Torn

di Doralice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Dream ***
Capitolo 2: *** The Boat ***
Capitolo 3: *** The Cat ***
Capitolo 4: *** The Bloom ***



Capitolo 1
*** The Dream ***


The Dream

 

* * *

 

“L’altra notte ho fatto un sogno.”

“Un incubo?”

“Un sogno.”

“Ma l’ha turbata ugualmente, o non me ne parlerebbe.”

“Perché non sogno mai. Faccio solo incubi.”

Sta svicolando. E la cosa la sta innervosendo. Cristo, sta innervosendo persino sé stesso.

“Cosa succedeva in questo sogno? Cosa c’era di diverso rispetto ai suoi incubi?”

“Negli incubi rivedo le persone che…” Bucky si blocca, la gola chiusa da una nausea che come al solito gli toccherà inghiottire per i fatti suoi, “Rivivo quello che ho fatto. Sono ricordi. Questo non era un ricordo.”

La dottoressa stacca gli occhi dal block notes e gli fa un cenno con la testa per invitarlo a proseguire. Bucky si muove a disagio sul divanetto, poi si impone disciplina e fissa un punto della carta da parati vicino alla finestra.

“Eravamo in una specie di foresta.” inizia a raccontare atono, “Stavamo seguendo le tracce di un animale.”

“Eravate?”

“Sam ed io. E c’era…” Bucky esita, stringe gli occhi per riportare alla memoria quel dettaglio bizzarro, “Un bambino.”

La dottoressa annuisce e scrive qualcosa. Come se niente fosse. Le narici di Bucky fremono per la tensione: non le sembra strano? Non ha proprio niente da dire?

“Vada avanti.” gli dice semplicemente, intrecciando le dita sul block notes.

“Sam portava il bambino sulle spalle. Facevamo finta di essere in missione, per divertirlo.”

“Che tipo di relazione c’era tra voi e il bambino?”

Bucky batte le palpebre e la guarda. Quella domanda suona fuori contesto e allo stesso tempo è come se squarciasse il velo che copre quel dettaglio.

“Eravamo parenti.” dice ripensando a quello che aveva provato durante il sogno, poi scuote la testa, “Ma non ha senso.”

“Perché?”

“Beh, io non ho più parenti in vita e il bambino aveva… tre o quattro anni? Comunque i nipoti di Sam sono più grandi.”

“C’è qualcos’altro?”

Bucky ruota la testa, scacciando per l’ennesima volta quella appiccicosa sensazione di avere qualcuno che gli fruga nel cervello. Lei è la sua psicologa, non uno scienziato dell’Hydra. È la sua psicologa. La sua psicologa.

“James.” lo richiama.

Bucky torna a focalizzarsi sul qui e ora. La dottoressa ha un’espressione leggermente meno dura del solito.

“Era biondo. Occhi azzurri.” dice subito, mettendo da parte tutta l’ansia e la vulnerabilità che gli scatenano uno sguardo empatico.

La dottoressa scrive un appunto: “Ma ha detto che era vostro parente.”

“Infatti.” Bucky si gratta la fronte, “Le dicevo che non ha senso.”

La dottoressa lo fissa per un istante. Sembra indecisa su come far proseguire quella conversazione.

“Era un sogno, James. Nei sogni, a volte, il nostro subconscio maschera i messaggi che non vogliamo capire.” gli spiega, “Così passano lo stesso la barriera e in qualche modo arrivano in superficie. Al nostro Io conscio.”

Bucky inarca un sopracciglio: “Come una spia con il passaporto falso?”

“Analogia poco ortodossa, ma credo che lei abbia colto.”

Lui si prende un momento per riflettere su quelle parole.

“E cosa dovrebbe rappresentare un bambino biondo sulle spalle di Sam?” sbotta, pur consapevole che lei non gli darebbe mai l’imbeccata.

“Questo deve dirmelo lei.” risponde infatti, prevedibilmente.

Bucky rotea gli occhi borbottando: “Ma dai?”

“Meno sarcasmo e più lavoro.” lo riprende lei, “Che altro succedeva nel sogno?”

“Sissignora.” mastica tra i denti, perché quel minimo di sarcasmo che gli resta fa parte delle poche cose che lo fanno sentire umano, e lei sa anche questo.

“Sam si lamentava che il bambino fosse pesante e quindi lo metteva giù. Lo diceva scherzando, in realtà gli piaceva tenerlo sulle spalle.”

“Mhm…” la dottoressa non smette di scrivere, “Che altro?”

Ecco, magari possono fermarsi lì. No?

“Che altro, James?” lo incalza.

“Lei è spietata.” le dice guardandola di traverso.

La dottoressa stringe le labbra: “Non farei bene il mio lavoro, se non lo fossi.”

Bucky si raddrizza sul divanetto, improvvisamente troppo morbido. Si stira i lembi della giacca, improvvisamente troppo stretta.

“Litigavamo.” dice secco, “Su come approcciare l’animale senza essere visti.”

Lei rimane in muta attesa, gli occhi su di lui a cogliere ogni minima sfumatura.

“Non ha niente da scrivere sul suo blocchetto?”

“No. Vada avanti.”

Bucky si lecca le labbra, improvvisamente riarse.

“Mi ha baciato, va bene?”

La dottoressa inclina la testa di lato, osservandolo con aria imperscrutabile.

“Così, da un momento all’altro? Prima stavate litigando e poi…?”

“Poi lui si è avvicinato e ha…” Bucky fa un cenno vago con la mano, che in realtà non vuol dire assolutamente niente, “Lo sa come funziona un bacio, no? Vuole anche i dettagli?”

La dottoressa prende il block notes e clicca sulla penna.

“Ci sono dettagli?”

Ma è seria?

“Non capisco il perché sia restio.” lei apre le mani come in segno di resa, “Abbiamo già discusso questo aspetto di lei.”

“Averle detto che non sono attratto solo dalle donne, non ha niente a che fare con questo.” risponde duramente.

“D’accordo. Allora mi dica cosa la turba tanto.” ribatte lei altrettanto duramente, “James io sono qui per aiutarla, ma non posso farcela se lei non si apre.”

“Non era inaspettato.” sputa fuori.

“Si aspettava di essere baciato da Sam?”

“Non in quel preciso momento, no. Anzi l’ha fatto senza alcun preavviso… ha agito d’impulso, come al solito.”

La dottoressa scrive velocemente qualcosa.

“Ma lei ha detto…”

“Che non era inaspettato.” la interrompe, rigido sul divanetto e con il respiro irregolare, “Perché e stato come se… come se l’avessimo già fatto. Capisce?”

“No. Si spieghi.”

Bucky ringhia di frustrazione.

“Io non so cosa sia Sam per me, ma nel sogno lui era il mio partner. Okay?” dice d’un fiato, “E quello, beh, definitivamente non era il nostro primo bacio. Era più… era come uno di quelli che si danno i genitori quando i figli sono lì, ha presente? E il modo in cui mi ha guardato dopo…”

“Sì?”

Bucky prende un bel respiro.

“Aveva stampato in faccia quel suo sorrisetto fastidioso e mi guardava come se… come se sapesse.” Bucky gesticola davanti a sé, quasi stesse cercando di comprendere tutto sé stesso, “Come se lui mi vedesse.”

“Che vedesse cosa?”

Bucky si interrompe. La bocca sigillata, la mascella rigida di tensione.

“Che vedesse cosa, James?”

Bucky scuote la testa e scivola sul divanetto, reclinando la testa sulla spalliera e fissando il soffitto. La dottoressa sospira seccamente.

“Va bene.” la sentì sfogliare tra gli appunti, “Cosa pensa di tutto questo?”

“Non lo so.” rispose automaticamente.

“Non lo sa o non vuole dirmelo?”

Bucky sospira, la tensione gli stava facendo dolere le spalle.

“Se fosse entrambi?”

Silenzio.

Bucky ruota la testa sulla spalliera e da un’occhiata. La dottoressa sta leggendo alcuni appunti e prendendone altri. Beh, se non altro stavolta le sta dando davvero del filo da torcere.

“Mettiamo momentaneamente da parte quello di cui non vuole parlare.” dice risoluta, “E affrontiamo quello che non sa come interpretare.”

Lui fa uno stanco cenno di assenso.

“Il bambino. Da come ne parla, sembra che l’abbia spiazzato più di tutto il resto.”

“Non doveva?” Bucky si raddrizza e puntella i gomiti sulle ginocchia, massaggiandosi la faccia, “Non aveva alcun senso.”

“Sogno uguale simbolismo.” gli ricorda la dottoressa, poi legge negli appunti, “Lei ha detto che Sam lo metteva giù, anche se in realtà gli piaceva tenerlo sulle spalle. Si tratta di una sua interpretazione o e quello che Sam affermava nel sogno?”

“Fa differenza?” Bucky scrolla le spalle, “Il sogno è mio, quindi è sempre una mia interpretazione.”

“Sarebbe un buon ragionamento,” gli fa notare, “se non fosse che qui la differenza ha una certa rilevanza nel suo rapporto con Sam.”

“Il mio rapporto con Sam…” lui mostra i denti in una risata forzata, “Noi non abbiamo alcun rapporto.”

“Evidentemente il suo subconscio la pensa diversamente.”

“Senta, non lo so… magari è solo una mia interpretazione. Insomma, lui dice che il bambino è pesante e tutto, ma gli piace tenerlo sulle spalle. Si vede che gli piace.”

“Allora perché lo mette giù?”

“Come?”

“Secondo lei,” la dottoressa scandisce le parole con cura, “perché Sam mette giù il bambino, se portarlo sulle spalle non è un problema?”

“Perché fa cose senza senso, come sempre?” ribatte sentendosi astioso e illogico.

“Davvero? Sam fa sempre cose senza senso?”

“Perché…” Bucky batte le palpebre, confuso, “Perché se qualcosa ti va bene non dovresti farlo? Perché dovresti rinunciare?”

“Sta dicendo che ad una persona non dovrebbe essere concesso di cambiare il proprio percorso, se lo vuole? Indipendentemente dalle ragioni?”

Questa è  peggio di uno schiaffo e Bucky deve mettere su la migliore delle sue maschere per difendersi. Non serve a un cazzo con lei, ma se non altro gli da l’illusione di essere protetto, in qualche modo.

“E alla fine? L’avete visto?”

Ecco. Questa cosa che cambia argomento da un momento all’altro quando già si trova instabile deve finire. Non lo sopporta.

“Che cosa?”

“L’animale.”

“L’animale? Che c’entra l’animale?”

“Tutto c’entra.” gli dice fissandolo da sopra gli occhiali, “Che animale era, innanzitutto?”

Bucky apre la bocca, pronto a dare la risposta. Ma lui non ce l’ha una risposta.

“Non lo so.” ammette, “Che vuol dire?”

“Può non essere importante. Oppure può essere un modo per farla focalizzare sul resto.” la dottoressa legge un appunto, “Stavate litigando su come approcciarlo, no? Prima che Sam…”

“Esatto.” la interrompe subito, “Il solito disastro. Finisce che lo spaventiamo e non possiamo vederlo.”

“Addirittura un disastro.”

“Beh, eravamo lì per quello.”

“Eravate lì… la cito... per far divertire il bambino fingendo di essere in missione. Il bambino si è divertito?”

Bucky boccheggia in cerca di una risposta. Gli sta capitando un po’ troppo spesso in quella seduta.

