Il diario di Philipp Lloyd

di Lodd Fantasy Factory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 2 Marzo ***
Capitolo 2: *** 3 Marzo ***
Capitolo 3: *** 4 Marzo ***
Capitolo 4: *** 5 Marzo ***
Capitolo 5: *** 6 Marzo ***
Capitolo 6: *** 7 Marzo ***
Capitolo 7: *** 8 Marzo ***
Capitolo 8: *** 9 Marzo ***
Capitolo 9: *** 10 Marzo ***
Capitolo 10: *** 11 Marzo ***
Capitolo 11: *** 12 Marzo ***
Capitolo 12: *** 13 Marzo ***
Capitolo 13: *** 14 Marzo ***
Capitolo 14: *** 15 Marzo ***
Capitolo 15: *** 16 Marzo ***
Capitolo 16: *** Errori ***
Capitolo 17: *** 18 Marzo ***
Capitolo 18: *** 19 Marzo ***
Capitolo 19: *** 21 Marzo ***
Capitolo 20: *** 22 Marzo ***
Capitolo 21: *** 23 Marzo ***
Capitolo 22: *** 24 Marzo ***
Capitolo 23: *** 25 Marzo ***
Capitolo 24: *** 26 Marzo ***
Capitolo 25: *** 29 Marzo ***
Capitolo 26: *** 30 Marzo ***
Capitolo 27: *** 31 Marzo ***
Capitolo 28: *** 1 Aprile ***
Capitolo 29: *** 2 Aprile ***
Capitolo 30: *** (3)4 Aprile ***
Capitolo 31: *** 5 Aprile ***
Capitolo 32: *** 6 Aprile ***
Capitolo 33: *** 7 aprile ***
Capitolo 34: *** 8 Aprile ***
Capitolo 35: *** 10 Aprile ***
Capitolo 36: *** 11 Aprile ***
Capitolo 37: *** 12 Aprile ***
Capitolo 38: *** 13 Aprile ***
Capitolo 39: *** 15 Aprile ***
Capitolo 40: *** 16 Aprile ***
Capitolo 41: *** 17 Aprile ***
Capitolo 42: *** 18 Aprile ***
Capitolo 43: *** 19 Aprile ***
Capitolo 44: *** 20 Aprile ***
Capitolo 45: *** 21 Aprile ***
Capitolo 46: *** 22 Aprile ***
Capitolo 47: *** 23 Aprile ***
Capitolo 48: *** 26 Aprile ***
Capitolo 49: *** Il tempo stringe... ***
Capitolo 50: *** Un viaggio nell'oscurità ***
Capitolo 51: *** L'ultima pagina del Diario ***
Capitolo 52: *** La verità di Anduin ***
Capitolo 53: *** Tra passato e presente ***
Capitolo 54: *** Giù, nel profondo dell'incubo ***
Capitolo 55: *** Il piano di Zhùt ***
Capitolo 56: *** Enrico e Philipp Lloyd ***
Capitolo 57: *** Figli di Tabaldak ***



Capitolo 1
*** 2 Marzo ***


2 Marzo 2021,

 

 

I fatti che riguardano questo diario sono del tutto personali. Non li trascrivo per cercare consensi. Non li espongo alla vista di chiunque voglia visionarli, su questa pagina EFP, per attirare l'attenzione... e anche se fosse, so perfettamente mi servirebbe a ben poco. Scrivo perché voglio che quello che mi sta accadendo possa rimanere come testimonianza. La testimonianza che ho vissuto, provato emozioni, come essere umano.

Ho preso questa decisione oggi, 2 Marzo 2021, perché a corto di alternative. Mi stanno travolgendo dei fatti... inspiegabili. Ogni notte trascrivo questi eventi ma, al mio risveglio, gli appunti non ci sono più. Questa mattina le pagine del mio diario erano strappate, i file nel computer cancellati. Avevo anche delle foto... Ho udito rumori dentro casa, poi il portone blindato che si chiudeva: è stato proprio questo a svegliarmi. Ma io vivo da solo.

Per questo ho deciso di trascrivere tutto su questa pagina: vi accederò da un profilo anonimo, costringendomi ad inserire ogni volta la password. Non voglio lasciare tracce, neanche per me stesso, qualora la notte io perda sul serio il controllo di me.

Io so di non essere un malato mentale, anche se questi eventi stanno mettendo a dura prova le mie convinzioni.

Il mio nome non è chiaramente Philipp Lloyd.

Sono italiano, ma non dirò dove vivo.

Non scriverò chi sono.

La gente mi crede di già pazzo.

I vicini sostengono di udire strani rumori provenire da casa mia, anche quando non ci sono; mi guardano di sbieco, affrettano il passo quando mi incrociano sulle scale. Sta accadendo qualcosa... e ho paura.

Paura di quello che mi accadrà.

Cerco di non essere paranoico.

È difficile.

Vorrei solo che tutto questo finisse. Vorrei tornare alla mia vita normale.

La mia vita è cambiata da quel sabato, il 13 Settembre. Ma i ricordi cominciano ad annebbiarsi ogni volta che ci penso, specie se provo a mettere tutto per iscritto... anche ora avverto la testa pesante, nausea e un opprimente senso di claustrofobia. Fuori è tardi, buio pesto, ma non posso più stare in questa casa.

Sento formicolare la pelle!

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 2
*** 3 Marzo ***


 

3 Marzo 2021,

 

 

Da non so più quanto tempo sono finalmente riuscito a dormire; ma il mio sonno è stato inquieto, in seguito ai fatti del 27.

Ero come sfinito, dopo aver camminato per tutta la notte. La musica mi ha tenuto compagnia, e dato forza quando ne avevo più bisogno. Ho visto cose... ma continuo a chiedermi se sia stato tutto solo frutto della mia fantasia. Le ho riviste nel sonno: mi perseguitano ovunque, senza darmi tregua.

La scelta di pubblicare tutto su questa pagina sembra avermi aiutato, ma al contempo mi mette su altri dubbi e terrificanti inquietudini. Chi ha cancellato i miei appunti? C'era qualcuno in casa mia, le altre notti? Oppure soffro d'insonnia, e in quello stato divento come un'altra persona? Ma perché cancellare degli appunti con tanto accanimento? La mia mente cerca forse di proteggermi da qualcosa? Oppure qualcuno mi perseguita, cercando di mettere a tacere la verità a cui ho preso parte quel venerdì, in quei bui cunicoli che si trovano sotto il ponte? Perché non parlarmi direttamente?

Sono domande da paranoico, lo so bene.

Ho pensato di andare dalla polizia e dichiarare quanto ho visto, ma poi mi sono detto che nessuno mi avrebbe creduto. Mi avrebbero preso per pazzo. Certo, quelle vie sotterranee sono state interdette al pubblico più di una volta, e non è cronaca nuova che si senta parlare delle stranezze che avvengono sotto quel ponte. Ma la gente le crede storie popolari, cialtronerie per spaventare i bambini.

Non lo sono!

Io so quel che ho visto... perlomeno, credo di saperlo.

Rileggere le ultime note sembra dissipare quella confusione che ogni volta mi assale al pensiero di quel 13 Settembre. Ricordo che dopo una serata fra amici, in un anonimo giovedì sera, stavo rientrando sulla via di casa; la mezzanotte era abbondantemente passata. Non ho la certezza di che ore fossero. Avevo bevuto più di quanto un medico consiglierebbe, abbastanza per farti ritirare la patente insomma, ma ero lucido. Camminavo a passo spedito, musica alta nelle cuffie, saltando di ombra in ombra offerta dai pochi lampioni del centro storico, chiuso nelle sue viuzze medievali.

La città era deserta; non una macchina in giro, non un rumore.

Sta tornando quel dolore, quel senso di nausea...

Ricordo poi quella figura scura, come un manto di tenebra, attraversare la via un paio di vicoli davanti a me. Mi ero fermato ad orinare di fianco un portone, e mi stavo guardando attorno per sincerarmi che nessuno mi vedesse, o che qualcuno mi gettasse un secchio d'acqua in testa. Smisi all'istante. Un brivido mi attraversò da capo a piedi.

Di nuovo quel formicolio sulla pelle...

Tolsi una cuffia, come se ciò potesse aiutarmi a vederci meglio. Sentii solo un rapido echeggiare di passi sul ciottolato, come se fosse prodotto da degli zoccoli, o sandali di legno. La cosa mi mise subito addosso una certa dose di tensione, ma l'alcool ebbe la meglio. Mi diede il coraggio di andargli dietro, chiunque o qualsiasi cosa fosse. Mi chiesi perché qualcuno dovesse andarsene in giro a quell'ora della notte a fare tanto baccano. Ero l'unico a sentirlo?

Affrettai il passo, pur cercando di essere silenzioso. Le mie scarpe erano leggere, il mio fiato meno. Mi feci guidare dai suoni e da quello strano cappotto lungo e scuro che nascondeva la sua intera persona. Chiunque fosse, aveva il capo coperto da un largo cappuccio. A tracolla portava una borsa di pelle dall'aria vintage, ma ebbi occasione di scoprirla assai più antica. Era ammuffita, sul verdognolo, e si lasciava dietro un pessimo fetore di acqua stagnante.

Era svelto, ma avrei scoperto solo più avanti quanto...

Ho sentito un rumore provenire da una delle camere!

Sono solo in casa: con il cuore il gola, ma ho controllato.

Cosa era quel rumore? Di nuovo questo senso di claustrofobia... è tardi, ma devo uscire, non riuscirei a dormire.

Devo andare!

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 3
*** 4 Marzo ***


 

4 Marzo 2021,

 

 

Notte infernale!

Avevo fatto giusto in tempo a saltare fuori di casa come un gatto a cui sia appena stata pestata la coda. Prima di richiudermi il portone blindato alle spalle, ho sentito come una specie di respiro gelido soffiarmi sul viso. Tutte le finestre erano chiuse.

Brividi!

Ho disceso la scalinata con tale fretta da non ricordare se avessi fatto più di un balzo. Rammento però la caotica eco nella tromba delle scale; gli altri inquilini ne sono stati svegliati. A riprova, oggi ho trovato l'ennesima lettera di lamentele nella cassetta della posta.

Perché pensano sia sempre colpa mia?

Ma questi problemi non mi tormentavano, ieri.

Ho imboccato la via che conduce verso lo scorrimento veloce e la pista ciclabile, che circonda la città, nella speranza di trovare conforto nelle fredde luci dei lampioni che illuminano la via a giorno. Invece, mi sono ritrovato per un sentiero di gelida tenebra.

Ho dovuto fare a meno della musica: il cellulare era scarico!

Mai camminare al buio mi era parso tanto pericoloso; nessuna luna, niente stelle. Quando guardi con felicità i fari di una vettura che si avvicina a rilento, nel cuore della notte, significa che sei alla disperazione. Di solito ci si guarda bene dal ritrovarsi in simili situazioni... io, invece, ho tirato un sospiro di sollievo.

Quanto alberga nell'oscurità, sinistri rumori amplificati dal mio terrore, mi ha trasmesso l'impressione che una moltitudine di Esseri si sporgessero dalle loro alcove maledette, famelici, in attesa del momento giusto per balzare alla mia gola. Ho affrettato il passo davanti al fascio di un paio di fari blu elettrico. L'auto mi è sfrecciata poi davanti, affrontando la rotatoria con guida sportiva. È stato allora che i quattro fanali posteriori, rossi come tizzoni ardenti nel camino, si sono lasciati dietro una scia che mi ha stretto le viscere nell'angoscia: sembravano occhi intenti a studiarmi, poco prima di guizzare via al ruggito dello scarico.

Preso dal panico, imboccata la prima strada che si districava via da quello scorrimento di tormento, mi sono ritrovato per una salita man mano più ripida. Le luci mi hanno risparmiato la fatica d'immaginare qualcuno alle mie spalle, o nascosto dietro qualche macchina, sin dal primo lampione sotto cui ho avuto la sfortuna di transitare: si spense; e così avrebbero fatto i seguenti, senza più riaccendersi.

Ho poi continuato a camminare, fiancheggiando un'alta recinzione a rete che mi dava l'impressione nascondesse terribili segreti. La vegetazione che proteggeva, selvaggia e rumorosa alla carezza di un misero venticello, sporgeva dai fori della rete come una miriade di sottili dita ossute. È nella notte che, ciò che di giorno ci pare banale, assume tinte grottesche. Ho cercato di convincermene, inutilmente. Una volta che la mente prende il sopravvento, niente può fermarla!

Mi sono ritrovato a fare un cartoonesco balzo indietro, quando uno scoppio viscido sotto ai miei piedi mi ha ferito l’orgoglio di uomo coraggioso. Ho trattenuto un urlo, ma mi è sfuggita un'imprecazione. Mi sono guardato dapprima attorno, spaesato, facendo un passo indietro. Un altro scoppio.

Ho tremato dalla punte dei piedi all'inguine, dalla cinta in su ero invece paralizzato.

Abbassato lo sguardo, il lampione davanti a me ha mandato un bagliore intermittente, sempre meno energico, mettendo in mostra il raccapricciante scenario che mi circondava. Avevo schiacciato qualcosa di molto simile ad una chiocciola... ma ancora adesso, a mente fredda, trovo che quelle cose non fossero chiocciole.

Erano sì dotate di una conchiglia a spirale inversa, ma piatta e larga quasi quanto il mio tallone; al loro interno erano contenute larve carapaci dalla tonalità bruna, dotate di quattro antenne tanto lunghe da darmi l'impressione di tentacoli – roteavano in modo eccentrico – emettendo una specie di stridio; non erano morte neanche sotto tutto il mio peso. Ve ne erano altre, molte, e tutte strisciavano fuori da un piccolo fossato che si trovava alla mia sinistra, dove si apriva l'ingresso di un tunnel. Le ho fissate con inquieta curiosità per qualche istante, prima di rendermi conto che stessero convergendo verso di me, lasciandosi dietro una scia di bava grumosa. Ero quasi del tutto immerso nell'oscurità, ma non mi è sfuggito lo stesso il dettaglio di un secchio posto all'imboccatura del fossato, nascosto sotto le loro conchiglie: ne fuoriusciva un liquido denso, scuro. Un pozzo di tenebra!

Chi sarebbe stato capace di rimanere a curiosare?

Mi sono lanciato in una corsa a perdifiato, rischiando di scivolare sulla viscosità dei loro residui, quando qualcosa è fuoriuscita dal tunnel, afferrando in un guizzo il secchio, producendo un raccapricciante gorgoglio, come di uno scarico intasato appena sbloccato. Non sono certo di quel che ho veduto… era più di un arto, snodabile, ciascuno grosso quanto la gamba di un uomo. Ho ancora i brividi al pensiero!

Ho continuato a correre sino allo sfinimento, fermandomi solo una volta tornato a casa.

Avevo paura.

Una fottuta paura!

Aveva iniziato a piovere negli ultimi cento metri che mi distanziavano dal portone.

Inforcate le chiavi nella topa, accesi le luci dell'androne. Mi sono guardato attorno in preda al panico: fradicio, con il fiatone per la corsa, tutti i rumori mi risultavano amplificati. Ho sobbalzato al tonfo del portone alle mie spalle, perché produsse due schiocchi distinti: il primo di chiusura, il secondo da qualche fonte sconosciuta. Mi sono voltato d'istinto e... so di sembrare pazzo… ho creduto di scorgere una specie di manto svanire ad uno degli angoli della vetrata.

Rabbrividisco al solo ripensarci!.

Mi sono barricato dietro la porta blindata, inserendo la sicura con sonoro trambusto. Ecco forse il perché della lettera, a pensarci bene...

Sono poi rimasto appoggiato alla porta a lungo, fissando l'unica luce calda al centro dell'ingresso, con la mia immagine terrorizzata riflessa nello specchio a muro. Il silenzio era infranto solo dal tambureggiare della pioggia sulla ringhiera del terrazzino e lo sciabordio per le strade. Aveva iniziato a piovere a dirotto.

Ricordo di essermi fatto coraggio. Accese tutte le luci, ho fugato ogni buco, scaffale, scomparto e angolo della casa.

Ero solo.

Ho abbassato tutte le serrande, chiuso tutte le porte, acceso tutte le luci; infine mi sono barricai nella sala, buttando giù questi stessi appunti a matita su un foglio. Mi ricordo di essermi addormentato sullo stesso, sfinito...

Al mio risveglio, ho trovato la pagina bianca...

Le luci spente...

Le porte aperte!

Ho creduto per un solo istante di aver immaginato ogni cosa, di non essere mai uscito di casa... mi sarebbe piaciuto illudermi di ciò... ma la mia mano sinistra era sporca di graffite!

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 4
*** 5 Marzo ***


5 Marzo 2021,

 

 

Orme ovunque...

A riprova dei miei sospetti, ecco quelle orme! Ieri pioveva, e sul pavimento di casa mia sono rimaste le orme delle mie scarpe. Ma non solo le mie. Ve ne sono altre, OVUNQUE!

Sento quel dolore alla testa crescere, come se fosse l’urlo della mia anima che cerca di liberarsi dal gioco di uno spettro. È un dolore che non riesco a descrivere...

Al mio risveglio, sono come impazzito. In ogni singola camera, persino sul terrazzo, indicano il passaggio di qualcuno o qualcosa. È entrato – forse sarebbe più opportuno dire SONO entrati – in casa mia, ora ne ho la conferma. Quelle orme non appartengono alle mie scarpe. Sono molte, e diverse, dalle più piccole alle più grandi. Non indicano scarpe da tennis. Ho degli stivali scuri e, confrontando la suola, sembrano del tutto simili. Ma come possono essere di taglie diverse?

Preso dal panico, ho provato a scattare delle foto con il telefono: era scarico.

Il carica batterie è sparito… ma ho un attacco USB che può permettermi di collegarlo al computer. Qualsiasi cosa sia, vuole impedirmi a tutti i costi di divulgare le prove che sto trovando. Ma se hanno accesso alla casa… perché mi sento che non abbiano alcuna intenzione di farmi direttamente del male? Forse vogliono solo farmi impazzire… cosa ne ricavano? Cosa vogliono da me?

Mentre cercavo di riflettere, ho sentito un rumore provenire dall’androne delle scale. La porta blindata di casa era socchiusa. Fuori doveva esser già passata la donna delle pulizie... ma quante orme sul mio tappeto!

Sento formicolare la mano mentre scrivo, e mi prende un senso di disgusto.

La maniglia era viscosa, ma a causa di quale sostanza?

Sembrava quello stesso liquido che ho veduto la scorsa notte.

Ho avuto subito l’istinto di pulirlo via con un panno che ho poi gettato nella spazzatura. Ma ogni mio movimento mi ha portato ad altre scoperte sconcertanti: sul frigo ci sono dei segni di qualcosa che ha avuto accesso dalla finestra, anch’essa spalancata… pare si sia fatta largo strisciando. Ma dove è andata? Ho guardato la mia cucina con tetro orrore, al pensiero di vedere quell’Essere balzare da una delle credenze. Dove si nasconde?

Mi è impossibile capirlo, perché i segni si mescolano alle orme sul pavimento. La mia mente non può che correre a quel momento di ieri notte.

A quelle specie di chiocciole.

A quei tentacoli.

Era tutto reale, o semplice frutto della mia fantasia?

Non sono pazzo.

Non sono pazzo!

Chi le ha fatte entrare?

Chi li ha fatti entrare?

Perché le ha fatte entrare?

Cosa vogliono da me?

Non avrei dovuto seguire quella cosa per le vie del centro! Sia maledetta la mia curiosità!

Che dolore alla testa… mi sembra che stia per esplodere...

Tremo.

Ho provato a calmarmi con un po’ di buon whisky, ma non è servito a niente. Ma non potevo stare in casa col pensiero che vi fosse qualcosa, nascosta chissà dove, magari intenta a spiarmi. Sento camminare qualcosa dentro le pareti, sul soffitto… ma, quando mi volgo in quella direzione, non mi riesce di vedere niente. È solo la mia mente?

Ma per conto di chi?

Ho ripulito l’intera abitazione, fugando ogni minimo angolo.

Ho lavato via quelle orme.

Ho cambiato le lenzuola, e ho aperto tutta la casa per far uscire quel fetore.

Mi sembra ancora di averlo addosso!

Sul terrazzo ho incontrato lo sguardo del vicino: ha scosso il capo con disapprovazione, poi ha esclamato: “Non ci lascia dormire la notte. Ho già avvisato il capo condomino e le forze dell’ordine. Se non riesce a dormire, se ne vada a farsi una passeggiata, invece di camminare in casa con gli stivali. Lei... e i suoi amici! Se sento il minimo rumore, questa notte, chiamerò la polizia!”

Dopo un primo istante di angoscia, ho tirato un sospiro di sollievo, quando gli ho sentito dire quella frase. Mio angelo custode! Se arrivasse la polizia mentre ci sono quelle cose, tutti finalmente potrebbero credermi! Non dovrei più nascondermi, non dovrei impazzire da solo.

Siano lodati i vicini ficcanaso!

Scrivo nel frattempo che aspetto che il corridoio asciughi.

Come posso venire fuori da questa situazione?

Vogliono impedirmi di scrivere, questa è una certezza.

Vogliono che non si sappia niente della loro esistenza, ma troverò il modo di provarlo. Questa è già una valida testimonianza dell’accaduto.

Voi mi crederete?

Spero non arriverete a darmi del pazzo…

Queste cose esistono.

Dimorano nel nostro mondo.

Stanno programmando qualcosa…

Credetemi, vi prego!

 

La testa mi sta esplodendo, neanche il whisky riesce a stordirmi. Non voglio più pensarci, voglio solo poter riposare tranquillamente.

Mi sento sfinito…

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

Philipp Lloyd.

 

 

PS: Cosa succede?!

Passando nell’ingresso, per andare verso il bagno, il mio occhio è caduto nello specchio: le orme sono ancora lì! Capite? Riesco a vederle distintamente, ovunque, in tutto il riflesso della casa! Sconcertato, dopo un primo attimo di panico totale, ho fatto una prova anche nei due bagni: le orme non vanno via! Sono OVUNQUE!

Devo uscire da questa casa… devo andarmene…

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Capitolo 5
*** 6 Marzo ***


 

6 Marzo 2021,

 

 

Sono stato fuori tutta la notte. Ho errato, come un vagabondo, per le vie del centro.

Ho cercato quell’Essere ovunque.

Sono pazzo, per aver provato a fare qualcosa del genere.

Ma avevo bisogno di risposte, con le buone o con le cattive. Sono rimasto con un pugno di angoscia.

La città mi è sembrata differente: sono passato davanti a degli edifici che non ricordo, strade che non avevo neanche idea che esistessero. Quei cunicoli medievali, chiusi come tunnel antiatomici, erano zeppi di quadri di ogni sorta. Lo sfarfallio delle luci giallo ocra arrivava a conferire alle pennellate di scuro un moto: sembravano animati!

Se provo ad interrogarmi su quale fosse il soggetto di quei quadri, non riesco a ricordare niente di diverso dall’oscurità. Credo di essere rimasto imbambolato ad osservarli per ore. Non è passato nessuno, neanche una pattuglia.

Ho avuto l’impressione di essere l’unico uomo rimasto sulla terra.

Ho urlato, ad un certo punto. Ho gridato con tutto il fiato che avevo in corpo. Non ho sentito alcun riverbero, alcun suono.

Ero muto. La mia voce era come sparita, assorbita da quei quadri.

Non ho potuto fare a meno di pensare all’urlo di Munch. Sono quella stessa persona ritratta? Si può davvero rimanere intrappolati in un quadro?

Loro possono farlo. Possono realmente?

Niente riuscirebbe a sorprendermi più di quanto non riesca già questo orrore.

La mia realtà si sta sfaldato dentro ai miei stessi occhi.

Cosa è reale?

Cosa non lo è?

Io sono reale?

Mentre correvo per le vie del centro, mi sono chiesto se non fosse tutto frutto della mente. Mi sono chiesto se non fossi prigioniero di un qualche manicomio, con la mente libera di vagare nei meandri della follia, eppure pur sempre prigioniera di se stessa. Ma poi è subentrato il dolore, quello fisico. Quello mentale sembra avermi abbandonato.

Eppure non tremo.

Provo solo un perenne stato di angoscia.

 

Sono rientrato all’alba.

Ho incontrato il vicino che, con un ghigno orgoglioso, mi ha detto: Questa notte abbiamo dormito come bambini! Le minacce funzionano, vedo.”

Ho provato dentro di me l’istinto di saltargli alla gola e di morderlo, di strappargli il viso a furia di graffi, di fracassargli quella testa calva contro il corrimano delle scale e, in conclusione, di cavargli gli occhi con le chiavi!

Ho sentito qualcosa di innaturale agitarsi dentro di me, arrivando a farmi digrignare i denti come un belva famelica. Lo avrei divorato, se non fosse scappato giù per le scale, al contempo disgustato e intimidito.

Ho terrore di me stesso!

Cosa mi sta accadendo?

Cosa sto diventando?

Cosa sono questi pensieri atroci?

Sono entrato in casa con il cuore in gola.

Tutto era calmo, anche se dentro di me si agitava un mondo di panico. Il cuore mi batteva all’impazzata, tanto da aver creduto potesse esplodermi da un momento all’altro. Sarebbe stata una liberazione.

Ho buttato uno sguardo dentro lo specchio e, con mia sorpresa, non ho visto le orme! Tutto era tornato alla normalità, o così ho potuto credere per un po’.

È da qualche giorno che non mangio decentemente; ho messo a bollire l’acqua e, nel frattempo, ho acceso il PC per raccontarvi quanto sto scrivendo. Ma ho notato che avevo delle email: alcuni di voi mi hanno risposto, quasi divertiti dalla mia situazione, dal mio senso di orrore… credete che non sia reale? Credete sia solo una storia di fantasia?

Quanto vi sbagliate…

Voi non avete idea di cosa sia vivere la mia vita, scivolare nell’angoscia di non saper distinguere più la realtà dalla follia. Il mio volto è scavato dal terrore, le mie occhiaie portano i segni dell’insonnia; i miei occhi, perennemente sgranati, brillano di follia ad ogni minimo rumore.

Sento ancora zampettare nelle pareti, come se una moltitudine di piccole creature riempissero i muri. Non è l’acqua nelle tubature dei termosifoni. Non è il vicino che si diverte a torturarmi. È qualcosa. Qualcosa che ascolta quello che dico, che osserva tutto quello che faccio. Sa tutto.

Sono almeno felice del fatto che la mia storia non andrà perduta, se mi dovesse capitare qualcosa di spiacevole. VOI saprete. VOI sarete testimoni. VOI potrete leggere magari di me sul giornale, e riconoscermi. Sarò additato come un pazzo? Come un malato di mente?

VOI SARETE GLI UNICI A SAPERE!

Questa calma, questo silenzio così ricercato, ora mi stanno invece tediando nel profondo. Perché mi chiedo a cosa sia dovuta questa improvvisa assenza, questa tregua non pattuita.

È tutto un loro piano per farmi abbassare la guardia?

 

Disgusto!

Ho preso un pausa dalla scrittura, per buttare la pasta… non lo era affatto!

Vermi!

Vermi ovunque, grossi, scuri, urlanti: vermi sparsi nella mia cucina!

A contatto con l’acqua, hanno cominciato a guaire - GUAIRE COME CANI! - zampillando poi fuori come un liquido putrescente. Ho scagliato il pacco contro il muro, preso dal disgusto

Sono caduto a terra, fuori di me.

Sono rimasto inerme a guardare quei corpi invertebrati contorcesi, strisciare e saltare nella mia direzione.

Volevano cibarsi delle mie carni!

Non avevo neanche la forza di urlare tanto era il terrore.

Poi, il gatto è balzato fuori dal suo nascondiglio: ha cominciato a farne strage.

Si è avventato su di essi, feroce, divorandoli con tenacia.

Il suo pelo bianco e nero si è inzuppato di quel liquame brodoso contenuto dentro quei bossoli di tenebra putrida. I suoi baffi gocciolavano di morte. Il gatto dagli occhi così chiari da sembrare di avorio. Ha ripulito l’intera cucina, leccando via ogni residuo.

Mi sono alzato a fatica, mandando giù un conato di vomito.

L’acqua, che ancora bolliva, era diventata una pozza di catrame, fetida come la peggiore fogna. L’ho scaricata nel water, tirando lo sciacquone tre volte, per ripulirlo dai rimasugli.

Mi tremano ancora le mani, mentre scrivo.

Ho buttato tutto il cibo che ho in casa. Quelle cose striscianti devono averlo infettato! La busta della mondezza di muove. È VIVA!

Il gatto continua a sorvegliarla con un certo appetito. Il suo addome adesso è rigonfio, si agita quasi quanto la busta.

Ma solo ora, tornato al PC, mentre scrivo questi appunti e i morsi della fame mi tormentano le viscere, mi rendo conto di un dettaglio che mi era sfuggito sul mio salvatore…

Io non ho mai avuto un gatto!

 

Aggiornerò, se mi sarà ancora possibile.

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 6
*** 7 Marzo ***


 

7 Marzo 2021,

 

 

Non so da dove sia saltato fuori.

Forse è entrato in casa l’altro giorno, quando avevo le finestre aperte. Ma non ricordo nessuna impronta di gatto, tra le tante altre. Avevo controllato l’intera casa: mi sarei accorto se ci fosse stato un gatto. No?

Sono rimasto a guardarlo, lui seduto fiero dietro lo schermo del mio portatile, intento a fissarmi di rimando. Ha leccato i suoi baffi putridi di morte, dandosi una ripulita. È tornato poi a scrutarmi con quella sua falsa cecità. Ci vede benissimo, non ho dubbi: mi segue con lo sguardo.

Con il cuore in gola, ho provato ad accarezzarlo. Ha miagolato, gentile, come se volesse darmi il permesso. Ho avvertito il suo addome gonfiarsi al mio tocco, agitarsi come ad opera di una moltitudine di cose, quelle cose, pronte forse ad aprirgli lo stomaco per tornare in libertà.

Ho ritratto la mano, terrorizzato.

Ho deciso di chiamarlo Avorio.

La sua presenza mi inquieta. Ma se non fosse stato per lui, ora non potrei di certo scrivere questi appunti. Ho notato una cosa singolare: non perde il pelo.

Mi sono fatto forza e, dopo aver messo tre sacchi della spazzatura resistenti a nascondere la prima, ho deciso di buttarla nell’indifferenziato. Non posso nascondervi il mio stato di angoscia.

E se la busta dovesse aprirsi?

Quei vermi risalirebbero i muri, scivolando sotto le porte, per tornare in casa?

Già riesco ad immaginarmeli, viscidi e famelici, arrampicarsi sulle coperte del letto mentre dormo, e scivolarmi in bocca nel silenzio della notte. Li sentirei guaire solo una volta in fondo alla mia gola, o mentre fanno del mio volto tunnel per raggiungere il torsolo della mia anima: la sorte delle mele cadute troppo lontano dall’albero della sanità!

Rabbrividisco al solo pensiero!

Non sento più quel dolore alla testa.

Dovrei esserne felice, ma allo stesso tempo la cosa mi terrorizza.

Perché non lo percepisco più?

Forse era causato da quel mio stato di angoscia che sembra un po’ aver allentato i miei pensieri? No, non ho mai smesso di sentirmi a disagio. Avverto sempre una presenza. E non posso che continuare a guardare con sospetto Avorio. È il mio salvatore, ma finché non riuscirò a chiarire l’origine della sua comparsa, non potrò fare a meno di diffidare da lui.

Sono poi uscito per andare a comprare qualcosa da mangiare.

Ho preso una lettiera per il gatto – si è meritato un premio per avermi salvato la vita –, il giusto indispensabile per una cena e della birra per anestetizzare i miei sensi. Ho così deciso di passare la notte in casa, mentre scrivevo questi appunti. Avorio non mi ha lasciato un attimo da solo, dopo essersi gustato la scatoletta di aragosta e gamberetti che ho deciso di regalargli. Non ho avuto l’impressione che se la stesse gustando con lo stesso piacere di quando si è avventato su quelle cose.

Lo sento ronfare sul divano.

Quel suono riesce ad impedirmi di udire i passetti nelle pareti.

Ma da dove viene Avorio?

Questa domanda mi ha tormentato nel sonno.

 

Mi sono risvegliato con una sensazione di oppressione al petto, sudato. Avorio non ha battuto ciglio, neanche quando ho sobbalzato. Mi ha fissato con quei suoi occhi vuoti di luce, impastando con le zampette pelose sul mio petto. Ho sentito il suo fiato sul mio viso: non sapeva né di aragosta né di gamberetti: le sue fauci puzzavano di quegli esseri che aveva divorato, quel medesimo tanfo di morte e oblio.

Ha miagolato; ma, al contrario della razione che avrebbe qualsiasi essere umano a quel suono così dolce, ho sentito le mie dita dei piedi arricciarsi, un brivido percorrermi la schiena e la pelle d’oca. Il suo pelo mi ha poi dato la scossa, quando ho provato a levarmelo di dosso.

Mi sono svegliato con il sole non ancora alto: è una novità.

Mi sono sentito quasi riposato.

Ho vagato per la casa, cautamente, alla ricerca di qualcosa fuori posto. Tutto era in ordine.

Troppo in ordine, azzarderei.

Ho avuto il tempo di bere del caffè che sapeva di bruciato, andare a fare un po’ di spesa per questa giornata e di riflettere sul da farsi. Nessuna lettera di lamentele nella mia cassetta del condominio. Eppure, la gente mi guarda in modo strano, come se fossi una specie di alieno. A vedermi dall’esterno, forse mi eviterei a mia volta. Questa espressione stralunata non sembra volermi abbandonare.

Normalità?

Forse è stato davvero tutto un sogno, una mia proiezione. No. Il ricordo di aver visto quell’Essere nelle vie del centro è ancora così ben definito.

Erano reali quei vermi.

Erano reali quelle orme.

È reale anche Avorio.

Potrei andare a parlare con il vicino… chiedergli dei suoni che ha udito nei giorni precedenti.

Forse non è una buona idea.

Io non mi aprirei.

Finché dura questa calma, voglio dare vita ai miei ricordi. Tornare a quella notte di Settembre. Tornare a quei passi per le viuzze medievali. Ho promesso di raccontarlo, ma gli ultimi eventi mi hanno distolto dal mio intento.

Che fosse il loro obiettivo? Terrorizzarmi a tal punto da vincere il mio silenzio. Terrorizzarmi a tal punto da farmi scordare le mie intenzioni iniziali.

Ci sono riusciti, sino all’arrivo di Avorio.

Ma voglio tornare a raccontare la mia storia. Il mondo deve sapere cosa vive nelle tenebre. Voi meritate di sapere cosa ho vissuto, augurandovi di non trovarvi mai in situazioni simili.

Ma ora il mio fisico esige ulteriore riposo. La vista mi si annebbia e gli occhi mi bruciano a furia di stare davanti allo schermo. Risponderei alle vostre mail, ma a cosa servirebbe?

Sono stato troppo alla luce del sole, e non ero più abituato.

Mi piacerebbe sapere se sono l’unico ad aver vissuto queste esperienze…

Ora devo riposare. Sono stanco… tanto che mi si chiudono gli occhi mentre scrivo.

 

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 7
*** 8 Marzo ***


 

8 Marzo 2021,

 

 

Da quanto non mi capitava di dormire così a lungo, con questa stessa calma.

Mi sono svegliato molto presto. Avorio al mio fianco.

Comincio a pensare che sia una specie di guardiano. Come dicono nel film La Mummia. Tengono lontani gli spiriti e le creature maligne. Se il me stesso di qualche mese fa leggesse queste stesse parole, ne riderebbe. Vedere per credere, questo è sempre stato il mio motto.

Ora non la penso più allo stesso modo. Ora non vorrei più vedere quello che mi succede attorno. Vorrei poter chiudere gli occhi e riaprirli verso il mondo che conoscevo. Tutto mi appare così diverso: le luci sono più intense, l’oscurità sempre più tetra. Le giornate mi sembrano sempre avvolte da una specie di bruma, quasi la mia vita fosse sospesa all’interno di un sogno. Come se non fossi reale.

Ma quanto è reale quello che mi sta accadendo!

 

Ho svolto i miei soliti controlli di routine in casa: tutto in ordine.

Avorio è un gatto abbastanza attivo, rispetto ai suoi simili. Non mi perde un attimo di vista, mi si acciambella accanto, cerca spesso le mie attenzioni. Le sue fusa hanno migliorato la mia giornata. Questa tranquillità però mi pare così artefatta, così sinistra. Sono riuscito a guardare un film, sedendomi comodo sul divano. Ma per tutta la durata della pellicola non potuto fare a meno di ripensare agli ultimi eventi: era un film comico, ma non sono riuscito a ridere una sola volta.

Il mio cuore si è fermato, quando ho udito il suono raccapricciante del campanello. Deve essersi rotto, perché fa un rumore che pare essere venuto fuori dagli stessi inferi. Poi, proprio mentre pensavo quella frase, un altro pensiero ha lambito la mia mente: le cose dentro i muri. Sono loro a disturbare il segnale?!

È una di quelle cose viscide ad emette quel suono?

Vorrei controllare, ma non ho abbastanza coraggio per farlo.

È una loro trappola.

Il campanello ha continuato a suonare.

Avorio si è allora alzato, ha fatto un giro su se stesso, si è stiracchiato, ed è andato davanti alla porta. Aveva la stessa espressione del giorno in cui è comparso. Si è fermato in una posizione di attesa, ma che non gli impedisse di scattare al momento giusto.

Ancora uno di quei lamenti del campanello.

Mi sono deciso a guardare dallo spioncino: nessuno.

Allora ho preso in mano la cornetta del citofono.

Ho chiesto, dopo un lungo istante, chi è?

Nessuna risposta.

Chi è? Ho chiesto di nuovo, più forte.

Il suono del campanello mi ha fatto sobbalzare. La cornetta mi è sfuggita ed è andata in mille pezzi contro il muro.

Avorio è rimasto impassibile.

Io stavo morendo dentro.

Ho preso coraggio e, alla fine, mi sono deciso ad aprire la porta blindata.

Nessuno.

Avorio è uscito fuori, ha annusato il tappeto ancora imbrattato (quelle orme sono rimaste!) e si è avvicinato alla tromba delle scale.

Il vicino è uscito in quello stesso momento.

Che bel gatto!” ha esclamato, chinandosi ad accarezzarlo. Avorio gli ha ferito la mano con una feroce artigliata, soffiando furioso.

“Bestiaccia! Tale padrone...” ha urlato il vicino, prima di barricarsi di nuovo dietro la porta di casa, probabilmente per medicarsi. Si era lasciato dietro una scia di sangue. Gli artigli avevano percorso buona parte del suo avambraccio e della mano.

Poi, nel mio totale disgusto, Avorio ha iniziato a gustarsi il sangue rimasto sulla sua zampa e quello gocciolato sul pavimento. Solo il suono tempestoso del campanello, infine, è riuscito a distogliermi da quella scena raccapricciante.

Ho bloccato la porta, poi mi sono precipitato giù al portone.

Una consegna.

Urgente.

Non era il postino.

Era un ragazzino sui dodici anni.

Mi ha chiesto se sono Philipp Llyod. Ci è andato vicino. Penso di esser sbiancato.

Un altro ragazzino lo ha pagato affinché effettuasse questa consegna, a tutti i costi.

È corso via subito dopo.

 

Ho posato sul tavolo il pacchetto che mi è stato consegnato. Lo sto osservando in questo momento. La scatola è di Amazon.

Non c’è indirizzo.

Avorio lo sta annusando.

Ci sono dei piccoli forellini sul dorso.

Avorio ci si sta strusciando contro, infilando gli artigli in quei piccoli buchi.

Cosa contiene?

Come fanno a sapere dove abito?

Sono quegli Esseri?

Ora che lo sto annusando, ha un pessimo odore.

Quando ho avuto la pessima idea di scuoterlo, ho sentito qualcosa muoversi all’interno.

Non posso aprilo!

Non posso!

Non voglio!

Siete stati VOI?

È un VOSTRO SCHERZO?

Ho letto le vostre mail di scherno…

Ditemi che lo avete inviato VOI!

Perché, se non siete stati voi…

Sono state quelle COSE…

Avorio ha martoriato il pacco, arrivando a buttarlo giù dal tavolo. Ho temuto che finisse per aprirsi.

Preso dall’angoscia, ho deciso di avvolgerlo dentro una busta, dentro una valigia ed infine di chiuderlo dentro lo stanzino. Ho tappato con dei panni i buchi sotto la porta, riempito di cotone la toppa della serratura.

Non mi sento sicuro a stare dentro casa…

So che può sembrare un’assurdità.

Ho bisogno di uscire: mi manca l’ossigeno.

Aspetterò una vostra risposta, quella del responsabile del pessimo scherzo, e solo allora troverò il coraggio di aprire quel maledetto pacco.

 

 

Aggiornerò, se troverò il coraggio di tornare in questa casa.

Vi odio… voi che vi prendete gioco di me!

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 8
*** 9 Marzo ***


9 Marzo 2021,

 

 

Ho vagabondato per tutta la tutta la notte. Mi hanno inseguito!

Ero così preso dal panico che sono uscito di casa senza prendere il telefono.

È stata una notte solitaria, in tempesta. Non avevo né ombrello né cappuccio. Mi sono ritrovato a nascondermi sotto le tettoie delle fermate degli autobus, muovendomi ogni volta che avvistavo una macchina. Senza musica nelle orecchie, ho potuto sentire ogni cosa attorno a me, deliziato dai riverberi della pioggia e dei tuoni.

Avete mai prestato attenzione alla notte?

Ai suoi suoni?

Alle sue sinistre cantilene?

Questo, perlomeno, sino all’arrivo del mio inseguitore!

Non so neanche io quante volte sono scivolato sul marciapiede bagnato, rischiando addirittura di finire sotto una macchina. A dire la verità, ci sono finito con le gambe, sotto l’auto ferma al semaforo; sono riuscito a tirarle via giusto un istante prima di vedermele schiacciate dalle sue ruote.

Quella cosa mi ha seguito.

No, mi ha inseguito!

Ho corso per tutta la città, fradicio dalla punta del naso sin dentro l’anima. Potevo vederla sgusciare nei vicoli, avvolta in quella specie di mantella, o cappotto scuro che sia. Lo stesso che suppongo di aver visto fuori da casa mia. Sa dove abito, su questo non ho più dubbi!

Credevo di non poter tornare a casa, ma non mi rimanevano altre possibilità.

Le sono sfuggito per tutta la notte e, alle prime uggiose luci del giorno, ho deciso di farvi ritorno. Ho aspettato che i negozi fossero aperti, che ci fossero dei testimoni per le strade, prima di rientrare. Quella cosa ha smesso di seguirmi da quando è comparso il sole.

Cosa vuole da me?

 

Come ho aperto la porta blindata, ho sentito un odore strano. Riempiva tutta la casa.

Mi sono guardato attorno, con aria circospetta, sinché Avorio non è comparso dal nulla, facendomi perdere dieci anni di vita. Ha miagolato, affamato, prima di strusciarsi sulla mia gamba.

L’ho ignorato, deciso a fiondarmi sul portatile, ma il mio occhio è andato alla porta dello stanzino.

Era aperta!

Ho guardato Avorio pieno di terrore.

Come?

Chi è stato? Chi è entrato? Ho chiesto ad Avorio.

Non ha saputo rispondermi che con un miagolio imbronciato, andando a farsi le unghie sul divano. Sarà pure un gatto guardiano, ma rimane pur sempre un gatto: stronzo sin dentro l’anima. Ma poco mi importava e mi importa del divano, che lo faccia pure a brandelli se riesce a tenere quelle cose lontane da me!

Mi sono armato del bastone della scopa.

C’è nessuno? Vieni fuori! Ho sussurrato, sinché la mia voce non è cresciuta sino a traformasi in un grido.

Nessuna risposta. Per fortuna…

Ho fatto un giro della casa, tenendo lo stanzino per ultimo, senza mai dargli le spalle.

Avorio ha continuato a fissarmi con rabbia. Ho temuto potesse avventarsi sulla mia gamba, tant affamato. Dopo avergli visto fare a pezzi quelle cose, non credo avrebbe problemi ad avere la meglio su di me. I suoi artigli sembrano rasoi.

Niente: la casa era pulita.

Mi sono fatto coraggio, utilizzando l’asse da stiro come scudo. Lo stanzino era aperto e, dentro, la valigia era stata squarciata, quasi qualcosa ne fosse uscita dall’interno!

Ma come aveva aperto la porta?

La mia mente si è tuffata in mille pensieri diversi: un nano, una creatura umanoide?

Qualcosa non mi tornava.

L’odore veniva da quella valigia.

L’ho colpita.

Qualcosa si è mosso all’interno.

L’ho colpita di nuovo.

Niente.

Ho spintonato la valigia sino al terrazzo e l’ho chiusa fuori. Avrei potuto farlo anche ieri. Rientrare da lì sarebbe stato più difficile… forse.

Mi sono seduto al PC.

Ho letto le vostre mail.

Mi credete ancora un personaggio di fantasia… qualcuno mi ha invitato ad aprire il pacco: credo sia troppo tardi. Non siete stati voi, perlomeno, e questo mi consola. Che sia stata la cosa che mi ha inseguito questa notte?

Ho deciso di non rispondere a chi mi crede un personaggio di fantasia. Continuate pure a credermi tale… perché? C’è uno, tra voi, che continua ad augurarmi il buongiorno, a fare il tifo per Avorio. Sembra che lui sia divertito dalla mia situazione…

Avorio mi sta assordando: continua a miagolare. Sempre più forte. Sembra il lamento di una Banshee! Più tardi uscirò a prendere qualcosa da mangiare.

Ho deciso di guardare dentro quel pacco.

 

Ho tirando fuori un coraggio che non credevo di avere: mi sono sbrigato ad aprire la valigia; la busta era stata distrutta e il pacco devastato!

Un libricino con una copertina in pelle, esalante un odore putrido, era contenuta al suo interno; ma non solo, ed ecco spiegato quel rumore: dei dadi con delle strane rune. Non sembrano fatti di plastica. Non ho avuto il coraggio di toccarli.

Ho quasi cercato spiegazioni in Avorio che, dopo avermi fissato con rabbia, ha ripreso a miagolare. Andrò a prendergli qualcosa da mangiare, dopo essermi fatto una doccia. E questo pensiero mi ha fatto interrogare su come sia possibile che, dopo tutta una notte sotto al pioggia, al freddo, io non abbia neanche un raffreddore. Non mi sento infreddolito.

Sono ancora umano?

Tutti questi pensieri danno vita a congetture che preferirei non continuare a nutrire.

Quel libricino è vecchio, o lo sembra. È viscido al tocco. Le pagine sembrano incollate, e ho fatto un po’ di fatica per dividerle.

Ho tremato.

Una scritta tanto rossa e rappresa da sembrare sangue coagulato.

Lo è?

Quella scritta, in corsivo, immortala la prima pagina e forse anche la mia condanna:

Il diario di Philipp Lloyd.”

Ho gettato il diario dentro la valigia.

L’ho richiusa.

Non ho avuto il coraggio di andare avanti.

È uno scherzo?

Il diario sembra vecchio. Molto vecchio.

Come la borsa di quella cosa, a Settembre, nelle vie del centro. È simile a quello stesso libro che ho potuto vedere quella notte. Me ne rendo conto solo adesso: hanno lo stesso fetido odore!

Restano ancora troppe domande senza una risposta: chi ha aperto la porta? Cosa è uscito da questa valigia?

Avorio miagola!

È tempo che vada…

 

 

Aggiornerò, appena mi sarà possibile.

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 9
*** 10 Marzo ***


10 Marzo 2021,

 

 

Nonostante i molti pensieri, è stata una notte tranquilla.

Non posso nascondere il senso di inquietudine che provo al pensiero di questo diario. Sembra antico. Molto antico. Al tocco mi restituisce la sensazione di un oggetto che sia stato immerso nella bile di una creatura immonda. È viscido in copertina, appiccicoso sul dorso. Le pagine sono ingiallite e unite da una sostanza collosa che non riesco – e non voglio – identificare; occorre una certa premura per evitare di farle sfaldare. Esala, come vi avrò forse già detto, un fetore terribile. Ho provato a pulire via lo sporco, ma ho subito smesso quando mi sono accorto di starlo danneggiando.

Ho sfamato Avorio. È tornato mansueto e affettuoso, ma sembra nutrire un certo interesse in questo libro. Ho come l’impressione che possa essergli familiare. È un caso che sia arrivato prima Avorio e poi questo diario?

A giudicare dal titolo, è il MIO diario.

No. Questo è il diario di Philipp.

Io non sono Philipp: è solo un nome che ho preso in prestito.

Può essere una coincidenza?

Sarebbe folle crederlo, in questo caso.

È troppo vecchio per essere un vostro scherzo, a meno che qualcuno tra voi non sia un vero artista. Riuscire ad invecchiare la carta, dare certe pieghe agli angoli delle pagine. C’è dello sporco che pare essersi accumulato in decenni, se non forse centinaia di anni. La cosa che legge questo mio diario online. O forse è solo una mia impressione. Ma se mi è stato consegnato, forse è perché vuole che sia divulgato.

Ho aspettato il giorno per rimettermi a leggerlo, perché ho paura di quale effetto possa mai avere sulla notte il contenuto di questa confessione manoscritta.

È scritto in italiano, con una bella calligrafia in corsivo. Non sono un esperto, ma ritengo abbia preso tutto il tempo a sua disposizione per trascriverlo. Non ci sono sbavature o errori, come invece vi sarà capitato di trovarne nei miei resoconti… scrivo troppo in fretta, e non trovo mai il tempo di tornare indietro a correggere. Sono sempre di corsa… spero mi capirete. Gli errori non danneggiano il contenuto del mio racconto… forse lo rendono più reale, veritiero. Ma sto divagando...

Scritto in un italiano comprensibile, questo diario non può essere troppo vecchio. Non trovate?

Ho deciso di condividerne un passo con voi e con la persona, o la cosa, che suppongo stia leggendo questi miei resoconti giornalieri.

Ho trascritto tutto, dopo un certo attimo di sconcerto.

Non riesco a credere che stia capitando a me.

Tra parentesi, troverete alcuni miei commenti al testo.

 

 

13 Settembre 1937 (Quello stesso giorno. 13 Settembre...)

 

Durante il viaggio in nave, trascorso rinchiuso all’interno della mia cabina, ho avuto molto su cui riflettere.

Una sola volta, ed una soltanto – lo posso giurare –, ho trovato il coraggio di presentarmi sul ponte, per sfidare a viso aperto l’orrore che dominava i miei sogni. L’Uomo Ombra (Che sia lo stesso che mi segue la notte?) mi ha perseguitato sino ai confini della follia. Era una notte di burrasca, ma con un cielo terso (Difficile da credere, ma capisco cosa vuol dire); la luna scintillava nel buio della notte come un ghigno affilato di sangue, le stelle come una miriade di occhi ardenti di follia… ero deciso a togliermi la vita, quando i mari si sono aperti ed Egli si è annunciato. Si è stagliato come una montagna più oscura della tenebra stessa, aprendo le acque ed il cielo, arrivando a far sembrare l’oscurità luce, messa a confronto con la propria essenza.

Credevo di non poter più vivere con questo fardello.

Era lo stesso motivo che mi aveva spinto ad abbandonare Providence, lasciando indietro i miei ricordi e il mio passato… perlomeno, mi ero convinto di potervi riuscire. Ma, ahimè, non ci è concesso di sfuggire a noi stessi. Non potevo separarmi dai miei pensieri, dai miei inquieti sogni. Dalle mie visioni. Quando realtà e fantasia divengono una cosa sola, non ci resta che accettare la pazzia, così mi disse il mio dottore, prima dei fatti che mi avrebbero convinto ad imbarcarmi per l’Inghilterra.

Ma la mia morte non avrebbe che regalato a quell’essere un altro discepolo. Ho risparmiato la mia vita per fargli un dispetto. È questa la verità.

Il mio nome è Philipp Lloyd. (Il vero?)

Ho vissuto in America per trenta lunghi anni, tutta la mia vita, ma sono stato costretto ad abbandonarla. Ho dovuto allontanarmi da quei luoghi di perdizioni, da quelle colline cangianti, pulsanti di tormento e dannazione. Ho iniziato a scrivere questo diario nel frattempo che attendo la corriera che mi condurrà dalla Francia in Italia, nella piena volontà di lasciare una testimonianza della mia vita.

Che vogliate prendermi per pazzo, o meno: questa è la mia realtà, ormai. (Quanto siamo simili.)

Ho perduto i miei tre figli.

Ho perduto mia moglie.

Da quel venerdì ho perduto tutto, anche me stesso.

L’Uomo Ombra ha preso tutto quello che avevo.

Ha lasciato me per ultimo. (Ho questa stessa sensazione.)

Voleva che vedessi.

Voleva che sapessi:

Essi vivono.

Essi odono.

Essi dimorano.

Mentre noi uomini non siamo che semplici passeggeri della vita su questa Terra, essi esistono da sempre.

Ogni volta che ritorno a quegli episodi di Providence, la mia testa perde lucidità, ma ora che migliaia di miglia mi distanziano da quegli esseri, riesco a non cadere subito preda del panico.

Questi dadi runici mi aiutano, così come mi aveva promesso Zhùt lo Sciamano, un Indiano d’America dagli occhi così chiari da illudermi del fatto che fosse cieco.

Ci vedeva benissimo, il pellerossa: quello sguardo poteva fendere ogni realtà, diceva. Vedere cose che sono andate perdute. Vedere i morti. Non gli ho mai creduto, perlomeno sin quando non presi la decisione di imbarcarmi. Questi dadi hanno qualche sorta di potere; e anche se così non fosse, mi piace crederlo. Mi aiuta ad andare avanti in questa storia. Mi aiuta a dormire, anche se i miei sogni sono una continua discesa all’inferno. Non sono mai stato troppo religioso, ma se Dio esiste, ha abbandonato la mia anima alla volontà del Diavolo!

La corriera è arrivata.

(Aggiunto in uno stile più frettoloso, seguono delle parole scritte in piccolo.)

Le date non corrispondono alla realtà.

 

 

Ho guardato quei dadi in modo differente, ma provo troppo disgusto per tenermeli vicino.

Philipp, con le sue parole, mi ricorda la mia stessa situazione. Vi state forse chiedendo se sono andato avanti con la lettura…

Sì.

Ho letto qualche pagina, ma mi sono fermato.

Leggere è come scivolare nel suo orrore. Racconta dei suoi sogni, ed è come riviverli in prima persona. Mi auguro di non ritrovarmi in quegli stessi incubi, questa notte. Sarebbe un colpo che la mia mente non sarebbe in grado di reggere.

Ho impiegato più tempo del solito a scrivere questo resoconto.

Sento miagolare fuori dalla porta.

Non ricordo neanche quando mi sono chiuso nella mia stanza per scrivere.

Avorio deve avere di nuovo fame. Così tanta fame…

 

Vi aggiornerò domani,

 

Philipp Lloyd

 

 

PS:

La porta della mia camera si è aperta da sola, proprio subito dopo che ho inviato questo resoconto!

La maniglia, abbassata, ha emesso un suono secco, come se un grosso peso vi fosse appena caduto sopra.

Sono rimasto ad osservarla, impotente, aprirsi dall’oscurità del corridoio verso l’interno della mia stanza, rischiata a malapena dalla lampada a luce calda sulla scrivania.

Ho visto poi una sagoma bianca e nera avvolta alla maniglia.

Ho sussultato dal panico.

Avorio ha miagolato con rabbia, balzando poi a terra.

Quante maledizioni nelle lingue conosciute e sconosciute ho lanciato su questo gatto?

Ho tirato un sospiro di sollievo…

Vado a dargli da mangiare, prima di diventare la sua prossima preda!

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Capitolo 10
*** 11 Marzo ***


11 Marzo 2021,

 

 

Sapevo che sarebbe accaduto: ho sognato di essere su quella maledetta nave!

Ho potuto scorgere con questi occhi quella luna famelica, quelle stelle stregate, quella montagna d’ombra capace di dividere il mare e il cielo… quale sinistra e nefasta presenza!

L’Uomo Ombra. Ho un nome, perlomeno.

Ma questa entità, questo Essere… sembra differenziarsi di molto da ciò che segue le mie tracce. Ancora non ho capito chi mi ha consegnato questo diario.

È un amico?

Oppure si tratta di un avvertimento.

Potrei scoprirlo, se solo avessi il coraggio di andare alla fine del suo racconto.

Devo confessarvelo, ormai vi sento vicini come degli amici; quindi mi sento di potervi rivelare tutto del mio modo di pensare, dei miei timori. State condividendo con me questo viaggio di soffocante incertezza. Ve ne sono grato, in un certo qual modo.

Ogni tanto, mentre scrivo, mi capita di domandarmi se la notte, prima che alcuni di voi vadano a dormire, magari non si rigirino nel letto chiedendosi se vi saranno mie notizie, il giorno seguente. Chissà se il mio ricordo è diventato per voi un motivo per svegliarsi la mattina e, con il cuore in gola, spingervi a controllare se ho lasciato una mia ultima lettera d’addio. Oppure se, dopo giorni di assenza… rimasti senza più notizie, qualcuno di voi serberebbe ancora il mio ricordo? Ma per i più di voi, questa è solo una storia… un racconto dell’orrore su un sito online. Io… nient’altro che un personaggio di fantasia. Mi sento un po’ come Adam Kadmon. Qualcuno di voi lo ricorda?

Tante idiozie fantasiose e molte risate. Nessun vero mistero.

Sono forse diventato a mia volta un fenomeno da baraccone?

Mi detesto per questi pensieri. Non so neanche perché sto continuando a scriverli su questa pagina. Non è questo che v’importa, giusto? Non la mia umanità, non la mia realtà; importa solo la storia che mi affligge. Volete semplicemente vedere come andrà a finire… e allora vi chiedo scusa per questa mia volgare interruzione.

Mi sembra di star iniziando a scrivere come il vero Philipp.

Quello che volevo confidarvi, prima di tutto questo mio inutile vaneggio, è il mio timore di leggere le ultime parole del vero Lloyd. E se non fosse riuscito a farcela? Saperlo mi trascinerebbe nell’angoscia. Non avrei la forza di andare avanti. Lui, da quel che leggo, sembra aver avuto un grande coraggio nell’affrontare questa mia medesima situazione.

Questo diario è il suo lascito.

Questa notte, quella nave era così reale, quasi fosse ancora ferma nel cuore dell’Atlantico. Ferma da novanta lunghi anni di salsedine, tempeste e onde. Le pareti dei corridoi erano marce, i letti ammuffiti, le luci scintillanti come coralli delle profondità di mondi ancora sconosciuti. Il colore verde predominava su ogni altro. Ero solo. Ma era come se potessi avvertire un costante flusso di ancestrali presenze ed entità scorrermi attraverso.

Non sono riuscito, così come si è descritto Philipp nei capitoli seguenti, a fronteggiare quella montagna di tenebra. Alla vista della sua mole, ho avuto l’istinto di prostrarmi, di invocarne il perdono e la grazia. Ma davanti a quell’ordine non pronunciato d’inchinarmi al suo cospetto, ho preferito fuggire via, lungo l’intricato labirinto di corridoi della nave.

Ho eluso con disperazione i passeggeri fluttuanti del mezzo, costringendomi a tenere gli occhi chiusi per sfuggire alla vista delle loro pelli glabre e le pupille di forma spiroidale, multicolori – quasi fossero galassie. Ho temuto di rimanervi intrappolato. I loro versi agghiaccianti, non diversi da un lamento gorgogliante, mi hanno rimandando al suono stridente di una radio che intercetta un segnale confuso.

La mia corsa si è conclusa nella sala motori.

Nessuna via di fuga!

La nave era posseduta da un canto macabro.

Poi, ho avvertito un un fischio improvviso nelle orecchie: la pareti attorno a me hanno cominciato a deformarsi, sputando fuori ingranaggi, bulloni, tubature, vapori! Infine, il comparto stagno si è piegato verso l’esterno della nave, producendo un agghiacciante stridio di lamiere. Ma il mare era inconsistente, solido.

Artigli di tenebra si sono poi fatti largo attraverso la breccia… ansiosi di ghermire la mia anima!

 

Mi sono stretto Avorio al petto, baciandogli il muso peloso, ancora caldo del mio corpo, quando il dolore provocato dai suoi artigli, infilzati nel mio torace, è riuscito a riportarmi alla realtà. Ero in un bagno di sudore.

 

Tolto quest’incubo, la mia giornata è trascorsa tranquillamente. Ho letto un po’, questa volta dedicandomi ad una lettura di Goethe; immaginare una vita normale, in un contesto semplice, alle volte è appagante. Nonostante il piacere della lettura, ad ogni cambio di pagina i miei occhi tornavano al Diario di Philipp. Ora riesco a capire il senso di fascino che può esercitare su di voi la mia storia. L’orrore vissuto dagli altri può essere per noi una fonte di piacere.

Ho scoperto l’origine di quei dadi, proseguendo nelle vicende narrate dal vero Lloyd. Vorrei avere almeno metà del suo coraggio, della sua intraprendenza. Certo, è stata la disperazione a costringerlo lontano da casa, a convincerlo a ribellarsi alla propria sorte, all’Uomo Ombra. Ma ha avuto del fegato.

Cosa avreste da dire, invece, sul mio conto?

Sono un codardo, nascosto dentro casa, che cerca di venire a capo di questa situazione.

Ora che sono a conoscenza dell’origine di queste rune, provo ancora più disgusto nel saperle in casa mia. Sei rune diverse per ciascuno dei due quadrati; quattro per il dado a forma di piramide.

Sedici rune.

Non conosco ancora il loro significato.

Ho provato a cercale online, ma non ho trovato niente di simile.

Philipp non ha ancora spiegato a cosa servono. Quali sono i loro poteri?

Dovessi scoprirlo, sono indeciso se rendervi partecipi della cosa: non vorrei star facendo il loro gioco. Forse mi hanno consegnato questo diario per tradurre gli appunti di Lloyd.

Sono solo mie congetture?

Come possiamo comunicare, senza che loro sappiano?

 

Forse ho un’idea.

Vale la pena di provare. È l’unico modo che conosco per rendere le nostre conversazioni almeno parzialmente segrete. Sarete come Avorio: in apparenza ciechi, bianchi, ma capaci di vedere tutto nell’oscuro. Dovrete solo imparare a evidenziarlo, proprio come me:

Scriverò in piccolo, non ho altra possibilità. Occuperò questi piccoli spazi vuoti per raccontarvi quello che non voglio che quegli esseri sappiano. Avrei dovuto pensare a questa soluzione sin dall’inizio. Dovessi scoprire l’origine di quei simboli, ve li mostrerò: sotto inserirò le loro specifiche. Vi prego, se siete riusciti a leggere questo mio messaggio, scrivetemi che “non credete alla mia storia”. P. L.

Ho ancora molto da leggere.

Questi giorni di pace mi sembrano sogni sospesi dall’incubo,

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

Un abbraccio, (si fa per ridere)

Il vostro Philipp Lloyd,

 

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Capitolo 11
*** 12 Marzo ***


12 Marzo 2021,

 

 

Indizi ovunque, amici miei, messaggi segreti: non ho pensato ad altro per tutta la notte. Ho riempito gli spazi vuoti con i miei pensieri. È stato strano.

Mi sono risvegliato con in testa il lamento di un bambino!

Era Avorio!

Questo gatto si diverte a traumatizzarmi. Ho riso della mia paranoia.

È un buon segno? Spero di sì.

È stato un piacere leggere le vostre risposte al mio ultimo messaggio. Non mi credete, e va bene così. */

*/ Siete pochi, amici miei; ma il mio messaggio vi è arrivato! Questo mi rincuora. Quegli esseri non devono averlo scoperto. Sapervi tanto scaltri mi riscalda il cuore. Non voglio abusare di questo mezzo segreto. Ogni volta che inserirò un messaggio negli spazi vuoti, sarà preceduto sempre da questi due simboli: */

Sto riuscendo a tornare a dei ritmi normali. Le mie occhiaie sono meno marcate, il mio appetito regolare. È strano, devo confessarvelo, come la normalità possa instillare in noi il dubbio su quegli orrori così profondi che m’impedivano di stare in questa casa. È come se tutto fosse improvvisamente assurdo. Non riesco a provare angoscia per le orme sui pavimenti, per quelle viscide creature, o per qualsiasi altra bizzarria accadutami e di cui vi ho raccontato in questi ultimi dieci giorni.

Non è strano?

È come se mi sentissi diverso.

Meno folle.

Oserei dire scettico.

Che sia merito di questi Dadi?

Nonostante il risveglio da infarto, mi sono alzato di buon umore. Non accadeva da non so più quanto tempo. Mentre sorseggiavo un caffè e scrutavo il giorno, non provando troppo fastidio nella flebile luce dell’alba, ho deciso che avrei finalmente iniziato a raccontare gli episodi di Settembre. Troppo a lungo vi ho tenuti sulle spine, troppe questioni hanno finito per distogliere la mia mente dal mio reale intento. Philipp Lloyd mi ha aiutato a ritrovare la strada e, così come anche lui sostiene: “Ho bisogno di raccontare la mia storia, perché i ricordi sono un bagaglio facile da smarrire sul treno della vita, perlomeno su quello lanciato a tutta velocità sui binari della follia.”

Vorrei premurarmi anche di tenervi al passo con il suo Diario: è arrivato in Italia, sostenendo di avvertire l’imminente scoppio di una Seconda Grande Guerra. Descrive i soldati alle frontiere come esseri privi di volontà, nei loro occhi scorge un bagliore tetro. In un passo, recita: ‘Ho abbandonato l’America, sapendola contaminata. Mi sono illuso del fatto che, avvicinandomi alla terra dei servitori di Dio, il potere dell’Uomo Ombra su di me potesse affievolirsi. Non è così, ahimè. Questa Italia, questa Europa... questo mondo è gravido. Presto le tenebre verranno partorite dal suo ventre pulsante; nessun cesareo: la prole si farà largo tra le carni a furia di artigliate, di morsi e di incubi. Verrà il fuoco, poi una grande luce che servirà al solo scopo di ottenebrarci l’anima.’

