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di Wickedsis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'incubo ***
Capitolo 3: *** Ghiaccioli ***
Capitolo 4: *** Mangia la mia polvere parte 1 ***
Capitolo 5: *** Mangia la mia polvere parte 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
La luce soffusa si propagò nella stanza, e la ragazzina aveva paura di addormentarsi.
Il corpo immobile, il respiro leggerissimo, ma affannato, gli occhi sbarrati, tutto suggeriva la paura matta impossessatasi di lei.
Come ogni sera, d'altronde. 
Verso la mezzanotte, però, la tredicenne scivolò tra le braccia di Morfeo, e tutto si fece scuro.
Come uno spettatore, si vedeva legata e imbavagliata ad un palo, ricoperta di una viscida melma giallo fluorescente.
Tutti scappavano, e lei sapeva bene da che cosa. Oh, se lo sapeva.
Un essere deforme, il corpo simile ad un uomo, ma la testa ricoperta da del pelo giallo e il naso a becco, e un sorriso strano.
Ah, quel sorriso: si intravedevano i denti lunghi e aguzzi, anch'essi giallastri, ma ugualmente scintillanti. 
Come l'oro.
Le ricordava tanto un uccello. Chiuse gli occhi, la vista di quell'essere orribile la disgustava.
Per quanto provasse a divincolarsi, la corda che la stringeva era sempre più stretta, e quel mostro sempre più vicino...
 
 
 

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Capitolo 2
*** L'incubo ***


Zoe si svegliò di soprassalto.
Ancora quello stupido incubo.
Tentò di ricomporsi prima dell'arrivo di sua madre.
Si avvicinò allo specchio, e quello che vide non le piacque particolarmente: i lunghi capelli corvini (con delle singolari sfumature viola), solitamente liscissimi e lunghissimi, erano diventati un groviglio, il labbro superiore e la fronte imperlati di sudore e i grandi occhi verdi socchiusi dal sonno.
Cominciò a sistemarsi. Non poteva farsi beccare in queste condizioni.
Non si accorse della sagoma gialla sopra il tetto della casa abbandonata.
Notò invece l'ombra di sua madre, che la avvertiva che la donna sarebbe entrata a momenti.
"Buongiorno mamma..." sbadigliò Zoe, tentando di non restare sospetti.
"Buongiorno." mormorò la signora Castelli, incolore.
Purtroppo, da quando il marito era misteriosamente scomparso, il tono era sempre quello.
Senza la vita che lo contraddistingueva.
"Questo" pensava Zoe, "sarà una lunga e importante giornata".
Mancavano meno di tre giorni alla fine della scuola, e l'ultima interrogazione di storia la aspettava.
Impazientemente.
Quando uscì di casa, era insolitamente presto.
Canticchiava a voce bassa una specie di ninna-nanna, che la nonna le cantava sempre quand'era più piccola e non voleva saperne di dormire.
Ricordava distintamente una frase: rifletti e non ti penti. Probabilmente l'unico avvertimento che l'anziana donna le diede mai.
Ora non sapeva precisamente dove fosse l'amata nonna, forse in quel momento stava leggendo la mano a qualche coppia, o prevedendo il futuro ad un povero pazzo.
Nel frattempo, era arrivata a scuola.
Nel piazzale, riconobbe immediatamente la migliore amica.
In un secondo fu alle spalle di Camilla.
"Cami, ciao!" esclamo` Zoe, ridendo mentre l'altra sobbalzava.
Camilla le lanciò un'occhiataccia. Non amava essere chiamata così. Decisamente.
"Ciao." disse fintamente offesa.
Zoe roteò gli occhi.
"Senti, oggi pomeriggio sei libera, posso venire a casa tua. Devo assolutamente dirti una cosa."
"Che vuoi?"
"Ho di nuovo fatto quell'incubo, e ho un brutto presentimento. Sai cosa succede..."
"Credimi, lo so..." 
E... La campanella. Dannata campanella.
Le prime due ore non passarono mai, ma, finalmente, a ricreazione, le due ebbero modo per fare una bella chiacchierata.
Camilla trascinò l'amica in bagno, esclamando:
"Chiaro che bisogna indagare!"
Zoe sgranò gli occhi.
"Hai ragione, anche se... Ti confesso che sono un po' spaventata"
"Lo so, lo so, ma tranquilla, qualsiasi cosa sia, noi siamo quelle che sono riuscite a dormire la notte dopo 6 film horror!" la rassicurò Camilla.
"Ma non abbiamo guardato per la metà del tempo!"
"E stai zitta, hai rovinato il momento..."
Alla fine dell'intervallo, le due tredicenni, entrarono in classe.
Si presero a braccetto, e cominciarono a canticchiare una vecchia canzone.
Tutti le guardavano male, ma loro ci erano abituate.
Idioti.
Si rimisero al loro posto.
L'interrogazione di storia le aspettava.
Zoe guardò fuori dalla finestra: la libertà.
Poteva vederla: era così vicina, ma al contempo, così lontana.
 

