Black and white photos

di Rosette_Carillon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un ultracentenario adorabilmente pericoloso ***
Capitolo 2: *** La disgrazia di conoscere più lingue ***
Capitolo 3: *** Boop-boop-a-doop ***
Capitolo 4: *** Vocabolario di ricordi: russo-spagnolo ***
Capitolo 5: *** Corso base di difesa personale ***
Capitolo 6: *** Avengers assemble ***
Capitolo 7: *** Reunion ***
Capitolo 8: *** Il fantasma della vita passata ***
Capitolo 9: *** Vite che si incrociano ***
Capitolo 10: *** Attenzione ai dettagli ***
Capitolo 11: *** Il gemello cattivo ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un ultracentenario adorabilmente pericoloso ***



NOTE.
La ff è ambientata dopo Civil War. È una what if perché è ambientata in un magico universo in cui, in qualche modo, la guerra ha avuto un esito meno disastroso rispetto al film XD, e Steve e Tony sono in rapporti, se non buoni, almeno civili.
Per quanto riguarda Marta, dal film non abbiamo molte notizie su di lei, quindi il personaggio avrà alcune cose in comune con l’attrice che la interpreta.
Sinceramente ho cominciato questo crossover più che altro per divertirmi, e perché non riuscivo più a togliermi l’idea dalla testa. Non so bene come finirà ^_^; .
Ho la trama in mente, e sto seguendo quella, ma non so quanti capitoli ci saranno e quanto ci metterò a scriverli. Potrei aggiungere altri personaggi, e il raiting potrebbe cambiare.
Altra cosa, Bucky non si è ancora ripreso da tutto ciò che ha vissuto durante e dopo la guerra, (es. saranno presenti scene di attacchi di panico, incubi, … ) ma vorrei comunque tenere un’atmosfera leggera nella fic, non angosciante.
Per chi le ha lette: questa ff è il seguito di ‘Dopo’, mentre i fatti di ‘Waiting for a miracle’ si collocano durante l’arco narrativo di questa long.
Il titolo della long è ispirato a ‘The war was in color’ dei Carbon Leaf; ‘Waiting for the miracle’, invece, è un brano di Leonard Cohen.
Credo di aver detto tutto, scusate per la lunga introduzione. Grazie a chiunque leggerà e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate :).
Buona lettura!                 
                              

 





 
 
                                                                                                           Capitolo 1
                                                                        Un ultracentenario adorabilmente pericoloso

 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bucky la osserva in silenzio, con attenzione.
Sono sei mesi che vive con Steve, un mese da quando l’uomo è partito in missione con la Vedova Nera, e cinque giorni da quando quella donna è comparsa nella sua vita.
È un ordine di Fury, non può faci nulla. Non importa.
Preferisce tacere, mostrarsi collaborativo. Così, forse, non sarà congelato nuovamente e, forse, potrà restare ancora al fianco di Steve.
La donna non si accorge di nulla: è concentrata sulle due tazze che sta riempiendo d’acqua calda.
È di corporatura minuta, e fragile. È giovane, ha sicuramente meno di trent’anni. Le chiederebbe l’età giusta, ma è una donna, e sarebbe davvero maleducato da parte sua.
Lei gli dà le spalle senza timore. La sua sicurezza è certamente data dall’ingenuità: non avrebbe alcuna possibilità di difendersi da lui se-
Una tazza compare nel suo campo visivo.
Bucky solleva lo sguardo e incontra quello gentile di Marta. Lei gli sorride allungandogli la tazza, e lui la prende con la mano umana.
<< Grazie, >> mormora.
<< Prego, >> risponde l’infermiera. 
È gentile. Innocente.
Troppo gentile e innocente, e debole.
Non la vuole vicina, non è sicuro. Potrebbe farle male.
Perché Fury gliel’ha messa accanto? Non riesce a capire quale possa essere il suo piano. Che sia un’agente sotto copertura? Difficile. Sembra davvero una semplice, indifesa civile.
<< Sergente Barnes, >> lo richiama lei, una tazza fumante stretta fra le mani << non sono sicura che un semplice infuso possa aiutarla con la sua insonnia, >> comincia, pensierosa, le sopracciglia aggrottate << forse dovrebbe provare con qualcosa di più forte. >>
Ha visto la sua cartella clinica: per il suo organismo, quell’infuso avrà lo stesso effetto di un bicchiere d’acqua.
Lui, però, non vuole assumere medicinali. Rifiuta, laconico, e continua a sorseggiare lentamente l’infuso. È stanco, e irritato.
Vorrebbe dormire, ma chiudere gli occhi lo terrorizza. Il buio gli fa paura, perché non sa cosa si nasconda fra le ombre che lo circondano, quando anche l’ultima luce viene spenta. Dormire significherebbe abbassare la guardia, lo renderebbe vulnerabile, e non se lo può permettere.
<< Lei, invece, dorme bene? >>
L’infermiera non risponde subito, l’ha colta di sorpresa.
 << Ci sto lavorando su, >> dice poi, vaga.
Bucky non chiede altro, capisce quando una persona non vuole parlare, e torna a bere. Non sono affari suoi, dopotutto.
Guarda fuori dalla finestra: è tarda serata, fra poco Marta andrà via.
Non la vuole vicina, sa di essere pericoloso, ma è stanco di essere solo. Quella donna lo tratta come se fosse un essere umano, e non se lo merita, sa di non meritarlo, ma lo fa stare bene.
Gli piace potersi illudere di essere ancora umano.
Lei lo chiama ‘sergente’, usa quel vecchio grado che ormai è solo una parola priva di significato. Non è più l’uomo che, nel 1942, si è arruolato nell’esercito. Non è nemmeno più nell’esercito.
<< Buona serata, sergente, si ricordi che può chiamarmi a qualsiasi ora. Anche se si sentisse solo un po' agitato. >>
Bucky annuisce silenziosamente. Non lo farebbe mai, sa di essere…complicato da gestire e, anche se lo facesse, lei non risponderebbe di certo. Perché dovrebbe preoccuparsi di lui anche la notte a meno che non si tratti di un’emergenza seria?
Sembra sincera, però.
<< Sono seria, >> aggiunge. << Io non mento mai. >>
<< Mai? >> quasi ride. Come si può non mentire mai? È impossibile.
<< Mai, >> conferma lei. Il perché glielo dirà in un altro momento.
 
                                                                                                                                      §
 
 
Si chiude la porta alle spalle e, con un sospiro, accende la luce. Lascia la borsa medica all’ingresso, e va in bagno.
Il sergente Barnes non è una persona facile, ma questo se l’era aspettato. Ciò che non si era aspettata, invece, era l’angoscia che continuava a vedere negli occhi dell’uomo.
I media lo descrivevano come un assassino, lo spettro di una guerra resuscitato da un passato non poi così lontano. Nessuno sembrava notare, che a quel braccio in vibrano era attaccato il corpo di un uomo con cui la vita è stata crudele.
Marta sa quali crimini abbia commesso, legge i giornali, guarda la televisione, e si è informata prima di accettare quel lavoro ma, per quel che la riguarda, il sergente James Buchanan Barnes è una vittima di macchinazioni più grandi di lui. Quando le sue mani hanno impugnato armi per uccidere, la sua coscienza non era presente.
Capisce la necessità del mondo di trovare un colpevole, ma non è il sergente a dove pagare.
Entra in bagno e si spoglia mentre lascia che l’acqua cominci a uscire nella doccia, così, quando si infilerà sotto, il getto sarà caldo.
Vorrebbe poter aiutare il sergente in qualche modo, ma prima deve riuscire a guadagnare la sua fiducia, e non sarà facile.
Ha visto come la guarda. Sembra quasi che abbia paura di lei, che tema che lei possa fargli del male ma, allo stesso tempo, ha avuto l’impressione che lui si preoccupi per lei.
L’acqua calda scorre lungo il suo corpo, rilassandola e facendola sentire più ottimista.
In fondo, osservando la situazione da un altro punto di vista, il sergente Barnes è solo un vecchietto ultracentenario col corpo di un trentenne.
Si conoscono solo da pochi giorni, c’è ancora tanto da fare, e c’è tutto il tempo per procedere con calma.
Si mette ai fornelli ancora accaldata dalla doccia e accende la televisione. Il silenzio di quell’appartamento la mette a disagio; fin da bambina ha sempre vissuto in ambienti chiassosi.
La voce alta di sua madre, la presenza vivace di sua sorella, il vociare del vicinato e i suoni della strada.
Al telegiornale c’è un servizio su una conferenza, si parla di Captain America.
Lei non l’ha ancora incontrato di persona. Quando si è trasferita nel nuovo appartamento, proprio davanti quello suo e del sergente Barnes, lui era già partito in missione.
<< Vi posso assicurare, >> dice Pepper Potts alla televisione << che i rapporti fra Captain America e Iron Man sono tornati quelli di un tempo. Entrambi hanno intenzione di collaborare in futuro per la nostra sicurezza. >>
Subito la donna viene assalita da domande, la giornalista che ha curato il servizio dice qualcosa, ma Marta non la ascolta.
Sullo schermo compaiono le foto dei due supereroi, e lo sguardo della donna si ferma su quella del capitano. Quel volto è inquietantemente familiare.
Cosa farà quando si troverà davanti Steve Rogers? Come reagirà, se basta solo un’immagine per farle gelare il sangue?
Spegne la televisione, e continua a mescolare la pentola sul fuoco.
Espira con forza.
Basta.
Deve smetterla di comportarsi in quel modo. Ransom è in carcere, non può più farle nulla. Non sa che si è trasferita, e non saprebbe nemmeno come rintracciarla.
A New York è al sicuro.

 

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Capitolo 2
*** La disgrazia di conoscere più lingue ***






                                                                                                                    Capitolo 2
                                                                                                         La disgrazia di conoscere più lingue

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Bucky si guarda attorno a disagio. È dalla mattina che… semplicemente ha qualcosa che non va, qualcosa a cui non sa dare un nome, ma che gli impedisce di essere tranquillo.
Non che ci sia qualcosa di strano in ciò, ma nell’ultimo periodo stava cominciando a essere più sereno.
È una grigia giornata di pioggia, e l’appartamento è in penombra. In salotto la lampada da terra è accesa, e dalla cucina esce un fascio di luce gialla.
Le luci soffuse, il suono ritmico e gentile della pioggia lo rilassano. Forse, però, dovrebbe accendere qualche altra luce. Sì, dovrebbe: sicuramente quel buio starà dando fastidio alla signorina Cabrera.
Allunga, titubante, una mano verso l’interruttore e lo preme. La luce inonda il salotto; quasi lo acceca, e Bucky si copre gli occhi infastidito. Indietreggia e urta qualcosa con la schiena.
In un lampo di luce, è nuovamente fra le Alpi, in mezzo alla guerra; è in Russia, nella Red Room.
È circondato dal fuoco nemico e agenti dell’Hydra.
Ha freddo. Fa freddo.
È tutto bianco attorno a lui, e nevica.
Ha paura.
<< Sergente Barnes? >>
La voce gli giunge lontana, quasi non la sente nemmeno. Non vede la donna che si inginocchia accanto a lui, attenta a non invadere il suo spazio personale.
L’uomo si raggomitola contro una parete, le mani fra i capelli. Piange, e trema spaventato.
<< Sergente? >>
<< Non posso, >> geme lui << non posso- uccidere ancora! Non posso- vivere nuovamente- >> un singhiozzo lo interrompe << non voglio, non di nuovo. Non voglio- >>
<< Sergente, sergente Barnes, mi guardi! Mi guardi. Sa dirmi dove si trova in questo momento? >>
<< R-Rus- >> l’uomo si ferma, incerto. Russia. Russia? No, no. È sbagliato, non è lì, eppure è certo di essere lì.
Guarda Marta che, pacata, attende la sua risposta. Deglutisce a vuoto, e poi si ricorda << sono in America, >>  mormora con sollievo. La voce treman d’incertezza, come se temesse di essere smentito. È davvero lì? Non sa cosa sia vero e cosa no, ma il volto gentile dell’infermiera e la sua pacata presenza sembrano reali.
<< America. Esatto. >> la donna sorride e annuisce.
È in America, la guerra è finita, e lui è finalmente tornato a casa.
Bucky si copre il volto con una mano, e ride. Una risata amara. << che idiota, >> mormora. Dimentica spesso dove si trovi, che anno sia. Dimentica parole in inglese, e quando il suo cervello si ostina a pensare in russo, si infuria e soffre cercando disperatamente di dimenticare il suono di quella lingua.
<< Va tutto bene, sergente. Si è fatto male? >>
Male? Le rivolge uno sguardo incerto. Come avrebbe dovuto fare a farsi male, esattamente? Con cosa? Il dolore fisico è un lontano ricordo, si placa velocemente.
Sposta lo sguardo e vede, poco distante dall’infermiera, la lampada da terra riversa sul pavimento.
Ha aggredito una lampada.
L’ha rotta. Era di Steve, e lui l’ha rotta.
<< Sergente? >> La voce di Marta richiama la sua attenzione. << La lampada è tutta intera, e sono certa stia bene. Ora vorrei sapere come si sente lei. >>
Come si sente? … Non lo sa. Non sa cosa rispondere. Se deve essere sincero, non sente nulla, è solo stanco e stordito.
Lei aspetta pazientemente, in silenzio, una risposta che non arriva, poi solleva le mani all’altezza del suo volto. << Sergente Barnes, guardi le mie mani. Le mie mani. Ecco, così. Ora segua le mie dita. >> Allarga le braccia allontanando le mani dal suo volto. << Bene. Ora, con calma, allarghi il suo campo visivo, si concentri su ciò che vede ai lati, >> continua muovendo lentamente le dita.
<< Non posso immaginare cosa abbia vissuto, >> dice poi a voce bassa, quasi un sussurro << ma ora è finito. >> Fa una pausa, le dita continuano a muoversi. << Guardi le mie mani…di qualsiasi cosa si tratti, fa parte di un passato che non dovrà più rivivere. Per quanto sia stato terribile, ora è terminato. Per quanto continui a sognarlo, a ricordarlo…non è più il suo presente. Non sto dicendo che d’ora in poi sarà tutto più facile, solo… oggi è finito, e domani sarà diverso. >>
Lo sguardo del sergente è quello di un bambino smarrito ma, lentamente, il volto si distende e il suo corpo comincia a rilassarsi.
Bucky si abbandona contro la parete. Scuote appena la testa quando l’infermiera gli chiede se sia ferito, poi chiude gli occhi e torna a raggomitolarsi contro il muro. Ha freddo, e quel freddo se lo sente fin dentro le ossa.
Marta cerca di convincerlo ad alzarsi. Non vuole.
Il divano sarebbe più comodo, più caldo. Non vuole. Il divano è troppo morbido, si sentirebbe affogare fra i cuscini.
Bucky la guarda in attesa della sua reazione. Lei si arrende e, lentamente, si mette in piedi con un sospiro; gli dice qualcosa prima di allontanarsi, ma lui la sente senza ascoltare davvero.
Torna poco dopo con una coperta fra le mani. Mentre gliela sistema sulle spalle, Bucky non può fare a meno di notare quanto la corporatura dell’infermiera sia minuta in confronto alla sua.
Potrebbe ucciderla con estrema facilità, lei non avrebbe né il tempo né la forza di opporsi.
No! Non deve! Non vuole uccidere!
<< -te? Sergente? >>
Il suo sguardo si focalizza sulla donna davanti a lui.
<< Lei non ha paura di me? >> La sua è una domanda, ma suona quasi come un’affermazione.
La donna, colta di sorpresa, resta interdetta per un momento. << Lei non è una brutta persona. È una persona a cui sono successe cose brutte. >>
L’uomo si stringe la coperta attorno al suo corpo << le cose brutte cambiano le persone che le vivono, >> mormora.
Qualsiasi cosa può cambiare una persona, anche quelle belle. O semplicemente il passare del tempo.
Ogni cosa che viviamo ci rende una persona diversa da quella che eravamo prima.
Parlando, facendo pause alla ricerca delle parole giuste, Marta non può fare a meno di pensare a Harlan, e alla sua morte.
<< L’unica cosa da fare è accettare il cambiamento, farsene una ragione e andare avanti. >>
A parole è così facile, perché non può esserlo altrettanto nei fatti?
Lo sguardo del sergente è nuovamente smarrito nel passato, fisso su un punto indefinito, e Marta si chiede a cosa stia pensando.
<< Si sente meglio, sergente? Ha bisogno di qualcosa? >>
Bucky risponde, ma dalle sue labbra escono dei suoni che per l’infermiera non hanno alcun senso.
Lei gli rivolge uno sguardo interdetto, e lui si rende conto dell’errore: le ha parlato in russo.
Fa per scusarsi, ma la lingua è nuovamente quella sbagliata. Se cerca di scusarsi, l’unica cosa che gli viene in mente è un sommesso ‘gomen-nasai’, ed è quasi certo che l’infermiera non parli giapponese.
Marta attende.
<< Mi scusi, >> riesce in fine a dire lui, quando finalmente riesce a ricordare come scusarsi in inglese.
Lei, incuriosita, gli chiede quante lingue parli.
<< Sette. Ultimamente mi capita di fare confusione, prima non mi succedeva così spesso. Almeno non credo. >>
Lei ridacchia bonariamente << parla sette lingue, e pretende di non fare confusione? Io ho problemi anche solo con due. >>
<< Qual è la sua lingua madre? >> chiede, sinceramente interessato.
<< Spagnolo. Sono nata a Cuba. Quindi, se vuole, potrà parlarmi in spagnolo. Per le altre lingue ci penserà il traduttore del telefono. >>
 