Ha previsto come si sarebbe conclusa la guerra, secondo voi?

Io ho un’altra opinione... Ma sono sicuro che pochi la capirebbero davvero! */

 

*/ Philipp non ha previsto il termine della Seconda Guerra Mondiale. Credo alludesse ad una cecità dell’umanità nei confronti di questo male. La guerra deve aver solo contribuito a facilitarne il passaggio verso la nostra realtà. Forse, ed è solo una mia ipotesi, quella bomba ha risvegliato qualcosa che dormiva negli Abissi d’Ombra.

 

Tornando a Settembre…

 

 

L’alcol e una buona dose del mio scetticismo, quello che sta tornando in questi giorni, mi avevano convinto a seguire le tracce di quell’ombra che si aggirava per le viuzze storiche della città. I suoi passi sul ciottolato di un centro improvvisamente svuotato, come lo scalpitio di un cavallo, mi avevano condotto attraverso una serpentina di viuzze gradualmente più anguste.

Le luci erano andate man mano facendosi meno presenti, sino a calarmi nella totale oscurità. Conosciamo delle nostre città molto meno di quanto invero sappiano i muri, o i vecchi a quali nessuno presta più ascolto; i borghi più antichi ospitano cunicoli che attraversano interi centri abitati, sprofondando a decine di metri nel ventre della terra.

Con il cuore in gola, ho deciso di seguire il fetore di quell’ombra giù per una scalinata composta di sampietrini. Era scivolosa, ma applicandomi con tutta l’accortezza conferitami da qualche birra di troppo, riuscii a non spezzarmi l’osso del collo. Un vero miracolo. Ho voluto sottolineare il fatto che fosse l’odore a guidarmi: sapevo che mi sarebbe stato impossibile rimanere abbastanza vicino a quella sagoma, al buio.

Ero certo mi avrebbe trascinato nell’ombra. Non potevo ancora sapere quanto...

Non mi avrebbe svuotato le tasche, di questo ero certo sin dall’inizio. Certe cose le senti nel profondo nell’anima; e, se solo io avessi prestato ascolto alla mia, quella notte, forse avrei percepito il suo desiderio di tenersi lontano dal loro tocco maledetto. Una volta connessi… non possiamo più liberarcene.

È tornato! È tornato quel dolore alla testa…

Avanzando a tentoni, muovendomi al tempo di quello scalpitio, affrontai il sinistro viaggio nell’oscurità. Ho creduto di essere una specie di Ninja. Silenzioso. Accurato. Invisibile. L’alcol aveva alterato la mia percezione, illudendomi di grandi abilità.

A questo ricordo mi sono alzato per versarmi un bicchiere.

Avorio ha miagolato con tono d’accusa, scattando davanti alla bottigliera. Ha vocalizzato altri lamenti ogni volta che, ridendo, ho fatto per afferrare la bottiglia di whisky. Che reazione assurda… Ho desistito, anche se questo dolore non sembra volermi abbandonare. Ma devo continuare a scrivere...

Alcuni definirebbero quelle vecchie gallerie dei rifugi antiaerei. Ma se sentiste l’odore di chiuso, il viscido sulle pareti, l’eco di un mare che non può esistere dall’altra parte del ciottolato, posso assicurarvi che avreste la sensazione di trovarvi in un’altra dimensione.

Ma ci stiamo pur sempre basando sull’esperienza di un ubriaco… quanto è affidabile questa mia testimonianza? Io stesso riesco a mettermi in dubbio.

Mi tornano alla mente degli odori singolari: zolfo, catrame, muffa… e quella specie di fetore di palude. No, non era la fogna cittadina.

Era un odore sconosciuto.

Ma… lo sento anche adesso che scrivo…

Sta cambiando…

È come se fosse… non è possibile... Profumo?

Il cunicolo si aprì infine sulla vista del ponte, sempre alquanto trafficato. Un sentiero in terra battuta, viscido, conduceva alla sua base. Lo scalpitio non riempiva più la notte. Ma quel manto di tenebra non aveva smesso di lasciarsi dietro il suo fetore, frattanto che scivolava più rapido verso il suo nascondiglio.

Gli andai dietro.

I miei ricordi… sono confusi…

Se ripenso al cielo, continuo a vedere quella luna famelica descritta da Philipp nel suo Diario. Le stelle come una moltitudine di occhi sgranati sulla mia inerme figura. Hanno fame della mia anima…

Il dolore alla testa è insopportabile… */

 

*/ La realtà si confonde. Non avevo mai menzionato quel cielo, prima di oggi. Cosa mi succede? Ogni volta che torno indietro a Settembre, la mia mente è come se cercasse di cancellare i ricordi. Sento un dolore al petto. Stanno tornando… impazzirò di nuovo?

 

Devo smettere di scrivere…

Avorio è appena balzato sulla tastiera. Due dadi tra le fauci.

Li ha lasciati cadere sul portatile.

Un teschio, o così pare.

Un occhio, o così pare.

Un brivido ha iniziato a corrermi lungo la schiena.

Sento freddo.

Ho bisogno di uscire…

 

 

Aggiornerò…

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 12
*** 13 Marzo ***


13 Marzo 2021,

 

 

Indietro non si può tornare. Quel che è fatto, è marchiato a fuoco nella storia. Quanto dolore può ospitare un cuore, prima di cedere del tutto allo sconforto, alla pazzia, all’oblio?

Ho trovato rifugio in una singolare abazia.

Ho creduto la fede potesse aiutarmi nella mia ricerca della salvezza. Ma non è un’atmosfera sacra, quella che si respira chiusi tra queste mura. I sacerdoti si occupano perlopiù di sopravvivere, dedicando le loro vite alla trascrizione di vecchi volumi. È un passato che rimane ancorato a sé stesso, ciò che vedo. Non esiste futuro nelle loro vite. Si comportano come fanciulli, costretti dal padre eterno a fare i compiti sino al rattrappirsi delle dita, sino all’ultimo respiro increspato da una preghiera.

Nel cercare la salvezza, mi sono chiuso nella mia agonia: i ricordi di mia moglie, dei miei figli, o anche solo dei conoscenti che hanno rappresentato tutta la mia vita… sono spettri intrappolati nella mia mente. Non posso più raggiungerli… non esistono più. Quale dolore mi infliggono!

Non si conosce una cura a questo male; né la preghiera né il suicidio possono liberarmi dal fardello che porto con me: la prima è inutile, la seconda mi affiderebbe alla volontà dell’Uomo Ombra. Se avessi voluto questo destino, lo avrei accettato su quella nave.

Quali alternative mi restano?

Rimanere chiuso fra queste mura che puzzano di bollito di pecora e peccato maschile? Dove altro potrei andare, ora che ho investito tutto il mio denaro in questo luogo? Errare come un folle, come un reietto, sinché non sarà la vita ad abbandonare il mio corpo, e con esso anche il mio segreto? Trovo sarebbe una scelta da egoisti.

Il mondo deve sapere!

Qualora dovessi svanire tra queste mura, il mio verbo morirà come la giovinezza di questi sacerdoti: annegherà nel proprio ricordo, sino a sbiadire dalle pagine della storia.

La figura di Padre Alberto, colui che dirige il luogo, considerato uno fra i Maestri Esorcisti della Chiesa, mi aveva convinto a rimanere sotto la sua ala protettrice.

Ma ho maturato un nuovo pensiero negli ultimi giorni: solo i mostri hanno le ali!

Per quanto uomo colto e dotato di squisita loquacità, non è altro che un fantoccio, un fenomeno da baraccone. Si imbelletta con l’acqua benedetta, indossando le tonache consacrate dal Papa; poteste vedere come brillano di avidità i suoi occhi, ogni volta che porge verso i cieli la sua Bibbia placata in oro, nell’ora della preghiera. L’esistenza di questo culto è un paradosso della dottrina professata. I suoi esorcismi non sono altro che torture infarcite di latinismi, i quali, a volere essere sinceri, sono anche abbastanza confusionari: trattandosi di formule sacre, direi più che egli sia sempre più vicino ad evocare un diavolo piuttosto che invocare la benedizione di Dio.

Padre Alberto sostiene che dentro me alberghi il male antico.

Una legione.

Sono sempre stato un uomo di scienza. Credo poco alle sue pratiche.

Ho così maturato la decisione di raggirarlo, per mettere alla prova le sue capacità. Cadrà nel mio tranello?

Oggi andrò al suo cospetto, come ogni altro giorno da quando sono entrato in abazia. Fingerò la possessione, così potrò finalmente smascherare questo prete invaghito della ricchezza. Quanti sono morti sotto le sue torture? E dire che la gente, così come ho avuto modo di credervi io, è convinta il suo operato tenga alto lo stendardo della fede.

L’umanità è una razza sciocca. (Questa frase mi ha fatto venire i brividi.)

Gli esorcismi riusciti – ho dolore di confessarvi, Signor Lloyd – perlopiù tendono anche a privare il posseduto della sua stessa vita. Ma chi preferirebbe un’eternità di ombra, quando è la radiosa mano di Dio a richiamarci a dimorare nel suo Regno dei Cieli? Lì, ove la luce è eterna promessa di salvezza, ci sarà concesso di riabbracciare i nostri cari. I pochi che vi sopravvivono, invece, scelgono spesso il silenzio e la confessione per il resto delle loro esistenze terrene; si uniscono alle schiere dei braccianti di Dio. Alcuni, i più toccati intimamente dal male, assurgono a rivestire rare estensioni della volontà divina: Esorcisti. Quale che sia il vostro futuro, Philipp, vi sarà la salvezza. Ma avremo da scoprirlo solo se vi libererete dei vostri beni terreni, entrando in abazia.’

Era stato un bel discorso, senza alcun dubbio.

Mi aveva convinto.

Ma nei mesi che ho trascorso qui dentro, mi sento sempre più indebolito, più fiacco. Ho potuto tenere solo questo diario. Cosa succede all’esterno? Cosa accade nel mondo è per me un mistero.

Lontano dai dadi di Zhùt, gli incubi si sono fatti più intensi, vividi.

È tempo che smascheri questo apostata!”

 

Philipp Lloyd si è confinato in quell’abazia nel disperato tentativo di ottenere aiuto.

Le torture di cui parla, a distanza di quasi un secolo, sono state effettivamente smascherate da molte indagini. Gli Esorcisti… tutti voi ricorderete di certo un film in particolare. Io ho sempre avuto difficoltà a credere a certe cose, finché non ho avuto la possibilità – sarebbe più accurato dire sfortuna – di toccare con mano il paranormale, sovrannaturale o come lo si voglia effettivamente definire. Tutto ciò che non posso spiegarmi della mia storia, insomma.

Ciò che è accaduto al vero Philipp, però, è andato ben oltre ogni mia immaginazione. Per una volta, la sua scrittura si presenta frettolosa, tremolante, con degli errori di battitura e parole troncate a metà. Non me la sento di trascriverne il seguito.

È grottesco.

Il fatto stesso di raccontarlo, potrebbe far apparire la mia storia come una vicenda costruita di proposito per spaventarne i lettori. Ho bisogno di metabolizzarla, prima di trovare il coraggio di condividerla con voi. Ma posso assicurarvi che si respira tutta la sua frustrazione, il suo sentirsi prigioniero di quel luogo. Quella sensazione, non credete sia molto simile alla stessa che permeava le mie parole nelle prime pagine di questo diario?

La casa era la mia abazia. Devo forse attendermi l’arrivo di un Esorcista?

 

 

Ieri sono scappato di nuovo, tormentato da quei simboli sui Dadi.

Vorrei mostrarveli, come vi ho promesso, ma una strana sensazione di pericolo m’invita a non farlo. Ogni volta che ho provato a fotografarli, così come li ho trovati, il mio telefono prende ad impazzire: cominciano ad aprirsi tutte le App, mandando in surriscaldamento il dispositivo, sino a farlo spegnere. Per ora dovrete basarvi sulle mie sole descrizioni.

Non sono stato in giro tutta la notte, come le altre volte.

Troppe ambulanze.

Troppi suoni.

Sono rientrato e mi sono costretto a dormire, Avorio sempre al mio fianco.

Mi sono ritrovato in quel sentiero sotto il ponte. Era tutto così assurdamente reale. Per essere certo di trovarmi all’interno di un sogno, ho provato a tornare indietro all’ingresso della galleria, e avrei potuto continuare, se solo avessi voluto.

Ero come sospeso in una realtà parallela.

Potevo sentire odori, percepire al tatto l’erba, la terra bagnata. Sentivo il sapore amarognolo della birra sulla mia lingua. Non era un ricordo, perché ho chiamato il nome di Avorio, quando i miei occhi si sono posati su quella luna famelica, livida di malvagità.

Ma ho sottovaluto un aspetto di quella nuova dimensione.

L’ombra era ormai svanita nei meandri al di sotto del ponte, ma non avevo bisogno di seguirla per sapere dove fosse diretta. Ricordavo tutto. Provate solo a trovarvi in quella mia stessa posizione: all’interno di una specie di sogno, consapevoli di esserlo, ed intenti a far appello alla memoria per ricordare dove andare. Possiamo ancora parlare di sogno?

Oppure ho avuto una specie di esperienza simile a quella che viene definita: Proiezione Astrale?

Sotto il ponte ci sono molte grotte, per ognuna di esse esistono decine di storie. I racconti che ricordo con più lucidità, sono quelli che hanno a che fare con un distinto rintocco di tamburi nell’oscurità, tetre litanie in lingue sconosciute e presenze terrificanti. Proprio come quel giorno, mi sono così deciso a tornare all’ingresso della prima grotta, la più piccola tra tutte.

Un dettaglio in tutta la visione era diversa: non avevo la stessa sensibilità all’oscurità, riuscendo a distinguere i colori, i contorni. Quante volte devo aver rischiaro di perforarmi una mano o una gamba con le pareti acuminate!

Una lunga rampa di scale, inoltrandosi nella terra umida, conduceva ad un intrico più complesso di corridoi e stanze che, anche seppur spogli di qualsivoglia arredamento, possono ricordare strutture costruite dall’uomo. Ma la roccia non era stata lavorata con mezzi a me conosciuti, non che sia un esperto architetto oppure uno storico per poterlo dire con certezza. Era tutto grezzo, così naturale ma al contempo artificiale. È una specie di paradosso, lo so.

Vi starete chiedendo come ho fatto, nel mio ricordo, a seguire un’ombra nell’oscurità di quelle gallerie?

L’olfatto non avrebbe potuto aiutarmi, perché l’intero luogo aveva quello stesso odore; tanto meno avrei potuto basarmi su l’eco degli zoccoli, che scuotevano l’intera caverna. È questo il suono che i passanti scambiano per il rullo di tamburi?

Ma non siete pronti a sentire la mia verità. Di questo ne sono certo.

La parete era viva!

Una ragnatela di vene pulsavano sotto un’epidermide rocciosa, vibrando di una tetra luce verdognola, ogni tanto tendente al viola. Come allora, mi indicavano una direzione.

Ma ciò che non avevo potuto vedere nella realtà – se posso definire questa una proiezione di quello stesso momento, e su questo ho grandi dubbi – mi si palesò grazie alla mia nuova vista.

Invece di proseguire giù per l’ennesima rampa di scale, mi sono così ritrovato a fermarmi davanti ad una figura che mi diede l’impressione di essere emersa dalla roccia, avvolta interamente in un saio scuro. I riflessi di verde e viola delle venature non misero in risalto alcun volto, nessuna parte del suo corpo era visibile.

Un mormorio confuso, quasi quello stesso gorgogliante linguaggio che avevo già avuto occasione di udire, si è poi trasformato in un italiano comprensibile, dal timbro a metà fra il maschile e il femminile, dotato di una eco surreale:

Sapevo saresti venuto da me. Ti stavo aspettando.”

 

Ho scritto abbastanza per oggi.

So che sembra lo abbia fatto di proposito a chiudere in questo modo, per invitarvi a tornare domani; sento che c’è ancora troppo da dire sulla questione, e non voglio tediarvi oltre, per oggi. Avrei altre mille pagine da riempire su questo momento che ho vissuto.

 

 

Aggiornerò… ne sento il bisogno. Ora più che mai. */

*/ Mi sento diverso. Ragiono in modo diverso. Cosa mi sta accadendo? Il mio stile di scrittura… è come se fosse un’altra persona a scrivere per me. Utilizzo termini che non mi appartengono. Non scherzavo su Philippo: ho pena di lui… forse nello stesso modo in cui voi ne provate per me. È bello sentire la vostra presenza. Non voglio essere solo… non ora.

 

 

Philipp Lloyd

 

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Capitolo 13
*** 14 Marzo ***


14 Marzo 2021,

 

 

Cosa siamo, amici miei, se non cellule abbandonate a loro stesse nella fredda miseria dell’universo? Ci arrabattiamo per ottenere qualcosa, per costruirci un’esistenza dai più reputata dignitosa… Tutto questo incessante lavorio... per che cosa?

Per stare bene mentalmente?

Per mandare avanti la specie?

Per crearci un futuro?

Cosa è la vita, per come noi possiamo intenderla, nell’immensità dell’universo?

Non so il perché di queste domande, ma affollano la mia testa. Insinuano che stia andando dalla parte sbagliata… che sto guardando l’esistenza con l’arretratezza tipica della specie umana. Siamo una razza troppo giovane per sperare di poter assegnare un senso alla vita.

È questa l’ardua verità.

Dobbiamo nascere, crescere, riprodurci ed infine morire.

Questo è il nostro destino, tale e quale ad ogni altra forma di vita nel nostro pianeta.

Siamo polvere di stelle che, all’interno di un’atmosfera controllata, cerca inutilmente di tornare a brillare. Agogniamo a raggiungere di nuovo lo spazio, con una tale tenacia e disperazione da farmi pensare al fatto che non siamo noi gli artefici di questa richiesta.

Qualcosa vuole tornare alle stelle.

Sta utilizzando noi come mezzo per ottenere questo obiettivo.

Chi sia, o che cosa sia: questo non lo so. */

*/ Questi pensieri... da dove vengono? Questo modo di scrivere…? Ho cancellato quelle parole tre volte, e altrettante ho finito per riscriverle. L’ho fatto meccanicamente, come se volessero essere scritte. Ma non da me. Non voglio più scrivere di me, non se quello che digito non corrisponde ai miei pensieri. Sono le parole di un folle. Chi parlerebbe così? Cosa mi sta accadendo?

È una giornata strana, con un forte vento e un freddo da gelare il cuore. Mi sento terribilmente stanco, spossato, triste, solo. Avorio si è fatto più vicino, quando mi ha visto scrutare il mondo all’esterno della finestra, come imbambolato. Mi ha piantato i suoi artigli nello stinco. Non ho sentito dolore. Allora è andato più in profondità, scalando il mio corpo sino al ventre. Solo quando l’artigliò ha incontrato l’osso del bacino ho lanciato un urlo di dolore.

Avevo il fianco in sangue.

Ho continuato a ripensare a quei simboli sui Dadi:

Un teschio.

Un occhio.

Chi mi ha consegnato questo Diario?

Dopo essermi dato una ripulita e disinfettato le ferite, ho deciso di tornare a leggerne una pagina, dopo quei fatti che ho omesso dell’abazia; vi trascrivo di seguito il ricordo di Philipp, sospendendo le parti che ho trovato di troppo. Ho parlato anche troppo di me, per oggi. */

*/ Rammentate la sensazione di stanchezza descritta da Philipp? Credo di percepirla a mia volta. Ma qui non c’è nessun Padre Alberto a trattenermi tra queste mura. Non è il denaro a mancarmi. È la forza di volontà. Molti di voi sono spariti… non ho più vostre notizie. Vi è accaduto qualcosa?

Giorno...? Anno...?

Quanto tempo è trascorso dall’ultima volta che ho scorto un volto amico? Quale mese sferza le sue tempeste di piogge acide, con giorni brevi e notti eterne?

Ho pianto.

Ho maledetto me stesso.

Avrei dovuto prendere il tuo posto, Adeline, mia adorata.

Edgar era già svanito. La nostra famiglia era di già nell’oblio di dolore che l’avrebbe distrutta.

Quella notte [...], con tutto me stesso, avrei voluto disfarmi del fardello delle responsabilità e stringerti a me per un’ultima volta, prima di abbandonarmi all’oscurità. Se solo avessi avuto abbastanza coraggio, forse questa storia si sarebbe già conclusa da tempo.

Tu, vedova del mio ricordo, avresti cresciuto Elisa e Allan.

Invece, ho permesso che l’Uomo Ombra trovasse la nostra casa.

Dopo averci privato di Edgar, tornò per averne ancora.

La curiosità di un uomo è il suo biglietto per la dannazione.

Ricordo la città, […] (descrive Providence) appariva come uno spettro di nebbia, capace di distendere i suoi molti arti evanescenti in ogni dove, con mani dotate di innumerevoli falangi d’osso gassoso. Ma la gente non credeva alle nostre parole. Tu, mia dolce Adeline […] neanche tu credevi alla mia verità su Edgar. Ma quella notte hai avuto da ricrederti. Non ho fatto abbastanza per aprire i tuoi occhi. Ora sono cosciente del fatto di aver provato a nasconderti questo orrore. Ma la verità è che, anche se non puoi vederli, Essi dimorano nell’ombra. Essi ci osservano. Essi ci governano.

Quale dolore, quale penitenza vedere il tuo bel viso di [...] deformato dal greve volere del fato; i capelli, rossi più del focolare, impallidire come la più fredda luna di dicembre; e quei tuoi occhi di mandorla sprofondati nella gelida tenebra, aprirsi infine verso ignote lande di perdizione. Mai la tua voce era stata quel confuso gorgoglio che ancora riesce a destarmi terrorizzato nel cuore della notte, col terrore di averti sdraiata di fianco a me nel letto, in quella forma orripilante!

L’Uomo Ombra è ora il tuo sposo, da quando le sue labbra di cava tenebra hanno risucchiato la tua umanità. Quanto ti avevo implorata, oh, mia dolce Adeline, di non seguire il canto di nostro figlio Edgar verso quelle colline vive di quei bagliori boreali. La sua voce era perduta ormai per sempre, ma non hai voluto credermi!

Avrei dovuto prendere il tuo posto, mia adorata Adeline.

Avrei dovuto morire quella notte; prima di avere questi dadi di ossa e carne umana; prima d’incontrare lo Sciamano Zhùt; prima di violare la terra sacra dei Pokanoket, al seguito dell’entusiasta Professore Poegrim. Avrei dovuto morire in quella specie di tempio rinvenuto durante gli scavi per il nuovo acquedotto.

È lì che ho incontrato l’Uomo Ombra per la prima volta.

È lì che tutto ha avuto inizio.

Perdonami, mia dolce Adeline.

Perdonatemi, figli miei.” */

*/ Non devo coinvolgere nessuno in questa mia tragedia. Ora mi è chiaro più che mai. Philipp, quanto vorrei poterti parlare! Ascoltare la tua storia è come viverla sulla mia pelle. Non ho avuto la forza di proseguire con la lettura. Ma voglio sapere del tempio, dei Pokanoket, di Zhùt. Forse loro possono aiutarmi a venire fuori da questa situazione. Spero di non avervi compromesso con le mie storie...

Le pagine del Diario di Philipp sono segnati da strani rigagnoli. L’inchiostro è sbiadito in alcuni tratti. Credo abbia pianto a lungo sulle sue stesse parole. Non posso comprendere del tutto la sua sofferenza, ma mi è più facile accettare questo suo declino, questo suo abbandono alla tristezza. Devo raccontarvi cosa è accaduto il giorno in cui ha mentito. È opportuno farlo, anche se non mi crederete e mi accuserete di aver inventato tutto.

 

Anche oggi qualcosa di diverso mi ha tenuto lontano dal raccontarvi il proseguo della mia storia. Del mio incontro con quell’Essere. Ma non c’è molto da aggiungere.

Il sogno – o proiezione – si è concluso in quel preciso istante. Mi sono svegliato di soprassalto.

Ma devo raccontarvi cosa ho visto nella realtà. Cosa ho sentito in fondo a quella scalinata di roccia naturale.

Non oggi.

Presto.

 

Aggiornerò, amici miei.

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 14
*** 15 Marzo ***


15 marzo 2021,

 

 

La normalità ha assunto un sapore amaro. Questa cosa non ha senso!

Mi sento intrappolato all’interno di una bolla, ed ogni mia azione non sembra comportare alcuna differenza nel lento scorrere dei miei giorni. Ieri, preso da un sinistro presentimento, mi sono avventurato nella cupa oscurità della città. Cercavo qualcuno, cercavo qualcosa che rendesse i miei ricordi reali, e non solo delle fantasia destinate a morire, vittime del mio scetticismo.

Continuo a chiedermi se non abbia finito per inventarmi tutto... ma subito dopo i miei pensieri ed il mio sguardo tornano sul Diario di Philipp Lloyd. Lui e Avorio sono reali. Perdonatemi se continuo a ripetere sempre le stesse cose.

Non ho avuto avventure spiacevoli.

Non ho incontrato nessuno.

Non ho percepito tetre e sinistre presenze.

Sarete delusi, immagino.

Non sono riuscito a rientrare in quella visione, in quella specie di proiezione astrale.

Non saprò mai la verità su quell’incontro.

Chi mi aspettava? Cosa voleva da me?

Dovrei evitare di volerlo incontrare di nuovo?

Eppure, ogni volta che chiudo gli occhi, fosse anche per rilassarmi un attimo, spero di poter tornare in quella caverna. Spero di poter formulare quella domanda che sono certo stia tormentando anche voi: chi sei? */

*/Ho un risposta a questa domanda. È l’Uomo Ombra. Forse, è lui a scegliere quando e come comunicare con me. Intende farmi una proposta, ne sono certo. Cosa vuole da me? Dovrei forse accettare il mio destino?

Ho quindi deciso di trascrivere il resoconto di Philipp. Per farvi capire sino a che punto è stato costretto a spingersi. Questa entità ha il potere di farci perdere la ragione. Credo di star affrontando la stessa sorte…

 

Giorno…? Anno…?

 

Perdonami, Adeline.

Perdonatemi, figli miei

Cosa sono diventato?

Ho ribrezzo di me stesso.

Ieri ho messo in atto il mio piano. Solo ora, con le tenebre a favorire la mia lucidità, riesco a scrivere queste parole. Mi pento delle mie azioni. Ma era necessario farlo.

Ieri, come avevo già annunciato, ho deciso di recarmi da Padre Alberto, pronto a mentire a riguardo del mio male. Avevo studiato un piano infallibile.

Prima di entrare nel suo ufficio, avevo ingerito delle bacche che crescono all’interno del giardino dell’abazia. Mia madre me ne parlava sempre: se tenute in bocca senza essere state lavate, possono indurre la paralisi della lingua e parzialmente anche delle corde vocali. La bocca diventa insensibile, producendo un eccesso di salivazione. Subentra poi la dilatazione delle pupille e forti crampi allo stomaco che inducono la persona ad emettere lamenti ferini.

Avevo rivestito le bacche di sale, così che il loro effetto potesse essere ritardato.

Non troppo dopo essermi annunciato ed aver preso a rispondere alle canoniche domande di rito del sacerdote, è iniziata la mia farsa. Con gli occhi ribaltati, la bocca schiumante e dei versi disumani, mi sono lasciato cadere a terra. Ho provato ad aggiungere ai miei lamenti qualche parola in latino, ma ero troppo intorpidito per formulare una qualsiasi frase di senso compiuto.

Padre Alberto è caduto vittima del mio tranello. Ha chiamato a raccolta altri sacerdoti, per combattere la mia possessione. Dopo avermi cosparso la fronte e il collo di acqua santa, gettandomi addosso una fascia sacra, ha cercato di interpellarmi in latino sulla mia origine. Alle mie risposte gutturali, ha creduto il mio fosse il linguaggio degli antichi: l’aramaico.

Avrei riso di lui, se solo il dolore allo stomaco non fosse stato tale da rivoltarmi le budella. Nel cercare di apparire realistico, avevo esagerato con le dosi. La mia vita fu seriamente in pericolo, ma non avevo intenzione di dare un freno al mio progetto: egli era un impostore!

Volevo smascherarlo a tutti i costi.

Ho sentito una moltitudine di formule senza senso, frattanto che si disperava nel cercar di combattere il mio male. Ho avuto modo di vederlo sudare, come se fosse la prima volta che un fedele gli si rivelasse realmente posseduto. Quale squisita espressione di terrore gli riempiva gli occhi.

Poi, ammettendo la propria fatica davanti agli altri sacerdoti, Padre Alberto ha annunciato: ‘Dio posa il suo sguardo lontano da noi, fratelli. Il suo potere non ha volontà su questo suo figlio dominato dal caos. Non c’è redenzione per la sua anima: l’oblio… suo, o del nostro mondo. Siamo chiamati a giudizio, ora! Noi siamo giudici, giuria e boia, se lo vorremo. Non è una decisione che un solo uomo può prendere per conto dell’umanità!’

Ed ecco finalmente il momento per cui avevo programmato quel tranello!

Il loro dissennato assenso a lapidarmi, a tagliarmi la testa per colmarla di ostie e poi seppellirla in campo sacro, quasi fossi una creatura di pura tenebra. La follia del loro credo, o sarebbe più corretto dire l’avidità, li aveva infine rivelati per la loro natura: mostri nascosti sotto il saio di un santo.

 

Mi hanno percosso, invocando il nome di Dio.

Calci, pugni e sputi. Ho assistito ai loro sguardi invasati, divertiti. Ho udito i loro gridolini di gioia, gongolandosi al pensiero di ottenere la mia fortuna.

Ripensando a quei dadi, nascosti chissà dove, ho trovato la forza che mi aveva dato Zhùt con i suoi consigli. ‘Anche il lupo più solitario prima o poi si unisce a un branco. Noi uomini non siamo diversi: scegliamo sempre da che parte stare. Alcuni credono di essere nel giusto, come i pellegrini venuti dal vostro mondo, e che portano con loro la parola del vostro Dio in croce.’ mi aveva detto lo Sciamano. ‘Con una mano innalzano il nero dorso della bibbia, invitando la mia gente a cambiare fede; e con l’altra ci macellano con le asce, tagliando i nostri alberi e profanando le Terre Sacre. Tutti stanno da una parte. Esistono però entità che sono venute prima di noi. Entità che hanno imparato a dominare gli uomini. Capirai, Philipp. Capirai.’

Ho sentito una rabbia primordiale montarmi dentro!

Mi ha fatto vincere i dolori.

Mi ha fatto vincere il loro numero.

Ho veduto i loro volti di tenebra e quegli occhi a forma di ellisse; ho veduto i corpi che si trascinavano su membra rettili sotto gli orli del saio. Ma ho scelto di vederli per l’ultima volta, mentre brandivo il candelabro.

La testa squamosa di Padre Alberto mi esplose davanti agli occhi, dopo aver vibrato per la terza volta l’arnese contro il suo cranio. Il sangue, viscoso e di un giallo intenso, m’impregnò sin dentro la gola della sua linfa fetida. Gli altri sacerdoti, in preda al panico, hanno urlato al demonio!

Demoni! Loro, vestiti da santi, che chissà quanti hanno trucidato per la gola dell’omicidio!

Il mio intero corpo vibrò in quei momenti di un’estasi che non avevo mai avuto occasione di esperire prima. Con la croce, diedi l’estrema unzione ad uno dei più agguerriti, prima di fiondarmi su colui che aveva cercato la fuga.

Ho urlato come una belva, tanto ero intorpidito sino allo stomaco.

Mi hanno colpito, ma non avvertivo il dolore. Questo trucco mi ha permesso di uscire vivo di lì, e di scrivere queste pagine.

Presi le loro vite, lentamente, bevendone il sangue, cospargendomelo sul viso così come facevano gli antichi, pitturandosi rune. Ho bevuto le loro anime, prima di avventurarmi negli alloggi dell’abazia, poi nella mensa, ed infine nella cappella. Ad ogni colpo vibrato, mi sentivo sempre più vivo.

E avreste dovuto vedere come correvano quei demoni!

Mi guardavano con orrore; no, con timore!

La furia divina calò infine su tutti loro.

Mi sono fermato all’altare, davanti al loro Dio, offrendogli in dono il sangue dell’ultimo apostata. Ho ingurgitato la sua oscurità dalla coppa cerimoniale: vino scuro come la notte che aveva dentro. Ed infine mi sono saziato, da solo, del mio ultimo pasto come mortale.

Ho giaciuto in silenzio per ore, finché non sono tornato in me.

Ma quando l’effetto delle bacche è finalmente venuto meno, ho potuto vedere che cosa avevo fatto. Uomini, di bassa moralità, e di questo non ho alcun dubbio, giacevano ai miei piedi ancora sanguinanti. Un’intera abazia sterminata da una furia omicida che mi aborriva.

Sono stato io. Io!

Terrorizzato, ho raggiunto i miei effetti, chiusi dentro un baule accessibile solo grazie alla chiave custodita dall’abate. Il mio denaro era sparito, ma i dadi erano ancora lì, racchiusi all’interno della loro custodia in pelle di bufalo.

Mi sono caduti.

Tre simboli:

Una goccia con dentro un occhio. Dado da sei.

Un bozzolo che si schiude. Dado da sei.

Un sole squarciato a metà. Dado a piramide.”

 

Vorrei andarmene.

Ma non posso.

Sento di avere ancora qualcosa da fare qui.

Sento una voce.

Mi sembra di impazzire.”

 

 

Alla fine, pare che stia tornando ad essere il suo Diario.

Come credere alle sue parole?

Ma non è forse giustificata la sua disperazione?

L’ossessione lo ha trasformato in un assassino. Vorrei credergli, vorrei credere che la sua azione sia stata sensata, giustificata… ma nessuno di noi avrebbe la capacità di credergli.

Non gli credo.

Spero solo di non ritrovarmi nella stessa situazione.

Mi sembra d’impazzire a mia volta.

Un'ultima cosa: ho controllato i dadi, per scrupolo. Nessuno di essi riporta quei simboli citati da Philipp. Questo, a dirla tutta, non so proprio come spiegarmelo...

 

 

Aggiornerò, se avrete ancora il coraggio di seguirmi.

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 15
*** 16 Marzo ***


16 Marzo 2021,

 

 

Questa notte sono stato di nuovo in quella grotta.

È accaduto quasi come l’altra volta.

Ma era diverso… surreale è la parola che trovo adeguata.

I colori si mischiavano, il giorno diventava notte e le ombre si ergevano attorno a me come tanti spaventapasseri. Non ne ho provato timore, no; neanche quando, dentro la grotta, le pareti hanno rilasciato Esseri del tutto simili a quelli che presumo abbiano invaso casa mia.

Ero conscio, nel sogno, di stare sognando.

Sapevo che tutto quel raccapricciante spettacolo era solo frutto della mia mente. Non avrebbe potuto farmi del male, non davvero. Ho assistito, quasi fosse un film horror, allo svolgersi di quell’episodio, sino al suo climax:

La fatidica domanda.

Non ho potuto fare a meno di scoppiare in una risata, quando ho ricevuto la risposta che mi sarei atteso dal peggiore dei film comici: ‘Sono tuo padre!’ ha gorgogliato l’oscurità, nel lato oscuro, ma senza la spada laser. Io non sono Luke Skywalker, anche se ogni tanto mi piacerebbe poter far uso della Forza!

 

Mi sono risvegliato con il sorriso, anche se Avorio non era dello stesso avviso. Mi scrutava dall’alto del mio ventre, in posa come i guardiani egizi. C’era un lampo di accusa nel suo tetro miagolare. Non si trattava di una questione di fame. Ma di cosa?

Nel frattempo che ci pensavo, gli ho aperto una scatoletta. Si è fatto tutto dolce. I gatti!

A questo punto della nostra relazione (mi riferisco a voi lettori), trovo doveroso dovervi spiegare qualcosa in più su chi sono. In due settimane non mi avete sentito parlare di lavoro, di problemi finanziari, o di sopravvivere in un momento in cui l’intera nazione cerca di farlo.

Non ho problemi di liquidità, diciamo così.

Questo sogno mi ha fatto guardare indietro, alla mia famiglia.

Mi sarebbe piaciuto conoscere mio padre, anche se l’ho sempre reputato uno stronzo, specie dopo quell’unica telefonata che ho avuto con lui. Ha abbandonato mia madre, quando ha saputo che mi avesse in grembo. Il fato è stato clemente con lui.

Forse non la amava abbastanza, forse sono stato uno sbaglio, perché il buon uomo decise di lasciarla per farsi una nuova famiglia, ottenere una promozione e scalare in una decade i vertici della società. Aveva ottenuto tutto quello che desiderava, sino all’incidente in elicottero.

Morì, insieme a quasi tutta la famiglia, nello schianto. Gli sopravvisse solo la moglie, ricoverata d’urgenza, ormai in fin di vita; il destino le avrebbe riservato ancora due giorni di agonia, prima di lasciarla spirare. Ma credo di avere avuto un ruolo in tutto ciò.

Non seppi perché, ma mi presentai lo stesso in ospedale. Nonostante mio padre non mi avesse mai riconosciuto, portavo il suo cognome. La donna, privata della parte inferiore del corpo, di un occhio e delle falangi della mano destra, non parve troppo sorpresa di vedermi. Forse credette di vedere mio padre.

Mia madre era morta due anni prima, divorata da un tumore al cervello che l’aveva portata alla pazzia, prima di consegnarla alla terra. Mio padre non aveva voluto saperne di occuparsi delle sue cure mediche; quando mi recai da lui, disperato, accettò di parlarmi solo per mezzo del telefono della reception; non ebbe neanche il coraggio di guardarmi in faccia, il miserabile. Seppi da lui che anche mia madre aveva avuto la mia stessa idea.

‘Se è con la pietà che cercate di spillarmi del denaro, è una tattica che non funzionerà due volte. Non è un mio problema. Io e quella donna siamo degli sconosciuti. Tu sei uno sconosciuto. L’errore di una notte non può condannare un uomo ad una vita infelice: questa è l’unica lezione che posso darti, da padre. Sempre che sia davvero tuo padre… tua madre era una che saltava di fiore in fiore, tra un’ombra e l’altra dei locali, a succhiare via nettare dagli uomini, se capisci cosa intendo. E per cosa? Addio.’

Se vi state chiedendo perché mi recai da sua moglie, non ho una risposta. Forse nutrivo dentro di me il bisogno di vedere morire con i miei occhi qualcuno a lui molto caro, come se ciò potesse ripagarmi del fatto che lui avesse lasciato morire mia madre, dopo averla abbandonata ad una vita di miseria.

Quella donna mi guardò però con dolcezza. Parlava a fatica, ma le riuscì comunque di dirmi che provava un grande dolore per me e per la sorte che era spettata alla mia famiglia. Non avevo nonni su cui fare affidamento, morti anche loro in un tragico incidente, questa volta d’auto, quando mia madre era poco più di una ragazza. Non vi nascondo che è per questo che non ho mai voluto prendere la patente.

In punto di morte, quella donna, una sconosciuta, volle includermi nel suo testamento. Non dimenticherò mai le sue parole.

Ho sempre voluto conoscerti… Ho sempre insistito affinché tuo padre ripagasse il suo debito. Il test del DNA, all’epoca, non era una cosa molto comune, ma non ho dubbi che tu sia suo figlio. Gli somigli molto. Io ti riconosco. Se non ha saputo darti ciò di cui avevi bisogno in vita, voglio essere ascoltata almeno nella morte. Siamo tutti connessi: le nostre azioni cambiano il mondo. Spero tu sia in grado di fare meglio di lui…”

Vi starete già immaginando hotel di lusso, elicotteri, ville.

Non ho avuto niente di tutto questo.

Ma ho un assegno mensile che mi consente di vivere tranquillamente, a vita.

Ho degli amici, ma non li vedo da molto tempo.

Non nascondo il mio alcolismo.

Non ho nessuno, oltre ad Avorio.

Non voglio coinvolgere nessuno.

 

Spero questo approfondimento su di me possa avervi aiutato a capirmi meglio.

Non ho altri episodi strani da riportare, a meno che non vogliate che trascriva qualcosa dal Diario di Philipp. Ha raccontato di Edgar, con gli occhi dei suoi figli, come se avesse avuto il potere di vedervi attraverso. Una scena grottesca e sempre meno credibile. Se ci tenete a conoscere questi dettagli, scrivetemelo nelle vostre mail. Pare che io al momento non abbia granché di quell’orrore che andate cercando nel mio diario.

Il mio scetticismo sta crescendo.

Ma ora vado: ho intenzione di godermi questa bella giornata di sole.

Voglio andare al parco, magari dopo aver comprato un paio di occhiali da sole. Porterò con me Avorio: ho intenzione di mettergli un guinzaglio!

Abbiamo bisogno di cambiare aria…

 

Aggiornerò, quando mi sarà possibile.

 

Philipp Lloyd.

 

 

PS:

 

Il vicino mi ha rotto il naso!

Vi aggiorno dalla sala d’aspetto dell’ospedale.

Come sono rientrato a casa, mi ha aggredito alle spalle.

Sono stufo dei tuoi giochini e dei tuoi amici! Qui c’è gente che vuole vivere tranquilla! mi ha gridato, prima di travolgermi. Sono caduto riverso nell’ingresso di casa mia. Se non ci fosse stato Avorio, mi avrebbe ucciso a furia di pugni. Credo di avere un dente scheggiato, che mi sono procurato nel lanciarmi a protezione proprio di Avorio, quando il vicino ha provato a sferrargli un calcio. Altri vicini sono intervenuti per placare la sua furia. Tutti, però, mi hanno guardato con disgusto, con disprezzo, asserendo che non valesse la pena di rischiare il carcere per uno come me!

Ma in che mondo sono finito? Una giornata così bella sciupata dalla follia…

Prima di andare al Pronto Soccorso, ho fatto un giro per la casa.

Era tutto sottosopra… qualcuno è stato in casa mia, e pare che cercasse qualcosa!

Il Diario di Philipp è stato con me tutto il tempo.

Le finestre, le ante dei mobili ed i cassetti erano aperti.

Non pare l’opera di un ladro, anche perché non mi è parso mancasse niente.

I Dadi dello Sciamano Zhùt! Li avevo lasciati sul tavolo… non ho avuto l’accortezza di cercarli, anche perché stavo spargendo sangue ovunque. Spero siano ancora al loro posto. */

*/ Porto fuori il guardiano (Avorio) e qualcosa entra dentro casa mia. Un caso? Non credo proprio. Spero solo i Dadi siano al loro posto. Dovessi aver perso qualcosa di simile, non saprei come reagire. Forse devo a quel gatto molto più della mia sanità mentale ritrovata.

P. L.

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Capitolo 16
*** Errori ***


17 Marzo 2021,

 

 

L’attesa più lunga della mia vita. Fermato da due voltanti durante il ritorno.

Sono rientrato alle 4 del mattino.

Ciò a cui non ho assistito in tutte le mie fughe notturne, è arrivato a colpirmi tutto in una volta. Anni di pandemia, situazioni di follia.

Ma il mio naso sta meglio, questo posso assicurarvelo.

Ho una voce nasale, mi fa male il cervello, ma riesco a tirare avanti.

Non vi nascondo il terrore che ho provato nel salire le scale che mi avrebbero portato al mio piano, sin oltre la porta di casa. Mi aspettavo che da un momento all’altro qualcuno mi aggredisse alle spalle.

Avorio mi ha accolto con tutta la sua dolcezza di gatto, miagolando con una certa insistenza: cibo! Lo avrebbe gridato, se solo fosse dotato di una voce umana. La cosa non mi sorprenderebbe poi molto, dopo quello a cui ho assistito e gli ultimi sogni.

Ho dormito malissimo.

Ho sognato il vicino. Mi finiva con una spranga di ferro. Mi sono svegliato con la sensazione di una ferita profonda al fianco: erano invece gli artigli di Avorio che si stava stiracchiando su di me. Gli ho perdonato il gesto crudele; forse ha creduto fossi intrappolato in qualcuno dei miei incubi.

 

Vi rivelo che ieri ho trovato una lettera dentro la buca della posta.

Ho scelto di aprirla adesso, in diretta, mentre sto scrivendo queste parole.

I vicini mi vogliono fuori di casa. Tutti insieme, firmando la bella missiva, vogliono invitarmi a levare le tende, schierandosi dalla parte del vicino. Concludono con una deliziosa: “La tua aggressione al Signor [….] è un fatto che arriverà in tribunale, se continueranno i disturbi alla quiete.”

Ho proprio un fantastico vicinato!

Con tutti i vicini contro, non posso neanche denunciarlo. Testimonierebbero che si è solo difeso.

L’unica alternativa che mi resta, amici miei, pare quella di levare le tende. Ma non è facile fare un trasloco da un momento all’altro, meno che mai in questa mia situazione. Certo, forse mi farebbe bene cambiare casa… anche se questa è casa mia. Sento un senso di appartenenza. Non voglio lasciarla.

I Dadi!

Ho mollato il computer per cercali. Non li ho trovati.

Ormai non ho alcun dubbio: sono entrati per prendere il Diario e quei Dadi. Fortuna che il primo l’ho sempre avuto con me. Questo mi apre due possibilità: prima, ad avermi consegnato il Diario non può essere stato uno di quegli esseri… non è possibile; seconda, quei Dadi devono avere un grande potere o un’immensa importanza per essi. Avrei dovuto leggere i resoconti di Philipp tutti d’un fiato, così da scoprire qualcosa in più sulla loro origine e sul funzionamento.

 

Errore! Errore!

Lo scopro solo ora: nel mio ultimo aggiornamento, ho rivelato un messaggio segreto… sarebbe inutile nasconderlo, adesso. Ieri, travolto dagli eventi, ho scordato di codificare il mio messaggio segreto… tutti hanno potuto leggerlo. Sono uno sciocco! */

*/ Devo assolutamente fare una prova, amici miei. Devo sapere se questo codice è stato scoperto. Raggiungete questo indirizzo su Youtube: https://youtu.be/r67zIJ0lQpU

Oppure cercate sul sito Il Diario di Philipp Lloyd. Saprò che siete voi se, come l’ultima volta, risponderete con la stessa frase del mio primo messaggio in codice. Vi voglio bene.

Non ho tempo.

Ho bisogno di sapere di più.

Ho bisogno di risposte.

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 17
*** 18 Marzo ***


18 Marzo 2021,

 

 

Spero mi perdonerete: ieri ho dovuto mentirvi, per mettervi alla prova e per scovare gli impostori. Vi ho consegnato l’indirizzo di un video caricato su un canale Youtube, ‘preso in prestito’ da un amico, perché so che non lo utilizza spesso. Lì, vi ho fornito delle coordinate. Il codice non è stato scoperto, dunque potrete continuare a mettere in evidenza ciò che non è scritto. Ci sono sempre spazi da riempire con pensieri e segreti. */

*/Vi ringrazio per la fiducia. Vi voglio bene.

 

Sono sorpreso delle risposte che ho ottenuto. I pochi di voi che mi sono davvero fedeli hanno saputo trovarmi; ormai vi conosco abbastanza da sapere che non potreste essere parte di questo baratro di follia. Mi auguro il vostro interesse nei miei confronti non possa mettervi nei guai. Voglio ringraziare te, Anduin, per le belle parole che sei solito regalarmi. Non è il tuo vero nome, anche se hai voluto rivelarmelo di tua spontanea volontà in quest’ultima mail.

Esisti.

Sei reale.

Molto più di quanto possa sembrarlo io.

Ho scelto questo nome per te, perché ti vedo come il fiume che è definito da questo nome nel mondo di Arda. Le tue parole, come un flusso galoppante, riescono a tenere lontani gli spettri che mi inseguono da troppo tempo.

Adesso so che posso fidarmi di tutti voi.

Questa notte ho dormito bene, anche se il fischio del mio naso ha continuato a svegliarmi di tanto in tanto. Forse non crederete a quel che vi sto per dire, ma Avorio ha fatto più volte dei balzi di puro terrore al suono prodotto dalle mie cavità nasali.

Sembra quasi un gatto normale. Quasi…

 

Sono andato avanti con il Diario di Philipp. Abbiamo delle novità, e non potreste neanche immaginare quali. Vi trascrivo di seguito una parte del suo resoconto. */

 

*/ Non ho notato niente di strano in casa. Ho lavato mia tutte le orme. Nessuna traccia dei Dadi. Se solo esistesse un modo per trovarli...

 

Giorno…? Anno…?

 

Quanto tempo ho trascorso nell’oscurità di questa abazia?

Ho vagato come un’ombra nei meandri della mia mente, sinché la sua voce non mi ha richiamato alla realtà: implorava la mia presenza; esigeva la mia attenzione.

Ho errato, nel fare di questo luogo la tomba di quegli infedeli?

Ho errato nel cercar di mio pugno la verità attraverso il sangue?

Sono domande prive di risposta.

Non mi sento colpevole, anche se una parte di me vorrebbe gridare al crimine. Non esiste crimine ingiustificato, se portato ai danni di chi si spaccia per santo!

Ma questi discorsi non mi appartengono… non fanno parte di me. Vengono sussurrati da qualcosa che ho dentro… che sento scavarmi nel profondo.

Vagando nei pressi degli alloggi di Padre Alberto, ho udito spesso una voce eterea.

L’urlo disperato di una donna!

Ho pensato alla Vergine che implora la mia morte, unica via d’espiazione per chi versa il sangue nella casa del Signore. Mi chiedo: questa vergine ha avuto da versare lacrime anche quando i Coloni hanno massacrato la tribù di Zhùt, i Pokanoket, pur sempre nel nome di Dio?

Ho mangiato e bevuto, saccheggiando la dispensa: vi è cibo per una decade, destinato per un solo uomo; vino e sidro per ubriacare i ricordi per sempre. Ma mi manca il sapore del pane. Nel tempo che ho trascorso qui dentro, non ho mai imparato a farlo. In compenso, c’è molto altro che può donarmi sostentamento, e poi c’è l’orto. Ora abbandonato a se stesso.

Nonostante l’abazia sia lontana dai centri abitati, qualcuno è giunto a chieder consiglio, a presentare i propri figli, a consegnare missive da ogni dove. Con voce tonante, li ho respinti tutti:

L’abazia è chiusa: i posseduti non debbono uscire!’ così ho detto loro. ‘Dio lo vuole!’

E se Dio lo vuole, tutti fanno la sua volontà.”

 

Salto poi alla pagina seguente:

 

Quell’urlo disperato non mi ha lasciato dormire. Così, ebbro di follia, ho ceduto alla devastazione: con una zappa ho deturpato gli alloggi, intimandole di tacere! Il suo tono, in tutta risposta, si è fatto più forte, attraverso le pareti. Quel lamento è andato trasformandosi in un verso di senso compiuto.

Ho fame… Perdonatemi, Padre!’

E il mio cuore si è stretto nell’agonia!

Ho creduto Ella, la vergine, avesse fame della mia anima! Così ho ceduto nuovamente ad un impeto di follia. Ho scaraventato a terra la libreria di Padre Alberto, ho mandato in pezzi la sua scrivania e, con un ultimo colpo dotato di una forza che ancora ora stento a creder di aver mai posseduto, ho tirato via il letto che ancora odorava di acqua di rose!

Sconcertato, ho veduto ciò che invero era stato sotto ai miei occhi in tutte quelle ore che avevo trascorso a vagare per la sua stanza, a leggere i resoconti delle sue conquiste: una botola chiusa da una serratura! La voce, con mia estrema sorpresa, giungeva dalle fondamenta della terra…

Il trucco del Diavolo!’ è il primo pensiero che ha ghermito la mia mente.

Ma ero io l’unico diavolo in quel luogo.

Secondo padre Alberto, l’oscurità regnava dentro di me.

Fu questo pensiero a darmi il coraggio di forzare la serratura e, con una lanterna, a spingermi verso il fondo di quella scala in muratura, stretta e ripida, carica di odori malsani e forte di muffa.

Ho sentito dapprima come degli squittii, poi tonfi di passi calcati sulle ossa.

Le tenebre dimoravano nella stanza attigua, ed in quel momento mi soggiunse il tetro stillare di un liquido dal soffitto; la mia mente lo associò al sangue che avevo anzitempo versato, anche se illogico: avrebbe dovuto essersi già seccato. Ma all’arcano è concesso tutto!

Ora che ero lì sotto, mi chiesi, perché non mi riusciva di udire quel lamento?

Vieni fuori, oh vergine che esigi il mio tormento!’ mi venne da gridare; la mia mancanza d’animo però lo tradusse in poco più di un sussurro. Cercai di schiarirmi la gola, ma il terrore che mi assalì, all’udire di nuovo quel tonfo sordo davanti a me, arrivò a seccarmi addirittura la lingua e gli occhi. L’intensità del lume della lanterna, come se un gas lo stesse alimentando, arrivò a darmi fastidio alla vista.

Poi, vidi quell’essere delinearsi al calore della fiamma, al passo del suo macabro tonfo.

Sempre più vicino.

Sempre più rapido.

Mostrati!’ avrei voluto gridare; ma, nonostante il mio volto fosse corrucciato in un’espressione di cieca follia, dentro ero paralizzato dalla paura. Quel vecchio dormiva davvero sopra il Diavolo!

Un altro colpo sordo portò la creatura ad una distanza tale da poterla vedere, da poterne distinguere la rattrappita e deforme ossatura; il cespuglio crespo che ne ricopriva una parte del volto scavato e segnato da ombre profonde come l’abisso dello spazio. Il suo incedere era un atroce scricchiolare d’ossa e cartilagine e, da una bocca che non mi era ancora concesso di scorgere, prese ad esalare uno strozzato lamento gutturale.

L’ennesimo tonfo… e mi fu concesso di vederla in tutta la sua aberrante natura!”

 

Un colpo sordo è riecheggiato per la casa, proprio mentre sto trascrivendo questi appunti di Philipp. Lo sento dall’esterno della mia camera. È lento, cadenzato, come se stesse avanzando nel mio corridoio. Potrebbe essere presto alla mia porta...

Avorio è balzato in piedi da subito, e miagola in modo feroce, come se avvertisse una presenza.

Un altro tonfo!

Credo giunga, in realtà, dal portone blindato.

Non posso restare ancora qui a parlare con voi.

Devo capire cosa sta succedendo.

 

 

Aggiornerò…

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 18
*** 19 Marzo ***


19 Marzo 2021,

 

 

Quale terrore si è impadronito di me la scorsa notte!

Sono rimasto a lungo ad ascoltare quel trambusto venire dall’esterno della porta della camera. Avorio, artigli sfoderati, puntava la maniglia con sguardo predatore. Anche l’uomo più coraggioso avrebbe timore, nella mia condizione; questo pensiero è riuscito a farmi coraggio. Così, con il cuore in gola e la chitarra salda in una mano, mi sono avventurato nel corridoio. Dannata sia la mia scrupolosità nel tenere le luci spente quando non sono nelle altre stanze.

Per quanto in passato abbia amato la notte e l’oscurità, la loro capacità di amplificare ogni rumore, ogni minima sensazione, in questi casi è una caratteristica da detestare.

Il colpo, ritmato, proveniva dalla zona centrale della casa, vicino all’ingresso. Mi venne da chiedermi se qualcosa non stesse cercando di uscire.

Quando Avorio, fiero al mio fianco, ha lanciato il suo miagolio d’avvertimento, quel suono si è placato all’istante, quasi avesse finalmente individuato il proprio bersaglio. Ho provato subito l’istinto di sbarrare la porta, girare la chiave nella serratura e nascondermi sotto le coperte alla maniera dei ragazzini. Ma non ho più nessuno pronto a rassicurarmi del fatto che nell’oscurità non vi sia niente.

Ci sono solo io.

No.

Io, Avorio e questo terrore gelido.

Il pensiero dell’ultima storia di Philipp mi ha perseguitato anche mentre accendevo la luce del corridoio. Immaginavo quella cosa venir fuori dalla penombra del salotto, sfoderando contro il mio volto i suoi artigli d’osso. Avrebbe fatto scempio delle mie carni, ma senza uccidermi sul colpo. L’urlo straziante delle sue vittime era come una dolce musica di sottofondo per il pasto. Le mie grida sarebbero state udite da tutto il palazzo, ma nessuno sarebbe mai venuto a controllare. Mesi dopo, a distanza di molte tasse del condominio mancanti, qualcuno avrebbe finalmente trovato il coraggio di scoprire il mio cadavere. Avrebbe finito con il liberare quella cosa… un finale adatto ad un vicinato omertoso e disgustoso come il mio.

Questo pensiero mi fece addirittura sorridere.

A proposito di ciò, e vado un po’ fuori contesto, anche per alleggerirvi quest’ansia che mi assale a rileggermi: avete mai riflettuto sulla rapidità e l’insistenza di certi viaggi mentali? In un istante siamo capaci di costruirci film mentali così realistici da avere l’impressione di averli vissuti. La nostra mente è un cinema di serie B: ci passa tutta la mondezza del momento, e qualche volta delle perle destinate a perdersi nell’oblio della mente. */

*/ La vita che sto vivendo è un film di serie B. Scritto da cani, diretto da idioti. Quando comparirà un personaggio positivo nella mia vita? Non ho tenuto conto di voi… anche se siete di grande aiuto morale, non potete fare niente per aiutarmi… non volermene Anduin.

 

Tornando alla mia disavventura…

Chitarra in pugno, mi sono fatto largo per tutte le stanze lontane dall’ingresso, senza mai dargli direttamente le spalle. Nessuno in casa, almeno ad una prima occhiata. Poi, con Avorio a precedermi, abbiamo raggiunto il punto di origine di quel suono.

Silenzio.

Ma c’era qualcosa nell’aria.

Un odore.

Non riesco a descriverlo, perché sono riuscito a percepirlo solo per un breve attimo.

Era sgradevole.

Se i film horror mi hanno insegnato qualcosa, è che bisogna guardare proprio dove meno ci si aspetterebbe di trovarla: il soffitto. Avorio ha avuto la mia stessa idea.

Ed eccolo lì, annidato nell’angolo sopra la porta: un essere antropomorfo, il quale scaturiva da un ulteriore corpo aracnide dai peli pungenti, di un raccapricciante rosso scuro; la peluria risaliva sino a capo di quel suo fisico ignudo, dove un cespuglio di riccioli oleosi nascondeva il suo volto; vi era posto solo per otto fessure iniettate di sangue, sbarrate sulle nostre figure. L’essere si sorreggeva con le sue otto zampe a una tela spessa come filo spinato; l’intero soffitto ne era ricoperto!

Rimasi pietrificato!

Avrebbe potuto far di me ciò che voleva.

Tutta quella follia era però solo il frutto della mia mente tormentata dal caos dell’orrore. Possiamo, con i nostri pensieri, rendere reali certe fantasie? Mi auguro di no.

Fu proprio quel boato contro il portone blindato a ricordarmelo.

Avorio sfoderò gli artigli e soffiò contro l’ingresso.

Di nuovo silenzio.

La luce dell’androne delle scale era spenta. Era lì fuori, padrone dell’oscurità, pronto ad aprirsi un varco verso di noi.

Mi affrettai a girare la manopola che imposta un secondo blocco al portone, giusto in tempo per udire un secondo forte boato. Lo specchio che si trova all’ingresso ha fatto come per staccarsi. Possibile che fossi l’unico ad udirlo all’interno del palazzo?

No, riusciva a percepirlo anche Avorio.

La verità è che al palazzo non interessa un beneamato di me. Fosse per gli altri condomini, leggerebbero volentieri il mio necrologio sul giornale, augurandosi che i prossimi inquilini possano essere meno fastidiosi. Si sarebbero dunque limitati a farmi trovare l’ennesimo richiamo di proteste nella cassetta delle lettere.

 

Esclusa a priori l’idea di aprire, azzardai a fare qualcosa di cui ancora adesso mi pento. */

 

*/ E se dovessi svanire nel nulla, da domani, sarà probabilmente colpa di questo mio osare quando non è il caso.

Avvicinato l’occhio allo spioncino, diedi uno sguardo all’esterno. Sentii vibrare il mio volto dopo l’ennesimo tonfo. L’oscurità si aprì verso il corridoio. La tenue luce della finestrella dell’ascensore mise in evidenza una sagoma scura. Qualcosa di verdognolo e violaceo brillava al centro di quella massa informe, dai contorni gassosi.

Volevo vederla. Volevo appurare la sua esistenza.

Quasi fossi un’eroe da film horror - e concedetemi questo mio dipingermi così coraggioso, quando non lo sono – mi sono concesso di pronunciare la mia frase ad effetto:

“Vediamo se ti piace la luce, figlio di ….” dissi frattanto che pigiavo l’interruttore a molla.

L’ennesimo boato mandò in frantumi il lampadario a luci LED prima che avesse il potere di rischiarare la zona. Ma quell’estensione, un arto fulmineo, ondeggiante, fluido, mi riportò alla mente quel viscido pozzo di cui vi ho già raccontato i primi giorni di questo diario.

Era reale.

Era presente.

Era una minaccia.

Poi, alle sue spalle, scorsi una nuova luce rischiarare il fondo del corridoio.

La porta del vicino!

“Torna dentro!” mi è venuto da gridare con quanto fiato avessi in gola, battendo i pugni contro il portone blindato, e per farlo mi fu necessario staccare l’occhio dallo spioncino. “Torna dentro!”

Quando tornai ad osservare, lo vidi: il profilo del vicino armato di mazza; di quella sagoma, invece, nessuna traccia.

Suonò al campanello, e quel verso stridulo mi fece accapponare la pelle. Avorio continuò a soffiare, come preda di una foga sconosciuta.

“Apri, pezzo d’idiota!” e picchiò la mazza contro il portone. “Ne ho le scatole piene delle tue stranezze. Apri! Apri che ti riduco quella faccia da idiota a un colabrodo!”

“Ti prego, ascoltami: devi tornare a casa tua! Torna a casa tua!” ho tentato invano di convincerlo. Gli insulti e qualche nuovo colpo di mazza furono la sua risposta.

L’ombra si stagliò alle spalle del vicino, quasi lo stesse governando in qualche modo. L’ennesimo impatto del legno sul legno, ma meno forte di quello prodotto dall’Essere.

Avrei voluto pregarlo di smettere, ma i suoi insulti, la sua rabbia, il suo vomitarmi contro un odio incomprensibile, alterarono la mia umanità. No, è più corretto dire che misero in mostra il vero lato oscuro della nostra umanità: distolsi lo sguardo dalla porta.

“E allora muori…” aggiunsi, deponendo anche la chitarra.

Non avrebbe potuto sfondare il portoncino con una mazza, non con le sue sole forze perlomeno. Attesi che ne avesse abbastanza, quindi tornai a guardare. Lo vidi dirigersi verso casa sua, l’entità fedele al suo seguito.

Che stesse giocando con me, con la mia umanità, mi parve subito chiaro: il suo era un gesto di ricatto.

Allora, afferrate le chiavi di casa e il giubbotto, mi lasciai alle spalle Avorio e il portone in chiusura, e mi mi precipitai giù per le scale a lunghi balzi.

Decisi di correre a perdifiato per farmi inseguire.

Ho girovagato per tutta la notte senza un meta, prediligendo le zone illuminate.

Ma non credo che quella cosa mi abbia seguito. Anzi, sono quasi sicuro che non lo abbia fatto.

Non mi sono sentito tallonato, anche se non mi è mai venuto in mente di smettere di muovermi, se non il tanto per riprendere fiato.

 

Ho dormito in un giardino pubblico, come un barbone, quando è spuntato fuori il sole.

Tornando, non ho potuto fare a meno di provare un profondo senso di agitazione. Avevo lasciato il Diario di Philipp in casa. Ho risalito nel scale con la tremarella alle gambe.

Avorio mi ha accolto con il solito lamento, strusciandosi contro il mio stinco. Sembra molto felice di vedermi, oltre che affamato.

Per mia fortuna è tutto in ordine.

Rimane una sola riflessione da fare:

Se non sono stato inseguito, quella cosa deve aver... è meglio non pensarci.

Vorrei andare dal vicino, ma ho terrore che, qualora fosse ancora vivo, possa decidere di spaccarmi la testa con la sua mazza.

Una domanda continua tormentarmi: possiamo rendere reali i nostri sogni, i nostri pensieri o le nostre paure?

Devo ancora raccontarvi di come è andato a finire il racconto di Philipp in quelle segrete. Forse mi sto lasciando condizionare troppo dalle sue disavventure. Devo concentrarmi su di me...

Non ho la forza di continuare a scrivere. */

*/Non ero abituato a scrivere così a lungo; le mani mi fanno male per lo sforzo. Forse ho i tendini infiammati. Cosa dovrei fare? Quali sono i vostri consigli?

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile…

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 19
*** 21 Marzo ***


21 Marzo 2021,

 

 

La mostruosità umana non conosce confini!

Io, perso nella mia agghiacciante disperazione, segregato nella mia stanza in preda a feroci attacchi di panico; e voi, entusiasti appassionati dell’orrore, con le vostre lettere di complimenti, con la vostra ridicola celebrazione del momento lasciato in sospeso!

Siete curiosi di sapere cosa è accaduto al mio vicino?

Siete curiosi di sapere se quella cosa verrà a strapparmi gli occhi per lo spasso dei suoi liquami?

Sapevo fin dall’inizio che avreste preso le mie disavventure con la gioia di un romanzo dell’orrore, ma non credevo sino a questo punto!

Questo non è il Truman Show!

È la mia vita… finché durerà, perlomeno.

Volete che sia il vostro spettacolo giornaliero?

Dov’è il confessionale, in questa stramaledetta casa?

Su quale canale vanno in onda i momenti salienti della mia follia? È questo uno di quelli?

Dove sono le mie sigarette? Spacco tutto!

Riesco quasi a vedervi, seduti tutti comodi davanti al vostro schermo – magari con della musica d’orrore di sottofondo – ridere di me. Forse adesso mi state immaginando proprio con lo stesso volto di Filippo Nardi

Si chiama anche nello stesso modo…

Coincidenze? Io non credo, per tornare ad Adam Kadmon.

Ridete ancora?

Sono diventato una specie di piccola star del Web.

Spero di esservi quantomeno mancato, ieri!

Mentre voi vi affrettavate a lamentarvi di un capitolo giornaliero mancante, io ho avuto da fare i conti con le vere tenebre, con un’oscurità che incede un passo dopo l’altro verso la mia anima.

