Coming Out

di Sofifi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: Le sopracciglia di Rose ***
Capitolo 2: *** 2: Crescere insieme ***
Capitolo 3: *** 3: Il treno dei desideri ***



Capitolo 1
*** 1: Le sopracciglia di Rose ***



 

Coming out
1: Le sopracciglia di Rose




 
 
Albus entrò in Sala Grande coi pugni tremanti nascosti nelle tasche ormai sformate della felpa rossa, ancora addosso dal giorno prima.
Erano passate quindici ore da quando quella pettegola di Rose Weasley l’aveva beccato con le mani nel sacco – le dita incastrate a quelle di Scorpius – in un corridoio semideserto del settimo piano; quindici ore da quando si era schiarita la gola e Albus si era accorto della sua presenza e del suo sguardo curioso, giudicante e malizioso.
Immediatamente il ragazzo si era chiesto quanto la cugina avesse effettivamente visto o compreso, quante di quelle promesse sussurrate avesse udito, e non aveva potuto che rispondersi con troppo. Sarebbe bastato così poco, dopotutto, per capire; soprattutto ad una ragazza sveglia come Rose. Eppure il modo in cui lei aveva alzato le sopracciglia l’aveva atterrito come un colpo d’arma da fuoco – bum, bum, bum – che ancora riecheggiava nel suo animo agitato; con un gesto così piccolo e all’apparenza insignificante era riuscita a farlo sentire debole, nudo, sbagliato, sporco… e Albus, la notte, si era ritrovato a pregare che quel turbamento lo portasse via per sempre – sarebbe stato tutto più semplice.
Dopo una mattina spesa a nascondersi in camera e ad immaginarsi gli esiti peggiori di un alquanto probabile outing, Albus aveva accettato il fatto che non sarebbe morto così, aveva raccolto tutto il poco coraggio Grifondoro che gli restava, ed era sceso per il pranzo.
Mentre camminava verso la tavolata della sua casa, cercava una via d’uscita da quella situazione spiacevole. Era piuttosto sicuro, dopotutto, che la cugina non avesse assistito ad alcun bacio, quindi forse era ancora in tempo per smentire ogni accusa, e negare, negare, negare tutto – come un codardo.
Forse, forse… Forse, eppure no. Non poteva farlo.
Non avrebbe rinunciato a Scorpius, e la sola idea di aver lasciato che quello stupido pensiero si insinuasse nel suo cervello gli dava la nausea.
Non avrebbe rinunciato a Scorpius.
E nonostante la sera prima, in preda al panico, avesse eluso il suo abbraccio e ignorato le sue parole di conforto, Albus voleva ancora farsi stringere da quelle braccia sicure, voleva ancora ascoltare quella voce calda sussurrargli parole che sapevano d’amore, voleva ancora far sfiorare le loro labbra screpolate e sentire quei brividi scuotergli le ossa e… Albus si chiese se anche Scorpius provasse le stesse sensazioni che provava lui, quando erano insieme. Perché sebbene si imbarazzasse ancora ad ogni bacio, quando sentiva il respiro di Scorpius sfiorargli la pelle la sua fantasia si faceva più audace e andava a finire in luoghi che, a mente di nuovo lucida, si vergognava persino di aver la faccia tosta di immaginare. Eppure, se Scorpius avesse voluto… Beh, allora il suo pensiero non sarebbe più stato poi così impudico, e lui avrebbe potuto smettere di provare quella sensazione di imbarazzo costante che lo accompagnava ogni qualvolta fossero insieme.
Albus stava ancora pensando ai baci del suo ragazzo quando si ritrovò fermo nel bel mezzo della Sala Grande. Sperò per un istante di non essere lì impalato da troppo tempo, di non essersi fatto una figura da imbecille, ma i suoi pensieri furono ben presto rabbuiati da una ben più amara consapevolezza: le sue gambe si erano fermate per un motivo ben preciso, lui non ce l’avrebbe fatta ad affrontare tutto quello. Non così presto. Perché chissà a chi l’aveva già detto Rose, e chissà che stava pensando suo fratello – se già lo sapeva –, e chissà, chissà, chissà. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarlo, quel tavolo, figurarsi quello di sopportare la reazione di tutti i suoi parenti!
Parenti serpenti, come ripeteva Lily ad ogni occasione.
Ed effettivamente era comico, pensò Albus, che i veri serpenti fossero seduti al tavolo dei Grifondoro e che invece proprio sua sorella fosse tra i Serpeverde.
Eppure era proprio da allora, dallo smistamento di Lily Luna, che il rapporto con i cugini – e con James – aveva cominciato a sgretolarsi; e nonostante sua sorella sopportasse le battute con onore, Albus sapeva. Perché lui era rimasto, senza prese in giro.
Sapeva che sua sorella aveva completamente perso la fiducia nella famiglia durante il primo anno ad Hogwarts; l’aveva vista crescere e cambiare velocemente davanti ai suoi occhi, diventare ogni giorno più scaltra, più egocentrica, più egoista... come se il mondo l’avesse delusa profondamente e continuasse ogni giorno a farlo un pochino, un pochino più.
L’aveva vista, e l’aveva stretta a sé nei giorni più bui. Sei la mia unica certezza, Al. E di almeno una cosa, Albus ne era proprio sicuro: quel sentimento era reciproco.
Fu così che il ragazzo cambiò piano d’azione all’ultimo momento, perché se Lily fosse stata al suo fianco, tutto il resto avrebbe perso importanza; e lui, allora, sarebbe riuscito ad affrontare qualunque cosa. E Lily, sì… lei lo avrebbe accettato… ne era abbastanza sicuro.
Albus fece vagare lo sguardo per il tavolo di Serpeverde e quasi immediatamente individuò la sorella. Era seduta a pochi posti di distanza da Scorpius, che aveva alzato gli occhi dal suo piatto di lenticchiesenzacotechino, e grazie mille, e lo stava osservando. Probabilmente era preoccupato per lui, eppure Albus non riusciva mai a decifrare il suo sguardo, quindi per quel che ne sapeva poteva persino essere arrabbiato... magari proprio perché aveva saltato le lezioni della mattina senza dirgli nulla... Però in quel momento non era importante. O, insomma, lo era, ma non quanto riuscire a parlare con sua sorella; inoltre non voleva dare a Rose una ragione per fare qualche commento inopportuno, quindi girò subito la testa e per raggiungere Lily circumnavigò il tavolo dei Serpeverde prendendo la strada più lunga, evitando così del tutto Scorpius.
La sorella, non appena notò che Albus si avvicinava, si spostò sulla panca per fargli spazio, addossandosi ad Ileen, che venne presa alla sprovvista da quel contatto di cosce e fece cadere la forchetta a terra, facendo sghignazzare Lily.
Albus però non voleva sedersi, non voleva mangiare, e non voleva restarsene in quella stanza un secondo di più, a dirla tutta, e quindi glielo chiese: “Puoi venire un momento?”
Forse Lily notò il tono supplicante, forse la mano tremante che usciva dalla tasca e si poggiava al suo braccio, forse gli occhi cerchiati. Forse tutto, forse nulla. Eppure con un sorriso rispose certo, si alzò, e tenendogli stretto il palmo sudato si allontanò dalla Sala Grande assieme a lui.
 