“Non lo so.” si schiarisce la voce, inspiegabilmente a disagio, “L’animale scappa, io mi arrabbio, Sam mi bacia. Il bambino…”

Bucky si morde le labbra, accigliato. La dottoressa lo lascia pensare per un po’.

“Può essere che in quel sogno tu e Sam aveste obiettivi diversi?” suggerisce lei.

“Può essere.” concede.

“E qual era il suo obiettivo?”

“Vedere l’animale.” risponde subito, con il solito senso di efficienza che prova quando è focalizzato su una missione.

“E qual era, invece, l’obiettivo di Sam?”

Bucky ripensa al sogno. Al modo in cui Sam tiene in spalla il bambino, come lo guarda, come gli parla, come scherza con lui anche mentre lo mette giù perché è stanco di portarne il peso.

“Il bambino.” risponde, la consapevolezza che lentamente si fa strada dentro di lui, “Il suo obiettivo era il bambino.”

“Dunque Sam teneva letteralmente sulle spalle il proprio pesante obiettivo, che in teoria era anche il suo. Mentre lei era defocalizzato.” riassume la dottoressa, implacabile.

“Beh, messa così…”

“Messa così…” lei riprende le sue parole, “Cosa pensa del modo in cui Sam alla fine ha risolto la vostra diatriba?”

Bucky ripensa allo sguardo di Sam in quel sogno e deve sforzarsi di spingere via quella sensazione. Quella che ha provato in quel momento e che l’ha accompagnato fino al risveglio. Quella che ancora gli aleggia addosso, rendendo la sua solitudine ancora più pesante da sopportare. Perché… beh, cosa c'è di peggio che aggrapparsi alla felicità effimera assaporata in un sogno?

La dottoressa mette via il block notes e si china in avanti, la posa per una volta amichevole.

“James, può accettare che qualcosa possa contenere più di una verità?”

“Puoi accettare che io abbia preso la decisione che ritenevo migliore?”

Bucky serra la bocca e annuisce, incapace persino di tirare fuori un semplice “sì”.

“Allora ha la risposta.”

La risposta.

Ma Bucky non la vuole la risposta a quel sogno. Lui vuole dimenticarlo e basta.

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Capitolo 2
*** The Boat ***


The Boat

 

* * *

 

Delacroix Island. Circa 4000 anime spalmate su una lingua di terra lunga 20 chilometri, giù, ai confini sud-est della Louisiana. Piove metà dell’anno e l’altra metà ci pensa l’umidità ad affogarti. Non si sa bene se ci sia più acqua nel golfo da cui pescano o nel cielo sopra le loro teste, di sicuro c’è solo che a Sam mancavano molte cose di casa sua ma questa no. E nemmeno le zanzare.

Slap fa la mano sulla pelle sudata del collo. Mezza giornata su quel cazzo di motore e l’unico risultato è stato nutrire le zanzare locali.

Sam impreca e lancia la pinza nella cassetta degli attrezzi. Siccome è una di quelle giornale lì, la pinza colpisce il bordo e cade fuori con un tonfo metallico. Sam lo sa che non serve a niente, ma ha voglia di prendere a calci qualcosa, così dà un calcio alla cassetta. Quella si ribalta e gli attrezzi rotolano fuori da tutte le parti, facendo un gran baccano tra le paratie della barca.

Ora dovrà mettersi a raccattarli da terra, sotto la luce traballante dell’unica lampada accesa là sotto.

Sam si china e uno ad uno raccoglie gli attrezzi, riponendoli dentro alla rinfusa. La forza mentale di metterli anche in ordine non ce l’ha. Li raccoglie e, anche se sa che non sono infiniti, gli sembra comunque che non finiscano mai, ce n’è sempre uno che salta fuori nascosto in qualche angolo buio. E quando sono tutti dentro, lui chiude la cassetta ma non ci riesce, e grazie al cazzo, messi così ovviamente non ci stanno tutti e il coperchio non si chiude.

Sam spinge con le mani, come se potesse cambiare qualcosa. Spinge e impreca e sente la pressione aumentare dietro gli occhi e alla fine la cassetta la lascia lì. Si siede sul pavimento sporco, le mani unte di grasso premute sulla faccia e le spalle scosse dai singhiozzi.

Sam non è il genere di persona che ha problemi a piangere perché “non è una cosa virile” o stronzate simili. È che lui il tempo di piangere non ce l’ha. Non ne ha avuto proprio, di tempo, negli ultimi anni. E comunque, dopo aver sepolto i genitori, il cognato e il migliore amico, dopo aver perso compagni di squadra in una guerra sproporzionata per le loro forze, dopo aver trascorso cinque anni in un limbo ed essere tornato in un mondo completamente diverso ‒ Sam pensa di essere a corto di lacrime, ormai.

Ci è voluta una barca testarda per farlo cedere. Il carico di quei mesi gli mozza il fiato e lui butta fuori tutto di colpo, senza controllo, come se avesse aperto una diga stracolma.

Così se ne sta sul pavimento per un po’, i pensieri che si accavallano senza che lui riesca a metterli a fuoco e le emozioni, finalmente libere, che lo sopraffanno. Lontano, sente che è la cosa giusta da fare. Che era anche ora, diosanto. Che è quello di cui ha bisogno.

Sam accetta quello che prova. Fa schifo, ma lo guarda in faccia. Che non si dica che lui non affronta i propri demoni. E a poco a poco i singulti si quietano, le lacrime cessano, e lui si ritrova svuotato come un pupazzo di segatura.

Sam si rilassa contro la paratia e respira. Respira. Respira.

Quando pensa di aver riacquistato il controllo, usa un lembo della maglia per asciugarsi la faccia. Poi afferra di nuovo la pinza e si rimette al lavoro.

Ha entrambe le mani bloccate dentro al motore quando il cellulare inizia a squillare. Sam impreca e toglie una mano da lì, la pulisce alla bell’e meglio sui jeans ed estrae il cellulare dalla tasca.

“Sarah?” incastra il cellulare tra la guancia e la spalla per continuare a lavorare, “Cosa c’è?”

Cosa c’è?! Sono le dieci di sera, Sam!

“Oh…” un’occhiata fuori e in effetti ormai è buio, “Scusa. Sono ancora dietro a quel problema al filtro.”

Lei sospira nella cornetta.

Non dirmi che stai ancora lì.

“Sarah‒”

Lascia perdere. Non hai mangiato, immagino. Hai fame?

“Da morire. Mi avete lasciato qualcosa?”

Certo.”

“Grande! Sto arrivando.”

Non c’è bisogno.”

“Hai mandato i ragazzi?”

A quest’ora? Domani hanno scuola, sono già a letto. No, sta arrivando il tuo amico.”

“Chi?”

Il tuo amico! Quello con la moto.”

“Non ho nessun amico con‒”

C’è un rombo sordo che proviene dall’esterno. A Sam è in qualche modo familiare: è quello che fanno le moto custom di una volta.

Sam?

“Uh… ci sentiamo dopo.”

Sam chiude la chiamata e mette via il cellulare. Mentre risale la scala per andare sul ponte, si pulisce le mani sulla maglia, che tanto ormai è da buttare via. Il cielo è coperto, ma la banchina è illuminata da qualche lampione. La moto fa una manovra e si ferma a qualche metro dal molo dove è ormeggiata la barca, poi il faro si spegne e con esso il rombo del motore.

“Ehi, James Dean.”

Bucky si leva il casco e lo guarda accigliato.

“Chi è James Dean?”

Sam sbuffa una risata incredula e scuote la testa. Poi guarda meglio.

“Quella è la moto di Steve?” Sam appoggia i gomiti sul parapetto e si sporge in avanti,

“Come l’hai avuta?”

Bucky smonta dalla moto.

“Non è che gli servisse.”

“Quindi hai derubato un vecchietto. Bravo.”

“Me l’ha regalata per il compleanno.” ribatte lui, “Tu cosa mi hai regalato?”

“L’onore di avere come amico la mia incantevole persona. Hai portato la cena?”

Bucky sale la scaletta e lo raggiunge, si sfila lo zaino dalle spalle.

“Sarah dice che ormai si è freddata.” apre la zip e tira fuori un sacchetto, “E che te lo meriti.”

Sam la prende e va giù, sotto coperta.

“Felice del fatto che siate già in sintonia.”

“È una donna con la testa sulle spalle.” gli sente dire mentre lo segue, “Mi ricorda mia madre.”

Sam accende la luce e lascia il sacchetto sul tavolo, apre l’anta della credenza per prendere un piatto. Poi si blocca, la mano sul pomello.

“Hai mangiato?” chiede a Bucky, fermo sull’ingresso della cabina.

“Sì.”

Sam lo fissa: non è vero, e si vede.

“Guarda che ce n’è abbastanza.”

“Non ho fame.”

“Sarah cucina bene. Devo dirle che non hai voluto mangiare quello che ha preparato?”

Bucky rotea gli occhi e sbuffa.

“Se mangio stai zitto?”

Sam sogghigna e gli porge il piatto: “No.”

Bucky si leva la giacca e prende posto al piccolo tavolo, borbottando tra sé come quel vecchio permaloso che è. Sam gli passa il resto delle stoviglie e insieme apparecchiano.

Sa di avere fame, ma non si accorge di quanta ne ha finché non apre il contenitore e annusa il tiepido odore delle spezie.

“Che cos’è?” chiede Bucky mentre lui impiatta.

“Questo, amico mio, è il dirty rice.” annuncia Sam con solennità, “Riso e carne, conditi con pepe di cayenna, pepe nero e ovviamente la sacra trinità.”

Bucky dà un assaggio e Sam lo osserva masticare. Non dice niente, ma la faccia che mette su è una reazione più che sufficiente. Nessuno può resistere al dirty rice, specialmente alla ricetta di famiglia.

“Cos’è la sacra trinità?”

Sam ci acciglia: “Cipolle, sedano e peperone. Dove sei cresciuto?”

“Brooklyn.” Bucky mastica un pezzo di carne, “Si fa col pollo?”

“Maiale, manzo, pollo… è lo stesso.” gli spiega tra un boccone e l’altro, “Mamma metteva sempre pollo e Sarah segue la sua ricetta.”

Lui annuisce e continua a divorare il piatto.

“E meno male che non avevi fame.”

Bucky addenta una forchettata e gli lancia un’occhiataccia.

Solo che quella lì non è fame, Sam ne sa qualcosa. Se lo ricorda il sapore dei piatti di sua madre quando tornava a casa in licenza. Si ricorda bene il primo boccone rubato dalla pentola di Sarah dopo il Blip, dopo Thanos, dopo tutto.

“Da quant’è che non mangiavi così?”

“Mh?”

“Roba cucinata in casa.”

“Da ieri.”

“I noodles istantanei e le uova al tegamino non contano.”

Si guardano.

“Okay.” Bucky finisce di masticare e si reclina sulla panca, “Non mangio così dal ‘43.”

È la prima volta che sembra aprirsi con lui e Sam non saprebbe cosa dire, così sta zitto.

“Non faccio un sacco di cose dal ‘43.”

Sam deglutisce il boccone e assieme a quello la sensazione di stare entrando in punta di piedi in una dimensione che ancora non hanno osato esplorare.

“Tipo?”

Bucky fa una smorfia ed evita il suo sguardo, come se il pensiero di proseguire lo mettesse a disagio.

