La rivoluzione del Momo di Servallo Curioso (/viewuser.php?uid=57725)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** “E tu che ci facevi con una rivista del genere?” ***
Capitolo 2: *** Un gatto di porcellana ***
Capitolo 3: *** Smettila con questo porro! ***
Capitolo 4: *** Cocon Punch ***
Capitolo 5: *** Le piacciono i fumetti giapponesi porno ***
Capitolo 6: *** È più sconvolgente che vedere una scimmia mangiarsi dei frullatori. ***
Capitolo 7: *** Chiunque potrebbe fare una cosa del genere! ***
Capitolo 8: *** Ti sto spiando ***
Capitolo 1 *** “E tu che ci facevi con una rivista del genere?” ***
Chapter
1:
“E
tu che ci facevi con una rivista del genere?”
Riesco
a ricordare solo poche cose: il mio nome, la mia età, dove
si
trova il portafoglio e la mia innaturale paura di essere letto nel
pensiero. Il resto è una matassa di concetti e idee che non
posso sciogliere, non ora.
In
questo momento la mia testa è impegnata a spiegare
qualcos'altro.
Sono
confuso, ma voglio pensare che tutti lo siano la prima volta.
Prima
d'ora non sono mai stato in una metropoli, la avevo solo immaginata.
Appena
messo piede nella piazza davanti alla stazione mi sono ritrovato in
un mondo assurdo: una folla multicolore passeggia mescolandosi, come
le verdure dentro il frullatore di mia madre.
Non
la trovate una cosa strana? Io sì.
Io
che ho vissuto in un paese di cento vite trovo irreale tutto questo
via vai di gente. Ognuno ha il suo passo, rabbia o pazienza, fretta o
tempo da perdere. Nessuno sembra osservare chi ha vicino, ma come
macchine perfette evitano di toccarsi anche in mezzo a quel caos.
Dove
devo andare?
Ah,
giusto: l'indirizzo è scritto su un fogliettino che ho messo
nel portafoglio.
Piccolo
riepilogo: ricordo dov'è il portafoglio? Lo ricordo.
Lascio
cadere le valige a terra, prendo il borsello nero ed estraggo quel
piccolo pezzo di carta.
“Via
Isola Verde n°45”
Piccolo
riepilogo: so dove si trova questa via? Non lo so.
Alternativa:
ricordo le indicazioni per trovarla? Non le ricordo.
Ottimo:
devo chiedere informazioni. Ma io odio farlo.
Mi
guardo attorno cercando un essere umano capace di aiutarmi,
perché
si sa: non tutti sono capaci di dare informazioni dettagliate sulle
vie. Prima di tutto devo trovare un indigeno e non un turista, e
neppure un povero errante come me; dopodiché devo
riconoscerne
uno dall'aria intelligente che sappia i nomi delle vie e sia capace
di spiegare la strada per raggiungerle.
Tutto
ciò non è ovviamente facile, neppure per me che
mi
reputo uno capace di riconoscere gli individui al primo colpo.
Coloro
che mi circondano sembrano degli idioti vestiti per bene, oppure
persone sveglie ma del tutto estranee all'ambiente. Cosa potevo
aspettarmi da una stazione?
Alla
fine decido e vado verso un uomo, che sembra aver superato i
quaranta. Porta una polo, o qualcosa che le assomiglia, color bianco
e dei jeans. I capelli sono pochi e la pancia è troppa,
eppure
i suoi occhi scuri lasciano trasparire una certa esperienza.
“Mi
scusi” dico avvicinandolo. Lui si guarda un po' attorno,
dubbioso.
Si chiede se dico a lui e si risponde di sì. Adesso ho la
sua
attenzione. “Vorrei un'indicazione... lei è di
queste
parti?”
Lui
annuisce con la testa e si avvicina al foglio che gli ho allungato.
“Che
cosa stai cercando?” La sua voce è forte. Sembra
il tipo
disposto a tutto per fare buona impressione.
“Questa
via” sospiro indicando ciò che c'è
scritto sul
foglio. L'uomo sembra concentrarsi più del dovuto, forse ha
dimenticato a casa gli occhiali, ma riesce a darmi una risposta.
Ascolto le sue indicazioni con attenzione, comprendendo quale
direzione devo prendere e dove girare; davanti a quale negozio
passare e a quale portone fermarmi.
Non
sembra lontano da qui.
Lo
ringrazio e me ne vado, penso che a piedi impiegherò dieci
minuti al massimo. Ho un trolley e un bagaglio leggero, che posso
tranquillamente portare a mano, li afferro e parto.
Sono
cosciente che inizierà un nuovo capitolo della mia vita, un
nuovo difficile capitolo.
Perché
sono lì? Semplice: per studiare.
Per
una serie di avvenimenti che non vi sto a spiegare i miei hanno
pensato di farmi trasferire. La cosa non mi dispiace, anche se
cambiare all'ultimo anno
liceo è leggermente seccante. Mi
toccherà conoscere nuovi professori, nuovi ritmi e comprare
nuovi libri.
In
quella città potrò farmi dei nuovi amici, mi
hanno
detto i miei, ma io continuo a preferire quelli vecchi.
Andrò
ad abitare in un appartamento al sesto piano di un condominio, i miei
hanno già pagato la quota per questo mese. Quando sono
andati
a vederlo io avevo la febbre, in piena estate, così la sua
conformazione è una sorpresa.
*
Sono
davanti alla porta.
Ci
ho messo quindici minuti per arrivare fin sotto il condominio. La
strada indicata dal signore era esatta, non ci sono stati problemi.
Il
mazzo che tengo in mano ha due chiavi : una per il portone e l'altra
per la porta di casa. Com'era ovvio auspicarsi, la prima che ho
inserito all'ingresso era la sbagliata e solo al secondo tentativo
sono riuscito a entrare. Non era comunque finita qui: appena messo
piede nell'atrio al pian terreno mi sono reso conto che al palazzo
manca l'ascensore.
Non
so se la gravità della cosa vi è chiara. Insomma:
sei
piani a piedi con i bagagli sono un brutto affare. Facendo una pausa
a ogni pianerottolo, comunque, ho iniziato a salire.
Adesso
però sono arrivato. Posso costatare che il mio è
l'unico appartamento di quel piano, l'ultimo. Non mi piace questa
cosa.
Solo
dopo aperto posso averne la certezza. Varcata la soglia mi trovo nel
salotto: spoglio e polveroso. Da lì posso vedere altre due
porte: la camera da letto e il bagno. La cucina invece si trova alla
mia sinistra, nella direzione opposta alle altre due stanze.
Una
cosa sola accomuna tutte le stanze: la puzza di chiuso e muffa.
I
miei non hanno fatto un buon affare, o forse lo hanno fatto apposta.
Dannati!
Che
mi piaccia o meno questa sarà la nuova abitazione per il
resto
dell'anno. Domani, o dopodomani, lavorerò per sistemarla.
Forse fra tre giorni.
La
camera è munita di un vecchio armadio e un letto singolo,
temo
poco comodo. Vicino a esso c'è anche un comodino provvisto
di
abat-jour vecchio stile.
Il
bagno crema sembra avere molti anni alle spalle. È fornito
dell'indispensabile, funzionante e tenuto in ordine, ho solo paura di
eventuali creature munite di più zampe che vi albergano.
La
cucina è stretta: frigorifero, forno, fornelli e una serie
di
sportelli e cassetti dove tenere posate o piatti. C'è anche
un
tavolino quadrato munito di due sgabelli. Molto entusiasmante.
Non
potevo immaginarmi nulla di meglio, forse un tempo era una
soffitta...forse due secoli fa.
Torno
in salotto e lo guardo deluso un'ultima volta. Non posso ancora
credere che dovrò vivere lì per circa dodici
mesi. La
cosa è spaventosa.
Sono
già nostalgico della vecchia dimora, dei vecchi amici e
della
vecchia scuola.
Aspetta:
no, della scuola no. Non esageriamo.
Guardo
l'ora sul cellulare: le sei e mezzo. Devo organizzarmi per la cena.
Il
frigo è vuoto e anche la pseudo-dispensa non ha nulla al suo
interno.
Urge
una soluzione.
Urge
trovare una soluzione.
Di
solito mi accontento di poco: una verdura, qualche salume. Ci fosse
del prosciutto e del pane mi farei una cena perfetta. Sfortunatamente
così non è.
Di
questa città non so nulla, è del tutto
giustificato il
fatto che io non sappia la locazione di pizzerie, market e ristoranti
di lusso, benché a questi ultimi non sia interessato. Certo:
anche quando abitavo in quel piccolo centro conoscevo poche cose, ma
quelle cose mi bastavano.
Afferro
le chiavi e apro la porta di casa: andrò a chiedere a
qualche
vicino. Mi pare anche una buona scusa per fare conoscenze e,
perché
no, ricevere inviti a cena. Percorro le scale di fretta, scivolo sul
finale ma riesco a mantenere l'equilibrio. Il quinto piano è
un traguardo più che sufficiente.
Passo
un paio di minuti a guardarmi attorno e più precisamente a
decidere a quale delle due porte suonare: quella di sinistra; o
quella di destra?
Il
coraggio che avevo inizialmente è scemato, in ogni modo con
la
poca forza (di volontà) che mi rimane mi muovo verso quello
di
destra e suono il campanello.
Lo
sento riecheggiare all'interno della casa rompendo il suo silenzio.
Un
secondo.
Due
secondi.
Cinque
secondi.
Dieci
secondi.
Deduco
che non c'è nessuno al momento. Torno indietro e mi dirigo
verso la porta di sinistra.
Il
pianerottolo e lungo e stretto, adornato con vasi di fiori. Devo
correggermi: il pianerottolo è decorato con vasi di piante,
dei fiori non ce n'è neppure l'ombra.
Suono
e attendo. Un rumore di passi mi fa intuire che l'abitazione non
è
vuota.
Senza
neppure domandare nulla, o scrutare dallo spioncino, la porta si apre
e appare una ragazza, più o meno della mia età.
Mi
scruta attentamente e io faccio lo stesso: ha dei capelli color
cenere che cadono ai lati della faccia perfettamente lisci e curati,
gli occhi scruti e un naso aquilino.
“Cosa
c'è?”.
Rimango
perplesso. Questa giovane emana una strana aura, la stessa che
potrebbe emanare una vecchia cassapanca contenente documenti datati
millenovecentosessantadue. Non che la stia paragonando a
ciò,
ovviamente. Ci mancherebbe.
Odora
di qualche rimpianto, la sua pelle traspira ciò; o forse
è
nostalgia ciò che sento.
Qualunque
cosa sia è abbastanza forte da raggiungermi.
“Scusa,
visto che sono nuovo: mi indicheresti una pizzeria nelle vicinanze?
Sai, per la cena di stasera...”.
Lei
mi scruta per alcuni secondi, continua a farlo.
“Te
devi essere quello nuovo, quello che abita nella soffitta”.
Sospiro
e annuisco. Dunque avevo ragione nel dire che era una soffitta.
Grande
intuizione, cara, chi vuoi che sia? Ti sembra forse logico pensare
che un estraneo sia entrato nel condominio per chiedere
un'informazione? È palese che sono quello nuovo.
“Senti,
ce n'è una proprio dietro l'angolo. Cioè: appena
esci
vai a destra e al primo angolo svolti a destra. La dovresti
vedere”.
“Grazie”
rispondo, contento di aver trovato una fonte di cibo. Prima di
allontanarmi decido di presentarmi, penso che sia una cosa giusta tra
vicini di casa. Allungo la mia mano verso di lei e sorrido,
sfoggiando una delle mie migliori espressioni.
“Mi
chiamo Cristian, piacere”.
Lei
sospira e ricambia la gentilezza. “Il mio nome è
Sabrina”.
*
Sono
le undici e mezza passate.
Ho
cenato con una pizza margherita e ho comprato alcune bottigliette
d'acqua naturale, per domani ho deciso di dedicarmi all'acquisto di
vivande per la sopravvivenza.
Mi
trovo seduto sul letto, con il portatile davanti a me a parlare con
mia sorella della nuova sistemazione.
Inizio
a lamentarmi della casa ma lei è stranamente ottimista:
pensa
che alla fine non è così male e che mi
abituerò,
anzi, si auspica che trovi qualcosa di buono in quelle mura
puzzolenti.
Invia
emoticon sorridenti dopo ogni battuta che faccio su quel
quasi-monolocale.
Per
una settimana ancora non avrò lezioni, dunque posso svagarmi
un po'. Questo periodo servirà per ambientarmi.
Ciò
che però attira la mia attenzione è il rumore di
una
porta che cigola. Penso subito che sia quella dell'ingresso e mi
affaccio in salotto, ma così non è. Forse
è
quella del piano di sotto, o forse me la sono immaginata.
Torno
nella mia stanza e riprendo il pc, spiegando a mia sorella
l'improvvisa sparizione. Lei ci scherza su dicendo che ho le visioni,
colpa della nuova aria.
Poi
un altro rumore, qualcosa che è caduto. Mi viene da pensare
che uno scaffale ricolmo di scatole sia collassato provocando quel
fragore, ma non ne colgo la provenienza.
Dico
alla mia interlocutrice di aspettare e torno nella sala.
I
rumori provenivano da dietro la camera, ma in teoria dietro essa non
c'è nulla.
Afferro
le chiavi lanciate sul divano e mi affaccio sul pianerottolo. In quel
momento la vedo, la noto: c'è una seconda porta. Non conduce
presumibilmente a una casa, ma forse a una soffitta. È di
metallo, vecchia e con una serratura semplice, ma soprattutto:
aperta.
Scalzo,
in pantaloncini corti e maglia sbracciata, corro a dare un'occhiata.
La
mia curiosità dice di farlo.
