Doppio Dilemma

di eddiefrancesco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8 Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9 Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11 Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12 Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13 Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14 Capitolo ***
Capitolo 15: *** 15 Capitolo ***
Capitolo 16: *** 16 Capitolo ***
Capitolo 17: *** 17 Capitolo ***
Capitolo 18: *** 18 Capitolo ***
Capitolo 19: *** 19 Capitolo ***
Capitolo 20: *** 20 Capitolo ***
Capitolo 21: *** 21 Capitolo ***
Capitolo 22: *** 22 Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo ***


Inghilterra, 1815 Era indubbiamente ambizione di gran parte delle fanciulle in età da marito assaporare gli inebrianti piaceri di almeno una stagione londinese. Come falene intorno a una candela, sciamavano verso la capitale per quelle brevi settimane di primavera nella speranza, al termine di un vortice sociale rovinosamente dispendioso in cui si sarebbero potute mescolare ai membri dell'alta società, di suscitare un impeto di orgoglio nelle intriganti madri accalappiando il classico buon partito. Quindi, perché mai, si chiese Verity fissando la campagna del Kent attraverso il finestrino della carrozza, si trovava in viaggio per la capitale? Non amava le mondanità né desiderava sposarsi. L'idea stessa di accasarsi con qualche ottuso signorotto le ripugnava. E allora, per quale motivo aveva accettato di partecipare a una stagione londinese? Accigliandosi, studiò l'anziana vedova piuttosto florida che sonnecchiava nell'angolo opposto della carrozza. Nessuno avrebbe mai immaginato che dietro l'aspetto piacevolmente indolente di Clara Billington si celasse una mente... diabolica! La carrozza sobbalzo', destando la gentildonna in questione che subito esclamò: - Cielo! Questa strada peggiora di giorno in giorno. Dovrò proprio parlarne con mio fratello Charles. Bisogna fare qualcosa.- Dopo essersi raddrizzata il cappellino, lady Billington alzò il capo e incrociò lo sguardo sornione della nipote. - Che cosa c'è, mia cara? Mi stai guardando come se fossi una perfetta sconosciuta! - - Sul serio? In effetti, incomincio a chiedermi fino a che punto ti conosco, zia Clara. So naturalmente che è dal giorno in cui ho lasciato il collegio che trami per portarmi a Londra durante la stagione. Ciò che mi stupisce, tuttavia, è che tu mi abbia infine convinta! - domandò Verity. La zia sorrise diplomaticamente. In realtà, la sua astuta nipotina aveva ragione soltanto in parte. Sin dalla triste scomparsa del suo caro fratello, lady Billington aveva sognato di accompagnare l'unica figliola di questi ad almeno una Stagione londinese. Non avendo figli suoi, aveva sviluppato un profondo attaccamento nei confronti di tutti i nipoti, ma Verity era la sua preferita. Quando la madre di Verity aveva venduto la dimora nello Hampshire ed era ritornata nel nativo Yorkshire per governare la casa del fratello celibe, il signor Lucius Redmond, zia Clara si era tenuta in contatto con loro, scrivendo con regolarità e recandosi in visita almeno una volta l'anno. Allorché si era spenta anche la cognata, lady Billington aveva appreso, non senza rammarico, che la tutela di Verity era stata interamente affidata al buon Lucius. Questi, tuttavia, essendo scapolo, era stato quanto mai lieto di accogliere le idee dell'augusta gentildonna sul modo di educare una fanciulla a cui era stato tristemente permesso di trasformarsi in una sorta di monello dalla sua indulgente madre, ed era stato dietro consiglio di zia Clara che Verity era finita in un esclusivo collegio di Bath. Per fortuna, quando all'età di sedici anni aveva lasciato l'istituto, Verity aveva perso i suoi modi da maschiaccio ed era diventata un'incantevole signorinella. Non solo vantava un personale elegante e un ovale perfetto, ma aveva splendidi occhi azzurri che formavano un piacevole effetto di contrasto coi riccioli corvini. Triste a dirsi, non sembrava peraltro attribuire eccessiva importanza ai doni che Madre Natura le aveva tanto generosamente concesso e, al di là di qualche occasionale visita nel Kent, dove dimorava lady Billington, era stata più che felice di rintanarsi nello Yorkshire, aiutando lo zio a dirigere il suo giornale di successo. - Quell'aria da santarellina non m'inganna nemmeno per un istante, zia Clara. Sei un'intrigante, ecco! Sai benissimo che, se tu non avessi minacciato di lesinarmi quelle succose notiziole per me cosi importanti, a quest'ora non sarei qui! - - Che esagerazione, figliola. Ti ho solo scritto che, con Napoleone di nuovo in libertà e metà aristocrazia sul continente, non vi sarebbe stato granché di cui parlare a Londra e che avresti fatto meglio ad accompagnarmi nella capitale quest'anno, così da procurarti qualche pettegolezzo di prima mano grazie cui imbastire un articoletto sulla Stagione.- Pur non essendo convinta, Verity preferì tacere perché sapeva bene che, senza l'aiuto di lady Billington, non sarebbe mai riuscita a scrivere i pezzi che pubblicava sul giornale dello zio. Lucius Redmond si era inizialmente opposto all'idea, non volendo infarcire la propria gloriosa testata di quelli che gli sembravano insulsi pettegolezzi. Ma quando Verity gli aveva fatto notare che non erano soltanto gli uomini a leggere il giornale e che un occasionale articoletto di taglio più frivolo avrebbe incontrato il favore delle sue molte lettrici, lo zio aveva dato il proprio assenso. Al che Verity si era improvvisata cronista mondana. I suoi pezzi sugli abiti e le acconciature in auge avevano fatto furore, ma a deliziare le signore dello Yorkshire era stato soprattutto il resoconto della Stagione londinese per il quale aveva naturalmente consultato la sua informatrice personale, per l'appunto lady Billington. - Se non Londra, qual è la meta in voga quest'anno? Forse Vienna? - domandò Verity. - No, Bruxelles. Tuttavia, malgrado questa assurda corsa all'espatrio, le novità non mancano. E ce n'è una che dovrebbe interessarti. Pare che il nipote di Arthur Brinley sia destinato a diventare il futuro visconte di Dartwood.- Quando non ci fu risposta, sbircio' la nipote. - So bene che eri affezionata a quel caro vecchietto, Verity, ma non ricordo di averti mai sentito nominare suo nipote. Certo conosci il maggiore Carter.- - Lo conosco, si. Ma non lo vedo da... Oh, saranno cinque anni ormai - ammise lei storcendo il naso. Lady Billington tornò a studiarla, poi chiese: - Sbaglio o provi antipatia per il maggiore? - Antipatia? Verity aggrotto' la fronte. Provava antipatia per il nipote di Arthur Brinley? Era sicura di no, sebbene io giovane l'avesse non poco ferita in passato, ma era trascorso così tanto tempo da allora! Aveva pensato a lui raramente negli ultimi anni, e solo quando aveva letto sul giornale dello zio i resoconti delle sue prodezze militari durante la guerra in Spagna. Sospirò. - No, non provo antipatia per lui, zia, sebbene sia uno sciocco.- Scrollo' le spalle. - In realtà, dovrei ammirarlo, suppongo, visto che si è distinto sul campo di battaglia. E una volta mi ha persino salvato la vita.- - Bontà divina! Che cosa è successo? - domandò lady Billington sconcertata. - Oh, niente di speciale. Sono stata lì lì per annegare una volta... cosa che avrei senz'altro fatto se Brin non si fosse tuffato nel lago a salvarmi.- La zia rabbrividi'. - Immagino che sia successo ai tempi in cui ti comportavi da ragazzaccio! - - Infatti - confermò lei noncurante. Sussulto'. - Ma hai ragione, sai? Il fatto che Brin sia prossimo al titolo destera' sensazione tra le signore dello Yorkshire. È una specie di eroe locale, sai? Pare che abbia lasciato l'esercito. Tuttavia non è tornato nello Yorkshire. Perlomeno non era ritornato quando sono partita la settimana scorsa. Mi chiedo dove si nasconda.- - Potrebbe trovarsi a Londra.-

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Capitolo 2
*** 2 Capitolo ***


Lady Billington proseguì dicendo: - Corre voce che lo zio visconte stia declinando in fretta e, sebbene quel mostro abbia fatto di tutto pur di impedire al nipote di ereditare il titolo sposando quella poverina di soli vent'anni, come ti ho raccontato in precedenza, è assai probabile che il maggiore diventi tra breve il nuovo visconte di Dartwood.- Verity rise. - Povero Brin! Se è stato così incauto da avventurarsi a Londra, avrà addosso ogni debuttante! - La zia fece per dirle che aveva un senso dell'umorismo alquanto perverso, quando vi fu uno schianto tremendo. L'attimo dopo fu sbattuta contro il finestrino mentre la vettura si fermava bruscamente. - Cielo! Che cosa sarà mai accaduto? - - Non ne ho idea. Chiamiamo Ridge, così sapremo subito qual è il problema.- La portiera venne spalancata e il viso preoccupato dello stalliere di lady Billington si staglio' nel vano. - State bene, milady? - - Sì, Ridge. Stiamo bene tutte e due - gli assicurò la gentildonna mentre si raddrizzava a fatica. - Che cosa è successo? - - Si è allentata una ruota, milady. Per fortuna siamo in vista di Sittingbourne. Se lei e sua nipote avranno la cortesia di viaggiare sull'altra carrozza fino al Crown, condurro' i cavalli alla locanda e vedrò di rimediare al danno. Badi, potrei non riuscirvi entro oggi.- - Che disdetta! Contavo di arrivare presto così da potermi preparare con comodo per il ricevimento di lady Swayle questa sera. Ma immagino che non vi sia scelta. Se vuole aiutare la signorina Verity e poi me...- Il trasbordo si rivelò problematico. La seconda carrozza, infatti, era non soltanto ricolma di bagagli, perché lady Billington non era tipo da viaggiare leggera, ma ospitava la cameriera personale della zia, Dodd, il maggiordomo e ciò che Verity considerava come due autentiche calamità, un pappagallo verde e un grasso pechinese chiamato Horace. Scoppiò il pandemonio quando Verity, coi suoi consueti modi spicci, scacciò Horace dal sedile. Il cagnolino, viziatissimo, manifestò il proprio scontento con alti latrati che agitarono a loro volta il pappagallo. Ne derivò una terribile cacofonia finché la carrozza non si fermò in corrispondenza della locanda. - Basta cosi! - esclamò Verity scendendo a precipizio non appena la vettura si arrestò. - Mi rifiuto di percorrere un altro miglio con questi stupidi animali! Perché mai tu ritenga opportuno portarli sempre con te proprio non lo so! - - Su, calmati, cara - mormorò la zia seguendola all'interno della locanda. - Non capisco dove tu abbia preso questo caratteraccio. Tuo padre era un uomo mite e non ricordo di aver mai visto tua madre perdere la calma. Sebbene...- Si acciglio'. - In effetti, non tutti gli Harcourt si sono distinti per la loro pacatezza. Il tuo bisnonno, il quarto duca, era un uomo oltremodo collerico. Molti lo consideravano pazzo.- Verity si ribellò. - La mia non è pazzia, solo irritazione, e del tutto giustificabile! Quegli animali farebbero spazientire un santo! E se mi costringerai a viaggiare con loro, giuro che li buttero' dal finestrino! - - Ma, cara, non puoi rimanere qui da sola! È impensabile! - - Non sarò sola - puntualizzo' lei. - Si fermerà anche Ridge. Senti, zia - continuò poi senza darle il tempo di rilevare l'ovvia pecca di quella soluzione. - Andiamo a mangiare qualcosa mentre aspettiamo che Ridge scopra se la carrozza può essere riparata oggi. Decideremo poi il da farsi.- Lasciandosi convincere, lady Billington chiamò l'oste e ordinò un pasto leggero. Ripararono in una saletta privata, chiacchierando del più e del meno. Quando lo stalliere le raggiunse, le notizie non erano buone. La riparazione avrebbe richiesto lunghe ore di lavoro, quindi Ridge si sarebbe trattenuto al Crown e avrebbe proseguito il viaggio l'indomani, una volta che avesse sistemato la ruota. Lady Billington si dichiarò d'accordo e convocò il padrone della locanda ma, quando Verity annunciò che si sarebbe trattenuta anch'essa per la notte e che avrebbe viaggiato con lo stalliere il giorno seguente, il suo senso del decoro le strappò una vivace protesta. - Mi rincresce, Verity, ma è fuori questione. Non puoi restare qui senza nemmeno una cameriera! Dovrai per forza continuare il viaggio con me! - - No! Non viaggero' con quei mostri! - proruppe lei. Si voltò verso il locandiere che stava pazientemente aspettando di sapere quante camere sarebbero servite, se una o due. - È possibile prendere a nolo una vettura? - gli chiese. - In circostanze normali, senz'altro, signorina. Ma con la Stagione alle porte, è un periodo intenso e non ho carrozze disponibili. Potrebbe provare con la vettura di posta. Badi, se il suo nome non è sulla lista dei passeggeri, non vi è garanzia, ma il postiglione potrebbe farla salire lo stesso, avendo posto.- - Senza chaperon non puoi comunque viaggiare, Verity. E non è il caso di chiedere a Dodd di accompagnarti perché, come questo brav'uomo ha giustamente osservato, niente garantisce che vi siano posti. Tra l'altro, avrò bisogno che Didd mi vesta per il ricevimento di stasera - intervenne la zia. - Quanto a questo, signora, credo di poterla aiutare. Mia nipote sta aspettando la vettura di posta. - Dichiarò il locandiere, indicando una fanciulla che sedeva in disparte. - Era a servizio presso lady Longbourne. Ma l'anziana signora è scomparsa il mese addietro e mia nipote si sta recando a Londra per cercare un altro lavoro.- Lady Billington continuava a non approvare il fatto che Verity viaggiasse sulla vettura di posta ma, dopo aver parlato con la nipote del locandiere, che sembrava una personcina assennata, acconsentì controvoglia e, poiché il pomeriggio era già inoltrato, non perse tempo a ripartire. Dopo aver salutato la zia, Verity rientrò nella locanda e andò a sedersi accanto alla nipote dell'oste. - Lasci che mi presenti. Mi chiamo Harcourt. Verity Harcourt - esordì con un sorriso. - Margaret Jones, signorina. Ma tutti mi chiamano Meg.- Verity osservò la sua futura compagna di viaggio. Pur essendo vestita con praticità più che con eleganza, era ordinatissima. - Quindi, Meg, sta raggiungendo la capitale nella speranza di trovare impiego? - Le domandò. - Si, signorina. Mia sorella vive là, e alloggero' presso di lei finché non avrò trovato un'altra sistemazione. Ho una lettura di referenza della famiglia di lady Longbourne. Ero la sua cameriera personale, ma non mi aspetto di essere assunta con le stesse mansioni. Vi sono certo domestiche più esperte di me, quindi sarò lieta di accettare qualsiasi impiego, perché non vi è nulla da queste parti.- Piacevolmente colpita dalla sua schiettezza, Verity si chiese se offrirle lavoro. Abituata com'era ad arrangiarsi, non aveva mai ritenuto necessario assumere una cameriera personale. Un aiuto, tuttavia, le sarebbe servito, specie durante il suo soggiorno londinese. Si decise in fretta. - Le piacerebbe lavorare per me, Mag? - domandò, e poi rise del suo sbalordimento. - Parlo sul serio. È ora che io abbia una cameriera personale. Sebbene sia mio dovere farle notare che vivo per gran parte dell'anno nello Yorkshire. Quindi, se la vita di campagna non le aggrada, potrebbe davvero convenirle cercare un'occupazione nella capitale.- - Oh, no, signorina, sono nata e crescita in campagna, io e lady Longbourne non si è mai allontanata da casa mentre lavoravo per lei - affermò Meg vivacemente. - No, non si tratta di questo. È soltanto che... Be', la signora che viaggiava con lei non vorrà parlare con me, prima? Era sua zia, vero? - - Si, lady Billington è mia zia, ma è un accomodamento che la riguarda solo marginalmente, anche se alloggeremo nella sua residenza di città per le prossime settimane. No, è il mio tutore che pagherà il suo salario. E zio Lucius approverà la mia decisione, ne sono certa.- - In tal caso, signorina - rispose Meg, alzandosi mentre l'inconfondibile suono del corno annunciava l'arrivo della vettura di posta.

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Capitolo 3
*** 3 Capitolo ***


Meg continuò dicendole: - Andrò subito a parlare con lo zio. Se non dovesse riuscire a montare sulla carrozza, sarà mio dovere adesso restare con lei.- Qualche minuto dopo, Verity vide un uomo entrare nella locanda con passo deciso. Il suo fisico possente era avvolto da un voluminoso mantello grigio. Un antiquato tricorno gli ombreggiava la fronte, e la parte bassa del viso era nascosta da una sciarpa di lana, così che solo gli occhi risultavano visibili. Lei pensò che fosse il postiglione, perché l'uomo andò direttamente al banco di mescita e, dopo aver scambiato qualche parola con Meg e suo zio, volse il capo nella sua direzione. La fissò per quella che le parve un'eternità prima di assentire, si riguadagno' quindi l'uscita. - Venga, signorina Harcourt. Il postiglione ha accettato di farla salire, ma dobbiamo affrettarci perché ha già accumulato ritardo.- La pregò Meg. Non vedendo lo stalliere di sua zia, Verity gli lasciò un breve messaggio e corse in cortile, dove trovò la vettura pronta a partire. - Niente bagaglio, occhi blu? Non sarà una fuggiasca, spero! - Spiazzata da quel rude commento, lei alzò lo sguardo e vide il postiglione fissarla dal suo posto a cassetta. Capì dal luccichio dei suoi occhi che la stava canzonando, ma trattenne una rispostaccia per paura che l'uomo si offendesse e la lasciasse a terra. Si limitò soltanto a sollevare il mento con sussiego prima di salire. La carrozza, per fortuna, ospitava soltanto una signora grassoccia con un neonato in braccio e un ometto vestito di nero. Accomodandosi, Verity salutò distrattamente. Poi, mentre la vettura usciva dal cortile della locanda, incominciò a chiacchierare con Meg, parlandole della bella dimora dello zio nello Yorkshire e dei progetti di lady Billington per il soggiorno nella capitale. - Tuttavia, con gli imprevisti accadimenti in Europa, la zia non prevede una Stagione vivace quest'anno, quindi con un po' di fortuna non vorrà trattenersi fino a giugno.- soggiunse Verity. - Ah! Allude alla fuga del corso dall'Elba, vero? - osservò inaspettatamente l'ometto con un forte accento straniero, attirando gli sguardi indagatori di tutti. - Bontà divina! Non sarà uno di quegli odiati francesi! - strillo' la donna col bambino. - No, madame, sono svizzero e ho documenti che lo dimostrano. Faccio l'orologiaio e mi trovo nel suo paese per lavoro.- - Immagino che si sia messo in viaggio prima che si diffondesse la notizia della fuga dell'imperatore, monsieur - commentò Verity incuriosita. - Sì, mademoiselle, altrimenti non mi sarei avventurato tanto in là, ve l'assicuro. Ma non sono in pericolo qui, credo.- - Senz'altro non lo è, monsieur. Si può fidare di Wellington - sentenzio' Verity prima di rigirarsi verso Meg. La carrozza, intanto, aveva raggiunto un'altra stazione. Il tempo di cambiare i cavalli e il viaggio riprese. Le vetture di posta, si sapeva, avevano precedenza assoluta. La guardia suonava il corno per annunciarne l'arrivo, di modo che i gabellieri aprissero i cancelli senza bisogno di soste. Fu pertanto una sorpresa quando, per nessuna ragione apparente, la carrozza rallento' fino a fermarsi in aperta campagna. Verity notò l'occhiata apprensiva che lo svizzero lanciò fuori dal finestrino prima di volgere i suoi freddi occhietti grigi nella sua direzione. - Che cosa sarà mai successo, mademoiselle? - Una scrollata di spalle tradì la sua completa mancanza di interesse. Non aveva fretta di raggiungere Londra, quindi non si preoccupava di un eventuale ritardo. All'udire delle voci provenire dall'esterno, immagino' che qualcuno fosse venuto incontro alla carrozza, magari per segnalare un pericolo al postiglione. La vettura ripartì nel giro di qualche minuto ma assai più lentamente, e tornò quindi a fermarsi dopo pochi chilometri davanti a una piccola locanda. Qualche secondo dopo, la portiera si aprì e apparve la guardia postale. - È caduto un albero e la strada è bloccata. Si è formata una coda, così aspetteremo qui finché il tronco non sarà stato rimosso. Il postiglione consiglia a quanti lo desiderano di mangiare ora, perché non si fermerà più se non per cambiare i cavalli.- Spiegò. - Ottima idea. Dopotutto, sono cose che capitano - convenne Verity troncando le proteste della signora grassoccia mentre smontava con l'aiuto della guardia. - Vedo che è ragionevole, occhi blu - osservò il postiglione dall'alto. Lei gli gettò un'occhiata sprezzante. - Le sarei grata, se tenesse per lei certe riflessioni! - sbotto', e voltandosi, entrò con Meg nella locanda. Avrebbe bevuto una tazza di tè, pensò, e si sarebbe rassettata velocemente. Al di là dei passeggeri della carrozza, vi era soltanto un altro avventore, un uomo brizzolato che indugiava davanti alla finestra con un boccale di birra in mano, ma anche così Verity era di gran lunga troppo pudica per ravviarsi in presenza di esponenti del sesso opposto, così chiese a Meg di ordinare uno spuntino e si introdusse nella saletta sul retro. Fortunatamente era deserta e vi era un paravento contro gli spifferi davanti alla finestra. Infilandosi dietro di esso, Verity si ricompose in fretta. Stava per uscire quando sentì dei passi pesanti entrare nella stanza. Non aveva mai sofferto di timidezza, nemmeno da bambina, quindi non l'avrebbe imbarazzata minimamente mostrarsi e spiegare l'assai comprensibile motivo della sua presenza nel locale. Tuttavia, senza sapere bene perché, decise di non farlo. Sbirciando attraverso le fessure del paravento, scorse un uomo di spalle. Non lo aveva visto in viso prima né lo vedeva ora, ma non ebbe difficoltà a riconoscere in lui l'uomo brizzolato che aveva notato all'arrivo. Di lì a poco sopraggiunse un altro tizio e un'inconfondibile voce dall'accento straniero disse: - Molto astuto da parte sua, monsieur, incontrarmi qui. Ma lei come faceva a sapere di questa sosta imprevista? - - Non è il solo ad avere un cervello. Sono arrivato presto all'appuntamento e ho appreso dell'albero che bloccava la strada. Un uomo a cavallo era in grado di passare, così ho deciso di proseguire. Le vetture di posta sono rinomate per la loro celerità. Ho immaginato che il postiglione non avrebbe fatto altre soste, se non per cambiare i cavalli, e questa locanda è ad appena mezzo miglio dall'albero caduto. Mi ero appostato davanti alla finestra, con l'intenzione di fermarla alla prima occasione o, alla peggio, di seguirla fino a Londra.- ribatte' l'altro. Verity vide il forestiero sorridere con malizia. Gli aveva badato appena sulla carrozza. Ora, tuttavia, dubitava che fosse ciò che sembrava. Vi era qualcosa di decisamente minaccioso in quei suoi occhietti grigi. Quando ricominciò a parlare, lei ascoltò con attenzione. - È un bene allora che il postiglione si sia fermato qui.- Il suo sorriso svani' di colpo. - Abbiamo poco tempo e non è saggio farci vedere insieme. Ha qualcosa per me? - domandò infine. - Non ancora. Ma il mio padrone la aspetterà al solito posto venerdì sera alle venti.- - Ah, sì, ricordo. La taverna di Frampington Bassa. O meglio dire, Bassa Bassa. Voi inglese siete così buffi, n'est-ce pas? Benissimo. Dica al suo padrone che ci sarò. E gli ricordi che la situazione è oltremodo delicata. Non posso tardare. Il mio amato imperatore ha urgente bisogno di informazioni. Deve conoscere i piani di Wellington, e presto! - Verity boccheggio' mentre il forestiero lasciava la saletta in compagnia del suo complice. L'imperatore? Wellington? Le parole le vorticarono in testa. Bontà divina! In che cosa era incappata? E soprattutto, che cosa avrebbe dovuto fare a riguardo? Fu tentata per un attimo di affrontare lo straniero, accusarlo di essere una spia e consegnarlo alle autorità, ma poi cambiò idea. Sarebbe stata la sua parola contro quella di lui. E senza dubbio l'infame disponeva di documenti d'aspetto sufficientemente autentico che lo identificavano come l'innocuo orologiaio svizzero che diceva di essere.

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Capitolo 4
*** 4 Capitolo ***


Poi, vi era l'altro uomo da prendere in considerazione. Per come si era espresso, era soltanto un tramite, niente più di un servitore. Ma se lei fosse riuscita a vederlo in viso e a identificarlo, forse sarebbe risalita al suo padrone. Forte di quel proponimento, Verity lasciò la saletta e tornò nella parte anteriore del locale. Inquadro' subito il banco di mescita dove la guardia postale conversava con l'oste. Vedeva anche la signora col bambinetto e la sua nuova cameriera, Meg. Quest'ultima occupava un tavolo d'angolo e parlava con la spia straniera, ma la cosa in sé non era preoccupante. Meg, dopotutto, ignorava la vera professione del forestiero e si comportava pertanto con la massima naturalezza. Del tramite, tuttavia, non vi era traccia. Possibile che fosse già partito? Voltandosi, Verity notò una porticina secondaria. Decisa a indagare, andò ad aprirla e si avventuro' fuori. Poi, attraversando il cortile, raggiunse furtivamente la stalla. Non sembrava esservi nessuno. Gli unici rumori che sentiva erano quelli dei cavalli che scalpitavano ma, mentre si avvicinava alla vettura di posta, ferma a pochi metri dall'entrata, avvertì un movimento sul retro della carrozza. Allungando il collo, vide il postiglione, di spalle a lei, fissare l'aperta campagna con un sigaro in bocca. Sembrava ignaro della sua presenza, e volendo mantenere così le cose Verity avanzò in punta di piede solo per trovare la stalla desolatamente vuota. - Che cosa ci fa qui, occhi blu? - Voltandosi di scatto, Verity si ritrovò a fissare il postiglione. Uff, che uomo irritante! - Prova piacere a spaventare povere fanciulle indifese? - domandò con asprezza. Lui gettò il sigaro e lo spense con un colpo di tacco prima di studiarla con pigra insolenza. - Tanto indifesa non sembra, occhi blu. E non posso fare a meno di chiedermi perché stia viaggiando sulla vettura di posta.- - Non vedo come la cosa possa riguardarla - ribatte' lei. E soggiunse: - Da quanto tempo è qui fuori? Non ha visto un uomo brizzolato lasciare la locanda? - - Ah! Dunque avevo ragione! È una fuggiasca, dopotutto, e il suo bello l'ha abbandonata! - - Non sia ridicolo! Non ho né il tempo né l'inclinazione di venire a parole con lei. Risponda e basta, zotico! - - Zotico, eh? - rispose l'uomo con voce improvvisamente tagliente. E prima che lei potesse ritrarsi, coprì la distanza che li separava e l'abbraccio con sconvolgente audacia, bloccandola contro la fiancata della carrozza. - Come osa? - Più scandalizzata che altro, Verity lo tempesto' di pugni e insulti. Ma, ignorando sia gli uni sia gli altri, il postiglione chino' il capo e, quando si fu scostato la sciarpa che gli nascondeva la metà inferiore del viso, le cercò le labbra. Lei fu travolta dalla paura. Mai si era trovata in una posizione così compromettente. Mai uomo si era preso quel genere di libertà con lei. Si sarebbe dovuta risentire, lo sapeva bene. Quando il bacio si intensifico', tuttavia, non poté impedirsi di gemere e sospirare. Le loro bocche sembravano essersi fuse e in quei momenti di magico abbandono Verity desidero' suo malgrado che il tempo potesse fermarsi. - Ehi, occhi blu, è stata un'autentica rivelazione per me - dichiarò il postiglione. Con un movimento veloce, si staccò da lei e tornò a sollevarsi la sciarpa. - Mai baciato prima d'ora... e così ansiosa di recuperare il tempo perduto, direi.- Le sue parole beffarde la riportarono di colpo alla realtà. Indietreggiando, Verity provò dolore e umiliazione, rabbia e disgusto in parti uguali. - Come osa trattarmi come... come una sgualdrina? La denuncero' ai suoi superiori! - gridò. Era una minaccia vuota, pronunciata soltanto per nascondere la confusione e l'imbarazzo. Verity lo sapeva bene. E a quanto pareva, lo sapeva anche lui, perché la sua unica risposta fu una risata irriverente mentre le voltava le spalle e si appoggiava indolentemente alla carrozza. Verity lo fissò con livore. Poi, colta da un'ispirazione improvvisa, tirò indietro una gamba e gli assesto' un calcio negli stinchi. - Ehi, briccona! Aspetti che la prenda! - Ma lei non aveva nessuna intenzione di aspettare. Un confronto con quella creatura esasperante era più che sufficiente. Si precipitò fuori dalla stalla e attraverso' il cortile. Non si fermò finché non fu rientrata nella locanda dove Meg la guardò con evidente sconcerto. - Santo cielo, signorina! Dove era finita? Stavo per venirla a cercare.- Tossicchiando, Verity si sedette a tavola e si versò il tè ormai tiepido. - Sul serio, Meg, le sono grata per il suo interessamento. Ma vi sono momenti nell'arco della giornata in cui pretendo intimità, e posti dove la modestia impone che vada sola. E uno di questi posti è fuori in cortile - affermò decisa, facendosi sentire anche dal forestiero. La spiegazione della sua assenza protratta parve convincere entrambi gli ascoltatori; Meg si fece di brace e lo straniero si fissò con imbarazzo la punta degli stivali. La guardia postale si avvicinò proprio allora, annunciando che la strada era stata sgomberata e che sarebbero riportati subito. Tenendo gli occhi bassi, Verity risali' in carrozza. Ma sapeva che il postiglione la fissava e stava senz'altro traendo sommo diletto dal suo evidente disagio. Maledetto! Il suo umore peggioro' ulteriormente quando tutti si appisolarono non appena riprese il viaggio. Persino lo svizzero aveva gli occhi chiusi, cosa che le impedì di attaccare discorso e scoprire qualcosa di lui. Conseguentemente, per l'ora in cui arrivarono a Londra, a sera inoltrata, Verity ribolliva. Dopo aver chiesto a Meg di fermare una vettura pubblica, fece per scendere quando il postiglione le si paro' dinanzi, impedendole di vedere dove si stesse dirigendo la spia. - Si sposti! Mi ostruisce la visuale! - ordinò perentoria lei. Ma ignorando quella vibrante protesta, l'uomo la sollevò dal predellino e la posò delicatamente per terra. - Si è fatta proprio bella, Verity Harcourt. Tanto meglio per me.- - Pensa che...? Brutto insolente! - Cercò di colpirlo al viso, ma il postiglione si scanso' agilmente e lei dovette accontentarsi di girare sui tacchi e allontanarsi impettita, con la sua insopportabile risata ancora nelle orecchie. - Ha per caso notato da che parte è andato quel forestiero, Meg? - domandò dopo averlo invano cercato con lo sguardo. - No, signorina. Ero impegnata a fermare la carrozza, non ho fatto caso al forestiero.- Sapendo che sarebbe stato inutile cercarlo nel traffico di Londra, Verity fornì l'indirizzo della zia al conducente e si accomodo' sulla vettura pubblica. - Quel postiglione! Ha visto come mi ha molestata poco fa? - borbotto'. Meg aveva in effetti assistito alla scena. - L'ho trovato un po' sfacciato. E molto interessato a lei, signorina. - Riconobbe la sua cameriera. - Che impertinente! Se mai lo rivedrò, giuro che...- Trasali'. - Meg, ma lui mi conosce! Mi ha chiamata per nome! - - Certo, signorina. Gli ho detto io come si chiamava, giù alla locanda di mio zio.- - No, Meg. Ci siamo già conosciuti prima. Lo sento. Chi può mai essere? - Ebbe un gesto di sorpresa. L'indomani a colazione, lady Billington redargui' la nipote per aver assunto una cameriera tanto impulsivamente. Verity la lasciò parlare, poi disse: - Ma non hai letto le referenze di Meg? Le ho detto ieri sera di fartele avere. Ho pensato che avessi conosciuto lady Longbourne. Sembri conoscere tutti! - - Si, la conoscevo... di vista. E, sì, Dodd mi ha consegnato quelle benedette referenze. Paiono buone. Ciò non cambia tuttavia che tu non le abbia nemmeno guardate prima di assumere la ragazza. Sei così impulsiva, bambina mia! Ieri ti ho lasciata con estrema riluttanza. Non so dirti le pene che ho patito! Santo cielo, ti sarebbe potuto succedere qualcosa! - Ammise sua zia. E qualcosa le era di fatto successo, pensò Verity.