Ma sarei sciocco nel voler generalizzare. Tra di voi ci sono anche delle persone amorevoli.

E me ne frego del mio codice segreto, voglio che le prossime parole siano lette da tutti:

Sono felice di aver ricevuto la tua e-mail, Anduin. Ho provato un grande dispiacere nel doverla cancellare, ma è per il tuo bene. So che posso contare sulla tua amicizia. Ringrazio anche tutti gli altri di voi che hanno trovato il tempo di premurarsi delle mie condizioni, quando vi siete accorti che mancava il mio aggiornamento giornaliero. Non mi arrenderò, come mi avete consigliato! */

 

*/ Ho timore di essere circondato. Ho paura anche per voi, amici miei. Temo questo mio diario possa dannarvi tutti, contrassegnandovi come bersagli per le tenebre. Ora sapete. Ora potreste avere il coraggio di aprire gli occhi, e scorgere ciò che si muove davvero durante la notte. Non tutti possono vederlo, questo ormai mi è ben chiaro. Voglio che facciate attenzione: non lasciatevi attirare da quei suoni, non seguite ombre nella notte, non desiderate di poter vedere quanto vi ho raccontato. Vi scongiuro. Certe cose è meglio non vederle. È cambiato molto il mio pensiero… (Possono leggerlo tutti, non è una dimenticanza. Sfido la sorte? Forse...)

 

Quali notti di follia ho vissuto!

Avevo appena iniziato a trascrivere il seguito delle disavventure di Philipp Lloyd, quando tutto è cominciato. Dapprima è stato un semplice rumoreggiare indistinto, e anche Avorio è parso solo un po’ infastidito. Ma più mi dedicavo a quello scritto, maggiormente quel brusio si trasformava i suoni chiari, raccapriccianti. Li sentivo giungere dal corridoio, proprio fuori dalla mia stanza. Avorio, in quel momento accoccolato sul mio letto, è balzato subito in piedi. Poi, leggiadro, ha raggiunto la porta con la sua consueta agilità e, compiuto un balzo, ha tirato giù la maniglia. La porta si è aperta con uno schiocco inconsueto; non vi nascondo che ho creduto fosse lo stesso suono prodotto dalle ossa di quell’Essere incontrato da Lloyd in quelle segrete.

Il costante miagolare di Avorio non mi ha consolato. Anzi, mi ha trasmesso una sensazione sgradevole. Ed è lì che ho pensato che forse era stata proprio quell’entità a prendersi i Dadi dello Sciamano. Avrei dovuto essere più accorto.

Una sola certezza continuava a rimbombarmi in testa: è venuto per il Diario di Philipp Lloyd, e non se ne andrà mai senza. Alcuni di voi mi hanno chiesto il perché sia fuggito, l’altro giorno. Cercavo di salvare la vita al mio vicino.

Sono un vero idiota, giusto?

Ho creduto quell’essere avrebbe preferito inseguirmi, piuttosto che banchettare con un essere umano qualsiasi. Avrebbe avuto altre occasioni, se solo si fosse impadronito di me. Sono dovuto rimanere a lungo con il dubbio.

Ma tornando alla guardia tormentata di Avorio…

Dopo aver schiuso la porta, fiero, si è avventurato nell’oscurità del corridoio. Non imparo mai la lezione. Devo ricordarmi di tenere le luci accese!

Prendendo in mano la chitarra, l’ho seguito. All’esterno della stanza quei rumori erano amplificati. Potevo sentirli ovunque. Avevo già avuto modo di percepire quella sensazione prima, esattamente il giorno dopo aver incontrato quelle specie di chiocciole giganti.

Erano dentro le pareti!

Sentivo grattare, squittire, o forse dovrei dire una specie di grugnire dentro le pareti. È assurdo ma, avvicinandovi l’orecchio, ho avuto proprio l’impressione che qualcosa stesse picchiettando proprio dove avevo appoggiato una parte del mio corpo. Sentivano il mio calore, credo.

Poi, e Avorio mi è balzato in grembo, ho udito il grattare sul muro, come di una lama che cerca di aprirsi un varco. Oppure erano unghie? Qualcuno che grattava per scappare?

Il muro confinante era quello del vicino.

Troppe storie dell’orrore viste nei film mi hanno riportato alla mente i frammenti di unghie incastrati nel pavimento o sulle pareti, come se qualcuno vi ci si fosse aggrappato con disperazione per non essere trascinato via. Il sangue, partorito dal dolore di un corpo umano nell’opporsi ad un’entità esterna, sovrumana, immortalava l’ultimo alito di vita della sua origine organica.

Mi è venuto in mente Avorio che leccava il sangue del vicino…

Se lo aveva trovato appetitoso lui, chissà quanto aveva gioito quell’essere d’ombra.

Era lui, l’Uomo Ombra?

Mi sono barricato nella mia camera con Avorio, ma non prima di aver abbassato le tapparelle di tutte le stanze, e aver inserito degli asciugamani sotto le fessure delle porte, chiuso tutto a chiave.

Nonostante le mie precauzioni, verso le 3:33 del mattino – posso garantirvi l’orario, perché non ho fatto altro che tenerlo d’occhio – ho udito qualcosa di nuovo, di inaspettato.

Era una voce empia che attraversava le pareti. Potevo sentirla distintamente, quasi fosse la mia bocca ad esalarla:

Lloyd…?” cantilenava, “Philipp…?” e suonava come una specie di sussurro.

Cosa vuoi da me?!” ho gridato ad un certo punto, esasperato.

Non puoi nasconderti per sempre… Hai qualcosa che Essi rivogliono.”

Per riavere qualcosa, devi prima averlo posseduto…” ho mormorato con meno coraggio di quel che avevo sperato. La frase suonò quasi afona.

Tutto e tutti gli apparteniamo. Questo lo sai bene… Lloyd. Accetta il patto.”

Quale patto?” ho brontolato. “Io vi consegno tutto, e poi posso finalmente crepare?”

Accetta la realtà: abbraccia una nuova forma di esistenza... Noi siamo parte di Essi. Lo siamo sempre stati. La morte è solo un’alternativa. Una che puoi sempre scegliere…”

Chi sei tu? Come riesci a parlarmi? Dove sei?”

Io sono sempre esistito. Sei tu che mi hai lasciato entrare, Philipp. O posso chiamarti […], se preferisci.”

Quando ho udito il mio vero nome, ho ceduto ad una delle mie prime crisi di panico. Ve ne sarebbero state altre nel corso della notte.

Ho cercato con tutto me stesso di tenerlo fuori dalla mia testa.

I rumori e i suoi sussurri mi hanno perseguitato per tutta la notte. Sino all’alba, dove finalmente ho ceduto allo stress. Sono caduto in un sonno profondo, privo sogni o incubi. Esisteva solo quella voce, ma mi risultava tanto incomprensibile da non riuscire a prestargli attenzione.

Mi sono risvegliato al tramonto, con Avorio terrorizzato. Deve aver continuato a miagolare accanto al mio corpo per ore, perché la sua voce suona roca e affaticata. Ho letto nei suoi occhi vuoti una grande tristezza.

Ma sapete già come si concluderà il racconto di oggi, perché è una cosa che ho anticipato all’inizio…

Calate le tenebre, sono tornati quei rumori… e quella voce.

Mi chiamava per nome, mi sollecitava ad aprire la porta, a lasciare fuori il Diario. Non ha osato rispondere alle mie domande.

Ma, prima che infilassi un paio di auricolari per sfuggirle, ha pronunciato questa frase:

La morte non è più un’opzione. Come te, altri ha osato opporsi. Stessa storia. Stesso epilogo.”

Anche ora, se togliessi le cuffie, lo sentirei mormorarmi le sue minacce. Non ho intenzione di cedere. Mi opporrò con tutto me stesso!

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 20
*** 22 Marzo ***


22 Marzo 2021,

 

 

La musica mi ha fatto compagnia.

Cosa saremmo, senza?

Uomini dispersi nel silenzio dei nostri pensieri. Essa, e mi arrischio ad ammetterlo davanti a tutti, è la ninnananna dei nostri demoni. Certo, qualche volta riesce a deprimerci; ma, anche nel suo scavare nel profondo dei nostri dubbi, riesce sempre a tirare fuori il male che ci divora dall’interno.

No, non mi sono liberato da questa tediosa situazione grazie alla musica, eppure mi ha aiutato a superare la notte, a dormire cullato da suoni che ho ritrovato infine familiari. Hanno tenuto lontana quella voce eterea.

Avorio ha dormito accoccolato contro il mio petto. Il suo calore mi ha confortato nel profondo; riportandomi indietro all’abbraccio di mia madre. Sarebbe bello se gli spiriti di chi abbiamo amato, una volta persi a causa delle fatalità che assediano i viventi, potessero ritornare a noi sotto altre forme. Alcune culture lo credono possibile.

A me piace solo pensarlo.

Trovo il tutto abbastanza improbabile… come faccio ad avere questo punto di vista, dopo tutto quello che mi sta accadendo? Questo è un vero dilemma. La mente umana segue percorsi tutti suoi.

Non ho mai amato tanto il giorno quanto in questi momenti. Se tutto mi dovesse andare per il meglio, però, non ci sarebbe più bisogno di scrivere questo Diario.

Questa mattina mi hanno dato il buongiorno le sirene, due volte consecutive, a distanza di poco tempo. La prima si trattava di un’ambulanza: ho potuto vedere i paramedici scendere in tenuta bianca antisommossa, le borse mediche al posto dei fucili; anche loro sono impegnati su un fronte, e chissà che quest’ombra non abbia un ruolo anche in questo episodio che sta sconvolgendo il mondo intero. Hanno portato via una signora – neanche troppo vecchia - che sta due palazzi più avanti, dall’altra parte della strada. Mi è balzato in mente un pensiero malsano, proprio nel frattempo che l’ambulanza si lanciava di nuovo nel traffico: questi Esseri possono soccombere ai virus? Esiste qualcosa che ne impedisca il loro diffondersi?

Perché, se questa storia va avanti da un secolo, o forse più, non sono stati ancora in grado di dominare il mondo con la loro ombra? O forse è già così, solo che non lo sappiamo? Forse viviamo in una specie di realtà parallela, come in Matrix. Noi non siamo altro che un loro gioco!

Pensieri folli, ma dettati dai sussurri malevoli di quella voce nel cuore della notte. Sostiene che gli apparteniamo. Come se fossero i nostri procreatori. Ma allora perché questo Diario è così importante per loro? Che vi sia la chiave per poterli sconfiggere?

Ma allora perché non è già stata utilizzata?

Forse i miei predecessori non ne hanno avuto la forza. Sono stati sconfitti… quanti Philipp Lloyd sono esistiti prima di me?

Ci manca solo che mi metta a farneticare a riguardo dei rettiliani, sul Nuovo Ordine Mondiale e chissà quale altra follia del complotto. E se fosse tutto vero?

Più scrivo, più le idee mi assalgono. Non è da me!

Ma devo raccontarvi della seconda sirena. Lo farò nel mio solito codice, anche perché è ciò che i più di voi lettori non aspetta altro. Volevate sapere come era andata a finire, giusto? Solo voi, miei fidati, potrete leggerlo, evidenziando gli spazi vuoti della storia, per rivelare ciò che non è scritto. */

*/ La seconda sirena era della polizia. Gli agenti hanno fatto irruzione nel palazzo; guardando dallo spioncino, ho potuto scorgerli buttare giù la porta del vicino. Ho sentito all’improvviso un grattare frenetico sulle pareti, e quella voce gracchiare dal muro confinante con l’altro appartamento; poi, degli spari. Mi sono precipitato nel pianerottolo: volevo vederlo con i miei occhi! Mi hanno ordinato di tornare in casa. Non è il risultato che speravo: hanno ucciso la vicina! Sostengono che abbia fracassato la testa del marito a colpi di mazza; si è poi avventata sugli agenti, trovando la morte. Tutto è stato scoperto grazie a una chiamata di soccorso del figlio, il quale vive in un altra regione. Follia…

Non credo di essermi liberato da questo fardello. Ma forse ho un po’ di respiro.

Anche Avorio mi è parso più tranquillo.

Sarà una cosa strana, ma ho deciso di ordinare del sushi per festeggiare, e del buon salmone per Avorio. Si banchetta sul cadavere dei nemici? So che può sembrare macabro, ma mi sento sollevato. Ho avuto come l’impressione di vivere una giornata normale. Eppure… vorrei vedere cosa c’è in quella casa… provo questa sensazione di curiosità che già una volta mi ha messo nei guai. Devo cedere a questa tentazione?

Dove è finito tutto il mio terrore, oggi?

È come se questa notizia lo avesse portato via.

Ho deciso di riportarvi indietro alla scoperta di Philipp Lloyd, riprendendo il racconto proprio dove l’avevo interrotto. Sappiate che questo turba la mia quiete: ogni volta che ho provato a rivelare qualcosa di tutta questa faccenda, sono sempre accadute cose strane, surreali.

Tra parentesi trovate alcune mie considerazioni.

 

 

“[…] Ora che ero lì sotto, mi chiesi, perché non mi riusciva di udire quel lamento?

‘Vieni fuori, oh vergine che esigi il mio tormento!’ mi venne da gridare; la mia mancanza d’animo però lo tradusse in poco più di un sussurro. Cercai di schiarirmi la gola, ma il terrore che mi assalì all’udire di nuovo quel tonfo sordo davanti a me arrivò a seccarmi addirittura la lingua e gli occhi. L’intensità del lume della lanterna, come se un gas lo stesse alimentando, finì per darmi fastidio alla vista.

Poi, vidi quell’essere delinearsi al calore della fiamma, al passo del suo macabro tonfo.

Sempre più vicino.

Sempre più rapido.

‘Mostrati!’ avrei voluto gridare; ma, nonostante il mio volto fosse corrucciato in un’espressione di cieca follia, dentro ero paralizzato dalla paura. Quel vecchio dormiva davvero sopra il Diavolo! (Quale coraggio. Io non avrei trovato la forza.)

Un altro colpo sordo portò la creatura ad una distanza tale da poterla vedere, da poterne distinguere la rattrappita e deforme ossatura; il cespuglio crespo che ne ricopriva una parte del volto scavato e segnato da ombre profonde come l’abisso dello spazio. Il suo incedere era un atroce scricchiolare d’ossa e cartilagine e, da una bocca che non mi era ancora concesso di scorgere, prese ad esalare uno strozzato lamento gutturale.

L’ennesimo tonfo… e mi fu concesso di vederla in tutta la sua aberrante natura!

‘Eccola, dinanzi a me, la regina delle tenebre!’ pensai. I suoi occhi di rubino saettarono sulla mia figura, le sue articolazioni schioccarono verso di me nell’atto di afferrarmi. Mi ritrassi, lanciando al contempo un sordo grido di terrore. Avrei voluto voltarmi e scappare via, ma qualcosa, forse il suo sguardo, mi tratteneva ogni muscolo. Rimasi pietrificato! (Come lo capisco. Quale orrore!)

‘Fa...me’ esalò l’Essere, cadendo prona ai miei piedi. Scorsi solo in quel momento il lazzo che la tratteneva legata ad una colonna portante, bruciandole la raggrinzita pelle del collo sino a produrre un sangue scuro e grumoso. Ne provai improvvisamente pietà, pur maledicendomi per star nutrendo quel sentimento. Ero certo che, se non fosse stata legata, avrebbe istantaneamente fatto scempio delle mie carni.

La vista della prigionia ci affligge così tanto, anche per coloro che crediamo di odiare. Perché un essere qualsiasi, imprigionato, è la dimostrazione che basta un niente per perdere le nostre libertà. In catene, o legati, smettiamo di essere vivi: siamo solo carne da macello.

La pietà mi indusse a non vibrare il colpo mortale, e da quella posizione mi sarebbe risultato semplice sopraffarla. Riuscire a mettere fine a quello scempio, a quella maledizione, non mi sarebbe potuto rivelare più facile. (Non è facile prendere una vita, sia anche quella di un nemico.)

Ucciso il diavolo, il mondo è libero, si dice. Ma anche il diavolo un tempo era stato un angelo. Lucifero: è così che mi sentii, reggendo quella luce, quando ai miei occhi si palesò l’operato dei servi di Dio! (Questa sua definizione m’inquieta. Gli uomini che tendono a paragonarsi a creature celestiali, Dei, o simili, finiscono sempre per divenire schiavi della loro stessa immagine.)

‘Pa...dre… Fa… me’ mugolò ancora l’Essere.

Tremante per mia esagerata sconsideratezza, mi chinai sulla sua figura e presi le sue mani rattrappite tra le mie: dotate di unghie così lunghe tanto averle credute artigli, erano segnate da morsi di piccole bestie che dimorano nell’ombra, quali roditori, insetti e vermi. La sua pelle era scura, ma per l’essersi rotolata in quel suo fetido giaciglio. Gli occhi, incavati da un’evidente denutrizione, si rivelarono di un celeste intenso, tanto d’aver la facoltà di assimilare il calore della luce, al cui tocco troppo a lungo ella doveva essere stata sottratta. I miei occhi terrorizzati misero finalmente a fuoco la creatura che avevo dinanzi. Ella, lontano dalle mie iniziali congetture demoniache, non era altri che una giovane donna, intrappolata lì sotto da chissà quanto!”

 

La scoperta di Philipp mi da subito sconcertato.

Mi ha dato l’impressione che debba esserci per forza un nesso tra l’oscurità che ci perseguita e l’operato di altri uomini. Che sia il Diavolo o chissà quale altra entità ad avere un ruolo portante in questa faccenda, temo proprio avremo da scoprirlo solo andando avanti con la sua storia.

Vorrei raccontarvi di più in merito al suo incontro, ma ho scritto abbastanza per oggi.

Voglio fermarmi fintanto che tutto sembra essere tranquillo.

Avorio dorme placido acciambellato dietro lo schermo del mio portatile, sollevando di quando in quando lo sguardo quando batto con troppa foga la barra spaziatrice, come ad invitarmi a fare con più calma.

Ora che ci penso… non trovate che abbia qualcosa di strano? Da quando quell’Essere si è avvicinato a casa mia, lo trovo più pavido del solito, più assonnato, più debole.

Quando lo accarezzo, fa un verso tremulo.

È come se avesse assorbito tutta la mia preoccupazione.

Cosa ti sta accadendo, Avorio?

 

 

Aggiornerò presto,

 

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 21
*** 23 Marzo ***


23 Marzo 2021,

 

 

Giorno…? Anno…?

 

E per tutto il tempo che i sacerdoti avevano versato il loro sangue ad opera della mia delirante smania di verità, Ella aveva digiunato. Ma le sue deplorevoli condizioni non derivavano dal mio averla ignorata, dal mio aver rifuggito la sua richiesta di soccorso. La povera, aggrappatamisi all’abito con la disperazione di chi tenta di sottrarsi alla morte, era stata loro prigioniera da tanto tempo da aver scordato addirittura la sua natura umana. Quale mostruosità domina il mondo degli uomini…

La vidi che mi implorava, e potei vedere quei canyon che aveva come gore sotto gli occhi inondarsi di calde lacrime, frattanto che le sue mani tastavano le mie gambe, risalendo sino al mio sesso. Ebbi l’istinto di sottrarmi ad un gesto che compresi non esser frutto della casualità; era il modo cui era stata costretta a supplicar il perdono. Il cuore mi si colmò d’orrore, di rabbia e disperazione. L’istinto di consegnarla al trapasso tornò in me, sotto il fulgido pensiero che nessuno dovrebbe sopravvivere alla propria morte terrena, conservando dentro di sé nient’altro che disperazione e vergogna.

Mi accorsi delle lacrime che bagnavano il mio volto, baciandole quel cespuglio ispido che aveva per capigliatura. Piansi senza poter frenare quel dolore liquido che mi sgorgava dagli occhi.

No. Non devi. Non più.” mi affrettai a consolarla, raccogliendola tra le mie braccia, dopo aver tagliato quel filo maledetto che la segregava nell’oscurità. Il suo peso, irrisorio per l’età che supponevo dovesse avere, e la stretta che avvolse attorno al mio collo, mi riportarono alla mente la mia dolce Elisa; non ebbi il coraggio di salvare mia figlia, e non mi sarei mai perdonato di fallire una seconda volta. Comincio a credere che veniamo al mondo per uno scopo, che tutta la sofferenza a cui sono sottoposto possa avere un briciolo di senso in questa terra corrotta da troppi mali.

Mi sarei preso cura di lei.

Questo diede di nuovo senso alla mia esistenza.”

 

 

Così Philipp Lloyd prosegue nella stesura, un po’ confusionaria, della sua tormentata esistenza. Il suo modo di scrivere – e da che pulpito viene la predica – si evolve di giorno in giorno, qualche volta più ricercato e accurato, qualche altra come se la concezione del tempo per lui fosse del tutto slegata al flusso che tutti conosciamo. Ho come avuto l’impressione che il ritrovamento di questa povera ragazza possa essere solo una sua fantasia. Un tentativo della sua mente di darsi un motivo per sopravvivere. Chiuso in quell’abazia, potrebbe aver perso del tutto la lucidità.

Sarebbe stato semplice per lui abbandonare quel luogo, chiedere alle persone nei dintorni il giorno e l’anno, e tornare a comprendere la propria posizione nella società. Eppure, c’è questa sua frase che mi torna alla mente: “Vorrei andarmene. Ma non posso. Sento di avere ancora qualcosa da fare qui.”

E quella sensazione era esatta, sempre che la ragazza sia reale. Fidandosi del proprio istinto, ha salvato la vita della donna. Se questa sia stata una buona o cattiva scelta, avremo da comprenderlo proseguendo nella lettura.

Mi sono accorto di un’altra cosa, tornando indietro con le pagine del suo Diario: ho finito per l’iniziare a scrivere nel suo stesso modo, facendo uso degli stessi termini. Ho udito anche io una voce eterea. Il suo Uomo Ombra è diventato anche il mio.

Questa lettura mi sta condizionando, come se ogni pagina in più mi stesse portando ad assomigliare al vero Philipp. Le coincidenze sono troppe. La cosa mi spaventa!

Ma ho fatto tutto questo discorso per inoltrarvi una mia decisione, folle ovviamente.

Ieri vi ho raccontato che ho provato la sensazione di voler vedere con i miei occhi; devo sapere se quella cosa è stata portata via. Farlo, oltre che essere illegale, rendendomi potenzialmente presente sulla scena del crimine – e con tutti i condomini contro, è un grosso rischio – è una decisione sconsiderata; ma non avrei più il coraggio di lasciare la casa, senza esserne del tutto sicuro.

La cosa peggiore?

Non posso farlo di giorno, perché mi renderei troppo visibile. La strada è abbastanza trafficata. Dovrò farlo di notte, proprio quando il pericolo è più grande.

Ho notato che una delle grandi finestre che danno sul terrazzo del vicino è rimasta aperta. Un metro e mezzo di salto mi distanzia dal raggiungere la casa. Vi starete chiedendo: perché non ho intenzione di utilizzare il portone, buttato giù con un ariete dalla polizia?

Bella domanda!

Il figlio ha voluto far cambiare subito il portone. È la prima cosa che viene da pensare, quando viene ammazzata la tua famiglia? Non lo so, forse sono io ad essere troppo portato a pensare male, in questi momenti. Dovrei ringraziarlo, eppure ho solo sospetti.

Se vi conosco abbastanza bene, anche voi starete pensando che ci sia lo zampino dell’Uomo Ombra dietro quell’omicidio. Forse è tutto un suo tranello per attirarmi allo scoperto…

Non posso più nascondermi, sono stanco di essere l’unico a subire. Questa situazione, e le parole di Philipp, mi hanno ispirato ad andare avanti. Devo fare luce sulla questione!

Purtroppo, anche se vorrei che venisse con me, sono costretto a lasciare Avorio a protezione della casa. Devo impedire che il Diario di Philipp cada nelle sue mani. */

 

*/ Qualora non dovessi farcela, voglio che sappiate che è nascosto dentro casa. Saprete dove trovarlo, amici miei. Anduin, sei l’unico a cui ho avuto il coraggio di rivelare il mio vero nome. Potrai trovare casa mia seguendo le briciole di pane che ho lasciato sul web. Vi ho raccontato tanto, anche se in modo dispersivo, della mia storia, della mia città, della mia casa. So che posso contare su di voi.

 

Ho timore che questo possa essere l’epilogo della mia storia.

Chi combatte l’ombra, rischia di svanire in essa senza lasciar traccia di sé.

Rimanere inermi ad attendere la sorte non è poi tanto diverso, solo più vile. A questo punto preferisco combattere questo male con tutto me stesso!

Nel frattempo che vi sto scrivendo, ho in cuffia una canzone che vorrei ascoltaste.

L’avrò sempre in cuffia, quando sarò dentro la casa dei vicini. Devo tenere distante quella voce eterea. Non sentire bene i rumori attorno a me mi renderà meno cauto ma un po’ più coraggioso.

Ecco il brano: */

https://www.youtube.com/watch?v=vF5m5fLhz34

 

*/ Questa canzone mi tormenta… ma servirà a voi per comprendere dove ho nascosto il Diario.

https://www.youtube.com/watch?v=7jbmtlDfUSk&list=LL&index=78

 

Sento di doverlo fare, proprio come Philipp.

Me la vedrò con l’Uomo Ombra, se questo è il mio destino.

Ho preso la mia decisione.

Vi ringrazio per avermi seguito sin qui, se questo è un addio.

 

Aggiornerò, se mi sarà ancora possibile.

 

Un abbraccio,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 22
*** 24 Marzo ***


24 Marzo 2021,

 

 

E se siamo venuti al mondo in cerca di risposte, che senso avrebbe abbandonarci all’oblio in assenza di domande? È la nostra natura Umana ad imporci di fronteggiare l’ignoto: noi siamo parte del creato, e come frammento della vita stessa dell’Universo, è nostro compito rivelare quel che ora è incomprensibile, annientando così l’idea stessa dell’irreale. La differenza tra fantasia e realtà sta proprio nel trovare all’irreale una spiegazione. Sviscerare così il concetto astratto di Magia/Sovrannaturale. Dare all’ignoto una logica. Sono nato per questo motivo, ormai ne sono certo.

Indagherò, mettendo a repentaglio la mia stessa vita, perché tutti noi abbiamo un ruolo. Dobbiamo solo trovare il coraggio di accettarlo. Presa questa decisione, non si può più tornare indietro, amici miei. Il mio nome è Philipp Lloyd, e questa è stata la mia storia.”

 

Ho pensato a questa frase finale per chiudere il mio diario online.

L’ho pensata mentre aprivo la porta che si affaccia sul mio terrazzo e, ad un salto di un metro e mezzo, mi distanzia dalla proprietà del vicino. La era notte era scura, come al solito. Una bruma avvolgeva il cielo, offrendomi una discreta copertura per la mia sempre più prossima violazione.

Trovare il coraggio di affrontare questa impresa, lanciarsi a cuor leggero nel vuoto per trovare le risposte, ha richiesto una lunga meditazione. È stato il vero Philipp Lloyd ad ispirarmi questa riflessione. Non ho potuto fare a meno di leggere un suo estratto prima di lanciarmi nella sfida contro l’Uomo Ombra.

Folle, forse.

Sensato, dal mio punto di vista.

Ho pensato a molte altre questioni, nel frattempo che concedevo un’ultima carezza ad Avorio.

Ho pensato a tutti voi, amici miei, e mi sono interrogato su quali pensieri avrebbero potuto ghermire le vostre menti, in attesa di questo mio aggiornamento. Quanti di voi avranno rivolto la propria preoccupazione alla salute di Avorio, ignorando la pericolosità del mio gesto?

Io, alla fine, rimango sempre un personaggio di fantasia per molti di voi lettori. La mia sorte, invero, è un solo un pretesto per andare avanti nella lettura. Qualora dovessi fallire, morire, ed il fatto che stia scrivendo vi rivela il fatto che ancora non sia caduto per mano dell’Uomo Ombra, sarebbe forse per voi una buona conclusione. Ma non mi arrenderò al vostro tifo per l’oscurità, per il macabro spasso degli amanti dell’orrore.

Finché avrò fiato in corpo, lotterò contro la mia cattiva sorte!

 

Nascosto il Diario e chiusa a chiave la porta del salone, rassicurato dal fatto che solo Anduin saprebbe trovarlo, sono uscito nel terrazzo. Un venticello freddo s’insinuò sotto gli abiti, stringendomi le ossa.

In cuffia avevo quella stessa musica che ho condiviso con voi.

Nessun orizzonte luminoso davanti a me, solo una profonda e sconcertante oscurità.

Nessuno per le strade.

Un silenzio assordante, colmato dalla mia musica.

Avete mai provato la sensazione di stare in bilico sul ciglio di un cornicione, a svariati metri di altezza dal suolo? Il mondo appare improvvisamente più piccolo. Nessuna sensazione di vertigine, ma forse tutte queste vibrazioni positive erano dovute alla musica.

Compiuto il salto, mi sono guardato attorno come aspettandomi che una volante mi attendesse in strada, gli agenti con le armi spianate verso la mia figura. Tutto solo frutto della mia mente.

La portafinestra era aperta, e la tapparella abbassata per metà.

Tirato un profondo sospiro, mi sono quindi preparato per addentrarmi nella casa: guanti alle mani, dei fogli di polistirolo resistenti e di forma circolare sotto le scarpe, un passamontagna per nascondere i capelli e il viso. Avevo anche fatto la barba, per sicurezza. Ammetto di essermi sentito un po’ come Diabolik.

Un olezzo che avevo già avvertito in passato tornò subito ad infastidirmi, sino a trasformarsi in quell’assurdo profumo. La casa era buia ma, e questo era il mio piano sin dall’inizio, le luci dei lampioni esterni mi avrebbero favorito nel vedere nella penombra, fintanto che mi fossi tenuto dalla parte della strada. Avevo con me anche una piccola pila, per dare meno nell’occhio.

Mi riesce difficile, pur tornando indietro con la mente a quei momenti, descriverveli con la stessa inquietudine che avrebbero dovuto trasmettermi. C’era sangue ovunque: sui divani, sui mobili, sulle pareti… ho avuto l’impressione di avvertire sin da subito una presenza, il che mi spinse ovviamente a guardarmi spesso attorno. Ero solo.

Camminare con quelle basi di polistirolo ai piedi è stato complesso, e mi faceva apparire goffo; perlomeno avrei evitato di lasciare tracce che potessero rimandare alla mia persona.

Il primo fatto sconcertante fu quel sangue: quando posai la mano su una zona completamente imbrattata, mi resi conto che non si fosse del tutto raggrumato; permaneva in uno stato semiliquido, appiccicoso. In pochi secondi il mio palmo prese ad emettere un flebile bagliore intermittente tra il verde-violaceo, come una sorta di pulsazione, la medesima che avevo potuto scorgere all’interno di quelle grotte sotto il ponte.

La musica mi ha illuso per un attimo di essere un personaggio dei fumetti, dotato di chissà quale super potere; tuttavia, la consapevolezza di avere sulle mani il sangue del mio vicino mi fece raggelare, riportandomi alla realtà.

Era ancora il suo sangue? Mi domandai.

La ragione mi invitò a convincermi del fatto che quel liquido non potesse più dirsi Umano.

La luce mi tornò tuttavia utile, e mi saltarono subito all’occhio i brandelli di carne sparsi sul pavimento come briciole di pane; abbandonavano la sala in favore del corridoio, proprio come una pista da seguire.

Per quanto sciocco da farsi, decisi di pulirmi il guanto su una poltrona. Il luccichio svanì, e ciò mi diede da credere che fosse proprio il mio calore corporeo a stimolarne quella caratteristica luminescenza.

Accesi la pila e la utilizzai per guardarmi attorno. Il sangue aveva il colore tipico di quello umano; la casa non presentava eccessivi segni di violenza, eccetto quell’enorme chiazza sul tappeto, dove la testa del vicino doveva essere stata fracassata a colpi di mazza. Che ci crediate o meno, era come se potessi vedere quel gesto compiersi proprio sotto ai miei occhi. Vidi la donna preda di una frenesia immotivata.

Perché ucciderlo? Mi chiesi.

Non avrebbe semplicemente potuto fingersi normale?

Doveva esserci una spiegazione per quell’atto di estrema violenza, anche se ormai era chiaro che l’Uomo Ombra fosse entrato in quella casa. L’intero luogo aveva il suo odore. Forse, poteva essere ancora là dentro.

Prima di avventurarmi, indirizzai il fascio della torcia sulla parete che doveva corrispondere alla fine del mio corridoio e, con tutta la mia forza d’animo, trattenni un conato di vomito. Provai un’atroce fastidio alle mani, come se potessi provare quello stesso dolore…

Frammenti di unghie spezzate erano incastonati nel muro, lungo i solchi marcati a furia di grattare sino al consumarsi delle falangi. Vi erano delle parti bianche che mi riuscii che non potei non associare alle ossa. Mi chiesi a questo punto se la moglie non avesse ucciso il marito per salvarsi la vita.

Quale sorte atroce.

Avevo provato a salvarli…

Abbandonata la sala, decisi di proseguire per il corridoio, dove le briciole di lembi di pelle umana mi avrebbero condotto alla stanza da letto. Tre volte sentii il cuore salirmi in gola, ritrovandomi davanti ad uno specchio. Con terrore, indagai l’oscurità nel riflesso per individuare orme di altre entità: l’intero luogo ne era invaso. È quelle strisciate viscide sulle pareti!?

Non avevo potuto salvare il vicino.

Avevo giocato male le mie carte, e qualcuno era morto. Ma era come se non mi risultasse del tutto nuovo quello scenario, quasi fossi già stato in quella casa.

Era una sensazione assurda! Come?

Nella stanza da letto mi sentii raggelare. Il giaciglio era sottosopra, i cuscini squarciati, i mobili devastati e la tapparella abbassata del tutto. Delle cinghie erano state strette ai bordi del letto, quasi qualcuno vi fosse stato legato, ed una chiazza più grande macchiava il materasso. Mi tremò la mano, tanto da farmi cascare la pila. Nel raccoglierla, la calciai sino a farla finire sotto il letto.

Mi ritrovai nell’oscurità...

La luce, posta contro qualcosa che la ostacolava, ne proiettava la strana sagoma sul muro. Mi ci volle un po’ per riconoscere il profilo di un viso. Delle zampette pelose, quattro in tutto, sbucarono fuori dalla cavità orale, trascinandosela appresso. Verso di me!

Istintivamente accesi la luce, finendo per accecarmi. Ottima idea…

Quando mi riuscì di riaprire gli occhi, la prima cosa che notai fu una scarpina da bambino incastrata tra le lenzuola, praticamente dello stesso colore, se non per una chiazza di sangue. Doveva essere sfuggita alla scientifica.

Ripensai a quella forma proiettata dalla mia torcia, e non potei fare a meno di associarla a qualcosa di abbastanza piccolo da poter essere illuminato da un fascio così minuscolo. Tremai da capo a piedi perché, anche se non potevo sentirlo, probabilmente quell’Essere stava uggiolando sotto il letto, grugnendo, o qualsiasi verso orribile avesse voglia di emettere.

L’Uomo Ombra mi aveva attirato nella sua trappola!

Quell’omicidio era solo un trucco. Far trovare quei cadaveri dalla polizia era parte del suo piano per spingermi ad entrare lì dentro. Aveva trovato un altro corpo in cui trasferirsi...

Ho dimenticato di specificare una cosa: i vicini non avevano un bambino! */

 

Vorrei continuare a raccontarvi tutto, ma sarei costretto a dilungarmi troppo.

Ho dormito sino a tardi, ed è già buio. Posso sentire la sua risata infantile echeggiare attraverso la parete.

Chiama il mio nome!

M’invita ad andare a giocare con lui. L’Uomo Ombra…

Questo aggiornamento risente del mio irrequieto bisogno di trascriverlo; perdonate i repentini salti di tempo e gli errori… Non ho tempo per revisionarlo…

Mi sento improvvisamente stanco.

Sento gli occhi chiudersi, anche se non vorrei.

Ho messo su un po’ di caffè.

Non voglio dormire; non durante la notte, perlomeno.

Devo restare vigile.

Devo riuscire a contattare il figlio del vicino. Nessuno deve più entrare in quella casa… ora è il suo Santuario!

Quante cose devo ancora raccontarvi….

Avorio continua a sembrarmi sempre più debole...

Non c’è più tempo.

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 23
*** 25 Marzo ***


25 Marzo 2021,

 

 

Questa notte sono stato di nuovo in quella casa.

Mi sono risvegliato nel salotto, immerso in quel liquido fluorescente che mi è impossibile definire sangue umano. Poi, quell’Essere è piombato su di me. Ho urlato, mi sono dimenato, ma non ho avuto alcuna possibilità di fuga.

Gli artigli affilati di Avorio mi ha riportato alla realtà. Avevo finito con l’addormentarmi durante la lettura del Diario di Philipp; le cuffie mi erano cadute, e dunque avevo perso la protezione della musica. Sapete quanto sia difficile dormire con della musica nelle orecchie, abbastanza alta da non sentire i tetri lamenti dell’oscurità?

Quando lo guardo e lo vedo così abbattuto, un cattivo presagio mi attraversa la mente: Avorio è sempre più debole. Quel gesto di svegliarmi deve essergli costato molto. Si rifiuta di mangiare, di bere e andare in bagno. Si limita a dormire. Il suo respiro è affannato, il suo ventre si gonfia in modo convulso, per poi svuotarsi improvvisamente, quasi non avesse più ossa o organi sotto la fitta peluria. Vorrei portarlo da un veterinario, ma so che non si tratta di un gatto normale. Dovrei farlo? Mi appello al vostro consiglio, amici miei.

Temo possa avere a che fare con la sparizione di quei Dadi. Eppure, quando siamo usciti a fare quella passeggiata, non mi era parso così tormentato dalla lontananza. Forse ha a che fare con il distanziamento prolungato? Dove sono quei Dadi?

Devo assolutamente ritrovarli.

 

Non sono uno che guarda la televisione, ma ieri mi sono ritrovato sintonizzato su un programma che danno su Rai 3. Qualcuno di voi lo conoscerà, immagino: ‘Chi l’ha visto?’. Se mi capita, evito di seguire certi programmi che si giocano l’audience televisivo sulle disgrazie delle persone, anche se di quando in quando ‘hanno aiutato a trovare delle persone’, come diceva sempre mia madre. Si parlava della sparizione di alcuni giovani, tediati da oscuri presagi, da timori reconditi, nei giorni antecedenti alla loro scomparsa; i genitori sono arrivati ad affermare che “credevano di essere seguiti”, e “stavano svegli la notte, per assicurarsi che nessuno entrasse in casa.”

Sarà solo una mia impressione, ma vedo nei loro comportamenti un nesso con la mia esperienza? Certo, se io fossi sparito, nessuno avrebbe sentito la mia mancanza… ma loro non avevano ricevuto il supporto di Avorio. Non è stato menzionato nessun gatto, nelle loro storie.

I loro telefoni e computers sono stati ripuliti da ogni documento… è accaduta la stessa cosa anche a me, ricordate? È per questo che ho iniziato a scrivere su questo sito, accedendo da un browser in forma anonima, inserendo sempre la password, costringendomi a cambiarla regolarmente ogni giorno o due al massimo.

Il bambino... anche lui sarà dato per disperso?

A proposito di altre questioni strane: ieri ho scritto un messaggio segreto. Perlomeno, sono convinto di averlo fatto, prima di postare il mio aggiornamento. Oggi, quando sono tornato a controllare, non ho trovato niente. Alcuni di voi me lo hanno fatto notare nei loro messaggi. Non riesco a ricordarne il contenuto. Forse è stata solo una mia svista… ero così stanco, provato? Cercherò di fare più attenzione. */

 

*/Anduin, sono due giorni che non rispondi ai miei messaggi. È accaduto qualcosa?

Non vorrei ti fosse accaduto qualcosa… come a quei ragazzi. Attendo tue notizie.

 

Tornando a quell’incontro nella casa…

 

Avevo appena realizzato di essere stato attirato in una trappola.

L’Uomo Ombra stava per palesarsi davanti a me, o alle mie spalle, e non avrei potuto sentirlo arrivare con il volume delle cuffie al massimo. Mi costrinsi a fare un passo indietro, ma una parte di me esigeva vedere quella cosa uscire da sotto il letto. Dovevo vedere: ero lì proprio per quel motivo!

Rimasi fermo, afferrando la cosa più vicina: una fotografia incorniciata in argento del vicino e sua moglie, il giorno delle nozze. Finché morte non vi separi, oppure una mazzata sul cranio, o una creatura dell’oscurità! Ma erano stati uniti anche nella morte, quei due.

Provai disgusto per me stesso a riguardo di quella riflessione tanto cinica.

La morte non mi faceva più alcun effetto?

Forse, dopo tutto quello a cui sono stato sottoposto, la morte rappresenta per me il male minore in questo mondo. Non per mano di questo Uomo Ombra. Morire per lui significherebbe una dannazione in eterno, a dare ascolto alla linea di pensiero di Philipp Lloyd.

Il bambino – una sua piccola parte, perlomeno – venne fuori dal letto in un guizzo improvviso. Quella testa riccioluta rotolò fuori come una specie di armadillo appallottolato su se stesso. Poi, dalla sua vuota cavità orale, priva anche dei denti, sgusciarono fuori quattro zampe pelose, sul marroncino; gli occhi celesti si aprirono sulla mia figura imbacuccata, roteando come impazziti, frattanto che dal naso sgorgava un liquido del tutto simile a quello rilasciato da quelle specie di enormi chiocciole. L’attaccatura del collo, prossima alle orecchie, dove apparentemente la testa era mozzata, si presentava ricoperta da uno strato carapace, pulsante, color sangue raggrumato.

Buttai di nuovo giù il conato che aveva provato a risalirmi in gola alla sua vista. Senza indugiare oltre, le scagliai contro la cornice d’argento. Un centro perfetto!

Uno spigolo aprì uno squarcio nella fronte, facendo sprizzare fuori un liquido putrescente, stantio, color bile. Ma si dimostrò anche quella una pessima scelta: come una frustata, una sorta di sottile e scuro tentacolo, che in qualche modo mi ricordò una specie di lingua, approfittò della nuova apertura per mandare in frantumi il lampadario, facendo ripiombare la stanza nell’oscurità.

Non avevo armi con me, e quando vidi – grazie alla torcia - quelle zampe pelose scattare in mia direzione, producendo un suono simile al crepitare d’ossa – ma forse questo l’ho solo immaginato -, presi l’unica decisione sensata: correre via!

Nel farlo, costringendomi a guardare dietro di me, mi convinsi a giocare d’astuzia, pur correndo il rischio di rimanerci secco. Mi fermai poco oltre la porta del salone e, quando percepii quella cosa superarmi di tutta fretta, agitando il tentacolo a mo’ di lazzo, le sferrai un calcio dritto sulla calotta cranica, spedendola contro una vetrinetta che andò in mille pezzi. Avrei riso della scenetta al limite del comico, se non fosse che nella penombra della sala non avrei potuto vedere facilmente quell’essere…

Mi affrettai allora a tornare nella camera da letto; tutto quel rumore avrebbe di per certo allertato i vicini: dovevo nascondere le mie tracce! Ma quando infilai la mano per afferrare la pila, qualcosa mi morse l’avambraccio, provocandomi una tetra sensazione di gelo. Cacciai un urlo, al pensiero che vi fossero altre teste di bambino annidate nell’oscurità!

La torcia era di nuovo mia. Ritrassi al mano, ma la sentii come paralizzata. Sentii i tendini contrarsi in uno spasmo frenetico. Se foste curiosi di conoscere questa sensazione, v’invito a distendere il braccio, concentrando tutta la vostra forza nella mano; stringetela a pugno, poi inclinante il polso verso di voi finché riuscite e, infine, allo stremo della resistenza pizzicatevi il tendine!

 

Avete davvero avuto il coraggio di farlo? Perché?

Troviamo sempre il modo di farci del male… proviamo piacere nell’infliggercelo, nel provare sensazioni sgradevoli. Per questo apprezziamo il senso dell’orrore. Siamo esseri viventi molto strani, più di quanto ci piacerebbe ammettere. Quella sensazione vi rimarrà addosso per un bel po’, specialmente se avete continuato a provarci.

 

 

Alzandomi di scatto, avvertii come il passaggio di qualcosa alla mia sinistra, dalla porta. Mi sarebbe però stato impossibile dedicargli la mia attenzione, perché era già tutta per qualcosa che riempiva la parete alla quale si poggiava il letto: un simbolo circolare, pulsate dello stesso colore delle grotte, bruciava di rune informi, forse un linguaggio perduto, custodendo al centro un simbolo che mi sovvenne subito l’impressione di aver già scorto: un verde occhio verticale con una lacrima violacea al suo interno.

Mi ero giù arreso all’idea di essere divorato, quando ritrovai la mia immagine riflessa nello specchio del mio bagno. Il simbolo era marcato sul vetro, come ad opera di una lama sottilissima. Lo toccai, ed era freddo e tagliente, tanto da segnarmi il polpastrello. Il sangue prese a sgorgare copioso dalla ferita.

È stato un sogno? Mi chiesi più volte.

Era tutto così reale.

Ero completamente nudo!

Niente più musica nelle mie orecchie.

Non ricordavo come fossi arrivato al bagno, davanti a quello specchio. Mi assalì l’idea di essere stato plasmato, di essere divenuto un burattino nelle loro mani. Riuscii tuttavia a portami il braccio davanti agli occhi: il morso era reale! Si presentava differente da qualsiasi altra cosa avessi visto in vita mia. Il segno non era circolare, bensì a forma di clessidra tagliata verticalmente a metà. Somigliava alla diciottesima lettera dell’alfabeto greco: Sigma.

 

Ʃ

 

Quale Essere poteva essere dotato di fauci simili?

Bruciava ora, dopo il freddo che mi aveva trasmesso. Mi affrettai dunque a buttarci sopra un po’ di acqua ossigenata. Pessima scelta! Fu come cospargere di sale la ferita, ma non fermai a questo episodio; dopo aver aver intinto la ferita con l’alcool, le diedi letteralmente fuoco, rischiando di incendiare l’intera casa. Il terrore che mi diede il pensiero di aver qualcosa dentro il mio organismo mi perseguita, specialmente a causa di questa improvvisa stanchezza che m’impedisce di spingermi oltre con il racconto.

Col piede ho finito per pestare la coda di Avorio, che per tutto il tempo era stato lì, proprio dietro di me. Non batté ciglio. Non si lamentò. Lo vidi respirare a fatica, emettendo un rantolo soffocato.

Era stato lui a riportarmi indietro?

Come?

Quel simbolo era lo stesso apparso sui Dadi!

Malgrado la preoccupazione, mi fiondai nel salone: la porta era aperta!

Non mi interrogai oltre, fiondandomi a chiudere la portafinestra, prima che una di quelle cose potesse entrare a casa mia tramite il terrazzo.

Poi, tornai a raccogliere avorio.

Era freddo.

Non potei fare altro...

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 24
*** 26 Marzo ***


26 Marzo 2021,

 

 

Per quanto possa amare la musica, è impossibile vivere tutta la vita con il ritmo nelle orecchie. Abbiamo bisogno di silenzio, per quanto sia impossibile averne di assoluto. Il nostro fisico necessita di alcune pausa, per poter rilassare la mente.

I vicini hanno chiamato la polizia.

Ho trascorso buona parte del pomeriggio a conversare con con un agente che aveva l’alito che puzzava di sigarette e acqua di colonia scadente. Non immaginatevi una cosa in stile Serie TV americana; non gli interessava granché quel che avessi da dire. Si è giusto guardato attorno, tentando di entrare dentro casa mia. L’ho lasciato fare: non ho niente da nascondere, per quanto ciò violi la mia proprietà privata e i miei diritti di cittadino. Volevo solo che si togliesse di torno.

“Quindi non ha sentito niente, Signor […]?” Ha insistito. Gli ho mostrato le cuffie, ho detto che al momento dell’accaduto stavo ascoltando della musica, per il mio lavoro.

“E quale sarebbe?”

L’ho buttata lì: “Scrivo.”

“Ah, l’Italia! Tutti scrittori…” si è affrettato a dire con una buona dose di sarcasmo ed ignoranza. Avrei voluto dargli un pugno sul naso, così da nascondere quei peli lunghi e bianchi che gli penzolavano dalle narici, come un nugolo di tentacoli.

“Le piacciono i tatuaggi?” ha proseguito, in quello che si stava trasformando in una sorta di interrogatorio. Mi toccò l’avambraccio con il tappo della BIC che stava utilizzando per fingere di prendere appunti sul mio conto. Sul morso. Il fuoco lo aveva fatto cicatrizzare.

“Tanto quanto Distretto di Polizia: condividono la stessa inutilità.”

Non che abbia davvero qualcosa contro chi si tatua la pelle, ho solo sfruttato l’occasione per dare voce ad un insulto sterile, inutile. Mi andava di provocarlo.

Ha fatto una faccia strana, perplessa. Troppo complessa?

Gli ho riso in faccia. Solo in quel momento ha intuito ci fosse una certa nota aspra nel mio commento. Ma certi uomini sono così: mediocri sino all’osso; quando si sentono offesi, reagiscono con la forza bruta dettata dalla rabbia, abbandonandosi alla violenza. Anche il vicino era così. Colsi proprio questo suo atteggiamento nell’irrigidirsi dei muscoli, nel suo stropicciare il taccuino.

“Ho detto qualcosa che non va?”

Lui mi ha guardato con ferocia, tirando su col naso.

Mi chiesi come gli riuscisse guardarsi allo specchio ogni giorno, prima di andare a lavorare. Non sentiva il fetore del suo alito, non vedeva quel disgustoso colore giallo ocra sui suoi denti, imposto dalla nicotina? Poi ci sono arrivato: se uno non si lava, coprendo il proprio odore con dell’acqua di colonia scadente, tutto torna!

Pessimo modo di passare inosservato, lo so.

Si è congedato poi, fingendo di rispondere ad una chiamata. Lo schermo del telefono era spento. Ridicolo.

“Agente…” ho detto poi, prima che si avviasse giù per le scale. “Lo ha sentito…?”

Lui si è fermato all’improvviso, simulando l’atto di mettere in attesa qualcuno.

“Cosa?”

Il mio sguardo era corso al nuovo portoncino dell’ormai defunto vicino. Avevo sentito davvero un suono? Probabilmente no, ma era come se quel lamento infantile fosse ancora nella mia testa. Qualcosa, dentro di me, voleva che lo invitassi ad entrare in quella casa. Era un pensiero orribile, viscido. Era come se volessi nutrire quell’essere.

“Cosa?” mi ripeté.

“Credo di averlo immaginato. Aspetti!” aggiunsi di nuovo, costringendolo a tornare indietro. Lessi nel suo sguardo l’impazienza di chi ha imparato a governare i propri istinti, dopo qualche tirata di orecchie dei superiori.

Un attimo prima lo avrei consegnato alle tenebre, ma in quel momento mi ritrovai a tremare. Nella mia mente c’era posto solo per quella scarpina, per quella testa di fanciullo che avevo calciato due notti prima. “Ho sentito che è sparito un bambino… è stato ritrovato?”

Nonostante si fosse venuta a creare una certa tensione fra di noi, quella domanda parve colpire nel profondo il militare. Abbassò il telefono, in contemporanea con lo sguardo. “I bambini…” soggiunse in poco più di un sussurro.

Raggelai.

“Non abbiamo niente, purtroppo. Questa città sta andando a rotoli… questa nazione. Tra ragazzi che spariscono nel nulla, e bambini che vengono rapiti dalle proprie culle, come può la gente dormire tranquilla? Facci attenzione. Buona giornata.”

Sono rimasto lì, sulla soglia del mio appartamento, a fissare quel portone in fondo al corridoio, agghindato a mo’ di albero di natale dai nastri della polizia. Un brivido mi è corso lungo la schiena, e ho avvertito il morso pulsare, quasi fosse un richiamo.

Un invito ad incedere verso l’ombra.

 

Seduto accanto al debole Avorio, ascoltando il suo respiro affaticato, ho avuto molto a cui pensare. La mia vita si sta sfaldando a metà tra realtà e incubo. Non è la prima volta che lo faccio presente, vero?

Ho avuto da ripensare ai bambini, al morso, a quanto vi ho raccontato su quella notte…

È accaduto?

È davvero accaduto?

Oppure, così come per la scena della vicina che frantumava il cranio del marito con la mazza, è stato tutto un sogno vividissimo?

Il simbolo nello specchio: quello non è mai andato via.

Sono pazzo, forse, ma non del tutto. Riesco a vedere cose che non esistono?

Dovrei andare in quella casa in pieno giorno, vedere se la cornice è ancora integra, se la vetrina è esplosa!

Ma la polizia è stata chiamata, no? Questo non dovrebbe essere sufficiente a chiarire la situazione? I rumori li hanno uditi tutti.

Ma perché la polizia non è stata chiamata le notti precedenti? È accaduto altro, in questi due giorni? Mi sono perso qualcosa?

Quanti bambini sono scomparsi?

Finché quella cosa sarà dentro quella casa, temo continueranno a sparirne ancora.

L’Uomo Ombra.

È folle, amici miei…

Ma se fossi nient’altro che io quell’essere?

Se fossi io questo fantomatico Uomo Ombra da cui tento di fuggire?

Forse quell’ombra che ho avuto modo di inseguire, era la mia coscienza che mi sfuggiva tra le dita. Era la realtà per come dovrebbe essere, vittima della mia ibrida natura.

Provo una profonda e sconcertante tristezza.

Mi sento debole.

Mi sento solo…

Vedendomi da fuori, rileggendo quanto vi ho narrato, mi è impossibile riconoscermi. Chi è questo giovane che scrive questo diario? Un giorno euforico, pronto a dare battaglia alle tenebre, l’altro depresso, abbandonato, mortificato, alienato. Tutto sta crollando…

 

Anduin… dove sei?

Sto pensando di fermarmi qui, amici miei.

Mi avete seguito fedelmente, chi sostenendomi, chi deridendomi. Ma siete stati qui per me, ogni giorno delle ultime quattro settimane. Temo di avervi compromessi tutti. Da quando ho iniziato a scrivere, il mondo sta scivolando in un’ombra opprimente.

Ogni mio apparente successo conduce ad un evento tragico.

Non c’è pace.

Non c’è salvezza.

Sono ancora me stesso?

Oppure, questo pseudonimo ha preso il sopravvento sulla mia reale natura?

 

Sono Philipp Lloyd…

 

Sono Philipp Lloyd…

 

Sono Philipp Lloyd…

 

Sono Philipp Lloyd…

 

 

Non riesco più a leggere il suo/mio diario.

Non posso più entrare nel mio bagno. Quel simbolo mi perseguita.

Non posso più stare in questa casa, ma non ho altro luogo dove andare.

Forse dovrei chiuderla qui… mettere la parola fine a questo orrore.

Che vinca o meno, l’Uomo Ombra non può essere fermato…

Ostacolarlo significa solo prendere tempo sull’inevitabile.

Sono così stanco…

Avorio è così stanco…

Il sole non è ancora tramontato, ma io non voglio più stare sveglio.

 

 

Ho aperto tutte le porte. Tutte le finestre…

Niente più segreti.

Niente più messaggi in codice.

Non tornate, per il vostro bene…

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Ho appoggiato il Diario di Philipp Lloyd sulle mie gambe.

Ho appena ingurgitato una quantità indefinita di pillole.

Mi sento così stanco…

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Ho sollevato tutte le tapparelle...

Ho aperto tutte le porte…

Ho spalancato tutte le finestre…

Mi sono sdraiato nudo sul divano della sala...

Il vento freddo mi carezza la pelle…

Sento freddo…

ma non m’importa…

Sono così stanco…

Finisce qui, come Lui vuole…

Mi arrendo…

 

Invierò questo aggiornamento…

Poi, sprofonderò nell’oblio…

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Non sono Philipp Lloyd

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Capitolo 25
*** 29 Marzo ***


29 Marzo 2021

 

*/

*/ Io non sono Philipp Lloyd

 

In un momento di lucidità sono riuscito a strappare delle parole all’oscurità della mia coscienza.

Ho domandando nomi, luoghi e parole d’ordine.

L’oscurità ha saputo rispondermi, ma a patto che fossi io, ed io soltanto a raccontare la mia versione. Così, con un po’ di timore, ho messo mano al passato di qualcuno che avevo conosciuto solo per mezzo di alcune lettere.

Quanto è difficile riuscire instaurare un rapporto del genere, a distanza, senza mai essersi visti?

Ed ora che lo guardo, steso in questo letto di sofferenza, con me a fargli da custode, mi domando cosa sarebbe accaduto se non avesse avuto me. Se qualcuno non mi avesse messo sulla sua strada.

Vi sto dando un aggiornamento confuso, lo so. Ma non posso fare altrimenti. */

 

*/ Mi fa strano utilizzare questo mezzo. Non lo sento mio, anche perché non lo è. Philipp è con me. Non sta bene.

 

Ho poche parole da spendere per voi. Nessun dettaglio macabro, perlomeno.

Non ho risposto alle vostre mail, non mi va al momento.

Sarebbe giusto dire che non posso.

Ma risponderò… cercherò di tenere a mente i vostri commenti, i vostri indirizzi, e poi mi consentirò di rispondervi, quando questa situazione sarà passata.

Quale situazione?

Non posso dirvelo.

Non sarebbe saggio.

Anche se loro sanno, di questo ne sono più che certo.

Loro lo sanno sempre.

È solo questione di tempo.

Le loro spie sono ovunque.

Ma ora devo dormire…

è tempo di sognare…

è tempo di scivolare nell’oblio dei ricordi.

 

Ma potrete sapere di me, se saprete dove cercare.

Anduin è ancora la mia guida.

Cercate il suo Diario. */

 

*/ Eccolo! Qui potrò essere libero di darvi maggiori informazioni. (Cliccateci sopra!)

 

Combattete l’oscurità.

Con tutti voi stessi.

Guardatevi le spalle.

 

Aggiornerà, appena potrà farlo.*/

 

*/ Io non sono

Philipp Lloyd */

*/ Anduin

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Capitolo 26
*** 30 Marzo ***


30 Marzo 2021,

 

*/

*/ Io non sono Philipp Lloyd

Non mi riesce affatto di dormire, per questo scrivo. Potrebbe non essere ciò che voglio davvero, ma devo fidarmi di questa sensazione. Così vi racconterò questa storia, anche se non sono esattamente le mie mani a scriverla. Scruto Avorio, seduto sulla mia pancia, con quel fare da guardiano egizio, e non posso fare a meno di pensare a quanto ci sia andato vicino a lasciarci le penne.

Una mia decisione.

Chi era lui per venirmi a salvare?

Ha interferito con il mio destino?

E se, salvandomi, non avesse fatto altro che contribuire al volere dell’Uomo Ombra?

Ogni nostra decisione deve essere ben ponderata; arrenderci al mero istinto non può che essere deleterio per l’anima.

Troppe riflessioni, troppi pensieri notturni.

Forse è la pizza che mi è rimasta sullo stomaco a farmi parlare (troppo aglio? Troppo condimento?), o semplicemente leggere il Diario di Philipp Lloyd riesce davvero a mettermi addosso questa folle sensazione di persecuzione.

Sento che qualcosa mi osserva, anche se nella stanza non ci sono pertugi sufficienti per spiarmi. Sento uno sguardo gravare sulla mia persona, ed ogni tanto come un sussurro gelido raggiungere i miei pensieri. Un sussurro gelido… ma come fa ad essere gelido, toccando la mente?

Non so spigarvelo scientificamente. Ma quel suono mi fa raggelare. Ecco tutto.

Mi chiedo se non sia questo stesso Diario a nascondere un potente maleficio: chiunque ne legga delle pagine, poi sembra dare i numeri, proprio come sto facendo io in questo momento.

Cosa vogliono da noi?

Siamo solo un tramite, oppure la nostra scelta di opporci all’oscurità ci porterà davvero a fare qualcosa di utile per questo mondo?

Non possiamo più escludere, invece, come ha temuto lo stesso Philipp, di fare parte di un piano più oscuro. Questo ha spinto anche me sull’orlo della follia.

Vi ripeterò una cosa che è già stata detta: non si può leggere più di una pagina del Diario di Philipp Lloyd, è quasi impossibile. Sono riuscito a leggerne tre di fila, ma più andavo avanti più mi sentivo opprimere; era come se qualcosa stesse tentando di influenzarmi.

Solo ora, a distanza di molte battute, mi rendo conto che anche il mio stile di scrittura ne sta risentendo… come diamine è possibile tutto ciò?

I miei stessi pensieri stanno gradualmente finendo per allinearsi a quelli del Diario. Un sortilegio, un incantesimo, un macabro scherzo del destino. Tenterò di non andare oltre la singola pagina. Una cosa che ho letto anche nelle vostre recensioni (inferiori rispetto a quelle del sito che è stato cancellato), accessibili su questa piattaforma anche ai non iscritti, mi si è presentata a mia volta impossibile: andare a leggere il finale della storia. Le pagine sono incollate, e ho timore di danneggiarne il contenuto. E se con il mio operato dovessi finire per occluderci un’informazione di vitale importanza? Troppo rischioso. Spero mi capirete.

Non ho potuto fare a meno di pensare a quello che Anduin ha scritto nel suo diario, che troverete su questo stesso sito, e della terribile piaga che stava finendo per trascinare Avorio nell’oblio. Cosa succede a chi passa dall’altra parte? E perché continuo a farmi queste stramaledette domande?

Risposte! Ecco cosa voglio, e cosa ho sempre cercato in Philipp Lloyd. Come voi, anche io voglio delle risposte. Sono già stanco di sentirmi e sentirvi porvi determinate domande. Bisogna indagare, affrontare questo problema con determinazione.

Ma se ripenso alla mia sorte… arrivare ad un passo dal suicidio.

La morte non può essere una soluzione! Mai!

Non sono mai stato uno che si racconta, ma ora siete l’unico legame che ho con l’esterno. Qualcuno, a casa, si starà forse chiedendo che fine ho fatto. Mi crederanno uno di quei giovani che sono spariti nel nulla? Utilizzare la parola giovane con me, sarebbe un po’ come farmi un complimento, anche se continuo a piacere alle signorine. (Non mi sto affatto autocitando riguardo a qualcosa che ho scritto altrove!) Perlomeno il mio spirito non si è ancora assopito!

Considerata l’ora, e quanto ho scritto, vado a prendermi un caffè.

Lo scrivo lo stesso, anche se non vi interessa, per farvi capire che per buttare giù questi pensieri ci ho messo un bel po’. Non so neanche se li pubblicherò, alla fine.

 

Deve essere tenuto sotto controllo 24H.

Così aveva detto il dottore.

Così mi ero promesso di fare.

Dannazione, scrivere ci rende degli idioti!

Mi sono alzato per un caffè, cinque minuti al massimo per raggiungere il distributore che c’è davanti alla fermata dell’autobus… ed ecco il caos più totale!

Sono rientrato nella stanza che Avorio stava letteralmente gridando dal terrore. Nessuno è accorso. I vicini di alloggio devono averlo creduto un gatto in calore.

Sangue ovunque, di quello putrido, scuro, simile a melma, imbrattava la coperta sul mio corpo. Avorio era ferito.

Vedendomi entrare, il gatto mi aveva penetrato l’anima con quel suo sguardo cieco, come ad accusarmi per la mia assenza. Qualcosa lo aveva ferito nel tentativo di custodirmi. Ma che cosa?

Le ferite, che lo privavano ora di una parte del pelo, erano a forma concentrica, dandomi l’idea che qualcosa avesse tentato come di risucchiarlo ad opera di una moltitudine di minuscole bocche. Per farvi comprendere meglio, le zone private del pelo si presentavano quasi con le stesse caratteristiche di quando si subisce un vaccino, ma i forellini erano decisamente più sottili, quasi impercettibili anche a distanza ravvicinata. Che cosa lo abbia aggredito, solo i suoi occhi possono saperlo.

Come primo istinto, ho avuto quello di chiamare un infermiere.

È entrato, ho controllato con disinvoltura le prestazioni vitali, si è sbilanciato in una battutina sul pelo a chiazze di Avorio, e si è subito dopo congedato con un nervoso:

Abbiamo delle emergenze qui. Capisco la vostra situazione, ma non può chiamarci per qualsiasi cosa. È solo un lieve calo di pressione, del tutto normale.”

“E del resto, che mi dice: non le preoccupa?”, ho chiesto sconcertato.

Non ho tempo per questi giochetti. I gatti randagi non possono stare qui dentro, lo faccia uscire.”

Ho capito solo in quel momento. Solo io ed Avorio potevamo vedere tutto quel sangue!

Non eravamo più al sicuro lì, l’Uomo ombra ci aveva infine stanati.

Ho atteso l’alba, ho chiamato un taxi.

Dobbiamo andarcene.

È arrivato ora.

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd */

*/ Anduin

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Capitolo 27
*** 31 Marzo ***


31 Marzo 2021,

 

 

Sono prigioniero, anche se questa è casa mia.

Qualcuno ha scritto per me un aggiornamento, oggi stesso. È quello che precede questo. Si spaccia per Anduin. Sono abbastanza certo che non sia lui.

La riconosco!

Sento qualcuno farneticare dall’altro lato della porta.

Sono troppo debole per alzarmi, giacché mi hanno confinato in questo angusto sgabuzzino. Perlomeno la luce è accesa. Il ripostiglio ha sempre avuto un problema: la porta più alta del pavimento, a sufficienza per infilarci sotto le dita.

Avorio è con me.

Anche il Diario di Philipp Lloyd.

Sono vestito alla bene e meglio, come un paziente in ospedale dopo mesi di abbandono. Sento la puzza di cadavere sulla mia pelle. Lo stesso Avorio mi studia con un’espressione strana, miagola sommessamente, quasi temesse di risvegliare l’attenzione del mio rapitore, distante al massimo una decina di metri. Guardava una partita, l’Italia, nel mio salotto. Perché sono stato rinchiuso qui dentro? Cosa ho fatto di male?

Ma perché il mio carceriere avrebbe dovuto chiudermi dentro questo stanzino, lasciandomi inoltre questo portatile ed un accesso wireless alla rete domestica. Mi sarebbe bastato poco per avvertire le forze dell’ordine, ma c’era qualcosa di diverso.

