In the family name

di coopercroft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Cittadella ***
Capitolo 3: *** Vecchi errori ***
Capitolo 4: *** Il Generale ***
Capitolo 5: *** I fratelli Cooper ***
Capitolo 6: *** Roses House ***
Capitolo 7: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 8: *** Ser Henry Norbury ***
Capitolo 9: *** Un passato che ritorna ***
Capitolo 10: *** Conversazioni in mensa ***
Capitolo 11: *** Guai per il dottor Roberts ***
Capitolo 12: *** Cure e incertezze ***
Capitolo 13: *** Il dottore è in pericolo ***
Capitolo 14: *** Un piano pericoloso ***
Capitolo 15: *** Prima di muoversi ***
Capitolo 16: *** Correre dei rischi ***
Capitolo 17: *** Ferite e fratellanza ***
Capitolo 18: *** Compromessi ***
Capitolo 19: *** Dopo la bufera ***
Capitolo 20: *** Una chiamata inaspettata. ***
Capitolo 21: *** Il diverbio. ***
Capitolo 22: *** chiarimenti ***
Capitolo 23: *** I Generali. ***
Capitolo 24: *** L'arrivo del Generale Malcom ***
Capitolo 25: *** Gestire una situazione complicata ***
Capitolo 26: *** Il dovere e l'obbedienza. ***
Capitolo 27: *** Nel nome della famiglia ***
Capitolo 28: *** Fine di una giornata pesante ***
Capitolo 29: *** Obbedire agli ordini ***
Capitolo 30: *** Lo zio William ***
Capitolo 31: *** A pranzo con lo zio e vecchi ricordi ***
Capitolo 32: *** Ammettere le proprie debolezze ***
Capitolo 33: *** Edward e la visita medica ***
Capitolo 34: *** Sir Geoffrey Adam Cooper. ***
Capitolo 35: *** I sospetti e le verità nascoste. ***
Capitolo 36: *** Chi è John Roberts ***
Capitolo 37: *** Il tormento della famiglia Cooper ***
Capitolo 38: *** Appuntamento con Steve ***
Capitolo 39: *** La fragilità e lo strappo ***
Capitolo 40: *** Nora Stafford ***
Capitolo 41: *** Edward rimprovera Roberts ***
Capitolo 42: *** L'incidente di Steve ***
Capitolo 43: *** Il fratello, l'amico, la famiglia ***
Capitolo 44: *** L'operazione di Steve ***
Capitolo 45: *** La confessione ***
Capitolo 46: *** Tomento ***
Capitolo 47: *** Consapevolezza ***
Capitolo 48: *** Tornare a casa ***
Capitolo 49: *** Epilogo : la nostra famiglia ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                            <<<<<<<<<°>>>>>>>>

Roses house splendeva nella prima luce del mattino, solo così il vecchio maniero perdeva quella parte malinconica che a volte trafiggeva il cuore di Edward. 

Si allontanò dalla finestra e indossò la divisa che Mary, la vecchia nutrice, gli aveva preparato  pulita la sera prima. 

Lei ci teneva che fosse impeccabile, era l'autorevole comandante della Cittadella, la base militare più ambita del distretto di Londra.

Nella vecchia magione, patrimonio della dinastia Cooper, erano rimasti solo loro due e il giardiniere che veniva con meno frequenza vista l'età. L'anziana signora era la sua roccia e gli era rimasta sempre accanto.

Sbuffò guardandosi allo specchio, strinse il nodo della cravatta di ordinanza e sorrise, le labbra sottili, la fronte distesa.

Il profumo del caffè che Mary gli stava preparando, gli rammentarono le colazioni caotiche della sua numerosa famiglia.

I ricordi gli scaldavano il petto, quante volte aveva rincorso i suoi fratelli per spronarli ad andare al college, li sgridava bonariamente per il solito ritardo perchè lui era il maggiore e si sentiva responsabile.

Ma tutto era passato, tutto era così lontano, non era riuscito a tenerli insieme, il suo più grande rimpianto. La famiglia Cooper si era disgregata sotto il peso delle incomprensioni reciproche.

E lui stoico era rimasto nella immensa casa silenziosa, perché sperava ancora di farli tornare   nel nome della famiglia.


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Capitolo 2
*** La Cittadella ***


Il pallido sole di Londra illuminò la finestra della stanza spartana di Steve. Aveva dormito come accadeva spesso nella sua camera che gli era stata assegnata nell'ala degli ufficiali, piuttosto che tornare alla magione di famiglia. I troppi ricordi lo infastidivano, e spesso preferiva fermarsi lì anziché tornare a Roses House.

Si alzò sbadigliando ancora assonnato, stava per iniziare un'altra giornata. Si lavò e rasò velocemente indossò la divisa pulita mentre osservava dalla finestra il parco interno della Cittadella, la struttura era un posto unico nel suo genere.

Solo passandoci davanti si poteva notare quanto fosse vasto il complesso di edifici parchi e piste di atterraggio degli elicotteri militari che erano custoditi negli Hangar. L'accesso alla struttura era controllato dai sorveglianti armati che consentivano il passaggio solo a chi disponeva del pass o di un permesso valido. Era una struttura militare ben vigilata.

Il maggiore Steve Cooper si staccò dalla finestra e uscì. Percorse il lungo corridoio con passo veloce, tutta la Cittadella era già in fermento. Dalle finestre dell'atrio vide il parco con l'erba rasata di fresco, con gli alberi alti, le siepi curate. Amava quel posto, era sicuramente la sua casa. Essere un militare per Steve era una missione, una priorità

A quell'ora c'era il via vai di soldati e ufficiali già in servizio.

Presto avrebbe dovuto raggiungere i militari che arrivavano dai vari dipartimenti dello stato. Li avrebbe esaminati e affiancati ai vari sergenti. Di solito si fermavano per un periodo di sei mesi, si specializzavano in base alle loro attitudini e poi ritornavano ai reparti di appartenenza.

Ma il suo compito era anche quello di addestrare le reclute che invece erano novellini che volevano provare la vita militare. Alcuni di loro avrebbero seguito il corso ufficiali.

Ridacchiò tra sé al pensiero delle facce attonite che si ritrovava davanti ogni volta che li passava in rassegna. Scosse la testa e accelerò il passo. In mattinata aveva un'incombenza nuova, accogliere l'arrivo del nuovo medico. Allungò il passo per non arrivare in ritardo all'appuntamento. Il vecchio dott. Willis era andato finalmente in pensione, non che gli fosse mai stato particolarmente simpatico.

Si ritrovò a riflettere infastidito sul nuovo arrivo senza sapere bene il perché.

Sperava che il nuovo medico fosse affidabile, visto che avrebbero collaborato insieme. Avere rispetto reciproco lo trovava importante, cosa che invece era totalmente mancato col vecchio dottore.

Steve uscì dalla porta centrale e si avviò verso la direzione.

Incrociò un collega e lo salutò cordialmente. Con i suoi occhi castani, osservava metodicamente gli ufficiali che incrociava con cui scambiava un breve saluto. Era affabile anche con i suoi sottoposti che lo rispettavano. Non ci teneva a mantenere troppo le distanze.

Chi lo conosceva poteva affermare che il maggiore Cooper fosse un buon ufficiale, attento alla sua immagine, rispettava una certa qualità di vita, per dare l'esempio. Era attento al suo aspetto che era curato e ben definito. Alto a asciutto si manteneva in salute correndo spesso nei campi di addestramento, insieme alle sue reclute. Perciò teneva i capelli neri sempre corti. Li trovava comodi, il volto pulito e sbarbato.

Giunse assorto nei suoi pensieri al suo studio e consultò gli appuntamenti. Il nuovo dottore doveva essere già arrivato. Fu rapido a raggiungere l'ingresso, dove avevano appuntamento, lo vide arrivare dopo pochi minuti.

Era un capitano medico, un uomo snello e alto poco meno di Steve. Con i capelli corti di un castano chiaro. Avanzò lentamente guardandosi intorno. L'ingresso, che portava agli uffici dirigenziali della Cittadella, colpiva per la sua maestosità, bianche colonne, volte intarsiate e la scalinata di marmo bianco erano tipici di una antica villa vittoriana. Il dottore rimase sorpreso e titubò, poi prese coraggio e appoggiò la sacca militare a terra. Steve lo aveva osservato attento, scese le scale rapidamente e si presentò.

"Quindi lei è il nuovo sostituto." Si rivolse cordialmente al nuovo arrivato, "Sono il maggiore Steve Lawrence Cooper, probabilmente suo nuovo collaboratore."

"Piacere Maggiore, sono il nuovo capitano medico John Miles Roberts" strinse forte la mano a Steve fissandolo con occhi acuti dal caldo grigio chiaro. Lo studiò rapidamente, e gli parve simpatico.

"Bene mio caro dottore dovrò fare gli onori di casa." Steve accennò un breve sorriso, "Mio caro capitano, il vecchio dottore non riscuoteva grandi consensi. Diciamo che ci voleva un cambio di vedute. Venga le faccio vedere i suoi alloggi, la clinica e quanto altro." Steve lo prese in consegna con decisione.

John afferrò la sua sacca e segui Steve fino ai suoi alloggi dove le lasciò. Tutte le stanze degli ufficiali erano al piano superiore. Anche quella del Maggiore si trovava poco oltre quella del dott. John. La stanza era spoglia ma funzionale, pulita e ampia. Una luminosa finestra dava sul cortile interno. John notò che c'erano due letti.

"Sono per accogliere qualche familiare, lasciamo un letto in più." Steve aveva visto la perplessità sul volto del medico e aveva dato subito spiegazioni.

John annuì, assorto dalle tante novità. Seguì silenzioso Steve, che lo condusse alla clinica al primo piano e lo presentò ai colleghi con cui avrebbe lavorato e assunto la direzione. La piccola, ma ben organizzata struttura contava altri tre medici e circa otto infermieri. Alcuni specialisti si alternavano nella zona riservata alla traumatologia e riabilitazione. Altri ambulatori erano gestiti dal esterno e collegati all'ospedale Saint George di Londra. La clinica contava un buon numero di letti ed era ordinata e ben gestita. Ottima per prendersi cura della salute dei militari. Il dottore Roberts ne fu piacevolmente colpito.

Steve sorrise vedendolo sorpreso, lo trovò quasi disarmante. Abbassò il capo e ridacchiò soddisfatto.

"Venga Capitano, la porto nel suo studio, dove passerà buona parte del suo tempo." Steve si incamminò senza fretta. Scesero le scale e percorsero il lungo corridoio, che era esattamente all'opposto di quello che portava agli uffici della dirigenza. Camminarono affiancati gettando entrambi lo sguardo verso le ampie vetrate che davano sul bel parco all'entrata. John lo seguiva taciturno, ma incamerava tutto rapidamente già conquistato da quel luogo insolito. Giunsero allo studio del dottore, che era di fronte a quello di Steve.

"Bene Roberts adesso la lascio, qui di fronte c'è anche il mio studio se ha bisogno di chiarimenti mi troverà lì."

Detto questo si congedò. Poi si ricordò qualcosa e si girò dicendo.

 "Ah. dottore nel suo ufficio troverà le note che le ha lasciato il suo predecessore, in caso chiami la clinica. Buon inizio e a presto".

John era rimasto un pò confuso da quell'accoglienza frettolosa, ma il Maggiore nella sua schiettezza gli risultò simpatico. Certo questo nuovo incarico come medico era tutto da scoprire, ma si sentiva tranquillo, Cooper sembrava una persona cordiale e disponibile. Rifletteva tra sè che doveva trovare la giusta collaborazione altrimenti avrebbe fatto fatica a inserirsi, lui non si era arruolato da giovane, era stata, come dire, una necessità. Si ritrovò a pensare alla sua casa in Scozia e si fece malinconico, gli mancavano le distese verdi, che lo avevano visto crescere, e la sua famiglia, specialmente suo fratello Neville. Londra gli sembrò improvvisamente nemica.

Osservò il suo nuovo ufficio con curiosità. C'era un'ampia scrivania con due comode poltrone sistemate di lato. Dietro, una libreria provvista di numerosi libri di medicina mentre di lato una porta a vetri portava nel retro dove c'era un piccolo ambulatorio con un lettino e una dispensa con vari medicinali, e sotto la finestra in fondo alla stanza, un comodo letto dove poteva prendersi qualche pausa.

Soddisfatto, si lavò le mani nel piccolo bagno attiguo e si mise al lavoro. Si sedette alla scrivania coperta di faldoni e cominciò a studiare le carte del suo predecessore. Avvertiva la stanchezza del viaggio, ma si diede da fare senza pensarci troppo. Si passò le mani nei capelli castani e si mise a leggere attento. Ma era distratto dal pensiero di Steve, che l'aveva colpito per i suoi modi cortesi, non certo quelli rigidi di un militare. Si chiese se la loro collaborazione sarebbe stata sempre onesta e sincera, perché in quell'ambiente non era tutto così solare. Molte volte si era scontrato con ottusi comandanti, presi dall'orgoglio e incuranti del benessere dei sottoposti. Sbuffò seccato pensando al lavoro accumulato sulla scrivania.

 

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Capitolo 3
*** Vecchi errori ***


Steve quella mattina si occupò dell’arrivo delle nuove reclute, ragazzi pieni di voglia di mettersi in mostra. Si rivide in loro, ma lui era stato più intrattabile e scostante. Li salutò senza essere severo, poi li osservò e li divise in gruppi per affidarli ai vari sergenti, preparò le cartelle di ognuno di loro. Le avrebbe consegnate  al dott. Roberts  in quanto il suo compito era di vagliarne la salute.

 Scambiò qualche parola con le reclute come era solito fare.  Intanto li valutava e dalle loro risposte decideva quale era la loro attitudine. Era attento, intuiva alcuni aspetti che altri non vedevano. Il loro modo di atteggiarsi, le risposte rapide e precise, la determinazione, lo aiutavano a indirizzarli ai i vari incarichi. Era importante per lui sapere se avevano attitudine alla vita militare per non pregiudicare il lavoro che veniva svolto alla Cittadella, doveva scegliere tra un buon soldato e un futuro ufficiale. Così passò parte della mattina.

 Verso mezzogiorno decise di andare dal dott. John sia per vedere come si era ambientato, sia per portargli le schede.

Lo trovò nel suo studio intento a scrivere, bussò sulla porta socchiusa ed entrò.  John alzò lo sguardo colto alla sprovvista e si appoggiò sullo schienale della poltrona pensieroso.   Era talmente immerso nello studio delle cartelle che il bussare improvviso l’aveva fatto sussultare. Alzò lo sguardo e si trovò di fronte il sorriso divertito del maggiore Cooper. John si appoggiò allo schienale chiedendosi cosa ci facesse lì e gli fece cenno di accomodarsi.

 "Bene dottore, vedo che si è velocemente dato da fare, le ho portato nuovo lavoro." Steve aveva un’altro fascio di cartelle in mano che appoggiò sulla scrivania.

 Il Maggiore si era tolto il berretto e si era seduto sulla poltrona davanti alla sua scrivania.

"Beh! il mio precedente collega aveva lasciato parecchio lavoro arretrato."  John si era innervosito fissando la quantità di cartelle cliniche da esaminare. Si fece improvvisamente serio, e si rivolse quasi seccato a Cooper.

"C'è però una valutazione di un cadetto dell'accademia, fatta dal mio predecessore, che mi ha lasciato perplesso. Forse lo conosce? Il suo nome è Reginald Norbury."  John era stupito dal fatto che fosse sfuggita una cosa del genere.

Steve imbarazzato, lo guardò poi si ricordò di quel ragazzo figlio di una famiglia blasonata di Londra che lo voleva assolutamente nelle guardie della sovrana.

"È una storia complessa dottore, credo che qualcuno abbia chiuso un occhio sulla sua valutazione medica, la famiglia deve aver fatto pressioni perché rimanesse alla Cittadella." Steve attese la risposta risentita di John. E questa arrivò puntuale.

"Maggiore, non conosco il mio predecessore, ma non passerò sopra facilmente a questa storia. È mia responsabilità la salute di questo ragazzo, meglio un uomo vivo che un soldato a rischio ai servigi della sovrana. Può fare tante altre professione nell'esercito, meritevoli e prestigiose, ma adatte alla sua salute." John mostrava un piglio deciso che non lasciava possibilità di repliche.

Steve comprese che aveva di fronte un uomo deciso e dai principi solidi, con cui era pienamente d'accordo. E ne fu sorpreso, non disse nulla aspettando la seconda domanda che già temeva.

"Comunque, Cooper, dovrà pur essere stata visionata da un suo superiore questa pratica, il dottore non poteva fare tutto da solo. Chi ha il potere di decidere alla fine in questo posto?"  Vide Steve irrigidirsi, le spalle dritte.

"Se vuole delle risposte semplici non ce ne sono dottore. Alla fine tutte le scelte sono vagliate ai piani alti dove si trovano gli uffici della dirigenza. Naturalmente anche l'ufficio del Generale Sovrintendente della Cittadella."  Steve chiuse velocemente l'argomento in modo secco, sembrava nervoso. Prese sgarbato il suo berretto, lo rigirò fra le mani cercando di trovare le parole adatte. Vedeva chiaramente un errore da parte della dirigenza e sapeva bene di chi poteva essere. Si sentì coinvolto e abbozzò un mezzo sorriso tirato.  "Dottore facciamo così, adesso è già tardi. La accompagno in mensa, poi vediamo cosa si può fare.

 

 

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Capitolo 4
*** Il Generale ***


John si alzò di malavoglia, ma lo segui lo stesso. Lui avrebbe voluto approfondire l'argomento, ma Steve non gliene diede il tempo.   Percorsero il lungo corridoio silenziosi, uscirono e attraversarono il parco dirigendosi verso un edificio grigio dalle ampie vetrate: la mensa, riconoscibile dall’ andirivieni di soldati e reclute. Affiancarono il viale alberato, quando arrivò un'auto nera con targa diplomatica. Steve sospirò profondamente, cambiando espressione in volto.   "Quando si parla del lupo..." Mormorò a denti stretti.

John lo guardò curioso e ancor di più stupito, quando il passeggero sceso dall'auto si incamminò verso di loro.   Era un Generale. Aveva il portamento tipico da ufficiale, ma   elegante. Fece loro cenno di fermarsi   e Steve ubbidì. Sembrava una persona autorevole che non passava inosservata, e non ammetteva rifiuti.  

Fissò Cooper sarcastico, e non si presentò affatto.  "Bene Maggiore, allora questo è il nostro nuovo dottore, vedo che siete già in ottimi rapporti."

Volse lo sguardo verso il medico. Lo osservò attento. Si rivolse in modo gentile al nuovo arrivato. " Come trova la Cittadella, Capitano?"

John fu sorpreso di come si fosse rivolto a Steve, lo giudicò un po' bizzarro, ma rispose con sicurezza.  " La trovo molto ben organizzata, non credevo fosse così efficiente, Signore."

Il generale si stampò un sorriso ironico in faccia.   "Risposta diplomatica dottor Roberts."

 John si stupì che sapesse il suo nome.

" Tranquillo so già un bel po' di cose su di lei. Non mi fraintenda è per puro lavoro, la sicurezza per me conta molto. Ma adesso vi lascio, visto che probabilmente dovrete pranzare.”  Girò il capo accennando un saluto ironico all’indirizzo di Steve.   “Maggiore Cooper!  Conto di vederla più tardi insieme al buon dottore nel mio ufficio. Mi sembra che non sia al corrente di alcune cose, vero? " Salutò rapidamente e se ne andò.

Cooper era scuro in volto mormorò qualcosa del tipo. "Dottore: capirà più tardi, non mi chieda niente."

Il pranzo fu leggero e veloce, il Maggiore gli parlò della Cittadella e di qualsiasi argomento futile, ma non accennò minimamente all' incontro di prima. Né John decise di chiedergli nulla.

"Bene dottore che ne dice di andare a conoscere il nostro Generale?"  Steve malvolentieri si alzò e ritornò all' argomento che aveva evitato per tutto il pranzo.

"Mi sembrava non fosse molto contento di andare da lui."  John fissò curioso il Maggiore, che gli rivolse un mezzo sorriso, scandì le parole sarcastico.  “Il Generale è abituato a dare ordini mio buon dottore, e il suo era senza possibilità di replica!"

Steve fece due passi e lo aspettò.  "Avviamoci John, al generale non piace aspettare." Si mise il berretto e si avviò seguito da Roberts.

Rapidamente giunsero presso gli uffici della direzione che erano situati nello stesso palazzo dove avevano i loro studi. Il corridoio che percorsero era simile a quello, ma l'arredamento era molto più classico. Un grande arazzo si intravedeva alla fine del corridoio, che aveva dai lati grandi finestre che si affacciavano nel cortile alberato. Giunsero alla penultima porta e Steve si girò aspettandolo. Sulla destra   c’era la scrivania di Nora, la segretaria del generale. Ora però la sua postazione era vuota, così Steve bussò velocemente alla porta e senza aspettare risposta entrò seguito dal dottore sorpreso da quell’entrata impetuosa.

Il Generale era in piedi dietro alla scrivania. Lo studio era grande, aveva ampie finestre dai lati. Un divano chiaro era sistemato sotto la parete adornata con dei quadri raffiguranti soldati e cavalieri in antiche battaglie. La libreria alle sue spalle occupava buona parte della stanza. Verso il fondo sulla destra c'era una porta finestra che dava su di un terrazzo il cui tetto era ricoperto da una massa di glicini, che dava sul chiostro alberato sottostante.

"Non potevi essere che tu Steve ad entrare senza aspettare l’invito.”   Il Generale guardò scocciato il Maggiore.  "Sempre così incivile. Si accomodi Capitano, mio fratello è un vero maleducato."

John rimase sbalordito, ecco perché il Generale gli sembrava così familiare! Era il fratello di Steve! In effetti non si era presentato.

"Edward ama fare scena, John." Steve scosse la testa sconsolato. "Lui è Edward Michael Cooper, Generale sovrintendente della Cittadella nonché mio complicato fratello."

John era rimasto senza parole.  Anche Edward Cooper era alto, ma un pò più magro del fratello.  Ora che il generale era senza berretto, poteva notare i suoi capelli neri corti come quelli di Steve, con qualche filo bianco sulle tempie. Sembrava appena rasato ed era curato nel vestire. Incuteva al primo impatto soggezione e autorità forse dovuta al suo lungo passato militare, i suoi occhi castani chiari erano però velati di una strana tristezza.  Edward Cooper lo fissava in modo acuto e John si sentì scrutato nel profondo, aveva l'impressione di essere valutato e soppesato, e in quel momento era lui il suo bersaglio.

John alleggerì la situazione con un sorriso cordiale. "Beh, sono nel bel mezzo di una riunione famigliare, mi sembra che siate parecchio affiatati o mi sbaglio?”

" Via dottore, semplici divergenze tra fratelli, chi non ne ha."  Edward guardò il Steve ridendo, ma lui invece era serio e per niente divertito.

Steve sibilò irritato, fissandolo in tono di sfida. " Fratello, che ne diresti di ascoltare il dottore. Sistemando le cartelle del suo predecessore ne ha trovata una un poco discutibile."

"Bene, dottor Roberts cosa ha trovato? Il suo predecessore era diciamo, un pò sopra le righe." Edward si fece serio in volto, si sedette dietro alla scrivania, mentre il dottore si accomodò sulla poltrona di fronte.  Steve era rimasto in piedi vicino alla finestra, e li osservava attento.

 Roberts capì perché Steve, nel suo ufficio si era innervosito alle domande sulle decisioni finali su Norbury, il responsabile era suo fratello, in quanto comandante della Cittadella. Ma si preparò comunque a parlare con schiettezza.

"Si tratta della cartella di Reginald Norbury, ho trovato delle incongruenze soprattutto sullo stato di salute del ragazzo che non dovrebbe nemmeno essere alla Cittadella viste le sue condizioni. I referti parlano chiaro, il suo cuore non è adatto a questo tipo di lavoro. Non solo è pericoloso per lui, ma potrebbe rendergli difficile svolgere un lavoro stressante come quello di un ufficiale. Potrebbe solo affrontare un lavoro di ufficio, e non credo ne sarebbe molto contento viste le aspettative della famiglia." John era stato il più conciso possibile.

Edward lo aveva ascoltato senza scomporsi. I suoi occhi si erano fatti stretti, poi rispose piatto.

"La famiglia Norbury è pari d'Inghilterra, ed è una spina nel fianco dottore. Per quanto avessi avvisato il suo predecessore questi si lasciò, per così dire convincere e diede parere favorevole all'ingresso del ragazzo per un periodo limitato di circa tre mesi. Ma poi prolungò ancora la data e cambiò il referto medico. Mi fidai di lui e lasciai correre, e fu un errore. La famiglia Norbury decise di elargire alla Cittadella un’ingente donazione, nemmeno tanto velata perché il ragazzo rimanesse qui. In pratica il bene di molti accettando sostanzialmente un ricatto."

Steve era sconcertato, sapeva dell'integrità del fratello, lo fissò stupito. Edward se ne accorse e si spazientì.

"Avanti Steve, non farti venire idee sbagliate." Il generale sospirò irritato. "Me ne sto occupando già da tempo. Adesso con l'arrivo del nuovo dottore vedo la possibilità di chiarire questa brutta situazione. Perché se ho capito bene John, lei non vuole appoggiare questa valutazione e la vuole rivedere, giusto?"

"Ha capito bene generale, intendo sistemare la questione, rivedendo il ragazzo e la valutazione precedente." John era deciso.

"Steve le darà una mano, perché Norbury ha molti amici qui, magari non sinceri, ma pericolosi."

 Edward cercò l'approvazione di Steve, che annuì.   "Bene, mio caro dottore la congedo, vorrei scambiare due parole con mio fratello, se non ha altro da dirmi."

"Nient’ altro Generale,"  ridacchiò  John mentre usciva. " Preferisco non assistere alle vostre amabili schermaglie. Buona fortuna Maggiore. Generale  i miei saluti."

Il dottore si avviò soddisfatto verso l’uscita, chiuse la porta mentre guardò per pochi secondi i due fratelli che sembravano perplessi.

 

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Capitolo 5
*** I fratelli Cooper ***


 Edward divertito, si girò verso Steve che si era seduto sulla comoda poltrona di fronte alla scrivania.  “Il nostro dottore ci ha già inquadrato, a quanto pare! "

Steve inclinò la testa di lato fissandolo.  "Cosa devi chiedermi fratello? Di cosa si tratta" 

"Dovrai occuparti di John perché temo si troverà pressato, tu conosci già le dinamiche della Cittadella e sai dove puoi arrivare e dove no." Edward era serio in volto e preoccupato.

"Se mi chiedi di andarci cauto va bene, ma non ostacolerò il dottore. Sai come la penso su certe tue scelte. Mi sembra che anche tu abbia ampiamente taciuto su questo se alla fine hai accettato quella donazione" Steve era irritato. Fissava il fratello maggiore scuro in volto.

"E qui ti sbagli, la donazione non è stata accettata, ma per così dire sospesa. Mi credi così meschino? Sembri non conoscermi!  Lasciamo cadere la questione, fratello, non voglio litigare come sempre. Ma comunque tienimi informato."   Edward era infastidito dalle sue parole, camminò con le mani in tasca verso di lui, scosse la testa seccato: per lui il discorso era chiuso lì.

Così cambio argomento, si fece inquieto, la voce leggermente velata. “Adesso dimmi se hai sentito il resto della famiglia. Daniel, Ellen?"

"Quel poco che so è che Daniel è in scozia a fare l'istruttore di volo in Royal Air, adesso è capitano. Anche Ellen è in Scozia stessa base, reparto medico, è una brava e apprezzata infermiera” Steve si alzò di scatto girandosi verso il fratello e lo guardò dritto negli occhi.  “Sono sereni, Edward. Lasciali in pace."

Steve era stato duro, ma sembrava rassegnato alla personalità autorevole e protettiva del fratello, che a volte sconfinava in ingerenze, che i due gemelli Daniel ed Ellen mal sopportavano.

"Quindi stanno bene, lontani da qui e da me. E da Roses House."  Edward sibilò seccato. "Ho cercato di fare il possibile per tenere unita quel che rimaneva della nostra famiglia. Mi biasimi?"

Il minore comprendeva il forte senso di fratellanza di Edward, lo sapeva in buona fede e cercava di mediare tra lui e i suoi fratelli, senza prendere le parti dell'uno o dell'altro. Molte volte si era trovato diviso e aveva dovuto defilarsi. Così aveva sviluppato una specie di scudo che lo mettesse al sicuro da Edward a cui era comunque rimasto vicino. Così gli rispose con serenità.

"Non te ne faccio una colpa, io sono ancora qui, ma con loro avresti dovuto essere meno oppressivo. Controllavi la loro vita e indirizzavi le loro aspirazioni. Fino a che si sono ribellati. Ora lasciagli fare le loro esperienze e quando saranno pronti torneranno. Non darti pena Edward."

Era sincero e suo fratello lo apprezzò. Il Generale lo avvicinò con lo sguardo basso, era teso. "Perché sei rimasto, avresti potuto andartene anche tu."

"Perché ho tanta pazienza, mio generale. Che altro!" Steve glissò la domanda, si mise a ridere e uscì salutandolo con la mano.

 Percorse il corridoio della dirigenza, e rifletté sulla sua famiglia. Edward a volte agiva in modo così autoritario da farlo irritare.

Tra lui e suo fratello maggiore la differenza di età era di circa tre anni, ma i gemelli Ellen e Daniel erano più giovani di otto anni, quindi molte volte partiva già svantaggiato. Era senza dubbio una famiglia problematica la loro, dopo tutto quello che avevano passato, le difficoltà sembravano non finire. I Cooper avevano perso il senso di appartenenza, la loro fratellanza vacillava spesso. Il Maggiore scosse la testa sconsolato, pensava con dolore che la famiglia non c'era più.

Intanto era giunto nel suo studio. Roberts non c'era. Dovevano decidere come affrontare la faccenda di Norbury senza destare sospetti. Altrimenti tutto si sarebbe complicato. Si rese conto che non erano passate nemmeno 24 ore dall'arrivo di John e avevano già un’infinità di problemi. Rintracciò il numero di cellulare che si erano scambiati a mensa, e gli inviò un sms per incontrarsi in serata e decidere il da farsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Roses House ***


Verso l'ora di cena Steve si avviò verso la mensa, per incontrare il dott. Roberts.

Poco prima aveva visto Edward infilarsi nella sua Ford nera per andare a casa. Il fratello maggiore viveva ancora nella loro magione di famiglia, appena fuori il paese. Steve percorse il viale alberato riflettendo su come facesse ad abitare a Roses House, ora così solitaria. 

Con lui viveva Mary, che li aveva cresciuti e accuditi da quando erano bambini e aveva continuato a occuparsi di loro anche dopo la morte dei genitori. Una volta, ricordava con nostalgia, era piena di vita, ma se ne erano andati tutti, e suo fratello testardo aveva continuato a rimanere lì. Entrò in mensa, il vociare intenso della sala lo riportò alla realtà.

John arrivò puntuale, la mensa era già parecchio affollata.  Una fila di militari si allungava dalla parte della truppa, loro due si diressero nella parte dedicata agli ufficiali, presero i vassoi e decisero la cena. La scelta era ampia e Steve si prese tutto abbondante. John invece fu più misurato. Si sistemarono nei tavoli riservati al direttivo. Scambiarono brevi convenevoli, poi iniziarono a cenare. Il dottore osservava il Maggiore, che sembrava pensieroso. Così ruppe il silenzio, curioso del rapporto tra i due fratelli.

"Il generale non si ferma a cenare qui, Steve?" John sembrava stupito che si frequentassero poco. Lui sollevò il capo sorpreso dall’insolita domanda.

"Non sempre. Preferisce tornare a Roses House, la casa dei nostri genitori. La nostra cara signora Mary Evans si occupa delle mura domestiche, nonché di mio fratello, è un'ottima cuoca. Il vecchio Paul gestisce il parco e la manutenzione. Roses House è una vecchia, enorme, magione di famiglia." Il Maggiore scosse la testa sconsolato. Sembrava passato un secolo da quando ci aveva messo piede.

"Quindi vive con i genitori?" John era stranamente colpito della tristezza con cui Cooper aveva risposto.

"Direi di no, i nostri genitori sono morti circa quindici anni fa, in un incidente stradale. Dopo la loro morte per un certo periodo abbiamo vissuto tutti insieme, io, Edward e i due gemelli Daniel ed Ellen. Ma poi per un insieme di incomprensioni ci siamo allontanati. Edward ha voluto continuare a vivere là."

Steve si era notevolmente rabbuiato, si innervosì prese a sgualcire il tovagliolo, con rabbia. Continuò come se parlasse a sé stesso.

"La presenza di Mary, che ci ha praticamente cresciuti, mi rende più tranquillo. A volte la sig. Evans è la mia informatrice preferita, perché mi tiene al corrente del comportamento di mio fratello fra le mura domestiche. Diciamo che non voglio che rimanga o si senta solo.”

Steve era diventato improvvisamente serio. Sotto il suo sarcasmo nascondeva la preoccupazione per suo fratello. John lo avvertì chiaramente, capì che erano molto uniti anche se si detestavano apertamente. Forse vecchi rancori o le solite gelosie tra fratelli.

 Cooper si scosse finì di ripulire il suo piatto. Non gli mancava l'appetito.

 John rise vedendolo così affamato e cambiò argomento cercando di non infastidirlo ulteriormente, lo aveva visto angosciarsi, giudicò in quel momento la loro storia troppo privata.

"Cosa voleva dirmi riguardo ad oggi, è sorto qualche problema?" Il dottore si incuriosì.

"Diciamo che le nuove schede mediche che farà, non dovranno insospettire Norbury. Quindi dottore le allargherà a tutto il gruppo." Steve si fece serio "Non dia comunque molte spiegazioni."

"Ma è così influente la famiglia di Norbury, da non poterne respingere il reclutamento." John era seccato cominciava a vedere la difficoltà di Steve.

"Si dottore, anche mio fratello ha dovuto cedere in qualche modo, un pari di Inghilterra ha molti agganci, e in politica è difficile spuntarla." Cooper era determinato, ma sapeva delle complicazioni che aveva Edward per ridimensionare Reginald. "Andiamoci cauti e ce la faremo." Aggiunse a voce bassa.

Si era già fatto tardi, e per entrambi la giornata era stata lunga. Specie per Roberts che era arrivato da nemmeno un giorno.

Steve si congedò insonnolito, e si diresse verso le stanze degli ufficiali, seguito dal nuovo arrivato a breve distanza.

 

 

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Capitolo 7
*** Decisioni difficili ***


La mattina seguente Steve si recò dal dottore con i nominativi della compagnia di Norbury.

Raggiunse il suo studio e scambiò poche parole. John non sembrava troppo soddisfatto del caso di Reginald, ma si adattò a seguire i consigli di Steve. Così mentre il Maggiore raggiunse i campi di addestramento, il buon dottore si preparò ad affrontare le visite mediche della compagnia. Era già infastidito. 

Aveva dormito un sonno profondo e senza sogni. Si era svegliato presto e aveva osservato dalla finestra il movimento della Cittadella, le reclute e i soldati che si riunivano in gruppi omogenei,  l’arrivo delle auto degli ufficiali che abitavano nei dintorni. Tutto era così ordinato e preciso. Lasciò i suoi pensieri, prese le cartelle sottobraccio  e si recò alla clinica al piano terra, poco convinto di quello che avevano messo in atto.

Steve invece si stava recando ai campi di addestramento , quando notò Reginald insieme ai suoi compagni, che perdevano tempo vicino alla palestra. E si avvicinò seccato.

"Chi state aspettando, così rilassati come se foste in vacanza, signori." 

 Tutti si misero velocemente sull'attenti tranne  Reginald, col suo solito atteggiamento di arrogante.

"Lei Norbury è per caso esentato dal saluto militare? O non conosce la gerarchia. Vuole studiarla ancora?"

Steve difficilmente mostrava la propria autorità, ma Norbury lo irritò particolarmente.

"Maggiore, stiamo aspettando il sergente Mallory, Signore," disse una delle reclute. Intanto Reginald si era ricomposto, ma aveva ancora  quel sorriso ironico, così fastidioso.

"Bene, allora attendete in palestra dove dovreste essere," si rivolse asciutto a Norbury. " Lei si fermi qui."

I ragazzi andarono via con riluttanza. Steve stava per scoppiare, ci fosse stato Edward, lo avrebbe redarguito e riportato alla calma.

"Lei avrebbe bisogno di disciplina, ragazzino, questo è un luogo serio, non un parco giochi. Cosa vuole dimostrare? Di essere un buon ufficiale o bulletto da quartiere. Impari velocemente la gerarchia. Adesso si tolga dai piedi."

Norbury non replicò , era stupito dalla sfuriata del Maggiore, che sapeva essere persona tollerante. Se ne andò torvo in volto.

Il Maggiore  era molto irritato per l'atteggiamento del ragazzo, che non faceva altro che infastidire e sobillare i compagni, sapendo di avere le spalle coperte dalla famiglia. Sapeva che alla Cittadella c'erano potenziali ufficiali senza tanta boriosa presunzione. Si dispiaceva di non averlo fermato prima e messo in riga. Era stato troppo tollerante!  Nonostante suo fratello lo accusasse di essere troppo irruente e di non pensare molto. Finì per svolgere il lavoro  irrequieto e infastidito. Non era mai stato scortese ma quella mattina passò il limite e più tardi se ne pentì.

Tornò nervosamente  verso l'edificio dove risiedeva il comando, e vide la Ford nera del fratello già parcheggiata.

Decise di raggiungerlo nel suo ufficio. Stavolta bussò e attese, Edward lo fece entrare e richiuse la porta.

"Sei diventato improvvisamente educato fratellino?"  Stava indossando abiti borghesi.

"Dove hai appuntamento stamane mio generale? " Prese a scherzare Steve, vedendolo impegnato a vestirsi.

"Caro fratello oggi vedo i Norbury, in via informale. L'arrivo del nuovo medico ha già messo in allarme il padre Henry. Niente di buono quindi. Credevo di avere più tempo. Tu cosa hai combinato? " Lo fissò sospettoso. Certe volte leggeva direttamente dentro al fratello minore, che sembrava inquieto.

"Reginald Norbury bighellonava fuori della palestra con alcuni amici, così l'ho ripreso. Si atteggiava a leader, con qual fare sopra le righe. Non è un buon esempio, non ha cambiato condotta." 

Steve si buttò scomposto sulla poltrona di fronte alla scrivania, preso dal sconforto  di  non essere intervenuto prima.

"Vedremo di contenerlo se resta qui. Ma dispero di recuperare quel ragazzo. Nonostante non abbia una salute salda è decisamente irritante, come sir Henry il padre. " Edward sospirò avvilito e guardò su fratello armeggiare con le foto della famiglia, mentre si infilava la camicia.

“Steve ti prego lascia stare la mia scrivania! E dammi una mano.”  Steve si alzò, si avvicinò ad Edward, che come sempre non riusciva ad  annodare la cravatta sul completo blu scuro.

“Sei un disastro Edward!”  Steve ridacchiò e gliela  sistemò. Poi si fece serio.  "Roberts stamattina convocherà la compagnia per le visite mediche, ma ormai non partiamo avvantaggiati. Norbury capirà velocemente e avrai problemi  già da stamattina.  Forse avresti dovuto intervenire prima fratello, ora non sarà semplice e metterai in difficoltà John."

"Lo so, ma se il dott. Roberts non arretrerà, avrò finalmente l'appoggio di cui avevo bisogno. Certo non il tuo che non fai altro che criticarmi!"  Edward si scostò da suo fratello con fare irritato.

"Pensala come vuoi fratellone, ma sei decisamente indifendibile sulla questione Norbury! " Steve gli girò le spalle indispettito.

"Bene, non ho voglia di discutere con te, quindi smettila e occupati del dottore. Ci vediamo più tardi . Il generale prese la sua immancabile 24 ore e uscì di cattivo umore.

 

 

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Capitolo 8
*** Ser Henry Norbury ***


L’auto diplomatica lo portò verso Londra, attraversò la città caotica come i pensieri di Edward.  La giornata gliela aveva già rovinata Steve. Certe volte il fratello minore era impertinente e pretendeva da lui in rigore morale che non sempre poteva avere. Molte volte doveva mediare e cedere per raggiungere un accordo. Invece Steve era diretto e irremovibile. Troppo, a volte era addirittura incontenibile, si faceva prendere dalla rabbia e questo spaventava un po' Edward, che cercava di calmarlo, ma finiva per scontrarsi apertamente con lui. Il loro era un rapporto decisamente altalenante.  Edward entrò nella grande tenuta Norbury a bordo dell'auto.  L'autista lo lasciò davanti alla villa ottocentesca dal colonnato imponente che ostentava potere e ricchezza.    Lo accolse il maggiordomo che lo condusse in ampio studio con enormi librerie. Lì gli venne incontro Sir Henry Norbury.

"Generale,  quale piacere poterla incontrare finalmente."

Sir Henry era un uomo alto, ma sovrappeso, allungò la mano per stringere quella del suo ospite. Edward ricambiò, ma ebbe una sensazione sgradevole. Non avrebbe mai voluto essere alle sue dipendenze né farselo nemico, cosa che invece sarebbe accaduta.

"La Cittadella è un obiettivo ragguardevole per ufficiale, sono molto fiero che mio figlio sia lì. Spero che possa continuare a crescere per diventare un ottimo ufficiale."

Sir Henry non aveva aspettato a sollevare la questione.

Edward lo fissò diffidente. Raddrizzò le spalle e si tenne sulla difensiva.

"Reginald è un bravo cadetto, ma il punto non è questo. Come penso già saprà abbiamo un nuovo ufficiale medico, molto attento alla salute dei nostri ragazzi. Nemmeno ventiquattrore e ha trovato incongruenze nella cartella di suo figlio. Qualche colpevole dimenticanza del suo predecessore, che l'ha spinto a rivalutare tutta la compagnia. Se i suoi sospetti fosse veri, temo che Reginald non potrebbe continuare il suo percorso."

Le parole di Edward furono come una tempesta. Sir Henry si agitò notevolmente.

"Generale, Reginald non può lasciare la Cittadella! Nulla lo può impedire. Nemmeno lei!"

"Sir Henry se riceverò parere negativo, come avrebbe dovuto fare il vecchio dottore, Reginald cambierà il suo indirizzo e sceglierà qualcosa adatto alla sua patologia o lascerà la Cittadella."

 Edward mantenne la voce calma e replicò secco e infastidito.

"Lei rammenta Generale Cooper della cospicua donazione a favore della Cittadella, a quella non ha rinunciato! Non avrà più nulla da oggi in poi" 

Sir Henry era fuori di sé, prese ad agitarsi, arrivò troppo vicino a Edward.

"È forse un ricatto sir Henry?"  Replicò risoluto Cooper senza arretrare di un passo, lo fissò con gli occhi furenti. "La donazione è congelata in un fondo fiduciario, ed è lì da quando Reginald è entrato per un periodo di prova, che doveva essere di 3 mesi diventato troppo lungo per le sviste del vecchio dottore. Ora il fondo è ancora disponibile per la restituzione alla famiglia Norbury. La cittadella crescerà lo stesso con o senza le sue donazioni. È su questo che si basa l'istituzione sulla trasparenza."

Sir Henry sembrava sbigottito, non era abituato a ricevere dei no. Poi si riprese e mise fine alla conversazione.

"Sta bene Generale, vedremo cosa succederà. Ma avrà mie notizie perché non finirà qui."

"E io le aspetto ansioso Sir Henry, "rispose sarcastico Edward. "Dica ai suoi legali di accedere al fondo e di riprendersi velocemente il denaro. Subito!"

Con questo salutò un interdetto Sir Henry se ne andò girandogli le spalle.

        

Edward salì in auto innervosito da quella situazione assurda. Queste erano le ingerenze esterne che non gli piacevano. Odiava qualsiasi persona che interferiva con la Cittadella e che pretendeva favoritismi in nome del lignaggio. Fece il viaggio cupo in volto sapendo la pericolosità dei Norbury che lo avrebbero osteggiato fino alla fine.

E si preoccupò per la situazione di Roberts, che aveva un gran bella responsabilità. E si sentì in colpa perché   non aveva fermato il vecchio dottore quando andava fatto.

 

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Capitolo 9
*** Un passato che ritorna ***


Quando arrivò alla Cittadella Edward decise di prendersi del tempo prima di chiamare Steve. Fece una lunga passeggiata fino i campi dove le reclute si stavano esercitando. La Cittadella era vitale, una splendida realtà, non avrebbe permesso che venisse screditata. Camminava lento, ma non indossando la divisa pochi lo riconoscevano. E ne fu felice perché poteva osservare tutto meglio, camminava assorto preso dai ricordi.

Dopo la morte del padre lui aveva scelto di governare la Cittadella, e di rimanerci. Aveva studiato all'accademia da cadetto, e il padre lo aveva appoggiato.

  Ser Anthony Stafford Cooper era stato ambasciatore per lungo tempo ed Edward aveva frequentato fin da piccolo gli ambienti militari, in parte perché così voleva la tradizione, non si era sentito costretto, ne era rimasto semplicemente affascinato. Così aveva iniziato la carriera militare, insieme a  Steve che era molto più indisciplinato di lui, si erano  ritrovati vicini in accademia.

Aveva bruciato i tempi Edward, aveva preso i gradi molto presto, ma il padre lo aveva indirizzato alla carriera politica, perché era quello che voleva per il primogenito.

 Gli diceva che l'esercito doveva essere governato dall'alto. Così Steve si preparava sul campo ed Edward a malincuore si apprestava a diventare un diplomatico. I gemelli invece subirono la sorte più dura,  Ser Anthony voleva raddrizzarli, visto che sbandavano spesso alle scuole private. Erano indisciplinati e dopo pianti e musi lunghi entrarono giovanissimi in accademia. Daniel voleva diventare aviatore ed Ellen studiava da medico. Si adattarono, il padre ebbe ragione, cambiarono atteggiamento e divennero responsabili. Le cose per loro cambiarono quando morì ser Anthony, persero entusiasmo e benché  lui si fosse impegnato a seguirli, dirottarono le loro aspettative. Daniel ripiegò divenne elicotterista e Ellen un'  infermiera. Questo li fece scontrare e creò attriti che li portarono ad allontanarsi da casa. Edward troppo intollerante li perse. Così rimase da solo con Steve, che lentamente prese a non tornare più a Roses House.

 Il generale scacciò dalla mente quei pensieri dolorosi,  ritornò malinconico verso gli edifici del comando.

 Intuiva che da lì a poco suo fratello sarebbe arrivato per avere informazioni,  non mollava facilmente quando cominciava una battaglia, questo era un suo  pregio. Steve lo raggiunse nel suo studio e lo trovò impegnato al telefono. Lo osservò attentamente, capì che qualcosa era andato storto. "Allora fratello come è stato l'incontro con sir Norbury, dalla tua faccia non troppo bene." Il Maggiore si buttò sulla poltrona con le gambe sui braccioli.

