Viaggio nell'eternità

di Fiore di Giada
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caduta nell'oscurità ***
Capitolo 2: *** Una sconcertante rivelazione ***
Capitolo 3: *** Primi passi e lacrime solitarie ***
Capitolo 4: *** Comincia l'addestramento ***



Capitolo 1
*** Caduta nell'oscurità ***


Una opprimente cappa di umidità stringeva la città di Parigi in una morsa e nel cielo limpido, d’un intenso color cobalto, le stelle risplendevano di tenui bagliori argentei, circondando un’esile falce di luna, che pareva ricoperta di smalto traslucido.
La città, in quel momento, era oppressa da una calma apparente, che, tuttavia, sembrava pronta a infrangersi e a deflagrare in una violenta collisione di forze.
I membri del popolo fissavano con odio, quasi volessero divorarli, le truppe di soldati che pattugliavano le strade della capitale.
Victor Clement de Girodel cavalcava alla testa dei soldati della Guardia Reale, lo sguardo apparentemente attento, e, ad ogni rumore insolito, girava la testa, ora a destra, ora a sinistra.
Maledizione, non posso continuare così! Finirò per impazzire! pensò il militare, angustiato. Gli sembrava, in quel momento, di non appartenere a quel bel mondo dorato, per il quale, fino a pochi mesi prima, aveva combattuto con ferma determinazione.
Cosa gli era successo?
Perché gli sembrava di essere estraneo al suo stesso tempo?
Perché gli pareva di essere una marionetta priva di volontà, mossa dalle abili mani di un burattinaio privo di scrupoli?
Un lieve, triste sorriso piegò le sue labbra. Pochi mesi prima, a lui e ai suoi uomini era stato l’ atroce ordine di aprire il fuoco sui deputati dell’Assemblea.
Tale ordine, tanto meschino e crudele, gli aveva trapassato l’anima.
Con che coraggio poteva colpire degli uomini indifesi e disarmati?
Eppure, non aveva mosso alcune obiezione a tale ingiunzione e, a capo dei soldati della Guardia Reale, si era presentato davanti all’Assemblea e ai deputati.
– Se non foste arrivata voi, Oscar… – sussurrò con voce flebile e un lungo, gelido brivido di orrore trapassò la sua schiena. Il suo cuore e la sua mente gli dicevano di risparmiare quegli uomini coraggiosi, che ai fucili della Guardia Reale opponevano i loro corpi, fragili e indifesi, eppure, fermo nel suo adamantino senso del dovere, aveva deciso di puntare le armi contro di loro.
Ai loro sguardi decisi aveva opposto un’espressione crudele, che gli era costata parecchio, perché occultava i suoi più schietti sentimenti, che non volevano quell’insensata crudeltà.
E lei, con fermezza, si era schierata dalla loro parte e aveva offerto il petto alle loro armi.
Lo aveva sfidato a sparare, fissando i suoi limpidi occhi nei suoi.
E aveva vinto.
Victor Clement de Girodel e i suoi uomini non potevano macchiarsi, davanti ad una donna di tale tempra morale, di un atto tanto insensato e crudele.
Nessun ordine, per quanto pressante, giustificava un simile, inutile bagno di sangue, perché i deputati del popolo non si stavano macchiando di alcun crimine e difendevano le idee da loro ritenute giuste.
Perché non mi hanno punito?, si domandò ad un tratto Victor. Credeva che, dopo un simile atto di insubordinazione, sarebbe stato condotto davanti alla Corte Marziale e condannato ad una pena severa.
Già vedeva il suo cammino verso il plotone di esecuzione e sentiva nelle sue carni il dolore delle pallottole.
Eppure, questo non era accaduto.
Anzi, sembrava che quel suo atto di insubordinazione non fosse avvenuto e non comprendeva la ragione.
Quale sorte lo attendeva?
Speravano di liberarsi di lui in altro modo, senza che le loro mani venissero insozzate dal suo sangue?
Ma che cosa importa?, si disse. Quelle giornate avevano provocato in lui un cambiamento radicale, che aveva distrutto le sue convinzioni più forti e tenaci, sedimentatesi in lunghi anni di leale servizio.
La nobiltà, che aveva servito con tale dedizione, era una classe immersa nel fango dei suoi vizi.
Non sapeva prendere nessuna decisione e fingeva di non vedere le cose brutte o sgradevoli.
E le persone dei sovrani, da lui considerate sacre e inviolabili per diritto divino, gli apparivano stupide e indegne del loro ruolo.
Come potevano non vedere la realtà?
Eppure, non riusciva a distruggere i suoi legami con quel mondo degradato, incapace di rinascere.
Provava un disgusto fisico per le infamie della sua classe sociale, eppure continuava ad obbedire agli ordini dei suoi superiori.
Forse dovrei suicidarmi., pensò. Forse, con la morte, il suo cuore si sarebbe liberato dai tormenti.
Ma poteva lasciare i suoi uomini privi di una guida?
In lui vedevano un abile e risoluto condottiero, che li avrebbe guidati senza alcun tentennamento nella loro opera di difesa delle persone dei sovrani.
No, per quanto il suo cuore fosse gravato dal peso della nausea, non poteva lasciare i suoi uomini, che avevano imparato a rispettarlo, senza una guida.
Il suo destino era nelle mani di Dio e, se avesse voluto la sua morte, lo avrebbe accettato.

Un soldato alto e robusto, con corti capelli neri e occhi del medesimo colore, in groppa ad un cavallo normanno dal pelo color mogano, si avvicinò a Victor.
– Comandante, vi sentite bene? Siete molto pallido. E’ da giorni che non vi concedete alcun riposo. – chiese l’uomo con sollecitudine.
Victor, colto di sorpresa, sussultò, poi girò la testa e i suoi occhi chiari si fissarono nelle iridi nere del suo interlocutore.
Un leggero sorriso sollevò le sue labbra. In quel momento, quel lieve sforzo gli pareva una fatica erculea, ma non poteva sottrarsi a tale imperativo.
Doveva mostrarsi forte e risoluto, per non caricare i suoi soldati di ulteriori pesi.
– Sto bene, non preoccupatevi capitano de Marine. Almeno fisicamente.– rispose il comandante con voce apparentemente pacata.
– Cosa intendete dire? – chiese perplesso l’altro.
Victor sospirò.
– Non so come dirigere le nostre forze. I gruppi di ribelli pullulano e scoppiano tumulti da ogni parte. Così noi non possiamo mantenere l’ordine nella città. – confessò, sconfortato. Parlare di una parte della sua pena gli aveva permesso di stare meglio, seppur per poco tempo.
Ma le altre cause del suo malessere restavano.
La sua angoscia non era solo legata alla situazione incandescente del suo paese.
I membri del popolo erano divorati da una ardente sete di vendetta verso la nobiltà e il clero e guardavano con manifesto disprezzo alla Guardia Reale, ritenendola al servizio di un ordine ingiusto e corrotto.
E, malgrado le sue origini, non poteva dare loro torto.
Di quante viltà la nobiltà e il clero francese si era reso colpevole nei confronti del Terzo Stato?
E lui non era sicuro di essere immune da colpe, personali e storiche.
L’ultimo incontro con Oscar aveva squarciato con violenza un velo di menzogne e inganni che per tanti, troppi anni aveva occultato la realtà ai suoi occhi.
La nobiltà era una classe degenerata, che, dai tempi di Luigi XIV, si nutriva del sangue e delle ricchezze dei francesi.
Ma, malgrado questo, non riusciva a prendere una decisione definitiva e viveva come una marionetta.
Il capitano tacque. Sì, il loro comandante aveva ragione.
La calma che, in quel momento, regnava su Parigi era artefatta e prossima a infrangersi e i facinorosi erano pronti a tutto pur di portare scompiglio.
– Comandante, non preoccupatevi e cerchiamo di risolvere un problema alla volta. E non dimenticate una cosa: noi saremo sempre al vostro fianco. – dichiarò, solenne, il colosso.
– Avete ragione. E vi sono assai grato per le vostre parole. – rispose Victor, gli occhi lucidi. Eduard de Marine, malgrado le sue origini, era dotato d'un cuore semplice e nobile e credeva che tutto si sarebbe risolto senza alcun mutamento.
E questa ingenuità era pericolosa, perché conduceva a errori di valutazione assai gravi.
Altri focolai di rivolta presto sarebbero esplosi.
E non era sicuro di riuscire a svolgere il suo compito.
Ma perché mi preoccupo così tanto?, pensò. Forse, se fosse scoppiato un qualsiasi tumulto, avrebbe avuto la possibilità di combattere e di dimenticare, anche se per poco tempo, le sue angosce.
E, nel caso per lui più lieto, sarebbe morto e quei pensieri, finalmente, si sarebbero dissolti, come un miraggio in un arroventato deserto.

