Missione magazzino

di komova_va
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Prologo ***
Capitolo 2: *** II. Al suo posto ***
Capitolo 3: *** III. Rumore ***
Capitolo 4: *** IV. Prufrock e altre osservazioni ***
Capitolo 5: *** V. Fiorenza Gramini ***
Capitolo 6: *** VI. Il tenente Sheridan ***
Capitolo 7: *** VII. Al posto giusto ***



Capitolo 1
*** I. Prologo ***


L'elenco di cose che Irene Cipriani non sopportava o che mettevano a dura prova la sua pazienza era molto, molto più esteso rispetto a quello di ciò che invece le piaceva. Ad esempio, le piaceva alzarsi tardi la mattina, il caffè con panna, il panino con la frittata che facevano in caffetteria, andare al cinema con Dora e Stefania, trascorrere la pausa pranzo con il suo... beh, con Rocco, insomma, in magazzino e farsi stringere, toccare, accarezzare e baciare da lui. Al contrario, odiava alzarsi presto, odiava le clienti che pensavano di aver sempre ragione, odiava i film d'amore stucchevoli, odiava la gente che non prendeva mai una decisione, odiava annoiarsi, odiava aspettare, odiava essere contraddetta, odiava ammettere di aver sbagliato, odiava fare le pulizie, odiava quando Rocco non poteva fermarsi in pausa pranzo con lei e soprattutto odiava quando nei pochi momenti rubati che passavano assieme (o perlomeno, a Irene sembravano sempre troppo pochi), qualcuno o qualcosa li interrompeva; il che sembrava accadere fin troppo di frequente. E due settimane prima quella piaga della signora Amato era venuta a cercarlo perché voleva farsi accompagnare in parrocchia da Don Saverio a portare al prete i materiali per la pesca di beneficenza, e naturalmente da sola non poteva fare lo sforzo immane di trasportare due borsette per il lungo itinerario Paradiso – piazzetta; la volta dopo Paola era venuta a cercarla perché voleva fare una sorpresa a Franco per l'anniversario del loro fidanzamento (come se quello del matrimonio non fosse già sufficiente di per sé) e aveva bisogno di un consiglio su quale cravatta scegliergli; quella ancora dopo Salvatore aveva dovuto fare una consegna imprevista ed era venuto a chiedere a Rocco di dare una mano a Marcello a gestire il locale perché era l'ora di punta e i clienti arrivavano a fiotti. E ogni volta, puntualmente, Irene era dovuta correre a nascondersi come poteva, dietro una cassa di vestiti, dietro a uno scaffale, in ciclofficina.

E lei stava iniziando a stufarsi seriamente di quella situazione. Ogni volta che lei e Rocco avevano un momento per stare da soli doveva stare costantemente all'erta, senza riuscire mai veramente a godersi del tutto il poco tempo che avevano da passare assieme; non come avrebbe voluto, almeno. E la cosa peggiore era che non si poteva nemmeno lamentare di tutto ciò. Non poteva parlarne con Rocco, perché sapeva che lui le avrebbe risposto che era stata una sua scelta quella di mantenere la relazione segreta, alla quale lui aveva acconsentito con una certa riluttanza e mettendo in chiaro che sarebbe stata soltanto una condizione temporanea, e in effetti era vero. E non poteva nemmeno parlarne con nessuno di diverso da Rocco, dal momento che nessun altro era al corrente di... qualsiasi cosa fosse quella che c'era tra loro due, ancora in fase di definizione. Già, Irene non voleva pensare a quello ora. Se anche avesse soltanto minimamente accennato alla cosa con le sue coinquiline le sarebbero saltate immediatamente al collo, soprattutto quella da Partanna che si era arrogata il diritto di definire Rocco come una sua proprietà nonostante lui avesse manifestato un chiaro interesse soltanto nei confronti del cibo che cucinava; Anna e Stefania per qualche oscura ragione sembravano sostenere questa assurda convinzione che di base non aveva alcun fondamento, e come minimo Irene si sarebbe ritrovata dipinta come il demonio e ostracizzata. Tutto questo senza nemmeno pensare alla reazione della simpatica signora Amato. Insomma, d'accordo, quella situazione orribile era colpa di Irene, ma poteva davvero essere biasimata? Nemmeno il diritto di lamentarsene le era rimasto, che provasse una certa frustrazione era quantomeno il minimo.

Almeno quel giorno, per fortuna, sembrava che la coppia potesse avere un po' di pace. Il signor Ferraris stava facendo mettere sotto la sua squadra di ciclisti e Rocco aveva dovuto trascorrere gran parte della sua pausa pranzo ad allenarsi; eppure, per qualche miracolo divino il capo magazziniere aveva fatto finire l'allenamento un po' prima e il ragazzo aveva raggiunto Irene nello spogliatoio e l'aveva chiamata con una scusa, dicendole che fuori aveva incrociato la signorina Moreau e che voleva parlarle prima della riapertura. Naturalmente Irene non era stupida e aveva approfittato dell'occasione per catapultarsi immediatamente in magazzino con lui e trascorrere quegli scarsi dieci minuti assieme lontano da tutto e da tutti. L'occasione sembrava perfetta: le sue colleghe erano già nello spogliatoio, non avevano ragione di scendere, Nino e Pietro erano andati in caffetteria a dissetarsi e riprendere le energie, Salvatore e Marcello erano al bar, il signor Ferraris aveva bofonchiato qualcosa di vago riguardo all'avere un impegno – impegno nel quale con ogni probabilità era coinvolta la signora Amato, se l'istinto di Irene non la ingannava, il che raramente succedeva a onor del vero. Irene non riusciva neanche a immaginare cosa potesse andare storto questa volta. E così, non appena le porte del magazzino si chiusero dietro le loro spalle, la ragazza non ci pensò un attimo a buttarsi tra le braccia di Rocco e godersi la sensazione inebriante e allo stesso tempo impetuosa che provava ogni qual volta le loro labbra si sfioravano. E quella volta, andarono decisamente oltre lo sfiorarsi.

Sarà stato che il giorno prima avevano giusto potuto incrociarsi alcuni istanti sul ballatoio prima di andare a dormire, con la scusa di buttare la spazzatura, sarà stato che per una volta Irene si sentiva abbastanza certa che niente e nessuno avrebbe potuto portarle via quei preziosissimi dieci minuti di intimità, stava di fatto che non appena ebbe la certezza di potersi lasciare andare si trovò a desiderare il contatto con Rocco molto più del solito; come se le fosse esploso un fuoco dentro. E a giudicare dal modo in cui Rocco la stava baciando e dalla maniera infervorata in cui le sue mani stavano accarezzando il suo corpo, come se la loro vicinanza non fosse abbastanza, come se desiderasse di più, come se ne avesse quasi bisogno, Irene era abbastanza certa che la cosa fosse reciproca. La sua percezione si fece abbastanza offuscata in quel momento, se doveva essere onesta, e le sue funzioni cognitive smisero momentaneamente di funzionare. Registrò indistintamente le sue mani che, muovendosi quasi di vita propria, lo stringevano a sé possessivamente, poi le braccia di lui sulle sue cosce che la sollevarono da terra e le fecero sbattere la schiena contro lo scaffale più vicino e le labbra di lui che si posarono con avidità prima sulla sua guancia fino a scendere sul suo collo, mentre Irene gli infilava le mani tra i capelli per attirarlo ancora di più a sé, e se soltanto avessero avuto più di quei miseri dieci minuti a disposizione e non fossero stati in quello squallido magazzino Irene avrebbe quasi pensato – ma chi voleva prendere in giro, lei ci stava pensando eccome, e anche da un bel po' – di...

E proprio in quel momento, dal nulla, un rumore di passi rovinò completamente l'atmosfera che era venuta a crearsi. Probabilmente questa era la volta buona che Irene Cipriani avrebbe fatto fuori qualcuno.


Quando Gloria Moreau rivolse alla donna in piedi accanto a lei un'occhiata esitante trovò riflessa nei grandi occhi marroni di Beatrice Conti la sua stessa identica perplessità, il che in qualche strano modo finì per rincuorarla. In una normale situazione di routine, Gloria non avrebbe avuto il minimo dubbio sul da farsi: sarebbe spuntata da dietro gli scaffali del magazzino sopra i quali il signor Ferraris aveva lasciato i registri relativi ai fornitori con la quantità di merce ancora a disposizione e quella già esaurita, richiestale dalla ragioniera poco prima della riapertura dal momento che il suddetto signor Ferraris sembrava misteriosamente sparito del nulla – il fatto che anche Agnese Amato non fosse nei paraggi era chiaramente una pura e semplice coincidenza, Gloria ne era più che convinta naturalmente. Poi con un colpo di tosse avrebbe fatto notare alla signorina Cipriani che era quasi ora di riaprire invitandola cordialmente a raggiungere le sue colleghe nello spogliatoio e rimandare a più tardi il suo incontro con il signor Amato. Eppure, Gloria si domandava se fosse effettivamente il caso di farglielo presente o se invece, almeno per questa volta, la scelta più saggia non fosse quella di restarsene in silenzio e celare la sua presenza, diventando una riluttante testimone della scena che si stava dispiegando davanti ai suoi occhi – beh, ai suoi e quelli di Beatrice Conti. Se non altro la sua collaboratrice sembrava a disagio tanto quanto lei, se non forse anche di più: il suo viso aveva assunto un vivido colorito rosso nel momento in cui la commessa e il magazziniere avevano fatto irruzione in modo quantomeno dirompente all'interno del magazzino e prima ancora che le due donne avessero il tempo di fiatare avevano incominciato a lasciarsi andare ad una sessione di effusioni tutt'altro che pura e casta.

Il primo impulso di Gloria era stato quello di girarsi immediatamente verso la signora Conti e distogliere lo sguardo dai due, decisamente imbarazzata; l'altra donna aveva fatto esattamente la stessa cosa e l'occhiata eloquente che le due si scambiarono sembrava quasi parlare da sé: e ora che si fa? Nessuna delle due accennò a muoversi, né a dire o fare qualcosa che manifestasse in qualche modo l'intenzione di palesare la propria presenza ai due amanti clandestini. Che poi, da quando la Cipriani e Rocco Amato stavano assieme? Gloria ricordava di averli visti parlare circa un mese prima dentro un camerino in maniera decisamente sospetta, e non ci aveva messo molto ad unire i puntini... ma poi non li aveva quasi più visti interagire, se non per motivi lavorativi, e aveva pensato che evidentemente qualsiasi cosa fosse quella che c'era stata tra i due era finita ancor prima di cominciare. Non si immaginava certo che... oh Signore, cos'era stato quel rumore? Gloria e la signora Conti si girarono quasi simultaneamente e videro la schiena della signorina Cipriani sbattere contro uno scaffale – fortunatamente – abbastanza lontano da loro, mentre più della metà degli oggetti cadde a terra con un fragoroso tonfo. Eppure nessuno dei due sembrò accorgersene o mostrare un minimo cenno di interessamento, come se entrambi fossero stati così tanto assorti nella loro... attività, da aver completamente bloccato il mondo esterno attorno a loro. Gloria vide Rocco Amato incominciare a baciare il collo della signorina Cipriani con una certa foga, mentre le mani di lei gli accarezzavano la schiena e si infilavano tra i suoi capelli, quasi come se avesse voluto portarlo ancora più vicino a sé. I suoi occhi si fecero sgranati, mentre vide Beatrice accanto a sé farsi ancora più rossa in viso, se possibile.

Oh Signore, non avranno intenzione di...?

Se non si fosse trovata lei in prima persona in quella situazione, le sarebbe quasi venuto da ridere. Beatrice fece un passo indietro e Gloria la guardò dubbiosa, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare. Peccato che, non appena si mosse, i due ragazzi percepirono immediatamente il suono e si allontanarono immediatamente l'uno dall'altra, come se fossero stati scottati all'improvviso.

-Cos'è stato?- domandò la Cipriani con voce terrorizzata, facendo alcuni passi in direzione opposta a quella del collega, come se quella minima distanza potesse fare la differenza.

-C'è qualcuno?- domandò lui subito dopo.

Gloria e Beatrice si guardarono in silenzio. Nessuna delle due fiatò. Ormai era troppo tardi per palesarsi, i due si sarebbero chiesti da quanto tempo fossero lì e la situazione avrebbe messo tutti dieci volte più a disagio di quanto sarebbe successo se si fossero fatte vedere subito. Evidentemente la ragioniera doveva essere della stessa idea, visto che nemmeno lei si mosse. A giudicare dalle loro occhiate, perfettamente in sintonia, entrambe stavano sperando che i due giovani se ne andassero e di poter finalmente lasciare il magazzino, facendo del proprio meglio per dimenticare tutto ciò che avevano appena visto e concentrarsi sul pomeriggio di lavoro che le attendeva. Eppure, la sorte aveva in serbo altri piani per loro, almeno per un po'.

-Dai, non è niente, ce lo saremo immaginato, - esordì la Cipriani, dopo alcuni istanti di silenzio in cui Gloria aveva letteralmente trattenuto il respiro. Non sapeva nemmeno lei perché si sentisse così nervosa; in fondo non stava facendo niente di grave. Certo, non che i due ragazzi avessero colpe, perché lei non era proprio nessuno per giudicarli, anzi, il suo sesto senso le diceva che di fatto erano una coppia decisamente meglio assortita di quella che Rocco avrebbe formato con la signorina Puglisi, secondo la sua modesta e non richiesta opinione. Quando li vedeva uno vicino all'altra quei due a momenti le sembravano fratelli o cugini, era quasi inquietante la cosa. Comunque, non era certo quello il momento per le divagazioni sulle sue preferenze personali in termini di accoppiate al Paradiso.

Mentre osservava la scena da lontano, Gloria si domandò cosa avrebbero fatto ora. Era quasi ora di tornare al lavoro, non c'era più molto tempo. Sperò soltanto che i due si affrettassero a lasciare la stanza, così che lei e Beatrice potessero uscire senza creare imbarazzo o disagio. Eppure, la Cipriani non sembrava della stessa opinione. La venere accarezzò dolcemente il braccio del ragazzo e si avvicinò nuovamente a lui, con un mezzo sorriso sul viso. A quanto pareva, però, il suo compagno non era della stessa idea.

-Sarà... Dai, comincia ad andare che è tardi, poi la Moreau ti viene a cercare e non può trovarti qua.

Gloria colse la punta di amarezza e la sfumatura leggermente passivo-aggressiva nella voce del magazziniere. Dunque i due stavano tenendo appositamente la loro relazione segreta, anche se con scarsi risultati, a giudicare dal fatto che erano appena stati beccati da lei e la signora Conti. In effetti, a pensarci in retrospettiva era anche sorprendente che i due fossero riusciti a far durare la loro copertura per un mese intero, viste le scarse (inesistenti) capacità di Irene Cipriani di tenere un basso profilo; era anche vero che Gloria l'aveva vista più di una volta interagire con le clienti e doveva ammettere che effettivamente la ragazza, quando voleva, sapeva mettere su un bel teatrino, si sarebbe inventata qualsiasi cosa pur di riuscire a vendere l'ultima camicetta rimasta. E così era riuscita a fregare anche lei. Gloria si domandò come mai lei e il signor Amato non avessero semplicemente ammesso di stare assieme; non sarebbe stato più semplice? Evidentemente c'era qualcosa che non sapeva, e che con ogni probabilità era sul punto di scoprire.

-Ma dai, che vuoi che me ne freghi della Moreau, - commentò in tono sprezzante la Cipriani, -se ha bisogno di me vorrà dire che le toccherà aspettare un po'.

Gloria e la signora Conti si guardarono per l'ennesima volta e si scambiarono un sorriso a metà tra il divertito e il compiaciuto; alla faccia di tutti i complimenti e i bei sorrisi che la sua commessa le rivolgeva in galleria. La venere bionda mise le braccia attorno al collo del magazziniere e cercò di attirarlo a sé, ma lui si scostò con una certa freddezza. Doveva esserci qualcosa che non andava, e che la giovane commessa preferiva convenientemente ignorare.

-Ah sì? E se poi scende qua e ti vede con me tu che fai? Guarda che poi chidda lo va a dire tutti che ti piace un magazziniere, eh.

La Cipriani sospirò e si allontanò da lui di qualche passo con fare sconsolato. A giudicare dalla sua reazione, non sembrava la prima volta che i due affrontavano la questione. Eppure, al momento sembrava tutt'altro che risolta...

-Ancora con questa storia, te l'ho detto mille volte che non c'entra niente e che non è questo il punto, è normale che c'è bisogno di un po' di tempo per...

-Sì, sì, lo so, - la interruppe lui in tono seccato, con l'aria di chi si era sentito ripetere lo stesso identico discorso almeno una trentina di volte e ne fosse stufo marcio, -perché dobbiamo conoscerci, dobbiamo fare le cose con calma, dobbiamo capire se insieme stiamo bene...

-E se lo sai allora perché ogni volta te ne esci sempre con certe sciocchezze? - domandò retoricamente lei, senza però mostrarsi seccata ma anzi, quasi con dolcezza, come se le sue parole volessero essere una sorta di rassicurazione. La ragazza si avvicinò a lui e gli accarezzò la guancia destra. Poi continuò:-Non so più come fartelo capire che mi serve tempo, non sono ancora pronta a fare coppia fissa, farmi presentare ufficialmente a tutta la tua famiglia, venire a pranzo da tua zia ogni domenica...

Gloria continuava a guardarli in silenzio e inevitabilmente il suo pensiero andò alla sua piccola Stefania. Per un istante, giusto per un breve e rapido secondo, si immaginò come sarebbe stato vivere con lei e vederla portare a casa una sera il suo fidanzato per fare le presentazioni ufficiali. Gloria avrebbe visto bene al suo fianco un ragazzo gentile, educato e sensibile, proprio come lei, magari simile a quel Federico Cattaneo che sembrava piacerle così tanto. La donna fu colta da una fitta di tristezza al pensiero di quello scenario felice, così distante dalla cruda realtà in cui invece si trovavano, ma cercò di scacciarla altrettanto velocemente, scegliendo di concentrarsi sulla signorina Cipriani. Per qualche ragione Irene non sembrava tanto incline al quadretto familiare che invece, evidentemente, il suo innamorato desiderava. Certo, Gloria non conosceva benissimo la famiglia Amato, ma a giudicare dagli aberranti discorsi che aveva sentito fare al capofamiglia, Giuseppe, qualche tempo prima in caffetteria, non si sentiva nemmeno di biasimare completamente la giovane commessa.

-A parte che mia zia cucina benissimo, comunque ho capito, - mise in chiaro il magazziniere.

Rocco Amato abbassò lo sguardo a terra, evitando così gli occhi verdi della Cipriani, che ora mostravano un evidente senso di colpa. Era chiaro che il ragazzo fosse rimasto quantomeno deluso da quella risposta, e che probabilmente avrebbe voluto sentirsi dire altro altro. Seguì un silenzio della durata di qualche istante, in cui evidentemente nessuno dei due sembrava essere in grado di trovare la cosa giusta da dire. Alla fine, fu la Cipriani a parlare:

-E allora cosa c'è? Qual è il problema?- chiese lei alla fine, accarezzandogli la guancia una seconda volta. L'altro guardò la sua mano e accennò ad un piccolo sorriso.

-No, niente. È che non capisco che tempo ti serve, Irè, è un mese che ci frequentiamo. So pure il tuo numero di scarpe, figurati se non so che... - il ragazzo si bloccò un'altra volta, evidentemente esitante. Gloria non riuscì a capire cosa c'entrasse il numero di scarpe della Cipriani, ma decise di sorvolare. Per quanto sapesse che era profondamente sbagliato origliare e intromettersi nelle vicende altrui, soprattutto quando non la riguardavano minimamente, ormai quella storia aveva catturato il suo interesse e, suo malgrado, si ritrovò curiosa di scoprire cosa volesse dire il magazziniere. Del resto lei e la signora Conti erano bloccate lì, volenti o nolenti l'avrebbero sentito comunque.

-Cosa? Che cosa?- lo incoraggiò la venere.

-Che tu sei quella giusta per me, Irè - ammise lui alla fine. Il ragazzo alzò lo sguardo e riuscì finalmente a incontrare di nuovo gli occhi della sua interlocutrice. -Che mi piacerebbe portarti a mangiare fuori, magari in un posto carino, e poi anche a ballare, ché adesso ha iniziato a piacermi anche a me e sono pure diventato bravo, - ammise l'Amato, con un sorrisetto compiaciuto dipinto in viso. La Cipriani lo stava guardando con un misto di tenerezza e orgoglio; come se stesse facendo uno sforzo immane per restare ferma ed impedirsi di avvicinarsi di nuovo a lui e baciarlo un'altra volta. O almeno questa era l'impressione che dava a Gloria. -Mi piacerebbe vederti tifare per me durante le gare senza che bisogna per forza inventarci una scusa o dire che siamo solo amici e sei lì solo perché ci stanno le tue amiche. Vabbè insomma, hai capito... Irè, io voglio stare con te. A me non mi serve altro tempo per capirlo... e sinceramente non capisco perché invece a te sì.

Il silenzio calò di nuovo all'interno del magazzino e questa volta si protrasse per più tempo. Gloria osservò la Cipriani tentennare per alcuni istanti prima di controbattere. Le sembrava quasi combattuta, come se nemmeno lei avesse avuto una vera e propria risposta, o perlomeno una di cui fosse completamente sicura.

-Hai ragione, - convenne infine la ragazza. -Forse il problema sono io, o siamo noi troppo diversi. Tu sei un bravo ragazzo Rocco e meriteresti qualcuno che sappia darti tutte queste cose... qualcuno come Maria magari... -

Ancora una volta, a Gloria non sfuggì una nota di amarezza nelle sue parole. Che in realtà ci fosse qualcosa che la venere non stava dicendo, e che magari aveva proprio a che fare con la collega, la signorina Puglisi? Magari una insicurezza, un senso di inferiorità? Gloria non era certo stupida, anzi, si riteneva molto brava a capire le persone e si era accorta fin dai suoi primi tempi al Paradiso che in realtà la signorina Cipriani nascondeva molte fragilità dietro la maschera di sicurezza e presunzione che indossava davanti alle colleghe e, in generale, con il resto del mondo. Tutta la spiacevole vicenda che l'aveva vista protagonista dell'equivoco con il signor Ferraris poco più di un mese prima non aveva fatto altro che confermarglielo. Eppure, ora che la vedeva interagire con il giovane magazziniere appariva come trasformata, quasi come fosse stata una persona completamente diversa... la dolcezza con cui gli parlava e il modo in cui lo guardava le facevano intuire che non fosse completamente vero che non voleva una storia seria con lui, ma che invece sotto ci fosse dell'altro.

E a quanto pareva non sembrava essere l'unica a pensarla così, dal momento che anche il ragazzo si affrettò a mettere in chiaro: -Iré, ma che stai dicendo? Io a Maria ci voglio bene e lo sai ma è te che voglio.

-Lo so, però non lo so più se questo basta... - ribatté lei.

I due si guardarono e rimasero in silenzio per alcuni istanti, entrambi consapevoli del fatto che c'era soltanto un modo in cui quella conversazione poteva terminare. Gloria conosceva fin troppo bene quell'espressione. Quella di quando devi dire addio alla persona che ami di più al mondo, perché sai che non ci sono alternative e che in fondo è l'unica cosa da fare, l'unica possibilità, ma allo stesso tempo non vuoi accettarlo; allo stesso tempo sai che ti farà un male un cane, che ci soffrirai, che sarà un po' come perdere una parte importante di te, la migliore, quella senza la quale ti sembra di non riuscire più a stare. Però non ci sono alternative. Dio, doveva davvero finirla di proiettare le dinamiche sue e di Teresio ovunque, soprattutto dopo tutto quel tempo. Chissà per quanto ancora quella cicatrice avrebbe continuato a farle male, a segnarla, a creare quel sottofondo di malinconia e tristezza che l'accompagnava anche nei momenti in cui apparentemente era serena e non ci stava pensando, come quello.

-E quindi è finita, così? - domandò infine l'Amato, con voce spezzata. E in un attimo, Gloria vide Irene mettere immediatamente su la sua maschera rigida e impassibile, seria e controllata, e nascondendosi dietro al suo solito, artificiale distacco si congedò:

-Devo tornare al lavoro, la Moreau mi starà cercando. Buon lavoro.

La venere lasciò la stanza passando per la porta principale, quella vicino alla quale i furgoni scaricavano la merce. E Rocco rimase solo. Il ragazzo inizialmente non si mosse, rimase immobile, esattamente nella stessa posizione che aveva assunto mentre stava parlando con Irene. Probabilmente doveva ancora rendersi pienamente conto di ciò che era successo, il che era comprensibile. Gloria riusciva a vederlo soltanto di spalle, non in viso, ma era piuttosto sicura che quella rottura non sarebbe stata tanto facile da digerire. Naturalmente non era a conoscenza delle dinamiche che lo legavamo alla Cipriani, ma da quello che aveva – sfortunatamente – visto e sentito sembrava tenerci molto a lei. Sembrava una cosa seria, insomma, non una frequentazione clandestina portata avanti per puro divertimento, per passatempo.

Soltanto che, a differenza di lei e Teresio, per i quali non c'era proprio più nulla da fare e la cui rottura era ormai definitiva, per Rocco e Irene le cose non dovevano andare così. Era evidente che ci fosse un'incomprensione a monte che nessuno dei due era stato in grado di comunicare, e che risolvendola i due avrebbero potuto riavvicinarsi e ritrovarsi. Avevano solo bisogno di parlarsi e di capirsi, e la loro storia avrebbe potuto avere un lieto fine. Chissà, forse era di nuovo la sua (malsana) tendenza a proiettare le dinamiche sue e di Teresio ovunque a spingerla, forse il suo subconscio sperava che riscrivere il finale di quell'improbabile coppia l'avrebbe perlomeno illusa di poter riscrivere quello del suo matrimonio, almeno per finta se non nella realtà, o forse si sentiva semplicemente in vena di aiutare gli altri e fare una buona azione. Stava di fatto che, mentre Rocco Amato lasciò a sua volta il magazzino per andare a prendere un po' d'aria, alcuni minuti dopo la sua collega, Gloria Moreau decise che avrebbe scoperto quale fosse il problema e che avrebbe trovato il modo di fargli fare pace, a costo di infiltrarsi clandestinamente in magazzino per settimane.

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Capitolo 2
*** II. Al suo posto ***


L'elenco di cose che Irene Cipriani non sopportava o che mettevano a dura prova la sua pazienza non solo era molto, molto esteso, ma era anche in continuo aggiornamento (alcuni avrebbero perfino osato dire fin troppo continuo). Nel corso di quel fine settimana emotivamente estenuante, la lista si era decisamente ampliata. Il primo posto adesso era occupato dalla voce che indicava le interminabili e strazianti (ma sopratutto inutili) sofferenze (lagne) di Maria Puglisi, il cui melodramma francese Irene aveva dovuto sorbirsi per ben due (lunghissimi) giorni. E tutto per colpa di chi? Di quella zucca vuota di Rocco, tanto per cambiare. Sì perché il signorino, non si sapeva come o perché o in base a quale criterio, proprio venerdì sera, il giorno della loro “rottura” (se così poteva essere definita, visto che la loro cosa non era mai stata definita ufficialmente) aveva avuto la bella pensata di parlare con Maria e mettere in chiaro la loro situazione sentimentale, spiegandole in modo diretto e abbastanza inequivocabile che dopo averci riflettuto a lungo aveva capito che quello che lo legava a lei era soltanto amicizia, e che voleva metterlo in chiaro per evitare che lei si facesse illusioni e ci rimanesse male. E così, naturalmente, le sue tre coinquiline avevano dovuto trascorrere tutto il fine settimana a consolarla e cercare di distrarla quando, francamente, Irene avrebbe avuto ben altro da fare.

A parte tutto, Irene non poteva certo negare che le dispiacesse sia per Maria in sé, sia di vederla stare male. Il fatto era che non trovava il minimo senso logico nella sua sofferenza! Rocco non aveva mai mostrato segni di interessamento nei suoi confronti chiari ed inequivocabili, non si era mai esposto, chiunque con un minimo di obiettività lo avrebbe notato. Anche nell'ultimo mese, durante il quale la sua cosa con lui era andata avanti, qualsiasi cosa fosse (stata), Maria aveva continuato a illudersi stupidamente. A Irene quasi aveva fatto pena, certe volte (quasi). “Ragazze, oggi ho portato il pranzo a Rocco e lui mi ha ringraziata e mi ha sorriso, secondo voi significa qualcosa?” e le altre lì ad incoraggiarla. Irene si era ritrovata costretta a fare buon viso a cattivo gioco, dovendo fisicamente sforzarsi per non scaricarle addosso l'amara verità e rivelarle quanto in realtà si stesse illudendo. Come avrebbe potuto farlo? Già si immaginava i commenti. Irene sei la solita acida, sei invidiosa, non puoi mai essere contenta per nessuno al di fuori di te, “Irene che pensa sempre agli altri”. Certo, forse Stefania avrebbe preso le sue parti, o quantomeno si sarebbe mantenuta neutrale, ma era giusto lei l'unica alleata che aveva lì dentro.

Se poi avesse detto loro il perché, esattamente, lo pensasse, se avesse raccontato loro della cosa tra lei e Rocco, insomma, Irene era piuttosto sicura che Maria avrebbe tirato fuori l'Andreina Mandelli dentro di lei e, come era successo al povero dottor Conti qualche anno prima, si sarebbe ritrovata sbattuta fuori da casa sua, con tanto di vestiti lanciati dalla finestra (Irene se lo ricordava ancora, la notizia era stata sulla bocca di tutti per almeno una settimana). Poi la voce si sarebbe diffusa al Paradiso e la gente ne avrebbe parlato, e probabilmente anche lì tutti, dalla prima all'ultima delle veneri, passando per il magazzino e i piani alti, l'avrebbero vista come la strega che aveva spezzato il cuore della povera Maria e corrotto l'ingenuo Rocco, portato sulla cattiva strada dai suoi comportamenti da sciacquetta. O almeno, questo è quello che avrebbe pensato la signora Amato, magari gli altri non sarebbero arrivati a questi estremi, ma sicuramente avrebbero tutti preso le parti di Maria. E Irene avrebbe perso l'unica cosa veramente buona che le fosse mai capitata nel corso della sua vita: una famiglia. O almeno, un surrogato. Una casa in cui poteva tornare la sera e sentirsi accolta, un posto privo di urla e litigi e tensioni, un posto in cui non si sentiva una delusione. Prima di incominciare a lavorare al Paradiso, Irene aveva passato tutta la sua vita sentendosi sbagliata per il modo in cui era fatta, soprattutto a causa dell'influenza di suo padre, che non faceva altro che rimarcare dalla mattina alla sera quanto fosse profondamente deluso da lei per il fatto che non era come tutte le sue coetanee, perché non faceva quello che ci si sarebbe aspettato da lei.

Per contro, al di fuori dell'ambiente domestico Irene non faceva altro che cercare di dimostrare agli altri, a se stessa, e forse inconsciamente un po' proprio anche a suo padre, di essere la migliore in quello che faceva. Di essere brava, di essere capace, di riuscire, di non essere una delusione, di essere anche meglio di tutti gli altri. Si sentiva validata ogni volta che riusciva a vendere un abito a una cliente esigente, ogni volta che uno dei suoi consigli veniva ascoltato e si rivelava quello vincente, ogni volta che una sua previsione si avverava, ogni volta che qualcuno faceva come diceva lei. Voleva l'autorità in un certo senso, voleva avere il completo controllo sulla sua vita e smettere di sentirsi come la bambina fragile e impotente che era stata davanti ai soprusi e la violenza verbale di Tommaso Cipriani. Avere finalmente una casa degna di questo nome, essere accolta e benvoluta in un posto sicuro ed accogliente la faceva sentire giusta, soddisfatta di sé stessa e della donna che era diventata, di tutte le piccole e grandi conquiste che aveva raggiunto. La presenza di Rocco Amato all'interno della sua vita comprometteva tutto ciò, e lei non poteva permetterlo. Non poteva permettersi di perdere tutto quello che aveva faticato così tanto per ottenere, tutto quello che fino a pochi anni prima le sembrava soltanto un lontano miraggio. Certo, avrebbe comunque dovuto mentire e rinunciare a una cosa che la rendeva felice, ma in fondo che importanza aveva? Irene non sarebbe tornata a sentirsi una delusione, a sentirsi esclusa ed emarginata, a sentirsi sbagliata. Rocco avrebbe dovuto arrangiarsi. E invece, sembrava che lo facesse apposta a mettere i bastoni tra le ruote al suo proposito di ignorare la sua esistenza e quella della loro cos- oh al diavolo, della loro relazione.

E soprattutto, qual era il senso di scaricare Maria all'improvviso, senza alcun motivo apparente? Certo, che la sua coinquilina stesse ancora sperando in un futuro tra di loro era abbastanza innegabile – e Irene sospettava che gran parte della colpa fosse della cattiva, anzi, pessima influenza di Agnese Amato e dei suoi numerosi condizionamenti e pressioni, che probabilmente contribuivano a convincere Maria del fatto che lei e Rocco fossero in qualche modo predestinati. Però era anche vero che Rocco avrebbe potuto dimostrare un po' più di tatto. Avrebbe potuto continuare a tenersi in disparte e non arrivare mai a un nulla di concreto, se davvero non pensava che ci fosse la possibilità di una relazione romantica con lei. Perché spezzarle il cuore gratuitamente? Una delle – tante – cose che faceva imbestialire di più Irene Cipriani in assoluto era proprio la mancanza di logica, buonsenso e raziocinio. Ma Rocco non l'avrebbe passata liscia così, nella maniera più assoluta. Aveva rovinato completamente non solo il suo fine settimana ma anche quello di una persona a cui – più o meno, a tratti – voleva bene, senza nemmeno una valida ragione. Irene pretendeva una spiegazione. I due non avevano avuto occasione di vedersi né sabato né domenica: le occhiate storte che Maria le aveva rivolto mentre raccontava ciò che le aveva detto il siciliano avevano fatto intuire a Irene che, anche se di fatto non aveva detto nulla, almeno non apertamente, un pochino sospettasse che potesse esserci lei dietro alle sue azioni. E quindi, l'ultima cosa che Irene aveva voluto fare era farsi vedere assieme a lui (o anche solo rischiare l'eventualità) e darle motivazioni concrete per sospettare della cosa.