I due fratelli camminarono per i corridoi di Hogwarts in silenzio, scendendo sempre più in basso.
Lily, estremamente preoccupata dal mutismo soffocante di Al, cominciò ad allarmarsi un po’ più ad ogni gradino: c’era un’aula nei sotterranei dove erano soliti rifugiarsi per parlare di cose serie, serie davvero… e sembrava proprio che il fratello la stesse conducendo lì.
Mentre stringeva forte la mano di Albus e gli lanciava occhiate inquiete, Lily sapeva di starsi avvicinando ad una gabbia: l’atmosfera si faceva sempre più soffocante e lei si faceva intimorire così facilmente da ciò che era veramente importante... Eppure continuava a camminare, un unica certezza nel cuore: se ci fosse stato chiunque altro al suo fianco avrebbe già trovato una scusa per darsela a gambe. Ma quel giorno non sarebbe di certo scappata, perché la mano che teneva stretta stretta nella sua era quella del fratello e per lei non c’era nessuno di altrettanto importante, neppure se stessa.
Quando finalmente giunsero davanti a quella porticina di legno antico, Albus tentennò. Che abbia cambiato idea?
La rossa, che aveva ormai dissimulato ogni traccia di tensione e di timore dal volto, rivolse lo sguardo gentile al fratello, gli sorrise, e gli offrì un’alternativa: “Possiamo andare nel mio dormitorio, se vuoi. Siamo vicini.”
Ma Albus si strinse nelle spalle.
“Va bene qui.”
Allora Lily aumentò ancora un po’ la presa sulla sua mano tremolante e, trascinandosi dietro il fratello, entrò nell’aula in disuso.
 
Albus continuava a sudare nonostante l’aria fredda dei sotterranei. Anche lui si sentiva in trappola, lì dentro, e l’unico motivo per cui riusciva ancora a stare in piedi era la mano di Lily stretta attorno alla sua. Non lasciarla, sperò, e per fortuna Lily non pensò di farlo neppure per un istante.
Era il suo unico appiglio, quella mano piccola e morbida, l’unica ragione per cui riusciva ancora a starsene in piedi.
“Cos’è successo?”
La domanda di Lily arrivò così come se l’era immaginata: presto e dritta al punto.
Albus non si aspettava che Lily sapesse già qualcosa di ciò che forse era successo. Lei, dopotutto, non sapeva mai nulla dei gossip di famiglia; se n’era tirata fuori dopo quel primo voltafaccia, tant’è che nessuno dei cugini ormai la cercava più per condividere le notizie, neppure le più succulente, e proprio per questo a volte Albus si chiedeva se gli altri la considerassero ancora parte della famiglia. Per paura di una delusione troppo, troppo grande, però, non aveva mai osato indagare… Anche perché probabilmente la prima a non considerarsi più parte di loro era proprio Lily; lei che si spazientiva con una velocità allarmante, lei che perdeva speranza nelle persone così facilmente, alla prima occasione, e che non cambiava mai idea. No, con Lily non si tornava indietro: al contrario suo, lei non accettava scuse, e le chiamava baggianate.
Albus puntò lo sguardo in quello fermo ma rassicurante della sorella; pian piano la paura andava scemando e il viso di Al riacquistava colore. Si sentiva un po’ più sereno lì con lei, il mondo chiuso fuori dalla porta, lontano.
Gli occhioni della sorellina sembravano volergli dire Parla, e poi ci penso io. Tu parla solo, e solamente guardandola Albus riuscì a raccogliere il coraggio per schiarirsi la gola. Da dove partire, però? Da dove cominciare a spiegare? Cosa omettere? Cosa raccontare?
Iniziare a parlare, lo sapeva, sarebbe stata la parte più difficile. Anche perché Albus non trovava proprio i termini adatti a spiegare Scorpius e tutte le sensazioni confuse che gli faceva provare, e le parole che gli venivano in mente erano sempre sbagliate – troppo grandi o troppo piccole o troppo strane o troppo difficili da ammettere e pronunciare.
Eppure, nonostante Albus non si sentisse affatto pronto per uscire allo scoperto, sapeva di non avere alternative – il timer era ormai partito da più di quindici ore e il tempo non si sarebbe di certo fermato per fargli un favore. Quella era quindi l’unica possibilità che gli rimaneva per fare le cose a modo suo, per usare le sue parole, per appiccicarsi addosso con le sue stesse mani un’etichetta che ancora lo faceva tremare, un’etichetta che Scorpius diceva Non è niente di male ma che poi tutti...
E no, alla fine non era neppure la sua confusione il problema principale, perché un giorno quella melodia stonata che gli risuonava nella testa, ne era certo, avrebbe avuto un senso. Il problema era per l’ennesima volta Rose Weasley; e allora Albus cominciò dalla fine, così come aveva fatto Lily a suo tempo, perché sapeva che lei avrebbe capito.
Cominciò dalla fine e sussurrò: “Rose ha alzato le sopracciglia.”
Una frase del genere, pronunciata con tono drammatico, sarebbe facilmente parsa ridicola in un contesto diverso, ma Lily sapeva bene ciò a cui si riferiva Albus.
Quell’espressione faceva apparire Rose estremamente crudele – o decisamente se stessa, avrebbe potuto specificare Lily, che era certa che la cugina nascondesse tra le sopracciglia la sua vera natura – e insomma: quella smorfia maligna non poteva che presagire guai grossi.
“In quel modo?” si premurò comunque di appurare la minore.
“Sì.”
Lily espirò rumorosamente, lasciando cadere la testa sul petto del fratello.
“Tipico,” constatò. “Ma perché, poi?” continuò subito dopo, soffiando sulla stoffa.
Poiché il vero problema, lo sapevano entrambi, non poteva ridursi soltanto alle sopracciglia di Rose; strappargliele una volta per tutte, infatti, non avrebbe risolto un bel niente.
“Ha visto me e Scorpius in un corridoio del settimo piano, ci tenevamo per mano.”
Facendo perno col mento, Lily si stirò verso l’alto. Da quella posizione aveva un’ottima visuale sulle narici di Albus, ma di sbieco riusciva ad osservarne anche gli occhi – che continuavano a schivarla e a vagare sulle pareti ammuffite.
Lei ridacchiò: “Ma dai...”
“In che senso?”
Lily scosse piano il fratello con la mano sinistra, quella libera, e aspettò che incrociasse il suo sguardo. Manteneva un’espressione divertita, come di chi la sa lunga.
“In che senso?” ripeté il fratello, agitato.
Lily sorrise. “Al, anche noi ci stiamo tenendo per mano.”
Albus arrossì, rendendosi conto di non poter lasciare così tanti sottintesi ed aspettarsi che la sorellina, che aveva ancora tredici anni, capisse. Una mano, per Lily, forse era ancora soltanto una mano.
E allora cominciò a balbettare perché, , però, mah, ad inciampare sulle sue stesse parole e rigirare attorno a quello che aveva già detto e al fatto che le mani, e le dita incastrate... e che i nostri corpi erano così vicini e che era palese.
Lily districò quella matassa di informazioni con maestria e infatti, non appena Albus finì il suo discorso confuso, gli chiese se intendeva avessero ancora la faccia rossa dai baci e lui annuì… Insomma, più o meno era quello il riassunto. Lily pensò subito che neppure a lei sarebbe piaciuto essere vista con la faccia rossa e coi capelli scompigliati come Cadyah quando era tornata dal suo appuntamento con Nathaniel; eppure, dato che non era stupida, capì anche che non era certamente l’aspetto stropicciato di suo fratello ciò che aveva fatto alzare le sopracciglia a Rose.
Lily sapeva che Scorpius e suo fratello erano in buoni rapporti, ma non si era mai immaginata che i due potessero piacersi anche in quel senso. Insomma, a dir la verità non aveva pensato spesso a chi potesse essere la persona adatta ad Al, ma di certo…
“Non pensavo fosse il tuo tipo.”
La ragazza aveva utilizzato un tono neutro, privo di giudizi, eppure Albus sobbalzò nell’udire quelle parole, ed esitante le chiese perché.
Lily si strinse tra spalle, non sapeva bene nemmeno lei cosa dire… era solo una sensazione un po’ così, a pelle, la sua.
“Non mi aspettavo che ti piacessero i biondi...”
La verità era che Lily non aveva immaginato spesso il fratello in una relazione, ma le poche volte che l’aveva fatto la persona al suo fianco aveva sempre i capelli rossi… Eppure... Lily decise di tenere quel pensiero per sé.
“Però non sono un problema… i suoi capelli, intendo,” continuò lei mordendosi il labbro.
Albus si sentì sollevato da quella risposta ma per scrupolo, nonostante stesse ancora dandosi mentalmente dell’idiota per aver dubitato della sorella, chiese un’ultima, ulteriore conferma: “Quindi non ti dà fastidio, giusto, che sia un maschio?”
Lily sorrise.
“No, assolutamente no.”
Lily era ancora piccola, ma non era stupida: sapeva che quella rivelazione avrebbe potuto recare fastidio a qualcuno, anche se non avrebbe dovuto, e sapeva che suo fratello stava già percorrendo una strada in salita, che avrebbe continuato ad essere ostacolata dall’insignificante giudizio negativo dei cafoni che non sapevano far altro che condannare gli altri a causa della loro ignoranza. Lily sapeva e capiva, perché aveva già sperimentato sulla propria pelle gli effetti dei pregiudizi crudeli, ma aveva anche già sperimentato l’unica cosa utile a sconfiggerli: la comprensione.
E, nonostante Albus potesse avere già una certezza dai capelli biondi, anche lei avrebbe fatto la sua parte, per lui. Anche lei l’avrebbe protetto, difeso, abbracciato. Anche lei l’avrebbe amato nei giorni più bui.
Ed insieme avrebbero affrontato qualunque cosa.
 