"Decisamente un disastro, credo che ci pianterà grane a non finire. Devo vedere il dottore e sentire cosa ha deciso. L'hai visto? "  Edward si spostò dalla scrivania per raggiungere il fratello.  "Lo troviamo nel suo studio?"  Gli diede una botta sulle gambe, seccato da quell'atteggiamento scomposto.

Steve sbuffò e si accomodò meglio. “Prima non c’era, deve essere uscito. Forse era agli ambulatori. Ma quando lo vedo ti avviso. Che facciamo pranzi?"

Steve era sempre affamato, ma Edward non aveva appetito, scosse la testa con un no deciso,   l’incontro con Ser Henry gli aveva bloccato lo stomaco

"Devi mangiare Eddy,   non hai  nemmeno fatto colazione. Sempre i soliti problemi, fratello mio? " Quando Steve era preoccupato gli abbreviava il nome.

 Edward era infastidito quando suo fratello rivangava il passato. Quel periodo triste in cui aveva manifestato i primi problemi con il cibo, dopo la morte dei genitori, che riaffioravano a intervalli regolari quando era teso. Sapeva quanto testardo fosse Steve così cedette e lo seguì. Afferrò il berretto scocciato e andò con lui verso la mensa.

 

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Capitolo 10
*** Conversazioni in mensa ***


Trovarono posto ai tavoli degli ufficiali. Il dottore arrivò poco dopo, lì cercò con gli occhi e si sedette con loro. Edward lo vide serio e si chiese cosa potesse essergli successo.  "Ci stavamo preoccupando dott. Roberts, mio fratello non la trovava più. Cerchi di essere rintracciabile, con la faccenda di Reginald è meglio essere prudenti."  

John non ci mise molto a irritarsi e a rispondere piccato. "Un bel tipetto Reginald, mi ha dato da fare. E' decisamente arrogante sapendo di avere le spalle coperte. Ma alla fine ho redatto la cartella e le conclusioni saranno sulla sua scrivania presto.

“Il dottore si calmò e allungò le mani verso l’acqua versandosene un bicchiere colmo. “Che razza di ragazzo avete tirato su in questi mesi, perdonatemi entrambi, nessuno ha preso provvedimenti e lui peggiorerà sempre di più e non parlo di salute.”  Bevve tutto di un fiato.

Edward e Steve accusarono il colpo. Il generale cercò di essere gentile.

“Dottore, noi non seguiamo costantemente i ragazzi, solo se arrivano dei reclami interveniamo e Norbury era bene attento a non farsi notare. Tenga presente che non sapevamo nulla della sua salute, io mi appoggiavo al vecchio dottore. Se gli aveva dato un periodo di prova per me stava bene, non controllo le cartelle di ogni arrivato!” Fissò seccato Roberts, si sentiva già in colpa per tutto quello che era successo, ma accusarlo di negligenza questo no.

Steve mise fine alla discussione.  “Basta!  vedremo di rimediare dottore, ma da parte nostra mai avremmo avvallato una cosa del genere, può esserne sicuro.”

“Lo so bene, ma il mio collega come ha potuto fare una scelta stupida come quella di sorvolare sulle condizioni di Reginald. Per Dio!”  Roberts scattò stupito.

“Tranquillo dottore, sapevo già di che pasta era fatto, ma mancava poco alla pensione e ho lasciato correre. E commisi un errore.”  Edward era notevolmente infastidito, ma capiva la posizione di John, chiuse lì l’argomento.   "Bene dottore ora la informo che stamane ho visto il padre, Sir Henry e le cose si sono già complicate."

Edward fissò Roberts e strinse gli occhi, due sottili fessure fredde.   "Stia attento Roberts, credo che potrebbe avere dei problemi, i tirapiedi di Norbury sono pericolosi. Avvisi sempre John dei suoi spostamenti. Sia prudente. Purtroppo non posso fare altro per adesso."

Steve tirò la manica del fratello e lo trascinò alla dispensa, il dottore li seguì accigliato.

Si servirono e con i vassoi ritornarono al tavolo, solo Edward prese a mangiare una ridicola insalata farcita, il fratello lo guardò disgustato.

Loro avevano un bel piatto di pasta, finirono per prenderlo in giro. L'aria si fece più leggera, la tensione si stemperò.

"Dio John, guardi che spreco! Verdura e poco altro, potrebbe prendere una malattia mangiando quella roba inutile?"

John stette al gioco, sorrise, poi fece uno sguardo serio e sentenziò.  "Direi di sì, suo fratello non capisce il valore dei carboidrati contenuti in questo gustoso piatto di pasta. La verdura è triste già da sé. Generale, deve provare ad essere positivo. Più pasta, meno insalata, più pensieri positivi!"  Edward li fissò tediato, mentre i due si misero a ridere complici.

"Come fate a digerire tutta quella roba, sapendo il lavoro che vi attende. Specie tu fratello che non smetteresti mai di mangiare!"  Sbuffò risentito.

"Mentre tu Edward, tu cercheresti sempre di evitare il cibo."  Steve lo guardò con severità in modo arrogante. John ebbe la sensazione che stessero parlando di un problema radicato nel tempo.

"Smettila! Non cominciare a rivangare il passato."  Edward si alzò stizzito e portò via il suo vassoio.

 Il Maggiore risentito fissò il fratello che aveva raggiunto la porta, si era fermato a parlare con un ufficiale.

"Che c’è? Non ha accettato lo scherzo? Cosa centra il cibo?" John era sorpreso dal comportamento del Generale.

"Niente, dottore. Se vorrà sarà mio fratello a dirglielo. Sono vecchi problemi che tornano ogni tanto."  Steve si alzò senza dare altre spiegazioni, seguito da Roberts che si era incuriosito, ma si trattenne perché sapeva che era piuttosto riservato. Recuperato Edward che si era calmato, percorsero il viale tutti tre silenziosi fino agli uffici. Si fermarono dove il corridoio si biforcava: Uffici o dirigenza.

 i Cooper sembravano tesi entrambi e ripresero come al solito a pungolarsi.

"Che farai con Sir Henry, dovrai trovare una maniera per non irritarlo ulteriormente. Stamattina ci sei andato giù pesante. Alla faccia della cautela."  Steve scuro in volto parlava scocciato.

"Non c'è stato tempo per cordialità o altro. Lui è andato subito al dunque. Bello diretto. Mio caro fratello, Sir Henry è abituato a ottenere tutto e subito."  Il generale sbottò, non aveva digerito il rimprovero in mensa.  "Non hai a che fare con una delle tue reclute.”

"Ogni persona va affrontata con metodo. " Steve lo guardò torvo.

John si mantenne defilato, non intervenne vedendo la tensione fra i due.

"Lascia perdere!  Non dire altro, mi stai già stancando. Parli tu, che risolvi tutto con due manrovesci."   Edward si girò irritato.  "La prossima volta ti porto con me. Adesso per pietà, andiamo."

A Steve piaceva farlo arrabbiare, così abbassò il capo, nascose un sorriso compiaciuto.

 Edward ispirò profondamente.  "Smettila di sogghignare, Steve, cresci per favore!"  

 

 

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Capitolo 11
*** Guai per il dottor Roberts ***


Il giorno dopo il dottore si era dato da fare a redigere le cartelle.

Intravide Steve andare ai campi con la divisa mimetica. Chiamò l’ufficio di Edward, ma Clara lo avvertì che non era arrivato. Così lasciò che fosse lui a chiamarlo per consegnargli le cartelle.

Passò buona parte del tempo a sistemare tutta la documentazione dei nuovi arrivi. Scese a fare colazione molto tardi, e vide l’auto del generale.  Rimase in attesa di una sua chiamata. Nel mentre lo avvicinarono due dei compagni di Norbury, si mise subito sulla difensiva. Loro si misero sull’attenti di fronte al suo tavolo.

“Capitano, possiamo chiederle perché siamo stati riesaminati?”

John li osservò prudente, non capiva bene dove volessero arrivare. “Semplici riassetti interni, niente che vi debba preoccupare.”  Era stato schietto e formale, si alzò dal tavolo.

“Signore centra qualcosa Reginald, lui afferma che volete buttarlo fuori dalla Cittadella.”

John sorrise, poi continuò con voce affilata. “È quello che vi racconta? Niente di tutto questo state tranquilli. Vi preoccupate molto per lui, siete sicuri sia un buon amico per voi?” John li sovrastava in altezza, non indietreggiò.

“Si, è un buon amico, Capitano.”

“Bene allora, ditegli che sa già tutto e non ha bisogno di essere spalleggiato da voi. Comunicategli di essere sincero.”  John li scostò mentre se ne andava. Ma il più giovane gli si parò davanti.

“Ragazzino, non fare inutili stupidaggini o sarai tu a uscire dalla Cittadella.!” John era a pochi centimetri dal volto del giovane. I suoi occhi pieni di rabbia per quel comportamento stupido.

“Voi due, fuori di qui rapidamente! O vi prendo a calci, già ci siamo visti ieri e non mi era affatto piaciuto il vostro comportamento.” Steve infuriato si era messo tra il dottore e i due. Aveva visto la scena in lontananza mentre entrava in mensa ed era intervenuto. “Siete degli Idioti al servizio di un Idiota! Fuori di qui!” Steve era stato perentorio, freddo come il ghiaccio. I due salutarono, si girarono e uscirono velocemente.

“John ti vogliono provocare, sta attento a non fare il loro gioco!” Il Maggiore gli strinse il braccio e lo portò fuori dalla mensa. L’ aria li investì, infastidendo entrambi. Steve lasciò la presa.

“Screditarti e la cosa più facile da fare, se perdi la pazienza in mensa con un bel pò di pubblico, allora hai fatto il loro gioco. Lo so che vorresti dargli due sonori ceffoni. Ma non è il caso per ora.”

Roberts si rese conto che Cooper aveva ragione eppure gli prudevano le mani. Cercò di calmarsi vedendo il volto tranquillo di Steve, mentre lo scortava fino al suo ufficio.  Si chiese come aveva potuto reagire in quel modo assurdo, forse tutto era dovuto alla tensione accumulata in quei giorni.

Steve praticamente lo spinse dentro. Chiuse la porta e lo fece sedere.

“Bada dottore, non raccogliere più provocazioni, perché Edward conta su dite. Se il tuo operato viene sminuito tutto salta.”   Sapeva che Cooper aveva ragione, lo guardò dritto negli occhi.” “Sono stato stupido, ci sono cascato, non succederà più”

“Bene dottore. Adesso vado, cerchi di stare tranquillo. E mi avvisi dei suoi spostamenti, la faccio scaricare un’applicazione GPS sul cellulare per individuare il posto dove si trova. Stia tranquillo l’attivo solo in caso di bisogno.”   John gli allungò il suo cellulare, il Maggiore installo l’applicazione poi restituito il cellulare, uscì salutandolo divertito. “Stia in campana Robert.”

Ma il Maggiore era preoccupato per la situazione che si era creata. Temeva che Roberts fosse troppo esposto e in pericolo. Si rese conto che molto dipendeva dalle sue decisioni, e renderlo innocuo era diventata una priorità

 

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Capitolo 12
*** Cure e incertezze ***


Edward raggiunse il suo ufficio, giustificò l'assenza di Roberts e di Steve, così da non destare sospetti. Poi chiamò il dottor Grosly,  gli spiegò la situazione pregandolo di recarsi a Roses House per aiutare John a disintossicarsi. Era il loro medico di famiglia da anni, una persona fidata, che molte volte l'aveva aiutato. Si sentì tranquillo di aver messo John in buone mani.

Saltò il pranzo, rimase di pessimo umore per tutto il resto della giornata. Pieno di livore verso i Norbury. Si fece portare un caffè e non prese altro.  Finì per chiamare Steve e sentire come andava, gli rispose subito sollevato nel sentirlo.

"John si è quasi ripreso, e già da ordini su come aiutarlo. Spero il dott. Grosly arrivi presto, sennò lo dovrò legare al letto."  Steve sembrava sereno, gli aveva detto che era sceso in giardino a sgranchirsi un po', il che voleva dire che le cose andavano meglio. Così Edward sciolse la tensione accumulata.

Il più giovane fu preso da un dubbio.  "Hai pranzato Eddy? Perché ho il sospetto che tu abbia fatto il solito giochetto!"

 Edward glissò rapido.  "Pensa a John e fa il bravo Steve, ho un obbligo morale verso Roberts, vacci piano."

Chiuse la conversazione. E lasciò Steve nervoso. Lo avrebbe affrontato la sera.

Steve nello stesso istante lo maledisse spazientito, prese a calci i ciottoli del viale.  Edward era incorreggibile, non bastava stargli dietro e trattarlo come un bambino capriccioso. Lui si trascurava con metodo, e il cibo era il suo limite.  Non c'era verso di farlo mangiare regolarmente quando era teso, un maledetto problema che si portava dietro da quando erano morti i genitori.

Verso sera Edward finalmente si liberò dagli impegni di lavoro e andò a casa. Era in apprensione, fece il viaggio notevolmente preoccupato.

Si sentiva responsabile di non aver messo fine prima a quella storia assurda, dove ad aver pagato era stato il buon dottore.

Arrivato a Roses House prese un lungo respiro e scese dall'auto inquieto. Steve lo raggiunse sul viale, con l'aria di volerlo picchiare.  Già sapeva il perché.

"Non assillarmi con la storia del pranzo! Ho mangiato un panino nel pomeriggio. "   Edward si giustificò in fretta.

"Dovrei crederti? Ti comporti in modo infantile! Lo sai che devi mangiare, per Dio. Mi hai fatto una promessa, te ne ricordi? Sembra che tu lo faccia apposta quando non ci sono." Steve gli si avvicinò adirato.

"Va bene, va bene hai ragione." Edward alzò le mani in segno di resa. " Lo sai che quando sono teso tendo a saltare i pasti, ma so regolarmi, non è più come anni fa.  Oggi è stata una giornata particolare, puoi comprendere come mi posso sentire. John ha pagato per i miei errori.”

 Il Generale abbassò il capo, passò oltre, ma Steve lo afferrò per un braccio, la sua voce si era addolcita.

“Non potevi fare più di così, smettila di sentirti colpevole.  Col tempo fratello, la pagherai questa tua privazione. Ne abbiamo parlato spesso, non posso starti sempre appresso. Io voglio fidarmi di te. Quindi smettila di digiunare. Trova il tempo per fermarti e mangiare! "

Edward vide la sofferenza nel volto di suo fratello e lo tranquillizzò. “Mi comporterò meglio, te lo prometto.”   Comprendeva il suo dolore, lo aveva provato anni prima, il suo combattivo fratellino, quando dopo la morte dei genitori, Edward, oppresso dalle responsabilità della famiglia, si era perso e aveva smesso di mangiare. Steve terrorizzato di perdere anche lui, con il cuore devastato per la perdita dei genitori, gli si era aggrappato con tutta la forza che gli era rimasta. Aveva pianto disperato, urlandogli contro, lo aveva minacciato, si era fatto promettere di prendersi cura di sé stesso.  Aveva intuito la difficoltà di Edward e lo aveva in qualche modo salvato.

 Si osservarono, poi in mutuo accordo, salirono ai piani superiori in silenzio, Steve che si era calmato, lo mise al corrente di cosa era successo. Il dottore Grosly era passato nel pomeriggio, aveva dato le prime cure a John, che era notevolmente migliorato. Si assopiva spesso, ma era in grado di parlare e dare ordini anche al malcapitato Steve. Ordini medici naturalmente.

Edward provò a sciogliere la tensione tra loro due e scherzò leggero.

"Allora fratello, com'è va la professione da infermiere. Impari qualcosa? "

Si burlò di lui, che annoiato si era buttato sulla poltrona del terrazzo. Le finestre che delimitavano la veranda, erano state chiuse, dal parco arrivava un fresco insolito. Spesso le serate della sua famiglia terminavano lì. Sir Anthony amava quel posto. Gli sembrò di vedere il padre mentre li sgridava per l'ennesima volta. Era severo, ma sapeva anche esser amorevole, mentre la madre li assolveva entrambi.

Suo fratello sospirò rassegnato. "Non me né parlare, il dott. Grosly è stato molto professionale, ma John è medico fino al midollo, non si riusciva a trattenerlo. Si sarebbe curato da solo. Ho avuto problemi per farlo stare zitto e per farlo riposare. Peggio di qualcuno che ho di fronte adesso! "

 Fissò provocatorio il fratello.

"Mai quanto il piccolo Steve, che scalmanato, si sbucciava le ginocchia, e puntualmente aveva   paura del disinfettante." Rise Edward con gli occhi limpidi, mentre Steve gli tirò un cuscino.  Edward lo raccolse per ricambiarlo. Ma suo fratello si ricordò della mattinata di John in mensa e si alzò fermandolo.

“Aspetta fratellone, mi ero dimenticato di dirti un fatto successo stamattina al nostro John. A colazione in mensa, il nostro dottore è stato preso di mira dagli scagnozzi di Norbury e ho dovuto intervenire.”  Gli raccontò cosa era successo.

“Quindi fallita la prima parte, lo hanno seguito e completato il resto.”  Edward si riassettò la cravatta nervosamente.   “Vado a vedere come sta. Gli ho dato un sacco di grattacapi.” 

 Lasciò suo fratello ad annoiarsi, lo vide rasserenato. Sapeva di essere una persona impegnativa, scosse il capo e raggiunse la stanza di John.  

Bussò con forza, sentì la voce del dottore ancora insonnolita. Entrò. La stanza era nella penombra, gli occhi si dovettero adattare.  Vide una flebo, attaccata al braccio di John, che accese la lampada e lo riconobbe.  "Vedo che il dott. Grosly ha preso seri provvedimenti." Edward indicò l’asta della flebo.

"Glielo ho suggerito io, sennò avrei recuperato tra una settimana. Voglio accelerare la disintossicazione."  John sbadigliò cercò di sedersi sul letto, ma scivolò e finì per appoggiarsi alla spalliera.

Il suo impulso fu di aiutarlo, ma arretrò temendo di essere troppo invadente. Si avvicinò alla finestra prese tempo, scostò la tenda fissò il giardino ormai buio, si fece assorto.  "Beh, credo che Steve avesse ragione nel dirmi che non è stato mai fermo. Gesù John, poteva rilassarsi non le avrebbe fatto male."

"Avanti Generale! Non mi piace stare fermo. Ho un bel po' di lavoro e una situazione difficile in cui ci siamo cacciati. Lei compreso.”   Roberts si osservava il braccio con l’ago infilato, sembrava quasi volesse strapparlo via, era insofferente a quell’impiccio.

Edwards sollevò le spalle contrariato. " Ha ragione, questa brutta situazione è in buona parte colpa mia. L'ho messa in un bel guaio. Me ne rammarico." Si portò alla scrivania, piena di medicine.

" Non si preoccupi Cooper, non è stato lei a infilarmi un ago in vena con la droga."

"Però potevo tutelarla, non farle rischiare la vita."    Edward gli si avvicinò contratto, portò la mano sulla sua spalla e la strinse con affetto.

" Mi dispiace profondamente John. Era mio compito proteggerla ma sono stato negligente. Ora cerchi di riprendersi, Steve mi ha riferito quello che è accaduto in mensa. Avrei dovuto capire che lei era il bersaglio principale.”   Lo fissò silenzioso per un lungo minuto, incapace di aggiungere altro, poi uscì mortificato.

Il buon dottore rimase senza parole. Sprofondò nel letto stanco. Comprese che Edward si sentiva sempre, costantemente responsabile. 

 

 

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Capitolo 13
*** Il dottore è in pericolo ***


 John rimase nel suo ufficio irritato e sconcertato dal suo stupido comportamento. Ricevette un messaggio da Edward che gli diceva di raggiungerlo presso la zona del parcheggio, per recapitargli tutta la documentazione. Doveva tornare a casa con urgenza. Provò a richiamarlo ma  lo trovò  occupato..

Al momento gli parve strano, ma sapeva che Cooper teneva spesso la sua Ford nera parcheggiata lì

Così prese le cartelle ricontrollò il messaggio e si avviò per incontrarlo.

Percorse il viale fino al parcheggio, passò per il piccolo parco interno. Superò la palestra, ebbe la strana sensazione di essere seguito.  Tergiversò un poco, indeciso. Poi entrò in palestra e lasciò le cartelle sulla scatola della posta in partenza. Prese un blocco di fogli, uscì facendo credere di averle in ancora in mano. Camminò lentamente. Intorno non vide nessuno e si tranquillizzò, fece pochi passi in più, senti il cellulare vibrare e si distrasse. Fu un attimo, si sentì afferrare forte per le spalle, fu trattenuto, mentre gli premevano in faccia un fazzoletto impregnato di qualcosa che non ebbe tempo di identificare. Non resse che pochi secondi, gli girò la testa, si sentì debole e poi fu il buio totale.

 

Edward aveva chiamato suo fratello perché aveva aspettato fino a tardi Roberts che non si era fatto vedere. Di solito saliva per il pranzo.

Si preoccupò. Scese negli studi, ma non era nemmeno lì. La porta era ben chiusa. Poi vide suo fratello arrivare. E subito lo aggredì.

"Non riesco a contattare John. E non lo trovo nemmeno. Tu sai dov'è?"

"No, so che doveva venire da te." Steve sembrava sorpreso, ma non era allarmato. Percorsero il corridoio degli studi fino all'esterno. Fuori c'era già la processione per la mensa.

Rimasero fermi per un po’ ma la crescente preoccupazione di Edward contagiò anche il fratello. Non si persuadeva della scomparsa di Roberts, così chiese a Steve di fare un giro intorno.

Il Maggiore lo calmò.  “Ho fatto scaricare al dottore un'applicazione per rintracciarlo in caso di bisogno.  Se attivo il GPS forse posso vedere dove si trova. Che ne dici?"

"Che c'è la privacy fratellino!  Spero che sappia cosa gli hai fatto scaricare." Il Generale sembrava scettico. Ma Steve aveva già fatto partire la ricerca.

"Speriamo non ci denunci," sospiro Edward scuotendo la testa. Steve consultò con attenzione il cellulare.

"Risulta essere qui vicino." Steve si fece inquieto, "ma in un posto poco frequentato nella base. Dietro agli Hangar. È piuttosto insolito da parte sua."

Quella era una parte della cittadella piena di vecchi residui militari in attesa di demolizione.

"Ecco appunto, quindi dobbiamo andare a vedere o stiamo qui a chiederci cosa ci fa lì."  Edward spazientito partì veloce. "Forza fratello, vediamo cosa è successo."

Si incamminarono di buona lena fino dietro l'hangar. C'erano poche reclute in giro, visto l'ora. Raggiunsero il punto da cui veniva il segnale, e lo videro.

John sembrava seduto su di un vecchio furgone, con la portiera aperta, ma aveva la testa reclinata di lato. Steve corse subito verso di lui, seguito da Edward.

Lo raggiunsero, lo chiamarono preoccupati. Era incosciente.  Presero John con delicatezza, lo tirarono fuori, lo stesero sull' erba.  Edward gli prese il polso e sentì i battiti, rassicurò Steve che lo guardava allarmato.  "È vivo, e non sembra ferito." 

Steve cercò di scuoterlo, lo toccò piano sul viso e lo massaggiò. Era in camicia con le maniche arrotolate.  La giacca era buttata lì vicino, Edward lo esaminò attento e notò una piccola goccia di sangue sull'incavo interno del braccio come se gli avessero fatto una iniezione.

"Steve guarda, c'è una siringa a terra. Vogliono farci credere che il nostro dottore si droga. Io stesso ho controllato le sue note di ingaggio e ti posso garantire che di droga non si parla. Poi lo conosciamo bene."

Edward capì che la messinscena serviva per screditare il dottore. Un medico drogato è inattendibile. Così sarebbe stato più facile ottenere quello che volevano, che soprattutto sir Henry voleva.

Edward era furioso, vide il pallore di John, si sentì colpevole di averlo coinvolto. Informò Steve dei suoi sospetti e decisero di portarlo via da lì in segreto, per proteggerlo. Non si meritava una menzogna del genere.

John dava qualche cenno di ripresa, cominciò a lamentarsi, loro continuavano a sollecitarlo, ma non riusciva ancora a parlare. Cercò di alzarsi, ma Edward lo tenne giù con forza. Prese ad agitarsi, ansimava e sudava.

"Fermo John non si muova, stia tranquillo siamo con lei, si calmi e respiri adagio."  Il Generale gli parlò gentilmente.

"Credo mi abbiano drogato Edward, mi sento strano. Mi ricordo una siringa nel braccio." John balbettò poche parole con difficoltà, tossì un paio di volte. Steve gli sollevò la testa per farlo respirare meglio. 

"Vediamo di portarla via in fretta, Roberts."  Se l'avessero trovato in quelle condizioni sarebbe stato difficile spiegare la situazione. Edward fu rapido a impartire gli ordini a suo fratello.

"Porta la tua auto qui senza destare sospetti. Usciamo dai cancelli laterali dell'hangar. Ho il codice per uscire.  Lo portiamo a Roses House e cerchiamo di farlo riprendere finché sarà pulito dalla droga."

Steve annuì silenzioso e si incamminò rapido, mentre Edward prese il posto di suo fratello, cercò di rivestirlo, gli mise la giacca, lo aiutò a rimettersi in piedi sostenendolo dalla vita.  Lo sorresse fino al vialetto dove avrebbero aspettato Steve.

"Forza John, cerchi di resistere, presto sarà fuori di qui." Edward cercava di tenerlo sveglio nonostante lo vedesse stanco e provato. Si sentì colpevole.  "Mi dispiace di averla messa in questa situazione. Sono stato un cretino. I Norbury sono pericolosi se non raggiungono il loro scopo."

 John accennò un faticoso " Non è colpa sua Cooper."

Camminarono a rilento per la fatica di Roberts.   Edward continuava a osservarlo preoccupato, mentre il dottore prendeva un pò di colore.

"Cooper, ho bisogno di un antidoto e sono disidratato. Non so se ce la farete da soli."

John riuscì a scandire due parole con difficoltà.

"Troverò chi si occuperà di lei, stia tranquillo. Sa chi è stato a farle questo? " Il generale lo teneva stretto appoggiato a lui.

"Non li ho visti, mi hanno stordito e poi mi son trovato nel camion, con la siringa nel braccio, credo di averla strappata via."

John raccogliendo il poco fiato che aveva continuò con fatica.

"Una chiamata mi avvertiva che la dovevo raggiungere al parcheggio..." Edward smise di interrogarlo vedendolo in difficoltà, si rese conto che avevano messo in mezzo anche lui per attirare John. Vide finalmente arrivare il fratello. Lo fece salire e stendere nei sedili posteriori.

"Forza Roberts, ora va a casa nostra, ci prenderemo cura di lei." Gli strinse il polso per rassicurarlo. Si girò verso Steve con gli occhi stretti, il volto provato.

" Stai con lui, io giustifico l'assenza del dottore, poi ci sentiamo. Chiamo il dottor Grosly, il nostro medico di famiglia e gli chiedo di occuparsi di John. Tu sistemalo nella camera degli ospiti, nel frattempo fai il possibile per aiutarlo."

Edward fu veloce e preciso come sempre, Steve annuì, diede un ultimo sguardo al fratello maggiore e partì cercando di essere cauto.

 

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Capitolo 14
*** Un piano pericoloso ***


Più tardi si ritrovarono tutti riuniti a tavola.  Arrivò anche John, un po' provato, ma decisamente vigile.

I due fratelli avevano aiutato Mary a preparare la cena, Edward era stato costretto ad indossare il grembiule. Mary era intransigente, non voleva che si sporcasse inutilmente.

Steve finiva per ridere di nascosto, lo prendeva in giro, senza pietà, il dottore finì per rilassarsi sentendosi in famiglia.

Cenarono parlando con leggerezza.  Roberts aveva recuperato è questo aveva tranquillizzato Edward, sciogliendo la tensione della giornata.

Il generale che lo aveva osservato, si fece serio, aveva un dubbio.

"Dottore, ma le cartelle che aveva con sé, che fine hanno fatto? Perché ha detto che me le stava portando."

John lasciò quasi cadere la forchetta, si girò verso di lui.

"Già, con tutto quello che è successo, mi sono scordato di dirvi che le ho lasciate nel raccoglitore della posta, dentro l’atrio della palestra, prima di arrivare al parcheggio. Ero insospettito da quella strana richiesta in più avevo l'impressione di essere seguito. Spero che siano ancora lì. Erano quelle di Reginald Norbury!"

John si passò una mano fra i capelli inquieto, si sentì stupido per aver abboccato così.

"Via dottore le ritroveremo. È stato bravo ad insospettirsi.   Volevano quelle cartelle ad ogni costo.  Prima hanno cercato di provocarla in mensa per far pensare che fosse prevenuto verso Norbury. Farla apparire un drogato che si apparta in un posto abbandonato come l'hangar, avrebbe reso tutto più credibile. Cercare di renderla inaffidabile era il loro scopo."  Edward parlò con tranquillità, vedendo il suo volto contratto. “Probabilmente con un’auto l’hanno trasportata via dal parcheggio.”

"Se non le recuperiamo allora è un bel guaio." Steve guardò suo fratello perplesso.

“Non preoccuparti la posta viene raccolta una volta alla settimana e siamo ben lontani da quel giorno.  Ma io avrei un piano! " Aggiunse Edward pensieroso, squadrando suo fratello.

"Quello sguardo non mi piace, non mi dice nulla di buono. Cosa vuoi fare?  Niente di rischioso spero!"  Steve stava per perdere la pazienza come al solito. Scostò il suo piatto, si alzò dal tavolo.

"Chi ha aggredito il nostro dottore voleva anche le cartelle, ma non le ha trovate. Quindi le cercherà. È quale ottimo sistema che portarli allo scoperto con un'esca." Edward sorrideva sornione. Lanciò uno sguardo di sfida verso il fratello minore.

"Scusa esca? Ho capito bene? Vuoi mandare John a riprendere le cartelle. Ma non è in condizioni!"  Steve si irritò ulteriormente, si avvicinò al fratello maggiore.

"Non John! Che diamine! Io, andrò io! Se controllano il mio cellulare, John accennerà al fatto che domani andrò ha recuperare le cartelle, me li porterò dietro."  Edward si alzò dal tavolo, quasi sfiorò Steve che gli stava in piedi di lato.

"Ma è pericoloso per Dio." Il fratello minore quasi urlò incredulo.  John fissava entrambi chiedendosi cosa sarebbe successo viste le loro facce tese.  "Questa è l'idea più idiota che abbia sentito! È pericoloso, potresti non uscirne bene. Hai visto cosa hanno fatto al dottore." Steve camminò per la cucina esasperato. 

Si avvicinò al fratello cercando di farlo desistere, ma Edward evitò il confronto. Continuò fissandolo dritto in faccia.   "Tu mi seguirai, starai nascosto, portati anche qualcuno di tua fiducia. Non sarò solo. Interverrai in caso di bisogno."

"E ce ne sarà di bisogno, Edward! Mi sembra una furbata da irresponsabile! Conosci i metodi dei tirapiedi di Norbury." Steve si era fatto talmente vicino al fratello che sembrava minacciarlo. John cercò di calmarlo.

"Quelle cartelle vanno recuperate, Steve. Tuo fratello sa cosa rischia. Ci sarai anche tu a sorvegliarlo. Edward mi sembra comunque irremovibile. Ed ha già deciso."

Il Generale annuì, sapeva del pericolo, ma voleva chiudere presto quella storia. Fece un cenno al dottore per l'appoggio.  "Quindi questo è tutto fratello. Se riusciamo a prenderli e risalire a Norbury chiudiamo in fretta la faccenda."

"Già, mio Generale, spero tu abbia ragione."  Steve scosse la testa dubbioso, mentre suo fratello si mise in silenzio ad aiutare Mary a sparecchiare.

“Eddy, non farti del male figliolo!”  La vecchia nutrice gli prese la mano e la trattenne nella sua, aveva sentito tutto e si era preoccupata.

Edward le sorrise teneramente, le prese il volto fra le mani e la baciò sulla fronte. “Stai tranquilla Mary, starò attento. E poi ci sarà Steve con me! “Lei sapeva molto della sua vita, era l’unica persona che custodiva molti segreti, che era rimasta fedele a Roses House.  Mary gli restituì una carezza leggera che lo placò.

“Bene Steve, domani sarai con me o contro di me?”  Edward si rivolse al fratello che lo aveva sbirciato scambiarsi gesti affettuosi con Mary, sapeva del suo legame affettivo con lei.

"Sei irrimediabilmente testardo."  Steve colpì il tavolo con le mani aperte. "Speriamo che tutto funzioni.”

John si alzò e cercò di calmare il più giovane. "Non essere così pessimista, tuo fratello è un adulto responsabile, sa dei rischi che corre. In realtà mi sembri tu troppo apprensivo. Non puoi scegliere per lui. Poi solo aiutarlo a non farsi troppo male. Digli che domani ci sarai, altrimenti vado io con lui."  Lo affermò deciso anche se in cuor suo avrebbe preferito che Edward non corresse inutili pericoli.  Sapeva che non poteva accompagnare il Generale, ma faceva leva su Steve perché proteggesse il fratello maggiore. Il generale aveva bisogno di sapere che suo fratello gli era vicino.

"Così lo appoggi! Va bene mi arrendo." Alzò le mani in gesto di resa. “Ci sarò domani fratello.”  Poi si avvicinò a Mary ed a Edward, con un sorriso rassegnato li aiutò a finire in cucina.  “Mary stai tranquilla lo seguo io questo Idiota.” 

 

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Capitolo 15
*** Prima di muoversi ***


La mattina Edward si alzò presto, andò nello studio e aspettò Steve, per preparare una linea di condotta. Il fratello arrivò parecchio contrariato e con il volto torvo. Edward lo ignorò e lo mise al corrente del piano. John aveva già inviato un messaggio in cui gli chiedeva di recuperare le cartelle, senza specificare il posto, e lui aveva accettato, se il telefono era controllato, sapevano che le avrebbe trovate e le avrebbe avute disponibili.  Doveva prendere tempo in modo da essere notato, mentre andava a piedi al parcheggio. Steve lo avrebbe seguito a debita distanza insieme ad un sergente della polizia militare di cui si fidava e sarebbe intervenuto se l’avessero assalito, o se si fossero avvicinati troppo.

Edward prese una chiamata. Steve lo vide diventare serio. Chiuse la conversazione e si avvicinò.

"L'ufficio di John è stato forzato. La polizia militare mi ha avvertito che era a soqquadro. Cosa ne deduci fratellino?" Steve capì velocemente. "Cercano le cartelle!"

"E noi gliele daremo!" Il Generale ficcò in tasca il cellulare.

"Già, spero tu abbia ragione Edward, sai di correre un sicuro pericolo!” Il fratello minore era nervoso e non lo nascondeva.

Edward si esasperò.  "Dacci un taglio per favore! Non ricominciamo. Qualsiasi cosa accada l'ho voluta io. Vado a salutare il nostro Roberts."  Si allontanò risentito, amareggiato dalla mancanza di sostegno da parte sua.

Trovò il dottore in cucina che trafficava con la macchina del caffè di Mary.

"Buongiorno dottore, come sta? Meglio?" Edward si sedette scomposto sulla sedia.

"Diciamo che sto riprendendo forza, spero di fare presto l'analisi del sangue per vedere se c'è ancora traccia di droga." John portò il caffè in tavola, preparò le tazze.

"Deve venire il dottore Grosly? Se ne incarica lui mi sembra." Edward si versò del caffè con fare distratto.

John si sedette vicino al generale, riempì la sua tazza, poi respirò profondamente.  "Devo ringraziarla per quello che ha fatto per me. Così come Steve. Sarei con voi oggi se solo mi sentissi più in forze. Quindi l'ha invito a stare attento stamane, perché suo fratello temo, sia molto spaventato." John era stato sincero.

"Lo farò, ma sono sincero, potrebbe accadere di tutto. Infatti mi hanno avvisato che ha avuto visite stanotte nel suo ufficio. Cercavano le cartelle cliniche di Norbury. Quindi sono determinati, può essere che incappi in qualche imprevisto. Comunque, grazie per il supporto e l'amicizia."  Edward si alzò toccandogli la spalla amichevolmente.  Si rivolse alla vecchia nutrice. “ Mary prenditi cura del dottore.”  Le allungò una carezza e uscì risoluto a mettere fine a quella storia. 

 

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Capitolo 16
*** Correre dei rischi ***


Edward guidò fino alla Cittadella, con Steve che non disse una parola. Era teso e il Generale lo percepiva con dolore, non voleva che fosse così apprensivo. Non riusciva a fargli entrare in testa che anche lui aveva le sue debolezze e non ci sarebbe stato per sempre.  Ma appena si accennava l’argomento Steve spegneva il cervello e lo aggrediva verbalmente, sconvolto.

  All'arrivo ognuno andò verso i rispettivi uffici. In attesa di muoversi. Steve non lo salutò nemmeno.

Alle undici circa Edward si preparò. Prese il berretto, si sistemò la divisa, attese il messaggio del fratello.  Uscì a piedi indirizzandosi lentamente verso il parcheggio.

Incontrò diversi ufficiali con cui si intrattenne il tempo necessario per farsi notare. Giunse vicino alla palestra, entrò e trovo le cartelle ancora lì sepolte nella posta in partenza. Le prese uscì, e si attardò sfogliandole mentre raggiungeva la sua auto al parcheggio.  Doveva dare tempo a chi lo seguiva di trovare il modo di aggredirlo.

Edward pensò che Steve fosse molto bravo, perché non l'aveva neppure intravisto.

  Doveva essere un'esca credibile, si diresse in un posto seminascosto tra gli alberi, che costeggiavano il parcheggio.

Non ci volle molto, perché mossi pochi passi, si trovò davanti un tipo in tuta sportiva col passamontagna che disgraziatamente impugnava la pistola di ordinanza. Le cose si erano complicate, non era una semplice aggressione.

"Non si azzardi Generale a reagire. Mi consegni quei fascicoli, e non le succederà niente."

Tentava di camuffare la voce, per quanto Edward si sforzasse di riconoscerla.

Cercò di indietreggiare per dare tempo a Steve di intervenire, ma chi aveva di fronte era parecchio nervoso da come gli tremava la pistola in mano. Edward capì che non aveva tempo per aspettare, quello era troppo agitato e gli aveva avvicinato pericolosamente l’arma al volto. Cercò di allontanarlo dicendogli di stare tranquillo, porgendogli le cartelle lentamente, ma contemporaneamente con l’altra mano lo colpì sulla spalla spingendolo a terra.

Ma nella concitazione gli partì un colpo. Edward sentì un doloroso bruciore alla guancia destra e subito dopo il caldo del sangue che colava, ma la pistola fortunatamente gli era volata via.

In un attimo vide Steve sopra l’uomo incappucciato, che lo immobilizzava insieme al sergente. Nel frattempo gridava verso di lui, allarmato. Ma lo sparo esploso troppo vicino lo aveva assordato.

"Come stai?  Stai sanguinando! Dovevi stare fermo! Erano gli accordi, che ti ha detto il cervello?"  Steve aveva riconosciuto il tirapiedi di Norbury.  Il sergente portò via l’uomo strattonandolo in malo modo, mentre Cooper si alzò rapido per raggiungere suo fratello maggiore.  "Dio Edward! Sanguini fa vedere!!"

Il Generale, ancora stordito, si era portato le dita sul viso dove sentiva il bruciore e le aveva ritratte sporche di sangue. Ma non riusciva a capire cosa urlasse suo fratello.

Ci sentiva appena, si portò le mani sulle orecchie che gli rimbombavano impietose e barcollò.

Steve fu rapido, lo afferrò saldamente e lo strinse a sé, facendogli appoggiare la testa sulla spalla, con le mani gliela protesse. Gli coprì le orecchie per non farlo sbandare. Poco gli importò se si sporcò del suo sangue.

Edward protestò debolmente, ma poi sentendosi instabile, si lasciò andare e rimase stretto al fratello per alcuni minuti. Sentiva il suo l'odore familiare e questo lo tranquillizzò

Rimasero così senza parlare, finché riprese l’equilibrio e cominciò a percepire i rumori. Si staccò da lui lentamente.

 "Scusa," mormorò piano.  "Quel tizio era così nervoso che se aspettavo, sarebbe andata peggio. Comunque non è niente, è un graffio."

Edward era mortificato da quello che era accaduto. Soprattutto perché alla fine suo fratello aveva avuto ragione.

"Io rinuncio a capirti Eddy."  Steve teso e sconcertato, gli girò con la mano il volto dal lato ferito e lo esaminò. Aveva una bruciatura scura e un taglio abbastanza vistoso di diversi centimetri causato dal proiettile, che lo aveva sfiorato sulla guancia a destra. Il sangue era sceso sul collo imbrattando la camicia.

Steve prese il fazzoletto, tamponò come poteva la ferita. Edward sussultò per il dolore e si accorse di avere sporcato tutta la spalla del fratello.  "Mi dispiace per il sangue." La   divisa era da buttare, ma Steve non gli rispose, poco gli importava.

"Avrai bisogno di punti. Tieni stretto il fazzoletto con forza. Ora ci senti fratello?"  Edward accennò un sì imbarazzato. Steve prese le cartelle di John, afferrò il fratello per il gomito invitandolo ad andare.

"Sto bene Steve, non sono un bambino."

"Adesso avrai la tua bella cicatrice di cui vantarti, Generale."  Steve cercò di stemperare tutto quello che era successo.

"Smettila, non sei simpatico." Edward si offese.

"Non lo sono fratello, direi invece che sono parecchio arrabbiato. Adesso basta si va all'infermeria." Edward brontolò, ma lo seguì rassegnato.

Qualche buona stella aveva protetto Edward perché cominciò a sanguinare meno. Togliendogli quel imbarazzo mentre percorreva il viale che portava all' infermeria. Steve lo accompagnava di buon passo, osservandolo con attenzione che non sbandasse, finché giunsero alla clinica. Salirono dalla parte posteriore per non dare nell’occhio.

 

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Capitolo 17
*** Ferite e fratellanza ***


"Giorno Moreen, ti ho portato un ferito eccellente."   Steve salutò la sua infermiera preferita. "Vedi di restituirmelo intero."

Moreen sorrise guardando Steve che professionalmente frequentava spesso. Erano in sintonia quando lavoravano insieme.  Vide Edward entrare con la mano che reggeva un fazzoletto  oramai zuppo di sangue sulla parte destra del viso.

"Generale Cooper cosa le è successo?" Si volse sorpresa e allarmata a guardare interrogativamente Steve.

"Si è fatto sparare e gli è andata bene. Non sto a spiegarti, vedi cosa puoi fare."  Steve si sedette in fondo all'ambulatorio. Crollò su di una sedia.

Moreen fece stendere Edward sul lettino, che non aveva nessuna voglia di parlare.  L'infermiera controllò la ferita e sospirò sollevata.   "Non è profonda Generale, col tempo non si vedrà nemmeno. Però è dolorosa purtroppo."

"Sempre fortunato il fratellone, niente cicatrice." Steve intervenne ironicamente, ma tirò un sospiro di sollievo.    Moreen lo ignorò conoscendo il loro rapporto,  si occupò di Edward. Che all'inizio resse bene, ma poi cominciò ad agitarsi.

"Steve, vieni a darmi una mano?"  Vedeva che Edward  soffriva e si muoveva un pò troppo. "Facciamo che Steve la tiene un po' fermo Generale, mentre pulisco e riduco il taglio.  Poi le aumento l’anestesia e non la faccio più soffrire, alla fine sistemo la ferita in modo pulito."

Edward fissò il fratello disperato, che si era avvicinato sogghignando. Sbuffò rassegnato all’irruenza di Steve. Che infatti lo afferrò per la testa, senza tanti complimenti e la girò verso  Moreen, per permettergli di lavorare meglio.

Edward sussultò per il dolore, imprecò i modi barbari del fratello.  "Mi strozzi Steve! Allenta la presa, sei un tormento con quelle mani!”

"Non credo, mio Generale!" Poi si rivolse a Moreen, "fagli male, che se lo merita."

“ Avanti smettetela! Steve basta! Sii serio, aiuta tuo fratello." L’infermiera si chiese se aveva fatto bene a farsi aiutare dal Maggiore.

Edward lo avrebbe rinnegato, a volte  era così irritante, solo poco prima lo aveva stretto a sé proteggendolo, con una delicatezza inusuale.

Steve lo guardò ghignando, ma vedendo il volto pallido e sanguinate di Edward si fece serio e fu più leggero. Lo aiutò a sopportare, distraendolo con stupide battute, ma  cercando di non farlo muovere. Molte volte Edward si contraeva e gli riusciva difficile trattenerlo senza stringerlo troppo. Così il fratello maggiore si lamentava e brontolava. "Avanti fratello mio, ci siamo quasi, ora sentirai meno dolore."

Finalmente la  ferita fu ridotta,  Moreen mise dei punti adesivi. Per proteggerla, applicò un vistoso cerotto di protezione.

Steve lasciò lentamente  la presa,  diede al fratello un buffetto leggero sulla guancia sana.

"Sei carino fratello, bel cerotto!"  Moreen li interruppe per l'ennesima volta.

"Va meglio Generale? Passato il bruciore?"  Moreen si era avvicinata comprensiva.  "Per un po' sentirà solo fastidio, ma se sentisse dolore prenda degli antidolorifici. Sono fastidiose queste ferite. Gliene procuro alcuni."

Edward si sedette sul lettino, riprese fiato, si toccò la guancia. "Era necessaria questa medicazione?  Mi sembra ridicola."

"Se si infetta non sarà così ridicola Generale. Dia retta." Moreen strizzò l'occhio a Steve che si stava rilassando, si era preso un bicchiere d’acqua. Ne portò uno anche al fratello che lo aveva guardato assetato.

 "Mi sa che siete in combutta voi due." Sospirò Edward, mentre mandava giù gli antidolorifici. Moreen gli allungò un blister di altri medicinali.  "Ne prenda uno alla volta Generale, ma so che vedrà sicuramente il dott. John.  l'aiuterà in caso di bisogno. Le dirà se deve prendere degli antibiotici."

Steve raggiunse il fratello si assicurò che fosse stabile e lo scortò fino al suo ufficio.

Lì informò John di quello che era successo, ci mise un bel po' per tranquillizzarlo. Lo dovette aggiornare su tutto quello che era avvenuto.

Edward ne mentre, si  cambiò, tolse la giacca e la camicia sporca del sangue. Poi si diresse nella terrazza dietro allo studio e si lasciò andare sulla comoda  poltrona di vimini.

Appoggiò la nuca e chiuse gli occhi,  si abbandonò alla stanchezza.

Steve chiuse la conversazione con John che si era tranquillizzato, e  si era impegnato a chiamare Moreen per capire che tipo di ferita fosse.

 Vide il fratello assopito sulla poltrona, si tenne a distanza, lo lasciò riprendersi senza stressarlo ulteriormente.

Posò le cartelle sulla scrivania. Doveva cambiarsi la giacca sporca del sangue e si fece nervoso poteva finire veramente male.