 


 

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Capitolo 3
*** Boop-boop-a-doop ***








                                                                                                                       Capitolo 3
                                                                                                                   Boop- boop- a- doop

 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
Marta stringe fra le mani la tazza fumante.
Se deve essere sincera, avrebbe preferito del rum, per riprendersi dallo spavento di poco prima, ma è ancora in orario di lavoro e dovrà accontentarsi del tè.
È seduta su un divanetto della New Avengers Facility, e quasi non ricorda come ci è finita. È stato tutto fin troppo rapido per il suo povero cuore.
È riuscita ad agire in tempo, e il sergente Barnes sta bene, eppure... eppure sarebbe potuta finire male. Forse no, non lo sa.
Lei è un’infermiera, non ha studiato ingegneria! O qualsiasi altra cosa serva per progettare quel dannato braccio in vibranio.
Fury però l’aveva preparata a quell’eventualità, pertanto, da quasi due mesi, nella rubrica del suo cellulare è  presente anche il numero di Tony Stark.
Aveva sperato di non dover mai usare quel contatto, ma la vita aveva deciso di ignorare le sue preghiere.
Ora il braccio del sergente è stato sistemato e l’uomo sta riposando, quindi lei può permettersi di tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi.
<< Signorina Cabrera, immagino lei sia un’esperta in difesa personale. >>
<< Ehm… no. Direi proprio di no, >> risponde lei incerta. La signorina Potts rotea gli occhi e si volta verso l’uomo rivolgendogli uno sguardo severo. Lui si stringe innocentemente nelle spalle. È solo preoccupato, si difende.
<< Stiamo parlando dell’ex Soldato d’Inverno, non di un vecchietto qualunque che deve attraversare la strada, >> poi torna a guardare Marta << niente difesa personale, quindi.  Però… Fury ha proprio pensato a tutto… >>
Lo squillo di un telefono lo interrompe prima che possa dire altro, ma Tony Stark non sembra badarci. È Pepper a fermarlo, intimandogli di rispondere, e lui, sollevate le mani in segno di resa, non può fare altro che obbedire.
<< Lo scusi, >> mormora la signorina Potts. << Quella del Soldato d’Inverno è una questione un po' complicata per Tony. >>
Marta annuisce comprensiva. I genitori del signor Stark sono fra le vittime del Soldato, lo sa.
Quando l’uomo ritorna, finita la telefonata, il suo sguardo si sofferma su un punto alle spalle delle due donne. Loro si voltano. Bucky Banres è in piedi davanti a loro.
Marta si alza per andargli incontro, chiedendosi per quanto tempo sia stato in piedi in silenzio, in attesa di essere notato. << Sergente, come si sente? >>
Lui non dice nulla, è ancora stordito. Si limita a fare un cenno col capo per indicare alla donna che non deve preoccuparsi: sta bene.
Lei stringe le labbra e, non convinta, lo osserva con attenzione.
<< Si è svegliato, sergente. Dormito bene? Come va il braccio? >> L’uomo abbassa lo sguardo e prova a dire qualcosa, ma le sue labbra si muovono senza emettere alcun suono. Comincia a innervosirsi e, con un verso di fastidio, si porta la mano umana al volto.
È palesemente stressato. Potrebbe essere per via dell’insonnia che l’ha tenuto in piedi le ultime notti, oppure a causa dei problemi che il braccio meccanico gli ha causato poche ore prima.
Marta decide di prendere in mano la situazione.
<< È meglio se il sergente Barnes torna a casa a riposare. La ringrazio per l’aiuto, signor Stark. >>
<< Aspettate, >> li ferma l’uomo << vi accompagno. Insisto: le donne e gli anziani non dovrebbero girare da soli a quest’ora della sera. >>
Il viaggio verso casa è tranquillo, silenzioso. La distanza fra l’appartamento del sergente Barnes e la New Avengers Facility appare decisamente più breve ora che l’uomo sta bene, o almeno, ora che non si contorce più a causa di un dolore per cui Marta poteva fare ben poco.
<< Vada- a casa. >>
<< Oh, no. Fuori discussione, >> rifiuta Marta, entrando nell’appartamento assieme al sergente. Non si fida ancora a lasciarlo solo. << Si sieda in poltrona e resti tranquillo. >> ordina poi, aprendo la sua borsa medica.
L’uomo obbedisce senza discutere. Non ha né la voglia né le parole per ribattere.
L’infermiera prende una sedia e si siede davanti a lui, << le gira la testa? >> chiede. La sua voce non è più quella autoritaria di poco prima, è più pacata. << Ha freddo? >>
Lui scuote la testa.
Marta allunga una mano << mi dia il polso, >> mormora, guardando il suo orologio. Il battito è più rapido del normale, e la mano fredda. << Ricorda il suo nome completo? >>
<< James Buchanan Barnes. >>
<< Quando è nato? >>
<< Il dieci marzo del 1917. >>
<< Sa dirmi dove ci troviamo? >>
<< America, >> risponde lui, ma in un modo che nulla ha di americano. Suona russo.
<< In che città? >> gli avvolge la mano con le sue, decisamente più minute e delicate, per scaldarla.
<< New York. >>
<< Mmh… lei però non è con me… sbaglio o il suo accento è…russo? >>
Lui distoglie lo sguardo, sentendosi in colpa, e mormora delle scuse.
Lei sorride bonariamente, e cerca di tranquillizzarlo: va tutto bene, è normale. Lo osserva in silenzio per un momento, poi guarda nuovamente il suo orologio. << È ora di cena, >> dice. << Facciamo così, lei si riposa mentre io preparo qualcosa da mangiare, e poi vediamo se si sente meglio. Se dovesse essere necessario, resto qui anche di notte. >>
Lui scuote la testa, ma la donna non gli dà il tempo di ribattere: è lei l’infermiera, è lei che deve occuparsi di lui. E non ha intenzione di correrei rischi, di illudersi che vada tutto bene quando non è così.

 
                                                                                                                                                                §

 
Succede durante una mattina che era cominciata tiepida, e soleggiata, ma diventata presto grigia e piovosa.
Bucky si avvicina a una finestra per chiuderla, e dalla strada sale una musica familiare. Il suono arriva lontano, ma la melodia è inconfondibile.
È una persona che, non curante del cielo coperto che promette pioggia, fischietta allegramente ‘somewhere over the rainbow’.
Bucky rivede sé stesso in un vecchio cinema, e sullo schermo davanti a lui c’è una giovane Judy Garland che canta.
L’America non è ancora in guerra, lui non è ancora un soldato, ma solo un giovane uomo che non ha la minima idea di ciò che lo aspetta.
<< -te? >>
L’uomo si riscuote, si volta di lato e incontra lo sguardo di Marta.
<< Va tutto bene? >> chiede lei.
Lui annuisce, non troppo convinto. Non sa bene come dar voce ai suoi pensieri e, anche se lo facesse, non è certo che la donna possa aiutarlo.
La musica si è allontanata, quasi non si sente più, e le prime gocce di pioggia cominciano a cadere sui tetti cittadini.
L’uomo chiude la finestra.
Lui quella canzone l’ho sentita al cinema. Nel 1939.
<< Bè, se le piace può sentirla quante volte vuole su youtube. >>
L’uomo le rivolge uno sguardo incerto. Youtube?
Marta realizza la situazione: davanti a lui c’è un uomo che ha perso settant’anni della sua vita, anni in cui la tecnologia si è sviluppata notevolmente, e probabilmente non ha mai usato un computer per scopi diversi da una missione.
Steve gli ha lasciato il suo, le dice l’uomo indicando il pc posato sul divano vicino, ma lui…distoglie lo sguardo. Non gli piace particolarmente usarlo e, se vuole ascoltare musica, c’è il vecchio giradischi con cui si trova decisamente più a suo agio.
<< Vuole provare a usare internet? Possiamo cercare tutto ciò che vuole, >> propone lei, poi si rende conto che ‘tutto’ è una categoria un po' troppo ampia. << Aveva una canzone preferita? O un’attrice? >>
Lo sguardo dell’uomo si rabbuia. Non se lo ricorda bene, ammette.
Ha in mente la figura minuta di una donna con una voce infantile, occhi grandi e vestitini provocanti. Il suo nome, però, non riesce a ricordarlo.
Non ricorda nemmeno chi sia. Potrebbe essere un’attrice, una cantante... potrebbe essere qualsiasi cosa. Anche una delle sue vittime, per quanto ne sa.
Marta lo ascolta pensierosa, digita qualcosa sulla barra di ricerca, poi va sulle immagini.
<< Per caso è lei? >>
Lo sguardo del sergente si illumina quando vede tutte quelle foto, quasi tutte in bianco e nero, di Helen Kane.
L’uomo sorride, e annuisce. Ricorda qualcosa visto alla televisione, qualcosa di infantile << c’era- c’era un cartone animato… >> cerca di riportare quella scena alla mente ma, più si concentra, meno ci riesce.
<< Betty Boop, >> risponde la donna. Il volto dell’uomo si illumina. << Vuole sentire qualcosa? >>
Lui annuisce felice.
È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ha sentito Helen Kane cantare ‘I wanna be loved by you’.
Gli è mancata.
Quella voce ha il suono della sua epoca, è confortevole come tornare a casa in un pomeriggio di pioggia.
Il suo sguardo è nostalgico, probabilmente ascoltare quella vecchia voce non lo rende interamente felice, probabilmente lo fa soffrire ricordandogli ciò che ha perso, ciò che non ha vissuto.
James Buchanan Barnes, però, ha bisogno di ricordare.
Vuole ricordare quell’epoca che non ha vissuto fino in fondo, che non potrà più vivere, e che gli manca.
Vuole ricordare le uscite, il cinema, le ragazze che ha invitato a ballare, quelle che ha invitato a uscire…

 
I'm not resting until I find
What would make your eyes glisten with joy

Now listen, big boy…








 

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Capitolo 4
*** Vocabolario di ricordi: russo-spagnolo ***









                                                                                                                              Capitolo 4
                                                                                                                Vocabolario di ricordi: russo-spagnolo

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







<< Marta? >>
Il sergente ha cominciato a chiamarla per nome. Non lo fa sempre, non si sente sempre a suo agio. Marta non dice nulla, non vuole forzarlo. Anche a lei fa strano chiamare l’uomo per nome, però le piace, ed è una scelta sua, quindi vuole rispettarla.
Non è un più nell’esercito, le ha detto, non è più l’uomo che ha ricevuto quel grado: chiamarlo ‘sergente’ non ha senso.
Bucky si sente più a suo agio, con lei e nel mondo. Si sente più a suo agio nel fare scelte, nel prendere decisioni autonomamente, nel rispettarsi.
<< Sì? >>
<< Ha- hai mai seguito con corso di difesa personale? >>
Lei gli rivolge uno sguardo interdetto. << No, >> risponde poi, ma forse le sarebbe servito…
Le labbra dell’uomo si piegano in un accenno di sorriso << tu sei sempre così sincera. Non menti mai. >>
<< Gliel’ho detto, sergente, >> sorride lei. Lo chiama ancora ‘sergente’ quando scherzano, o quando lui si comporta come il gentiluomo degli anni ’30 che doveva essere stato.  << Io non posso mentire. >>
<< Oh, andiamo, anche Steve ci riesce. Quando si impegna. >>
Ridono.
Marta scuote la testa. << Io…ehm, se mento, vomito. Per favore, prendimi sulla parola e non chiedermi dimostrazioni pratiche. >>
Lui la guarda interdetto. Probabilmente aspetta di sentirsi dire che è uno scherzo, ma la donna continua a tacere in attesa di una sua risposta.
<< Sei seria? >>
<< Purtroppo… >> si stringe nelle spalle. Non sa bene perché, non l’ha mai saputo. Le ha sempre creato non pochi problemi, ma non ha mai trovato una soluzione a quel suo problema. << Va tutto bene? >>
Bucky si passa una mano sul volto e annuisce << è solo un mal di testa. Passerà. >>
<< Vuoi provare con un’aspirina? >> propone. << O magari due… >>
Lui strige le labbra, ma poi annuisce.
Si trova più a suo agio con i medicinali conosciuti, quelli che erano già in circolazione nel 1900 e che prendeva, decenni prima, quando stava male.
Non si fida di ciò che non conosce, di ciò che è moderno e gli è sconosciuto. Marta è quasi certa che ciò abbia a che fare con l’Hydra, come quasi tutti i problemi dell’ex Soldato d’Inverno, ma non ha chiesto. Non ancora.
Bucky si fida di lei, ma non abbastanza da aprirsi, mostrarsi più vulnerabile di quanto i suoi attacchi di panico lo costringano a fare.
<< Come hai dormito questa notte? >>
L’uomo non risponde. Marta annuisce << non hai dormito, vero? >>
<< Due ore, >> lo dice quasi a mo’ di scuse. << Non- ho avuto un incubo, e poi- non sono più riuscito a prendere sonno, >> ammette. Chiude gli occhi e espira lentamente.
La donna lascia da parte il bicchiere d’acqua con l’aspirina e si siede davanti a lui.
<< Era buio, e- >> si porta una mano al volto.
<< Prova a tenere una luce accesa. Magari una lampada dalla luce calda, possibilmente lontana dal letto. E fai attenzione alla temperatura della stanza. >>
Stava per aggiungere un ‘e non devi per forza dormire da solo ’, ma quella frase sarebbe potuta risultare equivoca. Per evitare doppi sensi, avrebbe dovuto aggiungere che intendeva ‘dormire con un peluche’. Come faceva lei.
Era quasi un anno ormai che dormiva che la luce accesa, il cellulare a portata di mano, e un peluche da abbracciare.
All’inizio l’aveva ritenuto imbarazzante, poi si era resa conto che, in confronto al periodo in cui non riusciva nemmeno a chiudere gli occhi senza vedere il volto infuriato di Ransom, quello era decisamente un progresso.
<< Alla mia età… dormire con le luci accese… >>
<< Non ha importanza l’età, se può aiutarti. Hai bisogno di dormire, >> mormora lei allungandogli il bicchiere.
Lui beve lentamente. La donna ha ragione, e lui è stanco.
Quando c’era Steve, e si svegliava durante la notte, preferiva alzarsi e sedersi in corridoio, fuori dalla camera dell’uomo. Ascoltava il suo respiro regolare, guardava la sua figura allungata sul letto, avvolta dalle coperte.
La sola presenza di Steve riusciva spesso a calmarlo, gli ricordava che era in America, che non era più il Soldato d’Inverno. Gli ricordava che era ancora vivo, e che ava una vita da vivere, che gli piacesse o meno.
Non sempre riusciva a riaddormentarsi, ma la confortante presenza dell’uomo era abbastanza, era comunque meglio di nulla.
Erano più di due mesi che il Capitano era in missione, le poche notizie che arrivavano erano positive, ma era difficile determinare quando Steve avrebbe fatto ritorno.
Si sente solo in quell’appartamento. La verità, è che si sente solo nel mondo, a vivere una vita che non sente sua, in un’epoca a cui non appartiene.
È stanco.
Combatte da troppo tempo. Prima la guerra, poi l’Hydra, e infine la sua stessa mente.
È stanco.
Vuole solo smettere di combattere, abbandonarsi. Vuole smettere di vivere ma, allo stesso tempo, cerca disperatamente un motivo per andare avanti.
Per ora il suo motivo è Steve, ma per quanto potrà andare avanti?
Spesso si trova a desiderare di aver perso completamente la memoria. Tutto, nome compreso.
Vorrebbe essere come un foglio bianco su cui scrivere una storia nuova.
Ricordare, soffrire, farsi schiacciare dal senso di colpa è però ciò che si merita. Una punizione minima, in confronto ai suoi crimini.
 