Albus e Lily passarono il resto del pomeriggio in quell’aula ammuffita, a parlare di tutto e di nulla.
Sapevano entrambi che ad attenderli, il giorno seguente, ci sarebbe stata una qualche noiosa punizione – ma non lo ritennero importante. Per Lily sarebbe stata la prima ed ultima della sua intera carriera scolastica: un’unica macchia indelebile destinata a restare per sempre sulle scartoffie con sopra il suo nome – per lo meno in quelle raccolte negli archivi polverosi di Hogwarts. Nel portfolio di Albus, invece, quel documento avrebbe certamente dato meno scalpore; in mezzo a tanti altri fogli simili, dopotutto, era molto più semplice che passasse inosservato.
Entrambi sapevano ciò che sarebbe loro spettato, ma entrambi pensarono che le baggianate del mondo esterno avrebbero potuto aspettare ancora un po’.
Tra quelle quattro mura di cemento crepato si illudevano che il mondo girasse per il verso giusto, e per quel pomeriggio andava bene così. Stavano bene così.
 




 
 
 
 
 
 
 







 
Angolo Autrice:
 
Ciao e grazie per essere arrivat* fin qui!
Spero che il primo capitolo di questo piccolo progetto scritto di getto vi sia piaciuto. Io non so ancora se esserne soddisfatta o no, perché solitamente sono una lumachina e, per scrivere una pagina, ci metto una settimana! Però voglio cambiare… e questo è un inizio, il mio inizio...
Ho già scritto i primi tre capitoli di questa mini-long, quindi gli aggiornamenti saranno costanti (una volta alla settimana o ogni due, a seconda di come sarò messa con gli esami), i capitoli – in teoria – saranno 5, anche se può capitare che le cose da dire si moltiplichino – inizialmente la storia doveva averne solamente 3!
 
Per chi segue Black Widow: ricordatevi le lenticchie senza cotechino di Scorpius!
Volevo anche aggiungere che in questo universo narrativo gli elfi sono ormai considerati alla stregua degli esseri umani, e quindi non svolgono più tutte le funzioni di prima, hanno turni di lavoro più corti e, in generale, diritti… Questo avrà piccole ripercussioni sulla trama: banchetti meno ricchi, alcuni lavoretti in più di cui si devono occupare gli studenti, etc…
Le divise non sono più obbligatorie se non nelle cerimonie ufficiali, ma alcuni studenti scelgono di metterle comunque (anche questo si noterà sia qui – nei prossimi capitoli – che in BW).
La storia è ambientata nel 2021-2022, due anni prima, quindi, della mia long in corso Black Widow, quindi spero di riuscire a trasmettervi lo spirito del nostro tempo? in maniera adeguata!
Fatemi sapere cosa pensate dei personaggi, sono molto curiosa!
Un abbraccio virtuale e a presto,
 
Sofifi


 

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Capitolo 2
*** 2: Crescere insieme ***


 
Coming out
2: Crescere insieme





 
Caro Albus,
 
Abbiamo riflettuto molto prima di scriverti questa lettera.
Ci sono giunte notizie su quanto è accaduto pochi giorni fa a scuola – tra tanti parenti, capita spesso che qualcuno si lasci sfuggire qualcosa – e volevamo assicurarci che tu stessi bene.
Forse avremmo dovuto far finta di nulla e aspettare che fossi tu a (ri)svelarci la novità, ma lo sai, non avrebbe proprio fatto per noi. Non sapendo come la notizia è stata presa dalle persone attorno a te, infatti, abbiamo pensato che sarebbe stato meglio ammettere ciò che abbiamo sentito e recapitarti le nostre parole di appoggio il prima possibile.
Ci siamo sempre fidati del tuo giudizio, quindi siamo sicuri che Scorpius sia un bravo ragazzo e non vediamo l’ora di conoscerlo (ma non c’è fretta, se preferisci puoi anche scegliere di attendere un po’ prima presentarcelo uff...dai, Ginny...icialmente – ti prometto che aiuterò la mamma a trovare la pazienza di aspettare).
Dato che tra poche settimane sarà Natale, volevamo anche dirti che puoi invitare Scorpius per le vacanze, se vuoi; magari non proprio il 25 che andiamo dai nonni e probabilmente anche i Malfoy sono impegnati, ma nei giorni festivi successivi… Insomma, volevamo darti il via libera, però pensaci tu ad organizzarti come meglio preferisci!
Sicuramente sai già che io e la mamma non vediamo l’ora di riabbracciarvi tutti e tre – ci mancate davvero tanto e abbiamo già cominciato a contare i giorni che ci separano dal vostro ritorno. Insomma, siamo proprio felici di potervi vedere presto. E vi vogliamo tanto, tanto bene.
Speriamo che tu sappia che puoi contare sempre su di noi, e ci auguriamo di poter approfittare delle vacanze per parlare un po’. Ma, in ogni caso, ricorda: se mai avrai bisogno di noi, dovrai solo chiamarci. Siamo e saremo sempre disponibili per te, James e Lily, perché voi venite prima di qualunque altra cosa.
Forse ora è meglio chiudere la lettera, che rischiamo di diventare troppo sentimentali. Speriamo davvero di non esserci impicciati troppo e che queste parole siano riuscite a rasserenarti.
Ricorda che ti vogliamo bene.
Un bacione,
 
Papà e mamma
 
 
 
Albus si trovava nel dormitorio dei ragazzi del quinto anno, solo.
I suoi compagni erano da poco usciti dalla stanza con i loro pesanti bauli e lui stava finendo di inserire gli ultimi oggetti nella sua valigia azzurra ormai strapiena.
Teneva una pergamena sgualcita tra le dita. Una lettera letta e riletta centinaia di volte, perché colma di parole capaci di infondergli coraggio e speranza: la lettera dei suoi genitori. Il ragazzo la ripiegò attentamente e la infilò tra le pagine del libro di pozioni che si sarebbe portato a casa per le vacanze di Natale. E poi sospirò.
Erano passate esattamente due settimane dal suo coming out con la sorella; tredici giorni da quando i compagni di stanza l’avevano aggredito verbalmente – perché ; e sempre tredici giorni da quando James glielo aveva chiesto – se ; dieci giorni da quando aveva ricevuto quella lettera speciale e aveva capito che Rose ormai lo aveva spiattellato proprio a tutti; e otto giorni da quando Scorpius gli aveva sussurrato per la prima volta ti amo e lui gli aveva risposto credo di farlo anche io senza tremare.
 