Sarebbe andato a interrogare l'attentatore.  Meglio mettere fine a questa storia penosa,  prima terminava, meglio era per tutti.

 

 

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Capitolo 18
*** Compromessi ***


 Steve raggiunse gli uffici della polizia militare e interrogò l’aggressore, con le giuste minacce ne ottenne la confessione.  Alla fine come sospettavano, il mandante era  Norbury. Aver attentato alla vita del Generale sovrintendente della Cittadella, era un gesto non da poco, anche se giurò e spergiurò che non voleva sparare e che era accaduto tutto incidentalmente. Capì di aver compromesso la sua carriera militare,  così fu un fiume in piena.

 Adesso le prove c’erano. Norbury aveva compromesso non solo il figlio, ma anche lui stesso.

 In più c’erano le cartelle cliniche di John. Steve raccomandò agli ufficiali presenti la massima privacy per tutelare il fratello e la stessa Cittadella.  Era soddisfatto di poterlo riferire al fratello e a Roberts. Usci dagli uffici della polizia militare con il cuore leggero.

Edward aveva rischiato molto, non se l’aspettava un agguato con un’arma e il putiferio che ne era seguito. Scosse la testa preso da mille pensieri.

Si era scoperto tremendamente protettivo verso il fratello maggiore. Da quando Ellen e Daniel si erano allontanati da Roses House lui si era legato ancora di più a Edward, in un sentimento di amore fraterno e ostilità distruttiva. Doveva trovare un equilibrio o avrebbe dovuto allontanarsi.

 

Edward era riuscito a riposare un po'. Aveva recuperato la solita calma e un po' di energia.  Esaminava le cartelle che c’erano sulla scrivania. La cartella di John su Reginald Norbury era incontestabile. Quindi non c’erano dubbi su quello che era il futuro di quel ragazzo. 

Steve entrò con la solita irruenza nello studio. Sembrava di buon umore, sbollito dalla collera per quello che era successo.

“Quando arrivi potresti bussare? Sei peggio di un ciclone!”  Edward sollevò la testa e lo accolse rassegnato.

“Ma lo sapevo che eri solo fratello!   Ti trovo bene. Ti dona quel bel cerotto.”   Steve sapeva di irritare Edward. Ma lo faceva senza malizia semplicemente si divertiva, cercando di mitigare la tensione fra loro.

“È una battuta vecchia, ti devi migliorare. Dimmi piuttosto cosa hai combinato con quel ragazzo che mi ha minacciato.”  Il fratello si sprofondò sulla poltrona sfiorando con la mano la medicazione sul volto.

“Si chiama Martin Hollen, giusto un tirapiedi di Norbury figlio. Quando ha capito l’errore ha confessato tutto. Tenta di salvarsi, ho registrato le sue dichiarazioni nell’ufficio della polizia militare. Non voglio che ritratti tutto. Ha firmato e ammesso le sue colpe. Alla fine ti ha sparato anche se giura che voleva solo intimorirti, e ha drogato anche il nostro dottore. Con Roberts non era riuscito a recuperare le cartelle, quindi doveva riprovarci. Norbury le voleva vedere per influenzare la decisione del medico di parte.  Hai avuto fiuto Edward, ha funzionato quella storia dell’esca. Azzardata e pericolosa però.” 

Edward innervosito si alzò.  “Ma come è riuscito Norbury a convincerlo a rovinarsi la carriera in questo modo.”

“Norbury lo ha ricattato perché Hollen è entrato in accademia dichiarando che il padre era morto. In realtà è in prigione per truffa aggravata.”  Steve spinse giù il fratello sulla poltrona e si sedette di fronte a lui. “Sai che per entrare in accademia le fedine penali devono essere candide. Anche quelle dei parenti stretti.”

“Non si sono nemmeno sporcati le mani, hanno ricattato gli altri, per convincerli. Dei veri serpenti.” Edward si strinse le spalle e si sporse verso il fratello che gli stava scombinando la scrivania.

“Stai fermo, Steve. Mi metti tutto in disordine.” 

Il Maggiore, sbadigliò e si ritrasse infastidito. Era soddisfatto di chiudere quella faccenda. Poi realizzò che era tardi e non avevano pranzato.

“Giusto per farti capire che sono le tre del pomeriggio. E non ho toccato cibo, tu sconvolgi la mia ordinata vita, fratello. Tu vivi di digiuni. Non io.”

“Quella è la tua preoccupazione più grande, Steve. Sono così addolorato,” lo canzonò Edward, sorrise ma una fitta dalla guancia lo fece smettere subito.

Steve se ne accorse e ridacchiò. “Questa è giustizia divina, mio Generale. Non puoi nemmeno burlarti di me adesso.” Se ne andò prima che il fratello potesse replicare.

Poco dopo Edward   ricevette una telefonata da sir Henry Norbury.

 Fu lunga e difficile. Perché su alcuni punti dovette cedere. Quella sera lo avrebbe detto a Steve e sapeva che non l’avrebbe presa bene.

Forse anche John non avrebbe capito. Ma Edward era sicuro che fosse la soluzione migliore per mettere fine a tutto e salvare la Cittadella. Passò il resto della giornata a riordinare le sue carte. Era piuttosto teso non riusciva a darsi pace per quello che era successo.  

 Steve si rifece vivo con del tè e delle fette biscottate con abbondante marmellata. Entrò come faceva di solito, in modo irruente e maleducato, ma quando vide il vassoio traballante nelle mani del fratello andò in suo soccorso.   Appoggiò tutto sulla scrivania e fu contento della premura di Steve, che lo minacciò benevolmente.   “Fratello non lasciarne nemmeno una briciola.”

 “Grazie, fratellino.”  Gli sorrise mentre usciva soddisfatto.

Edward mangiò in silenzio, gli fece bene interrompere la tensione.  A volte si sentiva confuso dal comportamento del fratello. Passava dalla rabbia nei suoi confronti a dei gesti come quelli di poco prima. E non sapeva come porsi, così finiva per irritarsi e lo allontanava. Eppure bastava che uno dei due corresse dei pericoli perché l’altro fosse subito presente.  Edward camminò fino alla terrazza, si toccò il vistoso cerotto. Rivide l’angoscia nel volto di Steve, quando lo aveva stretto a sé coperto di sangue. Scacciò il pensiero e si preparò ad affrontarlo la sera quando avrebbe dovuto dirgli degli accordi presi con Norbury.

 

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Capitolo 19
*** Dopo la bufera ***


 I Cooper tornarono a casa insieme.  Il Generale aveva preso la sua Ford nera e guidava verso Roses House. Steve lo fissava seduto al suo fianco, era affamato, si chiese come facesse Edward a sopportare il digiuno.  Il fratello maggiore ruppe il silenzio per avvisarlo delle decisioni che aveva preso.  “Oggi ho sentito ser Henry, mi ha chiamato quando te ne sei andato. Dopo cena ti devo parlare.”  Non si volse perché era attento alla guida, ma sentì il fratello mutare respiro.

“Questo già mi mette ansia. Lo sento dal tuo tono. Prima ceniamo poi parliamo, d’accordo?”   Steve si era irrigidito, prese a guardare fuori dal finestrino.

Quando varcarono i cancelli della magione, Edward si rilassò.   Era stanco e la giornata era stata lunga e ancora non era finita. John li vide salire le scale corrucciati, pensava che il motivo fosse il ferimento del Generale.

 Mentre Edward manifestava tutta la fatica accumulata, Steve era stranamente serio. Notò la vistosa medicazione sul volto del Generale, e si rese conto di quale pericolo avesse corso. Cercò di capire quale fosse il motivo della tensione tra i due.  “Credevo di trovarvi più sereni stasera e invece siete tesi come corde di violino. Che vi prende?”

 “Dopo cena il mio amato fratello, ci dirà degli accordi raggiunti con Sir Henry. E la cosa già mi puzza.”  Steve si tolse la cravatta sgarbatamente.   “Adesso ceniamo, nessuno dei due oggi ha mangiato.”

 John fissò Edward, che non disse nulla, si raddrizzò stancamente.  Sembrava molto provato, decise di intervenire.

“Generale, va tutto bene?  Non sarebbe meglio rimandare la discussione?   Sembrate stanchi entrambi, non ne uscirebbe un confronto sereno.”

Edward titubò, poi si passò la mano sulla fronte e decise di rimandare tutto al mattino. 

 

 

“John ha ragione. Rinviamo a domani. Ho solo voglia di cenare tranquillo, non di discutere. Spero ti vada bene.”

 Steve lesse tutta la tensione sul suo volto e accettò.   “Sono d’accordo fratello. Sia tregua per stasera.“

La signora Evans, quando li vide arrivare, apparecchiò la tavola e prese a sgridare Edward per il rischio che aveva corso. Lui cercò di tranquillizzarla così prese ad aiutarla per preparare la cena, indossò il tanto odiato grembiule senza brontolare.  Si rilassò, sciolse la tensione, spadellò verdure e scaldò l’arrosto. Steve lo prese in giro come al solito chiamandolo “donnina di casa.” Edward accettò di buon grado le sue prese in giro, ma fu felice di averlo accanto. 

“Ecco il pane più buono di tutta Londra, fatto dalla nostra cara signora Evans, sentirà dottore.”  Edward portò in tavola il paniere. Sembrava aver ritrovato l’allegria.

Steve aveva tagliato l’arrosto e lo stava servendo. Il suo piatto era esagerato.

“Fratello! Santo cielo, nemmeno fossimo usciti da una carestia!” Edward non poté fare a meno di ridere, ma si ricordò della ferita e si trattenne.

“Gesù, Steve, ma come farai a mangiare tutta quella roba. Sei assurdo!” John scosse la testa.

“Ho fame Doc, e devo recuperare. Non sono come Edward.”  Lanciò uno sguardo risoluto verso il fratello, che aveva un piatto normale.

La cena continuò allegra, senza tornare sull’argomento della giornata.  Alla fine Edward cominciò ad accusare tutta la stanchezza accumulata. A volte con la mano sfiorava il cerotto sulla guancia, sentiva aumentare il dolore. Si rivolse a John con il viso tirato.   “Spero abbia altri antidolorifici. Perché credo di averne bisogno. Ho già terminato quelli di Moreen.”

John aveva già visto la sua stanchezza. “Tranquillo ne ho a sufficienza. Mi dica quanto dolore sente, troviamo il più efficace.”

“Sinceramente ho pure mal di testa. Veda lei.”   John si alzò, andò a prendere la sua borsa e mise sul tavolo un paio di pillole.   “Queste la faranno stare meglio, e passare una notte tranquilla.”

Steve si alzò e versò dell’acqua al fratello. Riempì un bicchiere e glielo allungò.

“Edward, dormo nella tua stanza stanotte. Non farò rumore, promesso. Dovresti già essere a letto, è tardi e la giornata è stata impegnativa.” Il Generale mandò giù le medicine, si alzò stiracchiandosi regalò il solito bacio a Mary.  Poi si girò verso il fratello.  “Non venire troppo tardi, sei una calamità quando entri nella stanza, voglio dormire.  Buonanotte.”

Percorse il corridoio ed entrò nella camera, che aveva due comodi letti.  Era più ampia di quella di Steve, tirò le tende sbadigliando, si vide allo specchio con quel cerotto vistoso e ridicolo.

 Brontolò seccato dalla stupidaggine che aveva fatto, sicuramente non aveva calcolato di trovarsi un’arma davanti. Indossò il pigiama e si lasciò cadere nel letto addormentandosi subito.

 Quando più tardi Steve entrò   tenne la luce bassa e cercò in silenzio un pigiama del fratello.  Lo indossò, fu incuriosito da Edward, che sembrava dormire profondamente.

 Si avvicinò lentamente per non svegliarlo, lo osservò come non faceva da tempo.

 Si era addormentato con il volto dalla sua parte, sembrava sereno, la medicazione sulla guancia era vistosa.

 Questo fece sorridere Steve al pensiero dell’imbarazzo di suo fratello, che non riusciva proprio a sopportarlo.

 Si avvicinò di più, il  viso di Edward non appariva più contratto, la fronte era distesa e la bocca aveva un sorriso sottile. I capelli neri scompigliati avevano qualche filo grigio sulle tempie.

Edward si mosse e mugugnò.

“Fratello cosa stai facendo?  Mi stai osservando?”

 Aprì un solo occhio, lo fissò assonnato. Steve fu sorpreso, lo credeva addormentato.

“Come hai fatto a capire che ero qui vicino?”

“Ho percepito il tuo respiro.  La smetti di osservarmi!  Cosa ti prende questa sera? Non mi vedi tutto il santo giorno?”

“Sì, ma non ti ho mai osservato, fratellone!”

“E che cosa ne hai dedotto.”

“Che sei invecchiato, Edward.”

“E quindi è un bene o male fratello mio?”

“Beh, hai qualche ruga in più, ma sei sempre lo stesso, forse più saggio.”

“Bene, quindi adesso mi lascerai dormire spero.”

 Edward biascicò le ultime parole insonnolito.  Poi vinto dalla stanchezza e dalle medicine si assopì.

Steve sentì l’istinto di doverlo sentire, toccare. Attese un po’, sicuro che si fosse addormentato, allungò la

mano lentamente e affondò le dita fra i capelli corti e lo accarezzò come non faceva da tempo.

Scese con le dita sulle tempie e si fermò a toccare quei pochi capelli grigi che cominciavano a contornagli il volto. Lo accarezzò piano col timore di svegliarlo, di farsi trovare emotivamente scoperto.

 Steve ritrasse la mano tremando, con il cuore in gola e lo lasciò dormire.

 Per quanto lo facesse irritare era suo fratello, si accorse di non avergli mai detto di volergli bene.

 Si rese conto che se il proiettile si fosse spostato di pochi centimetri ora lui sarebbe stato solo e non avrebbe mai potuto dirglielo.  Scosse la testa spaventato e si mise a letto.

Non sarebbe sopravvissuto se gli fosse successo qualcosa. Se Edward non avesse più respirato, avrebbe smesso di respirare anche lui. Eppure sapeva che domani avrebbero litigato. Si sarebbero allontanati ancora. Senza capire realmente perché.  Si girò dalla sua parte come faceva quando era piccolo, si addormentò fissando il volto di suo fratello che dormiva vicino a lui.

 

 

 

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Capitolo 20
*** Una chiamata inaspettata. ***


Edward si svegliò piuttosto presto, aveva passato una buona notte e si sentiva molto meglio.  Sapeva di dover affrontare sia il fratello che John.

  La decisione presa con Norbury li avrebbe sorpresi ed esasperati, ma gli era sembrata la scelta migliore. Nel bagno, all’interno della stanza dove avevano dormito, si rasò per quanto possibile vista la medicazione, indossò la divisa pulita che gli aveva preparato la signora Evans. Fece tutto in maniera silenziosa perché Steve dormiva ancora, mezzo scoperto.   Scosse la testa e lo coprì. Lui mugugnò girandosi dall’altra parte, dormiva ancora come quando era adolescente. Ripensò a quello che era accaduto la notte precedente, si senti addolorato dal modo in cui suo fratello si era attaccato a lui.

 Non era così che doveva essere, non dopo i continui contrasti che avevano, non riuscivano a trovare un modo meno doloroso di affrontarsi.  Fece un profondo respiro, si sistemò la cravatta, prese la giacca e uscì.

 Sentì il cellulare vibrare, quando vide il chiamante gli prese un colpo.  Era Ellen, sua sorella che chiamava dalla Scozia dove era arruolata. 

 Si diresse rapidamente in terrazza per non disturbare. Vide che l’aveva chiamato altre tre volte. Prese la chiamata preoccupato che fosse successo qualcosa.

Ellen sbottò in un: “Finalmente Edward!  Mi hai fatto penare.”

 Era allarmata e cominciò a chiedergli con insistenza come stava e cosa era successo.  Così Edward venne a sapere che la notizia di un attentato al generale Cooper alla Cittadella, si era propagata. Il suo disappunto fu totale e pieno di imbarazzo. Poi prese a tranquillizzare Ellen e con calma le raccontò una mezza verità.   Non le disse  mai che era partito tutto da Norbury. Le fece credere che fosse un episodio isolato.   Alla fine riuscì a convincerla che stava bene.

“Fratellone cosa mi combini! Cerca di non farti ammazzare. Dà retta a Steve.”

“Ho rischiato lo so, la prossima volta starò più attento.”

“Edward lo sai che sei la nostra guida, anche se ci siamo spesso scontrati. Quindi cerca di evitare di metterti in pericolo. Prenditi cura anche di te, soprattutto di te.”  Edward non trovò le parole, rimase muto senza respirare, non se lo aspettava questo affetto.

“Ehi fratellone ci sei?”  Ellen rise, lo immaginava rosso in faccia e imbarazzato. “Daniel ti saluta, è qua vicino. Ti vogliamo bene, Generale.” Gli urlarono in viva voce, poi chiuse la conversazione.

 Edward rimase immobile con il cellulare in mano, non riuscì per un po' a connettere. Aveva mentito per gli accordi presi con Norbury per evitare uno scandalo che avrebbe coinvolto la Cittadella. Si maledì per la sua menzogna.  Fissò   il prato di Roses House, che li aveva visti bambini, e sentì in torto, si sentì ipocrita.

 

 

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Capitolo 21
*** Il diverbio. ***


Steve e John arrivarono poco dopo,  li invitò ad andare nell’ampio terrazzo sotto il pergolato di glicine.  Cercò di non pensare alle menzogne rifilate ai fratelli minori. Ora doveva affrontare Steve.

John si sedette su di una delle sedie di vimini,  mentre Steve era rimasto in piedi come il fratello. Edward era teso, fece due passi guardando dalle vetrate, Paul il giardiniere stava tagliando l’erba nel grande parco. Si girò prendendo fiato, si aggiustò la cravatta inutilmente.

“Credo si arrivato il momento di dirvi quello che ieri Sir Norbury ha voluto. Ha chiesto di secretare l’accaduto, per proteggere il figlio.  Si è ampiamente scusato del fatto increscioso, ha chiesto che lasciassi cadere la cosa,  il figlio avrebbe lasciato la Cittadella oggi stesso.”

Steve si spostò verso di lui riducendo la distanza. “Così se ne va come non fosse  successo niente? Non dirmi che lo hai accettato! Non posso crederci!”  Guardava Edward con rabbia crescente.

Il generale inspirò inutilmente,  poi  continuò “Iniziare una guerra legale, anche con le prove che abbiamo, avrebbe messo in pericolo la credibilità della Cittadella, Ser Henry ha una schiera di avvocati al suo servizio,  io non volevo iniziare una faida senza fine. La minaccia di uno scandalo mi ha fatto riflettere, alla fine ho voluto proteggere l’integrità della Cittadella.”  Edward si mise le mani in tasca, fissandolo attento, sapeva che tutta l’ostilità  veniva da lui.

“Non posso credere che tu abbia rinunciato ad accusarlo di tentato omicidio. Sei uscito di testa,  fratello! Ti hanno sparato!”  Steve non riusciva a trattenere la rabbia, prese a camminare per la terrazza.    

“Ho anche le mie colpe Steve! Presto avrebbe screditato il nostro testimone,  sicuramente non avrei potuto arrivare a loro.”  Edward, cercò di ordinare le idee.  Si interruppe guardando sia il fratello che John

 Ed è a lui che si rivolse.

“Ho ottenuto che la parte clinica del dottore Roberts, rimanga inalterata. Quindi libera da qualsiasi vincolo. Questo pone uno fermo alla carriera militare del figlio, perché consultabile liberamente da qualsiasi reparto militare la richieda.”  Edward si rivolse a John.  “Roberts lei è fuori da qualsiasi decisione che io abbia preso. Visto che è stato aggredito prenderà qualsiasi provvedimento riterrà opportuno. Se vorrà denunciare la cosa avrà tutto l’appoggio necessario, anche da me.”  Il dottore annuì silenzioso, colpito dalla svolta che avevano preso gli avvenimenti, ma cercava di ragionare.

  Steve invece era furioso come sempre, non accettava accordi di nessun tipo. Così alzò la voce, mentre il Generale cercava di limitare i danni.

“Scusa fratello, fammi capire!   Ha sobillato un cretino con una pistola in pugno, che poteva farti veramente male!  Fa drogare il dottore,  lo mette a rischio, e tu metti a tacere tutto? Ma cosa ti sta succedendo? Io stento a capirti.”   Steve camminava arrabbiato, incapace di controllarsi, ed era quello che Edward odiava di più del suo carattere. “Quindi è così che funziona, se appartieni alla nobiltà, puoi fare qualsiasi nefandezza e alla fine te vai pulito. Soprattutto se gente come te, fratello, glielo permette! Complimenti mio Generale, non credevo arrivassi a tanto.”   Steve lo guardava minaccioso con le mani strette in due pugni pericolosi.

Edward cercò di mantenere la calma, si fece pacato, appiattì la voce.

“Ci sono limiti che non posso superare. I Norbury sono pari di Inghilterra, non sono in grado di demolire certi privilegi. Non posso abbattere il sistema, pensi che rischierei di compromettere la Cittadella per affrontare una guerra che non mi porterebbe a niente. A volte per un bene più grande si deve trovare un compromesso.”  Edward cominciava ad esasperarsi per l’insensatezza del fratello

Roberts cercava di tenersi fuori dalla discussione, benché non approvasse granché la decisione del Generale cercò di riportare la calma.

“Steve cerca di capire,  anche Reginald se ne va pulito, la carriera militare gli è preclusa visto che l’ultima parola spetta   a me. Sai che non avallerei mai un possibile ingaggio militare. Per lo meno attivo.”

 Steve scuoteva la testa allibito, respirava in velocemente,  si rivolse al fratello. “Quindi la decisione l’hai già presa!  Almeno mi avessi chiesto un parere, visto che ti sono stato sempre vicino.  Ma si sa, vero fratello, che valgo quel tanto che ti servo.”

Edward accusò il colpo, il volto si scurì,  cercò di far riflettere il fratello più giovane.

“Tu cosa faresti Steve, dimmelo. Denunceresti Norbury, credi che servirebbe? Non arriverebbe nemmeno in tribunale, sceglierebbe un accordo,  intanto avresti il figlio fra i piedi a sobillare i compagni. Ti giocheresti i testimoni in poco tempo.  Rivolterebbe a suo favore l’aver corrotto il vecchio dottore, la Cittadella diventerebbe ingestibile e perderebbe in credibilità.   Mi stupisco di come tu sia così ingenuo.”

Edward aveva perso la calma,  Steve si avvicinò indispettito. 

 “E del ragazzo Hollen che ne farai.  Naturalmente cade ogni accusa. Una perfetta idiozia Edward, da perfetto idiota.”

 L’offesa giunse inaspettata al Generale che si rammaricò per la poca considerazione del fratello.

“Non chiamarmi idiota,” ringhiò Edward.” Io non mi sono mai permesso.  Non ti voglio giudicare, so bene come la pensi , non accetti  nessun compromesso. Tu risolveresti la questione a testa bassa,  senza pensarci un attimo. È per quello che io sono qua a prendermi tutte le responsabilità. Adesso di Hollen te ne occuperai tu, perché rimarrà alla Cittadella per un anno, ti incaricherai di raddrizzargli la schiena. Ne farai un buon ufficiale.” Edward era risoluto, smise di guardarlo in faccia, amareggiato. Abbassò il capo.

“ Perché me ne devo occupare, fratello?”  Steve fu sarcastico.

 Edward lo sfidò apertamente puntando gli occhi grigi su di lui. “Perché, fratellino? Perché sono il tuo comandante e te lo ordino. Tu maggiore Cooper eseguirai gli ordini che io ti darò.”

 Steve sorrise sprezzante, “Quindi non sono più tuo fratello adesso, ma un tuo sottoposto.  Tu non hai nessun potere su Norbury, perché dovresti esercitarlo su di me,  tu sai solo imporre le tue decisioni sbagliate. Che rispetto vuoi avere da me fratello! “  Steve si avvicinò pericolosamente a Edward, che se lo ritrovò a pochi centemetri dal volto,  ma  non indietreggiò di un passo, colpito dalle frasi offensive del fratello.

“Non mi minacciare Steve. Non ci provare. Stai bene attento a quello che dici.” La voce di Edward era tagliente cercava  di trovare la calma , ma quella stava lentamente sfumando. “Non sopporterò altre frasi pesanti, non da te fratello. Stai al tuo posto.”

Steve alzò le spalle e lo allontanò con una debole spinta, ma Edward interpretò male il gesto, partì con uno schiaffo diretto al fratello che si difese, cercando di bloccarlo alzando la mano,  ma  questa andò a vuoto e finì dritto in faccia al fratello maggiore, proprio dalla parte ferita. Edward fu colpito da una manata dolorosa che lo fece subito sanguinare. Indietreggiò, barcollando portando la mano al volto, gemendo per lo spasimo.

Steve rimase impietrito, mentre John cercò di raggiungere il Generale ed afferrarlo prima che inciampasse.

“Siete impazziti!”  Gridò  John.  “Due ufficiali che arrivano a questo! Ma soprattutto due fratelli che alzano le mani. Siete  due idioti, due stupidi, irresponsabili idioti.”  Fremeva di rabbia, il buon dottore, ma tenne stretto Edward che vacillava vistosamente. E sanguinava di nuovo dalla ferita al volto.

Steve fu incapace di reagire, sconvolto di quello che aveva fatto. Le braccia lungo i fianchi, con le mani abbandonate che tremavano. John gli gridò seccato.

“Dammi una mano, razza di incosciente,  prendi la mia borsa in ingresso,  portala qua.”  Non usò mezzi termini,  benchè Steve gli fosse superiore di grado.

Steve si scosse, gli occhi rivolti al fratello, che fu fatto sedere   sul divano  da un sollecito John, ma che non nascondeva la sua  rabbia.  Guardò il Generale che aveva il volto contratto e dolorante.

“La soccorro perché sono un medico ed è il mio giuramento, ma come amico sarei meno indulgente. Si sta comportando da stupido, non dal grado che porta!”  Edward si irrigidì ulteriormente, strinse le labbra dal dolore, ma non replicò. Rimase fermo immobile sapendo di aver sbagliato.

Steve tornò con la borsa e la sistemò nel tavolo, cercò di essere di aiuto, era costernato da quello che era accaduo..

“Non ho anestesia con me, quindi Generale deve sopportare mentre aggiusto il disastro che avete provocato.”  Si rivolse a Steve. “ Tieni fermo tuo fratello e bada che non si muova. Non pronunciate una sola parola, e lei un solo lamento, capito bene Generale?”   Edward rassegnato annuì, ma fremeva di rabbia per le parole del dottore.  Fu stoico, non si mosse. John rimosse la medicazione  si mise al lavoro. Non fece particolari sconti a Edward che a volte inghiottiva lamenti dolorosi, cercò di rimanere fermo,  ma a volte sussultava e Steve lo doveva stringere  forte, causandogli ulteriore dolore.

Arrivò al punto di non riuscire  a trattenersi e  fermò la mano di John.

“Dammi due minuti, dottore, solo due minuti.”  John, ancora infuriato,  vide la difficoltà di Edward , gli  diede una tregua. Il Generale chiuse gli occhi cercando di attingere a tutte le sue forze. Respirò profondamente,  Steve allentò la presa. “Perdonami fratello, tra poco sarà tutto finito. Non volevo farti del male, puoi credermi?”

Edward annuì  tenendo gli occhi chiusi. ”Lo so fratello, ne sono convinto. Non darti pena è stata solo colpa mia.”

“Forse se aveste deciso di parlarvi con calma questo non sarebbe successo!”   John non riusciva a perdonarli,  aspettò che il Generale fosse pronto, finì di medicare la ferita e di fermare il sangue.

“Bene. Il mio compito è finito. Cercate di non ammazzarvi per le prossime ore. Per Dio!”  John aiutò Edward a sedersi, rimase al suo fianco, per assicurarsi che avesse superato l’incidente.

“Quando se la sente si alzi lentamente . Prenda gli antidolorifici che le prescrivo, e sopporti visto che siete così bravi a farvi del male.”  John si volve all’indirizzo di Steve. “ Occupati di tuo fratello, bada che prenda le medicine, e l’antibiotico che adesso sono costretto a dargli.”  Sbuffò, si alzò e chiuse la sua borsa nervosamente.   I due Cooper non fiatarono, rimasero muti a osservarsi, mentre   John andò verso la cucina.

 Mary  che aveva asistito alla lite, entrò nella terrazza, li fissò severa,  scosse la testa. I litigi c’erano spesso, ma mai era andati oltre. Edward passò dal pallido al rosso, avrebbe voluto sprofondare, dalla vergogna,  aveva deluso Mary a cui teneva molto, e aveva sconcertato Roberts con il suo gesto da  irresponsabile. Perché lo sapeva bene che  era stato lui ad incominciare. Si alzò faticosamente, Steve lo sorresse costernato, come se avesse commesso il peggiore dei crimini.

“Venite a fare colazione tutti e due senza fiatare. Solo degli stupidi si comportano come voi.”  Mary fu perentoria, li spinse da dietro senza curarsi delle loro deboli proteste.

 

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Capitolo 22
*** chiarimenti ***


John, vicino alla dispensa, vide entrare in cucina i due fratelli.  Era adirato e sconvolto dal loro comportamento, trafficava con la macchina del caffè, ma le mani non erano ferme. Mary praticamente li scortò, li fece sedere al tavolo, gli preparò la colazione cercando di calmarli.

Steve si sedette con la testa china, e prese a sbriciolare un biscotto con tale forza da polverizzarlo.  Edward seduto di fronte lo guardava dispiaciuto, colmo di rimorso per come aveva reagito, dimenticò il dolore al volto.  Ricordò con angoscia la notte prima, quando erano stati così vicini da sentire il calore della fratellanza.

 Mary portò del the e del latte, John riempì le tazze col caffè.  Lasciò che si servissero, si sedette pesantemente. Nessuno stava bene in quella cucina, nemmeno lui.   

Edward si fece coraggio, toccò il braccio di Steve, che teneva la testa bassa. Gli confidò in maniera gentile.  “Non mi sono comportato da bravo fratello con te, poco fa. Mi dispiace di come ho reagito, mi sento in colpa per quello che ho fatto. Credimi solo che mi sono sentito provocato, non ho saputo capire il tuo gesto.   Mi dispiace, puoi non perdonarmi e capirò.”

 Si preparò a parlagli della chiamata del mattino, delle menzogne dette ai gemelli.   Ebbe un leggero brivido, stringeva le mani nervosamente. Guardò dritto negli occhi Steve, che capì subito che qualcosa lo tormentava.

“Cosa stai per dirmi, cos’altro devo sapere?”

Edward gli parlò della fuga di notizie, della chiamata preoccupata di Ellen e Daniel, di avergli taciuto la verità, non gli aveva detto tutto, aveva lasciato credere che fosse stato un fatto isolato, tralasciando Reginald.

“Ho cambiato i fatti, Steve, ho detto loro delle bugie, per l’accordo che ho fatto con Norbury. Sono da biasimare lo so, ma credi l’ho fatto per salvaguardare la Cittadella, nient’altro. Passata questa storia racconterò loro la verità, anche se non approveranno.”  Trattenne il respiro. “Te lo prometto.”

 Solo loro e i Norbury sapevano i fatti in realtà come si erano svolti. Ci fu un silenzio irreale, il maggiore dei Cooper, abbassò la testa stringeva le mani così forte che divennero bianche. Aspettò la risposta di Steve. 

John seduto al tavolo, si era ancor più contratto, aveva ascoltato con apprensione i chiarimenti di Edward, non intervenne, lasciò che decidessero tra di loro, avevano già toccato il fondo ora non gli restava che risalire.

Steve guardò il fratello, sapeva quanto contasse per lui sentire che i gemelli non lo avessero abbandonato, ma penava perché in un certo senso li aveva traditi.

 Prese un lungo respiro, gli prese le mani, le tenne strette fra le sue, cercò di quietarlo. Sapeva quale sacrificio stava facendo per proteggere il lavoro che amava. La Cittadella era cresciuta con lui, non era di nessun altro. Il volto di suo fratello, con quella fastidiosa medicazione, era pallido e teso, ebbe paura che soffrisse di più di quanto traspariva, dimenticò ogni risentimento, abbozzò mezzo sorriso. “Ora basta torturarti, va bene così Eddy, ti appoggerò sia nel lavoro, che con i gemelli. Va tutto bene.”  Lasciò le sue mani e si appoggiò allo schienale della sedia. Il volto contratto del fratello maggiore lo invitò a continuare.

 “Mi dispiace Edward, non volevo farti del male. Se stavo al mio posto non sarebbe successo.  Credo che tutti e due abbiamo qualcosa da farci perdonare.  Sai che mai ti nuocerei.”

Mary si avvicinò, li fissò entrambi. “Ora basta, cercate di trovare un equilibrio, so che vi volete bene.”  Edward si calmò ritrasse le mani bianche, vide gli occhi lucidi del fratello e sentì il cuore stringersi.  John si rasserenò, ruppe gli indugi.

“Avete bisogno di riflettere, di tranquillità non potete reggere se continuate su questa strada. Quindi parlate, chiaritevi o non vi salverete, anche se vi volete un bene profondo.”   Scosse la testa sconsolato per tanta testardaggine.  “Siete proprio un’esperienza fuori dal comune voi fratelli Cooper. Mi farete venire un esaurimento. Non so se sia un bene avervi conosciuto. “

 

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Capitolo 23
*** I Generali. ***


Edward fu interrotto dall’arrivo di una chiamata, lasciò la cucina si alzò, andò nella terrazza.

 Lo sentirono parlare fitto, tornò poco dopo, rigirando il cellulare fra le mani, si rivolse al dottore appoggiandosi allo stipite della porta.

“Tra circa un’ora, arriverà alla Cittadella il Generale Malcom della Royal Air Force.  Sir Norbury ha fatto richiesta di arruolamento alla sua accademia per il figlio.”  Si fermò scrutando il volto di John.  “Se dovesse chiedere cosa è successo, non potrò dire molto, quindi lo porterò da lei Roberts. Gli consegnerà la cartella clinica, chiarendogli la situazione di Reginald.”

 Il Generale sperava fosse d’accordo, John non si scompose.  Mise in tasca il cellulare e si raddrizzò impacciato.  “Sa che ho le mani legate, per gli accordi che ho preso.”

Steve brontolò seccato. “Eccone i primi risultati.” Il Generale gli girò le spalle e non replicò. 

 John decise di intervenire per non creare ancora attrito fra loro. “Dovrò essere franco, o sarò vincolato dai vostri accordi?”

“Non lei Roberts, sul suo lavoro di medico a capo della clinica è libero di dire tutto quello che ritiene necessario.”

Le parole di Edward furono gentili, si girò verso il fratello cercando un minimo di sostegno, ma lui non fece nessun gesto, anzi sembrava piuttosto infastidito e sbottò.

  “Ti rendi conto che se non ci fosse John, adesso Reginald entrerebbe in Air force.”

 Il più anziano non replicò, fermo sulla porta alzò le spalle e mise fine alla conversazione.  “Non discutiamo ancora.”  Si abbottonò la giacca spazientito.

 “Abbiamo questa possibilità che ci permetterà di fermare Norbury.  Il Generale Malcom valuterà che Reginald può fare solo lavoro sedentario. Sta lui decidere.”   John si alzò, con la faccia scura di chi non avallava le decisioni del Generale, ma che aveva accettato le sue scelte.

Aiutò Mary a sparecchiare, guardava i due fratelli sospettosa, chiedendosi quanto sarebbe durata la pace tra di loro.  Rovesciò maldestramente il the, John salvò prontamente il resto della tovaglia macchiata.

“Cercate di stare sereni. Non voglio sentire altre liti fra di voi. Anche tu Eddy sii responsabile.”  Si voltarono imbarazzati, la videro tremare. Nei loro volti passò lo smarrimento di quando da bambini la facevano arrabbiare.  Uscirono rapidi con il cuore in tumulto, specialmente Edward. 

Scesero le scale per raggiungere la Ford nera, quando il suo cellulare vibrò di nuovo. Prese a cercarlo nella tasca, lo afferrò goffamente e visto il chiamante si fermò a metà strada sospirando sconfortato. Era l’ennesimo Generale, Jason Turner marina. Fece cenno agli altri di aspettarlo di sotto. E rispose controvoglia.

Steve e John lo osservarono mentre camminava avanti e indietro evitando di inciampare sulla ventiquattrore che aveva appoggiato a terra. Cercava di chiudere la conversazione.  Capirono subito che riguardasse Reginald.

 Lo attesero in auto seccati, specialmente Roberts che sospettava l’aumentare dei grattacapi da sbrigare. Quando li raggiunse Edward, li vide entrambi indispettiti, ma rimase calmo benché sapesse che lo avrebbero aggredito subito.

“Non dirmi che è un altro tuo collega che chiede di Reginald.  Perché dalla tua faccia sembra così.” Steve fu sprezzante, stavolta anche il dottore perse la pazienza.

“Purtroppo è vero.”   Il fratello maggiore inspirò profondamente.  “Ci prova con Turner della Royal Navy.”   Mise da parte il cellulare, si sedette al volante e allacciò la cintura.

 Si volse indietro verso John.  “Dottore il discorso è lo stesso per Malcom, consegnerà le sue cartelle cliniche. Gesù, speriamo sia finita, Sir Henry ha scomodato tutte le forze armate!”   Si concentrò alla guida e non parlò più.  Steve al suo fianco, lo ignorò girando il capo, interessandosi alla strada.

 John seduto dietro temeva che avrebbero ricominciato a litigare. Vedeva che Edward era provato, e cercava di non farlo vedere, solo poche ore prima aveva preso una manata dolorosa in faccia, ma sembrava tranquillo, guidava con attenzione, senza mai distogliere lo sguardo.

Giunsero alla Cittadella, con un po' di anticipo, Cooper parcheggiò velocemente, Steve se ne andò subito, li salutò nervoso.  John aspettò che il Generale prendesse la sua ventiquattrore, poi si avviarono insieme. Erano silenziosi, specialmente Cooper che sembrava assente.

“Come sta, Edward? Sembra teso.”  Il dottore lo aveva osservato con attenzione a volte lo aveva visto contrarsi in volto.  Cooper si passò una mano sulla ferita, e increspò le labbra. “A volte si fa sentire, non ci voleva quel colpo. Ma sopporterò, me lo sono cercato.”

“Se la ferita era in via di guarigione, ora ci metterà di più. Complimenti fratelli Cooper.” John sogghignò mentre gli camminava affianco, Edward si limitò ad assentire un po' piccato.

“Ha preso tutte le medicine che le ho prescritto? Gli antidolorifici?”

“Ne devo prendere spesso, non mi danno sollievo per molto. Quindi un pò devo sopportare.”   Edward sorrise amareggiato. “Però anche lei John, ha avuto la mano pesante stamane. Cristo, è stata una tortura. Credo di averla odiata.”

Roberts scosse la testa. “Mi scuso, ho perso la pazienza, sono stato duro, avrei dovuto sollevarla dal dolore, non dargliene di più.  Ma non siete stati un bel esempio di fratellanza, Edward, non doveva colpire suo fratello, le conseguenze le ha viste.”

Cooper si irrigidì.  “Lo so, ho sbagliato, lui non l’ha fatto apposta.”  Chinò il capo rassegnato mentre camminavano affiancati.  “Siamo difficili da gestire John, e pesanti da sopportare. Mi dispiace” 

Il dottore non fece in tempo a replicare, perché l’auto di servizio del generale Malcom era arrivata è Edward mise fine alla conversazione.

 

 

 

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Capitolo 24
*** L'arrivo del Generale Malcom ***


Edward andò incontro al generale Malcom mentre il dottore filò velocemente verso il suo ufficio, così distratto da scontrarsi con una recluta.

Il Generale Malcom, scese dall’auto, si guardò intorno sorpreso.  la Cittadella metteva in mostra tutta la sua bellezza.   Prese il berretto, lo mise sotto al braccio, si girò verso Cooper e lo salutò con la mano aperta, poi lo raggiunse.

Edward lo trovò ingrigito e un po' calvo, dopotutto non lo vedeva da anni.  Si strinsero la mano tra i vari convenevoli di buona accoglienza, si avviarono conversando affabilmente verso lo studio di Cooper.

“Che ti è successo Edward?”  Malcom indicò la medicazione al viso. Edward diede lustro a tutte le sue doti di attore.

“Un incidente durante una esercitazione, una recluta un po' nervosa ha fatto partire un colpo dall’ arma di ordinanza. E io ero in quella traiettoria. Diciamo che sono stato…fortunato.”  Cooper si massaggiò la nuca stancamente, cercando di nascondere l’imbarazzo.

“Accidenti Edward, dovresti stare lontano dai tuoi cadetti. Visti i risultati.” Malcom sorrise con ironia. “Mi sono giunte altre voci al riguardo. Ma farò fede alla tua.” Il suo tono si era fatto serio.

“Quindi, ne sei al corrente, sai a cosa vai incontro?” Edward distese le spalle, si allungò in altezza.

“Credo di sì, ma come te, mio caro Edward non mi posso sottrarre, sai come funziona, giusto?”  Cooper lo dirottò direttamente da John. Malcom rimase piacevolmente colpito dall’ingresso imponente della dirigenza quando percorsero il lungo corridoio che portava agli studi, pensò che Cooper era un ottimo ufficiale comandante.

 “La Cittadella è bellissima Edward, ne puoi andare fiero, anche se ti sei preso in faccia un proiettile ne valeva la pena. Certe interferenze portano solo al disastro.”   Edward non rispose, ma ridacchiò piano, fermandosi.  “Vero Malcom, niente di più deleterio di certi privilegi.”

“Posso presentarti il direttore medico Roberts, che diciamo potrebbe agevolarti nella decisione, forse toglierti questa seccatura.” Edward prese il cellulare e lo informò del suo arrivo.

Roberts li accolse nello studio, fu cordiale e attento a non sconfinare nei fatti accaduti, mise al corrente il generale Malcom della situazione di Reginald. 

“Ottima scappatoia dottore, confesso che sono sollevato. I Norbury sono pesanti da gestire. Questo mi darà la possibilità di rifiutare l’ingaggio senza combattere col padre. Meglio evitare quello che è accaduto qui. Scusami Edward, ma sei stato troppo tollerante.”  Cooper sollevò le sopracciglia perplesso, Malcom prese la copia della cartella di Roberts e fece per andarsene.

“Malcom, se fosse possibile non dare troppe spiegazioni. Il nostro dottore è comunque esposto, puoi capire l’irritazione di sir Henry.” Edward lo aveva fermato sulla porta, parlò piatto, ma deciso.

Si rigirò la cartella rossa fra le mani. “Tranquillo, Generale Cooper sarò riservato. Te lo devo visto, il rischio che hai corso. A presto, e attento ai tuoi   cadetti armati!”   Malcom salutò ironico, ma uscì sollevato.

 Edward accusò tutta la stanchezza accumulata e senza chiedere il permesso, sprofondò nella poltrona. “E uno è andato dottore.  Sono solo le dieci e sono già stremato.”   John si era accomodato dietro la scrivania, la fronte corrucciata, cercava di mettere in ordine i faldoni, anche a lui non piaceva questa storia. Interruppe i pensieri del Generale. “Quando arriva Turner?”

“Circa tra un’ora, ma speriamo non dovere rifare tutta la commedia.  Malcom comunque sapeva la verità.”

Edward si aggiustò la cravatta e si alzò svogliato. “Vuole un caffè dottore? Io ne sento il bisogno.”

John vide la stanchezza sul suo volto, una tregua avrebbe fatto bene ad entrambi.

“Vada per il caffè! Non piacciono neanche a me queste recite.”

 

Il bar della mensa aveva un piccolo giardino all’esterno, si sedettero ad un tavolino con due caffè lunghi davanti, si godettero il silenzio.  Edward cercava di trovare una soluzione confacente a quello che stava succedendo.  Il suo pensiero si volse al fratello.  “Steve non si è fatto vivo, ma meglio così sennò sarebbe stato difficile tenerlo buono.”

“Non avrebbe approvato, molto probabilmente si è tenuto lontano. Steve non sarebbe in grado di essere diplomatico è troppo impulsivo.”  Il dottore bevve un lungo sorso di caffè.

Edward zuccherò la sua tazza, forse troppo abbondantemente.   “Steve proprio non riesce a perdonarmelo di cedere e negoziare, i suoi parametri non sono purtroppo i miei, così ci scontriamo. Sempre”

“Me lo ricordo, Generale solo poche ore fa, a Roses House. Mi avete fatto parecchio arrabbiare, e   l’ho anche maltrattata Edward.”   John posò la sua tazza contrariato.  “Mi fate perdere il controllo quando vi affrontate in quel modo, sicuramente il mio comportamento come medico non è stato appropriato.”   

Edward aggrottò la fronte.  “Mi scusi John, glielo ripeto sono costernato per quello che è accaduto, non riesco né a controllarmi, né a gestire mio fratello.”

“Steve è irruente ma è una brava persona, cerchi di essere più tollerante.”   Il dottore posò la tazza e fece per alzarsi, guardò l’orologio, vide che era già tardi.

“Meglio andare Edward, tra poco arriverà Turner. Forza facciamo anche questa.” 

 

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Capitolo 25
*** Gestire una situazione complicata ***


 

Alle undici precise, arrivò il Generale Turner, ma stavolta Edward volle accelerare i tempi, chiese a John di aspettare con lui.

Videro l’auto scura percorre tutto il viale, si fermò di fronte alla scalinata che portava all’ingresso, Turner scese e li raggiunse a grandi passi in cima.  

Cooper si strinse nelle spalle, si sistemò il berretto. Ci furono i soliti convenevoli, gli presentò il dottore, che continuava a lanciare occhiate al suo orologio, infastidito. 

Il Generale Turner della marina britannica era un uomo tozzo, basso di statura, ma decisamente alla mano.

“Però, Cooper bella ferita.”   Esordì anche lui, divertito.  “Ti sei quasi fatto uccidere, spero non vorrai sbolognarmi Norbury.” 

Sul volto di Edward si stampò una smorfia amara.  Turner si girò verso Roberts.  

“Dottore spero abbia buone notizie per me, le voci girano veloci.” 

John e Cooper si guardarono interdetti, sembrava che tutti sapessero cosa fosse successo.

Il dottore fu gentile e introdusse l’argomento senza coinvolgere Edward.

“Le consegnerò la cartella clinica di Reginald, era stato tralasciato il fatto che fosse portatore di una malformazione cardiaca che ne impedisce una attività fisica troppo intensa. Potrebbe fare solo lavoro d’ufficio.” John lo invitò ad andare   nel suo studio per consegnagli la cartella.

 Edward lo seguì stancamente, parlottando con Turner, che lo incalzava per sapere la verità.

John vide che Cooper era in difficoltà e andò in suo soccorso.

“Mi spiace Generale Turner, ma tutto quello che possiamo dirle è nelle mie cartelle.”  Edward lo ringraziò con un’occhiata eloquente, mentre placò il collega.  “Turner accontentati di quelle cartelle, se vuoi starne fuori.” 

 Il Generale della marina abbozzò e diede una sonora pacca sulla spalla ad Edward che sussultò.