“Ti ricordi a Manipoor, quando mi hai chiesto come stavo?”

Per un momento quel cambio di argomento lo spiazza, ma Sam non è un consulente per niente.

“Non ti ho mai chiesto come stai tu.”

Sam deve fermarsi e sedersi meglio. Davanti a lui, Bucky è rigido sulla panca, la mascella tesa e gli occhi sfuggenti.

“Quando vuoi.” lo invita.

Lui lascia andare un sospiro.

“Magari metti giù la forchetta.” gli suggerisce, “Sai quanti anni ha quel servizio? Ci ho imparato a mangiare da piccolo.”

Bucky guarda la forchetta che tiene in mano e quando nota di averla piegata fa un verso di disappunto. Con cautela la rimette dritta.

“Come stai?” dice mentre posa la forchetta con delicata precisione.

Sam sorvola sulla voce impostata, perché per una volta sa che non lo sta prendendo per il culo.

“Da schifo.”

Niente giri di parole, niente finti ‘bene grazie e tu?’, niente di niente.

Bucky annuisce e sembra davvero a disagio, ma allo stesso tempo non pare tirarsi indietro. Testardo come sempre.

“Vuoi parlarne?”

A Sam scappa da ridere e lui lo nota. Ecco che lo fissa con quello sguardo che fa quando le cose attorno a lui vanno per i cazzi loro e il suo cervello non ci arriva.

“No.” Sam apprezza lo sforzo, davvero, ma oggi non ce la fa, “Ma grazie per il pensiero.”

Bucky annuisce, non sembra convinto.

“Ehi.” lo richiama, “Dico sul serio.”

È bello, qualche volta, essere visti.

Sam non lo sa se il messaggio è arrivato del tutto, ma Bucky sembra rilassarsi un po’ ‒ per quanto sia capace di rilassarsi uno come lui. E lui, con lo stomaco pieno di buon cibo di casa e il cuore pieno di quell’affetto inaspettato, abbassa la guardia. Tutta la tensione della giornata gli si carica lentamente addosso, piegandolo alla stanchezza.

“Dovresti dormire.” gli dice Bucky alzandosi e prendendo i piatti.

Sam sbadiglia e si stiracchia, lo aiuta a sparecchiare.

“Dovrei. Ma prima devo finire una cosa.”

“Fammi vedere.”

Sam obbietterebbe che lui non ne sa niente di barche, ma è troppo esausto per discutere. Lo porta giù, al vano motore.

“Non sembra tanto diverso dal motore di un M2. Qual è il problema?”

“Il problema…” Sam sospira, si strofina la faccia stanca tra le mani, “È che questa è una vecchia signora scontrosa che sta cadendo a pezzi e io non so più come parlarci. Il mio vecchio era capace, lui aveva il tocco giusto.”

Bucky allunga la mano bionica per ispezionare dentro.

“Mh.” fa con aria pensierosa, “Ti dispiace se le dò un’occhiata io?”

Sam scrolla le spalle. Tanto, peggio di così non potrebbe andare.

“Basta che non mi vieni a svegliare.” lo avverte risalendo la scaletta.

Già concentrato sul motore, Bucky gli risponde con un grugnito. Sam scuote la testa e se ne torna sottocoperta, si sdraia su una delle brande e non fa in tempo pensare quanto gli fa male la schiena che sta già dormendo profondamente.

Quando si sveglia, con i raggi del sole dritti in faccia e le urla dei gabbiani, gli sembra di essersi appena addormentato e allo stesso tempo di aver dormito per giorni. Si obbliga ad alzarsi e a sciacquarsi la faccia. Fuori il cielo, per grazia di divina, è limpido. Prende una tazza dalla credenza e accende la macchina del caffè, con la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Quando se la ricorda, riapre la credenza per prendere un’altra tazza.

Giù nel vano motore, Bucky sta pulendo e sistemando gli attrezzi nella loro cassetta, con la stessa maniacale cura con cui l’ha visto pulire i suoi coltelli.

“Buongiorno.” gli dice porgendogli una tazza, “Sei stato qui tutta notte?”

“Tanto non riesco a dormire.” Bucky beve un sorso e poi fa una smorfia, “Dio, ricordami di insegnarti come si fa il caffè.”

Sam alza gli occhi al cielo.

“Ho sistemato il filtro. E forse anche quel problema a una delle valvole. C’è comunque un connettore da cambiare.”

Sam lo guarda con diffidenza. Poi si sporge, allunga una mano dentro il motore, tasta. Lo guarda di nuovo: non sta dicendo balle, il filtro sembra davvero a posto. Tutto il resto sono problemi minori.

“Come hai fatto?”

Bucky si stringe nelle spalle: “A volte c’è bisogno di un’altra prospettiva.”

Sam non sa cosa dire. Non sa nemmeno cosa provare. È stato dietro a quella dannata barca per giorni, si è sporcato fino al midollo, ha sudato, imprecato, schiacciato dita. Ha litigato con Sarah per quella barca, un milione di volte. Poi spunta lui dal nulla e risolve il problema principale? La Paul & Darlene è lungi dall’essere pronta a lasciare il molo, ma se non altro adesso Sam vede davvero una possibilità.

“Okay.” finisce il caffè con un solo sorso e batte un pugno sulla paratia, “Mettiamoci al lavoro.”

Lavorano per il resto della giornata, fermandosi solamente verso mezzogiorno per mettere qualcosa sotto i denti, di fatto saccheggiando la dispensa di tutto quello che contiene. La metà del tempo litigano su come procedere, l’altra metà su come coordinarsi, e alla fine riescono a litigare persino su chi si è sporcato di più.

“Va bene, vuoi il podio? Ecco qua!” a tradimento, Sam gli passa sulla faccia una mano unta di grasso di motore.

Bucky sbuffa come una locomotiva e Sam se la ride mentre scappa in cabina di pilotaggio. Quando lo raggiunge si ferma sulla porta, a fissarlo con uno di quei suoi sguardi mentre si pulisce la faccia con uno straccio.

“Stai peggiorando la situazione.”

“E di chi è la colpa?” gli ringhia.

Sam si volta, una mano sulla leva di accensione della barca e una trepidazione addosso che non sentiva da molti ‒ troppi ‒ anni.

Gli occhi azzurri nei suoi, Bucky annuisce in silenzio, e Sam tira la leva.

Il rombo è tanto familiare quanto lontano nei suoi ricordi, al punto che quasi pensa di esserselo immaginato. Poi Sam vede i gabbiani che volano via spaventati e capisce che no, non è una fantasia.

Per Sam è strano pensare che fino a ventiquattro ore prima era da solo a rincorrere quel miracolo, mentre adesso può condividere questo momento con qualcuno. Si sono divisi il carico e non è stato facile, anzi, sono stati più volte sull’orlo di ammazzarsi a vicenda. Ma ci sono riusciti.

“Ci siamo riusciti.” si volta verso Bucky, il sorriso talmente ampio da fargli male alla faccia, “Buck, ci siamo riusciti! Portiamola fuori!”

E Sam è talmente felice, talmente su di giri all’idea di poter finalmente sganciare dal molto la Paul & Darlene, da non si accorgersi di due cose.

Che Bucky non si è lamentato del modo in cui l’ha chiamato. E che sta sorridendo ‒ sta sorridendo davvero.

 

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Capitolo 3
*** The Cat ***


The Cat

 

* * *

 

Il gatto spunta fuori circa un mese dopo che si sono trasferiti al cottage. Guarda caso proprio nel momento in cui hanno finito il grosso dei lavori e finalmente hanno preso una cucina dove poter preparare del cibo vero.

È vecchia, di quelle che vanno con la bombola del gas, ma quella ha il rigattiere del paese quando vanno a cercare dei mobili a buon mercato, e quella si fanno andare bene. Funziona, che è la sola cosa importante. Finalmente possono mettere da parte le scatolette di fagioli e il fornelletto da campo.

Loro cucinano e il gatto appare magicamente. Ogni volta che lo vede, Sam snocciola una serie di nomignoli poco carini. Lui è più un tipo da cani, i gatti non gli ispirano fiducia, e quello lì non fa eccezione. Può essere bello quanto vuole, con quel manto candido e gli occhioni blu, ma resta comunque uno scroccone che appare solo al momento dei pasti e scappa via subito dopo.

Bucky reagisce in maniera… diversa.

Sam all’inizio non capisce proprio come sia possibile, ma le cose stanno così: il gatto appare e Bucky si instupidisce. Gli offre cibo, lo richiama con i versi più ridicoli, lo osserva da lontano con sguardo adorante.

Bucky osserva il gatto e Sam osserva Bucky e non se ne capacita.

“Non verrà mai a farti le fusa. È un randagio, vuole solo mangiare.”

Bucky gli lancia un’occhiata letale e riprende il suo corteggiamento serrato, fatto di bocconcini succulenti e moine surrate. Sam sente lo stesso fastidio che prova quando lo vede flirtare con Sarah e non sa spiegarsi bene cosa sia, ma certamente non può dirgli di smettere di flirtare col gatto. Così se ne sta sulle sue.

Un giorno, mentre sono in paese a far compere nell’unico supermercato locale, Bucky fa quello che Sam sapeva avrebbe fatto. Mette nel carrello due ciotole e un’enorme busta di crocchette per gatti. Lo fa guardandolo fisso, come lo stesse sfidando a fermarlo. Sam alza le mani in segno di resa e si dirigono alla cassa.

Al cottage, Bucky mette le ciotole fuori, davanti al patio. E aspetta. Sam riconosce un piano quando lo vede in atto. Il gatto non è mai voluto entrare in casa e non lo farà certo di punto in bianco, ma Bucky avvicina le ciotole ogni giorno un pochino di più.

Lui gli lascia il cibo e poi si allontana, restando a guardarlo a distanza. Non si avvicina mai, ma si cura bene di farsi vedere e di non fare movimenti bruschi. Sam trova inquietante e al contempo ammirevole il modo in cui riesce a stare immobile a fissarlo.

Bucky osserva il gatto e Sam osserva Bucky e forse inizia a capire.

“Credo che non ci senta.”

Sam aveva letto, chissà dove e chissà quando, che i gatti bianchi con gli occhi azzurri spesso sono sordi a causa di un difetto genetico. Aveva anche letto ‒ anni prima, quando studiava per diventare consulente ‒ del potere terapuetico degli animali da compagnia.

Così succede che la settimana dopo, di nuovo a far spese, Sam mette nel carrello una cesta con un cuscino. Lo fa premurandosi di non guardare Bucky, anche se lui lo sta guardando fisso ‒ proprio perché lui lo sta guardando fisso. Mentre pagano e mettono via le cose, Bucky ha in faccia un sorriso quieto e continua ad averlo per tutto il viaggio di ritorno.

Al cottage, la cesta con il cuscino viene messa vicino alle ciotole, che nel frattempo sono migrate sulla veranda. E poi aspettano, questa volta insieme.

All’ora di cena, il gatto si palesa e svuota la ciotola; si fa le pulizie sotto gli ultimi raggi del sole; si rotola per terra giocando con qualunque cosa venga a tiro di zampa.

Tutto come al solito, tutto nella norma. Sempre che sia normale per due tizi mettersi a spiare ansiosamente un gatto randagio da dietro la finestra. E trattenere il respiro, sgomitando l’un l'altro, quando pare si sia finalmente accorto della cesta.

