Bloody Castle - L'ultima strega

di Nana_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La cosa giusta ***
Capitolo 3: *** La terza collana ***
Capitolo 4: *** Di nuovo in viaggio (parte 1) ***
Capitolo 5: *** Di nuovo in viaggio (parte 2) ***
Capitolo 6: *** Roma (parte 1) ***
Capitolo 7: *** Roma (parte 2) ***
Capitolo 8: *** Scomparsi (parte 1) ***
Capitolo 9: *** Scomparsi (parte 2) ***
Capitolo 10: *** Invito a cena ***
Capitolo 11: *** Villa von Eggenberg ***
Capitolo 12: *** Il potere delle collane ***
Capitolo 13: *** L'eredità dei Danesti (parte 1) ***
Capitolo 14: *** L'eredità dei Danesti (parte 2) ***
Capitolo 15: *** Unica speranza (parte 1) ***
Capitolo 16: *** Unica speranza (parte 2) ***
Capitolo 17: *** Aria (parte 1) ***
Capitolo 18: *** Aria (parte 2) ***
Capitolo 19: *** Lezioni dal passato ***
Capitolo 20: *** La proposta ***
Capitolo 21: *** Fuori controllo ***
Capitolo 22: *** Il prezzo da pagare ***
Capitolo 23: *** Buon Natale ***
Capitolo 24: *** Un posto sicuro ***
Capitolo 25: *** Consiglio di guerra ***
Capitolo 26: *** Riuniti (parte 1) ***
Capitolo 27: *** Riuniti (parte 2) ***
Capitolo 28: *** Il peso delle responsabilità ***
Capitolo 29: *** Cocci rotti (parte 1) ***
Capitolo 30: *** Cocci rotti (parte 2) ***
Capitolo 31: *** La notte delle lanterne (parte 1) ***
Capitolo 32: *** La notte delle lanterne (parte 2) ***
Capitolo 33: *** Fine dei giochi ***
Capitolo 34: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Bloody Castle 3 - L’ultima strega


Prologo


Finalmente ho toccato di nuovo terra. Lo stomaco è ancora in subbuglio, ma sento le braccia di Mark avvolgermi e il battito del mio cuore torna pian piano regolare. 

Tra tutti dovrei essere la prima ad aver capito cosa sia successo, eppure non è così. Ero sicura che sarebbe finita male, invece un attimo dopo ero in salvo. 

Quel calore…

Non so spiegarmi da dove provenisse, ma era incredibilmente intenso e nel giro di un istante mi ha pervaso di un’energia inaspettata. Ogni centimetro del mio corpo voleva vivere, mi spronava alla vita, così ho urlato con tutto il fiato che mi era rimasto...

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Capitolo 2
*** La cosa giusta ***


Capitolo 1

 

La cosa giusta


L’alba doveva ancora sorgere su Bran, ma l’arrivo di un nuovo giorno non avrebbe significato l’inizio di una nuova vita. La meta era sfumata ancor prima di poterla sfiorare, non lasciando altro che cenere. 

Abbandonato il ponte e tutto ciò che lo riguardava, in pochi minuti Nickolaij aveva già raggiunto i suoi appartamenti nella torre nord, impaziente di restare solo. Mentre passava in mezzo ai suoi, nessuno aveva osato guardarlo in faccia, tantomeno rivolgergli la parola, ben consapevole dei rischi. La rabbia in quel momento era tale da renderlo incapace di distinguere gli amici dai nemici. 

Le pareti dello studio tremarono quando vi entrò sbattendo la porta e il vetro della finestra scricchiolò pericolosamente. Rimase lì, in piedi, per un tempo indefinito, tentando di metabolizzare quanto accaduto e di rimettere insieme i pezzi.

Fregato da una ragazzina, come l’ultimo degli ingenui. Non credeva che fosse possibile cadere così in basso. Non per lui, almeno. Ed Elizabeth. Anche da morta aveva trovato il modo di tarpargli le ali. Claire era stata solo lo strumento per impedirgli di riprendersi ciò che gli aveva tolto secoli prima e il ricordo del suo ghigno trionfante mentre gli comunicava la fine delle sue speranze era impossibile da sostenere, al punto che una furia cieca si impadronì di lui. Furia che indirizzò per primo verso il vaso di rose rosse sulla scrivania. Non riusciva a sopportarne la vista, così lo afferrò a due mani, frantumandolo sul pavimento con tanta violenza che i cocci schizzarono in tutte le direzioni. Ma non era abbastanza. Ormai incontenibile, si diresse alla libreria e con una sola spinta la staccò dal muro, rovesciando ogni oggetto che conteneva. 

Per sfogare la rabbia si scagliò brutalmente su tutto ciò che gli capitava a tiro, urlando la sua frustrazione, ma niente sembrava placarlo; finché, guardandosi intorno ansante, non trovò più niente da distruggere. L’ambiente era irriconoscibile, più simile a un campo di battaglia che al suo studio, e fu allora che avvertì la ragione farsi spazio a poco a poco nella sua mente, là dove prima regnava solo il caos.

Inspirò profondamente dalle narici ritrovando un certo contegno, poi calpestando resti di mobilio si diresse verso la piccola vetrina di legno seminascosta in un angolo buio, una delle poche cose rimaste intatte, la aprì e prese a colpo sicuro quello che gli serviva. Teneva sempre un’ampolla di riserva nello studio, per ogni evenienza, e adesso ne avvertiva proprio il bisogno. Tutto quel movimento lo aveva indebolito parecchio. Svitò il tappo e la portò alle labbra, svuotandone in pochi attimi il contenuto. Il sapore era sempre disgustoso, ma dopo anni ci era abituato e neanche ci badava più. Chiuse gli occhi e, mentre lasciava che il liquido gli scendesse in gola, percepì già un senso di benessere, per quanto minimo rispetto al sangue. Ricordava a malapena cosa significasse... 

Perdere la testa ora non avrebbe risolto nulla, doveva calmarsi e cercare di mettere a fuoco le prossime mosse. Visto l’accaduto, la sua situazione era ormai irreversibile, ma non avrebbe posto la parola fine a quella storia senza prima assicurarsi che i responsabili pagassero e in cima alla lista c’era lui. Dean.

Era sempre stato una spina nel fianco, fin dall’inizio di quella storia. Ora, se non altro, avrebbe pregustato ogni singolo istante prima di concedergli la morte. Doveva solo aspettare che i suoi uomini glielo consegnassero. 

Già più sollevato da quel pensiero, si portò la mano al collo, cercando la collana di Elizabeth in un gesto istintivo, ma si rese conto solo in quel momento che era sparita. Si guardò intorno in maniera frenetica alla sua ricerca, ma di lei nessuna traccia. Non ce l’aveva addosso, né era finita per terra mentre demoliva lo studio. Non c’era più. Allora provò a ripercorrere con la mente le azioni passate, dall’arrivo sul ponte, in cui era sicuro di averla ancora, fino al ritorno nel castello e solo quando giunse all’attimo in cui aveva soccorso Claire gli apparve la soluzione più plausibile. Doveva avergliela strappata quando si era aggrappata a lui e poi era finita chissà dove. Ora doveva sopportare anche questo. Nonostante la odiasse per quello che gli aveva fatto, aveva perso l’unico oggetto che lo teneva legato a Elizabeth, la sola cosa in grado di fargli ancora sentire la sua presenza. 

Se mai avesse recuperato un briciolo di lucidità dopo quanto accaduto, ora lo mise definitivamente da parte e lasciò che la sua collera si abbattesse sulla sedia foderata in velluto rosso dove spesso trascorreva ore intere a meditare. Dopo averla presa a calci più volte, la ridusse in un mucchio di pezzi buoni solo come legna da ardere.

A quel punto, un battito di mani lo distolse dalla sua opera. “I miei complimenti. Notevole prova di forza.” disse una voce che sul momento non riuscì a riconoscere. “Quei mobili si trovavano qui da prima che nascesti e ora guarda cosa ne hai fatto.”

Colto dal sospetto su chi potesse essere, Nickolaij si voltò e spalancò gli occhi incredulo. –È impossibile- pensò. La rabbia doveva avergli annebbiato il cervello, non c’era altra spiegazione. Sbatté più volte le palpebre nel tentativo di razionalizzare, poi raccolse il coraggio e concentrò l’attenzione verso il punto della stanza da cui era giunta la voce. “Nonno?”

 

-o-

 

Un vortice d’aria investì Juliet mentre attraversava il portale e in pochi attimi si ritrovò dall’altra parte. Lei e Rachel arrivarono quasi nello stesso momento, insieme a Mark e a buona parte degli altri. Ancora con il cuore a mille, si voltò subito nella direzione da cui erano appena venuti, cercandolo con lo sguardo carico d’ansia, ma gli unici che vide arrivare furono Najat, Kira e per ultimo Evan. Poi nessun altro. 

“Dov’è Dean?” gridò nel panico per sovrastare il fragore del vento. Non poteva essere rimasto laggiù. Non di nuovo.

Presa alla sprovvista, anche Najat si guardò alle spalle. “Era dietro di noi!”

Intanto erano stati raggiunti da Laurenne e dal guerriero che Jamaal aveva lasciato con lei. “Il portale sta per chiudersi, mancano pochi minuti!” li avvertì.

Per qualche istante rimasero in attesa, scrutando il portale, che però iniziava pericolosamente a restringersi. Il tempo era ormai agli sgoccioli e di Dean nessuna traccia. Juliet si sentiva morire dall’angoscia. Forse era rimasto ferito nello scontro, magari catturato…

Non poteva restarsene lì, doveva sapere. Così fece un passo avanti, guidata dall’istinto, ma Rachel impiegò un secondo a intuire le sue intenzioni. 

“Ferma! Che stai facendo?” esclamò, trattenendola per un braccio. “Non puoi tornare indietro! Se dovesse chiudersi…”

Lei però si divincolò dalla sua presa. “L’ho già abbandonato una volta, non succederà di nuovo!” ribatté disperata. Fece per riavvicinarsi al portale, ma a quel punto due corpi irruppero in mezzo a loro, rotolando a terra mentre l’uno cercava di prevaricare sull’altro. Una manciata di secondi dopo, il vortice implose, richiudendosi su se stesso.

Accortosi di non trovarsi più a Bran, il vampiro abbassò la guardia, così Dean ne approfittò per assestargli un calcio nello stomaco e toglierselo di dosso. 

“Non uccidetelo!” ordinò Najat a Evan e Qiang, che lo avevano già afferrato mentre tentava di scappare. “Potrebbe sapere qualcosa in più su Tareq.”

Fu allora che Laurenne vide il corpo esanime di Jamaal tra le braccia di Abe e si rese conto dell’accaduto. Sconvolta, si portò una mano alla bocca, subito assalita dal pianto e incapace di chiedere spiegazioni. Ben presto il suo sguardo si posò su Najat, che però abbassò gli occhi, altrettanto provata da quanto accaduto. Non c’erano parole per descrivere il suo dolore, quindi non le usò, limitandosi a dire ad Abe di caricare Jamaal sul suo cavallo. Sarebbe stata lei stessa a riportarlo a casa. 

Nel frattempo, Dean si era rimesso in piedi, spolverandosi via la sabbia dai vestiti. Se l’era vista brutta stavolta e per un momento aveva addirittura pensato di non riuscire a tornare. Il vampiro lo aveva agguantato all’ultimo secondo, mentre metà del suo corpo era già dentro il portale. Trascinato di nuovo nella foresta, aveva cercato di liberarsene, ma alla fine non aveva potuto fare altro che lanciarsi insieme a lui, nella speranza che non fosse troppo tardi. 

Juliet gli si avvicinò, visibilmente spaventata. “Stai bene?” gli chiese quasi mormorando, subito dopo aver cercato il contatto tra i loro corpi.

Dean annuì, mentre la stringeva a sé cingendole la vita con un braccio e affondava il viso tra i suoi capelli biondi. La paura di non rivederla più era stata il vero motore che lo aveva spinto a lottare con tutte le sue forze. 

“Claire…” esordì Laurenne, asciugandosi le lacrime. “Cos’è successo? L’ho vista attraversare il portale, ma non siamo riusciti a fermarla. Ho cercato di avvisarvi…” spiegò, la voce poco ferma a causa del suo stato emotivo. Vedere Jamaal senza vita doveva averla davvero distrutta.

“Il falco è arrivato troppo tardi. Ormai lei era…” Kira tentò di andare avanti, ma le parole non uscirono. In realtà, nessuno dei presenti sapeva esattamente cosa fosse accaduto su quel ponte, perché Claire fosse lì e come avesse potuto compiere un gesto così folle. Una miriade di domande ancora senza risposta e l’unico in grado di fornirle era lì davanti a loro.

Infatti, lo sguardo di Rachel saettò accusatore verso Dean. “Voglio sapere cos’è successo. Subito. Che ti ha detto Claire prima di consegnarsi a quello psicopatico? E non provare a raccontarmi che non vi siete parlati…”

-Si comincia- pensò Dean tra sé. Era perfettamente conscio di dover dare un bel po’ di spiegazioni e l’idea di riuscire a sottrarsi all’inevitabile non lo aveva mai sfiorato. Tuttavia, non rispose subito, prendendosi qualche istante per raccogliere i pensieri. Quanto accaduto in quella foresta era a malapena digeribile per lui, figurarsi per loro. Doveva ponderare bene le parole.

Rachel però interpretò la sua esitazione come sintomo di colpevolezza e d’un tratto un brutto presentimento si fece strada dentro di lei. “Cosa le hai fatto?” gli chiese, sospettando che dietro alla decisione di Claire ci fosse qualcosa di più che un gesto istintivo dettato dall’ansia di salvare Cedric.

Dean sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, anche se era lo sguardo allarmato di Juliet a fargli più male. Ciò che stava per dire l’avrebbe ferita, ne era certo, ma evitarlo era impossibile. Stavolta non esistevano vie d’uscita alternative alla pura e semplice verità. “L’ho morsa.” ammise allora in tono neutro. 

Nessuno fiatò per diversi secondi, cercando di elaborare quanto gli era appena uscito di bocca. Dean sentì solo Juliet, finora rimasta accanto a lui, scostarsi, continuando a fissarlo come se si fosse appena trasformato in un mostro con le corna e la coda. 

“Cosa…” mormorò Mark incredulo.

Dean si affrettò a parlare, deciso a spiegare come erano andate veramente le cose. “Statemi a sentire, per favore. So che per voi è difficile da accettare, ma non c’era altro modo…” 

Cedric, però, già non lo ascoltava più. Prima che qualcuno potesse anche solo realizzare le sue intenzioni e provare a fermarlo, si era già scagliato contro di lui. Incurante di tutto e tutti cominciò a riempirlo di pugni, pieno di tanta rabbia da ritrovare la forza che giorni di prigionia e privazioni gli avevano tolto.

“Ced, no!” gli urlò dietro Mark, accorrendo subito per fermarlo. Tuttavia, l’irruenza di Cedric era tale che fu necessario l’intervento di altre due persone per trascinarlo via da Dean.

Lui gridò come una furia, cercando di divincolarsi per potergli saltare addosso, ma loro lo tenevano saldamente, finché non fu costretto a rinunciarci. “Ti ammazzo! Hai capito? Hai finito di vivere!” continuava a urlare, il viso stravolto da un indicibile disprezzo. Alla fine, calata l’adrenalina, il suo corpo non resse e si afflosciò sulle ginocchia.

Ancora a terra e con metà del volto tumefatta, Dean incassò le minacce senza replicare. Sebbene non si aspettasse di venir aggredito fisicamente, ora doveva riconoscere che quella era esattamente la reazione più prevedibile da parte di Cedric. E non poteva neanche biasimarlo. Un po’ affannato si rimise in piedi, pulendosi con un lembo della manica il sangue che gli usciva dal naso. A giudicare da come pulsava doveva essere rotto, ma non era un grosso problema. Sarebbe guarito da lì a un paio d’ore. Comunque, accelerò la cosa aggiustando l’osso con un colpo secco, per poi prepararsi ad affrontare ciò che sarebbe venuto dopo. 

Quando tornò a guardarli, infatti, lesse lo sgomento misto a sdegno sui volti di ciascuno. Ad ogni modo, si sforzò di non sembrarne troppo turbato e quando Najat parlò di nuovo le fu grato di aver distolto l’attenzione generale da lui.

“Torniamo al villaggio, la mia gente deve sapere cos’è successo a Jamaal.” dispose pratica, mantenendo un tono di voce piatto e privo di emozioni. “Risolverete i vostri problemi in un altro momento.” Detto ciò, si diresse verso il punto in cui avevano lasciato i cavalli, seguita dal resto del gruppo. Kira e Qiang trascinarono con loro il vampiro, a cui nel frattempo avevano legato mani e piedi per evitare che facesse scherzi, e lo scaricarono in sella. 

Dean fu l’ultimo a salire sul suo cavallo. Chissà perché per un attimo si era illuso che Juliet sarebbe venuta con lui, invece la vide salire dietro a Rachel, cingendole saldamente la vita per non cadere. Dandosi dell’idiota per averlo pensato, con un leggero colpo di tacco ordinò all’animale di muoversi. 

Il viaggio di ritorno fu più breve del previsto, forse perché non vedevano l’ora di lasciarsi alle spalle il deserto e i terribili avvenimenti di poche ore prima. Giunsero al villaggio che era già mattina, ma ancora non si vedeva molta gente in giro. Una fortuna visto che Najat preferiva mantenere il riserbo sulla morte di Jamaal, almeno per il momento. La brutta notizia andava comunicata con calma e senza troppo clamore, così per prima cosa si diressero alla stalla per lasciare i cavalli e trasferire il corpo in un luogo che fosse lontano da occhi indiscreti. Laurenne propose di portarlo alla sua tenda-laboratorio, dove avrebbe provveduto a lavarlo e prepararlo per il funerale. Najat fu d’accordo e, senza perdere altro tempo, insieme ad Abe lo trasportarono subito lì, mentre gli altri stabilivano il da farsi.

“È meglio che portiate Cedric a casa. Ha bisogno di riposare.” disse loro la sciamana. “Io devo passare a riprendere Samir e poi mi occuperò di Jamaal. Ci vedremo più tardi.”

In realtà sentivano tutti il bisogno di starsene tranquilli per un po’, così non se lo fecero ripetere due volte. Salutati Evan e i gemelli, si incamminarono. Ormai conoscevano la strada e di lì a poco rimisero piede in quello che era stato il loro rifugio per settimane. Nessuno aveva parlato durante il tragitto, ancora troppo scossi per trovare la forza di riprendere la discussione iniziata nel deserto. 

Una volta dentro, Mark accompagnò l’amico, visibilmente provato, al piano di sopra, mentre Juliet si premurava di preparargli qualcosa da mangiare. Doveva pur distrarsi in qualche modo o la valanga di pensieri che la assillavano l’avrebbe sommersa. Adesso capiva il perché di quegli occhi venati di rosso, non se l’era immaginato. “Tu non hai idea di come sia in realtà. Non lo conosci neanche la metà di quanto lo conosco io.” Le parole di Mary le rimbombavano nella testa senza che riuscisse a impedirlo. Se allora aveva pensato che si sbagliasse, che Dean non fosse come lei credeva, adesso non ne era più tanto sicura. In fondo, l’unico Dean che aveva mai conosciuto era quello che le aveva detto di amarla un paio di giorni prima, tutto qui. Il loro non poteva certo considerarsi un rapporto solido e duraturo, visto che durante il campeggio lui aveva finto di essere qualcun altro e per gran parte del loro soggiorno nel deserto era stata lei a non essere se stessa. Nonostante il tempo passato insieme, Dean rimaneva un mistero. Quanti altri lati del suo carattere avrebbe scoperto? Quante personalità nascondeva ancora?

Quando il piatto di carne e verdure fu pronto, avvertì Rachel che stava salendo per portarlo a Cedric e l’amica annuì senza troppa convinzione, continuando a fissare il vuoto dalla sedia in cui si era accasciata subito dopo essere arrivati. Dean invece se ne stava in un angolo appoggiato alla parete, intento a meditare sulle sue colpe, o almeno sperava. Comunque non lo degnò di uno sguardo e andò dritta per la sua strada.

Proprio nello stesso momento Mark stava scendendo e si incontrarono sulle scale. 

“Come sta?” gli chiese preoccupata. 

Lui scosse leggermente la testa, abbassando lo sguardo con aria amareggiata. “Ho provato a farlo sfogare, ma si rifiuta di parlarmi. Alla fine ho pensato fosse meglio lasciarlo solo per un po’. Magari riesce a prendere sonno.” 

Juliet annuì. “Allora gli lascio il piatto in caldo, dovrà pur mangiare qualcosa. Più tardi salgo a portarglielo.” Le spezzava il cuore sapere Cedric in quelle condizioni. Tutti loro erano distrutti per quello che era successo a Claire, ma lui doveva sentirsi più in colpa per esserne stato la causa. La necessità di salvargli la vita l’aveva spinta a compiere quel gesto così estremo.

Di nuovo di sotto, Mark si avvicinò a Rachel per convincerla ad andare a riposarsi, ma lei rispose che le era passato il sonno. “L’ultima cosa che riuscirei a fare è dormire in questo momento.” aggiunse in tono secco. Poi lanciò un’occhiata di traverso a Dean. “Spero che tu abbia riflettuto bene su quello che dovrai dire, perché stavolta non te la caverai con i soliti giochetti.” minacciò, continuando a guardarlo sdegnata. La pelle del suo viso, prima resa violacea dai lividi, stava già tornando del solito colore rosa pallido e questo non fece altro che farle montare la rabbia. Neanche la soddisfazione di vederlo sistemato per le feste per più di un paio d’ore.

“Non c’è nulla su cui riflettere. So cosa è successo in quella foresta e so perché ho fatto quello che ho fatto.” ribatté lui, insopportabilmente calmo.

“Bene, allora spiegalo anche a noi.” intervenne Mark, incrociando le braccia e guardandolo deciso. 

Rachel però non aveva la stessa accondiscendenza nei suoi confronti. Solo il modo in cui le aveva risposto era bastato a farle saltare i nervi. “Come faceva Claire ad essere lì e perché non ci hai avvertito quando l’hai vista?” 

“Alla prima domanda non so rispondere. Immagino ci abbia seguito.” disse Dean pacato. “Quanto alla seconda, non ce n’era il tempo. L’ultimatum di Nickolaij stava per scadere.” 

Rimasero ad ascoltarlo mentre raccontava loro l’accaduto. A quanto sosteneva, Claire era sbucata dal nulla, informandolo di voler accettare l’offerta di Nickolaij e scambiarsi con Cedric, ma entrambi sapevano che se lo avesse fatto da umana avrebbe significato dargli la possibilità di riportare in vita Elizabeth, con chissà quali tremende conseguenze. 

“Dovevi impedirglielo!” proruppe Rachel a quel punto. “Dovevi venire da noi. L’avremmo fatta ragionare.”

Dean scosse la testa. “Ne dubito, non ci sono riuscito neanch’io. Era troppo determinata.” 

“Ma per favore.” intervenne Mark, lanciandogli un’occhiata eloquente. “Sei riuscito a convincere una squadra di guerrieri arabi a non farti la pelle e Claire sarebbe l’osso duro? Andiamo…”

Lui si abbandonò a un sospiro. “Siete liberi di crederci o no, ma i fatti sono questi. Non volevo che accadesse, davvero. Se avessi potuto scegliere, di sicuro sarebbe finita in maniera molto diversa, ma la priorità era fermare Nickolaij e l’unico modo era rendere impuro il corpo di Claire.”

“E per fare questo l’hai morsa!” concluse Rachel di conseguenza. “Ti rendi conto che così facendo l’hai mandata a morire? Perché dovrebbe risparmiarla ora che non gli serve più a niente? Anzi, per quanto ne sappiamo potrebbe averla già uccisa!” lo aggredì furibonda. 

Alla terza volta che si sentiva attaccato, Dean non riuscì più a mantenere lo stato di zen che si era imposto per non peggiorare la sua situazione. “Sì, eravamo tutti sul punto di rimetterci la pelle e ho rischiato, ma se pensi che l’idea sia partita da me ti sbagli di grosso!” ribatté, deciso a difendersi. Subito dopo vide le loro espressioni intimorite e si rese conto di aver esagerato, così cercò di ritrovare la calma perduta. Ci mancava solo che pensassero fosse pericoloso. “Claire ha insistito perché lo facessi. Quando me l’ha chiesto ho provato a spiegarle le conseguenze, ma…”

A quel punto, però, Rachel non riuscì a sopportare una parola di più. La bile le risalì dallo stomaco fino ad annebbiarle la vista e, quasi d’impulso, lo raggiunse in pochi passi per rifilargli uno schiaffo in pieno volto. “Non provarci nemmeno…” mormorò, la voce tremante di rabbia. “Non ti azzardare a incolpare lei della tua insensibilità. Sei un essere spregevole, sei un…” In quel momento il disprezzo nei suoi confronti era tale da impedirle addirittura di continuare a insultarlo. 

Mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, sentì una mano sfiorarle il braccio e allontanarla delicatamente da lui. “Ray, basta. Sei sconvolta, devi riposare.” le disse Mark premuroso, senza che nelle sue parole ci fosse alcuna forma di rimprovero o disappunto. Priva di forze, lasciò che la accompagnasse di sopra, grata che le avesse tolto quell’individuo dalla vista. 

Juliet rimase sola con Dean, una circostanza che aveva cercato di evitare da quando erano tornati. Non riusciva a rivolgergli la parola, a maggior ragione dopo averlo sentito scaricare la responsabilità di quanto accaduto su Claire. Non avrebbe potuto essere più d’accordo con Rachel per averlo picchiato. Anzi, ci avrebbe pensato lei se solo l’idea le fosse venuta prima.

D’un tratto iniziò a soffocare in quella stanza e avvertì il bisogno di una boccata d’aria, così se ne andò, diretta alla porta sul retro. 

“Juliet.” lo sentì chiamarla, ma lo ignorò. “Juliet!”

Nonostante fuori facesse già un gran caldo, era disposta a sopportarlo pur di non restare in quella casa. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, pregando che non la seguisse, ma ovviamente fu una speranza vana. Dean era già lì.

“Aspetta, ti prego. Voglio spiegarti…”

Ancora? Non credeva ci fosse altro da spiegare. “Lasciami in pace.” replicò secca, dandogli le spalle. 

La sua testardaggine però era proverbiale e non le diede minimamente ascolto. “No, questa faccenda va chiarita. Almeno tu potresti ascoltare le mie ragioni, per favore?”

“Non voglio ascoltare un bel niente!” gridò furiosa, voltandosi finalmente a guardarlo. “Come al solito hai fatto tutto di testa tua, senza preoccuparti dei sentimenti degli altri!”

“Se avessi dato retta ai sentimenti a quest’ora saremmo tutti morti e sepolti. Era la cosa giusta da fare e l’ho fatta.” 

Juliet non credeva alle proprie orecchie. “Giusta?” ripeté incredula. “Giusta per chi? È incredibile, sei davvero convinto che sia stata una grande idea consegnare Claire a quel pazzo!” E aveva anche il coraggio di dire che era stata lei stessa a proporglielo. Se anche fosse stato, si era mostrato d’accordo.

Dean sospirò, portandosi sfinito una mano agli occhi. “Credimi, vorrei non doverlo dire, ma purtroppo è così. Ne sono convinto. In questo modo almeno abbiamo evitato che Nickolaij usasse Claire per i suoi fini…”

“Cosa vuoi che m’importi di Nickolaij e dei suoi fini?” lo interruppe. “Tu mi hai mentito.” gli sbatté in faccia velenosa, ignorando l’espressione confusa che ne seguì. “Quando su quel ponte ti ho chiesto spiegazioni mi hai guardato negli occhi e hai detto fidati di me, come se avessi in mente un piano che comprendesse anche Claire.”

Dean a quel punto sembrò capire. “Non ti ho mentito. Ce l’avevo un piano, solo che non era quello che pensavi tu.” 

“Credevo che mi amassi!” gli urlò, sovrastando la sua voce. Le lacrime invasero i suoi occhi come un fiume in piena, ma non fece nulla per fermarle. Voleva che la vedesse piangere, che si rendesse conto di quanto la stesse facendo soffrire. Possibile che anche in momenti del genere non riusciva ad avere tatto e a comprendere quale fosse realmente il punto?

Per qualche istante lesse la perplessità sul suo volto, prima di vederlo riscuotersi. “Sai bene che è così.” confermò, senza capire cosa c’entrasse questo con la storia di Claire.

“No, invece! Dopo quello che hai fatto non lo so più!” esclamò esasperata. Le sembrava di essere tornati ai tempi del campeggio, quando la sua ottusità e scarsissima empatia la mandavano fuori di testa. “La cosa peggiore è che non ti sei preoccupato di come l’avrei presa io, di quanto ci sarei stata male. So che chiederti di pensare agli altri sarebbe troppo, ma almeno a me…”

“Certo che ci ho pensato! Per chi credi che l'abbia fatto? È proprio per la tua sicurezza che ho agito così. Ho messo da parte la mia morale per proteggere te, per proteggervi tutti.” 

Juliet lo fissò altrettanto spaesata. La sua morale? Arrivati a quel punto dubitava perfino che ne avesse mai avuta una. Avrebbe tanto voluto credergli, ma le sembrava di avere davanti un perfetto sconosciuto. Non l’avrebbe mai ritenuto capace di un egoismo tale da sacrificare Claire per mettere i bastoni tra le ruote a Nickolaij. Per la prima volta da quando lo conosceva trovava impossibile giustificare il suo gesto. Aveva davvero passato il limite. “E Claire? È così che l’hai protetta? Trasformandola in un mostro?” Le parole le uscirono di bocca ancora prima che il cervello potesse razionalizzare, ma si rese conto subito di quello che aveva detto e se ne pentì all’istante. 

La sua domanda risuonò nell’aria, seguita da un silenzio che sembrò infinito. Pian piano vide il volto di Dean intristirsi. 

“Non credevo che per te fosse un problema.” mormorò ferito, accennando a mezza bocca un sorriso amaro. La delusione in lui era lampante.

Juliet tentò di correre ai ripari, ma ormai il danno era fatto. “Certo che non lo è. Sai cosa intendo…”

“Lascia stare, ho capito.” la interruppe in tono freddo, distogliendo lo sguardo da lei per la prima volta. “A questo punto direi che non c’è nient’altro da aggiungere. Dormi bene.” Detto questo, girò i tacchi e si allontanò.

-o-

 

Il corpo di Jamaal, a cui Laurenne aveva donato nuova bellezza ripulendolo e vestendolo con i suoi abiti da guerriero, giaceva su un’alta pira funeraria che i suoi fedeli compagni avevano costruito per lui durante il giorno. Ora, a tarda sera, l’intero villaggio si era riunito nella piazza principale per assistere alla cerimonia funebre e dare l’estremo saluto a colui che l’aveva guidato con forza e saggezza negli ultimi anni. C’erano donne che piangevano, ma anche uomini comuni e perfino guerrieri, segno di come la morte di Jamaal avesse colpito nel profondo ogni singola persona. Eppure, nonostante tutto quel dolore, si respirava un’atmosfera di composta dignità.

Juliet era in piedi vicino a Mark e Rachel, insieme a tutti gli altri ma allo stesso tempo tenendosi a rispettosa distanza. In fondo non facevano parte della comunità e la loro presenza lì era solo per gentile concessione di Najat e della sua gente. Erano degli ospiti, ecco. Per di più responsabili dell’accaduto, anche se nessuno nel villaggio ne era al corrente, a parte coloro che avevano partecipato alla spedizione di salvataggio. Lei però lo sapeva bene e non riusciva a fare a meno di sentirsi in colpa. Per Jamaal, che era morto nel tentativo di aiutarli, ma soprattutto per Claire. Se solo avesse immaginato un epilogo del genere, non si sarebbe accontentata delle poche e liquidanti parole di Dean su quel ponte. L’avrebbe ostacolata con qualunque mezzo, anche a costo di impedirle fisicamente di raggiungere Nickolaij. E invece aveva riposto tutta la sua fiducia in lui, affidandogli la vita della sua migliore amica. Che stupida era stata…

Mentre le lacrime solcavano le sue guance, chiuse gli occhi per un istante, ingoiando l’amarezza, e si concentrò su Laurenne, che intanto si era staccata dal folto gruppo di persone che circondava la pira e stava avanzando lentamente verso il centro. Giunta a poca distanza dal punto in cui era collocato il corpo, sollevò leggermente le braccia, i palmi delle mani rivolti verso l’alto e lo sguardo alla luna. Le luci calde delle fiaccole posizionate nel terreno tutte intorno alla piazza mettevano in risalto il bianco candido del lungo caftano indossato dalla sciamana, che dopo aver atteso qualche istante prese a intonare una sorta di preghiera. Era come un canto, dapprima un mormorio lento e quasi sussurrato, ma che via via acquistava sempre maggior ritmo. Laurenne non distolse lo sguardo dallo spicchio perlaceo della luna, mentre intorno a lei anche il resto del villaggio iniziava a cantare. 

Non conoscendo la lingua, sia Juliet che gli altri si limitarono a osservare, mentre la preghiera aumentava costantemente di tono, fino a sembrare una specie di grido. Un appello accorato al cielo affinché accogliesse nella sua infinità l’anima dell’amato Qayid.

Dopo diversi minuti di quel canto, videro la sciamana abbassare le braccia con un gesto secco, ripristinando all’improvviso il silenzio. La preghiera era ultimata. A quel punto Laurenne rimase in attesa, finché non si fece avanti la persona che da lì in poi avrebbe preso il posto di Jamaal come capo della tribù. Era stato lui stesso a scegliere Najat di fronte a tutta la loro gente, dunque sarebbe toccato a lei accendere la pira e restituire il suo predecessore agli antenati. Così aveva spiegato Laurenne quella sera, mentre erano a cena. 

La ragazza prese un ciocco di legno dal mucchio e lo appoggiò sopra una delle lanterne, lasciando che la fiamma attecchisse. Poi tornò alla catasta su cui giaceva Jamaal e, dopo averle dato fuoco, fece qualche passo indietro e restò a guardarla incendiarsi. Ben presto la legna fece il suo dovere e il fumo avvolse lentamente la pira, fino a nascondere del tutto il corpo. 

-Riposa in pace- gli augurò Juliet, ignorando le lacrime che nel frattempo continuavano a scendere. Non aveva avuto molto tempo per conoscere Jamaal, ma quel poco che aveva visto di lui era bastato per capire quanto fosse generoso e disinteressato nell’aiutare chi era in difficoltà. 

La pira stava ancora bruciando quando la gente iniziò a disperdersi e la cosa li lasciò spaesati. Laurenne però provvide a fornire loro spiegazioni. Dopo ogni funerale, era in uso presso gli Jurhaysh organizzare un grande banchetto per onorare il defunto e, in particolare se si trattava di un guerriero, ricordarne le gesta compiute in vita. Ecco il motivo di tutto quell’affrettarsi. C’erano gli ultimi dettagli da ultimare.

“Purtroppo è un evento riservato ai soli membri della tribù.” aggiunse un po’ dispiaciuta, lasciando intendere che per loro non ci sarebbe stato spazio stavolta.

“Non importa. Tanto volevamo comunque tornare a casa.” la rassicurò Mark, abbozzando un sorriso. “Cedric è rimasto da solo e non vorrei gli venisse di nuovo in mente di prendere a pugni Dean.” 

Rachel storse il naso. “Se lo meriterebbe.” mormorò stizzita, ignorando prontamente l’occhiata di traverso che lui le rivolse.

Così, dopo aver salutato la sciamana, si diressero di nuovo verso casa. Juliet non poteva fare altrimenti e seguì gli amici, anche se avrebbe preferito di gran lunga partecipare alla festa in onore di Jamaal e trascorrere la notte fuori. Il pensiero di dover incrociare ancora lo sguardo di Dean che la faceva sentire in colpa per avergli dato del mostro era insopportabile.

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Capitolo 3
*** La terza collana ***


Capitolo 2

 

La terza collana


Juliet scese le scale che portavano di sotto, schermandosi gli occhi con la mano quando il sole del tardo mattino la investì. Non trovando Laurenne né Samir, intuì che l’orario non fosse decisamente quello a cui ormai era abituata a svegliarsi da diversi mesi. Alla fine aveva ceduto alla stanchezza, nonostante i troppi pensieri le affollassero la testa, impedendole in un primo momento di prendere sonno. Il più invadente era senz’altro quello di Claire e la paura costante che le stessero facendo del male. E poi c’era Dean, sparito nel nulla dopo la loro discussione del giorno prima. Una parte di lei avrebbe tanto voluto sapere dove fosse finito, mentre l’altra continuava a ripetere chi se ne importa. In fondo, meglio così. Con tutto quello che aveva combinato, l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare era preoccuparsi di averlo offeso. Eppure non riusciva proprio a non preoccuparsene.

Con un sospiro si abbandonò di traverso su una sedia, fissando il vuoto davanti a sé. Odiandosi profondamente per la sua innata capacità di sentirsi in torto anche quando aveva ragione, chiuse gli occhi e tentò di scacciare via quei pensieri riflettendo su cosa avrebbe potuto preparare per colazione. Caffè innanzitutto. Quello forte e speziato di Laurenne li avrebbe di sicuro aiutati a ritrovare la lucidità. Qualcosa da mangiare? Sì, in effetti avvertiva un certo languore. La sera prima aveva a malapena toccato cibo. Dannato Dean...

-Ecco che ci risiamo- pensò afflitta. Alla fine tornava sempre lì, così rifletté che forse era inutile cercare di pensare ad altro. Con la mente ripercorse la conversazione avuta con Rachel dopo il funerale di Jamaal. 

“Sa benissimo che non mi stavo riferendo a lui, eppure se l’è presa lo stesso.” si era sfogata, dopo averle raccontato in breve l’accaduto. 

“Certo, non avendo altro a cui aggrapparsi ha giocato la carta della vittima.” aveva sentenziato lei in risposta. “Forse pensa che così lo perdonerai più facilmente.”

Le parole dell’amica l’avevano fatta riflettere. In effetti, non ci aveva pensato. Comunque, se quello era il suo piano aveva fatto male i calcoli, perché stavolta non avrebbe lasciato correre. Le sue azioni erano troppo gravi per dimenticarsene da un giorno all’altro. 

“Stavolta Claire ha davvero superato se stessa.” aveva aggiunto Rachel in tono amaro; poi, notando la confusione sul suo volto, aveva provveduto a spiegarsi. “Sì, ce l’ho anche con lei. Anzi, soprattutto con lei. Fa sempre così, prende e si butta nelle cose, senza consultare nessuno, senza preoccuparsi di nessuno. Ci ha del tutto ignorate. Come se la decisione che stava prendendo non ci riguardasse minimamente.” 

Concordando in fondo con lei, Juliet aveva abbassato lo sguardo, piena di sconforto. 

“Detesto questo suo modo di affrontare i problemi.” Ormai Rachel era a briglia sciolta. “Guarda com’è andata con Jamaal, ad esempio. Per qualche oscuro motivo pensava che Cedric fosse morto e ha preferito farsi consolare da lui, piuttosto che parlarne con me.”

In quel momento la perplessità sul viso di Juliet era diventata lampante. “Aspetta, farsi consolare in che senso?”

“In quel senso.” aveva replicato Rachel, sottolineando la parola quel perché capisse a cosa si stesse riferendo. “Come al solito, quando succede qualcosa, invece di venire da noi e sfogarsi si chiude a riccio o fa cose assurde che peggiorano soltanto la situazione. È così simile a Dean in questo che non mi stupirei se fossero parenti alla lontana.”

Nonostante continuasse a parlare, Juliet aveva faticato ad ascoltarla. In realtà, era rimasta ancora a Jamaal e alla relazione che a quanto pareva Claire aveva avuto con lui. Tuttora più ci pensava e più lo trovava difficile da credere, ma a sentire Rachel era andata proprio così. Claire si era davvero concessa a un uomo conosciuto da poco tempo mentre i ragazzi erano prigionieri a Bran, in bilico tra la vita e la morte. Incapace di passare sopra a quel discorso e andare avanti, aveva chiesto all’amica maggiori dettagli sui motivi che avevano spinto Claire verso un simile comportamento. Voleva capire, visto che tutto era successo nel periodo in cui non era se stessa e Rachel aveva cercato di riassumere i fatti a grandi linee, raccontandole della lite furiosa che avevano avuto sull’argomento. Lei che rifiutava con tutte le sue forze l’idea che i ragazzi fossero morti, mentre Claire si era incaponita nel sostenere quella possibilità, per poi scoprire di avere torto all’arrivo di Mark e Dean. 

“Inutile dire che lo sappiamo solo noi due.” aveva aggiunto Rachel alla fine del racconto. “Non l’ho detto neanche a Mark. Deve restare un segreto.”

Lei si era mostrata d’accordo. Sebbene non condividesse affatto le azioni di Claire, si rendeva conto che dirlo a Cedric sarebbe servito solo a provocargli ulteriori sofferenze. 

Ora iniziava sul serio a capire cosa l’avesse spinta a consegnarsi in cambio della sua vita. La conosceva bene. Non era capace di fare del male a nessuno, soprattutto se si trattava di persone che amava. Il senso di colpa doveva essere stato insostenibile. Sentì la tristezza invaderla, desiderando con tutte le sue forze di poterla raggiungere ovunque si trovasse. Anche solo per confortarla, offrirle una spalla su cui piangere. 

Per fortuna, l’arrivo di Rachel, seguita pochi minuti dopo da Mark, le ricordò che aveva ancora una colazione da preparare e la distrasse da quei pensieri. Almeno per il momento. Di Cedric invece neanche l’ombra, ma non era il caso di tormentarlo. Magari sarebbe sceso più tardi a bere del caffè e a mettere qualcosa sotto i denti, visto che della cena alla fine non aveva voluto saperne e la sua porzione se l’erano divisa lei e gli altri.

Erano tutti seduti al tavolo intenti a mangiare, quando l’espressione di Mark si fece d’un tratto pensierosa e prese a fissare il vuoto davanti a sé.

“Che c’è?” gli chiese Rachel confusa.

“Ripensavo al momento in cui il fantasma di Elizabeth è uscito dal corpo di Claire…” rifletté, guardandoli. “Non lo trovate un po’ strano?”

Lei storse il naso e si accigliò. “Per come siamo messi, ormai non mi stupisco più di niente.”

“No, intendevo non è strano che sia lei che Juliet avessero entrambe gli spiriti delle sorelle Danesti dentro di loro? Insomma, al di là dell’assurdità della cosa in sé, non credo si tratti di una coincidenza.” 

“Nemmeno io.” ammise Rachel. In effetti, la faccenda del legame con le sorelle era qualcosa che si portavano dietro fin dalla comparsa di Cordelia, ma non le era più capitato di ripensarci da quando se n’era andata. Ora però, con la visione del fantasma di Elizabeth e tutto il resto, quel collegamento era tornato a farsi evidente, anche se neanche lontanamente spiegabile. Prima Juliet, poi Claire… Un dubbio la assalì in quel preciso istante. Che lei fosse la prossima? Eppure non aveva mai avuto nessun incubo ricorrente o altre avvisaglie di un possibile legame con Margaret, la maggiore delle sorelle Danesti, a parte la collana che indossava. “Se c’è una cosa di cui sono certa è che le nostre vite sembrano legate a quella delle sorelle, ma non ho mai capito in che modo e al momento non me la sento di pensare anche a questo.” 

Mark sembrò comprendere il suo stato d’animo, perché annuì, riprendendo a mangiare ed evitando di continuare sull’argomento. 

Qualche minuto più tardi, si trovava in cucina con Juliet a sciacquare le stoviglie quando Dean si presentò inaspettatamente sulla porta di casa, di ritorno da chissà dove. Lo intravide dall’apertura ad arco che separava il lavabo dal resto della camera da pranzo, così che bene o male riuscì a mascherare la delusione nel vederlo ricomparire. Stava per convincersi definitivamente che se ne fosse andato.

L’unico a rivolgergli la parola fu Mark. “Che fine avevi fatto?” gli chiese, senza apparire inquisitorio. 

“Ero a farmi un’idea della nostra situazione.” rispose lui lapidario. Sia la sua espressione che il tono di voce trasmettevano freddezza e distacco. “E da quello che ho potuto sentire credo che la cosa migliore sia lasciare questo posto.” sentenziò infine. 

A quel punto, Rachel smise di fingere di non ascoltare e uscì dalla cucina, affrontandolo a viso aperto. “Come sarebbe a dire? Non puoi rispuntare dal nulla dopo ore e uscirtene così.”

Dean però non aveva intenzione di riaprire alcun dibattito. Ne aveva avuto abbastanza il giorno prima. “A meno che non vogliate finire tutti quanti con la testa mozzata, sarà il caso di cambiare aria.” ribatté, senza preoccuparsi di sembrare troppo brusco.

Quelle parole ebbero l’effetto di lasciarli allibiti per qualche istante, ognuno con l’immagine della propria testa che rotolava davanti agli occhi. 

“Scusa, potresti essere più chiaro?” chiese quindi Mark, fissandolo confuso. 

Dean allora parve rilassarsi, concedendosi un attimo per riflettere. “Ho avuto modo di parlare con Evan degli umori che si respirano nel villaggio da quando siamo tornati e purtroppo non ci sono buone notizie. Gli anziani ci ritengono in parte responsabili della morte di Jamaal, considerando che siamo stati noi a convincerlo a rischiare così tanto.” spiegò poi.

Lo stupore fu tale che Juliet boccheggiò un paio di volte prima di parlare. “Ma è stato Tareq.” disse banalmente. “Era uno di loro e invece li ha traditi passando dalla parte di Nickolaij. È con lui che dovrebbero prendersela!”

Dean annuì, senza guardarla. “Certo, ma Jamaal non si sarebbe mai spinto fino a Bran se non fosse stato per aiutare noi. Dunque non si può dire che abbiano tutti i torti. Inoltre, resta il fatto che solo noi, Najat e i pochi guerrieri presenti abbiamo assistito alla scena. Nessun altro ha visto Tareq scoccare quella freccia.” 

“E chi altro avrebbe dovuto vederlo?” domandò Rachel incredula. “Se non si fidano della parola del loro nuovo capo, allora di chi?”

“Mi è stato riferito che Najat non gode di una gran considerazione, specialmente tra gli anziani della tribù.” replicò Dean paziente. “Secondo loro è troppo giovane per ricoprire un ruolo tanto importante. Per non parlare del fatto che è una donna. Dovrà faticare per imporsi, questo è poco ma sicuro.” 

Rachel fece una smorfia di disappunto, come sempre sensibile a certi temi.

Lui però non ci badò. “Per questo penso che sia meglio togliere il disturbo.” proseguì. “Restando qui non faremmo altro che crearle problemi, oltre a quelli che ha già.”

Il fatto che Dean si preoccupasse dei problemi di Najat in quel modo fin troppo accorato per i suoi standard provocò in Juliet una strana sensazione di fastidio misto al risentimento nei suoi confronti. Non si trattava di gelosia, o almeno non credeva, piuttosto di insofferenza nel vederlo così interessato alle sorti di una che non si era mai disturbata a nascondere il suo disprezzo per lui in quanto vampiro.

“Sì, ma dove potremmo andare?” intervenne Mark a quel punto, dando voce al pensiero comune. “Greenwood è fuori discussione e se stai proponendo di fare un altro campeggio…”

“Già. Nel deserto magari.” aggiunse Rachel sarcastica.

Ignorando il suo commento, Dean proseguì. “Prima di Bran, dicevamo di andare a cercare Margaret. Potrebbe essere un punto di inizio.”

“Dimentichi che abbiamo solo una collana. Secondo Cordelia ne servono tre per trovare questa Margaret.” gli ricordò Mark in tono pratico.

Dean allora si portò una mano alla tasca dei pantaloni, tirandone fuori un oggetto e posandolo sul tavolo davanti ai loro occhi. La pietra blu notte incastonata nell’argento emise un luccichio alla luce del sole che la colpì e rimasero a osservarla esterrefatti.

Quasi istintivamente, Rachel la prese tra le dita e in quel preciso istante avvertì una strana energia pervaderla, come una specie di scossa elettrica. Spaventata, ritrasse la mano e la collana ricadde sul tavolo.

“Che succede?” le chiese Mark allarmato.

Lei scosse la testa, come a dire di non averne idea, mentre anche la collana di sua nonna prendeva a brillare, ma stavolta di luce propria.

Fu Juliet la prima ad accorgersene “Ray…” mormorò preoccupata, indicandola.

“È già successo tempo fa, prima che tornassi tra noi.” le spiegò lei, sfiorando con le dita la pietra rossa che portava al collo. “Appena Cordelia l’ha toccata si è messa a brillare e secondo lei significa che Margaret è ancora viva. Le tre collane delle sorelle riunite dovrebbero aiutarci a trovarla, anche se non so in che modo.” Lo sguardo le cadde nuovamente sulla pietra blu, che ora giaceva inerte sul tavolo come un qualsiasi oggetto inanimato, riflettendo sull’origine della scossa che aveva sentito. Probabilmente la spiegazione più logica era che si fosse trattato di pura suggestione. A quel punto realizzò per la prima volta che erano di fronte alla collana di Elizabeth e il suo sguardo si posò in maniera quasi automatica su Dean. “Come facevi ad averla tu?” Stando a quanto aveva detto Claire, la sua collocazione avrebbe dovuto essere tutt’altra.

“Claire l’ha strappata a Nickolaij prima di svenire.” rispose lui infatti. “Io mi sono solo limitato a raccoglierla.” Non poteva negare di essere rimasto colpito dalla sua lucidità e prontezza di riflessi, pur ritrovandosi in una situazione così pericolosa e per di più in piena fase di transizione. Aveva da sempre commesso l’errore di considerarla piuttosto insignificante. Invece era riuscita a sorprenderlo.

“Bene, e siamo a due. Manca solo la terza, che se non ricordo male dovrebbe trovarsi in Austria, giusto?” ragionò Mark. 

Rachel annuì. “Così aveva detto Cordelia.”

“Perfetto. Allora è quella la prossima destinazione.” disse Dean, tagliando corto.

Le labbra di Mark però si piegarono in un sorriso amareggiato, come a fargli capire che stava correndo troppo. “E con Cedric come la metti? È in stato catatonico da ore, non vuole saperne di distogliere lo sguardo dal muro, figurati rimettersi in piedi e venire con noi fino in Austria.” 

“Senza contare l’assurdità dell’idea in sé.” aggiunse Rachel. “Non possiamo semplicemente andare in Austria, senza sapere neanche dove di preciso, e sperare che la collana salti fuori dal nulla. È ridicolo.” fece notare, sincera come solo lei sapeva essere. Ad ogni modo il suo ragionamento sembrò far breccia negli altri, placandone gli animi.

Anche Juliet dovette ammettere le sue perplessità. “Oltretutto siamo nel bel mezzo del deserto, non vedo come riusciremmo ad arrivarci.” rifletté.

“Questo non dovrebbe essere un problema.” replicò Dean. “Ci sono centinaia di portali sparsi per il mondo. Ne troveremo almeno uno che conduce in Austria.”

A Rachel però quel piano continuava a sembrare a dir poco sballato e privo di senso. Stavano per imbarcarsi di nuovo in un viaggio dalla destinazione indefinita, contando sulle supposizioni di una che probabilmente non aveva avuto neanche tutte le rotelle a posto. E poi per quanto ne sapevano il suo fidanzato, a cui diceva di aver regalato la collana, poteva averla persa o venduta al migliore offerente l’attimo dopo averla ricevuta. Nella peggiore delle ipotesi poteva addirittura essere stata distrutta. Erano passati secoli, in fondo. “Vi rendete conto che potrebbero volerci settimane? Oltre al fatto che probabilmente alla fine si rivelerà un enorme buco nell’acqua…”

“D’accordo senti, anch’io preferirei avere qualche certezza in più.” la interruppe Dean, stanco di dover discutere del come e del perché. “È vero, significherebbe avventurarsi in qualcosa di cui conosciamo a malapena l’essenziale, ma per ora è l’unica pista disponibile e dato che non possiamo restare qui non vedo alternative.” concluse categorico. 

Dopo averci riflettuto su, Mark si scambiò una rapida occhiata con Rachel. “Potremmo fare delle ricerche su quel tizio, il promesso sposo di Cordelia. Scoprire dove abitava. Così, tanto per non andare completamente alla cieca.” propose, attirando il suo interesse.

In effetti, Rachel la trovò un’ottima idea. Sempre meglio che girovagare per l’Austria senza meta, battendola palmo a palmo alla ricerca di un oggetto che poteva essere finito chissà dove. Inoltre, trovare Margaret avrebbe potuto essere l’unico modo per aiutare Claire. 

Lo stesso pensiero sembrò attraversare la mente di Juliet quando si guardarono ed entrambe capirono di non avere scelta. In cuor suo, Rachel continuava a essere scettica, ma l’evidenza dei fatti lasciava ben poco spazio ai dubbi. 

Dalle loro espressioni Dean intuì che si erano arresi, anche se nessuno lo disse apertamente. 

L’unico a parlare fu Mark. “Resta solo la questione di Cedric.” 

Dean annuì, consapevole di doversene occupare. “Con lui parlo io.” sentenziò risoluto. 

“Gran bella idea. Al momento sei esattamente la persona che vorrebbe vedere.” ribatté Mark ironico.

Lui però non gli diede importanza, facendo già per avviarsi al piano di sopra. “Non preoccupatevi di questo. Piuttosto, quando torna parlate con Laurenne e vedete di scoprire come raggiungere l’Austria il più velocemente possibile.” 

Sentì Rachel borbottare qualcosa in risposta, forse altre lamentele, ma ormai aveva già saltato l’ultimo scalino e in ogni caso l’avrebbe ignorata. Se metterli al corrente dei suoi piani significava sorbirsi comunque le loro obiezioni, tanto valeva fare di testa propria. 

In pochi passi raggiunse la stanza dove alloggiavano tutti insieme, l’unica altra camera da letto a parte quella dove dormiva Laurenne con il figlio, e la trovò immersa nell’oscurità. Le finestre erano schermate dalle pesanti tende di lana grezza che non facevano passare uno spiraglio di luce; tuttavia, ciò non gli impedì di individuare subito la sagoma di Cedric, seduto su una branda con le gambe incrociate, la schiena appoggiata al muro e lo sguardo fisso nel vuoto. Un senso di fastidio nelle viscere lo colse all’istante, ma si impose di restare calmo. Doveva prenderlo con le buone, altrimenti non avrebbe cavato un ragno dal buco. Senza dire nulla si diresse allora alla finestra e con un gesto secco scostò la tenda per far entrare i raggi del sole. –Molto meglio- pensò. 

Dall’altra parte della stanza, l’unica reazione di Cedric fu di strizzare gli occhi, accecato dalla luce, ma non inveì contro di lui né protestò. Dean dovette ammettere di riconoscerlo a stento. Per la prima volta da quando lo avevano salvato aveva modo di guardarlo bene e si accorse di quanto fosse dimagrito rispetto ai giorni del campeggio. Nickolaij non aveva certo la fama del padrone di casa generoso e quello trascorso al castello non doveva essere stato un soggiorno piacevole. D’un tratto iniziò seriamente a dubitare che fosse già in grado di mettersi in viaggio.

Dopo averlo osservato per un po’, decise di andare a sedersi sulla branda adiacente, vicino a lui ma comunque alla giusta distanza. A giudicare dall’odore che emanava, l’ultima volta che era riuscito a lavarsi risaliva a diverso tempo prima, probabilmente settimane, e a peggiorare il suo aspetto contribuivano la barba incolta di giorni e le profonde occhiaie scure. 

Dal canto suo, Cedric parve a malapena accorgersi della sua presenza e continuò a fissare un punto imprecisato davanti a sé, senza degnarlo nemmeno di un rapido sguardo. Per un po’ il silenzio regnò sovrano, mentre Dean pensava a come rompere il ghiaccio. 

“Come stai?” chiese infine, mantenendo un tono distaccato. Forse interessarsi al suo stato di salute era un buon modo di aprire la conversazione.

In cambio, però, non ricevette alcuna risposta.

Allora riprovò. “Non hai una bella cera. Dovresti mangiare qualcosa.” 

Silenzio. Magari intavolare un discorso con il muro sarebbe stato più appagante, ma Dean non si diede per vinto. 

“Dico sul serio, come farai a viaggiare in queste condizioni? Non reggeresti mezza giornata.”

Niente. Cedric non si sforzò nemmeno di muovere le pupille per lanciargli un’occhiata fugace, tanto per fargli capire che era sveglio e il suo cervello stava elaborando quanto appena sentito. 

Ormai quasi prossimo alla resa, Dean si mise una mano sugli occhi, abbandonandosi a un sospiro rassegnato. “Ascolta, so che al momento vorresti solo eliminarmi fisicamente, ma la priorità adesso è un’altra.” disse, stavolta più diretto. “Dobbiamo partire al più presto e se vuoi venire con noi devi rimetterti in forze. Immagino che tu voglia fare qualcosa per aiutare Claire, perciò ti conviene smetterla di piangerti addosso e reagire.” Si rese conto di aver ecceduto nei toni nell’istante successivo, ma ormai era fatta. Del resto, avere tatto non era mai rientrato nelle sue prerogative. 

Quelle parole così schiette però sembrarono ottenere l’effetto sperato, perché finalmente Cedric si riscosse, probabilmente per averlo sentito pronunciare quel nome, e il suo sguardo glaciale si posò su di lui. “Stava a te aiutarla e invece l’hai condannata. Ora è un po’ tardi per cercare di ripulirti la coscienza, non trovi?” La sua voce era piatta, totalmente priva di emozioni, come se le sofferenze patite gli avessero risucchiato qualsiasi volontà, anche quella di arrabbiarsi. Fece una pausa, in cui Dean provò a ribattere, ma non gliene diede il tempo. “Sai, il lato ironico della cosa è che ti avevo chiesto di proteggerla, di prendertene cura. Dovevi solo tenerla lontana dai guai. Non mi sembrava poi così difficile.”

“Ti assicuro che la questione era ben più complicata.” replicò Dean, riappropriandosi del suo diritto di parola. “Tu non eri presente, non sai cos’è successo prima che Claire…”

“No, infatti.” lo interruppe lapidario. Sul suo volto emaciato si dipinse un ghigno appena accennato. Dopodiché distolse di nuovo lo sguardo, facendogli capire che non c’era nulla che potesse dire in sua difesa. Nulla che gli interessasse almeno. “Io non so niente, tantomeno cosa vi abbia detto il cervello e perché sia andata a finire così. L’unica certezza è che fidarmi di te è stata una stronzata.” 

Dean sospirò ancora, incassando il colpo. Sapeva che non sarebbe stata un’impresa facile. “Le avevamo imposto di restare al sicuro qui al villaggio, ma lei ha fatto di testa sua e ci ha seguito fino a Bran.” spiegò paziente. “Deve aver aspettato fino all’ultimo momento, sperando che ti salvassimo senza il suo intervento, invece Nickolaij ci ha messo con le spalle al muro. A quel punto è venuta da me e mi ha chiesto di morderla, sapendo che, una volta trasformata, lui non avrebbe più potuto usarla per i suoi scopi. Il suo piano era valido e l’ho assecondata. Ecco, lo ammetto.” si arrese, dandogli quello che voleva. “Non pretendo che tu capisca le mie ragioni, ma almeno per adesso cerca di mettere da parte il risentimento verso di me e pensa a lei…”

“Io penso continuamente a lei!” reagì Cedric di getto, rivelando finalmente il suo reale stato emotivo. “L’immagine di Claire che si allontana su quel ponte non fa che tormentarmi e il pensiero di non essere riuscito a impedirle di fare questa follia…” La frustrazione era tale da non permettergli di continuare, furioso com’era con il mondo intero, ma soprattutto con se stesso. Chiuse gli occhi e serrò la mascella, come per contenere un’esplosione di rabbia imminente.

Si sentiva del tutto inutile, era palese, e in quel momento Dean non poté fare a meno di provare compassione per lui. In fondo, se si fosse trattato di Juliet la sua reazione sarebbe stata pressoché la stessa, se non peggio. Ricordava ancora quando Mary gli aveva detto che era morta, laggiù in quella cella. Gli era crollato il mondo addosso. “Non avresti potuto impedirglielo.” Cercò allora di consolarlo. “Era consapevole di quello che stava facendo e nessuno sarebbe stato in grado di farle cambiare idea.”

Il suo tentativo di tirarlo su di morale sortì però l’effetto opposto.

“Sì, invece! Qualcuno c’era!” replicò Cedric, fuori di sé. “Tu eri lì! L’aveva chiesto a te, avresti potuto rifiutarti.” 

“Ci ho provato…”

“Non abbastanza!” lo interruppe di nuovo. “Non ci hai provato abbastanza.” ripeté, stavolta quasi in un sussurro.

Dean però rimase calmo, lasciandolo per qualche istante a sbollire la rabbia, prima di riprendere. “Ascolta, quel che è stato è stato. Ormai non serve a niente tormentarsi. Piuttosto, pensa a come andare a riprendertela.” 

Cedric abbassò lo sguardo, mentre il suo respiro tornava lentamente a un ritmo normale. “E come?” chiese afflitto.

“Vieni con noi. Troviamo Margaret.” gli propose. “Lei saprà come aiutarci.”

Lui lo guardò, a dir poco stralunato. “Di che diavolo parli? Non so nemmeno chi sia questa Margaret…”

Dean però scosse la testa. “Saprai tutto quando ti deciderai a uscire da questo cubicolo.” ribatté, ormai sicuro di aver trovato il giusto approccio. Il trucco era capire come invogliarlo a darsi una svegliata e pensava di esserci riuscito. Soddisfatto, gli concesse del tempo per rifletterci su, vedendolo pian piano assimilare l’idea. 

“Va bene.” cedette infine. Poi puntò gli occhi su di lui, mostrandosi risoluto. “Anche se questo non cambia le cose. Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto.” mise in chiaro.

Dean ne era certo, così annuì senza nascondere la propria rassegnazione. “Lo so.” 

Stabilito questo, Cedric si alzò, senza aiuto nonostante glielo avesse offerto, e insieme fecero per scendere. Erano sulla soglia quando Dean si voltò un’ultima volta a guardarlo. “Ah, per prima cosa direi che ti serve un bagno.”

Nel frattempo, gli altri di sotto stavano già discutendo con Laurenne, tornata da poco, dei preparativi per la partenza e rimasero alquanto stupiti nel vederli arrivare insieme. 

“Tutto okay, Ced?” domandò Mark dopo un attimo di esitazione e parve più sollevato quando l’amico mugugnò un sì di risposta. 

Anche Juliet si sentì meglio. Almeno a una prima occhiata non sembravano essersi presi di nuovo a pugni ed entrambi apparivano tranquilli. Senza degnare Dean di uno sguardo, si avvicinò a Cedric. “Come ti senti?” gli chiese apprensiva. Non trovava difficile immaginarlo e la sua era più che altro una domanda retorica, ma lui non se ne mostrò infastidito.

“Sporco.” mormorò in tono secco.

Juliet sorrise intenerita, poi lo prese delicatamente per mano e lo guidò nel retro della cucina, dove in previsione aveva già riempito la tinozza d’acqua tiepida. Con la coda dell’occhio aveva intravisto il disappunto sul volto di Dean, forse preso in contropiede dal fatto che stesse accompagnando Cedric a fare il bagno, ma non gliene importava nulla. Che pensasse quello che voleva. Ormai aveva perso il diritto di protestare.

Tra loro non ci fu la minima traccia di imbarazzo quando lo aiutò a togliersi di dosso i vestiti che portava da quando li avevano catturati settimane prima, praticamente degli stracci non più recuperabili, e a entrare nella tinozza. Vederlo ridotto in quel modo le fece provare una pena infinita, ma si sforzò di non farglielo notare. Non voleva che si sentisse compatito. Così, con una spugna prese a lavargli la schiena in silenzio, mentre lui provvedeva al resto. In quei semplici gesti Juliet percepì il legame che accomunava entrambi nel dolore per aver perso una persona amata. 

“Mi sei mancato.” gli sussurrò spontanea.

Le labbra di Cedric si piegarono in un sorriso appena accennato, poi sollevò la mano per poggiarla sulla sua, ferma sulla sua spalla. Non disse nulla, ma bastò a farle capire che anche per lui era lo stesso.

Una volta ripulito dalla sporcizia, lo aiutò a vestirsi con gli abiti che Laurenne aveva ripescato dal guardaroba del marito e che a occhio avrebbero dovuto andargli bene. Poi, mentre lui si faceva la barba cercò di dargli una sistemata ai capelli, cresciuti decisamente troppo, finché non gli restituì un aspetto se non altro simile a quello che ricordava. 

Dopo aver osservato la sua opera allo specchio, gli rivolse un sorriso soddisfatto. “Ecco qua.”

Lui diede un’occhiata distratta alla sua immagine riflessa, decisamente concentrato su altro. “Juls…” mormorò d’un tratto, spostando lo sguardo su di lei. “Posso sapere che ci facciamo qui? Cos’è questo posto?” chiese, come se avesse realizzato solo in quel momento di non averne idea.

Intenerita, Juliet si rese conto che in effetti era una domanda legittima, solo che non la stava rivolgendo proprio alla persona più adatta, visto che lei per prima si era ritrovata lì senza sapere come ci fosse arrivata. Per sommi capi provò a spiegargli cos’era successo da quando si erano separati, così come lo aveva sentito da Rachel e Claire dopo essersi svegliata in casa di Laurenne, vedendolo sgranare gli occhi quando gli raccontò del suo cambio di personalità. “Lo so, anch’io non riuscivo a crederci quando l’ho saputo, ma a quanto pare è andata così.” gli disse, condividendo il suo stato d’animo.

Cedric continuò a fissarla incredulo ancora per qualche istante, prima di sbattere le palpebre nel tentativo di assimilare il concetto. “Accidenti, se mai un giorno usciremo da tutto questo giuro che niente nella vita potrà più sorprendermi.” 

Juliet ridacchiò. “Già, per fortuna Laurenne ha rimesso le cose apposto. Non so come, ma sono di nuovo io.” concluse. Dopodiché lo aiutò ad alzarsi. “Ora però devi mangiare qualcosa, non farmi arrabbiare.” lo redarguì, facendogli capire che non avrebbe sentito ragioni. 

Cedric non osò obiettare e insieme tornarono nella stanza principale, dove Dean stava ancora discutendo con Laurenne della loro decisione di lasciare il villaggio. Quando lei, Rachel e Mark le avevano accennato la cosa, non si era mostrata molto convinta e non le sembrava che adesso la situazione fosse migliorata. Oltretutto, non le era andato a genio ciò che Dean aveva fatto a Claire, contribuendo a far calare ancora di più la già scarsa stima che nutriva nei suoi confronti. 

“Non sarete al sicuro là fuori. Nickolaij ha spie ovunque, non devo certo essere io a dirtelo.” gli stava facendo notare, cercando di mantenere un tono neutro ma in realtà apparendo decisamente ostile.

In ogni caso, lui non sembrò curarsene. “Un motivo in più per lasciare il villaggio. Ora che ha Tareq dalla sua parte quanto pensi che ci metterà per mandare qualcuno a cercarci?”

“Ma perché dovrebbe farlo?” si intromise allora Mark. “Perché continuare a perseguitarci quando ormai ha ottenuto quello che voleva? Adesso ha Claire…”

Dean però gli parlò sopra, alquanto infastidito dalla sua ingenuità. “Quello che voleva era Claire da umana e noi…Cioè io gliel’ho impedito.” si corresse. “Finché non si sarà vendicato, non smetterà di darmi la caccia e per estensione anche a voi. Senza contare che ora abbiamo la sua collana e probabilmente la rivorrà indietro.” spiegò pratico. Sarebbe stato ridicolo pensare che Nickolaij li avrebbe lasciati in pace solo perché era riuscito a prendersi Claire. Aveva visto la sua reazione sul ponte dopo aver scoperto che era stata morsa e il modo in cui lo aveva fulminato nell’istante in cui si era reso conto che fosse opera sua. In quello sguardo aveva potuto leggere una sentenza di morte, prima ancora che si tramutasse in minaccia esplicita. 

“No, mi dispiace.” riprese infine in tono più pacato, rivolgendosi di nuovo a Laurenne. “Sono consapevole dei rischi, ma qui non siamo più visti di buon occhio e lo sai. Inoltre, se restassimo non saremmo di alcuna utilità alla causa. Margaret Danesti potrebbe avere la soluzione ai nostri problemi, dobbiamo trovarla.” disse, sicuro di sé. “Cercheremo di non attirare troppo l’attenzione. Ora, se tu conoscessi un modo per trovare i portali che ci occorrono senza dover girare il mondo intero sarebbe un gran passo avanti.”

Il ritorno di Cedric e Juliet, però, interruppe la conversazione, facendo convergere gli sguardi dei presenti su di loro. Laurenne rivolse a Cedric un sorriso sincero, lieta che si fosse ripreso, informandosi subito sulle sue condizioni di salute e dicendogli che più tardi gli avrebbe dato un’occhiata, per stare più tranquilli; poi si rivolse di nuovo a Dean. “Tornando a noi, abbiamo delle mappe che indicano tutti i portali conosciuti e utilizzati dalle varie tribù. Parlerò con Najat per vedere se è d’accordo a darvene una. Sono rare e molto preziose per noi, quindi devo chiedere il suo permesso. Comunque, sarà il caso che la mettiate al corrente delle vostre intenzioni.” concluse.

“Lo faremo. Ti ringrazio.” rispose lui, facendoselo bastare.

Mentre Cedric si faceva visitare dalla sciamana, Juliet si offrì ancora una volta di preparargli qualcosa da mettere sotto i denti e Mark e Rachel la seguirono, pur di non dover rimanere nella stessa stanza con Dean. 

Rachel stava affettando una carota quando vide Mark pensieroso in un angolo, con il volto rabbuiato. “Adesso che ti prende?” gli chiese allora.

Lui parve riscuotersi e la guardò. “Niente, stavo solo pensando a Ced…”

“A che proposito?” fece Juliet incuriosita.

Mark esitò un istante, forse incerto se esprimersi o meno. “Mi chiedo come abbia fatto Dean a convincerlo a scendere in sì e no dieci minuti, quando con me non voleva saperne. Insomma, ovviamente sono contento che sia qui e che sembri stare meglio, però…” Scosse la testa, lasciando la frase in sospeso. Che fosse frustrato dalla cosa era evidente.

A quel punto Rachel sospirò, per un momento mettendo da parte la carota. “Beh, qualcosa deve avergli detto. Lo conosci ormai, avrà fatto leva sul suo orgoglio ferito. Che importa? Basta che alla fine si sia deciso. Non poteva continuare a fare l’ameba, no?” 

Lui annuì, abbassando lo sguardo e appoggiandosi al bancone della cucina. “Sì, sì, è solo che mi secca non sapere cos’è successo tra quei due, tutto qui.” tagliò corto.

A quanto pareva, il leggero complesso di inferiorità che Mark nutriva nei confronti di Dean non era mai svanito del tutto, nonostante gli errori di quest’ultimo e il fatto che le disavventure comuni avessero creato un certo legame di amicizia tra loro. O almeno così era sembrato a Rachel, a cui sfuggì un sorriso intenerito. Non sapeva più come dimostrargli che non aveva niente da invidiare rispetto a Dean, soprattutto ai suoi occhi. Così, senza aggiungere altro, si avvicinò appena e gli prese la mano, trasmettendogli ciò che provava. 

“Puoi sempre chiederlo a Cedric.” gli suggerì Juliet, continuando a pelare patate. “Non credo si farebbe problemi a raccontarti cosa si sono detti.” 

Mark però fece spallucce, mostrando di voler lasciar perdere la cosa. “No, in fondo Ray ha ragione. L’importante è il risultato.” sentenziò. “E poi abbiamo cose più serie a cui pensare.”

Rachel annuì concorde. “Già. Credete che andare in Austria sia davvero una buona idea? Insomma… Non vi pare un po’ azzardato?”

“Azzardato è dire poco.” ridacchiò nervoso. “Ma per adesso non vedo che altro potremmo fare.”

Niente, era vero. Non potevano fare niente se non cercare di rendersi utili a modo loro. Mai come in quel momento Rachel si sentiva assillata dai dubbi, in cima a tutti l’incertezza di quello che stavano per affrontare. Come al solito erano costretti a dare retta a Dean e a buttarsi alla cieca in un altro folle viaggio, in cui le possibilità di successo erano davvero minime. Aveva il brutto presentimento che ad aspettarli ci fosse solo l’ennesimo calvario.

 

-o-

 

Quando Claire si svegliò era al buio. Tutto era immerso nel silenzio e l’unico rumore udibile era il ticchettio ripetuto di una goccia d’acqua che cadeva sulla pietra da chissà dove. D’istinto sbatté le palpebre più volte per permettere agli occhi di adattarsi, scoprendo così di non averne bisogno. Certo, non aveva mai avuto problemi di vista, ma adesso riusciva addirittura a distinguere forme e dimensioni dell’ambiente circostante senza l’aiuto di alcuna luce. Com’era possibile?

Poi ricordò. Ogni cosa. Uno dopo l’altro i ricordi riaffiorarono nella sua mente, o almeno quelli che precedevano l’istante in cui aveva perso i sensi. Da quando Dean aveva accettato di morderla allo scambio tra lei e Cedric sul ponte, il quadro degli ultimi eventi era più o meno completo, anche se a un certo punto l’unica cosa percepibile era stato il dolore, talmente lancinante da toglierle il respiro. Si era accasciata per terra, d’improvviso aggredita da forti spasmi allo stomaco, poi ricordava di aver alzato lo sguardo e visto la mano di Nickolaij calare su di lei. Dopodiché più nulla.

Spaesata, si guardò intorno, sfruttando la nuova abilità per farsi un’idea di dove fosse e la risposta giunse rapida e fin troppo ovvia. Si trovava in una delle celle del sotterraneo, ancora una volta prigioniera, ancora una volta sola. Non ricordava come fosse finita in quel buco senza finestre, ma non era difficile immaginarlo. 

Una nuova fitta allo stomaco la riportò al presente. Una specie di crampo, come quando si ha fame, ma molto più forte e decisamente meno sopportabile. Le sue conoscenze in materia di vampirismo si fermavano alla semplice esistenza dei vampiri e al fatto che si nutrivano di sangue umano per sopravvivere, cosa che del resto sapeva già prima di incontrarne uno in carne e ossa. Era successo tutto così in fretta in quella foresta che Dean non aveva avuto il tempo di prepararla a dovere su quanto stava per affrontare. Sapeva solo che il mentre sarebbe stato doloroso, ma non aveva idea di quando sarebbe finita e di come avrebbe gestito il seguito. 

Un’altra fitta. Claire si piegò su se stessa, coprendosi l’addome con le braccia. Sentiva male dappertutto. Nelle ossa, nei muscoli, fino alla punta dei capelli. Gli effetti del morso di Dean erano ormai palesi e la sua paura di ciò che sarebbe venuto dopo non faceva che aumentare. -È stata una follia- pensò. –Che mi è saltato in mente?

–Cedric era in pericolo e questo era l’unico modo che avevi per salvargli la vita- rispose quasi subito un’altra voce nella sua testa. –Nickolaij lo avrebbe ucciso se non ti fossi consegnata-. È quello che continuava a ripetersi, un po’ per farsi coraggio, un po’ per non pensare al dolore che non le dava tregua. 

Sollevò le gambe e si strinse forte le ginocchia al petto, mentre un altro tipo di sofferenza oltre a quella fisica la invadeva completamente. Sarebbe rimasta a marcire in quella fogna per sempre, non avrebbe mai più rivisto nessuno dei suoi amici, dei suoi cari. Non avrebbe più rivisto Cedric. Lo aveva sentito gridare che sarebbe tornato a prenderla, ma era solo una promessa dettata dalla disperazione, lo sapeva bene, non si illudeva che avrebbe potuto mantenerla. Come se non bastasse, il pensiero di Jamaal morto su quel ponte non smetteva di assillarla. Non aveva neanche potuto dirgli addio prima che spirasse. Il senso di colpa per averlo illuso, approfittando della sua generosità e infine conducendolo alla morte era troppo da poter sopportare. Quando l’aveva visto steso a terra, inerte tra le braccia di Najat, si era sentita inutile come mai in vita sua, ma aveva dovuto restare nascosta per non mandare all’aria il suo piano. Se Rachel e Juliet l’avessero vista, era sicura che le avrebbero impedito di consegnarsi a Nickolaij, anche a costo di legarla e trascinarla via con la forza. Ora quasi rimpiangeva di non averglielo lasciato fare. 

Gli occhi le si inondarono di lacrime e prese a singhiozzare, nascondendo il viso tra le ginocchia. Intanto il dolore, che non l’abbandonava mai, si era mischiato ai crampi allo stomaco, ripresi dopo una breve pausa. –Quando finirà tutto questo?- Strinse i denti, non riuscendo a reprimere un gemito quando un altro spasmo la colse.

“Lo so, è doloroso.” 

Claire trasalì al suono di una voce improvvisa e inaspettata. Aveva dato per scontato di essere sola e invece c’era qualcun altro oltre a lei in quella prigione. Si voltò a destra, nella direzione dove le sembrava fosse arrivata e si accorse di una piccola falla nel muro, un buco appena sufficiente a far passare un topo. Si trascinò carponi fin lì, schiacciandosi contro il pavimento di pietra per poter guardare dall’altra parte, ma riuscì a scorgere soltanto una porzione di parete della cella accanto. “Chi c’è?” chiese allora, la voce resa roca dalle continue fitte. 

Non ricevendo risposta sospettò di esserselo sognato. Ora sentiva anche le voci. Stava davvero impazzendo; poi ripensandoci si convinse del contrario. “So che ci sei. Ti ho sentito prima.” insistette.

“È vero, mi hai scoperto.” ironizzò lo sconosciuto nell’altra cella.

Claire tentò di ignorare l’ennesimo crampo allo stomaco per concentrarsi su di lui. “Sei umano o vampiro?” 

“Sono come te.” rispose in tono neutro. Era chiaro che non ne fosse proprio entusiasta. “O meglio, come sarai tra poco.” precisò.

“Che vuoi dire?”

Lo sconosciuto esitò qualche istante, prima di spiegarsi. “Il processo non è completo. Il tuo corpo si sta ancora adattando, ecco perché senti tanto dolore. Ma presto il veleno avrà invaso ogni singola goccia del tuo sangue e a quel punto sarà finita.”

Le sue parole indicavano un’esperienza pregressa. Quel tizio aveva passato lo stesso inferno che stava passando lei. “Quanto durerà?” gli chiese ermetica. 

“Difficile a dirsi. Dipende da quando sei stata morsa.” rifletté lui. “Hai fame?”

A chiunque altro quella domanda sarebbe parsa strana, fuori contesto, ma Claire sapeva bene a cosa si riferisse. In realtà, avrebbe tanto voluto non doverlo ammettere a voce alta. “Sì.” Le uscì quasi in un sussurro, talmente se ne vergognava. 

Non poteva vederlo, ma dal tono che usò intuì la sottile soddisfazione dello sconosciuto. “Allora sei a buon punto.”

A Claire sfuggì un sorrisetto amaro, prima di riuscire a stento a tirarsi su e appoggiare la schiena contro il muro. Per quanto da un lato la notizia la allietasse, dall’altro non c’era nulla di cui gioire. Stava per trasformarsi in una creatura assetata di sangue, senza che potesse fare niente per impedirlo.

Intanto i suoi muscoli continuavano a bruciare e lo stomaco attanagliato dai crampi non smetteva di chiedere nutrimento. Decisa a non ascoltarlo, serrò gli occhi per un attimo, scacciando via i brutti pensieri. Doveva resistere. “Da quanto tempo sei qui?” domandò, cercando di distrarsi.

“Non ti importa davvero.” disse infatti lo sconosciuto. “Comunque, se parli di Bran diverse settimane. In questa cella, beh, da quando ho cercato di scappare. Non so quanto tempo è passato di preciso.” spiegò infine. 

Più parlavano e più Claire avvertiva una certa affinità con quel ragazzo, o almeno dalla voce le sembrava tale. In fondo, stavano condividendo la stessa sorte. “È stato coraggioso da parte tua. Mi dispiace che alla fine tu non ci sia riuscito.”

“A me no.” replicò lui inaspettatamente. “Quello che ho fatto è tradimento. Merito di essere rinchiuso qui.” 

Claire non immaginava di ricevere una risposta simile e per qualche istante rimase interdetta, ripensando a quanto aveva appena sentito. “Che stai dicendo? Ti hanno tolto la libertà, costretto a vivere rintanato in un sotterraneo…” 

“Me la sono tolta da solo.” le parlò sopra. “Sono già fortunato che Nickolaij abbia deciso di risparmiarmi. È un grande onore per uno qualunque come me e gliene sarò riconoscente fin quando vivrò.”

Claire rimase allibita. Stava delirando, non c’era altra spiegazione. I giorni trascorsi prigioniero dovevano avergli provocato un serio danno al cervello. “Sai cosa ha fatto quel mostro? Ha distrutto le nostre vite e quelle di molti altri. Ci ha manipolato per i suoi scopi e adesso tu lo difendi? Ti sbagli se pensi che ti ha risparmiato perché tiene a te, non gliene importa niente…”

“Sta zitta!” gridò furioso. “Non dire un’altra parola contro di lui. Tu non lo conosci, non sai cosa ha fatto per me. Mi ha accolto quando non avevo più nessuno.”

Era vero. Claire non conosceva la storia di quel ragazzo, ma era altrettanto vero che lui non conosceva la sua. Perché discutere con qualcuno che non aveva idea di quello che Nickolaij le aveva fatto passare? Che continuasse pure a crederlo un benefattore, ora lei aveva ben altro a cui pensare. I dolori non le lasciavano un attimo di pace. Rinunciando definitivamente a ogni tentativo di farlo ragionare, rimase in silenzio e prese a respirare a fondo, cercando per quanto possibile di rilassarsi.

“Sei ancora lì?” lo sentì chiederle in tono incerto dopo qualche minuto.

Claire sospirò, rivolgendo lo sguardo al soffitto della cella. “Dove vuoi che vada?”

“Senti…” esitò. “Scusa, sono stato scortese.”

Lei scosse la testa, ancora appoggiata alla parete ruvida e fredda. “Lascia stare.” Stava vivendo una situazione talmente assurda e degradante che offendersi sarebbe stato ridicolo da parte sua. 

“Immagino che anche per te non sia stato facile.” continuò il ragazzo, a quanto pareva in vena di chiacchiere. Forse aveva solo bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. “Hai un accento familiare. Sei americana?”

In effetti aveva ragione. Claire non ci aveva fatto caso. A dirla tutta, trovare qualcuno che parlasse inglese col suo stesso accento in Romania non era affatto scontato. “Sono del Montana.” confermò.

“Sul serio? Incredibile, anch’io vengo da lì. Conosci Greenwood?” le chiese, più eccitato per via della strana coincidenza.

Sentendo quel nome, lei si riscosse. 

“Sono partito da lì quest’estate, insieme a mio padre. Si era fissato di voler trovare i resti di uno stupido manufatto che si diceva fosse disperso in Romania. Eravamo accampati da queste parti, quando un gruppo di vampiri ci ha trovato. Poi non ricordo bene cos’è successo, ma uno di loro deve avermi morso, perché il dolore che ho provato… Quello sì che me lo ricordo.”

Claire però non lo stava più ascoltando da un pezzo. Mentre lui parlava la sua mente era tornata velocissima a diverso tempo prima, quando si trovavano ancora tutti al castello e Dean l’aveva appena liberata. Stavano andando dagli altri, laggiù nei sotterranei, quando lungo la strada avevano incontrato due vampiri. Uno era un veterano e Dean si era messo a chiacchierare con lui per distrarlo. Lei non aveva capito una parola, considerando che parlavano in romeno, ma adesso uno strano pensiero iniziò a frullarle nella testa. Di tutta la conversazione l’unica cosa giunta forte e chiara alle sue orecchie era stato un nome, pronunciato alla fine. Ricordava di esserne rimasta colpita già allora, pur dimenticandosene subito dopo per la fretta di ritrovare gli altri. E adesso l’accento del suo vicino di cella, il fatto che avesse menzionato Greenwood, perfino la sua voce… Sì, quella voce lei la conosceva molto bene, da anni in realtà. D’improvviso tutti gli indizi si collegarono tra loro e un solo volto le comparve nitido davanti agli occhi. Come aveva fatto a non accorgersene subito? 

“Jason…” mormorò incredula.

 

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Capitolo 4
*** Di nuovo in viaggio (parte 1) ***


Capitolo 3

 

Di nuovo in viaggio


Alla fine avevano deciso di comune accordo di aspettare almeno un paio di giorni prima di partire, sia per dare il tempo a Cedric di riprendersi del tutto, sia per mettere a punto un piano d’azione che non li facesse andare completamente allo sbaraglio. Giorni che avevano passato chiusi in casa di Laurenne per evitare di farsi vedere in giro. Non sapevano come avrebbe reagito la gente del villaggio e non intendevano scoprirlo, così si facevano raccontare eventuali novità dalla sciamana, che invece andava e veniva.

Il problema però fu che, già dopo qualche ora trascorsa tutti insieme in uno spazio limitato, si iniziò a respirare un’atmosfera decisamente poco rilassata. Il ricordo di quanto accaduto su quel ponte era ancora vivido e trovarsi ogni minuto in compagnia di Dean o costretti a incrociarne lo sguardo per qualunque motivo non era facile da sopportare. L’unico che sembrava reggere meglio il disagio della convivenza era Mark, ma solo perché, nonostante conoscesse Claire e gli dispiacesse per lei, a conti fatti era stato tra loro il meno toccato dalla vicenda. Oltre a questo, Rachel sospettava stesse cercando di mettersi nei panni di Dean per capirne le ragioni e che stavolta fosse in parte d’accordo con il metodo della soluzione drastica per ridurre i danni il più possibile. Tipico di Dean. Mark non gliene aveva parlato, probabilmente perché sapeva di scatenare la sua reazione, ma ormai riusciva a leggergli nella testa senza che aprisse bocca. In ogni caso, l’ultima cosa che le serviva era litigare anche con lui, quindi tenne per sé il fastidio provocatole dalla sottintesa comunella tra quei due e si concentrò sulle prossime mosse da fare.

Con l’aiuto di Laurenne, si misero a studiare da cima a fondo le antiche pergamene che la sciamana aveva preso in prestito dall’archivio della tribù, nella speranza di trovarvi qualche riferimento a Ludwig, ma scoprirono solo che la sua famiglia, appartenente alla dinastia austriaca dei von Eggenberg, era alleata dei Danesti nel periodo in cui erano in guerra contro gli avi di Nickolaij. 

Laurenne sbuffò, riemergendo dalla lettura dell’ennesimo foglio ingiallito. “Niente. Qui parla solo di battaglie tra Jurhaysh e vampiri. Nessuna menzione dell’Austria o luoghi precisi di essa e dubito che ne troveremo mai.” concluse affranta. “Mi dispiace, ma temo che dovrete cercare altrove.”

Dall’angolo in cui era seduto, Mark annuì con aria rassegnata. “Lo avevamo messo in conto, non preoccuparti.” 

“Tanto non possiamo più restare.” ribadì Dean. “Faremo qualche ricerca per conto nostro.” 

Suo malgrado, Juliet non riusciva proprio a condividere tutta quella fretta di andarsene dall’unico posto che le ricordava un minimo casa sua, ma capiva che non avevano scelta e questo le infondeva ancora più ansia per il futuro. Lasciare il villaggio avrebbe significato perdere qualsiasi protezione da Nickolaij e la sua sete di vendetta.

Era talmente presa da quei pensieri inquietanti, che trasalì quando all’improvviso qualcuno bussò alla porta. Sui volti degli altri lesse la stessa tensione, segno che ognuno di loro stesse pensando a una cosa sola. Erano venuti a prenderli per vederci chiaro su Jamaal, per processarli magari. Laurenne non si era sbilanciata granché sull’argomento, visto che a stento era riuscita a vedere Najat e a parlarle per più di qualche minuto, perciò rimasero tutti alquanto sorpresi nel ritrovarsela sulla soglia, accompagnata dal fido Abe. 

“Nat.” constatò la sciamana, nascondendo lo spaesamento dietro un sorriso. 

Lei ricambiò, anche se brevemente. “Sono riuscita a liberarmi solo adesso. Posso entrare?”

“Prego, vieni.”

Dopo aver fatto cenno ad Abe di aspettarla fuori, Najat si accomodò, mentre Laurenne le chiudeva la porta alle spalle. Dopodiché le chiese se potesse offrirle qualcosa, ma la ragazza scosse la testa. 

“Ti ringrazio, ma non rimarrò a lungo.” le disse in tono cortese, per poi posare lo sguardo su di loro. “Volevo parlare con voi di quello che intendete fare.”

“Sai che vogliamo lasciare il villaggio?” domandò Dean retorico. In realtà, immaginava già che ne fosse al corrente.

Najat annuì, seria in volto. “Laurenne me l’ha accennato.” 

“E cosa ne pensi?”

Prima di rispondere, si prese qualche secondo. “Penso che non abbiate tutti i torti.” sentenziò infine. “La situazione si è fatta parecchio tesa negli ultimi giorni, non ve lo nascondo. Sia gli anziani che diversi miei comandanti si lamentano del fatto che Jamaal fosse troppo morbido nei vostri confronti. Secondo molti di loro non avrebbe dovuto accettare di aiutarvi, ha rischiato troppo andando a Bran.” spiegò, confermando i timori espressi da Dean. 

“E Tareq?” intervenne Rachel in tono risentito. “Qualcuno ha detto loro di Tareq? Il vampiro che avete catturato avrà confermato il suo tradimento.” Le sembrava che l’attenzione generale fosse focalizzata un po’ troppo su di loro, anziché riconoscere che se quell’uomo non fosse stato lì forse ora Jamaal sarebbe stato ancora vivo. 

Che quel nome scatenasse un istinto tutt’altro che pacifista nella guerriera era più che evidente, ma la videro cercare di contenere la rabbia che il ricordo di quel momento ancora le infondeva. “Purtroppo no. L’abbiamo interrogato, ma non ha saputo dirci niente di utile. Comunque, ho provveduto io a informarli che Tareq è passato dalla parte del nemico. È stata la prima cosa che ho detto quando hanno chiesto spiegazioni, ma dicono che andare là sia stata comunque un’idea suicida. Tareq o no, ognuno di noi ha rischiato di non tornare vivo da quel posto.”

“Quindi la colpa di tutto sarebbe nostra.” ne dedusse Juliet allibita. Per certi versi capiva il loro punto di vista, ma per altri le faceva rabbia che li ritenessero responsabili dopo tutto quello che avevano dovuto passare. 

Najat inarcò un sopracciglio, ma non replicò subito, segno che fosse alla ricerca delle parole meno dirette da usare. “Beh, nessuno l’ha detto a voce alta, però…” 

Era parecchio esitante nell’esprimere ciò che tutti sapevano, forse per timore di offenderli, ma non c’era certo bisogno di essere espliciti per capire. 

“C’è anche dell’altro.” aggiunse, cercando di ignorare la loro delusione. Subito dopo guardò Dean e lui fece lo stesso, intuendo che la prossima cosa che stava per dire lo riguardava strettamente. “Qualcuno nel villaggio comincia a sospettare di te.” rivelò infatti.

“Cosa?” fece Mark stupefatto. “Com’è possibile? Nessuno sa che…”

“Ed era così, almeno in teoria.” lo interruppe lei. “Ma adesso girano delle voci, niente di sicuro ovviamente. Non so da cosa siano partite, forse perché al suo arrivo era stato rinchiuso o magari per via di quell’episodio al mercato...” ipotizzò. 

In effetti quella volta, quando aveva difeso Cordelia, Dean aveva sperato che la scena si fosse svolta in maniera abbastanza rapida da celare la forza non proprio ordinaria con cui aveva messo quel guerriero al suo posto, decisamente troppa per una persona comune. Ora invece non ne era più tanto sicuro e pensò che magari avrebbe potuto evitare di esporsi così. Sempre ammesso che fosse stato quello il fattore scatenante. Senza volerlo, dalla bocca gli uscì un’imprecazione.

“Sentite, non voglio farvi paura.” riprese Najat, vedendo le loro facce spaesate e allarmate allo stesso tempo. “Per il momento sono solo voci, ma se dovessero diventare qualcosa di più non posso assicurarvi che riuscirei a garantire per lui. Se si sapesse, sarebbe un grosso problema per me, ma soprattutto per voi. Non tutti qui sono tolleranti come lo era Jamaal.”

“Potrei anche rischiare di essere accusato della sua morte.” rifletté Dean, senza peli sulla lingua. “Per quanto ne sanno potrei averlo ucciso io.”

Lei però mise le mani avanti. “Adesso esageri...” 

“Forse, ma quanto ci vorrà prima che quei sospetti diventino certezze?” replicò in tono pratico. Non sarebbe potuta andare peggio di così. Finora era riuscito a nascondersi alla luce del sole, contando sul fatto che nessuno in quel posto avrebbe mai potuto pensare che proprio Jamaal avesse permesso a un vampiro di introdursi nella tribù. Adesso però le cose erano cambiate e urgevano misure estreme. “Dobbiamo andarcene prima possibile.” sentenziò definitivo. 

Mark si dimostrò subito d’accordo, alzandosi dalla sedia per dirigersi alle scale. “Vado a svegliare Ced.”

Il tempo di raccogliere le loro cose e preparare qualche provvista e si trovarono alle stalle, pronti a partire.

“Grazie per tutto l’aiuto che ci hai dato. Non so come avremmo fatto senza di te.” Rachel coinvolse Laurenne in un caloroso abbraccio, trasmettendole il sentimento di gratitudine che provava nei suoi confronti. Il suo supporto era stato fondamentale in uno dei momenti più difficili da quando avevano lasciato Greenwood. Aveva offerto loro un tetto, li aveva sfamati, protetti, sostenuti moralmente e soprattutto Juliet era di nuovo se stessa grazie a lei. Tutto questo senza pretendere nulla in cambio. L’esistenza di persone generose e disinteressate come lei, ma anche come i Weaver, alla cui morte le era capitato di pensare spesso, forse si poteva considerare uno dei pochissimi lati positivi di quei mesi da incubo.

La sciamana ricambiò l’abbraccio, stringendola forte a sé. “È stato un piacere, tesoro.”

“Troveremo il modo di sdebitarci.” aggiunse Mark, dopo aver sistemato le ultime cose sul cavallo. 

Laurenne gli sorrise, scuotendo leggermente la testa per fargli capire che non ce n’era bisogno. “Ora dovete pensare solo al viaggio che vi aspetta. Non sarà un’impresa facile, ma so che ce la farete.” disse fiduciosa, mentre stringeva anche Juliet in un abbraccio.

Prima di lasciarli agli ultimi preparativi, approfittò del fatto che Dean si fosse un po’ defilato rispetto agli altri per avvicinarsi e parlargli in privato. “Tieni, questa è per te.” 

Il modo in cui gli porse una sacca di stoffa che aveva portato con sé fu alquanto improvviso e lui le rivolse un’occhiata decisamente spaesata. Immerso nei suoi pensieri, non si era neanche accorto dell’arrivo della donna. Dopo un istante di esitazione, prese la borsa e la aprì, trovando all’interno un bel numero di bottigliette di vetro piene di quell’intruglio verde di sua invenzione che aveva già avuto il piacere di assaggiare. 

“Ho pensato che potessero tornarti utili. Il plenilunio non è così lontano.” disse la sciamana in un tono molto meno amichevole di quello che di solito usava con gli altri. 

Se si stava sforzando di non lasciar trapelare la bassa opinione che aveva di lui, il risultato non era dei migliori, ma Dean apprezzò comunque il pensiero e non attese oltre per ringraziarla.

“Qui ho segnato sia gli ingredienti che il procedimento per farne dell’altro. Non si sa mai.” aggiunse, consegnandogli un foglietto di carta, che Dean infilò in tasca. “Hai la mappa dei portali?” gli chiese poi, mentre lo guardava sistemare la borsa sul cavallo insieme al resto delle provviste. 

Lui si limitò ad annuire. Non se ne separava da quando Najat gliel'aveva consegnata qualche ora prima, insieme a del denaro di diverse valute. –È tutto quello che sono riuscita a raccogliere- aveva spiegato per giustificarne la quantità esigua. Naturalmente l’aveva rassicurata, dicendole che se lo sarebbero fatto bastare. In quei pochi giorni trascorsi dal ritorno al villaggio, Dean aveva avuto l’impressione che il loro rapporto fosse migliorato, che lei avesse smesso di trattarlo come il nemico pubblico numero uno e ora mostrasse una certa stima nei suoi confronti, forse per ciò che aveva fatto a Bran. A dire la verità, gli sembrava che Najat fosse l’unica ad aver quantomeno apprezzato i suoi sforzi per tirarli fuori dai guai. Non che tenesse particolarmente alla sua approvazione, ma era già qualcosa.

“Bene.” disse Laurenne. “Mi spiace che Nat non sia qui per salutarvi, ma l’ho pregata di concedersi un po’ di riposo. Da quando siamo tornati non ha dormito praticamente mai.” 

Dean la rassicurò. “Non importa, sapeva che saremmo partiti entro sera. Ringraziala da parte nostra quando la vedi.” Detto ciò, mise il piede destro nella staffa e si issò a cavallo, guidandolo poi fuori dalla stalla, dove ad attenderlo c’erano gli altri e il guerriero che Najat aveva incaricato di accompagnarli a destinazione. Sahid, ricordava lo avesse chiamato. Dalla faccia non gli era sembrato molto entusiasta della cosa, ma aveva comunque obbedito agli ordini senza discutere. Del resto, da soli si sarebbero sicuramente persi in quel deserto.

Dopo aver aiutato Juliet a montare in sella, contro ogni aspettativa Cedric salì agilmente davanti a lei, come se sapesse farlo da sempre. 

“Sicuro di farcela?” gli chiese Mark con un po’ di premura. “Sei ancora provato…”

“Sto bene.” ribatté lui in tono secco, quasi interrompendolo; poi sembrò rendersi conto di essere stato troppo duro e la sua espressione si distese. “Non preoccuparti, ce la faccio.” lo rassicurò, mentre Juliet gli cingeva saldamente la vita con le braccia. 

Una volta pronti, rivolsero un ultimo saluto alla loro benefattrice e si misero in cammino, guidati da Sahid. Alla fine avevano deciso di partire al tramonto, in modo da non dare troppo nell’occhio, perciò era notte fonda quando i profili di alcune casupole iniziarono a intravedersi davanti a loro. La luminosità era scarsa, ma delle fiaccole accese piantate nel terreno segnalavano la posizione del piccolo villaggio dove erano diretti. In realtà, una volta arrivati scoprirono che più che di un villaggio vero e proprio si trattava di una sorta di avamposto, uno sparuto gruppetto di costruzioni in argilla del tutto simili a quelle che già conoscevano e che avevano lasciato da poche ore. 

Entrati nel villaggio, lo trovarono immerso nel silenzio. Non c’era nessuno ad accoglierli. Sahid si fece avanti con il suo cavallo, percorrendo un tratto di strada tra le casupole, seguito subito dopo da Dean e gli altri. 

“Siamo sicuri che sia il posto giusto?” chiese Cedric, scambiandosi un’occhiata perplessa con Mark, che gli cavalcava a fianco insieme a Rachel. 

Il guerriero però non rispose, continuando ad avanzare. A dire la verità non sapevano nemmeno se parlasse la loro lingua, visto che per tutto il viaggio non aveva spiccicato mezza parola. Percorso qualche metro, lo videro tirare le redini e il suo cavallo si fermò in corrispondenza dell’entrata di una casupola, anonima e senza particolari differenze rispetto alle altre. Dopodiché scese e bussò un paio di volte alla porta. 

Mentre aspettavano che qualcuno si palesasse, Dean percepì del movimento nella casa accanto e con la coda dell’occhio si accorse che gli abitanti li stavano spiando da dietro le tende, curiosi di sapere chi potesse essere a un’ora così tarda. Una voce proveniente dall’interno riportò la sua attenzione sulla porta d’ingresso, che infatti di lì a poco si schiuse e il volto di un uomo anziano comparve nella penombra. Lui e Sahid si scambiarono qualche parola, probabilmente un saluto, poi il padrone di casa uscì, presentandosi a loro già vestito e ben sveglio. Dalla sua espressione non trapelava la minima sorpresa nel vedere dei perfetti sconosciuti davanti casa sua in piena notte. 

“Voi dovete essere i protetti di Laurenne Aliseen.” constatò in un inglese dal forte accento straniero. Dopo aver studiato i loro volti uno a uno, non attese la risposta e passò subito alle presentazioni. “Il mio nome è Mukhtaar Khuwaylid, protettore del villaggio e umile servo del dio Shamash. Laurenne mi ha avvertito del vostro arrivo, siete i benvenuti.”

“Grazie a lei per averci accolti a quest’ora della notte.” ricambiò Rachel, sorridendo cordiale. Mentre si preparavano per partire, la sciamana li aveva informati che avrebbe mandato un falco al suo maestro di lunga data per metterlo al corrente dei fatti e chiedergli aiuto. Si trattava della stessa persona a cui si era rivolta per la faccenda di Cordelia e, ora che ce l’aveva davanti, Rachel non poté fare a meno di associare il suo aspetto alla stessa Laurenne. Sembrava una sua versione al maschile, solo più anziana, con una tunica di lana grezza molto simile a quella che spesso le aveva visto indossare e gli stessi lunghi dread, che nel caso del maestro, però, erano quasi completamente bianchi. 

Mukhtaar non ricambiò il sorriso, ma la sua espressione lasciò comunque intuire di aver apprezzato la sua cortesia. “Vi accompagno alla stalla. I cavalli devono riposare.”

Proseguirono dunque a piedi, approfittandone per sgranchirsi le gambe dopo il lungo tragitto in sella.

“Laurenne le avrà spiegato perché siamo venuti.” disse Dean, arrivando subito al sodo. 

Lo sciamano annuì in maniera quasi impercettibile. “Sono anche al corrente della tua… natura.” aggiunse; poi, pur non guardando nessuno, si accorse lo stesso della sorpresa sul suo volto. “Sì, so che sei tu. Laurenne non ha voluto nascondermelo. E poi dopo tutti questi anni ho imparato a distinguervi dalle persone comuni.”  

Dean allora tornò a guardare la strada davanti a sé, portandosi dietro il cavallo per le briglie. “Non ha nulla da temere dalla mia cosiddetta natura.” replicò serio. 

Il suo tono non sembrò aver offeso lo sciamano, che provvide subito a rassicurarlo. “Non ne dubito. Se Laurenne non ti considera una minaccia, chi sono io per farlo? Mi fido ciecamente del suo giudizio e comunque il tuo segreto è al sicuro con me.”

Qualcosa nella sua umiltà e nel suo tono pacato convinse Dean a credergli, così non disse nient’altro e continuò a camminare. 

Giunti alle stalle, lasciarono i cavalli alle cure di Sahid e tornarono verso l’abitazione dello sciamano. 

“Dunque, Laurenne ha parlato di un portale qui, nel suo villaggio.” esordì Dean di nuovo, mentre andavano. All’arrivo aveva cercato di farsi un’idea di dove potesse essere collocato un portale in mezzo a quelle quattro case, ma non era riuscito a capirlo. 

Mukhtaar ridacchiò sotto i baffi, divertito da tanta impazienza. “Non sei uno che perde tempo tu, eh?” osservò. “Ad ogni modo sì, il portale c’è, ma ve lo mostrerò domattina. Ora credo sia meglio per voi riposare un po’, sarete stanchi per il viaggio.”

Dean fece per ribattere, ma l’occhiata che si vide rivolgere dagli altri bastò a fargli capire che a loro invece la proposta dello sciamano non dispiaceva affatto. 

“Sai, non è che abbia proprio tutti i torti.” gli fece notare Mark infatti subito dopo.

A quel punto, dovette arrendersi e accettare di attendere fino al mattino seguente, nonostante si sentisse tutto fuorché stanco. Certo, in fondo perché era un vampiro, ma non solo per questo. In quel momento aveva anche una gran voglia di agire, per distrarsi ed evitare di ripensare ai giorni passati. Cosa che puntualmente faceva ogni volta che non aveva niente da fare. Così cercò di concentrarsi sulle prossime mosse, mentre guardava gli altri rifocillarsi con cibo e acqua offerti dal loro gentile ospite. 

“Immagino che la situazione al villaggio non sia delle più tranquille ora che il Qayid è venuto a mancare.” rifletté Mukhtaar, facendo fallire i suoi tentativi di pensare ad altro. Poi lo vide farsi scuro in volto. “Lui era la nostra guida. Un uomo giusto e onesto, oltre che un grande guerriero. Che Hilal possa accoglierlo tra le sue braccia.” 

Il ricordo di Jamaal e della sua scomparsa riportò la malinconia sui loro volti. Da come li aveva accolti, non sembrava che lo sciamano fosse al corrente dei dettagli di quella tragica notte e nessuno si sognò di raccontarglieli. Tuttavia, Juliet pensò fosse giusto dire qualcosa per mostrare solidarietà. “Ci dispiace davvero molto, non avremmo mai voluto che accadesse. Jamaal ha dato la sua vita per aiutarci e non potremo mai ripagarlo abbastanza.” 

Gli occhi scuri dello sciamano incontrarono i suoi, prima di rivolgerle un sorriso benevolo. “Vedo molta bontà in te. Ti ringrazio per le tue parole.” Detto questo, le sfiorò la spalla con la mano in un gesto di riconoscenza, per poi augurare loro buon riposo e ritirarsi nella sua stanza.

“Non so voi, ma a me è passato il sonno.” brontolò Rachel, una volta rimasti soli. 

Cedric sogghignò amaro, appoggiando la schiena contro il muro e fissando un punto indefinito davanti a sé. “Benvenuta nel club, sorella.” commentò sarcastico.

“Perché non ricapitoliamo il percorso?” propose allora Mark. “Così, tanto per stare tranquilli.”

Dean pensò fosse una buona idea e senza perdere altro tempo tirò fuori la mappa, stendendola sul tavolo in modo che tutti potessero guardarla. Somigliava più a una cartina geografica del mondo, ma con sopra segnati tutti i punti in cui si trovava un portale e in quale luogo conduceva. A sentire Najat, alcuni di essi potevano non esistere più, vista l’età del manufatto e i cambiamenti che la disposizione dei portali aveva subito nel tempo. Di altri, invece, poteva essere diversa la destinazione rispetto a quella riportata. Alcune località infatti erano sbarrate e riscritte sopra, altre ancora avevano nomi mai sentiti prima. Insomma, la cosa si presentava più complicata del previsto.

“Al momento noi siamo qui.” mostrò Dean, indicando un punto sulla cartina in piena penisola araba. Nello stesso punto era contrassegnato un portale con sopra scritta la località di destinazione.

Rachel alzò un sopracciglio perplessa. “Kharga.” 

“È in Egitto.” chiarì lui in tono piatto. 

“Sì, ci arrivavo anche da sola. La so leggere una cartina.” ribatté, punta sul vivo.

“Okay, che ci andiamo a fare in Egitto? Non si era detto Austria?” si intromise Cedric sbrigativo, già stufo dei loro battibecchi.

Dean sospirò paziente. “Da qui non c’è un passaggio diretto per l’Austria. Il portale più vicino è per Kharga, poi ne prenderemo un altro nelle vicinanze che dovrebbe condurci a Rheine, in Germania. Dopodiché…”

Cedric però ne aveva abbastanza. “Gesù, faremmo molto prima con l’aereo!” lo interruppe esasperato. 

“Certo, senza soldi né documenti?” replicò Dean pratico. “Viaggiare con i portali non sarà il massimo della rapidità, ma è il modo più sicuro nella nostra situazione.”

Il silenzio che seguì lasciò intendere che aveva ragione, anche se nessuno si sognò di riconoscerlo. 

“Va bene, allora che Egitto sia.” concluse Juliet. Inutile continuare a discuterne se tanto l’unica soluzione era seguire il percorso indicato dalla mappa. A quel punto propose a tutti di riposare almeno quella manciata di ore che restavano all’alba e gli altri furono d’accordo. 

Ognuno cercò di sistemarsi come meglio poteva, anche perché lo spazio a disposizione era limitato. Quando Mark si stese a terra su dei cuscini, Rachel lo imitò, accoccolandosi al suo fianco e lasciando che la stringesse a sé. Il calore che provava standogli accanto era la sola cosa in grado di darle conforto in quello che riteneva essere senza dubbio il periodo peggiore della sua vita. Perfino aver trascorso l’infanzia nella sostanziale assenza di una madre non reggeva il confronto con quello che stava passando ora. Chiuse gli occhi, nel tentativo disperato di addormentarsi e svuotare la mente da tutti quei pensieri, ma in fondo sapeva già che non ci sarebbe riuscita. 

Li riaprì il mattino dopo che le pareva fosse passato al massimo un quarto d’ora, eppure, a giudicare dal gran mal di testa che le era scoppiato e dal raggio di luce che la colpì di taglio filtrando dalle tende, doveva essere di più. Lentamente si sfilò dall’abbraccio di Mark e a fatica cercò di mettersi a sedere, schermandosi il viso con un braccio dal sole che la accecava. Aveva dormito sempre nella stessa posizione e adesso sentiva tutti i muscoli della parte destra indolenziti. Il tempo di tornare lucida e vide Dean seduto per terra a pochi metri di distanza, vicino all’entrata, perfettamente sveglio e intento a rimuginare. Con ogni probabilità non aveva chiuso occhio, ma non sembrava affatto risentirne. Anzi, più andava avanti e più si convinceva che per lui l’alternanza tra notte e giorno fosse un fattore superfluo. –Chissà cosa gli passa per la testa- pensò. A dire la verità, le era capitato spesso di chiederselo da quando lo conosceva.

Nel frattempo, il suo movimento aveva svegliato Mark, che la cercò con il braccio, pensando di trovarla ancora accanto a sé. Poi aprì gli occhi e la vide lì seduta, ricambiandola quando lei gli sorrise dolcemente. 

Non passò molto che furono tutti in piedi e di nuovo pronti a partire, anche se non prima di aver accettato la gentile offerta dello sciamano di fare colazione, visto che non avevano idea di quando sarebbe stato il prossimo pasto della giornata. 

 

-o-

 

Rosemary lasciò le sue stanze e si diresse nei sotterranei del castello, determinata come raramente le era capitato di sentirsi da molto tempo a quella parte. Doveva scoprire a tutti i costi cosa era accaduto su quel ponte e l’unica da cui poteva saperlo era la ragazzina di cui Nickolaij si era invaghito, ora prigioniera nelle segrete. Era passato qualche giorno, ma aveva ancora davanti agli occhi l’immagine di lei che cadeva in ginocchio e iniziava a tremare convulsamente. Poi il fantasma di una donna sconosciuta si era materializzato sopra di loro e, per quanto ritenesse assurda anche solo l’idea, si era messo a parlare con Nickolaij. Liz l’aveva chiamata. Chi diavolo era questa Liz e perché lui si era così infuriato dopo aver scoperto che la ragazzina non era più umana? In tanti anni non ricordava di averlo mai visto perdere il controllo, mai. Anzi, aveva sempre trovato il modo di mantenere il sangue freddo di fronte alle situazioni più inaspettate, uno dei motivi per cui lo ammirava. Eppure, quella notte sul ponte lo aveva visto perdere completamente la lucidità, come se per la prima volta non fosse in grado di gestire le cose. 

Davanti all’imponente grata di ferro che segnava l’ingresso alle prigioni trovò due vampiri di guardia, che non appena la videro arrivare si staccarono dal muro dove erano appoggiati per darsi un contegno di fronte a lei.

“Milady.” la salutò uno dei due, abbassando lo sguardo in segno di rispetto.

Mary però non era in vena di cerimonie. “Devo parlare con la prigioniera.” li informò in tono secco. Quando però lesse l’incertezza negli occhi di quei due, sentì subito la rabbia ribollire nelle vene. Aveva già i nervi a fior di pelle, senza che ci si mettessero anche loro. “Che aspettate, dannati imbecilli? Fatemi passare!” insistette furibonda.

Dopo essersi scambiato l’ennesima occhiata titubante con il suo compare, il vampiro che l’aveva salutata si degnò di fornirle una spiegazione. “Siamo spiacenti Milady, ma abbiamo ricevuto ordine di non lasciar passare nessuno.” 

“Stai insinuando che io sarei nessuno?” gli chiese, punta sul vivo. Come si permettevano quei due inetti?

Lui sembrava davvero in seria difficoltà. “Beh, no…” si affrettò a balbettare. “Ma vi prego di capire…”

A quel punto Mary ne aveva abbastanza ed era già pronta a farsi largo con la forza se non si fossero decisi subito a levarsi di torno. “Sentite scimmioni, vi consiglio di togliervi dai piedi, altrimenti…”

“È tutto apposto. Me ne occupo io.” esordì d’un tratto una voce alle sue spalle. 

Quando si voltò, vide Dustin venire verso di loro, accompagnato dal suo solito atteggiamento calmo e controllato. “Vi porgo le mie scuse, Milady. Lord Byron ha disposto di bloccare l’accesso ai sotterranei.” spiegò pacato.

-Ah ecco- pensò lei, alquanto sorpresa. Dunque era un’iniziativa di Byron. Chissà perché aveva deciso una cosa del genere. Cosa aveva di tanto importante da nascondere? In ogni caso, aveva un obiettivo preciso e nessuno, tanto meno quel druido leccapiedi, sarebbe riuscito a ostacolarla. “Le disposizioni di Lord Byron non valgono per me. Io devo entrare ed entrerò, non ho certo bisogno del vostro permesso.” Detto ciò, mise fine a ogni cerimonia, scansò con una gomitata uno dei due vampiri di guardia e oltrepassò il cancello d’accesso alle prigioni. 

Dustin le fu subito al fianco. “Come volete, ma lasciate che vi accompagni.”

In tutta sincerità Mary avrebbe preferito che si togliesse dai piedi, tuttavia non faticava a capire il motivo di tanta premura. “Se hai paura delle conseguenze, tranquillizzati. Con Byron me la vedo io.” Non che ormai avesse tutto questo potere su di lui da quando l’aveva scoperta mentre cercava di liberare Dean, ma sarebbe stato giusto assumersi la responsabilità delle proprie azioni in caso fosse venuto a recriminare. Inoltre, lo conosceva da anni e sapeva come prenderlo.

Una volta davanti alla cella dove era rinchiusa la ragazza, si avvicinò alla grata per sbirciare all’interno e la trovò lì a pochi metri, seduta sul pavimento con la schiena appoggiata al muro. Teneva il viso chino sulle ginocchia e mantenne quella posizione anche dopo il loro arrivo, come se non se ne fosse nemmeno accorta. 

“Siamo sicuri che sia ancora viva?” chiese a Dustin, d’un tratto colta dal dubbio.

Lui annuì appena. “Così mi risulta.”

“Ehi, ragazzina!” la chiamò Mary, volendo accertarsene. Non che le importasse, ma aveva bisogno di informazioni che avrebbe potuto darle solo da viva.

Lei allora sollevò lentamente la testa, guardandoli con aria assente. Era evidente quanto anche solo quel movimento le costasse fatica e non ci voleva un genio per capire che non si era ancora nutrita da quando Dean l’aveva trasformata. Perché Mary sapeva che era stato lui. Chi altri poteva averlo fatto? La domanda era perché.

“Apri la grata. Voglio entrare.” ordinò sbrigativa, decisa a scoprirlo.

Dalla faccia che fece intuì che Dustin non fosse molto propenso a lasciarglielo fare, ma poi lo vide sfilarsi dalla cintura il mazzo di chiavi che aprivano le porte dell’intero castello. Da quando Dean lo aveva sottratto senza troppa fatica a due guardie per liberare gli umani, di tutti i membri della Congrega lui era l’unico a cui ne fosse concesso uno. Senza esitazioni scelse una chiave, diede un paio di giri nella toppa e la grata si aprì a colpo sicuro, emettendo un cigolio.

Quando Mary entrò nella cella e si avvicinò alla ragazza ebbe la conferma che le sue prime impressioni fossero corrette. –Ha davvero una pessima cera- pensò. Ormai la transizione sembrava quasi ultimata e se non si fosse nutrita al più presto probabilmente non sarebbe arrivata al plenilunio. In realtà, per quanto ne sapeva quello poteva essere benissimo il piano di Nickolaij, lasciarla lì a morire di fame. Se così fosse stato, non avrebbe voluto trovarsi nei suoi panni.

Lentamente si avvicinò ancora, fino ad arrivare a meno di un metro da lei. A quel punto si chinò, per poterla guardare meglio. 

Dall’altra parte, Claire ricambiò lo sguardo, non particolarmente colpita di vedersela davanti. “Che cosa vuoi?” le chiese in un mormorio roco.

“Qui le domande le faccio io.” chiarì Mary per tutta risposta; poi le afferrò il mento, sollevandoglielo in modo da studiare ogni dettaglio del suo viso. “Da settimane non faccio che scervellarmi sul perché Nickolaij sia ossessionato da un essere insignificante come te. Che cosa lo avrà colpito così tanto?” Nelle orecchie sentiva ancora la sua voce mentre annunciava di volerla addirittura sposare. O era impazzito all’improvviso, oppure esisteva un’altra ragione che lei continuava a ignorare.

Con un gesto sprezzante, lei si divincolò dalla sua presa, lanciandole un’occhiata di astio profondo. “Perché non vai a chiederglielo? Così mi lasci in pace.”

A Mary sfuggì una risatina sommessa. “Tra poco ci penserà la morte a darti pace, sta tranquilla. Nel frattempo ci sono diverse cose che voglio sapere da te, a cominciare dal motivo per cui Dean ti ha morso. Perché so che è stato lui, quindi non sprecarti a inventare storielle.” 

La vide esitante nel rispondere, probabilmente troppo debole per fare conversazione, ma non per questo le avrebbe concesso una tregua. 

“Gliel’ho chiesto io.” cedette infine.

Mary non ne rimase più di tanto sorpresa. Erano anni ormai che Dean aveva abbandonato il loro consueto stile di vita, perciò avrebbe trovato difficile credere che l’iniziativa fosse partita da lui. “Perché?” le domandò ancora, ma la ragazza era davvero restia a collaborare. “Ci saranno state ragioni importanti dietro una simile scelta e Dean non è uno che agisce d’impulso. Dunque cosa lo ha spinto ad accettare la tua richiesta?”

“Che te ne importa?” ribatté Claire in tono annoiato. 

Quella sfacciataggine stava rischiando di minare la sua pazienza già di per sé precaria e lì per lì Mary avvertì l’impulso di prendere a schiaffi quella sua faccia di bronzo, ma si impose di mantenere la calma. “Pura curiosità.” Si strinse nelle spalle.

Sul volto della ragazza si dipinse un ghigno beffardo e scosse la testa, ma si ostinò a rimanere muta come una tomba. Chissà, forse cambiando strategia e prendendola con le buone avrebbe avuto maggiori speranze di ottenere qualche risultato. “Ascolta, in laboratorio ho delle scorte di sangue. Se mi dici quello che voglio sapere, magari potrei portartene un po’. Ne hai davvero bisogno.” provò a tentarla.

“Te le puoi anche tenere. Ci ha già provato il tuo padrone e gli ho risposto che preferirei morire piuttosto che diventare parte della vostra combriccola.”

Mary rimase più sorpresa nello scoprire che Nickolaij fosse uscito dal suo studio senza che lei ne sapesse nulla che della replica sfrontata di quella stupida. “D’accordo, se hai deciso di lasciarti morire scelta tua. A me non interessa. Ma visto che ormai non ha più niente da perdere, cosa ti costa rispondere alle mie domande?” 

Dopo un attimo di esitazione, lei sospirò. “Se lo faccio te ne andrai?” 

Mary annuì. Le sarebbe bastata solo qualche spiegazione in più e al resto avrebbe provveduto da sola. 

“Nickolaij voleva usare il mio corpo per riportare in vita Elizabeth.” rivelò Claire. “Sapevo che diventando un vampiro glielo avrei impedito, ecco perché ho chiesto a Dean di mordermi.” 

Per diversi secondi Mary rimase a fissarla, rimuginando su quanto aveva appena sentito. Che storia era quella? Byron stava davvero giocando al dottor Frankenstein? Perché di sicuro dietro c’era lui e la sua mania dell’occulto, non era difficile arrivarci. Ora però la domanda principale era un’altra. “Chi diavolo è questa Elizabeth?” le chiese, dando fiato ai pensieri. 

“La sua di ex di cinque secoli fa.” 

La notizia fu talmente improvvisa da lasciarla per un attimo senza parole. Nickolaij aveva avuto un’amante? Non ne aveva mai sentito parlare, neanche una volta in tutti gli anni trascorsi al suo fianco. In effetti, ora qualcosa iniziava a tornare. Forse la visione eterea di quella donna abbigliata all’antica era la chiave di tutto. “Quindi quel fantasma era lei...” dedusse ad alta voce, ma in realtà ancora immersa nelle sue riflessioni. 

Tutto ciò che ottenne fu un’occhiata a dir poco confusa da parte della ragazza.

“Fantasma?”

Mary allora si riscosse, tornando a guardarla. “Quello che è uscito dal tuo corpo sul ponte. Stavamo camminando, quando d’un tratto ti sei accasciata a terra e il fantasma di una donna è comparso sopra di noi. Non ricordi?”

L’espressione spaesata di Claire le fece capire che non aveva idea di cosa stesse parlando, di conseguenza non c’era nient’altro che potesse dirle. Avrebbe dovuto sciogliere i nodi da sola. Così si alzò, facendo per andarsene, quando un forte rumore metallico attirò la loro attenzione sul corridoio. Due vampiri di guardia stavano trasportando un ragazzo semisvenuto, tenendolo sotto le braccia per aiutarlo a reggersi in piedi. 

“Jason…” mormorò Claire, allarmata nel vederlo in quello stato; poi sollevò lo sguardo su Mary. “Che gli avete fatto?” 

Lei però non la degnò di risposta, limitandosi a girare i tacchi e uscire finalmente da quel buco inospitale, seguita a ruota da Dustin.

“Siete rimasta soddisfatta dell’incontro?” le chiese, mantenendo un tono disinteressato mentre entrambi ignoravano le grida di protesta della ragazza.

Mary non capì se glielo stesse chiedendo per un motivo o se avesse semplicemente voglia di impicciarsi dei fatti suoi. In ogni caso, non lo avrebbe assecondato. “Abbastanza.” tagliò corto. Era già quanto mai sicura che sarebbe andato dritto filato da Nickolaij a riferirgli della sua iniziativa, perciò meno cose gli confidava meglio sarebbe stato per lei. 

Ora la prossima mossa era cercare di saperne di più sulle origini di Elizabeth, chi era e cosa si nascondeva realmente dietro l’interesse di Nickolaij a riportarla in vita. Perché se c’era una cosa su cui avrebbe scommesso la testa era che ci fosse ben altro al di là delle apparenze, un secondo fine che al momento non riusciva a vedere, ma che aveva tutta l’intenzione di scoprire. Il desiderio di capirne di più andava di pari passo con la sensazione di inutilità che stava provando da qualche tempo a quella parte. Era la prima volta da anni che si sentiva un’estranea nella vita di Nickolaij e temeva di aver perso la sua fiducia. Altrimenti perché non metterla al corrente dei suoi progetti con quella ragazza?

D’un tratto avvertì un gran bisogno di farsi un drink, anche se sapeva non le avrebbe fatto effetto, ma doveva mandare giù qualcosa di alcolico. Così, dopo essersi separata da Dustin, si diresse verso la sala comune. 

Era quasi arrivata, quando lungo il corridoio incrociò l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Dalla parte opposta, Byron non si disturbò a fingere di non averla notata, al contrario suo, e proseguì verso di lei come se niente fosse, finché non si ritrovarono uno di fronte all’altra. 

“Milady.” la salutò, chinando leggermente il capo.

Mary però rimase fredda e non ricambiò il saluto. 

“Vedo che anche questa volta avete ritenuto di essere al di sopra delle regole.” 

Presa in contropiede, si rese conto ben presto di aver imboccato l’unico corridoio direttamente collegato ai sotterranei e che quindi, essendosi incontrati lì, Byron non avesse impiegato molto a fare due più due. “Non so di cosa parli.” replicò comunque in tono fermo, cercando di mostrarsi superiore nonostante dentro stesse imprecando. –Come diavolo fa a essere sempre nel posto giusto al momento sbagliato?- pensò irritata. 

Un ghigno sornione si dipinse allora sul volto del suo affezionato collega. “Mi chiedo cosa penserebbe sua Signoria se venisse a conoscenza della vostra abitudine di far visita ai prigionieri a sua insaputa.” 

Una minaccia neanche troppo velata che Mary non faticò a cogliere. Così come il riferimento all’episodio avvenuto mesi prima con Dean. Solo in seguito aveva scoperto che Nickolaij aveva già pianificato la sua fuga con la complicità di Tareq e che, se Byron non l’avesse fermata quella notte, la sua vita sarebbe finita non solo per il tradimento in sé ma anche per aver intralciato i piani del suo signore. Sapeva che prima o poi Byron ne avrebbe approfittato per usare quella storia contro di lei, ma non per questo era disposta a lasciarlo fare. Doveva ancora venire il giorno in cui Rosemary avrebbe ceduto ai ricatti.

“Mi permetto di suggerirvi di trovare modi migliori per impiegare il tempo. Concentrandovi sul compito affidatoci da sua Signoria, ad esempio...” 

“Ti assicuro che tutto procede come stabilito. Tu piuttosto preoccupati della tua parte del lavoro.” lo interruppe, stanca di subire le sue paternali. Come osava darle della lavativa? Normalmente non avrebbe permesso né a lui né ad altri di prendersi una simile confidenza, ma stavolta si rendeva conto di non avere il coltello dalla parte del manico e la cosa la mandava, se possibile, ancora più in bestia. “Ora, se non ti dispiace, avrei altro di cui occuparmi.” Detto ciò, senza nemmeno degnarsi di guardarlo in faccia, lo superò e proseguì per la sua strada, cercando di contenere la rabbia.

Anche se ci volle tutta la sua forza di volontà per non spaccare qualcosa lungo il tragitto, alla fine giunse all’ingresso della sala comune, ma una volta lì non fece in tempo ad entrare che alcune voci dall’interno la spinsero a restare in ascolto dietro la soglia.

“Ragazzi, mi annoio a morte. Sono giorni che ce ne stiamo qui senza fare niente.” sentì lamentarsi una voce femminile che riconobbe all’istante. Era quell’oca di Lucy.

“Già, a chi lo dici.” concordò un’altra voce, stavolta di un uomo. “Alek saprebbe trovare il modo di divertirsi. A proposito, qualcuno l’ha visto?”

“Io sì. Morto.” rispose un altro con noncuranza. “Il suo cadavere era insieme agli altri di sotto in cortile, con un bel buco nel petto. È stato certamente uno di noi.” li informò.

Seguì un breve momento di silenzio.

“Quel bastardo traditore di Dean, poco ma sicuro. Quei due non si sono mai sopportati.” commentò quindi il vampiro che aveva chiesto di Alekseij. “Beh, pazienza. Dovremo arrangiarci per conto nostro.” sospirò rassegnato, anche se nel suo tono Mary non percepì la minima traccia di dispiacere. 

“Qualcuno per caso si è fatto un’idea di quello che è successo l’altra notte?” sentì chiedere da Lucy. “Io non ci ho capito niente, so solo che il vecchio Nick era fuori di sé. Per un attimo ho avuto paura che ci avrebbe uccisi tutti.”

-È quello che vi meritereste- pensò Mary disgustata.

Uno dei vampiri ridacchiò. “Secondo me non ne avrebbe il fegato.”

“Come sarebbe a dire?” replicò Lucy, sorpresa dalle sue parole.

“Pensateci, perché l’altra notte non ha fatto fuori quei quattro umani lui stesso? Erano lì, a pochi metri di distanza. Invece ha preferito tornarsene nella sua torre, lasciandoci come sempre tutto il lavoro sporco.” si spiegò il vampiro. “La verità è che ha paura, ve lo dico io. Senza di noi non riuscirebbe a combinare nulla.”

Al suo ragionamento seguì un altro attimo di silenzio, segno che ciascuno dei presenti stesse riflettendo su quanto appena sentito. 

“In effetti, non ricordo di averlo mai visto combattere di persona. Soprattutto contro i cacciatori.” disse un altro. “Manda sempre avanti noi, neanche fossimo carne da macello. Se volete saperlo, questa storia comincia a stancarmi.”

“Giusto. Non vedo perché dovremmo continuare a sottostare ai suoi ordini senza avere neanche voce in capitolo. Quale sarebbe la ricompensa? Siamo in tanti, potremmo già prenderci tutti gli umani che vogliamo, perché darne conto a lui?”

A quel punto, però, Mary decise di aver sentito abbastanza. In quel discorso c’era tutto il materiale necessario per accusare quegli idioti di tradimento e al momento lei non era certo in vena di lasciar correre. “Nickolaij è il vostro Signore e padrone, ecco perché.” esordì, comparendo sulla porta. Il suo sguardo glaciale si posò su di loro, inchiodandoli su ogni singola sedia o tavolo su cui si trovavano seduti. “Dovete a lui tutto ciò che avete, le vostre insulse vite dipendono dalla sua volontà di concedervele e invece di ripagarlo ve ne state qui a oziare e dar fiato alla bocca.”

La sua vista li fece restare tutti di sasso, compresi i due che un secondo prima stavano sproloquiando alle spalle di Nickolaij.

“Milady, noi non…” provò a giustificarsi uno di loro.

“Silenzio!” gli impose lei categorica. Poi entrò nella stanza, avvicinandosi con aria minacciosa. “Come osate, voi miserabili…” mormorò, stentando a calmare il tremolio nella voce. “Provate a ripetere davanti a me quello che avete detto. Vedremo poi chi ha davvero paura in questo castello.”

Come prevedibile, nessuno ebbe il coraggio di emettere un fiato, così Mary rimase diversi istanti a fissarli uno a uno, pronta a dare una lezione di rispetto a chiunque si fosse azzardato a parlare.

“Ora aprite bene le orecchie, branco di ingrati traditori.” riprese poco dopo. “Se dovessi sentirvi un’altra volta frignare, lamentarvi o anche solo dovessi sospettare che uno di voi intende mettere di nuovo in discussione la sua leadership, non andrò subito da Nickolaij a riferirglielo, no. Prima mi toglierei qualche soddisfazione, traendone il massimo godimento. Poi lo informerei della vostra bella chiacchierata e vi assicuro che allora rimpiangerete sul serio di essere nati.” Detto ciò, certa di essere stata chiara, girò i tacchi e fece per uscire. “Siete avvisati.” aggiunse infine, lasciando la sala.

Se prima la rabbia che aveva in corpo era tanta, ora aveva raggiunto livelli incalcolabili. Rabbia diretta in primis verso Nickolaij, che l’aveva lasciata sola a gestire quel covo di vipere. Per sfogare la frustrazione, afferrò un candelabro da un tavolino nelle vicinanze e lo scagliò con forza contro il muro, mandandolo in frantumi. Adesso ci mancava solo un ammutinamento ed erano al completo. Almeno per il momento era abbastanza sicura di essere riuscita a contenere il problema, ma tirava una brutta aria e lui non poteva continuare a starsene rintanato nel suo studio a frignare per quella ragazzina, invece di approfittare della debolezza dei cacciatori. Il loro capo era morto e ora, grazie a Tareq, conoscevano la posizione esatta del villaggio. Era il momento perfetto per attaccare, ma continuando così rischiavano di perdere il vantaggio e mandare tutto a rotoli.

Tutta quella storia le aveva perfino fatto passare la voglia di bere, così si diresse dritta al laboratorio, sperando di trovare un po’ di conforto nei suoi veleni.

 

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Capitolo 5
*** Di nuovo in viaggio (parte 2) ***


Capitolo 3

 

Di nuovo in viaggio (parte 2)


Il sole picchiava cocente sull’oasi di Kharga, ad appena quattro ore di distanza da Luxor, stando alla spiegazione di un venditore di occhiali da sole a cui Rachel chiese informazioni in francese. Dopo aver attraversato il portale, si erano ritrovati in quello che assomigliava molto al mercato del villaggio Jurhaysh, solo più grande, chiassoso e dall’aspetto decisamente più moderno. Anche il paesaggio circostante ricordava quello in cui avevano vissuto nelle settimane precedenti, con case piccole e basse del colore della sabbia e un gran viavai di gente che discorreva in arabo, per lo più contrattando i prezzi della merce. I colori e gli odori erano gli stessi, ma ancora più intensi. 

Sul volto di Cedric si dipinse un’espressione afflitta, mentre si asciugava la fronte con la manica della camicia. “Niente. Non c’è verso di liberarsi di questo caldo.” si lamentò.

Mark e Dean però erano troppo concentrati sulla mappa per dargli corda. La località del prossimo portale era abbastanza leggibile e riuscirono a decifrarla come Deir-el haggar, ma non avevano idea di dove si trovasse, tanto meno come raggiungerla.

“E adesso?” chiese Juliet preoccupata. Non avere più qualcuno che li guidasse in quelle terre sconosciute le faceva salire l’ansia. Fino a quel momento c’erano stati i guerrieri della tribù, Laurenne e poi anche lo sciamano Mukhtaar, ma ora erano completamente soli.  

“Intanto cerchiamo di capire come arrivarci.” rispose Dean, mostrando come al solito una certa padronanza della situazione.

Dopo aver girato un po’, chiedendo a destra e a manca a quei pochi che parlavano una lingua comprensibile, che fosse inglese o francese, vennero indirizzati verso un piccolo centro informazioni, di quelli che organizzavano tour guidati per i turisti. Più che altro una specie di gabbiotto che vendeva anche cartoline e souvenir. Lì scoprirono che a Kharga esisteva una piccola stazione da cui partivano a intervalli regolari dei pulmini diretti a Deir-el haggar, nei pressi dell’oasi di Dakhla, dove si potevano visitare i resti di un tempio di origine romana risalente all’età di Nerone. 

“Il portale potrebbe essere lì.” rifletté Mark, mentre sfogliava un opuscolo informativo preso da un distributore sul banchetto. “Anche perché non mi pare ci sia altro da queste parti, oltre al tempio.”

Dean annuì e chiese alla signora seduta nel gabbiotto cinque biglietti comprensivi di viaggio in pullman e accesso alle rovine.

Si fecero indicare la strada verso la stazione, che per fortuna non distava molto dal mercato e dopo qualche minuto a piedi si ritrovarono in una specie di piazzola, dove era parcheggiata una decina di pullman dall’aspetto un po’ datato. Di fronte ai veicoli un gruppetto di autisti, tutti di nazionalità locale, chiacchierava animatamente in attesa del proprio turno di partenza e si rivolsero a loro per sapere quale fosse il prossimo in partenza. 

Dentro il veicolo faceva se possibile ancora più caldo, poiché dall’esterno i raggi del sole arroventavano la lamiera di cui era composto. Ovviamente parlare di aria condizionata era fuori discussione, così aprirono tutti i finestrini nelle vicinanze nella speranza che, una volta in movimento, si potesse respirare un po’ meglio. Non passò molto che salirono altre persone e poco dopo il pullman si riempì, aumentando la sensazione di soffocamento. 

“Dovevamo affittare una macchina.” sentenziò Cedric, mentre infastidito cercava di mantenere le distanze dall’uomo grasso e sudaticcio seduto sul sedile accanto a lui. 

“C’è sempre il problema dei soldi, Ced.” ribatté Mark, seduto nella fila affianco vicino a Dean. “E poi chi gliel’avrebbe riportata? Non abbiamo in programma di tornare qui.” 

Lui alzò gli occhi al cielo e appoggiò la schiena al sedile, incrociando le braccia. “Era per dire. Rilassati.” 

“Il paesaggio comunque è bellissimo.” aggiunse Juliet per stemperare la tensione. Dal suo posto accanto al finestrino guardava fuori e vedeva l’oasi passare, per lasciare spazio alle dune del deserto non appena uscirono da Kharga. 

La strada sotto di loro non era delle più regolari, le ruote non facevano che incappare in buche e avvallamenti, e ogni volta il frastuono metallico prodotto da quel mezzo sconquassato era tale da sembrare quasi che dovesse aprirsi in due da un momento all’altro.

“Non mi vomiterai addosso, spero.” disse Dean a Mark, vedendolo impallidire per la sofferenza da mal d’auto. 

Lui deglutì, per poi prendere un respiro profondo. “Faccio del mio meglio.” 

Alla fine, per sua fortuna il profilo di Deir-el haggar si stagliò all’orizzonte. Dopo un viaggio di circa tre ore avevano raggiunto quello che in seguito scoprirono essere un intero complesso di rovine antiche, anche se in verità gli edifici degni di nota si rivelarono ben pochi. A parte una lunga serie di colonne egizie e qualche resto di sarcofago romano, non c’era molto altro da vedere. Il tempio si trovava in fondo alla fila di colonne, come se fossero state messe lì a formare un percorso che guidasse i visitatori fino all’entrata. 

Dopo essersi guardata intorno alla ricerca di qualcosa che potesse vagamente assomigliare all’imbocco di un portale, Rachel vide solo ruderi e pezzi di colonne mozze. “Secondo me, l’unico posto in cui potrebbe essere è lì dentro.” osservò, indicando il tempio.

A Dean quella sembrava la soluzione più logica. “Per forza, ma sarà ben nascosto per evitare che chiunque possa trovarlo per caso. Dobbiamo cercarlo dove a nessuno verrebbe in mente di guardare.” 

Lei storse il naso, per niente incoraggiata, ma poi seguì gli altri verso l’ingresso. La fila per entrare non era lunghissima e per lo più si trattava di gruppi turistici, così approfittarono per accodarsi a uno di questi e ascoltare la spiegazione della guida, una giovane ragazza egiziana che per fortuna parlava in inglese. Spiegò che il tempio, detto anche Monastero di pietra, dedicato al culto della triade tebana e del dio Thot, fu scoperto e restaurato nel 1990, ma ciò che li colpì maggiormente fu il fatto che nell’antichità venisse considerato “il luogo per tornare a casa”. Quello avrebbe potuto essere l’indizio che segnalava la presenza di un portale, un modo per “tornare a casa” in un certo senso. Restava da capire dove gli antichi l’avessero nascosto. 

Da quel che poterono vedere una volta entrati, del tetto era rimasto ben poco e le mura del tempio salivano fino a incorniciare il cielo. L’unica zona ancora coperta era il santuario vero e proprio, dove venivano celebrati i rituali e fatte offerte in onore della divinità. Tuttavia, quell’ambiente era decisamente piccolo per dare l’idea di ospitare un portale e inoltre era fin troppo esposto.

“E se non fosse qui?” chiese Juliet, esprimendo a voce alta le sue perplessità. Forse si trovavano nel posto sbagliato.

“No, deve esserci.” replicò Dean, piuttosto sicuro. “Dividiamoci e cerchiamo qualche indizio.”

“Indizio sì… Tipo un’insegna luminosa.” mugugnò Cedric sarcastico, mentre si allontanava insieme a Mark. 

Anche Juliet e Rachel si misero a dare un’occhiata in giro, facendo le vaghe per sembrare due turiste qualsiasi, finché non giunsero a una parete di pietra tra le tante presenti nel tempio, decorata con una lunga fascia di figure incise rappresentanti divinità ed esseri umani che si confrontavano con loro. Tutte si susseguivano una dopo l’altra come in una catena ininterrotta, alternate di tanto in tanto da geroglifici, e Rachel si fermò a osservarle affascinata. Fin da bambina aveva sempre avuto la passione per le antiche civiltà e trovarsi in quel luogo così caratteristico la riempiva di curiosità. 

Juliet rimase in silenzio per un po’ a studiare a sua volta quelle incisioni, finché un pensiero non le sfiorò la mente e guardò l’amica. “Aspetta, gli egizi adoravano tanti dei, giusto? A quale era dedicato il tempio secondo la guida?”

“La triade tebana.” rispose Rachel. “Perché?”

Lei si strinse nelle spalle. “Non lo so, magari uno di questi dei aveva a che fare con il sole. Avrebbe senso, no?” L’idea le era venuta osservando le divinità e ripensando a quanto aveva sentito durante il suo breve soggiorno al villaggio. Non che ne sapesse granché, ma le sembrava di ricordare vagamente Laurenne che accennava a un certo dio del Sole o una cosa simile. 

L’ipotesi si fece strada pian piano nella mente di Rachel, che si prese qualche secondo per elaborarla. La sua attenzione si spostò di nuovo sulle incisioni, in particolare su una figura che prima aveva riconosciuto ma alla quale non aveva attribuito maggiore importanza rispetto alle altre. Ora però era tutto più chiaro e il suo volto si illuminò. “Juls, sei un genio!” esclamò entusiasta; poi, senza aggiungere altro, corse a chiamare i ragazzi.

“Vedete?” Con il dito indicò la parete di fronte a loro. “Qui sono incise tutte e tre le divinità della triade tebana. Non notate niente di strano?”

Cedric alzò un sopracciglio, continuando a fissare la parete con aria confusa. “Dovremmo?”

Rachel sospirò, apprestandosi poi a spiegare. “Prima la guida ha detto che questa triade è composta dal dio Amon-Ra e da altri due, che adesso non ricordo. Però so che Amon-Ra era la divinità suprema dell’antico Egitto, il dio che incarnava il sole. Il sole, capite?”

Mark aggrottò la fronte pensieroso, distogliendo lo sguardo dalle incisioni e rivolgendolo verso di lei. “Gli Jurhaysh non si facevano chiamare i seguaci del sole?”  

“Esatto!” esultò Rachel, contenta di vederlo seguire il suo ragionamento. “Il loro dio si chiama Shamash ed è legato al sole.”

Anche Dean sembrava attratto dall’idea, perché annuì leggermente, continuando a osservare le incisioni sul muro. “D’accordo, ma perché questo dovrebbe avere a che fare con il portale?” chiese riflessivo. 

Lei allora indicò di nuovo le divinità dipinte. “C’è qualcosa di insolito qui, guardate.” disse, guidando i loro sguardi in particolare verso l’unica figura seduta, con in testa una specie di strano copricapo con un disco alla sommità. “Mentre l’intera sequenza è rivolta a destra, quella raffigurante Amon-Ra guarda a sinistra e si ripete più volte rispetto alle altre.” 

A quel punto, Dean la guardò. “Potrebbe indicare una direzione precisa.” suppose. 

Tutti d’accordo, seguirono la traiettoria indicata dalla posizione delle figure, fino a giungere all’ingresso di uno degli ambienti del tempio, a cui però un cordone di velluto rosso impediva l’accesso ai visitatori. Inoltre, un guardiano controllava che nessuno provasse a sgattaiolare dentro. 

“Forse è una zona in restauro.” ipotizzò Mark.

Rachel imprecò sottovoce. Qualcosa le diceva che era proprio in quella stanza che dovevano entrare e la stessa sensazione parve sfiorare la mente di Dean. 

Si guardò intorno, alla ricerca di un modo per distrarre il guardiano, che tra l’altro iniziava a lanciare occhiate insospettite verso di loro, ma non trovò una soluzione che non fosse dargli una botta in testa e nelle vicinanze c’era decisamente troppa gente per farlo. 

D’un tratto, dall’altra parte del tempio, in corrispondenza dell’entrata, provenne un gran frastuono di voci e l’attenzione generale si rivolse in quella direzione. Ironia della sorte, una turista piuttosto corpulenta aveva deciso di sentirsi male e svenire proprio in quel momento, forse a causa del caldo, provocando lo scompiglio tra i presenti. Anche il tizio a guardia della stanza si precipitò verso l’entrata per soccorrere la signora e fu allora che Dean colse la palla la balzo.

“Ora o mai più!” li incitò, fiondandosi verso il cordone e scavalcandolo. 

“Bel colpo di fortuna.” commentò Cedric entusiasta, una volta dentro. 

L’ambiente in cui si ritrovarono non era molto diverso da quelli precedenti, comprese le varie figure incise della triade e di altri personaggi, così che per qualche istante rimasero spaesati a osservarle, senza avere idea di cosa fare.

“Non mi sembra il posto adatto per un portale.” disse Mark.

A Rachel però la disposizione delle figure nella parete esterna alla stanza sembrava troppo sospetta. Eppure neanche lei notava differenze che fossero in qualche modo riconducibili alla presenza di un portale. Tutti quelli incontrati in precedenza avevano a che fare con oggetti o parti di arredamento, come il camino nella baita diroccata nella foresta o il pozzo a Bran, ma lì non c’era niente del genere. Era solo una stanza vuota. Frustrata, si abbandonò a un sospiro, mettendosi le mani sui fianchi. “Allora, ragioniamo. Se foste un gruppo di antichi sciamani egizi, dove collochereste l’entrata di un portale, in modo che sia invisibile ai nemici ma ben riconoscibile per gli amici?”

“Sempre ammesso che siamo nel posto giusto.” obiettò Cedric.

“Ma dove altro potrebbe essere?” ribatté lei seccata. “Le indicazioni portavano qui.”

Mark smise di cercare possibili indizi sulle pareti e la guardò. “Ray, quella delle figure è soltanto una teoria. Non è detto che Amon-Ra guardasse a sinistra per un motivo preciso…”

Dean, che intanto si era appostato dietro l’entrata per controllare che non arrivasse nessuno, la sentì replicare, ma l’attenzione per i loro battibecchi cessò quando vide che la folla attorno alla turista svenuta si stava diradando, segno che lo spettacolo era finito. “Dobbiamo accelerare.” li avvertì. 

“Se volete il mio parere, qui non c’è un fico sec…” Cedric però non fece in tempo a finire la frase che un vento sferzante li investì in pieno, insieme a una forte luce, e quando si voltarono a guardare videro Juliet con il sedere per terra, che si riparava gli occhi con la mano.

“Ma che è successo?” le chiese Rachel spaventata, mentre la aiutava a rialzarsi.

Lei scosse la testa, incapace di darsi una spiegazione. “Non lo so! Ero stremata per il caldo, mi sono solo appoggiata un attimo…” 

Come previsto, però, la voce di qualcuno che gridava in arabo avvisò Dean che il guardiano si era accorto degli intrusi e stava tornando. Non c’era più tempo. “Forza, andiamo!” li richiamò all’ordine. Poi, senza aspettare oltre, tutti insieme si lanciarono nel vortice. 

 

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Capitolo 6
*** Roma (parte 1) ***


Capitolo 4

 

Roma


 

Un boato più forte degli altri scosse il corpo di Claire. La tempesta infuriava già da un po' fuori dalle mura del castello e a ogni tuonare del cielo lei non riusciva a reprimere un fremito. Aveva sempre avuto una paura irrazionale dei tuoni, fin da piccola. Ogni volta che c'era un temporale correva a nascondersi da qualche parte, stringendo il suo peluche a forma di scimmia. Ricordò quando sua madre l'aveva trovata raggomitolata nello sgabuzzino delle scope in lacrime e tremante. Doveva avere avuto sì e no cinque anni.

"Ehi scimmietta, va tutto bene." L'aveva stretta tra le sue braccia e in quell'istante Claire si era sentita nel posto più sicuro del mondo, convinta che niente e nessuno le avrebbe fatto del male.

I suoi occhi si inondarono di lacrime. Pensare alla sua famiglia era come darsi ogni volta una pugnalata al cuore. Sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che li aveva visti e sapeva che non avrebbe avuto più l'occasione di farlo.

Stava morendo. Lo aveva capito già da un po' e una parte di lei lo aveva anche accettato. Riverso a terra, il suo corpo era allo stremo da giorni. Respirava a stento. Le uniche cose che le facevano capire di essere ancora viva erano il bruciore lungo la mano e il sangue che le usciva da quel poco che rimaneva della sua unghia a forza di raschiare con il dito il pavimento della cella. Un'abitudine che aveva preso per tenere il conto del tempo che passava.

Un fruscio di passi e il rumore metallico di un mazzo di chiavi al di là della grata la distolsero dal pensare alla morte.

"Buonasera, Claire."

Non le servì neanche alzare gli occhi per vedere chi avesse parlato, quella voce era inconfondibile.

Senza aspettare la sua risposta, Nickolaij entrò nella cella, avvicinandosi a lei con passi lenti. "Immagino tu sappia il perché della mia visita. D'altronde non è la prima volta."

No, infatti non lo era. Negli ultimi tempi le faceva visita molto spesso a intervalli regolari e sempre con le stesse intenzioni.

"Stavolta avrei piacere che ti convincessi a cambiare idea. È vitale che tu lo faccia." proseguì, nonostante il suo silenzio.

Claire però era stufa di quella recita e non aveva forza né voglia di ribattere. Quel suo ostinarsi a farle credere di tenere a lei e alla sorte che le sarebbe toccata di lì a poco non incantava nessuno. Dunque continuò a ignorarlo, concentrandosi sul movimento del suo dito che grattava la pietra.

Sentì Nickolaij sospirare, evidentemente stanco anche lui di dover ripetere sempre le stesse cose. "Guardati Claire, stai morendo. Non credi di aver perseverato abbastanza in questo tuo sciopero della fame? Sii ragionevole, arrivata a questo punto non ti resta che accettare la mia offerta."

Claire lo vide appoggiare a terra, a pochi centimetri dalla sua mano, una boccetta ricolma di un liquido denso color rubino. Sangue.

Una cosa che Dean si era dimenticato di dirle, o non aveva avuto il tempo di farlo, era che per completare la trasformazione in vampiro avrebbe dovuto bere del sangue umano, altrimenti sarebbe morta. Un particolare da niente. Resosi conto della sua ignoranza, si era occupato Nickolaij di colmare quel vuoto e spiegarle come funzionava durante una delle sue tante visite. A quanto pareva, quando un umano veniva morso da un vampiro doveva affrontare tre fasi di transizione prima che la trasformazione fosse completa. La prima era la più dolorosa, con fitte lancinanti lungo tutto il corpo, causate dal veleno che entrava in circolo. La seconda era più uno stato di euforia mista a rabbia, fame e voglia di spaccare tutto. Infine, la terza consisteva in uno sfinimento totale che, se prolungato, avrebbe condotto presto o tardi alla morte.