Entrarono nello studio, mentre John ridacchiava cercando di nascondere il divertimento per quella manata inaspettata.

“Quindi, questo sarebbe il mezzo per liberarsi di Norbury.”   Turner tirò un sospiro di sollevo. “Sir Henry è un tormento in questo periodo. Se io ne esco, temo che tu non te la caverai facilmente, caro Cooper.”

Edward emise un grugnito sordo. “Farò quello che posso per contrastarlo, ma sai anche tu di quali protezioni si vanta.”   

Edward ultimò la conversazione, congedò e ringraziò John, con uno sguardo d’intesa. 

Poi accompagnò Turner fino al parcheggio verso la sua auto di servizio.

“Bada a stare bene Edward, cerca di uscire da questa storia pulito. E soprattutto vivo.” Turner gli strinse la mano con la solita irruenza.

“Ricordati che hai uno zio parecchio potente, ragazzo.”  Cooper annuì e lo lasciò andare senza rispondere.

Già lo zio William, il fratello del padre!   

Rimase perplesso, per alcuni secondi incerto sul da farsi.

 Decise di raggiungere suo fratello. Sentiva il bisogno di stare con lui.  Passò a mente tutti i posti dove potesse essere, poi alla fine si avviò ai campi di addestramento, sicuramente era lì che faceva corre come dannati, tutti i suoi sottoposti.

Sorrise al pensiero di vederlo brontolare, perché invadeva la sua zona di competenza.  Lo raggiunse che gli dava di spalle, mentre parlava alla fila dei soldati, che scattarono sull’attenti quando lo videro.

Steve immaginò che potesse essere lui.

Si girò e lo guardò sospettoso, le spalle basse e lo sguardo stanco, ma gli sorrideva leggero.  Rapidamente   licenziò il gruppo.

“Che c’è fratello non mi aspettavo di vederti qui. Hai avuto problemi?”   Steve continuava a studiarlo con attenzione. Si rendeva conto del dolore fisico che gli aveva procurato la mattina, quindi fu gentile aspettò che parlasse.

“Tranquillo volevo solo pranzare con te. Con una buona dose di benevolenza fraterna. Che ne dici?” Edward si sedette scomposto sulla panchina appoggiata alla rete che delimitava il campo.  Respirò fiacco, lo stomaco di Steve si contorse nel vederlo così, gli si sedette affianco sentì di doverlo sostenere in quel momento complicato.

“Per me va bene fratellone, magari prendi un po' fiato e poi andiamo. Mangiare ti farà bene.”

 Ogni acredine sparì, lo prese in girò come al solito cercando di alleggerirlo. Quando lo vide rilassato, Steve lo scortò verso la mensa senza entrare mai nel merito della questione di Norbury.

 John era già lì, cercava di farsi largo tra le reclute. Lo raggiunsero al tavolo.

Era spazientito.  “Spero Edward che sia finita la processione dei Generali, preferisco affrontare ventiquattrore di ambulatorio piuttosto.”  Lo guardò inquisitorio, ma vide anche la sua spossatezza.

“Mi auguro di sì, visto che i miei colleghi sanno   più del necessario. Norbury è una seccatura enorme.”

Edward si sedette, mentre Steve era andato a prendere il pranzo per loro tre. Appoggiò il berretto sulla sedia fiaccamente.

“Sembra che tutti sappiano cosa è successo qui. Sanno che è stato il mandante delle nostre due aggressioni, ma pure continuano a venire.” John lo guardò di traverso, ma non volle irritarlo più di tanto.

“Lo fanno dottore perché devono crearsi un pretesto. Lei ha deciso cosa vuole fare. Lo denuncerà?”  Edward sapeva che la sua domanda era delicata, si sistemò la cravatta che sembrava soffocarlo.

“Non vedo come potrei visto che la tirerei in ballo, quindi, no grazie.”  John afferrò le posate e le dispose pensieroso sul tavolo.

“L’appoggerei comunque dottore.” Edward che era seduto di fronte a lui, cercò di essere gentile. “Non avrei difficoltà a sostenerla se vuole denunciarlo.”

“Edward, Cristo, abbiamo già deciso. Non tornerò indietro!”  John sbottò seccato.     

Edward già provato dalla mattina iniziata male, posò il cellulare sul tavolo, e non replicò.

 Rimasero silenziosi appena due minuti, il cellulare vibrò insistentemente, il Generale lo afferrò, sgraziato.

 Vide il chiamante, serrò la mascella e si allontanò per rispondere, mentre Steve era tornato con i vassoi del cibo.

“Ancora?”  chiese a John.” Chi lo chiama adesso?  Ha bisogno di una pausa.”

“Guai, credo dalla faccia di tuo fratello.”  John prese il vassoio e condivise mentalmente il pensiero di Steve. Cominciarono a pranzare mentre lo osservavano camminare avanti e indietro.    

Edward parlava al cellulare e assentiva frequentemente. Molte volte sembrava seccato e scuoteva la testa. Poi chiuse la chiamata innervosito. Si avvicinò al tavolo riponendo il cellulare in tasca. La fronte era increspata da ruga profonda, tratteneva la rabbia a stento, la fatica sparita.

“Mi dispiace, devo andare tra poco arriva il Generale Maggiore Collins. Naturalmente si tratta di Norbury, si è parecchio risentito che nessuno ingaggi il figlio. Steve occupati tu del cibo. Mangerò più tardi, oggi non è giornata!” 

Edward guardò il fratello severo, appoggiò le mani aperte sul tavolo prevenendo la sua rabbia.   “Stai lontano dal mio ufficio, sistemerò le cose come meglio potrò, cercherò di tenere fuori dai problemi anche lei Roberts. E dottore anche se è contrario toglierò questo cerotto, non voglio farmi compatire inutilmente.”

“Edward faccia pure, ma poi lo dovrà rimettere. Ed è un ordine.”  John si irrigidì disapprovando la sua stupida richiesta, ma era consapevole che la prima cosa che saltava agli occhi era quel vistoso cerotto. Edward non sopportava che gli causasse imbarazzo, lo innervosiva, così non protestò ulteriormente e lo lasciò fare.

 La fama del Generale maggiore Collins lo precedeva ovunque, era autoritario e arrogante, un soggetto difficile da trattare, e non voleva stupidi pretesti.  Edward guardò il suo pranzo sfumare, mentre Steve brontolava sottovoce.

 Allora, per tranquillizzarlo, prese un boccone   di pane, lo mandò giù velocemente, bevve un po' d’acqua, e li lasciò per raggiungere il suo studio.

“Anche oggi ha saltato il pranzo! Proverò ad aspettarlo.” Steve continuò a mangiare con poca voglia mentre il Generale usciva dalla mensa con passo veloce.

“A lungo andare ne risentirà, se non si darà delle regole.  Dovresti sgridarlo più spesso su questo.”

“Già fatto con risultati zero, caro John.”

 

 

 

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Capitolo 26
*** Il dovere e l'obbedienza. ***


 

Edward si era rapidamente portato al suo ufficio, aveva quasi investito Nora sulla porta.

Entrò velocemente in bagno, si tolse quell’ingombrante cerotto, strappandolo con rabbia.  Adesso sulla sua guancia c’era un taglio ben delineato, rossiccio, ma meno vistoso con alcuni punti adesivi.  Gli restituì una fitta dolorosa, ma strinse i denti e si preparò ad affrontare il suo diretto superiore.

 L’auto nera dell’esercito intanto era arrivata, ne scese un uomo di media statura dall’aria altera, con una divisa notevolmente ornata. Si guardò in giro con aria sprezzante, afferrò la sua borsa, si diresse verso gli uffici per incontrare Edward.

 Steve e John lo scorsero dalla vetrata della mensa, Il Maggiore mandò giù troppo velocemente il boccone e tossì pensando al fratello, di certo non avrebbe voluto essere al suo posto.

Edward sentì arrivare Collins dal parlottare della segretaria, che pochi istanti dopo lo annunciò. Si risistemò la cravatta e si diresse verso la porta ad accoglierlo.

“Ben arrivato Generale Maggiore, non la aspettavo così presto.”   Edward fece i necessari   convenevoli di accoglienza, invitandolo ad accomodarsi nella poltrona di fronte alla scrivania, Collins perfettamente a suo agio si sedette, accavallò le gambe. Cooper la aggirò, si infilò nella poltrona con la schiena rigida, aspettando che parlasse.

“È sempre un piacere incontrarla Edward, la Cittadella è splendida. Ma sa già perché sono venuto da lei, credo lo abbia già capito.”  La sua voce era bassa, quasi baritonale.

Edward allungò la mano sulla gamba, lisciò la stoffa dei calzoni.

“Senza dubbio Generale, è per Norbury, per Reginald.”  Non girò intorno all’argomento, mantenne un tono piatto.

“So che sono venuti a farle visita due suoi colleghi Malcom e Turner, a cui sir Henry aveva chiesto l’ingaggio del figlio, ma le cose sembrano non aver funzionato. Sir Henry ha dovuto rivolgersi a me. Ce qualcosa di cui non sono a conoscenza?”  Collins si stampò sul viso un sorriso sarcastico in un atteggiamento fastidioso.

Edward non voleva coinvolgere Roberts, quindi evitò subito di rispondere.

“Ho consegnato loro, tutta la documentazione che hanno richiesto, nulla di più.”  Edward stese le mani sui braccioli e appoggiò la schiena.

“Non è trapelato nulla di quel brutto segno sul suo volto, Cooper?  Sir Henry mi aveva parlato di documenti segretati.” Indicò la guancia di Edward, con un mezzo ghigno. 

“E così è stato Collins, qui dentro non si è parlato della mia faccia. Né di cosa fosse successo.”  Edward rispose brusco, strinse leggermente le mani sui braccioli.

“Bene, ho fiducia di lei Cooper, ma qualcosa deve aver fermato i suoi colleghi.” Aggrottò la fronte risentito.

“Le ripeto Collins, sono stati consegnate tutte le cartelle riguardanti Reginald compresa quella medica e tutte le valutazioni degli ufficiali che l’hanno seguito.”  Le mani di Edward si strinsero di più, le nocchie divennero bianche.

“Quindi la cartella medica di Reginald è stata consegnata!” Collins cominciò a capire, si massaggiò il mento.

“Come da prassi Generale, nessun accordo era stato preso su questo. Me ne sono incaricato io stesso. Ho avocato a me tutte le cartelle cliniche del Capo Medico.”   Edward cercava di tenere fuori Roberts dalla discussione, perché sapeva che il Generale Maggiore era al corrente della patologia di Reginald, lo vedeva dai suoi occhi sdegnosi. 

 Collins prese del tempo, due respiri profondi, poi fu inespressivo. “Come suo diretto superiore potrei richiedere tutte le cartelle e lei me le dovrebbe consegnare.  Nonché potrei ordinarle riservatezza assoluta. Pensi pure che voglia scavalcarla, ma potrei anche toglierla dalle seccature, mi creda Cooper.” Lo guardò fisso come se Edward fosse una preda da stanare.

“Se me lo ordina Collins non vedo come potrei oppormi.  Ma Generale Maggiore se ne prenderà tutte le responsabilità, le consegnerò tutti gli incartamenti davanti a mio zio Sir William Cooper, e naturalmente alla presenza del Capo Medico. Voglio avere le spalle coperte, Generale Comandante.”   Edward si alzò, aggirò la scrivania, si portò di fronte a Collins che rimase seduto scrutandolo con aria sprezzante, rimase muto pochi secondi, poi annuì.

“Va bene Cooper, muova i suoi pezzi da novanta. E sta bene, facciamo il suo gioco. Chiami suo zio e porti il suo dottore.”

“Mi deve dare il tempo di avvisarlo. Le porteremo le cartelle al più presto, insieme con il Capitano Roberts.”  Edward piantato davanti a Collins lo sovrastava, si trattenne dall’essere scortese in quanto era suo diretto superiore, ma alla fine non riuscì a fermarsi. “Sa di fare un abuso Signore, ma farò quanto mi ordina, anche se non lo approvo.”

“Lasci a me il compito di gestire sir Norbury, quello che farò dopo non la riguarda.”  Collins si alzò sprezzante, lo fronteggiò apertamente.

“Rimanga al suo posto Cooper, rispetti la gerarchia.” 

Edward assunse la posizione di “attenti”, rimase immobile, mascherando la rabbia crescente. Si rese conto di come si sentisse suo fratello di fronte ad un sopruso.

“Mi avvisi per accordarci. E lasci perdere la faccenda, è un maledetto ordine.”  Collins lo apostrofò sprezzante mentre era a pochi centimetri da lui.

Si voltò fremendo, uscì sdegnato mentre Edward si sciolse e maledì   Norbury e tutta la sua discendenza, con Collins al seguito. 

 Raggiunse la poltrona della scrivania e si lasciò sprofondare dentro, tutto si stava complicando sempre di più, aveva messo in mezzo lo zio paterno come gli aveva suggerito Turner.

 Ora accusò tutta la stanchezza e la fame, decise di raggiungere la mensa e mangiare qualcosa prima di affrontare John   e   poi Steve.

 

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Capitolo 27
*** Nel nome della famiglia ***


 

 

 Edward si rinfrescò la faccia nel piccolo bagno del suo studio, cercando di togliersi di dosso la stanchezza.

Sistemò la camicia e la cravatta scura, avvertì la sua solerte segretaria della sua uscita.  Nora, che aveva raccolto i lunghi capelli castani in un delicato chignon, era seduta alla scrivania e lavorava rapida al computer, sollevò la testa.  “Generale, dovrebbe prendersi una pausa. Non ha mangiato nulla.” 

 Edward le concesse un sorriso divertito. “Hai visto Nora, chi si è scomodato oggi?  Quindi cosa altro avrei potuto fare?  Ora vado a pranzare, ma avvisami se ci sono problemi.”  Nora annuì, lo lasciò andare senza gravarlo di altre preoccupazioni.

Cooper camminò   verso la mensa, sapeva che era tardi, ma sperava che il fratello lo avesse aspettato, infatti lo trovò che chiacchierava con un sergente. Gli fece un cenno col capo, poi andò verso i vassoi per servirsi alla tavola calda.

 Si accontentò di un piatto veloce, non indugiò nella scelta del pranzo, irritato dalla mattinata pesante e dall’incontro sgradevole con Collins.  Doveva capire bene cosa fare, niente collimava e si chiese se la sua decisione fosse stata giusta.

Si sistemò in un angolo della mensa, ingoiò un boccone dietro l’altro in attesa che Steve si avvicinasse.

 Il Maggiore era rimasto a parlottare, ma intanto studiava il fratello.

Lo vide innervosito, non assaporava nulla, buttava giù tutto in fretta.

Lasciò il suo sottoposto e si diresse verso Edward.   

“Come è andata? Collins cosa voleva?”  Lo rimproverò.   “Mangia piano fratellone, ti stai strozzando.”   Cercò di essere   gentile, anche se vibrava dentro per la situazione in cui si erano trovati.

 Edward rallentò, prese fiato, buttò giù un bicchiere d’acqua. “Prova ad immaginarlo, era per Norbury. Visto che Turner e Malcom hanno probabilmente rifiutato Reginald, ha voluto capire perché. Ha avocato a sé tutte le cartelle, sia mediche che di valutazione.” Si pulì la bocca con il tovagliolo, esitava, cercando di leggere il volto del fratello.

Steve prese in malo modo la sedia, si sedette.

“Ma ha potuto farlo?  Alla fine ti ha scavalcato, glielo hai permesso?”  Come al solito cominciava   già a perdere la pazienza, Edward cercò di contenerlo, parlò senza inflessione.

“Steve, è il mio superiore. Credi che avrei potuto rifiutarmi?  È il Generale Maggiore, lui comanda e io devo obbedire.” Posò la forchetta, allungò la mano stringendo il polso del fratello. “Volevi che mi prendessi una nota di insubordinazione?  Lo comprendi che ho degli obblighi o no, fratellino testardo?”  Si sottrasse alla sua stretta seccato, sapeva che era vero. Vedendo il volto contratto di Edward, smorzò i toni.

“Come farai con John?  Anche lui capirà dopo quello che gli hanno fatto?”   Inclinò il capo senza distogliere lo sguardo, le responsabilità del fratello erano evidenti.

 Edward socchiuse gli occhi, si sentì debole senza difese, respirò un paio di volte impacciato.

“Ha deciso di non denunciare, molto probabilmente avrebbe solo ottenuto di essere trasferito. Collins è un osso duro ed è dalla parte di Norbury.”  Mise fine al pranzo, spinse frettoloso il piatto.

 Ora doveva dirgli dello zio, già si sentiva stringere lo stomaco.

“Le cartelle saranno consegnate in presenza di John. Inoltre vorrei incontrarlo in un posto sicuro, che non ammetta nel tempo smentite.”

 Steve corrugò la fronte. “E dove, fratello?”  Edward tentennò.

“Da zio William, al Dipartimento di sicurezza nazionale.”

“Cristo Santo! Alla sede del MI6!”  Steve sbottò acido, “credi che accetterà?  E soprattutto, ti sosterrà?” Si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia. Non era mai stato felice di rivedere lo zio, gli ricordava con dolore la perdita della famiglia.

Edward si fece serio. “Sir William è autorevole, ricopre una carica importante, ed è nostro zio.  È bene che Collins si renda conto che voglio coprirmi le spalle.”  Portò la mano al mento, appoggiando il peso sul gomito piantato sul tavolo.   “Lo zio mi appoggerà, lo sai quanto non gli piacciano certe prevaricazioni, certi giochetti di potere. Accetterà Steve, perché lo zio William non gliela perdonerebbe, se qualcuno toccasse il figlio del suo amato fratello Anthony, nostro padre.” Edward quasi non respirò, studiando la sua reazione.

Steve scosse la testa, rilassò le braccia e si avvicinò al tavolo, riducendo lo spazio tra di loro.

“Avrei preferito che non ci fosse bisogno di scomodarlo, ma se non c’è altro da fare, va bene. Tiriamo fuori i pezzi da novanta, Eddy.”  Il modo familiare con cui lo aveva chiamato lo tranquillizzò, aveva il suo appoggio.

 “Bene, vedo di contattarlo, cerchiamo di finire questa storia.”  Era dispiaciuto, leggeva la delusione del minore.  

“Lo so cosa pensi, ma non posso risolvere tutto da solo, mi dai troppo credito. Non ho così tanti poteri.”  Steve rimase silenzioso, sembrava vagliare la situazione, ma non replicò, si alzò rimettendo in ordine il tavolo.   “Vado ai campi di addestramento, mi trovi lì se hai bisogno!” Lo vide uscire con il berretto stretto fra le mani.    

Il Generale sapeva di uscirne in ogni caso sconfitto, sia per la faccenda di Norbury, che per quel testardo del fratello che non gli perdonava nessuna debolezza.  

Sentì il suo cuore rallentare, si sentì spossato, tra antidolorifici e la ferita, stava tirando troppo la corda.

 Si alzò svogliatamente, si diresse a passo lento verso il suo ufficio per chiamare lo zio William.

E i ricordi tornarono dolorosi, devastanti.

 Non lo vedeva da tempo, il fratello maggiore di suo padre. Sir William Zackary Cooper, ricopriva un incarico prestigioso presso il dipartimento di sicurezza nazionale.

Nemmeno Edward sapeva in verità dove potesse arrivare con il suo potere occulto, di sicuro era temuto da tutti.  Lo zio non gli aveva mai nascosto il desiderio di vederlo lavorare al suo fianco.  Alla morte di Anthony si era occupato di loro per un paio di mesi, rimanendo vicino ad Edward che si era ritrovato suo malgrado capofamiglia.

Lui, giovane e impreparato, con tre fratelli al seguito, una dimora storica da gestire fu travolto dal dolore.  Sir Anthony aveva sempre amato quella casa immersa nel verde dove aveva cresciuto i figli, e aveva svolto il suo lavoro di ambasciatore. Edward aveva passato la sua infanzia felice, correndo nel roseto e venendo regolarmente sgridato per i danni che combinava con Steve.

Poi erano arrivati i gemelli Daniel ed Ellen, aveva dovuto comportarsi da fratello maggiore, visto che aveva otto anni e Steve più piccolo, cinque. Edward se ne assunse tutta la responsabilità, benché Steve sentisse l’oppressione di essere il secondo genito, e penò parecchio anche con il suo aiuto.

 Mai si sarebbero aspettati l’arrivo di un altro fratello, Benjamin, piccolo, coccolato ultimo Cooper.  Lui aveva quindici anni ed era un adolescente a cui già cresceva la barba.

 Ben fu una ventata di allegria e felicità, era molto affezionato ad Edward. Quando tornava dal college se lo portava sulle spalle al roseto. A venti anni era già da tempo all’accademia, ma quando tornava era sempre una gioia trovarlo con quelle sue gambette magre che gli correva incontro, storpiandogli il nome in “Edard”.  Steve   era impegnato con i primi amori adolescenziali, ma amava molto il piccolo Ben. Ellen e Daniel lo sopportavano, ma gli dedicavano il loro tempo quando lo vedevano annoiarsi.

E Ben ripagava tutti con quella sua dolcezza da bambino amato e protetto.

 

Edward rallentò il passo, avvolto dall’angoscia.

 

 La sua famiglia, volata via in un attimo. Un incidente stradale mentre stavano tornando a casa dalla rappresentazione scolastica del suo piccolo fratello. Papà non aveva voluto l’autista, perché quella maledetta sera era in ritardo.  Una fatalità, l’asfalto scivoloso e una curva troppo stretta mentre sopraggiungeva un furgone non gli aveva lasciato scampo.

.

Sentì salire un dolore cupo, sordo, che non era mai passato, rallentò, si dovette fermare mentre percorreva la poca strada che mancava per raggiungere il suo ufficio.  Aveva il fiato corto, si tolse la giacca, slacciò il primo bottone della camicia, allentò la cravatta che sembrava soffocarlo.  Si portò sulla panchina che costeggiava il viale, rimase appoggiato, la schiena rilassata, lasciò il dolore sciogliersi e i ricordi percorrerlo.

 

 

 Aveva compiuto da poco venticinque anni, ricordava ogni minuto di quella notte.  Era stato chiamato dal suo superiore in accademia che l’aveva messo al corrente dell’incidente. Non si rese conto di come raggiunse l’ospedale. Entrò quasi correndo nella piccola sala d’aspetto.

Zio William era già lì con la faccia che diceva tutto.  E zia Costance, la sorella più giovane del padre piangeva sommessamente in un angolo. Edward sentì cedergli le gambe, ma lo zio lo afferrò forte e lo spinse da parte, contro il freddo della parete a cui dovette appoggiarsi.

 Poche parole dello zio che gli ordinavano di essere forte per amore dei suoi fratelli. I genitori erano morti subito, ma Ben era vivo, e la speranza gli aprì il cuore, asciugò le lacrime in fretta per nascondere un dolore devastante.

Quando entrò nella sala d’aspetto fredda e impersonale, fu terrorizzato nel vedere Steve, stretto ad Ellen e Daniel, pallido e tremante, che prese a fissarlo smarrito, non distogliendo mai lo sguardo. Cercava la sua forza e una risposta che non riusciva a dargli, aggrappato alla speranza che Ben, in coma, ma vivo, si salvasse. 

 Ma Benjamin volò via una settimana dopo, senza mai riprendere conoscenza, mentre erano tutti presenti, stretti in un dolore disperato.

E la sua vita non fu più la stessa.  I funerali, prima dei genitori poi del piccolo Ben, furono pesanti per tutti.

Oppressi da gente che veniva a Roses House per fare le condoglianze, non ebbero pace per le due settimane successive.  Nei due mesi che vennero dopo, aiutò lo zio a sbrigare le pratiche del padre, mentre Steve divenne la sua ombra, dimenticando le sue fidanzatine.

Daniel ed Ellen stavano con zia Constance, ma lo spiavano preoccupati, temevano di andare in adozione, e finivano per chiudersi in camera a piangere. E lui reggeva per loro, nel rispetto del nome della famiglia.  Ma la responsabilità e la perdita, lo spezzavano giorno dopo giorno, Edward pensava di non farcela, e smise di mangiare.

Steve fu il primo ad accorgersene. Lo assalì disperato, temendo di perdere anche lui, lo minacciò e   informò lo zio che Edward spesso saltava il pranzo o la cena, oppure faceva tardi apposta.  

Così iniziarono a sorvegliarlo, Steve coinvolse i gemelli, che divennero   responsabili e attenti. Mai durante i pasti, fu lasciato solo, spingendolo lentamente a prendersi cura di sé. Solo allora si accorsero di essere una famiglia, di avere una speranza, così piano e faticosamente ne uscì, anche se ancora adesso quando è troppo stressato, ricade nello stesso problema, portandosi dietro il dispiacere di Steve.

 

Respirò profondamente, ricacciò indietro con rabbia ogni ricordo, afferrò la giacca, la buttò sul braccio.  Edward cercava continuamente di rimuovere quei ricordi dolorosi, elaborando un lutto che non passava mai. Si alzò, senza che nessuno si fosse insospettito, si diresse verso la dirigenza. Chiese a Nora di contattare il numero privato dello zio.

 Lei lo squadrò preoccupata, in camicia, e con la giacca nel braccio, probabilmente si era allarmata. Lo conosceva bene e sapeva che non girava per la Cittadella in disordine. Lui alzò la mano per tranquillizzarla.

“Sta serena Nora ho pranzato.  Immagino di non aver un bel aspetto, da come mi guardi, ma dopo me ne vado a casa, promesso.”  Lo sgridò benevolmente   e gli allungò il pass.

 

 

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Capitolo 28
*** Fine di una giornata pesante ***


  

 

Edward entrò in ufficio gettò la giacca sul divano, andò a sciacquarsi nel bagno. Indugiò sotto l’acqua fresca che gli scorreva sui polsi, recuperò, vide il suo volto riflesso pallido e affaticato. La ferita pulsava, gli ricordava quello che era accaduto, era in difficoltà aveva bisogno di riposo.

 Arrivò la chiamata di sir William, prese il cellulare abbandonato sulla scrivania, cercando di essere il più naturale possibile.

Fu chiaro e preciso, si sedette affondando nella poltrona, mentre gli spiegava tutta la situazione.

Lo zio gli prestava attenzione silenzioso.

“Bene nipote, chiuderemo la faccenda, conosco Collins e sinceramente non mi è mai piaciuto. Inoltre desidero vederti e pranzare con te e il tuo nuovo dirigente medico. Non ti scomodare ad avvertire Collins, lo vedo di solito al club verso sera che si intrattiene amabilmente con qualche stupido ufficiale compiacente.”  Lo zio parlava così tanto che non riuscì a rispondergli.   “Ti aspetto domani alle undici.  Ah ….  saluta il tuo scontroso fratello Steve, digli di farsi vedere più spesso, non solo a Natale o i compleanni del suo vecchio zio. A domani, Edward.” 

Ripose il telefono, sospirando. Beato uomo! Era una calamità quando cominciava a parlare, non riusciva a tacitarlo.  

Si lasciò andare nella poltrona, avrebbe volentieri chiuso gli occhi per riposarsi un po', ma decise di porre fine alla giornata, contattare John e andare a casa prima.

 Raccolse le carte, le infilò nella ventiquattrore, si sistemò la camicia, annodò la cravatta e prese il berretto. Uscì dall’ufficio con un aspetto migliore, salutò Nora gentilmente, avvisandola che la sua giornata era finita.

Percorse il corridoio più sollevato, aveva l’appoggio del suo controverso zio, ma era quello che gli serviva per mettere fine alla storia dei Norbury. Solo una cosa lo preoccupava, rivederlo gli avrebbe riportato dolorosi ricordi, temeva di non riuscire a controllarsi e avere un altro attacco di panico. Perché era da un po' che erano ritornati, ma aveva taciuto per non spaventare Steve.

 Allungò una mano sfregandosi la nuca, forse avrebbe dovuto confidarsi con John, prima che la situazione peggiorasse.

 Lo trovò nel suo studio, sepolto dietro la scrivania, piena di carte e fascicoli, talmente impegnato che non si accorse del suo arrivo.

“Buon pomeriggio, dottore, potrebbe saltare in aria l’intera Cittadella e non se ne accorgerebbe.”

“Che ci fa qui, Generale? Problemi in arrivo?” Si abbandonò sulla poltrona, posando la penna sgraziato.

Lo studiò, un dubbio passò nei suoi occhi grigi, Edward sembrava sfasato.

Il Generale distolse lo sguardo, appoggiò la valigetta a terra. Quando ebbe la sua attenzione si accomodò nella poltrona di pelle scura, allungò le gambe, stiracchiandosi e aggiornandolo su tutto quello che era successo.  Gli confermò l’appuntamento da sir William, mettendolo al corrente che era il fratello di suo padre.

“Siete parenti quindi? Certo è una autorità nel suo lavoro.  Per Dio, perché non interpellarlo prima.”  John era stupito. “Non sospettavo che fosse vostro zio, la sua fama lo precede, praticamente dirige l’MI6  stesso.”

“Diciamo che non lo contatto assiduamente, cerco di risolvere da solo, ma stavolta è troppo in alto il problema.” Edward sorrise vedendo l’aria meravigliata di John, continuò dandogli ulteriori informazioni.

“Ci copriremo le spalle se un domani le cose dovessero cambiare. Sir William non ama i giochetti di potere, e io non voglio ulteriori problemi.” John era d’accordo, questo lo tranquillizzò. Poi lo vide aggrottare la fronte.  “Come l’ha presa Steve?”

“Non troppo bene, come sempre, quando coinvolgo lo zio. Non ama averlo intorno, non dopo la morte di nostro padre. Lo evita, non so per quale motivo, a volte penso che mi tenga all’oscuro di qualcosa.”  Edward non raccontò altro, nemmeno quello che aveva passato poco prima. Si lasciò andare, appoggiando la nuca sullo schienale. Socchiuse gli occhi.

“Bene dottore, del resto dell’estesa famiglia Cooper ne parleremo un’altra volta. Sono esausto.”

“Ricordi troppo dolorosi?”  John lo osservava attento, misurava il suo respiro.  

Non cambiò posizione, e sibilò.  “Si, li definirei devastanti, per quello che serve.”

 Roberts sapeva che aveva bisogno di decomprimere, la giornata era stata gravosa e se non fosse intervenuto il suo fisico avrebbe ceduto .

“È riuscito a mangiare qualcosa?”  Si alzò dalla scrivania, gli scivolò vicino, osservò la ferita sul volto.  Edward si scosse, si drizzò alzò la mano allontanandolo.

“Sto bene John. Sono solo stanco, è stata una giornata eterna, e sì, sono riuscito a mangiare qualcosa.”  John non sentì ragioni, non si spaventò certo per il suo gesto, esaminò la ferita ora libera dalla medicazione, strinse le labbra.

“Vorrei sistemarla Edward.  Lo so, sono stato rude stamane, ma giuro di non farle male. Poi lo sa che devo medicarla di nuovo visto che si è tolto tanto frettolosamente la protezione.”  Il Generale lo guardò torvo, poi vide la sua faccia preoccupata e abbozzò.

“Visto che siamo così intimi, mettiamo fine a questo dannato “lei”, dammi del tu John, finiamola, così che possa maledirti meglio.”  John rise, lo afferrò deciso per il braccio e lo trascinò nella stanza accanto dove aveva un piccolo ambulatorio.

“Avanti allora Cooper, sistemiamo il danno.” Gli indicò il lettino del piccolo ambulatorio.

“Vorrei fare in maniera che non ti rimanesse la cicatrice dopo la manata di oggi, cerco di accostare bene i margini. Sentirai un po' di fastidio.”   Edward tediato, si tolse la giacca, John lo fece sdraiare con il volto rivolto dalla parte ferita, e infilati i guanti unì i lembi il più vicino possibile, fu più delicato di quanto non lo fosse stato il mattino, mise i punti adesivi con cura poi applicò un cerotto, meno vistoso. Edward brontolò.

“La protezione serve,  rischi di infettarti, quindi zitto e ascolta.”  Lo aiutò a sedersi, lo fece riprendere fiato. 

“Allora, resterà il segno dei Norbury?”  Edward cercava di essere pratico, mentre si rivestiva.

“Ho fatto un buon lavoro.  Adesso ti mando a casa a riposarti. Non è un consiglio, ma un ordine, se mai domani vuoi vedere tuo zio con tutte le tue facoltà mentali integre.” Si fece serio.

 “Mi hai capito Edward?  Vai a casa, ti metti calmo, disteso in un letto. Hai presente la forma di un letto? Ti ci ficchi dentro, ok?”   Roberts lo fissò autoritario, non voleva ulteriori discussioni.

 Cooper non tentò nemmeno di replicare, aveva esaurito le forze.

 “Va bene John, se si presenta mio fratello digli che sono andato a casa, ma non farlo preoccupare   più di tanto.  Darebbe la colpa alla storia di   Norbury, si esaspererebbe sempre di più.”  John fu d’accordo, prese un blister e glielo allungò.  “E ricordati gli antibiotici, ci mancherebbe che arrivasse la febbre.”

Edward annuì li prese e li mise in tasca. “Ho fatto come hai detto, stai tranquillo, non voglio rischiare.”  Uscì con un breve saluto. Oggi ne aveva avuto abbastanza. Aveva voglia di un letto morbido e di rilassarsi a Roses House.

 

 

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Capitolo 29
*** Obbedire agli ordini ***


 Trascorrere mezza giornata a Roses House gli era servito. Edward aveva tranquillizato Mary  del suo  anticipato rientro e si era letteralmente buttato nel letto, mezzo vestito.

 Si era addormentato sprofondato sotto le coperte senza avvertire più nulla.

Aveva recuperato poche ore di sonno fino a sera, quando Mary, lo aveva chiamato per cenare. La serata era trascorsa  tranquilla, senza  tralasciare di  rispondere alle insistenti chiamate di Steve, cercando di non preoccuparlo inutilmente.  La notte  lo aveva rigenerato, si era risvegliato con la voglia di mettere fine alla storia di Norbury. Mary lo aveva chiamato a fare colazione.  Le aveva  dato un bacio sulla fronte sorpreso perché le aveva  preparato la divisa  da indossare.

 La camicia bianca di ordinanza era stirata alla perfezione,  sapeva di bucato fresco, la indossò e  annodò accuratamente la cravatta scura, poi sistemò tutto il resto.

 Lasciò Roses House controvoglia. Era uno spettacolo quando sorgeva il sole,  c’era ancora l’odore della rugiada del mattino.  Lo invadevano copiosi i ricordi della sua infanzia.

Salì in auto e guidò accorto fino alla Cittadella, quando arrivò era ancora sonnolenta.

 Percorse il viale e raggiunse la dirigenza. Nora non era ancora arrivata, entrò nel ufficio, si liberò del berretto e della sua immancabile ventiquattrore,  raggiunse velocemente la scrivania.

Non fece in tempo ad aprire la sua valigetta,  sentì dei passi veloci nel corridoio. Ebbe la sensazione di riconoscere la camminata del fratello, la porta si spalancò e senza bussare entrò Steve.

“Non esiste una maniera più educata per entrare qui?  Non cambi mai.” Edward sbuffò divertito.

“Intanto buongiorno , e no, non esiste. Vedo che  sei arrivato presto.” 

Si buttò come sempre sulla poltrona con le gambe accavallate.   “Avresti potuto avvisarmi ieri pomeriggio che te ne andavi via. Mi hai fatto preoccupare, pensavo non stessi bene. Non sapevo nemmeno se eri a casa.” Steve era irritato e lo fissava cercando di capire.

“ Ho anche una vita mia,  devo renderti conto di tutti i miei movimenti?  Sono adulto non vedi?” Edward non voleva affrontare discussioni, né dirgli che il giorno prima era andato a casa per riposarsi e riprendere fiato.

“Mi nascondi qualcosa lo sento, anche Mary  e John sono stati reticenti.” Il minore brontolò seccato. “ Però hai cambiato colore,  mi sembra che tu stia molto meglio.”

“Sto bene non preoccuparti. Mi hai preso per uno sconsiderato?  So prendermi cura di me stesso.”

“Con qualche spintarella però. Perché molte volte lavori troppo. E salti i pasti, però adesso  visto che ti vedo in forma, ci passerò sopra.”

“Ah,  grazie fratello, pensa un po’, mi devo fare anche perdonare?”  Edward rise divertito, si sistemò dietro la scrivania.

“La prossima volta avvertimi, Eddy, non nascondermi se sei in difficoltà. Non tenermi all’oscuro di tutto.”  Steve sibilò irritato e lui assentì silenzioso.

“Va bene, lo farò. Adesso lasciami che devo prepararmi per l’incontro con zio William.”

Il maggiore si avviò verso la porta, esitò, pronunciò poche parole con la mano ancorata alla maniglia della porta.

“Non farti coinvolgere troppo da zio William, certi ricordi riappaiono dolorosamente, anche se li hai sepolti con cura.”

Edward, accartocciò le carte, il fratello minore aveva capito il suo disagio nel rivedere lo zio.

“Vai Steve, stai tranquillo. Anche se non dovessi uscirne indenne, recupererò. Come ho sempre fatto”

“Bene, ed io ci sarò Edward, come sempre.”  Steve rassicurato, uscì.

Il Generale si fermò, fissò la scrivania con tutta la documentazione da consegnare a Collins. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma si convinse che era stata la scelta migliore. Attese di parlare con John prima di uscire, che arrivò puntuale come sempre. Entrò educatamente.

 John non era un amante della divisa, ma oggi la indossava garbatamente, forse visto l’impegno che avevano. Il dottore lo squadrò con attenzione.

“Ho visto Steve uscire.  Ieri mi ha tormentato con un sacco di domande. Ho avuto il mio daffare per non dirgli niente. La prossima volta lo avvertiamo quando vai  a casa per qualsiasi motivo.  Era così allarmato per la tua salute!  Non capisco cosa sia successo tra di voi, ma rasenta la patologia, il tuo Steve.” Il dottore appoggiò la sua valigetta medica da cui non si separava mai.

“Capisco, forse dovevo avvisarlo, è così apprensivo, dopo la morte dei nostri genitori, ma ancora di più da quando siamo rimasti solo noi due. Per quanto cerchi sempre di tranquillizzarlo, perde la ragione.”  Edward si rabbuiò in volto, si alzò dalla scrivania e raggiunse John.  “Mi scuso per lui, ma avevo poca voglia di discutere ieri pomeriggio.”

Roberts lo osservò. “Stai meglio oggi, a quanto vedo.”   Sentiva  la sua sincerità.   “Va bene, scuse accettate, e adesso dimmi cosa devo fare oggi!”

“Ho sistemato tutte le cartelle, John. Dai pure un’occhiata se è tutto in ordine. Queste passeranno a Collins.”

Edward, gliele allungò e aspettò che le controllasse. Intanto si sistemò per uscire. Chiuse le finestre della veranda,  poi la porta interna che dava nello studio.  John le sfogliò attentamente, sospirò.

“È tutto in ordine, tutto quello che ho riscontrato dagli esami di Reginald. Chi vorrà potrà trarne le dovute conclusioni. Più di così cosa possiamo fare?”

John sembrava rassegnato, Edward aggrottò la fronte, prese le cartelle e le mise nella sua ventiquattrore. “Mi dispiace di non averti protetto abbastanza, ma ho cercato di tenerti fuori. Ora gli ordini li devo eseguire, seppure a malincuore.”

“Lo so,  ti ho detto che va bene così.”  John lo squadrò severo gli appoggiò la mano sulla spalla.  “Hai deciso, ora basta cruciarti, facciamo quello che ci è stato ordinato e usciamo da questa malaugurata faccenda.” Edward inspirò profondamente prese il cellulare e chiamò l’autista. 

 

 

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Capitolo 30
*** Lo zio William ***


 

 

 

Salirono silenziosi nella parte posteriore della berlina nera diplomatica,  Edward sistemò la ventiquattrore nel sedile, si tolsero entrambi i cappelli abbandonandoli sul sedile. Nessuno aveva voglia di parlare molto, si limitarono a fare brevi osservazioni del tempo. 

Raggiunsero White House Palace dove risiedevano gli uffici del MI6.  L’edificio era protetto da telecamere a circuito chiuso,  dopo aver mostrato il pass all’ingresso l’auto li portò nel cortile interno, che era delimitato da siepi curate, e percorso da un porticato di bianche colonne.

“Siamo arrivati John, saliamo nell’ufficio di mio zio, che è ai piani superiori.”    Dopo aver varcato una porta di legno massiccio con lo stemma della casa reale, furono accompagnati nello studio di sir William da un solerte agente in divisa.

Lo studio era in un’ala del palazzo piena di sole, ampio, ma spartano con pochi fronzoli, una grande libreria in ulivo occupava la grande stanza con ampie finestre.

 Sir William si alzò dalla scrivania quando vide Edward.

 Era un signore alto, magro dai corti capelli grigi, indossava un elegante completo tre pezzi blu, con una cravatta a righe corredata da un fermaglio dorato. Aveva per certi aspetti alcune affinità con il nipote, i loro occhi erano simili, di un castano chiaro, vivaci e pronti.

“Mio caro nipote, che piacere vederti, assomigli sempre di più al mio amato fratello. Questo è dunque il tuo nuovo Capitano medico a capo della clinica, il dottor Roberts, suppongo.”  Li raggiunse  e strinse la mano a John, cordialmente.   Poi indicò le poltrone affianco alla scrivania. “Prego accomodatevi. “

Sir William prese una sedia,  si accomodò accanto a loro due.

“Presto arriverà Collins, che diciamo ho garbatamente invitato qui. Tu Edward e lei dottore consegnerete le cartelle e vi toglierete da ogni responsabilità. Se vuole giocare allora che se ne assuma tutti gli oneri. Certi privilegi si pagano a lungo andare. Sir Henry Norbury è decisamente una mina vagante.”  Sir William era molto severo su queste prevaricazioni. Strinse le labbra e aggrottò la fronte.  “Non darti pena nipote, hai fatto quello che era giusto e vedo che hai anche pagato di persona.  Quella,” disse lo zio indicando la ferita di Edward, “è già di per sé molto grave. Non meriterebbe alcun tipo di assoluzione.”

“Vedo che le notizie volano veloci, caro zio, sembra che tutti ne siano al corrente. E del dottor Roberts assalito e drogato?   Ha corso uno squallido pericolo che poteva rovinargli la carriera!  Ma di questo non se ne parla affatto. Tutto messo a tacere, visto che fa più notizia sparare ad un Generale.”  Edward era irritato guardò lo zio risentito.

“Nipote, non è possibile riparare a tutti i torti, non con persone come i Norbury, che hanno protezione molto in alto.  Per ora puoi fare questo e non di più. Credimi è già molto toglierti dalle responsabilità che ne possono venire.”  Lo zio lo fissava serio cercando di tranquillizzarlo, gli posò la mano sul braccio.

 “Nipote mio caro, a volte riconosco in te l’irruenza di Steve, ma tu sai che tuo padre ti voleva riflessivo e prudente, perché voleva per te la sua stessa carriera diplomatica. Quindi capirai, che gli alberi non si abbattono con un colpo solo, i compromessi sono dietro ogni angolo, quelli che Steve odia così tanto.”  Sir William scosse il capo, e mormorò. “Il mio scontroso, impetuoso secondo nipote.”

 Edward si zittì, tolse il braccio con garbo da sotto la mano dello zio, John lo notò.

“Mi dispiace per lei dottore, spero che comprenda che non tutto si può risolvere con una equa giustizia. Dobbiamo solo attendere il momento giusto.”  Il vecchio Cooper portò le mani sulle ginocchia, aspettò la replica di Roberts.

“Sir William, io capisco il disagio del Generale e del fratello, che sono due persone dai principi saldi. Per quanto Edward cerchi di smussare le intemperanze di Steve non direi proprio che non sia attento e riflessivo sulle sue decisioni.”   John fu chiaro,  mentre il Generale  lo guardò sottecchi imperturbabile.

“Molto bene dottore, vedo che mio nipote ha trovato un valido sostegno. Questo mi rasserena alquanto.” Sir William batté la mano sul ginocchio di Edward sorridendo.  

Bussarono alla porta e la segretaria annunciò l’arrivo del Generale Collins. L’anziano Cooper si accomodò dietro la scrivania. Loro lo attesero in piedi.

 Collins, entrò con passo altero, Edward e John lo salutarono militarmente. Sir William si limitò a stringergli la mano, essendo un civile. Li fece accomodare tutti sulle sedie che erano libere.

“Generale, benvenuto sappiamo già come comportarci, quindi abbandoniamo i convenevoli e procediamo.” Sir William fu subito risoluto. Edward aprì la valigetta ed estrasse le cartelle di Reginald.

“Questo è quanto ci è stato richiesto Generale Maggiore. Ora ne può disporre come vuole.” Cooper gliele allungò senza alcun rammarico, dimostrando una calma distaccata.

“Vedo che ha voluto tutelarsi Generale Cooper, scomodando suo zio paterno. Non aveva fiducia della mia parola?” Collins fissava con astio Edward, afferrò sgarbato le cartelle cliniche.

“Signor Generale, le persone al comando cambiano, ma i fatti e le carte rimangono. Ho preso le mie precauzioni, soprattutto per garantire l’operato del dottor Roberts, che non ha avuto un bel esempio della giustizia militare, Signore!”  

Edward si trattenne con difficoltà, il suo volto sdegnato.   Zio William, appoggiato allo schienale della poltrona, approvava compiaciuto la sferzante difesa del nipote, John fu sorpreso dal suo intervento  ma tenne lo sguardo fisso su Collins.

“Gli incarichi che prenderò per Norbury, saranno una mia decisione, me ne assumerò le responsabilità. Vuole contraddirmi Cooper?”  Collins divenne rosso dalla collera, ma lui lo incalzò.

“Certo che no, signor Generale. Ma le legga molto attentamente, sono scritte da un medico che sa fare il suo lavoro molto coscienziosamente. E che ha anche corso dei pericoli.”  Edward fu sferzante, forse troppo.

John decise di intervenire. “Generale Collins, comprenda che dal punto di vista medico quel ragazzo ha parecchie difficoltà, non le sottovaluti, pensi anche alla sua salute. Non è stato un capriccio di certo allontanarlo dalla vita attiva. Legga attentamente quelle valutazioni, Signore.”  Roberts aveva parlato con competenza di un medico, questo smorzò un po' la tensione.  Collins lo guardò e annuì.  

“Bene, ne prendo atto, deciderò in merito. Sir William, suo nipote e il Capitano credo abbiano già detto tutto. Ricevo questo faldone in consegna e ne assumo la pertinenza.”

Collins fissò tutti i presenti, uscì salutando militarmente, senza aggiungere altro.

Chiusa la porta il vecchio Cooper scrutò suo nipote divertito.

“Edward, per tutti i santi, sei stato sorprendente. Lo diceva tuo padre che ti avrebbe voluto con lui. Se ci ripensi figliolo, sono qui ad aspettarti.” Il Generale si alzò, distese le spalle, fece qualche passo per lo studio, le mani nelle tasche dei calzoni.  John si era abbandonato sulla sedia, fissando entrambi.