                                                                                                                                                    §
 
 
Bucky Barnes possiede numerosi quaderni, di vari colori e dimensioni. Per la maggior parte sono semplici, e dalla coperta anonima.
Sono colmi di annotazioni. Pensieri e ricordi che gli vengono in mente.
Lui ha sempre tutto, anche se non era certo di aver davvero vissuto ciò che ricordava. Spesso ha ancora il timore che le immagini che gli tornano alla mente siano ricordi artificiali, costruiti dall’Hydra.
Non è certo nemmeno di quelli in cui c’è Steve, che si fa pestare malamente in un anonimo vicolo di Brooklyn.
Qualche volta ci sono dei disegni.
Frammenti di immagini a cui non sa dare un nome, che non sapeva collocare temporalmente. Allora cercava di abbozzarli sulle pagine come meglio poteva, in modo da non dimenticarli nuovamente, e nella speranza di capire di cosa si trattasse.
C’è un volto che potrebbe essere quello della madre di Steve, ma non ne è certo.
C’è una ballerina di cui non riesce a mettere a fuoco il volto.
Ci sono delle strade che sembrano quelle di Brooklyn, e quella che sembra una vecchia aula scolastica.
Aveva fatto vedere alcune pagine a Steve, per farsi aiutare a mettere ordine in tutto quel caos di memorie, ma il lavoro da fare era ancora tanto.
Marta gli consiglia di disegnare per rilassarsi. Gli consiglia di pensare a un luogo, una persona…qualsiasi cosa lo sia in grado di calmarlo, farlo sentire felice, al sicuro. O di inventare.
Non importa.
Non serve nemmeno che siano dei capolavori.
Escono assieme, una mattina e vanno nel negozio più vicino a dove abitano.
Bucky non ama particolarmente uscire di casa, soprattutto da quando le persone hanno incominciato a riconoscerlo per strada come l’ ex Soldato d’Inverno. Sono tante le persone che lo ritengono pericoloso, e lui non riesce a sostenere la paura che vede nei loro sguardi.
Si è deciso a uscire il meno possibile, quando le strade sono poco trafficate, ma con Marta al suo fianco si sente più tranquillo.
Dentro la cartoleria ci sono pochi clienti, Bucky si guarda attorno con circospezione mentre entra, ma nessuno bada a lui.
In fondo al negozio, sotto un’ampia finestra, c’è uno scaffale con dei barattoli colorati.
Davanti, ci sono due ragazze che li osservano con attenzione, ne prendono in mano alcuni, e li avvicinano al volto. Sono delle candele.
Bucky le osserva parlare e ridere sommessamente, poi una delle due circonda i fianchi dell’altra con un braccio, la avvicina a sé e avvicina i loro volti.
Si baciano, e l’uomo distoglie lo sguardo sentendosi in colpa per aver spiato quel momento di intimità. Cerca Marta con lo sguardo, e la vede guardare le due ragazze prima di distogliere lo sguardo con un’espressione triste.
La donna torna a concentrarsi sulle penne davanti a lei, poi ne sceglie due.
Lui afferra il primo quaderno che gli capita fra le mani. Piccolo, dalla copertina nera, e con molte pagine che presto si riempiranno di disegni.
Schizzi di Steve per la maggior parte, ma anche donne con ampie gonne a ruota, e le giostre di Coney Island.
Il salotto di un appartamento, una strada di Brooklyn coperta dalla neve.
Spesso l’uomo disegna ascoltando dei video ASMR, e Marta ne approfitta per leggere: ha trovato dei blog che parlano di disturbo da stress post traumatico, attacchi di panico, dissociazione, amnesia… ha comprato anche qualche libro, e cerca di capire quale sia il modo migliore per aiutare l’ex Soldato d’Inverno a tornare a essere solo un uomo.
Ogni tanto pensa di comprarsi anche uno dei quei libri ‘parla il russo in un mese’: le sarebbe certamente utile per capire Bucky, quando non riesce a ricordare le parole che gli servono in inglese.
Solitamente usano il traduttore del telefono, ma non sempre le frasi ottenute hanno senso, e l’uomo si innervosisce quando non riesce a parlare la lingua giusta e a farsi capire.
Qualche volta parlano in spagnolo, si tratta di semplici conversazioni che come argomento hanno la loro vita quotidiana.
Lei gli racconta della sua famiglia, e della sua infanzia a Cuba. Dei pomeriggi passati in spiaggia a correre lungo la riva, e del profumo del mare.
Lui ascolta con interesse, affascinato. Le parla degli anni’20 e ’30, di quello che ricorda. Le racconta delle notti trascorse in locali a bere, o ballare con giovani donne; le racconta della sua infanzia con Steve, di quando Captain America era solo un ragazzino tanto gracile quanto testardo.
Spesso le chiede di spiegargli tutto ciò che è cambiato in quegli anni, e che lui ha perso.
<< ¿ Ahora dos mujeres, o dos hombres, pueden besarse en público ? >>
<< Sì, pero hay aùn mucha gente que no esta de acuerdo. >> Si stringe nelle spalle.
Col tempo, Bucky comincia a pensare sempre meno in russo.
Sembra più sereno e, nonostante gli incubi lo tormentino ancora la notte, riesce a dormire meglio, a riaddormentarsi più velocemente.
Marta è, tutto sommato, soddisfatta e, quando Fury la contatta, può informarlo dei progressi fatti.
Sa che non è tutto merito suo, sa che Bucky è stato seguito per mesi da una terapista, prima di essere giudicato non pericoloso, e in grado di essere reinserito in società.
Sa anche che, se ci fosse stato il minimo dubbio sulla stabilità dell’uomo, non sarebbe mai stato affidato a lei.
I miglioramenti di quell’ultimo periodo, però, sono visibili, e sono anche merito suo.
Sapere di essere ancora in grado di aiutare gli altri, di svolgere il suo lavoro, la fa star bene, e quegli stessi progressi li racconta anche al detective Blanc, quando lui la chiama per chiederle come stia, come si trovi a New York.
Spesso lo ringrazia per averle fatto ottenere quel posto di lavoro. La metropoli è grande, ma ha trovato il suo spazio, e ama il suo lavoro.
Aiutare la fa star bene.
<< Il lavoro l’ha ottenuto perché è una brava infermiera, e una brava persona, >> le risponde il detective. << Si merita di star bene, di essere felice…scommetto che si diverte circondata da supereroi, eh? >>
Marta ride, sentendo il cuore che batte più forte. Quel mondo non fa davvero per lei, è contenta di poter vivere in un appartamento e non nella New Avengers Facility.
Non vuole nemmeno immaginare cosa debba affrontare ogni giorno il personale medico dello S.H.I.E.L.D.
Troppo eroismo, troppa tecnologia, troppo stress.
Non ha ancora conosciuto tutti gli Avengers, e le va bene così.
Non sa se li vedrà mai uniti, in veste non ufficiale almeno. Continuano a essere uniti per proteggere il mondo, certo, ma non sembrano più la squadra di eroi che si era venuta a formare anni prima per proteggere New York.
È triste.
 





 

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Capitolo 5
*** Corso base di difesa personale ***



NOTE.
Nei fumetti, Bucky ha conosciuto Natasha ( nata negli anni ’30 ) in Russia, nella Red Room. Si è occupato del suo addestramento all’interno del programma ‘vedova nera’, e i due hanno avuto una relazione.
Nell’MCU questa parte è stata eliminata, io l’ho voluta recuperare. Da questo capitolo in poi Natasha potrebbe essere presente nei ricordi del Soldato d’Inverno.






 
 
                                                                                                                                       Capitolo 5
 
                                                                                                                   Corso base di difesa personale





















 
 
 
 
 
 
 
 
 
In quella stanza buia, l’unico fascio di luce inonda una figura minuta che volteggia leggiadra sulle punte.
È così delicata, eterea… non sembra nemmeno reale. Eppure è lì, davanti a lui.
È così bella, pura… la desidera. Se solo allungasse una mano, potrebbe sfiorarla.
Lo fa, allunga una mano verso quella misteriosa ballerina, e lei si ferma.
Cerca di metterla a fuoco, ma il rosso dei suoi capelli continua a distrarlo. La avvolge come un’aura, come un fuoco.
<< Soldato… >>
Quella voce.
<< Soldato… >>
Lui la conosce, sa chi è, ma non riesce a ricordare.  Ma lo sa, lo sa! Se la chiamasse, se solo riuscisse a chiamarla… ma non ci riesce, non riesce a ricordare il suo nome, e lei si allontana, continua ad allontanarsi.
Non vuole restare solo.
Urla qualcosa, un nome. Non lo sa. Sente solo la sua voce squarciare il silenzio della notte, e non è nemmeno certo di aver urlato.
Apre gli occhi e resta alcuni secondi fermo, immerso nel buio che lo circonda, cercando di capire cosa stia succedendo attorno a lui.
Stava solo sognando.
Si mette seduto si guarda attorno. Alla luce gialla che entra da una finestra, riconosce il suo appartamento a New York.
Si toglie la coperta di dosso, e si siede meglio sul pavimento. Gli fa male il petto, si porta una mano all’altezza del cuore.
Nella sua mente, le scene del sogno sono già immagini offuscate. L’unica cosa che gli è rimasta è un’angoscia a cui non sa dare una spiegazione.
Si alza e accende la lampada da terra.
L’orologio alla parete segna le tre e dieci del mattino, e qualcuno bussa alla porta.
Il primo istinto è quello di prendere un pugnale, e ne cerca uno guardandosi attorno.
Altri colpi alla porta. << Bucky? >>
Si ferma. È la voce di Marta.
Esita ancora, ma alla fine si decide e va ad aprire.
La donna è in piedi sulla soglia, avvolta in una vestaglia da camera.
<< Bucky? È successo qualcosa? Ho sentito… dei rumori. >>
L’uomo si passa una mano sul volto << ti ho svegliata? Mi- >>
Lei scuote la testa. Non importa. In corridoio fa freddo, e si stringe la vestaglia addosso << come posso aiutarti? >> chiede.
<< N-non s-erve. È- era solo un incubo. >>
<< Non stai respirando, >> gli fa notare.
Lui la guarda interdetto. Non se n’era accorto, ma ha senso. È una spiegazione plausibile al peso che sente sul petto, alla testa leggera.
Marta allunga una mano e gli prende delicatamente il polso umano << è molto rapido, >> mormora poi, dopo qualche secondo.
<< Passerà, >> si ritrae lui << torna a dormire. >>
Lei esita: non vuole costringerlo, ma non le sembra sia il caso di lasciare l’uomo da solo. Lui tace, non le chiede nuovamente di andare via.
<< Posso entrare? >>
Bucky esita, ma poi si scosta.
Lei entra nell’appartamento fiocamente illuminato. In salotto nota la coperta sul pavimento, ma non dice nulla.
L’uomo la segue. Rimane in piedi alle sue spalle, incerto su cosa fare, poi si siede sulla coperta e se ne stringe un lembo contro il petto. Marta si siede a gambe incrociate davanti a lui.
Bucky è stanco, ha il volto pallido e lo sguardo perso.
<< Okay. Segui me. Inspira per quattro secondi. Inspira. Un-o, du-e, tr-e, quat-tro. Ora trattieni il respiro. Così. >> La sua voce è bassa, confortante. << Ora espira, piano. Tr-e, quat-tro. >> Conta lentamente. << Okay. Di nuovo. Inspira. Bene. >>
L’uomo comincia a calmarsi, ora è solo stanco.
<< Cosa posso fare? >>
<< N- >> inspira << non lo so. >>
Lei annuisce. Va bene, è normale essere stordito.
Gli chiede se voglia che lei continui a parlargli, e lui, dopo averci pensato un momento, annuisce. Marta allora continua, ma cambia lingua, e usa lo spagnolo.
Continua a parlare finché lo sguardo dell’uomo, a causa della stanchezza, non riesce più a focalizzarsi su di lei. << Ahora deberías dormir, >> mormora. Quelle parole scivolando morbidamente sulla sua lingua << magari in un letto vero, >> suggerisce.
L’uomo distoglie lo sguardo a disagio.
Stava riuscendo ad abbandonare quell’abitudine. Davvero. Da mesi riusciva a dormire in un letto vero. Quando Steve era partito, però, qualcosa in lui si era incrinato, ma era riuscito comunque ad andare avanti.
Era da alcuni giorni che si sentiva stressato. Non tanto, solo un po'…agitato
Marta annuisce, va bene, è normale avere giornate storte. Non può aspettarsi di stare sempre bene.
Lui tace.
Per il resto di quella notte, Bucky resta sul pavimento, avvolto dalla coperta, e si addormenta con le cuffie nelle orecchie, mentre ascolta un video ASMR.
La mattina dopo,  l’uomo è ancora stanco. È riuscito a riaddormentarsi solo per poco tempo.
<< Altri incubi? >> gli chiede Marta.
Lui scuote la testa. Crede si tratti di ricordi, risponde mostrandole i disegni fatti poche ore prima. La sua mente non gli aveva dato tregua, e alla fine si era arreso, aveva rinunciato a dormire e optato per mettere su carta quelle immagini a cui sperava di trovare un senso.
Il primo è la silhouette di una ballerina circondata da specchi. Sopra quella scena c’è una semiautomatica disegnata con estrema precisione.
Nella pagina accanto c’è il ritratto dell’agente Romanoff. Accanto, più piccola, c’è la figura intera dell’agente, ma indossa un abito che potrebbe essere degli anni ‘50.
<< Credo… >> comincia l’uomo << ho conosciuto Natasha anni fa. Tanti anni fa. È stato durante la guerra fredda, >> si ferma << l’ho- l’ho allenata io. E- ehm… credo fossimo amanti. >> Fa per dire qualcos’altro, ma si ferma. Non sa come continuare, cosa dire. Non è sicuro di cosa stia dicendo, non è certo che sia la verità.
<< Potresti parlarne con l’agente Romanoff, al suo ritorno. Credo che sia la soluzione più rapida per trovare una risposta ai tuoi dubbi, >> dice Marta, ben consapevole che il suo consiglio non sia facile da mettere in pratica.
L’uomo annuisce. Sa che la donna ha ragione, ma è ancora presto per quello.
Natasha potrebbe averlo dimenticato, o potrebbe non voler aver nulla a che fare con lui.
Se i suoi ricordi sono reali, fra loro due non è finita bene. È quasi certo di essere stato congelato nuovamente, ma lei? Non è certo di volerlo sapere, anche se ne ha un’idea.
 
