Puoi scappare da tutto e tutti, tranne che da te stessa.

di Assia7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atena, come la dea greca della guerra. ***
Capitolo 2: *** Rapita da un parente. ***
Capitolo 3: *** Dannata ***
Capitolo 4: *** passato. ***
Capitolo 5: *** Atena, come la dea greca della saggezza. ***



Capitolo 1
*** Atena, come la dea greca della guerra. ***


Stavo pulendo la cucina mentre la mamma e Mikasa, stavano ricamando.
Mio padre stava lavando i piatti.
Stavamo chiacchierando del più e del meno fino a quando non bussarono alla porta.
“Ah, questo dovrebbe essere il dottor Jeager” disse mio padre, asciugandosi le mani su una pezza e andando ad aprire la porta.
“Ehi, dottor Jaeger-“ fece per dire ma non fini la frase.
Singhiozzò per poi accasciarsi a terra, facendo colare il sangue sul pavimento, non riuscì ad urlare ma vidi tutto, feci cadere la scopa a terra e corsi dalla mamma, che anche lei si era alzata.
“Fate silenzio, e state ferme altrimenti vi ammazziamo! E tu prova a prendere quelle forbici e ti tagliamo la testa con l’ascia” disse un uomo, lurido pezzo di merda.
Mia madre non li ascoltò e prese la forbice e li attacco, ma non servì a niente, la disarmarono e la uccisero confinandogli l’ascia sulla nuca.
“Scappate, presto!” erano le ultime parole di mia madre, ad un certo punto sentì l’elettricità nel mio corpo, un calore caldo e accogliente.
Sapevo cosa dovevo fare, Mikasa stava immobile a fissare nostra madre, ormai deceduta.
Uno aveva un fucile, uno un coltello e l’altro l’ascia.
Corsi, il più velocemente possibile e con un salto, diedi un calcio sul petto dell’uomo che aveva l’ascia, facendolo cadere e gli presi l’ascia.
“Ehi, ragazzina!” mi disse un uomo puntandomi il fucile addosso.
Conficcai l’accetta nel ginocchio di quello con il coltello dove sgorgò molto sangue e che mi finì addosso, il tizio urlò di dolore e fece cadere l’arma.
Lo usai come scudo, quando l’altro sparò e dopo che sentì che i colpi erano finiti, buttai il corpo d’avanti a me e lo usai da trampolino per arrivare al viso spaventato del tizio numero tre che cercava i proiettili del fucile, ma che evidentemente non aveva, e gli conficcai l’accetta in mezzo agli occhi, schizzandomi in faccia il suo sangue, schifoso.
Scesi da quei cadaveri e presi il coltello, andai dal tizio numero uno che ansimava e gli misi il coltello alla gola.
“Ce ne sono altri?” chiesi e lui scosse la testa spaventato.
“T-ti prego h-ho una famiglia” disse lui, e io ridacchiai mi allontanai e gli lanciai il coltello nelle costole.
Il sangue, ormai invadeva l’ingresso, sulle pareti, i pavimenti e la porta.
“Come hai fatto?” mi chiese Mikasa, spaventata.
“Non lo so, ma tu stai bene?” gli chiesi, in quel momento sentì le lacrime agli occhi e singhiozzai, crollando sul pavimento pieno di sangue, penso che era stata l’adrenalina a farmi fare tutto quello ma non ne ero sicura.
Ad un certo punto qualcuno bussò alla porta.
Presi il coltello e guardai alla finestra, riposi il coltello e aprì la porta.
“Atena, ma che è successo? Quello è sangue?” mi chiese il dottor Jaeger.
Piansi, a sentirlo dire a voce alta era peggio.
Mi scostai per farlo passare, e lui entrò.
Io e Mikasa, gli spiegammo tutto, anche la sensazione che avevo avuto dopo che mia madre era morta.
“L’evento che mi ha spiegato il signor Ackerman. Dev’essere questo, sta tranquilla Atena, è stata autodifesa, sarà un po’ difficile spiegare come una bambina di otto anni sia stata capace di fare tutto quello che hai fatto tu” mi disse, sorridendo.
“Signor Jaeger, la vorrei abbracciare ma sono ricoperta di sangue e non vorrei sporcarla” dissi. “Ma faccia come se l’avessi abbracciata.”
Lui ridacchiò e annuì.
“Comunque, lui è Eren, mio figlio” ci disse il dottore.
“Piacere, io sono Atena e lei è la mia sorellona Mikasa” ci presentai.
Presto arrivò la Gendarmeria e il signor Jaeger gli spiegò tutto e loro annuirono.
“Allora, cos’è l’evento Ackerman?” ci chiese Eren, ma alzammo tutt’e due le spalle.
Non lo sapevo, ma sapevo che questa tristezza mi faceva male e che quindi doveva sparire al più presto.
“Venite con me, bambini” ci disse Grisha, sorridendoci.
I soldati mi guardarono e mormoravano nell’orecchio dei compagni.
Appena arrivammo a casa, Grisha mi disse di farmi una doccia e di gettare il vestito per terra e che Carla, sua moglie lo avrebbe lavato.
“Non c’è bisogno, signore, posso lavarlo io” dissi, ma il signor Jaeger non mi ascoltò e mi costrinse a fare come aveva detto lui.
 

