Così come sei

di Mahlerlucia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Crisalide ***
Capitolo 2: *** Farfalla ***



Capitolo 1
*** Crisalide ***


 
Manga/Anime: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life
Rating: arancione
Avvertimenti: Lemon, Spoiler! Tematiche delicate, What if?
Personaggi: Rintarō Suna, Osamu Miya (Atsumu Miya)
Pairing: #SunaOsa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi


 
 

1. Crisalide
 
 
 
 
Tokyo, luglio 2021
 
 
I barattoli contenenti i condimenti e le varie spezie erano già stati disposti in tre maniere differenti e, ovviamente, nessuna delle tre era risultata soddisfacente agli occhi di un sempre più distratto Miya Osamu. Non lo aveva convinto nemmeno l’ordine di grandezza spesso suggeritogli da Atsumu quando arrivava a rendersi conto di quanto il fratello si stesse pericolosamente avvicinando all’ossessione. 
Il vero problema, in realtà, stava proprio nella sua testa e non aveva nulla a che fare con qualsiasi cosa potesse riguardare la riuscita dello stand vissuta sino a quel momento al pari di un diversivo.

‘Un gemello basta e avanza’
Mi vieni a dire questo dopo tutto quello... dopo che noi... dopo tutti questi anni... Sumu, se ti azzardi a… ma che vado a pensare? Posso arrivare a non fidarmi di mio fratello?

Il commesso che solitamente si occupava del principale punto vendita di Kobe di tanto in tanto buttava un occhio sul proprio capo per capire se ci fosse qualcosa che non andasse, anche al di là del semplice lavoro da svolgere. Pur non avendo il coraggio di domandarglielo direttamente, gli sarebbe dispiaciuto far finta di nulla a fronte di uno sguardo tanto corrucciato accompagnato da innumerevoli sospiri e da qualche sporadico schiaffetto tirato sulla fronte allo scopo di scacciare l’ennesimo assurdo giudizio emesso implicitamente.
Osamu si accorse della sua presenza solamente nel momento in cui si ritrovò il suo braccio teso, pronto a porgergli il suo stesso smartphone intento a suonare all’impazzata. Si limitò ad accertarsi che non si trattasse di Rintarō e buttò giù la chiamata; chiaramente si trattava di Atsumu e di sicuro non aveva  nulla di urgente o d’intelligente da dirgli, specie se era al corrente del suo brevissimo incontro con l’ex centrale dell’Inarizaki.

“Non era una chiamata importante?”

Call center.”

“Ah, capisco.”

“Senti Kousei-kun, occupati tu di sistemare il resto. A fine settimana extra assicurato. Ma tu ricordamelo, visto che ultimamente ho un po’ di pensieri. Io vado a fare due passi. A dopo.”

“Oh, d’accordo. Non si preoccupi Miya-san, penserò a tutto io.”

“Dammi pure del tu, non sono poi tanto più vecchio di te, sai.”

“Ah... certo! Mi scusi... anzi, scusami!”

E se vuoi chiamami pure ‘gelataio’, già che ci sei.
 
 
***
 
 
Inarizaki Kōkō, settembre 2012
           

I discorsi relativi al futuro diventavano sempre più frequenti tra i fratelli Miya, al punto che la divergenza di pensiero aveva cominciato a prendere sempre più spesso il sopravvento, talvolta arrivando sino all’insulto pesante o alle prese di posizione forzate, anche a suon di prevaricazione fisica.
Atsumu non riusciva a vedere il suo futuro se non designato all’interno del rettangolo di gioco, persino a discapito del proseguimento dei suoi studi. Osamu, al contrario, si stava avvicinando al mondo della ristorazione, così come a quello dell’economia e del commercio. Non ne aveva fatto ancora parola con nessuno in maniera esplicita, anche perché era sempre stato estremamente convinto del fatto che entrambi i suoi genitori avrebbero approvato; di contro, non avrebbe di certo potuto dire lo stesso di suo fratello e dei suoi attuali compagni di squadra.

In un’apparentemente tranquilla mattinata d’inizio autunno i due fratelli si erano dati appuntamento in cortile per cercare di venire a capo di una discussione lasciata in sospeso la sera precedente, tra le quattro mura della villetta a schiera in cui abitavano a solamente un paio di chilometri di distanza dall’istituto. Come accadeva oramai da diverse settimane, l’alzatore aveva nuovamente provocato il fratello a proposito dell’indecisione che aveva mostrato nel corso degli allenamenti e in fase di gioco. Lo aveva accusato di non credere fino in fondo nel suo ruolo in campo e di considerare la pallavolo al pari di un passatempo da liceali, un capriccio che una volta diplomato lo avrebbe abbandonato allo stesso modo con cui si era fatto largo all’interno della sua routine quotidiana.
Osamu non era mai arrivato ad affermare tanto di fronte ad Atsumu e mai si sarebbe azzardato a farlo, ma l’insofferenza che mostrava ad ogni appunto dell’alzatore non poteva lasciargli intuire altro.
Pativano l’uno per l’altro e per la tremenda sensazione di mancanza d’appoggio morale reciproco; sensazione che, in realtà, il più delle volte rimaneva tale. A diciassette anni avevano già recepito che, una volta concluso il liceo, non avrebbero più camminato l’uno a fianco all’altro, per quanto questo non stesse a significare nulla di definitivo circa il loro imprescindibile legame. Ed era proprio quest’ultimo che scatenava nell’animo di entrambi una rabbia tale da renderli simili a delle bestie capaci di azzannarsi facendosi del male. Dentro e fuori.

Erano stati spediti nell’ufficio del direttore dopo essere stati ripresi da un insegnante a sua volta avvisato da un paio di senpai del terzo anno. Ma prima ancora erano dovuti passare entrambi per l’infermeria, con l’aggravante di doversi subire nuovamente gli sgradevoli commenti dell’assistente di turno.
Il giorno seguente sarebbero stati sospesi e questo avrebbe influito di almeno un punto sulla valutazione finale relativa alla loro condotta scolastica. Il rischio bocciatura era dunque a un passo e non restava altro che appellarsi agli esami di fine quadrimestre per cercare di sopperire al futile danno oramai commesso.

“Oi, Samu!”

Suna Rintarō cercò di richiamare l’attenzione di Osamu, suo compagno di classe, mentre fissava – senza realmente guardarle – le punte delle sue All Stars, standosene seduto ai bordi di un’aiuola appena fuori dal cancello della scuola. Non aveva alcuna intenzione di percorrere la strada del ritorno assieme ad Atsumu e per questo aveva deciso di fermarsi ad aspettare qualche minuto lasciando che lo precedesse.

“Oi, Rintarō.”

“Solito disastro?”

Miya fece schioccare la lingua come a voler allontanare quella domanda dal sapore volutamente retorico e provocatorio. Se tutta la scuola era a conoscenza di ciò che era avvenuto solo poche ore prima nel cortile, non poteva credere che uno come Suna fosse rimasto a digiuno dei dettagli del succulento spettacolo.

“Strano che non fossi lì a mandarci direttamente in mondovisione mediante i tuoi adorati social.”

Quel commento fu recepito dal nuovo arrivato al pari di un sasso lanciato in piena fronte e arrivato direttamente dal fondo della scarpa dell’altro. Scarpa dentro la quale era stato trattenuto fin troppo tempo.
Cercò di non darlo a vedere, per quanto in cuor suo sapesse che le sue parole trasudavano verità mista a iracondia. Una rabbia che continuava a essere rivolta solo ed esclusivamente ad Atsumu, ma che necessitava di ulteriori valvole di sfogo per potersi liberare dalla gabbia dentro la quale si sarebbe solo espansa a dismisura senza alcuna possibilità di essere ascoltata.

“Un membro del club di fotografia mi aveva chiesto un favore. Insomma, stavo comunque facendo delle foto, non ti preoccupare per questo. Anche per oggi la mia fame di gossip è stata doverosamente saziata.


La punta di sarcasmo che trapelò da quella prolissa giustificazione fece rinsavire Osamu. Il suo sguardo vacuo tornò a ravvivarsi e passò rapidamente dal marciapiede alla figura alta e slanciata del proprio compagno di banco. Non fece però in tempo ad arrivare sino al suo viso che il diretto interessato lo anticipò accovacciandosi a pochi centimetri da lui, cogliendolo totalmente di sorpresa. Di soppiatto gli posò una mano sotto il mento e gli sollevò appena il capo, facendosi rapidamente un’idea di quanto fosse ridotto male il suo viso a causa dell’irascibilità del fratello. Ogni graffio risaltava ai suoi occhi come una dichiarazione d’affetto inespressa, così come ciascun livido richiamava alla sua mente tutti quegli incoraggiamenti tanto attesi e mai dichiarati.

“Ah...”

“Ti fa male?”

“Tu che dici?”

“Perché continui a dargli tutta questa soddisfazione?”

“Soddisfazione?! Quale soddisfazione?! Ma se non fa altro che ripetere che gli sto smontando ogni progetto per il futuro! Sì, il suo futuro!”

E proprio questo il punto.

Rintarō avrebbe voluto dare manforte al suo punto di vista condiviso, ma preferì tacere per mantenere salda la promessa che aveva fatto in primis a sé stesso: non si sarebbe mai intromesso nelle questioni personali dei gemelli Miya, soprattutto quelle più dolorose e pregresse. Oltretutto, Kita glielo avevano chiesto anche per il bene della squadra.

La sua soddisfazione sta nel prenderti a pugni. Non ha altro modo per dirti quello che sente, Samu.

“Tu però non offrirgli il tuo bel visino come se fosse una sacca da kickboxing. Sai fare di meglio!”

“Ci mancavano giusto le tue prese per il culo a rallegrarmi la giornata.”

Si fissarono l’uno dentro gli occhi dell’altro, giusto il tempo necessario affinché Osamu riuscisse a realizzare che, per quanto ostentasse fermezza e goliardia, il centrale aveva accusato l’urto emotivo delle sue parole. Segnale inequivocabile del fatto che aveva oltrepassato il limite in tutti i modi possibili, coinvolgendo anche chi non aveva ancora direttamente avuto a che fare con le sue più recondite insicurezze adolescenziali.
Osamu teneva in maniera particolare a Rintarō e vederlo così affranto a causa sua non stava facendo altro che renderlo ancor più miserabile.

Scusami, Rin. Non è giornata...

“Hai ragione. Forse non è giornata per nessuno. Ci si vede domani.”

“No, domani no. Mi hanno sospeso.”

Nonostante si fosse già voltato e allontanato di qualche passo, Miya non poté non notare quel piccolo attimo d’irrigidimento che portò il più giovane a sussultare e a stringere per un attimo il pugno lungo il fianco. Non aveva la minima idea del fatto che non fosse stato aggiornato circa questo fondamentale particolare.

“Vedo che come al solito il direttore ha capito tutto. Allora ci vediamo mercoledì.”

“Ok.”

Avrebbe voluto chiedergli di passargli i suoi appunti e le eventuali informazioni di circostanza, ma la sua precedente condotta nei suoi riguardi gli stava impedendo di aprire ulteriormente bocca. Ogni più piccola richiesta, arrivati a quel punto, sarebbe parsa semplicemente pretestuosa e inopportuna.
Il senso di colpa che stava cominciando a tormentare i suoi pensieri contribuì a rendere ancora più oscuro quel principio di settimana alquanto movimentato.
 
 
***
 
 
Tokyo, luglio 2021
 
 
“Si può sapere perché Samu non mi risponde al telefono?”

