Ricostruirsi di Reginafenice (/viewuser.php?uid=1057053)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una carriera distrutta? ***
Capitolo 2: *** Forse sì... ***
Capitolo 3: *** Non tutto è perduto (si spera!) ***
Capitolo 4: *** Poteva andare decisamente peggio! ***
Capitolo 1 *** Una carriera distrutta? ***
Midge aveva
deciso di prendersi una pausa dal palcoscenico, dopo il frenetico
vortice di
insicurezza in cui era caduta una volta abbandonata da Shy Baldwin
sull’orlo
del suo sogno, o meglio, sulla pista dell’aeroporto in cui
l’attendeva un
magnifico areoplano che avrebbe dovuto condurla in
quell’agognato mondo cabarettistico
europeo che le era stato promesso.
Si trattava, in realtà, di una voragine interiore che Shy
aveva aperto suo
malgrado, un vuoto di cui Midge non era consapevole ma la cui tardiva
conoscenza le aveva procurato almeno tanto dolore quanto era stata in
grado di
infliggerne.
Midge
conosceva piuttosto bene il senso di sfiducia nei confronti delle altre
persone
che ora provava Shy. Anzi, la sua esperienza le aveva insegnato che
purtroppo di
solito erano le persone più care a compiere i peggiori atti
di tradimento… Eppure,
nemmeno una volta da quando Joel l’aveva lasciata aveva
pensato che sarebbe
potuto capitare a lei di sedersi dalla parte dell’imputato,
di mancare così
sensibilmente di delicatezza nei confronti di un amico a cui voleva
bene
davvero. Forse, tutto questo l’avrebbe portata a giudicare
con maggiore
clemenza gli errori commessi dal suo ex marito, scoprendosi
sorprendentemente
molto più fragile e imperfetta di quanto non si fosse mai
reputata in vita sua.
Ciò
che la
infastidiva di più era l’egoismo che
l’aveva spinta a servirsi della storia
personale di Shy per salvarsi dalla paura del fallimento. Anche se si
trattava solo
di battute, che probabilmente la gente non avrebbe preso seriamente, la
sua
mancanza di freni inibitori non aveva tenuto in alcun conto i
sentimenti di chi
sapeva perfettamente che non si trattava affatto di uno scherzo.
Per quanto potesse autoconvincersi di aver agito in buona fede, Midge
non
poteva neanche sperare di arrivare a un chiarimento con Shy: Reggie le
aveva
consigliato di non insistere, altrimenti il “suo”
Shy si sarebbe irritato e
avrebbe rovinato col suo umore l’entusiasmo di tutto il team,
quindi il
successo dell’intero tour.
Non era la prima volta che le accadeva di ferire qualcuno, a pensarci
bene.
Se con Benjamin non era stata precisamente la sua bocca a fare danni ma
la
penna vigliacca che l’aveva guidata a scrivere un addio su di
un immacolato
foglio bianco, questa volta nessuna scusa poteva reggere al fine di
mantenere
intaccata l’immagine di sé che si auto dipingeva
da quando era nata. Era o non
era Miriam Maisel la salvatrice in extremis di
qualsiasi situazione
difficile, di imprevisti o di relazioni in crisi, come quella dei suoi
genitori
o quella tra Imogene e Archie? Era o non era Midge Maisel la
mediatrice, la
sollevatrice dei cali di autostima altrui? Nel suo cuore sentiva di
volere
prima di tutto il bene di coloro che amava, persino della prima persona
che le
capitava di incrociare per strada e per la quale provava
un’istintiva simpatia.
Troppo spesso, però, da quando il suo matrimonio era andato
in pezzi, si era
dimostrata naïve e tendente a praticare
qualcosa che la vecchia Midge
non avrebbe mai fatto: fallire come tutti gli esseri umani, anche e
soprattutto
nelle piccole cose così come nei rapporti sociali
fondamentali.
E adesso,
addirittura fare shopping aveva perso il suo solito brivido. Midge
sedeva ad un
tavolino di un coloratissimo bar, in grado di attirare
l’attenzione persino di
un miope nell’estiva e serale New York City. Sedeva, dunque,
sorseggiando con
una cannuccia una banalissima limonata, mentre aspettava insieme ad
Esther che
Ethan finisse la lezione di pianoforte. Le stonature sulla tastiera si
potevano
avvertire anche da lì: un chiaro segnale che il futuro di
Ethan non sarebbe stato
nella musica. Anche il suo adorato Martini Dry era
stato sostituito da
una versione molto più sbiadita che ben si addiceva al suo
stato d’animo, ma
l’incredibile anticipo con cui si era recata dal maestro di
musica confermava
più di qualunque altra cosa il drastico cambiamento di vita
che stava
affrontando negli ultimi mesi.
A quel
punto, non le restava che sfogliare svogliatamente le pagine
dell’ultima
rivista di Vogue per ingannare l’attesa e
impartire a sua figlia le
prime lezioni in fatto di stile. Se non fosse stato per
l’interruzione di una
bambina intenzionata a fissarla con lo stesso sguardo inquietante di
suo
figlio, quando assumeva il vizio di sbucare dal nulla la mattina nella
sua
stanza senza motivi apparenti, era sicura che la piccola Esther fosse
stata catturata
dall’immagine del bellissimo tailleur rosa in copertina.
Soddisfazione, questa,
non da poco per una madre come lei.
“Ti
sei
persa, per caso?” Midge rispose allo sguardo della bambina
con un’espressione
dolce e divertita al tempo stesso. Sistemò Esther nel suo
passeggino e guardò
l’orologio che aveva al polso: mancavano ancora dieci minuti
alla fine di quel
supplizio acustico che proveniva dal primo piano
dell’appartamento di fronte al
bar.
La bambina
non disse nulla, ma si limitò a scrollare le spalle. Pe un
breve istante Midge
ebbe l’impressione che quel viso non le fosse del tutto
estraneo, anzi, quella
scrollata di spalle aveva un’aria vagamente familiare. Midge
si sforzò di
ricordare, ricollegando mille volti di gente conosciuta con quello
della
ragazzina bionda che aveva davanti. Doveva avere, su per
giù, la stessa età di
suo figlio Ethan, ma presto Midge si arrese
all’insolubilità dell’enigma e
pensò
che fosse più produttivo avviare una conversazione con lei.