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Capitolo 2
*** Rapita da un parente. ***


Sapevo perfettamente che non dovevo andarmene ma mi sentivo un peso per la famiglia Jaeger.
Gli avevo scritto una lettera per spiegare il perché ero fuggita dalla loro abitazione.
Mi dispiaceva molto, ma non potevo permettermi di mangiare il loro cibo, di dormire sotto il loro tetto, mi sarei sentita in colpa e anche una ladra, perciò addio famiglia Jaeger e anche a te Mikasa.
Correvo per le strade isolate di periferia, quando mi scontrai con un signore molto alto che aveva un cappello sulla testa.
“Mi scusi, signore, non guardavo dove andavo” dissi grattandomi la nuca.
“Lo sai che non dovresti girare a quest’ora, da sola? Potresti incontrare qualcuno di pericoloso” disse il tizio.
“Grazie del consiglio ma ora devo andare” dissi senza emozioni.
“Oh, ma perché non mi fai compagnia?” chiese l’uomo, ma cosa voleva?
“Mi dispiace signore ma ho da fare.”
Iniziò a barcollare, le sue guance erano arrossate, sicuramente era ubriaco.
“Signore ma è ubriaco? Si sente bene?” chiesi preoccupata.
“No, sto bene. Io sono qui, per-per una bambina s-sul, come si chiama?” chiese, stropicciandosi gli occhi con il dorso della mano destra.
“Giornale?” proposi, ma perché non me ne andavo semplicemente?
“Si, ecco, quello! Guarda qua!” mi disse estraendo dalla tasca un foglietto di giornale.
Lo guardai e lessi, parlava di me e di Mikasa, quel giornale.
“Chi sei?” chiesi, in modalità di attacco.
“Oh, giusto, che sbadato, sono Kenny Ackerman” disse ridacchiando. “E non sono per niente ubriaco, ora tu vieni con me, cara Atena.”
Che stupida che ero, provai a scappare ma mi afferro dal braccio.
Mi girai di scatto dandogli un pugno in mezzo agli occhi, facendolo indietreggiare e così da fargli lasciare la presa.
Mi girai e iniziai a correre, il più velocemente possibile ma lui era molto più grande di me ed era molto alto.
Inutile dire che riuscì a prendermi e a caricarmi con facilità sulle sue spalle.
“Lasciami!” gli urlai nelle orecchie, sperando che si stordisse così che mi lasciasse andare, invece niente, non gli fece nient’altro che fastidio.
“Cavolo, sta calma, voglio solo proteggerti, nipotina” mi disse, divertito.
Provai a tirare i calci sul suo petto ma inutile, era fatto d’acciaio probabilmente.
“Comunque mi hai fatto male, con quel calcio” mi disse.
Mi addormentai, così su quella spalla di merda.