Quando
mi accorgo che è socchiusa, ma dall'interno proviene una
luce,
provo ad aprirla.
Pessima
idea: quella dannata porta cigola tantissimo. Forse è anni
che
non la sistemano.
Accorgendomi
della stupidità del mio gesto faccio per andarmene, ma essa
si
spalanca, spostata da una forza sconosciuta.
Questa
forza sconosciuta ha un nome: Sabrina. Si è catapultata
verso
la soglia appena ha percepito il minimo rumore. Il mio primo pensiero
è che ha qualcosa da nascondere.
Ora
mi guarda, sistemandosi gli occhiali che la prima volta mancavano. Mi
lancia un'occhiata stupita. “Cosa ci fai qui?”
Preso
in flagrante, ottimo. Devo inventarmi qualcosa. “Scusami...
è
che sentivo dei rumori strani da casa mia e mi sono affacciato a
vedere”.
Il
suo volto si rilassa, forse non è adirata con me.
“No,
scusami tu” risponde chinando appena il volto.
“Vedi, non mi è
ancora entrato in testa che là ci abita qualcuno.
Farò
molta più attenzione la prossima volta che vengo
qui”. Provo
a guardare dietro di lei. La stanza è lunga è
stretta;
un intera parete è coperta di cassetti e armadi. Ci sono
anche
degli scatoloni a terra. Per quanto possa sforzarmi non capisco bene
cosa contengano.
“È
una soffitta?” domando.
“Sì”
mi risponde frettolosa. Non vede l'ora che me ne vada.
“Ho
sentito dei rumori, posso darti una mano?”. Qualcuno la
potrebbe
chiamare invadenza, io preferisco dire che è un aiuto
disinteressato. Lei però scuote la testa.
“È
caduta una scatola. Non preoccuparti”. Mi lascia sulla soglia
e
torna all'interno.
Per
farmi vedere che è autosufficiente raccoglie lo scatolone e
lo
alza, pronta a riporlo sulla mensola esatta. Un solo inconveniente la
blocca.
Il
fondo dello scatolone cede e riversa il proprio contenuto al suolo.
Come una bomba di sola acqua, i pezzi contenuti schizzano da ogni
parti, allargandosi sul pavimento. Non può più
nascondere nulla.
Impallidisce:
è terrorizzata dall'idea che io scopra cosa si nascondeva
là
dentro e cosa scivola qua e là con scarsa forza, io
però
sono troppo curioso per resistere. Una di quelle parti arriva ai miei
piedi.
Lo
guardo e sgrano gli occhi: è una rivista.
Non
solo: una rivista pornografica.
Dalla
copertina sembra uno di quei fumetti giapponesi dove i protagonisti
fanno in continuazione sesso nelle maniere più assurde, mia
sorella ne ha letti alcuni.
Sabrina
si getta a terra cercando di raccoglierne il maggior numero possibile
in un solo gesto, io furtivamente mi approprio di quello ai miei
piedi e mi dileguo. “Ciao” sospiro alla fine prima
di chiudere la
porta di casa. Ora sono dentro, al sicuro con quel giornaletto da
osservare. Se tutto va bene non se ne accorgerà mai.
Chi
l'avrebbe mai detto che una giovane dall'aspetto tanto innocente
nasconde così tanto materiale in soffitta.
Mi
getto sul divano incuriosito appena e lo apro. Forse dovevo
osservarlo meglio prima di prenderlo o forse mi sbaglio. Rimango
interdetto per alcuni secondi.
Lo
chiudo e corro al portatile, sperando che mia sorella sia ancora in
linea sulla chat.
Per
fortuna è lì anche se manca poco a mezzanotte.
Le
dico quello che ho visto ma non è sorpresa, anzi: sembra
molto
ferrata sull'argomento.
Probabilmente,
leggasi come certamente, quello è uno Yaoi,
acronimo
giapponese di qualcosa che sta a significare qualcos'altro che non
ricorda. Sono storie d'amore omosessuale vagamente esplicite, in
breve: fanno sesso.
Mi
chiede di osservare l'interno dell'opera ma mi rifiuto,
benché
vagamente incuriosito. In ogni modo è certa che sia una PWP,
acronimo di qualcosa di inglese che nuovamente non ricorda, usato per
classificate quelle storie prive di trama e dedicate solamente al
lavoro orizzontale dei personaggi.
Suona
come: “Trama? Che Trama?”
Grazie
a delle intuizioni femminili e un processo logico assurdo arriva a
dire che Sabrina è una Fujoshi,
cioè una
cultrice del genere. Mi avverte che sono comuni ai giorni nostri, le
fan di questo tipo di storie, e che non devo spaventarmi o pensare
strane cose di lei.
Ci
mancherebbe, tanto della spiegazione non ho capito nulla.
La
saluto ringraziandola e mi fa promettere di portargli l'oggetto
incriminato. Accetto anche se indeciso, forse sarebbe giusto darlo
alla sua proprietaria.
In
realtà sono io che non ho intenzione di andare in giro con
quella rivista.
Spengo
il computer, sospiro e vado a letto.
*
SCRASH.
Un
vetro si è rotto. Non saprei descrivere meglio quel suono.
Non
è stato quello a svegliarmi. È una decina di
minuti che
vengono strani rumori dalla soffitta: qualcosa che cade, risatine,
borbottii... Sabrina deve aver portato degli amici in quel luogo.
Questo
lo pensavo prima che il vetro si rompesse e tre figure avvolte in
mantelle nere entrassero in casa mia.
Senza
un minimo tatto hanno distrutto la finestra per entrare. Io sapevo
che i ladri si fanno scaltri, evitando di far rumore, ma per loro non
è così.
Hanno
fatto 'stomp' quando sono atterrate sulla moquette.
Io
ho gli occhi aperti e mi sono anche girato per guardarli, mi stupisce
che non si siano accorti di me.
Due
di loro hanno una corporatura robusta, l'altra è
mingherlina.
Sul volto portano delle maschere bianche capaci di coprire solo gli
occhi ma provviste di un lungo naso simile a un becco.
Ah,
sono donne.
Posseggono
anche un altro particolare, che le distingue chiaramente.
La
più robusta ha stampata una A rossa sulla fronte candida
della
maschera, la più mingherlina ha invece una O e l'altra una
Y.
Forse è una gerarchia, in ordine alfabetico.
Quindi
ce ne sono altre ventitré a giro?
Sembrano
cercare qualcosa, si guardano attorno facendo volare qua e
là
le mantelle nere.
Una
poi si gira verso di me e si accorge che sono sveglio. Io, dal canto
mio, non faccio nulla per farle credere il contrario.
“Sei
sveglio”. Commenta.
“Tu
non tanto” vorrei dirle, ma preferisco rimanere in silenzio.
Mi
alzo fino a trovarmi seduto sul bordo, con le gambe penzoloni.
“Cosa
volete?”
Colei
che mi ha parlato per prima parla di nuovo. “Cerchiamo una
rivista”. Io inarco le sopracciglia.
Non
ho dubbi di quale rivista loro stiano parlando, ma perché?
Una
domanda mi sorge spontanea.
“Tutto
questo casino per la rivista?”
Lei
fa spallucce, le altre due la seguono.
“Sì”.
“Non
potevate passare dalla porta? Insomma: perché rompere il
vetro!”.
“Scusa,
è una cosa scenica che ci piace” si giustifica.
“In ogni
modo ti conviene darcela immediatamente”. Io sono ancora
intorpidito dal sonno, saranno le quattro del mattino.
“Altrimenti?”
non è stata una cosa furba da dire.
In
un attimo, la A, nonché colei che ha parlato fin'ora, estrae
qualcosa di lungo. La penombra non mi permette di riconoscerlo.
“Altrimenti
questo” dice entusiasta.
“Non
riesco a vederlo”.
Si
sposta immediatamente, posizionandosi sotto la finestra. “Ora
la
vedi?” mi chiede quasi preoccupata della riuscita
dell'intimidazione. La luce della luna rischiara l'oggetto rivelando
che cos'è: un fallo di dimensioni spaventose. È
liscio,
sembra semi morbido e di almeno un metro e mezzo.
“Altrimenti
questo!” esclama soddisfatta.
Sono
pazze, non c'è altra spiegazione. Darò loro la
rivista
e chiamerò la polizia, già immagino la chiamata:
“Aiutatemi! Delle pazze sono entrate in casa mia dalla
finestra
minacciandomi con un dildo gigantesco”.
“Cosa?
E per quale motivo?”
“Volevano
una rivista Yaoi”.
“E
tu che ci facevi con una rivista del genere?”
Ok,
forse quando lo spiegherò alla polizia cambierò
un po'
le cose: prima di tutto lo yaoi si sostituisce a una rivista
scientifica e magari il fallo diventerà un mitra automatico.
Sì, così sarà meglio.
Tornando
all'immediato presente, mi pare ovvio come agire: indico loro il
cassetto dove lo avevo riposto e le saluto cordialmente.
Torno
a letto, senza nessun dolore e convinto di aver fatto la cosa giusta.
Dev'essere
colpa del sonno, ma questa cosa mi turba appena.
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Capitolo 2 *** Un gatto di porcellana ***
Chapter
2:
“Un
gatto di porcellana”
“Con
che cosa ti hanno minacciato?”
Il
poliziotto mi osserva stupito da dietro la scrivania, forse
è
un bancone.
Cerca
di trattenersi, non vuole scoppiare in una risata fragorosa davanti a
me.
Ieri
sera poi mi sono addormentato e mi è toccato venire di
mattina
a fare una denuncia. L'idea di raccontare la verità
però
forse non è stata buona, direi che è stata la
peggiore
dell'ultima settimana. Perché non usare quella del mitra, mi
chiedo.
“Con
un fallo gigantesco”. Provo a dirlo nella maniera
più
discreta possibile ma per lui è la goccia che fa traboccare
il
vaso.
Inizia
a ridere, non riesce a trattenersi, chiama perfino un collega che
stava passando.
L'attenzione
si focalizza su di noi.
“Vieni!
Ce n'è un altro!”. Un altro?
Quello
nuovo è abbastanza grassoccio e avanti con gli anni. Lui
è
serio, non la trova una cosa simpatica; appena arrivato mi lancia
un'occhiata severa e inizia a parlare. “Questa storia
è
ridicola”.
Ma
è la verità!
“Però
essendo il settimo caso questa settimana dobbiamo crederti”.
Sobbalzo.
Il settimo caso? Mio dio quante vittime hanno fatto con quel coso?
“Non
posso credere che sia accaduto ad altre sei persone”
commento.
L'uomo
con cui avevo parlato all'inizio, un giovane dalla carnagione
abbronzata, mi riprende: “A cinque di loro è
andata bene,
come a te, poiché hanno ricevuto solo minacce”.
“L'altro?”.
“Ha
provato a reagire e...” sta per ridere di nuovo.
“... è
successo”.
Successo?
Cosa?
Ci
penso alcuni secondi: possono essere successe molte cose, ma una
sembra la più probabile, cioè: quelle
pazze
hanno fatto quella cosa con quel
coso a quel poveretto?
“Ma
è enorme!” dico all'improvviso immaginandomi la
scena.
Loro
annuiscono, uno serio e l'altro ridacchiante.
“Si
trova all'ospedale, infatti, la cosa è piuttosto
grave” mi
dice il vecchio.
Poi,
senza una ragione ben precisa, parte con una spiegazione.
“Noi
le chiamiamo le Yao, o le Yoa, oppure: Ayo, Oya, Oay o Aoy. Non
sappiamo di preciso quale sia il loro nome”. Sì,
in parole
povere mettete insieme le lettere scritte sulla maschera, sarei
capace anch'io. “La prima segnalazione risale a
lunedì”.
Faccio
un piccolo calcolo: oggi è giovedì, quindi
è
quattro giorni fa.
“A
te cosa hanno rubato?”
Ok.
Ora
che cosa dico?
Come
glielo spiego che avevo una rivista porno yaoi in versione fumetto
nel cassetto?
Devo
inventarmi qualcosa.
“Un
gatto di porcellana”.
“Un
gatto di porcellana?” mi riprende il vecchio.
Dannato
vecchio! Se ci fosse stato solo l'altro magari l'avrebbe creduto,
sembra abbastanza stupido.
Comunque
devo ammettere che non ha senso.
“Senti:
abbiamo la lista di ciò che hanno preso fin'ora e direi che
non è nel loro stile prendere un gatto di
porcellana”.
Un
gatto di porcellana! Ma come mi è venuto in mente?
“Capisco
che può essere imbarazzante ma devi dircelo”.
Sospiro.
Sospiro. Sospiro. Non posso mica dirlo davvero!
Probabilmente
inizio a sudare, con la mano destra mi gratto prima la fronte e poi
la nuca. Il mio volto arrossisce, lo sento cambiare colore.
“Era
forse un gatto di porcellana che assomigliava vagamente a un
pene?”
mi consiglia il più anziano.
Io
annuisco, è la risposta che fa meno male tra le possibili.
“Capisco.
E tu che ci facevi?”. Io direi anche di smetterla.
Non
era una domanda in programma. Posso non rispondergli, non è
una cosa che interessa ai fini della denuncia ma se non dico niente
penseranno qualcosa che di sicuro non mi piacerà.
È
giunto il momento di inventarmi una storia, questa volta senza gatti
di porcellana.
“Ho
una zia molto eccentrica” e ora come proseguo?
“Sapete, mi sono
trasferito qui proprio ieri per studiare e lei ha insistito
affinché
lo portassi con me. Ha davvero la forma di un gatto ma in
realtà
è... quello. Secondo lei porta fortuna,
insomma:
secondo il suo culto pagano”.
Se
avessero un minimo di cultura a riguardo potrebbero contraddirmi.