“Se
hai
perso la voce, forse un bicchiere di limonata potrebbe aiutarti a
fartela
tornare. Vuoi che te ne ordini un po'?” Adesso, il tono della
voce di Midge era
diventato ancora più affabile e si poneva in netto contrasto
con l’assoluto
mutismo della ragazzina, la quale sembrava studiare il suo viso come se
anche
lei cercasse di ricordarsi dove avesse potuto incontrare una signora
così
affascinante. Midge ordinò altre due limonate e
invitò la piccola a sedersi
accanto a lei, con un semplice gesto della mano.
“Sai,
di
solito le bambine non girano da sole a quest’ora. I tuoi
genitori saranno in
ansia per te.”
Dopo un
breve sorso di limonata, la bambina pronunciò un laconico
“Può darsi”, gettando
di tanto in tanto un’occhiata all’angolo della
strada, quasi si aspettasse di
vedere qualcuno sbucare da lì dietro. Evidentemente era
fuggita di casa e la
stavano cercando, ma la bambina non aveva intenzione di farsi trovare
tanto
facilmente.
“Questa
è
mia figlia Esther e io mi chiamo Miriam. Midge se preferisci. Tu,
invece, come
ti chiami?”
“Kitty.
Comunque, grazie per questa…” e indicò
il bicchiere mezzo vuoto, “E’ stata
molto utile”.
Midge si
accigliò leggermente, “Mi sa tanto che tu abbia
fatto una bella corsa per
arrivare fin qui, ma ovviamente non mi spiegherai il perché,
vero?”
Kitty,
infatti, scosse la testa.
“Non
ti ho
sentita arrivare per via di questo…” e
alzò una mano in aria, riferendosi al
baccano assordante prodotto dalle manine poco sincronizzate di Ethan.
Kitty
annuì, dimostrando di essere piuttosto sveglia per la sua
età.
Quando
calò
giù il silenzio, entrambe tirarono un sospiro di sollievo e
si rivolsero uno
sguardo complice. Tuttavia, proprio in quel momento Esther
iniziò a
piagnucolare per richiamare su di sé l’attenzione
di sua madre. Così, Midge
dovette alzarsi e prendere in braccio sua figlia per calmarla un po'.
Mentre era di spalle, Kitty si strinse alla sua gonna di tulle color
cipria,
lasciando intuire a Midge che il gioco del nascondino era finito e che
ora la
piccola aveva paura del rimprovero dei suoi genitori, o di chiunque la
stesse
cercando.
Quando si
voltò, Midge vide una bellissima ragazza, bionda come Kitty,
correre
freneticamente verso la loro direzione. Una volta raggiunto il
tavolino, la
giovane si inginocchiò all’altezza di Kitty e
l’abbracciò intensamente, come se
non volesse lasciarla più. Dopo qualche minuto, si
rialzò cercando di ripulirsi
le gambe e la gonna dallo sporco della strada. Era molto provata e con
gli
occhi lucidi guardò Midge, “Grazie per averla
fermata, altrimenti chissà dove
sarebbe ora!”
“Si
figuri!
Kitty si è già pentita e mi stava appena
comunicando dove avrei dovuto
accompagnarla, giusto?” Fece l’occhiolino alla
bambina, la quale non riuscì a
non nascondere un piccolo sorriso pieno di riconoscenza.
Ethan
andò
loro incontro con un’espressione scocciata e gli spartiti
nella cartella sotto
il braccio, “Mamma, possiamo andarcene, per favore?
Papà mi ha promesso che
avremmo mangiato la pizza oggi!”.
Midge gli
accarezzò i capelli, “Credimi, amore, anche noi
non vedevamo l’ora di
andarcene! Prima, però, dovresti presentarti a queste due
signorine, altrimenti
che razza di gentleman saresti?”
Ethan si
sforzò di tendere la mano a Kitty, “Io sono Ethan.
Adesso possiamo andare?”
Aggiunse, rivolgendosi implorante a sua madre. Midge alzò
gli occhi al cielo e
si scusò con la giovane per i modi frettolosi del figlio.
“Perdoni
la
curiosità, e anche la mancanza di discrezione,
signora…” attese che le venisse
rivelato il nome della sua nuova interlocutrice.
“Honey
Bruce. Oh, no! Honey
Harlow. Mi scordo
sempre di dover usare il mio nome da nubile ora!” Le porse la
mano e la strinse
energicamente. Bruce, eh? Possibile che Kitty fosse la figlia di Lenny
Bruce?
Sì, la somiglianza era notevole, eppure Midge si domandava
perché non fosse
riuscita a coglierla prima. Certo, sapeva che Lenny aveva una figlia,
tuttavia,
stentava a vederlo nei panni di padre, non perché non fosse
premuroso o altro,
semplicemente perché Lenny dava l’impressione di
essere totalmente indipendente
e conduceva da sempre una vita alquanto instabile per garantire la
propria
presenza in quella di una bambina. Questa scoperta l’aveva
lasciata
letteralmente senza parole…
“Mamma,
lei
si chiama Midge.” Disse Kitty, tentando di riempire un vuoto
di parole che
iniziava a diventare imbarazzante.
Midge si
risvegliò da quella specie di torpore in cui era caduta e
continuò, “Signora
Harlow, perché Kitty si è allontanata da casa?
Voglio dire, anche io una volta
tentai di fuggire da mia madre quando ero molto piccola, ma il motivo
della
fuga era molto più futile di quanto possa immaginare. Mi ero
innamorata di un
cappellino che avevo visto in una boutique del centro e non accettavo
il
rifiuto di mio padre, così andai da sola e lo acquistai con
i soldi della mia
paghetta, messi da parte per mesi!”
Kitty rise
di gusto, mentre Honey si sfregò la fronte e si sedette un
attimo, “Oggi Kitty
è tornata da me, dopo aver trascorso il weekend con
suo padre.
Evidentemente non devo esserle tanto simpatica quanto Lenny!”