                                                                                                                                                                              “Cinque anni nella stessa stanza e non ti è mai venuto in mente di dirci qualcosa, eh.”
 
Ma quindi è vero, che ti piace... lui?”
Sì.”
 
Albus, guardami negli occhi, devo dirti una cosa.”
Cosa?”
Ti amo.”
Credo di farlo anche io.”
 
E no, in quei quattordici giorni Albus non aveva ancora trovato l’audacia per chiedere a Scorpius di più, però aveva trovato il coraggio per baciarlo per primo, ed era già un traguardo importante. Ma era diventato più facile lasciarsi andare da quando tutto quello che c’era tra loro non era più un segreto: poteva la sua condanna essere, in fondo, anche una liberazione?
Albus si stese sul letto. Guardando il soffitto non sapeva se piangere o ridere e per sicurezza fece entrambe le cose. Era tutto così diverso da due settimane prima – ma era ancora tutto così strano.
E se Albus, da una parte, non vedeva l’ora di tornare a casa, dall’altra temeva quel momento, ed in particolare il giorno di Natale: perché allora sì che avrebbe incontrato proprio tutti i suoi parenti. Alla faccia di quei pochi, a dire il vero, che ancora frequentavano Hogwarts.
Se solo avesse potuto, Albus avrebbe colto al volo l’occasione di cancellare quella festività dal calendario; ma purtroppo certe cose sono impossibili nonostante la magia, e il ragazzo lo sapeva bene. Eppure perdersi in un mondo in cui tutto era fattibile, a volte, era divertente. Lui e Lily; un’avventura per rubare il Natale. Qualche GiraTempo e tanto divertimento, nessun parente tra le palle...
Fu un rumore sordo ed insistente a distogliere Albus dai suoi pensieri sovversivi: qualcuno stava bussando.
Albus disse avanti, svogliatamente, ma non si alzò dal letto. Chiunque avesse dimenticato qualcosa in camera, dopotutto, avrebbe potuto aprire da solo quella porta.
Il qualcuno che entrò nella stanza, però, non era un qualcuno qualunque, e Albus lo capì non appena ne intravide la sagoma attraverso le tende rosse e lise del suo baldacchino.
Dall’alto del suo metro e settanta Scorpius, completamente immerso nel rosso fluttuante, osservava Albus con sguardo curioso.
“Non dovresti startene qui a sonnecchiare, è quasi ora di partire,” disse, prima di spostare lo sguardo dal ragazzo alla valigia ancora aperta ai piedi del letto, e alzare gli occhi al cielo.
“Al!”
Albus si morse il labbro, arrossendo, e si tirò a sedere sul materasso.
“Ho quasi finito, davvero. Mi sono solo perso un attimo nei miei pensieri...”
E allora Scorpius sorrise comprensivo, nonostante il groppo in gola, spalancò le tende del baldacchino con un colpo di bacchetta e prese posto sul bordo del letto.
“Va tutto bene?”
E in quel momento Albus avrebbe voluto urlare di e poi piangere no, rivelare tutte le delusioni ricevute negli ultimi giorni, lamentarsi di Rose e dei suoi compagni di stanza, chiedere al ragazzo cosa ne pensasse di questo e di quello… ma poi si rese conto che era da tanto, tantissimo tempo che lui non faceva la stessa domanda a Scorpius, a lui che c’era sempre stato, a lui che l’aveva sempre rassicurato, a lui che lo amava.
“Sì, tutto bene...” balbettò quindi, “E te, invece?”
Il maggiore, anche se di pochissimo, sospirò.
“Una merda,” ammise, “perché sai che voglio dire di te ai miei, e che ti amo, e che non mi vergogno affatto di farlo. Ma pur sapendo tutto questo, c’è una parte di me che ha paura… che ha il timore che qualcosa possa andare storto e...”
Albus appoggiò la guancia sulla spalla di Scorpius.
“E avrei voluto poter stare assieme a te, stamattina, perché almeno sarei riuscito a pensare ad altro… Ma forse tu avevi bisogno, al contrario, di startene solo col tuo cervello… E quindi è una merda.”
Albus lasciò un bacio nell’incavo del collo di Scorpius prima di stringersi attorno a lui e cominciare a parlare a pochi centimetri dalla sua pelle.
“Scorp… Ti devo chiedere scusa, ultimamente sono stato preso più da me stesso e dai miei problemi che da te e-”
“Non importa, Al, è comprensibile.”
“Comunque puoi restare, se vuoi, mentre finisco… E poi scendiamo assieme.”
Scorpius si voltò verso Albus, storse il collo e fece sfiorare i loro nasi.
“Vuoi?” chiese in un soffio che fece trapelare tutta la sua insolita insicurezza. Vuoi che resti?
“Io ti voglio sempre,” rispose il minore con serietà.
E fu allora che Scorpius lo fece: arrossì, poi piegò gli angoli della bocca verso l’alto, e infine si lasciò cadere di schiena sul materasso, ridendo.
Albus guardava il fidanzato con occhi sgranati, chiedendosi che…
“Che hai da sghignazzare?”
Scorpius si coprì il viso con le mani ossute e continuò a ridere, rosso come i suoi pensieri.
Anche Albus si fece ricadere sul letto, accanto a quello Scoprius inconsueto che non la voleva smettere di… Il ragazzo prese una boccata d’aria e continuò a sorridere.
“Ho detto qualcosa di buffo?” fece Albus, beandosi della vista su quel volto ridente – suprema estasi dei sensi.
“No, niente,” sghignazzò Scorpius.
“Niente?”
“Niente.”
Eppure il biondo non ce la faceva proprio a smettere di sorridere – scintille dissolute ad infiammargli gli occhi solitamente glaciali. E allora Albus gli piantò il broncio.
“È che prima…” cominciò quindi a rivelare Scorpius, “Mi hai fatto venire in mente una cosa...”
“Una cosa? Una cosa in che senso?”
“Una cosa sexy,” svelò il maggiore, prima di ricominciare a ridere.
La pelle di Albus prese lo stesso colore del tendame di quella stanza. Era possibile che avesse sentito bene? Scorpius gli aveva davvero detto quelle parole? Oh, cavolo. Oh, cavolo. E proprio quando stavano per separarsi per le vacanze, che di comune accordo avevano deciso di trascorrere lontani…
Doveva per forza aver capito male, eppure Albus quelle quattro lettere non poteva essersele immaginate… O meglio, , ma solitamente i suoi pensieri non avevano il volume.
Il silenzio, senza più il suono delle risa di Scorpius, si era fatto pesante e imbarazzato; Albus era completamente perso nei meandri della propria testa – posso, non posso, voglio, dovrei, sono pur sempre un Grifondoro e pensava, pensava, pensava che forse.
Forse avrebbe dovuto ammetterlo: “Anche io, a volte, penso cose sexy su di te.”
E allora lo disse.
Improvvisamente l’aria si fece elettrica, ma l’assenza di parole non era silenzio: il frastuono di due cuori impazziti riempiva la stanza, non lasciando spazio per alcun altro tipo di rumore, per nessun suono da articolare. Entrambi si facevano le stesse domande, ognuno nella propria testa, ognuno senza trovare risposte.
Scorpius aiutò Albus a finire le valigie. Lavorarono insieme, evitandosi; entrambi erano spaventati e storditi dalla loro nuova consapevolezza.
Crescere faceva decisamente paura. Crescere insieme, però... avrebbe potuto rendere il tutto più dolce.
“Al?”
“Mh?”
“Non c’è niente di male in quello che ci siamo detti. Lo sai, vero?” L’interrogativo rivolto al fidanzato era quasi più un pensiero espresso ad alta voce che una vera domanda.
“Sì,” rispose Albus, che nonostante i dubbi e il timore lo sapeva. Eppure, tra un battito e l’altro, continuavano ad insinuarsi dei brividi.
Presto i due ragazzi uscirono dalla Torre di Grifondoro e raggiunsero l’ingresso, dove si stavano riunendo tutti gli studenti. Lily sorrise in direzione dei due, spezzando quella tensione che non sapeva neppure esistesse.
Era giunta l’ora di salire sul treno per Londra.