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Capitolo 3
*** Ghiaccioli ***


Quel pomeriggio, le due ragazze erano andate a casa di Camilla. Per riflettere sul da farsi.
Insomma, "i sogni premonitori", come li avevano definiti, sono cose rare, e lei era nipote di una strega. Aveva tutte le carte in regola.
Camilla era super-extra eccitata, aveva fatto mille ricerche, e mille congetture, parlava a raffica.
Mentre Zoe beveva il suo frappè seduta al contrario sul letto dell'altra, le venne un'idea più che geniale.
"Se questa è magia, noi conosciamo una strega, giusto?" domandò, con uno sguardo furbetto sul viso.
Quasi Camilla sputò il suo prezioso latte-e-menta, rigorosamente tutto attaccato.
"Vero! Basta sapere dov'è ora tua nonna per parlarci, no?" 
"Il problema è che... Non ho la più pallida idea di dove sia...."
"Ahh, ci penso io"
E via a smanettare con il cellulare. Ma cosa diavolo pensava di fare? Sua nonna era mica una fashion blogger!
"Ecco qua! Ho trovato la compagnia dove lavora tua nonna! Questo è suo, vero?"
E le sbatté sul naso una foto profilo, con il medaglione di sua nonna.
"Si, ma come ca..." si interruppe, con Camilla era sempre meglio non fare domande: infatti, Cami era un piccolo genio dello stalking sfrenato.
"È un profilo, un po' vecchiotto, ma credo sia ancora attivo...Ma mi ascolti?!"
"Si, certo!"
"Comunque, saranno in un paese sconosciuto la settimana prossima, e poi, tra qualche altra settimana, qui vicino! Sai, in quella città dove c'è il centro commerciale enorme..."
"Oh mio Dio, che fortuna! Sei un dannato genio!" disse Zoe, schizzando via in cucina.
"Ma dove vai? Comunque, modestamente, lo so!"
Zoe rise, aprì il freezer, e trovò esattamente quello che cercava: ghiaccioli!
Quale miglior modo per festeggiare una vittoria del genere? Il primo gelato di stagione, ovviamente!
Tornò al piano superiore e, vedendo i ghiaccioli, gli occhi dell'altra diventarono due cuori.
"I ghiaccioliiiiii!" starnazzò, mentre le si buttava addosso. E cadde.
Ma di cosa si stupiva: la pazzia era di casa, dopotutto.
Sbuffò sonoramente, prima di dire:
"Quale razza di persona farebbe del male alla SUA MIGLIORE AMICA per dei GHIACCIOLI!!!" .
Ovviamente, premurandosi di calcare MIGLIORE AMICA e GHIACCIOLI. Figurarsi.
"Io, ovviamente, e non parlare con quel tono dei miei tesorini. Piuttosto, passami quello al limone..." ribatté l'altra, prima scherzosa, poi carezzevole.
Zoe si guardava però con crescente interesse le unghie, e non accennava a muoversi.
Camilla trascinò pesantemente i piedi, lamentandosi a gran voce.
"Che palle! Fai lavorare sempre me!!"
E scoppiò in una risata contagiosa, quando sua madre, dal piano di sotto, gridò:
"Linguaggio, signorina! Pronta a non uscire più per qualche secolo!?".
Entrambe spostarono lo sguardo sui gelati, e presto, lo sguardo trucidatore di Camilla si spostò su Zoe.
"Si sono sciolti! Noooooo! Zoe! Comincia a correre!" gridò, mentre si avvicinava, felpata come un lupo.
Zoe, sempre ridendo, fece come le era stato comandato, facendosi rincorrere per tutta la casa.
Dopotutto, non era lei la velocista nata, tra le due?
Di colpo, Zoe si fermò e tornò seria.
"Camilla, hai detto che il profilo è molto vecchio, vero?"
"Si, mi sembra di sì..." disse la diretta interessata, notando il cambiamento nella voce della migliore amica.
"E se i piani fossero cambiati? Come faremo?" domandò Zoe, con una evidente nota di panico nella voce, che si era fatta sottile come lo spessore di una piuma.
"Non saranno cambiati. Ho controllato. Guarda!".
Così, per la seconda volta i un pomeriggio, le venne sbattuto un cellulare sotto il naso.
"Ma un po' di grazia no, eh?" commentò.
Poi notò un dettaglio che la fece sobbalzare.
"Cami, lo schermo. Lo schermo. Lo schermooooo!"
Normalmente, sarebbe ovvio vedere un riflesso sul cellulare, ma presto il riflesso si trasformò in un'immagine nitida.
L'uomo-uccello giallo, in tutta la sua inquietantitudine, la fissava dal cellulare di Camilla e rideva.
Rideva di lei, del fatto che poteva sempre trovarla, e farla sentire uno schifo.
Camilla, non notò neppure il soprannome, tanto era impegnata a capire cosa succedeva.
Troppo tardi: il cellulare cadde dalle mani di una shockata Zoe. Lo schermo si frantumò in mille pezzettini.
Camilla era sgomenta, ma dovette riprendersi immediatamente, perché l'altra era svenuta, e, sebbene la tentazione di lasciarla sopra il vetro rotto fosse immensa, non poteva certo non soccorrerla.
La fece riprendere, e, quando si svegliò, la prima cosa che Zoe le disse era:
"Forse era meglio se rimanevo a casa mia.."
"Già, a quanto pare dovevo! Mi hai rotto il cellulare, e non solo quello, te lo assicuro!"
 