Non sapeva
cosa fare o cosa dire. Era abbastanza sicura che Lenny non avesse mai
parlato a
Honey di lei e, anche se tra di loro non era accaduto nulla di
più di quanto
fosse conveniente in una comune amicizia tra uomo e donna, una parte di
lei si
sentiva inibita: in Florida avevano quasi superato il limite e poteva
ancora
sentire le farfalle nello stomaco che aveva provato sulla soglia della
stanza
del motel in cui soggiornava Lenny, persa in quei meravigliosi occhi
dolci immersi
nei suoi. Sarebbe potuto scattare un corto circuito per via
dell’elettricità
presente tra di loro in quel momento. Ciò nonostante, Midge
aveva preferito
rimandare le scintille ad un tempo diverso da nemmeno lei sapeva cosa,
sperando
possibilmente in un’occasione perfetta.
“Dov’è
ora
Lenny?” Osò chiedere timidamente, aspettandosi una
reazione quantomeno stupita
da parte di Honey.
“E’
qui a
New York. Mi pare strano che lei possa rientrare nel pubblico di Lenny,
anche
se non c’è mai limite alle stranezze della vita.
È una sua ‘amica’?” La
scrutò
attentamente, in cerca di prove estetiche che avvalorassero la sua
tesi. Non ne
trovò alcuna.
Midge
faticò
a restare in equilibrio, da una parte trascinata dalla mano di Ethan e
dall’altra con il braccio addormentato dal peso di Esther,
“Una delle sue fan
più accanite, direi. A tal proposito, sarebbe
così gentile da farmi un favore?”
Honey
assentì, facendole un cenno con la riccioluta chioma dorata.
“Gli
direbbe
che Midge Maisel lo sta cercando? Tenga...”
Rovistò nella borsetta alla ricerca
del suo taccuino e di una penna, poi affidò Esther a Honey
per poter scrivere
qualcosa appoggiandosi al tavolino del bar. Staccò un
foglietto e lo ripregò
per bene, rendendo chiaro che il messaggio era indirizzato solo e
soltanto a
Lenny.
Honey prese
il biglietto e restituì la piccolina a Midge. La sua
espressione tradiva una
certa curiosità, ma seppe trattenersi. Si congedarono in
maniera amichevolmente
sbrigativa, prendendo direzioni opposte. Entrambe, però,
sentirono l’impellente
bisogno di voltarsi per un istante, giusto il tempo di
un’ultima occhiatina che
potesse chiarire alcune cose rimaste irrisolte.
“Ma quella non era, per caso, la donna con
l’elegante abito verde che aveva
pagato la cauzione di Lenny, mentre lei moriva di caldo sul sedile
posteriore
di un taxi?” Si chiese Honey, senza sapere che Midge
scandagliava la sua
memoria per ricordare dove avesse visto prima l’ex moglie di
Lenny Bruce, con
un pizzico di invidia nel petto.
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Capitolo 2 *** Forse sì... ***
Quando
ritornò nell’appartamento, preso in affitto dopo
l’imprevedibile risvolto del tour con Shy, Midge
trovò tutte le luci spente.
Sicuramente i suoi genitori erano crollati per l’ennesima
volta, sfiniti dal
trasloco e dall’alcool degli aperitivi consumati a
mo’ dì ricarica.
Nonostante fosse
da sola – in quanto
i bambini avrebbero passato la notte con Joel – non percepiva
affatto la
solitudine: tanti erano i pensieri che le affollavano la mente,
facendole compagnia
come una comitiva di amici dalla risata fastidiosa ed estenuante, nel
pieno
della loro serata di divertimento.
Abbandonò
cappello e borsetta su di
una poltrona e poi abbandonò sé stessa sul divano
del soggiorno, con ancora i
tacchi addosso, nel buio più pesto. Sembrava una soffice
meringa rosa
sprofondata tra i cuscini di un sofà color crema, vinta
dalla noia piuttosto
che dalla stanchezza.
Sebbene Susie avesse ricominciato a gestire il Gaslight, sperando di
racimolare
almeno l’essenziale per poter vivere e ripagare i debiti che
aveva contratto
per colpa del gioco, Midge si rendeva sorda ad ogni invito a salire sul
palco
rivoltole dalla sua manager.
Susie non voleva ancora arrendersi alla rassegnazione di Midge e si
augurava
con tutto il cuore che dei piccoli riscaldamenti avrebbero potuto
convincerla
che fosse arrivato il momento di provare a rimettersi in gioco. Molto
probabilmente,
quella sera un altro comico cercava di sbancare il lunario al suo
posto,
dimostrando un quarto del suo talento ma l’energia di un
poppante, illuso dal
riflesso scintillante di una fama effimera quanto il tempo di un mezzo
applauso
o di una mezza risata in un locale per principianti.
Susie aveva capito, però, che la tattica
dell’inseguimento non funzionava e che
la strategia migliore da adottare era il silenzio: smettere di
corteggiarla per
provocare in Midge il desiderio opposto. Questa era l’ultima
chance che le
rimaneva, l’unica carta rimastale da giocare.
Il telefono
squillò. A quell’ora
poteva essere solo una persona, perciò Midge
tentò di ignorare quanto più
possibile quel suono molesto, ma chi la cercava non mollava la presa e
alla
fine toccò a lei cedere. La determinazione di Susie doveva
essere evaporata ben
prima del previsto. Sbuffò, intenzionata a far intendere al
suo interlocutore
tutto il disappunto per l’interruzione apportata al suo stato
di tedio
volontario.
“Uffa,
Susie! Te l’avrò ripetuto
cento volte che non ne voglio saperne nulla!”
Qualche secondo
di silenzio prima che
il rumore metallico del telefono venisse rotto da una voce calda e
decisamente
più baritonale di quella di Susie. Le ci vollero pochi
istanti per capire a chi
appartenesse…
Rimase con la
luce spenta e con il
cuore che le batteva nel petto all’impazzata, sdraiata con lo
sguardo rivolto
al soffitto per racimolare i pensieri e tenere a bada le emozioni.
“Da
quanto mi è stato riferito,
credevo ti fosse gradita una mia telefonata. Mi pare, però,
che le cose siano cambiate
nell’arco di…quanto? Vediamo un po', due ore? Sai,
non sono in grado di tenere
bene il tempo, anche se, rispetto a te, mi considero un esperto in
questo campo.