 
Ciao a tutti e grazie per aver continuato la lettura di questa storia.
Se avete dubbi o domande sono a vostra disposizione!
A presto!




 

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Capitolo 3
*** 3: Il treno dei desideri ***




 
Coming out
3: Il treno dei desideri



 
 
I due fratelli, quell’anno, condivisero per la prima volta il viaggio in treno con qualcuno. La presenza di Scorpius era stata data per scontata da entrambi, ma rappresentava comunque una grandissima novità – un cambiamento che non avevano ragione di temere. I tre, però, non appena avevano trovato una carrozza libera, si erano scontrati con la faccia lentigginosa di Hugo, che dopo aver aperto la porta scorrevole si era fatto tutto rosso in viso e aveva chiesto “Posso?” balbettando. Quell’anno Mark Talbott, il suo migliore amico – nonché unico essere umano che riuscisse a sopportare i suoi sproloqui – era rimasto a scuola per le vacanze di Natale, e Hugo si sentiva un po’ perso tutto solo sul treno, costretto al silenzio. Siccome poco più di un’ora prima aveva aiutato Scorpius, che non conosceva la nuova parola d’ordine, ad entrare nella Sala Comune di Grifondoro, Hugo si aspettava di essere accolto col sorriso, se non addirittura con gentilezza e cortesia, per lo meno dai due fidanzati – dato che per qualche motivo a lui sconosciuto Lily lo aveva sempre trattato con sgarbo. Ciò che Hugo non sapeva, però, era che l’unico a volergli genuinamente bene in quel gruppetto era il cugino Albus, che lo considerava quasi alla stregua un amico, anche se di quelli da sorbirsi a piccole dosi. Gli altri due, per motivi ben diversi, ignoravano il più possibile quel rosso un po’ strambo e chiacchierone.
Non appena il volto di Hugo apparì nello scompartimento, sia Scorpius che Lily cercarono di intercettare lo sguardo di Albus, in contemporanea. Lui, però, stava già sorridendo al cugino, pronto a schiudere le labbra, e lo sguardo dei due ragazzi finì con lo scontrarsi, così, a metà strada.
“S-”
Lily abbandonò subito il grigio delle iridi di Scorpius e si voltò di scatto verso Hugo Weasley. Non poteva permettere che quell’idiota…
“NO!”, si affrettò dunque a coprire il fratello, alzando il volume della sua voce sprezzante, “Dobbiamo decidere cose importanti, che non ti riguardano.”
Lily osservò il cugino rabbuiarsi e poi uscire dallo scompartimento con la coda tra le gambe e istintivamente sorrise, nonostante Albus la guardasse contrariato – senza capire davvero. Menomale, pensò Lily udendo il rumore della porta che sbatte, il peggio è sventato. “Menomale,” fece Scorpius ad alta voce, rivolgendosi alla più piccola, “prima gli ho chiesto la parola d’ordine per andare a chiamare tuo fratello e ha insistito per accompagnarmi fino al ritratto della Signora Grassa. Immaginate: sette piani di scale con lui che non fa altro che parlare di babbani e di tutte le loro innovazioni degli ultimi… boh... cent’anni? …Forse sperava sarei entrato in Sala Comune con una gran voglia di diventare babbano ma, a dire il vero, l’unica cosa che mi ha fatto venir voglia di diventare è sordo.”
Albus lanciò uno sguardo offeso al fidanzato e alla sorella.
“Certo che siete proprio perfidi…”
“Non prendertela, Albus, è solo un parere.”
“Lui parla tanto, ma è una brava persona,” continuò a difenderlo Al, che voleva bene al cugino nonostante i difetti, “bisogna solo avere un po’ di pazienza.”
Lily sbuffò guardando il fratello e si sdraiò poggiando la testa sulle sue gambe.
Scorpius, invece, per farsi perdonare prese a ricoprire il fidanzato di baci; Lily, ad occhi aperti, osservava incuriosita.
Dieci sfioramenti di labbra non bastarono per far passare ad Albus l’incazzatura. Quattro Piume di Zucchero, sei Cioccorane e una confezione extralarge di Calderotti, invece, sì. Albus si faceva corrompere con piacere dai dolciumi e Scorpius ne approfittava sempre; Lily, dalla sua tribuna d’onore sul mondo, osservava quelle dinamiche con interesse.
Il viaggio proseguì pacificamente, tra discorsi più o meno sensati e battute, senza altre spiacevoli interruzioni.
Albus ingoiava un dolcetto dopo l’altro, troppo impegnato da quel confortante rituale per rendersene davvero conto. La pancia, dopo un’ora, gli faceva già male, eppure lui continuava a trovare il posto per l’ennesima Piuma di Zucchero, per un’altra Cioccorana, per il decimo Calderotto... I discorsi, che non si soffermavano mai sulle situazioni spiacevoli affrontate quell’anno, e persino la nausea, lo distraevano dall’imminente Natale; lo zucchero, invece, gli donava una blanda e momentanea felicità. Albus avrebbe fatto di tutto pur di non rovinare il viaggio a Scorpius col suo nervosismo, persino ignorare il consiglio di tenersi qualche dolcetto per i giorni successivi.
“Non credo dovresti finirli tutti.”
“Al, se continui così ti verrà mal di pancia.”
Albus, che aveva già lo stomaco dolorante, sorrise. “Non preoccuparti.” Forse era quella la via d’uscita che stava cercando… Forse… la nausea sarebbe stata una buona scusa per saltare il Natale alla Tana… Ed eccolo scartare l’ultima Cioccorana e controvoglia infilarsela in bocca – una nuova, seppur blanda, speranza a ruggirgli nel cuore.
 