Atsumu si rivolse a Rintarō con tono alquanto seccato, dandogli subito l’impressione di sentirsi nuovamente estraniato da tutto ciò che potesse riguardare il suo unico fratello; come avvenne già in passato, quando scoprì qualcosa che sospettava da sempre. Mostrò senza alcun problema il display del proprio telefono dichiarando di aver tentato per ben tre volte di chiamarlo e che all’ultimo tentativo aveva addirittura trovato spento, anche se non escludeva un’apposita e ben studiata deviazione di chiamata su altro numero.
Il centrale fino ad un attimo prima stava conversando con Aran, il quale non riuscì ad evitare di roteare gli occhi verso l’alto in attesa dell’ennesimo resoconto sulle travagliate vicissitudini di casa Miya.

“Forse perché ha una vita e degli impegni che esulano dal grande campione quale sei?”

“Ma non dire scempiaggini! È qua fuori che sistema il suo stand di onigiri e non trova cinque minuti per salutare suo fratello neanche per telefono? Invece per i vecchi amici il tempo lo trova eccome.”

Le parole usate da Atsumu non piacquero a nessuno degli altri due presenti. Nonostante fosse noto a tutti quanto negli anni avesse imparato ad accettare la scelta compiuta da Osamu, non riusciva ancora a comprendere quanto tutto questo andasse ben oltre quello che poteva superficialmente constatare con i proprio occhi, specie da non amante del settore.

“Non so di cosa parli.”

Suna si pose sulla difensiva, con le braccia conserte e l’aria di chi faticava a mantenere uno sguardo sufficientemente ritto e fiero per tessere la trama di un’eventuale frottola. Con gli anni quella sua speciale abilità era andata scemando, complici le mancate occasioni in cui doveva essere costretto ad esibirla.

Seh, come no. Raccontala a un altro.”

“Cinque minuti... poi mi ha chiamato Iwaizumi-san per il riscaldamento.”

“E già abbiamo una seconda versione, probabilmente più veritiera. Strano che abbia accettato... visto come è andata-”

“Se non sai nulla ma pensi comunque di poter dire sempre la tua in proposito ti poni allo stesso livello di chi commenta post senza nemmeno capirli e scrivendo solo, ehm... come hai detto poco fa?! Ah sì! Scempiaggini.”

Atsumu incrociò a sua volta le braccia e rilasciò un lungo sospiro sommesso. Non aveva mai visto il centrale dell’EJP Raijin tanto contrariato come in quel momento, inconfutabile segno dei cambiamenti esperienziali che avevano segnato persino quella corazza di dileggio che era riuscito a costruirsi ai tempi dell’Inarizaki. Ciò che era successo quando aveva deciso di approfondire la sua amicizia con Osamu lo aveva cambiato profondamente.

“D’accordo. Tanto restano comunque affari vostri. Riproverò più tardi.”

Fai come ti pare.
 
 
***
 
 
Inarizaki Kōkō, settembre 2012
 

Osamu era rientrato a scuola sotto una fucina di sguardi indiscreti che oramai lo avevano additato come pecora nera dell’istituto. Forse ancora più lui che suo fratello, dato che continuava ad essere osannato per le ambizioni sportive dichiarate ogni volta che ne aveva avuto la possibilità.
Entrò in classe con lo stesso entusiasmo dei giorni in cui sapeva di avere un compito in classe alla prima ora e andò direttamente a sedersi al proprio posto, senza salutare nessuno. Nell’attimo in cui decise di dedicarsi al recupero del materiale utile per la lezione d’inglese, avvertì qualcosa di leggero scivolare sul banco. Si trattava di un sottile portalistini dentro il quale vi erano appunti scritti a mano e alcune fotocopie. Il tutto era stato accuratamente etichettato e ben diviso per materia e argomento.

“Questo è quanto hanno tentato d’inculcarci ieri all’interno di questi pochi metri quadri.”

“Grazie mille.”

Suna era arrivato insolitamente con qualche minuto di ritardo e portava in viso un’espressione tutt’altro che allegra. Non che solitamente elargisse chissà quali grandi sorrisi, ma la malinconia che traspariva dai suoi occhi chiari – e lievemente lucidi – era quasi tangibile.
Non disse nient’altro e andò a sua volta a sistemare il materiale didattico che sarebbe occorso la prima ora. Passò gran parte della mattinata con lo sguardo perso nel vuoto rivolto perlopiù verso la finestra, intento a cercare delle improbabili risposte tra il verde del giardino e l’azzurro del cielo.
Miya cominciò a sospettare che lo stesse evitando per il comportamento che aveva tenuto nei suoi riguardi l’ultima volta che gli aveva rivolto la parola, andando a peggiorare ancor più la situazione decidendo di ignorare bellamente i numerosi messaggi che nel frattempo gli aveva inviato per aggiornarlo delle vicissitudini scolastiche e sportive. Anche se sapeva bene che il suo intento principale era, chiaramente, quello di tenergli compagnia nel corso di una giornata che si sarebbe rivelata tutt’altro che semplice per entrambi.

Pochi istanti dopo il suono della campanella che annunciava l’inizio della prima pausa del mattino lo vide alzarsi e uscire dalla classe, con ogni probabilità diretto verso il bagno. Il tutto continuando ad ignorarlo come se per lui fosse risultato assente.
Osamu non esitò a seguirlo, allo scopo di potergli parlare in privato. Oramai non riusciva più a togliersi dalla mente la convinzione di essere la causa del suo malumore.
Si accorse che era entrato nel bagno degli insegnanti udendo le numerose notifiche che stavano arrivando sul suo telefono. Rintarō aveva sempre avuto il vezzo di riattivare la suoneria ogniqualvolta non ci fossero professori nei paraggi e poco importava se in quel momento si trovava proprio all’interno della tana del lupo. Aprì appena la porta e lo trovò di fronte allo specchio, con il capo abbassato e seminascosto tra le braccia poggiate ai bordi del lavello. Lì per lì non riuscì a comprendere se stesse piangendo o se fosse semplicemente troppo nervoso per poter rimanere tra quei compagni che non si erano mai impegnati più del dovuto nel fare la sua conoscenza.

“Hey, Rin! Tutto bene?”

Suna sollevò d’impeto il capo senza voltarsi, cercando di comprendere chi gli avesse appena rivolto la parola mediante l’aiuto dello specchio. Ma c’era una sola persona che poteva permettersi di chiamarlo con una tale confidenza...

“Senti Rin, mi dispiace per l’altro giorno, ero davvero fuori di me per via di Tsumu. Ho letto i tuoi messaggi e ti ringrazio per avermi tenuto al corrente di tutto e... per gli appunti. Sai... non avrei mai saputo sistemarli in maniera tanto ordinata... t’invidio.”

Il compagno di banco fece per voltarsi ma urtò involontariamente qualcosa che era stato poggiato sull’armadietto posto accanto al lavandino. Si trattava di un piccolo oggetto scuro e cilindrico che rotolò sino ai piedi di Miya il quale non ci pensò su due volte e lo raccolse. Attratto dal comprendere di cosa si trattasse, non si rese conto dello sguardo di fuoco che il centrale gli stava lanciando per invitarlo implicitamente a lasciar perdere.

“Deve essere una matita per gli occhi o qualcosa del genere... boh, non me ne intendo di questi affari. La rimetto lì, dato che apparterrà sicuramente a qualche insegnante un po’ smemorata.”

“È mia.”

Le parole uscirono dalla bocca del più giovane come una sentenza a cui era stato costretto a rispondere, anche se in realtà non era stato affatto così. Lo stesso Osamu gli aveva fornito una scusante di fronte alla quale avrebbe semplicemente dovuto annuire per poter dissimulare il tutto ma... non ci riuscì. Dentro di sé non gli parve giusto nei riguardi del compagno di classe; e per almeno due motivi.

“Ti fa schifo l’idea?”

Miya spostò più volte gli occhi dall’enigmatico oggetto al viso di Rintarō e non poté fare a meno di notare che la parte inferiore del contorno dei suoi occhi era più scura e delineata del solito. Le sue incredibili iridi lime risaltavano ancor più del consueto grazie a quell’inaspettato contrasto.
Un leggero sorriso fece rapidamente capolino sul volto del gemello, sostituendo la precedente espressione meravigliata che non aveva fatto altro che far dubitare il diretto interessato.

“No, assolutamente. Ti sta bene.”

Suna sgranò gli occhi per poi ritrovarsi a scuotere la testa. Non avrebbe mai voluto dare l’impressione di non credere alle parole dell’amico, anche perché era rimasto lui stesso ammaliato dalla fierezza e la sincerità con cui aveva risposto alla sua istigazione. Si morse il labbro inferiore, cercando con tutte le sue forze di non darsi per vinto al cospetto di quelle lacrime che pungolavano ai lati dei suoi occhi chiedendo di poter uscire.

Samu...

“Senti, mi spiace davvero per l’altro giorno. Non voglio che tu stia male per questo.”

Eh? Ma cosa stai dicendo?!

Suna si avvicinò a lui di qualche passo, allungando la mano affinché gli restituisse la matita. Sorrise con aria laconica per poi buttargli le braccia intorno al collo e stringersi a lui, quasi fosse la cosa più naturale del mondo.
Osamu esitò per un breve frangente, ancora una volta stupito da quell’improvviso moto d’affetto palesato dall’amico. Ma bastò davvero poco per far sì che si lasciasse andare, preoccupandosi di chiudere la porta prima di stringerlo a sua volta tra le sue braccia. Perlomeno ora poteva tirare un respiro di sollievo e scacciare quel senso di colpa che non lo lasciava tranquillo da almeno un paio di giorni.

“Io sono incazzato con mio padre, non con te.”

Miya sollevò lo sguardo e fissò il riflesso del loro abbraccio nello specchio. Non vi era nulla di sbagliato o artificioso in quel contatto che nessuno dei due aveva cercato sino a pochi minuti prima, ma che in quel momento sembrava essere l’unica soluzione plausibile per contenere la loro rabbia e il reciproco desiderio di sentirsi finalmente compresi da qualcuno.
Che i rapporti tra Rintarō e suo padre non fossero tra i più idilliaci era cosa risaputa per Osamu, ma non gli era mai capitato di trovare l’amico in quello stato emotivo, così come di sentire le sue lacrime scorrere lungo il candido tessuto della sua camicia fino a quel momento intonsa.

“Che frignone che sei diventato, Rin.”

“Non è vero.”

Rispose sollevando il viso e tirando su con il naso, ancora ignaro del trucco che stava colando lungo le guance assieme agli ultimi residui di pianto.
Osamu si lasciò scappare una fugace risata cercando di non farlo ulteriormente innervosire.

“Che hai da dichiarare con quel sorrisetto?”

“Ma niente di che. Sembri solo un panda senza il bambù.”

“Nessuno mi obbliga a essere così, è una mia scelta.”

Miya aggrottò le sopracciglia con fare perplesso. Non era certo di aver compreso sino in fondo quale fosse il vero significato delle parole di Rintarō e non avrebbe mai voluto rischiare di ferirlo ancora di più peccando di superficialità. Oltretutto, il modo in cui lo stava fissando lo metteva alquanto in soggezione, dato che raramente – se non praticamente mai – gli era capitato di vederlo coinvolto in maniera tanto seriosa all’interno di una discussione.

“D’accordo, per me non c’è nessun problema. Puoi stare tranquillo.”

“Ma mio padre...”