Lo osservano mentre ci si avvicina, ci gira attorno circospetto, annusa con cautela.

E poi se ne va.

Sam si volta verso Bucky. Non può dire che abbia l’aria di un cucciolo bastonato, perché uno come lui non l'avrà mai, ma quella faccia ci si avvicina pericolosamente.

Gli batte sul braccio: “Domani andrà meglio.”

Ma l’indomani non va meglio.

Il gatto nemmeno si avvicina alla cesta. Mangia, si pulisce, gioca, e se ne va. Muovere le ciotole dentro casa sarebbe una pessima idea, considerando che la bestiola scappa al minimo movimento inaspettato.

Sono ad uno stallo. E Bucky deve sforzarsi di non apparire deluso, di non dare a Sam la soddisfazione di poter dire ‘Te l’avevo detto’. Peccato che Sam non sia così facile da fregare.

Ormai è passato il tempo in cui il suo sguardo enigmatico lo metteva a disagio. Hanno avuto modo di confrontarsi senza filtri, e non sempre ne sono usciti emotivamente interi, ma il loro legame ne ha guadagnato qualcosa. Sicuramente ne sono usciti più forti.

D’altra parte non è che la vita abbia dato loro molta altra scelta se non mettersi seduti e parlare ‒ parlare davvero, senza urlarsi addosso e basta. Quando metti fuori gioco il nuovo Captain America, rubi il simbolo storico di una nazione, e fai scappare un ricercato internazionale, il tutto mentre Power Broker fomenta un'organizzazione terroristica, beh, finisci inevitabilmente per imbatterti in qualche piccolo problema.

Loro due hanno fatto tutto questo insieme, pur litigando sul come, sul quando e persino sul perché. Eppure sempre uniti in un ideale più alto, qualcosa che ancora sentono fuori dalla loro portata ma al quale non riescono ‒ non possono ‒ voltare le spalle. Hanno fatto tutto questo ed ora non resta niente altro che darsi alla macchia.

Nomi falsi, profilo basso, vita ritirata ‒ proprio come ai bei vecchi tempi. Almeno finché Sharon, tirando i fili giusti, non riuscirà a far calmare le acque a sufficienza.

Il gatto, in tutto questo, è una parentesi nella parentesi. Un surreale punto di normalità in due vite che di normale non hanno proprio niente.

Bucky osserva il gatto, Sam osserva Bucky. E vede in quello stallo le loro stesse vite.

“Quando AJ era piccolo, non ne voleva sapere di andare a dormire nella sua cameretta.”

Stanno stendendo insieme i panni sui fili tesi dietro il cottage. Bucky è un’ombra proiettata dal sole estivo contro la tela bianca delle lenzuola. E siccome non dice niente, lui continua.

“Sarah aspettava Cass e non sapeva più come fare. Allora è intervenuta mamma.”

Bucky si china a prendere una tovaglia e insieme la spiegano su un filo libero.

“Con la scusa che Sarah faceva fatica a stargli dietro, è rimasta in casa loro fino al termine della gravidanza. Giocava con AJ tutto il giorno nella sua cameretta e ogni sera preparava il letto accanto al suo. Gli chiedeva ‘Vuoi fare la nanna nel lettone di mamma e papà o nel tuo lettino?’. E lui rispondeva sempre ‘Nel lettone di mamma e papà’.”

Bucky gli passa un'altra cesta di panni, questa volta piena di calzini che sicuramente sarebbero risultati spaiati. Mentre cercando di accoppiarli, Sam pensa che non è possibile che abbiamo solo calzini neri: devono comprarne di colore diverso, ne va della loro sanità mentale.

“Com’è finita?”

Sam alza due calzini al sole per confrontare la tonalità di nero.

“È finita che una sera mamma gli ha fatto la solita domanda e lui ha risposto che voleva dormire nel suo lettino.”

“Mi stai suggerendo di dormire nella cesta di Alpine?”

Sam abbassa i calzini e lo guarda con un sopracciglio alzato: “Alpine?”

“È il suo nome.”

“E da quando?”

“Da ora.” Bucky gli toglie di mano un calzino e gliene porge un altro, “Quello va con questo.”

Sam sbatte i calzini e li appende al filo.

“E non avrei dovuto essere interpellato sulla scelta del nome?”

“Da quando ti interessa qualcosa del mio gatto?”

“Sai che c’è?” Sam prende le ceste ormai vuote e se ne torna dentro casa, “Mi rimangio i consigli.”

“Ehi, adesso non fare l’offeso!”

“Arrangiati!”

“Permaloso!”

Qualche giorno dopo, Bucky torna dal paese con un vecchio dondolo da giardino e lo piazza nella veranda, dalla parte opposta alla cuccia di Alpine. Poi prende un libro e si mette a leggere sotto la luce che filtra dalla finestra.

Ogni sera Bucky riempie la ciotola di Alpine e si mette a leggere sulla sdraio. Ogni sera Sam osserva lui e il gatto ignorarsi reciprocamente.

Finché una sera Sam sente battere alla finestra e lascia il pc, si avvicina per guardare fuori. Bucky è stretto in un angolo della sdraio, con il libro in mano e in faccia un sorriso che così gliel’ha visto, forse, solo quel giorno che hanno portato fuori la Paul&Darlene. Alpine ha occupato metà della sdraio, tutto intento nei suoi contorsionismi per farsi le pulizie. 

Da quel momento, non li lascerà mai più.

*

Alpine è lì con loro il giorno del compleanno di Sam.

Fare una torta non dovrebbe essere tanto impegnativo, certamente non dovrebbe richiedere un intero pomeriggio né ridurre la cucina a un campo di battaglia. Il contributo di Alpine è una zampa dentro la terrina dell’impasto: Sam lo caccia via e quello scappa soffiando, si va a nascondere dietro Bucky.

“Se lo fa di nuovo,” Sam gli punta un mestolo contro, “Lo faccio al forno.”

Bucky svuota l'impasto nella tortiera e poi di nascosto lascia la terrina da leccare ad Alpine, facendogli ‘ssh’ con un dito premuto sulle labbra.

“Ti ho visto!” grida Sam dall’altra parte della stanza.

Alla fine tirano fuori dal forno un mostro bruciacchiato fuori e crudo dentro, e ci mettono sopra una candelina. C'è tutta la famiglia di Sam in videochiamata, persino qualche amico. Bucky gli mette un cappellino in testa, godendo dell’espressione di disappunto di Sam, e tutti insieme gli cantano ‘tanti auguri a te’.

La torta fa schifo, così tirano fuori dei biscotti e si mettono mangiarli sul divano, il laptop di Sam aperto davanti a loro. Le immagini sono sgranate e non si capisce bene chi dica cosa, ma dopo mesi di reclusione è bello rivederli. Bucky guarda Sam, la sua espressione rilassata e felice di fronte alle persone a cui vuole bene, e pensa che non si merita di fare questa vita, di stare lontano da loro.

Poi, uno ad uno, gli amici salutano per andare a dormire, restano solo Sarah e i ragazzi. Bucky saluta con la scusa di dover riordinare la cucina, e lascia loro un po’ di privacy.

Alpine gli fa compagnia mentre lava i piatti, osservandolo dall’alto del frigorifero.

“Ti stai riposando?”

“Mrr.”

“Potresti darmi anche una mano, visto che ti ho fatto leccare le terrina.”

Lui stringe gli occhi e si stira pigramente.

“Capito. Sappi che sono molto deluso.”

“Hai intenzione di diventare una vecchia gattara?”

Bucky lancia un’occhiata da sopra la spalla: Sam è sull’ingresso della cucina.

“Quando ero bambino la signora che abitava sopra di noi era una gattara. Era molto simpatica.”

Sam gli si affianca e uno alla volta prende i piatti lavati per sciacquarli e metterli a scolare.

“Metti troppo sapone.”

“E tu sprechi un sacco di acqua.”

“Devo usare tanta acqua perché tu usi troppo sapone.”

Alpine fa le fusa, loro bisticciano, Sam ha il volto rilassato. Bucky non ci pensa più di tanto, ma quella somiglia a felicità.

*

Alpine è lì con loro quando i giorni cominciano ad accorciarsi e le notti a farsi più fredde.

All’inizio aggiungono coperte e stringono i denti, e per un po’ funziona. Ma il tempo è inclemente e quella casa troppo vecchia, piena di spifferi. Hanno una sola stufa e sta in soggiorno: non per niente Alpine se la dorme beatamente nella sua cesta, strategicamente posta vicina alla fonte di calore.

Una sera si ritrovano tutti e due sul divano, i piedi gelati allungati verso il fuoco. Si addormenterebbero così se non fosse per la scomodità. Bucky fa un versaccio e sposta il divano proprio davanti alla stufa. Si sistemano uno all’opposto dell’altro, con la testa sul bracciolo e le gambe raccolte.

Continuano ad essere scomodi e infreddoliti. Se passano la notte così si sveglieranno con il torcicollo e il raffreddore. Per lo meno, Sam sicuramente si sveglierà con torcicollo e raffreddore, non può dire lo stesso per Bucky, ma lui pure non sembra gradire la situazione.

“Ma questo non è un divano-letto?”

Si scambiano un'occhiata e un attimo dopo sono all’opera. Bucky sposta di nuovo il divano e lo apre, Sam va nelle loro camere a raccattare cuscini e coperte. Quando torna, Bucky sta riempiendo la stufa con dei ciocchi di legna. Insieme sistemano le coperte alla bell’e meglio ci si infilano sotto tremanti.

La mattina dopo, Sam si sveglia con un braccio bionico che gli blocca la vita e un gatto che gli ronfa sui piedi. Freddo non ne ha più.

“Ehi.” gli fa Bucky quando si ritrovano in cucina a colazione.

“Ehi.” Sam si finge indaffarato, “Uh… forse finché fa freddo dovremmo‒ uhm…”

“Sì.” Bucky addenta un toast e annuisce, guardando altrove.

“Bene.”

“Perfetto.”

Per un tacito accordo, nessuno dei due parla più della cosa. Né al momento di andare a dormire, né ‒ men che meno ‒ al momento del risveglio.

Ogni sera riempiono la stufa, aprono il divano-letto e si mettono sotto le coperte tirandole a vicenda con aria minacciosa. Ogni sera Alpine arriva e fa la palla in mezzo a loro. Ogni sera si addormentano accompagnati dalle sue fusa, dal crepitare del legno nella stufa, e dal calore dell’altro a un braccio di distanza.

Ogni mattina scoprono che quella distanza è stata annullata durante la notte.

Sam è un tipo mattiniero, eppure ogni giorno impiega sempre più tempo ad uscire dal letto. Dà la colpa all’incastro in cui si trova, ma la verità è che gli piace. Non dorme con qualcuno da tanto ‒ troppo tempo. Quella parentesi di intimità gli fa bene al cuore.

E quanta intimità c’è a condividere il sonno con un’altra persona? Il sesso è niente, in confronto. Due persone possono anche scopare ma poi rifiutarsi di dormire insieme: quel tipo di intimità è su un altro livello. Sapere che qualcuno ha abbassato la guardia al punto da lasciarsi andare al sonno vicino a te, non ha paragoni.