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Capitolo 5
*** 5 Capitolo ***


Poi lady Billington ricominciò a parlare e la sua riflessione si interruppe. - Ho appreso ieri sera da una mia conoscente che il maggiore Carter è arrivato in città. Soggiorna in Berkeley Square, ospite dell'amico Marcus Ravenhurst. Ho altresì scoperto che è interessato a tre fanciulle. Pare quindi che viglia accasarsi. E questo non è male, supponendo che erediti il titolo, come pare.- Lei assenti' distrattamente. - Che tu sappia, zio Charles è in città? - chiese poi. La gentildonna non si sorprese di quell'improvvisa domanda. Verity aveva sempre mostrato profondo attaccamento nei confronti del suo caro fratello, lord Charles Harcourt. In un'occasione si era addirittura lagnata del fatto che non fosse il maggiore, perché sarebbe stato un ottimo duca visto che era di gran lunga l'esponente più intelligente della famiglia. - Presumo, cara. Lascia Londra solo di rado. Il suo unico amore è la carriera, come ben sai. È un bene che non si sia mai sposato, suppongo.- - Stamane sembri avere il matrimonio in testa, zia. Vi sono cose peggiori del celibato - replicò Verity alzandosi da tavola. - Credo che andrò a trovarlo. Non lo vedo da un anno.- - Bene, cara. Ma non restare fuori troppo a lungo. Ricorda che dobbiamo passare dalla sarta, più tardi.- - Ritornerò per tempo. E ciò che più conta - aggiunse, guardando in direzione della poltrona su cui sonnecchiava il cagnolino della zia, - Sarò così buona da portare Horace con me. Quel povero cane non si muove abbastanza. Per questo è così irritabile. La passeggiata gli farà bene, vedrai.- Lady Billington fu colta da una lieve apprensione ma, poco dopo, mentre guardava Verity uscire di casa in compagnia della cameriera e con Horace che le saltellava allegramente al fianco, i suoi timori per l'adorato pechinese si placarono. La residenza di Charles Harcourt distava meno di venti minuti dall'elegante dimora di Curzon Street della sorella. Persino Horace non era minimamente affaticato quando arranco' su per i gradini dell'entrata. Il maggiordomo si presentò ad aprire. - Lord Charles non riceve stamane - spiegò con garbo. - Ah, si? - Senza scomporsi, Verity lo scanso' e si introdusse nell'atrio. - La mia non è una visita di cortesia. Dica a mio zio che ho bisogno di vederlo per una questione della massima urgenza.- Più che l'aggressività dell'approccio fu quell'accenno alla parentela a impressionare l'uomo. - Sua signoria è occupato con qualcuno al momento. Se vuole accomodarsi da questa parte, andrò ad avvisarlo.- Dichiarò aprendo una porta. Strano a dirsi, Verity non dovette attendere più di pochi minuti prima che il maggiordomo tornasse a riferirle che lord Charles l'avrebbe ricevuta subito. Affidando Horace alle cure di Meg, si fece scortare nell'imponente biblioteca dove l'aspettava lo zio. - Mia cara, diventi sempre più bella. Posso offrirti una tazza di tè? - mormorò questi andandole incontro. - No, grazie, zio. So che sei molto impegnato, quindi non ti rubero' troppo tempo.- Perplessa, si guardò intorno. - Pensavo che ci fosse qualcuno con te.- - No, no. Lui... ehm, se ne è andato poco fa. E non sono mai troppo impegnato per vedere la mia nipote preferita.- Congedando il maggiordomo, lord Charles le fece segno di sedersi sul divano. Poi, si accomodo' a sua volta. - E così Clara è riuscita a portarti in città, eh? Incredibile! - - Trovo anch'io. In ogni caso, ieri abbiamo lasciato il Kent. Ed è per l'appunto di questo che sono venuta a parlarti. - Gli rivolse uno sguardo pensoso. Charles Harcourt era in politica da anni. Ma lei non aveva mai capito l'esatta natura del lavoro che svolgeva per conto del governo... sebbene sapesse che si era recato sovente sul continente durante la guerra di Spagna e che conosceva bene il duca di Wellington. - La nostra carrozza si è rotta. E poiché io non volevo viaggiare col cane e il pappagallo della zia, ho proseguito sulla vettura di posta.- Spiegò Verity. Raccontò quindi ciò che era successo in quella locanda lungo la strada e provò una certa delusione quando lo zio, dopo aver appreso il tutto, la fissò con indifferenza. - Allora? Non dici niente? - - Si... interessante, cara, ma non vedo perché preoccuparsi.- Verity boccheggio' - Non vedi perché...? Mi ha sentita bene, zio? - - Certo. Ma ora, calmati, bambina mia - la redargui' lui dopo aver notato il pericoloso sfavillio dei suoi occhi azzurri. - Farò in modo che le tue informazioni arrivino a... a chi di dovere. Ma sentiamo di continuo storie di sospette spie e il più delle volte le segnalazioni si rivelano sbagliate. Ti consiglio quindi di dimenticare l'accaduto.- - Capisco - mormorò lei alzandosi. - Scusa se ti ho fatto perdere tempo, zio.- Il suo tono sarcastico non passò inosservato, ma lord Charles preferì ignorarlo. - Al contrario, cara. Sono sempre felice di vederti. Di' a Clara che verrò presto a trovarla.- La scorto' fuori sorridendo. Ma non appena ebbe rimesso piede in biblioteca, si fece serio. Andando alla finestra, guardò la nipote allontanarsi lungo la strada. - Ha sentito tutto, immagino.- La tenda si mosse e sbuco' un aitante gentiluomo che disse: - Si, ho sentito tutto. - Si sedette sul divano che Verity aveva appena liberato. - Un'informazione interessante e assai preziosa. Peccato che sua nipote non abbia visto bene il messaggero. E peccato che nemmeno io abbia visto nessuno lasciare la locanda. D'altra parte, non mi aspettavo che il francese venisse avvicinato durante quella sosta imprevista.- - È stato un caso che Verity abbia sentito la conversazione. Ma avrei preferito che non l'avesse fatto.- Girandosi, lord Charles fissò il gentiluomo sul divano. - Non mi aveva detto di averla presa a bordo, ragazzo mio.- Un sorriso gli increspo' le labbra. - Avevo l'ordine di non accettare altri passeggeri, lo so. Ma non potevo certo lasciarla a piedi, no? Avevo dimenticato che voi due eravate imparentati. Devo dire che è cambiata. Ho faticato a riconoscerla.- Sospirò. Charles Harcourt andò a sedersi dietro la scrivania. - La memoria ha ingannato anche me. Avevo dimenticato che la casa di Lucius Redmond nello Yorkshire è piuttosto vicina alla sua.- - Meno di tre miglia.- - Quindi, conosceva Verity? - - Benissimo.- - Crede che l'abbia riconosciuta? - - Ne dubito. L'ultima volta che ci siamo visti era poco più che una bambina.- - Uhm.- Lord Charles non sembrava convinto. - Ma non è più una bambina. Può essere testarda, alle volte. È impossibile dire che cosa farà ora.- Ebbe un gesto di stizza. - E non ho affatto gestito bene il nostro piccolo colloquio.- Lord Charles aveva ogni motivo di essere preoccupato. Pur non dandolo a vedere mentre tornava in Curzon Street e anche in seguito, quando accompagnò lady Billington dalla sarta, Verity era profondamente offesa dall'indifferenza con cui l'uomo politico aveva accolto la sua segnalazione. Come convincerlo a darle credito? Si stava ancora scervellando in attesa che la zia decidesse se ordinare o meno un altro abito da pomeriggio quando si accorse di essere osservata da una fanciulla in verde. - Ci conosciamo? - domandò Verity quando le occhiate si fecero più insistenti. La giovane donna sorrise. - Perdoni se l'ho fissata. Ma sbaglio a pensare che sia la signorina Verity Harcourt... che frequentava il collegio Tinsdale a Bath? - - Non sbaglia, no. Sono proprio io.- Studiò l'interlocutrice. - Elizabeth? Elizabeth Beresford? - domandò incerta. Vedendola assentire, le saltò al collo con sconveniente irruenza, attirandosi la disapprovazione di una anziana commessa. - Non ti avrei mai riconosciuta. Sei così snella! - aggiunse con brutale franchezza. Lungi dal risentirsi, Elizabeth scoppiò a ridere. - E tu non sei cambiata affatto. Continui a dire esattamente quello che pensi. Era una delle tante cose che ammiravo in te.- Verity era sbalordita. La sua timida e grassoccia compagna di scuola si era trasformata in una creatura splendida. Incredibile! - È così bello rivederti dopo tutti questi anni. Peccato che ci siamo perse di vista quando tu hai lasciato il collegio, sebbene io ti abbia scritto.- Non le sfuggì lo stupore con cui venne accolta quest'ultima affermazione ma, poiché la zia si stava avvicinando, non ebbe modo di indagare. Lady Billington capì subito che le due fanciulle erano felicissime di essersi ritrovate e che l'amica della nipote era proprio ammodo. Non sollevò pertanto obiezioni quando la signorina Beresford suggerì di fare una breve passeggiata nel parco, promettendo di riaccompagnare Verity in Curzon Street. Le ragazze si accomodarono sulla carrozza scoperta di Elizabeth e per un po' rivangarono i giorni di scuola. Poi, Verity chiese all'amica che cosa avesse fatto dopo aver lasciato il collegio. - Ti immaginavo sposata. Non eri stata promessa quasi dalla nascita al figlio di un nobile? Un'usanza barbara, ho sempre pensato, ma tu sembravi così rassegnata...- Verity si fermò bruscamente quando l'altra si rabbuio'. - Oh, perdonami. Sono stata indelicata? - - No, no. Al contrario. Si, io e Richard eravamo di fatto promessi. I nostri genitori erano grandi amici e avevano sempre sognato di unire le due famiglie col matrimonio. Richard, ne sono certa, avrebbe assecondato il più caro desiderio del padre. Sfortunatamente, io non me la sono sentita. Non saremmo mai andati d'accordo.- Fece una piccola pausa. - Ricorderai forse che mio padre è mancato durante l'ultimo anno di collegio. Quando io mi sono rifiutata di sposare Richard, i rapporti tra me e mia madre, che non erano mai stati buoni, si sono deteriorati del tutto. Così, sono fuggita di casa e mi sono trasferita a vivere dalla nonna materna. Adesso sono serena.- Finalmente sorrise. - Mi fa piacere. E dimmi, continui ad abitare con tua nonna?- - Si. Resteremo a Londra per un'altra settimana. Poi, ci sposteremo a Bruxelles. La nonna non sta bene, Verity. Non posso permetterle di viaggiare sola, ed è decisa a partire. Ha un nipote nell'esercito e, ora che i suoi genitori sono morti, si sente in dovere di stargli vicina casomai... Vedi, avevo scioccamente sperato che l'esilio di Napoleone ponesse fine alla guerra.- - Purtroppo non è stato così. È quanti ancora dovranno morire prima che questa follia si concluda? E quanti potrebbero essere salvati se...? - Verity esitò un istante, poi guardò in faccia l'amica e le riferì ciò che aveva sentito alla locanda nonché l'inconcludente colloquio che aveva avuto con lo zio quella mattina. Elizabeth non fiato', limitandosi a fissarla con la stessa indifferenza di lord Charles. Poi, sempre senza parlare, sfiorò il cocchiere col manico del parasole e gli ordinò di fermarsi, sostenendo di volersi sgranchire un po'. - Che cosa ti proponi di fare al riguardo? - domandò con interesse non appena si furono allontanate dalla carrozza. Verity esulto'. - Evviva! Incominciavo a pensare che non mi avrebbe creduto nessuno.- - Ricordo che eri testarda. E dubito che tu sia cambiata. Ma non sei mai stata bugiarda. Certo che ti credo! Peccato che non l'abbia fatto lord Charles, ma non è tutto perduto. Evidentemente tuo zio è un uomo prudente e ha bisogno di prove. E tu gliele devi fornire.- - Sì, ma come? A meno di non raggiungere io stessa quella Frampington Bassa, non vedo che cos'altro potrei fare? - Brontolo' lei. Poi vide Elizabeth assentire e sussulto'. - Hai ragione, potrei andare.- Si fermò un istante. - Se solo riuscissi a uscire senza insospettire la zia! Potrà anche sembrare svaporata ma, credimi, non lo è affatto! - - Ti aiuterò io. Si dà il caso che mia nonna intende dare una cena venerdì sera. Se non fosse per questo piccolo particolare, non esiterei ad accompagnarti, credimi. Ma l'occasione andrà a tuo vantaggio. Ti farò avere un invito. Che cosa potrebbe esservi di più normale? Tua zia non sospettera' nulla. Ha visto come eravamo felici di esserci ritrovate, no? Manderò la carrozza a prenderti venerdì sera. Poi, potrai cambiarti a casa di mia nonna e metterti in viaggio.- - Cambiarmi? - domandò Verity frastornata. - Naturale. Non potrai certo viaggiare o entrare in quella taverna in abito da sera! Ti faresti notare un po' troppo, non credi? Tra l'altro, sarebbe sconveniente se una fanciulla si avventurasse sola in campagna. Ragion per cui dovrai diventare un ragazzo.- Notando il suo sconcerto, Elizabeth aggiunse: - Oh, non ti preoccupare. Ti procurero' gli abiti e un cavallo.- - Sei fantastica! Non ci avrei mai pensato. Travestirmi da ragazzo... Sì, è la soluzione ideale.- - Dimentichi che ho una certa esperienza in questo genere di cose. Come credi che sia riuscita a fuggire dalla casa di mia madre? Anche se, devo confessare, avevo Aggie. - - Aggie? - domandò Verity. - Sì, la nostra vecchia bambinaia. Adesso è la mia cameriera personale. Non fa che brontolare, ma è tanto cara e mi asseconda in tutto. Le dirò di aspettarti in strada venerdì sera. Così, ti farà entrare dall'ingresso posteriore. Poi, quando tu ti sarai cambiata, ti accompagnerà alle stalle dove troverai un cavallo già sellato. E Aggie aspetterà il tuo ritorno.- Verity le sorrise incredula. - Cielo! Non mi hai lasciato nulla da fare.- - Nulla se non rischiare la vita - fu l'asciutto commento. - Oh, come vorrei accompagnarti! - - Non ce n'è bisogno. E ritengo prudente, tra l'altro, andare da sola. Non mi resta che scoprire dove si trova esattamente Frampington Bassa. Spero che sia raggiungibile a cavallo o dovrò rinunciare all'impresa.- - Ho una cartina a casa. Rientriamo subito, così potremo studiarla.- Elizabeth scosse il capo. - Incontrarti dopo tutti questi anni è stato meraviglioso. Mi auguro solo di non doverlo rimpiangere. Quelle persone possono essere pericolose, cara, non c'è bisogno che te lo dica io. Per l'amor del cielo, fa' attenzione! - Secondo la cartina di Elizabeth, la località segreta in cui Verity si sarebbe dovuta appostare in attesa della spia e dei suoi complici si trovava a meno di un'ora di cavallo da Londra. Giunse il fatidico venerdì e andò tutto a meraviglia. Il cavallo si rivelò docile e la serata mite. Verity non si sentiva affatto a disagio in abiti maschili, ma dopo anni di galoppate all'amazzone trovò buffo mettersi a cavalcioni. Tuttavia, arrivò per tempo a Frampington Bassa. Si guardò intorno sgomenta. L'abitato, se così si poteva chiamare, contava solo poche case. Non vi era nemmeno la chiesa e la taverna era sporca e cadente. Nessun cittadino rispettoso delle leggi vi si sarebbe mai avventurato perché senz'altro era un covo di ladri. Risolvendo prudente di aspettare fuori, Verity smonto' e condusse il cavallo nella stalla. Fu sorpresa di trovarvi due magnifici purosangue ancora attaccati a un elegante calesse. Uno degli animali nitri' al suo passare, e nel carezzarlo, lei notò sul suo mantello una curiosa macchia a forma di trifoglio. - Che cosa fa? - domandò una voce ruvida. Verity, col cuore in gola, si girò a fissare lo zotico che sedeva in fondo alla strada. - Niente - dichiarò, sforzandosi di parlare come un ragazzo. - Tolga le mani da quei cavalli. Sono pagato per sorvegliarli. - L'uomo la guardò allontanarsi cauta. - Che cosa la porta qui? Non è della zona.- - No, infatti. Mi... mi sarei dovuto incontrare con mio zio qui alla taverna.- - Suo zio, eh? E come si chiama? - -Septimus Watts - rispose lei augurandosi che il maggiordomo di lady Billington non si risentisse per quell'uso ingiustificato del suo nome.

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Capitolo 6
*** 6 Capitolo ***