Qualcuno provò ad entrare nel bagno, ma trovò la porta serrata dall’interno.
Osamu cercò immediatamente di zittirlo coprendogli la bocca con la mano, avvicinandosi a lui in maniera molto più ‘pericolosa’ di quanto potesse anche solo sospettare. Per liberarlo da quell’inconveniente attese che la persona che si trovava oltre la porta si allontanasse, senza mai togliergli gli occhi di dosso.

“Ascolta, forse è meglio rimandare. Non prenderla come disinteresse da parte mia, ma tu ora non sei nello stato emotivo migliore per pensare proprio a chi ti fa star male. Quando te la sentirai mi dirai tutto. Ora non ci pensare, sciacquati il viso e torniamo in classe. Siamo pur sempre nel bagno dei professori.”

Parlò con un filo di voce, ancora una volta timoroso di poter essere udito da qualcuno. Sperò con tutto sé stesso che le sue parole non venissero fraintese, che Rintarō non interpretasse il suo desiderio di uscire da quel luogo come l’esigenza di allontanarsi da lui e dai suoi problemi, che fino a quel momento non lo avevano direttamente riguardato.
Si voltò per andare a rigirare la chiave nella toppa, ma il centrale lo anticipò trattenendolo per un polso.

Rin... cosa c’è?”

“Grazie. Grazie per non avermi giudicato!”

Per cosa dovrei giudicarti? Per essere così come sei?

La strana gioia che stava avvertendo dentro al suo cuore gl’impedì di recuperare la forza necessaria per trovare le parole più adatte al fine di rispondergli.
Non riuscì a far altro se non avvicinarsi ancora una volta a lui per carezzargli con estrema delicatezza una guancia ancora bagnata. Dovette fare appello a ogni spigolo della sua coscienza per desistere dall’estremo impeto che altrimenti lo avrebbe portato a posare le labbra alle sue senza più rispondere del contesto spazio-temporale in cui purtroppo erano costretti a sopravvivere giorno dopo giorno.
 
 
***
 
 
Tokyo, luglio 2021
 

Osamu stava cominciando ad accusare le prime avvisaglie del consueto senso di colpa che veniva puntualmente a trovarlo ogniqualvolta decideva di dare la precedenza a sé e alle proprie esigenze piuttosto che a quelle che potevano riguardare le persone che lo circondavano. In questo caso però il tutto era stato ben distribuito tra le mancate risposte alle continue e insistenti chiamate del fratello e l’aver lasciato il povero Kousei in balia di sé stesso, seppur si fosse rivelato fin da subito uno dei migliori dipendenti tra tutti coloro che aveva deciso di assumere negli ultimi due anni.
Recuperò lo smartphone dalla tasca dei pantaloni prima di sedersi su di una panchina nel parco adiacente al cancello dell’impianto sportivo. Sbloccò il numero di Atsumu – come d’abitudine – e gl’inviò un messaggio chiedendogli se si trattava di qualcosa di urgente poiché non aveva troppo tempo da dedicargli. Freddo e schietto com’era diventato in quegli ultimi anni, stanco di aspettare chi aveva deciso di prendere la propria tortuosa strada senza mai voltarsi indietro. Dieci minuti dopo il messaggio risultava ancora ‘non letto’, inequivocabile segno degli impegni della squadra sul campo e fuori.

Meglio così.

Si accese una sigaretta e continuò a tenersi impegnato con il telefono. Senza nemmeno rifletterci su più del dovuto, andò a rileggere la conversazione intercorsa tra lui e Rintarō su Telegram; le parole con cui lo aveva convinto a incontrarlo – seppur per pochi e fugaci minuti – rimbalzavano ai suoi occhi come quelle pepite d’oro che andava cercando in lungo e largo per l’intero paese del Sol Levante da oltre sette anni. Sette lunghi anni in cui aveva cambiato ogni singolo connotato presente nel suo vastissimo universo social, fino a ricomparire dal nulla nelle vesti di ‘uno degli uomini di punta della temibile squadra dell’EJP Raijin’.
Un’entità lontana anni luce da quello che era stato il loro microcosmo adolescenziale: per alcuni aspetti ‘incantato’ per altri già completamente disilluso.

Arrivò all’ultimo messaggio che conteneva in allegato proprio quella foto che avevano scattato poc’anzi sugli spalti. La sua ‘faccia-portafortuna’ contornata dal viso più ben delineato che i suoi occhi avessero mai avuto la fortuna di poter vedere. E più si soffermava sui dettagli e più non riusciva a smettere di pensare a come fosse possibile che un semplice ragazzo giapponese di venticinque anni potesse avere delle iridi tanto particolari. Appariscenti, indimenticabili.

Già, indimenticabili.

Doveva assolutamente scrivergli, anche se non sapeva ancora bene da che parte girarsi per non risultare eccessivamente melenso o, peggio ancora, distaccato.
Sapeva solo che desiderava rivederlo... e al più presto.
 
 
***
 
 
Ōsaka, ottobre 2012
 

Gli insegnanti della sezione uno del primo e del secondo anno si erano organizzati per far sì che i ragazzi potessero visitare alcuni fra i più importanti musei di Ōsaka allo scopo di trarne informazioni utili per un progetto in cui erano stati coinvolti assieme ad altri istituti scolastici della prefettura di Hyōgo.
L’uscita didattica si sarebbe articolata su due diverse giornate di cui la prima sarebbe stata dedicata al Museo della Storia e all’Osaka International Peace Center. Il secondo giorno, invece, avrebbero visitato il parco Minoo e il museo Nazionale d’Arte.
La distanza da percorrere era minima, ma il consiglio scolastico aveva comunque deciso che i ragazzi trascorressero la notte in un piccolo albergo situato nei pressi del tempio Shitennoji, giusto per ottimizzare i tempi e le disponibilità concesse loro dalle singole strutture.

Nel corso di quella serata da trascorrere fuori casa Osamu e Rintarō decisero di condividere la stanza del vecchio minka che, con  un po’ di stratagemmi e di soldi mal investiti, era stato trasformato in una piccola pensione inizialmente pensata per ospitare gli studenti universitari fuorisede. Nonostante le ristrettezze, all’interno del locale trovarono due morbidi futon e delle vestaglie pulite – che ovviamente non utilizzarono –, oltre ad un piccolo frigobar con bibite e piccoli assaggi della casa a loro costante disposizione.
Intorno alle undici molti dei loro compagni si erano già addormentati, complice la lunga escursione cittadina.
Anche Miya si era già rifugiato sotto le coperte, stranamente più silenzioso del solito.

“Oi, Samu! Non dirmi che vuoi già dormire.”

“No, a mezzanotte devo mandare un messaggio a Tsumu.”

“Ti manca così tanto? Domani sera sarà di nuovo tutto tuo.”

“Domani è il nostro compleanno e questo è il primo anno che lo passo lontano da lui.”

“E da Mosca e tutto, restituisco la linea ai colleghi in studio.”

Miya afferrò il proprio cuscino e fece per tirarlo scherzosamente addosso al compagno mentre quest’ultimo cercava di ripararsi dai colpi limitandosi a incrociare le braccia di fronte al proprio viso.

“Sei proprio un idiota, lo sai?”

“In effetti sono già diverse settimane che non vi azzuffate come due micetti indifesi. Può essere che nel frattempo tu sia diventato molto sentimentale nei suoi riguardi?”

“Come il protagonista di un Harmony. La verità è che questa è davvero la prima volta in diciassette anni che non passo la notte del compleanno assieme a lui. È un’usanza che ci ha unito molto nel corso del tempo, anche se probabilmente lo scorso anno non ha funzionato.”

“Come direbbe la cara Obāsan: ‘si chiama adolescenza, RinRin’. Comunque siete strani forti voi gemelli.”

Suna seguì l’esempio dell’amico e andò a rintanarsi sotto le proprie coperte, avvertendo dentro di sé la sgradevole sensazione di sentirsi la persona sbagliata nel posto altrettanto sbagliato. Si voltò in direzione di Osamu e si soffermò ad osservarlo mentre manteneva lo sguardo perso verso il soffitto e di tanto in tanto disegnava dei piccoli cerchi con l’indice della mano destra.

“Mi spiace non essere lui in questo momento.”

“Eh? Ma che stai dicendo?”

“Niente, lascia perdere.”

“Mah... è comunque una tradizione da cui dobbiamo staccarci, entrambi. Alla fine del liceo ognuno prenderà la sua strada.”

“Lui lo sa?”

“È per questo che non riusciamo ad andare d’accordo come un tempo.”

“Ognuno è libero di fare quello che vuole.”

Miya finalmente si voltò verso il centrale e lo guardò a sua volta negli occhi. Nella semi-oscurità di quella stanza assumevano ancor di più sembianze feline e riflessi umanamente rari. Teneva i capelli sciolti in maniera naturale e ai suoi occhi apparivano ancora più lunghi e morbidi del solito, tanto da non riuscire a dominare l’istinto di volerli accarezzare.
Ma non appena arrivò a sfiorarlo, Rintarō trasalì e andò a nascondersi sotto il futon.

“Oh, scusami! Non so cosa mi sia preso, ma non volevo infastidirti.”

“No, non mi dà fastidio... ed è proprio questo il punto.”

Osamu si sollevò appena sul proprio materassino e si appoggiò su di un gomito, senza distogliere lo sguardo dalla sagoma appallottolata e ancora nascosta del compagno. Realizzò quanto fino a quel momento avesse pensato solamente a sé stesso, nonostante Rintarō fosse rimasto costantemente al suo fianco. Oltretutto, e cosa ancora più grave, non gli aveva più dato modo di raccontargli ciò che era accaduto in famiglia nei giorni in cui era stato sospeso.

Rin, ascolta. Ti va di raccontarmi quello che ti è successo qualche settimana fa?”

Suna sollevò la coperta quanto bastava per poter quantomeno mostrare il volto al proprio interlocutore. Restò in silenzio per qualche secondo, ben conscio del fatto che fingere di non comprendere a cosa si stesse riferendo non avrebbe minimamente funzionato; anzi, sarebbe stato un insulto alla sua arguta intelligenza e – soprattutto – alla sua sensibilità.
Si tirò su a sedere e mantenne lo sguardo – tutt’altro che fiero – fisso sulle proprie dita incerottate.

Non posso credere di avere avuto un unico figlio maschio e che questo sia frocio.”

Miya si tolse le coperte di dosso e si sedette a gambe incrociate sul futon, incredulo nell’aver sentito le parole appena sentenziate dall’altro. Restò in silenzio, terrorizzato all’idea di poter dire qualcosa di stupido e inappropriato.

“Ero in bagno e volevo provare uno dei rossetti di mia madre. Rosso, piuttosto vistoso, un classico. Mi sono dimenticato di chiudere la porta a chiave come faccio di solito in questi casi... e lui è entrato. Mi ha sorpreso con il labbro superiore già impiastricciato e lo stick aperto in mano. Non hai idea della sua espressione schifata, neanche avesse avuto davanti a sé un ragno da schiacciare.”

"Rin...”

Continuò a parlare al pari di un fiume in piena che non si sarebbe arrestato di fronte a nulla.
Strinse le gambe al petto come gli aveva visto più volte fare durante le lezioni teoriche in palestra, soprattutto nel corso dell’anno precedente, quando la sua timidezza gli impediva di avvicinarsi a chiunque di sua iniziativa.
Nascose il viso tra i capelli e le ginocchia; dai movimenti delle sue spalle era evidente che stesse cercando di trattenere singhiozzi e lacrime.

Guai a te se ti fai vedere da tua madre e da tua sorella in questo stato. Vergognati, frocio!

Rin...”