Ma naturalmente questo non significava che Rocco sarebbe stato risparmiato. Adesso che era finalmente arrivato il lunedì e si trovavano entrambi al Paradiso avrebbero parlato, non c'era santo che tenesse. Irene aveva bisogno di spiegazioni, doveva capire perché l'avesse fatto. Era una forma di ripicca la sua? Aveva detto qualcosa a Maria di quello che c'era stato tra loro? Qualcuno sospettava qualcosa, suo zio, suo cugino?

O forse potresti semplicemente ammettere a te stessa che stai solo cercando un pretesto per andare da lui e vederlo, ora che tra voi è finita.

Facendo del suo meglio per zittire quell'irritante vocina all'interno della sua testa che chiaramente si sbagliava, non appena terminò il turno mattutino Irene chiuse la cassa e si avviò in fretta e furia verso il magazzino, ignorando completamente le sue colleghe in galleria e la signora Conti, che per qualche motivo (di cui non le importava minimamente) si trovava lì. Rocco Amato aveva ben più di qualche spiegazione da darle, e non l'avrebbe passata liscia.



 

Beatrice Conti era una donna che tendenzialmente amava avere certezze; una delle cose che sua madre Maria Luisa le ripeteva più spesso fin da quando era piccola, chissà, forse anche per via del suo retaggio ligure*, era che ognuno doveva stare al proprio posto. Tu pensa per te e bada ai fatti tuoi, le diceva sua mamma, e stai al tuo posto. E Beatrice aveva rispettato quelle rigide linee di confine imposte tra sé e gli altri per tutta la sua vita. Aveva sposato un uomo con una posizione stabile e un lavoro sicuro, che le permettesse di vivere il resto della sua vita occupando esattamente il posto in cui sarebbe dovuta stare: in casa a crescere i suoi due figli, Pietro e Serena, ai quali aveva dedicato anima e corpo. Poi, quando Edoardo era venuto a mancare, il posto di Beatrice era stato nuovamente messo in discussione: non era più una moglie, uno dei suoi due figli stava per finire la scuola mentre l'altra trascorreva la maggior parte dei suoi giorni in un collegio. E lei? Cosa ne rimaneva di lei? Aveva esitato tanto prima di accettare l'aiuto di Vittorio perché non le spettava, quello non era il suo posto, e esattamente per lo stesso principio aveva tergiversato tanto prima di acconsentire a trasferirsi a casa sua e andare a lavorare nel grande magazzino di cui l'uomo era il direttore. Nonostante Vittorio avesse messo in chiaro più di una volta che lui era contentissimo di ospitarli per tutto il tempo di cui avrebbero avuto bisogno, Beatrice si era sentita spesso in colpa per occupare una posizione che non era la sua, quella di Marta, e per il fatto che, nonostante non riuscisse ad ammetterlo nemmeno a se stessa, a lei quella posizione piaceva. Molto più di quella che aveva occupato per gran parte della sua vita al fianco di un uomo che non amava.

Da quando aveva lasciato casa sua e si era trasferita in un piccolo appartamentino vicino alla stazione con Pietro, Beatrice era tornata a sentirsi in pace con la sua coscienza e stava iniziando piano piano, per la prima volta in tutta la sua vita, ad ambientarsi un posto scelto interamente da lei e che non era definito dalla presenza (né dall'assenza) di un uomo al suo fianco. Negli ultimi mesi non si sentiva più una moglie, una madre, una vedova o un'amante, ma semplicemente una persona che faceva del suo meglio per arrivare a fine mese e far fronte a tutte le spese che aveva. Insomma, quello che una volta era stato il suo posto, una posizione con confini ben definiti che non andavano superati per nessuna ragione al mondo, ora era diventato un qualcosa di molto più labile, un concetto molto più astratto all'interno del quale non sapeva nemmeno lei stessa dove collocarsi con precisione; anzi, certe volte Beatrice era persino arrivata a mettere in dubbio se, di fatto, ci fosse davvero la necessità di collocarsi da qualche parte, se fosse davvero così indispensabile. L'insolita circostanza nella quale si era ritrovata – suo malgrado, sottolineiamolo – coinvolta pochi giorni prima costituiva l'esempio perfetto di un episodio in cui Beatrice avrebbe voluto andare oltre i limiti che sentiva di dover rispettare e che lei stessa aveva stabilito.

La sua coscienza di donna rispettabile di media estrazione sociale le avrebbe imposto di dimenticarsi tutto quello che aveva visto e proseguire con la sua vita e il suo lavoro come se nulla fosse stato. Qualsiasi cosa ci fosse (o fosse stata?) tra Rocco Amato e la signorina Cipriani certamente non era di sua competenza e non doveva interessarle. Fatti i fatti tuoi e sta' al tuo posto, le avrebbe detto sua mamma. Eppure, da quando lavorava al Paradiso delle Signore Beatrice stava piano piano imparando che il concetto di posto, in fondo, era molto relativo. Il posto delle veneri era in galleria, eppure di tanto in tanto scendevano in magazzino per rifornire i reparti, oppure salivano su nel suo ufficio o direttamente da Vittorio nel caso ci fosse stato un qualche problema da riferire. E in fondo lo stesso valeva per tutto il resto del personale che stava dietro il negozio di vestiti: ognuno aveva un ruolo, una posizione ben precisa da ricoprire, ma se non ci fossero stati scambi regolari e costanti con il resto di quell'ingranaggio difficilmente il Paradiso sarebbe riuscito a funzionare così bene e offrire il servizio di qualità che accontentava ogni giorno centinaia di clienti in tutta Milano.

Dicevano tutti che il Paradiso fosse un po' come una grande famiglia, ma Beatrice poteva davvero dire di farne parte? Delle veneri sapeva giusto come si chiamassero e qualche altra vaga informazione, del magazzino era a conoscenza soltanto del poco che suo figlio Pietro le raccontava, con la signora Bergamini le conversazioni non andavano mai oltre il costo dei materiali da ordinare e le ditte a cui rivolgersi; al di là dei rapporti lavorativi, sul piano personale l'unico con cui Beatrice là dentro aveva instaurato un connessione che potesse definirsi significativa era Vittorio... probabilmente l'unico con il quale invece non sarebbe dovuto succedere (o perlomeno, magari su un piano giusto un po' meno personale). Dopo il ritorno di Marta e la consapevolezza che qualsiasi cosa fosse quella che c'era stata tra loro non solo non potesse durare, ma probabilmente non sarebbe nemmeno dovuta iniziare, la donna si era buttata sul lavoro a capofitto. Instaurare relazioni interpersonali con i colleghi non le era mai interessato più di tanto, e anche le poche volte nelle quali avrebbe effettivamente avuto l'occasione di farlo, ad esempio quando a fine marzo era stata invitata al compleanno della signorina Colombo in caffetteria, aveva declinato con una scusa senza pensarci più di tanto, per il semplice fatto che proprio non aveva le energie né fisiche né mentali per avere a che fare con altre persone. Suo figlio Pietro, i fornitori del Paradiso e i drammi sentimentali di Vittorio e la moglie erano già abbastanza estenuanti di per sé, ma Beatrice riusciva a sopportarli tutto sommato di buon grado, dal momento che in fondo erano parte di ciò che il suo ruolo richiedeva e si aspettava da lei.

Adesso invece, Beatrice era stata tirata dentro una faccenda che non la riguardava minimamente, né era di sua competenza. Avrebbe potuto tranquillamente fare finta di nulla e ignorare quanto aveva visto e saputo, ma il fatto era che lei non voleva. Contro ogni logica, morale e rispetto della privacy altrui, si era inaspettatamente scoperta curiosa di scoprire tutti i dettagli della relazione tra il magazziniere e la più impulsiva di tutte le veneri, e soprattutto, cosa avesse provocato la loro rottura. Chissà, forse emotivamente le sue ferite stavano (lentamente) cominciando a guarire e stava piano piano iniziando a superare quanto successo con Vittorio, forse aveva incominciato a sentire anche lei il bisogno di un'appartenenza maggiore al Paradiso sul piano emotivo e sociale, forse era semplicemente davvero stufa del triangolo amoroso tra Vittorio, Marta e Dante e necessitava disperatamente di una qualche forma di intrattenimento, anche una qualsiasi, che la aiutasse a distrarsi (anche se naturalmente era troppo gentile ed educata per ammetterlo davanti a Vittorio; e comunque per il momento Dante Romagnoli sembrava essere tornato in America e i coniugi Conti parevano aver ritrovato la loro armonia e serenità, il che era la cosa migliore per tutti, compresa sé stessa).

E quindi che fare? Ascoltare ciò che la sua morale le imponeva e rimanere al suo posto, a fare il suo lavoro dietro il telefono e la sua scrivania, o dare retta a quella fastidiosissima vocina che invece le diceva di indagare, di scoprire cosa fosse successo, di fare domande? Beatrice avrebbe mentito se avesse detto che nel corso degli ultimi tre giorni il pensiero non l'aveva mai sfiorata. Almeno con la signorina Moreau avrebbe potuto parlarne, in teoria; del resto era stata presente anche lei quel pomeriggio in magazzino, avevano visto e sentito le stesse cose. Non sarebbe certo andata in giro a spiattellare ai quattro venti la relazione clandestina tra i due giovani, si sarebbe limitata a confrontarsi con una persona che di per sé era già informata della cosa e magari fare giusto qualche commento...

Ma chi voleva prendere in giro, Beatrice stava morendo dalla voglia di parlarne con qualcuno e liberarsi di quel peso, non ce la faceva proprio più a tenerselo dentro tutto per sé! Rocco Amato e la Cipriani, chi lo avrebbe mai immaginato! Così tanto diversi tra loro, eppure in qualche strano modo quell'improbabile coppia poteva quasi avere senso. Chissà come avrebbero reagito la signora Amato e la signorina Puglisi se solo avessero saputo, quale dramma ne sarebbe scaturito. Dal poco che Beatrice sapeva (e un po' aveva intuito) la sarta del paradiso vedeva i suoi prediletti praticamente già sposati, mancava poco che trascinasse il nipote sull'altare con la forza. Il che spiegava come mai Rocco si fosse sempre rifiutato di impegnarsi e ufficializzare il fidanzamento con Maria, o quantomeno di fare almeno un passo verso di lei. Praticamente tutti al Paradiso si aspettavano di vederli convolare a nozze da un giorno all'altro, o almeno questo era quello che aveva percepito dai discorsi che a volte captava dal gruppo di veneri a pranzo in caffetteria, e nel frattempo Rocco si vedeva in magazzino con la Cipriani clandestinamente! E ora che in un modo o nell'altro era venuta a scoprire di tutta quella vicenda, Beatrice non avrebbe nemmeno saputo come sarebbe finita. Se i due si sarebbero riappacificati, o se davvero non ci sarebbe stato più niente. Non sapeva nemmeno cosa esattamente portasse la signorina Cipriani a voler tenere la relazione segreta – forse paura di quello che avrebbero detto le sue colleghe? -, dal momento che la mancanza di sentimenti non le era decisamente sembrata il problema.

Insomma, Beatrice aveva davvero bisogno di confrontarsi con la signorina Moreau, di parlarne con qualcuno. O perlomeno, ne sentiva il desiderio. Il che era precisamente il motivo per cui non poteva farlo. Cosa avrebbe pensato di lei se l'avesse sentita parlare così? Che era una pettegola, che non si faceva gli affari propri, che non sapeva stare al suo posto. E lei non voleva certo che la capocommessa pensasse certe cose di lei. Beh, a Beatrice a onor del vero importava parecchio l'opinione che gli altri avevano di lei, ma con la signorina Moreau ci teneva particolarmente a fare una bella impressione. Non la conosceva ancora molto bene, ma le sembrava una persona per bene. Gentile, educata, colta, sensibile, molto brava nel trattare le clienti e capire al volo ciò che desideravano per accontentarle – e per giunta era davvero una bella donna; non che quest'ultimo punto c'entrasse poi molto, era semplicemente una constatazione obiettiva. Peccato che negli ultimi tre giorni le occasioni di scambiare due parole con lei fossero state praticamente nulle.

Venerdì scorso, dopo che le due erano rimaste sole in magazzino, avevano avuto davvero poco tempo prima della riapertura. E la Moreau, in quanto capocommessa, doveva dare il buon esempio alle altre e salire un po' prima, a verificare che le sue ragazze fossero effettivamente pronte per tornare operative e sistemare i reparti, se ce ne fosse stato bisogno. Beatrice non aveva avuto voglia di trattenerla a fare inutili discorsi, e comunque, lì per lì si era sentita fin troppo in imbarazzo per dire o fare qualsiasi cosa. Lei e Gloria si erano semplicemente guardate e, con un cenno del capo, l'altra donna si era limitata a borbottare qualcosa sul fatto che fosse tardi e dovesse salire su nello spogliatoio a vedere se le veneri erano pronte. Beatrice le aveva rivolto un semplice sorriso di circostanza e l'aveva congedata, anche lei altrettanto desiderosa di lasciarsi tutto alle spalle e buttarsi a capofitto in un altro pomeriggio di lavoro. Soltanto che poi, durante le pause e i tempi morti, quel pensiero chissà perché le era tornato in mente, continuando a stuzzicare la sua curiosità. Poi di mezzo c'era stato il fine settimana e il paradiso era rimasto chiuso, di conseguenza lei e la capocommessa non si erano viste.

Beatrice ci aveva riflettuto, e aveva capito che quell'occasione tutto sommato poteva anche avere dei risvolti positivi: ad esempio, le era servita a rendersi conto di quanto sentisse la mancanza di una figura amica nella sua vita, di quanto fosse in realtà alienata dalle dinamiche interpersonali instaurate nel posto in cui lavorava e che forse, in fondo in fondo, non le sarebbe dispiaciuto farne parte anche lei. Certo, aveva comunque Vittorio vicino, ma poteva davvero considerarla un'amicizia platonica e disinteressata come tutte le altre, visti i loro trascorsi? Con sua moglie, Marta, tutto sommato erano in buoni rapporti, ma c'era sempre quel sottofondo di imbarazzo che segnava tutte le loro interazioni, dovuto al fatto che entrambe erano consapevoli di quanto successo tra lei e Vittorio in sua assenza. Potevano essere gentili l'una con l'altra e fare finta di niente, ma difficilmente sarebbero riuscite ad andare oltre la cordialità.

Con Gloria invece sarebbe potuto essere diverso; almeno potenzialmente. E così, Beatrice si era finalmente convinta: lunedì le avrebbe chiesto di pranzare insieme in caffetteria. In fondo non c'era niente di male, tutti i suoi colleghi pranzavano sempre in compagnia, non era strano che per una volta desiderasse trascorrere la sua ora libera insieme a qualcuno della sua età invece che con suo figlio. E allora perché adesso che lunedì era arrivato e il negozio si accingeva a chiudere temporaneamente, Beatrice si sentiva un po' nervosa alla prospettiva di estendere finalmente all'altra donna il suo invito? Una parte di lei temeva che quell'uscire dal proprio posto, dagli schemi dentro i quali si era sempre autorelegata, fosse sbagliato, o comunque che sarebbe stato malvisto. In fondo lei e la signorina Moreau non si conoscevano molto bene, magari avrebbe trovato strano il fatto che le chiedesse di pranzare insieme da un giorno all'altro senza nessuna ragione lavorativa che giustificasse tal gesto; magari, di fatto, la capocommessa non aveva proprio alcun interesse a parlare con lei e conoscerla un po' meglio. Magari sarebbe stata invadente.

Cionondimeno, Beatrice era riuscita a combattere i pensieri che le suggerivano di desistere dal suo proposito ed aveva persino sceso la scala a chioccia che portava in galleria. Trovò la signorina Moreau in piedi al reparto accessori accanto alle altre veneri, vicino a lei c'erano la signorina Colombo, la Vianello e la Cecchi. Mentre le ultime clienti si accingevano ad uscire, il gruppetto sembrava impegnato in un'animata conversazione. Erano troppo lontane perché Beatrice riuscisse a sentirle, ma a giudicare dalle espressioni sui loro volti sembrava che stessero scherzando in merito a qualcosa di divertente. La signorina Colombo si era appena messa a ridere e le altre la stavano a seguendo a ruota; in effetti sembrava proprio una di quelle persone con la risata contagiosa, così, a primo impatto. Si vedeva che tra loro c'era proprio un bel rapporto. Sembravano tutte così serene e spensierate e leggere. Esattamente l'opposto di quello che la sua vita era stata nell'ultimo periodo. Beatrice le osservò da lontano e provò una piccola e transitoria fitta di invidia. Loro erano così unite e lei invece si sentiva così sola. Sapeva che in realtà per la maggior parte era dipeso da lei e dal suo comportamento, ma comunque... La ragioniera si morse il labbro inferiore con fare pensieroso e si domandò se fosse effettivamente il caso di approcciare la capocommessa, o se invece non fosse meglio lasciare perdere e farsi i fatti suoi. Magari proprio in quel momento si stava organizzando con le ragazze, magari le altre l'avrebbero guardata in modo strano o si sarebbero sentite in dovere di includerla soltanto per cortesia...

A distogliere Beatrice dalle proprie fisime mentali ci pensò Irene Cipriani. La commessa bionda, che era di turno alla cassa, chiuse finalmente il registro e con aria decisamente seccata (per usare un eufemismo) cominciò ad avviarsi verso il retro del negozio. In un primo momento Beatrice pensò che magari avesse avuto una qualche incomprensione con una cliente, o che fosse semplicemente stanca, e si stesse dirigendo nello spogliatoio a cambiarsi. E invece, la ragazza si stava avviando verso un'altra direzione. Con passo deciso e spedito superò prima la Moreau e il resto delle sue colleghe senza nemmeno degnarle di uno sguardo, poi fece lo stesso con lei. Per una frazione secondo Beatrice si domandò se fosse il caso di salutarla, o almeno rivolgerle un cenno del capo per riconoscere la sua presenza, ma la sua andatura spedita non le diede nemmeno il tempo di decidere.

Ovunque fosse diretta, pareva avere una certa fretta. La mente di Beatrice fu momentaneamente distratta dal suo (ipotetico) pranzo con la Moreau e il resto delle veneri e si concentrò su di lei. Adesso che l'aveva vista da vicino, Beatrice non aveva potuto fare a meno di notare la sua espressione assorta e, soprattutto, alquanto alterata. Anzi, altro che alterata, la Cipriani sembrava proprio arrabbiata nera. Beatrice non avrebbe certo voluto trovarsi nei panni della persona che, molto probabilmente, da lì a poco avrebbe subito la sua sfuriata. Incuriosita, la ragioniera si voltò per seguirla con lo sguardo. Dunque, ormai era appurato che non stesse andando nello spogliatoio, quindi in quella direzione c'era soltanto...

Oh.

Già, il magazzino. Beatrice ebbe come la sensazione di sapere cosa, o meglio, chi stesse cercando la giovane ragazza. Il che la portava a un'altra domanda, che probabilmente di base non avrebbe nemmeno dovuto porsi ma che, di fatto, quell'irritante vocina all'interno della sua testa non poteva fare a meno di esprimere: doveva seguirla? Non poteva negarlo, la tentazione c'era... E aveva anche pochi secondi per decidere il da farsi. Da un lato avrebbe potuto fare finta di nulla, restare al proprio posto come era solita fare, non lasciare che nessun altro pensiero diverso dal proprio lavoro occupasse la sua mente e la distraesse. Dall'altro invece, per una volta poteva rischiare e oltrepassare i confini che lei stessa si era imposta e che l'avevano sempre limitata; poteva seguire l'istinto e fare qualcosa di illogico e irrazionale soltanto per se stessa, soltanto perché lo voleva e per soddisfare almeno in parte la sua curiosità, pur assumendosi tutte le responsabilità del caso ed essendo ben consapevole di quanto fosse sbagliato da un punto di vista sia etico sia lavorativo spiare le conversazioni delle altre persone. E così, alla fine Beatrice prese la sua decisione.



-Tu! Proprio te stavo cercando.

L'entrata quantomeno dirompente di Irene Cipriani all'interno del magazzino fu accompagnata da una minacciosa occhiataccia rivolta al resto dei magazzinieri, che nonostante avessero almeno il doppio dei suoi anni ebbero il buon senso di capire che quel giorno era decisamente meglio non testare la sua pazienza e si affrettarono a defilarsi per la pausa pranzo, lasciandola sola con il suo bersaglio, Rocco Amato.

-E io qui sugnu, - le rispose Rocco con disinvoltura. -Che vuoi?

Quella risposta, se possibile, non fece altro che irritare Irene ancora di più. Se c'era una cosa che proprio non sopportava era perdere tempo, e lei sarebbe stata pronta a scommettere che Rocco sapesse perfettamente quale fosse il problema e le avesse risposto così semplicemente per provocarla e darle sui nervi. Il che gli era riuscito benissimo.

-Non fare il finto tonto con me, sai che non attacca, - replicò lei, invadendo il suo spazio personale e guardando dritto negli occhi. -Si può sapere cosa diavolo ti dice il cervello?

-Che ho fame e voglio andare a mangiare. E a te piuttosto? - rispose il ragazzo, anche con una certa insolenza. -Prima mi dici che non vuoi più vedermi e poi torni qua per parlare con me.

Non solo Rocco sostenne il suo sguardo, ma non si ritrasse né indietreggiò; anzi, se possibile anche lui sembrò come avvicinarsi in direzione di Irene, come se fosse stato altrettanto desideroso di avere quel confronto. Solo allora Irene si rese conto della poca distanza che li stava tenendo separati e realizzò che non fosse esattamente una buona idea, il che la portò ad allontanarsi leggermente.

Poi, ricomponendosi, con voce leggermente più calma ma comunque innervosita, la venere mise in chiaro:-Sai benissimo a cosa mi riferisco, ma visto che francamente ho fame anche io e non ho voglia di perdere tempo sarò diretta: perché sei andato a parlare con Maria?

-Se non sbaglio non ti interessa più con chi parlo o cosa faccio, vedi che se mi va sono libero di parlare pure con la contessa di Sant'Erasmo, ah, - stabilì lui, con il tono di chi non ammetteva repliche. Irene lo guardò e a una parte di sé tornarono in mente tutti i battibecchi che avevano avuto proprio lì, in quello stesso magazzino, e per un secondo, ma solo per un secondo, il suo cervello evocò immagini e ricordi del passato a cui non avrebbe dovuto pensare.

Concentrati. Ricordati la tua decisione.

-E invece mi riguarda eccome,– obiettò lei con decisione, facendo del suo meglio per sembrare convinta delle sue parole, –visto che poi con quella ci devo vivere io e i suoi stati emotivi si ripercuotono su tutte noi. Ma che bisogno c'era di parlarle e andarle a dire che la vedi solo come una amica dico io, conoscendo quanto è tragica – Irene in circostanze normali avrebbe anche fatto lo sforzo di usare il termine “sensibile” e modificare un po' la sua scelta di vocaboli, ma davvero non ce la facevo più – dovevi aspettartelo che avrebbe reagito malissimo! Adesso chissà cosa penserà, ci manca solo che sospetti qualcosa.

-Iré, te l'ho detto, non devo più darti spiegazioni io. E comunque, se proprio ci tieni a saperlo, l'ho fatto perché ho avuto l'impressione che non a tutti era chiara questa cosa, che tra me e Maria non c'è proprio niente. Non è lei che voglio.

Irene ignorò l'ultima parte della frase, anche se doveva ammettere che il fatto che Rocco avesse di nuovo ribadito le sue intenzioni non la lasciava certo indifferente. Invece, preferì concentrarsi sulla vaga allusione fatta da lui per tentare di vederci chiaro:-Ti riferisci a tua zia?

-Anche, ma non solo.

Ecco, perfetto, i suoi sospetti erano stati appena confermati. Per quanto amas- volesse bene a Rocco, certe volte quel ragazzo dimostrava proprio di non capirci niente. -Tu credi davvero che io ti abbia lasciato perché ho un complesso di inferiorità nei confronti di Santa Maria Goretti da Partanna e sono gelosa?

-No, - disse lui in un primo momento, abbassando per un attimo lo sguardo. Forse il fatto che Irene avesse smontato la sua teoria in modo un po' brusco lo aveva fatto rimanere male, e la venere finì quasi per sentirsi un po' dispiaciuta. Non voleva che pensasse di non essere importante per lei, ma allo stesso tempo non le piaceva quando lui prendeva certe iniziate sconsiderate che poi avevano conseguenze per tutti. -Cioè, forse,– proseguì Rocco, tornando ad incontrare il suo sguardo. -È che io lo so che anche tu senti qualcosa per me Irè, puoi pure fingere davanti a tutti gli altri ma a me non mi freghi, lo sai.

Soltanto per un istante, Irene si lasciò andare e sorrise. Se solo avesse saputo quanto aveva ragione...

-E così ho pensato che magari credevi che avevo ancora dei dubbi su Maria, che ti sentivi pure un poco in colpa perché sapevi che mia zia voleva accasarmi con lei. Ma io ce l'ho già detto sia a lei che allo zio che se ne devono fare una ragione, io e Maria siamo solo amici. Pure se adesso tu non mi vuoi più e ti sposi un altro ricco e bello, magari un pilota, questa cosa per me non cambia.

In effetti doveva ammettere che la divisa aveva sempre sortito un certo fascino su di lei**, pensò Irene tra sé e sé, anche se naturalmente non lo disse ad alta voce. Avrebbe voluto riuscire a ritrovare il menefreghismo che un tempo non perdeva occasione di sfoggiare, spezzargli il cuore e magari uscirsene con una delle sue battute acide, ad esempio liquidarlo dicendogli che sicuramente un pilota avrebbe saputo intrattenerla e darle la vita che si meritava, eppure proprio non ce la faceva, non le apparteneva più. Al contrario, Irene non riuscì a impedirsi di guardarlo con orgoglio e soddisfazione, specie se pensava a tutti i passi avanti che Rocco aveva fatto da quando era arrivato a Milano: quel ragazzo addormentato e dalla mentalità ristretta, completamente assoggettato a logiche patriarcali prive di senso, ora era riuscito a farsi valere davanti alla sua famiglia e mettere in chiaro una volta per tutte che non avrebbe permesso loro di decidere del suo futuro. Era orgogliosa della persona che era diventato e della sicurezza che le stava mostrando, e a maggior ragione vedendo ciò che lui aveva fatto e stava facendo per lei il suo senso di colpa si fece più grande. Lui sarebbe stato disposto ad andare contro la sua famiglia, se necessario, e lei invece? Cosa stava facendo, oltre a scappare dai propri sentimenti e da una situazione che non sapeva come gestire? La verità era che quello che si meritava di meglio dei due era proprio Rocco, non di certo lei.

-Sono contenta che tu sia riuscito a farti valere e che abbia parlato con tua zia, ma per me le cose non cambiano. Io e te siamo troppo diversi e vogliamo cose troppo diverse, è meglio fermarsi ora prima di farci del male. L'unica cosa che mi interessa è che Maria e tutti gli altri continuino a non sapere di noi, - spiegò Irene, nel modo più convincente possibile. Odiava dovergli mentire, ma lei, al contrario suo, non aveva il coraggio di dire la verità. Sperava davvero che Rocco si sarebbe bevuto la bugia e l'avrebbe lasciata stare, finalmente.

-Ah sì, è questo che pensi, che siamo troppo diversi?- ribatté lui, con l'aria di chi non sembrava affatto intenzionato a lasciar perdere. Irene annuì, con poca convinzione.

-E io invece dico che è una gran fissaria. Saremo pure diversi, però sulle cose importanti in fondo ci capiamo, no? - Il ragazzo la guardò negli occhi e le prese la mano, e Irene si sentì sciogliere dentro. Perché rendeva tutto così difficile? Come avrebbe dovuto trovare la forza per contraddirlo ora? -Io con te riesco ad aprirmi di più che con la mia famiglia, - proseguì Rocco, –riusciamo a parlare, a scherzare, cosa conta che a me piace alzarmi presto mentre tu vuoi dormire fino a tardi. Anzi, se ci pensi è pure meglio, picchì così mentre tu dormi io preparo la colazione e ti faccio trovare il caffè già pronto.

Irene fece un sorriso divertito nel constatare che in effetti il ragionamento non faceva una piega. Anche in un momento serio come quello Rocco riusciva sempre a strapparle un sorriso e farle passare ogni traccia di arrabbiatura. -Scemo, lo sai che non mi riferivo a quello... Io non sono pronta per una relazione seria, e questo non lo posso cambiare.

Nonostante questo, Irene non trovò comunque la forza di lasciare andare la sua mano. Erano passati soltanto pochi giorni, eppure il contatto fisico con lui le mancava già tantissimo. Se già adesso pativa quella situazione, a lungo termine il proposito di stargli lontana si prospettava tutt'altro che semplice.

-Iré, lo vuoi sapere cosa penso io?- domandò poi Rocco, con aria di sfida. Con decisione fece di nuovo un passo avanti verso di lei e per un attimo, solo per un attimo, Irene credette che avesse intenzione di baciarla e sentì il suo stomaco ridursi ad una poltiglia. Per fortuna (o purtroppo) si fermò invece a pochi centimetri di distanza da lei e proseguì nel suo discorso:-Che tu hai solo paura. Che in passato sei stata male, sei stata delusa, e ora hai paura di fidarti e rimanere ferita un'altra volta. La verità è che tu non hai il coraggio di ammetterlo nemmeno a te stessa quello che provi per me.

Restarono a guardarsi in silenzio per alcuni istanti carichi di tensione. Era una sfida quella? Cosa stava cercando di dimostrare Rocco, voleva provocarla? Voleva forse sfidarla a trovare il coraggio di baciarlo? Lo sguardo di Irene cadde sulle sue labbra per un istante, e reprimere il suo istinto non fu mai stato più difficile. Alla fine, fu Rocco quello a fare un passo indietro dei due e porre fine al confronto che lui stesso aveva iniziato.

-Buon pranzo, va', - si congedò il siciliano. In un attimo si voltò ed uscì dal magazzino. E Irene rimase sola, di nuovo.
...


 

Quando pochi istanti dopo la signorina Cipriani se ne andò a sua volta, un'altra voce femminile rimbombò all'interno di quelle quattro mura, una che Beatrice Conti ci mise ben poco a riconoscere:

-È anche peggio di quanto pensassi.

La ragioniera del Paradiso si voltò, e soltanto in quel momento si accorse della presenza di suo figlio Pietro e quattro delle veneri alle sue spalle, in piedi a meno di un metro di distanza da lei: Stefania Colombo, Dora Vianello, Paola Cecchi e, naturalmente, Gloria Moreau.


 

 

Note dell'autrice

*Ho scelto di dare a Beatrice origini liguri per rendere omaggio a Caterina Bertone, la quale è anche lei ligure!

**Questo vuole essere un apposito riferimento alla splendida fanfiction di InvisibleWoman in cui Irene è effettivamente corteggiata da un pilota, Lorenzo. Se ancora non lo avete fatto andate tutti a leggerla!

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Capitolo 3
*** III. Rumore ***


III. Rumore
 

-È anche peggio di quanto pensassi.

La voce di Stefania Colombo rimbombò tra le mura del magazzino con il tono grave di chi aveva una terribile notizia da annunciare. -È innamorata, - aggiunse poi, con un sospiro solenne e sguardo serio. Gloria dovette trattenere un sorriso divertito nel constatare quanto sua figlia riuscisse ad essere esageratamente drammatica, all'occasione. Se soltanto Stefania avesse avuto la possibilità di conoscerla un po' meglio, al di fuori del Paradiso, si sarebbe resa immediatamente conto di quanto fossero simili anche in quel frangente.

Fu proprio in quel momento che la signora Conti si accorse della loro presenza; la donna si girò verso il gruppetto con sguardo perplesso, probabilmente non aspettandosi di avere così tanta compagnia. Pochi minuti prima in galleria la sua attenzione, beh, la sua e quella delle altre veneri, era stata attirata dallo strano atteggiamento della signorina Cipriani, che senza nemmeno salutarle aveva chiuso la cassa e si era diretta spedita verso il magazzino. Il che ovviamente aveva fatto intuire sia a Gloria che a Stefania che stesse andando a cercare una persona ben precisa – chiaramente non il signor Ferraris. Aveva osservato da lontano Beatrice Conti rivolgerle un'occhiata altrettanto sospettosa e soltanto dalla sua espressione Gloria aveva immediatamente capito che stavano pensando la stessa cosa. E infatti, dopo pochi istanti, la ragioniera aveva iniziato a seguirla a debita distanza. Gloria e Stefania si erano scambiate un'occhiata complice, non avevano nemmeno avuto bisogno di parole per capirsi: senza perdere troppo tempo avevano cominciato ad andarle dietro a loro volta, accompagnate dalla signorina Vianello e la signora Cecchi, le quali pur non essendo al corrente della situazione erano evidentemente state incuriosite dall'insolito comportamento della collega e avevano deciso di seguire l'esempio (a dir poco pessimo) della loro capocommessa per vederci chiaro e togliersi la curiosità. Per fortuna proprio sulla soglia del magazzino si erano imbattute in...