                                                                                                                                                     §
 
<< No. Non credo che sia una buona idea. >>
<< Io mi sentirei più sicuro. >>
<< Più sicuro? >> inspira ed espira lentamente. ‘Eri il Soldato d’Inverno’, stava per dire, ma sarebbe stato davvero indelicato da parte sua. Eppure non ci sono molti modi per dirlo << io sono una semplice civile, >> riprova << e tu… eri un soldato. >>
Lui annuisce. << Per favore, >> dice poi << una conoscenza base è comunque meglio di nessuna conoscenza. >>
E Marta accetta. Come potrebbe dire di no a un adorabile ultracentenario, ex assassino, che le fa gli occhi dolci per convincerla a farsi insegnare le basi dell’autodifesa?
Lei accetta, e Bucky comincia a insegnare.
È interessante, utile e terrificante allo stesso tempo.
Se qualcuno la afferra per un polso, tirare è inutile. Usare la mano libera può rivelarsi pericoloso, perché potrebbe essere immobilizzata anche quella. Deve ruotare il polso verso il pollice dell’aggressore, e tirare indietro il braccio con forza.
In caso di attacco alle spalle: testata all’indietro contro il naso dell’aggressore, o gomitata contro la faccia
È quando l’uomo le spiega i punti deboli e come colpirli, che Marta, per la prima volta, scorge per un momento del Soldato d’Inverno.
<< Piegare un dito in questo modo provoca un forte dolore, ti darà abbastanza tempo per scappare. Colpisci gli occhi con le dita, le orecchie con la mano piatta. Colpisci il plesso solare con un pugno, facendo questo movimento. Così. Potresti farlo anche con un calcio, o una ginocchiata, ma solo se sei sicura che riuscirai a mantenere l’equilibrio. >>
È solo un momento, poi il Soldato scompare, e l’uomo al suo fianco torna a essere semplicemente James Buchanan Barnes.
<< Potresti insegnare in un corso di difesa personale. >>
L’uomo si irrigidisce. No, non fa per lui, dice poi. Non vuole più addestrare delle persone, gli ricorderebbe la Russia, gli ricorderebbe il programma Vedova Nera.
<< Non si tratterebbe di addestrare a uccidere, >> gli fa notare Marta gentilmente << potresti insegnare a delle donne come difendersi. Potresti aiutarle a salvarsi, a non subire una violenza. >>
Lui la guarda incerto. Non aveva considerato quel punto di vista. L’idea lo incuriosisce, lo ammette, ma non si sente ancora pronto.
Sarebbe bello vivere in un mondo che non richieda la conoscenza di certe abilità. << Spero che
queste poche nozioni non servano nemmeno a te. >>
<< Già, >> annuisce << speriamo, >> mormora. Non può fare a meno di pensare a Ransom, pur sapendolo in carcere e lontano da lei. << Speriamo. >>
Il suo tono di voce è abbastanza per insospettire l’uomo. Le rivolge uno sguardo indagatore, ma non chiede nulla per paura di risultare invadente.
Marta scuote la testa. Non vuole pensare a Ransom, anzi, vuole dimenticarlo completamente, fingere che non sia mai entrato nella sua vita.
Vuole dimenticare, ma non può, non ci riesce.
Il cellulare vibra nella tasca della borsa. Lo schermo si illumina, e Marta lo spegne con un gesto frustrato, poi si scusa.
Le labbra di Bucky si piegano in un sorriso, << hai un fidanzato? O una- >>
Lei scuote la testa << nessuno. Al momento ho ben altro a cui pensare… c’è stata una persona importante, però. >>
<< E ora non lo è più? >> chiede l’uomo. Poi si sente in colpa. Marta non può mentire, non è giusto da parte sua approfittarsene. << Non mi devi rispondere, >> risponde poi. << Non volevo metterti in difficoltà. >>
Lei scuote la testa.  Si stringe nelle spalle. << è… non lo so… complicato. Non riesco più… mi fidavo di questa persona. Ora non ci riesco più. Non credo di volerla ancora nella mia vita. >>
<< Ci hai provato? >>
<< N-no… non me la sento. >> Distoglie lo sguardo. 
<< Oh, andiamo, ti fidi di me. >>
<< Spero di non dovermene pentire, sergente Barnes, >> scherza lei.
È imbarazzante cerca di incoraggiare l’uomo ad andare avanti con la sua vita, cercare di fidarsi nuovamente delle persone che lo circondano, e poi lei è la prima a evitare le persone.
Non le persone.
Meg.
Il primo messaggio è arrivato esattamente due mesi fa, la data segnata dal cellulare glielo ricorda sempre. Non l’ha mai cancellato. Qualche volta lo rilegge, ma non risponde.
Ultimamente Meg ha cominciato a inviarle più messaggi, e lei non vuole rispondere. Li legge tutti, ma non risponde.
Le manca, è finalmente riuscita ad ammetterlo a sé stessa, ma non vuole più avere niente a che fare con quella famiglia.
<< Mi fidavo molto di questa persona, >> abbassa la testa << ma l’ho giudicata male. È stata colpa mia. >>
Bucky la guarda, incerto se chiedere altro. << Avevi una relazione con questa persona? >>
<< No. Non proprio. Per un periodo ho pensato che sarebbe potuto succedere qualcosa… invece non è successo nulla. Era una donna, comunque. >>
La sua vita sta nuovamente andando per il verso giusto. Ha un lavoro, una casa e si sente nuovamente in pace con sé stessa.
Più o meno.
Quella notte sogna Ransom che, assunte le sembianze di Bucky Barnes, cerca di ucciderla con un coltello da cucina. Si sveglia nella sua camera da letto, alla fioca luce di un filo di lucine a forma di mezze lune posate sopra una mensola.
Stringe la coperta, e rimane ferma, in silenzio, ad ascoltare la notte che la circonda.
Nessun rumore, è tutto tranquillo, ma il cuore batte ancora forte nel petto, e Marta resta seduta fra le coperte aspettando di calmarsi.
Prende il cellulare dal comodino, lo sblocca, e comincia a giocare aspettando di stancarsi.
Ha scaricato quel gioco mesi fa, perché le piaceva la grafica. Si è trovato a usarlo principalmente di notte, quando non riesce a dormire, o quando non riesce a concentrarsi su ciò che dovrebbe, e la sua mente ha bisogno di focalizzarsi su qualcosa.
Si tratta solo di gestire un cat café, e spesso pensa che è ciò che avrebbe dovuto fare nella vita vera. I gatti non cercano di ucciderti, e non ti lasciano un’eredità di cui non sai che fartene.
 
 

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Capitolo 6
*** Avengers assemble ***


Grazie mille a tutte le persone che seguono la storia!
Buona lettura :)!


                         


                                                                                                                                                 Capitolo 6
                                                                                                                       Avengers assemble

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






<< Respira. Piano. Così, così. >>
Il corpo di Bucky è rigido, teso. Le mani si stringono in pugni.
<< Ho un antistress. >> mormora Marta prendendo la borsa medica << mi dispiace, ho solo quello a forma di panda. Con i glitter. >>
Il volto dell’uomo si rilassa per un breve momento, lui quasi ride mentre allunga la mano umana per prendere l’antistress. È solo un momento, poi sul suo volto tornano l’angoscia, e la paura.
Le lacrime gli rigano le guance, e lui distoglie lo sguardo. Continua a stringere il panda, cerca di concentrarsi su quell’oggetto che tiene fra le mani che, una volta schiacciato, torna nuovamente alla sua forma originale.
<< È successo qualcosa? >> chiede Marta.
L’uomo scuote la testa, poi però annuisce.
<< Okay. Una cosa per volta. Prima rilassati, poi magari mi dici cos’è successo, e cerchiamo una soluzione. >>
Bucky emette un gemito frustrato, e si passa una mano sul volto, la affonda fra i capelli e stringe.
<< Con calma, >> Marta gli prende la mano con la sua. È quella in vibrano, è fredda. << L’attacco di panico finirà, è solo temporaneo, e non c’è bisogno di affrettare il tutto. Con calma. Respira. Piano con quella mano, non farti male. >>
<< Lo merito. >>
<< No, >> scuote piano la testa.
Lui le rivolge un sofferente sguardo scettico.
<< Con tutto il rispetto, sergente Barnes, le ricordo che io non posso mentire. >>
Le labbra dell’uomo si piegano in un sorriso, ma le lacrime continuano a rigargli il volto.
Più tardi, davanti a una tazza di tè nero, Bucky confessa di essere agitato all’idea dell’imminente ritorno del Capitano Rogers.
Si sente stupido, e infantile. La donna però lo ascolta pazientemente, senza giudicarlo.
<< Torna fra tre giorni, >> dice, sorseggiando il tè << infermiera, davvero non posso avere del caffè? Non ha pietà per un povero veterano che chiede solo una misera tazza di caffè? >>
Marta sbuffa << era questa la sua tecnica durante la guerra? >> lo prende in giro. << Sarei davvero irresponsabile se ti facessi bere del caffè dopo un attacco di panico. La risposa è no, sergente. >>
Il ritorno di Steve è positivo, non ha senso essere così agitato.
È solo che vorrebbe stare meglio. Vorrebbe poter essere utile, smettere di essere un peso per Steve.
Sospira << non merito tutto quello che ha fatto per me, e non ho alcun modo di sdebitarmi. E se lui si stancasse di avermi attorno… forse si è già stancato… >>
<< Se il capitano fosse stanco di te, probabilmente non saresti qui. >> Il tono di Marta è freddo, e anche il suo sguardo.
Bucky rimane stupito da quel cambiamento improvviso e, per la prima volta, si chiede quante cose non sappia riguardo la donna seduta davanti a lui. Sorride e scuote la testa, lei non conosce Steve Rogers.
Vero, ma le persone sono tutte uguali: si preoccupano finché fa comodo a loro; proteggono solo finché aiutare non crea problemi.
<< Non pensare mai di non meritare l’affetto di qualcuno, >> continua la donna. Non possiamo scegliere da chi farci voler bene, e nessuno ha il diritto di sminuire l’affetto che ci viene mostrato.
L’uomo non commenta.
La settimana in cui il Capitano Rogers ritorna è un lungo susseguirsi di avvenimenti per cui Marta non era pronta, e probabilmente non lo sarebbe stata nemmeno se l’avesse saputo in anticipo
Trovarsi davanti a Captain America in persona, per la prima volta, è un’esperienza… terrificante. Sì, non ci sono altri modi per definirla.
Le foto, le immagini alla televisione non rendono giustizia alla realtà, e Steve Rogers dal vivo sembra un Ransom Drysdale a stelle e strisce.
Vederlo è sempre un colpo, ma il suo carattere, i suoi modi di fare sono completamente diversi da quelli di Ransom.
Bucky è più allegro, ma i primi giorni alterna momenti di stress acuto a momenti di serenità.
A Marta ricorda un gatto randagio estremamente bisognoso d’affetto, ma troppo spaventato per chiederlo.
Pochi giorni dopo, c’è una riunione alla New Avengers Facility.
Sembra che gli Avengers stiano cercando di tornare quelli di una volta, con lo S.H.I.E.L.D. che si sta risollevando dopo aver eliminato gli agenti dell’Hydra al suo interno.
Il governo, però, non ritiene ancora di potersi fidare, e il segretario Ross vuole incontrare Nick Fury e gli Avengers. Vuole incontrare anche il Soldato d’Inverno, e capire se sia ancora una minaccia
Il segretario Ross chiede anche la sua opinione su Bucky.
<< Mi dica, signorina Cabrera, ritiene che il Soldato d’Inverno sia un pericolo? >>
<< Il signor Barnes, >> lo corregge lei << non è un pericolo. >>
<< Crede che potrebbe essere utile? >>
<< Utile? >> che razza di domanda è? Stanno parlando di una persona.
<< Utile. Tornare a fare parte di un esercito, essere una risorsa per la sicurezza pubblica. >>
<< Il signor Barnes non vuole più essere coinvolto in scontri. >>
<< Quindi? >>
Marta stringe le labbra. << quindi non farà parte di nessun esercito. >> Con la coda dell’occhio vede Fury, seduto accanto al segretario, piegare leggermente le labbra in un sorriso impercettibile.
Probabilmente quell’infelice conversazione sarebbe andata avanti ancora, se l’agente Hill non l’avesse interrotta.
Barnes richiede assistenza medica.
Marta non chiede il permesso, afferra la sua borsa medica, e si alza. Esce dalla stanza seguendo Maria Hill, e alle sue spalle sente le voci di Ross, che avrebbe voluto fermarla, e quella di Fury che lo invita a ‘lasciare che l’infermiera faccia il suo lavoro ’.
Bucky è in un salotto, inginocchiato per terra accanto a un altro uomo, che gli preme un asciugamano attorno alla mano umana.
<< Ufficiale Wilson, cosa è successo? >>
<< Ha rotto un vetro con la mano, >> la informa Sam, togliendo l’asciugamano chiazzato di sangue, mentre Marta si inginocchia davanti ai due uomini.
Bucky non si oppone. Trema, lo sguardo perso nel vuoto, il respiro affannato. << N-non vo-levo, non- >> rantola.
<< Lo so. È tutto okay, >> lo rassicura la donna prendendo il disinfettante e del cotone << fammi vedere le ferite, >> cerca di convincerlo, allungando la mano verso di lui, che però si ritrae. 
Sono solo dei graffi, mormora, nulla di grave. Non serve preoccuparsi.
Sam, intanto, li ha lasciati soli.
Marta insiste.
Lui si arrende; non dice nulla mentre lei gli disinfetta la mano, il polso, mentre lo fascia con delicatezza e attenzione. Ascolta solo la sua voce, e cerca di concentrarsi sulle sue parole, ma sente solo un mormorio indistinto in cui riesce a distinguere ben poco.
<< Dovresti sdraiarti, riposare un po'… ti sentiresti certamente meglio dopo aver dormito. >>
Lui scuote la testa. Ha paura, non vuole abbassare la guardia.
<< Va tutto bene, >> cerca di tranquillizzarlo lei. <<  Al tuo risveglio sarai sempre qui. >>
L’uomo si rifiuta nuovamente.
<< Almeno sdraiati. Solo un po'. Hai bisogno di riposare, >> cerca ancora di farlo ragionare. << Io resto qui. >>
Lungo il corridoio si sentono dei passi.
Bucky si irrigidisce e fissa la porta come un animale in trappola.
Marta si alza, pronta a dover tener testa a chiunque sia, da un impiegato dello S.H.I.E.L.D addetto alle fotocopie, a un soldato. Fosse anche un dio.
Sulla soglia, però, c’è solo il capitano Rogers.
<< Ross è andato via, >> comincia il capitano, poi indica Bucky con un cenno del capo, che rifiuta di guardarlo stringendosi nelle spalle. << Sam mi ha detto che non stava bene. >>
Lei annuisce, e si scosta per far entrare l’uomo. << Attacco di panico, capitano, e lievi ferite alla mano destra. >>
Buky abbassa la testa, evita lo sguardo di Steve, e mormorando un ‘mi dispiace’.
<< Buck? Ehy, va tutto bene. >> L’uomo cerca di rassicurarlo. << Andiamo a casa. >>
 
                                                                                                                                                    §
 
<< Su, bevi, >> Natasha gli allunga un bicchiere con un liquido verde. Steve non ha la più pallida idea di cosa sia, ma lo beve comunque. << È buono, >> commenta poi.  
La donna sorride, orgogliosa << è un midori sour, >> dice poi. << Cerca di rilassarti, >> aggiunge comprensiva << sono certa che Barnes starà bene. >>
<< È rimasto a casa con l’infermiera? >> chiede Tony, ignorando lo sguardo di Pepper, che gli intima di non impicciarsi di affari che non lo riguardano.
Steve annuisce, preoccupato, e la donna interviene per cercare di rassicurarlo.<< Sono sicura che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. >>
<< Ma sì, la sorella di Oliver Twist sembra sapere il fatto suo. Forse è un po' dal panico facile…sai, quando il braccio in vibranio ha fatto qualche scherzo… >>
Pepper sospira coprendosi il volto con una mano.
<< Che c’è? Che ho detto? >>
Rhodey dà una pacca sulla spalla all’amico e scuote la testa. << Taci. >>
Natasha allunga un bicchiere a Clint, che lo accetta volentieri, e si volta a guadare in fondo alla sala, dove si sono appartati Wanda e Visione. Sono tornati da poco dalla Scozia, ma Clint, per quanto si sia affezionato alla giovane donna, avrebbe preferito fossero rimasti lì, lontani dal caos. Inoltre, se deve essere sincero, non gradisce che Visione le stia così vicino.
<< Rilassati, Steve, >> interviene Sam.
Eppure il capitano non può fare a meno di sentirsi in colpa.
Sa bene quella serata non è solo di svago, ma anche per cercare di tornare uniti dopo tutto quello che è capitato, ma lui è lì con gli altri, alla New Avengers Facility, mentre Bucky è rimasto nel loro appartamento.
In realtà c’è Marta con lui, non è solo. Non si sente solo.
Non è ancora pronto per incontrare tutti gli Avengers, per fingere che vada tutto bene e che il passato sia davvero passato.