“Lo ripeteva come un mantra: frocio! Maledetto frocio! Mi fai schifo... frocio! Come se non riuscisse a giustificare la sua rabbia usando altri termini se non ‘frocio’. Ma poi urlava così tanto che figurati se la mamma e Minnie non lo hanno sentito...”

“Ok, basta! Ora guardami, Rin!

“Non ce la faccio! È colpa tua che mi hai chiesto di parlare di queste cose...”

“Sì, lo so. È colpa mia e me ne assumo la piena responsabilità. Però guardami, Rin!”

“Non ce la faccio!”

“Sì che ce la fai. Ascoltami!”

“No che non ce la faccio! Io sono un maledetto frocio che si è dannatamente innamorato di te!”

Osamu si lasciò colpire dalla portata di ciò che aveva appena udito senza rendersi immediatamente conto del vero significato di quelle parole. Pensò di non aver ben inteso, di essere stato confuso con qualcun altro; chissà, magari proprio con suo fratello. In diciassette anni di vita non aveva mai creduto che una qualsiasi ragazza potesse mai innamorarsi di lui, figuriamoci un ragazzo; tantomeno se si trattava del suo migliore amico.
Si sedette sui talloni di fronte alla slanciata figura del compagno contorta su sé stessa. Aspettò che sollevasse almeno il capo, ma non lo fece, con ogni probabilità affossato da un ineguagliabile senso di sconforto misto a naturale imbarazzo.
Decise di provare nuovamente ad accarezzargli i capelli, sperando di poterlo riportare alla tranquillità che regnava in lui solo pochi minuti prima; pochi minuti in cui la sua stupida curiosità aveva rovinato la sua serata distruggendolo interiormente.

Samu... mi dispiace! Mi dispiace!”

“Ma di cosa? È quell’uomo che dovrebbe dispiacersi, non tu.”

Tirò su la testa cercando di scacciare via le lacrime con le dita, al ché Miya gli passò un fazzoletto di carta che teneva ai bordi del futon. Si sistemò i capelli dietro le orecchie, ma non riuscì a sollevare lo sguardo su di lui sino al momento a cui non trovò un espediente utile per tentare di deviare l’argomento.
Guardò l’ora sul display del suo telefono e la mostrò all’amico.

“Mancano solo dieci minuti a mezzanotte, ricordati di scrivere ad Atsumu.”

“Ma chi sene frega di quel troglodita ora. È con te che voglio parlare.”

“Se non vuoi più saperne di me lo accet-”

Osamu gli sollevò appena il capo con entrambe le mani, sino a quando non riuscì a guardarlo nuovamente bene in quelle sue meravigliosi iridi lime. Le forti emozioni avevano estremamente ammorbidito la sua pelle e lo avevano reso ai suoi occhi ancora più innocente di un bambino che chiedeva aiuto dopo essersi sbucciato il ginocchio. Il profumo della sua pelle aveva da sempre inebriato i suoi sensi come poche altre cose al mondo.
Rintarō lo guardava in attesa del suo verdetto: lasciar perdere definitivamente o raddoppiare, come in un quiz. Aveva pochi dubbi su quale potesse essere l’opzione che Miya avrebbe scelto per quel che restava della loro amicizia. Peccato che la sua convinzione non coincidesse minimamente con quella dell’unica persona presente in quella stanza oltre a lui.

“Oi, non dirlo nemmeno per scherzo, intesi?”

“Sei davvero il ragazzo più figo che abbia mai conosciuto, Samu.”

“Modestamente, mi difendo.”

“Oi, non cominciare a tirartela!”

“Eccolo qui il mio Rin!”

Eh?

Suna non ebbe il tempo di realizzare ciò che aveva appena sentito: le labbra calde e carnose di Osamu si posarono sulle sue, in un primo momento incapaci di reagire. Ma lo stordimento durò ben poco, dato che il suo istinto non poteva permettersi di non dare risposta a quella lingua che chiedeva di poter andare oltre, di poter incontrare la sua per condividere quel primo momento d’intimità che tanto era stato bramato da entrambe le parti, seppur in modalità e livelli di consapevolezza differenti.
Le sue braccia avvolsero il compagno e lo costrinsero a chinarsi su quel piccolo e scomodo materasso su cui giaceva, rivestito solamente della stoffa leggera del pigiama estivo. La mano di Osamu scivolò inesorabilmente sotto la t-shirt, fino ad arrivare oltre l’elastico dei pantaloni, assaporando per la prima volta in maniera diretta il piacere di quel corpo tanto perfetto da essere diventato la fonte primaria di turbamento delle sue più recenti fantasie oniriche.

Il suono della notifica di un nuovo sms risuonò alle loro orecchie, ma fu prontamente ignorato.
Per l’intero universo loro stavano semplicemente dormendo, seppur insieme.


‘Samu! Sei già a letto con le galline? Happy Birthday to me and... to you, too!’










 

Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere questa mia easy-long! :)

Prima di tutto volevo ringraziare chi è passato a leggere e a recensire la flash “Un selfie per la gloria”, prologo di questa brevissima long (saranno solamente due capitoli) con cui ho deciso di continuare a dedicarmi ai personaggi mi Osamu Miya e Rintarō Suna. Ringrazio soprattutto chi ha apprezzato il modo in cui ho deciso di raccontarvi di loro (inizialmente non mi sentivo sicura di nulla, dato che non avevo mai approfondito i loro personaggi e di conseguenza non sapevo bene da che parte girarmi).
Qualcuno mi ha chiesto di scrivere ancora di loro e dunque... eccomi qui. Bisogna cogliere i suggerimenti e l’hype del momento, altrimenti c’è il rischio di lasciarseli sfuggire per sempre! Ancora grazie mille a tutti voi! **

Capitolo 1: Crisalide.
Il titolo e i due sottotitoli sono stati i problemi più grossi. Ma alla fine ho pensato al concetto di Crisalide e della relativa Farfalla e non ne sono più uscita, dato che vi è anche un continuo passaggio temporale dal 2012 al 2021 (capirete nel prossimo capitolo perché faccio un riferimento continuo ai “7 anni” quando qui ce ne sarebbero almeno 9).
Osamu e Rintarō sono esattamente collocati lì dove ce li ha presentati Furudate, ma con qualche dettaglio annesso che ovviamente doveva creare trama, o almeno questo era il mio intento. I continui battibecchi tra i fratelli Miya, l’amicizia tra i due compagni di classe e di squadra che si fa ogni giorno sempre più intensa, fino a rivelarsi qualcosa di più, qualcosa che aveva già scavato loro nel profondo senza che lo avessero ancora realizzato appieno. Alla scoperta delle proprie identità e delle relative vocazioni, nascerà un sentimento viscerale e reciproco che li porterà a guardare tutto ciò che li circonda con occhi diversi.
Non dico altro prima della pubblicazione del prossimo capitolo. Stay tuned! ;)

Il testo è scritto in terza persona, al tempo passato e il point of view è alternato sia nel 2012 che nel 2021.
La scelta di usare sempre il passato è voluta.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

Al prossimo capitolo,

Mahlerlucia
 



 

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Capitolo 2
*** Farfalla ***



Manga/Anime: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life
Rating: arancione
Avvertimenti: Lemon, Spoiler! Tematiche delicate, What if?
Personaggi: Rintarō Suna, Osamu Miya (Atsumu Miya)
Pairing: #SunaOsa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi


 
 

2. Farfalla
 
 
 
 
Tokyo, luglio 2021
 

Mancavano solamente due giorni alla partita di debutto contro l’Italia, in assoluto una delle squadre nazionali più temibili da incontrare già dalle prime fasi del girone di qualificazione.
Rintarō si era rifugiato sul tetto dell’albergo che ospitava molti degli atleti di casa, inizialmente intento a studiare gli avversari tramite dei video che aveva consigliato l’allenatore. Non era però riuscito a vederne più di un paio, dato che la sua mente si trovava in tutt’altro contesto senza riuscire a venirne minimamente fuori.
Aprì per l’ennesima volta Telegram per controllare che non ci fossero eventuali nuovi notifiche. L’unica novità stava in uno sticker d’incoraggiamento inviatogli dalla sorella accompagnato dalla consueta dose di sentimentalismo capace di consolidare il loro rapporto ogni giorno di più.


 
'Buonanotte, Onii-chan! Mi manchi tanto!'
 

Rispose con altrettanto candore e trattenendo a stento un sospiro che sottintendeva quanto in realtà la piccola di casa Suna mancasse anche a lui. Ad ogni modo liquidò in fretta la questione, preso maggiormente dalla preoccupazione di dover dare quanto prima una risposta a Osamu.
La sua richiesta lo aveva colpito oltremodo, specie se si andava considerando quanto si fossero reciprocamente allontanati negli ultimi anni. Oramai erano passate diverse ore da quando aveva letto il messaggio che gli aveva inviato, e ancora non aveva deciso se accettare o meno la sua proposta.

Samu, mi stai offrendo un’altra possibilità... nonostante tutto. E io sono talmente idiota da arrivare persino a dubitare. Ma non di te, questo non lo farei mai. È verso me stesso che non nutro alcuna fiducia.

“Yo, SunaRin!”

Una voce squillante spodestò i pensieri paranoici del più giovane, facendolo rapidamente tornare al qui e ora.
Ma piuttosto che voltarsi per intraprendere un nuovo battibecco con l’ultimo arrivato, preferì disperdere lo sguardo tra le rare stelle che l’inquinamento luminoso di una megalopoli come Tokyo consentiva ancora di ammirare. Nascose rapidamente il telefono in tasca, ignorando l’ultima reaction a cuore appena rilasciata dalla sua adorata imōto.

“Non ho voglia di ascoltarti, Tsum-Tsum!”

“Hey, per quel soprannome dovresti chiedere i diritti a Bokuto!”

“A me fa ridere.”

“Però non ti sto vedendo ridere...”

“Che arguto osservatore, Mister I’m the best setter of the world!”

Atsumu iniziò a comprendere di non aver scelto esattamente il momento migliore per poter avviare una conversazione con il suo ex compagno di scuola, visti i pregressi dei giorni precedenti. Il suo intento era quello di chiarire la sua posizione in merito al loro rapporto, anche se restava piuttosto convinto del fatto che la sua opinione non avrebbe di certo influito sul loro futuro.
Si sedette ad un paio di metri dal centrale, preoccupandosi di sollevare la mascherina, per quanto tra compagni di nazionale non fosse indispensabile. Constatare che fosse diventato più alto e ancora più aggraziato di quanto ricordasse da un lato lo aveva infastidito, dall’altro lo aveva stupito in positivo.

“Ok, senti... l’altro giorno forse ho detto qualche parola di troppo ed è vero, come hai fatto notare tu, che alcuni dettagli non li conoscevo allora e non li conosco ancora oggi. Però-”

“Cosa vuoi, Atsumu?”

“Ti chiederei solamente di non dare false speranze a Samu. Ho visto con i miei occhi com’è cambiato da allora.”