Ripensandoci, Claire si era resa conto che nel suo caso la seconda fase non era durata molto, anzi, l'adrenalina l'aveva avvertita appena. Il dolore lungo il corpo, invece, era una costante e, anche se nei giorni successivi si era attenuato, poteva avvertirlo ancora adesso, in piena fase di sfinimento, così come la fame. La sola idea di bere sangue umano la ripugnava, perciò ogni volta che Nickolaij le proponeva di mettere fine a quei tormenti lei rifiutava. Per quanto ormai fosse a un passo dalla morte, non si sarebbe sottomessa al volere di quel pazzo. Con un colpo allontanò la boccetta dalla sua mano. "Sai dove te la puoi mettere la tua offerta..." mormorò a fatica.

Di fronte a quel suo gesto sprezzante, Nickolaij iniziò sul serio a spazientirsi. "Sei così cocciuta. E, dimmi, a cosa servirà tutta questa ostinazione?" La sua voce rimbalzò sulle pareti, rimbombando nella cella. "Non so, forse credi che i tuoi amici verranno a salvarti prima della tua dipartita? Nella remota possibilità che questo avvenga, sai bene che non cambierebbe la sostanza dei fatti. Senza nutrirti moriresti comunque. Quindi perché buttare via la tua vita in attesa di qualcuno che con tutta probabilità ti ha abbandonata?"

Quei tentativi di metterla di fronte all'evidenza non erano una novità, ma sentirsi dire in faccia che gli altri non sarebbero venuti le faceva male ogni volta. Sapeva già che non lo avrebbero fatto, anzi lei stessa non lo voleva. Aveva deciso di consegnarsi proprio per permettere loro di salvarsi e sarebbe stato tutto inutile se si fossero cacciati di nuovo nei guai solo per venire a riprenderla. "Tornerò a prenderti! Mi hai sentito? Non ti abbandonerò, è una promessa!" Le parole che Cedric le aveva urlato sul ponte le risuonarono nella testa. Magari, inconsciamente, si era aggrappata a quella promessa e nel profondo del cuore sperava che la rispettasse.

"Rassegnati alla realtà." continuò Nickolaij imperterrito, riacquistando la calma. "Gli amici per cui ti sei tanto sacrificata, non metteranno di nuovo a rischio le loro vite per te. Sei sola..." Recuperata la boccetta, questa volta gliela posò davanti agli occhi, sperando di riuscire a tentarla.

La testa di Claire era un groviglio di pensieri. Si sentiva così esausta e debole. Dopotutto, Nickolaij aveva ragione. Perché continuare a soffrire? Tanto non avrebbe più rivisto nessuno di quelli che conosceva, perciò a che scopo esitare ancora. La soluzione per mettere fine a tutto quel dolore era a portata di mano, avrebbe solo dovuto prendere quella dannata boccetta e mandare giù il suo contenuto...

Tuttavia, un istante dopo averci pensato si riscosse. No! Non gliel'avrebbe data vinta. "Smettila!" esclamò, imponendosi di resistere. "Mi stai solo confondendo le idee..." Con uno sforzo titanico si alzò sui gomiti e, per la prima volta da quando era entrato, guardò in faccia il suo aguzzino. Nickolaij aveva un'espressione granitica mentre la osservava affannarsi anche solo per compiere un semplice movimento. In un gesto compassionevole l'aiutò a mettersi seduta. Claire avrebbe voluto scansarsi dal suo tocco, ma possedeva appena la forza necessaria a girare la testa e guardarlo. Per un breve istante i loro sguardi si incrociarono. Gli occhi di Nickolaij erano così intensi e profondi che Claire quasi si perse in quelle tenebre.

"Fidati di me Claire, voglio solo il tuo bene. Non lo capisci? Sono qui per aiutarti." mormorò, facendo poi scivolare la boccetta direttamente nella sua mano.

Claire la guardò con desiderio. Era come se il sangue la attirasse e non riusciva a distogliere lo sguardo.

"Fidati di me." ripeté Nickolaij quasi in un sussurro.

Come sotto un incantesimo, Claire svitò lentamente il tappo e avvicinò la fiala alle labbra, ma un attimo prima che toccassero il vetro, alzò di nuovo lo sguardo su Nickolaij. Lui la fissava famelico, il desiderio nei suoi occhi era paragonabile a quello che aveva provato lei per il sangue. Non poteva permettergli di plagiarla. Così, risvegliatasi dallo stato di trance in cui era caduta, con gesto di sfida gettò la boccetta il più lontano possibile, mandandola a frantumarsi su una delle pareti della cella. "Mai." ribatté determinata.

Un lieve tremolio del sopracciglio fu la sola reazione di Nickolaij che, senza dire altro, si alzò, allontanandosi da lei e guardandola quasi con astio. Per la prima volta non riuscì a nascondere quanto la sua testardaggine lo infastidisse. Così girò i tacchi e si diresse all'uscita, richiudendo la grata con un paio di violenti giri di chiave.

Di nuovo sola, Claire chiuse gli occhi, abbandonando la testa contro il muro si lasciò andare a un sospiro di sollievo. Forse questa volta era davvero riuscita a fargli capire che doveva lasciarla in pace, anche se non ne era sicura. In fondo Nickolaij si era rivelato testardo almeno quanto lei e probabilmente c'era da aspettarsi che sarebbe tornato alla carica. Sperava solo di andarsene prima che questo avvenisse. Lo sforzo di confrontarsi con lui aveva provato il suo corpo, già al limite. Così si sdraiò di nuovo sul pavimento, raggomitolandosi su se stessa e aspettando che arrivasse la fine.

Non passò troppo tempo, però, che un nuovo rumore di passi dal corridoio la risvegliò dal lieve torpore in cui era caduta. – Vuole proprio tormentarmi...- pensò, sollevando di nuovo lo sguardo, per scoprire che stavolta c'era più di una persona dall'altra parte della grata. "Cos..."

Non ebbe neanche il tempo di formulare la domanda che, una volta aperta la cella, due vampiri entrarono e la afferrarono prepotentemente per le braccia, tirandola in piedi e bloccandola poi lungo la parete di pietra. "Cosa volete? Lasciatemi!" Tentò di divincolarsi, ma era talmente debilitata che ogni suo sforzo risultò inutile. I vampiri poi ignoravano le sue proteste, tenendola stretta per impedirle i movimenti. Alle loro spalle vide Nickolaij poco oltre la soglia che assisteva alla scena senza battere ciglio.

"Che stai facendo? Digli di lasciarmi andare!" lo implorò ormai sull'orlo delle lacrime.

Lui però restò impassibile a guardarla e, invece di risponderle, si fece da parte per lasciar entrare un altro dei suoi scagnozzi con in mano una boccetta identica a quella che Claire aveva mandato in frantumi poco prima e i cui pezzi giacevano ancora in un angolo della cella. A quel punto, si rese conto di cosa stava per succedere e con le poche forze rimaste scalciò, urlò e pianse disperata, ma niente di tutto questo fece desistere il vampiro. A un cenno del suo signore, le afferrò il mento per tenerla ferma e costringerla a mandare giù il contenuto della boccetta. Solo una volta sicuri che fosse completamente vuota, la lasciarono andare.

Claire crollò in ginocchio, tossendo e cercando di riprendere fiato, mentre i vampiri uscivano dalla cella.

"Vedi Claire, non sarei voluto arrivare a tanto, ma non mi hai dato scelta." concluse Nickolaij, chiudendola di nuovo dentro. "Mai avrei permesso che ti lasciassi morire." Detto questo, lui e i suoi tirapiedi si allontanarono lungo il corridoio delle segrete, lasciando Claire a compiangersi nella cella semibuia, il volto inondato di lacrime. Rimase immobile in quella posizione ancora per diversi minuti, cercando di riprendersi dal trauma subito. Sentiva già i benefici che il sangue stava portando al suo corpo, ma questo non le dava alcuna soddisfazione. Ora era ufficialmente una di loro. Un mostro a tutti gli effetti.

-o-

La sensazione della fredda pietra sulla faccia, oltre allo sgradevole fastidio allo stomaco che provava puntualmente dopo aver attraversato un portale, comunicò a Rachel che il viaggio si era concluso. Ogni volta sembrava di trovarsi nel cestello di una lavatrice e doveva sforzarsi per non vomitare.

Quando riaprì gli occhi era carponi, la guancia destra pulsante a causa dell'impatto con qualcosa di duro. Fece per alzare lo sguardo per cercare di capirne di più, ma il peso improvviso di altri corpi che le cadevano addosso la schiacciò di nuovo a terra. "Ahi!" esclamò, mentre anche l'ultimo di loro veniva sputato fuori dal portale, che poco dopo si richiuse senza lasciare tracce. "Levatevi, non respiro!"

Tra un lamento di dolore e l'altro riuscirono a rimettersi in piedi e, mentre si massaggiava un braccio indolenzito, si accorse finalmente della statua che troneggiava al centro di un giro di colonne bianche. Aveva le fattezze di una divinità maschile e tutto di essa, dalla foggia al tipo di postura, dava l'idea di una tipica scultura di età greca o romana.

"Ehi, ragazzi." esordì d'un tratto Juliet, attirando la loro attenzione verso l'esterno. "Magari mi sbaglio, ma non ho tanto l'impressione di essere in Germania."

Una volta usciti, la prima cosa che notarono fu la differenza di clima. Si sentiva sulla pelle che era meno afoso rispetto a quello egiziano, che l'aria era più respirabile; poi si guardarono attorno, cercando di capire dove si trovavano di preciso, ma fu chiaro fin da subito che non si trattava di un luogo qualsiasi. Erano sbucati su una specie di isolotto artificiale circondato dall'acqua, su cui era collocato un tempio classicheggiante con lunghe colonne bianche scanalate. A fargli da cornice quello che a una prima occhiata sembrava una riserva o un parco naturale.

Cedric annuì appena, ancora assorto nella contemplazione. "Mi sa che Juls ha ragione."

Assalito a sua volta dai dubbi, Dean tirò fuori dalla tasca la mappa dei portali e la aprì per controllare. Non gli sembrava di aver confuso le destinazioni e infatti non era così. Sul portale di Deir-el haggar era riportato a chiare lettere il nome della cittadina tedesca in cui sarebbero dovuti arrivare, ma ricordava anche l'avvertimento di Najat sulla possibilità che alcune mete potessero essere cambiate nel corso degli anni. In cuor suo, sperò non fosse quello il caso.

D'un tratto le grida di protesta di un uomo attirarono la loro attenzione verso l'altro lato di un piccolo ponte che collegava l'isolotto alla terra ferma. Era basso, tarchiato e parlava una lingua che non capivano, ma bastarono il tono e i suoi gesti a far loro intendere che dovevano uscire da lì.

Così uno alla volta, facendo attenzione a non scivolare e finire in acqua, attraversarono il ponte e scavalcarono una grata che sicuramente era vietato oltrepassare, mentre l'uomo, che sembrava molto arrabbiato, continuava a urlare parole incomprensibili.

"Ci scusi non sapevamo che..." provò a giustificarli Mark, ma sentirlo parlare in inglese peggiorò solo la situazione. L'uomo alzò le braccia al cielo, continuando a sbuffare e blaterare. A quel punto Cedric gli si avvicinò provando a spiegargli come stavano le cose.

Gli altri rimasero sbigottiti nel sentirlo parlare la sua lingua, anche se a stento, ancor più quando videro che la cosa sembrava calmarlo. Cedric conversò con lui per qualche minuto, probabilmente nel tentativo di convincerlo a non farli arrestare e alla fine lo videro tornare da loro con un'espressione alquanto sollevata dipinta in faccia.

Mark gli rivolse un'occhiata perplessa. "Che ti ha detto? E soprattutto in che lingua stavate parlando?"

Cedric sogghignò. "Era italiano."

"E da quando parli italiano?" gli chiese Juliet sorpresa.

"Beh, uscivo con una ragazza italoamericana una volta, ti ricordi?" fece, rivolto a Mark.

L'amico annuì, l'espressione concentrata nello sforzo di ricordare. "Come si chiamava? Maria?"

"No..."

"Lucia... Ah, Olivia!"

Cedric schioccò le dita, come a dire che aveva colto nel segno. "Proprio lei!"

"E con questo? Anch'io ho avuto un ragazzo latino, eppure non parlo spagnolo." replicò Juliet, senza curarsi minimamente che Dean fosse lì ad ascoltarla.

Lui però non le diede peso, o forse finse di non farlo. "Tutto molto interessante, ora vuoi dirci cosa ti ha detto quel tizio?"

"Oltre a darci degli idioti, ha detto che il tempio era zona vietata, o una roba del genere, e che non dovevamo andarci." rispose Cedric, sottolineando l'ovvio. "Non potevo certo dirgli che siamo sbucati da un portale magico, così ho risposto che siamo studenti d'arte stranieri e volevamo vedere la statua da vicino." spiegò, stringendosi nelle spalle.

Mentre lo ascoltava, Rachel rimase sorpresa dalla sua prontezza di spirito nell'inventarsi una scusa tanto plausibile. "Bell'idea. Per caso poi gli hai anche chiesto dove siamo?"

"Sì, più o meno mi sono fatto capire, anche se mi guardava come se fossi scemo. Prima di salutarci mi ha detto Valle Borghese...credo... Non so, non lo capisco così bene l'italiano."

Dean ci rifletté un po' su. "Valle Borghese..." mormorò pensieroso. "Non mi dice proprio niente."

Juliet nel frattempo si era guardata in giro e, mentre gli altri discutevano su cosa o dove fosse quella fantomatica valle, notò poco distante uno di quei supporti con sopra le cartine del posto e a una rapida occhiata fu subito chiaro che Cedric aveva capito male. Non solo vi era rappresentato il perimetro dell'intero parco, sopra spiccavano in bella vista sia il nome del posto che quello della città. "Ragazzi..." li chiamò, attirando ancora una volta la loro attenzione. "È Villa Borghese, non Valle..." mostrò loro quando l'ebbero raggiunta.

Rachel non poté trattenere l'emozione. A un qualsiasi diciottenne americano forse quel nome non avrebbe detto nulla, ma per un'appassionata come lei poteva significare una cosa sola: Roma.

"Per fortuna che dovevamo finire in Germania." commentò Juliet pungente.

Dean percepì subito la velata critica nei suoi confronti. "Così diceva la mappa, ma evidentemente nel frattempo le cose sono cambiate. Najat mi aveva avvisato di questa possibilità." confessò.

"Ah sì? E quando pensavi di dircelo?" chiese Rachel, trafiggendolo con lo sguardo.

"Non credevo che sarebbe successo, o almeno ci speravo." si giustificò lui, senza però la minima traccia di rammarico nella voce. "Comunque ammetto di aver peccato di superficialità."

Cedric scosse la testa allibito, per poi incrociare le braccia. "Grazie tante. Adesso cosa pensi di fare? Siamo lontani chilometri dalla nostra vera destinazione."

"Magari qui c'è un altro portale per l'Austria..." tentò Mark, come sempre ottimista.

Dean però provvide subito a tarpargli le ali. "No, avevo già controllato, dovremo arrivarci alla vecchia maniera. Prima, però, sarà il caso di capire dove andare esattamente." li fece riflettere. Era quello che dovevano scoprire. "Visto che siamo qui, potremmo sfruttare l'occasione per fare delle ricerche." propose allora. Certo, fermarsi nello stesso posto per più giorni rappresentava un rischio, ma al momento non vedeva alternative.

A Rachel l'idea di soggiornare a Roma, anche se per un breve periodo, stuzzicava non poco, eppure la sua indole razionale non riuscì a restarsene buona e lasciarla fantasticare. "L'idea è buona, ma ci serve un posto dove stare nel frattempo. Non possiamo mica dormire all'addiaccio."

A quel punto, Dean annuì. "Ci stavo arrivando." Ironia della sorte, diversi anni prima gli era capitato di dover venire a Roma per conto di Nickolaij e forse con un po' di fortuna il posto in cui si era stabilito era ancora disponibile. Così spiegò loro in breve come intendeva procedere e insieme provarono a capire dalla cartina del parco da che parte fosse l'uscita.

Ben presto si ritrovarono in un largo spiazzo, con il terreno ricoperto di sassolini bianchi e una terrazza con una vista mozzafiato sulla città eterna.

Per un attimo Rachel rimase incantata a osservare la sua strepitosa skyline, con tutte quelle cupole che sbucavano di tanto in tanto dagli edifici, fino ad arrivare alla loro regina, quella della Basilica di San Pietro. In quel momento avrebbe dato chissà cosa per poter scattare una foto.

Quando Mark la chiamò, dovette fare uno sforzo per distogliere lo sguardo da tanta meraviglia, ma purtroppo non potevano restare. Così seguì gli altri giù per la scalinata che scendeva fino a Piazza del Popolo, un luogo che le era capitato spesso di trovare nei suoi libri e che nonostante questo la fece restare a bocca aperta. Dal vivo faceva tutto un altro effetto.

Dean invece sembrava avere l'aria un po' persa, come se conoscesse il posto ma non riuscisse a orientarsi.

"Tutto bene?" gli chiese Mark, vedendolo così spaesato.

Lui esitò un istante prima di rispondere. "Sono già stato qui..." mormorò infine, mentre tentava ancora di capire da che parte andare.

Rachel lo guardò, alzando un sopracciglio. "Di quanti anni fa stiamo parlando esattamente?" chiese, anche se non era difficile immaginarlo.

"Troppi." confermò Dean infatti.

"Laggiù vedo dei negozi di souvenir, forse vendono cartine della città." disse Juliet, cercando di aguzzare la vista oltre il porticato accanto alle tre grandi arcate che separavano la piazza dalla strada limitrofa.

Cartina alla mano, Dean fu finalmente in grado di ricostruire il percorso giusto per arrivare a destinazione e li guidò per le strade del centro, brulicanti di vita. Lì le persone continuavano con le loro attività quotidiane, ignare dell'esistenza di Nickolaij e dei vampiri. Una piccola porzione di normalità che per un po' diede loro l'illusione di trovarsi in un angolo di pace, lontani da tutti i problemi dei mesi scorsi.

In quella città non c'era angolo o anfratto che non nascondesse qualcosa da scoprire, e ogni volta si restava a bocca aperta. Persa nel fascino che quei vicoli così caratteristici le suscitavano, Rachel si accorse a malapena che erano arrivati. Dean si era fermato davanti al vecchio portone in legno di una palazzina a tre piani, di quelli dipinti con la vernice, un tempo di un colore verde bottiglia ma che adesso appariva stinta e quasi del tutto scrostata.

"Ci siamo." li informò secco; poi passò la cartina a Mark per avere le mani libere e prese a trafficare con la serratura per vedere se riusciva ad aprirla senza le chiavi.

Nel frattempo, Rachel ne approfittò per dare un'occhiata alla cartina. "Il Pantheon è proprio qui dietro. Potremmo fare una visita veloce." propose, sentendo montare l'entusiasmo.

"Voglio ricordarti che non siamo qui per fare i turisti." replicò Dean, sottolineando le ultime parole con maggior fermezza nello sforzo di scassinare il portone. Alla fine si decise a usare le maniere forti e, fatto un passo indietro per darsi la spinta, sferrò un calcio poderoso in mezzo alle due ante, che a quel punto cedettero come fossero di burro, spalancandosi in una pioggia di polvere e scaglie di vernice.

Rachel trasalì, come gli altri colta alla sprovvista. "Ma che fai? Sei matto?" esclamò, guardandosi subito attorno per accertarsi che il rumore non avesse allertato i vicini o qualche passante. Per fortuna si trovavano in un vicolo isolato e al momento nei paraggi non c'era nessuno.

"A mali estremi..." mormorò Dean, mentre si infilava dentro senza tante cerimonie.

La prima cosa che videro fu un ingresso piuttosto angusto, con una rampa di scale in marmo che portava ai piani superiori. Su una delle pareti laterali c'erano le cassette della posta, polverose e completamente vuote, e un forte odore di chiuso rendeva l'aria stantia. Dean imboccò le scale e loro lo seguirono fino al quarto piano, l'ultimo della palazzina, ritrovandosi infine davanti alla porta di uno dei due appartamenti che si aprivano su ogni pianerottolo.

"Ovviamente sarà chiusa." constatò Mark con un po' di fiatone.

Dean annuì. "Infatti."

"Cos'è? Prenderai a calci anche questa?" gli chiese Rachel polemica, osservandolo mentre rifletteva sul da farsi.

Lui però non permise alla sua pungente ironia di toccarlo e si chinò per poter guardare nella serratura. "Stavolta no." disse, mentre il suo viso si illuminava come era capitato di vederlo altre volte quando giungeva a una conclusione. A quel punto prese a rovistare dentro la borsa alla ricerca di chissà cosa, incurante dei loro sguardi che lo scrutavano perplessi. "La serratura non è arrugginita come quella del portone. Con gli strumenti giusti dovrei riuscire ad aprirla." spiegò allora, rispondendo alle mute domande che gli stavano rivolgendo. Nello stesso momento tirò fuori un coltellino di quelli per intagliare il legno, piccolo e maneggevole. Lo aveva preso in prestito dall'armeria degli Jurhaysh. Sapeva che gli sarebbe tornato utile prima o poi.

"Pensate un po'. C'era un Arsenio Lupin tra noi e non lo sapevamo." commentò Cedric sarcastico, mentre lo guardava trafficare.

Neanche il tempo di finire la frase e un rumore metallico annunciò che Dean ce l'aveva fatta. La serratura aveva ceduto senza richiedere particolari sforzi da parte sua. Soddisfatto, diede una piccola spinta alla porta e quella si aprì, permettendo l'accesso all'appartamento. Nessuno fece commenti e lui non se li aspettò, lasciando che lo precedessero all'interno.

Lo spettacolo non fu desolante come si erano immaginati. Certo, la polvere rivestiva con uno strato spesso e uniforme gran parte delle superfici, ma chi c'era stato prima di loro si era premurato di coprire i mobili con delle lenzuola, risparmiando a qualcun altro la fatica di doverli pulire. L'ingresso dava subito su un salotto di modeste dimensioni, con al centro quelli che da sotto le lenzuola sembravano un divano e due poltrone. Di fronte c'era un caminetto e dalla parte opposta un'apertura ad arco consentiva l'accesso ad altre stanze. A prima vista sembrava un ambiente dall'aspetto quantomeno vivibile.

"Beh, almeno stavolta staremo comodi." esordì Mark, guardandosi intorno e annuendo ottimista.

Anche Rachel si scoprì sollevata nel trovarsi una volta tanto in una casa normale, ciononostante la domanda le sorse spontanea. "Come sapevi di questo posto?" indagò curiosa, rivolta a Dean.

"Ci sono stato per un po' quando Nickolaij mi mandò qui in missione diversi anni fa." rispose. "Solo che allora non era disabitato..."

A lei sfuggì un mezzo ghigno, per poi distogliere lo sguardo e inoltrarsi in salotto. "Non voglio neanche sapere che fine ha fatto il proprietario." ribatté, ironica fino a un certo punto.

"Tranquilla, non è come pensi." la rassicurò Dean, mentre si liberava della borsa e la appoggiava su una delle poltrone.

"Come mai non c'è nessun altro nel palazzo?" gli chiese allora Mark.

"Il proprietario viveva da solo. Era un imprenditore abbastanza facoltoso. All'epoca ci accordammo affinché mi lasciasse usare questo posto ogni volta ne avessi avuto necessità, in cambio di un piccolo favore legato alla mia natura di vampiro. In parole povere acconsentii a dargli l'immortalità per tenermi il palazzo, dietro garanzia che non avrebbe permesso a nessun altro di stabilircisi." Ad entrambi era sembrato un ottimo affare.

I loro sguardi preoccupati, però, bastarono a fargli intuire cosa stessero pensando e provvide subito a rassicurarli. "Nickolaij non ne sa niente. È stata tutta opera mia, perciò rilassatevi. Qui siamo al sicuro." chiarì. Dalle espressioni incerte sui loro volti non ebbe la conferma di essere riuscito nell'intento, ma nessuno aggiunse altro né gli fece ulteriori domande, quindi pensò che il discorso si fosse chiuso lì. Anche perché non esistevano alternative valide alla sua idea.

La prima cosa che fecero fu aprire tutte le finestre, per far circolare l'aria e attenuare almeno un po' il naturale odore di stantio che pervadeva qualunque ambiente abbandonato da tanto tempo. In casa non c'erano luce elettrica, gas, né tantomeno acqua calda, visto che ovviamente nessuno pagava le bollette da anni, dunque si presentava il problema di come avrebbero fatto a vedere dove mettevano i piedi una volta calato il sole.

"Potremmo usare il camino." propose Mark, chinandosi per controllare la canna fumaria. "Non sembra ostruito."

"Meglio di no. Per il vicinato nessuno vive qui da anni. Se qualcuno vedesse del fumo uscire dal comignolo potrebbe insospettirsi." obiettò Dean pratico. "Usare delle torce mi sembra l'unica soluzione."

Juliet annuì con un sospiro rassegnato. "Tanto dovremo comunque uscire a comprare qualcosa per cena."

"Ho paura che stavolta ci toccherà arrangiarci con panini e cibo in scatola, Juls. Non c'è niente su cui cucinare qui dentro." le fece notare Rachel.

L'amica storse il naso, riconoscendo che aveva ragione. "Ho un deja-vu." commentò, ricordando i tempi del campeggio.

"D'accordo, ma cerchiamo di ridurre al minimo le uscite. Dobbiamo essere discreti, non possiamo rischiare di attirare troppo l'attenzione." li redarguì Dean. Ci mancava solo che qualcuno, vedendoli fare avanti e indietro, si insospettisse e chiamasse la polizia per un controllo.

"Sì, ma qualcosa dovremo pur mangiare! So che per te non è importante, ma a noi serve." ribatté Rachel gelida fino al midollo, mettendo fine alla discussione.

Prima di scendere a comprare i viveri, concordarono che fosse il caso di dare una sistemata in giro, giusto per rendere l'ambiente più confortevole e soprattutto stabilire le rispettive postazioni per la notte. Disponevano di un'unica camera da letto, con solo un matrimoniale, che alla fine Juliet insistette per dare a Mark e Rachel.

"E voi?" chiese l'amica, riferendosi a lei e Cedric.

Juliet ci pensò su un attimo. "Ci sono altri appartamenti nel palazzo. Magari si può rimediare un materasso."

"Io posso anche dormire sul divano." si offrì Cedric, facendo spallucce. "Dopo un mese trascorso sul pavimento di quella cella, quanto mai potrà essere scomodo?"

"Sei sicuro?" gli domandò lei apprensiva. Ogni volta che lo sentiva rivangare ricordi di quel periodo orribile avvertiva una stretta al cuore.

Cedric la rassicurò, dicendole che non avrebbe avuto problemi; così, mentre Dean e Mark visitavano altri appartamenti alla ricerca di un materasso per Juliet, lei e gli altri ne approfittarono per esplorare ciò che restava della casa.

Il clima si manteneva ancora piuttosto mite per essere metà ottobre, ma Juliet immaginò che durante la notte le temperature potessero scendere di qualche grado e che forse avrebbe trovato delle coperte dentro quel grosso armadio in camera da letto. Con un po' di sforzo riuscì a spalancare le ante, cercando di individuarle con lo sguardo, ma di lì a poco vide qualcosa in un angolo muoversi in maniera repentina e impiegò pochi secondi a capire di cosa si trattasse. "Che schifo!" strillò, facendo un salto indietro e istintivamente richiudendo l'armadio; poi si precipitò fuori dalla stanza e, per essere sicura, chiuse anche la porta.

"Che succede?" Allarmato dalle sue grida, Cedric arrivò di corsa dal salotto con Rachel al seguito.

"C'era...una cosa nera! Si muoveva tutta..." balbettò Juliet nel panico, reprimendo un brivido di disgusto. "Uno scarafaggio forse."

La preoccupazione si sgonfiò gradualmente dai loro volti, poi Cedric si abbandonò a un sospiro, aprendo la porta della camera per controllare dentro. "Dov'è questo mostro?" si informò in tono piatto.

Pur rimanendo sulla soglia a distanza di sicurezza, lei gli indicò l'armadio in cui aveva intrappolato l'immonda creatura. "È lì dentro." Quando lo vide aprire le ante, si nascose di corsa dietro la porta, aspettando che se ne occupasse, sotto lo sguardo attonito di Rachel.

Dopo qualche tonfo sordo, Cedric riemerse dalla stanza trasportando quella che sembrava la vecchia federa stinta e appallottolata di un cuscino.

Inorridita, Juliet scattò da un lato per lasciarlo passare. "Buttalo! Buttalo!"

"Per così poco..." mormorò pacato, mentre la superava con l'animale appena catturato.

"Sono insettofobica, ricordi? È una malattia seria!"

"Su questo non c'è dubbio." ribatté Rachel, sollevando un sopracciglio.

Sconfitto il mostro dell'armadio, Juliet pensò che la cosa migliore fosse allontanarsi da quella stanza. "Se vi servono coperte o altre cose prendetevele da soli, perché io non rimetterò più mano lì dentro né in nessun altro mobile." chiarì definitiva. Il terrore che da qualsiasi anfratto potesse spuntare un insetto, un ragno o altra roba simile era troppo forte da controllare.

"Vorrà dire che compreremo anche un insetticida insieme alle altre cose per pulire." disse Rachel con un'espressione disgustata mentre passava l'indice sopra una mensola, portando via uno strato di polvere alto almeno un paio di centimetri. "Se dobbiamo vivere qui, sia pure per poco, che almeno sia igienico."

Giusto in quel momento, Dean e Mark rientrarono trasportando un materasso a due piazze dall'aria piuttosto pesante, tanto che, quando lo scaricarono in salotto, un gran numero di cumuli di polvere si sollevò dal pavimento.

Mark tossì, sventolandosi la mano davanti al naso. "Dannata allerg..." Un poderoso starnuto gli impedì di finire la frase. "Allergia." concluse, dopo aver tirato su col naso.

A quel punto, decisero che fosse meglio uscire per comprare il necessario, prima che facesse buio e rischiassero di trovare i negozi chiusi. Presa dall'entusiasmo di trovarsi a Roma, Rachel propose anche di fare un giro nei dintorni, ignorando deliberatamente lo sguardo contrariato di Dean che aveva già mostrato di disapprovare la sua fissazione per le visite turistiche. D'altronde, da quando era scoppiato tutto quel casino, che tra parentesi lui aveva combinato, non si erano concessi un attimo di respiro e un pomeriggio in libertà non avrebbe certo cambiato granché.

Così, mentre lei e Mark davano un'occhiata alla cartina per capire cosa andare a vedere, Cedric e Juliet provvidero a stendere una lista della spesa, in modo da dividersi i compiti e ottimizzare quelle poche ore che restavano fino a sera.

In tutto ciò, Dean pensò bene di tenersi in disparte e lasciarli fare. Per certi versi condivideva il loro desiderio di svagarsi dopo quello che avevano passato, per altri avrebbe preferito mettersi subito alla ricerca della prossima destinazione e per un istante il pensiero di fare a modo suo gli sfiorò la mente, ma poi cambiò idea. Da quando li aveva conosciuti, agire in solitaria non si era dimostrato molto proficuo, soprattutto in termini di stima. Perciò si mise l'anima in pace, rassegnandosi a seguirli nelle loro decisioni, ma in realtà sentendosi più solo e fuori luogo che mai. 

 

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Capitolo 7
*** Roma (parte 2) ***


Capitolo 4

 

Roma (parte 2)

 

La mattina dopo, mentre Mark, Rachel e Dean erano in libreria a iniziare le ricerche, Juliet e Cedric avevano optato per restare in casa e rimboccarsi le maniche, in modo da rendere l'appartamento se non altro più vivibile. Il giorno prima avevano dato una ripulita sommaria, almeno per riuscire a respirare, ma ovviamente non era bastato e la notte trascorsa in mezzo a tutta quella polvere non si era rivelata molto piacevole.

Munita di guanti in lattice e detersivo spray, Juliet diede un'ultima passata sul tavolo in cucina per disinfettarlo bene, visto che lì sopra ci avrebbero mangiato; dopodiché si voltò, osservando soddisfatta la sua opera. Ora la casa aveva un aspetto decisamente più umano. Era riuscita perfino a ritagliarsi un piccolo angolo personale in salotto con il suo materasso, a cui aveva aggiunto delle lenzuola pulite trovate da Rachel nell'armadio in camera da letto. Fiera di sé, si abbandonò a un sospiro. Si erano meritati un bel bicchiere di limonata del supermercato, così prese due bicchieri e ne versò un po' anche per Cedric.

Convinta che fosse nell'altra stanza a pulire, si diresse spedita in quella direzione, ma quando entrò non c'era nessuno. Spaesata, lo cercò in bagno e poi di nuovo in salotto, ma niente. Eppure l'appartamento si riduceva a due camere e cucina. "Ced?" lo chiamò allora, per poi intravederlo di sfuggita appoggiato alla ringhiera del balcone che affacciava sui vicoli del centro.

"Non mi ero accorta che fossi qui." gli disse sorridente, offrendogli un bicchiere di limonata. "Tieni. Purtroppo non è molto fresca." Come tutti gli altri elettrodomestici, infatti, senza corrente elettrica il frigorifero era fuori gioco e dovevano arrangiarsi con quello che avevano.

Lui la ringraziò, dicendole di non preoccuparsi e portando il bicchiere alle labbra.

Dopo aver mandato giù una sorsata, Juliet gli si mise accanto, appoggiandosi anche lei alla ringhiera e lasciando che la brezza mite del primo pomeriggio le accarezzasse il viso. Non faceva ancora così freddo, nonostante fossero in autunno inoltrato. Per qualche minuto rimasero in silenzio ad ammirare lo spettacolo di migliaia di tetti dalle tegole rossastre che si perdevano a vista d'occhio, intervallati di tanto in tanto da qualche cupola, tra cui spiccava quella in muratura grigia del Pantheon. In vita sua era certa di non aver mai assistito a niente del genere e pensò fosse un gran peccato trovarsi in una città come Roma senza poter godere a pieno della sua bellezza. "È davvero meraviglioso." mormorò estasiata.

Immerso in chissà quali pensieri, Cedric la guardò con aria interrogativa.

"Il panorama." chiarì Juliet, facendo un cenno con il mento.

Lui allora annuì distrattamente. "Sì. Molto bello."

Non ci voleva certo una laurea per capire quanto poco in realtà gliene importasse, preso com'era da ben altre preoccupazioni. Il suo spirito era cambiato rispetto a quando lo aveva conosciuto, Juliet non aveva fatto fatica ad accorgersene. Doveva essere stata davvero dura per lui solo in quella cella per settimane, senza nemmeno il conforto di una persona amica. Vedere una persona un tempo così allegra, positiva, spegnersi ogni giorno di più le infondeva tanta tristezza e al contempo rabbia verso chi aveva costretto Claire a compiere quel gesto disperato. Quanto avrebbe voluto vederla comparire sulla soglia di casa insieme agli altri, sorridente e felice come amava ricordarla. "A lei sarebbe piaciuto molto venire qui." Le parole le uscirono di getto, senza che se ne accorgesse.

Non aveva specificato il soggetto della frase, ma Cedric non ne ebbe bisogno. Dopo un istante di esitazione, il suo sguardo si spostò di nuovo sull'orizzonte. "Immagino di sì. Anche se in realtà non lo so... Non me ne ha mai parlato." ammise malinconico. "In effetti, mi sono reso conto di non conoscerla veramente. Non come vorrei, almeno."

Il fatto che non parlasse di Claire al passato le fece capire che credeva ancora di poterla salvare, che c'era ancora speranza e questo non poté che risollevarle il morale. "Capisco cosa vuoi dire." Per lei era lo stesso con Dean. Si sentiva esattamente allo stesso modo quando le capitava di incrociare il suo sguardo. Lo sguardo di qualcuno che non riconosceva, ma che non riusciva più di tanto a ignorare. Con la sola differenza che nel suo caso era costretta a conviverci ogni giorno.

Cedric sembrò intuire a cosa si riferisse e un ghigno appena percepibile comparì sul suo volto. "Siamo messi proprio bene noi due." scherzò amaro.

In risposta lei abbozzò un sorriso, per poi avvicinarsi e appoggiare la testa sulla sua spalla, stringendosi al suo braccio per infondergli calore. "Se ne vuoi parlare, io ci sono." si offrì.

Cedric non la respinse, anzi, accettò la sua vicinanza coprendole le mani con la sua. "C'è ben poco da dire." replicò sospirando. "Ci conoscevamo appena, eppure si è sacrificata per me e io non ho potuto impedirlo. Come le è venuta in mente un'idea tanto stupida?" D'un tratto il suo tono mutò, facendosi più aspro.

Era evidente che il solo ripensare a quella notte gli facesse montare la rabbia e anche stavolta Juliet si trovò in perfetta sintonia con il suo stato d'animo. "Claire è sempre stata un'impulsiva. Quando si mette in testa una cosa non c'è verso di farla ragionare. Credimi, lo so bene. Troppe volte io e Ray abbiamo dovuto raccogliere i suoi cocci. È fatta così e sinceramente penso che nemmeno tu saresti riuscito a convincerla, al di là delle circostanze."

Lo sguardo malinconico di Cedric si perse nell'orizzonte. "Ora come ora vorrei solo poter tornare indietro, ma non a quella notte. Vorrei ritrovarmi ancora nella stalla dei Weaver, quando avrei dovuto dirle dei miei sentimenti, invece di comportarmi da idiota immaturo. Almeno adesso saprebbe cosa provo." si sfogò con una punta di frustrazione nella voce.

"Ma lei lo sa. Altrimenti perché avrebbe accettato lo scambio?" tentò di confortarlo, mentre suo malgrado gli occhi iniziavano a inumidirsi. "Ced, so che tra voi è sempre stato complicato, ma non devi pensare che l'abbia fatto solo perché si sentiva responsabile. In parte forse sì, ma lo ha fatto soprattutto per amore. Gliel'ho letto negli occhi quando ti ha visto legato su quel ponte, ma anche nei giorni precedenti, prima che partissimo per venirti a salvare. Era terrorizzata all'idea che ti facessero del male e, anche se non ha mai trovato la forza di dirtelo, Claire ti ama. Ne sono convinta." Credeva davvero in quello che aveva appena detto, sebbene nella sua mente fosse ancora vivo il ricordo di Rachel che le raccontava di Jamaal e della breve storia che la loro migliore amica aveva avuto con lui. Si era trattato di una parentesi, un momento di debolezza, magari dovuto allo sconforto e alle difficoltà di quel periodo, ma Claire non avrebbe sacrificato la sua umanità per qualcuno che considerava poco più di un conoscente.

Passò una manciata di minuti, in cui Cedric si prese del tempo per riflettere sulle sue parole. Forse non si aspettava di sentirla descrivere l'angoscia provata da Claire nel saperlo in pericolo, perché le sembrò un po' spiazzato. Poi lo vide assimilare la cosa pian piano, fino ad acquisire consapevolezza. "Grazie, Juls." le sussurrò, rivolgendole un sorriso sollevato mentre le accarezzava la mano ancora appoggiata sul suo braccio.

Quella gratitudine espressa in un modo così genuino la fece sentire molto meglio, perché sentì di essere riuscita a infondergli fiducia nel futuro, benché lei per prima ne avesse timore. Tirando su col naso per cacciare indietro le lacrime, chinò di nuovo la testa sulla sua spalla, stringendosi di più a lui e godendosi la pace che regnava sul balcone. Almeno lassù i pensieri più oscuri sembravano rischiararsi.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fossero rimasti così, immobili, senza dirsi nulla, fatto sta che quando sentirono il rumore della porta che si apriva trasalì, colta di sorpresa. La prima voce che le giunse alle orecchie fu quella seccata di Rachel.

"Se solo potessimo entrare in una biblioteca..." si stava lamentando con Mark, che la seguiva dappresso.

"Senza documenti la vedo difficile." rispose lui con la solita pacatezza, anche se dal tono si avvertiva che fosse piuttosto provato.

Juliet era ancora abbracciata a Cedric quando si voltò verso il salotto e lo sguardo gelido che Dean rivolse a entrambi le mandò un messaggio forte e chiaro. Vederli così vicini non doveva avergli fatto piacere. Tuttavia, non disse niente e tantomeno lei gli fece intendere di essersene accorta. "Com'è andata?" chiese a Rachel con noncuranza, rientrando dal balcone.

"Un buco nell'acqua." ribatté lei, abbandonandosi su una poltrona con un sospiro. "Dubito che riusciremo a trovare qualcosa su questo Ludwig in una libreria qualsiasi. Ci vorrebbe una biblioteca..." ribadì, non sapendo che prima l'avesse sentita.

"O un Internet point. Siamo nel ventunesimo secolo dopotutto." aggiunse Cedric, riacquistando un po' di quell'aria funerea che aveva prima della loro conversazione, probabilmente a causa della vista di Dean.

Mark annuì, sedendosi sul divano per riposare. "Ci abbiamo pensato, ma l'Internet point va pagato e noi stiamo cercando di risparmiare in previsione di viaggi futuri."

"Viaggi che non ci saranno se prima non capiamo dove andare." obiettò lui lucidamente. "Che senso ha risparmiare quattro soldi se tanto resteremmo comunque bloccati qui?"

Juliet dovette ammettere che il ragionamento di Cedric non faceva una piega e con lo sguardo comunicò la sua impressione agli altri. Anche Dean, rimasto in silenzio da quando erano rientrati, sembrava concordare con lui, per quanto la cosa avesse dell'incredibile.

"Non sono esperto di nuove tecnologie, lo sapete. Ma penso che arrivati a questo punto sia meglio provarle tutte." disse infatti poco dopo.

Alla fine, anche Mark dovette constatare che fosse la soluzione più semplice e rapida. "Okay, però sarà meglio cercarne uno a portata di tasche e limitare il tempo che ci passeremo dentro." concluse, come sempre razionale.

"Vorrei partecipare anch'io stavolta." si offrì Juliet. "Con Internet me la cavo piuttosto bene."

"Tenete presente che la porta dell'appartamento non si chiude e non possiamo lasciarlo incustodito. Qualcuno dovrà per forza restare qui." fece notare Dean.

Mark suggerì allora di fare dei turni e gli altri si trovarono d'accordo. L'indomani avrebbero iniziato a cercare un Internet point, dopodiché a rotazione si sarebbero dati il cambio per uscire. Per quel giorno ormai avevano dato tutta l'energia disponibile, perciò mangiarono qualcosa al volo e poi si prepararono per andare a dormire.

Juliet stava per sdraiarsi sul materasso, quando vide Cedric che sprimacciava il cuscino, dando una sistemata sommaria alla sua postazione per renderla più confortevole e le si strinse il cuore. Si sentiva terribilmente in colpa a stare comoda, quando lui era costretto su quel vecchio divano ammuffito. "Sei proprio sicuro di voler dormire lì?" gli chiese di getto, in tono preoccupato.

Cedric annuì, mentre ci si sedeva sopra. "Tranquilla, non è così male. Devo solo abituarmici..." Il rumore metallico di una molla che saltava nell'intelaiatura lo fece trasalire, interrompendo i suoi tentativi, in verità poco credibili, di rassicurarla.

Lei alzò un sopracciglio, rivolgendogli un'occhiata eloquente; poi scostò la coperta, facendogli segno di raggiungerla sul materasso. "Dai, vieni. C'è posto per entrambi qui."

L'espressione di Cedric trasudava incertezza, ma alla fine sembrò arrendersi. Prese cuscino e coperta e li sistemò accanto a lei, cercando il più possibile di non invadere il suo spazio. "Grazie Juls, ma pensi che sia una buona idea? Voglio dire... non potrebbe urtare la sensibilità di Mister Perfettino?" bisbigliò, indicando con un breve cenno del capo verso Dean, che dal davanzale della finestra su cui si era arrampicato li osservava senza riuscire del tutto a nascondere la propria incredulità.

Per quanto si fosse già accorta delle occhiate che le stava rivolgendo, Juliet era decisa a ignorarlo. Al momento non le importava un fico secco di urtare la sua sensibilità, quindi liquidò la cosa con un'alzata di spalle. "Gli passerà. Mi sentirei più in colpa se venissi infilzato nel sonno da una di quelle molle arrugginite." sentenziò, prima di tirarsi la coperta fin sopra al naso.

-o-

"Il problema è che, senza un indizio preciso da cui partire, è sempre tutto troppo vago." osservò Mark spossato, mentre sfogliava uno dei libri che erano riusciti a farsi dare in prestito dal proprietario di una piccola libreria in centro che vendeva volumi in inglese e in altre lingue. Un signore davvero gentile.

Nei quattro giorni trascorsi dall'arrivo a Roma non avevano fatto altro che consultare volumi di storia medievale, meglio se incentrati sull'Austria, elenchi delle principali casate nobiliari austriache e siti web sull'argomento, non riuscendo però a cavare un ragno dal buco. L'unico dato certo in loro possesso era il nome von Eggenberg, decisamente troppo poco. Soprattutto perché non compariva in nessuno degli elenchi consultati, né veniva menzionato nei libri. La casata di Ludwig sembrava essere stata inghiottita dal dimenticatoio della storia.

"Povera Cordelia." commentò Rachel, sbuffando. "Doveva essere proprio l'ultima ruota del carro se avevano deciso di farle sposare uno così insignificante."

Juliet prese a massaggiarsi le tempie con aria esausta. "Mi è venuto il mal di testa a forza di scorrere immagini sullo schermo di quel computer." si lamentò. Lei e Cedric erano tornati da poco dal loro turno all'Internet point, dopo averci passato l'intera mattinata. Tra l'altro, non si trovava nemmeno vicino casa e per un tratto avevano dovuto prendere i mezzi pubblici, proseguendo poi a piedi fino a destinazione. Nonostante ormai fossero abituati a scarpinare, per loro che erano abituati alle brevi distanze di Greenwood, dove tutto era a portata di mano, attraversare una città come Roma si era rivelato parecchio stancante.

"A chi lo dici. A un certo punto non ne potevo più di tutti quei nomi impronunciabili di castelli e casate." concordò Cedric con un sospiro, abbandonandosi pesantemente sul divano accanto a lei. "Come se non bastasse, sto morendo di fame. Cos'è rimasto?" chiese a Rachel.

"Purtroppo non molto e comunque quello che c'è non basterà a sfamarci tutti fino a domani." gli rispose, prima di lanciare un'occhiata in tralice a Mark. "Qualcuno potrebbe andare al minimarket qui all'angolo e comprare qualcosa..."

Dall'altra parte lui se ne accorse e, cogliendo al volo l'allusione, chiuse il libro che stava leggendo e si alzò. "Okay, ricevuto." disse in tono paziente. "Andiamo, Ced. Vieni anche tu." aggiunse poi, spegnendo la soddisfazione dell'amico, già convinto di dover solo aspettare che tornasse con le cibarie.

Una volta usciti, le ragazze rimasero sole con Dean e in salotto piombò un silenzio imbarazzante. In realtà, già da prima lui se n'era rimasto in disparte senza dire mezza parola, intento nella lettura di un vecchio tomo, cosa che però si stava rivelando più difficile del previsto. Da diverse ore, infatti, il suo corpo aveva iniziato a lanciargli dei segnali familiari, che sapeva di non poter ignorare all'infinito. Era ancora troppo presto per parlare di morsi allo stomaco, ma dopo quasi un secolo aveva imparato a intercettare con largo anticipo ogni minimo sentore dell'imminente arrivo del plenilunio. Quella sensazione di disagio che provava stando nella stessa stanza con gli altri, il nervosismo latente, non erano dovuti solo al rapporto precario che avevano negli ultimi giorni.

Per un po' si sforzò di non pensarci, focalizzandosi sulla questione più importante, ossia trovare qualcosa che gli permettesse di individuare la prossima tappa del viaggio. Tuttavia, ben presto si rese conto che, primo, in quel libro non sembrava esserci nulla di interessante; secondo, se anche ci fosse stato, lui non era nelle condizioni di accorgersene. Così, si decise a rinunciare, ma continuò a usare il libro come scusa per non dover intavolare una conversazione. Non passò molto che lo sguardo iniziò a vagare altrove, fino a soffermarsi su di lei.

Juliet fissava il vuoto, godendosi un momento di meritato riposo, e non si era accorta che la stesse guardando; così ne approfittò per distrarsi dal pensiero del plenilunio perdendosi nei tratti del suo viso. Sebbene fosse dimagrita rispetto a quando l'aveva conosciuta e apparisse molto provata dalle loro varie peripezie, la trovava più bella che mai. Non passava attimo in cui non ne sentisse la mancanza e, anche se trascorrevano la maggior parte del tempo vicini, era come se fossero distanti anni luce.

D'improvviso, Rachel balzò sulla poltrona, riportandolo alla realtà.

"Oh, mio Dio!" esclamò, senza staccare gli occhi dalla pagina che aveva davanti. "Non ci credo, ho trovato qualcosa!" Era un po' che sfogliava annoiata le pagine, ormai quasi convinta che fosse tutto inutile, quando per puro caso si era imbattuta in un paragrafo che parlava di uno scontro avvenuto in Austria tra due clan nobiliari di minore importanza per questioni territoriali. Uno dei due portava il nome dei von Eggenberg e in basso c'era la raffigurazione del suo stemma araldico. Due cavalli bianchi rampanti al centro di uno scudo d'argento.

"Ora che conosciamo lo stemma di famiglia potremmo risalire alla loro storia e scoprire dove abitavano di preciso." ipotizzò, con gli occhi che brillavano di entusiasmo, mentre mostrava l'immagine a Juliet e Dean, che intanto si era avvicinato.

Lui annuì, anche se alquanto distrattamente, il che non sfuggì a Juliet.

"Che hai? È una bella notizia, no?" gli chiese in tono neutro.

"Sì, sì. Almeno è qualcosa."

Rachel si afflosciò sulla poltrona, storcendo il naso. "Ti prego, trattieni l'entusiasmo." replicò sarcastica.

La sua scoperta però non era abbastanza eclatante da distrarlo dalle sue preoccupazioni e Dean non era mai stato bravo a mostrare sentimenti che in realtà non provava.

Juliet, infatti, intuì subito che questa sua apatia nascondesse dell'altro. "Avanti, sputa il rospo." lo invitò senza troppi complimenti, chiudendogli il libro di Rachel sotto il naso.

Dean allora incontrò il suo sguardo e si chiese come facesse a captare il disagio altrui senza che questi aprisse bocca. Consapevole che non l'avrebbe lasciato in pace fin quando non si fosse confidato, si abbandonò a un sospiro. "Sono preoccupato per il plenilunio." ammise. "Ho il dubbio che il decotto di Laurenne non sarà sufficiente a sfamarmi."

Senza guardarsi, le ragazze vennero colte dal medesimo pensiero e all'unisono mormorarono un: "Oh..."

Lui annuì. "Già. Oltretutto non so quanti pleniluni mi attendono prima che riusciamo a trovare Margaret e, visto che me ne servirà parecchio per compensare la mancanza di sangue, temo di non averne abbastanza. Per quanto Laurenne mi abbia lasciato la ricetta, solo qualcuno esperto come lei sarebbe in grado di replicarla." spiegò.

"Perciò dobbiamo anche sbrigarci a trovarla. Fantastico." concluse Rachel, aggiungendo mentalmente anche quello alla lunga lista dei loro problemi.

Juliet non poté fare a meno di rivolgergli un'occhiata preoccupata. "E se non dovessimo riuscirci entro il mese prossimo?"

Dean esitò un istante. "Spero di non dovermene preoccupare."

Con il rientro di Mark e Cedric il problema plenilunio passò in secondo piano, anche perché Dean le aveva rassicurate che ci avrebbe pensato a tempo debito e che comunque al momento avevano ben altro di cui occuparsi. Rachel mostrò tutta contenta la sua scoperta ai ragazzi, che ne furono altrettanto entusiasti. Finalmente qualcosa di concreto dopo giorni di nulla più totale. Dal canto suo, invece, Juliet non riusciva a non pensare all'alternativa che sarebbe rimasta a Dean nel caso l'intruglio di Laurenne non fosse bastato e continuò a rimuginarci anche mentre cenavano. Per quanto ce l'avesse a morte con lui, preoccuparsi le veniva naturale, ma cercò di distrarsi concentrandosi sull'insalata francese con pomodori, formaggio a cubetti e tonno in scatola che Rachel aveva preparato. Una vera prelibatezza se paragonata a quello che avevano mangiato nelle settimane di campeggio o dagli Jurhaysh che, con tutto il rispetto per la loro squisita ospitalità, non avevano questa grande tradizione culinaria.

"Io esco." annunciò Dean di punto in bianco, afferrando il suo giubbotto e dirigendosi alla porta.

Le chiacchiere si interruppero bruscamente e Rachel lo guardò, aggrottando la fronte. "Ti sembra il caso di andartene in giro a passeggiare? Sei stato tu a dire che Nickolaij ha spie ovunque. E se qualcuno ti notasse?" Il suo tono aveva un che di inquisitorio, ma solo perché era sinceramente preoccupata.

"Non temere, so come muovermi." tagliò corto Dean, prima di calarsi il cappuccio sulla testa e uscire.

Rimasti soli, si lanciarono occhiate tra il confuso e il rassegnato, consapevoli di non poter fare altro che finire la cena e poi andarsene a letto. La giornata era stata pesante per tutti.

Dopo aver sparecchiato, Juliet augurò la buonanotte a Mark e Rachel, che si ritirarono nella loro camera, mentre Cedric disse di voler aspettare un po' prima di sdraiarsi, per facilitare la digestione. Tempo un quarto d'ora, però, e si stava già appisolando sulla poltrona, così Juliet dovette svegliarlo perché si spostasse sul materasso, dove lo raggiunse dopo essersi infilata il pigiama.

La stanchezza era tanta e se la sentiva tutta addosso, ciononostante non riusciva a chiudere occhio, girandosi e rigirandosi senza trovare una posizione favorevole. I suoi pensieri erano concentrati interamente su Dean e sul fatto che fosse fuori chissà dove. Liberarsene era impossibile. Il cervello continuava a ordinarle di uscire sul balcone per vedere se stesse rientrando, tanto che alla fine non poté più ignorarlo. Così si alzò, con cautela per non svegliare Cedric che stava già ronfando della grossa, e si mise una coperta sulle spalle a mo' di mantello. Rimase lì fuori per diversi minuti, controllando la strada sotto la palazzina, sicura prima o poi di vederlo arrivare. Invece niente, neanche l'ombra.

Dopo un po' fu costretta a rientrare per non rischiare il congelamento e decise di aspettarlo sul divano. Per ingannare il tempo decise di aggiornare il suo diario, come faceva ormai quasi quotidianamente da quando Rachel glielo aveva restituito. L'unica fonte di luce disponibile era quella della torcia e, sebbene non fosse un'impresa facile scrivere praticamente al buio, almeno si sarebbe sfogata un po'. Certo, se solo quel mucchio di pagine piene di piagnistei, romanticherie e voli pindarici fosse finito sotto il naso di Dean... La sola idea le faceva accapponare la pelle.

Intanto, il tempo scorreva con una lentezza snervante. Le undici e mezza, mezzanotte, l'una, le due... La sua ansia cresceva a dismisura col passare delle ore, intervallata solo dai brevissimi momenti in cui proprio non riusciva a fare a meno di addormentarsi, finché finalmente il cigolio della vecchia porta d'ingresso che si apriva non la fece trasalire.

"Si può sapere dove diavolo sei stato?" lo aggredì a bassa voce, non appena mise piede in salotto.

Preso alla sprovvista, Dean le rivolse un'occhiata a dir poco spaesata. "Sei rimasta sveglia tutto questo tempo?"

Perché le rispondeva con un'altra domanda? Imbarazzata, Juliet guardò dappertutto tranne lui, sperando che il buio mascherasse il suo stato d'animo, facendola apparire meno ridicola. "Sì beh...sai com'è, non tornavi..." balbettò, provando subito dopo a ritrovare un tono più fermo. "Cos'hai fatto fino a quest'ora?"

"Avevo bisogno di un po' d'aria. Per schiarirmi le idee, pensare..."

"Al plenilunio." concluse per lui, già convinta si trattasse di quello. Nonostante con loro avesse minimizzato, Juliet sapeva che in realtà lo aveva fatto solo per non caricarli di ulteriori pesi. Sentendosi in dovere di fargli sentire la sua vicinanza, si alzò, stringendosi nella coperta. "Ascolta, capisco che la cosa ti preoccupi, ma cerchiamo di affrontare un problema alla volta, come hai detto tu. Manca ancora un po' alla luna piena e nel caso il decotto di Laurenne non dovesse bastare..."

Dean però la interruppe, intuendo dove volesse andare a parare. "Juliet, sto bene. La questione plenilunio è sotto controllo per il momento. Non è per questo che sono uscito." chiarì. Fece una pausa in cui la guardò intensamente negli occhi, per poi sorprenderla intrecciando le dita tra le sue. "Non c'è solo il plenilunio nei miei pensieri." le sussurrò, provocandole un brivido lungo la schiena.

Juliet sentì il battito cardiaco accelerare di colpo, senza che potesse fare niente per calmarlo. Possibile che le facesse sempre quell'effetto? Dopo mesi che si conoscevano non riusciva ancora a comportarsi con dignità quando ce l'aveva davanti, a maggior ragione se i loro corpi entravano in contatto.

Per fortuna il russare risonante di Cedric riuscì dove la sua scarsa razionalità stava fallendo, rompendo la bolla che si era creata intorno a loro e spingendola a far scivolare via la mano da quella di Dean. L'ultima cosa che voleva era fargli credere di aver guadagnato punti a suo favore, così si schiarì la gola e tornò a guardarlo seria. "Comunque, ho già abbastanza pensieri per la testa, senza che ti ci metta anche tu. Perciò la prossima volta che hai bisogno d'aria, esci in balcone. Nessuno verrà a disturbarti." disse risoluta; poi raccolse la coperta e se ne ritornò sul materasso.

Il pomeriggio seguente lei, Cedric e Dean stavano tornando dall'ennesima giornata trascorsa a fare ricerche su Ludwig e i von Eggenberg, solo che invece di recarsi all'Internet point avevano preferito prima tentare sui libri e risparmiare qualche euro, visto che ora conoscevano lo stemma di famiglia. Sfortunatamente, però, senza successo.

Per risollevarsi un po' e pensare ad altro, Juliet aveva proposto un percorso di ritorno più turistico rispetto a quello suggerito da Dean, sempre timoroso di esporsi troppo alla vista. In fondo, l'unica consolazione alle delusioni di quei giorni era trovarsi in una città così ricca di fascino e loro ne stavano godendo davvero poco. Così aveva insistito per passare lungo il grande viale che dal Colosseo arrivava giù, fino a quella struttura monumentale color bianco candido di cui non ricordava il nome, ma che le era capitato di vedere in qualche fotografia su Internet. Secoli di storia racchiusi in una sola strada rettilinea. Probabilmente Roma era l'unica città al mondo a poter vantare il contributo di tante epoche diverse nello spazio relativamente limitato del suo centro storico.

Mentre erano tutti con il naso all'insù, intenti ad ammirare l'imponenza di quell'edificio dalla forma particolare, Juliet iniziò a sventolarsi con il volantino di una pizzeria che un ragazzo le aveva dato all'uscita della metro. "Che caldo." si lamentò. Non era abituata a temperature così alte in quel periodo dell'anno. In Montana avrebbe già indossato maglione e cappotto.

"Potremmo prenderci un gelato. Si sa che quello italiano è il migliore." propose Cedric, indicando con il mento una gelateria dall'altra parte della piazza.

L'idea la allettava non poco, ma forse sarebbe stato meglio evitare. "Non lo so..." esitò, arricciando le labbra. "Non mi sembra giusto nei confronti degli altri. E poi non abbiamo tanti soldi..."

"Dai, saremo bravissimi! Sceglieremo solo un gusto nel cono più piccolo che hanno. In fondo, ce lo siamo meritato, no?"

La sua espressione mentre la pregava aveva un che di buffo e lei non poté fare a meno di ridacchiare. In ogni caso, non era ancora del tutto convinta. Stava per rispondere, ma Dean la precedette.

"Non è stata una giornata che definirei proficua, Cedric. Onestamente non vedo quali siano i meriti di cui ti vanti tanto." gli disse nel suo solito tono da sapientone che, Juliet ne era certa, lo avrebbe infastidito come poco altro nella vita. Infastidiva perfino lei. Come al solito, Dean si rivelava un maestro nel raffreddare qualunque momento di leggerezza.

Cedric, infatti, gli lanciò un'occhiata fulminante, ma al contrario di quanto si sarebbe aspettata non ne approfittò per iniziare una discussione, limitandosi a concentrarsi su di lei. "Meriti o no, io mi prendo quel gelato. Sei con me?" le chiese, sollevando poi la mano per invitarla ad accompagnarlo.

Non sapeva bene perché, eppure non la prese subito, rivolgendo invece un rapido sguardo su Dean e scoprendolo di puro granito. La classica faccia di chi dentro sta ribollendo come una pentola a pressione. Non poteva chiedere di meglio, così, senza farsi ulteriori problemi, afferrò la mano di Cedric e si lasciò trascinare verso la gelateria. 

In quel periodo così complicato stava scoprendo un lato di sé che prima non avrebbe mai pensato di avere, il lato vendicativo. Di solito faceva di tutto per non ferire i sentimenti degli altri, ma Dean era riuscito a mettere a dura prova la sua pazienza e ora aveva addirittura superato il limite. Andarsene in giro di notte, per ripresentarsi a quell'ora improba, la considerava l'ultima goccia nel grande mare del suo egocentrismo. Così pensò solo a gustarsi il suo cono gelato, ridendo di cuore quando il naso di Cedric affondò nella panna e lui finse di non accorgersene, chiedendole cosa ci fosse di tanto divertente. Quanto a Dean, come al solito si limitò a restare in silenzio, di tanto in tanto lanciando occhiate furtive nei dintorni per individuare eventuali pericoli. Cosa che fece anche durante l'intero tragitto di ritorno.

Arrivati finalmente a casa, trovarono Rachel seduta di traverso sul divano con le gambe appoggiate su quelle di Mark, entrambi intenti nella lettura. Quando li vide, lei chiuse subito il libro e si rimise a sedere composta. "Novità?" si informò speranzosa.

Juliet scosse la testa con aria desolata. "Neanche una. A questo punto credo che convenga puntare tutto sulla Rete."

La delusione sul volto dell'amica era palese, anche se cercò di nasconderla mostrando rassegnazione. Avrebbe voluto portarle buone notizie e invece niente di niente.

"Pazienza. Vorrà dire che domani io e Ray andremo all'Internet point. Dovrà pur esserci qualcosa su quello stemma da qualche parte." concluse Mark accomodante.

Per quel giorno non c'era nient'altro da fare, perciò si godettero un po' di relax prima di consumare una modesta cena. Alla fine Juliet non riuscì a resistere e, mentre mangiavano, confessò il piccolo momento di gola che lei e Cedric si erano concessi al ritorno, senza nascondere un po' di imbarazzo. Mark e Rachel però non ne rimasero offesi, anzi, lei si lamentò perfino che non avessero pensato di portare del gelato anche a loro.

Ancora affamata, Juliet pensò di andare in cucina a prendere il prosciutto rimasto per prepararsi un sandwich. Nell'istante in cui lo stava addentando, Cedric fece una battuta sul suo notevole appetito, paragonandola a un camionista che aveva visto una volta in autogrill, durante un viaggio con i suoi fratelli.

"Quanto sei scemo." replicò, fingendosi risentita ma in realtà trattenendo a stento le risate.

"Hai capito?" continuò lui imperterrito. "Tanto esile e delicata, invece..."

Quei minuti passati a ridere e scherzare come se nulla fosse furono una boccata d'aria fresca e almeno per un po' riuscirono a lasciarsi alle spalle il dolore provato nei giorni precedenti. 

A Juliet sembrava quasi un momento qualsiasi, in una serata qualsiasi della loro vita prima che tutta quella storia li travolgesse ed era così spensierata da non curarsi di niente all'infuori della tavola apparecchiata con i suoi amici seduti intorno. Nemmeno di Dean, che se ne stava per conto suo seduto sul divano. Un po' le dispiaceva escluderlo, ma se l'era cercata.

Stava finendo di sparecchiare quando con la coda dell'occhio lo vide avvicinarsi.

"Possiamo parlare? Per favore." le chiese, con aria seria.

D'istinto lo sguardo di Juliet incrociò quello di Rachel, che si strinse nelle spalle, prima di tornare a occuparsi delle stoviglie nel lavabo. Non sapendo che altro fare, allora annuì, lasciando che Dean la precedesse fuori casa.

Com'era prevedibile, infatti, non voleva che gli altri sentissero; così la portò nell'appartamento affianco, dove era probabile che lui e Mark avessero preso il materasso su cui dormiva. Una volta lì, Dean appoggiò su un tavolo la torcia che aveva portato con sé, per illuminare l'ambiente intorno, e subito dopo si concesse un momento di riflessione, fissando il pavimento.

Juliet restò in attesa, per la verità con un bel po' di ansia in corpo. Che altro c'era adesso? Dubitava c'entrasse ancora il plenilunio, anche perché non le avrebbe chiesto di parlarne in privato, di conseguenza doveva trattarsi per forza di loro due. A essere sinceri, avrebbe volentieri evitato l'ennesima discussione, ma non poteva certo fare dietro front e scappare.

Fremendo di incertezza, lo vide raccogliere le idee, tornando di nuovo a guardarla quando fu sicuro di ciò che doveva dire.

"D'accordo, inutile girarci intorno. Non sopporto più questa situazione tra noi." esordì infine, con più controllo di quanto si aspettasse. "È dal ritorno da Bran che mi sento uno schifo e non lo sto dicendo per fare la vittima, sia chiaro. Mi rendo perfettamente conto delle mie azioni e so che non posso imporvi il mio punto di vista sul fatto che siano state giuste o meno, ma voglio che almeno tu sappia tutta la verità su questa storia." Fece una pausa, in cui la guardò intensamente. "Ho avuto paura, lo confesso, perché per una volta nella vita non sapevo cosa fare. Claire mi ha offerto una via d'uscita e l'ho colta. Tutto ciò che ho fatto, compreso accettare di morderla, è stato per un'unica ragione: impedire che tu venissi uccisa. Sapevo che probabilmente avrei rovinato quello che c'era tra noi, ma in quel momento i problemi erano ben altri. Ho dovuto stabilire delle priorità, capisci cosa intendo?"

Juliet, che finora era rimasta in silenzio ad ascoltarlo, accennò un breve cenno di assenso. Da un punto di vista razionale riusciva a seguire il suo discorso e anche a comprenderlo, ma c'era da considerare l'altro punto di vista, quello emotivo.

"Ora però ho bisogno di sapere cosa devo aspettarmi dal nostro rapporto." continuò Dean. "Il fatto che non mi parli da giorni, tutte le smancerie con Cedric solo per punirmi... È più che legittimo, ma..."

Lei però non lo fece finire. "Aspetta, cosa? Quali smancerie?" domandò piccata, sentendosi subito sotto accusa.

Il suo tenersi sulla difensiva gli strappò un ghigno amaro. "Andiamo, è da quando siamo partiti che non fate che ridere, scherzare e stare sempre insieme. Dormite anche insieme!"

Quell'ultima osservazione sembrò essergli uscita di getto e fu proprio lì che Juliet realizzò cosa davvero ci facessero da soli in quell'appartamento. E lei che aveva creduto fosse troppo impegnato a controllare che nessuno li stesse seguendo quel pomeriggio per badare a loro. A quanto pareva, invece, era stato solo bravo a fingersi indifferente. 

"Sei serio?" Alzò un sopracciglio, cercando ancora di capacitarsi del fatto che quella conversazione stesse realmente avvenendo tra loro. "In un momento del genere ti metti a fare il geloso?"

Su due piedi lui sembrò spiazzato dalla domanda, ma durò pochi secondi. "Non sono geloso. Vorrei solo ti rendessi conto che certe persone potrebbero approfittarsi di questa tua ingenua bontà." replicò, alludendo chiaramente a Cedric.

Juliet era allibita. Non solo la stava accusando di cose che evidentemente esistevano solo nella sua immaginazione, ma oltretutto insinuava che il suo rapporto con Cedric fosse un espediente infantile per punirlo, anziché una sincera amicizia. Con che faccia tosta veniva a farle quella paternale, quando lui per primo avrebbe dovuto mettersi in ginocchio e implorare il loro perdono per quello che aveva fatto a Claire? 

"Io e Cedric siamo amici!" chiarì, alzando il tono di voce. "Tra noi non c'è altro che questo, amicizia. Con tutto quello che abbiamo passato penso sia normale che due persone che si vogliono bene stiano uno accanto all'altra. Ti riesce così difficile capirlo?"

"Sì che lo capisco, ma fino a un certo punto. Addirittura offrirgli di dormire con te..."

Alla seconda carica sull'argomento, Juliet non ne poté più. "Cosa avrei dovuto fare? È stato prigioniero per un mese in una cella! Non potevo lasciare che rimanesse su quel divano bitorzoluto!" sbuffò esasperata.

A quel punto ormai stava quasi gridando, travolta dalla rabbia, e forse questo lo spinse a cercare di allentare la tensione. "Va bene, come vuoi. Il punto è un altro..." disse calmo, cercando di riportare la conversazione sul tema originario.

"No, Dean! Il punto è proprio questo!" proruppe, rifiutandogli la parola. "Tu non puoi venire qui a fare la parte del fidanzato geloso, accusandomi di chissà cosa con Cedric, e poi cambiare discorso. Non puoi fare qualcosa di grave e poi pretendere che la gente ci passi sopra come se niente fosse, perché secondo te era la cosa giusta. Non funziona così." si sfogò tutto d'un fiato.

Le sue parole parvero colpirlo, molto, decisamente più che in ogni altra occasione le fosse capitato di vederlo. Era palese che non sapesse come ribattere, ancora prima che ci provasse, ottenendo infatti un risultato piuttosto goffo. "Comunque... Il mio discorso era un altro. Non volevo parlare di Cedric, ma di noi." tergiversò, in evidente difficoltà.

-Ecco che ci risiamo- pensò lei esasperata. Stava di nuovo cercando di cambiare argomento. Le salì un tale nervoso che in quel momento avrebbe voluto solo picchiarlo, perciò si convinse che fosse meglio chiuderla lì. "Sì beh, io però non ho più voglia di ascoltarti." Detto questo, girò i tacchi e lo piantò in asso insieme alle sue paranoie.

 

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Capitolo 8
*** Scomparsi (parte 1) ***


Capitolo 5

 

Scomparsi


Faceva un gran caldo quella mattina e nel piccolo Internet point dove Mark e Rachel erano rintanati ormai da quasi tre ore non c’era l’aria condizionata. Con Dean erano usciti presto, sia per guadagnare tempo prezioso che per evitare di attirare troppo l’attenzione sull’appartamento, e a quell’ora l’aria era ancora respirabile. Adesso, però, Rachel stava seriamente rimpiangendo di non essere andata lei in libreria al posto di Dean, almeno sarebbe stata al fresco. Come se non bastasse, l’idea di affidarsi all’enciclopedia più vasta del mondo non sembrava stesse portando ai risultati sperati, visto che continuavano a spulciare pagine su pagine senza trovare un solo riferimento ai von Eggenberg, benché meno a quel dannato stemma con i cavalli. Il lato positivo era aver trovato un Internet point dalla tariffa vantaggiosa, così da non dover aggiungere all’insuccesso anche la fretta.

Durante la prima ora aveva partecipato alle ricerche più o meno con entusiasmo, concentrandosi sullo schermo e appuntando su un quaderno ogni informazione potenzialmente utile, ma con il passare del tempo la voglia di impegnarsi era calata a ritmo costante, fino a ritrovarsi appoggiata allo schienale della sedia con il mal di testa, guardando Mark continuare a leggere qualunque cosa gli capitasse sotto tiro con un’attenzione invidiabile. –Come ci riesce?- si chiese tra sé e sé. “Trovato qualcosa?” domandò invece a voce alta, immaginando già la risposta.

Lui si sistemò per la milionesima volta gli occhiali sul naso, che scivolavano di continuo per via del sudore, poi scosse leggermente la testa senza staccare gli occhi dallo schermo. “Non mi pare.” disse infatti. “Qui parla delle varie casate nobiliari sotto il regno di Carlo V, ma degli Eggenberg neanche l’ombra. Sarà perché sono precedenti?” azzardò.

“Può darsi. Non ne ho idea.” Rachel sospirò affranta, adocchiando subito dopo un depliant sui monumenti di Roma sul tavolo accanto, dove un paio di ragazzi erano appena andati via. Aveva un disperato bisogno di distrarsi e lì sopra c’erano tante belle foto della città eterna. Visitarla era sempre stato un suo grande desiderio e, ora che ne aveva l’occasione, era costretta a starsene chiusa in librerie e Internet point a fare ricerche su qualcuno la cui storia non attirava in lei il minimo interesse. Se solo non ne fosse dipesa la vita di Claire…

Dopo averlo sfogliato da capo per la seconda volta, pensò di riciclarlo per farsi aria, per poi tornare a osservare lo schermo senza guardarlo veramente. Qualche istante, infatti, e la sua attenzione si spostò di nuovo su Mark. Incredibile quanto trovasse sexy quella rughetta che gli si formava in mezzo alle sopracciglia quando era concentrato. Ogni volta le faceva sentire lo stomaco in subbuglio e, sebbene ormai fosse una sensazione piuttosto familiare, non riusciva ancora a gestirla del tutto. Era consapevole di trovarsi in un luogo pubblico, eppure dal suo cervello partì un impulso che le fece muovere la mano quasi in automatico e con noncuranza la allungò verso di lui, fino a sfiorargli una coscia. 

Non appena la sentì, Mark trasalì di colpo, colto alla sprovvista. Tuttavia, non disse niente, limitandosi a sogghignare e lanciarle una rapida occhiata di sbieco. 

Lei però non si lasciò scoraggiare e imperterrita fece scivolare la mano in avanti, sempre più verso l’interno. Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo, di solito non era il tipo che si abbandonava a certi gesti audaci, ma stavolta l’istinto sembrava aver preso il sopravvento sul buon senso. Forse era l’atmosfera della città eterna, o forse il pensiero che una volta partiti non avrebbero avuto così tante occasioni di restare da soli come era capitato in quei giorni. O più banalmente era colpa degli ormoni…

“Ray, è la quarta volta che rileggo la stessa frase.” mormorò Mark a un certo punto, sforzandosi di mantenere un tono di voce fermo.

A Rachel sfuggì una risatina sommessa. “Mi annoio.” si giustificò, guardandolo con aria lasciva.

“Sì, me ne sono accorto. Ma abbi pazienza. Se non troviamo niente entro un’ora ce ne andiamo, okay?”

Sbuffando seccata, rinunciò a ogni tentativo di distrarlo e tolse la mano dalla sua coscia, riabbandonandosi contro la sedia. Tornò a sventolarsi con il depliant, riuscendo per un po’ a trovare un suo equilibrio e lasciarlo lavorare. Era davvero un osso duro quando ci si metteva. Quel giorno però l’autocontrollo sembrava non voler collaborare e ben presto si ritrovò a escogitare nuovi modi per attirare l’attenzione di Mark su di sé. Disinvolta, si aprì i primi due bottoni della camicetta, pur assicurandosi che l’azione fosse ben visibile solo a lui. “Caspita, fa davvero caldo qui dentro.” osservò con finto candore. 

Se non altro ottenne il risultato di farlo divertire, perché lui ridacchiò, scuotendo la testa e subito dopo focalizzandosi di nuovo sullo schermo del computer. Passò giusto qualche secondo e lo vide sobbalzare, così all’improvviso da farle quasi prendere un accidente. 

“Ecco, ci siamo!” esclamò entusiasta.

Rachel allora lasciò perdere le stupidaggini e aguzzò la vista sulla pagina che Mark le stava indicando. Dall’aspetto aveva l’aria di uno di quei siti che trattavano argomenti esoterici, misticismo e altre scemenze del genere.

“Ci sono entrato per caso, non pensavo di trovare qualcosa di utile.” spiegò sbrigativo. “Qui menziona una specie di setta attiva ai tempi degli Asburgo.”

“Una setta, eh?” rifletté lei. 

Mark la guardò. “Stai pensando la stessa cosa che penso io, vero?”

A chiunque altro sarebbe sembrata una storiella da complottisti, ma a loro venne automatico ricollegarla ai vampiri e alla loro mania del plenilunio. I loro sospetti, infatti, si rivelarono fondati quando, scorrendo il testo sullo schermo spuntò fuori il nome von Eggenberg. La leggenda narrava di questa società segreta dal nome tedesco impronunciabile, la cui fondazione era attribuibile addirittura agli inizi del tredicesimo secolo, e composta interamente da esponenti dell’alta nobiltà austriaca. Un dettaglio in particolare attirò la loro attenzione: gli accoliti erano soliti riunirsi in una residenza situata nelle campagne a qualche chilometro fuori da Klagenfurt, una provincia dell’Austria meridionale, che fortuna volle appartenesse proprio alla famiglia von Eggenberg. Stando al sito, verso la fine dell’Ottocento l’ultimo erede aveva dovuto vendere la villa per pagare i debiti di gioco, ma poi la stessa era finita in rovina e ora giaceva lì disabitata. A fine pagina era riportata persino una fotografia dell’edificio, con tanto di stemma argentato della casata. 

Klagenfurt. Quindi era lì che dovevano andare. Rachel non riusciva a crederci, finalmente la loro ostinazione aveva dato i suoi frutti. Felice e anche sollevata, coinvolse Mark in un abbraccio, per poi stampargli un bacio sulla guancia. “Ben fatto!” 

“Te l’avevo detto che valeva la pena insistere. Stavamo solo cercando nei siti sbagliati.” disse lui sorridente. “Ora lo mando in stampa. Così lo facciamo vedere agli altri.”

Recuperati i fogli, Rachel tornò da lui, sorridendogli radiosa mentre li infilava ordinatamente nella sua borsa. “Ti sei meritato un premio.” A quel punto lo vide fissarla un po’ confuso, prima di realizzare il vero significato di quell’affermazione. “Ma dovrai aspettare stasera.” aggiunse, sussurrandoglielo all’orecchio misteriosa. Dopodiché si mise la borsa a tracolla e, sicura che la stesse guardando, si incamminò ancheggiante verso il bancone. 

 

-o-

 

Dean sfogliava un volume sugli stemmi araldici nel Medioevo in una libreria del centro, poco distante dalla palazzina in cui si erano stabiliti. A differenza di Mark e Rachel, che facevano le loro ricerche affidandosi alle nuove tecnologie, lui aveva preferito restare sulla vecchia via. Sebbene, infatti, vivesse nell’era di Internet già da diversi anni, si riteneva più un amante della carta stampata che dei computer. 

Mentre il suo sguardo scorreva sulle pagine intento nella lettura, il piede batteva distrattamente il tempo su una canzone in italiano dal motivo ritmato che stava passando in radio. L’ascoltava a malapena e comunque non capiva una parola, ma la cantante era brava e la musica accattivante. Se Cedric fosse stato lì, forse sarebbe riuscito a tradurla, ma lui e Juliet quel giorno erano rimasti a sorvegliare l’appartamento. –Oltre a fare chissà cos’altro- si ritrovò a pensare istintivamente, per poi vergognarsene subito dopo. Con la mente tornò per l’ennesima volta alla sua patetica figura della sera prima, quando invece di andare dritto al sodo e chiarire la loro situazione, come si era ripromesso, si era lasciato travolgere dai sentimenti di rivalità nei confronti di Cedric. Una rivalità che oltretutto sembrava essere emersa solo negli ultimi tempi, forse perché da diversi giorni era costretto a starsene buono e in silenzio di fronte alla loro complicità senza alcun diritto di replica e questo lo stava logorando dall’interno. Eppure sapeva che lui era innamorato perso di Claire. Lo aveva sentito gridare e disperarsi su quel ponte mentre veniva trascinata via, tanto da dovergli impedire fisicamente di correrle dietro. Oltre al fatto che gli aveva spaccato il naso appena scoperto che non aveva mantenuto la promessa di proteggerla. Quindi perché non riusciva a farsi scivolare addosso la sua amicizia con Juliet? Perché il pensiero di quei due soli in casa era come un tarlo nel cervello che non gli dava tregua? 

A lungo andare si rese conto di non capire un accidente di quello che stava leggendo, perciò si impose di scacciare quelle inquietudini da adolescente geloso dalla testa e concedersi una pausa caffè. Non che gli facesse qualche effetto, ma anche il solo sapore sarebbe stato sufficiente e del resto quello forte e deciso del caffè italiano era l’unico che gli piacesse davvero, così prese il libro e imboccò le scale per il piano di sopra, diretto al bar della libreria.

Era seduto al bancone, quando la sua attenzione venne attirata dal televisore sulla parete alle spalle del barista. Sullo schermo scorrevano le immagini familiari di una villetta di campagna circondata dalle montagne, col porticciolo d’ingresso e la staccionata di legno intorno. Un gruppo di uomini in divisa da poliziotto e un paio in tuta bianca si aggiravano davanti all’entrata della casa, sigillata con il nastro giallo, cercando al contempo di tenere a bada i giornalisti. Qualche secondo dopo l’immagine cambiò e Dean sentì il cuore fermarsi. Sulla metà destra del monitor erano comparse le facce di Juliet, Claire, Rachel, Mark e Cedric, sorridenti e gioiosi nelle foto che probabilmente la polizia si era procurata dai loro parenti. Dall’altra parte, in sequenza, alcuni flash della cucina dei Weaver, devastata nello scontro che aveva avuto con Connor. Il pavimento era stato ripulito e ora rimanevano solo le sagome dei corpi dei due vecchietti fatte col nastro adesivo. Il tizio del notiziario parlava in italiano, ma non c’era bisogno di conoscere la lingua per ricostruire il senso complessivo del discorso. 

Dean imprecò dentro di sé. –Ci mancava solo questa- Ora erano perfino ricercati per omicidio plurimo. Come se doversi preoccupare di sfuggire a Nickolaij non fosse già abbastanza.

A un tavolo poco distante un uomo in giacca e cravatta spostò la sedia per alzarsi e, accortosi di averlo fatto trasalire, gli rivolse un’occhiata interrogativa quando lo superò per andare alla cassa. 

-Sta calmo. Tu non sei sullo schermo, nessuno può riconoscerti- si ricordò mentalmente. Tuttavia, realizzò di essersi illuso quando di lì a poco il disegno di un ragazzo sui vent’anni incredibilmente somigliante a lui campeggiò in bella vista sullo schermo. Qualcuno che aveva avuto modo di conoscerli in quei giorni trascorsi alla fattoria doveva aver raccontato che oltre ai cinque ragazzi scomparsi ce n’era un altro, fornendo un suo identikit alle autorità.

-Merda- Dean imprecò ancora. Doveva sbrigarsi a tornare dagli altri e informarli. L’ideale sarebbe stato farglielo vedere, ma in che modo? 

Fu allora che il suo sguardo cadde di nuovo sul tavolo appena liberato dal tizio vestito elegante. Aveva dimenticato il cellulare.

 

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Capitolo 9
*** Scomparsi (parte 2) ***


Capitolo 5

 

Scomparsi (parte 2)

Piazza del Pantheon era illuminata dal tiepido sole d’ottobre e l’atmosfera che si respirava a quell’ora del mattino, quando il centro città non era ancora gremito di gente, era qualcosa di estremamente raro. 

Per questo, in barba a quanto concordato con gli altri, Juliet e Cedric avevano deciso di concedersi un po’ di svago e andare a fare colazione al bar di fronte all’antico tempio romano, poi convertito in chiesa. Così facendo avevano lasciato l’appartamento incustodito, ma Cedric l’aveva rassicurata dicendole che sarebbero stati fuori al massimo una mezz'oretta, così alla fine si era lasciata convincere. In fondo, avevano scelto quell’orario proprio per non doversi sorbire la ramanzina di Rachel, o peggio ancora di Dean. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era intavolare un’altra piacevole conversazione come quella della sera prima. 

“Sembra di essere tornati indietro nel tempo.” commentò con aria serafica, mentre osservava la meravigliosa architettura del Pantheon e la piazza circostante.

“Già. Anche se dubito che gli antichi romani facessero colazione con cappuccino e cornetto.” scherzò Cedric.

Juliet sorrise di rimando, contenta di vederlo così spensierato per la prima volta dopo giorni. “Sono felice che ti sia tornato il buon umore.” 

“In effetti non sono stato di molta compagnia ultimamente.” concordò lui.

Voleva ben vedere, con tutto quello che era successo. Chiunque al suo posto si sarebbe comportato nello stesso modo. Lei stessa stava ancora cercando di trovare un equilibrio tra l’ansia disperata che provava per Claire e la consapevolezza di dover mantenere i nervi saldi. Un’abilità di cui non era mai stata molto provvista purtroppo. Senza replicare, fece spallucce e si portò la tazza alle labbra, prendendo un sorso di cappuccino. Quando sentì la schiuma lasciarle i baffi sul labbro superiore, cercò un fazzoletto per asciugarsi, ma Cedric fu più veloce.

“Aspetta.” Ne prese uno dal contenitore sul tavolino e si sporse verso di lei, aiutandola a pulirsi. 

Juliet gli rivolse un sorriso di ringraziamento, a dire il vero un po’ imbarazzata dal suo gesto e infatti subito dopo lo vide rendersene conto, ma entrambi non dissero nulla. Ripresero la colazione in silenzio, finché un venditore ambulante non si avvicinò al loro tavolo con un mazzo di rose rosse e, in un inglese abbozzato, propose a Cedric di regalarne una alla sua fidanzata. 

-Ecco. Ci mancava- pensò Juliet tra sé, mentre lo sentiva rifiutare l’offerta in tono cortese.

“Chissà cosa gli avrà fatto pensare che fossimo una coppia.” ridacchiò Cedric, quando l’uomo si fu allontanato. “Sarà perché siamo entrambi straordinariamente belli.” disse con aria fiera, facendola ridere.

“Già, di sicuro sarà per questo.”

Risero ancora, poi Cedric assunse un cipiglio pensieroso. “Però non sarebbe una cosa tanto strana.” rifletté. “Chi lo sa, magari in un’altra vita…”

Le labbra di Juliet si piegarono in un lieve sorriso di assenso. In effetti, le era capitato diverse volte di pensarci, arrivando alla conclusione che normalmente Cedric avrebbe incarnato il suo modello ideale di ragazzo, o almeno quello che si avvicinava di più ai tipi con cui era uscita al liceo. Molto più di... Ma ormai aveva avuto modo di impararlo, la vita era strana e riservava sempre delle sorprese inaspettate.

“Allora… Tutto bene?” le chiese Cedric esitante, riempiendo quel momento di vuoto che si era creato tra loro. “Insomma, ieri sera i toni erano piuttosto accesi…” Si vedeva che l’argomento lo metteva a disagio. 

Juliet afferrò al volo, senza che avesse bisogno di essere più esplicito. “Si è sentito tutto, eh?” Abbassando gli occhi sul tavolo, prese a girare il cucchiaino nella tazza ormai semivuota. Per quanto all’inizio si fosse sforzata di mantenere i toni bassi, con l’andare avanti della discussione si era talmente arrabbiata da non curarsi che c’era soltanto uno stretto corridoio a separare lei e Dean dagli altri nell’appartamento affianco.

“Più o meno. Non proprio tutto, ma il senso del discorso era abbastanza chiaro.” rispose Cedric con un certo tatto. “Devo tornare sul divano, vero?”

Juliet lo guardò, per un attimo interdetta. “Ma no, figurati. Non esiste che tu dorma lì sopra.” replicò, sventolando la mano per fargli capire di non doversi preoccupare. 

Lui però non sembrava molto convinto. “Sicura? Perché di lui non me ne frega niente, ma non voglio che approfitti della scusa per starti addosso…”

Prima che potesse andare oltre, Juliet si sporse appena, appoggiandogli una mano sul braccio con fare rassicurante. “Ced, tu continui a dormire sul materasso, su questo non sento ragioni. Il problema è un altro e finché Dean non lo capisce non posso farci niente.” sentenziò risoluta. 

Quella risposta parve bastargli, perché Cedric annuì, ringraziandola con lo sguardo. Dopodiché prese a studiare il tavolo, facendosi più serio in volto. “Juls, posso farti una domanda personale?” esordì poco dopo.

“Certo.”

“Come fai a stare ancora con lui?” le chiese diretto, lasciandola spiazzata. “Insomma… Come riesci a guardarlo ancora negli occhi dopo quello che ha fatto?” Il suo tono era confuso, quasi incredulo, come se davvero non riuscisse a darsi una spiegazione.

Le aveva appena rivolto le stesse domande che poneva a se stessa dal momento in cui aveva scoperto cos’era successo a Bran e alle quali tuttora faceva fatica a rispondere, o forse semplicemente aveva paura di farlo. “Non lo so.” ammise allora, abbassando gli occhi malinconica. “È una cosa più forte di me. Per quanto io sia delusa, arrabbiata, anzi furiosa…” Frugò dentro di sé alla ricerca di qualcosa in grado di fargli capire il suo stato d’animo e alla fine la trovò. “Anche tu sei arrabbiato con Claire, eppure non hai smesso di amarla.” 

Il paragone ebbe il giusto effetto, perché Cedric sembrò comprendere il significato di quella frase e annuì, senza aggiungere altro. Restò a fissare il vuoto per un po’, rimuginando sulle sue parole; poi lo vide spostare lo sguardo e concentrarsi su un punto alle sue spalle.

Fece per girarsi incuriosita, ma lui la fermò prima. “Non guardare. Ci sono due tizi seduti a un tavolo che ci stanno fissando. È da un po’ che l’ho notato, ma pensavo fosse un caso. Ora però ne sono sicuro.”

L’ansia la pervase e d’un tratto si ritrovò ad augurarsi che si trattasse solo di due scippatori in cerca di qualche turista da spennare. Meglio quello che…

“Vieni, andiamocene.” Prima di alzarsi, Cedric lasciò qualche moneta sul tavolo per il conto, poi la prese per mano e insieme si allontanarono verso casa.

Lungo tutto il tragitto non fecero altro che voltarsi per essere certi che quei due non li stessero seguendo, ma quando alla fine arrivarono al portone di loro non c’era traccia. Nessun altro passante lungo il vicolo sembrava avere un’aria sospetta, così Juliet concluse che forse il fatto di sentirsi osservati era da imputare alla loro costante paura di essere braccati da quel pazzoide di Nickolaij. In ogni caso si rifugiarono subito nell’appartamento e, per stare più sicuri, spostarono il grosso armadio dell’ingresso davanti alla porta. 

I primi a tornare furono Mark e Rachel, che come prevedibile chiesero loro spiegazioni una volta riusciti a entrare; così lei e Cedric furono costretti a raccontare della breve scappatella al bar e degli uomini che li fissavano, rassegnandosi di conseguenza a una sonora strigliata da parte di Rachel. 

“Era proprio necessario andare a prendervi quel cappuccino? Avevamo stabilito che saremmo usciti a turno.” li rimbeccò, più spaventata dalla possibilità che qualche vampiro li avesse notati che dal fatto di aver lasciato l’appartamento incustodito.

Juliet sospirò, consapevole di meritare i suoi rimproveri. “Lo so. Hai ragione, abbiamo sbagliato. È solo che…”

Il tonfo sordo della porta che sbatteva contro il legno dell’armadio, però, la mise a tacere e tutti trasalirono, voltandosi in direzione dell’ingresso.

“Ehi!” esordì una voce familiare dal pianerottolo.

“Dean?” fece Mark, avvicinandosi. 

“No, la signora della porta accanto. Certo che sono io!” confermò lui dall’altra parte. “Che state combinando? Perché la porta non si apre?”

Non appena ebbero provveduto a spostare il mobile e a lasciarlo entrare, gli spiegarono in breve cos’era successo e il motivo di quelle barricate, per poi riempirlo di domande sui presunti pedinatori e se per caso avesse notato qualche movimento sospetto mentre arrivava. 

“No, non ho visto nessuno.” replicò, ancora un po’ spaesato dall’insolita accoglienza. “Che aspetto avevano?” chiese poi a Juliet e Cedric.

“Che ne so, erano due tizi qualsiasi. Come faccio a descriverteli? Ho alzato gli occhi e mi è sembrato che ci fissassero, tutto qui.” rispose il ragazzo sbrigativo. 

Dean si chiese se quello che aveva scoperto in libreria non fosse in qualche modo collegato alla possibilità che qualcuno li avesse già rintracciati. In cuor suo, sperava si trattasse solo di suggestione. “Ti è sembrato o ne sei certo? C’è differenza.” 

Lui sospirò seccato. “Ne sono sicuro. Erano seduti a un paio di tavoli da noi e ci stavano guardando.” ribadì. 

“Okay, evitiamo paranoie inutili. Se anche fosse, come potevano sapere che eravate voi? Insomma, non credo che Nickolaij abbia delle nostre foto da distribuire ai suoi. Sarebbe assurdo, no?” osservò Mark, cercando come sempre di essere razionale. 

Quel ragionamento coincideva perfettamente con ciò che stava pensando, tanto che a quel punto Dean dovette per forza esternarlo. Era arrivato il momento. “Non ne ha bisogno. Ormai tutto il mondo sa chi siete.” rivelò, aspettandosi di scatenare lo sconcerto generale. Cosa che infatti avvenne.

I loro sguardi pietrificati si posarono su di lui, senza che nessuno riuscisse a chiedergli ulteriori spiegazioni, così che alla fine provvide da sé. “Guardate qui.” Da una delle tasche si sfilò il cellulare che con abile mossa aveva preso da quel tavolino al bar e glielo mostrò. 

A quella vista, Rachel strabuzzò gli occhi incredula. “E quello da dove salta fuori?” 

“Un tizio lo aveva lasciato su un tavolo al bar della libreria.” 

“Cioè lo hai rubato.” sintetizzò lei.

Dean chiuse gli occhi per un istante e sospirò, sforzandosi di essere paziente. “Tecnicamente…”

Cedric però non gli permise di continuare. “Chi se ne importa. Che c’è su quel telefono?” tagliò corto spazientito, stroncando sul nascere un altro potenziale infinito battibecco tra i due.

Per una volta lui gli fu grato, anche se non lo disse, e concentrò di nuovo l’attenzione sul punto cruciale della faccenda. “Cercate su quel coso, come si chiama… Google! Scrivete persone scomparse a Greenwood e capirete di cosa parlo.” Detto ciò, passò il cellulare a Mark che aprì subito la pagina principale del motore di ricerca. Le sue dita si mossero rapide mentre digitava le lettere sulla barra delle ricerche come indicato da Dean. Pochi secondi e davanti ai loro occhi comparve una lunga serie di titoli di quotidiani e riviste online, in gran parte americani, tutti aventi pressoché lo stesso contenuto. Il mistero dei cinque ragazzi scomparsi fu uno dei primi che lessero, ma quello che attirò più di qualunque altro la loro attenzione fu il titolo di un noto quotidiano statunitense che recitava: Giallo in Montana. Possibile correlazione tra la scomparsa dei cinque ragazzi di Greenwood e l’omicidio della coppia di anziani nella contea di Beaverhead.

“Dai, metti un video.” lo incalzò Cedric, scioccato quanto gli altri ma l’unico che riuscì a proferire parola.

Mark ne aprì uno a caso tra quelli comparsi in pagina e partì lo spezzone di un notiziario locale. Il giornalista stava riassumendo gli eventi di quella notte d’agosto alla fattoria dei Weaver, come il figlio, rientrando a casa, avesse trovato i corpi dei genitori in una pozza di sangue, fino alle ultime ipotesi azzardate dalla polizia, ma ancora tutte da verificare.

La dinamica dei fatti è ancora al vaglio degli inquirenti, ma sappiamo da fonti autorevoli che le ferite che hanno condotto alla morte i due anziani erano riconducibili all’attacco di un animale di grandi dimensioni, forse un grizzly.” stava spiegando l’inviato, alle cui spalle c’era l’abitazione di campagna dove avevano trascorso gli ultimi giorni prima di finire a Bran. “Ad avvalorare l’ipotesi ci sarebbe lo stato di devastazione in cui versava la cucina, dove erano riversi i corpi delle vittime al momento del ritrovamento. Il figlio della coppia ha infatti dichiarato agli investigatori di essersi trovato di fronte a una scena quasi apocalittica, con mobili divelti, stoviglie sparse ovunque e ammassi di detriti sul pavimento, tutti fattori che confermerebbero la teoria dell’intrusione in casa da parte di un animale selvatico. A una prima impressione non sembra dunque trattarsi di omicidio. Tuttavia, il nostro giornale ha raccolto la testimonianza di un amico di famiglia, che lavorava alle dipendenze delle vittime come mezzadro e che abita con il figlio quattordicenne poco al di fuori della proprietà incriminata, il signor Robert Martinez. Secondo il testimone, già da qualche giorno la coppia ospitava in casa un gruppo di sei ragazzi, tutti sui diciotto anni, i quali si erano presentati alla fattoria come campeggiatori bisognosi di vitto e alloggio. Grazie a un controllo incrociato e alle dichiarazioni dei testimoni presenti sul posto nei giorni precedenti la sera della tragedia, il nostro giornale ha scoperto che cinque dei sei ragazzi coinvolti sono gli stessi scomparsi più di un mese fa dalla cittadina di Greenwood, in Montana. Le loro fotografie, diffuse dai media tramite le famiglie, coincidono infatti con le descrizioni fornite da Martinez. Dei ragazzi citati, tuttavia, non è stata trovata alcuna traccia all’atto del ritrovamento dei due corpi.” 

A quel punto, l’immagine sullo schermo cambiò e il giornalista venne sostituito dal primo piano di un Bob più trasandato e nerboruto che mai, con la testa del microfono che sbucava da sotto l’inquadratura. “Sembravano così per bene. Non possono essere stati loro, è assurdo…” Le parole gli si bloccarono in gola e il mezzadro si coprì gli occhi con la mano, come a voler contenere un attacco di pianto. “Scusate. È che ancora non riesco a crederci…” 

Un altro taglio nel montaggio e la linea passò di nuovo al giornalista. “La presenza dei ragazzi in casa in quel periodo non implica naturalmente che siano coinvolti nel delitto, vista anche la tipologia di ferite e l’entità dei danni, ma resta comunque da spiegarne l’assenza al momento del ritrovamento, oltre a capire chi fosse la sesta persona con loro, di cui tuttora non conosciamo l’identità né la provenienza. Dal rapporto della polizia sappiamo solo che si trattava di un ragazzo loro coetaneo, che però a quanto pare non fa parte del gruppo scomparso da Greenwood. Questo per ora è tutto, vi terremo aggiornati sugli sviluppi della vicenda.” 

Il riquadro del video divenne nero e Mark, ormai saturo, fece per chiudere tutto, ma Juliet lo fermò prima che potesse uscire dalla pagina. “Aspetta.” gli disse, toccando al contempo il tasto play del video successivo. Di sfuggita le era sembrato di vedere un’immagine familiare e voleva esserne sicura. La scena infatti si aprì poco dopo davanti casa sua, a Greenwood. Un manipolo di giornalisti e fotografi assediava l’ingresso al cortile antistante l’entrata, cercando di rivolgere domande a due persone dall’aria spaesata che riconobbe all’istante. Erano i suoi genitori. 

Mi trovo davanti all’abitazione di Juliet Peterson, una dei cinque ragazzi scomparsi agli inizi di luglio.” spiegò una cronista accompagnata dalla telecamera. “Da diverse settimane, infatti, le famiglie non ricevevano notizie dopo che i ragazzi erano partiti tutti insieme per un campeggio. Questo fino a qualche giorno fa, quando si sono di nuovo fatti vivi con una telefonata, avvertendo di essere ospiti in una fattoria a qualche chilometro da Wisdom, nella contea di Beaverhead, e per chiedere che qualcuno venisse a prenderli, essendo sprovvisti di mezzi di trasporto. La proprietà in questione sarebbe la stessa in cui la mattina del cinque agosto sono stati rinvenuti i corpi senza vita di Stuart e Sarah Weaver, orribilmente martoriati. Nessuna traccia però dei ragazzi, i quali non si trovavano più in casa al momento della scoperta, ma di cui è stata accertata la presenza nei giorni precedenti il delitto. L’autista incaricato di recuperarli ha dichiarato di essere arrivato sul posto due giorni dopo la telefonata e, trovando gli investigatori già al lavoro, di essere stato costretto a tornare indietro per riferire l’accaduto al suo principale. Ricordiamo infatti che una delle ragazze scomparse è la nipote di Gordon Farthman, fondatore e presidente dell’omonima società di telecomunicazioni con sede a New York. Gli inquirenti sono comunque all’opera per ricostruire la dinamica dei fatti e stabilire se i ragazzi siano o meno coinvolti nella morte dei due anziani.” Detto questo, la giornalista, che nel frattempo era riuscita a superare lo steccato e a raggiungere i suoi genitori sotto al patio, avvicinò il microfono alla bocca di sua madre, dopo averli rassicurati di voler far loro soltanto un paio di domande. Per prima cosa chiese se fossero a conoscenza del caso Weaver e del presunto coinvolgimento della loro figlia e degli altri ragazzi; poi, vedendo le occhiate poco socievoli di Arnold e in seguito alle sue proteste, cambiò approccio. “Signora, non vuole dire qualcosa a sua figlia? Magari in questo momento ci sta guardando.

In lacrime per la disperazione, Martha allentò per un momento l’abbraccio del marito e si accostò al microfono. “Juliet, tesoro, torna a casa. Qualunque cosa tu abbia fatto, qualsiasi cosa sia successa, la risolveremo insieme. Troveremo una soluzione, te lo prometto. Ma ti prego, ovunque tu sia, se mi stai ascoltando, torna a casa.” Dopo aver lanciato il suo messaggio, la donna si rifugiò di nuovo tra le braccia del marito, tuffando il viso nel suo petto e coprendosi la bocca con la mano per soffocare i singhiozzi. L’obiettivo della telecamera inquadrò allora la giornalista, la quale spiegò che le ricerche dei ragazzi stavano proseguendo e che se qualcuno li avesse visti o saputo qualcosa su di loro avrebbe dovuto contattare le autorità competenti.

Juliet, però, ne aveva abbastanza e distolse lo sguardo, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Nella testa continuava a risuonarle l’appello disperato di sua madre e per la prima volta dopo mesi si rese conto di trovarsi lontana da casa da davvero troppo tempo. Avvertì il braccio di Cedric che le circondava le spalle per sostenerla e la mano di Rachel, accanto a lei, stringersi nella sua, ma al momento niente di tutto questo sarebbe bastato a confortarla. 

Dean abbassò lo sguardo. “Mi dispiace tanto.” mormorò, in tono sinceramente contrito. Era evidente che si ritenesse responsabile delle loro disavventure, anche se in fondo lo era solo in parte.

“Gli ultimi video risalgono a più di due mesi fa.” constatò Mark, scorrendo ancora con il dito. “Poi non c’è più niente sull’argomento. Che strano...” 

“Dammi il telefono.” Juliet tese la mano verso di lui perché glielo porgesse, ignorando l’osservazione. In realtà, suonava più come un ordine che come una richiesta.

Dean però si mise in mezzo. “Juls, no...”

“Devo chiamarla!” sbottò allora, quasi aggredendolo. “Non posso lasciare che mi creda un’assassina, non posso! Deve sapere che sto bene, che presto tornerò a casa, che…” Il pianto le serrò la gola, interrompendo quel fiume di parole. Il dolore e la frustrazione erano tali da impedirle di pensare lucidamente, così strappò di mano il cellulare a Mark, pronta a usarlo, ma Dean fu più veloce e glielo tolse a sua volta, tenendolo fuori dalla sua portata. 

“Adesso ascoltami. Ascoltatemi tutti.” disse, mettendo le mani avanti e cercando di non apparire perentorio. “Capisco che vogliate far sapere ai vostri cari che siete vivi e che state bene, ma proviamo a ragionare un momento. Come ha detto Mark, i video risalgono a due mesi fa, giusto? È probabile che a quest’ora Nickolaij avrà già preso il controllo della città e dei suoi abitanti. Se i vostri genitori venissero a sapere qualcosa su di voi e su ciò che vi è successo, lui potrebbe usarli per avere informazioni. Li mettereste in pericolo.” –Più di quanto non siano già. Ammesso che siano ancora vivi- pensò tra sé, pur guardandosi bene dal dirlo ad alta voce.

Rachel lo fissò sconcertata. “Ti rendi conto di cosa hai appena detto? I nostri familiari rischiano di essere torturati da quel maniaco e tu proponi di andare avanti come se niente fosse?” 

L’amica aveva espresso a parole quello che a Juliet stava passando per la testa in quel momento, ma che l’angoscia mista a sconcerto per l’atteggiamento di Dean non le permetteva di esplicitare. Ancora una volta non mancava di stupirla con il suo essere freddo e calcolatore. Non riuscendo più a stare in quella stanza, girò i tacchi e uscì sul balcone, senza dire nulla e ignorando completamente le loro espressioni spaesate. Sentiva il bisogno di evadere, soprattutto da lui. Per quanto nel profondo si rendesse conto che aveva ragione, ora non poteva fare a meno di odiarlo per averle impedito di chiamare sua madre.

“Lo so. So di chiedervi molto.” lo sentì riprendere dall’interno, rispondendo a Rachel. “Ma considerate i fatti. Ora che le nostre facce sono sui notiziari, Nickolaij ne avrà approfittato per allertare i suoi uomini. Ogni vampiro esistente è una potenziale minaccia, perché adesso conosce il nostro aspetto. Perciò la priorità è continuare su questa strada, rendendoci il più possibile invisibili.” concluse.

“Beh, magari sarà una priorità per te.” replicò Mark. “Ti faccio notare che forse siamo anche accusati di omicidio, come se non bastasse già tutto il resto.”

Da fuori Juliet li ascoltava a malapena, l’immagine dei suoi genitori disperati che non smetteva di tormentarla. Frustrata e con gli occhi colmi di lacrime, si appoggiò al parapetto, tuffando il viso tra le mani. Rimase in quella posizione per diversi secondi e quando riemerse la sua attenzione cadde subito su una figura all’angolo del vicolo, dove imboccavano di solito per tornare all’appartamento. 

Si asciugò gli occhi appannati dalle lacrime e, una volta messa a fuoco la sagoma dell’uomo, le sembrò lo stesso che lei e Cedric avevano visto seduto al bar. Per un attimo sperò di sbagliarsi, ma quando qualche metro più avanti vide anche il suo compare, appostato all’incrocio con la traversa vicina, fu certa del contrario e il sangue le si gelò nelle vene. “Sono qui!” esclamò, rientrando all’istante per paura di essere vista. 

Dentro la discussione si interruppe di colpo e tutti gli sguardi si puntarono su di lei.

“I due uomini del bar! Sono di sotto, nel vicolo!”

“Sei sicura?” le chiese Cedric allarmato, mentre lui e Dean correvano alla finestra per controllare. 

Non si sporsero troppo, restando ben nascosti e limitandosi a lanciare un’occhiata di traverso lungo la direzione della strada. 

“Li riconosci?” gli chiese Dean.

Lui annuì appena, indicandoglieli tra i passanti e confermando i suoi sospetti. Pur non conoscendoli di persona, ormai sapeva distinguere un vampiro dal modo in cui si muoveva, dai suoi atteggiamenti, fino alla scelta dell’abbigliamento, anche se in quel caso, per non dare troppo nell’occhio, avevano optato per dei vestiti piuttosto ordinari. Era una sorta di istinto naturale, qualcosa che gli veniva da dentro e gli consentiva di riconoscere un suo simile a prima vista. “Probabilmente hanno capito che siamo nelle vicinanze, ma per fortuna non sembrano averci ancora individuato. Altrimenti ce li saremmo ritrovati sulla porta da un pezzo.” dedusse, togliendosi dalla finestra. 

Cedric imprecò, prima di dare un calcio a una sedia per sfogarsi. “Che facciamo adesso?”

“Intanto manteniamo la calma. Dobbiamo lasciare questo posto, prima che capiscano in quale palazzo siamo.” 

“Già, se solo sapessimo dove andare.” ribatté lui subito dopo.

Rachel allora si sentì chiamata in causa. In tutto quel trambusto aveva completamente dimenticato che guarda caso proprio quella mattina lei e Mark avevano trovato la risposta al problema. “Klagenfurt. La villa degli Eggenberg è a Klagenfurt. Non abbiamo avuto il tempo di dirvelo.”

La notizia lasciò gli altri un po’ spiazzati, ma giusto quei pochi secondi necessari a elaborarla. 

“Bene.” approvò Dean, visibilmente più sollevato. “Quindi il prossimo passo è raggiungere la stazione e prendere un treno per l’Austria.” 

Cedric però non la vedeva altrettanto facile. “Sì, ma il problema di quei due appostati nel vicolo rimane. Dubito che si faranno da parte salutandoci con la manina.” fece notare con il suo consueto sarcasmo.

Consapevole del fatto che avesse ragione, Dean si concesse un istante per riflettere sul da farsi. Non che in realtà ci fosse molto su cui riflettere. “Sono solo in due, non sarà difficile toglierseli di torno.” sentenziò infine, mettendo le carte in tavola. Riconosceva che la sua fosse una previsione un tantino ottimistica, ma in quel momento non poteva trovare di meglio.

Rachel impiegò circa mezzo secondo a intuire il vero significato delle sue parole e gli rivolse un’occhiata eloquente, incrociando le braccia. “Ottima idea, davvero. Un’alternativa che non implichi rischiare la vita?”

Lui ricambiò lo sguardo, incontrando così anche quelli preoccupati degli altri. Gli sarebbe piaciuto di gran lunga averne una. “Non ci lasceranno mai andare via indisturbati. Devo liberarmi di loro.”

 

Venti minuti. Mezz’ora. Un’ora. Juliet controllava in modo ossessivo lo scorrere del tempo sul tabellone del binario da cui a breve sarebbe partito il loro treno, mentre insieme agli altri scrutava in direzione dell’ingresso nella speranza di veder comparire la sagoma di Dean tra la folla di persone che andavano e venivano. 

Niente. Ogni volta che aveva l’impressione di vederlo puntualmente non era lui, tanto che a un certo punto l’ansia fu tale che dovette sedersi su una panchina per cercare di calmarsi un po’. 

Alla fine, dopo aver concordato il piano di fuga, avevano raccolto le loro cose e aspettato di avere via libera. In realtà, l’idea che Dean uscisse per primo facendo da esca non aveva incontrato il suo favore, ma era l’unico modo per riuscire a raggiungere la stazione in relativa sicurezza. Grazie al gps del cellulare avevano trovato facilmente una scorciatoia tra i vicoli del centro storico, in quella mite giornata di fine ottobre brulicanti di turisti tra i quali mimetizzarsi. L’ansia di essere seguiti, però, era stata una costante lungo tutto il tragitto e, quando passarono davanti alla famosa Fontana di Trevi, per la fretta non avevano potuto nemmeno godere appieno della sua bellezza, con enorme disappunto di Rachel. Odiava essere sempre in fuga e odiava i vampiri, che continuavano a perseguitarli. 

Il suo nervosismo si percepiva a pelle perfino ora che erano giunti a destinazione. Quel posto era talmente gremito di gente che ogni individuo rappresentava una potenziale minaccia. Come se non bastasse, si ritrovavano ormai a ridosso della partenza e di Dean neanche l’ombra. 

D’un tratto, la comunicazione radio si aprì e lo speaker comunicò che il treno per Venezia, in arrivo al binario sedici, avrebbe ritardato la partenza di dieci minuti. Era il loro treno. 

“Meno male.” commentò Rachel, lo sguardo sempre rivolto all’ingresso dei binari. 

Accanto a lei, Mark la imitò, allungando il collo oltre la gran folla di gente che stava scendendo da un treno appena arrivato. “Che fine avrà fatto?” 

Dal canto suo, Juliet riusciva a darsi solo risposte negative, che non facevano che peggiorare il suo stato di angoscia perenne. Non osava proferire parola, limitandosi a restare seduta e martoriarsi le unghie.

Notando la cosa, Cedric le si sedette accanto. “Sta tranquilla, figurati se riusciamo a togliercelo di torno così facilmente. Vedrai che arriva.” le disse, cercando a modo suo di tirarla su di morale.

Lei abbozzò un sorriso tirato, senza smettere di stressarsi le mani. Stare tranquilla. Più facile a dirsi che a farsi.

Nel frattempo il treno che avrebbero dovuto prendere era entrato in stazione, avvicinandosi lentamente alla fine del binario prima di aprire le porte per far scendere i passeggeri a bordo. 

“Eccolo!”

L’improvvisa esclamazione di Rachel la fece sobbalzare e, quando alzò lo sguardo, si stava sbracciando verso una figura in lontananza, che di lì a poco infatti parve notarli. 

Juliet avvertì il battito cardiaco tornare regolare quando Dean li raggiunse sulla banchina, a una prima occhiata in buone condizioni di salute. 

“Tutto bene?” gli chiese Mark esitante, forse per paura della risposta. 

Lui però annuì, senza dare il minimo segno di turbamento. Il suo respiro era solo un po’ affannato per via della corsa e aveva un aspetto più disordinato rispetto ai suoi soliti standard, ma nel complesso sembrava stare bene. “Abbiamo i biglietti?” glissò, dando un rapido sguardo al treno in partenza quando Mark confermò di averli comprati al loro arrivo.

“Bene. Sarà meglio muoversi, allora.” 

Montarono velocemente sulla prima carrozza disponibile, senza stare a controllare che il numero fosse quello riportato sui biglietti, visto che ormai mancavano solo un paio di minuti. Mentre gli altri andavano avanti per raggiungere la carrozza giusta, Juliet ebbe un istante di esitazione e tutto a un tratto si fermò in mezzo al corridoio, per poi voltarsi verso Dean, che era subito dietro di lei.

“Che c’è?” le chiese, guardandola spaesato. “Hai dimenticato qualcosa?”

Non gli rispose nemmeno, talmente si sentiva invasa da un uragano di emozioni in tumulto. In un attimo l’istinto ebbe il sopravvento sulla ragione, così lo prese per mano, guidandolo fino al primo scomparto vuoto che riuscì a trovare. Una volta dentro lo attirò a sé e, senza dargli il tempo di capirci nulla, lo baciò.

La confusione di Dean durò al massimo mezzo secondo, perché lo sentì subito circondarle la vita e stringerla con una certa foga. Lo desideravano entrambi da così tanto che Juliet ci mise un po’ per realizzare davvero di aver fatto una sciocchezza, ma nell’istante in cui se ne rese conto interruppe di colpo il bacio e lo spinse via, ristabilendo le giuste distanze. “Scusami, io… non so cosa mi è preso.” farfugliò nel panico, senza osare guardarlo in faccia per l’imbarazzo. Abbozzando qualche altra scusa, girò i tacchi e uscì dalla cabina, lasciandolo lì dentro da solo probabilmente a chiedersi cosa le fosse passato per la testa.

Difficile che riuscisse a darsi una risposta, visto che non lo sapeva neanche lei. –Sei una stupida. Una cretina totale- si disse, continuando a maledirsi per tutto il percorso fino al loro scompartimento, dove trovò Rachel e Cedric già seduti, mentre Mark era ancora intento a sistemare la sua borsa nella cappelliera. Prese posto subito sul sedile accanto al finestrino, il più lontano possibile dalla porta a scorrimento dalla quale, pochi minuti più tardi, fece ingresso Dean. 

Dopo averle rivolto un’occhiata carica di interrogativi, prese posto sul sedile più distante da lei. “Quanto ci vorrà per arrivare?” lo sentì domandare poi a Rachel, in modo del tutto naturale, come se poco prima non fosse successo niente. 

“Almeno nove ore. Dovremmo essere lì per le undici.” 

Juliet sentì Cedric borbottare qualcosa, ma la sua attenzione era già rivolta fuori dal finestrino, dove intanto il paesaggio grigio della stazione stava scorrendo lentamente, segno che il treno aveva preso a muoversi.

Mark stava spiegando a Dean che da Roma non c’erano treni diretti per l’Austria e che quindi era necessario fare scalo a Venezia; tuttavia, Juliet aveva la sensazione che l’ultima cosa che Dean stesse facendo era ascoltarlo. Avvertiva i suoi occhi addosso dal primo momento in cui aveva messo piede nella cabina, anche se non pensò neanche per un attimo di voltarsi e ricambiarlo. La sola idea di dover passare nove ore chiusa nello stesso spazio ristretto con lui a pochi centimetri, le faceva mancare l’aria, aumentando al contempo la sua voglia di diventare parte della tappezzeria e sparire. La sua attenzione per i loro discorsi si fece più presente solo quando Rachel gli chiese spiegazioni sulla possibile sorte toccata ai loro familiari, visto che in effetti Dean poteva essere l’unico a saperne qualcosa, e rimase delusa nello scoprire che in realtà le sue conoscenze in proposito fossero piuttosto limitate. Per quanto lo riguardava, infatti, aveva sempre preferito tenersi lontano da certe faccende e comunque erano altri i compiti che Nickolaij voleva che svolgesse. 

“Sì, ma qualcosa dovrai pur saperla. Hai vissuto con lui per anni.” obiettò Mark.

Dean annuì, proseguendo poi nel dire che di norma Nickolaij era solito agire nell’ombra quando decideva di stabilirsi in un certo luogo, prendendo all’inizio il controllo delle autorità locali e in seguito assoggettare per gradi anche il resto della popolazione. Tuttavia, raramente permetteva che il suo arrivo creasse scompiglio e preferiva sempre far sì che, almeno in apparenza, tutto restasse come lo aveva trovato. A meno di non vedersi costretto a sedare qualche resistenza o respingere un attacco dei cacciatori, lasciava che la vita della comunità proseguisse come se niente fosse accaduto.

“E allora perché lo fa?” chiese giustamente Cedric. “Cosa vuole dalla gente?”

“L’unica cosa che la gente può dargli: sangue.” rispose lui semplicemente; poi, alla vista delle loro espressioni spaventate, capì che forse era il caso di andarci più piano. “Comunque, da quello che so non è solito usare violenza per prenderselo, visto che così facendo attirerebbe troppo l’attenzione.” si affrettò a rassicurarli.

Era evidente però che niente di ciò che avrebbe detto sarebbe servito a farli sentire più tranquilli e lui per primo ne era consapevole. “Sentite.” si arrese a quel punto con un sospiro. “Posso solo immaginare cosa state provando e vorrei dirvi di più, ma come ho già detto non mi sono mai interessato alla questione, perché non era compito mio occuparmene. Sì, mi rendo conto che questo non mi fa onore, ma all’epoca ero una persona diversa.” aggiunse all’ultimo momento, di fronte alle loro espressioni attonite. 

“Mi spieghi perché queste cose non le hai raccontate a Jamaal quando siamo arrivati al villaggio la prima volta?” domandò Mark. “Avrebbe potuto fare qualcosa, mandare degli uomini…”

“La situazione era già abbastanza complicata, con Cedric prigioniero a Bran e nemmeno la certezza che ci avrebbero aiutato a salvare lui. Figuriamoci chiedere di liberare un’intera città. E poi non mi sembra che i primi tempi godessi di tutto questo credito presso Jamaal e i suoi.” replicò Dean piccato. 

Né Mark né gli altri trovarono argomenti da opporgli.

“C’è solo da sperare che dopo la nostra partenza sia andato tutto liscio e che le vostre famiglie stiano bene.” concluse.

Cedric lo squadrò, alzando un sopracciglio con aria preoccupata. “Che intendi per tutto liscio?”

“Beh…” Dean esitò un istante, in cerca delle parole giuste. “Come ho già detto, se nessuno si è ribellato o ha tentato la fuga è probabile che non ci sia niente da temere. Nickolaij non ama gli sprechi.” 

Per una volta Juliet ne apprezzò l’estrema franchezza, nonostante l’angoscia di non sapere cosa fosse successo ai suoi genitori e a suo fratello la logorasse dall’interno ogni volta che il pensiero le attraversava la mente. Se non altro, aveva tentato di rincuorarli benché non ne sapesse molto più di loro. Lei come gli altri poteva solo andare avanti. Continuando a sperare, come aveva detto Dean. Anche se una parte molto prepotente di sé non riusciva a non pensare di prendere quel dannato cellulare e chiamare la sua famiglia. 

Tutta quell’incertezza stava davvero mettendo a dura prova i suoi nervi, facendole venire splendide idee come quella di baciare Dean, tanto per dirne una. Si vergognava a tal punto da non riuscire a staccare gli occhi dal paesaggio che scorreva dal finestrino, nel timore di incontrare anche solo per sbaglio il suo sguardo, e alla fine si era talmente stancata di stare nella stessa posizione che sentiva i muscoli del collo tutti indolenziti. Così approfittò del fatto che la sua vescica le stesse mandando degli stimoli già da un po’ per sgranchirsi le gambe. Nulla di urgente, ma ogni scusa era buona pur di non dover trascorrere lì dentro un minuto di più. 

Dopo aver abbozzato la scusa del bagno, uscì e si diresse verso l’altra carrozza, dove prima passando aveva intravisto il simbolo della toilette su una porta. Purtroppo, il suo sogno di libertà ebbe vita breve, perché arrivò a malapena in fondo al corridoio che sentì la voce di Dean chiamarla. C’era da aspettarselo. Stupida lei a illudersi che si sarebbe rassegnato senza prima averci visto chiaro. In ogni caso era decisa a non incoraggiarlo e tirò dritto per la sua strada, facendo finta di non sentire. D’un tratto, uno scossone più forte degli altri fece tremare la carrozza e sarebbe finita a terra se Dean non le fosse stato subito accanto per sorreggerla.

Ostinandosi a non guardarlo, mormorò qualcosa di simile a un grazie e fece per proseguire, ma lui glielo impedì trattenendola per un braccio. “Aspetta. Ehi...” 

“Lasciami, per favore.” protestò, tentando di scivolare via dalla sua presa.

Forse temendo di farle male, Dean la mollò all’istante. “Scusa, non volevo essere brusco. Ma dobbiamo parlare.”

Juliet sospirò scocciata. “Non ora. Devo andare in bagno.” 

“Eh no, adesso basta tirare la corda. Io ho bisogno di sapere.” 

“E cos’è che vorresti sapere?” chiese retorica, incrociando le braccia e guardandolo finalmente negli occhi. In realtà lo sapeva benissimo, ma continuava a tergiversare nella speranza di sfangarla. 

Dean allora la fissò sconcertato, come se fosse impazzita all’improvviso. “Cosa diavolo era quello? Quel… bacio. Cosa significava?”

A quel punto Juliet sospirò di nuovo, consapevole che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento. Aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, ma non c’era scampo. Tanto valeva farlo subito. La realtà era che, dopo aver visto quel video di sua madre in lacrime, il terrore che venisse fatto del male alle persone che amava era aumentato a dismisura. Non sarebbe riuscita a sopportare di perdere anche lui, perciò, presa dall’entusiasmo del momento, aveva commesso un errore a cui ora doveva porre rimedio. “Non significava niente.” mentì. “Io… ho avuto paura non vedendoti arrivare e… Senti, non potremmo fare finta che non sia mai successo?” Tuttavia, si rese conto dell’impossibilità di quella pretesa appena un secondo dopo averla espressa e si diede della cretina per averci anche solo pensato.

Come prevedibile, infatti, Dean non ne fu affatto entusiasta. “Come puoi chiedermi una cosa simile? Sbaglio o sei stata proprio tu a dire non puoi fare qualcosa e pretendere che la gente ci passi sopra come se niente fosse?” replicò, citando a memoria le sue stesse parole. “Il concetto valeva solo per me, a quanto pare.”

Juliet imprecò dentro di sé. Ricordava bene di averglielo detto la sera della loro ultima discussione, ma allora non avrebbe mai immaginato che la cosa le si potesse ritorcere contro. In che razza di pasticcio era stata capace di cacciarsi! Se solo avesse tenuto a freno gli ormoni…

Vedendola titubante, Dean parve rendersi conto di averla messa in difficoltà e rilassò le spalle, prendendo a guardarla con aria più fiaccata che accusatoria. “Ascolta, non ti sono venuto dietro per litigare di nuovo, dico sul serio, ma questa situazione di stallo mi sta facendo impazzire. Un giorno mi odi, quello dopo mi baci e poi sostieni che non ha significato niente. Non posso andare avanti così, lo capisci?”

Lei abbassò lo sguardo, non più in grado di reggere il suo. “Cosa vuoi che ti dica?” 

“Non lo so. Dimmi che è finita, che di me non vuoi saperne più niente. Qualunque cosa, purché serva a uscire da questa impasse.” 

Il tono con cui lo disse non conteneva la minima traccia di rabbia o risentimento. Era solo sincero e in fondo Juliet sapeva di dovergli una risposta. Non poteva continuare a tenerlo sulle spine, così alla fine si decise. “Dean…” esitò, in cerca delle parole giuste. Voleva essere il più possibile esaustiva. “Io non me la sento di chiudere. Nonostante tutto, i miei sentimenti per te non sono cambiati. Ma non posso passare sopra a quello che hai fatto così, da un giorno all’altro, soltanto in nome di ciò che provo. Non ce la faccio. Claire è come una sorella per me e averla persa in quel modo è stato…” Arrivata a quel punto si bloccò, incapace di trovare le parole per descrivere il suo stato d’animo. 

Ciononostante lui non intervenne, lasciandole il tempo di riordinare le idee.

“Il problema è che con te è sempre una questione di priorità e pur di rispettarle non tieni mai conto dei sentimenti delle persone.” riprese, sforzandosi di avere coraggio. “Cosa avresti fatto se al posto di Claire ci fossi stata io? Se Nickolaij avesse voluto me. Ci hai pensato in quella foresta? Perché riflettendo in questi giorni ho capito che in realtà non ti conosco veramente. Forse credevo di conoscerti, ma non è così. E in effetti quanto tempo abbiamo trascorso insieme? Quando mi sono resa conto di amarti tu facevi il doppio gioco, poi un’altra persona ha preso possesso del mio corpo per settimane e al risveglio ti trovo lì e penso: finalmente tra noi può iniziare qualcosa. Quanto accaduto a Bran però mi ha aperto gli occhi e adesso quella certezza sembra svanita di nuovo.”

Ormai era un fiume in piena. Tutti i pensieri e le emozioni degli ultimi giorni si erano riversate fuori senza che avesse modo di controllarle, tanto da dimenticare quasi di dover riprendere fiato. Per fortuna, di lì a poco provvide lui a interrompere quella valanga di parole.

“Quindi è questo.” constatò, tirando le somme dopo essere rimasto ad ascoltarla. “Hai dei dubbi su di me. Pensi che io non sia la persona che credevi.”

Juliet si calmò. “Non vorrei averne, davvero, ma è inevitabile.” disse in tono più posato.

“E non c’è niente che possa fare per riavere la tua fiducia?”

Quella domanda la lasciò spiazzata, perché si rese conto di non conoscere la risposta. In sintesi le stava chiedendo se esistesse o meno la speranza di riuscire a ottenere il suo perdono, un giorno. Tuttavia, al momento non se la sentiva di illuderlo con false promesse, quando lei per prima doveva ancora mettere pace tra la parte di sé che non riusciva a stargli lontana e quella che detestava il suo cinismo. Stavolta si trovava davvero di fronte a un bivio. “Non lo so.” si arrese infine con un sospiro. “Adesso non te lo so dire. Devi darmi più tempo per capire se sono in grado di superare tutto questo e tornare a guardarti come facevo prima.” concluse. Per quanto la riguardava, il discorso poteva finire lì. Non c’era nient’altro che potesse dirgli e sperò che anche per lui fosse sufficiente.

L’insoddisfazione sul volto di Dean era lampante. Che fosse deluso glielo si leggeva in faccia, come il fatto che probabilmente si era aspettato una risposta più definita, che gli facesse capire cosa aspettarsi dal loro rapporto. In ogni caso non provò a insistere, anzi annuì, rassegnandosi a restare in sospeso ancora per un po’. 

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Capitolo 10
*** Invito a cena ***


Capitolo 6
 
Invito a cena
 
 


Vedi Claire, non sarei voluto arrivare a tanto, ma non mi hai dato scelta… Mai avrei permesso che ti lasciassi morire.
 
Claire si svegliò di soprassalto. Il cuore le batteva forte nel petto e aveva la fronte imperlata di sudore. Ogni volta che chiudeva gli occhi riviveva quello che era successo nella cella e ogni volta si svegliava con la voce di quel mostro che le rimbombava in testa. Sbatté le palpebre, impiegando meno di un secondo a mettere a fuoco l’ambiente che la circondava. Ormai era qualche giorno che si trovava in quella camera da letto. Nickolaij aveva mandato i suoi scagnozzi a prelevarla dalla cella per portarla lì e lei, privata di ogni forza di volontà, non si era minimamente opposta. Non provava più alcun interesse per i suoi folli piani, poteva farle quello che voleva e comunque niente l’avrebbe fatta stare peggio di quanto già non si sentisse.
Il letto su cui era sdraiata scricchiolava a ogni suo movimento, così si alzò per sgranchirsi gambe e schiena. Nonostante la infastidisse ammetterlo, essere un vampiro non era poi così male. A parte il doversi nutrire di sangue umano, ovviamente. Da quando l’avevano costretta a completare la trasformazione il suo corpo si era ripreso completamente e ogni giorno avvertiva una nuova energia pervaderla da capo a piedi. C’era stato un momento in cui aveva pensato di testare la sua forza e spaccare qualche mobile, ma poi si era trattenuta. Se Nickolaij aveva deciso che quella doveva essere la sua nuova prigione, sarebbe stato meglio mantenere intatti i pochi mobili che c’erano dentro. Era rimasta sorpresa quando l’avevano portata lì. Certo, i muri, il mobilio e la tappezzeria dovevano aver passato tempi migliori, ma nel complesso rimaneva una stanza lussuosa per una prigioniera. Solo in un secondo momento aveva avvertito l’aria familiare che le dava quel posto e, dopo aver notato l’antica toletta per signore nell’angolo, era arrivata alla conclusione che quel malato di mente doveva averla fatta rinchiudere nella vecchia stanza di Elizabeth.
L’unico lato positivo in tutta quella storia era che, almeno da quella fatidica notte, non si era fatto più vedere.
E meno male! – pensò. Tuttavia, sapeva che trasferirla in quella stanza poteva significare solo che c’era da aspettarsi qualcos’altro da parte sua. I due energumeni fuori dalla sua porta, pronti a placcarla in caso di fuga, ne erano la conferma. La teneva d’occhio e per quanto lei desiderasse scappare il più lontano possibile, era scontato che non glielo avrebbe permesso.
Così, rassegnatasi a passare la vita come la principessa Raperonzolo, aveva approfittato di quei momenti di solitudine per capire quali altri cambiamenti la sua nuova condizione avesse portato. Vista e udito erano aumentati notevolmente. Riusciva a sentire i discorsi in romeno dei vampiri fuori la porta, anche se non capiva una parola, e vedeva nitidamente i granelli di polvere che fluttuavano tra i raggi di sole ogni volta che si sedeva sul letto. Si era accorta subito di quanto i suoi occhi fossero diventati sensibili alla luce. Il minimo raggio era accecante, per questo si accertava sempre che le tende fossero tutte ben tirate, anche se il tessuto, ormai datato, non era del tutto integro e ogni tanto qualche spiraglio riusciva a trapelare. Immaginava si trattasse di un effetto collaterale momentaneo, una cosa da “novizi”, soprattutto se ripensava a come Dean sopportasse alla grande perfino il sole del deserto. I colori, gli odori, tutto era più forte, distinto come non l’aveva mai percepito.
L’altro lato della medaglia, quello più difficile da controllare, erano le sue emozioni. Era sufficiente un pensiero sbagliato e il suo umore si stravolgeva di colpo, passando dalla calma alla rabbia, allo sconforto più totale in meno di un minuto. Era esasperante. In più, l’idea di Jason ancora rinchiuso nelle segrete non faceva che alimentare la sua inquietudine. Ricordava bene lo stato pietoso in cui versava l’ultima volta che lo aveva intravisto dal pavimento di quel buco freddo e umido. Aveva tentato di parlargli, di sapere come stava, ma non le aveva più risposto.
Ripensare a lui la mise di nuovo in uno stato di angoscia che faticava a sostenere e l’improvviso bussare alla porta non la aiutò certo a tranquillizzarsi. Con fare guardingo si spostò nell’anticamera immersa nella penombra, ma prima che avesse il tempo di domandare chi fosse, uno dei galoppini di Nickolaij era già entrato nella stanza, portando una grossa scatola tra le braccia.
“Buon pomeriggio.” la salutò distrattamente, mentre faceva spazio sulla scrivania.
Claire ci mise un paio di secondi, ma poi lo riconobbe. Era lo stesso vampiro che aveva ignorato le sue suppliche, costringendola a mandare giù il sangue. Un certo risentimento cominciò a ribollirle nello stomaco non appena i loro sguardi si incrociarono.
“Prego.” le disse, allungandole una lettera.
Lei la prese titubante, guardandolo confusa. “Che significa?”
Lo sguardo di sufficienza che le rivolse le fece intendere che avrebbe preferito essere dappertutto tranne che lì. Sospirò appena, prima di risponderle. “Dovresti leggerla e poi, se è il caso, fare domande.”
Il primo istinto di Claire fu quello di fare quella lettera in mille pezzettini e lanciarli come coriandoli su quella sua stupida faccia da topo, poi però si impose di calmarsi e vedere cosa voleva Nickolaij questa volta. Perché era evidente che fosse lui il mandante di quel damerino.
 
Mia Carissima Claire,
 
-Cominciamo bene… – pensò, alzando gli occhi al cielo. Quell’incipit non preannunciava niente di buono. Ricordò come nella sua ultima lettera Nickolaij avesse iniziato allo stesso modo, salvo poi minacciarla nel finale di uccidere Cedric se non si fosse consegnata. Represse un brivido e proseguì a leggere.
 
Spero che in questi giorni tu abbia avuto modo di ristabilirti del tutto.
Mi è dispiaciuto moltissimo non essere potuto venire a farti visita, ma gravosi impegni mi hanno tenuto occupato tutta la settimana.

 

Claire alzò un sopracciglio scettica mentre leggeva. –Certo, immagino che sbudellare poveri innocenti richieda il suo tempo…-
 
Per rimediare a questa mia mancanza, gradirei molto che ti unissi a me questa sera a cena.
Con la speranza di vederti presto,
tuo,
N
 
P.S. Mi sono permesso di offrirti un piccolo dono, che Dustin porterà insieme alla lettera. Saprò che lo avrai apprezzato se ti vedrò indossarlo stasera.

 

Di tutte le cose orrende che poteva aspettarsi da quella lettera, un appuntamento era l’ultima della lista. La sua espressione doveva essere abbastanza eloquente, perché spinse Dustin a sghignazzare.
“È uno scherzo?” gli domandò, più incredula che mai.
“Malauguratamente no. Per qualche oscuro motivo Sua grazia tiene molto a te, ormai dovresti averlo capito, e non è il tipo di persona che ama scherzare. Anche questo dovresti averlo capito.” aggiunse con sottile ironia.
Parlava con un accento inglese molto forte, Claire pensò dovesse essere gallese o irlandese, visti anche i suoi lineamenti e il colore chiaro degli occhi.
“Dovresti ritenerti fortunata di ricevere tante attenzioni.” Il tono della sua voce era freddo, distaccato, come se non gli interessasse ciò che stava facendo.
Claire scosse la testa, portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio -Proprio fortunata- pensò cinica. “Se ci teneva così tanto, poteva chiedermelo di persona, invece di mandare il suo galoppino.” Non che le importasse davvero di essere invitata a cena personalmente da Nickolaij, aveva solo voglia di stuzzicare faccia da topo.
Alla sua frecciatina, Dustin infatti si accigliò. “Segretario personale, prego.” precisò con una punta di risentimento nella voce. “E comunque Sua grazia è impegnato in questioni che vanno al di là della tua comprensione, perciò ha mandato me a riferire il suo messaggio e a consegnare il suo dono.”
Ancora presa dal tentativo di dare un senso all’assurdità di quella richiesta, Claire aveva quasi dimenticato la scatola azzurra poggiata sulla scrivania. Senza starci a pensare troppo l’aprì, immaginando già cosa potesse contenere. E infatti si trattava di un vestito. Di ottima fattura per giunta. Il tessuto color blu marino, cangiante a seconda della luce, era morbido e allo stesso tempo leggero al tatto. Ne rimase incantata; tuttavia, l’idea di doverlo indossare per far piacere a quel mostro rese il fascino che emanava del tutto privo di interesse. “Grazie del pensiero, ma credo proprio che rifiuterò.” disse categorica. Non ci teneva per niente a passare un’intera serata in compagnia di Sua grazia.
Un ghigno malevolo si allargò sul viso di Dustin. “Sì, immaginavo che lo avresti fatto.” replicò in tono pacato. “Ma, vedi, non sei nella posizione di poter rifiutare. Hai già dimenticato com’è andata a finire l’ultima volta? Se Sua grazia vuole qualcosa la ottiene, a qualsiasi costo e con ogni mezzo necessario.” Sottolineò l’ultima frase con un velo di minaccia.
Il ricordo di lui e i suoi compari che entravano nella cella e la bloccavano contro il muro per costringerla a bere sangue ritornò come un flash nella mente di Claire e un brivido freddo le corse lungo la schiena. In effetti, avrebbe preferito evitare di rivivere l’esperienza.
“Dunque hai due opzioni.” riprese il vampiro. “Puoi indossare il vestito, farti bella e venire a cena con le tue gambe, oppure…” Dicendo questo, guardò la porta con aria eloquente e Claire intuì il resto della frase. Quindi poteva andare da sola o trascinata a forza dai due energumeni lì fuori. Ottimo.
“A te la scelta.”
Purtroppo la risposta era una sola, così annuì, prendendo di malavoglia il vestito dalla scatola. “Dì a Sua grazia che sarò lieta di cenare in sua compagnia.”
 

Accompagnata, per così dire, dai due soliti tirapiedi, Claire fece il suo ingresso nel grande salone dove probabilmente un tempo si organizzavano feste e lauti banchetti, ma che ora era solo un imponente stanzone piuttosto spoglio. La voglia di partecipare a quella stupida cena era pari a zero, e ancor meno se la sentiva di vedere Nickolaij che, nonostante la sua nuova natura, le incuteva ancora un certo timore. Non aveva idea di cosa aspettarsi da quell’incontro e, quando lei e i suoi bodyguard si fermarono sulla soglia in attesa di ordini, pregò che alla fine le dicessero che la cena era annullata e che poteva tornarsene da dove era venuta. Ovviamente speranza vana.

La stanza era illuminata da vari candelabri appesi alle pareti e da altrettanti sul lungo tavolo da pranzo, alternati a centrotavola di fiori. Nickolaij era già seduto all’estremità più lontana e in piedi accanto a lui uno dei tirapiedi che spesso lo accompagnava, ma di cui non ricordava il nome. Impegnati in una fitta conversazione, la notò solo quando, sollevato casualmente lo sguardo, la vide a pochi metri da loro. A quel punto si ammutolì di colpo.
Accortosi anche lui del suo arrivo, Nickolaij si alzò dalla sedia in un gesto di galanteria d’altri tempi. “Ah. Mia cara, sei qui.” constatò compiaciuto, dando idea di non aver notato la strana reazione del suo vicino. Infatti, subito dopo aver congedato i due vampiri con un breve cenno della mano, si rivolse al suo interlocutore. “Correggimi se sbaglio Byron, ma non mi sembra di ricordare che voi due siate stati presentati.” Dritto come un fuso per la tensione, il vampiro riservò una rapida occhiata a Nickolaij per dimostrare che lo stava ascoltando. Un gesto dovuto, ma anche un modo per evitare di rivolgerla a lei. “Non sbagliate.” si limitò a dire, restando impassibile.
Claire, però, avrebbe potuto giurare di aver colto il movimento delle sue dita che si stringevano attorno al grosso libro che teneva tra le braccia. Nickolaij, invece, non ci fece caso, forse perché nel frattempo era già tornato su di lei. “Bene, allora quale occasione migliore per presentarti al mio più vecchio e fidato consigliere.” Detto ciò, passò in rassegna il volto di entrambi, come invitandoli a scambiarsi convenevoli di cui nessuno sentiva il bisogno.
Del perché avesse pensato che conoscere l’ennesimo spregevole individuo potesse interessarle Claire non aveva idea, ma fece comunque buon viso a cattivo gioco per togliersi dall’impaccio. Sperava solo che quella pantomima finisse prima possibile.
Dal canto suo, Byron fece davvero uno sforzo enorme per ricambiare quel mezzo sorriso e non riuscì nemmeno a nasconderlo, ammesso che lo volesse. Durò appena il tempo di chiedere il permesso di congedarsi e, una volta ottenuto, lasciò la sala, premurandosi sempre di non guardarla in faccia e non accorgendosi quindi dell’occhiata di disprezzo che Claire gli lanciò mentre lo guardava andare via. Tempo prima, in uno dei suoi sprazzi di lucidità Cordelia le aveva raccontato che era stato proprio suo cugino Byron a ucciderla e questo bastava già a farglielo detestare profondamente.
“Sei incantevole.” le disse Nickolaij, distogliendola da quei ragionamenti. La osservava intensamente, ma senza apparire morboso. Sembrava solo contento di vederla; poi con un gesto la invitò a raggiungerlo. “Prego.”
Mentre l'accompagnava a sedersi, Claire osservò meglio la tavola. C’era ogni bendidio: pesce, carne, verdure, per non parlare della frutta di ogni colore e forma. Nickolaij doveva essersi accorto della meraviglia nel suo sguardo e le sorrise, spostando la sedia per permetterle di sedersi. “Non ero sicuro di quali fossero i tuoi gusti, così ho fatto preparare di tutto. Volevo assicurarmi che ti sentissi a tuo agio.”
Claire annuì con un sorriso appena abbozzato, senza sapere cosa dire, poi i suoi occhi indugiarono sui fiori nel vaso proprio di fronte a lei. Rose rosse. –Ma tu guarda – pensò tra sé. Proprio il fiore che detestava e che guarda caso, per quanto ne sapeva, era anche il preferito di Elizabeth.
“Vedo che hai gradito il mio regalo, non immagini quanto questo mi renda felice.” continuò lui, sfilando da un secchiello per il ghiaccio una bottiglia e iniziando ad aprirla. “Ti dona moltissimo.”
Dal tono di voce sembrava sincero, ma non si sarebbe lasciata abbindolare così facilmente. Aveva indossato quello stupido vestito solo perché sperava che facendo la brava e assecondando le sue follie sarebbe riuscita a guadagnarci qualcosa. Quando si era vista allo specchio, però, aveva dovuto ammettere che le stava davvero bene. Almeno Nickolaij aveva gusto.
Con gesto esperto, il vampiro stappò la bottiglia e al movimento il rubino al suo mignolo scintillò, rosso come il vino che stava versando nei loro bicchieri. Dopodiché tornò a sedersi. “Non badare all’atteggiamento scostante di Byron.” esordì a quel punto, tornando su un argomento che Claire si aspettava avesse già accantonato. “Trovarsi di fronte alla copia esatta di sua cugina dopo tutto questo tempo lo rende nervoso.” -Allora siamo in due- pensò lei. “Da diversi mesi ormai ci interroghiamo sull’origine di questo fenomeno a dir poco singolare, senza riuscire a venirne a capo. Abbiamo persino pensato possa trattarsi di reincarnazione, ma Byron nutre dei dubbi in proposito. Certe teorie ascetiche non lo hanno mai attratto.” Il senso di quel discorso la riportò indietro a diverse settimane prima, quando Elizabeth le era comparsa in sogno per metterla in guardia sulle intenzioni di Nickolaij. Anche con Dean e gli altri avevano pensato a una reincarnazione, ma Laurenne aveva escluso quell’ipotesi ed erano tornati al punto di partenza. “Io vivo dentro di te, Claire. Parte della mia anima era assopita all’interno del tuo corpo”. Quella frase risuonava tuttora ben viva nella sua mente ed era tutto ciò di cui disponeva. Ad ogni modo, non aveva certo intenzione di parlargliene. Non sapendo cosa dire, si chiuse in un silenzio imbarazzante, che colse l’occasione di spezzare quando le cadde l’occhio sulla tavola imbandita. “Allora…” Si schiarì la gola. “Credevo che i vampiri si sfamassero solo con il sangue.” Non capiva il senso di quella messinscena se poi nessuno dei due aveva l’appetito necessario per godere di tutto quel cibo.
Nickolaij si lasciò sfuggire un sorriso appena accennato, prima di risponderle. “Devi imparare ancora molto sul tuo nuovo stato. Ebbene, noi vampiri amiamo degustare il cibo degli umani anche se questo non ci sazia. Ma è nel gusto che è racchiusa la vera essenza di un pasto.” disse, penetrandola con lo sguardo.
Malgrado gli sforzi, Claire non riusciva a non essere affascinata da quell’uomo. C’era qualcosa nel suo modo di parlare, di muoversi, che la stregava, mentre i suoi occhi sembravano scrutarle l’anima. Cercando di riprendersi, annuì e concentrò la sua attenzione sul bicchiere di vino davanti a sé. Stava per portarlo alle labbra, quando un dubbio le sorse spontaneo. “Immagino che questo non sia vino.” osservò, rivolgendogli uno sguardo eloquente.
Lui sogghignò ancora. “A dir la verità è uno Chateau Margaux del ’44. Chiamarlo vino sarebbe riduttivo.”
Dalle sue parole e dal nome altisonante, Claire pensò che dovesse trattarsi di un vino molto costoso. Non che le interessasse particolarmente. Se in quel modo pensava di colpirla, si sbagliava di grosso. Così alzò il bicchiere a mo’ di brindisi e lo avvicinò alle labbra. Sentì in effetti che aveva un profumo dolciastro, del tutto differente dal sangue, e un gusto che le ricordava i biscotti alle mandorle di sua nonna. Era davvero buonissimo e stava per berne ancora, ma una vocina nella sua testa, che somigliava moltissimo a quella di Rachel, le disse che sarebbe stato meglio non esagerare. Doveva rimanere lucida.
Nickolaij la vide esitare e la rassicurò dicendole che, così come il cibo, nemmeno l’alcool aveva effetto sui vampiri, quindi poteva bere tutto il vino che voleva.
Chiedendosi come avesse fatto a intuire esattamente cosa le passasse per la testa, Claire ne approfittò e prese un altro sorso, poi poggiò il bicchiere e tornò a rivolgersi al suo ospite. “Oltre a voler soddisfare le mie papille gustative, posso chiederti perché hai organizzato tutto questo?”
Il vampiro la guardò con un’espressione totalmente rapita. “Non passa attimo in cui la vostra somiglianza non riesca a stupirmi. Più ti conosco e più rivedo in te la mia Elizabeth.”
Lei non riuscì a trattenersi e sbuffò sprezzante. “La tua Elizabeth? Non mi sembra tenessi molto a lei, visto quello che le hai fatto.”
Improvvisamente l’atmosfera si raggelò. Le sue parole dovevano aver turbato molto il Signore dei vampiri, perché tutta la cordialità mostrata fino a quel momento era completamente svanita. Claire allora ebbe il timore di essere stata troppo diretta, ma quando lo aveva sentito parlare di Elizabeth come se tra loro non fosse mai successo niente aveva sentito montare la rabbia e uscirsene con quel commento era stato inevitabile. Che ne fosse rimasto basito era evidente e solo in un secondo momento si rese conto che, in effetti, lui non aveva idea di come facesse a saperlo. “Lei… A volte mi manda dei sogni.” spiegò, anche se forse sarebbe stato più corretto parlare al passato, considerando che non ne faceva più da un po’. Da quando era rinchiusa lì, in effetti, e la spiegazione che si era data coincideva con il racconto di Mary a proposito del fantasma uscito dal suo corpo. “Erano come visioni del passato, in cui mi mostrava alcuni momenti della sua vita. Ogni volta era come rivivere i suoi ricordi. Potevo vedere lei, le sue sorelle e anche te attraverso i suoi occhi. Ho anche assistito alla sua morte per mano tua.”
Per diversi istanti Nickolaij rimase in silenzio, rimuginando su quanto gli aveva detto, lo sguardo duro e la mascella contratta. “Erano altri tempi. Da allora sono cambiate molte cose.” disse infine, liquidando il discorso e, almeno in apparenza, tornando a rilassarsi. “Non voglio discutere di questo con te. Non ora almeno. Godiamoci la cena piuttosto, o i piatti si raffredderanno.” Detto questo, si allungò per servirsi alcune fette di arrosto.
Claire lo imitò, prendendo un trancio di pesce guarnito con una salsa rossastra e contorno di patate.
Mangiarono in silenzio per un po’ e lei non si azzardò a dire nulla. Non voleva raffreddare di nuovo l’atmosfera e si impose d’ora in poi di tenere a freno la lingua se voleva ottenere qualcosa, ma la sua curiosità era troppo forte; così, dopo aver mandato giù ancora un po’ del vino francese, alzò di nuovo lo sguardo su di lui. “Non mi hai ancora detto perché sono qui. Pensavo che dopo quello che è successo sul ponte, volessi lasciarmi marcire in quella cella…”
“Saresti morta.” la interruppe brusco.
Claire però non si lasciò intimorire. Ormai era in ballo e doveva ballare. “A che scopo tenermi in vita?” continuò imperterrita. “Che ti importa di me ora che non sono più utile ai tuoi piani?”
Nickolaij bevve un sorso di vino. “Odio gli sprechi. Potresti essere un valido elemento.” rispose poi semplicemente.
“Quindi lo stesso vale per Jason?” Claire colse la palla al balzo. Sapere cosa fosse successo all’amico era solo una parte del suo piano, ma aveva comunque molta importanza per lei.
Nickolaij si interruppe, lasciando il bicchiere di vino a mezz’aria e le lanciò un’occhiata interrogativa. Ovviamente il signore di tutti i vampiri non aveva idea di chi fosse Jason, che probabilmente era l’ultimo arrivato, rifletté Claire. Così sospirò paziente, cercando di tenere a bada i nervi. “Il ragazzo nella cella accanto alla mia, nei sotterranei.” chiarì.
A quel punto lui sembrò ricordare. “Ma certo, il ragazzo.” disse annuendo, anche se Claire dubitava che sapesse realmente di chi stavano parlando. “Per quale motivo ti interessa?” le domandò.
“È un mio amico, frequentavamo la stessa scuola a Greenwood. Non so perché sia finito qui, ma per favore lascialo libero. Lui non è una minaccia per te, non farebbe mai niente di male.” Detestava l’idea di doverlo implorare, ma al momento non c’erano alternative. Per quel poco che lo conosceva, era riuscita a capire che a un individuo del genere piaceva avere sempre il coltello dalla parte del manico e l’unico modo di ottenere qualcosa era mettersi in ginocchio e sperare che acconsentisse. Anche se piuttosto avrebbe preferito cavarsi gli occhi. – Pensa a Jason. Lo fai per lui - si rammentò per calmare i suoi istinti.
Nickolaij sembrò preoccuparsi davvero solo quando la vide sull’orlo delle lacrime. “Mia cara, tranquillizzati. Sono certo che il tuo amico sta bene.”
Claire rimase interdetta. Non le sembrava che stesse così bene l’ultima volta che l’aveva visto.
Dalla sua espressione lui intuì quello che stava pensando. “Ho idea di non essere riuscito a rassicurarti, mi sbaglio?”
“In effetti no.”
Con un cenno della mano, Nickolaij richiamò Dustin a sé e Claire scoprì con sorpresa che era sempre rimasto all’entrata della sala, pronto a scattare a ogni necessità del suo padrone. Una volta arrivato, gli ordinò di andare a cercare Jason e portarlo da loro e, dopo neanche una manciata di minuti, lui era già di ritorno con il ragazzo al seguito.
Claire stentò a credere di vederlo lì. Si alzò e corse ad abbracciarlo. “Come ti senti? Ero così preoccupata…”
Dall’altra parte, però, Jason non ricambiò l’abbraccio e, quando alzò il viso su di lui, incontrò uno sguardo completamente distaccato. “Sto bene, Claire.” disse glaciale.
Lei rimase spaesata da tanta freddezza. Cosa gli avevano fatto?
“Sei più serena ora?” le chiese Nickolaij, per poi congedare Jason subito dopo.
Con sorpresa di Claire, il ragazzo si prostrò obbediente davanti a lui, come se lo adorasse. “Mio Signore.” lo riverì, prima di lasciare la sala insieme a Dustin.
“Visto? Dopotutto non sono così malvagio come credi.” continuò Nickolaij, prendendo un altro sorso di vino.
“Quello non è lo stesso ragazzo che conoscevo. Cosa gli è successo?” replicò lei, ancora in piedi, i pugni stretti che tremavano di rabbia e lo sguardo carico di disprezzo.
Nickolaij la osservò incuriosito. “Il caro Jason ha semplicemente accettato la sua nuova natura e riposto la sua fiducia in me. Spero che con il tempo ci riuscirai anche tu.”
“Quindi invitarmi a cena e cambiarmi di cella sono state solo delle cortesie con cui speri di portarmi dalla tua parte?” domandò schietta.
“La tua nuova stanza non è di tuo gradimento?” glissò lui, prendendola in contropiede.
“Cos… No, va bene.” balbettò imbarazzata. “Una prigione rimane una prigione, anche se più lussuosa.”
Nickolaij rigirò il vino nel bicchiere, sospirando. “Mi rincresce che la pensi così. Vedi, ho sempre creduto che sono i piccoli gesti quelli che contano veramente e donarti una nuova stanza è stato solo un modo per rendere la tua vita al castello più confortevole.”
La sua vita al castello… Tradotto: sarebbe rimasta lì per sempre. Lo sapeva già, ma sentirglielo dire ad alta voce lo rendeva più concreto. “Quindi continuerai a torturarmi per tutta l’eternità?”
“Ti ho solo invitata a cena Claire, non facciamone una tragedia.” Nickolaij fece una pausa, poi si alzò e le prese la mano, riaccompagnandola alla sua sedia. “Per quanto io possieda il dominio sulla Valacchia e su tutti i vampiri esistenti, non ho nessuno con cui condividere semplici momenti di svago, come una passeggiata o una cena…”
Lo sguardo di Claire passò dalla mano che lui le stringeva ai suoi occhi, ma ignorò quel suo patetico tentativo di impietosirla. Aveva capito dove voleva andare a parare e la cosa la turbava non poco. “Io e te siamo partiti con il piede sbagliato, lo riconosco. Per questo vorrei avere altre occasioni per conoscerti e farmi conoscere.” riprese, senza smettere di guardarla intensamente.
-Hai usato un ricatto per strapparmi da tutte le persone a cui tenevo e, come se non bastasse, hai cercato più volte di ucciderle. Non vedo cos’altro debba sapere di te - pensò.
“Per rispondere alla tua domanda, questo è un altro dei motivi per cui ti ho tenuto in vita.” concluse Nickolaij.
Proprio come temeva. Sarebbe stata solo una bambola nelle sue mani. Ma non se ne sarebbe rimasta buona buona a subire senza avere niente in cambio. Era un’idea che le era venuta quando si trovava in cella, tra la vita e la morte, e ora che finalmente era fuori e soprattutto ancora viva, doveva almeno tentare. Prese un sorso di vino per darsi coraggio. “C’è una cosa che vorrei io, invece.” esordì impavida.
Lui poggiò la forchetta con cui aveva ripreso a mangiare e ricambiò lo sguardo incuriosito, invitandola a proseguire.
“Voglio vedere la mia famiglia.” disse tutto d’un fiato.
Il volto di Nickolaij era imperscrutabile. Claire non avrebbe saputo dire se fosse arrabbiato o altro. Per qualche secondo non si mosse, poi riportò la sua attenzione sul piatto, infilzando un pezzo di carne con noncuranza.
“Per far ciò dovresti tornare in America.” Il suo tono era asciutto, privo di ogni sfumatura.
Intimorita da una sua possibile reazione, lei esitò. Forse la sua era stata una mossa troppo azzardata, ma ormai aveva gettato il sasso. “Ho bisogno di vederli. Per assicurarmi che stiano bene, che siano ancora…” Lì per lì non riuscì a pronunciare quella parola, poi si fece coraggio. “Vivi.”
“Comprensibile. D’altronde è da parecchio tempo che sei via da casa.” commentò lui, continuando a mangiare con aria del tutto indifferente, come se stessero parlando del tempo. Claire avrebbe voluto strozzarlo. La sola idea di dover chiedere a quell’essere borioso il permesso di vedere la sua famiglia la mandava in bestia, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco, altrimenti anche la più remota possibilità sarebbe andata in fumo. Rimase in silenzio in attesa del suo responso, con il cuore che le batteva forte e la frustrazione che le ribolliva dentro. Sembrava quasi che Nickolaij godesse nel tenerla sulle spine.
Dopo diversi interminabili minuti di riflessione, finalmente si decise a risponderle. “Ci penserò.” concesse infine.
Fu allora che Claire capì che sarebbe stato inutile insistere. Non sarebbe riuscita a pretendere di meglio per quella sera, così si portò di nuovo il calice alle labbra, senza aggiungere un’altra parola sulla questione per il resto della cena.
 