- Mai sentito questo nome.- Ribatte' l'uomo. - Può darsi. Ma mio zio mi ha chiesto lo stesso di aspettarlo qui, davanti alla taverna di Frampington Bassa.- L'uomo rise. - Le conviene allora rimettersi in sella. Frampington Bassa rimane più in alto di almeno due miglia.- - Che cosa? Ma è questa Frampington Bassa, no? Ho visto il cartello lungo la strada.- - No. Questa è Frampington Alta. Se non lo so io che ci vivo da vent'anni! Il posto che cerca lei è più in là. Quindi, buon viaggio.- Lei non aveva motivo di dubitare dell'uomo. Dopotutto, perché avrebbe dovuto mentirle? Salutando, riportò fuori il cavallo e impreco'. Avrebbe dovuto studiare meglio la cartina di Elizabeth! Balzo' in sella e ripartì. Sebbene avesse lasciato Londra con molto anticipo, calcolando la possibilità di sbagliare strada, intuiva che dovevano essere quasi le venti, così incito' il cavallo ma senza risultato. Per quanto affidabile, l'animale non era veloce, e l'orologio della chiesa aveva appena finito di battere l'ora quando Verity raggiunse infine Frampington Bassa, che smentiva il proprio nome trovandosi parecchio più in alto rispetto alla sua omonima. Non le fu difficile individuare la locanda. Smontando, portò il cavallo nella stalla e fu contenta di trovarvi soltanto un grosso baio. A meno che non fossero venuti a piedi, la spia e i suoi complici non erano ancora arrivati. Aveva fatto in tempo! Non esitò a entrare in quel locale ben tenuto, con le sue pareti imbiancate a calce e il tetto di paglia. L'interno, come scoprì, era parimenti ordinato. Il fuoco del caminetto scoppiettava allegramente e il pavimento era lindo. Avvicinandosi al bancone, dietro cui una giovanetta stava servendo un avventore, Verity osservò gli altri clienti. Sembravano tutti contadini o allevatori, gente abituata a lavorare all'aperto. Era difficile immaginare che uno di loro potesse essere il complice della spia, a meno che questi, naturalmente, non si fosse travestito. E un forestiero dopotutto c'era, si disse Verity ripensando al baio nella stalla. - Che cosa posso servirle, signore? - domandò la fanciulla. Lei fu lì lì per tradire il proprio sesso ordinando stupidamente un bicchiere di ratafia', ma si controllo' per miracolo e chiese una pinta di birra. Facendosi forza, ne sorbi' un goccio, poi si appoggiò al bancone e disse: - Bella locanda, complimenti. - - Oh, grazie, signore! Mio padre vuole che tutto splenda! - E così era la figlia dell'oste, pensò Verity. Bene bene. - Si, è senz'altro un posto accogliente. Affittate anche camere o servite solo da bere? - continuò. - Oh, abbiamo camere, signore. Ma non vengono usate spesso. Col fatto che siamo così fuori mano, non ospitiamo molti viandanti. Sebbene poco fa un gentiluomo abbia di fatto chiesto una stanza.- La ragazza si guardò intorno. - Non lo vedo adesso. Dev'essere salito.- Arrischiando un altro sorso di birra, lei si chiese se il gentiluomo in questione fosse un innocuo viaggiatore o il complice della spia. - Mia zia viaggia spesso. Non le piacciono i posti affollati. Preferisce locande tranquille come questa. Ha per caso una saletta privata? Temo che non gradirebbe consumare i pasti con gli altri avventori.- Raccontò alla ragazza. - Sì, certo. È al piano di sopra. Gliela mostrerei volentieri, solo che è stata affittata e i signori arriveranno a momenti. L'affittano spesso.- La birra stava diventando sorprendentemente più gradevole a ogni sorsata, decise Verity tornando ad assaggiarla mentre la fanciulla si spostava a servire un altro avventore. Così, quei signori si erano già incontrati lì in precedenza, eh? L'indomani ne avrebbe informato lo zio. Il posto andava senz'altro sorvegliato. Ma sarebbe passato del tempo prima che la spia incontrasse di nuovo i suoi complici... E nel frattempo? Nel frattempo, avrebbe indagato lei! Staccandosi dal bancone, Verity si guardò intorno. Quando fu certa che nessuno la stesse osservando, salì furtivamente le scale e notò una serie di porte. La prima dava adito a una camera da letto e così la seconda. Ma la terza regolava l'accesso alla stanza che stava cercando. Le candele accese conferivano alla saletta un aspetto accogliente. Vi erano bottiglie e bicchieri sul tavolo al centro del locale, ma niente, nemmeno un paravento, dietro cui lei si sarebbe potuta nascondere. Richiuse in fretta la porta. Si stava interrogando sul da farsi quando notò che l'uscio di fronte era socchiuso. E se si fosse appostata li dentro? Avrebbe visto chiunque fosse entrato nella saletta. Poi, una volta che la spia e i suoi complici fossero arrivati, avrebbe potuto lasciare il nascondiglio e incollare l'orecchio alla porta. Vi era la possibilità, naturalmente, che la camera in questione appartenesse all'oste o a sua figlia. Ma anche in quel caso, Verity era certa che i due avrebbero aspettato l'orario di chiusura prima di ritirarsi per la notte. Sì, avrebbe tentato il colpo! Aprendo la porta, sbircio' dentro. Le tende erano tirate, bloccando la declinante luce del giorno, tuttavia intravide un letto che, per fortuna, non era occupato. Tirò un sospiro di sollievo e si era appena fatta avanti quando notò un movimento improvviso. Prima che potesse capacitarsi di ciò che stava accadendo, si sentì afferrare per la vita e tappare la bocca. Santo cielo, l'ospite! Si era completamente dimenticata di lui! L'aggressore la trascino' dentro e chiuse la porta, poi le tolse bruscamente il cappello, di modo che i riccioli neri le ricadessero liberamente sulle spalle. - Ci avrei giurato - fu l'aspro commento. Riconoscendo la voce del postiglione, Verity trasali'.- Lei! - - Si, occhi blu, io. E meno male. Se fosse finita in mano al francese o ai suoi complici, non se la sarebbe cavata così a buon mercato.- Borbottando, accese una candela e la squadro' da sotto il tricorno. - Non crederà, spero, di ingannare qualcuno vestita cosi. È troppo graziosa per sembrare un ragazzo.- Ignorando il complimento, lei fece il broncio. - Be', e che cos'altro avrei potuto fare? Presentarmi in abito da sera? - gli rispose di getto. - Non sarebbe dovuta venire per niente! - - E non l'avrei fatto se mio zio mi avesse presa sul serio! - Ribatte' Verity. - E lei che cosa ci fa qui? - aggiunse. - Stava conducendo quella vettura di posta per sorvegliare lo svizzero? - - Sì. Solo che non è svizzero, occhi blu. È francese, uno dei migliori agenti di Napoleone.- Un brivido le corse giù per la schiena. - Lavora per lord Charles? - - Sarebbe più esatto dire che lavoro con lui al momento. A ogni modo, sappia che l'incontro avverrà alle ventuno e non alle venti come aveva detto lei. L'ho appreso dalla figlia dell'oste quando sono arrivato qui.- Verity si acciglio'. Possibile che avesse capito male? - Be', 'ho scoperto qualcosa anch'io.- Cercò di riscattarsi. - Quei tipi si sono già incontrati qui in passato, quindi potrebbe valere la pena di sorvegliare la locanda.- Chinandosi, raccatto' il cappello che lui le aveva gettato per terra. - Ma visto che è qui lei, non c'è bisogno che rimanga anch'io. Sarà meglio che ritorni a Londra.- - Niente da fare, occhi blu. Resterà qui con me. La riportero' in città quando i nostri amici se ne saranno andati. E adesso si sieda! - Sbotto' il postiglione, indicando il letto. - Sedermi? Mai! - - Sempre la solita cocciuta, eh? Redmond avrebbe dovuto domarla anni fa.- Sbuffo' lui. Colpita da quel commento, Verity lo guardo' con attenzione. Ma sciarpa e tricorno gli nascondevano il viso. - Conosce mio zio Lucius, vero? E noi due ci siamo già incontrati prima... Chi è? - - Si, lo conosco. E ho visto lei nello Yorkshire. Quanto alla mia identità, è meglio che la ignori, almeno per il momento. Le basti sapere che sono... il postiglione.- Lei fece per chiedere qualcos'altro quando ci fu un rumore dall'esterno, seguito da un'eco di voci gioviali. Guardò il postiglione con aria interrogativa. Questi le fece segno di tacere, poi si avvicinò alla porta e la socchiuse. Le voci, ora, si udivano con chiarezza ma stranamente nessuna recava traccia di accento straniero. Poi, l'uscio della saletta si richiuse e il postiglione la fissò con livore. - Se mi ha trascinato qui per scherzo, occhi blu, badi che...- - Perché? Che cosa c'è che non va? Il francese non era con loro? - lo interruppe lei. - No. Vado a dare un'occhiata. E casomai abbia in mente di svignarsela, la chiuderò dentro - sibilo' lui togliendo la chiave. Senza darle il tempo di protestare, uscì dalla stanza e fece scattare la serratura. Verity ebbe un gesto di stizza. Quel bruto! Non aveva nessun diritto di trattenerla. Girandosi, fissò le tende tirate. La porta era chiusa, d'accordo. Ma la finestra? Avvicinandosi, scosto' le tende e aprì i vetri. Si era fatto buio, tuttavia vedeva con chiarezza il tetto del fabbricato sottostante. Si rimise in fretta il cappello, scavalco' il davanzale e si calo' sulle tegole. Avanzò circospetta fino al bordo del tetto, poi spicco' un balzo e rotolo' per terra. Si era appena raddrizzata quando si aprì una porta e ne uscì la figlia dell'oste, avvolta in un mantello. - Oh, è lei, signore! Pensavo che se ne fosse andato da tempo - esclamò trasalendo. Poi sorrise a Verity. - Sto portando questo canestro di cibo a una vecchia signora.- Le spiegò. - E io sono pronto a ripartire. Ritorno adesso da una... passeggiata. Sono convinto che mia zia sarebbe felice di pernottare in questo grazioso villaggio - rispose lei, avendo cura di abbassare il timbro della voce. - È un posto tranquillo, signore. Mi spiace non averle potuto mostrare la saletta, ma il vecchio colonnello Hanbury è un tipo bizzarro. Non vuole nessuno tra i piedi quando è lui ad affittarla - le disse la fanciulla. - Il colonnello Hanbury? - ripeté Verity senza capire. La figlia dell'oste rise. - Dovrebbe essere un segreto. Ma lo sanno tutti da queste parti. Tranne le mogli, s'intende! Il colonnello, il vicario e il medico s'incontrano qui due volte al mese. Le loro consorti disapprovano il gioco d'azzardo, vede. Così loro, per quieto vivere, vengono qui.- Oh, Santo cielo! Pensò lei. Quando il postiglione avesse scoperto chi erano gli occupanti della saletta, e Verity non dubitava nemmeno per un istante che lo avrebbe fatto, si sarebbe infuriato, certo che lei lo avesse menato per il naso. E come avrebbe potuto provare il contrario? Prima fosse sparita, meglio sarebbe stato! Salutando la fanciulla, recupero' il cavallo e saltò in groppa. La galoppata fino a Londra fu snervante. Ogni volta che sentiva un'eco di zoccoli, si voltava indietro, aspettandosi di vedere il postiglione che la inseguiva, e fu soltanto quando ebbe raggiunto la capitale, dove poté mescolarsi alle carrozze e agli altri cavalieri, che incominciò a rilassarsi. Arrivò stanca e delusa. La visita a Frampington Bassa si era rivelata un fallimento. Ma che cosa era andato storto? Verity si lambicco'. Poteva essersi confusa sull'orario ma non sul posto, di quello era sicura. Frampington Bassa, aveva detto il francese. No, pensò correggendosi. Le sue parole esatte erano state: Frampington Bassa. O per meglio dire, Bassa Bassa. Oh, no. Chiudendo gli occhi, Verity si diede della sciocca. Frampington Alta rimaneva in realtà più in basso rispetto all'altra Frampington ed era ciò che aveva voluto dire il francese. Che stupido gioco di parole! L'incontro si era effettivamente svolto in quella lurida taverna cadente. Uff, tanta fatica per nulla! - Devi smetterla di tormentarti, Verity. Che cos'altro avresti potuto fare, in fondo? - Era passata quasi una settimana da quell'inutile cavalcata a notte fonda e il fallimento continuava a bruciarle. Si era aspettata la visita di un adirato lord Charles, ma non lo aveva visto né aveva ricevuto sue notizie. Il che era strano, date le circostanze. Il postiglione doveva pur avergli detto che l'incontro alla locanda non aveva avuto alcunché di sinistro! Verity rallento' il passo. - Si, hai ragione, Elizabeth. Non avrei potuto fare nient'altro. Non sono stata di compagnia questi giorni, lo so. Ed ecco che si avvicina la tua partenza.- Si allungò ad abbracciarla. - Quando ci rivedremo? - - Non prima dell'autunno, temo. Ma ci terremo in contatto.- - Ho ricevuto una tua lettera mentre ero ancora in collegio, e ti ho scritto diverse volte durante l'ultimo anno. Ma non ho più avuto tue notizie - commentò lei rammentando la sorpresa dell'amica quando aveva toccato l'argomento dalla sarta. Quella volta, il mistero fu chiarito. - Dopo aver lasciato il collegio, sono rimasta solo per poco a casa di mia madre. Lei non mi ha mai inoltrato le tue lettere. Ho pensato scioccamente che tu mi avevi dimenticata. Ma non commettero' più questo errore. Ti scriverò da Bruxelles. E ci ritroveremo al mio ritorno - promise Elizabeth. Poi sorridendo, aggiunse. - Sempre che per allora tu non ti sia fidanzata, s'intende! - Verity arriccio' il naso. - Per carità! - l'amica si meraviglio'. - Sbaglio o avevi una simpatica ai tempi del collegio? - - Una cotta infantile, niente di più.- Elizabeth salutò una conoscente che veniva dalla direzione opposta, poi chiese: - Come si chiamava lui? - - Brin Carter. Adesso maggiore Carter. Una volta occupava un posto speciale nel mio cuore. Ma ero molto giovane. Giovane e sciocca. Non avrei dovuto tenerlo in così alta considerazione.- - Brin? Che nome insolito! - - Porta il nome del nonno materno. Anzi, il cognome. Comunque è un'abbreviazione. Si chiama Brinley per esteso.- - Che cosa è successo? - - Oh, niente di speciale. Pensavo di amarlo ma non ero ricambiata. Brin si era incapricciato della figlia del signorotto locale. Angela Kingsley si chiamava, un'eterea creatura dal volto d'angelo e dal cuore di pietra. Brin la idealizzava. Quando ho cercato di dirgli che la sua adorata Angela non era ciò che sembrava, mi ha detto senza mezzi termini che ero una peste linguacciuta e viziata.- Rise senza allegria. - Per farla breve, mentre Brin combatteva in Spagna, Angela, che aveva promesso di aspettarlo, ha sposato improvvisamente sir Frederick Morland, quel grassone, mettendo in giro la voce che era stato il padre a costringerla a quel matrimonio. Ora, se Brinley abbia creduto o meno a questa versione, non lo so, visto che non lo vedo da cinque anni.- Elizabeth inarco' un sopracciglio. - Sospetto peraltro che ti si rimasto nel cuore. Dopotutto, non ti sei affezionata a nessun altro.- - In effetti, no. Ma non credere che io abbia il cuore spezzato, perché non è così. Ho solo imparato a non concedere il mio amore a chi non sa apprezzarlo.- - Ne parli con leggerezza. Tuttavia, è evidente come quell'uomo ti abbia ferita profondamente.- Lei non cercò di rispondere. Avevano raggiunto intanto la carrozza di Elizabeth, che era rimasta all'ombra degli alberi mentre le due fanciulle passeggiavano nel parco. L'amica fece per salire, ma Verity la trattenne. - Preferisco tornare a piedi con Meg, cara. Salutiamoci qui.- L'abbraccio' e le mormorò: - Abbi cura di te.- - Anche tu. E arrivederci alla prossima occasione.- Gli occhi di Elizabeth si tinsero di inquietudine. - Non lasciare che l'equivoco di Frampington ti rovini il resto del soggiorno a Londra. E ciò che più importa, non permettere al passato di precluderti un nuovo amore.- - Se incontrassi un uomo meritevole, forse potrei anche pensare al matrimonio. Ma non mi aspetto di trovarlo tra i damerini che bazzicano Londra. E certo non farò tragedie se alla fine della Stagione ritornerò nello Yorkshire senza fidanzato.- Commentò Verity. Mentre guardava la carrozza partire, dovette riconoscere che Elizabeth le aveva dato molto su cui riflettere. Sarebbe stata la prima ad ammettere che non faceva amicizia facilmente e che concedeva a pochissimi il proprio affetto. Che fosse una conseguenza di quella lontana delusione amorosa? Certo che no! Aveva dimenticato da tempo Brinley Carter. Non poteva tuttavia negare di aver scoraggiato diversi giovani scapoli. Era perché li considerava perlopiù vuoti e noiosi? O perché temeva l'ennesima delusione? Stava ancora valutando quell'inquietante possibilità quando venne affiancata da un calesse. Continuò peraltro ad arrovellarsi e non alzò lo sguardo finché una voce stridula non la chiamò per nome. Riscuotendosi, si ritrovò a fissare la figlia del vicino più prossimo di zio Lucius. Solo che non fu la vista di Hilary Fenner a farla trasalire, bensì quella del prestante gentiluomo che le sedeva accanto sul calesse. - Mi chiedevo proprio se ci saremmo incontrate qui a Londra! - esclamò Hilary in modo amichevole, ma con una voce che ricordava un fastidioso pigolio. - E guarda chi mi ha accompagnata a fare un giro! Ti ricordi di Brin, vero? - Verity incrociò un paio fi occhi color dell'ambra. Silenziosamente dovette ammettere che il tempo era stato benevolo con Brin Carter. Era attraente come in passato, forse ancora di più ora che gli anni gli avevano scolpito il viso. Ancorché turbata, Verity si finse indifferente a colui che tanto l'aveva ossessionata nella fanciullezza, arrivando addirittura a dichiarare: - Ehm... mi perdoni, signore. Il suo viso mi è vagamente familiare. Ma temo di non ricordare dove ci siamo incontrati prima.- - Oh, Verity! - La signorina Fenner ridacchio'. - Non puoi esserti dimenticata! Eri così affezionata ad Arthur Brinley. Questo è suo nipote.- - Ma certo.- Verity notò con piacere che Brin era infastidito. - Mi deve scusare, signore. Ma sono passati anni dall'ultima volta in cui ci siamo visti.- - Infatti, signorina Harcourt. Era appena una bambina. E posso aggiungere che è cambiata pochissimo.- Confermò lui con voce profonda. Verity gli scocco' un'occhiata penetrante, sospettando che quell'ultima osservazione fosse tutto fuorché un complimento. Tuttavia, prima che potesse rispondere per le rime, la signorina Fenner le chiese: - Verrai al ricevimento di lady Morland domani sera? Io e Brin ci saremo.- Uhm, proprio una bella rimpatriata!, riflette' Verity chiedendosi se Brin avesse visto la sua adorata Angela da quando questa si era sposata con l'obeso baronetto. Abbassò il capo nel tentativo di nascondere un sorriso malizioso e la sua attenzione fu attirata dagli splendidi cavalli bigi attaccati al calesse. La spensieratezza l'abbandono' all'istante. Verity aveva già visto quegli animali. Ne era certissima! Accarezzando quello più vicino a lei, individuò facilmente la macchia a forma di trifoglio sul mantello. Per quale motivo Brin Carter si era trovato in quella taverna cadente il venerdì precedente? Alzando lo sguardo, si avvide che lui la stava fissando piuttosto attentamente, così disse: - Non ricordo quali programmi abbia lady Billington per domani sera, Hilary. Ma se lady Morland ha mandato l'invito, senz'altro ci rivedremo là. - Indietreggiando, si costrinse a guardare Brinley. - Bene, non la trattengo oltre, maggiore. Sarà impaziente di far muovere questi magnifici purosangue. Non se ne vedono spesso di cosi belli.- - No, in effetti no, signorina Harcourt - rispose lui con un sorriso. Verity salutò velocemente, poi girò sui tacchi e si incammino'. - Signorina! Sta andando nella direzione sbagliata! - esclamò Meg tirandola per la manica. - No. Ho deciso di passare da zio Charles - annunciò lei. Dieci minuti dopo, quando raggiunse casa Harcourt, il maggiordomo l'accolse abbastanza cordialmente. La invitò a entrare, poi corse ad avvisare il padrone. - Suo zio la aspetta - annunciò poco dopo. Lasciando Meg su una comoda sedia, Verity passò in biblioteca. Seduto dietro la scrivania, lord Charles stava scrivendo una lettera. Non parve sorpreso vederla, ma nemmeno contento. Finì la missiva, la cosparse di sabbia, poi si alzò e le mosse incontro. - Be', bambina cara, mi stavo proprio chiedendo quando saresti venuta a scusarti.- - Scusarmi io? Al contrario, zio Charles, se c'è qualcuno che dovrebbe scusarsi, quel qualcuno sei tu, per avermi fatto credere di non ritenere importante l'informazione che ti avevo passato! - - Uhm. Trovo che il mio collaboratore abbia ragione quando dice che tu hai bisogno di essere domata.- - Se alludi a quell'imbecille che hai mandato a Frampington Bassa, ti sarei grata, quando ti capita di rivederlo, se gli dicessi di farsi gli affari suoi! - - Perbacco! - esclamò lord Charles divertito. - Pare che abbiate avuto una piccola divergenza l'altra sera.- - Divergenza? Si, puoi ben dirlo. È un essere spregevole.- - Sappi che nemmeno lui ti ha subissata di complimenti. Non è stato felice di scoprire che te ne eri andata senza aspettarlo. Tra l'altro, era quasi convinto che ti fossi inventata tutto e che non ci dovesse essere nessun incontro.- - Non è vero! Non ti avrei mai raccontato una bugia! - - Si, lo so. Posso soltanto supporre, perciò, che quel convegno sia stato rimandato per una qualche ragione o che tu abbia sentito male l'ora e il luogo.- - No, zio. Ho sentito benissimo. Soltanto non ne avevo colto il senso esatto.- E senza indugiare oltre, riferì parola per parola ciò che si erano detti la famigerata spia francese e l'uomo brizzolato. Lord Charles ascoltò rapito, assentendo quando Verity espresse la propria convinzione che l'incontro si fosse di fatto svolto alle venti presso la taverna di Frampington Alta. - Si, bambina. Potresti aver ragione.- - Ma non è tutto. La cosa assurda è che sono capitata per caso in quella taverna. Continuò lei. - Non sono entrata, questo no. Non era un posto raccomandabile. Però mi sono avventurata nella stalla e vi ho trovato un calesse con due splendidi cavalli bigi. E poco fa nel parco ho visto quello stesso tiro a due.-

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Capitolo 7
*** 7 Capitolo ***


Lord Charles si fece più attento. - Sei certa che fosse lo stesso? - -Si. Uno dei cavalli aveva una macchia a forma di trifoglio sul mantello.- lo zio la guardò con attenzione. - Chi era alla guida del calesse? Lo sai? - - Si.- Verity abbassò lo sguardo. Le costava fare quel nome ma sapeva di non avere scelta. - Era un certo maggiore Brinley Carter.- Lord Charles inarco' un sopracciglio. - Interessante.- Qualcosa nel suo tono la sorprese e tornò ad alzare gli occhi. - Lo conosci? - - Di vista, si. Wellington ne dice un gran bene. Un uomo molto coraggioso, sotto ogni punto di vista. Si è conquistato varie medaglie in Spagna. È stato ferito gravemente a Badajoz ed è stato promosso maggiore quando è ritornato sul campo. Si, un uomo coraggioso. Anche i francesi, cara, nutrono un salutare rispetto per coloro che vestono la divisa dei fucilieri.- - Conosco i suoi meriti. È una specie di eroe locale nello Yorkshire. E mi è costato parlartene. Ero molto affezionata al nonno del maggiore, Arthur Brinley. E sebbene non possa dire di stravedere per Brin, non penso che tradirebbe il suo paese.- Mormorò lei. - Molti lo hanno fatto. Il denaro fa gola.- - Si. Proprio per questo non credo al tradimento di Brin. Suo nonno era un ricco imprenditore tessile e lui ne ha ereditato il patrimonio. Ma...non posso fare a meno di chiedermi perché si trovasse a Frampington Alta venerdì sera. Certo, vi è pur sempre la possibilità che abbia prestato il calesse a un amico, tuttavia...- Scuotendo il capo, si alzò in piedi. - Meglio che vada, ora, o zia Clara si chiederà dove sono finita.- - Grazie per essere venuta, bambina.- Si alzò anche lord Charles. - Le tue informazioni potrebbero rivelarsi preziose.- - Me lo auguro, zio. E spero di poterti essere utile in futuro.- Vedendolo trasalire, aggiunse con un sorriso: - Non andrò più a zonzo per la campagna, promesso. Ma ricorda che sarei felice di contribuire alle indagini.- Lord Charles ceno' in casa quella sera, poi si recò al circolo. Sedendosi con alcuni conoscenti, inganno' il tempo giocando a carte ma tenne d'occhio la porta. Col passare delle ore le sale si affollarono, tuttavia solo dopo mezzanotte apparve il gentiluomo che si era augurato di incontrare. Elegantissimo in giacca a coda di rondine e pantaloni aderenti color tortora, il gentiluomo in questione si fece avanti e occupò l'unico tavolo libero. Lord Charles finì la mano che stava giocando e, scusandosi, lo raggiunse. - Speravo proprio di vederla stasera - gli disse. Dopo aver ordinato una bottiglia e due bicchieri, gli si sedette davanti e lo squadro'. - È stato di nuovo in società, noto. Dove, questa volta? - - Lady Gillingham aveva organizzato una soiree'. Sono riuscito a sopportare i terribili arpeggi della signorina Gillingham ma, quando uno scimunito ha incominciato a recitare l'orribile poemetto che aveva scritto, me la sono svignata! - Lord Charles rise. - In circostanze diverse si sarebbe inteso perfettamente con mia nipote Verity. Odia quel genere di serate quanto lei. E, a proposito di mia nipote, è venuta di nuovo a trovarmi nel pomeriggio.- - Davvero? - si stupì l'altro. Sollevando il borgogna che il cameriere aveva appena posato sul tavolo, riempì i due bicchieri. - Che cosa voleva la scimmietta questa volta? - - Scimmietta? Ho l'impressione che la mia piccola Verity rimanga saldamente nel suo libro nero. E credo che nemmeno Verity straveda per lei. Si può sapere che cosa vi siete detti in quella benedetta locanda? - - Verity, ovviamente, non l'ha illuminato.- - No. Tuttavia, mi ha riferito una notizia curiosa.- E senza più scherzare, sua signoria passò a riportare ciò che aveva appreso dalla nipote. La reazione fu un fischio sommesso. - Quindi, Verity ha rivisto quel calesse oggi nel parco. Chi lo guidava? - - Questo, ragazzo mio, è il particolare più interessante. Si, perché a reggere le briglie era niente di meno che il maggiore Brin Carter.- - È davvero interessante! E potrebbe essere lo spiraglio che aspettavamo.- - Già. Ma bisogna prima vedere se quei cavalli appartengono davvero al maggiore.- - Oh, per appartenergli, gli appartengono. E tirando fuori un foglietto, lo posò sul tavolo.- Charles Harcourt lo lesse e assenti'. - Bene bene. Mia nipote ci ha procurato una pista da seguire.- Scosse il capo. - Peccato che non sia un ragazzo. È molto osservatrice. Mi sarei potuto avvalere del suo aiuto.- - Io, invece, sono contento che non sia un ragazzo. E trovo anzi saggio affidarle un compito che la distragga, fosse solo per impedirle di combinare altri guai.- - Che cosa avrebbe in mente? - - Be', signore, è chiaro che Carter va sorvegliato. E chi meglio di sua nipote potrebbe svolgere questo servizio? - Lord Charles guardò il suo compagno con aria pensosa. - A che cosa mira, ragazzo? - - Al più onorevole degli accomodamenti, le assicuro, signore.- - Dunque, è così che stanno le cose? - Sua signoria alzò il bicchiere in un brindisi silenzioso. - Be', le auguro buona fortuna. Ne avrà bisogno... con mia nipote. Ma credo di doverla avvertire che non nutre particolare simpatia per il maggiore.- - Sa, è buffo che lo dica, perché ho avuto anch'io la medesima impressione. Rancori infantili, immagino. Nondimeno, cambierà idea. Ci penserò io, non tema.- - Non ne dubito nemmeno per un istante. Così come non dubito che lei sarà il compagno ideale per Verity.- Lord Charles smise di sorridere. - Ma nel frattempo, ragazzo mio, faccia attenzione. E si prenda cura della mia nipotina. Le sono molto affezionato.- - Non si preoccupi. Non permettero' che le accada nulla di male.- Lady Billington aveva un cruccio: sospettava infatti che Verity non si stesse godendo la sua prima Stagione come avrebbe dovuto e che la sua mente fosse il più delle volte altrove. Restò pertanto piacevolmente sorpresa quando Verity accettò con entusiasmo di intervenire al ricevimento di lady Morland quella sera. Lady Billington lo attribuì al fatto che la padrona di casa era originaria dello Yorkshire, e che la nipote sarebbe stata tra le persone che conosceva meglio. Meg, a cui era stato concesso più tempo del solito per domare la chioma ribelle della sua padroncina, pensava che l'eccitazione di Verity derivasse dal desiderio di rivedere l'aitante giovanotto che il giorno prima aveva fermato il calesse per parlare con lei. In realtà, sbagliavano entrambe. Se Verity spasimava per andare a quel ricevimento era solo per via di un biglietto che aveva ricevuto dallo zio. Verity era sempre stata la beniamina dei domestici di lady Billington. Si mostrava gentile con tutti e non era affatto pretenziosa. Da quando soggiornava in Curzon Street, tuttavia, era salita nella loro stima semplicemente perché si era assunta il compito di portare a spasso il viziatissimo pechinese della zia. Era stato proprio mentre Verity si trovava a passeggiare con Horace nell'inelegante Green Park che lord Charles era passato a salutare la sorella. Per l'ora in cui era rientrata la fanciulla, il politico aveva già tolto il disturbo, tuttavia le aveva lasciato un biglietto. Mia diletta Verity, apprendo da tua zia che interverrai al ricevimento di sir Morland questa sera e spero che vorrai dedicarmi qualche minuto del tuo tempo. Dopo le ventidue abbi pertanto la cortesia di raggiungermi in giardino, dove potremo parlare in privato. Con affetto, C.H. Certa che lo zio volesse aggiornarla sulle indagini in corso e fors'anche coinvolgerla, Verity si preparò con cura e quella sera salì in carrozza con una certa baldanza. - Vedo che pregusti la soiree' e me ne compiaccio. Devi conoscere bene lady Morland. Sbaglio o abitavate vicino prima che lei si sposasse? - domandò sua zia. - Non sbagli. Purtroppo. - Fu il gelido commento della nipote. Oh, quello sì che era interessante! Riflette' lady Billington. Dunque, sua nipote non stravedeva per la bella Angela. Non che questo la preoccupasse. Verity sapeva essere testarda e linguacciuta in privato. E la zia preferiva non pensare a quali libertà si concedesse nello Yorkshire. Ma non una volta la fanciulla le aveva dato motivo di arrossire in pubblico. Il suo comportamento era sempre irreprensibile. Di conseguenza, quando arrivarono a destinazione poco dopo, Verity salutò i padroni di casa con estrema cortesia, senza tradire alcun malanimo nei confronti di lady Morland. Costei, al contrario, guardò Verity con insistenza, dando prova, secondo lady Billington, di una certa maleducazione. Verity trascorse la prima ora danzando con diversi cavalieri. Poi, quando si avvicinò l'ora dell'appuntamento, si allontanò con una scusa e uscì in giardino. L'aria della sera le procurò un brivido. Massaggiandosi le braccia, avanzò tra le siepi e si guardò intorno. Chiamò lo zio, ma le rispose soltanto il silenzio. Poi, proprio quando stava per tornare dentro, certa che lord Charles fosse stato trattenuto, notò un movimento sulla destra. - C'è qualcuno? - domandò con voce tremante. - Non abbia paura, occhi blu.- Riconoscendo il postiglione, Verity si stizzi'. - Ancora lei! Dov'è mio zio? - sbotto'. - Non è potuto venire. Così ha mandato me.- - In tal caso, si sbrighi a riferirmi il suo messaggio. Fa freddo qui fuori e desidero rientrare.- - Se vuole, la scaldo io.- Nella voce dell'uomo affiorava un che di divertimento, ma anche qualcosa che non avrebbe saputo definire, e che le provocò un lungo brivido. - Come osa parlarmi in questo modo? Non è affatto un gentiluomo! - proruppe Verity indietreggiando. - Oh, posso esserlo, quando voglio - rispose l'altro senza scomporsi minimamente. - Ma veniamo alle cose serie. Suo zio acconsente a farla contribuire alle indagini.- - Sul serio? In che modo? - domandò. - L'informazione che ha passato a lord Charles su un certo maggiore ha destato interesse. Quel maggiore potrebbe essere innocente, badi bene, ma dobbiamo esserne sicuri. Ed è qui che entra in gioco lei.- - Io? E come? - - Credevo fosse evidente, occhi blu. Lo conosce, no? - commentò il postiglione. - Meglio dire che lo conoscevo.- - Be', rinnovi la conoscenza, allora. Scopra i suoi movimenti. Partecipi ai ricevimenti a cui partecipa anche lui. Trascorra quanto più tempo in sua compagnia. Scopra chi frequenta e che cosa fa durante il giorno. Sia carina con lui.- - Che cosa? Così facendo, darei l'impressione di dargli la caccia! - esclamò lei. - Infatti gliela dovrà dare.- - Ma non per sposarlo! - obietto' Verity con calore. Però ci riflette' sopra. - Se accettassi, sarebbe per una ragione soltanto... ovvero, per provare l'innocenza di Brin, non la sua colpevolezza.- - Dunque ha un debole per il maggiore? - - Affatto. Quell'uomo è un pagliaccio. Ma ero molto affezionata a suo nonno. E per il bene di Arthur Brinley, proverò l'innocenza del nipote.- Il postiglione parve irrigidirsi. - Benissimo, allora. Le permettero' di dare una mano. Ma se scoprirà qualcosa, dovrà subito informare suo zio. Di quando in quando sarà contattata anche dal sottoscritto. Non sarò sempre mascherato, pertanto dovrà promettere di girarsi quando le chiederò di farlo.-

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Capitolo 8
*** 8 Capitolo ***