Vuoi che ti richiami in un altro momento?” La delicata ironia
di Lenny fu
capace di scioglierle i nervi ancora meglio di quanto avesse potuto
fare un drink.
Così, riecheggiò nella cornetta di Lenny una
risata spontanea e confortante.
“E da
quando avresti deciso di
cambiare nome in Susie, sentiamo un po'?”
“A
parte gli scherzi, lo sai che mi
sono stupito molto nel leggere un prefisso telefonico tipicamente
newyorkese
sul biglietto che mi ha dato Honey? In realtà, anche solo il
fatto che voi due
vi foste incontrate mi è sembrato alquanto surreale. Speravo
di dover fare una
chiamata internazionale e spendere in questo modo tutto ciò
che mi rimane in
tasca, e invece niente centralino…”
Lenny stava
fumando: Midge percepiva
i suoi polmoni aspirare ritmicamente il fumo di una sigaretta e
rilasciarlo come
se si liberasse di un peso fatto d’aria e nicotina.
“Niente
centralino e niente
centraliniste francesi, mi dispiace per te Lenny! Questa volta dovrai
accontentarti della mia voce.” Midge attese, sapendo
esattamente che era la sua
voce ciò che Lenny desiderava ascoltare.
Fino a quel giorno, non aveva avuto il coraggio di confessargli il
motivo per
cui era stata tagliata fuori dal tour europeo di Shy Baldwin. Dopo aver
deluso
Shy, Susie e se stessa, l’ultima persona rimasta di cui
temeva il giudizio era
proprio Lenny. Quale sarebbe stata la sua opinione al riguardo? E,
soprattutto,
in quale modo avrebbe influito sull’idea che Lenny aveva di
lei?
“Ho
come l’impressione che si tratti
di una lunga storia.”
Silenzio.
“Lenny,
ho perso il senso
dell’umorismo e non posso incolpare nessuno
all’infuori di me stessa per
questo!” Il magone cominciava a salirle su per la gola e
sentiva che gli occhi
minacciavano un fiume di lacrime. Gli chiuse e attese che Lenny
parlasse, ma
niente. Lenny, aveva compreso che quelle lacrime avrebbero dovuto
fluire dalla
foce per renderla veramente libera di esprimersi.
“Siamo
nella stessa città, ancora una
volta dopo Miami. Che ne dici di scambiarci qualche parola a
quattr’occhi e,
soprattutto, di fronte a un bicchiere? Hai già cenato, per
caso? Conosco un
posticino perfetto.”
“No,
ma mi piacerebbe tanto
rivederti. Devi lavorare stasera?” Chiese, sperando che la
risposta fosse un
no.
Lenny
sospirò, “Oggi sono libero, per
tua grande sfortuna. Tuttavia, ti prometto che non ci sarà
nessuna romantica atmosfera
esotica questa volta.” Si premette una mano sul cuore,
rischiando di bruciarsi
la camicia con la sigaretta. Anche Lenny era sdraiato, ma su di un
letto
completamente disfatto, reduce da una guerra di cuscini conclusasi a
favore di
Kitty.
“Peccato,
quelle luci ti donavano
parecchio. Raramente si vedono gentiluomini agghindati così
per bene!” Midge
non riuscì a trattenere l’eccitazione che provava
al pensiero di rivederlo.
“Farò
finta di crederci, grazie.”
Non sapevano in
quale verso condurre
il discorso. Troppi non detti pendevano come macigni sul filo
immaginario che
collegava le loro voci…
Lenny sarebbe
passato a prenderla nel
giro di dieci minuti, che poi divennero mezz’ora. Midge non
riusciva proprio ad
essere puntuale! Alla fine, però, anche Lenny dovette
convenire che ne fu valsa
la pena.
Midge aveva optato per un cambio di outfit, molto più
consono alla sera e
all’occasione: voleva lasciarlo senza fiato e sentirsi al
massimo della forma,
almeno all’apparenza. L’abito rosso che aveva
addosso metteva in risalto la sua
carnagione eburnea, tanto più che le spalle scoperte
facevano risaltare il
collo e il decolté in maniera sensuale ma pur sempre
opportuna ad una donna
dotata di buon gusto come lei. Aveva una pochette di satin nero che
contrastava
ineccepibilmente con il vestito scarlatto e con la lucentezza dei
gioielli scelti
per completare l’opera. Ma si trattava davvero di Midge o era
soltanto quella
parte di lei che tutti conoscevano già? La
sincerità avrebbe dovuto regnare
sovrana quella sera, perciò non avrebbe avuto senso
continuare a mentirsi
ignorando di non sapere la risposta a quello spietato punto
interrogativo.
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Capitolo 3 *** Non tutto è perduto (si spera!) ***
Quando
aprì
il portone, Midge trovò Lenny con le braccia conserte
appoggiato all’inferriata
del cancello, impegnato a sbrigliare quelli che dovevano essere dei
pensieri
aggrovigliati nella sua testa. Non dovevano essere pensieri spiacevoli,
però. A
vederlo dall’esterno, anzi, si sarebbe detto compiaciuto
dalle proprie
aspettative.
Si accorse della
sua presenza come un cieco, appena rinsavito, avrebbe potuto fare
dinanzi alla
luce del sole, “Ehi, avresti dovuto avvisarmi che saremmo
andati alla cerimonia
degli Oscar! Quantomeno mi sarei adeguato alla tua eleganza. Ora sono
impresentabile, vero?”
“Gli
Oscar
si tengono d’inverno, Lenny! E tra l’altro, sei tu
che mi hai invitata,
ricordi?” Lo guardò dritto negli occhi per quella
che sembrò un’eternità. In
realtà,
durò meno di quanto entrambi avrebbero voluto, in quanto sia
Midge che Lenny
non riuscirono a trattenere lo sguardo l’una
sull’altro più a lungo di un
minuto, senza rischiare di svelare in maniera troppo impudente i
sentimenti che
si celavano all’interno delle loro pupille mute. Abbassare le
palpebre il prima
possibile sembrava essere l’unica soluzione.
“Comunque,
non
stai affatto male. Tutt’altro. Ecco: hai appena ricevuto un
complimento gratis!”