-Pietro? Che ci fai tu qui?- gli domandò sua madre, mostrando tutto il suo stupore.

-Beh, veramente io sarei quello che qui ci lavora, - si giustificò il ragazzo, strappando un sorriso a Gloria. In effetti era vero, tra tutti loro era l'unico che effettivamente aveva un valido motivo per trovarsi lì in magazzino.

-Suo figlio ha ragione, - intervenne Gloria, in un tentativo di spiegare alla ragioniera la situazione e diminuire almeno un po' la sua confusione, -in effetti siamo noi veneri quelle fuori posto, ma per una giusta causa. Qualche giorno fa ho parlato alla signorina Colombo delle mie preoccupazioni in merito al rapporto tra la signorina Cipriani e Rocco Amato, temendo che alla lunga la tensione tra di loro avrebbe potuto creare dissapori anche sul luogo di lavoro e danneggiare la serenità del clima al Paradiso, - il che ovviamente era un modo carino, formale ed educato per dire “ero curiosa di scoprire cosa fosse successo e volevo sapere tutti i dettagli”, cosa che naturalmente Gloria non avrebbe potuto dire. Non davanti alle altre veneri, perlomeno. Doveva pur sempre essere un modello di riferimento per loro, o quantomeno (fingere di) tentarci. -Sa, nella mia esperienza, - proseguì Gloria, con lo stesso tono esageratamente serio e drammatico adottato da Stefania poco prima, - spesso e volentieri se i lavoratori sono scontenti anche i clienti saranno altrettanto insoddisfatti, e così ho pensato di consultarmi con la signorina Colombo, visto che è lei quella più in confidenza con la signorina Cipriani.

Il che, convenientemente, si era anche tramutato in un'ulteriore occasione per riuscire a parlare un po' con sua figlia e trascorrere un po' di tempo con lei. Non che Gloria stesse mentendo del resto, era pur sempre vero che a lungo andare la tensione tra di loro si sarebbe riflettuta sugli altri e che Stefania e Irene erano molto amiche, che importanza aveva se dietro la sua nobile causa c'era anche un piccolo, piccolo secondo fine?

-Esatto, - prese la parola Stefania, - e io le ho detto che non ne sapevo assolutamente niente e che Irene non mi aveva mai parlato di lei e Rocco, insomma, qualche tempo fa sì ma giusto un accenno, io sapevo che si erano baciati e che erano usciti un paio di volte insieme, ma poi Irene mi aveva detto che la cosa era finita lì e che non si erano più visti e io ci avevo creduto...

La tendenza di Stefania a straparlare quando si sentiva in imbarazzo o una situazione la metteva a disagio o la rendeva particolarmente emotiva non sfuggì a Gloria, che per un secondo la guardò con tenerezza. Solo per un attimo però, poi si ricompose e tornò ad assumere la sua espressione seria e neutrale.

-E così ha chiesto a me e io le ho detto che Rocco mi ha raccontato tutto, - completò la spiegazione il giovane Pietro, tagliando corto. Un riassunto abbastanza esplicativo di quello che era successo quel venerdì in negozio dopo quello sfortunato episodio in magazzino. Sarebbe stato meglio se Gloria si fosse fatta i fatti suoi, invece? Probabilmente. Avrebbe fatto meglio a parlarne direttamente con la signorina Cipriani se proprio avesse sentito l'esigenza di non lasciare la questione in sospeso, invece di coinvolgere persone esterne? Quasi sicuramente. Le era interessato qualcosa di queste valide argomentazioni? Assolutamente no. Gloria non era necessariamente una persona che amava mentire e nascondersi, ma se pensava che omettere parti di verità l'avrebbe portata più vicina all'obiettivo che le stava a cuore e che intendeva perseguire, a ciò che dentro di sé sapeva essere giusto e valido, allora non si sarebbe fatta alcuno scrupolo di coscienza. E Gloria Moreau aveva a cuore la felicità della signorina Cipriani; o meglio, aveva a cuore la felicità di tutte le sue ragazze (certo, di una di loro in modo particolare per ovvie ragioni), e ci teneva che tra loro si instaurasse un clima di serenità e trasparenza, in cui ognuna si sentisse di poter esprimere se stessa al meglio senza avvertire il bisogno di nascondersi. E se Irene Cipriani desiderava tenere nascosto un sentimento perfettamente normale e naturale come l'amore, era evidente che c'era qualcosa che non andava e che aveva bisogno di aiuto.

-Tutto cosa?- domandò la signora Conti, la quale evidentemente desiderava a sua volta saperne di più. Mentre la donna teneva lo sguardo fisso sul figlio, la figura a lei più emotivamente vicina tra i presenti, Gloria approfittò di quei pochi istanti per osservarla in modo discreto. Fece caso alla sua postura tesa, al modo in cui le dita della sua mano destra giocavano inconsciamente con l'anello che portava in quella sinistra, e Gloria capì che probabilmente era nervosa. Del resto era comprensibile, non aveva particolare confidenza con nessuna delle veneri e doveva sentirsi anche lei in difetto per essersi intromessa in un fatto che non la riguardava tanto quanto avevano fatto loro.

In realtà, Gloria aveva trovato la sua presenza e il suo coinvolgimento alquanto di conforto, per quanto non potesse dirlo (o almeno, non in quel momento). Avrebbe voluto parlare con lei di ciò che avevano scoperto fin dallo scorso venerdì, ma aveva temuto che la serietà della sua collega, il suo giudizio e la sua immancabile compostezza avrebbero (giustamente) mal visto quell'interesse verso una vicenda che non aveva nulla a che fare con loro, almeno direttamente. Era confortante sapere che invece, proprio come lei, anche la signora Conti non era riuscita a resistere alla tentazione e ora si trovava lì, con tutti loro. In fondo era umana anche lei, e Gloria avrebbe tanto voluto sapere cosa esattamente l'avesse spinta ad interessarsi alle dinamiche tra la commessa e il magazziniere.

Proprio in quel momento i grandi occhi marroni della ragioniera saltarono su di lei e Gloria distolse immediatamente lo sguardo, sperando che l'altra non se ne fosse accorta, per rivolgere la sua attenzione al giovane Pietro, che cominciò a parlare: -Come cosa mamma, ancora non hai capito? Che Rocco e Irene stanno insieme di nascosto! O almeno stavano, non lo so, Rocco venerdì era di mal umore e non ci siamo detti tanto.

-Quindi tu per tutto questo tempo lo sapevi?!- gli chiese retoricamente sua madre, ancora più incredula. A giudicare dalla sua risposta, Gloria capì che lei e il figlio dovevano avere un rapporto piuttosto stretto e che si confidassero se non proprio spesso, almeno con una certa frequenza. Visto il modo preciso e curato con cui Beatrice Conti trattava ognuna delle questioni di lavoro con cui aveva a che fare, Gloria aveva capito che era il tipo di madre che dedicava anima e corpo ai suoi figli, qualcosa che purtroppo, per forza di cose, lei non poteva dire di se stessa. Certo, non che avesse prestato più di tanto attenzione a Beatrice Conti nei mesi passati o che avesse fatto più di tanto caso a lei, era una semplice constatazione obiettiva.

-Vabbè mamma non è un segreto di stato, cosa vuoi che mi cambiasse poi, - ribadì il magazziniere, in tono lievemente seccato.

-Io invece avrei voluto saperlo... -si intromise Stefania in quello scambio, la sua voce faceva trapelare una certa delusione. Gloria la guardò ancora una volta con tenerezza, immaginandosi che ora la ragazza temesse di non aver la fiducia dell'amica.

-E voi invece, per caso anche voi ne eravate al corrente?- domandò la ragioniera, rivolgendosi alle altre due veneri, che fino ad allora non avevano ancora aperto bocca. Probabilmente doveva aver pensato che se anche loro si trovavano lì in qualche modo dovevano aver avuto un ruolo nella vicenda... niente di più sbagliato.

-Veramente io ho scoperto tutto adesso, mi sono ritrovata qua per caso - spiegò la signorina Vianello con evidente perplessità.

-Sì, anche io. Anche se, - aggiunse la signora Cecchi, -se devo essere sincera, qualche sospetto su quei due l'ho sempre avuto. Ne parlavo un po' di tempo fa anche con Franco...

Gli altri non l'avevano neanche ascoltata.

-E quindi come mai Rocco e Irene non hanno detto niente a nessuno? - riprese la Vianello, tornando a focalizzarsi sulle cose importanti. -È per via di Maria?

-Ma che ne so, - rispose Pietro, con lo stesso tono seccato che aveva assunto prima, -non sto sempre a farmi i fatti degli altri, io. - Gloria immaginava che parlare di qualcosa di cui il suo amico gli aveva chiesto di non dire nulla non fosse esattamente un'attività che lo rendeva al settimo cielo, però era anche vero che avevano bisogno di fare il punto della situazione e cercare di mettere assieme più informazioni possibili. Per fortuna, in soccorso della loro nobile causa arrivò Stefania:

-Eddai Pietro, la signorina Moreau ha ragione, se loro non vanno d'accordo poi tutto il Paradiso ne risente, se non vuoi farlo per noi fallo almeno per tuo zio...

Di nuovo, un'altra delle tante cose che Gloria e Stefania avevano in comune, all'insaputa di quest'ultima. L'abilità di sua figlia di riuscire ad influenzare le persone attorno a sé per portarle dalla sua parte e trascinarle in qualsiasi proposito lei ritenesse degno di essere perseguito era un'altra cosa in cui Gloria si riconosceva parecchio. Chiunque si sarebbe accorto che Stefania aveva un certo ascendente sul giovane Pietro, ed evidentemente ne era consapevole anche la diretta interessata, che stava usando la cosa a suo vantaggio. In fondo che male c'era, se era una buona causa?

Pietro sospirò. L'influenza che Stefania aveva su di lui e il suo desiderio di compiacerla dovevano essere più forti del senso di lealtà nei confronti del collega, dal momento che smise di opporre resistenza: -Rocco è stato abbastanza vago, mi ha detto che Irene preferiva così, che si stavano solo frequentando e volevano fare le cose con calma prima di iniziare a fare sul serio, che era una cosa solo temporanea. Francamente non mi sembrava troppo contento, però non mi ha detto altro...

Il che non aggiungeva nulla alle informazioni che già avevano, o che in qualche modo erano deducibili di per sé. Se non altro ora sapevano di avere un alleato in più dalla loro parte.

-Ho capito. Beh, non ci resta che scoprire perché Irene ha voluto lasciarlo adesso e aiutarli a fare pace, - concluse Stefania con serenità, come se fosse stata la conclusione più elementare del mondo, l'unica possibile.

-Aiutarli?- ripeté la signorina Vianello aggrottando la fronte, evidentemente confusa.

-Ma certo, - rispose Stefania, con la stessa sicurezza di prima. -L'abbiamo vista tutti Irene, no? Io quando la signorina Moreau me l'ha detto pensavo che fosse soltanto una cosa senza impegno, e invece è davvero innamorata di Rocco, - spiegò, mettendo particolare enfasi su quell'ultima parte. -Ha soltanto bisogno di qualcuno che le dia un aiutino ad esprimere i suoi sentimenti... per lei non è facile.

Gloria guardò sua figlia e sentì un'ondata di orgoglio riempirle il petto. Era davvero fiera della donna che stava diventando, dell'empatia che stava dimostrando nei confronti della sua amica e del suo altruismo. Non era da tutti riuscire a mettersi nei panni degli altri come faceva lei.

-Ma se è stata lei a lasciarlo!, - obiettò Pietro, evidentemente non del tutto convinto. -Rocco la stava praticamente pregando di tornare assieme ma lei non ha voluto saperne, cos'altro doveva fare?

-A volte le persone non dicono tutto quello che pensano, Pietro, - lo ammonì bonariamente Beatrice, -perché magari non vogliono o non possono o non si sentono ancora pronte.

Gloria la guardò e si domandò se parlasse così per esperienza personale. Del resto Beatrice Conti era una donna molto riservata, non condivideva molto di sé con gli altri, o perlomeno aveva scelto di non farlo con i suoi colleghi al Paradiso. In fondo lei e Gloria non erano poi così diverse, si trovò a riflettere quest'ultima. La capocommessa si chiese se la sua riservatezza fosse semplicemente una sua scelta, un suo tratto caratteriale, o se proprio come lei e come la signorina Cipriani avesse un motivo alla base per cui non poteva rivelare determinate cose di sé. Gloria sapeva che, almeno nel suo caso, avrebbe fatto carte false per poter avere qualcuno a cui dire la verità, un appoggio, un supporto, un sostegno, e invece era completamente sola. L'offerta di amicizia del signor Ferraris era stata una vera benedizione per lei, era stata contenta di aver trovato una persona dalla mentalità aperta così tanto gentile e ben disposta nei suoi confronti, ma era comunque molto vicino a Marcello, Salvatore e i ragazzi del magazzino, che a loro volta erano vicini a Stefania e le ragazze, per questo era ancora titubante all'idea di aprirsi completamente con lui. Oltretutto, il suo impegno con la squadra ciclistica del paradiso e i loro rispettivi lavori impedivano ai due di trascorrere tanto tempo insieme, in certe giornate si scambiavano appena un breve saluto durante le pause, ma anche quei pochi momenti per Gloria erano qualcosa di prezioso.

-Mi trova perfettamente d'accordo, - replicò Gloria, mentre la ragioniera e il resto dei presenti si voltavano verso di lei, -se la signorina Cipriani lo ha respinto deve esserci un motivo che noi non conosciamo.

Gloria sostenne lo sguardo dell'altra donna, e vide le labbra di quest'ultima incurvarsi in un piccolo sorriso timido, rivolto inequivocabilmente a lei. La capocommessa ricambiò il gesto, mentre sua figlia prendeva la parola per appoggiare la sua tesi con convinzione:

-E che dobbiamo scoprire. Sono sicura che con il nostro aiuto riusciranno a chiarirsi e che poi torneranno ad essere felici.

Gloria non avrebbe potuto essere più d'accordo.

-Non pensate che forse sia meglio che se la sbrighino da soli? - intervenne la signorina Vianello, che a quanto pareva non sembrava ancora convinta. -Dopotutto non sono affari nostri, loro sono adulti, se non vogliono dirci niente e chiudere la loro storia ne hanno tutto il diritto.

Certo, non aveva tutti i torti, però...

-Ma io la conosco Irene e sono sicura che non è quello che vuole! - obiettò Stefania con sicurezza. Ormai la più giovane delle veneri sembrava completamente presa da quella specie di progetto che stava prendendo forma in maniera sempre più concreta, e Gloria era abbastanza sicura che non si sarebbe arresa tanto facilmente. -Sai com'è fatta, a volte pur di non chiedere aiuto e non ammettere le sue difficoltà finisce per fare stupidaggini gigantesche.

-Naturalmente nessuno la costringe a collaborare con noi se non se la sente, signorina Vianello, - intervenne poi lei. Del resto forzarla sarebbe stato controproducente.

-Magari non ne faccia parola con nessun altro, ecco, - puntualizzò la signora Conti.

Dopo alcuni istanti di silenzio in cui tutti gli occhi erano puntati sulla signorina Vianello, in attesa del suo responso, finalmente la ragazza parlò:-E va bene, ci sto, ma solo perché voglio bene a Irene e anche io so quanto può essere cocciuta e testarda.

Gloria tirò dentro di sé un sospiro di sollievo. Se Dora non avesse scelto di collaborare con loro una parte del suo cervello avrebbe continuato a chiedersi se davvero sarebbe stata in grado di tenersi la cosa per sé, o se invece la notizia sarebbe circolata nel giro di poco, in un modo o nell'altro. Già non era sicura che il fatto che così tanta gente ne fosse al corrente fosse di per sé una buona cosa... la signorina Cipriani le era già sembrata abbastanza nervosa di suo, se avesse saputo che il suo segreto era uscito alla luce e adesso anche altri ne erano al corrente probabilmente avrebbe reagito in maniera a dir poco pessima, se non disastrosa. E Gloria voleva aiutarla, non peggiorare le cose. Più una persona che ha bisogno di aiuto sente di star perdendo il controllo sulle cose che la circondano più diventa nervosa e incline a chiudersi in sé stessa, che era esattamente ciò che Gloria avrebbe voluto evitare; sia per la stessa Irene, sia per gli equilibri all'interno del negozio.

-Anche io ci sto!, - affermò la signora Cecchi, con un certo entusiasmo. Magari quella singolare iniziativa la intrigava più di quanto non facesse vedere.

-Anch'io, - confermò dopo di lei Pietro Conti.

-Anche io, - lo seguì poi sua mamma. -Ma non coinvolgiamo nessun altro,- aggiunse poi in tono abbastanza deciso, guardando perlopiù le giovani ragazze, -meno persone ne sono al corrente e meglio è.

-Sì, concordo, - l'appoggiò Gloria. -Del resto non possiamo essere sicure che tutti al Paradiso reagirebbero con lo stesso entusiasmo alla notizia della loro storia...

Il che, naturalmente, era un'ovvia allusione alla sarta del Paradiso e, soprattutto, alla sua fedele assistente.

-E quindi adesso come procediamo?- chiese poi il giovane Conti, che ancora una volta prediligeva l'aspetto pratico e concreto della vicenda.

-Finchè non sappiamo cosa spinge la signorina Cipriani a tirarsi indietro non c'è molto che possiamo fare... - convenne Gloria ad alta voce. Identificato il problema, avrebbero agito di conseguenza per aiutarla a superarlo. -Signorina Colombo, se la sentirebbe di provare a parlarle e cercare di scoprire di più?

-Certo, le parlerò stasera stessa, - promise Stefania, -anche se potrei avere già qualche sospetto... però prima voglio averne la conferma.

-Io allora più tardi parlerò con Rocco, chissà, magari anche lui mi dice qualcosa in più sulla rottura, - propose Pietro.

-Mi raccomando, con discrezione, - gli ricordò sua madre gentilmente, ma allo stesso tempo con fermezza .

-Perfetto, - concluse Stefania, -Ci ritroviamo qui domani alla stessa ora, va bene?

Gloria sorrise nel vedere quanto ormai si fosse completamente immedesimata nella parte. Chissà, forse aiutare gli altri a risolvere i propri problemi di coppia rappresentava per Stefania anche una via di fuga dalla propria vita sentimentale, che da quel che Gloria aveva intuito pareva abbastanza inesistente, per non dire disastrata... era proprio un peccato che non volesse dare una possibilità a quel Pietro, in fondo non sembrava tanto male.

Soprattutto se ha preso dalla madre.

Cosa c'entra questo adesso?

Niente, è un'altra costatazione obiettiva. Beatrice Conti è una donna bella e chiaramente sensibile e intelligente, sono tutte qualità che renderebbero Pietro Conti un buon partito per nostra figlia se le avesse ereditate, no?

Questo non ha nulla a che vedere con Irene e Rocco, il motivo per cui siamo qui. Smettila di pensare a improbabili intrallazzi dove non ci sono e torna a concentrarti sulla conversazione, invece di farti distrarre da una donna che nemmeno conosci.

Ho capito... quindi stai cercando di dirmi che dovremmo cercare di conoscerla meglio, no?

Gesù, speriamo vivamente che non succeda invece, visto che la sua vicinanza ci spinge chiaramente a perdere ogni capacità di giudizio.

-Come gli agenti segreti, insomma, - ci scherzò su Pietro, distraendo Gloria dal suo piccolo conflitto interiore. Sì, aveva decisamente bisogno di chiedere al signor Ferraris di vedersi fuori dal lavoro qualche volta, o l'eccessiva solitudine avrebbe finito per corrodere ulteriormente il suo equilibrio interno e portarla sempre più vicina alla strada dell'infermità mentale.

-Dovremmo dare un nome in codice a questa missione, che ne dite? - propose poi la signora Cecchi, contagiata dall'entusiasmo di Stefania. -Così ne possiamo parlarne liberamente senza farci scoprire. Potremmo chiamarla “missione cupido”!

-Nah, troppo banale, - la smontò subito il magazziniere. Gloria doveva ammettere che aveva ragione.

-E poi così si capisce di cosa stiamo parlando, - fece notare la signorina Vianello; in effetti era un'argomentazione altrettanto valida, quale sarebbe stato il senso di un nome in codice se poi chiunque avrebbe potuto facilmente intuire cosa ci fosse sotto.

-Potremmo chiamarla “missione magazzino” invece, - propose Stefania con la sua solita carica. -È un po' scontato, però del resto è qui dove tutto è partito, e poi così se gli altri dovessero sentirci sembrerà che stiamo parlando di lavoro.

-Missione magazzino, suona anche bene, - commentò Pietro Conti.

-Approvato allora! - decretò Stefania con solenne entusiasmo. -Bene, adesso andiamo a pranzare che sto morendo di fame.

La proposta delle venere fu accolta da mormorii di assenso da parte delle altre due ragazze e il magazziniere, che senza esitare si diressero finalmente fuori dal magazzino parlottando tra loro. Gloria invece rimase in disparte, guardandoli da lontano. Il suo sguardo si spostò su Beatrice, in piedi accanto a lei. La donna fece un piccolo passo avanti nella sua direzione, come se avesse voluto approcciarla senza esserne pienamente sicura. Nemmeno lei accennava ad andarsene e seguire il resto del gruppo fuori, e così rimasero sole. Per qualche motivo, Gloria avvertì una leggera sensazione di nervosismo alla base dello stomaco. Forse era in parte dovuta dal fatto che si erano ritrovate sole ben poche volte, e sempre all'interno di un contesto lavorativo. Quel contesto, invece, era del tutto singolare nel suo genere...

Hai detto che dovevamo conoscerla meglio, no? Ecco, questa è la nostra occasione.

Ma io veramente...

-Signora Conti?- Gloria si decise a prendere l'iniziativa, voltandosi verso la sua collega.

-Sì?- rispose l'altra donna, sostenendo il suo sguardo.

-C'è una cosa che le volevo chiedere... - iniziò la capocommessa. Prima di formulare il suo invito Gloria attese qualche istante, in cui valutò rapidamente tutti i pro e i contro e le concrete possibilità che quella proposta improvvisata ricevesse un rifiuto. Una volta stabilito che valeva perlomeno la pena di rischiare, la donna si decise a domandare:- Le andrebbe di fermarsi a pranzo con me in caffetteria, se non ha altri impegni?

Il fatto che si fosse portata il pranzo e che fino a poco prima aveva avuto intenzione di consumarlo nello spogliatoio con le altre veneri era soltanto un dettaglio secondario. Per fortuna Gloria non dovette attendere a lungo il responso della ragioniera: il suo viso si distese immediatamente in un'espressione rilassata e le sue labbra si distesero in un sorriso molto più largo di quello che le aveva rivolto poco prima. Era... felice del suo invito? Gloria si trovò a sorriderle a sua volta, senza nemmeno sapere perché con precisione.

-Mi ha anticipata, glielo volevo proporre io, - dichiarò la ragioniera.

Gloria non sapeva se fosse davvero così o se invece la signora Conti lo stesse dicendo soltanto per una questione di circostanza o educazione, stava di fatto che non le interessava.

-Allora era proprio destino, - commentò scherzando, mentre si avviò finalmente anche lei verso l'uscita, accompagnata dalla ragioniera.

Mentre le due entravano in caffetteria e prendevano posto nell'unico tavolino ancora libero, accanto a quello occupato dal giovane signor Cattaneo e dal marito della signora Bergamini, Gloria pensò che se non altro quel giorno avrebbe potuto pranzare con qualcuno davanti al quale non doveva sforzarsi di sembrare un buon modello di riferimento, e al momento era tutto ciò che le importava.

 

Il giorno dopo

In circostanze normali, l'ora di pranzo era il momento preferito della giornata lavorativa di Rocco Amato, per ovvie ragioni. Chiaramente quel giorno faceva eccezione, per tutta una serie di motivi. Il primo fra tutti aveva un nome e un cognome: Irene Cipriani.

Normalmente, Rocco non era il tipo di persona a cui piaceva insistere. Anzi, a dirla tutta non era nemmeno il tipo di persona a cui piaceva chiedere, iniziare le conversazioni, cercare gli altri; figurarsi poi se la persona interessata aveva anche detto che voleva chiudere il loro rapporto, e anche più volte. Irene era stata chiara con lui, e lui avrebbe rispettato la sua decisione, nonostante sospettasse (fosse sicuro) che fosse soltanto una grande fissaria. Eppure, dentro di sé Rocco sentiva la sua mancanza più di quanto non facesse vedere agli altri, che comunque non lo aiutavano minimamente a togliersela dalla testa; anzi, se possibile, pure peggio facevano. Pietro ad esempio, il pomeriggio prima per qualche ragione si era messo in testa di fargli domande su Irene e non la finiva più. Rocco aveva risposto in modo sbrigativo e anche un po' scocciato, senza raccontargli quello che era successo venerdì e la loro discussione; si sentiva ancora troppo triste e amareggiato per poterne parlare liberamente. Forse però Pietro lo aveva capito che c'era qualcosa che non andava, perché c'era voluto un po' prima che lo lasciasse stare e cambiasse argomento, al punto che Rocco si era addirittura quasi pentito di avergli parlato di lei. Sapeva che non avrebbe dovuto, che Irene si sarebbe arrabbiata se lo avesse scoperto, però lui e Pietro erano amici e a lui di mentire a un amico proprio non andava; almeno con lui poteva essere sincero, si era detto tra sé e sé, in fondo anche volendo a chi avrebbe potuto raccontare di lui e Irene. Sicuramente alla signora Conti e al direttore poco ci sarebbe interessato delle loro questioni personali, avevano cose più serie a cui pensare.

Al di là di quello, comunque, il problema non era solo Pietro. Magari lo fosse stato! Il problema più grande era che, anche se aveva scelto di rispettare la scelta di Irene e starle lontano (almeno fino a quando chidda non avrebbe capito la grande stupidaggine che stava facendo), era molto più facile a dirsi che a farsi. Era passato appena qualche giorno, eppure Rocco sentiva il desiderio di andarla a cercare. Di parlarle, di starle vicino, di stringerla, di bac...

No, basta pensarci che stai solo peggio, amunì.

Ormai si era abituato a condividere il momento del pranzo con lei (certo, non tutti i giorni, altrimenti le sue amiche poi si insospettivano e iniziavano a fare domande), a scambiarsi il cibo, a scherzare, a sentire la sua voce, e fare altre cose che ora non avrebbe ricordato. Stare lontano da Irene, non condividere più momenti di quotidianità con lei lo rendeva triste e, se possibile, gli faceva pure un poco passare l'appetito (giusto un poco, certo, adesso non esageriamo). Proprio per quel motivo Rocco era seriamente indeciso se andare a cercare la ragazza con un pretesto, anche solo per vederla e scambiare due parole con lei, o se invece andare da Pietro e pranzare fuori con lui, proprio come aveva fatto il giorno prima (nonostante il ritardo del suo amico, che per qualche motivo ci aveva messo più del solito ad arrivare al Paradiso). Di fatto poi, Rocco un pretesto per parlare con Irene ce lo aveva, ed era anche una questione importante.

Su, finiscila co' ste scemenze, ava'.

D'accordo, non era una questione di vita o di morte, ma era comunque qualcosa che gli aveva dato pensieri. Quella mattina in magazzino era passata Gabriella perché aveva una cosa importante da dire a tutti i magazzinieri: visto che tra poco lei e suo marito si trasferivano a lavorare a Parigi, avevano deciso di invitare tutto il Paradiso a casa loro per fare una piccola festa d'addio. Rocco era rimasto un po' stupito dal suo invito: che c'azzeccavano lui e i magazzinieri con la signora Bergamini? A lavoro si vedevano pochissimo, lei stava tutto il giorno in ufficio ai piani alti. Quando lei abitava ancora vicino a casa sua qualche volta si incrociavano sul pianerottolo, ma non avevano mai avuto tutta questa confidenza. E poi era pur sempre l'ex fidanzata di suo cugino, e ora invece si era sposata un altro e stava per trasferirsi con lui chissà dove. Perché Rocco ci doveva andare? Sarebbe stato tradimento verso Salvo, in un certo senso, a cui aveva sempre mostrato la sua piena solidarietà. E Rocco sicuramente era una persona leale, nessuno poteva dire il contrario. A lui poi certe cose lo mettevano a disagio, tutti quegli eventi dove le persone si vestivano eleganti, parlavano bene, mangiavano con venti posate diverse, che solo a vederle si confondeva. Però era anche vero che se ci andavano tutti, allora c'era anche Irene.

Quando aveva parlato dei suoi dubbi con il signor Armando prima lui aveva detto che doveva andarci perché se no faceva brutta figura, che non c'entrava se con la signora Bergamini avevano confidenza o no, dovevano andare tutti per amicizia e perché era un'iniziativa di gruppo, di tutto il Paradiso, e che non era necessario che si vestisse in modo troppo elegante, bastava anche la camicia buona che metteva la domenica per andare a messa. Questo non cambiava che la priorità numero uno di Rocco rimaneva comunque la stessa: Irene (addirittura prima ancora della cena gratis). Doveva scoprire se lei ci andava oppure no, senza contare che, appunto, così avrebbe avuto un motivo per parlarle e sapere come stava. Visto che Pietro, stranamente, anche quel giorno pareva in ritardo (di solito arrivava sempre puntuale, e Rocco avrebbe quasi potuto pensare che gli stava nascondendo qualcosa... ma no, sicuramente quella era l'influenza di Irene che se ne usciva sempre con teorie stravaganti, anche se segretamente gli piacevano e lo facevano ridere), Rocco decise di seguire l'istinto e andare a cercare Irene. In fondo non stava facendo nulla di male, le avrebbe solo chiesto quello che gli interessava e poi l'avrebbe lasciata stare, come voleva idda. In fondo pure a Pietro lo avrebbe chiesto se veniva, non era libero di fare una domanda a un amico (o a un'amica) adesso?

Approcciare la ragazza fu più facile del previsto: Rocco la trovò seduta su una delle panchine fuori dal Paradiso, completamente sola e con un'aria assorta e pensierosa. Sembrava un po' malinconica, il che portò Rocco a domandarsi il perché. Non stava nemmeno mangiando, né aveva qualcosa con sé che gli facesse pensare che lo aveva già fatto. Magari era successo qualcosa che lui non sapeva? Irene non si era ancora accorta della sua presenza, per il momento si era tenuto a debita distanza. Ad un tratto gli venne un'idea: fece marcia indietro e si avviò verso la caffetteria, da Salvatore. Non aveva soldi dietro ma Rocco immaginò che non fosse importante: dopotutto si trattava di suo cugino, quando poteva avrebbe pagato, con calma. Una decina di minuti dopo (purtroppo era ora di pranzo e la coda alla cassa gli aveva fatto perdere un po' di tempo) era già di ritorno: Irene era ancora lì dove l'aveva lasciata, quasi nella stessa identica posizione. Rocco si avvicinò e si sedette sulla panchina accanto a lei, senza chiedere il permesso. Irene alzò gli occhi su di lui per un istante e lo salutò accennando ad un sorriso:-Ciao.

-Ciao Irè. Tieni, t'ho portato il pranzo, - esordì lui senza troppi convenevoli, mettendole in mano il panino con la frittata che aveva appena preso apposta per lei.

-Ti ringrazio ma oggi non ho molta fame, - si scusò Irene.

-Ma che si salta il pranzo solo perché non hai fame? Guarda che 'sta cosa nun va beni, ti servono energie, ah - la rimproverò dolcemente Rocco. Nonostante il suo fisico perfetto, sapeva che Irene non era una di quelle ragazze fin troppo ossessionate dalla linea, di certe sciocchezze a lei non importava più di quel tanto. E poi la giornata era ancora lunga e il Paradiso chiudeva alle sette, se saltava i pasti come avrebbe trovato le energie per stare in piedi tutte quelle ore? Rocco non poteva certo rischiare che svenisse. Per cui, per incentivarla un pochino a mangiare e farle tornare l'appetito, decise di giocare un po' d'astuzia:-E poi ti avevo portato anche una sorpresa, però se non hai fame vorrà dire che la darò al signor Armando...

-Che sorpresa?- chiese Irene, evidentemente incuriosita. Rocco la guardò compiaciuto del fatto che il suo piccolo trucco stesse in qualche modo funzionando: inaspettatamente, i consigli di Marcello e Salvatore si erano rivelati più utili di quanto si sarebbe immaginato.

-E chi lo sa... Facciamo così, se mangi almeno metà del panino te lo dico.

Irene sospirò e gli regalò un sorriso abbozzato, ma sincero. -D'accordo. Grazie.

Anche Rocco tirò fuori il suo pranzo e decise che finalmente era ora di mangiare anche per lui. Lui e Irene rimasero lì così per un po', in silenzio l'uno accanto all'altra, ognuno assorto nei propri pensieri. Ma non era un silenzio imbarazzante, uno di quelli il cui peso ti fa vivere male il momento e porta i due interlocutori a sforzarsi per farsi venire in mente un qualsiasi argomento di conversazione, anche il più banale, qualcosa come il tempo o il cambio di stagione... In presenza di Maria, Rocco si era sentito così molto spesso. Lui era una persona di poche parole, non amava molto il superfluo o le convenzioni. Se doveva dire qualcosa la diceva, con un po' di tatto ma andando dritto al punto. E in quello si sentiva molto affine a Irene: era come se tra i due ci fosse una sorta di tacita comprensione. Con Maria invece, aveva come l'impressione che qualsiasi cosa dicesse, sempre quella sbagliata era. Che bastasse un niente per offenderla, per farla rimanere male, per creare incomprensioni. Come se lei si aspettasse qualcosa da Rocco che lui per natura, proprio per come era fatto, non era in grado di darle. Non sarebbe mai stato il tipo di ragazzo che riempiva la sua fidanzata di complimenti, smancerie, frasi dolci, mentre con Maria spesso gli sembrava che lei cercasse proprio quello, qualcuno che le desse costantemente attenzioni per colmare le sue insicurezze. Rocco però aveva tutto un altro modo di dimostrare affetto... Un modo che Irene, invece, riusciva a capire; o almeno era quello che sentiva.