“Zio, alla Cittadella ho trovato il mio posto, mi è rimasto Steve e visto il mio fallimentare risultato con Daniel ed Ellen è meglio che gli rimanga accanto, lo sai che la famiglia conta molto per me.”  Edward sembrava scusarsi di non essere riuscito a tenere insieme i fratelli. Sir William ebbe un timbro delicato.

“Ti sei fatto prendere la mano Edward cercando di proteggerli troppo e non hanno retto. Ma questo non toglie che non ti vogliano bene. Lo sanno cos’hai fatto per tenerli insieme.”  Poi si rivolse al dottore.  “Roberts mi dispiace di annoiarla con questi discorsi, quindi stiamo sereni e andiamo a pranzo.”   Sir William si alzò prese per il braccio il nipote e lo trascinò fuori dallo studio, insieme allo sconcertato dottore.  Portò i suoi due ospiti al ristorante interno del edificio, salutando chiunque incontrasse.

 

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Capitolo 31
*** A pranzo con lo zio e vecchi ricordi ***


    

 

Sir William condusse i   due ospiti al ristorante interno, che si trovava nella parte bassa dell’edificio. Percorsero un lungo corridoio con le pareti adornate da arazzi e quadri di pregevole valore. Certo un visitatore non poteva immaginare una tale magnificenza. Roberts era sorpreso e osservava stupito, mentre Edward che già conosceva il posto, non si distraeva. Seguiva lo zio remissivo, pervaso dai ricordi, ma infondo contento di rivedere i luoghi che aveva frequentato col padre. Arrivarono in un ampio giardino dove si trovava il ristorante interno che Edward ricordava molto bene. Ebbe un attimo di esitazione, lo zio se ne avvide, lo aspettò paziente.

“Te lo ricordi vero nipote? Anthony ti ci portava spesso.” Li condusse al tavolo dove si accomodarono.

È rimasto tutto come allora, molto elegante e silenzioso.”  La voce di Edward si udì appena.  “Papà a volte ci portava anche Steve, ma finiva per annoiarsi.”  Sembrava molto più disteso da quando erano arrivati, si accomodò, di fronte allo zio.

Sir William iniziò da subito a rivangare il passato.  John osservò Edward con una punta di preoccupazione, sapeva della sua ansia quando riaffioravano i ricordi. Si era appoggiato rassegnato alla sedia, preparato a subire tutto quello che lo zio avrebbe raccontato.

“Steve era un mistero per Anthony, sempre così irrequieto, non sapeva come gestirlo. Forse lo sbaglio più grande, fu di mettervi in competizione, caro nipote.”   Edward annuì silenzioso fu educato nel rispondere.

 “Lo è stato, zio! Purtroppo Steve ancora oggi soffre per quel periodo sfortunato. La sua rabbia per le mie decisioni a volte è incontenibile, pretende un rigore che non posso sempre avere.”  Il Generale prese a girare il bicchiere nella mano. “Finiamo spesso per litigare senza motivo. Anche se cerco di placarlo.”

Lo zio increspò le labbra, lui sapeva molto dei due fratelli.  “Anthony lo amava molto, ma ha commesso alcuni errori.” Si interruppe ed Edward lo guardò sorpreso, era una cosa che il vecchio Cooper non aveva mai ammesso.

“Zio, cosa vuoi dire?” Eddy lo incalzò, ma lui lo fermò con la mano alzata.

“Nulla nipote, cose che sai già! Anthony era orgoglioso di tutti i suoi figli, ma era rigoroso e autoritario, molte volte ho cercato di farglielo capire, ma era ostinato.”  Respirò profondamente, una ruga scura segnò la sua fronte.

“Avevo un rapporto speciale con Anthony, sai che ero protettivo nei suoi confronti, ho faticato a superare la sua perdita e quella di tua madre.   Così come la perdita di tuo fratello Benjamin.

Edward strinse il bicchiere più forte, si accorse che John lo guardava sorpreso. Capì che non sapeva tutto dell’incidente.

“Forse John non è al corrente di tutto.  Non so se Steve gli abbia raccontato cosa successe quella notte.  Si sentirà tagliato fuori dai nostri discorsi.”  Il Generale si voltò verso Roberts, che martoriava il tovagliolo a disagio.

“Steve mi ha accennato dell’incidente che ha provocato la morte dei vostri genitori, di avere altri due fratelli, i gemelli Daniel ed Ellen, ma di Benjamin non ha parlato.”

  Aveva di fronte due facce tese. Il Generale sospirò e cercò di porre rimedio al suo disorientamento.

“Steve avrà pensato di sorvolare su Ben. Vedi John, lui era nostro fratello più piccolo, aveva dieci anni. Era arrivato tardi in famiglia.”  Edward sorrise, allargò la mano sulla tovaglia, prese tempo.  “Era il più amato proprio per questo. ricordarlo ci fa sempre male. Ben era insieme ai nostri genitori la sera dell’incidente, lo avevano accompagnato ad una recita della scuola.”  Si interruppe di nuovo, fissò John livido. “I miei genitori morirono la notte stessa, Ben entrò in coma, una settimana dopo ci lasciò per le conseguenze delle lesioni che aveva riportato.  Era il più piccolo dei Cooper. Il più amato da noi fratelli.”  Edward addolorato abbassò la testa, sir William portò la mano sul suo polso e lo tenne stretto con forza.  John fu pervaso dal loro stesso dolore, ma preoccupato per il respiro affannato di Edward decise di cambiare argomento.

“Pranziamo adesso, abbiamo chiuso la storia di Norbury e mi sembra il caso di festeggiare, che ne dite?”  Entrambi annuirono stemperando la tensione. Edward si allentò un po' la cravatta, e   Sir William ordinò il pranzo. Finalmente i Cooper si distesero. 

“Dopo che mi hanno sparato, che hanno drogato Roberts, mi sembra che possiamo finirla qui. Che se la sbrogli Collins.” Il Generale si era ripreso, riempì i bicchieri di vino, e mandò giù un sorso troppo velocemente e tossì.

Sir William guardò il nipote che era quasi astemio, e rise.

“Piano ragazzo mio, tu e il vino non andate d’accordo!”  Si fermò a sorseggiare il vino rosso. “Avrà una bella gatta da pelare, nipote, sir Henry tende a pretendere favori ovunque. Mi dispiace per lei, mio caro dottore, che appena arrivato abbia avuto subito problemi.”

Sir William indirizzò un’occhiata d’affetto verso John, che si era inserito nella famiglia Cooper con discrezione.  “Visto che dimostra di essere un devoto amico dei miei nipoti, sappia che io sono a sua disposizione.” 

Edward appoggiò il bicchiere, sorpreso e sentenziò.  “Mio caro John, sei stato adottato niente meno che dà nostro zio Sir William Zachary Cooper, ora   siamo quasi imparentati.” Finalmente si sciolse, rise divertito vedendo il volto confuso del dottore.

“Beh, Sir William devo dire che i suoi nipoti non mi fanno annoiare mai, ho già fatto notare ad Edward, che non so se sia stato un bene conoscerli. Sono così sorprendenti, a volte addirittura “maneschi.”  John si divertì a pungolare Edward, che capì a cosa si riferiva.

Presero a pranzare con leggerezza, dimenticando le tensioni della giornata.  Sir William era un fiume in piena, raccontò della collaborazione di suo figlio Graham nel suo ufficio, della laurea in avvocatura della figlia Leanne.

 Erano i cugini di Edward, che rimase in silenzio tutto il tempo annuendo di tanto in tanto.  Aveva anche una zia paterna, Costance, con altri cugini al seguito che volevano rivederlo e passare una serata insieme. Edward protestò appena, sapendo di non avere una scusa pronta, per declinare l’invito. Sir   William si placò solo quando praticamente li cacciarono dal ristorante.   Tornò ai suoi doveri e li accompagnò fino all’ uscita.

“Fatti sentire nipote e portami, anzi trascina, anche Steve. Lei dottore si prenda cura dei miei nipoti, me li tenga in salute. Sia paziente, so cosa possono combinare quando sono insieme. Sappia che sono a sua completa disposizione.”

Sir William strinse Edward in un abbraccio inaspettato che sorprese anche lui.  Poi giunse l’auto nera e salirono.

 

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Capitolo 32
*** Ammettere le proprie debolezze ***


 

 

Edward sistemò nervosamente la valigetta nera, mentre saliva nella berlina scura e prese posto dietro vicino a John.

“Un’altra mezzora e sarei morto!  Lo zio è tanto una cara persona, ma finisce sempre per parlare della famiglia. Sono esausto.” 

Sbottonò il colletto della camicia e allentò la cravatta nervosamente, cercando aria.  “Adesso capisco perché Steve si rifiuta sempre di venire. In poche ore a demolito anni di elaborazione del lutto. Sant’ uomo!”

“Stai bene Edward?”  John era preoccupato, vide che respirava con fatica. “Immagino che sia doloroso ricordare il passato della tua famiglia. Eri parecchio teso quando parlavi del piccolo Ben.”

“Quella perdita ci ha distrutti tutti.  Io, in particolar modo credo di non aver mai superato la sua scomparsa.” Edward portò i palmi delle mani sopra gli occhi premendole forte. “Mi sembra di non connettere tanto forte mi arriva il dolore.”

“Ci fermiamo un po', facciamo due passi?   Prendiamo un caffè.” Una pausa gli avrebbe fatto bene.

“Vada per il caffè, John.” Fece accostare l'auto e scesero, proseguirono verso un piccolo pub. Edward sembrava ancora avvolto dalla nebbia del dolore, ma riusciva a mascherarla. Non parlò molto, si limitò a camminare affiancato a John. Aveva ripreso a respirare con più ritmo. Non si era nemmeno ricomposto, e aveva lasciato il berretto in auto.

“Edward, dimmi la verità, hai degli attacchi di panico? Perché a me sembrerebbe così.”

Annuì, non poteva nasconderlo ancora, soprattutto a John che era un amico ma anche un  medico attento.

“Ne ho sempre sofferto, dopo la morte dei miei, ma erano spariti.” Si massaggiò la nuca con la testa bassa.

“Quando i gemelli sono andati via, sono ricominciati.” Si interruppe, mentre John lo osservava, dubbioso.

“Perché nella tua cartella non se ne dice nulla?”

 Edward non si sottrasse alla domanda. “Non l’ho detto, perché mi creava disagio, poi riuscivo a controllarli, non erano un problema.”

“Ma ora lo sono, mi sembra.  Quanto tempo fa è stato l’ultimo?”  Il dottore procedeva adagio per fare in modo che potesse respirare.

Edward scosse la testa, rassegnato.

“Ieri prima di venire da te. Dopo aver lasciato la mensa non ho fatto in tempo a raggiungere lo studio, ho dovuto riprendere fiato sulla panchina del viale.”

John si fermò bruscamente, lo afferrò per il braccio. “Dio, avresti dovuto dirmelo.”

Edward lo guardò dritto negli occhi. “Ero stanco John, volevo solo andare a casa, non c’era nessun altro motivo.” La voce bassa e controllata. “Stavo bene, te lo assicuro, so come calmarmi, devo avere tempo per riprendere aria.”

“Come adesso stupido testardo! Tenendo nascosto tutto.” John era seccato non capiva la poca fiducia che aveva in lui.

“Era inevitabile che succedesse visto i ricordi che lo zio a mosso. E ieri stupidamente parlando con Steve altri ricordi sono tornati vividi, la morte di Ben, e dei miei genitori.”  Sospirò mentre John gli aveva lasciato il braccio e avevano ripreso a camminare. “Ma non è tutto, mio caro John, mi porto appresso anche dell’altro. Non è possibile che non te ne sia accorto.”

John sussultò, ebbe un flash back, ora vedeva più chiaro. “Hai problemi con il cibo!  Ecco perchè Steve diceva quelle cose strane sul tuo saltare i pasti!”  Edward annuì, e prese a raccontargli del triste periodo dopo la morte dei genitori. Quando le troppe responsabilità avevano finito per schiacciarlo e aveva smesso di mangiare. Gli raccontò di come lo avevano aiutato a superare il problema. Di come Steve si preoccupa ancora adesso e lo segua costantemente se sbanda.  “L’accordo con mio fratello è che sia io a parlare di questa difficoltà. Mi sembra giusto che tu lo sappia.” Sembrava rilassato ora che si era confidato. “Prendiamo un buon caffè, ne sento il bisogno.”  John non disse nulla lasciò che Edward prendesse il suo tempo.   Si sedettero nel piccolo pub, in un posto tranquillo. Arrivò il caffè e bevvero in silenzio. Edward posò la tazza lentamente. “Comunque va molto meglio ora. Grazie per il caffè.”

John temporeggiò, poi prese coraggio.  “So che non ti farà piacere, ma intendo rivedere la tua cartella clinica.” Non aggiunse altro aspettando la reazione di Cooper.

“Ma per quale motivo, scusa?” Balbettò sorpreso.  “Ti ho detto la verità, non voglio essere messo in croce da una miriade di esami.”  Arretrò appoggiando la schiena rigida sulla sedia.

“Non è come pensi, mi voglio solo assicurare che tu stia bene, niente che ti crei imbarazzo.”

Edward sbuffò, gettò maldestramente il tovagliolo di carta sul tavolo. “Mi fai pentire di essermi fidato di te!  Steve non sa nulla, non voglio che sappia la mia difficoltà.”

Il dottore si portò vicino al tavolo, lo guardò serio.  “Non vuoi capire quello che dico, ti comporti da stupido.  Voglio farti un controllo medico nulla di più.”

Edward di rimando rimase fermo senza parlare, temeva di compromettere la sua posizione di comandante, se si fosse saputo che non era totalmente in salute.

“Sarò discreto, lo faccio come medico, ma soprattutto come amico, non voglio raccoglierti mentre rantoli da qualche parte. Per Dio, Eddy, fidati una volta tanto.!”  Si alzò risentito, bloccandosi in piedi vicino al tavolo mettendo fine alla discussione..

Edward rimase immobile un secondo in più, poi si alzò, andò a pagare il caffè.

Raggiunse John con passo veloce, lo afferrò per il braccio e lo costrinse a guardarlo.

 “Sta bene, farò come vuoi, ma promettimi di non dire nulla a mio fratello.”  Sospirò rassegnato. “ Lascia che sia io a metterlo al corrente del mio disagio. E non chiamarmi stupido, non lo apprezzo detto da te.”  John sogghignò. Fu acido. “Già scusami è un epiteto che permetti solo a tuo fratello. Cosa conto io per te?  Sono adatto solo a trattenervi e curarvi quando vi prendete a botte.!” Si fronteggiarono, Cooper lasciò la presa, costernato.  Rimase muto, sorpreso di quella dimostrazione di risentimento.  John si sentiva coinvolto ma usato nel rapporto stretto che lui aveva con suo fratello. Si placò, comprendendo la solitudine di Roberts che era lontano da casa, impantanato in un’amicizia tra di loro, difficile da gestire.

“Ora basta, non voglio litigare.” Edward fece un passo indietro chinando appena il capo.

“Mi affido a te. Scusami, ma sono teso, e parecchio preoccupato.”  John increspò le labbra, si distese in un sorriso cordiale.

“Perdonami Ed, ma non voglio altro che aiutarti. Credimi.”  Cooper annuì, si incamminarono verso l’auto, Edward stava bene, il respiro regolare, John ne fu lieto, appoggiò la mano sulla sua spalla, mentre lui lo guardò sorpreso. “Vederti stare bene, fa stare bene anche me. E ti dico “stupido”, anche se non vuoi.”  Rise sonoramente, mentre Cooper scuoteva la testa, sciogliendo la  residua tensione,  poi prese  anche lui a ridacchiare a testa bassa.

 

 

 

     

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Edward e la visita medica ***


      

 

Il viaggio di ritorno alla Cittadella fu tranquillo, per quanto potesse apparire sereno Edward, che si agitava per aver accettato la richiesta di John, decise di sbrigare la faccenda il più presto possibile. 

“Vorrei cominciare subito, Steve è bloccato fino a stasera con le reclute, quindi avrei spazio. Non voglio ripensarci quindi facciamo in fretta.”

John sogghignò vedendo la tensione del suo amico.   Era disponibile, così appena arrivati, si portarono subito in clinica. La berlina scura uscì veloce dalla Cittadella per non creare sospetti.

Edward non avvertì nemmeno Nora, seguì non troppo convinto Roberts fino alla clinica interna. Il disagio lo aveva scritto in faccia, ma piuttosto che come dirigente medico John glielo imponesse, di malavoglia aveva accettato

“Vai nell’ambulatorio sulla destra, aspettami lì.”  Edward lasciò la sua valigetta nello studio di Roberts e lo guardò incamminarsi con le spalle strette, non riuscì a trattenere un sorriso.

Lo raggiunse poco dopo con una cartella nuova di zecca con il suo nome.

“Bene che ne dici di incominciare? La vecchia parte clinica, che riguarda allergie, malattie, ecc,  mi sembra valida, posso riguardarla più tardi con più calma.” 

Si accorse che Edward lo ascoltava poco, sudava, era appoggiato con le mani strette sulla sedia. Stavolta non lo canzonò, si rese conto del suo imbarazzo e fu gentile.

“Ed, stai tranquillo, per Dio!  Togliti gli abiti e rimani con l’intimo, anche le calze, poi sdraiati sul lettino.”  Cooper non disse nulla prese a svestirsi lentamente, appoggiò tutto in ordine sulla sedia, poi si stese arrendevole sul lettino.

 Roberts si accorse che aveva cominciato a respirare troppo velocemente, si avvicinò mentre indossava il camice bianco. Assunse quell’aria professionale che aveva con le reclute. Si avvicinò con aria serena.

“Stai calmo Ed, non succederà nulla.” Gli posò le mani sopra la maglietta bianca, poco sotto al diaframma e lo rassicurò.

“Comincia a respirare adagio, non farti prendere dal panico.”  Edward annuì, inghiottì un paio di volte, chiuse gli occhi cominciò a respirare a tempo. Non si dava pace per non riuscire a stare tranquillo.

“Scusa, mi sento a disagio, e non ne capisco il motivo.” Fissò smarrito John.

“Perché sei indifeso, e ti devi affidare ad un’altra persona. Sei emotivamente scoperto.”

John gli appoggiò la mano sulla spalla. “Non ti giudico, non prendo decisioni contro di te, ma per te.  Ora tieni gli occhi chiusi, allontana qualsiasi pensiero.”  Annuì silenzioso e si lasciò andare.

Prese lo stetoscopio ascoltò il suo cuore, sentì i suoi respiri dilatarsi, prese il suo polso. Lo monitorò con attenzione e lo seguì assorto finché non lo sentì raggiungere una calma convincente e un respiro normale.

Era difficile per Edward non percepire i tocchi di John sul suo corpo, mentre sollevata la maglietta lo percorreva con le mani chiedendogli di volta in volta, se sentiva dolore mentre premeva con entrambe le mani, dapprima leggero poi più forte. 

Lo sentì stringere la spalla che si era slogato da adolescente all’accademia.  Indagare sulla costola che si era incrinata durante una esercitazione. Gli sollevò la gamba e lo avvertì toccare la ferita sul ginocchio dove c’erano i suoi vistosi otto punti di sutura, che si era fatto da bambino quando lo aveva sbattuto sulla ringhiera di casa, mentre rincorreva Steve. Aveva sanguinato ovunque, e aveva pianto tutto il santo giorno.

Arrivò alle caviglie, le sentì torcere con cautela, poi si sentì solleticare le piante dei piedi.

John non gli chiedeva nulla, lo controllava senza appesantirlo con inutili domande.

“Bene, ora girati di fianco e poi a pancia sotto. Vedo la schiena.”  Edward sussultò, si ricordò delle due cinghiate del padre al fondo schiena. Si irrigidì.

John percepì il suo imbarazzo, lo vide tremare un poco.

“Tranquillo, tieni sempre gli occhi chiusi. Farò presto.”  Edward sentì le sue mani leggère, partire dalla nuca scendere premere e controllare, fermarsi in alcuni punti, mentre gli chiedeva se sentiva dolore. Quando lo avvertì arrivare alle due cicatrici, vibrò, inarcandosi un poco.

 Ebbe la sensazione che John cambiasse respiro, ma fu solo un attimo.

“Ti fanno male? Sono datate, mi dispiace, non avevo idea.”   Sapeva che erano delle frustate, fu garbato. Erano vecchie quindi di quando era giovane, forse ragazzino.

Non gli chiese nulla aspettò che fosse lui a parlare. Le percorse dolcemente con la mano premendo adagio mentre Ed soffocava un respiro più profondo e più duro.

Non gli dolevano, ma lo mettevano a disagio, soprattutto dimostravano che suo padre era stato un uomo severo. A volte troppo.

“Papà sapeva essere duro. Fu solo una volta, mi aveva sorpreso ubriaco dopo una festa, e questa fu la punizione.”  Edward respirò più in fretta, si agitò quel tanto che John decise di interrompere la visita.

 Tirò piano la maglietta sulla schiena e lo fece alzare.

“Va bene così Ed, non voglio sapere altro, mi limito a vedere come stai.”

 Lo fece sedere sul lettino, lo lasciò riprendere fiato, aveva la testa bassa e cercava di evitare il suo sguardo.

Capì la sua difficoltà, fu delicato, la voce rassicurante.

“Faccio un ultimo controllo, un ultimo scrupolo.”   Sollevò la maglietta senza guardarlo in faccia, sentì ancora il suo cuore e i suoi polmoni.

Controllò i riflessi, esaminò occhi, naso, orecchie, scoprì una cicatrice sotto i capelli che si vedeva appena.

Inspirò soddisfatto, pose lo stetoscopio e lo aiutò ad abbassare la maglia. Ora poteva sorridergli rassicurante.

“Ho finito, e va tutto piuttosto bene. Ora facciamo un Ecg,  poi ti mando a fare i raggi ai polmoni. Rivestìti ti accompagno in altro ambulatorio. “

 Edward distese le spalle, si rilassò, John era stato premuroso e professionale. Finalmente si sentì sollevato, indossò la camicia e i calzoni e aspettò di seguire John che stava compilando la sua cartella.

Quando sollevò lo sguardo Roberts sorrise. “Hai acquistato colore, vedo. Quando vorrai mi parlerai delle tue ferite, ma non ora, ti voglio tranquillo.”  Si alzò prese la sua cartella e lo accompagnò in un ambulatorio dove lo prese in consegna un’infermiera che si occupò di fare gli altri due esami.

“Ci vediamo dopo, nello stesso ambulatorio, facciamo un paio di prelievi di sangue e ti lascio libero.”

Edward annuì, affrontò gli ultimi due esami, con leggerezza. Poi si portò all’ ambulatorio e attese John. Si sedette su di una poltrona, si lasciò andare, chiuse gli occhi. Sentì una mano che lo scuoteva piano.  “Eddy facciamo i prelievi poi puoi andare.”  Cooper si alzò, arrotolò la manica e si distese sul lettino borbottando.

 “John, ma quante sono?”   Fissò le provette corrucciato.

“Niente che una buona cena stasera, non sistemi. Avanti sdraiati.” Gli allungò una pacca sulla spalla.

Armeggiò con la siringa dei prelievi, gli si sedette vicino, strinse il laccio emostatico, e con perizia inserì l’ago. Edward increspò leggermente le labbra alla puntura decisa di John. Sopportò senza fiatare.

“Non voglio sapere da quanto non facevi un esame del sangue decente!”

 Edward fece una smorfia. “Da un pò, credo, ci volevi tu, testardo di uno scozzese!”  John rise, mentre toglieva l’ago. “Nessuno mi chiama più scozzese da tempo. Fatto, ora sei libero.”

 Roberts riempì le provette, tamponò il braccio, mise un cerotto.

“Non alzarti subito, vado a consegnare il prelievo.” Stava per uscire, ma arrivato alla porta si fermò pensieroso e tornò verso Edward.   

“Non vorrei che mi stramazzassi al suolo.”  Si sedette sul lettino, appoggiò il prelievo e aspettò. “Siete imprevedibili voi Cooper.”

“Non sono un bambino.”  Brontolò mentre si tirava giù la manica della camicia. E fece per alzarsi.

“Da come ti agitavi prima…!” John lo aiutò a sedersi. E rimasero vicini per un po'.

“Non mi piace rimanere mezzo nudo e in mutande, mi imbarazza!  Anche se sei un medico. E se sei un amico.”

John appoggiò la mano sulla gamba di Edward.  “Sai quanti ragazzini vedo tutto il giorno? Se dovessi scandalizzarmi…”

“Si, ma sono io che mi imbarazzo.” Allacciò i bottoni del polsino, scivolando più volte.  “Va pure, ti prometto che non cadrò svenuto, non mi raccoglierai sul pavimento.”

“Bene, mio Generale ti aspetto nel mio studio. Fa con comodo.”

Uscì scuotendo il capo, sogghignando per le rimostranze, mutande o no era riuscito a completare la sua cartella clinica. 

 

 

 

    

 

 

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Capitolo 34
*** Sir Geoffrey Adam Cooper. ***


Edward sbadigliò annoiato, si rivestì, raggiunse lo studio di Roberts.

 Lo intravide attraverso la vetrata, aveva lasciato le tendine aperte.

 Era assorto nel compilare cartelle, lo osservò mentre rifletteva prima di scrivere, non era uno sconsiderato nel suo lavoro e lo assolveva con precisione. Era contento che fosse a capo della clinica, era un bravo medico, forse si preoccupava un po' troppo per gli altri. Si rese conto che di lui sapeva poco o nulla. Che era Scozzese, e aveva un fratello che era medico e professore ad Edimburgo. Di 10 anni più vecchio a cui era molto legato. Del resto della famiglia non aveva mai parlato, solo brevi accenni ai genitori anziani. 

Bussò ed entrò. “Spero di avere finito per oggi.” Lo apostrofò deciso, John alzò la testa e annuì. “Puoi pure andare, credo di avere sufficienti informazioni su di te.” Edward si spostò per prendere la sua valigetta.

“Bene, quando mi dirai qualcosa?”

John ci pensò. “Domani, o forse più tardi. Ti avviso stai tranquillo.  Comunque da quel poco che ho visto, sei in salute, ma sotto peso. Vediamo le analisi.” 

Edward sospirò più sereno, poi si rabbuiò un po'.

“Non pretenderai che mi ingrassi, perché è una partita persa. Non prendo un etto.” 

John rise. “Beh, però non voglio nemmeno che tu perda peso ulteriormente. Ti farebbe solo male.”

“Parli come Steve. Spero non mi starai col fiato sul collo anche tu.”

“Certo che no, ma diventare un po' più responsabile nell’alimentazione non guasterebbe.” Soffiò via dell’aria inesistente.

“Non sono un irresponsabile! A volte lavoro fino a tardi e me ne scordo.”

“Non ci si scorda di mangiare Ed, non se ci si vuole bene. A lungo andare pagherai le tue scelte sbagliate.

“Non mi fare la paternale, ti prego non essere ridicolo.”  John si alzò e scostò delle cartelle, fece posto sulla scrivania.

“Sei testardo, ma ora basta. A proposito visto che sei qui e sei polemico ora mi ascolti.”  Edward riappoggiò la valigetta a terra e lo fisso truce. “Cosa c’è adesso? Mi sembra di averti concesso molto.”

“Potevo obbligarti, non essere presuntuoso, ti sto facendo un favore.”

“Che altro vuoi!”  Era sospettoso. John tornò a sedersi nella poltrona.

“Quello che ti dirò non ti farà piacere, ma vista la tua insolenza credo che potrai ascoltare.”

Edward si lasciò cadere sulla sedia di fronte a lui. “Avanti allora o continuerai a offendermi? La mia pazienza ha un limite.”  John portò le mani unite sotto al mento, si concentrò sul volto di Cooper.

“Un padre non prende a cinghiate un figlio, qualsiasi cosa abbia fatto.” Fu secco come uno sparo, Edward saltò su furente.

“Lo immaginavo che ti saresti concentrato su quello! Per questo non volevo!”

 Si piantò con le mani allargate sulla scrivania e lo fissò velenoso.

“Sono affari miei e della mia famiglia, di quello che è stato mio padre. Non posso negare che fece degli sbagli, ma tu non sai nulla di quello che era. Del perché era così.”

“So quanto lo amavi, per questo temevo la tua reazione. Ma di te non mi importa, perché lo hai perdonato. Lo hai accettato.”

La reazione di Edward fu di stupore, socchiuse gli occhi chiedendosi dove andasse a parare.

“Tu non sai se l’ho perdonato! Non sai nulla di me!” Fu aspro, tagliente. “Cosa vuoi da noi John?”

“Mi preoccupo di Steve, per il suo rapporto conflittuale con te, adesso che ho visto cosa ti ha fatto temo per lui. Non era il figlio perfetto, e tuo padre potrebbe aver infierito su di lui. Spiegherebbe molte cose, specie i suoi scatti d’ ira verso di te, il fatto che non ci sia nemmeno la sua, di cartella clinica.” Edward si staccò dalla scrivania, camminò per la stanza con le mani affondate nelle tasche. Era dubbioso. Sembrava portare un peso sulle spalle.

John sentì lo stomaco stringersi, non gli piaceva vederlo soffrire, ma la sua arroganza a volte lo irritava.

Lasciò che fosse lui a riprendere la conversazione. Infatti senza voltarsi ammise qualcosa.

“Potrebbe essere.” Mormorò a testa bassa. “Ma non ne sono sicuro. Ero spesso lontano e lui cambiò improvvisamente, papà ci metteva contro. Lui era forte, io riflessivo.   Lui veloce, io lento. Aveva qualità da vendere, ma mio padre si concentrò su di me.” 

Edward si avvicinò di nuovo alla poltrona e si lasciò letteralmente cadere. John capì che stava cedendo, prese un bicchiere, gli versò del tè freddo che aveva nella caraffa e glielo offrì.

Mantenne un tono piatto, ma rassicurante. Edward mandò giù un sorso, tossì un po'.

“Non voglio darti delle colpe, ma tutto sembra ruotare attorno a tuo padre.  Credo che tuo zio sappia molto di più di quello che sembra.”

“Forse non volli vedere. Forse fui semplicemente un codardo, non ammettendo che papà avesse problemi mentali.”  Edward respirò profondamente, teneva il bicchiere in mano con troppa forza. Poi iniziò a parlare con un tono monotono.

“Mio nonno, era un uomo violento, severo e autoritario verso i suoi quattro figli. Anthony, William Costance ed Henry il terzo, e più piccolo. Uno zio che non ho mai conosciuto, e di cui si parlava poco.” Mandò giù un sorso di tè. Prese un lungo respiro. 

“A quindici anni volò giù dalle finestre di Roses House. Ufficialmente un incidente, in verità un suicidio per le botte subite. Nonno scoprì che amava ed era corrisposto da un suo compagno di corso, non accettò la sua omosessualità e non si risparmiò in punizioni.”  Edward si fermò. Respirò con fatica. John si alzò e si avvicinò, gli appoggiò le mani sulle spalle sconvolto, certamente non si aspettava una rivelazione del genere.

“L’ala ad est fu chiusa e demolita. Ma nonno non perse il vizio di picchiare i suoi figli e toccò ad Anthony, il mio povero padre. Rimase a Roses House, mentre William che aveva venti anni se ne andò in accademia. Costance si salvò protetta dalla nonna, ma era già minata dalla perdita di Henry,  non riuscì a proteggerli tutti.  Papà subì senza che William potesse fare nulla. Passò l’inferno, il primogenito doveva esser forte perché doveva portare avanti l’eredità dei Cooper. Questo per un lungo periodo finché, morta mia nonna, preso dal rimorso Sir Geoffrey Adam Cooper si uccise nella tomba di famiglia accanto a quella di Henry. Papà aveva diciotto anni e fu marchiato per sempre.”  Edward appoggiò il bicchiere, tremando, si portò le mani sugli occhi e abbassò la testa fino quasi a raggiungere le ginocchia.  John teneva le mani strette sulle sue spalle.

“Mi dispiace.” mormorò “Non potevo immaginare, tutto questo.”  John lasciò che si riprendesse, Edward si raddrizzò si appoggiò con gli occhi chiusi alla poltrona.

“Se papà fece del male a Steve, lo zio deve saperlo, forse anche Mary a me non dissero nulla. Dovevo portare avanti il nome della famiglia, il marcio che c’era dentro.” Fece una pausa e mormorò. “Ma non sono come mio nonno, né come mio padre.” 

Edward lo sussurrò lento, come un dolore portato per troppo tempo, un male che lo stava divorando. John prese la sedia e si sistemò di fronte a lui. Lo prese per le spalle, lo scosse.

“Guardami Ed, apri gli occhi guardami.”

 Obbedì gli occhi arrossati, un’immensa tristezza li percorreva. “Non sei Anthony, non sei Geoffrey, sei semplicemente Edward, sei un uomo e un fratello amorevole. Sei un comandante responsabile, sei un amico sincero. Non hai dentro di te nulla, nemmeno una traccia della loro pazzia.”

Lo scosse con forza.

“Sei un fratello protettivo, non hai mai fatto del male a nessuno di loro. Sai benissimo che anche se  sono lontani ti vogliono bene.”  Edward annuì silenzioso. “Ho sbagliato molto anch’io, volevo tenerli uniti.”   

“E lo hai fatto, perché siete solidali, basta che uno di voi stia male e subito ci siete. O Eddy non essere cieco lo sai che siete una famiglia.  Quella che hai creato tu.”

Edward si coprì gli occhi con l’interno delle mani sbiancate, e pianse,  silenzioso, senza sussultare, senza chiedere conforto.

John lo tenne stretto per le spalle lo massaggiò piano, lo lasciò sfogare. Non era difficile capire che stava decomprimendo anni di silenzio e dolore.

“Sono orgoglioso di essere tuo amico, anche se ci pungiamo un poco, sei la persona più disperatamente sola che abbia conosciuto.”  Sorrise senza che lo vedesse. “A parte me.”

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 35
*** I sospetti e le verità nascoste. ***




Roberts aveva voluto che Edward si prendesse del tempo. Nel piccolo bagno dell'ambulatorio si sciacquò il volto, e si sistemò la divisa senza mai volgere lo sguardo verso John, lui fece finta di nulla. Lo lasciò fare finché non lo vide più sicuro e calmo. Quando lo raggiunse Edward sembrava aver superato il disagio.

"John, non dire niente a mio fratello, dammi del tempo." Mormorò mentre si sistemava il berretto.

"Certo, prendi il tempo che vuoi." John lo rassicurò, mentre riordinava le carte sulla scrivania.

"Devo andare da Steve o comincerà a sospettare chissà cosa." Si fermò giusto pochi secondi. "Non mettermi in imbarazzo John, non ho detto mai a nessuno di mio padre."

"Sono un amico prima di tutto, ma anche un medico con un dovere professionale." Lo sfiorò con la mano sul braccio, Edward annuì e uscì.

Lo guardò preoccupato mentre spariva dalla sua visuale. Edward avrebbe trovato il momento giusto, per affrontare Steve. John non aveva insistito sapendo il dolore che lo attraversava. Ora sapeva che era il più fragile dei Cooper e sir Anthony con lui, aveva fatto un bel lavoro, quasi plagiandolo. Si domandò se lui lo avesse capito, e ne fu certo quando pensò a come aveva ceduto. Si abbandonò sulla poltrona e portò le mani sulle tempie. Era stato stupido, si era infilato nella sua vita senza essere prudente. Dio sa ora cosa sarebbe successo.

Intanto Edward aveva ripreso sicurezza, salì in ufficio a depositare la sua insostituibile valigetta, poi si cambiò indossando la divisa mimetica più comoda e più informale. Andò ai campi di addestramento a cercare il fratello.

Lo trovò autoritario preso a istruire le reclute. Sorrise tra sé, pensando a quanto in realtà fosse permissivo, lui riusciva ad avere un rapporto speciale con i suoi sottoposti. Fece un cenno con il capo e fu ricambiato dal saluto militare di tutto il gruppo, si sedette sulla panchina e attese che finisse l'addestramento. Scacciò ogni pensiero funesto su quello che era successo, e si stampò un sorriso falso in faccia.

"Sei tornato fratellone! Come sta lo zio?" Steve aveva congedato la compagnia e si lasciò cadere scomposto sulla panchina.

"Dio, ma essere un po' educato no?" Brontolò il maggiore. Di risposta l'altro sbuffò divertito.

"È stato pesante o l'hai scampata? Mi immagino che abbia cominciato a parlare della famiglia, come sempre."

"Diciamo che è stato un po' complicato dal fatto che ci fosse John, che non comprendeva tutti i fatti che erano accaduti." Edward lo fissò dritto in volto. "Non sapeva di Benjamin. Gli hai accennato dell'incidente stradale dei nostri genitori, dei gemelli Ellen e Daniel, ma hai sorvolato su Ben. Perché mai Steve?"

Sorrise stancamente al fratello maggiore. "Non ho ritenuto fosse necessario parlarne Edward, non in quel momento, e poi lo sai come sia difficile ricordare il piccolo Ben." Fece un respiro profondo. "Quindi glielo hai raccontato tu? Immagino come sarai stato dopo." Si agitò sulla panchina a disagio, e gli appoggiò la mano sulla gamba.

"Non è successo niente sta tranquillo, ma gli ho raccontato tutto. Anche dei miei problemi con il cibo, di come mi foste vicino. Specialmente tu, che mi dai il tormento ancora adesso." Rise e strinse la mano calda del fratello. Fu confortevole sentirlo.

"Quindi è stata una giornata pesante, ma almeno il caso di Reginald è chiuso. Hai fatto bene a raccontare la verità a John, è una gran brava persona. lo zio lo ha preso in simpatia."

Steve si alzò guardò Edward pensieroso, poi con fare deciso lo prese per un braccio e lo trascinò verso il campo che a quell'ora era deserto. Edward non fece in tempo nemmeno a protestare. Cercò di sciogliersi dalla stretta.

"Ma cosa vuoi fare, Steve? Non mi trascinerai a correre? Non ho allenamento, né gambe, né tanto meno le scarpe adatte!" Scusa pessima, che non avrebbe fermato il fratello minore.

"Quelle le rimedio io, e pure la tuta. Entra lì dentro e indossa la mia. Le scarpe ci sono, e guarda caso portiamo lo stesso numero." Steve lo sbeffeggiò e gli indicò la casa di mattoni rossi che era addossata al campo, dove c'erano gli spogliatoi e le docce. "Sbrigati sai qual è il mio armadietto."

"Ma sei impazzito, non corro da anni! Mi vuoi morto? Stai scherzando, vero?" Steve rise soddisfatto. Mentre Edward lo guardava torvo.

"Ti pare, mio Generale? Faccio correre reclute da secoli. E non faccio correre mio fratello! Vai, se no non esci da qui. E comunque andremo adagio, sbrigati è un ordine." Gli diede una pacca sulla schiena e lo spinse via.

Edward spalancò le braccia rassegnato scuotendo la testa e si avviò allo spogliatoio. Già era stata una giornata gravosa e adesso anche questo, sperò vivamente di sopravvivere. Uscì poco dopo con la tuta e le scarpe di Steve, sembrava una recluta alle prime armi. Steve lo fissò feroce e prese a sbeffeggiarlo.

"Dio, Ed sembri più impaciato di un pivello."

"Cerca di non ammazzarmi ti prego. Ho la Cittadella sulle spalle!"

"Bene, facciamo un po' di stretching, sciogliamo quei muscoli duri che ti ritrovi."

Steve prese un po' di tempo per preparare il fratello. Non voleva di certo affaticarlo. Quando lo vide pronto, gli prese il braccio con decisione e lo trascinò sul sentiero.

"Bene, Generale, partiamo camminando, poi aumentiamo velocità fino ad arrivare a correre, poi vediamo in base al tuo corpo. Sorridi fratello, sopravvivrai." Cominciarono come avevano stabilito. Finché non riuscirono a correre ad avere un'andatura stabile.

Edward faticava a mantenere il ritmo per seguire Steve, ma quando lo vedeva in difficoltà, rallentava l'andatura.

Alla fine del primo campo, si fermarono in modo che Edward prendesse fiato. Il Generale si chinò in due prendendosi le ginocchia con le mani. Guardava suo fratello che rideva.

"Tirati su fratello, facciamo un po' di esercizi di respirazione." Gli fu vicino e lo tirò per le spalle.

"Sono morto Steve, quali esercizi? Non ho più fiato. Mi servirebbe dell'ossigeno altro che esercizi."

Edward ansimava, ma scherzava, si fidava del fratello, cominciò ad esercitarsi per stabilizzare il respiro.

"E dai, Ed, una volta correvi molto di più. Dovresti farlo più spesso."

"Già e le scartoffie chi le sbriga per mantenere tutto questo." Aveva così poca aria che Steve lo zittì.

"Corri e basta, su pigrone."

Ripresero la marcia insieme, adesso Edward riusciva a mantenere un passo costante. Steve alzò il pollice verso di lui in segno di approvazione.

Giunsero alla curva che portava verso la strada e videro John che camminava con delle cartelle in mano. Edward imprecò, ora si sarebbe arrabbiato di brutto.

John li scorse e rimase a dir poco allibito. Correvano insieme e soprattutto notò Edward che era un po' più indietro, ma che comunque reggeva il passo. Si avvicinò alla rete e lì apostrofò gridando.

"Steve, ma vuoi uccidere tuo fratello? Vuoi che finisca la serata in clinica? Rallenta, Cristo! Da quanto lo fai correre?" "Tranquillo, John." Steve si era avvicinato alla rete, poi giunse anche Ed, affannato. "Sono stato cauto, non voglio di certo ammazzarlo. So dove può arrivare mio fratello. Vero?" Si voltò verso di lui che gli arrancava dietro.

Edward si limitò ad annuire, visto che di fiato per rispondere ne aveva ben poco.

"Già, ho visto dove può arrivare tuo fratello, direttamente in clinica. Guarda di rallentare Steve, che Edward non ha nemmeno il fiato per rispondere." Si attaccò alla rete risentito. "Anche tu Edward, cosa ti dice il cervello. Già la giornata è stata difficile, poi pure questo! Magari si poteva programmare meglio, no? Proprio oggi vi è presa questa gran voglia di correre, a voi due!" Steve rimase colpito dalla veemenza di John e sconcertato aprì le braccia in segno di resa.

"Bene, dottore, te lo riporterò intero. Ora camminiamo e finiamo il percorso. Va bene, fratello?" Steve si rivolse ad Edward che era rimasto in silenzio.

"John, guarda che ce la posso fare. Sono solo un po' giù di allenamento. Magari non era la giornata giusta,

ma va bene così. Steve non mi avrebbe mai messo in difficoltà."

Edward tentò di stemperare la situazione, sapendo quello a cui sarebbero andati incontro nei prossimi giorni, guardò il dottore con uno sguardo di intesa.

Roberts capì, abbassò il capo e annuì. "Va bene, come vuoi Edward, ma non forzare troppo, non senza allenarti come si deve." Si girò, con le sue cartelle sotto al braccio e si allontanò lasciando i due fratelli nella loro familiarità. Chi era lui per giudicarli? Si sentiva uno stupido idiota che non sapeva controllarsi.

I Cooper ripresero a camminare ad una velocità normale, dando modo ad Edward di abituarsi e fare fiato.

Poi quando il dottore scomparve alla loro vista presero a correre lentamente, complici.

Edward sapeva che Steve non lo avrebbe mai messo in pericolo, era sempre cosi protettivo. Ma il cuore gli si stringeva mentre pensava a come avrebbe potuto affrontare il discorso del padre. E tremò.

"Che hai Ed? Non starai male vero? Mica la darai vinta a John."

"No tranquillo si è fatto tardi e ho freddo."

"Bene, abbiamo finito, filiamo dentro agli spogliatoi."

Erano sudati, soprattutto Edward. Steve gli diede la sua biancheria, ma non volle fare la doccia. Accampò la scusa di farla nel bagno nella sua stanza.

E allora Edward capì, il perché di tutte le volte che Steve aveva evitato di spogliarsi davanti a lui. John aveva ragione, il suo corpo portava dei segni e non li avrebbe mai messi in mostra.

Si sentì sprofondare, pensando che suo padre avesse picchiato Steve. Ma non disse nulla, non ne ebbe il coraggio, avrebbe voluto, ma... aveva una fottuta paura che fosse vero. Si sentì un codardo.

Per anni aveva sospettato, dubitato, ma nascosto la testa sotto la sabbia, e ora ne avrebbe pagato le conseguenze.

Steve aveva sofferto per colpa sua, per quel padre che li metteva in competizione senza pietà. Senti la disperazione percorrerlo.

Steve lo vide pensieroso. Si preoccupò e lo spinse come quando erano ragazzini. Presero a scherzare con una leggerezza che non avrebbero mai dovuto scordare, e che invece se ne era volata via, tra incomprensioni e moti di rabbia.

 

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Capitolo 36
*** Chi è John Roberts ***


John tornò in ufficio rasserenato, vedere i due Cooper che correvano affiatati lo fece stare meglio.

Era come una boccata d'aria. Sapeva però, che la bufera doveva ancora arrivare. Così quel dolore che si era portato dietro tutto il giorno ritornò. Aver messo Edward alle strette, gli fece male. Sentì improvvisamente il bisogno di staccare. Lasciò le cartelle sul tavolo, si strofinò gli occhi e uscì.

"Noreen mi prendo una mezzora." Lei lo scrutò attenta. Aveva l'aria stanca, la voce bassa e insicura, lui che era sempre così attento alla sua salute, la fece preoccupare.

"Tutto bene Roberts? Forse ha bisogno di riposare, sembra al limite.." Agitò la mano. "No. tranquilla, mi prendo una pausa, ma chiamami se hai bisogno."

Noreen non intervenne. Non era uno sconsiderato John, però gli ultimi avvenimenti lo avevano provato. Aveva capito che c'era qualcosa che lo turbava nella storia dei Cooper.

"Se la prenda comoda John, qui è tutto tranquillo." Annuì e se ne uscì stancamente.

Decise di andare fino alla sua stanza.

Entrò e visto il suo letto ebbe il desiderio di lasciarsi andare, ci si buttò sopra a pancia sotto. Vestito e con le scarpe, rimase immobile con la faccia affondata sul cuscino.

La maschera professionale che spesso portava cucita addosso, si sciolse. Soffocava un dolore terribile, si sentiva in colpa per avere risvegliato in Edward antichi fantasmi. Si chiese se fosse stato avventato a chiedere di quelle ferite, che i Cooper avevano rimosso.

Dio, che razza di medico poteva essere se gli aveva fatto del male. Adesso non sapeva come avrebbero reagito, né lui né Steve. Dovevano superare insieme il ricordo di quel padre autoritario e malato. Cercava un perdono per aver toccato la loro famiglia, per essersi intrufolato dentro le loro faccende. Eppure lo aveva fatto per aiutarli, per superare tutto il dolore che li divideva. Perché si meritavano la pace, tutti, compresi Ellen e Daniel, che ancora non conosceva.