Avorio, schiacciandomi con poca grazia l’addome e i genitali, si è precipitato subito a raccogliere una chiave. Era la stessa per aprire la stanza!

Rimasi perplesso, ma lo sguardo furioso di Avorio mi ricordò il perché. Non mi ha chiuso qui dentro per trattenermi, ma per proteggermi da qualcosa che sapeva avrebbe fatto irruzione nella casa. Dallo spioncino posso vedere solo ombre indistinte!

L’istinto mi suggerisce di non uscire, perché altrimenti quel sacrificio sarebbe stato inutile.

Devo aspettare il momento giusto.

Ma egli ha scordato di consegnarmi delle cuffie per tornare indietro nel tempo. Puoi asoltare qualsiasi cosa, l’importante è divertire. Si tratta sempre e solo di divertimento.

Mi fa male la gola, tutto il corpo ed anche il fianco. Non posso permettermi altri sbagli.

Chi sei, essere d’Ombra che giungi al mio capezzale?

Ma se non posso uscire, devo trovare il modo di non udire più quel lamento di bambino.

Ormai è chiaro, comincio anche io a dare i numeri, a cercare più pulizia; tutti, in quella stanza erano criticabili nel loro lavoro.

 

Mi sento di nuovo sprofondare nell’oblio. Odo rumore di spade. (E da dove saltano fuori?)

 

Aggiornerò, quando mi sarà possibile

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 28
*** 1 Aprile ***


1 Aprile 2021,

 

 

Le cose non vanno esattamente come speriamo, quasi mai.

Così accade, quando ci ritroviamo persi per qualsiasi ragione. Cerchiamo di dare la colpa a qualcosa, a qualcuno, perché credere di essere noi i responsabili è uno scoglio troppo duro da superare. Qualche volta, però, non è nostra la colpa delle nostre disgrazie. Dopo aver escluso la sfortuna, le persone e noi, dopo aver capito che un colpa non esiste, possiamo semplicemente accettare l’intervento del fato all’interno delle nostre esistenze. Alludo a quella presenza invisibile che ci unisce, innalzandoci dalla semplice condizione di puntini a una vera e propria rete umana. Noi siamo il mondo.

Ho dovuto parlare a lungo con la donna che ho sempre chiamato Anduin. Sì, è una donna. Immagino sia un colpo di scena, per voi. Io mi sono sempre riferito a lei al maschile, proprio perché lo era il nome, ma i fiumi non hanno sesso, almeno credo. Abbiamo parlato così tanto, frugandoci le anime, sino al punto di comprendere che quel legame fosse sincero.

Ma arriviamo subito alla domanda che premerà i più di voi: perché chiudermi nello sgabuzzino?

Anduin non aveva il coraggio di rimanere in possesso di quell’oggetto, dopo i fatti di ieri.

Dopo avermi lasciato a casa, e aver fatto qualche ricerca, è effettivamente uscita da sola. È tornata con delle bottiglie di acqua sacra, riempite in modo furtivo dalle chiese. È stata costretto ad un gesto così misero, quando il prete a cui si era rivolta si è rifiutato di benedirla perché, sue parole, aveva visto l’oscurità in lei. Ha voluto scacciarla, invece di guarirla.

Mi ha ricordato qualcosa...

La prima cosa che ho pensato, come voi, forse, è stata “che schifo”.

La seconda, una domanda: “perché?”

Anduin è convinta che l’acqua sacra ci sarà utile per fronteggiare questa minaccia. Credente, per lei è il Signore ad essere la sua arma. Siamo molto diversi, a dire la verità. Ma qualsiasi aiuto è benvenuto, in un momento così tragico.

Lei mi ha salvato, illuminando la mia strada.

Il destino deve averla messa sulle mie tracce.

Non ho una spiegazione migliore.

È arrivata proprio quando ne avevo bisogno. E per questo la ringrazio.

Ho impiegato davvero molte energie per crederle. Alla fine, però, ha avuto ragione due volte. La prima, nel volermi chiudere, la seconda nel non tenere con sé certi oggetti.

Il prete doveva averci visto lungo, perché la sua notte è stata infernale. Ha cominciato a delirare, lanciando versi assurdi verso il cielo. Avorio avrebbe voluto saltarle alla gola. Anduin ancora non aveva potuto raccontarmi della questione di quelle bestie simili a zecche che avevano cercato di possedere sino alla morte il gatto. Bruciandole, avevano finito per inalarle. Lei e la bella veterinaria, di cui oggi abbiamo appreso il decesso: ha crivellato di pallottole il marito poliziotto con la sua stessa pistola, prima di togliersi la vita. Follia!

Sapendosi in pericolo, e sapendo che il dolore l’avrebbe costretta a urlare, Anduin ha così messo in riproduzione una partita di calcio a tutto volume. Io ho percepito la sua ombra, quell’essere che le è venuto fuori, non appena sono calate le tenebre.

Lei sostiene che il merito sia dovuto all’acqua sacra che ha ingerito. Tramite essa, l’oscurità che aveva respirato ha dovuto eclissarsi. Il solo pensiero di quante mani devono aver toccato quello stesso liquido, mi fa venire il voltastomaco, ed ora mi chiedo se lei non sia guarita da questa oscurità al fine di prendersi qualcuno di quei virus che stanno mettendo in ginocchio il mondo intero!

Sono uscito dal mio nascondiglio solo a notte inoltrata, quando sono cessate le grida. Ma per tutto il tempo sono stato vittima del dubbio e del terrore, con la voce di quel bambino, i graffi nel muro e la mia pazzia.

Se il Diario fosse stato tra le mani di Anduin, probabilmente quell’essere l’avrebbe portato all’Uomo Ombra.

È stato questo pensiero a farci credere in lei, parlo anche per Avorio, poiché ha salvato la vita anche al piccolo custode. Lei che aveva comunque detenuto il possesso di quell’oggetto così a lungo, e che non mi aveva abbandonato nel momento del bisogno. Dopo mia madre, l’unica persona ad essere capace di tanto amore. È forse una casualità il fatto che sia proprio un’altra donna?

Mi ha parlato dei parassiti di Avorio. Crede che gli siano entrati in corpo proprio quando ne ha fatto scorpacciata. Forse, se non l’avesse portato dalla veterinaria, a quest’ora avrebbero utilizzato Avorio per riprodursi in qualche altro raccapricciante essere!

Ma io, che non avevo inalato niente del genere, come ho potuto cedere in quel modo alla sua stessa follia? Perché Avorio non mia ha reputato un nemico?

Perché l’Uomo Ombra ci aveva ghermiti entrambi, aveva tentato di risucchiarci nella sua oscurità già all’ospedale. Ci aveva avvelenati!

Anduin ha insistito affinché bevessimo la nostra dose di acqua sacra.

Per Avorio è stato facile, ma per me… la cosa peggiore è stato dover ripete quel gesto tre volte. Le prime due il mio stomaco non ha retto.

Non posso negare il fatto che sia servita a qualcosa; magari è suggestione, ma ha funzionato. Non sento più il fastidio, ma adesso è giorno. Tra qualche ora riprenderà il concerto, di questo ne sono certo.

Chiariamo un ultimo passo delle ultime vicende, prima di passare all’offensiva che ha in mente Anduin (Lo so, oggi sto scrivendo molto. Merito, o colpa, del fatto di potermi alternare nella scrittura). La questione del prete e del soldato. Sono tutte riflessioni che hanno a che fare con le ultime letture del Diario di Philipp Lloyd.

È da un po’ che non mi riesce di aggiornarvi su quanto ha voluto raccontarci, dopo i fatti di quelle segrete. La donna ha rivelato tutti gli abusi a cui era costretta dai quegli esseri che vantavano di essere ad un passo dal cielo, di toccare la mano di Dio. Le atrocità a cui era stata costretta, i tanti anni di segregazione, avevano sortito su di lei un lavaggio del cervello tale da farla credere seriamente posseduta. Se Philipp aveva l’usanza di raccontarsi, da quando conosce quella donna arriva a trascurare il suo compito di narratore. Torna ad aggiornare nei momenti di dubbio, confessandosi attratto dalla donna, ma perché lei lo provoca inconsapevolmente, abituata ad essere per gli uomini nient’altro che una schiava sessuale.

Nonostante la sua ferrea opposizione, dopo un tempo non quantificabile – lui ci tiene a precisare che sia distante di svariate lune – è lei a farlo suo. Sostene che l’alcol abbia influito sul suo raziocinio, si condanna per essersi approfittato di lei, di aver tradito il ricordo di sua moglie e di aver abbandonato i suoi figli. Ma tra le sue pagine torna a respirarsi quell’atmosfera di dovere, di ruolo imprescindibile:

Sento di avere ancora un ruolo da svolgere. Qui.”

 

Philipp credeva potesse aver a che fare con quegli studi tenuti nelle terre sacre della tribù Pokanoket, in quel Tempio di cui ancora ho da narrarvi gli agghiaccianti risvolti. Tuttavia, noi che possiamo ragionare in modo differente, possiamo intuire chi furono quei soldati che finirono per bussare alla sua abazia. Non erano emissari dell’Uomo Ombra, così come lui li ha creduti, ma semplici soldati tedeschi, nel periodo più buio conosciuto dalla Germania. Ma forse non ha tutti i torti a descriverli come creature mostruose.

Li uccise tutti la stessa notte in cui diede loro ospitalità, inconsapevole della guerra che stava devastando l’Europa. Avvelenò il vino quando vide quegli sguardi affilati indugiare troppo a lungo sulla donna che aveva salvato da altri demoni.

Non c’è altro da aggiungere in merito alla sua vicenda.

 

Il veleno deve aver avuto questo effetto sui sogni di Anduin, oltre che i sui miei. Entrambi ci siamo ritrovati a vagare tra lo spazio e nel tempo delle nostre epoche storiche. Ho provato a tornare in quella caverna, ma non mi è stato possibile.

Abbiamo udito una sorta di canto, però, ed entrambi lo abbiamo associato a quei suoni riprodotti nei film Western. Indiani d’America, come lo Sciamano Zhùt. Nel sogno compariva ancora una volta quell’occhio con la lacrima. Poi, io ricordo di aver scorto un’aquila attraversare un cielo diurno ma scintillante di stelle; invece, Anduin racconta di un essere nella notte, avente il cranio scoperto di cervo al posto della testa, con occhi vivi d’un fuoco gelido, spettrale; quell’essere antropomorfo, con branchie all’altezza del ventre e la parte inferiore caprina, era dotata di artigli lunghi e scintillanti, sei per mano. Dalla sua schiena scaturivano dodici lingue, come tentacoli di pura oscurità. Lo descrive come una bestia famelica, assetata del suo sangue.

Poi, entrambi abbiamo avvertito quella voce roca, distante:

Grazie, figli di Tabaldak. Ma il Widjigò deve essere fermato. Malsumis è sulle vostre tracce!"

 

E sapevo che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe reso indispensabile conoscere gli eventi narrati sul Diario di Philipp Lloyd. Devo raccontarvi di quel tempio, affinché vi sia possibile associare le nostre ultime esperienze. La finzione, quella che un tempo credevo tale, sta trovando sempre più legame con la realtà.

Una verità che avrei preferito non scoprire.

Una che temo avremo da scoprire insieme.

 

Ho scritto molto, troppo per oggi.

Tante sono le questioni ancora da discutere. */

*/ Non vi nascondo la mia felicità. Non sapermi solo, in questo caos, è un dono.

Io e Anduin andremo avanti.

Lo faremo anche per voi.

 

Aggiornemo.

 

 

Philipp Lloyd e Anduin.

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Capitolo 29
*** 2 Aprile ***


2 Aprile 2021,

 

 

Anduin non riesce a perdonarsi la morte della bella veterinaria.

Continua a ripeterlo ogni cinque minuti.

La trovo rannicchiata in qualche angolo della casa, una birra calda in mano, penso sempre la stessa, che versa lacrime per qualcuno che conosceva a malapena. Non riesco a provare la stessa empatia, neanche per il vicino. Con il passare degli anni ho compreso che ciò che possiamo fare ha un minimo impatto su tutto ciò che ci circonda; le persone, le cose o le società non dipendono direttamente dalle nostre piccole azioni. Siamo quasi inutili, da soli. È con il gruppo che si può elevare un pensiero ad un movimento prorompente, capace di trascinare un’intera nazione.

Questo dolore che prova Anduin non riesco proprio a capirlo.

Mi dispiace, senza dubbio, ma forse era scritto…

Facendo un piccolo salto indietro di qualche aggiornamento, quanto è mutato il mio pensiero? I ricordi del vero Philipp Lloyd sono diventati i miei, temo. Comincio a percepire la realtà proprio nel suo stesso deviato modo, eppure non mi riesce di fare niente per impedirmi di fare così. Si nasce, si vive e si muore: possiamo solo scegliere cosa fare col tempo che ci viene concesso, nella speranza di fare il meno schifo possibile.

Sì, concordo con voi… non sono adatto a scrivere frasi per i Baci Perugina; in compenso, sono abile nel mangiarli. Questa battuta avrebbe potuto farla Anduin, e mi manca un po’ non sentire le sue costanti freddure o battute di poco spirito. Ci si può affezionare a qualcuno in così poco tempo?

Credo proprio di sì.

Anduin è ormai parte della mia vita, ed io della sua.

Avorio è stato più utile di me, come qualsiasi animale domestico, in queste situazioni. Le ha strappato via quella tristezza, strusciandosi sulla sua gamba, miagolando dolcemente, facendo le fusa ed infine sdraiandosi sulla schiena e con la pancia all’aria. Quale dono hanno gli animali!

 

Io, nel frattempo, ho avuto molto su cui riflettere a proposito dei sogni di Anduin. Quella creatura non assomiglia a niente di ciò che ho avuto l’impressione di scorgere sino a questo momento, tolte quelle specie di lingue/tentacoli che, racconta, le fuoriuscivano dalle scapole. La voce nella notte ha utilizzato un nome, più di uno in realtà. Ho provato a cercarli; con il primo non ho avuto successo, mentre il secondo mi ha riportato ad un Essere appartenente alla mitologia degli Indiani d’America. Una sorta del nostro più noto Lucifero, anche se in condizioni del tutto differenti.

Malsumis, Malsum o Malsom: questi i suoi nomi. Si tratta di una divinità oscura, secondo le tradizioni dei popoli locali.

Voglio partire proprio da questo concetto, riportandovi indietro di quasi un secolo, in Providence, al seguito dei racconti di Philipp Lloyd…

 

 

Giorno? Anno?

 

 

Scrivo in brutta copia questo mio pensiero ancora troppo astratto; lo ricopierò, se lo riterrò necessario. Le scoperte del Professor Poegrim ci hanno portato a qualcosa di sorprendente. Dapprima, schieratomi dalla parte della minoranza dei Pokanoket, mi ero detto restio al profanare certi luoghi, considerati Sacri dalle tribù. La mia conoscenza della lingua indigena, molto basilare, è come se tentasse di mettermi in guardia circa quest’azione di scavi più o meno proibiti; ma è insito nell’uomo il seme della curiosità. Dopo le prime descrizioni, non potei fare a meno che rimanere affascinato da una simile scoperta.

Alcuni degli operai, occupati a scavare dei buchi abbastanza profondi da poter ospitare le fondamenta dell’acquedotto, riportarono alla luce un materiale più duro del ferro. I picconi s’infrangevano contro la sua superficie, producendo strani bagliori multicolore. Altre scoperte vagamente simili erano state fatte in mesopotamia e in altri luoghi ormai abbandonati a loro stessi; se c’era qualcosa che avevo imparato dalla scuola, era che l’Uomo ha una tale sete di conoscenza delle proprie origini, da arrivare a tutto pur di comprendersi. Avendo un certa rilevanza all’interno del progetto, avevo il potere di consegnare questa scoperta all’oblio o all’intera umanità. Se solo quell’acquedotto non fosse stato urgente, mi sarei preso più di una nottata per comprenderne le circostanze. In quel momento, attraversarono la mi mente solo due pensieri:

Quanti, prima di me, sono stati tanto sciocchi da credere che il passato potesse in qualche modo condurre solo ed esclusivamente alla conoscenza?

Quanti altri, invece, nel corso dei secoli avevano nascosto verità così importanti da far calare nel peccato l’intera umanità?

Sono domande a cui credevo di poter conferire risposte, perlomeno all’inizio. Ricordo il grande discorso che feci, impregnato di tecnicismi, che sapevo mi avrebbe aiutato a convincere anche tutti gli altri a votare a favore degli scavi. Fu un successo unanime, fatta eccezione per una donna, nascosta nell’imboccatura di un corridoio. Lei si diceva contrariata, perché aveva visto nel granturco la verità: “l’ombra ci avrebbe presi tutti, uno dopo l’altro.”

Ma più insinui il sospetto teologico nella mente di un ateo, più questo contribuirà a spingerlo dall’altra parta. Non ho potei fare a meno di ascoltare le sue parole; pensai ai miei figli, a mia moglie.

Ma il Professore mi aveva nascosto una verità troppo importante per ignorarne la portata. Mi invitò per disquisire circa il futuro della nostra spedizione, riempiendomi la mente di promesse di grandezza alla stessa velocità con la quale rabboccava il mio bicchiere. L’alcol e il più primitivo desiderio di scoperta infine hanno avuto la meglio su di me.

Grandi scoperte, Sig. Lloyd! Non può neanche immaginare quanto!” mi disse, mostrandomi uno scatto dei ritrovamenti; per spiegarmi meglio, volle poi aggiungere un dettaglio che mi era sfuggito: “Gli uomini hanno lavorato giorno e notte, con dedizione, per mostrarci la porta d’ingresso. A mie spese, beninteso!”

Porta? Ingresso per dove?” mi sovvenne d’esclamare, scrutando quella scena incisa su carta: metteva in risalto una struttura antica, spigolosa e maestosa. La pietra era scura, e il Professore raccontò che era dura più del metallo. L’architettura mi richiamò si da subito alle più celebri Ziggurat. Quello non poteva essere il luogo giusto, l’epoca giusta. Doveva esserci qualcosa di sbagliato!

Ma come può essere possibile, Sig. Poegrim? Niente di tutto ciò ha senso!”

Una scoperta senza precedenti, vi dico! Dovreste vederla dentro…” aggiunse, consapevole che una simile prospettiva avrebbe catturato qualsiasi uomo abbastanza saggio da voler far parte della grande storia dell’umanità. “Se dovessimo fermarci ora, Sig. Lloyd, io sono più che certo che vi sarebbe da pentirsene per il resto delle nostre vite. Questa rivelazione cambia tutto, rivoluzionerà la storia! Non voglio nasconderle i miei più brillanti sospetti: per quanto ritenga questo nome del tutto fuori luogo, la Ziggurat che abbiamo scoperto è di per certo antecedente all’insediamento degli Indiani. Che i Pokanoket sappiano di più su questo luogo sacro? Dovremmo parlare con il loro Sciamano, un certo Zhùt! Chiedere a quel selvaggio di aprirci la strada verso il cuore della struttura!”

Quelle parole mi sconcertarono.

Lessi nelle sue intenzioni un presagio oscuro, e quanto mi sarei pentito, in futuro, di quelle stesse parole che abbandonarono le mie labbra: “Andrò a parlargli io stesso, Sig Poegrim! Acquedotto? Che sia tutto fermato! Quali bestie arriverebbero a cancellare il passato per fare posto al futuro. Non possiamo permettercelo!” L’alcol parlò per me, sancendo la mia condanna. Quale orrore mi attendeva!

Sig. Lloyd!” mi venne poi dietro il Professore, strattonandomi per la giacca in malo modo, ma l’alcol mi convinse ad abbracciarlo per l’entusiasmo. “Non posso lasciarla andare senza dirle la scoperta più emozionante: cristalli di sale!”

Sale?” esclamai. “Questo significa forse…?”

Proprio così, Philipp.” e si passò una mano sui folti baffi, per asciugarli dalla schiuma della birra. “Questa parte del continente era sommersa dall’oceano!”

 

Non vorremmo lasciarvi con il sapore del mistero in bocca, ma il nostro aggiornamento di oggi deve concludersi qui.

Io e Anduin abbiamo deciso di uscire. Di raggiungere un luogo.

Voglio portarlo alle grotte dove ho avuto quell’incontro.

Voglio mostrargli ciò che ha solo potuto leggere.

È un rischio, non lo nascondo. Specie con quell’essere annidato nella casa accanto.

“Dobbiamo combattere questo male.”

E lo combatteremo.

 

 

Aggiorneremo il prima possibile.

 

 

Philipp Lloyd e Anduin.

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Capitolo 30
*** (3)4 Aprile ***


(3)4 Aprile 2021,

 

 

Occorre una grande energia per affrontare determinate situazioni. Bisogna cercare nel profondo della nostra anima quel motivo specifico per andare avanti, quando intendiamo superare un certo ostacolo. È nella nostra imperfetta natura. Niente potrà mai cambiarlo.

Ma di tanto il tanto il destino, crudele, ci mette il suo zampino, cercando di deviarci dai nostri intenti; ed è proprio in questi casi che perdiamo la fiducia in noi stessi, nelle nostre idee, nel nostro futuro. Mi ritrovo spesso a perdermi in questi discorso, e ho scoperto che la scrittura non fa altro che guidami verso certi argomenti, anche se il mio intento iniziale è quello di mostrarvi la mia realtà, questo crudo squarcio sulla potenziale conclusione della mia esistenza. Un po’ catastrofico, non trovate? Alla fine, diciamolo, Philipp Lloyd è riuscito a cambiarmi… è riuscito anche con voi, tramite me? Vi auguro proprio di no!

Spesso, e parlo per esperienza personale, si legge per cercare di sfuggire al mondo, alle sue tinte scure, cercando nella vita di personaggi inventati un momento di fuga. Certo, sarebbe ingiusto escludere dai motivi della lettura la conoscenza, la curiosità, il confronto con il diverso; trovo però non sia questo il caso specifico. Voi, amici miei, per quale motivo tornate a leggere le mie disavventure?

So che non risponderete tutti, ma sarei felice anche di avere solo quelle solite poche risposte.

Il perché di tutta questa premessa?

Il perché di un giorno di distanza dalla realtà?

Perché ho voluto rileggerlo, ma senza toccarlo.

La verità non dovrebbe essere alterata… mai.

Vado oltre i miei pensieri, ora.

 

Come correva Anduin!

Starle dietro non è stato semplice. Aveva avuto tutto il tempo a sua disposizione per esplorare la città tramite Google Maps, quindi era come se conoscesse questo posto meglio di me. Non nascondo di essermi sentito vagamente a disagio. Avevamo lasciato Avorio da solo, a riposare, a custodire il Diario di Philipp Lloyd. Avevamo giusto preso la precauzione di armarci di torce senza pile, a luce solare, da poter caricare mezzo USB. Non volevo correre il rischio dei canonici problemi da film dell’orrore.

L’idea iniziale era quella di raggiungere le caverne sotto il ponte, le stesse dove avevo avuto quella specie di epifania. Ma Anduin era impaziente, e avrei dovuto capirlo sin da subito che qualcosa non andava. Invece, da sciocco quale sono, ho continuato a sentirmi a disagio per la sua straordinaria conoscenza. Ero invidioso. Sapeva sulla mia città più di quanto avrei voluto ammettere, e non si trattava solo di conoscerne le vie, ma anche di illustrarne (facendo sembrare che anche io ne fossi a conoscenza) alcuni tratti storici, con cenni all’architettura oppure ai personaggi storici legati ad esse. Ero invidioso, ecco tutto.

Voi come vi sareste sentiti?

Mi ha come dimostrato di non aver mai prestato troppa attenzione alla mia città, alla sua storia. Quel suo comportamento mi ha fatto sentire a disagio. Anche se ho imparato dalla sua spiegazione più di quanto non mi abbiano mai raccontato i miei conoscenti nella mia intera vita. È stato bello. Avrei potuto apprezzare maggiormente il suo impegno, invece di ignorarlo. Siamo così sciocchi.

L’entusiasmo di Anduin si è smorzato solo quando siamo arrivati all’ingresso di quelle vie segrete. Voleva a tutti i costi ripercorrere quella via. Accettare la sua folle idea, pur sapendo di starci ficcando in una strettoia senza via di fuga, è stata la mia più grande colpa. Così, in quell’angusto passaggio fetido, le nostre voci risuonarono come quelle di antichi e socievoli giganti.

Vi starete chiedendo quale idiozia ci abbia spinto a farci due chiacchiere nei luoghi ove serpeggia il male più oscuro? La risposta è semplice: la paura. Abbiamo iniziato quella conversazione proprio quando ci è riuscito di avvertire una profonda sensazione di disagio. Era nostra intenzione scacciare i timori, perché ci sono pochi elemento che possono terrorizzarci come i suoni e le creature generate dalla nostra mente.

Le torce ci permisero di andare spediti, di indagare con maggiore cura i dettagli di quegli antichi passaggi. Non c’era traccia alcuna della presenza di quegli Esseri, tolto il tanfo; era come se l’intero cunicolo stesse respirando quel fetore. E non vi trasmette forse terrore questa sensazione? Un tetro respiro, io continuo a crederlo il vento, iniziò a fischiare una nenia da qualche parte, avventurandosi verso di noi nella più raggelante eco. Avreste dovuto vedere come tremavano le nostre luci!

Anduin, sino a quel momento dietro di me, prese il comando della marcia.

“Sono passi nell’ignoto, i nostri.” disse col volto illuminato a giorno. “Seguimi, ed io seguirò te. Uno accanto all’altra, un passo dopo l’altro. Vuoi?”

La guardai con la dolcezza di un figlio, quasi fossi un cucciolo e lei mamma lupo. Riderebbe di questa espressione, perché fu proprio ciò che le confessai.

“Se è un tentativo di convincermi ad allattarti, pessima mossa! Avresti dovuto offrirmi da bere… E poi, sai che una donna non deve mai sentirsi troppo vecchia!”

Continuammo il nostro viaggio nell’oscurità, sinché non accadde proprio ciò che stavamo cercando, ciò che Anduin aveva desiderato. In un bivio, indecisi sulla strada da prendere, mi feci avanti. Cercai di ritornare con la mente a quella notte, ma fu del tutto inutile. Però, decisi di seguire il mio sesto senso.

Dopo qualche minuto mi parve di sentire quel suono di acqua, quasi le pareti stessero deviando il corso stesso di un fiume. Eravamo vicini, anche se dopo quella svolta avevamo smesso di dialogare. Inoltre, Anduin aveva insistito affinché utilizzassimo una sola delle torce, per risparmiare energia. Ennesima pessima scelta.

“Ecco, ci siamo…” dissi, voltandomi verso Anduin.

Non c’era più.

Puntai la luce verso la sua direzione, e in quel momento avvertii dei passi, lesti, come delle specie di zoccoli, incedere verso la mia direzione. Da un momento all’altro avrebbe potuto palesarsi quell’Essere orribile, pronto a prendere me dopo aver ghermito Anduin di nascosto!

Ma perché attendere?

Mi ero forse accorto troppo presto della sparizione di Anduin, e quindi avevo interrotto i suoi piani?

Oppure traeva divertimento dal mio terrore?

Non so dirlo, neanche ora che scrivo.

Ma devo confessarvi la mia codardia…

Proprio ciò che sospettate…

Mi sono voltato e ho continuato a correre con quanto fiato avessi in corpo. Sino allo sfinimento; ogni volta che le mie gambe protestavano, o i miei polmoni si lamentavano, implorando una sosta, quel rintocco di zoccoli alle mie spalle continuava a ricordarmi di essere in pericolo!

E così, una volta fuori dal cunicolo, e non davanti alle grotte, continuai a correre. Lasciai indietro Anduin. La dimenticai in quell’oscurità…

Questa è la mia confessione.

Avrei dovuto impedirglielo.

Avrei, ma sono un codardo.

Ho aspettato un giorno, nella speranza che tornasse…

Non è stato così.

Il senso di colpa mi sta uccidendo!

 

 

Aggiornerò, forse…

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 31
*** 5 Aprile ***


5 Aprile 2021,

 

 

Avrei voluto condividere con voi qualche novità interessante. Preferisco tacere.

Vi sono pensieri che affollano la mia mente, tormentandomi nel profondo dell’anima, tanto da trascinarmi all’interno di un vortice di pura disperazione. Mi risveglio nel cuore della notte, terrorizzato dal lamento di quel bambino, sapendo Anduin dispersa chissà dove.

Dove sei?

Vorrei solo non essere fuggito via come un codardo. Ogni mattina mi risveglio con l’idea di tornare in quei cunicoli segreti, magari con le forze dell’ordine, pronto a trovare il tuo cadavere. Che pensiero osceno!

Forse, ed è una cosa che mi strazia il cuore, trovarti potrebbe spezzare questo senso di agonia, quest’opprimente illusione che tu possa essere ancora viva, da qualche parte, a gridare il mio nome. Ma dove ti ha condotto l’Uomo Ombra nessuno potrà udirti. Solo gli esseri che dimorano nell’oscurità hanno questo dono.

Avresti dovuto lasciarmi morire, Anduin.

Ora saresti ancora viva.

Vorrei raccontarvi di più, ma non ho niente che valga la pena di essere riportato. Scrivo solo per lei. In suo ricordo.

Continuerò a narrarvi le vicende di Philipp Lloyd, considerato che troppo a lungo vi ho tenuti in sospeso con la sua visita al Tempio.

 

 

Convincere chi aveva stanziato i fondi per l’acquedotto non fu per niente facile. Ma chi sa destreggiarsi negli intrichi della burocrazia, sa bene quante carte false possano tornare utili per il giusto raggiro; qualche volta è sufficiente smuovere l’attenzione verso altri obiettivi, ponendo sotto esame qualche altro uso negativo dei fondi, o scaricando la colpa dei ritardi sul mancato arrivo della merce, sull’irreperibilità dei lavoratori. È di certo più complesso farlo con un progetto di questa entità; molteplici interessati, tra i quali gli stessi Stati Uniti d’America. Se solo il nostro piano dovesse venire a galla, sarei spacciato. La mia famiglia lo sarebbe.

Sono solito tenere la negatività fuori dagli affari. Una scoperta simile stravolgerà la nostra concezione del passato! Prevedo Musei, università di tutto il mondo interessate ad inviare una delegazione di studiosi per trarre le proprie teorie. Gli Stati Uniti d’America deterrebbero un primato assoluto nella conoscenza della storia, nella sua preservazione e nella capacità d’influenzare il futuro stesso!

Capisco che sia un argomento difficile da comprendere […], ma dopo tutto quello che avevamo fatto in onore della storia, il Professor Poegrim si disse pronto a condurmi all’ingresso della Ziggurat. In quel momento, lo ricordo come fosse ieri, mi domandai quali e quanti misteri ci sarebbe stato concesso svelare?!”

 

(Prosegue, qualche giorno dopo, con una lista di attrezzi scelti per l’occasione.)

 

Fu un notevole dispendio di risorse, lo ammetto. Eppure, per una buona riuscita, occorre essere preparati a tutto,e dunque non badammo a spese. Reclutati altri dieci esperti oltre al Professore, due suoi studenti e tre operai – già impegnati ad aprici la via. L’idea sarebbe stata quella di calarci all’interno del complesso, abbastanza da svelarne ogni mistero. Cercai in biblioteca informazioni riguardo i culti dei Pokanoket, ma non trovai riferimenti a quella struttura. Nonostante ciò, la conversazione che ebbi con lo Sciamano Zhùt risultò ben poco confortante.

Antiche forze dimorano in luoghi che i miei antenati hanno protetto per millenni! Vedo oscurità, vedo Spiriti negativi attendervi. Ogni uomo è responsabile per la propria esistenza: ma i padri di famiglia rischiano di legare la propria sventura alla prole. Certe cose che dormono nel passato non debbono essere svegliate. Il mio è un avviso, Sig. Lloyd. Ma è vero quanto vi dico: certi mali non ricadono solo sui loro creatori, ma si diffondono rapidi nella terra, avvelenando i fiumi, facendo marcire i frutti, mettendo i figli contro i rispettivi padri. Il male è un dono che non sempre sappiamo di star facendo.’

Un uomo dotato di grande ambizione è cieco alle parole di sventura. Così lo fui anche io; e, forte di aver ottenuto una sorta di lasciapassare dello Sciamano, proseguii con i miei intenti di ricerca.

Quando il Professore mi mostrò i progressi fatti, tenuti ben nascosti sotto appositi enormi tendoni, ammetto di non aver creduto ai miei occhi; lo stesso confessarono gli esperti che avevo invitato ad unirsi alla nostra spedizione: geologi, archeologi, storici e architetti. Inoltre, avevamo con noi un esperto di lingue straniere, di origine araba, Khalid.

Dalla posizione rialzata dall’ingresso dello scavo, illuminata con grandi fuochi, ammirammo scintillare l’oscura vetta della Ziggurat: si ergeva come la lama di una lancia nel vuoto creatole attorno dagli operai. La pietra assorbiva la luce e, allo stesso tempo, rispondeva ad intervalli regolari con straordinari bagliori!

Il Prof. Poegrim ci guidò sino all’ingresso, costretto da una rampa di fortuna, frattanto che gli altri operai continuavano incessantemente a sgombrare la base, via via più grande, della costruzione. Si era conservata perfettamente, quasi la polvere e i secoli di detriti non avessero potuto nulla contro la sua straordinaria architettura. Ancora adesso non so dirvi di quale materiale fosse composta.

Qui, amici miei’ si affrettò a illustrarci le proprie scoperte, il Professore. ‘Abbiamo dovuto forzare una porta a scorrimento laterale; ci sono voluti due interi giorni di lavoro ininterrotto per aprirla! Per questo siete qui…’ e si avventurò verso l’interno del cunicolo principale, dove era sufficiente una tenute luce per scatenare un riflesso delle pareti interne, di una tonalità verdognola/violacea, trasmettendo a tutti noi la sensazione che l’intera struttura fosse viva!

Uno degli architetti, dalla barba incolta e dai rozzi modi europei, ci illuminò subito con la sua smania di scoperta, individuando il meccanismo esterno che consentiva l’apertura e la chiusura della porta forzata. Una sorta di mosaico da riordinare, tutto composto da simboli difficili da comprendere; risolto, palesava un volto dotato di sei occhi, una pinna spigolosa nella parte centrale della testa ed una bocca che immaginammo barbuta, a causa delle code che gli pendevano dal mento, in troppe linee per essere contate con sicurezza. Scoperta che avvenne con il primo guaio. La porta si richiuse su uno degli operai! Riuscii per un soffio a tirarlo via, ma non abbastanza in fretta per risparmiare alle dita della sua mano destra una cruenta amputazione!

Il boato fece tremare l’intera struttura e le impalcature. Poi, si levò alto il grido del disperato. Alla riapertura dell’ingresso, appurammo con sconcerto che non fossero rimaste tracce di sangue sulla parete. Nessuno ipotizzò alcuna spiegazione.

Trappole ingegnose…’ sottolineò un secondo architetto, più affascinato che terrorizzato. ‘Ho già visto qualcosa del genere, in Egitto. Queste pareti, però… hanno il potere di ipnotizzare. Non guardatele, se potete. Non sappiamo quale effetto possano sortire, alla lunga.’

Le ho studiate per giorni interi. Sono ancora qui!’ esclamò il Sig. Poegrim, abbastanza alterato. Non si curò affatto del ferito, cercando di spronarci a proseguire il prima possibile. Vi era qualcosa nel suo sguardo che, col senno di poi, avrebbe dovuto insospettirmi.

Io, Andrej (l’architetto europeo) e i due geologi decidemmo di occuparci del ferito, frattanto che il resto della compagnia avrebbe proseguito. Sarebbe stato facile ritrovali, grazie ai picchetti che avrebbero lasciato dietro di sé, uniti da un filo rosso sottile ma resistenze. Mi sovvenne subito alla mente lo stratagemma di Arianna nel labirinto del Minotauro.

Ricordo ancora che in quel momento mi domandai se avremmo dovuto temere di trovarci faccia a faccia con un essere del genere, e non potei fare a meno di domandarmi se altri uomini come noi, i Romani nella Necropoli di Giza, avessero temuto d’incontrare delle mostruose Mummie o chissà quale altra straordinaria creatura mitologica.

Prima di tornare dal Prof. Poegrim, Andrej insistette per organizzarci meglio.

Portiamo più luce, Sig. Philipp. E degli specchi.’

Posso accontentare la sua prima richiesta; per la seconda è troppo tardi, temo’ risposi in un misto di agitazione e comprensione. La mia mente era ancora rapita dalle urla dell’operaio. ‘Sbrighiamoci a prendere il necessario. La compagnia è più utile unita!”

 

Credo sia d’obbligo illustravi come Philipp abbia guidato l’impresa. Tuttavia, sentitevi liberi di farmi sapere se trovate snervante la presenza di simili dettagli. Provvederò a tagliare il più possibile, più di quanto stia già facendo, per giungere il prima possibile alla conclusione di questo suo racconto.

 

Non ho più le forze per continuare a scrivere.

Non per oggi.

Ad ogni frase che scrivo, il nome di Anduin si palesa all’improvviso.

Il suo pensiero non mi abbandona.

Sono un codardo, lo so.

Ma non posso tornare in quelle gallerie… non posso!

E questa voce che giunge dalla casa accanto mi sta facendo impazzire. Forse dovrei fare come ha suggerito Anduin. Così, forse, potrei liberarmene una volta per tutte!

 

Cercherò di aggiornare più spesso.

Utilizzerei il trascrittore vocale per riportarvi gli appunti di Philipp Lloyd, se solo non fossi comunque costretto a rielaborare il tutto.

Cercherò di andare un po’ spedito, se può farvi piacere.

Sarei lieto di conoscere le vostre preferenze.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 32
*** 6 Aprile ***


6 Aprile 2021,

 

 

Rileggere i resoconti di Philipp Lloyd mi trasmette una strana sensazione. È un po’ come se li avessi già vissuti sulla mia pelle. Sento vicine le parole dello Sciamano Zhùt, posso immaginarmi chiaramente questo (o questa?) Ziggurat. A dirvi la verità, ne avevo solo una vaga idea. Ho sempre pensato alle classiche piramidi Azteche, con i quadratoni. Ma non è esattamente la stessa cosa, non del tutto. Si apre alla mia mente un possibile legame tra tutte queste strutture molto simili fra loro.

Ho avuto il tempo d’informarmi un po’, e pare che gli attuali studiosi le reputino una sorta di connessione con le stelle. Ne parlano anche alcuni degli studiosi che Philipp ed il Prof. Poegrim si sono portati dietro. A leggerle oggi, alcune loro teorie sono così fantasiose che fatico a crederli degli esperti; proprio per questo non ho voluto includere tutti i loro dialoghi, perché temo la comprensione del testo diverrebbe quasi comica. Ma è una cosa che vi avevo già anticipato.

Scrivo di Philipp perché mi aiuta a non pensare a Anduin.

Ho sentito che altre persone sono sparite di recente, sempre nella stessa modalità degli ultimi. Cosa sta accadendo a questo paese?

La scorsa notte, in preda allo strazio, ho avuto l’istinto di percorrere il pianerottolo e buttare giù a colpi di mazza il portone del vicino. Non si è ancora trasferito nessuno, e spero nessuno lo faccia. La mia pazienza ha però un limite, ed il lamento di quel bambino oscuro mi sta portando allo stremo dalla ragione. Voglio dare in pasto alle fiamme questo luogo! Che bruci insieme a me questo palazzo di mentecatti! Come gli riesce di dormire con tutto questo baccano?

Avorio ha provato inutilmente a calmarmi, ma non può più contenere il mio furore.

Se solo Anduin fosse qui, sarebbe più facile rispondere a questa nuova minaccia.

Dove sei Anduin?

 

Non sono riuscito a chiudere occhio, ovviamente, non sino all’alba. Il suono dei camion della nettezza urbana hanno suonato la mia ninnananna. Mi sono risvegliato dopo aver sognato Anduin. Era legata da strani stracci, il volto trasformato in una maschera di sangue, privato della pelle al punto da mettere in mostra l’ossatura. Potevo vederle l’attaccatura dei denti.

Erano stati i topi!

Potevo vedere quei piccoli bastardi fare a gara a chi le strappava il lembo di pelle più gustoso. Non aveva più guance, naso e labbra; le avevano tuttavia risparmiato gli occhi: era di certo il desiderio dell’Uomo Ombra. Lei doveva vedere: Il suo sguardo doveva perseguitarmi nei miei incubi peggiori; e la lingua, quella non avrebbero mai dovuto toccarla, per permetterle gridare il mio nome, all’infinito.

Quale orrore è convivere con i propri peccati, con i propri errori!

Come ha potuto Philipp Lloyd?

Ecco cos’è la pazzia… è dimenticarsi di essere umani, pur avendone consapevolezza. La pazzia è una degenerazione dell’animo umano; quando si tocca troppo il fondo, si smette anche di essere umani. Io, dopo quello che ho fatto, come posso reputarmi ancora tale? Sono un fallimento…

 

Mi sono compianto abbastanza.

Siete qui per udire altro che i miei vaneggi.

Torniamo al Tempio.

 

 

Andrej incedeva spedito a capo della fila. Seguirlo, dopo un po’ divenne per noi un’abitudine tale da non fermarci più a controllare che stesse seguendo il percorso segnato dai chiodi e dal filo. Si udivano i rumori distanti di picconi, che riecheggiavano nell’intera struttura come lamenti spettrali; era ben diverso per le voci, per il sangue, o per qualsiasi altro liquido che entrasse a contatto con quella superficie che sarebbe forse più corretto definire organica.

Al tatto, così come appurarono i due geologi, era morbida e pigmentata, rendendo quelle venature straordinariamente simili al tessuto umano. Ma nessun piccone aveva avuto la forza di penetrarla!

A differenza di altri templi, in questa Ziggurat dai corridoi a forma di pentagono non erano presenti affreschi, mosaici o altro che potesse definirne la cultura a cui erano legati gli inventori, o l’inventore. Ci domandammo tutti chi avesse costruito quella struttura, in che modo e con quale tecnologia?

Gli indiani, per quanto fossero un popolo straordinario, erano sprovvisti di tale ingegno; d’altro canto, è anche vero che la storia è famosa per ricordarci di come certi popoli abbiano finito per smarrire la propria tecnologia a seguito di rovinose guerre e crolli d’imperi. Nel medioevo, ad esempio, in alcuni luoghi si era del tutto perso l’utilizzo della ruota!

Il Sig. Poegrim potrebbe non avere tutti i torti […]’ Era Jean Anderson, uno dei due geologi, dalle basette folte tanto quanto le sopracciglia, i capelli biondi rasati sino a mostrare il cuoio capelluto e la faccia lunga tipica degli slavi. “Una scoperta che potrebbe stravolgere l’intera concezione della vita su questo pianeta. Forse non è la Mesopotamia, così come abbiamo creduto, ad esser stata la culla della vita. Supponiamo che, a causa delle inondazioni, i popoli originari dell’America siano stati costretti ad attraversare gli oceani. Riuscite, Signori, ad immaginate quali navi maestose per una simile impresa!?’

Anticipare a tal punto la conoscenza della navigazione?’ provò a sminuirlo il collega, Harry Collins […]; il loro dibattito sarebbe finito per spegnersi quando Andrej impose il silenzio.

Davanti a noi si apriva una stanza a forma di pentagono, con alti scalini che scendevano e salivano a partire dall’imboccatura del corridoio, restringendosi verso il centro, caratterizzati da più grandi e distinte venature pulsanti. Avremmo potuto toccarle, se solo qualcuno di noi ne avesse avuto il coraggio. Pur non condividendo i nostri pensieri, potemmo leggere sui nostri volti illuminati di verde e viola il disagio per una simile scoperta. Io – lo ricordo chiaramente – mi sentii come un bocconcino nello stomaco di un’enorme balena di pietra.

Che luogo è mai questo?’ mormorai, studiandone la bizzarra architettura. Nessun pilastro.

Innalzammo le torce, mettendo in risalto i bagliori e le pulsazioni, rivelando anche un paio di larghi fori nel soffitto – perfettamente simmetrici e sempre a forma di pentagono, laddove si restringeva l’ultimo gradino. Non vi erano altri accessi.

Un luogo dove non troveremo i nostri compagni!’ si affrettò a rispondere Harry. ‘Abbiamo seguito Andrej senza fare domande, senza più controllare il percorso. Abbiamo scelto la svolta sbagliata!’

Svolta?’ domandai, sconcertato. Come gli altri, mi ero fidato dell’architetto, ma nessun dubbio mi aveva assalito proprio in mancanza di altre alternative.

Io ho visto un secondo corridoio’ ribatté il geologo, l’unico di noi ad averlo veduto.

Abbiamo abbandonato il percorso circa cinque minuti fa’ rivelò Andrej. ‘Ho contato i passi.’ Nel dirlo, lo vedemmo incamminarsi a piccoli salti verso il centro della sala. Lo invitammo tutti a prestare maggiore attenzione, e Jean lo affiancò nella sua esplorazione.

Seppure responsabile di quegli uomini, trovai il loro coraggio fuori luogo [...]; la mia mente era ancora affollata dall’immagine della mano del povero operaio. Mi portai un passo indietro, oltre la soglia della stanza; Harry mi fu subito accanto. Il desiderio di scoperta in me era grande, ma l’avvertimento dello Sciamano aveva innescato nella mia persona una cautela in cui mi riusciva difficile riconoscermi. Il mio corpo gridava dal desiderio di essere lì con il Sig. Andrej, e al contempo avvertivo un senso di pericolo che mi spingeva a farmi da parte.

Mi concentrai sui dettagli, su quei fori nel soffitto.

A cosa erano collegati? Se solo avessimo avuto il tempo di analizzarli, piazzare delle pedane per raggiungerli, forse ci sarebbe stato possibile comprenderlo. Il destino però ci avrebbe fatto risparmiare tempo sulla tabella di marcia. E con quale sconvolgente orrore!

Mai visto niente di simile. Sembra una specie di alveare.’ disse Jean, ormai giunto al centro insieme al suo compagno di avventure, in una spiazzo di circa tre metri ‘Il pavimento sembra quasi pulsare…’

Agorà!’ esclamò con enfasi Andrej; la sua voce echeggiò come un tuono. “Al chiuso. È più corretto forse definirlo anfiteatro!’ preso dall’emozione, risalì alcuni scalini, si mise a sedere, ed appurò che la posizione fosse adeguata alla propria statura. ‘Comodo…’ commentò, ed il suo tono era ormai teatrale. ‘Presumo che questo potesse essere un luogo di raduno. […] è una Sala Grande!’

Discussioni politiche?’ ipotizzai, arrogandomi il diritto di rispondere con la stessa enfasi.

Esatto, Sig. Lloyd.’ Poi, quasi si fosse trasformato nel Professore Poegrim, chiamò in causa Collins, invitandolo ad aggiungere altro.

Io ho pensato più ad un pozzo, considerata la forma. […] Non dobbiamo dimenticare quei fori nel soffitto. Il loro impiego era forse di raccogliere acqua piovana?’

Esaminai con stupore quella sua teoria. Era sensata.

[…]

Ricordiamoci che potrebbe esserci una porta” nel riportare l’attenzione sul corridoio, sperai di ricondurre la spedizione sulle tracce del resto del gruppo. Mi premeva trovare il Professore il prima possibile.

Andrej invitò Jean a cercare eventuali segni distintivi nelle vicinanze dello spiazzo, frattanto che lui s’involava verso di me. Cominciò a frugare nei dintorni dell’accesso.

Signori!’ li richiamai a gran voce. ‘Ci sarà tempo per tornare con il resto della compagnia.’

Harry, nonostante fosse al mio fianco, protestò: ‘E se i corridoi cambiassero? Potrebbe essere la nostra unica possibilità.’

Sono a capo della spedizione, Sig. Collins. Ritengo questa sia una perdita di tempo: io vi sovvenziono; io decido l’itinerario di questa gita; io decido quando sacrificare il tempo che sto investendo in voi!’

Una stanza sacrificale…’ mormorò Andrej, scuotendomi per le spalle. ‘Eravamo così presi dall’interno, da non averne esaminato l’esterno! Abbiamo visto che i liquidi vengono assorbiti, come il sangue di quell’operaio. Sul tetto, la vetta, potrebbe esserci un altare per compiere dei sacrifici!’ Il suo entusiasmo mi fece raggelare.

Lo vidi estrarre un pugnale dalla cintura e pungersi la falange dell’anulare. Vidi la goccia vermiglia del suo sangue, scintillante del riflesso della fiamma, affondare nel pavimento quasi fosse una superficie liquida. Poi, sotto i nostri occhi increduli, il pavimento brillò in risposta, e fu come se quella goccia scorresse nelle pulsanti vene caratteristiche della stanza, risalendo sino al soffitto.

Non chiedetemi come sia possibile, considerata la nostra distanza, ma vedemmo distintamente la goccia ricadere da uno dei fori.

Aveva ora un colore verdognolo/violaceo.

Cadde sulla guancia di Jean, in tutto il suo visibile disgusto.

Poi, udimmo un lamento agghiacciante!

Era Jean! Il dolore non lo colse subito, ma gli richiese qualche attimo per accorgersi della sua guancia consumata ad opera di un acido altamente corrosivo. Cadde carponi, mentre l’acido si diffondeva anche sulla mano che si era portato a tamponare la ferita. Più sanguinava, più acido zampillava su di lui!

L’istinto ci spinse verso il corridoio. Una porta calò dall’alto, sopra di noi, portandosi via la punta del naso di Harry.”

 

Vi avevo già anticipato quanto questa parte del racconto di Philipp apparisse surreale. Quasi stesse descrivendo un altro mondo. Non ho inserito tutte le volte che ha fatto menzione al dolore che lo prendeva alla testa ogni volta che faceva per ritornare a quegli eventi, così come accadeva a me con la questione delle grotte.

Non vorrei smettere di scrivere, come al solito lasciandovi in sospeso in un momento drammatico. Ma devo andare. Sono stanco e, a furia di scrivere, mi fa molto male la schiena. Sento dolori in tutto il braccio. Non si tratta solo di trascrivere, ormai. Sono costretto a riadattare intere parti per rendere scorrevole la storia. Un lavoraccio. Cerco sempre di lavorare sinché non sento di non farcela più, così che il ricordo di Anduin possa gravare meno sulla mia coscienza.

È una cosa impossibile, lo so.

La colpa è mia.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 33
*** 7 aprile ***


7 Aprile 2021,

 

 

Ricordo con tremendo dispiacere l’agonia di Jean Anderson. È come se questo ricordo mi fosse piombato addosso all’improvviso, senza darmi alcuna possibilità di sottrarmi alle mie colpe. Come, dopo quella cruenta spedizione, trovai il coraggio di andare avanti?” scrive Philipp Lloyd, stilando poi un elenco di tutte le sue scelte sbagliate, esattamente come ho già avuto modo di fare io nel mio diario. La storia si ripete, mi verrebbe da dire.

La conclusione dei suoi ricordi non è troppo lontana. Allora riprenderò a raccontarvi la mia esperienza: sento come se negli ultimi giorni stesse tornando a galla una verità che ho provato a nascondere addirittura a me stesso. Ecco cosa accade, quando la sofferenza è troppa: rimuoviamo il dolore.

Col senno di poi, mi giudico per aver portato avanti questo diario. Avrei dovuto farmi i fatti miei, lasciarvi fuori dalle mie sciagure. Anduin sarebbe ancora viva. Perdonatemi, amici miei. Io sono la causa del vostro male. Apprezzo le vostre lettere, ma ho deciso di non rispondervi più. Voglio slegarvi dalla vostra connessione con me. Io sono una parte negativa della vostra vita, e voi dovete tornare a vivere. Troppi continuano a venirmi a cercare ogni giorno.

Sarebbe da ipocriti nascondervi che fosse davvero questo il mio intento, sin dal principio. Ero stanco di sentirmi solo, abbandonato all’oscurità. Volevo sapere se altri, come me, avessero intrapreso la loro personale crociata contro le tenebre. Ho creduto che uniti potessimo prevalere. Quale errore!

Per questo continuo a scusarmi. Per questo voglio slegarmi da voi. Con le vostre belle parole avete continuato a nutrire la mia speranza per un futuro migliore; mi sono fidato dei vostri auguri per una vita migliore, dei vostri tormenti, delle vostre aspirazioni. Ringrazio anche chi non mi ha creduto.

 

Per aggiornarvi sulle ultime pagine del vero Diario, posso dirvi che sembrano essere passati diversi mesi dopo la questione dei soldati. In seguito, Philipp è entrato in intimità con la donna: una scena toccante, per come ha avuto la capacità di descriverla. Due anime perdute in cerca di un futuro, chiusi dentro quell’abazia putrida di peccato e malvagità. Il mio giudizio sulla sua persona rimane sospeso. Ora che ci penso, però, la mia storia non è poi così diversa dalla sua. Entrambi abbiamo incontrato una donna nel corso della nostra disavventura, solo che lui ha avuto il coraggio di proteggerla. Lui non è stato un gran codardo… comincio ad essere ripetitivo!

Vi lascio alla storia di Philipp Lloyd.

 

Il lamento di Harry Collins rimbombò per tutto il corridoio. Sentimmo poi distanti voci, prima di quel raggelante e frenetico zampettare, come se una colonia di creaturine stesse accorrendo, attratta dal sangue appena versato: sopra le nostre teste, sotto di noi, dentro le pareti. Era ovunque!

Lessi profondo sgomento negli occhi dei miei compagni di disavventure; lo stesso Harry tacque subito, premendosi un fazzoletto sul naso, anche se servì a poco. Nello stesso momento cessò anche il lamento di Jean Anderson, dall’altra parte della parete.

Avevo ordinato di andare via!’ ringhiai con la voce strozzata dal terrore, costringendomi a tenere basso il tono della voce.

Come potevamo prevedere qualcosa del genere?’ provò a scrollarsi di dosso le colpe, Andrej. Ma in quegli occhi sbarrati intravvidi una meraviglia che mi ghiacciò il sangue nelle vene. Nonostante l’orrore per l’accaduto ci avesse sconvolti, riuscii a comprendere che la mia compagnia era del tutto entusiasta di quella scoperta.

Il coltello. Il coltello!’ reclamò Harry, continuando a versare sangue quasi fosse una cascata, e il pavimento rispose a quel flusso, brillando intensamente. Il geologo scaldò la lama e, mordendo la cinghia dei suoi pantaloni, se la premette ancora rovente sulla ferita, cauterizzandola. Crollò subito dopo a terra, sfinito dal dolore.

Necessitate di un medico, Sig. Collins. Ho commesso l’errore di sottovalutare questa Ziggurat, e non intendo perseverare nella mia pessima decisione di condurre questo gruppo oltre, senza un’adeguata guida.’ cercai d’impormi, ma nessuno dei due parve d’accordo.

Lo stesso Harry, dopo aver ripreso conoscenza, mi accuso di voler boicottare la scoperta della storia dell’umanità. Mi chiesi dove avesse trovato tutto quel coraggio?! Era impossibile che la sua paura di poco prima fosse stata amputata insieme alla punta del suo naso!

Se ho sostenuto di aver fatto molti sbagli, fidarmi di loro è l’evidente seguito di questa vicenda.

 

Raggiunto il bivio annunciato da Harry – sfuggito chissà come a tutti noi – notammo che il filo rosso del Prof. Poegrim proseguiva nella stessa direzione.

[…]

Dovetti arrendermi alle loro motivazioni. La loro fiducia ebbe la meglio sui miei timori. Così, con un compagno in meno, ci ritrovammo di nuovo a camminare lungo quel nuovo corridoio, seguiti da quel costante zampettare dall’altra parte delle pareti.

Sicuramente stanno scavando da qualche parte. Le vibrazioni giungono sino a noi’ sostenne Harry.

Posai l’orecchio sul pavimento a mo’ degli indiani, e lo ritrassi subito dopo quando percepii un battito, come di un cuore. Credere che quella Ziggurat fosse viva era pura follia. Ripensai ancora una volta allo Sciamano. Avrebbe dovuto seguirci sin lì.

Ci ritrovammo così a proseguire, effettuando delle svolte, a scendere e salire, quasi stessimo girando in tondo. Non potemmo far altro che chiederci quanto fosse grande quella struttura. A giudicarla dall’esterno, non poteva essere così enorme!

Forse siamo già scesi di molto, senza rendercene conto.” suggerì Andrej.

Impossibile: le nostre orecchie lo avrebbero percepito’ rispose prontamente Harry.

Furono ipotizzate molte cose, sinché non si palesò ai nostri occhi il bagaglio di uno degli altri componenti della spedizione all’interno di una stanza poco ampia, dotata di molte anfore vuote, che scaturivano dal terreno come un’estensione dello stesso. Il filo proseguiva nel corridoio seguente.

Ci sono macchie di sangue’ feci presente, esaminando le cinghie della borsa. ‘Troppo, affinché chiunque l’abbia perso sia ancora vivo. Dov’è il corpo?’

Andrej allontanò istintivamente la testa dalle anfore. Poi, aggiunse: ‘E se non fosse il sangue di una sola persona?’

Proseguiamo.’ consigliò Harry.

Non convinto, decisi di appoggiare una fiaccola accesa su una di quelle anfore. Notai come le scintille incandescenti facessero annerire il pavimento al di sotto della fiamma. In quello stesso momento mi sovvenne un pensiero, che condivisi con i miei compagni: ‘Nessun segno di fuliggine. Come vedevano?’

Fu soltanto una delle tante domande che non avrebbero mai trovato una risposta.

 

Proseguimmo sinché non fummo troppo stanchi. Eravamo lì dentro da ore!

Professor Poegrim!’ chiamai a gran voce. La mia eco si perse lontana.

oyd!’ giunse in risposta.

Ebbi l’impressione che la sua voce corresse lungo la parete, contro la quale mi ero appoggiato in cerca di ristoro per le gambe stanche.

Non siamo troppo distanti. Un ultimo sforzo’ disse Andrej.

Ma in fondo al corridoio vi era solo oscurità.

Corriamo’ dissi, sistemando meglio il bagaglio. ‘La via pare quantomeno sicura.’

Così come aveva ipotizzato Andrej, non eravamo troppo lontani. In forse dieci minuti di passo sostenuto riuscimmo a raggiungili, probabilmente grazie al terrore che ci confessarono di aver provato nel sentire il trambusto causato dal nostro movimento. Ci mancò poco che Idris Coen, l’archeologo dai folti baffi rossi e una calvizie nascosta da un largo cappello da cowboy, scaricasse i sei colpi della sua Colt Single Action Army su di noi.

Per il buon Dio, Coen!’ protestò Collins. ‘Che ci fa con una di quelle?’

Sfido voi, dunque, ad andare a caccia di rovine indifesi! Indigeni, indiani, banditi e bestie feroci: una Colt è sempre una fedele compagna. E non ho avuto torto nel portarla in questo posto!’

Degli otto partiti, più i due operai, erano rimasti in cinque.

Dove sono gli altri, Professore?’ gli domandai sconcertato.

Hanno preso un’altra via, per esplorare meglio.’ disse. Notai in quel momento che anche loro stavano seguendo un percorso tracciato con un filo rosso e dei picchetti.

Questo è il solo percorso.’ disse Andrej.

I percorsi cambiano’ affermarono all’unisono il Prof. Poegrim e Harry.

Li guardai con orrore.

Nella stanza che ci siamo lasciati alle spalle... è lì che abbiamo perso il resto della compagnia.’ ci raccontò Idris Coen., spiegandoci come uno degli operai fosse stato risucchiato all’interno di una di quelle anfore, lasciandosi alle spalle solo lo zaino. Riferì con un certo disgustoso interesse ogni dettaglio, ma che non intendo riportare. ‘Il Sig. Poegrim è già stato da queste parti. Ha insistito per seguire il filo rosso.’

Perché non siamo stati informati prima di questi pericoli?’

Sarebbe stato controproducente!’ protesto il Professore. ‘Vi ho detto che ho qualcosa da mostrarvi, e intendo farlo! Non siate impaziente, Sig. Lloyd: certe cose possono essere comprese solo vedendole!’

In quel momento avrei dovuto fermarmi e correre via. Avrei dovuto seguire quell’impulso.

Invece, eccomi qui, ad inseguire il passato con la mente.”

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 34
*** 8 Aprile ***


8 Aprile 2021,

 

 

Se dovessi dare un titolo a questa parte della storia, sarebbe di certo: euforia psichedelica.

Non vorrei condividere questa parte delle vicende di Philipp Lloyd, eppure, è necessaria per giungere al suo finale, al culmine della persecuzione dell’Uomo Ombra.

 

Ultimamente la penna scorre rapida sul foglio, quantunque i miei appunti appaiano contorti, ingarbugliati, mostrandosi in tutto e per tutto simili ai pensieri. Quante contraddizioni rigate in fase di correzione! Sviscerare un ricordo, che ora sembra così lontano nel tempo, non è semplice. È un tuffo nel passato, un costante attingere a dettagli allora superflui.

Il coro di preghiere mi aiuta a concentrarmi, per quanto so che possa sembrare strano; alle volte ho come la sensazione di star esperendo quei momenti una seconda volta, tuttavia riuscendo a distaccarmi dal senso di terrore, gioia e sorpresa. La penna corre lesta sul foglio… questa carta ha sete d’inchiostro: esige che la storia sia raccontata!

 

L’incontro con il resto della compagnia non era stato dei migliori; la Colt di Idris Coen avrebbe potuto fumare di morte alla prima vibrazione negativa, o i membri della compagnia avrebbero potuto scegliere di disertare, abbandonandoci alla nostra stessa smania di risposte. Niente di tutto ciò accadde: ognuno di noi era stregato dal desiderio di ottenere un risultato, a qualsiasi costo. Sono tutti ragionamenti che sarebbe stato impossibile fare allora; fu sulla nave che mi ha condotto in Europa che ho rivalutato buona parte delle mie scelte.

Con il Prof. Poegrim erano rimasti Giles Higgins, un ebreo irsuto, dalla carnagione fosca come i suoi occhi, profondi come la sua conoscenza delle lingue antiche... […] (Per quanto interessanti, i riferimenti di Philipp agli altri membri della compagnia sono del tutto superflui ai fini della storia.) e, malgrado le differenze, tutti loro avevano una cosa in comune da quando avevano varcato l’ingresso della Ziggurat: un sinistro bagliore negli occhi. Se avessero notato qualcosa di strano in me, questo non si sbilanciarono mai nel confessarlo; ognuno di noi aveva però cominciato a guardare con sospetto gli altri, temendo segrete trame nei rispettivi confronti.

Dopo aver riposato, ci lasciammo guidare dal Professore giù per una scalinata tanto bizzarra quanto affascinante: dai dislivelli costanti, impostati su una miriade di pentagoni, un foro centrale, profondo sino al centro della terra, si apriva per tutta la sua lunghezza, spaccandola in due corsie sempre separate, pericolanti; questo foro si allargava e restringeva costantemente, così come la scala, laddove i pentagoni si univano in rombi dalle punte spezzate.

Uno degli operai, incauto nella discesa, si sbilanciò e finì per svanire insieme al suo agghiacciante lamento nella profonda oscurità. Non sentimmo alcun tonfo. Era lì che il filo rosso del Professore aveva smesso di accompagnarci.

Cauti!’ aveva sollevato il tono Professor Poegrim. ‘[…] Più si scende, altresì diventa ripido.’

Quell’ultima frase mi convinse a sollevare lo sguardo: sopra di noi lo spettacolo era il medesimo: nessuna luce, se non quella fornita dal riflesso opalescente delle pareti vive. E quel costante zampettare malefico in ogni dove.

Tirammo un sospiro di sollievo quando, arrivati al termine della scala, ci fu concesso un momento di tregua. Per la prima volta da quando eravamo entrati nella Ziggurat, ci ritrovammo davanti un locale vagamente familiare, quantomeno umano. Vi era una vasca pentagonale, o presunta tale, stipata sul fondo; era colmata di un liquido denso, simile al fango. Il profumo che esalava non aveva alcun riferimento a niente che nessuno di noi avesse avuto la fortuna di conoscere in vita; era dolce, a tratti pungente, con una nota di densità anomala, la stessa che potreste avvertire inalando del fumo. Tuttavia, nessuno di noi tossì.

Ma la cosa più stupefacente, e che a occhi inesperti come i miei sarebbe potuta apparire come una raccolta di scarabocchi, si presentò all’attenzione di Giles come una testimonianza di una cultura antichissima. Si trattava di una scrittura cuneiforme mai riscontrata prima!

Meraviglia!’ esultò l’ebreo, dopo aver elencato parole in almeno cinque lingue differenti. ‘Uno scritto! E prosegue longilineo per tutta la stanza. Anche sulla fontana!’

Io non credo sia una fontana…’ mugolò Andrej, scrutando con perplessità il liquido che si agitava a malapena, mandando strani riflessi alla vicinanza della fiamma, quasi cercasse di allontanarsene. Considerato il nostro numero, posso solo lasciarvi immaginare quale luce restituisse la parete venosa. Una trama ipnotica di vene iridescenti.

Che nessuno la tocchi…’ mormorò in tono cupo il Professore. ‘L’ultima volta che ho visitato questo luogo [...], non vi era niente di simile. La vostra presenza ha risvegliato il Santuario.’

Santuario?’ domandò Harry.

Risvegliato?’ aggiunse Andrej, visibilmente allarmato.

Cos’altro ci nasconde Sig. Poegrim?’ chiesi prendendolo in disparte.

Dovete aver fiducia in me, Sig. Lloyd.’ mi sussurrò all’orecchio. ‘Cose maestose, meravigliose. Vedrete… e solo allora comprenderete!

Cosa dicono? Quali natiche divine hanno adorato e baciato questi Antichi?’ grugni Coen, ridendo alla propria battuta con la spensieratezza tipica dei bambini, frattanto che lo vedevo impegnato ad esaminare la fontana, forse alla ricerca di qualche trappola.