Mi svegliai al rumore dell’acqua, ero su una barca, su un sedile, intorno a me c’era tanta gente che parlava.
Mi guardai bene intorno e vidi Kenny parlare con un uomo.
Mi aveva rapita, ora avrebbe passato l’inferno.
Mi alzai e iniziai a camminare dal verso opposto al suo, in mezzo alle persone.
Ridacchiai e mi intrufolai nella stiva, e mi nascosi, certo mi avrebbe trovato ma prima si sarebbe dovuto impegnare.
Come avevo calcolato ci mise un bel po’ a trovarmi.
“Ma che ti è saltato per la testa?” mi chiese, era arrabbiato.
“Tocca a te nasconderti!” dissi ma la barca iniziò a rallentare e Kenny mi prese dal colletto del vestito che avevo addosso.
“Siamo arrivati, il re ci aspetta” dissi.
“Ma va al diavolo!” gli urlai.
“Ma allora mio fratello non ti ha insegnato le buone maniere? Dovresti ringraziarmi!” mi urlò lui.
“Ma ringraziami tu! E lasciami stare” gli urlai.
Allungò il braccio e fece per tirarmi uno schiaffo, ma lo parai e gli diedi un calcio sul ginocchio, facendolo inginocchiare, e gli diedi un calcio sulla mascella.
Kenny mi prese dai capelli con l’altra mano e mi fece cadere.
“Non dovresti trattare così un vecchietto come me” mi disse.
“Ma sta zitto!” gli urlai contro, afferrando una panchina di legno e lanciandogliela contro.
La nave si fermò e Kenny, sorrise.
“Tempo scaduto, e che cavolo potevi non lanciarmi la panchina, ma devo ammettere che è stato divertente” disse rialzandosi.
Ma questo è scemo.
Mi allontanai ma lui mi fece lo sgambetto facendomi cadere e mi prese in braccio.
Ma che cavolo voleva da me?
Non dovevo proprio lasciare casa Jaeger.
Mi pentivo di cosa avevo fatto.
Sicuramente non ero nel Wall Maria, probabilmente ero nel Wall Sina.
Mi fece sbattere contro la porta della stiva, facendomi perdere conoscenza.


Quando mi svegliai, mi ritrovai in un letto comodo, in una stanza spaziosa.
Il letto si trovava accanto la porta, sul lato sinistro, sul muro c’erano due finestre con una porta di vetro scorrevole.
Sullo stesso muro, sopra al letto c’era un quadro di un campo di girasoli.
Sul muro laterale sinistro c’era una scrivania e sull’altro un armadio con un’altra porta, sul lato destro non c’era niente e al centro della stanza c’erano solo delle sedie con un tavolino da fumo.
Mi alzai e aprì l’armadio, lo trovai pieno di vestiti della mia taglia.
Presi un pantalone maschile e una maglietta, cosa ci facevano dei pantaloni in quell’armadio, non potevo saperlo.
Aprì la porta accanto all’armadio e scoprì un bagno.
Mi lavai e mi vesti, poi guardai i miei capelli lisci e neri.
Li pettinai con una spazzola che trovai dentro a un cassetto e uscì dalla stanza.
Mi guardai intorno, i corridoi erano lunghi e vuoti se non fosse per i cassetti che si situavano qua e là.
 