Sapere che quella persona è un super soldato con un passato traumatico alle spalle, fa fare al cuore di Sam un paio di capriole. Ogni mattina si sveglia e trova il braccio di Bucky su di sé, come un punto fermo. Il peso del vibranio è soffocante, ma poi Sam lo vede dormire e pensa che non c’è niente di male a stare ancora cinque minuti sotto le coperte.

Che non c’è niente di male a rubare qualche altro minuto di felicità.

*

Alpine è lì con loro quando Bucky viene svegliato da un incubo che per una volta non ha fatto lui.

Sapeva che anche Sam ne avesse, ma finché dormivano in letti separati ognuno gestiva la cosa per i fatti propri. Ora che Sam gli singhiozza accanto, è un’altro paio di maniche.

Bucky allunga una mano, poi la ritrae, poi ci ripensa e, oh, Sam gli si appiccica addosso appena lo tocca. Braccia grandi e forti lo agguantano e Bucky è annichilito. Sam è un armadio a due ante, chiunque altro sarebbe distrutto dal suo peso ‒ chiunque altro non coglierebbe la fragilità.

Bucky non sa bene dove mettere le braccia, non sa come incastrarsi con lui. Alla fine ci pensa Sam e lui capisce che deve solo fare da cuscino.

“Così? Va bene. Mettiti comodo, eh.”

Sam borbotta qualcosa nel sonno e lo stringe di più, allaccia una gamba alla sua e ficca la faccia nell’incavo del collo. Sospira forte mentre il pianto si quieta lentamente. 

Bucky si immobilizza, deglutisce. Il cuore gli sta facendo degli strani scherzi. Ci pensa Alpine a distrarlo da tutta quella grande agitazione. Svegliato dal movimento, cerca un altro posto dove mettersi a dormire. Finisce per fare la palla sotto il suo braccio.

“Anche tu? Ma prego, c’è posto per tutti.”

Bucky sospira, si sistema meglio. Non è poi così scomodo ‒ non è poi così brutto. Si addormenta prima di capire cos’è, e meno male, o il cervello gli avrebbe fatto cortocircuito.

Il giorno dopo Sam non ne parla e lui non sarà quello che aprirà il discorso rischiando di metterlo in imbarazzo. Ma è strano ed evasivo, e non gli piace che Sam sia strano ed evasivo. Bucky vorrebbe avere metà dell’invadenza di Alpine e semplicemente piazzarglisi addosso finché non parla. Ma non lo fa ‒ ovviamente non lo fa.

Nonostante il freddo, Sam sta fuori tutto il giorno ad allenarsi con lo scudo, e quando torna ha la faccia più scura del cielo plumbeo là fuori. Ancora col fiatone, entra in cucina e si avvicina alla brocca del caffè. Bucky gli passa una tazza già piena. Lui gli lancia un’occhiata di traverso e mugugna un ‘Grazie’ appena udibile.

“Mh… wow! Questa roba potrebbe ammazzare Hulk.”

Bucky sorseggia dalla sua tazza.

“Ho immaginato avessi bisogno di qualcosa di forte.”

Sam non lo guarda, annuisce e basta. C’è silenzio mentre bevono quel caffè e fuori sta iniziando a piovere, Alpine è nella sua cesta e pisolare. Quando Sam finisce e si volta a mettere la tazza nel lavello, Bucky pensa che sia tutto lì. Che sarà per un’altra volta, magari. Va bene fidarsi nel cuore della notte, nella confusione post-incubo, con le difese della coscienza abbassate. Altra cosa è tirare fuori tutto il giorno dopo, tirando giù consapevolmente le barriere.

Bucky pensa male.

“Ho sognato Riley.”

È accanto a lui, immobile come lo era durante la notte. Silenzioso di fronte alla sua fragilità, come sa che lui ha bisogno.

“Ne faccio diversi, di incubi. Voglio dire, con la vita che facciamo… lo sai com’è.” Sam si china sul lavello e ci si appoggia con i gomiti, scuote la testa, “Ma quelli con lui... Cristo santo, sono i peggiori.”

Sì, Bucky lo sa com’è. La vita di un soldato è così: una quantità di brutta roba cesellata nel cervello, c’è l’imbarazzo della scelta. Poi però c'è quella cosa lì, quella che le batte tutte. Tutti ne hanno una: per Bucky è il momento in cui è caduto dal quel treno. È la prima volta che sente Sam parlare della 'sua cosa'.

Sam sospira e guarda fuori, stringe gli occhi contro la luce ovattata che proviene da fuori.

“E la cosa che mi fa incazzare, lo sai qual è? È che quello è l’ultimo ricordo che ho di lui.”

Bucky si volta per posare la tazza accanto alla sua, si appoggia con un fianco al lavello, le braccia incrociate sul petto.

“Quando eravamo in Europa, tra un attacco e l’altro alle basi dell’Hydra, dovevamo restare nascosti.”

Sam alza lo sguardo su di lui, l’espressione ancora accigliata mista a curiosità.

“Prima di assaltare il treno dove viaggiava Zola,” La voce quasi cede sulla parola ‘treno’ e Sam serra la mascella, “Abbiamo attaccato una base in nord Italia. Era nascosta in una vecchia fabbrica nei pressi di Trieste. Per capire come introdurci abbiamo dovuto restare nascosti per settimane nella fattoria di una coppia di anziani. Erano soli, i figli erano tutti o morti in guerra o partigiani dispersi tra i monti.”

Sam ora si è raddrizzato e lo sta guardando in silenzio, mimando la stessa posa di Bucky. È una strana intimità parlare di queste cose, così lontane nel passato eppure ancora sanguinanti, mentre sono al sicuro in quella sorta di rifugio che si sono costruiti insieme.

“Lei si chiamava Luisa e non immagini di cosa era capace in cucina.” Bucky azzarda un sorriso e Sam lo imita, “Avevano poco da offrire, ma lo dividevano con noi ugualmente. Persino il caffè.”

Bucky punta un dito alle loro spalle e Sam si volta a guardare. C’è una moka sul fornello spento.

“C’era il razionamento, ma loro avevano questa scorta di caffè che tenevano gelosamente nascosta e centellinavano ogni chicco. A colazione lui... si chiamava Vittorio... lui prendeva il macinacaffè e lo riempiva e faceva la polvere. Poi Luisa preparava la moka,” Bucky indica di nuovo i fornelli, “Lo faceva per tutti noi. E quando ti passava la tazza, ti accarezzava la faccia e diceva ‘che bel figliolo che sei’ in un dialetto locale che non…” Alza le mani e inarca le sopracciglia, strappando una risatina a Sam, “Non mi chiedere di ripeterlo. Me le ricordo ancora le parole ma non ho intenzione di… vabbè, comunque.”

Bucky si schiarisce la voce e sospira nervoso. Non ci è abituato a questo grado di confidenza, certe cose non le ha dette nemmeno alla dottoressa Raynor.

“A volte sogno il treno.” Butta fuori le parole prima che si incastrino in gola fino a soffocarlo.

L’espressione di Sam è di nuovo accigliata.

“Allora il giorno dopo prendo una moka e preparo il caffè come lo facevano Vittorio e Luisa.”

Sam lo guarda e Bucky pensa che non gli ha mai visto quello sguardo così soffice e vorrebbe solo scappare. Si limita a prendere la moka e portarla al lavello per lavarla assieme alle tazze..

“Sai, non saresti male come consulente, signor Barnes.” Sam gli batte sulla spalla e Bucky sorride tra sé, “Vado a fare una telefonata.”

Dal soggiorno la voce di Sam arriva ovattata. Bucky si asciuga le mani in uno straccio e lo osserva: ha il cellulare all’orecchio e in mano una foto di Riley.

Alpine si avvicina per strusciarsi sulle sue gambe.

“Che ne dici?” Bucky lo guarda dall’alto, “Sono stato bravo?”

“Mrr?”

Bucky lo prende in braccio e gli gratta dietro le orecchie, sorride guardando Sam.

“Altroché se sono stato bravo!”

*

Alpine è lì con loro la sera di Halloween.

Il cottage è troppo isolato per sperare che qualche bambino venga a bussare alla loro porta, ma non hanno niente da fare e al mercato contadino c’era questa meravigliosa zucca. Se la portano a casa e per un paio d’ore litigano su come intagliarla. Alla fine decidono che ognuno avrebbe intagliato un lato e poi avrebbero confrontato il risultato, sottoponendolo allo scrutinio dei nipoti di Sam.

Vince il lato di Bucky.

Ma Sam si rifà quando devono giudicare il trucco: Bucky è un licantropo, Sam un vampiro. Per provare chi dei due sia più pauroso cercano di spaventare Alpine. Il povero gatto scappa via appena Sam gli mostra i canini finti.

“Io non credo che valga. Lui ha paura di te a priori.” obietta Bucky.

“È stata la mia interpretazione.” Ribatte Sam, “Sarei un attore degno di Bela Lugosi.”

Finiscono la serata guardando Fright Night ‒ sia quello del 1985 che quello del 2011, perché beh, perché no?

Sam e Alpine fanno pace e quella è solo prima di tante serate in cui fuori nevica e dentro mangiano pop corn e maratonano film.

*

Alpine è lì con loro il giorno del Ringraziamento.

Da gatto che si rispetti, cerca di rubare il tacchino sotto il loro naso. Lo salvano appena in tempo, salvo poi mettersi a litigare sul modo appropriato di tagliarlo e impiattarlo. Alla fine ognuno taglia un pezzo e lo impiatta a modo suo, poi si scambiano i piatti e si danno il voto finale.

“L’avete finita?” Li rimprovera Sarah dalla videochiamata, “Non è mica Masterchef!”

“Se fosse il tuo tacchino avrei dato un 10, ma quello di Sam si merita un 6. E sono generoso.”

Sarah ridacchia e Sam fissa Bucky con lo sguardo d'avvertimento che gli riserva quando flirta con sua sorella. Bucky mastica un boccone, sostenendo lo sguardo con aria sfrontata. È tutto perfettamente nella norma.

*

Alpine è lì con loro il giorno di Natale.

Il rachitico alberello che hanno messo su in soggiorno rischia di venire giù per colpa sua. Da applaudire il tempismo: Sam aveva appena scartato il suo regalo e quasi si stava mettendo a piangere.

“È un 33 giri originale? Come diavolo hai fatto a trovarlo?!”

Bucky si stringe nelle spalle e nasconde la soddisfazione dietro le pagine del libro che Sam gli ha regalato ‒ non lo sapeva mica che era uscito un seguito de Lo Hobbit.

Sam toglie dal giradischi il vinile di Frank Sinatra e ci mette quello nuovo. Le note di apertura di You Sure Love To Ball riempiono la stanza e, oddio, Bucky sbianca, le mani artigliate sul libro che sudano. Grazie al cielo Alpine attenta di nuovo all’albero e stavolta il suo attacco va a buon fine, distraendo Bucky dal testo inappropriato della canzone e soprattutto dal movimento di fianchi di Sam.

*

Alpine è lì con loro la sera di Capodanno.

Fuori nevica, dentro è buio eccetto per lo schermo del laptop che proietta i titoli di coda di Una Poltrona Per Due. La stufa crepita e Alpine dorme sui piedi di Bucky, che a sua volta dorme a cucchiaio con Sam, tutti stretti sul divano.

Un botto, poi una luce violetta filtra nella stanza. Bucky si sveglia e strizza gli occhi verso la finestra. Il paese non è abbastanza vicino per poter vedere i fuochi d’artificio, ma il suono riesce ad arrivare fino a lì, e in lontananza il cielo si tinge di colori diversi.