Ad un tratto, dei rumori di spari e delle urla di terrore infransero il silenzio.
– Comandante, cosa facciamo? – chiese un soldato.
Victor, per alcuni istanti, esitò, poi un sorriso enigmatico sollevò le sue labbra. Sì, in quel momento, sapeva quale fosse il fine della sua esistenza.
I suoi soldati contavano sulla sua guida.
– Soldati della Guardia Reale, seguitemi! – ordinò poi e, con un colpo deciso dei talloni, spronò il cavallo.
L’animale emise un lungo nitrito, poi si lanciò in un veloce galoppo, presto seguito dagli altri soldati.
– Finalmente... – mormorò Victor, i lunghi capelli castani scarmigliati. Il suo desiderio era stato esaudito.
Per un po’, nella furia di un combattimento, avrebbe dimenticato quell’angoscia dilaniante.
E, forse, la morte avrebbe posto fine a quel tormento che sembrava non avere termine.


Un po’ di tempo dopo, i soldati della Guardia Reale raggiunsero il Pont Neuf.
Decine di uomini, vestiti di abiti neri, brandivano dei bastoni, delle vanghe e delle baionette, si stringevano come una tenaglia attorno ad una carrozza bianca, guidata da due cavali.
Questa, sottoposta a continue sollecitazioni, oscillava pericolosamente con ripetuti scricchiolii e pareva prossima a cadere nelle acque cupe della Senna, che scorrevano, calme e indifferenti, sotto l’antico ponte.
– Sparate! – ordinò con voce decisa Victor.
I soldati, solerti, si misero in posizione. Caricarono. Qualche istante dopo, risuonò lo scoppiettio dei fucili.
I popolani, sentendo quella voce stentorea, si girarono, abbandonando la carrozza.
Il cocchiere, approfittando della distrazione degli assalitori, frustò i due cavalli.
Fulminei, gli animali si lanciarono al galoppo e la carrozza si allontanò nella notte.


Per alcuni istanti, i popolani e i soldati della Guardia Reale rimasero immobili, simili a due predatori immobili, in attesa di un movimento dell’avversario.
– Guardate, i cani da guardia della nobiltà! – ringhiò un uomo di alta statura, gli occhi brucianti di rabbia, e strinse tra le mani un falcetto.
– Addosso! – tuonò un altro e, reggendo una vanga, si lanciò contro i soldati della Guardia Reale.
Come un’onda, i popolani si precipitarono sui soldati della Guardia Reale, le gole tese e le bocche spalancate in grida feroci, belluine, selvagge. Certo, quei bastardi avevano il vantaggio dei cavalli, ma non si sarebbero lasciati sfuggire una tale occasione.
Finalmente, avrebbero potuto vendicare i loro cari, consumati dalla miseria e dalla fame.
Anche i soldati della Guardia Reale erano stati mantenuti dalle loro tasse e, in quel momento, avevano l’occasione di dare loro una lezione che mai avrebbero dimenticato.
E, anche se loro fossero morti, altri avrebbero preso il loro posto per compiere la loro missione.
La nobiltà, divoratrice delle loro risorse, doveva scomparire e lasciare il posto al Terzo Stato, che lavorava per il bene del paese.
Il ponte risuonò di urla di dolore, di rabbia e di vittoria. Presto, si riempì di cadaveri sanguinolenti e di corpi agonizzanti, da cui si levavano flebili lamenti, che si spegnevano.
Victor, con fulminea precisione, guidava il cavallo e affondava la sciabola nei corpi dei suoi avversari, che, privi di forza, si afflosciavano sulla strada, come sacchi vuoti.
– Maledizione... Così non va... – mormorò. Il sangue nemico gli colpiva la faccia e la divisa e avvertiva la stanchezza intorpidire il suo braccio destro, eppure i suoi avversari sembravano sorgere dalla terra.
Animati da un odio bruciante, non si arrendevano al loro superiore addestramento, e, come bestie eccitate dall’odore del sangue, attaccavano, incuranti dei loro compagni morenti.
I suoi uomini riuscivano a tenere testa a quella massa disordinata, ma non erano in grado di riportare la situazione alla normalità.
A stento trattenne un’imprecazione, mentre affondava il ferro nel collo di un altro avversario. Quella sensazione non scemava, malgrado il suo feroce impegno nel combattimento, e saliva alla sua bocca, come un acido.
Ad un tratto, un forcone, con una traiettoria curva, simile a quella di un giavellotto, attraversò l'aria e, con un tonfo, si piantò in profondità nella schiena del giovane.
Victor si irrigidì. Spalancò gli occhi. Il dolore si irradiò lungo tutto il suo corpo.
Il sangue, d'impeto, esondò dalla bocca e dalla schiena di lui, inzuppando la casacca celeste chiaro.
La sciabola, priva d’una mano ferma, cadde con un secco tintinnio al suolo.
Il giovane, con uno sforzo supremo, tentò di stringere le redini, ma la debolezza lo sopraffece e il suo corpo si accasciò sul collo del cavallo.
Un lieve ronzio giunse alle sue orecchie e i suoi occhi, ormai spenti, si chiusero, sopraffatti da una forza irresistibile.
L’animale, quasi avvertisse la mancanza di una guida salda, si sollevò prima sulle zampe posteriori, poi su quelle anteriori.
Il corpo dell’ufficiale, ormai privo di vita, cadde dalla cavalcatura e precipitò nelle cupe acque della Senna.




Come prestavolto umano di Victor Clement de Girodel ho scelto questo splendido modello:  Picture of Douglas Hickmann




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Capitolo 2
*** Una sconcertante rivelazione ***


Precipitava in un pozzo nero.
IL suo corpo, come una bambola di pezza, veniva sbattuto da una parte e dall’altra.
Decine di aculei, con uno scatto sinistro, uscivano dalle pareti.
Inesorabili, dilaniavano le sue carni.
Urla di dolore uscivano dalla sua bocca, mentre il sangue sgorgava dalle ferite.
I suoi occhi si torsero all’indietro e il suo corpo si inarcò in uno spasmo, come un epilettico. Era quello l’inferno?
Era il preludio all’eterno tormento delle anime dannate?
Tremò. Aveva paura di una simile sofferenza.
Non riusciva ad accertare un tale destino.
Perché era stato condannato all’Inferno? Di quali colpe si era macchiato?
Tutto gli pareva privo di senso.
Ad un tratto, il suo corpo straziato cadde su una superficie dura.
Il dolore, imprevisto, lo investì, come un’onda e perdette i sensi.