Angolo dell'autrice
Scià bellezzine! Dopo un tempo infinito lontano da qui, sono tornata alla carica con una nuova storia, che spero di concludere, prima o poi.
Scherzo. Stavo dicendo, in questa storia totalmente mia, le protagoniste assolute sono Zoe e Camilla (a proposito, non vi preoccupate per lei, non è pazza, e solo la mia versione letteraria, e mi emanava le vibes di Morgan Stark, quindi ecco spiegati i ghiaccioli), e questo tizio. 
Spero che vi abbia incuriosito almeno un po', perché spero che riuscirà a diventare una long, ma non so.
So che le battute NON fanno assolutamente ridere, ma... boh.
Sciau,
Wickedsis
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Mangia la mia polvere parte 1 ***


Dopo l'episodio dello svenimento, il killer/pazzo/stalker (?), non si fece più vivo, o almeno, così credevano le ragazze.
O almeno, fino alla notte del nove giugno.
I fatti si svolsero più o meno così.
Erano circa le 23:30 e Zoe, provata da una lunga giornata, stava per coricarsi, perfettamente tranquilla, perché sapeva che nessun incubo la sarebbe venuta a trovare quella sera.
Circa cinque minuti dopo, si poteva ammirare una Zoe tutt'altro che assonnata.
Ad un certo punto, la sua attenzione si focalizzó sull'arrivo inatteso di una notifica.
A tentoni, si alzò dal letto, e con calma si diresse verso il davanzale della finestra, dove il cellulare era stato lasciato pochissimi minuti prima.
Lo sbloccó, ma venne assalita da una certa ansia nel vedere il mittente del messaggio inviatole.
Contatto sconosciuto. 
E ti pareva.
Chi altri poteva mai essere, se non lui, l'essere immondo che la tormentava?
Stranamente senza timore, aprì la notifica, ma, una volta fatto, se ne pentì infinitamente: il contenuto era raccapricciante.
Una foto e un video.
Tanto bastava per farle raggelare il sangue nelle vene.
La prima immagine raffigurava una brutta, sporca, trascurata ragazza, probabilmente povera.
Forse la conosceva, forse no, ma sentiva una grande compassione di lei, con le ossa così evidenti, le occhiaie marcate, la pelle chiarissima, che sembrava quasi trasparente, i capelli cortissimi... Sembrava quasi un fantasma.
Prese un respiro profondo, e, animata da chissà quale forza esterna, fece partire il video.
Non l'avesse mai fatto: si alzò una musichetta lugubre, e la telecamera del cellulare non accennava allo spostarsi, o muoversi di mezzo centimetro, ma presto capì per quale motivo.
La ghiaia, in quello che sembrava un vialetto, era coperta di una melma giallo fluorescente, che sembrava brillare vividamente nel buio.