Cosa c'entra il paganesimo con i falli? Spero che non siano ferrati
sulla cosa
“Capisco”
leggo lo stupore su di lui, per fortuna è ignorante in
materia
di paganesimo. “Mi dispiace che il tuo primo giorno sia stato
così
sconvolgente”.
“Non
si preoccupi” rispondo. “Non sarà questa
cosa a farmi
giudicare il posto”.
Iniziano
a pormi altre domande, cose più tecniche.
Nome,
cognome, data di nascita e simili.
Si
arriva alla via. Non la ricordo, così estraggo il foglietto.
“Via
Isola Verde numero quarantacinque”.
“Al
sesto piano?”
“Sì”
rispondo senza pensarci.
Passano
alcuni secondi prima che mi chieda come cavolo facciano a saperlo.
Divento sospettoso.
Forse
sono complici o più probabilmente Sabrina ha fatto una
denuncia prima di me.
Oppure
è stato un gatto di porcellana.
Ok,
devo smettere di pensarci.
*
Quando
torno a casa la incontro, proprio davanti alla porta
dell'appartamento: ha suonato il campanello ma nessuno ha risposto e
così è in procinto di andarsene. Oggi indossa una
maglietta nera, con varie scritte rosse in una lingua dell'est che
non conosco. I pantaloni invece sono degli short di jeans.
Rimane
immobile davanti al portone quando mi vede, posso notare il suo volto
illuminarsi appena.
Mi
saluta con la mano prima di parlare. “Cristian, ti stavo
cercando”.
“Dimmi
tutto”.
Intuisco
già cosa vuole dirmi, sarà qualcosa che ha a che
fare
con il furto.
“Ieri
notte qualcuno è entrato nella mia soffitta e ha fatto un
po'
di casino. Volevo sapere se te hai sentito qualcosa”.
Faccio
finta di nulla. “Dei ladri?”
“A
quanto pare”.
Scuoto
la testa amareggiato. Fingo dannatamente bene a volte. “No,
non ho
sentito nulla”.
Ho
fatto la cosa giusta, ergo, la migliore: non potevo mica dirle di
aver raccolto un fumetto da quelli caduti e successivamente averlo
ceduto alle pazze armate di fallo. Lei sospira abbassando lo sguardo.
“Guarda
che lo so che ne hai preso uno ieri sera”.
Perfetto:
non credevo che avesse una vista così acuta, sulla schiena
poi. Sa cosa ho fatto e probabilmente deduce cosa è successo
dopo, i suoi occhi innocenti mi stanno minacciando.
Non
saprei spiegare il modo con cui degli occhi minacciano qualcuno,
però
ora sento di dover ammettere tutto. Deglutisco, ma lei precede una
qualsiasi altra mia reazione. “Leggi tra le righe, Cristian,
voglio
sapere se ce l'hai ancora o ti è stato preso”.
Ne
parla come se fosse una cosa di valore. “Mi è
stato preso”.
Con
forza sbatte un pugno contro il muro ingiallito vicino alla porta,
credo che abbia perso la pazienza. Poi la osservo meglio: non
è
arrabbiata, forse è sconfitta. Sono confuso, seriamente
confuso da ciò che è accaduto ieri e dalla
reazione di
questa giovane sconosciuta.
“Sabrina...
mi dispiace” provo a dirle.
“Lascia
stare. Hanno vinto un'altra volta”.
“Non
capisco”.
Lei
mi dice di lasciare perdere e io obbedisco. Ora sono sicuro che lei
ha qualcosa che la lega alle tre ladre sodomizzatrici; è a
conoscenza di vari punti che non vuole dire. Lei è informata
dei fatti, lo deduco con facilità.
Hanno
vinto, così ha detto, ma vinto a cosa? Gioca forse a
nascondere la roba per vedere se le ladre la trovano? Oppure
è
qualcosa di più serio: una guerra nascosta.
Non
si confiderà con me, ci conosciamo da un solo giorno, ma la
curiosità mi implora di capirci qualcosa di più.
Potrei
spiarla o seguirla anche se non ne sono capace.
Ora
mille possibilità mi frullano nella testa: tante opzioni,
tante conseguenze, tante probabili risposte.
La
seguirò stanotte, non ho nessun altro programma in agenda.
Stanotte
perché le cose losche si fanno di notte, appunto.
*
Sono
rimasto in casa tutta la sera ma lei non è uscita.
Sono
rimasto vestito e con le chiavi pronte per ore ma non l'ho sentita
scendere per le scale.
Sono
rimasto sul divano cremisi con l'idea di un pedinamento da film.
Sono
rimasto qui come un cretino dietro un'idea cretina.
Alla
fine mi sono deciso a fare una passeggiata ed eccomi qui, in una
stradina deserta all'una di notte. Passeggio nel silenzio totale,
circondato solo da insegne di negozi chiusi, panchine e qualche
albero.
Non
mi pento di ciò che ho fatto, l'idea era buona, è
stata
lei a non permetterne l'attuazione. Non è stato neppure
tempo
sprecato quello, alla fin fine non avevo nient'altro da fare.
Mi
imbuco in un vicolo stretto, circondato da due alti palazzi, alla
fine dovrei sbucare in una via più grande proprio vicino al
portone. Mi sembra di stare in un canyon, quelli dei film, solo che
è
buio e non ci sono indiani e cowboy.
Ritiro
il paragone con un canyon.
Sono
stanco: sto ritornando verso casa.
Un
fruscio sospetto. Di notte sono sempre molto attento ai rumori, ho
una innaturale paura per ciò che può accadere nei
luoghi isolati e apparentemente deserti. Per i vicoli, le scale, le
case abbandonate, i cantieri chiusi e i cimiteri.
Mi
volto di scatto e vedo un foglio di giornale mosso dal vento.
Un
altro rumore: una macchina che parte. Paura inutile.
Rumore:
un gattino che salta sul cassonetto. Spavento inutile.
Rumore:
una vecchia che si è affacciata al balcone. Sobbalzo
inutile.
Rumore:
due loschi individui sono apparsi vicino a me, uno è davanti
a
me e uno è dietro di me. Adesso credo di dovermi
preoccupare.
Sono
gemelli, identici. Hanno una felpa nera e un cappuccio sulla testa,
ma il volto è ben illuminato: mento spigoloso, piccolo naso
e
occhi di un colore indefinito. Come due gocce d'acqua.
Sono
anche alti e grassocci, insomma persone che vorresti incontrare in
un vicolo isolato.
Non
dico nulla, vado avanti e mi avvicino sempre di più a quello
che mi para la strada, e che riesce a occuparla.
Passaggio
ostruito, non posso proseguire.
“Scusi,
si può spostare?” domando con un filo di voce e
tanta
follia.
“Questo
è il nostro territorio” dice quello dietro di me.
“Un
vicolo?”.
“Sì,
un vicolo”.
“Avete
solo questo vicolo?”
Sembra
scocciarsi. “Sì, abbiamo solo questo
vicolo”.
“La
cosa suona ridicola”. Non ce l'ho fatta a trattenermi. A
volte mi
domando se la mia bocca non è comandata da qualcun altro.
Parla senza che io ne abbia il controllo, dice cose tra le
più
disparate.
Forse
ho una bocca senziente. Rimaniamo alcuni secondi in silenzio, loro
non sembrano intenzionati a parlare e io sto rimuginando sulla mia
bocca.
“E
così questa è la vostra via”. Mi tocca
iniziare
perfino una conversazione, tanto vale fare una domanda sul tempo.
Quello
davanti fa una smorfia. “Sì, proprio
così”.
“Allora?”
domando. Che è la loro via l'ho capito ma a me non interessa
molto. Vediamo di sbrigare questa cosa velocemente che voglio tornare
a casa.
L'uomo
alle mie spalle sospira, quello davanti fa spallucce.
“Nulla,
così tanto per dirtelo”.
“Mi
fa piacere. Io sono nuovo, appunterò questa cosa nel mio
diario segreto”. Mi sembrano abbastanza stupidi,
così come
non capisco il loro modo di fare. Cercherò di assecondarli,
mostrandomi amichevole.
“Interessante,
mi sembrava di non averti mai visto”.
Nuovi
attimi di silenzio.
“Ora
posso passare?”
Ci
pensano un po' su, entrambi. Vedo quello che ho davanti scuotere il
capo.
“C'è
una cosa che dobbiamo chiederti. Per quale motivo pensi che ti
abbiamo fermato?” Per dirmi che è la vostra via,
ovvio.
“Dobbiamo chiederti dei soldi”.
“In
prestito?” ci scherzo un po', non sono così svegli
da
arrabbiarsi.
Rimangono
immobili, non sanno come rispondere così prendo nuovamente
la
parola. “Comunque non ho il portafoglio con me, mi
dispiace”.
È
la prima volta che provo a fregare individui del genere, anche
perché
è la prima volta che li incontro. Nel mio paese non
esistono.
Guardandoli
bene sembrano due ippopotami gonfiabili vestiti da persone cattive,
ma non sono cattivi. Solo un altro animale gonfiabile potrebbe cadere
nel loro tranello; non mi stupisce abbiano solo un vicolo. Quello
dietro fa una serie di rumori strani, mi volto e lo vedo frugare in
una tasca. Estrae un biglietto con le istruzioni, manco fosse una
lista della spesa.
“Allora
dobbiamo farti del male”.
Idiota
lui e chi ha scritto quel foglio. Idiota io che sono uscito di notte
in un luogo sconosciuto.
“Non
vorrete mica farlo davvero?” ora inizio a non sentirmi al
sicuro.
La follia è svanita.
Ieri
sera vengo minacciato da un fallo gigante, stasera da due ippopotami.
“Mi
dispiace, ma il capo ci ha detto questo”. Quello davanti a me
sembra davvero rammaricato. Povero diavolo. Non credo in Dio, ma se
esiste deve intervenire subito affinché un innocente non si
faccia male.
Stomp.
La mia testa si gira nuovamente.
Prima
che qualsiasi altra cosa possa accadere una figura è caduta
davanti a me. È piombata al suolo come un sacco
dell'immondizia gettato dalla finestra. È in piedi grazie a
un
atterraggio da film e ora si guarda attorno. In mano ha un porro, un
lungo porro.
I
due sono spaventati dalla verdura, chissà perché.
La
guardano con gli occhi sgranati.
“Marco”
sospira guardando colui che si trova davanti a me.
“Mirko”
sospira voltandosi verso quello dietro.
Se
incontro la loro madre mi congratulerò per la scelta dei
nomi,
assolutamente.
“Sabrina”
rispondono loro.
Nessuno
che abbia detto “Cristian” chissà
perché.
“Cristian”
sospira lei lanciandomi un'occhiata. Mi rimangio ciò che ho
appena detto, qualcuno ha detto il mio nome. Evviva!
“Ciao
Sabrina” rispondo cortesemente. Aspetto per alcuni secondi un
chiarimento che non arriva e mi faccio avanti. Perché la
gente
piomba dal cielo e due stupidi pretendono di chiedere un pegno? E
perché c'è un porro, ditemi per quale assurdo
motivo
lei maneggia un porro.
“Posso
sapere che cosa sta accadendo?”
“Un
secondo” mi risponde lei scattando in avanti.
Il
tonfo del metallo che sbatte contro una testa. Poi si volta, giusto
il tempo di saltare oltre di me e arrivare all'altro. Il tonfo del
metallo risuona un'altra volta.
Come
fa il metallo che sbatte? Tipo: Sdeng?
Nel
mio diario segreto dovrò scrivere che la mia vicina ha
appena
picchiato due uomini con una verdura dalla dubbia provenienza.
Comunque:
mi sono perso da qualche parte... non ci capisco più nulla.
Cioè, devo correggermi: non capisco quasi più
nulla di
ciò che sta accadendo. Una cosa mi è chiara: il
porro
mi ha salvato.
È
successo molto velocemente, ma in poche mosse li ha stesi entrambi
armata di quello. Ora capisco il loro spavento.
“Eccomi”
sospira avvicinandomi a me.
I
due stanno rantolando al suolo, me ne assicuro con un'occhiata rapida
prima di tornare a fissare la mia vicina. “Grazie”.
Mi fanno
quasi pena, dev'essere stato un porro di piombo.
Lei
sospira e mi dice di seguirla, mi sta conducendo a casa.
“Erano
amici di mio fratello, a volte gli piace giocare al boss e alla banda
di criminali”.
Capisco
e questo gioco comprende anche il fare del male agli altri? Insomma,
che educazione ha ricevuto costui?
“Ultimamente
sono diventati più aggressivi, insomma, sono stati messi
alle
strette. Il quartiere non è più loro e li
appartiene...”
“Solo
un vicolo” la precedo.
Sabrina
annuisce con un sorriso. “Vedo che ne sei al
corrente”.
“Perché
hanno perso il quartiere?” mi sembra di parlare di una cosa
seria,
non di un gioco per ragazzini cresciuti (male). Lei invece la prende
come una sciocchezza, a sentirla sembra quasi che mi stia raccontando
delle sue barbie.
“Qualcun
altro lo ha preso. Sono stati cacciati”.
“Da
chi?” alla mia domanda lei si volta di scatto fermandosi.
“Se
posso saperlo...” aggiungo mettendo le mani avanti a me.
“Indovina?
Dalle stesse che ieri sono venute da te: le Y.A.O.I.”.
Sono
perplesso. Cos'è questa sigla? Sono una band musicale pop?
Magari
le vedrò suonare.
“Loro?”
“Sì,
loro”.
Arriviamo
al portone, lo apre ed entriamo. Rimango in silenzio fino alla
seconda rampa di scale, poi le domando: “Il tuo porro
è di
metallo?”
Lei
si ferma. Era davanti a me, qualche gradino avanti, con l'oggetto
della discussione in mano. “No, è un porro
normale”.
Allora
come hai fatto a tramortirli?” ora sono io che mi fermo,
mentre lei
riprende il cammino.