Il silenzio, per lui, era un buon metro di misura per capire quanto una persona lo faceva sentire a proprio agio: se non sentiva la necessità di riempirlo con parole vuote, allora voleva dire che lui con quella determinata persona stava bene; il che non era affatto qualcosa che gli capitava spesso, anzi. E in quel momento, seduto accanto a Irene in una panchina fuori dal Paradiso, lui non sentì il bisogno di dire nulla, stavano entrambi bene così. Era il suo modo per dire “io sono qua, se hai bisogno di me ci sono, mi rende felice anche solo poter condividere il mio spazio e il mio tempo con te, perché voglio starti vicino”.

Dopo alcuni minuti, si accorse che Irene era arrivata ben oltre la metà del panino che le aveva portato. Del resto, modestamente, sapeva che il cibo della caffetteria non deludeva mai.

-Ah, menomale che non avevi fame, eh!- scherzò lui, strappando a Irene un mezzo sorriso e una piccola risata.

-Sai come si dice, l'appetito vien mangiando, no? - si giustificò lei, con la bocca mezza piena coperta dalla sua mano destra. Rocco la guardò e pensò che era bellissima. Avrebbe voluto poter vivere più momenti con lei di quel tipo, senza dover sempre stare con il pensiero che qualcuno potesse arrivare e vederli. E invece tra il lavoro, Armando e la Moreau, la famiglia di lui e le coinquiline di lei, i momenti che avevano da passare assieme erano veramente pochi.

-Se se, mangia mangia, ava', - rispose lui ironico.

-Allora, non me la sono meritata questa sorpresa?- obiettò poi Irene, che aveva ormai quasi terminato il suo pranzo. Rocco la osservò fingendosi pensieroso per alcuni istanti, come se stesse dibattendo internamente la questione.

-Vabbè, per questa volta sì... - scherzò lui, -ma non ti ci abituare, ah. Ecco, tieni.

Rocco le porse quindi il piccolo dolce che si era fatto minuziosamente incartare da Salvatore e che aveva appositamente lasciato dentro la busta che il cugino gli aveva dato, per tenerlo nascosto da Irene. La ragazza spacchettò subito l'involucro, strappandolo con decisione e con ben poca delicatezza, evidentemente spinta dalla curiosità; i suoi occhi sembrarono come illuminarsi alla vista della fetta di torta al cioccolato preparata quella stessa mattina da Sofia. Era una delle ultime rimaste, Rocco aveva dovuto fare carte false per convincere Salvo a lasciargliela; ma alla fine, in qualche modo ce l'aveva fatta.

-Ma! - esclamò Irene, sorridendo felice.

-Hai visto che servizio? Non solo ti ho portato il pranzo ma pure il dolce, meglio delle principesse.

Irene rise di nuovo e si strinse nelle spalle, e Rocco sentì un altro tuffo al cuore. Come avrebbe voluto dimenticarsi di essere davanti al Paradiso, di Maria, della sua famiglia, delle altre veneri, ignorare tutto il resto e pensare solo a loro due, Rocco e Irene. E poi prendere il suo viso tra le mani e baciarla, proprio come aveva fatto lo scorso venerdì. Ma in fondo, anche se non poteva farlo andava bene lo stesso; al momento, gli bastava avere Irene vicina.

-Grazie, - gli disse Irene con un sorriso sincero.

Poi si sporse in avanti e gli diede un bacio sulla guancia, come in passato aveva già fatto tante volte. Rocco avvertì quella sensazione familiare di morsa allo stomaco e fece del suo meglio per ignorarla; era un bene che Irene Cipriani non fosse a conoscenza del potere che aveva su di lui.

-Figurati, e di che, - rispose lui timidamente, mentre si sentiva arrossire. -Cosa fai? - domandò poi, vedendo che Irene stava dividendo la fetta in due parti uguali.

-Facciamo a metà, - propose lei, -per 'sta volta te la sei meritata.

-Ma no che dici Irè, mangiatela tu, sono più contento così sul serio, - le assicurò lui. Era stato un gesto che Rocco si era sentito di fare spontaneamente e senza pretendere né segretamente desiderare nulla in cambio, se non di regalare a Irene un piccolo momento di serenità.

-Sai, ti volevo chiedere una cosa, - iniziò poi lui, riuscendo finalmente a toccare l'argomento che gli interessava. -Questa mattina è passata Gabriella in magazzino, voleva invitarci alla festa di sabato sera, per festeggiare che lei e il marito partono per Parigi. A me non è che interessa più di tanto, però il signor Armando insisteva, dice che ci dobbiamo andare tutti, che siamo un gruppo, se no poi facciamo una brutta figura... Tu per caso ci vieni?

Irene annuì. -Vedo che i Bergamini stanno promuovendo il grande evento, - commentò ironica. Rocco per un attimo aggrottò le sopracciglia. I Bergamini? Lui aveva parlato solo con Gabriella. -Comunque sì, noi veneri andiamo tutte, - proseguì poi la ragazza, per rispondere alla sua domanda. -Probabilmente le altre a quest'ora saranno da qualche parte a parlare di cosa mettersi o cosa portare.

La ragazza diede il primo morso alla sua fetta, facendo bene attenzione a non sporcarsi e allo stesso tempo a non macchiarsi di cioccolato. Rocco la guardò più confuso di prima. Cosa voleva dire Irene? Perché aveva parlato delle altre e non di se stessa? Forse aveva litigato con loro? Rocco la osservò preoccupato per un paio di secondi. Sapeva quanto Irene teneva alle sue amiche e non voleva certo che si allontanasse da loro... nonostante fosse curioso, Rocco preferì cercare di mantenere una certa discrezione, perché, di nuovo, non era il tipo di persona a cui piaceva chiedere, e soprattutto, non era il tipo di persona a cui piaceva farsi gli affari degli altri (al contrario di Irene, che invece nascondeva una piccola pettegola dentro di sé; anzi, il più delle volte neanche si sforzava così tanto per tenerla nascosta).

-Come mai non sei andata a pranzo con loro?- domandò infine, preferendo un approccio più discreto, ma mostrando comunque il suo interesse verso la questione. Poco prima in caffetteria aveva visto soltanto Sofia, ma magari le altre erano rimaste dentro in spogliatoio.

-Così, volevo starmene un po' da sola... - rispose semplicemente Irene, scuotendo le spalle. -Non mi riferisco a te ovviamente, - si affrettò a specificare la ragazza, in un secondo momento. -Tu non mi dai fastidio, con te è diverso.

Rocco le sorrise. Aveva avvertito lui stesso che Irene apprezzava la sua presenza e la sua compagnia, e sapeva che quelle parole erano la cosa più simile a “sei importante per me” a cui lei potesse arrivare, e appunto, a Rocco sicuramente non interessava sentirselo dire. Però a una parte del suo ego senz'altro faceva piacere, per cui decise di insistere almeno un pochino sulla questione:-Ah sì? Diverso come?

-Non lo so, diverso e basta, - disse Irene. Poi, dopo una breve pausa, si spiegò meglio: -Ti capita mai di parlare con le altre persone e sentire soltanto rumore?

-Rumore?- chiese Rocco, aggrottando la fronte. Non era sicuro di seguirla nemmeno in quel frangente...

-Sì, esatto, rumore, e tu ti devi sforzare di capire, ti devi sforzare di parlare, ti devi sforzare e basta. Ecco, oggi è uno di quei giorni in cui stare con gli altri mi fa questo effetto.

-E io non faccio rumore?- le chiese Rocco. Non gli era sempre facile capire Irene, ma sapeva che valeva la pena di tentare.

-No, tu no, - rispose lei. -Con te è diverso... con te è più un suono. È più un qualcosa di simile a un sottofondo piacevole e rilassante, tipo l'acqua che scende dalla brocca, o la pioggia. Tu non mi richiedi sforzi.

Rocco fu colto alla sprovvista da quella inaspettata dichiarazione e in un primo momento non rispose. In realtà aveva capito perfettamente a cosa si stesse riferendo Irene, ed era simile a ciò che sentiva lui per lei: non aveva bisogno di sforzarsi quando era con lei, si sentiva libero di esprimersi senza avvertire il peso di alcuna pressione o aspettativa.

-Scusa, non farci caso, probabilmente non ha tanto senso, - aggiunse infine Irene, evidentemente un po' imbarazzata da quella confessione. Rocco sapeva che Irene non si lasciava andare molto facilmente, e anche quelle parole apparentemente semplici dovevano esserle costate un certo sforzo.

-Comunque è molto buona la torta, fa' i complimenti a Salvatore.

La ragazza si pulì le mani con il tovagliolo che Rocco le aveva dato insieme al dolce, una volta finito di mangiare.

-È Sofia che l'ha preparata, mica mio cugino, a lei ci devi fare i complimenti, - precisò lui, -vedi che quella ragazza ha talento, va'. Qualche volta se ti va puoi venire a pranzo da noi e ti faccio assaggiare qualcos'altro, qualche specialità siciliana.

-A pranzo da voi?- chiese lei, immediatamente allarmata, come se non avesse capito bene. Rocco sospirò. A giudicare dallo sguardo della ragazza, ci impiegò pochi istanti a capire che, come già immaginava, quella proposta non la entusiasmava affatto.

-Scusa, hai ragione, fa' finta che non ho detto niente, - concluse lui. Gli era venuto spontaneo farle quella proposta, preso dal momento e dalla contentezza che aveva provato a causa delle parole di Irene, un po' confuse ma a loro modo significative. Il suo rifiuto gli aveva fatto più male di quanto non desse a vedere, ma non voleva che Irene se ne accorgesse; non lo aveva detto certo per farla sentire in colpa di proposito, o metterle pressioni. Era soltanto che per lui portare Irene a pranzo a casa sua, da sua zia e il resto della sua famiglia, sarebbe stato qualcosa di importante, che lo avrebbe reso felice. Ci aveva messo mesi per capirlo, ma adesso più che mai era certo che Irene era la persona giusta per lui; se lo sentiva. E voleva che tutti attorno a lui, attorno a loro, se ne rendessero conto, che anche le persone a lui care riuscissero a vederla per quella che realmente era, voleva mostrare con orgoglio la donna meravigliosa che aveva al suo fianco. E se Rocco prima era stato sfiorato da qualche piccolo dubbio passeggero, adesso era sicuro che anche per Irene era lo stesso. Fu principalmente per questo motivo che, in quel preciso momento, il ragazzo la salutò, si alzò e se ne andò: dentro di sé, sapeva che presto Irene sarebbe tornata da lui.

 

Note dell'autrice

Ci tengo particolarmente a dare i crediti alla mia coinquilina Ilenia per la metafora dell'acqua che scende dalla brocca visto che è un'invenzione sua alla quale tiene molto, lei sa <3

In questo capitolo ho seminato vari indizi qua e là, chissà se qualcuno li ha colti. Originariamente avrei voluto scrivere anche la scena di Irene e Stefania e il loro confronto, ma visto che il capitolo era già lungo così ho pensato di inserirla più avanti e lasciare il mistero sulla ragione per la quale Irene era pensierosa, prima che Rocco le tirasse su il morale. Grazie a tutti quelli che leggono questi deliri e hanno pazienza di attendere i miei aggiornamenti, significa tanto per me.

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Capitolo 4
*** IV. Prufrock e altre osservazioni ***


IV. Prufrock e altre osservazioni *
 
Stefania Colombo era il tipo di persona che tendenzialmente apprezzava le feste, per quanto la sua esperienza di feste fosse decisamente limitata alle poche occasioni sociali a cui aveva preso parte. Le piaceva stare insieme ad altre persone, le piaceva avere compagnia, visto e considerato soprattutto quanto spesso si era sentita sola e trascurata nei suoi primi diciott'anni di vita, le piaceva ascoltare la musica attraverso il giradischi e scambiare due chiacchiere con le sue amiche per commentare con loro gli ultimi avvenimenti mondani di cui aveva letto nelle riviste che solitamente le tenevano compagnia nei momenti morti. Insomma, per quanto non fosse la persona più espansiva del mondo, Stefania apprezzava l'essere circondata da altri esseri umani diversi dalle clienti del Paradiso. E sicuramente apprezzava quando tutto ciò accadeva in un posto come villa Bergamini.
 
A discapito delle sue (ragionevoli) paure iniziali, la serata non stava andando poi così male: lei e Pietro avevano ballato insieme qualche canzone, Dora e Anna si erano buttate sul cibo al tavolo del buffet per riempire il vuoto emotivo causato dall'assenza di un accompagnatore, Paola era raggiante mentre finalmente aveva l'occasione di condividere la sua ricetta dell'ossobuco con le altre mogli presenti (naturalmente ostentando tutta la sua esperienza e competenza), la signorina Moreau stava chiacchierando da ormai diverso tempo con la signora Conti, sedute su due delle tante sedie del salotto (e da quando erano amiche? Stefania si era forse persa qualcosa?), Sofia stava fraternizzando con alcune operaie della ditta Palmieri insieme al signor Ferraris, mentre Cosimo e Federico stavano parlando di qualcosa che a giudicare dalle facce annoiate e un po' stanche di Ludovica e Gabriella, sedute accanto ai due uomini, doveva risultare molto poco interessante (evidentemente doveva essere piuttosto grave la faccenda, visto che Federico avrebbe potuto parlare per ore anche di tendaggi e sarebbe comunque stata la cosa più emozionante del mondo, almeno per lei). La musica swing che usciva dal giradischi si stava riversando all'interno della stanza e sembrava stesse quasi scandendo il ritmo di tutte quelle conversazioni, quelle interazioni sociali, quegli incontri, che stavano accadendo esattamente allo stesso momento e nello stesso posto e al ritmo della stessa musica. In qualche modo, era quasi come se fosse il punto di incontro di tutte quelle diverse esperienze, discorsi e percezioni. O chissà, forse erano soltanto i due bicchieri di champagne che aveva bevuto (che Pietro le aveva fatto bere, approfittando del fatto che sua madre fosse distratta) a farle fare certe riflessioni un po' sconclusionate.
 
Il tono leggero, allegro, dinamico e conviviale della musica in qualche modo rifletteva anche l'atmosfera della stanza, per cui forse in fondo quell'analogia un fondamento alla base avrebbe anche potuto averlo. Guardandosi intorno mentre attendeva che Pietro ritornasse, andato a prendere da bere per entrambi dopo l'ultimo ballo, Stefania pensò che era inaspettatamente contenta del fatto che le cose stessero andando meglio di quanto aveva immaginato. Il suo cervello aveva già predetto un esito a dir poco catastrofico, vista la stabilità emotiva praticamente inesistente di Irene dell'ultima settimana unita all'obiettivo generale della “missione magazzino” (se non altro erano riusciti nel loro intento di convincere Maria a rimanere a casa e prendersi un po' di tempo per se stessa, e il fatto che la signora Amato si fosse offerta di tenerle compagnia per non farla sentire sola come scusa per non doversi presentare a casa di Cosimo Bergamini, che palesemente non sopportava, sicuramente era stato un altro punto a loro favore), e invece, contrariamente ad ogni presagio nefasto Irene stava... stava... Stefania si guardò attorno, alla ricerca dell'amica. Già, dov'era finita Irene? Ora capiva perché l'atmosfera nella stanza era così serena e rilassata. Era stata così presa dalle conversazioni con le sue amiche e con Gabriella e poi con Pietro che aveva finito per perdere completamente di vista la sua amica, complici anche quei due subdoli bicchieri di champagne! Adesso che ci pensava meglio, quando era stata l'ultima volta che l'aveva vista? Sarà stata almeno una mezz'oretta che Irene non si vedeva nei paraggi!
 
Niente panico, mantieni la calma, sicuramente c'è una spiegazione logica.
 
-Ecco a te, - arrivò Pietro a distoglierla dai suoi pensieri mentre le porgeva un bicchiere pieno di aranciata, come espressamente chiesto dalla ragazza.
 
-Grazie mille, - replicò lei, con un sorriso di sincera riconoscenza sulle labbra. Aveva davvero bisogno di dissetarsi. Stefania si portò il bicchiere alle labbra per bere un sorso di aranciata, poi si girò verso il ragazzo e domandò, abbassando leggermente la voce:
 
-Pietro, per caso hai visto Irene mentre prendevi da bere?
 
-Irene? No, perché?
 
Pietro girò immediatamente lo sguardo verso il resto della sala e la ispezionò con circospezione, forse nella speranza di trovare la venere mancante. La camicia bianca che stava indossando per l'occasione gli stava un po' stretta, pensò tra sé e sé Stefania mentre lo osservava silenziosamente; forse era di qualche anno prima e la signora Conti non aveva voluto spendere soldi per prenderne una nuova, che probabilmente avrebbe usato soltanto per la festa. Comunque non gli stava male, nonostante le dimensioni un po' ridotte; avrebbe dovuto vestirsi così più spesso.
 
-È da un po' che non la vedo, chissà che fine ha fatto... - spiegò lei per rispondere alla sua domanda, con una punta di preoccupazione nella voce. Del resto tra poco sarebbe stato il momento della torta e tutti i loro amici e colleghi erano radunati lì in salotto, o perlomeno la maggior parte di loro. Adesso che ci faceva caso, non mancava anche qualcun altro? Forse era solo una sua impressione...
 
-Beh, se per questo anche Rocco non si vede da un po'.
 
L'occhiata silenziosa che i due ragazzi si scambiarono in quel momento fu ben più eloquente di qualsiasi parola avrebbero potuto dirsi. Che il loro piano fosse andato a buon fine, dopotutto?
 
-Tu dici che...?- accennò lei, senza voler dire apertamente ciò che era certa stesse pensando anche il suo interlocutore.
 
Pietro era sul punto di dire qualcosa, ma ad un tratto si bloccò. Lo sguardo perplesso e l'espressione preoccupata che stava mostrando non promettevano niente di buono. Stefania si girò, curiosa di scoprire cosa avesse catturato la sua attenzione, e in un attimo si maledisse per aver ridicolizzato pochi istanti prima le tendenze catastrofiste del suo cervello.
 
-Si può sapere chi di voi cretine devo ringraziare per avermi rovinato la serata?!-, fu la prima cosa che disse un'Irene Cipriani molto, molto arrabbiata.

 
Qualche tempo prima
 
In un angolo del salotto di casa Bergamini, Rocco Amato si guardava intorno con un'aria a dir poco sperduta. Giusto due minuti fa era arrivato, e già aveva incominciato a sentire il forte desiderio di andarsene via il prima possibile. Avrebbe dovuto dare ascolto a sua zia e restare a casa, quel genere di cose non facevano proprio per lui; e invece si era fatto intortare da tutte le chiacchiere di Pietro e del signor Armando, perché è importante per Gabriella, perché se non vai poi fai brutta figura, poi c'è la musica, il cibo, ti diverti... e invece, appena dopo essere arrivato, aver salutato i padroni di casa e posato la giacca leggera che si era portato (casa di Gabriella e suo marito era così grande che ci stava addirittura una stanza apposta per i cappotti! Pensare che lui invece doveva dormire insieme a suo cugino, e pure nello stesso letto), il suo capo lo aveva abbandonato senza rimorsi per andare a parlare con la capocommessa, lasciandolo completamente solo in terra nemica. Rocco era rimasto in un angolino sperando che Pietro arrivasse presto, mentre intanto si guardava attorno cercando di capire dove stava il cibo. Lo avrebbe anche chiesto ai domestici in giro per la stanza che portavano da bere, ma poi magari pareva che era venuto lì solo per quello (cosa che un po' era vera, in parte), allora aveva pensato che forse era meglio aspettare un po'. Peccato che gli sembrava che il tempo non passasse mai.
 
Nemmeno le veneri c'erano ancora, le uniche già là erano Paola e Sofia, intente a mangiare delle pizzette in piedi. Era tutto così strano per lui, che era abituato a mettersi comodo a tavola la sera e starci ore, con tutta la calma del mondo. Che razza di cena era una in cui gli ospiti dovevano portare il cibo e mangiare senza nemmeno stare seduti allo stesso tavolo, tutti insieme? Quasi quasi avrebbe potuto andare a parlare con le ragazze e cercare di capire a chi doveva chiedere per mangiare, magari loro potevano dir...
 
-Buonasera!
 
Quel saluto squillante accompagnato da una pacca sulla spalla fin troppo energica fecero guadagnare a Pietro Conti un'occhiataccia tutt'altro che amichevole, dalla quale l'altro ragazzo non sembrò per nulla intimorito, a giudicare dalla sua espressione divertita e un po' strafottente.
 
-Oh Piè! Mi hai fatto prendere un colpo, scimunitu!, - lo salutò Rocco, enfatizzando in modo un po' teatrale lo spavento che aveva preso per colpa sua. Da quando in qua uno si presenta così, arrivando alle spalle della gente?! Sperava soltanto che Ir- che nessun altro lo avesse visto.
 
-Te ne stavi lì imbambolato, sembravi incantato, - lo prese in giro Pietro, -ho pensato, magari così lo sveglio un po'.
 
-Simpatico, - puntualizzò Rocco con freddo sarcasmo, mentre con lo sguardo scansionava la stanza. Vide la ragazza che aveva accolto lui e il signor Armando poco prima avvicinarsi all'ingresso, ma con tutta quella gente non riusciva a vedere bene. Che stesse arrivando qualcuno?
 
-Dai su si scherza, non te la prendere, - puntualizzò l'amico, dandogli una lieve pacca amichevole sul braccio destro in un tentativo di riappacificazione. Rocco però non sapeva se poteva cavarsela così facilmente, visto lo spavento che gli aveva fatto prendere. -Piuttosto, che stai facendo qua?, - cambiò poi argomento l'altro.
 
-Niente, ti stavo aspettando, - gli rispose. -Il signor Armando è andato a parlare con la Moreau e mi pareva male intromettermi. Tu ora sei arrivato?
 
-Sì, mia mamma ci ha messo una vita a prepararsi, non puoi capire, pensare che di solito in tre secondi è pronta. Sarà l'effetto dei Bergamini.
 
Rocco tra sé e sé si sentì rassicurato del fatto che non fosse l'unico a sentirlo, perché aveva come l'impressione che anche quella serata ci avrebbe messo una vita a passare. Poi si voltò verso la porta d'ingresso e vide Irene entrare, e in quel momento il tempo gli sembrò proprio fermarsi.

 
Nell'angolo opposto del salotto di casa Bergamini, Irene Cipriani si guardava intorno con un'aria a dir poco affascinata. Non era la prima volta che visitava la sontuosa residenza, certo, ma vederla piena di ospiti, con la musica e le decorazioni e i domestici pronta a servirla e riverirla a comando le faceva un certo effetto, per quanto si fosse divertita nella serata informale che lei, Gabriella e le ragazze avevano organizzato qualche mese prima. Certo, alla fine gli invitati erano soltanto gli amici più stretti di Cosimo e Gabriella e gran parte dei presenti lavorava al Paradiso, proprio come loro, ma era comunque un tipo di cerimonia a cui lei non era affatto abituata, e che non disdegnava nella maniera più assoluta. D'altra parte tutti gli (ex?) amici del Bergamini ora non le interessavano nemmeno più, da quando aveva trovato anche lei un...
 
No, non ci pensare. Siamo venute qui questa sera apposta per non pensare, non rovinerai i miei piani. Guarda, dell'alcol!
 
-Guardate, champagne!, - disse ad alta voce Irene, alludendo al ragazzo che stava passando in quel momento con un vassoio pieno di bicchieri. Il ragazzo si avvicinò a lei e le sue coinquiline con un sorriso educato, e sia Irene che Anna presero un bicchiere.
 
-Per me no grazie, - lo congedò Stefania, ricambiando il sorriso. Viste le occhiate perplesse che le rivolsero le altre due, la ragazza fu spinta a spiegarsi:
 
-Che c'è? La zia Ernesta è stata molto chiara, niente alcol prima dei ventun anni. Soprattutto se sono con estranei!
 
-Ma che estranei, magari, siam sempre i soliti quattro gatti, - la prese in giro Irene, -e poi tua zia non c'è, per una volta puoi farlo uno strappo alla regola.
 
-Questa volta mi dispiace dirlo ma sono d'accordo con Irene, - le diede ragione Anna, portandosi alla bocca il suo bicchiere. Irene fece lo stesso e mandò giù alcuni sorsi di champagne, mentre teneva lo sguardo fisso sulla sua coinquilina. Non voleva guardarsi intorno per vedere se una certa persona fosse presente o meno, sia perché non avrebbe dovuto interessarle, sia perché sapeva che se lo avesse saputo avrebbe inevitabilmente cominciato a farci caso e prestarci attenzione, ed era l'ultima cosa che voleva. Per cui, si forzò di mantenere la concentrazione su Stefania e seguire la conversazione. La musica in sottofondo era un po' distraente, ma riusciva comunque a sentire le voci delle due ragazze senza sforzi.
 
-In fondo per una sera te lo puoi permettere, soprattutto visto che siamo tra amici.
 
-Già il fatto che si sia messa il vestito che le abbiamo regalato per il compleanno è un evento, - la prese in giro Irene, alludendo alla variante dell'abito british che Stefania si era finalmente degnata di indossare -se poi la portiamo anche sulla via dell'alcolismo con un bicchiere di champagne è la fine, sua zia non la riconosce più.
 
-Scema!- protestò Stefania, ridacchiando, -è che adesso c'è tanta gente, cosa penserà poi di me la signorina Moreau, ad esempio?
 
-Che sei una ragazza normale?- fece Irene. Ormai conosceva bene la tendenza di Stefania a preoccuparsi troppo di quello che gli altri pensavano, e in realtà poteva capirla meglio di quanto l'altra potesse immaginarsi. Semplicemente lei era più brava a nasconderlo.
 
-Ma infatti, lei per prima sarà contenta che ti stai divertendo, - l'appoggiò ancora una volta Anna.
 
-Secondo me tempo un'ora e sarà già al secondo bicchiere, - predette Irene, che, di nuovo, ormai conosceva bene la sua amica. Non appena l'offerta sarebbe arrivata da qualcuno che Stefania non conosceva troppo bene e con cui aveva un certo grado di confidenza, ma comunque non troppo elevato, probabilmente le sarebbe dispiaciuto dire di no e farlo rimanere male e quindi avrebbe finito con l'accettare, il che l'avrebbe portata a lasciarsi andare e godersi di più l'atmosfera. Ormai la sua coinquilina era come un libro aperto per lei.
 
-Intanto andiamo a salutare Gabriella, poi vediamo, - rimase vaga Stefania, mentre si guardava attorno per cercare di localizzarla. -A proposito, voi l'avete vista?
 
-No in effetti, - rispose Anna, ispezionando a sua volta la stanza. Irene mantenne lo sguardo sul suo bicchiere e se lo portò un'altra volta alle labbra, questa volta per svuotarlo. Avrebbe avuto bisogno di bere ancora per riuscire a distrarsi come avrebbe voluto. -Io vado a cercarla, voi intanto posate la crostata sul tavolo.
 
-D'accordo, - assentì Stefania, che si diresse verso il tavolo del buffet accompagnata da Irene.
 
-Guarda quante cose!- esclamò la venere meravigliata, osservando tutti i vari stuzzichini, dolci e piatti vari portati dagli altri ospiti. Anche Irene aveva apprezzato l'idea originale di non organizzare una cena formale, in favore di qualcosa di un po' più dinamico: non sopportava di dover stare seduta ore e ore soltanto a mangiare, ed essere costretta a parlare soltanto con le persone che le capitavano vicino. Non si era certo aspettata che i Bergamini cogliessero il suo suggerimento quando lo aveva proposto, a dire la verità, ma era contenta che qualcuno stesse finalmente apprezzando la genialità e l'innovazione delle sue idee.
 
-Tu prendi qualcosa?- le chiese poi Stefania, guardando il tavolo con le varie cibarie.
 
-Magari più tardi, - rispose Irene, pensando che se a breve Cosimo e Gabriella sarebbero arrivati per salutarle era meglio che non si facesse trovare con le mani occupate e la bocca piena. Sperava solo che ci avrebbero messo poco: tra torte salate, pasta al forno e polpette al sugo, resistere non era affatto semplice. Inevitabilmente, la sua mente si chiese quale delle tante cose che c'erano era stata portata da Rocco, se avesse provato a cimentarsi ai fornelli un'altra volta in vista di quell'occasione, proprio come aveva fatto quando le aveva portato quella pasta scotta, tanti mesi prima.
 
-Secondo te siamo arrivate in ritardo?- domandò poi Stefania, intenta a osservare il resto della sala. In effetti c'erano persone già sedute da qualche parte a mangiare, altre in piedi con solo un bicchiere in mano, altre ancora stavano ballando in mezzo al salone.
 
-Rilassati, non siamo al lavoro, non c'è nessun orario di apertura, - la prese in giro Irene dolcemente. -Chi vuoi che faccia caso a noi.
 
Stefania accennò ad un sorriso. -Giusto, hai ragione. Sarà che con il lavoro... - iniziò la ragazza, allungando una mano per prendere una pizzetta. Irene ebbe la tentazione di imitarla, ma si trattenne. Stava incominciando a sentire la fame anche lei, a dire la verità.
 
-Ecco, appunto, basta parlare di lavoro per piacere. Piuttosto, vedi qualcuno di interessante qui stasera? Quando Gabriella ci aveva invitate io mi ero immaginata che avremmo conosciuto gente nuova, e invece vedo sempre le solite facce, - mormorò lei con disappunto, mentre si guardava attorno per studiare la stanza. A dire la verità non era interessata a trovare un potenziale marito ricco, non per sé stessa perlomeno, semplicemente era curiosa di sapere chi fosse presente e, in generale, di conoscere gente nuova; magari sarebbe venuto alla luce qualche interessante pettegolezzo sulla Milano per bene che Stefania quasi idolatrava. Una parte di sé poi sperava anche che fosse finalmente la volta buona che la sua amica riuscisse a togliersi dalla testa Federico e guardarsi un po' attorno, magari che iniziasse a interessarsi a qualcuno con cui avere un rapporto reale, e che non la trattasse come una specie di cuginetta. E invece niente, a parte qualche volto un po' più insolito, ma comunque non del tutto sconosciuto, come ad esempio Ludovica Brancia di Montalto, Irene non vedeva né potenziali spunti di pettegolezzi, né potenziali fidanzati per Stefania. Se non altro c'era il cibo.
 
-Beh, Gabriella lo aveva detto che era una festa tra amici, - puntualizzò l'altra venere.
 
-Devono averne persi parecchi quando si sono messi contro i Guarnieri, - commentò ad alta voce Irene, realizzando che forse era un commento un po' insensibile da dire ad alta voce, o che magari sarebbe stato meglio esternare in un'altra occasione, e soprattutto in un'altra sede. Per fortuna nessuno pareva averle sentite.
 
-Allora non erano veramente loro amici, - fece presente Stefania, -altrimenti non li avrebbero abbandonati nel momento del bisogno. Io penso che se uno vuole veramente bene a una persona non le sta vicino soltanto quando fa quello che gli altri si aspettano, ma dovrebbe cercare di capirla e sostenerla sempre, a prescindere.
 
Irene fu presa alla sprovvista da quella strana pseudo massima filosofica uscita dalla bocca dell'amica. Che si stesse implicitamente riferendo a lei, che avesse capito qualcosa? Prima c'era stata quella strana conversazione di lunedì sera a lasciarla un po' perplessa, e poi per tutto il resto della settimana Stefania aveva continuato a fare commenti di questo genere infilandoli un po' in ogni discorso, rimarcando quanto sia importante fidarsi delle amiche, che le persone che ti vogliono bene ti stanno vicine a prescindere e ti sostengono... Insomma, Irene stava cominciando a nutrire il forte sospetto che Stefania sapesse ben più di quanto non ammettesse riguardo a lei e Rocco, e che come al solito stesse miseramente fallendo nell'essere discreta e non darlo a vedere. Se c'era qualcuno incapace di mentire quella era proprio Stefania, anche per quello Irene aveva preferito non dirle nulla della faccenda e tenersi tutto per sé; con Maria in casa con loro sicuramente l'avrebbe messa in una posizione scomoda, il che era esattamente quello che Irene voleva evitare, sia per sé stessa sia per il bene della stessa Stefania. Già durante i loro primi appuntamenti le aveva messo una pressione assurda addosso affinché fosse Onesta (con la O maiuscola) e dicesse tutto a Maria e alle altre, mancava solo che la spingesse a fare un comunicato ufficiale al dottor Conti. Se poi avesse saputo che stava diventando addirittura una cosa Seria (sempre con la S maiuscola) probabilmente avrebbe spinto per il matrimonio. Va bene, forse adesso era un po' ingiusta nei confronti dell'amica, del resto pensare al matrimonio con alle spalle solo un paio di settimane di frequentazione sarebbe stato segno di squilibrio mentale, soltanto qualcuno con una mentalità retrograda e antiquata, ma proprio di stampo medioevale, avrebbe potuto pensarci, e Stefania non era certo così.
 