§

Il suo sguardo scorre sui titoli dei dischi in vinile. Ha voglia di musica, ma non sa decidersi.
Ha voglia di ballare, se deve essere sincero, ma non osa farlo. Ha paura di non ricordare più passi di scoprire di non essere più in grado di farlo.
Marta gli si avvicina << indeciso su cosa ascoltare? >>
Lui annuisce in silenzio.
<< Tutto bene? >>
<< Mh, >> risponde, lo sguardo perso, una mano posata sopra la custodia di un disco. Guarda il titolo senza leggerlo. << Scegli tu, >>  dice poi.
Marta lo guarda interdetta, poi allunga una mano e prende il primo che le capita.
Le note di ‘in the mood’ riempiono il salotto.
Le labbra di Bucky si distendono in un sorriso, e il volto si rilassa lentamente. Il suo corpo comincia a muoversi seguendo il ritmo della musica.
È tanto che non balla, e gli è mancato molto più di quando aveva immaginato.
Il suo corpo ricorda ancora come muoversi, nonostante per decenni non abba fatto altro che uccidere.
<< Sergente, non mi insegna a ballare? >>
Buky rimane interdetto. Invitarla a ballare? Non è certo che sia una buona idea. Non ha idea di cosa sia realmente capace di fare.
Però vorrebbe tanto ballare.
<< Andiamo, sergente. Lo prenda come… un esercizio di riabilitazione. >>
Quella proposta gli suona convincente, e allunga incerto le braccia verso Marta. Lei sorride.
Bucky la stringe a sé, si muove seguendo la musica, lentamente, incerto. Cerca di ricordare i passi, e guida i movimenti della donna.
Se chiude gli occhi, riesce a immaginare una sala da ballo degli anni ’30; sente la musica e il vociare delle persone, rumore di tacchi e cozzare di vetro. Può quasi sentire l’odore di alcool, delle sigarette, e quello dolce dei profumi femminili.
Quegli anni gli mancano, eppure, in quel momento, poter andare avanti con la sua vita gli sembra quasi facile.
È forse la prima volta che si sente bene in quel secolo, che sente di poter trovare un suo posto nel mondo. Non sa quando durerà quella serenità, e vuole godersela.
Il cellulare di Marta vibra, ma lei lo ignora. Continua a ballare convinta che si tratti ancora di Meg, e non sentendosi pronta per un nuovo messaggio.
Lo legge più tardi, e si rende conto, con sollievo, che è solo il detective Blanc.
È la foto di un articolo di giornale in cui c’è una foto dove compare anche lei, assieme agli Avengers. È stata scattata qualche giorno fa, prima di una riunione alla Avengers Tower.
Sempre circondata da supereroi, eh?
Marta sorride imbarazzata.
È grazie a lei, detective.






 

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Capitolo 7
*** Reunion ***







                                                                                                                          Capitolo 7
                                                                                                                           Reunion

 
                                                                     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il capitano Rogers è nuovamente in missione.
Bucky legge per tenere la mente impegnata, avere qualcosa su cui concentrarsi.
In una libreria di seconda mano ha trovato un libro che ha catturato la sua attenzione, e ha deciso di comprarlo.
Marta non è certa che sia stata una buona idea.
<< Forse non ha senso, >> le dice un giorno l’uomo, il libro, ormai terminato, posato sopra il tavolo << ma è stato come rivivere il passato. Quando la guerra stava arrivando, e lo sapevamo. Prima, quando andava tutto bene anche se non era vero. C’erano tante cose che non andavano bene, ma ci accontentavamo… bè, no, Steve non è mai stato capace di tenere la testa bassa. >>
Marta non è certa di aver compreso appieno il discorso dell’uomo: è piuttosto vago, e lei non ha mai letto ‘The Reunion’. In silenzio, ascolta lo sfogo dell’uomo.
Forse non potrebbe capire comunque. Per quando cerchi di essere empatica, lei è comunque figlia di un altro periodo storico.
<< Questo libro… mi ha ricordato la mia amicizia con Steve. >>
Amicizia? Fa per chiedere. Era così che la chiamavate? Invece tace: forse si tratta solo di una sua impressione. Chiede se il libro abbia un lieto fine.
Bucky scuote la testa << uno dei due muore. Giustiziato per aver preso parte a una congiura contro Hitler. Era un nazista, eppure il suo amico era ebreo. >>
<< Sia tu che il capitano siete vivi, >> lo rassicura lei << non l’hai ucciso. E non sei un nazista. >>
<< Ci sono andato molto vicino, però. >>
<< Non eri tu, non hai avuto la possibilità di scegliere. >>
L’uomo si passa una mano sul volto, e si scusa. Sospira. << Quello che sto dicendo non ha senso. Il mio cervello non funziona più a dovere. >>
<< La nostra mente è in grado di fare delle associazioni che non sempre sono chiare, ma ciò non significa che siano sbagliate. Bisogna solo prestare un po' più di attenzione. Ogni persona interpreta la realtà in base al proprio vissuto. >>
Bucky le rivolge un sorriso stanco, e la ringrazia: sa essere sempre rassicurante. Non ha idea di dove sarebbe senza lei e Steve.
Probabilmente non sarebbe nemmeno riuscito ad abituarsi a tutta la modernità che lo circonda, ammette. È tutto affascinante, e gli interessa conoscere tutte le novità di quel secolo, eppure…
<< Non sei costretto a farti andare bene ogni aspetto di quest’epoca. >>
Lui ride. È una risata amara, triste. << Invidio il tuo ottimismo, il tuo riuscire sempre a trovare  una soluzione a tutto. >> Scuote la testa << devo adattarmi. Non posso pretendere di star bene in questo secolo se continuo a vivere come fossero gli anni ’30. >>
<< Perché? >> sbotta la donna, cogliendolo di sorpresa. << Chi l’ha deciso? >>
Lui resta in silenzio, interdetto.
<< Ci sono tante persone che vivono come se la tecnologia non esistesse. >>
<< Parli dei monaci tibetani? >>
Marta sospira, ma le sue labbra si piegano in un accenno di sorriso.
<< Prenda il computer, sergente, le mostro qualcosa che probabilmente non si aspetta. >>
Entrano su youtube, e lei gli mostra video di donne che insegnano come ricreare le acconciature degli anni ’50, o gli abiti.
Gruppi musicali che fanno musica swing, electro swing, o anche solo ispirata a quella della prima metà del novecento.
È un video di un trio italiano tutto al femminile* ad attirare l’attenzione di Bucky.
Legge il titolo, e le sue labbra si piegano in un sorriso; Marta gli rivolge uno sguardo incuriosito.
<< Oh, questa è una delle canzoni sconce. >>
<< Allora devi farmela sentire, >> chiede la donna, premendo play.
Il sorriso dell’uomo si allarga, il suo sguardo si assottiglia.
<< Magari possiamo anche ballarla, >> propone lui, mettendosi in piedi e allungando una mano.
Marta si accorge dell’incertezza nello sguardo dell’uomo, e accetta l’invito prima che lui possa cambiare idea.

Zulu man is feeling blue
Hear his heart beat a little tattoo, singing
Diga diga doo, diga doo doo
Diga diga doo, diga doo
 
Si lascia guidare da Bucky, che si muove con più sicurezza rispetto alla prima volta che l’ha invitata a ballare.
Non è certa che le due cose siano collegate ma, col ballo stanno tornando anche i ricordi.
Recuperare la memoria non è un’esperienza piacevole per l’uomo. I suoi ricordi si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli che appartengono al Soldato d’Inverno, e che vorrebbe dimenticare, e quelli che appartengono a James Buchanan Barnes, e che lo rattristano scatenando in lui una dolorosa nostalgia del passato.
Ballare però lo rende anche allegro. Gli permette quasi di illudersi che siano ancora gli anni ’30, e che la guerra non sia ancora arrivata.
 
You love me and I love you
And when you love it is natural to
Diga diga doo, diga doo doo
Diga diga doo, diga doo
 
Dopotutto, ballare piace anche a lei.
A volte si pone il dubbio che non sia poco professionale stare così vicina all’uomo ma, dopotutto, non stanno facendo nulla di male.
Proprio come Harlan le aveva insegnato a giocare a go, Bucky ora le sta insegnando a ballare. Spera solo che l’epilogo sarà diverso, spera che ne usciranno tutti vivi.
 
                                                                                                                                                §
 
 
I giorni passano, il Capitano ritorna, e con lui c'è l'agente Romanoff. È quasi mezzanotte quando Marta si decide a spegnere la luce. Forse, sarebbe dovuta andare a dormire prima, ma non aveva sonno. Ora finalmente è stanca, pronta a mettersi sotto le coperte e dormire.
La stanza è immersa in una penombra rischiarata solo dalla lampada sul comodino.
Nonostante l’ora tarda, quella notte non è silenziosa. Da quando si è trasferita lì, ha cominciato a fare attenzione a ogni minimo rumore. Prima era solo la paura che Ransom potesse in qualche modo trovarla, poi quella paura si era trasformata in preoccupazione per Bucky.
I suoni provenivano dall’appartamento che l’uomo condivideva col capitano Rogers. Sembrava che qualcuno stesse parlando.
Marta ripiega i vestiti appena tolti, e li sistema sulla sedia, pronti per il giorno dopo.
I suoni salgono d’intensità, e Marta inizia a preoccuparsi, poi un tonfo sordo e delle voci agitate che parlano in russo e inglese.
Marta attende. Deve andare a controllare?
Se Bucky fosse stato solo, non avrebbe esitato. Attende ancora, ma il caos non sembra placarsi.
Infila le pantofole, e si precipita fuori dall’appartamento proprio mentre la porta dell’altro appartamento viene aperta, e l’uomo compare in corridoio.
<< Marta? Serve il suo aiuto- >>
La donna torna immediatamente torna dentro con un ‘prendo la borsa medica.’
Entra nell’altro appartamento senza sapere bene cosa aspettarsi.
In salotto, seduto per terra c’è il capitano Rogers. Fra le sue braccia, seduta fra le sue gambe, c’è la Vedova Nera, un panno insanguinato premuto contro la fronte.
<< Sono…solo…caduta, >> mormora la donna. Trema appena, il respiro è rapido.
Sul divano alle sue spalle ci sono delle coperte aggrovigliate, e il tavolino vicino a lei è spostato in un angolo strano. Fa strano immaginarsi la Vedova Nera che, a causa del sonno agitato, cade da un divano battendo la testa.
Marta annuisce, e si inginocchia davanti a lei << ci penso io, >> mormora aprendo la borsa.
Da grandi poteri, derivano grandi problemi.
<< Capitano, le metta una coperta sulle spalle. >>
<< Agente Romanoff- >>
<< Natasha, per favore. Non serve tutta questa formalità, non sono così vecchia. >>
<< Mh, hai solo un’ottantina d’anni, >> ribatte Bucky.
<< Ah, taci, >> poi si volta verso Marta << mi dispiace che l’abbiano svegliata, ma sto bene. >>
<< Ha sbattuto la testa, sta sanguinando, e trema. >> Senza aggiungere altro, scosta il panno dalla fronte della donna per esaminare la ferita.
Si stupirà il giorno dopo del tono con cui si è rivolta alla Vedova Nera, in quel momento la sua preoccupazione è un’altra.
Natasha non protesta, stanca e poco abituata a essere messa a tacere in quel modo. Ha davvero freddo, e si stringe addosso la coperta mentre Marta le disinfetta la fronte e Steve, preoccupato, le stringe le spalle.
L’infermiera non dice nulla, non fa commenti. Prima di tornare nel suo appartamento, si preoccupa solo di medicare la ferita, e si accerta che Natasha stia bene.
Da quando è tornata dall’ultima missione, una settimana prima, l’agente Romanoff passa molto tempo in compagnia di Bucky e del Capitano.
I due uomini le stanno vicini e la seguono con lo sguardo, preoccupati; lei non vi bada, o finge di non farlo.
Bucky le racconterà il motivo giorni dopo, senza scendere troppo nei dettagli. Durante l’ultima missione, in Russia, ci sono stati degli imprevisti decisamente poco piacevoli per Natasha, che ha dovuto affrontare un passato che ha sempre cercato di ignorare e dimenticare.
Quella sera Marta torna nel suo appartamento e, chiudendosi la porta alle spalle, immersa nel silenzio del suo salotto, si sente incredibilmente sola.
In quell’ultimo anno, più o meno senza rendersene conto, si è isolata dalle persone che facevano parte della sua vita.
Una lacrima solitaria le riga il volto, la seconda viene asciugata subito con la mano.
La donna si allontana dalla porta, e va in camera sua spegnendo, al suo passaggio, le luci che aveva acceso poco prima, quando era uscita.
Abbandona la borsa medica sul pavimento, e prende il cellulare per vedere l’ora.
Sono quasi le quattro, è passata poco più di un’ora da quando si è svegliata. Non sa se riuscirà a riaddormentarsi, ma non vuole restare sveglia in compagnia di quella malinconia improvvisa.
Si avvolge nelle coperte, e stringe il suo peluche contro il seno, ma continua a sentirsi sola.
Ripensa a Meg, ai messaggi ricevuti da lei, che si ostina a non cancellare, ma a cui non vuole rispondere.
Rivuole Meg nella sua vita? Sì.
È una buona idea? Assolutamente no.
Forse è cambiata, forse no. Vorrebbe darle una seconda possibilità, ma sa bene che non riuscirebbe a fidarsi di lei fino in fondo e, dopotutto, sente che è giusto così.
È giusto che ognuna vada per la sua strada perché, per quanto le manchi, la sua presenza può solo farle altro male.
La mattina seguente si sveglia stanca e stordita. Cerca di nascondersi dietro un sorriso, ma non è, ovviamente, abbastanza per ingannare l’ex Soldato d’Inverno, la Vedova Nera, e il capitano Rogers.
Bucky però deve aver detto agli altri due di non fare domande e, benché trovi imbarazzante che la sua incapacità di mentire sia nota, è grata all’uomo.
 
                                                                                                                                                                     §
 
Bucky non si accorge dello sguardo felice di Steve, del suo sorriso.
Si lascia trascinare dalla musica nel suo ballo solitario. Cerca di non badare ai passi, non li ricorda bene, ma vuole divertirsi, quindi cerca solo di seguire il ritmo.
Si ferma solo quando si accorge dello sguardo dell’altro uomo.
<< Continua, ti prego. Mi piace vederti felice. >>
<< Facevo pena, vero? Puoi dirmelo, non mi offendo. >>
<< Ti ho trovato solo un po' lento… sarà l’età. >>
Ridono assieme, e Bucky gli dice che è stata Marta a convincerlo.
<< Te la cavi ancora, però, >> aggiunge il capitano. È sempre stato bravo… avrebbe voluto chiedergli delle lezioni.
<< Prima avresti dovuto trovare qualcuna da invitare a ballare. >>
<< Ehi! Ero riuscito a rimediarlo un appuntamento. >>
<< Ma davvero? E con chi? La conoscevo? >>
<< … Peggy, >> ammette il capitano in un sussurro.
Bucky lo guarda in silenzio, comprensivo, poi allunga una mano nella sua direzione << vieni qui, potresti ancora riuscire a rimediare qualcosa. Non si sa mai. >>
Il disco in vinile riprende a girare, e le allegre note di ‘sing, sing, sing’ si diffondono nella stanza.








*Il trio a cui mi riferisco è ‘Les Babettes’. La versione originale di ‘diga diga doo’ è del 1928, ma io preferisco quella cantata dalle Babettes XD.