Aspetto
alcuni secondi, il tempo che impiega per pensare a una risposta; alla
fine si affaccia una rampa più in alto. “Non fare
domande,
Crist”.
“Crist?”
la mia attenzione è stata sviata verso questo diminutivo.
“Sì,
Cristian è lungo e così l'ho
abbreviato”.
“Ma
è orrendo”.
Non
ribatte e continua la scalinata, per seguirla mi tocca fare una breve
corsa lungo le rampe.
Torna
tra noi il silenzio fino al quinto piano, quando la lascio davanti
alla porta.
Mi
saluta con la mano, per evitare di fare ulteriore rumore vista la
tarda ora; io non posso resistere però, sento il dovere di
dire qualcos'altro, tanto per chiudere la conversazione.
“Questo
posto è pieno di cose strane”.
Lei
apre la porta e sta entrando “Non hai visto ancora
nulla”.
La
porta si chiude piano e senza far rumore.
La
conversazione è rimasta più aperta che mai.
La
mia mente è rimasta più confusa che mai.
La
casa è ancora più puzzolente che mai.
La
finestra è ancora più rotta che mai.
Là
fuori c'è gente più pazza che mai.
Dovrei
finirla adesso.
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Capitolo 3 *** Smettila con questo porro! ***
Chapter
3:
“Smettila
con questo porro!”
Ricapitolando:
il mio primo giorno tre pazze mi hanno minacciato con un dildo
gigantesco; ieri, il mio secondo giorno, due macchine da guerra mi
volevano pestare dopo aver letto una lista della spesa ma sono stati
a loro volta messi al tappeto da una ragazza con un porro,
sottolineiamo la parola Porro; oggi, il terzo giorno, qualcuno mi ha
svegliato e in salotto ho trovato un misterioso biglietto anonimo.
Il
suddetto biglietto dice: “Tanti auguri Nonna” .
Sopra ci sono
anche dei palloncini.
Sul
retro c'è scritto: “Ci vediamo alla fabbrica
abbandonata a
mezzogiorno. No, anzi: alle quattro di pomeriggio... no,no. Facciamo
le sei che è più fresco”.
Interessante,
c'è un certo alone di mistero intorno a questa cosa, e
c'è
anche una fabbrica abbandonata che non so dov'è.
A
chi posso chiederlo se non a Sabrina 'la donna con il porro'?
Esco
e mi dirigo verso casa sua; scendo le scale afferrando la ringhiera
dipinta d'oro e logora.
Suono
il campanello e attendo alcuni secondi.
Percepisco
i passi e pochi attimi dopo la porta si apre. Mi domando
perché
nessuno in quella casa chieda mai chi è.
C'è
un ragazzino dai corti capelli rossi, appena riccioluti. Mi osserva
in silenzio a lungo prima di parlare. In quel lasso di tempo posso
dare un'occhiata a ciò che lo circonda, o meglio: a
ciò
che ha dietro di sé. Vedo un corridoio e varie stanze che vi
si affacciano, ma la cosa che più mi colpisce è
la
quantità di addobbi piazzati ovunque. Dicono più
o meno
tutti la medesima cosa: “Auguri”. Chissà
chi è il
festeggiato.
“Che
vuoi?” molto gentile. Credo che sia il fratello di Sabrina,
anche
se di simile hanno solo gli occhi.
“Cercavo
Sabrina, è in casa?”
“Sì,
è sicuramente di là che piange della sua misera
vita.
Aspetta te la chiamo”. Persona interessante.
Si
gira e si dirige verso una delle tante porte, ma prima che abbia il
tempo di entrare, questa si spalanca facendo apparire colei che
andavo cercando. “La mia vita non è
misera!”.
“Sì,
va beh, ora capisco che non vuoi che la gente non lo sappia ma devi
affrontare questa cosa”. Si parlano in maniera astiosa, ogni
parola deve schernire prima di tutto. Ah, mi ricordano proprio i
bisticci con mia sorella.
“Taci!”
sbotta lei spingendolo contro la bianca parete. Pochi centimetri a
sinistra e il fratello avrebbe colpito un quadro astratto, pochi
centimetri a destra e si sarebbe scontrato con lo spigolo della
cassettiera.
Si
volta poi verso di me, sorride e mi raggiunge.
“Ciao
Jesus, come va?”
Che
razza di nome è? Forse è ubriaca o sotto
l'effetto di
qualche sostanza.
“Jesus?”
“Sì.
Ho notato che Crist assomiglia tanto a Cristo e
così...”
“Preferirei
il mio nome”. Sabrina, oltre che la ragazza con il porro
sarà
la ragazza dagli strani ragionamenti. Lei sospira.
“Ognuno
preferisce ciò che vuole” rimane sulla porta.
“c'era
qualcosa che volevi dirmi?”
Mi
gratto la nuca e poi la fronte. “Sì, vorrei sapere
dove si
trova la fabbrica abbandonata”.
“Perché?”
“Come
perché?
“Perché
lo vuoi sapere”
Fatti
una manciata di fatti tuoi, cara.
“Così,
ne ho sentito parlare ed ero curioso”.
“Chi
ne ha parlato?”
Rimango
in silenzio, non sono proprio capace di rispondere. Potrei inventarmi
una scusa ma ho la paura che salti fuori un gatto di porcellana, che
stupidaggine.
Sospiro
e abbasso lo sguardo. Sento di doverle dire la verità, devo
farlo.
“Qualcuno
mi ha scritto un biglietto dove mi invitava alla fabbrica, l'ho
trovato in salotto”.
Improvvisamente
il suo volto cambiò. Sembrò subito assorta nei
suoi
pensieri, tutti suscitati dalla mia affermazione. Maneggiava anche
una sigaretta per dare enfasi alla sua espressione, ma non mi spiego
da dove l'abbia presa o quando sia apparsa.
“E
tu vuoi andarci?” mi domanda con la stessa faccia della
signora in
giallo che ha capito chi è l'assassino (perché
mai in
giallo?).
“Ovvio”.
“Potrebbero
venirti loro a trovare, chiunque siano”.
Questa
Sabrina credo stia pensando che sono dei miei amici, dovrei spiegarle
che è stato un biglietto anonimo di anonime persone che
anonimamente sono entrate in casa mia?
“Non
capisco”.
Lei
sospira, è infastidita dalla mia confusione. “Se
sono
entrati in casa tua per lasciarti un biglietto sarebbero potuti
entrare di nuovo anche un'altra volta per incontrarti, no? Oppure
potevano aspettarti”.
Torna
tutto, dice cose dannatamente logiche. Non avevo pensato a questa
possibilità.
“Comunque
è giusto che tu vada se lo credi necessario, sappi che io
però
dovrò prepararti”.
Mi
gratto nuovamente la nuca. Devo contenere questa mia reazione, penso,
o la gente crederà che ho i pidocchi. “Prepararmi?
Tipo
porri di ferro?” provo a scherzarci su ma con lei non
attacca.
Esce
di casa e si chiude la porta alle spalle.
“Possiamo
andare a casa tua? Ti spiegherò tutto con calma”.
*
“Questa
città è divisa tra molte gilde segrete. Ogni
giorno ne
nasce una e per questo motivo qui si è in continuo
conflitto”.
Una
gilda segreta eh? Roba tipo Templari o Mangiamorte?
C'è
anche un artefatto misterioso da proteggere? Mio Dio, non posso
credere di starla ad ascoltare. È una folle con strane idee
di
esoterismo e magia, tutto qui.
“Anche
le Y.A.O.I. sono una gilda, e anche il gruppo di mio
fratello”.
Ci
siamo seduti sul divano, con una bottiglietta d'acqua ciascuno. Lei
mi spiega veramente convinta tutto ciò e io penso che devo
ancora fare la spesa. Nella mia mente appare un programma dettagliato
di cosa comprare e dove metterlo, ma proprio mentre decido se la
pasta va negli sportelli in alto o in quelli in basso mi accorgo che
tra noi è calato un imbarazzante silenzio.
“Tu
di cosa fai parte?” le chiedo.
“Niente”.
“Non
fai parte di nessuna magica 'gilda' colorata?”.
“No.
Il mio obiettivo è distruggerne una”.
“Quale?”
“La
stessa che ti ha minacciato con un fallo”.
Ora
forse capisco qualcosa di ciò che è successo: lei
le
combatte rubando loro materiale pornografico ma loro riescono sempre
ad averla vinta. Lei ha un porro e loro hanno un dildo di un metro e
mezzo, è normale vincano.
Eravamo
venuti qui per un altro discorso in ogni modo, sarà meglio
riproporlo.
“Avevi
detto qualcosa riguardo la preparazione... cosa intendevi?”
Lei
è attenta e sembra riprendersi all'improvviso. Se l'era
scordato.
“Giusto.
Chiunque ti abbia dato quel biglietto fa parte di una gilda; le
possibilità sono principalmente due: le Y.A.O.I. e il gruppo
di mio fratello, in entrambi i casi tu devi stare attento”.
Grazie
della raccomandazione, ma davanti a delle tizie armate di un arnese
del genere sarei stato molto cauto comunque.
“Quindi?”
domando ingenuamente mentre il suo volto si tinge di uno strano
sorriso.
“Quindi
ti darò qualcosa”.
“Un
porro?”
“Smettila
con questo porro!”
“Va
bene”. Non ha un grande senso dell'umorismo la giovincella.
Cavolo
(per l'appunto), l'idea di un porro assassino a me piaceva.
Si
alza dal divano per frugarsi in una tasca. Cerca qualcosa in
profondità che non ha intenzione di uscire allo scoperto.
“Un
secondo...” mi dice mentre fruga all'interno di quello
stretto
spazio al lato sinistro dei suoi pantaloni.
Tira
fuori un foglietto piccolo e bianco.
“Hai
una penna?” mi chiede tranquillamente.
“Sì”
mi alzo anch'io, per prendergliela. Mentre mi dirigo in camera, a
frugare nella borsa, cerco chiarezza. “Cosa mi darai
allora?”
Il
foglio era spiegazzato e risponde mentre è intenta a
stirarlo
bene bene con le mani. “Un sigillo da magia
monouso”.
Un
sigillo da magia monouso, ovvio.
Un
sigillo da magia monouso, dovevo aspettarmelo.
Ma,
alla fine, un sigillo da magia monouso che cos'è?
Questa
Sabrina dev'essere tutta pazza. Magia, già la parola mi
suscita ilarità.
Crederci
è da bambini, non è questo ciò che ho
imparato?
Le
consegno la penna e lei si prepara a scrivere qualcosa. È
però
paralizzata, immobile, fermata da una forza sconosciuta.
“Che
stupida che sono”. Sì, dimmi che stai scherzando.
“Se non
mi dici il nome della magia non posso fare nulla”. No, sei
dannatamente convinta.
“Nome
della magia? Giuro che non ci sto capendo nulla”.
Sabrina
sorride. “Vedi: questo è come un buono per un
incantesimo
gratis. Tu non sei capace di scagliarne, quindi hai bisogno di
questi”.
“Tipo
il buono di un supermercato?” assecondiamola, forse
è la
cosa migliore, con i pazzi funziona in questo modo se non ricordo
male.
“Sì.
Se vengono fatti da un mago o una strega essi acquistano un po' di
potere. Capisci il meccanismo? Tu non fai altro che sfruttare il
potere già accumulato per lanciare una magia tua, devi solo
dirmi il nome”.
“Io
non so i nomi delle magie”.
Streghe,
maghi, incantesimi. Io lo sapevo che questo Harry Potter
traviava le giovani menti. Quanti ricoveri ci sarebbero da fare.
Alla
mia affermazione lei si lascia scappare una leggera risata.
“No,
no. Inventati un incantesimo!”
“Inventarmelo?”.
“È
quello che ho detto ”.
“Ma
che senso ha?”.
“Non
pensare alla solita magia, quella dei filtri e delle bacchette, pensa
a qualcosa di completamente diverso”. C'era un film che si
chiamava
così, era inglese. “Un giorno ti
spiegherò le cose
con più precisione, ora tu pensa a un effetto e donagli un
nome”. Inventarmela quindi. Ah, era quello che aveva detto.
Chiamerò
una clinica psichiatrica più tardi, me lo devo appuntare.
Per
ora è meglio far finta di essere interessato e darle
ragione,
sperando che non impazzisca del tutto e beva il mio sangue.
Faccio
finta di pensarci su, o forse lo faccio davvero.
Cavolo,
non ho fantasia per queste cose! Pensiamo a una cosa comune, tipo un
pugno portentoso.
“Cocon
Punch”.
“È
così che la vuoi chiamare?”
“Sì”.
Scrive
quel nome sul foglio e ne prepara poi un altro.
Mentre
sta facendo quello che a me sembra solo 'scrivere su un foglio bianco
con una penna nera' le faccio qualche domanda. “Ma queste
gilde
usano tutte la magia?”
Lei
sbuffa, credo che stia pensando che sono un cretino, la stessa cosa
che penso di lei. “Secondo te perché ti fornisco
di magia se
loro non fossero in grado di usarla? Comunque sì, tutte le
gilde sono capaci di usare la magia”. Mi consegna entrambi
dopo
averli accuratamente piegati e mi spiega il funzionamento. Io
annuisco fingendomi convinto, ma in realtà sto maledicendo
il
fato per questi eventi così strani. Tutti a me. Aggiunge
altre
cose che non sto ad ascoltare e poi mi saluta.
La
fermo sulla soglia.
“Ma,
scusa la mia ignoranza, questa storia della magia non è per
alcuni 'eletti' o comunque da tenere segreta?”
Lei
scuote il capo. “Guardi troppi film”. Io?
“È giusto che
tu sia minimamente pronto a difenderti se mai la cosa dovesse andare
male”.