Non piangeva da anni John. Da quando era morta Grace durante il parto, da quando tre giorni dopo, la loro piccola Sarah aveva seguito la mamma. Sentì il dolore salire veloce e caldo, prendergli il cuore e fermarsi nella testa per battere forte nelle tempie. Due lacrime gli scesero lente.

Ebbe un attimo di paura, perché il cuore prese a battergli forte, troppo. Si mise supino, slacciò tremando la cravatta, aprì il primo bottone della camicia. La vista si era offuscata.

Aria, aveva bisogno di aria, respirò profondamente, cercò di calmarsi. Contò mentalmente le sue pulsazioni, ma era tranquillo, nessun dolore sospetto al braccio, nessun senso di soffocamento, non c'era niente di preoccupante, era solo stress. Tenne gli occhi chiusi, si lasciò andare. Non voleva niente e nessuno intorno, la luce era spenta, solo un po' ne filtrava dalla finestra.

Si addormentò, mentre gli danzavano in testa i ricordi e i volti dei suoi cari. In quel momento li avrebbe voluti vicini, ma erano mesi che non li sentiva. Affondò giù nel cuscino e si ritrovò nel buio più oscuro.

Edward aveva lasciato il fratello nel suo studio, e aveva subito cercato John per poter parlargli di Steve, ma non lo aveva trovato. Il cellulare era bloccato. Allora andò alla clinica e trovò Noreen. Gli disse che era uscito per prendersi una pausa.

Edward sentì un brivido percorrerlo, non era da lui assentarsi e soprattutto sapeva che si era sentito in colpa, per quello che era successo.

Pensò dove potesse essere, ma fuori non l'aveva visto, e se era stanco sarebbe andato nella sua camera, così si diresse a passo veloce, anche se le gambe lo tormentavano per la corsa che aveva fatto con suo fratello.

La porta non era chiusa a chiave, bussò, ma non ottenendo risposta entrò. Lo vide subito nella penombra, buttato scomposto nel letto, vestito con ancora la giacca, ma la camicia e la cravatta slacciata. Si precipitò subito allarmato, lo chiamò diverse volte. Lo scosse. John respirava pesantemente, il volto era sudato, e leggermente contratto.

"John, per Dio, rispondimi!" Ebbe un piccolo moto, un sussulto, aprì gli occhi cercando di connettere, di capire dove fosse.

"Edward?" Respirò piano, appena lo inquadrò e lo vide sconvolto. "Sto bene, tranquillo." Cooper aspirò una bella quantità d'aria mentre prese a sentire il suo polso. "Dio, mi hai spaventato! Sicuro di stare bene? Hai un'aria..."

"Ti assicuro che il cuore sta bene, ero molto stanco. Ma ho sete. Puoi allungarmi dell'acqua?" Lo interruppe deciso, non voleva appesantirlo con i suoi problemi. Edward andò a prendere il bicchiere posato sul comodino e lo riempì con la bottiglia dell'acqua che avevano in dotazione. John bevve avidamente e ne chiese ancora.

"Dio, ma che sete ti ritrovi? Cosa ti sta succedendo? Devo chiamare il tuo sostituto?" Lo scrutava attento, cercando di capire se fosse in pericolo.

"Ma no. Sono un po' disidratato, perché ho sudato." Gli sorrise forzato. "Non è niente ti assicuro che va tutto bene."

Edward espirò rassegnato, poi lo prese per le spalle e nonostante John avesse cominciato a protestare, lo sistemò sui cuscini. Prese a spogliarlo, tolse la giacca, e la cravatta, allentò la cintura, e sfilò le scarpe. Si accorse che portava un tutore elastico sulla caviglia destra. Rimase interdetto.

"Cosa ti è successo, John? Avevo notato che a volte zoppicavi. Pensavo fosse la stanchezza." Ora forse si spiegavano tante cose. Roberts si lasciò andare alle gentilezze di Edward. Si abbandonò nel cuscino.

"Un incidente in auto, rimasi incastrato con le gambe. Ho portato le stampelle sei mesi. Ma la destra mi dà ancora problemi."

Edward aggrottò le sopracciglia si rese conto che di lui, del suo passato non sapeva nulla. Così ne approfittò. "Eri già nell'esercito?" Lo chiese curioso, vedendolo stanco e disposto a parlare.

"No, accadde prima, non sono stato uno stinco di santo. Ero sempre ubriaco." Si stava lasciando andare forse vinto dalla stanchezza, forse consapevole che parlarne lo avrebbe aiutato, invece che nascondere un passato doloroso come aveva fatto Edward. Che si sedette nel fondo del letto vicino ai suoi piedi.

"Non fare quella faccia! Ho i miei demoni anch' io che mi perseguitano." Si alzò con la testa fissandolo brevemente per poi ricadere giù. Il volto tirato.

Gli raccontò tutto, come se dovesse liberarsi dal tormento che aveva vissuto.

Gli parlò di Grace, la ragazza dolce che aveva conosciuto all'università e che aveva sposato.

La sua carriera di medico con Neville, che lo guidava. Lui il fratello maggiore di dieci anni più vecchio era la sua guida, la sua roccia. I vecchi genitori non erano del tutto presenti, troppo anziani per occuparsi di lui e della sorella più piccola, Eugenia.

Era Neville che li sostituiva e lo aveva aiutato negli studi di medicina. Eugenia si laureò in storia dell'arte e iniziò la sua carriera a Edimburgo.

Grace rimase incinta, aspettavano il loro primo figlio. Tutto sembrava andare bene, tutto era troppo perfetto. Il destino li attendeva bastardo durante il parto. Una emorragia si portò via lei, e tre giorni dopo Sarah raggiunse la sua mamma. John si fermò con la voce rotta. Prese un respiro profondo.

"Mi dispiace." Edward gli strinse la gamba sotto la coperta. Roberts continuò la sua storia a tratti fermandosi per riprendere fiato. E sempre Ed gli mostrava il suo sostegno stringendolo forte.

Raccontò di come era caduto nella depressione quando rimase solo, disperato, perse la testa incapace di reagire. Prese a bere, nemmeno Neville riusciva a farlo rinsavire. Finché dopo averlo cacciato ubriaco da bar della zona, provocò un incidente dove quasi uccise una donna.

Quello fu l'inizio della risalita. Con l'aiuto del fratello, accettò sei mesi di terapie per la gamba, e smise di bere. Ne uscì a caro prezzo. Ma si legò troppo a Neville, doveva staccarsi da lui, da cui aveva preso a dipendere in maniera pericolosa. Decise di entrare nell'esercito, un vecchio sogno coltivato da ragazzino. Così si arruolò, lavoro su sé stesso, ma pagò tutto con una solitudine assoluta. Arrivò fino alla Cittadella, e il resto Ed lo sapeva.

John si lasciò andare sul cuscino con gli occhi chiusi. Svuotato, forse era la prima volta che raccontava la sua storia. "Vedi mio generale che nascondo anch'io i miei scheletri nell'armadio?" Respirò profondamente. Edward vide che si era calmato, si tranquillizzò. Era rimasto molto scosso, lasciò la stretta.

"Prenditi del tempo, brutto testardo di uno scozzese. Possibile che non sentissi il peso di quello che portavi dentro di te? Perché non me ne hai parlato prima?"

John riaprì gli occhi e lo guardò sorridendo. "Eravate così presi ad accapigliarvi vuoi due Cooper, che non ne ho avuto lo spazio. Dovevo sempre controllarvi." Emise un piccolo risolino. "Vi provocavate sempre."

"Vero, lo so che non siamo un bell'esempio. Però non ti devi preoccupare per me, non darti pena supererò anche questo momento." John cercò di afferrare il bicchiere e sollecito Cooper glielo allungò.

"Perché mi cercavi? Cosa è successo?" John riprese la sua solita decisa personalità.

"Steve non ha voluto spogliarsi, la doccia l'ha fatta in camera sua. Questo mi fa pensare che tu abbia ragione."

Sospirò mentre John si tirò su e si sedette meglio, mandò giù un lungo sorso d'acqua.

"Ora devo vedere come affrontarlo, perché non so come reagirà." Edward si alzò dal letto dove era rimasto seduto tutto il tempo. "Riprenditi ne riparleremo. Ora pensa a stare bene."

John annuì silenzioso. Edward gli sistemò meglio il letto. Gli portò altra acqua, controllò che avesse il cellulare vicino, si assicurò che si fosse ripreso, lo guardò attento.

"Mi dispiace per Grace e per la tua piccola Sarah. Mi dispiace di averti travolto con i miei problemi. E con la storia di Norbury. Non ti ho ascoltato abbastanza John, ma finita questa storia prometto che sarò un amico migliore." John non fece in tempo a rispondere.

"Ora riposati, e cerca di capire cosa ti è successo, sei un medico giusto? Cerca di non incolparti, per quello che ha fatto la mia famiglia." 

 Edward gli diede un colpetto gentile sul braccio e uscì.

 

 

.   

 

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Capitolo 37
*** Il tormento della famiglia Cooper ***


36  

 

Quella sera Edward tornò a Roses House. Era deciso ad affrontare Mary sicuro che lei sapesse parte della verità. Il viaggio fino a casa era stato pieno di pensieri, tra il dolore che provava per sé stesso messo in quella situazione assurda, suo fratello Steve che nascondeva una verità dolorosa e John pieno di sensi di colpa per quello che aveva innescato.

Forse era ora di mettere tutto in ordine anche correndo dei rischi di sfasciare il rapporto con Steve.

Salì le scale turbato, appoggiò la sua preziosa ventiquattrore, si tolse la giacca e la cravatta, fece un respiro profondo e entrò in cucina deciso.  Mary era affaccendata ai fornelli, si girò e lo guardò stupita, vide nel suo volto qualcosa che non le piaceva.

“Che c’è Eddy? Hai l’aria di uno che sta per fare una cosa dolorosa.” Si sedette al tavolo, con i gomiti piantati e le mani giunte sotto al mento.  “Già, visto che voglio che tu mi racconti tutto. Di Steve e di quello chi gli ha fatto papà.” Gli uscì una voce bassa e tesa. Sapeva che non sarebbe stato facile.

Mary si irrigidì lo guardò preoccupata, poi sospirò come se avesse deciso che era giunto il tempo di dire la verità, si sedette al suo fianco. “Prima o poi l’avresti capito.”  Sussurrò debolmente. “Spero comprenderai perché ho taciuto.”

“Allora spiegamelo, perché mi sembra di essere stato parecchio usato, e preso in giro.” Edward si accomodò meglio, la fissò seccato, ma anche addolorato per quello che in parte sospettava.

Lei era titubante, indecisa. La sollecitò risoluto a sapere la verità.

“Avanti Mary. Basta menzogne.”

La vecchia governante si lasciò andare e gli raccontò del metodo che sir Anthony aveva adottato per calmare l’irruenza del piccolo Steve che adorava Edward, il fratello maggiore, l’esempio da seguire.

Il padre lo convinse che soffrendo e sopportando il dolore, sarebbe diventato come lui, e iniziò la “cura”.  In sir Anthony cominciò a riaffiorare tutta la perversione che da piccolo lui stesso aveva subito. Divenne violento, ma contenuto.   Steve aveva dodici anni, beveva dalle parole del padre. Accettò di prendere due cinghiate al mese per raddrizzarsi e diventare responsabile.

Due cinghiate sul fondo schiena in modo che nessuno vedesse. Che lo avrebbero fortificato e reso maturo.

Steve era troppo piccolo per capire, e aveva un’ammirazione sconfinata per Eddy. Così il padre iniziò a infierire su di lui con metodo, e lui piccolo e ingenuo taceva, sopportava il dolore fiero di diventare come Edward. Non si chiese se fosse giusto o sbagliato, accettò le sevizie.

Nascose per bene i primi tempi, ma poi cominciò a stare male. Non riusciva a guarire in un mese. E la madre cominciava a sospettare qualcosa.  Edward era in accademia e non rientrava spesso. Solo una volta suo padre si accanì su di lui quando tornò ubriaco e lo punì a cinghiate, da allora si allontanò e tornò meno di prima, lasciando il fratellino nelle mani del padre.

 La madre assisteva impotente cercando di salvare il marito e i figli, ma era troppo depressa per capire come fare e lasciò passare del tempo.

Quando Steve cedette e gli venne la febbre, non riuscì più a nascondere la tortura e fu subito avvertito sir William, solo lui sapeva il passato di Anthony e della mente malata del padre, sir Geoffrey.

Portò via Steve, litigò aspramente con il fratello. Anthony finì in un’apatia totale. Costance, la zia si occupò di trovare un medico che lo seguisse. Quello che sir Geoffrey aveva fatto a lui, lui aveva fatto a Steve. Le punizioni corporali che gli erano state inflitte da bambino, tornarono con tutta la loro devastante brutalità

I gemelli, che si erano salvati dalle attenzioni del padre, andarono per un po' di tempo da lei. Edward fu mandato all’estero per un mese, ufficialmente per un addestramento premio. E non sospettò di nulla.

 Ma sir Anthony non aveva usato solo la violenza fisica con suo figlio Steve, il suo modo di agire su Edward era stato più sottile, più lento e costante, lo aveva plagiato con accortezza. Con lui aveva iniziato prima, lentamente senza che se ne accorgesse. Era un bambino fragile il piccolo Ed, amava suonare il pianoforte, era molto attaccato alla madre. Ma era il primogenito e il padre pretese il prezzo della famiglia. E lo cambiò.

 Sir Anthony amava la forza di Steve, ma non poteva tollerare che fosse indisciplinato, così dirottò su Eddy tutte le sue aspettative. Edward divenne in breve il risultato di quello che lui voleva, di quello che aveva plasmato. Lo allontanò dalla madre e lo assicurò stretto a sé. E lui crebbe nella convinzione di essere la tutela della sua famiglia. Intanto suo padre fu obbligato a seguire le cure che gli aveva imposto sir William, e divenne stabile, frequentando uno psichiatra.

Steve non portava rancore, convinto che fosse normale quello che aveva subito. La famiglia fu d’accordo di lasciarlo crescere in questo limbo e Edward portò ignaro il prezzo di essere il primogenito.

Poi con l’arrivo di Benjamin tutto si era trasformato, Sir Anthony era cambiato, era diventato un padre. Aveva recuperato parte del rapporto con i figli più grandi.  Per questo quando ci fu l’incidente, Edward ne uscì devastato, perché non sapeva nulla, non ricordava il plagio che aveva subito. Ma aveva visto la parte migliore di sir Anthony, quella tanto desiderata da piccolo. 

Tutti si rivolsero a lui, lasciandolo lottare per la famiglia, senza sapere del dolore che provava dentro. Tutte le sue fragilità vennero in superficie: i problemi con il cibo, gli attacchi di panico non erano altro che il suo essere che si ribellava.

Così come i contrasti con Steve vennero tutti alla luce, la rabbia di essere stato picchiato, essere sempre stato il “secondo”.  Cominciò ad odiare la debolezza di Eddy, quella mancanza di fermezza che lo aveva costretto a subire le frustate. Vedeva che il fratello tanto amato, non era così forte come credeva e come diceva suo padre. Alla fine lui si sentiva migliore di Edward. 

Mary si fermò, lo guardò che tremava vicino a lei, si torturava le mani stringendole forte. Continuò dolcemente.

“Non sei, e nemmeno Steve sarà mai come vostro nonno Geoffrey. Se hai sbagliato con i gemelli è perché hai imitato gli insegnamenti di tuo padre, se fossi stato te stesso non sarebbe accaduto.   Ma sai perfettamente che ti vogliono bene. Che siete uniti anche se distanti. Perché lo percepiscono il peso che hai portato. Se c’è un accenno di famiglia è perché tu lai tenuta stretta.”

Edward non aveva mai parlato, aveva ascoltato a capo chino.  Mary gli prese le mani fra le sue e le serrò più forte che poteva.

“Ora ceniamo e non ne parliamo più. Se devi affrontare Steve sai che ti attaccherà, dovrai essere forte anche per lui.”  Edward annuii lentamente.  “Daniel ed Ellen sanno qualcosa, perché la zia li mise al corrente della severità del padre. Ma null’altro, avrete tempo per chiarirvi.”

Lui sollevò il volto rigato di lacrime, Mary lo abbracciò. Lo tenne stretto come faceva da bambino quando si nascondeva per non farsi vedere. Non gli era mai stato consentito dimostrare la sua debolezza.

“Non ricordo nulla di quel periodo, perché?” Mary lo lasciò, lo fissò intensamente. “Perché tuo padre fece un ottimo lavoro con te. Ricorderai, un po' per volta. E non sarà piacevole, ma io sarò sempre qui ad aiutarti.” Gli sollevò il mento. “Il tuo pianoforte è nella soffitta, tua madre lo volle tenere. E lì che ti aspetta.”

Mary lo sentì più calmo, gli preparò la cena, lui l’aiutò silenzioso.  Poi parlarono di cose futili e finirono la serata tenendosi la mano, mentre guardavano un programma stupido in tv.

 

 

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Capitolo 38
*** Appuntamento con Steve ***


 Edward non aveva dormito molto, anche se Mary era riuscita a stemperare la tensione, sentiva dentro un macigno che lo opprimeva. Dover parlare con Steve lo spaventava. Essere a conoscenza di quello che era stata la sua disastrata famiglia lo fece sprofondare in uno sconforto senza via di uscita. Doveva rintracciare John e decidere con lui come affrontare la cosa, sentiva che senza la sua presenza non ci sarebbe riuscito.

Si preparò con cura, indossò la divisa, fece colazione con Mary. Lei ostentava una serenità distaccata che tranquillizzò anche lui.

“Devo andare Mary, devo affrontare Steve e sono preoccupato, ma spero che tutto si accomodi.”

La dolce Mary lo fissò attenta, lui stava cercando di trovare un equilibrio, e non gli era facile. “Tu come stai, Eddy?”

Scosse la testa avvilito. “Decisamente confuso, ma voglio trovare il bandolo a questa storia, sono stanco di soffrire.”  La vecchia nutrice lo avvicinò comprensiva, gli toccò la mano e la tenne nella sua.

“Sei un bravo fratello Edward, non scordartelo mai.” Cooper sorrise, le restituì un bacio in fronte e uscì ad affrontare la giornata.  Scese le scale della villa, caricò in auto la sua immancabile valigetta, e guidò sereno fino alla Cittadella.

Doveva accettare tutto quello che sarebbe arrivato. Era consapevole di essere fragile e insicuro dentro di sé, ma era determinato a trovare una soluzione al rapporto burrascoso con suo fratello.

Parcheggiò nel suo spazio riservato e si incamminò alla ricerca di John.

La clinica era già in fermento, sicuramente il buon dottore si era ripreso. Infatti lo trovò nell’atrio che aveva recuperato la solita grinta, intento a redarguire le reclute che doveva portare agli ambulatori.

“Ciao, scozzese testardo. Guarda che così li spaventi!  Va piano.”   Rise e fissò amichevolmente John che era sorpreso di vederlo così presto.

“Cosa vuoi a quest’ora? Che c’è?”  Edward non lo lasciò replicare, lo prese per il braccio e lo trascinò dentro all’ambulatorio. Si voltò verso i ragazzi.  “Ve lo rapisco per un paio di minuti.”

Si fece serio, mente John cercava di liberarsi.  “Come stai prima di tutto?”  Roberts lo fissò tediato. “Sto bene, senza voi Cooper intorno, mi sono riposato e quindi ho recuperato. Immagino che adesso la tregua sia finita, vista la tua urgenza.”

“Indovinato.  Ho parlato con Mary e avevi ragione. Mio padre ha perso la testa e ha sottoposto mio fratello a una cura che solo lui poteva concepire.”   John si fece attento, si appoggiò alla scrivania e ascoltò Edward che gli raccontò ogni frase di Mary. Compreso il modo in cui il padre lo aveva plagiato. Edward si era piantato davanti a Roberts, con le mani sprofondate nelle tasche. Cercava di mantenere il controllo ma la voce gli tremava.

“Non mi ricordo John, è come se avessi rimosso tutto.”  

Roberts scosse la testa sconcertato, lo strinse per il braccio. “Come ti senti adesso?”  Cooper si sottrasse alla stretta, indietreggiò mentre si tormentava il mento con la mano. Lo guardò fisso.  “Confuso. Mi sembra di non sapere chi sono, se le scelte che ho fatto sono le mie.” Borbottò avvilito.

John si avvicinò molto di più, ma aveva le reclute in attesa e chiuse la conversazione dispiaciuto.  “Senti, ne parliamo più tardi. Devo tornare in ambulatorio. Hai scelto il momento sbagliato.”

Edward strinse le labbra, assentì, si avviò alla porta.  “Va bene a più tardi, devo trovare una soluzione per Steve.”

John contrariato gli intimò. “Non farlo da solo, fa che sia presente, non voglio risse.”

Edward sapeva che aveva ragione, era difficile senza di lui trovare il modo di spiegarsi, Steve era sempre sulla difensiva quando si toccavano certi argomenti.

Si avviò pensieroso verso il suo ufficio, la testa rivolta al fratello.  

La segretaria lo vide arrivare con passo veloce, gli allungò gli appuntamenti per la giornata, li prese sbadatamente

“Nora, hai visto Steve?”  Nessuno lo aveva ancora avvistato. Probabilmente era già all’addestramento a correre con le sue reclute.

Sbuffando, entrò in ufficio e si mise a lavorare di buona lena.

Tolse la giacca e rimase in camicia con le maniche arrotolate, la cravatta sciolta. Si passò le mani nei corti capelli neri, scompigliandoli.

Ma le carte che aveva davanti sembravano scritte in arabo, non riusciva a concentrarsi. Finì per appoggiarsi allo schienale con le mani intrecciate sulla nuca, dondolandosi sulla poltrona.

Non poteva tollerare di credere che le scelte che aveva fatto non fossero sue.

 La Cittadella era una sua creazione, il suo scopo di vita... Certo di essere fragile lo sapeva, che non avesse la forza fisica di Steve era scontato. Ma il desiderio di aver scelto la carriera militare non era da mettere in discussione. La disciplina, le regole la divisa che indossava erano il suo orgoglio.

Non si sentiva plagiato, forse su certe scelte poteva anche essere, come quella di assumersi la famiglia sulle deboli spalle che aveva.

 Non aveva retto benissimo all’inizio, aveva seguito l’autorità dettata dal padre e aveva sbagliato   perdendo i fratelli minori ma ora sapeva il perché, sapeva cosa doveva fare. Lasciarli liberi di decidere, di scegliere e anche di sbagliare, perché vestire i panni di Sir Anthony non era da lui.  Lui era, sì, il fratello maggiore ma era anche pieno di dubbi e di inquietudini.

 Se plagio c'era stato e lo infastidiva molto era il fatto che il padre lo esasperasse con la discendenza del primo genito. Lo chiamava spesso “il mio piccolo Geoffrey” e la cosa lo spaventava sapendo la brutalità del nonno.

Gli ripeteva come una cantilena.

“Ci siamo noi tre, figlio: Geoffrey, Anthony e Edward, la dinastia e la discendenza è importante. La famiglia è tutto. Il nome della famiglia è tutto.”  Edward si sentiva orgoglioso allora, ora molto meno, temeva con disappunto di essere come loro.  Chiuse gli occhi sopraffatto dal dolore.

Quel ricordo lo prese e lo inchiodò allo schienale. Dio, non era come loro! Non voleva esserlo, mai avrebbe toccato i suoi fratelli in modo perverso. Sgridati redarguiti, sì, ma mai brutalizzati.

Si sorprese a pensare se non avesse mai cercato l’affetto in una donna per non avere una famiglia e una discendenza.

Il cellulare vibrò e lo riportò alla realtà, vide che John lo stava per raggiungere. Pochi minuti ed entrò con foga nel suo ufficio.

“Beh, doc che fai?  Sei diventato irruente come mio fratello?  Bussa la prossima volta, non c’è Nora?”  John scosse la testa di rimando. “Dai!   Ti ho avvertito con la chiamata, non fare il saccente.”  Cooper abbozzò, divertito.  “Bene, allora che faccio con il mio complicato fratello lo porto da te?”

John si sedette sulla poltrona di fronte a lui e lo inquadrò, lo studiò, prese tempo.

“Non lavoravi? Sembri inquieto. Non ti starai facendo dei film mentali? Pensa solo a lavorare quello sicuramente ti distrae.” 

Il generale aggrottò la fronte, seccato.  “Avevo alcune analisi di coscienza da fare.” 

Prese la penna distrattamente, poi si appoggiò al tavolo con i gomiti. “Certi ricordi mi tornano, e devo dire che mio padre fece un buon lavoro con me.”

John cercò di leggergli dentro fissandolo.  “E quindi che ne hai dedotto?” 

Cooper si appoggiò allo schienale giocherellando con la penna. Non distoglieva lo sguardo dal suo amico.

 “Che le paure che provo, sono nate per come venni trattato. Da come impostò la sua tecnica: a Steve le frustate, a me la parte psicologica.”  Il dottore si appoggiò allo schienale seccato, e sentenziò con decisione.  “Non c’è nulla di malato in te. Né in tuo fratello.” Cooper si stampò un sorriso triste. “Vero, ora lo so. Ma certe cose rimangono, fanno male e devo risolverle.” 

John alzò la mano e la agitò scacciando invisibili insetti.  “Un po' alla volta con pazienza, lo farai tu, e tutta la famiglia. Ma non cedere, per Dio.” 

Edward si tirò dritto sulla poltrona. “Ora devo pensare a mio fratello e vedere come la prenderà!” 

Roberts annuì silenzioso, poi si decise.

“Lo chiamo io. Gli dirò che devo parlargli, di raggiungermi allo studio in clinica, per le sei. Tu arriva a quell’ora.”

Si alzò e raggiunse la porta. “Edward gli racconterò la verità. Che ho visto la tua schiena, gli parlerò della tua debolezza e dei tuoi attacchi di panico.”  Cooper annuì.  “Va bene, credo sia necessario. Fa come hai detto.” 

Il dottore se ne uscì, chiudendo la porta.

Cooper rimase pensieroso a fissare la scrivania. Poi si rivestì e uscì a sbrigare il lavoro che lo aspettava a Londra.

Prima si fece accompagnare con l’auto al campo di addestramento a salutare il fratello.

Steve vide l’auto e ne fu sorpreso, la raggiunse.

Edward scese.

Ma Steve fu più rapido, e incuriosito da quella visita.  “Beh, che cosa ci fai qui con l’auto di servizio? Vuoi fare colpo sulle reclute?”

 Rise, poi lo avvicinò. “Volevo salutarti, vado nella city. A pranzo non ci sono.” Il fratello minore si appoggiò all’auto con la schiena.

“Va bene, starò con John se è libero. Non ti preoccupare. Tu piuttosto dove ti fermi a mangiare? Non fare il furbo.” Inclinò la testa fissandolo serio, sapendo i problemi del fratello maggiore.

“Vado al dipartimento, pranzerò lì, tranquillo.” Edward gli fece un sorriso tirato. Steve non finiva mai di preoccuparsi per lui.

 Ma il suo pensiero volò a quello che li aspettava la sera, a quello che poteva succedere.

“Che ti è preso fratello? Sembri strano.” Steve era sconcertato.

“Non posso salutarti?”  Il Generale fu veloce, non voleva insospettirlo.

Steve sospirò poco convinto. Lo lasciò andare via in auto con la sensazione che gli stesse nascondendo qualcosa.

 

 

  

 

 

 

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Capitolo 39
*** La fragilità e lo strappo ***


 

Edward finì per sobbarcarsi gli impegni di lavoro sempre più in tensione, per la serata difficile che lo aspettava.

Pranzò al dipartimento di Stato con un Generale dell’aereonautica, e un collega della marina. Parlò poco e ascoltò molto. Tutti problemi legati ai nuovi addestramenti innovativi e alle preparazioni di missioni di pace all’estero. Annuiva spesso, ma la mente non c’era, era rivolta al fratello, a John e alla serata poco piacevole che avrebbe dovuto affrontare.

Alle cinque lasciò Londra e tornò alla Cittadella talmente preoccupato che gli era venuto un fastidioso mal di testa.

 Salì in ufficio, si sciacquò, si sistemò, poi raggiunse la clinica.

John lo vide arrivare e fece una smorfia al suo indirizzo. Era seduto alla scrivania, lo fissò allarmato.

“Edward rilassati, sei agitato. Sta tranquillo, sciogliti un po'.”

 Cooper sbuffò infastidito. “Guarda se puoi allungarmi un’aspirina, ho un fastidioso mal di testa.” Si portò la mano sulla fronte.

“Gesù cominciamo bene.” Il dottore si alzò, scosse la testa, e prese una confezione di aspirine dalla sua borsa.

“Prendi, ma non tolgono l’ansia che hai addosso.” Gli allungò un bicchiere d’acqua e la pillola, e sbottò.  “Siediti, Cristo, stai tranquillo.”

Edward mandò giù tutto velocemente, avvertiva uno stress crescente, appoggiò il bicchiere con le mani talmente strette che sembravano contratte. 

Non volle sedersi, per quanto John insistesse, rimase in piedi, fece due passi e si appoggiò con la schiena dritta alla libreria.  Fissava la porta in attesa del fratello.

John si rassegnò, brontolò poche parole a voce bassa, si sedette alla scrivania e iniziò a sistemare la cartella di Edward.

“Ho i tuoi risultati, ma vorrei li sentisse anche tuo fratello. Ma Edward non c’era proprio con la testa. Non emise nessuna parola, si limitò ad abbassare il capo.  

Perse la pazienza. E scattò.  “Certo che se inizi così, immagino come finiremo.”  Non ottenne nulla, e finì per abbandonarsi nella poltrona, guardandolo malamente, mentre scombinava le carte che aveva davanti.

Non passò molto che arrivò il fratello minore, con la sua solita aria scanzonata e il cuore leggero, ma quando vide Edward, cambiò di colpo, capì che c’era qualcosa che non andava.

Si fece serio.

“Ma che c’è?  Eddy sembri un fantasma!” Guardò entrambi, cercando delle risposte, poi si soffermò ancora sul fratello maggiore.

John non perse tempo, intervenne subito, lo tranquillizzò con decisione.

“Senti dobbiamo parlarti.”

Edward sembrava di marmo.  Steve lo fissava incerto.

“Sta bene, ma lascialo stare!  Oggi non collabora, siediti.”

Steve cambiò colore. “Ma cosa avete combinato? Avete l’aria di chi nasconde qualcosa e di grosso pure.”  Fissava di sottecchi il fratello, mentre ascoltava John che aveva cominciato a parlargli.

A poco a poco che il racconto andava avanti, lasciò lo sguardo sul fratello e fissò arrabbiato John.

 Cercò di essere il più calmo possibile, fino a quanto arrivò a parlargli delle frustate che aveva ricevuto Edward e dei sospetti che le avesse ricevute anche lui. Prese un attimo di pausa guardando entrambi i fratelli che sembravano straziati. Edward quasi non respirava, Steve era in allarme.

Roberts riprese a parlare con calma, modulando la voce e gli confermò le parole di Mary, che aveva ammesso le sevizie che da ragazzino aveva subito dal padre.

Steve, saltò su in piedi e si rivolse a Edward furioso. Lui era rimasto in attesa della sua reazione. Aveva ascoltato a capo chino, senza mai muoversi, contratto nelle mani e nel volto.

“Potevi dirmelo, Edward, potevi dirmi di questa farsa. Hai permesso a John di entrare nella nostra famiglia e gli hai raccontato la nostra vergogna.”

 Fremeva e indicava Roberts con la mano. Gridò senza ritegno.” Lo sai quello che era papà, lo sai di nonno, perché mettere in piazza tutto. Idiota! Dovevi parlare con me.”

 Si avvicinò al fratello minaccioso, Edward rimase immobile pronto a subire, alzò gli occhi e lo fisso dritto in volto.

“Se sapevi tutto, perché non sei venuto da me? Ho sofferto per diventare come te! Per essere degno di te.”  Steve era fuori controllo, le mani strette lungo i fianchi, la voce rotta.

“Mi dispiace.” Biascicò Edward, incapace di aggiungere altro.

“Ti dispiace? Ti dispiace, per Dio!  Papà mi picchiava per colpa tua, era la sua cura, perché io diventassi come te! Ne vuoi la conferma razza di imbecille?”  Si tolse la giacca con rabbia, tirò su la camicia e mostrò la schiena ferita da numerose cicatrici, al fratello. 

“Guarda, sei contento? E tu John hai soddisfatto la tua teoria? Beh, avevi ragione.  Nostro padre era un fottuto pazzo.”  

Si rivestì, le sue mani magre infilarono la camicia nei pantaloni, prese la sua giacca e la indossò mezza storta. Ma la sua rabbia cocente era rivolta al fratello maggiore, che sembrava assente.

“Sei un coglione Edward, un debole che papà ha forgiato come ha voluto.”  Gli fu vicino in un attimo, John non riuscì a intervenire in tempo. Edward si preparò, strinse forte le mani, le tenne rigide lungo i fianchi, Steve partì con uno schiaffo potente che lo colpì in pieno volto.

“Fermati!” John urlò, cercò di aggirare la scrivania rapidamente, ma Steve lo colpì ancora con un manrovescio. Edward lacrimava per il dolore, ma non accennò a nessuna reazione.

“Non ti difendi nemmeno, coglione impaurito.”  Steve sbollì vista la totale mancanza di reazione di Edward.

Ma lui era consapevole che non avrebbe reagito.

Per anni era stato educato alla follia di nonno Geoffrey. Adesso, consapevole di quello che era stato il loro percorso, non avrebbe mai alzato le mani su suo fratello. Sopportò in silenzio, perché capì che solo così Steve si sarebbe fermato. E accettò coscientemente la sua rabbia.

E infatti si fermò, lo guardò brevemente e puntò i suoi occhi lucidi sul sangue che scendeva dal naso e si fermava sulle labbra pallide di Edward, si girò di scatto e uscì maledicendo la famiglia ed il padre.

John, incapace di reggere la situazione, e di comprendere il suo amico, sbottò.

“Gli dovevi parlare dannazione!  Dovevi dirgli quello che hai passato e invece te ne sei stato lì a subire. Per Dio, Edward!  Sei arrivato rassegnato e hai sbagliato tutto. Non è così che ricucirai il rapporto con Steve.”

 John non si trattenne, gli era vicino, e la vista di quel sangue lo fece arrabbiare di più.

” Forse ha ragione lui, sei un emerito coglione. Hai avuto paura! Perché non l’hai fermato?  Questo è il risultato.” Indicò il suo volto ferito e cercò di prendersi cura di lui.  Ma Edward si allontanò, con la mano aperta.

“Non toccarmi John, va bene così. Hai detto che sono un coglione, quindi allontanati da me.” 

Edward lo sibilò risentito, sembrava ritornato in sé. Sanguinava dal naso copiosamente, Roberts si fermò vedendo la sua rabbia e il suo risentimento. Lo aveva offeso pesantemente, ed era suo amico. Ora non poteva fare nulla, rimase immobile.

 Edward cercò il fazzoletto nella tasca e tamponò il naso, con forza. Vide la faccia contratta di John, e cercò di abbozzare.

“Non fartene una colpa John, lo sapevo che avrebbe reagito così. Ma io non sono Geoffrey come mio padre mi voleva far diventare.  Io non tocco mio fratello, malauguratamente l'ho fatto una volta, ma non lo farò mai più, lui imparerà a capirlo.”    Sorrise debolmente, mentre tamponava il sangue. Roberts in palese difficoltà e pentito, cercò di sostenerlo. Fu gentile.

“Scusami, non avevo capito.” Respirò profondamente. “Il coglione sono io!  Ma ora va a pulirti nel bagno, prendi gli asciugamani, usa acqua fresca.” 

John evitò di avvicinarsi. Cooper allentò la tensione e andò a ripulirsi nell’ambulatorio.

 Si guardò allo specchio, era rosso in volto, gli schiaffi gli bruciavano, gli facevano male, ma sopportò, si rinfrescò, si ripulì. Quando vide che il sangue si era fermato uscì.

Le mani non erano più contratte e ora sembrava sereno. No, non si sentiva un coglione, non lo era. Lui semplicemente amava i suoi fratelli. E tutto quello che restava della sua famiglia.

Vide John sulla porta, il volto incupito. “Avevo i tuoi esami. I risultati.” Mormorò avvilito mentre li teneva in mano.

“Non adesso John, magari più tardi. Ora non mi interessano.”  Edward non riusciva a scordarsi le offese gratuite che gli aveva gridato. John capì lo sbaglio che aveva fatto. Ma cercò un dialogo.

“Stai bene?”  Mormorò guardando il fazzoletto che teneva nelle mani sporco di sangue.

“No, ma va bene lo stesso. Non ti dare colpe ulteriori. Noi Cooper siamo particolari, lo sai anche troppo bene.  Tu hai fatto quello che dovevi. So la tua buona fede.” Edward in parte lo assolse dalla sua interferenza nella famiglia complicata che aveva. Chiarì il concetto.

“Sì, certo avremmo potuto chiarirci con Steve, ma lui ha bisogno di tempo, sa la verità, la deve solo elaborare.”

Gli toccò il braccio, come un sostegno morale e se ne andò, mentre John rammaricato, avvilito, devastato per aver provocato la rottura tra loro due, rimase sulla porta sconfitto.

Voleva riunirli e invece li aveva allontanati.  In più aveva offeso pesantemente Edward. Era un cretino, uno stupido arrogante, sentì la rabbia crescergli dentro incontrollabile e senza rendersene conto, diede un violento pugno alla porta, disperato, con il cuore a mille.  Lacrimò e si ferì malamente, ma il dolore che ne seguì non riuscì a stemperare quello che aveva dentro, che lo devastava.

Noreen sentì il rumore improvviso, lo vide sulla porta dello studio che tremava, appoggiato con la fronte allo stipite, la mano sanguinante.

“John, per Dio, ma che ha fatto?”  Lo prese per le spalle e lo trascinò in ambulatorio.  John stanco e indolenzito, non si oppose, si lasciò andare alle sue cure. Non parlò mai e lei non gli chiese nulla. Lo fece sedere e lo medicò. Non si lamentò, nonostante la ferita fosse profonda.

Lo lasciò riposare un po' in ambulatorio.

 John sciolse la tensione, mezzo sdraiato sulla sua poltrona, si appoggiò con la nuca, gli occhi chiusi. Elaborò mentalmente il risultato della sua intromissione nella vita dei fratelli Cooper: la mano sfasciata e un forte dolore. Era stato strafottente, superficiale, idiota, offensivo.  Ora era tempo di pagare per le cazzate che aveva fatto.

 

 

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Capitolo 40
*** Nora Stafford ***


  

Edward raggiunse il suo studio con il volto dolorante per lo schiaffo subito, si massaggiò la guancia, il cuore a pezzi.

Non riusciva a dare un senso a quello che era accaduto, incapace di reagire. Solo Nora che si stava vestendo per andare a casa, lo squadrò preoccupata.

“Generale, ma cosa le è successo?”  Certamente non doveva avere un bell’aspetto, le fece un mezzo sorriso che gli riuscì malissimo.

“Solita discussione con mio fratello!  Inutile nasconderlo, Nora, sei la mia segretaria da tre anni.”  Molte volte li aveva sentiti discutere ed era stata sempre discreta. 

Cooper aveva ripreso a sanguinare dal naso probabilmente per lo sforzo di camminare troppo in fretta.  Si frugò nelle tasche e cercò il fazzoletto, ma si ricordò che l’aveva già usato e buttato. Lei lo fissò preoccupata, mentre gliene porgeva uno di carta.

“Ma è stato Steve? Perché se così fosse, la discussione è stata piuttosto accesa.”

“Purtroppo sì, e me ne rammarico.”

Edward cercò di sollevare la testa e tamponare, ma non servì a molto.

Fu sollecita, lo fece sedere sulla sua poltrona dietro la scrivania, gli tenne la testa indietro, prese altri fazzoletti di carta per aiutarlo.

“Stringa forte il ponte del naso, prendo la cassetta di pronto soccorso.”  Brontolò, poco convinto.

 Nora si tolse il cappotto, aprì la cassetta e lo medicò.

“Le metto un paio di tamponi emostatici, appoggi la testa sulla poltrona, si rilassi. È un po' fastidioso, ma funziona.”  Colpito da tanta premura e dalla sua gentilezza si lasciò andare.

Le sue mani furono delicate, mentre gli premeva il tampone nelle narici. Tossì un paio di volte, ma riuscì a rimanere fermo. Lo fece respirare con la bocca, lentamente per prendere fiato.

“Bene, Edward rimanga così per una decina di minuti tranquillo, vedrà che il sangue si fermerà.”  

Annuì imbarazzato di trovarsi in quella situazione, la guardò mentre lei riponeva le medicazioni. 

“Sembra esperta.” Gli uscì una voce nasale quasi comica e lei ridacchiò.

Aveva un sorriso aperto e si chiese come non l’avesse mai notato.

 Nora lo sistemò meglio nella poltrona, lo sfiorò con la mano, lui sentì uno strano brivido lungo la schiena.

“Tutto bene Generale?” Se ne avvide, Edward tossì, scoperto.

Tenne la testa appoggiata allo schienale. Temeva che parlarle lo avrebbe tradito.

Era sorprendente accorgersi che lei era bellissima e dolce, dopo tre anni di lavoro insieme. Che razza di imbecille era, per Dio!

La segretaria si appoggiò sul bordo della scrivania, le mani sul tavolo.  “Ho studiato medicina, mi mancava poco per laurearmi.  Mio padre è medico al San George a Londra.”  Cooper sollevò un po' la testa, ma lei prontamente lo sgridò.

“Ma perché ha lasciato?  Non le piaceva diventare medico?”  Nora scosse la testa, una ruga apparve sulla sua fronte. “Perché ho fatto delle scelte e sto bene così, Cooper. Stare nell’esercito mi piace e fare la sua segretaria mi soddisfa.  Non desidero altro.”

“Stare dietro una scrivania, quando ha delle doti come medico è uno spreco.” Era una collaboratrice preziosa ma avrebbe meritato di più.

“E suo padre, il dottor Stafford, che ne dice?”

“Nulla, ha accettato la mia scelta. Mi ama per quella che sono.”

“Una grande fortuna!  Non come il mio che ha segnato me e mio fratello per tutta la vita. E questi sono i risultati.” Indicò i tamponi nel naso. Tossì, senza aria, lei fu rapida, prese le garze, gli inclinò la testa in avanti. “Sputi il sangue, non lo mandi giù.” Le garze si impregnarono di saliva rossiccia. Si sentì in difetto.

“Tranquillo, non mi dà fastidio.” Rise, aveva letto il suo imbarazzo, gli tenne la mano sulla spalla.

“Il dottor Roberts si arrabbierebbe se si accorgesse che lo sostituisco con il suo migliore amico.”

“Vero, peccato che adesso sia fuori uso, lo stress di sopportarci è stato notevole.” Le raccontò quello che era successo a John. I suoi problemi lo avevano travolto e reso insicuro.

Nora fu decisa, la voce avvolgente. “Le vuole bene, Edward, si sente responsabile. Soffre la lontananza da casa e dagli affetti.” Era comprensiva e sincera, una dote rara.

“Cercherò di stargli vicino, ma ho così tanti problemi che mi riesce difficile. E lui è sempre stato una roccia.”

“Non sempre a quanto pare.” Si portò al suo fianco, lo controllò attenta. Conosceva la sua vita complicata. Spesso aveva visto il dolore passargli sul volto quando parlava della famiglia.

“Non tutti i padri sono perfetti. Ma non mi sembra che lei, Edward, sia una persona manchevole. Tutti la rispettano, gli allievi sono orgogliosi di far parte della Cittadella. Non è mai stato arrogante con i suoi collaboratori, nessuno si lamenta del suo operato.” Lo disse così decisa che lo lasciò allibito.

“Nora, se fosse per lei sarai santo. Ma non lo sono.”  Sbuffò, si alzò leggermente per vederla meglio. Ma lei lo fermò. 

“Ancora un poco, poi togliamo i tamponi.”  Averla avuta vicina per tre anni e non averla notata fu la cosa più stupida che avesse fatto.

Nora guardò l’orologio, si avvicinò.

“Bene, ora li togliamo, faccia un respiro profondo con la bocca aperta.”

 Fu rapida, nemmeno il tempo di preoccuparsi, tossì un paio di volte, ma non fu traumatico. Gli pulì le narici con cura. Gli raddrizzò la testa e lo studiò per un po'.

Annuì. “Ottimo, credo che adesso sia tutto a posto. Ma niente sforzi, la parete del naso è fragile.” 

Lo guardò meglio. “Sarebbe ora di andare a casa Generale a riposare un po’, sono sicura che Mary si prenderà cura di lei.”  Edward ammutolito la studiava sottecchi, mentre la sua premurosa segretaria si rivestiva per tornare a casa.

 “Sarebbe un ottimo medico, Nora. Un vero peccato la sua rinuncia.” Si abbottonò la giacca e aggiustò la cravatta. Lei le allungò il berretto.

“Sto bene così mi creda.” Le sorrise dolcemente.

  Cercò la sua valigetta appoggiata sul pavimento. “Ascolterò il suo consiglio, chiamerò l’autista. Non ho voglia di guidare.”

“Lo chiamo io, vada pure di sotto. Arriverà tra poco.”  Era gentile, efficiente come sempre, il cuore di Edward, batté forte.

“Scende con me? Vuole un passaggio? E il minimo per quello che ha fatto.” La voce era incerta. Che cavolo stava combinando? Si sentiva come un adolescente ai primi approcci.

“Grazie, ma ho la mia auto.” Imbecille!  Era tre anni che stava al suo fianco, doveva sapere che guidava un'auto. Lei rise al suo imbarazzo.

“Tranquillo Cooper, non può sapere tutto dei suoi collaboratori.”  

Prese coraggio. “Almeno la posso invitare a cena per sdebitarmi? Naturalmente se lo vuole.”

Lei ci pensò. Poi annuì. “Va bene, ma solo quando avrà risolto i suoi problemi con Steve e sarà tranquillo.”

Rimase senza fiato. Bella, saggia e premurosa.

Lei rise, complice. “Respiri Edward. Le prometto che passeremo una serata insieme. Ora vada a casa e riposi, risolva le tensioni della sua famiglia.  Io aspetterò.”

 

 Si lasciarono sulle scale, mentre Edward Cooper sentiva dentro qualcosa di strano che gli aggrovigliava lo stomaco.

 Scosse la testa, salì in auto e si appoggiò al sedile sentendo ancora le mani gentili di Nora che lo curavano.

 Era stato un orso in tutti quegli anni!

La berlina lo lasciò a Roses House che era già molto tardi.  Doveva affrontare Mary.  Infatti lo aspettava sulle scale interne, vicino alla cucina.

Appena lo vide capì. “Eddy, non dirmi che Steve ha alzato le mani e tu le hai prese come al solito.”

“L’ha presa piuttosto male, anche se c’era John presente, due manrovesci li ho rimediati.”  Appoggiò la valigetta, si tolse la giacca. La camicia era sporca di sangue sul collo.

“Portala nella cesta della biancheria, poi ti preparo la cena.”