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Capitolo 3
*** Dannata ***


Kenny mi stava allenando, diceva che quello che sapevo grazie al potere degli Ackerman non bastava.
Mi insegnò a divertirmi e ad essere fredda e spietata quando serviva.
“Zio, ma se mi unissi all’armata ricognitiva? Voglio sterminare quei giganti che hanno osato invaderci” dissi e Kenny, mi guardò.
“Divertente, questo tuo scherzo!” mi disse scoppiando a ridere.
“Ehi! Ma non è uno scherzo!” esclamai.
“Eh! Non se ne parla, Atena!” mi disse. “Non ti lascerò andare a morire, piuttosto ti rinchiudo.”
Che rompi scatole che era!
“Ma lo hai detto tu! Prima o poi, quando sarò pronta mi lascerai andare!” gli rinfacciai.
“Ma tu non sei pronta, sei solo una bambina” mi disse.
“Allora scommettiamo! Se vinco questo scontro, mi arruolo nell’esercito. Se vinci tu, resterò sempre alla tua ombra.”
“Ma dai! Tanto sai che vincerò io, perché provarci” si elogiò.
“L’importante è provarci.”
“Ma chi te le ha dette tutte queste cose?” mi chiese e io ridacchiai.
“Tu, scemo” gli dissi e lui sospirò.
Ci mettemmo in modalità d’attacco e lui partì.
Parai quasi tutti i colpi, dovevo aspettare che si stancasse maggiormente, cosicché i riflessi si allenteranno.
Ridacchiai e appena lo vidi afflosciarsi, partì all’attacco.
Gli tirai un calcio sulle caviglie facendolo cadere ma mi parò il colpo e mi fece cadere.
Che brutto farabutto! Aveva fatto finta di stancarsi, bene avrei trovato un’altra strategia.
“Cos’è ti stai rammollendo, Kenny?” gli chiesi divertita.
“Mi sa tanto che è il contrario, tesoro” mi rispose a tono e io ridacchiai.
“Oh, no caro. Io ho appena iniziato!” esclamai.
Iniziai a ridere come una matta e lui mi guardò come se fossi scema.
Ma si distrasse e questo mi permise di afferrargli l’avambraccio sinistro, su cui mi appoggiai e con una semi capriola arrivai al suo collo e mi girai, con tutto il mio peso verso la schiena e miracolosamente, cademmo.
La mia schiena striscio contro il terreno umidiccio, lo girai e gli portai il braccio destro sopra la testa.
“Ma che cosa è successo? Tu che mi batti?” mi chiese sopraffatto.
Risi e mi alzai in piedi, 
“Mi unirò all’armata ricognitiva! Aiuterò il mondo a vincere contro quelle fecce giganti!” esultai.
“Atena, vieni ti devo dire una cosa” mi disse Kenny e io mi avvicinai mentre lui si era seduto.
Mi invitò a sedermi accanto a lui e così feci, mi sedetti.
“Ho sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, ma non avevo mai avuto modo di dirtelo perché non ne avevo la necessita ma vedi è stato divertente accudirti per questo anno, soprattutto all’inizio. Mi è dura ammetterlo ma mi sono affezionato a te, stupida scimmietta, ed ecco perché non voglio che tu ti unisca alla ricognitiva, preferirei quella di gendarmeria è più sicura e poi potrei continuare a tenerti d’occhio, ma se vuoi andare nel corpo di ricerca, io non posso certo vietartelo, soprattutto dopo la scommessa fallita da parte mia” disse, poi sbadigliò. “Questo discorso sta diventando noioso, ma c’è un altro punto. I maschietti. Allora, devi stare molto attenta a loro-” iniziò a dire e io arrossì.
“E dai! Zio!” esclamai in imbarazzo.
“E’ importante, non si sa mai che io debba venire fino al reclutamento per uccidere qualcuno” mi disse, gli tirai un pugnetto amichevole sulla spalla sinistra e lui ridacchiò.
“Ehi, voi due!” Ci urlò una guardia e io sbuffai. “Non potete stare sul terreno!”
“Andiamo va!” mi disse Kenny, alzandosi.
Mi alzai e mi pulì al più possibile gli abiti che indossavo.

Rod mi fece arruolare subito nel 104° corpo di addestramento reclute sud, per i buoni rapporti che aveva con mio zio, quindi lo ringraziai immensamente e mi ritrovai ad abbracciarlo.
Mi ritrovai in viaggio verso sud, da sola.
Provai un buco nel petto come la mancanza di qualcuno e probabilmente era Kenny.