“Capisco”.
No, non capisco.
|
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Capitolo 4 *** Cocon Punch ***
Chapter
4:
“Cocon
Punch”
La
fabbrica è veramente abbandonata, decadente e forse neppure
una fabbrica.
La
struttura è enorme, all'interno quasi completamente vuota se
non qualche macchinario o pezzo di ferro ai lati; secondo me era un
magazzino.
Questa
gente di città non conosce manco com'è fatta una
fabbrica, sciocchi.
Sospiro
entrando.
I
miei passi risuonano sovrastando le due voci che prima blateravano.
Ho
attirato l'attenzione degli sconosciuti che mi stavano aspettando,
anche se ho battuto con troppa forza i piedi a terra per farlo. Mi fa
male la pianta dei piedi.
Davanti
a me c'è un pirata e un tizio vestito di nero.
Il
pirata, anzi, la pirata è vestita con un bellissimo costume
da
carnevale, compresa fascia su un occhio e cappello. Ops, dimenticavo
il pappagallo verde e finto sulla spalla.
L'altro
ha una lunga tunica nera, stivali e in mano un piccolo affare
metallico, forse una bacchetta.
Io
ho solo una maglietta senza maniche bianca, dei bermuda celesti e
scarpe nere ormai logore quanto il luogo dove ci troviamo.
I
biglietti sono nella tasca destra dei pantaloni, non che creda a
quelle storielle, ma è per scongiurare ogni pericolo.
“Salve”
dico per iniziare una discussione che vorrei non finisse con una
lotta furiosa.
Risponde
una voce maschile, proviene dall'uomo in nero che riconosco come il
fratello di Sabrina.
“Ciao
Cristian...” si porta una mano davanti alla bocca per imitare
un
respiratore, anzi, per dare maggiore enfasi, fa anche il rumore del
respiro asmatico. “Ti chiederai perché sei stato
chiamato
qui”.
“In
effetti sì” rispondo.
“Bene”
respiro. “Fin dalla prima volta che ti ho visto”
respiro. “Ho
capito che tu” respiro. “Potevi essere uno dei
nostri” respiro.
“Uno
dei vostri?” non giocherò al piccolo teppista, sia
chiaro.
“Sì,
potevi entrare nella nostra famiglia” respiro. “E
aiutarci a
combattere quelle folli”. Perfetto: anche lui è a
conoscenza
del mio 'incidente' con le YAOI e il dildo.
Io
ci penso un po' su, non voglio dire di no senza prima farmi apparire
indeciso. Faccio un volto combattuto ma prima della mia risposta
interviene nuovamente.
“Non
devi scegliere subito” respiro. “puoi pensarci un
po'”.
Quel
respiro finto è fastidiosissimo, ma chi si crede? Lord
Fener?
La
piratessa intanto si è spostata alle mie spalle, bloccando
l'uscita. Deduco che se la risposta non è 'sì'
accadrà
qualcosa di brutto. Una cosa è certa: sono tutti da
manicomio.
Magia,
pirati, fanatici di fantascienza, non posso sopportare oltre.
“Allora?”
mi chiede prima dell'ennesimo respiro. Alla faccia del tempo per
pensarci.
“Mi
dispiace ma la risposta è 'no'...” sono uno
stupido così
dannatamente schietto che mi sono appena cacciato in qualche guaio.
Sarebbe bastato dire 'sì', stare alla recita, chiamare i
miei
e tornare a casa facendo perdere le mie tracce; invece ho voluto dire
di no e rischiare qualcosa fatto da dei folli sfuggiti al manicomio.
Ah,
sono chiusi. È vero.
La
piratessa alle mie spalle sguaina una sciabola di plastica, non
è
affilata ma è meglio non rischiare di imbattersi nel gemello
malvagio del porro metallico.
“È
stata Sabrina, vero? Dovrei ucciderla una volta di queste
così
la smette di mettere in giro cattive voci sul mio gruppo”. Ha
parlato nuovamente l'uomo in tunica nera, sembra che tra i due sia il
capo proprio come mi aveva detto sua sorella. “Nicoletta,
occupatene tu. Non ucciderlo però, feriscilo pesantemente
affinché si penta della sua scelta”.
Nicoletta,
fendendo l'aria con la sciabola, annuisce e si avvicina a me.
Cosa
può mai fare una sciabola di plastica? Mi basterà
superare quella ragazzina in forza bruta e fuggire.
Lei
è seria, convinta di ciò che fa e sicura delle
potenzialità di quella spada finta, io non lo sono
così
tanto.
“Non
ti conviene metterti contro di me, sono cintura marrone di
karate”.
Mentire e ingigantire le proprie abilità è una
tattica
a volte efficace per evitare lo scontro. Ps: cintura marrone
è
più realistica della nera, non ci avrebbe creduto nessuno.
“Non
importa. Non puoi nulla contro le tecniche di spada segrete del
pirata della lega”. Che titolo impressionante. Vorrei
chiederle se
saranno tutte fatte con un'arma finta ma lei mi da subito una
dimostrazione del suo potere.
Con
un attacco apparentemente rivolto al terreno riesce a creare un solco
sul suolo grigio della struttura. Io prima lì ho camminato e
posso assicurare che era un terreno asfaltato, o cementato, non
saprei.
Non
c'è trucco non c'è inganno, quella cosa
è
pericolosa e strana, come tutto dal mio arrivo.
Nicoletta
avanza verso di me tranquilla, è il tipo di persona che
obbedirebbe a qualsiasi ordine, anche il peggiore. Perché
tutte a me? Perché?
Lei
continua a colpire l'aria e io inizio a indietreggiare. Perfino il
rumore dei colpi a vuoto fa presagire che quella cosa taglia, e
molto.
Mi
guardo attorno: il fratello di Sabrina di cui ignoro il nome se
n'è
andato; dietro di me c'è solamente la parete. Continuo a
muovermi in direzione opposta del pirata.
Lentamente,
senza far scattare un inseguimento pericoloso, passo dopo passo mi
avvicino al capolinea. Sembra durare un'eternità quella
scena
ma non appena tocco il muro penso che sia stato troppo breve.
Non
voglio morire, non voglio essere neppure ferito!
Lei
si avvicina, sempre di più.
Blatero
qualcosa, lo sussurro. È incomprensibile perfino per me che
lo
dico. È la mia ultima carta da giocare, o la va o la spacca,
come si dice. Non ci sono oggetti che posso usare come arma, non
c'è
nessuno cui chiedere aiuto e c'è una maledettissima spada di
plastica affilata come un rasoio.
“Cocon
Punch” ripeto una seconda volta più forte, quanto
basta per
far giungere queste parole alle orecchie della piratessa che ormai
è
giunta davanti a me.
Sabrina
mi ha detto di pronunciare la formula ad alta voce, più o
meno, e io l'ho fatto.
Dopo
averle spiegato la magia mi ha spiegato che è necessario che
io accompagni alla formula il gesto del pugno, e l'ho fatto. Le mie
nocche hanno incontrato la spalla sinistra di Nicoletta, con la
potenza che un ragazzino impreparato alla lotta può avere.
Chiudo
gli occhi.
Stomp.
Il
mio pugno non tocca più nulla. C'è stato
però un
rumore, come se qualcosa finisse al suolo.
Riapro
gli occhi: Nicoletta non c'è più. Mi sfugge una
smorfia
che rappresenta la sorpresa.
Sento
prima il lamento di dolore e poi vedo il suo corpo a terra, a qualche
metro di distanza da me. Forse a cinque, o sei metri, gettata al
suolo dopo essere stata scagliata via.
Fottuto
Cocon punch! Funziona, funziona!
Ho
lanciato una magia, ho fatto del male a qualcuno, mi sono difeso
efficacemente.
Non
posso che sorridere soddisfatto di me e del mio pugno. Nei miei occhi
brillano strane idee; penso che magari Sabrina mi insegnerà
qualcosa di veramente eccezionale, mi farà sviluppare magari
qualche potere da libro fantasy.
Durante
le mie elucubrazioni mentali la piratessa ha avuto il tempo di
alzarsi, ora si massaggia la spalla.
“Tu
eri capace di usare la magia? Chi se lo aspettava” sospira.
Devo
averle fatto male.
Ghigno
eccitato come mai prima d'ora.
“Cocon
punch!” esclamo una seconda volta scagliando un nuovo colpo
verso
di lei. L'aria si sposta, un'onda d'urto si sprigiona dalla mia mano
e quando arriva a lei non è altro che una brezza leggera.
Sgrana
gli occhi chiedendosi che cosa diavolo ho fatto. Io sgrano gli occhi
chiedendomi perché diavolo l'ho fatto.
Stupido
Cristian. Preso dall'emozione l'ho attaccata di nuovo.
Eppure,
pensandoci anche un solo istante, quel colpo magico si basa
sull'impatto diretto, non può essere usato come una magia a
distanza. Anche uno come me, che è digiuno di magia, lo sa.
Ma
allora perché l'ho fatto?
Lei
rimane qualche secondo immobilizzata dalla perplessità, ma
alla fine ritorna ad avanzare leggermente irritata dalla mia
reazione.
“Se
sei così abile allora dovrò impegnarmi di
più”
sospira. Si lancia verso di me con incredibile rapidità,
prima
che io abbia il tempo di reagire la sua sciabola è
conficcata
a destra della mia destra, ben dentro la parete del prefabbricato.
“Cavolo,
sei davvero abile” e tu davvero stupida. Perché
non hai
mirato alla testa?
“Cosa?”
“Ma
bravo, hai previsto che il mio attacco mirava a destra e sei rimasto
immobile” veramente ero solo paralizzato dalla paura, non ho
mai
avuto dei riflessi pronti.
“A
destra?”
“Sì.
Non fare finta di niente! Quando si riceve un colpo frontale si
schiva a destra e io avevo già previsto questa tua reazione
indirizzando il colpo, appunto, verso destra, ma tu sei stato ancora
più furbo”.
Tutto
ciò non ha senso, ma non posso perdere l'occasione.
Lascio
andare le mie nocche per la terza volta, ora verso il viso della
piratessa.
“Cocon
Punch!” esclamo.
Lei
si scuote impaurita dal nome ma io so bene, avendo tenuto il conto,
che non ho più magie da usare. Quello sarà un
pugno
normalissimo.
Il
suo volto si sposta di poco, sono davvero debole. Ma la sua sorpresa
e il debole dolore che scaturisce dalla guancia mi lasciano il tempo
di fuggire.
La
spingo via da me e scappo, rapido verso l'uscita. Mi pare di essere
in uno di quei film dell'orrore dove la vittima cerca invano la
salvezza.
Lei
estrae l'arma dalla parete e torna verso di me, io inciampo a un
passo dalla soglia.
Proprio
come nei film, lo avevo detto.
Ora
devo vedermela con lei e la sua spada, è stato gratificante
finché è durato.
Nicoletta
si lancia su di me con tutta la sua forza, preparando un fendente, io
socchiudo gli occhi.
Per
fortuna doveva solo ferirmi e non uccidermi.
Poi
lo scontro di due cose metalliche.
Guardo
sopra di me e vedo un porro che blocca la spada. Sabrina sei la mia
salvatrice!
In
pochi attacchi ben assestati riesce a mettere in difficoltà
la
piratessa. Quest'ultima bofonchia qualcosa e poi se ne va irritata.
Mi
rialzo senza nessun aiuto e la ringrazio.
“Come
mai sei arrivata solo adesso?”
Lei
alza lo sguardo. “Poco fa, mentre finivo il mio gelato, ho
pensato
che due fogli erano pochi”.
Io
annuisco. “Grazie, li ho usati entrambi...” sono
imbarazzato.
Tutto
ciò che sembrava strano ma minimamente logico ora
è
strano e basta.
Devo
ammettere che la magia esiste, è assurda ma esiste.
“In
ogni modo sei stato bravo. In realtà quei fogli non
servivano
a nulla, hai risvegliato il tuo potere nascosto” mi afferra
le
mani, il porro è sparito. “Jesus, sei il
prescelto”.
“Cosa?
Davvero?”. Sono il prescelto.
Alcuni
attimi di silenzio e poi si lascia sfuggire una risata. “No.
Ti
stavo solo illudendo! Per fortuna ti avevo dato quei fogli”.
Che
bastarda! Rendere vani i miei sogni con questa menzogna.
Tutto
per il suo inutile diletto. “In ogni modo hai del talento. Di
solito, anche se provvisti di fogli bonus, non tutti sono in grado di
utilizzarli la prima volta”.
Beh,
allora qualche qualità ce l'ho anch'io.
Usciamo
di lì entrambi d'accordo sul tornare a casa. Non servono
parole per dirlo.
“Senti,
vorrei chiederti...”
“Vuoi
che ti insegno come usare questa magia?”
“Sì”.
È
tutto così semplice da sembrare una trappola.
Ma
finché non appare un pericolo voglio godermi questa
scorciatoia!
|
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Capitolo 5 *** Le piacciono i fumetti giapponesi porno ***
Chapter
5:
“Le
piacciono i fumetti giapponesi porno ”
Ora
ho un'intera scorta di Cocon Punch. Li tengo con me nel portafoglio,
vicino ai profilattici.
Sabrina
ne ha preparati sei in due giorni, ha detto che non può
farne
di più poiché utilizza molta energia, e ha
spiegato che
per sfruttare il loro potere devo tenerli vicino a me.
Ovviamente
ne farò buon uso.
Non
riesco ancora a crederci! Sono capace di usare una magia. Certo: se
vogliamo essere pignoli in realtà non ne sono capace, ma a
chi
importa?
Sono
tre giorni che continuo a pensare a quella cosa. Quando parlo con mia
sorella mi mordo in continuazione le labbra pur di fermare la pazza
tentazione di raccontarglielo. Ora sono tutte danneggiate, devo
trovare un rimedio meno dannoso.