Suna deglutì, cercando di non dare a vedere all’alzatore quanto ciò che aveva appena avuto il coraggio di rivelargli gli fosse arrivato dritto allo stomaco come un pugno tutt’altro che inaspettato, ma sicuramente con una potenza dieci volte maggiore rispetto a quanto potesse immaginare. Che Osamu non avesse preso nel migliore dei modi la sua decisione di lasciarlo al termine della scuola era cosa – ovviamente – a lui nota, ma che gli strascichi di tale scelta si fossero protratti nel tempo fino ad arrivare al comprendonio di quell’egocentrico di Atsumu arrivò al pari di una nuova batosta emotiva.
Per nulla propenso a ricevere consigli o ammonimenti in grado solamente di far trasudare scarsa fiducia nei suoi riguardi, si chiuse ancor di più in sé stesso, portandosi le ginocchia al petto e sollevando la mascherina sin sotto gli occhi; ma se avesse potuto avrebbe opportunamente nascosto persino questi ultimi, onde evitare che Atsumu si potesse accorgere di quelle furtive lacrime che premevano agli angoli delle palpebre.
Perdere la stima della persona più vicina a Osamu non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, annientando ulteriormente un rapporto da ricostruire da cima a fondo. Pertanto, scelse di parlare in maniera netta circa quelle che erano le intenzioni di suo fratello, onde evitare che si arenasse all’idea – tutt’altro che errata – che ogni responsabilità fosse stata solo ed esclusivamente sua.

“Sai, è proprio lui che vorrebbe rivedermi e... io non so cosa fare.”

“Per gli dèi! Samu quando ci si mette è scemo forte, però-”

“Ok, hai detto la tua. Ora puoi anche andare a fare due palleggi con le altre molle dei Black Jackals.”

Rintarō fece per alzarsi con l’intento di tornare nella propria stanza quando avvertì una lieve spinta sulla spalla che lo fece desistere dal suo impulso. In fondo, Atsumu non aveva fatto nessuna delle sue solite battute riguardanti il fratello, di quelle che ai tempi cadevano a catinelle ogni giorno dell’anno e per qualsiasi baggianata.

“Ma fammi finire!”

Il centrale tornò a sedersi di malavoglia, senza però trovare la forza di voltarsi verso il proprio interlocutore mentre emanava la sua ennesima sentenza. Quella definitiva.

“Dicevo... se Samu ha preso questa decisione probabilmente vuole chiarire quello che è successo tra voi ai tempi dell’Inarizaki. Lui ci ha rimuginato su non sai quanto, tanto che quando gli ho detto quello che mi aveva riferito tua sorella-”

Questa volta Rintarō si voltò d’impeto, fulminandolo con lo sguardo.

“Tu hai parlato con Minnie? Quando? Com’è potuta accadere una disgrazia simile? E perché vengo a saperlo solo ora? L’hai traumatizzata a tal punto da farglielo dimenticare?”

Minnie?”

Com’è possibile che di tutto ciò che ho detto ti sia rimasto impresso solamente il soprannome ‘Minnie’? Ma ce la fai?
 
Minnie... sta per Minako, mia sorella. Quando l’hai incontrata?”

“L’ho incontrata il giorno stesso della consegna dei diplomi, sul pianerottolo di casa vostra. In realtà ero venuto per parlare con te, dato che Samu quel giorno stava sotto quattro treni... e il motivo non potevi che essere tu. Sono poi stato io a chiederle di non dirti che ero passato... dopo aver parlato un po’ con lei. Scopro solo ora che è stata di parola. Beh, ben fatto direi.”

“Sì, lei lo è sempre stata.”

“Anche Samu lo è sempre stato. Mi aveva detto che era sua intenzione riprovarci e... lo ha fatto. Diciamo che in generale siamo stati fortunati.”

“Tu approveresti?”

Eh? Ma che diavolo mi metto a chiedere a questo idiota se è d’accordo o meno su questioni che riguardano suo fratello e me?

“E tu approveresti, SunaRin?”

“Hey, SunaRin! Bisogna sempre approfittare delle occasioni felici della vita, lo dice anche il mio Keiji-kun, sai?”

I due ex compagni di scuola si voltarono all’unisono in direzione di quella voce cristallina proveniente dall’unica porta che giungeva sino al punto in cui si erano ritrovati entrambi pochi minuti prima. Teneva le mani sui fianchi mostrando la sua consueta espressione fiera, mentre da un lato si vedeva chiaramente spuntare un grumo di capelli color carota che sembravano saltellare in autonomia.

Mancavano giusto i Jackals’ friends.

“Hey, Bokuto-san! Parli di quel bellissimo ragazzo con gli occhi verdi che mi hai presentato l’altra volta?”

“Ah?! Vero che è proprio bello? Il più bello di tutti! E poi è intelligente, ma che dico... intelligentissimo!”

“Quindi mi confermi che posso fidarmi della sua parola?”

“Certamente! È proprio per lui che ti cercavo, Tsum-Tsum! Dovresti dire a Miya-Sam di mettere da parte i migliori onigiri che ha in catalogo. Lo sai che ne va matto! Però lui non lo sa... deve essere una sorpresa, ecco.”

“Oh, come no! Glielo dirò appena potrò... anzi gli mando un messaggio proprio ora. Sai Bokkun, non vorrei dimenticare una cosa tanto importante per Akaashi!”

Atsumu parlava ponendo eccessiva enfasi su ogni parola e tenendo sotto controllo ogni più piccola reazione del centrale. Gli occhi sgranati e la mano stretta a pugno – immediatamente nascosta dietro la schiena – furono segnali inoppugnabili del tedio che quella discussione improvvisata suscitò nell’animo del suo bersaglio prediletto.
 
 
***
 
 
Inarizaki Kōkō, marzo 2014
 
 
Osamu salì rapidamente le scale sino ad arrivare al terzo piano. In fondo al lungo corridoio posto sulla destra si trovava l’aula che aveva condiviso l’anno precedente con Suna. Era lì che gli aveva dato appuntamento al termine della cerimonia della consegna dei diplomi.
Nell’attimo in cui aprì la porta a scorrimento avvertì un brivido causato dalla corrente dovuta ad almeno un paio di finestre lasciate aperte. Con ogni probabilità gli addetti agli sgomberi si stavano già preoccupando d’igienizzare i locali in attesa dell’arrivo delle nuove matricole.
Rintarō era seduto su di un banco a gambe perfettamente accavallate, mantenendo il capo poggiato sul palmo di una mano. Fissava la folla di studenti soddisfatti per il raggiungimento del tanto agognato traguardo, senza riuscire ad emularli nemmeno sforzandosi. Il suo sguardo era assente, esattamente come lo era stata la sua mente nel corso di quelle ultime settimane.

“Oi, Rin. Scusami, ma Tsumu mi ha trattenuto in cortile per le foto di rito. Ti avevo scritto se volevi unirti a noi ma-”

“No, preferisco non esserci in nessuna delle vostre foto-ricordo.”

Miya comprese che la situazione stava diventando ben più intricata del previsto e preferì non indugiare oltre, cercando di riportare la conversazione su toni più leggeri e possibilmente ironici.
Si scompiglio i capelli a livello della nuca, in attesa di quel lampo di genio che tardava ad arrivare. Non riusciva a smettere di fissare l’espressione spenta del proprio compagno cercando ugualmente di sorridere.
Non poteva sapere che lui quel sorriso non lo voleva vedere, che faceva troppo male.  

“Sai, suona strano detto da te. Nemmeno una foto? Dai...”

E difatti Rintarō estrasse il proprio telefono dalla tasca dei pantaloni e lo utilizzò per scattare un paio di istantanee al povero malcapitato. Nella prima, probabilmente realizzata realmente troppo di fretta, stava ancora sorridendo; nella seconda, invece, mostrava un’espressione alquanto sconcertata per esserci nuovamente cascato con tutte le scarpe.

“Ora ho ben due foro utili per ricordami anche in futuro di questa splendida giornata. Grazie, Samu!”

“Non intendevo questo ma... se a te sta bene...”

“Dobbiamo parlare. Puoi chiudere la porta, per favore?”

Cosa può mettere più ansia di qualcuno che ti accoglie con due selfie improvvisi e un categorico ‘dobbiamo parlare’? Rin, si può sapere che diamine sta succedendo? Che hai in questi giorni?

Samu attraversò l’aula e andò a recuperare la sedia da sotto il banco che soleva occupare. Si sedette al contrario, poggiandosi al duro schienale in legno in attesa di una mossa qualunque del ragazzo con cui condivideva qualunque cosa – materiale e immateriale – da oltre un anno e mezzo. Nonostante non si fosse minimamente mosso rispetto alla posizione in cui lo aveva trovato nel momento in cui era entrato, non poté fare a meno di notare quanto le braccia poggiate al lato del piano fossero molli e poco stabili: stava palesemente tremando e lui, per tutta risposta, aveva solamente voglia di stringerlo a sé.

Rin, cosa c’è?”

“Ti ho mentito, Samu. Non mi sono iscritto a nessuna Università. Non ho stimoli verso alcuna facoltà e non penso nemmeno di proseguire con la pallavolo.”

“Sai che non sono molto d’accordo su questo, considerando che hai sempre avuto una media voti di tutto rispetto. Ma la scelta è tua e non ho intenzione di ostacolare le tue decisioni. Per la pallavolo m’interessa relativamente, visto che sai bene che la lascerò anch’io. Tranquillo, davvero.”

“Non si tratta solo di questo.”

Miya si alzò dalla sedia con un impeto tale da farla strisciare rumorosamente sul pavimento. Non era sua intenzione, ma nella sfortuna riuscì finalmente ad attirare lo sguardo del più giovane su di sé. Aveva gli occhi lucidi.

“Cos’altro c’è? Mi stai spaventando!”

“Dobbiamo smettere di frequentarci, oggi stesso.”

Osamu reagì sorridendo e ponendo il proprio viso a pochi centimetri da quello dell’altro. Lo destabilizzò cercando di non dare a vedere che le sue parole lo avevano turbato come non era mai successo prima di allora, nemmeno la sera in cui, tra le lacrime, aveva avuto la forza di dichiararsi.

“Non posso! Chiedere a me di non vederti più sarebbe... beh, sarebbe come chiedere a Tsumu di non scendere mai più in campo. Rende l’idea? Dai, di qualunque tipo di apprensione si tratti, possiamo sempre parlarne.”

“No, Samu... non capisci!”

“Si tratta di tuo padre?”

L’ultima domanda precluse definitivamente ogni possibilità di poter tergiversare oltre, dato che era stato toccato il punto focale da cui stava dipendendo tutta quell’assurda situazione.
Rintarō non fu più in grado di trattenere le proprie emozioni e scoppiò in un pianto sommesso che non aveva nulla di liberatorio. Si coprì il volto con entrambe le mani, riluttante all’idea che qualcuno lo vedesse in quello stato; specie se si trattava del ragazzo che non riusciva in alcun modo a togliersi dalla testa.
Ma gli occhi di Osamu vedevano ben altro e ben oltre. Le sue braccia allenate lo strinsero a sé con forza e delicatezza, un affascinante contrasto che il più giovane riscontrava nelle sue movenze ogniqualvolta si erano ritrovati in intimità. Lo lasciò libero di sfogarsi e di prendersela anche con lui, con la sua incapacità di scovare la maniera più idonea per uscire da un problema che lo faceva star male da diverso tempo. Essere denigrato dal suo principale punto di riferimento sarebbe risultata una condanna impossibile da digerire per chiunque.

“Lui mi odia... mi odia, Samu!”

“E io odio lui per le stronzate che dice! Ci andrò a parlare personalmente e-”

La mano posata sulla bocca gl’impedì di continuare a palesare quelle che erano le sue vere intenzioni nei riguardi dell’uomo che lo stava allontanando dal bene più prezioso che gli dèi gli avessero mai concesso. Non disse nulla, ma i suoi meravigliosi occhi lime – quel giorno particolarmente spenti – fecero comprendere tutto ciò che serviva in quel tenue frangente. Un ultimo lieve cenno del capo fece poi il resto, arrivando a supplicarlo amabilmente di non far nulla in proposito, di accettare la sua decisione e di andare comunque avanti con i propri – preziosi – progetti di vita.