Il postiglione proseguì dicendole. - Se vogliamo agguantare l'infame che da anni passa informazioni ai francesi, è vitale che la mia identità rimanga segreta.- Verity promise. Poi, gli chiese se avesse idea di chi fosse il traditore. - Grazie a lei, abbiamo una pista, adesso. Ma non posso sbilanciarmi.- Osservò lui. E senza darle agio di rivolgergli altre domande, la cinse per la vita e l'attrasse a sé. Il tricorno gli nascondeva come sempre il viso, conferendogli un'aura di mistero. Ma lei stranamente non ebbe paura. Né si ritrasse quando il postiglione le cercò le labbra, baciandola con insopportabile dolcezza. Verity trovò anzi naturale abbandonarsi. Era come se appartenesse a quell'uomo, pensò con una punta di fatalismo, come se gli fosse stata destinata dalla nascita. Lui si staccò con riluttanza. - Purtroppo devo andare, occhi blu. Ma quando sarà tutto finito, quando sarò libero di starle accanto, stia certa che non la lascerò più andare. È mia, piccola. È sempre stata mia. Me ne accorgo ora. E non permettero' a nessuno di portarla via da me.- Tornò a baciarla, ma castamente. - Vada ora, finché ho la forza di lasciarla.- Verity si allontanò in preda a emozioni contrastanti. Si stava muovendo tutto troppo in fretta e aveva bisogno di tempo, tempo per riflettere, tempo per capire lo strano potere ipnotico che quell'uomo a tratti esasperante sembrava avere su di lei. Rientrò furtiva, e mescolandosi agli ospiti, raggiunse la zia. - Santo cielo, bambina! Eccoti finalmente! Stavo per venirti a cercare. Dov'eri finita? - - Sono uscita a prendere una boccata d'aria. Fa così caldo qui dentro.- Rispose lei senza tentare di mentire. Lady Billington non poté impedirsi di notare il colorito acceso della nipote. Gli occhi azzurri scintillavano come stelle e le labbra sembravano, un tantino gonfie. Se non avesse saputo che la verità era un'altra, avrebbe sospettato che Verity fosse stata baciata. Ma triste a dirsi, la fanciulla non possedeva un briciolo di romanticismo... purtroppo! - In futuro vedi di non uscire sola. Si possono fare strani incontri.- Com'era vero!, esclamò tra se Verity ripensando con vergogna mista a stupore al modo in cui si era abbandonata tra le braccia del postiglione. Poi, si accorse di essere diventata il punto focale di un paio di gelidi occhi azzurri e chiese alla zia chi fosse l'alto gentiluomo biondo che la fissava con insistenza. Lady Billington si girò a guardare. - Il signor Lawrence Castleford. Suo zio, lord Castleford, conosce bene tuo zio Charles. Credo anzi che lord Castleford abbia qualcosa a che vedere col Ministro della Guerra. Ha un figlio ma è noto a tutti che preferisce il nipote. Come padre, è senz'altro bizzarro.- Nel vedere la padrona di casa che avvicinava l'eccezionalmente bello signor Castleford, lady Billington si acciglio'. Poi chiese alla nipote. - Ora, spero che vorrai soddisfarla tu, una mia piccola curiosità. Perché detesti lady Morland? - - Non direi di detestarla, ma non ho stima per gente della sua risma.- - Non capisco, cara. So bene che è soltanto la figlia di un oscuro signorotto di campagna. Ma non posso credere che sia la sua nascita a urtarti.- Verity rise di gusto. - Se pensi che uno degli uomini che ammiravo di più era figlio di una sgualdrina, puoi stare certa che non sia quella.- - Sul serio, cara! Vorrei tanto che imparassi a moderare il linguaggio.- Lady Billington rabbrividi' e la redargui' abbassando la voce. - Arthur Brinley è stato descritto in modi peggiori, te l'assicuro.- Il suo sguardo diventò nostalgico. - Non si può non ammirare un uomo che è nato nella polvere ma che è morto ricchissimo. Non si può non ammirare chi si ammazza di lavoro pur di migliorarsi. Ma ho scarsa considerazione per quanti si sposano solo per interesse.- - Capisco - mormorò la zia studiando di sottecchi prima la padrona di casa e poi il suo obeso marito. - Credi quindi che lady Morland si sia sposata per denaro?- - No. Se fosse stato per quello, avrebbe scelto il nipote di Arthur Brinley. Quando sono andata a vivere nello Yorkshire, lei e Brin facevano già coppia. Angela aveva sedici anni all'epoca e Brin diciotto o diciannove. Pensavano tutti che si sarebbero sposati. Correva voce, e non sarei sorpresa se fosse stata Angela a metterla in giro, che i genitori avrebbero negato il consenso finché la figlia non avesse raggiunto la maggiore età. Brin è partito per la guerra di Spagna e nel giro di tre mesi Angela ha sposato il suo grasso baronetto. E questo un anno prima che raggiungesse la maggiore età.- - Dunque, mirava al titolo? - - Direi. Da come si stanno muovendo le cose, avrebbe fatto meglio a sposare Brin. Adesso si troverebbe a un passo dal ben più prestigioso titolo di viscontessa.- Verity scosse il capo, poi aggiunse: - E a proposito di Brin...- Seguendo il suo sguardo, lady Billington inquadro' una poderosa figura d'uomo ferma sulla soglia del salone da ballo. - Santo cielo, bambina. Non mi dirai che quello splendido giovanotto è il nipote di Arthur Brinley! - - Proprio così. Confrontalo con quel barile di lardo che ha sposato Angela. E se potrai ancora affermare che non si è maritata per la posizione sociale, allora penserò che sei cieca.- - Be', insomma! - borbotto' la gentildonna senza sbilanciarsi. A differenza della sua schietta nipote, preferiva tenere per sé le proprie riflessioni. Tuttavia, era segretamente d'accordo con Verity. Guardò il giovane maggiore attraverso il salone. Il portamento era senz'altro quello di un ufficiale. Si teneva molto eretto, tuttavia si muoveva con grazia felina. La natura lo aveva indubbiamente favorito tanto nel viso quanto nella persona. Pur non avendo i tratti del nobile casato del padre, era un giovane prestante. Ciò che lady Billington non capiva era da dove nascesse l'antipatia di Verity per il maggiore, perché era sicura che vi fosse una certa ruggine, se non altro da parte della nipote. Si ripromise di far luce su quel piccolo mistero perché da quanto le era dato di vedere niente nel comportamento di Carter suscitava disgusto. E niente nei suoi modi, notò lady Billington mentre il maggiore si avvicinava alla padrona di casa, tradiva il fatto che fosse stato un tempo legato a lady Morland. Le strinse la mano per alcuni istanti ma, se Angela si era aspettata che facesse il galante e le baciasse la punta delle dita, restò delusa, perché lui si inchino' soltanto prima di allentare la presa. - Sono felice che abbia accettato l'invito, Brin. È bello rivederla dopo tutti questi anni.- - Non sarei mancato per nulla al mondo. È da tempo che desidero ringraziarla per la gentilezza che ha mostrato nei confronti di mio nonno, andandolo a trovare così spesso durante gli anni in cui sono stato via.- Interpretò il suo lieve cipiglio come riluttanza a parlare dell'altruismo di cui aveva dato prova e cambiò argomento. - La trovo bene, lady Morland. Il tempo è stato bevevolo con lei.- - Via, maggiore, quanto riserbo! - protesto' la donna civettuola. - Devo dunque chiamarla maggiore Carter? - - Come desidera, signora. Penso che la nostra antica amicizia consenta meno formalismi.- - Eravamo più che amici, Brin - gli ricordò Angela con voce roca, protendendosi verso di lui. - Non mi ha ancora perdonata? - La sua espressione era difficile da interpretare. - Mia cara, creda, non serbo rancore. Le fanciulle maturano più in fretta rispetto ai loro coetanei ed è un bene. Per fortuna almeno lei ha avuto l'intelligenza di non scambiare la nostra amicizia per qualcosa di più profondo. E per questo le sarò eternamente grato.- Non era la risposta che si era augurata la bella Angela. Lo studio' attentamente, pensando che quei commenti così poco lusinghieri fossero una mera cortina di fumo dietro cui nascondere un cuore ferito, e si accorse con livore che Brin non stava nemmeno guardando lei!

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Capitolo 9
*** 9 Capitolo ***


Seguendo il suo sguardo, Angela Morland si irrigidi'. - Ah! Si ricorda di Verity Harcourt, Brin? Un vero maschiaccio, ecco cos'era. Rammento che non la sopportava. "Quella piccola peste viziata" diceva."Sempre a seguirmi come un gatto randagio".- - Dicevo così? - Un'ombra gli offusco' lo sguardo. - Be', spero di aver avuto la creanza di non dirglielo in faccia. Sebbene...- esitò. - Sì, questo potrebbe spiegare tutto - aggiunse trionfante. Verity, a cui non erano sfuggiti gli sguardi nella sua direzione, non poté fare a meno di chiedersi che cosa venisse detto sul suo conto. Per darsi un contegno, ricominciò a ballare. Ma né il signor Castleford, che per primo la invitò, né gli altri cavalieri riuscirono a distrarla. Dopo l'incontro del giorno prima, si aspettava che anche il maggiore la invitasse a ballare. Ma quando lui non lo fece, si stizzi' alquanto. Col risultato che, per l'ora in cui si concluse la serata, ribolliva di rabbia. Gli ospiti incominciarono ad andarsene e lady Billington, che si era divertita immensamente, suggerì che anche loro si congedassero dai padroni di casa. Verity si avviò, salutando numerosi conoscenti mentre si faceva strada tra la folla. Nel superare il maggiore, che era intento a conversare con lady Gillingham e la sua graziosa figliola, gli urto' il gomito di proposito. Sfortunatamente, il contenuto del bicchiere che questi teneva in mano finì sull'elegante abito rosa della signorina Gillingham, che strillo' in modo indecoroso. Verity si portò una mano alla bocca. Il suo sgomento, tuttavia, non inganno' la zia nemmeno per un minuto e certo non convinse il maggiore. Ma lady Gillingham, grazie al cielo, parve accettare le scuse di Verity e condusse via la figlia. - Che... che sfortunato incidente! - esclamò stoicamente lady Billington, intromettendosi. - Sfortunato, certo - convenne il maggiore fissando Verity con curiosità mista a malizia. - Signorina Harcourt, voglia gentilmente presentarmi la sua graziosa compagna.- La fanciulla obbedi' e lady Billington si sentì stringere la mano con piacevole vigoria. - Conoscevo di vista suo nonno, maggiore. E la prego di accettare le mie tardive condoglianze per la sua scomparsa. Era un uomo rispettato. Verity lo adorava.- - Si. Ricordo bene che sua nipote era un'assidua frequentatrice di casa nostra nei suoi anni formativi, signora. Mio nonno era noto per la sua severità. Ma si era certamente addolcito con l'età. Strano a dirsi, le frequenti marachelle di sua nipote, lungi dall'adirarlo, sembravano divertirlo.- Fu la risposta del maggiore. Notando l'improvviso corruccio di Verity, lady Billington tornò a intromettersi. Salutò in fretta e trascino' via la fanciulla prima che questa avesse modo di dire qualcosa di tagliente in risposta alle reminiscenze piuttosto infelici del maggiore. - Mi meraviglio di te! Hai urtato di proposito quel poveretto!- Esclamò una volta che furono in carrozza. Verity non tentò nemmeno di negarlo. - Non era mia intenzione fargli rovesciare il contenuto del bicchiere addosso a Clarissa Gillingham.- - Immagino. Mi chiedo solo perché tu ti sia data così tanto da fare per parlare con qualcuno che disprezzi tanto.- - Noi Harcourt non amiamo essere ignorati. Quello screanzato non mi aveva degnata di uno sguardo e tuttavia si era fermato a chiacchierare con la maggior parte delle signore presenti! - dichiarò lei sollevando il mento. Avvertendo un certo risentimento nella sua voce, lady Billington intuì che la nipote non era indifferente al bel maggiore come sosteneva di essere. Si chiese altresì che cosa Brin Carter pensasse ora della ragazza che aveva evidentemente considerato una seccatura tempo addietro. Senz'altro aveva ignorato Verity quella sera, ma la zia lo aveva visto guardare spesso nella sua direzione. Bene, pensò lady Billington. La situazione si stava sbloccando. Ed ecco che il futuro appariva di colpo roseo e promettente. Se lady Billington aveva sperato che le fondamenta della futura felicità della nipote fossero ormai gettate, era destinata a rimanere delusa. Ore prima che lei e Verity dessero inizio all'ennesima giornata di frivolezze, Brinley Carter lasciò Londra in calesse e prese la strada per Oxford. Che sollievo essere di nuovo in campagna dopo aver respirato per giorni l'aria pesante della capitale! E com'era stufo della vita di città, con tutte quelle feste, quei balli, quelli sciocchi convenevoli! Era invitato ovunque. Un ricevimento non poteva dirsi riuscito se il maggiore Carter non era presente. La pila di inviti nell'atrio di Berkeley Square cresceva di continuo e il batacchio della porta non sembrava fermarsi mai. Ma quanti di quelli che ora gli ronzavano intorno, nauseandolo coi loro sorrisi falsi e le loro parole vuote, lo avrebbero degnato di uno sguardo se non fosse stato destinato a divenire visconte? Un sorriso amaro gli increspo' le labbra. Fortuna che aveva ereditato il buonsenso del nonno! Altrimenti tutta l'attenzione di cui era fatto oggetto al momento avrebbe potuto dargli alla testa. Ora come ora la prospettiva del titolo gli causava una blanda soddisfazione. Ma in un passato non troppo distante avrebbe stigmatizzato quella stessa aristocrazia che lo aveva umiliato e nella quale si apprestava adesso a entrare. E cinque anni prima non avrebbe ritenuto possibile considerare un uomo del più alto rango come un amico fidato. Raggiunse la tenuta di quell'amico nel primo pomeriggio. La bella dimora era circondata da molti acri di campagna verdeggiante. Il viale d'accesso serpeggiava sinuoso, offrendo nel suo punto più alto una mirabile vista dell'Oxfordshire. Ravenhurst era spettacolare sotto ogni punto di vista. Il parco, coi suoi alberi secolari e il suo pescoso laghetto, costituiva di per sé un incanto. Ogni volta che capitava lì, Brin ripensava al suo primo soggiorno in quel luogo stupendo. Si era appena riunito al proprio reggimento in Spagna quando Wellington aveva strappato ai francesi la città di Badajoz. Gravemente ferito al fianco durante l'assedio, Brin era stato riportato al campo in barella e collocato tra i morenti. Il suo nome si sarebbe senz'altro aggiunto alla lista dei caduti se il comandante in persona non si fosse assunto il compito di riportare il giovane capitano in Inghilterra dove, se fosse accaduto il peggio, avrebbe potuto riposare almeno nel nativo Yorkshire e non in terra straniera. Il colonnello Pitbury non aveva previsto che Brin avrebbe resistito ai rigori del viaggio fino al porto. Né il medico che si era trovato a bordo della nave e che durante la traversata aveva estratto il proiettile dal fianco di Brin si era aspettato che il paziente sarebbe sopravvissuto al difficile intervento. Tuttavia, quando la nave aveva attraccato a Southampton, lo sfortunato capitano, per quanto delirante, si era trovato ancora in vita. Il colonnello Pitbury si era sentito allora in grave imbarazzo, non volendo affidare l'ufficiale a estranei e tuttavia temendo che Brin non avrebbe continuato a sopravvivere se fosse stato costretto a intraprendere in carrozza il lungo viaggio fino al nativo Yorkshire. Poi, si era ricordato di una lettera che era venuta in suo possesso, indirizzata al giovane capitano da un certo signor Marcus Ravenhurst. Naturalmente, il colonnello non aveva saputo all'epoca che Brinley Carter e Marcus Ravenhurst, lungi dall'essere amici, erano stati semplici conoscenti, incontratisi quell'anno quando erano rimasti bloccati nella stessa locanda per alcuni giorni. Aveva provato soltanto indicibile sollievo quando, al suo arrivo nella vasta tenuta dell'Oxfordshire, la padrona di casa, senza la benché minima esitazione, aveva ordinato che il capitano venisse portato dentro da quattro robusti domestici. Pitbury aveva creduto all'epoca di vederlo per l'ultima volta. Ma non aveva preso in considerazione la determinazione di Sarah Ravenhurst. Brin si commosse al ricordo. Nell'agonia, non si era accorto della traversata né dell'arrivo in quel paradiso.

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Capitolo 10
*** 10 Capitolo ***


La prima cosa che Brinley Carter aveva veduto quando gli era calata la febbre era stato il volto sorridente di un angelo. E Sarah Ravenhurst era di fatto un angelo, moglie e madre affettuosa nonché amica impareggiabile. Tre anni prima gli aveva guarito non soltanto il corpo, ma anche la mente. Brin trovava adesso difficile credere come fosse stato amareggiato all'epoca. Respinto in amore e troppo a lungo umiliato da quanti gli rimproveravano le umili origini materne, si era trasformato in un uomo duro e pieno di rancore. Ma le settimane di convalescenza a Ravenhurst lo avevano riconciliato con la vita. Col risultato che, quando aveva lasciato l'Inghilterra per riunirsi al proprio reggimento in Spagna, si era finalmente sentito conscio del proprio valore. E questo grazie a Marcus e a Sarah Ravenhurst. Dopo aver fermato il calesse davanti alle stalle e aver salutato Sutton, il capo stalliere, Brin si presentò all'ingresso principale dove venne accolto dal maggiordomo degli amici, Stebbings. Fu questi a informarlo che Sarah era nel salottino mentre il padrone stava lavorando in biblioteca. - In tal caso, infliggero' la mia compagnia alla signora. Ma abbia la cortesia di avvertire il caro Marcus del mio arrivo.- Aprendo la porta del salottino, trovò Sarah seduta accanto alla finestra, con l'ago in mano. - Disturbo? - domandò. Alzando lo sguardo, lei si illumino'. - Oh, Brin! Che bello! - esclamò alzandosi e scartando il cucito, corse ad abbracciarlo. - Sei di passaggio o ti fermi? - - Giù le mani da mia moglie! - ordinò dalla porta una voce maschile prima che Brin potesse replicare. - Insomma, sei qui da cinque minuti e già amoreggi con Sarah? - - Proprio così. Se fossi in te, lo sfiderei a duello! - replicò quest'ultima scherzando. - Santo cielo, moglie mia! Non vorrai rimanere vedova! Era uno dei tiratori più abili del nostro esercito.- Senza più fingere indignazione, Marcus Ravenhurst si fece avanti e strinse la mano all'amico. - Stanco della vita di città? - - Lo puoi ben dire! - esclamò Brin. - Tutti quei ricevimenti possono venire a noia - riconobbe Sarah indicandogli il divano. - Non sai quanto! Ogni volta che arriva un invito, mi sento male.- - Be', è normale che tu sia così richiesto. Sei un ottimo partito al momento - osservò Marcus ridendo e servendogli da bere prima di sedersi in poltrona. - Di' pure che sono ostaggio delle debuttanti - puntualizzo' Brin esasperato. - A proposito di debuttanti. Nessuna di loro ti ha colpito? -Intervenne Sarah. - Due o tre l'hanno fatto, in verità. Per questo sono qui.- Sorseggio' il vino prima di continuare. - Sei già stata molto generosa con me, offrendomi la tua casa di città, e so bene che non dovrei chiedertelo, Sarah, a così breve distanza dalla nascita di Julia, ma mi domandavo se non saresti così gentile da invitare qui a nome mio una comitiva di non più di otto persone... in un futuro non troppo distante.- - Perché no? - rispose la gentildonna con calore. - Non devi badare a Marcus. È così protettivo. Non ho risentito minimamente della nascita del piccolo Hugo e non è stato diverso con Julia. Sono in forma smagliante e ti avrei raggiunto volentieri in Berkeley Square. Ma come ben sai, sono stata così sciocca da sposare un tiranno che si ostina a vietarmi ogni fatica e a proteggermi come se fossi fatta di cristallo! - - Mi comporterei nello stesso modo se ti avessi sposata io. Non molti sono fortunati come Ravenhurst. Ma un uomo dovrebbe perlomeno sforzarsi di scegliere la moglie giusta. Per questo intendo invitare qui certe signore - commentò Brin in tono affettuoso. - Veramente? - Sarah si fece più attenta. - Ho trovato tre candidate ideali al ruolo di futura viscontessa. Ma ho frainteso già una volta i sentimenti di una signora nonché la sua vera natura. E non ho intenzione di ripetere lo sbaglio.- Sarah si intristi'. Sapeva tutto della bella e crudele Angela e di come Brin avesse sofferto quando lei gli aveva preferito un baronetto. - Pensi... pensi ancora a lady Morland, Brin? - - Santo cielo, no! Certo non dimenticherò mai la sua gentilezza nei confronti del nonno. Ha continuato a fargli visita regolarmente, anche dopo che si era sposata. Il nonno ne parlava spesso nelle sue lettere. "La piccola è tornata anche oggi", scriveva. È stato bello da parte di Angela dedicare così tanto tempo a un vecchio morente. E gliene sarò sempre grato, tuttavia...- Zittendosi, sorbi' un altro goccio di Madera. - Strano a dirsi, l'ho rivista ieri sera per la prima volta dal suo matrimonio, quando sono intervenuto a un ricevimento in casa sua. Pensavo che mi sarei emozionato, invece non ho provato nulla, solo sollievo per non averla sposata.- - Non sei il primo uomo ad aver permesso al cuore di governare la mente, né sarai l'ultimo.- Borbotto' Marcus. - Ed è la ragione per cui non intendo sbagliare una seconda volta. Un conto è vedere una ragazza per un'ora o due a una festa, un altro è osservare quella stessa ragazza per un periodo più lungo, rilevandone eventuali difetti.- Sarah restò zitta un istante, poi disse: - - Dici di aver notato tre fanciulle. Nessuna preferenza? - - No, no. Sono tutte parimenti affascinanti. - Brin alzò lo sguardo. - Oh, ho detto tre? In realtà, ce né una quarta. Sfortunatamente, pone qualche problema. E molto spesso non si comporta come dovrebbe.- - Senti, Brin, fammi la lista dei nomi e manderò gli inviti. Ma nel frattempo, immagino che ti tratterai almeno per stanotte.- Dichiarò Sarah. Quando lo vide assentire, si alzò. - Bene, allora. In tal caso, dirò alla cameriera di prepararti la solita stanza.- Marcus aspetto' che la moglie si fosse allontanata, poi disse a Brin: - Se pensi che Sarah abbia creduto a quel mucchio di sciocchezze, allora ti sei proprio rincitrullito a Londra.- - So di non averla convinta. Ma non è tipo da curiosare.- - Questo è vero. Io, però, sono di tutt'altra pasta. Quindi, ti spiacerebbe dirmi la verità? - Seduta dietro lo scrittoio, Verity stava cercando di scrivere a zio Lucius. In circostanze normali non avrebbe avuto difficoltà a raccontare i piaceri della Stagione, ma la sua mente rifiutava di concentrarsi sulla lettera per riandare di continuo a un certo maggiore. Erano due settimane che Brin mancava da Londra. Qualcuno lo aveva visto guidare il calesse sulla strada per Oxford il giorno dopo il ricevimento dei Morland. Quella circostanza in sé non aveva destato particolare allarme. Dopotutto, i suoi cari amici, i Ravenhurst, vivevano nell'Oxfordshire, ed era naturale che Brin fosse andato a trovarli. Verity arriccio' il naso mentre posava la penna e fissava il vuoto. Ciò che non era così naturale, tuttavia, era che il maggiore si fosse trovato due giorni dopo sulla Great North Road. La sua destinazione finale sarebbe potuta essere lo Yorkshire, ovviamente. Ma anche così, perché passare da casa quando la Stagione era al suo culmine? Ancor più sconcertante era stato l'atteggiamento di lord Charles nei confronti dell'improvvisa e inaspettata assenza del giovane a Londra. E Verity non dubitava che Brin fosse partito d'impulso perché sarebbe dovuto intervenire a vari ricevimenti e aveva spedito le proprie scuse. Ma quando Verity aveva informato lo zio, rivelandogli di aver appreso da fonte sicura che il maggiore era stato visto scendere da una carrozza a nolo in una locanda vicino a Newark tre giorni dopo la sua partenza da Londra, lord Charles non era parso affatto preoccupato. - Non vedo perché agitarsi, cara. Se è stato visto dove dici tu, senz'altro era diretto a casa.- Aveva detto. - Ci ho pensato. Ma perché ora? Dopotutto si trova in Inghilterra da settimane. Senz'altro sarebbe stato più logico andare nello Yorkshire prima dell'inizio della Stagione. È un comportamento sospetto.- - Potresti avere ragione, ma non saltiamo alle conclusioni. Quando ritorna, prova a scoprire le ragioni che l'hanno spinto a lasciare la città. Nel frattempo, come ti ho detto, non è il caso di preoccuparsi.

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Capitolo 11
*** 11 Capitolo ***


Lord Charles proseguì dicendo a sua nipote: - So dove si trova il nostro amico francese. Lo faccio sorvegliare giorno e notte. Non sembra in procinto di partire, segno che non gli è stata ancora passata alcuna informazione.- E così Verity aveva lasciato lo zio in preda alla frustrazione più totale. A suo avviso, Brin nascondeva qualcosa. E lo pensava tuttora. L'eco del batacchio interruppe il corso dei suoi pensieri e di lì a poco il maggiordomo venne ad annunciarle con viva contrarietà che un gentiluomo chiedeva di lei. Verity sbuffo'. Da quando era a Londra, i corteggiatori non le davano tregua. - Come si chiama questo gentiluomo? - - Si chiama Carter - rispose una voce dall'ingresso, e lei trasali' quando il maggiore si introdusse nella sala senza invito. Era veramente bizzarro. Ogni volta che pensava a Brin, ecco che lui appariva! - Maggiore, che sorpresa. Pensavo che fosse fuori città. - Alzandosi, Verity girò intorno allo scrittoio. - Per caso mi fa sorvegliare? - scherzo' lui. - Affatto. Ma la sua assenza ha gettato nella costernazione schiere di giovani fanciulle.- - Ma non lei...- - Per forza. Col fatto che ci conosciamo da anni, siamo come fratello e sorella, ormai - ribatte' Verity. Se avesse sperato di ferirlo, restò delusa perché Brin replicò tranquillo: - È proprio quello che stavo cercando di spiegare al maggiordomo di sua zia; ma come mi ha fatto notare lui stesso, non è il caso che riceva in casa un gentiluomo senza chaperon. Per cui posso suggerire una piccola gita in calesse? - Ansiosa com'era di indagare, Verity non ci pensò due volte. - Ottima idea! - e corse a mettersi il cappellino. Brin la scorto' fuori. Il calesse aspettava nel sole d'aprile, coi due inconfondibili cavalli bigi trattenuti da uno stalliere. - Che begli animali! Li ha da molto? E come ne è entrato in possesso? - osservò lei mentre Brin congedava lo stalliere. - Santo cielo, quante domande! - esclamò lui aiutandola a salire. - Dunque è per questo che ha accettato di uscire? Per interrogarmi? - - No - si affretto' a dire Verity. - È solo che vorrei comprare anch'io un tiro a due - improvviso' per non insospettirlo. - Non speri che la incoraggi in questa follia - borbotto' Brin. Montando a sua volta, prese le redini. - Suo zio Lucius non mi perdonerebbe mai. E a proposito di suo zio, le manda i suoi saluti.- Non gli sfuggì il suo sguardo trionfante. - Sì, signorina Harcourt, sono stato nello Yorkshire - ammise sorridendo, prima di stuzzicarla: - Ora non mi domanda perché? - - No. E non ho nemmeno intenzione di chiedere il suo aiuto nell'acquistare due cavalli. Perché ho appena ricordato che Tattersall's è il posto in cui andare.- - Non per una signora. In ogni caso farebbe meglio a consultare un esperto prima di affrontare un acquisto del genere - ribatte' il giovane e avviò il calesse. - È quello che ha fatto lei? - - Precisamente. Il mio buon amico Marcus Ravenhurst sapeva che ero alla ricerca di una coppia e mi ha segnalato questi splendidi animali.- Verity avrebbe voluto sapere dove il maggiore li avesse comprati e quando, ma non volendo insospettirlo, cambiò argomento e chiese se si sarebbe trattenuto a Londra fino al termine della Stagione. - Può darsi, signorina Harcourt. Dipende dalle circostanze.- - Vuol dire... il titolo? - - Sì. Tuttavia ci sono altre considerazioni - preciso' Brin, tenendo lo sguardo puntato in avanti. - Oh, ecco là lady Gillingham con la sua graziosa figliola.- Il maggiore si fermò accanto alla carrozza scoperta delle Gillingham. Seguì un vivace scambio di saluti, a cui tuttavia Clarissa partecipò con scarso entusiasmo. - Spero di vederla al nostro ballo domani sera, signorina Harcourt - dichiarò lady Gillingham. - Non me lo perderei per nulla al mondo. So da mia zia che le sue composizioni floreali non conoscono pari.- - Troppo gentile. E, a meno che non abbia impegni più urgenti, maggiore, mi auguro di vedere anche lei.- E con un sorriso, lady Gillingham ordinò al cocchiere di ripartire. - Che signora garbata - osservò Brin avviando il suo calesse. - Si. E Clarissa le rassomiglia , sebbene oggi fosse piuttosto giù di corda. Non ha quasi spiccicato parola.- Guardò Brin. - Che ce l'abbia ancora con lei per quell'incidente dai Morland? - - Le ha mai detto nessuno, signorina Harcourt, che è una peste? - - Oh, si. Lei. Cinque anni fa! - Ed ebbe la soddisfazione di vederlo arrossire. Da quel momento si rilasso' completamente in sua compagnia, proprio come aveva fatto anni prima, quando Brinley si era comportato da fratello maggiore. Si diverti' così tanto che, quando accettò di serbargli un ballo l'indomani sera, lo fece più per il piacere della sua conversazione che per il reale desiderio di interrogarlo. - Avevi proprio ragione zia! - esclamò Verity la sera dopo il ballo dei Gillingham. - Riguardo al colore del tuo abito, vuoi dire? Lo so, cara. Sei incantevole in bianco. Te l'avevo detto.- - Non alludevo a quello. Bensì ai fiori. Avevi detto che le composizioni di lady Gillingham sono splendide. Ed è vero.- - Si. Credo che le faccia lei stessa.- - In tal caso è molto dotata. Non trovi? - - Veramente...- Ancor prima che lady Billington potesse rispondere, Verity venne inviata a ballare. La zia sorrise con indulgenza. Era felice che la nipote avesse successo. Era una brava ragazza, dopotutto, generosa e sincera. Qualche difettuccio, ce l'aveva, certo. Sapeva essere piuttosto cocciuta alle volte e avrebbe avuto bisogno di un uovo altrettanto volitivo che la tenesse a freno. Girandosi verso l'entrata, lady Billington notò due nuovi ospiti. A farla gongolare non fu l'arrivo inatteso del fratello, bensì quello del gentiluomo che gli stava accanto, il solo che nell'opinione della nobile signora fosse in grado di tenere testa a quella pazzerella di Verity. Quest'ultima non si accorse di lord Charles e del maggiore Carter perché in quel preciso momento stava piroettando intorno alla sala. Non le fu permesso di ritornare dalla zia quando la danza si concluse, perché la sua mano venne reclamata da un secondo giovanotto e poi da un terzo. Verity ballo' per un'altra mezz'ora, poi si infilò nella saletta adiacente. Scoprì in fretta di non essere l'unica ad aver bisogno di una pausa. Non appena si fu addossata contro la parete, vide infatti Clarissa Gillingham farsi vento con la mano. - Sì, fa caldo là dentro e c'è così tanta gente. Anche se mia zia direbbe che è un segno di sicuro successo. Sua madre deve essere soddisfatta della serata. E le sue composizioni floreali sono davvero magnifiche. - Osservò Verity. - Mamma è eccezionale. Vorrei tanto rassomigliarle - sospirò la fanciulla. - Ma ha preso molto da lei! Lo dicono tutti.- - Nell'aspetto, certamente. Ma mamma è così sofisticata mentre io...- - Lo è anche lei, signorina Gillingham.- - Per favore, mi chiami Clarissa - propose l'altra timidamente. - Io cerco di comportarmi come vorrebbe lei, ma a volte sbaglio tutto. Mi sento molto più a mio agio in campagna. Adoro lavorare con mio padre giù alla fattoria.- Le riusciva difficile immaginare una creatura d'aspetto così delicato tra il fango e in abito da lavoro, ma evidentemente era ciò che preferiva fare. - Mamma era così ansiosa di farmi debuttare. Ha lavorato sodo perché tutto funzionasse e spero vivamente di non deluderla.- Continuò Clarissa. - Non la deluderà. Ha molti pretendenti.- - Lo so. Il guaio è che trovo difficile conversare con loro. Non fanno altro che pensare alla moda e ad altre frivolezze. Persino il maggiore Carter, che reputo superiore agli altri, è totalmente digiuno di agricoltura.- - Per forza, dopotutto, è un militare. - Commentò Verity. Affacciandosi alla porta si guardò intorno. - Santo cielo, che sorpresa. C'è lo zio Charles. Vuole scusarmi, Clarissa? Devo tornare da mia zia, altrimenti incomincerà a chiedersi dove sono finita.- Lady Billington non si era preoccupata per la lunga assenza di Verity perché l'aveva tenuta d'occhio da lontano.