Inoltre,
sempre Sabrina, mi ha dato alcuni esercizi per sviluppare le
capacità
magiche. Ha detto che ci vorrà un po' di tempo per imparare
a
manipolare bene l'energia, ma io non demordo.
Giovedì
prossimo, ergo domani, inizierà anche la scuola. Non capisco
perché di giovedì ma sarà
così.
Non
potrò dare il meglio di me a scuola se devo impegnarmi nella
magia. Cioè: devo, io voglio impegnarmi!
Che
confusione.
Ora
sono fermo, davanti a un cetriolo, cercando di infondergli la mia
energia.
Sabrina
mi ha suggerito di pensare a qualcosa di assurdo e stupido
perché
“è così che funziona la magia:
è un accumulo
di idee demenziali concentrate”. Sue esatte parole.
Io
posso solo obbedire ciecamente.
Ho
pensato però a qualsiasi cosa, mi sono anche aiutato con
internet, che di demenzialità ne ha tanta, ma non
è
successo nulla. Tra una pausa e l'altra sono tre ore e mezzo che sto
maneggiando un cetriolo.
Che
cosa ridicola: se qualcuno entrasse adesso mi vedrebbe steso sul
divano con un cetriolo sopra di me, tenuto stretto come se volessi
strangolarlo. Se solo Sabrina mi avesse dato informazioni in
più...
Alla
fine cedo alla noia, ergo: mi addormento.
Il
sonno è tranquillo, credo di dormire a lungo, ma
ciò
che mi colpisce maggiormente è il sogno.
Sono
in una stanza con tre pere. Loro sono sedute dietro a un tavolo ed
ognuna ha qualche particolare divertente: quella a destra ha dei
baffi, quella al centro degli occhiali spessi e rotondi, e quella a
sinistra un cappellino rosso. Sono anche molto grandi per essere pere
e, tutte e tre, sono munite di bocca.
“Tu
non sei molto sveglio, vero?” Mi domanda una delle tre,
quella a
sinistra.
Non
so cosa dire, non ho mai avuto esperienze con le pere. In ogni modo
non è stato un commento carino.
“Mia
sorella intende che non devi essere avvezzo a certe cose per farti
sottomettere da un cetriolo” interviene quella con i baffi.
“Tua
sorella voleva dire esattamente ciò che ha detto!”
esclama
quella al centro.
“Posso
tornare a casa'” chiedo io. Non so come, ma sono consapevole
di
vivere un sogno.
Non
mi capita mai di solito, spesso sono solamente vittima del flusso di
idee senza neppure oppormi.
Le
pere mi guardano per un lungo istante. Non hanno occhi; ma io lo so:
mi stanno fissando!
“No”
dice la prima. “No” la seconda.
“No” la terza.
“Non
almeno non sottometterai quella zucchina” ricomincia quella
di
destra
“Era
un cetriolo, idiota!” la rimprovera quella a sinistra.
“L'importante
non sia un cane” borbotta rapidamente il frutto al centro.
“In
ogni modo devi capire che non puoi farti battere da una verdura,
giammai!”
Io
rimango basito. Non ho capito più niente da quando sono
entrato nel sogno. “Mi dite perché ce l'avete
tanto con le
verdure?”
“Perché
sono stupide” risponde quella con il cappello.
“Ma
non sono molto diverse da voi, insomma...”
“Con
quale coraggio, ragazzino?! Non paragonare mai più noi somme
a
quella feccia verde”.
Sospiro,
non so davvero che altro fare.
Poi
il sogno finisce. Ho una mente davvero strana
Il
mio amico verde è sempre lì, sopra il mio petto,
immobile.
Sono
in balia di una verdura. Lui mi sovrasta, mi osserva, ride di me.
Forse sto impazzendo.
Eppure
lui dovrà essere sopraffatto, in qualche modo che non so, ma
accadrà. La mia energia imperverserà dentro di
lui e
scatenerà una reazione ancora ignota.
Per
ora attendo, cerco la concentrazione e provo a infondere lo spirito
dentro il coso verde.
Passano
però altri minuti e mi viene da pensare se esiste un gelato
al
cetriolo.
Alla
fine lo lancio da una parte del salotto e vado a comprare un cono
vaniglia e cioccolato.
Basta
per oggi.
La
mattina dopo arriva troppo velocemente.
Alla
fine ieri non ho fatto più nulla con il cetriolo, anzi l'ho
dimenticato lì. Oggi tornato a casa dovrò
toglierlo
prima che ammuffisca.
Perché
fa la muffa, no?
Appena
alzatomi dal letto sono andato allo specchio. Credo che l'aspetto,
almeno per la mia prima apparizione in pubblico, sia essenziale.
Non
vedo nulla di nuovo in me: corti capelli neri, occhi verdi piazzati
nel mezzo del volto, più o meno, e un nasetto grazioso. Come
sono bello!
Indifferentemente
da ciò, mi sono vestito stranamente alla svelta e sono
arrivato alla scuola. Sono arrivato in bici fin qui e spero davvero
di ritrovarla al mio ritorno. Più mi guardo a giro
più
vedo gente poco affidabile. Comunque ora mi trovo nel piazzale
davanti alla struttura: una grande cosa bianca con i muri del primo
piano pieni di scritte fatte con la bomboletta. Aspetto suoni la
campanella di ingresso, aspetto di conoscere i nuovi compagni.
Forse
non così tanto.
Quando
dopo una decina di minuti entro in classe inizio a sentire un po' di
agitazione. Non avevo previsto una cosa simile, ma è
così.
Nuove persone, nuovi eventi. Alla fine ciò che ho vissuto
è
stato solo un accenno del mondo, così vasto, e qui potrebbe
cambiare tutto.
Sospiro
e scuoto la testa, perché so che continuando così
andrei a pensare a cose veramente bizzarre. E proprio mentre lo
faccio entra un gruppo di ragazze. Non sembrano essere molto legate,
siccome arrivano sulla soglia in momenti diversi.
Mi
guardano con un certo stupore e alla fine mi salutano con un
Buongiorno.
Io
ricambio sorridendo.
“Tu
devi essere quello nuovo” mi dice una di loro dopo aver
posato la
propria cartella a uno dei banchi in fondo all'aula. Io ce l'ho
ancora sulle spalle: un altro problema è che non so dove
sistemarmi. “Piacere, il mio nome è
Emma”.
È
una ragazza molto carina, questa qui. Ha dei capelli castani lisci,
media lunghezza, e un ciuffo che le cade sulla fronte fino a coprirle
parzialmente l'occhio sinistro. Addosso una maglietta rosa a maniche
corte e dei jeans a vita bassa. Non voglio scrutare oltre.
Vicino
a lei ci sono altre tipe: una bassa dai capelli cortissimi neri,
tenuti spettinati e dalle vesti finte punk, che inserisco nella
categorie delle adolescenti senza futuro, e un'altra con dei graziosi
occhiali e e dei capelli sempre neri ma lunghi e mossi, che arrivano
fino alle spalle. Tra tutte è la più alta.
“Io
sono Patrizia, ma tutti mi chiamano Riot girl”. Posso
scommetterci
quel che volete che nessuno la chiama davvero così. Fingo di
aver compreso e mostro i denti cercando di imitare una risata.
L'altra
aspetta qualche secondo e poi fa la sua mossa.
“Gaia,
piacere”. Mi sorride molto cordialmente e mi stringe la mano.
Poi
la stretta si fa forte e mi tira a sé, sussurrandomi
qualcosa
nell'orecchio. “Non fare caso alla bimba, è un
caso perso”
poi con la coda dell'occhio mi indica la bassa.
Io
annuisco. Lei ha già qualche punto in più.
Passano
oltre sistemandosi in tre banchi diversi.
Emma
ha il suo posticino in fondo. Patrizia, che chiamerò anche
'Fail girl', è sempre in fondo ma dall'altro lato dell'aula.
Infine Gaia, quella simpatica, si è messa nella fila
centrale:
né in fondo, né davanti.
“Ehi”
mi chiama. “Puoi metterti qui se vuoi” continua.
Non perderò
quest'occasione.
Sistemo
il mio zaino nel banco vicino al suo e mi siedo. In pochi minuti
tutto il resto della classe arriva.
Uno
per uno conosco tutti, ma non mi ricordo quasi nessun nome. Solo
un'altra ragazza rimane impressa nella mia mente: ha dei lunghi ricci
ramati e un figurino magro. Due sono i motivi: i suoi occhi sono
rimasti fissi su di me tutto il tempo, chissà
perché; e
non si è presentata.
Devo
essere particolarmente affascinante.
Durante
la quarta ora mi rivolgo alla mia compagna di banco per chiarimenti.
“scusa” dico sottovoce per attirare la sua
attenzione. “Sai chi
è quella là?”. Indico con un cenno del
capo la tipa
dai capelli ricci.
“Il
suo nome è Valeria” mi risponde.
“Lasciala
stare: è una pazza” aggiunge l'altra. Infatti
accanto a gaia
c'è un'altra ragazza, altrettanto simpatica, con un
caschetto
scuro e una frangia che si ferma a pochi millimetri dagli occhi
azzurri. Dopo continua, ma ciò che mi dice è sia
poco
rassicurante che molto interessante: “Ha gusti strani... le
piacciono i fumetti giapponesi porno”.
Mi
è venuta un'idea.
Aspetto
che suoni la campanella dell'ultima ora e saluto le mie due nuove
compagne, e tutta la marmaglia dei senza nome, prima di avvicinarmi a
lei. Per una qualche fortuna è tra le ultime a uscire e
l'aspetto sulla porta senza che nessuno possa vedermi. Stare con una
considerata pazza non aiuta alla reputazione, soprattutto se si
è
nuovi.
“Ciao”
“Ciao”
Bell'inizio!
Nessuno
dei due dice più nulla. Lei continua a fissarmi, come se
volesse infilarmi un coltello in gola e io apro la bocca più
volte senza saper cosa dire. In realtà so cosa dire, ma non
mi
sembra carino per intavolare la conversazione.
Provo.
“Leggi fumetti giapponesi?”
La
sua espressione muta e lascia trasparire una certa simpatia. Forse
spera che anch'io li legga, spero di non deluderla e fomentare il suo
odio.
“Sì”
“Conosci
qualcosa chiamato Yoai?” Se la gilda che mi ha aggredito e un
genere di fumetti strani hanno lo stesso nome un motivo ci deve pur
essere. Magari lei sa darmi delle informazioni utili.
“Yaoi”mi
rimprovera. Il modo con cui risponde sembra quasi una frusta mossa
per punire la mia cattiva pronuncia. “Comunque
sì... cioè
no!”
“Eh?”
ma che sta facendo? Mi ha anche corretto! Sono abbastanza confuso.
“Ora
devo andare” dice infine correndo via. Scivolando vicino
all'angolo, cadendo goffamente a terra, rialzandosi e correndo di
nuovo via.
È
pazza sul serio.
----
Grazie _Angel Black_ ^-^
Fa sempre piacere sapere che qualcuno apprezza le tue storie
<.<
|
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Capitolo 6 *** È più sconvolgente che vedere una scimmia mangiarsi dei frullatori. ***
Chapter
6:
“È
più sconvolgente che vedere una scimmia mangiarsi dei
frullatori.
”
Ricapitoliamo:
sono arrivato qui dalla mia tranquilla cittadina e sono stato
aggredito da delle pazze con un fallo, successivamente ho scoperto
che la mia vicina è una strega che lotta con un porro e suo
fratello ha una passione per guerre stellari, la sua amica è
una finta pirata e la mia classe è piena di casi umani.
Dopo
due settimane che sono lì ancora devo imparare i nomi di
gran
parte dei miei compagni e con Sabrina ho fatto pochi progressi. So
che quel cetriolo non vuole sottomettersi e che per caso dovesse
mettersi a vibrare avrei l'assoluta certezza che Sabrina mi
equipaggia con cose porno.
In
ogni modo i compiti che ci danno sono talmente facili che sento di
essere finito in una scuola di ritardati e quindi passo il mio
pomeriggio ad assillare la mia vicina su come migliorare velocemente,
leggasi come ulteriore scorciatoia, sulla strada della magia.
Poi
è successo qualcosa di strano, forse l'ho assillata troppo.
Ero
ancora sulla soglia quando mi ha preso violentemente per il polso e
mi ha trascinato dentro. Per la prima volta vedevo casa sua.
Cioè
l'ho vista già una volta, quando andai a contattarla
perché
qualcuno mi aveva lasciato un biglietto in casa, ed era piena di
scritte di auguri.
Questa
volta invece è piena di maschere maori sui muri e altre
cianfrusaglie. Vicino alla porta c'è una cesta impagliata e
dentro un annaffiatoio di bronzo abbastanza vecchio. Io deduco sia di
bronzo dal colore, ma potrebbe essere anche ferro ridotto male. Poco
più in là due lampadari sono appoggiati a terra e
sulla
parete, tra una maschera, maori e l'altra, c'è un mantice
finemente decorato.
Sono
allibito.
Mi
trascina con sé fino al salotto, che è poi la
prima
stanza a sinistra dopo essere entrato.
Mi
porta lì e subito noto che due delle quattro pareti sono
ricolme di libri e altri attrezzi, che spaziano dai vasi, lattine
estere, una vecchia radio a stelle marine essiccate e altra roba
innominabile e irriconoscibile. Non so neppure se tutto ciò
che si trova lì è legale.
Sospiro.
Su
uno dei lati liberi c'è invece una finestra vicino il
televisore. Al centro vedo un divano cremisi e una poltroncina della
medesima tonalità. Sopra ci sono due persone.
Due
uomini... e mi fissano. Sabrina non ha ancora lasciato la presa.
“Questo
è Cristian.”