“Non dirlo nemmeno per scherzo. Lui sa di noi e questo deve bastarti.”

Stai forse cercando di proteggermi da qualcosa, Rin? Ti ha per caso messo le mani addosso quell’idiota? Dimmelo per favore... rendimi partecipe del tuo dolore! Chiedimi di aiutarti!

Osamu provò più volte a schiudere le labbra per chiedergli l’impossibile, per elemosinare un suo ripensamento, una minima possibilità di rivedere il tutto dal buco di una serratura che racchiudeva delle possibili via d’uscita. Ma tacque, scegliendo in cuor suo di restare fedele all’inevitabile scongiuro del centrale.
Sbatté entrambe le mani sul banco, a pochi centimetri da lui, incutendogli quel minimo di tensione sufficiente a far sì che tentasse di indietreggiare. Gli occhi fissi nei suoi, un’espressione in viso che trasudava solamente un tremendo cocktail di rabbia e rammarico, una lacrima che gli rotolò lungo la guancia come ineluttabile segno di rassegnazione.

Samu... non mi guardare così!”

E come dovrei guardarti? Cosa ti aspetti che ti dica ora, eh? Come vorresti che reagissi? Non ho diritto ad incazzarmi? Conta qualcosa ciò che sto provando io in questo momento? Eh? Dimmelo, Rin!

Prese il suo viso tra le mani e con una lieve pressione dei pollici scacciò le lacrime che continuavano imperterrite a scendere dai suoi occhi stanchi. Proprio come fece quella sera ad Ōsaka, avvicinò le labbra alla sue fino a racchiudere ogni loro più recondita emozione dentro ad un bacio che avrebbe suggellato la fine del loro incancellabile rapporto.

Samu... mi dispiace!”

“Ok, va bene così.”

No, non va bene per un cazzo, Rin! Ma come faccio a sputarti in faccia ciò che penso realmente di quel verme di tuo padre e della tua completa sottomissione al suo volere? Come pensi che possa farti ancora del male se sei già ridotto all’ombra di te stesso? Dimmelo... per favore!

Tirando su un’ultima volta con il naso, Suna si limitò ad annuire con una flemma che lasciò ancor più sconcertato quello che oramai stava diventando un ex compagno d’avventura, in tutte le accezioni attribuibili a tale termine.
Si alzò finalmente da quello che fu il suo banco, lo stesso su cui entrambi si poggiavano per pranzare e condividere le pietanze presenti nei rispettivi bentō; il medesimo su cui confrontavano le risposte date ai diversi test appena terminati; il punto esatto in cui i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta. Carezzò la guancia di Osamu e gli sorrise, sperando di ricevere un feedback simile. Si strinsero ancora, talmente forte da non riuscire quasi più a respirare. Mancava il fiato, latitava la volontà di staccare le dita furiose e ancorate ai lembi delle camicie delle loro uniformi scolastiche. Anche queste ultime, in fondo, non sarebbero più state prese in considerazione da quel momento in avanti.

Miya restò ancora qualche minuto in quell’enorme e silenziosa aula. Cercò di nuovo quel banco verso cui si era voltato un’infinità di volte e lo sfiorò, per un’ultima volta.
Affiancò la porta d’ingresso lasciata aperta da Rintarō. Lo cercò con lo sguardo lungo il corridoio, ma lui aveva già lasciato l’edificio. Fece qualche passo in avanti e si aggrappò alla maniglia di quello che doveva essere un ripostiglio; probabilmente uno dei tanti in cui si erano appartati per scambiarsi effusioni tra un cambio di lezione e l’altro. Sentì le gambe cedergli e scelse di lasciarsi andare lungo la superficie liscia e fresca di quell’uscio. Accasciandosi a terra non fu in grado di trattenere la propria disperazione e pianse fintantoché le proprie energie glielo consentirono.
Sentiva il telefono suonare nella tasca dei pantaloni e sapeva che non poteva essere lui.

Non ora, Tsumu. Non ora, per favore.
 
 
***
 
 
Tokyo, luglio 2021
 

“Ushijima-san, pensi che mi stia bene questo smalto? Sincero!”

Ushijima Wakatoshi distolse lo sguardo dalla pagina sportiva del suo quotidiano per dare credito alle richieste di un Suna Rintarō particolarmente su di giri. Lo vide compiere una sorta di piroetta prima di sedersi sulla panca accanto a lui, allo scopo di mostrargli le unghie delle sue mani smaltate di un nero particolarmente lucido, per nulla volgare.
Di primo acchito aggrottò le sopracciglia domandandosi per quale motivo, tra tutti i presenti, quel ragazzo fosse venuto ad interpellare proprio lui. Ma – in memoria dei vecchi tempi – decise di stare al gioco, annuendo solennemente.

“Oh! Lo pensi davvero?”

“Sì.”

Quel parere arrivato in maniera piuttosto stravagante rincuorò per un attimo tutti i suoi dubbi, sempre più vicini all’obiettivo di provocargli un esaurimento nervoso. D’altronde, altro non era che una semplice approvazione verso un dettaglio per il quale, il più delle volte, veniva criticato o deriso.
In qualche maniera doveva ringraziare il grande ace degli Schweiden Alders e così, non gli venne idea migliore se non sdraiarsi sulla panca mantenendo la testa poggiata alle sue ginocchia.

“Pensi anche che potrei tenerlo per un’occasione importante?”

“Ai tempi della Shiratorizawa avevo un compagno che si metteva lo stesso tipo di smalto. Lo faceva soprattutto quando diceva di avere davanti a sé un’occasione importante.”

“Deve essere un tipo interessante. Peccato non aver avuto modo di conoscerlo.”

“In qualche modo è comunque conosciuto.”

“Ma guardalo! Con le chiappe al vento, praticamente in braccio a Ushijima-san! Non so, Rintarō... vuoi anche il ciuccio già che ci siamo?”

Il centrale si sollevò con fare piuttosto scocciato, anche se cercò in ogni modo di non darlo a vedere a nessuno dei presenti, soprattutto a quel ficcanaso che aveva appena interrotto la sua conversazione idilliaca con chi, fino a pochi minuti prima, appariva al pari di una leggenda praticamente irraggiungibile.

“Come ciuccio basti già tu, mio caro Tsumu!”

Uno a uno e palla al centro, baka!
 
 
***
 
 
Inarizaki Kōkō, marzo 2014
 
 
“Hey, Samu! Si può sapere che fine avevi fatto? Hai recuperato Madamoiselle?”

Atsumu parlava senza alcuna cognizione di causa, maggiormente sorpreso del fatto che Suna non fosse con il fratello che della lentezza con cui quest’ultimo si era ripresentato al suo cospetto. Ci mise qualche minuto in più del necessario, ma riuscì a comprendere che qualcosa non stava quadrando semplicemente osservando l’espressione vacua di Osamu. Le labbra serrate, la mano stretta attorno alla tracolla della sua borsa – dalla quale s’intravedeva il diploma ancora arrotolato – gli occhi gonfi e ancora lievemente arrossati. Non riusciva nemmeno a ricambiare lo sguardo della persona che lo conosceva meglio di chiunque altro, tanto era profondo il vuoto che avvertiva nel petto in quegli istanti.
Si limitò a sospirare, sperando solamente che l’alzatore non cominciasse a bombardarlo di inutili domande. In cuor suo avvertiva solamente l’esigenza di starsene in disparte a riflettere su come andare avanti nonostante tutto; sempre se la cosa fosse risultata plausibile.

Samu...”

Tsumu, scusami. Io vado a casa, tu resta pure a festeggiare con gli altri.”

La voce di Osamu sembrava un soffio di vento rotto dall’emozione. Lo sforzo impiegato per non cedere alle lacrime non fece altro che immalinconire persino una testa calda come quella di Atsumu.
Di riflesso, il gemello non riuscì ad evitare d’incupirsi, mordendosi la bocca dall’interno, mentre un rigurgito di collera si stava a mano a mano impossessando delle sue facoltà mentali più limpide.

“Ma è anche la tua festa! Non c’è mai stato nulla che io e te non avessimo condiviso... a parte... va beh, lasciamo perdere. Anzi no...”

“Ci vediamo dopo.”

Ci vediamo dopo un paio di palle! Che ha combinato quel cretino per doverti vedere ridotto in questo stato?”

Osamu passò oltre fingendo d’ignorarlo; per quanto dover ignorare il proprio fratello lo facesse sentire inesorabilmente un verme. I suoi pensieri vagavano già altrove, in cerca di risposte che nessuno gli avrebbe mai potuto dare. Forse nemmeno il tanto rinomato ‘tempo’.
Atsumu non si perse d’animo e in un batter di ciglia lo raggiunse e lo fermò, trattenendolo per un polso. Quel contatto che conosceva a menadito divenne improvvisamente qualcosa di molto freddo e lontano, come un ricordo che la maturità personale si sarebbe ben presto lasciata alle spalle. Suo fratello tremava cercando di opporre resistenza, incapace di sostenere la sua battaglia contro la propria emotività.
Allentò appena la presa, senza concedergli ancora una volta il lusso di andarsene lasciandolo solo e con un pugno di mosche in mano.

“Per favore, Tsumu. Voglio solo stare un po’ da solo.”

Una supplica che fece ancor più male del più pesante tra gli insulti che gli aveva dedicato nel periodo della loro ribellione individuale. Un dispiacere che sembrava propagarsi dal suo corpo fino ai pensieri più reconditi dell’alzatore, facendoli muovere in simbiosi, com’erano soliti fare fino a qualche tempo prima.
Si decise finalmente a lasciarlo andare, osservandolo a lungo mentre si allontanava attraverso il cortile dell’Istituto Inarizaki. Per l’ultima volta.

Ma che diamine ha combinato quel rincitrullito? Io non ti ho mai visto così Samu... non so cosa devo fare anche se... Oh, ti prego non odiarmi, ma non posso starmene con le mani in mano!

Attese solo una manciata di minuti, il tempo necessario affinché Osamu si allontanasse a sufficienza per non vederlo. Prese la direzione a lui opposta e iniziò a correre. Non conosceva esattamente l’indirizzo di Rintarō, ma ricordava vagamente che a poche decine di metri dalla sua abitazione ci fosse un negozio di fiori che piaceva molto a sua madre. Difatti la sua genitrice approfittava spesso delle traversate di Osamu in quel quartiere per chiedergli di fare rifornimento per il loro giardino, che di certo non ne aveva tutta questa necessità.
Nel giro di cinque minuti arrivò giusto di fronte a quella gradevole attività commerciale, ritrovandosi a riflettere sui progetti a cui mirava suo fratello.
Scrollò la testa e individuò al volo quale doveva essere l’abitazione: il cognome sul campanello non mentiva.
Suonò.

Caro Rintarō, vedi di non fare il furbo!

La porta si aprì appena, senza che nessuno si facesse vivo.

“C’è nessuno?”

“Eccomi.”

Una voce femminile, piuttosto infantile. Dal varco concesso tra la porta e la parete s’intravide dapprima una manina, seguita a ruota dal viso di una ragazzina dai grandi occhi verdi. Non avrà avuto più di dieci o undici anni e possedeva dei lineamenti decisamente familiari agli occhi del giovane Miya.

Samu-chan! Oh! Hai cambiato il colore dei capelli?”