-o-
 
Quando scesero alla stazione di Venezia trovarono ad attenderli un clima decisamente meno mite di quello che avevano lasciato, perciò dovettero sbrigarsi a cercare la biglietteria, che per fortuna individuarono di lì a poco nei pressi dell’ingresso ai binari. I soldi rimasti non erano molti e non sapevano se sarebbero bastati a coprire le spese del prossimo treno, ma per fortuna il prezzo dei biglietti si rivelò più basso del previsto e riuscirono a rientrarci.
Guardando il tabellone degli orari scoprirono che la coincidenza per Klagenfurt sarebbe partita tra mezz’ora, così si affrettarono a raggiungere il binario, nella speranza di trovare il treno già pronto e infilarcisi dentro. Faceva davvero un freddo cane e loro non erano equipaggiati per affrontare un tale calo di temperatura.
A quell’ora di notte la stazione era semideserta e, quando scelsero cinque sedili a caso, troppo stanchi e infreddoliti per controllare il numero sui biglietti, a Rachel sembrò che sopra a quel treno ci fossero solo loro. Per certi versi la cosa non le dispiaceva, meno probabilità di incontrare qualcuno di sgradito, ma allo stesso tempo la inquietava. Tutto in quell’ambiente le provocava uno strano senso di disagio: il freddo, l’atmosfera grigia, l’impressione di avere sempre una presenza alle spalle pronta ad aggredirli che non la abbandonava da quando avevano lasciato Roma. Anche Dean doveva avere la stessa sensazione, perché prima di salire lo aveva visto guardarsi in giro per verificare che fosse tutto tranquillo. In cuor suo, doveva ammettere che lì, su due piedi, la tentazione di chiedergli cosa avesse fatto dei due vampiri che li seguivano era stata forte, ma poi si erano messi a parlare di Greenwood e tutti i suoi scrupoli erano svaniti nel nulla. Ripensandoci ora, avrebbe potuto anche averli fatti secchi per quanto la riguardava. Quegli esseri non meritavano alcuna compassione.
Accanto a lei Juliet rabbrividì, distogliendola dal suo rimuginare.
“Tutto okay?” Le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé, nel tentativo di scaldarsi a vicenda. Finora non le aveva confessato dei suoi timori per non appesantire ulteriormente la situazione, visto che erano già entrambe abbastanza provate da quanto sentito da Dean. Il modo ideale per superare l’angoscia sarebbe stato pensare ad altro, alla missione che avevano davanti per esempio, ma era più facile a dirsi che a farsi.
“Ci vorrebbe del caffè caldo.” disse Mark.
Cedric annuì. “E anche qualcosa da mangiare. Non so voi, ma io ho un certo languore.” aggiunse.
In effetti non mettevano niente nello stomaco dall’ora di pranzo. Così Mark gli propose di accompagnarlo alla carrozza ristorante per vedere se riuscivano a rimediare dei panini e lui acconsentì, ben lieto di sgranchirsi le gambe dopo più di nove ore trascorse seduto.
Le ragazze rimasero sole con Dean, che prese a studiare i biglietti del treno pur di tenersi impegnato e non tornare sull’argomento Greenwood. “C’è scritto che le nostre cabine sono la cinque e la otto.” lesse. Viaggiando di notte, infatti, il treno era fornito di cuccette. Un sollievo dopo la scomodità di quello per Venezia, dove avevano dormito poco e male, costretti sui sedili senza potersi stendere.
Mark e Cedric furono di ritorno proprio nel momento in cui il Capotreno stava passando per il controllo dei biglietti e, dopo averglieli mostrati, mangiarono in silenzio i panini al prosciutto e formaggio che avevano portato. Niente di esaltante, ma meglio che restare a stomaco vuoto. Finito anche di bere il caffè, non rimase altro da fare che cedere alla stanchezza e andarsene a dormire, almeno per le poche ore che mancavano all’arrivo.
Le cabine letto si trovavano più avanti rispetto a dove si erano seduti, così dovettero raggiungere quasi il fondo del treno e lungo il corridoio non c’era il riscaldamento.
Dopo essersi scambiata un bacio fugace con Mark, augurandogli la buonanotte, Rachel mise piede nella cabina che avrebbe diviso con l’amica. La numero cinque. “Finalmente.” si sfogò, abbandonandosi a un sospiro di sollievo e appoggiando con poca grazia la borsa in terra. La sola vista di un letto, per quanto risicato, le infuse nuova positività.
Dietro di lei Juliet fece per imitarla, quando i suoi occhi incrociarono quelli di Dean, fermo sulla soglia mentre gli altri erano già andati oltre.
“Avete preso tutto?” chiese, mostrandosi più interessato del solito.
“Quel poco che c’era da prendere.” replicò Rachel secca, continuando a trafficare con la sua borsa senza prestargli attenzione.
Lui percepì il tono ostile, Juliet ne fu certa, ma in ogni caso non sembrò risentirsene. Probabilmente ormai ci era abituato.
“Allora buonanotte.” disse, ora rivolto solo a lei. “La nostra cabina è poco più avanti. Qualunque cosa...”
Juliet dovette faticare tantissimo per soffocare l’uragano di sensazioni che l’incontro ravvicinato dei loro sguardi le suscitava ogni volta. Dannazione, doveva proprio guardarla in quel modo? “Tranquillo, staremo bene.” Alla fine furono le sole parole che riuscì a mettere insieme, accompagnate da un mezzo sorriso imbarazzato. Dopodiché gli augurò la buonanotte, seguendolo con gli occhi finché non l’ebbe visto sparire nell’altro vagone. Imponendosi di smetterla, chiuse la porta a scorrimento e vi appoggiò la fronte con un sospiro, dandosi della povera cretina innamorata persa.
Si concesse qualche altro secondo per riprendersi, poi tornò alla sua borsa e iniziò a tirare fuori il necessario per la notte. Per un po’ lei e Rachel si prepararono in silenzio, ognuna immersa nei propri ragionamenti, tanto che Juliet si accorse solo più tardi che l’amica la stava scrutando seduta sul letto a gambe incrociate.
“Allora…” esordì con aria vaga. “Cosa sta succedendo tra voi?”
La domanda la spiazzò e per un attimo non seppe cosa rispondere. “A che ti riferisci?” fece poi, fingendo di non capire.
“Beh, sul treno per Venezia la tensione si tagliava con il coltello. Poi tu scappi in bagno, lui ti corre dietro…”
“Ma niente, dovevamo solo… chiarirci su un punto, ecco.” minimizzò Juliet. Per quanto sapesse che all’amica non sfuggiva nulla, aveva sperato fino all’ultimo che l’episodio restasse confinato in quel quarto d’ora di discussione avuto con Dean.
La sua risposta, però, non parve convincere Rachel, perché scosse la testa come a dire che se lo aspettava. “Se spera che starti col fiato sul collo lo aiuti a farvi tornare insieme…”
Juliet sospirò. Sapeva che sarebbero arrivate al nocciolo della questione. Era proprio quello che avrebbe voluto evitare. “No, stavolta non è colpa sua. È dipeso da me.” ammise, interrompendola prima che potesse costruirsi in testa chissà quali idee. “L’ansia mi stava distruggendo mentre lo aspettavamo alla stazione e quando l’ho visto sano e salvo ero talmente sollevata che… Insomma, l’ho baciato.” si arrese infine, non riuscendo più a tenerselo dentro.
L’espressione di Rachel diceva tutto, senza alcun bisogno di aprire bocca.
“Lo so. So cosa stai per dire. Sono un’idiota.”
Dopo un istante di spaesamento, la vide sgonfiarsi su se stessa, per poi affondare il viso tra le mani. “Lo sapevo.” disse in tono sfiancato, prima di riemergere e guardarla. “Me lo sentivo che era successo qualcosa, eravate troppo strani. Per tutto il viaggio non hai fatto altro che guardare fuori, pur di evitarlo. Era più che ovvio.” Le sembrava di essere tornata ai tempi in cui lei e Claire litigavano per via di Jamaal. Anche allora non riusciva a capire cosa le passasse per la testa, sentendosi l’unico essere razionale tra loro due.
“Vorrei non averlo fatto, credimi. Me ne sono pentita subito…”
“Come ti è saltato in mente?” la rimbeccò, quasi parlandole sopra. “In un colpo solo hai rovinato tutto. Adesso penserà di avere ancora una possibilità con te.”
La questione sembrava starle talmente a cuore che lì per lì Juliet ne rimase sorpresa. D’accordo, sapeva di aver commesso un errore e se avesse potuto tornare indietro se lo sarebbe risparmiato, ma tutto quell’accaloramento per qualcosa che in fin dei conti riguardava solo lei e Dean le pareva eccessivo. “Rilassati, non è stato niente. Ne abbiamo parlato ed è finita lì. Il discorso non si riaprirà più.” cercò di rassicurarla.
A quel punto, Rachel stessa si rese conto di aver esagerato. Come al solito si era lasciata trascinare dall’amore che provava per le amiche, dal timore che venissero illuse, che soffrissero. Anche con Claire era stato così e la loro amicizia aveva quasi rischiato di finire per sempre. “Non ti devi giustificare con me. È una faccenda tra te e lui.” riconobbe allora, abbassando i toni.
Juliet però non si lasciò abbindolare. Sapeva che c’era dell’altro, glielo leggeva in faccia. “Ma?”
“Non c’è nessun ma. C’eri anche tu su quel ponte, hai visto quanto me quello ha fatto. Non devo certo ricordartelo.”
“Certo che no. Infatti non l’ho ancora perdonato.”
Ecco. Finalmente erano arrivate al sodo. “Quindi intendi farlo prima o poi.” La prese in contropiede.
Per un istante Juliet la guardò interdetta. “No… Cioè, non lo so…” tentennò incerta. “Gli ho chiesto del tempo per riflettere.”
Si stava arrampicando sugli specchi, era evidente e questo infastidì Rachel più di tutto. “E pensare che fino a un anno fa, se solo uno dei tuoi ragazzi avesse compromesso la nostra amicizia, non ci avresti pensato due volte a liberartene.” ribatté senza peli sulla lingua. L’aveva voluto lei.
Di fronte a quelle accuse, Juliet mise da parte ogni buona intenzione e pensò solo a difendersi. “Nessuno può comprometterla, neanche Dean. Anche se con lui è diverso, è sempre stato diverso, lo sai.”
“Esatto!” confermò Rachel trionfante. “Con lui perdi la lucidità. A volte ho quasi l’impressione che ti manipoli.”
Il suo era uno sguardo di vittoria, come se fosse convinta di essere riuscita a farle ammettere chissà quale verità, e questo la ferì profondamente. “Non credevo che avessi un’opinione così bassa di me. Pensi davvero che metterei la mia storia con Dean davanti a quello che è successo a Claire? Pensi che non mi manchi ogni giorno come manca a te?”
“È come se avessimo perso una sorella…” mormorò Rachel, abbassando gli occhi amareggiata.
“Ne parli come se fosse morta, mentre per quel che ne sappiamo potrebbe non esserlo.” replicò, senza riuscire a nascondere la rabbia che stava provando. “Tutta la fatica che stiamo facendo serve proprio a questo. La salveremo e poi ce ne torneremo tutti a casa.” sentenziò secca.
Rachel allora la guardò di nuovo. “Dean te l’ha promesso?”
Ora Juliet ne aveva abbastanza, sia di lei che di tutta la discussione. Voleva solo trovare il modo di fuggire. “Va al diavolo, Ray.” Furiosa, afferrò la borsa e uscì da quella maledetta cabina, diretta alla toilette. Per un po’ almeno non avrebbe dovuto sopportare di stare nello stesso ambiente ristretto con lei. Sebbene condividesse a pieno il suo stato d’animo, non poteva semplicemente ignorare i sentimenti che provava per Dean. Tra loro c’era qualcosa di troppo importante e far finta di niente sarebbe stato come mentire a se stessa.
Barcollando un po’ per via del treno in corsa, raggiunse il bagno e ci si chiuse dentro. La prima cosa che vide fu la sua immagine smunta riflessa nello specchio. In quelle ultime settimane era dimagrita e i capelli si erano allungati di parecchio, arrivandole fin sotto le spalle. Per non spettinarli troppo nel sonno, li legò con un elastico in una coda alta e poi si sciacquò il viso. Mentre si lavava i denti, rimuginò su Rachel e su quanto poco senso avesse litigare tra loro in un momento del genere. Alla fine, quindi, si convinse che al ritorno le avrebbe chiesto di fare pace. Era davvero stanca di tutte quelle discussioni.
Ben presto il freddo iniziò a farsi insostenibile, perciò raccolse la sua roba e si preparò a tornare in cabina al calduccio. Il corridoio era poco illuminato e dovette camminare rasente al muro per ritrovare il numero giusto. Sempre a tentoni, fece scorrere la porta da un lato ed entrò, capendo subito dalla luce spenta che Rachel doveva essersi già messa a dormire. –Pazienza- si disse. Avrebbe cercato di mettere le cose apposto l’indomani.
Scostò le coperte, facendo per infilarsi nella sua cuccetta, quando d’un tratto avvertì uno spostamento d’aria dietro di sé, come se qualcuno le fosse scivolato di soppiatto alle spalle, ma non fece neanche in tempo a voltarsi che qualcuno l’afferrò, tenendola stretta e premendole una mano sulla bocca per impedirle di urlare.
“Tu urla e io ammazzo te.”
L’inglese era pessimo, ma il concetto arrivò comunque forte e chiaro. Inoltre, pur volendo, Juliet non avrebbe potuto. Rimase impietrita, con una paura tale da paralizzare completamente ogni muscolo del suo corpo, incluse le corde vocali. Il suo primo pensiero andò a Rachel e alla possibilità che le fosse stato fatto del male.
A quel punto, con uno strattone lo sconosciuto la costrinse a muoversi, spingendola fuori dalla cabina e poi lungo il corridoio. Quando passarono davanti allo scompartimento dove dormivano i ragazzi, Juliet provò l’impulso fortissimo di gridare, ma la presa era troppo forte. Nonostante questo, tentò. Oppose resistenza, animata all’improvviso da un coraggio che non sapeva di avere, ma inutilmente.
Alla fine, raggiunsero il fondo del treno e il suo aguzzino la spintonò in una carrozza vuota, di quelle adibite a deposito bagagli. Dentro, infatti, c’erano alcune valigie, borse e altri oggetti di proprietà dei passeggeri. Ad attenderli trovarono un altro tizio dall’aspetto apparentemente anonimo, ma vestito di nero come il suo compare. Aveva i capelli biondo platino tagliati a spazzola e al lobo sinistro pendeva un orecchino a forma di croce. Seduta sul pavimento, a meno di un metro da lui, c’era Rachel, con le mani legate dietro la schiena e lo stesso sguardo atterrito che Juliet immaginò di avere.
Ce l’hai fatta.” L’uomo redarguì il compagno, o almeno intuirono che fosse così dal suo tono seccato, visto che non capivano una parola.
Mentre la costringevano a sedersi accanto all’amica, però, Juliet ebbe il dubbio che potesse trattarsi di romeno e la cosa non contribuì a far diminuire l’angoscia.
La biondina qui non smetteva di agitarsi.” si giustificò l’altro, chinatosi a sua volta per legare anche lei.
Come guidati dallo stesso istinto, gli sguardi di entrambe si incontrarono e ognuna vi lesse la stessa impotenza dell’altra.
“Stai bene?” le chiese Rachel in un fil di voce.
Juliet riuscì appena ad annuire, prima che uno dei due uomini puntasse i suoi occhi azzurro slavato contro di loro.
“Zitte! Tutte e due!” tuonò, questa volta in un inglese dal forte accento dell’est.
Quello con l’orecchino ignorò la cosa, evidentemente più preoccupato da altro. “Che facciamo adesso? Lui non sa che siamo qui.
La bocca del suo compare si piegò in un ghigno beffardo. “Lo saprà presto.” assicurò, senza smettere di fissarle in maniera quasi morbosa. “Non appena vedrà i loro cadaveri penzolare giù dal suo finestrino.”

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Capitolo 11
*** Villa von Eggenberg ***


Capitolo 7 

 

Villa von Eggenberg


-Dannazione!- Rachel imprecò dentro di sé. Mentre attendeva seduta sul freddo pavimento del treno insieme a Juliet, schiena contro schiena, che i due aguzzini decidessero cosa fare di loro, stava cercando di far scivolare via le mani dalle corde. Finora, però, aveva a malapena allentato un po’ il nodo e i polsi iniziavano a bruciarle. La spaventava l’idea di ciò che sarebbe successo se mai fosse riuscita a liberarsi, ma tanto valeva tentare. Per fortuna, i rapitori non sembravano essersene accorti, impegnati com’erano a parlottare in quella lingua incomprensibile. 

“Che stai facendo?” le sussurrò Juliet nel panico.

Lei però continuò imperterrita a torcere i polsi, ignorando il dolore che questo le provocava e premurandosi di non attirare l’attenzione su di sé. Sentiva di avercela quasi fatta. Un altro piccolo sforzo e finalmente riuscì a sfilare una mano. A quel punto fare lo stesso con l’altra fu una passeggiata. Una volta libera, prese a trafficare con la corda dell’amica, sperando di riuscire almeno ad allentarla un po’ per permetterle di provvedere da sola. Il fatto che Juliet tremasse, tuttavia, non le rendeva il compito più facile.

“Ci uccideranno…”

“Zitta e dammi una mano.” ribatté in un fil di voce.

Nonostante ciò, i vampiri la sentirono, interrompendo la conversazione e voltandosi a guardarle. 

“Ho detto di fare silenzio!” tuonò uno dei due, facendole trasalire.

Lì per lì furono costrette a fermarsi e per qualche istante ebbero paura di muoversi, anche se i due avevano ripreso a parlare.

Allora, che facciamo? Non possiamo cercarli per tutto il treno, attireremmo l’attenzione.” disse quello con l’orecchino.

L’altro si voltò verso le ragazze, sfoderando un ghigno di pura perfidia, e Rachel sentì l’amica trasalire. 

Non serve. Abbiamo già chi ci può aiutare.” In pochi passi le raggiunse, per poi chinarsi lentamente su Juliet, facendo sì che lo guardasse dritto negli occhi. “Ciao, bellezza.” mormorò, il tono reso ancora più inquietante dall’accento. 

Lei non mosse un muscolo e continuò a fissarlo, paralizzata dalla paura. 

“Io e mio amico ci chiedevamo dove sono altri. Perché voi non da sole, vero?” le chiese in quel suo inglese arrabattato. 

Dalla bocca dell’amica però non uscì un fiato, in gran parte per via del panico che la assaliva, ma anche perché restia a rivelare dove si trovassero i ragazzi. 

Rachel però immaginava che non avrebbero potuto tenerglielo nascosto ancora a lungo. Urgeva più che mai una soluzione. Approfittando del fatto che al momento l’attenzione dei rapitori fosse rivolta su Juliet, iniziò a studiare l’ambiente che la circondava, per individuare qualsiasi oggetto potenzialmente utile presente nel vagone. 

“Avanti, parla!” insistette il vampiro, stavolta molto meno cordiale. Di fronte al silenzio ostinato di Juliet, però, l’impazienza sul suo volto divenne palese, così infilò una mano in tasca e ne trasse un coltello a serramanico. Con un gesto secco lo fece scattare, puntandolo poi contro il suo viso. “Forse se strappo tuo occhio tu parlerai. Che dici?” 

“Lasciala stare!” gli urlò Rachel, spaventata dal pensiero che attuasse le sue minacce. 

A quel punto, lo sguardo del vampiro dai capelli platinati si spostò su di lei. “Magari la sua amichetta è più collaborativa.” suggerì, indicandola con un cenno del mento.

L’idea sembrò piacere al suo compare, i cui occhi famelici passarono da Juliet a Rachel, così che le fu immediatamente chiaro cosa doveva avergli detto senza bisogno di conoscere la lingua. Se sperava di ottenere qualcosa da lei, però, si sbagliava di grosso. 

“Faresti prima a uccidermi, tanto non ti dirò niente.” replicò allora, sostenendo fiera il suo sguardo. 

Per tutta risposta, lui scoppiò in una fragorosa risata. “Questa mi piace. Ha un bel caratterino.”  

Sì, beh non devi andarci a letto. Ci serve solo che parli.” obiettò l’altro, che iniziava a spazientirsi. L’espressione granitica di Rachel, però, ebbe l’effetto di tramutare la sua impazienza in rabbia e il vampiro si diresse verso di lei a passo svelto. “Non osare provocarci, stupida umana impudente!” Senza che potesse neanche rendersene conto, le rifilò un manrovescio in pieno viso, così forte che per un attimo a Rachel si annebbiò la vista e credette quasi di svenire.

“No! Fermi!” esclamò Juliet, che per la prima volta da quando erano lì prese a dimenarsi come una forsennata. 

“Silenzio!” le impose l’altro vampiro, l’unico dei due a masticare la loro lingua. “Sta zitta o tu fa la stessa fine.” Dopo quell’ennesima minaccia, si chinò di nuovo su Rachel, ancora cosciente sebbene piuttosto stordita. “Allora dolcezza, tu sei più gentile adesso?” ironizzò ghignante, puntandole contro la lama del coltello.

Paradossalmente, lo schiaffo aveva avuto il potere di risvegliare in lei la forza di superare le sue paure. La guancia le pulsava in maniera terribile e sentì del sangue uscirle dal labbro spaccato, ma a malapena gli diede importanza, decisa com’era a liberarsi dal controllo di quei due una volta per tutte. Fregandosene che potessero sentirla, si rivolse a Juliet. “Al tre corri.” 

“Cosa?” chiese lei spaesata.

“Tre!” Un istante prima di agire, Rachel lesse la sorpresa sul volto del vampiro, che però non ebbe tempo di realizzare cosa stesse succedendo. Con un calcio poderoso gli colpì il braccio e il coltello che aveva in mano volò via, finendo chissà dove. Dopodiché gliene sferrò un altro al petto per allontanarlo da sé e potersi rimettere in piedi. Era consapevole di non poter fare granché contro di loro, ma almeno avrebbe colto l’occasione per mettere in pratica le tecniche di difesa che aveva imparato da Kira al villaggio.

Al suo segnale Juliet intanto era schizzata verso l’uscita, dopo essersi liberata in fretta dalle corde, ma il platinato le si parò subito davanti, bloccandole l’unica via di fuga. Quando le venne incontro nel tentativo di afferrarla pensò che fosse finita; invece, forse per disperazione o semplicemente per spirito di sopravvivenza, riuscì a sfuggirgli piegandosi su se stessa e scivolando sotto il suo braccio. Mentre il vampiro abbracciava l’aria, di fronte a sé vide un estintore e, senza pensarci due volte, lo staccò dal supporto e si scagliò contro l’aggressore, colpendolo in testa e mandandolo al tappeto. Dopo essere rimasta per qualche secondo incredula a fissare il sangue che gli colava lungo la tempia, realizzò quello che aveva appena fatto. “Oh mio Dio…” balbettò con voce tremante. 

L’altro vampiro, che stava ancora cercando di fermare Rachel, si distrasse, attirato dal tonfo sordo del compagno tramortito, così lei ne approfittò per assestargli un calcio nelle parti basse con tutta la forza che possedeva. “Muoviti!” gridò poi all’amica ancora impietrita, mentre lui finiva in ginocchio ululando di dolore.

Prima di uscire, Rachel afferrò un bastone da sci lì vicino e, una volta fuori, lo infilò nella maniglia della porta a scorrimento per bloccarla. Probabilmente questo non li avrebbe trattenuti a lungo, ma avrebbe dato loro il tempo di allontanarsi.  

Dopo aver messo un paio di vagoni di distanza tra loro e i vampiri, Juliet sentì il respiro mancare e le chiese di fermarsi un attimo per riprendersi. Quando il suo sguardo incontrò quello dell’amica, entrambe vi lessero lo stesso sconcerto. Nessuna delle due aveva la più pallida idea di come avessero fatto a cavarsela.

Dopo aver recuperato un po’ di lucidità, Rachel la esortò a proseguire. “Andiamo. Dobbiamo dirlo ai ragazzi.” 

Juliet annuì e, senza riuscire a proferire parola, la seguì lungo il corridoio. 

Giunte di fronte alla porta della cabina otto, bussarono nervosamente, non aspettandosi certo che qualcuno aprisse subito; invece, neanche un secondo dopo la porta scorrette di lato e Dean comparve davanti a loro.

“Che succede?” chiese, guardandole allarmato. Dall’aspetto sembrava perfettamente presente, come se non stesse dormendo affatto.

“Vampiri… nel vagone bagagli…” provò a spiegargli Rachel, seppur a fatica. Ora che sentiva scendere l’adrenalina, l’agitazione stava prendendo il sopravvento su di lei. “Ho bloccato la porta, ma…” 

Non ebbe neanche il tempo di finire, però, che Dean si era già fiondato nella direzione indicatagli. All’interno della cabina, intanto, Mark aveva acceso la luce e adesso stava inforcando gli occhiali. Poi alzò lo sguardo assonnato su di loro, impiegando un po’ a focalizzare il viso di Rachel. Tuttavia, una volta accortosi del labbro spaccato e della mezza guancia gonfia sgranò gli occhi, andandole subito incontro. “Ma che hai fatto?” 

Lei tirò su col naso, provando piacere mentre avvertiva il calore benefico delle sue mani che le sfioravano le guance. 

Alle spalle di Mark c’era Cedric seduto sul letto che cercava ancora di capire dove si trovasse e, quando Juliet si tuffò in lacrime tra le sue braccia, rimase per un attimo spiazzato. “Ehi…” mormorò poco dopo, mentre le accarezzava lentamente la schiena per calmarla.

In due parole spiegarono loro l’accaduto, per poi dirigersi tutti insieme verso il vagone dove erano rinchiusi i due aggressori. Come prevedibile, trovarono la porta spalancata, ma non si aspettavano di essere investiti in pieno da un vento sferzante, tanto da essere costretti a ripararsi gli occhi. Dean era già dentro e stava spostando con un piede il corpo privo di sensi del vampiro dai capelli platinati, tenendo al contempo su una spalla quello dell’altro, che ciondolava a peso morto. Una volta sul ciglio del baratro, con un’ultima spinta buttò il malcapitato fuori dal treno, nel momento esatto in cui gli altri facevano il loro ingresso nel vagone.

“Fermo!” esclamò Rachel.

Ma ormai era troppo tardi. Dopo essersi liberato anche dell’altro vampiro, Dean afferrò l’estremità del portellone e lo richiuse tirandolo verso di sé. Il vento cessò all’istante. 

Lei lo fissò, boccheggiando incredula. “Non ci posso credere, l’hai fatto davvero!”

“Già.” replicò lui, per nulla turbato dalla cosa.

“Ma… perché?”

“Cosa avrei dovuto fare? Tenerli qui e offrire loro del tè?”

Rachel sospirò esasperata. “Certo che no, ma potevamo interrogarli. Per capire come fanno ogni volta a sapere dove siamo.”

“Scusa, li hai appena visti cadere giù da un treno in corsa e la tua unica preoccupazione è questa?” fece Juliet, alzando un sopracciglio. 

Dean dovette intuire il suo stato d’animo, perché provvide subito a rassicurarla. “Non temere, sopravvivranno.” Poi tornò su Rachel. “È probabile che ci stessero seguendo da Roma e non abbiano agito subito perché di giorno i treni sono troppo affollati, non serve un interrogatorio per capirlo. E comunque non avrebbero detto niente in ogni caso, temono più Nickolaij di me.” chiarì.

Cedric annuì distrattamente, mettendosi le mani sui fianchi. “Meno male che su questo dannato treno non c’è quasi nessuno, altrimenti avremmo dovuto darne di spiegazioni.”

Ignorando il commento, Dean si chinò su un borsone lì vicino e aprì la zip, prendendo a frugare all’interno.

“E adesso che fai?” gli chiese Rachel allibita.

“Cerco qualcosa per camuffarci. Così siamo troppo riconoscibili.” rispose secco, indicando poi le altre valigie parcheggiate nel vagone. “Dovreste farlo anche voi.”

Così, superate le reticenze iniziali, si ritrovarono a mettere le mani dentro la roba altrui, alla ricerca di felpe con cappuccio, cappelli e altri abiti pesanti da poter indossare per non dare nell’occhio. 

Magnifique!” esordì Rachel stizzita, mentre cercava di spostare il meno possibile i vestiti piegati con cura dentro un trolley color limone probabilmente appartenente a una donna. “Ora non solo sono ricercata per omicidio e c’è un pazzo che cerca di uccidermi, sono anche una ladra. Devo ricordarmi di aggiungerlo al mio curriculum, magari mi farà guadagnare qualche credito extra a Stanford.” 

Continuò a borbottare in francese finché non ebbero raccattato tutto ciò che poteva tornare utile. Gli abiti erano un po’ fuori misura, soprattutto per le ragazze, ma meglio di niente. Risistemati i bagagli in modo da non sembrare che fossero stati aperti, uscirono in fretta dal vagone, diretti di nuovo alle cabine. 

Prima di seguire gli altri fuori, Dean si fermò un istante sulla soglia, approfittando del fatto che Juliet si fosse attardata per raccogliere la sua roba. “Tutto bene?” le chiese serio, studiando ogni particolare del suo volto. 

Dal tono della sua voce, lei intuì volesse sapere se quei due le avessero fatto qualcosa. In realtà, a parte un po’ di rossore sui polsi, a scombussolarla era stato più lo spavento che altro. “Sì, sto bene.” confermò. 

Dean si mostrò un po’ più sollevato. “Quei due erano ridotti male quando sono arrivato. Di chi è stata l’idea dell’estintore?” le chiese, senza nascondere una certa curiosità.

Juliet abbassò lo sguardo, prima di mugugnare: “Mia.” Nonostante si rendesse conto che si fosse trattato di legittima difesa, dentro si sentiva piuttosto in colpa per aver tramortito quel tizio, lei che non aveva mai alzato le mani su nessuno in vita sua.

Le labbra di Dean si piegarono allora in un mezzo ghigno soddisfatto, evidentemente fiero del suo coraggio. Tuttavia, se anche ne fosse rimasto sorpreso, non lo diede a vedere. 

“Beh…” esitò imbarazzata, stringendo al petto i vestiti trovati nelle valigie. “Te l’ho detto che so cavarmela.” 

La vista del suo broncio suscitò in lui una risata sommessa. “Non avevo il minimo dubbio.” 

Sentendo le guance avvampare, Juliet non riuscì più ad aprire bocca e gli fu grata quando decise di chiudere lì il discorso, invitandola con un cenno a precederlo lungo il corridoio. 

Nella cabina dei ragazzi trovarono Rachel seduta su una delle brandine che si premeva una bottiglietta d’acqua fredda sul viso per alleviare il gonfiore, con Mark accanto ad assisterla premuroso. Non appena i loro sguardi si incontrarono, a entrambe apparì immediatamente chiaro cosa l’altra stesse pensando. Ogni briciola di rancore dovuta alla discussione che avevano avuto prima del rapimento si era dissolta, sostituita dalla paura di vedere la propria amica morire. 

Rachel ebbe solo la forza di mormorarle uno “Scusa” a fior di labbra, ma Juliet scosse la testa, facendole capire che non c’era bisogno di dire nulla. 

 

-o-

 

Con un tonfo sordo Rosemary chiuse stizzita l’ennesimo volume di storia antica che stava sfogliando ormai da più di un’ora senza risultati. Da giorni passava gran parte del suo tempo dentro quella biblioteca, animata solo da un incontenibile desiderio di conoscenza. Dopo aver scoperto che l’intenzione di Nickolaij era stata di giocare con la morte per riportare in vita una sua vecchia fiamma, aveva trascorso ore con il naso sui libri alla ricerca di indizi sulla famosa Elizabeth. Ormai era diventata la sua ossessione, non poteva farne a meno. Solo dopo aver sfogliato pagine e pagine piene di argomenti che conosceva già le era apparso chiaro che Nickolaij non volesse far sapere a nessuno di lei, visto che il suo nome non compariva in nessuna delle storie che lo riguardavano.

Così, senza perdersi d’animo, aveva scelto di intraprendere un’altra strada, provando a consultare tomi più antichi sulla storia dei vampiri. In quel modo era riuscita a scovare parecchi dettagli sui Danesti, la famiglia regnante all’epoca delle conquiste di Nickolaij, imbattendosi tra le altre cose sul loro albero genealogico.  Un bel colpo di fortuna, si era detta, visto che, se nei volumi precedenti veniva nominato esclusivamente il principe Basarab IV, ora per la prima volta aveva avuto modo di studiare tutta la sua linea di successione e soprattutto di trovare Elizabeth.

Quindi la ragazza era stata la più piccola delle tre nipoti del principe, eredi al trono di Valacchia fino all’arrivo di Nickolaij -Che il loro fosse stato un amore proibito?- si era ritrovata a fantasticare per un istante, tornando lucida l’attimo successivo. C’erano ancora alcune domande senza risposta, come ad esempio, in che modo era morta e perché Nickolaij voleva che tornasse in vita? Il motivo non poteva essere legato solo all’amore provato per lei, doveva esserci di più…

Mentre era intenta a studiare la miniatura raffigurante il volto della giovane, d’improvviso si era resa conto di un particolare per nulla trascurabile: Elizabeth era identica a Claire. Vedendo quanto le due si somigliassero, aveva finalmente compreso tutta la determinazione e la costanza che Nickolaij aveva speso per darle la caccia. Il motivo della scelta non era legato semplicemente a un’ossessione morbosa, ma dal fatto che nessun’altra sarebbe stata altrettanto perfetta per l’incantesimo di resurrezione.

Purtroppo, a parte quella piccola menzione, non c’era molto altro sulla duchessa Danesti; così, ormai esausta, aveva deciso di concedersi una boccata d’aria fresca per schiarirsi le idee. L’inverno era alle porte e doveva approfittarne per recuperare dalla sua serra le ultime bacche di belladonna, essenziali per l’infuso a cui stava lavorando. Serra che condivideva con Byron naturalmente. Non faceva che chiedersi come fosse riuscito a convincere Nickolaij di essere in grado di riportare in vita qualcuno morto almeno cinque secoli prima. Certo, lei non sapeva nulla di come funzionasse la magia runica, ma trovava che quella fosse una pretesa fin troppo esagerata perfino per un megalomane come Byron.  

Uscita dalla biblioteca, percorse i lunghi corridoi in direzione dei giardini senza ricambiare i saluti riverenti che le venivano rivolti. La sua scenata nella sala comune doveva aver avuto il suo effetto, visto che da allora l’atteggiamento di tutti al castello sembrava essersi acquietato. Sicuramente la ricomparsa del loro signore doveva aver contribuito, anche se, stando alle voci che giravano, si faceva vedere di rado e quando lo faceva era sempre in compagnia della nuova arrivata. 

Al solo pensiero Mary non riusciva a reprimere l’indignazione. Per anni Nickolaij l'aveva rimproverata di non cedere ai suoi sentimenti per Dean, dicendo che l’avrebbero indebolita e che l’amore era solo una sciocchezza, e ora invece scopriva che lui si stava comportando esattamente nello stesso modo. In base a quanto riferitole dai suoi informatori, passava il tempo a girovagare con quella ragazzina, mostrandole gli angoli nascosti del castello e a fare chissà cos’altro. Sembrava completamente rapito da lei e, ora che ci pensava, tutta quella storia era partita proprio da quel ballo in maschera a Greenwood, dove l’aveva vista per la prima volta. Arrivati a quel punto, però, Mary aveva iniziato a temere che stesse perdendo il senno. Non poteva lasciare che il progetto di una vita, arrivato finalmente a una svolta con l’entrata di Tareq nella Congrega, andasse a gambe all’aria per uno stupido capriccio.

Immersa com’era nei pensieri, quasi non fece caso alla strada che stava prendendo. I suoi piedi, talmente abituati a percorrere quei corridoi, la stavano riportando fedeli nel suo laboratorio e solo dopo aver svoltato per l’ennesima volta si accorse di aver sbagliato percorso. Avrebbe dovuto girare da tutt’altra parte per arrivare alla serra, così, frustrata, tornò sui suoi passi e proprio in quel momento incrociò Dustin.

“Milady.” La salutò educatamente, ma lei ricambiò appena. Aveva avuto un sussulto involontario alla vista di Claire accanto a lui. Con un battito di ciglia l’immagine di Elizabeth le era apparsa davanti agli occhi, come in un flash. Era davvero incredibile quanto si somigliassero. 

“Vi sentite bene?”

Il tono fintamente premuroso di Dustin la riportò alla realtà. “A meraviglia.” rispose secca, per poi tornare sulla ragazza. “Ti vedo ristabilita rispetto al nostro ultimo incontro. Me ne compiaccio.” disse cortese, sfoderando uno dei suoi sorrisi più credibili.

Per tutta risposta, Claire alzò un sopracciglio e la guardò con aria scettica. “Immagino…”

Quella sua sfrontatezza la indispettì non poco, tanto che il sorriso le morì lentamente sulle labbra. “Mostra più rispetto quando ti rivolgi a Milady.” la rimbeccò Dustin all’istante, senza darle il tempo di provvedere lei stessa. 

Assumendo un atteggiamento superiore, Mary cercò di minimizzare la cosa. “Non importa, non importa. La ragazza è appena arrivata, ha ancora molto da imparare.” Con uno sguardo velenoso, potente quanto le misture che preparava, la squadrò da capo a piedi. 

Lei ricambiò, per nulla intimorita, e per un istante a Mary tornò in mente quella sera, al limitare della foresta, quando le aveva piantato il suo pugnale nella spalla. Aveva lo stesso sguardo strafottente di allora e questo, se possibile, fece crescere ancora di più il risentimento che provava nei suoi confronti. Non aveva certo dimenticato quell’affronto e prima o poi era sicura che avrebbe trovato il modo di regolare i conti. “Piuttosto” riprese, mettendo un freno alla rabbia. “Sua grazia sa che la prigioniera è in giro per il castello?” domandò, fingendo un tono sorpreso, senza staccarle gli occhi di dosso.

Prima che Claire aprisse bocca, Dustin prese la parola rispondendo al suo posto. “Sua Signoria aveva chiesto di vederla. La stavo giusto riaccompagnando nelle sue stanze, come ordinato.” spiegò in breve.

Mary ne era sicura, ma non voleva dare l’impressione di sapere sempre tutto quello che succedeva nel castello. Non davanti a lui almeno. “Allora non voglio farvi indugiare oltre. Abbiamo tutti degli ordini da rispettare.” Si congedò con un gelido sorriso, ma, prima di andarsene, si vide rivolgere un’ultima occhiata di sfida da quella ragazzina insolente; poi Dustin la spinse a muoversi ed entrambi le diedero le spalle. 

Con un fremito di rabbia, la sua mano scattò rapida verso il pugnale che portava sempre sotto al mantello e, non fosse stato per il suo forte autocontrollo, gliel’avrebbe sicuramente lanciato tra le scapole. Se quella stupida credeva di essere al suo stesso livello si sbagliava di grosso. Era arrivato il momento che qualcuno le facesse abbassare le penne e le spiegasse come funzionavano le cose nella Congrega, in modo che capisse una volta per tutte con chi aveva a che fare.

 

-o-

 

Ad attenderli trovarono il nulla quando scesero dal pullman preso alla stazione di Klugenfurt. Solo una strada delimitata su entrambi i lati da un fitto bosco e il cartello indicante la fermata. A parte questo, niente lasciava pensare che fossero nel posto giusto. 

Dopo essersi guardata intorno spaesata, Juliet si rivolse a Dean. “Sei sicuro di aver capito bene le indicazioni?” Tra tutti lui era l’unico a sapere il tedesco, così lo avevano mandato dall’autista a informarsi su dove sarebbero dovuti scendere per raggiungere la villa degli Eggenberg. Ora però nessuno di loro aveva idea di come proseguire.

Lui alzò lo sguardo per leggere sul cartello. “La fermata è quella giusta. Dovrebbe essere nelle vicinanze.” 

“Io qui non vedo nient’altro che alberi.” replicò Cedric scettico. “Ci sarebbe il cellulare, ma immagino sia morto da un pezzo.” disse poi a Mark, che lo teneva in custodia da quando Dean lo aveva rubato a Roma.

L’amico lo tirò fuori da una tasca dello zaino, premendo sul tasto di accensione per controllare e giungendo di lì a poco alla stessa conclusione. “Già.”

“Per vostra fortuna, avete me.” ironizzò Rachel, prima di mostrare loro la cartina della città che aveva preso alla biglietteria della stazione.

“Però… che ragazza ti sei scelto.” commentò Cedric colpito.

Mark gli rivolse un ghigno trionfante, prima di chinarsi insieme agli altri sulla cartina per cercare di individuare la direzione giusta. Ben presto scoprirono che non esisteva un percorso turistico che conduceva alla villa e l’unico modo per arrivarci sarebbe stato attraversare il bosco. A una prima occhiata era apparso subito chiaro che il luogo non fosse molto frequentato, ma inoltrandosi nella vegetazione si resero conto dello stato di abbandono in cui vigeva la zona. Sembrava come se nel corso degli anni quel posto fosse piombato nel dimenticatoio. 

Non fu un’impresa facile avanzare in quell’intrico di arbusti e radici in cui si rischiava di inciampare in ogni momento e non erano neanche tanto sicuri della direzione presa, finché a un certo punto non iniziarono a intravedere in lontananza le tegole marrone sbiadito di un tetto in ardesia; poi una piccola torre dalla copertura aguzza svettò sopra le fronde degli alberi e sentirono di nuovo crescere in loro la speranza. 

Ancora qualche altro passo e sbucarono in una sorta di radura invasa dalle erbacce, sul cui sfondo si ergeva imponente quella che un tempo doveva essere stata la dimora di una ricca e nobile famiglia, ma che ora era ridotta a un rudere fatiscente. A tradire l’incuria e lo scorrere delle epoche i vetri opachi dei finestroni che si succedevano in fila sui tre piani della villa, per non parlare dei rami intricati di edera abbarbicati lungo le mura della facciata quattrocentesca, talmente fitti da nasconderla addirittura. Poco oltre, intravidero lo specchio di un piccolo lago brillare alla luce del sole. 

Il pensiero di Rachel andò quasi subito alla povera Cordelia. Negli anni di massimo splendore doveva essere stato molto piacevole vivere lì e l’idea che non fosse nemmeno riuscita a vedere il posto in cui avrebbe trascorso la sua vita da sposata le mise una certa tristezza. 

“Praticamente un monolocale.” constatò Cedric, distogliendola dalle sue riflessioni. “Sarà come cercare un ago in un pagliaio.”

Dean si trovò d’accordo, anche se non lo disse. In effetti, si aspettava una cosa del genere, nonostante non immaginasse di trovare la villa in quello stato di totale abbandono. Ora capiva il perché dell’espressione a dir poco interdetta dell’autista quando si era inventato di volerla visitare. Ma tanto meglio. Almeno avrebbero potuto agire indisturbati. “Suggerisco di dividerci. Avremo maggiori possibilità di successo.” propose.

Juliet però non si mostrò altrettanto convinta. “Non lo so…” disse esitante. Per certi versi era sollevata di aver finalmente raggiunto la meta e piuttosto ansiosa di mettersi in cerca della collana, ma per altri l’inquietudine di vedersi di nuovo piombare addosso i vampiri la rendeva restia a separarsi. Malgrado la prontezza di riflessi dimostrata su quel treno, la paura che aveva provato era stata tanta.

“Juls ha ragione, dividersi non è mai una buona idea.” concordò Mark. “Tra l’altro, nei film di solito quello che lo propone è il primo a rimetterci la pelle.” 

Prima di rispondere, Dean si sforzò di passare sopra a quell’osservazione. “Tranquilli, non dovrebbe averci seguito nessuno. Altrimenti non saremmo nemmeno qui a discuterne.” li rassicurò, intuendo la natura dei loro timori. “E poi la villa è molto grande e sicuramente impiegheremo meno tempo a controllarla tutta se ci separiamo.”

Alla fine convennero che avesse ragione e si decisero a seguirlo verso il massiccio portone d’ingresso, facendosi strada nel groviglio di arbusti secchi che rendeva difficoltoso il cammino. 

Prima di entrare, prepararono le torce acquistate a Roma, in modo da essere pronti a fare luce nel caso all’interno fosse stato troppo buio. Intuizione che infatti si rivelò corretta. Nonostante fosse pieno giorno, la luce del sole non riusciva a filtrare attraverso quelle vetrate sporche e quasi del tutto coperte dai rampicanti, così che si ritrovarono immersi nella penombra già all’ingresso. 

L’enorme atrio, un tempo simbolo della maestosa accoglienza dei von Eggenberg, era ridotto a uno spiazzo anonimo, il cui pavimento in marmo bianco era ricoperto ovunque da polvere e pezzi di intonaco caduti dalle pareti ammuffite. Qua e là era addirittura saltata qualche lastra, quindi dovevano fare attenzione e dove mettevano i piedi. Al centro del soffitto pendeva un vecchio lampadario di cristallo pieno di ragnatele, il quale guidava lo sguardo verso il grande scalone che conduceva ai piani superiori. 

“Ma che bel posticino.” commentò Cedric con il naso all’insù.

Come ormai era solito fare, Dean lo ignorò, puntando la torcia in direzione delle scale. Considerata la sua esperienza in fatto di residenze antiche, poteva affermare con sufficiente sicurezza che di sopra ci fossero gli appartamenti privati, in cui forse avrebbero avuto maggiori probabilità di trovare quello che cercavano. A quel punto, quindi, propose di iniziare subito da lì, per poi tentare con le sale di rappresentanza in caso di insuccesso. 

Stavolta, stranamente nessuno ebbe da ridire, così li guidò su per lo scalone, concordando poi tutti insieme di dividersi i piani per velocizzare la ricerca. 

In cuor suo, tuttavia, Juliet si sentiva un po’ a disagio al pensiero di vagare da sola in quel posto da brividi, invaso da chissà quali creature rivoltanti. Quelle ragnatele che pendevano dappertutto non facevano presagire nulla di buono. La paura e il disgusto erano talmente forti da farle dimenticare per un momento che tra lei e Dean le cose non erano ancora risolte. “Ehm… Senti, io capisco l’idea di dividersi e tutto il resto, ma… ecco…” tentennò, non riuscendo più di tanto a celare il suo stato d’animo. 

“Possiamo cercare insieme, se ti fa stare più tranquilla.” le suggerì Dean infatti. 

Il suo tono candido e privo di secondi fini la convinse definitivamente, anche perché solo lui aveva la capacità di farla sentire al sicuro. Non ne andava fiera, eppure era così.

Altre due rampe di scale e si ritrovarono all’ultimo piano, a una prima esplorazione quello con meno stanze, anche se tutte di notevoli dimensioni. Dopo essere entrati in quella più vicina, grande quasi quanto casa sua, Juliet si chiese a cosa mai potessero servire delle camere da letto così esagerate. Dei mobili dell’epoca era rimasto poco e niente, a parte lo scheletro della struttura in legno che conteneva il materasso e un paio di cassettiere. Sul pavimento in formelle di marmo c’era uno strato di polvere su cui rimanevano le impronte dopo il passaggio.

Juliet sollevò la torcia per vedere meglio le pareti, scoprendole ornate da decorazioni in stucco che molti anni prima dovevano essere state vivide, mentre ora erano a malapena visibili. Quando Dean le diede le spalle per cercare nella cassettiera accanto alla finestra, si mise a gironzolare un po’ per la stanza, osservando altri dettagli e indagando negli angoli, finché l’occhio non le cadde su un vecchio arazzo che dal soffitto scendeva giù lungo la parete. I colori erano sbiaditi e il disegno praticamente scomparso, ma da qualche particolare intuì che dovesse rappresentare un incontro tra due persone. C’era una figura, forse un uomo, che offriva in dono alla sua donna qualcosa chiuso in uno scrigno. Fu allora che la sua mente scattò subito nella direzione più ovvia. Poteva trattarsi di Ludwig e Cordelia, e quella poteva benissimo essere la loro camera nuziale. Lì per lì l’istinto le disse di avvertire Dean, ma poi pensò sarebbe stato meglio assicurarsene; così afferrò un lembo dell’arazzo e lo tirò verso di sé, puntandoci sopra la torcia in modo da poterlo vedere più chiaramente. Così facendo, però, provocò uno strappo nel tessuto divorato dalle tarme e tutta la struttura crollò all’istante, facendo un gran chiasso e sollevando un gran polverone. 

Con uno scatto Juliet fece un salto indietro, strillando spaventata e coprendosi la testa dai calcinacci che scesero copiosi dal soffitto.

Nello stesso momento Dean, che era dall’altro capo della stanza, accorse da lei. “Che hai combinato?” 

“Niente…” Tossì, sventolando la mano per allontanare la polvere. “Stavo solo guardando.” Una scusa patetica, ma fu il meglio che riuscì a trovare. 

Per sua fortuna, la voce di Rachel dalle scale la salvò dall’imbarazzo. 

“Tutto bene lì sopra? Cos’era quel botto?” 

Senza guardare Dean negli occhi, uscì dalla stanza e si affacciò sul ballatoio. “Sì, tranquilla. È tutto okay. Trovato niente?” chiese allo scopo di sviare l’attenzione dalla figura da imbranata di poco prima. 

“No, stiamo ancora cercando.” le rispose l’amica.

Juliet le fece un segno di incoraggiamento e si girò, pronta a tornare dentro, ma nel voltarsi vide che anche Dean era uscito, chiudendosi la porta alle spalle. “Ho guardato dappertutto, non c’è niente lì dentro. Passiamo alla prossima?”

Lei annuì, evitando il suo sguardo e cercando in tutti i modi di nascondere l’imbarazzo.

La camera successiva era molto simile alla precedente, a parte qualche piccolo particolare, e questa volta Juliet si impose di toccare il meno possibile per evitare di combinare altri danni. Entrambi, però, non ci misero molto a capire che non avrebbero trovato un bel niente, così decisero di comune accordo di passare oltre; dopo aver esaminato l’ennesima stanza spoglia e polverosa senza cavare un ragno dal buco, con aria afflitta giunsero davanti all’ultima porta da ispezionare prima di riunirsi con gli altri. 

Si scambiarono un’occhiata fugace, poi Dean si avvicinò poggiando la mano sul pomello. “Speriamo di avere più fortuna stavolta.” A quel punto lo girò provando ad aprire, ma senza successo. “È chiusa…” mormorò sorpreso. 

Juliet gli si affiancò per fare più luce. In effetti, fino a quel momento non avevano avuto difficoltà con le altre stanze, che si erano aperte al minimo tocco; quella invece sembrava fosse rimasta chiusa da secoli. Esaminandola meglio si accorse di come, in realtà, fosse un po’ diversa rispetto alle altre, meno pregiata, il legno massiccio scheggiato in più punti, ma allo stesso tempo dall’aspetto più resistente. “Secondo te cosa nasconde?” domandò con un fremito di emozione nella voce.

Per tutta risposta, Dean le rivolse uno sguardo eloquente, prima di passarle la sua torcia e farle segno di stare indietro. Il primo calcio, per quanto poderoso, non andò a buon segno. 

– Deve essere davvero ben fatta per resistere a un colpo del genere - pensò Juliet sbigottita.

Lui però non si diede per vinto e, al terzo tentativo, finalmente la porta cedette. Spalancandosi all’improvviso, sbatté contro la parete dall’altra parte e rimbalzò verso di loro, muovendo una gran quantità di polvere, da cui cercarono di non venire investiti allontanandosi di qualche passo.

Quando la visibilità lo permise, i loro occhi misero a fuoco uno stretto corridoio con in fondo una rampa di scale che saliva fino a perdersi nell’oscurità. Sembrava quasi invitarli a farsi avanti e Juliet lesse la stessa curiosità nello sguardo di Dean nell’istante in cui i suoi occhi slittarono verso di lui. Riappropriatosi della sua torcia, la precedette su per le scale senza pensarci troppo. Probabilmente in quel modo voleva trasmetterle sicurezza e in un certo senso ci riuscì, perché lei lo seguì a ruota con il cuore che batteva all’impazzata. 

Una dietro l’altro si arrampicarono lungo quello spazio angusto, in cui non c’era abbastanza areazione e tutto puzzava di legno stantio.  

“Dove credi che sbucheremo?” gli domandò, cercando di mascherare l’ansia nella voce. Tesa come una corda di violino, teneva la torcia ben piantata sugli scalini, temendo dal cigolio lamentoso che presto o tardi avrebbero ceduto sotto il loro peso. 

Anche Dean avanzava con cautela, tutti i sensi in allerta. “Dovrebbe essere l’accesso alla soffitta.” rifletté. “Forse i Von Eggenberg ci hanno nascosto qualcosa che non volevano venisse trovato. Per questo la porta era chiusa.”

Juliet rabbrividì, ma non per il freddo. Visti i recenti avvenimenti non sarebbe rimasta troppo sorpresa se avessero trovato la carcassa di Ludwig in quella soffitta. Magari incatenato o peggio… 

- Che scemenza – Scuotendo leggermente il capo, allontanò quei pensieri inquietanti dalla mente. Non era il momento di lasciarsi trasportare dalla fantasia.

Arrivati in cima alla rampa, si trovarono di fronte a un’altra porta questa volta del tutto marcia, tanto che a Dean bastò toccarla perché si aprisse. Il tipico tanfo acre di un ambiente rimasto chiuso per anni li investì in pieno e dovettero concedersi un attimo per abituarsi; poi puntarono le torce all’interno e Juliet non poté fare a meno di notare che la soffitta era, se possibile, ancora più polverosa, tetra e piena di ragnatele del resto della casa. Fortunatamente, però, priva di cadaveri. Almeno a una prima occhiata. 

Anche se di malavoglia, immaginando gli orrori che potevano essere in agguato dietro ogni angolo, Juliet fece un bel respiro e seguì Dean all’interno. Una catasta di bauli, mobili coperti da vecchissime lenzuola un tempo bianche e altra robaccia stipata nelle profondità del buio che a stento riuscì a identificare, riempivano la stanza. C’era un’unica finestrella in alto sulla parete di fondo, ma i vetri erano talmente sporchi che filtrava appena qualche raggio di sole.

All’improvviso un movimento sinistro la fece trasalire e si aggrappò rapida al braccio di Dean, che le lanciò un’occhiata di traverso senza dirle nulla. “Non si vede un granché, ma bisognerà adattarsi.” osservò, esplorando l’ambiente con lo sguardo.

-Parla per te. Io non vedo un accidente! - pensò isterica, prima di tornare padrona di sé e staccarsi da lui. “Sbrighiamoci allora.” Torcia alla mano, raggiunse una vecchia cassettiera e cominciò a rovistare al suo interno, sempre con molta cautela. Quello di poco prima era stato un gesto totalmente istintivo, dovuto alla sua fobia per gli insetti, non significava niente. Anzi, era meglio mantenere le giuste distanze, prima che Dean si facesse strane idee e pensasse che quello che si erano detti sul treno fosse già acqua passata. - Sì, molto meglio - s’impose.

Si divisero come avevano fatto per le camere al piano di sotto, dando un’occhiata in giro, aprendo armadi e bauli con la speranza di trovare qualcosa di diverso da vecchi indumenti mangiati dalle tarme e altra spazzatura.

Troppo presi dalla ricerca, lei e Dean non parlarono più. Gli unici rumori erano lo scricchiolio del pavimento sotto i loro piedi e i fruscii del loro rovistare, il tutto immerso in un silenzio che cominciava a farsi inquietante.

Giunta di fronte a un grosso armadio, Juliet provò ad aprirlo con una mano sola, visto che l’altra era occupata a tenere ben puntata la torcia. La cosa però si rivelò più complicata del previsto, perché l’anta sembrava come bloccata e non voleva saperne di collaborare. Stava per desistere, quando un movimento alle sue spalle la fece trasalire, preannunciando la presenza di Dean. 

“Serve aiuto?”

Ansante, si premette una mano sul cuore. “Ti prego… non farlo più.”

Lui arricciò le labbra, reprimendo un sorriso. “Scusa, non volevo spaventarti.” Poi afferrò la maniglia dell’altra anta e insieme riuscirono finalmente ad aprirlo. Un nugolo di falene spaventate svolazzò fuori da quello che ormai era diventato il loro nido e Juliet urlò, piegandosi sulle ginocchia e coprendosi la testa.

Quella reazione da inguaribile fifona strappò a Dean una risata e scosse la testa, prima di tenderle la mano per aiutarla a rialzarsi. 

“Mi fa piacere che adesso trovi divertente la mia fobia per gli insetti.” disse Juliet pungente. “Fino a poco tempo fa ti faceva imbestialire.”

“Hai ragione.” replicò lui con aria distratta. “In effetti, una volta mi avresti fatto saltare i nervi, ma è passato tanto tempo. Diciamo che ormai ho imparato ad accettarla come parte di te e ha smesso di infastidirmi.” concluse poi con un'alzata di spalle.

Lo sguardo di Juliet si perse nel ghiaccio dei suoi occhi e per un istante le si mozzò il fiato. Quello era esattamente il genere di risposte che bastavano per mandarla in confusione. Con lui era sempre così, non si smentiva mai. Imbarazzata, si schiarì la gola, tornando a concentrarsi sull’armadio. “Okay, diamo un’occhiata.” Dovevano assolutamente sbrigarsi a concludere, perché rimanere tutto quel tempo da sola con lui stava mettendo a dura prova la sua forza di volontà.

Il mobile era per lo più vuoto, a parte qualche coperta ammuffita e vestiti altrettanto logorati dal tempo. Dean le rimase accanto nel caso qualcos’altro sbucasse fuori all’improvviso dal ciarpame e l’aggredisse di nuovo. 

“Ti vedo un filino tesa.” esordì dopo un po’ che la osservava.

Lei si soffiò dagli occhi una ciocca di capelli. “Trovi?” replicò ironica, continuando a dargli le spalle.

Lo sentì ridere sotto i baffi. –Almeno uno di noi si sta divertendo. – pensò indispettita.

“Questo posto ti fa così paura?” le domandò poi, spostando la luce della torcia in un anfratto dietro una catasta di sedie pericolosamente instabile, una volta certo che nell’armadio non avrebbero trovato niente di interessante. 

Juliet avrebbe voluto rispondere che se stava così la colpa non era tutta di quella villa fatiscente, ma preferì tenerselo per sé, eludendo la domanda e limitandosi a cercare con prudenza dentro i cassetti di un altro mobile. Dopo averli controllati tutti, si guardò intorno esausta e con le mani sporche di polvere. “Ovunque mi giro non vedo nient’altro che cianfrusaglie accatastate qui da chissà quanti anni. Non troveremo niente.” sbuffò spazientita.

“Forse non è detta l’ultima parola.” Dean le fece segno di avvicinarsi e, quando lo raggiunse, notò un luccichio nei suoi occhi. Le porse il lembo di un lenzuolo che copriva una pila di oggetti indefiniti, chiedendole poi di tenerlo alzato mentre lui tirava fuori un grosso baule di legno incastrato tra tutta quella roba.

Con un movimento lento e preciso, per evitare di farsi crollare tutto addosso, riuscì a sfilarlo dalla catasta e a portarlo dove potessero vederlo meglio.

“Che cos’è?” domandò Juliet, studiandolo incuriosita.

Dean piegò la testa di lato, pensieroso. “Un vecchio baule.” rispose poi, sottolineando volutamente l’ovvio.

“Sì, questo lo vedo.” ribatté lei in tono acido. “Intendevo cos’ha di tanto speciale da farci rischiare il collo.”

Abbozzando un ghigno, Dean sollevò di poco il baule da terra in modo che uno dei lati risultasse bene in vista. “Guarda qui.”

Puntando la torcia dove le stava indicando, Juliet capì cosa aveva attirato la sua attenzione: lo stemma degli Eggenberg. Il volto le si illuminò in un’espressione sorpresa. “È come quello che ha trovato Rachel in quel libro!” esclamò entusiasta, seguendo la forma dello scudo con i due cavalli rampanti intagliati nel legno.  

Come prevedibile, era chiuso da un grosso lucchetto che Dean provò subito a rompere, ma era troppo spesso per essere spezzato a mani nude, anche se erano le mani di un vampiro. Allora provò a forzare la serratura con il coltellino che si portava dietro dal deserto, senza risultati. Dopo essersi guardato intorno in cerca di qualcosa di pesante per romperlo, realizzò che lì c’era soltanto robaccia inutile, così alla fine decisero insieme di portarlo di sotto e tentare con l’aiuto degli altri. 

Una volta scesi dalla soffitta, Juliet li chiamò per le scale. “Ragazzi, venite! Forse abbiamo trovato qualcosa!” gridò elettrizzata. Forse stava facendo il passo più lungo della gamba, ma dopo tanto penare quel baule aveva riacceso in lei qualche speranza.

“Che fine avevate fatto? Vi abbiamo chiamato ma non rispondevate…” domandò Cedric, raggiungendoli al primo piano. 

“Eravamo in soffitta.” glissò Juliet, richiamando l’attenzione di tutti sulla scoperta appena fatta. “Guardate.”

Dean scaricò il baule sul pavimento per mostrarglielo, mettendo in bella mostra lo stemma dei von Eggenberg. 

Rachel trattenne il fiato. “Pensi davvero che possa esserci la collana qui dentro?” gli chiese ansiosa. Facendosi aiutare da Mark e Cedric, lui staccò un pezzo di marmo da una lastra del pavimento già crepata. “Scopriamolo.” disse poi, iniziando a colpire con forza il lucchetto, mentre gli altri due tenevano fermo il baule. Ci vollero diversi tentativi, ma alla fine Dean ebbe la meglio e quel ferro vecchio si spezzò, cadendo a terra con un tonfo metallico. Dopo essersi scambiato un’occhiata con altri, si inginocchiò davanti al baule pronto a rivelarne il contenuto. 

Tenevano tutti il fiato sospeso e gli occhi puntati su di lui, osservandolo ansiosi sollevare il coperchio con mano ferma. L’interno era pieno di ogni genere di carte, lettere, documenti, oltre a diversi oggetti tra cui un candelabro, una bussola, uno stiletto e alcuni libri. Ma nessuna collana.

"Perfetto, un altro buco nell'acqua." sbuffò Cedric, già arreso all’evidenza.

Mark prese un paio di tomi e iniziò a sfogliarne uno, ma era talmente vecchio che le pagine gli si sbriciolarono tra le dita. Provò con l’altro, questa volta con maggiore cautela, e notò uno stemma familiare sulla copertina, più un paio di iniziali scritte a mano nell’angolo in basso della prima pagina: L. E.

"Questo sembrerebbe una specie di diario…" Lo aprì con molta cura. C’erano pagine e pagine scritte a mano con una calligrafia lunga ed elegante. Cercò di leggere qualcosa per avvalorare la sua teoria, ma la grafia era minuta e la lingua incomprensibile. “Non ci capisco niente. Prova tu.” Lo passò a Dean, che lo stava osservando incuriosito, indicandogli le iniziali in copertina. “Forse era di Ludwig.”

“Magari è proprio il suo diario!” esclamò Juliet esaltata dalla scoperta. 

"Magari c'è scritto qualcosa sulla collana!" Rachel le diede man forte, contagiata dal suo entusiasmo.

L’espressione di Dean però era tutt’altro che euforica. “Okay, teniamo i piedi per terra.” Cominciò a studiarlo, girando le pagine con delicatezza, ma gran parte delle parole erano sbiadite, l’inchiostro scolorito dal tempo, e non si capiva bene cosa ci fosse scritto, complice anche la forma antica del tedesco usato. Andando per lo più a interpretazione personale, capì però che non si trattava di un diario. "Sono poesie..."

“Solo poesie? Nient’altro? Che so, un'indicazione più o meno precisa di dove abbia nascosto la collana che non ci faccia girovagare ancora per mezzo mondo?” domandò Cedric piccato.

Dean sfogliò altre pagine per esserne sicuro, ma poi scosse la testa. “Solo poesie. In effetti, Cordelia mi aveva raccontato che amava dedicarle dei sonetti.” Sorrise al ricordo di quella sera, dopo il ballo delle odalische. Automaticamente i suoi occhi si posarono su Juliet, consapevole che non ne sapesse nulla. Con sguardo mesto, si rese conto che se solo avesse avuto lo stesso coraggio di aprirsi con lei come aveva fatto con Cordelia a quest’ora magari la situazione tra loro sarebbe risolta. Scacciò quei pensieri, tornando a concentrarsi sul libro che aveva fra le mani e che poi richiuse, abbandonandosi a un sospiro. “Un vero peccato. Una parte di me sperava davvero di aver trovato qualcosa.”

“Sei sicuro che non ci sia scritto dell’altro? Un accenno a Cordelia o… non so, qualunque altra cosa che possa aiutarci?” 

Il tono di Juliet era quasi implorante e nei suoi occhi, come in quelli degli altri, Dean lesse la delusione per quell’ennesimo fallimento. Scosse la testa, prima di chinarsi per riporre il libro all’interno del baule. “Le pagine sono troppo sbiadite e non si legge bene, però non penso proprio che...” Si fermò di colpo a metà strada, la mano che stringeva il libro ferma a mezz’aria. Era stato impercettibile, ma le sue orecchie erano riuscite comunque a percepire il flebile rumore metallico proveniente dalla parte posteriore della copertina. Lentamente avvicinò il libro all’orecchio e cominciò a scuoterlo, sotto lo sguardo confuso degli altri.

“Cosa stai facendo?” domandò Cedric, scandendo bene le parole e guardandolo come se fosse impazzito. 

“C'è qualcosa qui dentro.” rispose lui senza smettere di scuotere il libro, che si girava e rigirava tra le mani. 

“Oh sì, tutti i tormenti e le pene d'amore del conte Vattelappesca.”

Dean gli lanciò un'occhiataccia. “Qualcosa di materiale.” Munito del suo fidato coltellino, recise con delicatezza il bordo interno di una delle copertine del libro e, scuotendolo ancora, riuscì finalmente a far uscire l'oggetto della sua curiosità. 

Tutti rimasero di sasso nel vedere lo smeraldo di Cordelia luccicare sul palmo della sua mano.

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Capitolo 12
*** Il potere delle collane ***


Capitolo 8

 

Il potere delle collane


Un raggio di sole filtrò dalle tende che ornavano lo studio posandosi delicatamente su una grande rosa rossa. Nickolaij rimase affascinato da come la luce si rifletteva sulle goccioline d’acqua rimaste nei petali, facendo brillare il fiore ed esaltando il suo colore. Seduto alla sua nuova scrivania, era intento a prendersi cura amorevolmente di un mazzo di rose che aveva colto personalmente. E pensare che si era deciso a dare fuoco a tutto, così da cancellare qualsiasi traccia di lei per sempre, ma poi, non sapeva spiegarsi bene il perché, aveva cambiato idea. Sentiva aria di novità, a partire dallo studio che era stato completamente rinnovato dopo il suo sfogo. La scrivania era stata sostituita, così come il resto del mobilio distrutto, ma mancava ancora qualcosa. La libreria, che una volta occupava una delle pareti laterali, non era ancora stata installata e infatti il pavimento era ricoperto di libri, impilati gli uni sugli altri in maniera ordinata, in attesa di una collocazione.

Si prese un momento per osservare i fiori e decidere quali steli era meglio recidere e quali lasciar crescere, in modo da aiutarne al massimo la fioritura. L’ambiente era immerso nel silenzio e lui si sentiva a proprio agio, rilassato, come non gli capitava da un po’. Gli ultimi giorni li aveva trascorsi nell’incertezza totale, aspettando che Tareq tornasse dal deserto con la notizia di aver conquistato il villaggio, e quando alla fine lo aveva informato di averlo trovato completamente abbandonato, aveva dovuto lottare per impedire allo sconforto di impadronirsi di lui. La sensazione di impotenza era insopportabile e si affievoliva soltanto in compagnia di Claire. Da quando avevano iniziato a frequentarsi il suo umore era migliorato di molto e, per quanto lei somigliasse a Elizabeth solo nell’aspetto, la sua vicinanza lo rendeva comunque felice. Forse anche per questo aveva deciso di risparmiarle la vita. 

“Ai miei tempi non c’erano rose nel giardino. Lo utilizzavamo come campo di addestramento. Quei rammolliti di Danesti hanno rovinato anche questo.”

Suo nonno, Vlad III Draculesti, noto anche come Vlad l’Impalatore o conte Dracula nell’immaginario collettivo, stava alla finestra e fissava il giardino intensamente. D’un tratto si girò verso il nipote con sguardo cupo. “Non credi sia arrivato il momento di agire? Smetti di occuparti di cose futili e affronta il tuo destino, nipote.” lo rimproverò.

Nickolaij, però, non rispose alla provocazione, continuando a occuparsi delle rose. “Sai, il tuo peggior difetto è sempre stata la fretta. Ecco perché fallisti nel tuo intento e i Danesti regnarono per anni.” ribatté in tono pacato.

“Per cose futili intendo la ragazza.” Precisò il nonno, senza curarsi della sua impertinenza. “Che cosa te ne fai ora che non serve nemmeno a risolvere il tuo problema? Non verrai a raccontarmi che l’hai lasciata vivere solo per rivangare il passato. Allora fu già abbastanza pietoso da parte tua perdere la testa per quella…”

“Dovresti sapere che non faccio mai nulla senza uno scopo preciso.” obiettò risoluto, interrompendolo giusto in tempo per evitare di sentirlo insultare la memoria di Elizabeth. In fondo, però, sapeva benissimo che quello era solo un modo per giustificare la sua intenzione di non uccidere Claire. “Tenerla in vita per il momento è la scelta migliore.” tagliò corto.

“Non ne hai il coraggio, dico bene?” lo accusò suo nonno, sfoderando un ghigno. “Hai paura che quanto accaduto torni a tormentarti se la uccidi.”

“Tu piuttosto non hai ancora risposto alla mia domanda.” glissò Nickolaij, reprimendo l’impulso di tirargli il vaso contro. “Che cosa ci fai qui? Sbaglio o dovresti essere morto da circa seicento anni?” gli chiese visibilmente teso, poggiando in malo modo le forbici sulla scrivania e alzando il tono di voce.

Per tutta risposta Vlad ghignò di nuovo, innervosendolo ancora di più. Da quando era apparso la prima volta quella notte non aveva smesso di tormentarlo...

 

Con il fiato corto e lo sguardo stralunato, circondato dai detriti di quello che una volta era il suo studio, Nickolaij fissò un punto imprecisato della stanza, da dove aveva creduto di udire una voce familiare. Una voce che non sentiva da tanto, troppo tempo. “Nonno… non può essere…” balbettò incredulo. La furia cieca doveva avergli annebbiato la mente e giocato qualche brutto scherzo. “Tu dovresti essere morto!”

A quel punto Vlad fece un passo avanti, uscendo dall’ombra. “Naturale che io sia morto. Ti ricordavo più sveglio di così, nipote.”

Nickolaij indietreggiò incapace di credere ai suoi occhi. Prima il fantasma di Elizabeth e ora questo... “Non sei reale… Non puoi essere qui, sei nella mia testa…” mormorò ansante. Che alla fine fosse impazzito del tutto?

“Che importa?” ribatté suo nonno con sprezzo. “Credevo di aver lasciato la mia eredità in buone mani, ma a quanto vedo ho dato troppe cose per scontate. Per questo sono qui ora.”

Lui lo ascoltava in silenzio, ancora troppo sconvolto per smentire le sue accuse.

“Mi hai molto deluso, Nickolaij. Ti ho sempre insegnato a non dar peso ai sentimenti e invece guardati ora. Hai lasciato che una donna, una Danesti, ti facesse perdere di vista l’obiettivo finale. Il più importante per la nostra nobile casata.”

“Non è vero! Non lo farei mai!” obiettò allora, stanco di sentire i suoi rimproveri. “Abbiamo fatto grandi passi avanti e…”

Vlad però non lo lasciò proseguire. “Avresti potuto fare molto di più se non avessi perso tempo dietro a stupidaggini come l’amore o dare la caccia a quegli inutili umani…”

“Sono maledetto!” urlò Nickolaij, arrivato al culmine della pazienza, cadendo poi in ginocchio ai piedi del nonno con aria mesta. “Come posso fare di più se non sono me stesso?”

L’Impalatore ghignò, guardandolo dall’alto in basso senza un briciolo di comprensione negli occhi. “Patetico…”

 

Il bussare alla porta distolse Nickolaij dal ricordo di quella notte e dal pensiero costante del disprezzo che aveva letto nello sguardo del suo avo. “Avanti.”

La figura di Byron entrò nello studio, chiudendosi poi la porta alle spalle. “Mi avete fatto chiamare, mio Signore?”

Nickolaij annuì appena. Poggiò il vaso sul davanzale della finestra, in modo che beneficiasse della luce del sole e poi tornò alla scrivania, sedendosi sulla sua nuova poltrona per apparire più rilassato. “Allora? Hai scoperto qualcosa?” chiese, arrivando subito al sodo. Dopo aver ritrovato la ragione, aveva chiesto a Byron di indagare sullo strano fenomeno a cui avevano assistito quella notte e su come fosse possibile che il fantasma di Elizabeth si trovasse nel corpo di Claire.

Il druido sosteneva il suo sguardo, anche se c’era sempre una traccia di umiltà nei suoi modi. In tutti quegli anni che lo conosceva, mai una volta aveva osato mettersi al suo stesso livello, era sempre stato un servo leale e un buon consigliere. 

“Purtroppo non posso dirvi molto di più di quanto non sappiamo già.” Si era preso un momento prima di rispondere, forse, pensò Nickolaij, per scegliere bene le sue parole.

Dall’angolo in fondo alla stanza, Vlad alzò un sopracciglio in un’espressione eloquente. “Non avevo molti dubbi al riguardo. C’era da aspettarselo da un Danesti.” sputò velenoso.

Nickolaij lo guardò solo un istante. Serrò la mascella per trattenere la collera e tornò a rivolgersi a Byron, facendogli segno di continuare.

“Stando alle mie conoscenze, è impossibile che due anime possano convivere nello stesso corpo, perché esso morirebbe. Dunque dobbiamo supporre che quanto affermato dal fantasma di Elizabeth sia la verità. Una parte del suo spirito viveva nella ragazza, solo una parte…”

“Questo è assodato.” lo interruppe, reprimendo il fastidio nel sentirsi ricordare il momento in cui Liz si era presa gioco di lui. “Il punto è come? Come ci è finito un pezzo della sua anima nel corpo di qualcuno nato secoli dopo?”

“Stabilirlo è molto difficile. L’unica certezza è che un fenomeno del genere può essere attribuito soltanto a una magia molto potente, qualcosa che ritengo superiore perfino alle capacità di una strega del calibro di mia cugina Margaret.” Nickolaij notò come il solo nominarla provocasse in lui un disagio piuttosto visibile. Sapeva perfettamente quanto i due si odiassero ed era stato proprio grazie a quel rancore che Byron aveva deciso di tradire i Danesti e unirsi alla sua causa, aiutandolo a conquistare il castello. “Una magia, hai detto…” rifletté, tornando al discorso.

“È la sola spiegazione plausibile.”

“E chi mai l’avrebbe compiuta? A quanto ne sappiamo, con la morte di Margaret le streghe si sono estinte. Lei era l’ultima.” Era abbastanza certo di quell’affermazione. La maggiore delle sorelle Danesti si era tolta la vita per non essere catturata dai suoi uomini e da quanto ne sapeva non aveva eredi. Da allora non avevano più avuto notizie di altre streghe o di fenomeni riconducibili alla loro opera. Certo, era a conoscenza delle capacità degli sciamani al servizio dei suoi nemici, ma il loro potere poteva essere paragonato a quello di Byron e non si poteva certo definire vera stregoneria.

Byron annuì, dimostrandosi d’accordo con il suo signore. “Infatti è così, inoltre sono trascorsi troppi anni dalla caduta dei Danesti e la dipartita delle mie care cugine. Non possono esserci collegamenti con la questione della ragazza.” 

Nickolaij però cominciava a spazientirsi di tutte quelle risposte che portavano solo ad altre domande. “E come spieghi il fatto che Liz le sia comparsa in sogno?” insistette. Quando Claire gliel’aveva rivelato per lui era stato un duro colpo. Ne era rimasto turbato molto più di quanto avesse dato a vedere. “È un dettaglio trascurabile per te?” 

Byron fece per rispondere, ma vennero interrotti dall’ennesimo bussare alla porta e bastò un’occhiata del suo signore per fargli capire che ne avrebbero riparlato più tardi.

Quando diede il permesso, Dustin fece capolino dal corridoio. “Lady Rosemary, vostra Signoria.” annunciò.

Avrebbe di gran lunga preferito continuare la conversazione con Byron, per cercare di venire a capo di quella storia. Ad ogni modo, era stato lui a farla chiamare, perciò non poteva prendersela con nessuno se con il suo arrivo li aveva interrotti. “Falla entrare.” 

Il suo sguardo incrociò giusto un istante quello della sua protetta, prima che lei chinasse il capo in segno di rispetto e sottomissione, come faceva sempre. Anzi, a dirla tutta ultimamente le sembrava più contrita del solito e la sua spavalderia era molto diminuita, probabilmente a causa della vergogna per i suoi recenti fallimenti. 

“Ora che sei qui anche tu, vi svelerò il motivo per cui vi ho convocato.” esordì schietto, puntando i suoi occhi penetranti su di loro. “Ho un incarico da affidarvi che mi sta molto a cuore. Vorrei che andaste a caccia di umani e naturalmente sapete bene a chi mi riferisco.” Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, dando loro le spalle. 

La figura del nonno non si era spostata dal suo angolo buio e osservava ogni sua mossa. “Stai commettendo l’ennesimo errore, nipote.” disse, ma lui non vi badò. Il suo sguardo era stato catturato dai riflessi dorati che il tramonto donava al roseto e la sua mano salì istintivamente al collo. “Hanno preso qualcosa che mi appartiene…” mormorò. Dopo essersi accorto di aver perso la collana, aveva mandato Dustin a cercarla sul ponte dello scambio, ma era tornato a mani vuote. A quel punto aveva realizzato che qualcuno doveva averla presa, e chi altri se non Dean? Solo lui era così vicino da poterlo fare. “E la rivoglio.” puntualizzò poi, tornando a rivolgersi ai suoi sottoposti. Mary e Byron chinarono entrambi il capo e annuirono non appena li guardò. 

“Tra l’altro, sono diversi giorni che non ricevo notizie su di loro. Da quando sono stati visti a Roma, in realtà. Hai idea di dove siano al momento?” chiese al druido. Nessuno degli uomini mandati a catturarli era ancora tornato e aveva il presentimento che le cose non sarebbero cambiate nell’immediato futuro. Dean era troppo scaltro per farsi mettere nel sacco così facilmente e per di più ora sapeva di essere seguito. Doveva giocare carte migliori contro di lui.

“Mi risulta che siano in Austria, nei dintorni di Klagenfurt.” spiegò Byron servizievole, interrompendo i suoi rimuginamenti.

“Klagenfurt…” ripeté riflessivo. “Come mai questo nome non mi suona nuovo?”

Lui non si fece cogliere impreparato e rispose subito alla domanda, assumendo un’aria da maestrino. “Era il dominio degli Eggenberg. Il visconte Ludwig era il promesso sposo di mia cugina Cordelia.” gli ricordò. “Infatti, una volta realizzato il collegamento con la mia famiglia mi sono subito chiesto il motivo per cui fossero diretti lì. Dubito si tratti di una mera coincidenza.”

Nickolaij annuì, continuando a riflettere sulle sue parole. C’erano troppi indizi riconducibili alle sorelle Danesti in quella storia, peccato mancassero i collegamenti per dar loro un senso. “Hanno in mente qualcosa. Trovateli e fate in modo che non riescano nei loro intenti. Degli umani non mi importa, fate di loro ciò che volete, ma Dean lo voglio vivo. Mi occuperò di lui personalmente.” Non avrebbe consentito a nessuno di farlo fuori al posto suo. Doveva soffrire le pene dell’inferno per quello che gli aveva tolto. Se non poteva più essere libero, almeno avrebbe avuto soddisfazione nel prendersi la sua vendetta.

Il suo tono non ammetteva repliche, perciò sia Byron che Mary annuirono all’istante. 

“Siamo ai vostri ordini, mio Signore.” assicurò Rosemary in tono fermo, prima di congedarsi insieme a Byron, con l’ordine di partire quella sera stessa.

“E pensare che avevi quel traditore tra le mani fino a poco tempo fa.” 

Il tono di scherno di suo nonno era tornato puntuale una volta rimasto solo, ricordandogli che, da qualche tempo a quella parte, non riusciva a esserlo più.

“Avresti potuto ucciderlo allora e invece hai voluto orchestrare la sua fuga sulla base di un piano che poi è miseramente fallito, ironia della sorte, proprio a causa sua.” continuò Vlad, senza nascondere il suo disappunto.

Nickolaij sospirò, incanalando la rabbia. “Ottimo riassunto, ma sono perfettamente al corrente dei fatti ed è proprio per questo che voglio essere io a toglierlo di mezzo. Mi ha messo i bastoni tra le ruote una volta di troppo.”

 

-o-

 

“Bingo.” esordì Mark tra lo stupore generale. Erano ancora tutti ipnotizzati dalla pietra verde che Dean teneva sul palmo della mano.

In un impeto di gioia, Rachel abbracciò Juliet. “Non riesco a crederci, l’abbiamo trovata!”

A quel punto Dean tirò fuori anche l’altro gioiello, quello appartenuto a Elizabeth, e se li portò entrambi davanti agli occhi per confrontarli. A parte il colore e la forma delle pietre grezze, le due collane erano identiche: lo stile dell’incastonatura, l’oro utilizzato… poi all’improvviso si accesero di un lieve bagliore, come se la vicinanza reciproca le avesse fatte risvegliare, e vennero attratte l’una all’altra, andando a incastrarsi perfettamente.

“Okay…” mormorò sorpreso. Alzando gli occhi vide che tutti avevano avuto la sua stessa reazione. Del resto, non era certo una cosa comune vedere due pietre così antiche unirsi tra loro come se all’interno avessero una calamita. Rigirandosele tra le dita, notò che nell’incastro c’era lo spazio anche per una terza. “Manca solo la tua.” dedusse, rivolgendosi a Rachel. 

“Aspettate un secondo.” si intromise Cedric. “Fatemi capire, ora che abbiamo tutte le collane che si fa?” domandò, guardando i gioielli con aria perplessa.

“Elizabeth aveva detto a Claire…” Il solo pronunciare il suo nome fece stringere lo stomaco a Rachel, ma prese fiato e continuò. “Una volta riunite, le collane ci avrebbero aiutato a trovare Margaret. Cordelia lo ha anche confermato.” spiegò sbrigativa.

“La domanda è come.” osservò lui di rimando.

Solo in quel momento Rachel si rese conto di non avere la risposta. Si erano talmente concentrati sulla ricerca della collana di Cordelia che non le era mai passato per la mente di chiedersi, una volta riunita alle altre, come avrebbe potuto aiutarli a rintracciare una persona vissuta diversi secoli prima.

“Beh, Margaret era una strega e Cordelia ci disse che aveva incantato le collane…” abbozzò Mark, tentando di dare un senso al tutto. Per quanto parole come strega e incantare potessero avere senso in un ragionamento logico.

“Io credo che dovremmo incastrarle tutte e tre e vedere che succede.” propose Dean, come sempre più pratico. 

Non avendo nulla da obiettare, Rachel si sfilò dal collo la collana di sua nonna e gliela porse, in modo che potesse avvicinarla alle altre. In un attimo la pietra andò a riempire lo spazio tra le altre due, come se fossero state parte di un unico gioiello spezzato in tre parti, e a quel punto Dean chiuse gli occhi e le tenne ben strette, aspettandosi che accadesse qualcosa.

Tutti lo fissavano in trepidante attesa, trattenendo il respiro per paura che anche il minimo rumore potesse distrarlo e mandare tutto a monte.

Dean rimase in quella posizione il tempo sufficiente a non sentirsi uno stupido, poi si rese conto che non sarebbe successo niente e riaprì gli occhi.  

“Allora? Senti niente?” gli chiese Cedric speranzoso. “Un brivido, un flash, un magico qualcosa che ti dica dove si trovi questa Margaret?” 

Dean sospirò. “Nulla.”

“Fantastico. Tutta questa fatica per niente.” ringhiò lui, dando un calcio al baule. “Abbiamo girato mezzo mondo per andare dietro a stupide fantasie sulle streghe ed è stato tutto inutile!”

“Ced calmati…” Mark provò a farlo ragionare, ma Cedric era su tutte le furie. 

Questa volta Dean era della sua stessa opinione. “Non dovevamo starla a sentire.” sbuffò, riferendosi a Cordelia. “È stata solo una perdita di tempo.”

Rachel non poteva credere che fosse finita così, non dopo tutto quello che avevano passato per trovare la collana. “Perché Cordelia avrebbe dovuto mentire?”

“Ammetterai che non sembrava molto affidabile.” disse Mark, ma non aggiunse altro dopo lo sguardo raggelante che lei gli rifilò.

“Sentite, io sono l’ultima persona che crederebbe a magie e incantesimi, ma dopo tutto quello che ho visto non posso pensare che sia finita qui. E poi a che scopo inventarsi tutto? Deve esserci qualcosa di vero…”

Dean allora fece un passo verso di lei, porgendole il ciondolo. “Allora vedi se riesci a capirci qualcosa tu, perché io ho finito le idee.”

Nell’istante esatto in cui la mano di Rachel entrò a contatto con le pietre, quelle emisero un forte bagliore e una scarica elettrica cominciò a pervadere il suo corpo. D’istinto chiuse gli occhi e subito tutta una serie di flash velocissimi le turbinarono nella mente. C’erano paesaggi che non aveva mai visto, delle colline di un verde magnifico che terminavano in una scogliera a strapiombo sul mare. Poteva quasi sentire l’odore salmastro e le onde infrangersi sugli scogli; in seguito la visione cambiò, mostrando l’entrata di una grotta, una casa molto vecchia e subito dopo un cartello con su scritto Durness. Il tutto durò una manciata di secondi, poi, così com’era iniziato, di colpo sparì, lasciandola a dir poco disorientata.

“Rachel?”

La voce di Dean la riportò nella villa, ma dovette sbattere più volte le palpebre per riprendersi da quello che era appena successo. “Tutto bene?” 

“So dove dobbiamo andare.” mormorò senza fiato. Le tre pietre brillavano ancora sul palmo della sua mano quando il suo sguardo tornò a posarsi sugli altri, che la ricambiarono a dir poco confusi. Le parole le erano uscite di bocca quasi in automatico, senza realmente pensare a quanto ciò che aveva detto suonasse strano per chi era con lei. Quella visione… Era stata talmente fulminea, ma abbastanza intensa da indicarle la strada, oltre a lasciarle una strana sensazione addosso. Come se il suo corpo avesse subito dall’interno una sorta di cambiamento che non sapeva spiegare.

“Che significa che sai dove dobbiamo andare?” le chiese Dean, la fronte leggermente aggrottata. Dalla sua espressione Rachel intuì che lo strano effetto provocato dal contatto con le pietre doveva aver coinvolto solo lei. “Io… non lo so.” rispose in un fil di voce, ancora frastornata. “Non so come sia possibile, ma appena ho toccato le collane ho avuto delle visioni.”

Mark le rivolse un’occhiata indecifrabile, quasi faticasse a crederle. “Visioni?”

“È assurdo, lo so…”

L’attenzione di Dean si concentrò sui ciondoli appartenuti alle sorelle Danesti, ancora luminescenti, lasciando le loro chiacchiere in secondo piano. Incuriosito le raccolse dalla mano di Rachel e, nell’istante in cui le allontanò, smisero di brillare. Non appena, però, le rimise sul suo palmo, la luce tornò di nuovo a farsi vivida, come se scaturisse dall’interno delle pietre stesse. Ripeté la stessa azione un paio di volte, sotto lo sguardo attonito degli altri.

“Ci hai preso gusto, Houdini?” fece Cedric, sempre il primo a spezzare la tensione. In realtà, gli si leggeva in faccia quanto quel fenomeno lo avesse spiazzato.

Dal canto suo, Rachel stava ancora cercando di spiegarsi come mai le collane si illuminassero solo con lei, ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare una risposta sensata. Che fosse colpa del calore del suo corpo? Magari si trattava di una reazione fisica di qualche tipo. Eppure quando la collana di sua nonna si era illuminata, quella notte a casa di Laurenne, la spiegazione secondo Cordelia era stata che sua sorella potesse essere ancora viva e questo l’aveva sconvolta. Come se, invece, il semplice fatto di vedere della luce sprigionarsi da un oggetto inanimato fosse una cosa di tutti i giorni. All’epoca aveva dato per scontato che dipendesse da Cordelia stessa, visto che era stato il suo tocco a farla brillare, ma ora non ne era più tanto convinta. 

“Come ci riesci?” le domandò Juliet, dopo aver visto Dean riconsegnarle le pietre un’ultima volta. 

Tutti gli sguardi si posarono su Rachel, che in quel momento si sentì alla stregua di un fenomeno da baraccone. “Lo dici come se lo facessi apposta.” ribatté piccata. 

“D’accordo, lasciamo perdere per adesso.” intervenne Dean; poi la guardò. “Cosa c’era nella tua visione?”

Lei chiuse gli occhi e provò a ragionare, ripercorrendo con la mente le immagini di poco prima. Il fragore delle onde che s'infrangevano poderose su quella scogliera, la sensazione del vento sulla pelle... Tutto era ancora così vivido nella sua memoria, nonostante la breve durata. “Ho visto delle colline verdissime e una grotta vicino al mare.” ricostruì con aria concentrata.

Mark allora arricciò le labbra pensieroso. “Un po’ vago. Non ricordi altro?”

Rachel si sforzò ancora, spremendo al massimo il cervello. Quel nome. Continuava ad averlo davanti agli occhi, non poteva dimenticarlo. “Durness.” mormorò infine.

“Scusa?” fece Cedric smarrito.

Lei sospirò, per poi spiegarsi. “C’era un cartello con scritto Durness. Immagino si tratti di una città, da qualche parte.” 

Per alcuni istanti il silenzio scese sui presenti, ognuno impegnato a ripetersi quel nome nella testa nel tentativo di capire se suonasse familiare.

Dean, però, fu il primo ad ammettere la verità. “Mai sentita. Suppongo che questo comporti altre ricerche.”

“Sì, ma basta librerie ammuffite. Torniamo in città e cerchiamo subito un Internet point.” stabilì Cedric pratico. Tuttavia, quando Mark gli fece notare che non avevano più soldi né per il pullman del ritorno né per l’Internet point, il suo entusiasmo si spense. 

“Quindi che facciamo?” chiese Juliet, piuttosto impensierita. Avrebbero potuto tornare a Klagenfurt a piedi, ma era troppo lontano e iniziava a farsi buio. Dunque l’alternativa era restare bloccati in quel tugurio? L’idea non era affatto allettante.

Fu allora che Dean riesumò la mappa dei portali, rammentandole della sua esistenza, e prese a studiarla. Dopo una breve occhiata, li informò che il portale più vicino era a pochi chilometri a est del terreno in cui sorgeva la villa, ma il nome della destinazione era cancellato dall’usura del tempo. 

“Perfetto, perciò non si sa neanche dove sbucheremo stavolta.” Rachel non trattenne la frustrazione nella voce. “Potremmo finire ovunque.”

Cedric la fissò, alzando un sopracciglio. “Non mi pare un grosso problema, visto che l’ultima volta qualcuno aveva detto che saremmo sbucati in Germania e invece ci siamo ritrovati a Roma.”

Mark guardò Dean. “In effetti è un po’ azzardato.” 

“Ma inevitabile se vogliamo andarcene da qui.” replicò lui, incurante di essere ancora una volta oggetto del sarcasmo di Cedric. “Intanto arriviamo al portale e, una volta tornati alla civiltà, vedremo di capire dove si trova questa Durness.” concluse.

Alla fine, convennero con lui che quella fosse la soluzione più rapida e soprattutto economica, così raccolsero le loro cose e si diressero alle scale. Prima di seguirli, Dean richiuse il coperchio del baule e lo spinse in un angolo al buio, assicurandosi che fosse ben nascosto. Non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma l’idea che gli oggetti più cari di una persona vissuta secoli prima restassero esposti a possibili saccheggi lo infastidiva. 

Raggiunti gli altri a metà dello scalone che conduceva al pian terreno, fu contento di rivedere la flebile luce del primo pomeriggio che filtrava dal portone principale rimasto socchiuso, quando un rumore improvviso risuonò nell’aria, costringendoli a fermarsi. 

Mark e Rachel, in testa al gruppo, si impietrirono di colpo, trattenendo il fiato di fronte al ringhiare minaccioso di un grosso lupo dalla folta pelliccia scura. A Juliet sfuggì uno strillo nell’istante in cui si accorse dell’animale, che ora avanzava lentamente verso di loro con la bava alla bocca, mostrando i denti. 

Per qualche istante rimasero a fronteggiarsi con la belva, che li fissava con i suoi inquietanti occhi gialli, profondi come pozzi di oro liquido. 

“Non fate movimenti bruschi.” sussurrò Mark, mentre lentamente intrecciava le dita con quelle di Rachel per calmarne il tremore. 

Il consiglio, però, risultò inutile, perché nessuno avrebbe osato muovere un muscolo, per paura di dare alla bestia un pretesto per attaccare. 

“Come ne usciamo adesso?” chiese Cedric in tono altrettanto basso, senza smettere di fissare il lupo. 

Mark si concesse due secondi di riflessione. “Al mio tre torniamo di sopra. C’è una camera da letto sulla sinistra, dobbiamo solo sperare di arrivarci.” dispose, dimostrando un notevole sangue freddo. “Uno…”

“Okay, ma…”

A quel punto la belva iniziò ad abbaiare furiosamente, facendo un altro passo avanti con la chiara intenzione di saltare loro addosso.

“Via, via, via!” li incitò Mark, schizzando di nuovo su per le scale, la mano di Rachel stretta nella sua. 

Per chissà quale miracolo riuscirono a infilarsi nella camera e a chiudere la porta un secondo prima che il lupo piantasse gli unghioni nel legno, putrescente ma per fortuna ancora in grado di sostenere il suo peso. 

“Ci vuole qualcosa per bloccarla!” gridò Cedric, mentre con Dean spingeva per impedire all’animale di entrare. 

Mark e le ragazze trovarono una grossa panca di legno, di quelle che in altre epoche si usavano per conservare la biancheria, e la piazzarono contro la porta. Sembrava abbastanza pesante da contrastare la forza dell’animale, ma Dean non si fidava e per sicurezza ci mise sopra anche una cassettiera. 

Approfittando di quell’attimo di respiro, Rachel si accasciò sul grande letto a baldacchino, tenendosi una mano sulla fronte. “Mon Dieu…” mormorò stremata. Erano intrappolati in una stanza con un lupo di duecento chili che minacciava di sfondare la porta da un momento all’altro. Stavolta non aveva la più pallida idea di come avrebbero fatto a uscirne incolumi.

“Non reggerà a lungo.” osservò Dean nel tono più preoccupato che lo avesse mai sentito usare. Qualcosa di incredibilmente raro per i suoi standard. 

“Grazie tante per l’informazione.” ribatté Cedric tra il sarcastico e il seccato. 

Lui però scosse la testa, al momento molto poco propenso a tollerare la sua ironia pungente. “No, no. Non hai capito. Senza l’antidoto, se quell’animale dovesse anche solo graffiarmi, me ne andrei all’altro mondo nel giro di poche ore.”

Per la prima volta sembrava non avere il minimo controllo della situazione e Juliet ne rimase stupita. Il suo nervosismo si percepiva a pelle. Dean aveva paura. 

“Certo, perché invece a noi farebbe il solletico!” replicò Cedric, iniziando a scaldarsi. “Non sei l’unico in pericolo di vita qui.”

Dean stava per rispondergli a tono, ma Mark lo fermò prima. “Ehi, non morirà nessuno, okay? Vediamo di restare calmi.” li riprese, mettendoli a tacere. “Direi che usare le scale per tornare di sotto è escluso, quindi dovremo trovare un’altra via d’uscita che non sia la porta principale.”

Anche se di poco, Cedric parve rilassarsi e il suo sguardo si posò sull’amico, cercando in lui un segnale di conforto. “Hai qualche idea?”

Lui allora guardò oltre i vetri opachi della finestra alle sue spalle. “Sì, ma non vi piacerà.” Indicò fuori, invitandoli a fare altrettanto.

Quando Rachel capì a cosa si stesse riferendo sentì il sangue gelarsi nelle vene. Il suo dito puntava verso i rami intricati di una grossa pianta rampicante, che si abbarbicavano lungo tutta la parete esterna di quel lato della villa, arrivando fino a terra. “Stai scherzando, spero.” boccheggiò incredula. Almeno una quindicina di metri separavano la camera in cui si trovavano dal suolo e da quell’altezza il rischio di rompersi l’osso del collo era assicurato.

Anche Juliet e Cedric non erano molto convinti, ma Mark si mostrò risoluto. “È l’unico modo. Ci caliamo giù e scappiamo il più in fretta possibile.”

Dean annuì, dando segno di approvare il piano. “I rami sembrano robusti. Dovrebbe reggerci.” Detto ciò, senza perdere altro tempo in chiacchiere, afferrò le maniglie della finestra e le tirò verso di sé, riuscendo a spalancarla senza troppa fatica. Pezzi di intonaco misti a polvere e scaglie di vernice si staccarono dagli infissi, ma non ci fece caso. Ormai era già con una gamba dentro e una fuori.

Intanto, oltre la porta il lupo riprese a ringhiare, grattando con più insistenza per via del trambusto. 

Allarmato, Cedric si voltò in quella direzione, per poi tornare a guardarli. “Okay, mi avete convinto. Facciamo presto.” 

“Aspettate.” li fermò Juliet. “Non potrebbero essercene altri di sotto? Come facciamo a sapere che una volta scesi non cadremo dalla padella nella brace?” fece notare oculatamente. 

“Di solito i lupi vivono in branchi. Questo è da solo, o almeno così sembra.” Rispose Mark. “In ogni caso, non vedo alternative. Se vogliamo andarcene, dobbiamo rischiare.”

Aveva ragione, se ne rendeva conto, ma nonostante ciò l’istinto la portò a cercare conferme nello sguardo di Dean, trovandole immediatamente. In quel momento lesse nei suoi occhi che non c’era nulla da temere, perché le sarebbe stato accanto tutto il tempo, impedendole di cadere. Così ritrovò subito il coraggio e attese di vederlo scomparire oltre il davanzale, per poi seguirlo fiduciosa. Cedric li imitò subito dopo, lasciando Mark e Rachel soli nella stanza. 

“Bene, vai prima tu. Io ti vengo dietr…” Si interruppe a metà quando si voltò e la vide in uno stato di panico totale. Era come pietrificata, del tutto succube della sua fobia delle altezze, ancora più forte della paura di finire sbranata. “Ray.”

Lo vide fissarla, ma non riuscì a ricambiare. Era troppo impegnata a fissare la pianta.

Mark allora le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani per spingerla a guardarlo. “Amore, ce la puoi fare.” la incoraggiò. “Hai messo k.o. un vampiro, questo sarà uno scherzo.” aggiunse, riuscendo a strapparle un sorriso, anche se tirato.

Intanto, fuori dalla porta il grattare del lupo si faceva sempre più insistente e il mobilio scivolava pericolosamente in avanti, spinto dai due battenti che minacciavano di sfondarsi da un momento all’altro.

Rachel trasalì, realizzando che non fosse rimasto loro molto tempo. Doveva reagire. 

“Coraggio, io sarò subito sotto di te. Ti fa sentire più sicura?”

La risposta era fin troppo scontata e la portò ad annuire quasi di riflesso. Con lui sentiva di poter scalare un’intera montagna. 

Attese di vederlo scomparire oltre la balaustra e, quando lo sentì dire che era tutto a posto, si decise a imitarlo, anche se con ancora un po’ titubante. Non era tanto dover scendere aggrappata ai rami di una pianta il problema, quanto sapere di trovarsi a quindici metri d’altezza senza un punto d’appoggio sicuro in caso di caduta. Di tutte le fobie con cui avrebbe potuto nascere, proprio quella… Ad ogni modo, si sforzò di non pensarci, evitando di guardare in basso mentre poggiava con cautela il primo piede sul cornicione sporgente che delimitava esternamente i piani della villa. Sotto di sé, Mark le dava istruzioni sulle prossime mosse da fare e cercò di seguirle alla lettera. Ora era arrivato il momento di staccarsi dal cornicione, l’unica àncora di salvezza tra lei e il vuoto, così si concesse qualche secondo per prendere bene le misure. Seguendo la voce di Mark, staccò per prima la mano destra, che si serrò un po’ tremolante attorno a un ramo che a occhio le sembrò il più resistente.

“Okay, brava. Adesso l’altra mano.” 

Con un respiro profondo Rachel fece come aveva detto, abbandonando definitivamente il supporto del cornicione e ritrovandosi attaccata al rampicante come una lucertola. –E adesso?- pensò, sentendo il cuore palpitare a mille. Non osava abbassare lo sguardo per non dover constatare la distanza tra sé e il suolo, perciò si impose di guardare dritto e pensare solo al momento in cui avrebbe di nuovo toccato terra. Fece scivolare giù la mano lentamente, senza mai davvero staccarla dal ramo, scoprendo così che il suo corpo non riusciva a rispondere del tutto agli ordini che il cervello gli mandava, attanagliato com’era dalla paura. –Forza, muoviti. Che aspetti?-

La sua parte razionale stava ancora cercando di sovrastare quella emotiva, quando un rumore per nulla rassicurante le arrivò alle orecchie. Era il suono del legno che si spezza, seguito dal boato della cassettiera che finiva sul pavimento, e in meno di due secondi si ritrovò la belva alla finestra, ringhiante di fame rabbiosa.

Urlando terrorizzata, si aggrappò alla pianta con tutte le sue forze e serrò gli occhi, nascondendo il viso nell’incavo della spalla mentre sentiva l’animale ansimare sopra di lei. Con le unghie cercava di afferrarla, ma era troppo distante perché potesse riuscirci senza rischiare di precipitare di sotto. 

Paralizzata dalla paura, Rachel sentiva a malapena gli altri gridarle di muoversi, di iniziare a scendere. Niente. Perfino lo spirito di sopravvivenza insito in ogni essere umano era andato a farsi benedire. 

“Va via…” mormorò in tono flebile alla belva, quasi nell’ingenua speranza che sentendola si decidesse a lasciarla in pace.

Intanto, da sotto Juliet osservava la scena nel panico. Continuava a gridare all’amica parole di incoraggiamento, finché non si rese conto che era inutile. “Non ce la fa da sola. Dobbiamo aiutarla!” Il suo sguardo disperato si posò sui ragazzi.

Mark si preparò subito a risalire la pianta, ma Cedric lo precedette. “Lascia fare a me. Sono più veloce.” gli disse, con un piede già nella fessura tra due rami. 

“Ray, resisti! Veniamo a prenderti!” le promise allora Mark.

Tuttavia, la sua voce le arrivò mescolata al ringhiare famelico del lupo, che non sembrava voler rinunciare alla sua preda.

“Va via…” continuava a ripetere Rachel supplichevole, ferma sempre nello stesso punto. Ormai era diventato un mantra. A forza di dirlo prima o poi lo avrebbe convinto, no? “Va via…” mormorò ancora, con le lacrime agli occhi. La paura dentro di lei non faceva che aumentare, mista alla rabbia di non riuscire a togliersi dai guai, e ben presto tutte quelle emozioni si tramutarono in qualcos’altro: una sorta di energia, calda e avvolgente, che la pervase dall’interno. Non sapeva spiegarlo, ma all’improvviso si sentì in grado di fare qualunque cosa. “VA VIA!” urlò per l’ultima volta, permettendo alla sua nuova forza di liberarsi. Fu allora che una violenta folata di vento, del tutto inaspettata in una giornata mite come quella, si sollevò dal nulla e spinse l’animale di nuovo dentro, spaventandolo a tal punto che Rachel lo sentì darsela a gambe con un guaito.

“Che è successo?” 

Fu colta da un fremito quando avvertì la presenza di Cedric a meno di un metro da dove si trovava, ma non le uscì il fiato per rispondere. Lei stessa stava ancora cercando di capirlo, quando si accorse che era ancora attaccata a quella stupida pianta e che era il caso di darsi una mossa. Per fortuna, lui non insistette, offrendosi di aiutarla a scendere e lei accettò volentieri perché all’improvviso si sentiva debole, come se tutta l’energia di poco prima fosse svanita nel nulla.

Neanche il tempo di appoggiare l’ultimo piede a terra che si tuffò subito tra le braccia di Mark, che la strinse a sé per confortarla. “Va tutto bene, sei stata bravissima.” le sussurrò all’orecchio, cercando di calmare i tremori che ancora la assalivano. Nel frattempo, anche Juliet le si era avvicinata, strofinandole la mano sulla spalla con fare rassicurante. 

“Sarà il caso di andarsene. Qualcosa lo ha fatto scappare, ma potrebbe essere ancora nei paraggi.” disse Cedric pratico, senza esimersi dal rivolgere a Rachel un breve sguardo indagatore. 

Lei se ne accorse e per un secondo lo ricambiò, prima di concentrarsi su altro. Era abbastanza sicura che quel “qualcosa” a cui aveva accennato non fosse un riferimento casuale e che anche lui avesse notato lo strano fenomeno della folata di vento. Per quanto la riguardava, trovava difficile credere ad altro che non fosse una semplice coincidenza e comunque le aveva salvato la vita, quindi non c’era tanto da scervellarsi. Anche se quella sensazione...

Comunque, l’argomento venne messo da parte e pensarono solo a lasciarsi tutto alle spalle. Ora avevano un nuovo portale da raggiungere, così si affrettarono ad abbandonare quel posto dimenticato dall’uomo per rimettersi in cammino.

Come sempre scovare il portale non fu un’impresa facile, soprattutto perché questo si trovava nel bel mezzo di un bosco, nascosto nella cavità di un grosso albero dal tronco nodoso e contorto. La mappa conduceva in quel punto, ma riuscirono a individuarlo solo grazie alla vista acuta di Dean, l’unico in grado di scorgere tra le pieghe della corteccia uno strano simbolo che chiaramente era stato inciso da qualcuno chissà quanto tempo prima. Al suo tocco il passaggio si attivò, sprigionando il solito vortice di vento a cui ormai erano abituati, così lo varcarono senza troppe cerimonie, ritrovandosi dall’altra parte in una manciata di secondi. 

Anche stavolta il paesaggio si presentò decisamente diverso dal precedente. I piedi toccarono una superficie poco stabile e ben presto si accorsero di stare camminando sulla sabbia dorata di una spiaggia. Davanti a loro c’era il mare, piatto come una tavola, con stormi di gabbiani che stridevano volando a pelo d’acqua. Perfino il clima era più mite che in Austria. L’aria sempre fresca, vista la stagione, ma impregnata di umidità. 

Con un’espressione di sofferenza dipinta in volto, Cedric si portò una mano allo stomaco. “È il quinto portale che attraverso in vita mia e ogni volta è sempre peggio.” La sua cera in effetti non era delle migliori e sembrava stesse per vomitare. 

Prima di passare oltre, Mark gli diede una pacca sulla spalla. “Strano, a me non fanno nessun effetto.” 

“Pensa un po’.” ribatté lui, lanciandogli un’occhiataccia.

Spaesata, Juliet si guardò intorno in cerca di qualche indicazione. “Chissà dove siamo finiti stavolta.” Nelle vicinanze, però, non c’era nulla che potesse far loro capire dove si trovassero, un cartello o qualcosa di simile. 

Dean allora propose di incamminarsi oltre la spiaggia, visto che probabilmente il portale era stato ideato per sbucare in un posto poco frequentato, in modo da non dare nell’occhio. Più avanti forse ci sarebbe stata traccia di civiltà e magari anche un Internet point, con un po’ di fortuna.

Mentre seguiva gli altri, Rachel non smetteva di pensare a quello che era successo alla villa. Un istante prima era abbarbicata a un rampicante con una belva famelica che cercava di sbranarla, quello dopo invece il lupo era sparito, messo in fuga da quell’improvvisa folata di vento in un giorno in cui c’era calma piatta. Parecchie cose non tornavano. Che la faccenda avesse a che fare con la magia delle collane? Per quanto assurdo, poteva essere plausibile. Ad ogni modo, con gli altri non ne aveva fatto parola, per non rischiare di passare per una squilibrata.

Dopo aver superato la spiaggia e scalato una piccola duna che portava al livello della strada, scoprirono che c’era più vita di quanto si aspettassero. Il traffico era abbastanza intenso, con macchine e motorini che sfrecciavano in un’unica direzione, quella verso la città. Qualche altro passo e finalmente si imbatterono in un cartello, con su scritto a caratteri bianchi: Portiñho – 2km e poi altre indicazioni in una lingua che non capivano. Una specie di spagnolo strano.

“È portoghese.” spiegò Dean, di fronte alle loro facce perplesse.

Juliet sgranò gli occhi, guardandolo stupita. “Conosci anche questo?”

Lui sghignazzò divertito. “No, ma riconosco la scrittura.”

“Perciò deduco che siamo in Portogallo.” osservò Cedric banalmente.

“O in Brasile.” gli fece eco Mark.

Dean però non ne era del tutto convinto. “O in Angola.” 

A quel punto, Cedric decise di fermarli, prima che continuassero l’elenco all’infinito. “Okay, ho capito. Ho afferrato il concetto.” 

Alle ragazze sfuggì una risata sommessa; poi Rachel tornò improvvisamente seria. Come avevano fatto ad arrivare lì? Ora avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo. Capire dove si trovavano, fare altre ricerche per risalire alla Durness della sua visione… Un improvviso senso di sconforto si impadronì di lei e d’istinto portò la mano al collo in cerca della sua collana, come le accadeva spesso quando non sapeva cosa fare. 

Juliet se ne accorse, percependo subito la malinconia che l’aveva avvolta, e cercò di tirarle su il morale. “Ehi, stavo pensando… Forse le collane si sono illuminate con te perché tra te e Margaret c’è un legame, come quello tra noi e le altre sorelle. Insomma, se io ero legata a Cordelia e Claire a Elizabeth, è probabile che tu abbia qualcosa a che fare con lei.”

Cedric annuì, seguendo il ragionamento. “Giusta osservazione. E allora?”

“E allora pensavo che magari potrei provare anch’io a tenerle. Se avessi la stessa visione, saremmo già in due e avremmo maggiori possibilità di capirci di più.” 

Dal canto suo, Rachel fu attratta dall’idea. In effetti, il pensiero di condividere il problema con qualcuno non le dispiaceva. Valeva la pena tentare. “D’accordo, facciamolo.” approvò infine, scambiandosi con l’amica un’occhiata d’intesa. Dopodiché si sfilò la collana col rubino dal collo, facendosi consegnare le altre due da Dean, che le teneva conservate nella sua borsa. 

Una volta raccolte, le poggiò tutte sul palmo della mano di Juliet, che vi richiuse sopra le dita e le strinse, serrando gli occhi come si aspettasse chissà cosa da un momento all’altro. Purtroppo, però, che non sarebbe successo un bel niente Rachel lo capì già dal fatto che le pietre non si fossero minimamente illuminate, cosa che invece era avvenuta quando le aveva toccate lei.

La stessa consapevolezza riuscì a leggere nello sguardo di Dean, il primo a parlare dopo aver atteso invano qualche altro secondo. “Niente.” si limitò a dire, rompendo il silenzio carico di delusione che si era creato.

“Peccato, era una bella idea.” aggiunse Cedric rassegnato, nel tentativo di consolarla.

Juliet arricciò le labbra pensierosa. “Forse non ha funzionato perché Cordelia non è più dentro di me.” ragionò.

“Grazie comunque per averci provato.” disse Rachel, sorridendole mesta. A quel punto era evidente che le collane riunite avessero uno scopo soltanto con lei e la cosa le riempì il cuore di inquietudine. Non le era mai piaciuto stare al centro dell’attenzione in una situazione normale, figurarsi in una strana come quella in cui si trovavano.

“Direi di accantonare la questione per il momento.” suggerì Dean, rivolgendo lo sguardo al gruppetto di case in lontananza. “Raggiungiamo la città e vediamo di capire il da farsi.” 

Non ci volle molto a constatare che si trattasse più che altro di un paesino, anche se piuttosto vivace. C’erano diversi negozi ai lati della strada principale, quasi tutti di souvenir o alimentari, ma era troppo affollato fra turisti e gente del luogo, e avevano paura che qualcuno potesse aver visto le loro facce sui telegiornali e li riconoscesse, così decisero di passare attraverso gli stretti vicoli laterali, calandosi bene i cappelli sulla testa.

“Non credo proprio che troveremo un Internet point da queste parti.” disse Cedric dubbioso, scrutando gli edifici e le viuzze nei dintorni. “Sempre ammesso che sappiano cosa sia.”

Non potendo chiedere informazioni a nessuno, continuarono a vagare come anime in pena per tutta la città, ma alla fine si resero conto che Cedric aveva ragione. Non c’era traccia di qualcosa che assomigliasse a un Internet point. A un certo punto, quindi, si abbandonarono esausti sul ciglio del marciapiede, ai piedi di una palazzina nel vicolo dietro all’ennesimo negozio di souvenir.

“Dovevamo restare in Austria e prendere quel pullman senza pagare.” mugugnò Cedric, afflosciato su se stesso.

Nessuno gli rispose, ma non ce n’era bisogno perché in fondo non aveva tutti i torti. Si erano lasciati spaventare dalla prospettiva di una multa, quando sarebbe stato l’ultimo dei loro problemi. Ora invece erano bloccati in quello sputo di paese con solo un nome, Durness, e neanche la più pallida idea di dove si trovasse.

Seduta un po’ in disparte rispetto agli altri, Juliet si godeva il suo attimo di riposo, quando la voce chioccia di un uomo sulla cinquantina la spinse a sollevare la testa.

“Turisti?” chiese sorridente, in un inglese dal forte accento latino.

Per un istante lei lo fissò spaesata. Le sarebbe piaciuto rispondere di sì, ma non era vero e comunque non gliene diede il tempo perché tirò subito fuori un depliant e si offrì di accompagnarli in un tour dei dintorni. 

Lì per lì scosse la testa, ringraziandolo cordiale e lui fece per andarsene. Fu allora che le venne l’idea. Tanto ormai non avevano alternative. Così si alzò dal marciapiede, correndogli dietro. “Señor!” abbozzò in spagnolo. Non era la lingua del posto, lo sapeva, ma era una delle poche parole che conosceva. 

Nel frattempo, gli altri si erano accorti che si era allontanata per parlare con quel tizio e la guardavano incuriositi.

“Secondo voi che sta facendo?” Mark alzò un sopracciglio, sentendola ridere a una sua battuta, per poi voltarsi e indicarli. 

La risposta arrivò poco dopo, quando Juliet fece ritorno con aria trionfante, sventolando un cellulare. “Gonçalo è stato così gentile da prestarci il suo telefono. Così possiamo cercare quello che ci serve.”

“Gonçalo?” ripeté Dean perplesso.

Juliet, però, non ci fece caso. “Mi ha solo chiesto di fare in fretta. Qui la connessione costa cara.” Passò il telefono a Mark, che rapido iniziò la ricerca. 

Come prevedibile, non fu affatto difficile scoprire che Durness si trovava in Scozia, sulla costa nord-occidentale delle Highlands per la precisione. Il problema era capire come arrivarci visto che al solito erano da tutt’altra parte. Controllando sulla mappa, Dean rintracciò un portale che faceva al caso loro, ma era parecchio distante da Portiñho, addirittura in un’altra località del Portogallo. 

-La solita fortuna del diavolo – pensò Rachel frustrata.

Fu allora che il proprietario del cellulare si palesò di nuovo, facendo loro intuire che fosse sempre rimasto nei paraggi ad assicurarsi che non scappassero con il bottino. Vedendoli disorientati, chiese dove fossero diretti e Juliet gli rispose con la verità, restituendogli il telefono. Lo osservarono riflettere, passando sopra al sospetto che fin dall’inizio la ascoltasse con un’attenzione particolare perché attratto da una ragazza tanto graziosa, finché non si offrì inaspettatamente di accompagnarli a destinazione con la sua auto dietro pagamento.

Consapevoli di non avere denaro, gli chiesero un momento per parlarne tra loro.

“Cosa facciamo?” mormorò Juliet per non farsi sentire. 

“Non possiamo pagarlo, questo mi pare ovvio, ma è l’unico che potrebbe aiutarci.” osservò Dean pragmatico.

Rachel, però, non sembrava convinta. “Siamo sicuri? E se fosse un maniaco? Non mi piace come ti guarda.” disse, riferendosi all’amica.

Per tutta risposta, Cedric ghignò. “Di che hai paura? Abbiamo qui il nostro vampiro-bodyguard personale.”

Per una volta Dean non si sentì offeso dalla sua solita pungente ironia. In fondo, poteva prenderlo come un complimento. 

“Ah… Giusto, a volte me lo dimentico.” riconobbe lei, prima di tornare al punto. “Rimane il fatto che non abbiamo un soldo...”

“Aspetta, forse c’è una soluzione.” la interruppe Mark, fino a quel momento rimasto in silenzio a riflettere. Abbassò gli occhi sul polso sinistro, quello a cui teneva allacciato il suo orologio d’oro, e in pochi istanti Rachel intuì i suoi propositi. 

“No.” sentenziò subito decisa.

“Vale almeno duecento dollari. È fermo da un po’, ma basta cambiare la batteria…”

Lei, però, non voleva sentire ragioni. “Non esiste. È un regalo dei tuoi.” 

“Ray, non abbiamo alternative.” le ricordò, abbandonandosi a un sospiro paziente.

“L’alternativa è cercare altrove. Non sarà l’unica persona disposta a darci un passaggio in questo dannato paese.” 

Dean fu subito pronto a smentirla. “E speri che accetti di darcelo gratis?” obiettò giustamente.

Lei lo fulminò con lo sguardo, ma non trovò niente con cui controbattere. Trovava terribilmente ingiusto che Mark sacrificasse l’orologio che i genitori gli avevano regalato per il diploma, eppure si rendeva conto che in una situazione di emergenza come quella c’era ben poco da fare. Quindi alla fine si rassegnò a ingoiare il rospo e restare a guardare mentre Mark contrattava con quell’uomo. 

“L’orologio está bem.” disse Gonçalo, incurante delle occhiatacce di Rachel.

Juliet lo ringraziò con un caloroso sorriso, poi lo seguì con gli altri.

“Vi va un panino prima del viagem? Offro io.” propose gioviale, dando un’amichevole pacca sulla spalla a Cedric, che accettò con entusiasmo. 

“Mio caro Gonçalo, cominci a starmi proprio simpatico.”

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Capitolo 13
*** L'eredità dei Danesti (parte 1) ***


Capitolo 9

 

L’eredità dei Danesti

 

Il panorama che comparve davanti ai loro occhi quando uscirono dal portale non era molto diverso da quello che avevano lasciato, non fosse stato per l’atmosfera, più cupa rispetto ai caldi colori di Portiñho, e per il clima notoriamente freddo della Scozia. Anche il cielo era passato dall’azzurro al grigio plumbeo e minacciava pioggia.

Dopo aver superato un gruppo di rocce, misero piede su una vasta spiaggia, racchiusa in una conca creata da alte scogliere a picco sul mare. A differenza del Portogallo, però, da quelle parti tirava un vento molto forte e onde impetuose si infrangevano contro gli scogli, facendo un gran fracasso. 

Rachel si strinse nel giubbotto, mentre si guardava intorno alla ricerca di un punto di riferimento, qualcosa che avesse un riscontro con la sua visione. In cuor suo aveva sperato che, una volta lì, sarebbe riuscita un minimo a orientarsi, invece si sentiva più spesata che mai. Le colline ricche di vegetazione erano come le ricordava, ma nelle vicinanze non c’era traccia di grotte e tantomeno di case. 

“Riconosci il posto?” le chiese Dean di lì a poco, a voce alta per sovrastare il rumore del vento.

Impiegò qualche secondo a rispondergli, ancora impegnata a studiare la zona. “A grandi linee dovremmo esserci, ma non vedo niente di familiare. Non credo che sia il punto preciso della mia visione.” disse poi, guardando dritto davanti a sé. Evidentemente l’uscita del portale non coincideva con la loro destinazione definitiva.

“Perché la cosa non mi sorprende?” commentò Cedric pungente, alzandosi il bavero fin sotto il naso. “Fa un freddo micidiale qui. Troviamo riparo da qualche parte, prima di congelare.” suggerì Mark, incamminandosi per primo verso il pendio della scogliera. 

Per fortuna, c’era un sentiero che saliva su dalla spiaggia fino alla sommità. Un po’ ripido, ma almeno non dovettero scarpinare sulla nuda roccia, rischiando di scivolare e farsi male. Lassù l’aria era meno sferzante, anche se comunque gelida, e poterono dare un’occhiata dall’alto a ciò che li circondava. Per un po’ rimasero ammutoliti ad ammirare la bellezza della costa scozzese, che proseguiva a perdita d’occhio verso l’orizzonte. Sembrava di trovarsi in un panorama incantato, appena uscito da un libro di fiabe; poi il clima rigido ricordò loro che era meglio non attardarsi oltre e proseguirono lungo il margine della strada deserta.

Camminarono per un bel pezzo, con l’intento di raggiungere la cittadina che avevano intravisto da lontano e magari trovare un pub in cui rifugiarsi e mandar giù qualcosa di caldo. Se non fosse stato che non avevano un soldo per pagare.

“Quasi mi pento di aver dato l’orologio a quel tizio. A quest’ora avremmo potuto ricavarci un bel gruzzolo.” esordì Mark, dopo diversi minuti di silenzio. Ormai era praticamente buio, quindi non si accorse del disappunto stampato sulla faccia di Rachel, o forse sì ma semplicemente evitò di incrociare il suo sguardo. 

“Parli di questo?” 

Si voltarono tutti verso Dean, che aveva appena estratto un oggetto tondo e scintillante dalla tasca e ora lo stava facendo penzolare davanti ai loro occhi. 

“Ma come diavolo…” Cedric boccheggiò allibito, fissando l’orologio senza riuscire ad aggiungere nient’altro.

“Forse avrebbe fatto meglio a tenerlo al polso invece che in tasca.” disse lui con il solito aplomb, mentre lo riconsegnava al legittimo proprietario. 

Lo stupore e lo spaesamento sul volto di Mark erano palesi e ci mise qualche secondo a realizzare di avere di nuovo il suo orologio tra le mani, ma poi gli rivolse un’occhiata riconoscente. “Grazie.” mormorò, probabilmente chiedendosi al pari di tutti gli altri come avesse fatto a riprenderlo senza che Gonçalo si accorgesse di nulla. 

Dean si limitò ad annuire appena, smettendo di guardarlo subito dopo, e Juliet fu l’unica a farci caso. Non si trovava a suo agio in certe situazioni e lei lo sapeva bene. Tuttavia, non disse niente, non riuscendo però a trattenersi dal sorridere. Avrebbe potuto interpretare la parte del duro freddo e distaccato quanto voleva, ma il suo animo generoso tornava sempre in superficie. 

Con aria soddisfatta, Cedric si sfregò le mani l’una con l’altra per scaldarle. “Meno male. Stasera si mangia.” commentò, beccandosi subito l’ennesima occhiata fulminante di Rachel. “Scherzavo.” si giustificò allora, con un mezzo sorriso colpevole.

“È una fissazione la vostra.” mugugnò lei, mentre riprendevano a camminare. Non le andava proprio giù che Mark sacrificasse l’unico oggetto che lo legava alla sua famiglia in un periodo in cui ne avevano già dovute penare abbastanza. Per un istante aveva addirittura pensato di vendere la sua collana, pur di salvare l’orologio, rendendosi poi conto che avrebbe potuto ancora servirle, oltre all’importante valore affettivo che aveva per lei.

Proseguirono per diversi metri su un sentiero sterrato, intorno a loro solo un paesaggio brullo di ciottoli e sterpaglie, finché non si ritrovarono sulla strada che avevano visto dall’alto e che sembrava condurre in città. Le sue luci non erano poi così lontane e Rachel sperò con tutte le sue forze che si trattasse proprio della Durness del cartello. 

Mancava davvero poco ormai, quando il silenzio della strada deserta fu interrotto dall’arrivo di una macchina. I fari, più abbaglianti man mano che si avvicinava, li costrinsero a coprirsi gli occhi e si fermarono, convinti che li avrebbe superati. Inaspettatamente, invece, rallentò, fino ad accostarsi. 

Pensando subito al peggio, considerate le recenti esperienze con i vampiri, Dean si parò davanti a Juliet in un riflesso condizionato, togliendole per un attimo la visuale sul finestrino che si abbassava lentamente. Alla guida c’era una donna, anzi una ragazza, a una prima occhiata poco più grande di loro, con i capelli rosso fuoco tagliati a caschetto e penetranti occhi azzurro intenso. In testa portava un berretto di pelliccia.

Per qualche secondo rimase a studiarli uno a uno, come se fosse combattuta tra parlare con loro o richiudere il finestrino e tirare dritto. Il suo sguardo si fermò infine su Rachel, che sembrava averla particolarmente colpita. “Sei Rachel?” le chiese infatti poco dopo, spiazzandola del tutto.

Era talmente incredula nel sentire quella domanda, che lì per lì non riuscì neanche ad aprire bocca.

“È questo il tuo nome?” scandì la ragazza insistente, forse pensando che non l’avesse capita. “Sei Rachel o no?”

“Tu chi sei?” Dean si intromise tra le due, ma venne ignorato perché la sconosciuta continuò a fissare Rachel in attesa di risposta.

“Come sai il mio nome?” le chiese a quel punto, piuttosto intimorita. 

Lei, però, distolse lo sguardo, controllando la strada davanti a sé, prima di tornare su di loro. “Non c’è tempo per le spiegazioni. Salite in macchina.” disse schietta; poi, vedendoli esitare, sospirò seccata. “Una volta arrivati saprete tutto, ma adesso dobbiamo andare. Non è prudente restare allo scoperto.”

“Una volta arrivati dove?” replicò Cedric confuso e allarmato allo stesso tempo. 

Anche Dean condivideva la sua reticenza. “Perdonerai se non ci fidiamo a salire nell’auto di un’estranea…”

“Conosco chi state cercando.” lo interruppe a quel punto, arrendendosi all’inevitabile. “Mi ha mandato lei a prendervi.” 

Rachel boccheggiò incredula. Con “lei” intendeva forse… 

Dall’altra parte, intanto, la ragazza iniziava sul serio a spazientirsi. “Allora, salite o no? Non ho tutta la notte.” li incalzò, premendo il piede sul pedale dell’acceleratore per indicare che se non si fossero decisi nel giro di due secondi li avrebbe lasciati a piedi.

Così, dopo essersi scambiati l’uno con l’altro un’occhiata di conferma, misero da parte qualsiasi sospetto e obbedirono. Dean prese posto davanti, pronto a qualunque evenienza, mentre gli altri si strinsero sui sedili posteriori della jeep color sabbia. 

Lungo tutto il tragitto provarono a farle qualche domanda, chi l’avesse mandata, come facesse a sapere che erano in Scozia, ma lei non si prese mai la briga di rispondere in maniera esaustiva, limitandosi a ripetere che lo avrebbero scoperto a tempo debito e concentrandosi sulla guida. In effetti, si accorsero che andava decisamente oltre i limiti consentiti, quasi temesse di avere qualcuno alle calcagna e non vedesse l’ora di arrivare. 

Usciti dalla strada principale, attraversarono il sentiero sterrato che conduceva in fondo alla vallata, andando nella direzione opposta a dove si stavano dirigendo loro. 

-Quindi quella non era Durness. Perfetto - si disse Rachel, in verità per nulla sorpresa. Forse da soli non sarebbero mai riusciti a trovarla, anche se ora a quanto sembrava non ce n’era più bisogno. Certo, il fatto che la ragazza dai capelli rossi sapesse il suo nome la metteva parecchio a disagio, così come ignorare completamente a cosa stessero andando incontro. D’un tratto, si ritrovò a chiedersi se fosse stata davvero una buona idea salire su quell’auto.

Trascorsa poco meno di un’ora di viaggio, la jeep intraprese un secondo sentiero verso le scogliere, il mare a qualche metro sotto di loro. Il terreno non era tra i più regolari, ma non sembrava un problema per la loro accompagnatrice, che girava tranquillamente il volante con una mano sola mentre l’altra era fissa sulla leva del cambio.

Tutto a un tratto videro comparire quasi dal nulla una piccola costruzione in muratura, invisibile fino a pochi istanti prima, con accanto un’altra casupola di dimensioni ancora più modeste e poco oltre un mulino, le cui pale giravano, pigramente sospinte dal vento. Il tutto era circondato dalla natura e più andava avanti più Rachel riconosceva nel paesaggio gli elementi della sua visione. 

“Eccolo!” non poté esimersi dall’esclamare, mostrando tutta la sua sorpresa. “È questo il posto che ho visto!”

“Ma da dove è saltato fuori? Un attimo fa non c’era!” osservò Cedric spaesato, dando voce al pensiero comune. 

Qualche metro ancora e la macchina si fermò di colpo. Non ebbero nemmeno il tempo di chiederlo che la ragazza si era già tolta la cintura ed era scesa, lasciandoli a guardarsi perplessi.

Subito dopo si affacciò di nuovo dentro, squadrandoli con un sopracciglio alzato. “Beh? Che aspettate?”

Senza neanche aspettarli, aprì il cancelletto d’ingresso al cottage e imboccò sparata il cortile, dando per scontato che la stessero seguendo. Raggiunta la soglia della porta, una voce femminile esordì dall’interno, facendoli trasalire.  

“Ayris?”

La ragazza si bloccò di colpo. “Sono io.” confermò.

“Non farli avanzare oltre.” 

Ayris allora sollevò un braccio, facendo loro segno di fermarsi; poi seguì qualche istante di silenzio, in cui si guardarono intorno con i nervi a fior di pelle.

“È il ragazzo biondo.” 

Non appena l’ebbe sentita, Ayris si voltò verso Cedric e lo afferrò per un braccio, torcendoglielo dietro la schiena in modo da spingerlo contro il muro. Solo in quel momento la proprietaria della voce si palesò oltre la porta, accorrendo a darle man forte.

“Ehi!” protestò lui, cercando invano di divincolarsi sotto lo sguardo sbigottito degli altri. Le due donne, però, gli avevano già tirato su il giubbotto e il maglione. “Signore! Signore! Non so cosa abbiate in mente, ma possiamo discutern…” 

“Fermo!” gli impose la strana donna del cottage, mettendo fine ai suoi sproloqui mentre appoggiava entrambi i palmi delle mani sulla parte bassa della sua schiena e chiudeva gli occhi, assumendo un’espressione concentrata.

“Che sta facendo?” domandò Juliet allarmata, senza ottenere la minima attenzione.

I tentativi di Cedric di liberarsi si fecero più insistenti quando la parte toccata dalla donna iniziò a bruciargli e non riuscì a trattenere un gemito di dolore. Lei però non gli diede importanza e continuò a premere, finché una calda luce gialla scaturì dalle sue mani, illuminando tutto per qualche secondo. Sulla pelle del ragazzo comparve tutto a un tratto uno strano simbolo somigliante a una specie di sole, ma più stilizzato, con un cerchio al centro da cui partivano ramificazioni di forme diverse. Solo le due donne, però, erano abbastanza vicine da vederlo.

A lavoro ultimato, entrambe si rilassarono, lasciando Cedric di nuovo libero di muoversi. 

Guardandole indignato, si massaggiò la parte dolorante, prima di risistemarsi i vestiti addosso. “Si può sapere che accidenti mi avete fatto?” 

“Avevi un vegvisir dietro la schiena. Mi sono solo limitata a rimuoverlo.” spiegò senza scomporsi la donna misteriosa.

Per niente sicuro di aver sentito bene, Cedric aggrottò la fronte confuso. “Cosa avevo?”

“Un vegvisir. Una sorta di tatuaggio runico invisibile. Serve a tracciare i movimenti di chi vi è stato marchiato, in modo da seguire ogni suo spostamento.”

Dean allora realizzò. “Ecco come facevano ogni volta a sapere dove eravamo.” Era sicuramente opera di Byron. Solo lui avrebbe potuto inventarsi una diavoleria del genere, oltre ad essere l’unico nella Congrega ad averne le capacità. 

“Sì e dobbiamo sperare che non abbiano fatto in tempo a vedervi arrivare qui. Ho avvertito la presenza della runa nell’esatto istante in cui avete messo piede sul suolo scozzese. Per questo ho raccomandato ad Ayris di fare in fretta.” aggiunse lei, soffermandosi su ognuno di loro.

Rachel però non la ascoltava affatto, concentrata com’era a studiare ogni dettaglio della sua fisionomia ora che riusciva a vederla meglio sotto la luce della lampada appesa sopra la porta. Non l’aveva mai vista prima, eppure sentiva di conoscerla già. I capelli castano scuro, l’ovale del viso, il naso regolare ma non troppo… Tutto di lei le ricordava la persona con cui aveva più familiarità in assoluto: se stessa. Solo in una versione più matura. Non erano identiche, come era successo a Juliet e Claire con le altre sorelle Danesti, solo molto somiglianti. A quel punto, non riuscì più a trattenersi. “Margaret…” mormorò in tono incerto.

Solo quando i loro sguardi si incontrarono seppe con certezza di aver indovinato.

“Tu devi essere Rachel.” constatò la donna, riservandole un’attenzione speciale. Aveva tutta l’aria di chi a stento crede ai propri occhi, ma che si sforza di mantenere comunque un certo contegno.

Per tutta risposta, Rachel deglutì, sentendo il cuore batterle più forte nel petto. “Mi conosce?”

Fu allora che le labbra di Margaret si piegarono in un sorriso compiaciuto e insieme emozionato. “È da tempo che ti sto aspettando.”

 

-o- 

 

Come accadeva ormai da giorni, Claire venne scortata da Dustin fino al luogo dell’ennesimo appuntamento con Nickolaij. Ormai era diventata un’abitudine, tanto che non provava neanche più a rifiutarsi, anzi, pur di non dover rimanere rinchiusa nelle quattro mura della sua camera, sola con i suoi pensieri, avrebbe accettato di andare ovunque lui volesse. Inoltre, stava scoprendo un lato del suo aguzzino che mai si sarebbe aspettata, un lato comprensivo, quasi umano. La trattava sempre con rispetto e gentilezza, come se comprendesse cosa stava vivendo, e Claire non riusciva a spiegarsi il perché. La sua parte razionale continuava a ripeterle di non lasciarsi ingannare, che lo stava facendo solo per portarla dalla sua parte e tuttora cercava di restare aggrappata a quell’idea, per non cedere a quella specie di sindrome di Stoccolma. Non poteva dimenticare tutto il male che aveva fatto a lei e alle persone che amava. 

Quella sera Nickolaij l’attendeva in giardino, dove con sua grande sorpresa trovò anche l’uomo che aveva posto fine alla vita di Jamaal. Lì per lì Tareq non si accorse del suo arrivo, troppo impegnato a parlottare con il suo nuovo padrone e l’istinto di Claire fu subito quello di saltargli al collo, ma una presa ferrea le impedì di compiere gesti troppo avventati. Infastidita, si voltò e vide la mano di Dustin serrata attorno al suo braccio.

“Lasciami.” sibilò tra i denti, tentando invano di liberarsi. La forza del vampiro era tale che non riusciva a muovere nemmeno un muscolo.

“Sappiamo bene entrambi che non è una buona idea.” le rispose con un’espressione di granito che non lasciava trapelare il minimo sforzo. 

Lo sguardo di Claire saettò allora di nuovo verso Tareq, che se ne stava lì come se niente fosse. Avrebbe dovuto esserci lui al posto di Jamaal e giurò che presto lo avrebbe vendicato, ma forse quello non era il momento migliore. Così si rilassò, lasciando che la rabbia defluisse via dal suo corpo, come le stavano insegnando.

Una volta certo che avesse riacquistato la calma, Dustin la mollò e si diresse verso Nickolaij per annunciargli il loro arrivo. 

Non appena la vide, il suo sguardo s’illuminò. “Ah, mia cara. Sei qui.” constatò, interrompendo qualunque discorso stesse facendo con Tareq per dedicarsi a lei. Come era solito fare spesso, le porse la mano galante e Claire la prese in un gesto quasi automatico. 

Tareq le rivolse un’occhiata di sfida, ma con una punta di curiosità, a cui lei rispose con uno sguardo di puro odio. Comunque il nuovo tirapiedi di Nickolaij non disse niente, limitandosi a chinare il capo e a togliere il disturbo quando lo congedò. 

“Che ci faceva qui quel miserabile traditore?” chiese Claire non appena se ne fu andato insieme a Dustin. Il suo tono di voce non lasciava spazio a dubbi sull’astio che provava nei suoi confronti.

Tuttavia, Nickolaij sembrò non curarsene e la guidò verso le aiuole ricolme di rose, nei meandri dei giardini del castello. “Un traditore prezioso, ciò non di meno. Grazie al suo supporto, avrò la possibilità di eliminare una volta per tutte la seccatura dei cacciatori.” 

Claire ebbe un tuffo al cuore nel sentirlo parlare in quel modo. Non era difficile immaginare cosa stessero tramando quei due, ma sentirglielo dire fu mille volte peggio. Il pensiero andò subito al villaggio e alla gente del popolo Jurhaysh, soprattutto alle donne e ai bambini innocenti. Sperò con tutte le sue forze che Najat si rendesse conto del pericolo che correvano e prendesse provvedimenti. 

“Mia cara, cos’hai? Ti trovo un po’ pallida stasera.” 

La sua voce preoccupata la riportò alla realtà e si affrettò a riprendersi. “Sto bene.” gli assicurò in tono neutro; poi d’un tratto si fermò e Nickolaij con lei. “Ho bisogno di sapere una cosa.” esordì, seria in volto.

“Ma certo.” Lui restò in attesa, i penetranti occhi azzurri che scandagliavano la sua anima in profondità.

“Da quanto tempo va avanti? Intendo la vostra alleanza.” Non si pose tanti problemi a dar voce alle domande che le giravano nella testa da un bel po’. Anzi, a dirla tutta, da quando era vampira non si faceva più problemi su nulla. Da diverso tempo ormai sospettava che il loro squallido sodalizio fosse iniziato ben prima della notte in cui lei e gli altri erano venuti a Bran per salvare Cedric. 

Il cipiglio di Nickolaij si fece leggermente più contratto ed impiegò qualche secondo a risponderle. “Sei più perspicace di quanto pensassi, me ne compiaccio.” disse infine, mentre le sue labbra si piegavano in un ghigno appena percettibile. 

-Quindi è vero- pensò Claire tra sé. 

A quel punto, però, Nickolaij volse lo sguardo altrove, verso le stalle. “Vieni. Stasera voglio mostrarti un posto speciale.” Senza lasciarle la mano, si diresse nel punto in cui era stato sellato uno splendido cavallo dal manto nero che Claire rimase a osservare affascinata, prima che la aiutasse a salire in groppa e si sistemasse dietro di lei. 

Un po’ rigida per l’imbarazzo, lasciò che la circondasse con le braccia per afferrare le redini, poi lo sentì dare un colpo di tacco e il cavallo partì.

“Non mi hai ancora risposto.” gli fece notare mentre andavano, scrutando nell’oscurità davanti a sé per cercare di capire dove la stesse portando.

Nickolaij emise un sospiro paziente. “Ho sempre apprezzato l’ostinazione in una donna.” commentò, inoltrandosi sempre più verso l’ignoto. “Ad ogni modo, l’alleanza con Tareq è giunta a proposito. A differenza dei suoi compagni, teneva alla propria vita, così abbiamo stretto un patto. Lui avrebbe finto di aiutare Dean e gli altri a fuggire, tornando al suo villaggio con la mia lettera per te, in modo da spingerti a venire qui senza destare alcun sospetto. In realtà, avrebbe ricoperto il ruolo di spia per mio conto e in cambio gli avrei concesso la vita eterna.” spiegò con una freddezza disarmante. “Purtroppo la sua impulsività ha portato qualche complicazione al mio piano, che alla fine si è risolta comunque a mio vantaggio, come hai potuto constatare.”

Claire strinse con forza le redini per incanalare la rabbia che sentiva montare dentro di sé. Tuttavia, non replicò, reprimendo la valanga di insulti che altrimenti le sarebbero usciti di bocca, ma che avrebbe riservato a Tareq al loro prossimo incontro.

Per il resto del tragitto rimase in silenzio, pur continuando a pensarci, finché non iniziò a intravedersi il profilo di uno specchio d’acqua circondato dagli abeti della foresta e pensò che fosse strano che più si avvicinavano più le apparisse come un posto familiare, nonostante non sapesse nemmeno della sua esistenza.

Giunti in prossimità del lago, Nickolaij fece rallentare il cavallo e, una volta scesi, lo legò a un albero vicino, prendendo ad accarezzarlo sul muso con fare amorevole. Un quadretto davvero insolito che, dovette ammettere, la lasciò alquanto sorpresa. Come poteva essere la stessa persona spregevole che aveva rinchiuso Cedric in una cella per un mese e ora lei nelle mura di quel castello da incubo? Oltre a tutte le morti che aveva sulla coscienza ovviamente. “Perché mi hai portato qui?” domandò d’istinto. 

“Volevo mostrarti uno dei miei luoghi preferiti.” rispose lui in tono serafico, lasciando il cavallo e precedendola verso il lago. “Io e Liz ci venivamo spesso, o almeno nei momenti in cui riuscivamo a rimanere soli.” 

Ecco. Ora capiva perché le sembrava di esserci già stata e in effetti solo in quel momento ricordò di aver visto quel posto in uno dei suoi sogni, quando si trovava ancora al villaggio. Era lì che aveva assistito alla conversazione tra Nickolaij ed Elizabeth a proposito degli umani e della loro presunta inferiorità rispetto ai vampiri. Ricordava che quel sogno le aveva lasciato una strana sensazione di disagio, più del solito. “Me lo ricordo… Elizabeth me lo mostrò in uno dei miei sogni. Certo, vederlo dal vivo fa tutto un altro effetto.” Non sapeva bene nemmeno lei perché lo aveva detto. 

Ogni volta che tirava fuori l’argomento sogni Nickolaij si irrigidiva. Era evidente che la cosa lo turbasse, ma non capiva se era più a causa del fatto che lei conoscesse i suoi trascorsi con Elizabeth o per il loro legame in sé.

Ad ogni modo, come sempre riuscì a riprendersi in fretta. “A proposito, ho parlato con Byron di questi tuoi sogni e la sua teoria è che il tuo legame con Liz dev’essere scomparso da quando lei ha abbandonato il tuo corpo, perciò non l’hai più vista. Quanto all’origine di questo legame, purtroppo non ha saputo spiegarlo.”

L’essersi preoccupato per lei al punto da chiedere il parere del suo consigliere personale la sorprese. Al tempo stesso rimase un po’ delusa che non avesse saputo dargli una risposta. Anche se la conferma di non avere più Elizabeth dentro di lei spiegava la sensazione di vuoto che avvertiva da quella notte e che all’inizio aveva attribuito al cambiamento che il suo corpo stava subendo, le sarebbe piaciuto capirci qualcosa in più. Tanto per cominciare, come avesse potuto lo spirito di una persona morta secoli prima abitare il suo corpo per anni senza che se ne accorgesse.

Ci stava ancora pensando quando Nickolaij si sedette sull’erba, invitandola a fare lo stesso. Claire non si fece pregare. Tanto ormai erano lì. E poi moriva dalla voglia di avere delle risposte alla marea di domande che quel posto le suscitava, perciò, dopo un attimo di esitazione, si decise. “Perché l’hai fatto?”