 

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Capitolo 8
*** Il fantasma della vita passata ***







                                                                                                   Capitolo 8
                                                                                                            Il fantasma della vita passata

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



Bucky è spesso stanco.
Da quando la memoria ha cominciato a tornare, i ricordi del suo passato hanno iniziato a tormentarlo più spesso.
La notte si sveglia spesso, e ha paura di addormentarsi: meglio lunghe ore trascorse a fissare il buio, piuttosto che avere altri incubi.
Steve chiede consiglio a Marta.
<< Non posso fare molto, capitano, sono solo un’infermiera, >> comincia la donna, poi però gli elenca una serie di suggerimenti.
Prendere dei sonniferi potrebbe essere una soluzione, ma quelli non risolveranno il problema principale.
Altre soluzioni potrebbero essere convincere Bucky a parlare dei suoi incubi, stargli vicino quando è stressato.
Fare in modo che la sera, prima di andare a letto, sia quanto più tranquillo possibile.
<< La musica e il ballo lo mettono di buon uomo, anche se gli fanno tornare in mente molti ricordi non sempre piacevoli. Una soluzione potrebbe essere quella di creare nuovi ricordi associati a ciò che gli piace… provare ad associare qualcosa di piacevole a ciò che gli crea disagio.  >>
Qualche sera dopo, Marta sente una melodia provenire dall’appartamento dei due uomini.
È da poco passata l’ora di cena, e lei è in cucina a lavare i piatti. Si ferma e resta in ascolto.
Sorride.
Le piace quella canzone, ma non ha idea di cosa sia, e dire che in quei mesi ne ha sentita di musica vintage!
Prende il cellulare per risolvere il suo dubbio, e scopre che si tratta di ‘cheek to cheek’.
Rimane ancora in ascolto in silenzio, sorridendo.
Il cellulare, posato sopra il ripiano della cucina, comincia a squillare.
Guarda interdetta il nome sul display: è il detective Blanc. È strano che la chiami così tardi.
<< Buonasera detective. >>
<< Marta! Come sta? Spero vada tutto bene…il lavoro le piace? Non ha intenzione di abbandonarlo, vero? >>
<< N-no. >>
<< Ah, meglio così, >> il suo tono di voce diventa improvvisamente serio. << La preferisco vicina a dei superuomini. >>
La donna tace, allertata dall’improvviso cambiamento. Si siede sulla sedia più vicina., deglutisce a vuoto. << Perché? >>  trova il coraggio di chiedere.
Blanc si schiarisce la gola, a disagio <<  temo di avere una brutta notizia: Ransom è evaso. >>
Le manca il respiro e le gira la tesa. La cucina gira attorno a lei dandole la nausea. Tace, deglutisce a vuoto sperando di aver capito male, ma il detective non scoppia a ridere ammettendo di averle solo voluto fare uno scherzo. << …cazzo, >> geme.
<< Voglio che limiti le uscite al minimo indispensabile, cerchi di non essere mai da sola. Io sarò a New York domani mattina per collaborare alle indagini. Fury è stato informato e- Marta? >>
<< Sì? >> pigola lei, il cellulare stretto in mano.
<< Le prometto che andrà tutto bene. Nessuno le farà del male. Chiaro? >>
<< Mh. >>
<< Marta. Andrà tutto bene. >>
Lei riesce solo ad annuire, dimenticandosi che l’uomo non la può vedere.
Chiusa la chiamata, l’unica cosa che riesce a fare è piangere.
Stava andando tutto bene, era felice, e la sua vita stava cominciando a tornare alla normalità. Avrebbe voluto che quel momento di calma fosse durato più a lungo, non è pronta ad affrontare nuovamente quello stress. Non ci riesce, non vuole.
Nel silenzio rotto solo dai singhiozzi, che cerca di mettere a tacere, si sentono le note di un vecchio brano suonato da un giradischi.
Ha paura.
E si sente sola.
La mattina seguente, pur avendo dormito male e per poche ore, si risveglia con una forza d’animo che non pensa avrebbe avuto.
Ransom le ha già creato fin troppi problemi. Non vivrà la sua vita nella paura che lui possa trovarla e cecare nuovamente di farla fuori.
Vuole essere forte, e cerca di relegare la paura in un angolo della sua mente. Cerca di ignorarla.
Finge che Blanc non l’abbia chiamata; esce a fare la spesa cercando di convincersi di non sapere dell’evasione di Ransom.
Eppure appena mette piede nel palazzo si sente già più tranquilla. Lì è al sicuro. Quello è un luogo che conosce, nessuno sguardo indiscreto può osservarla nascosto fra la folla.
È uscita semplicemente per poco, ma è stata un’uscita incredibilmente stressante.
Sale le scale lentamente, stanca. Si sente svuotata e ha l’impressione di aver affrontato un’impresa enorme, quando, in realtà, non ha fatto nulla di sensazionale.
<< Marta? >>
Una mano sulla spalla.
Lei si volta, e Ransom è davanti a lei. Urla e indietreggia andando a sbattere contro la porta alle sue spalle.
<< Ehi, ehi, >> l’uomo solleva le mani << sono io. >>
L’uomo non si avvicina, aspetta che lei si calmi abbastanza da riconoscerlo.
È Steve. Il capitano Rogers. Captain America.
Marta singhiozza. Sotto lo sguardo sgranato del capitano, si lascia cadere a terra in lacrime.
L’uomo le si inginocchia subito accanto, la sorregge tenendola per le spalle mentre lei continua a piangere scossa dai tremiti.
Steve aspetta pazientemente che la donna si calmi, poi la aiuta a sollevarsi e a portare la spesa dentro l’appartamento.
Le chiede se abbia voglia di parlarne; lei non vorrebbe, ma non può mentire, e non ne ha nemmeno voglia.
Sospira, stanca, e comincia a raccontare di Ransom, della famiglia Thrombey, di Harlan.
Il capitano non dice nulla, non fa domande, lascia solo che lei parli.
<< Ora Ransom è evaso, >> termina lei.
Steve annuisce, comprensivo e pensieroso, << non sarà facile per lui trovarla. E poi lei passa tanto tempo con Bucky, con me… e spesso c’è anche Natasha. Finché non sarà al sicuro, ci penseremo noi a proteggerla. >> Si scusa ancora per averla spaventata. Voleva solo invitarla a cena.
Marta accetta senza quasi pensarci: meno resta sola, meglio sarà.
 
                                                                                                                                                                §
 
È stato stupido da parte sua fare come se il problema non esistesse.
È in pericolo, che lei voglia ammetterlo o no.
Certo, il pensiero di avere due super soldati come vicini di casa è rincuorante, ma non abbastanza.
Il suo fisico non riesce a reggere a lungo quell’intenso stress, le notti in bianco, i pasti saltati, l’essere sempre all’erta.
Chiude gli occhi per un momento e, quando li riapre, si trova stesa per terra.
Bucky è chino su di lei; Steve compare poco dopo nel suo campo visivo con del ghiaccio fra le mani, lo avvolge in un panno da cucina, e lo preme contro il suo collo.
Marta geme infastidita dalla sensazione di freddo, ma si sente già più sveglia.
Prova a mettersi seduta, ma Bucky la blocca.
Marta non si oppone, e lascia che il freddo del ghiaccio la tenga sveglia.
<< Serve che chiami un medico? >> chiede Steve.
Prima di rispondere, la donna si prende un momento per riflettere, poi mormora un << no. >>
I due uomini si scambiano uno sguardo incerto, e la donna cerca nuovamente di mettersi seduta, e si oppone quando provano a bloccarla.
<< Sto meglio, non dovete preoccuparvi, >> li rassicura, incrociando le gambe. Si passa una mano sul volto, Steve le allunga il ghiaccio e lei lo prende.
<< Lavora troppo, forse dovrebbe prendersi delle ferie... possiamo fare qualcosa? >>
‘Un miracolo ’ pensa, ma cerca di sorridere << non dovete preoccuparvi, >> ripete. Guarda l’orologio appeso al muro << si è fatto tardi, >> si mette in piedi << se non serve nulla io- >>
Bucky le afferra un braccio, sia per fermarla, che perché non è certo che la donna sia davvero in grado di stare in piedi.
<< Preferiremo che lei restasse a cena qui, >> interviene il capitano.
Bè, se deve essere sincera, lo preferirebbe anche lei, ma non vuole fare il terzo incomodo. Ora deve solo riuscire a mentire e tornare nel suo appartamento prima di vomitare anche l’anima.
Inspira profondamente, ma Bucky la ferma per la seconda volta << Steve è un gentiluomo, io no. Tu resti a cena. >>
<< Sergente, questo si chiama sequestro di persona. >>
<< Infermiera, questo si chiama preoccuparsi per una persona. >>
Marta si arrende. Non ha voglia di discutere, e non vuole rischiare gli effetti collaterali che una sua bugia causerebbe.
 Bucky glielo chiede distrattamente, mentre sta apparecchiando la tavola, e Steve sta cucinando.
<< In questi giorni sei…strana. C’è qualcosa che non va? >>
E la donna intuisce che, molto probabilmente, il capitano non gli ha detto nulla. Si stringe nelle spalle << bè…c’è uno che mi vuole morta. >>
L’uomo si ferma e le rivolge uno sguardo interdetto aspettando che lei scoppi a ridere dicendogli che è solo uno scherzo. Non succede. L’uomo si volta verso Steve e, dal suo sguardo, si rende conto che il capitano ne era a conoscenza.
<< Deve solo provarci. >>
<< Oh, no, >> si oppone la donna << devi starne fuori. Tu e chiunque altro. È una persona pericolosa, ha già creato molti problemi…e… è me che vuole, non ha senso che altre persone restino coinvolte. >>
L’uomo resta interdetto per un momento, chiedendosi se per caso la donna si sia dimenticata con chi abbia a che fare. Poi rifiuta: non permetterà a nessuno di farle del male.
Steve trascina Bucky ai fornelli per preparare la cena, e Marta prova la strana sensazione di essere una bambina a cena dai nonni.
Quella sera Marta si ritrova a raccontare la sua vita ai due.
Racconta un po' di Cuba, del trasferimento.
Racconta dei suoi studi e poi, inevitabilmente, non può non parlare di Harlan, della sua morte. Alla fine racconta anche di Ransom. È talmente stanca di tenersi tutto dentro, che le parole escono fuori come un fiume in piena e lei non riesce nemmeno a pentirsene.
Racconta dei dettagli in più rispetto a quelli detti al capitano e, quando finisce, e si rende conto di tutto ciò che ha detto, tace. Con la mano stretta attorno al bicchiere d’acqua, aspetta un giudizio da parte dei due uomini.
Probabilmente quel suo sfogo è stato davvero poco professionale, ma voleva che loro sapessero in che modo il suo precedente impiego era terminato. In tutti quei mesi si era sentita in colpa nei loro confronti.
<< Mi auguro che tu non debba più avere nulla a che fare con quelle persone, >> commenta infine il capitano.
<< Però quei soldi erano loro. >>
<< E loro era la responsabilità di essere una famiglia, occuparsi l’uno dell’altro. >>
<< Sei una persona troppo buona, >> mormora Bucky.
<< Dovrei smettere, mh? >>
<< Sì. >>
Anche Steve annuisce. << Però, >> aggiunge poi << tu avrai sempre qualcosa in più rispetto a quelle persone. >>
Marta annuisce. Sa già cosa vuole dirle l’uomo, cose già sentite, i soliti ‘sei migliore di loro’ o ‘sii orgogliosa di te stessa’, ‘la vera forza è la bontà’.
Sono frasi che ha ripetuto a sé stessa per darsi coraggio, ma la verità è che vorrebbe tanto essere diversa, più egoista, ma non ci riesce.
<< Non permetter a nessuno di farti diventare senza cuore. Sicuramente avresti una vita più facile, ma non saresti più tu. Cambia perché lo vuoi, per diventare una persona migliore, ma non permettere mai al mondo di cambiarti. Non c’è nulla di peggio che diventare un’altra persona. Guardarsi  alle spalle, dopo del tempo, rendersi conto di quanto si è cambiati e non riconoscersi più. Qualsiasi cosa tu faccia, devi poterti riconoscere nel riflesso che lo specchio ti rimanda alla fine della giornata. >>
Quello era un discorso inatteso, e la donna, colpita, si limita ad annuire.
Si sente più tranquilla, riesce quasi a dimenticarsi di Ransom e della sua famiglia ma, quando è tardi e deve tornare nel suo appartamento, le manca il respiro all’idea di essere sola.
Cerca comunque di mostrarsi tranquilla, sorride quando saluta i due uomini e augura loro la buona notte.
Ore dopo, si sveglia spaventa da un rumore che, solo dopo essersi calmata, riesce a identificare come la vibrazione del cellulare.
Spaventata, ma incapace di restare ferma, si alza.
Assalita da una paura improvvisa, corre fuori dalla camera da letto. Accende tutte le luci e controlla più volte che porte e finestre siano ben chiuse.
Stanca, si lascia cadere in ginocchio per terra, accanto al divano, e resta lì a piangere finché non comincia a tremare di freddo.
Dovrebbe tornare a letto, ma ha paura anche solo di muoversi.





 

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Capitolo 9
*** Vite che si incrociano ***


                                                                                 




                                                                                                                            Capitolo 9
                                                                                                                        Vite che si incrociano

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Marta e il Capitano li osservano da lontano, in silenzio. L’uomo è preoccupato, e non cerca nemmeno di nasconderlo.
Wanda gli si avvicina silenziosamente, e gli prende un braccio.
<< Scusa, i miei pensieri sono troppo forti perché tu possa ignorarli, vero? >> sospira l’uomo, voltandosi verso di lei.
La giovane donna annuisce.
L’uomo si scusa nuovamente, e Wanda cerca di rassicurarlo.
Steve torna a guardare fuori: in piedi sul prato che circonda la New Avengers Facility, Bucky e Natasha stanno ancora parlando.
<< Capitano, >> si intromette Marta lasciando da parte la sua borsa medica << Bucky ha bisogno di ricordare, per quanto non sia piacevole. >>
Natasha l’ha conosciuto in un periodo di cui lui non ricorda quasi nulla, pertanto è l’unica in grado di restituirgli quei ricordi.
Sono ricordi che, per la maggior parte, portano sofferenza, e Steve è stanco di vedere l’altro uomo soffrire.
<< Deve lasciargli la possibilità di scegliere, anche se dovesse pentirsene. Deve abituarsi a prendere decisioni autonomamente. >>
L’uomo annuisce e solleva le mani in segno di resa. << Potrebbero almeno parlare dentro, >> mormora poi, guardando il cielo << sta per piovere. >>
È stata una mattinata lunga, resa ancora più lunga dalla presenza del segretario Ross.
Marta sospira e si abbandona sul divano su cui è seduta. Ama sempre di più il suo piccolo, tranquillo appartamento a New York.
Quella tranquillità dura ancora una settimana, poi Captain America deve trasferirsi alla New Avengers Facility.
È positivo, significa che gli Avengers stanno riuscendo a trovare un punto d’incontro, che torneranno a essere uniti.
Per la sicurezza mondiale ciò è positivo.
Per Barnes, meno.
Lui non fa parte degli Avengers, e non vuole farne parte. È stanco di combattere, ma il mondo lo vede ancora come un pericolo.
Ogni suo passo falso ricadrà su Captain America: è un grosso peso, e lui ha paura di sbagliare.
È confuso e spaventato, non sa come comportarsi.
Forse la cosa migliore sarebbe prendere le distanze, aspettare che tutti si dimentichino di lui e restare da solo nell’appartamento, ma è egoista e stanco della solitudine.
Steve gli ha chiesto di andare con lui. Inoltre, come è stato fatto notare dal segretario Ross, lui è una fonte di informazioni sull’Hydra: dopo tutti i crimini commessi, il minimo che può fare è condividere tutto ciò che sa.
Incerto, si rivolge a Marta per avere un consiglio.
Lei sorride comprensiva, e mormora un ‘sii egoista’, ben conscia che ciò implicherà anche il suo trasferimento.
All’inizio l’uomo non sembra convinto, e si prende del tempo per pensarci. Solo alcuni giorni.
Due settimane dopo, Marta mette piede nella sua nuova stanza alla New Avengers Facility.
Quando comincia a riconoscere i corridoi, le scale, e si rende conto che, dopotutto, orientarsi non è così difficile.
Quel luogo, che all’inizio le era sembrato immenso, comincia sembrarle quasi familiare. Le era sembrato anche più caotico, ma forse si era trattato solo della sua immaginazione.
Le camere degli Avengers, e la sua, sono nella zona più appartata, e silenziosa che non aveva mai visto. La sua stanza è vicina a quella di Bucky e di Captain America. È ampia, luminosa, e si affaccia su un vasto prato verde.
Si tratta comunque della base degli Avengers, e la tranquillità non  è mai destinata a durare a lungo.
Ognuno degli Avengers ha le sue caratteristiche, le sue abitudini, e Marta deve abituarsi a tutto e tutti.
La mattina comincia col Capitano che torna dalla sua corsa, spesso assieme a Sam.
Natasha, probabilmente quella che si sveglia prima di tutti, preferisce allenarsi nella palestra interna. O almeno quella è l’idea che si è fatta.
La compagnia degli altri non le dispiace, ma sembra quasi che abbia bisogno di abituarsi a stare serenamente in mezzo alle persone.
Una volta, per sbaglio, mentre esplorava l’edificio, l’ha vista ballare: uno spettacolo etero, e inatteso. Uno a cui sicuramente non avrebbe dovuto assistere, quindi era andata via in tutta fretta.
Non ha ancora deciso come giudicarla.
È sempre stata gentile con lei. Spesso le ha rivolto degli sguardi quasi…materni? Non sa se sia l’aggettivo giusto, ma è quello che più si avvicina all’impressione che ha avuto.
Occhio di Falco spesso è assente. Da quello che ha capito, vive lontano assieme alla sua famiglia.
Wanda Maximoff è la più silenziosa, spesso è facile dimenticarsi della sua presenza, e Marta ha il dubbio che i suoi silenzi siano dovuti a un possibile disagio.
Natasha e Steve l’hanno presa sotto la loro ala, ma la giovane donna sembra sempre piuttosto insicura.
Visione è… bè, non ha ancora deciso come definirlo, però le piace. E le piace vedere il modo in cui riesce a far sorridere Scarlett Witch: sembra quasi che la giovane donna brilli di luce propria.
Infine c’è  Tony Stark. Lui è come un bambino, e Marta è infinitamente grata della presenza della signorina Potts e del tenente-colonnello James Rhodes.
Stark passa lunghe ore chiuso nel suo laboratorio. Esplosioni e altri suoni poco rassicuranti sono all’ordine del giorno. In quei casi sono il capitano Rogers e il tenente- colonnello Rhodes a occuparsene, seguiti da una Pepper ormai troppo abituata per preoccuparsi.
Marta si tiene a distanza di sicurezza, la borsa medica stretta in mano, nel caso possa servire il suo aiuto.
Ha sentito che Fury vorrebbe far aggiungere anche Spiderman agli Avengers, ma Stark si è opposto.
<< È un’importante risorsa. >>
<< È un amichevole Spiderman di quartiere, ed è solo un ragazzino. >>
In pochi giorni si è resa conto che, chi più chi meno, tutti gli Avengers hanno i loro problemi.
Quegli eroi, che si presentano coraggiosamente per proteggere il mondo, hanno un lato oscuro che cercano di nascondere, tenere a bada come meglio possono.
Ansia, PTSD, incubi, sensi di colpa, paura di non essere all’altezza.
È un fatto ovvio, ma lei non ci aveva mai pensato.
È quando crede di aver visto quasi tutto che, nel fine settimana, dei fulmini illuminano la sera che scende sopra la New Avengers Facility.
Il cielo è sgombro, non ci sono nuvole, non piove, ma i fulmini squarciano l’aria e accompagnano un luminoso fascio di luce.
Marta lo guarda incerta. Quei giochi di colore la affascinano, ma è preoccupata per ciò che potrebbe capitare dopo. Si chiede se non si tratti dell’ennesimo esperimento di Stark.
<< È Thor, >> la rassicura il capitano Rogers. È contento, sorride pronto ad accogliere un vecchio amico.
L’imponente sagoma del dio compare nel fascio di luce, seguita da un fragoroso tuono.*
 