“Il
taxi ci
sta aspettando dietro l’angolo.” Le
gettò un’occhiata in modo discreto, sorridendo
tra sé e sé, chiaramente bramoso di ammirarla in
tutto il suo splendore una
volta arrivati a destinazione.
“Perfetto.”
Disse Midge, trotterellandogli accanto.
Lenny si
portò una mano alla bocca, come sua consuetudine nelle
circostanze di disagio,
prima di rivolgersi nuovamente a lei, “Perdona la mia
curiosità, tu sapevi che
sarebbe successo?”
Midge rimase
perplessa per un attimo, “Sono successe talmente tante cose
assurde ultimamente
nella mia vita che non saprei a quale ti riferisci!”
“Questo
imbarazzo, intendo…” Gesticolò con
finta noncuranza, per farle capire che si riferiva
alla scarsa loquacità tra di loro, oltremodo inconsueta in
altri contesti e in
altri momenti della loro amicizia. Pur avendo un mezzo sorriso sulle
labbra, le
sue parole suonavano serie e pregne di una scomoda verità.
Midge si
precipitò
sul suo braccio, posando la testa contro il suo bicipite con
un’aria
improvvisamente familiare e premurosa. Ciò che le aveva
detto Lenny era inconfutabile:
erano mesi che non si vedevano né sentivano, evitandosi
vicendevolmente.
Naturalmente, qualcosa nel loro rapporto era cambiata e non potevano
pretendere
di comportarsi come prima, come quando danzavano abilmente in punta di
piedi
intorno alla questione, evidente sin dal loro primissimo incontro.
L’attrazione
continuava a crescere di intensità nel corso degli anni,
generando confusione
in Midge e inquietudine in Lenny.
“Era
quello
che speravo non accadesse, ma è accaduto
ugualmente.”
“Già,
ma
questo non vuol dire che le cose debbano rimanere in questa specie di
limbo,
no?” Lenny fece in modo di prenderla sottobraccio, da vero
gentiluomo, e
insieme arrivarono vicino al taxi. Aprì lo sportello per
permetterle di
accomodarsi, poi fece un giro intorno alla macchina e
sussurrò all’autista
l’indirizzo in modo che per Midge fosse una sorpresa. Si
sedette al suo fianco,
eludendo l’espressione interrogativa disegnata sul viso della
sua fantastica
accompagnatrice.
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“Però,
quanto è piccolo il mondo!” Esordì
Midge, dopo aver spiato oltre la spalla di
Lenny con gli occhi sgranati. Anche se avesse potuto, non ci avrebbe
creduto:
Lenny l’aveva portata proprio al Gaslight. Chissà
se Susie ne sapeva qualcosa;
se si erano messi d’accordo per persuaderla a esibirsi di
nuovo, magari dietro
l’inoppugnabile incoraggiamento di Lenny Bruce.
No, Lenny
non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Aveva troppo rispetto per
lei e una
tale mancanza di sensibilità nei suoi riguardi sarebbe stata
incompatibile con
il suo carattere. Allora, perché condurla proprio
lì? Decise di scrutare il suo
volto in cerca di qualche indizio che potesse rivelarle
l’arcano, ma Lenny
continuava a fingere di non saperne nulla alzando le spalle e
passandosi la
sigaretta da un lato all’altro della bocca: era decisamente
diverto, per quanto
cercasse di mascherarlo.
Uscirono dal
taxi e attesero all’ingresso del locale, che sembrava essere
molto affollato a
quell’ora. ‘Buon per Susie!’
Pensò Midge con sincerità.
“So
che ti
devo delle spiegazioni.” Lenny gettò a terra il
mozzicone della sigaretta e lo
spense con il piede.
“Che
però
non mi darai, giusto? Sei identico a tua figlia in questo,
Lenny.” Midge si portò
le mani ai fianchi, come se si trovasse di fronte a un bambino
disubbidiente
con il quale bisognava esercitare un’enorme
quantità di pazienza.
“Ah,
sì.
Quasi dimenticavo, oggi hai visto Kitty.” Si
rabbuiò per un secondo, poi
continuò, “Non avrebbe dovuto farlo. Ci ha fatto
preoccupare parecchio.”
“Giuro
che
non l’ho traviata in alcun modo! Forse, potrei averle offerto
una limonata e potrei
aver esercitato una qualche influenza su di lei avvicinandole la mia
rivista di
moda, ma non mi è sembrata particolarmente attratta.
È così grave?” Si morse un
labbro. Vederlo triste e preoccupato le procurava grande dolore,
perciò cercò
di alleggerirgli il morale.
Lenny
inclinò
la testa, “Le ho parlato di te.”
“Allora
è
per questo che è scappata, ne sono certa. Non ne poteva
più di sentirti
criticarmi!”
“Sono
diventato
così prevedibile?” Le pupille gli si dilatarono
nuovamente, per la seconda
volta quella sera.
“No,
solo un
po' ciarlone, anche se non si direbbe. D’altronde, sono
l’ultima a poterti
giudicare. Non sai quante volte ho parlato di te a… beh, a
un sacco di persone!”
Arrossì lievemente.
Mentre la
gente entrava e usciva dal Gaslight, loro due erano rimasti in piedi
nel punto
in cui l’auto aveva lasciato loro, avvolti in una nuvola di
fumo che proveniva dalle
bocche dei tanti avventori, dalla luce dei led che illuminavano
l’insegna del
locale e dai colori che risalivano da quella specie di sottoscala da
cui vi si
accedeva.
“Questo
luogo ha qualcosa di magico, in fin dei conti. È qui che ci
siamo conosciuti. È
qui che mi sono sentita distrutta ed è qui che mi sono
ricostruita.” Si guardò
intorno e percepì un misto di tenerezza e dolore.
Lenny lo
comprese e le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani,
“Qualcuno ha detto
che il mondo è un palcoscenico e io credo che sia vero,
soprattutto per noi.
Quello è il nostro posto, Midge. Potresti non accettarlo
ora, ma un giorno sarai
costretta a farlo.” Ritrasse le mani e le mise in tasca,
riassumendo quell’aria
timida che aveva prima di parlarle.