 Mary tornò in cucina avvilita. Non c’era modo che quei due testardi si riavvicinassero.   Edward tornò vestito da casa. Una camicia pulita a quadri e un caldo maglione. I calzoni di stoffa liscia. Aiutò in cucina come faceva sempre, lo vide sereno.

“Che succede Eddy, nonostante tutto sei tranquillo. Le hai prese e sei contento?”  Aveva stampato in faccia un sorriso addolcito.

“Perché se non fosse stato per il naso rotto, non mi sarei accorto di Nora.”

Lei mezza stralunata, balbettò.  “Nora,la tua segretaria?  Che non vedevi nemmeno se ci fossi inciampato contro?” Sospirò alzò le mani al cielo.  “Finalmente, Edward!  Alleluia!”

“Ma che ne sai?” Sbottò.

Mary scosse la testa, sorniona.  “Che è una brava ragazza? E che quelle poche volte che l’ho vista, non aveva occhi che per te? Razza di stupido testone.” Lo spintonò a sedersi sul tavolo apparecchiato.

Edward, rasserenato le raccontò di come si era presa cura di lui.

 

“Cioè, tu sapevi che lei… Mentre io non mi accorgevo di Nora.?  Ma per Dio, dove ero?”

“Perché ti sei rincoglionito, Eddy, dietro alla famiglia. Ora pensa a fartene una.” Gli allungò il piatto, quasi sbattendolo. 

“Mangia vedrai che si aggiusterà tutto. Anche con Steve.”

“Mary ho fatto tutto quello che potevo con lui, non ho reagito, perché a quel cretino voglio bene.”

“Dagli tempo.” La vecchia nutrice affettava il pane. Lui le prese la mano. 

“Sono in ansia anche per John. Sta perdendo la calma, siamo un bel problema noi Cooper.”

Lei assentì silenziosa. “Sii paziente con entrambi, presto tutto si sistemerà.”

Presero a mangiare, parlando di Roses House, Mary alleggerì la serata raccontandogli dei progressi della nipote a scuola, Edward ascoltò attento e le fu grato. Aveva proprio bisogno di staccare.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** Edward rimprovera Roberts ***



La serata tranquilla aveva messo di buonumore Edward, che era arrivato alla cittadella con l'auto di servizio, la sua era rimasta nel parcheggio.

Salì rapido i gradini, andò nel suo ufficio a depositare la sua immancabile 24 ore.

Nora, lo vide arrivare. Ma si mantenne formale, rimase al suo posto. Gli regalò solo un sorriso sincero.

"Tutto bene Generale?" Non andò oltre. Difficilmente si prendeva delle libertà.

"Bene, il mio naso ha ripreso a funzionare normalmente." Le sorrise, si tolse il berretto e lo mise sotto il braccio. "Novità?"

"Le solite Edward. Tutto sulla sua scrivania."

Avrebbe voluto intrattenersi, ma era meglio non andare oltre per non crearle imbarazzo. In realtà non sapeva come rapportarsi con lei.

Finì per salutarla brevemente e andò dritto alla scrivania. La trovò già piena di posta da firmare.

Appoggiò il berretto, si sfilò la giacca e lesse rapidamente tutte le carte che Nora gli aveva preparato. Più tardi si prese una pausa, decise di andare a vedere come stava John.

"Le lascio tutto sulla scrivania. Torno più tardi." Tergiversò un po'.' "Grazie per ieri sera Nora, sono stato meglio dopo le sue cure." Lei si schernì, i capelli raccolti con cura, scosse la testa castana. "Sono lieta di averla aiutata." Abbassò lo sguardo. "Spero che trovi un accordo con suo fratello, stamattina l'ho intravisto passare di qua, ma non si è fermato, probabilmente ha visto l'ufficio chiuso."

Edward increspò le labbra. "Va bene, vedrò di raggiungerlo ai campi di addestramento e parlargli. Grazie, Nora. Sono da Roberts."

Si abbottonò la giacca, lei gli indicò il nodo della cravatta aperto. "Grazie," borbottò mentre lo sistemava.

"Approvato Nora?" Alzò le braccia per farsi ammirare. Lei rise. "Approvato Edward."

Si avviò, contento come un adolescente, verso la clinica. Lei era sorprendente e non se ne era mai accorto.

Il dottor Roberts lo aveva avvertito che i suoi risultati erano pronti. Si era incuriosito. Era impegnato a scrivere. Bussò educato sul vetro della porta ed entrò. Si avvide subito della fasciatura sulla destra, cercava di scrivere e di tenere la penna, ma era in difficoltà.

"Che hai fatto?" Lo apostrofò sconcertato. Lo aveva lasciato la sera prima che stava bene.

John sollevò lo sguardo, gli uscì una voce bassa. "Una specie d'incidente di lavoro..."

"Cioè, come hai fatto?" Edward, già allarmato, assunse un'aria sospettosa. Rimase in piedi di fronte alla sua scrivania, fissandolo attento. Ondeggiava con le mani nelle tasche.

"Beh, l'ho sbattuta malamente sulla porta." Cooper sorrise sarcastico, non si accontentò della sua modesta spiegazione.

Sapeva che si erano lasciati male la sera prima e lui era molto teso. Aveva un sospetto che si dimostrò fondato. "Devo chiamare Noreen per sapere la verità?" Fece per girarsi e dare avvio alla provocazione.

"Fermo! Quanto sei ostinato Edward!" John sospirò un paio di volte. "Va bene, ho perso la ragione e ho colpito la porta con un pugno." Cooper sollevò gli occhi in alto, allargando le braccia.

"Ma dico, sei impazzito? Rovinarti una mano, per cosa? Non sarà stato per quello che è successo ieri?"

Era sconcertato, sapeva che stava subendo la situazione che si era creata tra lui e Steve. Si sentiva l'artefice del loro allontanamento. John si protese in avanti, la faccia scura.

"Devi ammettere che ho fatto una cazzata grossa con voi. Guarda dove vi ho portato!" Prese a tormentarsi la mano fasciata.

"Dove saremmo arrivati comunque, per Dio!" Edward quasi imprecò, la sua voce secca, spaventò John che si lasciò cadere sullo schienale della poltrona.

"Sapevo che Steve avrebbe perso la pazienza, il peso della sua infanzia disastrosa la imputa a me. Ma questo riguarda noi due. Deve sbollire, accettare quello che è successo con nostro padre." Si interruppe e si avvicinò alla scrivania.

"Devi smetterla di darti pena per me, ho portato per anni il peso della mia famiglia. Cosa c'è di diverso adesso?"

John abbassò la testa. La mano fasciata era abbandonata sul ginocchio, tremava un po'. "Volevo aiutarvi, riavvicinarvi e ho fatto di peggio." La voce bassa.

Edward osservava quella mano che per un medico era essenziale, perse la residua pazienza.

"Ora basta, non voglio sentire altro!"

Era furioso, si girò di scatto fece due passi per raggiungere il centro dell'ufficio. "Se vengo a sapere che stai male o ti fai del male in un modo così stupido, per colpa nostra, ti sospendo! E ti dichiaro momentaneamente non idoneo! Quindi vedi di regolarti." Lo redarguì duramente, le mani che sformavano le tasche dei calzoni da quanto pressava.

John lo fissò stupito. "Arriveresti a sospendermi?"

"Certo, idiota di uno scozzese! Sei stato male l'altra sera, e non voglio si ripeta."

Sbuffò pieno di rabbia. Si avvicinò. "Non puoi obbligarmi alle tue visite mediche, quando non curi te stesso."

Piantò le mani sulla scrivania, lo guardò severo.

"Io mi sono fidato di te, John! L'altra sera, quando hai avuto quella crisi, non sono intervenuto. Perché sei un medico per Dio! Dovevi prenderti cura di te stesso, e non l'hai fatto." La voce aspra e tutto il peso del corpo erano sulle mani appoggiate sul tavolo. "Hai sorvolato la gravità di quello che ti era successo. Questa è pura stupidità." John abbassò la testa e la scosse.

"Non è stato nulla di serio." Roberts non riusciva a sostenere lo sguardo del suo amico. Edward aveva ragione. Aveva sottovalutato la cosa. "Ti posso assicurare che sto bene."

"Allora dimostramelo! Perché io mi sono preoccupato e molto." Edward lo incalzò, riuscendo a malapena a trattenere la rabbia.

Roberts rimase silenzioso, rigirava la penna fra le dita della sinistra. Era sorpreso dalla sua foga.

Edward modulò la voce vedendolo in difficoltà, non voleva irritarlo.

"Vedi di fare degli esami. Voglio sapere come stai. Perché te lo sto ordinando come tuo superiore."

John non rispose si guardò la mano ferita e la massaggiò. Lui lo incalzò.

"Mi hai capito, John? Ti voglio vedere risoluto e cazzuto come quando sei arrivato alla Cittadella."

La voce gli uscì gentile. "Non darti la croce per la mia famiglia, sei una brava persona. Non farmi penare per la tua salute."

"Va bene, lo farò se questo ti rende tranquillo." Fu solo un sussurro, ma sapeva che Cooper era preoccupato per lui, un piccolo brivido gli percorse la schiena, Edward ci teneva, aveva cura di lui.

Si schiarì la voce lo guardò dritto in volto. "Ti do la mia parola, controllerò la mia salute. Cercherò di mantenere la calma."

"Fallo, non farmi sentire in colpa."

Cooper si sedette meglio, la sfuriata passata. "Ora dimmi della mia salute, visto che mi hai girato come un calzino."

Rise e stemperò la situazione. "Avanti fa il tuo dovere di medico. Scozzese testardo."

John accennò un breve sorriso, ora il suo volto era disteso, prese la sua cartella dal cassetto con un po' di difficoltà e la aprì. La mano gli impediva alcuni movimenti, ma riusciva a gestirla. Edward sentì salirgli di nuovo la rabbia, ma stavolta abbozzò.

Roberts sfogliò la cartella, si fece attento, riacquistò la sua professionalità.

"Sei sottopeso, ma questo lo sai, anche gli esami del sangue lo confermano. Non mangi regolarmente e questo ti porta ad avere delle carenze di vitamine e di sali minerali. Ma tutto è facilmente rimediabile, perché ti prescriverò degli integratori." Edward annuì lo vedeva acquistare sicurezza e ritornare il medico attento che era.

"Il cuore, nonostante i tuoi attacchi di panico, non ha sofferto, ma devi controllarti di più, cercando di superarli. In questi giorni non è stato facile. Quello che mi premeva è sapere se fisicamente stavi bene."

Gli allungò la cartella, con la mano sana. "Guarda, sei dentro ai parametri, quindi per adesso va bene. Vedi di mantenerti in salute cerca di non saltare i pasti. Su questo Steve aveva ragione, hai un comportamento sbagliato con il cibo, devi migliorarti. E non brontolare se ti obblighiamo a essere attento. Comunque correre un paio di volte la settimana con tuo fratello ti farà bene." Sbuffò malinconico. "Quando vi parlerete ancora, s'intende."

"Lo faremo, stai certo, non lascio mio fratello da solo a tormentarsi." Sorrise, accarezzando i braccioli della poltrona.

"In questi giorni, ho dato parecchio in termini di stress, ma sapere che non ho nulla di compromesso mi dà più sicurezza." Edward chiuse la sua cartella. "Farò come dici, cercherò di regolarmi col cibo. E prendermi qualche pausa in più." Cooper si alzò.

"Bene, ora cerca di non essere tu a darmi ulteriore stress. John, fai come ti ho detto."

"Lo farò, tu cerca di rimanere sereno. Sono certo che Steve capirà, anche se avrà bisogno di tempo, ora siete consapevoli del vostro passato." Fece una pausa, sistemò la scrivania, si massaggiò la mano ferita. "Edward, prendiamo un caffè o sei troppo arrabbiato?"

"No, perché mai? Ti strozzerei per il male che ti sei fatto!" Gli sorrise apertamente. "Va bene, facciamo una pausa. Intanto mi parli delle tue idee per migliorare la clinica."

Roberts si alzò rasserenato, prese la sua giacca. Ma si trovò in difficoltà, per infilarla.

"Guardati stupido, con quella mano devi fare il contorsionista per indossarla." Cooper lo aiutò scuotendo la testa. Uscirono insieme, John si era rilassato, le spalle dritte e lo sguardo fiero di sempre. Questo tranquillizzò anche Edward, ci teneva che cancellasse quel dolore che gli percorreva la fronte. Steve sarebbe stato un problema da affrontare con calma.

 

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Capitolo 42
*** L'incidente di Steve ***


Il bar interno della Cittadella era affollato, ma John ed Edward avevano trovato un posto appartato.

John finì di bere il suo caffè e prese a illustrargli i suoi progetti sulla sistemazione della clinica.

"Ho bisogno di più spazio, di un ambulatorio per i piccoli interventi e di più posti letto per l'osservazione di traumi leggeri." Il dottore aveva già predisposto una serie di migliorie per l'attività di pronto soccorso.

Edward lo ascoltava attento e prendeva nota, scriveva sollecito nella sua agenda. John pensieroso tamburellava con le dita della mano sana sul tavolino. Finì di leggere i suoi appunti e si appoggiò allo schienale soddisfatto.

Cooper ripose la penna. "Decisamente degli interventi costosi, però vedrò cosa posso fare per accontentarti."

Increspò le labbra, si stavano per alzare, quando sentirono uno scalpiccio precipitoso. Il sergente Brent, un sottoposto di Steve, rosso in volto corse letteralmente verso Cooper.

"Che succede Brent? "Edward capì che era accaduto qualcosa, anche John si alzò perplesso.

"La piattaforma per l'addestramento dei lanci ha ceduto e due reclute sono rimaste ferite. Steve era con loro. È riuscito a farli scendere, ma quando stava per tornare di sotto, è rimasto incastrato con un piede nel metallo. È ancora lì sopra!" Edward cambiò espressione, quasi non respirò, il volto contratto.

"Andiamo dottore, Brent mi porti là velocemente, prendiamo un'auto."

Presero un mezzo di servizio che guidò Brent, mentre John allertava i soccorsi. Si maledì, con la mano in quelle condizioni poteva fare poco.

Quando arrivarono, Edward scese rapido e cercò subito il fratello. La piattaforma che serviva come base per i lanci era alta 10 metri circa. Edward lo vide, fermo sulla sommità. Steve era inginocchiato sulla piccola terrazza che tentava di sbloccare il piede incastrato.

Tutti i rancori e le sfuriate svanirono come neve al sole, ora c'era solamente suo fratello in pericolo.

Edward gli urlò furiosamente. "Steve, allontanati dalla sponda, sta giù! Cosa ha il piede?"

Il minore si accorse della sua presenza e avvertì tutta la stanchezza e il dolore, ma era consapevole che Edward era lì, nonostante tutto quello che gli aveva fatto. Perché era suo fratello.

Gli urlò di rimando. "Il piede si è incastrato nella lamiera, perdo sangue e non riesco a toglierlo."

Si lasciò andare, si sedette e si coprì il viso con le mani. Edward tradì il disappunto di sentirsi impotente. Poi decise rapido.

"Resisti, salgo io." Armeggiò con i vestiti, liberandosi di giacca e cravatta. Poi passò alle scarpe.

Un'ombra di contrarietà apparve sul volto tirato di Roberts.

"Sono 10 metri! Spero che tu non soffra di vertigini, Gesù, è pericoloso."

Il Generale non lo ascoltò nemmeno, ordinò di portare un'imbragatura, scarpe, guanti e una cesoia.

"John, quello è mio fratello e io vado su. Renditi utile e procurami un kit di pronto soccorso." Vide il suo volto alterato, sbuffò. "Sta tranquillo, non sono stato sempre dietro a una scrivania."

Lui fece un sorriso tirato.

"Sta attento, la scala è ripida e quando scendi avrai anche il suo peso."

Edward annuì, mentre metteva tutto in uno zaino. Cambiò le scarpe e infilò i guanti. Fece un cenno a Roberts, indossò l'imbragatura e cominciò a salire.

La scala della torre era a pioli ferrati, perpendicolare al terreno, solo di lato c'era il corrimano a cui ci si poteva agganciare.

La piattaforma sulla sommità era decisamente vecchia e interdetta. Edward, pensò con rabbia perché mai fossero finiti lì sopra.

Steve lo guardava salire, gli gridava di stare attento.

"Eddy, per Dio, agganciati non rischiare! "Si agitava nervoso, ma era bloccato e finì per arrendersi al dolore. Rimase sdraiato, con le mani strette sul bordo del pavimento. 

Il comandante procedeva adagio, aveva tutti gli occhi puntati addosso. Saliva pochi gradini ripidi e si agganciava. Doveva portarlo giù, non doveva rischiare.

A suo fratello piaceva salire sugli alberi a Roses House e toccava a lui trascinarlo giù prima che se ne accorgesse il padre. Spesso era una ripicca di un bambino ferito dalle parole severe di sir Anthony e mai lui lo aveva abbandonato a sé stesso. Non l'avrebbe fatto nemmeno adesso. Anche dopo tutto quello che era successo fra loro.

Giunse in cima ansimando, salì sopra, attento non ferirsi nelle lamiere rese fragili dal tempo.

Fu cauto a raggiungere il fratello. "Eddy, aiutami a togliermi di qui." Steve sentiva stringere il piede come se fosse in una morsa. Era pallido ed Edward si smarrì per pochi secondi. Ma la voce gli uscì decisa.

"Sono qua, ora lasciami fare." Si inginocchiò controllò il piede, e valutò come liberarlo.

Il minore si distese, con le braccia si coprii il volto. Edward fece un primo tentativo, lo sentì contrarsi. Sulla caviglia gli si era conficcato un sottile pezzo di lamiera, che gli aveva causato una ferita profonda che sanguinava copiosamente. La scarpa era incastrata nella fessura e non si liberava. Edward prese due bei respiri e afferrò la cesoia. 

"Ora taglio la lamiera, poi tiriamo fuori il piede, taglio anche la scarpa." Si interruppe, la voce calma. "Farà male."

Steve annuì, infilò il viso sulla piega interna del gomito. L'altra mano era aggrappata al polpaccio del fratello, che era inchinato al suo fianco.

Il comandante si adoperò con lentezza studiata, ma appena agganciò la lamiera con la cesoia, Steve gemette e si inarcò sulla schiena. Allora fu rapido, tagliò con forza il pezzo di ferro, sentì la mano del fratello affondare nel suo polpaccio così forte da fargli male. Il minore sussultava cercando di trattenere i gemiti dolorosi.

"Forza ci siamo quasi, pensa a una cosa piacevole, come quando ti facevi male ed eravamo bambini." Lo vide assentire, continuò con determinazione.

Con un movimento deciso spinse la caviglia di lato, estrasse il metallo. Steve urlò, soffocando una imprecazione.

Poi tagliò la scarpa e liberò il piede completamente.

Il minore ansimava ed era pallido. Si alzò a guardare la sua gamba, scivolò più indietro, si appoggiò sulla ringhiera.

"È fatta, ora vediamo di fermare il sangue e poi scendiamo." Prese il kit medico, lo aprì e si adoperò a tamponare la ferita.

Steve cominciò ad agitarsi, stringeva le labbra per non gridare.

"Fa male fratello, fa piano." Singhiozzò.

Edward sorrise stemperò la tensione. "Chi era quello che mi canzonava per la ferita sul volto?

"Ora la smetterai di prendermi in giro?" Riuscì a strappargli un sorriso, era sollevato nel vederlo riprendere colore.

"Faccio una fasciatura. Cerca di resistere." Lavorò solerte, alla fine gridò avvertendo di sotto.

"Fatto, ora scendiamo lentamente. John, tutto bene! Un paio di minuti che questo sconsiderato si riprenda."

Steve brontolò, ma era felice che Edward fosse lì, lo vedeva sereno e questo tranquillizzò anche lui.

"Eddy, grazie. Non era scontato che fossi qui, non dopo quello che ho fatto."

"Sei mio fratello e ti voglio bene, stupido! Ora scendiamo."

Edward mise in sicurezza la corda buttò giù lo zaino avvertendo di sotto.

Poi istruì il fratello.

"Faremo un piolo alla volta, io ti reggo da dietro. Ti appoggerai a me quando userai il piede ferito."

Lui protestò, immaginando la discesa faticosa di Edward. "Farai doppia fatica, dovrai portare tutto il mio peso. Non mi sembra una buona idea."

"Ma è l'unica, quindi zitto e andiamo." Non poté replicare, perché lo prese e lo fece alzare lentamente cercando di non fargli appoggiare il piede.

Steve si lasciò guidare, il comandante lo agganciò alla sua imbragatura lo fece scendere il primo piolo, lui gli scivolo dietro e insieme iniziarono a scendere.

Edward metteva in sicurezza la discesa agganciando il moschettone al corrimano, lo reggeva quando non poteva appoggiare il piede.

La spinta era considerevole, ma lo teneva stretto anche se le mani cominciarono a dolorare per tenere il peso di entrambi.

I guanti ressero per un po', poi sentì il dolore aumentare e non fiatò cercando di rassicurare il fratello. Temeva che cedesse.

"Forza, pensa a tutte le volte che ti ho fatto scendere dagli alberi di casa."

Sentì il corpo di Steve vibrare, mentre rideva sommesso.

"C'eri sempre, Eddy, ovunque mi arrampicassi rischiando per me."

"E ora sono qui, ancora una volta." Mormorò il generale.

"Non potrò correre per un bel po'." Steve si irrigidì, la voce incrinata.

"Correrai più di prima, ci verrò anch'io, devo tenermi in allenamento, con i guai che combini"

Il minore ridacchiò. "Se non riesci a fare nemmeno un giro del campo, fratello."

"Mi allenerai tu, avrò pazienza di vederti guarire." Lo sentì sussultare. "Forza ci siamo quasi, starai bene Steve te lo prometto."

Non rispose si limitò ad annuire, ma due lacrime gli scesero lente, miste al dolore e al rimpianto di essere azzoppato, per lui che il correre era vitale.

Intanto erano giunti di sotto. Furono afferrati dal sergente e da John, benché avesse una mano impedita.

Il minore fu subito soccorso dai paramedici, John, controllò che tutto fosse fatto per bene. Edward si liberò dell'imbracatura.

"Stai bene?" Si preoccupò vedendo i guanti sporchi di sangue. Li sfilò lentamente, le mani arrossate, scorticate. Ma avevano retto.

John le esaminò, contrasse le labbra. "Devi fartele medicare. Ci penserà Noreen."

"Sì, finisco e arrivo, bada a Steve, è spaventato. Ha paura di non poter correre come prima." John scosse la testa.

"Temo che dovrà essere operato, da quello che ho visto ci sono delle lesioni, ho già contattato l'ortopedico."

Edward imprecò sottovoce. Aggrottò la fronte. "Vedo di arrivare subito. Non la prenderà bene. Aspetta che ci sia anch'io. Non ha un buon rapporto con aghi e ospedali."

John sogghignò. "Deve essere un difetto della famiglia Cooper, allora. Mi ricordo di una certa persona che tremava solo per una visita medica."

Edward gli allungò una spinta affettuosa. Sorrise e allentò la tensione. 

 

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Capitolo 43
*** Il fratello, l'amico, la famiglia ***


Edward raggiunse la clinica una mezzora più tardi. Aveva coordinato la messa in sicurezza della torre di lancio, ma faticò a ultimare le consegne perché accusò una stanchezza sgradevole. Le spalle, che avevano portato il peso della discesa insieme al fratello, gli dolevano impietose. Le mani gli restituivano un bruciore fastidioso.

John lo vide arrivare, il passo pesante. Si levò dalla poltrona per andargli incontro. Aveva indossato il camice per continuare il suo lavoro, ma si era dovuto arrendere affidando il compito a Noreen. Con la mano in quelle condizioni non poteva fare molto. Un tutore gli sosteneva il braccio per alleviare il dolore.

"Finalmente Edward! Non riesco a calmare Steve." Lo studiò con apprensione, brontolò vedendolo affaticato. "Cerca di resistere, tuo fratello è parecchio agitato."

"Sto bene, tranquillo. Tu invece?"

"Diciamo che scalpito, ma sono limitato e ho dovuto chiedere aiuto al mio sostituto, il dottor Mayor e a Noreen."

"Mossa intelligente la tua di distruggerti la mano." Ironizzò spingendo affettuosamente il dottore.

Roberts mugugnò. "Va bene, sono stato stupido, ma ora pensiamo a te."

Indicò le mani scorticate di Edward. "Sistemiamo prima quelle." Lo spinse sulla poltrona e chiamò Noreen. Cooper si lasciò letteralmente cadere e si rilassò. Appoggiò la testa, si guardò i palmi delle mani arrossati e striati. Imprecò, doveva essere lucido, Steve lo aspettava, aveva bisogno di lui.

"Che ha combinato mio fratello? Gli hai detto qualcosa?" Roberts scosse la testa in diniego.

"Ho fatto i salti mortali per evitare di dirgli che lo devono operare. Il dottor Trevis, l'ortopedico di turno aspetta solo di vederlo entrare in sala." Edward strinse le labbra, socchiuse gli occhi. Non sentiva nemmeno il dolore nelle mani, mentre l'infermiera lo puliva e fasciava. Alzò la testa appena ebbe finito.

"Va bene così Noreen, devo andare." Aveva fretta d'incontrare Steve e non voleva farlo aspettare ancora, sapeva della sua paura per gli ospedali.

"Fermati." John lo afferrò per il braccio con la mano libera, mentre tentava di alzarsi.

Cooper lo guardò sorpreso, il suo amico sembrava turbato. "Che c'è? Stai per dirmi qualcosa che non voglio sentire?"

John si morse il labbro, indugiò un po'. "La ferita di Steve era profonda ma guarirà, tutto dipende se riescono a ricostruire il nervo."

Avvertì nella sua voce un'incertezza inspiegabile. "E quindi?"

John sospirò. "Potrebbe non essere in grado di correre ancora." Sapeva quanto fosse importante per Steve il suo lavoro di addestratore.

Cooper inveì, colpì con le mani il tavolo, senza rendersi conto delle fasciature, una smorfia di dolore lo percorse.

"Sta attento!" Lo redarguì Roberts cercando di trattenerlo per le spalle.

"Conserva sane le tue mani Edward, non farti del male inutilmente."

Lui si divincolò infuriato. "Avanti John, ora mi importa solo di sapere quante possibilità ha Steve di tornare come prima." Il dottore accusò il rimprovero.

"Volevo essere gentile, so quanto ti preme la salute di tuo fratello, ma non reagire così." Era seccato si sedette sulla poltrona dietro la scrivania.

"Smettila di fare l'offeso! Per Dio, dimmi della caviglia di Steve!" Quasi urlò.

Ma John aveva perso la pazienza. Abbassò la testa e sibilò irritato.

"Parla con Trevis. Lui è più esperto di me!" Edward si immobilizzò davanti alla scrivania pronto a litigare, ma la rabbia sbollì vedendo la mano contratta di John che tremava leggermente. Capì che era in difficoltà.

Respirò profondamente, agitò la mano fasciata per aria.

"Scusami, è stata una giornata difficile. Non volevo essere scortese, ma mi uccide dover dare la notizia a Steve e sono indeciso."

Roberts alzò la testa, fece una leggera smorfia, una specie di tregua. "Devi dirglielo, non mentirgli."

Cooper si fece serio, il volto incupito. "E se non lo facessi? Sai quanto ci tiene a correre."

"Se non sarai sincero perderà la fiducia. Lotterà con determinazione se saprà la verità. Devi convincerlo a non forzare i tempi. E solo tu puoi farlo." Sbuffò massaggiandosi la mano ferita. "Ti ricordo che tre ore fa non vi parlavate."

Il comandante si calmò, aveva ragione, doveva sostenere il fratello con lealtà.

John si alzò e lo raggiunse, c'era dell'altro.

"Cosa mi nascondi ancora, per Dio."

Il dottore prese tempo. Lui lo lasciò fare.

"Senti Edward, non puoi reggere il peso del passato tuo e di Steve, del suo incidente, di Roses House e del comando della Cittadella." Si fermò per dare tempo al suo amico di ragionare. Sapeva di dargli ulteriore preoccupazione.

"In questo momento io non posso aiutarti, lo avrei fatto volentieri, ma non sono al cento per cento. La mano non è in buone condizioni e sai i problemi che ho avuto." Finì la frase con un filo di voce.

Edward trasalì, lo prese per il braccio. "Non stai bene?"

John gli sorrise vedendo la sua inquietudine, scosse la testa con forza. "Sto bene, ma funziono a regime ridotto." Inspirò lentamente. "Devo rallentare."

Cooper impallidì, lo strinse forte da farlo sussultare. "Non mentirmi, che hai?"

John mantenne una serenità stoica. "Sono solo affaticato e ho bisogno di riposo, tutto qui. Giuro che non ti nascondo nulla."

Ma Cooper non si capacitava di quella misera spiegazione e continuava a fissarlo frastornato.

John lo rassicurò. "La mia reazione allo stress è stata abnorme e ha causato questo." Indicò la mano bloccata dal sostegno, scosse la testa. "Non va bene Edward, specialmente per un medico, devo rilassarmi e capire come farlo."

Il comandante aveva un dubbio. "Non è stato per quello che ti è successo poche sere fa?" Ma lui lo tranquillizzò. "Fa sempre parte dello stress. Non temere per me."

Cooper si quietò, lo studiò, gli occhi grigi socchiusi.

"Bene, quando vorrai ti prenderai dei giorni di pausa, avrai tutti i permessi necessari per tornare a casa." Sapeva che gli mancava suo fratello Neville. "Perdonami ti ho coinvolto troppo con i miei problemi. E sono stato uno stronzo anche poco fa."

Roberts ridacchiò, ma aveva gli occhi liquidi. Vedere Edward che si preoccupava per lui era impagabile, non aveva mai avuto amici e la sua vicinanza lo tranquillizzava. Così, certo di non urtarlo, continuò a illustrargli i suoi piani.

"Tutto questo mi ha portato a una decisione che spero comprenderai." Il comandante si fece attento chiedendosi che altro avesse macchinato il buon dottore.

"Ho deciso ti chiamare i tuoi fratelli. Ellen e Daniel arriveranno con un volo privato in elicottero. Gli ho raccontato tutto." John attese la sua reazione. Invece Cooper rimase muto, il viso si era disteso in un sorriso sollevato.

"Hai bisogno di aiuto Edward. Hai bisogno del loro sostegno. Devono prendersi parte delle responsabilità che ti soffocano. Lo sai che è giusto che sia così."

Il suo amico respirò incerto, prima si guardò le mani fasciate, poi il volto stanco di John, capì che era ora di arrendersi.

"Hai ragione. Hai fatto bene." Abbassò la testa come vinto dalla stanchezza di trascinarsi quel dolore continuo di fingersi forte. La famiglia gli mancava. "Non posso farcela da solo, soprattutto se mi manca il tuo aiuto."

John lo prese per le spalle. "Non me ne vado via, aspetterò di vedere come va con Steve. Di vederti sereno insieme a loro."

Alzò la testa. "Sei un prezioso amico John, mi dispiace di averti fatto penare. Promettimi che ti prenderai cura di te stesso."

Roberts si schiarì la voce. "Non me ne vado per sempre. Tu cerca di superare i traumi della tua famiglia."

"lo farò, ora andiamo. La parte difficile viene adesso, mio fratello starà scalpitando."

Si avviarono silenziosi verso la stanza di Steve, consapevoli di avere ancora molte questioni in sospeso.

C'era Noreen con lui, si sentiva solo la sua voce che lo sgridava.

"Avanti, smettila, correrai di nuovo, non stare in pena." Quando Edward entrò, il suo volto si illuminò. Cercò di alzarsi ma l'infermiera lo bloccò. "Sta fermo o la caviglia ti farà male."

"Finalmente Eddy, dimmi cosa ti hanno detto, non ne posso più di questa attesa." Fremeva, si sollevò ma stavolta fu spinto giù dalla mano sana di John.

Edward fece cenno al dottore di lasciarlo, si sedette al suo fianco.

"La tua caviglia ha sofferto. Il nervo è lesionato, se vorrai correre ancora e darmi il tormento, devi operarti."

Si fermò per dargli il tempo di elaborare. Il più giovane si lasciò cadere sul cuscino guardando il soffitto. "Ma dici davvero? Lo sai che odio questo posto." Si morse le labbra, tremò. Edward gli accarezzò il braccio, dove aveva l'accesso della flebo.

"Sarò al tuo fianco. Ma dovrai eseguire tutto alla lettera, ti opererai e farai le terapie che ti saranno ordinate."

Si portò l'incavo del braccio a coprirsi gli occhi. "Potrò correre ancora?" La voce incrinata.

Edward fu deciso, anche se il cuore andava a mille. "Sì, l'operazione ti aiuterà a guarire, piano ti riprenderai. Poi vedremo quello che dirà l'ortopedico."

Steve rimase nella stessa posizione. Mormorò incerto. "Non mi mentire, Eddy."

"Non ti sto mentendo. Dobbiamo aspettare l'esito dell'operazione."

Steve comprese che non sarebbe stato facile riprendere il suo lavoro. Sussultò avvilito con il volto nascosto.

John si fece discreto, fece un cenno al comandante e uscì per lasciarli soli.

Il giovane Cooper biascicò affranto. "Mi dispiace, Eddy, per come ti ho assalito, ti ho fatto del male, sono stato imperdonabile. Ma ora sai il perché."

"Certo che lo so, molte cose ora torneranno al posto giusto. Abbiamo patito entrambi, mi dispiace di averti lasciato solo con nostro padre. Mai avrei immaginato il male che ti avrebbe fatto."

Steve tolse il braccio dal volto. Si girò a fissare il fratello, gli toccò le mani fasciate. "Ci sei sempre stato, anche se ti respingevo. Ti ho odiato e amato, Eddy. Volevo essere come te, ma in realtà non sapevo chi fossi. Papà è stato bravo, ci ha messo in competizione e ci ha plagiato con una maestria sottile." Le lacrime gli rotolarono copiose sulle guance. "Che sarà di noi adesso?"

"Recupereremo lentamente, ci aiuteremo a vicenda. Ma consoliamoci perché ha rivolto solo a noi le sue attenzioni malate e ha lasciato da parte gli altri." Edward sospirò. "Mary mi ha detto che non ha mai infierito su Benjamin. Non me lo sarei mai perdonato, fratellino." La sua voce bella e forte, si fece rauca.

Steve si sporse, lo avvolse, le braccia strette su quel corpo magro che aveva tanto lottato per tenerli uniti, ma che nascondeva una fragilità pari alla sua. Lo stress di quei giorni, il dolore per quello che avevano patito, divenne reale. Si incuneò nei loro cuori lacerati, li condusse all'abbandono di un pianto liberatorio. Erano così vicini come mai lo erano stati.

"Ne ho combinate tante, Eddy." Mormorò. "Me lo merito lo strappo della caviglia, per il male che ti ho fatto."

Edward lo afferrò per la nuca e lo tirò indietro. "Non ti meriti nessun male. Guardami, devi metterci tutta la forza che hai, perché voglio correre insieme a te."

Steve annuì, mentre il suo cuore rallentava, si lasciò andare alle cure di Edward che lo accarezzò intrecciando le dita nei suoi capelli disordinati.

"Guarirai e starai meglio di prima. Ora andiamo insieme, ti prepariamo ed entro con te."

Edward si scostò, si asciugò le lacrime. Porse un fazzoletto al fratello. Lo fissò sorridendo prima di dirgli dell'arrivo dei gemelli.

"Forza Stevie, presto Ellen e Daniel saranno qui e ci aiuteranno. John li ha chiamati, ha intuito che abbiamo bisogno del loro aiuto."

Steve lo guardò sorpreso, felice per quella notizia inaspettata. "La famiglia sarà nuovamente unita. Alla fine saremo insieme come hai sempre desiderato."

Edward che stava andando a chiamare John, si fermò sulla porta della stanza. "Già, fratellino, uniti nel nome della famiglia. La nostra però, non quella di nostro padre."

Uscì sorridendo, ora dovevano soltanto crederci. 

 

 

 

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Capitolo 44
*** L'operazione di Steve ***



Preparare Steve per l'operazione fu un'impresa che finì per agitare anche Edward. Si rese conto che faticava con le mani ferite ma strinse i denti.

"Ce la fai?" Gli chiese John preoccupato che si malediva per non poter muovere la mano fasciata. Edward fu perentorio.

"Sono solo arrossate sta tranquillo, posso sopportare." Non si girò nemmeno a guardare il volto di Roberts che per non farlo penare di più, chiamò Noreen.

Con l'aiuto dell'infermiera riuscirono a spogliarlo, Edward cercava di non muovere inutilmente Steve per non aggravare il dolore alla caviglia.

Ma non collaborava, tanto che gli si aggrappò alle braccia.

"Stai fermo, fratello! Mi rendi tutto più difficile." Erano riusciti a togliere parte degli indumenti, ma Steve faticava a mettere in mostra le sue ferite. Aveva il volto contratto, gli occhi guardavano imploranti Edward, non gli ci volle molto a capire.

"Va bene, ora ci penso soltanto io."

Steve si morse il labbro, annuì silenzioso. Il comandante fece un cenno a John che comprese e uscì insieme a Noreen.

"Preparalo come ti ho detto." Lo incalzò il dottore prima di andarsene.

Edward apprezzò la riservatezza di Roberts, sorrise a suo fratello che si contorceva sul letto.

"La devi superare questa cosa delle cicatrici, non potrai nasconderle per sempre." Intanto lo svestiva e usò molto tatto quando arrivò alla schiena.

Steve mormorò solo poche parole con la testa abbassata.

"Mi vergogno, non so cosa farci." Socchiuse gli occhi. "Le ho nascoste per anni."

Edward gli passò la mano nei capelli, erano umidi per il sudore.

"Steve, non è stata colpa tua. Portale con orgoglio invece, sei stato bravo a sopportare la rabbia di nostro padre, se padre si può chiamare." Grugnì con il volto teso.

"Era malato Eddy, lo sai come agì anche con te." Edward increspò le labbra. "Lo zio avrebbe dovuto aiutarci non lasciarci nelle sue mani."

Quando arrivò alle cicatrici delle cinghiate si morse le labbra nel vedere lo scempio nel corpo di suo fratello. Alcune erano nascoste dai boxer. Non riuscii a mascherare il disappunto per quella cattiveria che il padre gli aveva fatto, sussultò e le mani si fecero insicure.

"Non guardarle, Eddy, sono lì da molto, mi ci sono abituato che pungano un pò." Il fratello maggiore incapace di continuare si appoggiò al letto, abbassò il capo.

"Come hai sopportato il dolore? Dio, eri un ragazzino! Come ho potuto non accorgermi di nulla." Steve, gli occhi lucidi, prese la mano del fratello.

"Eddy, ti prego fa in fretta, rivestimi e non ci pensare."

Il più grande si fece forza, gli accarezzò le spalle e chiuse il camice quadrettato.

Cercò una parvenza di normalità. "Ecco ora sei più carino."

Lo spinse giù con delicatezza. "Sta tranquillo, Steve, andrà tutto bene e sarò con te." Lo sistemò come gli era stato indicato, si assicurò di aver fatto tutto alla perfezione.

Steve era stranamente sereno, proprio lui che odiava gli ospedali. Si rivolse al fratello con un debole sorriso.

"Eddy, ho paura, ma tienilo per te."

"Lo so, me lo ricordo bene come strillavi quando vedevi un ago." Rise sommesso allacciando le ultime stringhe.

Il più giovane gli allungò un colpetto sul braccio. "Perché tu no?" Edward annuì. "Sì, hai ragione spesso anch'io strillavo e molto. "

Risero con una complicità che gli mancava da tempo. John che aveva aspettato fuori entrò e li trovò con le mani strette che si davano forza a vicenda. Il suo volto si distese in un caldo sorriso.

"Allora si va? Pronto Maggiore? E tu Comandante?"

"Siamo pronti dottore." Steve aveva riacquistato fiducia, John fece cenno a Cooper di indossare il camice sterile e tutto il necessario per entrare in sala. Noreen lo aiutò con la sua esperienza.

Fu lo stesso Edward a spingere il lettino fino alla piastra operatoria dove furono accolti dal chirurgo ortopedico, il dottor Trevis fu cordiale e lo tranquillizzò subito.

Steve non staccava gli occhi dal fratello. Edward gli fu vicino.

"Lo so che quegli aghi ti fanno penare, chiudi gli occhi." John lo avvertì che erano pronti, fece un cenno con il capo. Steve strinse la mano del fratello, che avvertì il bruciore delle scorticature. "Forza, sono qui con te." Steve si addormentò senza protestare.

Roberts vide Edward vacillare, la giornata era stata lunga e pesante anche per lui.

"Non provare a cedere, sta dormendo e sta bene." Gli mormorò all'orecchio. Il comandante strinse le labbra, respirò, mentre la mano di John si strinse delicata sulla sua spalla.

"Ora puoi andare, se vuoi. Ci pensiamo noi."

"No, John ho promesso che sarei rimasto e lo farò."

"Va bene, ma siediti." Roberts gli allungò uno sgabello. Cooper si sistemò e rimase silenzioso per tutta l'operazione.

Di tanto in tanto John, lo scrutava e si assicurava che stesse bene.

Edward non si mosse mai, pensieroso guardava il fratello.

Steve, sedato, respirava lentamente, sembrava sereno. Solo i cicalini dei macchinari a volte disturbavano i pensieri che affollavano la mente di Edward. Si erano detestati, cercati, allontanati, picchiati, eppure il loro amore fraterno aveva resistito a molte tormente, e lui, era l'unico che gli era rimasto vicino nonostante tutto.

Molto probabilmente Steve sarebbe stato il perfetto erede dei Cooper, era colmo di forza e d'orgoglio, ma il padre non era riuscito a domare la sua irruenza. Sir Anthony aveva preferito dirottare le sue aspettative su di lui che era debole di carattere e più malleabile. Di questo presto avrebbe avuto conferma, lo zio William si sarebbe fatto vedere e lui lo avrebbe messo alle strette.

Non aveva rimpianti, era stato il figlio debole e facilmente plagiabile, che suo padre aveva forgiato a suo piacimento. Quello che lo straziava è che non si ricordava di sua madre come se lei fosse stata un'entità invisibile. Si ricordò improvvisamente che era stata lei che gli aveva insegnato a suonare il pianoforte.

E lei l'aveva amato teneramente prima che arrivassero gli altri figli.

Accarezzò i capelli di Steve che aveva penato fisicamente più di tutti.

Sentì la mano sana di John, sulla sua spalla.

"Ti stai tormentando?" Aveva visto il suo respiro rallentare, il volto farsi cupo, la fronte aggrottarsi, e la mano tremare. Continuò con la voce calma.

"Non è questo il posto, né il momento. Esci, va fuori a fare due passi." Edward si scosse, solo allora lo vide e lo fissò stranito. "Quanto manca?"

"Pochi minuti, va pure. Non te ne sei nemmeno accorto ma è andato tutto bene, forse anche di più, direi."

Cooper si alzò, accarezzò la mano di Steve.

"Fosse sempre così tranquillo!" Rise sommesso. "Pensaci tu, vado a mangiare qualcosa."

Gli venne in mente che anche John era rimasto sempre presente durante la mattinata. "Spero che tu non abbia saltato il pranzo."

John scosse la testa. "Ho preso qualcosa mentre ti aspettavo. Tu va pure." Prese il posto di Edward e si adoperò su Steve. Cooper uscì, ringraziando e salutando i medici.

Roberts gli diede un'ultima occhiata.

Edward avvertiva la preoccupazione di Roberts che temeva che la verità gli pesasse e lo annientasse. Aveva fatto bene a chiamare i suoi fratelli. Aveva bisogno di aiuto, non doveva cedere, non ora che Steve contava su di lui.

Cooper si diresse al bar interno. Erano quasi le due del pomeriggio. Tutto era accaduto così in fretta che gli sembrava fosse passato un secolo. Daniel ed Ellen sarebbero arrivati l'indomani. Mangiò di fretta un panino. Ma un dubbio lo divorava dentro. Zio William era stato sempre reticente su di lui ma ora voleva sapere la verità.

Doveva assicurarsi che sapesse dell'incidente di Steve, gli mandò un sms e lo avvertì delle sue condizioni.

Poi non rispose più. Sapeva che la curiosità e la preoccupazione lo avrebbe spinto a venire alla cittadella. Ed era quello che voleva.

 

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Capitolo 45
*** La confessione ***



L'operazione di Steve era andata bene, Cooper aveva parlato con l'ortopedico che era ottimista, gli aveva assicurato che con le giuste terapie avrebbe ripreso a correre più di prima. Ringraziò il dottor Trevis ed entrò a sbirciare nella stanza di suo fratello. Dormiva tranquillo, la caviglia era immobilizzata. Allentò la tensione che gli pesava sulle spalle, ci avrebbe pensato Roberts a informarlo quando si fosse svegliato.

Aveva evitato volutamente d'incontrare il suo amico medico, non voleva che vedesse la sua agitazione, aspettava suo zio William con impazienza.

Un messaggio poco prima di cena lo avvertì che stava arrivando. Afferrò la giacca e scese rapido le scale dell'edificio della dirigenza. Lo vide scendere dall'auto nera del servizio diplomatico.

"Ciao nipote, ma che fretta? Mi stavi aspettando?" Sir William lo fissò sorpreso, l'autista lo aveva lasciato sul piazzale e se ne era andato.

Lo salutò con la mano e lo interpellò deciso. "Ciao zio, dovrei parlarti prima che tu veda Steve."

Lui si fece serio, Edward continuò senza dargli il tempo di pensare. "Non è niente che riguardi la sua salute, sta tranquillo, sta bene."

"Seguimi zio." Lo invitò perentorio indicandogli la strada.

Lo portò fino al suo ufficio, Sir William era stranamente silenzioso ma sentiva la tensione del nipote.

Il comandante chiese a Nora di non disturbarli, lei lo guardò sorpresa e accettò in suoi ordini.

Il che accrebbe il disappunto dello zio paterno.

Entrarono nello studio, il vecchio Cooper si lasciò cadere sulla poltrona cercando di capire cosa stesse succedendo. Edward proseguì per andare a sedersi dietro alla scrivania.

"Avanti dimmi che hai." Sbottò mentre si sistemava il cappotto.

Il comandante sorrise. "Sai zio, la verità a volte per quanto uno la nasconda, viene a galla. Come tutta la cattiveria di mio padre."

Lui agitò la mano seccato, in parte aveva capito. "Certe cose vanno lasciate sepolte." Replicò piccato.

"Dici davvero? Ma queste cose perseguitano me e Steve da molto." Si sporse piantando i gomiti sulla scrivania. "Tutto il rancore che mi ha portato mio fratello è in quelle frustate che il nostro caro padre gli ha somministrato con tanto zelo."

Lui abbassò lo sguardo. "Immaginavo che te lo avrebbe detto prima o poi." Grugnì risentito.

"Non è stato lui. L'operazione per la ferita alla caviglia ha messo in evidenza le cicatrici, lui avrebbe sempre taciuto visto che odia metterle in mostra."

"Lo sai che tuo padre fu una vittima di nonno." Rispose secco sir William.