Nickolaij si voltò, guardandola senza capire. 

“Se è vero che la amavi così tanto, per quale motivo l’hai tradita?” specificò. “Hai scelto di sacrificare il vostro amore per un castello e una manciata di terra intorno. Perché?”

Per diversi interminabili minuti Nickolaij continuò a fissarla, impietrito come un blocco di cemento; poi finalmente sbatté le palpebre, spostando lo sguardo verso la linea del lago. “Non è trascorso un solo giorno da quella notte in cui io non mi sia pentito di ciò che ho fatto.” confessò infine. “Infinite volte mi sono chiesto se avrebbe potuto esserci un’alternativa, un modo per convincerla a restare con me, renderla parte del mio progetto…”

“Non avrebbe mai tradito la sua famiglia.” replicò Claire, parlandogli sopra. “Ti amava, ma nel profondo aveva capito quanto fossi diverso dalla persona che credeva.” Era sicura di quello che stava dicendo. Il fatto stesso che Elizabeth avesse portato il pugnale con sé quella sera ne era la conferma. 

Un sorriso amaro comparve sul volto di Nickolaij. “Vedi? Hai provveduto tu stessa a darti la risposta. I miei sentimenti per Liz erano un ostacolo e superarlo la mia prova di volontà. Una volta affrontata, sapevo che nessun nemico avrebbe mai potuto avere la meglio su di me. Non si trattava semplicemente di conquistare un castello, Claire, ma il potere assoluto. Distruggendo i Danesti ho ottenuto il controllo su tutti i vampiri, una specie superiore che dominerà su quella umana. Io guiderò i miei simili verso tale obiettivo. È il mio destino.” 

Mentre lo diceva aveva un’aria quasi messianica e sul momento Claire ne fu spaventata. Si trovava davvero di fronte a un fanatico senza scrupoli, ma stranamente questo non fece altro che alimentare la rabbia nei suoi confronti. Invece di avere paura e restare in silenzio, provò l’impulso di controbattere. “Uccidere Elizabeth non è stato sufficiente a eliminare l’ostacolo.” lo provocò. “Io dovevo servire proprio a riportarla in vita, o sbaglio? Non mi pare che la tua ossessione per lei sia scomparsa in tutti questi anni.”

La sua volontà di sfidarlo, però, non lo toccò affatto. Anzi, ne sembrò divertito. “Quindi è questo? Pensi che ti volessi con me a tutti i costi solo per riaverla?” 

Claire lo squadrò perplessa. La stava forse prendendo in giro? Quale altro poteva essere il motivo per cui la perseguitava da mesi? Tutto a un tratto le tornò in mente la discussione avuta con Dean nella foresta, poco prima che la mordesse. Per lui Nickolaij aveva un secondo fine, qualcosa che andava oltre il desiderio puro e semplice di riportare in vita Elizabeth e a quel punto probabilmente aveva ragione. Quella era l’occasione giusta per scoprire di cosa si trattasse. “E cos’altro?” insistette.

“L’odio di Liz nei miei confronti doveva essere davvero profondo. Così profondo da tentare di uccidermi prima che io lo facessi con lei.” 

L’intensità del suo sguardo si fece quasi insostenibile, ma Claire si impose di mantenere il punto. “Lo so. Ho visto anche questo.” disse annuendo. Ricordava bene le sensazioni provate da Elizabeth che si riversavano su di lei nell’incubo.

Nickolaij si concesse un istante, poi riprese. “E allora saprai anche che il tentativo fallì, ma mi lasciò comunque un forte senso di delusione e rammarico. Dopo averla sepolta, non dormii per settimane. Mi sentivo debole, come svuotato…” 

C’era tristezza nella sua voce. Claire lo percepì.

“Davanti ai miei uomini dovevo mantenere una certa risolutezza, naturalmente. Tuttavia, quando ero solo il pensiero di lei tornava a tormentarmi. Finché non arrivò il plenilunio, il primo da quella sera. Solo allora mi accorsi di ciò che Elizabeth mi aveva fatto davvero. La mia Liz…” esitò, guardando nel vuoto. “Lei non aveva solo tentato di uccidermi, lei… Ci era riuscita.”

Lì per lì Claire non poté fare altro che starsene impalata a fissarlo, cercando di mettere ordine in quello che aveva appena sentito uscirgli di bocca. Che voleva dire con “ci era riuscita”? In quel momento lui era davanti ai suoi occhi, vivo e vegeto. Di che stava parlando? Ricordava perfettamente quando Elizabeth le aveva detto che il pugnale magico di Margaret aveva fallito e che l’unico mezzo per ucciderlo fosse il mistico paletto perduto. Benché non volesse osare troppo per non rischiare di inimicarselo, la voglia di sapere era troppa, perciò prese coraggio e diede fiato ai pensieri. “Che vuoi dire?”

Trasalì nel vederlo portarsi le mani al petto e iniziare lentamente a sbottonarsi la camicia. Solo quanto bastava per aprirla all’altezza giusta e rivelare una cicatrice abbastanza lunga nel punto esatto in cui il pugnale di Elizabeth lo aveva trafitto. Malgrado fossero passati secoli, i bordi erano ancora rossastri e la ferita sembrava essersi rimarginata solo da pochi giorni. 

Claire strabuzzò gli occhi, fissandola incredula. 

“Anche se feriti, i vampiri guariscono in pochi minuti. Nessuno di noi ha cicatrici evidenti sul corpo, per quanto terribili siano state le battaglie a cui ha preso parte. Nessuno tranne me.” disse, sfoderando un sorriso amaro mentre nascondeva di nuovo il simbolo della sua vergogna. “In quanto Draculesti, il mio disonore è ancora più grande, poiché i membri della mia famiglia potevano vantare il sangue più puro della nostra razza, pari soltanto a quello dei Danesti. Per questo motivo ci siamo contesi il dominio su queste terre per secoli, perché possiamo ferirci o ucciderci esclusivamente fra noi.” spiegò. “Quando Liz mi pugnalò quella notte, forse per la prima volta sperimentai la paura. Lei era una Danesti, dunque avrebbe potuto uccidermi, ma per mia fortuna fu tanto ingenua da scegliere un’arma inefficace su di me. Solo in seguito, però, capii di essermi illuso.”

Fece una pausa, in cui Claire pendette dalle sue labbra.

“La ferita causata dal pugnale faticava a rimarginarsi. In principio pensai che la lama fosse avvelenata e che bevendo del sangue sarei guarito in poco tempo. Tuttavia, ben presto mi resi conto che c’era dell’altro. Il sangue umano non riusciva più a placare la fame. Più ne bevevo e meno ne avvertivo gli effetti, così il mio corpo si indeboliva giorno dopo giorno e, per quanto mi sforzassi, non trovavo una soluzione. Solo con l’aiuto di Byron e delle sue conoscenze riuscii a capire cosa mi fosse accaduto. Ero maledetto ed era stata la donna che amavo a farmi questo.” rivelò infine.

Claire impiegò un paio di minuti a elaborare tutte quelle informazioni. Finalmente tutti i pezzi iniziavano ad andare al loro posto. “E riportarla in vita a cosa sarebbe servito?” 

“Posi la stessa domanda a Byron quando lo propose come soluzione al mio problema. A quanto sembra, una maledizione può essere spezzata solo da colui, o in tal caso colei, che l’ha inferta.”

Quella risposta la fece impallidire di colpo. Quindi facendosi trasformare da Dean non aveva solo risparmiato a Elizabeth la sofferenza di tornare, ma anche impedito a Nickolaij di spezzare una maledizione che lo tormentava da secoli e che lo aveva fortemente indebolito. A quel punto, una domanda le sorse spontanea. “Ma allora perché non mi hai ucciso? Ho rovinato i tuoi piani, avresti potuto tornare di nuovo quello di un tempo e invece a causa mia…” 

Lui però la interruppe. “Mi sono rassegnato, Claire.” ribatté con la solita pacatezza, anche se stavolta velata da una punta di malinconia. “Quando ti ho visto per la prima volta, in quel giardino a Greenwood, è stato come se un raggio di sole avesse illuminato quel tunnel buio che era la mia esistenza. Ho creduto di poter finalmente tornare me stesso e in più riavere Elizabeth al mio fianco, ma qualcuno si è messo in mezzo. Qualcuno che avrebbe dovuto essermi leale.” 

-Dean- pensò subito Claire e la paura tornò a impossessarsi di lei quando vide gli occhi di Nickolaij fiammeggiare d’ira repressa. 

“Non è stata una scelta facile per me quella di lasciarti vivere.” continuò, in tono meno fermo. “Ma il pensiero di Elizabeth… Sarebbe stato come ucciderla una seconda volta e non avrei potuto sopportarlo.” 

In quell’istante Claire si sentì strana, quasi provasse compassione per lui. Nonostante sapesse di doverla considerare una nemica, le stava confidando i suoi segreti più intimi, come se si conoscessero da sempre. Una sensazione che durò poco, perché si sforzò di tornare subito lucida. Quello era Nickolaij, non doveva dimenticarlo. “Io non sono lei.” gli rammentò per l’ennesima volta.

Nickolaij sogghignò. “Lo so bene e non pretendo che tu lo sia.” Detto questo, tornò a rivolgere lo sguardo al lago. “Avremo tempo per conoscerci, Claire. Molto tempo.”

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Capitolo 14
*** L'eredità dei Danesti (parte 2) ***


Capitolo 9

 

L’eredità dei Danesti (parte 2)


È da tempo che ti sto aspettando.

Quell’affermazione aveva lasciato Rachel basita. La sentiva ripetersi nella testa e per una volta nella sua vita non fu in grado di replicare. Per fortuna, Margaret non lo pretese.

“Venite dentro. Sarete infreddoliti.” li invitò con un tono di una normalità disarmante. Come se non avesse fatto minimamente caso all’effetto provocato dalle sue parole.

Comunque, non si fecero pregare, persuasi anche dal fatto che nel frattempo era iniziato a piovere. L’ingresso del cottage dava subito su un salottino dall’aspetto datato, con un divanetto foderato di un tessuto a piccoli fiori e un camino centrale che occupava mezza parete. I muri erano rivestiti con assi di legno per conservare il calore all’interno, ma l’ambiente risultava comunque freddo e umido. Inoltre, un odore intenso di piante aromatiche essiccate si respirava nell’aria.

Prima ancora che potessero realizzare, il braccio di Margaret si tese verso la bocca del camino, dove era già stata sistemata una catasta di legna da ardere, e un istante dopo una lingua di fuoco schizzò fuori dalla sua mano, incendiando i ciocchi che presero subito.

La reazione generale fu di puro sgomento, ma lei non vi badò. “Chiedo scusa, non ho pensato a farvi trovare il camino acceso. Il freddo non ha mai rappresentato un problema in questa casa.” si giustificò con la solita pacatezza; poi accennò al divano accanto a loro. “Prego, accomodatevi. Ayris porta delle coperte, per favore.” disse garbata alla ragazza, che annuì, imboccando le scale per il piano di sopra.

Qualche minuto più tardi erano avvolti nei plaid, intenti a bere caldi infusi dal contenuto indefinito ma dal sapore ottimo. Tutti tranne Dean, che aveva gentilmente rifiutato. 

“Dunque è vero. Siete una strega.” constatò, parlando per primo. 

Margaret ricambiò lo sguardo, assumendo un’aria vagamente indagatrice, quasi vedesse in lui qualcosa di diverso; poi sembrò soprassedere, versandosi un po’ di infuso in una tazza. “Immagino non debba essere facile per voi credere che lo sia.”

“Beh, l’abbiamo appena vista fare magie. Dobbiamo crederci per forza.” rispose Juliet, sorridendole cortese.

Tuttavia, la reazione della donna al sentirla parlare fu piuttosto strana ed ebbero come l’impressione che la vedesse per la prima volta da quando erano arrivati. “Perdonami, è che tu assomigli in modo incredibile a una delle mie sorelle.” si riscosse.

Stavolta non rimasero sorpresi, visti i precedenti, e Juliet riuscì a notare il velo di malinconia che attraversò gli occhi della donna nell’attimo in cui immaginava stesse ripensando a Cordelia. Conoscendo parte della storia, non poté esimersi dal provare dispiacere per lei.

“Quindi avete saputo che eravamo in Scozia grazie ai vostri poteri. Per questo avete mandato la vostra amica a prenderci.” dedusse Dean.

Come già accaduto, lo sguardo di Margaret si soffermò per qualche istante su di lui, prima di spostarsi su Rachel. “Esattamente. Inoltre, questo luogo è protetto da potenti incantesimi che io stessa ho lanciato. È impossibile da raggiungere, a meno che non si sappia già dove cercare.” spiegò “Senza l’intervento di Ayris non mi avreste mai trovato.”

Dean rimase in silenzio a riflettere sulle sue parole. La questione degli incantesimi spiegava come mai il cottage non fosse stato visibile fin da subito, ma restava ancora da chiarire come avesse fatto Margaret a sapere che sarebbero arrivati. Comunque evitò di bombardarla con tutte le domande che gli frullavano per la testa. Era evidente che stesse sorvolando sull’argomento di proposito e che forse aveva intenzione di parlarne più avanti. Inoltre, causa la sua veneranda età e la storia che aveva alle spalle, quella donna era circondata da una sorta di aura mistica, che lo induceva a provare istintivamente un profondo rispetto nei suoi riguardi. 

Per qualche istante non dissero nulla, ognuno intento a sorseggiare la tisana immerso nei propri pensieri, finché Cedric non decise di rompere il ghiaccio.

“Quindi… Quel vegcoso o come si chiama, quand’è che me l’avrebbero fatto?”

“Dev’essere stato quando eri prigioniero, Ced.” ipotizzò Mark.

“Me ne sarei accorto.”

Margaret scosse lievemente la testa, poggiando la tazza sul tavolino di fronte a sé. “Non se nel frattempo ti avevano addormentato. È una procedura difficilmente realizzabile se la persona è sveglia.”

Lui la scrutò attonito. “Strano… Non mi ricordo niente.” rifletté a voce alta, concentrandosi nello sforzo di ricostruire i momenti trascorsi al castello.

“Era proprio questo lo scopo.” replicò Margaret. “Come avrebbero potuto seguirti se sapevi di essere tracciato?”

In effetti, la sua era una logica inattaccabile. 

Di fronte alle loro facce disorientate, si lasciò sfuggire una risatina sommessa. “Tipico di Byron.” 

Dean si irrigidì nel sentire quel nome e la sua attenzione sembrò acuirsi. “Lo conoscete?” chiese, più sorpreso di questo che del fatto di averci visto giusto. A quanto ne sapeva, Byron era al soldo di Nickolaij fin dalla sua ascesa, cioè secoli prima che lui stesso si unisse alla Congrega, ma non conosceva i dettagli del loro sodalizio e ora aveva la possibilità di capirci qualcosa in più, perciò non si fece troppi problemi a rischiare di apparire indiscreto.

“Sventuratamente.” confermò lei, con un sospiro di rassegnazione. “E conosco molto bene anche i suoi passatempi. Sono gli stessi da anni. Mio cugino si è sempre dilettato nello studio delle rune antiche e si diverte a definire magia quelli che in realtà sono soltanto trucchi travestiti da incantesimi. Devo ammettere, però, che le sue abilità si sono affinate rispetto a qualche secolo fa. Evocare un vegvisir non è cosa da poco.” 

Quei ragionamenti coinvolsero Dean fino a un certo punto, visto che il suo interesse era rimasto focalizzato sulla parte iniziale del discorso. “Un secondo…” la fermò, mentre cercava ancora di assimilare. “Byron è un Danesti?”

“Lo era. Ha tradito la sua stirpe per schierarsi con il nemico, da schifoso rettile qual è.” rispose Margaret, senza celare il profondo disgusto che provava per lui; poi i suoi occhi saettarono rapidi verso Rachel, come se qualcosa di lei che prima non aveva notato l’avesse attratta all’improvviso. “Cosa vedo…” mormorò, accigliandosi. Non aggiungendo altro, si alzò dalla poltrona e le si avvicinò, la mano che iniziava lentamente a sollevarsi.

L’istinto di Rachel fu subito quello di ritrarsi, spaventata da quello che una strega avrebbe potuto farle. Tuttavia, Margaret non sembrava avere intenzioni ostili, così rimase immobile dov’era, aspettando di capire cosa avesse in mente. Non appena la mano della donna si avvicinò alle sue labbra, avvertì un calore piacevole pervaderle il viso e, poco dopo, si portò una mano dove fino a un attimo prima c’era il sangue rappreso della ferita che le aveva lasciato lo schiaffo di quel vampiro sul treno, ora invece del tutto scomparsa.

Tra lo stupore generale, Cedric fu l’unico che riuscì a commentare con un wow, mentre gli altri si limitarono a fissare Rachel allibiti.

“Molto meglio.” disse Margaret soddisfatta, tornando a sedersi.

Senza smettere di fissarla, Rachel mormorò un grazie sommesso, stupendosi ogni secondo di più di quanto si somigliassero. Se si ignorava la reale differenza d’età che c’era tra loro, chiunque avrebbe potuto tranquillamente scambiarla per sua sorella maggiore. Comunque, mise da parte quella riflessione e tornò al fulcro della faccenda. “Riguardo a quello che ha detto prima, che mi stava aspettando…” 

“Dammi pure del tu, cara.” la autorizzò.

Lei annuì timidamente. “Va bene. Dicevo, che significa che mi stavi aspettando? Come fai a sapere chi sono?” chiese, ansiosa di saperne di più.

Le labbra carnose di Margaret si piegarono in un leggero sorriso. “Comprendo il tuo desiderio di risposte, ma prima lasciate che sia io a farvi qualche domanda. Come sapevate che mi trovavo in Scozia? Da anni ormai vivo qui in segreto e non ho mai ricevuto visite.”

“La storia è un po’ lunga.” le disse Mark in tono rispettoso.

Lei, però, ridacchiò, minimizzando il problema. “Caro, forse non sembra, ma ho più di quattro secoli. La pazienza non mi manca.”

“Okay, per farla breve: abbiamo trovato le due collane che ci mancavano e, quando le abbiamo riunite con quella di Rachel, lei le ha toccate e ha avuto delle visioni di questo posto. Poi abbiamo attraversato un portale ed eccoci qua.” riassunse Cedric in quattro parole. Era evidente fosse ansioso quanto Rachel di arrivare al nocciolo della questione, anche se per motivi diversi.

Tuttavia, Margaret non sembrò prenderla male. Anzi, pareva divertita dalla sua irruenza. “Non era poi così lunga dopotutto.” commentò pacata; poi guardò Rachel di nuovo. “Com’è stato? Cosa hai provato di preciso quando hai avuto le visioni?” le chiese interessata.

Anche troppo a suo modo di vedere. Perché aveva l’impressione che per lei ciò che le era capitato in Austria fosse del tutto normale? Come se già si aspettasse quella sua “cosa delle visioni”. Prima di rispondere, deglutì, prendendo del tempo per trovare le parole. “Quando le collane hanno toccato il palmo della mia mano, le pietre si sono illuminate e nello stesso momento ho sentito un’energia, come una scarica elettrica, attraversarmi da capo a piedi. Da allora mi sento diversa…” 

“Ti senti cambiata?” la imboccò Margaret, sempre più eccitata. “Più forte?”

Aveva uno strano tono di voce che a Rachel non piacque per niente, come non le piaceva che indovinasse le sensazioni che aveva provato e che stava provando tuttora. L’occhio le cadde sulla mano con cui aveva stretto le collane, estraniandosi un po’ da tutti. Ricordava bene il calore che si era sprigionato dentro di lei nel toccarle, lo stesso avvertito quando si era sentita minacciata dal lupo, prima che la folata di vento lo mettesse in fuga. D’un tratto, un dubbio iniziò a farsi strada nella sua mente e d’istinto posò di nuovo lo sguardo su Margaret, accorgendosi che la stava studiando con un sorriso compiaciuto.

“Esattamente come mi aspettavo.” 

“Scusi, in che senso?” domandò Mark, confuso e stranito quanto gli altri. 

“È normale che le collane abbiano reagito al tocco di Rachel, ma facciamo un passo alla volta.” fece lei, glissando di nuovo. “Fui proprio io a incantarle diversi ann… beh, secoli fa. Le donai alle mie sorelle con la promessa che, attraverso di esse, ci saremmo sempre ritrovate.” 

Rachel annuì, sforzandosi di nascondere l’impazienza, ma in realtà riuscendoci a stento. “Conosciamo questa parte. Quello che non capisco è come ha fatto la tua collana ad arrivare a me e perché, quando abbiamo trovato le altre, la visione l’ho avuta solo io. Ammetterai che non sia propriamente normale.” 

“Lo è per chi è come noi.” replicò lei, senza offendersi. “Tu hai la mia collana perché da secoli viene tramandata di generazione in generazione, di madre in figlia. O nel tuo caso da nonna a nipote. Non si tratta di un semplice orpello, Rachel, ma di una reliquia. Tu sei la mia erede, la prova vivente della continuità della mia stirpe. In te scorre sangue Danesti.” rivelò infine con orgoglio, tra lo stupore generale.

Sia Rachel che gli altri rimasero ammutoliti per diversi secondi, ognuno nel tentativo di razionalizzare ciò che avevano appena sentito.

Soltanto Mark a un certo punto ebbe la forza di mormorare: “Ma… questo farebbe di te la sua…”

“Bis, bis, bis, bis nipote o qualcosa del genere. Non è questo l’importante.” minimizzò Margaret con uno sventolio della mano. “L’importante è che finalmente ci siamo riunite.” concluse raggiante. 

Non stava più nella pelle dalla felicità, era palese, ma al contrario suo Rachel non trovò proprio niente di cui gioire. “Aspetta un attimo, non… non è possibile.” balbettò, sentendo montare il panico e cercando quindi di riportare la situazione sul piano del reale. “La mia famiglia ha origini per metà francesi, io sono nata in America…”

“Mio marito era francese.” spiegò Margaret senza scomporsi.

Rachel però la ascoltò a malapena. “Come possiamo essere imparentate? Voglio dire… è assurdo…”

A quel punto, la donna si rese conto della valanga di sconcerto che la sua rivelazione aveva scatenato, così si alzò dalla poltrona e si chinò davanti a lei, prendendole le mani tra le sue. “Lascia che ti spieghi. Quando capii che da sola non avrei potuto oppormi a Nickolaij e che la mia famiglia era ormai perduta, decisi di fingere la mia morte e di fuggire insieme a mio marito e mio figlio nel Nuovo Mondo. Tua nonna Rachel, da cui hai ereditato il nome, era la mia ultima discendente.” Si abbandonò a un sospiro. “Dopo tante delusioni, riposi in lei tutte le mie speranze, ma purtroppo la collana non emise mai neanche un flebile bagliore in mano sua. In seguito, ebbe un solo figlio maschio e stavo quasi per rassegnarmi. Invece poi sei arrivata tu e… Oh sì, sei proprio tu colei che stavo aspettando.”

Lo disse meno infervorata rispetto a prima, ma non per questo Rachel nel rimase meno colpita. Più quella donna parlava più le suscitava brutte impressioni, oltre a un certo timore. 

A dispetto della sua espressione spaesata, però, Margaret continuò imperterrita, tornando a sedersi. “Ho capito subito che eri quella giusta. Da quando sei venuta al mondo, dal tuo primo vagito, ho avvertito il grande potere che risiedeva in te. Era più potente di quello di qualunque altra erede avessi mai avuto.” Man mano che raccontava, appariva sempre più euforica. “Grazie ai miei poteri ero più o meno al corrente di come stesse proseguendo la tua vita. Non avevo modo di guidarti direttamente da me, ma confidavo nell’aiuto delle mie sorelle.” 

“Quindi Lei sapeva che le sue sorelle fossero dentro i nostri corpi?” le chiese Juliet esterrefatta.

Margaret la guardò intenerita. “Naturalmente. Sono stata io a mettercele.” disse, lasciandosi sfuggire una risatina. La rivelazione li lasciò sgomenti, spingendola a spiegarsi meglio. Raccontò che anni prima della nascita di Rachel aveva avuto due premonizioni. La prima riguardava un incontro tra Nickolaij e sua sorella Elizabeth in cui stavano danzando. “Sul momento non ne compresi il significato. Mia sorella era morta da tempo e le mie erano sempre state visioni di eventi futuri, mai del passato. Solo quando ebbi la seconda...”

“Un attimo.” la interruppe Cedric. “Sta dicendo che aveva previsto in che guaio ci saremmo cacciati per colpa di quel dannato ballo in maschera?”

Margaret gli riservò un’occhiata confusa. “Prego?”

È lì che Nickolaij ha adocchiato Claire per la prima volta e da quella sera è iniziato tutto il casino. Se lo sapeva perché non ha pensato di avvertirci? Tipo apparendo in sogno a Rachel, che ne so!”

“Giusto, Claire…” mormorò lei, intuendo a chi si riferisse. “Avevo notato che mancasse qualcuno. Poi mi racconterete cosa le è successo.” Tornando a Cedric, si fermò un istante in cerca delle parole più semplici per spiegargli. “Innanzitutto, apparire in sogno alle persone è una prerogativa dei morti. Secondo poi, mettiamo il caso che ne fossi stata in grado e avessi raccontato tutta la storia a Rachel, mettendola in guardia sull’incontro con Nickolaij e i pericoli che ne sarebbero seguiti, voi poi le avreste creduto? Tu per prima lo avresti fatto?” le domandò direttamente. 

Lei e gli altri si scambiarono occhiate perplesse, come a dire che in effetti non aveva tutti i torti.

“Inoltre, era destino che quei due si incontrassero.” aggiunse. “Lasciatemi finire. Come stavo dicendo, non molto tempo dopo ebbi un’altra premonizione. Vidi due bambine incredibilmente somiglianti alle mie sorelle, figlie di persone molto vicine alla famiglia di Rachel, che sarebbero nate a poche settimane di distanza da lei e fu allora che mi resi conto che la ragazza che avevo visto con Nickolaij non era Beth e di cosa dovevo fare. Così trasferii parti delle anime di Elizabeth e Cordelia nei grembi delle madri, affinché le loro figlie si legassero alla mia erede e la aiutassero ad arrivare a me.”

Rachel la ascoltava con gli occhi sgranati, allibita nel sentire quelle parole. In breve stava dicendo che l’amicizia che la legava a Juliet e Claire da diciotto anni era frutto di un piano ben congeniato per far sì che prima o poi Margaret potesse incontrarla. Lo sconcerto era tale che non riuscì ad aprire bocca. 

Sebbene fosse sorpresa quanto lei, ci pensò Juliet a dare fiato ai suoi pensieri. “Scusi, mi faccia capire bene. Noi tre siamo diventate amiche solo perché Lei lo aveva prestabilito?” chiese, una volta tanto senza peli sulla lingua. 

Margaret fece spallucce. “Chi può saperlo? Probabilmente lo sareste diventate comunque, visto il legame tra le vostre famiglie, ma in questo modo vi ho unito l’una all’altra in maniera indissolubile per un causa più importante.” 

“E il fatto che Nickolaij passasse da quelle parti al momento giusto è stato un gran bel colpo di fortuna, immagino.” osservò Dean in un leggero tono polemico, inserendosi nella conversazione. 

“No, è proprio questo il punto.” lo smentì. “Nulla è stato casuale. Proprio perché sapevo che Nickolaij avrebbe incontrato Claire ho dato inizio a tutto. Ho creato il mio incantesimo in maniera tale che, nell’esatto istante in cui quei due fossero entrati in contatto, le coscienze sopite delle mie sorelle si sarebbero risvegliate per adempiere al compito che avevo affidato loro. Non ero certa che avrebbe funzionato, è stato un azzardo, ma la vostra presenza qui dimostra che a volte rischiare paga.” concluse compiaciuta.

Dopo un attimo di silenzio, Cedric emise un fischio, mostrando tutto il suo stupore. “Ma dove siamo, ai confini della realtà?” ironizzò come sua abitudine per stemperare la tensione, anche se c’era ben poco su cui scherzare. 

Al contrario delle dirette interessate, Margaret invece sembrò apprezzare l’ironia. “Devo ammetterlo, non è stata un’impresa facile. Era un incantesimo potente e mi ha portato via molto tempo ed energie, ma modestamente ai miei tempi ero la strega più dotata della mia cerchia. E non eravamo poche.” si vantò ridacchiando. 

Tuttavia, quando la guardò Mark era serissimo. “E adesso?”

La domanda provocò nella donna un repentino cambio d’umore e la videro immalinconirsi. “Sono rimasta solo io.” rispose, prima di spostare su Rachel uno sguardo carico di speranze disattese per anni. “Almeno fino a qualche ora fa.”

Lei la ricambiò, per un attimo senza avere idea di come reagire. Alla fine, la verità le era arrivata addosso tutta insieme, come una valanga da cui non riusciva a riemergere, e si sentì quasi mancare l’aria. “No, non può essere…” mormorò, smettendo di guardarla. Non poteva più sostenere lo sguardo di nessuno. “Ce n’est pas possible. È uno scherzo…”

Margaret si accigliò, quasi risentita. “Mia cara, ti assicuro che dopo cinque secoli di attesa la voglia di scherzare svanisce completamente.” replicò, stavolta meno sorridente. “Tu hai il mio sangue nelle vene e di conseguenza anche la mia magia…”

“Adesso smettila, okay?” sbottò Rachel, stufa di sentirglielo ripetere. “Se quello che dici è vero, perché non è mai successo niente? Neanche un incantesimo, una magia o roba simile. Niente per diciotto anni! Se è vero che ho dei poteri, per quale motivo si sarebbero manifestati solo ora? Come lo spieghi?” Il suo tono di voce iniziava a farsi più aggressivo, mandando al diavolo tutta la cortese riverenza avuta finora nei suoi confronti.

“È molto semplice. Di norma la magia si tramanda all’interno di una famiglia da una strega all’altra, eppure non sempre si manifesta fin dalla nascita. I tuoi poteri fanno parte di te da sempre, ma erano assopiti e il contatto con le collane intrise di magia li ha risvegliati. Ecco il motivo della scossa elettrica che hai avvertito.” 

Rachel avrebbe preferito di gran lunga sentirsi dire che c’era stato un errore, che in effetti non avrebbe mai potuto essere una strega, invece quella donna aveva puntualmente la spiegazione pronta per ogni cosa e questo la faceva diventare matta. Persa nei suoi pensieri, nemmeno si accorse che nel frattempo Margaret la stava guardando intensamente. 

“Ascoltami.” le disse determinata. “Le collane che si sono illuminate al tuo tocco, le visioni che hai avuto… Non vedi? Sono tutti tasselli di un piano più grande che ti ha condotto fin qui. Non pensare che la tua diversità sia negativa. Il tuo potere è un dono e devi esserne fiera…”

Rachel però riusciva solo a sentirsi strana, impantanata fino al collo in un enorme incubo. Altro che parte di un piano più grande. Era solo colpa di quella donna se ora si trovava in quell’assurda situazione.

Nello stesso momento, Ayris fece ritorno da quella che immaginarono fosse la cucina, trasportando un vassoio con delle ciotole colme di zuppa fumante, che appoggiò sul tavolino davanti a loro dopo averle lanciato un’occhiataccia. Forse era irritata per averla sentita gridare contro Margaret, ma non poteva importarle di meno. Così, mentre gli altri, a eccezione di Dean, si fiondavano sulla zuppa, a lei si era chiuso lo stomaco e tutto ciò che voleva era trovare un modo per fuggire da lì.

“Ho bisogno d’aria.” annunciò secca, per poi alzarsi e dirigersi senza tante cerimonie all’uscita, abbandonando la sua coperta sul divano.

Il desiderio di evadere era tale che dimenticò perfino di prendere il giubbotto e uscì così come si trovava. Per fortuna fuori aveva smesso di piovere, anche se faceva comunque un gran freddo. Eppure a malapena lo sentiva. Non le importava di congelare, non le importava di niente. Voleva solo mettere più distanza possibile tra sé e quella donna. Tuttavia, una voce alle sue spalle le ricordò che qualcuno non l’avrebbe mai lasciata sola. 

“Ray.” la chiamò Mark, correndole dietro con il suo giubbotto in mano.

Rachel però non si voltò, continuando a camminare pur non sapendo neanche verso quale direzione. 

Nonostante ciò, lui non demorse. “Ray, aspetta un attimo.” ripeté, senza ottenere risultati. “Rachel!” esclamò a quel punto in tono fermo, riuscendo finalmente a farsi ascoltare.

“Che c’è?” ribatté spazientita, girandosi di scatto a guardarlo.

Mark la raggiunse e le appoggiò premuroso la giacca sulle spalle. “Prenderai freddo.” disse, assumendo di nuovo un’aria posata.

Di fronte a quello sguardo non riuscì più a mostrarsi arrabbiata e le sfuggì perfino un debole sorriso. “Grazie.” mormorò, sistemandosi meglio il giubbotto addosso.

Lui ricambiò, ma senza aggiungere altro, per lasciarle i suoi spazi e darle modo di riprendersi. Così si appoggiarono entrambi alla staccionata del recinto dove probabilmente Margaret lasciava pascolare gli animali e trascorse qualche minuto prima che riaprissero la conversazione.

“Ti va di parlarne?” le chiese infine cauto. 

Per la verità non molto, ma Rachel sapeva che se non si fosse sfogata avrebbe rischiato di esplodere. Senza contare che con lui si sentiva libera di parlare di qualunque cosa. Preso un bel respiro, si concesse qualche altro istante, poi guardò dritto davanti a sé. “È tutto un casino. Un’assurdità dopo l’altra.” disse in tono mesto. “Insomma, una strega? Io? Che non ho mai creduto a niente che avesse a che fare con il paranormale nemmeno quando avevo l’età giusta per farlo? Andiamo…”

Mark ridacchiò. “Beh, con tutto quello che abbiamo passato ultimamente direi che se continuassimo a non crederci saremmo noi gli strani, no?”

Lei sbuffò esasperata e annuì, prendendo a fissarsi i piedi. Non poteva che trovarsi d’accordo. La sola esistenza dei vampiri bastava a radere al suolo tutte le sue convinzioni, figurarsi quella delle streghe. Il problema infatti non era tanto quello, quanto scoprire di esserlo lei stessa. Perché aveva dovuto capitarle una cosa simile? Tutto quello che desiderava era andare al college, laurearsi in legge, avere una vita normale. Credeva di averle viste tutte in quei mesi passati lontana da casa, ma ora si era accorta che non c’era limite all’impossibile.

“Sapere quelle cose deve averti sconvolta, me ne rendo conto.” continuò Mark, facendosi serio. 

“Come ha potuto pensare che accettassi la cosa come se niente fosse? Così, da un momento all’altro. Cosa vuole da me? Ammesso che sia vero quello che dice…” Tuttora stentava a crederci. Una parte di lei rifiutava ancora l’idea, sebbene l’altra continuasse a dirle di arrendersi all’evidenza.

“Perché avrebbe dovuto mentire?”

A Rachel sfuggì una risatina isterica. “Perché è pazza magari! Pensaci, ha vissuto isolata in un eremo tra le scogliere per anni, di sicuro qualche rotella l’ha persa.” 

Quando Mark però le rivolse un’occhiata eloquente, seppe che stava cercando a tutti i costi di mentire a se stessa. 

“Credi davvero che una pazza possa inventarsi tutta quella storia su di te e le tue amiche nei minimi dettagli e risultare credibile? No Ray, era sincera. Glielo si leggeva in faccia.”

Rimasta interdetta, Rachel abbassò di nuovo lo sguardo, abbandonandosi angosciata a un sospiro. “Non lo so, mi ha dato una strana impressione, come se si aspettasse chissà cosa. È quasi inquietante…”

“Beh, qualsiasi cosa voglia non permettiamole di deviarci dal motivo per cui siamo venuti: salvare Claire e togliere di mezzo Nickolaij.”

Rachel lesse la determinazione nei suoi occhi e ne rimase alquanto colpita. In due parole era riuscito a farla concentrare di nuovo sull’obiettivo. –Giusto- pensò tra sé. Era per Claire che avevano affrontato quel viaggio praticamente alla cieca. 

Dopo aver fatto una pausa, Mark aggiunse: “E comunque, strega o no, non può obbligarti a fare nulla. A meno che non ti lanci un incantesimo.” scherzò, nel tentativo di sdrammatizzare.

Lei infatti gli sorrise, non potendo fare a meno di pensare che senza di lui sarebbe stata persa. Non aveva idea di come ci riuscisse, ma ogni volta che ne aveva bisogno lui era lì e sapeva esattamente cosa dire per calmarla. D’un tratto avvertì un impulso fortissimo e, senza pensarci troppo, gli prese il viso tra le mani, avvicinando le labbra alle sue fino a farle diventare un tutt’uno. 

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Capitolo 15
*** Unica speranza (parte 1) ***


Capitolo 10

 

Unica speranza


Nel piccolo salotto di Margaret era sceso il silenzio dopo la fuga di Rachel. Anche Juliet e Cedric per un attimo smisero di intingere i cucchiai nella zuppa, del resto neanche troppo malvolentieri considerato il sapore, e si scambiarono occhiate spaesate con le loro ospiti, non sapendo cosa dire. Per fortuna, Margaret seppe ritrovare in fretta il controllo della situazione. 

“Dovevo aspettarmelo.” disse, sospirando mesta. 

Ayris scostò un lembo della tenda per controllare che Rachel e Mark non si fossero allontanati troppo e li vide poco oltre l’ingresso, appoggiati al recinto delle pecore. “Se lo desideri, posso andare a chiamarli.” si offrì poi.

“Forse sarebbe meglio lasciarle del tempo per riprendersi. Tutte queste novità devono averla parecchio sconvolta.” consigliò invece Juliet, sentendosi in dovere di intervenire in favore dell’amica. Scoprire di essere l’erede di un’intera dinastia e in più anche una strega non era certo un boccone facile da mandare giù. In cuor suo, sperava che Mark riuscisse a tirarla su di morale, alleggerendo almeno un po’ il peso di quelle rivelazioni.

Margaret annuì, fissandosi le mani. “Mi rincresce di essere stata così diretta, ma attendevo questo momento da anni e l’emozione mi ha forzato la mano. Lasciamola stare per il momento.” 

Bastò questo per far allontanare Ayris dalla finestra e indurla a raccogliere le scodelle vuote per riportarle in cucina. Juliet ebbe l’impressione che quella ragazza non muovesse un dito senza il consenso di Margaret e che si astenesse dal manifestare l’antipatia nei loro confronti solo perché c’era lei presente. Comunque, quando le passò davanti per prendere il suo piatto, non poté non notare l’occhiata di traverso che le rivolse.

“Vorrei tanto che Rachel capisca quanto la sua presenza qui sia importante.” aggiunse Margaret riflessiva.

Dean la guardò, alzando incuriosito un sopracciglio. “Importante per cosa?” Quando però la donna non gli rispose, limitandosi a squadrarlo da capo a piedi per l’ennesima volta, decise che era arrivato il momento di chiarire. “Se vi state chiedendo se io sia o meno un vampiro, la risposta è sì.” 

Lei non sembrò stupirsene più di tanto, a conferma che ne avesse il sospetto fin dall’inizio. “Mi piacerebbe conoscere i motivi che ti hanno spinto a tradire Nickolaij e unirti a un gruppo di umani.” replicò in tono neutro. 

“Fantastico, voglio esserci anch’io quando lo farà. Ora potremmo concentrarci sul vero motivo per cui siamo venuti fin qui?” intervenne Cedric spazientito, senza neanche far caso all’occhiataccia di Ayris che lo puniva per essersi rivolto a Margaret in maniera tanto irrispettosa. 

Tuttavia, la donna non se ne mostrò offesa e, aggrottando la fronte, li scrutò ancora uno ad uno. 

“Mentre noi facciamo convenevoli, Claire è ancora in quel posto infernale.” disse a Dean e Juliet, per poi spostarsi su Margaret. “E la colpa è sua.” sentenziò.

“Ced…” tentò di rabbonirlo Juliet, senza successo.

“Cerca di calmarti.” si aggiunse Dean, dandole man forte. “Non è certo dipeso da lei se ora Claire è a Bran…”

Cedric lo fulminò con lo sguardo. “No infatti, quello è dipeso da te.” precisò. “Però non sarebbe mai successo se lei” indicò Margaret, cominciando a infervorarsi. “non avesse deciso di infilare l’anima della sorella morta nel suo corpo! Se non fosse stata identica a Elizabeth, quel maniaco non l’avrebbe mai notata e a quest’ora non saremmo nemmeno qui.”

“Che significa che Claire è a Bran?” Margaret sembrava più interessata a quello che a difendersi dalle accuse di Cedric. 

Juliet si accorse che la domanda fosse rivolta a Dean, ma provvide lei a rispondere. “Nickolaij la tiene prigioniera. A quanto ne sappiamo, voleva usarla per far tornare in vita Elizabeth.”

“Voleva?” ripeté Margaret, continuando a cercare spiegazioni da Dean. “Cosa glielo ha impedito?”

Pur non avendo molta voglia di rievocare l’episodio, lui sospirò paziente e le spiegò in breve cos’era successo, raccontandole dello scambio preteso da Nickolaij e di essersi visto costretto a mordere Claire per evitare il peggio. 

La donna ascoltò fino in fondo senza interromperlo, non mostrandosi neanche troppo impressionata dalla crudeltà di Nickolaij e soffermandosi più che altro sull’ultima parte del racconto. “Certo…” mormorò annuendo, quando Dean le disse della trasformazione. “Così facendo l’hai resa impura, impedendogli di usarla per i suoi scopi. Una mossa davvero astuta, devo complimentarmi con te.”

Consapevole che l’idea non fosse partita da lui e che tutti in quella stanza, a eccezione di Margaret, avessero solo voglia di linciarlo per quello che aveva fatto, Dean preferì esimersi dal ringraziarla.

“Povera ragazza.” mormorò lei, intristendosi. “Mi duole che le sia accaduto tutto questo. Quando ebbi le visioni non avrei mai potuto immaginare che gli eventi avrebbero preso una piega simile. Ad ogni modo, se è vero che Nickolaij amava così tanto mia sorella, rivederla in Claire potrebbe averlo dissuaso dall’ucciderla.”

“Potrebbe…” mugugnò Cedric con aria imbronciata.

“Capisco, è una magra consolazione, ma è l’unica speranza a cui possiamo aggrapparci.”

Nessuno trovò nulla da obiettare, anche se parlare dell’argomento era stato come riaprire una ferita mai del tutto rimarginata e, per evitare di venire sopraffatta dalla tristezza, Juliet provò a cercare risposte alle domande che si poneva da tempo. “C’è una cosa che avrei sempre voluto chiederle, se mai l’avessimo trovata.” esordì. “Lei ha detto di aver messo parti delle anime delle sue sorelle dentro i nostri corpi, ma allora perché Elizabeth è apparsa più volte in sogno a Claire senza mai manifestarsi, mentre io sono diventata Cordelia per settimane e neanche me ne sono accorta? Che differenza c’è tra noi due?” Era da quando si era risvegliata in casa di Laurenne con un inspiegabile vuoto mentale, che tentava invano di ricordare qualcosa di quel periodo, ma niente. Nonostante le avessero raccontato più volte cos’era successo, faceva ancora fatica a metabolizzare il fatto che avesse perso intere settimane della sua vita.

Vide Margaret rimanere alquanto sorpresa dalle sue parole, ciononostante continuò a non guardarla in faccia. Anzi, a un certo punto si alzò addirittura, spostandosi davanti alla finestra e guardando fuori con un’espressione assorta. “Curioso…” mormorò tra sé. “Dimmi di più.”

“Non c’è molto da dire. Ero stata appena ferita da un pugnale avvelenato quando siamo arrivate nel deserto, poi sono svenuta e al risveglio ho scoperto di essere stata un’altra persona per settimane, quando mi sembrava fossero passati solo pochi minuti.”

Margaret allora si concesse un istante di riflessione. “Dunque… Così su due piedi posso solo supporre che sia stato il forte trauma a risvegliare il frammento di anima che risiedeva in te. Il tuo corpo stava per morire e Delia ha voluto proteggerlo, per proteggere anche se stessa, altrimenti sarebbe scomparsa. È alquanto plausibile. Confesso di non aver previsto un simile effetto collaterale, devo ricordarmi di annotarlo nel grimorio.” ragionò, più tra sé che con loro.

“E Claire? Non mi pare che sua sorella l’abbia protetta quando è uscita da lei.” osservò Cedric, punto sul vivo. 

Dopo un attimo di spaesamento nel sapere che anche Elizabeth si era manifestata, Margaret non impiegò troppo tempo a dare una spiegazione logica. “Claire non stava morendo. Il veleno di vampiro che le è stato iniettato non l’avrebbe uccisa, solo cambiata. Quindi il suo corpo ha semplicemente rigettato Elizabeth perché inadatto a contenerla.” 

A Juliet allora sorse un altro dubbio. “Cosa succederà ora che le sue sorelle non sono più dentro di noi? Abbiamo vissuto con loro per anni…” Il suo timore era che, una volta interrotta la simbiosi con Cordelia, per lei la vita non sarebbe stata più la stessa. Aveva paura di cambiare, di scoprirsi diversa rispetto a prima. Anzi, riflettendo forse ci si sentiva già. Da diverso tempo, infatti, sentiva come uno strano senso di vuoto che non riusciva a colmare e pensava fosse dovuto alla perdita di Claire. L’incrinarsi del suo rapporto con Dean, poi, non aveva fatto altro che alimentare quel vuoto. Ora che era lì, però, le era sorto un dubbio. Che tutto ciò avesse a che fare con la scomparsa di Cordelia?

“Mia cara, non c’è nulla che non vada in te.” la rassicurò Margaret benevola, quasi le avesse letto nel pensiero. “Ammesso che quel frammento di anima possa in parte aver influenzato le vostre personalità, ora che non c’è più dubito che ne risentirete.”

Dalle sue parole Juliet intuì che non ne sapesse molto più di lei. Inoltre, si ostinava a non guardarla e temeva che lo facesse perché non voleva mostrarsi insicura.

In quello stesso momento, Mark e Rachel rientrarono in casa e l’attenzione dei presenti si focalizzò nuovamente su di loro. 

“Bene, eccoti.” constatò Margaret sollevata. “Ti sei ripresa?”

Rachel però non ricambiò il sorriso, facendo solo un cenno di assenso con la testa; poi le si avvicinò con aria sicura. “Non voglio mentirti. Non ho ancora accettato l’idea di essere una strega, anzi sono parecchio scettica al riguardo, ma ora il problema è un altro. Dobbiamo sapere se puoi aiutarci a salvare una nostra amica. È prigioniera a Bran e…”

Stava per raccontarle tutto ancora una volta, ma Dean si mise in mezzo. “Sì, questo lo sa già. Ne stavamo discutendo poco fa.” la informò.

“Salvarla?” domandò Margaret con aria un po’ sorpresa. “Sono spiacente, ma dubito che sia possibile. Non senza prima eliminare Nickolaij. Finché vive, non vi permetterà mai di portarla via.” 

“Se una strega del vostro livello non ci è riuscita secoli fa con un pugnale incantato, come possiamo sperare di riuscire noi nell’impresa?” obiettò Mark pratico. 

Sentirlo parlare dell’argomento la prese in contropiede. “Cosa sapete del pugnale?” chiese, aggrottando la fronte.

“Elizabeth è apparsa in sogno a Claire, mostrandole la notte in cui cercò di uccidere Nickolaij con il suo pugnale. Sperava che la magia al suo interno l’avrebbe ucciso, ma a quanto pare l’incantesimo non ha funzionato…” 

“Ha funzionato benissimo invece.” lo interruppe Margaret, quasi sulla difensiva. 

“Non mi pare, visto che è ancora tra noi.” replicò Cedric. 

“Lo scopo non era ucciderlo. Non subito almeno.”

Dean si accigliò, guardandola confuso. “Che intendete?”

“I membri della mia famiglia e di quella di Nickolaij non sono come gli altri.” chiarì lei. “Il sangue che ci scorre nelle vene ha origini antiche, quasi ancestrali. Ciò che può uccidere i vampiri comuni non ha alcun effetto su di noi, grazie all’estrema capacità rigenerativa dei nostri tessuti, perciò l’unico modo per toglierci la vita è trafiggere il nostro cuore con degli speciali paletti.” 

“Elizabeth ci ha detto anche questo.” disse Dean, un po’ seccato dal fatto che con quella donna non si arrivasse mai al sodo. In ogni caso, non lo lasciò trasparire. “Quello che non ci ha detto è cosa li rende speciali. Perchè dovrebbero fare la differenza?”

Margaret spiegò che erano composti da una lega di metallo che si narrava fosse stata incantata dalle streghe per contrastare i primi vampiri, da cui discendevano le casate Danesti e Draculesti. La loro peculiarità consisteva nell’impedire che le ferite si rimarginassero.

-Perfetto. Proprio quello che fa al caso nostro- pensò lui. “In effetti, un altro motivo che ci ha spinto a cercarvi era la speranza che voi foste in possesso di uno di questi paletti.” confessò infine. 

La delusione e lo sconcerto salirono alle stelle quando Margaret raccontò di averne trovato uno tempo prima dell’arrivo di Nickolaij, ma le era stato sottratto da qualcuno da cui si sarebbe aspettata lealtà…

 

L’alba stava per sorgere sul castello di Bran, ultima gloriosa dimora dei Danesti e simbolo del loro potere ormai decaduto. L’invasione era arrivata senza avvisaglie, come una pugnalata nella schiena a tradimento, spezzando bruscamente il silenzio della notte. 

“Lunga vita ai Draculesti!” aveva sentito esclamare Margaret dalla biblioteca, un istante prima che un intero esercito facesse irruzione nel cortile principale. Erano talmente numerosi da soppiantare le poche guardie a difesa dell’entrata. In mezzo a loro, aveva visto sventolare uno stendardo nero su cui era dipinto in rosso un drago rampante che sputava fiamme dalle narici e in pochi istanti era apparso subito chiaro che stava accadendo di nuovo quello che per anni aveva solo sentito raccontare: il ritorno dei peggiori nemici che la famiglia avesse mai combattuto. La causa della morte dei suoi genitori. 

Dopo aver appreso dell’assassinio del principe suo zio, si era ritrovata a dover prendere in mano le redini del comando, ma la situazione era precipitata ancor prima che potesse riorganizzare le difese e ora percorreva di corsa il cortile del castello disseminato di cadaveri. Ne riconobbe molti tra cortigiani e servitori, eppure si sforzò di guardare oltre, per non lasciarsi sopraffare dalla disperazione. 

“Meg!” si sentì chiamare d’un tratto, prima di vedere Cordelia sbucare da un lato del portico, il volto sconvolto dalla paura. Aveva i capelli sciolti e ancora in abito da camera, segno che avesse avuto a malapena il tempo di coprirsi con una vestaglia.

In pochi passi la raggiunse, cercando la sua mano in un gesto istintivo e trascinandola poi con sé dentro un vecchio ripostiglio, dove si conservavano i sacchi di farina. Lì per fortuna non era ancora arrivato nessuno.

“Meg, che succede? Ero nella mia stanza e all’improvviso ho sentito delle grida…” 

In pieno panico, iniziò a sommergerla con un fiume di parole e domande, a cui però non c’era tempo di rispondere se volevano salvarsi. Così Margaret la afferrò per le spalle, spingendola a guardarla negli occhi. “Ascoltami, i Draculesti hanno preso il castello. Dobbiamo andarcene da qui e in fretta.” Cercò per quanto possibile di mantenere un tono fermo, per non agitarla ulteriormente.

Cordelia la fissò spaesata. “Cosa? Ma com’è possibil…” Il frastuono all’esterno la fece trasalire, mozzando la frase a metà. Subito dopo sentirono delle urla strozzate e un forte tonfo fece tremare la porta di legno del ripostiglio. 

A quel punto, Margaret tornò a guardare la sorella. “Non c’è tempo per le spiegazioni. Ora devi fare ciò che ti dico.” le impose. “Appena saremo fuori, corri alle stalle e prendi il primo cavallo che riesci a trovare. Poi dirigiti nella foresta, alla capanna sul fiume. Adrien ci aspetta lì…” 

“E Beth? Era ancora nella sua camera, dobbiamo andare a prenderla, dobbiamo…”

Margaret, però, ci aveva già pensato. La sua prima preoccupazione quando si era accorta dell’invasione era stata la salvezza delle sue sorelle. “Penso io a lei. Tu devi fuggire, non puoi restare qui…”

Lei stessa venne interrotta da forti colpi alla porta, che qualcuno stava cercando di sfondare. 

“Meg…” mormorò ancora una volta Cordelia tremante, cercando rassicurazione negli occhi della sorella maggiore. 

“Stai dietro di me.” le disse, avvicinandosi all’uscita con fare sicuro, mentre intanto i colpi aumentavano d’intensità. La sola cosa che le separava dagli aggressori era quella porta e presto avrebbe ceduto, così Margaret pensò fosse il caso di accelerare. Tanto per loro non esistevano altre vie di fuga. Sollevato il braccio, chiuse gli occhi e si concentrò sull’obiettivo. Pochi attimi e con un forte strappo il legno si sradicò dai cardini, abbattendosi su chi si trovava dall’altra parte. Sapeva di avere solo qualche secondo di vantaggio, così prese Cordelia per mano e si fiondò fuori, scagliando sfere di fuoco contro chi si metteva sul loro cammino. 

“La strega!” esclamò qualcuno. “Fermate la strega!”

“È il momento, vai!” gridò alla sorella, approfittando dell’istante di panico che si era creato tra i nemici alla vista dei suoi poteri. 

Malgrado non volesse lasciarla, lei obbedì e tra le lacrime le rivolse un ultimo sguardo disperato, prima di voltarle le spalle e correre via, coperta dai colpi inferti da Margaret. 

Ora doveva raggiungere le scale a tutti i costi e arrivare da Elizabeth, ma era più facile e dirsi che a farsi. I nemici erano molti e più ne abbatteva più sembravano sbucare da ogni parte. Combatté a lungo, fino a farsi piazza pulita intorno. Quindi, sfinita, si appoggiò di schiena a una delle colonne del portico e, quando udì un rumore di zoccoli sul selciato, rivolse lo sguardo al portone principale. Un cavallo nero con sopra Cordelia cavalcava in quella direzione, verso la salvezza.

-Ce l’ha fatta- pensò, sentendo rinascere la speranza. Tuttavia, di lì a poco si accorse di aver cantato vittoria troppo presto. Il cavallo infatti non riuscì nemmeno a raggiungere l’uscita, perché venne circondato da ogni lato. Per lo spavento l’animale si impennò, nitrendo e scalciando per farsi strada, con Cordelia che cercava invano di controllarlo. Tutto avvenne tanto rapidamente che Margaret non poté fare nulla per impedirlo. Vide la sorella venire trascinata giù dalla cavalcatura e immobilizzata, mentre qualcuno che in un primo momento non aveva notato tra la folla degli assalitori si faceva avanti, distinguendosi tra gli altri. Margaret ebbe giusto il tempo di riconoscere lui e l’arma che aveva in mano; poi Byron si avventò contro Cordelia, piantandole il paletto nel cuore e ponendo fine alla sua vita.

Lo sgomento fu tale che a Margaret non riuscì nemmeno di gridare, anche se dentro il dolore esplose improvviso e incontenibile. Il peggio però fu che non poteva permettersi di indugiare. Se avessero catturato anche lei sarebbe stata la fine per Elizabeth. Così, facendo uno sforzo titanico per contenere la disperazione, si diresse di corsa verso le scale, scatenando con violenza i suoi poteri contro chiunque provasse a fermarla. 

Giunta al terzo piano, non perse tempo. Con il cuore in gola raggiunse la porta della stanza di Elizabeth e provò ad aprirla, ma si accorse che era sprangata. Allora bussò forte, chiamando la sorella. “Beth! Beth, sono io!” –Ti prego, fa che stia bene- si diceva nel frattempo.

A quel punto, sentì trafficare dall’altra parte e, quando infine la porta si aprì, tirò un sospiro di sollievo. “Grazie al cielo…” mormorò, coinvolgendola subito in un abbraccio.

Lei ricambiò a malapena, ma Margaret non ci fece caso. “Beth, Delia è morta. Ho visto Byron ucciderla, ci ha traditi tutti…” le disse, non riuscendo più a trattenere le lacrime.

Lei la fissò stralunata. Era evidente che non si capacitasse della morte della sorella. 

“È accaduto proprio quello che temevo. Lui è l’artefice di tutto. Ci ha ingannato, Beth. Ha chiesto protezione a nostro zio e poi gli si è rivoltato contro…”

“Ma di cosa stai parlando?” le domandò, lanciandole un’occhiata accusatrice.

Margaret ne rimase spiazzata. Possibile che non capisse? “Nickolaij.” replicò allora. “Per tutto questo tempo ha tramato nell’ombra per rovesciare la nostra famiglia. È lui l’ultimo discendente dei Draculesti, l’erede dell’Impalatore…”

“Adesso basta!” tuonò Elizabeth, spingendola via da sé. “Sei talmente ossessionata da questa storia da lanciare accuse infamanti su di lui senza averne le prove!”

Incredula per la cecità che ancora una volta sua sorella stava dimostrando, nonostante l’evidenza dei fatti, Margaret sentì montare la rabbia. “Come puoi parlare così? Cordelia è morta, nostro zio è morto! E c’è Nickolaij dietro a tutto questo!”

“Non puoi esserne certa! Non l’hai visto di persona!” ribatté lei con altrettanta foga. “La verità è che lo hai sempre odiato e ora stai cercando per l’ennesima volta di infangare il suo nome!”

Margaret rimase a fissarla allibita. “Mia povera sorella, tu hai perso il senno.” mormorò, scuotendo la testa.

Elizabeth però non sembrò neanche ascoltarla. “Devo andare da lui.” mormorò a se stessa. “Devo trovarlo.” E fece per varcare la soglia, ma Margaret prontamente si mise in mezzo. Avrebbe fatto di tutto per impedirglielo, anche stordirla con i suoi poteri e portarla via di peso se necessario.

“Lasciami passare.” protestò Elizabeth tra i denti.

D’un tratto, però, una voce lungo il corridoio attirò la loro attenzione, ponendo un freno allo scontro. “Non possono essere andate lontano, cercate dappertutto.” 

Era Byron. Margaret lo avrebbe riconosciuto a chilometri di distanza. Senza pensarci due volte, afferrò la sorella per un braccio, trascinandola nell’anticamera. “Non fiatare e resta nascosta finché non torno, siamo intesi?” le impose; poi, senza preoccuparsi della risposta, le chiuse la porta in faccia, rimanendo sola nella stanza. 

Intanto i passi nel corridoio si facevano più vicini, segnando l’arrivo imminente di Byron e dei suoi compari, che poco dopo infatti comparvero sulla soglia. 

Alla vista della cugina, le sue labbra sottili si piegarono in un ghigno compiaciuto, a cui Margaret si guardò bene dal rispondere, mantenendosi fiera e sicura di sé. 

“Dunque eccoti qua.” constatò Byron. 

“Mi hai trovata, ti faccio i miei complimenti.” 

Lui capì subito che lo stava sbeffeggiando, ma non le diede la soddisfazione di vederlo risentito. “E dov’è la cara cugina Beth?” chiese in tono serafico, scrutando nella stanza per individuare possibili nascondigli.

Margaret evitò l’argomento. “Cosa ti ha promesso Nickolaij perché tu accettassi di tradire la tua famiglia? Denaro? Potere? Considerazione?” ironizzò malevola. 

“Certo, continua pure.” ribatté lui, fingendo divertimento. “Sono solo gli ultimi disperati tentativi di una povera derelitta per mostrarsi superiore al resto del mondo. Come hai sempre fatto, d’altronde. La differenza è che tra pochi istanti smetterai di vivere, quindi perché mai dovrei sentirmi toccato dai tuoi insulti?” Detto ciò, il suo sguardo si posò sulla porta dell’anticamera e Margaret capì cosa avesse in mente. Subito dopo, infatti, con un cenno del mento la indicò ai suoi e due di loro fecero per andare ad aprirla. 

Con prontezza di riflessi lei sollevò la mano e di colpo quelli si bloccarono, come se una forza invisibile impedisse loro ogni movimento. Dopodiché contrasse le dita e la stessa energia si compresse sui corpi dei malcapitati, che iniziarono a gemere e a lamentarsi per il dolore.

“Non lasciatevi spaventare dai suoi incantesimi!” li redarguì Byron, vedendo gli altri al suo fianco irrigidirsi di fronte alla scena.

Senza degnare di uno sguardo le sue vittime, Margaret riservò la sua attenzione esclusivamente al cugino, inchiodandolo con un’occhiata carica dell’odio più profondo e assoluto che avesse mai provato. “Hai ucciso mia sorella…” mormorò, la voce tremante per la rabbia. Di tutti i membri della famiglia, Cordelia era la meno meritevole di una fine tanto crudele e naturalmente quel codardo aveva scelto di scagliarsi contro la più debole e indifesa. Il dolore che provava era tale da cancellare in lei ogni traccia di compassione e con un gesto secco serrò la mano a pugno, riducendo in poltiglia il cuore dei due vampiri, che si afflosciarono a terra senza vita. 

Perfino Byron rimase stupito che fosse arrivata a tanto, prima di riprendersi e ordinare ai rimasti di catturarla. Margaret lottò per impedire loro di avvicinarsi, ma era già stremata dall’uso prolungato della magia e in poco tempo venne immobilizzata e costretta in ginocchio. Gli aggressori le tenevano ferme le braccia in modo che non potesse lanciare incantesimi, mentre il cugino avanzava verso di lei minaccioso. L’occhio le cadde sulla sua mano destra, le dita strette intorno al paletto che le aveva rubato, e le sue intenzioni apparvero subito chiare. Tuttavia, continuò a fronteggiare il suo sguardo con dignità, senza lasciar trapelare il minimo segno di paura. In fondo, sarebbe stata felice di raggiungere Cordelia, ovunque ella fosse, e per un attimo pensò di non opporre alcuna resistenza. Ma ben presto si rese conto del suo egoismo. Cosa sarebbe stato di Adrien, il suo adorato marito, e di suo figlio se fosse morta? Non poteva crescere senza una madre. No, aveva ancora troppo da perdere. 

Fu allora che le venne l’idea. Le sue braccia erano bloccate, ma il fuoco che alimentava il suo potere era dentro di lei, doveva solo evocarlo. Non fu neanche così difficile in realtà, perché la sua furia sarebbe bastata a demolire il castello dalle fondamenta. Pian piano sentì il calore pervaderla fin dalla punta dei capelli, lambendo ossa e muscoli, e infine sprigionandosi all’esterno.

Davanti a sé vide Byron sgranare gli occhi per lo stupore, ma non fece in tempo a realizzare cosa stesse succedendo che lui e gli altri vennero scaraventati dall’altra parte della stanza dalla potenza della sua magia.

Ben presto tutto venne aggredito dalle fiamme e il suo stesso corpo diventò indistinguibile dal resto. Mentre sentiva il fuoco divorarla, rivolse un ultimo pensiero alla sorella, ancora chiusa nell’anticamera e che suo malgrado non era riuscita a proteggere. “Perdonami, Beth.” mormorò in un fil di voce, prima di giurare a se stessa che non avrebbe avuto pace finché la sua famiglia non fosse stata vendicata…

 

“Quindi… si è data fuoco?” ne concluse Mark, visibilmente impressionato.

Per tutta risposta Margaret sogghignò. “Non mi sono data fuoco. Io ero diventata fuoco.” precisò fiera. “È come se il corpo della strega e il suo elemento si fondessero, diventando un tutt'uno. Prima di allora avevo già sentito parlare di questa possibilità, ma si tratta di una magia talmente rara e potente che io stessa non non sono stata più in grado di replicare. Per lo più scaturì dalla disperazione per aver perso ogni cosa.” Il suo sguardo mutò in pochi istanti, facendosi più malinconico, persa com’era in chissà quali terribili ricordi. “Ad ogni modo, da quella notte non ho saputo più nulla del paletto.” disse infine. “È probabile che, vista la sua pericolosità, Nickolaij lo abbia fatto distruggere, così come all’epoca fecero i nostri antenati. Non avrebbe mai rischiato che qualcuno lo usasse contro di lui.”

Dean allora annuì, mostrandosi subito d’accordo. Non c’era alcuna possibilità che Nickolaij avesse conservato l’unica arma in grado di ucciderlo. Sarebbe stata pura follia.

“Meraviglioso. Siamo al punto di partenza.” commentò Cedric, sospirando frustrato. “Quindi visto che la sua magia non funziona e non abbiamo neanche il paletto, non c’è modo di ucciderlo.” L’espressione che si dipinse sul volto di Margaret fu diversa da quella che si aspettavano. Sembrava più compiaciuta che rassegnata, come se dietro di essa si celasse un’altra sorpresa. “Non esattamente.” replicò infatti. “C’è una parte della storia che non vi ho ancora raccontato. Prima di regalare il pugnale a Beth, l’ho incantato con una maledizione molto potente. Forse la più potente che sia mai riuscita a generare. Lei si infuriò a tal punto che credetti lo avrebbe gettato via, invece non è stato così.” Sorrise mesta, ripensando alla sorella. “Per qualche motivo lo ha conservato, forse perché in cuor suo sapeva di potersi fidare del mio giudizio.”

“Una cosa non mi spiego.” esordì Dean, dopo averla ascoltata. “Se con il paletto avrebbe potuto ucciderlo, perché non regalarle quello, invece di incantare apposta un’altra arma?”

“Perché all’epoca nutrivo solo dei sospetti sulla reale identità di Nickolaij, dunque non sarebbe stato prudente uscire allo scoperto con il paletto. Nessuno doveva sapere che ne ero entrata in possesso. E poi io e Beth non andavamo molto d’accordo in quel periodo. Accecata com’era dall’amore, non avrebbe compreso… Senza contare che Nickolaij avrebbe potuto convincerla a consegnarglielo. No, era troppo rischioso. Speravo che prima o poi mia sorella capisse che la stava ingannando e, nell’eventualità che usasse il pugnale, almeno gli avrebbe trasmesso la maledizione, portandolo comunque alla morte.”

“Sì, ma in che modo?” le chiese Mark frustrato. “In cosa consiste la maledizione?”

Margaret lo guardò per un istante, per poi rivolgersi di nuovo a tutti loro. “Nickolaij non può nutrirsi di sangue umano. Non gli fa più nessun effetto. Col tempo questo avrebbe dovuto condurlo a una morte lenta e dolorosa, ma il mio caro cugino deve aver trovato il modo di mantenerlo in vita. Un modo assai efficace, visto che è sopravvissuto per tutti questi anni.” constatò, senza riuscire a nascondere una punta di stizza nella voce. 

A quel punto, però, Rachel era già saltata alla conclusione successiva. “Ecco perché voleva Claire a tutti i costi. Riportando in vita Elizabeth sperava di spezzare la maledizione.”

La donna annuì e subito dopo un barlume di vittoria si accese nei suoi occhi castani. “Ciò che ha tralasciato di considerare è la reale artefice dell’incanto, ossia la sottoscritta. Beth era l’unica Danesti in grado di avvicinarsi a lui, per questo le ho dato il pugnale. Lei lo ha colpito, ma sono stata io a maledirlo.” rivelò trionfante.

“Perciò Claire non c’entrava niente!” proruppe Cedric, il cui sguardo d’accusa saettò immediatamente verso Dean. “Il suo sacrificio è stato inutile!”

“Non mi sembra. Tu sei ancora vivo e forse anche lei.” osservò, senza scomporsi troppo.

“No forse, Claire è viva. So che è così, quindi dacci un taglio.” ribatté Cedric, prima di tornare su Margaret. “Devi aiutarci a salvarla.” disse risoluto, passando direttamente al tu.

Lei comunque non ne sembrò turbata. “L’unico modo è far sì che Nickolaij non possa più nuocere a nessuno.” Margaret provvide subito a spiegarsi meglio. Visto che Byron era riuscito a evitare che morisse di fame, il solo modo per eliminarlo definitivamente era renderlo del tutto simile alle creature che più disprezzava al mondo: gli esseri umani. In questo modo lo avrebbero reso vulnerabile a qualsiasi arma e chiunque avrebbe potuto ucciderlo.

“Farlo diventare umano?” ripeté Dean, non molto convinto di aver sentito bene. La sua mente stentava a concepire anche solo l’idea che ciò potesse essere possibile.

Dall’altra parte Margaret afferrò al volo cosa gli stava passando per la testa senza bisogno che lo esternasse. “Comprendo le tue perplessità, eppure ti assicuro che un sistema esiste. Mi ci sono voluti secoli per scoprirla e perfezionarla, ma oggi posso affermare di essere in possesso della formula con cui creare l’antidoto al vampirismo. Purtroppo però c’è un ostacolo…”

“Perché non mi sorprende?” domandò Cedric sarcastico, venendo puntualmente ignorato.

“Con il passare degli anni e a furia di esperimenti, mi sono resa conto di non poter completare la pozione da sola. Ho bisogno dell’aiuto di un’altra strega.”

Non ci fu alcun bisogno che si rivolgesse a lei, perché Rachel aveva già capito tutto. L’occhiata carica di speranze che Margaret le lanciò servì a confermare ciò che stava pensando. 

“Ora, grazie a te, potrò vedere realizzato il lavoro di una vita.” disse con voce quasi trasognante.

Finalmente erano giunti al nocciolo della questione, il vero motivo per cui quella donna aveva atteso il suo arrivo per tutto quel tempo. Come prevedibile, non si trattava di una semplice riunione di famiglia. La sua presenza lì aveva uno scopo ben preciso. “E quella strega sarei io?” replicò, guardandola come se fosse impazzita. “No, tu non ti rendi conto di quello che dici. È ridicolo, insomma… Come pretendi che io possa riuscire a fare una cosa del genere?”

Il panico nella sua voce era lampante, ma Margaret tentò di rassicurarla. “Te l’ho già spiegato, sento un grande potere scorrere in te e sono certa che imparerai in fretta. Naturalmente dovrai restare qui per qualche tempo e lasciare che io ti insegni…”

“Assolutamente no!” la interruppe Rachel categorica. 

A quel punto, lei rimase a fissarla interdetta. “Come prego?”

“Ho detto di no. Non ho nessuna intenzione di starmene qui a perdere tempo giocando a fare magie, quando la mia migliore amica rischia la vita ogni giorno che passa. Non se ne parla. Se non sei in grado di aiutarci non importa, troveremo da soli il modo di salvare Claire.” 

Quel tono a dir poco impudente provocò un cambiamento visibile nell’atteggiamento della strega, che d’un tratto apparve a dir poco risentita e, quando Rachel le voltò le spalle con l’intento di lasciare la stanza, la sua mano si mosse con una rapidità inaspettata, impedendole la fuga. 

“Che sta facendo? La lasci andare!” esclamò Mark allarmato nel vedere Rachel irrigidirsi. 

Lei però non lo degnò di attenzione. “Stammi bene a sentire, ragazzina.” Serrò la mascella, piena di rabbia. “Ho atteso quasi cinque secoli che ti presentassi qui. Secoli vissuti nella speranza che un giorno io e la mia discendente avremmo combattuto e vinto contro Nickolaij. Questo è stato il mio unico pensiero per tutto questo tempo e ora tu osi rifiutarti? Osi avere la presunzione di riuscire da sola dove io e la mia famiglia abbiamo fallito?” Man mano che parlava il suo tono di voce si faceva sempre più alto, fin quasi a gridare. 

“Zia, ora calmati.” provò a dirle Ayris, stranamente meno agitata di loro, ma il suo intervento non servì a molto.

Nel frattempo, Rachel tentava invano di liberarsi dalla forza che la privava del controllo sul proprio corpo. Non riusciva a muovere un muscolo. 

“Sentiamo, cosa intendi fare per aiutare la tua amica? Sei un’illusa, non avresti alcuna possibilità senza di me.” continuò Margaret, senza accennare a lasciarla e ignorando le proteste generali. 

I suoi poteri erano davvero impressionanti, così come la naturalezza con cui li stava usando, ma Rachel era decisa a non lasciarsi intimorire. “Non puoi costringermi, non sono il tuo burattino!” le sbatté in faccia, mentre avvertiva la rabbia mescolarsi con il bisogno impellente di ribellarsi al suo potere. Lentamente e senza che se ne rendesse conto, le pareti del cottage iniziarono a tremare, seguite dallo scricchiolio sempre più violento dei vetri delle finestre. Poi si sentì pervadere da un’energia mai provata prima, che ben presto fuoriuscì da lei e si irradiò nella stanza, abbattendosi sui presenti.

Margaret e gli altri vennero scaraventati per terra e un attimo dopo fu di nuovo libera, ma le ginocchia le cedettero e finì carponi sul pavimento. Sollevò le mani ancora tremanti e le fissò esterrefatta, incapace di darsi una spiegazione. Le era accaduta una cosa molto simile a quando aveva temuto di morire sbranata dal lupo. Solo che stavolta aveva agito per rabbia anziché per paura. Perché continuava a succederle?

Senza nascondere l’inquietudine sul viso, sollevò lo sguardo su Margaret, che intanto si stava già rialzando e la vide rivolgerle un mezzo ghigno soddisfatto, quasi si compiacesse di ciò che l’aveva appena vista fare. 

“Che cosa mi sta succedendo?” le chiese spaventata in un sussurro. Nel frattempo Mark si era avvicinato per sapere se stava bene, ma non gli diede risposta. Si guardò attorno, vedendo gli altri stesi a terra scombussolati che cercavano di riprendersi. Juliet si teneva una mano sulla tempia mentre si rimetteva a sedere. A una prima occhiata non sembrava si fossero fatti male, ma chissà perché la cosa non la fece sentire meglio.

“Non temere.” la rassicurò Margaret, che sembrava già aver riacquistato la calma. “Sono solo i tuoi poteri. Non sei ancora in grado di dominarli, ma io ti insegnerò a farlo se me lo permetterai.”

Il tono che usò era più accondiscendente di quanto non fosse stato pochi minuti prima, eppure a Rachel non venne l’impulso immediato di affidarsi a lei. Il modo in cui parlava della magia, dei suoi poteri, di ciò che potevano provocare, era troppo rilassato, come se fosse normale ritrovarsi da un giorno all’altro con la capacità di esplodere all’improvviso, rischiando di far male a qualcuno. 

Evidentemente il suo silenzio fu più eloquente delle parole, perché lo sguardo di Margaret si spostò altrove, lasciando intendere di voler rimandare l’argomento. “Beh, ormai si è fatto tardi. Ne riparleremo domani, con più calma.” sentenziò infatti di lì a poco. “Immagino siate stanchi e vogliate riposare. Ayris vi aiuterà a sistemarvi.” 

La ragazza fece un cenno di assenso, prima di salire al piano di sopra per preparare i letti, mentre Margaret tornava di nuovo su Rachel. “Cerca di dormire e di chiarirti le idee. Domattina mi farai sapere cosa hai deciso, ma sappi che non mi arrenderò così facilmente con te.” 

Il tono con cui lo disse era a dir poco glaciale, non c’era traccia della cortesia con cui li aveva accolti, e fu abbastanza chiaro che non avesse preso bene il suo rifiuto. Tuttavia, Rachel non diede segno di cedimento. Non avrebbe permesso a quella donna di decidere della sua vita. Non più almeno. 

Senza aspettare una sua risposta, Margaret si congedò, lasciandoli soli in salotto a metabolizzare quanto era appena successo. Il silenzio durò una manciata di minuti, il tempo sufficiente affinché Rachel avvertisse tutti gli sguardi puntati addosso. Quello di Cedric, in particolare, non lasciava spazio a molte interpretazioni. “Non ne discuterò con te, Cedric. Non adesso.” mise subito in chiaro, prima ancora che aprisse bocca.

“Io credo proprio che dovremmo, invece.” insistette lui. “Perché non vuoi accettare il suo aiuto? È vero, tutto questo casino è partito da lei, ma potrebbe essere la nostra unica speranza di uscirne...”

“Adesso basta, Ced. Hai visto anche tu cosa ha fatto quella donna. Non appena il discorso ha preso una piega che non le piaceva si è scagliata contro di lei senza farsi scrupoli.” intervenne Mark, prendendo le sue difese. Era più che evidente quanto la reazione estrema di Margaret di fronte al suo rifiuto lo avesse turbato. 

“Non la sto giustificando, dico solo che forse è il caso di considerare la sua offerta.” 

A quel punto Dean, che finora non aveva espresso pareri, pensò che fosse arrivato il momento. “Suona strano detto da me, ma Cedric non ha tutti i torti.” 

Colto di sorpresa, lui alzò un sopracciglio e lo guardò basito. “Wow, mi devo preoccupare?” ironizzò.

Dean, però, non gli diede corda. “Immagino che questa storia della strega non deve essere facile da digerire.” disse a Rachel. “Tuttavia, le opzioni sono due: o rimaniamo qui a perdere tempo, come dici tu, ma con una minima speranza di rendere Nickolaij vulnerabile… E salvare Claire.” aggiunse subito dopo, cogliendo l’occhiata di traverso che Juliet gli aveva appena rifilato. “Oppure andiamo diretti a Bran per tentare l’ennesima missione di recupero che con tutta probabilità si concluderà con la nostra morte.” 

Come spesso accadeva, la sua logica si dimostrava inattaccabile e Rachel non aveva argomenti da opporgli. Che la seconda opzione non fosse nemmeno da considerare se ne rendeva perfettamente conto da sé, così come del fatto che non cogliere quell’opportunità avrebbe significato condannare Claire per sempre. Ma c’era dell’altro. Quanto successo poco prima con Margaret l’aveva sconvolta a tal punto che, sebbene all’inizio la pensasse diversamente, ora non era più tanto sicura di potercela fare da sola. E se fosse esplosa di nuovo? Se non fosse riuscita a controllare la rabbia e avesse fatto del male a qualcuno? Questa cosa della magia era del tutto nuova e aveva bisogno di una persona esperta che l’aiutasse a capire come dominare i suoi poteri, altrimenti chissà cos’altro avrebbe potuto combinare. 

“Senti, la vita fa schifo, okay, siamo tutti d’accordo su questo.” sentenziò Cedric, percependo la sua incertezza. “Ma adesso puoi cambiare le cose. Se tu e Margaret riusciste davvero a tirare fuori quella pozione, non solo potremmo togliere di mezzo quello psicopatico e riavere Claire, ma anche riportarla alla normalità. Ci hai pensato? Se fossi in te, almeno ci proverei.”

Nei suoi occhi Rachel vide riaccendersi un bagliore di speranza, di sicuro dettata dal bisogno impellente di aggrapparsi a qualcosa, che però lo rendeva cieco, impedendogli di mettersi nei suoi panni. Non era una decisione da prendere così, su due piedi. 

Vedendola ancora titubante, Juliet si sentì di intervenire. “Ray, ascolta. Capisco che tu sia sconvolta, lo sarei anch’io al tuo posto.” le disse comprensiva. “Però devo dare ragione a Cedric, vale la pena provarci.” Non voleva dare l’impressione di pressarla, ma la realtà dei fatti era che non avevano alternative. 

Tutto a un tratto, Rachel si sentì schiacciata dalle troppe informazioni che le vorticavano nella testa, tanto da aver bisogno di cercare conferme negli occhi di Mark, che non aveva più proferito parola.

Lui lo intuì e, incrociando le braccia, sospirò rassegnato. “Non lo so… Questa storia non mi piace. Margaret non mi piace. Prima avrebbe potuto farti del male e sembrava come se non le importasse.” Poi ci rifletté un istante. “A parte questo, non penso di avere il diritto di decidere al tuo posto, Ray. Nessuno di noi ce l’ha. Spetta solo a te capire cosa fare.” concluse.

Consapevole di ciò, Rachel non poté fare altro che annuire. 

“Forse è meglio dormirci un po’ su.” suggerì Juliet poco dopo. Ormai si sentiva addosso tutta la stanchezza di quella giornata così lunga e impegnativa. “Domani, a mente fresca, sarà più facile ragionare.”

Fece appena in tempo a dirlo, che Ayris tornò dal piano di sopra, informandoli di averli sistemati nella stanza di fronte a quella di Margaret. “Per quattro persone dovrebbe andar bene.” disse, per poi rivolgere un’occhiata eloquente a Dean, che capì al volo.

“Per me non c’è problema.” la rassicurò. Per quel paio d’ore scarse a notte che gli servivano, il divano o una poltrona sarebbero stati più che sufficienti.

 

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Capitolo 16
*** Unica speranza (parte 2) ***


Capitolo 10

 

Unica speranza (parte 2)




Era ormai notte fonda quando Rachel, dopo essersi girata e rigirata nel letto, capì di dover rinunciare a qualsiasi tentativo di prendere sonno. Seduta al buio, contemplava il vuoto davanti a sé, la testa ricolma di pensieri. Poco distante sentiva il respiro regolare di Mark e quello un po’ meno regolare di Cedric, che ronfava della grossa. Eppure non sarebbe riuscita a chiudere occhio nemmeno se intorno a lei avesse regnato il silenzio assoluto. Quelle pareti la opprimevano, ricordandole ogni secondo il vero motivo per cui era lì e ciò che Margaret le aveva rivelato, tanto che a un certo punto sentì di non poterne più. Doveva evadere, almeno per un po’. Così alla fine si decise e, infilate le scarpe, si avvolse in una delle coperte di Ayris e sgusciò fuori di soppiatto dalla stanza. 

Le scale scricchiolavano sotto il suo peso, perciò dovette camminare quasi in punta di piedi per non fare rumore. Di sotto non si vedeva granché, ma riuscì comunque a raggiungere la porta senza inciampare e stranamente senza svegliare Dean, steso sul divano. Una volta fuori, venne investita dall’aria gelida della notte e d’un tratto non fu più tanto sicura di aver avuto una grande idea. Nonostante però facesse davvero un freddo cane, il desiderio di libertà la convinse ad avventurarsi oltre il recinto del cottage, diretta al mulino di pietre che aveva visto all’arrivo. 

Ben presto si rese conto che forse avrebbe fatto meglio a portarsi una torcia, anche se fortunatamente la luna era quasi piena e in quel luogo sperduto nessuna luce artificiale ostacolava il bagliore delle stelle, così che infine poté arrivare al mulino senza troppe difficoltà. Con il naso all’insù lo osservò ammirata in tutta la sua imponenza, prima di allungare la mano verso la porta di legno, che al suo tocco si aprì cigolante, rivelando un interno immerso nell’oscurità. 

Rachel si strinse di più nella coperta per ripararsi dagli spifferi e studiò l’ambiente intorno a sé, aiutata dalla luce che filtrava dalla porta aperta. In un angolo c’era un vecchio tornio in pietra, di quelli per macinare il grano, che aveva tutta l’aria di essere stato utilizzato da poco; per il resto vide solo polvere e qualche ragnatela appesa lungo le travi di sostegno della struttura. Al centro una scala a chiocciola che permetteva di accedere al secondo livello.

Non ci pensò su chissà quanto prima di imboccarla e ritrovarsi così sul ballatoio che girava tutto intorno al mulino. Da lassù si godeva di una splendida vista sulla scogliera e in lontananza Rachel scorse il profilo illuminato di una città. -Durness- ipotizzò. Peccato che non ci fosse abbastanza luce per ammirare il panorama come avrebbe meritato. 

Cercando di scacciare i brutti pensieri, si appoggiò al parapetto e chiuse gli occhi, respirando l’aria salmastra della notte e lasciandosi cullare dall’infrangersi delle onde sugli scogli, unico suono percepibile in quel silenzio. Non passò molto tempo, tuttavia, che il freddo pungente tornò a farsi sentire, costringendola a raggomitolarsi per terra con la schiena appoggiata al muro, per dare sollievo alle gambe intorpidite. 

“Cosa fai qui? È troppo freddo per un essere umano, potresti ammalarti.” esordì dal nulla una voce austera, facendola trasalire per lo spavento. 

Il suo sguardo puntò automaticamente verso l’accesso al ballatoio e vide Margaret sulla soglia che la scrutava accigliata. Colta alla sprovvista, in un primo momento non seppe cosa dire, poi ricordò che era ancora furiosa con lei. “Mi hai seguito?” chiese in tono accusatorio.

La donna a quel punto sembrò rilassarsi e, abbandonandosi a un sospiro, si strinse nello scialle che portava sopra una lunga camicia da notte. Non indossava nient’altro e Rachel pensò che una persona normale al suo posto sarebbe già congelata.

“Ti ho visto scendere le scale e mi sono chiesta dove stessi andando a quest’ora della notte.” spiegò pacata, avvicinandosi. 

A Rachel sfuggì un sorrisetto amaro. “Hai pensato che volessi scappare?”

Margaret la guardò, senza lasciar trapelare una risposta affermativa, ma era evidente che l’avesse pensato. Con aria noncurante appoggiò i gomiti sul parapetto, prendendo a scrutare l’orizzonte. “Ho sempre amato questo posto.” confessò e Rachel rimase un po’ sorpresa nel sentirla cambiare argomento. “Anch’io vengo spesso qui a riflettere.”

-Ma tu guarda il caso- si ritrovò a pensare, per poi rendersi conto di essere stata maligna. Probabilmente quella donna stava solo cercando l’approccio giusto per entrare in sintonia con lei. “Dopo oggi avevo bisogno di starmene per conto mio.” disse allora, sforzandosi di apparire meno ostile.

La vide annuire appena, prima che per qualche istante tra loro calasse il silenzio; poi Margaret parlò di nuovo. “Ascolta…” Si fece esitante. Non era molto brava in certe cose e si vedeva. “Mi rendo conto di averti turbata con tutte quelle rivelazioni e che la tua reazione fosse più che giustificata. Ti porgo le mie scuse per aver usato la magia contro di te, non avrei dovuto. Spero che non mi odierai per questo.”

Il fatto che si preoccupasse dell’opinione che aveva di lei lasciò Rachel interdetta. Non credeva fosse così importante. “Io non ti odio. A malapena ti conosco…”

“Hai ragione. Un altro motivo per cui mi piacerebbe che restassi qui, per conoscerci meglio. Potremmo imparare molto l’una dall’altra.”

Dal canto suo, Rachel si domandò cosa avrebbe mai potuto insegnare a una strega con secoli di esperienza sulle spalle, lei che aveva scoperto di esserlo da neanche ventiquattr’ore. 

“C’è così tanto in gioco, Rachel.” proseguì Margaret, lasciando che il suo sguardo si perdesse nell’oscurità dell’oceano. “Troppo per arrendersi così, dopo anni di tentativi e di ricerche. Non immagini quanto la tua presenza qui sia essenziale per porre fine una volta per tutte alla tirannia di Nickolaij. Insieme potremmo farcela, ne sono certa.”

Da triste che era il suo tono si era fatto più determinato. Credeva davvero in quel progetto, o forse si ostinava a crederci con tutta l’anima, aggrappandosi disperatamente ad esso. In ogni caso, Rachel si scoprì d’un tratto meno risoluta nel volerle negare il suo aiuto. “A proposito di questo, mi togli una curiosità?” 

“Chiedi pure.”

“Se per tutto questo tempo non hai sognato altro che distruggerlo, perché non l’hai fatto? Cosa ti ha impedito di tornare subito a Bran e vendicarti?” In realtà, era da un bel po’ che quella domanda le frullava nella testa.

Margaret impiegò qualche secondo a rispondere e Rachel ebbe l’impressione che se ne vergognasse. “Ho avuto paura.” ammise infine. “Ero sola. La mia famiglia era stata sterminata, così come i nostri alleati, quei pochi che si erano rifiutati di unirsi a Nickolaij. Inoltre, dovevo pensare alla sicurezza di mio figlio e del mio sposo, le uniche persone care che mi erano rimaste. Non potevo permettere che venisse fatto loro del male, così fuggimmo dalla Romania, il più lontano possibile da quel mostro e da tutto il dolore che mi aveva causato.”

“E dove andaste?”

“Dopo aver raggiunto le coste della Francia, salimmo sul primo mercantile in partenza per il Nuovo Mondo, prendemmo un nuovo nome e ci mescolammo alla folla come semplici cittadini in cerca di fortuna nelle colonie. Non fu particolarmente difficile, nessuno faceva troppe domande nel 1675.” Abbozzò un mezzo sorriso malinconico. “Non era la vita a cui eravamo abituati e di certo non quella che avrei voluto per i miei figli, ma almeno eravamo vivi. Per questo non sono tornata indietro. Nickolaij mi credeva morta ed era meglio così.” concluse.

“E poi cos’è cambiato?” domandò Rachel, sempre più attratta dal suo racconto. 

“Per diversi anni vissi lontana da tutto ciò che riguardava il passato, cercando di dimenticare. Le difficoltà di una vita da clandestini erano molte e non c’era il tempo di soffermarsi troppo sui ricordi. Così andammo avanti, finché la morte non tornò ad abbattersi sulla mia famiglia. Mio marito Adrien e la nostra secondogenita erano umani e contrassero il vaiolo. Io e il mio figlio maggiore eravamo immuni perché vampiri e ci salvammo, ma fummo costretti a lasciare il villaggio in cui vivevamo.”

Il suo volto si faceva sempre più scuro man mano che andava avanti e Margaret sembrò a un tratto più anziana, come se il peso di tutte le sofferenze che la vita le aveva riservato si accanisse su di lei. Rachel riusciva a stento a immaginare cosa avesse passato e non poté non sentirsi in colpa per l’egoismo mostrato nei suoi confronti. 

La sua espressione doveva dire tutto, perché Margaret le rivolse un sorriso rassicurante, prima di continuare. “Anni dopo persi anche mio figlio durante la guerra di indipendenza e mi ritrovai di nuovo sola. Fu allora che venni a conoscenza dei piani di Nickolaij, i quali andavano ben al di là della conquista della Valacchia. Aveva in mente di sottomettere il genere umano e creare una nuova società, in cui i vampiri avrebbero dominato. Una visione del mondo che i Danesti avevano sempre avversato con estrema durezza. Per noi, umani e vampiri avrebbero potuto convivere in pace, accordandosi sul nutrimento necessario alla nostra sopravvivenza, ma Nickolaij e la sua famiglia di megalomani la pensavano diversamente.” Per la rabbia strinse la mano a pugno sul parapetto mentre lo diceva. “Mi resi conto di doverlo fermare, che fosse mio compito in quanto legittima erede al trono, ma nessuno dei miei nipoti aveva ereditato il gene di vampiro e in ogni caso non li avrei mai esposti a un tale pericolo, così rimasi l’unica in grado di agire contro colui che odiavo con tutte le mie forze. Il problema era che non avevo la forza e il coraggio necessari per sfidare il nemico faccia a faccia. Avevo visto troppa morte e non ero più in grado di togliere la vita, dunque decisi di adottare un approccio diverso: lo avrei reso vulnerabile togliendogli la sua immortalità, la cosa di cui andava più fiero in quanto Draculesti.”

“E così arriviamo alla pozione.” dedusse Rachel, completando il discorso.

Margaret sorrise ancora, anche se stavolta somigliava più a un ghigno. “Per l’appunto.” confermò. “Ho viaggiato in lungo e in largo in cerca di una soluzione, studiando antichi volumi e assemblando ingredienti. Alla fine, sono riuscita a creare la formula definitiva. Il frutto del lavoro di anni non è più solo un’idea, manca solo la strega che mi aiuterà a concretizzarla.”

Che alludesse chiaramente a lei non c’era neanche bisogno di dirlo, ma Rachel non se la sentiva di istillarle false illusioni. Era ancora molto confusa e la discussione avuta con gli altri non aveva certo contribuito a schiarirle le idee. “Il mio ragazzo pensa che dovrei rifletterci ancora…” si ritrovò a mormorare, senza nemmeno sapere bene il perché. Come se la sua decisione dipendesse da quello che pensava Mark o chiunque altro. O meglio, anche la sua opinione contava, ma fino a un certo punto. Forse la stava usando solo come scusa.

“E tu cosa pensi?” la incalzò Margaret, alzando un sopracciglio. Proprio come lei, aveva tutta l’aria di essere sempre stata indipendente nelle sue scelte, nonostante avesse vissuto gran parte della vita in un’epoca in cui le donne ne avevano ben poche.

In quel momento Rachel non sapeva cosa rispondere. Era solo terrorizzata dai suoi poteri e da ciò che potevano causare, tutto il resto erano soltanto ulteriori preoccupazioni.

Vedendola incerta, Margaret sospirò paziente. “Credimi, vorrei avere molto più tempo a disposizione per toglierti ogni dubbio. Purtroppo, però, siamo agli sgoccioli. Se non agiamo in fretta, Nickolaij continuerà a spadroneggiare finché il mondo che conosciamo non soccomberà sotto il suo giogo.”

Non si trattava certo di una prospettiva allettante e il primo pensiero di Rachel andò alle persone che amava di più, a suo padre, a Mark, ai suoi amici… Un brivido le corse lungo la schiena alla sola idea di perderli. Per non parlare di Claire… Tuttavia, il fatto che il loro destino potesse dipendere da lei la metteva altrettanto a disagio. “Ammesso che insieme riuscissimo a completare la pozione, come potrei sperare di avvicinarmi tanto a Nickolaij da colpirlo? Non ne avrei le capacità, è una cosa troppo grossa, io…”

Margaret allora si chinò di fronte a lei, per poterla guardare dritta negli occhi. “Non devi preoccuparti di questo.” mise in chiaro, poggiando le mani sulle sue. “Non ho certo intenzione di farti rischiare la vita. Ciò che più mi interessa ora è trasmetterti i miei insegnamenti e, quando verrà il momento, penserò io a iniettargli la pozione. È una questione che riguarda me e lui, tu non c’entri.” 

Per tutta risposta, Rachel si sforzò di mostrarsi convinta, ma la paura che stava provando risultò comunque evidente agli occhi di Margaret.

“È un bene che tu sia spaventata. Significa che non sei una sciocca.” disse, sorridendole ancora; poi le strinse le mani con più calore, facendosi seria. “Insieme possiamo riuscirci. Devi solo fidarti di me.”

Lei si prese qualche altro istante per rifletterci. Non che avesse alternative, in fondo. Doveva riconoscere che gli altri avevano ragione. Se le avesse detto di no e se ne fossero andati il giorno dopo, Claire sarebbe rimasta prigioniera a Bran per il resto della sua vita. Non c’era altro modo se non restare e mettersi nelle mani di quella donna. Così alla fine annuì, facendole capire che si sarebbe arresa all’inevitabile. 

Un sorriso colmo di soddisfazione si aprì sul volto di Margaret e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Dopo averla aiutata a rialzarsi, la spinse con delicatezza verso la porta d’accesso al ballatoio. “Ora torna a dormire signorina, o congelerai qui fuori e allora tutta la mia opera di convincimento sarà stata inutile.” scherzò, rivelando un’inaspettata natura bonaria.

 

Il mattino dopo vennero svegliati di buon’ora e in maniera neanche troppo cortese da Ayris, che con il consueto fare spiccio li invitò a vestirsi e a scendere di sotto, dove trovarono Margaret già ad attenderli. Seduto al tavolo della cucina c’era Dean, fresco come una rosa e dal viso rilassato. Come al solito l’unico a non risentire affatto delle alzatacce che da qualche tempo a quella parte erano costretti a fare.

“Non ho mai capito se i vampiri dormono oppure no.” esordì Mark con la voce impastata dal sonno, mentre gli si sedeva accanto.

Dean ridacchiò. “In genere molto poco, anche se in effetti stanotte ho dormito più del solito. Dovevo essere parecchio stanco.” Il tono che usò era quasi sorpreso, come se stesse parlando di qualcosa che avveniva raramente.

Rachel lo sapeva, ma si guardò bene dal farlo presente. Non le andava che gli altri scoprissero della sua passeggiata notturna. 

“Ecco qua.” Margaret, che fino a quel momento aveva dato loro le spalle, si voltò porgendo a Dean un grosso calice di vetro colmo di un liquido denso e rossastro. “La pozione che hai bevuto finora sarà stata un buon sostituto, ma questo ti rimetterà al mondo.” disse in tono allegro. Sembrava piuttosto di buon umore quella mattina, probabilmente perché Rachel alla fine aveva accettato di restare.

“È ciò che penso che sia?” chiese Mark, sporgendosi oltre la donna per sbirciare sul bancone, dove c’era una sacca di quelle in uso dagli ospedali per conservare il sangue. 

Lei sorrise soddisfatta. “Stanotte sarà plenilunio. Mi sono sentita in obbligo di accogliere il mio ospite come si deve.” Mentre Dean la ringraziava, pensò che da quando, la sera prima, le aveva spiegato i motivi per cui aveva lasciato Nickolaij, la diffidenza nei suoi confronti era svanita e ora lo trattava quasi come un suo pari. “Il nemico del mio nemico è mio amico” gli aveva detto, guardandolo con rispetto.

“Dean mi stava parlando del decotto che la sciamana Jurhaysh ha creato per lui in sostituzione del sangue umano. È un’idea molto interessante e potrebbe rivelarsi simile al modo in cui Byron è riuscito a tenere in vita Nickolaij per tutti questi anni.” proseguì Margaret, per poi rivolgersi a lui. “Cosa ne pensi? Lo trovi soddisfacente?” 

“Beh, in linea di massima funziona. Il problema è che ne serve una grande quantità per compensare la mancanza di sangue. Per non parlare del sapore…” Il solo pensarci bastò a fargli assumere un’espressione di composto disgusto. Negli ultimi giorni aveva bevuto l’intera scorta preparata da Laurenne, pur di non correre rischi, eppure adesso che si ritrovava quel calice davanti si sentiva svuotato, come se fosse completamente a digiuno. La prospettiva di bere di nuovo sangue umano era tutta un’altra cosa. Non esistevano paragoni per un vampiro. Tuttavia, il timore di come l’avrebbero presa gli altri lo frenava dallo scolarselo tutto d’un fiato. 

“Bene, studierò la ricetta che mi hai dato. Vedremo di trarne qualche conclusione utile.” disse Margaret, riempiendo altri due calici con il contenuto rimanente nella sacca. Uno lo porse ad Ayris e uno lo tenne per sé; poi tornò su Dean e lo sollevò verso di lui a mo’ di brindisi. “Distracție plăcută.” Senza aspettarlo, portò il bicchiere alla bocca e mandò giù un lungo sorso, mentre Ayris accanto a lei faceva lo stesso.

In tutto ciò, Rachel e gli altri li osservavano con curiosità mista a un leggero senso di disagio. Sensazione che aumentò quando videro gli occhi delle due donne virare verso un colore rosso intenso, facendo assumere loro un aspetto decisamente inquietante. A quel punto, anche per non offendere Margaret, Dean si decise a vuotare il bicchiere, assumendo così lo stesso aspetto da belva famelica. Non ne andava particolarmente fiero, ma non c’era nulla che potesse fare per evitarlo. 

Dall’altro capo del tavolo, Juliet si sforzò di non apparire più di tanto turbata. Era chiaro come il sole che Dean se ne vergognasse e non voleva rigirare il coltello nella piaga, anche se era la prima volta che lo vedeva così e non fu un’immagine facile da assimilare. Per fortuna, ci pensò Cedric a distrarla.

“Da dove vengono quelle sacche?” chiese, indicando il bancone con un cenno del mento.

L’allegria sul volto di Margaret si spense un po’ nel sentire la domanda, ma non si tirò indietro e rispose con sincerità. “Dalla cella frigorifera dell’ospedale più vicino.” confessò con un sospiro carico di amarezza. “Sì, mi rendo conto che è poco onorevole. Va contro i principi dei miei antenati e la stessa natura dei vampiri, ma non abbiamo avuto scelta. Per mantenere il segreto sulla nostra permanenza qui non c’era altro modo.”

“Quindi sta dicendo che le rubate?” concluse Mark, senza nascondere la propria perplessità al riguardo.

“Beh, non è come scegliersi la preda, ma di questi tempi è più prudente mantenere un profilo basso e adattarsi al progresso. Per nostra fortuna, in ospedale abbiamo chi ci aiuta.” replicò lei, riacquistando il suo cipiglio risoluto. “A proposito, non ne sono rimaste molte.” fece notare ad Ayris. “Già che ti rechi al villaggio, fa un po’ di scorta. Ora siamo in tre, ce ne servirà qualcuna in più.”

Come sempre, la ragazza annuì obbediente alle sue disposizioni, prima di uscire dalla cucina e lasciarli soli.

“Le ho chiesto di procurarvi degli abiti pesanti. Considerato che rimarrete qui per un po’, non potete continuare a indossare quelli che avete. Sono troppo leggeri per il clima scozzese, congelereste in un paio di giorni.” li informò pratica.

Proprio mentre finiva di parlare, a Juliet sfuggì uno starnuto, che fece appena in tempo a contenere coprendosi la bocca con la mano. “Chiedo scusa.” disse subito dopo imbarazzata, tirando su col naso. 

“A quanto vedo, per qualcuno è troppo tardi.” constatò Margaret, alzando un sopracciglio mentre gli altri ridacchiavano divertiti.

Per la prima volta da parecchio tempo fecero colazione con bacon e uova strapazzate, che scoprirono fosse l’unica pietanza in cui Ayris se la cavava bene, dato che sia lei che Margaret ne andavano particolarmente ghiotte, nonostante fossero vampire. La donna si congedò subito, dicendo che avrebbe fatto un salto alla serra per prendere delle erbe, lasciandoli a mangiare con calma. 

Dopo aver mandato giù una fetta di bacon, lo sguardo di Cedric si posò su Rachel, che sedeva di fronte a lui. “Quindi alla fine hai accettato.” dedusse dalle parole sentite poco prima dalla loro ospite. 

Lei ebbe subito l’istinto di guardare Mark, quasi volesse controllarne la reazione, ma non lo scoprì arrabbiato. Più che altro sembrava sorpreso. “Ve l’avrei detto dopo colazione.” 

“È la decisione giusta.” la appoggiò Juliet, con fare rassicurante. 

Dean annuì di riflesso. “Sì, lo credo anch’io.”

Il solo a essere ancora riluttante era Mark, che però non insistette a imporre il proprio punto di vista. “Okay, se pensi che sia la cosa migliore…” 

 

Ayris fu di ritorno qualche ora dopo, con scorta di cibarie e maglioni pesanti per tutti. Nonostante li conoscesse da meno di un giorno, le taglie che aveva scelto si rivelarono azzeccate, così Rachel poté imbottirsi per bene prima di seguire Margaret fuori dal cottage. Gli altri rimasero in casa con la nipote, che per la verità non ne sembrò entusiasta, ma sua zia disse che non c’era motivo perché venissero con loro. Osservazione che non era piaciuta a Mark. Vedendolo aggrottare la fronte, Rachel infatti lo aveva rassicurato dicendo che sarebbe tornata presto e lui aveva borbottato un okay, mentre si scambiavano un rapido bacio sulle labbra. 

Margaret si era dimostrata a dir poco criptica nello spiegare dove la stava portando, limitandosi a guidarla lungo una specie di scala naturale che conduceva ai piedi della scogliera. Più scendevano più il clima si faceva ostile, con un vento freddo e carico di salsedine che si appiccicava addosso, costringendoti a riparare il viso nel bavero del giubbotto.

Continuarono ad avanzare, finché non giunsero davanti all’enorme imbocco di una grotta, di quelle che il mare aveva scavato nella roccia decine di milioni di anni prima. Era talmente grande che loro al confronto sembravano formiche. Una volta entrate, fu subito chiaro che si trattasse di un posto frequentato dai turisti nella stagione estiva, per via dei ballatoi protetti e dei ponti che consentivano il passaggio da una sponda all’altra. Al centro della grotta, infatti, scorreva un sottile rivolo d’acqua, che rendeva impossibile proseguire al di fuori dei percorsi guidati. Continuarono a usarli finché poterono, dovendo poi abbandonarli quando si furono inoltrate in uno dei tanti anfratti oscuri della caverna. 

Margaret accese la torcia, imitata subito da Rachel che, nonostante tutto ciò apparisse strano e inquietante, non fece domande mentre si infilavano di traverso in un pertugio, talmente stretto da doverci passare in fila indiana.

Alla fine del cunicolo si ritrovarono in un ambiente meno opprimente, così che Rachel ebbe modo di vedere cosa stava facendo Margaret, ferma davanti a una parete di roccia. Perplessa, la vide sollevare una mano e sfiorare con le dita la superficie, che però sembrò rimanere immutabile. Stava per chiederle spiegazioni, ma non ne ebbe il tempo perché la donna fece un passo avanti e il suo corpo venne assorbito dalla roccia, sparendo nel nulla proprio davanti ai suoi occhi. Al passaggio della donna c’era stato un lieve tremolio, come se la parete fosse diventata improvvisamente liquida. 

“Ma che…” fece per mormorare incredula, per interrompersi bruscamente alla vista del mezzo busto di Margaret, che spuntava di nuovo da quella parte. 

“Allora? Che stai aspettando? Vieni.” la invitò, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Lì per lì Rachel rimase dov’era, ancora incredula per quello che aveva appena visto, ma poi si fece coraggio e la seguì. 

La sensazione fu quella di attraversare un velo di acqua fresca, anche se quando arrivò dall’altro lato era asciutta. Si ritrovò in un luogo a metà tra una cattedrale gotica e il laboratorio di un alchimista, con scaffali ricolmi di libri, quasi tutti stravecchi, piante essiccate appese alle pareti con dei chiodi, alambicchi e altri utensili vari sparsi in giro. Da un lato c’era perfino un grosso focolare ricavato da una concavità della roccia, su cui poggiava un pentolone nero degno di una vera strega che si rispetti. Non si sentiva alcun rumore in quell’angolo della grotta, nemmeno lo sgocciolio continuo avvertito finora, e c’era molta meno umidità. 

“Benvenuta nel mio laboratorio.” disse Margaret sorridente e orgogliosa. Si vedeva quanto ne andasse fiera.

“Davvero suggestivo.” commentò Rachel con il naso ancora all’insù, mentre rimirava le alte pareti dell’antro. Poco dopo un pensiero le attraversò la mente. “Perché scegliere un posto come questo? Non hai paura che qualche turista venga a curiosare nei dintorni e lo trovi?”

“L’ho scelto proprio per questo. Una località turistica è l’ideale per non dare nell’occhio. Inoltre, come hai potuto vedere, il laboratorio si trova ben oltre i percorsi abituali dei visitatori e per un mortale è impossibile eludere i miei incantesimi protettivi. Siamo perfettamente al sicuro.” la tranquillizzò, certa di ciò che stava dicendo. Stabilito questo, assunse l’aria di chi non vedeva l’ora di arrivare a quel punto. “Bene, bando agli indugi. Ti ho condotta qui perché prima di iniziare il tuo addestramento volevo mostrarti una cosa di estrema importanza.” 

Rachel la osservò dirigersi al grosso tavolo che troneggiava in fondo alla stanza, ingombro di tomi e altri oggetti per la maggior parte a lei sconosciuti, tornando poco dopo con un libro dall’aspetto assai vissuto tra le mani. Quando glielo porse, lo prese un po’ esitante, intuendo dovesse trattarsi di qualcosa di prezioso. 

“Questo, mia cara, è un grimorio. Anzi, per meglio dire è il mio grimorio.” la informò. “Ogni giovane strega ne riceve uno dalla sua precettrice e visto che io sarò la tua…” Si interruppe, lasciandole intuire il resto. “Al suo interno è contenuto tutto il sapere di una strega, ogni formula, incantesimo e pozione che ella abbia prodotto nell’arco della sua esistenza. A questo si dovrà aggiungere tutto ciò che man mano produrrà in futuro, naturalmente.” precisò, spiegandole le cose con estrema serietà.

Quando la invitò ad aprirlo Rachel obbedì, anche se un po’ incerta. Nonostante ormai non fosse più scettica sull’essere una strega e tutto il resto, ogni riferimento alla magia o a ciò che vi ruotava intorno continuava a farla sentire alquanto ridicola. Ora scopriva che esisteva addirittura il classico libro degli incantesimi, tipo quello usato dalla strega cattiva per avvelenare la mela di Biancaneve. Messi da parte i voli pindarici, aprì il grimorio su una pagina a caso e lesse le prime righe che le capitarono sotto gli occhi. Sembrava una specie di ricetta, ma non nel senso tradizionale del termine. Ogni ingrediente veniva descritto nella sua funzione, oltre che elencato insieme agli altri. 

“Immagino non ti risulti difficile capire cosa c’è scritto.” disse Margaret dopo un po’.

A Rachel quella constatazione suonò alquanto insolita. “No…” rispose tentennante. Perché avrebbe dovuto trovarlo difficile? La grafia era datata, certo, ma non così contorta da ostacolare la lettura.

“Ti spiego. Per una persona qualunque sarebbe impossibile decifrare il contenuto del grimorio, poiché soltanto una strega è in grado di leggerlo.” chiarì lei, intuendo le sue perplessità. “L’ennesima prova dell’autenticità dei tuoi poteri. Magnifico!” esultò infine, aprendosi in un sorriso raggiante. 

Rachel fu ben contenta di restituirle il libro, sebbene sospettasse che lo avrebbe rincontrato presto, ma per il momento stava bene al suo posto, sul tavolo. A quel punto, rimase in attesa delle prossime istruzioni della sua precettrice, che infatti non tardarono ad arrivare.

“Dunque, suppongo ti sarai chiesta come hai fatto a liberarti dal mio incantesimo, ieri.” 

Un po’ spiazzata da quel cambio repentino di argomento, lei annuì. In effetti, se l’era chiesto. 

“Eri arrabbiata.” riassunse Margaret semplicemente. “Quando si è alle prime armi, può accadere che una forte reazione emotiva scateni i poteri di una strega senza che questa riesca a rendersene conto. Quindi per prima cosa ti insegnerò come fare affinché si manifestino in una situazione di normalità e in seguito imparerai a controllarli, così che tu possa utilizzarli a tuo piacimento e in tutta sicurezza.” 

“D’accordo.” mormorò Rachel, non sapendo cos’altro dire. Chissà perché ebbe l’impressione che alla fine non sarebbe riuscita a mantenere la promessa fatta a Mark di tornare presto. 

“Molto bene.” approvò Margaret subito dopo, con aria soddisfatta. “Iniziamo?”

 

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Capitolo 17
*** Aria (parte 1) ***


Capitolo 11

 

Aria



 

Claire si guardò attorno con aria spaesata. Era già stata nella sala del trono prima di allora, ma non l’aveva mai vista così gremita di gente. Sembrava che ogni abitante del castello si fosse dato appuntamento lì quella sera e tutti non stavano più nella pelle dall’emozione. Tutti tranne lei. 

Il chiacchiericcio era molto forte, quasi insopportabile per i suoi nuovi sensi sviluppati, tanto che si lasciò sfuggire uno sbuffo infastidito. “Quanto dovremo aspettare ancora?” 

Accanto a lei Jason le rivolse un’occhiata contrariata. “Finché la luna non sarà nella sua posizione ottimale. Solo allora il nostro Signore inizierà la cerimonia.”

Da quando si erano rincontrati, Jason si comportava in modo sempre più strano e ancora una volta Claire rimase stupita della sua cieca devozione nei confronti di Nickolaij. Possibile che l’avessero plagiato a tal punto da dimenticarsi che erano cresciuti insieme?

Con la coda dell’occhio controllò le sue mosse, trovandolo ancora dritto e impettito, lo sguardo fisso al centro della sala, deciso a non perdersi nemmeno un secondo di quell’assurda cerimonia. Mentre lo osservava, Claire si rese conto che c’era rimasto ben poco del ragazzo che conosceva. Il trauma subito a causa della morte del padre, ucciso davanti ai suoi occhi quando entrambi erano stati catturati dai vampiri durante il loro viaggio in Romania, doveva averlo cambiato profondamente. Sentirglielo raccontare giorni prima l’aveva davvero sconvolta. Lo conosceva quell’uomo, fin da piccola, anche se a differenza degli altri genitori non aveva mai partecipato molto alla vita sociale, sempre immerso nei suoi studi di archeologia, e sapere che fosse morto in quel modo brutale era stato un duro colpo per lei.

Ci stava ancora pensando, quando vide Jason seguire i movimenti di alcuni vampiri che stavano ultimando i preparativi, posizionando una sorta di altare di marmo precisamente davanti al trono di Nickolaij; poi altri vi poggiarono sopra una coppa dorata e uno scrigno nero, con tanta cura e precisione che sembrava ne andasse della loro vita.

A quel punto ebbe come un dejà-vu. Ricordò quella notte a Greenwood, quando lei, Rachel e Mark si erano intrufolati nei sotterranei del castello per scoprire cosa stava succedendo agli invitati. Una delle notti più brutte della sua vita e ora stava per ripetersi, solo che adesso faceva lei stessa parte di quel circo di esaltati e stavolta non c’era nessuna colonna dietro cui nascondersi. 

Pensare a Rachel le suscitò un piccolo malessere interiore. Era ormai qualche giorno che cercava di distrarsi in tutti i modi, per allontanare l’immagine degli amici. Aveva addirittura chiesto a Nickolaij di partecipare agli allenamenti dei novizi, così da imparare a controllare i suoi impulsi, ovviamente sempre sorvegliata a vista. Non le avrebbe mai permesso di scappargli da sotto il naso una seconda volta. In effetti, il pensiero di fuggire le aveva anche sfiorato la mente, ma con tutti quegli occhi addosso era più facile a dirsi che a farsi. Gli uomini di Nickolaij erano ovunque, pattugliavano il castello e i suoi confini costantemente, sarebbe stato un suicidio. Così aveva abbandonato l’idea, cercando di abituarsi a quella nuova, assurda, complicata esistenza, che, purtroppo, comprendeva anche il partecipare alla cerimonia del plenilunio. 

Nickolaij si stava facendo attendere da parecchio e ciò contribuì a rendere l’impazienza dei vampiri ancora più palpabile. Vedere tutti quegli esseri assetati di sangue, fece nascere in lei un misto di nervosismo e paura, anche se un attimo dopo aver avvertito quelle emozioni si disse che non aveva nulla da temere, che era parte del gruppo ormai. Subito un senso di disgusto e vergogna la pervase. Realizzò che quello che aveva provato non era paura, ma eccitazione. Come gli altri, anche lei aveva fame e inconsciamente era ansiosa che la cerimonia cominciasse così da ricevere la sua razione.

L’arrivo di Nickolaij la distolse da quei pensieri. Al suo ingresso nella sala il mormorio cessò gradualmente, fino a spegnersi del tutto quando raggiunse l’altare, attirando l’attenzione della folla su di sé. Esattamente come la prima volta, i vampiri si prostrarono in ginocchio davanti a lui, Jason fece lo stesso e Claire, anche se un po’ titubante, non poté esimersi dall’imitarlo.

“Fratelli!” tuonò Nickolaij da sotto il cappuccio. “Il momento tanto atteso è giunto. Anche stanotte rinnoviamo il giuramento che i nostri avi fecero alla luna.” disse, rivolgendo lo sguardo alla vetrata alle sue spalle da dove era ben visibile la luna piena, unica fonte di luce in tutta la sala. Il suo pallore contrastava perfettamente con il cielo nero della notte e la sua luce donava al tutto un’aria ancora più sinistra. 

Dopo una breve pausa a effetto, in cui nessuno osò emettere un fiato, Nickolaij fece un cenno a Dustin, rimasto al suo fianco per tutto il tempo, e di lì a poco due uomini sbucarono da un angolo nella penombra, in evidente attesa del suo ordine. Con loro c’era una ragazza tenuta ferma per le braccia. 

Claire avvertì un brivido freddo lungo la schiena. Stava per ripetersi la stessa scena di quella notte al ballo e, immaginando cosa stava per accadere, ebbe l’impulso di alzarsi e abbandonare quel teatrino, ma Jason la trattenne per una manica. Si girò per intimargli di lasciarla, ma la sua espressione risoluta la paralizzò. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma per la prima volta ebbe paura di lui e, quando le fece segno di tacere, obbedì e tornò a guardare verso l’altare. 

La ragazza aveva i capelli raccolti in una crocchia e portava un vestito bianco talmente leggero da far intravedere le sue forme. Tremava da capo a piedi mentre Nickolaij la prendeva per mano, accompagnandola davanti a lui in modo che tutti potessero vederla. Grazie alla sua nuova vista, Claire, riuscì a notare il suo sguardo, perso chissà dove. Dovevano averla drogata come avevano fatto con gli ospiti a Greenwood.

A quel punto Nickolaij si fece passare da Dustin il coltello che teneva nello scrigno. “Un modesto sacrificio per un obiettivo più grande.” recitò, subito prima di accarezzare la nuca della ragazza e con un movimento lento e preciso reciderle la gola.

Claire sussultò, portandosi le mani alla bocca per non gridare. L’altra volta si era trattato solo di un taglio alla mano di Jasmine, non si aspettava certo di trovarsi di fronte a un simile atto di violenza. Suo malgrado, però, non riuscì a distogliere lo sguardo dal macabro spettacolo, per quanto dentro di sé avrebbe solo voluto scappare da quella sala.

Nickolaij sostenne la ragazza scossa dagli ultimi fremiti, mentre il sangue le imbrattava lentamente il vestito. Riconsegnato il coltello a Dustin, si fece passare la coppa per raccogliere il sangue che sgorgava dal collo della giovane. Una volta riempita, abbandonò il corpo, che si accasciò a terra inerte. 

Nel frattempo, alcuni vampiri passavano tra la folla consegnando boccette ricolme di sangue, incuranti della pozza che intanto si allargava a dismisura sul pavimento. Anche Claire ne ricevette una, ma scoprì che assistere a quell’orrore le aveva fatto passare la fame, sostituita dall’estremo disgusto verso quegli esseri e soprattutto verso Nickolaij. 

Una volta che tutti ebbero ricevuto la propria razione, lui alzò la coppa davanti a sé e gridò qualcosa che Claire non capì e che ricordava vagamente di aver sentito anche nel sotterraneo a Greenwood. 

Eligitur itaque sanguinem!

“Che significa?” chiese incuriosita a Jason.

“Eletti per il loro sangue. È il motto dei Draculesti.” 

A quel punto, gli altri vampiri ripeterono la stessa frase in coro e poi bevvero insieme al loro signore. 

Lei fu l’unica in tutta la sala ad astenersi. La sua attenzione era rivolta alla ragazza ancora ai piedi di Nickolaij, ignorata da tutti e ormai priva di vita. 

A cerimonia conclusa, Nickolaij depose la coppa sull’altare e Claire vide lo scintillio vermiglio dei suoi occhi sotto il cappuccio, ma durò solo un breve istante. Subito dopo, infatti, lui distolse lo sguardo e lasciò la sala. Fu allora che capì di doversi sbrigare se non voleva perdere l’occasione, così prese coraggio e gli corse dietro, sforzandosi di ignorare l’odore del sangue mentre passava davanti al cadavere. Doveva assolutamente parlargli. Da quando le aveva rivelato il suo segreto non avevano più avuto modo di rimanere da soli e aveva bisogno di una risposta. 

“Aspetta!” Gridando attirò su di sé alcuni sguardi confusi e infastiditi, ma riuscì a catturare l’attenzione di Nickolaij, che si fermò sulla soglia della porta in attesa che lo raggiungesse. Quando gli fu davanti, l’occhio gli cadde immediatamente sulle sue dita, che stringevano ancora la boccetta colma di sangue.

“Non hai bevuto nulla, vedo.” constatò asciutto.

Claire però non aveva voglia di discuterne, perciò giunse subito al sodo. “Ho bisogno di parlarti.” lo informò risoluta. “In privato.” C’era ancora troppa gente intorno a loro e non voleva che altri sentissero.

Nickolaij annuì, nascondendosi meglio sotto al cappuccio e invitandola a precederlo con un gesto della mano. Sembrava impaziente di lasciare la sala e Claire non faticò a immaginare il perché. Nel breve istante in cui l’aveva guardata si era resa conto che l’effetto del sangue sui suoi occhi era già svanito, probabilmente a causa della maledizione. 

“Deve essere una cosa davvero urgente, sembri agitata.” le disse, mentre camminavano lungo il corridoio. Ormai certo che fossero soli, si tolse il cappuccio e i loro sguardi si incontrarono. Come sempre, Claire ebbe l’impressione che le scrutasse l’anima e, anche volendo, non avrebbe potuto mentirgli. Stare in sua presenza le faceva provare sempre un misto di ansia e timore reverenziale, ma anche eccitazione. Non avrebbe saputo descriverlo bene, lei lo chiamava l’effetto Nickolaij

“Allora, vuoi dirmi di che si tratta?” la incalzò. Quella sera sembrava meno paziente e disposto ad ascoltarla del solito.

Lei si schiarì la gola, frugandosi nella testa in cerca del modo migliore per affrontare il discorso senza provocare la sua ira. “Sì, ecco…” esitò. D’un tratto la scena della ragazza sgozzata le ritornò in mente e tutta la sua sicurezza venne meno. Forse era il caso di sondare il terreno, così la prese alla larga. “Prima, però, ho una domanda da farti. C’era davvero bisogno di uccidere quella povera ragazza? Non lo facesti a Greenwood.”

Se il reale senso di quella frase sarebbe potuto sfuggire a chiunque altro, a Nickolaij no. Si fermò di colpo, concentrando lo sguardo su di lei. “Dunque anche tu eri là…” mormorò. Non sembrava arrabbiato, solo leggermente sorpreso. 

Claire realizzò solo in quell’istante e balbettò qualcosa in risposta, allo stesso tempo maledicendosi per aver parlato a sproposito. 

“Dean aveva omesso questo particolare. Del resto, non mi sorprende…” rifletté lui dopo una breve pausa.

“Che c’entra Dean?”

“Fu lui stesso a raccontarmi come andarono le cose quella notte.” spiegò placidamente. “Non ve l’ha detto?”

La novità la lasciò interdetta e per un istante rimase impalata a fissare il suo interlocutore. -Ovviamente no- pensò tra sé. Un’altra voce da aggiungere alla lista delle cose non dette da Dean. 

“Non specificò chi di voi avesse assistito alla cerimonia, ma in ogni caso non sarebbe cambiato nulla. Non avrei permesso che restassero testimoni scomodi.”

Claire, però, non lo stava ascoltando. Al momento il suo unico pensiero era che Dean fosse il vero responsabile dei guai in cui erano finiti. Che senso aveva avuto aiutarli a lasciare il castello per poi vanificare tutto spifferando a Nickolaij della loro presenza? Se non lo avesse fatto, a quell’ora forse…

La rabbia che provò fu tale da ripromettersi che, se mai lo avesse rivisto, lo avrebbe strangolato con le sue mani.

“Ad ogni modo, comprendo che tu ti senta ancora legata al tuo vecchio mondo.” riprese Nickolaij, liquidando la faccenda. “Tuttavia, non dovresti provare compassione per qualcuno che ha dato la sua vita affinché la nostra gente possa continuare a esistere, se mai gratitudine. Gli esseri umani sono inferiori a noi, dunque possono rendersi utili nel solo modo possibile: offrendo loro stessi. Ma immagino che il nodo del discorso non sia la sorte toccata a quella ragazza, giusto?”

Naturalmente non lo era e Claire si diede dell’ingenua per aver creduto che prendere l’argomento alla larga sarebbe servito a raggiungere lo scopo. Nickolaij aveva comunque intuito a che gioco stesse giocando e quella della ragazza sgozzata era solo una scusa per chiedergli altro. “No. In effetti, c’è qualcosa.” ammise, mantenendosi prudente.

Lui allora attese paziente che proseguisse.

“A Greenwood succede lo stesso?” Quel pensiero orribile si era ripresentato mentre assisteva al macabro rituale del plenilunio, anche se la tormentava già da tempo. “Che fine ha fatto la gente lì?”

“Sei in pena per la tua famiglia?” 

“Ho ragione di esserlo?” gli chiese a sua volta.

Nickolaij sembrava incuriosito da quel suo atteggiamento. “Claire, mi piacerebbe che tra noi ci fosse la massima trasparenza. Perciò puoi parlare liberamente.”

“Voglio sapere se hai riflettuto sulla mia richiesta di poter tornare in America.” disse allora senza mezzi termini.

Il silenzio calò tra loro. Claire era così tesa che temeva di spezzarsi anche solo respirando.

“Capisco quanto sia importante per te vedere la tua famiglia, ma al momento non ho ancora deciso se lasciarti andare sia un bene oppure no.”

“Che diavolo significa?” protestò indignata, non riuscendo più a trattenere l’impazienza. “Devo sapere come stanno e cosa gli state facendo. Non penso ad altro da quando te l’ho chiesto settimane fa! Come fa a non essere un bene?”

Nickolaij lasciò che si sfogasse, sostenendo il suo sguardo, e in breve tempo Claire perse tutta la sua spavalderia. Forse avrebbe dovuto moderare i toni, non era saggio inimicarselo, così provò subito a rimediare. “Mi dispiace di aver gridato. Io…sono solo preoccupata e…”

“Hai ragione.” la interruppe di punto in bianco, sorprendendola.

“Cosa?”

“Sì, in effetti vedere come funzionano le cose sul campo, fuori da queste mura, non potrà che giovarti.” rifletté.

Claire non sapeva bene cosa dire, pensava di dover combattere chissà quanto prima di averla vinta, invece ancora una volta si rese conto di quanto Nickolaij potesse essere imprevedibile. “Quindi ho il permesso di andare?”

“Naturalmente Dustin ti accompagnerà e si assicurerà che tu non commetta inutili imprudenze.”

-Naturalmente- pensò lei. Del resto, sarebbe stato ingenuo da parte sua credere che l’avrebbe mandata da sola. 

“Lui stesso ti comunicherà il giorno della partenza non appena lo metterò al corrente della questione.” dispose pratico. “Bene. Se non c’è altro, buonanotte mia cara.”

“Buonanotte. E grazie.” rispose Claire, non proprio entusiasta di dovergli gratitudine. Comunque, cercò di mostrarsi più remissiva e accondiscendente di quello che realmente sentiva. 

Nickolaij abbozzò un mezzo sorriso di risposta, prima di voltarsi e proseguire da solo, e per un po’ Claire rimase dov’era, stordita dal fatto di essere appena riuscita a ottenere da lui ciò che voleva. Avrebbe rivisto la sua famiglia. Magari solo per poco e da lontano, ma l’avrebbe rivista e dopo tutto quel tempo non le sembrava vero. Per una volta dall’inizio della sua permanenza in quel posto, l’euforia si sostituì alla tristezza e anche il pensiero della ragazza brutalizzata si fece più sopportabile. 

Soddisfatta, si incamminò verso lo scalone che conduceva ai piani superiori, diretta alla sua camera, senza accorgersi però di non essere sola. 

“Ehi, bellezza.”

Era in procinto di salire le scale quando vide avvicinarsi due vampiri piuttosto nerboruti. Probabilmente dovevano averla seguita. “Sparite.” intimò, decisa ad apparire forte e risoluta, quando in realtà l’ansia si stava già facendo strada dentro di lei. I loro sguardi assatanati, con gli occhi venati di rosso scarlatto, non preannunciavano certo la voglia di una semplice chiacchierata tra amici. Tuttavia, con il suo atteggiamento non ottenne altro risultato se non quello di farli eccitare di più.

“Oh, fa la difficile.” commentò uno dei due, sfoderando un ghigno di perverso divertimento e facendo ridere il suo compare. 

Claire non rispose alla provocazione, ancora nella speranza che ignorarli sarebbe bastato, ma non appena cercò di imboccare le scale si sentì strattonare per un braccio.

“Non abbiamo detto che puoi andare.” minacciò il vampiro che la tratteneva, riacquistando d’un tratto un’inquietante espressione seria. 

“Lasciami subito!”

“Le novelline come te dovrebbero portare più rispetto ai veterani come noi.” aggiunse l’altro incurante delle sue proteste.

Il compagno annuì, mostrandosi d’accordo. “Già. Meriteresti una punizione, ma visto che sei così carina saremo indulgenti.”

Per Claire fu chiaro fin da subito che tipo di indulgenza intendessero adottare, ma non aveva alcuna intenzione di permetterglielo. Adesso era forte tanto quanto loro e si sarebbe difesa. Così, quando con un gesto repentino l’aggressore le piegò il braccio dietro la schiena, per poi spingerla contro il muro, iniziò a menare calci nel tentativo di toglierselo di dosso. Nella lotta la boccetta con il sangue le cadde di mano, frantumandosi per terra. 

Vedendo il compagno in difficoltà, l’altro vampiro intervenne per dargli man forte e il peso di entrambi la schiacciò contro la parete, impedendole qualunque movimento. Fu allora che si rese conto di aver sopravvalutato le proprie possibilità. Ogni suo disperato tentativo di liberarsi si rivelò del tutto inutile.

“Lady Mary ci teneva a ricordarti qual è il tuo posto.” si sentì sibilare all’orecchio.

-È stata lei!- realizzò Claire scioccata. Quella stronza aveva mandato quei due per vendicarsi di chissà quale affronto che nemmeno ricordava di averle fatto. Non poteva dargliela vinta. Doveva combattere, ma per quanto cercasse di divincolarsi, non era abbastanza forte. Mentre uno dei due la teneva ferma, l’altro la toccava dappertutto e Claire sentì il suo fiato sul collo quando prese a trafficare con la chiusura dei suoi pantaloni, di evidente intralcio. I loro corpi erano talmente attaccati che, nonostante fosse girata di schiena, lo sentì avere un’erezione e a quel punto il suo disgusto toccò l’apice. Urlò e si dimenò con tutta l’energia che aveva, pur sapendo che non sarebbe bastato.

Per tutta risposta, infatti, i due si fecero una grassa risata. Il fatto che facesse resistenza li divertiva, fomentando ancora di più il loro istinto animale.

“Tienila, tienila! Il prossimo giro lo fai tu.” sghignazzò quello che le si era avventato contro per primo; poi affondò le dita nella fessura tra i pantaloni e la pelle di Claire, spingendoli di prepotenza verso il basso e lei fece una smorfia di dolore nel sentire le sue unghie graffiarla. 

Ormai allo stremo, stava per arrendersi all’inevitabile, quando all’improvviso il corpo del vampiro smise di pesarle addosso e fu di nuovo in grado di muoversi. Dopo essersi rivestita al volo, ne approfittò per dare libero sfogo alla rabbia e sferrò un pugno dritto in faccia all’altro, togliendoselo definitivamente di torno. Mentre lo colpiva, immaginò di riservare lo stesso trattamento a Mary.

Quando si voltò, vide che Jason aveva già scaraventato quel viscido contro la parete e ora la guardava, forse chiedendosi se fosse arrivato troppo tardi. “Tutto bene?” 

Claire, però, non ebbe il tempo di rispondere, perché il vampiro che aveva appena atterrato si stava già rialzando ed era pronto a colpire Jason, ma lui reagì immediatamente e iniziò a riempirlo di pugni, mentre lei teneva l’altro occupato. 

Non sarebbe rimasta a guardare, voleva fare la sua parte. Era sicuramente meno esperta nel combattimento e molto più piccola di corporatura, ma ricordava ancora gli insegnamenti di Evan e dei gemelli, che poteva utilizzare insieme a quanto stava apprendendo lì al castello e si dimostrò comunque in grado di dargli filo da torcere. Sfruttando la sua bassa statura, riuscì a schivare il suo tentativo di afferrarla e ad assestargli un calcio poderoso nelle parti basse. Quando poi il vampiro si piegò su se stesso piagnucolante per il dolore, gli piantò decisa il gomito sulla schiena e lo mandò definitivamente al tappeto. “Fottiti, stronzo!” 

“Cosa sta succedendo qui?”

La voce pacata e fin troppo familiare di Dustin esordì quasi dal nulla, attirando l’attenzione generale su di sé. Lo videro avanzare dal fondo del corridoio, per nulla turbato di vederli fare a botte, ma con uno sguardo raggelante con cui li inchiodò uno per uno. I suoi occhi azzurro oceano si fermarono un istante su Claire, prima di spostarsi su Jason. “Allora?” insistette, aspettandosi delle spiegazioni.

“Questi due animali l’hanno aggredita.” spiegò lui ansante. “Volevano violentarla, l’ho solo difesa.” chiarì poi senza mezzi termini.

Claire rimase sorpresa da tanta sincerità. Non si aspettava che Jason sarebbe stato così diretto, visto che da quelle parti le spie non erano viste di buon occhio.

Dustin rivolse una breve occhiata di velato disgusto al vampiro ancora piegato in due, che si lamentava per il dolore, prima di tornare su lei e Jason. “Non che ce ne fosse la necessità. Sa difendersi benissimo da sola, a quanto sembra.” commentò. Uno dei due vampiri fece per replicare, ma glielo impedì con un semplice gesto della mano, mentre il suo sguardo indagatore studiava Claire da capo a piedi. Aveva ancora i pantaloni slacciati e non occorreva molta immaginazione per capire che quanto sostenuto da Jason fosse la verità. A quel punto, senza fare una piega, si rivolse ai due aggressori, che lo fissavano come se si aspettassero di venire trucidati da un momento all’altro. Tutta la loro spavalderia era scomparsa di colpo.

“Affinché lo sappiate, stavate per usare violenza sulla protetta di sua Signoria.” li informò in tono placido, vedendoli sbiancare subito dopo. “Se le fosse stato torto anche un solo capello, ne avreste risposto direttamente a Lui. Dunque, suppongo che dobbiate ringraziare il nostro caro Jason qui. Vi ha appena salvato la vita.” Detto ciò, le sue labbra si piegarono in un sorriso sornione, poi con un cenno della testa ordinò loro di dileguarsi e i due se la diedero a gambe senza farselo ripetere.

L’istante dopo l’attenzione di Dustin si indirizzò su Jason. “Quanto a te…”

“Lui non c’entra!” si mise in mezzo Claire, preoccupata che potesse rimetterci a causa sua. La prima cosa che le venne in mente fu di spiattellargli che la colpa era tutta di Mary, ma poi si trattenne. Se ne fosse venuta a conoscenza, si sarebbe vendicata di nuovo. Magari stavolta su entrambi. “Non so cosa avrei fatto se non fosse intervenuto per difendermi.” sostenne allora, imponendosi maggior contegno.

Il sopracciglio di Dustin si sollevò appena. “Stavo appunto per congedarlo. Non c’è alcun motivo per cui debba meritarsi una punizione. Vai pure.” 

Jason chinò il capo obbediente, andandosene per la sua strada senza degnarla di uno sguardo e Claire non poté fare a meno di chiedersi perché l’avesse salvata se ogni volta dimostrava di non provare più il minimo segno di affetto nei suoi confronti. 

Dustin la distolse da quei pensieri. “Vieni. Ti accompagno alla tua stanza.” 

Dopo essersi ricomposta, lasciò che la precedesse su per lo scalone, percorrendo poi insieme il lungo corridoio del primo piano che Claire ormai conosceva a memoria. In realtà, non vedeva davvero dove stava andando, troppo impegnata a cercare di scacciare le immagini di poco prima che non smettevano di ripetersi nella sua testa come in un loop. Non si era nemmeno accorta che intanto il suo accompagnatore le aveva rivolto la parola.

“Mi stai ascoltando?” chiese Dustin, vedendola distratta.

Lei lo guardò spaesata. “Come?”

Il vampiro allora sospirò paziente. “Ho detto che non informerò sua Signoria dell’accaduto. Ne rimarrebbe turbato e al momento ha ben altre questioni di cui occuparsi, ma prima di andare mi permetto di darti un consiglio: quella di stasera non sarà l’ultima volta che qualcuno qui cercherà di sottometterti e non sempre troverai chi è disposto a tirarti fuori dai guai. Dunque, faresti bene a capire come farti rispettare.” Subito dopo averlo detto, le porse una boccetta identica a quella che aveva perso durante lo scontro. “Tieni, ne hai bisogno.”

Senza darle il tempo di replicare, né tanto meno di ringraziarlo, le voltò le spalle e tornò da dove erano appena venuti, lasciandola sulla soglia a meditare sulle sue parole. Mai si sarebbe aspettata di ricevere consigli di vita da uno come lui, sempre distaccato e apparentemente incurante dei problemi degli altri, ma forse aveva attirato le sue simpatie e si era sentito in dovere di metterla in guardia. Il problema era che a cercare di sottometterla era quell’arpia di Mary, quindi non sarebbe stata un’impresa facile farsi rispettare. 

Una volta infilatasi in camera, rimase per un po’ appoggiata alla porta, con gli occhi chiusi, cercando di respirare in modo regolare. Ancora tremante, abbassò lo sguardo sulla mano che impugnava la boccetta. Quanto avrebbe voluto frantumarla a terra e dimenticare tutto. Purtroppo però sapeva che era la sua unica fonte di nutrimento e arrivata a quel punto la fame che aveva cercato di domare tutta la sera si era fatta più forte della sua testardaggine, così si decise. Con un movimento secco la stappò, mandò giù il contenuto tutto d’un fiato e subito un senso di benessere la pervase, com’era successo quando l’avevano costretta nella cella. Per quanto piacevole, quella sensazione le ricordò cosa fosse diventata, alimentando l’odio verso se stessa. 

Una volta finito, la poggiò sulla toletta con malagrazia, non vedendo l’ora di disfarsene e per un attimo non fece caso al suo aspetto riflesso nello specchio. Quando alzò lo sguardo, a stento riuscì a riconoscersi. I suoi occhi, solitamente color del mare più profondo, erano rosso rubino e brillavano nella semioscurità. Trasalì per lo spavento, scoprendo così i canini che si erano allungati e sporgevano fuori dalla bocca.

Per la prima volta si vide per quello che era: un mostro. L’immagine del vampiro che aveva massacrato i Weaver quella notte le attraversò la mente, così come le facce di quei due vermi che stavano per violentarla. Avevano tutti i suoi stessi occhi. Ripugnata dal pensiero, diede un pugno allo specchio, mandandolo in mille pezzi. Con la mano sanguinante e piena di schegge, si accasciò a terra e scoppiò in un pianto disperato.

 

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Capitolo 18
*** Aria (parte 2) ***


Capitolo 11

 

Aria (parte 2)

 

 

“Forza, dovete metterci più impegno. Siete troppo lenti.” 

Dean girava tra loro sdraiati per terra e, dall’alto della sua posizione, impartiva direttive e comandi neanche fosse a capo di un plotone dei marines. 

“Facile parlare se non stai facendo niente.” borbottò Cedric per tutta risposta, forse pensando che in quel modo non lo avrebbe sentito. Speranza vana.

“Risparmia il fiato e continua.” lo rimbeccò Dean infatti, senza neanche degnarlo di uno sguardo.

Mentre tentava di portare a termine l’ennesima flessione senza stramazzare al suolo, Juliet iniziava a rimpiangere di aver pensato che l’idea avuta da Mark di chiedere a Dean di allenarli fosse buona. Tutto era partito da qualche giorno prima, quando Margaret aveva portato Rachel con sé per insegnarle i primi rudimenti della magia e loro erano rimasti in casa senza sapere come impiegare il tempo. Ayris trascorreva gran parte della giornata fuori, in città per delle commissioni, a occuparsi delle pecore o nella serra a raccogliere erbe per le pozioni di sua zia. Sospettava fosse anche un modo per non ritrovarseli sempre tra i piedi. Quindi avevano pensato di farle un favore trovandosi qualcosa da fare e, parlandone insieme, alla fine Mark li aveva convinti. Gli sarebbe piaciuto continuare con l’addestramento appena iniziato dagli Jurhaysh, che aveva dovuto interrompere per andare a Bran. Secondo lui, non avrebbe fatto male nemmeno a loro e in un primo momento Juliet l’aveva creduta un’ottima occasione per imparare un minimo di autodifesa, visto che ogni volta che le era capitato di ritrovarsi faccia a faccia con un vampiro se l’era cavata solo grazie alla presenza di qualcuno più esperto di lei e quella situazione cominciava a stancarla. Non voleva più pesare su nessuno. Ora, però, vedendo quanto in realtà fosse difficile stare al passo, e soprattutto faticoso, tutta la determinazione con cui era partita stava lentamente vacillando.

Non ne era certa, ma ormai dovevano essere trascorse almeno un paio d’ore da quando avevano iniziato. Sentiva il fiato farsi ogni secondo più corto e, nonostante fuori la temperatura non superasse i dieci gradi, grondava di sudore. Per fortuna, Margaret le aveva dato da bere un infuso di sua invenzione che le aveva fatto passare il raffreddore in meno di due giorni, altrimenti un bel febbrone non glielo avrebbe tolto nessuno. 

Del tutto indifferente ai suoi mille tormenti, Dean le si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia e Juliet lo intravide con la coda dell’occhio. 

“Come procede?” le chiese, senza lasciar trapelare il minimo segno di tenerezza. Era evidente quanto prendesse sul serio quello che stava facendo.

Lei però non era sicura che volesse davvero saperlo e in ogni caso non aveva la forza di rispondergli, perciò non lo fece, limitandosi a continuare con le flessioni per quel poco che riusciva ancora a muoversi. Iniziava a non sentire più i muscoli delle braccia, ammesso che di muscoli si potesse parlare.

Dean recepì comunque il messaggio. “Okay, tutto chiaro.” disse con una punta di ironia, prima di alzarsi. A quel punto, forse intuì che per quel giorno poteva bastare con il riscaldamento individuale perché li invitò a rimettersi in piedi e, dopo aver concesso una misera pausa di cinque minuti, tornò subito alla carica. “Bene, direi di ripassare la tecnica per liberarsi da un aggressore.” stabilì pratico. 

A Juliet prese subito lo sconforto. Non era da molto che avevano iniziato con l’autodifesa, perché a sentire Dean era un livello fin troppo avanzato per loro. Così in un primo tempo li aveva sfiancati con una serie di esercizi per rinforzare i muscoli, cosa per cui si era rivelata già abbastanza negata. Figurarsi cosa avrebbe potuto combinare con il corpo a corpo.

Comunque obbedì senza fiatare quando le disse di girarsi di spalle. Dopodiché lo sentì avvicinarsi e tentò di scacciare l’imbarazzo quando avvertì i loro corpi entrare in contatto e le sue braccia circondarla, per poi stringerla a sé a simulare un tentativo di aggressione. 

“Ora apri i palmi, ruotali verso l’esterno e spingi con tutta la forza che hai.” 

Non era semplice per lei concentrarsi sentendo il suo respiro sul collo, ma si impose di focalizzare l’attenzione solo su ciò che doveva fare. Seguendo le sue istruzioni, distese completamente le mani e iniziò a spingere, non senza sforzo perché la presa di Dean era ben salda. Aveva come la sensazione di trovarsi stretta in una morsa e per un momento pensò che non ce l’avrebbe fatta. Tuttavia, la voglia di dimostrargli le sue capacità era troppa e alla fine, con un’ultima forte spinta, riuscì a liberarsi. 

Quando si voltò a guardarlo, lo trovò con un’aria di composta soddisfazione dipinta in faccia. “Brava, hai capito come si fa.” le concesse, prima di fare cenno a Mark di venire al suo posto. “Ora prova con lui.” 

Mark le si avvicinò, circondandola con le braccia come aveva visto fare da lui e subito dopo la strinse a sé, ma lo fece con così poca forza che Juliet riuscì a toglierselo di dosso senza troppa fatica.

Ovviamente Dean si accorse subito che era stato troppo facile. “Rifatelo, ma stavolta stringi di più.” 

“È talmente gracile… Potrei farle male sul serio.” replicò Mark reticente.

“Credi che a un vampiro importerebbe qualcosa? Avanti, non stiamo perdendo tempo qui.”

La colpì non poco l’atteggiamento asettico con cui gestiva la situazione, come se non avesse a che fare con loro ma con degli estranei che aveva avuto il compito di addestrare. Comunque, lasciò che Mark ci mettesse più forza senza lamentarsi.

Soddisfatto, Dean la guardò. “Bene, prova di nuovo.”

Juliet annuì, ripetendo gli stessi movimenti; solo che stavolta fu più difficile perché Mark aveva preso alla lettera le direttive e le teneva le braccia bloccate contro il petto. Già provata dagli esercizi precedenti, non riusciva a trovare la forza per contrastarlo. D’istinto allora le venne un’idea: sfruttando l’unica parte del corpo ancora libera di muoversi, con un colpo di bacino spinse Mark lontano da sé e lo costrinse a mollare la presa. Purtroppo si rese conto di averci messo più foga di quanto intendesse veramente quando lo sentì emettere un lamento strozzato. Senza volerlo, lo aveva preso proprio nelle parti basse.

Il ragazzo si piegò su se stesso, finendo in ginocchio con le mani chiuse a protezione del punto dolorante. 

“Oddio, mi dispiace tanto!” esclamò mortificata, chinandosi all’istante accanto a lui per constatarne le condizioni, mentre alle sue spalle Cedric si abbandonava a delle grasse risate. “Scusami, non volevo. Io…”

Con un gesto della mano, Mark provò a tranquillizzarla, nonostante si vedesse lontano un chilometro che stava soffrendo. 

Più seccato che altro, Dean si portò una mano sugli occhi, rassegnato. “Basta con i piagnistei, riproviamo.”

Juliet però non era dello stesso avviso, anzi, si stupì che lo avesse anche solo proposto e gli rivolse un’occhiata incredula. “Stai scherzando? È chiaro a tutti che questa roba non fa per me.” sentenziò, alzandosi in piedi. 

“Ma che dici? Ce l’hai fatta, sei riuscita a liberarti.” ribatté lui, sorpreso dalla sua reazione.

“Sì, ma per farlo l’ho quasi castrato!”

Per non aggiungere altra agitazione alla sua, Dean sospirò paziente, cercando di riportare la calma. “Lo scopo di queste lezioni è riuscire a difendersi dai vampiri. Cosa farai quando uno di loro ti attaccherà? Ti preoccuperai della sua salute? Perché, credimi, a loro non importa della tua.” 

Juliet non lo avrebbe mai messo in dubbio. Sapeva perfettamente che aveva ragione, ma il punto era un altro. Con tutta la buona volontà, lei non sarebbe mai stata in grado di usare la violenza su qualcuno e, quando per sbaglio ci riusciva, i rimorsi di coscienza la perseguitavano per giorni. Era fatta così. Non poteva farci niente. “Senti, forse è il caso di lasciar perdere. Forse dovrei tornare a cucinare, che è la cosa che mi riesce meglio.” disse infine, visibilmente giù di tono. 

Alzando un sopracciglio, Dean le trasmise con il solo sguardo la sua opinione in proposito. “Quindi vuoi arrenderti.” constatò. “Hai così poca fiducia in te stessa?”

Juliet dovette sforzarsi per continuare a guardarlo, vergognandosi di se stessa.

“Odio ammetterlo, ma stavolta Yoda ha ragione.” intervenne Cedric a quel punto, apostrofando Dean con uno dei suoi tanti soprannomi. Quello però era davvero azzeccato. “Non è giusto che tu non abbia la possibilità di imparare a difenderti, Juls.” 

“Lo so e, credetemi, lo vorrei tanto. È solo che… non mi piace la violenza e detesto l’idea di fare male a qualcuno, chiunque egli sia.” Con aria affranta si sedette su uno dei gradini del porticciolo. “Mi dispiace. Sono solo un peso inutile.”

Fu allora che Dean compì un gesto inaspettato, come ancora più inaspettate furono le parole che le rivolse subito dopo essersi chinato di fronte a lei e averla guardata negli occhi. “Questo non devi pensarlo. Non sei affatto un peso. Anzi, se non fosse stato per te, a quest’ora i tuoi amici sarebbero morti di fame.”

“O morti e basta.” gli fece eco Cedric, concordando per ben due volte con lui. “Insomma, quando ci facciamo male sei l’unica a sapere cosa fare.” 

Anche Mark annuì, ancora dolorante per la botta ricevuta. “Giusto. Nei videogame o nei giochi di ruolo, il gruppo di eroi ha sempre un guaritore. E tu sei questo, sei la nostra guaritrice.” 

L’amico allora lo guardò, aggrottando la fronte stranito. “Ma quanto sei nerd?” fece, scuotendo la testa. 

Per tutta risposta, Mark gli rifilò un pugno leggero sul braccio, prima che entrambi iniziassero a ridere. 

Il loro battibecco ebbe il potere di risollevarle il morale e Juliet li seguì subito, sentendosi risollevata. Avrebbe potuto giurare di aver visto anche Dean concedersi una sottospecie di sorriso, ma durò un attimo. Subito dopo, infatti, tornò a guardarla serio.

“Il tuo ruolo di guaritrice, se così vogliamo chiamarlo, non ti preclude di imparare l’autodifesa. Perciò forza.” disse, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. “Riprendiamo, che ce n’è di lavoro da fare.”

 

Nel frattempo, Rachel era alle prese con i suoi primi tentativi di generare volontariamente la magia. Finora, infatti, ogni manifestazione dei suoi poteri aveva avuto luogo in modo casuale e del tutto indipendente dalla sua volontà. Adesso invece si trattava di concentrarsi su ciò che realmente sentiva di poter fare, sull’energia che avvertiva scorrere dentro di sé, ed esternarla nel concreto. 

Il primo esercizio che Margaret le stava facendo fare consisteva nel materializzare una lingua di fuoco dal palmo della mano e incendiare un mucchietto di legni secchi accatastati in un angolo del laboratorio. Solo che ormai ci stava provando da giorni, con risultati a dir poco deludenti. Un po’ di fumo grigiastro e qualche scintilla erano stati il massimo che era riuscita a ottenere, e francamente non capiva perché, visto che qualche sera prima aveva quasi rischiato di ammazzare tutti con l’energia scaturita da una delle sue sfuriate. Cos’era cambiato da allora?

Innervosita, aveva anche provato a dirle di cambiare esercizio, ma lei aveva risposto che quello delle fiamme era un modo per verificare il tipo di elemento da cui i suoi poteri derivavano e venivano alimentati. Ogni strega infatti, aveva spiegato, durante il suo addestramento imparava a padroneggiare tutti e quattro gli elementi presenti in natura, ma solo uno le apparteneva veramente e riusciva a sfruttare al meglio. Nel caso di Margaret era il fuoco e di conseguenza riteneva che anche il potere di Rachel, essendo sua discendente, traesse origine dallo stesso elemento. 

“Concentrati.” le mormorava a poca distanza, senza staccare gli occhi dalla sua mano aperta. “Libera la mente. Non devi pensare a nulla che non sia il calore delle fiamme. Devi sentirle bruciare sulla pelle.” 

Glielo aveva ripetuto almeno un milione di volte da quando avevano iniziato e Rachel perdeva sempre più la speranza di riuscire nell’intento. Anzi, a dire la sincera verità ormai non credeva neanche più di poterci riuscire. Con il braccio teso verso quel mucchio di legna marcia e nessun’ombra di successo si sentiva ridicola.