Atsumu aprì bocca per tentare di giustificare la sua schiacciante somiglianza con la persona appena nominata. Ma la piccola non gli lasciò il tempo necessario, troppo incuriosita dai motivi della sua presenza in quell’orario insolito.

Onii-chan non è casa, anzi pensavo fosse ancora alla vostra scuola a festeggiare. Però sei fortunato, sai. Non c’è neanche papà. Sai, ieri... ehm... lui non mi lascerebbe parlare perché sono questioni che riguardano solo la nostra famiglia, ma...”

“È successo qualcosa a Rintarō?”

La piccola di casa Suna sollevò lo sguardo aggrottando la fronte. Miya registrò solamente in quel frangente quale fu il suo fatale errore: non era tollerabile che Suna potesse farsi appellare ancora con un banalissimo ‘Rintarō’ proprio da Osamu, specie dopo tutti quei mesi trascorsi inesorabilmente l’uno al fianco dell’altro.
Ma la bambina fu sufficientemente accorta da non mettersi a rincarare la dose sull’evenienza, tanto da decidere di non perdere più tempo del necessario per proseguire il suo racconto.

“Papà... papà gli ha detto delle cose bruttissime. Nemmeno la mamma è riuscita a calmarlo. Diceva che voi due state insieme, non come semplici amici. Io l’avevo capito e anche la mamma, ma papà... papà non sopporta queste cose. Anzi, ha detto che le odia... che le odia davvero.”

L’alzatore sentiva di essere stato schiacciato da un peso che fino a pochi minuti prima non avrebbe neanche potuto considerare. La rabbia che provava nei confronti del compagno di squadra svanì così come si era presentata, lasciando spazio ad un estremo desiderio di vendetta nei confronti dell’uomo che aveva generato tutta questa inutile sofferenza a causa del suo egoismo e della sua mera ignoranza. Senza contare che quella bimba che gli stava di fronte aveva assistito ad ogni singola tortura psicologica inflitta al suo adorato Onii-san.

Come cazzo si fa... come può esserci ancora della gente tanto idiota su questo pianeta?

“Capisco. Ecco perché non è voluto venire alla festa. Non appena avrò occasione gli parlerò. Tu hai già fatto abbastanza... ehm... imotō-chan.”

“Wow, che bello! Era da un po’ che non mi chiamavi così! È vero che ultimamente... però, ecco... sono contenta di averti rivisto, OniiSamu-chan!”

“Anch’io! Beh, ora vado. Per favore, non dire a tuo fratello che sono passato, ok!?”

“Sì, è meglio per tutti. Mata ne!”

Cazzo, cazzo, cazzo! Come può ragionare già in questo modo una ragazzina che andrà ancora alle elementari?

Si voltò e si affrettò ad allontanarsi del campo visivo di quella che oramai riusciva a considerare solo come una vittima di un abuso di potere familiare. Strinse i pugni per il tedio che non riusciva ad evitare di provare per quell’uomo che nemmeno si rendeva conto di aver messo al mondo due esseri meravigliosi, checché se ne possa dire.

Nel momento in cui reputò di essere tornato ‘emotivamente presentabile’, Atsumu optò per visitare il negozio di fiori. Ma questa volta il pensiero non andò a sua madre, bensì all’altra parte di sé stesso, quella più razionale e affidabile.
 
 
***
 
 
Tokyo, luglio 2021
 

L’hotel in cui alloggiavano Osamu e i suoi collaboratori distava giusto un paio di fermate di metropolitana dal quartier generale in cui risiedevano la maggior parte dei club sportivi partecipanti.
Rintarō pensò bene di procurarsi una divisa da metronotte e d’indossare un odioso cappellino che non faceva altro che scombinargli la pettinatura tanto ricercata. Come ultimo dettaglio e non certo in ordine di rilevanza, tenne lo smalto che aveva applicato con cura quello stesso pomeriggio, così come gli aveva consigliato il buon Wakatoshi; era sicuro che Osamu avrebbe apprezzato.

Già, lo smalto. Ma le mie scuse da quattro soldi dopo sette anni di latitanza? Su quelle ho i miei forti dubbi...

Entrò nella hall fingendo di avere un appuntamento proprio con il responsabile della catena di ristorazione ‘Miya Onigiri’, causa disordini in uno dei suoi punti vendita di Ōsaka. Insomma, il piano era stato studiato a tavolino, anche se Sakusa non aveva fatto altro che annoiarlo con la sua scarsissima convinzione della sua riuscita.

Omi-kun, dopo ti mando una bella foto come conferma del tuo errore di valutazione, tranquillo!

Arrivò di fronte alla stanza milleundici, incantato dalla perfetta rotondità e dal sublime accostamento del dieci e dell’undici, quasi quel numero rappresentasse uno strano scherzo del destino.
Si tolse il cappellino e la tremenda giacca che lo stava facendo sudare ancor più dell’ansia che lo stava accompagnando fedelmente da quando aveva deciso di rispondere in maniera affermativa al messaggio ricevuto dal suo ex compagno di classe e di vita. Restò con indosso una maglietta eccessivamente colorata e un paio di jeans scoloriti e sdruciti, rammentando ancora una volta le tendenze che seguiva sin dalla primissima adolescenza.
Tossì piano un paio di volte, cercando di attutire il tutto con l’aiuto della mascherina e di mantenere autonomamente un appiglio utile per svignarsela in caso di ripensamento o eventuale crisi di nervi.
Chiuse la mano a pugno e fece per battere le nocche sul compensato chiaro della porta; ma questa cigolò ancor prima che potesse anche solo sfiorarla. L’uscio si aprì e davanti ai suoi occhi sgranati comparve l’immagine più bella che ancora racchiudeva nei suoi ricordi da liceale: Osamu vestito di tutto punto e con i capelli del suo colore naturale!
Inoltre, gli sorrise con ogni singolo muscolo del suo viso, impossibilitato a mentire di fronte all’unica occasione che gli era stata concessa per poter chiarire un cruccio che perdurava da oltre sette anni.

“Oi, Rin! Allora sei venuto per davvero...”

“Potevo mai mentirti su una cosa del genere?”

Miya sorrise di nuovo, abbassando lo sguardo sui resti del travestimento ancora custoditi tra le mani. Si lasciò andare a una breve risata liberatoria e per poi tornare a fissarlo dritto negli occhi, innescando la prima reazione palpabile della sua fragile emotività: il rossore sulle guance.

“E quei vestiti? Altri dispositivi di protezione individuale?”

“Sì, esattamente! Servono per evitare le sassaiole di Iwaizumi-san nel caso in cui dovesse rendersi conto di avere un uomo in meno sotto coperta. Sotto coperta... non in quel senso. Beh, hai capito cosa intendo.”

“Non ti ho mai visto così in panne, Rin! Dai entra!”

Se devi paragonarmi ad un’auto... che sia perlomeno una decappottabile, Samu!

La stanza era più grande di quanto potesse immaginare, ma scarsamente illuminata. Fece per avvicinarsi alla finestra, ma venne prontamente fronteggiato dal vero ospite di quell’angolino accogliente della città edochiana.
Il giovane ristoratore allungò una mano per accarezzargli i bordi dell’orecchio, allo scopo di liberarlo dall’elastico della mascherina. Fece lo stesso dalla parte opposta, con una dolcezza che lo lasciò completamente spiazzato.

“Questa puoi anche toglierla. Avrai fatto minimo un paio di tamponi solamente nella giornata odierna, o sbaglio?!”

“Non sbagli.”

Sarò anche sano, ma resto sempre uno stronzo, mio caro Samu.

Posò rapidamente la mascherina affianco alla sua giacca da metronotte fittizio, per poi tornare a concentrarsi su di lui. Sorrise ancora una volta, giusto un attimo prima di afferrare il suo viso con entrambe le mani e rilasciargli un bacio a stampo sulle labbra, ignaro – e timoroso – di quale potesse essere la sua reale situazione sentimentale.
Suna – che a conti fatti non aveva nulla da dichiarare al riguardo, avendo terminato la sua ultima frequentazione di una certa rilevanza almeno un paio di mesi prima – rispose a modo suo a quella che gli parve essere poco più di una ‘coccola fraterna’, cercando immediatamente le sue labbra; desiderava con tutto sé stesso approfondire quel contatto vitale che gli era mancato per troppo tempo.
Osamu non oppose alcuna resistenza, finendo a sua volta per attirarlo a sé trattenendolo per le spalle e per la nuca. Detestava l’idea che fosse sempre stato più alto di lui... e ora ancora di più. Quest’ultimo dettaglio, di contro, divertiva molto il centrale della nazionale, specie quando anche in passato aveva notato che Miya tendeva ad ancorarsi alle sue spalle per non perdere l’equilibrio. In fondo, per quei fugaci attimi d’intimità adolescenziale, era stato il suo sostegno sia morale che fisico.
Quel bacio durò ancor più di quanto entrambi avessero sperato nelle loro più rosee aspettative di reunion e finì con il segno di un succhiotto sul lato sinistro del collo del maggiore.

“Avido d’amore come tuo solito, Suna Rintarō.”

“Sono sette anni che aspetto!”

“Come se fosse dipeso da me.”

Miya realizzò la portata delle sue parole solamente dopo averle pronunciate per intero e tutte d’un fiato. Detestava l’idea di responsabilizzare l’altro per quanto era successo tra loro, visto e considerato quello che aveva passato a causa di suo padre e della sua intera famiglia. Di riflesso si portò una mano alla bocca e distolse lo sguardo per evitare ulteriore imbarazzo.
Rintarō raggiunse il letto e si sedette sul bordo del materasso, sospirando malinconicamente mentre tentava di dare ordine ai propri pensieri. Glielo doveva.

“Ho dovuto allontanarti da me, per il tuo bene. Tu non hai idea dell’inferno che c’è stato in casa mia in quel periodo.”

“Avresti comunque potuto contattarmi di tanto in tanto.”

“Per complicare ulteriormente le cose?”

“Anche solo per farmi sapere come stavi, dannazione!”

Osamu fu preso per mano e invitato a sedersi al suo fianco. Per quanto desiderasse ardentemente rivelargli tutto ciò che aveva provato nei mesi successivi alla loro rottura, preferì tacere, aspettando che fosse lui a confidargli ciò che non poteva sapere. Si voltò appena verso lui, notando che teneva il proprio portafoglio tra le mani.

Samu, prima che la conversazione degeneri, volevo farti vedere una cosa bellissima!”

Suna aveva riacquistato l’espressione tipica che assumeva nei momenti in cui stava per fare o dire qualcosa di buffo o insensato, anche se non aveva di certo scelto il momento maggiormente propizio in tal senso. Estrasse un piccolo involucro color argento sul quale erano stampati i cinque cerchi olimpici. Lo mostrò con l’intento di fargli comprendere di cosa si trattasse e, quando ciò avvenne, rise timidamente al pensiero che potesse pensare che stesse peccando di superficialità. D’altronde, erano pur sempre chiusi nella semi-oscurità di una stanza d’albergo!

“Non ti dirò mai che le mie intenzioni per stasera escludessero certi... piaceri, ma...”

“E io che per un attimo hp creduto che mi avessi invitato in albergo per giocare a morra cinese! Che stolto che sono!”

“Hai finito di prendermi per il culo?”

“Ma Samu! Non parlare così esplicitamente del tuo meraviglioso-”

Hey!”

“Poco suscettibile stasera, mi dicono. Dai, guarda! Ho pure il condom olimpionico! Meglio di così cosa si può chiedere?”