Le ore passavano; le parole, le risate e i baci si accumulavano; il malessere aumentava.
Lily era di nuovo stesa con la testa poggiata alle cosce del fratello quando un frammento di Piuma di Zuccero le sporcò la fronte tersa.
“Ehi, Al, sta’ attento,” ridacchiò la ragazzina, prima di inumidirsi l’indice e pressare quella scheggia sul suo polpastrello morbido. “Sono pulita?”
“Sì, lo sei,” rispose Scorpius, dopo averle studiato fin troppo attentamente il viso.
La più piccola, allora, strofinò il dito contro la stoffa del sedile, poi si aggrappò alla felpa di Albus, e chiuse il fratello in un abbraccio sbilenco, la testa sempre immobile sulle sue gambe.
Albus aspettò che lo zucchero gli si sciogliesse tra la guancia destra e i molari sani, poi sorrise alla sorellina e raddrizzò la schiena, costringendo Lily ad allentare la presa sul suo corpo.
Non voleva dirlo ad alta voce, Albus, che quel peso sulla pancia gli faceva aumentare il mal di stomaco, che le unghie poggiate sulle costole erano fastidiose, che la pressione del capo della sorella sulle gambe stava diventando insopportabile. Non voleva ammettere di stare male, ma non sarebbe riuscito a far finta di nulla ancora per molto; allora muovendo le anche fece capire alla ragazzina che voleva alzarsi, si tirò su in piedi, si scrollò le briciole dai vestiti e uscì dallo scompartimento, diretto verso il fondo della carrozza.
Scorpius, grazie al suo sguardo attento, si era reso conto del malessere malamente celato di Albus da un po’. Il biondo spostò gli occhi dalla porta scorrevole a Lily, desideroso di condividere la sua impressione, e trovò la sorella del fidanzato intenta ad osservare il paesaggio inglese con volto disteso, ignaro, svagato. Il ragazzo si fermò qualche secondo ad ammirare il profilo rilassato ma composto di Lily Luna Potter, prima di borbottare Penso che Al stia male a mezza voce. La rossa, a quelle parole, cambiò completamente espressione: schiuse le labbra, mettendo in mostra i denti dritti e bianchi, e stirò gli angoli della bocca in una smorfia enigmatica, ambigua. “Tu dici?”, fece poi con tono canzonatorio, voltandosi lenta.
Scorpius si ritrovò immobile a fissare Lily Potter, completamente rapito dai suoi movimenti soppesati e dal suo tono di voce irritante, diverso.
“Che intendi?”, riuscì finalmente a chiederle dopo qualche secondo di troppo.
“L’hai visto, no?”
“E non sei preoccupata?”
Lily scrollò le spalle, “Beh, vedrai che non sarà nulla di grave,” poi si allungò verso il posto di mezzo, dove prima sedeva Al, e cominciò a raccogliere i dolcetti avanzati per metterli al riparo dal fratello – per mettere il fratello al riparo da essi.
Scorpius osservò le mani di Lily muoversi agilmente sul velluto dei sedili, sfiorargli spensieratamente la divisa, e si fece rapire da quelle fiamme giallo pastello che erano le sue unghie, perfettamente curate. Dalla mano di Lily lo sguardo di Scorpius salì verso il polso di lei, fino a raggiungere un braccialetto solitario, scintillante. Poi dal polso i suoi occhi percorsero il braccio, coperto dalle maniche di un golfino verde sottile, stretto, che svelava ogni infossamento e ogni sporgenza.
Mentre ammirava il corpo di Lily, Scorpius si ricordò di quando il cappello, non appena posato sulla testa di lei, aveva sentenziato a gran voce Serpeverde. Allora, Lily aveva il viso ripiegato in un’espressione smarrita mentre cercava i fratelli e i cugini e poi si dirigeva nella direzione opposta alla loro. Allora, Lily, nonostante non fosse mai stata gracile, era piccola, timida e confusa.
Erano passati solo due anni e mezzo da quel momento, ma Lily Luna Potter non sembrava ormai più una bambina, non appariva più timida, e quello confuso in quel momento era lui, soltanto lui, pensò Scorpius, che eppure non si rendeva pienamente conto di ciò che stava facendo. Lily somigliava ad una donnina – i segni dell’infanzia sbiaditi dal suo corpo giovane. Lily era la sorellina del suo ragazzo, e lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Quando la ragazza finì di raccogliere i dolcetti sparsi da terra e dai sedili, Scorpius si costrinse a spostare lo sguardo, che poteva muovere, ma non allontanare da quel corpo florido, manco fosse impigliato nella tela di un ragno.
E dal seno sporgente andava alle spalle, e dalle spalle alle labbra, e dalle labbra al polso, e dal polso a quel braccialetto scintillante che aveva catturato prima la sua attenzione.
Quando Lily gli diede di nuovo importanza, lui era impegnato a fissarle il braccio sinistro. Lei se ne accorse e con i polpastrelli della mano destra accarezzò il gioiello con cui ornava il suo corpo.
“Ti piace?”, chiese curiosa.
“Sì,” fece Scorpius, prima di aggiungere incerto, “cos’è? Il regalo di un pretendente?”
“No, un regalo di mia cugina Victoire,” ridacchiò Lily, immaginandosi come sarebbe stato avere uno spasimante che le facesse doni costosi. Utile, forse addirittura bello, ma di certo non necessario.
Se soltanto in quel momento avesse alzato il mento, la ragazza si sarebbe certamente accorta dell’insolito pallore del suo compagno di Casa; ma non lo fece, rimase con gli occhi bassi, assorti, e continuò a parlare come se nulla fosse: “Sai, non credo proprio di aver pretendenti… e per ora mi va anche bene così.”
Fu in quel momento che, con uno strattone, la porta dello scompartimento venne riaperta. Albus, entrando, se la lasciò scivolare alle spalle, poi prese posto nel sedile di fronte a quello su cui era seduto prima. Scorpius, grazie a quel rumore, riuscì a distrarsi dal corpo di Lily; si alzò di scatto, come se si fosse appena accorto di aver poggiato i glutei sul fuoco vivo, e andò a sedersi accanto al fidanzato.
“Albus, tutto okay?”
“Sì.” Una bugia. “Di cosa stavate parlando?”
Lily guardò di sottecchi il fratello, poi si lasciò sfuggire un ghigno soffocato, rivolto al paesaggio inglese.
“Dei miei spasimanti.”
“Dei tuoi che?”
“Spasimanti!”
Lily notò nel riflesso del vetro la reazione di Al – sorpresa – e nascose il viso nella piega del poggiatesta del sedile. Voleva giocare, giocare con lui.
“Devi dirmi qualcosa?”
Il sorriso, i denti contro la stoffa – la voce mogia, timida.
“Forse…”, mentì.
“Cosa?”
Lily trattenne una risata e restando girata alzò le spalle.
“Hai degli spasimanti e non mi hai detto nulla?”
Raddrizzò il busto, la ragazzina, e tornò a fronteggiare Albus. Si mordeva il labbro e teneva gli occhi bassi – in una falsa ammissione di colpa – attendendo un gesto, una parola, un qualcosa che potesse provarle che il fratello… Il fratello cosa? Non lo sapeva bene neppure lei. Eppure, oltre alla genuina curiosità, Lily non percepì nulla, nulla di quello che avrebbe voluto sentire. Valgo così poco per te?
Quel pensiero divenne in fretta martellante: Valgo così poco per te, quando stai male?
Perché sì, il fratello non aveva ammesso ad alta voce il suo malessere, ma lei e Scorpius avevano capito lo stesso che qualcosa non andava.
Fu proprio grazie a quel pensiero che Lily si rese per la prima volta completamente conto del proprio egoismo… e se ne vergognò, ma solo per qualche istante. Albus al primo posto aveva sempre pensato, ma poi, nella quotidianità, a chi aveva dato ascolto? Quali giudizi aveva preso in considerazione? A chi aveva sempre concesso la precedenza? Aveva allontanato i cugini per ripicca, obbligato Albus a seguirla in una ribellione fatta di silenzi, chiamato amiche le compagne di stanza pur di non dover ammettere la propria solitudine…
Quindi... non sarebbe dovuta essere proprio lei a chiedersi Valgo così poco per te? ma il bisogno di essere sempre al centro di tutto era troppo, troppo forte per essere ignorato, e la sporadica vergogna non poteva di certo essere considerata un deterrente a… A cosa, poi? Mica stava facendo del male a qualcuno; voleva semplicemente la propria dose di attenzioni, e la voleva dal fratello, che se trovava il tempo per un semi-estraneo… allora perché non avrebbe dovuto farlo anche per lei?