“Non ti stai concentrando.” la rimbeccò Margaret pungente.

Rachel sbuffò esasperata. “Sì, invece.”

“No, con la testa sei altrove. Se pensi di riuscire a dominare la magia senza credere in essa, sei sulla cattiva strada.” 

“Se solo la smettessi di parlare…” replicò tra i denti. Se continuava così era molto probabile che la fiammata l’avrebbe lanciata addosso a lei.

Margaret però andò avanti imperterrita con i suoi rimproveri. “Non è questo il punto. Una strega che crede nel suo potere è in grado di manifestarlo in ogni situazione, non solo nel silenzio assoluto. Tu invece sei ancora scettica. Hai già dimenticato la prima regola?”

Rachel la ricordava bene, così come le altre. Uno dei primi insegnamenti che aveva ricevuto era la cosiddetta “regola delle tre C”: cuore, concentrazione, controllo. La base di qualunque incantesimo. Nel cuore risiedeva tutta la convinzione di una strega, il credere fermamente nei suoi poteri e in ciò che potevano fare. Il secondo e il terzo passaggio sarebbero venuti in seguito, ma quello era il primo traguardo da raggiungere e guarda caso si stava rivelando anche il più difficile per lei. Tutti i dubbi che l’avevano assalita fin dal primo momento continuavano a girarle nella testa, nonostante i suoi sforzi di scacciarli via.

Un rivolo di sudore le scese dalla fronte, mentre ormai il formicolio al braccio sollevato da ore diventava insopportabile. Finché tutto a un tratto non ce la fece più. Esausta, mollò definitivamente. “Basta, non ce la farò mai.” si arrese, accasciandosi su se stessa.

“Potresti smetterla di piangerti addosso?” ribatté Margaret in tono frustrato e un cipiglio che assomigliava in maniera incredibile al suo quando si arrabbiava. “Non ci riesco, non sono in grado...  Tu non ci credi abbastanza, ecco la verità. La tua mente è ancora troppo ottusa, troppo chiusa per concepire l’esistenza della magia.”

“Ci ho provato, okay? Sono quattro giorni che non faccio altro, eppure niente! A questo punto non ti è venuto il dubbio che forse c’è qualcosa che non va? Forse ti sei sbagliata, non sono così promettente come pensavi…”

Lei proruppe in una risata quasi di scherno. “Non temere, so riconoscere una dote naturale quando la vedo. Quindi non provare a far ricadere la colpa della tua scarsa autostima su di me.”

Sentirla parlare in quel modo la lasciò a dir poco basita. Mai una volta in vita sua, da quando aveva sviluppato il dono della ragione, qualcuno l’aveva accusata di avere scarsa autostima. Anzi, forse era l’unico difetto da cui poteva dire di essere esente. Invece ora arrivava quella donna da un’altra epoca e la giudicava senza neanche conoscerla. Pazzesco.

Dall’altra parte, Margaret ignorò completamente gli occhi sgranati con cui la stava guardando e passò subito all’argomento successivo. “Come speri di riuscire a creare la pozione per curare il vampirismo se non possiedi nemmeno la forza di volontà sufficiente ad accendere un fuoco?” le chiese con un’espressione che trasudava superiorità.

Rachel avrebbe tanto voluto trovare il modo di togliergliela definitivamente dalla faccia. “Non lo so. Magari dovresti farlo tu, visto che sei così abile.” la provocò, rispondendo alle sue maniere con altrettanta strafottenza. Aveva quasi la sensazione di confrontarsi con un genitore, qualcuno che ha il potere di dirti cosa fare ma che proprio per questo ti ostini a contrastare. Con Margaret però c’era qualcosa di diverso. Lei aveva secoli di esperienza sulle spalle e non si sarebbe lasciata mettere nel sacco da una diciottenne.

Sfoderato un ghigno sornione, la guardò come se avesse deciso di accettare la sfida. “Buona idea.” Detto ciò, sollevò la mano e, senza neanche darle il tempo di realizzare, le scagliò contro una sfera di fuoco. 

Non erano molto distanti, ma all’ultimo secondo Rachel riuscì comunque a tuffarsi per terra ed evitare che la colpisse. Si riparò la testa con le mani, serrando gli occhi finché non fu sicura di averla scampata, e la cosa funzionò, perché il fuoco andò a finire proprio nell’angolo in cui c’era il calderone per le pozioni, incendiando la legna sottostante; a quel punto sollevò di nuovo lo sguardo su Margaret. “Sei impazzita?” boccheggiò incredula. 

La donna sogghignò ancora, mentre sul palmo della sua mano guizzava allegra un’altra sfera di fuoco. “Visto che le maniere tradizionali sono inefficaci, ho deciso di cambiare approccio. Forse così sarà più stimolante. Coraggio, difenditi!” 

In pochi attimi Rachel si ritrovò quel proiettile di nuovo addosso, solo che stavolta non si fece trovare impreparata. L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio sulla paura e sentì un flusso caldo di energia percorrerle tutto il corpo. Allora distese entrambe le braccia davanti a sé e un potente fiotto d’aria scaturì dalle sue mani, spegnendo il fuoco all’istante come se avesse soffiato su una candela.

Rimasta a corto di fiato, per diversi secondi Rachel restò impalata con le braccia ancora mezze sollevate e il petto ansante. Cos’era appena successo? 

“Proprio come immaginavo…” ragionò Margaret tra sé, arricciando le labbra. 

Niente al mondo l’avrebbe distolta dal proposito di strangolare quella psicopatica se non si fosse decisa a parlare chiaro. “Cosa? Cosa immaginavi?” le chiese con voce roca, più spaventata e incredula che arrabbiata.

Dopo essersi presa un altro istante di riflessione, Margaret tornò a guardarla. “Il tuo elemento non è il fuoco.” concluse, non riuscendo a nascondere una punta di delusione. 

“Come sarebbe?” La stressava da giorni con la storia delle fiamme dalle mani e adesso le veniva a dire che quello non era il suo elemento?

“No, la reazione di poco fa ha dimostrato che si tratta di altro. È evidente che la tua magia tragga alimento dall’aria.” 

Quella rivelazione la lasciò interdetta. Per qualche strano motivo non aveva mai pensato che il suo elemento potesse essere diverso da quello della sua maestra e scoprirlo non fu subito facile da assimilare. Tuttavia, ora che ci rifletteva, la cosa era piuttosto plausibile. Quella volta alla villa dei von Eggenberg era stata proprio una forte folata di vento a spaventare il lupo e immaginava di essere stata lei stessa l’artefice del fenomeno. 

Dal canto suo, Margaret sembrò accettarlo più rapidamente. “Beh, buono a sapersi.” Con un sospiro soddisfatto si mise le mani sui fianchi. “È probabile che sia per questo che non riuscivi a far uscire le fiamme. In effetti, avrei dovuto pensarci prima.”

-Già, prima di cercare di uccidermi- fu subito il pensiero di Rachel, anche se non lo disse ad alta voce. Dentro stava provando una serie di emozioni contrastanti, un misto di disappunto per i metodi a dir poco discutibili utilizzati dalla sua precettrice e al contempo di euforia per ciò che era riuscita a fare. Quest’ultima era l’unica cosa che le impediva di rivoltarsi contro Margaret per il suo tentativo mancato di eliminarla.

“Direi che per oggi abbiamo fatto abbastanza.” sentenziò infine la donna. “Meglio rientrare, sarà quasi ora di cena. Riprenderemo domattina.”

Rachel non avrebbe potuto essere più d’accordo. Si sentiva a pezzi e tutto quello che bramava era un bagno caldo e un materasso. Così annuì senza fare obiezioni e attese che Margaret spegnesse il fuoco sotto il calderone, per poi lasciare la grotta e avviarsi insieme a lei verso casa.

Sul retro del cottage incrociarono Dean e gli altri, reduci dall’ultima estenuante sessione di allenamento. Quando Juliet glielo aveva detto le era sembrato strano e il dubbio che per l’amica si trattasse di un’impresa superiore alle sue forze l’aveva subito attraversata, ma poi aveva preferito non fare commenti. Prima di tutto perché non voleva offenderla e poi perché tanto non le avrebbe dato retta.

“Ehilà, Morgana!” la salutò Cedric, che da quando avevano scoperto dei suoi poteri si divertiva ad affibbiarle nomi di streghe famose. “Com’è andata oggi? Fatto progressi?” 

Rachel evitò di lanciargli un’occhiataccia perché era stanca e non voleva dargli corda. Immaginava il motivo di tutto quell’interessamento verso i suoi passi avanti, tuttavia non si era mai azzardata a fargli credere chissà cosa, per non dargli false speranze. Anzi, a essere sincera credeva che riponesse un po’ troppa fiducia in lei e nelle sue capacità. “In un certo senso… Ho scoperto che il mio elemento è l’aria.” riferì secca, senza sbilanciarsi oltre.

Juliet si mostrò subito entusiasta della cosa. “Forte!” esclamò fomentata, mentre si infilava in casa subito dopo di lei.

“Un momento, non aveva detto che probabilmente era il fuoco?” chiese Mark a Margaret in tono un po’ confuso.

Lei annuì. “Sì, era ciò che credevo. Ho dato per scontato che l’avesse ereditato da me, ma a quanto sembra non è andata come mi aspettavo. La magia riserva sempre delle sorprese.”

Mancavano ancora un paio d’ore alla cena, così ne approfittarono per rimettersi in sesto e concedersi un meritato riposo; poi Juliet si mise ai fornelli insieme ad Ayris e le spiegò come valorizzare delle semplici verdure bollite per accompagnare il pesce che la ragazza aveva preso la mattina al mercato. Non si era mai dimostrata molto socievole nei loro confronti, soprattutto con Rachel, verso la quale sembrava provare quasi una sorta di gelosia. Aveva sempre la sensazione che la loro presenza lì non le andasse a genio. In quel modo sperava quindi di trovare qualche appiglio che le permettesse di entrarci in sintonia. 

Alla fine, comunque, venne fuori un pasto di tutto rispetto e Margaret, dopo aver atteso che finissero, annunciò che sarebbe andata di sopra a riposare. Rachel la seguì pochi minuti più tardi, scambiandosi un bacio distratto con Mark, che infatti rimase perplesso ma non disse niente. Era probabile che la capisse, visto che anche loro faticavano a reggersi in piedi dopo l’allenamento intensivo di quel pomeriggio.

Lui e Cedric, infatti, non fecero attendere il letto più di tanto e Juliet sorrise comprensiva mentre li guardava trascinarsi al piano di sopra. C’erano ancora i piatti da lavare, quindi si mise subito all’opera. Prima se la sarebbe sbrigata, prima avrebbe potuto seguirli. Con una certa sorpresa da parte sua, Dean aiutò lei e Ayris a sparecchiare le ultime cose rimaste sul tavolo e a metterle nel lavabo. Tra loro c’era ancora dell’imbarazzo, perciò lo lasciò fare senza necessariamente parlare di qualcosa, anche se ce ne sarebbero stati di argomenti. Quel non detto che aleggiava sopra le loro teste da un pezzo non sembrava trovare un punto di svolta. 

Sollevato appena lo sguardo dal tavolo mentre raccoglieva le posate, controllò che non la stesse guardando, sentendosi subito un po’ stupida. “Non ci sarai andato giù troppo pesante oggi?” Le parole le uscirono di getto, senza che ci riflettesse più di tanto. 

Dean sogghignò. “L’iniziativa è partita da voi. Io non ho mai detto che sarebbe stata una passeggiata.” rispose, facendola ridere.

In fondo, non aveva tutti i torti. Se l’erano cercata. 

Sistemate le ultime cose, Ayris avvertì nel solito modo freddo e anaffettivo che sarebbe uscita per dar da mangiare alle pecore e sbrigare altre faccende; dopodiché se ne andò, lasciando lei e Dean soli in cucina. 

Era proprio la situazione che Juliet avrebbe preferito evitare, in ogni caso pensò che la cosa migliore fosse continuare con quello che stava facendo e comportarsi normalmente. Mentre ripuliva per l’ennesima volta il ripiano, però, sentiva i suoi occhi addosso. Se ne stava appoggiato alla parete a osservarla, se ne era accorta da prima, e non capiva perché. Non lo aveva mai fatto da quando erano lì.

D’un tratto sentì uno strano impulso dentro che la spinse a voltarsi e, quando i loro sguardi si incontrarono, fu come se li avesse colti lo stesso istinto e si sorrisero a vicenda. Dean sembrava sereno e al contempo determinato, quasi avesse raggiunto una sorta di equilibrio dopo tutto quel tempo trascorso nell’incomprensione reciproca.

A quel punto, Juliet si sentì pronta a esternare un pensiero che si teneva dentro dal pomeriggio. “Grazie per oggi, per aver detto che non sono un peso.” esordì, con voce più ferma del previsto. “Mi ha fatto piacere sentirlo da te.”

Le labbra di Dean si piegarono leggermente. “Lo penso davvero.”

La sensazione che provò quando lo vide guardarla in quel modo non fu la solita tempesta ormonale, piuttosto la consapevolezza che qualcosa tra loro era cambiato, che finalmente era arrivato il momento di mettere da parte il passato e pensare al presente. “Dean…” mormorò, senza riuscire ad andare avanti. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma chissà perché la voce non usciva. 

Come spesso accadeva, però, lui parve intuire i suoi pensieri e Juliet lo capì quando vide i tratti del suo viso rilassarsi. 

In pochi passi la raggiunse, per poi attirarla a sé e baciarla con un’enfasi che di solito non gli apparteneva. Solo a Bran, poco prima di entrare in quella galleria, si era lasciato andare senza preoccuparsi delle persone intorno. La differenza era che lì si era trattato di un bacio di addio. Quello, invece, era un bacio di inizio.

Seppur in ritardo, alla fine reagì, gettandogli le braccia al collo e assecondandolo con tutta la convinzione possibile. Si sentiva al settimo cielo e poco dopo non riusciva già a capirci più niente. Quando poi avvertì le mani di Dean percorrere lentamente la linea dei suoi fianchi, fino a sfiorarle un lato del seno, fu scossa da un fremito, il cervello andò completamente fuori uso e da quel momento a dominarla fu il puro istinto. 

Senza sognarsi di protestare, si lasciò spingere delicatamente contro il bancone, ormai pronta a cedere, e un gemito sommesso le uscì involontario nell’istante in cui dalle labbra scese a baciarle il collo. Da quando si conoscevano non era mai arrivato a tanto.

Aveva la testa annebbiata al punto da non rendersi nemmeno conto che si trovavano nella cucina di Margaret e che quello non era decisamente il posto più adatto. O forse non le importava.

Per fortuna, ci pensò lui a essere razionale per entrambi. Intuito ciò che stava per succedere, Dean si interruppe, allentando la presa e ripristinando un po’ di distanza fra loro, pur continuando a tenerla stretta a sé.

“Scusa, è stata colpa mia.” le sussurrò, guardandola negli occhi. 

Ancora scombussolata, in un primo momento fece davvero fatica a riprendere a respirare in modo regolare; poi però deglutì, cercando di darsi un minimo di contegno ed evitare di svenirgli tra le braccia. –Eh, no. Non puoi fare così- pensò con il battito cardiaco a mille. Come gli saltava in mente di prendere certe iniziative e poi tirarsi indietro? Rischiava di farle venire un infarto. “No…” rispose in tono precario. “Credo di averci messo del mio.”

Non voleva essere ironica, ma lui rise lo stesso, prima di cambiare di nuovo espressione e tornare serio. “Credevo che mi avresti respinto.” ammise. “Come devo interpretare la cosa?”

Per un istante quella domanda la lasciò interdetta. Come se fosse mai stata davvero in grado di respingerlo. Quindi si abbandonò a un sospiro. Sapeva bene che il suo era un modo per chiederle se fosse finalmente riuscita a perdonarlo e per una volta conosceva già la risposta. “Non ti dirò che quanto successo con Claire sia acqua passata, perché se lo facessi mentirei. Mi è impossibile dimenticare quella notte e lo sai, ma dopo tanto riflettere sono arrivata alla conclusione che le tue azioni avevano un senso, uno motivo preciso, anche se non potrò mai condividerlo.” Fece una pausa, soppesando ogni pensiero. Non voleva apparire come la solita ragazzina iperemotiva. “Ho anche capito che è inutile continuare a reprimere ciò che provo, mi farei solo più male. Perciò ho deciso che voglio riprovarci.” 

Per quanto cercasse di mantenere la sua compostezza, vide il suo viso illuminarsi nel sentirle dire quelle parole.

“A una condizione, però.” si affrettò allora ad aggiungere.

Dean rimase ad ascoltarla con attenzione.

“Devi giurarmi che non mi mentirai e non mi escluderai mai più dalle decisioni importanti.” gli impose determinata.

Dapprima un po’ spiazzato, non ci mise molto ad annuire, consapevole di doverlo fare. “Te lo prometto.”

Le labbra di Juliet si piegarono in un timido sorriso soddisfatto. Stava dicendo sul serio, glielo leggeva negli occhi. Con la mano salì ad accarezzargli una guancia, come sempre liscia e senza un filo di barba, ritrovandosi tutto a un tratto a riflettere sul fatto che da quando lo conosceva non gliel’aveva mai vista crescere. -Che cosa stupida da pensare in un momento simile- si disse.

Per tutta risposta, Dean la coprì con la sua e le loro dita si intrecciarono, prima che si voltasse leggermente per baciargliela. Lo guardò chiudere gli occhi, mentre respirava il suo profumo; poi tornò di nuovo su di lei. 

“Ti confesso che stavo per perdere le speranze.” disse alla fine. “Temevo di non avere più alcuna possibilità.”

Juliet annuì appena, anche lei seria in volto. “Per un po’ l’ho creduto anch’io.”

Fu allora che Dean esordì con qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. “So di averti ferito e mi dispiace, non immagini quanto. Non ho mai voluto che soffrissi e, anche se tuttora penso di aver compiuto l’unica scelta possibile, se potessi tornare indietro e risparmiarti tanto dolore lo farei senza esitare.”

Presa in contropiede da tanta franchezza, Juliet impiegò qualche secondo a elaborare una risposta. Con lui era sempre così. Ogni volta riusciva a sorprenderla rivelando un lato di sé che mai avrebbe sospettato. “La colpa non è tutta tua, Claire ha contribuito parecchio.” riconobbe, cercando di rassicurarlo. “Non dev’essere stato facile per te, come non lo è stato per noi. E poi stai cercando di rimediare, me ne sono resa conto. Hai accettato di allenarci e quello che hai fatto per Mark… Riprendere l’orologio. È stato davvero un bel gesto.” 

Dean distolse lo sguardo per un attimo, come faceva di solito quando era in imbarazzo. “Sì, beh… L’orologio era suo. Non mi andava giù che se lo tenesse quel tizio.” 

A Juliet sfuggì un sorriso. Come sempre si ostinava a trincerarsi dietro la sua scorza dura, quando avrebbe potuto semplicemente ammettere di averlo fatto perché teneva a Mark e alla loro amicizia. Ormai il suo carattere non aveva più segreti per lei, riusciva a leggergli nella mente. 

Con il cuore gonfio di felicità si tuffò tra le sue braccia, cercandovi rifugio, e Dean la strinse a sé. Così, mentre si beava di quel raro momento di pace e silenzio, chiuse gli occhi e sospirò sul suo petto, liberando la mente da qualsiasi brutto pensiero. 

-o-

Mentre osservava l’oceano infrangersi sugli scogli, Rosemary rifletteva sui recenti avvenimenti e su quanto le fosse costato deludere Nickolaij. Naturalmente conosceva bene la situazione tra lei e Byron e la scarsa stima che nutrivano l’uno nei confronti dell’altra, perciò le aveva ordinato di accompagnarlo in quella missione. Non avrebbe potuto infliggerle punizione più degradante. Ad ogni modo, la riuscita dell’incarico dipendeva dalla sua capacità di tenere a bada l’avversione per Byron e concentrarsi solo sull’obiettivo. 

Ora, però, la sua pazienza stava raggiungendo il limite. Era trascorso del tempo dalla partenza e si trovavano ancora in Portogallo. Ci erano voluti due giorni per raggiungere quel tratto di costa e da altrettanti lei e i due uomini che si era portata dietro di rinforzo se ne stavano lì su quella spiaggia con le mani in mano, aspettando che quel mago da strapazzo si decidesse a dare loro qualche indicazione precisa su dove fossero finiti Dean e i suoi amici umani. Dopo aver assicurato di conoscere la loro posizione, infatti, d’un tratto si era accorto di non poterli più seguire, perché aveva perso il contatto con la runa con cui aveva marchiato il ragazzo che avevano scambiato con Claire. -Gran bell’affare- pensò infastidita. Chissà se quei due alla fine erano riusciti a rimetterla in riga come da suo ordine. Riguardo alle modalità, non le interessavano. Aveva dato loro carta bianca. L’importante era che recepisse il messaggio.

Tornando a Byron, erano ore che se ne stava rintanato nella tenda a cercare di ristabilire il contatto, costringendola a un’esasperante e infruttuosa attesa. L’unica certezza era che i fuggitivi fossero in Scozia, anche se non riusciva a capire la logica dei loro spostamenti. Dopo essere passati per l’Italia, dove secondo Byron un paio di vampiri avevano provato a fermarli senza successo, si erano spostati in Austria e ora erano da tutt’altra parte. Perché? A cosa era servito tutto quel giro? Forse a depistarli, ma non avrebbero potuto scappare in eterno ed era sicura che Dean se ne rendesse conto. Allora cos’altro aveva in mente? 

Una violenta folata di vento la investì e le scompigliò i capelli, facendole salire ancora di più il nervoso. Ora basta, aveva aspettato fin troppo. Così si diresse a passo deciso verso la tenda, superando Benedict e Isaac che giocavano a dadi a gambe incrociate sulla sabbia. Lo avrebbe tirato fuori a forza da lì dentro, se fosse stato necessario. Ma non lo fu.

Quasi nello stesso momento, Byron scostò i lembi che chiudevano l’entrata e si palesò davanti a loro. Il suo volto un po’ funereo non prometteva nulla di buono.

“Allora?” gli chiese subito, senza perdersi in chiacchiere.

Lui rimase impassibile, nonostante ciò che stava per dirle non fosse incoraggiante. “Niente. Le rune non indicano alcun punto preciso sulla mappa. So che sono in Scozia, ma il Vegvisir è scomparso, dunque mi è impossibile scoprire esattamente in quale punto si trovano.” concluse con una pacatezza a dir poco disarmante.

E lo diceva così? Non c’era modo di rintracciarli se non quello di setacciare la Scozia palmo a palmo, cosa che avrebbe richiesto settimane, e lui sembrava quasi tranquillo. “Che vuol dire scomparso?” Mary non capiva un accidente di rune e altre diavolerie simili, ma che la situazione non fosse delle migliori era abbastanza chiaro anche a lei. “Com’è possibile?”

Byron si concesse un istante di riflessione. “Le opzioni sono due: in qualche modo devono aver scoperto della sua esistenza e lo hanno rimosso, anche se non vedo come, o più probabilmente il ragazzo è morto.” sentenziò infine.

A Mary però quell’ultima ipotesi non piaceva affatto, oltre a trovarla poco plausibile. “C’è Dean con loro, non lo permetterebbe. Dev’esserci un’altra spiegazione.” 

“Qualora ci fosse, ne sarei lieto quanto voi. Purtroppo non so quale possa essere.”

Lei sospirò spazientita. “Se il ragazzo è morto, c’è il rischio che anche agli altri sia toccata la stessa sorte e in tal caso sarebbe davvero un grosso problema, quindi prega che non sia così.” L’agitazione che stava provando era palese e si rifletté sulla sua voce. Nickolaij si aspettava che gli portassero qualcosa di concreto e stavolta la punizione in caso di fallimento non sarebbe stata tenera come le precedenti. Ne andava della loro vita. 

“Eh, no. Quel bastardo non può cavarsela tanto facilmente.” si intromise Isaac con quel suo tono ottuso, infilandosi a sproposito nella conversazione. “Voglio essere io a cancellarlo dalla faccia della terra.”

Reprimendo il senso di fastidio salitole nell’esatto istante in cui lo aveva sentito parlare, Mary lo rimise a posto con una sola occhiata fulminante. “Devo ricordarti che Sua grazia ha ordinato di consegnargli Dean vivo. Non oserai disobbedirgli?” Si era già pentita da un pezzo di aver consentito a quel bestione molesto di venire con loro, dopo che lui aveva insistito dicendo di voler vendicare il suo compare, Alekseij, ucciso da Dean durante la sua intrusione al castello. Avrebbe preferito di gran lunga portare Carlos, che di solito la accompagnava in missione insieme a Benedict e del quale apprezzava la scaltrezza e l’estrema discrezione, ma Nickolaij lo aveva lasciato al comando del gruppo di istanza a Siviglia, perciò aveva dovuto accontentarsi. 

Raggelato dal suo sguardo, il vampiro abbassò gli occhi, ritrovando l’umiltà perduta. “Certo che no, Milady. Chiedo scusa, Milady.” bofonchiò patetico.

“Ebbene, cosa suggerite di fare mia Signora?” fece Byron, ignorando quella dimostrazione di inettitudine e degnandosi di guardare solo lei.

Mary sapeva bene che stava solo fingendo di mostrarsi deferente nei suoi confronti e che la trattava con accondiscendenza perché si credeva superiore, quando in realtà non era altro che un viscido arrivista, ma si guardò bene dal farsi vedere risentita. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. “Se da qui hanno potuto spostarsi in Scozia tanto rapidamente, dev’esserci per forza un portale nelle vicinanze.” rifletté. Quindi si fece portare una mappa per avere un quadro più chiaro dei prossimi spostamenti. Il portale più vicino era solo a pochi chilometri da dove si trovavano ora e probabilmente era lo stesso usato da Dean. 

“Vi renderete conto di quanto occorrerà per trovarli.” osservò Byron, intuendo dove volesse andare a parare. “La Scozia è grande e noi non disponiamo di molto tempo.”

“Sì, lo so da me. Grazie tante.” replicò lei, accantonando i buoni propositi con cui era partita. “Intanto auguriamoci che siano ancora lì e che siano vivi. Poi, una volta arrivati, penseremo al da farsi.”

 

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Capitolo 19
*** Lezioni dal passato ***


Capitolo 12

 

Lezioni dal passato 


“Ecco! Ci siamo!” esclamò Margaret esultante. “Ora cerca di non perderla, mantienila accesa!”

Con uno sforzo notevole Rachel si focalizzò sulla sfera di fuoco sospesa a mezz’aria, concentrando tutte le sue energie nel tentativo di non farla spegnere come le volte precedenti. 

“Piano, Rachel. Dosa la forza.” 

-È una parola- pensò, mentre con un respiro profondo cercava di incanalare lungo tutto il corpo la magia che sentiva scorrere nelle braccia. Era trascorsa più di una settimana ormai dalla scoperta del suo elemento e, dopo aver superato la prima fase, ora si stava dedicando alle altre due, concentrazione e controllo, che in realtà andavano di pari passo. Margaret generava sfere di fuoco che lei doveva bloccare e mantenere in aria per qualche minuto, senza spingersi troppo oltre da spegnerle. All’inizio non riusciva a dosare la magia e le perdeva subito, ma a furia di tentativi stava cominciando ad assumere sempre più il controllo dei propri poteri e ad affinare le sue capacità. Solo la sua precettrice non sembrava mai soddisfatta e continuava a spronarla affinché facesse sempre di più.

“Forza, puoi farcela! Ricorda: cuore, concentrazione, controllo. La prima fase è andata, ora devi superare i tuoi limiti.”

“Lo so, me l’hai già detto una ventina di volte!” replicò, la voce rotta dalla fatica. Non si riposava da ore e la stanchezza iniziava a farsi sentire, ma mise da parte quel pensiero e si concentrò solo sulla magia, riuscendo infine a mantenere il fuoco acceso per il tempo che si erano prefissate. Ce l’aveva fatta.

Con un semplice gesto, Margaret richiuse le dita a pugno e la fiamma si spense all’istante, permettendole di interrompere il flusso. “Complimenti, mia cara. Sei stata brava.” si congratulò soddisfatta, prima che il suo sorriso si spegnesse lentamente. “Rachel…”

Ormai allo stremo, la vista le si annebbiò, sentì cedere le gambe e sarebbe crollata a terra se Margaret non l’avesse sostenuta. 

“D’accordo, è giunto il momento di riposare.” riconobbe, accompagnandola a sedersi e affrettandosi poi a portarle dell’acqua. 

Mentre beveva una lunga sorsata e ritrovava la lucidità, Rachel rifletté sul fatto che fosse la prima volta dall’inizio dell’addestramento che le capitava di svenire. Certo, ogni sera aveva la sensazione che un esercito di carri armati le fosse passato sopra, ma addirittura perdere i sensi…

D’un tratto avvertì la necessità di esternare le sue preoccupazioni. “Perché la magia mi fa quest’effetto?” chiese, mentre svuotava avida la bottiglietta. “È come se mi risucchiasse le energie. Mi sento sempre così stanca…”

Vide Margaret esitare un istante; poi lasciò perdere quello che stava facendo e le si sedette accanto. “È del tutto normale i primi tempi. Il tuo corpo non è abituato all’uso prolungato dei poteri e ad ogni modo devi tener presente che la magia ha sempre un prezzo.”

Rachel alzò un sopracciglio, spaesata. “Un prezzo?”

Lei annuì. “Si tratta di qualcosa che attinge energia direttamente dalla nostra forza vitale, dunque è necessario fare attenzione nell’utilizzarlo. Bisogna servirsene con moderazione.” spiegò, seria in volto. 

-Non promette bene...- “Se sono così stanca solo per aver fatto levitare una fiammella, non credo che arriverò molto lontano.” disse Rachel, abbassando lo sguardo amareggiata.

“Non arrenderti tanto facilmente, sei ancora alle prime armi. Ne hai di strada da fare.” la incoraggiò Margaret. “Inoltre, hai il mio stesso sangue nelle vene. Non dimenticarlo.”

Il tono fiero e compiaciuto con cui lo disse la fecero sorridere, anche se ben presto l’ansia tornò a tormentarla. “Sì, ma non sono te. Potrei non migliorare abbastanza in fretta per la pozione…”

Margaret però la afferrò per le spalle, interrompendo le sue paturnie e spingendola a guardarla negli occhi. “Ora ascoltami. Non è sulla pozione che dobbiamo concentrarci al momento, ma su di te. Non è prudente esagerare con l’addestramento e stavolta non ho intenzione di commettere gli errori del passato.” 

Dalla sua espressione Rachel intuì che si fosse appena resa conto di aver parlato a sproposito. “Che vuoi dire?” le chiese perplessa.

Lei distolse lo sguardo. Si vergognava di qualcosa, era evidente. Quindi si abbandonò a un sospiro, arrendendosi all’inevitabile. “Ricordi che vi raccontai di aver perso mio marito e mia figlia a causa di un’epidemia di vaiolo?”

Rachel annuì.

“Non sono stata del tutto sincera. Isabel morì di malattia sì, ma il suo corpo era già provato dall’eccessivo utilizzo della magia.” rivelò, per poi voltarsi e assistere all’espressione sconcertata della sua allieva.

“Aspetta un attimo… Tua figlia era una strega?” boccheggiò allibita. “Non avevi detto di aspettare da secoli che la tua erede si manifestasse?” 

“Infatti è così. Dopo la sua nascita, mi accorsi che in lei scorreva un potere simile al mio. Non altrettanto potente e comunque neanche paragonabile al tuo, ma pensai che addestrandola personalmente ne avrei fatto un’ottima strega. La mia speranza era di ripristinare una nuova cerchia e insieme di poter muovere contro coloro che avevano sterminato i Danesti.”

A Rachel però premeva di sapere altro. “E poi cos’è successo? Perché dici che è stata la magia a ucciderla?” domandò fremente. Forse rischiava di apparire indelicata, ma doveva sapere.

Lo sguardo della donna si fece ancora più cupo. “Sono stata io.” confessò allora. “Anche se indirettamente, la responsabilità è mia. Accecata dalla sete di vendetta, spinsi mia figlia oltre un limite che non era in grado di superare. Pretesi troppo da lei, non mi accorsi neanche che i suoi poteri la stavano consumando, o semplicemente mi rifiutavo di vederlo. Se non l’avessi forzata in quel modo, forse avrebbe potuto sopravvivere alla malattia. Era così giovane…” A quel punto, la voce le tremò e fu costretta a interrompersi per evitare di piangere. 

Rachel si sentì subito invadere dal senso di colpa e si rese conto che avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi. Ora non trovava le parole per consolarla, ammesso che ce ne fossero, così sollevò lentamente la mano e la posò su quella di Margaret con fare comprensivo. “Mi dispiace molto.” Fu la sola cosa che riuscì a dire.

Lei scosse la testa, rassicurandola con lo sguardo. “Sono passati tanti anni. In effetti, è la prima volta che mi capita di raccontarlo a qualcuno. Nemmeno Ayris ne è al corrente.” Poi fece una breve pausa, in cui sembrò riacquistare il controllo di sé. Dopotutto era una donna forte, la più forte che Rachel avesse mai conosciuto. “Ho trascorso decenni tormentata dal rimorso e ora che tu sei qui non permetterò che accada di nuovo. Non rischierò di perderti come ho fatto con Isabel.” sentenziò risoluta.

Rachel le sorrise, grata che si preoccupasse tanto per la sua salute. A vederla sembrava avere al massimo una decina d’anni più di lei, eppure in quel momento emerse tutto il peso della sofferenza che le sue spalle erano costrette a portare da secoli. Tutto a un tratto, si sentì quasi in dovere di impegnarsi per migliorare. Doveva farlo per Claire, ma anche per onorare la memoria di Isabel. Così si alzò, infusa di nuova energia, e guardò Margaret con aria decisa. “Allora, riprendiamo?”

 

Intanto, a diversi metri di distanza, Dean e i ragazzi proseguivano con gli allenamenti nel retro del cottage. Juliet questa volta era rimasta in casa ad aiutare Ayris, rassicurandoli che non avrebbe rinunciato del tutto, ma soltanto rallentato un po’. 

Dopo la consueta sessione di riscaldamento, Dean propose di provare uno scontro corpo a corpo contro di lui, stabilendo che fossero abbastanza pronti. 

Mark, però, non sembrava altrettanto convinto. “Ne sei proprio sicuro?” 

“Non preoccuparti, farò in modo di commisurare la mia forza alla vostra.” lo rassicurò, intuendo i suoi timori. Detto ciò, si mise in posizione, invitando Mark a fare lo stesso. Quindi attese che fosse lui a fare la prima mossa. Con discreta soddisfazione scoprì che era molto migliorato, probabilmente anche grazie agli insegnamenti dei guerrieri Jurhaysh, per quel poco che aveva potuto usufruirne, e non ebbe bisogno di correggerlo troppe volte. Tuttavia, le differenze nello stile di combattimento si sentivano e comunque Mark non era ancora neanche lontanamente alla sua altezza, così dopo qualche minuto riuscì ad atterrarlo con il minimo sforzo. 

“Non male.” gli concesse, mentre lo aiutava a rialzarsi. 

Un po’ ansante, lui abbozzò un sorriso e un grazie.

“Okay, adesso tocca a me.” disse Cedric con aria fin troppo baldanzosa per le sue reali capacità.

Dean lo sapeva bene, ma preferì lasciarlo cuocere nel suo brodo. Che non vedesse l’ora di sfidarlo glielo si leggeva in faccia ed era divertente vederlo così sicuro di sé. 

Le sue previsioni trovarono conferma non appena iniziarono a scontrarsi. I movimenti di Cedric erano inesperti e per lo più dettati dal desiderio spasmodico di colpirlo. L’astio che provava nei suoi confronti si percepiva a pelle. Tentò più volte di avvertirlo che stava sbagliando, ma lui non sembrava neanche ascoltarlo, finendo per sfinirsi prima del tempo. 

Nessuno dei suoi colpi riuscì ad andare a segno, finché Dean non approfittò di una falla nella posizione delle sue gambe per metterlo definitivamente fuori combattimento. Con un rapido movimento inserì il piede nello spazio rimasto scoperto e lo mandò al tappeto in meno di un secondo. 

“Questo è successo perché tenevi tutto il peso del corpo su una gamba sola.” spiegò Dean in tono neutro, guardandolo severo dall’alto. Nonostante tra loro non fosse mai corso buon sangue, non provava la minima soddisfazione per averlo steso. “Inoltre, in combattimento è consigliabile usare tutti gli arti a disposizione, non solo quelli superiori.” aggiunse.

“Sta zitto.” sibilò Cedric tra i denti, per poi fare leva su entrambe le braccia per rimettersi in piedi, pronto a battersi di nuovo. 

Aveva tenacia, Dean dovette riconoscerlo, ma purtroppo in certi casi non era sufficiente. Così lo assecondò mentre cercava disperatamente di rifarsi, senza il minimo risultato. Tutti i suoi colpi venivano schivati con una facilità estrema e più falliva più la sua rabbia si alimentava. A un certo punto perfino Mark gli gridò di farla finita, che stava esagerando, ma lui lo ignorò del tutto. 

Andarono avanti in quel modo per un bel pezzo, poi Dean decise che era arrivato il momento di darci un taglio. Quando vide arrivare il pugno di Cedric diretto alla sua faccia, agì al solito più rapidamente e le sue dita si serrarono come una morsa attorno alla mano dell’avversario. Dopodiché gli torse il braccio dietro la schiena e spinse fino a farlo cadere di nuovo a terra. Stavolta però rimase sopra di lui, impedendogli di muoversi. 

Mentre si agitava invano tentando di liberarsi, Cedric emise un ruggito di protesta, prima che Dean si chinasse su di lui per sussurrargli all’orecchio. “Vedi? È questo il tuo problema: non ascolti.”

“Levati di dosso o giuro che…”

Di qualunque cosa intendesse minacciarlo, erano solo parole a vuoto. Ad ogni modo, Dean lo accontentò, alzandosi e mollando la presa sul suo braccio. Non lo fece certo per paura, ma perché riteneva che per quel giorno fosse meglio chiuderla lì. Sportivamente gli offrì la mano per aiutarlo a rialzarsi, cosa che Cedric non accettò, preferendo fare da solo. 

“Io ascolto, ma forse è chi insegna a non essere capace.” lo provocò, spolverandosi residui di terra e polvere dai vestiti.

-Ovviamente- pensò Dean tra sé. Non riuscendo a trattenersi dal ridacchiare, scosse la testa con un misto di amarezza e incredulità. “Correggimi se sbaglio. Non siete forse venuti voi a chiedermi di allenarvi?”

“Infatti. Adesso però non sono più tanto sicuro che sia stata una grande idea.”

“Certo, perché ti rifiuti di accettare il fatto che ti ho battuto.” replicò, senza peli sulla lingua. In genere non era un attaccabrighe, non lo era mai stato. Anzi, nei limiti del possibile aveva sempre cercato di evitare i conflitti, eppure Cedric e la sua testa dura riuscivano a far perdere la pazienza anche a lui.

L’occhiata fulminante che lo vide rivolgergli non lo intimorì minimamente, ebbe solo il potere di fomentarlo ancora di più. 

“E dai, basta. Sembrate due oche che si beccano per un tozzo di pane.” intervenne Mark, tentando di sdrammatizzare. 

Cedric fece per ribattere, ma a quel punto per fortuna arrivarono Rachel e Margaret, di ritorno dal laboratorio nella grotta. 

“Che succede?” chiese Rachel, a cui da lontano era sembrato di sentirli discutere.

Contento di vederla, Mark le andò incontro, accogliendola con un largo sorriso. “Niente di che. Stavamo per rientrare.” Poi si voltò verso l’amico, fissandolo eloquente. “Vero, Ced?”

“Seh.” mugugnò lui, piegando la bocca in una smorfia, prima di precederli dentro casa, dove trovarono Juliet e Ayris alle prese con erbe e altri ingredienti vari sparsi sul tavolo da pranzo.

“Ah, giusto in tempo!” fece Juliet allegra appena vide Dean. “Tieni, assaggia.” Gli porse un bicchiere di una sostanza verdastra e dalla consistenza viscosa, che avevano da poco finito di preparare. Alla fine, lei e Ayris avevano raggiunto un accordo: in cambio delle sue lezioni di cucina, le avrebbe insegnato a mettere insieme gli ingredienti per il decotto che permetteva a Dean di fare a meno del sangue. 

Un po’ confuso, lui lo portò lentamente alle labbra, anche se esitò qualche istante prima di bere. 

“Abbiamo aggiunto degli ingredienti e diminuito le dosi di quelli già presenti nella miscela.” spiegò Ayris. “In questo modo dovremmo averne aumentato l’efficacia.”

Juliet lo osservò mentre mandava giù un sorso, ansiosa di ricevere il suo responso. “Allora? Il sapore è migliorato?”

Dean abbozzò un mezzo sorriso dispiaciuto. “Sinceramente?” chiese cauto.

Afferrata l’ironia, d’un tratto tutto l’entusiasmo sul volto della ragazza si spense. Ci si era messa d’impegno per rendere quell’intruglio un po’ più accettabile, invece a quanto pareva la situazione non era poi cambiata granché.

“Meglio di prima lo è di sicuro, ma dubito che possa essere peggio. Perciò non preoccuparti.” si affrettò a dirle, vedendo la sua delusione. 

“Non te la prendere, Juls. Lo sai quant’è difficile soddisfare Mister Perfettino.” si intromise Cedric sarcastico, baccandosi subito un’occhiataccia da Mark.

“Piantala.” lo ammonì severo, per poi seguirlo con uno sguardo di disappunto mentre si dileguava al piano di sopra, ignorando del tutto i suoi rimproveri.

Juliet guardò subito Dean con aria interrogativa, ma lui minimizzò scuotendo appena la testa, come a dire di non farci caso, così lasciò perdere. In effetti, c’era altro di cui voleva parlargli, una cosa a cui pensava da qualche giorno e che ora con la storia della miscela di erbe si era fatta più pressante. Il problema era che si trattava di un argomento piuttosto delicato e non sapeva se lui fosse disposto ad affrontarlo. Come se non bastasse, avevano fatto pace da poco e non le andava di guastare tutto un’altra volta. 

Persa nei suoi mille ragionamenti, non si rese nemmeno conto di avere un’espressione un po’ assente, cosa che naturalmente a Dean non sfuggì. 

“Va tutto bene?” le chiese, quasi in un sussurro per non attirare troppo l’attenzione degli altri.

Juliet allora si riscosse. “Sì, tutto bene.” Annuì convinta, mentre dentro stava maledicendo la sua perspicacia. Da quella sera in cucina poi, sembrava molto più attento a ogni suo minimo cambio di atteggiamento.

Come immaginava, infatti, non le riuscì di convincerlo. Tuttavia, prima che potesse dire qualsiasi cosa, con nonchalance lo prese per mano, approfittando del fatto che tutti fossero impegnati in altre faccende per guidarlo nel salotto vuoto. 

Dean la seguì senza fare domande, ma dalla faccia era evidente che ne avesse. 

Una volta certa che avessero un po’ di privacy, Juliet diede fiato ai pensieri. “Devo parlarti di una cosa. È… piuttosto importante.” 

L’esitazione nella sua voce dovette impensierirlo, anche se non lo diede troppo a vedere. “Di che si tratta?” chiese serio.

“Stavo pensando…” Juliet tentennò ancora, indecisa sul modo migliore per non essere fraintesa. “Hai considerato l’idea di poter diventare umano?” Alla fine, optò per andare dritta al punto. Via il dente via il dolore.

Prevedibilmente, Dean rimase a guardarla interdetto, attendendo che si spiegasse meglio.

“Insomma… Se Rachel riuscisse a produrre questa “cura”, potresti prenderne un po’ anche tu e non avresti più il problema del plenilunio...”

“Okay, okay. Ho capito.” Sollevando la mano, la fermò prima che andasse oltre; poi distolse lo sguardo verso il vetro appannato della finestra, d’un tratto sovrappensiero. “In effetti, avevo già valutato questa opzione.” ammise infine.

“Ah…” Juliet ne rimase un po’ ferita. “E pensavi di dirmelo, oppure…”

“Non te ne ho parlato perché non sono così sicuro che la cosa sia realmente fattibile.” si giustificò lui con un sospiro. “Dubito che esista davvero qualcosa capace di invertire il processo. Per non parlare dei progressi di Rachel…”

“Ce la sta mettendo tutta. Ha solo bisogno di tempo.” replicò, risentita per quella mancanza di fiducia da parte sua. In fondo, Rachel aveva scoperto di essere una strega solo da un paio di settimane e già si pretendeva da lei che facesse miracoli. 

Dean annuì, sempre continuando a non guardarla. “Sì, è solo che…” disse esitante. “L’essere vampiri è una questione genetica, Juls. Io sono nato così, come può una semplice bevanda cambiare quello che sono sempre stato?”

Dunque erano quelle le sue perplessità. Non credeva che la pozione avrebbe potuto mutare la sua natura. Oppure c’era dell’altro? Juliet sospettava di sì. “Capisco i tuoi dubbi, ma qui si parla di magia. Non puoi pretendere di trovare sempre una spiegazione logica per tutto.”

“Beh, forse allora non si tratta solo di questo.” disse infatti Dean, evasivo.

Stanca di quei continui misteri, lei allora gli prese la mano, spingendolo a guardarla di nuovo negli occhi. “E allora cosa? Cos’altro c’è? Parla Dean. Possibile che debba sempre tirare a indovinare ciò che pensi, come ti senti o quello che provi? Io mi sono sempre sforzata di essere un libro aperto, mentre tu…” esitò. “So così poco di te.” Non sapeva con esattezza da dove le uscisse tutto quel coraggio, ma sentiva di dover sfruttare l’occasione per affrontare certi nodi ancora irrisolti tra loro. 

“Sai che non sono un tipo estroverso.” 

“Sì e non ti ho mai chiesto di diventarlo, ma a volte mi piacerebbe conoscere qualcosa in più su di te. Perché odi tanto essere un vampiro, tanto per cominciare.” Una prima risposta, quella più scontata, la sapeva anche lei, tuttavia sentiva che c’era qualcos’altro e voleva scoprire di che si trattava. Giorni prima, quando aveva bevuto il sangue offerto da Margaret, si era accorta della sua espressione. Sembrava molto poco propenso a servirsene, nonostante fosse consapevole di averne bisogno.

Lì per lì spiazzato, Dean aggrottò leggermente la fronte. “Cosa ti fa pensare che odi essere un vampiro?” ribatté poi, prendendola in contropiede. Non sembrava offeso o arrabbiato, solo curioso.

Juliet si aspettava di tutto tranne quella domanda. “Beh, non saprei…” mormorò. “Non dai l’impressione di viverla bene.” Ma perché le aveva risposto con un’altra domanda? Non era la prima volta che le capitava in una conversazione con lui e pensò che fosse un suo modo di sviare il discorso. Comunque, aveva idea che l’argomento lo stesse mettendo un po’ in difficoltà. Si vedeva che non sapesse bene come controbattere. 

“Non è esatto dire che lo odio.” disse infine. “Essere come me ha i suoi lati positivi, ad esempio riuscire a proteggere le persone a cui tieni quando serve. Piuttosto mi rendo conto che, se fossi umano, la mia vita sarebbe di gran lunga più semplice e di certo molto meno ingombra di sensi di colpa.” spiegò.

Juliet approfittò subito dell’assist che le aveva dato. “Appunto. Dovrà pur essere successo qualcosa per sentirti così. Se me ne parlassi, magari potrebbe aiutarti a sentirne meno il peso.” suggerì.

Dean esitò un istante. “Sei proprio sicura di volerlo sapere?” le chiese poi. “Potrebbe cambiare notevolmente l’opinione che hai di me.”

Lei annuì con decisione, sedendosi sul divano per spingerlo a confidarsi. Non aveva intenzione di arretrare di un millimetro.

Dalla faccia non sembrava ancora convinto, ma alla fine le si sedette accanto, abbandonandosi a un sospiro. “D’accordo.” cedette, prendendosi qualche secondo per raccogliere le idee. “Diversi anni fa ero con Mary in una cittadina nei dintorni di Parigi. Era plenilunio. All’epoca ci piaceva sfidarci a chi riusciva a nutrirsi per primo, così giravamo per le città in cerca di prede facili, per poi vantarcene reciprocamente.” 

Juliet lo ascoltava in silenzio, osservandolo attenta mentre ripercorreva con la mente gli eventi del passato. Malgrado la crudezza del suo racconto, non diede segno di volerlo giudicare. Si vedeva lontano un miglio che fosse il primo a non andarne fiero.

“A un certo punto ci dividemmo, per ritrovarci come di consueto a cose fatte. Io scelsi una casa un po’ isolata dalle altre, per non dare troppo nell’occhio. La serratura della porta sul retro era vecchia, non fu difficile entrare. Così mi nascosi in cucina, in attesa…” Fece una breve pausa, per poi riprendere. “Dopo qualche minuto vidi arrivare una donna. Forse era scesa per un bicchiere d’acqua, non lo so. Era buio, non mi sentì nemmeno scivolarle alle spalle.”

Non concluse il discorso per risparmiarle i dettagli troppo macabri, ma Juliet riuscì comunque a intuire il resto. 

“Avevo appena finito, quando sentii altri rumori. Alzai lo sguardo ed era là che mi fissava. Un bambino. Avrà avuto sì e no cinque anni. Guardava me, chino sul corpo di sua madre, sporco del suo sangue.” continuò, lo sguardo perso nel tunnel dei ricordi. Sembrava che si rivedesse quella scena davanti, anche a distanza di tutto quel tempo, ed era palpabile la vergogna che quelle azioni ancora gli suscitavano.

“La cosa peggiore è che, prima di rendermene conto, sarei stato pronto ad aggredire anche lui, preso com’ero dall’euforia della caccia. Per sua fortuna, riuscii a dominarmi e a fuggire, ma da quel momento giurai a me stesso che non avrei più preso parte a tutto questo. Niente più cerimonie del plenilunio, niente gare di omicidio, niente Rosemary… Sapevo di non poter smettere di bere sangue umano, a meno che non mi fossi ucciso, ma chissà perché sono sempre stato attaccato alla vita. Perciò l’unica cosa da fare era continuare a nutrirmi in silenzio, senza inutili spargimenti di sangue. Quindi sì, la prospettiva di una pozione che metta fine a questo modo di vivere per certi versi mi alletta, e non poco. Tuttavia, è sempre meglio non farsi troppe illusioni.” concluse, con una punta di amarezza nella voce.

Travolta da un tumulto di emozioni, Juliet non ci pensò più di tanto prima di coinvolgerlo in un abbraccio di conforto, che lui ricambiò subito. 

“Mi dispiace tanto.” gli sussurrò, senza riuscire a trattenere le lacrime. Guardare un bambino negli occhi dopo aver ucciso sua madre… Non faticava a capire perché non riuscisse a convivere serenamente con la sua natura.

Dopo aver sciolto l’abbraccio, Dean le prese il viso tra le mani e i loro sguardi si incontrarono. Sul suo volto si dipinse un sorriso intenerito. “Ecco, hai visto? Anche stavolta sono riuscito a farti piangere.” scherzò, mentre le asciugava le guance con entrambi i pollici.

Juliet tirò su col naso, rispondendo timidamente al sorriso. “È colpa mia. Faccio sempre la figura della piagnucolona, mi odio.”

Per tutta risposta, Dean ridacchiò divertito. “Ho sbagliato a raccontartelo. Ora chissà cosa penserai di me.” 

“In questo momento provo solo disprezzo per chi ti ha fatto una cosa simile.” 

“Nessuno mi ha costretto, Juls. Ero perfettamente consapevole quando ho ucciso quella donna, così come tutti gli altri prima di lei.”

Lei scosse la testa, rifiutandosi di accettare che si attribuisse la colpa di tutto. “No, invece. Eri vulnerabile e ne hanno approfittato per farti fare cose che oggi non ti sogneresti nemmeno. In realtà, non sei come volevano che fossi. Tu sei migliore di loro e nessun episodio del passato potrà farmi cambiare idea.” sentenziò risoluta.

Negli occhi di Dean lesse gratitudine, ma anche orgoglio e, pur restando in silenzio, gli bastò guardarla così perché le farfalle nel suo stomaco iniziassero a svolazzare allegre. L’attrazione che provava era davvero difficile da controllare e sentiva lo stesso da parte sua. Puntualmente le faceva dimenticare qualsiasi motivo, grande o piccolo, per cui avrebbe dovuto avercela con lui e ricordava solo quelli per cui lo amava.

Dean si avvicinò, facendo per baciarla, prima di fermarsi a metà strada. “Non voglio che ci siano più segreti tra noi.” le sussurrò.

Juliet non avrebbe potuto non essere d’accordo. “Niente più segreti.” ripeté, per poi chiudere gli occhi e lasciarlo fare.

Purtroppo quel momento idilliaco non durò a lungo, perché Dean tornò a ricomporsi non appena sentì le voci di Mark e Cedric, che stavano scendendo dal piano di sopra. Juliet avrebbe preferito che il bacio durasse un po’ di più, ma sapeva bene quanto non amasse farsi vedere dagli altri in certi atteggiamenti, quindi sospirando un po’ affranta si alzò dal divano, dirigendosi di nuovo in cucina.

Avevano da poco finito di cenare quando, presa dalla curiosità, propose a Rachel di mostrarle qualcosa di ciò che aveva imparato da Margaret, visto che durante la giornata non c’era mai modo di assistere a una delle loro lezioni. 

In un primo momento Rachel si mostrò un po’ reticente al pensiero di "esibirsi" così all'improvviso davanti alla sua maestra. Un conto era l’addestramento, in cui doveva seguire direttive precise, un altro utilizzare la magia in modo autonomo; poi, però, capì dai loro sguardi carichi di aspettative che non poteva tirarsi indietro. Con una breve occhiata cercò sul tavolo qualcosa che facesse al caso suo e vedendo la caraffa di vetro poco distante da lei le venne un’idea. Chiuse gli occhi per concentrarsi e visualizzare nella mente quello che aveva intenzione di fare, come le era stato insegnato; poi, nell’istante in cui iniziò a far roteare due dita, l’acqua contenuta all'interno prese pian piano a vorticare su se stessa, creando un piccolo mulinello che durò fin tanto che Rachel le muoveva. Quando di lì a poco, infatti, smise di agitarle, anche la superficie dell’acqua tornò calma come prima.

“Molto bene. Sul controllo stai migliorando.” si complimentò Margaret soddisfatta.

Anche Juliet e Mark si mostrarono entusiasti. Del resto, non era una cosa che si vedeva tutti i giorni e perfino Dean ne sembrava impressionato. L’unico a starsene in disparte con l’aria imbronciata era Cedric e Rachel non faticò a notarlo.

“Qualcosa non va?” indagò allora, insospettita da quello strano atteggiamento.

Lui, però, scosse la testa, continuando a fissare il tavolo. “No, figurati.” rispose, ma dal tono era chiaro che stesse mentendo.

Rachel, infatti, non si lasciò incantare e, dopo aver incrociato gli sguardi altrettanto confusi degli altri, tornò alla carica. “Se hai qualcosa da dire, fallo e basta.” lo incalzò.

Messo alle strette, Cedric alzò la testa e finalmente la guardò. “Lo vuoi proprio sapere? Okay.” acconsentì. “Sto cominciando a chiedermi quale sia il senso di tutto questo. Sono passate già due settimane e, mentre tu ti diverti a giocherellare con la magia, Claire è ancora prigioniera a Bran, ma a quanto pare sono l’unico qui a cui sembra interessare.”

“Sai che non è vero...” provò a dire Juliet, risentita.

“Giocherellare?” Rachel era rimasta ancora a quella parte e la sentì a malapena. “È questo che pensi stia facendo?” 

Punta sul vivo, anche Margaret intervenne per darle man forte. “Posso assicurarti che i suoi progressi sono notevoli. Imparare la magia richiede tempo e fatica, non si può sperare di diventare esperte in pochi giorni.” 

Se da un lato Rachel si sentiva lusingata dalle sue parole, dall’altra avvertiva un forte senso di rabbia di fronte alle assurde pretese di Cedric. Che ne sapeva di quello che stava passando e di tutta la fatica fatta per raggiungere un risultato minimamente apprezzabile? Come si permetteva di giudicarla? “Ascoltami bene, razza di idiota. Se c’è qualcuno per cui sto facendo tutto questo è proprio Claire!”

“Sì, ma ci state mettendo troppo tempo!” puntualizzò lui, gridando a sua volta per sovrastarla. “Mi avevate detto che una volta trovata Margaret saremmo stati in grado di salvarla, invece siamo ancora qui ad aspettare che Sabrina impari a essere una brava strega!”

“Okay, ora cerchiamo di mantenere la calma…” tentò Mark.

Ormai, però, Rachel era troppo infervorata per dargli ascolto. “Ma se sei stato tu a convincermi a farlo!” urlò di rimando. “Hai insistito perché ci provassi e adesso ti aspetti che in due giorni impari a controllare un potere latente che fino a ieri non sapevo nemmeno di avere? Fossi in te, farei pace col cervello!” 

“Non dico questo, ma di certo non mi aspettavo neanche di restare bloccato qui per settimane. Magari non ti stai applicando abbastanza.” sputò Cedric, altrettanto velenoso. 

Quella frase bastò a far scendere il gelo nella stanza.

Rachel ribolliva di rabbia e ultimamente non era un buon segno. Sapeva che se fosse rimasta in sua presenza un secondo di più non sarebbe riuscita a dominarsi, così fece per lasciare la tavola, decisa a toglierselo dalla vista. “Basta, non resterò qui a farmi insultare da te.” Non appena si mosse, però, venne colta da un forte capogiro, che la costrinse a reggersi al tavolo per non cadere.

“Ti senti bene?” le chiese Mark allarmato, alzandosi di scatto per andare a soccorrerla.

Con lo sguardo un po’ perso, lei annuì e si sedette di nuovo. 

“Niente paura, ha solo bisogno di riposare. La giornata è stata lunga e impegnativa.” li rassicurò Margaret pacata.

Juliet lanciò all’amica un’occhiata apprensiva. “Vuoi che ti accompagni di sopra?”

“No, preferisco prendere una boccata d’aria. Qui dentro mi sento soffocare.” alluse lei in risposta, lanciando un’ultima occhiata di traverso a Cedric. Era davvero strano come nel giro di un minuto fosse passata dalla volontà di spaccare tutto a quel senso di spossatezza, come una specie di torpore. Nonostante fosse abbastanza sicura di riuscire ad arrivare alla porta sul retro da sola,  quando Mark si offrì di accompagnarla non trovò la forza di opporsi. Prima di uscire si munirono di cappotti e sciarpe, dato che la temperatura notturna si avvicinava tranquillamente a quelle polari e volevano evitare di ammalarsi. 

Una volta sul porticciolo che dava sulla serra, Rachel si appoggiò alla staccionata e il suo sguardo incontrò subito quello di Mark, scoprendolo a dir poco preoccupato. “Sto bene.” ribadì allora, senza riuscire a celare l’insofferenza che la domanda le aveva provocato; poi, resasene conto, gli rivolse un debole sorriso per alleggerire la situazione. “Davvero.”

Lui annuì. “Okay.” finse di assecondarla. “Quindi questi improvvisi mancamenti dovrei considerarli una cosa normale?”

Rachel sospirò di nuovo. Quanto avrebbe voluto che quella conversazione finisse in quel preciso momento. “Ti prego, non farne un dramma. È stato un semplice giramento di testa.” rispose paziente. “Usare la magia si sta rivelando più impegnativo del previsto e poi stasera ci si è messo anche Cedric...” Non poté non tornarle in mente il racconto di Margaret sulla figlia e su ciò che le era capitato a causa dell’eccessivo sforzo e si chiese se fosse il caso o meno di renderlo partecipe della cosa. Questo prima di realizzare che dirglielo sarebbe servito solo a farlo preoccupare di più, così allontanò l’idea. 

“Sono sicuro che non pensava davvero quello che ha detto. Ha solo avuto una brutta giornata…”

“Da mesi non abbiamo che brutte giornate, ma questo non lo autorizza a sfogarsi su di me.” replicò indispettita. “Una volta tanto potrebbe anche azionare la testa prima di dare fiato alla bocca.”

Mark fece un sospiro, annuendo consapevole. “Lo so. Più tardi provo a parlarci io.” 

Sventolando la mano, però, Rachel liquidò la questione. “Non preoccuparti. Sono troppo stanca perfino per continuare ad avercela con lui.” 

“Potresti dire a Margaret di rallentare un po’. Magari state correndo troppo…” 

“Mark…” mormorò, lanciandogli un’occhiata di traverso.

Afferrato il concetto, il ragazzo alzò le mani in segno di resa. “Okay, okay. Sto esagerando e tu hai tutto sotto controllo. Come vuoi.” 

Rachel ridacchiò divertita. Le faceva piacere vederlo così in pensiero per lei, ma doveva fidarsi e lasciarla fare. Continuando a sorridergli, si avvicinò per lasciargli un rapido bacio sulle labbra.

Dopo averla ricambiata, Mark le sorrise a sua volta. “Non voglio stressarti. È solo che…”

“Lo so. Va tutto bene.” lo interruppe, intuendo già il resto. “Scusa, ma ora ho proprio bisogno di andarmene a letto.” aggiunse poi, discostandosi e facendo per tornare dentro.

“Ti amo.” fece in tempo a dirle, mentre era ancora sulla soglia.

Presa alla sprovvista, Rachel si voltò di nuovo. “Sì, anch’io.” Un attimo dopo le venne il dubbio di aver risposto in maniera un po’ troppo sbrigativa, ma ormai era fatta. Non sapendo come rimediare, sfuggente distolse lo sguardo e rientrò in casa.

 

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Capitolo 20
*** La proposta ***


Capitolo 13

 

La proposta


Fin dal primo istante in cui si era svegliata in quella cella, Claire non aveva mai preso realmente in considerazione l’idea di tentare la fuga. Il proposito le era balzato in mente tante volte, ma si rendeva conto che provarci avrebbe significato scatenare le ire di Nickolaij e di conseguenza mettere in pericolo le persone che amava. Senza contare le scarsissime probabilità di riuscire nell’impresa. A un certo punto, quindi, si era rassegnata a rimanere al castello, sforzandosi di rendere quanto meno sopportabile la sua nuova vita.

Ora però le cose erano cambiate e a cambiarle era bastato un semplice breve viaggio. Lei e Dustin si erano fermati a Greenwood giusto un paio di giorni, il tempo di assistere alla messa in opera dello scioccante piano di Nickolaij per dominare gli esseri umani e poi erano ripartiti. 

Ingenuamente, Claire si era illusa che rivedere i suoi cari, anche senza la possibilità di riabbracciarli, le avrebbe ridato speranza e voglia di lottare. Adesso, invece, desiderava solo non aver mai chiesto di poter tornare laggiù. 

Dopo quello che aveva passato in quei mesi, pensava che niente sarebbe riuscito a sconvolgerla, ma aveva dovuto ricredersi. Tutto a un tratto si era ritrovata di fronte a file di persone, in coda come se aspettassero la propria razione di viveri durante una guerra, e tra loro c’erano anche sua madre, sua sorella, insieme a Martha, la madre di Juliet, tutte visibilmente confuse e spaventate. Suo padre non era con loro e se n’era chiesta il motivo, prima di rendersi conto che la fila fosse composta interamente da donne e bambini di età diverse.  

 Al passaggio di un vampiro di guardia, sua madre aveva stretto Megan a sé per proteggerla. Come se avesse potuto. Incurante delle sue grida disperate, infatti, le aveva strappato la figlia dalle braccia per unirla a un gruppo composto da altri bambini e ragazzi più grandi. Tra loro aveva riconosciuto Richard, a cui sua sorella si era aggrappata in lacrime, cercando protezione, e questo le aveva dato un minimo di sollievo. 

Cercando di tenere a freno l’impulso di intervenire, aveva chiesto spiegazioni a Dustin, il quale candidamente l’aveva messa al corrente dei fatti. In quel momento il grande progetto di Nickolaij per l’umanità le si era presentato davanti agli occhi in tutta la sua follia: trasformare le città in riserve di cibo, considerando gli abitanti alla stregua di vacche da mungere. In sostanza, il piano era convertire il mondo in un immenso allevamento, in cui i vampiri potevano avere accesso illimitato al sangue umano senza doverselo procurare di nascosto. 

Dopo aver impiegato qualche minuto per riprendersi dallo shock, il primo pensiero di Claire era andato alla boccetta bevuta in camera qualche sera prima. Per quanto ne sapeva, avrebbe potuto contenere il sangue di sua madre o di sua sorella…

Ancora adesso non riusciva a pensare ad altro e a stento reprimeva il disgusto per ciò che era diventata. Suo malgrado, ora faceva parte di quel piano, ne era complice dalla prima goccia ingerita. Tuttavia, non intendeva piegarsi alla rassegnazione, non sarebbe rimasta a guardare quel mostro appropriarsi di tutto. Doveva trovare il modo di raggiungere gli altri, per avvertirli e impedire che la situazione degenerasse, ma non poteva farcela da sola. Aveva bisogno dell’unica persona di cui potesse fidarsi in quel castello.

Per fortuna, dalla sera della cerimonia Nickolaij aveva allentato la sua sorveglianza su di lei e ora poteva girare liberamente senza seccatori tra i piedi. Così, dopo aver atteso qualche giorno dal ritorno dall’America, si avventurò lungo i corridoi, diretta nel primo posto in cui sperava di trovare chi stava cercando.

Giunta all’entrata della sala comune, si affacciò dentro e per fortuna Jason era lì, seduto al tavolo a leggere un libro. 

“Jay...” gli sussurrò, cercando di attirare solo la sua attenzione. Da quando aveva subito quel tentativo di stupro si sentiva ancora poco tranquilla in presenza di altri vampiri. 

Jason alzò gli occhi dal libro e la guardò, mostrandosi perplesso nel vederla comportarsi in quel modo così circospetto.

“Posso parlarti un momento?”

“Non lo stai già facendo?” replicò con aria annoiata, riportando la sua attenzione sulle pagine.

Claire però non era in vena di fare giochetti così gli tolse il libro dalle mani e lo gettò lontano con malagrazia.

“Ehi!” protestò, ma lei lo stava già trascinando fuori dalla sala verso un’altra stanza, lontano da orecchie indiscrete.

“Ti vuoi calmare!” Jason si liberò dalla sua presa. “Si può sapere che c’è di tanto urgente da trascinarmi…”

“Sono stata a casa, Jay. A Greenwood.” Lo disse senza esitare, diretta, e dalla sua reazione dedusse di aver ottenuto l’effetto sperato.

Le proteste, infatti, gli morirono in gola e restò a fissarla spaesato. “Come…” mormorò.

“Ho chiesto il permesso a Nickolaij e lui ha acconsentito.” spiegò Claire in breve. Non erano necessari i particolari, il punto era un altro. “Ho visto i nostri genitori e quello che i vampiri stanno facendo alla città. Sono prigionieri! Vengono trattati come bestie da macello a cui prelevano litri di sangue ogni giorno! È spaventoso.” Rabbrividì al solo pensiero.

Per un momento anche Jason parve turbato, ma non durò molto perché la sua faccia cambiò radicalmente nel giro di pochi secondi, tornando inespressiva. “E allora?”

Quella domanda la spiazzò. Non riusciva a credere che potesse rimanere così indifferente davanti a una situazione del genere. “Come sarebbe e allora? Jason, ci sono le nostre famiglie laggiù, i nostri amici! Tengono separati i giovani dagli adulti perché il loro sangue è migliore e Dio solo sa fino a che punto li spremono per prenderglielo. Potrebbero arrivare a ucciderli tutti, così come hanno ucciso tuo padre…”

“No, non è come dici tu…”

“Sì, invece! Sono dei mostri senza scrupoli, lo hanno ucciso davanti ai tuoi occhi…”

“Io ho ucciso mio padre, Claire!” esplose esasperato; poi, alla vista della sua espressione sconvolta, parve calmarsi. “Sono stato io.”

“Non puoi dire sul serio…” mormorò lei, boccheggiando. 

Jason distolse lo sguardo verso la finestra. La colpa di quanto le aveva appena rivelato sembrava pesare ancora su di lui, ma non abbastanza ai suoi occhi. Era come se col tempo ci avesse fatto l’abitudine. “Dopo la mutazione avevo bisogno di nutrirmi, altrimenti non sarei sopravvissuto.”

Claire scosse la testa, incapace di credere alle proprie orecchie. “No, è impossibile che tu lo abbia fatto di tua volontà, ti hanno costretto…”

“Che importa?” la interruppe. “Se non l’avessi fatto, sarei morto. È questo il punto, non lo capisci? Il piano di Nickolaij è perfetto. Lui non vuole uccidere gli umani, al contrario, senza di loro non sapremmo di cosa nutrirci, per questo li rinchiude nelle fattorie…”

“Fattorie?” ripeté disgustata. “È così che chiamate quelle prigioni?” In effetti il nome era più che azzeccato, ma allo stesso tempo, se possibile, ancora più inquietante.

Jason riportò l’attenzione su di lei, lo sguardo vitreo e spento. “Se sono i nostri parenti a preoccuparti, non dovresti. Stanno bene, l’hai visto anche tu. Devono solo offrire un po’ del loro sangue una volta al mese e non gli succederà niente.” disse con un tono così freddo e distaccato che Claire sentì un brivido salirgli lungo la schiena. Quello non era lo stesso ragazzo che conosceva fin dalle elementari, che giocava nel suo giardino e che era sempre dalla sua parte quando ne aveva bisogno. “Sei cambiato, Jay. Io… non ti riconosco più.” Rabbia e delusione si impadronirono di lei e non riuscì a impedire che le lacrime le rigassero il viso.  

Vedendola in quello stato, Jason ebbe come un tentennamento, ma, come pochi attimi prima, durò solo un istante. “Molte cose sono cambiate ormai. Capisco che non sia facile da accettare, ma adesso la nostra famiglia è tra le mura di questo castello e, che tu lo voglia o no, niente tornerà più come prima. Io me ne sono fatto una ragione, dovresti farlo anche tu.”

Claire però era stanca di quei discorsi deliranti, così si asciugò le lacrime e senza degnarlo di risposta uscì come una furia dalla stanza. Era chiaro che Nickolaij e i suoi scagnozzi dovevano aver fatto un bel lavaggio del cervello a quello che una volta era il suo migliore amico, perché il vero Jason non avrebbe mai potuto dire quelle cose orribili.

Appurato questo, era altrettanto ovvio che non l’avrebbe mai aiutata a fuggire da lì, perciò doveva trovare il modo di farcela da sola. Ripensò alle sue parole per tutto il tragitto, fino in camera. Era così disgustata e arrabbiata che non appena arrivata si buttò sul letto, prese un cuscino e ci urlò dentro tutta la sua frustrazione. Non riuscì a evitare che nuove lacrime le invadessero gli occhi, bagnandole le guance. Si sentiva di nuovo sola, forse anche più di prima. Aveva sperato davvero di trovare un alleato in Jason, soprattutto dopo che l’aveva soccorsa, invece tutto quello che aveva erano nient’altro che delusione e amarezza. 

Cercò di ricordare quel poco che aveva imparato sul controllo delle proprie emozioni, ma non fu affatto semplice. Non si era mai sentita così. Aveva una gran voglia di sfogarsi e radere al suolo tutto quello che aveva intorno, ma con enorme fatica riuscì a limitare i danni al solo cuscino che stava stringendo. In pochi secondi, infatti, lo ridusse a brandelli, spargendo l’imbottitura di piume per tutta la stanza. Ansante, lasciò cadere ciò che ne restava e con le mani di nuovo libere si asciugò le lacrime, un attimo prima di sentire qualcuno bussare alla porta. Neanche il tempo di rispondere che Dustin entrò. 

Claire lo raggiunse in fretta nell’anticamera e notò che questa volta non era solo. Due ragazze se ne stavano dritte dietro di lui, come in attesa di istruzioni.

Il vampiro la squadrò dall’alto in basso, con la sua solita aria altezzosa. “Hai per caso avuto problemi con un’oca?” domandò, alzando un sopracciglio e a quel punto Claire vide la sua immagine riflessa nello specchio dell’antica toeletta, accorgendosi di essere ricoperta di piume.

Ingoiando un insulto, cercò di porre rimedio a quel disastro districandosi via le piume almeno dai capelli, mentre lanciava uno sguardo carico d’odio al suo riflesso. “Cosa ci fai qui?” 

“Brutta giornata, eh? Comprensibile, immagino non sia stato piacevole raccontare al tuo amichetto quello che hai visto a Greenwood.”

Claire si girò di scatto a guardarlo e un ghigno soddisfatto si dipinse sul volto di Dustin. –Come diavolo fa a saperlo? - pensò. Che Jason fosse subito corso a dirglielo? O magari la teneva sotto controllo per conto di Nickolaij…

“Ho incrociato il giovane Jason venendo qui. Aveva l’aria turbata, così mi ha raccontato della vostra piccola discussione e di come tu te ne sia andata in un fiume di lacrime.” spiegò in tutta calma, guardandosi le unghie. 

Lei però non era in vena di inutili chiacchiere. “Quindi sei venuto qui per questo? Eri preoccupato per me?” lo provocò, fingendo riconoscenza.

“Purtroppo Sua grazia ti ha posto sotto la mia responsabilità, per quanto questo compito sia mortificante, perciò sì, in parte volevo vedere come stessi e a giudicare dal tuo aspetto e dalla quantità di piume in camera da letto, piuttosto bene direi.” la schernì.

Claire fece un respiro profondo, nel tentativo di reprimere il più possibile la rabbia. “Te lo richiedo. Cosa ci fai qui e chi sono quelle?” 

“Sua grazia mi ha chiesto di ricordarti che stasera si terrà un ballo…”

“Un ballo?” lo interruppe sorpresa. Non era proprio dell’umore per feste e abiti da sera. Aveva una fuga da pianificare.

Dustin sospirò, visibilmente irritato dalla sua interruzione; poi riprese. “Sì, un ballo in onore del suo anniversario di nascita e tu sarai l’ospite d’onore.” Pronunciò le ultime parole con una leggera vena di disgusto, ma Claire lo ignorò. 

Con un altro sospiro, indicò le due ragazze alle sue spalle: “Loro sono Gina e…” Schioccò le dita, esortando la ragazza dai capelli rossi alla sua destra a ricordargli il suo nome.

“Pauline.”

“Sì, ecco. Ti aiuteranno a prepararti adeguatamente per la festa e magari a non farti assomigliare a un fagiano.”

“Grazie, ma non credo di averne bisogno. So ancora vestirmi da sola.” ribatté Claire infastidita. 

Per tutta risposta, lui le rivolse un’ultima occhiata eloquente, prima di girare i tacchi e andarsene, lasciandola sola con le sue ancelle. Un chiaro segnale del fatto che, volente o nolente, avrebbe dovuto rassegnarsi al suo destino. A quanto pareva, il progetto di fuga doveva aspettare.

 

Dopo quasi un’ora, si ritrovò truccata, pettinata e strizzata in un vestito stile Cinquecento, con tanto di bustino e merletti. Esaminandosi allo specchio a lavoro finito quasi non si riconobbe. Rimase piacevolmente sorpresa del risultato e dovette ammettere con se stessa che senza l’aiuto di Gina e Pauline non ce l’avrebbe mai fatta. Somigliava proprio a una perfetta dama di corte. Come un dejà-vu le tornò in mente uno dei primi sogni su Elizabeth e ricordò come anche allora avesse avuto la stessa sensazione guardando la sua immagine riflessa nello specchio.

Probabilmente per assicurarsi che si presentasse, Nickolaij mandò i soliti due energumeni a prenderla per scortarla di sotto, nella sala principale dove si sarebbe tenuta la festa. Già lungo il corridoio riuscì ad avvertire il chiacchiericcio e la musica provenienti dalla sala e quando entrò ebbe la sensazione di aver attraversato un portale e viaggiato nel tempo. Tutto era stato allestito in modo da riprendere lo stile rinascimentale, grossi candelabri pendevano dal soffitto a illuminare la sala gremita di gente, tappeti di velluto rosso coprivano gran parte del pavimento e ai lati della sala lunghi tavoli offrivano un banchetto degno di un re. In un angolo in fondo un quartetto d’archi suonava una musica leggera che si amalgamava perfettamente all’ambiente e, a completare il tutto, c’erano i numerosi invitati che esibivano con orgoglio i loro abiti migliori in tema con la festa. Sembrava come se tutta Bran si fosse riunita al castello per rendere omaggio al suo sovrano, come da vecchia usanza. Un set cinematografico non avrebbe saputo fare di meglio.

Le sue guardie del corpo la scortarono fino al centro della sala, dove Nickolaij stava conversando amabilmente con una ristretta cerchia di persone. Al suo passaggio tutti gli ospiti si voltarono a guardarla, per poi bisbigliare qualcosa al vicino. Claire provò a evitarli abbassando lo sguardo sul pavimento, ma fu impossibile ignorare la sensazione di tutti quegli occhi puntati addosso. La serata non era ancora iniziata e lei avrebbe già voluto andarsene.

Quando Nickolaij si accorse del suo arrivo, il volto gli si illuminò di gioia. “Ben arrivata.” Le sorrise, prendendole la mano per baciarla, in quel suo modo antiquato ma sempre galante.

Lei gli sorrise imbarazzata, prima di ritrarla con gentilezza. L’abbigliamento che sfoggiava quella sera la colpì. All’apparenza poteva sembrare un vestito semplice, ma ai suoi occhi non sfuggirono alcuni dettagli che ne esaltavano la ricchezza. La lunga giacca rossa, ad esempio, aveva degli elaborati ricami in oro lungo le maniche e i bordi delle cuciture, e al di sotto si intravedevano pantaloni neri e stivali tirati a lucido dello stesso colore. La teneva stretta in vita con una fascia nera, anch’essa impreziosita con motivi in oro e, come ultimo tocco, sulla testa trionfava un turbante, sempre nero, che riprendeva gli stessi preziosi ricami tutto intorno.

Non che fosse un’esperta, ma quando Claire pensava al Cinquecento certo quello non era il primo costume che le veniva in mente, immaginò perciò che dovesse essere legato alla cultura romena.

Nickolaij non aveva smesso un attimo di guardarla. “Sei davvero splendida.” disse affascinato.

Claire però si sentiva già abbastanza in imbarazzo perché tutti la fissavano, così decise di cambiare argomento. “Allora…” si schiarì la gola. “Immagino debba augurarti buon compleanno. O non si usa in quest’epoca? Aspetta, in che anno siamo?” scherzò, cercando di alleggerire l’atmosfera.

Nickolaij la fissò ancora per un secondo, un po’ spiazzato, poi scoppiò a ridere. La sua risata doveva essere contagiosa perché anche i vampiri accanto lo imitarono.

“Il tuo senso dell’umorismo mi sorprende ogni volta, Claire. Vieni, prendiamo da bere.” Le porse la mano, guidandola verso uno dei tavoli. “Come avrai notato, ho voluto ricreare un’atmosfera a me più congeniale. Gli anni migliori li ho trascorsi in questo castello dopotutto e mi sembrava giusto festeggiare la mia nascita rivivendo quei momenti.” Esordì, mentre passeggiavano per la sala diretti al buffet.

Claire pensò che questo suo continuo vivere nel passato fosse una sorta di malattia, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce. “Se non sono indiscreta, posso chiederti quanti anni compi?”

Lui sghignazzò, ma sempre in maniera composta. “Arrivati alla mia età si fa fatica a tenere il conto esatto, però dovrei essere sui quattrocento sessanta. Anno più, anno meno.” rispose tranquillamente, mentre le porgeva uno dei due calici di champagne che aveva appena riempito.

Lo guardò strabuzzando gli occhi incredula. Certo, facendo due conti era più che plausibile che si portasse dietro tutti quegli anni, solo che già all’epoca di Elizabeth ne dimostrava una ventina e adesso non sembrava tanto più vecchio. Come era possibile che fosse cambiato così poco?

Nickolaij sembrò intuire cosa le stesse passando per la testa e provvide a darle ulteriori spiegazioni sui vantaggi di essere un vampiro. “Vedi, a differenza degli umani, per noi il tempo scorre molto più lentamente. Una volta raggiunta una certa età, diversa per ciascuno, smettiamo di invecchiare e il nostro aspetto resta immutato fino al sopraggiungere di un’eventuale morte.”

-Ecco spiegato perché Dean sembra un diciottenne- rifletté, sapendo che anche lui aveva più di un secolo sulle spalle. A quel punto, una domanda le sorse spontanea. “Quindi anche nel mio caso…”

“Purtroppo questa regola vale solo per coloro che nascono con il gene di vampiro. Chi viene trasformato da altri rimane con l’aspetto che aveva al tempo della mutazione.” spiegò Nickolaij con estrema chiarezza.

La notizia che avrebbe avuto per sempre diciotto anni fu così spiazzante che mandò giù lo champagne tutto d’un fiato, senza curarsi di nasconderlo al suo accompagnatore.

Continuarono a passeggiare per la sala e Claire venne presentata ad alcuni vampiri leccapiedi tirati a lucido per l’occasione che non facevano che sbrodolarsi in elogi e riverenze nei riguardi del loro illustre ospite. Per non parlare di come lo squadravano le signore. Tutti gli sguardi adoranti erano per Nickolaij, mentre a lei venivano riservate solo occhiatacce. La sua presenza doveva essere senza dubbio l’argomento principale della serata, visto che da quando era arrivata non c’era stato attimo in cui aveva smesso di sentire i mormorii della gente al suo passaggio. 

Accorgendosi del disagio lampante sul suo volto, Nickolaij le prese la mano e dolcemente la guidò al centro sala. “Non badare a loro.” le bisbigliò in un orecchio, mentre senza tante cerimonie la attirava a sé, coinvolgendola in un lento. “Il fatto che tu sia così vicina a me è solo un pretesto per farli spettegolare.” 

Per la seconda volta quella sera, Claire ebbe un dejà-vu: loro due, mano nella mano, che ballavano davanti a una schiera di persone, esattamente come quella notte a Greenwood. La notte in cui tutto era iniziato. Alzò appena lo sguardo e, quando i suoi occhi incrociarono quelli di Nickolaij, il cuore cominciò a batterle all’impazzata. Erano davvero molto vicini e per un secondo si sentì attratta da lui. Era come se lo vedesse per la prima volta. Quei suoi lineamenti regolari, gli occhi azzurri che al riflesso delle lanterne a volte sembravano verdi, i capelli ramati… In quel momento non le risultò difficile mettersi nei panni di Elizabeth. Continuarono a danzare presi l’uno dall’altra, come se intorno a loro non ci fosse più nessuno e, mentre lo guardava, Claire pensò a quanto fosse incredibile come tanta bellezza potesse nascondere altrettanta crudeltà. Fu allora che un lampo di lucidità le attraversò la mente, schiarendole le idee e facendole ricordare tutte le cose orribili che quel mostro aveva fatto a lei e i suoi amici, alla sua famiglia… a Cedric. Di colpo l’attrazione provata fino a poco prima sparì e Claire si ritrasse bruscamente, come spaventata.

“Mia cara, cos’hai? Ti vedo turbata.” le domandò preoccupato, notando quel cambiamento repentino. 

Non sapeva spiegare cosa le stesse succedendo. Tutto un insieme di emozioni che non riusciva a controllare stava prendendo possesso di lei e cominciò ad andare in iperventilazione. 

“Vieni, prendiamo da bere. Ti aiuterà a calmarti.” Senza indugiare, la prese per un gomito e insieme raggiunsero il tavolo del buffet.

Tuttavia, svuotare avidamente il bicchiere di vino che Nickolaij le aveva riempito non servì a distenderle i nervi. L’unico modo per placare il disagio che provava nel trovarsi in sua compagnia sarebbe stato tornarsene in camera, ma sapeva che non glielo avrebbe permesso. Come diavolo aveva potuto pensare di essere attratta da quel mostro? –Devo avere davvero qualcosa che non va- Una persona normale non avrebbe mai potuto neanche immaginarlo dopo quello che le aveva fatto passare. 

“Va meglio?” le domandò premuroso.

Lei annuì, sapendo di mentire e per questo evitando il suo sguardo. “Non so cosa mi abbia preso…”

Come spesso accadeva, però, Nickolaij la sorprese con la sua abilità di avere sempre la risposta giusta al momento giusto. “Non devi vergognarti se non riesci a comprendere le sensazioni legate al tuo nuovo stato. Quando si è giovani e inesperti può capitare di essere sopraffatti da diverse emozioni in una volta e spesso questo risulta destabilizzante. Con il tempo verrà tutto più naturale, vedrai.”

Destabilizzata. Ecco come si sentiva. Con una sola parola aveva descritto la sua eterna condizione da quando era diventata un vampiro e sentirselo dire chiaro e tondo servì in parte a rassicurarla. Credeva di stare impazzendo.

“Ad ogni modo, mi hanno riferito che le tue lezioni vanno molto bene, sei promettente e impari in fretta, perciò non perderti d’animo.” 

“Mio Signore.” 

Un ragazzo smilzo e dai capelli arruffati, chiaramente estraneo alla festa, si avvicinò a loro, interrompendo la conversazione. Sussurrò qualcosa all’orecchio di Nickolaij, che subito dopo averlo congedato con un breve cenno della mano si rivolse di nuovo a lei. “Devo assentarmi per qualche minuto. Ti prego di scusarmi.” 

Il tempo di un altro baciamano e la lasciò sola a osservare il viavai degli invitati. I suoi occhi scrutavano la sala, quando d’un tratto individuarono un volto tanto familiare quanto sgradito. C’era anche Tareq. Lo riconobbe senza alcuna difficoltà perché a differenza degli altri indossava un semplice completo nero e come lei era relegato in un angolo alla larga da tutti. Così pensò che quella fosse una buona occasione per sbattergli finalmente in faccia ciò che pensava di lui. 

Mischiandosi tra la folla riuscì ad avvicinarglisi con noncuranza, finché non fu alla giusta distanza perché la sentisse anche senza dover alzare la voce. “Niente costume per te?” 

Lui sogghignò, dando segno di averla riconosciuta. “Non mi vesto da pagliaccio.” tagliò corto, continuando a guardare fisso davanti a sé.

Claire indicò gli altri invitati con un cenno del mento. “Con o senza, sembri comunque un pesce fuor d’acqua in mezzo a loro.”

“Siamo in due allora.” 

Quella strafottenza aveva il potere di farle saltare i nervi e dovette faticare parecchio per dominare la rabbia. “Cosa ti ha spinto a farlo?” gli chiese istintivamente, senza specificare il contesto.

Tareq, infatti, non afferrò. O forse finse di non farlo. “Sono stato invitato…”

“Sai di cosa parlo!” lo interruppe, stavolta più infervorata. “Tradire Jamaal e tutti i tuoi principi per metterti al servizio di Nickolaij. Perché?”

Lo sguardo di Tareq si fece, se possibile, ancora più buio. “Non credo che questi siano affari tuoi.” 

Lei, però, lo ignorò. “Come fai a non farti schifo?” lo attaccò ancora, decisa a far cedere le sue difese. “Hai ucciso un membro della tua famiglia solo perché aveva scelto un’altra come successore…”

“E non ti pare un motivo sufficiente?” le parlò sopra, ridacchiando. “Quell’idiota sentimentale non è mai stato degno del suo ruolo e lo ha dimostrato fino alla fine.” 

Sentirlo insultare la memoria di Jamaal le fece ribollire il sangue nelle vene. “Non hai mai capito niente di lui…”

“No, sei tu quella che non sa niente.” ribatté in un sibilo carico di disprezzo. “Esserci andata a letto non fa di te una Jurhaysh. Non conosci le nostre tradizioni e non hai la minima idea del disonore che la sua scelta ha portato a me e alla nostra famiglia.” 

-Senti chi parla di disonore- pensò Claire indignata. Suo padre si era impiccato dopo che Jamaal lo aveva bandito dalla tribù e probabilmente ora si stava rivoltando nella tomba sapendolo schierato dalla parte dei vampiri. L’impulso di farglielo sapere fu fortissimo, voleva che soffrisse, ma qualcosa la trattenne. Forse non meritava nemmeno di saperlo. “Ti sei sentito talmente disonorato da uccidere Jamaal e unirti al suo peggior nemico?”

“Non mi sembra che tu abbia fatto diversamente. Sei qui proprio come me.”

Come osava paragonare il suo tradimento al ricatto che era stata costretta ad accettare per salvare le persone che amava? “Nel mio caso è diverso, io non ho avuto alternative. Tu, invece, hai scelto di essere uno sporco traditore, un vile che aveva giurato di proteggere le persone dai vampiri, mentre adesso partecipa alle loro feste.” 

Il suo tono trasudava profondo disgusto, al punto che Tareq non riuscì più a mostrarsi superiore e reagì, afferrandola per un polso e tirandola a sé. “Attenta, ragazzina. Se pensi che fartela con Nickolaij ti autorizzi a giudicarmi hai fatto male i conti.” sussurrò minaccioso, stringendola fino a farle male. 

“Io la lascerei.”

Claire si accorse che nel frattempo Dustin si era avvicinato a loro solo quando lo vide materializzarsi alle spalle di Tareq, sul volto lo stesso sguardo raggelante che gli aveva visto sfoggiare spesso nelle situazioni di tensione in cui doveva rimettere ordine. “Non è il caso di dare spettacolo, stasera.” 

Appena lo sentì mormorarglielo all’orecchio, Tareq mollò la presa, benché fosse evidente che non lo facesse volentieri. Dopodiché, Dustin gli fece segno di allontanarsi e lui obbedì, non prima di averle lanciato un’ultima occhiata di avvertimento a cui Claire rispose impassibile. Non voleva dargli alcun pretesto per pensare che avesse paura.

Con aria di disappunto si massaggiò il polso in un gesto automatico, anche se il dolore era già del tutto svanito. Le bruciava di più che Dustin avesse interrotto il loro scambio di vedute. A giudicare dalla puntualità con cui si era presentato per evitare che tra lei e Tareq degenerasse, immaginò che la stesse tenendo d’occhio già da un pezzo e saperlo la infastidiva da morire. “Devi per forza starmi sempre attaccato? Potevo cavarmela benissimo da sola.” protestò in tono acido.

“Figurati. Non c’è di che.” ironizzò lui in risposta. “Ti avevo consigliato di non farti sottomettere, ma certo non intendevo spingerti ad attaccare briga con chiunque, soprattutto con tipi come Tareq. Non è la prima volta che cerchi lo scontro con lui, deve averti offeso gravemente…”

È un lurido verme. Basta questo.” replicò secca, interrompendolo. In realtà c’era molto altro, ma non aveva intenzione di aprire l’argomento Jamaal con qualcuno di cui non poteva fidarsi. 

Dustin, però, la sorprese. “Non c’è bisogno di misteri. Conosco la sua storia e so cosa ha fatto per meritarsi un posto qui.” disse con la sua solita pacatezza, mentre i suoi occhi attenti scrutavano la sala.

Ma non sapeva cosa avesse rappresentato Jamaal per lei. Seppur breve, il loro era stato un rapporto di affetto e stima reciproca, e vederlo morire in quel modo senza poter fare nulla l’aveva fatta sentire doppiamente responsabile, visto che aveva corso il rischio di infiltrarsi nel castello proprio per salvare Cedric. Si era sacrificato per un perfetto sconosciuto, che un altro al suo posto avrebbe considerato un rivale. Questo era Jamaal. -Quello che nessuno di voi sarà mai- pensò con disprezzo. “Scommetto che Nickolaij sia molto fiero di avere un traditore Jurhaysh tra i suoi.” commentò allora, in vena di provocazioni. 

Tuttavia, Dustin non ne sembrò toccato. “Sua signoria ha sempre scelto i propri alleati esclusivamente in funzione di ciò che è meglio per la Congrega e quello con Tareq non è nient’altro che questo: un legame strategico. La sua esperienza in campo avversario è stata molto utile e lo sarà in futuro.”

“E questa gente?” insistette Claire, accennando agli invitati presenti in sala. È altrettanto entusiasta che lui sia qui? Sembrano piuttosto snob…”

“In effetti, ci sono diverse personalità di spicco del mondo della politica e dell’alta finanza. Rientrano tutti fra le alleanze strategiche di cui ti parlavo.” confermò Dustin.

-Ecco come fa a portare avanti il suo piano senza che nessuno lo ostacoli- dedusse Claire colpita. Prometteva la vita eterna a governanti e magnati, ottenendo in cambio campo libero per i suoi progetti di conquista e la cosa assurda era che il mondo fosse pieno di gente pronta ad assecondarlo pur di vivere per sempre. 

“Ad ogni modo, nessuno di loro può vantare potere decisionale sulla Congrega. L’unico a comandare qui è Sua signoria e se Lui considera Tareq una risorsa preziosa, tutti gli altri devono adeguarsi.”

“Praticamente una dittatura.” ne concluse lapidaria. “E a voi sta bene?”

La sua era l’ennesima provocazione, a cui però Dustin non abboccò, anche se forse Claire riuscì a intravedere un lievissimo barlume di dubbio nel suo sguardo sfuggente. Ma durò un attimo, perché la loro attenzione fu subito attirata dal ritorno di Nickolaij, che ora si dirigeva verso di lei. 

“Mia cara, eccoti.” Rivolse a malapena un’occhiata al suo segretario e all’inchino che gli dedicò prima di congedarsi e le porse la mano, per poi guidarla verso la grande balconata che dava sul giardino. 

Era di nuovo sola con lui e ogni volta questo le faceva salire l’ansia, così ispirò profondamente e volse lo sguardo al panorama davanti a sé per tentare di distrarsi. Da quella posizione riusciva a vedere la foresta che circondava il castello e anche il prezioso roseto di Nickolaij. La luce della luna illuminava il tutto e per la prima volta si rese conto di quanto quel posto avrebbe potuto essere meraviglioso. Era davvero una magnifica serata, il cielo era limpido e costellato di stelle e, per quanto fosse ormai inverno inoltrato, Claire non aveva freddo, nonostante indossasse un abito che le lasciava parte delle spalle e del petto scoperti. L’aria fredda della notte non le dava nessun problema e l’unico segnale da cui si intuiva la bassa temperatura erano le nuvolette di condensa che fuoriuscivano dal naso ogni volta che respirava. 

Anche Nickolaij era in contemplazione, ma non del paesaggio. “Sei bella oltre ogni dire.” esordì di lì a poco, sistemandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio, e solo allora Claire si accorse che la stava fissando da diversi minuti.

Imbarazzata, abbassò gli occhi sulla balaustra. “Sì, beh… Se non fosse stato per l’aiuto di Gina e Pauline…”

“Non sottovalutare la tua bellezza.” la interruppe deciso. “Saresti meravigliosa anche senza tutti questi inutili orpelli.” 

Lei allora, non sapendo come replicare, ricambiò il suo sorriso e tornò a guardare il panorama. In quanto donna, ricevere tanti complimenti da un uomo così affascinante avrebbe dovuto lusingarla, invece le provocava solo un insopportabile senso di ribrezzo.

“Ho preso una decisione.” esordì Nickolaij di punto in bianco, attirando di nuovo la sua attenzione, per poi guardarla intensamente negli occhi. “Voglio fare di te la mia sposa.”

La prese talmente alla sprovvista, che le sembrò di sentire il cuore fermarsi. “Cosa?” riuscì a stento a sussurrare. Un brivido freddo le corse lungo la schiena e sentì di stare per avere un’altra crisi.

“Ti sembrerà azzardato, me ne rendo conto. In realtà, è da molto tempo che rifletto sul proposito di ufficializzare la nostra unione.” continuò lui, interpretando erroneamente la sua reazione come positiva. “Averti al mio fianco per l’eternità è il dono più grande che tu possa farmi.”

Claire, però, aveva già smesso di ascoltarlo. Con la testa ormai del tutto annebbiata, cercava di convincersi che non poteva trattarsi di altro se non di un incubo. Era assurdo pensare che facesse sul serio. Un conto era accettare di essere il suo burattino, ma sua… moglie! No. Non l'avrebbe permesso.

“Darò l’annuncio dopo il brindisi in mio onore.” la informò entusiasta, mostrando un’insolita indifferenza verso il suo evidente stato confusionale.

“Ma… io…” farfugliò Claire, ma lui non la stava a sentire, preso com’era dai suoi deliri.

“Da quando ti ho messo al corrente del mio segreto, ho capito che posso fare affidamento su di te. Tu riesci a comprendermi come nessun altro riusciva a fare da secoli.”

Continuava a blaterare cose insensate, perso nel suo mondo, mentre lei si sentiva sprofondare sempre più in un baratro senza fine. Il cuore le batteva forte come un tamburo e mille pensieri si affollavano nella sua testa, tanto che a un certo punto il mondo intorno prese a girare e per poco non svenne.

Nickolaij se ne accorse e subito la sorresse. “Mia cara, sono qui.”

Claire si tenne salda alla sua mano, stringendo con l’altra il parapetto del balcone. Non poteva lasciare che quello squilibrato la incatenasse a lui per l’eternità. Doveva andarsene e doveva farlo il più in fretta possibile, ma il suo piano di fuga non aveva neanche preso forma. Le serviva più tempo! 

“Non so che mi prende stasera…” mentì, cercando di contenere il panico. 

“È colpa mia. Non ti eri ancora ripresa dalla crisi precedente e la novità del matrimonio deve averti colto di sorpresa.”

-Non sai quanto- pensò tra sé.

“Vostra signoria.”

L’arrivo provvidenziale di Dustin distolse Nickolaij dalle sue morbose attenzioni, tirandola fuori da quella situazione agghiacciante. 

“Gli ospiti chiedono di voi, in sala vi attendono tutti per il brindisi.” lo informò, solerte come sempre.

Con un cenno del capo Nickolaij gli fece intendere di aver capito; poi si rivolse di nuovo a lei. “Vogliamo andare?” la esortò.

Claire deglutì a fatica, sudava freddo e non sapeva bene cosa rispondere. Alla fine, forse per disperazione, riuscì a ricomporsi e sfoderare uno dei suoi sorrisi migliori. “Ti raggiungo tra un minuto. Non vorrei alimentare altri pettegolezzi, visto il mio stato.” Con quella scusa sperava di toglierselo dai piedi e funzionò, perché Nickolaij le sorrise accondiscendente, prima di raggiungere Dustin, che lo stava aspettando da fedele cagnolino.

Sicura che ormai non potessero vederla, Claire si portò una mano tremante al viso e chiuse gli occhi. Ancora una volta si chiese perché le stava capitando tutto questo e come aveva fatto la situazione a degenerare fino al quel punto. Moglie di quel mostro sanguinario… Non riusciva neanche a pensarlo senza avere le vertigini. 

L’improvviso gracchiare di un grosso corvo la fece trasalire. Si voltò di scatto e mentre lo guardava volare via, un pensiero le trapassò la mente come un lampo. Doveva andarsene da quel posto, adesso. Così, senza pensarci due volte, si tolse le scarpe e le lanciò di sotto; dopodiché raccolse il coraggio e saltò giù dalla balconata.

L’altezza era notevole e quando atterrò finì col rotolare nell’erba a causa dell’impatto, ma grazie alla sua nuova natura non si fece nemmeno un graffio. Fosse stata ancora umana, di sicuro ci avrebbe rimesso qualche osso. Una volta in piedi, strappò con un unico gesto la gonna ingombrante e iniziò a correre verso la foresta, senza guardarsi indietro.

Ripensandoci, era stata un’idea avventata, disperata, molto pericolosa e poteva solo immaginare cosa le avrebbe fatto stavolta Nickolaij se l’avesse scoperta, ma non le importava. –O la va o la spacca!- 

Era passato un po’ di tempo, ma più o meno ricordava che da quelle parti doveva trovarsi il portale nel pozzo, solo che una volta inoltratasi nella foresta le direzioni le sembravano tutte uguali e orientarsi fu più difficile del previsto. Il panico iniziò a farsi strada dentro di lei, aveva paura di sbagliare e finire chissà dove. Imprecò e prese il primo sentiero che aveva davanti. Non poteva fermarsi. Ormai qualcuno doveva essersi accorto della sua assenza e perdere tempo a scegliere la direzione giusta sarebbe stato controproducente.

Continuò a correre a perdifiato, finché non si trovò davanti a un nuovo bivio. “Maledizione!” Non aveva la minima idea di dove fosse quel maledetto pozzo, tantomeno di dove si trovasse lei. 

All’improvviso avvertì dei fruscii alle sue spalle e si irrigidì, i sensi all’erta. Riconobbe distintamente un rumore di passi tra le foglie e l’angoscia aumentò. Che Nickolaij avesse già mandato qualcuno a riprenderla? Plausibile, ma stavolta non si sarebbe lasciata catturare senza opporre resistenza. Così, senza starci a pensare oltre, scelse di nuovo un sentiero a caso e riprese a correre. 

Più si addentrava nella foresta, più gli alberi si infittivano, impedendo ai raggi di luna di illuminarle il cammino. Non che fosse un problema. Da vampiro riusciva a vedere benissimo anche in quelle condizioni sfavorevoli e per una volta fu grata del suo stato. Sperava solo di aver messo un po’ di distanza tra lei e i suoi inseguitori, ma i fruscii alle sue spalle la smentirono. Non accennavano a diminuire, anzi sembrava si facessero sempre più vicini. 

Di lì a poco, infatti, un gruppo di vampiri sbucò dal nulla e la circondò, togliendole ogni via di fuga.

“Passeggiatina notturna, madame?” la schernì uno di loro con un leggero accento francese, facendo ridacchiare gli altri. 

Non tutti però erano in vena di risate. Un vampiro le si fece più vicino, aveva un cipiglio marcato e l’aria di uno che non amava divertirsi. “Deve venire con noi. Sua grazia la sta aspettando al castello.” ordinò in tono minaccioso.

Claire però non si lasciò intimorire, troppo impegnata a ragionare su come sfuggire a quei tirapiedi. D’un tratto individuò una scappatoia tra un paio di loro e pensò di potercela fare, magari con un diversivo… 

“Va bene, mi avete presa. Verrò con voi.” Alzò le mani in segno di resa e quando il vampiro accigliato provò a prenderla per un polso, lei gli mollò un calcio in mezzo alle gambe e lo spinse con tutta la forza che aveva contro i compari alle sue spalle, che presi alla sprovvista caddero a terra.

Approfittando del parapiglia, provò a correre via, ma aveva fatto male i conti e venne placcata da altri due vampiri che furono più veloci di lei. Urlò, si divincolò con ferocia e non si arrese nemmeno mentre la trascinavano di nuovo al castello, ma non c’era modo di uscire da quella situazione.

Si calmò soltanto quando, alzando lo sguardo vide che Nickolaij la stava aspettando in giardino, proprio sotto la balconata, e accanto a lui c’era Jason. – Che ci fa qui?- si chiese basita.

I vampiri la spinsero con malagrazia in ginocchio davanti al loro padrone, rimanendo comunque dietro di lei per impedirle di fuggire.  

“Sono molto deluso da te, Claire.” esordì Nickolaij in tono freddo, completamente diverso da quello amorevole che aveva usato fino a quel momento per rivolgersi a lei. “Sebbene il giovane Jason mi avesse messo in guardia su un tuo possibile colpo di testa, speravo si trattasse di un malinteso e che non avessi realmente intenzione di lasciarci.”   

La sua voce però risuonava nelle orecchie di Claire come ovattata, talmente era furiosa con Jason per averla pugnalata alle spalle. “Bastardo! Noi eravamo amici…” In preda alla rabbia, fece per alzarsi e riempirlo di botte, ma uno dei vampiri la colpì a una gamba, facendola ripiombare a terra. 

Nickolaij, rimasto impassibile, ignorò la cosa e continuò il suo discorso. “Dopo averti parlato, è corso nel mio studio a riferirmi di come il viaggio in America ti avesse turbata. Eri così preoccupata per la tua famiglia che temeva potessi commettere una sciocchezza. Così ho deciso di metterti alla prova, nella speranza che dopo essermi aperto con te avresti condiviso i miei sentimenti e rinunciato ai tuoi propositi. Ora, invece, mi rendo conto di essermi illuso.”

Claire, dolorante, si puntellò sui gomiti e alzando la testa gli riservò uno sguardo carico di disprezzo. “Quindi la storia del matrimonio era solo un test?”

“In parte sì. Volevo vedere come avresti reagito. Ho voluto offrirti l’occasione di diventare la mia sposa e condividere con me il potere. Tu però mi hai umiliato, gettando la mia proposta al vento.” Malgrado l’espressione di fredda insensibilità dipinta in volto, non riuscì a nascondere un velo di delusione.

Per tutta risposta Claire rise, una risata isterica. “Come hai potuto anche solo pensare che avrei accettato di sposarti? Sei un mostro, un pazzo legato a un passato che non esiste più! Pensi ancora che io sia Elizabeth? Te l’ho detto non so quante volte, io non sono lei! Non lo sarò mai! Elizabeth è morta e sei stato tu a ucciderla. Mi fai schifo!” urlò piena di tutta la rabbia e l’odio repressi in quelle settimane.

“Come osi?” Jason alzò un braccio pronto a colpirla, ma Nickolaij lo fermò; poi fece un cenno ai suoi uomini, che subito la tirarono in piedi.

La sua insolenza doveva averlo fatto davvero infuriare, perché le si avvicinò con aria minacciosa e Claire, impaurita ebbe l’istinto di ritrarsi, ma era bloccata. Nickolaij le afferrò il mento tra le dita, costringendola a guardarlo. “Sono stato fin troppo paziente con te, ragazzina.” mormorò a denti stretti. “Ho cercato di portarti dalla mia parte in maniera gentile, ma a quanto pare sei più ostica di quello che pensavo, quindi è arrivato il momento di cambiare strategia.” La lasciò andare e voltandole le spalle si avvicinò a Jason. “Vedi, se c’è una cosa che non ho mai sopportato è la slealtà…” disse sempre rivolto a lei, anche se i suoi occhi erano puntati sul ragazzo. 

Nessuno dei presenti, neanche i suoi scagnozzi, avrebbe mai potuto prevedere ciò che sarebbe successo di lì a poco. Con un movimento rapidissimo e preciso del braccio, Nickolaij trafisse il petto di Jason come fosse burro, strappandogli via il cuore, e in quel preciso istante il mondo si fermò. 

Fu come trovarsi dentro a una scena a rallentatore, congelata nel tempo. Claire vide il corpo del suo migliore amico afflosciarsi sull’erba al pari di una marionetta a cui avevano tagliato i fili. 

Quando il tempo riprese il suo corso, Claire urlò. Urlò disperata con tutto il fiato che aveva in gola, il viso inondato dalle lacrime. Jason era morto. Era morto davanti a lei, senza che potesse fare niente per impedirlo.

Ansante per lo sforzo, Nickolaij gettò via l’organo pulsante con sufficienza, riportando l’attenzione su di lei. “Ricorda bene questo momento, Claire. Questa è la fine che faranno tutti coloro che ami se cercherai ancora di scappare.” l’ammonì. “Puoi credermi, li troverò e li ucciderò uno a uno davanti ai tuoi occhi, se sarà necessario.”

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Capitolo 21
*** Fuori controllo ***


Capitolo 14

 

Fuori controllo


Caro Diario,

finalmente sono riuscita a trovare un po’ di tempo da dedicarti, dopo giorni di puro delirio. Dalla nostra fuga da Roma non ho avuto un minuto libero da trascorrere in pace e ti confesso che mi è mancato molto. 

Per l’ennesima volta dall’inizio di questa folle avventura mi sono ritrovata in un contesto che non mi appartiene e mi ci è voluto un po’ per ambientarmi. In realtà, tuttora non posso dire di esserci riuscita completamente. Ogni volta che ci ripenso stento ancora a crederci. Siamo in Scozia, a migliaia di chilometri da casa, e spesso mi capita di chiedermi se mai ci tornerò. Greenwood mi manca, mi manca la routine della mia vecchia vita, ma più di qualunque altra cosa mi manca la mia famiglia…

Comunque cerco di non pensarci, soprattutto mentre ti scrivo o rischio di bagnare le pagine e combinare un disastro. 

Proprio non riesco ad abituarmi a questi continui spostamenti. A Roma, prima di essere costretti ad andarcene, mi ero quasi illusa che saremmo rimasti lì e invece a quanto pare siamo destinati a non trovare mai pace. Ora ho paura che possa accadere di nuovo, ho paura che in qualsiasi posto ci nascondiamo non saremo mai veramente al sicuro. 

Ogni volta che mi allontano dal cottage ho l’ansia che qualcuno mi spii o mi pedini. Ogni tramestio, ogni fruscio mi fa trasalire. Mi sento così dall’incontro con quei vampiri sul treno. Ho costantemente il terrore che capiti di nuovo e che stavolta possa ritrovarmi da sola. Per questo volevo che Dean mi insegnasse a combattere, per non dover più dipendere da lui o da chiunque altro. Purtroppo, però, non avevo fatto i conti con la mia avversione per la violenza, anche se usata solo come arma di difesa. Se pensi che mi sento ancora in colpa per aver colpito quel vampiro con l’estintore… Lo ammetto, ho dei seri problemi. Eppure è più forte di me.

Comunque, al di là delle mie solite paturnie, la convivenza in casa di Margaret procede abbastanza bene… Se non conti i frequenti battibecchi tra Dean e Cedric, oltre a quelli tra Mark e Rachel. Sarà forse perché siamo qui ormai da più di due settimane e di lei si avverte a malapena la presenza. Compare giusto per i pasti, il tempo di mangiare qualcosa (molto poco in effetti) e la sera va subito a dormire stanca morta. Lei e Margaret se ne stanno chiuse tutto il giorno in laboratorio, immagino a esercitarsi con la magia (fatico ancora a crederci mentre lo scrivo), e non ci sarebbe niente di male, se non fosse che, conoscendo Ray, quando si mette in testa una cosa si impegna anima e corpo per raggiungere l’obiettivo. A volte anche troppo, a dire la verità. 

Ho l’impressione che si stia sfinendo e capisco che lo faccia per Claire, ma temo che come spesso accade non riesca a fermarsi, a capire quando è il momento di prendersi una pausa. Anche Mark sembra averlo notato, per questo le discussioni tra loro si sono fatte più frequenti e animate da qualche tempo. Rachel continua a ripetergli di non preoccuparsi, di lasciarla fare, ecc., quando è chiarissimo a tutti che dovrebbe allentare il ritmo. Io stessa ho provato a tranquillizzarlo, a spiegargli che è fatta così, ma in ogni caso condivido la sua ansia. Anzi, mi piacerebbe trovare il tempo e il modo di parlarne anche con lei, se solo riuscissi a incrociarla da sola nello stesso posto e per più di cinque minuti.

Per fortuna, almeno ho potuto sfogarmi con Dean. Già, hai capito bene. Da quando ci siamo chiariti mi è stato molto vicino, più di quanto avrei mai potuto immaginare. È stata la prima volta che abbiamo avuto una conversazione normale, da coppia normale e quasi non mi è sembrato vero. Avevo un problema, gliene ho parlato e lui da bravo fidanzato (Oh, mio Dio…) ha saputo consolarmi. 

In questi giorni abbiamo avuto modo di trascorrere del tempo insieme ed è stato piacevole scoprire quanto riesca a essere comprensivo. Ad esempio, l’altra sera abbiamo fatto una passeggiata e l’ho portato alla serra, in un angolino appartato in mezzo a fiori e piante aromatiche che ho scoperto accompagnando Ayris una volta. Beh, non ci crederai ma abbiamo fatto mattina confidandoci pensieri e preoccupazioni. È rimasto ad ascoltarmi, mostrandosi interessato a ogni cosa che dicevo, e da allora è diventato un appuntamento fisso, qualcosa di solo nostro, grazie a cui siamo riusciti a conoscerci più a fondo. Ora capisco molto di più di lui, anche per via di quello che mi ha raccontato sul suo passato e su ciò che ha vissuto in un’epoca così lontana dalla mia, e adesso molti lati del suo carattere mi appaiono meno oscuri… Anche il suo modo di porsi, diverso dalla mattina durante l’allenamento alla sera quando siamo soli, non mi suscita più tanta sorpresa. Riesce a essere severo, ma anche sensibile, a seconda delle occasioni, e questo penso sia dovuto alle sue esperienze. È evidente che non gli faccia piacere parlarne, ma il solo fatto che con me riesca ad aprirsi un po’ di più mi dà speranza. Forse ho un futuro nella psicanalisi. 

Ciò non significa che questo suo dualismo non provochi in me sentimenti contrastanti. Ci sono volte in cui vorrei solo mandarlo a quel paese, mentre altre…

L’immagine di noi due avvinghiati in cucina non fa che tornarmi in mente e vorrei tanto riprendere l’argomento da dove l’abbiamo lasciato. Dean però sembra restio, o almeno non ne ha più parlato di sua iniziativa, quindi evito di insistere. 

Se solo la piantasse di trattarmi come una bambola di porcellana…

 

La penna stava ancora scorrendo sulla pagina, quando lo sfogo di Juliet fu interrotto proprio dall’oggetto dei suoi ragionamenti.

“Eccoti.”

La voce di Dean esordì all’improvviso e subito dopo lui sbucò dalla porta di accesso al ballatoio del mulino, su cui si era rifugiata per avere un po’ di privacy. Colta di sorpresa, trasalì, richiudendo di scatto il diario, quasi avesse paura che riuscisse a leggerlo anche da quella distanza. 

“Ehi.” rispose, fingendosi disinvolta. “Come sapevi che ero qui?” Era una domanda sciocca, lo realizzò subito, ma fu la prima cosa che le venne in mente.

“Non lo sapevo, però Mark ha detto che eri uscita e che sembravi diretta al mulino.” spiegò, per poi avvicinarsi. “Non hai freddo quassù?”

Mentre si alzava dal pavimento, Juliet fece spallucce e gli sorrise, contenta che fosse già tornato. Dopo pranzo lui e Ayris erano andati in città per fare rifornimento di viveri e altre commissioni. “Avete trovato tutto?” Decisa a insegnare alla ragazza le basi della cucina, le aveva dato una lista di ingredienti da comprare e, con sua sorpresa, Dean si era offerto di accompagnarla. 

“Sì, non è stato difficile.” 

“E non hai notato niente di sospetto? Sicuro che non vi abbia seguito nessuno?” Il tono con cui lo chiese era carico d’ansia e non si sforzò neanche di nasconderla. 

Dean lo percepì all’istante, così la attirò a sé con un braccio e la baciò con delicatezza sulla fronte, per poi guardarla di nuovo negli occhi nel modo più rassicurante possibile. “Sta tranquilla. È andato tutto liscio.” le disse, praticamente in un sussurro.

Dall’altra parte, Juliet avvertì il solito tuffo al cuore tornare puntuale, ma cercò di ignorarlo, limitandosi ad annuire e a sorridergli con aria un po’ imbambolata. Quando le rivolgeva quello sguardo serio e innamorato avrebbe potuto credere a qualunque cosa le avesse detto. 

Poco dopo lo vide portarsi una mano alla tasca e lo scrutò confusa.

“Ho una cosa per te.” la avvertì. “Girati.”

Chiedendosi cosa avesse in mente, Juliet si voltò, aspettandosi qualche spiegazione. Lo sentì spostarle i capelli da un lato, poi il freddo del metallo sulla pelle le provocò un leggero brivido. Quando tornò a guardare, si accorse che le aveva allacciato al collo una catenina d’argento con appeso un ciondolo a forma di stella a quattro punte. Colta subito da un presentimento, si girò di scatto a guardarlo.

Dean ridacchiò. “Non temere, non l’ho rubata.” chiarì, leggendole nel pensiero.

“E allora come…”

“Ho venduto il cellulare a un banco dei pegni. Tanto ormai era inservibile.” Ci pensò su. “La somma ricavata era discreta, così ho pensato con una parte di farti un regalo.” spiegò, prima di assumere tutto a un tratto un’espressione incerta. “Non ti piace?”

Preoccupata che potesse fraintendere la sua reazione, Juliet si affrettò a scuotere la testa. “No, no! La adoro, è stupenda. Solo che…” tentennò. “Non ce n’era bisogno, ecco.” La metteva un po’ a disagio il pensiero che si fosse sentito in obbligo di spendere soldi per lei, magari per via dei loro recenti diverbi. Ormai aveva deciso di superare il problema, non serviva che le dimostrasse chissà cosa.

A quel punto, Dean assunse un’aria più seria del solito. “Io ne sentivo il bisogno. Volevo donarti qualcosa che rappresentasse ciò che provo per te.” disse diretto. 

Quella frase era qualcosa di molto vicino al ti amo che non le aveva più detto dalla prima volta nel deserto e a Juliet non poté che fare piacere. “E perché proprio una stella polare?” gli chiese interessata.

La domanda gli diede da pensare e Dean esitò un istante prima di rispondere. “Perché quando sentivo la tua mancanza ho fatto come mi avevi detto, ho guardato le stelle e la stella polare è la più luminosa. Grazie ad essa chi si perde ritrova la strada e questo mi faceva sperare che prima o poi ci saremmo riuniti.” 

L’imbarazzo lo travolse mentre parlava ed era palese lo sforzo titanico che stava compiendo per tirare fuori ciò che sentiva; così Juliet, con il cuore che batteva all’impazzata, gli andò in soccorso mettendolo a tacere con un bacio. Ecco perché aveva tanto insistito per accompagnare Ayris, nonostante tutti i pericoli che avrebbe comportato. Aveva già in mente di trovare un modo per farle quel regalo. Bastò questo a mandarla completamente in brodo di giuggiole.

Per un po’ si godettero il bacio, persi l’uno nell’altra; poi i suoi occhi di ghiaccio tornarono a guardarla e Juliet sorrise, tenendo il ciondolo tra le dita. “Mi piace tantissimo, grazie.” 

Lui ne sembrò soddisfatto e per qualche altro istante non fecero altro che restare abbracciati a studiarsi. 

Alla fine le sfiorò un’ultima volta la guancia, prima di schiarirsi la gola e ritrovare il consueto contegno. “Sarà meglio scendere ora. Dobbiamo approfittare delle poche ore di luce rimaste per allenarci.” disse tutto composto. 

Juliet però non si lasciò incantare. Anzi, ormai trovava perfino divertenti quei suoi repentini cambi di atteggiamento. Era buffo quando cercava di non sembrare troppo preso dalla situazione. Al settimo cielo per la felicità, annuì sorridente, per poi dirgli di precederla e che lo avrebbe raggiunto subito.

Rimasta sola, riaprì al volo il diario e scrisse di getto:

 

Caro Diario,

dimentica tutto quello che ho scritto nelle ultime righe. Lo amo.

 

-o-

 

Quando l’acqua calda nel bollitore iniziò a brontolare, Juliet lo tolse dal fuoco e ne versò la maggior parte dentro un thermos, dove già da prima aveva messo alcune bustine di tè in infusione. Era rimasta sola quella mattina, visto che i ragazzi erano fuori ad allenarsi, Ayris era sempre in giro e Rachel aveva lasciato il cottage più presto del solito per rintanarsi in laboratorio insieme a Margaret. La sera prima era riuscita a scambiarci due parole prima di andare a letto e le aveva raccontato di stare facendo progressi. Ora era in grado di padroneggiare molto meglio il suo elemento, l’aria, e in maniera discreta anche gli altri, perciò Margaret aveva stabilito che fosse finalmente arrivato il momento di introdurla nell’affascinante mondo delle pozioni.

Per quanto fosse contenta per l’amica, Juliet tuttavia avrebbe voluto parlare anche di altro. Dell’improvvisa e inaspettata decisione di Dean di farle un regalo, ad esempio. Lei stessa faticava ancora a razionalizzare la cosa e non smetteva più di toccare il ciondolo che portava al collo ormai da giorni. Non se ne separava mai, era diventato parte di sé. Ben presto, però, si era resa conto che quella fosse una scemenza in confronto a tutto il resto, così era rimasta ad ascoltarla per lo più annuendo interessata. Anche perché Rachel era talmente presa da non accorgersi nemmeno della collana. 

Il tè era pronto, quindi tolse le bustine usate dal thermos e lo richiuse per assicurarsi che mantenesse il calore. Quel giorno faceva più freddo che mai e aveva pensato di portare ai ragazzi qualcosa per scaldarsi un po’, ammesso che ne avessero davvero bisogno con tutto il sudore che Dean faceva loro versare ogni volta.

Dopo essersi coperta per bene, si avviò alla porta sul retro, ma poco prima di varcare la soglia sentì qualcuno parlare a voce alta in modo concitato e affrettò subito il passo. 

“Figuriamoci, non mi permetterei mai di replicare a un ordine del capo.” stava dicendo Cedric, chiaramente arrabbiato.

Juliet vide Dean incrociare le braccia e fissarlo dritto negli occhi, prima di ribattere. “Okay, senti... Io e te non siamo mai andati d’accordo e questo è assodato. Ora, però, mentre io mi sono sempre sforzato di convivere pacificamente, non mi sembra che tu stia facendo lo stesso.” Il tono che usò era risoluto, come se cercasse ancora di evitare che la situazione degenerasse. 

Una volta da loro, l’unico sguardo che Juliet incrociò fu quello di Mark, che era quasi disperato. 

“E hai pensato che così facendo saremmo diventati amiconi?” proseguì Cedric ironico.

“Certo che no. Ho semplicemente creduto che avessimo deciso di tollerarci a vicenda almeno per il tempo che saremo costretti a passare insieme.”

Lui si lasciò sfuggire una risata di scherno. “E io dov’ero quando lo abbiamo deciso? Sotto anestesia?”

“Ehi! Si può sapere che vi prende? Cos’è successo?” si intromise a quel punto Juliet, cercando di capirci qualcosa.

Finalmente Dean la guardò. “Succede che Cedric non ha il coraggio di ammettere che tutte le sue continue critiche nei miei confronti sono dovute a un’unica ragione.” 

“Non puoi permetterti di fare la vittima.” replicò Cedric, mentre cercava a modo suo di contenere la rabbia. “Non dopo avercene fatte passare di tutti i colori. La verità è che hai distrutto le nostre vite. Per non parlare di quello che hai fatto a Claire…”

A quel punto, Dean annuì, scuotendo la testa e sogghignando divertito. “Ecco qua, ci siamo. L’hai detto finalmente.”

“Dean…” provò ad ammonirlo Juliet, prima che Cedric le parlasse sopra.

“Sì, lo ammetto. Il problema di fondo è sempre lo stesso. Ti avevo avvertito che non sarei mai riuscito a perdonarti e non lo farò. Non voglio farlo. Se Claire non è qui, la colpa è solo tua.” 

“È vero e me ne assumo la piena responsabilità.” riconobbe Dean. “Tuttavia, mi sembra che da quando è accaduto nessuno di voi si sia fermato un attimo a cercare di capire le mie ragioni. Credi che se non l’avessi morsa avrebbe rinunciato a consegnarsi? Beh, ti assicuro che non è così. Lo avrebbe fatto comunque e allora sì che sarebbero stati guai. Quindi tra i due mali ho scelto quello minore, permettendo sia a te che a lei di restare vivi. È un dettaglio che ti sei guardato bene dal considerare.”

“Hai ragione, scusa. Mi sono dimenticato di ringraziarti.” replicò lui sarcastico.

Lo sguardo di Dean rimase di ghiaccio. Il fatto che Cedric lo stesse prendendo in giro non faceva che fargli salire la bile ogni secondo di più. “Non me ne faccio niente della tua gratitudine. Voglio solo chiarire questa storia una volta per tutte.” Dopodiché disse qualcosa di inaspettato, tanto da far scendere il silenzio per qualche istante. “Perciò ti propongo una soluzione: se ti fa sentire meglio, picchiami. Avanti.”

Perfino Cedric si ammutolì, preso in contropiede da quell’uscita, ma niente in confronto all’espressione scioccata di Juliet. 

“Ma che stai dicendo?” boccheggiò incredula. Gli aveva dato di volta il cervello?

Dean però sembrava serissimo. Il suo cipiglio determinato non lasciava spazio a dubbi. “Con lui è l’unico modo di trattare.” le disse rapido, per poi tornare su Cedric, invitandolo a farsi avanti. “Forza, dammi un pugno. Non opporrò resistenza.” insistette.

“Dai ragazzi, adesso fatela finita.” Dal tono Mark era preoccupato quanto lei e con molta probabilità pronto a frapporsi tra i due in caso Cedric avesse deciso di assecondare la richiesta.

Ovviamente entrambi lo ignorarono, troppo presi a studiarsi a vicenda.

“Andiamo, di che hai paura?” continuò Dean imperterrito.

“La vuoi smettere?” lo riprese lei. Che diavolo gli era preso? Tutta quella voglia di fare a botte era insolita da parte sua. Il suo sguardo saettò allarmato verso Cedric, per controllarne la reazione. Dopo lo spaesamento iniziale, ora sembrava che stesse valutando la proposta con un certo interesse, tanto che la mascella gli si contrasse pericolosamente e le dita della sua mano destra si chiusero a pugno, come se avesse davvero intenzione di colpirlo.

“Ced…” tentò Mark di nuovo.

Lui allora parve sentirlo, anche se non reagì subito. Rimase così ancora per un po’, incerto sul da farsi; poi spostò per la prima volta lo sguardo su Juliet e fu quella la spinta decisiva. Si rilassò e le dita tornarono a distendersi. “Non c’è gusto se sei tu a chiederlo.” sentenziò infine, fissandolo con astio. Era palese che lo odiasse ora più che mai. Detto ciò, voltò le spalle a tutti e si diresse verso il portico, sparendo poco dopo in casa.

Mark non impiegò molto a seguirlo, così che per un momento Juliet e Dean rimasero soli là fuori. Lei si accorse che la stava guardando, probabilmente in cerca di un appiglio per attaccare con le solite spiegazioni, ma non gliene diede la possibilità. Senza rivolgergli la parola, si strinse nel cappotto e si avviò di nuovo dentro, lasciandolo in compagnia dei suoi tormenti interiori. 

A renderla furiosa non era stato tanto il suo tentativo di provocare una rissa, anche quello certo, ma non quanto il fatto che l’avesse del tutto ignorata quando gli aveva detto di smetterla. Più tardi gli avrebbe chiesto come gli fosse venuto in mente di risolvere i suoi problemi con Cedric in quel modo così idiota. Si era comportato da immaturo, il perfetto esempio di maschio medio tutto muscoli e niente cervello che non aveva mai dimostrato di essere. Per fortuna, almeno Cedric aveva avuto il buon senso di non assecondarlo. –E tanti cari saluti all’emozione da regalo romantico- pensò indispettita. La condizione da fidanzati innamorati era durata fin troppo per i loro standard. 

Una volta in salotto, il primo impulso fu quello di lasciar perdere, ma cambiò idea nel giro di due secondi. Doveva vederci chiaro. “Ma che vi è preso stamattina? Perché avete iniziato a discutere?” chiese a Cedric di getto. 

Lui si abbandonò in maniera poco elegante sul divano. “Il signorino deve essersi svegliato di malumore oggi.” replicò, alludendo a Dean. 

“Non mi sembra che a te sia andata meglio.” osservò Mark per tutta risposta. 

“Non credo proprio. Io ho dormito benissimo.” 

Ignorando l’ironia, l’amico sospirò, incrociando le braccia. “Andiamo Ced, non verrai a dirmi che ha iniziato lui. Sono giorni che non perdi occasione per provocarlo.”

Cedric assunse un’espressione fintamente addolorata. “Poverino, chissà come dovrà sentirsi.” 

“Potresti anche fare uno sforzo ed evitare di litigarci ogni cinque minuti.” 

A quel punto, lui smise di scherzare e lo guardò più serio che mai. “Non mi pare che si sia fatto tanti scrupoli quando ha lasciato che Claire si consegnasse a quello psicopatico, perciò non dire a me di fare uno sforzo. E poi tu da che parte stai?” 

Mark sospirò di nuovo, prendendo a fissare il pavimento. “Dalla parte di nessuno. Sto solo cercando di farvi ragionare.”

Evitando di rispondergli, Cedric distolse lo sguardo e imbronciato si mise a contemplare il nulla fuori dalla finestra. 

Per qualche istante calò il silenzio, finché Juliet non si sentì in dovere di intervenire. “Ascolta, Ced. L’ultima cosa che voglio fare è difenderlo, le sue azioni non hanno scusanti e sono io la prima a dirlo. Però, credimi, sa di averci ferito. Si sente in colpa e sta facendo di tutto per dimostrarcelo.” 

“Potrebbe anche inginocchiarsi sui carboni ardenti, per quanto mi riguarda. Non cancellerà quello che ha fatto.” replicò Cedric, senza arretrare di un millimetro. “Se credete che io possa dimenticare quella notte e andare avanti come se niente fosse, vi sbagliate di grosso.” 

Sia nella sua voce che nello sguardo, Juliet percepì una sofferenza che non vedeva da un po’ e che pensava si fosse affievolita, quando in realtà non l’aveva mai lasciato.

“Nessuno te lo sta chiedendo, ma non penserete di continuare così in eterno. Dovrete trovare un punto d’incontro, prima o poi.” disse Mark paziente.

“Un punto d’incontro, certo…” Le labbra di Cedric si piegarono in un ghigno amaro. “Sentite, non pretendo che capiate. Per tutto il tempo passato in quel buco di tre metri per quattro non ho fatto altro che ripensare a quell’occasione sprecata. Davo per scontato che presto o tardi sarei morto e l’idea di non essere riuscito a dirle…” 

Su quella frase si interruppe, sopraffatto da un misto di rabbia e frustrazione. Strinse il pugno sulla gamba così forte da far sbiancare le nocche e Juliet avrebbe potuto giurare che in quel momento si sarebbe volentieri alzato per andare da Dean e picchiarlo sul serio. Anzi, probabilmente prima si era trattenuto solo perché lei era presente. Per la prima volta da quando lo avevano salvato lo vide davvero perso, in balia degli eventi forse anche più di loro. Era chiaro come il sole che amasse Claire più di ogni altra cosa e che perderla era stato uno shock davvero terribile. 

Colma di tristezza, gli si sedette accanto, poggiando la mano sulla sua per infondergli un minimo di calore umano. 

Cedric non si ritrasse. “Neanche il tempo di realizzare che l’avrei rivista e si stava allontanando di nuovo. Mi sono sentito così inutile e mi ci sento ancora.” si sfogò, la voce malferma come se cercasse di impedire alla valanga di emozioni che stava provando di travolgerlo.

Non c’era niente che Juliet potesse dire per consolarlo, quindi rimase in silenzio e si strinse a lui, mentre Mark si sedeva sul bracciolo e gli posava una mano sulla spalla con fare comprensivo. 

Quando Dean rientrò, li trovò così, ma non proferì parola. Il suo sguardo incontrò per un attimo quello di Juliet, che non ebbe bisogno di molto intuito per capire che si era già pentito del suo comportamento. 

Nessuno aggiunse altro, visto che ormai era stato detto tutto il necessario, finché Juliet non sentì Cedric riscuotersi, cercando di farsi forza. Abbozzò un mezzo sorriso per ringraziarli, mentre con Dean finse direttamente che non esistesse. 

L’aria che si respirava in quella casa era davvero pesante e, quando finalmente Juliet vide rientrare Rachel e Margaret dal laboratorio non poté che tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia, la gioia durò poco, perché ben presto capì che quella doveva essere proprio una giornata storta. Vide l’amica entrare tenendosi un pezzo di stoffa su un braccio, come se si stesse tamponando una ferita e subito accorse a vedere. 

“Che è successo?” chiese Mark allarmato, andandole anche lui incontro. 

“Niente, è solo una bruciatura.” minimizzò lei, mentre obbediva all’ordine di Margaret di sedersi. Non pensava di trovarli già in casa, altrimenti le avrebbe chiesto di medicarla in laboratorio. L’ultima cosa che voleva era gente nel panico a cui dover dare spiegazioni. 

“Scopri.” fece Margaret pratica. 

Con una smorfia di dolore, Rachel abbassò il panno, rivelando una brutta ustione di dimensioni notevoli. 

Impressionata, Juliet si coprì la bocca con la mano.

“Accidenti, Sabrina. Come hai fatto?” chiese Cedric ironico, non mascherando a sua volta una certa apprensione.

La donna sventolò la mano, invitandoli a non agitarsi. “Può capitare. Un incantesimo è rimbalzato e…”

“E le ha quasi mozzato un braccio!” completò Mark, senza notare l’occhiataccia di rimprovero che Rachel gli rivolse.

“Esagerato.” replicò Margaret sbrigativa, prima di concentrarsi completamente sulla sua allieva. “Ora non muoverti.” Sollevate le mani sopra la ferita, chiuse gli occhi e tutto intorno scese il silenzio. Tutti aspettavano con una certa curiosità di vedere cosa avrebbe fatto. 

Lentamente, una luce dorata si sprigionò dai palmi delle sue mani e Rachel avvertì quasi subito un piacevole senso di freschezza sul braccio ferito. Concluso l’incantesimo, Margaret si ritrasse e al posto dell’ustione c’era una chiazza rosata. Anche il bruciore si era ridotto notevolmente. 

La donna ammirò soddisfatta la sua opera. “Meglio no? Naturalmente dovrai applicare un unguento. Gli incantesimi di guarigione non fanno sparire tutti i tipi di ferite, ma avremo modo di studiarli più avanti.” Detto ciò, li avvertì che sarebbe andata alla serra a raccogliere le erbe necessarie per la preparazione e uscì. 

In tutta sincerità, Rachel avrebbe preferito che restasse e infatti non ci volle molto perché i suoi timori si realizzassero. 

“Mi spieghi cos’è successo esattamente?” domandò Mark, andando subito alla carica. “Stavate materializzando dei petardi, per caso?”

-Ci siamo- pensò rassegnata, alzando gli occhi al cielo. Stavolta non c’era modo di scappare. “Margaret te l’ha detto, è stato solo un incantesimo finito male. E comunque la prossima volta potresti evitare certe crisi di panico in sua presenza, per favore?” 

Dapprima spiazzato, lui la guardò aggrottando la fronte. “Io non ho avuto nessuna crisi. Mi sono solo preoccupato vedendoti con il braccio in quelle condizioni.” ribatté un po’ risentito. 

Rachel allora si rese conto di aver detto una fesseria e cercò di ritrovare la calma. Ora non aveva proprio voglia di discutere, quindi meglio assecondarlo. “Hai ragione, però non ne hai motivo. Sto bene. Margaret mi ha guarito e adesso è tutto a posto, okay?” Sperava così di dirgli quello che voleva sentire e troncare il discorso sul nascere, senza capire che in realtà liquidarlo era il modo in assoluto più efficace per farlo arrabbiare.

“No, non è tutto a posto.” la contraddisse, infatti, fomentandosi. “La bruciatura è il male minore. La sera ti vedo arrivare distrutta, dormi a malapena e mangi ancora meno. Tutto questo non ti fa bene, Ray.” 

Ecco che ricominciava con la solita storia. Da quando aveva iniziato ad addestrarsi non faceva che starle addosso e ormai Rachel ne aveva fin sopra i capelli. “Te l’ho già detto non so quante volte, lascia decidere a me se mi fa bene o no. Sono perfettamente in grado di badare a me stessa!” Ora anche la sua pazienza iniziava a esaurirsi e la cosa si ripercosse sul suo tono di voce. 

Mark alzò un sopracciglio con aria scettica. “Ne sei proprio sicura? A me non sembra.”

“Okay, per oggi direi che abbiamo litigato abbastanza tutti quanti.” si intromise Juliet, che aveva già intuito la piega che stava prendendo la situazione. “Andiamo, Ray. Ti accompagno di sopr…”

“No, aspetta.” L’amica la zittì con un gesto della mano, prima di tornare a squadrare Mark con la rabbia che trasudava palpabile da tutti i pori. “Che vorresti dire con questo?”

“Solo che ho l’impressione che tu lo faccia più per orgoglio che per altro. Ti sfinisci così perché hai paura di apparire debole agli occhi di quella donna, ma non ti rendi conto di farti del male.” si spiegò Mark, mantenendo un tono stranamente asettico per il suo carattere.

Quelle parole la ferirono molto, oltre a farle salire la bile dal fegato. Come poteva pensare una cosa del genere? D’accordo, in quei giorni stava dando tutta se stessa e forse lo aveva trascurato un po’ troppo, ma questo non gli dava il diritto di sputare sentenze sui motivi che la spingevano ad agire in quel modo. “Quindi è questo che pensi di me? Pensi che sia una povera cretina che non sa quello che fa? Voglio ricordarti che la vita di Claire dipende da questo addestramento!” gli sbatté in faccia. 

“Questo non significa che tu debba sacrificare la tua.” disse Dean, intervenendo per la prima volta nella discussione.

Rachel, però, era davvero fuori di sé e lo fulminò con lo sguardo prima che potesse aggiungere altro. “Nessuno ha chiesto il tuo parere! Sei l’ultima persona che può mettere bocca sull’argomento, perciò TACI!” 

Non si mosse, né pronunciò alcun incantesimo, di conseguenza non riuscì a capire e rimase spaesata quando lo vide trasalire e portarsi una mano alla gola, iniziando a boccheggiare in cerca d’aria. 

Juliet gli si avvicinò, fissandolo spaventata. “Che cos’hai?” 

“Non… respiro…” mormorò lui con voce strozzata; poi cadde in ginocchio, ormai colto da spasmi sempre più forti.

Anche Mark si chinò, cercando di aiutarlo, ma nessuno dei due sapeva come fare. Sempre più nel panico, Juliet venne colta da un presentimento e di scatto si voltò verso Rachel, trovandola impietrita a fissare la scena. “Ray!” urlò, intuendo che fosse lei la causa di tutto. “Ray, lascialo!” le gridò ancora disperata, le lacrime che ormai le rigavano le guance.

A quel punto, lei parve riscuotersi e, colta da un fremito, tornò a sbattere le palpebre. Nell’istante successivo la crisi sparì com’era iniziata e Dean riprese a respirare. Ci volle un po’ per calmare l’affanno, ma alla fine con l’aiuto di Mark riuscì a rimettersi in piedi. Scombussolato e con la mano ancora alla gola, alzò gli occhi su Rachel, intuendo a sua volta che all’origine del malore ci fossero i suoi poteri.

Smise di guardarla solo quando Juliet gli sfiorò la guancia, studiandolo apprensiva. 

“Stai bene?” gli chiese in un sussurro.

Dean annuì in silenzio, ma stavolta neanche lui avrebbe potuto negare di essersi spaventato. 

“Ray…” mormorò Mark, fissandola incredulo. “Ma che ti succede?”

Lei però non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Si vergognava troppo. Non riusciva a capacitarsi di come fosse potuto accadere. Aveva rischiato di soffocare qualcuno senza neanche rendersene conto. A cosa la stava portando la magia? Che involontariamente si stesse trasformando in un mostro? “Io… io non…” Le parole stentavano a uscirle di bocca. Avrebbe voluto scusarsi con Dean, dirgli che le dispiaceva, che non lo aveva fatto apposta... Sentiva le vene delle tempie pulsare frenetiche e al contempo fastidiosi puntini neri luccicanti le erano comparsi davanti agli occhi, tanto da dover battere più volte le palpebre per scacciarli via; poi la testa prese a girarle vorticosamente, finché tutto a un tratto le si annebbiò la vista, le gambe cedettero e crollò a terra.

A quella vista, Mark sembrò dimenticare all’istante i toni della discussione e si precipitò accanto a lei.

Quasi nello stesso istante, Margaret rientrò dalla serra e li vide tutti intorno a lei, svenuta sul pavimento. “Cos’è accaduto?” domandò sorpresa e allarmata allo stesso tempo.

“E lo chiedi anche?” le gridò Mark, voltandosi a guardarla furioso. “Sei stata tu a ridurla così, è colpa tua! Hai intenzione di ucciderla?” Era la prima volta che si azzardava a darle del tu, ma in quel momento era sicuramente l’ultima cosa che gli interessava.

Le sue parole ebbero uno strano effetto sulla donna, che invece di reagire alle sue accuse rimase di sasso, con l’espressione di chi ha appena ricevuto una violenta botta in testa.

Senza darle importanza, Dean si chinò su Rachel e la sollevò con facilità, portandola fino al divano. Malgrado avesse appena tentato di ucciderlo e ne fosse ancora scosso, non ce l’aveva con lei. Era evidente che la storia dei poteri andasse al di là del suo controllo.

“Le sembra normale che svenga continuamente?” chiese Juliet a Margaret, che intanto rovistava nella credenza alla ricerca di chissà cosa. 

Senza preoccuparsi di risponderle, porse a Dean un barattolo di vetro ricolmo di erbe aromatiche. 

“Tieni, falle odorare questo. Si riprenderà più in fretta.” 

“Le ho fatto una domanda.” insistette Juliet indispettita. 

“Ti ho sentito.” ribatté la donna, senza però rivolgersi a lei direttamente.

“E allora mi guardi quando le parlo!” strillò esasperata. Fin dal primo giorno, Margaret aveva evitato di guardarla in faccia e immaginava fosse perché la sua somiglianza con la sorella morta le procurava sofferenza, ma adesso si era stancata. Quella mancanza di considerazione stava diventando offensiva.

Sentirla alzare la voce la riscosse e finalmente sembrò rendersi conto di non poter più continuare a ignorarla. Così, pur con evidente fatica, spostò lo sguardo su di lei. “Come ho già spiegato, l’uso prolungato della magia può essere stancante, soprattutto i primi tempi. Quindi sì, è normale che abbia dei mancamenti, ma non c’è ragione di allarmarsi. Ecco, vedete. Si sta già riprendendo.”

A contatto con le erbe del barattolo, infatti, Rachel dischiuse gli occhi e tossì un paio di volte, prima di scrutare uno a uno i loro volti carichi di ansia. 

“Ray…” Juliet le sorrise, contenta di vederla di nuovo vigile. Aveva l’aria confusa e stralunata, ma nel complesso sembrava stare bene. Con delicatezza la aiutò a mettersi seduta.

“Che è successo?” chiese lei con voce roca, portandosi una mano alla fronte. La testa le girava come un frullatore e avvertiva anche uno strano senso di nausea allo stomaco. 

“Niente di che, hai quasi strangolato Dean con la forza del pensiero e poi sei crollata. La solita routine.” riassunse Cedric in risposta. 

Al solito lo fece per sdrammatizzare, ma Rachel non trovò proprio nulla per cui ridere. Le rivenne subito in mente la scena di poco prima e il rimorso tornò a schiacciarla come un macigno. Con aria penitente, si rivolse a Dean. “Mi dispiace. Scusami, io… Non so cosa mi sia preso.” Che fosse tra le cose più banali da dire se ne rendeva perfettamente conto, eppure non avrebbe saputo in quale altro modo dimostrargli che si sentiva in colpa. Per fortuna, lui non sembrava arrabbiato e annuì, accettando le sue scuse.

“Perché non vai di sopra? Hai bisogno di riposare.” suggerì Margaret a quel punto, evitando poi di incrociare lo sguardo glaciale di Mark quando chiese a Juliet di accompagnarla. “Nel frattempo, io mi occuperò dell’unguento da spalmare sulla ferita.” aggiunse, in un tono mesto che Rachel non capì. Aveva l’aria decisamente provata ed era la prima volta che le capitava di vederla così.

Comunque non fece domande, lasciando che l’amica la aiutasse ad alzarsi e seguendola poi lungo le scale. 

 

-o-

 

Era un pomeriggio tranquillo al Berny’s, c’erano meno clienti del solito, complice anche la stagione fredda. Seduti al vecchio bancone di legno del bar si vedevano giusto un paio di abitanti del luogo che avevano finito di lavorare e ai tavoli qualche turista amante dei paesaggi invernali. 

Un uomo di mezza età, quasi pelato e dal ventre prominente stava inveendo contro la televisione, l’unico accessorio moderno del locale, dove stavano trasmettendo la partita di ritorno del campionato. Di lì a poco, l’arbitro fischiò la fine e l’immagine sullo schermo cambiò, dando spazio alla pubblicità rumorosa di uno yogurt svizzero. 

“Ehi, Berny! Dammi un’altra birra!” gracchiò l’uomo sulla cinquantina. “Devo mandare giù un goccio per cancellare il ricordo di questa partita.”

Il gestore del pub riempì rapido una pinta dallo spillatore e gliela allungò. “Hanno fatto proprio schifo stasera, eh Pit?” gli chiese, probabilmente retorico. Dal tono infatti sembrava più accondiscendente che davvero interessato.

L’uomo si strinse nelle spalle, tracannando avidamente dal boccale. “Che vuoi farci? Non è più la squadra di una volta.” 

Nel frattempo alla Tv stavano trasmettendo la notizia di un’inondazione nello Yorkshire, a cui non diedero peso, e subito dopo il conduttore passò agli aggiornamenti dall’estero, con il caso dei sei ragazzi scomparsi nel Montana e non ancora ritrovati. 

“Scommetto sulla testa della mia defunta madre che sono tutti morti. Eh, Pit?” commentò Berny, senza neanche guardare lo schermo. 

“Sicuro! Gli Yankee sono dei pazzi. Vedrai che si saranno andati a cacciare in qualche guaio, o magari è una storia di droga. Sì, sarà sicuram…” Si interruppe alla vista di un particolare sullo schermo che attirò la sua attenzione più di tutto il resto. Il servizio del notiziario stava mostrando come al solito le foto di cinque ragazzi, più l’identikit di un sesto ricostruita grazie alle descrizioni fornite dai testimoni. “Ehi, aspetta un attimo. Io lo conosco quello!” esclamò, puntando il dito contro lo schermo. “È venuto al negozio qualche giorno fa!”

Dall’altra parte del bancone, Berny ridacchiò. “Ma che dici Pit? Sei ubriaco. Andiamo, per stasera basta così.” lo rimbeccò, sfilandogli la birra da davanti.

Pit però non demorse. “Ti dico che è lui! Mi era sembrato sospetto fin da subito, con quell’aria misteriosa e il cappuccio sulla testa. Poi mi ha venduto un cellulare abbastanza decente e non ho fatto domande, sai com’è… Ma sono sicuro che era lui.” 

“Okay, okay, come dici tu. Adesso però alza il culo e tornatene a casa, o domani dovrò vedermela con tua moglie e ho già abbastanza da fare con la mia.” 

Convinto di avere ragione, Pit tornò a guardare lo schermo, ma a quel punto il servizio era terminato e l’immagine dell’identikit sparita, così come la sua voglia di insistere sulla questione. Si alzò dallo sgabello e, lasciato il conto sul bancone, salutò il barista, avviandosi un po’ barcollante all’uscita. 

Ormai era quasi ora di cena e la strada era semideserta. I negozi avevano tutti la saracinesca abbassata o si preparavano a chiudere. Pit faceva lo stesso percorso da anni e, anche da ubriaco, era in grado di raggiungere la sua abitazione a qualche isolato di distanza senza problemi. Tuttavia, quella sera doveva aver bevuto un po’ troppo, perché sentiva la testa galleggiare come un palloncino e non si accorse minimamente che qualcuno nell’ombra lo stesse seguendo.

Mancava una decina di metri al cancello di casa, quando all’improvviso si sentì strattonare per un braccio, per poi essere trascinato nel vicolo accanto. 

“Ma che cavolo…” mormorò spaesato, prima che un individuo grande e grosso, vestito di nero e con la faccia di uno appena uscito di galera lo inchiodò contro il muro, impedendogli di muoversi. 

“Sta zitto, grassone. Qui le domande le facciamo noi.” lo minacciò qualcun altro, stavolta una donna, bionda e decisamente attraente, che gli puntò rapidissima uno stiletto alla gola. 

Gli sembrava di averli intravisti al pub. Sì, forse erano seduti a un tavolo da qualche parte, ma non avrebbe potuto giurarci. Terrorizzato, tentò di mettere subito le cose in chiaro. “Vi prego… Non ho soldi con me…” prese a balbettare, le membra scosse dai fremiti.

La donna proruppe in una risata divertita, evidentemente colta da un discreto piacere nel vederlo in quello stato. Intanto, alle sue spalle sbucò dal buio un altro strano individuo dai tratti aguzzi e lo sguardo penetrante, accompagnato da un secondo energumeno nerovestito.

“Non ci interessano i tuoi soldi. Abbiamo solo bisogno di alcune informazioni.”

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Capitolo 22
*** Il prezzo da pagare ***


Capitolo 15

 

Il prezzo da pagare


“Niente. Qui non c’è un bel niente!” 

Mary imprecò ad alta voce, facendosi sentire forte e chiaro sia da Byron che dai loro accompagnatori. Ancora una volta si maledì per aver dato retta a quell’umano grasso e dall’aria molto poco intelligente che avevano intercettato nel pub diverse sere prima. Vi si erano imbattuti per puro caso, giusto perché a lei era venuto il capriccio di entrare a prendersi uno scotch. Altrimenti non avrebbero mai saputo che, proprio nel periodo in cui si trovavano a Durness, Dean aveva deciso di fare un salto nel suo negozio di pegni per vendergli un cellulare. Un’imprudenza non degna di lui e un bel colpo di fortuna per loro. Confermata la versione riferita al barista, il grassone aveva aggiunto che c’era anche una ragazza, una del posto, niente a che fare con gli umani che Dean si portava dietro da mesi, e Mary aveva pensato fosse una cosa strana. Così si erano fatti gentilmente indicare la direzione da cui erano venuti. Peccato però che stessero setacciando la zona ormai da giorni, senza trovare assolutamente nulla. Tutto ciò che si presentava davanti ai loro occhi era la nuda roccia, qualche macchia sparsa di vegetazione e il mare all’orizzonte, nient’altro. Tantomeno qualche traccia di vita umana. 

“È stato un errore risparmiarlo. Avrei dovuto tagliargli la gola e lasciarlo in quel vicolo sudicio.” disse, trattenendo un fremito di rabbia. Era consapevole che ucciderlo avrebbe significato attirare inutilmente attenzioni indesiderate, ma ne sarebbe valsa la pena solo per il godimento che ne avrebbe tratto. 

Al contrario, Byron sembrava come al solito molto meno preda delle emozioni e la cosa non migliorava certo il suo umore. “Ha detto che la ragazza abita fuori città, ma non sapeva dove di preciso.” rifletté concentrato, fermandosi sul ciglio della strada. “Viene spesso per fare compere e vendere i prodotti della sua fattoria, eppure non ha mai stretto rapporti con nessuno, se non il minimo necessario.” 