“Ciao
Cristian” mi dicono insieme prima di ridacchiare, forse sono
finito
al circolo alcolisti anonimi. Lei poi mi spinge a sedermi e io capito
accanto a uno dei due.
È
alto, più di me e di corporatura media, nulla di speciale.
Ha
corti capelli rossi appena ricci, e occhi azzurri. Sul volto molte
lentiggini sulla pelle pallida, come schizzi arancio su un foglio di
carta. Un tipo, come si dice dalle mie parti. L'altro ha la pelle
leggermente olivastra e liscia, capelli castani e sembra molto
più
atletico. I suoi occhi smeraldo sono fissi su di me.
Mi
sento a disagio.
“Loro
sono Alessio e Dario”. Li indica ma è
così rapida che
non capisco.
Rimaniamo
qualche attimo tutti in silenzio a guardarci e per qualche strana
ragione mi pare di averli già incontrati. Eppure sono in
quella città da poco e le uniche persone rimaste impresse
nella mia mente sono pirati, pazze mascherate e porri.
Ah;
i porri non sono umani. Poverini.
Alla
fine la ragazza prende la parola. “Lui è quello
che vi
dicevo: l'ultima vittima delle Y.A.O.I.” li guarda e loro la
guardano. Mi sento ancora peggio: ero quindi il protagonista dei loro
discorsi? E sono anche loro trafficanti di magia? “Ho anche
scoperto che è portato per la magia, così sto
provando
a insegnargliela”.
“Posso
sapere che sta succedendo?” chiedo.
“Quindi
potrebbe diventare dei nostri?” domanda Alessio, o Dario.
“Ancora
no. Deve fare molta pratica, però sa usare i foglietti di
carta come fosse un maestro”.
“Posso
sapere che sta succedendo?” domando ancora.
“Vorrei
altro succo, grazie”.
“Ah,
sì te lo porto subito. Comunque dicevo: mi hanno rubato il
carico, non so come agire adesso”.
“I
piani sono saltati!” esclama il rosso.
“Bla
bla bla bla bla! Oddio volete ascoltarmi?”con questo
espediente ho
attratto i loro sguardi, anche perché forse il mio alzarmi e
agitare le mani in aria è stato abbastanza sconvolgente.
Ho
esagerato, lo so, ma qui sono tutti così strani che pensavo
non si accorgessero di un'uscita del genere. Invece sì.
“Scusaci”
interviene Sabrina. “Loro sono due miei amici” ma
no, pensavo
fossero dei rapinatori. Questo però non lo dico.
“Mi stanno
aiutando a combattere quelle tre”. Sospira con aria triste.
Il suo
sguardo fissa il vuoto.
La
cosa le sta veramente a cuore.
“Perché
ci tieni tanto?” domando.
Lei
si volta di scatto verso di me, poi guarda i suoi due amici e alla
fine si alza. “Dario mi avevi chiesto del succo? Vado a
prenderlo!”
e in un attimo sparisce.
Ora
sono certo che c'è ben più delle molestie fatte
agli
innocenti sotto.
La
cosa è andata avanti un po' e abbiamo parlato di varie
sciocchezze. Prima di uscire però sono stato preso da suo
fratello che mi ha trascinato da una parte, credo in camera sua.
La
stanza del fratello di Sabrina, che ancora non ha un nome, è
molto piccola e sobria. Non ha nulla a che vedere con il resto della
casa.
“Ho
notato che ti sei interessato alla storia di Sabrina”
Io
lo osservo. “Qual'è il tuo nome?”
“Cosa?”
“Il
tuo nome... on me lo hai mai detto.”
Lui
sgrana gli occhi, deve essere stupito. “Come? È
terribile!”
comincia ad agitarsi e si gratta il mento. “Io sono Mister
Bolla!”
ottimo.
“E
perché non hai più l'asma?”
“Quale
asma?”
“L'altra
volta sembravi asmatico” il mio commento però lo
ferisce.
Sgrana ancora di più gli occhi, forse esploderanno.
“Non
era asma! Era un modo per caratterizzare il mio personaggio! Comunque
basta di fare queste domande! Vuoi ascoltarmi o no?”
La
risposta sarebbe 'no' ma non voglio peggiorare i nostri già
incrinati rapporti. Si siede sul letto e mio mi sistemo su una
cassapanca vicino alla porta. “Va bene, raccontami
tutto”.
Lui
però non mi racconta proprio nulla.
Fa
lunghi respiri. Questa volta deve dire qualcosa di importante, non
è
finto asma.
Crea
l'atmosfera.
Poi
si avvicina al mio orecchio.
Mister
Bolla riesce a stupirmi. “Lei era una Y.A.O.I.”
Finisce
tutto. In un secondo mi ritrovo catapultato fuori dalla porta.
Sul
pianerottolo però mi metto a pensare.
Lei
era la 'I'. ne sono certo.
È
più sconvolgente che vedere una scimmia mangiarsi dei
frullatori.
|
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Capitolo 7 *** Chiunque potrebbe fare una cosa del genere! ***
Chapter
7:
“Chiunque
potrebbe fare una cosa del genere”
Stomp.
Il
vetro si rompe, le tre entrano nella mia stanza e abusano di me
grazie alla loro arma. È un incubo. Le risate si diffondono
come un'eco dentro il mio cranio. Devo svegliarmi.
Spalanco
gli occhi nel buio sudando freddo. Ho paura a richiuderli
perché
lo sognerò ancora, ma ho paura anche di tenerli aperti.
Potrebbe comparire qualsiasi cosa.
Però
è una vera rogna, cosa faccio?
Guardo
la sveglia vicino al letto: sono le tre e quattordici.
Toc
toc.
Qualcuno
bussa. Non so perché a quest'ora dovrei ricevere
appuntamenti,
ma a quanto pare sono richiesto. Mi alzo insonnolito, neppure capisco
appieno ciò che faccio e vado ad aprire.
Al
di là mi aspetta un ragazzo con i capelli rossicci: Mister
Bolla.
Sbadiglio
senza alcuna vergogna davanti a lui prima di parlare: “Cosa
ci fai
qui?”
“A
causa di alcuni imprevisti oggi non siamo riusciti a
parlare”.
“Eh?”
rispondo io abbastanza lento. “Mi hai cacciato
fuori” sbadiglio.
“Sottigliezze!”
sbotta mostrandomi qualche cosa di metallo. Riacquistando
lucidità
noto che sono chiavi. Ma di cosa?
Con
un rapido movimento si allontana dalla soglia e va fino alla sua
soffitta, la debole luce del pianerottolo riesce però a
disturbarmi. Sbuffo.
La
porta di metallo cigola in modo fastidioso. Appena svegliato sono
facilmente irritabile, ma lui è un mago se così
si può
dire... meglio stare attenti.
“Vieni,
ti mostro una cosa...” esco, poi rientro e prendo le chiavi
di
casa, esco di nuovo.
Mi
affaccio in quello stanzino. Proprio come lo ricordavo è
lungo
e stretto, con scaffali su un solo lato. Scivolo dentro guardandomi
attorno, ma è pieno di vecchia roba polverosa.
“Si
trova qui” indica fermandosi a circa metà stanza.
Infila le
mani tra degli scatoloni e tira fuori un affare avvolto dentro un
panno bianco. Cioè, non proprio così candido ma
un
tempo lo era.
Lo
consegna nelle mie mani e lo apro.
Non
sono curioso, già dalla forma irregolare potevo
tranquillamente immaginare cosa fosse.
Poi
ne ho la conferma: una maschera bianca con un becco lungo. Proprio al
centro, quasi come una cicatrice ancora aperta e sanguinante si trova
un segno rosso. È la 'I'.
Sabrina
la conserva lassù.
“Non
vuole decidersi a gettarla... per quanto faccia la piccola ribelle,
mia sorella è ancora legata alla gilda...”
sospira. Per un
attimo sembra serio. “In realtà non fa quasi
nulla, le sue
azioni sono superflue e la Y.A.O.I. lo sa. Mi sembra che nessuna
delle due parti voglia veramente scontrarsi con l'altra”.
Io
abbasso lo sguardo su quell'oggetto. Sono incuriosito dalla sua forma
e lo accarezzo. Mentre tutto il resto è freddo e liscio, la
ferita ruvida sembra pulsare di vita propria.
“Quel
catorcio è impregnato di magia” mi spiega. Con
quella frase
sono certo di non essermi immaginato l'emanazione della lettera.
Con
una certa indecisione e paura l'avvicino al mio volto e la provo.
Stranamente non accade nulla.
“Non
montarti la testa, Crist, ma è da quando sei venuto ad
abitare
qui che lei sembra essersi impegnata un po' di
più” mi
lancia un'occhiata strana, forse cerca di ringraziarmi eppure mi
sento messo sotto accusa da quegli occhi scuri. “Ma potrei
anche
sbagliare”.
Non
capisco perché mi dica tutto questo. Lo so: sono curioso ma
di
solito a nessuno importa poi così tanto. Ottenere le
informazioni che cerco è sempre inutilmente difficile,
invece
ora sono state messe su un bel vassoio decorato, vicino alla teiera e
i biscotti.
Forse,
dico forse, vuole chiedermi aiuto.
Oppure
no: viaggio troppo di fantasia.
Abbassandomi
riprendo lo straccio caduto a terra e avvolgo nuovamente la maschera.
È veramente affascinante. “Perché
è andata
via?”
Lui
non mi guarda più, fissa qualcosa in fondo alla stanza.
Lentamente si volta e scruta oltre me.
“Intendo:
perché non ne fa più parte...”
Accade
in un solo attimo, impercettibile quasi. I suoi occhi mettono a fuoco
qualcosa, ma prima che possa girarmi capisco di cosa si tratti.
Deglutendo ascolto quelle parole pronunciate da una sconosciuta. Lei
non mi pare parlò al nostro primo incontro.
“Sabrina
se ne andò di sua spontanea volontà”.
Mister
Bolla interviene facendo smorfie strane: “Sta
arrivando”. Mi
guarda e io lo guardo, a me pare si trovi già qui. Dopo
un'altra smorfia mi spiega: “Cioè, è
già
arrivata.. ma faceva cool dire in quel
modo”.
Io
mi sto già voltando però e vedo la figura morbida
della
'Y' mascherata è ferma sul ciglio.
Ho
paura. Loro sono qui.
Ci
sono attimi di silenzio, lunghi secondi durante i quali scruto oltre
la sua sagoma alla ricerca di qualcuno o qualcosa: quella cosa.
Per qualche grazia divina però non c'è nessun
altro
oltre lei. Anche se è comunque pericolosa.
Gli
occhi di maschera sono completamente bianchi, con un foro in mezzo e
non mi permette di osservarle chiaramente quelli veri, eppure so che
mi sta fissando.
“Non
sono qui per farti del male” dice quasi come fosse un favore
che mi
fa. Cosa che effettivamente è. “Voglio parlarti;
voglio
parlarti perché sembri un pezzo importante del
gioco”.
Ho
una sola cosa da rispondere: 'eh?'.ma cosa diavolo dice.
Indifferentemente lei continua agitando una mano in aria, tracciando
cose immaginarie che nemmeno capisco.
“Usando
termini di paragone, che dubito capirai, possiamo dire che tu sei
solo un misero insetto finito però dentro un teatrino di
marionette. Non so se capisci, insomma: tu sei piccolo e debole ma
sei l'unico libero di agire secondo solo la tua
volontà...”
finisce il suo discorsino con un lungo sospiro e provo a ragionarci
su.
Ma
cosa diavolo va blaterando? Fa esempi del tutto inutili.
Eppure
prima che riesca ad aprire nuovamente la bocca parlo io. Ci sono
delle cose che voglio sapere.
“Perché
se n'è andata?” Mi giro lanciando occhiate a
entrambi, la
lui fa spallucce e lei socchiude appena la bocca indecisa sul
rispondere o meno. Alla fine la Y si decide: “Non era
più
d'accordo con i nostri piani, tutto qui. La Y.A.O.I. è nata
dalle passioni di quattro ragazze, appassionate ai fumetti” e
che
tipo di fumetti aggiungerei. “Volevamo solamente raggruppare
quanto
più materiale possibile e spargere il verbo del porno
omosessuale tra le giovani generazioni”. Abbassa la testa .
Quel
gesto, quel piccolo esitare è per me un chiaro segno. Una
specie di segnale gigante con scritto 'Qui c'è stata la
rottura' o qualcosa di simile.
“Poi
i nostri obiettivi cambiarono: desiderammo accumulare così
tanto materiale da poter elaborare e lanciare un incantesimo su scala
nazionale”.
“Che
incantesimo?”
“L'incantesimo
del Momo...” mi rispose alzando lo sguardo. Il suo mantello
nero si
agitò un po', come se ci fosse una brezza invisibile che
dovesse enfatizzare la sua esclamazione. “Una magia capace di
darci
il potere di modificare le abitudini sessuali di chiunque
incontrassimo e renderlo inoltre disinibito e promiscuo”.
Ascoltai
allibito. Ero veramente senza parole, questa poi.
Un
mondo senza eterosessualità, potevo immaginare. A stento
credo
che le parti si siano invertite così. Ma per fare cosa?
“Così
da riprodurre dal vivo quelle cose viste sui fumetti”
intervenne il
rosso alle mie spalle.
Mi
sarei ucciso piuttosto che fare una cosa simile, piuttosto che vivere
ogni giorno sotto la manipolazione di quelle pazze.
“È
terribile” dissi.
“Sì,
lo è” disse lui.
“Tacete
stupidi! Non capite le nostre aspirazioni, ma neppure Sabrina le
capì. A lei il mondo piaceva così, non chiedeva
altro”.