Di scatto, Victor aprì gli occhi e, per alcuni istanti, rimase immobile, come un tronco di legno, lo sguardo fisso verso l’alto.
Un velo grigio copriva i suoi occhi, come una densa nebbia, e, nel silenzio, rimbombava il battito tumultuoso del suo cuore e il sibilo dei suoi respiri sempre più affannosi.
Cauto, girò la testa ora verso destra, ora verso sinistra e provò a muovere la mano destra.
Dove… Dove sono finito? – si chiese, turbato. Ricordava bene quanto fosse accaduto poco tempo prima.
I soldati della Guardia Reale erano stati chiamati per sedare l’ennesimo tumulto e, durante lo scontro, un’arma avversaria lo aveva colpito alla schiena.
Il dolore era stato lacerante, seppur effimero, ed era morto.
Poi, era precipitato in un abisso, simile ad un pozzo nero.
Quell’ammasso inestricabile di pensieri angosciati era la sua anima e aveva concluso il suo percorso.
Cosa era successo? Dove si era conclusa la sua caduta?
Inferno? Purgatorio? Paradiso?
Ad un tratto, un esile profumo giunse alle sue orecchie e Victor, quasi d’istinto, lo aspirò, fremendo di voluttà.
Un momento… Questa è cera d’api. - mormorò il giovane, sgomento. Quell’aroma era riconoscibile, perché gli permetteva di rilassarsi e concentrarsi nella lettura.
Come era possibile, dopo la morte, avvertire un tale, delicato effluvio?
Non aveva senso, perché, con il decesso, si spegnevano percezioni ed emozioni.
No… Non è possibile… – mormorò. All’inizio, non ci aveva pensato, ma, in quel momento, avvertiva una strana sensazione di morbidezza… estremamente terrena.
Come era possibile?
I morti non provavano alcuna emozione e non avvertivano nessuna impressione.
Ma una tale ovvietà non diminuiva la sua angoscia e non rendeva meno reale la sua percezione.
Come si spiegava una simile dualità?
– No… Cosa sarà successo? – sussurrò, il cuore stretto in una morsa d’angoscia. Voleva uscire da quell’abisso cupo e sapere la verità…
Quella sensazione era ridicola, in quanto lui era morto, e quella tenebra non aiutava la sua mente a capire.
Anzi, aumentava il suo tormento.
Il giovane sbatté freneticamente le palpebre e, qualche istante dopo, l’oscurità si dissolse e gli consentì di guardarsi intorno con più attenzione.

Era disteso su un ampio letto ligneo, coperto da un pesante baldacchino di damasco rosso.
A fatica, si sollevò a sedere e scostò il tendaggio. Avvertiva una violenta sensazione di nausea e gli pareva di soffocare, come se, attorno al suo collo, fosse stato stretto un nodo scorsoio.
Gli sembrava tutto così irreale e, nel medesimo istante, reale, palpabile, vivo.
Un morto non doveva provare nulla!
Per alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo basso, e fece ondeggiare le gambe sul bordo del letto.
– E’ assurdo… Io dovrei essere morto…. – mormorò, sempre più angosciato. Quelle sensazioni, così reali, giungevano alla sua mente sempre più nette, come se la morte non avesse preso la sua anima.
Ricordava fin troppo bene il momento della sua morte e il dolore straziante di quell’arma contadinesca nella schiena.
Eppure, in quel momento, gli pareva di essere vivo e di trovarsi nell’abitazione di una persona del suo stesso ceto sociale.
Avrebbe riconosciuto ovunque gli arazzi policromi, le candide porcellane, splendenti di decorazioni multicolori e i mobili di pregio, intarsiati di materiali preziosi, capaci di donare appagamento al suo spirito di amante del bello.
Ma anche quella era un’illusione della sua anima provata. O forse no?
E che senso avevano quei mobili nell’Aldilà?
– Tutto questo non ha senso... – sussurrò e, con un gesto stanco, si passò una mano tra i lunghi capelli castani. Si ripeteva sempre la stessa frase nella mente, eppure cominciava a non essere convinto della veridicità delle sue parole.
Il rumore di una porta che si apriva troncò i suoi pensieri e il giovane, d’istinto, si girò,.
Vide entrare un uomo dell’apparente età di trent’anni, di statura piuttosto alta e di corporatura slanciata, anche se muscolosa.Corti capelli castani, dai riflessi color mogano, circondavano un viso dai lineamenti regolari e su questi spiccavano gli occhi dal taglio felino, d'un cupo colore grigio, simili a due lame d’acciaio.
Indossava una giacca rossa con bottoni di madreperla e risvolti di pizzo alle maniche, pantaloni neri, che arrivavano fino al ginocchio, e stivali del medesimo colore.
Victor, per alcuni istanti, lo scrutò senza pronunciare alcuna parola, diffidente. Chi era quell'uomo? Si poteva definire tale?
Un angelo? Un demonio?
Se era una creatura sovrannaturale, perché si era ammantata di sembianze umane? Quale era il suo scopo?
Gli pareva di essere precipitato in un assurdo spettacolo teatrale, ben lungi dalla conclusione e, malgrado amasse una simile forma d'arte, quella lontananza dalla realtà lo lasciava inerme, privo di certezze e punti di riferimento stabili.
– Chi… Chi siete? – domandò con timore. Nella sua mente la paura di sapere si alternava dolorosamente al desiderio di capire.
Era in un limbo di cui non vedeva la fine.
E, forse, da lui avrebbe ricevuto le risposte che cercava da troppo tempo.
Un leggero sorriso sollevò le labbra dell’altro. Chissà cosa avrebbe pensato quel ragazzo incerto, una volta conosciuta la verità…
– Sono felice che vi siate ripreso. – affermò, gentile, lo sguardo metallico fisso su Victor.
Il militare, colto di sorpresa da quelle parole, sussultò. La voce del suo interlocutore non pareva quella di una creatura sovrannaturale di qualsiasi tipo, anzi gli sembrava quella di un uomo vivo, e il suo francese era impeccabile, anche se era imbarbarito dall'accento duro delle genti del Nord.
Una risata bonaria, non priva di amarezza, risuonò sulle labbra dell'altro.
– Mi onorate di un’importanza che non possiedo. Il mio nome è Connor Mc Laod e provengo da quello che, fino al 1707, era il regno di Scozia. Qual è il vostro? – gli chiese.
– Victor Clement de Girodel. – rispose l’altro e, con delicatezza, si massaggiò le tempie pulsanti. Avrebbe riso, se la situazione non fosse stata così paradossale.
Doveva essere morto, eppure parlava con un demonio o un angelo e si serviva di un titolo da lui perduto, che, nell'Aldilà, non aveva nessun senso.
Quell’uomo si era presentato come uno straniero e gli appariva sincero, ma non sapeva se credere alle sue parole.
Cosa celava oltre quel suo viso sorridente?
L’altro, dinanzi allo sguardo confuso del francese, scosse la testa e sospirò. Quegli occhi chiari non mentivano.
Lui non riusciva o non voleva accettare la realtà del suo stato.
E non era capace di dare torto a quelle emozioni.
Tuttavia, un modo per fargli capire la verità c’era.
– Riuscite a rialzarvi? Voglio andare in chiesa con voi. – gli chiese Connor, pacato.
Con prudenza, il francese appoggiò i piedi sul pavimento e si alzò dal letto. Il suo compagno aveva deciso di entrare in una chiesa e, se fosse stato un demonio, sarebbe stato danneggiato.
Lo avrebbe seguito e, forse, avrebbe avuto una risposta alle tante, troppe domande che tormentavano la sua mente.
– Credo sia il caso di non farci riconoscere come nobili. Potrebbero aggredirci. In questo periodo, la Francia è agitata da disordini. – mormorò poi d'impulso e si stupì delle sue parole. Perché parlava così?
Lui era morto!
Probabilmente, quelli che riteneva francesi erano demoni, rivestiti di sembianze umane.
– Avete ragione. Per fortuna, ho degli abiti adatti allo scopo. Venite con me. – dichiarò Connor, il tono tranquillo, e, assieme al francese, uscì dalla stanza da letto.