Dopo molto, la telecamera finalmente si spostò, e la ragazza, nel momento in cui lo fece, dovette chiudere il video.
L'inquadratura si spostò dapprima su una casa, e poi si focalizzó su una finestrella. 
Anche se era buio e in penombra, era da pazzi non riconoscere la propria casa.
Tutto ad un tratto, a mezzanotte meno dieci, ricevette un altro messaggio.
"Dove sono?" lesse, con la voce ridotta ad un fruscio.
Non perse tempo: fece la cosa migliore al momento (secondo lei).
Bloccò il contatto, affacciandosi in seguito alla finestra.
Non vide nessuno, e questo la spaventò, e non poco.
Ma la ciliegina sulla torta venne aggiunta solo quando, dopo cinque minuti abbondanti, decise di infilarsi di nuovo sotto le coperte.
Accese l'abat-jour e si finisce a pancia in giù, con lo sguardo rivolto verso il corridoio.
Un'ombra fece capolino.
Zoe venne paralizzata dalla paura, ma solo per pochi secondi.
"Sarà stata la mamma, indubbiamente..." pensava, con crescente terrore.
Così...
"Mamma?!" chiamò.
Per una manciata di secondi, nessuno rispose, ma poi, una voce fredda e metallica la sorprese:
"Non sono la tua mamma, principessina... vieni con me, così mi porti anche dalla tua amichetta e giochiamo tutti insieme. Non sarebbe bello?".
La voce cantilenante concluse il suo discorso con una fredda risata, priva di ogni traccia di divertimento, o di gioia.
Forse solo un briciolo di pervertito piacere.
Cercando di fare meno rumore possibile, per non farsi sentire, sgusciò dal letto e aprì la finestra.
Erano solo un paio di metri, con un salto sarebbe riuscita ad andarsene.
Sotto pressione, ideò un piano che avrebbe salvato anche sua madre, e, convita che avrebbe funzionato, saltò.
Incolume, gridò:
"Vieni, vieni, forza! Così giochiamo io e te!".
E via a correre.
Stupidamente, quello le corse dietro, lasciando così casa sua.
"Ecco, così... Mangia la mia polvere, stronzo!"
Ora, come già detto in precedenza, Zoe era velocissima a correre, quindi lo portò tanto lontano dall'abitazione, poi, quando fu abbastanza vicino, gli diede un pugno a tradimento.
Non si può dire certo che Zoe fosse così forte da stendere qualcuno, ma per fortuna, per un fortuito caso, questa volta lo picchiò per bene.
Era ancora mezzanotte e mezza, ma di lì a poco Catia Castelli, sua madre, si sarebbe svegliata.
Doveva andare a lavoro presto, lei, come le rinfacciava molte volte.
Quella notte, la ragazza non fu mai più così tanto contenta di quella mania.
Trascinando il tipo per un piede, percorse la strada fino al posto più vicino che le venne in mente: la casa di Camilla.
 