“Sam.” Bucky si gratta la testa e prova a svegliarlo con una gomitata, “Ohi, Sammie…”

Lui risponde con un grugnito intelligibile.

“È mezzanotte.”

Sam sospira seccato e lo agguanta per il maglione, tirandolo giù bruscamente.

“Torna a dormire.”

Bucky crolla giù, accigliato per essere stato preso alla sprovvista. Sam gli si sistema meglio alle spalle.

“Dovremmo aprire il letto?”

“Mhnno.”

Bucky sorride tra sé: “Ti piace così, eh?”

“Piace anche a te, quindi sta’ zitto.”

Bucky sta zitto. Per qualche secondo, per lo meno.

“Buon anno, Sam.”

Sam lo stringe un po’, spinge la testa contro la sua nuca.

“Buon anno, Jamie.”

Fuori nevica, dentro le luci dei fuochi si proiettano su di loro e Alpine fa le fusa sopra i loro piedi. Cosa sia questo, Bucky non lo sa, ma si avvicina abbastanza a quello che vuole nella vita.

 

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Capitolo 4
*** The Bloom ***


Questo capitolo doveva essere l’ultimo, ma come al solito mi è scappata la mano, e quindi niente, ce ne sarà un quinto.




 

The Bloom

 

* * *

 

Quando cresci in città il passare delle stagioni viene scandito in maniera differente. Bucky non si era mai accorto di certe cose prima della parentesi trascorsa in Wakanda. Adesso ha imparato ad apprezzare certe sfumature che una volta non avrebbe nemmeno notato.

Per esempio, da quelle parti la primavera arriva piano, facendosi spazio un giorno alla volta, facendo più rumore di quello che ci si aspetterebbe. Perché in città tutto è soffocato dal chiasso urbano, lì invece non c'è niente che zittisca il rumore della natura che si risveglia. Lento e chiassoso: un po’ come loro due si sono fatti spazio nelle reciproche vite.

È passato quasi un anno da quando sono lì e a mala pena se ne sono accorti. Ci sono troppi lavori da fare in quella casa, troppe distrazioni. Bucky non ha tempo di guardare il calendario quando ha qualcos’altro da guardare ‒ qualcosa di meglio.

Bucky ha dato un nome a quello che prova per Sam, solo non l’ha mai detto a voce alta. Non serve se tanto non c’è nessuno ad ascoltarlo, e in questo momento non ha intenzione di dirlo a nessuno. La dottoressa Raynor ha capito, in qualche modo ci è arrivata ‒ o forse semplicemente è così palese da essere ovvio ‒ e lo fissa con quel suo sguardo penetrante dal monitor del laptop. Ma Bucky non sa perché ‒ forse la distanza, forse il fatto che sente il suo percorso vicino al termine ‒ quello sguardo non gli fa più l’effetto di prima. La dottoressa sa, ma non ha importanza, l’importante è che sia lui a saperlo.

Che sia lui a non voler più cancellare quel sogno dalla sua memoria.

Ne ha avuto di tempo per farci i conti. Tanti giorni tutti uguali, scanditi dalla solita routine, eppure mai noiosi. La vita di Bucky adesso è fatta di momenti scontati e non gli dispiace per niente.

È scontato svegliarsi al mattino con il respiro di Sam addosso e poi ascoltare le sue chiacchiere mentre fanno colazione. È scontato trovare i vestiti di Sam mescolati ai suoi nel cesto del bucato, stare chini sull’ingresso ad allacciarsi le sneakers, uscire per allenarsi nella bruma fredda del mattino. È scontato mangiare gli avanzi della sera prima e nel frattempo discutere su come aggiustare la tecnica di Sam nel riprendere lo scudo al volo, mentre Alpine reclama qualche boccone dai loro piatti. È scontato litigare sul modo migliore di aggiustare quel buco sul tetto, mentre Bucky osserva ansiosamente Sam che si muove sulle tegole instabili, e non sta pensando a come prenderlo al volo se dovesse scivolare a cadere, non lo sta pensando affatto. È scontato, la sera, giocare con Alpine, che a volte non sa distinguere un braccio di carne da uno di metallo, e Bucky non sta pensando di tirare fuori i cerotti, perché Sam è grande e grosso e sa mettersi i cerotti da solo se vuole, non ha bisogno di Bucky.

È scontato trascorrere intere giornate a costringersi a distogliere gli occhi da Sam, mentre sta facendo anche la più stupida e non affascinante delle cose. Dallo sbadigliare, al ballare mentre passa lo straccio per terra, fino a riempire la ciotola di Alpine. Diavolo, a Bucky tocca abbozzare anche quando semplicemente sorride perché trova adorabile quella fessura tra i denti.

Sam non sembra accorgersi, o forse è solo molto bravo a nasconderlo, Bucky non se ne capacita. Ma di fatto sono mesi che lo punta e non sa che fare.

Perché magari è solo lui, chi lo sa? Magari è una cosa non corrisposta.

Continuano a litigare per le cose più stupide, non sono d’accordo quasi su nulla. Sono come il giorno e la notte, e forse non funzionerebbe neanche. Forse anche Sam sente qualcosa ma pensa che tra loro sarebbe troppo difficile. Anche se per ora non è affatto difficile. Per lo meno, non quel tipo di difficile che ti fa riconsiderare tutto.

Bucky capisce che deve fare una mossa un giorno di marzo. Sta sistemando la moto quando sente Sam chiamarlo. È dall’altra parte del cortile, a dare una sistemata alle piante che in quella zona stanno crescendo senza controllo. Quando lo raggiunge lo trova sporco di terra da capo a piedi, una mano inguantata sul fianco e l’altra che tiene il seghetto da giardino.

“Guarda qua.” gli dice.

Sta indicando qualcosa per terra, vicino all’angolo della patio. Bucky si inginocchia per poter vedere meglio: in mezzo agli sterpi secchi di una vecchia pianta di rose, ci sono dei germogli.

“Credevo che fosse morta.”

“Mh.” Bucky si pulisce le mani sporche di grasso di motore e scosta la terra, “Vuoi che la tolga?”

Si guardano. Le piante di rosa sono ostinate, difficili da sradicare, ma sanno entrambi che per Bucky sarebbe poco sforzo.

“Non lo so. Mi sembra un peccato.”

Bucky scrolla le spalle.

“Possiamo darle un sostegno e vedere se cresce.”

Sam annuisce pensieroso. Poi lascia il seghetto va dietro, a frugare tra la roba che hanno scartato in tutti quei mesi, e ne pesca un vecchio manico di scopa.

Puliscono per bene la terra dagli sterpi e lo piantano vicino al bordo del patio.

“Per ora dovrebbe bastare. Se cresce avrà bisogno di un sostegno migliore.”

“Sì.” Bucky lega il bastone al patio con un filo di canapa, “Vedremo.”

Sam si rialza e tira via i guanti. Sta guardando quei germogli stentati con lo stesso affetto con cui guarda i suoi nipoti e, se Bucky già non pensasse che lui è il perfetto erede di Captain America, quella sarebbe il momento della folgorazione.

“Vedremo.”

Bucky distoglie lo sguardo mentre Sam si massaggia il collo indolenzito e borbotta che deve tornare alla moto.

Non sta pensando a come iniziare a corteggiarlo ‒ assolutamente non ci sta pensando.

* * *

Quello che Sam si augura è che un giorno ripenserà a tutto questo e ne riderà. Ma di fatto adesso sta morendo dentro.

Bucky pensa di essere sottile, ma non c’è niente di sottile nel modo in cui lo guarda e Sam sta iniziando ad accusare il colpo. Se solo parlassero!

Sam non sa come andrebbero le cose, ma è un pezzo che non sa come andrà la sua intera vita, quindi perché non aggiungere anche quella variabile? In ogni caso sarebbe sempre meglio che trascorrere l’esistenza a struggersi, immaginando come potrebbe essere tra di loro se solo si dessero un’occasione.

Sarah l'ha capito, perché non c’è alcun modo per interpretare quel sorrisetto consapevole che gli rivolge quando le parla di Bucky. Ma lui non è pronto per parlargliene. Non sa nemmeno se è pronto a dare un nome a questa cosa, figuriamoci a nominarla ad alta voce.

Non c’è privacy in quella casa, solamente loro due e Alpine nel raggio di chilometri. E così Sam si trova intrappolato in mezzo a tutti i problemi conseguenti al fatto di essere attratto da una persona con cui sta condividendo platonicamente ogni momento della sua esistenza. Dannazione, Sam è più vicino ai quaranta che ai trenta e non sa come gestire una stramaledetta cotta. Sarebbe più facile se non vivessero insieme? Non lo sa, onestamente. Sa solo di essere fregato.

Non capisce quanto sia fregato finché riceve una telefonata da parte di Torres.

Quando rientra in casa, Bucky sta leggendo sul divano e lo fissa con aria perplessa. Sam non vuole parlarne, non con lui. Ma Bucky continua a fissarlo dal divano mentre lui gironzola senza pace cercando qualcosa di fare.

“Mi stai innervosendo.”

“Ha chiamato Torres.”

Sam impreca mentalmente.

“Che voleva?”

“Dei consigli.”

Si dice di stare zitto, ma evidentemente ha la bocca sconnessa dal cervello.

“Di che tipo?”

“Sentimentale. Ha una cotta e non sa che fare.”

Sam è davanti alla libreria, le spalle a Bucky. Fa finta di non sentirlo muoversi sul divano, di essere concentrato sulle copertine dei libri.

“Oddio.”

“Già.”

Sfila un libro, poi cambia idea e lo rimette a posto, posa entrambe le mani sulla libreria.

“Che gli hai detto?”

“Che ci dovevo pensare un attimo e gli facevo sapere.”

Silenzio. Sam lancia un'occhiata alle spalle e quello che vede non gli piace, o meglio gli piace anche troppo per cui non gli piace.

“Non guardarmi così! Mi è venuto il panico, va bene? Come una specie di… di ansia da prestazione, ecco.”

“A te?”

“Sì, a me. Perché?”

Sa  si volta, le braccia incrociate sul petto e il respiro instabile.

“Sei quello con le ali meccaniche che fa le piroette in cielo sotto gli occhi di tutti, ti ricordi?”

“Sì, beh, questo è completamente diverso.”

“Sam, ti ha solo chiesto dei consigli di cuore.”

Il modo in cui parla lo manda ai matti, ma onestamente per un motivo o per l’altro Bucky lo manda sempre ai matti.

“Non ridere! Io non sono‒ senti, sono solamente un tizio con un po’ di esperienza qua e là, ma non ho tutte le risposte.”

“E lui mica ha bisogno di tutte le risposte.” Bucky scuote le spalle, “Devi solo dargli un suggerimento, il resto lo farà da sé.”

“E se gli do il suggerimento sbagliato?”

“Quante paranoie che ti fai.” alza gli occhi al cielo, “Non è mica tuo figlio!”

“Per lui sono come un mentore, mi ha preso come modello di comportamento.”

Per un momento Bucky lo guarda in silenzio. Quando parla sembra un po’ più serio, come se avesse capito.

“Okay,  senti, vuoi che ci parli io?”

“No no, ha il sacro terrore di te.” Sam si fa coraggio e va a sedersi sul divano accanto a lui, “Dimmi solo‒ spiegami come faresti tu.”