Midge
annuì,
commossa dall’imbarazzo di Lenny. La generosità di
quell’uomo la stupiva continuamente,
“Io non sono alla tua altezza, e questo lo sai. Tu hai aperto
la strada e, per
quanto questo mondo faccia parte anche della mia natura, sei tu la mia
più
grande ispirazione. Le tue esibizioni mi danno coraggio.”
“Bene,
sono
felice che ne parli ancora al presente. Forse questa escursione
è servita allo
scopo che mi ero proposto.”
“Sarebbe?”
Gli chiese con una sfumatura di malizia nella voce.
“Non
c’è
bisogno che te lo dica.”
Midge fece
dei piccoli passi nella sua direzione, accorciando la distanza tra di
loro. Soltanto
un filo d’aria passava tra i loro corpi, tendenti ad una
spontaneità difficile
da controllare.
Un desiderio così pericolosamente tangibile da farle di
nuovo paura, da farle
scattare il panico: se avesse ceduto, il loro rapporto sarebbe cambiato
in modo
imprevedibile e proprio questa incertezza le causava disagio,
fondamentalmente
perché temeva di perderlo. Se le cose non fossero andate
bene, chi poteva
garantirle che Lenny sarebbe rimasto nella sua vita? Non avrebbe mai
voluto
perderlo, per nessuna ragione. Se la comicità era il masso
che entrambi, su
percorsi differenti, avrebbero dovuto far continuare a rotolare, Lenny
era per
Midge la colonna alla quale appoggiarsi per riposarsi un po' e
viceversa.
Eppure, che
senso aveva opporsi alla natura, a un istintivo e piacevole richiamo
d’amore?
Basta con le bugie.
“Il
viaggio
finisce qui? Mi sbaglio o mi avevi promesso una cena?”
“Sì,
ma
avevo anche promesso di ascoltare le tue confessioni. Quale oscuro
segreto mi
tieni nascosto, Midge?”
“Te lo
dirò,
anche se non ti piacerà. Puoi portarmi in un luogo
più appartato, però? Senza
comici o poeti strampalati, intendo.”
“Ovunque
tu voglia.”
“Sono stata scortese a Miami, quindi vorrei poter
rimediare…”
“Non me la sono presa troppo, a differenza del proprietario
del motel. Un tuo
giudizio sull’arredamento della stanza sarebbe stato molto
apprezzato. Ma se ti
accontenti di un sandwich e di un po' di burro di
arachidi nel mio
modesto appartamento newyorkese, ci sto.”
Midge
sorrise, “Beh,
allora puoi dire a quel gentile signore che, sebbene mi sarebbe
piaciuto
passeggiare a bordo piscina e ascoltare le onde del mare in Florida, mi
accontenterò di questa piccola e inquinata
città.”
“La
birra è gratis.” Disse
Lenny mentre le indicava la strada, invitando Midge a scostarsi
dall’ingresso
del Gaslight.
“Niente
Martini con olive,
allora?”
“Per
chi mi hai preso?
Sono un uomo rispettabile io!”
‘Sì,
è assolutamente vero.
L’uomo più rispettabile che abbia mai incontrato,
a dispetto dell’ignoranza
degli ipocriti perbenisti.’ Rifletté Midge,
accarezzandogli teneramente la
schiena.
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Capitolo 4 *** Poteva andare decisamente peggio! ***
Per
raggiungere il piano in cui si trovava l’appartamento di
Lenny dovettero
rinunciare alle scale. Uno strettissimo ascensore, in grado di
amplificare in
maniera rilevante il caldo di una serata che andava progressivamente
trasformandosi in una notte incandescente, condusse loro sul
pianerottolo
fiocamente illuminato da una lampada capricciosa.
“Eccoci
arrivati.”
“Infilare
la
chiave nella serratura sarà un’impresa! Oh, no,
non era un allusione erotica,
anche se potrebbe sembrare. In effetti lo è, ma non era mia
intenzione alludere
a nulla di sconcio, credimi.” Midge divenne paonazza e
gesticolò piuttosto
animatamente, cercando di discolparsi.
Lenny non
riuscì a sopprimere un ghigno divertito, “Ho
ascoltato e detto cose ben
peggiori di questa! Tranquilla.”
“Anch’io,
in
realtà. Grazie per aver cercato di salvarmi
dall’imbarazzo.” Si avvicinò al
portone suggeritole, appoggiandosi al muro in attesa che Lenny aprisse,
con la
mente presente ma anche un po' lontana, “Hai anche tu una
strana sensazione di déjà-vu?”
Chiese, con un sorriso sulle labbra.
“Già.
Ma
questa volta è diverso.”
“Già…”
Con la
chiave ancora nella serratura, Lenny le si avvicinò. La
guardò intensamente,
con gli occhi più espressivi che Midge gli avesse mai visto.
Gli era
perfettamente chiaro ciò che provava per lei: sentimenti
fuori dal comune che
partivano da dentro e che avevano assunto una forma ancora
più definita nel
corso degli anni. D’altronde, era lo stesso per Midge.
Non si
trattava di mera gratitudine, di complicità o di stima,
bensì di tutto questo e
tanto altro ancora. Lenny provava affetto e tenerezza per lei,
desiderava il
meglio per la sua carriera e persino la sua muta presenza bastava a
disgelarlo
quando si ritrovava in luoghi troppo freddi e oscuri, come un angelo
salvifico
pronto a risollevarlo o a proteggerlo dalla pioggia.
“Non
sarà
suggestivo come allora, ma sono abbastanza convinto che non siano i
posti a
creare l’atmosfera.”
Midge
alzò
le spalle e annuì distrattamente, fingendo di dare poca
importanza a quella
frase ma senza sperare di risultare credibile. Appena aperta la porta e
oltrepassato l’uscio, il suo cuore prese a battere
più veloce del solito e
temette che Lenny potesse accorgersene. Perciò, si
allontanò da lui e percorse
in tutta fretta il corridoio che portava alla zona living,
ignorando
completamente la confusione generata in Lenny.
Quell’appartamento
aveva impressa la firma del suo proprietario, così come il
gradevolissimo
profumo che Midge associava a lui e a lui soltanto.
Si accorse
di sapersi orientare ammirevolmente al buio anche in una casa che non
conosceva, ma doveva ammettere che l’impeto della fuga aveva
giocato un ruolo
non secondario nel coordinare i suoi passi. Così, si
ritrovò nella camera di
Lenny, seduta sul suo letto disfatto, con la pochette ancora tra le
mani e i
pensieri più confusi che mai.