Eravamo tutti riuniti al centro del campo, in una sorta di cerimonia d’inizio.
“E tu dannato chi sei?” urlò in faccia al ragazzo di fianco a me. Ma perché urlava? Così mi sputava addosso.
Il ragazzo portò la mano destra sul petto e l’altra dietro la schiena.
“Jean Kirschstein, del distretto di Trost!” gli urlò lui di rimando.
“E perché sei venuto qui, dannato?” gli chiese Shadis.
“Lo fatto per poter vivere nei territori interni, signore” disse Jean, doveva essere uno di quei codardi.
“Ho capito! E così tu vorresti vivere nei territori interni” affermò il generale.
“Sì-“ affermò.
Ma Shadis gli diede una testata in fronte e Jean cadde dolorante a testa, mi dispiaceva per lui, ma almeno era stato onesto con sé stesso.
“Chi ti ha detto di metterti a cuccia!” gli urlò Shadis. “O pensi che, chi si arrende così facilmente si possa unire al corpo di gendarmeria!”
Poi venne di fronte a me.
“E tu chi sei dannata?” mi urlò, e come avevo previsto mi sputacchiò addosso.
“Atena Ackerman, signore!” gli dissi facendo il saluto.
Pugno destro sul petto e braccio sinistro dietro la schiena.
“Da dove vieni?” mi chiese.
“Dal Wall Sina, signore!” risposi
“E perché sei qui, dannata?” mi chiese.
“Per entrare nel Corpo di Ricerca e fermare i giganti, signore!” esclamai orgogliosa.
“Come se una nanetta come te potesse farlo!” mi urlò contro.
“Potrei farcela nonostante la mia statura” ribattei.
“Non ti arrendi, dannata?” mi chiese.
“Mai arrendersi, signore.”
“Sta zitta!”
“Va bene!”
Mi guardò infuriato.
“Duecento giri di campo, dannata e non aprire quella boccaccia che ti ritrovi!” mi urlò contro.
“Sì, signore!” dissi e partì.
Presto fui raggiunta da una ragazza che stava mangiando una patata, parlava solo lei mentre io gesticolavo.
Finì i giri all’ora di cena e salutai Sasha e andai nel capanno dove si teneva la mensa.

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Capitolo 4
*** passato. ***


Appena entrai, sentì il buon profumo di pane appena sfornato e delle lenticchie, presi un pezzo di pane e una porzione di lenticchie e mi andai a sedere, ormai non c’era posto.
“Mi posso sedere lì? Non c’è posto” dissi, indicando il posto libero.
Gli occhi ambra e gli occhi castani dei ragazzi si puntarono su di me e annuirono, così mi sedetti e iniziai a mangiare.
“Comunque, Atena Ackerman, piacere” dissi porgendogli la mano, che il biondo afferrò.
“Reiner Braun” si presentò.
Staccò la mano e la mano del moro afferrò la mia.
“Bertholdt Hoover” si presentò.
“Chissà, domani come andrà” mi ritrovai a dire.
“Ehi, Atena. Posso parlarti in privato, dopo la mensa?” mi chiese una ragazza dai lunghi capelli neri, con una sciarpa rossa al collo.
Assomigliava tanto a Mikasa, che si trattasse di lei?
Sarebbe davvero una bella coincidenza.
“Va bene” dissi, per poi infilarmi il cucchiaio pieno di lenticchie in bocca e iniziai a masticare.
“Senti qua, Atena. Tu vivevi nei territori interni, giusto?” mi chiese conferma il ragazzo che si era beccato una testata da Shadis.
“Sì, giusto” lo spronai a continuare.
“Allora, perché ti sei arruolata, potevi vivere al sicuro” mi disse e io ridacchiai.
“Ma non mi hai ascoltato, quando il Shadis me lo ha chiesto? Per entrare nel corpo di ricerca e fermare i giganti invasori” dissi cupa. “E tu sei quello che si vuole unire al corpo di gendarmeria, giusto?”
“Sì, giusto” mi rispose.
Ridacchiai, “Vuoi morire così? E i tuoi genitori, che potrebbero morire se i giganti decidessero di attaccare Trost, non ci hai pensato?” gli chiesi.
“E i tuoi genitori, non si preoccuperanno di sua figlia?” chiese divertito.
Sentì un vuoto nello stomaco e abbassai lo sguardo.
“I miei genitori sono morti per colpa di alcuni trafficanti di schiavi a Shiganshina, penso che non si preoccuperanno” dissi freddamente.
“Shiganshina? Se vieni da lì perché hai detto di venire dal Wall Sina” mi disse.
“Per questo devi sapere tutta la storia e non mi va di raccontartela, oggi, che divertimento ci sarebbe? Domani vi dirò il pezzetto dopo che i rapitori uccisero i miei genitori, se volete e così anche il giorno seguente e così via, andremo a puntate” dissi, cupa.
“Ma non è giusto!” disse un altro ragazzo.
Ficcanaso, erano tutti dei ficcanaso.
“Ma se volete posso dirvi una curiosità” dissi, l’attenzione di tutti i presenti si spostarono su di me. “Ho una sorella maggiore.”
Guardai la ragazza e gli sorrisi.
“Dicci qualcosa di più!” mi pregò una ragazzina bionda con gli occhi azzurri.
“Mmm… va bene. Vivevamo nelle colline al confine di Shiganshina, ora dovrete aspettare domani” dissi.
Calò il silenzio e finalmente finì la mia porzione di lenticchie e addentai la pagnotta di pane.
“Senti, Atena. Ma non è che ci puoi spifferare un pezzo della storia di domani? Non lo diremo a nessuno, promesso” mi disse Jean nell’orecchio, seguito da un ragazzo.
“No, ovviamente, è una sorpresa” dissi alzandomi, posai il piatto e le posate sporche nel lavandino e le lavai.
“Allora, non dovevi parlarmi?” chiesi alla ragazza con la sciarpa.
“Sì” disse solo.
Andammo fuori e ci fermammo di fronte al dormitorio femminile.
“Atena, sono Mikasa e di là c’è anche Eren” mi disse.
“Ma dove sei stata? E perché sei scappata?” mi chiese.
“Lo scoprirai in futuro con i piccoli pezzi di storia che racconterò agli altri.”
“Ma sono tua sorella!?” mi rimproverò.
“Ma questo lo so, eh” dissi offesa.
Cosa credeva che fossi scema? Mi volevo soltanto divertire.
“Ma le regole, sono regole” dissi, lasciandola lì ed entrando nel capannone.