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Capitolo 12
*** 12 Capitolo ***


- Allora, ti sei liberata dei tuoi molti corteggiatori? - domandò lady Billington a sua nipote. - Per il momento - rispose Verity. E cambiando argomento aggiunse: - Hai visto chi c'è? - - Sì, cara. Ho visto il maggiore Carter arrivare.- - È qui? - Girandosi, Verity individuò Brinley sull'altro lato della sala. - Oh, eccolo. Solo che non parlavo di lui, bensì dello zio Charles.- - Sì, è entrato col maggiore. Non sapevo che si conoscessero.- - Be'... si. Il mondo è piccolo - rispose lei mantenendosi sul vago. Meglio non fare sapere a lady Billington che aveva parlato con lo zio del maggiore. - Chi è l'anziano gentiluomo che parla con lo zio? - - È lord Castleford. Hai ballato col nipote al ricevimento dei Morland, ricordi? - - Ah, si. Quel giovanotto biondo. Non mi è piaciuto. Si incensa troppo. E vi è un che di strano nel suo sguardo.- Verity studiò lord Castleford. - Il figlio è presente? - - Ne dubito. Non ama la vita di città.- - Ho trovato qualcun altro che la pensa allo stesso modo. Pare che la piccola Gillingham preferisce la compagnia di mucche e pecore.- - Veramente? Interessante. Mi chiedo se questa predilezione la metta fuori gara.- Lei non finse di non capire. Sin dall'inizio del suo soggiorno londinese aveva appreso l'identità delle tre fanciulle che avevano attirato l'attenzione del maggiore. Fino a quel momento, Verity aveva ritenuto che Clarissa fosse la candidata più probabile al ruolo di futura viscontessa di Dartwood. Le sue inclinazioni bucoliche, tuttavia, sembravano escluderla dalla competizione. Verity si concentrò sulla seconda contendente. Hilary Fenner conosceva il maggiore da più tempo di lei. Era una ragazza di buona famiglia, vivace e attraente. Peccato solo che parlasse di continuo e che la sua voce fosse così stridula. Per il resto sarebbe stata un'ottima viscontessa, decise Verity, girandosi a guardare la terza candidata. Lady Caroline Mortimer era l'unica figliola del conte Westbury. Era senz'altro la più affascinante delle tre. Ma anche la più altera. Se Brin era seriamente interessato a lei, allora puntava in alto. Ma perché no? Dopotutto, il titolo di viscontessa era alquanto prestigioso. - Posso sperare, signorina Harcourt, che si sia ricordata di serbarmi un ballo? - Verity si riscosse con un sussulto, sempre più desiderando che il maggiore perdesse il vizio di apparire ogni volta che pensava a lui. Era a dir poco inquietante, ecco! - Certo, signore.- E sorridendo alla zia, lo seguì al centro della sala. - Ho sentito che è arrivato con lord Charles Harcourt. Conosce bene mio zio? - gli domandò mentre incominciavano a ballare. - Non sono arrivato con lui. Ci siamo incontrati soltanto sulle scale. Però, lo conosco. Frequentiamo entrambi il White's.- Spiegò Brin. In tal caso, riflette' Verity, perché lo stesso zio non si era assunto il compito di indagare sul maggiore nella rilassata atmosfera del circolo? Sarebbe stato tanto più semplice! - Mi sorprende vederlo qui stasera. Non ama la mondanità.- - Nemmeno lord Castleford - osservò Brin studiando i due gentiluomini che conversavano in un angolo. - La proprietà di Castleford confina con quella del mio amico Ravenhurst, sa.- Veramente?, pensò lei. E sua zia non le aveva rivelato che Castleford lavorava al Ministero della Guerra? Curioso. - Mi piacerebbe parlare col suo amico.- Quando si accorse di averlo detto a voce alta, aggiunse: - Di cavalli, naturalmente. Dopotutto, è riuscito a procurarle quei bigi...- Brin si acciglio'. - Dubito che la aiuterebbe.- - Perché? - - In primo luogo, perché non approva le signore che guidano il calesse. E in secondo luogo, perché sarei io stesso a oppormi. È troppo graziosa per rischiare il collo indulgendo a ciò che sospetto essere un capriccio.- E continuando a volteggiare, aggiunse: - Mi concederebbe un altro ballo prima di cena? - Non le passò nemmeno per la mente di rifiutare, anche se avrebbe violato la regola d'oro di non ballare più di una volta per sera con lo stesso gentiluomo. Considerò la loro amicizia una giustificazione sufficiente per ignorare quell'eccellente massima. Tra l'altro, più tempo trascorreva in compagnia di Brin e più cose avrebbe scoperto. Nella settimana che seguì, non passò giorno senza che Verity venisse vista in compagnia del maggiore Carter, sia di sera a qualche ballo sia di giorno sul calesse a spasso nel parco. La gente incominciò a mormorare. Possibile che il maggiore stesse considerando una quarta candidata come futura viscontessa di Dartwood? Da parte sua, Verity era confusa. Da un lato era contenta che Brin le ronzasse intorno, consentendole, sia pure tra mille sensi di colpa, di indagare. Dall'altro provava disagio, perché più lo frequentava e più gradevole trovava la sua compagnia. Era certa che anche lui la apprezzasse, e ciò la gettava nella costernazione. Era giusto incoraggiare le sue premure, col rischio di illuderlo? No. Era sconsiderato e crudele. La situazione precipitò una settimana dopo il ballo delle Gillingham, quando Verity raggiunse la zia a colazione e la trovò in festa. - Non indovinerai mai che cosa ho trovato stamane nella posta, cara! Un biglietto di Sarah Ravenhurst che ci invita a trascorrere qualche giorno nella sua tenuta di campagna.- - Non credevo che fossi così intima dei Ravenhurst - commentò sedendosi e versandosi una tazza di tè. - In effetti non lo sono.- - In tal caso, perché ci invitano? - Lady Billington sbuffo'. La ragione le sembrava chiarissima: Sarah Ravenhurst aveva diramato l'invito dietro richiesta del suo buon amico Brin Carter. Possibile che non ci arrivasse? - Dal biglietto desumo che Sarah Ravenhurst abbia invitato altre persone. Non sarei sorpresa se Brin le avesse chiesto di chiamare anche te. Dopotutto, siete ridiventati amici, pare. Quanto a me, devo dire che è un grande onore, e non posso negare che sarei felicissima di vedere quella dimora. È considerata una delle più eleganti. Ma non dobbiamo decidere adesso, tesoro. Aspettiamo qualche giorno.- Verity non si lasciò ingannare nemmeno per un istante. La zia aveva già preso una decisione. E anche lei. Accettare quell'invito era fuori questione. Impensabile! Sarebbe stato crudele permettere che Brin si illudesse. E Verity, in cuor suo sempre più convinta della sua innocenza, provava ormai rimorso a sorvegliarlo. Bevve il tè velocemente, poi si alzò con una scusa, e tornando di sopra, indossò un abito da passeggio. Aveva bisogno di aria fresca. Evitare Meg fu semplice: la cameriera si presentava solo se chiamata. Non fu invece altrettanto semplice evitare Horace. Il cagnolino l'aspettava come ogni mattina in fondo alle scale, e lei non ebbe cuore di lasciarlo a casa. Uscì senza farsi vedere e si avviò di buon passo. Gli sguardi stupiti dei passanti non la sorpresero più di tanto. Era infatti sconveniente che una fanciulla di alto rango passeggiasse sola per le strade di Londra. Quando raggiunse Green Park, Verity si sentì meno esposta. A differenza di Hyde Park, era poco frequentato e nessuno l'avrebbe disturbata. Puntando verso la panchina più vicina, si sedette e guardò Horace scorazzare nel parco. - Che cosa ci fa qui sola, occhi blu? - lei trasali'. - Postiglione? - domandò facendo l'atto di girarsi. - Guardi avanti, piccola! Ricordi ciò che le ho detto! - - Non è travestito? No, certo che non lo è. Sciocco da parte mia averlo chiesto. Se si aggirasse per Londra con sciarpa e tricorno, la arresterebbero! Ma per rispondere alla sua domanda, avevo bisogno di riflettere. Per questo sono uscita.- Esitò prima di chiedere: - E lei come faceva a sapere che ero qui? Mi ha seguita? - - La tengo d'occhio, lo sa.- - Be', allora può anche smetterla. Voglio abbandonare le indagini.- ribatte' lei con decisione. - Come mai? - - Non sono all'altezza dell'incarico.- - Via, occhi blu. Non può essere questa la ragione. Che cosa l'ha turbata? - - Niente. È solo che... Non ho mai pensato che Brin fosse coinvolto. E credo tuttora alla sua innocenza.

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Capitolo 13
*** 13 Capitolo ***


Verity sospirò. - Tutto ciò che ho scoperto nei giorni passati è che quei bigi gli sono stati segnalati dall'amico Marcus Ravenhurst. Se appartenessero allo stesso Marcus, non lo so. Brin è astuto come una volpe. Evita di rispondere alle domande trabocchetto. E in tutta sincerità non penso di potergli cavare nient'altro.- - È la sola ragione per cui non vuole continuare a indagare?- - Non proprio, no. Mi sento anche in colpa. Accettando di vederlo così spesso, credo di avergli dato l'idea sbagliata. Vede, sono stata invitata a Ravenhurst...- - E allora? - chiese il postiglione. Lei sbuffo'. Gli uomini erano così ottusi alle volte! - Allora, non ho mai incontrato i Ravenhurst in vita mia. Quindi, posso soltanto supporre che l'invito sia stato suggerito dallo stesso Brin. Temo che si stia affezionando.- - Comprensibile. È una fanciulla incantevole.- Ancorché lusingata, Verity fece finta di niente. - Sì, be', capirà anche lei, tuttavia, che non posso accettare. Sarebbe ingiusto. Brin penserebbe che i suoi sentimenti sono ricambiati.- - Se fossi in lei, non mi preoccuperei di questo. Non è stata l'unica a ricevere l'invito. Per quel che ne so io, anche la figlia del conte e quella della sua amica, la Fenner, ne hanno ricevuto uno. Per non parlare della piccola Gillingham.- - Lei come fa a saperlo? - - Ho le mie fonti. E comunque, si sa che il maggiore le sta corteggiando tutte e tre. Sono state invitate prima di lei... Credo che lei sia stata un ripensamento.- - Un ripensamento! - ripeté Verity indignata. Diventò tutto più chiaro. Quel mascalzone di Brin aveva invitato lei e le altre fanciulle a Ravenhurst semplicemente per studiarla, per scoprire chi di loro fosse più adatta al ruolo di viscontessa. Non si era mai sentita così insultata in vita sua! - Certo, il maggiore ha avuto una bella pensata. Voglio dire, se proprio non riesce a decidersi... Personalmente non credo che vi sia il benché minimo dubbio. La migliore è lei.- Commentò il postiglione. Il complimento andò sprecato perché Verity era troppo impegnata a odiare Brin. Com'era stata sciocca a preoccuparsi per lui! - Sto pensando.- - A che cosa? - - A come vendicarmi di quell'odioso maggiore.- Il postiglione rise. - Così mi piace. Gli dia una lezione. Certo, questo significa che dovrà andare a Ravenhurst.- - Sono quasi tentata! - - Se fossi in lei, ci andrei. Chissà, potrebbe scoprire qualcosa. E io potrei trovare il modo di contattarla laggiù. Devo andare ora. Ma avrà presto mie notizie, occhi blu.- Le lanciò un fiore di campo e Verity sorrise. Perché si sentiva sempre così felice e protetta quando parlava col postiglione? - Fissò la corolla delicata. Santo cielo! Possibile che si stesse innamorando di quell'uomo misterioso e a tratti esasperante? Certo che no! Tuttavia... - Bontà divina! Hai mai visto una dimora più sontuosa? -esclamò lady Billington. Sporgendosi dal finestrino della carrozza, Verity scosse il capo. Ravenhurst era un incanto. E la sua padrona pure. Lei fu subito attratta dalla graziosissima gentildonna che, abbandonando ogni formalismo, corse a salutarle nell'atrio. - Oh, povere care. So bene che il tragitto da Londra non è lungo. Col caldo che fa, tuttavia, viaggiare può risultare alquanto disagevole.- - In effetti, è un sollievo essere qui - riconobbe lady Billington agitando il ventaglio. - Siamo le prime o qualcuno ci ha precedute? - - Lady Gillingham e Clarissa sono arrivate stamane. E così la contessa con la sua figliola. Stanno tutte riposando al momento. Cosa che vorrete fare anche voi. Se avrete la cortesia di seguirmi, vi mostrerò le vostre stanze - spiegò Sarah Ravenhurst. - Con piacere, signora - mormorò Verity. - Non sono di molto maggiore di lei, signorina Harcourt. Spero quindi che vorrà chiamarmi Sarah e che mi permetterà di chiamarla Verity. Un nome così grazioso...- Poi, senza aspettare risposta, fece strada su per la splendida scala intagliata, avvertendo che quella sera avrebbero cenato abbastanza informalmente, dal momento che Brin non sarebbe arrivato se non in tarda serata e che il marito, purtroppo, era via per affari. Sarah Ravenhurst mostrò a lady Billington la stanza assegnatale, poi accompagnò Verity nella camera antistante. - L'ho sistemata qui. Pensavo che le avrebbe fatto piacere alloggiare vicino a sua zia.- Verity si ritrovò in una graziosa stanza celeste. - Che meraviglia! Adoro questo colore.- - Anch'io - ammise la padrona di casa studiandola. - Immagino che vorrà riposare come le altre signore...- - Non sono così fragile. Ma se è impegnata, la prego, vada pure.- - Al contrario, sarei felice di trattenermi un po'. Così, ci conosceremo meglio.- Andando a sedersi accanto alla finestra, Sarah guardò Verity slacciarsi i nastri del cappellino. Sapeva qualcosa delle altre visitatrici. Ma Brin non si era sbilanciato riguardo a Verity, e lei si chiedeva il motivo di tanta reticenza. - Conosce da tempo il maggiore, vero? - - Si. Non avevo più di dieci anni quando l'ho incontrato la prima volta. Mia madre è ritornata nel nativo Yorkshire dopo la morte di mio padre. Purtroppo gli è sopravvissuta di soli due anni e io ho continuato a vivere col mio tutore, lo zio Lucius - raccontò lei sedendosi a sua volta. - È una cara persona. Andiamo molto d'accordo.- - Che fortuna. Il mio tutore era un individuo orribile. Disgustoso, anzi. Ma è diventato un marito eccezionale. Non avrei potuto trovare un uomo migliore! - aggiunse ridendo. - Ravenhurst era il suo tutore? - Verity batte' le mani. - Incredibile! La prego, mi racconti tutto! - Fu così che Sarah, lungi dal carpire informazioni, si ritrovò a parlare di sé e della propria storia d'amore. Lei ne fu conquistata. - Che romantico! Peccato che suo marito non sia qui. Avrei voluto conoscerlo.- - Tornerà per il ricevimento di venerdì. È un peccato che sia dovuto partire. Anche se forse non tutto il male viene per nuocere. Marcus, vede, può essere un tantino insofferente alle volte, specie con noi esponenti del sesso opposto.- - Nel qual caso è stato davvero magnanimo a ospitare un'orda di fanciulle - concluse Verity. - Che è più di quanto non si possa dire del maggiore Carter. Non solo ha costretto lei e suo marito a invitare così tante persone ma non ha nemmeno avuto la decenza di presenziare all'arrivo dei suoi ospiti.- - Brin mi aveva detto che non sarebbe arrivato prima di sera. E non creda, la prego, che mi abbia forzato la mano perché non è così. Sono contenta di avere visite. Da quando mi sono sposata, tre anni fa, conduco una vita molto ritirata. Quindi, sono grata a Brin per avermi offerto la possibilità di conoscere tante adorabili fanciulle.- Affermò Sarah in sua difesa. - Ma adesso la lascio. Così potrà rinfrescarsi prima di cena.- Verity la salutò, poi si concesse un attimo di riflessione. Era venuta per vendicarsi di Brin. Ma la serena chiacchierata con Sarah l'aveva stranamente privata di ogni animosita'. L'insolente meritava ancora una lezioncina e, se si fosse presentata l'occasione di punzecchiarlo, ne avrebbe senz'altro approfittato. Ma non era più intenzionata, come in origine, a mettere Brin in grave imbarazzo. No, si sarebbe fatta da parte e avrebbe guardato le altre candidate contendersi il bel maggiore. Quella sera a cena lei ebbe modo di studiare le candidate al ruolo di viscontessa di Dartwood. Clarissa, che sembrava allegra, forse perché era di nuovo in campagna, continuava a rimanere la sua preferita. Era una ragazza dolce e modesta che avrebbe fatto la gioia di chiunque. Anche Hilary Fenner era una simpatica fanciulla, ma il fatto che chiacchierasse di continuo non deponeva a suo favore. Lady Caroline, per contro, parlava pochissimo e solo se interrogata. Nondimeno, quando Sarah suggerì alle signore una gita per l'indomani, fu la prima ad accettare. - Andremo a Oxford! - dichiarò imperiosa. - Bene. Non ci sono mai stata, e sarei felice di visitarla. - Approvò lady Gillingham. Eccezion fatta per Verity, che non si espresse, e per la contessa, che si schermi', tutte le altre ospiti approvarono la gita, così Sarah mise a disposizione la propria carrozza. - Gentile da parte sua, ma non ci staremo tutte.- Commentò Hilary. - Prenderemo anche la nostra carrozza - intervenne la signora Fenner. Hilary, tuttavia, storse il naso. - Non sarà piacevole come viaggiare all'aperto.- - Io non la accompagnero'. Resterò qui con la contessa - preciso' Sarah. - Non verrò nemmeno io - avvertì Verity. - Perché? Ti senti poco bene? - si preoccupò lady Billington. - No, zia. È solo che preferisco esplorare i giardini della tenuta.- - Be', siamo sempre sei - sbuffo' Hillary a cui non arrideva l'idea di essere tra quelle che avrebbero viaggiato nella carrozza chiusa. - Sono certa che Brin sarà felice di farle da cavaliere, signorina Fenner. Prenderà senz'altro il calesse, quindi una di voi ragazze potrà viaggiare con lui.- Intervenne Sarah. - Andrò io! - sentenzio' l'altera lady Caroline. Quando Hilary fissò la rivale con livore, Verity represse a stento una risata. I giorni a venire, pensò, sarebbero stati ricchi di colpi di scena! La serata si concluse in salotto, dove un'arpa era stata sistemata vicino al pianoforte.

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Capitolo 14
*** 14 Capitolo ***


Quando Sarah Ravenhurst lanciò l'idea di un piccolo intrattenimento musicale, lady Caroline si fece subito avanti. - Suonero' io! - affermò col consueto sussiego. Si rivelò un'interprete di talento e Verity non lesino' gli elogi quando la figlia del conte terminò la sua vibrante sonata. Hilary, per non essere da meno, si esibì a sua volta. Ma quando Clarissa fu invitata a suonare l'arpa, Verity decise che era ora di cambiare aria. Aspetto' che gli occhi di tutti fossero puntati sulla signorina Gillingham, dopodiché sguscio' in giardino attraverso la portafinestra aperta. Mentre si inoltrava nel roseto, si sentì afferrare per un polso. - Ferma. Dove va? - Era il maggiore Carter. - Non sono affari suoi. E in ogni caso, la sua presenza è richiesta dentro.- Brontolo' Verity divincolandosi. - Ma non la sua? - - Non al momento, no.- L'eco di un arpeggio gli strappò un sorriso. - Non le piace la musica? - - Non quell'infernale strimpellio! E adesso, Brin, sia buono e mi faccia passare prima che la zia venga a cercarmi.- - Oh, e così siamo ritornati a Brin, eh? Incominciavo a temere che mi avrebbe chiamato "maggiore" in eterno. - Esclamò lui. Poi le scocco' un occhiata penetrante. - Immagino che abbia già cenato. Qui a Ravenhurst vigono gli orari della campagna. Lei e sua zia avete fatto buon viaggio? Quando siete arrivate? - - Nel primo pomeriggio. Ed eravamo puntuali. Contrariamente a lei.- Fu l'asciutta risposta. - Delusa che non fossi qui a salutarla? - - Non sia ridicolo! - proruppe Verity. Guardandolo, si sentì stranamente rimescolare. - Farebbe meglio a entrare, Brin. Le signore la aspettano.- - Posso riaccompagnarla? Sento che gli arpeggi sono finiti.- - Grazie, no. Credo che farò due passi. - Non gli disse che aveva bisogno di ricomporsi. Sul serio, si stava comportando come una ragazzetta innamorata. E non ve ne era assolutamente motivo. Aveva superato da tempo la cotta per lui. Senza aggiungere altro, si incammino'. Sapeva che Brin la stava osservando, e si costrinse a reprimere l'impulso piuttosto infantile di correre. Solo quando si fu allontanata, riuscì a rilassarsi. Continuò a camminare finché non arrivò alle stalle. Sbirciando dentro, vide un uomo strigliare i cavalli di Brin. Impulsivamente, lo raggiunse. - Salve, signorina. Bella serata, eh? - - Davvero - confermò lei sorridendo. Guardò i cavalli. - Che splendidi animali.- - Proprio. Non saprei scegliere tra questi e quelli del padrone.- Le indicò altri due bigi in fondo alla stalla e commentò orgoglioso: - Il signor Ravenhurst è un vero intenditore.- Verity aveva deciso di abbandonare le indagini per conto dello zio. Si era sentita lei stessa una traditrice quando gli aveva detto, due giorni prima, di non poter più lavorare per lui. Amava il proprio paese, certo. Ma non se la sentiva di passare informazioni sulle persone che le piacevano. Pertanto, fu con sorpresa che si sentì dire: - Ah, si. Se non sbaglio, è stato proprio il suo padrone a segnalare questa coppia al maggiore, giusto? - - Esatto.- - Mi stupisce che si sia voluto separare da due esemplari così splendidi.- - Oh, non appartengono al signor Ravenhurst.- Per fortuna!, pensò Verity. Adesso che sapeva che il marito della sua gentile ospite non era coinvolto, si sarebbe azzardata a indagare oltre? - Tornò a guardare i cavalli di Brin. - Di chi erano, allora? - - Dei Castleford. La loro tenuta confina con Ravenhurst.- Castleford, si disse lei. Quella sì che era un'informazione! - Sarà meglio che rientri, ora. O la sua padrona penserà che mi sono persa.- E con un sorriso di commiato, riguadagno' l'ingresso principale. Fu accolta da Stebbings che le passò prontamente una lettera. - È stato il maggiore Carter a trovarla sotto la porta quando l'ho fatto entrare poco fa. Come vede, è indirizzata a lei - le svelò in risposta al suo sguardo perplesso. Dopo aver ringraziato, Verity corse di sopra, strappò la busta e lesse. Sono vicino, occhi blu, come promesso. Se avrà bisogno di contattarmi, vada al Three Swans di Houghton. Una volta lì, chieda di Thomas Stone. Penserà lui a inoltrare il messaggio. Il suo fidato postiglione. Quasi senza volere, Verity si ritrovò a sorridere. Lo era davvero, il suo postiglione? Da quella sera a casa dei Morland, pensava a lui sempre più spesso. E il ricordo dei suoi baci non la lasciavano un istante. Scuotendo il capo, smise di sorridere. Era una follia provare sentimenti del genere. In fondo, che cosa sapeva di quell'uomo? Se lo immagino' per un istante, alto, forte e misterioso. Era senz'altro colto e intelligente. E la sua lealtà doveva essere indiscussa, altrimenti lord Charles non ne avrebbe mai fatto un suo collaboratore. Istintivamente anche lei si fidava. Tuttavia, era una ragione sufficiente per contemplare una vita insieme a quell'uomo? Era assurdo anche solo pensare al matrimonio finché non lo avesse conosciuto meglio. Prendendo il libro di poesie che si era portata da Londra, Verity infilò la breve missiva dietro il delicato fiore di campo che aveva schiacciato tra le pagine. L'indomani, quando Perkins entrò nella stanza del maggiore, lo trovò già vestito. Era il suo valletto da poche settimane soltanto e non avrebbe potuto desiderare padrone migliore. - Buongiorno, Perkins.- - Buongiorno a lei, signore - rispose il giovane passandogli un panciotto ben stirato. - Qualcuno in piedi? - domandò Brin mentre finiva di prepararsi. - Credo che la padrona stia facendo colazione.- Lui sorrise dell'errore. Perkins aveva lavorato per anni lì a Ravenhurst come domestico prima di diventare suo valletto, un accomodamento che era stata la stessa Sarah a suggerire quando aveva appreso che Brin avrebbe vissuto per un certo periodo nella capitale. - Non puoi continuare a vestirti da solo. Ti consiglio pertanto di assumere Perkins come tuo cameriere personale. So che desidera migliorarsi. È bravo nei suoi compiti, ma abbastanza giovane perché tu possa addestrarlo come meglio credi.- - Se non lo ha ancora notato, Perkins, non sono sposato. Di conseguenza, lei non ha nessuna padrona... per il momento.- Il giovane arrossi' e balbetto': - Le... le chiedo scusa, signore.- - Di niente. Scherzavo. Che le risulti, la signora Ravenhurst è sola? - domandò Brin. - Una delle fanciulle è gia scesa, signore. L'ho incrociata pochi minuti fa.- - Quale? - - Temo di non conoscerne il nome.- - Me la descriva.- Perkins arrossi' di nuovo. - Era davvero molto carina.- - Questo non mi aiuta. Sono tutte carine.- - Ma non come questa! - esclamò il valletto. - Ha i capelli scuri e splendenti e occhi color del cielo che...- - Non dica altro! Ho capito. - Brin sorrise. Si infilò la giacca e non perse atro tempo a raggiungere Sarah e Verity nella graziosa saletta ovale riservata alla colazione. Ricevette dalla prima un sorriso e dalla seconda un semplice cenno. Sedendosi, osservò provocatorio: - Credo che la nostra giovane ospite sia di cattivo umore, Sarah. Il che è strano. Ricordo che era lunatica da bambina. Cocciuta, anche. Ma non intrattabile. D'altra parte le persone cambiano invecchiamento.- - Non è il suo caso - si udì subito in risposta, e tanto Brin quanto Sarah scoppiarono a ridere. - Vedo che siete entrambi molto schietti. Il che non è male. Ma per tua informazione, Brin, Verity non è affatto intrattabile stamane. Stavamo conversando molto piacevolmente prima che entrassi tu.- - Di me? - - Come se non ci fossero argomenti più interessanti! - esclamò Verity. - In realtà, Sarah si era gentilmente offerta di mostrarmi la casa non appena sarete tutti partiti per Oxford.- Intenta com'era a versarsi una seconda tazza di tè, non gli vide cambiare espressione, ma a Sarah non sfuggì l'improvviso cipiglio fi Brin. - Verity ha deciso ieri di rinunciare alla gita per esplorare Ravenhurst - spiegò la padrona di casa.