Eppure, accorgersi di non essere impeccabile era straziante, e a Lily non piaceva aver torto – chiuse gli occhi e ignorò la sua nuova consapevolezza: quello lo sapeva fare bene.
Aveva la testa dura, la ragazzina; trascurava i sentimenti pensando di poter calcolare sempre tutto; si faceva guidare dalle passioni sfrenate senza nemmeno rendersene conto. Incoerente e cieca, pensava di tenere il mondo tra le dita della mano. E invece, poi, la gelosia la obbligava a nascondersi nelle sue stesse bugie rassicuranti, e inconsapevole si faceva governare da quello che le ordinava il cuore infame e trascurato.
Il confine tra finzione e realtà aveva i bordi sfumati e Lily camminava con un piede da una parte e uno dall’altra, vestita di menzogne che si facevano sempre più reali, come le sue labbra incurvate verso il basso, come il suo stato d’animo piccato, dissimulato nella studiata timidezza della sua ultima maschera ingannevole.
Albus taceva e la guardava; non fiutava contraddizioni perché conosceva solamente l’onestà.
“Spasimanti!? Ma figurati,” borbottò Lily, che non aveva più voglia di giocare, precisando subito “scherzavo”.
Questa volta, però, Albus notò il sorriso sbilenco e amaro sulle labbra della sorella – occultato troppo tardi – e si preoccupò. Che sia triste per amore? Che sia stata rifiutata?
“Lil… Ti piace qualcuno?”
La ragazzina sgranò gli occhi, pensando a come potesse, Albus, essersi convinto di una sciocchezza simile. Ma prima di rispondere temporeggiò, perché forse...
“Non saprei,” ammise.
Forse avrebbe potuto rigirare quell’incomprensione a proprio vantaggio, ottenendo una qualche reazione da parte del fratello.
“Cioè… uno vale l’altro,” si lasciò sfuggire la ragazzina assieme ad una risata genuina, poi, notando l’espressione scioccata di Albus – centro! –, allargò ancor più il sorriso.
“Ma no, Lily! Non dire queste cose…”
“Beh, ma è vero. Alla fine cos’ha Scorpius che io non ho? Che il professor Baddock o zio Bill, o Stan, o chiunque tu voglia, non ha? Le relazioni sono tutte dettate dal caso, dalla fortuna di essersi conosciuti al momento giusto, dalla rassegnazione, dagli usi e costumi di una certa cultura…”
Entrambi i ragazzi ascoltavano il discorso di Lily con occhi sgranati: Albus perché sconcertato dalle idee della sorellina – Ma chi le ha messo in testa certe cose? –, Scorpius, invece, perché preso alla sprovvista da un’inaspettata sintonia di pensiero. Scorpius credeva di percepire il significato nascosto di quella rivelazione, di quella frase detta per gioco, perché anche lui, nei meandri della propria mente, aveva rinchiuso idee simili, senza mai gettare la chiave. Per un momento, il ragazzo pensò che quello potesse essere un messaggio in codice, implicitamente diretto proprio a lui… poi una gomitata lo riportò alla realtà: era Albus che con lo sguardo lo supplicava di intervenire, di far rinsavire la sua sorellina. Scorpius finse di non recepire quel messaggio silenzioso e il fidanzato gli lanciò un’occhiata ferita, prima di fare alcuni movimenti scomodi e schiarirsi la gola. “Lily, non puoi pensare davvero una cosa del genere! Pensa a me e Scorpius, vuoi dirmi che siamo solo un caso!? Che quello che ho con lui potrei averlo con chiunque altro, anche con zio Ron o col fidanzato di Vic!? Ma che ti prende?”
Albus si aggrappò con una mano al braccio di Scorpius e con l’altra alla stoffa del sedile, sfinito; il suo stomaco aveva ripreso ad agitarsi e la nausea era ancora una volta a malapena tollerabile.
“Non è un attacco personale... Dico solo che quello che hai tu è raro da tro-”
“Sì, certo, e che mi dici di mamma e papà? Degli zii? Di Stan e Victoire? Di Dominique e Pe-”
“Okay, va bene, forse non così raro,” concesse finalmente la minore, sbuffando.
“Vedi!? Non puoi perdere le speranze a tredici anni.”
“Quasi quattordici.”
Non appena Lily rimarcò la sua età, Albus sorrise. Era dal giorno successivo al suo tredicesimo compleanno che i suoi anni, a sentirla, erano diventati quasi quattordici, e oramai mancavano meno di due mesi ai quattordici veri. Tredici o quattordici, in ogni caso... poco sarebbe importato: Lily era una bambina e Albus voleva soltanto toglierle quell’amarezza in cui amava sguazzare da torno. “E quindi,” fece, addolcendo il tono, “non c’è proprio nessuno che trovi carino?”
Lily sapeva che ripetendo Uno vale l’altro avrebbe soltanto deluso il fratello, per cui non lo fece e cominciò a pensare sul serio alla domanda che le era stata posta. Quali caratteristiche fisiche trovava affascinanti? Non le veniva in mente nulla, non aveva ancora sviluppato un personale metro di giudizio, e non avendo mai avuto cotte non poteva riciclare nessun nome…
Per un istante Lily pensò ad Albus: Lui sì che è un bel ragazzo, ma perché è così speciale? Insomma, ovviamente Lily non era attratta da Al, ma non serviva di certo esserne invaghite per notarne… il fisico asciutto ma fiacco, sedentario? La statura nella media? La pelle ruvida sul mento e i punti neri sopra al naso? I capelli perennemente crespi e opachi? Lily strizzò gli occhi: Beh, c’è molto più del fisico in una persona. C’è la passione per…C’è, c’è… C’è l’intell-, l’acu-
L’attrazione è un qualcosa di inspiegabile.
E quindi, che dire?
Sicuramente il fratello si sarebbe accontentato di una risposta semplice, del nome di di una persona qualsiasi ma universalmente ritenuta attraente, di un nome così celebre da non richiedere ulteriori spiegazioni. Sicuramente il fratello si sarebbe accontentato di Tom Davies: Corvonero del quinto anno. L’unico ragazzo in grado di far sospirare e arrossire Madalynn Nott; l’unico studente mai definito figo da nientemeno che l’esigentissima Cadyah Morton in persona. E allora Lily pronunciò quel nome, seguito da un Forse e da un Oltre a me, ovviamente che fece sorridere Al.
“E brava te! Punti in alto!”
Albus mostrò involontariamente la sua approvazione con brevi cenni del capo e non appena se ne accorse arrossì violentemente e si voltò verso Scorpius: “Scusa, non intendevo che… Cioè… tu sei molto meglio,” farfugliò imbarazzato.
“Tranquillo, Tom è il sogno erotico di mezza scuola,” rispose il biondo con indifferenza, accennando appena un ghigno sognante, “forse però se la tira un po’ troppo…”
Albus aveva ancora le guance rosse di imbarazzo per la sua gaffe e per il termine erotico pronunciato ai quattro venti dal fidanzato; sempre più stretta, invece, era la morsa allo stomaco, acuita da una gelosia assolutamente immotivata. Al avrebbe voluto chiedere a Scorpius se anche lui facesse parte di quella mezza scuola che faceva sogni a luci rosse su Davies, ma non poteva di certo mettersi ad indagare indignato, non dopo che lui stesso aveva fatto apprezzamenti sul compagno… che era attraente, sì, ma per cui non provava assolutamente nulla!
“In realtà sa essere anche alla mano… Mi ha aiutato, una volta, a pozioni…”, balbettò allora, prima di ribadire ancora una volta, “Ma Scop, tu sei molto meglio... Lo sai che intendo, vero?”
Scorpius lasciò scivolare una mano dietro la schiena di Albus, sino a raggiungere il suo fianco destro, e strinse a sé il ragazzo. “Ma certo che lo so, Al,” cominciò sincero, “non mi importa chi altro trovi attraente, basta che io sia al primo posto,” spiegò poi sorridendo.
“Lo sei… Io ti amo, amo solo te.”
“Allora va tutto bene: ti amo anch’io.”
Albus inspirò ed espirò profondamente, tranquillizzandosi, poi lasciò scivolare la testa sul petto del fidanzato. Bum, bum, bum: il biondo appariva tranquillo ma il suo cuore batteva forte forte. Batte per me pensò il minore, prima di sorridere: era così intimo quel momento, condiviso solamente con le persone più importanti della sua vita. Se si fosse fidato abbastanza del proprio stomaco, Albus sarebbe rimasto in quella posizione sino a Londra, magari azzardando persino un bacio sulla stoffa della divisa di Scorpius, ad altezza del cuore. Sarebbe stato perfetto. E invece, controvoglia, si costrinse a rizzare il capo, poi posò una mano sul bassoventre e l’altra sulla propria guancia ruvida e scabra, già umida di sudore, aspettando l’ennesima fitta di dolore che non tardò ad arrivare.
 