Bucky inarca le sopracciglia: “Devi darmi qualcosa di più che ‘Torres ha un cotta’ su cui lavorare.”

“Okay.” Sam si umetta le labbra e prende un gran respiro, “È il suo istruttore di fitness. Dice che flirtano di continuo ma niente di più, la cosa va avanti da mesi ormai. Torres crede che lui lo veda troppo giovane e senza esperienza, e per questo non ci prova davvero.”

“Capito.”

Bucky ha ancora in mano il libro che stava leggendo. Lo batte un paio di volte sulle cosce, con aria pensierosa.

“Beh, io sono vecchio stile e sono anche un po’ arrugginito.”

“Oh, ma per favore.”

“Dico solo” lui alza le mani, “che una volta le cose andavano in maniera diversa. Non so se al giorno d’oggi le mie tattiche possono funzionare.”

“Sì? Tipo quali?”

Sam vuole e non vuole sapere di cosa sta parlando. Vuole e non vuole portare avanti quella conversazione surreale. Vuole e non vuole che sperare che si stia sognando tutto.

“Facciamo così: tu sei Torres e io sono la sua crush.” Bucky si alza e gli fa un cenno, “Vieni qua che facciamo gli addominali.”

Sam vuole e non vuole sparire in un buco sul pavimento. Ma si limita a fissare Bucky con aria ostile.

“Dobbiamo proprio?”

Bucky si acciglia

“Li facciamo tutti i giorni, adesso ti fai problemi?”

“Non sono gli addominali il problema.” dice cercando di mantenere ferma la voce.

“Bisogna immedesimarsi, altrimenti non funziona.”

“Va bene.” sospira.

‘Va bene’ pensa mentre si mette in posizione. Bucky davanti a sé e tenergli le gambe.

 “Torres, crush, addominali.”

‘Va bene’ continua a pensare. Non c’è niente di strano, è vero che li fanno tutti i giorni. Non c’è niente di strano.

“C’è tensione, no?” Sam fa gli esercizi e Bucky parla, “Di quella interessante. Stiamo lavorando insieme, siamo fisicamente vicini, flirtiamo tutto il tempo.” Sam inizia a sudare e non sono gli addominali la causa, “Riesci a sentirla?”

. Vai avanti.”

“Però nessuno dei due fa nulla. Perché?”

“Perché non abbiamo molta esperienza?”

Tu non hai molta esperienza, quanto a me... sono più grande, no?”

Sam si ferma per ascoltare, fingono di non dover riprendere fiato dopo solo una dozzina di esercizi.

“Faccio un’ipotesi: sto aspettando che tu mi dia il segnale per fare una mossa, ma tu stai aspettando che io faccia la mia mossa per primo. E quindi siamo bloccati. Ti suona? È una situazione normale, dobbiamo solo sbloccarla.”

A Sam suona fin troppo bene e comincia ad essere confuso. E irritato.

“Cosa c’è di normale? Perché non parliamo e basta?”

Bucky scrolla le spalle: “Perché a volte semplicemente va così.”

Molto irritato.

“Forse negli anni ‘40, ma oggi‒”

“Già, cos’è che fate al giorno d’oggi? Ah, sì!” Bucky gli lancia un’occhiata saccente, gli sta ancora tenendo le gambe e Sam può percepire la facilità con cui lo blocca senza alcuno sforzo e la cosa non lo sta aiutando per niente, “Vi conoscete su qualche app dove non avete nemmeno il coraggio di mettere una foto che mostri la vostra vera faccia. Poi vi incontrate in qualche club per strusciarvi addosso, sperando che sia la stessa persona con cui avete chattato. Come fate a riconoscervi? Usate una parola d’ordine?”

“Okay boomer.”

Sam alza una mano per mettere una metaforica distanza tra loro, ma soprattutto per fermare quel discorso. Non è ancora pronto per questo discorso e probabilmente non lo sarà mai.

“Come le sai tutte queste cose? Sembra esperienza di prima mano.”

“Boomer non è la definizione corretta per la mia fascia d’età.”

“Bravo, evita di rispondere.”

Bucky stringe gli occhi e lo inchioda con lo sguardo.

“Ti disturba l’idea che io vada a rimorchiare nei club?”

Sam sente il cuore sfondare la cassa toracica, ma sostiene il suo sguardo con la migliore faccia da poker del suo repertorio.

“Non sono affari miei.”

“Esatto.”

“Bene. Possiamo procedere?”

C’è qualcosa in Bucky che cambia impercettibilmente, e il momento successivo il suo volto passa dalle linee dure del Sergente Barnes alla morbidezza di quel ragazzo di Brookling che Sam ha visto di tanto in tanto far capolino.

“Ma certo, dolcezza.”

“Cosa‒” Sam si schiarisce la voce, “Che roba era quella?”

“Dobbiamo flirtare, no?” Bucky gli rivolge un mezzo sorriso, “Resta nel personaggio.”

“Uh… sì.”

‘Torres, crush, addominali’ si ripete Sam. È un bene avere da fare qualcosa.

“Se io non faccio a prima mossa, tu devi trovare il modo di uscire con me senza invitarmi ad un vero e proprio appuntamento. Cos’abbiamo in comune?”

“Niente.”

Bucky inarca le sopracciglia: “Sto parlando di Torres e della sua crush.”

“Oh.” Sam è felice di essere impegnato negli addominali, “Musica.”

“Bene.”

“Concerto?”

“Qualcosa di più intimo?”

Sam si ferma, una mano puntata dietro per sostenersi e l’altra casualmente appoggiata sulle ginocchia. Sfodera il migliore dei suoi sorrisi.

“C’è questa band che suona sabato sera. Sono bravi. Si beve qualcosa, si balla. Ti va?”

“Oh, bravo.” Bucky si lecca le labbra, scosta lo sguardo, per un attimo Sam pensa quasi di averlo messi in imbarazzo, “Molto bene.”

“Grazie. Possiamo fermarci con gli addominali?”

“Certo.” Bucky gli lascia andare le gambe e si rialza, “Adesso dobbiamo andare all’appuntamento.”

Sam si pietrifica lì, sul pavimento.

“Cosa?”

“Vuoi davvero lasciare Torres con questo e basta?”

Sam si rialza e lo fissa accigliato.

“Non dovrei dargli solo un suggerimento?”

“Uh-uh.” Bucky lo squadra e Sam è sul punto di prenderlo a pugni, veramente, “Facciamo due, se è come te.”

“Cosa‒” Sam gli punta un dito contro, “Tu non sai di cosa sono capace!”

“Sì?” Bucky alza il mento, “Fammi vedere, dai.”

Sam si avvicina al giradischi e tira fuori un 33 giri. Gli scocca un’occhiata di avvertimento mentre lo mette su.

“Siamo al locale, la band suona.” la musica riempie la stanza e loro due si fronteggiano con aria di sfida, “Fammi capire che vuoi essere invitato a ballare. Che vuoi ballare proprio con me.”

La voce di Bucky è fin troppo allusiva per non fargli effetto. E Sam si è rotto le palle. Forte delle parole di Marvin Gaye, gli afferra una mano e se lo tira addosso. Se Bucky è sorpreso non lo dà a vedere. Le sue mani sono ferme quando vanno ad afferrargli la vita e il suo sguardo non cede di un millimetro.

“Questo è il tuo piano?”

La distanza tra loro è contemporaneamente troppa e troppo poca.

“È così che faccio. E funziona sempre.”

“Ah, non ne dubito. Ma questi due si ronzano attorno da mesi e ancora non hanno avuto il coraggio di farsi avanti. Tu ce lo vedi Torres a fare così?”

“Mh.”

Sam non vuole dargliela vinta, ma onestamente ha ragione.

Let Get It On non va bene. Marvin Gaye non è adatto per‒”

“Ehi, porta rispetto per Marvin Gaye!” il contrasto tra la sua voce alterata e il modo in cui stanno ballando è ridicolo, ma al momento non riesce a pensare anche a questo, “Io non sarei nato senza di lui, i miei genitori si sono innamorati ballando le sue canzoni.”

“Con tutto il rispetto, quelle canzoni parlano letteralmente di sesso.”

Per la sua sanità mentale, Sam sorvola sull’effetto che la parola ‘sesso’ gli fa pronunciata da le sue labbra a un palmo di distanza.

“Facile, così. Prova a mandare lo stesso messaggio mentre balli un lento di Doris Day.”

Doris Day?” Bucky lo lascia lì per cambiare disco e Sam è troppo frastornato per reagire, “James, loro non andranno mai in un locale anni ‘40!”

“Devi entrare nel mood.”

Bucky è di nuovo vicino a lui, una mano di nuovo sulla sua vita come se non ci fosse altro posto che quello.

“Hai mai ballato con un uomo?”

“Non così.”

Bucky annuisce come se si aspettasse esattamente quella risposta.

“Quando balli con una donna i ruoli sono definiti… beh, più o meno. Comunque.”

Un sospiro e non si sa come, non si sa perché, adesso sono molto più vicini di prima. Le guance che si sfiorano e il collo di Bucky a portata di labbra, il profumo tenue del suo dopobarba che lo avvolge. Sam stringe la mascella e decide di fissare un punto a caso davanti a sé.

“Le cose si complicano se balli con uomo, no?” la voce di Bucky è un sussurro e le sue mani sicure su di lui, “Capisci cosa intendo?”

Sam deglutisce: “Sì.”

“Bisogna prendere le misure, mh? Capire chi porta.”

“Stai portando tu.”

Sam lo realizza nel momento stesso in cui lo sta dicendo e un po’ gli manca il respiro.

“Perché tu me lo lasci fare.”

“Ah.”

“Non te l’aspettavi?”

Lo dice così. Senza ironia, senza sottintesi.

Bucky lo guida mentre Doris Day canta di sogni e Sam si fa guidare, lontano da quel buco sul pavimento dove vorrebbe nascondersi.

“Era così che funzionava ai miei tempi. Non potevi andare in un locale e scuotere i fianchi. Tutto doveva essere sottinteso.”

L’accento di Brooklyn rende la voce di Bucky densa come melassa. Sam se la sente scorrere giù per la schiena una parola alla volta e andargli dritta al cazzo.

“Non c’è quel tipo ritmo, non ci sono parole esplicite.” la mano destra di Bucky risale dalla vita e si apre, grande e sicura, in mezzo alla schiena, “Ci siete solo voi due. La musica è una scusa, il locale è un porto franco.”

Sam non lo ammetterà mai, ma questo è meglio di Marvin Gaye. Vorrebbe avere la forza di contrastare l’istinto di chiudere gli occhi, ma non si è mai sentito così debole. Si vergognerà più tardi. Per ora vuole proiettarsi in una sala da ballo degli anni ‘40.

“Ti danno la sola occasione socialmente lecita. Di farti avanti, stargli così vicino, toccarlo. Hai solo un lento e devi fargli capire cosa vuoi da lui. E in che modo lo vuoi.”

In che modo lo vuole. È abbastanza chiaro in che modo Bucky lo vuole. Sam sta scoprendo in che modo lui vuole Bucky in quel preciso momento e non sa come farà a guardarlo in faccia dopo.

“Tutto questo solamente ballando.”

Non c’è modo di descrivere desiderio struggente che stillano quelle parole. È doloroso e bellissimo e Sam vorrebbe avere il coraggio di chiudere il cerchio. Di rispondere al suo richiamo come Bucky merita.