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Capitolo 15
*** 15 Capitolo ***


Poi Sarah Ravenhurst, rivolgendosi alla giovane ospite che incominciava a piacerle sempre di più, aggiunse: - E la prego, si senta libera di cavalcare quando vuole. Non dovrà far altro che mandare un messaggio alle stalle e Sutton le farà sellare un cavallo.- - Non la incoraggi, amica mia. Ha il brutto vizio di andare a cavallo da sola. Finirà col perdersi e a quel punto le toccherà andarla a cercare.- Commentò Brin con durezza. Verity si chiese che cosa avesse fatto per meritare un commento così pungente. Certo, da bambina era sfuggita spesso al controllo degli adulti ma senza mai spingersi troppo in là. E da quando aveva lasciato il collegio, quasi cinque anni prima, aveva sempre aderito, tranne in occasione della sua recente puntata a Frampington Bassa, alla richiesta del suo tutore di portarsi appresso qualcuno ogni volta che usciva a cavallo. Conseguentemente, le osservazioni di Brin erano del tutto ingiustificate, e sospettava che lo sapesse anche lui. Forse la stava stuzzicando di proposito, per vendicarsi dell'indifferenza con cui lo aveva trattato la sera prima. Quando era ritornata in salotto, Verity aveva notato con disgusto come le tre pretendenti al titolo di viscontessa stessero civettando con Brin. Disdegnando il gruppetto delle ammiratrici, era andata a sedersi sul divano in compagnia della signora Fenner. E quando pochi minuti dopo Brin era venuto verso di loro, si era alzata e aveva raggiunto la padrona di casa. Adesso sbircio' Brin. Trovò conferma ai propri sospetti nella sua espressione canzonatoria e solo per riguardo a Sarah non rispose per le rime. Intuiva tuttavia che la sua pazienza era prossima a esaurirsi, così si alzò da tavola e disse: - Vado a vedere se la zia si è svegliata.- Quando Brin la seguì con lo sguardo, Sarah nascose un sorriso. Dunque, era così che stavano le cose. Pur continuando a ronzare intorno a quattro fiori diversi, Brin Carter aveva già fatto la sua scelta. E lei poteva soltanto approvare. Più tardi, quando la comitiva fu partita per Oxford, Verity si diverti' a esplorare Ravenhurst. Sarah le fece conoscere Hugo e la piccola Julia, poi le mostrò le sale più interessanti. Il giro si concluse in biblioteca, una stanza calda e piacevolmente mascolina. Verity avvertì entrando una mescolanza di aromi: cuoio, brandy e tabacco. Anche Sarah sentì odore di fumo, perché si diresse direttamente alla finestra. - Brin è stato qui stamane. In Spagna si è messo a fumare, temo, e Marcus gli permette di indulgere al suo vizio qui dentro. Sono talmente amici, quei due... Come fratelli.- Sentenzio' mentre spalancava i vetri. - Il che è piuttosto strano, considerando che si conoscono da così poco. Sebbene vi siano persone che legano immediatamente. E Brin, dopotutto, ha passato qui la sua convalescenza dopo le ferite riportate a Badajoz.- Osservò Verity. - Lo sa? Naturale, Brin deve averglielo detto. Che sciocca! - - No, non è stato Brin, bensì lei.- Rise del suo sbalordimento. - Si, è stata lei a informarmi, Sarah. Ha scritto al nonno di Brin in diverse occasioni, aggiornandolo sulle condizioni del nipote. Come forse ricorderà, lo stesso Arthur Brinley era malato. Troppo malato per venire nell'Oxfordshire. Ciò che probabilmente non sapeva era che non ci vedeva quasi più. Lo andavo a trovare ogni giorno. Gli leggevo le sue lettere ed ero sempre io a rispondere.- - Santo cielo! - esclamò l'altra. - E per tutto questo tempo Brin ha pensato che...! - Si zitti' di colpo quando il maggiordomo venne a dirle che il pranzo era servito e che la contessa si stava recando in sala da pranzo. Sarah e Verity non persero tempo a raggiungerla e, poiché lady Westbury era più ciarliera della figlia, il pasto si svolse abbastanza allegramente. Nel pomeriggio, Verity lasciò le signore in salotto e andò a passeggiare. Quando ebbe raggiunto il laghetto, si sedette sull'argine che lo circondava e protese il viso verso il sole. Pensò fuggevolmente al postiglione. Quando si sarebbero rivisti?, si domandò. E quando sarebbero stati liberi di frequentarsi? Certo non prima che lui portasse a termine l'attuale missione. E Verity non avrebbe davvero preteso che abbandonasse quel compito così importante per starle vicino. Non aveva mai conosciuto nessuno come il postiglione. Lo aveva trovato a tratti esasperante, d'accordo. Ma non si era mai annoiata con lui. Il che era più di quanto si potesse dire di certi gentiluomini di sua conoscenza. No, quello non era del tutto vero, si corresse. Nemmeno con Brin aveva mai sofferto la noia... Buffo! - Oh, eccola! E pensare che avevo detto a Sarah soltanto stamane che avrebbe finito col perdersi! - Girandosi, Verity vide Brin muoverle incontro. - Se fosse nato donna, e fosse vissuto un paio di secoli fa, avrebbe rischiato di morire sul rogo. Non so come faccia. Ma sembra sbucare dal nulla ogni volta che mi accade di...- Si fermò in tempo ma capì dal suo sguardo malizioso che Brin aveva indovinato ciò che era stata sul punto di ammettere. - E non so come faccia a temere che mi possa perdere quando la villa è così vicina. In ogni caso com'è stata la gita a Oxford? - aggiunse per educazione. - Interessante.- Vedendo che si sedeva e fissava il lago, lei continuò: - Corre voce che presto sarà lord e padrone di una tenuta come questa. Quali notizie ha di suo zio? - - Nessuna. Non ho mai avuto contatti con la famiglia di mio padre, nemmeno per lettura. Sono considerato indegno e non vengo mai nominato. Mio padre ha sposato una donna di condizione inferiore e contro il volere della famiglia.- - Santo cielo, Brin! A sentirla, si direbbe che sia cresciuto in un tugurio! Suo nonno era un uomo ricco. Viveva in una splendida dimora ed era rispettato da tutti.- Proruppe lei. - Da coloro che lo conoscevano, sicuro. E si è sforzato di educarmi correttamente. Mi ha mandato ad Harrow. Mi ha fatto entrare nell'esercito. Ma per la famiglia di mio padre, rimango un essere inferiore.- Concesse lui. - E le importa? - sussurro' lei gentilmente. - Mi importava un tempo. Ma ora non più.- Verity tacque. Non avevano mai parlato in quel modo. Quando lui era entrato nell'esercito, lei era stata troppo giovane e ingenua per quegli argomenti così seri. Era stata sul punto di compiere quindici anni allorché Brin era partito per la Spagna. Dopo oltre due anni di collegio, lei si era sentita una signorinella. Ma forse, agli occhi di lui, era ancora una bambina. Era davvero così strano, allora, che Brin si fosse rifiutato di darle retta quando aveva cercato di metterlo in guardia contro Angela? Era davvero così strano che il suo consiglio fosse stato visto come un dispetto infantile? O vi era stato dell'altro dietro il furioso rimbrotto che il giovane le aveva rivolto? Il suo risentimento per l'atteggiamento della famiglia paterna si era forse esteso a tutti gli esponenti di una certa classe? Verity fissò il lago. Se così era stato, Brin aveva senz'altro accantonato la propria avversione quando si era tuffato in quell'altro lago per salvarla, tanto tempo prima. - È molto silenziosa. A che cosa sta pensando? - osservò lui riscuotendola. - A quando mi ha salvato la vita.- - Le ho salvato la vita? Non ricordo? - Sembrava sorpreso. - Eravamo stati invitati a casa dei Fenner. Era il compleanno del più grande, se ben ricordo. Alcuni di noi sono scesi al lago. Ero piuttosto birichina all'epoca, così quando uno dei ragazzi ha insinuato che nessuna femmina sarebbe mai riuscita ad attraversare il lago in barca, ho raccolto la sfida. Sono salita su una vecchia imbarcazione a remi e mi sono allontanata dalla riva. Nessuno si era accorto che lo scafo era bucato. Fatto sta che, quando ho raggiunto il centro del lago, la barca ha incominciato ad affondare. Lei ha sentito le mie grida ed è venuto a salvarmi.- Brin assenti'. - Ora che ci penso, ricordo in effetti l'episodio. Ha un debito di gratitudine nei miei confronti, Verity. E un giorno potrei chiederle di ripagarlo.-

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Capitolo 16
*** 16 Capitolo ***


Brin Carter aveva parlato con leggerezza, tuttavia lei intuì che non scherzava. Stava per assicurargli che si sarebbe sdebitata alla prima occasione quando le arrivò un grido e si girò in tempo per vedere Hilary Fenner rovinare al suolo. Si alzarono tutti e due ma non poterono far altro che guardare mentre la figuretta rotolava giù per il pendio, fermandosi ai loro piedi. Verity trasali'. - Vado a chiamare aiuto! - Ma l'espressione divertita che si era dipinta sul volto di Brin la rese più attenta a certi dettagli. Hilary giaceva sul fianco, con le braccia mollemente adagiate sull'erba e i piedini incrociati. Sembrava l'eroina di un dramma teatrale. Era una posa innaturale, troppo artificiosamente studiata per essere vera. La piccola strega stava di certo fingendo! - Non credo che vi sia bisogno di allarmare gli altri. Deve essere il caldo. Rinverra' presto.- Affermò Brin facendole l'occhiolino. Stava evidentemente offrendo a Hilary una via di uscita, ma Verity non era altrettanto caritatevole. Detestava ogni inganno. E quell'esibizione superava il segno! La ragazza si meritava una lezione. - Già, può darsi. Lasciamola qui, è meglio.- - Via, non possiamo abbandonarla. Dovrò prenderla in braccio, immagino.- borbotto' lui. - Col caldo che fa? Non le conviene. Anche perché Hilary non è davvero leggera! - commentò Verity con perfidia. Brin represse a stento una risata. - Che cosa facciamo allora? - - Buttiamole in faccia dell'acqua gelata. Sono certa che rinverra'.- Verity non fu sorpresa di sentire un gemito patetico in risposta al suo sbrigativo suggerimento. - Bene bene. Credo che la nostra piccola amica stia riprendendo conoscenza.- - Che cos'è successo? Sento uno strano malessere, maggiore.- Hilary batte' le ciglia e fissò Brin con sguardo languido. - Sentirai il tacco del mio stivale se non la pianti subito con questa stupida scena! Non ho mai assistito a uno spettacolo più penoso.- Sbuffo' Verity esasperata. - Sono... sono stata male sul serio. Checché ne pensino... certe persone.- Protesto' Hilary raddrizzandosi e scocco' un'occhiataccia in direzione di Verity. - In tal caso, signorina Fenner, le suggerisco di rientrare. Sono convinto che un po' di riposo la rimetterà a nuovo.- - Grazie del coniglio, maggiore.- E senza degnare Verity di uno sguardo, Hilary girò sui tacchi e tornò alla villa. - Non credo che tenterà più quel trucco - osservò lui. - A volte mi vergogno delle esponenti del mio stesso sesso. Che cosa non farebbero per attivare l'attenzione! - Verity guardò Brin con aria ammirata. - Fortuna che si è accorto della commedia! Io stavo per chiamare aiuto! - - Ho visto molti uomini svenire quando ero nell'esercito. E non ricordo nessuno che sbirciasse da sotto le ciglia.- - Oh, che sciocca, povera Hilary! - esclamò lei ridendo. - Non le perdonerà tanto facilmente quella battuta sul peso.- - Sono stata dura. Anche perché Hilary non è affatto in carne. Ma se lo meritava dopo quella ridicola esibizione. Non sopporto gli inganni.- - No. A lei non verrebbe mai in mente di ricorrere a un trucco del genere.- Mormorò Brin guardandola dolcemente. Verity non era tanto sicura. Se il maggiore avesse continuato a guardarla in quel modo, forse sarebbe svenuta anche lei! Quella sera, dopo essersi cambiata per la cena, Verity passò in camera di lady Billington. - Sei pronta, zia? Scendi con me? - - Volentieri.- E con un'ultima occhiata allo specchio della toletta, la nobildonna si alzò e la seguì. - Com'è stata la tua giornata, bambina? - - Piacevolissima, grazie. E la tua? - - Istruttiva, direi.- - In che senso? - domandò Verity incuriosita. - Nel senso che è sempre interessante vedere tre gallinelle litigarsi lo stesso chicco di mais - fu la risposta. - Alludi a Brin e alle ragazze? Ho idea che ne vedremo delle belle anche nei giorni a venire.- - Oh, pare che gli ospiti siano arrivati - osservò la zia quando ebbero raggiunto l'atrio. Verity non rammentava che Sarah aveva invitato alcuni vicini, così da movimentare la serata. Entrando in sala da pranzo, vide Brin conversare con un individuo dal colorito acceso. Quando i loro occhi si incrociarono, gli sorrise brevemente. Poi, le venne incontro la padrona di casa con un giovane di altezza media che presentò come il signor Claud Castleford. All'udire quel nome, Verity drizzo' le orecchie e studiò il gentiluomo. Bello non era di certo, decise. Tuttavia, era cordiale senza essere invadente, e lei fu felice di trovarselo accanto a cena. - Ho conosciuto il signor Lawrence Castleford a Londra. È suo cugino, credo.- Gli raccontò mentre si serviva i funghi. - Oh, si. Lawrence adora frequentare il bel mondo. Ragazzo affascinante, vero? - - Si, senz'altro - rispose Verity, lasciando intendere che non era rimasta così impressionata. Claud la scruto' con nuovo rispetto. - È piacevole incontrare una fanciulla, signorina Harcourt, che non si è lasciata stregare dall'adone di famiglia. Il fatto che io non rassomigli al mio bel cugino è un grosso cruccio per mio padre, temo. Ma preferisco la vita tranquilla e sono felice di mandare avanti la tenuta.- Lei ricordò come la zia le avesse detto che lord Castleford preferiva il nipote al figlio. Sebbene Claud ne avesse parlato senza rancore, Verity era certa che soffrisse dell'indifferenza paterna. - Questo le fa onore, signor Castleford. Una tenuta non si gestisce da sola. E ciò che fa del suo tempo, ne sono convinta, vale più di mille frequentazioni mondane.- Dichiarò lei con simpatia. - Lo penso anch'io, signorina Harcourt. Non che io non abbia provato a seguire la moda, badi bene. Non molto tempo fa, per esempio, ho comprato un elegante calesse e una coppia di splendidi cavalli bigi. Che sciocchezza! Naturalmente non me ne sono mai servito. E per andare dove, del resto? Siamo in aperta campagna! - Rispose il giovane sorridendo. Verity esitò. Si era ripromessa di non svolgere altre indagini, tuttavia l'occasione era troppo ghiotta. - È strano che lo dica. Perché stavo pensando io stessa di acquistare un tiro a due. Ma il maggiore Carter mi ha dissuasa.- Mormorò Verity. - Che coincidenza! È stato il maggiore ad acquistare i miei bigi e il calesse.- - Veramente? - esclamò lei con finto candore. - Se avessi saputo che erano in vendita, forse avrei ignorato il consiglio del maggiore. Peccato che non abbia palesato le sue intenzioni, signor Castleford.- - A dire il vero, è stata una cosa improvvisa. Ravenhurst mi aveva detto che il suo amico era alla ricerca di un tiro a due, così ho chiesto a mio padre di portare il calesse nella capitale quando fosse tornato a Londra agli inizi di aprile, di modo che il maggiore potesse dargli un'occhiata.- - Io e mia zia siamo arrivate in città più o meno nello stesso periodo. Devo aver perso di poco l'occasione.- Il signor Castleford fu poi così gentile da riferirle la data esatta in cui il calesse era stato venduto a Brin, ovvero il lunedì successivo a quel convegno serale a Frampington Alta. Verity respiro' sollevata. Quindi, come aveva sempre pensato, Brin non si era affatto trovato in quella taverna. Più tardi, quando i gentiluomini raggiunsero le signore in salotto dopo cena, Verity chiacchiero' con la zia e il signor Martin, il pastore locale, poi giocò a carte dietro invito di Brin. Al termine della partita, quando si alzò, notò con piacere che Clarissa si era messa a conversare col signor Castleford. - Oh, Verity, il signor Castleford mi ha gentilmente invitata a vedere il suo bestiame domani. Ha appena comprato un Wessex. Vorrei tanto vederlo, tuttavia dubito che mamma mi permetterebbe di andare da sola.- Le scocco' un'occhiata supplichevole. - So di chiederle tanto, cara. Ma non le andrebbe di venire con me? - - Perché non formiamo una piccola comitiva? - suggerì Brin. - Potremmo visitare la chiesa di Houghton lungo la strada. Il signor Martin dice che l'altare intagliato è di fattura piuttosto pregevole.-

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Capitolo 17
*** 17 Capitolo ***


- Ottima idea! - approvò Claud sorridendo a Clarissa. - E io potrei farmi trovare davanti alla chiesa.- - Quei due sembravano intendersela - osservò Brin tirando Verity in disparte. Lei lo studiò brevemente, ma niente nel suo viso suggeriva la benché minima gelosia. - Credo che abbiano molto in comune. Il signor Castleford dirige con piacere la tenuta del padre. E Clarissa preferisce la campagna. A proposito, che cos'è un Wessex? - aggiunse Verity. - Credo, mia cara, che sia una razza... suina! - - Bontà divina! Maiali e intagli... Bel programma! - esclamò Verity mortificata. Pur non spasimando per le "attrazioni" in serbo, Verity si alzò presto l'indomani, così da non fare aspettare gli altri. Sia lady Caroline sia Hilary erano state invitate ma entrambe avevano rifiutato: lady Caroline perché non amava cavalcare e Hilary perché lamentava un leggero mal di testa, sebbene Verity sospettasse che il suo malesserea derivasse più dall'imbarazzo per la commedia del giorno prima che da altro. Di conseguenza, soltanto Verity e Clarissa partirono con Brin dopo colazione alla volta di Houghton. Il paese era piccolo ma animato. La chiesa occupava un angolo della piazza principale e proprio di fronte, notò Verity smontando da cavallo e passando le redini a Brin, si ergeva il Three Swans, la locanda in cui sarebbe dovuta andare se avesse avuto bisogno di mettersi in contatto col postiglione. La sua attenzione fu distolta dall'arrivo del signor Castleford, a cavallo di un robusto roano. Dopo un veloce scambio di saluti, non persero tempo ed entrarono nella chiesa per ammirarne l'altare intagliato. Verity, lo trovò assai interessante, tuttavia non passò molto prima che le tornasse in mente la locanda sull'altro lato della strada. Thomas Stone si sarebbe trovato lì in quel momento? D'impulso, decise di scoprirlo. Aveva, naturalmente, un'ottima ragione per cercarlo: avrebbe potuto confermargli la totale innocenza di Brin. Dopo aver sbirciato gli altri, adesso intenti a studiare le travi del soffitto, Verity sgattaiolo' in strada e raggiunse la locanda. Non appena si fu abituata all'interno in penombra, andò al bancone e chiese del signor Thomas Stone. Le venne indicato un ometto di mezza età che sedeva a un tavolo d'angolo. Facendosi coraggio, Verity avanzò. - Piacere, signore. Mi chiamo Verity Harcourt.- - Piacere mio. Abbiamo un amico in comune. Ha un messaggio per lui, immagino.- Replicò l'uomo, gioviale. - È cosi - rispose lei. E senza indugiare oltre, gli riferì quanto aveva appreso la sera prima. - Quindi, penso che la posizione del maggiore Carter si sia definitivamente chiarita.- Prima di andarsene, aggiunse: - Mi faccia la cortesia di riferire al nostro comune amico che avrò qualcosa da dirgli la prossima volta che ci vedremo.- - Provvederò, signorina Harcourt - promise l'altro sorridendo. Verity lo salutò con calore. Poi, si precipitò fuori e tornò alla chiesa. Brin l'aspettava sulla porta. - Si può sapere dov'è andata, signorinella? - le domandò. Era una domanda alquanto superflua, sospetto' lei, perché dal punto in cui si trovava doveva averla senz'altro vista lasciare la locanda. - Badi agli affari suoi. Non è il mio angelo custode. Sono libera di andare e venire a mio piacimento! - sbotto'. - Sì, purtroppo! - borbotto' lui contrariato. Verity preferì cambiare argomento. - Dove sono gli altri? - - Stanno esplorando il cimitero - rispose Brin. Involontariamente, sorrise. - È incredibile ciò che interessa a certa gente. Ed eccoli che arrivano! Adesso tocca ai maiali.- Lei fece una smorfia. - Già, quelli.- Girandosi, guardò Clarissa sopraggiungere con Claud. I due sembravano affiatati. Di certo avevano molto in comune. Che stesse nascendo un amore?, si chiese Verity più tardi, mentre visitavano la fattoria Castleford. Chissà... La visita si concluse con un giro delle stalle. - È un peccato che dobbiate rientrare a Ravenhurst per pranzo. Avrei voluto mostrarvi la casa - osservò Claud Castleford al momento dei saluti. - Un'altra volta, magari. Sfortunatamente non potrà essere domani perché andrò alla fiera del bestiame per comprare due cavalli da tiro e non ritornerò prima di sera. Peccato, davvero. Castleford Grange è un posto affascinante... Passaggi segreti, fantasmi e via dicendo! Sono certo che voi signore vi sareste divertite.- - Ne sono persuasa - commentò Verity sbirciando il grande edificio Tudor che si stagliava più in alto. - Purtroppo ritorneremo tutti a Londra questo sabato, quindi temo che dovremo rinunciare all'idea. Ma confido che avremo almeno il piacere di rivederla venerdì sera al ricevimento di Sarah.- - Senz'altro, signorina Harcourt! La signorina Gillingham mi ha promesso un ballo e spero che lo farà anche lei.- - Può contarci, signor Castleford.- - Si è annoiata molto? - le domandò Clarissa mentre uscivano dalle stalle. - Affatto. Non posso onestamente dire di condividere la sua passione per i maiali, ma devo ammettere che questa tenuta è un gioiellino. Il che fa onore al signor Castleford. Se non sbaglio, il padre lascia completamente al figlio la gestione delle sue terre, vero, Brin? - Quando questo si limitò ad assentire, lei lo guardò di sottecchi. Era sembrato d'umore così strano quando avevano visitato la fattoria. Che si fosse risentito per l'evidente interesse di Clarissa per Claud? No, non lo riteneva probabile. Tuttavia, lo aveva sorpreso più volte a fissare Castleford Grange, come aspettando di vedere qualcuno o qualcosa. Era di umore davvero strano. Lei non lo aveva mai visto così. - Credo che il padre del signor Castleford ritorni prima del fine settimana. Potrebbe perfino arrivare in tempo per il ricevimento.- Li informò placida Clarissa. - Davvero? Ecco un gentiluomo che sarei proprio curiosa di conoscere - sentenzio' Verity. E guardò avanti, senza accorgersi dell'occhiata penetrante che le scocco' Brin. Arrivarono a Ravenhurst in tempo per il pranzo. Durante la loro assenza Sarah aveva convinto le altre ospiti a visitare nel pomeriggio una cittadina non troppo distante dove si trovava una deliziosa modisteria. L'invito venne naturalmente esteso alle fanciulle che si erano recate a Castleford Grange in mattinata. Brin declino', accampando il pretesto di lettere urgenti da spedire, ma Clarissa e Verity accettarono con piacere. La gita si rivelò un successo e molte signore fecero acquisti. Non necessitando di cappellini nuovi, Verity curioso' soltanto e decise quindi di aspettare fuori. Era appena uscita dal negozio quando vide una carrozza fermarsi poco oltre. In circostanze normali non vi avrebbe badato, ma poiché non aveva altro da fare, restò a guardare. La vettura si aprì e ne emerse un uomo vestito di scuro. Lei boccheggio'. Santo cielo, ma era la spia francese! La carrozza ripartì e Verity vide il forestiero entrare nella vicina locanda. No, non si sbagliava: era proprio lui. L'orologiaio fasullo. Bontà divina, e ora? - Verity, tesoro, che cosa c'è? Si direbbe che tu abbia visto un fantasma. - La voce preoccupata della zia la riscosse. - No, non un fantasma. Ma qualcosa di altrettanto terrificante.- - Che cosa stai farfugliando? Non ti senti bene, cara? - - Sto benissimo.- Si ricompose a fatica. - Ecco arrivare Sarah con le altre. Credo che sia ora di ritornare a Ravenhurst.- Non aggiunse "grazie al cielo", ma senza dubbio lo pensò mentre riguadagnava la carrozza scoperta di Sarah e si lambiccava sul da farsi. Naturalmente, avrebbe dovuto avvertire Stone, se non a voce, almeno per lettera. Una volta a Ravenhurst, aspetto' che le altre signore si fossero ritirate, quindi si precipitò in biblioteca, dove ricordava di aver visto l'occorrente per scrivere. Ma mentre si apprestava a entrare, la porta si aprì e ne emerse Brin. - Verity, cara, che cosa fa qui? Non sale a cambiarsi? - domandò. - Devo scrivere una lettera. Ma se c'è lei in biblioteca, posso tornare dopo.- Rispose lei. - E a chi mai dovrebbe scrivere tanto urgentemente? Incomincio a credere che abbia un ammiratore segreto nelle vicinanze.- - Che cosa? Un ammiratore segreto, io? Non sia ridicolo, Brin. Chi potrei mai conoscere da queste parti? - Verity arrossi' suo malgrado. - E ciò che intendo scoprire. La sera del mio arrivo ho trovato una lettera per lei infilata sotto la porta. E poco fa, ne ho trovata un'altra.- Aggiunse sospettoso. E rientrando nella biblioteca, prese una busta chiusa dalla scrivania e gliela porse. - Si può sapere che cosa sta succedendo? - Ma ignorando la domanda, Verity girò sui tacchi e corse di sopra. Non appena si fu rifugiata in camera, aprì la lettera misteriosa e lesse: Vediamoci nel roseto a mezzanotte. Più facile a dirsi che a farsi, pensò lei. Nondimeno, avrebbe fatto il possibile per rispettare l'appuntamento. Scrivere al signor Stone non era più necessario. Le sarebbe bastato avvertire il postiglione. E con quanta gioia lo avrebbe fatto! Soffocando l'entusiasmo, Verity si cambiò per la cena e ritornò al pianterreno. Mangiò poco e svogliatamente, sbirciando di continuo l'orologio sul caminetto. Brin non raggiunse le signore dopo cena, ma ritornò in biblioteca a scrivere altre lettere. La serata si trascino' lenta e per le ventitré il salotto incominciò a svuotarsi. Verity accompagnò la zia di sopra, poi entrò in camera e aspetto' che la casa si quietasse. Quando fu l'ora, si drappeggio' uno scialle intorno alle spalle e, sollevando una candela, scese al pianterreno. L'atrio era deserto, sebbene la lampada accesa sul tavolo centrale stesse a indicare che non tutti si erano ritirati per la notte. Spegnendo la fiammella, Verity depose la candela accanto alla lampada prima di aprire il portone d'ingresso e uscire in giardino. Una volta fuori, dimentico' la prudenza e si mise a correre. Quando ebbe raggiunto il roseto, si lasciò cadere su una panchina e attese. - Ben trovata, occhi blu. Sapevo che sarebbe venuta.- La salutò il postiglione. Alzandosi, Verity gli mosse incontro e lo abbraccio'. - Mi è mancato - confessò. - E lei a me. - La bacio' sulle labbra, poi si staccò e disse con audace familiarità: - Fermiamoci qui o potrei perdere la testa e accarezzarti dappertutto senza aspettare il matrimonio.- Le vide cambiare espressione. - Che cosa c'è, occhi blu? Non vuoi sposarmi? - Anche Verity abbandonò il lei. - Non so niente sul tuo conto. Nemmeno come ti chiami.- - Scoprirai tutto al momento opportuno. E non pensare che ti farò vivere in un tugurio, dopo che ci saremo sposati. Avrai una bella casa. Possiedo un patrimonio considerevole.- - Questo non mi sorprende. So che sei un uomo colto e intelligente - dichiarò lei. - Come il tuo maggiore? - - Non è il mio maggiore. E a proposito, il signor Stone ti ha riferito il messaggio? - - Si, so tutto. Anche se l'innocenza di Brinley Carter non è mai stata seriamente in dubbio. - Ne sono lieta. Ma lascia che ti racconti che cos'altro ho scoperto. - E senza indugiare oltre, lo informò dell'arrivo del francese. - Ne ero al corrente. Infatti, lo sto già facendo sorvegliare.- Rivelò il postiglione. - È di Castleford che sospetti, vero? - - Niente domanda, occhi blu. Tutto ciò che posso dirti è che lo scambio di informazioni non è ancora avvenuto, altrimenti la spia non si troverebbe nei paraggi.- - Capisco. Meglio che non ci vediamo più mentre sono qui. Quell'impiccione di Brin si sta insospettendo.- sussurro' lei. - Ah, si? E io che lo credevo tonto.- - Al contrario. È scaltro... tranne che con le donne. E poi nemmeno - si corresse. - Credo che sia riuscito a correggere anche quel difetto.- - Sul serio? - Il postiglione parve dubbioso. - Una volta si è reso ridicolo, no? - - Non proprio. Solo, non ha voluto dare ascolto alle persone che cercavano di metterlo in guardia contro una particolare signora che sembrava angelica ma che angelica non era. Ho cercato di avvertirlo anch'io. E non dimenticherò mai il modo in cui mi ha aggredita a parole! - - È per questo che lo detesti, occhi blu? - domandò lui. - Oh, no. Non lo detesto. Anzi. A volte mi piace moltissimo.- L'ammissione sorprese anche lei. - Non l'ho mai ritenuto un traditore. Ma vi sono momenti in cui si comporta in modo strano.- - Forse è innamorato.- - Non lui! - sbuffo' Verity. - Pensa, la piccola Gillingham sembra essersi incapricciata di Claud Castleford, e Brin non pare curarsene affatto! - - Forse non è di lei che è innamorato. Ma adesso salutiamoci - rispose il postiglione. La bacio' sulla fronte. - Si sta facendo tardi e qualcuno potrebbe accorgersi della tua assenza.- Verity assenti' controvoglia, poi gli disse: - Quando ti rivedrò? - - Presto.- E con un'ultima carezza, si dileguo' nella notte. Stringendosi nello scialle, lei attraverso' piano il roseto e riguadagno' la casa. Ma quando aprì la porta, un'alta figura maschile le si paro' dinanzi e l'apostrofo' con durezza: - Santi numi, e lei da dove viene? - Era Brin e sembrava furioso. - Vengo... vengo dal giardino - ribatte' Verity. - Abbassi la voce! Vuole svegliare tutta la casa? - Tirandola dentro, lui richiuse la porta. - È impazzita, ragazza? Che cosa le viene in mente di uscire a quest'ora di notte? - La fissò con sospetto. - C'entra senz'altro quella benedetta lettera. Parli, Verity, altrimenti dovrò informare sua zia! - - Oh, Brin, non lo farà, vero? Non posso credere che arriverebbe a tanto! - esclamò lei allarmata. Quando vide che non si addolciva, allargò le braccia. - E va bene. C'entrava di fatto quella lettera. Ho incontrato una persona. Ma non deve chiedermi altro per il momento.- Brin esitò un istante, poi acconsentì: - D'accordo. Ma non uscirà più sola a quest'ora di notte, promesso? - - Promesso.- - E ora venga a scaldarsi. Stebbings mi ha gentilmente acceso il fuoco sapendo che avrei lavorato fino a tardi.- Continuò lui precedentola in biblioteca. Verity era restia a seguirlo. - Veramente...- - Si? - Brin la fissava impaziente. - Veramente, sembrerebbe strano se venissi sorpresa con lei.- - Non più strano di essere sorpresa in giardino a quest'ora di notte - ribatte' Brin. Sorrise nel vederla arrossire. - Si tranquillizzi. Non ho intenzione di farle altre domande.- Una volta in biblioteca, lei si meraviglio' del cumulo di carte che ingombrava la scrivania. - Santo cielo, si è dato da fare! Mi auguro che non intenda lavorare tutta la notte, altrimenti non sarà nelle condizioni di intrattenere le signore, domani.- - Temo che le signore dovranno intrattenersi da sole. Partirò all'alba e non so quando ritornerò. Vi sono alcune faccende che richiedono la mia attenzione immediata. Forse non se ne è accorta, Verity, ma ho avuto visite nel pomeriggio. Un certo signor Jessop dello studio legale Jessop e Wilkes, gli avvocati del mio defunto zio.- - Defunto? Oh, capisco - bisbiglio' lei. - Congratulazioni, lord Dartwood.- - Preferirei che continuasse a chiamarmi Brin. Non ho informato nessun altro, e le sarei anzi grato se tenesse la cosa per lei.- - Come vuole.- Lo vide accigliarsi e fissare il fuoco. Sembrava così solo, così vulnerabile che provò il desiderio di abbracciarlo, di assicurargli che qualsiasi cosa pensassero gli altri del nipote di un imprenditore tessile che diventava Pari d'Inghilterra, lei perlomeno non dubitava che avrebbe fatto onore al nome che portava. - Non ha mai voluto quel titolo, vero, Brin? - gli chiese senza tanti formalismi. - Non l'ho mai agognato, no. E in tutta onestà, fino a pochi mesi fa non pensavo nemmeno che sarebbe stato mio. Lo zio era padre di tre maschi. Il più giovane è morto in fasce. Il secondo rassomigliava a mio padre, inquieto e ribelle. Stranamente hanno entrambi trovato la morte in un incidente con la carrozza. Ma rimaneva il maggiore, Cedric. Lo zio deve aver continuato a sperare che i frutti dei suoi stessi lombi avrebbero preso un giorno il suo posto. Cedric si era sposato e aveva avuto una figlia. Nessuno avrebbe potuto prevedere la sua morte improvvisa. Aveva sempre goduto di ottima salute e sembrava logico presumere che avrebbe avuto altri figli. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un individuo cosi robusto sarebbe morto per una banale infreddatura? - Verity sospirò. Non gli aveva mai sentito menzionare il padre. Cosa non sorprendente, in verità, visto che era morto quando Brin aveva avuto poco più di due anni. Da ciò che aveva sentito da zio Lucius, tuttavia, dubitava che quell'individuo fatuo e incostante le sarebbe piaciuto. Henry Carter aveva sposato la figlia di Arthur Brinley dopo un idillio travolgente. A poche settimane dal matrimonio, aveva lasciato la giovane sposa in campagna ed era ritornato a Londra e alla sua vita dissoluta. La madre di Brin era morta di parto e il padre non aveva esitato ad affidare il figlio alle cure del nonno materno. Che si fosse preso o meno il disturbo di fare visita al piccino rimaneva da stabilire.