Il nobile straniero, con passo rapido, guidò il francese attraverso un corridoio di medie dimensioni..
Le deboli luci delle candele, languide, si adagiavano sulle gocce di cristallo appese alle braccia del lampadario, facendole scintillare di deboli bagliori d'iride.
Il pavimento era ricoperto da un tappeto azzurro, ornato di ricami floreali policromi, e ad una parete era appoggiato un piccolo tavolo rettangolare di ebano, istoriato di madreperla.
Le gambe del tavolo erano ricoperte d'oro e le parti superiori di queste erano sormontate da teste di leone, le bocche spalancate in un ringhio feroce.
– Mi sembra di stare nella casa di un nobile. Come è possibile? – si domandò il militare, sempre più perplesso. La mente, ancora una volta, gli imponeva di accettare la realtà della sua morte.
Ne era consapevole, nessuno era immortale.
Nemmeno la nobiltà poteva proteggere l’uomo dal suo destino ultimo, come era accaduto nel caso del predecessore del loro attuale sovrano.
Il potere assoluto di Luigi XV non era servito a salvarlo dal tormento del vaiolo, che aveva scavato piaghe putrescenti nella sua carne, fino a quel momento ritenuta quasi immortale.
Eppure, perché gli sembrava di essere nella casa di un membro della sua stessa classe sociale, anche se quest’ultimo gli aveva detto di essere straniero?
Perché gli pareva di essere ancora vivo?

Connor si fermò davanti ad una porta, la aprì ed entrarono in una ampia stanza di forma rettangolare.
Le pareti e il soffitto erano tinteggiate d'azzurro e il pavimento era ricoperto da un tappeto di seta bianca, ricamato in oro.
Una toilette di marmo bianco di Carrara era appoggiata ad una parete e, dal lato opposto, era presente una gigantesca cassapanca di legno di quercia.
A metà della stanza si elevava un paravento di seta, ricamato a fiori, accanto al quale c'era una consolle di legno di palissandro, istoriato di argento, su cui era poggiato uno scrigno d'avorio.
– Sedetevi. – gli ordinò Connor e Victor, pur con riluttanza, obbedì.
Il primo tirò dalla tasca del suo abito una chiave e la infilò nella serratura del forziere.
Con uno scatto, la parte superiore dello scrigno si aprì, rivelando un pugnale dall'elsa gemmata, scintillante di luci policrome, e dalla lama serpentina.
Connor prese il pugnale, si avvicinò al giovane nobile francese e, con calma, appoggiò la mano sulla sua spalla destra
Victor, sentendo quel tocco, si irrigidì. Non aveva senso, il calore di quella mano gli pareva fin troppo reale.
Poteva avvertire la pelle di quell'uomo contro la sua, se tale si poteva definire.
Ed era il tocco calmo, ma fermo, di una persona ben cosciente della sua forza, che non aveva nulla da dimostrare.
Dinanzi alla rigidità dell’altro, Connor, bonario, sorrise. Victor era ancora stordito da quel suo risveglio e quella sua ritrosia era normale.
Come poteva dargli torto?
– State tranquillo, non ho nessuna intenzione di farvi del male. Voglio solo tagliarvi i capelli. Questa splendida chioma non è credibile in un contadino, non siete d'accordo? – ironizzò.
Victor sospirò e si impose di rilassarsi. Se fossero stati due uomini vivi, tale affermazione avrebbe avuto senso...
Tuttavia, la sua mente gli ricordava la realtà.
Era morto e tutto era opera perniciosa del demonio.
Quel giovane era il Diavolo, ammantato di sembianze gradevoli, che cercava di trascinare la sua anima negli abissi dell’Inferno.
Eppure, perché non aveva paura di entrare in una chiesa?
Era una menzogna ben recitata? O qualcosa di eccentrico si celava oltre quelle fattezze?
Connor prese i lunghi capelli di Victor tra le dita e, con decisione, li tagliò.
Le ciocche castane, senza rumore, caddero sul pavimento, simili a foglie di quercia staccate dal vento autunnale.
 
Il francese fece per rialzarsi, ma l'altro, con un gesto pacato, ma fermo, gli appoggiò una mano sulla spalle destra e lo costrinse a restare seduto.
– Perché? – chiese perplesso.
Connor sospirò e, a stento, trattenne una risata divertita.
– Non siete ancora credibile come contadino. Avete una pelle troppo liscia e chiara. Chiunque capirebbe che siete di origini nobili, anche se avete i capelli tagliati. – spiegò.
L'altro, con un gesto meccanico della testa, annuì e si guardò le mani. Certo, aveva ragione.
I contadini, a causa del loro lavoro nei campi, avevano la pelle più scura della sua.
E lui, bramoso di conoscere una verità che gli sfuggiva, non aveva considerato un simile, cruciale dettaglio, .
O forse sì?
– E… E cosa pensate di fare? – lo interrogò Victor.
Connor meditò per alcuni istanti, poi si allontanò a passo svelto.
L’ufficiale francese, per alcuni minuti, rimase immobile, le mani posate sulle ginocchia, e la mente pervasa da un turbine impetuoso di pensieri. La risoluzione di quel mistero si approssimava sempre più, ma non sapeva se essere felice o no.
cosa gli avrebbe rivelato?
– Cosa ne sarà stato dei miei uomini? – si domandò. Erano riusciti a riportare la calma?
O erano stati sopraffatti dalla rabbia di quei popolani?
Una fitta di tristezza, come un pugno, lo colpì
– Ma perché penso come se fossi vivo? – si chiese. Doveva accettare la realtà della sua morte!
Una simile ostinazione non aveva senso!
I suoi pensieri vennero interrotti da Connor, che era ritornato e reggeva un vaso di argilla e uno straccio.
– A cosa vi servono quegli oggetti? – domandò l’altro.
Connor, invece di rispondere, li posò sulla consolle e uscì di nuovo.
 
Qualche istante dopo, ritornò, recando tra le braccia delle vesti da contadino e degli zoccoli.
– Vestitevi. Poi vi truccherò. – disse con voce pacata e, con un lieve cenno della testa, gli indicò il paravento.
Victor si alzò, prese gli abiti e si posizionò dietro il paravento.
Poi, pur esitante, uscì.
Indossava una casacca marrone e pantaloni color ocra, che coprivano le sue lunghe gambe, e ai piedi calzava scarpe un po’ più chiare dei pantaloni, con la punta leggermente rialzata.
– Sì, va molto meglio. Ora però devo truccarvi. – affermò Connor e lo invitò a sedersi di nuovo.
Il giovane militare obbedì e l’altro prese il vaso, lo aprì e vi immerse lo straccio.
Poi, delicato, cominciò a passarlo sul volto, sui capelli e sulle mani dell’ufficiale
 Diversi minuti dopo, Connor terminò di truccarlo.
– Bene, il vostro travestimento è finito. Ora tocca a me. Aspettatemi. – gli disse e uscì di nuovo dalla stanza.
Un po’ di tempo dopo, ritornò.
Anche lui indossava abiti da contadino e, alla cintura, portava un lungo e affilato coltello.
- Venite con me. Presto saprete la verità. - gli disse.
Victor, sollecito, si alzò e lo seguì.
 