Edward lo interruppe arrabbiato. "Che tu hai lasciato colpevolmente nelle sue mani!"

William si adirò a quell'accusa. "Sono stato giovane anch'io, cosa potevo fare con quel pazzo di mio padre, sir Geoffrey."

Cooper batté le mani sul tavolo. "Aiutare papà, tuo fratello per esempio, portandolo via."

"Non potevo. Nostro padre era furioso perché me ne ero andato e non potevo più avvicinarmi ad Anthony."

"Nonno Geoffrey ha portato al suicidio lo zio Henry! Tu come hai potuto abbandonare tuo fratello?"

Lui si sollevò dalla poltrona. "Perché ho avuto paura e non c'è giorno che non mi incolpi di questo."

Il comandante rise ironico, le mani appoggiate alla scrivania tremavano.

"Ma lo hai fatto anche con me. Portasti via Steve quando scopristi che lo picchiava, ma lasciasti che papà continuasse a soggiogarmi e a plagiarmi." Edward si alzò e lo raggiunse. "Perché non salvasti anche me?" Urlò allo sbando.

Lo zio divenne paonazzo, ma cercò di calmarlo.

"Perché fu necessario! Doveva avere un figlio docile e remissivo da plasmare che credesse in lui, e tu fosti la vittima naturale per salvare tutti gli altri." Erano uno di fronte all'altro.

Edward, colpito da quella verità impallidì e indietreggiò, si resse alla scrivania. Ora quello che sospettava era alla luce, era stato manipolato fin dall'infanzia. Si sentì svuotato.

Lo zio accecato dalla sua ribellione infierì. "Hai voluto la verità? Ora la sai, idiota."

Edward barcollò, faticava a respirare.

"Perché non mi dicesti tutto quando morì papà?" Chiese sconvolto.

Un sorriso ironico comparve sul volto dello zio. "Chi poteva portare il peso della famiglia se non tu che idolatravi tuo padre." Fu leggermente più morbido, pentito per come lo stava rimproverando. "Di certo non Steve che era consapevole della sua violenza."

Edward prese un bicchiere e si versò dell'acqua, lo zio continuò.

"Convinsi tuo fratello che era un bene che tu fossi all'oscuro di tutto, e per un po' funzionò. Ma quello che avevi subìto presto divenne malessere e la mancanza di appetito si aggravò." Sir William si avvicinò al nipote che reggeva il bicchiere tremando.

"C'è qualcosa che non sai Eddy, i tuoi problemi con il cibo vengono da quando eri piccolo, prima della nascita di Steve. Tuo padre ti toglieva il piatto mentre mangiavi, per castigarti se non obbedivi. Quando fosti più grande, se sbagliavi o eri insicuro, smettevi di nutrirti memore di quelle punizioni." William gli mise la mano sulla spalla.

"Tua madre provò ad aiutarti quando se ne accorse, ma fu inutile, questa abitudine era talmente radicata in te che non riuscì a guarirti, ma ti fece imparare a contenerti."

Edward tossì e bevve tutto di un fiato. Lo zio fu gentile vedendo il suo smarrimento.

"Anthony ti aveva ben addomesticato e presto diventasti come ti aveva forgiato. Arrogante e dispotico come lo erano stati lui e tuo nonno Geoffrey, rischiando di sfasciare la famiglia." Alzò la mano per scacciare un fantasma e continuò.

"Steve presto capì che non eri all'altezza e per un po' ti sorresse, ma la rabbia per quello che aveva patito lo resero acido e arrabbiato scoprendo la tua inettitudine, vedendo come ti dibattevi tra il dolore della perdita di un padre che veneravi e la rabbia che lo divorava perché sapeva il male che aveva fatto a entrambi."

Zio William si fermò e si lasciò cadere sulla poltrona. "Tutta una serie di bugie che presto vi avrebbero distrutti. Non avevi ricordi di Anthony e di quello che era stato, la memoria ti aveva risparmiato. Ma Steve sperava che prendessi coscienza del tuo passato e invece soffrivi sempre di più, finché arrivò John Roberts"

Il comandante si sedette vicino a lui, era spossato. Lo zio continuò. "John capì che c'era qualcosa che non andava e infatti ora eccoci qui."

Edward respirò e mormorò. "Fui sacrificato per il nome della famiglia?"

"In parte sì, ragazzo. Non c'era altra via. Ma ora che sai tutto le cose cambieranno."

"O mi seppelliranno zio." Biascicò Edward alzandosi faticosamente.

William cercò di afferragli le mani, ma lui si scostò, cercò di consolarlo.

"Forse non potrai perdonarmi, ma ero giovane, impreparato e non sapevo cosa fare. Tua madre ti amato tanto Eddy ma scelse di salvare tutti gli altri."

Edward era pallido e tirato, la camicia bianca sgualcita, il gilè sbottonato, la cravatta allentata. La verità bruciava come il fuoco, la testa era vuota, il cuore rotto, il corpo senza forza. La sua voce si fece cupa, balbettò fiacco. "Sai dov'è mio fratello Steve, ora poi andare zio."

"Figliolo ti prego cerca di reagire." William si alzò di scatto cercando di bloccargli la strada.

"Grazie, ma va bene così, voglio stare un po' da solo." 

 Edward, infilò il cellulare nella tasca dei calzoni, non prese nemmeno la giacca e a grandi passi uscì, senza che lo zio potesse fermarlo.

 

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Capitolo 46
*** Tomento ***


John si era preoccupato quando aveva visto sul cellulare la chiamata di Nora, lei era un fiume in piena.

Edward era uscito dal suo ufficio verso l'ora di cena dopo aver incontrato sir William, li aveva sentiti discutere animatamente.

Era sorpresa perché se ne era andato senza giacca, praticamente in camicia, l'aveva chiamato ma lui non l'aveva nemmeno sentita. Aveva cercato di rintracciarlo al cellulare, ma non aveva avuto risposta.

Sir William se ne era andato poco dopo, l'aveva salutata a testa bassa, senza aggiungere nulla.

Roberts tranquillizzò Nora che lo avrebbe cercato. Provò subito a chiamarlo ma il cellulare andava in segreteria, decise di sentire sir William per capire cosa fosse successo.

Il vecchio Cooper fu poco loquace ma ammise di aver discusso con Edward e che lui aveva reagito male.

Troppo sconvolto per la reazione del nipote, se ne era andato senza far visita a Steve. Alla fine ammise che Edward ora sapeva una verità scomoda e gli chiese di assicurarsi che stesse bene.

John, irritato chiuse la conversazione, imprecò sottovoce. Lui era sconvolto!

Ed Edward che era scomparso non era una preoccupazione maggiore?

Lo doveva trovare in fretta perché erano passate oltre tre ore. Avvertì in clinica che seguissero Steve senza allarmarlo, facendogli credere che si era attardato con il fratello nel suo ufficio.

Si era fatto tardi, era buio e freddo, rabbrividì pensando a quello che poteva passare nella testa del suo amico, quella verità che lo turbava sempre di più, e lui in quel momento era fragile.

Si ricordò di quella applicazione che gli aveva installato Steve che serviva per rintracciare i cellulari attivi.

Pregò Dio che Edward non lo avesse spento e con il cuore in gola la avviò.

C'era! Ringraziò la buona sorte ma quando vide da dove proveniva il segnale si sentì gelare il sangue, perchè individuava il luogo vicino alla torre di lancio.

Si massaggiò la mano ferita, strinse le labbra e prese una giacca, sperando che ne avesse bisogno, che non avesse fatto qualcosa di stupido. Tremò e uscì respirando appena.

La torre, che era stata limitata all'accesso si stagliava nel buio della notte. Mentre si avvicinava aveva il cuore a mille, aveva paura, una fottuta paura che Edward avesse ceduto alla pressione per quello che era successo e soprattutto che non avesse tollerato le rivelazioni dello zio.

Fu allora che vide la magra figura di Cooper seduta sulla panchina sotto la torre. Deglutì a vuoto e il suo cuore danzò nel petto: era vivo. Si avvicinò senza fare rumore, il suo amico era immobile e fissava la torre.

"Ciao Edward, ti ho cercato ovunque." Lui non si girò, ma un leggero movimento del capo gli fece capire che c'era. Era in camicia che di certo non lo proteggeva dal freddo, tremava senza rendersene conto, e sembrava assente.

John fu cauto, aspettò prima di sedersi al suo fianco, cercò di essere divertente, impostò la voce.

"Se volevi morire c'erano modi più rapidi per farlo. L'ipotermia è lunga e spiacevole, credimi."

Edward scosse la testa, sembrò avvertire la sua presenza ed era già qualcosa.

"Posso metterti la giacca?" Chiese senza forzarlo.

Non rispose e John lo prese per un sì, gliela appoggiò sulle spalle intirizzite, lui gemette senza distogliere lo sguardo dalla torre.

John prese del tempo, doveva entrargli nella testa che era altrove.

"Ti affascina la torre? Non la trovo così bella da passarci tanto tempo a guardarla, e in piena notte per giunta." Ridacchiò per rendere leggera la conversazione, ma dentro si sentiva in tempesta, doveva portarlo indietro, doveva svegliarlo dall'apatia.

Edward si smosse, tossì, strinse le labbra e abbassò la testa.

Per John era un appiglio prezioso.

"Pensavi di farti un giro là sopra?" Gli chiese cercando di essere leggero. " Che idea, saltare da lì! Pensa se sopravvivevi con tutte le ossa rotte."

Lo vide sorridere e biascicò due parole. "Hai ragione John, immagino mi avresti aggiustato." La voce era bassa, troppo e tossì ancora.

"Prima ti avrei picchiato e poi dopo curato." Ribadì sollevato per avere stimolato la sua attenzione.

Lui ridacchiò. "Tipico da parte tua, scozzese testardo." Mormorò, tremando e continuò quasi afono. "Non so nemmeno come sono arrivato fin qui. È stata Nora a chiamarti vero?"

Reagiva e questo era positivo. "Sì, mi ha detto che eri sparito dopo aver parlato con tuo zio. Immagino ci sia andato giù pesante." Gli sistemò la giacca sulle spalle cercando di coprirlo meglio, le sue braccia sotto la sola camicia erano ghiacciate.

Edward si agitò un po', congiunse le mani sotto al mento. "No, aveva ragione! Ho voluto la verità e ora ne pago le conseguenze, sento solo dolore."

John avvampò, scosse la testa. "Sei Edward Cooper, un bravo comandante, sei l'uomo che vuoi tu, non quello che voleva tuo padre."

John lo vide titubare, poi farsi forza.

"Non sono stato la prima scelta di mio padre, ma un ripiego, lui avrebbe voluto Steve come suo successore, ma io ero debole e plagiabile, quello che si poteva sacrificare nel nome della famiglia." Ansimò e tossì, John gli strinse la mano sana sul ginocchio.

"Sei un bravo fratello e sei mio amico, Edward." Lo affermò con convinzione tanto che il comandante si voltò a osservarlo, una smorfia gli accarezzò le labbra.

"Tu mi brontoli in continuazione, John."

Il dottore ridacchiò e gli si aprì il cuore, ma vederlo così pallido lo allarmò, non poteva rimanere ancora per molto tempo lì fuori, rischiava l'ipotermia.

"E' quello che fa un amico quando si preoccupa, Edward, quindi ora torniamo dentro, io sono stanco e ho già freddo e la mano mi dà il tormento."

Fu convincente, Edward si strinse nella giacca del suo migliore amico. "Hai ragione rientriamo, ti sto massacrando con i miei problemi."

Cercò di alzarsi, ma faticava a reggersi, le gambe erano intirizzite, John lo sorresse come poteva e prese una decisione per non perderlo di vista.

"Stanotte dormi con me, e non sento ragioni." Ribadì con forza, mentre lo aiutava a muovere i primi passi incerti.

"Va bene, tanto sei testardo. Non hai paura dei pettegolezzi?" Ridacchiò mentre si teneva a Roberts cercando di non incespicare.

"No, per nulla, e poi non sei il mio tipo, Edward."

Risero e fu piacevole per John sentire la sua risata. Percorsero il tratto che li portava alle camere con lentezza. Il comandante era infreddolito, ansimava, il dottore non disse nulla, ma lo avrebbe strozzato per come si era ridotto.

Riuscirono a raggiungere la stanza, lo fece accomodare sul letto degli ospiti, prese uno dei suoi pigiami che gli sarebbe stato un po' largo ma era il più caldo che avesse trovato.

"Cambiati mentre cerco di tranquillizzare tutti avvisandoli che ti ho trovato e prendo qualcosa di caldo." Cooper annuì silenzioso alzando appena lo sguardo.

Roberts tornò poco dopo, Edward era seduto sul letto degli ospiti, si era infilato il pigiama ma sopra aveva indossato anche una maglia di John.

"Scusa, te la riporto lavata, ma avevo ancora freddo." Il dottore posò del latte e dei biscotti sul tavolo, lo guardò e borbottò divertito.

"Me l'aveva regalata Neville, ma va bene lo stesso." Si sedettero al tavolo, ma visto che Edward rabbrividiva prese un plaid da dentro l'armadio e glielo posò sulle gambe.

"Prima di scaldarti ti ci vorrà tempo." Brontolò John.

"E' il medico o l'amico che parla?" Chiese il comandante soffiando sulla tazza che scottava.

"Tutti e due, ed entrambi ti prenderebbero a schiaffoni."

Le mani di Edward stringevano la scodella fumante, lo osservava attento.

"Non hai mangiato per colpa mia e ti procuro una marea di preoccupazioni e quella mano è solo colpa mia. Mi dispiace John."

Lui sollevò la mano ferita per aria. "Sono stato io a farlo non tu. Non prenderti colpe inutili Edward, lo fai sempre, smettila."

Cooper mandò giù un sorso di latte caldo. "Sarà come dici, ma ho smarrito la cognizione del tempo e ho perso di vista Steve, avrei dovuto comportarmi in modo responsabile, è mio fratello."

Roberts avvertì il suo senso di colpa che tornava.

"È tranquillo, la caviglia va bene. Mi sono sentito in dovere di avvertirlo, la tua assenza lo aveva allarmato. Mi ha detto di starti vicino, e di dimenticarti di tuo zio."

Edward si fece serio. "Ha ragione da vendere. Ma ero confuso,non so cosa mi sia successo, non so come sono finito lì sotto, ma non avevo intenzioni... non volevo...farmi del male." Mormorò spezzando un biscotto in piccoli pezzi.

John lo tranquillizzò visto che l'aveva trovato sconvolto, non era il caso di farglielo pesare.

"Eri solo disorientato per le parole di tuo zio, avrai tempo per elaborare tutto quello che è successo."

Ripose la sua tazza e riordinò il tavolo, Edward aveva il capo chino.

"Ne parlerete insieme con Steve e questa brutta storia finirà. Domani arrivano Daniel ed Ellen e le cose miglioreranno."

Edward titubò prima di rispondere. "Steve sapeva e non mi ha detto nulla." La voce era appena un soffio.

"Eravate due ragazzini, soli e impauriti, non dargli colpe eccessive. Metti fine a questa storia una volta per tutte. Siete stati manipolati entrambi, prima da tuo padre poi da tuo zio William." Fu veemente ma non si pentì, Edward comprese che aveva ragione, sospirò e si portò le mani sulle tempie.

John, rammaricato si alzò prese due pastiglie dalla borsa. "Ti fidi di me?"

Gli aprì la mano e gli mise le due capsule sul palmo aperto. "Prendile senza protestare." Si guardarono negli occhi, quelli di John erano calmi e trasmettevano una sicurezza addolcita.

Edward non mosse un muscolo, le prese e le mandò giù, finendo il suo latte.

"Bene, ora riposa, non pensare a nulla." Il dottore gli indicò il letto, prese il suo pigiama e andò in bagno a cambiarsi.

Edward aspettò che tornasse, voleva augurargli la buonanotte.

"Mi sarebbe piaciuto avere un fratello maggiore come te." Gli disse sbadigliando, quando uscì.

John scosse la testa e si sentì avvampare in volto, balbettò.

"E a me un ragazzino impertinente da picchiare come te, Eddy."

Edward rise, aveva smesso di tremare, faticava a tenere gli occhi aperti, la testa che ciondolava.

John si sedette al suo fianco, gli sentì il polso, Edward brontolò. "Sto bene."

"Lo vedo, ma ora lasciati andare Eddy, lascia che le medicine facciano il loro dovere. Chiudi gli occhi e pensa a qualcosa di bello." Lui si abbandonò nei cuscini.

"Roses house... Benjamin..i miei fratelli..." Biascicò, il respiro rallentò fino a farsi regolare, presto si addormentò . Roberts lo coprì, quella giornata era stata un disastro e poteva finire nel modo peggiore, invece c'erano tutti, acciaccati è vero, ma vivi.

Rimase sul bordo del letto e lo guardò dormire sereno. La prima volta che lo aveva incontrato lo aveva giudicato un comandante attento e competente ma era di carattere chiuso e arrogante. Al contrario di Steve che era solare e chiacchierone.

Ora sapeva che invece aveva dentro un tormento profondo, che si era manifestato lentamente e che lo stava per travolgere. Ora doveva solo ritrovare sé stesso, e accettare il vero Edward che era.

 

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Capitolo 47
*** Consapevolezza ***



La mattina dopo fu John il primo a svegliarsi, Edward dormiva ancora, con le medicine che gli aveva dato più riposava meglio era.

Si vestì senza fare rumore, e intanto lo osservava, certo era preoccupato per il colpo di testa della sera prima, ma sperava che l'arrivo degli altri fratelli lo avrebbe aiutato a riprendere in mano la sua vita. Lasciò un foglietto sopra al comodino, dove lo avvisava che lo avrebbe aspettato in clinica. Uscì con la divisa di ordinanza mezza storta visto l'impedimento della mano ferita.

Roberts immaginava di trovare Steve in ansia, avrebbe preferito che fosse lo stesso Edward a dargli delle spiegazioni, per ora avrebbe cercato di tranquillizzarlo.

"Sta bene?" Gli chiese Steve sollevandosi dal letto appena entrò nella stanza.

Lui alzò la mano per calmarlo. "Dorme, e sì, sta bene. Ma ieri sera era in pieno black out."

Il Maggiore si lasciò cadere sui cuscini. "Lo zio certe volte non si rende conto del male che gli fa."

John, anche se impacciato dalla mano ferita, gli controllò la caviglia, si preoccupò che non avesse infezioni o febbre.

"Tuo fratello non ha tutta la forza necessaria per affrontare una verità del genere." Osservò la ferita, gli toccò delicatamente la parte gonfia. Steve trasalì.

"Stai andando bene, e stasera ti dimetto." Lo tranquillizzò il dottore.

Cooper si portò le mani sugli occhi, poco gli importava della caviglia.

"Che c'è? Non farmi scherzi, Steve!" Brontolò John.

Lui emise un lamento e mormorò. "Non ho capito quanto avesse bisogno di me."

Roberts gli si sedette al fianco. "Sai, è un paio di giorni che consolo ora uno, ora l'altro di voi due. Cercate di parlarvi, Gesù!" Ridacchiò posandogli la mano sul braccio. "Ora fa il bravo, che poi ti alzi e cominci a girare con le stampelle. Presto arriveranno i gemelli, credo verso le undici." Steve si rincuorò e tolse le mani dal volto.

"John sei la persona migliore che sia capitata alla Cittadella, grazie per occuparti di noi due."

"Anche voi lo avete fatto con me." Sospirò alzandosi. "Non ho mai avuto amici, ho un carattere difficile."

Cooper rise. "Lo so, però a noi va bene lo stesso." Lo guardò attento, si appoggiò alla spalliera del letto.

"Sei sempre in contatto con Ellen? Sa già quello che è successo ieri sera?"

"Diciamo che l'ho avvertita, era giusto che sapesse." Lui annuì. "Sarà Edward a raccontargli tutto."

Gli fece portare la colazione e non si stupì che avesse una fame doppia di quella del fratello.

"Mangiasse così anche Edward!" Sbottò ridendo.

Lui si offuscò un po' e tra un boccone e un sorso gli confessò un'altra verità.

"E probabile che lo zio gli abbia raccontato il perché ha problemi con il cibo."

"E tu come lo sai?"

"L'ho sentito parlare con Mary. Eddy, andò in crisi dopo la morte dei nostri genitori e smise di mangiare, Mary si lasciò sfuggire che i problemi con il cibo erano nati prima che nascessi." Ingoiò un biscotto in fretta e respirò.

"Papà gli toglieva il piatto mentre mangiava per punirlo se non obbediva, lo faceva sentire in colpa. Era sistematico nel farlo, quando la mamma se ne accorse cercò di riparare al danno, ma ancora adesso quando Edward fa degli errori, continua a punirsi e lo riversa sul cibo."

John si morse il labbro. "Vostro padre ne ha fatte di cose sbagliate, tu te ne rendevi conto e lui invece no. Forse adesso inizierà a capire di più sé stesso."

Steve allontanò la tazza. "E ora che lo zio gli ha detto la verità sarà dura per lui, e la reazione l'hai vista ieri sera."

"Perché non glielo dicesti?" Roberts era insospettito.

"Lo zio mi impose di tacere, c'erano altri fratelli da proteggere, mi assicurò che con il tempo sarebbe guarito e invece..."

Si fermò, la testa indietro, fissava il soffitto. "Nessuno dei due parlava di quel periodo e lasciai che la cosa si trascinasse sperando che aprisse gli occhi. Poi divenne quello per cui era stato preparato arrogante e dispotico. Il resto lo hai visto."

John si massaggiò la mano ferita, la famiglia Cooper aveva molti fantasmi nascosti. "Avrete tempo per chiarirvi, solo cerca di essere paziente. Ieri notte non l'ho trovato al massimo."

Chiuse gli occhi e si passò la mano sulla fronte. "Grazie John per averlo sostenuto, mi rode di non averlo potuto aiutare ed essere bloccato qui."

"Sta tranquillo, è tuo fratello, avrà bisogno di te." Roberts sistemò il vassoio con la colazione e

in quel momento sulla porta della stanza comparve Edward.

Steve si sollevò e John si voltò.

"Che avete da guardare? Sono vivo e sto bene." Sbuffò sollevando la mano. Era vestito con cura, il volto riposato.

"Non sparire mai più Eddy." Steve lo redarguì subito. "Mi hai fatto penare, lascia perdere lo zio."

Edward salutò John con un cenno del capo, lui li lasciò soli.

Si sedette sulla sedia vicino al suo letto, si sbottonò la giacca, aveva indossato il solito gilet, Steve sorrise per quel suo vezzo.

"Sono stato io a volere delle spiegazioni, è vero non è stato facile sapere, ma questo potrebbe aiutarmi."

Si fece serio. "Perché hai taciuto? Lo zio ti aveva imposto il silenzio?"

Steve si rabbuiò. "Mi fece credere che fosse la cosa giusta per continuare a stare insieme, e allora pensai che avesse ragione. So di essere colpevole Edward, ma tu vedevi solo il bello di papà, non avevi ricordi del male che ti aveva fatto. Chi poteva immaginare che il padre amorevole che idolatrava Benjamin fosse lo stesso che mi picchiava."

Si lasciò cadere all'indietro. "Anche Ellen e Daniel sapevano poco o nulla."

Edward gli accarezzò la mano che stropicciava il lenzuolo.

"Parte dei ricordi mi tornano, e prendo coscienza che fosse solo un uomo mentalmente disturbato soggiogato dal nonno, sir Geoffrey."

Steve si sollevò. "C'era quasi riuscito anche con te. Sei stato arrogante e dispotico, ma recitavi la parte che ti era stata imposta, la tua fragilità ti ha protetto e hai cominciato a dubitare." Sospirò. "Ci hai sempre voluto bene." Steve lo afferrò per le mani.

"Non ci provare più a fare la stupidaggine di ieri notte." Le lacrime gli scesero lente, la voce tremante. "Ne morirei Eddy."

Il fratello lo abbracciò forte, non riusciva a calmarsi. "Smettila Steve, devi aiutarmi, non sarà facile per me, devi starmi vicino"

"Tutti ti saremo accanto." Steve si asciugò le lacrime. "Non chiuderti in te stesso. Parlami, se siamo uniti ce la faremo."

Edward lo liberò dall'abbraccio. "Ora tu pensa a guarire, voglio vederti correre più di prima. Devo andare, sta per arrivare il resto della famiglia."

Steve ridacchiò. "Penseranno che siamo un disastro, Eddy."

Il comandante gli batté la mano sulla spalla. "Beh, hanno ragione da vendere, ma ora le cose cambieranno. Tu vedi di guarire in fretta."


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Capitolo 48
*** Tornare a casa ***


Edward entrò nello studio di John, lui si era tolto il camice e si stava sistemando la divisa, iniziava a muovere meglio la mano. Certo in nodo della cravatta era sbilenco, Cooper sorrise, si avvicinò e lo aiutò maneggiando con perizia la stoffa.

"Come stai?" Gli chiese Roberts, mentre aspettava che lo sistemasse.

Lui lo redarguì con un'occhiata severa. "Bene, ho dormito come un bambino, immagino grazie alle pillole." Ridacchiò inclinando il capo di lato. "Mi hai praticamente sedato."

John lo canzonò. "Hai russato, non ti sei nemmeno mosso."

Roberts si lamentò del nodo troppo stretto. "Mi stai soffocando, odio le cravatte che tu ti ostini a portare."

"Devo, fa parte della divisa, e sono il comandate." Cooper gli allungò uno scappellotto affettuoso sulla spalla, strinse le labbra, la voce si fece incerta.

"Grazie per ieri sera, se non mi avessi cercato, io.....non so se..."

"Non pensarci, è passata, ora avrai il sostegno della famiglia." Lui abbassò la testa e annuì.

"Hai ragione, scozzese testardo, devo andare avanti." Afferrò i berretti e porse a John il suo.

Uscirono dallo studio con una nuova consapevolezza.

"Ti sei chiarito con tuo fratello?" Gli chiese mentre si avviavano verso il campo di atterraggio.

Lui annuì. "Certo, so di non essere ancora stabile, ma ora che sono tutti qui mi sento meglio."

Proprio in quel momento l'elicottero comparve, atterrò con una manovra da manuale. Era proprio Daniel che lo portava.

Edward aspettò che fossero in sicurezza, fece un profondo respiro, aveva una gran voglia di rivedere i suoi fratelli. Roberts lo osservava con attenzione.

"Smetti di tremare Eddy, tra poco li abbraccerai."

Sentiva dentro la stessa emozione del suo amico, e poi avrebbe visto Ellen con cui aveva instaurato un rapporto reciproco di lunghe conversazioni al cellulare.

Il comandante cercò con lo sguardo sua sorella. La vide e sussultò. Ellen gli era mancata molto, ammirò la sua figura snella, la sua sicurezza, il suo portamento elegante, gli piaceva come l'aria le scompigliava i capelli castani. Non indossava la divisa, era di spalle e parlava con Daniel.

Fu orgoglioso di vedere il fratello più giovane dirigere le operazioni di scarico, aveva acquisito autorevolezza, era diventato un pilota esperto

Si sbracciò per salutarlo con la mano aperta, lui toccò la spalla di Ellen e la fece girare. Quando Edward la vide in volto rimase senza fiato.

L'aveva immaginata e sognata un'infinità di volte, e si era rammaricato di aver seguito gli insegnamenti del padre, di essere stato prepotente e arrogante con le loro scelte di vita.

Ellen lo raggiunse a passo veloce, avida di abbracciarlo.

Cooper non si mosse, non fece nulla se non aprirle le braccia, gli si buttò contro appena lei fu vicina. Quel contatto lo fece sussultare, gli piantò la faccia sulla spalla, la abbracciò da farle male, le disse frasi incomprensibili.

"Eddy mi stringi troppo!" Ellen lo allontanò con delicatezza e intanto guardava il volto rilassato di John che annuiva soddisfatto, l'aveva messa al corrente di quello che era successo con una precisione maniacale.

Lui si staccò, ogni orgoglio messo da parte. "Scusa sorella, sono un casino in questo periodo." Aveva gli occhi lucidi e tremava parecchio.

"Sta tranquillo, Roberts mi ha già detto tutto." John si massaggiava la mano ferita e si allontanò di un passo.

Il fratello maggiore era incapace di rispondere, lei gli accarezzò il volto e lo abbracciò ancora. Daniel che aveva visto la difficolta di Edward lasciò cadere i borsoni, li raggiunse e lo strinse per le spalle, lo tenne vicino cingendolo da dietro.

"Eddy ti prego, rilassati ora, sei la nostra roccia, non scordartelo mai." Erano stretti tutti e tre come un unico corpo. Il comandante biascicò appena due parole.

"Una volta forse lo ero, ora non più." Rimase con il volto nascosto, affondato sul corpo della sorella. Daniel teneva le mani sulle sue spalle magre.

"Edward, sei mio fratello comunque." Daniel gli accarezzò la nuca.

Ellen lo staccò, gli prese il volto per guardarlo meglio.

"Siamo qui per te e per Steve. E non ce ne andremo." Edward annuì, con un sorriso incerto.

Daniel ribadì. "Siamo stati lontani, ma la nostra casa è qui. Con voi due."

Li osservò, il suo cuore si placava nel vederli così risoluti, perché si rendeva conto quanto avesse bisogno di loro.

"Scusatemi per il male che vi ho fatto." Abbassò la testa, ma Ellen gli sollevò il mento e lo baciò sulla guancia.

"Sei perdonato ampiamente fratellone, avrai tempo per guarire perché noi ci saremo."

Ridacchiò sorpreso per tanta comprensione e aggiunse per giustificarsi. "Sono un casino sorella, ne ho combinate abbastanza, chiedi a John." Roberts li guardava rasserenato e rispose tranquillo.

"Edward è un po' fuori fase, ma ora ha l'aiuto di cui aveva bisogno."

"Grazie, sei stato un ottimo amico e anche un bravo medico, John."

Lei gli regalò un sorriso che gli scaldò il cuore, Roberts sentiva di aver fatto la scelta giusta nel riportarli a casa, la giovane tornò a puntare i suoi occhi chiari sul fratello.

"Qualunque cosa sia successa con papà, tu sei e sarai sempre il mio fratello responsabile e attento."

Il comandante respirò per prendere fiato. "La mia testa è in confusione, vi voglio bene, ma non sono più l'uomo che conoscevate."

La sorella gli afferrò il volto con le mani, lo scosse e gli ribadì con forza.

"Sei il mio sensibile e delicato fratello maggiore, ma sei anche il Generale che ha fatto grande la Cittadella, piantatelo dentro in questa zucca dura." Le puntò l'indice sulla fronte, e risero quando lui indietreggiò per la troppa foga di Ellen.


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Capitolo 49
*** Epilogo : la nostra famiglia ***


Edward accompagnò Ellen e Daniel in clinica per incontrare il fratello, Steve era impaziente e faticarono a tenerlo fermo, continuava a saltare giù dal letto, tanto che John minacciò di non dimetterlo se non avesse imparato a camminare con le stampelle senza appoggiare il piede ferito.

Per non affaticarlo avevano pranzato nella sua stanza imbastendo un tavolo di fortuna, Roberts aveva brontolato un po', ma poi vedendo la gioia negli occhi dei fratelli aveva acconsentito.

Per buona parte del pomeriggio Steve, si era esercitato a camminare senza appoggiare la caviglia, era diventato abile a saltellare come un grillo, pur di tornare a Roses House la sera stessa.

"Difficilmente lo terrai fermo caro dottore." Lo rabbonì il comandate indicando i suoi fratelli che cercavano di fermare Steve mentre andava avanti e indietro nella camera.

John scosse la testa, Ellen si era già arresa e si era seduta sul letto. Daniel brontolava cercando di afferrarlo in caso fosse inciampato.

"Allora ti fermi, o ti devo sedare? Lo sai che ti dimetto stasera, fai il bravo." Lo sgridò John che si era stancato di quel baccano.

Edward andò in soccorso del suo amico medico.

"Fa come ti dice, o dovremo restare tutti alla Cittadella, ti ricordo che Mary ha preparato lo stufato con le verdure per cena." Steve si bloccò, fissò il fratello maggiore.

"Lo stufato?" Chiese interessato e si buttò prontamente sul letto.

"Vedi John? La parola magica è stufato con le verdure."

Risero redarguendo Steve, Ellen lo aiutò a sistemarsi nel povero letto disfatto e Daniel si buttò sulla poltrona sbuffando sfinito.

Edward sghignazzò conoscendo l'irruenza del fratello, li avvertì che doveva vedere Nora e li lasciò nella stanza.

Il dottore lo seguì, ma prima fece le ultime raccomandazioni al ferito.

"Riposati che li hai stremati tutti e due."

"È incorreggibile." Brontolò divertito Edward mentre chiudeva la porta della stanza.

Percorsero il corridoio prima di raggiungere l'ufficio di Roberts.

"Come va Eddy?" Gli chiese garbatamente l'ufficiale medico.

Senza sollevare la testa, Cooper rispose cedendogli il passo. "Meglio amico mio, mi sento finalmente sereno."

Un sorriso aperto comparve sul volto di John. "Bene e questo mi rende felice. Ma se ti senti in difficoltà, non esitare a parlarne."

"Lo farò, sei un buon amico, scozzese testardo. Non ti ripagherò mai abbastanza per quello che hai fatto."

"Anche gli sbagli e le forzature a cui vi ho sottoposto?" Chiese John fermandosi davanti alla porta del suo ufficio.

"Lo hai fatto per aiutarci, pensa invece al dolore che ti abbiamo provocato, siamo stati dei pazienti difficili in un certo senso." Cooper gli strinse il braccio, si fece serio.

"Ma tu invece come ti senti? A parte la mano, lo sai che abbiamo già discusso della tua salute."

Roberts strinse le labbra, sapeva che il suo amico si preoccupava ancora per quell' episodio di giorni prima.

"Ho fatto come ti ho promesso, mi sto prendendo cura di me." Edward lo scrutò attento, poi concluse.

"Bene, tu mi hai aiutato e io aiuterò te, quindi contaci."

Gli sorrise ammiccando. "E poi adesso puoi contare sul aiuto di Ellen..."

John arrossì. "Che vuoi dire?" Chiese contrariato.

"Nulla, amico mio, vedremo col tempo, ora lasciami andare da Nora."

Roberts non fece in tempo a replicare, Cooper alzando la mano lo salutò e a passo veloce si diresse verso la dirigenza.

Nora, lo vide arrivare e si alzò per andargli incontro, ma lui la fermò e la raggiunse vicino alla porta del suo studio. Senza indugiare esordì.

"Grazie, per la tua pazienza, non mi hai mai abbandonato e se sono vivo è per merito tuo, se non ti fossi preoccupata, John non sarebbe intervenuto." Le prese la mano e la tenne nella sua, un gesto inusuale che scaldò il cuore della donna.

"Non potevo lasciati andare in quelle condizioni Edward, lo sapevo che soffrivi." Lei gli accarezzò la mano stretta alla sua. "Sei un brav'uomo, comandante."

Imbarazzato come uno scolaretto mormorò. "Sabato prossimo andiamo a cena, se vuoi naturalmente."

Lei acconsentì con un sorriso luminoso sulle labbra. "Certo, accetto volentieri."

"Grazie, Nora. Lo sai che sono un po' imbranato con i sentimenti, ma cercherò di riparare." Fu lei ad arrossire, Edward si avvicinò.

"Ci vediamo tra un paio di giorni, voglio stare con la mia famiglia." Nora gli accarezzò la guancia.

"Mi occuperò di tutto, sta tranquillo."

Erano vicini, i loro volti si sfioravano, le labbra di Nora lo attiravano e lei non si ritrasse, fu un bacio leggero che fece fremere entrambi.

"Non mi tirerò indietro, mia cara, stavolta ci sarò." La donna lo baciò ancora, Edward la strinse a sé e la coccolò sul suo petto. "Ho lasciato passare troppo tempo, scusami, ma ero confuso e stupido."

Nora si staccò a malincuore dal suo abbraccio.

"Ora va, mio comandante, ti aspettano. Rimani sereno."

--------------

La sera stessa i Cooper andarono a Roses House per stare tutti insieme, con loro c'era anche John che aveva dimesso Steve in serata. Lo portarono fuori dalla clinica in carrozzina, e alla fine reggendosi con le stampelle salì sulla Ford scura di Edward.

Lo fecero sedere nella parte posteriore con la gamba distesa per non affaticarlo nel viaggio. Tutti gli altri salirono nella vecchia auto del dottore.

Edward guidò attento cercando di evitare sobbalzi.

Steve per un po' rimase silenzioso, poi ridacchiò, era da un pò che osservava il volto del fratello maggiore riflesso sullo specchietto retrovisore.

"Era ora che ti decidessi Eddy." Sbottò improvvisamente.

Edward fu sorpreso da quella frase. "Cosa ho fatto?" Chiese sospettoso.

"Hai un po' di rossetto sulle labbra, quello di Nora direi."

Lui si guardò sullo specchietto senza distrarsi, e Steve rise.

"Non so come farà a sopportarti, Eddy, ma è la donna giusta per un inguaribile scapolo in carriera come te.."

Gli allungò una manata sulla nuca e sghignazzò senza freno.

Il fratello maggiore diventò rosso come un pomodoro maturo e non rispose.

Steve, appurato che aveva ragione, canticchiò felice fino all'arrivo, massacrando le povere orecchie di suo fratello che sopportò senza fiatare.

Gli altri erano già arrivati, aiutarono Steve a scendere. Si fermarono ad ammirare la bellezza di Roses House al tramonto.

La villa maestosa si stagliava dolce e austera davanti a loro, piena di ricordi piacevoli ma anche dolorosi. Il prato curato, le siepi, gli alberi e il roseto in lontanaza la rendevano unica.

Salirono le scale insieme sorreggendo Steve, ma lui si impuntò e usando le stampelle salì i pochi gradini dell'ultima parte, lo lasciarono fare perché aveva forza da vendere.

Edward li seguiva tranquillo, John non lo aveva mai visto tanto sereno, ma lo erano tutti e lui più di loro. Nessuno aveva la divisa, le avevano lasciate da parte in quella serata di riappacificazione.

Mary quando li accolse, si profuse in abbracci e pianti, ci misero del tempo per calmarla.

La serata fu piacevole, cucinarono insieme, ognuno con un compito diverso. Parlavano e ridevano come non succedeva da tempo, cenarono con il cuore leggero. Edward divorò tutto con un appetito che non aveva da mesi.

Ellen si era seduta accanto a John, lo aiutava con le posate visto l'impedimento della mano e parlottavano spesso, c'era uno strano filling tra loro, il dottore aveva passato molto tempo in chiamate e lunghe conversazioni con lei e questo li aveva avvicinati.

Daniel, il più giovane seduto tra i due fratelli, dava pacche di intesa ora a Steve, ora al fratello maggiore.

Il giovane sussurrò ai due complici. "Ellen parla spesso di John, se continua così temo che diventerà nostro cognato, capite.... il ramo scozzese della dinastia."

Ridacchiarono complici, Edward sentiva il cuore sciogliersi per il suo amico, gli voleva bene e sua sorella era perfetta per lui, il dottore li guardò torvo.

"Che state complottando voi tre?" Sbuffò irritato.

Ellen gli appoggiò la mano sul braccio sano.

"Lasciali fare i tre satiri!" La sorella li fissò scuotendo la testa. "Lo aiuto per la mano, stupidi."

Roberts brontolò, ma in realtà godeva del contatto di Ellen, era la prima volta dopo tanto tempo che gli piaceva sentirsi avvolto dalle cure di una donna.

Fu in quel momento che sentirono un'auto arrivare.

Edward capì subito, si alzò contrariato e andò verso la veranda.

Tornò in cucina, tutti lo fissarono preoccupati.

"Zio William è qui, vi prego rimanete calmi e siate pazienti."

La sua voce era bassa, ma aveva un piglio risoluto che li convinse.

Il vecchio parente salì le scale con lentezza, Edward lo attese nella terrazza coperta dai rami dei glicini.

"Ciao, nipote." Erano uno di fronte all'altro. "Credo di doverti delle scuse, anche se non basteranno a lenire tutti i dolori che tuo padre e io ti abbiamo inflitto."

Il comandante rimase al centro della veranda. Lo zio si sedette sulla sedia di vimini.

"Mi sembra che non ci sia altro da dire, zio."

Lui alzò la mano per scacciare un fantasma, sembrava stanco.

"Concedimi almeno una parte di perdono, non lasciarmi fuori dalla tua vita." Biascicò sconfitto.

"Lo so che ho sbagliato, ma Anthony era mio fratello e ho cercato di aiutarlo."

Il comandante lo studiò, infilò le mani nelle tasche, dondolò il corpo magro.

"Avresti potuto farlo in modo diverso, ma ormai tutto appartiene al passato e io voglio dimenticare."

Edward non se ne avvìde, ma la prima ad arrivare fu Ellen che si sistemò al suo fianco, Daniel invece lo coprì dall'altro lato.

"Ciao zio, come vedi siamo tornati." Ellen scandì le parole lentamente ma decisa nel chiarire la situazione.

Il fratello maggiore rimase confuso per quel sostegno inaspettato, si sentì orgoglioso.

Zio William guardò sorpreso ora l'uno ora l'altro dei due gemelli, abbassò la testa.

"Vedo che avete lasciato da parte tutti i rancori."

Ellen appoggiò di proposito la mano sulla schiena di Edward, mentre Daniel sia avvicinò di più al suo fianco.

"Sì, zio, siamo cresciuti tutti te lo garantisco, e abbiamo sofferto." Replicò Daniel.

Il comandante li lasciò fare, guardava lo zio dritto negli occhi.

"Vedo che hai l'appoggio dei gemelli, forse sono più maturi di tutti noi." Sentenziò il vecchio Cooper.

Edward si sentì forte nella sua posizione di fratello maggiore, rispose con durezza.

"Siamo diventati tutti più responsabili dopo aver ammesso una verità scomoda, ho sbagliato è vero, ma ora mi sono vicini, perché abbiamo imparato a perdonarci, è una cosa molto semplice da capire, zio."

Daniel portò la mano sulla spalla di Edward, e lui sentì tutto l'affetto del fratello più giovane diventato uomo arrivargli fino al cuore, non tremò, né si commosse, e si sentì protetto.

Sir William li scrutò attento e sorrise.

"Ciò che vostro padre ha voluto fortemente con la forza e i sotterfugi, voi invece lo avete conquistato con il cuore." sir William si passò la mano sulla fronte.

"Non biasimatemi, allora feci quello che ritenevo giusto."

Ellen intervenne. "Ora sappiamo cosa hanno passato Edward e Steve, e sta a noi aiutarli." Fu secca e decisa.

Il comandante si fece forza. "Non sono l'uomo che mio padre voleva diventassi, non mi appartiene la follia di nonno Geoffrey, né quella di Anthony."

Sir William si fece scuro in volto. "Era mio fratello, e sai cosa ha subìto, non scordartelo." Grugnì.

"Avresti potuto aiutarmi e invece mi hai lasciato nelle sue mani facendomi credere che il suo era amore, ma non lo era zio, non lo fu mai." Le mani del comandante si strinsero a pugno.

Steve che era stato in disparte sorretto da John, vide la difficoltà di Edward, si staccò trascinandosi sulle stampelle e raggiunse i fratelli, si portò davanti, tra loro e lo zio.

La voce dura e minacciosa.

"Io e Eddy abbiamo già sofferto abbastanza, zio, lasciaci soli." Si aggrappò alle stampelle, le mani sbiancarono.

Erano tutti schierati, Edward era al centro e tutti loro attorno, come uno scudo a sua protezione.

John li guardò con il cuore colmo di orgoglio, l'unione e la comprensione reciproca li rendevano solidali.

Proteggevano Edward dal dolore di anni di solitudine, dalle paure che lo avevano cambiato, e lui si sporse per sostenere Steve come per condividere il dolore fisico che aveva sopportato da bambino, lo resse per non fargli pesare la gamba ferita.

Daniel ed Ellen fecero un passo in avanti e si unirono a loro.

Il maggiore dei Cooper sentì svanire la rabbia, il suo cuore farsi leggero. Le mani calde e amorevoli di Ellen e Daniel che lo sostenevano e lui che a sua volta sosteneva Steve. Erano loro la sua forza, si girò verso John e lo chiamò con un muto gesto di intesa.

Lui capì e si avvicinò, ora si sentiva parte di loro.

Era l'amico perfetto, rude e sincero. Si era preso cura di due persone allo sbando ed era rimasto benché avesse sofferto anche lui.

Sir William, scosse la testa.

"Ci sei riuscito Edward, li hai tenuti stretti, e senza imporgli nulla li hai riportati a casa, ora hai la famiglia che volevi. Ma siete sempre i miei nipoti, e aspetterò il vostro perdono."

Sospirò rassegnato.

"Ricordatevi che una parte di Anthony era sana, lui ha dovuto lottare con i suoi fantasmi. Guardate all'amore che aveva per il piccolo Benjamin, anche se arrivò nell'ultima parte della sua vita."

Si voltò per andarsene, Edward lo fermò con la voce addolcita, perché il ricordo del piccolo fratellino gli mordeva ancora il cuore.

"Zio lo sappiamo che fu un padre amorevole con Ben, ma non possiamo dimenticare il male che ci ha fatto. Forse con il tempo lo perdoneremo ma non ora."

William si fermò a guardarlo e un guizzo di orgoglio gli balenò negli occhi.

"Tuo padre ha sbagliato con te Edward, ma essere la persona sensibile che sei, ti ha aiutato nel compito di essere un buon fratello maggiore, rimani sempre così ragazzo mio."

Il vecchio Cooper si voltò e se ne andò scendendo lentamente le scale.

Erano tutti compatti, stretti intorno al fratello maggiore.

"Mi state soffocando, ragazzi, andateci piano." Ma era felice mentre li sentiva vicini.

John defilato li guardava al settimo cielo. Perfino Steve faticava a rimanere in piedi in mezzo a quella bolgia. Presero a ridere, quando lo videro saltellare e quasi cadere addosso a Edward. Ma lui lo afferrò, si prese il peso del fratello fra le braccia.

"Stupido." Gli mormorò con gli occhi lucidi. "Vuoi cadere e farti ancora del male ?"

Steve lo abbracciò forte. "Mai quanto il dolore che ci portiamo dentro da anni."

Edward li guardò a uno a uno, la sua voce rassicurante li avvolse.

"Vi voglio bene, non c'è stato un solo giorno che non abbia sperato di riavervi tutti a casa nel nome della nostra traballante famiglia, e ora siamo qui."

La terrazza di Roses house era illuminata dalla luna piena. Erano tutti riuniti in veranda: Edward, Steve, Daniel, Ellen, con l'affetto di John e Mary e ridevano e conversavano con il cuore leggero.

La bufera era passata, il male era lontano, i ricordi dolorosi sepolti.

Quello che rimaneva era la parte migliore di loro

e dell'essenza del piccolo Benjamin,

che inconsapevole della tradizione del nome della famiglia,

correva per sempre felice attraverso il roseto del vecchio maniero.

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Grazie per la vostra pazienza e per le vostre letture.


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