                                                                                                                                                                     §
 
<< Allora, come ti trovi? >>
Bucky le sorride imbarazzato << dovrei farla io a te questa domanda. Probabilmente ti sembrerà ti essere finita in un manicomio. >> Distoglie lo sguardo, tornando a osservare il paesaggio fuori dalla finestra, e torna serio << sta andando bene. Ma… credo di aver bisogno di altro tempo per abituarmi. >> Si passa stancamente una mano sul volto.
<< È normale. Devi fare con calma. >>
 Lui annuisce distrattamente. << Sai…io e Natasha abbiamo parlato molto ultimamente. >>
<< E? >>
Ha visto spesso i due parlare assieme, ma Bucky non le ha ancora detto nulla di quelle conversazioni, e lei non ha voluto insistere.
<< Eravamo amanti. La sua presenza era l’unica cosa che mi ha tenuto sano di mente in quegli anni. L’ho addestrata io, e-e probabilmente ho anche rischiato di-di ucciderla. Nulla di sorprendente >> si ferma e inspira profondamente << …ci hanno scoperti, e hanno cancellato i nostri ricordi. >>
Si passa una mano sul volto.
I ricordi si succedono rapidi nella sua mente. Sono immagini che non vuole vedere, ma quelle non vogliono lasciarlo in pace.
Scuote la testa, come se potesse bastare a dimenticare, a tornare nel presente.
La voce di Marta gli arriva lontana, cerca di concentrarsi su di essa, ma non ci riesce.
È inverno. È il 1940.
È in guerra. È in Russia.
C’è Natasha. C’è Steve.
L’Hydra. Lo S.H.I.E.L.D.
<< -ente… -finita. >>
Ci sono altri rumori, passi, voci.
<< Si allontani. >>
<< È tutto sotto controllo, >> la donna liquida con noncuranza chiunque abbia cerato di allontanarla. << Guardami. Sei a New York., >> gli prende la mano umana fra le sue, e stringe delicatamente. << Ascolta la mia voce. Immagina- >>
Altri passi. Voci.
Mani calde stringono saldamente le spalle dell’uomo, una voce chiama il suo nome.
Marta tace in attesa.
Il corpo di Bucky si irrigidisce per un momento, poi si rilassa abbandonandosi contro quello del capitano, che lo stringe a sé rivolgendo uno sguardo preoccupato all’infermiera.
<< Va tutto bene, >> mormora lei. << Meglio riaccompagnarlo nella sua stanza, così si riposa. >>
Bucky, stordito, si lascia guidare docilmente. Si appoggia al capitano, e l’infermiera li segue.
Il capitano lo aiuta a sdraiarsi a letto, dove si abbandona stancamente.
Marta resta in disparte, e aspetta che Captain America le si avvicini. << Ha solo bisogno di stare un po' tranquillo, >> comincia, con fare rassicurante << non avete bisogno di me. Vi lascio soli, ma se dovesse succedere qualcosa chiamatemi subito. >>
L’uomo annuisce, e Marta esce dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Sola in corridoio, le sue labbra si piegano in un sorriso. Immaginava che il capitano potesse essere il calmante perfetto per Bucky, ma non ne aveva la certezza.
Spera davvero che i due uomini abbiano ancora molti anni da trascorrere assieme, anche se da un lato sa di dover avvisare l’ex Soldato d’Inverno che dovrebbe fare tutto il possibile perché la sua pace mentale dipenda solo da sé stesso.
In corridoio la raggiunge l’agente Romanoff.
<< Come… sta? >> chiede. Non ha bisogno di specificare a chi si stia riferendo.
<< Stanco, ha solo bisogno di calmarsi. Adesso è col capitano Rogers. Starà bene. >>
Natasha annuisce. È preoccupata. Fa per andare via, poi cambia idea e si volta << lei crede che starà bene? Che riuscirà ad andare avanti con la sua vita? Vivere normalmente… >>
<< La normalità è relativa, >> risponde Marta, avvicinandosi. Le due donne iniziano a camminare fianco a fianco lungo il corridoio deserto. << normalità è ciò a cui si è abituati. Qualsiasi cosa, per quanto orribile, può diventare normale. Credo che Bucky abbia bisogno di conoscersi nuovamente, ricordare chi era e decidere chi sarà. >>
Natasha sorride << non lo consideri pericoloso? Non hai paura? >>
Marta si stringe nelle spalle. Ormai crede di sapere di cosa l’ex Soldato d’Inverno sia capace, e crede di sapere come comportarsi. Inoltre, per quanta paura possa avere lei, è lui quello più spaventato.
L’agente Romanoff tace, poi la guarda in silenzio per un lungo istante. << Grazie per tutto quello che fai, >> mormora poi. << Stare vicina al Soldato d’Inverno… in pochi avrebbero accettato. >>
<< Non è come la gente crede che sia. Nonostante il suo passato, l’Hydra- >>
<< Non si smette di essere assassini. Il passato rimane, non può essere ignorato, o cancellato. >>
<< Ma il nostro presente lo possiamo scegliere noi. Bucky non ha scelto di essere un assassino, non ha potuto scegliere nulla per decenni. Non è il mostro che il mondo vuole vedere solo per il gusto di avere qualcuno contro cui puntare il dito. >>
Natasha sorride e scuote la testa.  
 
                                                                                                                                                        §
 
 
Non credo nella Patria. Credo nelle Patrie.
Possono essere luoghi speciali, a cui ci sentiamo legati per sempre, non importa quanto siano lontani da noi, e non importa da quanto tempo non ci torniamo. Ma di solito sono le persone a noi  familiari, e di cui ci fidiamo.
Casa è dove siete. **
Bucky legge più volte quella frase, l’ultima del libro che gli ha prestato Marta qualche giorno prima. La legge, e se la ripete mentalmente. È triste e confortante allo stesso tempo.
La Brooklyn degli anni ’30 sarà sempre casa sua, anche se non può tornarci. Tante persone del suo passato sono morte, ma casa possono essere le persone che lo circondano adesso.
Casa è Steve, che lo conosce da una vita, e che, nonostante gli anni e le guerre, è ancora con lui.
Casa è Natasha, che l’ha tenuto sano di mente quando si sarebbe dato la morte piuttosto che continuare a essere un assassino.
Casa è Marta, che ha una pazienza infinita e una parola di conforto sempre pronta.
Casa può essere quel presente che è costretto a vivere.
 
 
 
 
 
 
*In seguito alla distruzione di Asgard, probabilmente Thor non potrebbe arrivare in quel modo. Forse ci sarebbe qualche tuono, qualche fulmine, ma il fascio di luce sarebbe il Bifrost che si apre, e ora il ponte è andato distrutto.
So che, per essere più realistico, l’arrivo di Thor dovrebbe essere diverso, ma mi piaceva descriverlo in questo modo XD.
 
**La citazione è tratta da ‘Eure Heimat ist unser Albtraum’. L’ho tradotta io, visto che il romanzo esiste solo in lingua tedesca, ma facciamo finta che Marta l’abbia trovato e letto in inglese ^_^; .
Questo è il testo originale:
Ich glaube nicht an Heimat. Ich glaube an Heimaten.
Das können besondere Orte sein, denen wir uns ewig verbunden fühlen, egal, wie weit wir weg sind, und egal, wie lange wir schon nicht mehr dort waren. Doch meistens sind es Menschen, die uns vertraut sind und denen wir vertrauen.
Zu Hause ist, wo ihr seid.
 
 

 

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Capitolo 10
*** Attenzione ai dettagli ***


  





                                                                                                                         Capitolo 10
                                                                                                                        Attenzione ai dettagli

 
 
 




 
 
 
 
 
 
 
 
 
Marta si siede sul prato, le gambe incrociate e gli occhi socchiusi. Si gode l’inatteso e tiepido sole che splende sopra la New Avengers Facility.
La notte è stata lunga, e anche la mattina appena trascorsa. Vorrebbe solo tornarsene nella sua stanza a dormire ma, stranamente, non ha sonno.
Il cellulare in mano, guarda la risposta che ha dato all’ultimo messaggio ricevuto dal detective Blanc.
Sto bene, sono con gli Avengers. Non si preoccupi.
Quella bugia le è costata la colazione.
Lei e il detective si sono sentiti al telefono qualche giorno prima. Dopo il trasferimento, il detective ha deciso che la città era troppo pericolosa per la donna, e l’ha pregata di tornarci solo in caso di estrema necessità.
Si sente stranamente tranquilla.
Ha passato le ultime notti a ragionarci su per cercare di calmarsi, e di essere pronta a ogni eventualità.
Ransom non sa dove abiti, e si è appena trasferita. Come potrebbe fare a trovarla?
E poi, è sempre con gli Avengers.
Non si sente sola nemmeno la notte, quando tutte le luci sono spente e cala il buio.
Sa che non dovrebbe essere così calma e fiduciosa, che abbassare la guardia è sbagliato, ma proprio non riesce a essere agitata.
Ci sono tante cose che occupano la sua mente e, stranamente, si sente fiduciosa verso il futuro. Finalmente, dopo mesi, le cose stanno andando per il verso giusto, ma non riesce davvero a godersi quel successo: sembra troppo bello per essere vero.
È preoccupata di non essere preoccupata, è in continua attesa che succeda qualcosa: un limbo a cui non sa come mettere fine.
Poi ci sono i messaggi di Meg. A quelli non ha ancora risposto e, per il momento, non vuole rispondere. Eppure sarebbe facile, basterebbe scrivere un ‘non voglio più avere nulla a cha fare con te ’  o un ‘mi hai fatto soffrire’. Non dovrebbe nemmeno dare spiegazioni.
Potrebbe, più semplicemente, bloccarla. Cancellare i messaggi e il suo numero.
Non fa nulla di tutto ciò.
Poco distanti da lei, ci sono Bucky e la Vedova Nera. Parlano, ma non sa di cosa.
<< È…adorabile, >> mormora infine Natasha, dopo aver ascoltato il racconto dell’uomo.
Quella mattina Steve non era andato a correre, fatto già abbastanza strano di per sé. Quando la donna aveva provato a parlargli, lui aveva liquidato tutto con un sorriso stanco e un ‘va tutto bene’ appena sussurrato.
Natasha aveva maledetto la stupida abitudine dell’uomo a non voler far preoccupare gli altri, ed era andata a chiedere a Bucky.
L’uomo le aveva raccontato che la notte prima Steve si era svegliato a causa di un incubo, e aveva avuto un attacco di panico che l’aveva tenuto sveglio per ore.
Hanno svegliato Marta… per fortuna. Lei è riuscita a farlo calmare, e gli ha messo addosso una coperta in più dopo essersi accorta che il termostato non funzionava bene.
<< Non sapevo che Steve non sopportasse il freddo fino a quel punto. Ho notato che preferiva temperature più calde, che la sua stanza era sempre più calda del resto dell’appartamento. Marta è incredibilmente attenta… >>
<< Una vera fortuna che Fury l’abbia assunta. >>
L’uomo annuisce distrattamente, guardando la donna in questione.
<< Senti, questa sera deve tornare in città per prendere alcune cose che ha lasciato nel vecchio appartamento. La puoi accompagnare? >>
Natasha annuisce. << Nessun problema. Steve mi ha chiesto di prendere alcune cose per lui. >>
Distante da loro, Marta si mette in piedi. Fa qualche passo in avanti, e barcolla.
Natasha se ne accorge per prima, e la raggiunge.
<< Tutto bene? >>
L’altra donna è pallida.  << Nulla di cui preoccuparsi, >> mormora.
<< No? >>
<< È solo il ciclo, >> rassicura.
Ore di sonno, grazie a Ransom, ne ha perse abbastanza ma non ne sente il peso. Spesso non ha nemmeno sonno.
<< Meglio tornare dentro, mh? >> mormora la Vedova Nera, circondandole la vita con un braccio e facendole strada. << Ho saputo che la notte è stata lunga. >>
<< Ah, il Capitano- >> un giramento di testa la ferma.
<< Andiamo. È il caso di passare per l’infermeria? >>
<< No. No, non serve. >>
Marta si lascia docilmente accompagnare alla sua stanza. Lì, si abbandona sul letto e, dopo aver impostato una sveglia, si concede un’ora di riposo.
Prima che la sveglia squilli, qualcuno bussa alla porta.
È il capitano.
<< Natasha mi ha detto che non stava bene… e aveva davvero ragione. Le ho portato una tazza di tè, ma forse ha bisogno di altro. >>
<< Capitano, va bene il tè. Non si preoccupi. >>
L’uomo le rivolge uno sguardo scettico, ma alla fine annuisce << torni a riposare. >>
<< Oh, no, non- >>
<< Torni a riposare. >>
È tardo pomeriggio quando qualcuno bussa nuovamente alla sua porta.
Marta abbandona il tepore della coperta per alzarsi e andare ad aprire. Si ferma un momento davanti allo specchio, per sistemarsi, poi apre.
È Natasha.
<< Bucky mi ha detto che devi tornare in città per prendere qualcosa nel tuo vecchio appartamento. Ti accompagno. >>
‘Non serve’ sarebbe stata la sua prima risposta. Stringe le labbra e deglutisce a vuoto. Odia non poter mentire, e non ha nemmeno il tempo di trovare un altro modo per declinare la proposta.
Natasha la guarda in attesa.
<< Va bene, grazie. >>
L’altra donna annuisce << parto fra un’ora. >>
 
                                                                                                                                                           §
 
Il viaggio è piacevole, tranquillo.
Le due donne parlano con naturalezza mentre l’auto procede lungo la strada, e Marta si rende conto di trovare particolarmente piacevole la compagnia di Natasha.
Non ha mai avuto nulla contro la donna, ma non si sono mai trovate per così tanto tempo assieme e da sole. È strano.
Parlano tranquillamente, discorsi senza importanza. Parlano per non far calare il silenzio, ma la conversazione non è forzata.
La voce della Vedova Nera è bassa e rilassante, sentirla è piacevole.
Marta ascolta con interesse, e parla liberamente. Il fatto di non poter mentire non è un grande problema: si sente stranamente a suo agio nel rispondere alle domande della donna.
Natasha parcheggia in silenzio, e, prima di scendere dall’auto, le chiede se abbia bisogno d’aiuto. << No, grazie. Si tratta solo di poche cose. >>
Marta entra in quello che ormai non è più il suo appartamento è accende la luce.
È quasi vuoto: i mobili sono rimasti al loro posto, ma le sue cose ormai non ci sono più.
Lascia la porta socchiusa, tanto ci vorrà solo un momento. Attraversa l’appartamento per andare in camera da letto, dove ha lasciato l’ultima scatola da portare via.
La porta d’ingresso si chiude.
<< Marta? >>
La donna si volta. << Capitano? >>
L’uomo sorride e annuisce.
<< È venuto qui per aiutare? Non serviva, davvero. Natasha non ha bisogno d’aiuto? >>
<< No. >>
<< Allora prendo la scatola che ho lasciato in camera e possiamo andare. Faccio subito. >>
<< Non preoccuparti. >>
Lungo il corridoio il cellulare vibra, e la donna lo prende dalla tasca per leggere il messaggio appena ricevuto.
Capitano Rogers:
Questa sera pensavamo di vederci un film. Si unisce a noi?
Sente dei passi avvicinarsi alle sue spalle, e il mondo le crolla sotto i piedi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE.
È un capitolo davvero breve, lo so ^^; , ma è stata una settimana impegnativa e non mi andava di far passare troppo tempo fra un aggiornamento e l’altro.