Non ho un dizionario. Questi simboli [...] sono del tutto nuovi. Ci vorrà del tempo… un’equipe di esperti… sarà difficile portare il materiale sin qui. La questione che mi affascina di più, è scoprire come sono state incise queste scritte!’ rispose Higgins. Lo vidi carezzare i simboli e poi trascriverli sul grosso tomo che lo aveva quasi fatto precipitare nel vuoto durante la discesa di pochi minuti prima.

In Marcia, presto!’ protestò Professor Poegrim, la sua impazienza palesò una rabbia immotivata.

Tuttavia, il resto della compagnia era assorto nella propria meraviglia. Nessuno di loro aveva prestato attenzione all’avviso che era stato fatto presente all’ingresso della Ziggurat, ovvero di evitare il più possibile il contatto diretto con le luci delle pareti.

Bastarono pochi attimi per stravolgere ogni concezione di intelligenza superiore della razza umana. Io e Poegrim potemmo notare un evento singolare: ognuno di loro prese a ciondolare, vaneggiando – a partire da Giles – un linguaggio che nessuno di noi aveva mai udito prima, ma a cui io mi sarei abituato in seguito. Borbottavano frasi incomprensibili, facendo roteare le loro teste quasi fossero dei girasoli, inseguendo i bagliori delle venature sulle pareti in perfetta sincronia.

Cosa sta succedendo, Professore?’

I fumi del liquame!’ sostenne, portandosi la stoffa della sciarpa a coprirsi il naso e la bocca. ‘Il gas – utilizzò proprio questo termine, ma sul momento mi sfuggì quella sua affermazione –… unito agli effetti di luce!’

Osservai sconcertato quel loro muoversi sconnesso, macchinoso, inquietante. In quel momento mi domandai se stessero semplicemente vocalizzando in risposta al linguaggio di Giles, oppure se fossero sotto una sorta di ipnosi collettiva. Avevo sentito parlare di rituali per trasformare le persone in Zombie: Magia Voodoo!

Chiamare i loro nomi non servì a niente, tanto meno scuoterli. Toccarli innescava in loro scatti violenti, più simili a spasmi; avevano le pupille completamente dilatate, schiuma alla bocca ed una tendenza a perdere il controllo della mascella; mordevano l’aria. Era come se fossero sotto l’effetto di una qualche sconosciuta droga. Un prete li avrebbe forse reputati posseduti!

Dobbiamo portarli via’ m’imposi, trascinando di nuovo nella stanza il Professore. ‘Sono sotto la nostra responsabilità!’

Niente avrebbe potuto prepararmi alle conseguenze della mia affermazione.

Poegrim estrasse la Colt S.A.A. dalla fondina di Idris e, senza prendere la mira, esplose due colpi in rapida successione. Il primo colpì di striscio sul fianco lo stesso Coen, mandandolo a terra in un susseguirsi di tremiti convulsi, e il secondo trovò facile ingresso nell’occhio destro di Harry Collins, con abbastanza potenza da uscirgli dalla nuca e incastonarsi in una delle vene nella parete, ma senza perforarla. Si udì un tetro lamento levarsi dai meandri della Ziggurat; risalì sino a noi come una sentenza di morte. Avevamo offeso ben due volte le pareti di quel luogo sacro/maledetto.

Quegli scoppi sortirono comunque l’effetto desiderato, riportando alla realtà la compagnia. Così, vedemmo tutti il geologo danzare come una foglia in autunno, prima di riversarsi con un tonfo sordo nella fontana, portandosi dietro la fiaccola e trasformando la pozza in una pira incendiaria!

Il gas!’

Si consumò all’istante come fosse cera di candela, e insieme ad essa svanì anche il corpo di Collins, il suo equipaggiamento, i suoi vestiti; svanirono anche le luci sulle pareti.

Ammutolimmo poi all’udire di un ennesimo verso crudele, aberrante come il grido di un barbagianni, levarsi però dal corridoio alle nostre spalle!”

 

 

Scrivendo queste parole, ho ripensato a quanto accaduto ad Anduin dalla veterinaria. Il fuoco. Il fuoco può risolvere ogni cosa.

Ho molte idee che mi passano per la testa.

Questa notte andrò a casa del vicino.

Per Anduin.

Per Philipp Lloyd.

Se deve finire, finirà questa notte. Tra le fiamme!

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 35
*** 10 Aprile ***


10 Aprile 2021,

 

 

Avete mai guardato all’interno di un occhio incandescente, con tizzoni arroventati che vi cadono attorno e le urla di anime disperate che abbandonano le fiamme per raggiungere la vostra anima?

È una sensazione angosciante.

Puoi letteralmente sentirti toccato dalla loro sofferenza. Puoi sentire il lamento delle lacrime che crepitano all’unisono in un ardente pianto innocente. Il male non può esistere senza indifferenza. Il male non può regnare senza innocenza. Il male non può perdurare senza ignoranza. Nel nome del giusto si sono compiute tante azioni ignobili; nel corso della storia abbiamo fin troppi esempi.

Il mio, d’altro canto, non può di certo rientrare in un atto malvagio.

Il bene ha due vie per trionfare: una logorante guerra dalla quale usciranno più sconfitti che vincitori, distribuendo nuova malvagità ove il bene ha fallito troppo a lungo; oppure una sola e imparziale punizione terrena, come il Diluvio Universale, per ripulire il mondo dalla feccia maligna in una volta sola. Ciò che è morto si spera lo rimanga per sempre.

Le fiamme bruciano tutto, senza fare distinzioni. Arrivano con la medesima incandescente ferocia, senza chiedere il permesso. Tutto prendono, e cenere restituiscono ai venti, quasi fosse un messaggio: “porta alle genti notizia del male abbattuto”. Nuova speranza per coloro che sono rimasti, un monito per chiunque sia dall’altra parte del giusto. Le fiamme possono risolvere tutto.

Avete mai guardato all’interno dell’occhio incandescente di un incendio? Avete mai visto esseri blasfemi e indegni strisciarne fuori, feroci, ululando ad uno spicchio di luna quasi fosse la loro progenitrice? Avete mai arso viso un incubo? Avete mai domandato perdono, in ginocchio, per una vita spezzata troppo presto?

No, immagino di no.

Alcuni la definirebbero follia; altri, arricciando il naso, direbbero schizofrenia. Io la chiamo giustizia. So bene che non sarete d’accordo con me, amici miei. Conosco il giudizio che già pesa sulla mia testa. Per questo sono scappato, per questo mi sono nascosto. Ho preso tutto quello di cui avevo bisogno e, per due giorni interi, sono fuggito via dalle forze dell’ordine, oltre che dalla furia cieca dell’Uomo Ombra.

Il mio gesto lo ha sorpreso, lo ha ferito, lo ha scottato.

Meritate una spiegazione.

La meritate grazie al grande lavoro che ha svolto Anduin per riportarmi a voi.

Certe storie, per quanto cruente, debbono essere raccontate. Questa, con tutto l’orrore che vi porterà, è la mia.

 

Abbandonato il PC, mi sono deciso a fare qualcosa che troppo a lungo avevo rimandato. Se l’avessi fatta quando l’aveva suggerita Anduin, a quest’ora saremmo entrambi vivi. Ma in quei giorni la ritenni pura follia, proprio come voi la starete reputando adesso. Sì, so bene cosa state pensando, e vi dirò che i vostri timori sono totalmente fondati. È proprio ciò che ho fatto. Qualcuno avrebbe dovuto, prima o poi.

Mi sono sentito il prescelto. Certe volte – e non vuole essere una scusante – dobbiamo semplicemente fare ciò per cui siamo venuti al mondo.

L’altra notte ho preparato una borsa con tutte le cose essenziali; poi, con in mano un piede di porco, sono entrato di nuovo nella casa del vicino sfruttando la finestra aperta. Non ho dato a quelle cose il tempo di assalirmi. Dopo aver notato la vetrina devastata, ho spaccato una bottiglia di vetro contenete due litri di benzina contro la mobilia e, grazie al piede di porco, ho manomesso una delle tubature del gas. Me la sono data a gambe levate non appena ho avvertito quel lamento infantile superare in volume quello delle mie cuffie; vi giuro che ho percepito la vibrazione delle sue zampette come se a muoversi fosse un elefante!

Avrò impiegato al massimo un minuto per entrare, manomettere e uscire. Ve lo racconto, è vero, sapendo che la polizia, i carabinieri o chi di dovere potrebbero trovare questa autodenuncia. È tutto vero, non intendo nasconderlo. Forse, dietro le sbarre, starò più tranquillo.

Ho aspettato dentro casa mia per un’ora intera; poi, ho recuperato la mia borsa, ci ho infilato dentro Avorio – con solo la testa e le zampette anteriori che spuntavano fuori – e sono sceso in strada. Mi sono tenuto ben nascosto dietro un paio di macchine. Ho atteso in silenzio, finché non ho potuto assistere alla sua sagoma delinearsi nei pressi della finestra. Per quanto fossi nascosto, lui poteva ancora vedermi, come se sapesse sempre dove trovarmi.

Allora mi sono alzato, sfidandolo.

Ho scorto quei tentacoli d’ombra agitarsi dietro di lui, quegli occhi ribaltarsi sino a puntare dritti nella mia direzione. Intendeva dirmi che stava arrivando. Intendeva minacciarmi. O forse stava solo cercando di prendere tempo per farmi assalire da qualche sua assurda estensione.

Ma il mio piano era ben preciso, e quella sua reazione giocò a mio favore.

Qualche tempo prima dell’inizio di tutta questa situazione avevo comprato una di quelle fionde a braccio che si trovano un po’ ovunque. Avevo approfittato della mia pausa rifornimento per prendere anche qualche sasso.

Diedi inizio al tiro al bersaglio.

Vidi la prima pietra venir deviata con prepotenza da uno dei tentacoli/lingue, dunque mi concentrai a scagliarne altre, trovando la medesima reazione. Pareva una sorta di cane, quell’Essere, trovava divertente quel gioco di onnipotenza. Così mi decisi a sembrare un po’ meno preciso con la mira. Colpii la ringhiera e, una delle pietre, finì per rimbalzare sul parabrezza di un’auto lì sotto, innescando l’allarme. Me ne resi conto solo dalle luci, perché le cuffie mi privavano di ogni suono, e dalla reazione dello stesso Uomo Ombra.

In quel preciso momento completai il mio piano. Incoccati tre accendini, uno di fila all’altro, e li scagliai verso la creatura.

Sembra una follia, a dirlo, ma è come se avessi visto questa scena a rallentatore, tanto era stata pianificata. I tre accendini si separarono subito dopo il lancio, prendendo direzioni non troppo distanti. Uno venne frantumato da una delle lingue, uno si schiantò contro la ringhiera e il terzo superò i tentacoli d’ombra, sin dentro la sala da pranzo, raggiungendo il soffitto. Scoppiarono tutti e tre nello stesso momento, poi fu la volta dell’intero appartamento.

Una luce così forte da arrivare ad accecarmi, poi la terribile esplosione!

Avevo potuto vedere cose simili solo nei film, ed avevo sempre sottovalutato la potenza devastatrice del gas. Le cuffie mi ripararono solo parzialmente dal terribile boato. Le fiamme si aprirono un varco verso l’esterno, e subito dopo fu casa mia a esplodere. Ciò che non vi avevo detto, è che prima di uscire avevo lasciato aperto il gas e versato una tanica di benzina lungo il pianerottolo delle scale. L’ennesimo terribile boato travolse la parte inferiore dell’edificio, facendo crollare il piano di sopra. M’investi una miriade di detriti.

Ho visto quelle fiamme espandersi, risalire fameliche verso i piani superiori. Il terrazzino dove si trovava l’Uomo Ombra era andato in mille pezzi.

Voltandomi, nel tentativo di rialzarmi, notai la carcassa di quell’Essere, prima esplosa e poi schianttatasi contro l’edificio parallelo, strisciare verso di me ancora avvolta dalla fiamme. Urlava come un fanciullo e al contempo guaiva come una bestia morente.

L’ultima cosa che i suoi occhi rotanti devono aver visto, è il mio piede di porco che calava su quella testa orribile, frantumandola in mille putridi pezzi.

Sono rimasto lì ancora per un po’ mentre le fiamme conquistavano l’intero palazzo. Divenne un unico grande occhio infuocato. Udii le sirene in lontananza, ma non sarebbero mai arrivate in tempo per salvare nessuno.

Potevo sentire le urla degli altri condomini. Posso sentirle ancora adesso. Questo peccato mi tormenterà sino alla fine dei miei giorni. Nessuno di loro ha avuto alcuna possibilità di uscire, perché le scale dei piani inferiori sono le prime che sono state avvolte dalle fiamme. Tra le loro urla, potevo sentire quegli Esseri lamentarsi, ardere come legna marcia, emettendo scoppiettii tossici.

Sono rimasto lì a guardare quell’orrore, di cui ero responsabile in prima persona, finché le prime vetture della polizia e dei vigili del fuoco m’invitarono ad allontanarmi.

Rientri i casa! Qui è pericoloso!” mi ha ammonito un agente.

No. Il peggio è passato” gli ho risposto, innescando una certa perplessità nel suo sguardo.

L’ho fatto per un bene superiore. Per Anduin.

Come per il Diluvio Universale, solo la furia di un elemento può spezzare le catene della malvagità. Questa volta è stato il fuoco, perché purifica e distrugge. Era l’unico modo possibile per punire l’Uomo Ombra.

Ora, a distanza di giorni, posso confermarvi che nessuno dei civili è sopravvissuto. È colpa mia. Sono vittime di una guerra che non può permettersi il lusso di troppe perdite; in quanti spariscono nel nulla? In quanti vengono divorati segretamente dall’oscurità? Anduin è stata solo uno delle prime, ne sono sicuro. Danni collaterali di una crociata che ho intrapreso.

Datemi pure del folle...

Ma questa è la mia scelta.

Così come Philipp Lloyd è stato costretto ad eliminare quei soldati, io sono stato costretto a prendermi le vite di questi innocenti. Pagherò le mie scelte, quando sarà giunto il mio momento. Ma sino ad allora ho deciso di combattere.

L’Uomo Ombra ha conosciuto il dolore. Ora mi cerca con tutto se stesso. Brama la mia vita più che mai. Io sono l’unico che ha saputo fargli conoscere questa sensazione. L’Uomo ombra è ancora la fuori, ferito. Prima di sferrare l’ultimo assalto mi devo organizzare.

Sono costretto a muovermi, costantemente. Ho dovuto abbandonare la mia città, sia a causa delle forze dell’ordine che dell’oscurità; entrambe mi bramano, ma non mi avranno. Non finché questa storia non sarà conclusa.

Ho ancora molto da narrare.

Datemi del pazzo, e forse devo darvene ragione.

Datemi del folle, e forse concorderò con voi.

Ma, per ora, sono ancora Philipp Lloyd.

 

Aggiornerò, se mi sarà possibile.

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Capitolo 36
*** 11 Aprile ***


11 Aprile 2021,

 

 

Nel lento e inesorabile sprofondare nella follia, nessuno di noi governa un raziocinio tale da rendersi conto dell’infausta sorte, dell’irrealtà, dell’assurdo capace di tramutarsi in plausibile.

Non puoi riconoscere la follia, fintanto che ne sei parte.

Era questo, suppongo, che aveva reso i miei compagni di viaggio del tutto indifferenti alle costanti perdite subite durante quella spedizione. Ho utilizzato il termine spedizione molto di frequente, per riferirmi agli episodi del tempio; ciò è incorretto. Ma se avessi avuto la premura di utilizzare il vocabolo adeguato, non sarebbe servita a niente tutta questa spiegazione. Avrei potuto rivelarvi sin da subito l’epilogo della mia disavventura, ma chiunque leggesse queste parole si troverebbe facile all’errato giudizio dei miei passati collaboratori.

Il racconto stesso è un mezzo per arrivare alla verità. Come voi, anche io la sto riscoprendo per la prima volta nei meandri della mia mente.

Quel fastidiosissimo dolore non c’è più, per fortuna. Credo sia meritò della meditazione che sono costretto a fare da queste parti. Anche il termine costrizione non è del tutto esatto. Sono venuto qui [...] con lo specifico desiderio di liberarmi dalla piaga che mi affligge, di disfarmi dalla maledizione scatenatami contro dall’eccessiva curiosità del Prof. Poegrim. Sono venuto in questa abazia [...] per espiare le mie colpe.

Non è affatto facile riuscire a tenere dentro di sé episodi simili.

La notte, certi demoni si risvegliano e, armati di ogni fibra della loro perfidia, si sono divertiti a punzecchiarmi per molto tempo. Ora, lontano dai miei doveri, vedendo con maggior chiarezza il mio ruolo all’interno dell’intera faccenda, posso dire di essermene liberato, almeno in parte.

Riesco a dormire più del solito, non ho più la tremenda sensazione di essere perseguitato. Questa è la parte conclusiva di quanto accadde in quella Ziggurat, il giorno che l’Uomo Ombra conobbe il mio nome, il mio destino. Il giorno che ho maledetto da prima dell’inizio di questo Diario…

 

Il Prof. Poegrim avrebbe premuto il grilletto altre quattro volte, se non avessi avuto la premura di sottrargli la pistola. Sbuffò, invece di urlare di paura. Per fortuna Idris Coen era stato colpito solo si striscio, e curare la sua ferita non ci richiese troppo impegno.

I miei compagni, sino a pochi istanti prima assuefatti da qualche estranea sostanza, mi guardarono come se fossi divenuto il loro capo. Sentii riversarsi su di me tutti i loro timori e speranze, in una lotta alla salvezza che temevano fosse ormai perduta. Il corpo di Collins era sparito sotto i nostri occhi, e nessuna spiegazione logica avrebbe avuto la meglio sull’idea che vi fosse di mezzo qualcosa di malvagio, oppure la volontà di un Dio crudele. Avrei potuto leggere limpidamente quel pensiero sui volti di tutti, e con più evidenza in quello del giovane Paul; i timori di un ragazzo sono sempre più forti che in un adulto.

Il Professore aveva così perso il suo ruolo di capogruppo. Con la sua azione aveva terrorizzato ogni elemento della compagnia, compreso il suo stesso pupillo; ciò che non sospettavo, era che quel suono fosse riuscito ad angosciare persino lui. Mi fu subito evidente che qualcosa non stesse andando come egli aveva progettato. Ormai si palesò chiaro il fatto che Poegrim non mi avesse ancora mostrato il vero tesoro che si celava in quella Ziggurat. Mi domandai il perché di tanta segretezza: ancora oggi avrei preferito non saperlo mai!

Dobbiamo andarcene. Il Diavolo in persona alberga in questo tempio maledetto!’ ebbe una vera e propria crisi, Paul.

(Solo ora mi rendo conto di aver obliato il dettaglio di questo studente, facendo i miei consueti tagli; Philipp ne parlava durante la descrizione dei cinque compagni ritrovati insieme al Prof. Inoltre, ho rimosso tutte le teorie di Philipp a riguardo della presenza degli studenti nella spedizione. È vero quello che si dice: una storia, per essere compresa bene, deve essere raccontata tutta.)

Quanta pena provai per quel fanciullo, strappato troppo presto alle fantasticherie giovanili; certi uomini, nello specifico certi insegnanti, avvertono tale il desiderio di lasciare degli eredi, che finiscono per sciupare giovani amanti della materia; ho sempre trovato che i giovani debbano essere solo guidati verso la direzione che intendono raggiungere, e non trascinati.

E rinunciare alla scoperta più grande di sempre?’ brontolò Poegrim. ‘Andate, codardo! Andate, se volete andare!’

Il ragazzo ammutolì peggio di quando avevamo udito quel lamento.

Anche voi: andatevene, se volete! Non ho bisogno di nessuno di voi. Io e Philipp ce la sbrigheremo meglio, senza intralci. È stato un errore condividere un’opera simile con beceri piscia letto come voi.’

Professore!’ la mia voce esplose come una delle cartucce della Colt di Idris, imponendo il silenzio. Un lamento lontano, forse l’eco dalla mia voce, mi fece rabbrividire. ‘Siamo tutti provati nel profondo. Molti misteri hanno falciato la nostra compagnia. Nessuno di voi è obbligato ad andare avanti più di quanto il proprio cuore gli suggerisca. Io e il Professore, giacché siamo arrivati sin qui, intendiamo proseguire.’ Voglio ammetterlo, neanche io riesco a credere a come quelle parole stessero abbandonando le mie labbra. Avrei voluto prendere per mano Paul e trarlo in salvo il prima possibile. Ma c’era anche qualcos’altro che mi spronava a continuare… non era sete di celebrità, di riconoscimenti, di titoli. Era un sussurro… un richiamo. Voleva che lo raggiungessi. Qualsiasi cosa essa fosse, voleva incontrarmi. Era stata lei a mandare il Prof da me.

Apprezzerei avervi al mio fianco, piuttosto che pensarvi in pericolo lungo questi corridoi. Insieme possiamo affrontare al meglio le insidie di questa Ziggurat. Ma se qualcosa vi suggerisce di correre via, di voltarvi e non far più ritorno, ascoltate quella voce!’ Considerato che non mi era stato possibile fare altrettanto, cercai perlomeno di risparmiare loro un prolungamento della pena.

Spararci un colpo in bocca sarebbe stato meno invasivo delle sue parole’, grugnì Poegrim, voltandosi poi verso il corridoio. ‘La credevo uno di squadra.’

Io verrò. Tornare indietro non mi risulta meno pericoloso di proseguire. Se debbo morire, vorrei farlo avendo compiuto qualcosa di grande, e non come codardo. Ma rivoglio indietro la mia bambina.’ Era Idris.

Con che coraggio potrei lasciarvi da soli?’ aggiunse Andrej, approfittando del discorso per allontanarsi dalla fontana.

Sig. Khalid? Ha scoperto niente d’interessante? Le avevo detto che avrebbe trovato un segreto degno delle vostre terre natie’ soggiunse il Professore, ignorando del tutto Paul.

Mi chiami Giles, per favore. È questo il nome che ho scelto per il suo mondo.’

(Parte poco rilevante, lo so; ho voluto riportarla perché faceva tanto film degli anni novanta. L’ultima battuta di Khalid mi ha fatto per un attimo pensare a qualcuno venuto davvero da un altro mondo. Non sarebbe poi una novità, non credete? Non di certo la cosa più strana che abbiamo letto nelle storie di Philipp Lloyd.)

Vengo anche io.’ La timida voce di Paul fu soffocata dalle ultime parole di Higgins.

Mi ritrovai quindi a guidare il gruppo, proprio verso la direzione da cui era giunto quel suono raccapricciante. Le pareti avevano smesso di riflettere il calore delle torce, quasi intendessero punirci per la nostra violenza. Poteva esistere davvero una Ziggurat senziente? A voi la risposta.

 

Il corridoio sempre a forma pentagonale proseguiva con un’inclinazione quasi impercettibile verso il basso; ogni nostro passo riproduceva una quantità elevata di eco che trovammo quantomeno sospetta. Tutti ci attendevamo di veder spuntare fuori una qualche mostruosa creatura, tanto che Idris, poco dietro di me, aveva il dito tremolante sul cane della pistola.

Poi, avvertimmo all’improvviso una stanchezza insensata, come se la gravità attorno a noi fosse aumentata notevolmente. Sentivamo proprio la testa venir spinta verso il basso da un’energia sorprendente; faceva male alla schiena resisterle. […]

[…] Il Professore, il più provato da quell’incedere a oltranza, alla fine si fermò.

Ci siamo… occorre un po’ più di luce, se permettete’ ci consigliò, estraendo alcune torce.

Sapevamo che se avessimo acceso anche quelle, per il viaggio di ritorno alcuni di noi sarebbero rimasti al buio. Tuttavia, la compagnia fu ben lieta di aver più luce che annullasse le tenebre di questo nuovo ed ultimo locale della nostra gita.

Si rivelò ai nostri occhi una stanza con la stessa forma geometrica delle altre, ma con una differenza sostanziale: esisteva un pavimento che differiva da qualsiasi altro, come se il resto dello Ziggurat fosse invero stato costruito su questa base.

Questa cosa è priva di alcun senso…’ lamentò Andrej, tastando il pavimento ad un primo sguardo liscio e al contempo stopposo al tatto, di un colore rossastro, simile all’argilla. Al centro di esso le luci palesarono un albero, o qualcosa che ci si avvicinava, che nessuno di noi, escluso il Prof., aveva mai visto in vita. Potrei definirlo come una specie di salice al contrario: la corteccia era di un verde acceso, ed i lunghi ciuffi color amaranto piangevano verso il soffitto, galleggiando nell’aria sino a cinque metri di altezza. Galleggiare è il termine adeguato, perché continuavano a danzare nell’aria come se una specie di vento li animasse. Non tirava un filo d’aria in quella Ziggurat.

La parte che definiremo comunemente la chioma, in un canonico salice, era quindi inversa, e così lo erano anche le radici, le quali si estendevano verso l’alto, simili a tentacoli iridescenti, finendo per avvolgersi attorno ad una crisalide d’ambra alta grossomodo quattro metri e larga due. Al suo centro vi era qualcosa di informe, indefinito, ma che faceva apparire quella crisalide come una sorta di enorme occhio.

Ci sentimmo tutti osservati.

Abbandonando l’albero come una sorta di vortice, cinque grosse venature camminava sul pelo del pavimento, andando a formare delle specie di alcove a forma di mezzaluna.

Quello spettacolo ci era visibile solo grazie alle pareti e al corpo dello strano salice, che riflettevano il colore delle fiamme, illuminando maggiormente l’intera stanza.

Sono come delle postazioni’, commentò Idris, facendosi un po’ più vicino, senza mai salire sul pavimento. ‘Un luogo di culto, suppongo. Guardate come tutto conduce a questa splendida crisalide. Forse la reputavano una sorta di divinità? Che abbiano eretto questo tempio a sua protezione?’

Le sue domande non innescarono risposte.

Cosa ha prodotto quel suono che abbiamo udito?’ espose il timore più grande di tutti, Paul.

Forse l’ambra si è mossa’ disse Andrej.

L’ambra si è mossa’ lo corressi. Ma non aveva prodotto alcun rumore. Non seppi distinguere se a muoversi fosse l’ambra o le radici che l’avvolgevano. Essendo un essere vivente, quell’albero aveva però tutto il diritto di farlo. Il pensiero che cercò di sfiorarmi in quel momento cercai di lasciarlo correre ancora per un po’, perché troppo assurdo. Di cosa si nutriva?

C’è forse un fiume, sotto questa Ziggurat?’ chiese Giles. ‘Harry ci avrebbe fatto comodo, in un momento come questo.’

La meraviglia… dov’è la meraviglia nei vostri occhi?’ chiese Il Professore, sconcertato. ‘ Siete dinanzi ad una scoperta storica, qualcosa di tremendamente raro!’ e si dilungò nell’elencare tutte le meraviglie davanti ai nostri occhi, a partire dalla forma di vita primordiale, alla cultura, alla scrittura, al valore dell’ambra stessa. Insomma, per il professore avevamo camminato per secoli sopra un cimelio d’inestimabile valore, senza comprenderne l’immenso valore!

Se solo avessi altri quattro specialisti come me, forse saprei tradurvi quanto è scritto in queste opere!’ Khalid era del tutto fuori di sé. Aveva riempito già delle pagine di appunti, ossessionato dalla quantità di scritti presenti nella stanza.

Temo la nostra meraviglia pareggi il nostro terrore’ ammisi, guardando Poegrim dritto negli occhi. Lessi un lampo di rabbia infuocagli lo sguardo che mi restituì.

Udite! Udite la sua voce! Se solo aveste tutti un po’ di accortezza del rispettare quanto vi è di più sublime. Vi ho resi partecipi di una grande scoperta!’ la sua voce suonò a tutti noi strana, quasi alterata.

La sento Professore’ ammise lo studente. ‘Un flebile mormorio. Sento il suo richiamo…’

Sapevo non mi avresti deluso!’

Un ad uno i miei compagni di sventura udirono quel richiamo. Io, in verità, vi ho già raccontato di averlo udito prima di tutti loro.

Egli vuole parlarci’ annunciò Poegrim. ‘Ma Egli è troppo debole. A lungo l’Antico è stato dimenticato, abbandonato dalla nostra stirpe. Avvicinatevi ed udite meglio la sua voce. Io, prima di voi, ho abbracciato una delle mezzelune. Ho udito la sua voce cristallina. Volete, amici miei?’

Guardai il Professore con odio.

Avrei voluto ribellarmi a quella sua richiesta, ma era come se quella pressione mi spingesse verso una delle alcove. Non potevo più rifiutarmi. Nessuno di noi poteva.

Sig. Coen!’ lo richiamò a sé, Poegrim. ‘Lasciate a me la vostra Pacificatrice’

Dopo che era stato ferito, immaginavo che almeno Idris trovasse la forza di opporsi a quel suo comando. Invece, il rosso consegnò la sua Colt S.A.A. nelle mani del Professore, prima di prendere posto ove glie era stato suggerito.

Sentii mancarmi il fiato. Quel senso di oppressione mi costrinse a sedermi. Vidi le radici allungarsi verso di me. Udimmo tutti quel grido raggelate riempire la stanza, distinto, uscire dall’interno della crisalide.

Eravamo tutti parte del piano di Poegrim!”

 

 

La trascrizione mi ha preso più del previsto, ma sono costretto a fermarmi qui, per oggi.

Non ho una connessione stabile dalla quale riuscire a postare ciò che voglio. Sono quindi costretto a scrivere tutto da remoto, tenendomi ben distante dai problemi, dall’Uomo Ombra che ancora mi cerca. Di giorno non posso muovermi troppo liberamente. Le forze dell’ordine mi cercano.

Come al solito, non ho tempo per correzioni. Devo consegnarvi tutto come mi è riuscito di trascrivere, sperando possa essere quanto meno leggibile.

Alcuni di voi hanno avuto timore avessi deciso di fermarmi con il mio Diario. Non è così.

L’Uomo Ombra non è stato sconfitto. Non come avrei voluto. Egli muove i fili di molte altre questioni, è un po’ ovunque. Ma devo avergli fatto molto male. Per questo mi brama. Per questo mi cerca.

Continuerò la mia silenziosa e segreta battaglia contro questa avvilente oscurità.

Lo farò per tutti noi.

A costo della vita!

 

Aggiornerò, il prima possibile.

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 37
*** 12 Aprile ***


12 Aprile 2021,

 

 

Quale dolore. Quanta sofferenza!

Ritrovare con la mente quel preciso passaggio della mia vita mi ha ferito. Sento sanguinare dentro di me, come se avessi perso una parte di ciò che sono. Odo un lamento giungere dal profondo della mia anima. Se credo in un anima? Dopo quello che ho scorto con questi occhi, posso credere in qualsiasi cosa, anche che il Diavolo vada in giro a ballare il Can-Can!

Mi sono come risvegliato da un incubo durato tutta la vita. Questa notte ho sognato di essere di nuovo lì, all’interno della Ziggurat, assoggettato al voler del Grande Albero Primordiale.

Sento di dover concludere la mia narrazione il prima possibile. Il tempo a mia disposizione sta finendo.

È stata lei a dirmelo.

La mia nuova guida.

Avevo percepito un certo dovere nel rimanere in questo luogo. Ed ecco di nuovo quella visione, come se nel mondo fosse accaduto qualcosa di atroce. Credo di percepire il nostro piano di esistenza in modo differente, ora. È come se tutto ruotasse attorno ad un orizzonte di eventi possibili: quando qualcosa al suo interno viene innescata, chiunque capace di farlo può percepirlo. Ho avvertito un’immensa luce, ma anche un profondo male. Ho percepito una fitta di dolore.

Qualcosa è svanita per sempre da questo mondo…

Non può essere solo una mia vaga impressione. Sarebbe assurdo.

Quando un elemento del creato viene meno, un altro ne prende subito il posto. Questo è il caso della mia dolce Maggie?

È venuta la mondo con l’irruenza dell’alba dopo una notte tempestosa.

Che occhi: un verde rilucente come smeraldo!

È stata sua madre a scegliere il nome.

Ho un altro fatto da raccontarvi… andando in paese per recuperare il necessario per la bambina, mi sono ritrovato catapultato in un mondo che non pareva lo stesso che avevo abbandonato qualche tempo fa, entrando in abazia. Il paese era controllato da un reparto americano, ed un Caporale è rimasto sorpreso dalla mia conoscenza dell’inglese. Ha riconosciuto l’accento di Providence.

Siete una delle nostre spie?’ ha domandato, notando la mia inquietudine.

Mi sono allontanato.

Avevo già sentito parlare degli Americani, tuttavia avevo smarrito il senso del tempo.”

(Ci tenevo a sottolineare questo passaggio di Philipp Lloyd. Credo si riferisca alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando allude alla grande luce. Ritengo che l’Uomo Ombra abbia perso qualcosa, anche in quel caso. Ma sono solo mie interpretazioni.

Se può tornarvi utile alla comprensione del testo, posso aggiungere che Philipp riaprì l’abazia al pubblico, ospitando chiunque presentatogli come posseduto, offrendogli una nuova prospettiva di vita. Nessuna cura particolare destinata a queste persone, solo pace interiore e quiete, comprensione, consapevolezza di sé. Non vi nasconderò però un gran numero di omicidi.

Non era posseduto, di questo sono certo. Il suo male era, malgrado ciò, un pericolo per la comunità: l’ho liberato dalla sua sofferenza terrena.’ scriveva dopo l’ennesimo atto crudele; e, quando non si prendeva la briga di porre fine alla vita di un degente, lo liberava per le campagne, a chilometri di distanza, lasciandolo a se stesso.

Come posso giudicarlo, dopo quello che ho fatto?)

 

Sentii quelle radici strisciarmi addosso, fameliche, e la domanda che avevo finito per pormi guardando l’albero tornò a tormentarmi: di cosa si nutre? La risposta era semplice… di sangue. Era ciò che aveva fatto sin da quando avevamo varcato l’ingresso della Ziggurat.

Professor Poegrim!’ mi riuscì di gridare. ‘Si fermi! Dove sono la ragione, la conoscenza, l’umanità? Intende davvero compiere un sacrificio umano?’

Siete sempre stato poco preciso, Sig. Lloyd. Un singolo sacrificio non sarebbe sufficiente. Egli ne richiede cinque, uno per ogni senso dell’esistenza: anima, vita, morte, tempo e spazio. Ognuna di queste si rispecchia in voi, amici miei. Avrete l’onore di assistere alla rinascita dell’Antico, al ritorno di ciò che era perduto negli abissi profondi del nulla eterno. Intendevo mostrarle questo, Philipp.’

Se era suo intento sacrificarci, perché ha portato con sé il resto della compagnia? Che fine hanno fatto gli altri?’

Poegrim mi guardò come si guarderebbe uno studente che non ha compreso una formula matematica. ‘Siete una delusione, Sig. Lloyd. Credevo fosse in grado di arrivarci, a questo punto. Egli aveva bisogno di nutrimento, per risvegliarsi. Ho consegnato l’altro gruppo ad una morte degna di individui di poco carattere. Ho portato con me solo chi ho ritenuto degno!’

C’era uno dei suoi studenti in quella compagnia! Paul è uno dei suoi studenti! Come può essere stato così accecato? Lei ha perso il senno!’

Mai come ora vedo tanto lucidamente la realtà, Philipp’ e, nell’affermarlo, s’incamminò proprio verso il giovane, ormai avvolto dalle radici; era rimasto solo uno spazio, ove la corteccia aveva risparmiato il pettorale destro. Il Professore avvicinò la canna della Colt e tirò il cane. ‘La Vita!’ Esplose un colpo, aprendo un varco nel petto di Paul, dove una liana si sarebbe addentrata in un guizzo fulmineo, come una specie di serpe.

L’intero albero fremette, e vidi i colori delle foglie accendersi. Il sangue risalì sino alla crisalide. Pulsò, frammentandosi quando dell’acido cominciò a sgorgare dalle radici. L’Essere, quello che dava alla crisalide la parvenza di un occhio, si agitò come un neonato nel ventre della madre. Non potei che chiedermi cosa avrebbe partorito. Ero terrorizzato, eppure anche così affascinato; la mia natura umana aveva sete di conoscenza. Quell’Essere, invece, aveva sete solo del mio sangue.

La vita che permea l’Universo. Egli ne era simbolo’ continuò la sua folle spiegazione Poegrim, sinché non raggiunse l’alcova di Andrej. Sentii ancora lo scatto del grilletto. Non potevo più vederlo in quella posizione, cosa che invece mi era più semplice con Idris: aveva lo sguardo perso nella crisalide. Era ipnotizzato.

Può ancora fermarsi, Professore’ lo implorai. Le liane mi avevano avvinghiato le gambe; sentivo una miriade di piccoli aghi affondare nella pelle, provocandomi un tedioso prurito.

BANG!

Lo spazio!’ annunciò il folle. ‘che un corpo occupa in vita nel flusso dell’esistenza, prendendo una forma, assumendo un titolo di realtà.’

L’Essere nella crisalide ora si muoveva più fluido, galleggiando all’interno di una sostanza che aveva preso a sgorgare dalle crepe sulla superficie, esalando un tanfo di melma marina.

I passi del Professore risuonarono al ritmo della macabra melodia prodotta dalle foglie del salice, che frullavano eccitate, mandando bagliori iridescenti. Era un suono sgradevole, insistente come il frinire delle cicale. Si fermò davanti a Khalid.

Il tempo: inesorabile, soggettivo, scorre per alcuni alla rapidità d’un battito di ciglia; per altri, invece, è linfa vitale. Un corpo come il suo, facile a cambiar nome, non può eludere la sua reale natura, non può evadere lo spazio che gli è stato concesso per un tempo stabilito. Giles… Khalid. Ogni cosa ha la sua definizione… anche il tempo.’ Lo scoppio rimbombò con un suono stridente: doveva aver scheggiato un osso, e la pallottola aveva attraversato il corpo, sino a colpire la corteccia, perché anche il salice lanciò un grido, lo stesso che avevamo udito nella stanza adiacente.

La crisalide si schiuse sul lato sinistro; nella luce iridescente prodotta dall’albero, vidi una grande ala tondeggiante contrarsi nell’atto di cercare di spiccare il volo. Tre artigli di pura tenebra facevano capolino alla sua estremità. Nella sua membrana, che mi parve squamosa nella parte esterna, erano visibili una miriade di minuscoli esseri invertebrati, e anche questi si agitavano in modo convulso. Più cresceva il mio disgusto, più provavo una sorta di venerazione per quell’essere.

Tremai di puro terrore. Cercai invano di muovervi: ero paralizzato. Le liane si strinsero sino a farmi credere di avermi spezzato le ginocchia!

Ed ecco di nuovo il Professore nel mio campo visivo, appropinquarsi al capezzale di Idris Coen. Notai solo allora quel bagliore maligno nei suoi occhi.

Lei non è Poegrim… non più.’

E con l’inesorabile scorrere della vita, spazio e tempo si consumano l’un l’altro, divorando la carne, la conoscenza. Il processo naturale dell’esistenza è un perpetuo riciclo di forme organiche, di esseri che hanno l’unico scopo di transitare. La morte è l’unica via per vedere oltre la realtà dell’Universo’ espose il suo pensiero, gioendo della sua stessa riflessione, appagato dall’idea che vi fosse ancora qualcuno in grado di ascoltarlo. Contemplò la pistola tra le sue mani, poi aggiunse: ‘Forme di vita tanto primitive, hanno un solo ruolo in questa realtà: nutrimento!’

Sparò con disinvoltura nel petto di Idris Coen. Era ancora il Professore, in parte, e posso affermarlo solo ora che ho l’occasione di contemplare questo sogno così vivido. Quella malvagità era tipica dell’essere umano.

Un’altra ala si aprì un varco dalla crisalide, frullando in modo frenetico; le creature all’interno della sua membrana parevano desiderosi di uscire. Ma fu ciò che potei vedere all’interno del bozzolo a raggelarmi: quelle ali lo avevano avvolto, racchiudendolo come un uovo; di una creatura mai scorta in vita, o suoi libri, ora gravava l’attenzione su di me. Occhi verticali d’agata viola, verde e rossa, sei in tutto, scintillavano a monte di una testa oblunga, ossea, dalla calotta allungata e rigonfia come quella di un polipo, sormontata da una cresta d’osso, aguzza. Delle sorte di branchie si trovavano dove in un uomo si ricercherebbero le orecchie.

Aveva un vago aspetto antropomorfo, ma era come se la sua natura unisse ogni sorta di forma di vita conosciuta. Il muso oblungo terminava con due zanne seghettate – che aveva la facoltà di serrare, come le formiche – circondate da un nugolo di tentacoli dotati di micidiali aculei. Le braccia e le gambe era ancora racchiuse sul busto, incrociate.

Era come se mi stesse parlando, come accadde anche sulla nave.

Per quanto vivido, non ho rammentato le sue parole nel sogno. Non riesco a ricordarle.

È invece indelebile l’immagine di quello che fu il Professor Poegrim, venirmi incontro con quel fare profetico, estasiato.

No, è ingiusto ricordarlo in tal modo. Era il destino quello ad incedere verso di me, nascosto nell’ombra.”

 

 

Come credergli?

È difficile, lo so.

 

Se non avessi visto quella creatura, quell’orribile essere dentro la casa dei vicini, la penserei proprio come voi. Ho cercato di mantenere il più intatto possibile il racconto di Philipp, eliminando solo le parti che avrebbero reso questo estratto troppo lungo, e vi sarete accorti che lo è già così...

Ha proprio ragione, però: tendiamo a dimenticare le cose che ci hanno fatto soffrire. E quanta sofferenza!

Ma non posso dilungarmi oltre. Questa stesura mi ha richiesto più tempo del dovuto.

Se intendo consegnarvela, devo sbrigarmi.

Domani avrete l’ultima parte del racconto di Philipp Lloyd, quella che riguarda la sua disavventura all’interno della Ziggurat, perlomeno.

Per quanto mi riguarda, se vi interessa, sono riuscito a eludere le forze dell’ordine ed eventuali incontri con l’Uomo Ombra. Ho trovato una soluzione singolare, anche se dispendiosa. */

*/ Sto viaggiando, amici miei. Lontano da casa mia. Dall’oscurità. Ma farò ritorno, quando sarà il momento. Tornerò per cercare Anduin. Non so ancora quando. Non so come. Ma lo farò.

Aggiornerò,

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 38
*** 13 Aprile ***


13 Aprile 2021,

 

 

Perché le trame dei libri ci incuriosiscono tanto? Chi si è mai posto questa domanda?

Ultimamente, leggendo di grandi gesta, di antichi amori, di grandi eroi, ho avuto l’impressione di starmi perdendo qualcosa. Gradualmente sono giunto alla conclusione che, in tutta quella meraviglia, così assorto nel flusso delle vicende dei personaggi, avevo finito col tralasciare delle parti di trama che avevano poi contribuito ad innescare in me una straordinaria sorpresa. Come, dopo che mi era stato detto tutto, nero su bianco, avevo potuto perdere un dettaglio simile?

Queste domande hanno trovato una chiara risposta. Ora, dopo questi ultimi ricordi, so cosa rende i libri tanto speciali. È la magia della scoperta. Dapprima c’è chi si approccia alla lettura con curiosità o diffidenza, e prima di potersene rendere conto le pagine sono volate verso metà del libro; subentra quindi l’interesse nel voler conoscere la conclusione della storia. È dunque questo a renderci dipendenti da una storia, perché per una volta tanto ci sarà concesso di mettere insieme tutti i pezzi, avere una chiara visione dei fatti.

È l’idea di poter dare un senso a tutto.

È ciò che sono riuscito a fare, riguardandomi nei miei stessi ricordi, lucidi come realtà. Ho potuto vedere qualcosa che mi era a lungo sfuggita, rendendomi schiavo delle mie stesse mancanze. Noi, come essere umani, viviamo le pagine della nostra vita senza soffermarci sui dettagli, perché è arduo farlo; se solo potessimo, tutto ci sarebbe chiaro sin dal principio. I nostri timori svanirebbero, oppure l’opposto, e saremmo costretti nella totale agonia dell’incombete futuro.

La nostra storia è un libro incompleto. Per questo prendere appunti può aiutarci a sbrogliare certi segreti, certi passaggi. Rileggendo le nostre gesta, infine, può esserci possibile correggerci. Quante male parole pensate, quanti timori infondati che contribuiscono a renderci instabili?

Ma ricordare giornalmente quello che abbiamo fatto può essere pericoloso: potremmo rimane disgustati dalla nostra stessa disumanità, alterigia o omertà. Rivelo un segreto: abbiamo tutti paura di conoscerci nel profondo.”

 

 

Oggi mi sono imbattuto in queste pagine.

La scrittura era deformata, come se la consueta calma di Philipp Lloyd fosse venuta meno, dando spazio ad un recondito terrore. Il cambiamento, questo penso: credo fosse cosciente del fatto che qualcosa stesse per abbattersi su di lui. È la stessa sensazione che abbiamo avvertito io e Anduin. Se solo avessimo dato ascolto alla ragione!

Siete qui per un altro motivo, lo so. Siete qui per conoscere l’atto finale di quell’episodio all’interno della Ziggurat. Vi lascio dunque alle parole del vero Philipp Lloyd.

 

 

La concezione del tempo, così come aveva accennato il Professore, segue un corso tutto suo per ciascuno di noi. Io, in quel suo incedere verso di me, ebbi l’occasione di esplorare ogni singolo momento di quella visita nella Ziggurat. Mi ritrovai con la mente a quando l’operaio aveva perduto la mano… […] sino a quei rumori che avevano condizionato le nostre ansie; nessuna possibilità di tornare indietro: qualcosa ci attendeva, era stato questo il nostro pensiero. Poi… […] forse anche consapevoli di star finendo nella trappola di Poegrim.

Avevo dovuto assistere impotente al sacrificio dei miei compagni. Ed è qui, come credo di aver annunciato nei miei racconti precedenti, che avrei potuto anticiparvi sin dall’inizio che questa non fu affatto una spedizione, bensì una processione sacrificale. Tutto era stato deciso sin dall’inizio.

Benché avessimo trovato mille motivi per andare via, scegliemmo comunque la morte.

 

Poegrim venne verso di me con passo teatrale, facendo roteare la pistola quasi fosse un Cowboy. ‘L’esistenza ha però un simbolo che trascende la vita, lo spazio, il tempo e la morte stessa… il senso ultimo dell’eternità, in un concetto così semplice e altresì complesso: l’anima.’

Quel che era stato il Professore si fermò davanti a me. Non avevo mai osservato l’interno della canna di una Colt S.A.A. da così vicino, praticamente dentro il mio occhio. ‘Un elemento raro. Mi ha condotto a lei, Philipp. È sempre stato la chiave di tutto.’

Chi sei tu?’ chiesi con un filo di voce.

Conoscere la realtà dei fatti cambia poi qualcosa per lei, Sig. Lloyd? È solo fiato sprecato.’

Armò il cane.

Sostiene di voler attingere alla mia anima. Essa, se ho ben capito, serba memoria del suo esperire la vita, lo spazio, il tempo e la morte in questo flusso dell’esistenza?’ la mia domanda riportò a galla quell’espressione brillante di conoscenza tipica del vero Poegrim; da qualche parte, nel profondo, lui era ancora dentro quell’essere. ‘Voglio sapere a chi o cosa sto donando me stesso. Credo di averne il diritto.’

Diritti è doveri non sono che concetti astratti, resi nient’altro che catene dorate messe ai polsi della vostra libertà dalla società del momento. Essi, come dovreste sapere, cambiano d’importanza in base al regnante, al caso, al momento storico. È un tale spreco, il suo ingegno. L’avrei risparmiata…’ argomentò con una certa passione; gli piaceva parlare, come se troppo a lungo gli fosse stato imposto il silenzio. ‘Chi o cosa sono? Niente, per ora. Sono perlopiù un’Ombra dell’Antico Màlk-ar-Sùm, un residuo di una discendenza primordiale. Ho saltato di corpo in corpo, sino a questo marcente cadavere ambulante. Egli si è concesso, pur di conoscere. Una mente sorprendente, devo confessarlo. L’Antico tornerà…’

Perché era sigillato? Chi lo ha sigillato? Casa accadrà al suo risveglio?’ cercai di guadagnare tempo, senza un motivo specifico. Sentivo crescere dentro di me il desiderio di essere parte di quell’entità, di entrare in comunione col suo volere; allo stesso tempo provavo un terrore immenso di morire.

A questo potrà assistere, Sig. Lloyd.’ lo disse con tono gentile, assurdo. Tirò poi il grilletto.”

 

Non intendo interrompere questo momento, e mi scuso per l’intrusione. Ma è fondamentale fare una riflessione su quanto è stato detto. Questo Màlk-ar-Sùm non mi è tornato nuovo, da quando io e Anduin abbiamo fatto quello strano sogno. La voce aveva nominato un certo Malsumis. Io ritengo possa trattarsi della medesima entità: le tradizioni non scritte finiscono per alterare irrimediabilmente i nomi, e le storie con esse. Non ho trovato niente a riguardo. Questa entità mi sta dunque cercando? Quell’essere imprigionato nella crisalide?

Posso affrontare qualcosa che ha parvenze umane… ma ciò che ha descritto Philipp Lloyd? Questa è follia…

 

Il tamburo ruotò senza innescare alcuna cartuccia. Tremai dal capo ai piedi. Avrei voluto sorridere, cantare vittoria. La pistola non era stata ricaricata, da quando Harry Collins era stato ucciso. Teoricamente non avrebbe dovuto esserci un proiettile in grado di perforarmi il cranio; tuttavia, al mio posto, chi sarebbe riuscito a ridere in faccia alla morte?

Poegrim armò il cane.

Premette il grilletto una seconda volta.

Un suono metallico, a vuoto.

Cacciai un urlo.

Il salice rispose.

Era tutto nei piani, Philipp. L’anima deve prima liberarsi del fardello del corpo. Se la uccidessi, l’anima fuggirebbe via. Lei…’ Poegrim non avrebbe mai terminato quella frase. Una donna lo assalì alle spalle, pugnalandolo ripetutamente al petto con una oblunga pietra nera dai riflessi rossi, dall’aria tagliente. Quando il Professore riuscì a scrollarsela di dosso, la ferita vomitò fuori fiotti scuri come la tenebra.

La donna si precipitò su di me. Temetti fosse la fine.

Invece, la vidi tranciare le radici che mi legavano all’alcova.

Notai il suo volto, e mi resi conto che non fosse la prima volta. Il viso spigoloso, rossiccio, ornato di lunghi capelli scuri, il naso aquilino, occhi così chiari da farla sembrare cieca, profondi tanto da illudermi del fatto che potessero vedere oltre la carne. L’avevo già vista il giorno dell’assemblea, l’unica che si era opposta alla mia decisione. Non era solo quello, mi ricordò qualcosa che sul momento mi sfuggì.

Per quanto libero, sapevo di essere paralizzato, fatta eccezione per la testa.

Devi andartene!” è tutto ciò che disse, infilandomi in bocca un confetto di erbe dal sapore amaro e nauseante.

Vidi l’essere all’interno della crisalide agitarsi, i suoi occhi ardere di desiderio, scosse le ali, ripetutamente, scagliando in nostra direzione quelle forme di vita invertebrate contenute al loro interno, quai fossero aculei velenosi. Le sentii gridare, anzi, guaire. In quello stesso momento Poegrim si rialzò, tamponandosi la ferita con una mano. I suoi occhi erano orbite vuote, pura oscurità, e vidi quegli esserini arrampicarsi sul suo corpo.

La donna, al cui collo pendevano amuleti d’ogni sorta, prese a recitare una litania in una lingua inequivocabile. La collegai solo in quel momento allo Sciamano Zhùt. Non ebbi più alcun dubbio sul fatto che dovesse essere sua figlia!

Riuscii ad alzarmi e a barcollare, protetto sempre dall’indiana che aveva iniziato a farmi da scudo, agitando uno dei tizzoni ardenti per tenere lontane quelle creature immonde; alcune, ustionate, si scomposero in un gas denso, scuro.

Poegrim, dalla cui ferita ora scaturiva una sorta di tentacolo, tentò un assalto, riuscendo a privare la donna del fuoco, il suono del polso che si spezzava mi fece accapponare la pelle. Lanciò un urlo tremendo, ma solo quando il Professore, dopo averla immobilizzata, affondò i denti sulla spalla, strappandole un lembo di pelle. Altre di quelle piccole bestie le assaltarono le gambe.

Lasciala!’ tuonai, agitando due fiaccole per fargli capire le mie intenzioni. Avevo mancato di salvare i miei compagni di spedizione, non avrei permesso che anche lei morisse. Avrei però dovuto comprendere perché il Professore avesse insistito nel volere lo Sciamano lì sotto. Egli era probabilmente l’unico in grado di fermarlo!

L’albero urlo, e parve un grido di terrore.

Mi riuscii di distrarre Poegrim abbastanza da permettere all’indiana di liberarsi dalla sua presa, recidergli il tentacolo e, con tutta la sua foga guerriera, avventarsi sulla gola dell’Ombra, sgozzandola. Un fiotto oscuro la investì.

Ero consapevole del fatto che non mi sarebbe stato semplice fuggire, senza luce. Avrei voluto bruciare quell’albero con tutto me stesso, ma sarei morto nel tentativo di tornare in superficie… non mi pento della mia scelta.

Voltai le spalle e, come mi era stato ordinato, me ne andai il più in fretta possibile. Ero io la chiave per il suo ritorno, dunque era mio dovere non cadere di nuovo nelle sue mani. Sentii le grida dell’indiana dietro di me, ma non mi voltai. Proseguii senza guardarmi indietro.

L’intera Ziggurat fremeva al mio passaggio, mandando bagliori furiosi dalle pareti. Quel verso mostruoso mi perseguitò per tutta la strada. Mi fermai una sola volta per spegnere una delle fiaccole, affinché potessi riutilizzarla più avanti, e proprio in quel breve istante mi sorprese la figlia di Zhùt. Aveva gravi ustioni da acido in tutto il corpo, tali da sfigurarla, un polso rotto e l’altro sanguinante. Provai l’istinto di colpirla, e mi costrinsi a frenare le mie stesse mani dal farlo.

Svelto! Il percorso è solo un’illusione…” mi disse, spingendomi in avanti, contro un muro: vi passammo attraverso, ritrovandoci nella stanza delle anfore. Ora apparivano ricolme di quel liquido scuro, lo stesso che aveva sofferto le fiamme; proprio da quelle anfore si compose dinanzi a noi una sagoma antropomorfa, priva di alcuna dettaglio. L’Uomo Ombra!

L’indiana mi impedì di arderlo vivo, e mi ricordai cosa era accaduto quando Harry Collins era sprofondato in quello stesso liquame. Si scagliò lei contro l’essere, brandendo ancora una volta la sua pietra come se fosse un pugnale. Approfittai dell’occasione per darmela a gambe levate.

Molte sono le domande che mi soggiungono ora, ma rovinerebbero questa parte finale.

La donna, riuscita non so come a liberarsi dell’ombra, mi fu subito dietro; il suo volto era una maschera di sangue, la sua mano consumata, sino a mostrare le ossa, senza dare alcun cenno di dolore!

Quando una fitta rete di radici ci sbarrò la strada proprio sull’uscio della Ziggurat, fu sempre lei ad avventarsi contro di esse, aprendomi la via. Al ritorno dell’Uomo Ombra, mi trovai costretto ad utilizzare le fiamme per tenerlo a bada.

No!’ protestò l’indiana, mentre la sagoma si scomponeva davanti a me in quel gas velenoso, ipnotico. Lo inalai senza rendermene conto. ‘Non avrebbe dovuto farlo, Philipp…’

Mi ritrovai come era accaduto nella stanza della fontana, spaesato, indolenzito.

Hehewuti non tornerà da suo padre Zhùt.’ mi disse la donna, spingendomi all’esterno della Ziggurat. ‘Sigillatemi, Sig. Lloyd. Potrò trattenerlo, sinché avrò fiato... Malsumis sarà ancora sulle vostre tracce. Io lo sarò, come sua estensione. Il Widjigò sarà allora ancora più potente. Scappi, Philipp.’ E nel dirmi ciò mi consegnò la pietra che aveva adoperato contro Poegrim.

Rammentavo come Andrej aveva chiuso quella porta la prima volta e, prima di sprofondare in una catalessi sconcertate, sigillai l’ingresso al tempio di Màlk-ar-Sùm, e Hehewuti sparì per sempre dalla mia vista, abbandonata ad una morte orribile nell’oscurità della Ziggurat.

 

Mi avrebbero ritrovato alcuni degli operai, in stato di semi incoscienza. Da quel momento in poi mi fu sempre più difficile ricordare quanto accaduto all’interno della Ziggurat. I ricordi iniziarono a sbiadire e, quando tornai da Zhùt, mi limitai a consegnargli quell’oggetto e chiedergli consiglio. Ora comprendo che quei dadi siano un dono. Io ho condannato sua figlia, e lui mi ha fatto un simile dono di speranza. Mi sento così vile.

Per tutto questo tempo ho creduto che ad inseguirmi fosse l’Uomo Ombra… è sempre stata lei, invece: Hehewuti.”

 

 

Qualcuno mi segue.

Non credo abbia a che fare con l’Uomo Ombra. O forse dovrei chiamarla la Donna Ombra?

A me è sempre parso un uomo, a dirla tutta.

Ma qualcuno mi sta seguendo.

Spero questa parte sia chiara, perché non ho la possibilità di correggerla.

Devo sbrigarmi.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 39
*** 15 Aprile ***


15 Aprile 2021,

 

 

Come, alla luce dei fatti che vi ho narrato, ho potuto credermi ciecamente al sicuro?

Nel lusingare la mia destrezza nell’essermi allontanato dal pericolo – letteralmente abbandonando i miei ultimi legami – ho finito invece per rendermi rintracciabile. Ho trascorso troppo tempo connesso, nel tentativo di rispondere alle vostre lettere ed aggiornarvi sulla storia di Philipp Lloyd.

E voglio aprire questo aggiornamento parlando proprio del mio ultimo contenuto: è stato alterato!

Nel cuore della notte ho avvertito la sensazione che qualcosa potesse essere andata storta. Chiamatela forse percezione passiva, oppure una sorta di potere di visione. Così, contro ogni mio vantaggio nel ricercare una zona di connessione a notte inoltrata, io e Avorio ci siamo spostati verso il centro abitato più vicino. Dopo una lunga ricerca, sempre dovuta a quella sensazione del sentirmi seguito, ho finito per scoprire che effettivamente il mio file era stato danneggiato. Ciò che avete letto potrebbe non essere del tutto ciò che ho scritto. Il mio aggiornamento appariva privo di alcuna forma, mutilato, con frasi che non mi appartenevano. Era ben diverso da come pubblico di solito. Nessuno di voi è riuscito a rendersene conto?

Ho avuto modo di modificarlo, perché quella parte conclusiva della storia di Philipp Lloyd consente di trovare molti collegamenti anche con quanto accaduto nella mia vita. Quante cose!

Avrei da scrivere per giorni, per sottolineare tante di quelle piccolezze che mi hanno sconvolto. Ma abbiamo dovuto abbandonare la nostra postazione quanto prima: l’Uomo Ombra è infine riuscito a trovarci!

Lo so… continuo a chiamarlo Uomo Ombra, anche dalle ultime vicende mi pare di aver compreso che in realtà sia una Lei. La chiamerò solo Ombra, da adesso in poi; tuttavia, io continuo a ripetere che quanto ho visto non mi ha figurato l’idea di una donna. Quella sua voce, poi…

Ho provato a sfuggirle e, alle prime luci dell’alba, proprio quando ho creduto di essere in salvo, ho dovuto scappare anche dalle forze dell’ordine. Mi cercano, e sparire non è semplice, specie se intendo comunicare con voi.

È stato proprio mentre stavo cercando un rifugio che ho capito come le mie storie erano state alterate: Anduin.

È caduta vittima di quelle creature, ma se i miei sogni sono reali, lei è ancora viva… da qualche parte. Devono essere riusciti ad estorcerle le mie password. Lei era l’unica a conoscerle. L’unica di cui mi sono fidato. Ho provveduto quanto prima a sostituirle, non vorrei che continuassero a sfruttarla per arrivare a tutti voi.

Ho sentito dire che ci sono state altre sparizioni in tutta Italia, sempre giovani più o meno della mia età, o appena più giovani. Riguardo questa faccenda io non ho più dubbi: stanno venendo radunati per un motivo specifico!

Per questo, eccomi di nuovo qui. Non so per che ore riuscirò a pubblicare questo aggiornamento, ne se mi riuscirà del tutto. Dovessi cadere nelle mani della polizia, per l’Ombra sarebbe davvero facile raggiungermi. La notte rimane il mio unico momento adeguato per spostarmi, quindi presumo sarà sul tardi, verso mezzanotte.

 

Ho una consapevolezza diversa da quando ho riletto gli ultimi capitoli. Non li sto più cancellando, come facevo prima. Li ho sul computer e, quando non riesco a dormire, torno a rileggere alcune delle cose che ho scritto. Il passato fa male ogni volta che lo rivivo, fosse anche solo nelle parole scritte. Il mio pensiero continua ad indugiare sull’immagine di Anduin. Devo tornare da lei, devo liberarla dalla sua prigionia. Ma ho utilizzato il fuoco per punire l’Ombra

Credete anche voi che l’entità possa averla utilizzata per ingannarmi? Che anche Anduin abbia condiviso la medesima sorte della figlia di Zhùt? Spigherebbe alcune cose… ma perché allora non mi ha contattato con i suoi messaggi? Sarebbe stato semplice… Credo proprio sarei caduto nella sua trappola.

Sono sciocco, ma questo dovreste già saperlo.

Non ho risposto a molti di voi, e vorrei scusarmi di ciò. Per poter rispondere ho bisogno di una connessione, e al momento sono lontano dalla comodità. Posso dire di aver riscoperto la natura. Ora, mentre vi scrivo, sono seduto all’ombra di uno splendido pioppo. Sento scorrere il fiume a qualche metro di distanza, e sento il frinire di qualche bestiola. Avorio ha un comportamento insolito, lo reputerei quasi triste. È così da qualche giorno.

Vorrei discutere con voi di alcune mie impressioni:

 

- Anduin. Non trovate che lei e la figlia di Zhùt abbiano una specie di legame? Entrambe hanno dato la propria vita per salvare un certo Philipp Lloyd; erano presenti durante le pessime decisioni, e più che mai durante un atto conclusivo della loro storia all’interno della vicenda.

Non sappiamo che fine è spettata a Hehewuti più di quanto io conosca la sorte di Anduin. L’unica differenza sta nel fatto che io non ho scordato gli ultimi eventi. Ma ho bruciato quell’essere nella casa del vicino, proprio come Lloyd ha arso vivo l’Uomo Ombra.

 

- Hehewuti. Come ha fatto a raggiungere Philipp nell’oscurità totale? Accadde diverse volte, e senza provocare alcun rumore. Nonostante l’agitazione della Ziggurat, come ha potuto eludere i sensi di Lloyd? È come se fosse una sorta di buco di trama. Mi chiedo se non ci siano in gioco altre entità oltre a quella che il vero Philipp ha avuto il coraggio di mostrarci. Potrebbe essere un suo errore, una sua disattenzione. Ma non posso fare a meno di pensarci. Qualcosa non torna.

 

- Il Diario è arrivato sino a me. Significa che Philipp, dopo esser scappato via, ha eluso i suoi doveri. Come? Se ritenuto così importante, così vitale per la rinascita di quell’essere che – se ho ben compreso – si nutre di anime, perché mai adesso l’Ombra sta inseguendo me? Che la sua anima sia legata in qualche modo al Diario? È una cosa che non ha senso…

 

- Philipp Lloyd è ancora vivo? Potrebbe essere possibile? Dovrebbe avere oltre cent’anni. Questo però non spiegherebbe il perché io abbia il suo diario. Mi è stato consegnato… quello stesso giorno è comparso anche Avorio.

 

- I Dadi. Devono avere una qualche importanza. Devo assolutamente rientrarne in possesso, il prima possibile. Perché mi sono stati rubati? A cosa servono nel dettaglio?

 

- Il vero Philipp Lloyd ha menzionando la grande luce, che io ho ritenuto legata al termine della Seconda Guerra Mondiale. Riteneva che l’Ombra avesse subito un danno. Questo vuol forse dire che ve ne sono altre? Ho fatto delle ricerche, ma non ho trovato niente di simile in italiano o inglese. Avrei dovuto cercare anche in giapponese, ma quanto tempo mi occorrerebbe per una simile ricerca?

 

Vorrei confrontarmi con le vostre idee, amici miei. Forse avete la capacità, e la lucidità, di vedere meglio di me alcuni dettagli della questione. Le vicende del vero Philipp Lloyd si avvicinano alla sua conclusione, mancano poche pagine. Vorrei come al solito leggerle tutte in una volta, ma torna quel dolore, una fitta intensa. È come se il Diario stesso volesse impedirmi di conoscere qualcosa… crede forse che non sia pronto? Il Diario può essere cosciente? Questo discorso è pura follia.

Presto riprenderò a raccontarvi anche la parte di storia che ho omesso, quella che mi riguarda personalmente. Negli ultimi giorni ho provato a meditare, per tentare di focalizzarmi sul mio passato, per cercare di sbloccare qualche dettaglio in più. È stato del tutto inutile.

Nonostante i miei fallimenti, prometto di riportarvi all’interno di quelle grotte, per svelare la verità di quanto accaduto quella notte.

Non oggi, però.

Se solo avessi più tempo per farlo, approfitterei di ogni istante per dedicarmi a questo racconto.

La mia sicurezza è aumentata dall’inizio di tutta questa faccenda, eppure sono consapevole di essere lo stesso codardo di prima. Andrò avanti sino alla fine.

Ho in progetto di tendere un agguato al mio inseguitore, questa notte.

Voglio vederlo in faccia.

Voglio capire se di fatto stia scappando da Anduin.

Se così fosse… ho un dovere nei suoi confronti.

Ora sento di avere lo stesso anche nei vostri.

Il tempo stringe.

Devo andare.

 

 

 

Aggiornerò, *°

 

*° Spero tu rilegga questo capitolo, Philipp. Devi tornare indietro per comprendere il futuro. Devi tornare in quei corridoi. Devi tornare da me. Devi cambiare le password, anche quella legata alla tua mail. Devi farlo Philipp. Sei troppo incauto. Non puoi più permetterti di fuggire.