Lenny si
presentò con una smorfia di stupore misto a dolcezza e
attese all’ingresso,
ricordandosi di accendere le luci solo dopo che i suoi occhi si erano
già
abituati al buio e riuscivano a contemplare Midge anche senza
l’aiuto
dell’energia elettrica.
“Non
voglio
che tu senta il bisogno di fuggire da me, Midge.”
“Starti
accanto mi provoca delle sensazioni che non riesco a
controllare.”
Lenny si
morse il labbro superiore, “E cosa potrebbe accadere di
così terribile se le
lasciassi scorrere?”
“Beh,
potrei
sbagliare. Rovinare la nostra meravigliosa amicizia e finire col
deluderti o,
peggio, perderti. Nella vita ho programmato tutto, ho fatto
sì che tutto fosse
perfettamente in regola, fino a quando il mio matrimonio non
è fallito. Allora
ho capito di dover fare i conti anche con gli imprevisti, persino con
quelli
davvero spiacevoli, e non voglio che la nostra relazione finisca tra
quelli.”
Midge si
voltò per guardarlo, ma appena finito il suo discorso si
accorse che Lenny era
scomparso all’improvviso.
“Ma...
dove
diavolo sei finito?” Midge si alzò e
spiò oltre la soglia della camera da
letto. Il suono, lievemente attutito dalla distanza, della voce di
Lenny la
raggiunse dopo un attimo.
“Vado
a
onorare la mia promessa.”
E, infatti,
tornò con due bottiglie di birra congelate. Una volta
offertane una alla sua
ospite, si fece consegnare la borsetta e la posò
delicatamente su uno dei
comodini. Poi, con la massima naturalezza invitò Midge a
sedersi accanto a lui
sul soffice materasso, cosparso di matite e fogli da colorare.
Assaporarono la
birra in assoluto silenzio.
“Sai,
è
buffo sentirti parlare così. Credevo ti fossi liberata di
quegli inutili
fardelli e avessi accettato le distorsioni, i paradossi della vita come
elementi costitutivi della bellezza della vita stessa. Senza gli errori
che
cosa saremmo? La vita non è perfetta, Midge.”
“Da
quando
saresti così saggio?” Indicò i pastelli
e il quaderno con le pagine strappate,
ribadendo il sarcasmo implicito nella domanda.
Lenny
sorrise, “In fondo lo sono sempre stato, no? Altrimenti
perché la gente
pagherebbe per ascoltarmi parlare?”
Finse di
rifletterci un po' su, “Giusto.”
In
realtà,
non tardò molto affinché Midge si ritrovasse
soprappensiero, incantata a
guardare un punto indefinito dell’angolo della bocca di
Lenny, riflettendo su
quanto si sentisse stupida e superficiale. A Lenny non sarebbe mai
venuto in
mente di nascondersi dietro la figura di un suo amico per salvarsi la
pelle,
sbattendo in faccia a un centinaio di persone la delicata
verità di una vita
costruita su impalcature di menzogne, necessarie a tenere in piedi il
gioco da
cui dipendevano anche le vite di tanti altri.
Lenny si
rese conto della sua preoccupazione e le prese la mano, stringendola
forte
nella sua. Era un gesto estremamente tenero e insieme eccitante, che
comunicava
un forte senso di protezione.
“Non
avresti
dovuto farmi un resoconto delle ultime novità?
Perché Shy ti ha dato forfait
all’ultimo minuto?”
Midge fece
un respiro profondo e gli raccontò la verità, in
tutta la sua spietata
franchezza.
“Lo
so, ora
avrai una pessima opinione su di me e non posso rimproverartelo.
D’altronde,
sono colpevole in tutto e per tutto.” Si batté,
afflitta, una mano sul petto.
“E
invece ti
sbagli. La corte ti ha assolta, figliola. Va pure in pace...”
Lenny imitò il
tono paternalistico di un sacerdote, per poi aggiungere
sarcasticamente, “Per
quello che vale!”
Midge
reagì
increspando le labbra in segno di malinconico compiacimento,
“Ho afferrato il
messaggio, ma non pensi che abbia esagerato?”
Lenny scosse
la testa, “Con tutto il rispetto che nutro per te, credo che
questa sia solo la
prima delle tante lezioni che imparerai facendo il nostro mestiere. La
voce
della nostra coscienza è amplificata
dall’allungamento automatico del nostro
braccio sul palcoscenico, in modo che gli altri la possano
sentire.”
“Non
parlerei mai di te sul palco. Mai.” Asserì con una
gravità del tutto estranea
alla solita Midge, come se Lenny l’avesse offesa.
“E
perché
mai? Dai, Midge! Ti ho sentita dissacrare persino tuo marito quella
sera al
Gaslight, senza farti tanti problemi e, credimi, va bene
così.” Giocherellò con
la bottiglia di birra, evitando accuratamente il suo sguardo. Di cosa
aveva
paura? Forse temeva di leggere tra le righe un significato
più profondo e di
interpretare secondo le sue aspettative il senso delle parole di Midge.
“È
diverso.
In questo caso non c’è niente di divertente su cui
scherzare. Sai, dentro di me
c’è un posticino con su scritto
“Lenny” e l’accesso a
quell’angolo della mia
anima è vietato agli estranei.”
“Strano
che
due comici non sappiano fare ridere l’uno
dell’altra! Potrebbe non esserci
materiale a sufficienza, però, il che giustificherebbe il
paradosso.”
“Hai
detto
che i paradossi fanno parte della vita. Forse è arrivato il
tempo di smetterla
di ignorarli.”
Midge si
tolse le scarpe e si adagiò delicatamente su di un lato del
letto. Chiuse gli
occhi, aspettando che fosse Lenny a sbloccare la situazione, infine
tese la
mano e lasciò che questa cadesse sull’altro lato
del letto. Diede qualche
colpetto invitante al materasso, aprendo un occhio per monitorare la
reazione
di Lenny. Dopo aver parlato con lui, si sentiva leggera come lo
zucchero filato
sul bastoncino di legno in una domenica di primavera, e ora la
consapevolezza
del giusto peso da attribuire all’errore commesso con Shy
sembrava una tirata
d’ossigeno dopo un’apnea durata mesi.