I due uomini, con passo rapido, uscirono da un ingresso secondario ed entrarono nel giardino.
Ad un tratto, il francese, colto da un improvviso pensiero, si bloccò.
– Che vi succede? – domandò Connor, alzando un sopracciglio in segno di perplessità.
– Come arriveremo alla meta? – chiese Victor.
– A piedi. Passeremo inosservati. – rispose l’altro e riprese il suo cammino, seguito dal compagno.
Rapido, Connor guidava il compagno attraverso le strade più strette della città, lontano dagli occhi dei soldati e dei membri del popolo.
Non è possibile… Mi sembra di essere a Parigi. Ma non ha senso!, pensò Victor, sempre più sconvolto. Dopo un effimero periodo di quiete, quella ansietà tornava a turbarlo con forza rinnovata.
Non poteva essere a Parigi!
Il diavolo, nelle vesti di quel giovane uomo, si stava servendo di crudeli trucchi per condurre la sua mente alla pazzia?
Quel pensiero si iterava nella sua mente e l'angoscia, sempre più crudele, dilaniava la sua mente e il suo cuore con lunghe dita d'acciaio.
Per lui, amante dello studio e della lettura, la possibilità di perdere la ragione era una pena ben più crudele di qualsiasi sofferenza.
Era una punizione per le sue colpe?

Connor, seguito dal suo compagno francese, procedeva senza esitare.
Conosce molto bene le strade di Parigi., pensò Victor, stupito. Questo aveva due possibili motivazioni.
O Connor viveva da tempo nella città di Parigi e, così, aveva imparato a conoscere le strade della città, o era un diavolo, vestito di membra umane.
E il demonio era a conoscenza di molte cose.
Qualche tempo dopo, i due raggiunsero la chiesa di Notre Dame de Paris.
Il militare francese, per alcuni istanti, la fissò, gli occhi lucidi di lacrime. Quella era una malefica illusione del demonio, eppure gli appariva così reale…
Poteva distinguere con attenzione le finestre bifore laterali e il rosone centrale, contro il quale si infrangeva la luce argentea delle stelle, e le statue che sormontavano i tre maestosi portali.
– Vi sentite bene? – domandò con premura Connor.
Victor, sentendo le sue parole, si scosse dai suoi pensieri e annuì.
– Bene. Siamo quasi arrivati alla fine. – mormorò l'altro e si diresse verso l'entrata meridionale della chiesa.
 
Un po' di tempo dopo, Victor lo seguì e, insieme, giunsero davanti ad un piccolo fonte battesimale marmoreo, riccamente decorato di sculture raffiguranti angeli dalle ali spiegate.
All'interno della vasca v'era una piccola pozza d'acqua, perfettamente immobile.
– Ora guardate. – gli disse Connor e, con sicurezza, immerse la mano destra nell'acqua, che tremò, come se vi fosse stato gettato un sasso.
Il francese si irrigidì. Non era accaduto nulla quando aveva immerso la mano nell'acqua benedetta e non aveva scorto alcuna lesione sulla sua pelle.
Dunque, colui che gli era davanti non era un diavolo.
Ma allora chi era? Un angelo? O una creatura dei miti pagani?
Vedendo l’espressione sempre più confusa di Victor, lo sguardo di Connor si velò di tristezza.
Presto, capirete ogni cosa. Abbiate pazienza. – mormorò, il tono serio.
Con gesti rapidi, si sbottonò la giacca e scoprì un torace ampio e scolpito, su cui si distendeva una grossa e irregolare cicatrice, vagamente rassomigliante ad un fulmine.
Poi, strinse il coltello e, con un movimento rapido, privo di esitazione, lo affondò nel cuore.
Victor, sgomento, sbarrò gli occhi e aprì la bocca. Era… Era ammattito?
Perché si era ferito davanti ai suoi occhi?
Connor, con un moto secco dal basso verso l’alto, estrasse il pugnale e il sangue sgorgò copioso dalla ferita.
Sopraffatto dalla debolezza, si abbandonò contro una colonna e chiuse gli occhi. Certo, trapassarsi il petto per lui non era letale, ma gli procurava sempre un dolore notevole, che lo lasciava provato.
Qualche istante dopo, un nuovo strato di pelle si rigenerò e coprì la lesione, come se essa non fosse mai esistita.
Connor si rizzò e i suoi occhi, seri e attenti, si rifletterono nelle iridi del compagno.
– Che... Cosa significa? – balbettò questi, spaventato, e, d’istinto, fece un passo indietro. L’uomo che era con lui non era un demone, eppure si era ripreso da una ferita mortale!
Connor sospirò e scosse la testa. La mente di Victor non riusciva a capire la verità e cercava un rifugio impossibile nelle sue conoscenze.
Doveva dargli una dimostrazione incontrovertibile.
Rapido, si avventò su di lui e lo trafisse allo stomaco con il coltello.
Poi, con uno strappo deciso, estrasse l'arma.


Victor, colto di sorpresa, fece due passi indietro, poi cadde in ginocchio e, d'istinto, si portò una mano al ventre.
Per alcuni istanti, rimase immobile, come una statua, inebetito dal dolore e dallo stupore. Non riusciva quasi a capire cosa fosse successo…
Perché il suo compagno lo aveva aggredito? La sua mente era stata sconvolta da qualcosa?
– Togliete la mano e guardate la ferita. – gli ingiunse Connor, pacato.
Il nobiluomo, lento, sollevò l'arto e abbassò gli occhi sul ventre.
Con suo stupore, vide che la lesione era scomparsa e di essa era rimasta solo una macchia rossa sulla camicia.
– Si è rimarginata... – constatò, la voce tremante. Era avvenuta la medesima cosa accaduta a Connor...
Dunque, le loro nature erano uguali.
L’altro, con un grave cenno della testa, annuì e il suo sguardo si rannuvolò. Finalmente aveva capito.
– Sì. Anche in voi si è attivata la reviviscenza. Ora siete un immortale, proprio come me. –


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Capitolo 3
*** Primi passi e lacrime solitarie ***


Immortale. Immortale.


Per alcuni, eterni istanti un pesante silenzio gravò sui due uomini.
Una mano gelida strinse il cuore di Victor e il suo respiro accelerò. Gli pareva di sprofondare in un incubo ben più doloroso, privo di senso.
Che cosa era un immortale?
Quale forza aveva trasformato il suo corpo?
Come poteva lui, un uomo, un essere umano, sopravvivere a simili ferite?
Connor scosse la testa e un sospiro amaro sgorgò dalle sue labbra. Victor, in quel momento, pareva una statua di pietra.
Non riusciva a vedere i suoi occhi, ma, ne era sicuro, avrebbe veduto la luce triste della consapevolezza.
L’intelligenza, a volte, è una condanna., pensò, il cuore greve di amara compassione. Ramirez gli aveva parlato della sua immortalità, ma lui, annebbiato dalla sua ignoranza, non aveva voluto dare ascolto alle sue parole.
Questo gli aveva concesso di vivere pochi, felici anni di vita, cullato dall’amore di Heather.
Solo la sua morte, pur serena, gli aveva strappato il velo dell’incoscienza.
Victor, invece, non poteva rifugiarsi in una tale, meravigliosa inconsapevolezza.