“Sì e allora?” Perché continuava a ripetere cose che già sapevano? 

Lui la guardò. “Non è insolito che una perfetta sconosciuta, che in genere se ne va in giro da sola, si sia presentata in città in compagnia del nostro Dean? Dove e come si saranno incontrati? E perché erano insieme quel giorno?”

Tutte quelle domande se l’era poste anche Mary, tuttavia non vedeva proprio come scoprirlo potesse aiutarli a capire dove si fossero rintanati. Sembravano come spariti nel nulla.

“La direzione indicata dall’umano portava lungo questa strada.” Byron riprese a camminare, percorrendo la linea dell’asfalto fino a superare il punto in cui si trovava lei. Il suo sguardo si spostò oltre, verso le colline erbose, soffermandosi a fissare qualcosa di non ben specificato. 

Gli occhi nocciola di Mary seguirono di riflesso la stessa traiettoria. Non capiva cosa stesse guardando, visto che lì c’era solo sterpaglia. Ormai avevano superato da un pezzo il centro abitato e dubitava che qualcuno potesse avere una casa in quel posto così fuori mano. “Senti, abbiamo battuto la zona palmo a palmo più volte e di loro nessuna traccia. È probabile che quell’idiota fosse ubriaco anche il giorno in cui sosteneva di aver visto Dean, ammesso che fosse davvero lui…”

D’improvviso, Byron sollevò il braccio per zittirla. La sua espressione era mutata di punto in bianco, trasformandosi in puro stupore.

“Che diavolo c’è ora?” ribatté irritata. Dapprima non vide niente di diverso, poi però avvertì un forte spostamento d’aria e il terreno sotto i suoi piedi prese a tremare. Durò poco, ma ciò a cui assistette subito dopo la lasciò di stucco. Là in fondo, a ridosso della scogliera, dove prima avrebbe potuto giurare ci fosse il nulla, era comparsa una piccola costruzione di pietre e mattoni. Il fumo usciva dal comignolo, segno che dentro ci fosse un camino acceso e dunque delle persone. 

Byron si riscosse in fretta. “A quanto pare l’idiota ubriaco aveva ragione.” 

 

-o-

 

Quella mattina, dopo aver dedicato gli ultimi giorni all’arte delle pozioni, Margaret aveva deciso di variare un po’ spostando gli allenamenti sulla spiaggia, visto che Rachel era da poco riuscita a generare sfere di fuoco dalle mani e ora doveva imparare a lanciarle controllando il tiro in modo che andassero nella direzione voluta. Sarebbe stata anche un’ottima occasione per affinare una nuova tecnica di difesa, in vista delle battaglie che con ogni probabilità avrebbero dovuto affrontare in futuro. Comunque si trattava di un’operazione decisamente troppo pericolosa da svolgere in un ambiente chiuso e limitato come il laboratorio nella grotta. Per una volta, quindi, anche gli altri poterono assistere, pur rimanendo a distanza di sicurezza. 

Per l’occasione Margaret aveva pensato di rispolverare il suo vecchio bersaglio da tiro con l’arco. “Finalmente sarà di nuovo utile.” aveva commentato allegra, mentre lo sistemava qualche metro di fronte a Rachel. 

Ormai erano un paio d’ore che si allenava a lanciare e la fatica iniziava a farsi sentire, soprattutto perché l’energia da impiegare era doppia, visto che doveva sia generare le sfere sia provare a dar loro una direzione che fosse più regolare possibile con l’aiuto dei suoi poteri d’aria. I lanci non andarono tutti a segno, anzi, gran parte finì sulla sabbia, spegnendosi miseramente, ma nel complesso il risultato poteva dirsi ottimale.

Appoggiato su una roccia in disparte con gli altri, Mark la osservava con un misto di apprensione e disappunto. Non aveva ancora mandato giù la vicenda dello svenimento e da quel giorno non si era più degnato di guardare Margaret in faccia, tantomeno di rivolgerle la parola. La mattina seguente Juliet aveva sentito lui e Rachel discutere dal piano di sotto. I toni erano piuttosto alti e l’argomento della lite decisamente chiaro. Mark avrebbe voluto che smettesse con l’addestramento, o almeno che ci andasse più piano, cosa di cui ovviamente Rachel non voleva sapere. 

“Sei più tranquillo adesso?” sentì chiedergli da Cedric, che gli stava accanto. “Guardala, sta bene. Anzi, se fossi in te starei attento a non farla arrabbiare.” scherzò per tirarlo su. “Ricorda cos’è successo l’ultima volta con…” gli sussurrò poi, indicando Dean con un cenno del capo.

L’amico però non sembrava dell’umore. Infatti, si limitò ad annuire appena.

Anche Cedric se ne accorse e sospirò paziente. “Senti, so che sei preoccupato. Lo sappiamo tutti. Si vedrebbe perfino dalla luna, ma non puoi assillarla così. Fidati, io lo so bene. Peggiorerai solo le cose.” 

Juliet non si espresse, ma era perfettamente d’accordo. 

“Lo so. So che non è una stupida e che sa quello che fa, ma so anche che questa causa le sta molto a cuore. Non si fermerà finché non avrà raggiunto l’eccellenza e ho paura che così possa farsi del male. Pretende troppo da se stessa.” rispose Mark in tono mesto. 

Con una fraterna pacca sulla spalla, Cedric gli fece capire che gli era vicino e la conversazione si interruppe lì, anche perché Rachel aveva appena scagliato una sfera di fuoco con più veemenza del solito, centrando in pieno il bersaglio, che andò in fiamme.

Dopo averlo spento con un rapido gesto della mano, Margaret si complimentò con lei, concedendole poi una pausa. 

Dall’ultima volta che era svenuta, sembrava molto più attenta a non farla stancare troppo e, per certi versi, Rachel le era grata. Per altri, invece, la infastidiva essere trattata con i guanti ed era certa che la colpa fosse di Mark. Juliet le aveva raccontato della sceneggiata che le aveva fatto mentre lei era priva di sensi, per questo avevano litigato di nuovo e adesso non si parlavano. Detestava quelle sue continue intromissioni, ma non c’era verso di farlo smettere. 

Con il respiro affannato raggiunse l’amica, che le porse il thermos con l’acqua fresca. 

“Sei stata grande.” le disse, sforando un gran sorriso di incoraggiamento. 

Lei la ringraziò, prima di prendere un’abbondante sorsata. Nonostante la sua resistenza aumentasse di giorno in giorno, la magia richiedeva comunque un notevole sforzo fisico e mentale. 

“Tutto bene?” le chiese Mark allora.

Lì per lì Rachel rimase sorpresa che le rivolgesse di nuovo la parola. Tuttavia, non aveva ancora smaltito la rabbia dell’ultima discussione, così fece solo cenno di sì con la testa, guardandolo a malapena. 

Lui, invece, non sembrò afferrare che forse al momento non era il caso di insistere. “Se sei stanca dovresti dirglielo. Magari per oggi potreste chiuderla qui…”

“No, voglio andare avanti ancora un po’.” lo contraddisse piccata, quasi parlandogli sopra. Insomma, lo faceva apposta? Provava gusto a farla innervosire. “Non sono così debole e, anche se tu pensi il contrario, conosco i miei limiti.” Di quel commento non ci sarebbe stata necessità, ma lo disse perché si sentiva in vena di ripicche.

Come prevedibile, Mark non la prese bene e, dopo un attimo di spaesamento, le lanciò un’occhiata risentita. “Sai che c’è? Hai ragione, non penso che tu sia in grado di capire quando fermarti, quindi…”

“Quindi hai deciso che debba essere tu a dirmelo?” lo interruppe, alzando la voce. “Dovresti conoscermi ormai. Se c’è una cosa che detesto sono gli uomini che impongono la propria volontà sulle donne!” 

“E si ricomincia…” mormorò Cedric con un sarcasmo venato di stanchezza.

Troppo preso dalla lite per farci caso, Mark alzò gli occhi al cielo. “Addirittura!” esclamò esasperato. “Non ti sto imponendo niente, Ray. Mi sto solo preoccupando per te, lo vuoi capire?”

“Non so più come dirtelo, non mi serve! La situazione è già pesante di per sé, senza che ti ci metta anche tu. Se invece di passare il tempo ad assillarmi stessi dalla mia parte, sarebbe tutto meno difficile!” 

“Io sono dalla tua parte!”

“Non direi proprio, se così fosse non litigheremmo ogni due minuti sempre per le stesse cose!” 

Visibilmente provato, Mark sospirò, cercando di ritrovare la calma. “Bene, visto che parlare con te o con un muro è la stessa cosa, non mi dai altra scelta.”

Rachel lo guardò accigliata. “Che significa questo?”

“Fino a prova contraria, sono ancora il tuo ragazzo e se permetti ho tutta l’intenzione di proteggerti. Anche da te stessa, se serve.” puntualizzò deciso. “Scordati che rimarrò a guardare mentre ti fai del male per dar retta a quella fanatica esaltata. Vado a parlarle io, fine della storia.” Detto questo, si mosse per andare da Margaret, che se ne stava in disparte ad aspettare il ritorno di Rachel. Non era chiaro se avesse afferrato o meno l’argomento della discussione, ma probabilmente le stavano fischiando le orecchie.

“Non ci pensare neanche!” replicò Rachel con le fiamme negli occhi, senza però ottenere risultati. 

Mark, infatti, continuò a darle le spalle, diretto al suo obiettivo. 

Il fatto che si ostinasse a ignorarla le fece salire una rabbia cieca e incontenibile. Il sangue le ribolliva come in una pentola a pressione e tutto il suo corpo venne pervaso da una forte energia. 

La voce allarmata di Margaret che gridava il suo nome le arrivò quasi ovattata e comunque non le prestò attenzione. “Fermati!” urlò dietro a Mark furiosa. A quel punto non fu più in grado di contenersi e tutto il potere, che fino a quel momento premeva per uscire da lei, esplose in una terrificante onda d’urto che travolse sia Mark che gli altri, buttandoli a terra. Il vento fu così sferzante da sollevare un muro di sabbia alto più di un metro. 

Il tutto durò appena qualche secondo, ma bastò a prosciugarle le forze. Con il fiato rotto dalla fatica, cadde in ginocchio. Un sudore freddo le colava dalle tempie e addosso percepiva ancora i fremiti causati dalla magia che man mano andava affievolendosi. Colta dal terrore per quello che aveva provocato, sollevò la testa e si guardò intorno per constatare i danni. Il primo su cui diresse l’attenzione fu Mark, che investito dalla sabbia era rotolato a diversi metri da lei e ora stava cercando di rialzarsi. Tossendo, si voltò e, quando i loro sguardi si incontrarono, Rachel lo vide scioccato e spaventato allo stesso tempo.

Era talmente sconvolta da accorgersi a malapena che intanto Margaret le era corsa accanto per aiutarla. “Stai bene?” domandò. Forse per la prima volta da quando Rachel aveva iniziato a usare i poteri la sua voce era davvero preoccupata. “Questa è stata più forte delle precedenti. Coraggio…” 

Le gambe ancora le tremavano e Rachel dovette aggrapparsi alla sua maestra per riuscire a rimettersi in piedi. Alla fine, Margaret la sollevò praticamente di peso.

Intanto Juliet, tra un attacco di tosse e l’altro, era appena riemersa dall’abbraccio di Dean, che nell’istante in cui aveva sentito la donna gridare, intuito cosa stesse per succedere, con prontezza di riflessi l’aveva afferrata e stretta a sé, usando il suo stesso corpo per proteggerla dall’onda d’urto prima che entrambi venissero sbalzati via. 

Quando aprì di nuovo gli occhi e incontrò i suoi, vi lesse confusione e spavento.

“Tutto bene?” mormorò apprensivo, preoccupandosi per lei prima di ogni altra cosa.

Ancora scossa, Juliet riuscì soltanto ad annuire, a malapena consapevole dell’accaduto. Il tempo di assistere all’ennesimo litigio tra Rachel e Mark e si era ritrovata da tutt’altra parte. Il primo pensiero andò naturalmente all’amica e, una volta in piedi, la cercò con lo sguardo carico d’ansia, trovandola a diversi metri di distanza assistita da Margaret. Stava per raggiungerle, quando un lamento attirò la sua attenzione.

Cedric era seduto per terra, addossato a uno scoglio che emergeva dalla riva, e con una mano si teneva la spalla sinistra dolorante. Quando arrivarono per soccorrerlo, si accorsero anche di un brutto taglio orizzontale sul sopracciglio, segno che avesse anche sbattuto la testa. 

“La spalla…” disse quasi in un sussurro, reprimendo il dolore causato dalle fitte. “Credo di essermela rotta.”

Ignorando l’acqua gelida che gli arrivava oltre le caviglie, Dean gli si avvicinò per studiare la situazione e accertarsi che fosse il caso o meno di spostarlo. “Ce la fai ad alzarti?” gli chiese poco dopo.

Cedric fece cenno di sì e lasciò che lo aiutasse a mettergli il braccio sano intorno al collo, per poi tirarlo su e sostenerlo finché non furono entrambi fuori dall’acqua. 

“Se non ricordo male, l’ultima volta i nostri ruoli erano invertiti. Non lo trovi buffo?” osservò Dean, mentre camminavano. 

“Ma di che parli?”

“Mi riferisco a quando ci siamo conosciuti.” chiarì. “Ho ancora nelle orecchie la tua proposta di lasciarmi agonizzante in quella foresta, in balia dei lupi affamati.”

Afferrato il riferimento, Cedric alzò gli occhi al cielo. “Penso ancora che fosse una buona idea…” L’ennesima fitta lo mise a tacere, ma riuscì comunque a strappare a Dean un leggero ghigno divertito. 

Margaret si stava ancora occupando di Rachel quando glielo portarono, tuttavia, viste le sue condizioni, la lasciò un attimo a riprendersi dallo shock per dedicarsi a lui. Per prima cosa gli disse di spogliarsi, per verificare lo stato della spalla e capire se fosse rotta.

“Per tua fortuna è solo una lussazione. Posso aggiustarla facilmente, ma farà male.” lo avvertì, dopo averlo esaminato; poi si guardò attorno in cerca di qualcosa che facesse al caso loro e poco dopo gli porse un legnetto raccolto vicino alla riva. “Ecco, mordi questo.” 

“Non mi serve, posso resistere.” obiettò Cedric, orgoglioso come sempre.

Margaret allora alzò un sopracciglio scettica. “Fare il duro non ti impedirà di sentire dolore. Avanti, fa come ti ho detto. E tu” si rivolse a Dean. “assicurati che resti fermo.” Detto ciò, prese il braccio di Cedric e si preparò ad agire. “Al mio tre. Uno...”

Con il bastoncino tra i denti lui fece un respiro profondo, aspettandosi che dopo l’uno ci fosse il due, ma così non fu. Margaret, infatti, smise di contare molto prima del previsto e con un movimento secco ma esperto spinse in dentro il braccio, che riacquistò con un sonoro crack la sua posizione originaria. 

Assalito da un dolore lancinante, Cedric serrò i denti nel legno nello scarso tentativo di trattenere le urla e sgranò gli occhi, fissandola sconcertato. In fretta si liberò del bastoncino sputandolo via, per poi esternare tutta la sua indignazione. “Che diamine, non poteva usare una delle sue magie? Mi ha fatto un male cane!”

Margaret, però, vi badò a malapena, impegnata com’era a realizzare una fasciatura di fortuna con la stessa maglietta di Cedric, che annodò in modo tale da sostenere il braccio e far sì che rimanesse ben fermo. Alla fine, soddisfatta si sfregò le mani, mentre attendeva che Juliet e gli altri lo aiutassero a rivestirsi. I suoi abiti in realtà erano ancora mezzi fradici, ma sempre meglio che rischiare il congelamento. 

“E questa è fatta. Ora occupiamoci di quel taglio.” Concentrandosi sulla fronte del ragazzo, la donna sollevò le mani, segno che stavolta intendesse usare i suoi poteri, ma non fece in tempo a pronunciare la prima sillaba dell’incantesimo curativo che la voce di Ayris li colse di sorpresa e subito dopo la videro arrivare di corsa. Non si aspettavano di vederla lì perché era rimasta al cottage, ma ancora meno di sentire ciò che disse in seguito. 

“Ci hanno trovato!” esclamò allarmata, ancora prima di arrivare da loro. Dopo averli raggiunti, cercò subito lo sguardo di Margaret, che ricambiò confusa. “L’incantesimo di protezione…”

Fu allora che la strega sembrò intuire tutto. “Il potere di Rachel deve averlo dissolto.” constatò, infatti, di lì a poco. 

Istintivamente Dean volse lo sguardo nella direzione da cui era appena venuta, sulla sommità della scogliera, e d’un tratto fu come se quell’immenso ammasso di roccia gli stesse cadendo addosso. Un gruppo di figure vestite di scuro stava scendendo rapido dal cottage e non gli ci volle molta immaginazione per capire di chi si trattasse.

Juliet lo vide sbattere le palpebre incredulo e poi sgranare gli occhi come se avesse visto un fantasma, ma non fece in tempo a chiedergli niente perché lo sentì afferrarle la mano e poi si voltò rapido verso Margaret. “Sono qui.”

Ben presto, anche la donna se ne rese conto ed ebbe la sua stessa reazione. 

“Zia!” la chiamò Ayris, riscuotendola. “Che facciamo?”

“Ormai ci hanno visto, dobbiamo metterci al riparo.” replicò Dean sbrigativo. 

Con il panico negli occhi, Margaret annuì concorde. “Al laboratorio, presto!”

 

-o-

 

In testa al gruppo, con Benedict che la seguiva a ruota, Mary scendeva verso la spiaggia con l’agilità e la scaltrezza di uno stambecco. 

Quando lei e Byron si erano visti comparire quella casa davanti agli occhi non avevano perso tempo e, una volta lì, si erano precipitati dentro per controllare che i loro sospetti fossero fondati. Degli abitanti neanche l’ombra, ma tutto lasciava presupporre che fino a un attimo prima ci fosse stato qualcuno; poi il rumore di una porta che sbatteva aveva dirottato la loro attenzione sul retro, che in seguito scoprirono dare direttamente sulla scogliera. A quel punto si era affacciata e li aveva visti. Erano loro, non avrebbe mai potuto sbagliarsi.

Cosa ci facessero radunati su quella spiaggia non ne aveva idea, ma non c’era tempo per le domande. Era abbastanza certa che si fossero accorti della loro presenza e ne ebbe conferma quando li vide scappare. Allora incitò gli altri a sbrigarsi e in poco tempo raggiunsero la spiaggia, lanciandosi all’inseguimento.

Averli notati prima aveva dato loro un po’ di vantaggio e Mary imprecò dentro di sé vedendoli entrare nella grande grotta sulla spiaggia e sparire, inghiottiti dall’oscurità. “Se li perdiamo lì dentro è finita! Dobbiamo fare presto!” gridò, sentendo aumentare l’adrenalina. Dopo anni in cui era rimasto sopito, provava di nuovo il brivido della caccia.

Imboccarono a loro volta l’immensa cavità, ritrovandosi esattamente nell’ambiente che aveva immaginato. Si trattava di una serie di cunicoli scavati nella roccia, alcuni abbastanza ampi da consentire il passaggio di più persone alla volta, altri invece praticamente inaccessibili. 

Fortunatamente, con la loro vista sviluppata furono in grado di inoltrarsi parecchi metri in profondità e continuare a vedere dove mettevano i piedi, ma ben presto il buio li avvolse. Benedict prese dalla borsa le torce che si erano portati in caso di necessità e ne passò una anche al compagno, prima di affiancarsi a lei per farle luce lungo il percorso. 

“Dove diavolo si saranno cacciati?” si domandò a voce alta, tendendo l’orecchio per percepire il minimo rumore. Se si erano infilati lì dentro era probabile che la grotta avesse altri sbocchi verso l’esterno, altrimenti perché mettersi in trappola da soli? D’improvviso, il suo sguardo afferrò un movimento, seguito dal suono concitato dei passi sulla roccia. “Laggiù!” esordì, scattando nella stessa direzione. Mentre correva sentì le loro voci mescolarsi e l’eco rimbalzare sulle pareti della caverna. Sembravano così vicini, eppure non riuscivano mai a raggiungerli. Quando, però, li vide imboccare uno stretto cunicolo pensò che ormai non avessero scampo e spronò gli altri a seguirla nel pertugio. Sicura di aver vinto, che giunta dall’altra parte li avrebbe presi, attraversò il passaggio con foga incurante della roccia che le graffiava braccia e schiena. Solo una volta uscita le sue aspettative vennero disattese. Nello spiazzo in cui si ritrovarono non c’era altro se non un’alta parete di roccia. Erano spariti. Un attimo prima correvano qualche metro davanti a loro e l’attimo dopo si erano volatilizzati. 

Mary e gli altri si guardarono intorno spaesati, ognuno incapace di darsi una spiegazione logica. 

“Erano proprio qui… che fine hanno fatto?” chiese Isaac scioccamente. 

Dopo aver dato una rapida occhiata in giro, Benedict si rivolse a lei. “Che facciamo, Milady?”

“Non possono essersi dileguati nel nulla, saranno nascosti nelle vicinanze. Cercateli qui intorno.” ordinò secca, indicando altri anfratti utilizzabili come vie di fuga. 

I due vampiri obbedirono, allontanandosi insieme per setacciare la zona, mentre lei e Byron rimanevano di guardia davanti alla parete. 

Byron assunse un’aria pensierosa, scuotendo poi leggermente la testa. “C’è qualcosa di anomalo qui.” rifletté, prima di spostare lo sguardo sulla nuda roccia. 

-Altroché- pensò Mary indispettita. Essere costretta a collaborare con lui era già anomalo di per sé. “Cosa intendi dire?” Lo squadrò, incrociando le braccia.

Dopo essersi concesso qualche altro istante per studiare il muro con attenzione, si degnò di risponderle. “Sono piuttosto certo che la verità sia di fronte ai nostri occhi, ma non riusciamo a vederla.” Terminò la sua frase criptica quasi in un sussurro, appoggiandosi alla parete con entrambe le mani e poi avvicinando anche l’orecchio, come se pensasse di sentire qualcosa dall’altra parte. 

Fu allora che Mary si convinse del fatto che fosse completamente andato. “Mi spieghi cosa stai facendo?” 

Lui, però, non diede peso alla sua solita impazienza, anzi, chiuse addirittura gli occhi per riuscire a concentrarsi meglio. “Percepisco dell’energia…” mormorò, lasciandola in sospeso. “La stessa sensazione che ho avvertito poco prima del terremoto sulla scogliera.” D’un tratto, sembrò giungere a una conclusione di cui non si disturbò di informarla e, staccatosi di scatto dalla roccia, si chinò rapido sulla sua borsa da viaggio. 

“E adesso?” fece lei, che non riusciva più a stargli dietro.

“Questa parete è solo un’illusione, in apparenza solida ma in realtà fittizia.” le spiegò finalmente, mentre tirava fuori alcuni dei suoi sassi con le rune incise e li disponeva per terra. “Non so come sia possibile, ma credo che al di là di essa ci sia dell’altro, qualcosa di nascosto.” 

Questo avrebbe spiegato il perché dell’improvvisa sparizione di Dean e dei suoi amichetti, e per una volta Mary si ritrovò addirittura a pensare che le parole di quello squinternato potessero avere un senso. Il ritorno di Benedict e Isaac, però, la distrasse da quelle riflessioni. 

“Sono spiacente, Milady. Non li abbiamo trovati.” la avvertì Benedict, illuminando a giorno l’ambiente intorno a loro con la torcia.

Il volto di Isaac si contrasse in un ghigno sprezzante, poi il vampiro sputò a terra. “Se quel cane codardo pensa di sfuggirmi, si sbagl…” I suoi sproloqui vennero interrotti da un risvolto inaspettato, che dispensò Byron dal dover usare la sua magia. 

L’ipotesi della finta parete si rivelò esatta quando la videro assumere una consistenza liquida, come se fosse fatta d’acqua, e poi dissolversi nel nulla. Quasi nello stesso istante vennero investiti da un forte vento, che lì per lì non permise loro di vedere cosa c’era dall’altra parte. 

Mary, però, conosceva bene quel fenomeno e non ci mise molto a capire. “È un portale!” gridò, riparandosi gli occhi. “Hanno aperto un dannato portale!” Doveva assolutamente fermarli, così non perse altro tempo ed entrò, trovandosi di fronte alla scena di una donna stesa a terra, apparentemente in fin di vita e, poco distante, una delle ragazzine di Greenwood che piangeva disperata, resistendo ai suoi amici che la strattonavano per convincerla a entrare nel vortice.

Accanto a lei Byron fissava la scena con un’espressione sconvolta. “Non è possibile…” lo sentì sussurrare.

Tutto accadde troppo in fretta perché potessero impedirlo. Nel giro di pochi secondi, il passaggio aperto nella roccia inghiottì le loro prede, ma per fortuna non si richiuse subito. Avevano ancora una possibilità. 

“Presto! Sbrighiamoci!” gridò Mary ai suoi, facendo per correre al portale.

Il tempo di fare due passi, però, che una ragazza dai capelli rossi si parò davanti a loro, lanciando a sorpresa due ampolle colme di una strana sostanza, che una volta sparsa sul pavimento iniziò a evaporare. Il fumo che rilasciava aveva un odore penetrante, talmente insopportabile da costringerli a ripararsi il naso per non respirarlo. Inoltre, a contatto con gli occhi provocava una reazione orticante. 

Colta da un violento attacco di tosse, Mary si appoggiò alla parete per non cadere. Non vedeva più niente, ma arrendersi ora avrebbe significato una cosa sola per lei. Sforzandosi di tenere gli occhi aperti individuò davanti a sé la luce del portale, che intanto iniziava ad affievolirsi, e a tastoni cercò di farsi strada in mezzo al fumo. 

“Devi andare con loro.” sentì mormorare a un tratto ai suoi piedi e capì di essere vicina alla donna stesa a terra. “Salvati almeno tu.”

“Non vado da nessuna parte. Il mio posto è accanto a te.”

Mary non vi diede peso. L’essenziale in quel momento era far sì che il portale non li lasciasse fuori, ma la foschia e il bruciore agli occhi le rallentavano i movimenti, tanto che non riuscì a raggiungerlo prima che la luce si contraesse all’improvviso, fino a diventare appena un puntino luminoso e un istante dopo il vento cessò. Il portale era chiuso. Aveva fallito ancora.

“Dannazione!” Furiosa, sferrò un calcio alla cieca che colpì un ripiano pieno zeppo di fiale e ampolle di vetro, mandandole per terra a frantumarsi in mille pezzi.

Nel frattempo, il fumo andava ormai diradandosi e anche l’aria si faceva più respirabile. Mary sbatté più volte le palpebre, riuscendo pian piano a mettere a fuoco ciò che la circondava. Chini in un angolo, Benedict e Isaac tossivano ancora, cercando di riprendersi, mentre Byron sembrava già piuttosto padrone di sé e ora fissava la donna sconosciuta, che ricambiò il suo sguardo con una certa fierezza nonostante fosse ormai con un piede nella fossa.

“Non credo ai miei occhi…” mormorò Byron, visibilmente scosso. “Sei ancora viva.”

Lei mantenne il sangue freddo. “Cugino. Non mi aspettavo di incontrarti dopo tutto questo tempo.” rispose a fatica, la mano stretta in quella della ragazza dai capelli rossi inginocchiata accanto a lei. 

-Cugino?- pensò Mary sgomenta. Che cosa significava? 

“Solo tu potevi riuscire a simulare la tua morte e ingannarci tutti per secoli. Ancora una volta non ti smentisci.” osservò Byron, avanzando lentamente verso di loro senza smettere di fissarla. 

Un flebile ghigno si dipinse sul volto della donna. “Immagino che tu non sia venuto fin qui per perderti in inutili lusinghe...” 

Lui annuì. “Hai ragione, meglio non perdere tempo. Considerando anche che, a quanto vedo, non te ne resta molto.” la schernì. “Dimmi, dove hai mandato gli umani?” 

“Non ne ho la minima idea.” replicò la donna quasi trionfante, prima di venire soffocata da un attacco di tosse.

Convinto che stesse mentendo, Byron le lanciò uno sguardo di puro disprezzo. “Ostinata fino alla fine. Tanti anni non ti hanno cambiata.” constatò in tono fintamente neutro.

“Nemmeno tu, vedo. Sei rimasto lo stesso vile traditore.” Anche in agonia, Margaret non perse occasione per schernirlo. Ad ogni modo, non si sprecò a dedicargli troppo tempo, consapevole di averne poco a disposizione. Così, superato un altro violento attacco di tosse, si rivolse ad Ayris, che continuava a stringerle la mano quasi sperasse in questo modo di riuscire a tenerla in vita. “Dolce Ayris… Sei rimasta al mio fianco per tutti questi anni quando avresti potuto vivere felice altrove…” 

“Lo sono stata.” rispose lei tra le lacrime. 

Con un ultimo immane sforzo Margaret le sorrise, prima di voltarsi di nuovo a guardare l’odiato cugino. “Rimpiango solo… di non essere riuscita a vendicare la mia famiglia di persona. Dì al tuo padrone che avrei tanto voluto essere io a ucciderlo, ma so che qualcun altro lo farà per me.” Detto ciò, le forze la abbandonarono definitivamente e l’ultima discendente diretta dei Danesti lasciò il mondo dei vivi.

La sua mano stretta in quella di Ayris sarebbe caduta a peso morto, ma la ragazza non lo permise. Continuando a tenerla, vi poggiò sopra le labbra, serrando gli occhi nel maldestro tentativo di cacciare indietro le lacrime, che ben presto però le rigarono il viso. 

Il suo lutto, tuttavia, ebbe vita breve, perché Byron, rimasto impassibile di fronte alla morte della cugina, con uno scatto improvviso afferrò Ayris per i capelli e tirò con tanta forza da costringerla a guardarlo dritto negli occhi. “Cosa voleva dire?” sibilò tra i denti. “Chi sarebbe questo qualcun altro? Parla!” 

Nonostante il dolore, lei rimase di ghiaccio. “Non vi dirò niente.” 

Con un altro strattone, lui allora la fece alzare e con una violenta spinta la buttò tra le grinfie di Benedict e Isaac, che prontamente la afferrarono per le braccia, impedendole di muoversi. 

Mary lo osservò mentre si avvicinava alla ragazza con uno sguardo a dir poco inquietante; poi quell’espressione minacciosa lentamente si trasformò, lasciando il posto a uno dei suoi enigmatici sorrisi. 

“Questo lo vedremo.”

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Capitolo 23
*** Buon Natale ***


Capitolo 16

 

Buon Natale


Non appena furono al sicuro dietro la parete che isolava il laboratorio dal resto della grotta, Margaret iniziò frenetica a radunare tutto ciò che riteneva avrebbe potuto tornare utile a Rachel, infilandolo in fretta e furia dentro una sacca di stoffa. “Svelta, prendi quelle radici sul tavolo, laggiù!” la sollecitò, continuando a correre a destra e a manca.

Nonostante il panico, lei cercava di starle dietro come poteva.

“Come diamine hanno fatto a trovarci?” chiese Cedric, spaventato quanto gli altri. 

La domanda però si perse nell’aria, anche perché nessuno conosceva la risposta. Al momento la necessità impellente era andarsene da quel posto il più rapidamente possibile. Il punto da chiarire era il come. Da lì non c’erano altre uscite, a parte quella da dove erano appena venuti, e sicuramente dall’altra parte del muro avrebbero trovato i vampiri ad aspettarli. Non avevano vie di fuga, erano in trappola.

Afferrato il grimorio, Margaret lo mise nelle mani di Rachel insieme alla borsa stracolma di roba. “In queste pagine c’è tutto ciò che ti serve. Portalo sempre con te, non perderlo mai. È fondamentale.” si raccomandò.

“Aspetta, che vuol dire?” Lei la fissò spaesata. “Perché lo dai a me? Tu verrai con noi, puoi tenerlo tu…”

La donna scosse la testa, prima di prenderle il viso tra le mani affinché la guardasse dritto negli occhi. “Ascoltami. Qualunque cosa accada, non dimenticare mai ciò che ti ho insegnato. Credere in se stessi è la prima regola…”

Rachel però non riusciva a capire il perché le stesse dicendo quelle cose, nonostante un brutto presentimento iniziasse a farsi strada dentro di lei. Presentimento che si acuì quando Margaret si scostò, prendendo posto al centro della stanza. 

“No! Non puoi farlo, ti ucciderà!” protestò Ayris, afferrando al volo le sue intenzioni.

Lo sguardo di Rachel scattò verso la sua maestra. “Che significa? Cosa vuoi fare?” 

“Aprirò un portale nella parete.” spiegò sbrigativa. 

Ayris allora la tirò per un braccio, decisa a fermarla. “Non te lo permetterò!” 

“È l’unico modo per andarvene da qui!” replicò Margaret, liberandosi dalla sua presa con uno strattone; poi chiuse gli occhi e tese le braccia in avanti. “Spero solo mi sia rimasta abbastanza energia.” Dopo un profondo respiro, prese a mormorare parole indistinte, finché,  trascorso qualche attimo in cui non accadde nulla, al centro della parete non iniziò a intravedersi un puntino luminoso. Pian piano si allargò sempre di più, trasformandosi in una voragine vorticante e un vento impetuoso investì i presenti, che cercarono di ripararsi come potevano. Soltanto Margaret rimase dov’era, immobile, i lunghi capelli castani che svolazzavano intorno al suo viso. 

Alla fine riaprì gli occhi e ammirò la sua opera, prima di venire colta da un mancamento e accasciarsi a terra.

Ayris si precipitò subito accanto a lei, seguita a ruota da Rachel.

“Che cos’hai?” chiese allarmata.

“Fate presto, non riuscirò a tenerlo aperto ancora per molto…” mormorò Margaret in un fil di voce. 

Rachel, però, non voleva saperne di lasciarla e disperata tentò di spingerla a reagire. “Forza, alzati! Devi venire con noi, non puoi restare qui…”

“No, il mio tempo è finito. Rachel, devi sbrigarti…”

Lei continuava a scuotere la testa, rifiutandosi di accettarlo. Come avrebbe fatto senza i suoi consigli e la sua esperienza? Non aveva la minima speranza di cavarsela da sola. “Non posso, non sono in grado…”

Margaret le rivolse un flebile sorriso d’incoraggiamento. “Certo che puoi. Puoi e devi farlo. Segui l’istinto e fidati del tuo potere, vedrai che andrà tutto bene.” Una lacrima furtiva le scese lungo la guancia mentre lo diceva. “Mi dispiace… Vorrei che avessimo avuto più tempo…”

Furono le ultime parole che le sentì pronunciare, mentre vedeva le forze abbandonarla pian piano, tanto da non riuscire più neppure a mantenere la finta parete che li separava dai loro inseguitori, che di punto in bianco sparì.

“Ray, dobbiamo andare! Vieni!” la incitò la voce di Mark alle sue spalle e, quando la afferrò per un braccio nel tentativo di trascinarla via, oppose resistenza. Pianse disperata, stringendo il grimorio al petto, ma alla fine non poté fare altro che cedere…

 

Il portale si richiuse una manciata di secondi dopo averli risputati in una radura coperta di neve e circondata da abeti. 

Rachel si ritrovò a terra carponi, il corpo scosso da forti tremiti. Sconvolta, non riusciva a trovare nemmeno la volontà di alzarsi in piedi. Davanti agli occhi aveva ancora l’immagine di Margaret che si accasciava al suolo, ormai prosciugata di tutte le energie.

-Devi credere in te stessa. È la prima regola…

Ma come avrebbe potuto ora che l’unica persona in grado di aiutarla l’aveva abbandonata? Margaret era stata per lei quanto di più simile alla madre che non aveva mai avuto. L’aveva seguita, incoraggiata, messa in croce a volte, ma solo grazie alla sua guida era riuscita a superare i propri limiti mentali, crescendo più in quelle poche settimane che in diciotto anni di vita. Si era sentita considerata, protetta. Ora, invece, era di nuovo sola e con una responsabilità enorme sulle spalle. Quella consapevolezza le riempì di nuovo gli occhi di lacrime, che scesero a rigarle il volto intirizzito.

A differenza sua, gli altri avevano già reagito al cambiamento e cercavano di orientarsi.

“Ovviamente è inutile chiedere dove siamo finiti.” commentò Cedric, guardandosi intorno spaesato mentre si teneva il braccio dolorante.

“A giudicare dal paesaggio e dal clima non molto lontano.” osservò Dean in risposta.

Un profondo senso di sconforto aveva invaso Juliet fin dal primo istante in cui aveva toccato terra. Era successo esattamente ciò che aveva temuto di più. Da un momento all’altro erano di nuovo chissà dove, privi di riferimenti e di tutta la loro roba, rimasta nel cottage di Margaret. D’istinto le venne subito da piangere e non fece nulla per trattenersi. Poi sollevò lo sguardo sull’amica e si rese conto che la sua sofferenza doveva essere nulla in confronto a quello che stava passando lei. 

“Com’è potuto succedere?” chiese Mark avvilito. “Insomma, come ci hanno trovato? Cedric non aveva neanche più quel tatuaggio addosso…”

Dean scosse la testa, confuso quanto loro. “Non lo so.” Fu l’unica risposta che riuscì a dare. Gli venivano in mente un paio di ipotesi, ma erano tutte talmente inverosimili che lui per primo non riusciva a prendere in considerazione. L’unica certezza era che, quando aveva alzato la testa, Mary e Byron erano lì, insieme. Non era mai accaduto da che ne avesse memoria. Se li avessero catturati sarebbe stata la fine, perciò non si era posto tante domande. Una volta aperto il portale, assicuratosi che la mano di Juliet fosse ben stretta nella sua, si era praticamente tuffato con lei, lasciandosi il pericolo alle spalle. Ripensandoci adesso, forse si era comportato un po’ da egoista, ma lì per lì l’istinto di sopravvivenza aveva prevalso.

“Ne sei proprio sicuro?” fece allora Mark, prendendolo alla sprovvista. “Non è che magari c’entra il fatto che sei andato in città quella mattina? Potrebbero averti visto.”

“Giusta osservazione.” concordò Cedric, lanciandogli subito un’occhiata piena di sospetto.

Dean, però, li fermò prima che potessero continuare. “È alquanto improbabile.” replicò secco. 

“Ma non impossibile. Magari si trovavano già lì e gli è bastato seguirti fino alla scogliera. Poi non hanno visto niente per via dell’incantesimo protettivo e si sono accorti di noi solo giorni dopo.” ricostruì Mark, che dall’insistenza sembrava intenzionato ad accusare Dean a tutti i costi. “Non dirmi che non ci hai pensato.”

“Certo che ci ho pensato, ma posso assicurarti che non è così. Sapevo di correre dei rischi, quindi sono stato attento molto più del necessario. Non c’era una sola persona sospetta e, fidati, se ci fosse stata me ne sarei accorto.” 

“Ciò non toglie che avresti potuto evitare.” ribatté Mark imperterrito. “Te l’avevo detto che non era una buona idea, ma tu niente. Devi sempre fare di testa tua.”

Era la prima volta in assoluto che lo vedeva comportarsi in quel modo e Juliet ne rimase colpita. Perché era tanto convinto che la colpa fosse sua? La cosa la infastidiva parecchio, soprattutto sapendo che l’unica ragione per cui aveva rischiato così tanto era stato per lei, per comprarle quel regalo. Il primo impulso fu quello di intervenire per difenderlo, ma non ce ne fu bisogno perché Dean, altrettanto risentito, provvide da sé.

“Te lo ripeto, non ho ragione di credere che mi abbiano seguito.” ribadì deciso, pur mantenendo il suo solito contegno. “Piuttosto, parliamo di quello che hai fatto tu. Se non avessi assillato Rachel con le tue manie da fidanzato iperprotettivo, non sarebbe mai esplosa e la barriera che impediva di vedere la casa sarebbe rimasta in piedi. Quindi forse dovresti riflettere prima di lanciare accuse senza fondamento.” 

“Proprio tu parli? Voglio vedere cosa avresti fatto al mio posto!” gli fece eco Mark, visibilmente offeso. 

A quel punto, Juliet non riuscì più a tacere. “Basta, fatela finita! Non è questo l’importante adesso! Siamo nel bel mezzo del nulla e voi pensate solo a darvi la colpa a vicenda? Ma che vi dice la testa?” strillò, quasi sull’orlo di una crisi isterica. Se avesse assistito a un altro minuto di quell’assurda discussione, era certa che li avrebbe picchiati uno per uno. 

Il suo intervento ebbe l’effetto di scuotere Rachel, che fino a quel momento era rimasta immobile nello stesso punto in cui si era ritrovata dopo aver attraversato il portale, troppo sconvolta per badare ai loro litigi. Solo allora realizzò che non ne poteva più, che doveva andarsene. Neanche lei sapeva dove, l’importante era allontanarsi da quel posto e da loro. Così si alzò in piedi, senza smettere di stringere il grimorio come se ne andasse della sua vita, e si incamminò verso ignota destinazione.

Naturalmente Mark fu il primo ad accorgersene. “Ray.” la chiamò, non ottenendo però alcuna risposta. Allora si decise a seguirla, imitato dagli altri. “Dove stai andando?” 

Niente. Rachel lo ignorò, continuando per la sua strada. Per qualche strano motivo era convinta che prima o poi l’avrebbero lasciata in pace, che avrebbero smesso di starle attaccati come calamite. Invece no, si ostinavano a seguirla, come se avesse bisogno della balia. 

Quando alla fine sentì la mano di Mark sfiorarle la spalla, non riuscì più a trattenere la rabbia e si voltò fulminea verso di loro. “Statemi lontano! Non voglio che succeda di nuovo!” gridò furiosa, la voce rotta da singhiozzi incontrollabili. La realtà era che aveva il terrore di far loro del male, di fare del male a Mark. Sulla spiaggia il suo potere era fuoriuscito da lei in maniera del tutto irrazionale, stavolta provocando un disastro. Era colpa sua se Cedric si era fatto male, colpa sua se avevano dovuto lasciare Margaret, se era stata costretta a sacrificarsi. D’improvviso il peso del rimorso la aggredì, schiacciandola come un macigno, e cadde in ginocchio nella neve, interrompendo quel suo folle vagare.

Senza tenere conto della sua richiesta, Mark le fu subito accanto e la abbracciò, sostenendola mentre scoppiava in un pianto disperato. “Tesoro mio…” Prese a sussurrarle parole di conforto, cercando allo stesso tempo di calmare i tremori che l’avevano assalita. 

“Non succederà, Ray. Non ci farai del male.” Nonostante anche lei fosse preda della tristezza, Juliet tentò di rassicurarla come meglio poteva, accarezzandole la spalla per infonderle calore. Vederla in quello stato la straziava e si sentì una stupida per non aver dato priorità a lei, invece di assecondare gli inutili battibecchi dei ragazzi. A giudicare dalle espressioni che vide dipinte sui loro volti, probabilmente al momento quello era il pensiero comune.

Rachel tuffò il viso contro il petto di Mark, trovandovi rifugio. “Doveva restare con me… L’aveva promesso…” continuava a ripetere tra le lacrime, finché pian piano i singhiozzi si fecero meno frequenti e anche i tremori cessarono. 

Quando ebbe la certezza che si fosse calmata, Dean pensò che fosse il caso di prendere in mano la situazione. “Mi dispiace. Non voglio essere inopportuno, ma non possiamo fermarci. Non so se Byron sia in grado di riaprire il portale, ma se dovesse riuscirci sarà meglio non farsi trovare qui.” disse nel tono meno invasivo possibile.

Era la verità e, per quanto scomoda fosse, dovettero accettarla. Così, dopo aver aiutato Rachel a rialzarsi, Mark gli rivolse uno sguardo di scuse, che Dean ricambiò senza fiatare. Non c’era bisogno di aggiungere altro e, una volta chiariti, si strinsero nei cappotti, avviandosi lungo il sentiero tra gli abeti.

“Sapete una cosa? Io comincio a odiarli questi dannati portali.” esordì Cedric seccato dopo diversi minuti di cammino. “Mai una volta che finiamo, che so, in una località turistica per ricconi con alberghi extralusso e locali notturni. No, noi finiamo nei boschi, sempre…”

“Okay, Ced. Niente più campeggio per te.” tagliò corto Mark, al momento poco incline all’ironia.

Lui annuì convinto, stringendo i denti per il freddo. “Ci puoi scommettere.” 

Per loro fortuna non passò molto tempo prima che si iniziasse a intravedere, in lontananza, una distesa di tetti con i comignoli che buttavano fumo, segno che fossero vicini a un villaggio. 

“Potremmo provare a chiedere ospitalità in un pub o in una locanda.” propose Mark, stringendo di più Rachel a sé per scaldarla. 

“Pur volendo, non abbiamo soldi.” fece notare Juliet amareggiata, sebbene non bramasse altro che una tazza di tè fumante e un caminetto acceso.

“Faremo leva sulla loro pietà.” replicò Dean in tono secco, muovendosi per primo in direzione delle case. A giudicare dal colore del cielo, presto avrebbe ripreso a nevicare ed era meglio sbrigarsi a trovare riparo.

In giro non c’era molta gente, ma dal contesto generale e dopo aver visto la vetrina di un negozio che vendeva kilt, realizzarono con un certo sollievo di trovarsi ancora in Scozia, pur non sapendo con esattezza dove. -Rosehall Inn- lessero subito dopo sulla facciata di un piccolo albergo. Doveva trattarsi del nome del villaggio. 

Al primo locale disponibile non si fecero troppi problemi ed entrarono, venendo subito accolti dal calore e l’allegria del tipico pub scozzese, con il bancone in legno e gli sgabelli foderati in pelle. Le pareti erano piene zeppe di oggetti di varia natura, messi sugli scaffali senza seguire un ordine preciso, e dietro al bancone una lunga fila di bottiglie contenenti vari liquori. Il tutto aveva un’aria invitante e accogliente, una mano santa per i loro corpi infreddoliti.

Non era particolarmente pieno, così si sedettero al tavolo più vicino possibile al fuoco. Poco dopo, un omone barbuto con due grandi baffi si avvicinò per salutarli e prendere le ordinazioni. “Salve ragazzi, cosa vi servo?” domandò gioviale. 

Cedric gli rispose accennando un sorriso. “Qualunque cosa, basta che sia caldo.” 

L’omone allora ridacchiò, scrivendo rapido sul taccuino. “Okay, ci penso io.” Poi fece per andarsene, ma Juliet lo fermò.

“Aspetti. Penso sia meglio dirglielo subito, non abbiamo soldi con noi.” lo informò, non senza provare una punta di vergogna. 

Alla sua espressione perplessa, cercò di arrangiare una spiegazione inventandosi di essere turisti americani in vacanza nei dintorni e di essere stati derubati. “Guardi cosa hanno fatto al mio amico.” aggiunse, approfittando dello stato di Cedric per rendere il tutto più credibile. 

“Oh, mi dispiace.” disse il barista, aggrottando la fronte. “Di solito qui è sempre tranquillo, siete stati sfortunati. Comunque, a pochi metri c’è il commissariato. Se volete…” 

“Molte grazie, domani andremo senz’altro.” lo interruppe Dean. “Intanto però ci chiedevamo se sarebbe così gentile da indicarci un posto dove passare la notte.”

“Potete restare da me. Ho un paio di stanze libere di sopra.”

“Davvero?” Juliet non riusciva a crederci. “E ci ospiterebbe gratis?”

Nel vedere le loro facce speranzose con gli occhi che brillavano, l’omone proruppe in una grassa risata, per poi cingerle le spalle con uno dei suoi braccioni possenti. “Certo, ci mancherebbe! È la vigilia di Natale per la miseria, potrei mai dirvi di no?” 

Solo allora si accorsero che, in effetti, il locale era addobbato con ghirlande e altre decorazioni natalizie che prima non avevano notato per la fretta di trovare ristoro accanto al caminetto. Venirlo a sapere così li colse tutti un po’ di sorpresa. Ormai vagavano in giro per il mondo da talmente tanto che avevano perso la cognizione del tempo e i giorni sembravano tutti uguali. L’arrivo del Natale significava che erano trascorsi ben sei mesi da quando avevano lasciato Greenwood. 

-Già sei mesi- D’istinto Juliet alzò lo sguardo, incontrando quello di Rachel e dei ragazzi e scoprendoli altrettanto malinconici. Probabilmente anche loro avevano subito associato al Natale il ricordo delle cene in famiglia, dell’atmosfera calda e rassicurante di una casa. Tutte cose di cui sentiva la mancanza ogni giorno di più.

La voce tonante del padrone della locanda la distolse da quei pensieri infelici. Raccomandò loro di riscaldarsi davanti al fuoco mentre aspettavano che tornasse con le ordinazioni, dopodiché si allontanò verso il bancone.

“Dopo questa ho decisamente ritrovato fiducia nell’umanità.” li informò Cedric, una volta soli.

Accanto a lui Mark piegò appena le labbra in un sorriso mesto. “Fossero tutti così.” commentò, prima di tornare alle questioni importanti. “Okay, per stanotte siamo apposto. Poi che si fa?”

“Tutta la nostra roba è rimasta da Margaret.” disse Juliet affranta. “I vestiti, le collane delle sorelle Danesti…” –Il mio diario- aggiunse mentalmente. Per fortuna che almeno non si era mai tolta il ciondolo con la stella polare che le aveva regalato Dean. Non avrebbe sopportato di perdere anche quello.

“Siamo ancora in Scozia. Magari potremmo provare a tornare lì.” propose Cedric.

Dean però scosse la testa, mostrando subito il suo dissenso. “No, è escluso. Mary e Byron lo avranno previsto e tornare indietro significherebbe cadere nella loro trappola. Sarebbe un rischio inutile.”

“E allora cosa proponi, sapientone? Non possiamo scroccare vitto e alloggio all’infinito.” gli fece notare Cedric in tono acido.

Assorto nelle sue riflessioni, Dean non lo guardò nemmeno. Un’idea gli ronzava in testa già da un po’, da quando erano sbucati fuori dal portale per l’esattezza, idea che più passava il tempo e più diventava concreta. “Un’alternativa potrebbe essere tornare dagli Jurhaysh.” 

Come prevedibile, la sua uscita provocò la perplessità generale, ma nessuno fece in tempo a replicare perché nello stesso momento arrivò di nuovo l’oste con un vassoio carico di tazze di tè fumante, tramezzini e altre sfiziosità per ristorarli. “Ecco qua.” Appoggiò il vassoio sul tavolo, lasciando che si servissero.

“Grazie mille, signore.” gli disse Cedric, attaccando subito con un tramezzino.

“Figuratevi.” ricambiò lui, mentre si strofinava le mani sul grembiule che portava legato attorno alla vita; poi la sua attenzione si concentrò meglio sul brutto taglio sulla sua fronte. “Quello è meglio se lo disinfetti. Matilda!” tuonò subito dopo e il viso di una ragazza sbucò da dentro la cucina. “Porta del disinfettante e qualche cerotto!”

Quando di lì a poco lei arrivò al tavolo con quanto richiesto, Juliet la ringraziò, dicendo che ci avrebbe pensato lei.

“Fate con comodo. Quando avete finito, venite da me per le chiavi delle stanze.” disse l’omone, prima di congedarsi. 

Dopo averlo ringraziato ancora per la sua generosità, poterono tornare sull’argomento lasciato in sospeso. 

“Ci hai pensato bene? Ho seri dubbi che ci riaccoglieranno a braccia aperte dopo quello che è successo.” obiettò Mark, mantenendo la voce bassa per non attirare attenzioni indiscrete. “Ci credono responsabili della morte di Jamaal e inoltre ti ricordo che sospettano di te. Non eri tu quello che voleva andarsene prima possibile per evitare il linciaggio?”

Dean annuì. “Vero, ma al momento non vedo altre soluzioni. Ci serve un posto tranquillo e familiare dove Rachel possa lavorare alla pozione, e il villaggio degli Jurhaysh è l’unico che risponde a tali requisiti. Se poi tu hai un’idea migliore…” ribatté, restando in attesa. 

Mark però non ne aveva, così come tutti gli altri, quindi si limitò al silenzio, anche se gli si leggeva in faccia che non fosse per niente convinto. 

Dal canto suo, invece, Rachel si scoprì d’accordo con la proposta di Dean. “Non c’è altro da fare. Dobbiamo tornare da loro.” esordì, aprendo bocca per la prima volta dalla crisi di pianto che l’aveva travolta nel bosco. Dentro si sentiva ancora a pezzi e le sarebbe servito del tempo per superare il dolore di quei momenti, ma ora doveva reagire. Margaret le aveva affidato un compito e lei intendeva portarlo a termine. Doveva farlo per la sua maestra, affinché il suo sacrificio non fosse stato vano.

“Ray, non credo sia il caso…” fece per replicare Mark.

“Lo è eccome, invece.” lo interruppe. “Margaret non c’è più e l’unica persona in grado di aiutarmi con la pozione è in quel villaggio, perciò io dico di rischiare.” sentenziò risoluta. Quel poco che Margaret era riuscita a insegnarle sulle pozioni non era certo sufficiente a fare di lei un’esperta, quindi Laurenne era la sua sola speranza.  

“Sì, ma come facciamo a spostarci? Non abbiamo un soldo e direi che andare a piedi è fuori discussione.” osservò giustamente Cedric, sussultando per il dolore quando il tampone imbevuto di disinfettante toccò la ferita.

Juliet trasalì insieme a lui. “Scusa.” 

“Ci vorrebbe la mappa dei portali, se non fosse che è rimasta al cottage insieme a tutto il resto.” rifletté Dean. 

A quel punto, allora, Mark si mise una mano in tasca, traendone subito fuori la vecchia pergamena sgualcita che Najat aveva consegnato loro prima della partenza e appoggiandola sul tavolo sotto i loro sguardi sbalorditi. “Visto che ultimamente non si sa mai cosa può succedere, ho pensato di tenerla sempre con me. Per ogni evenienza.” 

“Tu sei un genio. Te l’ho mai detto?” fece Cedric, strabuzzando gli occhi.

L’amico accennò un leggero sorriso consapevole, prima di rimettersela in tasca.

Dean annuì soddisfatto. “Bene, è già un passo avanti. Appena avete finito, direi di iniziare subito a studiare una strategia.” propose. 

Tutti annuirono con aria rassegnata; poi, una volta che Juliet ebbe finito di rattopparlo, Cedric sollevò la sua tazza di tè a mo’ di brindisi. “Beh, buon Natale ragazzi.” augurò, mandando giù un sorso subito dopo.

“Già…” gli fece eco Juliet, abbassando lo sguardo malinconica. “Proprio un gran bel Natale.”

Di comune accordo decisero che sarebbe stato più prudente consultare la mappa al chiuso e alla larga da eventuali orecchie indiscrete. Arrivati a quel punto, non potevano fidarsi di nessuno. Così, saliti in camera Mark stese di nuovo la cartina sul tavolino sotto la finestra, accendendo la luce della vecchia lampada dalla vernice scrostata per vederci meglio.

“Io continuo a pensare che non sia una buona idea tornare laggiù.” commentò, prima di lasciare spazio a Dean. 

Rachel non poté esimersi dall’alzare gli occhi al cielo. “È l’unica che abbiamo. Fattene una ragione.” lo liquidò, inacidita dal nervosismo ma anche dalla stanchezza. Dopo essersi seduta con malagrazia sul primo letto a castello dei due disponibili, afferrò il cuscino e gli diede una sprimacciata, per poi sdraiarsi a faccia in su. Non aveva nemmeno voglia di partecipare. Che trovassero loro il modo di arrivarci, per lei era indifferente.

Quella sera, però, come da diverso tempo del resto, Mark sembrava in vena di discussioni. “No, invece.” insistette. “Ci sono troppe variabili da considerare.”

“Per esempio?” fece Cedric perplesso.

“La prima è che non sappiamo come raggiungere il villaggio. Potrebbero volerci settimane, con il rischio di ritrovarci a vagare nel deserto senza cibo né acqua. Secondo, c’è sempre la possibilità che gli Jurhaysh si rifiutino di accoglierci di nuovo. Che faremmo in quel caso?”

Pur non conoscendo la risposta, Rachel era abbastanza sicura che non gliene importasse nulla al momento. Era stufa di pensare sempre a come risolvere problemi prima ancora che si presentassero. Ora la priorità era arrivare al villaggio, agli sviluppi avrebbero pensato in seguito. “Senti.” disse, guardandolo dal letto. “Te l’ho già detto, io devo finire quello che ho iniziato con Margaret e dato che lei è morta…”

“Come fai a dirlo?” la interruppe Mark inaspettatamente. “Come fai a essere sicura che sia davvero morta? Nessuno di noi l’ha vista. Potrebbe essere fuggita come ha già fatto in passato.” obiettò.

A quella domanda stavolta Rachel sapeva come rispondere. Con un sospiro spazientito si rimise a sedere, al contempo sfilandosi dal collo la catena a cui era appeso il ciondolo col rubino e mostrandola ai presenti. Diversamente dal solito, la pietra appariva più scura, come spenta. “È così da quando abbiamo attraversato il portale.” spiegò asciutta. “Prima che le riunissimo, anche le altre due collane avevano questo aspetto. Significa che Margaret è morta e con lei la sua magia.” 

Di fronte all’evidenza, nella stanza calò il silenzio. Juliet percepì la tristezza nello sguardo dell’amica e avrebbe voluto poterla confortare in qualche modo, ma lei non gliene diede il tempo. Rimesso il ciondolo al suo posto, infatti, tornò a guardare Mark con aria determinata. “Così come ci hanno trovato la volta scorsa, dobbiamo sperare che i guerrieri ci trovino ancora. Probabilmente staranno controllando i portali nel loro territorio, perciò incrociamo le dita e speriamo per il meglio.” sentenziò definitiva, ponendo fine alla discussione.

Di lì a poco Dean, che nel frattempo non aveva staccato gli occhi dalla cartina nemmeno per un secondo, li informò di aver individuato un portale non troppo distante da Rosehall, ridente località nelle Highlands scozzesi dove si trovavano, anche se non era sicuro al cento per cento che conducesse proprio nel deserto. “Le lettere sono sbiadite, ma è quello che sembra avvicinarsi di più a una sua corrispondenza in Arabia Saudita.” illustrò, indicando il punto sulla mappa a Mark e Juliet, che intanto si erano avvicinati per guardare. “Con un po’ di fortuna, circa a quest’ora domani dovremmo essere al villaggio. Altrimenti…”

“Fortuna.” ripeté Cedric, sfoderando un ghigno amaro. “Sarebbe bello anche solo ricordare che significa.” 

“Altrimenti dovremmo continuare a cercare il portale giusto, finché non arriviamo a destinazione.” completò Dean, ignorandolo. 

Juliet arricciò le labbra, per nulla attratta dall’idea. “E vagare ancora in lungo e in largo con in vampiri alle costole? Non è una bella prospettiva.” 

“Non c’è scelta. È un azzardo, ma non possiamo fare diversamente.” 

Quando Dean fece scivolare la mano verso la sua, intrecciando le loro dita in segno di solidale vicinanza, Juliet si sentì subito più confortata. Era un gesto semplice, che però le infuse calore e rassicurazione. 

Ormai non c’era molto altro da aggiungere, così decisero di andarsene a letto e recuperare almeno quelle poche ore di sonno che li separavano dalla partenza. Alla fine avevano concordato che dormire tutti nella stessa stanza fosse la cosa migliore, per sicurezza, anche se i letti erano solo quattro. Dean allora disse subito che per lui non era un problema, visto che con ogni probabilità sarebbe rimasto sveglio. 

Mentre si infilava sotto le coperte, Juliet lo guardò sistemarsi sulla sedia, rivolto verso la finestra. “Sei sicuro?” gli chiese, poco convinta della sua scelta. Quindi si scostò leggermente, facendogli intendere che da lei c’era posto. Si sentiva in colpa a dormire in un letto, quando lui era costretto in quella posizione scomoda.

Per tutta risposta, Dean alzò un sopracciglio. “Credevo preferissi dormire con Cedric.” esordì in modo del tutto inaspettato, senza preoccuparsi più di tanto di non farsi sentire.

Dall’alto del letto di sopra, infatti, lui mugugnò qualcosa in protesta, ma stava già per addormentarsi quindi non aggiunse altro. 

L’espressione che Juliet gli rivolse era tutto un programma e, pur avendo colto la sua vena ironica, si finse offesa.

“Stavo scherzando.” precisò Dean, temendo già di aver parlato a sproposito.

Lei lo fissò indispettita ancora per qualche istante; poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso e scosse la testa. “Allora che fai, vieni o no?” lo incalzò decisa.

Alla fine Dean cedette, a dire il vero con ben poco sforzo, e si sdraiò accanto a lei, che soddisfatta si accoccolò sul suo petto, trovandovi subito il calore che le mancava. 

“Sei stata davvero scaltra prima.” le sussurrò dopo pochi minuti. “La storia dei turisti derubati. Io non avrei saputo inventare di meglio.” spiegò quando la vide guardarlo interrogativa.

Juliet allora capì e una risatina sommessa le sfuggì in automatico. “Sì beh, ogni tanto capita.” 

“Non dire così. Non sottovalutarti.” 

Quelle poche parole messe in fila riuscirono ad ammutolirla e pensò che Dean avesse ragione, che doveva smetterla di sminuirsi, di pensare di valere meno degli altri. Doveva credere di più in se stessa e si ripromise che da quel momento in poi ci avrebbe provato con maggiore impegno. 

Nei minuti successivi restarono in silenzio, la mente di Juliet che vagava tra i brutti ricordi dei momenti appena vissuti, cercando invano di scacciarli almeno il tempo sufficiente per prendere sonno. Difficilmente avrebbe mai dimenticato lo sguardo assassino impresso sul volto di Mary, poco prima che lei e Dean entrassero nel portale. “Pensi che Ayris sia riuscita a scappare?” domandò quasi d’istinto, vergognandosi subito dopo di essersi preoccupata per lei solo ora. In fondo, in quelle settimane trascorse insieme aveva imparato a conoscerla e ad apprezzarla nonostante la freddezza con cui li aveva sempre trattati, arrivando perfino ad affezionarcisi. Le si stringeva il cuore all’idea che potessero averle fatto del male. 

Dall’iniziale mutismo di Dean intuì che stesse cercando il modo giusto per dirle ciò che già temeva, ma che aveva paura di sentire. 

“Lo spero davvero. ” rispose infine, piuttosto rabbuiato. “In caso contrario, dubito che Mary e Byron ci siano andati tanto leggeri con lei.”

Juliet si diede dell’ingenua per aver pensato che si fosse salvata e non ci volle molto prima che lacrime silenziose le solcassero le guance. Cercò di nascondersi, ma Dean se ne accorse comunque e lentamente prese ad accarezzarle i capelli nell’intento di tranquillizzarla. “So che non è facile, ma dovresti provare a dormire un po’. Domani ci aspetta una lunga giornata.” sussurrò, per poi sfiorarle la tempia con le labbra. 

Rassicurata dalla sua presenza, Juliet si asciugò le lacrime e annuì. Provò a chiudere gli occhi, ma ancora una volta Dean aveva ragione, non fu per niente facile spegnere il cervello e cedere al sonno.

Le facce alquanto disorientate che sia lei che gli altri esibirono il mattino seguente furono la dimostrazione che nessuno di loro avesse dormito granché quella notte.

Non avendo soldi, quando fu il momento di lasciare la locanda Mark insistette per lasciare al loro ospite il suo orologio d’oro, per ripagare in qualche modo la sua ospitalità. All’inizio l’oste si mostrò titubante, dicendogli di non preoccuparsi, che l’aveva fatto volentieri, ma dopo varie insistenze alla fine cedette. L’orologio però valeva troppo, così si offrì anche di preparare loro qualche provvista per il viaggio. 

“Era destino che dovessi darlo via.” commentò Mark, leggendo tra le righe dell’espressione poco convinta di Dean. Il suo tono sconsolato bastava a far intendere che non ne fosse proprio entusiasta. “Ah, a proposito. Non una parola con Ray…”

“Tranquillo, sarò una tomba.” lo rassicurò, afferrando al volo prima che finisse di parlare.

“Che detto da un vampiro…” 

Dopo averlo squadrato dall’alto in basso, Dean scoppiò a ridere, per poi prendere dal bancone la sua parte di provviste e precederlo fuori dalla locanda. 

-o-

 

Il viaggio di ritorno durò tutta la notte e il mattino seguente, così che arrivarono a Bran già nel primo pomeriggio. Per entrare in Romania avevano usato un portale poco distante dalla città, ma comunque fuori dai confini e avevano dovuto percorrere l’ultimo tratto a piedi.

Quando Mary scorse il pinnacolo della torre nord stagliarsi al di sopra del profilo degli alberi, l’ansia le schizzò alle stelle. Fino a quel momento era riuscita a contenerla solo perché il castello era ancora lontano, invece ora sentiva tutta la pressione di ciò che stavano per affrontare. E parlava al plurale, visto che per una volta Byron era coinvolto nel suo stesso destino. Dire che il pensiero la rincuorasse era un po’ troppo, ma almeno non la faceva sentire sola mentre andava al patibolo.

Lungo l’intero tragitto il suo compagno di sventura non aveva aperto bocca. L’espressione tesa, quasi granitica, di chi cerca con tutte le sue forze di mantenere la razionalità nonostante sia ben consapevole di ciò che lo aspetta. 

Per l’ennesima volta ripensò a quanto accaduto in seguito alla fuga degli umani e alla morte della Danesti…

 

In piedi sopra il corpo dell’ormai defunta cugina, Byron imprecò furente, ignorando il cadavere della ragazza dai capelli rossi, appena spirata per mano di Isaac e Benedict. Aveva il viso martoriato dai lividi e dai tagli inferti dai pugnali che avevano usato per indurla a parlare. Piantata al centro del petto la lama con cui le avevano dato il colpo di grazia. Una scena poco piacevole a vedersi, ma che ormai a Mary non faceva alcun effetto.

A colpirla fu molto di più la reazione di Byron, che in tutti gli anni in cui lo conosceva non aveva mai visto perdere il controllo. “Potresti degnarti di darmi delle spiegazioni? Quando ti ha detto che quella ragazzina è imparentata con i Danesti sei impallidito.” lo incalzò, per una volta senza la minima intenzione provocatoria. Si sentiva davvero confusa e voleva vederci chiaro. 

Lui però non rispose subito, immerso com’era nelle sue mille riflessioni. Sembrava perso, come se stesse cercando di riordinare e dare un senso alla miriade di pensieri nella sua testa come fossero pezzi di un puzzle. “Questo cambia tutto…” mormorò infine, più rivolto a se stesso che a lei.

Mary iniziava davvero a spazientirsi. “Che significa? Di cosa stai parlando?”

Invece di spiegarsi, Byron liquidò i due vampiri dicendo loro di andare a farsi un giro e che tra poco li avrebbero raggiunti fuori dalla grotta. Una volta soli, si sedette su una sporgenza rocciosa, abbandonandosi definitivamente a un sospiro di sconforto. “Era tutto sbagliato. Fin dall’inizio…” 

“Insomma, ti decidi a farmi capire qualcosa?” insistette, sempre più esasperata dai suoi bisbigli indecifrabili. “Cos’è questa storia della maledizione?” Non avevano fatto in tempo a interrogare la donna perché era morta pochi istanti dopo la chiusura del portale, ma con i giusti metodi la sua giovane amichetta si era rivelata parecchio loquace e alla fine aveva parlato di una certa maledizione che incombeva su Nickolaij, di cui lei non aveva mai saputo nulla. Dal poco che era riuscita a captare, Margaret Danesti ne era la responsabile. 

Byron tentennò, dapprima senza guardarla. L’idea di renderla partecipe di quello che era evidentemente un segreto tra lui e Nickolaij non sembrava allettarlo; poi si arrese all’inevitabile. “D’accordo, tanto vale che lo sappiate. Secoli fa, prima di inscenare la propria morte, la mia dolce cugina ha maledetto la lama di un pugnale che ha poi consegnato alla sorella Elizabeth. Ella lo usò contro sua Signoria, provocando… come dire… un notevole cambiamento nel suo corpo.”

“Ossia?” gli chiese, ansiosa di conoscere i dettagli. Quella era l’occasione che aspettava per dare un senso a tutto ciò che aveva letto nei libri.

Lui esitò ancora, visibilmente incerto se proseguire. 

Mary allora capì al volo e sospirò frustrata. “Avanti, siamo entrambi sulla stessa barca nel caso non te ne fossi accorto. E poi mi sono documentata sulle Danesti, so che Elizabeth era identica al nuovo giocattolo di Nickolaij ed è per questo che ne è così ossessionato. Ora mi serve di sapere il resto. In cosa consiste la maledizione, tanto per cominciare.”

Quando finalmente Byron si decise a spiegarglielo, le sembrò quasi di stare sognando, che quelle parole non gli stessero davvero uscendo di bocca, ma fosse soltanto frutto della sua immaginazione. Nickolaij non beveva sangue umano per nutrirsi da almeno cinquecento anni, non gli faceva nessun effetto. Avrebbe potuto ingerirne interi barili senza che questo gli provocasse alcun beneficio. 

“Per tutto questo tempo sono riuscito a contenere i danni grazie a un infuso di mia invenzione che sostituisce in parte le sue qualità nutritive, ma la mancanza di sangue ha comunque provocato un generale indebolimento del fisico di sua Signoria. Per non parlare dell’umore…” 

Per un momento Mary pensò addirittura di doversi sedere, ma poi si fece forza per non apparire debole. Dentro però infuriava il disorientamento più totale. La persona che era stata per lei un punto fermo, la cui potenza e determinazione l’avevano guidata e ispirata per tutti gli anni della sua vita alla Congrega, era imprigionata da secoli in una condizione infamante per qualunque vampiro. 

“Sua grazia è forte e finora ha dimostrato una capacità di adattamento notevole. Ciò non toglie che il suo stato di salute mi preoccupa.” confessò Byron. “Negli ultimi anni gli effetti della carenza di sangue si stanno facendo sentire ogni giorno di più e deve bere quantità sempre maggiori di infuso. Per questo avevamo bisogno della ragazza. Ero convinto che il suo legame con Elizabeth fosse la chiave di tutto, ma scoprire la verità su Margaret ha cambiato completamente le carte in tavola.”

Lo sguardo angosciato di Mary saettò verso di lui. “Che vuoi dire?”

Lui abbassò gli occhi sul pavimento, sembrava come vergognarsi. “Ho dato per scontate troppe cose nell’arco di questi secoli. Sapevo che solo Margaret aveva il potere di maledire il pugnale, eppure ho sempre creduto che occorresse il sangue di sua sorella per spezzare la maledizione. Tutti i miei studi conducevano in questa direzione e invece…”

“E invece cosa?” fece Mary, sempre più allarmata. “Nickolaij rischia di morire, te ne rendi conto? Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo…”

“Adesso calmati! L’isteria non ci porterà da nessuna parte!” tuonò Byron, lasciandola ammutolita. Era la prima volta in assoluto che alzava la voce con lei e soprattutto che si concedeva il permesso di darle del tu. Quindi si ricompose, tornando ad assumere il suo solito contegno. “Innanzitutto torniamo a Bran. Ci siamo trattenuti anche troppo.” sentenziò a quel punto, alzandosi in piedi.

Mary lo fissò basita. Tutto avrebbe pensato di sentirgli dire tranne quella frase. 

“È l’unica scelta possibile.” disse allora, leggendole sul viso ciò che non aveva espresso a parole. “Torniamo al castello e affrontiamo le conseguenze del nostro fallimento. Darci alla macchia sarebbe inutile e stupido. Lui ci troverebbe comunque.” concluse, padrone di sé in modo quasi inquietante.

“Moriremo, lo sai.”

Byron ci pensò su un istante. “Forse no. Abbiamo ancora una carta da giocare.”

 

Da quando erano partiti, Mary non aveva fatto altro che pensare a quella frase e tuttora continuava a chiedersi come intendesse uscire da una situazione che sembrava disperata. Dubitava fortemente che Nickolaij li avrebbe risparmiati e più si avvicinava il momento di entrare nel castello più il dubbio si trasformava in certezza.

Giunti all’ingresso, gli uomini di guardia chinarono il capo, ossequiosi come d’abitudine, ma in quel momento Mary aveva ben altro per la testa e sentì a malapena Byron ordinare a uno dei due di precederli per annunciare il loro arrivo. Poi fianco a fianco superarono il cortile interno, ritrovandosi poco dopo nel grande atrio di ingresso, dove non attesero molto prima di veder scendere Dustin dalle scale. 

“Milady.” la accolse, chinando il capo con rispetto. “Lord Byron.” 

“Abbiamo urgenza di conferire con sua Signoria.” tagliò corto lui, arrivando subito al sodo. 

Dall’espressione che fece, Dustin sembrava aspettarselo. Infatti annuì brevemente. “Vi accompagno.”

In nessun altro caso Mary era stata meno entusiasta di trovarsi di fronte alla porta dello studio di Nickolaij e, quando il segretario si apprestò a bussare, l’impulso di fermarlo fu quasi irrefrenabile. Glielo impedì soltanto la voce di Byron, che in poco più che un sussurro le disse: “Resta in disparte e lascia parlare me, intesi? In teoria, tu non dovresti sapere nulla.”

Tesa come un fuso, lei annuì appena, ma abbastanza decisa. Del resto, non era tanto masochista da far capire a Nickolaij che conosceva il suo più oscuro segreto.

“Avanti.” 

Quel timbro grave e inconfondibile la fece trasalire e fu allora che seppe di non potersi più tirare indietro. Lasciò che Byron la precedesse, per poi mettere piede anche lei nella stanza. Quando poi sentì Dustin uscire, richiudendo la porta alle loro spalle, non poté fare a meno di pensare che quelli avrebbero potuto essere gli ultimi minuti della sua vita.

Entrambi non persero tempo e si prostrarono riverenti ancor prima che Nickolaij alzasse gli occhi dalle lettere che stava scrivendo. 

“Ben trovati.” Il tono con cui li accolse era distaccato e non lasciava trapelare alcuna sorpresa nel rivederli. “Dunque, quali novità avete portato? I prigionieri sono già nelle segrete, immagino.”

Peccando forse di ingenuità, Mary non si aspettava di arrivare al punto così presto e d’istinto guardò Byron con la coda dell’occhio, trovandolo rispetto a lei inspiegabilmente calmo. Che fosse tutta apparenza?

“Mio Signore…” iniziò, ma venne subito interrotto.

“Se siete qui, confido che la missione da me affidatavi si sia risolta in un successo.” Nickolaij appoggiò i gomiti sulla scrivania, puntando su di loro il suo sguardo magnetico. 

Byron annuì, sebbene non ci fosse niente di vero in quell’affermazione. “In effetti, abbiamo diverse novità.” rispose.

Seguì un istante di silenzio, in cui Nickolaij studiò il suo volto per cogliervi, Mary ne era certa, ogni minima sfumatura di disagio. “Prosegui.” lo invitò infine, rilassandosi contro lo schienale della sedia.

“Dopo aver seguito Dean e gli altri per diversi giorni, abbiamo scoperto che si nascondevano nelle Highlands scozzesi.” spiegò Byron pacato. “Naturalmente mi sono chiesto il perché avessero scelto proprio la Scozia, ma una volta giunti lì ne ho compreso il motivo.” 

Dopo quell’insolita premessa fece una pausa e Nickolaij rimase in attesa. La sua espressione era distesa, ma allo stesso tempo concentrata. 

“Mio Signore, devo avvertirvi che purtroppo ciò che ho da dire non vi farà piacere.” si premunì, evitando comunque di apparire spaventato; poi smise di tergiversare e passò al sodo. “Mia cugina Margaret si nascondeva laggiù, in un cottage protetto da un potente incantesimo di dissolvimento.” rivelò tutto d’un fiato.

Mary trattenne il respiro, aspettandosi una qualche reazione da parte di Nickolaij, che invece si limitò a fissarlo senza proferire parola. Forse stava cercando di elaborare quanto appena sentito. “Margaret Danesti è morta più di cinquecento anni fa…” mormorò, anche se dal tono sembrò affermarlo più per convincimento personale che per reale sicurezza.

“È quello che volle farci credere mettendo in scena il suo suicidio. Finse soltanto di morire in quell’incendio, ma in realtà fuggì…”

“Hai detto si nascondeva…” rifletté Nickolaij, parlandogli sopra.

Mary intuì nel giro di un istante dove volesse andare a parare e in quel momento avrebbe solo voluto scappare da quella stanza. 

“Lei è morta. Questa volta veramente.” confermò Byron, abbassando lo sguardo. “Ha usato le sue ultime energie per aprire un portale che consentisse la fuga del traditore e dei suoi amici.”

A quel punto, Mary vide Nickolaij aggrottare la fronte. “In parole povere, stai dicendo che ve li siete lasciati scappare di nuovo.” dedusse, prima di avere una reazione totalmente imprevedibile. Si mise a ridere. Sembrava quasi se lo aspettasse e la cosa lo divertiva addirittura, ma chissà perché era abbastanza sicura che gioirne sarebbe stato un errore madornale. 

Anche Byron pareva dello stesso avviso. “Margaret aveva una sorta di assistente, anche lei della nostra specie. Dopo averla interrogata, sono giunto alla conclusione che i miei calcoli erano inesatti. Finora tutte le mie ricerche hanno sempre confermato che la soluzione fosse lady Elizabeth, invece dai recenti sviluppi ho compreso di aver commesso alcuni errori di valutaz…”

Le parole, però, gli morirono in gola quando, in uno scatto fulmineo, Nickolaij si alzò in piedi, sporgendosi oltre la scrivania e afferrandolo per il bavero della camicia. La vena sulla sua tempia prese a pulsare minacciosamente e la mascella si contrasse. “Ascoltami bene. Sono secoli che assecondo tutte le tue scempiaggini. Mi avevi assicurato di sapere cosa stavi facendo e adesso, dopo tutto questo tempo, hai il coraggio di venirmi a raccontare che ti sei sbagliato?” sibilò tra i denti, sotto lo sguardo impietrito di Mary. 

“Mio Signore, lasciate che vi spieghi…” 

“Naturalmente.” disse Nickolaij, senza mollare la presa. Anzi, strinse di più, attirandolo verso di sé. “Ritengo che tu non sia così pazzo da tornare qui senza sapere già come uscirne, dunque ti concedo trenta secondi e ti consiglio di sfruttarli bene. Dopodiché non posso assicurare che risponderò delle mie azioni.” minacciò, fuori di sé.

Annaspando per via della stretta, Byron si affrettò ad approfittare del poco tempo di cui disponeva. “Margaret ha un erede!” esclamò diretto. “Una delle ragazze umane! L’ho vista andare via con il suo grimorio tra le mani e la sua tirapiedi l’ha confermato. Il suo sangue è la soluzione! Vi scongiuro di credermi, mio Signore…”

Nonostante le sue parole non riuscirono nell’intento di convincerlo a lasciarlo, Nickolaij allentò la presa, dandogli modo almeno di riprendere fiato. “E allora che diavolo ci fate qui? Perché non li avete inseguiti?”

“Margaret deve aver rimosso il vegvisir con cui avevo marchiato il ragazzo e non ho più potuto seguire i loro spostamenti. Non sappiamo dove sono andati. La donna che viveva con lei non è stata in grado di dircelo e non era in mio potere riaprire quel portale, ma ho già in mente un modo per scoprirlo. Vi imploro soltanto di darmi un’altra possibilità.”

Attenta a non fare mosse false, Mary studiò lo sguardo di Nickolaij, tentando di captarne le intenzioni. Non osava muovere un muscolo né emettere un fiato, per paura che potesse intuire che lei sapeva. 

Alla fine di qualche interminabile istante di riflessione, le dita strette attorno al bavero di Byron si distesero e lui fu di nuovo libero.

Lentamente Nickolaij tornò a sedersi, prendendosi ancora un po’ di tempo. Quando infine sollevò di nuovo lo sguardo su di loro, ogni minima traccia di umanità era scomparsa. Il suo volto era imperturbabile. “Trovali.” ordinò, con un tono che non lasciava spazio a dubbi su quale sarebbe stata la sua sorte se avesse fallito ancora. 

Tutto riverente, Byron indietreggiò a capo chino verso la porta e Mary fece per imitarlo, prima di vederlo bloccarsi. 

“Ah, quasi dimenticavo.” disse in tono malfermo, frugandosi in una delle tasche del cappotto e tirandone fuori la collana con lo zaffiro che Nickolaij li aveva incaricati di recuperare. “Questa appartiene a voi.” Con cautela la poggiò davanti a lui sulla scrivania, poi dopo un ultimo breve inchino girò i tacchi e sia lui che Mary lasciarono lo studio. 

 

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Capitolo 24
*** Un posto sicuro ***


Capitolo 17

 

Un posto sicuro

 

“Ci fosse una volta che quella dannata mappa ci faccia sbucare dove dice!” sbottò Cedric, dando voce al pensiero comune.

Varcato il portale, infatti, si erano ritrovati tra i ruderi di un vecchio castello in rovina, a conferma del fatto che le indicazioni sulla mappa fossero ancora una volta sbagliate. Ogni cosa in quel posto era quanto di più lontano potesse esistere dal deserto che avevano lasciato settimane prima. Il clima era freddo, simile a quello scozzese, e una folta vegetazione circondava la zona, infiltrandosi perfino nelle crepe tra i blocchi di pietra. In alcuni punti le radici li avevano addirittura sollevati, così che dovettero prestare attenzione a dove mettevano i piedi.

“Almeno non nevica.” osservò Juliet, sollevando lo sguardo al cielo plumbeo e sperando che non riservasse brutte sorprese. Non le era mai piaciuta la neve, nonostante spesso la si accostasse al Natale, che invece era il suo periodo preferito dell’anno. Probabilmente perché una volta da bambina era scivolata sul ghiaccio e ricordava di essersi molto spaventata.

Mark assunse un’aria pensierosa, prima di rivolgersi a Dean. “Sei sicuro di aver letto bene il nome del posto?”

“No.” rispose insolitamente lui. “L’avevo detto che le lettere erano sbiadite.” 

Rachel rabbrividì, stringendosi nel giubbotto. “Quindi ora dovremo cercare un altro portale. Magnifico.” commentò frustrata. La sarebbe tanto piaciuto sapere chi potesse avercela con lei fino a quel punto e, quando di lì a poco gocce di pioggia fitte come spilli iniziarono a scendere su di loro, seppe di non averne subite ancora abbastanza.

“Perfetto, anche la pioggia.” disse infatti Cedric. “Potrebbe andare peggio di così?”

“Non vi muovete!”

Una voce autoritaria dall’accento particolare intimò l’alt e in breve vennero circondati da un gruppetto di uomini armati di fucili da caccia. 

“Ovviamente sì.” aggiunse, mentre come gli altri alzava le mani in segno di resa.

Un uomo dal fisico prestante e una folta barba rossiccia si avvicinò, tenendoli sotto tiro. “Chi siete? Perché vi trovate a Kinvara?”

D’istinto si scambiarono occhiate spaesate. Nessuno aveva mai sentito quel nome, tanto meno aveva idea di dove fosse.

“Non era questa la nostra destinazione. Eravamo diretti da tutt’altra parte.” cercò di spiegargli Dean, dicendo la prima e unica cosa che gli venne in mente. Del resto, era la verità.

Una ragazza alle spalle dell’omaccione fece schioccare la lingua. “Tutte balle!” ribatté. “Solo noi e i vampiri conosciamo questo portale e di sicuro non siete dei nostri.” 

Dopo un po’ che ci pensava, Rachel trovò il coraggio di esternare i suoi sospetti. “Voi siete cacciatori.” affermò con cautela. Lo aveva dedotto dai loro discorsi, oltre che dall’aspetto. Portavano delle armi molto simili a quella che aveva visto usare da Evan al villaggio e i modi rudi e guardinghi non facevano che confermarlo. 

“Fate parte della tribù Jurhaysh.” Juliet non riuscì a nascondere una certa emozione nella voce. Finalmente un colpo di fortuna. Con il loro aiuto forse sarebbero arrivati più velocemente da Laurenne.

Tuttavia, le sue parole non fecero altro che insospettirli ancora di più.

“Come fate a conoscerci?” domandò l’uomo barbuto, squadrandoli da capo a piedi. “Chi diavolo siete voi?”

Dean allora spiegò che conoscevano Najat e che erano in missione per conto suo. Disse che avevano importanti informazioni da riferirle ed era fondamentale che arrivassero da lei prima possibile. In parte mentì e tutti se ne resero conto. Rachel pensò che fosse una mossa piuttosto azzardata, considerando che non sapevano quali rapporti ci fossero tra gli Jurhaysh di Najat e quel gruppo. Sempre ammesso che fosse ancora lei il capo. Comunque gli ressero il gioco, anche perché non avevano alternative.

Per fortuna sembrò funzionare, perché al sentire il nome di Najat i cacciatori si calmarono e alla fine l’uomo barbuto abbassò il fucile, imitato subito dopo dagli altri. Mantenendo la sua espressione sospettosa si avvicinò a Dean, fin quando i loro nasi non furono a pochi centimetri l’uno dall’altro, e lo studiò attentamente. 

Trascorse qualche secondo in cui sudarono freddo, temendo che in qualche modo riuscisse a capire di non trovarsi di fronte un essere umano; poi invece il cacciatore spostò i suoi occhi verde mare su di loro, lasciando perdere Dean. “Legateli.” dispose secco. “Li portiamo da Avartak.”

Mentre agli altri venivano legati i polsi, Cedric fu l’unico a cui strinsero la corda attorno alla vita, per via delle sue condizioni, poi senza opporre resistenza si lasciarono trascinare fuori dalle rovine, dove trovarono i cavalli dei cacciatori intenti a pascolare.

Nel vedere gli animali, Juliet non poté fare a meno di trasalire intimorita. “Andremo a cavallo?”

Per tutta risposta, la ragazza del gruppo ridacchiò. “Noi andremo a cavallo.” chiarì, prima di montare in sella e far loro segno di seguirli. 

“Vedete di stare al passo.” L’omaccione, che doveva essere il leader, ghignò; poi con un colpo deciso ai fianchi del cavallo lo spronò a muoversi, tenendo saldamente la corda che li legava tutti insieme.

Mentre camminava, Dean diede un’occhiata al paesaggio che stavano attraversando, facendo caso a quanto fosse poco diverso da quello scozzese. “Non credo che ci siamo spostati di molto.” fece notare agli altri. “Forse siamo ancora nel Regno Unito…”

“Ma sentitelo!” proruppe uno degli uomini a cavallo, per poi sputare a terra in segno di scherno. “Non sai riconoscere un irlandese quando ne vedi uno, ragazzo?” 

“In effetti, mi era venuto il dubbio.” mormorò Cedric tra sé.

Ci volle circa un’ora di cammino sotto la pioggia per raggiungere la base dei cacciatori, un insieme di costruzioni in legno di varie dimensioni, circondato da un’alta palizzata a protezione del campo. Quando il portone si richiuse dopo averli fatti entrare, non trovarono persone comuni ma solo guerrieri, segno che non si trattasse di un vero e proprio villaggio. Doveva essere piuttosto un avamposto per il controllo della zona. 

L’uomo che li guidava scese da cavallo e con i compagni si diresse all’entrata della struttura più grande, che probabilmente era il centro di comando. Al loro ingresso, gli uomini e le donne riuniti intorno a un grosso tavolo interruppero la conversazione, voltandosi a guardarli.

“Comandante O’Neil.” disse il guerriero, rivolto a quello seduto a capotavola. 

“Duncan.” rispose lui, già intento a studiare i volti dei nuovi arrivati.

“Abbiamo trovato questi ragazzi che gironzolavano tra le rovine di Dúnguaire. Dicono di essere alleati del generale Alghamadi.” 

-Quindi Najat è ancora il capo- ne concluse Rachel sollevata. A quanto ricordava, non tutti nella tribù avevano visto di buon occhio la scelta di Jamaal di nominarla suo successore e il fatto che fosse riuscita a mantenere il suo ruolo era già una bella notizia. Non che le stesse particolarmente simpatica, ma almeno li conosceva e avrebbe potuto garantire per loro.

“E io sono uno gnomo dei boschi.” replicò uno dei guerrieri attorno al tavolo, per poi scoppiare in una grassa risata e trascinare anche gli altri con sé.

“Piantatela!” tuonò il comandante, ponendo fine al divertimento in un attimo. A quel punto si alzò in piedi, sovrastando gli altri di almeno mezzo metro, e si avvicinò ai nuovi venuti, scrutandoli con il suo unico occhio color grigio slavato. L’altro, infatti, era coperto da una benda.

Aveva una statura davvero imponente e incuteva un certo timore, tanto che Juliet si accostò d’istinto a Dean. 

L’occhio buono dell’omaccione si strinse a fessura mentre li scrutava in cerca di risposte. “Che ci fanno cinque ragazzini come voi in questo posto dimenticato da Dio?” chiese infine, senza metterli neanche troppo a disagio. Sembrava aver intuito che non rappresentassero un pericolo, pur mantenendo comunque una certa dose di circospezione.

Emanava un forte odore di tabacco, a Dean saltò subito al naso e non lo trovò molto piacevole. Comunque, senza scomporsi si schiarì la voce. “Prima di rispondere, potrei sapere chi è Lei e dove ci troviamo?” domandò, evitando di apparire strafottente.

Il guerriero lo squadrò ancora per qualche istante, prima di qualificarsi. “Sono Avartak O’Neil, comandante in capo dei clan irlandesi e questo è l’avamposto di Kinvara, nella contea di Galway. Soddisfatto?”

Il tono che usò era un misto tra il polemico e il provocatorio, ma Dean non si lasciò intimorire. “Comandante, come ho già spiegato ai suoi uomini, non era previsto che ci ritrovassimo qui. Il nostro obiettivo era raggiungere l’Arabia Saudita, ma le destinazioni sulla nostra mappa erano confuse.” ribadì, mostrandosi sempre rispettoso. “Perciò vi saremmo davvero molto grati se ci indicaste…”

“Chi vi ha dato una mappa dei portali?” lo interruppe il guerriero.

“È stata Najat.” intervenne allora Rachel, dando man forte alla versione di Dean. “Prima di mandarci in missione.”

Avartak sembrò soppesare le sue parole, a un primo sguardo poco convinto. “E che genere di missione avrebbe mai potuto affidarvi? Non mi sembrate combattenti esperti.” 

Qualcuno alle sue spalle ridacchiò dell’osservazione e Rachel se ne risentì. “Cos’è che vi fa ridere di preciso, posso saperlo?” domandò, dimenticando per un attimo di non sapere chi aveva davanti e quale avrebbe potuto essere la sua reazione. 

Mark le lanciò un’occhiata eloquente appunto per rammentarglielo, ma lei non diede segno di cedimento. Con tutto quello che aveva passato, la sola cosa che provava in quel momento era rabbia, tanta che avrebbe potuto spostare una montagna. Altro che paura. 

Inaspettatamente, però, il suo cipiglio deciso provocò l’effetto opposto e il guerriero scoppiò a ridere divertito. “La ragazzina ha fegato, non c’è che dire! Mi piace questo in una donna!” Rise ancora per un po’, prima di tornare serio. “Comunque, la vostra storia è parecchio strana. Troppi misteri, troppi punti bui... Manderò un messaggio al generale, così vedremo se dite la verità.” Ciò detto, si voltò verso una donna alle sue spalle, dandole l’ordine con un semplice cenno del mento. Lei non perse tempo e, dopo aver annuito obbediente, uscì. 

“Nel frattempo godetevi la nostra ospitalità. Duncan vi porterà ai vostri alloggi.” concluse Avartak, tornando a guardarli. 

Mentre parlava la sua bocca si storse in un sogghigno e intuirono che non dovesse riferirsi alla stanza di un hotel a cinque stelle. Ad ogni modo non poterono fare altro che accettare il volere del capo, lasciandosi scortare fuori dalla capanna. 

Poco dopo si ritrovarono in una struttura simile, ma più piccola, dove il guerriero barbuto di nome Duncan li lasciò, mettendo due energumeni alla porta per controllare che non tentassero la fuga. 

“Almeno ci hanno slegato.” disse Mark, massaggiandosi i polsi indolenziti dalle corde.

L’interno era decisamente spoglio, con solo un tavolo al centro, delle panche e un grosso camino acceso, di cui le ragazze approfittarono subito per scaldarsi. Rachel aveva le mani intorpidite e quando le avvicinò al fuoco sentì un piacevole formicolio pervaderle. 

“Non avresti dovuto rispondere in quel modo al comandante.” la rimproverò Dean senza mezzi termini. “Saranno anche alleati di Najat, ma non sappiamo che tipo di persone sono. Avrebbe potuto finire male.”

Lei lo guardò di traverso. “Si stavano prendendo gioco di noi.” replicò risentita.

“Non ha importanza. A volte bisogna sapere lasciar correre.” 

Che proprio lui venisse a farle una predica sul lasciar correre era paradossale e non ebbe altro effetto se non di farle salire ancora di più il nervoso. Stava per rispondergli a tono, quando lo strillo di Juliet riportò la sua attenzione sul camino. Ancora una volta preda delle emozioni, non si era accorta di aver provocato un improvviso aumento della fiamma, che a momenti aveva rischiato di investirle entrambe. I suoi occhi incontrarono quelli sconcertati dell’amica e capì che forse era il caso di evitare altri incidenti. “Sì, meglio lasciar correre.” cedette, rinunciando ai suoi propositi di discussione con Dean e allontanandosi dal camino. 

“Non potrei essere più d’accordo. Ci ho già quasi rimesso un braccio.” le fece eco Cedric, prima di prendere il suo posto davanti al fuoco.

“Parlando di cose serie, che facciamo se non ci lasciano andare?” chiese Mark pratico.

Di fronte a quella prospettiva, Juliet sentì crescere l’ansia. “Perché non dovrebbero? Insomma, non siamo una minaccia per loro.” Rivolse a Dean un’occhiata speranzosa, cercando in lui una conferma ma trovandolo pensieroso e stranamente insicuro.

“Non so, tutto dipenderà dalla risposta di Najat. Sempre ammesso che abbiano davvero intenzione di interpellarla.” 

“E vai di ottimismo...” bofonchiò Cedric sarcastico. 

Mark aggrottò la fronte, guardando Dean con aria interrogativa. “Perché dici così? Secondo te il capo ha mentito?”

Dopo aver incrociato le braccia, lui sospirò, prendendosi qualche altro istante di riflessione. In cuor suo sperava di no, vista la priorità di parlare a Najat della pozione e del rischio che Ayris potesse aver confessato tutto a Mary e Byron. Ad ogni modo, preferì tenere per sé quelle considerazioni. “Potrebbe averlo detto per tenerci buoni. Nessuno ci assicura che questa gente sia davvero interessata ad aiutarci. In fondo, nemmeno ci conoscono.” 

“Ma è questo che fanno, no? Aiutano le persone.” osservò Juliet. “Anche Jamaal non ci conosceva, eppure si è fatto uccidere pur di darci una mano. Sapeva di te e comunque ti ha dato fiducia, questo devi considerarlo.” 

“Non sono tutti come lui.” obiettò Dean in risposta; poi però parve tornare sui suoi passi e annuì, rivalutando il proprio punto di vista. “Però hai ragione, ora come ora farsi venire i dubbi non serve a niente. E comunque siamo bloccati qui, non possiamo fare altro che aspettare.”

 

Alla fine dovettero aspettare più del previsto. Rimasero in isolamento per due giorni pieni e il tramonto stava per calare sul terzo senza che qualcuno si fosse degnato di informarli sulla risposta di Najat, o almeno sulla loro sorte. Avevano provato a chiedere ai guerrieri che venivano a portare i pasti, ma tutto ciò che avevano ricevuto era stato l’invito a stare buoni e a non avere fretta.

Facevano presto a parlare, loro. Non avevano una persona cara intrappolata a Bran e il terrore che fosse già troppo tardi per salvarla. Con quel pensiero Rachel conviveva ormai da settimane e diventava sempre più difficile trovare il modo di distrarsi, specialmente se costretta a girarsi i pollici per ore chiusa in una capanna di legno; così, per ammazzare il tempo e non perdere il ritmo, aveva continuato a esercitarsi con incantesimi semplici che non richiedevano grandi spazi, oltre a studiare sul grimorio lasciatole da Margaret. Quel piccolo libro dalle pagine ingiallite era talmente pieno di formule, riti magici e ricette di pozioni che probabilmente non le sarebbe bastata una vita per imparare tutto. 

Quel pomeriggio lo stava sfogliando in cerca di un sistema per aprire un nuovo portale, come aveva visto fare da Margaret nella grotta, ma non riusciva a trovare niente. L’idea le era venuta la notte stessa, mentre tentava invano di prendere sonno. Visto che i loro ospiti non sembravano intenzionati a farli uscire da lì, magari avrebbe potuto pensarci lei aprendo un passaggio verso il deserto. 

Dopo aver girato e rigirato le pagine per la terza volta, sospirò frustrata, facendo per rinunciare, quando d’un tratto le saltò all’occhio un trafiletto che prima non aveva notato. Era un piccolo inciso su una parte dedicata agli incantesimi per il controllo dello spazio. Non parlava espressamente di portali, ma c’era scritto che una strega di livello avanzato poteva stabilire un collegamento tra dimensioni, annullando la distanza che intercorreva tra di esse grazie al potere di manipolare la materia. 

Rachel sollevò gli occhi dalla pagina e ci rifletté su. Forse era proprio questo che aveva fatto Margaret. Continuò a leggere: L’esecuzione di tale incantesimo richiede ingenti quantità di energia. Inoltre, il suo utilizzo è sconsigliato nel caso il luogo da raggiungere sia sconosciuto, altrimenti è possibile scegliere la destinazione finale se nota e frequentata in precedenza. 

A fine pagina, dopo le istruzioni per eseguirlo correttamente, era annotato con una maggiore marcatura dell’inchiostro: difficoltà: elevata – pericolosità: media – probabilità di riuscita: medio-basse.

-Perfetto- pensò Rachel affranta. Non esisteva alcuna possibilità per una principiante come lei di avere successo, quindi tanti saluti al suo promettente piano di fuga.

Con un sospiro frustrato, richiuse il grimorio e appoggiò la schiena contro il muro, preparandosi a trascorrere le ultime ore prima dell’ennesima notte insonne, quando il trafficare fuori dalla capanna attirò la sua attenzione e quella degli altri. Di lì a poco, la porta si aprì e davanti a loro si presentò nientepopodimeno che Avartak in persona, seguito dal fedele Duncan e da un’altra guerriera che in quei giorni non avevano avuto il piacere di conoscere.

“Ehilà, gente! Sveglia, abbiamo buone notizie.” annunciò con tonante allegria. Sembrava particolarmente di buon umore.

“Najat ha risposto?” chiese Cedric speranzoso. 

Con un cenno del capo, l’omone gli diede conferma. “Già, c’è voluto un po’ vista la distanza. Spero non vi siate annoiati troppo.” Dal ghigno che sfoderò fu abbastanza facile intuire l’ironia dell’affermazione.

“Immagino abbia confermato la nostra versione.” disse Dean, mantenendo un cipiglio serio.

Divertito dai suoi modi composti, Avartak proruppe in una sonora risata. “Rilassati ragazzo, non siamo alla corte della Regina. È chiaro che ha confermato, altrimenti a quest’ora sareste già appesi per i piedi.”

Dal canto suo, Rachel si sforzò di ignorare l’atteggiamento colorito di quel tizio e preferì passare al sodo. “Quindi ci lascerete tornare da lei?” 

Il guerriero le rivolse la sua attenzione. “Meglio ancora, ci andremo tutti insieme.” li informò a sorpresa, mettendosi le mani sui fianchi. “Il generale sta radunando tutte le tribù Jurhaysh per organizzare un esercito che cancelli definitivamente i succhiasangue dalla faccia della terra e noi risponderemo all’appello. Sono anni che aspetto di staccare la testa a quel codardo che si nasconde dietro le mura del suo sudicio castello e adesso finalmente potrò farlo.” Ghignò ancora, gli occhi che brillavano dall’eccitazione alla prospettiva di eliminare Nickolaij. 

Dentro di sé Dean pensò che fosse una previsione un po’ azzardata, tuttavia si limitò a restare in silenzio. Spegnere le aspettative del guerriero sarebbe stato controproducente, oltre che rischioso per la sua copertura. Piuttosto si concentrò sulla notizia appena ricevuta e su quanto fosse giunta inaspettata. Najat che per la prima volta in assoluto da quando Nickolaij era al potere riuniva tutti i cacciatori sotto un solo comando. Non poté fare a meno di chiedersi se ci sarebbe realmente riuscita.

“È tutto per stasera, vi lasciamo alle vostre occupazioni.” ironizzò ancora Avartak, che sembrava divertirsi un mondo a prenderli in giro. “Partiremo domattina all’alba. Fatevi trovare pronti.” Con quell’ultimo avvertimento si congedò, uscendo dalla capanna insieme ai due compagni.

 

-o-

 

“Guarda un po’ chi si rivede!” esclamò Evan gioviale come sempre, coinvolgendo Mark e Dean in un abbraccio fraterno. 

Insieme a lui Najat aveva mandato ad accoglierli anche i fratelli Cina, con i quali le ragazze si scambiarono saluti affettuosi. Dopo settimane di peripezie in lungo e in largo, vedere facce amiche fu un vero sollievo. 

“È bello avervi di nuovo tra noi.” disse Qiang sorridente, mentre la sorella si occupava di dare il benvenuto ad Avartak e ai suoi uomini. 

Evan annuì concorde. “Eravamo in pensiero. Che fine avevate fatto?” 

“Storia lunga e tormentata.” rispose Cedric con un sospiro. 

“Non fatico a crederlo.” Nel vederlo così malridotto il guerriero ridacchiò, assestandogli poi un’amichevole pacca sulla spalla buona. Sebbene loro due non avessero avuto modo di conoscersi prima della partenza, Evan sembrava già considerarlo parte del gruppo. “Beh, avrete tempo per raccontarcela. Venite, Nat ci aspetta all’accampamento.”

“Accampamento?” ripeté Rachel perplessa.

Qiang ricambiò la sua espressione con un ghigno, prima di issarsi agile sulla sella. “Tra poco vedrete.”

Per quanto Juliet non fosse entusiasta di dover rimontare a cavallo, dovette rassegnarsi. Fortunatamente il viaggio non fu molto lungo e inoltre poté contare su Dean, a cui si aggrappò saldamente fino all’arrivo a destinazione. 

Ciò che si presentò davanti ai loro occhi non aveva niente a che fare con il villaggio che avevano lasciato poco meno di due mesi prima. Non più un insieme di case in mattoni d’argilla intorno a una piazza centrale, bensì un agglomerato di tende delle più svariate forme e dimensioni, dall’aspetto più simile a una metropoli. Tra di esse si muoveva un gran numero di persone di etnie e culture diverse, ciascuno abbigliato secondo la propria tradizione. Qua e là il rumore delle lame dei guerrieri che si allenavano si mescolava al vociare intenso della folla, alle grida dei bambini che giocavano a rincorrersi e a quelle dei mercanti nei loro tentativi di attirare l’attenzione sulla merce. 

“Me lo ricordavo un tantino diverso!” osservò Mark, gridando per sovrastare la confusione.

“Il villaggio non era più un posto sicuro dopo il tradimento di Tareq, così Najat ha preferito trasferire tutti in questa zona del deserto. È troppo remota perfino per lui e spera che qui non riuscirà a trovarci.” spiegò Kira, affiancandosi a loro con il suo cavallo per farsi sentire. 

Cedric si guardò attorno spaesato. “Sembra il Comic-con di San Diego.”

Divertito nel vedere le loro facce disorientate, Evan ridacchiò. “In effetti, siamo un po’ sovraffollati al momento. Nat ha deciso di convocare tutti i comandanti delle varie tribù, che ovviamente si sono portati dietro famiglie, uomini e scorte.”

“Continuando di questo passo, attireremo l’attenzione dei succhiasangue a prescindere dal contributo di Tareq.” scherzò Qiang.

“Già, sempre ammesso che l’accampamento non esploda prima.” gli diede corda Evan; poi entrambi si misero a ridere e Kira lanciò loro un’occhiataccia di rimprovero, prima di scuotere la testa con rassegnazione. 

Arrivati a un certo punto, le loro strade si divisero e, mentre i gemelli accompagnavano Avartak e i suoi da Najat, Evan li condusse a una tenda piuttosto grande, davanti alla quale pascolavano due caprette dall’aria squisitamente familiare. Il leggero profumo di cannella che saltò loro subito al naso non appena si avvicinarono all’entrata cancellò poi qualsiasi dubbio sull’identità della sua proprietaria. 

“C’è nessuno?” chiese Evan, dopo essere sceso da cavallo.

Non passò molto prima che la voce inconfondibile di Laurenne gli rispondesse dall’interno del tendone. “Se sei qui per un altro graffio da niente, giuro che…” La sciamana si interruppe all’istante, restando immobile sulla soglia con un’espressione basita dipinta in volto. Sbatté le palpebre un paio di volte, come per metterli a fuoco e poi mormorò qualcosa nella sua lingua, forse un ringraziamento a Shamash. 

Rachel e Juliet non fecero nemmeno in tempo a rivolgerle un sorriso, che si ritrovarono subito strette tra le sue braccia. Era rimasta esattamente come la ricordavano, con i suoi abiti stravaganti e i lunghi capelli corvini ornati da perline e pendagli d’osso. La sua presenza aveva un che di rassicurante e per la prima volta da giorni Rachel avvertì di nuovo quel senso di protezione materna che solo con Margaret le era capitato di provare.

“Ero così in pena.” Il tono della sciamana si fece tremolante quando le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi, prima di fare lo stesso con tutti gli altri. Solo soffermandosi su Dean il suo sguardo vacillò un poco, memore ancora di ciò che era successo a Bran, ma non durò a lungo perché lei lo distolse quasi subito.

Afferrate le briglie di ciascun cavallo, Evan rivolse loro uno dei suoi solari sorrisi. “Io vi lascio. Ci vediamo più tardi.” 

Laurenne annuì e, dopo averlo salutato, li invitò a seguirla dentro con un cenno della mano. “Venite, dovete raccontarmi tutto.”

La prima cosa che notarono fu il penetrante odore di erbe e spezie che invadeva l’ambiente, che a Rachel ricordò subito la prima volta che con Claire e Juliet, o meglio Cordelia, si erano ritrovate in casa sua. Per quanto quella tenda non lo fosse, Laurenne aveva cercato di sistemarla in modo da sostituire l’abitazione che era stata costretta a lasciare, ma era evidente che ci stesse stretta e nel complesso il risultato era più simile a un bazar.

“Perdonate il disordine, ma ho dovuto adattare questo posto anche a laboratorio.” si scusò, spostando vari oggetti per fare spazio, in modo che potessero sedersi su dei grossi cuscini al centro della tenda. “Sono talmente impegnata… Il numero dei pazienti si è triplicato dall’arrivo delle tribù e lavorare in queste condizioni è davvero un disastro…” D’un tratto, però, parve rendersi conto di andare a ruota libera e si autoimpose di darci un taglio. “Scusate, è di voi che dobbiamo parlare. Allora, com’è andata? Siete riusciti a trovare Margaret Danesti?”

Il tasto era ancora dolente e non fu un’impresa facile ripercorrere tutti gli avvenimenti delle ultime settimane, soprattutto per Rachel, che mentre sorseggiava il famoso caffè speziato della sciamana si sforzò di far uscire le parole. Man mano che ricostruiva l’accaduto, il dolore che aveva cercato di imbrigliare dentro di sé riprese il sopravvento, finché non si ritrovò a fine racconto con le lacrime agli occhi e fu costretta a concedersi una pausa.

Dopo essere rimasta in silenzio ad ascoltarla, Laurenne si sporse per poggiare la mano sulla sua con fare consolatorio. “Mi dispiace tanto, tesoro.” le disse, rivolgendole uno sguardo carico di empatia. “Deve essere stato terribile scoprire di avere un così grande dono e poi perdere il tuo unico punto di riferimento.”

Rachel abbassò gli occhi, incapace anche solo di annuire. In una sola frase Laurenne aveva riassunto ogni cosa e sembrava comprendere il suo stato d’animo molto più di chiunque altro. Tuttavia, non le aveva ancora detto il motivo per cui erano di nuovo lì e temeva in un suo rifiuto se lo avesse fatto. Il da fare era già abbastanza, senza che ci si mettesse anche lei con la storia della pozione. 

“È incredibile…” mormorò la sciamana con aria colpita. “Le streghe esistono davvero. Insomma, ho sempre creduto che le leggende narrate dai nostri padri avessero un fondamento, ma non immaginavo che un giorno ne avrei conosciuta una.” 

“Una e sola.” precisò Rachel mesta. 

“Vuoi dire che…”

“Già.” annuì. “Io sono l’ultima. A detta di Margaret, a parte me e lei non ne rimaneva nessun’altra.” 

Laurenne le sorrise di nuovo, continuando a stringerle la mano. “Non aver paura, ora ci sono io con te. Non potrò mai essere alla sua altezza, ma cercherò per quanto mi sarà possibile di aiutarti.” 

Quelle parole le infusero nuova speranza e Rachel si sentì un po’ meno persa. “Grazie.” disse in un sussurro.

La sciamana prese un altro sorso dalla sua tazza, prima di abbandonarsi a un sospiro. “Sapete, per tutto il tempo non ho fatto che pensare alla povera Claire…”

“Avete notizie di lei?” le chiese Cedric, scattando subito nel sentire il suo nome.

Lei lo guardò, poi scosse la testa. “Purtroppo no. Per quanto ne sappiamo, è ancora prigioniera a Bran.”

“È anche per questo che siamo tornati qui.” intervenne Dean a quel punto. “Quello che abbiamo scoperto potrebbe risolvere parecchi problemi, incluso salvare Claire. Speravamo di parlarne con Najat al più presto.”

Come accadeva ogni volta quando si rivolgeva direttamente a lui, l’espressione di Laurenne si fece più altera. “Temo che non sia così semplice. Ultimamente è impegnata in riunioni su riunioni. Io stessa non la vedo da giorni.” spiegò telegrafica, prima di mandar giù l’ultimo goccio di caffè.

“Riunioni con chi?” fece Cedric seccato.

“Con i capi delle tribù. Ce ne sono più di quindici e ne aspettiamo altre. Come avrete notato, c’è un gran fermento da queste parti.”

“Dai tempi dell’alleanza con i Danesti, non mi risulta che un capo Jurhaysh abbia mai preso un’iniziativa simile.” rifletté Dean, curioso di saperne di più. “Perché farlo proprio ora?”

Alla domanda la sciamana ebbe una strana reazione, come se il solo parlarne le provocasse una certa dose di sofferenza. “Vedete, da quando siete partiti le cose sono peggiorate nel giro di poche settimane. Gli attacchi dei vampiri si fanno sempre più frequenti e noi siamo troppo pochi per riuscire a contrastarli in maniera efficace. Per questo Najat ha deciso che è tempo di mettere da parte le differenze e unirci contro il nemico comune. Non possiamo più permetterci divisioni e io la appoggio in pieno. Sta dimostrando un coraggio e una tempra degni di un capo, ma tenere a bada persone tanto diverse si sta rivelando più difficile del previsto. Passa le giornate nel tentativo di metterli d’accordo e come se non bastasse deve combattere con chi dubita ancora della sua legittimità.”

“Come sarebbe? Non è stato Jamaal stesso a nominarla suo successore?” obiettò Juliet.

“Certo, ma tra i nostri c’è chi ritiene sia troppo giovane e inesperta per prendere il suo posto, così ha pensato bene di risolvere il problema.” Laurenne abbassò gli occhi sulle sue dita strette attorno alla tazza. “Qualche tempo fa hanno cercato di assassinarla.” rivelò, tra lo stupore generale.

La sciamana annuì di conferma. “Abe era con lei, grazie a Shamash. Anche se Nat aveva steso l’assalitore già prima del suo intervento.” Malgrado ripensare all’episodio le provocasse dolore, un angolo della sua bocca si piegò in un leggero sorriso e un barlume di fierezza le attraversò lo sguardo. 

Proprio in quel momento, un bambino fece improvvisamente irruzione nella tenda, gridando qualcosa in arabo alla madre. Non appena si accorse della loro presenza, però, si ammutolì, fissandoli spaesato.

“Samir!” esclamò Juliet, contenta di rivederlo.

Superato l’attimo di esitazione, lui corse subito ad abbracciarla, per poi fare lo stesso con Dean, che le sedeva accanto. Fu un gesto estremamente spontaneo, che solo un bambino privo di qualunque pregiudizio avrebbe potuto compiere.

Colto alla sprovvista, Dean le lanciò con lo sguardo una muta richiesta di soccorso e, quando lei ricambiò con un’occhiata eloquente, rispose all’abbraccio, anche se con diversi secondi di ritardo e in maniera un po’ goffa.

“Come sei cresciuto!” disse Mark sorridente, arruffandogli i capelli.

“Sì, sì, anch’io sono felice che siano tornati. Ora lasciali respirare.” Laurenne ridacchiò, stringendo il bambino a sé per tenerlo a bada. “Comunque, immagino sarete stanchi. Vi ospiterei volentieri, ma come vedete c’entriamo a malapena in due. Vedrò di trovarvi un’altra sistemazione.” 

Juliet le sorrise. “Grazie, sei molto gentile.” Per lei era rassicurante trovarsi di nuovo in un posto sicuro, in mezzo a persone amiche disposte ad aiutarli. Una sensazione che sperò di non vedere interrotta per l’ennesima volta. 

A quel punto, Laurenne si offrì di indagare tra le sue conoscenze per cercare un posto adatto e uscì dalla tenda, lasciandoli soli.

“Visto?” fece Rachel a Mark. “Pensavi ci avrebbero cacciato a calci nel sedere e invece…”

“Già. Meno male.” commentò Cedric sollevato, mentre giocherellava con Samir. “Tua madre è un mito.” gli disse poi.

Lui probabilmente non capì l’espressione, ma gli sorrise comunque, continuando a prendere a pugni il palmo della sua mano.

Non passò molto tempo, che un rumore di passi attirò la loro attenzione verso l’esterno della tenda. 

“È permesso?” domandò poco dopo una voce con fare sbrigativo.

Riconosciuto quel tono spiccio, Dean si alzò, avvicinandosi all’entrata. “Dipende… Hai intenzioni ostili?” 

Dall’altra parte, Najat sospirò spazientita. “Andiamo, idioti! Fatemi entrare!”

Non appena ottenuto il permesso, come da consuetudine Jurhaysh, la guerriera fece ingresso nella tenda, seguita a ruota dal fidato Abe, talmente imponente da doversi chinare per entrare. Nonostante ormai lo conoscessero, ritrovarselo di fronte dopo diverse settimane faceva comunque un certo effetto.

“Pensavo di essermi liberata di voi.” commentò, abbandonandosi a un sospiro di finta rassegnazione mentre li squadrava uno a uno con i suoi profondi occhi scuri. 

Dapprima loro non colsero l’ironia e per qualche istante un gelido silenzio scese sui presenti, finché Najat non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. “Se solo poteste vedere le vostre facce!” li schernì, sedendosi poi in maniera scomposta su uno dei cuscini. 

Quei modi da maschiaccio non erano cambiati granché, in apparenza era la solita Najat, eppure qualcosa nel suo aspetto indusse Juliet a vederla diversa rispetto a quando l’aveva conosciuta. I capelli nerissimi, come al solito raccolti in una treccia, le erano cresciuti e si accorse di alcuni cambiamenti anche nell’abbigliamento, sempre da guerriera ma che metteva maggiormente in risalto le sue forme. Nel complesso sembrava più adulta, più donna.

“Bando alle chiacchiere, ho appena parlato con Avartak.” li informò, giungendo subito al sodo. “Dice che avete novità importanti da riferirmi. Cosa avete scoperto?”

Questa volta, però, Rachel non se la sentì di ricominciare tutto da capo, quindi Dean si prese l’onere di raccontarle in breve avventure e disavventure di quegli ultimi mesi. Lo fece in maniera concisa, senza perdersi nei particolari, cercando di arrivare prima possibile alla parte più interessante: la scoperta dei poteri di Rachel e la maledizione che Margaret aveva inflitto a Nickolaij. Per il momento evitò di menzionare il problema Ayris, pensando fosse meglio parlargliene in separata sede. 

Najat non disse una parola mentre lo ascoltava, ma dalle sue espressioni intuirono quale fosse il suo stato d’animo nell’apprendere che il loro peggior nemico aveva un punto debole e che loro erano in possesso dell’arma che le avrebbe finalmente consentito di eliminarlo. 

“Esiste davvero una pozione in grado di curare il vampirismo?” chiese sbalordita alla fine del racconto. “Ragazzi, se questo è vero avremmo risolto tutti i nostri problemi.”

Cedric alzò un sopracciglio, guardandola perplesso. “Siete messi così male? Eppure c’è un esercito di guerrieri là fuori.”

“Sì, ma sono umani e continuano a morire, mentre gli algul diventano ogni giorno più numerosi.” replicò lei con una punta di frustrazione. “Se però riuscissimo a impedire loro di crearne altri, sarebbe un grosso passo avanti.” 

Un barlume di euforia attraversò il suo sguardo e Rachel se ne accorse quando glielo puntò addosso. 

“Perciò sei l’ultima strega esistente.” constatò la guerriera. “È un’ottima notizia. Fa sempre bene avere un asso nella manica. Gli algul non se lo aspetteranno di certo.” 

Rachel lesse le enormi aspettative che già riponeva nelle sue capacità e si sentì subito in dovere di porvi un freno. L’ultima cosa che voleva era illuderla. “In realtà ho ancora molto da imparare. Avevo da poco iniziato l’addestramento, prima che Margaret…” Ancora non riusciva a metabolizzare l’accaduto e parlarne era ogni volta una tortura. “Beh, sono una novizia, ecco.” tagliò corto.

Fortunatamente, Najat non ne sembrò turbata. “Oh, non importa. Quanto a organizzazione, noi stessi siamo lontani anni luce. Finché non saremo pronti, e di questo passo credo ci vorrà chissà quanto ancora, potrai continuare ad allenarti.” concluse ottimista. “Quanto tempo pensi che ti servirà perché la pozione sia pronta?”

La domanda giunse un po’ inaspettata e Rachel dovette ammettere di non essersi mai fermata a pensarci. “Non so dirlo con certezza. Con Margaret stavo appena iniziando a capirci qualcosa, ma adesso…” –Dovrò fare tutto da sola- Non terminò la frase, ma la sostanza era quella. Per quanto le dispiacesse deluderla, non se la sentiva proprio di mentire, tanto meno di sbandierare abilità che a conti fatti non possedeva. 

“Capisco.” mormorò Najat, mostrandosi neanche troppo avvilita. “Allora immagino ti serva l’aiuto di Laurenne. È per questo che siete tornati, ho indovinato?”

“È così.” confermò Dean.

Lei ci rifletté su un istante, prima di annuire. “D’accordo.”

“Quindi non è un problema se restiamo?” esordì Mark, visibilmente in ansia. “Gli anziani non avranno qualcosa in contrario? E poi c’è ancora la questione di Dean…”

Intuendo la natura dei suoi timori, la guerriera mise le mani avanti per arginare le sue paure. “Credimi, al momento abbiamo problemi molto più grossi da risolvere. La morte di Jamaal è un peso insopportabile e non passa giorno in cui non giuri vendetta sul traditore che lo ha ucciso, ma la colpa dell’accaduto è di Tareq e questo ormai è chiaro a tutti. Riguardo alla questione del vampiro, invece, ho già pensato a una soluzione, ma devo ancora definire i dettagli.” rispose lapidaria, lanciando una rapida occhiata in direzione di Dean, prima di tornare a loro. “Potete restare tutto il tempo necessario. Se gli algul vi cercano, questo è il posto più sicuro per voi. Non possiamo rischiare di perdere la nostra unica speranza di vincere questa guerra.” 

Rachel incontrò il suo sguardo. Chiaramente si stava riferendo a lei e d’un tratto pensò che la ragazzina impertinente che avevano conosciuto aveva lasciato spazio alla donna matura che era diventata. Probabilmente la morte di Jamaal e le improvvise responsabilità in quanto sua erede l’avevano cambiata e rafforzato il suo carattere nel profondo. 

A quel punto, Najat si rimise in piedi ed Abe la imitò, preparandosi a seguirla come un’ombra. “Adesso devo andare, mi aspettano per una riunione. Parleremo ancora, comunque. Nel frattempo, fate come se foste a casa vostra.” Detto ciò, fece un breve cenno di saluto e uscì, accompagnata dalla fidata scorta.

“Sono io o me la ricordavo un tantino diversa Najat?” chiese Mark, rompendo il silenzio che si era creato.

Rachel scosse leggermente la testa. “No, non sei tu. È completamente diversa.” 

“È cresciuta finalmente.” aggiunse Dean, anche lui piuttosto sorpreso. 

Sentirglielo dire provocò in Juliet una strana sensazione addosso, ma non fece in tempo a darle un nome perché Laurenne era già di ritorno. Li informò di aver trovato loro una sistemazione in una tenda dove fino a pochi giorni prima viveva una coppia di anziani. La donna era morta e il marito si era trasferito dai figli, lasciandola libera. “Sono arrivata appena in tempo. Stavano per rimuoverla.” disse un po’ trafelata per la corsa. “È abbastanza grande per ospitarvi tutti e cinque. Dovrebbe andare bene.” 

Si lasciarono accompagnare sul posto, che per fortuna non era neanche troppo distante e lì trovarono i parenti dei due anziani, impegnati a raccogliere e a portare via le ultime cose. 

“Ringraziali da parte nostra.” chiese Juliet alla sciamana. Le sarebbe piaciuto farlo di persona, ma purtroppo non spiccicava una parola della loro lingua. 

Non passò molto prima che potessero prendere finalmente possesso della nuova dimora e, dopo aver detto a Cedric che sarebbe passata più tardi per dare un’occhiata alla sua spalla, Laurenne li lasciò. 

Cedric si concesse qualche attimo per studiare l’ambiente piuttosto intimo e “raccolto”. “Questo mancava alla collezione dei dieci posti più stravaganti dove dormire negli ultimi sei mesi.” commentò ironico. “Beh, sempre meglio di quella fogna nei sotterranei.” sospirò infine con rassegnazione.

I precedenti inquilini erano solo in due, perciò dovettero montare altre brande che Laurenne procurò loro insieme a cuscini e coperte. Rachel e Juliet improvvisarono anche una specie di separé con un lenzuolo appeso a un filo, per dividere la zona notte da quella giorno, che per fortuna era già abbastanza organizzata. C’era perfino un angolo per cucinare, con tanto di apertura in alto per far uscire il fumo, e un altro punto appartato adibito a bagno. Nel complesso lo spazio era limitato, ma alla fine riuscirono a rendere il tutto quantomeno vivibile. 

“Non preoccuparti per me.” disse Dean a Juliet, che stava finendo di sistemare per lui la branda accanto alla sua. 

“Mi preoccupo, invece. Da qualche parte dovrai pur dormire, anche se solo per un’ora o quello che sia.” 

“Sì, ma non toglierti spazio per darlo a me. Questo intendevo.” chiarì. 

“Infatti non lo sto facendo. Lo spazio sarà lo stesso per entrambi, lo condivideremo.” Mentre lo diceva, con la coda dell’occhio avrebbe potuto giurare di vedere l’imbarazzo farsi strada sul volto di Dean e a stento riuscì a nascondere un certo compiacimento. Aveva ancora in mente il ricordo di loro due abbracciati quando avevano condiviso lo stesso letto in quella locanda e anche allora non erano soli. Quindi perché crearsi tanti problemi adesso? In fondo, era un po’ stufa di doversi comportare sempre come se la loro fosse una relazione clandestina. 

Ad ogni modo, Dean non obiettò e, se pure avesse voluto, lei era già concentrata su altro. Due donne, infatti, amiche di Laurenne, erano appena entrate portando ceste cariche di provviste e beni di prima necessità come legna per il fuoco, pentole e utensili da cucina.

“Qui ci sono anche dei vestiti più adatti al clima, con qualcosa di pesante per quando cala il tramonto. La notte comincia a fare freddo.” spiegò la sciamana, indicando altre ceste.

“Siete troppo gentili.” La ringraziò con un gran sorriso sulle labbra.

Alla fine, arrangiare tutto in maniera consona richiese più tempo di quanto si aspettassero e finirono che era già quasi sera. Prima di cena, Evan e i fratelli Cina mantennero la promessa, facendo loro visita, e parlarono delle avventure di quei mesi, senza però sbilanciarsi troppo con la storia della maledizione, dei poteri di Rachel e tutto il resto. Dopotutto, non sapevano se Najat avesse intenzione di informarli o preferisse mantenere il segreto.

Non si trattennero molto e per certi versi fu un bene, perché erano tutti davvero stanchi e non vedevano l’ora di mettere qualcosa sotto i denti e poi andarsene a dormire. 

Juliet versò per sé mezza tazza dell’infuso di Laurenne e mezza per Rachel. “Tieni, è ottima per rilassarsi.” 

Abbozzando un grazie, lei la prese e subito un piacevole tepore le circondò le mani ghiacciate. Rilassarsi. In effetti, ne aveva davvero bisogno. Tuttavia, non appena la portò alle labbra il forte aroma speziato le salì su per le narici e avvertì come un nodo allo stomaco. Il fastidio fu tale da costringerla ad allontanare la tazza. “Ma che c’è dentro?” le domandò nauseata.

“Non so, le solite erbe, credo. Perché?” rispose Juliet, confusa dalla sua reazione. Non ne capiva il motivo, a lei il sapore sembrava così piacevole.

Rachel però non la vedeva allo stesso modo, perché fece una smorfia di disgusto. “Mi dà il voltastomaco. Forse è quello che abbiamo mangiato, non ero più abituata al cibo di qui.” ipotizzò, per poi alzarsi e lasciare la tisana lì, accanto all’amica. “Meglio che vada a letto. Buonanotte, Juls.” la liquidò, voltandole le spalle.

Ancora perplessa, Juliet ricambiò appena, senza smettere di studiare il contenuto verdognolo della sua tazza.

 

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Capitolo 25
*** Consiglio di guerra ***


Capitolo 18

 

Consiglio di guerra


Juliet si aggirava per i banchi improvvisati del mercato in cerca di qualche ingrediente anche solo vagamente familiare da usare per cena. Tutto in quell’angolo di mondo così lontano da casa, dalla frutta alla verdura, aveva aspetto e forma insoliti e non sapeva se sarebbe stata in grado di cucinarlo. Accanto a lei, Cedric esibiva un’espressione spaesata e meravigliata allo stesso tempo. Per entrambi era la prima volta in un contesto tanto insolito. Infatti, neanche Juliet ci era mai stata, ma Cordelia sì e forse per questo ogni tanto provava una strana sensazione di dejà-vu, come se l’ambiente circostante le fosse rimasto impresso nell’inconscio.  

“È incredibile come tutto questo non mi faccia lo stesso effetto che fa a te.” osservò ad alta voce, parlandone con Cedric. “Insomma, ho come l’impressione di essere già stata qui.”

“Mi fa ancora strano pensare che sei stata un’altra persona per quanto… Giorni? Settimane?”

Juliet annuì, concordando con lui. “Non dirlo a me. Se almeno riuscissi a ricordare qualcosa…” Trovava frustrante che un periodo della sua vita fosse avvolto dall’oscurità. “Quando mi sono svegliata sembrava passato solo un giorno, invece era più di un mese. Ci ho messo un po’ a elaborare la cosa.”

“Già. Posso immaginare.” disse Cedric, mentre si scansava al volo per evitare di scontrarsi con un paio di bambini che correvano.

D’un tratto, lo vide assumere un’aria malinconica e subito dopo rivolgere lo sguardo altrove. “Tutto bene?” gli chiese premurosa.

Lui allora si riscosse, guardandola di nuovo. “Sì, stavo solo pensando…” esitò; poi prese coraggio. “Credo di doverti delle scuse, Juls.”

“Per cosa?”

“Per la scena pietosa dell’altro giorno con Dean. Le cose che gli ho detto… Le penso davvero, ma a volte penso anche che se non fosse stato per lui ora non sarei qui e questo mi fa ancora più incazzare.” si sfogò con la consueta sincerità, facendola sorridere. “Comunque non avrei dovuto dirle davanti a te. Non è stato giusto, scusami.”

Intenerita, scosse la testa. “Non fa niente. Eri arrabbiato e lo capisco. Anzi, forse nessuno può capirti meglio di me.” lo rassicurò, ripensando alla fatica che aveva fatto per perdonare Dean. Tuttora si stupiva di esserci riuscita.

Alle sue parole Cedric rispose ricambiando il sorriso e per entrambi fu chiaro che non ci fosse bisogno di aggiungere altro. Seguì qualche attimo di silenzio, riempito dal vociare chiassoso della gente e dalle grida dei bambini.

“Quindi tra voi è tutto okay adesso.” esordì Cedric quando lo raggiunse dopo aver comprato della carne, dando fiato probabilmente a un pensiero che gli stava passando per la testa da un po’.

Nonostante il suo tono vago, Juliet percepì del leggero risentimento, come se ne fosse rimasto deluso o si aspettasse un comportamento diverso da parte sua. Forse aveva sperato che sarebbe riuscita a mantenere il punto con Dean, che non gliel’avrebbe fatta passare liscia, ma in tal caso la riteneva più forte di quanto fosse in realtà.

Dall’espressione che fece, Cedric intuì che doveva esserci rimasta male e corse ai ripari. “No, tranquilla, non volevo mica fartene una colpa. Se tu sei felice a me sta bene. Basta che non ti faccia più soffrire, altrimenti questa è la volta buona che lo ammazzo.” sentenziò, terminando l’ultima parte della frase tra i denti.

Lei ridacchiò, divertita da quel suo modo di fare protettivo, quasi da fratello maggiore. “Non preoccuparti, ho già messo le cose in chiaro con lui.”

 

A diversi metri di distanza, dall’altra parte dell’accampamento, Dean cercò di ignorare il fastidioso fischio alle orecchie che lo aveva colto giusto un attimo prima di entrare nel grande tendone, dove Najat teneva le sue riunioni strategiche. Pensò che probabilmente fosse dovuto al nervoso, visto che non aveva idea del perché lo avesse convocato, né cosa aspettarsi da quell’incontro. Erano trascorsi appena un paio di giorni dal loro arrivo, quando un guerriero era venuto a cercarlo per comunicargli che Najat voleva vederlo; così, anche se un po’ titubante, lo aveva seguito fuori senza fare domande.

Al suo ingresso trovò naturalmente Najat già dietro il tavolo del comandante, insieme ad Abe e alcuni compagni fidati, i cui sguardi indagatori si posarono subito su di lui. Forse si stavano chiedendo cosa ci facesse in mezzo a loro e Dean non poté biasimarli.

“Ah, sei tu.” constatò Najat in tono neutro.

“Mi hai fatto chiamare?” In realtà, la sua era più una domanda retorica.

Lei annuì, con l’attenzione già rivolta altrove. “Tra poco ci sarà una riunione generale dei capo tribù. Ho pensato dovessi essere presente.” spiegò con il solito fare schietto, per poi tornare a guardarlo. “Ti chiedo solo di ascoltare. Il tuo intervento non sarà necessario, non subito almeno. Perciò niente iniziative personali, siamo intesi?”

Con un cenno del capo Dean mostrò di aver capito, anche se a dire la verità non aveva mai pensato di prenderne. Senza aggiungere altro, si sistemò in un angolo, adatto all’osservazione ma distante dal centro della scena riservato al generale.

Non passò che qualche minuto prima che un nutrito gruppo di guerrieri facesse ingresso nella tenda. Erano di nazionalità diverse e tra loro riconobbe Kira e Qiang, al fianco di un guerriero cinese non molto alto, ma ben piazzato, con un cipiglio altero dipinto sul volto segnato da cicatrici di guerra e i capelli tagliati a spazzola. Probabilmente il padre, data la somiglianza. 

Dopo che ebbero preso tutti posto attorno al tavolo, Najat si assicurò di avere la loro attenzione e poi iniziò a parlare. Per prima cosa ricordò gli uomini persi negli interventi degli ultimi giorni, un gesto che Dean trovò apprezzabile al pari dei guerrieri presenti. Dopodiché passò al tema principale della riunione, annunciando novità che avrebbero risollevato almeno un po’ il morale delle truppe: Nickolaij era affetto da una maledizione che gli impediva di trarre giovamento dal sangue umano e con gli anni era diventato più debole, anche se non si sapeva fino a che punto.

Dean poté vedere lo stupore farsi strada sui volti dei guerrieri, ignari di tutto come lo era stato lui fino a prima di incontrare Margaret. Anche per loro Nickolaij era sempre apparso come un essere invulnerabile, l’ultimo esponente di una mitica stirpe ormai decaduta, e ora scoprivano che una strega era riuscita a intaccare quell’invulnerabilità.

“Se ciò che sostieni è vero, dobbiamo subito organizzare una spedizione per Bran.” propose uno dei comandanti, un tipo alto e, a giudicare dai tratti, proveniente da un paese europeo o comunque occidentale. “Non possiamo permetterci di aspettare oltre. Dobbiamo attaccare al più presto.”

Un brusio di consenso si levò tra i presenti, ma Najat provvide subito a sedare il prematuro entusiasmo. “Un momento, calma! Non siate troppo avventati.” disse ad alta voce, ripristinando il silenzio.

Il padre dei gemelli si mostrò d’accordo. “Giusto. La strega gli ha impedito di nutrirsi, ma questo basta a darci la certezza di poterlo uccidere?” osservò, dimostrando più razionalità degli altri colleghi. “Se è vera la leggenda per cui solo un Danesti può ferirlo, non vedo come sapere della maledizione possa aiutarci.”

“E allora che dovremmo fare? Rassegnarci a soccombere per dar retta a una stupida favola per bambini? Non ci penso nemmeno!” protestò Avartak, battendo il pugno sul tavolo per la rabbia. “Ho perso troppi compagni a causa di quell’essere, deve pagare con la vita per il male che ha fatto!”

“E pagherà!” confermò Najat, sovrastando ancora una volta il brusio generale. “Ve lo giuro, fratelli miei. Pagherà fino all’ultimo guerriero morto in questa guerra, ma per far sì che la loro memoria venga onorata dobbiamo evitare mosse azzardate. Non dimenticate che gli algul possono creare altri come loro e moltiplicarsi, mentre noi siamo sempre meno. Ora hanno perfino alcuni dei nostri dalla loro parte…”

“Quelli non sono altro che traditori!” gridò con rabbia qualcuno nel gruppo, sovrastando la sua voce, e ben presto ottenne l’approvazione degli altri.

“Giusto!” concordò un altro. “Sono una vergogna, un disonore per tutti noi!”

Dean si accorse di come Najat si sforzasse di tenere a freno la tentazione di rispondere a tono a quegli sproloqui. “Non sappiamo come Nickolaij sia riuscito a convincere i nostri compagni trasformati in vampiri a rimanere nel suo schieramento, ma li considero più prigionieri che traditori. Nonostante questo, se mi capitasse di scontrarmi con uno di loro, non esiterei a fare il mio dovere. Rimane il fatto che allo stato attuale delle cose non possiamo permetterci di perdere altre vite inutilmente. Ogni uomo è prezioso.” disse, concludendo il discorso. 

“Certo, se poi anche i nostri capitani passano dalla parte del nemico…” insinuò il guerriero che aveva proposto di attaccare Bran.

Chiaramente si stava riferendo al tradimento di Tareq e Dean si accorse subito del lampo di puro odio che attraversò lo sguardo di Najat al solo aleggiare di quel nome nella tenda. L’allusione sembrava celare un velato attacco alla sua autorità, in quanto non si era ancora dimostrata in grado di vendicare l’omicidio di Jamaal punendo il colpevole. Ad ogni modo, lei riuscì a conservare un certo contegno, senza apparire risentita. “Quello di Tareq è stato un episodio isolato. Ha tradito Jamaal perché era invidioso e non accettava la sua volontà di nominarmi suo successore, ma vi assicuro che non si ripeterà. Mi fido dei miei uomini più di me stessa.” mise in chiaro, guardandoli uno dopo l’altro. “E comunque è anche a causa del suo tradimento che dobbiamo continuare a combattere. Deve pagare per ciò che ha fatto.” sentenziò risoluta. 

Almeno su questo erano tutti d’accordo. Era evidente quanto la morte di Jamaal fosse stata un duro colpo non solo per la tribù di Najat.

A quel punto, il padre dei gemelli riprese la parola. “Non fare l’errore di scambiare la nostra titubanza per arrendevolezza, ma tu stessa hai confermato che non esiste alcuna arma in grado di uccidere il Draculesti. Dunque perché ci hai convocato tutti qui, quando dovremmo essere in patria a organizzare le difese? Credo sia tempo per noi di ricevere spiegazioni.”

Tipo simpatico- pensò Dean tra sé, colpito dal tono di superiorità con cui si rivolgeva a Najat. Tuttavia, apprezzò che, a differenza degli altri, si fosse mostrato più pratico e poco propenso a perdersi in chiacchiere inutili su possibili tradimenti. Curioso di sentire la risposta di Najat, spostò lo sguardo su di lei e la vide prendersi un momento per riflettere; poi dalle carte sul tavolo il suo sguardo tornò di nuovo sui suoi comandanti. 

“Nobile Xiong-Shi, compagni miei.” disse, soppesando ogni parola. “So che quanto sto per rivelarvi non sarà facile da accettare, ma vi chiedo di non essere precipitosi nel giudicare la mia scelta.”

Dean non si rese conto delle sue vere intenzioni finché non la sentì pronunciare una frase totalmente inaspettata.

“Nickolaij sarà anche riuscito a portare Tareq dalla sua parte, ma noi abbiamo qualcuno dei suoi dalla nostra.” Detto questo, gli lanciò un’occhiata di traverso e di conseguenza tutti gli sguardi si focalizzarono sull’angolo in cui se ne era rimasto in disparte fino a quel momento. Di colpo si ritrovò da presenza quasi impercettibile a oggetto dell’attenzione generale.

Realizzato il reale significato delle sue parole, Avartak per poco non si strozzò con il vino che stava bevendo, mentre gli altri la guardavano come se fosse impazzita.

Dean non aveva la benché minima idea di cosa le fosse passato per la testa. Voleva vederlo morto, per caso?

Xiong-Shi fu il primo a ritrovare lucidità, anche se era ancora visibilmente scosso quando puntò il dito contro di lei. “Ascolta bene, ragazza. Ho accettato di averti come Qayid perché questo era il desiderio di Jamaal e intendo continuare a onorare il suo volere, ma non tollererò di prendere ordini da uno di loro. Piuttosto la morte.”

“Mi state dicendo che ho avuto uno schifoso succhiasangue nel mio accampamento per giorni e non me ne sono accorto?” intervenne Avartak, ripresosi dal violento attacco di tosse. “E adesso se ne sta qui in mezzo a noi, a sentire i nostri discorsi? È assurdo!” Le sue proteste fomentarono anche la rabbia dei compagni, che presero a inveire contro Najat.

“Aspettate, vi prego! Ascoltatemi!” Con le mani sollevate davanti a sé, lei cercò di placarli con scarsi risultati. Del resto, Dean non si sarebbe aspettato nulla di diverso. Come aveva potuto essere tanto avventata?

“Pensate che avrei permesso a un vampiro di stare qui se non fossi stata assolutamente sicura che non rappresentasse un pericolo?” chiese a tutti, gridando per sovrastare le loro voci. “Anche Jamaal sapeva di lui! Ci ha aiutato a entrare a Bran!”

“E infatti guarda com’è finita!” le contestò Avartak per tutta risposta. 

“Se le cose sono andate in quel modo, la colpa è solo di Tareq! Dean non ha avuto niente a che fare con la morte di Jamaal.” lo difese Kira, parlando per la prima volta. 

“Non direttamente, certo.” intervenne suo padre. “Ma potrebbe averlo convinto a prendere una decisione così avventata solo per favorire gli interessi di Nickolaij.”

Najat colse l’assist al volo. “Spero che con questo tu non stia insinuando che Jamaal fosse uno sciocco.” replicò indispettita, prendendolo alla sprovvista. “Tutti qui conoscevano la sua abilità strategica e sanno che non si sarebbe mai lasciato raggirare. Grazie alla sua decisione di fidarsi di Dean, abbiamo potuto salvare un ragazzo innocente e non è forse questa la nostra missione?”

La domanda ebbe l’effetto di ammutolire sia Xiong-Shi che gli altri e il silenzio scese di nuovo nella tenda.

“Amici miei.” proseguì quindi Najat, in tono più pacato. “Io non posso dimostrarvi in nessun modo la sua buona fede, posso solo dirvi quello che so. So che senza di lui neanche noi saremmo usciti vivi da quel castello. Jamaal è stato vittima di un tradimento, ma conosceva i rischi che comporta una missione di quel tipo, come tutti voi del resto. L’alleanza con il vampiro era un’opportunità e l’ha sfruttata. Se non volete credere a me, credete almeno nel suo giudizio.”

Nessuno in quel gruppo di veterani testardi ebbe il coraggio di contraddirla su quel punto, eppure sui loro volti si leggevano ancora sospetto e diffidenza.

Dopo un po’, si fece avanti un guerriero nerboruto e dalla pelle scura. “Nella remota possibilità che ci fidiamo di lui, in che modo sarebbe utile alla nostra causa?”

“In questi mesi lui e i suoi amici hanno trovato una soluzione che potrebbe permetterci di contrastare Nickolaij. Vi chiedo di ascoltare cosa ha da dire per capirne di più, poi deciderete il da farsi.” Fece cenno a Dean di avvicinarsi e lui, senza mostrarsi intimorito, la raggiunse dietro al tavolo, pur mantenendo una certa distanza per rispettare le gerarchie e non prevaricare su di lei. 

In tono fermo e guardandoli negli occhi illustrò in breve quanto accaduto nelle ultime settimane, ciò che avevano scoperto su Rachel e soprattutto soffermandosi sul fatto che fosse possibile rendere mortale Nickolaij.

I guerrieri lo ascoltarono fino alla fine, stranamente senza fare obiezioni, anche se mentre parlava poteva leggere nei loro occhi il tipico disprezzo che ogni cacciatore nutriva nei riguardi del suo nemico giurato, ma si sforzò di tirare dritto senza dare importanza alla cosa.

“Quindi questa ragazza, in teoria in possesso di poteri magici, dovrebbe produrre una pozione in grado di privare il Draculesti dell’immortalità.” riepilogò Xiong-Shi, una volta che Dean ebbe spiegato il ruolo di Rachel nella faccenda.

“Ma pur avendo la pozione, come faremmo ad avvicinarci abbastanza per iniettargliela?” aggiunse un altro comandante. “Sarebbe già un miracolo riuscire ad arrivare di nuovo alla sua tana.”

“Già.” concordò Avartak. “E poi chi si accollerebbe il compito? Non sarà certo facile come buttar giù un boccale di birra.”

Najat annuì, consapevole che avesse ragione. “Tutti i vostri dubbi sono legittimi. Io stessa ho tante domande senza risposta, è per questo che vi ho chiesto di riunirci qui, per poter trovare insieme una soluzione. Sono convinta che solo così riusciremo a vincere questa guerra.”

-Ottima strategia- pensò Dean colpito. Stava giocando la carta del farli sentire parte di qualcosa di più grande, in modo da portarli esattamente dove voleva.

“E il vampiro?” chiese un altro guerriero, accennando a lui con un gesto sprezzante del mento. “Non manca molto al plenilunio, chi ci assicura che non ci attaccherà in preda a un raptus famelico?”

Sentendolo Dean provò l’impulso di esibire una smorfia di disappunto, ma si trattenne. Gli Jurhaysh combattevano i vampiri da secoli, eppure non si erano mai presi la briga di conoscerli a fondo. Non avevano idea che ne esistessero alcuni, come lui stesso del resto, particolarmente abili nel controllare la fame, più forti nel combattimento o con altre capacità diverse dai propri simili. Per loro ogni succhiasangue era identico all’altro e forse era questo il vero motivo per cui non erano mai riusciti a sopraffarli del tutto.

“A questo abbiamo già pensato. Laurenne ha ideato una pozione con proprietà molto simili al sangue umano. Permetterà al nostro ospite di sfamarsi durante la luna piena senza mettere in pericolo la vita di nessuno di noi.” assicurò Najat, mostrandosi sicura di sé. “Comunque, per precauzione è disposto a prenderne più di una dose, nel caso una sola non dovesse bastare.” Detto ciò, si scambiò una breve occhiata con Dean per cercare conferma e lui annuì, tenendole il gioco malgrado non si fossero messi d’accordo prima su quel punto. Al momento c’era bisogno che la supportasse più possibile.

Per fortuna sembrò funzionare, o almeno servì a placare gli animi dei presenti, anche se non a convincerli del tutto che non rappresentava una minaccia per l’incolumità generale. Per quello ci sarebbe voluto molto più tempo e Dean lo sapeva.

Perfino il nobile Xiong-Shi aveva un’aria meno sospettosa, ma non la illuse che le avrebbe concesso subito il suo supporto incondizionato. “Devi lasciarci del tempo per discuterne tra noi.” le disse infine. “Non possiamo prendere una decisione così importante a cuor leggero.”

“È giusto.” riconobbe Najat paziente. “D’altronde, anche a Rachel ne servirà un po’ per preparare la pozione. Tenete presente, però, che stavolta c’è la concreta possibilità di liberarci di Nickolaij e il solo modo per riuscirci è unire le tribù e attaccare Bran tutti insieme. Confido che ognuno di voi saprà scegliere la strada migliore in nome di un bene superiore e che ci ritroveremo tutti d’accordo alla fine. Ora siete liberi di andare.”

Prima di obbedire, alcuni di loro si batterono il petto con la mano destra chiusa a pugno, nel saluto tipico dei guerrieri, mentre altri si limitarono a darle le spalle e a imboccare l’uscita. In ogni caso, Najat non nascose un certo sollievo e poté finalmente riprendere fiato.

A dir poco sfinita, si abbandonò su un grosso cuscino nelle vicinanze, mettendo da parte il cipiglio da capo adulto e responsabile per tornare la diciottenne che era.

“Quant’è difficile questo lavoro.” si lamentò sbuffando. “Non faccio che chiedermi come ci riuscisse Jamaal.”

“Beh, lui era sicuramente un grande capo. Per quel poco che lo conoscevo, ho avuto modo di constatarlo.” disse Dean. “Ma da anni nessuno nella tua posizione ha mai fatto quello che stai cercando di fare tu.”

Lei annuì con aria esausta. “Già… E adesso capisco il perché.”

“Mettere d’accordo persone con mentalità e culture tanto diverse non è certo un’impresa facile. Se poi ci aggiungi l’iniziativa di dire a tutti che sono un vampiro…”

Ripensarci le provocò un certo divertimento. “Non te lo aspettavi, eh?”

“Diciamo che avrei preferito saperlo in anticipo, per essere più preparato.” confessò Dean, piegando le labbra in un ghigno.

“Sì beh, non c’era il tempo di informarti. E poi è meglio che l’abbiano saputo da me, piuttosto che scoprirlo per caso. Sarebbe stato molto peggio.”

In effetti non poteva darle torto. “Comunque hai avuto fegato, non lo nego.” le concesse. “Ti sei guadagnata la mia stima.”

A quel punto, le parve quasi di vederla arrossire, ma non poté averne la certezza perché Najat si schiarì la gola, ricomponendosi nel giro di un secondo. “Grazie per le tue parole, vampiro.”

Dean ghignò di nuovo. “Ho anche un nome, sai?”

“Lo so.” rispose, accennando un sorriso.

Dopo aver ricambiato, tornò serio. “Prima che vada, c’è una cosa di cui vorrei discutere con te. Riguarda quello che è successo in Scozia.” Era dal loro arrivo che aspettava un momento adatto per parlarle delle sue preoccupazioni e pensò di cogliere la palla al balzo, ora che erano soli. “Quando siamo fuggiti attraverso il portale, la ragazza che viveva con Margaret è rimasta al suo fianco e sono sicuro che Mary e Byron l’avranno torturata per estorcerle informazioni.”

“Che genere di informazioni?” chiese Najat con aria attenta.

“Tutto.” Dean sospirò, massaggiandosi le tempie. “La maledizione, l’identità di Rachel, la pozione… Non so fino a che punto possa aver parlato, ma di certo ora avranno un quadro più completo e questo potrebbe aver eliminato il nostro vantaggio.”

Esausta, Najat chiuse gli occhi e affondò il viso nelle mani, prendendosi qualche istante di riflessione. Dean era consapevole del disagio che stava provando e non avrebbe voluto aggiungere un altro problema alla sua già nutrita lista, ma i suoi timori erano fondati ed era giusto che ne fosse messa al corrente.

“Quindi ora cercheranno Rachel.” ne dedusse la guerriera. 

“È probabile.”

“E c’è il rischio che vi trovino qui come hanno fatto in Scozia…” Dal suo tono si capiva quanto l’ipotesi la impensierisse. 

“L’altra volta Cedric aveva addosso una specie di marcatore runico e ritengo che sia grazie a quello che ci hanno rintracciato. Ad ogni modo, Margaret l’ha rimosso poco dopo il nostro arrivo, perciò non dovremmo correre rischi.” le spiegò Dean.

Il suo tentativo di rassicurarla sembrò fare effetto, perché l’espressione di Najat si fece meno tesa. “Sarà meglio tenere questa storia per noi. Non abbiamo informazioni certe e sarebbe inutile allarmare i miei comandanti, è già abbastanza dura tenerli a bada.” 

Lui annuì. “Sono d’accordo. Infatti non l’ho detto neanche agli altri per non farli agitare ulteriormente. 

-E Rachel lo è già a sufficienza- pensò subito dopo. Gli Jurhaysh avrebbero potuto risentirsi se, in preda a uno dei suoi attacchi d’ira, avesse raso al suolo l’accampamento.

“In ogni caso, il villaggio è protetto dalla magia di Laurenne e nessuno può trovarlo, a meno che non ne conosca già la posizione. Speriamo che basti e che non si inventino qualche altra diavoleria.” aggiunse la guerriera. “E poi, al momento, che Nickolaij sappia o meno di Rachel non fa differenza, finché lei è al sicuro qui. Affronteremo il problema quando attaccheremo Bran. Se mai ci riusciremo…” Con un profondo sospiro trasmise tutta la propria incertezza in merito e per un attimo Dean riuscì a vedere tutta la sua fragilità, tipica di chi si ritrova così giovane di fronte alla responsabilità di guidare un intero popolo. 