Miya tolse il preservativo ancora incartato dalle mani del più giovane e lo esaminò con maggiore attenzione. Scosse la testa al pensiero che lo stesso anticoncezionale fosse stato consegnato anche ad Atsumu.

“Pensa che Kageyama non aveva capito esattamente cosa fosse. Pensava si trattasse di una caramella o qualcosa di simile.”

“Ma sei serio?”

“Oh, Tsumu è testimone di ciò. Abbiamo riso tutti per mezzora e lui si è chiaramente incazzato come una iena.”

“Normale amministrazione. Ad ogni modo, questo lo tengo io e non lo si userà fino a che non mi farai un riassunto esaustivo di quello che hai combinato in questi setti anni. Intesi?”

Rintarō guardò l’altro in tralice, mostrando un broncio degno di un bambino al quale era appena stato sequestrato il proprio giocattolo preferito perché non si era impegnato nello studio. Mantenne l’attenzione viva sui movimenti della mano di Osamu mentre si prodigava nel nascondere il piccolo ‘tesoro’ nella tasca posteriore dei suoi jeans attillati. Provò inevitabilmente una forte invidia per quell’incredibile vicinanza alle sue natiche.
Doveva pur trovare un diversivo per non sprofondare dentro al suo personale rewind mentale e famigliare.

“Non vedo e non sento mio padre da almeno cinque anni, da quando mia madre ha deciso di lasciarlo. Pare che se la facesse con una stagista, in puro stile Bill Clinton. Lui era quello che per anni mi aveva ripetuto che sarei stato la rovina e la vergogna della famiglia, facendomi passare per malato di mente persino agli occhi di Minnie. Ma lei è troppo sveglia per credere a simili stronzate. Pensa che più di una volta ha tentato di mandarmi da un suo amico psichiatra, un idiota quanto lui, convinto che l’omosessualità non sia una cosa ‘normale’. Ed era l’anno solare duemilaquindici, per intenderci.”

Rin...”

“Per un po’ mi ha chiesto ancora di te, dove abitassi e cosa facessi. Era convinto che tu mi avessi persuaso con qualcosa, che fossi il presidente di qualche associazione che si occupava dei diritti della comunità  Lgbtq e che mi avessi trascinato nelle tue ‘losche e luride faccende senza alcun ritegno’. Davanti al rifiuto di ‘curarmi’ ha cominciato ad alzare le mani, tanto che sono finito un paio di volte al Pronto Soccorso. Ormai nei suoi occhi c’era solo odio e non potevo far altro che allontanarmi...”

Miya strinse quella mano che non aveva mai lasciato da quando gli si era seduto accanto, invitandolo implicitamente a prendere fiato prima di continuare con la narrazione di tutto quel dolore. Ma sapeva bene che c’era ben poco da fare: se si era innamorato di lui era anche per sua magnetica imprevedibilità, oltre che per la sua forza d’animo senza eguali.

“Mia madre e mia sorella ora vivono nella prefettura di Aichi, dove sono nato. Minako ha iniziato a frequentare la facoltà di lingue occidentali a Nagoya, mentre mia madre si è presa cura di mia nonna fino allo scorso anno, quando purtroppo...”

Il fatto che avesse cominciando a lasciarsi andare alle lacrime pensando alla morte della sua adorata Obā-san e non a ciò che gli era accaduto ancor prima lasciò interdetto Osamu, il quale iniziò ad accarezzargli il viso con la mano rimastagli libera dalla sua stretta.

“Ok, può bastare. Mi spiace per aver insistito.”

Recuperò il preservativo dalla tasca e lo riconsegnò al legittimo proprietario, il quale lo posò momentaneamente sul comodino. Si alzò e, con le guance ancora rigate di lacrime, si stanziò di fronte ad Osamu, posandogli delicatamente una mano sulla fronte e sugli occhi, come soleva fare ai tempi dell’Inarizaki. Si trattava di un gesto che lo calmava ogni volta che capitava una sfuriata o una scazzottata con il fratello, quasi fosse in grado di risollevare la sua mente da ogni momentaneo rancore.

“Puoi sdraiarti per bene sul letto?”

Miya sollevò il capo e sorrise con fare malizioso: non poteva avere altro impeto di fronte ad una richiesta fatta con degli occhi tanto belli quanto assetati di lui. Indietreggiò appena sull’ampio materasso, sollevando una gamba e aggrappandosi avidamente a un lembo della maglietta del più giovane.
Lo trascinò con sé e lo baciò con impeto, cogliendolo di sorpresa.

Samu...”

Rin, perché sei ancora più irresistibile di quanto ricordassi?”

Suna sollevò gli angoli della bocca, voltandosi appena. La vergogna provata per quel complimento aveva preso il sopravvento per qualche istante, fino al momento in cui decise di prendere l’iniziativa approfondendo la loro vicinanza. Stando a cavalcioni sulle cosce del compagno aprì la sua camicia slacciando con lentezza ogni singolo bottone, partendo dall’alto. Una volta giunto all’orlo dei pantaloni accarezzò il suo bassoventre attraverso quella stoffa fin troppo resistente; ma forse non abbastanza da nascondere la sua già più che evidente erezione.
Aprì rapidamente la zip liberandolo da quella costrizione e nell’attimo in cui lo sentì gemere sotto il tocco delle sue dita, non riuscì più a contenersi: prese il suo sesso tra le labbra, tra i denti, fino a sentire l’intera bocca piena della sua eccitazione. Lo stimolò oralmente sino a quando non lo udì urlare dal piacere, sino all’attimo in cui non avvertì la pienezza del calore del suo seme colargli ai margini delle labbra gonfie.

Osamu si sollevò sui gomiti per cercare di riprendere fiato, ma la visione di Rintarō intento a ripulirsi le labbra sporche del suo sperma creò nella sua mente un cortocircuito tale da imporgli di fare una sola cosa: possederlo.
Con un balzo improvviso si ritrovò vis-à-vis con il compagno che non fece altro che annuire, avendo ben chiare quali erano le sue intenzioni.
Recuperò il preservativo e lo tolse dall’involucro, incapace di levargli gli occhi di dosso mentre si spogliava a meno di un metro da lui. Il suo corpo era cambiato, si era notevolmente irrobustito. Gli allenamenti quotidiani avevano poi fatto il resto sui suoi muscoli guizzanti che ai tempi del liceo risultavano appena intuibili.
Sulla scapola sinistra aveva un tatuaggio di medie dimensioni che rappresentava un kakitsubata, simbolo della sua prefettura e ricordo indelebile della nonna defunta.

“Ti piace?”

Miya non rispose, si limitò a baciarlo proprio lì, sui petali di quel fiore ricco di tradizione.

“Lo sai perché ho sempre preferito te ad Atsumu?”

Tenendo la fronte poggiata alla sua spalla e senza riuscire minimamente a staccarsi da lui, sgranò i suoi enormi occhi grigio-azzurri pensando per un secondo a suo fratello. Tornò a riflettere su tutti i complessi che la sagacia e il talento dell’alzatore avevano generato in lui negli anni, specie nel corso di quel lungo periodo adolescenziale in cui non aveva ancora ben chiaro cosa ne sarebbe stato del suo futuro. Rivide le discussioni e le risse, le paure e le incomprensioni. Scelse di dare adito a quella risposta che in realtà desiderava ascoltare da tempo, come unica ancòra di salvezza nei confronti di quel senso di mediocrità che lo seguiva imperterrito da quando aveva compreso che le sue idee erano diverse da quelle del proprio fratello gemello.

“No, però vorrei tanto saperlo...”

“Hai una nobiltà d’animo talmente rara da renderti unico. Con te non serve nemmeno parlare, mi basta uno sguardo per sentirmi in pace con il mondo.”

Le parole di Rintarō lo colpirono talmente nel profondo da indurlo a non riuscire a fare a meno di stringerlo ancora più forte a sé, sino quasi a fargli mancare l’aria. Tentò di scacciare le lacrime che ricaddero inesorabilmente dalle sue guance sino alle spalle del compagno, a sua volta in balia della propria sensibilità. Lo baciò sul collo, cercando ancora una volta la sensualità della sua bocca.

“Mi sei mancato da morire, Rin!”

“Anche tu, Samu! Però... ecco, che ne dici di chiudere qui l’infinitesima puntata di Beautiful e d’iniziare a dedicarci alla parte più divertente della seconda stagione della nostra incredibile storia?! Let’s have sex!”

Scoppiarono entrambi a ridere per poi tornare ad abbracciarsi.
Rintarō tornò a sedersi su di lui divaricando le gambe per permettergli di penetrarlo senza troppi problemi. Bastarono pochi affondi per fargli perdere la testa in un marasma di piacere e senso di libertà; una libertà che sentiva di aver perso proprio quel maledetto giorno, quando dopo la consegna dei diplomi era stato costretto a comunicare la sua drastica decisione al ragazzo che amava e che non aveva mai smesso di amare.
Sentì le sue unghie stridere lungo le sue gambe, sulle sue natiche. Venne nell’attimo in cui Osamu si sollevò a sedere per stringerlo ancora una volta a sé, leccando i suoi addominali, succhiando i suoi capezzoli eretti.

A notte fonda erano rimasti i loro corpi sudati, intrecciati, appagati. Così come i loro occhi incapaci di staccarsi gli uni degli altri, come due magneti che finalmente avevano ritrovato il loro equilibrio dopo tanto – troppo – tempo.

Samu?”

“Dimmi.”

“Se domani vinceremo contro l’Italia... potrei avere un assortimento dei migliori onigiri che hai in catalogo come so che farai per Akaashi?”










 

 Angolo dell'Autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere questa mia easy-long! :)

Prima di tutto volevo ringraziare chi è passato a leggere e a recensire la flash “Un selfie per la gloria”, prologo di questa brevissima long con cui ho deciso di continuare a dedicarmi ai personaggi di Osamu Miya e Rintarō Suna. Inoltre, ringrazio chi ha apprezzato il modo in cui ho deciso di raccontarvi di loro anche nel primo capitolo di questa stessa storia! Siete preziosissimi per me! **

Capitolo 2: Farfalla.
Questa seconda parte è stata un’altalena ancora più discontinua della prima. Rin e Samu si sono trovati, hanno capito di amarsi e di non poter fare a meno l’uno dell’altro, anche se ad un certo punto sono stati entrambi costretti a fare i conti con la realtà. Il distacco risulterà essere terribile, anche se in fin dei conti è stato utile per ‘preservarsi’ e decidere di ritrovarsi in un futuro forse un po’ troppo lontano, o forse no. Ai posteri l’ardua sentenza (del tipo... devo approfondire ancora questa storia? Che dite? Io so solo che mi sono divertita un sacco a scriverla!).
Sono contenta di aver avuto modo di mettere in mezzo anche altri ragazzi dell’universo di Hq (Atsumu qui se ne esce proprio da gran signore, non c’è che dire!) e altri OC maggiormente legati al contesto familiare dei due ragazzi. Spero di non aver fatto troppi pasticci e che questa easy-long sia stata di vostro gradimento. ;)

Solamente due piccole annotazioni: 
  • Ushijima fa riferimento a Semi quando parla di un compagno che si metteva lo smalto ai tempi della Shiratorizawa;
  • Il kakitsubata è il fiore simbolo della prefettura di Aichi, luogo di nascita di Suna.
 
Il testo è scritto in terza persona, al tempo passato e il point of view è alternato sia nel 2014 che nel 2021.
La scelta di usare sempre il passato è voluta.

Grazie ancora a chiunque passerà di qua. **

A presto,

Mahlerlucia






 

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