- Perché? Perché è accaduto tutto questo? - soffiò il giovane, gli occhi fissi sul pavimento.
Connor, a stento, trattenne una risata amara. Le loro reazioni erano differenti, ma la sofferenza era la medesima.
Entrambi si erano domandati l’origine di un simile evento, che andava ben oltre le loro conoscenze.
Si erano sentiti entrambi scherzi della natura e nei loro cuori si era radicato il terrore della solitudine.
A lui, in quel momento, spettava l’arduo compito che, tempo prima, Ramirez si era assunto nei suoi confronti.
No, non poteva lasciarlo solo.
Come sono cambiate le cose. Lo avresti detto, vecchio pavone spagnolo?, pensò, il cuore travolto dalla malinconia. Gli anni lo avevano portato a ritenere il compito di maestro inadatto alla sua indole, ma il destino era capace di scherzi strani, a volte crudeli.
Con un colpo magistrale, degno di un abile baro, aveva affidato a lui un immortale appena nato, privo di qualsiasi punto di riferimento.
E lui, Connor McLaod, amante delle sfide, non si sarebbe tirato indietro.

– Ehi, volete restare lì a guardare il pavimento? – domandò con apparente sarcasmo l’immortale scozzese.
A quelle parole, il francese si rizzò, il volto distorto in una maschera di furore.
Poi, con un diretto destro, tentò di colpire l’altro al viso.
Connor spostò la testa verso sinistra, evitando l’attacco.
Vi odio… – sibilò Victor, gli occhi ardenti di lacrime. Quell’ironia prendeva in giro la sua disperazione.
Beh, è un inizio. – replicò l’altro, calmo.
L’ex militare spalancò gli occhi, meravigliato e, per alcuni istanti, boccheggiò, come un pesce fuori dall’acqua.
Co… Come? – articolò poi. Connor si era limitato a schivare il suo pugno e non aveva reagito, anche se era nel suo pieno diritto.
Anzi, pareva contento della sua reazione!
Niente può spiegare la nostra condizione di immortali. O, almeno, nulla di quello che è noto oggi. – cominciò e fissò su di lui uno sguardo fermo e deciso. Avrebbe tanto desiderato una risposta a quell’interrogativo, se ci fosse stata.
Avrebbe dato un senso al dolore che, duecento anni prima, aveva conosciuto e l’allontanamento dai suoi familiari sarebbe stato meno dilaniante.
Il militare francese, a quelle parole, chinò la testa, sopraffatto dalla vergogna e le lacrime tremarono nei suoi occhi.
Vi prego di perdonarmi… Vi ho accusato di un evento di cui voi non siete colpevole. Sono uno stupido. – si scusò.
Connor sorrise, bonario, e gli appoggiò una mano sulla spalla destra.
Non mi sono offeso. Avete avuto una reazione comprensibile. In pochi secondi, si è creato un abisso tra voi e la vostra vita precedente. C’è solo l’ignoto ad attendervi e dovrete ricostruire ogni legame. – mormorò, come parlando tra sé.
Il suo pensiero, per alcuni istanti, ritornò al passato. Il dolore atroce dei pugni e dei calci delle persone a lui care riverberava sul suo corpo, nonostante il tempo trascorso.
Il pregiudizio e l’odio avevano intossicato i loro cuori.
Victor aggrottò le sopracciglia, stupito. Gli era parso di vedere il brillio delle lacrime negli occhi grigi di Connor…
Cosa aveva dovuto sopportare, quando aveva scoperto la sua natura d’immortale?
Il combattente scozzese si scosse dai suoi pensieri e, con un gesto deciso, strinse la mano sul polso del compagno.
Il militare francese, sentendo quel tocco, si scosse dai suoi pensieri e fissò Connor.
Venite con me. Presto, comincerà il vostro addestramento. –
Pur stupito, Victor annuì e, a passo rapido, i due uscirono dalla chiesa.

Per un po’ di tempo, i due immortali, silenziosi, percorsero le strade di Parigi.
Di tanto in tanto, Victor lanciava occhiate rapide ora a destra, ora a sinistra. Cosa sarebbe successo se i suoi soldati lo avessero visto?
Certo, era travestito, ma i suoi lineamenti potevano essere riconosciuti.
Scosse la testa, il cuore oppresso da una greve malinconia. Le parole amare di Connor riverberavano nella sua mente, eppure non riusciva a non provare sentimenti d’amara nostalgia per i suoi soldati.
Prima della sua reviviscenza, quegli uomini fieri e orgogliosi erano stati una seconda famiglia.
Non avrebbe sopportato la vista dei loro sguardi avvelenati dal pregiudizio.
Un passo alla volta., pensò. Aveva bisogno di capire e analizzare ogni elemento, per condurre una nuova esistenza.
Ma sarebbe riuscito a farsi guidare dalla ragione?
Connor sorrise, bonario. Certo, Victor era dietro di lui, ma riusciva a percepirne l’ansia, che sembrava irradiarsi dai suoi passi.
Eppure tentava di nascondere tale sentimento, forte della sua ostinata disciplina militare.
Tale rigore era encomiabile, ma doveva essere ben diretto e non poteva tramutarsi in una sterile rigidità .
Non abbiate fretta. Ho promesso che vi avrei aiutato. E Connor MacLaod mantiene sempre le sue promesse.

Diverso tempo dopo, il loro cammino si concluse davanti alla residenza di Connor.
Percorsero l’ampio giardino, immerso nel silenzio della sera estiva, poi entrarono nel palazzo, attraverso un ingresso laterale.
Ad un tratto, Victor si fermò e si appoggiò con la mano ad un muro. L’ambiente, in quel momento, roteava attorno ai suoi occhi e i colori si mescolavano, impedendogli di fissare lo sguardo su un punto definito.
Ma non doveva perdere i sensi.
Cauto, allontanò la mano dal muro, si rimise in piedi e fissò Connor.
L’immortale scozzese alzò un sopracciglio, ma non proferì parola.
Vogliate scusarmi, il mio contegno è indecoroso. Non so cosa mi sia successo. – si scusò.
L’altro, a stento, frenò una risata, ma le sue labbra si sollevarono in un sorriso bonario.
Niente di così insolito. Avete semplicemente avuto una caduta di energia. Ed è normale, è stata una scoperta devastante. Un po’ di riposo sarà d’aiuto per entrambi. – rispose.
Poi, il suo volto assunse un’espressione statuaria.
L’addestramento a cui dovrete sottoporvi sarà mentale, oltre che fisico e comincerà da questo momento. – cominciò, serio.
Cosa dovrei fare? – domandò Victor, meravigliato.
Chiamarmi col mio nome. Non usare inutili cerimonie. Io farò lo stesso con te. – affermò.
Victor rifletté, poi comprese. Doveva liberarsi della sua educazione aristocratica.
Una simile familiarità gli procurava una sensazione di straniamento.
Ho compreso. – rispose.
Poi, non fingere una forza che non hai. E’ ammirevole il tuo contegno, ma non deve diventare un ostacolo all’accettazione della tua natura. E non pretendere risultati in poco tempo. Io ci ho messo quarant’anni per accettare la mia natura. – continuò.
A cosa si riferisce?, si chiese il francese. Per alcuni istanti, gli era parso di notare il luccichio delle lacrime nei suoi occhi grigi…
Gli aveva accennato alla sua condizione di rifiutato, ma quell’espressione parlava di rimpianto.
Ma non poteva chiederglielo.
Sono anche io molto stanco. Torneresti a dormire nella stanza dove sei resuscitato? – chiese Connor.
Per me non ci sono problemi. Dormirei anche a terra. – affermò l’ex comandante delle Guardie Reali di Francia.
Molto bene, buonanotte Victor. –
Buonanotte… Connor. –