Il giorno dopo iniziammo la teoria sul movimento tridimensionale.
Era una palla, ma ci serviva per capire i movimenti che dovevamo fare con i fianchi per restare in totale equilibrio.
Shadis, continuava a gridarci addosso per ogni cosa sbagliata.
Così passammo la mattinata, a studiare, prendere appunti e ad ascoltare.
Il pomeriggio lo passammo al pratico.
Presi tante di quelle craniate, ma riuscivo a stare in equilibrio per i primi dieci minuti, poi non sapevo come mi trovavo a faccia a terra.
“Ehi, cambiategli imbracatura è manomessa!” ordinò ai miei compagni che slacciarono l’imbracatura e io caddi.
Me ne montarono un’altra in cui ci stai in equilibrio costante.
“Ma allora come faceva a rimanere in equilibrio se la corda era manomessa?” chiese un compagno mentre l’altro alzava le spalle, che fosse per l’evento Ackerman? Probabilmente era così.
Rimasi lì tutto il pomeriggio, finché Shadis, decise che poteva bastare per oggi.
Alla cena mangiai il mio pasto e poi, ghignai.
“Allora, volete ancora sapere cosa mi era successo?” chiesi e Connie, per poco non si affogò dallo scuotere su e giù la testa.
“Sì, certo” disse Jean.
 “Bene, eravamo rimasti che i miei genitori era rimasti uccisi da quei bastardi, giusto?” chiesi.
“Sì, giusto” confermò Jean, sempre di molte parole.
“Ok, dopo sentì nel corpo dell’elettricità e un calore caldo e accogliente, lo chiamiamo ‘Evento Ackerman’ perché succede a tutti gli Ackerman prima o poi, comunque stava che dopo quella sensazione sapevo cosa fare, valutai la situazione, i rapitori erano tre, uno con il coltello che aveva ucciso mio padre, uno con l’ascia che aveva ucciso mia madre e il terzo un fucile.
Mi misi a correre per poi saltare e dare un calcio a quello con l’ascia, rompendogli tre costole, poi presi l’ascia e quando il terzo mi puntò il fucile addosso, come avevo calcolato, piantai l’ascia nel ginocchio del secondo, facendolo inginocchiare e lo usai come scudo umano finché non sentì che aveva finito i colpi, quindi feci cadere il corpo del secondo rapinatore e lo usai come trampolino per arrivare alla faccia del terzo che si beccò l’ascia in mezzo agli occhi, poi tornai dal primo ancora vivo ma prima presi il coltello del secondo e glielo appoggiai in gola, gli chiesi se ce ne fossero altri e quando mi confermò che non ce n’erano mi allontanai e gli lanciai il coltello nel petto. Poi arrivò Grisha Jaeger e suo figlio, Eren Jaeger, che ci portò a casa sua. Per oggi basta” dissi alzandomi e andandomene nel dormitorio femminile.