Quel momento però fu di breve durata, perché Najat parve accorgersene subito e l’istante dopo la vide recuperare la sua compostezza, anche se comunque troppo tardi per impedirgli di notarlo. “Posso esserti utile in qualche altro modo?” le chiese allora, fingendo noncuranza.

Dapprima un po’ spaesata dal suo fare servizievole, lei si riprese in fretta e accennò un leggero sorriso. “Per ora no, ti ringrazio. Puoi andare. Manderò qualcuno ad avvisarti quando ci sarà il prossimo consiglio.”

Con un cenno della testa Dean le comunicò di aver capito, poi tolse il disturbo e si diresse subito verso la tenda dove alloggiava con gli altri, premurandosi di mantenere un profilo basso. Non che servisse a molto ormai, ma non era affatto sicuro che le garanzie date da Najat fossero sufficienti per placare i pregiudizi dei guerrieri nei suoi confronti, dunque meglio non metterli alla prova.

Al suo rientro trovò Kira e Qiang che chiacchieravano piacevolmente con Juliet e i ragazzi. Mancava solo Rachel, che probabilmente era ancora da Laurenne a cercare di capire qualcosa sulla pozione. 

“Allora? Che voleva Najat?” gli chiese Juliet in tono un po’ ansioso quando lo vide entrare.

Conservando il suo solito aplomb, Dean scosse leggermente le spalle. “Niente di particolare. Voleva informare gli altri comandanti della pozione, stabilire piani, strategie, rivelare al resto del mondo che sono un vampiro…”

La sua ironia, però, passò in secondo piano al sentire quella parola e trasalì, fissandolo incredula. “Cosa?” 

Lui ridacchiò, divertito dalla sua reazione. “Rilassati. Non è successo nulla.”

“Sì, anche se il rischio c’è stato per un momento. Nostro padre e gli altri comandanti non l’hanno presa benissimo.” L’espressione di Qiang lasciava intuire che fosse tutto fuorché rilassato. Le possibili reazioni del padre sembravano inquietarlo più del fatto che ora tutti sapessero della presenza di un vampiro nell’accampamento.

Per sedare l’agitazione che le parole del guerriero avevano suscitato, Dean spiegò come Najat fosse riuscita almeno in parte a rabbonire sia Xiong-Shi che gli altri guerrieri, garantendo per la sua buona fede e irretendoli con la possibilità di far tornare umani i compagni trasformati in vampiri grazie alla pozione.

Quando finì di parlare, Kira assunse un’aria pensierosa, arricciando le labbra. “Nat gioca d’astuzia, ma non so quanto possa servire con nostro padre.”

Tuttavia, il discorso si interruppe a causa dell’arrivo di Rachel, che dopo aver salutato con un sorriso di circostanza i due ospiti, riacquistò l’aria funerea che aveva ormai da giorni e si mise a sistemare le sue cose nel piccolo spazio personale che si era ritagliata in un angolo.

“Ehi, Sabrina.” la apostrofò Cedric senza porsi il problema se fosse o meno dell’umore. “Novità sulla pozione?”

Non era la prima volta in due giorni che glielo domandava e la sua risposta era sempre la stessa. Comunque, Rachel si sforzò di avere pazienza. “Te l’ho detto, dobbiamo ancora finire di radunare tutti gli ingredienti.”

“Ancora?” Sul volto di Cedric lesse la delusione.

“È più complicato del previsto. Leggendo sul grimorio mi sono resa conto che Margaret non li aveva tutti. Per fortuna Laurenne teneva un paio di erbe con sé, ma altre sono piuttosto rare e dovremmo andare a cercarle. Alcune non sappiamo nemmeno cosa siano.” spiegò in tutta sincerità. “E poi non si tratta solo di trovare quelle giuste, ma anche di capire in che modo utilizzarle. Insomma, è un vero inferno.” Esausta, si portò una mano sulla fronte, emettendo un sospiro. Come se non bastasse, le era scoppiato un gran mal di testa e quel fastidio allo stomaco continuava a ripresentarsi ogni tanto.

Il silenzio di Cedric lo interpretò come assenso, o più probabilmente volle credere che fosse così per non dovergli dare ulteriori spiegazioni. Ora voleva solo riposare, senza doversi sorbire le domande di nessuno. Quindi si affrettò a riordinare le sue cose, con la ferma intenzione di andarsene a dormire. Perfino quando Juliet le chiese se volesse mangiare qualcosa rifiutò. Al momento sentiva che lo stomaco avrebbe rigettato qualunque cosa avesse ingerito.

“Ehi.” esordì una voce dietro di lei, mentre trafficava. “Serve una mano?”

“No, ho quasi finito.” ribatté secca, senza guardare Mark in faccia. Ultimamente non riusciva più a farlo con la stessa facilità di un tempo e doveva ancora capire bene il perché. O forse lo sapeva già.

Dei suoi modi di fare restii, però, sembrava essersi accorto anche lui. “Okay. Quando hai fatto, possiamo parlare un minuto?” chiese in un tono accomodante che la infastidì.

Mugugnò qualcosa in risposta, ma non gli bastò perché subito dopo sentì la sua mano sul braccio invitarla a voltarsi e a incontrare il suo sguardo.

“Per favore, è importante.”

Era davvero serio mentre lo diceva, così Rachel dovette convincersi che fosse davvero importante e si rassegnò a seguirlo fuori dalla tenda.

Una volta soli, lui non si perse in chiacchiere. “Mi spieghi perché non mi rivolgi la parola da quando abbiamo lasciato la Scozia?” domandò a bruciapelo. 

-Ti prego, no- pensò tra sé, esasperata. Ci mancava solo quello. Senza sapere bene cosa rispondere, distolse lo sguardo, evasiva.

Mark, però, non si lasciò scoraggiare dal suo silenzio. “Ascolta, capisco che la scomparsa di Margaret ti abbia turbato. Avevi bisogno di tempo per elaborare la cosa e te l’ho dato volentieri, ma adesso…”

“Ti prego, non possiamo rimandare? Sono talmente stanca…” In pratica quasi lo implorò, tentando in quel modo di mettere a tacere l’istinto che altrimenti l’avrebbe spinta a una reazione eccessiva. Sperava di riuscire a impietosirlo, così da sventare il pericolo di una lite e fortunatamente lui sembrò intuirlo.

“Ray, l’ultima cosa che voglio fare è assillarti, ma sento che tra noi c’è qualcosa di irrisolto e mi piacerebbe che ne parlassimo. Solo per chiarire, tutto qui.”

A quel punto su entrambi calò l’ennesimo silenzio imbarazzante. Rachel continuava a non guardarlo, consapevole che così facendo le avrebbe letto dentro. Ormai erano come un libro aperto l’uno per l’altra.

“È per quello che è successo sulla spiaggia, vero?” azzardò Mark, facendosi più vicino.

Aveva indovinato, come era prevedibile del resto, e Rachel si maledisse. Non osava alzare gli occhi, vergognandosi come una ladra, finché lui non decise che era arrivato il momento di smetterla. Con la mano le sollevò il viso delicatamente, costringendola a guardarlo. “È così? Dimmi la verità.”

Non c’era accusa né rabbia nella sua voce, solo il desiderio che lo aiutasse a capire, ma ora come ora Rachel avrebbe voluto solo scappare. Perché si sentiva così? Eppure da quando stavano insieme non aveva mai avuto difficoltà a confidarsi con lui. Per quale motivo adesso aveva così paura?

Fece per aprire bocca, in un disperato tentativo di giustificare i suoi timori, quando vide un nutrito gruppetto di guerrieri venire verso di loro. Dapprima pensarono che avrebbero cambiato strada, invece poi se li ritrovarono proprio di fronte. 

“Dove posso trovare colei che sostiene di essere una strega?” chiese senza mezzi termini quello in testa al gruppo, scrutando entrambi con i suoi occhi a mandorla quasi nascosti sotto le folte sopracciglia ingrigite dall’età. Il suo tono non era scortese, ma fermo.

E adesso cosa voleva quella gente da lei? Superata l’esitazione iniziale, Rachel lo affrontò altrettanto decisa. “Ce l’ha davanti.” 

L’uomo la squadrò dall’alto in basso, come se la stesse studiando, e sembrava alquanto scettico sulla veridicità delle sue parole. “Dunque è così. L’ultima strega vivente non è altro che una ragazza che ha da poco superato l’adolescenza.” constatò.

A Rachel il modo in cui la stavano fissando non piaceva per niente e ancora meno il tono di sufficienza che quel tizio le riservava. Quasi non fosse nemmeno degna di allacciargli gli stivali. Mark le cinse la vita con un braccio, per trasmetterle il suo sostegno e automaticamente si sentì più forte. “La cosa la disturba?”

Riconosciuta la voce del padre, i fratelli Cina uscirono dalla tenda, seguiti da Juliet e gli altri.

“Padre.” disse Kira, sorpresa di trovarlo lì. “Che succede?”

Lui, però, non batté ciglio. “Nulla di grave, figlia mia. Eravamo solo ansiosi di conoscere l’unica persona con il potere di risolvere i nostri problemi.”

“Come sarebbe a dire?” Rachel aggrottò la fronte, mentre le parole le uscivano spontanee.

“Sappiamo dei tuoi poteri. Il vampiro ci ha spiegato che con le tue capacità creerai una pozione che ci permetterà di eliminare il Draculesti e porre fine alla guerra.” Nonostante mantenesse un certo contegno, il tono del guerriero era velatamente entusiasta.

Era evidente che, pur con tutti i dubbi del caso, si fosse già fatto un’idea piuttosto definita di come doveva andare. Peccato che Rachel non si sentisse altrettanto ottimista. Con i nervi a fior di pelle, lanciò un’occhiata fulminante a Dean, ma non ebbe modo di dirgli ciò che meritava perché Xiong-Shi tornò alla carica subito dopo.

“Se siamo qui è per assicurarci che non si sia trattato soltanto di una menzogna del vampiro per sfuggire al taglio della testa.” chiarì. “Perciò ti chiedo di darci una dimostrazione dei tuoi poteri.”

“Io non devo dimostrare niente a nessuno.” replicò Rachel, senza disturbarsi a nascondere quanto l’atteggiamento di quell’uomo l’avesse offesa. Con quale faccia tosta lui e i suoi compari venivano lì a imporle di dare spettacolo? Neanche fosse un fenomeno da baraccone.

“Non mi sembra una grossa pretesa. O magari ti rifiuti di mostrarceli perché in realtà non esistono.” insinuò uno degli altri capo tribù, un tipo pallido e dalla chioma biondastra.

“Di che hai paura, ragazza?” la incalzò un altro in un inglese dal forte accento straniero, che però Rachel non riuscì a identificare. “Se è vero che sei una strega, che ti costa farci vedere qualcosa?”

Aveva tutti i loro occhi puntati addosso e a quel punto avvertì Mark irrigidirsi, intenzionato a rispondere per le rime, ma lo fermò prima. Non avrebbe lasciato che fosse qualcun altro a prendere le sue difese. Poteva farcela benissimo da sola. Era molto tentata di lasciare che il suo potere fuoriuscisse libero da lei, ma provocare l’ennesimo disastro avrebbe potuto essere controproducente e poi, per quanto quella gente non le fosse simpatica, non voleva fare del male a nessuno. Così, alla fine optò per un incantesimo tra i più semplici, almeno da quando aveva imparato a padroneggiarlo. Tanto per accontentarli e levarseli dai piedi. Sperava solo che gli sarebbe bastato.

Sollevò la mano destra e con un respiro profondo raccolse la concentrazione. Ormai non aveva più bisogno di chiudere gli occhi, non per una magia così semplice almeno. Dopodiché posò lo sguardo sui guerrieri, scoprendoli seri e attenti, finché l’attenzione non si tramutò in stupore quando una guizzante fiammella si accese di colpo tra le sue dita.

Le labbra di Rachel si piegarono in un sorriso soddisfatto. “È sufficiente?” chiese, a un tratto più spavalda. Quello era uno dei cavalli di battaglia di Margaret ed era fiera di averlo imparato così bene. Tutta la fatica che aveva fatto era valsa a qualcosa.

Xiong-Shi si riprese in fretta, non che fosse davvero rimasto impressionato, e inaspettatamente chinò il capo verso di lei, in segno di assenso misto a scuse. “Volevamo solo esserne certi. Ad ogni modo, un po’ di fuoco dalla mano non significa aver vinto la guerra. Vedremo come si evolveranno le cose. Nel frattempo, ci terremo aggiornati sui tuoi progressi.” Concluse in tutta tranquillità, prima di spostare il suo cipiglio severo sui due figli. “Basta bivaccare. Vi aspetto al campo di addestramento tra dieci minuti. Niente balestre, Qiang. Sono armi facili che non si addicono a un vero uomo, ammesso che in te sia rimasto qualcosa che oserei definire tale.”

L’attenzione generale si spostò in automatico su Qiang, che si stava evidentemente sforzando di non lasciar trasparire quanto le parole del padre lo avessero ferito, senza però molto successo. Comunque non disse nulla, limitandosi ad annuire obbediente, per poi guardarlo allontanarsi insieme agli altri guerrieri.

“Lo ha fatto di proposito.” mormorò tra i denti, appena certo che non potesse sentirlo. “Ha continuato a parlare inglese in modo che tutti sentissero mentre mi umiliava.”

La sorella gli posò una mano sulla spalla con fare consolatorio. “Non dargli peso. Che ti importa di quello che pensa? Tu non hai niente che non va…”

“È mio padre! Per quanto mi sforzi di ignorarlo, mi importerà sempre.”

“Scusate se mi intrometto, ma va tutto bene?” chiese Juliet, in pensiero di fronte a quell’evidente crisi familiare. 

Kira si voltò verso di lei, rivolgendole un sorriso cordiale. “Grazie, è tutto a posto. I soliti problemi con nostro padre.”

“Già.” le fece eco il fratello, recuperando il contegno perduto. “A quanto pare ciò che sono lo turba così tanto da non riuscire a evitare di farmelo pesare ogni volta che si presenta l’occasione.”

Confuso dalle sue parole, Dean alzò un sopracciglio. “Ciò che sei?”

Qiang allora annuì, prima di spiegarsi. “Omosessuale.” confessò senza particolari problemi. L’unico che sembrava averne era suo padre, in effetti. “E questo per lui equivale a un disonore, visto che in quanto suo unico figlio maschio dovrei ereditare la sua posizione. Lo considera un fallimento personale.” spiegò con aria mesta, anche se nella sua voce non c’era traccia di vergogna, solo dispiacere per il comportamento del padre.

“Capisco. Hai provato a dirgli cosa provi? A fargli capire come ti senti?” Juliet cercò di usare un tono il più possibile neutro, poco coinvolto, quando invece dentro sentiva una certa dose di fastidio. Possibile che nel ventunesimo secolo ci fosse ancora qualcuno incapace di accettare che esistessero varie forme di amore, oltre a quella canonica e tradizionale?

“Oh, sì. Fino alla nausea. Tanto che ormai ho smesso di provarci. Non serve a niente, è più testardo di un mulo. E poi sapete che c’è? Io non voglio fare il capo, non mi interessa, non ne ho le capacità.” ammise sincero. “Da anni sostengo che debba essere Kira a succedergli, ma ovviamente non vuole sentire ragioni. Secondo lui una donna sarebbe inadatta a comandare.”

“Ecco. Un altro maschilista.” sentenziò Rachel seccata, per poi girare i tacchi e rientrare in tenda senza degnare nessuno di uno sguardo.

“Ho colto una lieve insinuazione, o sbaglio?” fece Cedric a Mark, che sospirò rassegnato.

“Ragazzi, noi purtroppo dobbiamo andare o saranno guai.” si congedò Kira, allontanandosi subito dopo insieme al fratello, che salutandoli con la mano aggiunse un “ci vediamo in giro”, prima di seguirla verso il campo di addestramento che era stato improvvisato poco fuori dal perimetro intorno alle tende.

Davanti ai due fratelli Rachel si era trattenuta, ma una volta rientrati non esitò a scaricare su Dean tutta la sua furia. “Come diavolo ti è venuto in mente di dire a tutti che sono una strega?” lo aggredì.

Nonostante si aspettasse di dover affrontare la sua reazione, lui pensava di avere un po’ più di tempo. Non avrebbe potuto certo immaginare che i comandanti si sarebbero presentati da loro cinque minuti dopo la riunione. “Adesso non cominciare, è stato solo per tenerli a bada. Avevo almeno una decina di spade puntate alla gola quando Najat ha rivelato la mia vera natura.” si giustificò.

“Certo, perché come al solito tu pensi solo a salvarti la pelle!” replicò Rachel implacabile. “Pazienza se a rimetterci poi sono sempre gli altri!”

Dean incrociò le braccia, sospirando. “Tanto lo avrebbero saputo prima o poi. Se non l'avessi detto io ci avrebbe pensato Najat. Strategicamente parlando, la pozione sarà l’asso nella manica che permetterà di dare una svolta alla guerra. Come speravi di riuscire a tenerlo nascosto?” Ora anche lui iniziava a infervorarsi, perché in fondo rivelare dei suoi poteri era inevitabile e rifiutarsi di capirlo significava comportarsi in maniera infantile.

Rachel, però, ignorò la domanda, evidentemente di diverso avviso. “Ora si aspetteranno che finisca la pozione in tempi record e che mi riesca anche al primo colpo! Come se non avessi già abbastanza ansia per conto mio! Grazie, Dean. Grazie davvero!”

“Ora non esagerare, Ray. Nessuno ti sta puntando una pistola alla tempia.” intervenne Mark, con l’intento di placarla.

Tutto ciò che ottenne, invece, fu un un’occhiata fulminante da parte sua. “Chissà perché non mi aspettavo il tuo sostegno.” In quel momento esatto si sentì completamente messa all’angolo, sola contro tutti. Non c’era anima viva intorno a lei che comprendesse davvero ciò che stava passando. Per loro era tutto facile, credevano che con uno schiocco di dita avrebbe preparato la pozione, fermato Nickolaij e il giorno dopo se ne sarebbero tornati a casa, quando era fin troppo chiaro che non sapeva nemmeno da che parte cominciare. L’unico impulso fu quello di scappare il più lontano possibile, così afferrò in fretta la borsa col grimorio e uscì. Un altro minuto lì dentro e sentiva che sarebbe esplosa. Letteralmente.

“Rachel, aspetta!” le gridò Mark dall’interno, ma non si voltò indietro. La magia stava crescendo in lei, poteva percepirla mentre ribolliva come la lava di un vulcano prossimo all’eruzione. Doveva allontanarsi da lì se non voleva rischiare di fare danni. Mancava solo quello per coronare una così splendida giornata.

Stringendo i pugni per contenere i suoi poteri, si diresse a passo svelto verso la pozza che riforniva l’intero accampamento e presso cui era stata qualche volta a riempire i secchi per il bagno. Era un luogo abbastanza isolato e per fortuna quando arrivò non c’era nessuno. Giunta sulla riva, si tolse di dosso la borsa, gettandola a terra con malagrazia; poi si abbandonò a un urlo liberatorio, scatenando una violenta folata di vento che alzò una nuvola di sabbia, scosse le poche palme nelle vicinanze e increspò la superficie dello specchio d’acqua.

Col fiato grosso, cadde in ginocchio sulla sabbia, le braccia strette attorno al corpo. –Puoi farcela. Respira profondamente…- provò ad autoconvincersi. –Controlla la rabbia. Respira…- Continuava a ripetersi come un mantra e parve funzionare, perché a poco a poco il tremore che l’aveva assalita iniziò a scemare, così come la voglia di spazzare via tutto. Ben presto riuscì a ritrovare la calma interiore, ma non per questo si sentì meno in ansia. – Così non va bene- Non era pensabile che reagisse in quel modo ogni volta che qualcuno le faceva perdere la pazienza. Doveva imparare a controllarsi e doveva farlo subito. Margaret l’aveva detto che il suo potere era legato alla rabbia, ma doveva riuscire a padroneggiarla, a incanalarla in qualche modo, altrimenti l’avrebbe sopraffatta.

“Ray…”

Una voce alle sue spalle la fece trasalire e si voltò di scatto. Era Juliet.

L’amica le sorrise, sollevata che stesse bene. “Ehi.”

“Che ci fai qui?” Perché l’aveva seguita?

“Eri sconvolta, non potevo lasciarti sola.” rispose serafica. “Posso?” Accennò allo spazio sulla sabbia accanto a lei, chiedendo implicitamente se poteva sedersi e Rachel annuì. La vergogna di aver reagito in quel modo stava già prendendo il sopravvento sulla rabbia.

Juliet si accovacciò con le ginocchia al petto, prendendo a osservare il riflesso del sole sul pelo dell’acqua. “Non voglio costringerti a parlare. Me ne starò qui in silenzio e quando ne avrai voglia ti ascolterò.” disse.

Dal canto suo, Rachel avrebbe davvero voluto sfogarsi con la sua migliore amica. Era da tanto che non succedeva e ne sentiva la mancanza. Tuttavia, qualcosa glielo impediva. Non avrebbe saputo spiegare cosa, ma il blocco c’era e non sapeva come aggirarlo. Forse aveva solo una gran paura di ammettere che c’era dell’altro, un pensiero talmente spaventoso che faceva fatica addirittura a considerare come reale possibilità. Per il momento si trattava solo di una sorta di mostro tenuto rinchiuso in un angolo remoto della sua testa, con la speranza che prima o poi scomparisse.

Alla fine, quindi, si alzò, volgendo lo sguardo al paesaggio. “C’è ben poco da dire. Il tuo ragazzo mi ha messo nei casini e adesso dovrò trovare il modo di uscirne.” riassunse lapidaria. Ci mise poco a rendersi conto di aver esagerato, ma ormai era fatta. 

Senza aggiungere altro, recuperò la borsa e si diresse di nuovo verso il campo con il pensiero di Juliet ancora seduta per terra, liquidata in due parole. Mentre camminava, non riuscì a impedire a una lacrima furtiva di rigarle il viso.

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Capitolo 26
*** Riuniti (parte 1) ***


Capitolo 19

 

Riuniti

 

“È inutile. Tutto tempo sprecato.”

Una nuvola di polvere si sollevò dalle pagine ingiallite del vecchio tomo quando Mary lo richiuse di colpo davanti a sé. L’ultimo di una lunga serie che insieme a Byron stava ispezionando da cima a fondo. Erano ore ormai che se ne stavano rintanati in biblioteca, alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse a capire come rintracciare l’erede di Margaret Danesti e il resto della combriccola. Ogni minuto che passava si rodeva sempre più il fegato per non essere stata abbastanza rapida da tuffarsi in quel portale. Ormai, però, era fatta e avrebbero dovuto sbrigarsi a trovare una soluzione alternativa, prima che la pazienza già precaria di Nickolaij si esaurisse del tutto.

“Lamentarsi non serve a niente. Continua a cercare.” la riprese Byron, tornando dall’ennesimo viaggio verso gli scaffali con un paio di volumi antichi, che accumulò sopra quelli già presenti sul tavolo. 

Mary sospirò esasperata. “Sai, quando hai detto di avere un asso nella manica che ci avrebbe sottratto a una morte lenta e dolorosa non credevo che saremmo finiti così.”

“In effetti, nemmeno io.” ribatté, più concentrato sulla lettura che su di lei. “Il problema è che il mio asso nella manica non funziona fino in fondo e non capisco perché. Ho eseguito la procedura alla lettera, passo dopo passo, eppure c’è qualcosa che ne impedisce la riuscita. Quindi, finché non avremo trovato la risposta, ti consiglio di risparmiare il fiato e impiegare le tue energie in attività più costruttive.” 

In tempi diversi questo suo trattarla come se fosse l’ultima degli apprendisti l’avrebbe mandata su tutte le furie, ma non nella situazione critica in cui si trovavano. Sebbene Nickolaij non avesse imposto ultimatum alle ricerche, era come averlo sempre lì con il fiato sul collo, pronto a infliggere la punizione che meritavano per i loro fallimenti. In ogni caso, Mary sentiva che prima o poi avrebbe chiesto loro di rendere conto di quel ritardo. Più prima che poi.

Pensare alla prospettiva contribuì a motivarla, così fece un sforzo e iniziò a sfogliare un altro tomo. Le pagine erano disseminate di disegni e simboli strani, e a dirla tutta non ci capiva granché, ma aveva assistito personalmente al rituale e Byron le aveva spiegato per sommi capi quali fossero gli ostacoli alla sua riuscita. Ora si trattava solo di trovare la chiave di volta in uno di quei testi.

Annoiata, senza farci caso prese a rigirarsi tra le dita la collana con lo smeraldo recuperata nel cottage insieme a quella di Nickolaij. 

“Alla fine l’hai tenuta.” constatò Byron appena l’occhio gli ci cadde sopra. 

Mary, però, era distratta e sul momento non capì. “Ah… Sì, ho pensato fosse un peccato lasciarla lì. Stava meglio attorno al mio collo.” rispose, una volta intuito a cosa si riferisse. Dopo aver finito con la ragazza dai capelli rossi, infatti, erano tornati al cottage per cercare qualche indizio su dove potessero essere finite le loro prede, ma frugando nelle borse al piano di sopra non avevano trovato altro che le collane, insieme a un mucchio di altra robaccia di nessuna utilità. 

“Una ben magra consolazione.” commentò lui, l’attenzione rivolta già altrove.

Mentre lo osservava saltellare da uno scaffale all’altro, per la prima volta Mary si rese conto di non aver ricavato alcuna soddisfazione dalle disgrazie di quel druido da strapazzo. Un tempo vedere la sua reputazione rovinata, assistere al suo allontanamento magari, sarebbe stato per lei motivo di grande gioia. Ora, invece, le cose erano cambiate, perché anche lei rischiava grosso e questo le faceva provare una sorta di empatia nei suoi confronti, qualcosa di simile alla compassione. Il sentimento meno familiare del mondo. 

“Niente, non c’è niente!” Di punto in bianco, Byron sembrò arrendersi e in un moto di rabbia scaraventò a terra il cumulo di libri che aveva di fronte. “Quella maledetta strega! Di sicuro mia cugina deve averle insegnato a proteggersi per bene. Tipico di Margaret!” Fuori di sé, si accasciò pesantemente sulla sedia, affondando il volto tra le mani. Non l’aveva mai visto in quello stato.

“Calmati adesso. Non è il momento di perdere la testa.” cercò di rimetterlo in riga. Ci mancava solo che andassero entrambi nel panico e sarebbe davvero finita.

“Detto da te ha dell’incredibile.”

A Mary sfuggì un ghigno mesto. “Sì beh, l’ho imparato di recente a mie spese.”

“Mia cugina era sempre un passo avanti a me, in tutto. Assurdo come riesca a farmi sentire inadeguato perfino ora che è morta.” 

Doveva proprio essere disperato per sentirsi così in vena di sfoghi e Mary ne rimase sorpresa. Mai una volta in tanti anni aveva esternato qualcosa che lo riguardasse in prima persona, un episodio del suo passato o un riferimento al suo rapporto con la famiglia d’origine. Tutto avrebbe immaginato tranne che soffrisse di complessi di inferiorità. “Tu inadeguato?” ripeté perplessa, alzando un sopracciglio. 

A quel punto, allora, Byron parve rendersi conto di essersi spinto troppo oltre. Probabilmente non avrebbe voluto che lo vedesse così. “L’occulto ha sempre interessato entrambi, ma a differenza di Margaret io non sono nato con il dono della magia.” si arrese infine. La cosa sembrava infastidirlo tuttora, come se non se ne fosse mai fatto una ragione. “Per quanto mi applicassi, non ho mai avuto alcuna possibilità di eguagliarla. Grazie al suo potere, qualunque incantesimo le riusciva con il minimo sforzo, mentre io ho dovuto faticare per arrivare dove sono oggi e, nonostante questo, lei continua a guardarmi dall’alto del suo piedistallo, prendendosi gioco di me come faceva un tempo.” 

“Sì, ma ora è morta e presto la raggiungeremo se non ci inventiamo qualcosa.” obiettò Mary, rammentandogli le priorità del momento. “Furba la streghetta. Se non fosse andata a nascondersi nel territorio dei cacciatori a quest’ora l’avremmo già trovata.”

Consapevole che avesse ragione, Byron annuì, posando di nuovo lo sguardo sul volume che aveva davanti. “Già, di sicuro deve aver chiesto alla sciamana che protegge il villaggio di aiutar…” Si interruppe di colpo, colto da un’illuminazione. “Aspetta…” Alzatosi di scatto, corse verso uno scaffale, di quelli che finora avevano del tutto ignorato. “Sei un idiota… Un completo imbecille…” lo sentí borbottare, mentre con il dito scorreva il dorso dei volumi in cerca di chissà cosa. Alla fine un grido di trionfo le fece capire che l’aveva trovato. 

Quando tornò al tavolo, prese a sfogliare il libro con un insolito scarso riguardo per la sua fragilità. Era evidente che sapesse perfettamente cosa cercare, perché i suoi occhi viaggiarono veloci pagina dopo pagina, finché non si soffermò su una in particolare e Mary lo vide illuminarsi di nuovo. “Eccolo!” esclamò, puntando l’indice su un passaggio preciso del testo. 

Stufa di essere lasciata in disparte, stava per chiedergli chiarimenti, ma l’arrivo improvviso di un vampiro glielo impedì.

“Milady.” la salutò a occhi bassi, pur sembrando piuttosto sollevato di averli trovati. “Lord Byron…”

“Che cosa vuoi?” tagliò corto, spazientita. 

“Sua signoria richiede la vostra presenza nello studio.” 

Assaliti dallo stesso timore, entrambi si scambiarono un’occhiata che valeva più di mille parole. Il momento fatidico era arrivato e loro non avevano frecce al proprio arco. O forse sì?

Dopo essersi sistemato la camicia, con insolita fermezza Byron si schiarì la gola, alzandosi dalla sedia. “Allora sarà meglio non farlo attendere.”
 

-o-

 

Juliet diede un altro giro di mestolo alla zuppa di lenticchie, che borbottava sul fuoco ormai da diversi minuti, per evitare che si attaccasse al fondo della pentola. Quella era una fase delicata e non poteva distrarsi, soprattutto perché con la cottura a fuoco vivo c’era molta più probabilità di stracuocere i cibi, oltre al rischio concreto di incendiare la tenda. 

Chiuse gli occhi e si soffermò qualche istante sull’odore, che prometteva molto bene. L’intera cena che aveva preparato, in realtà, aveva un ottimo aspetto e ne andava fiera. Non era stato affatto facile mettere su un pasto decente, visto che non disponeva di una vera e propria cucina e gli ingredienti non erano quelli a cui era abituata. Per fortuna, Laurenne le aveva dato qualche dritta. Era perfino riuscita a fare un dolce a base di fichi e miele, una ricetta tipica del luogo che la sciamana le aveva consigliato. Tutto questo per tentare di concludere con un po’ di dignità quell’anno disastroso.

Ebbene sì. Facendo due calcoli si era resa conto che il trentuno dicembre era arrivato. L’ultimo giorno di un anno da dimenticare e, per un’ottimista come lei, forse l’inizio di un periodo migliore che sperava di inaugurare proprio con una buona cena.

“Che combini?”

La voce di Dean, appena rientrato, la fece voltare. Osservava la tavola con aria un po’ spaesata, ma allo stesso tempo incuriosita. 

“Ehi! Sapevi che gli Jurhaysh non festeggiano il capodanno? Almeno non il trentuno dicembre. Così ho pensato di organizzare una cenetta solo per noi, che te ne pare?” Lo accolse con entusiasmo, mentre continuava a rimestare nel suo angolo. 

“Bella idea. Di certo sarà il miglior capodanno mai visto in centodieci anni.” rispose sorridente.

Sembrava di ottimo umore e a Juliet non poté che far piacere. Ancora di più quando, dopo essersi avvicinato, si chinò per lasciarle sulle labbra uno dei suoi baci delicati ma al contempo decisi. Sentendosi coraggiosa, stavolta non perse tempo e lo abbracciò, pretendendo un altro bacio che si godette il più possibile. Negli ultimi tempi avevano così poche occasioni di restare soli e ogni minuto era prezioso. 

Diversamente dal solito, però, fu lei a interrompere il contatto, colta da un pensiero improvviso. Lì per lì non aveva prestato particolare attenzione alle sue parole, ma a rifletterci meglio ora ne coglieva il senso. “Un momento…” mormorò, scostandolo di poco per poterlo guardare negli occhi. “Centodieci? Scusa, e quando li avresti compiuti?” Solo adesso le era tornata in mente la conversazione avuta durante la loro fuga dal castello, in cui aveva detto che il suo compleanno era a dicembre. Peccato che il mese fosse appena finito.

“Ieri.” disse Dean candidamente, come se fosse una cosa di scarsa importanza. 

La notizia le provocò non poco sconcerto. “Quindi ieri era il tuo compleanno e non hai detto una parola?” 

“Non pensavo che avresti voluto saperlo.”

“No, hai ragione. Perché dovrebbe interessarmi sapere quand’è il compleanno del mio fidanzato?” replicò, sempre più allibita. 

Per un attimo l’appellativo sembrò destabilizzarlo, ma si riprese in fretta ed emise un sospiro paziente. “Juls, dopo aver superato la soglia dei centocinque a nessuno verrebbe in mente di festeggiare ancora, credimi. Ad ogni modo, è sempre stato un giorno come un altro.”

Senza nascondere la delusione, Juliet arricciò le labbra con aria pensosa. Comprendeva il suo discorso, ma comunque le dispiaceva essersi persa il suo primo compleanno insieme. “Beh, magari per te…” mormorò, abbassando lo sguardo. 

Dean sorrise, divertito dalla sua espressione imbronciata. “Mi dispiace. Se avessi saputo che ci tenevi, te l’avrei detto.”

Rimasero a guardarsi per qualche istante; poi lei non riuscì più a trattenersi e si lasciò sfuggire una risata sommessa, che Dean non seppe interpretare. “Queste cose possono succedere solo con te.” si spiegò allora, di fronte al suo cipiglio interrogativo. “Stupida io che ancora mi sorprendo.”

Entrambi si misero a ridere e per un istante Juliet finse di fare resistenza quando lui decise di baciarla di nuovo. “Tanti auguri.” gli sussurrò subito dopo a fior di labbra, senza smettere di sorridergli innamorata.

Era talmente persa da non accorgersi dell’odore di bruciato che cominciava a diffondersi pericolosamente nella tenda finché Dean non glielo fece notare.

“C’è qualcosa che brucia?” domandò, arricciando il naso. 

Fu allora che realizzò. “La zuppa!” trasalì, afferrando subito un paio di strofinacci e correndo alla pentola per toglierla dal fuoco. Nella speranza che non si fosse attaccato tutto, con il mestolo girò il contenuto diverse volte e vi aggiunse un po’ d’acqua, riuscendo infine a recuperare la situazione. “Guarda che hai combinato. Mi hai distratto e per poco non bruciavo la cena.” scherzò, fingendo di rimproverarlo. 

Tornati anche gli altri, si misero a tavola, ansiosi di consumare il primo pasto decente da giorni, ma non altrettanto di intraprendere una conversazione. Juliet avrebbe voluto sapere qualcosa della loro giornata, visto che dal loro arrivo Rachel trascorreva gran parte del tempo nella tenda di Laurenne e i ragazzi al campo d’addestramento. Invece, l’unica a cui andava di parlare sembrava essere lei. Dall’atmosfera intuì che la situazione tra Mark e Rachel non fosse delle più rosee e che non dovevano essersi ancora chiariti. Probabilmente l’atteggiamento scostante e il modo in cui l’aveva trattata l’altro giorno erano da attribuire a quello, ma non se la sentiva di farglielo pesare. Stava passando davvero un brutto periodo, forse ancor più di tutti loro, e non voleva aggiungere altro stress.

Ad ogni modo, quello non era decisamente il capodanno che aveva sperato di trascorrere e ne rimase delusa al punto che, quando la voce di Najat esordì dall’esterno, le fu quasi riconoscente per aver ridato vita a quel mortorio. 

“Sono io. Mi dispiace interrompere, stavate cenando immagino. Ma ho bisogno del vampiro. Devo parlargli.” 

Non appena Dean la raggiunse fuori gli sembrò si comportasse in maniera un po’ circospetta e infatti non parlò subito, ma gli fece cenno di allontanarsi dalla tenda, così che dentro non potessero sentirli. 

“È appena arrivato un falco da un nostro avamposto a qualche chilometro da qui.” lo informò senza tergiversare. “I miei uomini hanno trovato una ragazza che vagava nel deserto. Parlava solo inglese, ma da quel poco che hanno capito diceva di conoscere me, Laurenne e forse qualcun altro.” 

In genere in certi casi il buon senso gli consigliava di non giungere a conclusioni troppo affrettate, eppure Dean non poté esimersene. Nonostante i pochi indizi a disposizione, fare due più due gli risultò inevitabile. “Credi che potrebbe essere…” 

Najat annuì, afferrando al volo. “Non posso esserne sicura. Volevo chiedere a Laurenne di andare a vedere.” 

“Allora vado anch’io. È meglio che sia presente qualcuno con esperienza.” si offrì immediatamente.

“Ci avevo già pensato. Per questo sono qui.” 

Dean ci rifletté su un momento. “Dovrei dirlo anche agli altri…” 

“Non è una gita di piacere, Dean.” replicò schietta. “È un’operazione delicata e non dobbiamo dare nell’occhio. Se si trattasse davvero di lei, sarebbe il secondo vampiro in questo accampamento e non è il caso che gli altri capi lo sappiano. Quindi ci conviene mantenere un profilo basso.” 

Malgrado concordasse in pieno, stavolta Dean non vedeva proprio come sarebbe riuscito a dissuadere gli altri dal seguirlo, se non mentendo. E quello era fuori discussione, vista la promessa fatta a Juliet. “Non posso tenere questa cosa per me. Dopo quello che è successo a Bran, è già un miracolo che sia riuscito a riguadagnare la loro fiducia.”

“Capisco, ma il problema rimane. Sarebbe meglio se andassi da solo.” 

“Non sarà semplice convincerli a restare.” disse Dean con un sospiro. “Cedric insisterà per venire. Insisterà parecchio.” E non se la sentiva nemmeno di biasimarlo. Trovandosi al suo posto, avrebbe fatto lo stesso.

Najat allora cedette. “E sia. Portalo con te, ma solo lui.” si raccomandò, anche se in realtà suonò più come un ordine. 

Dopo aver ottenuto un cenno di assenso da parte sua, gli disse che sarebbe andata da Laurenne per avvisarla e dispose di riunirsi davanti alle stalle da lì a pochi minuti. 

Prima di rientrare, Dean si prese qualche istante per raccogliere le idee, poi scostò di nuovo i lembi della tenda, trovandosi subito gli occhi di tutti puntati addosso.

“Problemi?” domandò Mark, vedendolo pensieroso.

“No…” gli rispose, dopo un attimo di esitazione. “Ci sono delle novità.” Nel riassumere quanto sentito da Najat si guardò bene dall’esprimere opinioni o sospetti di qualsiasi tipo per non dare loro false speranze, ma fu comunque tutto inutile perché arrivarono alle sue stesse conclusioni. 

“Vengo anch’io.” dichiarò Cedric infatti, prima ancora che Dean avesse modo di aggiungere altro. 

Con un sospiro rassegnato annuì, senza esimersi dall’esprimere il dubbio che sarebbe riuscito a tenersi in sella con il braccio non ancora del tutto guarito.

“Sto bene, non è di me che dobbiamo preoccuparci adesso.” tagliò corto lui, praticamente già con un piede fuori.

“Voi no.” mise in chiaro Dean con le ragazze, vedendole pronte a seguirli. “È meglio che restiate qui.” 

Juliet aggrottò la fronte. “Cosa? E perché?” 

“Perché Najat vuole mantenere un profilo basso, visto che forse c’è di mezzo un altro vampiro e che non siamo nemmeno certi si tratti di lei. È piuttosto inutile muoverci tutti per una semplice supposizione.”

Rachel gli riservò un’occhiata perplessa, alzando un sopracciglio. “In effetti, mi sembra assurdo che sia proprio Claire? Insomma, solo perché parla inglese e conosce Laurenne non è detto che…”

“Lo so, io per primo nutro dei dubbi in proposito.” la interruppe Dean lapidario. “È proprio per questo che andiamo laggiù, per verificare. Dovrete solo avere pazienza e aspettare il nostro ritorno.”

Si rendeva conto di essere stato un po’ brusco, ma si dimostrò l’unico modo per ottenere un risultato, anche se quando la salutò Juliet non era ancora convinta. Glielo lesse in faccia. Sperò solo che comprendesse le sue ragioni e non ce l’avesse troppo con lui. 

Alle stalle trovarono già Laurenne, munita della sua sacca da viaggio, che confabulava con Najat accarezzando il muso del suo cavallo. Un paio di guerrieri avevano appena finito di sellarlo, insieme agli altri due che avrebbero portato Dean e Cedric.

“Bene, ci siete tutti.” constatò Najat appena li vide.

Dean la guardò interrogativo. “Tu non vieni?”

“No, sarebbe sospetto se me ne andassi nel cuore della notte. Ve la caverete anche senza di me.” Con un’unica occhiata trasmise loro la sua fiducia, poi si rivolse a Laurenne in via esclusiva. “Mi raccomando, cercate di tornare prima che faccia giorno. Per il momento preferisco che nessuno ficchi il naso in questa storia.” 

La donna annuì. “Sta tranquilla.

Dopo essere montato in sella, Dean ricambiò il breve sorriso complice che lei gli rivolse, lieto che avesse smesso di considerarlo come un qualsiasi succhiasangue da odiare. Diede un leggero colpo di tallone e il cavallo partì, accodandosi a quello di Laurenne che viaggiava in testa.

Era ormai notte fonda quando giunsero all’avamposto, dove furono accolti da due guerrieri che evidentemente li stavano aspettando. Riconosciuta Laurenne, la salutarono battendosi il pugno sul petto alla maniera dei guerrieri e lei ricambiò, dimostrando a sua volta di conoscerli. Poi, scesi da cavallo, li seguirono all’interno di quel piccolo manipolo di tende immerso nel silenzio. 

Dal canto suo, Dean fu sollevato che almeno per una volta non ci fosse gente sveglia a curiosare. Davanti a lui, Laurenne e quello che con tutta probabilità era il comandante dell’avamposto, conversavano in arabo di cose che non capiva, ma che intuì dovessero riguardare la ragazza sconosciuta. 

Anche Cedric doveva essersi posto le stesse domande, perché arrivati a destinazione non perse tempo e chiese subito chiarimenti alla sciamana. “Allora? Che ti ha detto?” domandò, subito dopo aver visto il guerriero allontanarsi. 

“Nulla più di quanto sapessimo già.” rispose lei, senza nascondere una certa ansia nella voce.

“È qui dentro?” 

Laurenne annuì. “In attesa del nostro arrivo l’hanno tenuta isolata, per precauzione.”

“Quindi sanno che potrebbe essere un vampiro.” ne dedusse Dean. In effetti, se Najat aveva deciso di informarli non poteva biasimarla. Era normale che considerasse una priorità la sicurezza dei suoi uomini.

Non riuscendo più a contenere l’impazienza, Cedric fece per varcare la soglia. “Basta, io entro.” 

Dean però glielo impedì, allungando il braccio prima che potesse fare un altro passo avanti. “Aspetta.” 

“Cosa c’è adesso?”

“È meglio che entri prima io, almeno per assicurarmi che la situazione sia tranquilla.” 

Senza capire, Cedric aggrottò la fronte. “Di che diavolo parli? Non è mica la gabbia dei leoni…”

“Dammi retta per una volta.” lo interruppe con un sospiro, trattenendo l’irritazione. “Se davvero si tratta di un neovampiro, potrebbe essere pericoloso.” 

“Già e se avesse voluto sbranare qualcuno l’avrebbe fatto da un pezzo, non trovi? È pieno di esseri umani in questo posto.”

In linea teorica aveva ragione, questo Dean dovette riconoscerlo, ma l’esperienza gli aveva insegnato a non dare nulla per scontato. Ovviamente, però, Cedric non gli diede il tempo di controbattere.

“Fammi un fischio quando hai deciso, io vado.” tagliò corto, per poi superarlo e sparire dentro la tenda.

Esasperato, Dean si lasciò sfuggire un’imprecazione, prima di andargli dietro insieme a Laurenne. All’interno l’ambiente era scarno e illuminato solo da alcune candele, ma i suoi occhi furono subito in grado di individuare la sagoma scura di una persona, nascosta dalla penombra. 

“Claire?” mormorò Cedric incerto. 

Dopo un breve momento di silenzio pian piano la figura si fece avanti, consentendo alla luce delle torce di rivelare la sua identità. Era di corporatura mingherlina e i capelli neri corvini, una volta corti, ora le arrivavano fino alle spalle, ma furono i suoi grandi occhi azzurri a fugare ogni dubbio. 

D’istinto, Cedric fece un ulteriore passo verso di lei. “Me lo sentivo che eri tu…” La voce fuoriuscì tremolante, rotta com’era dall’emozione. Ancora qualche passo e l’avrebbe raggiunta, ma prontamente Dean glielo impedì, frapponendosi tra loro. 

“No, resta dove sei.”

“Levati di mezzo…” gli intimò lui tra i denti.

Come sempre, però, le sue minacce caddero nel vuoto. Forse perché in fondo sapeva che, anche volendo, non sarebbe riuscito a smuoverlo di un centimetro. 

“Fidati, so quello che faccio.” Lo guardò dritto negli occhi, riuscendo così a convincerlo e dargli modo di parlare con Claire per primo. “Come ci hai trovato?” le chiese secco, una volta certo di averlo ammansito. Per tutta la durata del viaggio non aveva pensato ad altro, cercando una spiegazione che non implicasse la sua fuga da Bran, cosa di cui dubitava seriamente. 

Le labbra di Claire si piegarono in un flebile sorriso. “Sono così felice di vedervi.” Aveva i lucciconi agli occhi e dal tono sembrava sincera, ma Dean si mostrò irremovibile.

“Sì, anche per noi è un piacere. Ora rispondi alla domanda.” insistette, ignorando Cedric e la sua indignazione. 

“Certe cose non cambiano mai, eh?” scherzò lei.

“Mi piace pensare di essere un tipo coerente.”

A quel punto, Laurenne intervenne, pronunciandosi per la prima volta da quando erano entrati. “Non starai esagerando? Non mi sembra pericolosa.” 

“Sta sicuramente esagerando.” le diede man forte Cedric, lanciandogli l’ennesima occhiata di fuoco. 

Era naturale che non capissero e del resto Dean non si sarebbe aspettato nulla di diverso. Ad ogni modo, fu costretto a riconoscere che Claire aveva un’aria piuttosto tranquilla e che forse tutto quell’allarmismo non era necessario. Così emise un sospiro rassegnato e la guardò. “Ti sei nutrita di recente?” le chiese in tono più rilassato.

Lei rispose con un cenno di assenso. “Sto bene. Ti giuro che non voglio fare del male a nessuno.” 

Ancora una volta sembrava sincera e lo convinse a farsi da parte, per permettere a Cedric e Laurenne di andarle incontro. 

Le braccia delle sciamana furono le prime ad accoglierla e il contatto con lei non le provocò alcuna reazione che non fosse sollievo nel ritrovarsi di nuovo tra amici. 

“Sono così felice che tu stia bene.” le sussurrò la donna, senza riuscire a trattenere le lacrime. Aveva l’aria di chi ha appena ritrovato una figlia perduta da tempo e quando sciolse l’abbraccio le accarezzò il viso con lo stesso fare materno. “Sei stata troppo avventata, ragazza mia. Non è passato giorno in cui non mi sia sentita in colpa per non essere riuscita a fermarti. Magari ti avrei evitato tante sofferenze…”

Claire tirò su col naso, ricambiando il sorriso. “Non è stata colpa tua. Avevo già fatto la mia scelta.” Il suo sguardo incontrò quello di Cedric mentre lo diceva, consapevole di doversi rivolgere a lui più che a chiunque altro. 

Entrambi si studiavano, cercando il coraggio di fare il primo passo. Malgrado avessero atteso a lungo quel momento, ora sembravano più impacciati che mai, forse perché ognuno sentiva addosso reciprocamente il peso della propria colpa. 

Alla fine, Cedric non si trattenne più e con un rapido gesto le circondò le spalle, attirandola a sé. Senza dire nulla, la strinse come per accertarsi che fosse davvero lì, che fosse reale, e Claire lo lasciò fare. Piccola quasi da scomparire, a occhi chiusi affondò il viso contro il suo petto, mentre lui poggiava le labbra sulla sua fronte. Non si scambiarono neanche una parola. Non ce n’era bisogno.

Dal suo angolo Dean li osservava, sforzandosi di rispettare la loro privacy nonostante le mille domande che continuavano ad affollargli la mente. A parte lui, nessuno in quella tenda, nemmeno Laurenne, sembrava comprendere quanto tutto ciò fosse sospetto. Sentiva di dover fare chiarezza, subito, prima che l’entusiasmo generale contagiasse anche gli altri e infatti, quando la sciamana propose di fare ritorno all’accampamento, si oppose senza remore. “Un momento. Prima di andare vorrei sentire tutta la storia dall’inizio, se non ti dispiace.” disse a Claire, usando un finto tono conciliante. In realtà, non aveva intenzione di lasciarle molta scelta. “Come sei riuscita a fuggire dal castello?” Lo scopo della domanda era di metterla alla prova, per vedere quale storia più o meno convincente gli avrebbe rifilato.

“Purtroppo non è stata una fuga la mia.” rivelò lei con aria mesta. “Mi sarebbe piaciuto che lo fosse, ma non è andata così.”

Lo sguardo di Dean sulla ragazza si fece ancora più indagatore. “Vorresti dire che Nickolaij ti ha lasciato andare?” 

“No, ma è stato lui a mandarmi.”

Quella scoperta lo lasciò di stucco, così come anche Cedric e la sciamana, e nella tenda calò il silenzio. 

“Ah.” esordì Dean con la prima cosa che gli venne in mente. “E non gli è minimamente passato per la testa che avresti potuto tradirlo?” 

Con un sospiro Claire riconobbe le sue perplessità come legittime. “Lo so, sembra assurdo ma vi giuro che è la verità.” 

“Ehi, ehi. Non hai bisogno di giurare, è ovvio che ti crediamo.” la rassicurò Cedric.

Naturalmente, Dean non si dimostrò dello stesso avviso. “Non è ovvio per niente, invece.” ribatté, deciso a non demordere. Per gli altri il fatto che ci fosse Nickolaij dietro il ritorno di Claire avrebbe anche potuto essere un dettaglio trascurabile, ma non per lui. 

Cedric fece per replicare, ma Laurenne si mise in mezzo prima che tra i due potesse scoppiare una lite. “Sentite, perché non torniamo all’accampamento e continuiamo a discuterne con Najat? Potremmo bendare Claire, così non saprà dove si trova il campo.” propose a Dean, per placare i suoi timori. “Inoltre, abbiamo l’ordine di rientrare entro l’alba e non manca molto ormai.” gli fece notare in seguito. 

Ancora restio, Dean ci mise un po’ a rispondere, ma alla fine dovette ingoiare il rospo. “Va bene.” acconsentì, riacquistando la calma. Ad ogni modo, prima di rimettersi in viaggio chiese alla sciamana di controllare che Claire non avesse addosso tatuaggi invisibili che permettessero di seguirne gli spostamenti.

“Un vegvisir?” dedusse Laurenne, alzando un sopracciglio.

“Mi sembra, sì.” 

La cosa parve colpirla particolarmente, tuttavia non aggiunse altro e provvide subito a organizzare l’occorrente, che per fortuna portava sempre con sé. 

Per consentire a Claire di spogliarsi, Dean e Cedric decisero per il momento di seppellire l’ascia di guerra e uscirono dalla tenda senza degnarsi di uno sguardo.

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Capitolo 27
*** Riuniti (parte 2) ***


Capitolo 19

 

Riuniti (parte 2)

 

Rachel sorseggiava la sua tisana davanti al focolare, avvolta in una coperta di lana grezza per proteggersi dal clima notturno del deserto. Stavolta Juliet doveva averci messo qualcosa di diverso, perché a differenza della volta scorsa al suo stomaco non dava alcun fastidio. In verità, sperava che la aiutasse a stemperare un po’ la tensione, magari facilitandole il sonno. Entrambe infatti avevano provato a chiudere occhio, ma erano troppo in ansia per il ritorno degli altri. L’unico a ronfare della grossa già da qualche ora era Mark e sul momento il fatto che se ne fosse andato a dormire nonostante quello che stava succedendo l’aveva indispettita; poi però si era ricordata quanto fossero duri gli allenamenti degli Jurhaysh e non poteva biasimarlo se era crollato. Anzi, per certi versi lo invidiava. Sarebbe piaciuto anche a lei trascorrere le giornate senza pensare ad altro se non agli sfiancanti esercizi di Najat, proprio come una volta.

Si accorse in ritardo che lo stava guardando ormai da un po’ e scosse la testa, concentrandosi di nuovo sul calore delle fiamme. Il pensiero, tuttavia, rimase su di lui e su quelle due misere parole che si erano sì e no scambiati dal giorno in cui il padre dei gemelli li aveva interrotti. Per fortuna, quella sera la presenza di Juliet era riuscita a evitare che ritornassero sull’argomento. Non avrebbe avuto la forza di affrontare l’ennesima discussione, sapendo che forse di lì a poco avrebbero rivisto Claire. Perché in fondo ci sperava che fosse lei la ragazza trovata nel deserto. Rischiando di illudersi probabilmente, ma ci sperava. Sarebbe stato un perfetto regalo di fine anno.

“Perché non tornano?” esordì Juliet nervosa, distraendola dai suoi voli pindarici. “Ormai sono passate ore. Pensi che gli sia successo qualcosa?”

Rachel fece spallucce. “Ne so quanto te.” Si accorse subito di aver risposto freddamente e se ne pentì. Negli ultimi tempi non faceva che trattarla male e il fatto che ogni volta lei sorvolasse non l’autorizzava a continuare. Si ripromise che prima o poi le avrebbe chiesto scusa.

Mandato giù l’ultimo sorso, cominciò a sentire le palpebre farsi pesanti e la stanchezza prendere il sopravvento, con la complicità dello scoppiettio delle fiamme nel braciere che le conciliava il sonno. Era sul punto di addormentarsi, quando dei tramestii fuori dalla tenda la riscossero.

Non appena vide la testa bionda di Cedric fare capolino all’interno, Juliet schizzò in piedi piena di aspettative, che infatti non furono disattese. Quando vide Claire comparire dietro di lui avvertì un tuffo al cuore e gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre il suo volto si illuminava di gioia mista a incredulità. “Sei davvero tu…” mormorò con la voce strozzata dal pianto. Al contrario di Rachel, che se ne stava ancora impalata a fissare la sua migliore amica senza riuscire a spiccicare parola, non perse tempo e corse ad abbracciarla. Assalita dai singhiozzi, la strinse a sé quasi temesse di perderla di nuovo, di vederla sparire così come era apparsa. Se quello era un sogno, non voleva svegliarsi per nulla al mondo.

Dopo un po’ riaprì gli occhi e di fronte a lei c’era Dean, con un’espressione inspiegabilmente cupa. Sebbene non ne capisse il motivo, decise che quello non era il momento di porsi il problema. Ora aveva solo voglia di godersi quell’attimo di totale felicità. 

“Quindi era proprio lei…” constatò Mark, che li fissava intontito dal suo giaciglio.

Con un sorriso a trentadue denti, Cedric annuì. “Sì, lo so. Ancora mi devo riprendere.”

Alla fine anche Rachel riuscì a scuotersi dal torpore e si unì all’abbraccio delle amiche. Mentre le teneva strette serrò gli occhi, cercando di controllare il tumulto di emozioni che stava provando. “Mi hai fatto morire quella notte, lo sai? È stato orribile.” si ritrovò a sussurrarle senza quasi accorgersene.

“Mi dispiace tanto.” si scusò Claire con voce malferma, come se stesse per piangere e volesse trattenersi.

Quando anche Mark ebbe espresso la gioia nel rivederla con un abbraccio, dandole un sincero “bentornata”, Najat stabilì che fosse arrivato il momento delle spiegazioni. “Scusate, mi spiace interrompere questo momento, ma avrei bisogno di capire qualcosa in più.” disse con il suo solito modo di fare spiccio, seppur rispettoso. Al che guardò Claire. “Hai detto che è stato proprio Nickolaij a mandarti qui. Come faceva a sapere dove ci troviamo? È stato Tareq a dirglielo?”

Dall’angolo dove era rimasto in disparte, Dean intuì dalla tensione nel suo tono di voce che a preoccuparla fosse soprattutto l’eventualità che Tareq potesse indovinare il punto preciso in cui era situato l’accampamento, nonostante gli sforzi per occultarlo. Ma in tal caso a che scopo mandare Claire? 

Lei infatti scosse la testa. “Tareq non c’entra niente, è stata una mia idea. Ho pensato che dopo la Scozia fosse l’unico posto in cui potevate tornare.” spiegò, rivolta agli amici. “Era un tentativo e avevo ragione. Per fortuna i tuoi uomini mi hanno trovato subito, altrimenti a quest’ora starei ancora vagando nel deserto.”

“Non è stata fortuna. Jamaal aveva dato ordine di sorvegliare l’uscita del portale fin da quando ci siete capitati voi tra capo e collo, e io non ho fatto altro che confermare quell’ordine.” replicò Najat. “La prudenza non è mai troppa. Soprattutto se tra le fila del nemico c’è un traditore.”

“Sai della Scozia?” chiese Dean, sorvolando un momento sul problema Tareq per concentrarsi su ogni singola frase pronunciata da Claire che gli sembrava necessario approfondire. Trovava scontato che Mary e Byron fossero tornati a riferire e che Nickolaij sapesse tutto, ma non poteva dire la stessa cosa di lei.

Con un cenno di assenso Claire confermò. “Mi ha detto che eravate lì l’ultima volta, ma poi siete fuggiti.” 

“Perciò hai deciso di tentare la sorte e Nickolaij ti ha dato corda come se niente fosse.” ne evinse Dean cinico, tirando le somme. “Non lo so, questa storia non mi convince per niente. Lo conosco troppo bene per credere che sia così stupido da commettere due volte lo stesso errore, visto quello che è successo con me.”

“Sì, ma lui è cambiato. Non è più quello che conoscevi.” lo contraddisse Claire. “Dopo lo scherzetto che gli abbiamo fatto l’ultima volta non è più la stessa persona.”

Lo sguardo indagatore di Dean la spinse a continuare.

“Sta dando di matto negli ultimi tempi, lo pensano tutti. Anche in guerra è diventato meno attento e molto più brutale. Ora ha anche dato il permesso di trasformare i guerrieri Jurhaysh in vampiri, solo per avere altri uomini dalla sua parte. Al castello dicono che stia perdendo il controllo.” 

In effetti, la sua versione corrispondeva a quanto appreso durante le riunioni di Najat, ma Dean continuava a non vederci chiaro. “Va bene, ma tu cosa c’entri in tutto questo? Potrà anche aver perso colpi, cosa comunque da verificare, ma non posso credere che sia arrivato al punto di fidarsi di te ignorandone completamente i rischi. È assurdo, non sarebbe da lui.”

“Questo non possiamo saperlo con certezza.” intervenne Laurenne. “Sono diversi mesi ormai che sei lontano dalla sua influenza, giusto? Magari Claire ha ragione, magari la delusione lo ha colpito a tal punto da renderlo meno prudente.”

Claire annuì concorde. “Era furioso dopo aver scoperto della mia trasformazione. Penso di essere ancora viva solo grazie alla sua ossessione per Elizabeth, anche se mi ha fatto capire che non è questo il motivo.”

“E quale sarebbe allora?” la incalzò Dean, incurante delle occhiatacce provenienti sia da Juliet che da Cedric.

“Lui...” La sua espressione si fece più incerta, così come la sua voce. È innamorato di me. riuscì infine a dire tra mille imbarazzi. “Me l’ha confessato chiaramente, ma io l’avevo capito già da prima, da come si comportava…”

Le sue parole misero Cedric in allarme. “Che ti ha fatto? Non ti avrà mica…”

“No, no. Niente del genere.” si affrettò a chiarire. “Mi ha solo corteggiata. Voleva che passassimo del tempo insieme e forse in questo modo credeva di potermi ancora usare per sostituire Elizabeth. Speravo che lasciandolo fare mi sarei guadagnata la sua fiducia.”

“E così è stato.” concluse Dean, non per questo meno scettico. “Quello che non capisco è perché ti abbia lasciato ricongiungerti con noi se tiene così tanto a te. In sintesi Claire, per quale motivo sei qui?” 

Non c’era nessuno in quella tenda, a parte Najat forse, che non lo guardasse come se avesse davanti il diavolo incarnato. Nonostante la sua attenzione fosse focalizzata sulla ragazza, poteva sentire i loro sguardi torvi e carichi di disapprovazione su di sé. Eppure non accennò a fare passi indietro. Doveva sapere.

La sua domanda convinse Claire ad arrivare al sodo, ma che la verità fosse parecchio scomoda lo intuirono quando la sua espressione esitante si spostò su Rachel. “Per trovare te.” confessò allora, vergognandosene. “È questo che vuole che faccia. Che ti porti da lui.”

Come prevedibile fu uno shock per tutti, incluso Dean, che però non ci mise molto a superarlo ora che finalmente stava ottenendo qualche risposta. “Perché?” domandò diretto.

“Non ne ho la più pallida idea, me lo sono chiesto anch’io.”

“Stronzate!” 

Sconcertata dal suo comportamento, Juliet sgranò gli occhi, fissandolo come se fosse impazzito. “Dean!” Ma che gli era preso? Non l’aveva mai visto così. Era inconcepibile che si mettesse a fare dell’ostruzionismo proprio adesso che Claire era tornata, rovinando quel piccolo sprazzo di felicità che le era stato concesso dopo settimane.

A quel punto lui sembrò rendersi conto di aver esagerato e si impose di ritrovare il solito contegno. “Mi dispiace, è solo che non lo ritengo plausibile. La sua storia fa acqua da tutte le parti.” 

“Perché dovrei mentire? Ti sto dicendo tutto quello che so!” ribatté Claire esasperata. 

“Forse perché Nickolaij ti ha chiesto di farlo.”

“Dean…” tentò Juliet di nuovo, senza risultati.

Visibilmente risentita, Claire aggrottò la fronte. “Non essere ridicolo! Come puoi pensare che arriverei a tanto per dar retta a quello psicopatico?”

“Magari ti sta ricattando.” insistette Dean imperterrito.

Arrivato al limite, Cedric decise che era il momento di smetterla e intervenne per prendere le difese di Claire. “Ehi, tenente Colombo! Adesso vedi di darci un taglio con questo interrogatorio. Se ti ha detto che non sa altro, non sa altro.” sentenziò. “Non ci posso credere, dopo quello che le hai fatto hai anche il coraggio di darle il tormento?”

“Eravamo in due su quel ponte, Ced. Non è stata una sua iniziativa.” chiarì lei, nel tentativo di calmarlo e Cedric non trovò nulla con cui replicare.

“Sono d’accordo col vampiro.” esordì quindi Najat, dopo essere rimasta in silenzio ad ascoltare e valutare i loro scambi. “Ci sono troppi punti da chiarire.”

“Vi sto dicendo la verità.” ribadì Claire, quasi implorante. “Nickolaij mi ha solo chiesto di portargli Rachel, non mi ha spiegato i dettagli. Tu più di tutti dovresti saperlo, meno cose si sanno sui suoi piani meglio è.” Stavolta si rivolse direttamente a Dean, che però non diede segni di assenso, preso com’era dalle sue riflessioni.

Reagì soltanto quando Najat gli rivolse uno sguardo preoccupato, a cui rispose in modo quasi automatico. 

“Deve aver saputo della pozione e sta cercando di impedire a Rachel di realizzarla.” disse la guerriera. 

“Pozione?” Claire squadrò entrambi con aria confusa. “Ma di cosa parlate? Non ha mai detto niente su…”

Vedendola in difficoltà, Cedric non riuscì a evitare di intromettersi. “Aspettate un attimo.” li fermò, parlandole sopra. “Come l’avrebbe scoperto, Sherlock?” domandò direttamente a Dean. “Nessuno a parte noi lo sapeva. E Margaret, ma lei è morta, quindi...”

“Dimentichi Ayris.” obiettò lui, decidendo infine di dar fiato ai timori che si portava dietro da quando avevano lasciato la Scozia. “C’era già la forte probabilità che Mary e Byron l’avessero torturata per avere informazioni, ma adesso che Claire è qui la reputo una certezza.”

“Questo non significa che io stia mentendo.” ribatté la ragazza, ormai esausta. “Ti ripeto che nessuno al castello ha mai menzionato una pozione. Se così fosse, non pensi che ve l’avrei detto come ho fatto con tutto il resto?” 

L’osservazione in sé era sensata, tuttavia non bastò a convincerlo. Continuava ad avvertire la spiacevole sensazione di stare tralasciando qualcosa, un dettaglio fondamentale che lo aiutasse a decriptare la strategia di Nickolaij. 

“Va bene, cerchiamo di ragionare.” si inserì Mark, tentando di riportare un po’ d’ordine. “Se è vero che Nickolaij non sa della pozione, cosa vuole da Rachel? Non capisco.” 

Fu Rachel stessa ad arrivarci. “La maledizione.” concluse senza molta difficoltà. Anzi, pensò che in fondo non c’era nemmeno da rimanere sorpresi. “Avranno scoperto da Airys che è stata Margaret a infliggergliela e che io sono la sua unica erede vivente. Ha bisogno del mio sangue per spezzarla.”

Si trattenne a stento dal lasciarsi sfuggire un’imprecazione. Se finora avevano nuotato in un’enorme pozzanghera fangosa, adesso si ritrovavano impantanati fino al collo, con il rischio di annegarci dentro. Fin tanto che Nickolaij aveva creduto fosse Elizabeth la chiave del problema, lei era stata più o meno al sicuro. Ora, invece, sentiva incombere su di sé non solo la responsabilità di dover creare la pozione ma anche la minaccia di venire catturata e spremuta come un limone da quel mostro. Tutto a un tratto, ebbe l’impressione di sentirsi poco bene. Temendo un attacco di panico chiuse gli occhi, cercando di respirare a fondo per incanalare la magia e impedirle di sopraffarla. 

Quando li riaprì fu perché avvertì il calore di due mani sulle sue braccia; allora lo sguardo di Mark incrociò il suo, apparendole fermo e determinato.

“Non glielo permetterò. Dovrà passare sul mio cadavere.”

-Puoi star certo che lo farà- pensò Dean tra sé. 

“Okay, non ci sto capendo niente. Qualcuno potrebbe spiegarmi, per favore?” chiese Claire a quel punto, squadrandoli uno a uno confusa. 

In effetti, lei non aveva idea della piega che avevano preso gli eventi dal momento in cui erano fuggiti da Bran, così Rachel le spiegò in breve quello che Margaret aveva rivelato sulla maledizione e su cosa fosse realmente accaduto quella notte di cinquecento anni prima. “È stata Margaret a maledire Nickolaij. Anche se fu Elizabeth a pugnalarlo, serviva lei per spezzare l’incantesimo. E dato che io sono la sua unica erede vivente, ora quel pazzoide vuole me.” disse d’un fiato. Era tutto così tremendamente semplice e allo stesso tempo agghiacciante. 

A giudicare dalla sua espressione, anche Claire sembrava pensarla allo stesso modo. “Adesso si spiegano tante cose…”

“Tranne la tua presenza qui.” la incalzò Dean, tornando al nocciolo del discorso. “Sto ancora aspettando che sia tu a darmi una spiegazione che abbia un senso.” Era deciso a non darle tregua, nonostante le continue occhiate di ferma disapprovazione che Juliet non smetteva di lanciargli. Si rendeva conto che presto o tardi avrebbe dovuto pagare lo scotto di questo suo atteggiamento, ma non era quello il momento di farsi venire scrupoli di coscienza. Scoprire la verità era di gran lunga più importante.

Sentendosi attaccata, Claire si fece meno accondiscendente. “Quante volte devo ripeterlo? Lui vuole Rachel e ha mandato me perché pensava che vi sareste fidati senza fare troppe domande. Forse è stato ingenuo da parte sua, ma non so che altro dirti!”

Lui si lasciò sfuggire un mezzo ghigno scettico. “Ingenuo, come no…”

“D’accordo, basta così. Siamo tutti svegli da ore e abbiamo bisogno di riposo. Dormiamoci sopra e più tardi cercheremo di capirci qualcosa in più.” consigliò Najat, ponendo fine alla discussione prima che degenerasse. “Naturalmente questa storia non deve uscire da qui. Deciderò io se e quando informare i capi tribù.” aggiunse, posando su ognuno di loro il suo sguardo risoluto per assicurarsi che avessero recepito il messaggio; dopodiché augurò la buonanotte e insieme a Laurenne fece per lasciare la tenda.

Tuttavia, prima Juliet la vide rivolgere a Dean un breve cenno con la testa, a indicargli di seguirla fuori, e quando lui obbedì avvertì una certa dose di fastidio. La curiosità prese il sopravvento su ogni altra cosa e con finta noncuranza si accostò all’uscita.

“Credi davvero che nasconda qualcosa?” gli stava chiedendo Najat.

Dean esitò un istante, prima che lo sentisse rispondere. “Non lo so… Troppi punti della sua storia non tornano. E poi c’è di mezzo Nickolaij, sarebbe da stupidi credere che dietro non ci siano secondi fini.”

Quell’affermazione la ferì ancor più di sentirli parlottare a bassa voce, come se stessero complottando. Dunque li considerava tutti degli stupidi perché al contrario di lui si fidavano di Claire? 

“Non posso contraddirti stavolta, ne sai molto più di me. Comunque quello che mi preme di più è capire se questo sia ancora un luogo sicuro per noi, perciò voglio interrogarla di nuovo. Nel frattempo, controlla che non se ne vada in giro per l’accampamento. Meno ficca il naso in giro, meglio è.”

“Non preoccuparti, la terrò d’occhio.” le assicurò lui.

Con il sangue che le ribolliva, Juliet attese che Najat e Laurenne si fossero allontanate e quando Dean si voltò per rientrare la trovò lì sulla soglia che lo squadrava dall’alto in basso, il volto di granito. “A quanto pare, ve la intendete bene voi due.” osservò in tono piatto.

“Juliet…”

Lei però non gli permise di continuare. “Perché fai così?” Scosse la testa mentre lo diceva, cercando di impedire alla rabbia di farle tremare la voce. “Perché devi per forza vedere il marcio dove non esiste? Claire ha dimostrato di essere dalla nostra parte raccontandoci tutto e voi la considerate perfino un pericolo!”

Mentre parlava, Dean si passò una mano sugli occhi, abbandonandosi a un sospiro. “Non era necessario che sentissi.”

“Sì beh, invece si dà il caso che abbia sentito.”

“Possiamo parlarne con un po’ più di calma, per favore?”

Per vederlo arrampicarsi sugli specchi nel tentativo di giustificare il suo ostruzionismo? No, grazie. Juliet ne aveva fin sopra i capelli. Stava per dirglielo chiaro e tondo, quando Cedric la precedette, sbucando fuori dalla tenda insieme agli altri, probabilmente attirati dai toni della discussione. 

“Lascialo perdere. Si comporta da poliziotto cattivo dal primo momento che l’ha vista. Non le ha dato neanche il tempo di respirare.” Avanzando minaccioso, puntò il dito contro di lui. “Te lo ripeto, vedi di piantarla.” gli intimò a denti stretti.

La reazione di Dean fu inaspettatamente pacata, a dispetto di ciò che disse subito dopo. “Altrimenti?” chiese retorico, senza scomporsi.

“Basta, finitela!” si intromise Claire, allontanandoli l’uno dall’altro con una spinta. “Sono tornata da cinque minuti e già state per prendervi a pugni. Non voglio che litighiate a causa mia!” 

I suoi occhi trasmettevano un’angoscia esagerata perfino per il contesto in cui si trovavano, cosa che Dean notò subito, a differenza degli altri, e questo lo convinse a mettere da parte la smania di provocazione. In fondo, non era prudente continuare a metterla in una situazione di stress, ignorando quasi del tutto lo stato in cui si trovava. “D’accordo. Hai ragione, mi dispiace.” la assecondò, mostrandosi calmo e controllato ma senza farle capire che lo stava facendo di proposito.

La tattica funzionò, perché Claire fece un respiro e tornò a rilassarsi. “Sentite, i dubbi di Dean sono più che legittimi. Anche noi ci abbiamo messo un po’ a fidarci di lui quando abbiamo scoperto che lavorava per Nickolaij.” 

“Era una situazione un po’ diversa, non trovi?” le fece notare Juliet, ancora indispettita.

“Okay, magari per certi versi lo era. Comunque non me la sento di biasimarlo. Se lui e Najat pensano che sia il caso di continuare a interrogarmi, che facciano pure. Non ho niente da nascondere.” Voltandosi verso Dean ne cercò l’approvazione. “Risponderò a tutte le vostre domande.” assicurò decisa, ricevendo in cambio un breve cenno di assenso.

“Visto che la rissa è stata scongiurata, che ne dite di rientrare prima che qualcuno ci senta?” suggerì Mark, dimostrando il consueto buon senso. “Vi ricordo che Najat ha detto di tenere questa storia per noi.”

Il richiamo all’ordine li persuase a rimandare la discussione e tornarono tutti dentro, a parte Dean che in quel momento aveva solo una gran voglia di starsene per conto suo come non gli capitava da un bel po’. Sebbene fosse arrabbiato con tutti, perfino con Juliet, decise però di restare nei paraggi per ogni evenienza. 

Infatti, qualche ora dopo Claire uscì dalla tenda, lo trovò seduto su una protuberanza rocciosa a fissare il vuoto, in compagnia dei suoi pensieri. Intanto, l’accampamento si stava risvegliando e gli abitanti iniziavano a uscire dai loro rifugi per compiere le prime attività della giornata. Superò rapida un paio di guerrieri dalle fattezze africane e lo raggiunse.

Nonostante l’avesse notata, Dean non diede molta importanza alla cosa, rivolgendole appena un’occhiata fugace. Il fatto che con gli altri avesse preso le sue difese lo aveva alquanto colpito. Non se lo sarebbe aspettato, non dopo averla trattata da criminale, e non sapeva se interpretarlo come un atto di sincerità o soltanto come un pretesto per farsi ben volere da lui.

“Ti secca se mi siedo? Mi sento a disagio a stare in tenda mentre tutti dormono.” 

Per certi versi la capiva, perciò acconsentì, pur continuando a rimanere in silenzio finché Claire non pensò di rompere il ghiaccio. 

“Che strano, mi aspettavo di ritrovarmi nello stesso villaggio. Questo posto lo ricorda, ma si vede che siamo da tutt’altra parte.” rifletté a voce alta. 

“Najat ha ritenuto che non fosse più un luogo sicuro con Tareq in giro.” spiegò Dean telegrafico.

Lei annuì, mostrandosi d’accordo; poi per un po’ scese di nuovo il silenzio. Entrambi non sapevano bene come gestire la situazione. Tra loro c’era qualcosa di non detto e se ne rendevano conto, eppure nessuno dei due si decideva ad arrivare al punto. 

“Alla fine sono crollati?” le chiese, giusto per spezzare l’imbarazzo. Dalla luce accesa della lampada aveva dedotto che fossero rimasti tutti svegli per un po’, ascoltando il racconto di Claire, e quando l’aveva vista spegnersi aveva immaginato che avessero ceduto alla stanchezza. 

Lei sorrise, annuendo subito dopo. “Hanno tentato di resistere fino all’ultimo, ma si vedeva che erano distrutti.” 

“Tu, invece? Non hai dormito per niente?”

“Non ho sonno.” replicò Claire. “Devo ancora abituarmi al fatto di non dover più dormire per intere notti.”

Nessuno meglio di lui avrebbe potuto capirla. “Io ormai ho smesso di far caso al tempo che passa, soprattutto la notte.” 

Detto ciò, la conversazione si spense di nuovo. Non che non ne avessero di cose da dirsi, ma era la prima volta che intrattenevano un vero e proprio dialogo ed entrambi non erano mai stati campioni di eloquenza.

“Dean…” esordì Claire a un certo punto, un po’ reticente. “Volevo chiederti scusa. So di averti messo in una situazione scomoda e immagino l’inferno che avrai dovuto affrontare quando gli altri hanno scoperto cos’è successo.” La frase le uscì tutta d’un fiato ed era evidente che si tenesse quel peso dentro da un bel pezzo, cercando il momento più opportuno per liberarsene.

Tra Cedric che gli aveva rotto il naso a suon di pugni, l’ostilità di Juliet per settimane e il tentativo di Rachel di soffocarlo con la magia, Dean pensò che il termine scomoda fosse un eufemismo, ma se lo tenne per sé. Non voleva farla sentire ulteriormente in colpa. “Così come tu avrai dovuto affrontarlo a Bran. Direi che siamo pari.” si limitò a rispondere con un sospiro.

“Già…” mormorò lei a occhi bassi, abbozzando un mezzo sorriso.

“Posso farti una domanda personale?” 

Quando Claire tornò a guardarlo aveva l’aria spaesata e ci mise un po’ ad annuire per dargli il permesso.

“Cos’è successo dopo? Come hai completato la transizione?” Fin dall’inizio, infatti, sapeva quale sarebbe stato il passaggio successivo ed era sempre stato molto scettico sulla sua sopravvivenza, dubitando che avrebbe avuto la forza di uccidere qualcuno. Ora, però, vedersela comparire davanti l’aveva smentito ed era curioso di sapere come si fossero svolti i fatti.

Che l’argomento le provocasse tuttora un certo disagio si vedeva lontano un chilometro, ma Claire si fece coraggio. “Nickolaij mi ha costretto a bere.” confessò a quel punto con aria mesta. “Fino all’ultimo ho resistito alle sue tentazioni, tanto da pensare di lasciarmi morire piuttosto che accettare di diventare ciò che voleva.” Si prese una breve pausa, in cui Dean la vide lottare contro il peso dei ricordi. “Ho provato a ribellarmi, ma ero troppo debole e i suoi scagnozzi hanno avuto la meglio. Mi tenevano ferma mentre Dustin mi obbligava a mandare giù un’intera boccetta di sangue.”

-Si sarà divertito un mondo- rifletté ironico. Conosceva troppo bene Dustin per non sapere quanto il compito dovesse averlo infastidito. Ad ogni modo, la volontà di Nickolaij era legge e bisognava obbedire, anche se doveva ammettere di non comprendere la sua ostinazione nel volerle salvare la vita nonostante Claire fosse ormai del tutto inutile ai suoi scopi. “Adesso come stai?” le chiese, mettendo da parte quei ragionamenti.

“Alti e bassi. Rispetto ai primi tempi va meglio. Certo, molte cose sono ancora una novità, non so bene come gestire tutto questo.” Dicendolo indicò il proprio corpo. “A volte mi sento spaesata e… sola.”

Altre sensazioni di cui Dean era un esperto. “Riguardo alla tua nuova natura, posso farti io da guida.” si offrì. “Per la solitudine… beh, temo che purtroppo dovrai conviverci. Mi dispiace dover essere schietto, ma non voglio che tu ti illuda. Per quanto siano felici di averti ritrovata e si sforzino di ignorare l’accaduto, sanno che sei diversa e, credimi, è una sensazione che percepirai sempre.”

L’espressione di Claire mutò, facendosi più scura. “Sono le mie migliori amiche e mi accetteranno per quello che sono. Non è cambiato niente.” ribatté piccata.

Senza scomporsi, Dean volse lo sguardo davanti a sé. Si aspettava che con la sua consueta franchezza avrebbe provocato reazioni negative. “È cambiato tutto.”

“Stiamo ancora parlando di me?” fece lei in tono velatamente accusatorio. “Eppure mi sembra che Juliet abbia sempre accettato la tua natura.”

Stavolta la replica lo colse impreparato e non riuscì subito a parare il colpo. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma c’erano dei momenti in cui dubitava che fosse così. “Non è questione di accettare, ma di saperci convivere.” glissò allora. “Per quanto possiamo sembrare uguali a loro nell’aspetto, è ciò che siamo realmente a costituire un problema. Noi ci nutriamo di sangue, Claire. Sarebbe un errore pensare che un essere umano possa mai abituarsi a questo.” 

Sebbene cercasse con tutte le forze di respingerla, quella visione delle cose l’aveva colpita e non fu in grado di nasconderlo. Mentre rifletteva su cosa rispondergli, la sua espressione assorta tradiva il continuo lavorio della testa. “È la tua opinione e la rispetto.” sentenziò infine, non trovando niente di meglio. “Ma voglio credere che per me sarà diverso.”

Dean compativa la sua ingenuità e il timore che rimanesse delusa era forte. Tuttavia, nel profondo si ritrovò a sperare di sbagliarsi, che esistesse davvero un’alternativa alla vita che la aspettava. 

 

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Capitolo 28
*** Il peso delle responsabilità ***


Capitolo 20

 

Il peso delle responsabilità


Quando si svegliarono era ormai ora di pranzo, ma a nessuno andava molto di mangiare. Il ritorno di Claire era stato talmente improvviso e inaspettato che, nonostante la gioia di accoglierla fosse incontenibile, richiedeva del tempo per essere metabolizzato. Si limitarono così a sbocconcellare qualche avanzo della sera prima, approfittando dell’occasione per stare di nuovo in sua compagnia. 

Juliet non avrebbe potuto desiderare regalo più bello e la stessa felicità poteva leggerla negli occhi di Cedric, che non si staccavano da Claire neanche per un secondo. Ne sembrava come rapito e per la prima volta da settimane lo vide tornare il ragazzo allegro che avevano conosciuto nell’aula punizioni. Neppure l’atteggiamento diffidente di Dean pareva toccarlo più di tanto e questo la spinse a fare lo stesso, pensando solo a godersi il momento. Non gli avrebbe permesso di rovinare tutto.

Da parte sua Claire sembrava serena. Rispondeva a tutti con il sorriso sulle labbra, seppur velato da una leggera malinconia a causa di quello che aveva dovuto subire. Niente di lei faceva pensare che stesse tramando chissà cosa o che fosse addirittura in combutta con Nickolaij, come Dean aveva insinuato. Trovava ripugnante la sola idea e il fatto che continuasse a scrutarla dal suo angolo, quasi si aspettasse che li aggredisse da un momento all’altro, le faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi. 

Con la coda dell’occhio lo vide trasalire leggermente quando allungò il braccio verso l’amica per offrirle il piattino delle olive, ma durò solo un istante. 

“No, grazie.” rispose Claire, abbozzando un mezzo sorriso imbarazzato. 

Fu allora che Juliet si rese conto di aver fatto una stupidaggine e ritrasse il piatto. 

Lei però scosse la testa, come a dire di non preoccuparsi. “Lo so, a volte perfino io faccio fatica a ricordarmi che non ho più bisogno di mangiare. Anche se in realtà potrei, ma sarebbe inutile.” disse in tono nostalgico, per poi guardarsi intorno, forse in cerca di nuovi argomenti. “Un po’ mi dispiace di non essere al villaggio. Mi è mancata casa di Laurenne. Comunque, qualsiasi cosa è meglio di Bran…” Prima ancora di finire la frase si rese conto della reazione che le sue parole avevano provocato e restò interdetta. “Ops, scusate…”

“È tutto apposto. Siamo solo dispiaciuti per te.” la rassicurò Cedric comprensivo.

Dopo aver ricambiato il sorriso, Claire emise un sospiro, abbassando lo sguardo sulle loro dita intrecciate sotto al tavolo. “Beh… Me la sono cercata, no?”

Dal tono si percepiva chiaramente che fosse ironica, ma su Rachel ebbe l’effetto opposto. L’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era scherzare. “Già, infatti.” concordò risentita. “Perché come al solito hai preferito fare di testa tua, senza pensare minimamente alle persone che ti vogliono bene e fregandotene di quanto potessero starci male.” la accusò, incurante delle prevedibili espressioni di disappunto sulle facce degli altri. Sentirla raccontare del tempo trascorso a Bran e delle sue sofferenze le aveva fatto un effetto diverso rispetto a loro. Nonostante ne fosse straziata, ora che Claire era tornata non riusciva proprio a far finta che non fosse mai successo. Continuava a essere convinta che se solo si fosse degnata di consultarli, invece di immolarsi come vittima sacrificale, forse insieme avrebbero trovato un’alternativa.

“Non ho avuto scelta, lo sai.” mormorò lei in replica, evitando di guardarla. 

“Oh, no. Una scelta ce l’avevi, eccome, ma hai deciso di ignorarla rivolgendoti all’unico abbastanza cinico da assecondare il tuo folle piano.” 

Dalla sua postazione in fondo alla tenda Dean non intervenne, sebbene fosse stato chiamato in causa.

“Ray…” provò a frenarla Mark, ottenendo solo di venire ignorato. 

“Tu fai sempre così, Claire. Ti metti nei casini e poi vieni a chiedere perdono.” –Come con la storia di Jamaal- pensò subito dopo, trattenendosi però dall’esternarlo ad alta voce. Cedric era presente e, nonostante fosse arrabbiata con l’amica, non l’avrebbe messa a disagio di proposito davanti a lui.

“Su, adesso basta.” si intromise Juliet, cercando come al solito di raffreddare gli animi. “L’importante è che stia bene e che sia tornata da noi.”

“E sono al settimo cielo per questo, è ovvio.” precisò Rachel. “Ma è giusto che sappia quello che ci ha fatto passare. Eravamo distrutti, Claire. Ti credevamo morta.”

“Lo so e mi dispiace davvero tanto, ma non c’era altro modo. Se ve l’avessi detto, non mi avreste lasciato andare…”

“Certo che no!” esclamarono Rachel e Juliet all’unisono.

“E a quest’ora Cedric sarebbe morto! Come chissà quanti altri di voi!” Le lacrime inondarono i grandi occhi azzurri di Claire, che scossa da fremiti di rabbia strinse le mani a pugno sul tavolo cercando di contenersi. “Se tornassi indietro rifarei tutto. Mi dispiace di non avervi potuto coinvolgere e non smetterò mai di scusarmi per questo. L’unica cosa di cui non mi pento, però, è di avervi salvato il culo!” Ormai travolta dal pianto, si alzò dal cuscino dove era seduta e, prima che qualcuno potesse fermarla, raggiunse di corsa l’uscita e sparì. 

Il senso di colpa non ci mise molto a invadere Rachel, che rimase lì ferma e ammutolita, avvertendo su di sé gli sguardi di disapprovazione del resto del gruppo. 

“Brava, Sabrina. Ottimo lavoro.” la criticò Cedric, facendo poi per andare dietro a Claire.

Dean, però, era già in piedi. “Lascia, ci penso io.” 

Come prevedibile, l’offerta non incontrò il suo favore. “Se permetti, è la mia ragazza.” obiettò, sottolineando la parola mia con più enfasi. 

“Ed è anche un vampiro da soli tre mesi.” puntualizzò Dean in tono pacato ma fermo. “Se in preda alle sue emozioni dovesse azzannarti il collo, poi non venire a piangere da me.”

Con quella risposta lo freddò e, senza perdere tempo ad attendere il suo benestare, uscì a cercarla. 

Per alcuni istanti successivi nella tenda scese il silenzio. Come inizio non era stato certo dei migliori e Rachel si rendeva conto di aver esagerato, eppure una parte di lei sapeva di avere ragione. Il suo problema era sempre stato di non riuscire a dimostrarlo senza aggredire le persone.

“Magari avresti potuto aspettare un altro po’ prima di darle addosso. È appena arrivata e anche lei non è che abbia passato dei bei momenti ultimamente.” esordì Cedric per primo, visibilmente ancora seccato per aver dovuto sottostare al volere di Dean.

“In effetti…” concordò Juliet, lanciandole uno sguardo di velato rimprovero.

“Ma sì, certo. Tanto sono sempre io quella indelicata.” Sentendosi sotto accusa, Rachel afferrò il grimorio e uscì anche lei. Negli ultimi tempi stare in loro compagnia era diventato soffocante, quasi un peso ed era sempre più difficile comprimere la rabbia nel profondo delle viscere per impedirle di scoppiare; così Imboccò una direzione a caso, decisa a ignorare la voce concitata di Juliet, che nel frattempo le era corsa dietro, pregandola di fermarsi. 

“Ray!” 

Continuava a chiamarla, ma lei procedette spedita. Non aveva alcuna voglia di sorbirsi l’ennesima paternale. 

“Per favore, aspetta!”

Quando infine la raggiunse, posandole una mano sulla spalla, Rachel non poté più ignorarla e con un sospiro spazientito si voltò.

“Si può sapere che ti è preso? C’era davvero bisogno di trattarla in quel modo davanti a tutti?”

Una mezza risatina isterica le uscì di bocca, prima di lanciarle un’occhiata sprezzante. “Non fare l’ipocrita. Quello che ho detto lo pensi anche tu, ne abbiamo parlato mille volte.”

“Vero, ma avrei preferito affrontare l’argomento con più calma.” 

“Beh, io invece volevo togliermi subito questo dente. Al contrario di altri, a me non piace nascondermi dietro falsi sorrisi, mi conosci.” 

L’insinuazione sembrò ferirla. “Come faccio io?” osservò risentita. “È questo che vuoi dire?”

Il silenzio di Rachel gliene diede conferma.

“Wow… Non ti facevo così maligna, Ray. Sei cambiata negli ultimi tempi, la magia deve averti dato alla testa e non sono l’unica a pensarlo. Capisco che tu sia nervosa, che tutte queste responsabilità ti spaventino, ma non è trattando a pesci in faccia i tuoi amici che risolverai le cose!” si sfogò l’amica tutto d’un fiato.

Da quando erano stati costretti a fuggire dalla Scozia, quella era la prima volta che qualcuno le sbatteva in faccia la realtà, che invece di compatirla la metteva di fronte alle sue colpe. Stava allontanando tutti con il suo vittimismo, ma solo perché aveva paura e la missione affidatale da Margaret c’entrava fino a un certo punto. A quel peso infatti se n’era aggiunto un altro forse anche peggiore. Finora aveva tentato a tutti i costi di scacciare quella sensazione, fingendo che fosse solo una sua paranoia, ma ora non ce la faceva più. Doveva dirlo a qualcuno. D’un tratto e senza quasi rendersene conto, cominciò sommessamente a piangere. 

“Ehi…” mormorò Juliet, ritrovando la calma e avvicinandosi allarmata. “Non fare così. Mi dispiace, non volevo…”

Lei però scosse la testa, portandosi una mano alla bocca per reprimere i singhiozzi; poi respirò a fondo, cercando di ritrovare il contegno, prima di guardare di nuovo l’amica. “Non è colpa tua. Anzi, hai ragione e ti chiedo scusa. È solo che…” esitò. L’impulso di confessarle tutto era fortissimo, ma una parte di lei opponeva ancora resistenza. Temeva il suo giudizio.

Intuendo che ci fosse dell’altro, lei la invitò a continuare e così alla fine Rachel si fece coraggio. “Ho un ritardo.” buttò fuori in un soffio. 

Per un attimo lo spaesamento si impadronì del volto di Juliet, che si prese del tempo per elaborare l’informazione. “Oh…” reagì infine, sbattendo le palpebre come se stesse ancora realizzando. “Quindi sei…”

“Non lo so, ma spero vivamente si tratti di stress, perché non potrei sopportare anche questo.” la precedette, passandosi nervosa una mano tra i capelli. 

Trascorse qualche altro secondo in cui Juliet non fiatò, del tutto presa alla sprovvista da quell’eventualità e dovette sforzarsi per farsi uscire qualcosa di bocca. “Io non… non so cosa dire, Ray. Non avete usato le protezioni?”

“È successo giusto un paio di volte e non eravamo attrezzati. Come avremmo potuto esserlo?” Assalita dall’ansia, Rachel sentì il battito cardiaco accelerare. “Che stupida sono stata, una povera imbecille! Come se non lo sapessi che basta anche una sola volta per…” Un groppo le serrò la gola, nel terrore che andare avanti potesse avvalorare quell’agghiacciante possibilità.

Era una situazione più complicata di quanto Juliet immaginasse e d’un tratto si ritrovò a pensare che Rachel e Mark dovessero essersi dati un gran da fare in quel periodo, a differenza di lei e Dean... –Come ti viene in mente?- si richiamò subito all’ordine, tornando a concentrarsi sull’amica. “Okay, manteniamo la calma. Forse Laurenne può scoprire se lo sei davvero. Hai provato a chiederglielo?”

“Volevo farlo, ma non trovo il coraggio.” disse Rachel con aria mesta. “E se lo fossi? Insomma, io non posso avere un bambino, Juls! Non con quello che stiamo passando, è assolutamente escluso!” Il panico montava dentro di lei ogni volta che era costretta a ripensarci.

“Mark lo sa?” 

“Certo che no. L’ho detto solo a te. Se lo venisse a sapere… Non so se voglio dirglielo.” 

“Ma lui deve saperlo, Ray! Non è giusto tenerlo fuori.” la redarguì, sperando di riuscire a convincerla. Ci mancava solo che gli tenesse nascosta una cosa così importante.

“Già mi è stato col fiato sul collo per settimane per colpa della magia. Apprensivo com’è, se glielo dicessi non mi lascerebbe più respirare!” ribatté con gli occhi lucidi. La sola prospettiva le faceva accapponare la pelle. “Ascolta, è solo un ritardo. Può capitare, no? Magari è un falso allarme, perché raccontarlo in giro? Chiederò a Laurenne di visitarmi e se dovesse confermarlo…”

“A quel punto glielo dirai?” la incalzò Juliet irremovibile. “Perché secondo me dovresti. È una cosa troppo importante per non affrontarla insieme.”

Rachel avrebbe preferito non rispondere e il caso volle che proprio l’arrivo di Mark la salvasse da quel fastidio. Appena lo vide venire verso di loro, infatti, le fece segno di tacere.

“Ehi, eccovi.” constatò, ignaro di tutto. 

Fissandosi i piedi, Rachel evitò di guardarlo in faccia. Se lo avesse fatto, probabilmente avrebbe capito che gli stava nascondendo qualcosa, ammesso che già non lo sospettasse. 

“Laurenne ti sta cercando.” la avvertì, dopo essersi schiarito la gola per interrompere l’imbarazzo che si era creato tra loro. “Pare che abbia scoperto qualcosa su alcuni ingredienti… Ha detto un paio di nomi, ma non saprei ripeterli.” 

Lo sentì appena ridacchiare, senza tuttavia prestarvi molta attenzione. Mugugnò solamente qualcosa in risposta, prima di superare sia lui che Juliet e rincamminarsi verso la tenda.

L’espressione del ragazzo mentre la guardava allontanarsi non avrebbe potuto essere più esplicita e non ebbe bisogno di parlare perché Juliet intuisse il suo stato d’animo. “Non ce l’ha con te.” provò allora a rincuorarlo, dandogli degli amichevoli colpetti sulla spalla. “Tutta questa storia la sta facendo impazzire, ma è solo un periodo, vedrai che le passerà.” Quel tentativo di minimizzare aveva il solo scopo di coprire l’amica, ma le procurò comunque una buona dose di sensi di colpa. Dentro di sé, pregò che Rachel si decidesse a dirgli la verità il prima possibile.

“Lo spero.” sospirò amareggiato, distogliendo lo sguardo dalla direzione in cui si era appena allontanata.

Quando Rachel rientrò nella tenda era convinta di trovare la sciamana ad attenderla, invece c’erano solo Dean e Claire. Lui se ne stava seduto in un angolo a leggere un libro, mentre Claire non la degnò d'uno sguardo, continuando a tirare fuori alcuni vestiti da una sacca fingendo di non averla nemmeno vista arrivare. 

Per nulla intenzionata a iniziare l’ennesima discussione, Rachel non vi badò. “Laurenne è già andata via?” chiese a nessuno in particolare. “So che mi cercava.”

Senza distogliere l’attenzione dagli abiti, Claire le passò un biglietto scritto di fretta dalla sciamana. “È passata poco fa, mi ha portato dei vestiti puliti. Ha detto che doveva parlarti e che la trovi in infermeria.” spiegò in tono piatto, prima di rivolgersi a Dean. “Ti dispiace? Dovrei cambiarmi.”

Con un sospiro accondiscendente, lui richiuse il libro e le lasciò sole.

“Quindi mi parli ancora.” constatò Rachel. Mentre aggiungeva al grimorio altre cose utili nella borsa, guardò l’amica con la coda dell’occhio, cercando di captarne la possibile risposta, che però non arrivò e questo la fece sentire se possibile ancora più in colpa. Era così felice che fosse di nuovo tra loro e si diede della stupida per aver anteposto l’orgoglio all’affetto che nutriva per lei. “Claire…” mormorò d’un tratto.

Colte entrambe dallo stesso impulso, si voltarono l’una verso l’altra. Claire non sembrava arrabbiata, al limite avvilita e lei non poté più trattenersi. “Mi dispiace tanto.” ammise.

Il sorriso che Claire le rivolse quasi subito le fece capire che non c’era bisogno di aggiungere altro. Le si avvicinò, coinvolgendola in un abbraccio, che Rachel ricambiò all’istante. Tra loro funzionava così. Discutevano spesso per via dei caratteri diversi, ma poi trovavano sempre il modo di riconciliarsi. 

“Ti voglio bene.” le disse sincera.

“Anch’io. Mi sono mancate da morire le nostre litigate.” scherzò, facendola ridere. 

Nello stesso istante Juliet rientrò e, appena le vide, intuì subito cosa fosse successo. Piena di felicità, si abbandonò a un gridolino eccitato, correndo poi a unirsi all’abbraccio. “Vi prego, basta melodrammi.” le implorò con gli occhi lucidi. 

Mentre si godevano il momento, Cedric fece capolino da dietro il lenzuolo che divideva la zona bagno dal resto della tenda, attirato dal trambusto. Quando le vide di nuovo insieme, allegre e commosse, lì per lì non comprese. “Bah, le donne…” esordì infine con un sospiro. “Bravo chi le capisce.”

La voce di Dean proveniente da fuori però le riportò con i piedi per terra. “Claire, sei vestita?” 

Ricevuto il permesso, lui ed Evan entrarono e, non appena la vide, il ragazzo corse subito ad abbracciarla entusiasta. Si scambiarono qualche convenevole, poi passò a spiegarle il motivo della sua presenza. “Najat ti vuole vedere, mi ha chiesto di accompagnarti alla sua tenda.” 

“Non ha perso tempo.” commentò Rachel acida. 

Claire però la rassicurò con un cenno della mano. “Va bene così, me lo aspettavo.” Poi tornò a guardare Evan determinata. “Fammi strada.”

“Vengo anch’io. Non penso che a Najat dispiacerà se assisto.” si unì Dean, sempre desideroso di vederci chiaro in quella faccenda.

 

-o-

 

Najat faceva avanti e indietro sul grande tappeto di lana grezza che fungeva da pavimento per la tenda del comandante, la mente che lavorava nel tentativo di rimettere tutti i pezzi al loro posto. “Quindi stai dicendo che Tareq avrebbe mentito fin dal suo rilascio.” concluse, dopo aver ascoltato la ricostruzione di Claire. 

“È stato Nickolaij stesso a dirmelo.” confermò lei, per poi guardare Dean. “Si erano messi d’accordo perché aiutasse te e gli altri a scappare. Tareq vi avrebbe fatto credere di essere dalla vostra parte, in realtà passandogli informazioni sui piani di Jamaal, e in cambio Nickolaij lo avrebbe risparmiato e accolto nel caso aveste scoperto del suo tradimento.” riassunse.

Per quanto ignobile fosse, la cosa non sorprese Dean più di tanto. In fondo, ci era già arrivato da solo dopo aver visto Tareq sulle mura del castello con l’arco ancora teso. Se poi ripensava alla loro fuga, al fatto che si fosse offerto di soccorrere Cedric mandando avanti lui e Mark, tutto tornava. 

“Ecco come faceva a sapere esattamente quando saremmo venuti a Bran. Facile con una spia a disposizione.” Najat serrò i denti, cercando di contenere un’esplosione di rabbia. “Quel maledetto. Giuro che ovunque sia lo troverò e lo ucciderò con le mie mani.” Tutto a un tratto sembrava essere tornata la ragazza impulsiva conosciuta mesi prima. L’odio per Tareq era come una fiamma che alimentava la sua determinazione, solo che adesso aveva troppe responsabilità per lasciare che la consumasse. “Comunque, per il momento l’importante è che gli algul non conoscano la nostra posizione. Siamo diventati troppi per riuscire a spostarci in modo rapido e senza dare nell’occhio.”

Kira, rimasta ad assistere insieme al fratello e ad Evan, scosse la testa allibita. “Come ha potuto farlo?” si chiese a voce alta, riferendosi a Tareq. “Come ha potuto tradire la sua famiglia con tanta facilità…”

“Nickolaij avrà fatto leva sulla sua sete di potere. Ha capito che per lui contava di più prendere il posto di Jamaal che la lealtà verso la causa per cui aveva sempre combattuto.” replicò Dean, piuttosto sicuro di avere ragione. La psicologia di Nickolaij aveva ben pochi segreti per lui e non gli risultava difficile immaginare cosa dovesse avergli promesso per convincerlo a passare dall’altra parte. In seguito, l’orgoglio ferito di Tareq doveva aver fatto il resto.

“Scusate, c’è una cosa che non capisco però.” si intromise Evan con aria perplessa. “Tutto questo te l’ha raccontato Nickolaij mentre eri prigioniera a Bran, giusto?” 

Claire sembrò intuire subito dove volesse andare a parare. “Ve l’ho detto, lui si fida di me. Non mi avrebbe mandato qui altrimenti.”

Quel concetto strideva ancora parecchio nella testa di Dean. Che Nickolaij si fosse messo a spifferare i suoi piani proprio a lei era qualcosa che non riusciva davvero a mandare giù e a quanto pareva non era un problema solo suo. Anche gli altri si mostravano scettici. Certo, era vero che mancava da Bran ormai da mesi e le cose potevano aver preso una direzione diversa nell’arco di quel periodo, dunque la versione della ragazza poteva anche avere senso. Eppure ancora non riusciva a ritenerla del tutto plausibile.

“Sì, ma allora si aspetterà che tu gli comunichi i tuoi progressi.” osservò giustamente Najat. 

“Mi ha dato carta bianca.” disse Claire per tutta risposta. “Vuole solo che gli porti Rachel, il come ha poca importanza.”

Non del tutto convinta, Najat cercò conferme nello sguardo di Dean, che dopo un attimo di riflessione annuì. “In effetti, sarebbe nel suo stile.” Il ricordo di quando a Greenwood gli aveva ordinato di portargli Claire e gli altri era ancora vivido nella sua mente. Anche allora non si poteva dire che si fosse sprecato a dargli chissà quali direttive. Ciò che contava per lui era il risultato.

“Beh, se tutto va come deve andare stavolta arriveremo prima noi.” tagliò corto la guerriera; poi si sgranchì un po’ le braccia, lasciandole cadere giù per sciogliere i muscoli. “Direi che per oggi può bastare. A furia di chiacchiere mi sto rammollendo, ho bisogno di esercizio.” 

Dopo aver invitato Kira e gli altri ad avviarsi verso il campo d’allenamento, si soffermò qualche altro istante sulla soglia con Dean e Claire. “Ci aggiorneremo più avanti. Intanto la affido a te, mi raccomando.” 

Bastò un breve cenno della testa da parte di Dean per convincerla e Claire non attese molto per dimostrare di esserne rimasta colpita. “Però… Ne sono cambiate di cose mentre non c’ero.” constatò, una volta rimasti soli. “All’inizio ti detestava a prescindere, invece guarda adesso. Sembra che la tua opinione conti più di tutte le altre.”

Lui però preferì glissare, alzando lo sguardo al cielo per deviare la conversazione su altri lidi. “Manca ancora un po’ prima che faccia buio. Possiamo approfittarne per iniziare il tuo addestramento.”

“Di già?” Sfinita, Claire si accasciò su se stessa, lanciandogli un’occhiata implorante. “Da quando sono arrivata non ho avuto un attimo di respiro. Vorrei passare un po’ di tempo con le ragazze e con… Cedric.” L’imbarazzo la colse nel pronunciare il suo nome ed esitò. “Non li vedo da mesi…”

“D’accordo, d’accordo.” acconsentì Dean, pur di non dover continuare quel discorso.

“Potremmo iniziare stanotte, mentre tutti dormono. Tanto a noi non serve.” suggerì speranzosa. “E poi così non daremo nell’occhio.”

In effetti, era una giusta osservazione, anche se in cuor suo Dean avrebbe preferito non perdere troppo tempo. Claire era ancora instabile e il pericolo in certi casi era dietro l’angolo, ma infondo comprendeva il suo bisogno di stare insieme agli altri, ora che li aveva ritrovati. “Bene, allora andremo dopo cena.” stabilì infine.

Claire gli sorrise per dimostrargli la sua riconoscenza, poi insieme si avviarono di nuovo verso la tenda e, una volta entrati, si trovarono di fronte a una scena a dir poco surreale: Rachel era seduta a terra, le gambe incrociate e le palpebre chiuse in un’espressione di profonda concentrazione. Intorno a lei alcuni sassi disposti in circolo fluttuavano a mezz’aria, come in assenza di gravità. 

“Wow! Che diavolo succede?” proruppe Claire, immobilizzata dallo stupore. 

Così facendo, però, la riscosse, rompendo la bolla che si era creata attorno, e le pietre ricaddero al suolo con un tonfo, per poi rotolare in varie direzioni. Presa dai suoi esercizi, non si era neanche accorta del loro arrivo. 

“Cos’era quello?” boccheggiò Claire incredula. “Eri tu a farlo?”

Con un sospiro, Rachel si alzò spingendosi con le mani. “Già.” Un po’ imbarazzata si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ti avevo accennato che sono l’erede di Margaret, no? Beh, a quanto pare anche essere una strega rientra nell’eredità.”

Gli occhi dell’amica si illuminarono a quella rivelazione. “Ma è fantastico!” esclamò, lì per lì sopraffatta dall’eccitazione; poi, invece, sembrò rifletterci meglio. “Certo, il fatto che tra tutti sia proprio tu ad avere dei poteri magici è…”

“Assurdo? Allucinante? Fuori da ogni logica?” le suggerì in tono piatto. 

“Non è esattamente quello che stavo per dire, ma ci si avvicina molto.”

Rachel storse la bocca in una smorfia. “Non dirlo a me.” Mai come in quel periodo aveva desiderato che quella croce gravasse su qualcun altro, oppure di svegliarsi una mattina e scoprire di essere ancora una ragazza come le altre. Magari fosse stato tutto un orribile incubo.

La faccia di Claire trasudava curiosità ed era chiaro che non vedesse l’ora di farle un milione di domande, ma per fortuna Dean impedì all’argomento di prendere il volo. 

“Credevo fossi da Laurenne.” disse, intervenendo nella conversazione.

“Infatti. Poi ha avuto un’emergenza, perciò ho preferito tornare qui a esercitarmi con la magia.” 

Lui annuì distrattamente, guardandosi intorno. “Juliet?” domandò con finta noncuranza.

Già stanca dell’interrogatorio, Rachel si mise a raccogliere le pietre sparse sul pavimento per impegnarsi in qualcosa e non dargli modo di vederla irritata. “Immagino sia ancora in infermeria ad aiutare Laurenne. A quanto pare la sta prendendo molto sul serio.”

Dean si fece bastare la risposta, non aggiungendo altro, anche se in realtà ci era rimasto un po’ male. Contava di risolvere lo screzio avuto con lei a causa dei suoi sospetti su Claire, ma ancora non era riuscito a trovare un momento per parlarle e la cosa iniziava già a pesare. Ogni volta che discutevano aveva la sensazione che Juliet si allontanasse e capire come riavvicinarla diventava sempre più complicato. Se non altro, durante la sua assenza avrebbe potuto approfittarne per elaborare un discorso convincente da sfruttare quando si fosse presentata l’occasione giusta.

Purtroppo per quella sera l’occasione non venne, anche perché Juliet rientrò tardi e non c’era verso di rimanere soli, perciò aveva dovuto rassegnarsi ad aspettare ancora. Suo malgrado, continuò a rimuginarci lungo tutto il tragitto dall’accampamento al punto remoto del deserto in cui condusse Claire quella notte, nonostante la logica gli imponesse di concentrarsi su ciò che stava per fare. 

“Hai intenzione di arrivare fino al Mar Rosso?” gli chiese spazientita. “Direi che ci siamo allontanati a sufficienza, no? Dubito che qualcuno riesca a vederci quaggiù.”

Sforzandosi di sopportare il suo tono polemico, Dean convenne che era giunto il momento di interrompere la scarpinata e si fermò, studiando per qualche istante il paesaggio immerso nel buio prima di voltarsi a guardarla. “Dunque.” iniziò senza tergiversare. “Cosa sai di preciso sull’autocontrollo?”

Rimase ad ascoltare mentre lei raccontava delle lezioni che le avevano impartito al castello sulle migliori tecniche per contenere le emozioni, in modo da non farsi scoprire dagli umani o non creare situazioni scomode con i propri simili. In realtà, non aveva avuto modo di seguirne molte, perché Nickolaij l’aveva tenuta rinchiusa per diverso tempo e, nei rari casi in cui le aveva consentito di uscire, la teneva con sé trascinandola in passeggiate con annesse interminabili conversazioni.

Il particolare che lo colpì più di tutti fu proprio quello. “E ti ha lasciato venire qui pur sapendo che fossi così impreparata?” osservò, interrompendola.

Per un secondo Claire restò interdetta, per poi recuperare. “Come ti ho già ripetuto più volte, passare tutto quel tempo insieme deve avermi fatto guadagnare la sua fiducia. È l’unica spiegazione che riesco a darmi. Non so, avrà pensato che fossi pronta. Del resto, non leggo nel pensiero, non ho idea di cosa gli sia passato per la testa quando ha deciso di affidarmi questo compito.” 

Esasperato dall’ennesima risposta inconcludente, Dean si mise le mani sui fianchi. “Ma è assurdo, lo capisci? Deve pur averti spiegato come fare, come comportarti per non apparire sospetta! Non può averti mandato qui completamente allo sbaraglio!”

“Cosa vuoi che ti dica? Sai meglio di me com’è fatto, lui non spiega mai niente!” si difese Claire, alzando la voce. 

Era visibilmente agitata, ma questo non lo indusse a lasciar perdere, anzi. “Puttanate.” ribatté infatti, in tono più pacato ma non meno accusatorio; poi, dopo una breve pausa, scosse la testa. “Senti, davanti agli altri non ho voluto infierire, ma la verità è che non ti credo. Dovrai inventarti qualcosa di più convincente per farmi cambiare idea.” 

Intimorita dall’intensità del suo sguardo, lei deglutì, cominciando a indietreggiare. “Perché fai così? Vuoi punirmi per averti messo nei casini con gli altri? Ti ho già detto che mi dispiace…”

“Non me ne faccio niente delle tue scuse.” disse lapidario, parlandole sopra.

Il modo in cui la guardava si faceva sempre più intenso e Claire non riusciva a nascondere il nervosismo. “E allora cos’è che vuoi?” domandò con voce malferma.

“La verità!”

Quell’urlo improvviso la fece sobbalzare, spaventandola a tal punto che all’ennesimo passo indietro non si accorse di un sasso che sporgeva da sotto la sabbia e inciampò, finendo per terra. 

Dean incombeva su di lei, lo sguardo privo della minima traccia di compassione. “Finora ogni singola parola uscita dalla tua bocca non è stata altro che una bugia. Quindi è questo che voglio da te: la pura e semplice verità. E se ti ostini a non collaborare dovrò ricorrere a metodi meno ortodossi per convincerti a farlo.” Pronunciò l’ultima frase più lentamente, per essere sicuro che il suo reale significato andasse a segno.

Messa all’angolo, Claire si ammutolì. La non troppo velata minaccia fece scattare qualcosa nella sua testa, una consapevolezza che contribuì a fomentare il panico che si era già fatto strada dentro di lei, fino a diventare lampante sul suo volto. “Tu non vuoi aiutarmi…” mormorò, scossa da fremiti ormai incontrollabili. “Venire fin qui era solo una scusa per farmi confessare chissà cosa. Tu e Najat eravate d’accordo, dovevo capirlo…” 

Quando iniziò a indietreggiare la seguì, facendosi avanti con un leggero ghigno sulle labbra. “Brava, ci sei arrivata.”

A quel punto, il terrore che si era impadronito di lei si tramutò in istinto di sopravvivenza. Tuttavia, anziché attaccarlo per prima, si alzò di scatto, voltandogli le spalle e incespicando nella sabbia nel tentativo di scappare in direzione dell’accampamento, ma i riflessi di Dean furono più rapidi. Il tempo di percorrere solo pochi metri e Claire si ritrovò di nuovo a terra.

“Lasciami andare!”

Non potendo muovere le braccia perché bloccate dalla sua presa, tentò di divincolarsi con le gambe, che però Dean provvide subito a mettere fuori uso premendovi sopra le sue; poi, con un movimento fulmineo la girò sulla schiena, inchiodandole i polsi a terra in una morsa serrata. 

I loro visi erano a un paio di centimetri l’uno dall’altro. Lo sguardo grigio ghiaccio di Dean fisso in quello atterrito di Claire. 

“Ti prego…” lo implorò singhiozzante, il petto che si alzava e si abbassava come fosse colta da un incontenibile attacco d’ansia. “Se mi fai del male, stavolta Juliet non ti perdonerà. Ti prego…”

Furbo giocare quella carta, Dean dovette riconoscerlo. E forse avrebbe anche funzionato, se solo le sue intenzioni fossero state fin dall’inizio quelle che credeva lei. Pur non mollando la presa, sostituì l’espressione intimidatoria con una più rassicurante. “Non ti farò del male, Claire. Adesso respira e cerca di calmarti.” 

Nonostante la sua voce non emanasse più alcun sentore di minaccia, dapprima lei non sembrò convinta. Rimase a fissarlo ancora un po’ con aria carica di diffidenza e Dean intuì che stava cercando di capire il da farsi. Vedere il suo respiro tornare pian piano regolare lo spinse ad allentare la presa sui suoi polsi, fino a liberarli del tutto e permetterle di tirarsi su a sedere.

Seduti entrambi sulla sabbia, si studiarono reciprocamente per un paio di minuti. 

“Che significa?” esordì Claire per prima.

“Era un test. Volevo vedere fino a che punto sarebbe arrivata la tua capacità di controllo.” 

Lo disse con una semplicità e pacatezza che la lasciarono spiazzata. “Sei uno a cui proprio non piace perdere tempo.” constatò con una leggera vena di risentimento.

“Scusami se sono stato un po’ brutale, ma non c’era altro modo. Dovevi credere che stessi facendo sul serio.” 

“Direi che ha funzionato. A un certo punto ho pensato davvero che volessi uccidermi.”

Sul volto di Dean comparve un sorriso sghembo. “Era necessario metterti in una situazione di forte stress. Solo così avresti permesso all’istinto di prendere il sopravvento e a me di valutare il tuo stato emotivo.” spiegò.

“Ebbene, professore, come sono andata?”

“Non c’è male. Il fatto che alla fine tu abbia pensato soltanto a metterti in salvo senza attaccarmi ti colloca a un livello intermedio. Abbiamo ancora un bel po’ di strada da fare, ma devo ammettere che pensavo peggio.”

Lei alzò un sopracciglio, lanciandogli un’occhiata eloquente. “Devo considerarlo un complimento?” ironizzò piccata.

Dean ridacchiò, alzandosi in piedi e porgendole subito dopo la mano per aiutarla a fare lo stesso. Non che ne avesse bisogno, ma dopo averla spaventata in quel modo se ne sentì in dovere. “Forza, mettiamoci al lavoro.” 

“Aspetta…” lo fermò, d’un tratto tornando seria. “Quindi le tue accuse… Anche quelle erano finte o è vero che non mi credi?”

In effetti si trattava di una domanda legittima, che scioccamente Dean si rese conto di non aver previsto. In verità, al momento nemmeno lui poteva dire di avere le idee chiare in proposito. Se le avesse assicurato di crederle avrebbe mentito, ma non gli andava neanche di metterla sulla difensiva continuando a torchiarla con i suoi sospetti, perciò preferì non entrare troppo nel merito della questione. “Vedremo. Dipenderà da come ti comporterai d’ora in avanti. Siamo appena all’inizio.” replicò, restando sul vago. 

Per un attimo Claire rifletté sulle sue parole, forse nel tentativo di convincersi a farsele bastare, e alla fine sembrò riuscirci. “Lo sai che da adesso in poi prenderò ogni cosa che dirai come una provocazione, vero?”

“Sì.” confermò lui con un sospiro di rassegnazione. “Infatti sarà tutto più complicato.”

 

-o-

 

I giorni seguenti passarono in fretta, con Dean che si divideva tra l’addestramento di Claire e le riunioni che Najat organizzava sempre più di frequente con gli altri capi tribù. Juliet, invece, era ormai assorbita dalle sue mansioni in infermeria, mentre Rachel trascorreva più tempo nella tenda di Laurenne che nella loro. Erano quasi sempre in giro e non si vedevano granché, se non la sera, quando erano tutti troppo stanchi per fare conversazione. 

Di conseguenza, Rachel non era ancora riuscita a trovare un attimo per parlare a Mark della sua sospetta gravidanza, o più probabilmente la prospettiva la spaventava a tal punto da spingerla a evitarlo ogni volta che se ne presentava l'occasione. E quale occasione migliore se non la partenza con Laurenne. Dopo settimane di studio e svariati tentativi, infatti, si sentiva finalmente in grado di aprire un portale, così aveva chiesto alla sciamana di accompagnarla in Scozia per recuperare alcuni ingredienti che crescevano solo nella serra di Margaret. Sapeva di correre un rischio e, a dirla tutta, l’idea di tornare in un posto a cui era legata una delle peggiori esperienze della sua vita non la entusiasmava, ma non c’era altra scelta. Inoltre, essendo sole, avrebbe potuto chiedere a Laurenne di visitarla e stabilire una volta per tutte se era incinta o no. Non se la sentiva di dirlo a Mark senza prima averne la certezza. 

“Ehi.”

Immersa in quella miriade di pensieri, sobbalzò vistosamente quando la voce di Mark, di ritorno dall’allenamento, esordì alle sue spalle e per nasconderlo si finse indaffarata a controllare l’interno della sua sacca da viaggio. “Ciao.” rispose in maniera distratta, imprecando dentro di sé. Fino all’ultimo aveva sperato di riuscire a svignarsela senza incontrarlo.

Lui, però, non parve notare la sua improvvisa agitazione. “Sei tornata presto, oggi.” constatò con un lieve tono sorpreso, prima di accorgersi della borsa ricolma di roba. “Che cosa fai?”

“I bagagli. Io e Laurenne partiamo. Staremo via un paio di giorni.” spiegò telegrafica, pur rendendosi conto che si trattasse di una previsione piuttosto ottimistica. “Cosa?” L’espressione sul volto di Mark si fece confusa. “E me lo dici così?”

La domanda la infastidì. -Come dovrei dirtelo?- avrebbe voluto rispondere. “È stata una decisione improvvisa. Abbiamo tradotto parte degli ingredienti e ce n’è uno in particolare che si trova solo in un determinato periodo dell’anno. Per nostra fortuna, sembra sia proprio questo.” mentì spudoratamente senza guardarlo, mentre spingeva a forza le ultime cose nella sacca. Omise di proposito la destinazione, perché già immaginava la discussione che ne sarebbe scaturita e non aveva alcuna voglia di affrontarla.

“Okay, allora vengo con voi.” stabilì deciso, prendendola in contropiede. “Il tempo di prepararmi e…”

Frustrata, Rachel lasciò cadere con malagrazia la borsa in terra. “No.” sentenziò con un sospiro e, quando finalmente si voltò per guardarlo lo vide alquanto smarrito.

“Che vuol dire no?” le chiese, aggrottando la fronte.

“Vuol dire che preferirei che restassi qui.”

“Perché? Potrei esservi utile. E poi non mi va che ve ne andiate in giro da sole, potrebbe essere pericoloso. Non sono tranquillo…”

Possibile che non lo capisse? Più continuava a starle addosso, più lei provava l’impulso di allontanarsi. Era quello il motivo principale per cui non voleva dirgli niente. “Fai sul serio? Saremo solo noi due a raccogliere erbe in un posto sperduto, che vuoi che succeda? E se anche dovesse, potrei sempre pensarci io.”

“Usando la magia? No, è una pessima idea e lo sai. Ha un brutto effetto su di te.”

Ecco che tornava alla carica con quel discorso. Rachel ne aveva talmente fin sopra i capelli da dover fare appello a tutta la pazienza residua per non tirargli qualcosa addosso. “Punto primo: non mi riferivo alla magia, posso farcela anche senza, visto che se ben ricordi ho seguito il training da guerriera prima di te. Punto secondo: mi alleno da settimane e ormai riesco a padroneggiare i miei poteri senza svenire ogni due secondi. Punto terzo: la decisione è presa e se pensi di riuscire a convincermi hai fatto male i conti.” Detto ciò, non gli concesse alcuna replica, afferrò la borsa e si diresse a passo svelto all’uscita, ansiosa di cambiare aria. 

“Ray.” 

Quando lo sentì chiamarla, il tono della sua voce era diverso, quasi intristito, e la stessa cosa traspariva dal suo viso nel momento in cui si girò a guardarlo. 

“Cosa c’è?” gli chiese spazientita.

“Dovrei fartela io questa domanda.”

Rachel allora incrociò le braccia e sospirò, fissando prima il terreno e poi lui. “Senti, non ho tanto tempo a disposizione. Se hai qualcosa da dirmi, fallo.” tagliò corto.

Colpito dai suoi modi bruschi, Mark si irrigidì. “Penso che dovresti essere tu a parlare. Non sono certo io quello che ultimamente si è isolato dal mondo. È evidente che qualcosa ti tormenta.”

Esasperata, alzò gli occhi al cielo. “Quando la smetterai di starmi col fiato sul collo?” 

Adesso era sulla difensiva e lui se ne accorse. Forse per questo cercò di moderare i toni, facendosi 

più accomodante. “D’accordo, forse hai ragione.” riconobbe. “Magari ti sono stato troppo addosso di recente, ma è perché sono preoccupato per te…” Tentennò su quell’ultima parola. “Per noi.”

Lei lo fissò stranita. “Ma di che parli?”

“Oh, andiamo! È un po’ ormai che sei fredda, distante, sempre nervosa. Prima parlavamo di tutto, mentre adesso guardati, sembra che basti la mia sola presenza a infastidirti.”

Era la prima volta che glielo faceva notare in modo così esplicito e per un istante Rachel restò interdetta, con le parole di Mark che continuavano a ripetersi nella sua testa. “Ti sbagli. Non è così.” riuscì a dire infine, ma continuava a mentire a lui e a se stessa, e ne era consapevole.

“E allora spiegami com’è. Spiegami che ti succede.” insistette lui, serio in volto. “Mi conosci, non ce la faccio a ignorare i problemi. Devo capire. So che stai prendendo molto sul serio questa faccenda della pozione e che portare il peso di tante responsabilità deve essere difficile per te, ma…”

“No, non lo sai.” lo interruppe. “Non puoi neanche immaginare come mi sento.” Nessuno di loro poteva, per questo era piombata nella solitudine più nera da quando Margaret l’aveva lasciata. Con lei aveva perso il suo punto di riferimento, l’unica persona in grado di sostenerla e comprenderla davvero.

A dispetto delle previsioni, Mark non rimase offeso. Anzi, dopo la sua risposta sembrava sentirsi colpevole più che risentito e ne ebbe la conferma quando le si avvicinò, guardandola comprensivo. “Va bene, non lo so.” ammise, prendendole le mani tra le sue. “Ma non significa che non possa condividere questo peso insieme a te. Per favore, lascia che ti aiuti.”

Con lo sguardo basso sulle loro dita intrecciate, Rachel non poté fare a meno di sorridere amara. “A parole sembra facile, ma in quanto a fatti? Cosa potresti fare nel concreto, ci hai pensato? La realtà è che sono sola, Mark. L’unica che può accollarsi questo compito sono io, è inutile prendersi in giro.” sentenziò.

“Che ti prende? Non è da te piangerti addosso così.”

“Ultimamente ho fatto parecchie cose che non sono da me...” La frase le sfuggì senza quasi rendersene conto e lì per lì sperò che passasse in sordina, che Mark non ci badasse. Speranza vana.

“Che vuoi dire?” le chiese infatti, tornando a scrutarla confuso.

Rachel però non aveva neanche il coraggio di guardarlo, figurarsi quello di aprire bocca.

Il suo stato di agitazione lo spinse a vederci chiaro. “Parla con me.” la spronò, usando un tono più conciliante. “È questo che fanno le coppie, condividono i problemi e cercano di affrontarli insieme. Di qualsiasi cosa si tratti, non mi escludere.”

A quel punto, gli occhi di Rachel incontrarono di nuovo i suoi e capì di non poter più tenere per sé quel segreto. Lentamente ritrasse le mani e, preso un bel respiro, confessò: “Ho un ritardo.”

Tuttavia, la reazione di Mark non fu quella che si aspettava. Non parlò subito, limitandosi a sbattere le palpebre nel tentativo di assimilare l’informazione appena ricevuta. “In… in che senso?” farfugliò poco dopo, spiazzandola completamente.

“Quale senso vuoi che abbia? Ho un ritardo di due settimane e non era mai successo prima che noi… Insomma, hai capito.” 

Al che finalmente lui sembrò realizzare, o almeno fu ciò che dedusse dalla sua espressione. “Oh…” mormorò con lo sguardo vitreo di chi ha subito uno shock.  

Anche dall’esterno Rachel riusciva a immaginare gli ingranaggi nel suo cervello lavorare senza sosta, ripercorrendo gli eventi del recente passato nel tentativo di ricostruire l’accaduto. 

“Aspetta, credi che sia stata quella volta a Roma…”

Non vedeva come questo potesse essere rilevante, ma comunque annuì. “A giudicare dalle tempistiche, è probabile.” confermò secca. “In ogni caso, non sono sicura di essere davvero incinta. Potrebbe trattarsi solo di stress.”

“Se però lo fossi cambierebbe tutto.” 

Prima che potesse fermarlo, iniziò a camminare avanti e indietro con una mano tra i capelli, farneticando di cose come rimandare il college, trovarsi un lavoro e altri sproloqui che in un momento del genere non avevano senso di esistere. Rachel era talmente incredula che, quando tutto a un tratto Mark smise di straparlare e la attirò a sé per coinvolgerla in un abbraccio, rimase impietrita a lasciarlo fare.

“Amore, è… meraviglioso.” le disse con la voce rotta dall’emozione.

Tutto si sarebbe aspettata, fuorché la notizia lo rendesse così euforico. Anzi, anche se non ne andava troppo fiera, aveva quasi sperato che ne rimanesse sconvolto quanto lei. Reagendo in quel modo non faceva che complicare le cose. “Smettila, okay?” Lo spinse via, insofferente al contatto tra i loro corpi. “Tanto non lo terrò.”

Lui rimase a fissarla basito. “Cosa?”

“Non terrò questo bambino, ammesso che ci sia. Non esiste, perciò levatelo dalla testa.” Fu difficile pronunciare parole tanto dure, ma doveva chiarire la sua posizione prima che Mark cominciasse a fantasticare sulla loro bella famiglia felice.

“Perché dici così? È una cosa bella…”

“No, invece!” ribatté esasperata. “Abbiamo diciannove anni, Mark, tutta la vita davanti e io non ho intenzione di rinunciare ai miei progetti per un… incidente.” Esitò sull’ultima parola, temendo di esagerare. “Insomma, guarda dove siamo! Se non riesco a preparare quella dannata pozione, non sconfiggeremo mai Nickolaij e saremo costretti a nasconderci per il resto della nostra vita! Un bambino ci rallenterebbe. E poi vuoi davvero che viva in un mondo del genere?” Di colpo Rachel non riuscì più a contenere tutta la frustrazione di quei giorni e la sfogò su di lui. Non si capacitava di come potesse anche solo pensare di tenere il bambino, era una follia.

Dopo un attimo di smarrimento, il volto del ragazzo si rabbuiò, segno che avesse preso consapevolezza della divergenza di opinioni tra loro. “Quindi hai già deciso.”

Rachel allora ritrovò un po’ di calma. “Sì. Il destino di tutti dipende da me, adesso non posso pensare ad avere un figlio. Non sono pronta e non lo voglio.” sentenziò determinata.

“E il mio parere non conta? C’è anche mio figlio lì dentro.”

“Te l’ho detto, potrebbe essere un falso allarme...”

“Ma potrebbe non esserlo.”

“Non ha importanza!” urlò a quel punto, snervata dalle sue insistenze. 

Per un momento Mark rimase scioccato da tanta freddezza. “E di me? Ti importa di me? Perché se hai già preso la tua decisione mi chiedo cosa tu me l’abbia detto a fare.” 

“L’ho fatto perché era giusto che lo sapessi.”

“Certo, per avere la coscienza pulita.” replicò, cogliendola di sorpresa. 

Aveva ragione. Il solo motivo per cui gliene aveva parlato era perché una vocina nella sua testa le aveva detto di farlo e non perchè lo voleva davvero. Per quanto le bruciasse di essere stata scoperta, non poté biasimare lo sguardo carico di risentimento che Mark le stava rivolgendo in quel momento. “Ora devo andare. Laurenne mi sta aspettando.” tagliò corto, preferendo interrompere la discussione prima che degenerasse ulteriormente. Tutto ciò che voleva era uscire da quella maledetta tenda, così non perse altro tempo e fece per andare, ma la voce di Mark la raggiunse prima che mettesse piede fuori.

“Che ti è successo, Ray?” le chiese ancora una volta, più intristito che in collera. “Da quando siamo stati in Scozia non sei più la stessa. Dov’è finita la ragazza di cui mi sono innamorato?”

Ferma sulla soglia, lei impiegò un paio di secondi a trovare la risposta. “Probabilmente è rimasta fuori da quella grotta.”

 

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Capitolo 29
*** Cocci rotti (parte 1) ***


Capitolo 21

 

Cocci rotti


“Allora?” chiese Rachel fremente, mentre guardava Laurenne mescolare il sale alla sua urina in una ciotola di terracotta.

La sciamana la sollevò all’altezza degli occhi per controllare meglio la reazione tra le due sostanze. “Abbi pazienza. Ci vuole un po’ di tempo.” 

Con uno sbuffo Rachel si strinse nella coperta e tirò le ginocchia al petto in modo da trattenere il calore corporeo. Aveva quasi dimenticato quanto facesse freddo da quelle parti. Ne era valsa la pena, però. Per fortuna, le piante nella serra avevano retto al gelo e aveva potuto recuperare ciò che le serviva. Stavano per tornare nel deserto, ma a quel punto si era decisa a chiedere alla sciamana di visitarla. Non sopportava più quello stato di ansia perenne, doveva sapere.

In principio la donna si era dimostrata alquanto sorpresa, sia perché non si aspettava una richiesta del genere sia per il momento in cui era arrivata. “Non ho con me i miei strumenti, se mi avessi avvertita prima…” aveva detto, per poi prendersi qualche istante di riflessione. “Comunque, conosco un metodo alternativo. Non è infallibile, ma possiamo provare.”

E così ora si ritrovava in quella serra a guardarla trafficare, pregando con ogni fibra del suo essere in un responso negativo. Stando alla sciamana, se il sale si fosse sciolto avrebbe significato che non era incinta, viceversa se fossero comparsi dei grumi… Si rifiutava perfino di pensarci. Con un’ansia in corpo che cresceva di secondo in secondo, si mordicchiava le unghie aspettando di conoscere il suo destino. Tutto il prossimo futuro dipendeva da quel verdetto.

Intanto, i due elementi della miscela continuavano ad agire, finché qualche minuto dopo lo sguardo di Laurenne incontrò il suo e Rachel ne afferrò il significato ancora prima che parlasse. In quell’istante sentì il peso del mondo intero crollarle addosso. Finora si era illusa, o forse aveva preferito illudersi, che si trattasse di semplice stress o magari che il ritardo fosse dovuto al cambiamento di clima. Invece la realtà era sempre stata davanti ai suoi occhi, a prescindere dal fatto che si ostinasse a non volerla vedere.

“Se devo essere sincera, non mi sorprende molto.” ammise la sciamana, riponendo il contenitore nella sua sacca da viaggio. “Dai sintomi che mi avevi descritto il sospetto era già forte. Ne ho assistite di donne in gravidanza e ormai dopo tanti anni di esperienza è difficile sbagliarsi.”

Rachel, però, la stava a malapena ascoltando. Disperata, affondò il viso tra le mani, quasi si vergognasse di guardarla in faccia. E adesso? Cosa avrebbe fatto adesso?

“Suvvia, tesoro.” Per cercare di confortarla, la donna le mise un braccio intorno alle spalle, dandole dei leggeri colpetti affettuosi con la sua consueta espressione bonaria dipinta in viso. “Non è poi una notizia tanto brutta.”

“No, infatti. È orrenda.”

Lei sospirò comprensiva. “Avevi già pensato a come fare?”

“Ho sperato fino all’ultimo di non esserlo.” rispose Rachel, scuotendo la testa ancora tra le mani. “Dio mio, che diavolo mi è venuto in mente…” Lo disse tra i denti, in preda a una rabbia mista a desolazione, trattenendo a stento l’impulso di prendersi a schiaffi. E pensare che quei momenti insieme a Mark erano stati i più felici della sua vita. Ora avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e impedire alla se stessa del passato di commettere un errore tanto madornale.

Laurenne sembrò intuire i suoi pensieri e prontamente cercò di riportarla con i piedi per terra. “Cara, è inutile piangere sul latte versato. Ormai è successo. Ora devi concentrarti sul presente e prendere una decisione. Anzi, dovete prenderla entrambi, perché questa faccenda riguarda anche il tuo ragazzo.”

Il viso di Rachel riemerse e lei tirò su col naso, prima di guardarla di nuovo con gli occhi inumiditi dalle lacrime. Purtroppo sapeva già cosa pensasse Mark del bambino e che non sarebbero mai stati d’accordo su quel punto. “Lui vorrebbe tenerlo, ma io no. Insomma, con la situazione che stiamo vivendo, con tutto quello che c’è da fare…” Un singhiozzo improvviso le ruppe la voce e per un secondo si ritrovò perfino a dubitare delle sue convinzioni. Ma durò giusto il tempo di tornare alla ragione. “No, è impossibile.” sentenziò infine, nascondendo per metà il volto tra le ginocchia. 

“Calmati.” Laurenne la attirò a sé, stringendola nel tentativo di contenere i suoi fremiti. “Calmati, andrà tutto bene.” 

“E come?” Rachel non riusciva proprio a vedere come sarebbe potuto andare bene. Provava terrore già solo di fronte all’idea di doverlo dire a Mark e al disastro che ne sarebbe seguito. 

“Non tutto è perduto, sei incinta solo da poche settimane.” disse la sciamana. “Prenditi ancora del tempo per pensarci e se dovessi decidere di rinunciare al bambino ti aiuterò io. Non ti lascerò sola, te lo prometto.” 

Avere lei dalla sua parte era motivo di speranza per Rachel, anche se non quanto avrebbe voluto. Per come si sentiva in quel momento, l’unica cosa in grado di risollevarla sarebbe stato svegliarsi nella sua stanza, a Greenwood, e scoprire di essersi sempre trovata in un brutto incubo. Ma ancora una volta avrebbe dato adito a una banale illusione.  

-o-

 

“Rachel è incinta?” Lo sconcerto era lampante negli occhi di Claire quando ripeté sotto forma di domanda ciò che Mark aveva appena detto. 

“Forse.” sottolineò lui, preferendo fissare il tavolo piuttosto che alzare lo sguardo e incrociare i loro volti frastornati. “Potrebbe esserlo. Non ne siamo ancora sicuri.” Dal tono che usò e dalla sua espressione abbattuta si intuiva facilmente che c’era dell’altro.

In realtà, era dalla partenza dell’amica che Juliet lo vedeva diverso, più taciturno e scostante, ma non se l’era sentita di chiedergli niente, proprio perché immaginava che la situazione tra lui e Rachel non fosse delle migliori. Inoltre, non voleva fargli capire di essere già a conoscenza di tutto. Solo quella mattina, su insistenza di Cedric, si era deciso a raccontare qualcosa. “Avete litigato?” tentò cauta, anche se in fondo si trattava di una domanda retorica.

Mark non rispose subito, distratto dai suoi pensieri; poi prese un respiro e si alzò. “Scusate, non mi va di continuare a parlarne.” Detto questo, uscì dalla tenda senza guardare nessuno. 

“Non l’ho mai visto in questo stato.” osservò Cedric scosso. 

Juliet gli rivolse un’occhiata preoccupata, chiedendosi cosa fosse successo. Non che faticasse a immaginarlo. Conoscendo Rachel e sapendo come la pensava riguardo la gravidanza, temeva ci fosse andata giù troppo pesante. A volte, quando si sentiva sotto pressione, era capace di farsi uscire di bocca cose di cui si pentiva l’attimo successivo.

“Sarà meglio che vada a parlargli. Magari riesco a farmi dire di più.” 

Quando anche Cedric ebbe lasciato la tenda, un silenzio carico di incertezza scese sulle ragazze. Per occupare il tempo, Juliet allora si mise a preparare una tisana, sperando l’aiutasse a rilassarsi. Aveva appena messo un pentolino pieno d’acqua sul fuoco quando sentì Claire dietro di sé.

“Tu lo sapevi?” 

Più che una domanda suonava come un’accusa e Juliet se ne accorse, ma fece finta di niente. “Da un po’, in effetti.” ammise. “Da quando l’ho seguita fuori dalla tenda, dopo che avevate litigato. Dovevi vederla, era così sconvolta e…”

“Perché non me l’avete detto? Sono passati giorni.” le fece notare in tono risentito, interrompendola nel bel mezzo del discorso. “Non è giusto che debba venirlo a sapere così, di punto in bianco.”

Sebbene non potesse darle torto e si sentisse un po’ in colpa per non averla resa partecipe, a Juliet tutta quell’ostilità suonava strana. Claire non era mai stata tipo da fossilizzarsi su certe cose. “Hai ragione, scusa. Non volevamo nascondertelo, ma cerca di capire. Da quando ha incontrato Margaret, Ray non è più la stessa. È già stata dura convincerla a confidarsi con me, poi è partita e non c’è stata più occasione di parlarne.” replicò paziente, mentre versava l’acqua calda in due tazze che aveva riempito in precedenza con le erbe per la tisana. 

“Resta il fatto che era una cosa importante e non avete pensato di includermi. Capisco lei, ma almeno tu potevi dirmelo.”

Juliet preferì evitare di mostrarsi infastidita dalla sua insistenza, anche se lo era, e si sforzò di mantenere un’aria serena quando si voltò per porgerle la tazza. “Non sapevo come avrebbe reagito. All’inizio non voleva dirlo a nessuno, figurati se mi fossi messa a spifferarlo ai quattro venti…” Le parole le uscirono in maniera naturale, senza pensarci troppo, tanto che la reazione di Claire giunse del tutto inaspettata. 

“E io sarei i quattro venti?” urlò, colpendo la sua mano talmente forte che la tazza andò a frantumarsi contro il legno del tavolo. Le schegge schizzarono in tutte le direzioni e una colpì Juliet di traverso, ferendola a una guancia. 

Sconvolta, si portò una mano al viso, gli occhi inchiodati su Claire che avanzava minacciosa verso di lei. Il suo corpo era scosso da fremiti di rabbia, non sembrava neanche la stessa persona.  

“La verità è che non vi fidate più di me! Pensate che sia diversa da prima, pensate che sia un mostro!” 

Nell’istante in cui Juliet ritrasse la mano, però, lo sguardo di entrambe si focalizzò sulle sue dita sporche di sangue e Claire si ammutolì, restando impietrita a fissarla. 

In quel brevissimo lasso di tempo Juliet capì di essere in pericolo, ma non sapeva come scongiurarlo. Forse reagire avrebbe significato peggiorare le cose e poi la paura era troppa per riuscire a muovere anche un solo muscolo. 

“Juls…” mormorò Claire in un fil di voce. “Mi… mi dispiace. N-non volevo…” D’improvviso consapevole delle sue azioni, fece per avvicinarsi, ma una voce autoritaria dall’entrata della tenda le impedì di andare oltre.

“Allontanati da lei!” Attirato dalle grida di Claire e dal frastuono dei cocci rotti, Dean si era precipitato dentro, trovandosi di fronte alla scena. “Subito.” aggiunse, fulminandola con lo sguardo. 

Obbedendo a quello che suonava decisamente come un ordine, lei indietreggiò di qualche passo per lasciargli spazio. “È-è stato un incidente.” provò a giustificarsi. “Io… Credimi, non volevo…”

Dean però le diede le spalle, al momento più preoccupato dello stato di salute della sua ragazza che di qualsiasi altra cosa. Accortosi della ferita, le prese il viso tra le mani, osservandola con attenzione per sincerarsi che non fosse profonda. 

Aveva il panico negli occhi e Juliet temette che potesse prendersela con Claire. “Non è niente, sto bene.” cercò di tranquillizzarlo, afferrando un panno lì sul tavolo per tamponarsi il sangue. Con il battito cardiaco non ancora del tutto regolare, si sforzò di apparire padrona di sé, illudendosi di riuscire a fargli credere che la situazione non fosse poi così grave. Accettò anche di sedersi e lasciare che le portasse un bicchiere d’acqua pur di placarlo, e la cosa parve funzionare.

Poco dopo, infatti, Dean mise da parte gli allarmismi per concentrarsi finalmente su Claire. “Cos’è successo?” le chiese in tono inquisitorio. 

“Non lo so… Ho perso il controllo, ma non volevo farle del male. Juls, mi dispiace tanto!” 

La guardò con aria implorante, cercando disperatamente il suo perdono e Juliet provò quasi dolore fisico nel vederla ridotta in quel modo. Che fosse davvero dispiaciuta era evidente, eppure non riusciva proprio a ricambiare il suo sguardo. C’era stato un momento in cui non aveva più riconosciuto in lei la persona con cui aveva trascorso gran parte della sua vita. Mai avrebbe immaginato di ritrovarsi un giorno ad averne paura.

“Che ti è saltato in mente?” la attaccò Dean, non altrettanto compassionevole. “Non hai pensato a cosa poteva succedere? Se non fossi arrivato io…”

“Dean, ti prego. Ti ho detto che sto bene.”

“Ho sbagliato.” disse amareggiato, ignorando il suo tentativo di intervenire a favore dell’amica. “Non avrei dovuto lasciarti sola, non sei ancora pronta.”

Le sue parole furono come una lama nel petto di Claire, che a quel punto scoppiò in lacrime e corse via, nonostante i richiami di Juliet.  

“Claire!” Si alzò di scatto con l’intenzione di raggiungerla, ma Dean le si parò davanti per bloccarle il passaggio. 

“Non seguirla.”

“Perché le hai detto quelle cose? Non l'ha fatto apposta, è stato un incidente…”

“Un incidente che poteva costarti la vita.” puntualizzò lui, guardandola severo. “Devi renderti conto che la tua amica non è più la stessa persona di prima, soprattutto in questa fase. È ancora instabile e basta un niente per provocare in lei reazioni esagerate. In più siamo in periodo di plenilunio, il che la rende ancora più pericolosa. Lo capisci?”

Il fastidio di dovergli dare ragione si aggiunse a quello di sentirsi impotente di fronte a una situazione che non sapeva gestire. La realtà era che non era abituata alla nuova natura di Claire. “Motivo in più per andarle dietro. Non voglio che si senta in colpa.” ribatté ostinata.

Dean sospirò. “Tu sei ferita e sentire l’odore del tuo sangue rischierebbe di peggiorare le cose.” spiegò con fare paziente.

“Cosa proponi allora? Di rinchiuderla da qualche parte finché non sarà passato il plenilunio?” 

“Se fosse necessario, sì. E, credimi, al momento è quello che vorrebbe anche lei.”

Juliet rimase allibita nel sentirlo parlare in quel modo. “Non puoi dire sul serio.”

Di fronte al suo sconcerto, lo vide imporsi di avere maggior tatto. “Ascolta, capisco che le vuoi bene e che per te è difficile guardare le cose con distacco, ma devi fidarti di me. Mi occupavo dei neo-vampiri prima di lasciare la Congrega. È stato il mio compito per anni, perciò so quello che dico.” concluse lapidario. “Ora sarà meglio che vada a cercarla. Non si sa cosa potrebbe fare in quello stato.”

“Lasciami venire con te…” 

“No.” replicò all’istante, per poi realizzare subito di essere stato troppo brusco. “Resta qui. Per favore.” la pregò più addolcito.

A quel punto, Juliet evitò di insistere oltre. Sapeva che quando era così deciso non c’era verso di convincerlo, così si rassegnò, limitandosi a seguirlo con lo sguardo mentre usciva.

Appena fuori, Dean diede una rapida occhiata nei dintorni in cerca di Claire, vedendo però solo gente del villaggio. Si era già dileguata chissà dove, ma non si lasciò scoraggiare e rifletté sulle probabili opzioni. Se fosse stato in lei si sarebbe nascosto in un luogo isolato, lontano da possibili tentazioni, e l’unico che corrispondeva a tale descrizione era in prossimità della pozza d’acqua, dove spesso la portava per addestrarla. Così non perse tempo e si diresse subito lì. 

Quando arrivò, dapprima non vide nessuno e ne rimase sorpreso. Aveva dato per scontato di trovarla e non gli veniva in mente altro posto altrettanto adatto a sfogare la rabbia senza rischi. Con la testa che già lavorava in cerca di alternative, fece per andarsene, ma prestando maggiore attenzione il suo udito captò un leggero movimento di foglie di una pianta lì vicino, seguito da un piangere sommesso. Scostò le fronde e Claire era lì, rannicchiata con le ginocchia al petto, il capo chino per nascondere il viso bagnato dalle lacrime. 

“Claire…”

Nel sentire la sua voce lei ebbe un sussulto e appena lo vide balzò in piedi, ritraendosi allarmata. “Ti giuro che non volevo farle niente!” esclamò subito tra i singhiozzi. “Stavamo parlando e poi… non so cosa mi sia preso, ho colpito la tazza che è praticamente esplosa. Quando sei arrivato stavo solo cercando di aiutarla…”

“Lo so, calmati.” la interruppe in tono rassicurante. Era in forte stato di agitazione e doveva prima riuscire a placare quel fiume in piena se voleva evitare altri guai. “Non sono arrabbiato e soprattutto non sono venuto qui per metterti sotto processo. So quello che stai provando, che il senso di colpa ti uccide, ma devi calmarti. Juliet sta bene, è solo un graffio…”

“Non è questo il punto!" urlò per sovrastare le sue parole. Ho rotto io quella stupida tazza, si è ferita per colpa mia!”

Dean percepì la rabbia mista a disperazione montare in lei e d’istinto portò le mani avanti, pronto a difendersi da un eventuale attacco. In quelle pupille dilatate e il fiato corto riconosceva i sintomi di una reazione a cui aveva avuto modo di assistere tante volte in passato. “Respira, Claire. Ricorda l’addestramento. Respira…” Lo ripeté più volte, accorgendosi che stava facendo effetto quando la vide seguire le sue indicazioni e ritrovare pian piano l’equilibrio interiore. 

Più respirava più tornava padrona del suo corpo, finché anche i singhiozzi inconsulti cessarono del tutto e Dean seppe di poter abbassare la guardia. 

Ancora avvilita ma di nuovo in sé, Claire si asciugò scompostamente le lacrime dagli occhi. “Avevi ragione, è cambiato tutto.” riconobbe, abbassando lo sguardo pieno di vergogna. “E adesso Juliet mi odia. Tutti mi odieranno.”

“Nessuno ti odia. L’hai detto anche tu, ricordi? È stato solo un incidente. Pensaci, poteva andare molto peggio. Sei riuscita a mantenere il controllo di fronte al sangue nonostante siamo a ridosso del plenilunio. Sei stata brava.” Non erano solo lusinghe, ci credeva sul serio, ma serviva anche a far crescere la sua autostima, e infatti funzionò.

Claire sembrava rincuorata, seppure ancora diffidente nei suoi confronti. “Non lo pensi davvero, altrimenti non ti saresti arrabbiato.” mugugnò, tirando su col naso.

Avvicinatosi di qualche passo, Dean annuì. “Hai ragione, ti chiedo scusa. Non avrei dovuto reagire in quel modo, ma ho visto Juliet ferita e mi sono spaventato. E poi è plenilunio anche per me, sai?.” aggiunse con un sorriso.

Ormai il clima si era alleggerito e lei sorrise a sua volta, dimostrando di non temerlo più. D’un tratto, però, la sua espressione tornò malinconica. “Cosa succederà quando non riuscirò più a controllare la fame?” 

“Faremo in modo di non arrivarci.”

Con una vena di frustrazione nello sguardo, Claire sospirò. “Vorrei tanto avere la forza di ignorarla.”

“Non puoi.” le disse subito Dean. Magari fosse esistito un sistema, lui per primo avrebbe pagato oro. 

“A parte i primi tempi, non mi era mai capitato di sentirla così forte. Al castello mi nutrivano spesso per tenermi a freno, perciò non ho mai dovuto preoccuparmene più di tanto. Prima invece, quando ho visto il sangue…” esitò incerta. “O meglio, quando ho sentito il suo odore, è stato…” 

“Lo so.” la precedette, sapendo già cosa stava per dire. “Conosco molto bene la sensazione.” Era come un impulso irrefrenabile, qualcosa a cui non si poteva sfuggire. Per quanto ci si sforzasse di reprimerlo, prima o poi ti costringeva a cedere.

“Tu come ci riesci? Insomma, ti ho visto in quella tenda. Eri a due centimetri e non hai battuto ciglio.”

Per quanto dovesse aspettarsela, la domanda lo prese un po’ alla sprovvista. “Beh… Diciamo che ho un dono naturale, riesco a gestire il contatto con il sangue umano meglio di altri. Naturalmente è anche merito dell’età. All’inizio non è stato facile, ho dovuto fare molta pratica.” spiegò. Era sempre piuttosto restio a parlare di sé, soprattutto riguardo certe cose, ma in quel caso poteva essere utile quindi fece uno sforzo. “Senza contare che si trattava di Juliet. Non permetterei mai ai miei istinti di prevalere quando c’è lei di mezzo.” 