L’immortale francese percorse diversi metri ed entrò nella stanza indicatagli da Connor.
Nella camera, era stata portata un lavabo colmo d’acqua, con alcune pezzuole bianche, una maglia bianca e degli ampi pantaloni celesti.
Si spogliò, si passò una pezzuola umida sul corpo e sui capelli castani e si vestì.
Poi, appoggiò con cautela gli abiti da contadino su una sedia e si lasciò cadere sul letto, le braccia aperte, come un crocifisso.
Fissò il soffitto, gli occhi velati di lacrime. Le parole di Connor erano vere, ma non poteva non sentire un macigno sul petto.
E gli sembrava quasi di offendere il suo futuro maestro con i suoi sentimenti.
Ma non riusciva a non provare pena per se stesso.
La sua mente, pur consapevole, non riusciva a contrastare i desideri del suo cuore dilaniato.
I suoi familiari… I suoi uomini…
E poi era lei.
Oscar. Che cosa ne era stato di lei?
Non più frenate, le lacrime esondarono dai suoi occhi e bagnarono le sue guance, perdendosi sulle sue labbra. La sua vita si era conclusa con un taglio netto, crudele, e doveva affrontare un percorso sconosciuto.
Con un debole singhiozzo, il giovane chiuse gli occhi e si addormentò.

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Capitolo 4
*** Comincia l'addestramento ***


Rovi muniti di spine strisciavano e, rapidi, si stringevano attorno ai suoi polsi, alle sue caviglie, ai suoi fianchi e al suo collo.
Le spine trapassarono la sua carne e il sangue zampillò, come un getto d’acqua da una fontana.
Victor aprì la bocca, tentando di urlare, ma un gemito fioco fluì dalle sue labbra, e strabuzzò gli occhi.
- No… - sussurrò. Voleva respirare, ma quel rovo gli stritolava il collo e impediva il passaggio dell’aria.
Aprì la bocca e cercò di urlare, ma le sue parole si persero in un nuovo sbocco di sangue.
I suoi occhi, opachi, cercarono di fissare un punto davanti a sé. Stava morendo?
Poco dopo, la sua testa si abbandonò sulla sua spalla e il suo respiro cessò.


Di scatto, Victor aprì gli occhi e si alzò a sedere, le dita strette attorno al lenzuolo, come gli artigli di un falco nella carne di una preda.
Per lunghi, eterni istanti rimase immobile, il petto scosso da ansiti e il volto bagnato di sudore.
D'istinto, si portò una mano al petto e al collo e se li accarezzò.
Nessuna lesione... Era solo un sogno. – mormorò, quasi stupito. Nessuna ferita deturpava il suo corpo.
Quel sogno, così vivido e dilaniante, era stato prodotto dalla sua mente, provata dalla trasformazione in immortale.
I suoi occhi chiari si velarono di lacrime e Victor, con un gesto nervoso, deciso, le allontanò. Ricordava le parole di Connor, ma la vergogna opprimeva il suo cuore.
Come aveva potuto cedere al pianto?
Scese dal letto e, per alcuni istanti, camminò attraverso la stanza. Ne era sicuro, non sarebbe riuscito a dormire.
Il suo occhio, ad un tratto, si posò su alcuni libri, che erano posati, con apparente negligenza, su una consolle di mogano.
Accennò ad un sorriso. La lettura, forse, avrebbe dato riposo, seppur temporaneo, alla sua mente turbata.
Fissò i volumi con sguardo attento, prese Gli epigrammi di Callimaco e cominciò a leggere.


Qualche ora dopo, la porta , con un debole fruscio, si aprì.
Victor, di scatto, alzò la testa dal libro e si girò.
Sulla soglia vide Connor, avvolto in una ampia veste da camera blu, stretta in vita da una cintura del medesimo colore.
Cosa succede? – domandò Victor.
Il sorriso sulle labbra di Connor si accentuò.
Dobbiamo cominciare l'addestramento. Te lo sei dimenticato? – chiese, bonario.
L'ex militare francese si schiaffeggiò la fronte con la mano, irritato con se stesso.
Dovet... Ehm... Devi scusarmi, ma ho perso la cognizione del tempo... Ho letto per quasi tutta la notte. – confessò.
Per alcuni istanti, lo sguardo del guerriero scozzese si rannuvolò. L'immortalità, così recente, era per Victor una ferita sanguinante e lui non riusciva a liberarsi dalla sua disperazione.
Ne era sicuro, il suo sonno era doloroso e la lettura era stata un farmaco, seppur temporaneo.
Come fai a sapere che mi piacciono gli autori greci? – chiese ad un tratto Victor.
Connor gli si avvicinò e appoggiò una mano sulla sua spalla.
Quando ero a Versailles, ho avuto modo di osservarti. Non ti sono mai piaciute le feste di corte e vi hai sempre partecipato per puro senso del dovere. Quando ne avevi la possibilità, leggevi sempre. E i tuoi autori preferiti erano Anacreonte, Alcmane, Alceo e Callimaco. – rispose.
Sei però riuscito a sorprendermi: leggi questi autori in greco con molta facilità. Complimenti. Quando avevo la tua età, non ero così istruito. - proseguì poi l'immortale scozzese.
Mi sono applicato nello studio. – schernì il francese, diplomatico. Connor, a volte, gli pareva imperscrutabile, come una sfinge.
Però, ora , abbiamo perso troppo tempo e io vorrei fare colazione. Preparati . Io verrò a prenderti tra qualche minuto . –
Con un cenno del capo, Victor annuì e Connor uscì.

Alcuni minuti dopo, l'immortale più anziano rientrò nella stanza.
Per alcuni istanti, il suo occhio si posò sul corpo di Victor e un sorriso divertito sollevò le sue labbra.
Victor, perplesso, aggrottò le sopracciglia e gli lanciò uno sguardo irritato.
Perché sorridi? – domandò.
Non immaginavo di essere diventato così esile. I miei abiti ti stanno davvero bene. – replicò.
Victor scosse la testa. Continuava a non capire l'atteggiamento del suo compagno.
Era capace di passare dall'umorismo alla serietà con una facilità quasi inquietante.
Con un sospiro nervoso, si aggiustò la camicia. Tuttavia, quella domanda non era svanita dalla sua mente.
Eppure, le sue labbra si fermavano, come fossero piene di sabbia.
Come avrebbe reagito Connor ad un tale, forte quesito?

Un cameriere giovane, bruno, di corporatura tarchiata, entrò nella stanza, con un vassoio in mano, su cui erano posate delle tazze di porcellana candida, dalle quali si sollevava un esile filo di fumo, e alcuni croissant.
Puoi andare, Paul. Pranzeremo qui. – affermò l'immortale nordeuropeo.
Con un breve cenno della testa, l'uomo annuì, lasciò il vassoio e si allontanò.