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Capitolo 5
*** Atena, come la dea greca della saggezza. ***


Oggi c’erano le prove a voto del movimento tridimensionale e io non ero sicura di farcela.
Anche ad Eren fu manomessa la corda, ma chi era stato?
In poche parole, tutti furono sorpresi perché lui riuscì a rimanere i primi minuti in totale equilibro, poi dopo diede una craniata mentre Shadis notò la corda e la fece cambiare.
Poi, toccò a me.
Andò tutto bene e a dire il vero, mi trovavo a mio agio.
Quando scesi andai da Eren.
“Ehi, Eren. Stai bene? Hai preso una brutta botta” gli chiesi e lui arrossì.
“Oh, ehm, sto benone!” disse grattandosi la nuca.
“Questo è l’importante” gli dissi sorridendogli. “Sei stato grande!”
“Ehi, Atena! Non stare con gli sfigati!” mi urlo Jean.
“Infatti, non sto con voi” gli dissi.
“State zitti!” ci rimproverò l’istruttore.
Restammo tutto il giorno così, ad aspettare che finissero tutti.
Saltammo anche il pranzo e Sasha si mise a piangere per quello.
Quando arrivò l’ora di cena eravamo tutti affamati, ma soprattutto Sasha e quindi ci toccava stare attenti a non farci rubare la nostra insalata di patate.
“Atena, il pezzo di storia!” mi ricordò Connie e io annuì.
Ma loro aspettavano la sera per il mio passato? Ma perché mi sono messa a raccontargli la mia storia? Forse per integrarmi meglio?
“Allora, dopo che il dottor Jaeger ci portò a casa sua, mi fece lavare e seguentemente mangiare, vedete a quel tempo avevo otto anni.”
“Solo otto e basta? E hai ucciso tre rapinatori? Senza mai essere stata addestrata a farlo?” mi chiese Bertholdt.
“Sì, ve l’ho detto è grazie all’evento Ackerman. Comunque, scappai da quella casa accogliente, quella stessa notte perché mi sentivo in colpa a mangiare il loro cibo e dormire sotto il loro letto, gli lasciai una lettera-“.
“Sì, non sai quanto papà ci era rimasto male” mormorò Eren, rosso in volto.
“Mi dispiace, Eren, ma doveva andare così. Comunque, dopo esser scappata arrivai fino alla periferia dove incontrai Kenny Ackerman o meglio conosciuto come: Kenny lo Squartatore. È nostro zio.”
“Kenny lo Squartatore!? Ma credevo che fosse una leggenda!” urlò Connie.
“Connie, stai zitto e siediti” gli disse Jean. “Ascoltiamo.”
“Kenny esiste, mi aveva rapita, era venuto dal Wall Sina solo per me e Mikasa, ma si accontentò di me. Combattemmo e all’epoca vinse lui. Durante il viaggio per il Wall Sina, però mi svegliai e mi nascosi nella Stiva, cosicché ci avrebbe messo del tempo per trovarmi. Quando mi trovò litigammo e combattemmo ancora e vinse ancora lui, ma ebbi la possibilità di lanciargli una panchina di legno addosso.
L’anno che mi tenne con lui, mi addestrò e passammo molto tempo a divertirci in svariati modi, poi abbiamo scommesso poiché non voleva farmi arruolare mentre io lo volevo con tutta me stessa, vinsi. E ora eccomi qua, la storia è finita” dissi.
“Wow, ma quindi tu hai già un allenamento non vale!” protestò Connie.
Ridacchiai e alzai le spalle.
Potevo fidarmi dei miei compagni? Decisi di sì.
“Non posso farci nulla, piccione” dissi sorridendo.
Come al solito, lavai il piatto e dissi: “Sbrigatevi a mangiare e andate a riposarvi, prevedo che domani sarà una dura giornata.”