Hiiiiiiissss meeeeow!

Si dividono talmente velocemente che Sam per poco non perde l’equilibrio.

“Possibilmente senza pestare il gatto. Vieni qua, bello. Ti ho fatto male?”

Alpine è tra le braccia di Bucky, adesso, che fusa come un matto e si gode i grattini di scusa per avergli pestato la zampa. Sam non l’ha mai odiato così tanto.

*

Bloccati dal gatto.

Bucky fissa il soffitto, un braccio sotto la testa e l’altro attorno al colpevole che se la ronfa impunito, e si chiede cosa diamine stia sbagliando. Era bravo, ai suoi tempi. Certo sono cambiate tante cose dagli anni ‘40, e la sua vita è già talmente incasinata che ha rinunciato in partenza a rimettersi in pari. Ma il tocco, quello non l’ha perso. Capisce al volo cosa vuole una persona, sa ancora flirtare e soprattutto sa come portare.

Forse si sente troppo sicuro di sé?

Bucky ruota il capo: Sam gli dorme accanto come sempre, anche se quella sera nel mettersi a letto è stato piuttosto difficile, la solita routine spezzata da un imbarazzo che non era mai appartenuto a loro. E pensa che, no, non si sente affatto troppo sicuro di sé, non con Sam.

A volte succede questa cosa tra di loro. Che sia tutto incredibilmente facile e allo stesso tempo impossibile. Come scivolare su una slitta giù per una collina innevata, l’adrenalina alta e le risate e il vento freddo in faccia, solo che poi perdi il controllo e ti vai a schiantare. E con Sam per ora è così: la discesa non finisce morbida, ma si vanno sempre a schiantare.

Oggi la colpa è stata del gatto, ma il gatto è una scusa. Il gatto non c’entra niente con le loro insicurezze.

Bucky sospira nel buio e Alpine gira un orecchio, miagola interrogativo. Ma lui di risposte non ne ha nemmeno per sé, figuriamoci se può darne al gatto.

La mattina arriva che Bucky ha chiuso occhio forse un paio d’ore, e non sarebbe un problema di per sé, se non fosse che non ci è più abituato a non dormire. Non è più abituato nemmeno a svegliarsi senza Sam addosso, e anche questo non dovrebbe essere un problema, ma lo è eccome, lo è moltissimo. È il più grande problema sulla faccia della Terra.

La giornata inizia male e continua peggio: ogni cosa fanno è come interrotta, sospesa.

Non chiacchierano a colazione, perché quelle mezze frasi senza guardarsi non possono certo definirsi chiacchiere. Non si preparano insieme per andare fuori ad allenarsi, perché Sam fa qualunque cosa pur di evitarlo. Non discutono sulla tecnica di combattimento di Sam durante il pranzo, né giocano con Alpine sul divano.

Bucky sente la tensione tra di loro che arriva a ondate e quasi lo soffoca. Ne ha abbastanza. Decide di andare a schiarirsi le idee fuori e si trova davanti alla rosa.

Con molta fatica si sta facendo strada sul palo, e loro non ne sanno molto di rose in generale né di giardinaggio particolare. Potrebbe anche essere che la povera pianta muoia sotto i loro occhi senza che loro possano farci niente. Di sicuro al momento non se la sta cavando granché bene.

Quando Sam lo raggiunge, ha le cesoie in mano e non si volta a guardarlo, non gli lancia il suo solito sorriso. Non vuole incontrare di nuovo la freddezza con cui si è scontrato nelle ore precedenti, non la sopporta più.

“Non lo so se è il momento di potarla.”

“Non lo so nemmeno io, ma i rami vanno da tutte le parti tranne che nella direzione giusta.”

“Forse dovremmo lasciarla fare.”

La voce di Sam è più soffice di quel che si aspetta. Bucky si degna finalmente di guardarlo e la sua espressione aperto gli fa stringere il cuore.

“Sì? Senza controllo? Non mi sembra una grande idea.”

Sam sostiene il suo sguardo, l’ombra di un sorriso che si fa strada sul volto.

“Si, tu sei quello che non fa nulla senza un piano.”

Bucky serra la mascella e sospira teso, scuote la testa.

“Quindi? Cosa suggerisci?”

“Ti ricordi quando abbiamo riparato la barca insieme?”

Sam si avvicina e afferra il bastone che settimane prima avevano piantato lì, lo toglie con uno strattone. Bucky lo guarda in silenzio, in attesa.

Sam gli lancia un sorrisetto e lo guarda da sotto le ciglia. Bucky sente il cuore battere come se avesse ripreso dopo una vita intera.

“A volte c’è bisogno di guardare le cose da un’altra prospettiva.”

*

Decidono di andare a mangiare fuori, qualche giorno dopo.

Non è un appuntamento. Non viene nemmeno menzionata, la parola ‘appuntamento’. Perché sarebbe ridicolo e fuori luogo, no? Vivono insieme, dormono insieme, mica hanno bisogno di un ‘appuntamento’.

E poi, perché lo si possa definire ‘appuntamento’, dovrebbe esserci qualcuno che chiede a qualcun altro di uscire insieme. Invece tutto quello che succede è che Sam si lamenta che mangiano sempre le solite cose, e Bucky risponde che possono sempre ordinare qualcosa all’unica pizzeria giù in paese, e Sam ribatte che non fanno le consegne fino a lì quindi dovrebbero andare a prendere le pizze di persona e così arriverebbero a casa già fredde. Allora Bucky dice che nessuno impedisce loro di restare in paese a mangiare, se vogliono, e Sam risponde che non è una cattiva idea, potrebbero fare venerdì sera. E Bucky dice sì, va bene, e Sam anche dice che va bene. E così è deciso, venerdì sera.

Quindi no, non è un appuntamento, per niente. Sono due amici che decidono di andare a mangiare una pizza insieme, tutto qui. Che il commento iniziale di Sam sia stato fatto di proposito, non ha alcun peso. Anche perché Bucky non verrà mai a saperlo.

Guarda caso, Sam si trova ad aspettare quel giorno con una trepidazione che ricorda appartenere a ben altre circostanze. E quando venerdì arriva, si scopre a frugare nell’armadio in cerca dell’outfit giusto come faceva quando si stava preparando per uscire con qualcuno. E mentre si prepara, si sistema la barba con cura e tentenna a lungo prima di decidere se e quanto dopobarba usare.

Sam cerca di ridimensionare. È la prima volta che escono, che fanno qualcosa di diverso, ovviamente è elettrizzato.

Sam cerca di ridimensionare e non è facile. Bucky ha indossato la giacca e vorrebbe non notare che si è fatto la barba e si è sistemato i capelli, ma lo nota.

“Sei pronto?”

Bucky afferra le chiavi della moto e gli porge il suo casco. Sam non ha tempo di obiettare che lui è già fuori casa e ha acceso il motore.

La strada che va dal cottage al paese non è lunga. Per lo meno in auto. In moto sembra durare un’eternità. Sam sospetta che sia tutta una sua percezione, perché poi, quando parcheggiano davanti alla pizzeria e smontano, già gli manca stare in sella dietro a Bucky.

La pizzeria è piccola e raccolta, certamente niente di elegante. È frequentata solo dagli abitanti del posto e Sam, che nemmeno si è sforzato chissà quanto nel proprio vestiario, si sente lo stesso un po’ fuori posto.

Quella sera, davanti alla prima pizza in quasi un anno e con il bicchiere sempre pieno di vino, Sam pensa che è tutto, in qualche modo, fuori posto.

Troppe aspettative? Lui è un tipo con i piedi per terra, il che fa un po’ ridere se pensa che il mondo lo conosce con il nome di Falcon, il supereroe che combatte i cattivi letteralmente volando. Ma la verità è che Sam ha imparato a volare a forza di cadere e rialzarsi. E ogni volta che mette su le ali ha Riley impresso nella mente. Per questo non fa piani né programmi, per questo non si fa troppe aspettative e lascia che le cose vadano per il loro corso. Perché ogni volta potrebbe essere l’ultima, quindi perché non darle una possibilità?

Perché non dare una possibilità anche a loro?

“Vuoi il dolce?”

Sam beve un sorso di vino e annuisce, anche se il tipo di dolce che vuole non è lo stesso che intende Sam.

Si dividono una fetta di cheesecake in una gara di forchettate. Alla fine Sam gli lascia l’ultimo boccone: Bucky ha un debole per i dolci. ‘Mmmmh’ fa mentre mastica quell’ultimo boccone. E forse ‒ no sicuramente ‒ è il vino che parla ma Sam vorrebbe tanto essere quella cheesecake.

Quando escono fuori, la piccola città è silenziosa e sotto la luce dei lampioni non si vedono e stelle che sono abituati a vedere dal giardino del loro cottage. Sam rabbrividisce per l’aria fredda della sera.

Bucky si tira via la giacca e gliela porge. Sam lo fissa perplesso.

“Non è che io posso morire di freddo.”

Sam non può obiettare, per cui prende la giacca borbottando un ‘grazie’. Ha l’odore del dopobarba di Bucky e Sam deve trattenersi dal annusarla.

“La prossima volta portati qualcosa per coprirti. Lo sai che sei freddoloso.”

Bucky monta sulla moto e Sam guarda le sue mani. Ha tenuto su i guanti per tutto il tempo e è una nota talmente stonata da farlo incazzare. Lo capisce il perché, eh, ma non per questo deve piacergli. Infatti a Sam non piace. È il perfetto sunto di tutto ciò che era fuori posto in quella serata.

“La prossima volta prendiamo le pizze e le portiamo a casa.”

Bucky gli lancia un’occhiata confusa.

“Arriveranno fredde.”

Sam indossa il casco e monta dietro di lui.

“E vuol dire che le riscalderemo.”

Quella notte, nonostante, la pancia piena e l’alcol che gli intorpidisce il cervello, nemmeno Sam riesce a prendere sonno. E quando alla fine crolla, sogna di rose rosse come il vino che avvolgono la loro casa fino a soffocarli dentro.

Sam si sveglia di soprassalto, con il fiato corto e il cuore che pulsa feroce in gola. Ha una mano artigliata al braccio bionico di Bucky. Il metallo sotto le dita è rassicurante, come un’ancora che lo tiene attaccato alla realtà.

Un fruscio di coperte e Bucky lo afferra saldamente.

“Era da un pezzo che non facevi incubi.”

“Sarà stata la pizza.”

Alpine si muove su di loro, cercando un posto adatto dove fare la palla nella nuova disposizione.

“Nah, era cheesecake. Aveva qualcosa di strano.”

Sa, gli dà un gomitata: “Già, così strano che te la sei finita tutta.”

“Ho cercato di salvarti da un’intossicazione alimentare.”

Sam sbuffa una risata ed è talmente felice che le cose si siano un po’ sciolte tra di loro che sente chiudersi la gola. Non lo sa come andrà, e Bucky nemmeno. Stanno andando a tentoni nel buio e forse è così che deve andare, forse è così che due come loro possono trovarsi.

Provando e cadendo e rialzandosi. Dandosi tempo.

“Il mio eroe.”

“Non c’è di che.”

Sam si addormenta col respiro di Bucky sulla nuca e la mano ancora salda sul polso di metallo. Non ha idea che il loro tempo in quella bolla sia in scadenza.

 

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