Philipp Lloyd.

 

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Capitolo 40
*** 16 Aprile ***


16 Aprile 2021,

 

 

Fare leva sui sentimenti. È sempre la soluzione migliore per catturare l’attenzione di qualcuno. Ed è proprio a questo che siete serviti, amici miei: attirare l’attenzione. Nello specifico, la mia. Quante lettere, gioiose, mi hanno invitato a rileggere il mio ultimo capitolo alla ricerca delle parole di Anduin. La vostra emozione mi ha colpito, il vostro trasporto mi ha convinto a farlo.

Sapevo quel che avrei trovato sin dal momento in cui decisi di cedere al vostro invito. Nessun dubbio a riguardo: siete stati utilizzati per rendermi un bersaglio. Siete voi i colpevoli?

No, non di certo.

Altri hanno tramato nell’ombra.

Tuttavia, questo è sempre stato il vero intento dell’Ombra, seminare l’odio tra me e voi. Per un po’, mi tocca ammetterlo, ci è riuscita. Sarebbe stato difficile capirlo, se non avessi fatto quel che ho dovuto, la scorsa notte. Gli errori che facciamo in vita dovrebbero finire per renderci più saggi, dicono. Questo, però, è uno di quegli errori definiti da una grafia errata. Orrori è il termine esatto.

V’imploro, dal profondo dell’anima, di tenervi distanti dalle mie faccende. L’episodio di Anduin è stato un pessimo esempio.

Non avrei dovuto parlarvene. È una mia colpa, l’ennesima.

Quanto dolore dovrò sopportare? Quanto questo corpo e questa mente potranno reggere il lento avvelenamento compiuto dall’Ombra e il suo padrone?

È un continuo insuccesso… un costante fallimento.

Una sola cosa è certa….

Prima di espormi, dobbiamo però fare un salto indietro a ieri notte, e alla notte prima: chi era sulle mie tracce? È andata bene la mia imboscata? Conoscere la verità mi renderà ai vostri occhi più simile al vero Philipp Lloyd…

Alcuni di voi lo osannano, malgrado le sue azioni scellerate. La sua storia aveva dei passaggi innegabilmente avventurosi, ma quei pochi di voi che hanno saputo leggere le sue azioni, staccandole dalla persona in sé, hanno compreso la sua follia, la sua quasi mancanza di umanità.

La storia si ripete, mi verrebbe da dire.

Eccomi qui a confessare qualcosa che avrei voluto nascondere. Abbiate pietà di me, signor giudice. Ero in buona fede…

 

Muoversi nella notte non è mai stato semplice, benché col passare dei giorni sia diventato sempre più facile. Certo, spostandosi da un luogo ad un altro si rende tutto decisamente più complicato, tuttavia l’esperienza rimane tale. Diventa facile trovare le zone con un migliore accesso, oppure individuare i locali di approvvigionamenti meno pattugliati. Allontanandomi da casa, le ricerche si sono fatte meno precise, ma le forze dell’ordine sono sempre nei dintorni dei centri abiti, per assicurarsi che le persone non escano.

Se solo sapessero, le persone farebbero di tutto per rimanere in casa; però, voi sapete che neanche in casa si può stare sicuri. Quelle cose strisciano in silenzio sotto le porte, infilandosi nelle bocche dei bambini dentro le loro culle, di genitori stremati dalla giornata di lavoro. S’impadroniscono degli inermi, senza neanche incappare nella difficoltà della lotta. Questi esseri si prendono ciò che vogliono, senza mai chiedere il permesso.

Sembra che sia davvero l’unico, insieme a tutti voi, ad essersi accorto di quello che sta accadendo nel nostro paese. No, mi correggo: in tutto il mondo. Philipp Lloyd è arrivato dall’America, dopotutto.

Insomma, questo discorso si sta facendo lungo, ma vuole portare ad una sola affermazione: non uscite di casa la notte, tenetevi stretto il vostro animale domestico, qualsiasi esso sia. Chiudete le finestre, le porte e i condotti di aerazione; mettete stracci sotto le porte per impedire a quelle cose di avvicinarsi. Sono ovunque. Quanti sono già sotto il loro controllo?

Questo periodo non ha fatto altro che incentivare questo fenomeno.

Rimanete a casa.

Non uscite la notte.

Non cercate di fare gli eroi.

Io non sono il vostro messia: sono solo un pazzo che ha ingaggiato la sua personale crociata contro le tenebre, argomento che sarei il primo a mettere in discussione, e a proporre uno psicologo per l’analisi. Nessuno di voi ha il dovere e il diritto d’intromettersi, come ha già fatto Anduin. E sappiamo bene come si è conclusa la sua intrusione nella mia vita.

State al sicuro: è il migliore aiuto che potreste mai darmi.

 

Avevo appena consegnato il mio aggiornamento in pasto ad internet e, sicuro del mio piano, avevo scelto un luogo insolitamente illuminato per eseguire l’azione. Avorio, al riparo dentro lo zaino, mi piantò gli artigli nella schiena quando si accorse della presenza. Ne approfittai per cominciare a correre, dapprima con un poderoso scatto, ed in seguito rallentando visibilmente, quasi per illudere il mio inseguitore che la stanchezza avesse avuto la meglio su di me.

Dando per scontato che anch’esso fosse nuovo della zona, indirizzai la mia fuga verso una strettoia che sapevo zeppa di vicoletti e stradine parallele; l’intento, credo sia ben chiaro, era tutt’altro che di seminarlo, bensì tendergli un’imboscata. Avevo già pronto nella tasca del giubbotto un tirapugni artigianale, realizzato grazie a del filo metallico, una spugna e una striscia di legno con tre chiodi. Avevo precedentemente intinto le punte di benzina, in modo da poterle poi avvolgere con delle garze. Nell’altra tasca avevo preparato tre accendini con fiamma antivento, pronti per ogni evenienza.

Dopo chissà quanto tempo, ecco quel cappotto lungo e scuro, come una sorta di mantella, aleggiare alle mie spalle. Era veloce, più di quanto ricordassi, tanto da costringermi ad affrettare il passo. Gli artigli di Avorio avevano continuato a martoriarmi la schiena per tutto il tempo, e avrei dovuto prestargli ascolto: questo gatto la sa lunga, e si era già accorto di quel che sarebbe accaduto, lasciandomi fare. La mia testardaggine però è seconda solo alla mia codardia, così ho proseguito col mio piano.

Arrivato alla prima svolta della strettoia, ho accelerato in uno scatto di cui in circostanze normali sarei andato molto fiero; il vantaggio guadagnato mi permise d’intrufolarmi con destrezza in una rientranza del vicolo, il quale poco più avanti svoltava.

Rimasi in silenzio, trattenendo il fiato già corto, perlomeno sino al passaggio del mio inseguitore. Il suono distorto di zoccoli, strano e non del tutto sensato, mi diede una prima avvisaglia d’incertezza; eppure, quando lo vidi scorrermi davanti, il mio corpo si mosse per istinto. Balzai fuori dalla rientranza, accendendo al contempo l’accendino.

Un bagliore squarciò la notte del vicolo.

I tre denti arrugginiti sprizzarono fiamme, alte abbastanza da farmi credere che anche la spugna avrebbe preso fuoco di lì a breve. L’inseguitore s’irrigidì all’improvviso, tuttavia senza arrestare la corsa, pur ruotandosi verso la mia presenza.

Il mio pugnò calò inclemente, di taglio, sulla sua schiena, strappando la mantella, ma senza riuscire a propagare le fiamme. L’essere emise un verso strozzato, come un guaito di terrore, uno degli ultimi della sua vita: riuscito ad afferrargli un lembo della mantella – pur io avvertendo un dolore lancinante alla schiena per gli artigli di Avorio – tirai a me l’individuo e affondai più volte i chiodi tra le sue scapole – facendo attenzione a non immergerli del tutto – finché non vidi il fuoco propagarsi.

Giacché era molto buio, non vidi alcuna oscurità venir vomitata fuori dopo i primi tre affondi; e, col terrore di averlo mancato, pur vedendolo stramazzare al suolo, lo rivoltai. Sollevò un braccio a sua difesa, e gli trapassai la mano inguantata. Questa volta udii un grido. In un lampo di luce inesistente, immaginai il volto di Anduin sotto il cappuccio e, preso da maggiore rabbia, oltrepassai la sua difesa con l’ennesimo gancio che si concluse sul suo volto, e quale suono raccapricciante!

Sentii il metallo stridere sui denti, irreparabilmente scheggiati, lo schiocco delle ossa piegarsi sotto la mia violenza, tipico di una mascella slogata; si levò subito un gemito terrificante dalla sua bocca, quasi incomprensibile:

Basta… ti prego!”

Arretrai, terrorizzato. Tutto avrei potuto immaginare, ma non che quella cosa potesse implorare. Notai un telefono cadergli di mano, attivo sulla fotocamera, in stato di registrazione.

Sgranai gli occhi.

Un brivido mi corse lungo tutto il corpo. Avorio aveva smesso di martoriarmi la schiena.

“Chi sei…?” ho domandando col cuore in gola.

Le fiamme però si erano già propagate sul suo cappotto. Lo sentii gridare e, benché volessi aiutarlo a liberarsi, rimasi inerme a vederlo ardere. Si contorse, nel tentativo di spegnersi, ma qualcosa che aveva in tasca esplose, e solo dopo averne percepito l’odore riuscii ad identificarli come petardi, di grande potenza. Lo vidi rimbalzare su se stesso tra grida atroci.

Sollevai la mano munita del tirapugni al riflesso delle fiamme: i chiodi grondavano di sangue, vermiglio come il mio senso di colpa. Una seconda luce, accecante, bianca, mi colpì gli occhi.

“Fermo!” tuonò un poliziotto, forse puntandomi una pistola, oltre che la torcia.

Avrei accettato di stare lì fermo, se solo tutto non dipendesse da me. Mi sono inchinato per raccogliere il telefono e, correndo quasi fossi un ubriaco, mi diedi alla fuga.

Sentii tre esplosioni alle mie spalle, la prima del poliziotto verso di me, che forò un tubo di scolo alla mia destra, la seconda dal corpo in fiamme, e la terza dal poliziotto dritta all’origine dello scoppio del petardo, di certo credendolo un colpo di pistola. Immaginai che le fiamme avessero appena smesso di agitarsi.

La voce dell’agente si è persa alle mie spalle.

Ho corso in preda al terrore, le mani grondanti del sangue.

Ma sapevo che portarmi dietro quel telefono sarebbe stato folle. Avrebbero potuto rintracciarmi. Così, trovato il portone aperto di un palazzo e, senza guardarmi troppo attorno, mi tolsi dalla strada. Il telefono aveva un account con un nome privo di senso: niudnA23.

Il video iniziava nel momento in cui ero stato individuato. Mi aveva seguito per un bel pezzo.

“Eccolo. Ho trovato Philipp. Provo a prenderlo” diceva.

Le ricerche del telefono erano aperte solo sul mio diario. Tutti i capitoli pubblicati sino a ieri.

Un solo numero sul telefono.

Una sola chat su WhatsApp: Gli Uomini Ombra.

Tutti i messaggi sono cancellati.

Dopo averci riflettuto, decisi di inviare un messaggio:

“Ho preso Philipp Lloyd e il suo gatto. Vivi.” Allegando al messaggio una foto di Avorio e del Diario.

Arrivarono molti messaggi di congratulazioni.

Tutti si congratularono con me, il numero 23. 65 persone in tutto sulla chat.

“Ora, cosa ne vogliamo fare?” chiesi, inserendo uno smile ridente.

“Quello per cui siamo stati chiamati a raccolta: ucciderlo.”

Provai uno straordinario senso di angoscia, non tanto per il fatto che qualcuno volesse uccidermi, più che altro perché sentivo dentro di me che avrei fatto di tutto per sopravvivergli. Qualsiasi cosa.

 

Non ho paura di voi “niudnA”, qualsiasi sia il vostro numero.

Un altro essere umano è pero morto a causa vostra. Il suo sangue è sulle mie mani. Perché?

Qualcuno ha bucato il mio account, e si è preso gioco di me. Mi hanno trovato, malgrado le mie precauzioni. Dovrò essere ancora più accorto, d’ora in poi. Avete infangato la memoria di Anduin, utilizzando il suo codice. Tuttavia non riesco a provare odio per voi. Solo un immenso dispiacere…

Ho cambiato tutte le password.

Vi sfido a fare di meglio.

Siete voi quelli che sono spariti in questi mesi?

Io non mi arrenderò.

A costo di prendermi le vostre vite una per una.

È vero quel che si dice dell’omicidio: una volta che prendi la tua prima vita, la seconda diventa più facile, la terza non la senti neanche… ritiratevi.

Come dicevo all’inizio, c’è una sola certezza… Anduin è morta per colpa mia.

Risparmiatemi di avervi sulla coscienza.

All’Ombra, che tutto vede di nascosto, è una questione che riguarda solo noi due.

Hai forse timore un semplice Uomo? Tu, che discendi dall’Antico?

 

 

Aggiornerò, */

 

*/ Vi supplico, amici miei: restate meri spettatori di questa faccenda. Per il vostro bene.

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 41
*** 17 Aprile ***


17 Aprile 2021,

 

 

Giorno? Anno?

Ho pregato.

Ho sentito il bisogno di farlo.

Ho rivolto le mie parole al cielo, invocando clemenza per tutti coloro che saranno destinati ad incontrarmi lungo il loro cammino. Avverto un’oscurità predominante. Questo mondo sta sprofondando in anni di turbolenti cambiamenti, di mali ritenuti necessari. Ci sono cose che vanno ben oltre gli uomini.

Ho fatto un sogno, dopo molto tempo. Davanti alla Ziggurat di Providence, immobile come una statua, era Zhùt, nudo come la natura lo aveva fatto, che mi precedeva di pochi passi. Si volse, mostrandosi in tutta la sua immutabile saggezza: neanche una ruga d’espressione in più, un capello in meno; era tale quale al mio ricordo. Un cosa normale, dopotutto. Avevo coscienza di essere in un sogno.

Gli alberi, i padri della terra, malgrado la loro fierezza secolare sanno che hanno da piegarsi alla prepotenza dei venti’, mi disse in quel particolare tono etereo, privo di timbro. ‘Così son gli esseri umani, quando soffia aria di guerra. Hanno pitturato, cantato e scritto degli orrori dell’omicidio, ma niente è poi cambiato. Da preda si è evoluto a predatore, signore della terra. Le cose potrebbero però cambiare… Il Widjigò ha eluso la mia guardia: sta venendo a prenderti, Philipp Lloyd.’

Una vita in fuga da me stesso, dal mio ricordo. Questa volta non scapperò’, fu la mia risposta, anche se non udii alcun suono scaturire dalle mie labbra.

La volontà è forte, ma lo spirito è debole. Gli anni sono stati inclementi con te’

Lo sono con tutti, Sciamano. O quasi…’ replicai. La porta della Ziggurat si spalancò davanti ai miei occhi.

Non ha scordato il tuo odore. Verrà da te, impiegasse altri cento anni per trovarti. Riuscirà, Philipp. È tuo dovere ritardare questo momento sino all’ultimo. L’inevitabile è allo stesso tempo l’unico vantaggio che abbiamo sui suoi piani. C’è ancora una possibilità…’

 

Quale questa possibilità fosse, non mi è stato dato conoscerla. Questo sogno mi ha però guidato verso una certa riflessione: noi esseri umani abbiamo la consapevolezza dell’inevitabile, come se ci riuscisse percepirlo. Ho questa sensazione incombente, quasi l’abazia volesse che rimanessi, ma nessun altro è più ben accetto. Mi prenderò qualche giorno per riflettere sul da farsi, consapevole che ogni attesa di troppo sancirà un pericolo in più per gli attuali residenti.

Così, oggi, al cospetto di un cielo terso, ho invocato il consiglio degli astri e della natura, domandando a entità superiori la mia prossima direzione.

Ho udito il respiro delle foglie, il canto delle cicale e il sussurro del vento.

Nessuna risposta.

Nessuna entità benevola.

Siamo uomini, e gli orrori fanno parte della nostra natura. Combatterli è un dovere.”

 

 

Ho provato a sognare, sarebbe più corretto dire che il mio intento fosse quello di dormire. Niente da fare. Avrei voluto poter tornare indietro a quei cunicoli, così da non perdere di vista Anduin, e assistere così alla sua effettiva sparizione. Mi manca così tanto. C’era un legame tra noi. Un legame che ho spezzato.

L’immagine di quel ragazzo mi perseguita, e le macchie del suo sangue mi segnano indelebilmente le mani. Cosa sono diventato? Combattere l’Ombra è una questione, ma aver a che fari con altri esseri umani è diverso… io sono diventato un criminale?

Sono come Philipp Lloyd, secondo voi?

Quanti crimini ha commesso in nome della sua missione? Come posso definirlo diverso dal Professore Poegrim? Come posso ritenermi diverso da lui? Anche io ho ucciso molti innocenti… in nome della libertà dell’umanità. Questo è corretto?

Il mio umore è diventato così fragile, anche per colpa di questo costante stravolgimento di conoscenze, questa ammorbante sensazione di soffocamento. Desidero solo chiudere questo capitolo della mia vita, potesse anche essere l’ultimo. Sento la stanchezza pesare sulle mie ossa.

Sono senza guida.

Sono senza meta.

Sono senza casa.

Sono solo.

Avorio, nella sua dolcezza di gatto, continua a guardarmi e trattarmi con la premura che uno della sua specie riserverebbe ad un cucciolo; mi fa le coccole, miagola per nascondere i miei singhiozzi, come a dirmi che tutto andrà bene. Avorio sapeva, di questo non ho più alcun dubbio. Ha provato a fermarmi, inutilmente.

È stata tutta colpa mia.

Se non avessi iniziato questo Diario, probabilmente queste persone non si sarebbero radunate. Uccidermi, a quale scopo? Se è il Diario che vogliono, perché semplicemente non hanno chiesto di riportarlo all’Ombra? È possibile che questi folli siano collegati a qualcos’altro? Cosa mi sta sfuggendo?

Ho abbandonato il luogo dove mi trovavo. Sono andato altrove, in paesaggi che avrei sempre voluto vedere, tra persone che mi guardano però con sospetto. Credo di stare dando troppo nell’occhio, dunque ho deciso che questa notte partirò verso un nuovo luogo. Attraverserò campi, in strade dimenticate dagli uomini. Brancolerò nell’oscurità e, se le tenebre dovessero prendermi, darò battaglia.

Ho intenzione di camminare sino all’alba.

Riposerò all’ombra di un albero; e poi, con il sole alto, arriverò infine alla nuova città.

Dentro mi sento un involucro vuoto.

Avreste pena di me se svanissi nel nulla? Mi riterreste un codardo se, preso da un momento di ansia, gettassi questo Diario in un fiume? E se lo legassi ad una pietra, gettandolo nel cuore dell’oceano? Sarebbe tutto risolto?

Non ho più voglia di scrivere.

Non ho mai avuto voglia di uccidere, anche se ora il mio corpo brama adrenalina, confronto, scontro, morte.

La cosa peggiore? Non credevo ci si potesse abituare alla morte...

Io che non mi sono neanche mai abituato ad avere qualcuno accanto.

Perdonami mamma, se puoi sentirmi.

 

Vorrei non aggiornare più…

Sono stanco di questo nome che non mi appartiene…

Sono stanco di far finta di essere qualcuno che non sono…

 

 

Il falso Philipp Lloyd.

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Capitolo 42
*** 18 Aprile ***


18 Aprile 2021,

 

 

Mi risvegliai sotto un giovane salice. Avendo quasi un infarto!

Avorio, dall’alto di uno dei rami, mi lanciò uno dei suoi miagolii coraggiosi, come una specie di ruggito, dandomi così il buongiorno. Lo era, in effetti. Il sole tiepido di aprile era mitigato dalla folta chioma del salice. Mi concesse un attimo per stropicciarmi gli occhi, prima di balzarmi addosso, atterrando sulle spalle, strofinando poi il musetto contro il mio orecchio ed emettendo quel mezzo miagolio affamato.

“Non potevi cacciare?” chiesi, ridendo.

Un miagolio contrariato.

“Sei furbo, eh?” mormorai, aprendogli una scatoletta all’aragosta e gamberetti; il solo odore mi diede la nausea.

Avorio, però, continuò a miagolare.

Sollevai così lo sguardo verso una vecchia signora che era rimasta per tutto il tempo lì a fissarmi, e a dipingere. Aveva capelli corti e blu, come li porterebbe un ragazzino, con un ciuffo lunghissimo. Indossava un vestito rosso e verde, di quelli anni cinquanta, che ben si abbinava ai suoi occhi verdi. Il volto non era stato sciupato dalle molte rughe, facendomi comprendere che in passato doveva essere stata una bella donna, e lo era ancora. Nessun orecchino o gioiello, solo un mezzo sorriso spezzato da un pennello incastrato tra i denti. Era un chiaro segno che avesse abbandonato il vizio del fumo. Come posso dirlo? Una sensazione.

“Buongiorno…” dissi con un po’ di vergogna e, come penso avrebbe fatto chiunque, le mie mani sono corse subito alla borsa, per cercare il Diario. Era ancora al suo posto.

“Ti ho derubato, ma solo dell’immagine. Anche se il tuo amico peloso non ha voluto farmi da modello. Avresti dovuto vederlo quanto era infastidito!”, disse con una serenità che ritenni dapprima fittizia.

“I ritratti e le foto rubano le vite”, dissi senza spiegarmi un perché della mia stessa affermazione. Il mio pensiero era andato al sogno di Philipp Lloyd, a Zhùt. “Gli indiani credevano così, perlomeno per quanto riguarda le foto.”

Lei rise.

“Questo piccolino è indiano?” mi canzonò sempre con la stessa calma.

“No, non so perché l’ho detto.”

Avorio miagolò contrariato.

Ridemmo entrambi.

“Ti andrebbe di posare ancora per qualche minuto? È quasi ora di pranzo: vi invito entrambi a casa mia, così siamo pari.”

Il mio sguardo e quello di Avorio s’incontrarono, e risi al pensiero che avesse compreso quella domanda. Così, nel frattempo che io posavo per lei, fingendomi ancora addormentato, il gatto ebbe il tempo di sfamarsi.

Che incontro singolare” è quel che ho pensato non appena mi diede il permesso di alzarmi. Immaginavo di dover puzzare parecchio, considerata la lunga camminata della notte e il fatto di essere in viaggio da parecchi giorni.

 

Non volle mostrarmi in quadro.

Dopo averlo inserito all’interno di un’apposita cartelletta, chiuse il treppiede e ci fece strada sino a casa sua. Era abbastanza vicina, e dava sul fiume. Se avesse avuto il mulino, avrei potuto definirla proprio la casa della Mulino Bianco. Si trattava di un edificio su due piani, mura sul giallo con tetto rosso, un bel giardino con ingresso sterrato fiancheggiato da pioppi e mimose; il cancello verde pisello teneva dentro la proprietà un vecchio carlino e un cucciolo di bulldog. Un cartello insolito, con un grosso cuore, recitava: prendetevi cura dei cani.

Avorio, che per tutto il tempo aveva passeggiato al nostro fianco, fermandosi ad annusare di quando in quando l’erba, parve incuriosito dalle nuove bestiole. Rimasi a guardarlo avvicinarsi con quel suo fare elegante, miagolando quasi fosse un generale che tenta di mettere sull’attenti il suo reggimento. I cani ci aprirono la strada sino alla casa scodinzolando giocosi.

“Se vuoi farti una doccia fresca, laggiù ho quella riservata alla piscina” mi indicò il posto, considerato il caldo. Avrei potuto prendere quella sua affermazione come il tentativo di tenermi fuori da casa sua, ma si affrettò subito ad aggiungere: “Se vuoi, posso lavarti i vestiti. Dovrei avere ancora degli abiti di mio figlio: potrebbero essere un po’ impolverati, ma niente che non si possa risolvere.”

L’occhio mi era caduto sulla sua mano sinistra, e non avevo notato l’anello nuziale, dunque mi risparmiai di chiederle a riguardo del marito. Accettai ben volentieri il suo invito: sentii di aver proprio bisogno di una pausa.

La piscina, qualcosa di molto semplice ma gradevole, era diventata una specie di palude. Sentii le rane gracidare al mio arrivo; a quel suono, un brivido mi corse lungo la schiena, sufficiente a riportarmi agli atroci versi dell’oscurità. Mi tolsi i vestiti e, sotto il sole cocente di aprile, mi lasciai inondare dal getto gelido dello spruzzino; a dire la verità, anche l’acqua era calda, almeno per i primi secondi. Rimasi sotto il getto per un bel po’, strofinandomi il corpo quasi cercassi di liberarmi della mia pelle. Lo sciampo al cocco mi alleviò i pensieri, e il bagnoschiuma ai profumi esotici mi portò per qualche minuto lontano dalle mie sciagure, tanto che la donna poté prendere senza problemi i miei indumenti sporchi.

 

Quando ebbi finito di lavarmi, e notai che le macchie di sangue erano svanite dalle mie mani, Anna mi porse un lungo asciugamano, rivelandomi il suo nome. Non pareva minimamente imbarazzata dalla mia nudità, ed io mi accorsi di non esserlo nel mostrarmi. C’era qualcosa di nuovo in me, una specie di sfrontatezza, o sicurezza, che non avevo mai avuto.

“Tutti mi chiamano Philipp, ultimamente” risposi dopo un attimo d’incertezza, accettando ben volentieri anche gli indumenti. “Proprio un bel posto… anche se un po’ isolato.”

Nessuna macchina nel giardino.

La città più vicina distava diversi chilometri.

“Tutti i bei posti sono isolati” fu la sua risposta. Si lasciò scappare una risata contenuta. “C’è caldo, ma faresti bene a rivestirti. Sta per sollevarsi un po’ di vento, e prendersi un malanno è una cosa facile di questi tempi, e a dir poco sospetta.”

Corsi con la mano alla bocca, accorgendomi solo ora che per tutto quel tempo avessi scordato la mascherina, forse condizionato anche dal fatto che neanche lei la portasse.

“Scusami… Mi scusi” mi corressi subito. “Mi è come passato di mente.”

“Dammi del tu, senza farti problemi. Mi fa sentire giovane e bella.”

“Lo è” mi affrettai a rispondere, e di certo arrossii. “Lo sei...”

Lei rise di nuovo.

I vestiti del figlio mi andavano alla perfezione.

“Chi di voi ha fame?” chiese, quasi si stesse rivolgendo ad un gran numero di ospiti.

Mi guardai attorno, spaesato, ma notai che c’eravamo solo noi e gli animali. Avorio aveva conquistato sia il carlino che il bulldog: entrambi se ne stavano con la pancia all’insù ad osservarlo. Un gatto ammaestratore di cani!

Ma quando la donna disse pappa!, i cani balzarono in piedi, correndo alle ciotole. Ne era stata aggiunta una anche per Avorio. Altri due gatti arrivano dalla campagna, e attesero che si nutrisse Avorio prima di avvicinarsi.

“Noi pranzeremo dentro, se ti va.”

Nell’accettare l’offerta di quella donna, mi accorsi di aver dato via la borsa con il Diario. Mi sentii raggelare, e subito avvampò dentro di me il fuoco della diffidenza. Era stata così brava nel condurmi sino a casa sua, nel farmi sentire protetto, giusto per sottrarmi quell’oggetto. Io ci ero cascato con entrambe le scarpe!

“La mia borsa…” mugolai.

“Ho fatto attenzione a non danneggiare il portatile, tranquillo. Immaginando che fosse a corto di batteria, mi sono permessa di collegarlo alla rete elettrica” confessò. “Ho messo a lavare anche la borsa. Finché terrai quel libro puzzolente, anche i tuoi vestiti puzzeranno.”

Entrai in casa con cautela. Era bellissima, e molto moderna: quadri di ogni sorta erano appesi in ogni dove, rendendo quel posto un luogo brulicante di arte; vi erano anche sculture appartenenti a diverse culture, compresa quella degli Indiani d’America. I miei effetti erano tutti su un mobiletto in mogano. So di esser sembrato paranoico, ma li controllai scrupolosamente: era tutto in ordine.

“Li hai fatti tutti tu?” chiesi, soffermandomi sulla rappresentazione di un mare in tempesta, con uomo immortalato in perenne attesa di fronteggiare un’onda anomala su una semplice zattera.

“Gli artisti sono egocentrici, ma sino ad un certo punto. Per quanto possano apprezzare la propria arte, è difficile che si mettano sotto gli occhi qualcosa di loro, per quanto ne siano orgogliosi, proprio perché finirebbero per trovarci sempre qualche errore. Buona parte sono di mio figlio.”

“Ha una mano pazzesca… dico sul serio. Sembra reale!” risposi, senza riuscire a staccare gli occhi dal quadro.

“Gli riporterò i tuoi complimenti, la prossima volta.”

Mi fece strada sino alla cucina, alla quale si poteva accedere per mezzo di una porta a scorrimento che si affrettò a chiudere. A differenza delle altre stanze, era più semplice, senza quadri, ma con molte foto. Mi riuscì di comprendere che per un artista la cura delle opere d’arte viene prima di tutto: i fumi della cucina e gli sbalzi di temperatura avrebbero di certo finito per alternarne la qualità.

Dedussi che Anna aveva avuto anche una figlia, ma non dallo stesso uomo. Nessuno dei due aveva però ereditato la sua bellezza. Tirò fuori della pasta al forno, degli involtini di verdure e un pasticcio di carne. Tutto buonissimo, da leccarsi i baffi. A giudicare dalle porzioni, aveva preparato il pranzo e la cena per lei, che ora si premurava di condividere con me.

Stappò una bottiglia di vino e, cercando di mostrarmi gentile, mi proposi di versarlo.

“Tutto bene?” mi chiese d’un tratto, durante il pasto.

Mi venne da tirare su col naso e, mentre assaggiavo il pasticcio, non mi ero reso conto che dai miei occhi avessero cominciato sgorgare le lacrime. Ogni boccone aveva avuto il potere di riportarmi indietro, a mia madre, alla sua cucina, alla sua gentilezza. Anche lei era rimasta sola, proprio come Anna. Avevo finito con il riflettere sul fatto che quella donna mi avesse accolto in casa sua, senza fare domande, senza avere timore di me, inconsapevole di aver offerto ospitalità ad un assassino. Mi aveva guardato, e aveva visto in me un figlio.

“Era da tanto che non mangiavo qualcosa di così buono. Adoravo la cucina di mia madre…” e mi asciugai le lacrime con un fazzoletto.

Lei mi colmò il bicchiere.

“Piangere fa bene. Aiuta a sfogare l’anima. Siamo costretti ad affrontare troppi problemi, in vita, per concederci il lusso di non piangere. Commettiamo degli errori, subiamo delle gravi perdite, ma tutto avviene al fine di condurci su esperienze di vita che l’anima avverte di aver il bisogno di esperire. Beninteso, non è facile accettare il fatto che la perdita di qualcuno debba avvenire per innescare la crescita dell’anima, Philipp. Siamo tutti parte di un unico essere, di un flusso vitale che ci lega; alcuni sono più forti, altri meno. Io credo che continuiamo a tornare in eterno, flusso dopo flusso, sinché quest’anima non sarà soddisfatta di aver vissuto ogni esperienza possibile.”

“E poi?” mi ritrovai a chiedere. “Che succede dopo?”

“Solo l’ultima anima potrà dirlo. Forse finirà tutto, o sarà un nuovo inizio. Perlomeno, e quello che credo io.”

“E se ci fossero anime speciali, nel mondo?” chiesi, aprendo un discorso più con me stesso che con lei. “Mi pare di capire che tu non creda ad un Dio in particolare… ma poniamo che esistesse qualcuno che si nutre proprio di anime… cosa accadrebbe in questo caso? Il flusso si interromperebbe?”

“Di solito i miei discorsi innescano polemiche. È la prima volta che qualcuno mi fa una domanda simile!” e parve sinceramente sorpresa. Vuotò il suo bicchiere e, dopo aver spostato le stoviglie nel lavandino, disse: “Concedimi il tempo di pensarci su, vuoi?”

“Non sei costretta… sono solo stupidaggini, le mie.”

In quel momento Avorio balzò sul davanzale della finestra, facendomi prendere un colpo.

“Il tuo discorso mi ha fatto pensare a molte cose. Ci sono culture che credono esistano entità capaci di tali atrocità. Nella stessa religione Cristiana, Lucifero, colleziona anime per un motivo specifico” sottolineò. Malsumis aveva ben altro aspetto, perlomeno dai racconti che si facevano di Satana. “Facciamo così: ci vorrà del tempo affinché asciughino i tuoi indumenti. Rimani qui, questa notte: potrai dormire nella stanza di mio figlio. Se hai bisogno della connessione, non c’è bisogno di password. Riprenderemo più tardi il discorso.”

“Sarebbe approfittarmi della tua ospitalità, Anna. Non sai neanche chi sono…”

Lei mi riempì il bicchiere di vino. Poi, mi chiamò per nome.

“Non sei l’uomo che dicono nei telegiornali locali.”

 

 

Credo possa bastare,

 

Non so perché ho scritto tutto con questo stile… mi andava di farlo, come se tutto ciò potesse allontanarmi dalla mia percezione degli eventi. È servito.

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 43
*** 19 Aprile ***


19 Aprile 2021,

 

 

Quella frase mi colpì dritto al cuore.

Mi sentii come una fiera intrappolata, e avvertii le falangi serrarsi inconsciamente a pugno sul coltello, pronte a scattare in avanti per conferirmi la libertà. Fui costretto ad una grande prova di volontà per quietare il mio istinto. L’Ombra aveva cercato di conquistarmi un poco per volta, e mi è impossibile negare che una parte del suo piano sia riuscita. Chi sono diventato? Un assassino disposto a tutto per la propria libertà, per proseguire nella missione.

Quale missione, poi?

Sono sempre stato uno sbandato senza meta alcuna. No… sono un toro liberato durante una corrida: vado ovunque questo Diario mi stia conducendo. E in quel momento mi consigliò di prendermi la vita di Anna. Mi sarebbe bastato un solo colpo diretto alla trachea, e avrei potuto assistere all’ennesima morte collaterale della mia personale crociata contro le tenebre, arrivando poi per l’ennesima volta a chiedermi se questa non sia più una discesa nelle ombre a tutti gli effetti, come lo è stata già per il vero Philipp Lloyd.

Con mia sorprese, invece, riuscii a trattenere la mia mano tremante.

“Sei mio ospite”, disse Anna con la solita calma. “Sarebbe un gesto crudele. Sei al sicuro, per ora. Avessi voluto fregarti, avrei potuto farlo quando dormirvi.”

Ragionai sulla veridicità delle sue parole; e, nonostante ciò, un pensiero sgradevole tornò ad affollarmi la mente, tanto che fui costretto a dargli voce, stridula: “Prima di trovare quel Diario, forse. Ora sai chi sono… è questo che ti incuriosisce?”

Il Diario di Philipp Lloyd?” chiese senza alcun mutamento nel tono. Ancora ora vorrei spiegarmi come si impara a mantenere una simile calma. È anormale. Surreale!

“Esatto.”

“Chiamarsi in quel modo, in una ragione come questa, è un po’ surreale, come dici tu. Credo solo le persone debbano essere conosciute a pelle, per poterle comprendere. Ho solo sentito parlare di te, male, da dei telegiornali. Dicono che hai fatto esplodere il tuo palazzo. È vero?”

Lasciai cadere il coltello sul tavolo, le mani ancora tremanti.

“Ho dovuto farlo… per salvarli. Per salvare tutti noi…”

Lei mi guardò con sincerità: “La mia offerta è ancora valida: rimani qui per la notte. Mi farebbe piacere un po’ di compagnia. Poi, potrai decidere quello che vorrai. Tutti hanno bisogno di una pausa. Non giudico chi sei stato, ma chi sei ora davanti a me.”

“So che non posso arrogarmi questo diritto contrattuale… tuttavia, rimarrò a una sola condizione: che tu mi faccia vedere il dipinto di questa mattina.”

Lei si avviò verso la sala, bloccandosi sulla porta della cucina. “Quando sarà finito.”

Non aggiunse altro.

 

 

La camera del figlio era spaziosa e profumata, malgrado vi fosse della polvere su vecchi oggetti ornamentali che nessuno doveva aver più toccato da anni. Scossi il copriletto fuori dalla finestra, e mi soffermai ad osservare un cielo che si avviava già verso l’oscurità, per mezzo di nubi cariche di pioggia. Quella notte avrebbe piovuto, uno dei peggiori acquazzoni degli ultimi anni, tanto che il fiume avrebbe minacciato di straripare.

Avrei potuto riconoscere lo storia di quella famiglia semplicemente guardando le numerose foto; era come se fossero state messe lì per me. Mi chiesi chi tiene tante foto in giro? La risposta giunse da sola, in una domanda retorica: che senso avrebbe tenere delle foto chiuse in un album?

Siamo una razza strana.

Una regola che Anna aveva specificato prima che salissi al piano superiore, era che nessun animale potesse accedere in alcun modo alla casa; detestava i peli in giro. Avrei potuto mostrarle che Avorio era un gatto diverso da tutti gli altri, ma mi limitai a farlo entrare dalla finestra del secondo piano. L’agilità di Avorio non mi sorprese, perlomeno non quanto il suo interesse per la stanza. Lo vidi ficcanasare come una spia. Gli concessi un po’ di coccole, sinché non mi addormentai, conquistato dalla comodità del letto. Mi risvegliai che era già buio pesto.

Accesi una luce da comodino e, con Avorio in grembo, iniziai a sfogliare le pagine del Diario di Philipp Lloyd. Condivido con voi un piccolo estratto che vi sorprenderà, suppongo.

 

Giorno? Anno?

La guerra è finita, dicono. Non è mai terminata, per me.

In questi ultimi giorni ho avuto molto su cui riflettere. Le mie azioni hanno condannato la mia famiglia già una volta, e non intendo che accada una seconda. Ho mio malgrado allontanato molte persone da questa Abazia, tuttavia la preponderante sensazione di infelicità e di alienazione non vuole lasciarmi. Sento di stare sbagliando... Ma cosa?

Ho notato che la piccola Meggie è forte e solare. La madre la porta spesso a passeggiare sotto il sole, in mezzo all’orto per conoscere le piante e tra gli animali, imitandone il verso. La bambina ride, e che risata spensierata!

A proposito di animali, ho avuto l’impressione di vederne uno singolare, l’altro giorno. Il poveretto era cieco, dal pelo bianco e nero, dotato però di un’incredibile destrezza, come tutti i gatti. Non ha fatto altro che stare nei dintorni della bambina, miagolando a più non posso, quasi stessero conversando. Maggie lo ha strapazzato come fosse un pupazzo, ed esso non ha battuto ciglio.

Sarebbe incoerente non raccontare di come questo mi abbia ferito nell’anima: io che non riesco a starle troppo vicino, perché ho il terrore che la mia vicinanza possa condannarla. Nei suoi occhi rivedo quelli di Elisa, nella sua risata quella di Edgar e nella sua bontà quella di Allan.

Merito di avere una seconda famiglia?

Perdonami, amore mio. Se non avessi seguito il Prof. Poegrim in quel luogo di dannazione, ora quell’acquedotto forse sarebbe completo, e avrei tra le braccia il primogenito di Edgar. Sarebbe stato un uomo buono, di questo non ho dubbi. Sarei stato un buon nonno?

Sento che qualcosa si sta avvicinando, e non posso non pensare al risultato di quei dadi. Al sogno dello Sciamano Zhùt. Temo di dover allontanare la mia famiglia… ma come posso, ancora una volta? Non voglio farlo.

Ma se fossi costretto?

Non intendo pensarci.

Quando sarà il momento, deciderò.”

 

 

Quanti pensieri per il vecchio Philipp.

Se ha avuto la forza lui, di andare avanti, perché non dovrei averla io? Che cosa ho perso in più rispetto a lui? Mi sono disperato, nella mia arroganza. Sono stati questi i pensieri che mi hanno rincorso, frattanto che scrivevo il resoconto della giornata per il mio aggiornamento quotidiano. Anna mi interruppe proprio dove ho concluso, come avrebbe fatto lo sceneggiatore di una fiction. Non lo faccio di proposito, dico sul serio.

Ritengo che sia poco credibile, vero?

Più questa faccenda si sbroglia (o ingarbuglia), più si presenta surreale.

La cena venne servita a lume di candela.

Anna aveva indossato un vestito non troppo differente dallo stesso con cui l’avevo conosciuta, ma si era premurata di truccarsi un po’, evidenziando il seno, i fianchi e le belle gambe. Indossava i tacchi, in un contesto in cui avrebbe potuto benissimo farne a meno. Mi sentii al contempo lusingato e confuso.

Aveva preparato una cena leggera, curata in ogni dettaglio. Un’ottima cuoca.

Aveva stappato due bottiglie di vino, prese dalla vetrinetta che aveva in salotto, di quello buono, costoso.

Chi, in una situazione simile, non avrebbe cominciato a farsi delle domande sui suoi intenti?

“Sei molto bella… lo avessi saputo, avrei cercato di darmi una sistemata” mi scusai per il mio aspetto, prima di sedermi a tavola. “Vengono i tuoi figli?”

Storse un po’ il naso, e rise. Era però più una risata da ebbrezza che di cuore, di quelle che le donne utilizzano per insinuarsi nelle attenzioni di un uomo. Perlomeno, questo fu quello che provai.

“Siamo solo noi due. Una donna deve avere per forza un motivo per farsi bella?”

“Certo che no.”

Mi riempì il bicchiere.

I suoi occhi verdi, esaltati dall’eyeliner blu, continuarono a cercarmi con insistenza per tutta la sera, in un gioco di sguardi che mi rese ad ogni bicchiere in più sempre più affascinato dalla sua grazia, dalle sue parole, dalla sua risata. Mi sentii come Ulisse in balia delle Sirene.

La conversazione virò su esperienze di vita, problemi, bevute, e amicizie da dimenticare, del tutto in contrasto rispetto al dialogo che avevamo avuto a pranzo.

Io desideravo arrivare a quel fatidico discorso, ma le riuscì di veicolare la discussione ovunque volesse. La sensualità sua voce, dovuta agli effetti dell’alcol, mi ricordò qualcosa che molti di noi possono condividere in questo momento… da quanto non mi trovavo al tavolo con una bella donna? Da quanto non sorseggiavo vino, parlando di futilità? Da quanto, oltre all’orrore, questo momento storico aveva contribuito a rendere la mia vita una prigionia?

Lei, chiusa in quella casa, doveva aver pensato la stessa cosa. Doveva aver avvertito il medesimo impulso, la stessa vibrante energia. Io, però, avevo una voce interiore che frenava il mio impeto maschile, un recondito terrore che mi convinse a cercare di tenere le distanze anche quando lei parve volerle accorciare.

Era quasi mezzanotte.

“Spero tu possa perdonarmi, Anna”, aprii quel mio tentativo di sfuggirle. “Ho una cosa che devo assolutamente fare, al portatile, prima che sia terminata la giornata.”

Il suo sguardo parve ferito.

“Intendo tornare. Quella bottiglia non si finirà da sola”, aggiunsi prima di svanire oltre la porta della sala. Mi affrettai a raggiungere la camera del figlio, a gettare le mie ultime conclusioni, prima di postare l’aggiornamento.

Fui grato al mio Diario. Era riuscito a togliermi da un bell’impiccio.

Sarebbe stato scortese, però, lasciarla lì da sola. Quindi, affidando ad Avorio il compito di custodire il Diario di Philipp, mi avviai di nuovo verso la cucina. I tuoni erano così forti da far tremare la casa, riuscendo a prevalere sulla musica che riempiva tutta la casa. Anna aveva proprio buon gusto sotto ogni aspetto.

Avvertii un profumo che non sarei mai in grado di descrivervi, ma era buono, ipnotico, portatore di pensieri peccaminosi; era la prima volta che lo sentivo, eppure ne fui subito assuefatto.

Trovai Anna sdraiata sul lungo divano di pelle nera, con la schiena illuminata dal calore delle candele e resa brillante dal ritmo dei lampi. Il calice nella sua mano oscillava in senso rotatorio, per riscaldare il vino, il cui moto nel bicchiere mi riportò alla mente il quadro del figlio.

“Posso farti una domanda?” presi parola, cercando di rovinare il meno possibile la sinfonia di violini in sottofondo.

“Non è in vendita”, lo disse quasi cantando, con dolcezza.

“Cosa rappresenta?”

“Sai cosa rappresenta. Altrimenti, caro mio, non ti saresti mai soffermato. L’arte attira lo sguardo di chi è in balia dello stesso sentimento che l’ha originata.” Si prese un attimo, poi sorrise. “Qual è il tuo mare in tempesta? Cosa ti blocca?”

Presi posto accanto a lei. Un lampo illuminò il mio viso per metà. Sentii che il vino stava per dare fiato ai miei pensieri più profondi.

“L’Ombra è il mio mare. È ovunque, e non mi concede di respirare. Mi sento proprio come quell’uomo su quella zattera: nonostante la sua buona volontà, gli sarà impossibile prevalere sul mare. È destinato a sprofondare nell’abisso. A svanire per sempre” dissi sconsolato. “Chiunque intorno a me pare destinato ad una fine atroce. Non avrei voluto fare quello che ho fatto. Sono stato costretto… E temo di aver messo in pericolo anche te.”

“Costretto da chi?” m’incalzò, spostandosi sul divano sino a venirmi vicino. “Non sei stato tu a fare quello che andava fatto?”

Mi mise la mano sulla coscia, senza staccare i suoi occhi dai miei. Erano di una bellezza penetrante.

Ci fu un lampo che illuminò la casa a giorno.

Poi un poderoso tuono, ma che non nascose del tutto un tetro verso che mi raggiunse sin dentro le ossa. Volsi lo sguardo verso una porta che non avevo ancora avuto modo di esplorare, da quando ero entrato in quella casa. Mi soffermai sul verso…

Un tenue guaito.

Deglutii.

Anna aveva detto che non amava aver animali in casa.

Rimasi in silenzio, mentre la mano della donna risaliva sulla mia coscia, come nel cercare di attirare la mia attenzione, di distogliermi da quel suono.

Un altro guaito, ed un verso strozzato.

Riportai lo sguardo su Anna.

Un lampo illuminò la stanza a giorno…

Avorio era alle sue spalle.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 44
*** 20 Aprile ***


20 Aprile 2021,

 

 

Devo ammetterlo, l’ultima volta vi ho lasciati volutamente col fiato sospeso, nonostante mi fossi premurato di affermare che non fosse una mia scelta. Non gioco con voi, amici miei. È stata una decisione ponderata, valutata su una strategia precisa. Avrete modo di comprendere lungo la narrazione di questo aggiornamento. Confesso che scrivere per così tanto tempo - ormai ci avviciniamo ai due mesi che sopportate le mie disavventure – ha contribuito a farmi rivalutare la scrittura e il mio modo di approcciarmi ad essa. Ho voluto divertirmi, in un certo qual modo.

Con il mio fare ho allarmato alcuni di voi, questo è vero. Tutto era però era necessario, e lo sarà ancora per un po’.

Capirete, non ho dubbi.

Niente più messaggi nascosti, anche perché sappiamo che altri potrebbero averne accesso. Mi baso sulla reciproca fiducia che vi è tra di noi. Credo possiate intuire di me molto più di quanto stia scrivendo. Giusto?

Di certo, sapere che scrivo, toglie un po’ di atmosfera a quel che sarà degli eventi che risalgono ormai a due giorni fa, non trovate? Ma le cose possono cambiare rapidamente, senza tregua… e se non fossi più io a scrivere questi aggiornamenti?

Forse vi sto confondendo…

 

Quella notte, anche chi non aveva mai avuto la sfortuna di navigare in acque torbide avrebbe potuto comprendere come ci si sente all’interno di una tempesta. L’acqua infuriava contro i vetri a ritmo incessante, con lampi, fulmini e tuoni da far accapponare la pelle. I pioppi all’esterno della villetta si era trasformati per una notte in creature informi, lamentose, pronte ad allungare le proprie nodose braccia vegetali verso gli uomini. Fortuna volle che nessuno, eccetto quella singolare coppia unita dal fato, fosse nelle loro vicinanze. Dentro la casa, tutto era al sicuro. O perlomeno, questo è ciò che i due avevano continuato a ripetersi segretamente tra loro, da quando il maltempo aveva colpito la zona.

(Lascio stare la narrativa, non ci sono particolarmente portato. Veniamo ai fatti.)

 

Anna aveva allungato le sue mani sul mio corpo.

L’alcol e le circostanze avrebbero di certo favorito una mia apertura nei suoi confronti, ma qualcosa mi aveva sin da subito convito a stare in guardia. Chiamatelo presentimento, sesto senso, o chiamatela fortuna. La presenza di Avorio, poi, confermò sin da subito i miei sospetti: stava per accadere qualcosa.

Il lampo che rese visibile il gatto, proprio dietro Anna, rivelò anche un dettaglio della donna che mi era sfuggito sin dal nostro primo incontro: una cicatrice alla base del collo, di quelle profonde, ben camuffata da un velo di trucco. La luce, però, rivela tutto, o quasi.

Provai dapprima l’istinto di allontanarmene, eppure mi convinsi a mantenere la calma. I miei occhi si sgranarono, senza dubbio, sia per il terrore di quel suono che proveniva da dietro la porta, sia per una situazione che rischiava di travolgermi.

“Ho fatto tutto il necessario”, risposi, concentrandomi sul suo sguardo. “L’Uomo Ombra. O L’ombra, chiunque o qualunque cosa essa sia. Quegli esseri avevano invaso il mio palazzo, reso pazzo il vicino. Avevano rapito dei bambini, e... avevano fatto scempio dei loro corpi. Sono l’unico ad averli visti. Le fiamme, bruciare tutto, mi è parsa l’unica soluzione plausibile. Se solo avessi parlato… sarei sembrato un folle.”

Lei mi guardò con straordinaria curiosità, senza allontanare quella mano. Avvertii di nuovo quel guaito, e grattare sulla porta. Mi chiesi come potesse non sentirlo anche lei, nonostante la musica. Mi chiesi anche del perché Avorio fosse proprio alle sue spalle.

“A cosa gli servivano i bambini? Come ti ha fatto sentire ciò?”

Era una domanda strana.

Mi fece pensare ad una sola persona che avrebbe fatto uso di termini simili, tuttavia cercai di scacciare via quella riflessione dalla mia mente. La risposta a quella domanda era ben oltre le mie conoscenze, malgrado ciò mi sentii incentivato a definire la mia opinione. Quale fosse il mio reale intento, credo sia ancora in dubbio. Impressionarla? Farle paura? Metterla alla prova?

“Mi sento colpevole. Un mostro… c’erano tante persone innocenti in quel palazzo. Ma ho dovuto. Stavo letteralmente impazzendo… potevo sentirli chiamare il mio nome, grattare le unghie sulle pareti. Ho visto con questi stessi occhi quelle creature fameliche! Non c’era niente di umano.” Mi accorsi di aver aggiunto un dettaglio che non aveva abbandonato le mie orecchie per tutto il tempo, e ancora quel grattare alla porta insisteva. “I bambini rapiti… Le anime, forse. Le anime dei più piccoli hanno un potere maggiore.”

(Avrei compreso questa mia affermazione solo più avanti, una volta letto il Diario di Philipp Lloyd. Avrete modo di conoscere anche voi questa parte della storia, a tempo debito)

“Mi hai fatto una domanda, questa mattina. Riguardava proprio le anime…”, contestualizzò Anna, facendo scivolare la sua mano sino al mio ginocchio. Si portò il calice alle labbra e prese un lungo sorso. Quell’intermezzo, reso orfano anche della musica, venne riempito dal frenetico graffiare sulla porta, da un guaito disperato, insieme ad uno strozzato; ci fu spazio anche per un respiro pesante, come di chi ha fatica nell’accogliere ossigeno nei propri polmoni. Mi ritornò alla mente l’immagine infuocata dell’essere che viveva nella casa dei vicini.

Lei, però, si atteggiò come se niente di strano stesse accadendo.

“Quasi tutte le religioni hanno a che fare con l’anima. Alcuni ritengono che essa venga tramandata di essere in essere; e che, una vita dopo l’altra, prosegua nel perpetuo esperire di realtà o emozioni. Altri, invece, sostengono che essa possa conferirci il dono dell’eterna luce o dell’infinita dannazione, come nel credo cattolico/cristiano” illustrò il suo ragionamento indicando alcune sculture relative a simili argomenti. “Io ho praticato molte arti, in passato. Ho parlato con gli spiriti per mezzo di sedute spiritiche; in Australia, ho danzato insieme agli indigeni per richiamare le antiche divinità; in Messico, ho bevuto la bevanda sacra e venerato il ritorno di Kukulkàn, il Serpente Piumato. In ognuna di queste realtà, c’è qualcosa che hai descritto…”

“La follia?” soggiunsi, infastidito. L’idea che lei stesse volutamente ignorando quel suono, ora costante, aveva cominciato a rendermi irrequieto. Avorio, invece, parve non battere ciglio. Era come ipnotizzato. Non so se questo racconto stia riuscendo a trasmettervi le mie medesime sensazioni, ma in quella circostanza avvertii come la presentimento che lei, Anna, stesse facendo tutto quel discorso con la consapevolezza di avermi in pugno. Dove sarei mai potuto scappare con quel tempo da lupi? Ero suo prigioniero!

Non è mai esistito un grande ingegno senza un po’ di follia, sosteneva Aristotele” disse con una flemma che mi fece gelare il sangue nelle vene. Come faceva la gente a ricordare citazioni simili, quando io a stento riesco a ricordarmi quel che mangio a colazione?

“La frase mi pare quantomeno inadeguata alla conversazione…” mi sentii in dovere di affermare. L’ennesimo tuono fece tremare le pareti, minacciando di far esplodere i vetri delle finestre.

“I bambini. Le anime giovani. Ruota tutto attorno al loro sacrificio.”

Fu in quel momento che mi tornò in mente l’espressione del Prof. Poegrim, riportata nei resoconti di Philipp Lloyd. Ci tenni a farlo presente: “Un sacrificio tende a liberare l’anima dal corpo materiale…”

“Il concetto di sacrificio è stato alterato nel corso dei secoli. Spesso, per sacrificio, s’intende un essere che si avvicina gradualmente ad una morte lenta, affinché tra il corpo fisico e quello spirituale – o anima – possa crearsi il giusto distacco per ghermire quest’ultimo. È così che i popoli primordiali, o le streghe, ritenevano di offrire un sacrificio: una morte lenta, atta al transito dell’anima.”

La sua spiegazione mi sorprese non poco. Era una questione che non conoscevo, e la quale mi disturbò nel profondo. Forse, dopotutto, la mia era stata davvero una grande azione. Tuttavia, il tono di Anna mi era parso strano.

“Come sai tutte queste cose?”

“Ho viaggiato. Ho studiato. Ho provato” disse con un certo trasporto, e la sua mano ricercò di nuovo il mio ginocchio. “Dell’altro vino?”

Lo rifiutai senza distogliere i miei occhi dai suoi.

“Perché hai provato cose simili?”

“Il destino.”

Rimasi impietrito dal suo tono che, all’improvviso, si era trasformato in un lamento. Gli occhi si velarono di una tristezza sconcertante, tanto che mi ritrovai a prenderle la mano tra le mie; era gelida. Lasciandomi sopraffare da un’empatia che non ritenevo di possedere, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa di me, a quel punto.

L’ennesimo lampo mise di nuovo in mostra la cicatrice alla base del collo; il tuono che seguì arrivò a far vibrare il bicchiere che Anna teneva in mano. Quel lamento oltre la porta si fece più intenso. Avrei voluto porle una domanda riguardo quella sua ultima affermazione, ma la pioggia che cadeva più intesa che mai mi riportò alla mente il motivo per cui ero stato invitato a rimanere.

“Che ne è dei miei vestiti?” chiesi, approfittandone per slacciarmi da quel contatto che io stesso avevo incentivato.

Lei si concesse un altro sorso prima di rispondere:

“Ai primi nuvoloni, ho spostato tutto in cantina. È dove ho nascosto il quadro”, e nel dirlo guardò proprio in direzione di quella porta, quasi volesse sfidarmi a raggiungerla. In tutto quel tempo aveva ignorato la presenza di Avorio.

“Ho una domanda, Anna: davvero non senti questo rumore?”

Lei scrollò le spalle e fece un vago commento sulla pioggia, augurandosi che il fiume non straripasse troppo; l’ultima volta era stata una catastrofe, ci tenne a precisare. Quel grattare e quel guaire cessarono.

“Distinguere la realtà dall’illusione non è semplice. Certe cose esistono solo nella nostra testa” affermò con un certo trasporto, quasi avesse sperimentato in prima persona quella sensazione. “Hai il mio permesso di guardare il quadro.”

Alle mie orecchie suonò come un’ordine.

Mi alzai e, senza darle mai le spalle, cominciai ad avvicinarmi alla porta chiusa. I lampi proiettavano sinistre ombre in tutta la sala, trasformando quelle sculture in sinistre creature della notte. Per un breve istante fu come ritrovarsi nella casa del vicino, e temetti che presto i bambini avrebbero iniziato a cantare il mio nome.

Lo sguardo di Avorio si spostò per una frazione di secondo nella mia direzione, quasi ad ammonirmi, ma tornò subito sulla donna.

“Se fosse nella mia testa… non ne porterei i segni” mormorai a denti stretti, allungando la mano sulla maniglia. Era gelata, ma meno delle mani di Anna.

Impiegai meno di un secondo ad esercitare la pressione sufficiente ad aprirla, ma tutto si svolse con una lentezza irreale, forse imputabile al consumo esagerato di vino; quando lo scrocco della serratura rientrò nel suo asse, avvertì una notevole forza esercitarsi sulla porta.

Si spalancò verso di me dalla tetra oscurità della cantina…

 

 

Non ho più tempo…

Devo andare.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 45
*** 21 Aprile ***


21 Aprile 2021,

 

 

Quanta ingenuità e quanto coraggio nell’aprire una porta chiusa?

È così anche per le nostre credenze, non trovate?

Ci isoliamo nella stanza delle nostre convinzioni, costruendo muri indistruttibili, concedendoci forse una finestra dai vetri oscurati per sbirciare fuori… ed infine quella porta chiusa sul mondo, sul nulla. Se solo trovassimo il coraggio di aprirla, potremmo scoprire verità così palesi, così terrificanti, sia sul nostro conto che sulla realtà dell’esistenza.

Quanti uomini hanno avuto il coraggio di aprirla?

Che vogliate crederci o meno, questi sono i pensieri che hanno attraversato la mia mente, proprio nel frattempo che la mia mano esercitava la giusta pressione per far schiudere la porta. Questa riflessione, annessa ad un terrore profondo, a un’angoscia che anche ora che scrivo mi risale sulle spalle, mi fa tremare, mi scuote sin dentro le ossa: l’immagine di quella testa rovesciatea, di quelle luride zampette, di quel tentacolo o lingua che fosse!

Sentivo che, aprendo quella porta, avrei concesso a quell’essere di entrare in casa; stavo accettando la sua richiesta per inoltrarsi di nuovo nella mia vita. L’alcol ci da il coraggio di fare cose incredibili, o forse era proprio il potere segreto di Anna? Domande che non troveranno mai effettiva risposta…

Avete presente questa sensazione? Sapete che la porta è stata aperta, e sta per rivelarsi qualcosa, tuttavia quel momento sembra bloccato. È così che ci si sente quando la tua vita sembra buttata, che il nulla assoluto grava su di te.

Non c’è vita.

Solo eterna sospensione.

 

Ma quella porta, alla fine, l’ho aperta, altrimenti non potrei essere qui per raccontarvelo. Definire il qui è più complesso, soprattutto a seconda di quando ognuno di voi visionerà questo aggiornamento. È strano leggere le vostre lettere, e ho come l’impressione di non riconoscermi. Ho smesso di rispondervi, ma questo dovreste averlo intuito. Sarebbe sbagliato tenere un contatto così stretto. Ma capirete, ne sono sicuro. Voi cogliete tutto al volo, come il falso messaggio di Anduin. Credo che alcuni di voi si stiano ancora chiedendo se, in realtà, non fosse tutta una mia follia…

 

Direi che è stata tirata anche troppo per le lunghe.

Veniamo alla porta.

 

Si aprì su di me con una forza che non avrei saputo contrastare, non tanto per il fatto di non averne a sufficienza, ma più per la sorpresa. Quel respiro affannato mi travolse, ed infine si rivelò ai miei occhi. Tanto era lo sconcerto, che avrei potuto ridere di me se solo ne avessi trovato la forza: il vecchio muso ansimante di Puggy, il carlino di Anna, si schiantò contro la mia gamba, prima di rotolare e travolgere il piccolo bulldog, le cui unghiette dovevano essersi consumate a furia di grattare la porta. Bucky lanciò il suo guaito ancora non sviluppato, lanciandosi in un’impacciata corsa verso la padrona!

Ridete! Ridete pure di me ora, e del mio terrore!

Avrei voluto sferrare un calcio al carlino per sfogare il moto di rabbia che mi travolse, ma quello che feci mi sorprese: mi ritrovai carponi, con il fiato spezzato dalle risate. Risi sino a sentir male dietro le orecchie, con le lacrime agli occhi. Anna, dal canto suo, fu molto gentile e non rise troppo delle mie paranoie.

Si limitò, quando fui in grado di ascoltare, a spiegare le sue motivazioni: “Sarebbe stato inumano lasciarli fuori con questo tempo. La cantina è un posto tranquillo, ma oggi c’è proprio un tempo da lupi.”

Il vecchio carlino si arrampicò sulle gambe della padrona, emettendo quel verso che mi aveva quasi fatto prendere un infarto.

“Perché non mi hai detto niente? Sono morto di paura…”

“Hai trovato il coraggio di affrontare i tuoi timori, proprio come l’uomo del quadro di mio figlio. Ho dovuto fare lo stesso, viaggiando, per accettare la sua morte.”

Quella frase fu un vero colpo al cuore, inaspettato. Mi sentii tuttavia in dovere di non lasciar cadere la conversazione.

“Ti riferisci forse al fatto di aver provato determinate cose? A che scopo?”

“Riportarlo indietro”, rispose sedendosi sul divano. Non parve sorpresa della presenza di Avorio. “Ho creduto che certi rituali potessero aiutarmi a riaverlo indietro. È rimasto in ospedale, attaccato ai macchinari, per molto tempo. Mio marito era convinto non ci fosse più niente da fare… ma io, disperata, non volli darmi per vinta.”

Seguii il suo discorso, avvicinandomi.

Presi tra le braccia la fonte delle mie recenti agonie: avevo sempre detestato i carlini, ma averne uno tra le braccia mi fece comprendere perché la gente li ama così tanto: sono capaci d’infondere una straordinaria armonia. Come degli amuleti.

Mi raccontò di come, in un giorno tempestoso come quello, il fiume si fosse trasformato in una bestia affamata, travolgendo ogni cosa. Aveva danneggiato la casa, riempendola di fango. Il figlio, rimasto sotto l’acqua troppo a lungo, dato inizialmente per morto, finì in coma per molto tempo. Anna, che all’epoca militava in una sorta di setta esoterica, aveva sentito parlare di una possibilità legata alla sorte del figlio: il coma è in realtà uno status in cui l’anima abbandona il corpo prima che ne cessino le funzioni vitali. Si convinse così di poter ritrovare la sua anima, persa nel flusso vitale che unisce tutti gli uomini. È una questione complessa da comprendere.

“Certe cose, però, esistono solo nella nostra mente. Io avrei dovuto saperlo meglio di chiunque altro; il dolore, però, riesce a superare la ragione”, confessò. “Tornai distrutta da quei viaggi; nel tentativo di salvare mio figlio, non mi accorsi di aver perduto l’affetto di mio marito e di mia figlia. È qui, in questa casa, tutto ciò che mi rimane. Quel quadro mi ricorda che non possiamo fuggire dalle avversità: è necessario fronteggiarle.”

Sentii l’impulso di abbracciarla, ma mi trattenni: certi legami si creano proprio nei momenti di debolezza, e ben sapevo quale fosse il pensiero di Anna nei riguardi della storia che le avevo raccontato. Riuscivo a comprendere il suo modo di aprirsi nei miei confronti. Sarei potuto rimanere affascinato dalla sua personalità, ma non mi sorprese il fatto di riuscire ad collegare all’instante la sensazione che avevo provato nel sentirla parlare.

“Sei una psicologa. Ecco il perché della tua calma, del tuo silenzio. Del perché hai accettato di avermi qui, in casa tua. Mi stavi studiando…”

“No, non ha niente a che fare con la questione. Ti ho già detto che ho frequentato un circolo esoterico. Mi ritengo una di quelle persone dotate di una sensibilità maggiore verso certi elementi, energie; come forse si sarebbe definito Jung. Sono sempre stata molto aperta all’interpretazione della vita.”

Un lampo la illuminò, e mai come in quel momento mi parve tanto bella. Anche se non ne aveva fatto menzione, era evidente che quella ferita al collo l’avesse subita mentre salvava suo figlio. Tuttavia, sapevo bene che il suo intento fosse quello di convincermi del fatto che tutto si stesse svolgendo solo nella mia mente. Potevo leggerglielo sulle labbra. La dottrina la invitava di certo ad avvicinarsi al concetto con cautela, probabilmente per condurmi ad accettare quella soluzione quasi fosse una mia idea, e non un qualcosa partorito dalla mente della psicologa che era in lei.

La realtà è così fragile.

“Dunque, cosa ti ha convinta?”

“Devi vedere il quadro. Spero sia tu a spiegarlo a me”, è tutto ciò che disse. Rabboccò i calici, e poi mi porse il mio.

Guadai verso le scale basse della cantina, che si perdevano nell’oscurità del sotterraneo. Accesi la luce e mi avventurai.

I miei vestiti erano stesi, e diverse tele erano depositate qua e là. Stranamente, il locale non era affatto umido.

Riconobbi il treppiede che Anna aveva portato sin sotto il salice.

Il quadro era coperto.