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Capitolo 18
*** 18 Capitolo ***


Tutto ciò che sapeva Verity era che Arthur Brinley aveva adorato il nipote, ed era tutto merito suo se Brin era diventato un giovane così dabbene. - Rientrerà con noi questo sabato? - Non so. Dubito che rimarrò a Ravenhurst ancora per molto. Tuttavia, non credo che farò ritorno alla capitale.- Quando tacque, Verity decise di congedarsi. - È ora che le auguri la buonanotte, Brin. Non vorrei che ci sorprendessero così, specie ora. Potrebbe pensare che io stia cercando di incastrarla! - Aveva inteso scherzare ma lui sorrise appena mentre la riaccompagnava nell'atrio e le riaccendeva la candela. - Mi creda, Verity, so pensare a cose peggiori di un matrimonio con lei. - Le disse. E prendendole la mano, vi depose un bacio delicato. L'indomani Verity si ridesto' stanca e irritabile. Aveva pensato passato una notte tremenda, facendo i sogni più strani: Brin col tricorno che prima la baciava con passione e che quindi si dileguava nella notte... Scacciando quelle immagini inquietanti, si alzò dal letto e andò a lavarsi il viso. Poi, si preparò controvoglia e scese a colazione dove trovò le altre signore. - Brin è partito di buon ora - la informò la zia dopo i saluti. - E noi altre avremmo deciso di ritornare in quella graziosa modisteria. Vieni anche tu, cara? - Ma Verity scosse il capo. Non era dell'umore per andare in gita, né voleva rischiare di ritrovarsi a faccia a faccia con la spia straniera. - Grazie, no. Credo che resterò qui. Non ho dormito bene stanotte. Preferisco leggere o passeggiare.- - Non andrò nemmeno io. Venerdì sera si avvicina e devo pensare al ricevimento. Per qualsiasi cosa, cara, mi troverà nella sala da ballo.- Le disse Sarah. - È molto gentile - mormorò lei. E alzandosi con una scusa, andò a chiudersi in biblioteca. L'euforia della notte precedente si era dissolta e lei aveva l'animo pesante. L'addio frettoloso del postiglione spiegava in parte quel suo improvviso abbattimento. Ma a turbare Verity erano soprattutto i sogni che l'avevano tormentata quella notte. Perché Brin aveva assunto le fattezze del postiglione? E perché lei aveva ricambiato i suoi baci con delirante passione? Gli era molto affezionata, certo, sebbene Brin sapesse essere oltremodo esasperante alle volte, proprio come il postiglione. E la scorsa notte, quando si era confidato, lei aveva provato il desiderio di proteggerlo dalle cattiverie della gente. Si era coricata pensando a lui, quindi era logico che lo avesse sognato. Ma perché i baci? Quelli sì che la sconcertavano! Brin ritornò a Ravenhurst intorno a mezzogiorno e, nell'apprendere che Sarah era nella sala da ballo, passò a salutarla. - Le signore ti hanno lasciata sola? - domandò. - Oh, ciao Brin. Si, sono uscite tutte a fare spese. Tutte tranne Verity, cioè, che è andata poco fa a passeggiare - spiegò Sarah. - E a proposito di Verity, sai che ha trascorso molto tempo con tuo nonno mentre tu eri nell'esercito? - aggiunse poi. - Te lo ha detto lei? - - Non proprio. Ma ha ammesso di averlo assistito negli anni di vita, leggendogli la corrispondenza e rispondendo a nome suo.- Lui sorrise. - Si, me ne rendo conto ora. Sapevo che gli era molto affezionata. Ma solo di recente, quando sono tornato nello Yorkshire e ho rivisto il mio socio in affari, Jonas Penn, ho appreso che era stata Verity, e non Angela, a trascorrere così tanto tempo col nonno.- Un movimento fuori dalla finestra richiamò la loro attenzione e restarono entrambi a guardare mentre Verity attraversava il roseto. Sarah sorrise, poi trasali'. - Oh, santo cielo! È tornato Marcus! - esclamò preoccupata, augurandosi che il suo scontroso marito non dicesse niente di tagliente alla forestiera che si aggirava in giardino. Vide Marcus avvicinarsi a Verity e stringerle la mano e fu sorpresa quando lui scoppiò a ridere. La schiettezza di Verity doveva averlo subito conquistato. - Oh, la piccola ha fatto colpo! - Sarah si finse indignata. - Guarda come la corteggia quel mascalzone! Esci subito, Brin, prima che Marcus perda la testa! - Lui la guardò con palese divertimento. - Oh, si, e tu sei tanto preoccupata, eh? Ma uscirò lo stesso, visto che devo parlare con Verity.- Sarah restò alla finestra, non tanto per sorvegliare il marito quanto per semplice curiosità. Lo guardò salutare Verity e poi rientrare. Cinque minuti dopo Marcus la raggiungeva. - Moglie cara! - esclamò mentre correva ad abbracciarla. - Non dovrei nemmeno guardarti in faccia! Ti ho visto là fuori, a corteggiare la signorina Harcourt.- Fu lo scherzoso commentò. - Una simpatica streghetta. Le ho detto che conoscevo suo zio, il duca di Richleigh, e lei mi ribattuto che mi compiangeva per questo! Devo dire che l'ho sempre considerato uno stupido. Ma non mi sarei mai sognato di dirlo! - Rise Marcus. - Quanto meno non pubblicamente - osservò Sarah. Tornando a guardare fuori dalla finestra, vide Brin attraversare il roseto avvicinandosi a Verity e sospirò. - Sai, caro, ho fatto un torto a Brin. Pensavo che il suo desiderio di invitare qui certe signore fosse solo una messinscena. Ma mi sbagliavo.- - Dici? - Marcus inarco' un sopracciglio, scettico, mentre anche lui osservava la scena. - Be', tesoro, non si può negare che la signorina Harcourt sia una creatura affascinante.- Sarah si mordicchio' il labbro inferiore. - Non sono curiosa, tesoro, lo sai. Ma che cosa non darei per sentire quella piccola conversazione là fuori! - La buona signora Ravenhurst sarebbe rimasta delusa, perché gli scambi iniziali riguardavano perlopiù l'elegante giardino prima che Brin conducesse Verity verso il laghetto. - Perché allontanarsi? - chiese lei sorpresa. - Perché qualcuno ci sta osservando dalle finestre della sala da ballo. E io preferisco non essere osservato.- Questo la fece sorridere. - Veramente? Non vorrà sedurmi, spero! - - Non per il momento. Tuttavia, potrei cambiare idea - avvertì Brin in tono leggero, ma Verity non era così sicura che stesse scherzando. Si sedette con lui in riva al lago, poi gli chiese come fosse andata la mattinata. - Non troppo male, date le circostanze.- E le raccontò di aver messo in vendita la casa del nonno nello Yorkshire. - Non è stata una decisione facile. D'altra parte, col fatto che presto mi trasferiro' nel Devonshire...- Verity provò una fitta al cuore. Non aveva visto Brin per anni. Ma adesso che si frequentavano di nuovo, erano diventati più amici di prima. Il pensiero di non averlo più vicino una volta che fosse ritornata a casa la atterriva. Tuttavia disse: - Vendere è la cosa più saggia. Anche perché si dovrà concentrare sul suo nuovo ruolo.- - Ah, già. La viscontea. Quella in sé pone altri problemi.- - Via, Brin. Non avrà paura di non soddisfare le aspettative altrui! Ha tante brave persone che sapranno consigliarla, Marcus Ravenhurst per primo. E io le sarò sempre amica.- - Davvero? - - Sì. Lo sa.- - È un sollievo saperlo. Perché avrò proprio bisogno di un'amica che mi difenda da tutte quelle madri intriganti.- Verity ridacchio'. Brin era già richiestissimo ma, non appena si fosse diffusa la notizia della morte dello zio, sarebbe diventato lo scapolo più ambito di Londra. - Be', non vedo come potrei aiutarla con quel particolare problema.- - Come? Semplicemente diventando la mia diletta fidanzata.- Lei trasali', e gli si rivolse con la confidenza di un tempo. - Scherzi, vero? - - Affatto. Ho bisogno di venire a patti con questo mio nuovo ruolo. E tu sei l'unica persona che può farmi guadagnare tempo. Non sarebbe un fidanzamento duraturo, naturalmente.- Allungandosi, le prese la mano. - Non ho mai conosciuto mia madre, Verity. E sebbene nutra ammirazione per il gentil sesso, sono poche le donne di cui ho imparato a fidarmi. Amo Sarah come una sorella. E a te, mia cara, affiderei la vita stessa.-

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Capitolo 19
*** 19 Capitolo ***


Verity me fu lusingata da quella sua rivelazione. - È un complimento magnifico, grazie. Ma continuo a pensare che tu stia ricorrendo a misure troppo drastiche. Un fidanzamento fasullo non è la risposta che cerchi.- - Invece sì. È da settimane che ci penso.- - Da settimane? Quindi, a Londra, mi ronzavi intorno solo per far credere alla gente che eri interessato a me? - - Be', non proprio - rispose Brin prudente. - Ma bisogna pensare a tutto, sai. E devi ammettere che l'annuncio del nostro fidanzamento sarebbe parso strano se non ti avessi frequentata. Tra l'altro, mi divertivo con te... e tuttora mi diverto. Non è affatto un sacrificio starti accanto, credimi. - - Davvero? Brutto insolente! - Verity ritirò la mano. - E quelle povere ragazze che hai illuso? - - Via, non penserai che la strillona o il pesce lesso fossero seriamente innamorate! L'unica per cui mi sarei potuto preoccupare era la piccola Clarissa. Ma dopo averla vista amoreggiare con Claud, mi sento più tranquillo.- - Non stava amoreggiando! - ribatte' lei, cercando disperatamente di non ridere delle sue spietate descrizioni di Hilary e lady Caroline. - Come dici tu. In ogni caso, da sola non ti avrei potuta invitare. Ti saresti soltanto insospettita e non saresti venuta.- - Sei un imbroglione, Brin! - Gli scappò da ridere. - Accetti, allora? Potremmo annunciare il nostro fidanzamento domani sera al ricevimento.- - Non ho ancora deciso niente! - esclamò lei. Girandosi, fisso' il lago. Adesso che la sorpresa iniziale era passata, il suggerimento non sembrava più così oltraggioso. Brin non era stato l'unico a ricevere attenzioni indesiderate, e lei era certa che, quando fosse ritornata a Londra, schiere di giovanotti sarebbero tornate all'assalto. Si ritrovò di colpo a valutare la proposta, quindi commentò: - Non possiamo annunciare improvvisamente il nostro fidanzamento. Non sarebbe convincente. Dovrai prima contattare mio zio Lucius e chiedergli il permesso.- - Già fatto - annunciò lui serafico. - Gli ho parlato l'ultima volta che sono stato nello Yorkshire. Non ha mosso obiezioni. Anzi, mi è parso piuttosto contento. - E ignorando il suo gridolino indignato, aggiunse: - Allora, piccola, lo farai... per amicizia? Ti fidanzerai con me? - Lei era nemica di ogni doppiezza, tuttavia assenti'. - E va bene. Ma solo fino al termine della Stagione.- - Affare fatto, mia cara - mormorò Brin chinandosi a baciarla sulla guancia. Fu un contatto fuggevole e tuttavia sufficiente a ricordarle baci più appassionati. Verity rabbrividi'. Santo cielo, che cosa avrebbe pensato il postiglione quando gli avrebbe detto...? E doveva dirglielo! - Oh, eccoti, cara.- Lady Billington sorrise quando Verity la raggiunse in camera. - Sei stata di nuovo in calesse col maggiore? - Avendo già informato la zia di dove sarebbe andata quel pomeriggio, Verity ritenne superfluo rispondere e si limitò a sorridere. - Immagino che vorrai riposare prima di cambiarti per il ricevimento di stasera. Tutte le altre signore si sono ritirate nelle loro stanze. Devo dire, cara, che sono davvero ansiosa di partecipare a questo ballo.- Tu, forse, pensò Verity sedendosi accanto alla finestra. Io, no di certo. Tornò a chiedersi perché avesse accettato l'assurda proposta di Brin. Era segretamente fidanzata da ventiquattr'ore e non aveva mai provato tanto rimosso! Schiarendosi la voce, disse: - Zia, ti dispiacerebbe se parlassimo un po'? - - Al contrario, cara. Ti ho vista così poco negli ultimi giorni. Sarà un piacere fare quattro chiacchiere. Vedo che di recente trascorri molto tempo con il maggiore.- - Be', si. Proprio di questo volevo parlarti.- E prima di perdersi d'animo, annunciò: - Brin mi ha fatto l'onore di chiedermi in moglie e io... io ho accettato.- La zia scoppiò in lacrime. - Oh, cara, che notizia meravigliosa! Era ciò che speravo. Che fosse l'uomo per te l'avevo capito sin dall'inizio. E in questi giorni, poi, vedendovi insieme... E ieri sera, quando ti è rimasto sempre vicino... Oh, che felicità! - Verity si sentì morire. Non si era aspettata tanto entusiasmo e si sentiva più in colpa che mai. Una volta che il fidanzamento fosse stato rotto, la zia si sarebbe disperata! - E, tesoro, lui è così innamorato di te! Chiunque lo vedrebbe.- - Si, be', ci troviamo bene insieme.- - Solo? - Lady Billington si concesse una risatina. - Mi hai tenuta sulle spine per settimane, ragazzaccia. E devo dire che hai nascosto molto bene i tuoi veri sentimenti. Ma ieri sera ho capito tutto. Quando Brin ci ha raggiunte in salotto dopo cena, si è diretto subito verso di te. E ti ha guardata in un modo...- Prossima a scoppiare, Verity balzo' in piedi. - Adesso ti lascio riposare.- - Non serve, cara. Non sono per niente stanca.- - Ma io si. Ne riparleremo dopo.- E salutando, riguadagno' la propria camera. Santo cielo, che pasticcio! Non solo lady Billington approvava il fidanzamento, ma era altresì convinta che Brin fosse innamorato alla follia. Un'idea assurda, anche pensando alla sera prima. Che cos'era successo in fondo? Niente di speciale, ecco. Avevano cenato presto, come sempre, e in seguito Brin e Marcus avevano giocato a biliardo prima di raggiungere le signore in salotto. Era vero che Brin le era andato subito vicino. Ma di qui a pensare che fosse innamorato... Scuotendo il capo, Verity chiamò la cameriera e incominciò a prepararsi per il ricevimento. Dopo essersi lavata e asciugata i lunghi capelli neri, indossò l'abito bianco che aveva sfoggiato al ballo di lady Gillingham. La cameriera le stava ultimando l'acconciatura quando udirono un colpo alla porta. Convinta che fosse la zia, Verity disse: - Avanti.- Quindi sentì la cameriera trasalire e, girandosi, rimase sbalordita. Non aveva mai visto Brin con la divisa del suo reggimento, il novantacinquesimo fucilieri. Figurava bene con tutto ma in alta uniforme era addirittura irresistibili. Il giovane aspetto' che lei licenziasse la cameriera, poi indago' con circospezione. - Nessun ripensamento, vero? - - Riguardo al fidanzamento? No. I patti sono patti. - Meno male, perché ho già informato Marcus e Sarah. Sono felicissimi.- - Non sono i soli. Anche mia zia è al settimo cielo.- Le sfuggì un sospiro. - Non mi piace ingannare la gente. Ti renderai conto, spero, che vi saranno chiacchiere a non finire quando romperemo il fidanzamento.- - Troveremo una soluzione quando sarà l'ora - ribatte' Brin. - Ma nel frattempo - aggiunse frugandosi in tasca, - spero che accetterai questo dono in segno della mia amicizia.- E senza darle il tempo di reagire, le infilò al dito un anello di zaffiri e brillanti. Verity restò senza fiato. - È bellissimo - mormorò fissando lo splendido gioiello. - Prometto che ne avrò cura e te lo renderò non appena...- - No - la interruppe lui con gentilezza. - Finché avrò respiro, nessun'altra donna indosserà questo anello. È tuo e tuo soltanto. Indipendentemente da ciò che succederà.- Le sorrise. - Ma ora vieni. Scendiamo.- Prendendola a braccetto, la condusse fuori. - Sarah pensava che forse ti sarebbe piaciuto rimanere qui con me qualche altro giorno dopo la partenza delle altre signore domani. È una scelta tua, naturalmente, e non ti farò pressioni.- Lei esitò. Si sentiva stranamente insicura e lo guardò in cerca di consiglio. Brin parve avvertire il suo stato d'animo perché decise per lei. - Credo che faresti meglio a restare. Saresti bersaglio dei pettegolezzi se tornassi adesso con tua zia. Farò pubblicare un annuncio sul Post, di modo che per l'ora in cui ritorneremo, tutti saranno informati e ci lasceranno in pace. E qualche giorno di pace è proprio ciò di cui tu hai bisogno.- Su questo aveva più che ragione e quando Brin, cogliendola di sorpresa per la seconda volta, annunciò il loro fidanzamento non appena furono entrati in salotto.

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Capitolo 20
*** 20 Capitolo ***


Verity pensò che le ci sarebbero volute settimane e non giorni di pace prima di riprendersi da tante emozioni. Solo a fatica riuscì a mantenersi composta e non poté che meravigliarsi della disinvoltura con cui Brin accettava le congratulazioni dei presenti. Era davvero bravo. Anzi, un attore nato. Lei lo lasciò fare. Ma, allorché lady Westbury chiese durante la cena quando si sarebbe celebrato il matrimonio e Brin rispose distrattamente che l'attesa sarebbe stata breve perché era contrario ai fidanzamenti lunghi, Verity si ripromise di parlargli alla prima occasione. - Che cosa ti è venuto in mente di dire che la cerimonia si svolgerà presto? - domandò sottovoce quando, subito dopo cena, si spostarono tutti nel salone in cui si sarebbe tenuto il ricevimento. - Ti stai scavando la fossa con le tue stesse mani. E non aspettarti che ti tiri fuori io quando ci finirai dentro! - - Non potrai farlo, ragazza mia. Perché ci sarai dentro anche tu. E ora smettila di bacchettarmi e và a parlare con tua zia, da brava. Sta cercando disperatamente di attirare la tua attenzione. Ritornerò per il primo valzer.- Ribatte' Brin tranquillo. E senza dare eccessivo peso alla sua irritazione, andò a parlare con alcuni dei vicini dei Ravenhurst,i primi a essere arrivati. Sbuffando, Verity raggiunse la zia che stava chiacchierando con la signora Fenner e sua figlia. - E così, avevi una tresca - strillo' Hilary squadrandola malevola. - Non direi proprio. Gli intrighi li lascio a te.- ribatte' lei freddamente. Arrossendo violentemente, Hilary si allontanò subito con la madre. - Sarah mi dice che rimarrai qui a Ravenhurst. Non ho obiezioni, s'intende, se è quello che vuoi. - Osservò lady Billington, appartandosi con la nipote. - Scusa, zia Clara. Avrei voluto avvisarti prima di cena ma mi è sfuggito. Non ho avuto l'opportunità di parlarne nemmeno con Sarah. È stata un'idea di Brin. Ha deciso lui per me.- La gentildonna gongolo'. Il maggiore Carter non aveva davvero perso tempo a domare quella pazzerella di Verity! - Non pensavo che avreste annunciato il fidanzamento all'inizio della serata. Né credevo che miraste a un fidanzamento breve! - - Oh, sarà brevissimo, non preoccuparti - confermò Verity a denti stretti. Molto più breve di quanto non pensi Brin se continua a comportarsi così, aggiunse tra sé e sé. Il quartetto chiamato per l'occasione incominciò a suonare e l'oggetto delle poche lusinghiere riflessioni di Verity venne a reclamarla per il primo ballo. Il ricevimento originariamente informale si era ormai trasformato nella loro festa di fidanzamento e per alcuni minuti furono i soli a ballare sotto gli occhi di tutti. Poi, altre coppie si unirono a loro. Rilassandosi leggermente, Verity guardò in direzione della porta dove i Ravenhurst erano fermi a salutare gli ospiti in arrivo. - Senz'altro avrai detto la verità a Marcus e a Sarah, vero? - Brin esitò. - Naturalmente.- - E sanno anche che hai ereditato il titolo? - - Si, certo. Sono persone molto discrete e... - Verity sentì che si irrigidiva e, seguendo la direzione del suo sguardo, vide lord Castleford entrare nel salone in compagnia del figlio e del nipote. Strano che il loro arrivo avesse turbato Brin. Perplessa, tornò a guardarlo ma lui sembrava aver ritrovato il sorriso. - Clarissa sarà felice ora che Claud è qui.- - E questo ti preoccupa? - - Affatto. Perché dovrebbe? - In effetti non avrebbe dovuto, pensò Verity quando finì il ballo e si avviarono verso lady Billington. Tuttavia qualcosa aveva senz'altro turbato Brin, e se non era l'arrivo di Claud, allora che cosa? - Si dava il caso che la zia stesse conversando con lady Gillingham e la figlia, e Brin scambio' qualche parola con ognuna delle tre signore prima di avvicinare lady Caroline e chiederle un ballo. Clarissa non parve risentire della preferenza accordata alla figlia del conte. Il suo sguardo rimaneva puntato sui Castleford, ancora intenti a parlare con i padroni di casa. Verity sorrise nell'andarle vicino. - È un gentiluomo molto garbato. Non mi sorprende che le piaccia.- Clarissa non tentò nemmeno di negarlo. - Sì, mi piace. Non è affascinante come il cugino. Ma lo preferisco mille volte.- - Lawrence non piace nemmeno a lei? - le domandò. - No. È molto arrogante e trovo che abbia uno sguardo calcolatore. Non lo conosco bene, d'altronde, e potrei anche sbagliare. In fondo le apparenze ingannano.- - Senz'altro. Ma in questo caso direi che ha colto nel segno.- - Ho colto nel segno anche quando ho detto a mamma che il maggiore era innamorato di lei. D'altra parte lei lo sapeva già. Felicitazioni, Verity. Trovo che lei e il maggiore formiate una splendida coppia. Le auguro ogni bene.- Verity assenti', ma nel profondo era turbata. Com'era possibile che tutti sembrassero ritenere così credibile il suo fidanzamento con Brin? Ma l'arrivo di Claud e del cugino le impedì di approfondire la cosa. - Spero che ieri abbia fatto buoni affari, signor Castleford - osservò rivolgendosi a Claud, dato che Clarissa sembrava aver perso la lingua. Lawrence Castleford sbuffo' sdegnosamente. - Un argomento del tutto inadatto, cugino, specie quando dobbiamo ancora congratularci con la signorina Harcourt per il suo fidanzamento. - Commentò quando Claud si lanciò a parlare dei due ottimi cavalli da tiro che aveva acquistato il giorno prima. Urtata dai suoi modi, Verity pensò bene di intervenire. - Al contrario, signor Castleford. La signorina Gillingham e senz'altro più interessata agli acquisti di suo cugino che al mio fidanzamento, di cui si è già parlato sin troppo.- Volendo dare agio a Claud di conversare con Clarissa, si spostò leggermente e disse a Lawrence. - Non pensavo che sarebbe venuto a trovare suo zio questo fine settimana. Ero convinta che gli ozi campestri non incontrassero il suo favore.- - Al contrario, signorina Harcourt. Sono molto affezionato a Castleford Grange. Entrambi i miei genitori sono morti quando ero piccolo, e sono cresciuto in quella casa. Ci ritorno sovente.- Sbircio' il cugino. - Claud sembra piuttosto preso dalla piccola Gillingham.- Sorrise in modo sgradevole. - Bene bene. La vita è piena di sorprese. Non credevo che quel sempliciotto fosse in grado di corteggiare una donna.- Povero Claud! Chissà che strazio crescere con un cugino del genere! Lawrence Castleford era senz'altro un bell'uomo, ma simpatico no davvero. Verity fu pertanto contenta quando Brin, congedatosi da lady Caroline, la reclamo' per un secondo valzer. - Grazie per avermi soccorsa.- - Lawrence non ti piace? - - Affatto.- - Nemmeno a me. È un individuo subdolo e crudele. Fortunatamente, non viene spesso qui a Ravenhurst.- - Sai, lo credo capace di tutto. Lo sguardo che ha lanciato al povero Claud...- sussurro' lei. Non venne detto altro sull'argomento e da parte sua Verity fu felicissima di dimenticare che Lawrence Castleford fosse addirittura presente. Trascorse la serata danzando e si diverti' più di quanto non avesse creduto possibile. Quando il ricevimento volse al termine, la zia venne a cercarla. - Mi ritiro. Pensavo di partire presto domani. Quando ritornerai nella capitale? - - Non ne ho idea. Non sono ancora riuscita a parlare con Sarah. Il che è comprensibile, in realtà. Voglio dire, occupata com'era con gli ospiti. E non ricordo che Brin mi abbia precisato una data. Andrò a parlargli.- Si guardò intorno e non lo vide. - Oh, è scomparso.- - Credo che sia uscito a fumare. Perché non lo raggiungi? Puoi sempre ragguagliarmi domani.- Le disse sua zia. Verity non se lo fece ripetere. Infilando la portafinestra del salone, uscì sulla terrazza. Brin sostava poco più avanti, con un sigaro in bocca. Quando la vide, lo gettò via. - Non era necessario che lo facessi - commentò lei andandogli vicino. - So che le signore non gradiscono il fumo.- - Personalmente non mi disturba. Ma se anche così non fosse, non mi sentirei in diritto di influenzarti.- - Strano. Perché io, invece, mi sento in diritto di influenzare te.- Osservò lui. Verity rise. - È assurdo. Devi ricordare che il nostro fidanzamento non è reale.- - Invece lo è.- La semplicità di quell'asserzione ebbe il potere di aprirle gli occhi. Santo cielo, come aveva fatto a non vedere che non vi era stata finzione da parte di lui? - E anche tu vuoi che sia reale, vero? - Brin non le diede il tempo di parlare ma del resto non ve ne fu bisogno. La passione con cui Verity ricambio' il suo bacio fu più eloquente di mille parole. Restarono avvinti per alcuni minuti, poi lui si ritrasse e sorrise. - Ti ho desiderata sin da quando ti ho rivista. Non potevo credere che fossi tu. Ma i capelli, gli occhi non erano cambiati. Solo che stavo guardando una donna, non una ragazzina. E tu sei la mia donna, Verity. Sei sempre stata mia. E nessun altro ti avrà.- Confessò Brin. Quelle parole vibranti avrebbero dovuto riempirla di gioia. Ma il messaggio, così dolorosamente familiare, le strappò al contrario un singhiozzo. Indietreggio'. Come aveva potuto permettere che accadesse? - Non volevo...- Ogni parola le bruciava la gola. - Oh, cielo, che cosa ho fatto? C'è qualcun altro. Brin, perdonami ma c'è qualcun altro.- Lui le mosse incontro, tentando di calmarla. - No, tesoro, non c'è nessun altro - le assicurò con voce suadente. - In realtà...- Ma senza dargli ascolto, Verity girò su se stessa e corse via. Brin la seguì con lo sguardo, poi sospirò. - Non sei tu a doverti scusare. Non sei tu.- Sussurro' nella notte. L'indomani, Verity si ridesto' piuttosto tardi e, quando scese dabbasso, trovò soltanto Sarah ad aspettarla. - Buongiorno, cara. Riposato bene? - Affatto, avrebbe voluto dire lei. Tuttavia, si costrinse ad assentire. - Temo di aver dormito troppo. La zia è già partita? - - Sì. Avrebbe voluto salutarla, ma Brin le ha detto che le avrebbe trasmesso i suoi saluti.- La semplice menzione del suo nome le procurò una fitta. - Brin è in casa? - domandò. - No. Marcus l'ha trascinato a Oxford. Pare che vi sia un incontro di pugilato.- Sarah scosse il capo. - Che gusto vi sia a vedere due che si picchiano proprio non lo so! In ogni caso, visto che sono partite anche le altre signore, saremo sole fino a sera. Devo passare dal reverendo Martin. Vuole venire con me? - - Se non le spiace, preferirei uscire a cavallo. Col fatto che ho dormito troppo, ho un leggero mal di testa. Una bella galoppata mi rimetterà in sesto.- E con un sorriso stentato, la salutò. Mezz'ora dopo cavalcava in direzione degli ampi pascoli che si aprivano al di là del lago. Era una bella giornata e il sole scottava; tuttavia, non era il caldo a turbarla. Scuotendo il capo, Verity si lanciò in un selvaggio galoppo. Ma nemmeno quello riuscì a farle dimenticare la terribile realtà dei propri sentimenti. Si era innamorata, sì. Del postiglione. Di Brin. Non sapeva come avesse fatto a innamorarsi di quel furfante del postiglione. Tuttavia, lo amava. Così come amava Brin. Sebbene nel suo caso, naturalmente, si fosse rifiutata di ammettere ciò che il cuore cercava di dirle da settimane. Forse, se invece di negare l'evidenza, fosse corsa subito ai ripari, avrebbe potuto evitare che l'attrazione si trasformasse in qualcosa di più profondo. Ma era troppo tardi, ormai. Amava entrambi gli uomini e non sapeva più quale scegliere. Come avrebbe potuto sposare uno dei due? Verity emerse da quelle dolorose riflessioni quando sentì qualcuno chiamarla. Girando il cavallo, vide Claud Castleford sbracciarsi in groppa al suo roano. - Credevo che mi stesse ignorando di proposito! - esclamò il giovane raggiungendola. - No, no. Stavo pensando, così...- Interrompendosi, si guardò intorno. - Santo cielo, ma dove sono finita? Stavo attraversando le terre dei Ravenhurst e...- - ... e ha sconfinato in quelle dei Castleford - commentò Claud ridendo. - Era proprio assorta! - - Direi. Ora dovrà spiegarmi come ritornare.- - Ne sarò felice. Ma se non è attesa a Ravenhurst, può venire con me alla Grange. La casa è vuota al momento. Mio padre si incontrerà più tardi con alcuni gentiluomini. Una riunione riservata, sa. Ma abbiamo tutto il tempo di dare un'occhiata in giro, se vuole.- Verity accettò. Claud le piaceva. Oltre ad avere buon cuore, era anche un ottimo conversatore. Peccato solo che al momento parlasse soltanto di una certa signorina. - Insomma, signor Castleford! Se è così preso da Clarissa Gillingham, perché non fa qualcosa? Come può restarsene qui quando lei è a Londra? Mi dia retta, la raggiunga! - esclamò Verity quando arrivarono alla Grange. Sconvolto dalla sua schiettezza, Claud boccheggio' un istante, poi disse: - Santo cielo, signorina Harcourt, questa sì che è una soluzione.-