In ogni caso, se la sua intuizione non la ingannava e i suoi sospetti erano corretti, per qualche ragione ora l'amica sembrava aver cambiato idea e volerla spingere verso Rocco. Irene avrebbe anche potuto confrontarla apertamente e chiederle cosa esattamente sapesse di loro due, ma avrebbe significato esporsi troppo e dargliela vinta, perché sapeva che questo era esattamente l'obiettivo di Stefania. Se voleva continuare a parlare in modo indiretto e far finta di niente, Irene sarebbe stata al gioco.
 
-Beh, Cosimo ha accusato pubblicamente Umberto Guarnieri di aver ucciso suo padre senza averne le prove, e ha anche rovinato la premiazione di Gabriella al circolo. Se io fossi nei panni del commendatore o della sua famiglia, nemmeno io lo vorrei più vedere.
 
Non che Irene lo volesse accusare o parteggiasse per i Guarnieri, non conosceva abbastanza i dettagli della vicenda per prendere posizione e da quel poco che aveva visto del Bergamini, le sembrava una persona sveglia e caparbia. Se aveva fatto quello che aveva fatto sicuramente doveva avere le sue ragioni; semplicemente, voleva vedere fin dove si sarebbe spinta Stefania.
 
-Magari ha anche ragione, - commentò Stefania, -che cosa ne sappiamo noi?
 
-Quindi tu al posto di Guarnieri o la contessa di Sant'Erasmo stasera saresti venuta a salutarlo portando un bel croque monsieur?
 
-Ma che discorsi, certo che no, - protestò Stefania. -Però Gabriella è rimasta al suo fianco e ha capito le sue ragioni, perché lo ama. E noi che vogliamo bene a Gabriella infatti siamo tutti qui a darle il nostro sostegno, no?
 
-Sì, certo - rispose Irene, -ma alla fine è tutta una questione di prospettive. Noi non siamo state coinvolte direttamente nella vicenda, i Guarnieri sì. Per alcune persone è più difficile accettare certe cose, non pensi?
 
Stefania rimase un po' interdetta dalla risposta. Forse anche lei stava cominciando a capire che dietro alle sue allusioni si nascondeva altro?
 
-Beh, mi sembra che Cosimo e Gabriella riescano a vivere felicemente anche senza l'approvazione dei Guarnieri, no? Hanno gente fidata attorno, stanno per andare a vivere a Parigi dove entrambi potranno fare un lavoro che amano e che li renderà felici. Forse se avessero continuato a inseguire l'approvazione dei Guarnieri sarebbero stati condannati all'infelicità.
 
D'accordo, Stefania aveva ragione e Irene lo sapeva, ma del resto mica si potevano trasferire a Parigi anche lei e Rocco. Lui stava ancora perfezionando il suo italiano, figuriamoci se poteva mettersi ad imparare il francese.
 
-E io che pensavo che il circolo fosse il tuo posto preferito in tutta Milano, - scherzò Irene, -se riferissi a loro questa conversazione avrei abbastanza materiale per farti bandire, lo sai? - la minacciò scherzosamente.
 
-Veramente il mio posto preferito è sempre stato e sempre sarà “Il Paradiso delle Signore”, - dichiarò Stefania con solennità.
 
-Solo perché ogni mattina ci trovi Federico Cattaneo, adesso che non ci vivi più insieme, - obiettò Irene.
 
-D'accordo, Federico potrebbe essere una piccola parte della motivazione, - convenne la sua compagna di stanza, strappando a Irene un sorriso. -Però ci sono tante altre persone a cui siamo legate, come ad esempio la signorina Moreau, il signor Ferraris, gli altri magazzinieri...
 
Ecco, e improvvisamente Irene ebbe la sensazione di sapere dove stesse andando a parare quella conversazione e non le piacque, non le piacque per nulla.
 
-Come ad esempio il signor Amato, Pietro... Rocco... A proposito, perché non li andiamo a salutare? Se ne stanno là in un angolo tutti soli, magari gli farà piacere, - propose Stefania, indicando con un cenno del capo discreto l'angolo del salone in cui i due ragazzi si trovavano, intenti a scherzare.
 
Non era la prima volta che Irene vedeva Rocco vestito elegantemente (pseudo elegante, ma comunque anche solo una semplice camicia e il paio di pantaloni buono che aveva erano un bel salto di qualità rispetto alla divisa da magazziniere in cui era abituato a vederlo quotidianamente), ma comunque le sortiva sempre un certo effetto, non poteva negarlo. Il suo sguardo si fermò su di lui più di quanto avrebbe dovuto, e anche nel caso (improbabile) in cui Stefania non avesse intuito niente, ora sicuramente doveva aver avuto perlomeno qualche sospetto, perlomeno a giudicare dall'occhiata incuriosita che le rivolse. Non appena Irene realizzò che lo stava fissando, si affrettò a distogliere lo sguardo per riportarlo sulla sua interlocutrice. Per fortuna lui non si era accorto di nulla, troppo preso dalla conversazione con Pietro. Chissà di cosa stavano parlando... non che le interessasse, certo.
 
-Quei due?- commentò Irene, forzandosi di sembrare scettica -A me sembra che si stiano divertendo, probabilmente staranno parlando di ciclismo come loro solito, che vuoi che gli interessi di venire a sentire i pettegolezzi su Umberto Guarnieri e Parigi.
 
-Ah sì? Non lo so, forse è una mia impressione ma Rocco si è girato a guardarti più volte da quando siamo entrate, forse gli interessa anche altro oltre il ciclismo... - rivelò Stefania in tono allusivo.
 
Irene sentì all'improvviso le guance diventare di una tonalità rosso accesa, e dovette seriamente sforzarsi per impedirsi di chiederle se davvero anche Rocco la stesse fissando. Certe volte odiava la contraddizione vivente che era: voleva affetto dalle altre persone, eppure non lasciava che si avvicinassero oltre un certo limite. Voleva confidarsi con le sue amiche, eppure non riusciva ad essere totalmente sincera ed aprirsi. Voleva tenere Rocco a debita distanza, eppure si entusiasmava quando Stefania le diceva che la stava guardando. In effetti starle vicino non doveva essere semplice per quelli che la circondavano, visto e considerato che spesso faceva fatica anche lei in prima persona a gestire sé stessa e le sue emozioni.
 
-Ah sì? Non ci ho fatto caso, - rispose Irene, fingendo indifferenza alla notizia. Però era vero che non se ne era accorta, si era costretta a non guardarlo apposta per evitare piccoli incidenti come quello.
 
Maledetto Rocco, non poteva essere più discreto? Ora sicuramente Stefania vorrà parlare di questa cosa prima o poi, e non ne ho assolutamente voglia. Almeno fintanto che siamo circondate dagli altri non farà tante domande, o almeno spero.
 
Sì ma anche tu però potevi essere più discreta! Da come lo hai guardato lo avrebbe capito chiunque che vuoi soltanto che ti porti in una stanza, ti prenda tra le sue braccia e...
 
Nemmeno alle feste mi lasci un po' di tregua, non ne posso più di te.
 
-Per forza, gli stai dando le spalle, - obiettò Stefania, rispondendo all'osservazione di Irene. -Secondo me saranno loro a venire a salutare noi, ben prima di quanto immagini.
 
Niente panico, non succederà, non è così stupido.
 
Irene seguì lo sguardo di Stefania e si voltò verso i due magazzinieri, che avevano lasciato la loro postazione nell'angolino della sala per dirigersi... nella loro direzione?! Vide Pietro in lontananza fare un saluto un po' goffo con la mano destra, rivolto inequivocabilmente a loro, e Stefania ricambiare il gesto con il sorriso di chi chiaramente aveva in mente qualcosa. Irene accennò giusto ad un vago movimento del braccio e un sorriso di circostanza piuttosto teso, per poi voltarsi verso Stefania e rivolgerle uno sguardo tutt'altro che divertito. Ecco cosa succedeva quando decideva di avere fiducia nel genere umano.

 
 
 Nel frattempo, pochi minuti prima, dall'altra parte della sala
 
-Allora, cos'ha cucinato di buono tua zia? - domandò Pietro Conti, dopo alcuni istanti di silenzio. Sapeva benissimo che Agnese Amato non c'era, e che con ogni probabilità non ci avrebbe mai messo piede a casa di Cosimo Bergamini, ma finse comunque di esserselo dimenticato. Da un lato perché quel silenzio lo stava mettendo un po' a disagio, dall'altro perché aveva bisogno di un pretesto per portare la conversazione esattamente dove gli serviva.
 
-Mia zia non c'è 'sta sera, Piè, te l'ho appena detto che son venuto col signor Armando, - fece presente Rocco, leggermente scocciato.
 
-Ah già, la signora Amato è rimasta a casa con Maria, vero? Adesso che ci penso Stefania mi ha accennato, - rispose, gettando lì quell'informazione con voluta (e finta) noncuranza, come se avesse appena parlato di un dettaglio insignificante e di poca importanza.
 
-Stefania? Picchì, ci hai parlato?- chiese Rocco, guardandosi attorno. Il suo interesse nella conversazione aumentò notevolmente, e Pietro sapeva che non era certo perché gli importasse della ragazza mora in sé e per sé.
 
-Non adesso ovviamente, ci siamo visti questo pomeriggio, - precisò Pietro.
 
-Ah sì? E tu niente mi dici?!- chiese Rocco con entusiasmo. Ormai un pochino doveva sentirsi partecipe della sua vita sentimentale, a furia di sentirlo parlare così spesso di Stefania.
 
-E cosa ti dovevo dire?- replicò Pietro retoricamente. -Pensavo che a te queste cose non interessassero.
 
In realtà, Rocco non avrebbe dovuto sapere il perché avessero organizzato un'uscita quel pomeriggio, o comunque non prima del previsto. Conoscendolo, Pietro sapeva che non avrebbe apprezzato il fatto che lui e Stefania si stessero (per una buona causa) intromettendo indirettamente nella sua vita sentimentale, ma era sicuro che a posteriori lo avrebbe ringraziato. E poi, quell'occasione gli aveva anche dato un pretesto per passare del tempo con Stefania (cosa che chiaramente non era il motivo principale per cui aveva accettato di intromettersi nella sua suddetta vita sentimentale fin dall'inizio). In tutta sincerità lui avrebbe tanto voluto parlare a Rocco di quella seconda uscita inaspettata e magari farsi dare qualche consiglio, dopotutto il suo amico non si doveva nemmeno sforzare per piacere a Irene e Maria, mentre lui Stefania non lo guardava neanche di striscio, e invece aveva dovuto arrangiarsi da solo. Alla fine comunque le cose non erano andate tanto male, per cui forse era stato meglio così.
 
-Guarda che mica mi interessa solo il ciclismo, a me, - puntualizzò Rocco. -E sentiamo un po', dov'è che vi siete visti te e Stefania?
 
-Siamo andati a pranzo fuori a Parco Sempione, ci siamo portati il pranzo al sacco, - raccontò l'altro. Fortunatamente sua madre lo aveva aiutato a preparare qualcosa quella mattina, o avrebbe fatto una pessima figura. -Comunque non eravamo soli, c'erano anche Maria e Alfredo, - aggiunse poi.
 
-Maria e Alfredo? E che c'entrano con voi scusa?- chiese Rocco, aggrottando la fronte. In effetti poteva capire la sua perplessità: per convincere Maria a venire Stefania aveva dovuto mentirle e dirle che a pranzo ci sarebbero state solo loro due, per poi fingere di incontrare casualmente Pietro e Alfredo là. Probabilmente Maria aveva capito tutto, ma ormai era stato troppo tardi per tornare a casa. E così, inaspettatamente, lei e Alfredo avevano trascorso insieme alcune ore piacevoli. Pietro non aveva ancora avuto modo di parlare con lui, ma gli era sembrato che si fossero divertiti insieme e che non ci fossero stati silenzi imbarazzanti. Lui sì che era bravo con le parole... al contrario di Rocco, che certe volte faceva proprio pena. Cosa ci trovassero in lui lo sapevano solo Irene e Maria. Magari era l'altezza.
 
-Ma che ne so, è stata un'idea di Stefania, - spiegò Pietro, il che non era completamente falso, -ha voluto invitare Maria per portarla un po' fuori e aiutarla a distrarsi e così io ho chiamato Alfredo. Sicuramente le faceva più piacere vedere lui che te.
 
-Questo è vero, - convenne Rocco, abbassando lo sguardo per un breve istante. Poi tornò a guardare Pietro. -E avete detto qualcosa di me?
 
-Veramente non ti abbiamo nemmeno nominato, - raccontò lui, e su questa parte non ebbe bisogno di mentire. Lo scopo dell'uscita era proprio far distrarre Maria e farle capire che se avesse conosciuto un po' meglio altri ragazzi della sua età diversi dal suo amato compaesano si sarebbe presto resa conto che forse poteva aspirare a qualcosa di più di qualcuno che la apprezzava principalmente per le sue abilità culinarie. Pietro non credeva che avrebbe funzionato sul serio, e invece Maria era davvero riuscita a divertirsi e distrarsi. Le poche volte che l'aveva vista interagire con il suo amico non gli era mai sembrata davvero felice, o sicura di sé o spensierata. Non li aveva mai visti scherzare insieme o mostrare un po' di complicità, di nuovo, se non si considerava tutto ciò che riguardava il cibo. Chissà, forse era davvero la cosa migliore per tutti. Sperava soltanto che le previsioni di Stefania e il resto del gruppo si sarebbero avverate e che Irene in quel modo si sarebbe sentita libera di avvicinarsi a Rocco alla luce del sole, sapendo che Maria non era più interessata a lui.
 
-Ah... meglio così, - fu tutto quello che ebbe da dire l'altro, mentre il suo sguardo si posava su Irene, non per la prima volta nel corso di quella conversazione. Lei e Stefania adesso erano al tavolo del buffet e quest'ultima stava mangiando una pizzetta, mentre Irene teneva in mano un bicchiere di champagne vuoto. Certo che Rocco non andava molto per il discreto, si ritrovò a pensare Pietro tra sé e sé; chiunque avesse prestato attenzione al modo in cui guardava Irene avrebbe subito capito che tra loro c'era qualcosa di più di una semplice amicizia, almeno da parte sua (e pensare che seriamente c'era gente che lo avrebbe voluto insieme a Maria, bah). La cosa positiva era che loro due erano semplici magazzinieri e non qualcuno di importante o famoso come Umberto Guarnieri, per cui le probabilità che qualcuno stesse effettivamente prestando attenzione a loro erano pressoché nulle, di conseguenza il loro segreto era ancora al sicuro – circa.
 
-Dai, lo so che vuoi chiedermi di Irene, - disse poi Pietro, evidentemente dando voce a quelli che erano i pensieri dell'amico.
 
-I-Irene? Che c'entra Irene adesso?- domandò Rocco, chiaramente imbarazzato. Pietro accennò ad un sorriso divertito.
 
-Non vuoi sapere come mai non c'era anche lei?- chiese lui in risposta, cercando di stuzzicare la sua curiosità.
 
-No... - replicò l'altro, fingendo disinteresse.
 
-Quindi se magari non c'era perché era a pranzo con un altro a te non interesserebbe saperlo, no?
 
Stava bluffando, naturalmente, ma il suo collega non poteva saperlo. Non che avesse un reale motivo per farlo innervosire, semplicemente si divertiva a osservare le sue reazioni.
 
-Irene è andata a pranzo con un altro?! Davvero dici?- chiese, alzando un po' il tono di voce. Fortunatamente le due veneri erano troppo lontane per sentirli, ma comunque Pietro non voleva attirare troppo l'attenzione su di sé.
 
-Dai, sto scherzando, - lo tranquillizzò immediatamente, al che Rocco tirò un piccolo sospiro di sollievo, -però potrebbe se non ti dai una svegliata.
 
-Ancora con 'sta storia? Te l'ho già detto Piè, non la posso costringere. Se lei ha deciso...
 
-Lo sai anche tu che non è quello che vuole, - lo interruppe immediatamente, andando dritto al punto.
 
-E che posso fare, più di così?- protestò Rocco.
 
Pietro da un lato poteva capire il suo scoraggiamento, ed era esattamente per quello che invece decise di spingerlo verso la direzione opposta:-Per esempio potresti smetterla di stare qui in un angolo a mangiartela con gli occhi e potresti invitarla a ballare.
 
-A ballare?! - chiese Rocco, colto alla sprovvista. -Tu dici che è una buona idea? Così, davanti a tutti?
 
-Appunto, a maggior ragione!, - fece presente Pietro. Mica gli stava dicendo di andarla a baciare nel mezzo dello stadio di San Siro, del resto. -Così capisce che il mondo non casca se vi fate vedere insieme in pubblico e che sono tutte paranoie sue. Dai!

Rocco gli rivolse un'occhiata titubante. Se Pietro lo conosceva bene, era sicuro che avrebbe finito per convincersi. Del resto era quello che voleva anche lui, si vedeva lontano un miglio. Aveva semplicemente bisogno di una piccola spinta per decidersi e prendere finalmente l'iniziativa. E infatti, la sua previsione non fu smentita: dopo alcuni istanti di esitazione, Rocco finalmente abbandonò il suo angolino e cominciò a dirigersi a passo deciso verso Irene e Stefania, naturalmente seguito da Pietro.

-Piè, io te lo dico, se mi tira addosso lo champagne la camicia poi me la stiri tu.
 
 
 
Note dell'autrice
 
*Il titolo è un riferimento al titolo di una raccolta di poesie di T.S. Eliot, che a sua volta è un riferimento alla sua poesia “The Love Song of J. Alfred Prufrock ”, contenuta al suo interno. L'ho scelto come titolo un po' perché è una poesia in cui non succede fondamentalmente niente, proprio come questo capitolo, ma principalmente perché riprende (involontariamente) molti degli stessi temi del capitolo e mi sembrava appropriata.

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Capitolo 5
*** V. Fiorenza Gramini ***


V. Fiorenza Gramini

Irene Cipriani entrò sommessamente nella stanza dove erano stati posati tutti i cappotti, pronta a prendere il proprio e andarsene. Ancora non sapeva cosa avrebbe detto a Stefania, probabilmente si sarebbe inventata una scusa, magari un improvviso mal di testa. Sapeva soltanto che lì non poteva restare un minuto di più. Non che la serata stesse andando poi così male, in realtà: lei e le altre veneri avevano cenato con il cibo a disposizione nel buffet (Irene aveva apprezzato particolarmente la pasta al forno fatta da Beatrice Conti, proprio come Stefania), chiacchierato del più e del meno, bevuto qualche bicchiere di vino, ballato qualche canzone innocente, ed era anche riuscita ad evitare Rocco e tenerlo a debita distanza, più o meno. Certo, c'era stato qualche sguardo di tanto in tanto, ma del resto era normale, dopotutto erano in un salone pieno di gente. Avrebbe dovuto letteralmente bendarsi per evitare il contatto visivo con altre persone, e sicuramente i suoi occhi si saranno posati su molti altri invitati diversi da lui. Semplicemente era quello che, suo malgrado, attirava la sua attenzione più di tutti. E lei non riusciva a sopportarlo, ed era proprio per quello che se ne voleva andare. Le piaceva stare in compagnia delle sue amiche, le piaceva la musica, le piacevano le occasioni di ritrovo sociale... soltanto che non così. Non in quel modo.

La colpa era stata tutta del discorso, anzi, dei molteplici discorsi di Stefania, la quale da diversi giorni ormai non la finiva più di martellarle la testa con tutte quelle cose che Irene... forse non voleva sentire, ma che comunque, in qualche strano modo, le facevano bene. In passato era stato così semplice per lei seppellire ogni sorta di sentimento, reprimerlo e soffocarlo. Si era costruita una sorta di armatura ed era diventata il tipo di donna che lei credeva avrebbe dovuto essere per avere successo nella società e sopravvivere: una che puntava principalmente ai soldi, a uno stile di vita agiato e a un marito che le avrebbe garantito tutto questo. Era stanca di sentirsi debole, stanca di sentirsi impotente davanti alla violenza psicologica del padre, alla malattia della madre, stanca di sentirsi sola. E Irene aveva presto imparato che il mezzo più veloce ed efficace per ottenere il potere erano i soldi. Tanti, tanti soldi, più ne si ha meglio si vive. Lei non avrebbe dovuto lavorare da pendolare prima a Bergamo e poi a Brescia e alzarsi a orari indicibili ogni mattina per potersi mantenere, non avrebbe dovuto vivere con una persona che pretendeva di decidere qualsiasi cosa per conto suo e toglierle ogni tipo di libertà e indipendenza, se solo avesse avuto più soldi. E nell'Italia degli anni '60, l'unico mezzo che aveva una donna per avere più soldi era sposare un uomo che glieli desse.

Certo, non proprio l'unico unico in assoluto, ma i casi in cui una donna riusciva a farsi strada nella vita senza il sostegno di un uomo erano davvero molto rari. Anche prendendo ad esempio Gabriella, che ora era abbastanza ricca da potersi permettere una casa come quella e presto sarebbe andata a vivere in una villa con ogni probabilità ancora più grande in una delle città più lussuose d'Europa: se non fosse stato per il dottor Conti che le aveva pagato un soggiorno di diversi mesi a Parigi e le aveva dato la possibilità di fare l'apprendistato in uno degli atelier più di successo della città, e, successivamente, per le conoscenze del marito e il suo patrimonio, ora avrebbe davvero le stesse possibilità, lo stesso tenore di vita? Irene ne dubitava. E se il sistema imponeva che per farsi strada nella vita c'era bisogno di un uomo con buone possibilità economiche alle spalle, Irene si sarebbe adeguata. Cosa poteva interessarle dell'amore, dei sentimenti, quelle cose le lasciava a chi credeva ancora nelle favole, come Stefania.

Quindi, a rigor di logica, ignorare la presenza di Rocco Amato quella sera avrebbe dovuto essere facile. Anzi, ben più che facile, una passeggiata. Eppure Irene non poteva fare a meno di sentirsi come se ci fosse stato qualcosa di sbagliato. Era forse senso di colpa il suo? No, certo che no, non poteva essere, non aveva il minimo senso. In fondo tra loro le cose erano finite – nonostante non fossero mai nemmeno iniziate in modo definito –, lei era stata chiara con lui, non gli doveva più nulla; Irene lo sapeva. Poi però ripensava a tutti i discorsi che Stefania le aveva fatto, a cominciare dal primo, quello di lunedì sera. Proprio come quella sera, aveva ribadito più volte quanto fosse importante dare ascolto ai propri sentimenti, quanto fosse bello essere sinceri con le persone che ci vogliono bene e confidarsi, che l'approvazione dell'ambiente vale meno della felicità. Insomma, tutte cose che la Irene di qualche anno prima avrebbe ignorato senza pensarci troppo. E invece lei, per qualche ragione, non era stato in grado di farlo. Non completamente almeno. Razionalmente sapeva che non aveva senso rischiare di essere cacciata via da casa sua per la sua storia con Rocco, o comunque di attirare su di sé l'ira di Maria e, con lei, del resto della famiglia Amato, sapeva che non poteva perdere la sua piccola famiglia, non dopo aver faticato così tanto per trovarla. Eppure, per quanto Irene ritenesse il punto di vista di Stefania ingenuo (lei che era così benvoluta da tutti non avrebbe certo potuto capire come invece si sentiva lei, poi), non poteva fare a meno di domandarsi se forse, un pochino, quelle cose lei voleva sentirsele dire. Se forse, in minima parte, c'era qualcosa di tutto quel discorso che spingeva una parte di sé – la più stupida – a volerci dare ascolto, anche se non sapeva esattamente il motivo.

Irene era pronta a scommettere che era anche colpa sua e della sua dialettica se alla festa aveva provato quella sorta di... disagio? Malessere? Era una sensazione strana da spiegare. Era come essere all'interno di una casa con tante porte e sentire il rumore di qualcuno che bussa, e tu ti giri e non riesci proprio a capire da dove venga il suono, chi o cosa sia stato ad averlo provocato, a quale delle tante porte hanno bussato. Ti ritrovi lì e senti il suono e non capisci da dove viene e non sai cosa fare, da che parte andare, e quindi rimani fermo immobile e non fai niente. Eppure, qualcosa senti comunque. Anche se non riesci a capire da dove venga o chi lo stia provocando, non puoi fare a meno di continuare a sentirlo, e ti tocca camminare per i corridoi e orientarti come puoi con quello strano rumore in sottofondo. Ecco, se Irene avesse dovuto descrivere quello che stava provando, probabilmente avrebbe parlato di una sensazione molto simile, se non identica, non riusciva proprio a trovare parole più precise per dipingere il suo stato d'animo. E se durante le sue giornate lavorative e i pranzi e le cene in compagnia quel rumore più o meno se ne passava inosservato, magari si faceva sentire soltanto la sera prima di andare a dormire (ma la stanchezza a quel punto era così forte che prendeva il sopravvento su tutto e tutti) quella sera a casa Bergamini invece era come esploso. Chissà, forse erano tutte quelle porte e quelle stanze a intensificare l'analogia, si ritrovò a pensare la ragazza, visto che aveva dovuto vagare un po' prima di trovare la stanza dove la domestica aveva posato il soprabito leggero che si era portata dietro. Non aveva voluto chiedere a Gabriella perché non voleva dare nell'occhio, sarebbe stato strano se avesse deciso di andarsene prima della torta, l'unica poi probabilmente (anche se le era sembrato di vedere Cosimo Bergamini girarsi nella sua direzione mentre saliva le scale, quindi magari la padrona di casa era venuta a saperlo comunque, in un modo o nell'altro).

Irene sperava soltanto che nessuno (ovvero Stefania) avrebbe fatto troppe domande e che l'avrebbero lasciata andare via tranquilla. Non sapeva ancora con precisione di cosa avesse bisogno, ma sapeva che la sua risposta con ogni probabilità non era lì. Se prima si era illusa che quella festa potesse aiutarla a distrarsi un po' e non pensare a Rocco, ora invece aveva scoperto che quell'evento aveva sortito su di lei esattamente l'effetto opposto. E fintanto che non capiva cosa ci fosse dietro, c'era ben poco che potesse fare. L'ultima cosa che voleva poi era ritrovarsi sola con lui e dovergli parlare, magari davanti a tutti, rischiando così di rendere completamente inutili gli sforzi di un mese di incontri clandestini (certo, ammesso e non concesso che Stefania non avesse in qualche modo scoperto la faccenda e non fosse andata a spiattellarlo a mezzo Paradiso, ipotesi che oramai a Irene non sembrava nemmeno più così tanto assurda).

Adesso, pensò Irene tra sé e sé mentre si avvicinava al letto, dopo alcuni minuti di esitazione in cui si era chiesta se andarsene fosse davvero la cosa giusta, visto e considerato quanto la se stessa del passato si sarebbe data della stupida per quella scelta, doveva soltanto trovare il suo cappotto, indossarlo, scendere le scale, salutare rapidamente le ragazze e chiedere a Gabriella di usare il telefono per chiamare un taxi. Non sembrava complicato, no? Eppure, proprio quando sembrava aver trovato la risolutezza necessaria ad allungare il braccio destro verso il suo soprabito, finalmente localizzato tra i tanti appoggiati sul letto, una voce maschile alle sue spalle la colse di sorpresa e la fermò.

Irene non riusciva a decidere se l'universo avesse una grande simpatia per lei o se invece la odiasse nella maniera più assoluta. Siccome conosceva già il ritmo dei suoi movimenti, dei suoi passi, il suono della sua voce e il modo inconfondibile che aveva di pronunciare il suo nome, la venere non si girò subito per scoprire chi fosse. Lei lo sapeva già di chi si trattava.

-Irè, già te ne vai?
….

 

Poco prima

Rocco Amato non era una persona che cambiava idea facilmente, ma quando succedeva, tendenzialmente aveva sempre una ragione valida per farlo. Ad esempio, quella sera era convinto che si sarebbe annoiato a morte, e invece inaspettatamente si stava divertendo più del previsto. C'era stato quel momento un po' strano con Irene e Stefania vicino al tavolo del buffet all'inizio, interrotto quasi sul nascere dall'arrivo di Gabriella venuta a salutare le ragazze, ma per il resto della serata le cose erano andate bene. Aveva mangiato bene (con sua sorpresa, aveva scoperto che far preparare a ogni invitato una cosa diversa da portare significava poter mangiare tanti primi, tanti secondi, tanti contorni, e in fondo chi era lui per lamentarsene e difendere a spada tratta la tradizione?), aveva parlato con il signor Armando, con la signorina Moreau, e ora stava chiacchierando con Pietro e alcune delle veneri mentre in sottofondo la musica rendeva l'atmosfera più allegra. Era bello starsene così, pensava Rocco tra sé e sé. Al contrario del paradiso, in cui ognuno aveva una mansione ben specifica da svolgere e incarichi a cui adempiere, clienti da servire, vestiti da cucire, scatoloni da spostare, adesso finalmente poteva starsene... in pace. Tranquillo, rilassato, senza drammi o pressioni. Gli dispiaceva che Irene non fosse lì con lui, ma contrariamente a quanti molti credevano Rocco non era certo babbo, si era accorto che lo stava facendo apposta a evitarlo, proprio come aveva notato quanto fosse stata sollevata prima quando Gabriella era arrivata a interromperli prima che lui potesse chiederle di ballare.

E così Rocco aveva pensato che se lei voleva starsene per i fatti suoi aveva tutto il diritto di farlo. C'era la musica, c'era il cibo, c'erano gli amici, quando finalmente si sarebbe data una svegliata e avrebbe capito che continuare a fare così non serviva a niente, lei lì lo avrebbe trovato. Nel frattempo, certamente nulla avrebbe potuto impedirgli di divertirsi e godersi quelle ore di spensieratezza, nemmeno il fatto che, ad esempio, Ludovica Brancia di Montalto si stesse avvicinando a lui e paresse avere intenzione di parlargli. Aspetta n'attimu, Ludovica Brancia stava venendo a parlargli?! L'evento fu così insolito che attirò l'attenzione di tutto il gruppo, e Sofia, che stava raccontando di uno degli ultimi ordini folli ricevuti dal circolo, si zittì immediatamente, mentre tutti gli occhi dei presenti si posarono sull'ultima arrivata. Rocco poteva capire lo stupore, in un certo senso, ma certo non tutta 'sta reverenza. Mica era arrivata la regina, che dovevano tutti starsi muti e fare l'inchino.

-Scusate il disturbo, - iniziò lei con un sorriso, decisamente forzato. Poi la ragazza si voltò proprio verso di lui, verso Rocco:- signor Amato, Cosimo e il signor Ferraris sono andati a fumare in giardino, mi hanno chiesto di chiederle se vuole unirsi a loro.

Fumare? E da quando in qua il signor Armando fumava? Rocco ricordava di averlo visto qualche volta in effetti, ma soltanto in rare occasioni, perlopiù quando era nervoso o al lavoro c'era qualcosa che lo disturbava.

-Ma proprio di me me hanno chiesto? Ne è sicura signorina?- domandò, un po' titubante. Il signor Armando poi sapeva benissimo che lui non fumava, era Pietro casomai quello che aveva il vizio. Non è che quella Ludovica Brancia aveva capito male? Del resto lei mica conosceva lui e Pietro, magari per lei i magazzinieri erano tutti uguali, proprio come per lui lo era la gente del circolo del resto. Certe volte Rocco ancora la confondeva con quell'altra lì, com'è si chiamava, quella che aveva il nome come una città? Proprio non gli veniva in mente ora, ma sapeva che una che le somigliava e che era pure venuta al Paradiso una volta c'era. Forse Emilia? No, era un nome più lungo, di quelli che piacciono ai ricchi...

-Non è che magari si confonde con Pietro?- chiese poi, con fare dubbioso.

-Sono piuttosto sicura che abbia chiesto proprio di lei, - confermò Ludovica, con un altro dei suoi sorrisi di circostanza stampati sulle labbra. Rocco la osservò con un po' di scetticismo, pensando dentro di sé che per quanto fosse una bella donna, ai suoi sorrisi e i suoi modi di fare preimpostati e artificiali lui preferiva la schiettezza e la franchezza di Irene. Se non fosse stato invitato alla festa, probabilmente una così non lo avrebbe guardato neanche di striscio, quindi che senso aveva fare tutta la gentile ora?

-Anche perché non vedo altri Amato in giro questa sera, - proseguì poi la Brancia, dando una rapida occhiata attorno.

-No, infatti... - confermò Rocco, rivolgendo poi un'occhiata incerta a Pietro, quasi come se gli stesse chiedendo implicitamente un consiglio su cosa fare. Intuendo il dilemma, il suo amico gli corse in aiuto:

-Dai Ro', vai, almeno ti sgranchisci le gambe e prendi un po' d'aria.

Rocco si chiese se fosse un consiglio disinteressato o se Pietro stesse cercando in qualche modo di mandarlo via per potersi allontanare da lui e avere campo libero con Stefania. In ogni caso, in effetti non aveva tutti i torti, sgranchirsi un po' le gambe e prendere un po' d'aria non gli sarebbe dispiaciuto, e in fondo mica era costretto a fumare anche lui; stare seduto troppo tempo del resto dopo un po' lo avrebbe annoiato. Chissà se Irene avrebbe notato la sua assenza.

-D'accordo, allora vado, - decise alla fine Rocco, alzandosi in piedi dalla sedia che aveva occupato. -Per di là, giusto?- chiese, indicando con la mano il lato della stanza da cui ricordava essere entrato. Era piuttosto sicuro di avere ragione, anche perché l'unica alternativa erano le scale e Rocco ricordava benissimo di non averle scese, ma non voleva correre il rischio di sbagliare e ritrovarsi chissà dove, magari nel bagno.