Senti l’eco dei tacchi di Anna accompagnarla sino alle mie spalle. Tirai un profondo sospiro prima di rivelare l’opera: era un’esplosione di colori.

Tuttavia, nel vederlo rabbrividii.

Pur non avendolo mai visto di persona, riconobbi subito quell’individuo ritratto sotto un salice capovolto, dalle foglie cremisi, catturato dalle radici. Aveva un naso aquilino e i capelli lunghi, con alcuni riflessi bianchi nelle trecce ornate di piume. La carnagione bruna, con una tonalità vicina al rosso. Gli occhi, sgranati verso chiunque stesse osservando, bianchi al pari di farlo sembrare cieco, eppure avevo come l’impressione che l’immagine potesse guardarmi attraverso.

Non avevo dubbi su chi fosse quell’individuo.

Era lui…

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 46
*** 22 Aprile ***


22 Aprile 2021,

 

 

Anna aveva senza dubbio uno straordinario potere.

Guardandomi era come se fosse riuscita a carpire i timori profondi della mia anima. Quel che non riuscivo a spiegarmi, era perché avesse ritratto lo Sciamano Zhùt nella stessa angosciate posa in cui si era trovato Philpp Lloyd. Se le fosse riuscito di scorgere un frammento del passato, questo non è possibile dirlo, perché neanche lei avrebbe saputo spiegarselo. Nonostante le sue insistenti richieste, non fui in grado di darle altri chiarimenti. Ero confuso proprio come voi.

Mi ritirai nella mia stanza non appena il maltempo si quietò abbastanza da far tornare i cani nello scantinato. Non avvertii neanche il bisogno di accendere una luce: raggiunsi la camera nella più totale oscurità.

Sdraiato nel letto, coi lampi ad illuminarmi il viso, riflettei a lungo sulla conversazione avuta con Anna. Provai anche solo per un istante a mettere in dubbio il mio vissuto, tuttavia non mi riuscì di crederlo solo frutto della mia fantasia. Non ero un pazzo, per quanto avrei preferito crederlo.

Quel Diario era sempre stato reale.

Le ferite erano vere, e bruciavano ancora.

Il dipinto di Zhùt era reale.

La setta che voleva uccidermi lo era!

L’errore più grande che possiamo fare, da essere umani, è quello di fossilizzare in definizioni rigide la realtà; dobbiamo essere aperti all’impossibile, per scoprirlo vero; O, perlomeno, concedergli una possibilità.

Così, agitato, con Avorio che brontolava sopra il mio stomaco, decisi di mettermi a leggere; accesi la luce da comodino. Dapprima mi concentrai su un libro che avevo trovato nella stanza, ma ad ogni pagina il mio sguardo tornava a spostarsi dove avevo depositato il Diario di Philipp Lloyd. Era come se mi stesse chiamando, quasi volesse rivelarmi che fossi pronto a leggere un nuovo passaggio.

Avorio ne parve molto divertito. Un gatto singolare.

Mi accorsi di come quell’odore sgradevole percepito da Anna fosse divenuto per me una sorta di profumo, come se a furia di toccare le ombre ne fossi diventato parte. Se vi capita di sentire una certa puzza, dunque, assicuratevi di non avermi nei dintorni!

Con le sue parole, il vecchio Philipp mi trascinò di nuovo nel suo mondo, ma questa volta, così come era stato per il quadro, mi riuscì molto più semplice immaginare quelle circostanze, l’ambiente, i colori e addirittura i suoni, quasi appartenessero ai miei ricordi. Mi sentii come slacciato dal mio corpo, libero di vagare nel suo passato.

Tornai all’abazia…

 

 

 

Giorno…? Anno…?

 

Negli ultimi tempi le giornate si sono fatte più buie sul cielo d’Italia.

Anche se soffia il caldo vento dell’estate, nubi cariche di astio si sono gonfiate all’orizzonte, strozzando il sole; le ombre degli alberi e degli edifici si sono fatte spigolose, sinistre. Echi distorti affollano i boschi e le montagne [...]; gli uccelli hanno smesso di cantare, e le volpi non vanno più a caccia, ma cercano il favore degli uomini per sfamarsi.

È un segno.

Qualcosa sta cambiando, e anche il vento non sussurra più il verbo della vita, ma sghignazza dietro le colline come una iena in agguato. Le parole di Zhùt, sottovalutate troppo a lungo, mi hanno condotto ad un’ardua decisione: ho riportato l’abazia al mio atto di liberazione. Vi siamo solo io, la piccola Maggie, sua madre e quel gatto; nessuno di noi ha voluto dargli un nome, esclusa la definizione stessa della sua natura.

Dalla visione dello Sciamano [...], ho continuato a tirare quei dadi, sino ad oggi. Quel che è accaduto mi ha molto scosso. Sono cose a cui nessuno crederebbe, che sfidano l’idea stessa della ragione umana. Io, e di questo ne sono fermamente convinto, mai avrei prestato fiducia ad un simile farneticare di stranezze, troppo spesso vicine al ricordo delle favole. Eppure, ho rivalutato molto la mia posizione a riguardo di certi episodi.

Ci sono cose che si possono comprendere solo guardandole nella loro natura primordiale, proprio come era solito asserire il Prof. Poegrim. Non tutte le sue azioni erano guidate dalla follia, dalla smania di conoscenza; se non fosse stato per quel suo briciolo di umanità, forse sarebbe riuscito a portare a termine l’incarico affidatogli da Malsumis. Beata loquacità!

 

Il giardino dell’abazia era ampio, ma i bombardamenti della guerra trascorsa avevano provveduto ad aprire una breccia nel muro che dava verso l’aperta campagna; all’epoca lo presi come un segno, benché in questi ultimi tempi sia cambiata la mai opinione; ho cominciato a credere che qualsiasi cosa potrebbe giungere dall’esterno, ora più che mai. Proprio come aveva fatto quel gatto.

Mi trovavo fuori dal recinto, impegnato nella solita passeggiata che si è tramutata ormai in una sorta di ronda; attento al minimo segnale di allarme, la mia mente aveva ripreso ad essere tormentata dagli episodi che mi avevano strappato i miei figli dalle braccia. Lo sono ancora.

Lo trovai dietro un vecchio melo dalle radici esposte alla luce del sole, il cui stanco tronco aveva finito con l’appoggiarsi alla muratura dell’abazia; a colpirmi non furono tanto le sue improvvise parole, ma l’assenza dello scorrere del tempo sul volto bruno e rossiccio, dagli zigomi spigolosi.

Parole son giunte, Philipp’ esordì in inglese. ‘C’è chi ascolta solo quel che vuole. Non è così che funziona.’

Le sue parole erano ingessate, alla stregua di chi è troppo tempo che non fa uso di quella specifica lingua; anzi, non era solo quello, ma anche il suo modo di esprimersi, ambiguo, quasi avesse difficoltà muovere la sua stessa bocca. Alcuni suoni gli vennero fuori allungati. Vidi le sue pupille ingrandirsi e ridursi nel tentativo di mettermi a fuoco. Una scena disturbante.

Zhùt!’ E gli puntai d’istinto la pistola che avevo saccheggiato dal cadavere del caporale tedesco. Se solo avessi sfiorato il grilletto, il suo cranio avrebbe finito col concimare lo stesso melo dietro il quale mi aveva teso l’agguato. ‘Come mi hai trovato?’

I Dadi, Philipp’, rivelò in una sorta di ringhio, scansandosi dalla traiettoria della canna. ‘Stai mettendo a repentaglio tutto. Sai cosa deve essere fatto, ormai. Dovresti averlo intuito dalla nostra ultima conversazione…’

Non era reale… tu non lo sei!’ e, facendo un passo indietro, sollevai la canna della pistola contro la sua bocca. Il desiderio di sparargli, però, non veniva da me; c’era qualcosa nel profondo della mia mente che continuava a mormorarmi che avrei dovuto prendermi la sua vita, per sfuggire al suo inganno. Tutto era iniziato con lui.

Lo è, invece. I dadi, che sono stati tirati, mi hanno condotto qui.’

Era una cosa che avevo fatto. Decisi di fidarmi.

Perché sei qui?’

Figlio di Tabaldak, Il Widjigò, come me, era sulle vostre tracce. Altri di essi, ora sanno. Accorrono da ogni dove.’ Abbassò la mia pistola, e mi prese il volto tra le mani.

Vostre?’ ripetei, ignorando il resto del suo discorso.

Il passato è destinato a replicarsi, Lloyd. Devi fare una scelta… qui non siete più al sicuro.’

Tu li hai portati da me!’

Non mentire a te stesso… Ho protetto a lungo la tua famiglia, ma non potrò farlo in eterno. Vi è ancora una possibilità per fermarli. Presto non si concentreranno più su di te.’

Ho pensato a un modo, Zhùt. Mi cerca perché ho saputo sconfiggerlo una volta, ma anche perché mi sono portato via una parte del suo essere. È così?’

Lo Sciamano annuì.

So quello che va fatto.’

Allora perché sei ancora qui?’ conosceva già la risposta a quella domanda, si allontanò da me, tornando dietro il melo. ‘Non v’è morte per chi gli appartiene, solo tormento. Non sprecare il tuo tempo, Philipp.’

Cercai di fermarlo, ma dall’altra parte del melo non vi era più nessuno.

Mi ritenni un pazzo.

Poi, avvertii il miagolio di quel gatto che si era insediato nell’abazia. Mi fissava dall’alto della muratura adiacente all’albero.

Avrei dovuto prendere una decisione. Il prima possibile.”

 

 

Quando distolsi gli occhi dal Diario, mi accorsi dello sguardo di Avorio su di me.

Era come se avesse letto quella pagina e, per farmi un dispetto, mi stesse rivolgendo la medesima espressione. Un lampo squarciò la notte all’esterno della casa, ed ebbi come l’impressione di vedere il quadro di Zhùt proiettato sul muro, proprio alle spalle di Avorio.

Sobbalzai e, convinto fosse colpa dell’alcol, decisi che si fosse fatta l’ora di andare a dormire.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 47
*** 23 Aprile ***


23 Aprile 2021,

 

 

Giorno…? Anno…?

 

Il mondo era tornato ad essere un globo acqueo; solo l’abazia era sopravvissuta, nella sua collina soleggiata, all’ombra di un monticello che portava ancora frescura nelle roventi estati. Gli animali della terra si erano raccolti nei suoi immediati dintorni, e vivevano in pace: nessuna lotta, vi era cibo in abbondanza per tutti sotto il salice dalla chioma inversa, di un rosso vivo. Vi eravamo anche noi, gli ultimi tre esseri umani sul pianeta.

Eravamo in un piccolo paradiso, chiusi nella nostra isola senza spiagge. Io ero felice, Maggie lo era. Eravamo una famiglia destinata a vivere per sempre.

Poi, durante una passeggiata, vidi il mare ritirarsi e, per un breve istante, potei vedere il mondo come era stato un tempo, padrone della tecnologia, con le sue strade, i ponti, le invenzioni; fui turbato da quella visione. Avvertii il presentimento che stesse per accadere qualcosa e, voltandomi, fu presto confermata quella mia sensazione: l’acqua si era raccolta in una cascata che volgeva al contrario, verso il cielo. Di poco sotto la superficie spumosa della cascata intravvidi quell’essere mastodontico, dalla pelle squamosa e le ali raccolte attorno al corpo, a nasconderne i tentacoli e gli arti dalle estremità affilate. Creature tali e quali ad esso, più o meno delle medesime dimensioni di quella che avevo potuto scorgere nella Ziggurat, e in enorme quantità, sguazzavano nel liquido ambrato contenuto nelle membrane.

La cresta si rizzò, fendendo l’acqua e disperdendo un liquame che seppi immediatamente avrebbe infettato l’aria con il suo fetore. Il cielo sprofondò nella tetra oscurità priva di stelle, fatta eccezione per quella malsana radiosità espressa dall’entità e dai suoi sei occhi che, a coppie, si schiusero proprio sulla mia figura, dal verde al violaceo ed infine al rosso. Avvertii un profondo orrore stringermi il cuore.

Ad uno ad uno gli animali impazzirono, uccidendosi l’un l’altro, senza nutrire alcun interesse nella mia persona. Fui presto solo, coi piedi a mollo nel sangue della natura terrestre.

E il mondo si popolò di spettri… una cupa oscurità calò e, nell’eternità, restò. Esso fu ombra. Esso fu il tutto del nulla. Quegli che divorò i mondi, avido di anime. La Terra non fu che un lieve ostacolo nel suo dominio del flusso vitale. Nessuno osò opporvisi, ed esso regnò.’ Furono le parole del fu Zhùt lo Sciamano, uno spettro tra gli altri dannati. La voce era eterea, ma la riconobbi, così come i lamenti dei miei figli, quattro, che da Edgar a Maggie mi raggiunsero l’anima come un nugolo di aghi velenosi.

No. Questo non è reale! C’era ancora tempo!’, gridai fuori di me, portandomi le mani al volto, ma la mia pelle era fredda, sinché divenne del tutto impalpabile. Io, come loro, ero divenuto parte della notte eterna.

Colui che rincorre il tempo che ha lasciato andare, amico mio, altri non è che un’anima perduta’, fu la risposta di Zhùt. ‘Il tempo non attende i capricci degli uomini; esso scorre inesorabilmente, così come la notte sa che deve venire subito dopo il giorno. Gli errori dei padri mortali incidono sull’immortale futuro della dinastia. Così, Philipp Lloyd, hai scelto l’ombra!’

Quel mare oscuro si riversò sull’isola, travolgendoci. Tornammo ad essere tutti un unico flusso di tenebra. Ero stato io a deciderlo.

No, ero stato io a permetterlo.

Mi risvegliai dal sogno credendo di aver condannato l’umanità. I dadi, che erano contenuti nel loro sacchetto, li avevo chiusi nel mio pugno. Lasciandoli cadere, seppi sin da subito che i tre simboli mi avrebbero guidato verso il mio futuro. Mi riuscì interpretarli: un sole in eclissi; sei occhi, un corpo umano.

 

Dietro il melo, incontrai di nuovo Zhùt.

Hai preso la tua decisione, Philipp?’

Esso non può venir scalfito in alcun modo. Possiamo solo ritardare l’inevitabile… Non sarò tanto egoista da condannare l’umanità. Avrò però bisogno del tuo aiuto, Zhùt.’

Questa, Philipp. Solo essa può ferirli. Ne avrai bisogno’, mi consegnò la pietra di sua figlia. ‘Sai dove andranno?’

No. È meglio per loro che io non lo sappia’, mi affrettai ad aggiungere, restituendogli il cimelio, aggiungendo ad esso i suoi dadi. ‘Non spetta a me. Io porto già il mio fardello. Troverai chi sarà meritevole.’

Lui comprese il mio gesto. Annuì.

Abbiamo scritto la nostra storia per rammentarla alle generazioni future; verità tramutate in leggende, leggende evolute a miti: qualcuno, però, troverà sempre il coraggio di rispolverare la verità incisa su antichi tomi. Certi uomini devono condannarsi alla solitudine per il bene dell’umanità. Accetto il mio destino: è iniziato da me, e finirà col mio sangue.’

Fu l’ultima volta che parlai con Zhùt.

 

Trascorsi quegli ultimi giorni in compagnia della mia famiglia, baciando infinite volte la fronte della mia dolce Maggie. Le trattai con tutto l’amore possibile, anche se la notte la follia mi prendeva in modo assai violento: urlavo come un dannato, grattandomi il volto con le unghie e devastando le stanze dell’abazia sino a provocarmi del dolore fisico. L’ultimo giorno, racimolato il denaro che avevamo messo da parte, comprai dal paese vicino un cavallo robusto, ma vecchio, di modo che non desse troppo nell’occhio. Lo sellai e riempii le sacche con tutto l’indispensabile per un lungo viaggio.

Dovete andare, amori miei. L’oscurità che era stata vista in me è reale, e non posso più contenerla. Siete in pericolo al mio fianco… dovete andare, e non fare più ritorno. Perché la pazzia del demonio è un seme della discordia: aspira a diffondersi nei puri. Dovete andare, prima che possa farvi del male!’ dissi senza guardarle, perché mai altrimenti avrei avuto il coraggio di separarmene.

Protestarono, chiedendo spiegazioni. Se fossi stato sincero con loro, non mi avrebbero creduto, e il mio piano di tenerle al sicuro da Malsumis e il Widjigò sarebbe stato del tutto vano. Così, feci appello allo stesso stratagemma che aveva convinto l’abate ad esorcizzarmi: utilizzai le bacche, e la mia bocca prese subito a schiumare. Gli occhi si ribaltarono così come avevo imparato e, urlando di rabbia, graffiai il polso della piccola Maggie con l’unghia che mi si era spezzata quella stessa notte, graffiando una porta.

Colsi l’orrore nelle loro voci.

Mi costrinsi a lottare contro me stesso, in una disperata battaglia da cui avrebbero dovuto credere che non sarei uscito vincitore. Le respinsi e, con la foga della sofferenza, le chiusi fuori dall’abazia. Gridai e colpii la porta, sapendo che sarebbero rimaste lì nella speranza che la mia follia fosse solo passeggera. Ogni mio tentativo di spaventarle parve inutile.

Giocai la mia ultima carta: estrassi la pistola e sparai ad altezza d’uomo contro il pesante portone; le pallottole lo oltrepassarono e ferii la mia amata. Sentii le sue grida disperate.

Via, presto!’ tuonò una voce maschile dal forte accento americano.

Maggie gridò il mio nome.

Zhùt, o così sperai che fosse, le portò lontano da me.

 

Ci separammo... per sempre.”

 

 

Perché condividere questa parte della storia di Philipp Lloyd?

Ho trovato questo passaggio azzeccato al seguito delle mie vicende.

Quella mattia, dopo la notte di bevute trascorsa in compagnia di Anna, mi risvegliai da un incubo simile. Avorio, con gli occhi sgranati su me, m’invito a darmi una svelta. Era quasi ora di pranzo.

Trovai Anna seduta al tavolo della cucina.

Stava contemplando il quadro di Zhùt.

La mia borsa era su una sedia, gonfia di vestiti puliti, e ne approfittai per depositarvi il Diario e il portatile.

“Raccontami tutto quello che è accaduto, Philipp. Dal principio”, pretese.

“Che succede Anna?”

Lessi nel suo sguardo qualcosa che mi allarmò. Eludeva il contatto visivo.

“Hai ucciso tutte quelle persone credendo di sfuggire a questo essere?

Decisi che sarebbe stata cosa giusta e buona condividere con lei le mie esperienze. Lo meritava, dopo tutto quello che aveva fatto per me. Tornò ad essere un cubo di ghiaccio, impassibile anche nella parte più oscura del mio racconto. Ci volle tutto il pomeriggio per dare le mie spiegazioni; quando terminai con l’incontro che avevo avuto proprio con lei, sotto il salice, fuori era calata la notte.

“Non mi credi…”

“Sai anche tu che è impossibile crede a tutto quello che hai detto, Philipp. Alcune cose le hai fatte davvero, perché ne parlano anche i telegiornali.”

“C’è un motivo…” provai a spiegarmi, ma compresi subito che sarebbe stato inutile. “Credo non ci sia altro da aggiungere, allora. Ti ringrazio per l’ospitalità, Anna.”

“Non sta a me giudicare”, disse alzandosi. Poi, guardando il dipinto con disgusto, aggiunse: “Questo puoi tenerlo…”

“La trovo un’opera incredibile, Anna! E sarei onorato di portarla via con me, ma non è una cosa che posso fare al momento.”

“Mi aiuteresti almeno a rimettere il dipinto in cantina? La sua vista mi disturba!”

Dopo aver messo la borsa a tracolla, accolsi la sua richiesta.

Coprii il quadro con un telo e lo posai vicino a tanti altri. Provai un gran dispiacere nel farlo, anche se Avorio, che mi aveva seguito, ne parve sollevato.

“Sei stata un’amica…” non feci in tempo a dire, quando udii lo schiocco metallico del carrello di un fucile. Anna mi stava puntando contro una carabina!

“Stai dove sei!”

“Anna…” mormorai il suo nome con rassegnazione. “Perché?”

“Ho provato a capirti. Sei buono, ma una parte di te è fottuta, Philipp. Ho visto molti pazienti, e tu hai tutte le ossessioni tipiche della schizofrenia. Non volermene, lo faccio per il tuo bene.”

“Sei fuori di senno, Anna?”

Lei, arretrando sino alle scale con il terrore negli occhi, impostò il telefono in vivavoce e digitò il numero dei carabinieri. Mi denunciò, sottolineando il fatto che mi tenesse sotto tiro. Quando chiuse la chiamata, il telefono le sfuggì di mano. Quando si chinò per raccoglierlo, provai a muovervi verso di lei.

Anna esplose un colpo, facendo saltare in aria un cesto di biancheria.

Rimasi vagamente assordato.

“Non fare un altro passo!”

Mi ritrovai in trappola, nella casa di una persona che sino a quel momento avevo ritenuto amichevole!

Sapevo che i Carabinieri si sarebbero precipitati sul posto: se non avessi fatto qualcosa, sarei finito in prigione e tutti i miei sacrifici sarebbero stati vani!

Presi l’unica decisione possibile...

 

Ho scritto molto anche oggi.

Devo andare…

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

 

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Capitolo 48
*** 26 Aprile ***


26 Aprile 2021,

 

 

Inserisco la data, ma sappiamo bene che questa formula è del tutto insensata nel contesto che stiamo affrontando. Siamo un po’ come nella soap opera Beautiful, dove una singola conversazione può durare, spesso in modo del tutto sconnesso, per molti episodi? È una forma di vizio dettata dal mio modo bizzarro di farvi credere che questa storia sia reale?

No, è semplicemente una strategia, ma mi pareva di averlo già accennato nei giorni precedenti.

Volete tornare indietro per controllare?

Come? Temete che possa aver alterato i capitoli precedenti, solo per avere ragione?

È l’ultima volta che adopero questo stile in forma di diario. D’ora in poi sarà solo un continuo scorrere di quanto deve accadere per voi, ma che è già accaduto per me. È sempre stato così, in un certo senso. Ora più che mai.

Scrivere non è semplice… e mi sembra di star facendo ritorno agli inizi di questa stramba avventura. Non riesco a spingermi troppo oltre con la scrittura giornaliera, e quindi non potrò dirvi sin dove sono arrivato nel tempo adeguato per farvi comprendere appieno lo svolgimento dei fatti.

Torniamo però a quel momento sospeso, due giorni fa, nella cantina di Anna.

 

 

Il fucile di Anna puntava contro il mio busto, a differenza del suo sguardo, che indugiava sulla figura di Avorio: il gatto aveva fatto un balzo in avanti verso di lei, probabilmente scosso dal terribile boato dell’arma.

Sapevo di avere ben poco tempo a mia disposizione, quindi approfittai della sua disattenzione per cominciare a muovervi di pochi passi.

“Fermo dove sei!” tuonò Anna. “Fermati!”

“Anna! È solo un gatto!” cercai di scongiurare il peggio.

“Può aver ingannato te, ma non i miei sensi…” ringhiò, e puntò la canna sul povero Avorio.

“Anna… torna in te. Cosa può averti fatto quel gatto? E hai coraggio di dare a me del folle… Perché mi hai denunciato?”

Riuscii a farle distogliere l’attenzione del gatto che, in un certo senso, parve intuire le parole fossero dirette a lui; rimase fermo dov’era, ma continuando a studiare la donna quasi fosse una preda.

“Hai compiuto una strage, (mi chiamò per il mio vero nome)” disse disgustata. “Ho voluto concederti il beneficio del dubbio, ascoltando le tue parole. Ho avvertito solo profonda tristezza nelle tue parole, e un’eccessiva dose di pazzia. Quel ragazzo nel vicolo… è solo l’ultimo dei tuoi crimini. Anduin… credi di averla abbandonata in quei sotterranei, eppure hai ammesso di esserti convinto del fatto che lei sia morta. Io credo che tu l’abbia uccisa. Io ritengo che questo Uomo Ombra, o donna che sia, incarni in realtà una tua seconda personalità; ma la tua mente, incapace di sopportare certe azioni, si è protetta inventandosi un persecutore. Tu stesso hai raccontato di aver avuto dei veri e propri vuoti di memoria, di esserti ad esempio addentrato nella casa del vicino, ma poi esserti ritrovato nel bagno. È irreale, come tutto il resto del tuo racconto. Devi aprire gli occhi!”

Rimasi impietrito dalla psicanalisi che fece di me, tanto che anche io avrei potuto convincermi che la sua chiave di lettura potesse essere l’unica credibile. Rimasi ad ascoltarla, nel pieno del fiume di emozioni che, come un bizzarro computer, aveva estrapolato dai miei racconti e dal mio passato.

“Devi accettare il fatto che sia tutto frutto della tua mente. Il dolore, dalla morte di tua madre, ha cominciato a manifestarsi in modi violenti, portandoti a compiere delle azioni che anche tu stesso hai trovato il coraggio di condannare. Ho letto il tuo diario online. È bastato cercare questo nomignolo che ti sei dato, per arrivare a tutta la storia che mi hai raccontato. Ma certe cose non coincidono con quanto ricordi. Hai pensieri confusi, distorti.” Anna abbassò il fucile, tenere quel genere di arma sempre puntata non era di certo un gioco da ragazzi. Il peso rischiava di rovinarle la mira, nel momento in cui avesse deciso di spararmi. “Credi che sia stata istituita una cellula di terroristi, pronti a catturarti… per ucciderti. Sembra che non siano affatto interessati al Diario che ti tormenta dall’inizio di questa tua folle avventura. Questo Philipp Lloyd non è mai esistito. Non c’è una traccia della sua storia, o di questa famosa abazia di cui hai tanto parlato. Si sarebbe venuto a sapere dei corpi, dopo tutti questi anni. La notizia avrebbe fatto scandalo!”

“Hai letto è sentito solo quello che ho voluto raccontarti, Anna. Non è tutta la storia. Tu non hai letto quel Diario sin dal principio.”

“Ti sei fatto abbindolare da una storia di fantasia. Non voglio penalizzarti, ma aiutarti. Mi esporrò per venirti a parlare ogni volta che vorrai, in carcere. Troveremo una soluzione. È l’unica promessa che posso farti” lessi nel suo sguardo una voglia matta di premere quel grilletto. Dai suoi occhi traspariva un terrore giustificato; io stesso avevo avuto paura di me stesso.

“Lo faccio anche per te, Anna. Adesso verrò lì, e tu mi terrai sotto tiro sinché non sarò fuori da casa tua. Me ne andrò dalla tua vita per sempre…”

“Non fare un altro maledetto passo!” gridò, sollevando di nuovo il fucile. “Non scherzo! Fai un solo passo, uno solo, e dovrò venire a parlarti dall’alto della tua lapide…”

Tremai dalla punta dei capelli a quella dei piedi.

“Anna, io so che non vuoi farlo. Dentro di te, nel profondo, sai che quello che ti ho raccontato è l’unica verità possibile. Difficile da credere, lo ammetto, ma l’unica esistente. Non posso permettere all’Ombra di trovarmi. Non posso consentirle di rientrare in possesso del Diario. So che vuoi credermi… lasciami andare” la scongiurai arrivando a mettermi in ginocchio, e nel farlo guadagnai mezzo metro. “Se mi è concesso scegliere: preferisco morire per mano tua, qui, ora; perché ho visto quello che tu hai dipinto, e non intendo morire in quel modo. Come te lo spieghi, Anna?”

Lei tremò, indecisa sul da farsi; le lessi negli occhi la volontà di lasciarmi andare, ma una profonda morale la guidava verso la sua personale interpretazione.

“Hai rapito tu quei bambini. Se ti lasciassi andare, non me lo perdonerei mai. Preferisco ucciderti con le mie stesse mani, assumendomi tutto il peso della tua morte, invece di leggere che altri bambini sono scomparsi dalle loro culle” e nel dirlo iniziò a risalire i gradini. “Non crederò più alle tue fantasie.”

Avorio piegò la testa in mia direzione, con gli occhietti tristi, lanciando un miagolio che sapeva di avvertimento, come se tentasse di prepararmi a qualcosa. Iniziò poi a muoversi verso Anna, provocando un suo più rapido indietreggiare su per le scale, sinché il gatto non balzò in avanti, trasformando il suo passo in una corsa.

Anna scivolò sullo scalino, dal fucile partì un colpo che riecheggiò per tutta la stanza, imponendo l’oscurità assoluta. La lampadina, colpita, cadde come una pioggia di cocci di vetro poco davanti a me.

L’urlo disperato di Anna seguì quell’attimo di totale sordità, poiché lei, a mia differenza, poté vedere quello che stava accadendo proprio davanti ai suoi occhi.

Io udii solo un tetro scrocchiare di ossa, un lamento ferino, gorgogliante, e il dibattersi di qualcosa contro le scale. Pensai subito al peggio.

Anna pigiò il grilletto altre sei volte, innescando il solito scatto metallico a vuoto.

Quel verso animalesco nell’oscurità tacque.

“Ti prego…” mugolò Anna tra le lacrime.

“Puoi… credere?” disse una tetra voce gutturale.

Rabbrividii a mia volta. Pensai subito al fatto che, nonostante tutti i tentativi, alla fine ci avessero trovati.

“No… non è reale…” disse Anna, indietreggiando. Vidi la sua sagoma uscire dalla cantina a ritroso, come una sorta di creatura informe; poi, una seconda, umanoide, la seguì con il fucile tra le mani. Udii il rintocco di stivali sugli scalini.

Forzai me stesso a correre su per le scale per raggiungere la sala.

Quando fui sotto le luci soffuse del salone, non potei credere ai miei occhi, benché una parte di me avesse sempre creduto a quella connessione in apparenza insensata.

Anna, ancora carponi, si era avvolta attorno a una poltrona come in cerca di un riparo; un uomo, alto, dai lunghi capelli neri macchiati di bianco, con indosso una vecchia mantella d’altri tempi, dotata di cappuccio, le stava proprio davanti con il fucile in mano. Portava degli stivali che si lasciavano dietro macchie di fango.

Era colui che mi aveva perseguitato per tutto il tempo?

Mi sforzai di dargli le spalle e guardare verso le scale della cantina, alla ricerca di Avorio. Non c’era alcuna traccia del suo corpo.

“Hai… grandi…”, l’essere si schiarì la gola, come se parlare gli fosse del tutto nuovo. Ne venne fuori un suono più gradevole del precedente: “poteri… Anna.”

Gli girai attorno, e ciò che vidi mi lasciò senza parole: Anna lo aveva dipinto, poiché una parte di lei aveva saputo scorgerlo attraverso quel suo inganno. Zhùt lo sciamano era nel suo salotto in carne e ossa. Parlava italiano, anche se con una certa difficoltà e un vago accento americano.

Quegli occhi bianchi indugiarono sulla mia figura, e li avvertii proprio come erano stati descritti da Philipp Lloyd: capaci di penetrarti l’anima.

“Avete… molte… domande…” proseguì, appoggiando a terra il fucile. “Poco… è… il tempo. Dobbiamo… andare!”

Anna, ancora sconvolta, indicò col dito tremante il capanno poco fuori da casa sua.

“Il motorino. Prendetelo”, ci consegnò le chiavi.

Mi tornò in mente il fatto che le forze dell’ordine sarebbero arrivate da un momento all’altro, forse anche con l’ausilio degli elicotteri. Non avevo mai utilizzato un motorino, non da quando ero diventato adulto, perlomeno. Con le vecchie amicizie avevo quasi rischiato di ammazzarmi…

Zhùt mi invitò a darmi una svelta con un’inconfondibile cenno della mano.

Il primo pensiero che mi sfiorò riguardava la sua età: com’era possibile che fosse ancora vivo? Altre domande, specie riguardo la sua transizione da animale ad essere umano, si accavallarono man mano che cercavo di avviare la moto. I cani mi vennero dietro come se fossi il loro padrone, uggiolando alle mie mancate attenzioni.

Avviato il mezzo, rischiando più volte di scivolare sul fango, mi fermai davanti alla porta di casa. Anna era sull’ingresso insieme a Zhùt.

“Molte verità… tuo figlio è nel flusso vitale… Non è tornato per sua scelta. La sua anima aveva compiuto il suo ruolo. Ora so: era di guidarti a noi.”

Anna esplose in un pianto feroce, liberatorio, accasciandosi lungo la porta.

“Dobbiamo andare!” Ricambiai a Zhùt il medesimo avvertimento.

 

 

E così, con più risposte e domande di quando eravamo arrivati, io Avorio (Zhùt) montammo in sella e tentammo la fortuna sulla strada…

 

Per oggi ho scritto abbastanza… con una sola mano è sempre più difficile.

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd.

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Capitolo 49
*** Il tempo stringe... ***


Il tempo stringe,

 

 

Se mi avessero detto che ad un certo punto della mia vita mi sarei ritrovato in sella ad un motorino, di notte, su strade infangate e male asfaltate, con uno Sciamano, indiano d’America, aggrappato alla vita, probabilmente avrei riso in faccia a questa persona. Avrei poi vuotato il bicchiere, e avrei ordinato un altro giro per tutti.

Invece, per tutto il tempo non ho fatto altro che chiedermi in che modo fossi riuscito a ficcarmi in quella situazione, tra un colpo di cuore e l’altro, ogni volta che le ruote del mezzo s’inabissavano in pozzanghere lunghe come piscine olimpioniche: il buco sbagliato ed entrambi avremmo imparato a volare, ma solo per un brevissimo e glorioso momento, prima di sfracellarci sulla strada; con il cuore in gola, poi, quando alcuni mezzi della polizia ci sfrecciarono accanto, facendoci letteralmente la doccia.

“Perché non torni nella forma di gatto?” ricordo di aver chiesto quando fummo finalmente su una strada decente.

“Non è… semplice” tuonò Zhùt nel mio orecchio.

“Philipp ti ha descritto capace di farlo con una certa rapidità.”

“Ero… giovane”, rispose lo Sciamano, poi rise alla sua stessa battuta, una risata goffa, come se fosse per lui la prima volta.

Decisi d’ignorarlo per il resto del viaggio.

Ci fu tutto il tempo per parlare più avanti, e ammetto una parte di me lo aveva preferito in forma di gatto.

Lasciate che ora vi racconti un po’ del vero Philipp Lloyd…

 

 

Giorno…? Anno…?

 

Quando non ci resta altra opzione che attendere un momento specifico, il tempo pare non scorrere più: rimaniamo sospesi in un periodo che elude il consueto flusso della vita; le ore si spalmano in settimane, i giorni in mesi e le settimane assumono il peso di anni trascorsi ad attendere quel determinato evento. È solo una mia impressione, o è cosa comune all’intera umanità?

Ho avuto parecchio tempo per riflette sui miei gesti, su ogni mia singola azione. Quante volte ho ripercorso i pentagonali cunicoli della Ziggurat a Providence? Quante volte ho veduto i miei compagni di sventura morire davanti ai miei occhi, e quanto dolore ho provato nel subire l’influenza del Prof. Poegrim? Il senso di colpevolezza è difficile da scacciare, quando sei l’unico essere vivente in un’abazia infestata dagli spettri.

Dapprima è stato un lieve mormorio, facilmente superabile grazie allo scoppiettio della legna nel camino, ma quando arrivò a riecheggiare per ogni stanza del tempio, ovunque andassi avvertivo la loro presenza. Bramavano il mio sangue, vendetta!

L’unica cosa che mi convinse a non battermela in ritirata fu il pensiero che la mia dolce Maggie sarebbe stata al sicuro, fintanto che avrei attirato su di me l’attenzione dell’Ombra. Sarebbe venuta per me, e l’avrei fronteggiata. Il ritorno di quegli spettri – e per questo non occorse il consiglio dello Sciamano – era legato alla vicinanza dell’entità. Il male rispondeva al suo sensuale richiamo, e probabilmente contribuì a guidare il Widjigò alla mia porta.

Sapevo con certezza che niente avrebbe potuto proteggermi da quegli esseri, tanto meno le croci che trionfavano ovunque all’interno dell’abazia; e decisi che avrei affrontato il mio destino al meglio della mia intelligenza. Non mi sarei arreso per niente al mondo.

Per un certo periodo iniziai ad avere incubi terrificanti, fin troppo realistici. Non mi basterebbe un secondo diario per raccontarli tutti; per quanto differenti nello svolgimento, erano accomunati da un epilogo crudele, efferato: morii tante di quelle volte che un uomo normale sarebbe stato indotto a cercare da sé la morte. Per quanto mi riguardava, invece, era un lusso che non mi sarei mai potuto permettere.

Poi, in un giorno che ebbi l’impressione non sarebbe mai sorto, ed in un certo senso fu così, perché non vidi mai il sole, l’Ombra giunse all’abazia.

Una coltre oscura si raccolse a strozzare il cielo nella sua tetra morsa, accompagnata da una fitta bruma e da un silenzio che mi diedero l’impressione che l’intera terra avesse cessato di respirare.

Percepii nell’aria il loro odore.

Lei non si sarebbe mai presentata da sola, dopo la sconfitta che era calata sull’entità proprio per mano sua; come mi aveva anticipato Zhùt, sarebbe stata più forte, più veloce, più scaltra e spietata dell’ultima che avevo avuto la sfortuna d’incontrare di persona. Hehewuti era stata una cacciatrice, una custode, in vita; piegò quelle stesse conoscenze impiegate per proteggere gli uomini proprio contro questi ultimi.

Non attesi la mia fine senza fare niente, se è ciò che si può pensare leggendo le mie ultime riflessioni. Anche io avevo un piano d’attacco.

Lei, con la certezza di avermi in pugno, venne a bussare alla mia porta. Furono cinque rintocchi da far gelare il sangue, i quali echeggiarono per tutta la struttura; furono gli spettri ad aprirla. Grazie ad un lanterna appesa di fianco all’ingresso, la vidi varcare la soglia con passo cadenzato, e non parve essere trascorso un giorno da quando avevo avuto il coraggio di abbandonarla a se stessa.

Alla fine è venuta’, ricordo di aver constatato, tornando ad utilizzare l’americano. Riesco a malapena a descrivervi l’emozione che provai nel tornare a parlarlo; a differenza della conversazione avuta con Zhùt, con lei ebbi modo di adoperare un linguaggio più elaborato; in questo avrei potuto riconoscere le terminologie di Poegrim. L’Ombra aveva finito per assorbire parte degli ospiti nella sua identità. Ma quanta parte restava di essi? Difficile dirlo.

Eravamo illuminati da quelle sole due luci, una accanto all’ingresso, una nella mia mano.

Le promesse devono essere mantenute. Ha viaggiato molto, Philipp. Ho faticato a ritrovarti. Lo Sciamano non ha saputo contenermi come di certo avrà voluto convincerla di essere riuscito; si è indebolito. La sua stirpe è condannata.’

Anche sotto forma di Poegrim era convinto di aver in pugno la liberazione del suo padrone…’

Padrone?’ ripeté facendo qualche passo in avanti, guardandosi attorno con la curiosità di un bambino che entra in un negozio di caramelle. ‘Màlk-ar-Sùm è parte di me. Io ne sono un’estensione: noi tutti lo siamo.’ Si fermò a contemplare il foro nel portone. ‘Sa bene che non posso ucciderla, Signor Lloyd. Può opporsi, e provare un livello di dolore ancora sconosciuto alla sua razza…’

Oppure arrendermi?’ domandai con una punta di divertimento. ‘Ora che mi sono convinto di essere un prescelto? Dovrà sudarsi quest’anima, se la vuole. E quando sarà ad un passo dall’averla, potrei sempre decidere di togliermi la vita’ dissi portandomi la lama di un coltello sino alla mia gola. Scorsi l’ansia nei suoi occhi vuoti Ne approfittai per fare qualche passo indietro, invitando l’Ombra a seguirmi.

Lo farebbe davvero, Signor Lloyd?’ domandò freddamente. ‘Le offro la possibilità di essere parte di qualcosa d’immenso… Eterno. Sappiamo entrambi che non intende farlo; lo avrebbe già fatto. Invece, sono trascorsi molti anni. Il suo corpo sta invecchiando… la sua anima si sta indebolendo’

Colsi le sue parole con una sorpresa che fu in parte sincera, e approfittai della cosa per fare ancora qualche passo indietro. Lei, come da programma, mi seguì, immergendosi nelle ombre. Hehewuti svanì come aveva già mostrato di saper fare nella Ziggurat. Ma nel suo movimento cercò di nascondere l’ingresso nell’abazia di qualcos’altro, che tuttavia potei sentire strisciare sulle pareti. L’Ombra aveva fatto la sua mossa.

Ha portato degli amici. Gli stessi che hanno tormentato i miei sogni?’

Era solo la realtà, Philipp Lloyd. Il dolore, l’agonia, la disperazione, potrà tutti sperimentarli, se lo desidera. Crede davvero di potersi opporre?’

Avvertii poi che l’ombra annusava l’aria; colse subito qualcosa che le fece sgranare gli occhi, che luccicarono nelle tenebre: non ebbi alcun dubbio, era l’odore di Maggie!

Dovetti agire subito, anticipando il mio piano. Non avrei ottenuto tutte le informazioni necessarie, ma avrei salvato la vita di mia figlia, nascondendo il suo segreto.

Per essere originaria dell’America, conosce poco i suoi abitanti: mai sfidare un americano!’ esclamai, schiantando al suolo la lanterna. Le fiamme divamparono lungo un vero e proprio percorso, raggiungendo i magri depositi di polvere da sparo che avevo recuperato dalle cartucce dei soldati; ci furono delle piccole esplosioni, ma fu l’olio a fare il resto, rendendo l’abazia una vera e propria fornace.

La porta d’ingresso venne avvolta dal fuoco, confinando l’essere all’interno del tempio. Vidi tutta la sua rabbia, il suo terrore per quell’elemento che così tanto mi aveva supportato nella mia prima fuga.

Sentii il mio braccio venir avvolto da un tentacolo di tenebra, e l’istinto mi guidò a tagliarlo via di netto con un singolo fendente del coltello. Un liquido nauseabondo m’investi, e quell’orribile essere lanciò uno stridio da far gelare il sangue.

Sapevo bene che mi sarei presto ritrovato circondato, tuttavia mi avventurai fuori dalla muraglia dell’abazia: l’orto pullulava creature simili a chiocciole, capaci di guaire, grandi come enormi topi,che tentarono di avvinghiarmi le gambe con i loro raccapriccianti tentatoli bavosi, emergendo dalla nebbia all’improvviso. Scivolai diverse volte, dopo aver schiacciato i loro carapaci, ritrovandomi immerso in quella melma fetida delle loro interiora.

Quali atroci versi!

Da quando Zhùt era partito, avevo preso una precauzione: uno dei pastori locali avrebbe sempre lasciato un asino poco fuori dall’abazia a partire dall’alba, e l’avrebbe portato via al tramonto.

Lo trovai.

Gli montai in groppa e mi lanciai disperato in avanti, verso una fuga del tutto insperata… alle spalle il diavolo!”

 

 

Quando fummo in una zona sicura, Zhùt si decise a rivelarmi il suo piano. Mi disse due cose particolarmente importanti: che saremmo dovuti andare a cercare i Dadi che avevo smarrito, e che avremmo iniziato a farlo dai sotterranei dove avevo perduto Anduin.

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

 

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Capitolo 50
*** Un viaggio nell'oscurità ***


Un viaggio nell’oscurità,

 

 

A fare determinate citazioni mi sento un po’ come i veri scrittori, devo confessarvelo. Pochi riusciranno a coglierla: storie perdute, e ritrovate.

Ma, come lo direbbe uno speaker radiofonico che legge la quarta di copertina del mio pessimo libro: “è un po’ la descrizione di tutto quello che mi è accaduto in questa mirabolante avventura. Vorrei ricapitolare tutto per quei pochi che sono arrivati solo ora, ma vi rendete conto quale follia sarebbe? È troppo tardi anche per questo, amico; puoi sempre tornare all’inizio, come nel gioco dell’oca, e partire da quando tutto ha cominciato ad andare in vacca.

Un capitolo al giorno, per favore.

Non esagerare, perché il rischio è sempre che la tua mente possa rimanere danneggiata dalla squisita quantità di svolte di trama e viaggi mentali, perennemente in bilico tra follia e fantasia. Un po’ come accade per le droghe, insomma.

Non è la stessa cosa, dici?

No, non proprio.

Si riparte dal via, dove tutto è cominciato.

D’ora in poi questa tratta va giù dritta nell’oscurità, senza troppe fermate. Reggetevi forte ai dispositivi, perché sarà un viaggio sgradevole!”

 

M’immagino davvero che la gente riesca a leggere tutto questo con la voce di uno speaker radiofonico?

Quanti torneranno indietro per provarne l’effetto?

Sto prendendo tempo?

Può darsi! Sapete quanto è difficile riempire la prima pagina, specie quando devi cercare di rimettere insieme i pezzi di qualcosa che hai vissuto in modo differente dall’effettivo svolgimento dei fatti e, per giunta, con una sola mano? Provateci voi!

Ora che le vostre proteste si sono quietate (schiva la bottiglia lanciata da quel brutto ceffo, proprio quello che ha saltato due capitoli perché non li riteneva importarti. Gesto sgradevole, specie verso il gentil sesso!), possiamo tornare alla mia narrazione.

Per inciso, sarà in terza persona, giusto per cambiare un po’ la prospettiva; sono certa che i più furbi tra di voi ci sono già arrivati. Vi adoro!

 

 

Philipp Lloyd e quel birichino dello Sciamano Zhùt decisero che sarebbe stata un gran bella idea tornare sul viale dei ricordi, e quel motorino scassato, rubato alla cara zia Anna, di per certo era già finito sotto l’attenzione delle forze dell’ordine. Ma il nostro eroe – se così possiamo definire chi abbandona donzelle in difficoltà – questa volta diede l’idea di aver messo un po’ di sale in zucca. Abbandonò il veicolo in un luogo direttamente opposto alla sua direzione effettiva; poi, all’alba, i due salirono su diversi autobus e un treno che li avrebbe condotti dritti alla loro meta: il palazzo che era stato acceso come un cero per commemorare i caduti alla follia dilagante di un mentecatto, a detta dei giornali.

Sul treno avevano avuto modo di chiacchierare come due vecchi amici che si ritrovano a distanza di anni, e tutto pareva essere tornato come negli anni trenta. Battute di spirito, fraintendimenti e piani per liberare questo piano di esistenza da un entità intenzionata a farne il suo kebab per merenda. Detto così riesce a dare proprio l’impressione di un film di Boldi e De Sica. So cosa state pensando, la storia appare ridicola con questo tono… ma c’è troppa oscurità da queste parti: lasciatemi portare un po’ di luce!

Ve la faccio breve: il vecchio, pur sembrando ancora giovane, spiegò al falso Philipp Lloyd che avrebbero ritrovato i dadi all’interno di quei cunicoli:

“Hai intenzione di vagare al buio, nel loro territorio?” protestò Lloyd, ma senza riuscire a guardarlo in faccia; gli era ancora difficile crederlo reale.

“Dopo le imprese che hai compiuto, hai ancora paura del buio?”, chiese lo Sciamano, masticando il terzo panino, più probabilmente il quarto, nell’arco di pochi minuti; aveva ritrovato la loquacità e la fame.

“Non ingozzarti, rischi di soffocare!” lo rimproverò Philipp, sforzandosi di contenersi nei toni per non attirare su di sé l’attenzione degli altri passeggeri. La sua voce gli diede l’aspetto di uno su una crisi di nervi. “Sì, ho una fottuta paura di quelle cose striscianti, dei matti che vogliono la mia testa e di una creatura venuta dall’America con il solo scopo di sacrificarmi in onore della sua parte mancante, così potrà continuare a divorare anime in eterno!”

“Devo nutrirmi. È molto che non trascorro così tanto tempo nella mia forma umana. Non è semplice. Il mio organismo consuma molte energie”, si limitò a dire l’indiano.

“Che fai: mi prendi anche per il culo, adesso? Dove hai imparato queste cose?”

“La lingua e la conoscenza sono una mia virtù. Ho assimilato il linguaggio dei nativi, le loro abitudini, i loro interessi. Essere un gatto ti permette di arrivare ovunque.”

“Forse non abbastanza per raggiungere il posto in cui vorrei farti arrivare… ti preferivo nella forma di gatto”, borbottò Philipp; tirò poi un lungo sospiro. “Perché solo adesso? Avresti potuto rivelarti la prima volta che ci siamo visti. Tu mi hai fatto avere quei dadi, il diario? Sei sempre stato tu sin dal principio?”

“Ti ho protetto da Màlk-ar-Sùm e il Widjigò ogni volta che ne ho avuto possibilità. Sono riuscito a tenerlo distante, il più possibile. Si, sono stato in casa tua altre volte. Per quanto concerne la tempistica, invece, non eri pronto per la verità. Saresti stato schiacciato sotto il peso delle mie scelte. Doveva essere una tua idea confrontarti con questo male. Se avessi parlato prima del tempo, tutto sarebbe stato vano. Anche il sacrificio.”

“Perché cancellare i miei appunti? Entrare nel mio computer? Quale sacrificio?” Le luci della città erano vicine.

“Scongiurare un altro Philipp Lloyd” e si soffermò a fissarlo coi suoi occhi vuoti, scuotendo il capo con dissenso. “Ma hai fatto di testa tua, ragazzo; mi arresi all’idea che potesse essere la strada giusta. Malgrado il mio impegno, non ho potuto seguirti ovunque, e il Widjigò ne ha approfittato per dominarti. Entrare in possesso del Diario non è stato facile, e ancora meno lo è stato proteggerlo; anche se hai svolto un ruolo chiave in tutto ciò. Dovresti ricordarlo…”

Philipp distolse gli occhi dai suoi. Sentì un capogiro, di quelli che aveva provato ogni volta che tentava di tornare indietro coi ricordi oppure nel leggere le storie del vero Lloyd.

“Hai bisogno di sapere come va a finire, ragazzo”, disse Zhùt nel frattempo che si sfregava le mani per liberarsi dalla farina del pane. Poi, gli porse il Diario di Philipp Lloyd dalla borsa del suo proprietario. “E, una volta trovati i dadi, ti sarà possibile tornare a quell’episodio della caverna. Io ero lì... con te.”

Philipp si torse le mani per resistere al dolore che gli tormentava le tempie. Ancora una volta ripeté quella domanda: “Come fai ad essere sicuro che sia nei sotterranei?”

“I Dadi sono stati tirati.”

Il treno si fermò.

 

Ok, ok! Non è stato così breve quanto avevo promesso, ma saltare alcuni paragrafi avrebbe creato dei buchi di trama, e per voi sarebbe stato impossibile comprendere alcune scelte fatte da questi ragazzoni.

 

Il palazzo dove risiedevano tutti i ricordi di Philipp era di nuovo davanti a lui. Un lato era crollato sul fianco, danneggiando anche la palazzina accanto. Vi erano nastri di protezione e reti per impedire l’accesso ai non autorizzati ai lavori, che chissà quando sarebbero stati avviati. Intere famiglie erano state spezzate in quell’incendio, e negli occhi di Lloyd bruciava un dolore che si tramutò in un liquido salato, che sgorgo sulle sue guance barbute e si tuffò sull’asfalto lavato di recente dalle forti piogge.

“Posso sentire il loro dolore… Sono vittime di una ragione più grande, anche se essa non le giustifica”, mormorò Zhùt, affrettandosi subito a recitare una bassa litania nella lingua dei Pokanoket.

Philipp ripensò alle ultime parole di Anna. Anche nella certezza del suo operato, dopo l’apparizione di Zhùt, il dubbio che fosse tutto frutto della sua mente continuava ad insinuarsi tra le sue riflessioni.

“Il rimorso: questo distingue chi persegue la via dei giusti dal criminale. La riuscita del nostro piano salverà molti, anche se non tutti. Ma sarà un inizio”, lo confortò lo Sciamano, posandogli una mano sulla spalla; era una cosa nuova per Philipp. Poi, l’indiano si addentrò tra le macerie, avviandosi per la rampa di scale che era sopravvissuta miracolosamente al disastro. I muri erano anneriti, sgretolati, a tal punto da far pensare che l’intera struttura sarebbe potuta venir giù da un momento all’altro.

Philipp seguì lo Sciamano nel suo pellegrinaggio; entrò in quella che era stata casa sua: il salone e la cucina erano svaniti, e proseguì verso la camera, la cui porta era stata consumata dal fuoco. Nel bagno, i sanitari erano stati devastati dalla caduta dei piani superiori. Philipp ricordò dove aveva nascosto il Diario sin dal principio, e vide che proprio lì era atteso.

“Avanti, siamo qui per questo” lo invitò Zhùt con una spintarella, fungendogli poi d’appoggio per slanciarsi verso il condotto di aerazione.

Lloyd eseguì senza porsi troppe domande.

Trovò un oggetto ruvido al tatto, avvolto in una pelle delicata. Era di forma oblunga, più stretto in una delle estremità, come se fungesse da impugnatura. Le luci dei pochi lampioni esterni consentivano a malapena di vedere, eppure riuscì a distinguere perfettamente quell’arnese. Si convisse che fosse l’oggetto stesso a profondere un quasi impercettibile bagliore vermiglio, giacché una parte di esso avesse quel colore; il resto era scuro come le tenebre.

“Da dove salta fuori?”, chiese sbalordito. Sapeva già di aver impugno qualcosa che era stato tramandato, ma diede l’impressione di non esserne conscio.

“La minaccia di questo oggetto è la verità dietro le fughe del tuo inseguitore. Lo ha creduto sempre in mio possesso. Mi conosceva, e si è ben guardato dall’affrontarmi direttamente.”

Philipp guardò Zhùt con aria stupita. “La stai donando a me?”

“Il signor Lloyd voleva che finisse nelle mani di qualcuno più degno di lui. Hai dimostrato di essere disposto a tutto per la causa. Questa è la tua ultima scelta, ragazzo: andare avanti o mollare tutto, dipende solo da te.”

“Sai mentire bene, vecchio Zhùt”, il tono di Philipp suonò struggente, frattanto che si lasciava scivolare lungo il pilastro impolverato. “Avevi previsto tutto sin dall’inizio. L’idea di far nascere questa idea in me era un tuo piano studiato per farla maturare a poco a poco, come un’infezione. Io, ora, sono convinto di fare quello farò, ma solo perché tu mi hai trascinato in questa faccenda”, sollevò poi lo sguardo al soffitto mancante. “Non continuare a ripetermi che è una mia decisione. Così come il Signor Lloyd, neanche io ho avuto scelta.”

“Non l’abbiamo neppure alla nascita, ma questo non ci impedisce di scegliere chi diverremo o cosa faremo della nostra vita.” La risposta dello Sciamano fu stranamente limpida, come se si fosse appena liberato di un peso. “Finisci il Diario.”

 

Agirono quella notte stessa.

Zhùt aveva trovato il modo di procurarsi tutto l’occorrente prima di salire sul treno.

Philipp, dopo aver concluso la sua lettura, senza accusarne più il tipico fastidio, si decise a seguirlo. Ora molte cose era decisamente più chiare. Ogni parola di Zhùt era stata soppesata bene.

Prima che possiate lamentarvi, ho intenzione di condividere con voi gli ultimi momenti del Diario di Philipp Lloyd. Le sue ultime pagine.

Non oggi, però.

 

Come vi ha anticipato lo speaker radiofonico, questa storia è un viaggio nell’oscurità.

Zhùt, da buon seguipiste, aveva lasciato che Philipp lo guidasse sino all’ingresso dei sotterranei. Non avevano atteso la notte fonda per farlo, rispettando a tutti gli effetti il coprifuoco. Considerate le molte viuzze medievali, era quasi impossibile essere notati da qualcuno nell’isolamento della città.

Non appena furono all’interno, lo Sciamano si prodigò nel mostrare a Philipp come realizzare una fiaccola in pochi semplici passi. Imbevuto il tessuto, poi, ne accese una.

“Il fuoco… questo è un elemento che non sopportano”, mormorò il ragazzo.

“Ah! Il nostro mondo ha scordato il potere degli elementi contro entità che vengono dall’esterno del creato. L’elettricità ha reso le nostre genti schiave dell’illusione della comodità”, denunciò l’indiano, molto contrariato. “Il fuoco di Tabaldak. Ci proteggerà.”

“Ora capisco quel sogno… Tabaldak è un Dio?”

“Egli è ciò che siamo. Niente più, niente meno.”

Philipp rimase molto colpito da quella concezione di entità superiore, che d’altra parte non era troppo differente dall’espressione utilizzata dalla stessa Ombra. Una parziale condivisione della stessa dottrina, ma applicata in modi alquanto differenti.

“Fammi strada.”

Zhùt lo invitò ad impugnare la pietra: era certo ne avrebbero avuto bisogno. Si avventurò poi nell’oscurità rischiarata solo dal bagliore delle fiaccole. A vederlo sotto quell’aspetto, non appariva poi cosi lugubre come la prima volta. La luce conferiva dettagli a sufficienza per riconoscere che molti ragazzini dovevano essersi avventurati in quelle strettoie ben prima di lui, anche solo per lasciare un graffito; poi, a giudicare dalle molte opere incomplete, o i fumi della vernice avevano finito per stordirli, oppure qualcosa doveva averli spaventati a morte!

Dentro le pareti cominciarono ad un udire un perpetuo zampettare, come se in un altra realtà, ma nello stesso luogo, colonie di insetti o ratti famelici li attendessero per fare scempio delle loro carni. Ma la preghiera che Zhùt aveva iniziato pareva sortire l’effetto di allontanarli almeno un po’.

Nonostante la rinnovata fiducia in lui, Philipp cercò di tenersi sempre qualche passo dietro l’indiano, tenendo ben salda la presa sulla pietra. Qualora si fosse rivelato solo un mero piano delle ombre, era convinto di poter avere il tempo d’intervenire, quantomeno per prendersi la vita dello Sciamano; ad aver accentuato il suo sospetto vi erano anche le insindacabili decisioni di Zhùt sui bivi da prendere. Philipp, invece era certo che non fossero passati in quella zona con Anduin.

La loro intrusione si rivelò tuttavia più complicata del previsto.

 

Dalle pareti improvvisamente pulsanti e tinte di quei colori tipici dello Ziggurat, sul verde e viola, cominciarono a dibattersi tentacoli dentati, o sarebbe forse più corretto definirle radici. Li frustarono, arrecandolo loro numerose ferite. Il sangue aveva il potere di scatenarle.

“Vai avanti!” protestò Philipp, agitando il fuoco e al contempo la pietra. Se la prima ardeva con una certa difficoltà quelle protuberanze d’ombra, la seconda era in grado di tagliarle come fossero burro. Getti di quel liquido putrescente li investirono, rendendo i nostri eroi più lenti e scoordinati.

Più Philipp recideva quegli arti, più questi continuavano a sdoppiarsi e triplicarsi. Gli riuscì però di liberare Zhùt e consentirgli così di prendere la prossima svolta; gli esseri gli andarono dietro.

Lloyd si ritrovò solo.

Udì quel suono di zoccoli echeggiare nel cunicolo, sempre più forte, sempre più rapido. Questa volta, però, non udì alcuna accelerazione nel suo passo. Era costante, e forse ciò lo rendeva ancora più snervante!

La stessa identica scena della sua precedente incursione.

Andarsene o continuare?

Sarebbe da sadici concludere in questo modo, non è vero?

 

 

Philipp si appellò a tutto se stesso per tornare a quanto discusso con Zhùt. Riponeva fiducia in lui, e non lo avrebbe mai abbandonato senza un valido motivo; inoltre, era stato proprio lui ad invitarlo ad andare avanti. Comprese proprio in quel momento il senso della frase che aveva a che fare con la nascita e la libertà di agire. Aveva una scelta: prese quella che l’avrebbe condotto all’origine di quel suono, imboccando il percorso opposto a quello scelto da Zhùt.

“Affrontare le proprie paure… è di questo che parlava Philipp Lloyd. Il coraggio di dominarle.” Questo si disse a denti stretti. Fu costretto ad avanzare rannicchiato, ma non si diede per vinto, neanche quando quelle pareti pulsarono, quasi volessero intimargli di tornare indietro.

Il rumore di zoccoli si placò.

 

Philipp sgusciò fuori dal cunicolo con il cuore in gola. Schivò per pura fortuna una spranga di ferro che andò a sbattere su un tubo, liberando un getto di vapore che ustionò il suo aggressore. Il suo corpo reagì d’istinto, affondando più volte nelle carni, che la fiamma della fiaccola gli avrebbe rivelato umane, la pietra dotato di un’affilatura unica. Riconobbe i vestiti, fintanto che il fuoco non li avviluppò interamente, così come era accaduto ad altri prima di lui: erano gli stessi indossati dal fanatico che aveva provato ad ucciderlo!

Non portava ai piedi nessuno zoccolo, dunque lo escluse dalla lista. Con il terrore negli occhi, l’adrenalina lo spinse poi a seguire il corridoio, mentre i lamenti agonizzanti del suo aggressore finivano per spegnersi insieme alle fiamme.

Le pareti si fecero improvvisamente impalpabili.

Sentì che l’Ombra era vicina.

Spuntò in una sala pentagonale, alla quale erano collegati altrettanti cunicoli. Pareva una di quelle descritte da Philipp Lloyd nell’esplorazione del tempio. Tre individui incappucciati lo attendevano, delle luci portatili agganciate alla vita, probabilmente terrorizzati tanto quanto lui. Proteggevano qualcosa inchiodato a terra.

Philipp sentì di nuovo rumore di zoccoli. Questa volta, però, individuò la fonte tra i suoi nemici. Non erano esattamente degli zoccoli a provocarlo, bensì dei dadi – quei tre dadi! - stretti tra le falangi di una mano inguantata di radici, i quali impattavano ritmicamente sul pavimento. Erano d’ossa, così come aveva raccontato il vero Lloyd.

Seguì con lo sguardo l’avambraccio, il gomito scomposto e la spalla dislocata che erano vittime di quella chiara estensione dell’Ombra, analoga alla stessa descritta nella Ziggurat. Da un bozzolo emergeva un volto femminile, livido.

Philipp spalancò la bocca in un grido furioso, scagliandosi contro i suoi avversari:

“Anduin!”

 

 

Ho scritto troppo per oggi...

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

 

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Capitolo 51
*** L'ultima pagina del Diario ***


L’ultima pagina di Diario,

 

 

Il mio stile proprio non vi piace, eh? Quante lamentele!

Ebbene, mi sono vendicata con un piccolo spoiler, giusto per iniziare col piede giusto. Non ho la stessa capacità e la visione per raccontarvi in tutto e per tutto quanto è accaduto. Ma l’ultima parte è già stata scritta. Ha deciso di tenerla da parte, in modo che possiate leggere quanto è accaduto secondo la sua personale interpretazione. D’ora in poi, invece, si tratterà semplicemente del mio racconto, tramandato dal suo, di racconto. Di certo ci sarà qualcosa d’inventato, o per meglio dire esagerato, e forse potrò eccedere nel rappresentarvi diversamente gli episodi; tuttavia proverò ad imitare lo stile di chi avete conosciuto sin dal principio.

Sua è, d’altra parte, la storia.

 

 

Giorno ultimo, Anno finale,

 

Come vuole insegnarci la storia, non tutti i viaggi degli eroi terminano nello stesso glorioso modo. Qualche volta le tenebre hanno da prevalere sulla luce, perché l’eterno conflitto possa perdurare e svilupparsi. Ardua è tale visione, sincera nell’arrendersi ad una verità ineluttabile: la nostra stirpe ha necessità del male tanto quanto del bene. Mi voglio correggere: le anime che dominano il flusso vitale; noi, corpi fatiscenti, destinati alla polvere, non siamo altro che involucri adibiti ad ospitare millenarie entità per il tempo necessario. Poi, ci sgretoliamo nel conferire ad esse nuova libertà.

Ho vagato molto dall’ultima volta che ho trovato il coraggio di scrivere dei miei viaggi. Potrei sostenere di non averne avuto il tempo, ma sarebbe una menzogna. Non ho scritto perché ho temuto che le mie imprese potessero risultare del tutto insensate per chiunque brandisse questo mio diario quasi fosse una bibbia. Prima della fine, intendo spiegarvi il mio piano e quello Zhùt.

Che ci crediate o meno, è possibile rifuggire il male più a lungo di quanto non si ritenga plausibile. Per farlo, ho dovuto abbandonare l’Italia.

Quanto il bene superiore può accettare un efferato susseguirsi di malignità?

Io, quel che scelsi di fare, lo feci con la consapevolezza che questo male avrebbe gravato sulla mia coscienza. Lo avrei ricordato, ma non solo io. Non sono mai stato io il bersaglio delle mie azioni. Le mie mani si sono sporcate di sangue, quando la vita mi ha costretto a sopravvivere senza un soldo, alla deriva in terre straniere.

Ho conosciuto molti buoni esseri umani, ma ho trascorso il mio tempo tra i diavoli. Ogni notte è stata un perenne scontro con le forze di Màlk-ar-Sùm; quanti alleati sparsi ovunque: la sua rete si estende su tutto il globo.

Confesso di aver dormito meno della metà consigliabile per un essere umano, e questo ha col tempo contribuito a rendermi schivo, ossessionato dalla mia missione. Quando dormivo, poiché stremato da giorni di viaggio, tendevo ad avere incubi tali da risvegliarmi poche ore dopo, grondante di sudore e ferito. Non potendo trovarmi nel piano fisico – il più delle volte – i suoi seguaci s’infiltravano nei miei sogni, dove la mia anima era più vulnerabile, cercando d’immobilizzare il mio guscio terreno. È difficile da credere, e posso comprenderlo.

Altre volte, ed è stato in questi casi che ho imparato l’importanza del fuoco, ho dovuto scontrarmi con loro, affrontando le mie più oscure paure. Ciò che ho appreso da questa angosciante esperienza è che convivere nel terrore rende gli esseri umani immuni alla paura; ci trasformiamo in belve pronte a sfoderare gli artigli, anche quando non è necessario.

Questo mio assurdo pellegrinaggio, a distanza di due anni da quando abbandonai la mia famiglia, si rivelò invece un disperato tentativo della mia anima di diffondere la verità sulla minaccia di questa entità giunta da altri mondi, o addirittura da altre realtà. Essa è un solo flusso, proprio come il nostro, e per risvegliarla da suo lungo sonno occorrono più sacrifici di quanto avessi ritenuto in principio.

