote, avvertendo il mio cuore incrinarsi d’innanzi alle ferite e alle abrasioni che solcavano la sua candida pelle, ma al tempo stesso gonfiarsi di beatitudine di fronte alla possibilità di rispecchiarsi nei suoi meravigliosi occhi neri. Sorrisi, con le lacrime che continuavano a bagnare le mie guance e la mia anima che tornava finalmente a respirare, intrecciando le nostre dita e appoggiando la mia fronte sulla sua: percepì Evolet sospirare e stringere con forza le mie mani, prima di spostarsi leggermente all’indietro e incrociare il mio sguardo che, confuso e irrequieto, cercava di comprendere che cosa avrebbe voluto dirmi la sua espressione. Deglutì, mentre prendevo coscienza del fatto che si trattasse di Santana: il battito del mio cuore si fermò, così come il mio respiro che si arrestò nel centro della mia gola, in attesa di quelle parole che avrebbero cambiato per sempre la mia vita -“Mami è qui”-
 


Deglutì, distogliendo lo sguardo, d’innanzi all’ennesimo corpo che sarebbe passato sotto al vaglio dei miei gonfi e affaticati occhi: non era passato molto tempo da quando avevo intravisto la prima fila di cadaveri disposti lungo il ciglio della strada, ma quei pochi minuti erano bastati alle mie iridi per riempirsi di quelle lacrime che non avevano trovato abbastanza spazio nelle occasioni precedenti e alla mia anima per affliggersi ancora di più e offuscare qualsiasi alternativa che non fosse la morte. A quella parola percepì il mio corpo irrigidirsi e le mie pulsazioni cardiache aumentare il ritmo, investendo con estrema urgenza le mie vene di sangue caldo e il mio cervello di ossigeno, come se l’attesa di un secondo avrebbe potuto rendere il mio corpo un freddo pezzo di carne: nonostante il conforto di Evolet avesse ridonato al mio spirito un barlume di linfa vitale la mia speranza continuava a vacillare e probabilmente avevo sbagliato ad allontanarla da quel luogo, ma non avrei mai potuto accettare che i suoi occhi incontrassero il crollo delle illusioni e la fine della vita. Un sospiro tremolante lasciò la mia bocca mentre, sollevando il braccio sinistro, asciugavo la mia guancia dall’ennesima testimonianza del mio dolore: chiusi gli occhi, tamponandomi il viso con il dorso della mano, in un miserabile tentativo di ridurre il peso della sofferenza che continuava ad attecchire nel mio cuore. Respirai profondamente, prima di dischiudere le palpebre e riportare l’attenzione sulla sequela di persone che aspettavano di essere riconosciute: il mio sguardo correva rapido lungo la figura sdraiata ai miei piedi quando il suono di una voce interruppe la mia straziante ispezione, bloccando i muscoli del mio corpo e spezzando il mio già instabile respiro. Con insicura incredulità mi girai verso destra, pensando che si trattasse di una insensata invenzione della mia mente e che la disperazione avesse attanagliato così profondamente il mio udito da averlo ridotto ad un primo sentore di pazzia, ma nell’istante in cui i miei occhi si posarono sul volto a cui apparteneva quella voce i battiti del mio cuore non poterono fare altro che fermarsi -“Luna..”- mormorai, con le lacrime che iniziavano a racchiudere le mie iridi e a rigare di gioia le mie guance e gli angoli della bocca che si estendevano in un sorpreso e meravigliato sorriso -“Luna!”- cominciai ad avanzare nella sua direzione, mentre la sua dolce voce che urlava il mio nome continuava a raggiungere le mie orecchie, sanando gli squarci della mia anima e alleviando l’intensità di quel dolore che aveva oppresso il mio cuore per troppo tempo. Dopo una manciata di passi le mie ginocchia cedettero, sotto le torture di una ferita che non smetteva di pulsare e sanguinare, così attesi che fossero le sue braccia ad avvolgere con vigore il mio collo -“Mami”- sospirò, mentre il suo capo si appoggiava alla mia spalla sinistra e le sue dita si avvinghiavano ai miei capelli: chiusi gli occhi, godendo di quella sensazione che aveva caratterizzato ogni mio ritorno a casa, ma che in quei giorni sembrava persa per sempre. La mia mano sinistra era impegnata ad accarezzarle con parsimonia e necessità la schiena, mentre quella destra sostava sulla sua nuca, permettendomi così di sentire e inglobare il suo calore nel mio corpo: restai in quella posizione per alcuni istanti, giusto il tempo di prendere effettivamente atto che tutto ciò fosse reale, prima di staccarmi leggermente e depositare una serie di rapidi e intensi baci su tutto il suo viso. Le corde vocali di Luna iniziarono a vibrare lievemente, regalando alle mie lacrime un altro motivo per solcare le mie gote e al mio cuore un ulteriore