Quando Albus si alzò per l’ultima volta dal proprio sedile il treno stava ormai sfrecciando davanti alle prime case della più squallida periferia londinese e i corridoi si stavano lentamente riempendo di ragazzini intenti a perdersi e ritrovarsi.
Al fu costretto a fare lo slalom tra quella folla movimentata, tenuta malamente a bada da un gruppo di prefetti, per raggiungere il fondo della carrozza. All’ennesimo sussulto della locomotiva si portò una mano davanti alla bocca e, voltandosi con un balzo, nascose una smorfia nella parete imbottita, impregnata del sudore di almeno dieci generazioni. Alla sua destra c’era un finestrino, e il ragazzo ne approfittò per osservarsi: era pallido e sudaticcio, e aveva tutta l’aria di poter vomitare da un momento all’altro.
Lo sfondo del vetro pullulava di riflessi traballanti, branchi di studenti entusiasti per l’ormai prossimo Natale. Albus si chiese perché non potesse essere anche lui felice come tutti gli altri, perché dovesse rovinare sempre tutto con le sue stesse mani… E, improvvisamente, si diede dello stupido. Ma a che stava pensando!? Autoprocurarsi tutto quel malessere si sarebbe dimostrato assolutamente inutile. In una famiglia di maghi come la sua – con l’armadietto delle pozioni sempre ben fornito – veniva data fin troppa considerazione al sacro ritrovo di Natale. Non avrebbe mai ottenuto ciò che desiderava: restarsene in pace, preferibilmente chiuso in camera. I suoi gli avrebbero fatto ingoiare una qualche medicina e poi, via, dai nonni; vedi che sei sano?
Sbuffando il ragazzo si rigirò, accasciandosi contro il muro di stoffa, e serrò le palpebre stanche.
Starsene fermo ad occhi chiusi era rassicurante. Non era abbastanza, ma era qualcosa. Il mondo non traballava più – se non per l’occasionale sconnessione delle rotaie – e la nausea, in un certo senso, si affievoliva. Il rumore continuava ad essere fastidioso, ma riempiva la testa confondendo i brutti pensieri.
Albus non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse lì fermo, spalmato contro la parete, quando venne raggiunto da Scorpius.
“Ehi,” annunciò la propria presenza il maggiore, facendo schiudere le palpebre al Grifondoro, “tua sorella è andata a salutare le amiche. Sono venuto a vedere se va tutto bene.”
“Sì, sta’ tranquillo.”
“Bugiardo,” sussurrò Scorpius, senza scomporsi, poi si avvicinò al fidanzato e lo prese per mano. “Hai vomitato?”
“Non ancora…”
Il biondo allora si piegò in avanti, sorridendo, e lasciò un bacio sulle labbra di Albus.
“Merlino, sei disgustoso!”, commentò il minore, arrossendo e facendo ridere Scorp.
“Mal che vada… Siamo maghi, no?”
Il moro arricciò il naso ma poi, senza opporre alcuna resistenza, si lasciò stringere dalle braccia ossute del fidanzato.
L’ultimo abbraccio del 2021, pensarono entrambi i ragazzi che, nonostante il treno stesse rallentando, non volevano saperne di lasciarsi andare. L’ultimo abbraccio prima di dirlo a mamma e a papà, pensò Scorpius, accarezzando la stoffa sopra alla schiena del moro. L’ultimo abbraccio prima del mio Natale infernale, pensò Albus, nascondendo gli occhi lucidi nella tunica nera del biondo… subito prima che lui gli piombasse addosso.
“Ahi!”
“Ehi!”, fece Scorpius, ritrovando l’equilibrio e voltandosi verso il corridoio. James dava loro la schiena e si stava allontanando dalla scena velocemente, quasi di corsa. “Ma che razza di problemi ha!?”, borbottò poi il biondo, portandosi una mano sopra alla spalla sinistra, dolorante per lo spintone appena ricevuto.
Albus incurvò le labbra verso il basso, osservando la figura in movimento del fratello, e scosse lentamente la testa, come per dire Non so.
In quel momento il treno si fermò.
“Scorpius?” Il moro si rivolse al fidanzato con un sussurro tremolante, poi nascose il volto imbruttito dalla tristezza e dall’angoscia piegando il collo verso il basso. “Non… non usciamo subito.”
“No,” concordò il maggiore, in un tono che pretendeva di apparire rassicurante, “aspettiamo ancora un po’.”
 
Mi mancherai tantissimo.”
Anche tu.”
Lo so.”










 
Ciao a tutt*!
Questo capitolo è molto importante, per me, perché proprio qui ho voluto spiegare la nascita di alcune dinamiche che risulteranno fondamentali in Black Widow.
Dal punto di vista stilistico questo capitolo non mi convince per niente, ma lo leggo e lo rileggo e non riesco a capire perché. Insomma, alla fine ho deciso di pubblicare perché era da tanto che desideravo mostrarvi qualcosa in più sulla personalità di Lily e di Scorpius, introdurre la “questione Tom Davies”, etc… ma se avete suggerimenti o notate problemi… beh, sono tutt’orecchi!
 
Se avete letto fino a qui vi ringrazio davvero tantissimo!
A presto,
 
Sofifi
 
P.s. Da pochi giorni ho anche aggiornato Black Widow.
 

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