Ho preso nota di tutti i luoghi conosciuti, avvicinandomi di volta in volta a nuovi pericoli. Dopo altri cinque anni, mi ritrovai così tallonato dalle forze oscure che mi convinsi di non avere via di scampo. Invece, il mio risveglio interiore mi condusse tra le braccia di individui dotati di una luce unica, nascosti tra le montagne del più segreto oriente.

L’anima parla per mezzo di una lingua primordiale, è questa la verità; loro mi resero conscio di non essere l’unico a stare affrontando questa battaglia, benché il mio ruolo in essa avesse una sensibile importanza. Io sarei stato l’avvio al suo risveglio. Compresi in quegli anni il senso della terribile esplosione al termine della guerra.

Tuttavia, il mio corpo terreno, quasi dieci anni dopo, è arrivato al suo limite. Le gambe non sono più leste come una volta, il mio unico occhio funzionante, l’altro lo persi in uno scontro, vede poco e male; le braccia non hanno più la forza di opporsi ad una simile tenebra, e il mio cuore non regge più gli sforzi di un tempo. La vecchiaia mi condanna ad arrendermi!

I giorni lontani all’interno della Ziggurat sono ancora così vividi; ho nostalgia del Professor Poegrim, e ancora provo un’estenuante rammarico per la sorte che spettò alla mia compagnia di spedizione. Ma tutte le storie mortali hanno bisogno di un epilogo.

Questa sarà la mia condanna, benché abbia la fortuna di sceglierne la risoluzione.

 

(Da qui in poi l’intero testo è scritto col sangue)

 

A te, che leggerai quanto segue.

Il mio abbraccio ti giunge da lontano, stringendoti forte. Ho la speranza che questo Diario possa raggiungerti, ovunque tu sia, in qualsiasi epoca. Sarà forse un custode a condurlo a te, ma molto probabilmente dovrai strapparlo dal mio stesso petto, poiché sono certo che avrò la premura di rientrarne in possesso; mi appartiene, e in questo sangue è contenuta la chiave del mio piano. Zhùt, a cui ho affidato il compito di ritrovarlo, quando sarà necessario, conosce già il mio progetto. Scrivo nella speranza che l’Ombra non comprenda tutto sino al momento del mio trapasso.

Tu, chiunque tu sia, sei la mia eredità. Il mio lascito.

Nelle tue vene scorre una parte del mio sangue. A te, con rammarico, chiedo di chiudere una volta per tutte il ciclo di questa entità, e spezzare così la catena che ho imposto sui miei stessi eredi. In ognuno di essi, sinché la stirpe non sarà annientata, graverà il tormento di Màlk-ar-Sùm.

Come credo di aver già ripetuto in altre occasioni, Padre Alberto aveva ragione: l’oscurità è in me. In quella Ziggurat, per errore, distruggendo il corpo fisico del Prof Poegrim, una parte della sua oscurità si è trasferita in me. Per questo non può semplicemente uccidermi, ed è per questo che non potrà uccidere neanche te, senza prima portare a termine il rituale.

Per fare ciò avrà bisogno della mia anima, e dunque anche della tua.

Ti perseguiterà sinché non riavrà indietro quel frammento di sé; e per farlo seguirà il tuo odore.

Ma devo metterti in guardia, mio erede: il mio piano prevede che sia io stesso ad ereditare quella medesima oscurità che intendiamo combattere. Per questo distruggerò una volta per tutte il corpo di Hehewuti. Così nascerà un nuovo Uomo Ombra.

Sarò io a darti la caccia.

Per quanto riguarda questo diario, non è solo una testimonianza del mio vissuto. Come precauzione, sto applicando il mio sangue, sino allo stremo delle energie, per custodire un frammento della mia anima, e dunque anche della sua. Questo diario è il filatterio di Màlk-ar-Sùm, e potrà recuperarlo solo per mezzo del rituale, col tuo sangue, dunque dovrà avervi entrambi.

Se da un lato questo lo renderà più vulnerabile e mansueto, dall’altro sarà più potente, indistruttibile. Saprai cosa sarà opportuno fare, alla fine. */

 

*/ Ho utilizzato un inchiostro speciale per nascondere una mappa. Sono certo ti tornerà utile.

 

È il mio addio. Sento che Hehewuti è vicina.

Inizia la mia battaglia, allo stremo delle forze.

Questo diario finirà ed inizierà con il sangue, per sigillare la mia promessa.

Questo è stato il Diario di Philipp Lloyd.”

 

 

 

Philipp Lloyd caricò a testa bassa quel gruppo che aveva attentato alla sua vita.

Colpì senza remore, e la pietra donatagli da Zhùt squarcio il fianco dell’avversario con una facilità disarmante. Gli altri due, colti dal panico, tagliarono la corda ancor prima che potesse avventarsi su di loro. Di certo, non erano quei crudeli assassini che egli aveva creduto.

“Fermo!” esclamai, quando lo vidi pronto a lanciarsi all’inseguimento.

“Anduin!” I suoi occhi versarono lacrime disperate, mentre mi baciava la fronte fredda. “Cosa ti hanno fatto?!”

Mi liberò la bocca dalle radici, ma queste risposero stritolando il mio corpo. Il mio urlo echeggiò per tutto il sotterraneo. Ero stata tenuta in vita, nutrita con lembi di cadaveri e sangue, per un unico scopo: farmi trovare da lui. Ero stata costretto da quella sua estensione a tirare i dadi all’infinito, così da attirare in quella trappola anche Zhùt.

“Devi tagliarlo…” dissi con voce strozzata. “No… non le radici… il braccio!”

Lui mi guardò con orrore. Scosse il capo.

“Morirai”, valutò le mie condizioni critiche, ma più tempo trascorrevo legata al braccio, più intenso era il dolore.

“Fallo!”

Lo vidi riscaldare la pietra sulla fiaccola: si arroventò quasi subito, tanto che anche lui rimase scottato. Nonostante il dolore, prese coraggio e affondò la lama infuocata sulla mia pelle; gridai così forte da perdere conoscenza quasi subito. Le radici bruciarono all’istante, esalando un fetore asfissiante. Uno schizzo di sangue, scuro come la tenebra, investì il suo volto immortalato in una straziante espressione di tristezza. Continuò a tagliare sinché non avvertì lo schiocco dell’osso, e andò oltre sino ad amputarmi l’intero braccio. Cauterizzò poi la ferita con la stessa pietra, ancora incandescente.

Pur credendomi morta, mi liberò dal bozzolo, e pianse sul mio corpo.

“Così legato ad un essere mortale… lo sono stato anche io”, proferì una voce cavernosa, tetra, nell’oscurità. Un paio di occhi intensi come tizzoni ardenti baluginarono sul fondo di uno dei cunicoli. Nelle pareti s’iniziarono ad udire viscidi passetti.

“Sono qua per porre fine alla tua esistenza!”

“Questo non è plausibile, mio coraggioso amico.” Dei tentacoli dentati vennero vomitati fuori dalla parete, avviluppando le braccia di Philipp. La torcia gli sfuggì, tuttavia non lasciò mai la presa sulla pietra, benché non avrebbe più potuto farne uso. “Hai seguito alla perfezione il mio programma. Hai portato il Diario, lo Sciamano e te nell’unico luogo utile alla vostra cattura. Non uscirete mai più da questi sotterranei. Oggi Màlk-ar-Sùm potrà tornare ad essere una cosa sola. Grazie a te, Enrico.”

Lui tentò di agitarsi con quanta forza avesse in corpo, ma niente lo avrebbe liberato da quella presa. Il sangue, intanto, veniva spillata rosso dagli aghi posseduti da quelle radici d’ombra.

Si udirono passi di zoccoli, man mano che quel duo infuocato si avvicinava a noi.

“E pensare che, per un attimo, ho creduto avresti avuto la forza di contrastarmi; che fossi colui al quale erano rivolte le parole del diario. È stato più semplice con tua madre, sul letto di morte, rientrare in possesso di ciò che era mio. Lei si era già arresa alla vita. È stata coraggiosa a stringere un patto con me: si sarebbe concessa in cambio di cinque anni della tua vita. E per cinque anni ho pazientato: cosa sono nell’arco dell’eternità? Tutti i tuoi parenti sono sempre morti in modi singolari, non trovi?”

“Non credo alle tue menzogne!” ruggì Enrico e, a costo di farsi del male, addentò le stesse radici che gli immobilizzavano il braccio, sporcandosi di quella fetida linfa. Aveva scordato l’effetto che poteva provocare quel siero, e cominciò ad assopirsi.

Udii in quel momento la voce dello Sciamano, ma seppi che non era reale. Faceva parte di un ricordo:

“I Dadi, Gabriela. Tu li troverai, e avrai da tirarli un’ultima volta prima che questa storia possa dirsi conclusa.”

E così, sgranando gli occhi, raccolsi tutte forze per afferrare il mio stesso braccio mozzato. Scossi la mano, e un solo dado si staccò dalle falangi, rotolando sul mio palmo esangue. Si fermò su un occhio verticale con una lacrima al suo interno.

“No!” tuonò l’Ombra, affrettandosi verso di noi. Vidi il suo corpo alla luce della fiaccola, e provai un orrore profondo!

Ma sotto di noi si era già generato un cerchio con lo stesso simbolo che avevo scorto sul dado, l’occhio assunse un colore verdognolo, mentre la lacrima sul violaceo. Ecco il trucco che Zhùt aveva utilizzato per salvare la pelle di Enrico! Il dono che il vero Philipp Lloyd non aveva mai scoperto.

Svanimmo dalla vista dell’Ombra.

 

 

Anche oggi mi sono data da fare,

 

 

Aggiornerò domani,

 

 

Anduin / Gabriela.

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Capitolo 52
*** La verità di Anduin ***


La verità di Anduin,

 

 

Ci risvegliammo come da un sogno all’interno di quella che era stata la casa di Enrico, proprio sotto il condotto dove era stata rivelata la pietra donatagli da Zhùt, la stessa che ancor ora stringeva tra le mani. Notai quel simbolo marchiato sul pavimento impolverato, ad opera di una lama sottile, il medesimo che Enrico aveva scorto nella casa del vicino e nello specchio del suo bagno.

Eravamo entrambi nudi e terribilmente scossi.

Ripensai a quanto tempo fosse trascorso dall’ultima volta che avevo visto dal vivo un uomo nudo, e il ricordo si perdeva in episodi della mia adolescenza; un’altra vita, un’altra me. Colsi sul viso di Enrico la singolare espressione crudele generata da un misto fra sofferenza e rabbia; non avrei mai voluto trovarmi al suo posto. Benché avesse discusso con Zhùt, alcune parti del piano dello Sciamano gli erano rimaste nascoste, sino al mio ritrovamento, perlomeno.

 

Dopo quella notte, avrei voluto poter tornare ad essere me stessa, ma sapevo che sarebbe stato del tutto impossibile. Enrico, nei panni di Philipp Lloyd, aveva già fatto questo discorso. Tediarvi oltre sarebbe oltraggioso.

Siete cresciuti di numero col tempo. Anche se abbiamo smesso di rispondere alle vostre mail, continuate ad inviarne… dite la verità: tornate solo perché ormai siete curiosi di sapere com’è andata a finire?

Per quanto mi riguarda, sapete già quanto è accaduto. Il mio braccio è andato per sempre. Se Enrico non si fosse premurato di tagliarlo, lo avrebbe fatto di certo un medico. Una mano in meno, una storia in più da raccontare. Ma c’è altro che dovete sapere, amici miei.

Il fatto che ci sia io a narrarvi questi fatti, però, potrebbe darvi da pensare…

Riprendiamo da dove ho interrotto.

 

 

Enrico mi scosse gentilmente dal mio sonno. Mi prese tra le braccia.

“Gabriela!” sprizzò lacrime di felicità quando aprii gli occhi.

“Mi fai male, fustacchione”, tentai di smorzare la sua preoccupazione.

“Potrai mai perdonarmi?” Vidi i suoi occhi sprofondare nelle tenebre. “Io… ho creduto fossi morta.”

“Non lo sono, grazie a te. Dove siamo?”

“Casa mia… o quel che ne resta”, disse senza riuscire però a guardarmi negli occhi. Mi raccontò grossomodo i fatti accaduti dopo la mia sparizione, scusandosi ad ogni buona occasione. Poi, come se si fosse improvvisamente accorto della mia nudità, corse a recuperare la sacca con un paio di vestiti che Zhùt aveva insistito affinché lasciassero lì, prima della missione, insieme agli altri effetti. C’era però un solo paio di scarpe, sopravvissute all’incendio, e lo convinsi a tenerle.

“È accaduto di nuovo. Quella specie di portale… è come se ci fossimo teletrasportati. L’ultima volta però non avevo potuto portare niente con me. Invece… ci sono anche i dadi e la pietra.”

Lo guardai con un vago timore. A poco a poco recuperò alcuni frammenti delle ultime ore: ripeté come fosse arrivato a me, uccidendo quegli assassini. Questa volta, però, notò la mia espressione.

“Che succede?”

“Devi sapere alcune cose…”

“Zhùt!”, e si alzandosi di scatto, barcollò subito dopo, appoggiandosi al muro.

“Hai bisogno di riposare, Enrico.”

“Ha fatto di tutto per aiutarmi, non posso lasciarlo da solo contro quell’essere. Inoltre, ci sono anche quei miserabili assassini! Sono arrivato giusto in tempo, prima che potessero farti del male” protestò, ma il suo corpo non volle saperne di muoversi.

“Lo Sciamano sa bene quel che fa. Era tutto nei suoi piani. Sapeva sareste tornati per me”, e con quella frase mi conquistai tutta la sua attenzione. “Ricordi quando ti ho salvato la vita?”

Ripercorsi in breve il rapporto che c’era stato tra di noi, scaturito da quello scambio epistolare. Ero riuscita in poco tempo a guadagnarmi la sua fiducia, ed infine a scoprire tutto sul suo conto. Ma erano ben altri i miei piani.

“Hai ucciso degli innocenti, Enrico…” mugolai. Sapevo che avrei dovuto utilizzare poche parole per non sforzarmi troppo, ma è impossibile spiegare certe questioni in modo tanto frettoloso. “Li hai chiamati assassini… erano solo volontari.”

“Di cosa stai parlando?” domandò, allontanandosi da me.

“niudnA”, aggiunsi. “Leggilo al contrario.”

Vidi i suoi occhi gonfiarsi gradualmente di sorpresa, facile ad divenir collera e sconcerto.

“Prima che tu possa fare qualsiasi cosa: ti prego, ascoltami sino alla fine.”

“Eri parte di quel gruppo? Mi hai mentito per tutto il tempo: volevi uccidermi?!” La sua voce riempì il silenzio della notte come un tuono. Lo vidi accasciarsi contro una parete fragile come un cracker, e buona parte ricadde giù verso la tromba delle scale, provocando un certo rumore. Ci allarmammo entrambi, ma di certo la gente avrebbe creduto che il palazzo stesse venendo giù da solo. Nulla di cui preoccuparsi, insomma, perlomeno se la tua vita è appesa ad un filo. “Perché?”, chiese con un filo di voce.

“Eri pericoloso. Credevamo di doverti fermare: siamo un gruppo di hacker impegnato nel contrastare fenomeni simili; pedofilia, abusi, traffico di esseri umani, sette ambigue. Dove non arriva la polizia, andiamo noi”, presi una breve pausa. “Poi, però, ti trovai in fin di vita… trovai Avorio. Non me la sono sentita di ucciderti a sangue freddo… Ho mentito, ma dopo la scena dell’ospedale non ho più avuto dubbi sul fatto che stessi dicendo la verità. Avevo condiviso con gli altri le password dei tuoi account, perché eravamo intenzionati ad aiutarti. Poi, però, sono sparita… gli altri devono aver creduto che tu mi avessi raggirato. Immagino sia per questo che si sono radunati: cercare vendetta.”

Enrico scosse il capo.

Poi, inaspettatamente, rise.

“Perché non dirmelo prima?” e solo dopo quella domanda compresi il senso della sua risata. “Non ero pronto alla verità, forse?”

Deglutii. Nonostante fossi certa del fatto che Enrico non avrebbe mai sollevato un dito su di me, specie nelle condizioni in cui versavo, era cambiato dall’uomo che avevo conosciuto. Era determinato, spietato, pronto a tutto per portare avanti la sua missione. Zhùt era riuscito ad indottrinarlo contro la sua stessa volontà. Anzi, Enrico aveva deciso di essere Philipp Lloyd. Aveva accettato il fardello della sua impresa, ma era una cosa che io non potevo ancora sapere.

“Lo Sciamano m’impose il silenzio. Lui aveva visto… e si rivelò a me nella sua natura umana. Questo mi convinse del tutto. Mi coinvolse”, e decisi in quel momento di raccontare tutto in poche parole, senza dargli il tempo di interrompermi. “Mi disse che avrei dovuto convincerti ad andare nei sotterranei, cosa avrei dovuto portare, e che avrei dovuto abbandonarti per cercare i dadi. Concluse dicendomi che io ero la chiave, poiché a mia volta figlia di Tabaldak; aggiunse che la mia anima era importante, e che il Widjigò non mi avrebbe mai sprecata. Così è stato. Sono stata torturata… dissanguata… le cose che ho visto…” nonostante mi fossi promessa di non arrendermi al dolore, i miei occhi si riempirono di lacrime. Ero sfinita.

“E per fortuna che avevo la possibilità di scegliere”, fu il commento di Enrico. Sbuffò, di quelli che si fanno per scaricare la tensione. “Sono stato manovrato dall’inizio alla fine.”

Lo vidi prendere il suo computer e mettersi a scrivere.

“C’è dell’altro”, e lui rispose con un cenno del capo, senza fermarsi. “Zhùt sapeva che mi avresti trovato. Sapeva che sarei stata utilizzata come esca. Per questo mi disse che avrei dovuto tirare i dadi un’ultima volta, prima della fine della storia. Ed eccoci... hai avuto una scelta: è stata quella di accettare il tuo ruolo, di salvarmi, di salvare gente che forse non verrà mai a sapere del tuo incredibile gesto. Questa è la tua scelta: fare del bene nella consapevolezza di essere per tutti un mostro, un assassino, un folle; la scelta di dare una possibilità a coloro che non ne hanno mai avuta nessuna. La scelta di non arrenderti. Hai avuto molte scelte, Enrico. Ti sono grata di avermi reso una di queste.”

Lui annuì con poca convinzione.

Forzai le falangi della mia mano morta per raccogliere i dadi dal palmo.

“Sono tuoi.”

Li feci rotolare sino a lui, e mi fu chiaro solo in quel momento che le parole di Zhùt fossero relative a quell’ultimo effettivo lancio. Vidi i dadi rotolare sino al fianco di Enrico, che si affrettò ad afferrarli, ma riuscì a prenderne solo due. Uno rimase in bilico, incastrato tra due pietre.

“Sei matta? Non si gioca con questi artefatti… hai visto cosa sono in grado di fare?”, mi rimproverò.

Lo vidi sudare freddo.

Rimase poi a contemplare la sua mano, tormentato di certo da un dilemma irrisolvibile: averli presi limitava il loro effetto?

Aprì il palmo lentamente: un occhio e un teschio, come il lancio di Avorio, sempre davanti al suo computer.

Vidi le iridi di Enrico ribaltarsi, il portatile scivolargli tra le gambe e il suo corpo cadere in preda alle convulsioni.

Anche l’ultima volontà di Zhùt era stata rispettata.

 

 

Quanta fatica, oggi!

È come se avessi ancora quel braccio… mi fa male, e qualche volta ho come l’istinto di allungarlo per prendere qualcosa, oppure per sorreggermi da qualche parte. Non è facile…

Avrei voluto raccontarvi di più, ma sono schiava dei miei limiti.

 

Per oggi vi libero dai vostri obblighi,

 

 

Aggiornerò,

 

 

Gabriela.

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Capitolo 53
*** Tra passato e presente ***


Tra passato e presente,

 

 

Fui certo sin dal principio che il lancio di quei dadi avrebbe di per certo coinciso con qualcosa di assurdo: da quando li avevo posseduti non era accaduto altro!

Mi ricordo di aver provato un strana sensazione di gelo, un tremito che mi attraversò l’intero corpo, prima di ritrovarmi di nuovo in quella stramaledetta grotta, esattamente dove il mio ricordo si era interrotto. Avorio sapeva quel che avrei dovuto fare, e Zhùt mi aveva anticipato che ci sarei dovuto ritornare per comprendere il passato.

Chi di voi, oltre me, odia quello Sciamano manipolatore?

Non tornerò a ripetere le sensazioni che mi diede quell’assurdo ritorno ai giorni dove il mio orrore aveva avuto inizio. Mi ritrovai al cospetto di quell’entità avvolta nell’oscurità. Sentii d nuovo quel suo commento pronunciato con voce gorgogliante: “Sapevo che saresti venuto. Ti stavo aspettando.”

Mi guardai attorno con sospetto; perché, mi capirete, avevo il terrore che il lancio di quei dadi mi avesse trasportato di nuovo all’interno dei sotterranei.

Le pareti attorno a me pulsavano di quelle venature verdi e violacee, bagnando la mia figura e quella dell’incappucciato con tonalità surreali. Cercai di ricordarmi che non si trattasse di un vero e proprio sogno: quello che stava accadendo era di per certo una proiezione della mia mente. Ma legata a che cosa? Questo non saprei proprio spiegarvelo. Razionalmente, se ci provo, mi viene da credere che possa esistere un luogo etereo ove le anime possano in qualche modo comunicare; lo so, questo pensiero è pura follia.

“Chi sei?” domandai timidamente, più per la sorpresa di essere di novo lì che per effettivo timore.

“Colui che ti ha indirizzato esattamente dove ti trovi. Il responsabile delle tue sciagure, timori, ansie, e ultime traumatiche esperienze. Di questo, comprenderai, me ne rammarico. Avrei preferito che potesse esserci un qualsiasi altro modo. Ma non c’era”, confessò, e la sua voce mi suonò improvvisamente reale, quasi tangibile.

“Philipp Lloyd”, mormorai. “Era scontato, sin dall’inizio. Come ho fatto a non capirlo: ‘Quanto il bene superiore può accettare un efferato susseguirsi di malignità? Io, quel che scelsi di fare, lo feci con la consapevolezza che questo male avrebbe gravato sulla mia coscienza. Lo avrei ricordato, ma non solo io. Non sono mai stato io il bersaglio delle mie azioni.’ Ero io, non è così?”

“I peccati dei padri ricadono sempre sulla prole”, ripeté un frase che avevo ormai finito per assimilare; suonò come un’ammissione di colpa. Ripensai a quando avevo trovato la forza di scherzare su quella sua definizione, in una citazione a Star Wars, ma mi resi conto di quanto certe informazioni riescano a sfuggire alla nostra comprensione. “Non è il perdono che cerco, ma la tua volontà. Sarai pronto a fare ciò che deve essere fatto?’

“Ho compreso di non avere alcuna scelta in questa faccenda. Avete deciso tutto voi, a tavolino, sin dall’inizio.”

“Tutti hanno avuto una scelta, prima di te. Non crederai davvero di essere l’unico, il prescelto? Ho avuto con molte altre questa conversazione. In un certo senso, tu sei il primo”, disse con una pacatezza che trovai snervante. “Vorrei avere più tempo, ma non ne hai abbastanza. Zhùt è il mio unico tramite: presto non avrà più le forze. Devo sapere che sei pronto: non ci sarà concessa altra possibilità. Non hai lasciato un erede, come tua madre prima di te.”

“Si tratta solo di questo, dunque? Che senso ha chiedermi se sono pronto? Una scia di morte mi segue fin dalla mia nascita; basta che la piantate con questa stronzata della possibilità di scelta! Farò ciò che volete: chiuderò questa storia una volte per tutte. C’è altro che devo sapere?” lo dissi con profondo rancore. Tutta la mia stima nei suoi confronti si era invece trasformata in rabbia.

“Io farò di tutto per ucciderti.”

Raggelai.

Avreste dovuto sentire la sua voce: non si trattava esattamente di un avviso, più di una costatazione.

Trovai il coraggio di ribattere, neanche io so bene da dove:

“Mi hai rubato le parole di bocca.”

La sua immagine svanì dalla mia vista, scomponendosi come fumo, ed istintivamente pensai a quale straordinario effetto speciale avesse messo in moto, come motore di difesa per non perdere la testa. Quella sua affermazione continuò a perseguitarmi anche quando decisi di avventurarmi dove le venature sulle pareti della grotta si facevano più intense di colore: era come vederle respirare!

Presi a scendere al piano inferiore, inseguendo il me che era svanito nei meandri di quel luogo dimenticato dall’umanità. Potei sentire l’eco dei miei stessi passi, quelli del vero me che si era già avviato per quelle scale naturali, inseguire quelle degli zoccoli.

In che modo fossi riuscito a passare inosservato, questo è il vero dilemma!

Prosegui sin quando la via non si biforcò: una proseguiva verso il basso, allargandosi, e l’altra, presentando delle ampie feritoie circolari, simili a finestre, proseguiva in una sorta di osservatorio. Voi, proprio come me in quel momento, di certo starete pensando alla medesima cosa, ed avete ragione: erano i posti in prima fila per la sala sottostante. Dai riflessi rossicci immaginai cosa avrei visto.

Ritrovai il me stesso che avevo abbandonato per parlare con Philipp Lloyd, come se il ricordo si fosse bloccato proprio per consentirmi di parlargli. Ricordai in quel momento dell’attimo di panico che avevo provato nel sentire il rumore di zoccoli tornare nella mia direzione. Mi ero paralizzato; ed ecco anche spiegato il motivo del mio ritrovamento. Il me stesso del passato avanzò verso gli spalti.

Lo vidi dapprima scrutare dall’alto quel che si trovava di sotto, e poi inciampare su qualcosa che era stata lasciata per terra. Non so se ricordate bene quanto vi dissi nella mia prima esperienza in questa forma, ma la mia visione al buio era pari a quella diurna. Inciampò in una borsa da tracolla in pelle, lercia come poche altre schifezze. Riuscii a sentire il suo fetore dal solo ricordo, e lo associai subito a qualcosa che poi mi era appartenuto, e per il quale avevo più volte rischiato la vita.

Vidi me stesso estrarlo dalla borsa, schiacciando poi col piede una di quelle grosse chiocciole che vi erano attaccate, riuscendo a strozzarle in gola un guaito di morte. Ne vennero fuori altre, e le mie gambe s’improvvisarono martelletti, dispensando morte. In tasca mi ritrovai qualcosa che non rammentavo di avere: un accendino antivento; la fiamma rivelò la natura di quegli esseri, oltre che il mio volto scuro della loro linfa putrescente. Avvicinai tanto la fiamma a quegli esseri che presero fuoco come gas, rilasciandone altro in risposta.

Strinsi al mio petto il Diario di Philipp Lloyd.

“Stupido…” mormorai in mia direzione, ed il me del passato diede quasi l’impressione di udirmi. Mi vidi indagare nell’oscurità con orrore.

“Vieni, ragazzo. Vieni da me”, ordinò una voce gorgogliante dal fondo della sala adiacente. Mi sporsi, e vidi Philipp Lloyd in tutto il suo abominevole aspetto. Vi era un salice, del tutto simile a quello descritto nei racconti, e la stanza era effettivamente di forma pentagonale. Vi erano quattro sacrifici pronti nelle alcove. La storia si stava ripetendo, anche se in luoghi del tutto diversi.

Mi vidi avventurarmi giù per le scale come uno zombie.

Raggiunsi Philipp Lloyd, e notai i miei occhi terrorizzati: ero conscio di quanto stesse accadendo, tuttavia senza poter fare niente per fermalo.

“Vieni, Enrico”, disse accompagnandomi alla mia postazione di morte. Le rampicanti si avvilupparono alle mie gambe. Il Diario mi scivolò in quel momento dalle mani, tornando in quelle del legittimo proprietario.

Da quel momento in poi iniziò un vero e proprio rituale, in una lingua sconosciuta. I sacrifici vennero compiuti uno dopo l’altro, e l’entità all’interno dell’ambra prese a poco a poco a risvegliarsi. Vidi schiudersi le sue ali.

Mi chiesi in quel momento se non avrei dovuto intervenire.

Philipp Lloyd accese una torcia, di quelle in stile antico, dotate di una fiamma intensa ed efficace. Diede un ultimo sguardo al proprio libro, pronto al passo più delicato del suo transito.

“Alla fine sei venuto, vecchio.”

Zhùt emerse dall’oscurità, silenzioso solo come sanno esserlo i gatti.

“Sai bene che non posso lasciartelo fare. Desisti. È stata una tua scelta: dimostra di esserne padrone. Accetta la tua fine!”, tuonò lo Sciamano.

“Hai perso tua figlia. Hai perso a Providence. Avresti potuto goderti la tua pseudo immortalità, vecchio gatto. Ora, invece, scegli la morte?”

Dalle aperture accanto alla mia estensione corporea – quella dalla quale stavo guardando la scena – balzarono giù tre gatti dal pelo infuocato e bianco, simili a piccole tigri. Vidi quel loro dono naturale mutare sotto i miei occhi: lo schiocco delle ossa, il ritrarsi del pelo e degli artigli, la carne viva del corpo umano ricoprirsi gradualmente dall’epidermide. A differenza di quel che avevo visto fare dallo Sciamano, i tre diedero impressione di essere piuttosto abituati a quel genere di metamorfosi. Si avventarono su Philipp Lloyd con delle pietre vagamente simili a quella brandita dall’indiano d’America. Il loro aspetto era tuttavia mediterraneo.

Non starò qui a descrivervi la follia di tutto quello scontro, ma posso dirvi che furono agguerriti: il primo mutaforma morì trafitto da un nugolo di quei vermi scagliati dall’entità all’interno dell’ambra. Lo divorarono avidamente, strappandogli dapprima tutti i tessuti molli, concedendogli il trauma di gridare al mondo tutto il suo dolore. Fu una scena raccapricciante!

Il secondo, prodigatosi nel liberarmi le gambe dalla presa delle rampicati, lottò sino allo stremo contro numerose di quelle teste infantili che io stesso avevo fronteggiato colmo di terrore; ma erano troppi, e i tentacoli dapprima lo immobilizzarono, divertendosi poi a sfilacciarne i tendini per renderlo innocuo. Il suo dolore arrivò dritto al mio cuore.

Il terzo, incaricato da Zhùt di portare via il mio corpo, mi prese in spalla e si allontanò con la stessa fiaccola accesa da Philipp Lloyd, bruciò tanti di quegli esseri lungo la strada che lo condusse alle scale, che i fumi lo assalirono privandolo della ragione. Ebbe la lucidità di adagiare il mio corpo prima di impazzire del tutto, trafiggendosi il cuore con la sua stessa pietra.

Zhùt, che invece aveva ingaggiato battaglia con Philipp Lloyd, riuscì a tenergli testa sino al suicidio del mio aiutante.

“Hai il dono della morte tanto quanto me, vecchio Sciamano. Tabaldak ha fallito, ti ha abbandonato! Quanti figli hai sacrificato sull’altare della guerra? Arrenditi. Non puoi più impedire il ritorno di Màlk-ar-Sùm!”

Lessi sul volto di Zhùt l’indelebile marchio della disfatta. Credette di poter mettere fine a quella storia una volta per tutte, e invece si ritrovò con l’impegnare tutte le sue risorse in quella folle impresa. Lo sciamano tornò allora nella sua forma animale, afferrando tra i denti il Diario di Philipp Lloyd.

Batté in ritirata.

Non potei credere al fatto che Zhùt potesse avermi abbandonato! Invece, quando spostai lo sguardo sul mio corpo, di me non vidi più alcuna traccia. Avevo sicuramente ripreso conoscenza e, preso dal panico, dovevo esser scappato via.

L’intera grotta prese a tremare.

Terminò la mia visione.

 

 

Quando tornai in me, notai l’espressione corrucciata sul viso di Gabriela.

“Stai bene? Sei rimasto in una specie di trance per una manciata di minuti. Hai parlato in modo strano.”

“Va alla grande…”, risposi con fare vago, dopo essermi schiarito la gola. “Ho giusto scoperto che Zhùt ha sacrificato tutta la sua famiglia per cercare di fermare Philipp Lloyd, e di salvare la mia vita. E, come se non bastasse, sono condannato dal solo fatto di non aver un erede su cui scaricare il barile. Mi toccherebbe comunque morire, da quanto mi è parso di capire”, tentai d’imitare il suo modo di fare, ma mi riuscii malissimo

Lei mi diede l’impressione di essersene accorta.

“Almeno in questo posso aiutarti”, disse poi all’improvviso, facendo scivolare la spallina della maglietta sul braccio amputato e aprendo teatralmente le gambe. “Sempre che una donna con un arto in meno riesca sempre a fartelo drizzare. Fammi sentire viva!”

La guardai a metà tra l’imbarazzo e lo sconcerto.

Scoppiammo entrambi a ridere. Mi ci voleva, ridere, tuttavia non potei che provare una nota di ribrezzo in fondo all’anima a quel pensiero. Probabilmente, prima di me, altri avevano avuto la stessa idea. Forse, senza andare troppo lontano, tutti tranne me.

“Come ricevuto, davvero”, le dissi con un grande sorriso.

Le raccontai poi quello che era accaduto.

Iniziai così a scrivere questo mio resoconto.

Poi, mi colpì all’improvviso una soluzione a tutto quel problema.

“Gabriela!” la chiamai, destandola dal suo sonno. Era ormai mezzanotte. “Forse puoi davvero aiutarmi.”

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd

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Capitolo 54
*** Giù, nel profondo dell'incubo ***


Giù, nel profondo dell’incubo.

 

 

Enrico, noto online come Philipp Lloyd, abbandonò la casa che gli era da sempre appartenuta per recarsi direttamente nella tana del lupo. Lo vidi abbandonare lo scheletro della sua vecchia casa con una strana luce negli occhi; mi lasciò ringraziandomi, e dicendo una cosa che avrei portato con me per il resto della vita: “Scrivi ancora, amica mia. Il mondo deve conoscere la verità. A prescindere da come andrà.”

Se sono ancora qui è per portare avanti la memoria delle sue azioni. Certi uomini appartengono ai loro tempi, si dice, e trovo che sia ingiusto: certe azioni riecheggiano nella storia sino al crepuscolo della vita. Enrico, perlomeno per me, non tramonterà mai. Non il suo ricordo. *°

*°Quel che vi racconterò è l’idea di quanto è stato, con le sue imperfezioni e con le sue immagini idealizzate, simboliche. La storia ha bisogno di essere accompagnata verso la sua verità più pura, spesso non visibile dai soli gesti.

Philipp prese con se l’indispensabile, ovvero la pietra consegnatagli da Zhùt e il coraggio di non morire. Una cosa che avevo notato era senza dubbio l’assenza del suo caratteristico Diario. Non ne aveva fatto alcuna menzione quando ci eravamo trovati nudi all’interno di casa sua, e per tutto il tempo continuai a chiedermi cosa ne avesse fatto. Quando lo scoprii, rimasi senza parole.

Non tornò ai sotterranei, come avevo ipotizzato frattanto che, stretta ad una coperta, cercavo di riposarmi; avevo perso troppo sangue, ma era mia intenzione non prendere sonno sino alle prime luci dell’alba. Se non fossero tornati...

 

Enrico si diresse direttamente a quelle vecchie caverne sotto il Ponte dei Suicidi della città. Dall’esterno si poteva udire come una specie di rullo di tamburi; si fermò davanti all’ingresso, guardando un ultima volta le stelle: sarebbe potuta essere l’occasione per ammirarle. Sorrise alla Stella Polare prima di addentrarsi nell’oscurità.

I suoi occhi si abituarono presto ai colori verdognoli e violacei della grotta. Le vene pulsavano con prepotenza, ed Enrico ebbe l’impressione che fosse merito di un pasto recente: si chiese quale sorte fosse spettata ai compagni di Anduin; nella sua testa era ancora un’entità casta, divina, differente da Gabriela, la traditrice. Ripensò anche in che modo quei fanatici avessero rappresentato per lui sempre una fonte di agonia, di terrore, di dispiacere.

Lo accolse si da subito una presenza macabra, nient’altro che uno spettro dell’orrore che il vero Philipp Lloyd si era dimostrato di essere. Uno i quegli che avevano contribuito a dargli il tormento.

“Quale ardente coraggio!”, esclamò con voce roca, gutturale. “Quanta fiducia in un mondo destinato all’oblio. Màlk-ar-Sùm!”

“Portami dal tuo padrone, Essere.

Per Enrico non si trattava più di coraggio, ma semplice volontà di porre fine ad una piaga che aveva devastato la sua intera famiglia per quasi un secolo. Era deciso a porre la parola fine su tutta quella faccenda.

Gli occhi di Enrico si abituarono subito al cambio di tonalità, anche se chiunque avrebbe provato quella sensazione di oppressione camminando in quel luogo dimenticato dalla luce. Vide, così come era accaduto in un suo sogno, sagome d’ombra emergere dalla ruvida epidermide di quel cuore malvagio; lo seguirono, alla stregua di una processione, andando poi a sistemarsi sugli spalti. Tutti gli spettri avrebbero assistito al rituale come un popolo in attesa dell’incoronazione del proprio re.

Enrico scoprì suo malgrado che il suono che tutti avevano udito giungere dalle caverne fosse, nonostante la sua supposizione iniziale, invece dovuto ad un battito intenso delle stesse pareti: ebbe l’impressione che il salice stesse percependo la vicinanza di quella parte dell’anima contenuta in lui.

La bramava più di qualsiasi altra cosa!

 

“Come ci si sente ad essere diventato un mostro?” esordì con una certa spavalderia Enrico, quando l’ombra lo condusse al cospetto di Philipp Lloyd. Tutto era pronto per il rituale; dalla sua posizione gli riuscì di notare due ragazzi e una ragazza all’interno delle alcove di radici.

Il Widjigò si presentò in tutto il suo orrore: aveva effettivamente delle zampe caprine che si concludevano con degli zoccoli, un busto massiccio e avvolto in quella lunga mantella scura; le mani, ora visibili grazie alla luce, erano dotate di lunghi e affilati artigli, sei per estremità. La spavalderia venne meno quando quel volto malefico abbandonò l’oscurità conferitagli dal cappuccio: gli occhi, di un fuoco glaciale e dalla pupilla di forma ellissoidale, lo indagarono sin dentro l’anima, rivelando il profondo terrore cui sono soggetti gli esseri umani, e la riconobbe: la parte di sé che aveva smarrito. La testa era oblunga, scarnificata e di aspetto taurino. Le corna gli si gli rigiravano attorno alle orecchie. Era orripilante: il Minotauro nel labirinto di Cnosso!

“L’immortalità ha un prezzo, figliolo” fu la sua risposta, straordinariamente pacata e per niente oscura. Enricò tornò indietro col tempo alle prime battute del suo Diario: chi mai avrebbe potuto credergli, raccontando qualcosa di simile? Ma la voce di Lloyd lo riportò alla realtà. “Non sempre mi è stato concesso scegliere… l’anima può albergare in molti corpi, quando l’involucro è stato distrutto. Nel tentativo di ritrovarti, mi sono dovuto adattare; colpa di quell’ossessionato Sciamano! Ma è una forma passeggera. Presto Màlk-ar-Sùm sarà di nuovo una cosa sola!”

Sollevò gli artigli ad indicare l’entità sigillata nell’ambra, ed Enrico non si accorse del sorriso che marcò le sue stesse labbra quando notò che era tornata all’incirca indietro allo stesso giorno in cui Philipp Lloyd aveva provato a sacrificarlo per la prima volta.

“Non chiamarmi figliolo: sei solo un’ombra del grande uomo che sei stato. Ora, non vedo differenza tra lo schifo che sei e quello che diverrai.”

“Quale coraggio, Enrico. Riconosco la volontà di tua madre”, disse Lloyd, tuttavia il ragazzo non si scompose. “Sei maturato. Ma non hai di certo deciso di venir qui senza un piano. Fa’ la tua mossa, dunque.”

“Sono venuto a consegnarmi di mia spontanea volontà. Sarebbe inutile resistervi. Scivolerei nell’agonia, nel tormento, senza alcuna possibilità di salvezza. Se si tratta di ritardare la fine di questa esistenza, perché mai dovrei prendermi la responsabilità di tale fardello? Per fare cosa, poi? Vivere come ha fatto Philipp Lloyd, come un fuggitivo, sino allo stremo delle forze? Sinché non sarò troppo vecchio per resisterti?”

Philipp Lloyd parve sorpreso.

“Perché hai accettato il patto con mia madre?”

“L’ordine è l’unica forma di civiltà possibile. Io non sono che un passaggio forzato nel corso della vostra storia, nonché il suo atto conclusivo. Lo sarò per molti altri mondi. È un processo più ampio, che ha origini primordiali.”

“Lo trovo insensato”, rispose secco Enrico. “Ma la tua prossima battuta è sicuramente: esseri primitivi come quelli della vostra stirpe non posso comprendere. Dunque andrò dritto al punto… voglio fare un patto. Mi consegno, ma per i prossimi cento anni non avrai da perseguitare Gabriela e i suoi seguaci, e discendenti. Attendere altri cento anni non dovrebbe essere un problema, perlomeno per un entità millenaria.”

Il Widjigò rise di gusto, e fu una cosa macabra. Quella risata riecheggiò per tutta la grotta.

“Chi è Gabriela?”

Enricò rimase perplesso. Comprese che l’entità stava prendendosi gioco di lui.

“Avresti dovuto costringermi a fare un patto prima di presentarti qui. Cosa mi impone di rispettarlo? Quale altro asso nella manica hai da giocare?”

“Lo Sciamano Zhùt... lui…”, ma non Enrico non ebbe occasione di terminare quel discorso.

Philipp si spostò di qualche passo, rivelando la quarta alcova, l’unica che non aveva potuto ancora scorgere.

“Lo stesso Zhùt che è caduto mio prigioniero?”, domandò Lloyd, e una di quelle raccapriccianti teste che Enrico aveva fronteggiato gli porse il vecchio Diario. Il tentacolo si ritrasse subito dopo.

Il vecchio era stata catturato, ed era già avvolto in quelle radici, pronto per il sacrificio.

Il Diario preso, anche se si presentava in modo differente dall’ultima volta che lo aveva avuto tra le mani: lo Sciamano lo aveva sigillato con grossi chiodi.

“Zhùt!” esclamò Enrico, ma l’indiano non rispose.

“Il piano era quasi riuscito, figliolo. Peccato”, lo canzonò, e liberò il suo corpo dalla mantella, rivelando quei tentacoli lingue, dodici in tutto, che in realtà componevano quella sorta di mantella. Lo avvolse senza dargli il tempo di ribellarsi.

“Merda…” fu l’unica parola che abbandonò le labbra di Enrico.

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Capitolo 55
*** Il piano di Zhùt ***


Il piano di Zhùt

 

 

L’oscurità si avventò sul corpo di Enrico, dominandolo senza difficoltà. Quello sguardo taurino indugiò sulla figura del ragazzo ancora per un’istante, alla stregua d’un ricercatore di reliquie che finalmente riesce nell’impresa di un’intera vita. Quanto a lungo aveva bramato quell’anima!

Il corpo del Widjigò era gelido al tatto, con l’epidermide umida e ruvida; Enrico ebbe la sensazione di trovarsi a contatto con una pianta, oppure con le squame di un pesce.

Il grande salice venne scosso da un tremito che andò a evolversi in un sordo boato che echeggiò per l’intera grotta; la città udì un verso immondo, ma avrebbe finito col convincersi di aver frainteso la natura. Pochi avrebbero invece affidato al Diavolo quella voce infernale, e altri ancora, per il solo desiderio di andar loro contro, avrebbero giurato di aver letto la parola di Gesù in quel lamento.

Io, invece, raggelai.

Mi levai in piedi ad osservare il cielo.

“Enrico…”, mormorai una preghiera alle stelle, ma presto ricordai l’origine di quell’entità primordiale, così come mi era stato confessato da Esso stesso. Anche noi Uomini, eoni addietro, lo siamo stati a nostra volta. Era questa la scomoda realtà dei fatti. Nessuna religione, nessun paradiso, nessun inferno. Iniziava e finiva tutto nel vuoto cosmico.

Avvertii una fitta di gelo, e allora mi strinsi di più nel cappotto.

 

Lloyd contemplò Enrico per un periodo indefinibile, ed entrambi ebbero l’impressione di aver vissuto insieme per milioni di vite.

Osservando dentro quelle cavità malefiche, il giovane riuscì a scorgere cose lontane nello spazio e nel tempo: altre civiltà, altre inutili religioni, altri mondi. Rimase in quello stato sinché il Widjigò non lo adagiò all’interno dell’alcova. Le rampicati risalirono leste lungo le gambe del sacrificio, e quei minuscoli aghi gli iniettarono la sostanza paralizzante ed inebriante.

“Dopo… cosa verrà dopo?”

Philipp lo osservò con la consueta espressione truce prima di liberarsi di quel fardello. “Un pezzo alla volta, un’anima pregna di esistenza dopo l’altra, sino al risveglio ultimo. Quando Màlk-ar-Sùm avrà un solo corpo, torneremo alla nostra natura. Quando questo sarà ormai prosciugato, passeremo al prossimo mondo. Tra i molti, il vostro è quello che ha resistito meno; L’inconcludenza e la belligeranza insensata, gratuita, hanno finito col rendervi deboli, vulnerabili. Abbiamo dormito a lungo, ascoltando per millenni la sofferenza di questo pianeta. Noi siamo la sua cura definitiva. Mi chiedi cosa verrà dopo…? È doveroso risponderti. Sarete parte di Esso.”

“Il mietitore di mondi, intendi?” disse Enrico, notando l’espressione alquanto sorpresa di Lloyd. Non si aspettava di certo che fosse abbastanza in forze per rispondere.

“L’ironia come mezzo di soppressione della paura. Arreso al proprio destino, ma indisposto alla tragedia.”

“Hai imparato bene le nostre lingue. Mai pensato di scriverci sopra un libro? Sarebbe stato un ottimo modo per raccattare fedeli e anime disposte a farsi sacrificare… Ti spaventa che riesca ancora a muovermi, eh? Ricordi: una parte di te è ancora dentro di me. Questo lo avevi dimenticato?”

Philipp Lloyd distolse lo sguardo da Enrico e rimase in ascolto, quasi avesse captato un rumore in lontananza; poi, tornò su di lui e gli impose uno degli artigli sulle labbra, quasi volesse silenziarlo; al solo contatto, sul labbro inferiore si aprì una lieve ferita, di quelle che non si rimarginano più per il resto della vita. La lacrima di sangue appena spillata venne assaporata da una viscida creatura che, affrettandosi lungo l’arto del suo padrone, la raggiunse lasciandosi dietro una scia viscosa simile a inchiostro.

A differenza di quelli già scorti in passato, questa pareva più simile ad un vero e proprio serpentello, dotato però di due raccapriccianti aculei, a mo’ di baffi, che impiegò subito per portarsi alla bocca aguzza e circolare la sostanza. Era disgustosa a vedersi, con una coda che pareva un tentacolo.

“Hai un piano, ragazzo. Folle, ma è chiaro che tu lo abbia”, affermò il Widjigò, rimanendo straordinariamente posato. Si avviò in direzione degli altri sacrifici e, con una certa cura, si premurò che gradualmente iniziassero a morire per mezzo di un taglio preciso della carotide e della giugulare. Frattanto, alcuni esserini avevano preso a discendere dal corpo sigillato nell’albero, lì probabilmente dall’ultimo rituale, e si calarono voraci in direzione di Enrico.

Poteva sentirle strisciare, ma non solo; alcune erano dotate di piccole zampette che, a contatto con il liquame prodotto dalle altre, producevano un raccapricciante zampettio. Il terrore stava al base del rituale; qualora Enrico non avesse ceduto con le parole, le immagini, i pensieri, quegli esserini l’avrebbero costretto con il dolore fisico, strappandogli lembi di pelle con minuscoli morsetti. Sarebbe stata una lunga agonia.

“Suppongo la tua richiesta possa avere a che fare proprio con questo piano. L’ordine è alla base dell’arco vitale, e solo chi in è dote di scrutare attraverso il caos del creato può leggere le tavole dell’esistenza: tutto segue un corso, una linea di condotta. Caos è il termine che utilizzano gli inetti per identificare qualcosa che non sanno spiegare, ma è l’unico che avete coniato e a voi comprensibile. Lo Sciamano…”, aggiunse, fermandosi proprio davanti al vecchio indiano d’America. “Lui faceva parte di quei pochi che hanno osato contrastarci sin dall’inizio; ciò nonostante la sua stirpe si è indebolita, mescolata, sinché non è rimasto l’ultimo. Ostinarsi a lottare contro il tempo è servito a poco. Credi davvero che dei semplici umani possano contrastarci?”

Enrico sgranò gli occhi. Provò a ribellarsi, ma le radici erano troppo aderenti al suo corpo. Tuttavia, la punta della pietra che aveva portato con sé riuscì ad aprirsi un piccolo varco nell’involucro che lo aveva immobilizzato.

“Come sospettavo: non faranno mai in tempo…”, diede voce al brusio dei pensieri, Lloyd, e ne parve deluso, quasi quel frammento di natura umana presente nel Widjigò si stesse rassegnando alla fine. Tornò presto alla sua consueta espressione: “Non sono preparati: già una volta Zhùt ha osato contrastarci, ma la stessa strategia non può funzionare una seconda volta. Ci avete provato. Di questo vi do atto. Un tentativo disperato.”

Si udirono delle voci distanti, terrorizzate, di chi per la prima volta ha da confrontarsi con entità sovrannaturali. In molti sarebbero morti, paralizzati dalla paura.

“Arriva un tempo per ogni cosa… per il fallimento… per la vittoria”, mugolò lo Sciamano. La sua voce era flebile, soffocata, ma indisposta ad arrendersi del tutto. “Se non in questa vita… nella prossima. I peccati dei padri ricadono sempre sui figli. È il mio tempo… era destino che le nostre famiglie fossero unite anche nel fallimento. Ho impiegato tanto per capirlo. Hai ragione tu… sul caos… è stato un onore conoscerti, Philipp Lloyd.”

Quelle furono le sue ultime, rispettose parole: l’artiglio del Widjigò incise con precisione chirurgica la gola dell’indiano; un rivolo prese a sgorgare lento e inesorabile mentre una colonia di quegli esserini si avventava sul suo corpo. Fu un coro di guaiti da far gelare il sangue.

“Zhùt!”, esplose di rabbia Enrico, impotente. Si agitò, incidendo con più ferocia l’involucro, aprendosi per un breve attimo un varco più ampio, sebbene subito le radici si ricomposero.

L’entità all’interno dell’ambra si scosse, estasiata dall’energia assorbita dallo Sciamano; prese a sbattere le ali, scagliando in ogni dove quelle bestiole voraci. Una cadde proprio sul viso di Enrico. Si avventò sul suo occhio con i suoi dentini, perforando il bulbo.

Il dolore fu lancinante, una sensazione pari a venir punti contemporaneamente da un nugolo di aghi. Il giovane lanciò un urlo agghiacciante.

La vista all’occhio destro venne a mancare subito, ed ecco che subentro il terrore, la coda di quell’essere che si agitava sul suo volto, cercando di scavarsi una braccia nella sua iride. Il momento che Philipp Lloyd aveva atteso con piacere.

“La tua anima è pronta!” esclamò, avvicinandosi a grandi falcate. Una delle teste si precipitò da lui, portando per mezzo del tentacolo una fiamma viva, intensa, tanto da permettere a Enrico di vedere la quantità di creature ormai sopraggiunta sul suo volto. Avrebbero iniziato a mordere come una sola bestia, e quel pensiero tirò fuori tutte le sue più recondite paure. Prese a scuotersi, ma avverti i dentini ricercare le sue labbra, i lobi delle orecchie, gli zigomi, il naso!

Il Widjigò sapeva di aver poco tempo per portare a termine il rituale.

Sollevò il Diario verso l’albero, come per annunciare il sacrificio imminente, quindi punse la guancia del giovane per prenderne una goccia di sangue, che lasciò cadere sul dorso del libro. Si accese come una specie di lampada. Solo allora lo protese verso le fiamme per liberarne l’anima contenuta al suo interno.

Il fuoco avviluppò il tomo, crepitando per la grande fame. Si diffuse nell’aria un odore strano, come d’aglio.

L’espressione estasiata del Widjigò, nel contemplare l’ombra oscura contenuta al suo interno librarsi a mezz’aria, non ebbe il tempo di mutare quando il vero segreto del libro si espresse così come Zhùt aveva voluto: un’esplosione di fiamme si propagò per alcuni metri, travolgendo Philipp Lloyd, una parte del salice e raggiungendo l’alcova dove era contenuto Enrico.

 

 

 

Continua...

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Capitolo 56
*** Enrico e Philipp Lloyd ***


Enrico e Philipp Lloyd

 

 

 

Il fuoco si propagò dall’involucro tra le mani del Widjigò, investendolo e proseguendo sino al salice alle sue spalle; la creatura non ebbe neanche il tempo di ponderare una reazione: rimase travolta e tramortita dalla potenza del fosforo, il quale sciolse la sua pelle e ne consumò i tentacoli.

Una lingua di fiamme, propagatasi sino all’alcova di Enrico, arse all’istante le creature che avevano tentato di sbranargli il volto. Ma se da un lato aveva contribuito a liberarlo dalle radici che lo avvolgevano, che si ritrassero per evitare che le fiamme risalissero da esse sino al salice, dall’altra il calore lambì anche il suo corpo. Sentì un bruciore incredibile allo stesso occhio che era stato morso: le ciglia, il sopracciglio e un buona parte dei capelli attorno all’orecchio destro erano svaniti, e la pelle presentava rughe da scottatura.

Enrico rotolò sul pavimento roccioso, irregolare, credendo di dover spegnere le fiamme, ma quella sensazione di tremendo calore non lo avrebbe abbandonato. Quando ritornò in sé, aveva la vista annebbiata, sfocata: cieco per metà. Tuttavia, gioì nel vedere il fuoco arrampicarsi sul salice, e l’entità nell’ambra contorcersi per il terrore, scuotendo le ali nel disperato tentativo di allontanare le fiamme, sortendo invece l’effetto contrario, alimentandole.

Terrore: era esattamente ciò che Enrico vide in quella folle agitazione.

“Anche gli Antichi hanno paura di qualcosa!” il suo commento esplose come un grido di liberazione.

Il male che si annidava in quella grotta però non era ancora stato sconfitto, ed Enrico pagò la sua distrazione: una delle teste gli avvolse le gambe e, con una forza spropositata, lo tirò su come un sacco di patate. A vedersi, era fisicamente impossibile quel gesto!

Da quella prospettiva, Enrico notò come tutte le estensioni di Màlk-ar-Sùm si stessero impegnando per limitare i danni, letteralmente sacrificandosi per arginare le fiamme. Alcuni di quegli esseri rosicchiarono l’albero per farne staccare delle parti, altre disperdevano i loro fetidi liquami, talvolta alimentando il fuoco. I versi dell’entità contenuta nell’ambra si fecero impazienti, feroci.

“Zhùt! Vile indiano!” ruggì Lloyd, e la sua voce suonò come il verso agghiacciante di un gufo. Aveva il volto sciolto per metà e il corpo devastato dagli effetti del fosforo. Nessun essere mortale sarebbe sopravvissuto a qualcosa di simile!

Si sollevò sospinto da un’energia tetra, e raggiunse Enrico, famelico.

“Rituale o meno, riavrò ciò che è mio!”

“Questa storia è iniziata col tuo sangue. È dovrà concludersi allo stesso modo!” rispose il giovane, scagliandogli qualcosa contro, ma che l’entità evitò senza difficoltà.

“Hai fallito, ragazzo. Come il vecchio. Come gli altri prima di te.”

Fu in quel momento, però, che il Widjigò notò qualcosa di strano in ciò che aveva abbandonato le mani di Enrico per affondare dritto al centro della testa che lo teneva prigioniero: la pietra di Zhùt, spaccata per metà. Nonostante avesse rispettato il suo avversario quasi un secolo, Philipp non aveva considerato nel giusto modo le ultime parole del vecchio Sciamano: “le nostre famiglie dovevano essere unite nel fallimento.” Mi piace immaginare che quella frase continuò a tormentargli i pensieri sino alla fine.

Enrico sbatté a terra, fratturandosi il braccio sinistro e spaccandosi il sopracciglio sopra l’occhio ormai opaco, bianco, ma da quale ancora gli riusciva di vedere l’entità davanti a sé, come una sorta di alone di luce rossa. Un secondo alone, azzurrognolo entrò poi nel suo campo visivo, in alto, slanciato in un lungo balzo.

Philipp Lloyd lo notò solo all’ultimo: nel caos generato dalle fiamme, una ragazza era riuscita a sgusciare all’interno della grotta, aprendosi un varco sino alla sala del rituale e, spiccando un lungo balzo, si era lanciata dagli spalti verso l’entità trattenuta solo da un fatale frammento d’ambra; tretta in entrambe le mani, metà della pietra di Zhùt. Solo un diretto erede dello Sciamano avrebbe saputo fare qualcosa di simile, ed anche quell’ultimo dubbio su Enrico era stato fugato.

Ciò che Enrico e Zhùt avevano tralasciato nel loro piano, era il fatto che Màlk-ar-Sùm fosse pieno di risorse: l’albero reagì in risposta a quel balzo, allungando un ramo e impalando la ragazza a pochi centimetri dal suo obiettivo: la trapassò da parte a parte, imbrattando di sangue quel vestito scuro, tipico dei seguaci di Anduin; altri suoi confratelli e consorelle erano morti all’esterno per consentirle di arrivare sino a quel punto. Un rivolo di vermiglio le abbandonò le labbra in un gemito disperato. Eppure, la donna non diede segni di volersi arrendere.

L’ala dell’entità sferzò sul viso della ragazza più volte, in un moto di rabbia, aprendole diversi squarci sulla guance, attraverso i quali era possibile vedere la dentatura. Il sangue colò copioso, e il terrore riempì i suoi giovani occhi azzurri.

Enrico vide tutti i suoi sforzi sfumare, così come era toccato a Zhùt nella visione che aveva avuto di quel lontano Settembre. Fu la disperazione a farlo muovere, seppur debilitato: scattò verso la pietra, e scartò poi di lato l’attacco di Philipp, arrivandogli vicino; ma non fu abbastanza rapido, perché le mezze fauci del Wedjugò si avventarono sul suo collo.

Enrico rimase paralizzato per un secondo, certo di veder la vita sfumargli davanti agli occhi. Tuttavia, non avvertì alcun dolore. Avvertì l’odore putrido della creatura misto a quello tossico del fosforo che l’aveva mutilata, e percepì quelle gocce di linfa oscura colargli sul viso, quasi fossero una specie di carezza.

“Hai detto bene, figliolo. Tutto per questo momento. Ti ho atteso così a lungo…”, disse Philipp Lloyd, e la sua voce suono per un breve istante umana, esattamente come Enrico l’aveva sempre immaginata: calda, rilassata, la voce di un uomo che aveva vissuto troppo anni nell’oscurità. Infine, aggiunse: “Inizia col mio sangue. Termina con esso. Grazie…”

L’albero venne scosso dalla rabbia dell’entità, che vide la sua prima estensione ribellarsi alla volontà di Màlk-ar-Sùm, così come era stato progettato sin dall’inizio. Quel gesto favorì la ragazza impalata, che si trovò per una frazione di secondo più vicina al suo obiettivo e, nonostante le sferzate del mostro, non perse occasione di affondare la pietra in quel ventre mostruoso con un ultimo grido disperato. L’entità martoriò il corpo della giovane con le sue ali e gli artigli, sinché il corpo non precipitò ai piedi di Philipp Lloyd, portandosi dietro la mezza pietra di Zhùt: un cono putrido venne vomitato fuori dal cuore pulsante dell’albero, acido, tale da consumare quel che restava della giovane, cancellandone l’esistenza fisica, ma il suo ricordo avrebbe perdurato in eterno.

Enricò affondò solo allora la pietra al centro del ventre del Wedjigò, dove sapeva che avrebbe trovato il cuore. Il suo grido stridulo fu agghiacciante.

La grotta tremò.

 

 

Quella notte, la città fu scossa da un rapido e tremendo terremoto.

Poi, vi fu il boato incredibile nel cuore della notte: le restrizioni imposte dal coprifuoco fecero in modo che nessuno fosse in transito sul ponte dei suicidi, che crollò su se stesso, nascondendo in eterno le grotte al di sotto e gli orribili segreti celati al loro interno. Si sollevò un polverone che inghiottì l’intera città.

 

 

 

Mi salvai solo grazie ai dolori che mi spinsero a raggiungere l’ospedale più vicino, nel cuore della notte, poco prima del terremoto. Vidi i palazzi tremare attorno a me, e udii il crollo della vecchia casa di Enrico. La abbandonai perché ero certa che lui non avrebbe più fatto ritorno. In cuor mio, sentii quella verità nel profondo della mia anima.

Alle prime luci dell’alba raggiunsi l’ospedale, dove mi avrebbero trattenuto per diversi giorni. Utilizzai il terremoto come scusante per le mie condizioni. Ricevetti tutta l’assistenza possibile. Non avrei più avuto un braccio, ma ciò che mi diede più il tormento fu il fatto che molti che avevo conosciuto non vi sarebbero più stati nella mia vita.

Ero sola. Ma quello era il prezzo da pagare per la salvezza del mondo.

Nessuno dei cittadini sarebbe mai venuto a conoscenza dei veri fatti di quella notte, e non ci sarebbero stati funerali d’onore per gli uomini e le donne che avevano dato la loro vita per difendere l’umanità dal caos di un’entità venuta da altri mondi.

Tutto sarebbe rimasto nell’oblio.

L’umanità non era ancora pronta per conoscere quella verità.

Forse non lo sarà mai.

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Capitolo 57
*** Figli di Tabaldak ***


Giorno…? Anno…?

Ha più importanza, ormai?

Devo ammettere di essermi affezionata a tutto questo.

Vorrei davvero potervi dire un giorno, un mese, ma sarebbe del tutto superfluo. Non cambierebbe ciò che è stato, il terrore e l’angoscia provati nel combattere il caos. Il caos, però, è tale poiché è impossibile riordinarlo. Ci sono cose che noi esseri umani non potremo mai governare.

Così, con la mente, non mi resta che fare un passo indietro ai momenti che hanno cambiato per sempre la mia vita, agli incontri che hanno segnato la persona che sarò.

Io, Gabriela, non avrei mai creduto a niente del genere… non prima di conoscere Enrico, Philipp Lloyd, perlomeno.

Ogni storia narrata ha però una sua conclusione, e spero possiate perdonarmi per non essere la persona che forse avreste voluto leggere. Anch’io, proprio come voi, mi sono affezionata giornalmente alle sue vicende, alle disavventure, ai mille dubbi. Enrico era diventato per me un vero e proprio amico di penna; certo, c’era molto altro nei miei intenti, ma mai mi sarei aspettata simili risvolti. Qualche volta la realtà supera anche le nostre fantasie.

Ho riso, ho avuto una paura terribile, e ho pianto per i cari amici che non ci sono più.

Mi chiedo se anche voi, dietro quello schermo, abbiate provato le stesse sensazioni, leggendo di noi. Non sono brava a portare a termine certe cose… è la prima volta che lo faccio.

Ho fatto una promessa.

Intendo mantenerla.

Lui lo merita.

Potete prendere quanto segue per una banale storia di fantasia, la follia di uno scrittore o una scrittrice. Chi ha vissuto esperienze simili, però, sa bene che la verità sta nel mezzo della follia.

Io, mi congedo qui, prima del finale.

Vi ringrazio per avermi sopportata.

Vi voglio bene.

 

Gabriela / Anduin

 

 

 

L’ultimo giorno di degenza ricevetti una cartolina sulla quale era illustrata la State House di Providence, Rhode Island, America. Non c’era indirizzo di spedizione, dunque immaginai fosse stata portata a mano, cosa che mi venne presto confermata dall’infermiera. Era stata portata da un bambino. Come avesse fatto quel pargolo a inoltrarsi indisturbato dentro un ospedale, in piene restrizioni pandemiche, questo è ancora oggetto di mie perplessità. Ecco, sto divagando.

La cartolina era stata stampata su una carta fotografica, con una qualità non esattamente eccelsa. Esaminandola, sul retro notai un simbolo che non scorderò per il resto della vita:

 

 

Di fianco al mio letto era presente un pannello retroilluminato per le radiografie, solito ricordarmi le mie terribili condizioni. Inserii la cartolina, e il vero contenuto divenne visibile, scritto in piccolo e con un inchiostro speciale. Anche l’immagine era stata sovrascritta:

 

Ciao, Gabriela

 

Mi dispiace non averti potuta salutare di persona.

Stiamo per imbarcarci.

Philipp Lloyd è stato sconfitto, anche se pagando un grande costo.

Ma la battaglia non è ancora conclusa.

Malsumis perdura.

Uccidendo Philipp Lloyd e l’Antico, lo abbiamo rallentato.

Màlk-ar-Sùm è però un’entità immensa.

Ho infine compreso il senso della grande esplosione e del dolore percepito da Philipp Lloyd. Nella seconda guerra mondiale, la bomba ha ucciso uno degli Antichi.

Erano dodici in origine, quelli sopravvissuti al lungo sonno.

Credo siano rimasti in dieci. Se solo uno dovesse liberarsi, sarebbe la fine.

Zhùt e gli Indiani d’America, così come altri popoli, hanno tentato sino alla fine di sigillarli.

Ora, è arrivato il nostro momento.

Nostro, perché la verità non è scontata: noi siamo l’eredità di Zhùt, perché nel nostro sangue scorre anche il suo, quello dei suoi figli.

Per questo siamo dei Figli di Tabaldak.

Tutti noi Niudna.

Per questo ho bisogno di te, Gabriela.

Tu li hai riuniti.

Grazie a te, hanno combattuto per me, per Philipp Lloyd.

Ti aspetterò a Providence, Rhode Island, America.

Gli Antichi Dei devono essere fermati.

 

 

 

Philipp Lloyd.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine

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