ragione per accentuare il suo ritmo: lasciai che i miei sensi assaporassero quel momento con avidità, cercando di colmare quel vuoto che, insinuandosi nel mio corpo, ne aveva reciso ogni parte -“Mami”- interruppi la sequenza di sbaciucchiamento, sospirando ancora incredula e rivolgendo lo sguardo verso destra, richiamata dalla voce di Evolet: le sorrisi, allungando il braccio e intrecciando le mie dita alle sue, pronta a circondare il suo corpo in una poderosa stretta, ma lei bloccò il mio movimento, restando ferma nella sua posizione e continuando ad osservarmi con un sorriso di pura felicità sul volto. Corrugai lievemente la fronte, confusa dal suo comportamento, ma poi i suoi occhi si posarono su un punto imprecisato della strada, portandomi a seguire la direzione del suo sguardo: le mie labbra si dischiusero, sempre più incredule d’innanzi a ciò che la mia vista scorgeva, mentre le mie iridi non tardarono a inumidirsi, sbigottite e a tratti disorientate, di fronte alla persona che camminava a fatica verso di noi. Restai immobile per alcuni istanti, con il respiro che diventava sempre più pesante e il cuore che sbatteva violentemente contro al mio petto, tentando di raggiungere l'ossigeno di cui necessitava, prima che le sue lucide e meravigliate iridi trovassero conforto nelle mie: mi alzai, barcollando leggermente a causa della lesione alla mia coscia sinistra che non smetteva di diffondere dolore e afflizione in tutte le mie articolazioni, mentre lei si arrestava di colpo, osservando la mia figura con un tale incanto da farmi apparire come una sorta di sublime miracolo. Rimasi a contemplare il suo viso, così come i suoi occhi facevano con il mio, sollevando ad ogni secondo gli angoli della mia bocca, sempre più consapevole che la sua presenza non fosse un'allucinazione generata dalla mia mente: trascinai il piede destro in avanti, cominciando a procedere nella sua direzione, colma di quella gioia che non pensavo avrei mai più potuto provare. Le mie iridi si riempirono di lacrime, mentre la sua vicinanza diveniva realtà, così come il profondo taglio che spiccava sul suo fianco destro: deglutì, nel percepire tutto il dolore e la sofferenza che avevo avvertito in quei giorni riaffiorare nel mio cuore, solo per venire spazzati via dalla meravigliosa sensazione di beatitudine che attraversò la mia anima nell'esatto momento in cui i suoi palmi sfiorarono le mie appiccicose  guance e i suoi arrossati occhi azzurri si adagiarono sui miei. Sollevai le braccia, ricambiando con delicatezza le carezze dei suoi polpastrelli, ancora incredula di poter toccare la sua soffice carne -"Sei qui..sei..sei davvero qui”- mormorai, mentre tracciavo i contorni del suo viso, tremando ad ogni cambio di direzione, e sentivo il calore della sua pelle propagarsi nel mio corpo, donando pace e sollievo alla mia stremata anima -“Si amore mio..sono qui..sono qui”- le sue labbra si distesero in un ampio sorriso mentre, accarezzando con foga i miei capelli, lasciava  che una scia di lacrime si riversassero sulle sue gote: ricambiai la sua espressione, prima di avvolgere il suo corpo tra le mie braccia e affondare il mio volto nell'incavo del suo collo. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente il suo odore e abbandonandomi a quel benessere che solo il suo calore poteva trasmettermi: mi lasciai cullare dalle sue dolci carezze sulla schiena, rimanendo senza fiato nel percepire la mia anima tornare in vita, nel sentire il mio stomaco liberarsi dalla solita soffocante morsa e nell'avvertire i battiti del mio cuore vibrare di pura felicità. Strinsi la presa intorno al suo corpo tremante, dandole un lieve bacio sulla clavicola per cercare di calmare il flusso di gocce salate che continuava a bagnare la mia spalla sinistra -"Ti amo..”- sussurrai, staccandomi leggermente dal suo collo, quel tanto che bastava da consentirmi di appoggiare la bocca sulla sua mandibola -"..ti amo..”- mormorai, strofinando la mia punta del naso contro la sua e rispecchiandomi nelle sue arrossate iridi: mi sporsi in avanti, racchiudendo il suo labbro superiore nella mia bocca e stringendo con forza l’orlo della sua maglietta per tenermi aggrappata a quella realtà che mi aveva ridonato la vita. Una volta staccate abbassai lo sguardo, sorridendo commossa alla vista di Luna ed Evolet che circondavano le nostre gambe: mi inginocchiai, e così Brittany, inglobando la mia famiglia in un abbraccio che divenne sempre più caloroso e colmo di quelle lievi risate che riempivano di speranza e luce la desolazione che ci assediava.

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