 

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Capitolo 5
*** Mangia la mia polvere parte 2 ***


Dopo l'episodio dello svenimento, il killer/pazzo/stalker (?), non si fece più vivo, o almeno, così credevano le ragazze.
O almeno, fino alla notte del nove giugno.
I fatti si svolsero più o meno così.
Verso l'una di notte, Camilla venne svegliata dal suono del campanello.
Il fratello mugugnò nel sonno, e una volta accertatasi che dormisse per davvero, andò a vedere chi mai fosse a quella dannata ora di notte.
Già dalla finestra trovò una spiegazione al suo quesito.
Zoe, in compagnia di un'altra persona, batteva il piede a terra, impaziente.
Ricollegò il cervello e andò ad aprire.
Aveva sulla punta della lingua persino la battutaccia di turno, ma quando vide l'accompagnatore dell'altra quasi le si fermò il cuore.
"Aiutami."
 
Cinque minuti dopo
 
"Quindi mi stai dicendo che QUELLO è il tizio che ti perseguita da giorni, ormai?"
"Si, ehm..."
"E tu l'hai portato a casa mia?!"
"Si, ma..."
"Vado a svegliare mio fratello. Se si sveglia e mi uccide, io uccido te, capito?"
Zoe sbuffò, facendo il verso a Camilla mentre quest'ultima lasciava la stanza, imprecando a mezza voce.
Pochi minuti dopo, Marco entrò, a passi pesanti, nella stanza.
"Che succede? Ah! Ma cos'è quell'essere immondo?" disse, anzi, gridò.
Marco aveva diciannove anni, e, visto che i genitori viaggiavano moltissimo, si prendeva lui cura della sorella, per la quale avrebbe fatto qualsiasi cosa.
E così, coinvolsero anche lui in quelle losche faccende, rendendo anche lui una possibile esca.
Zoe si sentiva terribilmente in colpa per quello. 
"Ma perché non avete detto niente a sua madre, ma a me si?"
"Non ti riguarda, fratellone... Ora, puoi aiutarci?" pregò Camilla.
"Certo che posso, ma promettetemi che glielo direte..."
"Si, certo!".
Presero il tipo, lo legarono con lo scotch ad una sedia e attesero pazientemente che si svegliasse.
Non attesero a lungo.
"Chi sei?" cominciò Zoe, con tono severo.
"Il mio nome è... Gelber Schleim*, si, potete chiamarmi così..." disse.
"Smettila di darmi fastidio! Basta! Perché mi tormenti?"
"Io non ti torturo, non ti tormento, io ti faccio crescere, ti educo, come non ha saputo fare nessun altro..." spiegò Gelber.
Zoe non capiva, e aveva milioni e milioni domande in mente, ma quella frase, quella frase, la turbó nel profondo.
Camilla, dal canto suo, era appiccicata al braccio del fratello, ed ascoltava.
Ad un certo punto, sbottò:
"Le tue parole non hanno senso! Chi sei!? Perché non sparisci?!"
"Ah, quanto aspettavo questa richiesta!"
In un secondo, si dissolse, lasciandosi dietro la sua solita melma gialla.
Marco era pallido come un cencio, e non proferì parola fino a quel momento.
Alla fine, però, fu il primo a ricominciare a parlare.
"Sorellina, vedi, tu non dovresti MAI aprire bocca!"
 
 
 
 
 

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