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Capitolo 21
*** 21 Capitolo ***


Smontando, Claud Castleford l'aiuto' a scendere da cavallo. - Partirò domani stesso! E non tornerò finché non mi sarò dichiarato! - Lei lo guardò con approvazione. - Brin mi aveva detto che era in gamba e aveva ragione.- - Ha detto così? - domandò l'altro arrossendo. - Mi fa piacere. Ma ora mi segua - aggiunse poi conducendola all'interno della splendida dimora di famiglia. - Le farò fare il giro completo.- Verity restò impressionata dall'eleganza degli ambienti. - È una casa meravigliosa! Logico che ne sia così orgoglioso! - esclamò quando sostarono nell'ampia biblioteca. - Appartiene alla famiglia da secoli ed è pregna di storia. Vede, l'albero dei Castleford porta due tipi di frutto, signorina Harcourt... quelli buoni e quelli cattivi. E ha prodotto più di una mela marcia nel corso della sua lunga e fertile vita. L'avo che ha costruito questa casa apparteneva alla schiera dei malvagi. Fu lui a ordinare la costruzione di passaggi segreti, così da poter spiare i propri ospiti. Era un personaggio davvero sgradevole, sa.- - Invero! - - Con l'ingrandimento delle stanze, gran parte dei passaggi è stata eliminata. Ma questo qui dietro...- Picchio' i pannelli di legno che ricoprivano la parete, producendo così un suono cavo. - ... esiste ancora. Io e Lawrence lo abbiamo scoperto da piccoli. Ma mio padre ha fatto inchiodare le entrate, poiché dal passaggio si sente tutto ciò che viene detto in biblioteca. E di recente si sono svolti incontri assai segreti in questa stanza, signorina Harcourt.- Impegnata com'era a ispezionare la parete, Verity ascoltava con un orecchio soltanto. - Nessuno direbbe mai che vi è una porta! È così ben nascosta che non riesco a distinguerla.- - Eccola.- Claud le indicò il punto esatto. - Vede i chiodi che la bloccano? L'altro ingresso è in camera di Lawrence ed è più facile da trovare. Vuole dare un'occhiata? - Verity esitò. Entrare in una camera da letto con un gentiluomo era decisamente sconveniente, tuttavia seguì Claud al piano superiore. Era troppo incuriosita! - Lawrence è fuori con mio padre, quindi è difficile che ci sorprenda - dichiarò il giovane mentre si introducevano nella stanza. I pannelli che ricoprivano le pareti erano riccamente intagliati. - È un tipo strano. Si arrabbia maledettamente se scopre che qualcuno è stato in camera sua.- Anche questa volta Verity ascoltò distrattamente mentre osservava le pannellature. Le ci volle un po', ma alla fine notò una leggera differenza in una sezione. - La porta è qui! Dietro questa cassapanca.- Annunciò trionfante. - Brava! - Claud si fece avanti e spostò il mobile. - Scommetto però che non riuscirà a scoprire il congegno di apertura.- Lei raccolse la sfida. Ogni riquadro intagliato, notò, presentava una rosetta al centro. Doveva essere una di quelle. Quando fece ruotare la più levigata tra tutte, vi fu uno scricchiolio e il pannello si aprì. - Santi numi! Ma mio padre aveva fatto inchiodare questa porta anni fa. Io e mio cugino eravamo presenti quando gli operai hanno effettuato il lavoro.- Esclamò Claud sbalordito. Scrollando le spalle, prese una candela dal comodino e la accese. - Strano... Be', se non altro, mi offre l'opportunità di mostrarle dove io e Lawrence eravamo soliti nasconderci quando volevamo sfuggire al precettore.- Sorridendo, Verity lo seguì attraverso l'apertura e lungo una serie di gradini che conducevano a una specie di stanzino. Tre pareti erano di pietra, mentre la quarta era di legno. Vi erano ragnatele dappertutto e l'aria odorava di muffa, tuttavia orme recenti punteggiavano il pavimento polveroso. - Ehi, che cosa abbiamo qui? - Claud si chino' a esaminare le impronte. - Qualcuno deve esservi entrato di recente! Forse uno degli operai è tornato a controllare che tutto fosse a posto. Questa parete finta sostiene i pannelli della biblioteca ed è...- Avvertendo un'eco di passi sull'altro lato, Claud tacque e si portò un dito alle labbra. Poi, la voce annoiata di Lawrence Castleford filtro' con chiarezza attraverso i pannelli. - Che pomeriggio sprecato! E tutto per colpa di Claud.- - Non puoi prendertela con lui. Se gli avessimo spiegato dove eravamo diretti, ci avrebbe senz'altro detto che i bai di Chumley non valevano una cicca. Claud può essere tristemente carente in certi campi, ma non vi è niente che non sappia sugli animali.- Rispose lord Castleford. Lawrence sbuffo'. - Claud sapeva che mi piacevano i suoi bigi, tuttavia li ha offerti a quell'amico di Ravenhurst! - - Aveva il diritto di venderli a chiunque volesse. E tu non hai motivo di lamentarti. Ti ha sempre prestato il calesse le volte in cui eri qui. E quando l'ho portato a Londra, te ne sei appropriato in più di un'occasione.- - Avrebbe potuto offrirmelo lo stesso. In qualche modo avrei rimediato il denaro.- - Oh, smettila di frignare. Ho altro a cui pensare. - Verity sentì un tintinnio prima che lord Castleford aggiungesse in tono più bonario: - Ecco, butta giù questo. Ti aiuterà a calmarti. Per stasera dovrai arrangiarti. Sia tu che Claud siete banditi dalla biblioteca.- - Si, lo so. Non preoccuparti.- Quale fu la risposta di lord Castleford Verity non l'avrebbe saputo mai, perché Claud le fece segno di risalire. - Suo cugino ce l'ha con lei.- - Già - replicò il giovane mentre chiudeva il pannello e rimetteva a posto la cassapanca. - Sapevo che era interessato a quei bigi. Ma sapevo anche chi avrebbe finito per pagarli. - Aggiunse con un sorriso colpevole. La condusse al pianterreno. - Lawrence sembra sempre avere un sacco di soldi. Ma è indebitato fino al collo e non fa che gravare su mio padre.- La porta d'ingresso si aprì e Verity sussulto' quando un uomo brizzolato entrò nell'ingresso, senza dar segno di notarli. Lo aveva già visto e ricordava perfettamente dove. - Chi è quello? - domandò a Claud. - Blackmore, il cameriere personale di mio cugino. È fedele a Lawrence. Personalmente, non posso soffrirlo. È un tipo sospettoso e... Oh, santo cielo! Ho spento quella candela? Sarà meglio che vada a controllare prima che Blackmore la veda e corra ad avvertire Lawrence che qualcuno è stato in camera sua! - Per alcuni secondi, lei fissò il vuoto mentre combinava le immagini del passato a ciò che aveva scoperto quel giorno. Poi, senza più pensare a Claud, si precipitò fuori e corse alle stalle. Montando in sella, si diresse verso Houghton. Ansiosa com'era di comunicare con Thomas Stone e, di conseguenza, col postiglione, non notò che qualcuno la stava seguendo. Superò una serie di siepi con relativo agio. Ma quando fu la volta di un fossato, il cavallo si impenno' e la disarciono'. Stordita e non poco umiliata per la facilità con cui era stata sbalzata di sella, Verity si rialzo'. Tuttavia gemette quando tentò di posare la caviglia destra. Vide il cavallo parecchi metri più avanti. - Torna qui! - gridò inferocita. Poi, si accorse finalmente dell'uomo che la inseguiva e si girò di scatto. - Tutto bene, signorina Harcourt? - Mentre smontava e le muoveva incontro, Claud sembrava sinceramente preoccupato ma Verity si ritrovò a vagliare ogni possibilità. Possibile che anche lui fosse coinvolto nelle nefande attività del cugino? L'orribile sospetto venne schiacciato dal buonsenso. - Perché è corsa via così? L'ho per caso offesa in qualche modo, signorina Harcourt? - Chiese Claud. Si acciglio' quando la vide zoppicare. - Sarà meglio che la riporti a Ravenhurst.- - No. Devo andare a Houghton! - Poi, intuendo che non avrebbe potuto gestire da sola una situazione così delicata, si decise a confidarsi. - Claud, ho bisogno del suo aiuto. Ma prima vi sono cose che deve sapere. - Gli parlò della spia francese e delle persone, tra cui il postiglione e il signor Stone, che si adoperavano per sventare l'intrigo. - E ora che ho visto Blackmore, credo che fosse lui l'intermediario che ho sorpreso quel primo giorno alla locanda.- Spiegò. Al termine del racconto, Claud articolo' una parola soltanto: - Lawrence.- - Mi dispiace. So di darle un grande dolore.- - Al contrario. Ho sempre saputo che Lawrence è corrotto. È per mio padre che mi dolgo. Non so come la prenderà. Anche se in fondo può soltanto biasimare se stesso.- - In che senso? - domandò Verity. - Al pari di molti altri, mio padre era a conoscenza del fatto che certe informazioni venivano passate al nemico. In casa, però, sapevamo tutti quando si svolgevano quei suoi incontri segreti.- Claud scosse il capo. - Immagino che pensasse di potersi fidare dei familiari... E Lawrence è sempre stato come un figlio per lui. - L'odio gli induri' i lineamenti. - Be', adesso basta. Ho tergiversato sin troppo. Ho permesso a Lawrence di scalzarmi dal cuore di mio padre. Non posso cancellare il disonore che le sue azioni arrecheranno al buon nome dei Castleford. Ma che io sia dannato se gli permettero' di tradire di nuovo il suo paese! Che cosa vuole che faccia, signorina Harcourt? - - Quando avrà luogo la riunione riservata di cui parlava prima? - - Dopo cena. E ceniamo presto, alle diciotto. Vuole che vada a Houghton e parli con questo signor Stone? - - No, lo farò io. Dopotutto, mi conosce.- Claud sorrise mesto. - E visto che senz'altro si trova qui per sorvegliare la mia famiglia, certo non darebbe retta a me.- Verity non tentò di negarlo. - Non so nemmeno se sarà alla locanda, quindi dobbiamo tenerci pronti, se dovesse accadere il peggio, a sventare noi stessi le macchinazioni di suo cugino - dichiarò. - Vada a casa ora e tenti, come meglio può, di comportarsi con naturalezza. Non cerchi di tenere Lawrence con lei. Immagino che si inventi qualche scusa per ritirarsi presto quando avvengono questi incontri, così da potersi nascondere per tempo nel passaggio e origliare. Se fa così anche stasera, lo assecondi.- - Come saprò se è riuscita a contattare Stone? - - È questo il guaio, non lo saprà... a meno che non le mandi un messaggio o che non venga io stessa.- - No, non venga. Desterebbe troppi sospetti. Farò in modo che né Lawrence né Blackmore lascino la casa. È il minimo che io passa fare.- Promise Claud. E rimontando in sella, ripartì alla volta di Grange. Lei avanzò zoppicando verso il proprio cavallo. L'aveva quasi raggiunto quando una carrozza scoperta sopraggiunse rumorosamente dalla strada oltre il fossato. Già innervosito, il cavallo scarto' e partì a tutta velocità in direzione di Ravenhurst, lasciando Verity appiedata. Brin sbircio' Marcus e tornò quindi a fissare la strada. Non avrebbe mai dovuto accompagnarlo a Oxford. Si era mostrato scontroso e scarsamente interessato all'incontro a cui avevano assistito prima, ma sarebbe stato un grave errore rimanere a Ravenhurst con Verity. Non era nella posizione di spiegare ora il proprio comportamento ma, quando fosse stato libero di farlo, avrebbe trovato il modo di scusarsi. Era stato sciocco e noncurante nei suoi rapporti con lei, ma non intenzionalmente crudele. Aveva pensato che, quando fosse giunta l'ora di confessare ogni cosa, Verity ci avrebbe riso sopra. Adesso, però, incominciava a dubitare che il suo innato senso dell'umorismo sarebbe bastato a cancellare l'inutile dolore che lui le aveva causato. - Ehi! - esclamò Marcus tirando le redini. Indicò una figuretta zoppicante lungo la strada. - Non è Verity? - Riscuotendosi, Brin balzò a terra. Guardò l'abito infangato, e prima che Verity potesse spiegare il proprio aspetto disordinato, la sollevò in braccio, depositandola accanto a Marcus. La fanciulla, che lamentava soltanto una storta, chiese di essere portata a Houghton con urgenza. Ma adottando un atteggiamento dittatoriale, Brin le disse che non sarebbe andata da nessuna parte finché non l'avesse vista un medico. Non volendo immischiarsi, Marcus mantenne un rigoroso silenzio fino a Ravenhurst. Non appena il calesse fu fermo, Brin scese e tornò a sollevare Verity, portandola in casa. A nulla valsero gli strilli della ragazza che chiedeva di essere messa giù. - Grazie al cielo! - esclamò Sarah correndo incontro al marito. - Ho appreso ora che il cavallo era tornato senza di lei e stavo per mandare qualcuno a cercarla. È ferita? Andrò a vedere che cosa posso fare.-

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Capitolo 22
*** 22 Capitolo ***


Ma Marcus scosse il capo. - No. Lascia che sia Brin a sbrigarsela. Dubito che il motivo di tanta agitazione sia una banale storta.- Lo dubitava anche Brin. - Insomma! - gridò mentre deponeva Verity sul letto di camera sua e lottava per farvela rimanere. - Si può sapere che cosa ti prende? - - Brin, tu non capisci! Devo andare a Houghton e vedere qualcuno? - - Chi? - Le domandò. Quando non ebbe risposta aggiunse: - Ti fidi dunque così poco? - - No! Mi fido ciecamente di te. Solo... - Intuendo di non avere scelta, Verity si ritrovò a parlare per la seconda volta dei propri rapporti col postiglione e riferì, con dovizia di particolari, ciò che aveva scoperto nel pomeriggio. Più che sorpreso, Brin parve rattristato. - Quindi, Claud è a conoscenza dei fatti? - Verity gli cercò lo sguardo e proruppe: - Lui non è coinvolto, ci giurerei. Avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto quando si è aperto il pannello che portava al passaggio segreto... quando si è reso conto che il cugino era un traditore. No, Brin, Claud è innocente.- - Lo spero. - E senza perdere altro tempo, andò alla porta. - Farò in modo che Stone venga avvisato.- Poi, sorridendo, mormorò: - Non temere. Il tuo postiglione non ti deluderà.- Non appena Brin ebbe lasciato la stanza, la porta si riapri' ed entrò Sarah, così che Verity non ebbe il tempo di lambiccarsi sullo strano congedo di Brin o di preoccuparsi per ciò che stava avvenendo a Castleford Grange. Fu soltanto in seguito, dopo che il medico ebbe diagnosticato una comune storta, che l'angoscia tornò a tormentarla. La pozione soporifera che si era vista prescrivere restò intatta sul comodino, insieme al vassoio della cena, finché la cameriera non passò a ritirare il tutto verso le ventuno. Sembrò passare un'infinità di tempo prima che la pendola battesse le ventidue e un'altra infinità prima che battesse le ventitré. Quando le lancette si avvicinarono alla mezzanotte, Verity si alzò faticosamente dal letto. Ne aveva abbastanza di drizzare le orecchie. Brin non era ritornato perché era rimasto coinvolto. Forse non era riuscito a contattare Thomas Stone ed era andato alla Grange per aiutare Claud. Lei avrebbe dovuto valutare quella possibilità prima di confidarsi. Santo cielo, aveva messo in pericolo anche lui! Incapace di sopportare l'agonia di quell'attesa solitaria, indossò la vestaglia e scese al pianterreno. Non era in condizione di fare nulla di concreto, ma almeno avrebbe potuto parlare con Marcus e distrarsi un po'. Non vi era nessuno nell'atrio, tuttavia Verity non fu sorpresa di vedere che la porta della biblioteca era socchiusa. Marcus stava logicamente aspettando Brin, si disse. Ma quando si fece avanti, trovò soltanto Sarah. - Verity! - Deponendo il ricamo, Sarah le andò incontro e la fece sedere. - Il medico mi aveva assicurato che quella pozione l'avrebbe fatta dormire fino a domani.- - Non l'ho affatto bevuta - confessò lei. - Dov'è Marcus? - - È uscito con Brin e nessuno dei due è ancora rientrato.- - Oh, santo cielo, no! - Sarah degluti'. - Dove sono andati? Lo sa? - - Credo che siano a Castleford Grange - rispose Verity. E le riferì ciò che aveva appreso nel pomeriggio. - Lawrence un traditore... È terribile.- La gentildonna era sconvolta. - Mi dispiace. Adesso ho messo in pericolo anche suo marito.- - No. È stato Marcus a decidere di accompagnare Brin. Da tempo desiderava aiutare il proprio paese durante l'attuale conflitto con la Francia, e quando si è visto offrire la possibilità di agire concretamente non se l'è lasciata sfuggire. Al pari suo. Ma come ha fatto a rimanere invischiata in questa torbida vicenda? - Verity si preparò a vuotare il sacco per quella che era la terza volta quando avvertì improvvisamente i suoni che tanto aveva agognato. Si raddrizzo' di scatto, con un misto di gioia e timore. - Vado a vedere! - esclamò Sarah. E corse fuori. Lei aspetto' impaziente. Sebbene Sarah avesse richiuso la porta, le arrivarono voci confuse. Di lì a poco l'uscio tornò ad aprirsi e una sagoma scura si staglio' sulla soglia. - Postiglione! - esclamò Verity.- Hai ricevuto il mio messaggio, allora? È finalmente... finita? - - Si, occhi blu.- Lei gli si avvicinò zoppicando. - E Brin? E Marcus? - - Ravenhurst è con la moglie.- - E Brin? - Quando non vi fu risposta, fu travolta dalla paura. - Che cosa gli è successo? Dimmelo! - domandò in preda al panico. - Buona, occhi blu. Non ti agitare.- Facendosi avanti, il postiglione si tolse sciarpa e tricorno. - E qui, mia cara. Davanti a te.- Verity fissò incredula quegli occhi color dell'ambra. - Tu? - - Io - ammise Brin. Sorpresa e sollievo la invasero, ma subito cedettero il posto alla rabbia. - Mascalzone! Ti sei preso gioco di me! - - Non è vero! Anche se ci ho scherzato sopra, ho capito sin da quel primo bacio che sei la donna della mia vita. - Esitò. - Pensavo che sarebbe bastato corteggiarti dato che avremmo entrambi soggiornato a Londra per alcune settimane. Ma quando ti ho incontrata quel giorno al parco, ho capito di averti sottovalutata. Bontà divina, mi hai fulminato con lo sguardo! Naturalmente ora so perché, ma all'epoca ero assolutamente ignaro del tuo rancore.- - Oh, si, molto astuto! - sbotto' lei. - Mi hai fatto abbassare le difese travestendoti da postiglione! - Ancora confusa per quella rivelazione, domandò: - Come diavolo hai fatto l'altra sera a rientrare così in fretta?- - Non è stato facile, credimi. Avevo appena nascosto mantello e tricorno quando hai aperto la porta.- Verity ribolli'. Da un lato ce l'aveva con lui per la sua doppiezza e dall'altro con se stessa per essersi fatta gabbare in quel modo. Brin parve intuire i suoi pensieri perché disse: - Ho portato avanti la finzione troppo a lungo, ma sappi che non ho mai avuto l'intenzione di ferirti.- Sospirò. - Come postiglione, potevo vederti solo di rado e non era mai abbastanza. Come me stesso, ero in grado di frequentarti con maggiore assiduità, e pensavo che col tempo ti saresti affezionata di nuovo. Specie se ti avessi dato un motivo per cercare la mia compagnia.- - Vergognoso! - - E in questo non ho sbagliato, come ha dimostrato la notte scorsa - continuò Brin ignorandola. - In ogni caso, quando mi sono accorto del dolore che ti avevo causato, ho capito come la finzione fosse diventata un gioco crudele e mi sono maledetto per il mio sciocco comportamento.- - Sei stato odioso! Dall'inizio alla fine! E quella notte a Frampington Bassa, poi, hai veramente passato il segno! - Lo accusò Verity. - Non ti saresti mai dovuta recare in quel luogo da sola, e lo sai. Anche se è grazie a quella pazzia che abbiamo individuato il traditore.- Quel commento la incuriosi' e, accantonando i dissapori presenti, gli chiese come fosse rimasto coinvolto. - Avevo già lasciato l'esercito, ed ero tornato in Inghilterra da un mese quando è arrivata la notizia della fuga di Napoleone dall'Elba. Gli agenti di Wellington avevano scoperto che il nostro francese era tornato in attività. Wellington voleva che venisse catturato insieme ai suoi contatti inglesi. Ha inviato un dispaccio urgente a lord Charles ed è stato quest'ultimo a propormi per l'incarico.- - Sospettava già di Lawrence Castleford? - - Cielo, no! - esclamò lui. - Eravamo convinti che si trattasse di qualcuno che lavorava al Ministero della Guerra. Ma finché tu non hai visto quel calesse alla taverna, non avevamo idea di chi potesse essere il traditore.- Le scocco' uno sguardo ammirato. - Ricordi il ballo delle Gillingham, quando tuo zio parlava con lord Castleford? Bene, è stato allora che lord Charles ha scoperto che Lawrence aveva usato il tiro a due. Abbiamo sospettato che tanto lord Castleford quanto il nipote fossero implicati. Era altresì possibile che lo stesso Claud fosse colpevole. Solo stasera si è chiarito tutto. Avevi ragione tu. Claud non c'entrava e Castleford era all'oscuro delle macchinazioni del nipote.- Scosse il capo. - Non ho mai visto un uomo così distrutto.- - Dunque, hai organizzato questo soggiorno a Ravenhurst per poterti trattenere nella zona e sorvegliare la Grange?- indago' Verity. - Non proprio - preciso' Brin. - Sapevo che nessuna di voi signore avrebbe rischiato alcunché durante questo soggiorno, altrimenti avrei lasciato perdere. Volevo seguire la cosa da vicino, naturalmente. Ma sapevo che non sarei riuscito a concentrarmi sull'indagine se ti avessi lasciata a Londra. In senso stretto era Stone a sorvegliare i Castleford. Io gli facevo semplicemente da spalla.- - Allora, che cosa è successo stasera? - - Marcus era il solo a cui avevo confidato di lavorare per il governo. Quando gli ho detto ciò che avevi scoperto, si è offerto di accompagnarmi. Come te, era convinto che Claud fosse innocente. Così, visto che sarebbe parso meno sospetto se un vicino si fosse recato alla Grange, l'ho mandato avanti con un messaggio per Claud mentre io avvertivo Stone. Più tardi ho raggiunto Marcus alla Grange ma abbiamo dovuto aspettare parecchio prima che il cameriere di Lawrence lasciasse la casa. Ho ucciso Blackmore quando ha tentato di fuggire con le informazioni.- - E Lawrence? - - Non gli ho sparato io, bensì Claud. Avvertito dall'eco del mio sparo, Lawrence ha cercato di fuggire, ma Claud lo ha colpito.- - E la spia francese? - - È in arresto.- - Quindi è finita - osservò Verity con sollievo. - Ci vorrà un po' prima che lord Castleford si riprenda dalle rivelazioni di stanotte. Ma per noi, sì, è finita.- Brin le passò un braccio intorno alla vita e, quando lei non oppose resistenza, l'attrasse a sé. - E ora, prima che ritorni Sarah a farti da chaperon, che cosa ne diresti di fissare la data delle nozze? - - Nozze? Quali nozze? - domandò lei provocandolo. - Le nostre, sciocchina. - - E se io preferissi un altro? Per esempio... il postiglione? - - Davvero lo preferisci? - chiese, sollevandole il volto con un dito. - Si, no...- Verity rise. - Insomma, malgrado tutto, vi amo entrambi.- - E allora sposaci - suggerì Brin. - Ti dirò, è proprio quello che intendo fare! - - Il che ci riporta alla domanda originaria. A quando le nozze? - - Va bene... domani? - E senza più fingere ritrosia, protese il viso verso quello di lui per un bacio. ___________________________FINE_____________________________

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