E così fu, una lunga giornata. Incominciammo a studiare l’anatomia dei giganti e il loro punto debole.
All’ora di pranzo mangiammo un semplice pezzo di pane e poi nel pomeriggio provammo il movimento tridimensionale con dei manichini di giganti.
Li colpì quasi tutti con tagli netti e profondi.
La sera vedemmo il carro che portava i ragazzi non adatti al movimento tridimensionale nei campi.
 I giorni seguenti furono così esercizi per uccidere i giganti, allenamento con il movimento tridimensionale, equitazione, esercizi di logica in cui Armin ci stracciava, corsa e resistenza.
Molti altri nostri ragazzi abbandonarono.
Io e Mikasa scoprimmo che non avevamo quasi niente in comune oltre che ai genitori.
Eren arrossiva ogni volta che gli parlavo e provava ad evitarmi ad ogni costo, una volta si era ‘nascosto’ dietro un palo.
Reiner mi aiutava sempre anche quando non ce n’era bisogno.
“Ti dico che posso farlo da sola” gli dissi.
“Lo so, ma lo voglio fare io” mi canticchiò, era l’ora di equitazione e voleva prepararmi il cavallo.
“Senti, perché non vai da Bertholdt che è in difficoltà?” gli chiesi, odiavo farmi aiutare ecco la semplice verità, lo apprezzavo ma non lo sopportavo.
“Perché non mi lasci fare?” mi chiese, puntando i suoi occhi ambra su di me, abbassai gli occhi ai piedi.
“Odio farmi aiutare, odio stare ferma a guardare, odio far fare le mie cose agli altri” dissi sinceramente.
“Ti capisco, non sei dotata nel lavoro di gruppo” mi disse.
“Sì che ci sono dotata, razza di idiota! Però ognuno ha il suo compito e ognuno lo deve adempiere al miglior modo possibile, altrimenti i giganti ci sovrasteranno un’altra volta. Se non fosse per quei bastardi del colossale e del corazzato! Ma da dove sono sbucati?” chiesi.
Sbuffai e notai che Reiner si era perso nei suoi pensieri così gli rubai le cinghie e preparai il mio cavallo.
Ci salì in groppa e gli fischiai.
“Reiner, ci sei?” gli chiese e lui mi guardò e strinse le mani.
“Visto ho vinto io” gli rinfacciai tutto.
Mi guardava ma non smetteva di sorridere.
“Per questa volta hai vinto tu. La prossima, sarò io a vincerla e ora vado ad aiutare Bertholdt” mi disse cupamente, avevo fatto qualcosa che non andava? Infondo io stavo giocando.
“Reiner, aspetta!” lo chiamai e lui si girò a guardarmi.
“Ho fatto qualcosa che ti ha offeso? Se è così ti chiedo umilmente scusa, stavo giocando” dissi sentendomi in colpa.
“No, non hai fatto nulla, tranquilla” mi disse e io gli sorrisi.
“Ah, ok. Allora grazie” gli dissi e mi incamminai a cavallo.
Cavalcammo per quasi un’ora e seguentemente ci allenammo nel corpo a corpo.
Il nostro caro Shadis ci fece le coppie.
Io contro Annie.
“Pronta?” gli chiesi.
“Certo e tu?” mi chiese.
“Proviamoci” risposi.
Cominciammo con mosse leggere per poi andare più pesante e anche a tirarci insulti a vicenda, attirammo l’attenzione di tutti.
Finimmo con un pareggio.
“E’ stato divertente, Annie” dissi sincera. “Io e te dobbiamo essere amiche.”
Mi guardò male e le sorrisi.
“Va bene ma non starmi attaccata” mi avvisò e io annuì.

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