 

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Capitolo 11
*** Il gemello cattivo ***












                                                                                                                    Capitolo 11
                                                                                                                Il gemello cattivo

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Marta fa appena in tempo a girare la chiave nella serratura. Il colpo arriva contro il legno della porta, assordante e violento.
<< Apri! >>
Geme spaventata, e si tappa la bocca con entrambe le mani. Non ha senso, Ransom sa benissimo che lei è lì, ma teme comunque di fare rumore.
L’uomo si accanisce con violenza contro la porta, Marta si allontana e trema, non sapendo come comportarsi.
<< Apri! >>
È stata una stupida.
Come ha fatto a pensare anche solo per un momento a pensare che quel fosse il capitano? Se ne sarebbe dovuta accorgere subito, e sarebbe dovuta scappare fuori dall’appartamento.
Prende il telefono, ma le mani le tremano e non riesce nemmeno a sbloccarlo. Continua a sbagliare, preme i numeri sbagliati,  le dita scivolano sullo schermo.
Ransom continua ad accanirsi sulla porta, che sembra sul punto di cedere.
Il telefono le cade di mano, finisce per terra, e lei non riesce nemmeno a chinarsi per raccoglierlo. Il cuore le batte forte nel petto: è assordante quasi quanto i colpi alla porta.
L’unica cosa che riesce a fare è tapparsi le orecchie e sperare che tutto finisca.
Non sa cosa fare, non riesce a pensare. Sente solo i colpi, la voce di Ransom che urla, la chiama e la insulta.
Morirà così. È una terrificante certezza.
Ora che le cose stavano andando bene, ora che stava riuscendo a superare la morte di Harlan.
Sono mesi che non vede sua madre, e sua sorella.
In corridoio cala il silenzio. Poi un altro colpo.
La porta si apre e lei urla addossandosi contro il muro.
<< Ehi. >>
È Natasha. Solo Natasha.
Marta si sente male. Le gira la testa, le viene la nausea.
Per un momento teme di aver immaginato tutto. Che quello lì fuori fosse davvero il capitano? E il messaggio che ha ricevuto? Oppure lì fuori non c’è mai stata nessuno e lei è solo pazza.
Si lascia cadere seduta per terra, e scoppia a piangere.
La Vedova Nera le si avvicina << ehi, ehi, va tutto bene. >> Si inginocchia lentamente davanti a lei << puoi spiegarmi chi diavolo è quella brutta copia di Steve? >>
Alle sue spalle, in corridoio, Ransom è per terra, apparentemente svenuto.
Marta prova a balbettare qualcosa, mormora parole sconnesse, frasi senza logica. Natasha, in qualche modo, riesce a capire lo stretto necessario, ed è lei a chiamare il detective Blanc.
Ransom riprende i sensi mentre lei è al telefono, di spalle.
Marta cerca di avvisarla: non ce n’è bisogno. La Vedova nera riesce ad atterrarlo senza problemi mentre continua tranquillamente la conversazione telefonica.
Chiusa la chiamata, rivolge uno sguardo rassicurante all’altra donna. << Tutto okay, >> mormora.
 
                                                                                                                                                      §
 
Quando la polizia arriva per portarlo via, Marta non riesce a guardarlo, e abbassa la testa. Il detective Blanc si mette prontamente fra lei e Ransom.
L’uomo è furioso, urla e si dibatte, la insulta. Blanc si volta per intimargli di tacere, ma lui lo ignora; poi Natasha gli rivolge uno sguardo minaccioso, e allora tace.
Marta cerca di farsi più piccola, incassa la testa fra le spalle. Natasha le circonda le spalle con un braccio << forza, andiamo. >>
Marta singhiozza, si stringe contro il corpo dell’altra donna.
Blanc le rivolge uno sguardo preoccupato, Natasha lo rassicura << ci penso io. La signorina Cabrera è al sicuro. >>
Marta trema, e si lascia guidare da Natasha. Inciampa nelle scale, rischiando di cadere. Si ferma e si siede su un gradino a riprendere fiato.
In auto, è Natasha ad allacciarle la cintura di sicurezza << una bella botta di vita, mh? >> mormora accendendo il riscaldamento. Prima di mettere in moto, la osserva attentamente. << Niente ospedale, sicura? >>
L’infermiera ha già rifiutato quando, poco prima, anche il detective Blanc le ha fatto la stessa richiesta.
<< S-icura, >> conferma asciugandosi le lacrime, e cercando di calmarsi. Trema ancora, non riesce a smettere.
È imbarazzante essere così agitata davanti alla Vedova Nera.
Natasha le parla durante il viaggio, un mormorio basso e costante che cerca di distrarla dai suoi pensieri, dallo spavento preso poco prima.
Con la città ormai alle loro spalle e la sagoma della New Avengers Facility davanti a loro, Marta comincia a rilassarsi. Stanca, si rannicchia contro il sedile dell’auto, le braccia strette al petto.
Natasha la guarda di tanto in tanto, preoccupata. Quando arrivano, la aiuta a scendere dall’auto e la accompagna all’interno. La sua è una presenza rassicurante.
Il capitano Rogers viene subito loro incontro.
È preoccupato. << Cos’è successo? Siete scomparse entrambe e- >> in quel momento si accorge di Marta << cosa-? >>
<< Lunga storia, >> lo interrompe la Vedova Nera << ha appena rischiato di morire, >> aggiunge accennando all’infermiera. << Dalle un po' di tempo. >> Non si ferma né aspetta la risposta di Steve. Continua a camminare guidando, praticamente trascinando, Marta verso la sua stanza.
L’infermiera resta in silenzio, cammina poggiandosi al muro e reggendosi a lei.
<< Hai bisogno di qualcosa? >>
Marta scuote la testa mentre apre la porta della sua stanza. È ancora confusa, stordita.
<< Dovresti mangiare. >>
Giusto. Dovrebbe, ma ora vuole solo rintanarsi sotto le coperte, al buio, e dimenticarsi del mondo esterno.
<< Ti porto qualcosa. >>
Vorrebbe rifiutare, dire che non serve, ma non sarebbe vero.
<< Tu sdraiati, tranquilla. >>
Marta si toglie la giacca, aiutata dall’altra donna, e la lascia su una sedia, poi si scioglie i capelli.
<< Tranquilla. >>
Dopo aver mangiato, Marta si addormenta vestita, sopra il letto, avvolta solo da una coperta. La mattina successiva non sente la sveglia e si alza tardi.
Entrando di corsa in cucina, urta contro qualcuno.
Trovandosi davanti la figura del capitano, per un momento ha l’impressione di avere davanti Ransom. Sa che non è possibile ma, spaventata, fa comunque qualche passo indietro.
<< Marta? >>
La donna cerca di calmarsi. Fa un respiro profondo.
<< M-mi scusi. È tardi, lo so che è tardi- >>
<< Marta, lei dovrebbe riposare. Dopo ieri- >> Natasha ha raccontato brevemente a lui e agli altri gli avvenimenti della sera precedente.
<< Non- non ho molta voglia di stare a letto a fare nulla. >>
L’uomo annuisce comprensivo << mangi qualcosa. Se vuole c’è del tè appena fatto. >>
<< Grazie. >>
<< Come- come si sente? >>
Lei esita. Non lo sa bene, è confusa, e stanca. La sera precedente la ricorda come si ricorderebbe un sogno, un incubo. Più ci pensa, più dubita che sia capitato davvero.
Ricorda il volto furioso di Ransom, la preoccupazione del detective, le braccia forti di Natasha che l’hanno guidata e hanno impedito più volte di crollare per terra.
Più ci pensa, più le gira la testa.
<< Si prenda del tempo per riposare. >> 
La donna scuote la testa. << Starò bene… non si preoccupi. >>
<< Non lo metto in dubbio, ma si riposi. >>
Per tutta la giornata il suo telefono sembra impazzito.
Continua a ricevere messaggi e chiamate, che ignora senza ritegno. Non vuole parlare con nessuno, non vuole sentire nessuno, non vuole la pietà di nessuno. Soprattutto, non vuole rispondere alle domande di nessuno.
Avrebbe voluto evitare anche gli Avengers, ma quello non è possibile. Sente i loro sguardi su di lei, ma tutti le lasciano il suo spazio. È grata di quella loro muta preoccupazione.
Poi c’è Stark. << Ho sentito che il gemello cattivo di Cap ha cercato di farla fuori. >>
Pepper lo fulmina con lo sguardo.
Marta ride. << Vero. >>
<< Serata emozionante, mh? E noi che volevamo invitarla a vedere un semplice film. >>
Le chiamate continua a ignorarle, ma di pomeriggio, dopo essersi riposata, decide di leggere i messaggi. Comincia a sentirsi in colpa: dovrebbe far sapere almeno alla sua famiglia di essere ancora viva.
Ci sono quelli di sua madre, e di sua sorella.
C’è un messaggio del detective Blanc.
C’è anche un messaggio di Meg.
Ignora tutti gli altri messaggi, e apre quello. Va indietro, legge tutto ciò che in quei mesi ha preferito ignorare, poi lo rilegge nuovamente.

Ho saputo. La mia famiglia continua a rovinarti la vita. Scusa.

Scusa.

Ti prego, chiamami.

Mi manchi.

Sono stata una persona orribile, avevo paura.

So che le cose non potranno mai tornare come prima, ma ti prego, dammi una seconda possibilità. Mi manchi tanto.

Forse se ne pentirà, ma Meg le manca incredibilmente. Vuole riprovarci, vuole farla entrare nuovamente nella sua vita.
Almeno potrà dire di aver fatto un secondo tentativo, almeno avrà cercato di fare tutto il possibile.
Pensa a lungo alle parole con cui rispondere, posticipa, comincia a scrivere, poi cancella tutto.
Alla fine risponde a tutti gli altri messaggi ricevuti, ma non ha il coraggio di scrivere nulla a Meg.
Quella famiglia non le ha portato nulla di buono, anche dopo essersi allontanata da loro ha rischiato la vita.
<< Dev’essere una persona davvero importante. >>
La voce di Bucky attira la sua attenzione. La donna solleva la testa e incontra lo sguardo dell’uomo. Accanto a lui c’è Natasha.
Marta sospira versandosi dell’acqua bollente nella tazza << sì. >>
<< È un male? >> chiede Natasha con un sorriso.
Prima di mormorare un ‘sì’, osserva i due. Non sa bene se la stiano seguendo perché preoccupati per lei, o se siano capitati in cucina per farsi una semplice tazza di tè. << Odio essere così emotiva. Perché non sono nata apatica!? >>
I due sorridono bonariamente.
<< Non venitemi a dire che è normale per gli esseri umani. >>
<< Anche gli animali hanno sentimenti, >> risponde Bucky. << Di che si tratta? >> chiede poi, accennando al telefono. << Un altro che vuole ucciderti? >>
<< No, >> sospira lei << sua cugina, >> ammette.
Bucky e Natasha la guardano in silenzio, in attesa che lei continui.
<< Eravamo molto legate, >> continua Marta.
<< Io non vorrei avere a che fare nemmeno col cane di una famiglia come quella, >> commenta Natasha.
<< È lo stesso che vorrei fare io! Ma non ci riesco, >> sospira. << Sono stupida. >>
Bucky si stringe nelle spalle << vuoi incontrarla? Ti insegno a usare una semiautomatica. >>
<< Oppure ti seguiamo a distanza, >> propone Natasha. << Qualsiasi cosa tu voglia fare, dopo quello che hai vissuto ieri, dovresti prenderti una pausa per ragionare a mente fredda. >>
Marta ride. Non ha la più pallida idea di ciò che farà, ma sa che la Vedova Nera ha ragione.
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
sicuramente la scena di Ransom non è fra le migliori ^^". Mi ha creato non poche difficoltà, non sapevo bene come gestirla e, alla fine, ho deciso di accorciarla.

 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


                                                      




                                                                                                                                               Epilogo
 
 
 
 
 






 
 
Perhaps, most of all, we are what we accept. What we allow to be important. What we embrace about each other and ourselves. There’s nothing better, there is nothing more hopful. There is nothing else.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Call the midwife
 
 
 
 
 
 
 
<< Grazie per il passaggio. >>
<< Figurati. Verso che ora passo a riprenderti? >>
<< Natasha, non- >>
<< Avevamo un accordo: io ti accompagno, e ti riporto a casa. E nel mentre resto vicina, nel caso succeda qualcosa. >>
Marta sospira. Non può certo dire di no alla Vedova Nera. E poi, se deve essere sincera, si sente più sicura nel saperla vicina.
Non si aspetta certo che Meg cerchi di ucciderla, ma non si sa mai…
Inspira ed espira lentamente. Ora dovrebbe prendere la sua borsa e scendere dall’auto. Non ci riesce.
Sente su di sé lo sguardo dell’altra donna.
<< Vado, >> ma non si muove.
<< Tutto bene? >>
Marta annuisce.
<< Ehi, non sei costretta, però mi sembra che tu ci tenga particolarmente- è lei? >> con un cenno del capo indica lontano dall’auto, vicino all’ingresso del cafè.
<< Oh- sì. >>
<< Sembra nervosa anche lei. Non ha mai cercato di farti fuori, giusto? >>
<< Mai. >>
<< Bè, in ogni caso, ricorda- >>
<< Lo so, lo so: Bucky mi ha già ripetuto tutto. Vado. >>
Scende dell’auto prima di poter cambiare nuovamente idea, si avvicina al locale.
Se ne rende conto appena la vede: qualsiasi cosa ci sia stata fra loro due, non potrà esserci più. Sono successe troppe cose, ci sono stati troppi cambiamenti perché il passato possa ripetersi.
Forse quell’incontro non è stato una buona idea ma, nonostante tutto, rivuole Meg nella sua vita. Anche se non sarà mai più importate come lo era stata prima, non importa.
L’altra donna ha la testa bassa, sta guardando il cellulare.
<< Meg! >>
Solleva la testa. Gli occhi sgranati, increduli << Marta…sei- sei venuta davvero. >>
Annuisce. Non ci crede ancora nemmeno lei.
Si guardano incerte per un lungo momento. Vorrebbero abbracciarsi, ma entrambe hanno paura di fare un passo falso.
<< Aehm… entriamo? >>
Meg annuisce, incapace di parlare.
Forse c’è ancora qualcosa che può essere salvato, che vale la pena di essere salvato.
 
                                                                                                                                                      §
 
La punta in metallo del vecchio giradischi graffia il disco in vinile, nell’aria ci sono le ultime note di ‘That man’ di Caro Emerald.
Steve e Bucky si stringono l’uno fra le braccia dell’altro, e ridono.
La musica cambia, diventa più lenta, e vecchia. È un brano che entrambi conoscono, che hanno sentito numerose volte tanti anni fa, una vita fa.
Le note lente di ‘As time goes by’ riempiono la stanza, avvolgono i due uomini che riprendono a ballare.
Si guardano negli occhi, in silenzio. Ci sono tante cose che vorrebbero dirsi, ma non sanno da dove cominciare.
Si godono la vicinanza e il calore dei loro corpi; ballano senza preoccuparsi davvero dei passi, seguono il ritmo stringendosi l’uno all’altro.
Non sono più i ragazzi della Brooklyn degli anni ’30, non sono più i soldati che si sono arruolati durante la seconda guerra mondiale.
Sono cambiati, sono cresciuti. Sono diversi, ma sono anche tutto ciò che sono stati in passato.
Quella stanza alla New Avengers Facility, per quanto arredata bene, non potrà mai dar loro l’illusione di essere a Brooklyn. È troppo grande, troppo luminosa, le finestre sono troppo grandi e danno su un ampio prato verde.
Ma loro sono assieme. Oltre le guerre e la sofferenza, oltre il tempo.
<< È bello averti qui, Buck. >>
<< È bello essere qui, Steve. >>
 




 
 
 
 
 
 
Note.
La citazione all’inizio è di una serie tv della BBC, racconta la vita di alcune ostetriche nella Londra degli anni ’50-’60.
Grazie mille a chi ha letto e recensito la ff, a chi l’ha messa fra le seguite e fra le preferite <3!






 

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