-Non va a prendere il capotto? - gli chiese la signorina Brancia, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. -È quasi estate ma di sera le temperature scendono, - spiegò poi. Ecco, voleva evitare di fare la figura del babbo davanti alla signorina Brancia, e invece c'era riuscito comunque. Che poi capirai, per un po' d'aria la sera, come se fosse stato chissà che problema. Certo era che a Milano faceva più freddo che a Partanna, ma comunque Rocco scelse di non contraddirla a prescindere. Sapeva bene che era sempre meglio dare ragione a donne come lei o come Alessandra Germini.

Alessandra dici? No, troppo lungo.

-Giusto, - disse Rocco, adesso guardandosi attorno ancora più spaesato. La domestica aveva semplicemente preso la giacca sua e del signor Armando ma non aveva visto dove l'aveva portata, il suo capo gli aveva detto soltanto che li mettevano tutti in una stanza perché sull'attaccapanni non ci stavano tutti, ma Rocco non sapeva quale fosse la camera dei capotti, o come arrivarci. Intuendo il suo disorientamento, la Brancia accorse in suo aiuto ancora una volta:

-I cappotti sono tutti al piano di sopra, - gli spiegò poi, -se chiede in giro sicuramente i domestici sapranno aiutarla.

Stanco di sentirsi trattare come un bambino di prima elementare a cui c'è bisogno di spiegare anche le cose più semplici, per porre fine a quella strana conversazione Rocco replicò deciso:-D'accordo, allora vado, buona serata, - prima di rivolgere a Pietro e il resto delle ragazze un gesto di saluto.

Rocco però non era il tipo a cui piaceva chiedere aiuto, soprattutto in simili circostanze. Sapeva che in fondo i domestici erano lì per fare il loro lavoro e non avrebbero avuto problemi a indicargli la stanza, ma poi gli sarebbe sembrato di approfittarsene o di atteggiarsi come qualcuno che non era. In fondo si trattava solo di trovare una stanza, quanto avrebbe potuto essere difficile? E infatti, il lavoro risultò anche più facile del previsto. Una volta arrivato al piano di sopra, Rocco fu immediatamente attirato dall'unica porta aperta nel corridoio, illuminata dalla luce di una lampadina. Magari dentro c'era il signor Armando che stava prendendo il suo di cappotto e lo stava aspettando. Con questo in mente, Rocco si avvicinò ed entrò nella stanza, soltanto per trovarci... l'ultima persona a cui avrebbe pensato.

-Irè, già te ne vai?- domandò con una punta di delusione nella voce, mentre si chiudeva la porta alle spalle.

Che stava facendo lì Irene? Rocco aveva capito da solo che si sentiva un po' a disagio, ma non voleva certo farla andare via. Anzi, il pensiero che a causa sua dovesse lasciare la festa e le sue amiche lo faceva quasi sentire in colpa, paradossalmente, anche se in fondo non ne aveva motivo. Era lei che aveva fatto tutto da sola.

Irene si voltò verso di lui con un'espressione quasi colpevole dipinta sul viso, come se Rocco l'avesse appena scoperta a fare qualcosa di sbagliato e ora non potesse più negare l'evidenza. Il ragazzo si chiese se fosse davvero colpa sua, o se ci fosse altro dietro alle sue azioni.

-Si è fatto un po' tardi, - iniziò lei, senza guardarlo negli occhi. -Non vorrei lasciare Maria troppo tempo da sola...

-Ma se non è passata manco un'ora, ava', - sottolineò Rocco, -e poi Maria è con mia zia, va' che quelle di cose da dirsi per farsi compagnia ne hanno.

Irene lì per lì non rispose, continuò a tenere lo sguardo fisso nel vuoto, come se fosse troppo immersa nei suoi pensieri per formulare una risposta. Alla fine, dopo un attimo di esitazione Rocco decise di rischiare – del resto bicchieri di champagne in mano non ne aveva più, alla peggio si beccava qualche insulto – e si avvicinò a lei, le prese la mano e intrecciò le loro dita insieme, mentre con l'altra le alzò delicatamente il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. Irene non mostrò alcuna reazione, o perlomeno, nessuna reazione negativa, il che era già qualcosa.

-Irè, ma che c'hai? È per colpa mia, ho fatto qualcosa?

Irene scosse la testa amareggiata. -No, tu non c'entri, sono io che... - iniziò, lasciando la frase a mezz'aria.

-Tu cosa? Non hai fame e hai paura di fare brutta figura con Gabriella? Guarda, se il problema è questo mangio la tua parte per te così nessuno se ne accorge, - scherzò Rocco, sperando di tirarla su e strapparle almeno un sorriso.

-Ma tu solo al cibo pensi?- rispose Irene. Rocco però la conosceva bene e vide gli angoli della sua bocca tirati su in un piccolo sorriso, segno che stava scherzando anche lei e che quello non era un vero rimprovero.

-A volte anche a qualcos'altro, ah, - replicò Rocco, guardandola negli occhi. Questa volta le labbra di Irene si incurvarono in un sorriso ben più ampio del precedente, osservò lui con un certo sollievo. Era contento di vederla più serena e... prima che potesse fare qualsiasi cosa, si ritrovò le braccia della ragazza avvolte attorno alla sua schiena e il suo corpo stretto al proprio in un abbraccio. Questa volta fu Rocco quello colto di sorpresa. Dopo una prima incertezza iniziale, Rocco ricambiò l'abbraccio e la strinse forte a sé, chiuse gli occhi e sentì di nuovo il suo profumo addosso, dopo così tanti giorni passati lontani. Come gli era mancato il contatto fisico con lei, la sensazione tangibile di averla vicina, di poterla stringere, di averla lì con sé.

-A volte penso di non meritarti, - sussurrò Irene a bassa voce.

-Ma che fissarie dici, Irè?- la rimproverò lui scherzosamente, sciogliendo l'abbraccio per guardarla negli occhi. -Dai, adesso andiamocene da qua e torniamo dagli altri, ti prometto che non ti chiedo di ballare, che se no poi scappi perché sono terribile e c'hai pure ragione, - scherzò lui, riuscendo a strappare una piccola risata a Irene.

-Dai, non sei più così male, stai migliorando... un pochino, - gli concedette Irene. Rocco sperava soltanto che non gli avrebbe davvero chiesto di ballare, perché era da un po' che non si esercitava e non voleva certo farla sfigurare davanti a tutti. Non che a lui importasse più di tanto, ma era pronto a scommettere che gente come Ludovica Brancia o Vincenza Grissini non avrebbero mai ballato con qualcuno di impedito come lui, e non voleva certo che quelle si permettessero di guardare Irene dall'alto in basso e giudicarla per colpa sua e della sua incapacità, soprattutto sapendo quanto quest'ultima ci teneva a fare bella figura. Il perché, poi, per lui rimaneva un mistero.

No, ma quale Vincenza e quali Grissini, era un nome più strano... Ma picchì non chiediamo a Irene scusa?

Seh, ci manca solo che va a pensare che pensiamo ad altre donne mentre siamo con lei, va'.

Vabbè ma che c'entra, per toglierci la curiosità dicevo... e comunque io dico che ci siamo vicini.

-Ma aspetta, - disse Irene, quando erano sul punto di aprire la porta per uscire. -Tu come mai eri venuto qua?

Rocco si strinse nelle spalle. Il signor Armando e il marito di Gabriella avrebbero dovuto arrangiarsi, in quel momento lui aveva altre priorità.

-Non è importante, - rispose semplicemente, non avendo voglia di perdersi in spiegazioni inutili. E così, Rocco finalmente appoggiò la mano destra sulla maniglia e fece per abbassarla e aprire la porta, soltanto per scoprire con un certo disappunto che quest'ultima non accennava ad aprirsi. Ripeté il gesto una volta e poi un'altra ancora, mettendoci più forza, mentre Irene accanto a lui gli stava rivolgendo occhiate sempre più preoccupate. Alla fine, arrendendosi alla realtà dei fatti, Rocco non poté far altro che girarsi in direzione della venere e constatare con una certa rassegnazione:

-Irè, la porta è bloccata.

E proprio in quel momento, per chissà quale ragione, a Rocco tornò finalmente in mente il nome di Fiorenza Gramini.

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Capitolo 6
*** VI. Il tenente Sheridan ***


VI. Il tenente Sheridan

-Si può sapere chi di voi cretine devo ringraziare per avermi rovinato la serata?!

L'ingresso dirompente di Irene Cipriani all'interno del salotto di casa Bergamini non passò certo inosservato, come del resto la maggior parte delle cose che faceva la giovane venere bionda. L'evento, o per così dire la circostanza, colse impreparati gran parte degli invitati presenti alla festa, nessuno dei quali evidentemente si aspettava una tale reazione da parte della ragazza né aveva la più pallida idea di ciò a cui stesse facendo riferimento; nessuno, tranne una persona sola.

Le reazioni a seguire furono di varia natura, tutte accomunate perlopiù da una certa curiosità di fondo rivolta naturalmente al motivo della sua arrabbiatura. Quella di Stefania Colombo fu la più evidente, soprattutto perché la principale destinataria di tale sentimento pareva proprio lei, in piedi accanto al giovane Pietro Conti a un lato della temporanea e improvvisata pista da ballo. Negli occhi color marrone dei due ragazzi si leggeva un sentimento di terrore unito al senso di colpa che solo chi aveva qualcosa da nascondere mostrava, il che, con ogni probabilità, non fece altro che alimentare i sospetti fondati di Irene.

-C-cosa intendi Irene, scusa?- domandò Stefania, la voce rotta dal nervosismo mentre il suo sguardo schizzava nervosamente da una parte all'altra della stanza alla ricerca di una qualche cosa, una qualunque, che la aiutasse a uscire fuori dalla brutta situazione nella quale si era cacciata – si era involontariamente ritrovata coinvolta – o quantomeno le desse uno stimolo, un pretesto, un aggancio per svignarsela e declinare ogni responsabilità. Per sua sfortuna niente sembrò aiutarla, anzi, se possibile, il fatto di ritrovarsi tutti gli occhi puntati addosso non sembrò giocare a suo favore. Accanto a lei, non c'era molto che Pietro potesse fare per darle una mano e salvarla dall'ira funesta della sua collega, anzi, se possibile la loro momentanea vicinanza puntava indubbiamente a un suo ipotetico coinvolgimento.

-Lo sai benissimo cosa intendo, - proseguì la Cipriani, con il tono di chi non ammetteva repliche e sembrava essere piuttosto convinto di ciò che stava asserendo. Guardò dritta negli occhi la sua collega per alcuni istanti, senza distogliere lo sguardo, forse in un tentativo di estorcerle una confessione. Stefania fece lo stesso.

-Veramente no, non ti sto seguendo... - proseguì quest'ultima, interdetta, questa volta con un po' più di sicurezza e calma. La sua risposta spinse la Cipriani ad alzare gli occhi al cielo, in una combinazione di fastidio ed esasperazione.

-E voi, - aggiunse poi con fare un po' teatrale, girandosi di scatto verso Dora Vianello e Anna Rossi, sedute lì vicino mentre erano intente a mangiare con aria un po' colpevole le ultime polpette al sugo rimaste, peraltro molto buone, preparate proprio dalla stessa Dora, che proprio in quel momento aveva la mano destra vicino alla bocca e stava per mangiarne una, l'ultima. Era evidente che avere gli sguardi di tutto il gruppo puntati addosso proprio in quel momento non fosse esattamente l'ideale per le due ragazze. Nonostante non si trovassero vicino alla Colombo tanto quanto lo era Pietro, non erano nemmeno lontane al punto da non aver sentito il breve scambio tra le due commesse né da richiedere a Irene di spostarsi per potersi rivolgere a loro. Le bastò semplicemente torcere il busto per poterle guardare negli occhi e lanciare loro uno sguardo intimidatorio e accusatore, e a giudicare dall'espressione perplessa, attonita e anche un po' sconcertata delle due, era chiaro che non se lo aspettassero.

-Lo so che siete colpevoli tanto quanto lei, quindi sputate il rospo, forza. Chi è stato?- domandò Irene, scandendo ognuna delle tre parole che componevano quell'ultima frase.

-Irè, vacci piano, - intervenne Rocco Amato, alle sue spalle, forse portato a simpatizzare per le povere commesse in nome della sacralità del momento del pasto, e non meno rilevanti, delle polpette, -che qua non stiamo nel tenente Sheridan, ah.

La Cipriani si voltò furiosamente verso di lui e lo fulminò con lo sguardo. A quanto pareva nemmeno il suo compagno di sventure era esente dalla sua furia. -Appunto, capirai che mistero se perfino un idiota come te ci è arrivato che qualcosa non torna. Coraggio, voglio il nome del responsabile, ora!

Quell'appellativo lasciò tutti un po' interdetti. Non era un mistero che Irene Cipriani non avesse peli sulla lingua e non avesse problemi a parlare liberamente, anche quando le circostanze forse avrebbero richiesto un registro diverso, ma se era arrivata direttamente agli insulti, doveva essere piuttosto infuriata.

-Meglio babbu che arraggiatu, va'.

Irene lo ignorò e tornò a girarsi verso le sue colleghe, probabilmente senza comprendere pienamente il significato di quell'ultimo termine. Fu in quel momento che, messa in allarme dal potenziale conflitto, una persona seduta ben più lontano ma ugualmente partecipe nella vicenda e la cui mansione in fondo sottintendeva un po' il dovere morale di intervenire, si frappose fra Irene e Stefania per cercare di mediare o, quantomeno, far luce sulle cause del conflitto:-Signorine, non siamo qui per dare spettacolo, per favore.

Poi, voltandosi verso la più vecchia delle due, aggiunse:-Vuole spiegarmi qual è il problema, signorina Cipriani?

La capocommessa era stata seguita quasi immediatamente da Beatrice Conti, che ora stava rivolgendo a suo figlio Pietro occhiate perplesse e interrogative, al quale lui rispose scrollando le spalle, come per liberarsi da ogni tipo di accusa. Ne conseguiva che ora nel punto della sala in cui prima si trovavano soltanto Stefania Colombo e Pietro Conti si era formato un piccolo assembramento, il che naturalmente non avrebbe potuto fare altro che portare altre persone ad avvicinarsi. Paola Galletti si allontanò dalla combriccola di amiche della signora Delfina, con le quali aveva scoperto di avere molte cose in comune (prevedibilmente), per unirsi al gruppo e sentire cosa stesse succedendo; Sofia Galbiati e Armando Ferraris ben presto la imitarono. Attirate dalla scena che si stava consumando nel salotto, anche Ludovica Brancia e Gabriella Rossi, incapaci di dire di no ad un potenziale dramma (a maggior ragione quando questo non le riguardava in prima persona), non resistettero alla tentazione e si avvicinarono per seguire il resto della conversazione, seguite da Cosimo Bergamini e Federico Cattaneo. In parole povere, tutta la rappresentanza del Paradiso delle Signore radunata lì quella sera si trovava in ascolto, chi per un motivo chi per l'altro, ormai curiosi di scoprire i risvolti della vicenda.

Nel frattempo, Dora Vianello aveva approfittato del poco tempo guadagnato con l'intervento della Moreau per affrettarsi a finire la sua polpetta e, una volta che si fu ricomposta, intervenne a sua volta all'interno della conversazione, dando voce all'interrogativo che (quasi) tutti si stavano ponendo: -Sì Irene, si può sapere che ti prende, che è successo?

-D'accordo, - sbottò la Cipriani, -visto che vi divertite tanto a fare le allegre comari di Windsor lo dico chiaramente: qualcuno tra i presenti qui ha avuto la bella pensata di chiudermi nella stanza dei cappotti per quasi un'ora con questo qua! - si lamentò Irene, indicando con il braccio destro il magazziniere siciliano accanto a sé mentre il suo sguardo accusatore si posava nuovamente su Stefania, evidentemente la principale sospettata. -E adesso esigo che la colpevole venga fuori.

-Sì, infatti, - proseguì Rocco, cercando di emulare almeno un po' della convinzione della ragazza mentre puntava un piede a terra, -che se non era perché la signora Bergamini stava andando a dormire e stava cercando il suo cappello da notte preferito noi stavamo ancora chiusi là dentro, e sinceramente io non so neppure se ne uscivo vivo.

In quel momento, nonostante la confusione generale suscitata da quell'inaspettata rivelazione, una delle poche cose assodate era che Rocco Amato stava indiscutibilmente godendo della compassione di tutti i presenti.

-Allora?- proseguì Irene, dopo alcuni attimi di silenzio che parvero interminabili. Ognuno degli invitati all'improvviso distolse lo sguardo da lei, cercando di evitare a ogni costo gli occhi verdi della commessa. -Adesso non parlate più, eh?

-Come sarebbe a dire che vi hanno chiuso dentro, scusa?- domandò Pietro Conti, prendendo alla fine la parola e ponendo fine a quel silenzio imbarazzante, la cui pesantezza si faceva sentire con ogni secondo che passava.

-Cosa c'è di tanto difficile da capire? Eravamo là dentro e qualcuno ha chiuso la porta a chiave, - spiegò Irene, come se fosse stata la cosa più elementare del mondo.

-E si può sapere cosa stavate facendo tu e Rocco da soli nella stanza dei cappotti?- domandò Dora, con il fare di chi stava chiaramente insinuando qualcosa tra le righe, e nemmeno troppo velatamente.

-Non cercare di cambiare argomento, - la minacciò Irene, voltandosi verso di lei con un'altra occhiataccia. -E comunque se ci tieni a saperlo ci siamo ritrovati lì per caso, non c'è nient'altro da dire.

-Beh, io non sono stata, - si difese pubblicamente Stefania, che aveva intuito di essere nel mirino di Irene e evidentemente desiderava discolparsi. -Chiedi a Pietro se non mi credi, abbiamo chiacchierato per buona parte della serata.

Quell'ultima osservazione innocente non passò inosservata: Gloria Moreau e Beatrice Conti si scambiarono un silenzioso sguardo di intesa. Durò poco meno di un secondo, ma non per questo fu meno significativo, come se stessero entrambe pensando la stessa cosa, magari collegata ad un qualcosa che si erano dette in precedenza. Pareva stessero diventando amiche, negli ultimi tempi. Successivamente, la ragioniera del Paradiso rivolse un'altra occhiata al figlio, che a differenza della precedente pareva volesse dire “tu hai qualcosa da raccontarmi e non ti lascerò in pace fin quando non vuoterai il sacco”. Pietro ignorò il suo sguardo, forse di proposito, per concentrarsi su Irene e corroborare la versione della sua amica:

-Ha ragione, confermo, siamo stati tutto il tempo qua.

-Piè, tu non parlare che è meglio va', non hai credibilità, - fu Rocco a intervenire questa volta. L'amico non si oppose né ribatté, forse perché in cuor suo sapeva che un fondo di verità c'era.

-Infatti, sicuramente sei coinvolto tanto quanto lei, - aggiunse Irene.

-Guarda che dicono la verità Irene, son stati qua tutto il tempo, li ho visti anche io, - intervenne Anna in loro difesa. La versione della ragazza fu poi confermata da una manciata di altre voci tutte sovrapposte l'un l'altra, che confermavano il fatto che i due ragazzi non avevano mai lasciato la stanza.

-Come se potessi fidarmi della tua versione, - ribadì Irene, voltandosi verso la sua collega dai capelli rossi. -E comunque la stanza non è tanto lontana, bastava solo un minuto per salire le scale, chiudere la porta e tornare di sotto.

-Irene, non pensi di essere un pochino paranoica?- si aggiunse Sofia alla conversazione, -adesso va bene tutto, ma non credo che ci sia un complotto dei servizi segreti contro di te, - disse scherzando. Quella risposta non fece altro che irritare Irene ancora di più.

-Quindi adesso oltre al danno anche la beffa, volete farmi credere di essere pazza?

-Ma no, nessuno ha detto questo, - intervenne subito Stefania, per rassicurarla.

-Magari semplicemente la serratura della porta si è bloccata per sbaglio e poteva aprirsi soltanto dall'esterno, - ipotizzò poi Anna, trovando l'appoggio di tutte le ragazze che stavano partecipando alla conversazione.

-Certo, - ribatté la Cipriani, sarcasticamente, -e secondo voi io sono così stupida da crederci? Casualmente la serratura si è bloccata proprio quando io e Rocco eravamo là dentro.

-Ma perché qualcuno dovrebbe voler fare un dispetto proprio a voi due, mi scusi? - si inserì Beatrice Conti.

-Infatti, proprio stasera che siam qui per divertirci poi, - l'appoggiò il figlio.

Irene esitò per un attimo, mordendosi il labbro inferiore. Per un attimo, ma solo per un breve, impercettibile istante, sembrò quasi che la ragazza stesse per cedere e fosse sul punto di convincersi che quello spiacevole incidente fosse stato solo un caso, questione di sfortuna e nulla più. Solo per un attimo però, dal momento che la ragazza scacciò via ogni dubbio con la stessa velocità con la quale si era manifestato e rivolse uno sguardo di sfida in direzione di Pietro e Stefania, evidentemente ancora al centro dei suoi sospetti, nonostante tutto.

-Non lo so, perché non lo chiedete a quei due?

-Noi?- chiese Stefania, chiaramente accentuando più del dovuto quella parola monosillabica per enfatizzare la propria innocenza.

-Sì, proprio voi, - fu la risposta pronta di Rocco. -Già una volta ci avete fatti fessi, due anche no.

-Ro' ma non vedi che ti sei fatto contagiare dalle sue teorie complottiste? - cercò di farlo rinsavire Pietro, unendo le mani all'altezza del mento con fare incredulo e sconsolato, a mo' di preghiera. -Che interesse possiamo avere noi a farvi questo scherzo?

-Appunto, sappiamo tutti che casomai è Irene la mente diabolica qui, - scherzò Dora, provocando qualche sorrisetto divertito tra il resto dei dipendenti del grande magazzino.

-Non lo so, forse qualcuno, - proseguì Irene, di nuovo, guardando con diffidenza il principale oggetto dei suoi sospetti, -ha avuto la malsana idea di farci questo scherzo perché pensava che io e questo qua avessimo chissà cosa da dirci.

-Come se fosse possibile riuscire a fare un discorso con una matta come questa, poi, - aggiunse Rocco, sprezzante, senza nemmeno guardare in faccia Irene. Evidentemente tutti quei dispregiativi stavano iniziando a stancarlo.

La reazione della ragazza, poi, non tardò ad arrivare:-Beh, preferisco essere matta che provenire da una famiglia di siciliani cattolici e bigotti.

Irene si girò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi, sfidandolo apertamente. E Rocco Amato non si tirò certo indietro:-Brava sfotti, sfotti pure, intanto se andassi un po' più spesso a messa forse ci starebbe più gente che ti sopporta, ah.

-Dai, Rocco, - intervenne Armando Ferraris, il capo magazziniere. Anche lui, come tutti gli altri lì presenti, doveva star iniziando a capire che quella discussione dai toni accesi probabilmente non avrebbe portato a nulla di buono, e in quanto superiore del ragazzo si era sentito in dovere di richiamarlo per fargli capire che stava incominciando ad esagerare con le parole. Nessuno dei due però sembrò far caso più di tanto a lui, e il confronto proseguì come se non avesse mai parlato:

-Eh certo, - sbottò la Cipriani, -perché ripetere a pappagallo tutto quello che dicono Don Saverio e la signora Amato senza un minimo di senso critico invece ti fa fare tanta strada nella vita.

-Irene...- questa volta fu Stefania ad intromettersi, anche lei con la stessa preoccupazione che aveva caratterizzato il signor Ferraris poco prima. Tuttavia, a differenza di quest'ultimo, il suo intervento non passò inosservato.

-Stanne fuori tu, - ringhiò la sua collega con decisione, piuttosto irritata. La degnò appena di una rapida occhiataccia furiosa, prima di girarsi nuovamente verso Rocco, in attesa della sua risposta che non tardò ad arrivare.

-Veramente io senza le critiche ci vivo benissimo, - mise in chiaro il ragazzo, con un gesto categorico del braccio destro che sembrò come tagliare in due l'aria che lo circondava, come per sancire la solennità e la convinzione che stava dietro le sue parole; poi abbassò leggermente il viso per poter guardare meglio negli occhi la signorina Cipriani, -anzi, la sai una cosa Irè? Forse è proprio perché ti piacciono così tanto le critiche e le malelingue che al Paradiso non piaci a nessuno!

Passarono alcuni secondi di assoluto silenzio, in cui l'atmosfera si sarebbe potuta tagliare con un coltello. Un'improvvisa freddezza avvolse la stanza, e la pesantezza delle parole che erano volate nel corso di quei minuti sembrò colpire solo allora Rocco, Irene e tutti gli altri attorno a loro, schiacciandoli più di quanto non si sarebbero aspettati e portando con sé quell'amarezza che ti colpisce quando ti rendi conto di essere andato troppo oltre, di avere oltrepassato un certo limite, e non sei più sicuro di essere in grado di tornare indietro e riparare al danno fatto. Irene fece alcuni passi all'indietro e si allontanò da Rocco, che sembrò riuscire a vederla realmente, per la prima volta nel corso di quella conversazione, soltanto in quel momento. Chissà, forse la distanza fisica imposta dalla venere non era nient'altro che un riflesso di quella emotiva, che ancora una volta li teneva separati.

-Irene, aspetta, non volevo... - tentò Rocco con voce rotta. Allungò un braccio verso di lei e le rivolse un'occhiata affranta, come se si fosse reso conto solo allora della gravità di ciò che aveva appena detto e fosse rimasto dispiaciuto quasi quanto lei, se non addirittura di più.

-Evita, - replicò Irene, con una gelidità che non aveva mai esibito prima. Poi, con il tono di chi non ammetteva repliche, si congedò una volta per tutte: -Io e le mie teorie complottiste ce ne andiamo, vi auguro buona serata.

Fu solo allora che la persona che si celava dietro a tutta quella faccenda si rese conto che forse, nonostante la sua buona fede, rinchiuderli in quella stanza poteva essere stato un errore. Se non altro aveva avuto il buonsenso di non scegliere la cucina: quantomeno non avevano avuto oggetti affilati a loro disposizione.


-Io e le mie teorie complottiste ce ne andiamo, vi auguro buona serata.

Con un'uscita da diva in piena regola, Irene Cipriani lasciò la stanza. O perlomeno ci provò. Sentendosi terribilmente in colpa per quanto era appena successo, e in una piccola, piccola parte, in fondo in fondo anche un po' responsabile, nonostante non fosse lei la diretta artefice di quella sottospecie di complotto messo in atto ai danni della sua migliore amica, Stefania Colombo decise di provare a fermarla. -Irene, dove stai andando?- la chiamò. La notte era calata ormai e Irene era sola, davvero voleva tornare a casa per conto suo e lasciare lei e Anna lì così?

-A cercare un telefono per chiamare un taxi, - le rispose la sua compagna di stanza, accingendosi a salire le scale. Il suo tono faceva intendere chiaramente che era abbastanza decisa nel portare a termine quella risoluzione, e Stefania si sentì combattuta. Da un lato avrebbe voluto fermarla e parlarle, magari in privato, per capire cosa fosse successo con Rocco che l'aveva spinta ad uscire da quella stanza con tutta quella furia e quella cattiveria. Dall'altra però sapeva bene che quando Irene si sentiva triste o delusa o giù di morale non voleva che nessun altro la vedesse, e Stefania non voleva certo invadere i suoi spazi. Qual era la cosa migliore da fare per il suo bene? Fino a poco prima credeva di averlo saputo, ora invece non ne era più così tanto sicura.

-Irè, ava' - la chiamò Rocco, come risvegliatosi dal momentaneo intorpidimento in cui l'aveva lasciato l'ultima frase della sua amica, -torna qua, su!

La ragazza non lo degnò nemmeno di uno sguardo e continuò imperterrita nel suo cammino. Stefania poteva capire la sua arrabbiatura, quello che Rocco le aveva detto non era certo stato carino, soprattutto visto che lui era pienamente consapevole di tutte le insicurezze di Irene e quanto fosse facile ferirla, nonostante la facciata che mostrava al mondo. Però era anche vero che Irene non era del tutto innocente, era andata a colpirlo proprio negli aspetti della sua vita a cui lui era più legato: la sua fede, la sua famiglia, le sue origini. Stefania si chiese come fosse possibile che due persone che si amavano così tanto, così giuste l'una per l'altra, riuscissero anche a farsi così tanto male e a ferirsi in modo così stupido e inutile. Se solo Irene fosse riuscita a tirare fuori un po' meglio quello che aveva dentro senza insultare o aggredire gli altri e Rocco non si fosse chiuso sulla difensiva, magari le cose avrebbero potuto funzionare... E il non sapere cosa fosse andato storto, precisamente, non faceva altro che frustrarla ancora di più. Nel frattempo, tutto quello che aveva ottenuto era che Irene se ne stava andando via, e lei non aveva la più pallida idea di come fermarla senza farla irritare ancora di più. Fortunatamente, non sembrava essere l'unica che voleva che Irene rimanesse.

-Irene, aspetta!- esclamò Gabriella, che riuscì perlomeno a far fermare sui suoi passi la venere ferita; forse la sua posizione di padrona di casa le dava più autorità rispetto al resto delle altre ragazze, convenne tra sé e sé Stefania. Era stata così assorta nella discussione, prima le accuse di Irene e poi la litigata tra lei e Rocco, che si era completamente dimenticata della presenza della stilista e del fatto che anche lei le stesse ascoltando. Forse fu anche per quello che Stefania in un primo momento fu quasi sorpresa del dispiacere e della partecipazione emotiva che aveva percepito nella sua voce. Di nuovo, sicuramente il fatto che fosse la padrona di casa doveva avere un bel peso in tutto ciò.

-Dai, resta almeno per la torta, - proseguì, cominciando a salire le scale per andare dietro a Irene, -sono sicura che si è trattato solo di un malinteso.

Irene si voltò verso di lei e le rivolse un mezzo sorriso dispiaciuto, poi proseguì e raggiunse il secondo piano, seguita dalla stilista che presto sparì dalla loro vista. L'attenzione generale, allora, tornò a essere rivolta a Rocco, in piedi di fronte a Stefania e Pietro e davanti al resto dei loro amici, che lo osservavano in silenzio, ognuno con i propri pensieri in testa. Stefania si sentiva di biasimarlo soltanto fino a un certo punto; voleva molto bene a Irene, ma sapeva che non sempre era facile riuscire a parlare con lei, soprattutto quando l'argomento del discorso erano cose che avevano a che fare con i suoi sentimenti.

Sentendosi evidentemente a disagio a causa di tutta quella situazione, Rocco prese finalmente la parola:-Vado a prendere un po' d'aria fuori, che ne ho bisogno – e in silenzio si avvicinò alla porta di ingresso.

-Rocco aspetta!, - lo chiamò il signor Armando. L'uomo si girò verso il resto del gruppo e spiegò:

-Forse è meglio che vada con lui... -

Stefania annuì in un segno di approvazione, e vide con la coda dell'occhio Gloria Moreau fare la stessa cosa, quasi all'unisono. Certe volte era impressionante l'inspiegabile somiglianza che c'era tra loro due. Comunque sia, Stefania pensava che fosse la cosa migliore, magari parlare con Armando avrebbe potuto aiutare Rocco più di qualsiasi altra cosa, anche solo a schiarirsi le idee.

-Forse è meglio che vada dire ad Assunta di aspettare dieci minuti prima di portare la torta... - si offrì Ludovica Brancia, con un po' di incertezza.

-Sì, - l'appoggiò Federico, -direi che questa non è proprio l'atmosfera adatta.

Due persone avevano appena litigato e tutto ciò a cui quella riusciva a pensare erano le formalità, le cerimonie e una stupida torta, osservò aspramente Stefania. Perfino Rocco era riuscito a metterla in secondo piano, ed era Rocco! La parte più logica e razionale di sé sapeva che in fondo era anche un bene che ci fosse qualcuno che in tutta quella confusione riuscisse a pensare alle cose pratiche e occuparsene, ma il modo in cui Federico sembrava pendere dalle sue labbra e la sosteneva a prescindere da qualsiasi cosa dicesse, come invece non aveva mai fatto con lei, non riusciva a non fargliela odiare. I due ragazzi uscirono dalla stanza insieme per dirigersi verso la cucina, seguiti dall'occhiata di disappunto mista a sconforto (e gelosia) di Stefania.

Dando una rapida occhiata attorno, Stefania realizzò che praticamente erano rimasti tutti quelli che avevano partecipato alla (ormai fallimentare) Missione Magazzino... fatta eccezione per Anna e Sofia, si rese conto in un secondo momento. Forse in fondo era un bene, almeno avrebbe potuto consultarsi rapidamente con il resto del gruppo e cercare di capire cosa fosse successo, e soprattutto, chi fosse stato a rinchiudere Irene e Rocco all'interno della stessa stanza. Doveva per forza essere stato uno di loro, Stefania ne era sicura... ma chi? Pietro non poteva essere, non aveva mentito quando aveva detto che erano stati assieme quasi tutto il tempo, e la signorina Moreau e la signora Conti erano da escludere per ovvie ragioni, il che non lasciava molte opzioni. Dora sembrava la scelta più probabile, ma in fondo nemmeno Paola era da escludere, del resto anche nei suoi romanzi preferiti, quelli che la tenevano con il fiato incollato fino alla fine, il colpevole era sempre l'individuo più insospettabile. La stessa Irene non l'aveva nemmeno presa in considerazione, nonostante i suoi sospetti. L'unica cosa di cui Stefania poteva dire di essere certa era che, almeno quella volta, lei non c'entrava niente.