Ogni persona
facente parte della vita di Midge pretendeva il rispetto della sua privacy,
quindi nessun coinvolgimento nel suo lavoro, imponendole
così un forte limite
alla creatività. Lenny, invece, le garantiva una
libertà senza riserve, tanto
che il rischio di andare fuori dalle righe o di intraprendere una
strada
mentale secondaria diventava più allettante che percorrere
la terra già
battuta, nel chiuso di un locale quanto nella vastità del
mondo.
Adesso Lenny
si era rivolto verso di lei. Gli sfuggì un piccolo sorriso
in grado di
illuminargli l’intero volto, “Pensavo che quando ti
fossi decisa a provarci
sarebbe stato troppo tardi.”
“L’ho
capito
solo ora, anche se lo presumevo già da un po'.”
Lenny la
raggiunse, sdraiandosi al suo fianco. Con la testa appoggiata sul palmo
di una
mano, non riusciva a smettere di guardarla, meravigliandosi
continuamente della
fortuna che aveva avuto ad essere arrestato la stessa notte di Midge.
Erano
passati tre anni da allora.
“Vorrei
che
me lo dicessi.” Midge si sistemò su un fianco,
senza interrompere, nemmeno per
un secondo, il contatto visivo con lui.
Lenny
inarcò
le sopracciglia, con un’espressione incerta sul volto.
“Che
ti sei
innamorato.” Rispose Midge al posto suo. Non aveva
più alcun senso continuare
ad essere ambigui.
“Suona
meglio detto da te.” Replicò in maniera
estremamente seducente, quasi un
sussurro impercettibile all’udito.
Midge si
avvicinò e gli baciò l’angolo della
bocca. Lenny le tolse un orecchino e le
accarezzò il lobo scoperto. Non erano mai stati
così vicini.
“Ti va
di
scommettere?” La esortò con uno sguardo eloquente
ma tacendo sull’argomento
della sfida. Lo spirito competitivo di Midge non tardò a
palesarsi e, dopo
nemmeno un minuto, si tradusse in un impulsivo sì.
“Scommetto
di riuscire a resisterti almeno fino a domani mattina. Buona notte,
signor
Bruce!”
Tutto ad un
tratto si sollevò dal letto e afferrò la
borsetta, facendo in modo di non
perdere l’equilibrio mentre si rinfilava le scarpe, una dopo
l’altra nel
corridoio. Sentiva Lenny camminare con tutta calma dietro di lei.
“Grazie
della fiducia! Avresti potuto rimanere a letto anziché
prenderti il disturbo di
accompagnarmi sino alla porta…” Disse con una
punta di risentimento nella voce.
“Speravo
che
nel tragitto cambiassi idea. E comunque dovresti ricordare che il
signor Bruce
è mia madre.” La raggiunse sulla soglia della
porta, con sguardo divertito ma
anche un po' deluso.
“Spiritoso!”
Posò la mano sulla maniglia, pronta ad aprire il portone.
Lenny la guardò
allontanarsi verso il pianerottolo per raggiungere
l’ascensore. Midge era un
caldo uragano a cui non si poteva impedire di stravolgere, con la sua
dirompenza, quanto si trovava di fronte, ma era anche una persona
ferita nel
suo affetto più profondo, disillusa sull’amore e
bisognosa di ricredersi.
Entrambi
appartenevano alla medesima categoria, solo che tra i due era Midge
quella
apparentemente più cauta. Lenny, dal canto suo, avrebbe
sempre rispettato
qualsiasi scelta lei avesse fatto. In quel momento, Midge stava
scappando di
nuovo, intimorita dalla tangibilità dei suoi sentimenti e
dalla possibilità che
tutto ciò fosse troppo reale da gestire per una come lei.
Quanto avrebbe dato
per poterla vedere serena e sorridente, come era apparsa a Miami,
quando si era
presentata l’occasione in cui entrambi risultavano
sincronizzati sull’orologio
giusto.
“Ci
sarai
domani? Oppure si tratta solo di un altro scherzo?” La voce
di Lenny si era
ridotta a un mormorio, mentre le sue mani erano occupate a trattenere
l’orecchino di Midge, come se nel dolore provasse giovamento
a lambire una
parte di lei. Midge notò che non la guardava più
negli occhi e che aveva
assunto l’atteggiamento di un cucciolo indifeso, sebbene si
sforzasse di non
darlo a vedere.
“A
patto che
tu ci sia per sempre.” Ora Midge si trovava
nell’ascensore e lo guardava con
estrema serietà dalle sbarre del cancelletto esterno. A
quella affermazione
Lenny alzò la testa e le si avvicinò con gli
occhi lucidi.
“Ogni
volta
che vorrai.”
Midge
annuì:
quello era il massimo che poteva promettere Lenny, ma per lei
significava
tutto. Allungò un dito oltre le sbarre, facendogli segno di
andarle ancora più
vicino. Poi, appoggiò una mano sul suo petto e lo
baciò calorosamente sulle
labbra.
Dall’esterno
provenivano suoni di musica jazz, trasportati dalle onde sonore da
chissà quale
locale, e ciò funse da suggestivo sottofondo alla scena.
Lenny ne approfittò
per staccarsi dolcemente dalla sua bocca, così
poté notare il rossore sulle
gote di Midge.
“Sei
in
imbarazzo per caso?”
“Non
esserne
sorpreso. Non capita tutti i giorni di baciare Lenny Bruce! Sai, sei un
uomo
molto corteggiato.”
Lenny
scrollò le spalle e assunse un’aria modesta,
“Mi stupisce che sia proprio tu a
dirlo. Comunque, non vorrei infierire ma hai appena perso la tua
scommessa.”
Midge diede
il comando di apertura e uscì dall’ascensore
appropinquandosi graziosamente
verso l’ingresso dell’appartamento. Prima di
entrare si voltò oltre la spalla
per dare un’occhiata ammiccante a Lenny, “Dovrai
farti perdonare…”
Lenny la
seguì ponendole un braccio attorno alle spalle, ben lieto di
passare il resto
della notte facendo ammenda insieme a lei.
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