Per alcuni istanti, i due uomini rimasero silenziosi.
- Tu mi vuoi chiedere qualcosa. Di che si tratta? - domandò Connor.
L'ex nobile francese, per alcuni istanti, esitò. Sentiva l'ardente bisogno di comprendere meglio la realtà degli immortali, ma non voleva offendere l'altro.
Prese un ampio respiro e fissò i suoi occhi verdi nelle iridi grigie dell'altro.
– Come hanno reagito i vostri … ehm i tuoi familiari, quando hanno saputo della vostra immortalità? – lo interrogò Victor.
Connor reclinò la testa e si irrigidì. Era comprensibile il desiderio di chiarezza del suo compagno, eppure aveva ben sentito riemergere l’amarezza di quei ricordi lontani.
Quella domanda aveva aperto in lui ferite che credeva rimarginate.
Duecento anni prima, il suo clan, scoperta la sua natura, aveva rinnegato gli antichi legami e lo aveva condannato a morte.
Solo Angus, suo cugino, aveva saputo vedere oltre le barriere del suo tempo e aveva ottenuto per lui un esilio perpetuo.
La sua pur autorevole parola non era riuscita a a trapassare la corazza dell'ignoranza e della superstizione.
Sollevò la testa e, con un gesto apparentemente noncurante, alzò le spalle.
– Sono stato esiliato dalla mia famiglia. Mio cugino Angus ha cercato di fare capire loro la verità, ma non ha potuto fare nulla contro il pregiudizio dell’uomo. Mi hanno creduto un demonio e, per questo, volevano condannarmi al rogo. – rispose, pacato.
Il francese sentì un brivido sgradevole lungo la schiena. Connor non si era abbandonato a plateali manifestazioni di dolore, ma quell'evento, per lui, era una ferita dolorosa, che minacciava di riprendere a sanguinare.
Certo, i tempi erano cambiati, ma perché il suo destino doveva essere diverso?
L'essere umano, spesso, negava l'esistenza di fenomeni per lui incomprensibili e li attribuiva all'esistenza di forze demoniache e crudeli.
– Mi dispiace. – si scusò.
Un mezzo sorriso ironico sollevò le labbra del guerriero scozzese.
– Non preoccuparti. Il tempo riesce a curare qualsiasi ferita. – dichiarò .
– Ho osservato anche il tuo modo di combattere. Sei un ottimo spadaccino e hai coraggio, ma il tuo modo di batterti è inadatto a quello che ti aspetta in quanto immortale. – proseguì, serio.
– Che intendi dire? – chiese Victor.
– Noi viviamo e combattiamo per ottenere la ricompensa. Uno scontro tra immortali si conclude con la decapitazione di uno dei contendenti. Ciò che accadrà poi, lo capirai al tuo primo duello. – mormorò Connor, calmo.
Victor rifletté. Quindi, l’unico modo per porre termine alla vita di un immortale era il taglio della testa.
E questo rendeva il suo modo di combattere alquanto inefficace, nonostante la sua lunga carriera militare.
– C’è un’altra cosa che devo dirti. Qui faremo solo una parte dell’addestramento. Il resto avverrà nel regno di Prussia. – proseguì l’immortale scozzese.
– Immagino sia per la situazione politica della Francia. – osservò Victor cogitabondo.
– Anche, ma non solo per quello. Ora, però, affrontiamo un problema alla volta. – spiegò ancora il guerriero di origine scozzese.
Con calma, ripresero la loro colazione.

Diversi minuti dopo, Connor guidò Victor all'esterno del palazzo e lo condusse attraverso l'immenso giardino.
I due uomini raggiunsero un edificio assai ampio di mattoni chiari, a pianta quadrata, sormontato da un tetto di tegole rosse.
L’unica entrata era costituita da una grande porta lignea, che si apriva sulla parete sinistra, e su quella opposta erano costruite due finestre di medie dimensioni.
– Che cosa è? – chiese Victor, perplesso.
– Questo è il mio scrigno. In duecento anni di vita, ho raccolto moltissime armi da ogni paese da me visitato. Ora, entriamo. – disse.
Prese una chiave, la infilò nella serratura e la girò.
Con un debole cigolio, la porta si aprì e i due entrarono.

Alle pareti erano incastrate diverse rastrelliere, a cui erano appese spade e pugnali di diverse forme e dimensioni e le else di alcune di queste erano incrostate di gemme policrome, che risplendevano di deboli bagliori.
Connor prese una katana dalla lama ricurva, l'elsa ricoperta di pelle di squalo.
– Tocca a te. Scegli l'arma a cui ti senti più affine. – disse.
Victor, con un leggero cenno del capo, annuì e il suo sguardo, attento, esaminò le armi.

Qualche istante dopo, la sua attenzione fu attirata da una claymore, che giganteggiava tra una katana e una scimitarra.
Incuriosito, il giovane staccò l’arma dalla rastrelliera e tentò di tenerla diritta.
Le sue braccia non riuscirono a sopportare il peso dell’arma e l'ex militare cadde all’indietro, trascinandola con sé.
– Che male… Ma quanto pesa? – esclamò Victor, perplesso.
– Credo non sia l’arma adatta a te… – saettò Connor, trattenendo a stento le risa.
Victor, sentendo le parole del compagno, lo fulminò con lo sguardo.
– Spiritoso. – sibilò.
Con circospezione, si toccò le spalle e le braccia e, non trovandovi alcuna lesione, si rialzò.

Poi, si avvicinò alla claymore e provò a sollevarla, senza riuscirci.
– Non preoccuparti, la rimetto a posto io. Non è adatta ad una corporatura come la tua. – disse l’immortale scozzese.
Prese l’arma e la ricollocò nella rastrelliera, poi si avvicinò ad una rapier* spagnola dalla lama d’acciaio, assai lunga e diritta.
L'elsa della spada, terminante in un pomolo d’ottone lucido, era ricoperta di corde e attorno ad essa si attorcigliava, come un tralcio di vite, una guardia del medesimo materiale del pomolo.
– Prova questa. E’ una arma di sicuro adatta al tuo fisico. – spiegò e la consegnò al compagno.
Victor, pur diffidente, la prese e tentò di manovrarla.
– Avet... Hai ragione.. Mi trovo molto meglio. - confermò.
– Ne sono soddisfatto. Ora usciamo. - ingiunse Connor e, presa la katana, uscì.

– Molto bene. Ora provad attaccarmi. – ordinò l'immortale scozzese.
Victor si lanciò in un rapido attacco, tentando di trafiggerlo al petto con una stoccata.
Connor parò l'attacco con la katana, poi contrattaccò colpendo la guardia dell'arma avversaria.
La spada, con un tonfo, cadde sul terreno.
– Cosa è successo? – si domandò il francese, perplesso. I movimenti del compagno erano stati fulminei e non era riuscito a distinguerli.
Perfino Oscar, se si fosse battuta contro di lui, avrebbe avuto seri problemi.
Anzi, per quanto fosse per lui straniante un simile pensiero, lei avrebbe perso senza alcuna attenuante.
– Non devi trafiggere il petto o altre parti del vostro nemico. Ricorda che siete entrambi immortali e avete un solo punto debole : la testa. – spiegò Connor, duro. Certo, gli aveva spiegato la realtà dei duelli tra immortali, ma la lunga abitudine a quello stile di combattimento era assai difficile da eradicare.
Non poteva certo stupirsi di questo, poiché Victor aveva appena cominciato a percorrere il suo erto cammino di guerriero.
– Capisco. – dichiarò , tranquillo, l'ex Comandante delle Guardie Reali.
– Riprendi l’arma. Ricominciamo. – ordinò con un secco cenno del capo.
L’altro obbedì.
– Molto bene. Cerca di fare meglio. – mormorò e si rimise in posizione di guardia, presto imitato dal compagno.



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