-Sofia, - iniziò lei, rivolgendosi alla sua collega, -ti va di andare da Federico in cucina a vedere se ha bisogno di aiuto ad impiattare il resto dei dolci? Sei tu l'esperta qua.

Stefania le rivolse un caldo sorriso di incoraggiamento per apparire più convincente. Era il primo pretesto che le era venuto in mente e francamente voleva soltanto che se ne andasse il prima possibile, con tutto l'affetto che le voleva.

-D'accordo, vado a vedere cosa hanno combinato i domestici con le mie opere d'arte, - scherzò lei, -poi aggiornatemi su Irene.

-Ma certo, - le assicurò Stefania, accarezzandole di sfuggita il braccio mentre l'altra le passava vicino. E così, finalmente anche Sofia lasciò la stanza. Stefania sapeva che Anna era ancora lì, ma non aveva né il tempo né il modo di farla andare via, non sapendo quale scusa usare e non trovando le energie mentali per crearne una lì sul momento, così si disse che anche se non era al corrente di nulla di ciò che era successo e del loro piccolo segreto, avrebbe dovuto farsene una ragione e cercare di tenersi al passo da sola come poteva.

-D'accordo ragazzi, - esordì Stefania, non appena fu certa che anche Sofia non potesse più sentirli, ormai lontana, -adesso che siamo soli e possiamo parlare voglio saperlo, chi di voi è stato a rinchiuderli dentro?

-Non guardare me, - obiettò Dora, rendendosi immediatamente conto di trovarsi al centro dei sospetti dell'amica. -Se avessi saputo che qualcuno stava organizzando uno scherzo del genere a Irene lo avrei fermato subito, conoscendola pensavo che ci avrebbe ridotte ad un tappeto e usate per decorare la sua stanza.

-Sì, come minimo, - aggiunse Paola. In effetti non avevano tutti i torti, tutti avevano appena visto quanto non fosse propriamente una bella esperienza attirare su di sé le furia di Irene Cipriani.

-Quindi nemmeno tu c'entri Paola?- domandò Stefania in tono sconsolato, come se ne fosse stata quasi dispiaciuta. Perlomeno avrebbe avuto una spiegazione, un qualcosa a cui appigliarsi. Invece ora le sembrava quasi di brancolare nel buio.

-Io? Ma figurati! Io e le amiche della signora Bergamini ci siamo trovate benissimo a parlare.

-D'accordo ma se non sei stata tu allora chi è stato?- chiese Pietro retoricamente, guardandosi attorno con un'aria piuttosto confusa.

-Ragazzi, - si intromise Anna, -perché state tutti dando per scontato che qualcuno li abbia chiusi lì dentro? Non può essere che sia andata come ha detto Sofia e la serratura sia rimasta bloccata per sbaglio? A me sinceramente sembra l'ipotesi più probabile...

Le sue domande furono seguite da qualche istante di silenzio in cui il resto del gruppo evitò lo sguardo della cugina di Gabriella, incerti se dirle la verità e spiegarle cosa ci fosse dietro o semplicemente fare finta di niente.

-Diciamo che ci sono dei motivi per pensarlo, - rispose Stefania, rimanendo sul vago. Naturalmente la spiegazione non sembrò bastare alla sua coinquilina:

-E cioè, che motivi? C'è qualcosa che devo sapere?

Con la coda dell'occhio, Stefania vide che Pietro era sul punto di aprire bocca, per cui per impedirgli di dire qualcosa che avrebbe potuto creare a tutti loro (specialmente alla stessa Stefania) problemi (specialmente con Maria), si affrettò a giustificarsi:

-No, macché, figurati, così, è solo un sesto senso.

A giudicare dallo sguardo perplesso di Anna era evidente che non fosse convinta e che avesse altre domande da fare, ma Stefania cercò di impedire che ciò avvenisse girandosi verso la signorina Moreau per chiederle:-Signorina Moreau, non c'entrerà mica lei vero?

La capocommessa del paradiso le rivolse un sorriso divertito, a metà tra il lusingato e il perplesso. -Le assicuro che io e Beatrice siamo state tutto il tempo qua, siamo innocenti.

Beatrice? Adesso si chiamavano addirittura per nome? Beh, Stefania immaginava che non fosse poi così strano, del resto avevano cominciato a diventare amiche da quando si erano ritrovate entrambe coinvolte in quell'ignobile impresa.

-Posso confermare, - aggiunse la mamma di Pietro, -e a questo punto se il colpevole non è nessuno di noi forse davvero la porta è rimasta chiusa per sbaglio... dopotutto questa villa deve avere molti anni alle spalle, può capitare che le serrature si blocchino di tanto in tanto.

Per alcuni istanti nessuno disse nulla, fatta eccezione per qualche mormorio di assenso non identificato. In effetti erano arrivati a un vicolo cieco, soltanto loro sapevano di Rocco e Irene e avrebbero avuto interesse a fare un gesto come quello, però sembrava proprio che nessuno dei suoi amici fosse coinvolto... che fosse davvero, seriamente tutto un crudele scherzo del destino?

Inaspettatamente, fu una voce esterna a rispondere all'interrogativo della giovane ragazza:-Le assicuro che le serrature di casa mia funzionano benissimo, signora Conti, anche perché ho fatto restaurare questo lato della villa pochi mesi fa. Era mia intenzione non dire niente a nessuno, ma visto quanto siete dediti alla causa, suppongo che ormai posso venire allo scoperto e assumermi le mie responsibilità: la verità è che il responsabile sono io.

Fu solo in quel momento che Stefania si voltò verso Cosimo Bergamini, rimasto leggermente in disparte rispetto al resto del gruppo per non dare nell'occhio, con l'espressione di chi aveva appena visto un fantasma.

 

Lo scorso lunedì

C'erano delle volte nella vita, pensava tra sé e sé Cosimo Bergamini nel tardo pomeriggio di un lunedì di fine maggio, in cui sembrava quasi che l'universo seguisse una sorta di schema, un percorso, un destino. Ricordava quando circa due anni prima aveva sentito il suo migliore amico fargli un discorso simile riguardo la sua travagliata storia d'amore con la madre di sua figlia, come secondo lui fosse stato tutto un percorso che lo aveva portato ad assistere alla nascita della sua piccola Margherita, a vedere il suo primo respiro e sentire il suo primo vagito. Cosimo, all'epoca, ricordava anche di aver pensato che fosse un mezzo pazzo e di avergli riso in faccia; adesso, con due anni in più di esperienza alle spalle e dopo aver attraversato la sua personale versione dei nove livelli dell'inferno di Dante in un lasso di tempo minore di quello che aveva impiegato per passare dal “lei” al “tu” nel rivolgersi a quella che sarebbe diventata la sua futura moglie, Cosimo non era in grado di stabilire con certezza chi dei due avesse avuto ragione, il Riccardo completamente pazzo di sua figlia o la versione di se stesso più giovane, superficiale e immatura che quel giorno aveva parlato con lui al circolo. L'unica cosa su cui non aveva il minimo dubbio era che l'universo, talvolta, aveva dei modi davvero singolari di esprimersi. Tutta questa riflessione fu elaborata dal suo cervello nel momento in cui, nel tardo pomeriggio di un lunedì di fine maggio, vide Irene Cipriani varcare la soglia della caffetteria di fronte al Paradiso delle Signore.

Cosimo non era un assiduo frequentatore della caffetteria, se doveva essere onesto, e parte della ragione era inevitabilmente legata al fatto che l'ex fidanzato di sua moglie lavorava lì. Non perché ritenesse Salvatore Amato una persona sgradevole, anzi, da quando lui e Gabriella si erano fidanzati lui era sempre stato gentile e cordiale nei suoi confronti, nonostante tutto; la sua reticenza a frequentare il suo locale era perlopiù giustificata dal fatto che quando lui aveva fatto a Gabriella la proposta di matrimonio la sua storia con il barista era finita poco tempo prima, per cui da quel momento in poi tutti i loro incontri erano inevitabilmente stati segnati da una certa dose di imbarazzo che entrambi si sarebbero volentieri evitati, potendolo. Naturalmente la scenata di gelosia che aveva fatto al circolo qualche settimana prima, uno dei punti più bassi che avesse mai toccato in vita sua, se non il più basso in assoluto, non aveva fatto altro che peggiorare le cose, e per quanto Cosimo gli avesse rivolto le sue più sentite e sincere scuse sapeva che non sarebbe stato neanche lontanamente sufficiente a riparare al danno fatto.

Quel giorno però aveva dovuto fare un'eccezione e acconsentire a pranzare in caffetteria, in nome della sua amicizia con Federico Cattaneo. La sua ultima settimana a Milano si prospettava davvero piena di impegni, e anche Federico tra il lavoro e la vita privata (lui e Ludovica avevano da poco iniziato a frequentarsi, sebbene la notizia non fosse ancora ufficiale per non alimentare voci indesiderate ed erano in pochi a saperlo) aveva le sue cose da fare: l'unico momento in cui erano riusciti a far incastrare i loro impegni per passare un po' di tempo assieme era stato proprio nella pausa pranzo di quel lunedì, e dal momento che nel pomeriggio Federico avrebbe dovuto tornare in ufficio il posto più conveniente era stata proprio la caffetteria. Fortunatamente non c'erano stati momenti esageratamente imbarazzanti con Salvatore e, come sempre, Federico era stata un'ottima compagnia. Ma non era quello il punto.

Una delle particolarità della caffetteria era che all'interno disponeva di uno spazio relativamente piccolo; ne conseguiva che, specie nelle ore di punta, per riuscire a far mangiare il maggior numero di gente possibile i due baristi riempivano l'interno con quanti più tavoli riuscissero, sacrificando inevitabilmente spazio per aumentare i coperti. E quindi, proprio come quel giorno, non era raro ritrovarsi molto vicini ad un altro tavolo e, involontariamente, finire per ascoltare in modo del tutto casuale le conversazioni della gente accanto a sé. E così, proprio quel giorno involontariamente erano capitate proprio accanto al tavolo occupato da lui e da Federico due colleghe di Gabriella, la nuova capocommessa del negozio insieme alla donna che aveva preso il posto di Cattaneo, di cui a Cosimo non veniva in mente il nome. Lui e Federico si erano limitati a rivolgere loro un cordiale saluto e ad augurare buon appetito ma, per quanto non volesse, Cosimo si era ritrovato a captare pezzetti della conversazione, specialmente nei momenti di pausa tra una canzone e l'altra in cui il juke box si manteneva temporaneamente silenzioso.

In realtà Cosimo non si era certo aspettato di sentire nulla di diverso delle solite chiacchiere sugli affari del paradiso e magari qualche cliente particolarmente esigente, e invece contrariamente alle sue aspettative, qualcosa di quella conversazione lo aveva sorpreso. Non era sicuro di aver capito molto bene, anche perché non era riuscito a cogliere nulla di più di frammenti sparsi qua e là (perlopiù quello che aveva detto la ragioniera, che delle due era quella seduta più vicino a lui), ma gli pareva di aver capito che una delle commesse, la signorina Cipriani, quella che aveva fatto da modella per Gabriella indossando l'abito british per intenderci, avesse una qualche sorta di tresca segreta con uno dei magazzinieri, della quale loro e un piccolo gruppo di veneri erano venute a sapere per caso. Il cognome Amato non era certo nuovo alle sue orecchie, e Cosimo aveva capito subito che si trattava del cugino di Salvatore. Le due stavano dicendo che fosse incredibile che la commessa era riuscita ad ingannare tutti per più di un mese e a nascondere la relazione da tutti i loro amici e colleghi, soprattutto vista la sua personalità esuberante. Stavano commentando un qualcosa relativo ad un'ipotetica rottura e a un piano per farli rimettere insieme, quando la canzone successiva era partita e il rumore della musica aveva coperto gran parte del discorso, e le parti che Cosimo aveva colto erano troppo frammentarie per avere un senso. Poi avevano cambiato discorso, e la cosa era finita lì.

Forse era proprio per quella ragione che, nel tardo pomeriggio di un lunedì di fine maggio, invece che aspettare che sua moglie uscisse dal lavoro seduto sulla sua auto parcheggiata di fronte al Paradiso, come faceva ogni giorno, aveva deciso di entrare in caffetteria e prendere un'aranciata, per ingannare l'attesa. Gabriella sarebbe dovuta uscire a momenti, ma sapeva che non era raro che si attardasse di qualche minuto per finire uno dei suoi bozzetti o parlare con Vittorio o la signora Amato di questioni riguardanti il lavoro. Era una donna precisa e meticolosa e anche un po' (un po' tanto) una perfezionista e Cosimo sapeva quanto ci tenesse a non lasciare nulla al caso e assicurarsi che i suoi disegni venissero fuori rappresentando esattamente ciò che aveva in mente. Tempo prima c'erano state parecchie occasioni in cui si era fatta schiacciare dall'ansia e dalla preoccupazione di poter deludere Vittorio e le sue clienti; adesso invece la persona che più le interessava soddisfare era se stessa e Cosimo l'aveva vista più sicura e pronta a difendere i suoi lavori e le sue idee, e di questo ne andava infinitamente orgoglioso.

Anche per quello quei minuti di ritardo tutto sommato non gli dispiacevano più di tanto, e finiva sempre per approfittare di quella piccola pausa nel corso della sua giornata per ripensare a ciò che era successo nelle ultime ventiquattr'ore, i suoi impegni per l'indomani e, più in generale, a qualsiasi cosa avesse particolarmente attirato la sua attenzione, o la sua curiosità. Forse era proprio per quel motivo che quel giorno aveva deciso di fare una sosta in caffetteria. Cosimo non sapeva esattamente chi o cosa si aspettasse di trovare; forse un qualche segno, un indizio, che lo portasse a scoprire di più su quella strana faccenda riguardante la signorina Cipriani? Forse di captare un'altra voce di corridoio? Quella sera a cena avrebbe sicuramente menzionato la cosa a Gabriella, immaginandosi che sicuramente, vista la sua inclinazione per i drammi e le vicende sentimentali, la notizia le sarebbe interessata – inclinazione che Cosimo, se doveva essere onesto, in parte condivideva; ai tempi in cui era stato un assiduo frequentatore del circolo lui e Ludovica si erano spesso divertiti a commentare insieme gli eventi mondani in cui erano coinvolti e la gente che ne prendeva parte, gli ultimi fidanzamenti, ipotetici tradimenti. Ludovica era un'amante di queste cose e Cosimo alla fine la assecondava, un po' per amicizia un po' perché in fondo un pochino era a sua volta curioso. Senza contare che naturalmente, all'epoca, sapere quali ragazze fossero disponibili e quale no lo aiutava a capire verso quale direzione orientare le sue conquiste. Naturalmente quella parte ora non era più di suo interesse, ma a quanto pareva una certa passione per il dramma era rimasta in lui. Fu proprio in quel momento che, dopo alcune chiacchiere di circostanza con Salvatore (a quanto pareva l'altro cameriere era al telefono con la sua fidanzata, nel fine settimana sarebbe andato a trovarla a Bologna), Irene Cipriani fece il suo ingresso nel locale. E Cosimo non poté fare altro che interpretarlo come un segno del destino.

-Irene, - la salutò Salvatore, con il suo solito tono allegro e gioviale. Probabilmente era contento, o almeno in parte sollevato, che fosse arrivato qualcuno a distrarlo da quella conversazione che stentava a collaudare. -Che ci fai qui a quest'ora?

La venere gli rivolse un sorriso un po' forzato. -Avevo voglia di prendere qualcosa da bere prima di tornare a casa.

Cosimo sospettava che forse non stesse dicendo tutta la verità. Che ci fosse dietro la vicenda con Rocco Amato? Se davvero aveva capito bene e i due avevano concluso la loro relazione segreta, il suo malumore sarebbe stato giustificato.

-Subito. Cosa ti porto?

-Qual è la cosa più forte che hai? - domandò la ragazza, in tono sconsolato.

-Temo di non poterti dare più di un chinotto, - rispose Salvatore, stringendosi nelle spalle.

-Vada per il chinotto allora, - accettò alla fine lei, con una certa rassegnazione.

-Ecco qua, - e così dicendo, Salvatore le riempì un bicchiere e glielo avvicinò sul bancone. -Dai che magari ti tira un po' su.

Irene annuì con scarsa convinzione, dopodiché Salvatore si allontanò per andare a pulire uno dei tavolini; non doveva mancare molto all'orario di chiusura. E così, lei e Cosimo rimasero soli. Non erano esattamente vicini, ma nemmeno così lontani da potersi ignorare vicendevolmente. O chissà, forse il vecchio se stesso non si sarebbe fatto molti scrupoli a liquidare una commessa senza troppi giri di parole e andare in macchina, ma il Cosimo del presente era diverso, ed era anche curioso di scoprire più dettagli. E così, dopo un paio di secondi, aprì la conversazione:-Brutta giornata?

-Solo un po'- rispose la venere, un po' forzatamente. Poi, dopo una breve pausa aggiunse:-nulla che una cena e un po' di riposo non possano sistemare.

-Gabriella mi racconta spesso quant'è faticoso il lavoro di voi veneri, sa?- replicò Cosimo, per rompere il ghiaccio. In realtà non era propriamente vero che ne parlava spesso, aveva fatto qualche menzione del suo primo anno di lavoro al grande magazzino in qualità di commessa, certamente, ma non era stata un'esperienza così fondamentale per lei come lo era stato l'apprendistato a Parigi, naturalmente. Cosimo immaginò che per indagare sulla faccenda avrebbe dovuto per prima cosa mettere a suo agio la sua interlocutrice, e chiaramente la loro differenza di ceto non l'avrebbe certo aiutata a vederlo come un suo pari. Per cui, aveva pensato che trovare uno pseudo terreno comune e mostrarle comprensione e simpatia fosse un buon punto da cui partire.

-Sul serio? - commentò la Cipriani, un po' perplessa. Evidentemente doveva essere sembrata un po' strana anche a lei quell'affermazione. Cosimo annuì con sicurezza, con l'aria di chi era convinto di ciò di cui stava parlando.

-Dopotutto è stata una venere anche lei, - spiegò, ricordando un tempo che ormai sembrava lontano anni luce e una Gabriella completamente diversa. -Personalmente, se dovessi avere a che fare anche solo con la metà delle clienti di cui mi ha parlato a fine giornata avrei bisogno di molto più di un chinotto, - scherzò lui, alludendo al bicchiere lasciato sul bancone da Salvatore che la ragazza non aveva ancora toccato.

Irene gli sorrise, dando l'impressione di sentirsi un po' più a suo agio. In fondo chi non desiderava sentirsi compatito, specialmente alla fine di una lunga giornata di lavoro? -La ringrazio per la comprensione.

Dopodiché prese il bicchiere e se lo portò alle labbra, bevendo un sorso di chinotto. Cosimo la osservò in silenzio per alcuni istanti, cercando di trovare un modo per fare andare avanti la conversazione senza essere troppo diretto.

-Posso assicurarle che avrà l'occasione di rifarsi alla cena di sabato, - le assicurò, facendo riferimento alla festa di addio che lui e Gabriella avevano organizzato a villa Bergamini nel fine settimana, per salutare tutti i loro amici tutti in una volta. Dopotutto, non capitava tutti i giorni di partire per Parigi e cambiare drasticamente vita, per cui l'evento andava celebrato. -Mia moglie ha già esteso l'invito a lei e alle sue colleghe, no?

-Sì, è passata questa mattina prima dell'inizio del turno per chiederci se avessimo qualche preferenza per quello che riguardava il menù. - Cosimo annuì, guardando Irene negli occhi per farle capire che stava ascoltando. La ragazza poi continuò:-Sinceramente non la invidio per nulla, l'idea di dover cucinare per tutte quelle persone sarebbe un incubo per me.

-Ah non lo dica a me, - concordò lui immediatamente, -oltre a tutti i preparativi a cui dobbiamo pensare per il trasferimento poi. Ho anche proposto a Gabriella di farsi dare una mano da qualcuno, ma lei insiste che in quanto padrona di casa cucinare spetta a lei.

-Sarà, anche se certe convenzioni mi sembrano proprio stupide, - sentenziò la venere in tono risoluto. -Saremo più di venti persone e lei deve fare tutto da sola... io se fossi in lei mi rifiuterei. Sarebbe più giusto che ogni invitato portasse qualcosa, alcuni si occupano dei primi, altri dei secondi e altri portano da bere, e voi mettete la casa, così ognuno fa la sua parte.

Cosimo ascoltò le sue parole con un certo interesse. In effetti non aveva tutti i torti, anzi, adesso che ricordava bene aveva sentito da qualche parte che era un'usanza che stava incominciando a prendere piede negli Stati Uniti. -Ma lo sa che non è affatto una cattiva idea? Questa sera quasi quasi ne parlo con mia moglie.

-Ma no si figuri, è una sciocchezza, dicevo così per dire... - rispose Irene, stringendosi nelle spalle.

-E invece le dirò, non è affatto male come proposta, ci risparmierebbe sicuramente un sacco di tempo. Lo sa, dovrebbe valorizzare di più le sue idee, - le disse, sperando di scatenare qualche reazione emotiva in lei. Cosimo ricordava che Gabriella gli aveva raccontato che nel periodo in cui erano rimasti senza capocommessa Vittorio l'aveva temporaneamente messa a capo del Paradiso, ma la ragazza aveva combinato un qualche problema nell'allestimento del negozio e si era beccata una bella sgridata. Pur non conoscendola a Cosimo un po' era dispiaciuto per lei, del resto anche a lui era capitato di fare errori causati dall'inesperienza quando aveva lavorato per la Palmieri, quindi immaginava che un incoraggiamento non potesse fare altro che essere apprezzato.

E infatti, la reazione della Cipriani glielo confermò: -Sarebbe bello se anche gli altri al Paradiso apprezzassero le mie idee come lei, - mormorò lei sovrappensiero, quasi più a se stessa che a lui.

-Si riferisce a qualcuno in particolare?- domandò quindi Cosimo,

-Mi scusi, lasci perdere quello che ho detto, sono solo stanca, - ritrattò la Cipriani. A giudicare dal suo viso sembrava piuttosto provata, in effetti, ma Cosimo pensò che valesse la pena di fare perlomeno un altro tentativo.

-Adesso però ha attirato la mia curiosità signorina, non può dirmi così e poi lasciarmi sulle spine, - commentò con fare un po' ironico, in parte per smorzare l'atmosfera e non fare sentire la sua interlocutrice sotto pressione.

-Ma no, ero soltanto un po' melodrammatica e ho esagerato un po', - negò ancora una volta la venere.

-D'accordo, se lo dice lei. Gabriella dice sempre che il vostro gruppo di veneri è molto unito infatti, che avete costruito un bel rapporto, - proseguì poi Cosimo, ritenendo opportuno non insistere ulteriormente e cambiare argomento.

-Sì, più o meno... - replicò la Cipriani, lasciando intendere che in realtà non ne era poi così convinta. Cosimo si disse che se non avesse voluto parlarne non avrebbe fatto quell'allusione, allora pensò che valeva la pena di fare perlomeno un ultimo tentativo.

-Allora qualcosa è successo. So che potrà sembrarle strano, ma magari a volte il consiglio di una persona che non è coinvolta direttamente può essere d'aiuto per avere una nuova prospettiva.

-Ma no, si figuri, niente di serio... - tentennò la Cipriani per qualche istante, come se fosse stata indecisa sul da farsi, se cedere alla sua richiesta o tenersi tutto per sé. Alla fine optò per una via di mezzo, che a Cosimo fu più che sufficiente per capire la situazione: -È che, ha presente quando è stato messo di fronte a un ultimatum, o lavorare per Guarnieri dopo che le aveva tolto la fabbrica o rimanere senza lavoro e metterselo contro? Ecco, a volte penso quasi di poterla capire. Detta così le sembrerà sicuramente assurdo...

E invece a Cosimo non sembrava per niente assurdo; anzi, tutt'altro. -No, niente affatto, - la rassicurò lui. Aveva ben presente la sensazione che la ragazza stava descrivendo: o fai quello che ti viene imposto, quello che è conveniente, quello che ci si aspetta, o ti imponi e ti assumi tutte le conseguenze che ne derivano. Fin quando suo padre era stato in vita, Cosimo non aveva avuto molta scelta: andare contro i suoi ordini non era neanche un'opzione, un qualcosa di totalmente fuori questione. Quando poi era morto e lo aveva lasciato solo alla guida di qualcosa più grande di lui le cose erano cambiate, e finalmente aveva avuto la possibilità di decidere per se stesso. Era stato allora che per la prima volta aveva trovato la forza di sfidare chi era più potente di lui, e lo avrebbe rifatto.

-Mi è capitato spesso di sentirmi così se vuole saperlo, non era la prima volta. Sono quei momenti in cui bisogna prendere una decisione, o ci si adegua a ciò che pensa la gente attorno a noi o si trova il coraggio di lottare per quello che riteniamo giusto. E in passato io mi adeguavo sempre, anche a costo di rovinare la felicità delle persone a cui volevo bene... quella invece è stata la prima volta che ho seguito me stesso, senza pensare a cosa fosse sconveniente.

Cosimo ripensò alla storia di Nicoletta e Riccardo, il senso di colpa per aver giocato una parte importante nella loro (fortunatamente temporanea) separazione lo tormentava ancora. Se all'epoca fosse stato più maturo e consapevole avrebbe ascoltato se stesso e sostenuto il suo amico nella fuga, e invece si era fatto stupidamente influenzare, pensando solo a ciò che era giusto per la società e non per il suo amico. Cosimo capì in quel momento che dietro alla rottura della Cipriani con il cugino di Salvatore doveva esserci un motivo simile, che probabilmente aveva tenuto segreta la loro storia e successivamente deciso di chiuderla perché temeva che se le amiche la avessero scoperto avrebbe perso la loro approvazione, e con essa, la loro amicizia. Tra l'altro, ora che ci pensava la giovane Maria, la sarta che lavorava con Gabriella, non viveva proprio nel suo vecchio appartamento insieme alla Cipriani? Conoscendo un po' il carattere di Agnese Amato non era assurdo pensare che la donna prediligesse per il nipote un tipo di ragazza del genere, una che probabilmente si sarebbe subito offerta di andare ad aiutare Gabriella ai fornelli invece di proporre l'idea innovativa della cena dove ognuno portava qualcosa e tutti davano il loro contributo; e Cosimo, a cui cucinare in fondo non era mai piaciuto, sapeva esattamente per chi avrebbe parteggiato.

-E se n'è pentito?- chiese nel frattempo Irene, che l'aveva ascoltato con attenzione.

-Immagino che si aspetterebbe un sì, visto che ora mi ritrovo a dover lasciare Milano senza un lavoro e avendo perso gran parte delle mie amicizie..., - iniziò Cosimo, -ma in realtà non è così. Neanche un po'. Anzi, preferisco mille volte ricominciare da zero avendo la possibilità di rimediare ai miei errori, piuttosto che appoggiare chi mi ha tolto ciò che era mio di diritto.

La venere lo guardò negli occhi mentre parlava e annuì un paio di volte, si portò il bicchiere alle labbra e mandò giù l'ultimo sorso di chinotto. Poi appoggiò il bicchiere vuoto sul bancone, vicino al punto in cui Salvatore lo aveva originariamente posato. Soltanto allora Cosimo si rese conto che i minuti nel frattempo stavano scorrendo e che presto Gabriella sarebbe uscita dal lavoro. Se non lo avesse trovato ad aspettarla sicuramente si sarebbe preoccupata, e lui non voleva certo farla aspettare. Con questo in mente, e vedendo che quella breve conversazione un po' insolita era ormai arrivata al capolinea, Cosimo si alzò e congedò la sua interlocutrice con un sorriso cordiale: -Spero di esserle stato d'aiuto, signorina Cipriani. Adesso vado che non voglio fare aspettare la mia signora, ma è stato un piacere parlare con lei, la aspetto sabato sera. Buona serata!

-Anche a lei, - rispose la venere, con un mezzo sorriso.

Cosimo si voltò verso la porta e si diresse verso la cassa a pagare sia la sua aranciata che il chinotto della ragazza. Dopo che il collega di Salvatore gli diede il resto e gli augurò una buona serata, si avviò verso l'uscita con un obiettivo molto diverso da quello con cui era entrato. Se prima voleva semplicemente soddisfare una sua curiosità personale, adesso la faccenda era diversa. Tanto per cominciare a sua moglie non avrebbe detto nulla, per il momento, conosceva Gabriella e sapeva che non era minimamente in grado di tenere un segreto. E poi, se tutto sarebbe andato secondo i suoi piani, lui non avrebbe avuto bisogno di raccontare proprio niente: sarebbe stata la stessa Cipriani a parlare a Gabriella e al resto del Paradiso, di sua volontà.


Cosimo Bergamini proseguì il suo racconto: spiegò che quella sera aveva parlato a Gabriella dell'idea di Irene, immediatamente approvata con gioia da sua moglie, non solo per il fatto che in quel modo non avrebbe avuto la responsabilità di scegliere un menù e cucinare ma anche perché ci sarebbe stata più varietà nel cibo e ognuno avrebbero trovato almeno una cosa che potesse piacergli. Poi l'aveva convinta ad invitare alla festa anche i magazzinieri, inizialmente esclusi perché, di fatto, con nessuno di loro avevano particolare confidenza. Cosimo le aveva fatto presente che forse sarebbe stato più corretto estendere l'invito a tutti i dipendenti del negozio, per non fare sentire nessuno escluso. Mal che fosse andata avrebbero avuto più cibo a disposizione, e così Gabriella si era convinta. Inizialmente non aveva avuto grandi piani in mente: semplicemente cercare di intrattenere un po' Maria e la signora Amato così che Irene sarebbe stata libera di interagire con Rocco da sola. Poi però né Maria né la signora Agnese erano venute alla festa e Irene aveva evitato Rocco per tutto il tempo, e a parte darsi all'alcol e spiluccare qualcosa non aveva fatto molto altro, così Cosimo aveva capito che bisognava aiutarli. Certo non era stata la sua priorità, ma di tanto in tanto lanciava uno sguardo ai due per vedere come stessero andando le cose; ed era stato un bene: si era accorto che Irene stava salendo le scale con aria sconsolata e aveva sospettato che se ne volesse andare, così aveva deciso di tentare la sorte.

Prima aveva approcciato il signor Ferraris e, con il pretesto di cercare qualcuno che lo accompagnasse a fumare, gli aveva chiesto se volesse uscire con lui in giardino; alla risposta affermativa del capo magazziniere, Cosimo si era scusato un attimo dicendo che prima doveva parlare con una persona, ed era andato da Ludovica. Le aveva spiegato con precisione cosa dire e di ricordare a Rocco di andare a prendere il capotto, dicendo che non aveva tempo di spiegarle ma che presto avrebbe capito tutto. Inizialmente il suo piano era stato semplice: sperava che, ritrovandosi entrambi nella stessa stanza, i due si sarebbero messi a parlare e avrebbero chiarito, complice anche il fatto di essere lontani da tutti, cosa che avrebbe dato loro una maggiore tranquillità e intimità. Però, a quanto pareva, le coincidenze che l'universo aveva in serbo per loro non erano finite: pochi istanti dopo essere uscito in giardino con il signor Ferraris, Cosimo si era reso conto che, paradossalmente, aveva dimenticato le sigarette. E ovviamente, altrettanto paradossalmente, le aveva lasciate proprio nel suo studio, poco distante dalla stanza in cui avevano posato tutti i cappotti. E così, approfittando dell'occasione servita su un piatto d'argento, si era scusato ed era rientrato velocemente.

Mentre aveva percorso il corridoio aveva sentito le voci dei due ragazzi provenire da dietro la porta chiusa, dalla quale fuoriusciva uno spiraglio luminoso, segno che la luce era accesa. Era stato allora che gli era venuta l'idea. Senza sapere a cosa stesse pensando – probabilmente non stava pensando – aveva visto la chiave inserita nella toppa e il pensiero gli era subito balzato in testa. Sapeva che eticamente era scorretto, sapeva che non avrebbe dovuto, sapeva che non erano affari suoi e che quel gesto avrebbe potuto avere effetti potenzialmente disastrosi. Tuttavia, sapeva anche che se Irene avesse incominciato a passare un po' più di tempo sola con se stessa e con ciò che realmente era importante per lei e un po' meno con il resto delle altre persone e le loro aspettative, forse sarebbe riuscita a capire più chiaramente cosa volesse e cosa fosse giusto per lei e sarebbe stato più semplice trovare la forza di opporsi a qualcosa che invece non desiderava. E così, preso dall'istinto mentre sentiva le voci dei due ragazzi farsi sempre più vicine, Cosimo aveva girato la chiave nella toppa e li aveva chiusi dentro. Poi aveva preso le sigarette ed era uscito a fumare con il signor Ferraris, cercando di non pensare troppo al dramma che sarebbe uscito fuori da lì a poco.

Se Stefania Colombo non avesse sentito tutto ciò con le sue stesse orecchie, non ci avrebbe creduto. Anzi, nemmeno avendolo veramente sentito riusciva a crederci. Sembrava un po' la trama di un romanzo giallo, uno di quelli di spionaggio pieni di colpi di scena inaspettati – e il coinvolgimento di Cosimo Bergamini, era tutto fuorché atteso.

-Io mi rendo conto che forse è stata un'azione avventata, - iniziò Cosimo, -ma qualcuno doveva fare qualcosa. E invece ho solo peggiorato le cose.