Capisco, lei se n'è andata per questo. “Ora puoi
fare tre
cose, ragazzo” aggiunge. Sorrido pensando che lei
è l'unica
a chiamarmi in un modo non ridicolo. Sorrido per non pensare a quella
storia, altrimenti potrei anche piangere rintanandomi nell'angolino.
“Indossare quella maschera e unirti a noi per un mondo
migliore”.
Non credo che 'migliore' si possa utilizzare in quel caso, direi:
più
'gaio'. “Oppure contrastarci unendoti a Sabrina. In entrambi
i casi
causerai uno scontro: tu romperai l'equilibrio”.
“E
la terza possibilità” sospira il ragazzo dietro di
me.
“Non
c'è, mi sono sbagliata”.
Non
avevo mai pensato a ciò.
Nel
momento in cui ho scoperto questa magia dentro di me si è
fatta strada solo la voglia di usarla mista all'eccitazione, con
poche parole invece è riuscita a incutermi timore. Sono il
bug
del computer, per tirare fuori queste immagini graziosamente inutili,
e posso farmi correggere oppure mandare in panne il sistema.
Tutto
è iniziato rubando una rivista.
“Quindi?” le mie labbra si
lasciano sfuggire solo questo pensiero. Quello venuto alla fine: la
conclusione. “Cosa dovrei fare?”
“Quello
che vuoi” risponde Mister Bolla alle mie spalle. Mi ero
dimenticato
si trovasse lì e così per un secondo ho un
sussulto e
mi giro a guardarlo. “Volevo dirti la stessa cosa anch'io,
anche se
con parole decisamente diverse” posso immaginarlo.
Poi
la ragazza mi riprende subito: “Il problema è
proprio
questo, tu sei dannatamente libero: non hai legami, non conosci il
passato, non ti importa delle conseguenze che potresti causare con le
tue azioni”. Da quel che ho capito, diciamo poco, sono
l'estraneo.
“Vediamo
se riesco a fartelo capire: se fino a oggi Sabrina ha solo giocato a
fare la nemica nei nostri confronti, e noi con lei lo stesso, tu sei
la chiave che può decidere invece di scatenare un vero e
proprio conflitto tra noi. Capisci cosa puoi fare?”.
“Chiunque
potrebbe fare una cosa del genere”.
Scuote
nuovamente la testa, lui la segue. Poi Mister Bolla mi da una pacca
sulla spalla. “Per me è l'ora di andare, voglio
riposarmi
un po' prima di domani mattina”. In effetti io ostruisco la
sua
uscita.
Mentre
mi tolgo, e vedo spostarsi anche la sagoma in nero che è
stata
stranamente gentile, mi rendo conto che quel mondo nuovo è
complesso molto più di quanto immaginassi.
Non
ci capisco nulla.
“Ciao
obesa” dice il ragazzo verso la Y.
Lei
si morde un labbro e stringe i pugni. “Non tentarmi,
stronzo”.
Devono
volersi bene.
Vorrei
però fermarlo, nulla mi assicura che una volta andato lei
non
voglia farmi del male. Però nemmeno posso gridarlo,
rischierei
di farla arrabbiare. Che momento di cacca; ho anche sonno.
Chiude
la porta di metallo e se ne va, passo dopo passo, giungendo fino a
casa sua. Quando la porta si chiude la ragazza riprende a parlare.
“Cosa
vuoi fare ora che sai la situazione?”
La
guardo male. “Io non so la situazione, sia chiaro. Del vostro
discorso ho capito solo che siete completamente fuori”. La
mia
dannata bocca continua a fare di testa sua.
Lei
però rimane tranquilla, anzi sorride divertita.
“Deduco non
ti unirai a noi... peccato. In ogni modo devo fare una cosa”
si
avvicina frugandosi nella parte interna del mantello con la mano.
Sembra stia per far uscire qualcosa.
“Mai!”
esclamo dirigendomi verso le scale.
Devo
scappare, devo scappare, devo scappare!
Arrivato
però alla soglia delle scale lei mi afferra con forza per la
maglietta del pigiama e mi fa perdere l'equilibrio. Cado, ma per
fortuna la spinta indietro mi fa sbattere il sedere al freddo
pavimento, fosse stata in avanti avrei fatto tutta la rampa di testa.
Mi sovrasta con la sua figura, la luce del pianerottolo è
ancora debolmente accesa.
Ho
terrore.
“Fermo,
idiota. È per il tuo bene” Immagino quanto possa
esserlo.
Estrae
una barretta dietetica e me la porge. Io mi alzo appoggiandomi al
muro e la prendo. Capisce di dovermi delle spiegazioni, anche
perché
il mio volto è sconvolto.
“Mangiala,
capirai poi”
Bah.
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Capitolo 8 *** Ti sto spiando ***
Chapter
8:
“Ti
sto spiando”
In
casa, senza riuscire a prendere sonno, accendo il computer,
è
un po' che non lo uso.
Aspetto
che si carichi, cosa che richiede forse intere ere, e controllo la
mia cartella di posta: mia sorella mi ha scritto.
Spengo
tutto e vado a stendermi sul letto.
Sento
il bisogno di parlarle, sentirla dal vivo. Voglio parlare a Sabrina
di lei: voglio descrivere chi è mia sorella.
L'ho
vista piangere tante volte: in un angolo della stanza con le gambe
raccolte al petto e le braccia sopra il volto, con tutti quei
fastidiosi singhiozzi che martellano le orecchie. L'ho vista vincere
moltissime volte: accennando un sorriso mentre guadagna premi o
titoli di studio conquistati con i denti. Io la invidio: non
perché
è donna, sia chiaro, ma perché è
Marina; mia
sorella.
Né
forte né debole: solo Lei.
Mi
ha scritto verrà a trovarmi la settimana prossima e
starà
due giorni qui. Chissà come l'accoglierò;
soprattutto
dove l'accoglierò. Alla fin fine abito in un buco.
Ma
soprattutto mi chiedo come riuscirò a tenere tutto sotto
controllo, senza che un fallo di gomma appaia o una banda di pazze
l'aggrediscano. Spero davvero vada tutto bene.
Mentre
penso ciò vedo che sul piccolo comodino vicino al letto
c'è
la barretta che mi ha dato una di quelle fangirl. Ho fame... o forse
è meglio dire che ho un languorino.
Ci
vorrebbe una di quelle sane merende notturne, dove la sola luce
è
quella del frigorifero aperto e mi ripieno di robaccia cercando di
non farmi scoprire. Invece prendo il regalo, lo scarto e morso dopo
morso lo mando giù.
“Ambrogio”
mi viene da dire nel silenzio della tarda notte.
Non
dovevo fidarmi di lei: avrebbe potuto averlo avvelenato. Magari mi ha
drogato per trasformarmi in una sua marionetta del sesso. La
stanchezza, non il sonno, però mi ha fatto abbassare la
guardia. Per una qualche benedizione angelica si è rivelata
niente più che una barretta energetica con poche calorie o
giù
di lì.
Quando
mi sveglio la mattina seguente il sole è alto, troppo alto.
Sono
in ritardo! Il mio primo giorno d'assenza è un
giovedì.
Non è che la cosa mi importi poi tanto, lo ammetto. Quella
classe è noiosa e i programmi accennati mi sembrano per
disabili. Uno schifo. Dove stavo prima era tutto molto più
difficile, almeno il doppio.
Comunque
mi alzo dal letto e cerco la sveglia che secondo logica avrebbe
dovuto suonare. Scrutando la stanza la vedo immobile vicino alla
porta, a pezzi. Ricado sul letto a peso morto, come un sacco di
patate. Devo averla lanciata io laggiù, anche se non mi era
mai capitato prima d'ora.
Almeno
un altro minuto e vado definitivamente in salotto. Cioè,
nell'angolo che dovrebbe essere un salotto.
Sul
piccolo tavolino vecchio e pericolante davanti al divano c'è
il famelico cetriolo. Guardo l'orologio e scopro che sono le undici,
ormai le lezioni sono andate. Passerò il mio tempo fino
all'ora del pranzo con il mio amico verde.
Così
lo impugno e mi siedo sul divano. Come al solito mi concentro il
giusto, rifletto su qualcosa di stupido e provo a sviluppare la
magia. Pensandoci bene non saprei neppure come capire di avercela
fatta o meno... nessuno mi ha detto cosa devo riuscire a combinarci
con il cetriolo.
E
vedendo l'andazzo della situazione ho seriamente paura.
Ho
perso tanto tempo ultimamente dietro a quell'affare, tempo che potevo
imparare per diventare un esperto di arti marziali o un campione di
spada, entrambi alternative valide per tener testa a delle streghe.
Invece continuo a sperarci, voglio riuscirci.
“Dannazione
ma cosa devo farci con te?”
Patetico.
Un ragazzo nel pieno della sua gioventù che parla con una
verdura nel suo salotto.
Se
mi vedessi potrei anche offendermi pesantemente, poi tirarmi dei
pomodori e offendermi ancora.
Lo
alzo in aria e lo abbasso con violenza contro il tavolo. Il mio
scatto improvviso mira a distruggere il male, per me incarnato nel
coso. Nella mia testa si alternano mille giostre colorate, cavalli
arcobaleno e tanti ornitorinchi con voglie musicali.
Stomp.
Assisto
allibito alla scena.
Il
cetriolo è sempre lì, intero; il tavolo
è sempre
lì, rotto. La verdura ha scavato una voragine sul bordo, ne
ha
letteralmente portato via un pezzo creando spaccature e crepe
ovunque. Si è comportato come un martello.
Mi
vi vuole un sacco di tempo per immagazzinare quelle immagini ed
elaborarle. Mi sento come un vecchio computer. Tutta colpa della mia
incredulità.
Ma
poi capisco: ci sono riuscito! Ho creato un nuovo porro-spada, solo
che sembra più un cetriolo-martello.
La
gioia mi travolge e corro per la casa, che è abbastanza
piccola da limitare i miei gesti eccitati, agitando il cetriolo qua e
là come fosse un oggetto sacro. Io ho il potere. Io ho
finalmente il potere.
Sento
il bisogno di dirlo a Sabrina, a tutta la banda delle mascherate, a
Mr. Bolla.
Tutti,
tutti devono saperlo.
Sono
più euforico di chiunque altro. Vorrei poter fare un
paragone
ma non ci riesco.
Alla
fine vado in camera e mi getto sul letto, lascio cadere l'aggeggio e
mi rilasso. Sabrina non è ancora a casa a quell'ora e
neppure
suo fratello.
Chiudo
gli occhi per una manciata di secondi riacquistando un battito
regolare, ma ogni tanto mi sfugge un suono di felicità, come
fanno i gatti. Non riesco a tenere fermi i miei occhi, che guardano
tutto ciò che c'è in quella stanza, poco, in modo
nuovo.
L'attesa
però è una lagna. Sento l'euforia che svanisce.
Gli
attimi magici sono finiti; a quando la prossima dose?
Finisco
con il prendere la carta della barretta e giocarci. Non l'avevo mai
osservata per bene.
Con
i miei occhietti tutti vispi cerco da qualche parte la dicitura
'0,00001% di calorie' o una cavolata del genere ma niente. Mi tocca
guardare sul retro, dietro una fastidiosa piegatura, dove sta la
tabella dei valori nutrizionali.
Grassi,
ok; zuccheri, ok; qualcos'altro di impronunciabile, ok;
demenzialità;
ok.
No,
aspetta.
Demenzialità?
C'è davvero scritto o è colpa della mia euforia.
Solo
dopo aver riletto per tre volte la confezione capisco che non stavo
vaneggiando. Tra l'altro è al 89%.
Rimango
imbambolato per lunghi attimi. Deglutisco come accade nei film
durante i momenti di tensione e lascio cadere quella carta sul letto.
Non
ce l'ho fatta da solo: mi ha aiutato la Y. Non so se essere contento
di aver vinto o triste perché ho barato, a mia insaputa!
Il
telefono mi interrompe. Prima vibrando e poi emettendo suoni
incomprensibili il mio cellulare mi avverte che qualcuno chiama.
Corro a rispondere. “Pronto. Chi parla?”
La
voce la riconosco. “Finalmente l'hai mangiata... pensavo di
dover
aspettare a lungo”.
Sbuffo
irritato. “Guarda che è passata una notte
soltanto... e poi
potevi almeno avvertirmi”
“Potevo,
ma... dovevo?” Questa è suonata, pazza, da
rinchiudere.
“Sinceramente ho trovato più divertente illuderti
un po'.
Spero nessun rancore”. È stata la cosa
più cattiva
che potesse farmi.
Credevo
di aver superato me stesso e poi scopro che mi ha dopato, solo un
genio del male può giungere a tanto. Rispondo abbastanza
freddamente. “Molto gentile”non deve capire che ora
sono
spiazzato.
Poi
cala il silenzio, credo voglia che dica qualcosa. Probabilmente
dovrei dire qualcosa. Pensandoci trovo subito qualcosa da domandarle:
“Come diavolo fai a saperlo?”
“Ti
sto spiando” sogghigna. “Ma è inutile
cercare di capire
come... “
Io
corro alla finestra, la spalanco e guardo fuori. “Sei nel
palazzo
davanti, sesto piano”
La
sento esitare, l'ho stupita. “Sei diventato davvero
abile”.
“No.
Era semplice: sei l'unica con un binocolo che punta verso di
me”.
Non passa inosservata.
La
saluto con la mano e lei ricambia. Non indossa la maschera, ma oltre
ai capelli castani non riconosco altro. Chissà se la
vedrò
mai da vicino.
“Devo
lasciarti. Dillo il prima possibile a Sabrina, deve
prepararti”
Riattacca senza neppure dire 'ciao'. Un bellissimo inizio per una
relazione duratura.
Sbuffo
e mi abbandono di nuovo al letto.
L'unica
cosa che adesso potrebbe rassicurarmi è un grande gatto di
porcellana.
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