A Claire sfuggì di nuovo un sorriso e Dean vide nei suoi occhi accendersi una luce. “Certo.” concordò, mostrando di capire. “Immagino sia questo il segreto. Cercare di prevedere le conseguenze che le tue azioni potrebbero avere sulle persone che ami.” ragionò.

Soddisfatto, lui annuì. “È uno dei sistemi più efficaci, sì.”

“Lo terrò a mente.” Il sollievo si dipinse sul volto della ragazza quando giunse alla conclusione che non tutto era perduto. Fece un ultimo respiro profondo e tornò a guardarlo. “Bene professore, sono pronta per la prossima lezione. Prima però voglio tornare da Juls per chiederle scus…”

“No, Claire. Aspetta un attimo.” La fermò, impedendole di partire in quarta. Non era ancora il momento di compiere gesti troppo impulsivi. “Per ora è meglio che voi due non stiate a contatto. Almeno finché la sua ferita non smette di sanguinare.” sentenziò in tono pacato ma risoluto.

Lì per lì lei sembrò rimanerci male, ma ben presto si rese conto che aveva ragione. 

“E dobbiamo trovare una soluzione per il plenilunio. In qualche modo dovrai pur nutrirti.” Sebbene stesse attento a non darlo a vedere, la questione lo impensieriva non poco. Già da tempo, infatti, sospettava che, essendo Claire una neo-vampira, l’intruglio miracoloso che consentiva a un veterano di tenere a bada la fame sarebbe stato insufficiente nel suo caso. D’altronde, la mancanza di nutrimento l’avrebbe resa sempre più aggressiva e il rischio di altri incidenti andava assolutamente scongiurato.

“Come pensi di fare?” gli chiese preoccupata.

Era evidente che al momento affidarsi alla sua esperienza fosse l’unica scelta possibile e Dean si sentiva responsabile, considerando che era stato proprio lui a morderla. Non le rispose subito, prendendosi qualche istante per riflettere. In realtà, una mezza idea gli era già venuta, ma non era così semplice da mettere in atto. L’infermeria di Laurenne era il luogo ideale dove trovare quello che gli occorreva e fortuna voleva che disponesse anche di qualcuno all’interno. Ora si trattava solo di convincerlo ad aiutarli.

Fecero ritorno alla tenda soltanto dopo qualche ora, una volta sicuri non rappresentasse più un pericolo per Juliet, che trovarono in uno stato di ansia neanche troppo ben mascherata. Il suo primo istinto alla vista di Claire fu quello di correre ad abbracciarla, ma entrambe si resero subito conto che non era il caso, anche per via della presenza di Mark e Cedric, ignari dell’accaduto. Quando le avevano chiesto come si fosse ferita aveva risposto con una mezza verità, ossia che le era caduta una tazza mentre versava l’acqua per la tisana e uno dei cocci le era schizzato sul viso, graffiandola. Non le era passato per la testa nemmeno per un secondo di raccontare loro tutta la storia, temendo che, come Dean, la facessero più tragica di quanto non fosse. Si limitò allora a stringerle la mano di sfuggita mentre le passava accanto per sedersi al tavolo insieme ai ragazzi e quel piccolo gesto bastò a farle capire che era tutto apposto. 

“Vieni, devo chiederti un favore.” le sussurrò Dean all’orecchio, evitando di farsi sentire dagli altri. 

Si misero in disparte, nell’angolo defilato dove di solito Juliet cucinava e lì rimase ad ascoltarlo un po’ incuriosita. 

“Che tu sappia, Laurenne ha delle riserve di sangue da qualche parte? Immagino che con tutti i feriti che arrivano ne conservi qualcuna.” 

Lei non riuscì a nascondere un certo disorientamento. “Sì, dovrebbe essercene qualche sacca in infermeria.” rispose comunque, premurandosi a sua volta di parlare sottovoce. “Perché?”

“Claire ha bisogno di nutrirsi. Tra poco sarà plenilunio e vorrei evitare altri incidenti spiacevoli. Mi puoi aiutare?” 

La perplessità si fece strada sul volto di Juliet. Si trattava di una richiesta non facile da soddisfare.

“Ovviamente io non posso entrare, ma ho pensato che tu, frequentando spesso quel posto, potresti procurartene un paio.” continuò Dean, accortosi subito dei suoi dubbi. “Non gliene servirà molto. Le basterà assumerne poco alla volta.”

“Dean, non lo so…” Ebbe un attimo di esitazione, mentre rifletteva sul da farsi. “Insomma, non c’è niente che non farei per Claire, ma quel sangue serve per i feriti… E poi Laurenne è via, sarebbe il caso di aspettare che torni per chiederglielo.” 

“Purtroppo non c’è tempo. Con il plenilunio alle porte non è escluso che Claire possa avere altre crisi. Ha bisogno di nutrirsi prima possibile. Oggi è finita bene, ma non sappiamo come andrà la prossima volta… Anzi, a essere sinceri preferirei evitare che ci sia una prossima volta.” si corresse lui, come sempre badando più alla concretezza che alla forma. Era abbastanza certo che Laurenne avrebbe compreso l’urgenza della situazione.

Alla fine risultò convincente, perché Juliet annuì, sospirando rassegnata. “Va bene. Più tardi ci proverò.” Sapeva già che non sarebbe stato semplice avvicinarsi all’unico frigorifero esistente nell’accampamento senza che qualcuno degli aiutanti della sciamana la notasse e ancor più riuscire nell’impresa di andarsene portando con sé le sacche di sangue, ma avrebbe fatto lo stesso un tentativo. Magari verso sera, quando l’infermeria era meno frequentata. 

Dean le rivolse un sorriso riconoscente. “Grazie.”

Mentre ricambiava, lei pensò che in fondo i suoi scrupoli potevano anche attendere. Il benessere di Claire contava più di ogni altra cosa. “Come sta?” gli chiese poco dopo. Per tutto il tempo in cui era rimasta sola non aveva fatto altro che pensare all’espressione piena di rimorso dell’amica, tormentandosi per non essere stata in grado di rassicurarla, paralizzata com’era dalla paura. 

“Meglio.” rispose Dean. “Alla fine si è calmata, anche se si sente ancora in colpa. Devo ammettere di essere rimasto sorpreso dalla sua capacità di autocontrollo, ma del resto tiene troppo a voi per pensare di farvi del male e questo è un vantaggio. Lo dimostra il fatto che abbia preferito scappare piuttosto che aggredirti.”

A Juliet sfuggì un sorriso triste. Nonostante potesse a stento immaginare cosa stesse passando Claire in quel momento, avrebbe tanto voluto poter fare qualcosa per farla stare meglio. Si sentiva così impotente. Il lato positivo era che Dean fosse lì, che almeno uno di loro sapesse cosa fare. A quel punto le venne naturale alzare di nuovo lo sguardo su di lui. Non si erano parlati molto dalla notte dell’arrivo di Claire e a dirla tutta si era già stancata di tenergli il muso. “Dean…” mormorò d’un tratto, esitando in cerca delle parole. “Grazie per quello che stai facendo. Intendo aiutare Claire. Non eri obbligato.”

Per un istante lo vide interdetto, prima di sorriderle ancora. “Figurati, non mi pesa. Te l’ho detto, ho una certa esperienza con i novellini. E poi è anche nel mio interesse che impari a controllarsi.” Di fronte alla sua aria interrogativa provvide a spiegarsi meglio. “Non posso rischiare che si ripeta la scena di stamattina e del resto non sarà possibile evitare per sempre che voi due rimaniate sole. Perciò le sto insegnando a stare in mezzo agli esseri umani senza che questo le provochi sofferenza e sia un pericolo per gli altri.” concluse.

Soddisfatta della risposta, Juliet continuò in silenzio a guardarlo e, quando con il dorso della mano salì a sfiorarle la guancia nel punto in cui si era ferita, non si mosse. 

“Ti fa male?” chiese premuroso.

Lei scosse la testa. Sopra vi aveva applicato una garza per tamponare il sangue e per nascondere il taglio in previsione del ritorno di Claire, ma il dolore era sparito da un pezzo. “È solo un graffio. Guarirà presto.” 

Non aveva neanche finito di dirlo, che Dean si avvicinò ancora, finché i loro volti non si sfiorarono e Juliet lo sentì posare le labbra sulla garza nel modo più delicato possibile. 

“Sei sicura?” le sussurrò all’orecchio, provocandole un brivido lungo la schiena. 

Era talmente tesa che a stento riuscì a emettere un fiato. “In effetti…” deglutì. “Ora che ci penso brucia ancora un po’.”

Quando ridacchiò divertito, il suo respiro sul collo le procurò l’ennesimo brivido e un sussulto di eccitazione le sfuggì senza volerlo nell’istante in cui la attirò a sé per baciarla. Un bacio all’inizio appena accennato, ma che cresceva d’intensità man mano che Dean prendeva consapevolezza della sua intenzione di assecondarlo. Come se le fosse mai venuto in mente il contrario. Le era mancato fin troppo in quella manciata di ore trascorsa dalla loro ultima discussione e ogni volta provava sempre più impazienza di fare pace. 

Dopo un lasso di tempo che per lei era sempre troppo breve, si separarono. 

“Spero non resti la cicatrice.” confessò, temendo che stesse pensando a quello mentre la guardava. 

Lui, invece, rise della sua ingenuità. “Non rimarrà. E se anche dovesse, non cambierebbe nulla. Saresti comunque bellissima.”

Il cuore le si sciolse come se fosse stato fatto di cera e in quel preciso momento sentì di non essere mai stata più innamorata di lui. Avrebbe voluto esternarlo, ma Dean glielo impedì con un altro bacio e il proposito si cancellò di colpo dalla sua mente. 

Stava per perdere definitivamente ogni volontà, quando di punto in bianco qualcuno da fuori annunciò la propria presenza e riconobbero la voce di Qiang. Il guerriero domandò se Dean fosse lì con loro e lui, ritrovando in breve tempo il contegno che Juliet aveva già dato per perso, diede la sua conferma.

“Non vorrei disturbare, ma Najat ha chiesto di te.” lo informò il guerriero, parlando a voce alta per sovrastare il chiacchiericcio e il trafficare dell’ambiente esterno. “Ha messo a punto un piano di attacco per la prossima incursione e vorrebbe sentire il tuo parere.” 

L’espressione che Juliet gli riservò era tutta un programma e la cosa non sfuggì a Dean, che però provvide innanzitutto a liquidare il seccatore. “D’accordo. Puoi dirle che la raggiungerò più tardi?” tentò, sperando che bastasse.

“Veramente mi ha chiesto di accompagnarti subito da lei.” 

A quel punto, Dean sospirò rassegnato. “Va bene, dammi solo un minuto.” acconsentì.

“Okay, ti aspetto qui fuori.”

Quando i loro sguardi si incontrarono di nuovo, il disappunto sul volto di Juliet era lampante. 

“Mi dispiace.” si scusò allora, intuendone il motivo.

“Non fa niente, tranquillo.” mentì lei, affrettandosi a cambiare espressione. D’altronde, nonostante faticasse a mandare giù che Najat le avesse rotto le uova nel paniere, non poteva farci niente. Certo, il sospetto che lo facesse di proposito le aveva attraversato la mente, ma si era trattato di un attimo. Ovviamente era un’assurdità.

“Porto Claire con me. Non mi fido a lasciarla qui finché è a stomaco vuoto.”

Juliet annuì appena, rispondendo poi al suo bacio con scarsa convinzione e Dean ci fece caso, perché si soffermò qualche istante sulle sue labbra, come se si aspettasse qualcosa in più, prima di sussurrarle: “A più tardi.”

Senza aggiungere altro, se ne andò e Juliet lo sentì chiamare Claire per avvertirla che sarebbero usciti. Pervasa da uno strano senso di dejà-vu, si chiese come fosse possibile passare dalla felicità alla delusione nel giro di così poco tempo.

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Capitolo 30
*** Cocci rotti (parte 2) ***


Capitolo 21

 

Cocci rotti (parte 2)

 


Era pomeriggio inoltrato quando Rachel si ripresentò nella tenda, provata dal viaggio e con un’espressione decisamente funerea sul volto. Dentro trovò solo Juliet, che la accolse con calore. 

“Ti aspettavamo ieri.” le disse, mentre la coinvolgeva in un abbraccio. 

Rachel ricambiò in maniera distratta, per poi accasciarsi su un cuscino lì in terra dopo essersi sfilata la borsa. “C’è voluto più del previsto. La pianta che mi serviva cresce solo in determinate zone del Nilo ed è anche piuttosto rara.” 

“E siete riuscite a trovarla?”

“Solo qualche foglia. Speriamo che basti.” Stava ancora parlando quando fece caso al cerotto sulla guancia dell’amica. “Che hai fatto alla faccia?” domandò quindi, aguzzando la vista dietro le lenti degli occhiali. 

Ebbe l’impressione di averla colta alla sprovvista, perché Juliet esitò. “Niente, un incidente in cucina.” si limitò a dire, con un mezzo sorriso sulle labbra. 

“Fammi vedere.” Mentre Juliet si toglieva la garza, si alzò per guardare meglio la ferita. In realtà, era poco più che un graffio e si stava già formando la crosta. Sicura di sé, Rachel allora sollevò la mano destra avvicinandola alla guancia dell’amica, che istintivamente si scansò. “Tranquilla.” mormorò in tono rassicurante. Ormai sentiva il potere fluire dall’interno verso la punta delle dita come qualcosa di naturale, che le era sempre appartenuta, e in pochi attimi il taglio si assorbì del tutto. Sembrava non essere mai esistito.

Ultimata la sua opera, ritrasse la mano e soddisfatta osservò Juliet toccarsi il viso, di nuovo liscio e privo di imperfezioni, prima di rivolgerle un’occhiata esterrefatta. 

“L’ho imparato da poco.” disse, rispondendo ai suoi muti interrogativi con un’alzata di spalle. “Sarebbe stato un peccato se la cicatrice avesse rovinato il tuo bel viso.” Le sorrise benevola, mentre dava una rapida occhiata in giro. “Gli altri?” chiese con finta noncuranza, nel tentativo di mascherare l’apprensione. Avrebbe preferito trascorrere un altro mese sul Nilo con Laurenne pur di non dover affrontare Mark.

“I ragazzi sono ad allenarsi, mentre Dean è da Najat in riunione e si è portato dietro Claire.” 

Rachel alzò un sopracciglio, perplessa. “In riunione?”

“Sì, Najat voleva il suo parere su un piano di battaglia che stanno organizzando. Non so… Non ho capito bene.” tagliò corto sbrigativa. 

Si vedeva lontano un chilometro che non le faceva piacere, ma Rachel evitò di mettere bocca. L’ultima cosa di cui aveva bisogno adesso era pensare ai problemi sentimentali degli altri. “Bene, io me ne vado a dormire. Sono distrutta.” annunciò a quel punto, afferrando la borsa e facendo per ritirarsi, ma Juliet le ricordò che c’era ancora qualcosa di cui parlare.

“Aspetta. Non mi racconti niente?” 

“A che proposito?” ribatté, temendo già la risposta.

Lei infatti sospirò impaziente. “Hai chiesto a Laurenne di visitarti? Sei o non sei…” Non concluse la frase, convinta che l’amica avrebbe comunque afferrato.

Sebbene fosse così, Rachel si mostrò reticente nel dirle la verità. Ogni volta il solo ripensarci rappresentava un supplizio. Per fortuna bastò il suo silenzio come risposta, insieme allo sguardo di muta disperazione che Juliet lesse sul suo volto subito dopo. 

“E adesso? Cosa pensi di fare?” 

Rachel scosse la testa, i lucciconi agli occhi. “Non lo so…” 

In preda al pianto, si rifugiò tra le braccia dell’amica, che la strinse a sé, provando a sua volta la sensazione di avere il cuore serrato in una morsa. Era come se il destino avesse deciso di accanirsi contro di loro, mettendoli continuamente di fronte a prove estreme. Non se la sentì di dirle niente, tanto meno di colpevolizzarla per essere stata imprudente. Sarebbe potuto capitare a tutti, anche a lei. Così la accompagnò al suo giaciglio, aiutandola a sdraiarsi e lasciando che si sfogasse per un po’, finché non riuscì a prendere sonno.

Un paio d’ore più tardi, quando le voci concitate di Mark e Cedric annunciarono il loro ritorno, era già in piedi. 

“Dai, adesso ti sogni le cose.” stava dicendo Cedric a Mark, un attimo prima di comparire sulla soglia. “Come fa a essere colpa mia, quando è palese che hai fatto tutto da solo? Ti ricordo che ho ancora un braccio malandato.”

“Certo, come no. E magari mi sono sognato anche la tua gamba tesa in avanti per farmi inciampare. Quella mi sembra apposto.” replicò lui inacidito, lanciandogli un’occhiataccia di rimprovero. Il fatto che fosse coperto di terra dalla testa ai piedi avvalorava le sue accuse. 

Cedric alzò le spalle, lasciando intendere di considerarlo un dettaglio. “Quanto la fai lunga. Si sa, in guerra e in amore tutto è lecito.” Probabilmente Mark stava per dire qualcos’altro, ma a quel punto l’attenzione dell’amico era già rivolta altrove. “Ciao, splendore.” Si scambiò sorridente un rapido bacio con Claire, tornata poco prima di loro insieme a Dean, che però non sembrava molto presente.

Perfino quando Juliet lo informò di essere riuscita a recuperare un paio di sacche di sangue dall’infermeria annuì distrattamente, riservandole un misero grazie, come se stesse pensando a tutt’altro, e dovette riconoscere di esserci rimasta un po’ male. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per spiegare a Naeem, l’unico tra gli apprendisti di Laurenne a masticare la sua lingua, a cosa le serviva quel sangue. Gli aveva addirittura mentito inventandosi che ad averne bisogno fosse proprio Dean, visto che nell’accampamento nessuno, a parte loro e la cerchia di Najat, sapeva che Claire era un vampiro. Ad ogni modo decise di lasciar correre, pur continuando a domandarsi cosa si fossero detti in quella riunione da impensierirlo tanto. Non si era neanche accorto che il taglio sul suo viso era scomparso.

Di lì a poco, Rachel uscì dal bagno dopo essersi lavata via la sporcizia del viaggio e inevitabilmente il suo sguardo incrociò quello di Mark. Ci fu un attimo di perplessità, in cui nessuno dei due seppe come comportarsi.

“Ciao…” mormorò lui infine, cercando di non mostrarsi troppo sorpreso dall’essersela vista comparire davanti all’improvviso.

“Ciao.” La risposta le uscì in maniera meccanica e si sentì alquanto stupida per non aver saputo trovare di meglio, ma in fondo non c’era altro da dire. Non con gli altri presenti almeno. Per fortuna, ci pensò Juliet a salvarla in extremis chiedendole di aiutarla a preparare la cena, anche se sapeva benissimo che il momento della verità era solo rimandato. 

Per tutto il tempo del pasto non si scambiarono che poche parole. Giusto qualche commento sulle gesta dei ragazzi durante gli allenamenti e altre sciocchezze del genere. Juliet riuscì a strapparle un breve resoconto della sua avventura con Laurenne, ma niente di particolarmente esaltante. Per non sentirsi esclusa, Claire si versò mezza sacca di sangue in un bicchiere e, per non metterla a disagio, loro si premurarono di fingere che i suoi occhi rossi e i canini sporgenti non li impressionassero. 

“C’è una domanda che mi frulla in testa da un po’…” esordì Cedric, mentre la guardava bere. “Che sapore ha?” chiese poi, dopo un istante di incertezza.

Dall’espressione che fece, Claire sembrò trovare la domanda insolita e i suoi occhi si soffermarono sul contenuto del bicchiere, prima di offrirglielo con aria ammiccante. “Vuoi provare?”

“No, grazie. Sto bene così.” Lui si scansò, piegando la bocca in un mezzo sorriso di circostanza. “Però la curiosità resta… Cosa senti quando lo bevi?”

Claire ci pensò su un attimo prima di rispondere. “È strano da definire. Non ha un sapore vero e proprio. Se però dovessi associarlo a un cibo, direi che per me sa di…” esitò, riflettendoci ancora. “Cheesecake alle fragole.” stabilì infine. 

La sentenza suscitò in loro non poco stupore.

“Bene, la prossima volta che vedrò una cheesecake alle fragole mi farà tutto un altro effetto.” scherzò Cedric, riprendendosi per primo.

“E questo vale solo per te o tutti i vampiri sentono la stessa cosa?” le chiese Mark interessato. L’argomento aveva stuzzicato la sua curiosità scientifica. 

“Beh, Dean mi ha spiegato che per ognuno ha un sapore diverso. Però dipende anche dall’età della persona da cui proviene. Più è in là con gli anni più il sapore peggiora.”

Cedric allora lanciò un’occhiata maliziosa a Dean, rimasto seduto in disparte per tutta la sera. “E per Mister Perfettino che sapore ha?” 

A quel punto, sentendosi chiamato in causa, riemerse dai suoi pensieri. “Come?” domandò spaesato, guardandoli per la prima volta.

Lui alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa rassegnato. “Lascia perdere.”

Per Juliet ormai non era difficile intuire quando Dean era turbato. Le bastava vederlo chiudersi in se stesso, diventare tutto a un tratto taciturno e scostante, per metterla sull’avviso. “Ma cos’hai? Da quando sei tornato non hai detto una parola. È successo qualcosa alla riunione?” 

Non ricevette risposta, ma lo vide scambiarsi con Claire un’occhiata d’intesa, come se entrambi già sapessero di cosa si trattava. E infatti poco dopo Dean si decise. “Devi dirglielo.” la esortò, estremamente serio in volto.

L’attenzione generale si spostò allora su di lei, che tuttavia sfuggì ai loro sguardi abbassando gli occhi sul bicchiere che aveva appena posato sul tavolo.

Cedric continuava a scrutarla confuso e anche un po’ allarmato. “Dirci cosa?”

Fino all’ultimo Claire sembrò restia a parlare e si decise soltanto perché ormai non poteva più evitarlo. Così, preso un respiro profondo, raccolse i pensieri e iniziò. “Oggi abbiamo saputo da Najat che qualche giorno fa i suoi uomini hanno catturato un vampiro durante una spedizione in Siria. Dopo averlo interrogato, hanno scoperto delle cose…” tentennò di nuovo, cercando sostegno in Dean, che però si limitò a fissarla in attesa che continuasse.

“Che genere di cose?” la spronò Mark al posto suo, ansioso di sapere. 

“Quando Nickolaij prende possesso di una città o di un villaggio, lascia sempre che un gruppo di vampiri si occupi degli abitanti, trasformando questi posti in…” Aveva chiaramente la parola sulla punta della lingua, ma si intuiva che avrebbe fatto volentieri a meno di pronunciarla. “Beh, loro li chiamano fattorie.” 

Il solo udire quel nome fu sufficiente a suscitare negli altri la stessa inquietante sensazione provata da Dean quando Claire gli aveva raccontato quella storia durante il tragitto di ritorno. Era sempre stato a conoscenza dei metodi in uso da Nickolaij quando si stabiliva in una città, motivo per cui aveva deciso di non riportarli a Greenwood, ma mai avrebbe immaginato potesse spingersi a tanto. In quel momento, aveva davvero provato vergogna. Per la prima volta in novantacinque anni di vita alla Congrega aveva rimpianto di non essersi mai interessato alla sorte delle persone che finivano sotto il giogo dei suoi simili. Semplicemente non gli importava. Il sangue arrivava puntuale a ogni plenilunio e tanto gli era sempre bastato sapere.

“Nelle fattorie la gente vive praticamente sotto schiavitù. Gli uomini vengono divisi dalle donne e dai bambini in base alla qualità del loro sangue e ogni mese, in periodo di plenilunio, vengono costretti a donarne un po’ affinché i vampiri possano nutrirsi.” proseguì la ragazza. “Li tengono separati sotto minaccia di far del male ai loro cari in modo che non si ribellino. Chi si rifiuta o prova a scappare non fa una bella fine.” Detto ciò fece una pausa, per dar loro modo di assimilare la triste verità. Sebbene non avesse ancora menzionato Greenwood, infatti, nessuno si illudeva che il discorso delle fattorie fosse casuale, anche se mancava il coraggio di ammetterlo ad alta voce.

“Arriva al sodo, Claire.” 

Quando Dean la richiamò all’ordine, lei si riscosse, guardandolo con la coda dell’occhio prima di continuare. “Ecco… A Greenwood succede la stessa cosa.” rivelò infine, mettendo da parte le ultime reticenze.

“E tu come fai a saperlo?” chiese Rachel a Claire in un soffio. Per via dello shock riusciva a malapena a parlare. 

“Perché ci sono stata.” rispose lei, tenendo gli occhi bassi. “Dopo esserci entrata in confidenza, ho convinto Nickolaij a lasciarmi partire. Ricordavo che Dean disse di averci mandato nel deserto di proposito perché nel Montana saremmo state in pericolo, perciò volevo vederlo con i miei occhi. Volevo capire che fine avesse fatto la mia famiglia, così ho ingoiato l’orgoglio e chiesto il suo permesso. Alla fine ce l’ho fatta. Ho visto quello che succede laggiù.” A giudicare dalla sua espressione, le immagini di quei momenti sembravano scorrerle ancora vivide nella mente.

“Hai visto i nostri genitori?” le domandò Juliet, la cui ansia andava di pari passo con l’incupirsi del volto di Claire.

Senza guardarla, lei annuì appena e questo non fece altro che darle la conferma dei suoi timori. “Erano…” Non ebbe la forza di finire la frase, ma il resto era intuibile.

“Ho visto tua madre e tuo fratello. Stavano bene. Degli altri non so niente, ma credo che siano  vivi anche loro.” si affrettò a chiarire l’amica. “Ammesso che quella si possa definire vita.”

“Mio Dio.” Ormai al limite, Mark si alzò in piedi, la mano tra i capelli. “Perché hai aspettato tanto a dircelo?”

“Io volevo farlo, ma era un argomento delicato e non ho mai trovato il momento giusto.” si difese. 

Le sue parole rimasero sospese ad aleggiare nell’aria per un po’, nel silenzio di ghiaccio che avevano creato, finché Cedric non spostò il suo sguardo frastornato su Dean. “Non avevi detto che Nick lasciava tutto com’era, senza creare scompiglio? Non mi sembra, visto che i nostri familiari vengono trattati come bestie d’allevamento.” Più che un’accusa la sua sembrava una constatazione. 

Lui se lo aspettava e infatti non si scompose. “Vi avevo parlato dei metodi di Nickolaij. Sapevo che avrebbe lasciato un distaccamento a Greenwood, ma riguardo alle fattorie sono sorpreso quanto voi. Non immaginavo che avesse organizzato un sistema del genere per prendere il sangue degli umani.”

“Najat lo sa almeno?” chiese Rachel in ansia.

Claire, però, scosse la testa. “No, era pieno di gente ed è già tanto che nessuno abbia fatto domande sul perché fossi lì. L’ho detto a Dean dopo la riunione.”

“Diciamoglielo adesso, allora!” proruppe Cedric d’impulso. “Potrebbe fare qualcosa, radunare un po’ di gente e andare a liberarli!”

“Non è così semplice.” obiettò Dean.

“Usano i portali per spostarsi, quanto potrà essere complicato?”

Lui scosse la testa, massaggiandosi le tempie. “Non è solo questo. Bisogna organizzarsi, creare una strategia. Non si può decidere da un giorno all’altro di attaccare un posto del genere senza un piano preciso.” 

“E allora cosa dovremmo fare secondo te, Signor Sotutto? Lasciarli al loro destino?” 

Rachel sentì Dean ribattere, probabilmente con un altro dei suoi inattaccabili argomenti, ma ormai non ce la faceva più a stare lì dentro. Le mancava l’aria e le chiacchiere le avevano riempito il cervello fino a farle superare la soglia di sopportazione, già piuttosto bassa di per sé. Così, senza dire nulla, abbandonò il tavolo e in pochi passi imboccò l’uscita, ritrovandosi sola nella tranquilla atmosfera della notte. 

Per un primo tratto le gambe si mossero da sole e non si curò della destinazione. Voleva solo allontanarsi da quella tenda; poi, però, il peso di tutto quello che le stava capitando divenne insostenibile e avvertì il bisogno di sedersi. Trovata una roccia a pochi metri, vi si abbandonò, tuffando il viso nelle mani. Come aveva potuto dimenticare suo padre? Le conseguenze dell’essere una strega l’avevano assorbita a tal punto da rimuoverlo dalla lista delle sue preoccupazioni e adesso scopriva che era addirittura sfruttato come distributore di sangue per vampiri. Non c’era davvero limite a ciò che le si chiedeva di sopportare. Avrebbe voluto piangere, ma era troppo nervosa per versare anche una sola lacrima. 

Non trascorse molto tempo che dei passi in avvicinamento le annunciarono l’arrivo di qualcuno alle sue spalle.

“Vorrei restare un minuto da sola, mi è concesso?” domandò irritata, sollevando appena la testa. Non sapeva chi fosse e non le importava nemmeno, finché non sentì la voce di Mark risponderle altrettanto seccato.

“Certo, figurati. Volevo solo essere sicuro che stessi bene, me ne vado subito.”

“No, aspetta.” corse ai ripari, voltandosi di scatto a guardarlo. Il suo volto era scuro, quasi austero, quando i loro occhi si incontrarono. “Scusa, non volevo. È solo che… è stata davvero una pessima giornata.”

Mark allora sembrò rilassarsi, si mise le mani in tasca e annuì con un sospiro. “Già.” concordò, mentre la raggiungeva per sedersi accanto a lei sul masso. “Questa storia delle fattorie è allucinante. Vorrei poter fare qualcosa, andare a salvarli, e invece sono bloccato qui. Mi sento così inutile.”

Quell’affermazione ebbe l’effetto di farla sorridere, ma non in senso positivo. Era un sorriso a mezza bocca, dal sapore amaro. Se lui si sentiva inutile, figurarsi una su cui in teoria pesava la responsabilità di dover risolvere la situazione, ma che in pratica non non sapeva neanche da dove iniziare.

Mentre ci pensava abbassò lo sguardo, assumendo un’aria malinconica che Mark associò alla sua stessa angoscia e per cercare di tirarle su il morale le circondò le spalle con il braccio, attirandola dolcemente a sé.

Fino a poco tempo prima la vicinanza tra i loro corpi avrebbe avuto il potere di cancellare ogni inquietudine, invece ora non faceva che alimentarle. Già da settimane Rachel sentiva che il loro rapporto era appeso a un filo e, considerando ciò che aveva da dirgli, le cose non avrebbero potuto che peggiorare. Come se non bastasse, si era aggiunta la notizia dei loro genitori a renderle il compito ancora più difficile. Ad essere sinceri, l’idea di non informarlo le era anche passata per la testa, ma sarebbe stata una bugia troppo grossa e Mark non lo meritava. Doveva farlo e alla svelta. Quanto al modo, ci aveva rimuginato lungo tutto il viaggio di ritorno, senza trovare altra opzione se non quella più diretta. “Sono incinta.” confessò sulla scia dei suoi pensieri, ma impiegando circa due secondi a realizzare di aver esordito un po’ dal nulla. “Mi sono fatta visitare da Laurenne e a quanto pare non mi sbagliavo.” aggiunse quindi, nel tentativo di dare un minimo di contesto al discorso.

Contrariamente alle aspettative, la risposta di Mark arrivò rapida quanto incomprensibile. 

“Bene…” disse.

Questo bastò ad allontanare da lei qualunque proposito di sostenere una normale conversazione. “Bene?” ripeté incredula, sentendo la rabbia montare. “Come sarebbe a dire bene?”

“Non lo so. Bene per dire che almeno ora lo sappiamo con certezza. Bene nel senso di… bene!”

L’agitazione prese possesso di lui nel giro di un attimo e andò nel pallone. Non sapeva più neanche cosa stava dicendo, talmente la notizia lo aveva sconvolto. 

“No, invece!” esclamò Rachel. “Non è affatto un bene, è un completo disastro!” Affranta, nascose di nuovo il viso tra le mani, vergognandosi perfino di guardarlo.

“La stai facendo più tragica di quanto non sia. Ray, aspetti un bambino…”

“Lo so! E di certo continuare a ripeterlo non mi farà sentire meglio!” sbottò, interrompendolo. Perché reagiva in quel modo? Avrebbe preferito di gran lunga che si infuriasse per non essere stati capaci di evitarlo. Invece eccolo lì, calmo e posato. Anzi, era sicura che ne fosse perfino contento.

Quando lo sentì prenderle la mano, spingendola a guardarlo negli occhi, un calore piacevole la pervase dalla punta delle dita e lì per lì non trovò la forza di respingerlo. 

“Ascoltami. Non sto dicendo che sarà facile, ma vedrai che insieme…”

A quel punto, però, si rifiutò di ascoltare un’altra parola. “Non dire che insieme ce la faremo! Non ti azzardare!” Fuori di sé, si alzò in piedi, allontanandosi da lui. “C’eri anche tu nella tenda, hai sentito quello che ha detto Claire! Le nostre famiglie sono prigioniere di quegli psicopatici e io non so nemmeno se riuscirò mai a completare quella dannata pozione! Dovrei pensare a occuparmi di un bambino in queste condizioni? È troppo da sopportare, con o senza il tuo aiuto! Possibile che non te ne rendi conto?” Ormai era un fiume in piena, le guance rigate dalle lacrime e il respiro ansante. Intorno a loro, le fiammelle delle torce piantate nel terreno iniziarono pericolosamente a tremolare.

“Calmati, adesso.” tentò lui, notando la cosa. “Sei spaventata, è normale. Anch’io lo sono, ma se solo provassimo a…”

“No, ho già deciso.” lo interruppe lapidaria e in quello stesso istante il tremore delle fiamme cessò. “Chiederò a Laurenne di aiutarmi a risolvere il problema, mi ha già assicurato il suo appoggio. Tanto sono ancora in tempo.” 

Dopo lo spaesamento iniziale, la delusione comparve sul volto di Mark, che divenne di granito. “Capisco. Quindi sei decisa a portare avanti il tuo piano. Io non ho voce in capitolo.” 

“In casi come questo no, non ce l’hai.” confermò lei senza mezzi termini. “Non avrò questo bambino, Mark. È una responsabilità troppo grande per entrambi e poi è del mio corpo che stiamo parlando. Solo io posso stabilire come gestirlo.” La femminista convinta che era in lei tornò a guidare i suoi pensieri e fu ben lieta di ascoltarla. 

Decisamente spiazzato, lui la scrutò per un paio di secondi; poi annuì, distogliendo lo sguardo. “D’accordo. Buono a sapersi.” concluse, sistemandosi gli occhiali sul naso.

Rachel però non capì. “Che vuoi dire?”

“Beh, visto che ti sei già organizzata e che la mia opinione è del tutto irrilevante, non posso fare a meno di chiedermi se anche il nostro rapporto conti ancora qualcosa per te.”

E adesso che c’entrava questo? “Mark…” fece per replicare.

Tuttavia, lui la ignorò. “Da settimane non facciamo che litigare e quando non succede ci scambiamo a malapena due parole. E ora questo…” Con aria stanca si tolse definitivamente gli occhiali, prendendo a massaggiarsi le tempie. “Sai che non sono il tipo che ti forzerebbe a continuare una relazione. Ho solo bisogno di chiarezza, Ray. Credo di averne diritto. Perciò, se pensi davvero che la magia o la tua missione siano più importanti di noi e anche di un figlio, allora abbi il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi che non provi più niente per me. Se è così, ti lascerò in pace e cercherò di farmene una ragione, ma ho bisogno di sentirtelo dire.” 

Il suo era un discorso estremamente maturo e Rachel ne rimase colpita. Sarebbe stato disposto a rinunciare a lei se glielo avesse chiesto e per un attimo sentì le proprie convinzioni vacillare. Non era affatto sicura di poter compiere il passo successivo, ma poi il peso di ciò che la aspettava tornò a schiacciarla, riportandola con i piedi per terra. 

Tutta la tensione di quei giorni, per non parlare di quella che sarebbe venuta in futuro, li avrebbe allontanati comunque. Tanto valeva batterla sul tempo. Così fece un respiro profondo, sforzandosi di apparire risoluta. “È finita, Mark.” sentenziò. 

Benché si aspettasse una reazione diversa, l’espressione di Mark non cambiò di una virgola. Rimase di gesso e lei non riuscì a interpretare l’effetto delle sue parole. Temette addirittura che non le avesse creduto, ma le sue paure vennero smentite quando vide la mascella del ragazzo contrarsi in maniera quasi impercettibile. 

“Almeno ora lo so.” commentò infatti telegrafico. Dopodiché, restio anche solo a degnarla di uno sguardo, le diede le spalle e si allontanò.

Lentamente, Rachel tornò a sedersi sul masso, fissando il vuoto davanti a sé. Strinse le braccia al petto, ma non per proteggersi dal freddo. In quel momento nemmeno lo sentiva. Dentro di lei avvertiva un malessere mai provato prima, come un buco nero che lentamente s’ingrandiva, risucchiandole l’anima. D’un tratto sentì un macigno premerle sul petto e piegandosi su se stessa tentò di reprimere il dolore, che invece si liberò in un singhiozzo strozzato.

 

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Capitolo 31
*** La notte delle lanterne (parte 1) ***


Capitolo 22

 

La notte delle lanterne


Nella tenda di Laurenne adibita sia ad abitazione che a laboratorio si udiva solo il lento e sommesso gorgoglio dell’acqua, che Rachel aveva messo a bollire sul fuoco in una grossa pentola di rame. Sebbene l’apertura sulla sommità del braciere consentisse la fuoriuscita del fumo, tutto intorno era pervaso dai vapori, quindi faceva un discreto caldo e le ampolle riempite di erbe e sostanze varie si erano appannate per l’umidità. 

Un rivolo di sudore le scese sulla tempia, ma si asciugò alla bell’e meglio con il lembo di una manica, senza staccare gli occhi dal grimorio. Era troppo impegnata per preoccuparsi del caldo. Il piccolo braciere andava alimentato spesso con altro legno di palma per evitare che si spegnesse e nel contempo doveva tenersi pronta con il prossimo ingrediente in lista. Come se non bastasse, gli occhiali continuavano ad appannarsi. Tentando di non cedere alla frustrazione, si abbandonò a un sospiro mentre per l’ennesima volta se li sfilava per pulirli. In certi momenti le avrebbe fatto comodo avere quattro mani, anziché due. 

Per fortuna, la sua ospite rientrò di lì a poco dal consueto giro del mattino in infermeria, offrendosi subito di assisterla. Così Rachel ne approfittò per chiederle di sminuzzare alcune foglie, intanto che lei iniziava a mescolare quella che per il momento aveva ancora l’aspetto di semplice acqua sporca. In cuor suo non aveva potuto fare a meno di provare una certa emozione quando il primo ingrediente aveva toccato la superficie trasparente nella pentola e d’istinto si era chiesta se mai sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. Tuttora non ne era convinta, ma cercò di concentrarsi solo sul passaggio successivo.

Con cautela immerse di nuovo il grosso cucchiaio di legno e, piena di incertezze, cominciò a girarlo lentamente in senso orario. La mano le tremava, perciò strinse le dita attorno al manico con più decisione, nel timore che le scivolasse dentro, costringendola a rovinare subito il lavoro per recuperarlo. La pozione, infatti, non poteva entrare a contatto con pelle umana, capelli o altre parti del corpo se non si voleva contaminarla, il grimorio era molto chiaro su questo punto. Di conseguenza, aveva raccolto la sua folta chioma in una crocchia bella alta sulla nuca, in modo da non correre rischi. 

Dopo aver seguito alla lettera il numero dei giri indicati sulla pagina, appoggiò il cucchiaio sul tavolo, tirando finalmente un sospiro di sollievo. “E questa è andata.” commentò ad alta voce. Ora doveva aspettare che le erbe si amalgamassero a dovere con l’acqua, prima di aggiungere l’ingrediente successivo. 

“Parola mia, non ho mai visto un intruglio più complicato.” osservò Laurenne, scorrendo con gli occhi la ricetta che Rachel aveva trascritto su un taccuino in una lingua comprensibile a entrambe. 

Lei annuì, sconsolata. “Già.” Lo sapeva bene. Per questo non passava giorno senza che l’istinto di maledire Margaret per averle lasciato quel fardello non la cogliesse. Si tratteneva solo per rispetto alla sua memoria e perché in fin dei conti era stata quasi una madre. “Spero che riesca al primo tentativo. Non potrei pensare di farla da capo.” La sola idea la terrorizzava. Per non parlare di quello che avrebbe dovuto inventarsi per giustificare la cosa con i capi tribù. Per il momento nessuno era venuto ancora a informarsi sull’andamento del suo lavoro, ma sentiva che era solo questione di tempo prima che il padre dei fratelli Cina o un altro di quei simpaticoni si ripresentasse da lei.

Ci stava giusto pensando, quando un lembo della tenda si scostò ed ebbe paura che il presentimento stesse già per concretizzarsi. Perciò fu sollevata nel vedere il volto di Claire fare capolino da fuori.

“È permesso?” domandò, accettando subito dopo l’invito della sciamana ad entrare. “Ciao.” le salutò sorridente.

Rachel le rivolse un’occhiata interrogativa. “Che ci fai qui? E l’allenamento?”

L’amica fece spallucce, appoggiandosi con la schiena al tavolo. “Stamattina Dean aveva da fare con Najat e visto che paparino non vuole che mi alleni con gli altri quando lui non c’è…” Storse la bocca in una smorfia. “Certe volte è davvero pesante.”

“Ma dai? E te ne accorgi solo ora?” ironizzò Rachel, che nel frattempo aveva preso a pestare alcune bacche con una certa energia. 

Divertita dal suo tono pungente, Claire ridacchiò, prima di tornare improvvisamente seria. “Comunque è meglio così. Oggi non sono molto dell’umore di vedere gente. A parte voi, è ovvio.” si premurò di aggiungere. 

Con un sorriso benevolo Laurenne le fece capire di aver afferrato e Claire la stava ancora guardando quando Rachel parlò di nuovo.

“È successo qualcosa con Cedric?” Chissà perché sospettava che fosse così. 

Per un attimo Claire rimase interdetta, sorpresa dal fatto che avesse indovinato; poi sospirò, rigirandosi una fiala vuota tra le dita. “Ieri sera abbiamo discusso.” ammise con aria mesta, senza però aggiungere alcun dettaglio e così Rachel si convinse a desistere dal continuare sull’argomento. 

Del resto, non ne aveva tutta questa voglia. L’agghiacciante ricordo del litigio con Mark era ancora vivido nella sua mente, così come la sua conclusione. Dopo aver chiuso in quel modo devastante la loro storia, la sola idea di incrociare di nuovo il suo sguardo era insopportabile, quindi aveva preferito aspettare che tutti andassero a dormire prima di tornare dentro. Da allora aveva fatto di tutto pur di evitare il contatto diretto con lui. La mattina usciva molto presto, per rientrare solo a tarda sera, quando era sicura che ormai non lo avrebbe trovato sveglio. Più di una volta era stata tentata di chiedere a Laurenne se poteva trasferirsi definitivamente da lei, ma poi temeva sempre di approfittarsi della sua ospitalità e desisteva. Forse avrebbe dovuto parlarne con le amiche, per trovare un minimo di conforto, ma per ora non se la sentiva. Doveva sforzarsi di scacciare i pensieri negativi, deleteri per il lavoro che aveva da svolgere, e concentrarsi sulla pozione.

Così mandò giù il groppo che le serrava la gola e buttò la poltiglia di bacche rosse nella pentola, rimestando poi il tutto un paio di volte per incorporare gli ingredienti all’acqua. “Se ne vuoi parlare, io ci sono.” tagliò corto girata di spalle, sentendosi subito un’ipocrita per aver sperato che non lo facesse.

Per fortuna, Claire non poteva leggerle nel pensiero e le sorrise riconoscente. “Grazie, Ray.” 

Si scambiarono un’ultima occhiata complice, in cui ognuna lesse nello sguardo dell’altra il bisogno di mettere a nudo le proprie incertezze e allo stesso tempo la mancata volontà di farlo davvero. Dal canto suo, Rachel si chiese se l’amica avesse più o meno capito il motivo per cui da giorni si comportava come una ladra che entrava e usciva di soppiatto. Considerata la poca distanza e il silenzio dell’ora tarda, era probabile che quella sera sia lei che gli altri avessero sentito stralci della discussione con Mark, senza contare che ora Claire dormiva solo qualche ora a notte e non era escluso che si fosse accorta dei suoi movimenti. In ogni caso, non le andava di scoprirlo e fu grata a Laurenne quando dirottò il discorso su altro.

“Tu come ti senti?” la sentì chiedere a Claire. “Oggi è…”

Lei però non la fece finire. “Plenilunio, lo so.” disse in tono consapevole. “Non preoccuparti, è tutto sotto controllo.”

“Bene, quindi il sangue è stato sufficiente.” ne dedusse soddisfatta la sciamana.

Le sue parole colsero di sorpresa sia Claire che Rachel, dato che entrambe ignoravano che ne fosse al corrente, e non poterono esimersi dal fissarla disorientate.

Quelle facce erano un libro aperto e la donna impiegò mezzo secondo a intuire i loro pensieri. “Sì, so che avete preso alcune sacche dall’infermeria. Juliet me l’ha detto subito dopo il nostro ritorno. Sembrava stesse confessando un crimine.” scherzò, ridacchiando divertita.

“Ci dispiace…” fece per iniziare Rachel, prima che lei la fermasse con un cenno della mano.

“Non avete nulla di cui scusarvi. È chiaro che non ci fossero alternative, Claire ne aveva bisogno. E poi era soprattutto una questione di sicurezza. Va bene così.”

Ancora una volta la sua capacità di essere comprensiva le stupì e, quasi commossa, Claire la ringraziò; poi, attirata dal forte odore della pozione, si avvicinò cauta al fuoco, buttando un occhio sul contenuto della pentola. “Qui come procede, piuttosto? Non ha un bell’aspetto…” Storse il naso, senza riuscire a nascondere un certo disgusto.

“Procede.” confermò Rachel con aria distratta. “Quanto all’aspetto, siamo solo all’inizio. È normale… spero.”

Dopo aver annuito poco convinta, l’amica assunse un’aria riflessiva. “Vediamo se ho capito bene: se riusciamo a fargli bere questa minestra, Nickolaij morirà? Non mi stupirebbe, se è letale quanto il suo odore…”

“Non esattamente.” la corresse, ignorando l’ironia. “La pozione va iniettata direttamente nel suo sangue, in modo da trasformare i suoi geni e farlo diventare umano. Solo a quel punto potrà essere ucciso.”

“Ah, ecco. Facile.” ribatté Claire. 

“Sempre ammesso che qualcuno ci riesca, infatti.” Su quel passaggio Rachel nutriva ancora parecchie riserve.

“Intanto assicuriamoci che venga bene. Al resto penseremo quando verrà il momento.” disse Laurenne pratica, senza staccare gli occhi dal taccuino degli appunti. “Dunque, ora che hai aggiunto le bacche di aucuba il tutto deve riposare per circa quattro ore, prima di passare all’ingrediente successivo.” 

Rachel annuì con un sospiro, asciugandosi la fronte con la manica. “Almeno possiamo prenderci una pausa.” Con un rapido quanto ormai automatico gesto della mano spense il fuoco nel braciere.

“Ben detto.” approvò la sciamana. “Ne approfitterò per mostrarvi una cosa. Venite con me.”

La luce del giorno era quasi accecante dopo le ore trascorse nella semioscurità della tenda e Rachel fu costretta a schermarsi gli occhi, prima di riuscire di nuovo ad abituarsi. Laurenne le condusse attraverso l’accampamento, come sempre ravvivato dal continuo via vai di gente, e poi oltre i suoi confini.

“Sbaglio o sono arrivate altre tribù?” le domandò Claire una volta allontanatesi dal trambusto.

La sciamana fece spallucce. “E chi le conta più ormai. Ogni giorno arriva gente nuova.” Ridacchiò, mentre iniziavano a salire su una grossa duna. “Ho sentito che molti di loro hanno deciso di restare un po’ di più per festeggiare il nuovo anno prima di tornare ai propri avamposti. Il lancio delle lanterne è una tradizione importante e quest’anno ce ne saranno tantissime. Non mi ero mai davvero resa conto di quanti di noi fossero sparsi per il mondo, è incredibile.”

“Un po’ come i vampiri.” 

Un breve istante di esitazione attraversò lo sguardo della donna, prima che annuisse appena. “Già.” mormorò, continuando a camminare. “Stando alla nostra storia, un tempo esisteva un’unica grande tribù. Tuttavia, man mano che la minaccia degli algul si faceva più pressante, si sentì la necessità di creare avamposti strategici in più punti del pianeta, per essere sempre pronti a combattere. Col passare degli anni, quegli avamposti crebbero in numero e dimensioni, fino a diventare vere e proprie tribù indipendenti. Così facendo, però, ciascuno ha iniziato a pensare solo per sé e ci siamo indeboliti. L’unità è la sola cosa che può rafforzarci di nuovo ed è quello che spera anche Najat.” 

C’era amarezza nella sua voce, ma anche orgoglio per ciò che il suo Qayid stava cercando di fare. Sia Rachel che Claire lo notarono e, non sapendo cosa dire, preferirono restare in silenzio e seguirla verso chissà quale destinazione. La sciamana non lo spiegò, proseguendo nel suo cammino finché non si furono allontanate abbastanza da ritrovarsi ad arrancare sull’instabile sabbia del deserto.

“Dov’è che stiamo andando esattamente?” le chiese a quel punto Rachel, con un po’ di fiatone. In realtà, temeva di non riuscire a tornare entro le quattro ore previste, rischiando così di far saltare la seconda fase della pozione.

“Tranquilla, ci siamo quasi.” la rassicurò, anche lei un po’ affaticata. 

Poco convinta, Claire si accostò di più all’amica per non farsi sentire. “Secondo te sta bene? Non sarà che il sole le ha dato alla testa?” sussurrò ironica, facendola sorridere.

“Eccoci!”

Quando, superata la duna, finalmente la donna si fermò, entrambe rimasero al suo fianco a scrutare il vuoto con una certa perplessità. Tutto ciò che vedevano non era altro che…

“Sabbia.” osservò Claire, sollevando un sopracciglio. “Ci hai fatto arrivare fin qui solo per ammirare il paesaggio?”

“Certo che no.” A Laurenne sfuggì una risatina sommessa. “Non sono pazza.” aggiunse poi allusiva, dimostrando di averla sentita, e lei abbassò lo sguardo imbarazzata.

Sorvolando sulla questione, la sciamana si mosse verso quello che all’apparenza sembrava un semplice cespuglio di rovi secchi, come se ne vedevano tanti in quel deserto. Piegatasi sulle ginocchia, scostò i rami da un lato e Rachel, che era più vicina, si accorse che in realtà, ben nascosta nella pianta, c’era una rete di metallo ancorata al terreno dal peso di una pietra delle dimensioni di un pugno. Cosa stupefacente, però, era il bagliore che essa emanava. Proveniva dalle incisioni sulla superficie, strani segni che non seppe riconoscere. Ma la cosa più incredibile fu vederli muoversi. Le incisioni non erano fisse, anzi, sembravano dotate di vita propria.

“E quello cos’è?” chiese stupefatta, non riuscendo a staccare gli occhi dalla pietra.

Il sorriso a trentadue denti che la sciamana gli rivolse trasmise tutta la sua soddisfazione. “Questa, ragazze mie, è magia.” 

Claire allora tornò a guardarla, sbattendo più volte le palpebre basita. “In che senso?”

“Vedete i simboli impressi sulla pietra?” Laurenne li indicò senza toccarla, mentre quelli  continuavano ad avvicinarsi come due magneti, per poi respingersi di nuovo in una continua danza dai colori scintillanti. “Uno rappresenta Vestri, la runa dell’ovest. L’altro, invece, è Algiz, la runa della protezione. Ho piazzato una pietra come questa negli angoli dell’area che circonda l’accampamento, in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Il potere emanato dalle pietre crea un campo di forza che nasconde le tende, proteggendole da eventuali pericoli.” spiegò fiera.

Per un po’ Rachel rimase a osservare affascinata il fluido e costante incontrarsi dei simboli sulla pietra, finché un dubbio non le sorse spontaneo e la sua attenzione si spostò di nuovo sulla sciamana. “Perché me lo mostri proprio adesso? Sai che non so niente sulle rune…”

“Lo so, lo so.” confermò lei annuendo. “Ho solo pensato che… Beh, volevo trasmetterti anch’io qualcosa che potesse tornarti utile in futuro. Sì, mi rendo conto che la pozione viene prima di tutto…” si affrettò ad aggiungere, prevedendo cosa stava per dire. “Però, vedi, solo io conosco la posizione delle pietre e sono in grado di farle funzionare. Se mi accadesse qualcosa e l’incantesimo svanisse, la mia gente correrebbe un grave pericolo…” 

Rachel, però, non voleva nemmeno sentirlo. “Non ti succederà niente. Non lo permetterò.” la interruppe risoluta. Dopo la scomparsa di Margaret, Laurenne era l’unico punto di riferimento che le era rimasto. Di sicuro sarebbe impazzita se avesse perso anche lei.

Un sorriso si dipinse sul volto riconoscente della donna. “E io ti ringrazio, ma ho imparato che in questo mondo nulla è certo e condividere le conoscenze è il modo migliore per essere ricordati. Perciò, se mai non avessi più la possibilità di proteggere il mio popolo, vorrei che qualcun altro sapesse come farlo. E chi meglio di te?” 

Nonostante quel discorso trasudasse amarezza e Rachel avesse preferito di gran lunga parlare del meteo, in cuor suo provava un certo orgoglio. Si sentiva onorata della fiducia che Laurenne stava riponendo in lei e pensò che non poteva tradirla. “D’accordo.” acconsentì a quel punto, dopo aver scambiato una breve occhiata con Claire. “Come funziona?”

Entusiasta per essere riuscita a convincerla, la donna provvide subito a spiegarle. “In realtà, il principio è molto semplice. Basta segnare le rune giuste sulle pietre e posizionarle con precisione nei quattro punti cardinali, l’ovest in questo caso. Dopodiché si pronuncia l’incantesimo di attivazione e il gioco è fatto.” 

Detta così sembrava una sciocchezza, ma l'esperienza insegnava che non c’era da illudersi.

“Troppo facile. Dov’è la fregatura?” chiese Claire infatti, alzando dubbiosa un sopracciglio.

“Ci stavo giusto arrivando.” replicò la sciamana. “È essenziale che le pietre non vengano mai spostate dalla loro posizione, altrimenti viene a mancare il contatto astrale che permette la formazione del cerchio protettivo e l’incantesimo si spezza.” 

“Ecco il motivo del finto cespuglio.” ne concluse Rachel.

“Esatto. Ho nascosto le pietre in modo che nessuno le trovi o le sposti per sbaglio, ma almeno una volta ogni due giorni vengo qui per assicurarmi che sia tutto in ordine. Non si è mai troppo prudenti. Soprattutto ultimamente, con tutto questo via vai…”

Entrambe non poterono darle torto, così si limitarono ad annuire. 

“Bene, questo è tutto. Possiamo rientrare.” 

“Aspetta. E le altre pietre? Non dovremmo controllare anche quelle?” obiettò Claire giustamente.

“Oh, no. Non c’è n’è bisogno.” le rispose Laurenne, sventolando la mano, mentre rimetteva a posto il cespuglio. “Se una sola continua a brillare, significa che anche le altre sono ancora al loro posto.” 

Mentre si avviavano di nuovo verso l’accampamento, Rachel non poté fare a meno di riflettere su quanto l’avesse colpita ciò che aveva appena visto. Il mondo delle rune sembrava davvero affascinante e d’un tratto si scoprì interessata a saperne di più. “Mi piacerebbe imparare a usare le rune. Margaret sosteneva che fossero una specie di surrogato della magia, adatto solo a chi non ha poteri. Invece io la penso diversamente.” confessò alla sciamana, che ridacchiò niente affatto offesa.

“Se come mi hai raccontato era una strega tanto potente, non fatico a capire perché. Si racconta che la pratica delle rune sia nata a causa della gelosia degli uomini nei confronti delle streghe. Non potendo avere i loro poteri, trovarono una maniera alternativa per mettersi allo stesso livello, anche se si trattò di una mera illusione. La magia di una strega è innata ed è impossibile per un essere umano qualunque sperare di eguagliarla."

“Ciò non significa che le rune siano meno degne di attenzione.” replicò Rachel. “Non farò la spocchiosa se possono rivelarsi utili.”

Laurenne annuì. “Sono d’accordo, per questo ho voluto mostrarti le pietre. Appena avremo un po’ di tempo libero ti insegnerò le basi.” promise.

La prima preoccupazione di Rachel una volta tornate nella tenda fu di andare a controllare la pozione, che nel frattempo aveva assunto un colore strano tra il marrone e il verdastro, probabilmente a causa della mescolanza tra le varie erbe. Ad ogni modo, sembrava tutto apposto. Le quattro ore indicate dal grimorio non erano ancora trascorse, quindi evitò anche solo di toccarla per paura di fare qualche danno. 

Estratto il piccolo libro dalla sacca che aveva portato con sé per non lasciarlo incustodito, lo aprì sul tavolo e, in un gesto ormai automatico, prese a sfogliare le sue pagine consunte senza cercare nulla in particolare. Da quando Margaret glielo aveva affidato, nei momenti morti vi si era dedicata con impegno, leggendo e rileggendo quella sequela di formule ed elenchi di ingredienti così tante volte da imparare a memoria la posizione in cui si trovavano. 

“Ti sei esercitata con altri incantesimi negli ultimi giorni?” si informò Laurenne, mostrandosi come al solito incuriosita dal contenuto del grimorio che purtroppo non era in grado di leggere. “Con la magia è importante non perdere il ritmo.”

Con aria distratta, Rachel scosse appena la testa. “A parte quello di guarigione, no. Non ne ho avuto il tempo, ero troppo concentrata sulla pozione. Però mi pare di aver letto qualcosa di interessante ieri…” Tornò indietro con le pagine, abbastanza sicura di ritrovare il punto esatto, ma il grimorio fu più rapido di lei e d’improvviso sembrò come animarsi, aprendosi esattamente sulla pagina che stava cercando. 

Lo sguardo esterrefatto di Claire si spostò dal libro all’amica. “Ma come…” 

“Oh, non lo so. Fa così da quando Margaret l’ha passato a me.” disse lei senza scomporsi. Ormai erano lontani i tempi in cui si stupiva per le cose bizzarre che le capitava di scoprire ogni giorno. La prima volta lo aveva visto fare dalla sua mentore, mentre cercava un incantesimo durante una delle loro lezioni, e le aveva spiegato che ogni strega aveva un legame speciale con il proprio grimorio. Era come se il libro avesse la capacità di leggerti nel pensiero e capire in che modo aiutarti. 

“A proposito, lei com’era?” chiese Claire incuriosita. “Non mi avete raccontato niente del vostro incontro e un po’ mi dispiace di non essere stata presente. Avrei voluto conoscerla nella vita reale.”

“Ostinata.” la definì Rachel in una parola, dopo averci riflettuto un istante. “Non accettava un no come risposta. Anche se all’inizio non volevo collaborare, non si è data per vinta. Ha fatto di tutto per convincermi e si è impegnata anima e corpo a insegnarmi quanto più poteva.” Sorrise al ricordo di quei giorni trascorsi ad allenarsi con lei. “Cavolo, mi ha davvero stremata. Non si sarebbe fermata davanti a niente pur di raggiungere il suo obiettivo.”

L’amica sogghignò. “Un po’ come te, quindi.”

Rachel rise di rimando, ma non poté darle torto. In effetti, solo in quel momento si rese conto di quanto in realtà fossero simili. “Ecco, era questo.” esordì poco dopo, quando l’occhio le cadde sulla pagina giusta. Con il dito indicò l’incipit dell’incantesimo, scritto in una grafia dagli eleganti caratteri gotici.

Claire e Laurenne le si accostarono subito incuriosite, sbirciando sul grimorio.

“Interessante…” mormorò Claire, rivolgendo all’amica un’occhiata perplessa. “Se non fosse che non si capisce un accidente.”

-Giusto- Rachel si rese conto solo allora di essere l’unica con la capacità di decifrare quel complesso di segni. “È l’antica lingua delle streghe.” chiarì. “Solo loro sono in grado di capirla. Cioè… In realtà, ormai solo io.” si corresse.

“Però…” commentò Claire, visibilmente impressionata. “Quindi cosa c’è scritto?”

Rachel si concentrò di nuovo sulla pagina. “È parecchio contorto, ma da quello che ho capito dovrebbe trattarsi di un incantesimo per curare le ferite gravi.”

“Quanto gravi?” chiese Laurenne.

“Mortali.” le rispose di getto, mentre i suoi occhi scorrevano rapidi una riga dopo l’altra. “Qui mette in guardia sulla sua pericolosità: non è un incantesimo da usare alla leggera e può portare a conseguenze spiacevoli.” lesse.

“Del tipo?” 

Rachel si strinse nelle spalle. “Non è chiaro. Dice solo che alla strega che deciderà di farne uso sarà richiesto un pagamento.” –La magia ha sempre un prezzo- Fin dalla prima lettura, le parole di Margaret le erano tornate alla mente come se fosse ancora lì con lei. Ricordava bene quando nel laboratorio le aveva spiegato che i poteri di una strega derivavano dalla sua forza vitale e dunque era sempre necessario servirsene con prudenza. 

“Non mi ispira niente di buono.” disse Claire, storcendo il naso. 

“In effetti, ha un che di macabro.” concordò Rachel. “Ma ho pensato che potrebbe tornare utile per chi va in battaglia. Pensate a quante persone ferite si potrebbero curare.” A dirla tutta, le era venuto spontaneo pensare che se avesse saputo prima dei suoi poteri e dell’esistenza di un simile rimedio, magari sarebbe stata in grado di salvare Jamaal quella notte a Bran. 

Intenerita dal suo buon cuore, Laurenne le sorrise. “Il tuo è un pensiero molto altruista, tesoro, ma non abbiamo idea di che tipo di pagamento si parli. L’esperienza mi ha insegnato che è meglio non buttarsi alla cieca su ciò che non si conosce, soprattutto se c’è di mezzo la magia.” 

“Concordo. Questa storia non mi piace per niente, Ray.” le fece eco Claire, guardandola preoccupata.

I loro timori coincidevano con i suoi e con quello che aveva sentito da Margaret, perciò Rachel si convinse che fosse il caso di ascoltarle. C’erano ancora tante cose che ignorava sulla magia e non valeva la pena di rischiare l’osso del collo per assecondare sciocche curiosità da novizia. Così, senza insistere oltre, annuì e riprese a sfogliare il grimorio, finché la sua attenzione non si soffermò su una pagina che riportava la procedura per eseguire un incantesimo immobilizzante. “Questo non sembra troppo complicato. E neanche pericoloso.” 

Claire aggrottò la fronte, interessata. “Di che si tratta?” 

“Serve a immobilizzare le persone.” spiegò lei semplicemente. “Una volta ho visto Margaret usarlo… Beh, in effetti è su di me che l’ha usato.” precisò, abbassando lo sguardo in evidente imbarazzo.

“Mi sembra un’ottima idea. Almeno potrai esercitarti senza rischiare di farti male.” approvò la sciamana, prima di emettere un sospiro e allontanarsi dal tavolo. “Bene, ora purtroppo devo lasciarvi. Ho persone di cui occuparmi in infermeria. Se avessi bisogno con la pozione, sai dove trovarmi.” disse infine a Rachel, che annuì ringraziandola per l’aiuto.

Rimaste sole, il silenzio scese su entrambe, finché Claire non ruppe il ghiaccio. “Stavo pensando… Se ti va, potrei aiutarti con quell’incantesimo. Farti da cavia, magari.” si offrì. 

La proposta non era del tutto da scartare e Rachel si prese un attimo per rifletterci. In fondo, il fatto che ora Claire fosse molto più resistente la rendeva praticamente perfetta per quel ruolo. Avrebbe potuto farle da assistente, senza correre troppi rischi. Sì, l’aveva convinta. Quando tornò a guardarla, un sorriso compiaciuto era comparso sul suo viso. “Perché no.”

 

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Capitolo 32
*** La notte delle lanterne (parte 2) ***


Capitolo 22

 

La notte delle lanterne (parte 2)

 

Quel pomeriggio, dopo una ben poco rilassante mattinata in compagnia di Najat e degli altri capi tribù, Dean aveva deciso di portare Claire al campo di addestramento, per distrarsi e permetterle di sfogarsi un po’. Quando aveva trovato lei e Rachel a trafficare con la magia, sul momento era rimasto alquanto perplesso, avendo avuto modo di sperimentare la pericolosità di entrambe, ma poi non si era sentito in diritto di obiettare. Fra tutti, Claire era decisamente la meno vulnerabile e dunque la più adatta ad aiutare Rachel nelle sue esercitazioni, così si era limitato a raccomandarsi di non esagerare, nella speranza che non distruggessero l’accampamento. Per quel giorno, comunque, avevano fatto abbastanza e Claire era stata ben contenta di seguirlo. 

All’arrivo Dean si stupì dell’arena mezza vuota, visto che normalmente era pieno di guerrieri che si allenavano. Trovarono soltanto Mark e Cedric, già lì dalla mattina, appoggiati alla bassa palizzata di legno che delimitava i confini del campo. Poco più avanti, Evan e Qiang si stavano scambiando qualche colpo, ma niente di troppo violento.

“Ehilà! Guarda chi si vede!” Appena si accorse di loro, Evan sfoderò uno dei suoi calorosi sorrisi ed entrambi interruppero l’allenamento per andare a salutarli. 

“Come mai qui?” chiese Mark sorpreso. 

Dean fece spallucce, appoggiandosi con i gomiti alla palizzata. “Mi mancava un po’ di svago.” confessò, per poi guardarsi intorno. “Cos’è questo deserto oggi?” 

Colta l’ironia, Evan ridacchiò. “Sono tutti impegnati con i preparativi per stasera, così ci siamo detti: quando ci ricapita? Abbiamo l’intero campo a disposizione, approfittiamone.”

“Già.” concordò Qiang accanto a lui. “Non siamo tipi da allestimenti noi. Preferiamo l’azione.” 

“Ben detto, fratello.” 

I due si diedero il pugno in un gesto di complicità e a Dean sfuggì spontaneo un sorriso. “Buono a sapersi. Stavo giusto pensando che Claire ha bisogno di esercizio.” Quindi lanciò un’occhiata eloquente alla ragazza, che ricambiò alquanto stupita.

“Sul serio? Mi lasci combattere contro uno di loro?” gli chiese con l’aria di chi pensa di aver capito male.

Anche Cedric sembrava scettico. “Credi sia il caso? Sai che giorno è oggi…”

Lui però annuì, dando conferma a entrambi. Era arrivato il momento di metterla alla prova in un vero scontro. Certo, era rischioso, ma Claire si nutriva ormai da due giorni proprio per arrivare preparata al plenilunio. Inoltre, voleva soddisfare la propria curiosità e verificare l’efficacia dell’addestramento a cui la stava sottoponendo. Alzando un sopracciglio, si rivolse di nuovo ai guerrieri. “Allora? Chi si fa avanti per primo?” 

Quando con entusiasmo Qiang si offrì volontario, fu colto dal dubbio che Claire potesse farcela. Il guerriero cinese era abile con le armi quanto nel corpo a corpo, ma non era detta l’ultima parola. Si trattava pur sempre di un essere umano contro un vampiro e infatti lei dimostrò ben presto di riuscire a tenergli testa. La sua statura minuta poi le consentiva di schivare più facilmente gli attacchi dell’avversario. 

Dal suo punto di osservazione Dean studiava concentrato lo scontro, senza prestare particolare attenzione ai commenti ironici di Evan e alle reazioni talvolta preoccupate degli altri due. La cosa che gli saltò agli occhi più di tutte fu la mescolanza tra lo stile di combattimento degli Jurhaysh, che Claire aveva in parte assimilato durante gli addestramenti passati, e quello in uso dai vampiri, meno evidente per via del breve tempo trascorso al castello. Ad ogni modo c’era e per chi come lui lo conosceva bene sarebbe stato impossibile non notarlo. Era un modo di combattere che puntava molto sull’aggressione e meno sulla difesa, contando appunto sulla maggiore forza fisica dei vampiri rispetto agli umani. Tuttavia, alla lunga risultò palese come la strategia di Claire si limitasse a sfruttare tale vantaggio, evitando i colpi a cui non sapeva come rispondere e attaccando più o meno a caso e nei momenti sbagliati. 

Alla fine riuscì ad atterrare Qiang, ma solo perché non fu abbastanza rapido da schivare il suo ennesimo colpo, che lo prese in pieno stomaco, scaraventandolo a un paio di metri di distanza. Cedric e Mark trasalirono, mentre Evan al contrario scoppiava a ridere. 

Visibilmente allarmata, Claire accorse subito per controllare che stesse bene. “Scusa! Non volevo colpirti così forte…”

“Tranquilla, è tutto okay.” provvide subito a rassicurarla, piegato in due per via dell’addome dolorante. “Sei una tipa tosta tu.” disse con il fiatone, una volta riuscito ad alzarsi in piedi.

Di nuovo rilassata, Claire sogghignò orgogliosa. “Sorpreso?”

“Beh, l’ultima volta che abbiamo combattuto non avevi ancora ricevuto questo piccolo aggiornamento, se mi passi il termine.” scherzò, facendola ridere.

“Mi dispiace…” 

Mentre si ripuliva i vestiti dalla terra, Qiang però le fece segno di non preoccuparsi. “Figurati, un guerriero non deve mai scusarsi con l’avversario. La prossima volta non mi farò fregare, vedrai.”

Nel frattempo, dalla recinzione Cedric li scrutava con aria piuttosto impensierita. "Sai, ora come ora, non credo mi convenga molto litigare con lei." osservò rivolto a Mark. 

L’amico annuì concorde. “Già. Appena puoi ti consiglio di chiederle scusa.”

Dean non afferrò il senso di quello scambio di battute e neanche gli interessava. La sua attenzione venne subito dirottata sull’arrivo di Juliet, che non si aspettava di vedere prima dell’ora di cena. L’istinto lo portò subito a cercare di capire di che umore fosse, reduce com’era da giorni con il morale a terra per via delle spiacevoli novità sulla sua famiglia, e al primo impatto gli diede l’impressione di essersi ripresa. Sperava solo di non invertire la rotta con quello che aveva da dirle.

“A quanto pare, oggi abbiamo avuto tutti la stessa idea.” constatò Evan, dopo averla salutata calorosamente. A dire il vero, un po’ troppo per i suoi gusti.

“Ehi!” Accortasi dell’amica, Claire le andò incontro tutta sorridente. “Credevo fossi in infermeria.”

“Visto che non c’era molto da fare, Laurenne mi ha abbonato il resto della giornata. Rachel mi ha detto che eravate qui e allora sono venuta a vedere che stavate facendo.” spiegò lei.

Al suono di quel nome, Dean vide Mark irrigidirsi e i tratti del suo volto farsi più tesi. Sembrava come sul punto di chiederle qualcosa, ma poi non lo fece. Ad ogni modo, preferì ignorarlo. Non erano affari suoi e comunque poco dopo Claire lo distrasse da quei pensieri. 

“Allora? Come sono andata?” si informò, curiosa di conoscere il suo parere sullo scontro con Qiang. 

“Abbastanza bene.” rispose, senza sbottonarsi più di tanto. “La forza fisica di certo non ti manca, ma quanto a tecnica... difetti un po’.”

Lei si finse offese, forse aspettandosi qualche lode in più. “Beh, era la mia prima volta da vampiro. Potresti scendere in campo e darmi una dimostrazione. Come mio maestro sarebbe tuo dovere, non pensi?”

Suonava tanto di sfida, Dean lo colse al volo dal suo tono. Tuttavia, non era molto convinto.

“Bell’idea!” esordì invece Evan, entusiasta. “Combatto io con te.” Neanche il tempo di dirlo, che si stava già sgranchendo i muscoli del collo e delle braccia, preparandosi allo scontro. 

“Ne sei proprio sicuro? Non vorrei ti facessi male…” lo provocò con un ghigno.

Il ragazzo però non si fece intimidire. “Non sottovalutarmi, vampiro. Scommetto che riuscirò ad atterrarti per primo.” 

In risposta Dean si accigliò, lanciandogli un’occhiata interrogativa. L’ennesima scommessa con un umano. D’un tratto ebbe come un dejà-vu. “E quale sarebbe il premio per chi vince?” 

“Un bacio, magari.” propose inaspettatamente Juliet, alludendo a una vecchia questione in sospeso tra loro due. 

La prospettiva sembrava allettare Evan, che sogghignò, per poi farle l’occhiolino. “Se sarai tu a darmelo, volentieri.” 

Il tono velatamente malizioso con cui lo disse spinse subito Dean a guardarlo male. A quel punto, non poteva più rifiutare la sfida. C’era in gioco il suo onore. “E sia.” Si tolse la maglietta per agevolare i movimenti e la lasciò sulla staccionata, prima di rivolgersi di nuovo a Claire. “Guarda e impara.” Dopodiché si diresse al centro dell’arena, dove Evan lo stava già aspettando con una certa impazienza. 

Una volta faccia a faccia, il ragazzo sollevò i pugni a proteggere il volto, fece scivolare il piede destro in avanti e piegò le ginocchia, assumendo una posizione di difesa. “Forza, fatti sotto.” lo invitò quindi con un ghigno beffardo. “Tanto quel bacio è già mio.”

“Il solito spaccone!” lo derise Qiang dalla staccionata. 

Lui e gli altri sembravano divertirsi un mondo, compresa Juliet. Diversamente dalle sue aspettative, fu Dean ad attaccare per primo, forse punto sul vivo dalla provocazione, ma Evan parò rapido il colpo con l’avambraccio. Quello scambio funse da anteprima allo scontro vero e proprio, che iniziò qualche istante dopo. Il tempo di studiarsi a vicenda per una manciata di secondi, poi il guerriero si fiondò all’attacco e Dean rispose.

Era la prima volta che lo vedeva combattere e ne rimase impressionata. Adesso capiva davvero il significato di ciò che spesso gli aveva sentito ripetere durante gli allenamenti in Scozia: non bastava il solo uso del busto e delle braccia, ogni parte del corpo doveva agire in sincrono e allo stesso tempo bisognava essere in grado di sfruttarla singolarmente a seconda dell’evenienza. Facile a dirsi nella teoria, ma vederlo mettere in pratica quegli insegnamenti fu tutta un’altra cosa. 

Poco distante, Cedric imprecò tra i denti, con gli occhi fissi sullo scontro. “È dannatamente bravo.” si costrinse ad ammettere. “Non lo sopporto.”

Sebbene fosse d’accordo, bisognava riconoscere che Evan gli stava dando del filo da torcere. Dean lo superava in forza fisica, ma il ragazzo possedeva comunque una tecnica notevole, per quanto diversa. Di conseguenza, nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro e la cosa andò per le lunghe. 

“Cos’hai da ridere?” gli chiese a un certo punto Evan, durante un breve momento di pausa. 

Dean però, nel fomento della lotta, non se n’era neanche accorto e non rispose, concentrato com’era nell’intento di prevedere la sua prossima mossa. Da parecchio non gli capitava di scontrarsi con qualcuno in sostanziale parità e questo lo aveva esaltato, infondendogli una sensazione di euforia ormai quasi dimenticata. Dopo anni di repressione degli impulsi, sentiva riemergere di nuovo l’istinto del vampiro, eppure temeva ancora di perderne il controllo. Dopotutto in pieno plenilunio non era il caso di strafare. Senza considerare poi la figura da ipocrita che avrebbe fatto di fronte a Claire. 

“Ti stai trattenendo, lo so.” disse infatti Evan con il fiatone, come se gli avesse letto nel pensiero. “Non farlo, altrimenti che gusto c’è?” 

Le sue parole lo colsero un po’ alla sprovvista e dubitò che dicesse sul serio. “Credimi, è meglio di no.” gli rispose, già più padrone di sé. 

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata, prima di attaccarlo di nuovo. La stanchezza, però, iniziava a farsi sentire e le sue mosse non erano più così avvedute, tanto che alla fine commise l’errore di lasciare un punto scoperto nella sua difesa, che Dean sfruttò all’istante. Abbassatosi con un movimento fulmineo, gli serrò le braccia intorno alla vita e spinse con forza, facendogli perdere l’equilibrio. Evan tentò di restare in piedi, ma le gambe non ressero e piombò a terra, dove Dean lo costrinse a rimanere bloccandolo con un ginocchio. “Fine dei giochi.” gli sussurrò subito dopo, chino su di lui con un ghigno trionfante stampato in faccia.

Il disappunto non tardò a manifestarsi in Cedric, che fin dall’inizio aveva tifato per Evan. “Oh, andiamo!” esclamò, battendo infuriato il pugno sulla staccionata. 

“Bello scontro, davvero. Sei stato proprio una spina nel fianco.” dovette riconoscere Dean. Erano anni che non si divertiva così. Finalmente aveva potuto battersi alla pari con qualcuno non perché gli era stato ordinato o per salvarsi la vita, bensì per semplice sfogo personale e ora si sentiva molto più leggero.

Ansante per la fatica, Evan afferrò la mano che gli aveva offerto per aiutarlo a rialzarsi. In lui non c’era la minima traccia di risentimento, al contrario. “Già, anche tu. Peccato solo per quel bacio…”

“Non mi provocare.” replicò Dean, neanche troppo ironico. Che avesse un debole per Juliet era ormai chiaro e voleva fargli capire che quella era zona preclusa.

Lui ridacchiò, cogliendo la velata minaccia. “Scherzavo, scherzavo. Rilassati.” si affrettò a rassicurarlo, mentre si allontanava per darsi una ripulita. 

Quando tornò dagli altri, Claire lo accolse con un’aria di sincera ammirazione. “E bravo il mio maestro.” commentò colpita. 

“Ora ti è più chiaro cosa intendessi per tecnica?” C’era una punta di saccenza nella domanda, ma Dean lo fece di proposito.

Lei sogghignò, afferrando l’ironia nel suo tono. “Sì, ho visto come l’hai fregato all’ultimo secondo con quella mossa da ninja…”

“Non era una mossa da ninja.” la contraddisse, sospirando paziente. “Ho semplicemente sfruttato una falla nella sua difesa. Studiare le mosse del nemico è essenziale. La forza bruta da sola non basta, specie con avversari così abili. Ci vuole astuzia e spirito di osservazione.” 

Satura dell’ennesima lezione, Claire alzò gli occhi al cielo. “Va bene, ho capito. Posso andare ora? Vorrei togliermi di dosso un po’ di terra.”

Con un cenno sbrigativo della mano Dean le diede il permesso e lei si allontanò in direzione di alcune vasche ricolme d’acqua che i guerrieri utilizzavano per ripulirsi dopo gli allenamenti. A quel punto, Cedric si scambiò una rapida occhiata d’intesa con Mark, prima di raggiungerla per poterle parlare da solo.

“Sei stata grande prima.” esordì alle sue spalle, mentre era intenta a lavarsi.

Claire gli lanciò a malapena una breve occhiata di traverso, per poi asciugarsi il viso con un panno pulito. “No, anzi. Non avrei dovuto colpirlo così forte, potevo fargli male sul serio.” replicò in tono piatto.

“Sciocchezze, se la caverà.” minimizzò lui, abbozzando un mezzo sorriso di circostanza. “Al massimo gli verrà un bel livido.”

Il tempo di concludere la frase e la tensione calò nuovamente su di loro. Ora si fronteggiavano,  entrambi con espressione incerta, consapevoli di dover risolvere una questione in sospeso, ma  senza sapere bene in che modo.

Alla fine, afflitto da sensi di colpa che cercava di nascondere con scarsi risultati, Cedric decise che era arrivato il momento di rompere gli indugi. “Claire, senti…” mormorò. Per un istante esitò ancora, per poi farsi coraggio. “Mi dispiace per ieri sera. Il tuo racconto su Greenwood mi ha spiazzato e per giorni non ho fatto altro che pensare alla mia famiglia, a quello che gli sta succedendo, e quando non sono lucido… Beh, lo sai, mi capita di dire cose che non penso. Credimi, non avevo intenzione di farti pesare il fatto che ora sei...” Seppur involontariamente, non poté fare a meno di indugiare e la cosa non sfuggì a Claire.

“Puoi anche dirla quella parola. In fondo, è quello che sono.” disse, scura in volto.

Lui annuì con un sospiro. “Ad ogni modo ho esagerato. Come al solito.” aggiunse poco dopo, riuscendo a farla sorridere. “È solo che è tutto talmente nuovo e… strano…”

Vederlo così a disagio nel tentativo di esprimere tutto il rammarico che provava la colpì così tanto da spingerla ad andargli in soccorso. “Ced.” lo interruppe allora, avvicinandosi. “Va tutto bene, non sono arrabbiata. Se mai preoccupata.”

Il volto del ragazzo si fece serio. “Di che cosa?” 

“E se Rachel non riuscisse a completare la pozione? O peggio, se la pozione non funzionasse?”

La possibilità preoccupava anche lui, ma come spesso accadeva cercò di nasconderlo dietro una risatina nervosa. “Non hai fiducia nella tua amica? Vedrai che ce la farà…”

Ormai, però, Claire lo conosceva bene e, senza lasciarsi abbindolare, gli posò una mano sul braccio per far sì che la guardasse negli occhi. “Sii serio per una volta. Supponiamo che Rachel non riesca davvero a concludere niente e io non tornassi più umana, tu… insomma…” Un groppo alla gola le impedì di concludere il discorso, costringendola a distogliere lo sguardo per evitare che la vedesse piangere.

“Ehi.” Intuendo i suoi pensieri, Cedric corse ai ripari sollevandole delicatamente il viso, affinché tornasse a guardarlo. “Qualunque cosa stessi per dire, fermati. Vampira o umana, con le squame o le antenne, non mi importa. Niente potrà cambiare quello che provo per te, non scordarlo mai.” chiarì sincero.

Incapace di parlare per l’emozione, a Claire riuscì solo di sorridere; poi, commossa, gli gettò le braccia al collo, unendo con impazienza le labbra alle sue. La risposta di Cedric giunse quasi immediata e, preso dall’impeto, la circondò con le braccia, sollevandola leggermente per stare più comodo.

Entrambi assorbiti dal momento, non fecero nemmeno caso a Dean, che li osservava a qualche metro di distanza, sempre attento a seguire ogni minimo spostamento di Claire.

“Adesso fai anche il guardone?”

La sortita improvvisa di Juliet alle sue spalle lo riscosse e, voltatosi di scatto, si accorse che lo stava fissando con aria perplessa. “Cosa? No…” balbettò. “Ma che dici? Sai che devo controllarla…”

“Dean.” lo zittì lei, interrompendo quegli impacciati tentativi di giustificarsi. “Stavo scherzando.” Sorridente gli passò un panno perché potesse asciugarsi quel poco di sudore che aveva addosso. Nonostante l’incontro con Evan fosse durato un bel po’, non dava grossi segni di stanchezza e il suo respiro era regolare come se non si fosse sforzato affatto. “Prova a darle un po’ di tregua. È dal giorno dell’incidente che si comporta bene e anche oggi è stata brava, no?” tentò di convincerlo. 

Stavolta Dean si vide costretto a concordare. “Sta imparando in fretta, devo concederglielo. Naturalmente c’è ancora parecchia strada da fare, ma la forza di volontà non le manca.”

Juliet gli sorrise di nuovo. “Merito dell’insegnante.” Poi abbassò lo sguardo, velato dall’imbarazzo. “Anche tu sei stato bravo, però.” aggiunse quasi in un sussurro.

“Grazie.” replicò lui, ricambiando il sorriso. “A questo proposito, mi sembra di aver vinto la scommessa, eppure non ho ancora ricevuto il mio premio.” ironizzò.

Per tutta risposta, Juliet finse di rifletterci su, indecisa se lo meritasse o meno. Alla fine avvicinò il viso al suo, finché le loro bocche non furono a una distanza di un millimetro l’una dall’altra, ma una volta lì esitò. Voleva tenerlo un po’ sulle spine, prima di accontentarlo. 

Dean parve intuire i suoi propositi, perché rimase immobile a lasciarla fare. Tuttavia, quando lei gli sfiorò le labbra in un rapido e casto bacio, non nascose la delusione. “Tutto qui?” domandò accigliato.

“Non vorrei che ti montassi troppo la testa.” disse, soddisfatta di averlo almeno per una volta in pugno, per poi passargli anche la maglietta recuperata dalla recinzione. “Tieni, altrimenti rischi di bruciarti con questo sole.”

Tra i presenti, infatti, Dean era il solo ancora a torso nudo e la cosa non sembrava assolutamente rappresentare un problema per lui. “Tranquilla, non c’è pericolo.” Subito dopo averla rassicurata la sua espressione cambiò e un ghigno sornione si fece strada sul suo volto. “Non dirmi che ti dispiace.” la provocò in tono insolitamente allusivo.

Colta di sorpresa, Juliet si sentì avvampare, ma non a causa del caldo. Da quando era diventato così audace? Che fosse colpa dell’adrenalina incamerata durante il combattimento? In ogni caso, non ci era abituata e le ci volle un po’ per reagire. “Dai, non prendermi in giro!” ribatté infine indignata, scatenando la sua ilarità.

Continuò a ridere anche mentre si rinfilava la maglietta e lei scosse la testa, arricciando le labbra con finta disapprovazione. Lentamente, però, Dean tornò serio e Juliet capì che stava pensando a qualcosa. Per un breve momento rimase a guardarla, senza proferire parola, poi sollevò la mano per riavviarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla treccia. Un gesto tenero che la spinse a sorridergli. 

“Sembra che tu stia meglio. Mi fa piacere.” notò lui, ricambiando.

Le fu subito chiaro che si riferiva al tracollo emotivo di qualche giorno prima, dopo che Claire aveva parlato delle fattorie e della sorte toccata ai loro genitori. In seguito nessuno aveva avuto voglia di tornare sull’argomento, tantomeno lei, così si era rintanata nel suo angolo in compagnia di se stessa e della sua disperazione, credendo di voler restare sola. L’ostinazione di Dean, però, le aveva fatto cambiare idea. Le era rimasto accanto tutta la notte, in silenzio, lasciando che si sfogasse finché non si era addormentata tra le sue braccia. Al risveglio lo aveva trovato ancora lì. “Cerco solo di non pensarci. Tenermi occupata mi aiuta ad andare avanti.” mormorò intristita. 

Lui annuì, dando segno di capirla. “Preferirei non darti altre preoccupazioni, ma ci sono delle novità e mi sento in dovere di parlartene.”

“Ahia. Di solito quando inizi così non promette bene.”

Con una certa ansia in corpo, lo vide fare un respiro profondo e poi raccogliere le idee, nell’attesa che il resto del gruppo abbandonasse il campo, lasciandoli soli. Aveva tutta l’aria di non sapere da che parte cominciare e questo non faceva che alimentare la sua angoscia. 

“Allora?” gli chiese inquieta, dopo aver salutato distrattamente Claire e gli altri.

A quel punto, Dean si decise. “Si tratta della Siria.”

L’argomento non le suonava nuovo, avendo sentito Claire accennarvi sere prima tra le altre cose, pur non ricordando i dettagli. Il fatto che ora ne stesse riparlando non faceva presagire nulla di buono.

“Najat ha deciso di organizzare una spedizione per liberare le persone prigioniere di Nickolaij. È una cosa grossa, tanto che anche Avartak e i suoi vi prenderanno parte e probabilmente richiederà tempo e sforzi per essere risolta.” le spiegò in breve.  

Fu sufficiente a insinuare in lei il sospetto di avere ragione, ma comunque lo lasciò continuare.

“Partiranno tra un paio di giorni e non si sa di preciso quando potranno tornare.” concluse Dean, buttando altra carne sul fuoco, nel palese tentativo di sondare il terreno. 

Juliet infatti aveva già capito dove volesse andare a parare, ma aveva preferito attendere un segnale da parte sua che confermasse i suoi presentimenti. “E tu vuoi andare con loro. Ho indovinato?” Non che ne dubitasse davvero. Tutt’al più si trattava di una domanda retorica.

L’espressione che vide comparire sul suo volto comunicò più sorpresa di quanto si aspettasse. Forse perché pensava di dover essere più esplicito. Evidentemente non era ancora consapevole di quanto ormai lo conoscesse bene. Con aria spossata, Juliet fece un sospiro, volgendo lo sguardo altrove. “Ascolta. Non ti mentirò dicendo che la cosa mi faccia piacere o che è giusto che tu vada, o altre cretinate simili…”

“Juliet…”

“No!” Si ritrasse stizzita quando fece per prenderle la mano. “Tanto hai già deciso, lo so. A questo punto, mi chiedo perché tu me ne stia parlando.” 

Dean aggrottò la fronte, squadrandola confuso. “Come perché? Avresti preferito venirlo a sapere da altri? Ci tenevo a informarti di persona, non potevo certo andarmene senza dire nulla.”

“Ci mancava solo che non me lo dicessi!” replicò fomentata.

La sua reazione lo colpì profondamente, tanto che per qualche istante non trovò le parole. Un evento raro nel suo caso. In seguito lo vide rilassarsi e il suo volto si rabbuiò. “Mi dispiace che tu l’abbia presa in questo modo.” disse, serio come solo lui sapeva essere.

“Come avrei dovuto prenderla secondo te? Stai per andare a rischiare la vita, incurante del fatto che io rimarrò qui, terrorizzata dal pensiero di quello che potrebbe succederti.” Riusciva a malapena a guardarlo, talmente sentiva crescere la rabbia dentro di sé. In momenti del genere era molto facile che le venisse da piangere e infatti l’impulso si presentò presto, obbligandola a distogliere lo sguardo perché non se ne accorgesse. Gesto ovviamente del tutto inutile. “Per fortuna avevi promesso di non escludermi più da certe decisioni.” Che stupida era stata a cascarci.

Dean, però, non accettò di incassare l’accusa. “Eh no, aspetta un attimo. Proprio in virtù di quella promessa ho ritenuto opportuno renderti partecipe.”

A Juliet sfuggì un ghigno amaro. Certo, facile metterla così. “Dirmelo a cose fatte è un tantino diverso che prendere insieme la decisione, non trovi?” ribatté, incrociando le braccia frustrata. “Non mi pare tanto difficile! Tu vieni a sapere una cosa, ne parli con me e solo dopo decidiamo il da farsi. Insieme, Dean. È una dinamica semplice, non capisco proprio quale sia il tuo problema!” Quel modo di fare sarcastico non era da lei, ma la paura di perderlo, unita a quella di non averlo accanto in un momento così brutto della sua vita, l’avevano trasformata nella persona aspra che non era mai stata. Forse il suo era semplice egoismo, ma per una volta non le importava.

Ad ogni modo, Dean non ne sembrò risentito. Se mai iniziava a prendere consapevolezza di aver fatto un errore a dare per scontato che avrebbe appoggiato la sua scelta. Inaspettatamente calmo, le si avvicinò e con lo sguardo le trasmise tutta la sua determinazione. “Se me lo chiedi, resterò. Per te.” 

Quella frase la spiazzò. Fin dall’inizio aveva creduto che ormai fosse tutto deciso e che lui avesse già dato la sua parola a Najat, ma adesso le venne il dubbio che forse non era così. Per un attimo neanche troppo breve fu tentata di dirgli di sì, che era quello che voleva, ma ovviamente la sua maledetta coscienza non glielo permise. “E sentirmi in colpa per averti impedito di salvare delle vite? No, non ci sto.” Nonostante tutto era la decisione giusta, anche se le faceva una gran rabbia doverlo ammettere. Non si sarebbe comportata come una di quelle ragazze morbosamente attaccate al fidanzato. 

Assumendo un’aria fiera, Dean le sorrise. “Sapevo che avresti capito.”

-Certo, sono sempre io a dover capire- pensò amareggiata. 

“Posso chiederti un’ultima cosa?”

Che altro c’era adesso? Finora non aveva dovuto mandar giù abbastanza rospi? “Avanti, parla.” acconsentì.

“Nei giorni in cui sarò via, tieni gli occhi aperti con Claire. Sarà anche migliorata, ma non è il caso di abbassare la guardia.”

Juliet dovette sforzarsi di trattenere il disappunto. Ancora non si fidava di Claire, malgrado fossero ormai passati giorni dal suo arrivo e a dispetto della fatica che l’amica stava facendo per dimostrargli la sua buona fede. “Farò del mio meglio.” tagliò corto infine, stizzita.

Dopo averla ringraziata, si avvicinò per posarle un bacio leggero sulla guancia. “Voglio solo che tu sia al sicuro.” le sussurrò in seguito all’orecchio. 

In circostanze diverse quel modo che aveva di risvegliare l’attrazione che provava per lui sarebbe bastato ad abbattere le sue fragili difese, ma stavolta Juliet si sentiva strana. A dispetto della sua opinione, Dean l’aveva avuta ancora vinta, lasciandola di nuovo con l’impressione che le sue esigenze fossero, se non del tutto superflue, almeno in parte trascurabili. A essere sinceri, quella situazione cominciava a stancarla. “Lo so.” rispose freddamente. “Ora andiamo. Si sta facendo tardi e dobbiamo ancora prepararci per la festa.”

Dal canto suo, Dean capì che non era il caso di insistere. Così annuì e insieme si avviarono verso l’accampamento.

 

Quando la sera uscirono dalla tenda per raggiungere il centro dell’accampamento, dove si sarebbero tenute le celebrazioni per il capodanno Jurhaysh, si trovarono di fronte a uno spettacolo inatteso. Addobbi e luci appesi un po’ ovunque rendevano l’ambiente quasi irriconoscibile. C’erano ghirlande colorate su ogni tenda, grande o piccola che fosse, e in lontananza l’eco di una musica tribale diffondeva nell’aria un’atmosfera di festa. La gente era allegra, i bambini tiravano i genitori per farli andare più in fretta e non perdersi gli spettacoli. Nella piazza principale, infatti, giocolieri e acrobati si stavano esibendo su un piccolo palco allestito per l’occorrenza, intrattenendo il numeroso pubblico.

“Certo che sanno come divertirsi da queste parti!” commentò Cedric, con un grosso sorriso stampato sulla faccia e gli occhi che brillavano. Per lui, infatti, era la prima occasione di partecipare a un evento tradizionale della tribù. 

“Gli Jurhaysh sono parecchio festaioli. Ti ci abituerai presto.” disse Claire ridacchiando, prima di prenderlo per mano e trascinarlo nella mischia. Sembravano due bambini al luna park.

Anche per Juliet era la prima volta, o almeno la prima volta come sé stessa e non nei panni di una duchessa del sedicesimo secolo, eppure non provava nemmeno un quarto dell’eccitazione di quei due. La mezza discussione con Dean aveva spazzato via l’entusiasmo per la serata, lasciandole solo l’amaro in bocca. Amaro che aveva tutta l’intenzione di togliersi bevendo qualcosa.

Seguirono Cedric e Claire verso un piccolo palchetto in legno, dove un tizio stava facendo volteggiare con maestria cinque torce infuocate sopra la testa, tra gli applausi e lo stupore generale. Rimasero a guardarlo per un po’, quando d’un tratto si sentirono chiamare da lontano e videro Laurenne e Samir avvicinarsi.

“Vi state godendo lo spettacolo?” domandò la sciamana, raggiante e favolosa nel suo abito colorato e pieno di perline.

Samir, però, si intromise prima che potessero rispondere. “L’abbiamo fatta per voi!” esordì fomentato, posando ai loro piedi una grossa lanterna di carta di cui aveva tutta l’aria di andare molto fiero.

Di fronte al consueto disagio di Dean in presenza del bambino, Laurenne gli andò in soccorso, provvedendo a chiarire. “Tradizione vuole che ogni famiglia costruisca la propria lanterna da liberare nel cielo a mezzanotte. È un modo per salutare il vecchio anno e augurarsi il meglio per quello che verrà.” Con fare amorevole accarezzò i riccioli neri del figlio, che li fissava ancora sorridente. “Immaginando che non potevate saperlo, io e Samir ne abbiamo costruita una anche per voi. Ormai fate parte della famiglia.”

Commossa, Juliet si piegò all’altezza del bambino e lo coinvolse in un abbraccio. “Grazie.” le riuscì solo di mormorare, rivolgendo poi lo stesso sguardo emozionato alla sciamana. “Grazie di cuore. È stato un pensiero davvero gentile.” Era un sollievo continuare a prendere atto giorno dopo giorno di quante persone meravigliose si potessero incontrare e di come la loro compagnia avesse avuto un effetto quasi terapeutico in alcuni momenti della sua vita non proprio idilliaci. Senza quel supporto probabilmente non avrebbe mai potuto superare certe avversità.

Dopo aver ricambiato il sorriso, la donna augurò a tutti un buon proseguimento e insieme al figlio li lasciò per raggiungere un gruppo di madri circondate da un’orda di bambini scalmanati.

L’ora del banchetto arrivò al termine degli spettacoli, quando Najat invitò tutti i guerrieri e gli ospiti d’onore a riunirsi attorno ai tavoli che aveva fatto allestire per l’occasione. Tra questi scoprirono di esserci anche loro, così si affrettarono ad andare a salutarla, per non sembrare maleducati. In seguito presero posto al loro tavolo, a qualche metro di distanza da quello grande e variopinto dove il Qahyd sedeva insieme ai suoi capitani, trovando anche Evan, Kira e Qiang, oltre ad altri guerrieri che avevano avuto modo di conoscere in quei giorni di permanenza al campo. 

Quando tutti si furono sistemati, Najat afferrò la sua coppa di vino e si alzò in piedi. “Amici miei.” esordì con voce ferma e sorriso composto, richiamando l’attenzione su di sé. Il brusio generale scemò piano piano, finché gli occhi di tutti furono puntati sul comandante, in attesa del suo discorso.

Mentre Najat parlava, tra i tavoli venivano riempite delle coppe simili a quella che lei teneva sollevata davanti a sé. Quando arrivò il loro turno di riceverla, Cedric ne annusò il contenuto, riuscendo a stento a trattenersi dal tossire. “Che diavolo c’è qui dentro?” chiese sottovoce a Kira, seduta di fronte a lui.

Bushriā.” rispose lei sbrigativa, tornando subito dopo a seguire con aria attenta il discorso del comandante. 

L’occhiata che Cedric le rivolse era tutta un programma. “Grazie Mulan, adesso è molto più chiaro.”

Dall’altro lato, Qiang ridacchiò. “È il vino tradizionale del capodanno Juhraysh. Quando Najat avrà finito, proporrà un brindisi e dovremo berlo tutti insieme.”

“Non ha un odore invitante…” osservò Juliet, storcendo il naso. 

“Aspetta di sentire il sapore…”

“Volete stare zitti?” li rimproverò Kira, per poi fulminare il fratello con lo sguardo. “Nostro padre ci guarda.”

Lui alzò gli occhi al cielo e tornò a seguire il discorso, ormai giunto alla conclusione.

“Spero apprezzerete la festa. Godetevi un po’ di svago prima della vostra partenza, ve lo siete meritato. Al nostro futuro!” esclamò la guerriera, sollevando ancora di più il bicchiere per dare il via al brindisi. Dopodiché lo portò alle labbra, subito imitata dagli altri.

“Adesso! Giù tutto d’un fiato.” disse Qiang, prima di fare lo stesso.

Mentre gli altri commensali si abbandonavano ad applausi e grida di giubilo, Juliet e Rachel, così come Mark e Cedric, per poco non si strozzarono con la loro dose di vino, facendo scoppiare a ridere tutti quelli che sedevano con loro. 

“Con cosa lo fate questo vino? Fiamme dell’inferno?” domandò Cedric tra un attacco di tosse e l’altro, la voce resa roca dal forte sapore della bevanda.

“Caffè, uva, spezie e molto alcool. Immagino che voi ragazzi di città non abbiate mai bevuto niente di simile.” li schernì Evan, ridacchiando; poi sul suo volto si aprì un ghigno di sfida. “Scommetto che non riesci a berne un altro bicchiere.”

Punto nell’orgoglio, Cedric non se lo fece ripetere e come prevedibile accettò la sfida, incitato subito da Qiang e dagli altri guerrieri. 

Nel giro di breve tempo, tutti divennero preda dell’entusiasmo dato dall’alcol e dalla voglia di dimenticare le proprie preoccupazioni, almeno per un po’. Tutti tranne Dean. Rimuginava ancora sul discorso di Najat, del quale non aveva perso neanche una parola. “Cosa intendeva con prima della vostra partenza?” domandò incuriosito a Kira, l’unica guerriera ancora lucida del tavolo.

“Molte delegazioni torneranno nei rispettivi avamposti nei prossimi giorni, mentre noi ci occuperemo della Siria.” spiegò lei seria.

Anche Rachel, che era abbastanza vicina da sentirli, si mostrò interessata. “Scusa e tutto quel discorso sullo sconfiggere insieme il nemico? Credevo che riunire le tribù servisse a pianificare un attacco.” L’argomento le premeva non poco, visto che una volta completata la pozione, si sarebbe posto il problema di come somministrarla a Nickolaij e la prospettiva di avere l’appoggio di un solido esercito la faceva stare leggermente più tranquilla. In parole povere più gente c’era più aumentavano le probabilità di riuscita.

“Quella è la seconda fase.” replicò Kira, annuendo come a darle ragione. “Ciò che Nat ha fatto finora è stata un’opera di convincimento e credetemi non è stato per niente facile, ma alla fine ce l’ha fatta. Ora che sono tutti d’accordo li fa tornare a casa per radunare le truppe, così poi da pianificare l’attacco. È un processo lungo e soprattutto non è mai stato messo in atto prima. Dovrà essere perfetto.”

Le sue parole la rassicurarono un po’. Dalle premesse sembrava che l’attacco a Bran fosse imminente, invece ora scopriva di avere molto più tempo davanti a sé per preparare la pozione e non poté che tirare un sospiro di sollievo.

“Per oggi basta parlare di lavoro, va bene? È una festa, cerchiamo di divertirci!” esclamò Evan, per poi alzarsi in piedi con in mano la bottiglia mezza vuota e incitare i presenti a un altro brindisi.

Da quel momento in poi la festa degenerò. Il gruppo musicale non smise un attimo di suonare e il solito spettacolo di ballerine deliziò gli invitati già piuttosto ubriachi e chiassosi. Alcuni dei capitani più anziani si congedarono presto dopo la cena, lasciando spazio ai giovani che al contrario si stavano divertendo parecchio. Eccezion fatta per Avartak, che completamente sbronzo dava spettacolo cantando a gran voce le canzoni tradizionali del suo paese, il tutto intervallato da copiose sorsate di vino e conseguenti scrosciate di risate generali. 

Col proseguire della serata la sfida tra Cedric ed Evan si allargò, coinvolgendo nelle bevute molti altri guerrieri. E Mark.

Dall’angolino appartato in cui nel frattempo si era defilata, Rachel non aveva smesso di osservarlo neanche un attimo, forte del suo essere sobria, a differenza della maggior parte dei presenti. Qiang lo aveva appena battuto in una stupida sfida a braccio di ferro, costringendolo a trangugiare un intero boccale di birra per penitenza. Il quarto, se i suoi conti erano esatti. Vederlo ubriacarsi in quel modo la faceva sentire malissimo e per quanto Mark stesse fingendo di considerarlo un gioco, lei conosceva bene il motivo dietro quel comportamento. Ecco perché non poteva smettere di preoccuparsi. Nonostante la decisione di lasciarsi fosse stata sua, restare indifferente era impossibile.

Per un attimo pensò addirittura di imitarlo, mandare giù un sorso nella speranza che quell’oblio cogliesse anche lei, sottraendola temporaneamente al dolore, ma il pensiero delle sue condizioni la riportò ben presto alla ragione. Aveva perfino finto di bere il vino tradizionale durante il brindisi di Najat per non dover dare spiegazioni, con il rischio di portarsi sfortuna da sola. –Tanto peggio di così-. In un gesto istintivo si portò una mano al ventre. Era passato solo qualche giorno da quando aveva scoperto di aspettare un bambino. Sebbene fosse sempre decisa a liberarsene, sia lei che Laurenne avevano avuto un gran da fare e non c’era mai stata occasione di procedere con la preparazione dell’infuso che le sarebbe servito. 

Finito anche l’ultimo goccio, Mark si voltò e, quando per un istante i loro occhi si incontrarono, Rachel ebbe un tuffo al cuore. Era in uno stato pietoso, la lucidità ormai un lontano ricordo, ma nel suo sguardo poté leggere tutto il risentimento contro di lei. Poco dopo uno dei guerrieri gli mise un braccio intorno alle spalle, riportandolo tra loro e l’incantesimo si spezzò, anche se la sensazione di malessere le rimase impressa nel petto. Non ce la faceva più. Forse era arrivato il momento di andarsene, ma proprio quando stava per farlo Claire e Juliet le si sedettero accanto, mandando all’aria i suoi propositi di fuga.

“Dov’eri finita? Ti stavamo scercando…” biascicò Juliet, anche lei ormai sotto gli effetti dell’alcool.

Claire ridacchiò. “Ci è andata giù un po’ pesante, avevo bisogno di supporto morale.” mormorò, facendo in modo che non la sentisse.

“Tu invece sei più che sobria, vedo.” notò Rachel, fingendo stupore.

“Divertente.” ribatté lei con una smorfia. “Sapevi che i vampiri non possono ubriacarsi? Una noia mortale… Anzi no, aspetta, neanche la noia può uccidermi!” scherzò. 

Senza prestare molta attenzione ai loro discorsi, Juliet mandò giù un altro sorso dalla bottiglia che stringeva tra le dita, alla stregua di uno di quegli ubriaconi che si incontravano la notte nei vicoli. “Uomini. Pensano solo a loro stessi…” asserì in tono lamentoso. “Guardate Dean, per esempio. Abbiamo appena discusso e se ne sta lì a divertirsci come se niente fosse.” Con il mento accennò al tavolo poco distante, dove Evan e Qiang avevano appena sfidato Mark e Cedric all’ennesima gara di bevute, mentre gli altri urlavano incoraggiamenti chi da una parte chi dall’altra. 

In effetti, Rachel trovò Dean insolitamente coinvolto, seppur in maniera più composta. Sembrava a suo agio fra quelle persone, forse più che in ogni altra occasione le fosse capitato di vederlo. 

“È una festa Juls, è questo che si fa di solito. Ammettilo, ce l’hai con lui solo perché ha deciso di partire con Najat.” la stuzzicò Claire, prima di rubarle la bottiglia e scolarsi un goccio. 

Intuendo di essersi persa qualcosa, Rachel alzò un sopracciglio, ma prima che potesse chiedere qualcosa ci pensò l’amica a colmare le sue lacune, mettendola al corrente dei motivi del litigio con Dean e perdendosi nell’elenco non richiesto di tutte le volte che l’aveva portata all’esasperazione. 

“Che poi non è che sce l’abbia con lui perché vuole partire. Anzi, la sua è una giusta causa e sarei un’egoiscta a chiedergli di restare. È solo che avrei voluto mi avesse coinvolta nella decisione! Le coppie fanno così, giusto? Eppure a volte scembra che non gli interessi cosa penso. Forsce non tiene così tanto a me, dopotutto…”

Claire sospirò paziente. “Sai che non è vero. È andato fuori di testa quando ti ho aggredito…”

Rachel si girò di scatto a guardarla con gli occhi sgranati. “Tu cosa?” chiese allibita.

“Nulla di grave, è stato solo un incidente. Poi ti spiego.” glissò lei per tutta risposta, prima di tornare su Juliet, che intanto si era riappropriata della bottiglia. “Il punto è che tu sei la cosa più importante per lui, solo che è fatto così. È un testone.”

“Esatto! Hai detto bene!” esclamò infervorata.  “A volte è proprio un testone. E per quanto glielo ripeta, lui proprio non capisce…” e ricominciò a lamentarsi di Dean, finché Rachel, distratta ancora una volta da quello che stava combinando Mark, non smise di ascoltarla.

“Ehi, ma mi ascolti?” Juliet richiamò la sua attenzione dandole un colpetto sulla spalla e lei tornò a guardarla confusa.

“Come?”

“Ti ho chiesto cos’è successo con Mark? Vi abbiamo scentito litigare l’altra sera, poi tu sei sparita…”

“Ci siamo lasciati.” la informò allora senza troppe cerimonie, con una freddezza che sorprese anche lei e che lasciò le amiche di sasso. 

Claire fu la prima riprendersi. “Lo sospettavo. Soprattutto perché ultimamente non ti si vede più tanto alla tenda. Certo, speravo di sbagliarmi…”

Al contrario, Juliet era ancora scioccata e la guardava come se qualcuno le avesse rovesciato un secchio pieno di acqua gelida in testa. “Ma… come…”

Tuttavia, Rachel la fermò prima che potesse attaccare con l’ennesimo monologo. “Non ne voglio parlare, Juls.”

Lei stava per ribattere, ma la voce di Cedric che chiamava Claire da qualche metro più in là la fece desistere. 

“Ehi, dolcezza!” la apostrofò, facendole poi segno di raggiungerlo.

Naturalmente Claire non si fece pregare e con l’agilità di un gatto si alzò di nuovo in piedi. “Signore, è stata una bella chiacchierata, ma il dovere chiama. Continuate pure a deprimervi senza di me.” le schernì, per poi allontanarsi. 

“Ti odio!” urlò Juliet alla sua schiena.

“Non è vero!” ribatté lei senza voltarsi.

Con lo sguardo la seguirono fino al tavolo dove Cedric la stava aspettando e, una volta raggiunto, gli si sedette in braccio con fare lascivo. Un istante dopo si chinò su di lui e iniziarono a baciarsi in modo decisamente poco casto, incuranti dei fischi della gente intorno. 

“Ma guardali.” commentò Juliet, storcendo il naso. “Non so se essere felice per loro o invidiosa.” 

Rachel non disse niente, ma non poté fare a meno di pensare lo stesso. Se le cose fossero andate diversamente, adesso ci sarebbero stati lei e Mark a sbaciucchiarsi in un angolo, ubriachi e felici. 

“Che schifo l’amore.” sentenziò l’amica disgustata, scolandosi anche l’ultimo sorso.

Dentro di sé Rachel pensò che doveva essere proprio partita per dire una cosa del genere e d’istinto le venne da sorridere. 

L’espressione di Juliet si fece triste nel constatare che la bottiglia era ormai vuota. “Vado a prenderne un’altra. Ti unisci a me?” le chiese in un singhiozzo, per poi alzarsi forse troppo velocemente. Un giramento di testa la colse e sembrò quasi ripiombare sulla panca, ma all’ultimo momento riuscì a reggersi al tavolo, ritrovando un equilibrio, seppur precario. 

Rachel scosse la testa per declinare l’offerta, anche perché era da un pezzo che intendeva abbandonare la festa e quella era l’occasione giusta. Stava già pregustando un meritato riposo, quando con la coda dell’occhio vide Claire bisbigliare qualcosa all’orecchio di Cedric, per poi alzarsi e, dopo averlo guardato maliziosa, prenderlo per mano e trascinarlo via con sé.  

Non c’era bisogno di particolare immaginazione per intuire dove stessero andando e come si sarebbe conclusa la loro serata, così Rachel non ebbe altra scelta che tornare a sedersi, conscia di doversi rassegnare ancora per un po’ a quella tortura.

A fatica si impose però di non continuare a tormentarsi su Mark, sempre più ubriaco e distante da lei, sebbene a separarli ci fosse solo qualche tavolo. Così vagò con lo sguardo altrove, finché la sua attenzione non fu attirata dai gridolini eccitati di un gruppetto di bambini assiepati intorno a un omone dalla pancia prominente, che stava distribuendo delle candele accese, e d’un tratto realizzò che doveva mancare poco a mezzanotte e al tradizionale lancio delle lanterne.

Mossa da un improvviso spirito di iniziativa, prese il regalo di Laurenne e Samir e, avvicinatasi anche lei all’omone, gli fece capire con il dito di volere una candela. Quando, però, lui si offrì sorridente di accendergliela, Rachel rifiutò con un sorriso altrettanto cordiale. Preferiva pensarci da sola. Si allontanò quindi dalla calca, fermandosi solo una volta sicura di essere sola. Posizionò la candela nella lanterna, sul supporto costruito apposta per lo scopo, e con un semplice gesto della mano la accese. Con sguardo rapito rimase a osservare la fiamma aumentare di volume, mentre il calore faceva gonfiare la sottile copertura in foglie di palma pressate e intrecciate. Purtroppo, però, non tirava abbastanza vento quella sera e Rachel temette che non sarebbe riuscita a prendere il volo, prima di ricordare che in fondo l’aria era il suo elemento. 

Preso un bel respiro, si concentrò allora sulle flebili correnti che la circondavano, lasciandosi pervadere dalla loro energia nascosta; poi, con un movimento sinuoso delle mani provò a metterle insieme per creare una folata di vento degna di questo nome, con cui finalmente poté far fluttuare la sua lanterna. Soddisfatta delle sue capacità, si concesse un sorriso, mentre la guardava salire sempre più in alto e unirsi al fiume di luci che si stavano alzando in volo da ogni angolo dell’accampamento, finché non fu così lontana da diventare anch’essa uno dei tanti puntini luminosi che costellavano il cielo buio. 

Con gli occhi ancora pieni di quello spettacolo mozzafiato, Rachel pensò a quanto le sarebbe piaciuto fare lo stesso, lasciare tutti i suoi problemi a terra e volare via libera e leggera come una lanterna di carta. 


 

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Capitolo 33
*** Fine dei giochi ***


Capitolo 23

 

Fine dei giochi


“Io capisco l’importanza del suo lavoro e che vivere sotto lo stesso tetto con Mark la faccia stare male, ma non può sparire così, senza dire una parola!” 

Juliet e Claire percorrevano a grandi passi la strada che portava alla tenda di Laurenne, dove contavano di trovare Rachel, come di consueto alle prese con la pozione. Era dalla sera della festa che non si faceva vedere e, sebbene all’inizio avessero concordato di lasciarle i suoi spazi nella speranza che prima o poi si sarebbe fatta viva, ora iniziavano a preoccuparsi. Per quanto fosse decisamente ubriaca, Juliet ricordava bene la delusione provata nell’apprendere che lei e Mark si erano lasciati. L’ultima cosa che avrebbe mai immaginato potesse succedere. Rachel si era rifiutata di parlarne, ma che fosse a pezzi era evidente e la sua fuga non aveva fatto altro che confermarlo. Nei giorni successivi si era informata sul suo stato tramite Laurenne, durante i turni in infermeria, ma la sciamana le aveva ripetuto sempre la solita solfa su quanto la pozione la tenesse impegnata, che aveva bisogno di tenerla sotto costante osservazione, eccetera, eccetera... In un primo momento se l’era anche fatto bastare, ma più passava il tempo e più l’ostinato isolamento di Rachel le faceva saltare i nervi! Da quando la conosceva, cioè da ben oltre metà della sua vita, non le era mai capitato di vederla reagire in quel modo di fronte alle difficoltà. Era semplicemente fuggita, allontanando tutti coloro che avrebbero potuto sostenerla e darle conforto. Un atteggiamento più tipico di Claire in realtà e che forse in circostanze diverse avrebbe cercato di comprendere, ma che ora faticava addirittura a giustificare, complice probabilmente il nervosismo causato dalla partenza di Dean.

“Calmati, sei troppo su di giri stamattina.” la rimbeccò Claire pacata. 

“Su di giri? Io? Ma se sto benissimo.” mentì, consapevole di non ingannare nessuno. La verità era che non ne andava dritta una negli ultimi tempi. Come se i problemi con Rachel e il pensiero dei suoi genitori prigionieri non bastassero, Dean se ne era andato all’alba, dopo averla svegliata per un saluto e un mezzo tentativo di infonderle sicurezza sulla sua incolumità senza farlo suonare come una promessa. 

-Non temere- le aveva sussurrato sulla soglia della tenda. –Ho un’ottima ragione per tornare vivo

Afferrato il senso delle sue parole, Juliet era riuscita giusto ad abbozzare un sorriso per nulla convinto mentre lasciava che le baciasse delicatamente il dorso della mano, per poi guardarlo allontanarsi intristita. Al momento l’ultima cosa che sentiva di poter sopportare era stargli lontana, ma non aveva scelta. Se solo fosse stata anche lei una guerriera, magari avrebbe potuto seguirlo e partecipare all’azione. Ma sapeva che la sua sarebbe rimasta una fantasia e che andare con lui era fuori discussione. Gli sarebbe stata solo d’intralcio.

L’amica arricciò le labbra, lanciandole un’occhiata scettica ma evitando di replicare. Al contrario suo, Claire aveva un aspetto decisamente sereno, quasi zen, cosa che andava avanti almeno dalla sera della festa. Incredibile come nel giro di poco tempo i ruoli si fossero ribaltati. 

“Tu invece? Ti trovo bene.” osservò allora, con una punta di malizia nella voce. “Per caso c’entra qualcuno il cui nome inizia per C?” Che il rapporto tra lei e Cedric si fosse evoluto non c’erano dubbi e in quei giorni Juliet aveva avuto modo di osservarli, intuendo da ogni gesto d’intesa e da ogni sguardo languido che si scambiavano che doveva essere successo qualcosa. Come sempre riservata su certe questioni, Claire l’aveva lasciata a bocca asciutta, ma lei era sicura di non sbagliarsi e moriva dalla voglia di conoscere i dettagli. 

Un sorriso sornione appena percepibile comparve sul volto dell’amica, segno che avesse colto l’allusione. “Non so di cosa parli.” tentò di glissare.

Faceva la preziosa, ma se pensava di cavarsela con così poco si sbagliava di grosso. “Non prendermi per fessa. Ho visto come vi guardate ultimamente, sembra sempre che stiate per saltarvi addosso. Perché non mi racconti tutto e la facciamo finita?” 

“Che vuoi che ti dica? Tanto hai già capito, no?”

Esasperata, a quel punto Juliet si arrese. “Va bene, tieniti i tuoi segreti.” sentenziò con finto disappunto. “E pensare che fino a pochi mesi fa non volevi saperne.” In realtà, provava sincera soddisfazione nel vederli finalmente insieme, felici e affiatati, ma allo stesso tempo nel profondo cercava di reprimere un pizzico di invidia. C’era un abisso tra la chimica che si percepiva tra loro due e quella che lei aveva con Dean, soprattutto di recente. Dal punto di vista sessuale poi… neanche a parlarne.

Claire allora ridacchiò, ignara delle sue elucubrazioni mentali. “Mesi fa non capivo un accidente.” concluse senza vergognarsi. 

Juliet sapeva già che per ora quello era il massimo che avrebbe ottenuto e comunque ormai erano arrivate a destinazione. 

“Okay, ci siamo.” disse Claire, fermandosi davanti all’entrata della tenda di Laurenne. “Mi raccomando, vacci piano. Già non si fa viva da giorni, se poi la aggredisci rischiamo che si chiuda a riccio e tanti cari saluti.”

“Hai ragione.” annuì, prima di fare un bel respiro di preparazione e seguire l’amica. 

Non appena entrarono, vennero assalite da una puzza acre, così forte da costringerle a coprirsi il naso. L’ambiente semibuio era avvolto da una fitta nebbia e solo quando i loro occhi si adattarono alla semioscurità, riuscirono a individuare Rachel. Era china sul suo grimorio, circondata da ogni tipo di boccette vuote, resti di erbe tritate e altri ammennicoli non ben definiti. Sbuffava e borbottava qualcosa, portandosi indietro i capelli arruffati e sfogliando le pagine in maniera frenetica, talmente concentrata da non notare la loro presenza.

“Ray?” Juliet dovette sventolarle una mano davanti agli occhi per far sì che si accorgesse di loro e, quando finalmente Rachel alzò gli occhi dal libro, le fissò come intontita. “Da quanto siete lì?”

Non aveva un bell’aspetto, era pallida, dimagrita e due cerchi viola si intravedevano da sotto le lenti degli occhiali, segno che non dormisse da giorni.

Juliet prese posto su uno sgabello. “Siamo appena arrivate... Tutto bene?” le domandò titubante, lanciando un’occhiata preoccupata prima a lei e poi al pentolone che borbottava nell'angolo. Claire aveva fatto lo stesso e avvicinandosi arricciò il naso. Era chiaro che la fonte di quell’odoraccio provenisse da lì e i suoi sensi più sviluppati glielo confermarono. Più che una pozione somigliava a un minestrone andato a male. “Io non sono certo un’esperta, ma sei sicura che debba puzzare così?” 

“No, non dovrebbe puzzare affatto e neanche avere quel colore!” esclamò Rachel esasperata, chiudendo in malo modo il grimorio e portandosi le mani sul viso.

Intuito quale fosse il suo stato d’animo, Juliet si scambiò una rapida occhiata con Claire, prima di alzarsi e avvicinarsi cauta all’amica. “Che ne dici se adesso usciamo e ci facciamo una passeggiata?” le propose con fare rasserenante.

Lei, però, non sembrava dello stesso avviso. “Vuoi scherzare?” esclamò, infatti, riemergendo all'improvviso dalle mani. “Prima di tornarsene a casa loro, alcuni capi tribù sono venuti a vedere a che punto fosse questa dannata pozione e quando ho detto che ci stavo ancora lavorando non l’hanno presa molto bene. Vogliono che la finisca il più presto possibile, non ho tempo di passeggiare!” Sottolineò, come se la sola idea fosse del tutto ridicola.

“Chi se ne frega dei capi tribù! Ray, guardati. Sei in uno stato pietoso, te la meriti una pausa.” affermò Claire con decisione per convincerla a desistere.

Juliet le si accodò per darle manforte. “Esatto. Devi riposare e mangiare qualcosa. Tutto questo stress non ti fa bene, soprattutto nel tuo stat…”

“Va bene!” capitolò alla fine Rachel, interrompendola prima che andasse troppo oltre. In quei giorni si era espressamente vietata di pensare anche al suo “stato” e non voleva farlo proprio ora. Aveva già fin troppi problemi. Buttò un’occhiata sconsolata alla sbobba verde che continuava a sobbollire nel pentolone e sospirò affranta. “Ma sì, una pausa posso anche concedermela. Tanto ormai questa roba è da buttare.” Con un gesto automatico delle dita spense le fiamme e seguì le altre fuori dalla tenda.

Era una bella mattinata di sole e tutta quella luce per poco non l’accecò, costringendola a schermarsi gli occhi. “Credo di essere rimasta lì dentro un po’ troppo, in effetti.” ammise, sorridendo alle amiche.

“Per questo siamo venute a salvarti.” scherzò Claire, tornando poi subito seria. “Davvero Ray, non starai esagerando? Guardati, sembri uno straccio.”

Rachel sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Ecco che si ricomincia…”

“Sono l’ultima persona che vorrebbe farti una predica, ma…”

“E allora non farlo.” la zittì glaciale. “Forse non ve ne rendete conto, ma non posso permettermi il lusso di riposare. Almeno finché non raggiungo un risultato a malapena decente. È già la seconda volta che mi tocca buttare tutto e sto finendo alcuni ingredienti. Quella non è roba che trovi al supermercato.” si sfogò, riavviandosi i capelli esasperata. Come facevano a non capire? Tutti contavano su di lei per quella pozione, come poteva pensare a dormire o mangiare quando l’esito della guerra dipendeva dalla riuscita o meno del compito assegnatole da Margaret?  “È un disastro. A volte penso che non ce la farò mai…” mormorò afflitta; poi le guardò con aria stanca, quasi implorante. “Perciò vi prego, sono già stressata di mio, non vi ci mettete anche voi.”

Juliet odiava vederla in quello stato. Sembrava il fantasma di sé stessa. “Non dire così. Siamo solo preoccupate per te. Non ti vediamo da giorni, poi veniamo qui e ti troviamo a pezzi.”

“A proposito. Hai deciso di trasferirti definitivamente da Laurenne poi?” indagò Claire, prendendola in contropiede.

Restia a rispondere, Rachel abbassò lo sguardo in imbarazzo. “Ho pensato fosse la soluzione migliore, dato che ero già quasi sempre qui per controllare la pozione. E poi con la storia di Mark…”

“Quindi è proprio finita tra voi?”

Lei sospirò, prima di annuire leggermente.

Juliet non riusciva ancora a capacitarsene. “Ma… perché? Non ci hai più detto niente.” 

“È stato un insieme di cose…” Non aveva molta voglia di mettersi a spiegare i motivi che l’avevano spinta a quella scelta, tutti troppo diversi e personali perché potessero comprenderli a pieno. “Possiamo parlare di altro, per favore? Sono stanca…”

“E no, ora basta!” Juliet cominciava a non sopportare più quel suo atteggiamento. “Tu adesso ci spieghi che cosa ti sta succedendo. Ci conosciamo da sempre, siamo cresciute insieme, eppure da qualche tempo ci tratti come delle estranee. Sfogati con noi, le amiche servono a questo, no?”

A quel punto, Rachel si irrigidì e smise di camminare, lo sguardo imbronciato. “Ne sei proprio sicura?” domandò poi tagliente.

“E questo che vorrebbe dire?” Claire si mise le mani sui fianchi, in attesa di spiegazioni.

Lei distolse lo sguardo con aria nervosa. La verità era che da quando aveva scoperto chi era davvero e quello che aveva dovuto fare la sua maestra per permetterle di trovarla, un tarlo le si era insinuato nella testa. Aveva provato a reprimerlo, ripetendosi che fosse insensato, ma più passava il tempo e più si faceva strada nel tunnel dei suoi pensieri. Avrebbe preferito continuare a passeggiare, piuttosto che affrontare anche quell’argomento, ma ormai il danno era fatto e c’era un solo modo per uscirne. Chissà, magari quel confronto le avrebbe chiarito le idee. 

“Non ricordi cosa ha detto Margaret, vero?” chiese a Juliet, che non smetteva di guardarla con aria sempre più confusa. “Lei ci ha manipolate!” gridò spazientita. “Se non avesse messo dentro di voi le anime delle sue sorelle, non saremmo mai state amiche. È stata tutta una finzione, una montatura sin dall’inizio.” Si girò verso Claire. “Perché credi che io e te non andassimo sempre d’accordo? Margaret ed Elizabeth non si sopportavano e l’unica capace di mettere pace tra loro era Cordelia. Non vi ricorda niente?”

In effetti, le affinità tra loro e le sorelle Danesti erano evidenti, ma Juliet non ci si era mai soffermata più di tanto. Si somigliavano, certo, ma questo non significava che fossero le stesse persone.

“Okay, ma… questo cosa c’entra? Noi non siamo loro.” Sentì domandare da Claire, che diede voce al suo ragionamento come se le avesse letto nel pensiero. “E poi sia Cordelia che Elizabeth non sono più dentro di noi, ma questo non ci impedisce di preoccuparci per te e considerarci tue amiche.”

Rachel scosse la testa spazientita. “Continuate a non capire… Noi non siamo mai state realmente amiche! Ho sempre pensato che fosse assurdo che due tipe come voi trovassero interessante una secchiona sfigata… come me. E adesso so il perché.” Abbassò gli occhi pieni di lacrime. Quello era forse uno dei suoi segreti più profondi. A causa delle sue insicurezze aveva iniziato a pensarlo già molti anni prima, ma non lo aveva mai detto per paura di sembrare paranoica e aveva assunto un’aria altezzosa come maschera dietro cui nascondersi. “Era tutto pilotato.” 

Sopraffatta dalla disperazione, si lasciò cadere a terra. Tutte le emozioni represse in quelle ultime settimane riaffiorarono all’improvviso, esplodendo in un pianto che non riuscì più a trattenere. Mai come in quel momento si era sentita così sola. Aveva perso tutte le sue certezze e, anche se le persone che amava di più erano proprio di fronte a lei, le sentiva lontane migliaia di chilometri.

Juliet era senza parole, quella confessione l’aveva spiazzata. Vedere quanto l’amica stesse soffrendo le procurava un dolore indescrivibile e anche i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma riuscì a bloccarle prima di seguirla a ruota. Con la coda dell’occhio notò lo stesso sguardo triste sul volto di Claire, che concesse a Rachel un momento per riprendersi; poi con passo sicuro le si avvicinò e piegandosi alla sua altezza le sollevò il viso, in modo che i loro occhi si incrociassero. “Okay, ti sei sfogata. Adesso però basta fare la vittima.” disse in tono deciso.

“Claire!” la rimproverò Juliet basita. Come poteva essere così insensibile?

Lei allora si voltò di scatto nella sua direzione. “È ora di piantarla, Juls! La Rachel che conosco da quando avevo sei anni, quella che non si è mai arresa con me, che mi faceva studiare finché i concetti non mi entravano in testa e mi rimetteva in riga quando facevo uno sbaglio, che mi ha sempre consolato, dandomi ottimi consigli che poi puntualmente non seguivo, e che ha persino preso a pugni una cheerleader solo per difendermi… Quella Rachel non si comporterebbe così.” concluse decisa.

Juliet iniziava a capire a che gioco stesse giocando e decise di darle corda. “Hai ragione, sai. La mia amica Rachel” iniziò, sottolineando con enfasi la parola con la “a”. “Non si piangerebbe addosso. Lei è una donna forte, sempre pronta a sostenerti nelle difficoltà e accettare di seguirti anche se ti impunti nel voler andare a uno stupido ballo che ti incasinerà la vita. Anche quando pensi che abbia una cotta per il ragazzo che ti piace, lei si farebbe da parte pur di vederti felice, perché non rinuncerebbe alla vostra amicizia per nulla al mondo. Ti rimarrebbe accanto, anche quando cambi personalità…”

“O se diventi un mostro.” aggiunse Claire, spostando l’attenzione di nuovo su Rachel, che nel frattempo aveva smesso di piangere e le guardava con stupore, realizzando quanto fosse stata stupida. Quelle non solo erano le sue amiche, erano le sorelle che non aveva mai avuto e si diede dell’idiota solo per aver dubitato di loro e del legame che le univa. 

Juliet accennò un sorriso. “Nessuno ti conosce meglio di noi, Ray. Pilotata o no, la nostra è un’amicizia vera, fattene una ragione.”

Era vero. Si era lasciata influenzare dalle sue paranoie e per poco non aveva rischiato di perdere le uniche persone su cui poteva sempre contare. “Io… Ragazze, mi dispiace tanto.” balbettò, tirando su col naso e asciugandosi le lacrime che erano scese di nuovo a rigarle il viso.

Intenerita, Claire l’aiutò a tirarsi in piedi. “Ora che abbiamo messo le cose in chiaro, la smetti di fare la nevrotica e ci racconti perché cavolo di motivo hai mollato Mark?”

Lei guardò i volti delle sue migliori amiche e scoppiò a ridere. Una risata liberatoria, vera e contagiosa, tanto che tutte si strinsero in un abbraccio e non ci fu bisogno di aggiungere altro.

-o-

 

In quello che ormai era un riflesso condizionato, Juliet scostò con due dita uno dei lembi della tenda e diede una rapida occhiata fuori, senza vedere nulla di diverso dal solito esattamente come due minuti prima. La calma era di nuovo scesa sull’accampamento da quando gran parte dei capi tribù con rispettivi seguiti l’avevano lasciato per tornare ognuno nella propria terra d’origine. Ora giravano solo persone comuni e di tanto in tanto i pochi guerrieri che non erano partiti per la Siria con il grosso degli uomini di Najat. -Già- pensò. –Quindi non vedo perché portarsi anche Dean- Si poneva la stessa domanda da giorni, prima di ricordare puntualmente a se stessa che l’aveva voluto lui. 

“È inutile, Juls. Non credo che torneranno prima di sera.” 

Claire rispose alla mossa di Samir senza alzare lo sguardo da quella specie di dama a cui stavano giocando, ma con la coda dell’occhio doveva averla vista sbirciare fuori.

“Cosa? No, lo so…” si affrettò a replicare, intuendo si riferisse a Rachel e Laurenne, che quella mattina stessa avevano lasciato il villaggio per recuperare un ingrediente che le serviva per la pozione. Una partenza improvvisa quanto inevitabile, a sentire Rachel. Ad ogni modo, la sciamana aveva assicurato che sarebbero rientrate al massimo per l’ora di cena, così lei e Claire si erano offerte di badare a Samir fino al suo ritorno. 

Notando la sua espressione assorta, Claire allora sembrò capire. “Ah, non sono Rachel e Laurenne a preoccuparti, giusto?” chiese in tono vago, apparentemente distratta dal gioco. 

Sul momento Juliet rimase interdetta. Poi, non sapendo cosa rispondere sospirò affranta, abbandonandosi su un cuscino nelle vicinanze. “Come l’hai capito?” La sua era più una domanda retorica.

“Perché ti conosco. Quando sei un fascio di nervi in genere il motivo può essere uno solo.” rispose l’amica, ridacchiando.

Juliet storse la bocca con disappunto. “Sono così prevedibile?” 

“Dipende. Se si tratta di chi so io, sì.”

“Beh senti, non è colpa mia.” ribatté seccata. “È lui che ha deciso di andare a fare l’eroe, malgrado non sia compito suo. Io non capisco, sembra che ci provi gusto a rischiare la vita.”

Claire alzò gli occhi al cielo, sospirando paziente. “Non pensi di esagerare? È un vampiro, Juls. Per quanto pericolosa possa essere la missione, la sua vita sarà sempre meno a rischio di quella di una persona qualunque.”

Aveva ragione, se ne rendeva conto, ma il fatto di saperlo più forte e resistente di un uomo normale non aveva impedito all’ansia di spingerla a controllare ogni cinque minuti nella speranza di vederlo comparire fuori dalla tenda. “Comunque stavolta voglio mantenere il punto. Sono stanca di essere sempre io quella accomodante.” sentenziò determinata.

Quando fu il suo turno di muovere la pedina, Claire si concesse un attimo per studiare la scacchiera, mentre Samir la fissava con una buffa espressione di sfida mista a concentrazione stampata in faccia. “Premesso che ti voglio bene e che sarò sempre dalla tua parte, posso essere del tutto sincera?” esordì, dopo aver fatto la sua mossa. 

Juliet annuì, pur avvertendo uno strano senso di inquietudine alla bocca dello stomaco. 

“Hai mai pensato che forse potrebbe essere la differenza di età a rendere complicato il vostro rapporto?”

“In che senso?” le chiese confusa, aggrottando la fronte. Tutto si sarebbe aspettata, fuorché un’osservazione del genere. 

Claire allora parve realizzare di averle posto la domanda un po’ troppo a bruciapelo, così lasciò perdere la scacchiera per un attimo e la guardò. “Non so, ho l’impressione che tu lo veda sempre come un nostro coetaneo, quando in realtà c’è un abisso tra noi e lui. Ormai, dopo centodieci anni, sarà abituato a prendere decisioni per conto suo e solo perché ora sta con te non puoi pretendere che cambi modo di pensare da un giorno all’altro, ti pare?” 

Il suo ragionamento non faceva una piega ed ebbe il potere di farle aprire gli occhi. Per la prima volta Juliet realizzò di aver sempre considerato Dean un ragazzo di diciannove anni, anche se certamente più maturo. Non era mai riuscita ad andare oltre il limite dell’apparenza e capire che i lati del suo carattere che più la infastidivano erano legati gioco forza agli anni che aveva sulle spalle. C’era un intero secolo a dividerli e lei non costituiva che una minuscola parte di quel periodo di tempo.

Mentre ci rifletteva, Claire dovette accorgersi di averla messa in crisi, perché la sua espressione si fece preoccupata. “Ecco, lo sapevo. Dovevo tenermelo per me.” 

Juliet allora si riscosse. “No, anzi. Hai fatto bene a dirmelo, invece.” si affrettò a rassicurarla. “Sai, mi rendo conto che a volte quando si tratta di lui perdo la capacità di ragionare. Perciò grazie se ogni tanto tu e Ray mi aiutate a recuperarla.” scherzò, cercando di nascondere la malinconia dietro a un sorriso. 

Ridacchiando divertita, Claire le fece capire che comprendeva, prima di assecondare le lamentele di Samir perché continuasse a giocare. A quel punto fece la sua mossa, ma con scarsa attenzione, giusto per accontentarlo. Ormai erano alla terza partita e quel gioco Jurhaysh sembrava non avere fine. “Figurati. Se non ci si aiuta tra n…” Non riuscì a finire la frase perché quasi nello stesso momento realizzò cosa fosse successo. “Oh no, hai vinto di nuovo!” 

Il bambino proruppe in un grido di giubilo, dando sfogo alla propria felicità.

“Bravo, Samir!” si complimentò Juliet con un largo sorriso. 

Claire annuì, fingendosi delusa. “Mi ha stracciato.”

Lui allora, forse sentendosi in colpa, frenò l’entusiasmo e le si avvicinò, circondandole il collo con le piccole braccia nel tentativo di confortarla. “La prossima volta vinci tu.” sentenziò e Juliet rimase così colpita dalla sua dolcezza che sentì stringersi il cuore. 

Per qualche istante si fermò a guardarli intenerita e in un primo momento non fece nemmeno caso allo strano trambusto che intanto fuori stava dilagando. Dapprima furono rumori appena percepibili, niente di diverso dal solito viavai di gente per l’accampamento; poi, però, il grido improvviso di una donna fece loro capire che qualcosa non andava e in meno di un attimo le grida si moltiplicarono, facendosi man mano sempre più vicine alla tenda di Laurenne, dove si trovavano con Samir. 

Lo sguardo disorientato di Juliet si posò d’istinto sull’amica, che ricambiò. Probabilmente entrambe si stavano ponendo la stessa domanda, ma nessuna ebbe il tempo di fiatare, perché un altro urlo di terrore troncò ogni intento di aprire bocca. Subito dopo un grido strozzato, quasi un lamento, seguito da un tonfo sordo. Sentendosi gelare il sangue nelle vene, la sua prima preoccupazione fu di avvicinare Samir e stringerlo a sé. “Ma che sta succedendo?”

Claire, però, non rispose e, alzatasi anche lei, la afferrò per le spalle, inchiodandola con un’espressione decisa. “Ascoltami bene. Ti devi nascondere.”

“Claire, io… non capisco…”

“Non c’è tempo per discutere, fa come ti ho detto. Nasconditi.” insistette, ignorando l’ennesimo grido di qualcuno che sembrava essere andato incontro a un destino orribile. 

Juliet invece trasalì nel sentirlo e la sua attenzione si concentrò tutta verso l’esterno della tenda, prima che l’amica la costringesse con uno strattone a darle di nuovo retta. 

“Juls!” 

A quel punto, tornò a guardarla. “I ragazzi!” realizzò all’improvviso, sgranando gli occhi. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma il pericolo riusciva ad avvertirlo a pelle. “Mark e Cedric sono là fuori, dobbiamo…”

“Ci penso io!” la interruppe Claire spazientita. “Vado io da loro. Tu trova un posto dove nasconderti e non uscire finché non sarà finita.” Detto ciò, le voltò le spalle e uscì dalla tenda senza neanche darle il tempo di protestare. 

L’aveva lasciata sola e in più con la responsabilità di proteggere Samir. Il panico la assalì. Non sapeva cosa fare, ma sentiva che se non si fosse sbrigata a trovare una soluzione presto avrebbero fatto una brutta fine. “Tranquillo…” disse al bambino con voce malferma. “Andrà tutto bene, ci sono io con te. Andrà tutto bene.” Lo ripeté quasi meccanicamente e facendo respiri profondi, forse più per convincere se stessa, anche se in realtà non ci credeva nemmeno lei.

 

Davanti agli occhi di Claire regnava il caos. L’accampamento era ormai ridotto a un grande campo di battaglia, dove i vampiri di Nickolaij imperversavano, aggredendo chiunque e mettendo a soqquadro qualsiasi cosa intralciasse il loro cammino, ostacolati soltanto dallo sparuto gruppetto di guerrieri che Najat aveva lasciato a difesa della sua gente. Una precauzione che in un’eventualità del genere si stava rivelando praticamente inutile. Il resto degli abitanti si componeva di umili mercanti, donne, bambini e anziani, del tutto impreparati ad affrontare quella forza distruttrice. Perciò c’era chi scappava, chi cercava di mettere in salvo i bambini e perfino qualche coraggioso che provava a proteggere i più deboli parandosi davanti a loro, ma nella maggioranza dei casi finiva molto male se un guerriero esperto non accorreva in tempo per aiutarli. La furia dei vampiri si abbatteva sui malcapitati, nessuno escluso, e nei loro occhi non c’era traccia di pietà o rimorso, anzi, provavano piacere nell’infliggere sofferenza. 

La corsa di Claire nel bel mezzo di quel delirio procedeva a rilento, spesso interrotta dalla fuga scomposta delle persone che sfuggivano agli inseguitori e puntualmente le venivano addosso, o dal tentativo di qualche vampiro di aggredire anche lei. Molti, infatti, non la riconoscevano, pur dovendo sapere della sua presenza lì, perché presi dalla foga o con più probabilità perché non sapevano che faccia avesse. Per quanto possibile, cercò di evitare lo scontro diretto e concentrarsi solo sulla meta da raggiungere: il campo di addestramento. Tuttavia, quel giorno sembrava più lontano che mai. 

Mentre faceva lo slalom tra tende rovesciate, oggetti di vita quotidiana sparsi un po’ ovunque e anche diversi cadaveri, vide un vampiro uscire da una tenda trascinando per i capelli una donna, che urlava e si dibatteva nel disperato quanto vano tentativo di liberarsi. Una volta fuori, con il minimo sforzo la sollevò finché non fu alla giusta altezza, per poi afferrarla per il collo e con uno scatto rapido e preciso azzannarla alla giugulare. La prese così alla sprovvista che non gridò nemmeno, anzi, il fiato le si mozzò in gola e morì dopo un paio di spasmi convulsi. Il tutto durò una manciata di secondi, prima che il vampiro lasciasse il corpo accasciarsi al suolo. 

Difficile dire se qualcun altro, a parte Claire, avesse assistito alla scena, ma lei cercò di non pensarci e proseguì. Il campo era ormai a pochi metri e, quando finalmente arrivò, non trovò altro che una distesa di terra circondata dai resti spezzati dei ceppi che formavano la recinzione. Prima dell’attacco diversi guerrieri erano lì per allenarsi e ora cercavano come potevano di respingere i nemici, ma l’essere stati colti di sorpresa aveva limitato e reso inefficace la loro reazione. Molti erano già caduti e i pochi che restavano in piedi facevano fatica a contrastare i vampiri, più numerosi oltre che resistenti.

In un angolo a qualche metro di distanza, un po’ isolato dalla mischia, Claire vide anche Mark. Era solo, di Cedric nessuna traccia. Cercava di difendersi come poteva, ma era chiaro come il sole che non fosse minimamente in grado di sostenere uno scontro aperto con un vampiro. A maggior ragione nell’istante in cui Claire, aguzzando la vista, si accorse che quello contro cui combatteva non era un vampiro qualunque. Di spalle non lo aveva riconosciuto, cosa che invece le riuscì immediatamente quando si girò e poté distinguerne il volto dalla pelle scura e i tratti rudi. Era Tareq. 

Nessuno dei guerrieri presenti aveva la possibilità di soccorrere Mark, che ben presto finì a terra, con l’aggressore che incombeva sopra di lui. Così, senza pensarci due volte, Claire si fiondò verso i due.

“Tu!” constatò Tareq appena la vide. Sul momento ne sembrò sorpreso, ma si riebbe subito. “Che stai facendo? Dov’è la ragazza?” Di fronte al suo silenzio, la bocca del vampiro si piegò in un ghigno perfido. “Lo sapevo. Gli avevo detto che non c’era da fidarsi della puttana di Jamaal…”

“Parli sempre a sproposito.” lo interruppe lei, senza lasciarsi intimorire. “Perché non agisci, piuttosto?” 

Tareq finse di riflettere sulle sue parole. “È quello che stavo facendo, prima che arrivassi tu a rovinare il divertimento!” Non aveva neanche finito di dirlo che con uno scatto improvviso il suo piede si abbatté con una violenza inaudita sulla gamba sinistra di Mark, le cui urla di dolore furono coperte solo dal rumore raggelante delle ossa che si spezzavano. 

Un secondo dopo Claire gli era addosso e iniziarono a combattere. La differenza di stazza, oltre che di abilità nel corpo a corpo, era notevole, ma dimostrò comunque di sapergli tenere testa. 

Dall’altra parte, Tareq non si fece scrupoli e infierì su di lei come su un qualunque nemico da annientare.

Claire tentò di resistere finché le fu possibile, ma quando si ritrovò faccia a terra, il ginocchio dell’avversario piantato dietro la schiena per tenerla ferma, le sorti dello scontro si fecero più scontate. 

Praticamente sdraiato sopra di lei, il vampiro accostò le labbra al suo orecchio. “Immagina quando saprà che l’hai tradito. Mi viene voglia di lasciarti vivere solo per il gusto di portarti da lui e guardarlo mentre ti uccide, ma questo mi toglierebbe il piacere di farlo personalmente e sarebbe un vero peccato.” le sussurrò maligno. Intanto la sua mano scivolava verso la cintura, dov’era attaccato il fodero del pugnale. In un attimo lo estrasse e sollevò il braccio, con l’intento di conficcarglielo tra le scapole, all’altezza del cuore.

“No!” 

Inaspettatamente, Mark aveva trovato la forza di trascinarsi verso di loro e si era avventato contro Tareq, cercando di strappargli la lama di mano. Lui lo allontanò subito con uno strattone, ma così facendo si distrasse, dando modo a Claire di liberarsi dalla sua presa. 

Con la coda dell’occhio vide l’arma cadere vicino a lei, così non esitò ad agguantarla. Si rimise in piedi e, senza dare a Tareq il tempo di realizzare, gliela conficcò dritta nel petto. Per qualche istante la mano le rimase come incollata al manico e il suo sguardo incontrò quello vacuo del vampiro, che ormai vedeva spegnersi inesorabilmente. Alla fine il pugnale si sfilò da solo per il peso del corpo che ricadde all’indietro e Claire restò impalata a fissare il cadavere dell’assassino di Jamaal finché la voce flebile di Mark non la riportò alla realtà.

“Claire…” la chiamò quasi in un sussurro. Assalito com’era dal dolore alla gamba, riusciva a malapena a parlare.

Destatasi dal torpore, lo raggiunse, chinandosi su di lui per constatare i danni e in effetti era ridotto piuttosto male. Il colpo inferto da Tareq gli aveva rotto ogni singolo osso dal ginocchio in giù ed era impensabile che riuscisse a camminare da solo. “Coraggio, dammi la mano. Ti aiuto ad alzarti.” Gliela offrì e Mark la prese senza dubitare. 

“Non so se ce la faccio…” mormorò, prima di venire interrotto dall’ennesima fitta. Tenendosi a lei, cercò di fare leva sulla gamba sana per rimettersi in piedi e infine ci riuscì, anche se con non poca fatica. A quel punto la guardò, probabilmente aspettandosi che lo sostenesse.

Claire ricambiò lo sguardo ma, invece di offrirgli una spalla perché potesse appoggiarsi a lei, serrò le dita attorno al manico del pugnale e con un gesto secco glielo conficcò nello stomaco. 

 

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Capitolo 34
*** Epilogo ***


Epilogo


Mentre il caldo sole del deserto inizia a calare, tuffandosi nello specchio d’acqua dell’oasi, con un’agilità insolita per la sua età il maestro Mukhtaar rimonta a cavallo, rivolgendo un ultimo cenno di saluto a entrambe. Laurenne ricambia sorridente, poi insieme lo guardiamo allontanarsi al galoppo, fino a scomparire oltre l’orizzonte.

Non manca molto per l’accampamento, ma siamo affaticate dal caldo e dal tempo passato in sella, così decidiamo di montare la solita tenda e rifocillarci un po’. 

Esausta mi accascio in un angolo, le gambe rannicchiate al petto, in attesa che Laurenne torni con le borracce piene. Mi sento davvero a pezzi. Eppure non ci siamo allontanate molto stavolta, perché per fortuna il suo vecchio mentore aveva gli ingredienti che mi mancavano per la pozione e si è gentilmente offerto di portarceli. Che sia colpa della mia condizione? In effetti, da qualche giorno mi capita di svegliarmi con una fastidiosa acidità di stomaco, ma non sono sicura se sia colpa della gravidanza o piuttosto del perenne stato di angoscia in cui verso ormai da settimane. In ogni caso, credo che lo scoprirò presto. 

Prendo un lungo sorso dalla borraccia, cercando di non pensarci. Cosa assai difficile, visto che ho scelto proprio questo momento per compiere il grande passo. Solo io, lontana dagli altri e soprattutto da Mark. Quando tornerò sarà già tutto finito. 

“Vuoi farlo ora?” mi chiede con aria seria la mia compagna di viaggio, probabilmente intuendo i miei pensieri.

La guardo negli occhi e annuisco senza esitare. Ho preso una decisione e voglio andare fino in fondo.

Laurenne allora tira fuori dalla borsa un’ampolla che si è portata dietro e ne versa il contenuto in una ciotola di legno. Non tenta di dissuadermi e gliene sono infinitamente grata. “Tieni. Bevi lentamente, mi raccomando.” dice soltanto, porgendomi la ciotola.

Accennando un flebile grazie, allungo la mano per prenderla; dopodiché rimango a fissare quell’intruglio di erbe dall’aspetto molto poco invitante e per l’ennesima volta mi chiedo come abbia fatto a cacciarmi in un guaio simile. -Coraggio, Rachel. Così risolverai almeno in parte i tuoi problemi

Faccio per avvicinare la ciotola alle labbra, ma a quel punto sento un improvviso brivido lungo la schiena e mi irrigidisco di colpo. Le dita perdono presa e la miscela si rovescia a terra, senza che la cosa mi tocchi più di tanto. Sono troppo impegnata a capire la ragione di quel brivido. Per un millesimo di secondo ho avvertito una bruttissima sensazione, ma non so spiegarmi a cosa sia dovuta.

Fisso il vuoto attonita e a malapena sento Laurenne che in tono preoccupato mi chiede spiegazioni.

“Rachel… Tesoro, stai bene?”

Anche se in ritardo, alla fine alzo lo sguardo su di lei e le parole mi escono di bocca quasi da sole. “Non posso farlo.” 

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