-No, probabilmente è stata anche un po' colpa mia, - dichiarò Stefania con fare malinconico. -Se non avessi fatto a Irene tutti quei discorsi su quanto è importante ascoltare se stessi e seguire il proprio cuore forse non si sarebbe insospettita e sarebbe riuscita a parlare con Rocco liberamente, e invece le ho messo di nuovo addosso pressioni.

-Ma no dai, non dire così, - cercò di tirarla su Pietro, accarezzandole il braccio destro in segno di conforto. Inaspettatamente, la ragazza si trovò ad apprezzare quel contatto e a desiderare che venisse prolungato soltanto per qualche istante in più. -Noi abbiamo fatto del nostro meglio.

-Infatti signorina Colombo, non si abbatta, - aggiunse Gloria. -Irene è fortunata ad averla come amica, non è colpa nostra se le cose tra lei e il signor Amato non hanno funzionato.

-Appunto, - le fece eco Dora. -Forse dobbiamo solo accettare la realtà e arrenderci al fatto che Irene non vuole dare una possibilità alla sua storia con Rocco. Non tutto si può sistemare.

No, non potevano arrendersi proprio ora. Non così, non senza una spiegazione. Stefania sapeva che Irene era innamorata di Rocco, il modo in cui lo guardava quando credeva che non ci fosse nessun altro nei dintorni non avrebbe lasciato dubbi neanche a un cieco. Doveva senz'altro esserci una spiegazione, qualcosa doveva essere successo dentro quella stanza che li aveva portati ad avere un'incomprensione e a non riuscire ad esprimersi i loro sentimenti. E lei era più determinata che mai a scoprire cosa fosse stato e ad aiutarli a risolvere, anche a costo di fare da mediatrice. E così, senza dire niente a nessuno, Stefania all'improvviso si mise in marcia e si avviò su per le scale, nella direzione in cui era sparita Irene l'ultima volta che l'aveva vista. Pochi istanti dopo fu particolarmente grata di aver scelto proprio quel momento per andarsene, perché sentì la voce di Anna alle sue spalle domandare con voce indignata:

-Scusate, ma qui nessuno pensa ai sentimenti della povera Maria?!

Fu in quel momento che Stefania provò quasi una certa compassione verso i suoi colleghi nonché compagni di sventura, pensando che avrebbero avuto un bel po' di spiegazioni da darle.

 

Nel frattempo, da qualche parte nel giardino di Villa Bergamini e lontani da occhi indiscreti

-Finalmente, ce ne hai messo di tempo ad arrivare!

-Eh il signor Armando non mi lasciava stare, che ci dicevo? Che dovevo vedermi con la mia zita?

-Trovavi una scusa, non posso mica pensare a tutto io.

-Dai Iré, non litighiamo pure pe' davvero, che il litigio per finta mi è bastato.

-Lo so, non è piaciuto nemmeno a me. A un certo punto sembrava quasi reale...

-Siamo stati bravi, eh? Hai visto che facce che avevano?

-Se lo sono meritati. Se Stefania e Pietro si fosse presi le loro responsabilità magari avremmo anche potuto dire loro la verità, e invece gli abbiamo dato una bella lezione. Così imparano a immischiarsi in cose che non gli riguardano.

-Ma magari non son stati loro. A me sembravano sinceri...

-Rocco, tu sei troppo ingenuo. Chi vuoi che sia stato, Cosimo Bergamini? Adesso perlomeno hanno capito che devono imparare a farsi i fatti loro.

-Allora adesso andiamo a mangiare la torta e glielo diciamo che era tutta una finta?

-No.

-Come no? Ma me l'hai promesso...

-Certo che ci andiamo, lungi da me separarti dalla torta. Prima però dammi un bacio.

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Capitolo 7
*** VII. Al posto giusto ***


VII. Al posto giusto.
 

-Irè, la porta è bloccata.

Il primo pensiero di Irene Cipriani quando scoprì di essere rimasta chiusa dentro una stanza con Rocco Amato fu che, ironicamente, quella era anche la prima volta che si ritrovavano da soli in una camera da letto (e probabilmente sarebbe anche rimasta l'unica per un bel po' di tempo, se non per sempre).

-Come sarebbe a dire che è bloccata?- domandò la ragazza, colta alla sprovvista e presa dal panico. Doveva esserci un errore, senz'altro. A volte poteva capitare che le serrature fossero un po' arrugginite, bisogna fare due o tre tentativi prima che la porta si aprisse.

-Picchì scusa, non si dice così in italiano?- chiese Rocco, aggrottando per un istante la fronte con fare perplesso, come faceva tutte le volte che non gli veniva in mente il traducente di una parola dal siciliano e aveva bisogno di fermarsi a riflettere un po' prima di trovarlo. Irene ignorò l'accuratezza con la quale era in grado di decifrare le sue espressione facciali e sospirò. Aveva altre priorità al momento, come ad esempio uscire da là.

-Fammi provare, - disse, avanzando verso la porta nonostante fosse già abbastanza vicina da poter afferrare comodamente la maniglia e spingerla verso il basso, come se quell'ulteriore vicinanza avesse potuto darle un maggiore vantaggio o un aiuto in più. Poi prese la maniglia tra le mani e mentre l'abbassava spinse in avanti, ma la porta non si aprì, proprio come era successo poco prima a Rocco. Riprovò un'altra volta e un'altra volta ancora, ma, -niente, è bloccata, - si arrese infine, indietreggiando di qualche passo come per ammettere la sua sconfitta.

-E io ch'ho detto?!- domandò Rocco retoricamente, guardandola negli occhi. Irene abbassò lo sguardo e non gli rispose, non volendo dargli la soddisfazione di ammettere che aveva avuto ragione. Invece preferì allontanarsi di qualche passo e si guardò attorno. Se dovevano rimanere lì per chissà quanto tempo, tanto valeva che si mettesse comoda. Presto Irene si rese conto che, tristemente, non avevano poi molte alternative: o rimanevano in piedi, o si sedevano per terra, o sul letto. Propendendo per quest'ultima opzione, la ragazza spostò alcuni dei cappotti per farsi spazio e trovare un angolo del letto in cui mettersi, assicurandosi che ci fosse posto per almeno un'altra persona nel caso in cui Rocco avesse voluto raggiungerla. Non che fosse quello che inconsciamente desiderava, naturalmente.

-Posso?- chiese infatti lui dopo pochi istanti, chinando il capo per incontrare lo sguardo di lei. Irene annuì e si spostò leggermente a lato per fargli spazio.

-Certo.

Rocco si sedette alla sua destra, dando le spalle alla porta proprio come lei. Rimasero in silenzio per un numero indefinito di secondi, in cui Irene con discrezione gli lanciava di tanto in tanto qualche occhiata furtiva, cercando di non farsi vedere, nel tentativo di capire a cosa stesse pensando. Si accorse presto che gli angoli della sua bocca si tirarono su in un piccolo sorriso, nonostante non ci fosse proprio niente di divertente nella situazione in cui erano capitati; naturalmente questo non fece altro che intensificare la sua curiosità in merito all'oggetto dei pensieri del ragazzo.

-Perché ridi?- gli domandò quindi, preferendo essere diretta.

-Io? No, niente, - obiettò Rocco, ritornando immediatamente serio; come se potesse essere sufficiente a farla desistere.

-Dai, dimmi, - lo esortò lei, sperando che non si facesse pregare. -Non abbiamo un granché da fare comunque, - gli fece presente, sperando che quella debole argomentazione funzionasse.

Alla fine lui sembrò captare la sua impazienza e decise di farla contenta, dal momento che ammise, non senza un certo imbarazzo (quello che lo contraddistingueva sempre ogni volta che parlavano di argomenti che avevano a che fare con la sfera sentimentale, come spesso succedeva anche a lei del resto): -Stavo pensando che anche quando ci siamo dati il primo bacio, quello vero dico, stavamo seduti proprio così...

Il viso di Irene si tinse immediatamente di un colorito rosso purpureo che sperò vivamente non fosse così evidente sotto la luce artificiale della lampadina (si sbagliava), non tanto a causa del ricordo di quell'episodio in sé e per sé (come se fosse stata la prima volta in cui ci ripensava, poi) ma piuttosto della consapevolezza che ora si ritrovavano senza volerlo in una situazione quasi equivalente, il cui esito sarebbe potuto potenzialmente essere il medesimo. Avrebbe dovuto ignorarlo e tenerlo a debita distanza, e invece erano seduti vicini sullo stesso letto e stava rischiando di baciarlo di nuovo!

Un vero successo, insomma.

-È vero, - convenne Irene, non sapendo cos'altro potesse dire per non rivelare il tormento emotivo che aveva dentro. -Non credevo te lo ricordassi così bene, - aggiunse poi, senza pensarci troppo.

-Certo che me lo ricordo, Ire', - obiettò Rocco, quasi offeso che l'altra potesse anche solo concepire il contrario.

-Perché è stato bello?- lo stuzzicò lei, curiosa di vedere la sua reazione. Rocco non era certo il primo ragazzo che aveva baciato, ma nessuno dei baci che aveva dato o ricevuto in precedenza era stato minimamente paragonabile a quello (e a tutti quelli che l'avevano seguito). Era diverso quando... sì insomma, quando c'era quella roba lì; i sentimenti.

-No, - rispose invece lui, contro ogni sua aspettativa. Irene aggrottò la fronte con fare inquisitorio, al che Rocco si affrettò a spiegare:-cioè sì, è stato anche bello, ma me lo ricordo soprattutto perché mi ha mandato in crisi.

-Davvero?- domandò Irene, perplessa. Avevano parlato di tante cose nel mese in cui si erano frequentati, ma mai di quello. Era la prima volta che se lo sentiva dire.

-'Che non si vedeva?- domandò lui con fare ironico.

-Beh, quando poi ci siamo rivisti il lunedì dopo mi hai detto che al tuo paese quando due si baciano poi si devono fidanzare, che eri pronto a prenderti le tue responsabilità manco fossi rimasta incinta, che mi avevi compromessa... - obiettò Irene. Ricordava bene la conversazione che avevano avuto quel giorno nei camerini, per poco non si erano fatti scoprire dalla Moreau – per quanto alla sua capocommessa potessero interessare i drammi tra una venere e un magazziniere. -Io avevo una gran confusione in testa, e vederti tutto sicuro di te mi ha mandata in panico ancora di più, - ammise infine Irene. Era la prima volta che glielo diceva così apertamente.

-È questo che hai pensato Irè, che ero sicuro?- domandò Rocco, sottintendendo che invece si fosse sbagliata.

-Sì. Perché, non è così?

-Ah non te lo dico, - si negò lui, facendo innervosire Irene. Proprio quando il discorso aveva incominciato a farsi interessante, lui si metteva a fare il prezioso! Quanto le dava sui nervi certe volte.

-Dai! - protestò lei, fregandosene del fatto che in quel modo stava dando prova del suo interesse; la sua curiosità era più grande.

-Non dicevi che oramai è finita, croce e noce?- la prese in giro Rocco, facendole il verso mentre con le mani disegnava nell'aria una croce.

Quella strana espressione un po' buffa, che Irene non aveva mai sentito prima e di cui ignorava il significato, non passò inosservata. -Croce e noce?- chiese, con voce divertita.

-Eh, croce e noce, - ripeté lui con sicurezza.

-Adesso fai il sostenuto? - lo prese in giro lei.

-Un poco, - le concedette.- E comunque te lo meriti.

-Ma non è giusto, - protestò Irene, ancora una volta, -e poi non è valido, sai che non so cucinare, non posso neanche corromperti col cibo per farmelo dire.

Quasi senza che se ne rendessero conto, l'atmosfera pesante dell'inizio si era completamente dissipata e ora avevano incominciato a scherzare e punzecchiarsi come facevano di solito. Per un attimo Irene si era dimenticata che fossero chiusi a chiave, si era dimenticata degli altri là sotto, di Maria, del Paradiso e degli Amato. Aveva smesso di preoccuparsi dello status della loro relazione, se fossero solo amici, conoscenti, fidanzati o qualsiasi altra cosa. In quel momento incominciò a sentirsi finalmente come se fossero soltanto loro due, Irene e Rocco, due persone che stavano parlando e ridendo e scherzando e che stavano bene insieme. E all'improvviso, tutti i motivi che l'avevano portata a volerlo allontanare da sé le sembrarono stupidi e ridicoli e così lontani e insignificanti... Era incredibile come la sua testa riuscisse sempre a ingigantire le cose e vedere potenziali problemi ovunque, anche dove non c'erano, quando molto spesso la realtà era molto più semplice. Lei e Rocco avevano trovato il modo di capirsi nonostante le loro apparenti differenze e insieme stavano bene; erano felici. Quella non era forse una ragione valida per voler stare con lui?

-Irè, guarda che ci sono cose più importanti nella vita di pasta e patate, ah, - le fece presente.

-Cioè?- incalzò lei, avendo il presentimento che si stesse finalmente decidendo ad arrivare al dunque.

-Facciamo così, - decise lui alla fine, -io te lo dico se prima tu mi rispondi a una domanda.

-D'accordo, affare fatto, - decretò Irene, senza nemmeno doverci pensare. -Cosa vuoi sapere? - domandò in modo diretto. Immaginò che probabilmente le avrebbe chiesto qualcosa del tipo “perché hai voluto chiudere con me?” o “sul serio non lo hai fatto perché sei preoccupata per Maria?”, e invece, ancora una volta Rocco la prese alla sprovvista.

-Perché quella sera mi hai baciato?

Quella era una domanda che Irene non si sarebbe aspettata. Perché lo aveva baciato... Che razza di domanda era? Lei era una persona perlopiù istintiva, preferiva agire anche senza pensare, piuttosto che non fare nulla per fermarsi a riflettere; le paranoie le lasciava volentieri a Stefania. Non c'era necessariamente una ragione dietro ogni cosa che faceva, o perlomeno, spesso sì, ma di certo lei non aveva voglia di perdere tempo e starci a pensare. Che importanza aveva in ogni caso?

-E non provare a negarlo picchì non serve, me lo ricordo bene, mi hai baciato tu, - precisò Rocco.

-Perché volevo farlo, - disse alla fine Irene, pensando che in linea di massima dopotutto era così. Aveva guardato Rocco negli occhi, aveva capito di volerlo baciare e che lo voleva anche lui, e così lo aveva fatto.

-Non è vero, - la contraddisse lui.

-Certo che è vero! - protestò Irene, quasi indignata. -Pensi che vada in giro a baciare chiunque?

-Penso che non era la prima volta che lo volevi fare, - ribatté Rocco (e non si sbagliava). -E neanche per me, ah. Poteva succedere prima o anche dopo, e invece tu mi hai baciato proprio quel giorno, in quel momento.

-Beh, - iniziò Irene, cercando di fare mente locale e richiamare alla mente quel momento, quella circostanza, e con essa anche i pensieri che l'avevano attraversata, -avevo avuto una brutta giornata e tu eri stato carino...

Anche così, sentiva di non stargli dicendo tutta la verità e che quella spiegazione era quantomeno troppo semplicistica e riduttiva. Perché Rocco insisteva così tanto e cercava di tirarle fuori quelle cose? Era davvero di fondamentale importanza parlarne, dirle ad alta voce? Irene in quello non era affatto brava.

Ad ogni modo, se non era riuscita a convincere nemmeno sé stessa, figurarsi poi lui, che infatti non tardò a farle presente:-E tu baci anche Stefania o Maria quando sono carine con te dopo una brutta giornata, fammi capire?

Irene sospirò e poi lo guardò dritto nei suoi occhi castani, realizzando che tentare di nascondersi non avrebbe avuto molto senso. -Mi spieghi come fai?

-A fare cosa?

-A leggermi dentro, a capire sempre quando non sono sincera, quando c'è qualcosa che non va, quando sto male. È come se riuscissi a sentire anche le cose che non riesco a dire.

-Perché non c'è sempre bisogno di parlare, Iré. Non per me. È come se... non so come spiegarlo bene ah, con l'italiano giusto.

Irene lo prese per mano e gli rivolse un sorriso di incoraggiamento. -Purtroppo per me il dialetto siciliano è ancora “croce e noce”, - scherzò, sperando di aver usato quell'espressione appena imparata nel modo corretto.

-Vabbè, io ci provo, - iniziò Rocco, prendendole a sua volta la mano che aveva stretto la sua e accarezzandole gentilmente il dorso. Irene abbassò per un attimo lo sguardo sulle loro mani unite, prima di riportarlo sui suoi occhi. -Io ti vedo per quella che sei, Irene, e a me questo mi basta. Ho imparato che per capirti non bisogna guardare quello che dici ma quello che fai, che sei una persona più di fatti che di parole, un po' come a me, e se uno fa un po' di attenzione poi si vede subito che sotto sotto sei buona, che agli altri ci tieni, a volte pure troppo. È solo che tu le cose le mostri in modo diverso, e uno prima deve imparare la tua lingua, se no non capisce.

Fu allora che Irene capì. Capì cos'era stato quel rumore sordo, come di qualcuno che bussava ad una porta senza che fosse chiaro da dove, che aveva sentito – metaforicamente – nella sua testa per tutta la serata, o forse da molto di più, quasi per tutta la vita. Le sembrò quasi di sentire qualcosa dentro di sé spezzarsi, il suono nitido e quasi palpabile di un “crack”, una crepa, e poi una frattura. Non si sentiva in colpa nei confronti di Rocco, né di Maria o Stefania o la famiglia Amato; lei si sentiva in colpa verso se stessa. Si sentiva in colpa perché era da tutta una vita che si detestava da sola e non permetteva a nessuno di avvicinarsi, di conoscerla e di imparare ad amarla, pregi e difetti inclusi. E adesso che era arrivato Rocco di soppiatto ed era riuscito a superare ogni sua barriera e raggiungere il suo cuore senza che lei se ne accorgesse, lei lo spingeva via così, senza neanche una spiegazione, per futili motivi di convenzioni sociali. Non era giusto nei suoi confronti prima di tutto, precludersi la felicità in quel modo, e il suo subconscio aveva cercato di farglielo capire con i mezzi che aveva a disposizione. Adesso che si era finalmente decisa a seguire quel suono e aprire la porta, quello che Irene aveva visto dall'altra parte era troppo bello per potervici rinunciare. E allora decise che non lo avrebbe più fatto. Mai più. Lo doveva a se stessa.

Mentre osservava Rocco in silenzio, dovendo ancora pienamente assimilare ciò che le aveva appena detto, si ritrovò a pensare che aveva una voglia incredibile di baciarlo, e ancora di più di stringerlo a sé, di sentirlo vicino, proprio come quella volta nello spogliatoio delle veneri; anzi, probabilmente perfino di più.

-Iré, tutto bene?- domandò Rocco, probabilmente preoccupato per il suo silenzio prolungato. Irene nel frattempo aveva cominciato a piangere, le lacrime stavano sgorgando dai suoi occhi e le rigavano le guance quasi senza che lei se ne rendesse conto. Non era triste, né arrabbiata o delusa o preoccupata, semplicemente negli ultimi giorni aveva immagazzinato dentro di sé una grande tensione e un bel carico emotivo senza dire niente a nessuno o senza poter fare niente per esternare quello che provava ed esprimerlo. Quella sera a quella festa era arrivata al punto di rottura, e ora finalmente stava buttando tutto fuori. Normalmente si sarebbe vergognata di farsi vedere in quello stato da altre persone, ma scoprì con sua sorpresa che con Rocco non era così. Con lui era diverso... era come se si sentisse a casa. Forse perché ormai aveva già visto il peggio di lei, e comunque era rimasto.

Capendo le sue difficoltà, Rocco non insistette e non cercò di ottenere una risposta, semplicemente rimase al suo fianco in silenzio e le asciugò le lacrime, aspettando il momento in cui Irene si sarebbe sentita di parlare. Alla fine, la ragazza raccolse le poche forze emotive che le erano rimaste e riuscì finalmente a rispondere alla domanda che Rocco le aveva posto originariamente:

-Volevi sapere perché ti ho baciato? È questo il perché, te lo sei detto da solo. Ti ho baciato perché quando sono con te io mi sento per la prima volta vicina a me stessa, quella volta, tutte quelle dopo ancora e anche tutte quelle che verranno. È tutta la vita che non faccio altro che sentirmi sbagliata, diversa, fuori posto, e io allora per sopravvivere mi nascondo dietro una facciata. Poi arrivi tu ed è proprio come hai detto... tu capisci la mia lingua. E la sera del nostro primo bacio è stato così, dopo tanto tempo passato nascondermi per la prima volta ho sentito che c'era qualcuno che riusciva a vedermi.

Era stato difficile, una vera e propria impresa, ma ce l'aveva fatta a tirarlo finalmente fuori.

-Lo vedi allora che non serve essere uguali per capirsi?- domandò infine Rocco, soddisfatto che fossero finalmente riusciti a raggiungere quella conclusione insieme.

Irene annuì. -Tu dici?

-Dico, dico, - le fece eco. -E dico anche che c'è una cosa più importante di cui dobbiamo parlare ora.

-Come?!- protestò Irene. A giudicare dal tono scherzoso che aveva usato, aveva già più o meno capito dove volesse andare a parare, ma si divertì a far finta di nulla e stare al gioco. -Adesso tocca a te rispondere alla mia domanda.

Rocco ignorò la sua richiesta e invece la prese tra le braccia e la sollevò per farla sedere sulle sue gambe. Irene gli mise una mano sulla schiena e incominciò ad accarezzarla piano piano, disegnando piccoli cerchi. In quel momento ebbe la conferma di non essersi sbagliata poco prima: con lui si sentiva veramente a casa.

-Sbaglio o hai detto che ci saranno altri baci? - la stuzzicò, mentre le circondava la vita con le braccia per tenerla vicina a sé. -Perché va bene che a volte mi confondo, ma di questo sono abbastanza sicuro.

-No, non sbagli, - gli confermò Irene con un'occhiata maliziosa.

-Vieni qua, ah.

E prima che Irene potesse dire o fare qualsiasi cosa, lui l'attirò a sé con fare deciso e la baciò. Erano passati tanti, troppi giorni dall'ultima volta in cui era successo, ma fu come se non si fossero mai allontanati, come se tutto il resto non avesse avuto importanza. Il tempo tornò ad essere un concetto relativo e Irene si dimenticò completamente dove fosse, lasciandosi andare, finalmente libera di seguire ciò che sentiva senza rimorsi o sensi di colpa.

Ad un certo punto, durante uno dei momenti in cui erano temporaneamente distanti per riprendere aria, Rocco le sussurrò qualcosa all'orecchio che lei non fu in grado di cogliere, un po' perché il suo cervello era ancora annebbiato dai baci e dalla loro vicinanza e difficilmente sarebbe stata in grado di rendersi conto di fattori esterni, un po' perché la sua conoscenza del siciliano era molto limitata, ed era piuttosto sicura che lui avesse parlato in dialetto.

-Che hai detto?- chiese, respirando a fatica.

-Che mi sei mancata assai, - tradusse per lei Rocco, sempre in un sussurro. Poi la baciò di nuovo e quando si staccò aggiunse, stavolta guardandola in faccia, -pure troppo.

Fece per riavvicinarsi e baciarla un'altra volta, ma Irene ebbe la prontezza e il buonsenso di fermarlo, mettendogli una mano sul petto. -Non cercare di distrarmi, devi ancora rispondere alla mia domanda tu, - gli fece presente.

In realtà, per quanto ricevere una risposta le avrebbe fatto piacere, quello era l'ultimo dei suoi pensieri. Il fatto era che tutti quei baci stavano annebbiando la sua capacità di giudizio al punto che, se avessero proseguito per quella strada, soli e chiusi a chiave in una camera da letto, avrebbe iniziato a desiderare di fare qualcosa a cui invece non avrebbe decisamente dovuto pensare, per cui trovò infinitamente più saggio cercare di concentrarsi su altro e riportare il suo cervello ad esaminare argomenti meno pericolosi.

-Che domanda? - domandò Rocco ingenuamente. Evidentemente anche i suoi pensieri erano rivolti altrove, e Irene francamente lo capiva.

-Come che domanda? Quella che ti ho fatto all'inizio! - gli ricordò.

-E cioè?

Niente da fare, era senza speranza.

-Se dopo che ci siamo dati il primo bacio tu eri già sicuro di volerti fidanzare subito con me, - ripeté infine Irene.

-No che non ero sicuro Iré, manco pe' niente, - le confessò Rocco. -Non per il sentimento, ma per tutto il resto. Io in testa avevo una gran confusione, ci stava Maria, ci stavano i miei zii, e poi c'eri tu e non sapevo cosa pensare. Era la prima volta che provavo certe cose, che quasi mi facevano paura, e io non sapevo come gestirle, chista è la verità. E allora ho pensato che dovevo capire qual era la cosa giusta, e al paese è giusto che gli uomini si prendono le responsabilità e fanno il fidanzamento, e io così ti ho detto.

-Perché non mi hai detto che avevi paura anche tu? Io avrei capito... - lo rimproverò Irene con dolcezza, accarezzandogli i capelli ricci. -E invece, sentendoti parlare di impegni e matrimoni, mi sono spaventata ancora di più.

-Perché neanche io sono uno a cui piace parlare di 'ste cose Iré, lo sai. E poi...

-Cosa?- chiese Irene, sospettando che dietro ci fosse altro.

E infatti, in questo caso non si sbagliava:-Non volevo che pensavi che avevo paura, ecco, - ammise Rocco, abbassando la testa.

-E perché no? Non c'è niente di male, - lo rassicurò Irene, alzandogli il mento affinché lui capisse, anche attraverso i suoi occhi e la sua espressione, che era sincera e lo pensava davvero.

-Eh picchì, è facile per te. Tu sei brava a farti vedere coraggiosa, decisa, anche se so che poi non è sempre così, e a volte mi metti in soggezione. Volevo dimostrarti che anche io so quello che voglio.

-Rocco ma io ti amo esattamente per come sei, non devi cercare di farti vedere più forte o più sicuro, anzi, - scattò immediatamente Irene, che non voleva che Rocco si sentisse in difetto neanche per un momento. -Una delle cose che mi piace di più di te è che hai sempre il coraggio di essere te stesso, nel bene e nel male. E io questo coraggio non so se l'avrò mai.

Solo in quel momento Irene si rese conto di ciò che aveva appena detto, del fatto che quelle tre paroline le erano scivolate dalla bocca in modo quasi involontario, quasi come se le fossero scappate. Per un attimo ebbe paura della reazione di Rocco e fu quasi tentata di rimangiarsele, e invece lui fece finta di niente e continuò a parlare, rispondendo al resto della frase: -Certo che ce l'hai anche tu, ava'. Io ti conosco e so che sei più forte di tutti quelli là fuori. Adesso noi usciamo appena ci tirano fuori di qua e diciamo a tutti le cose come stanno, va bene? E se qualcuno si fa problemi o ci dice qualcosa va' che ci metto un attimo a metterlo al suo posto.

Irene sapeva che Rocco con ogni probabilità stava cercando di sembrare serio e autorevole, ma lei non riuscì ad impedirsi di lasciarsi andare ad una piccola risata.

-I problemi verranno fuori una volta usciti da qua, temo, - predisse, immaginando la reazione di Maria e dei signori Amato. -Anzi, probabilmente Stefania farà i salti di gioia quando lo saprà. È tutta la settimana che mi fa discorsi strani sui sentimenti, il cuore e certe stupidaggini che legge su “Ditelo a Brunella”.

-Anche Pietro lo sa di noi, in realtà... - le rivelò Rocco, con sguardo colpevole. -So che mi avevi detto che non dovevamo dire niente a nessuno, però lui è il mio migliore amico Irè, potevo mentirgli?

Irene pensò tra sé e sé che una delle cose che l'avevano fatta innamorare di lui era proprio la sua innocenza, declinata anche e soprattutto in piccoli gesti come quello, che dicevano molto del tipo di persona che era senza che lui se ne rendesse necessariamente conto.

-No, hai fatto bene, tanto lo avrebbe scoperto comunque, - gli disse con fare rassicurante.

-Ma che poi lo sai che anche lui è tutta la settimana che mi chiede di te? - Rocco ragionò ad alta voce. -Ma cosa è successo con Irene, ma picchì non ci parli, ma picchì non le chiedi di ballare... un poco strano è sembrato pure a me.

-Ecco, ora si spiega tutto, - realizzò finalmente Irene. Adesso i pezzi del puzzle che da giorni aveva cercato di mettere insieme finalmente riuscivano ad incastrarsi, e tutto stava iniziando ad acquisire un senso. -Pietro deve averlo detto a Stefania dopo che lei gli avrà fatto qualche moina e ora hanno pensato bene di chiuderci qua dentro per farci fare pace, quei due impiccioni.

-Beh, alla fine ha anche funzionato, no? - le fece presente Rocco.

-Questo è vero, ma non voglio dargliela vinta così facilmente, - obiettò lei, determinata più che mai a rimanere ferma nella sua posizione. -Quei due devono imparare a non immischiarsi e a farsi i fatti loro una buona volta, soprattutto Stefania. Se ora andiamo di là e gli diciamo che abbiamo fatto pace, penseranno che in fin dei conti avevano ragione ad intromettersi.

-E allora che vuoi fare, vuoi continuare a tenerlo segreto?- chiese Rocco. Non lo disse apertamente, ma soltanto dal suo tono di voce Irene intuì che quell'opzione non gli avrebbe fatto per nulla piacere, e nemmeno lei aveva più voglia di continuare a nascondersi in tutta sincerità. Allora si ingegnò per trovare un compromesso tra la sua voglia di godersi la felicità che la vita di coppia le avrebbe offerto e il suo desiderio di vendetta – d'accordo, forse vendetta era un po' forte come parola, diciamo più una piccola rivincita.

-No, certo che no – mise in chiaro immediatamente. -Però potremmo dar loro una bella lezione e divertirci a loro spese, solo per un po', come loro hanno fatto con noi d'altra parte. Tu immagina: loro si aspettano di vederci tornare mano nella mano tutti felici, e noi invece facciamo una scenata davanti a tutti e ce ne diciamo di tutti i colori. Così sì che si sentiranno in colpa e capiranno di avere sbagliato.

-Però solo per finta, no? - volle essere sicuro Rocco, un po' preoccupato. -Mica litighiamo per davvero?

-Certo Rocco, per finta, - ribadì lei. -E poi gli diciamo che era tutto uno scherzo e che in realtà stiamo insieme. Che ne dici?

-Dico che è anche per questo che ti amo anche io, ava'.

 

Salotto di Villa Bergamini, tempo presente

-Stefania!

Quando sentì una voce a lei familiare chiamare il suo nome, Stefania Colombo si girò. Gloria osservò la sua espressione stupefatta e avvertì un tuffo al cuore nel constatare che non poteva nemmeno chiamare sua figlia per nome senza dare nell'occhio o destare sospetti. Era stata così presa dai drammi di quella serata, prima il litigio tra la signorina Cipriani e Rocco Amato e poi la rivelazione di Cosimo Bergamini – se solo non si fosse fatta distrarre così tanto da Beatrice sarebbe riuscita a rendersi conto che non era il caso di parlare in pubblico così apertamente di quella faccenda e tutto quello non sarebbe successo – che aveva finito per farsi trascinare dall'emotività e dimenticarsi che non avrebbe dovuto prendersi certe libertà con una sua subordinata. Doveva decisamente lavorare sulla sua emotività, o le cose avrebbero incominciato a sfuggirle di mano.

-Signorina Colombo, - si corresse immediatamente. -Mi scusi se mi permetto, dove sta andando?

Beatrice e suo figlio l'avevano seguita, e ora si trovavano tutti e quattro nel bel mezzo delle scale, lontani dal gruppo di veneri che stavano cercando di spiegare tutta la storia della loro missione clandestina alla signorina Rossi, un'impresa tutt'altro che semplice.

-Voglio andare a cercare Irene, - dichiarò Stefania con decisione. -Adesso è tutto sola, in un qualche angolo di questa casa che aspetta di andare via in taxi, sicuramente si sente tradita da tutte le persone che le vogliono bene e anche presa in giro. Non posso lasciare che se ne vada via così.

Gloria osservò la sua bambina e fu riempita di orgoglio quando il suo comportamento testimoniò per l'ennesima volta che era diventata una ragazza matura e piena di sensibilità, capace di donare tutto il suo affetto a quelli che la circondavano.

-Se ti riferisci a Irene è ancora qui, - rivelò in quel momento la signora Bergamini, scendendo dal piano di sopra per raggiungere gli altri in salotto. -Ci ho parlato e sono riuscita a convincerla a rimanere almeno per la torta, anche se non è stato facile.

-Menomale, - esultò Stefania, visibilmente sollevata. -Dov'è adesso?

-Ha insistito per andare a fare due passi in giardino, - spiegò la stilista, -diceva di aver bisogno di un po' d'aria. Adesso scusatemi ma vado a dire ad Assunta di aspettare dieci minuti prima di portare il dessert, almeno facciamo calmare un po' le acque.

-Naturalmente, - confermò Gloria, con uno dei suoi sorrisi accondiscendenti. La stilista congedò con un cenno del capo Beatrice, Pietro e Stefania e continuò a scendere le scale.

-Forse sono ancora in tempo, - disse quest'ultima, prima di voltarsi e accingersi a seguire Gabriella nel salotto.

-Stefania aspetta, - la fermò Pietro.

Quando la venere si voltò senza dire nulla, in attesa che lui parlasse, il ragazzo si spiegò:-Vengo con te. Ci siamo dentro tutti e due, è giusto che la affrontiamo insieme fino alla fine.

-Sei sicuro di essere in grado di gestire un'Irene Cipriani in preda alla furia cieca? Perché non è così semplice, ti avviso...

-Me ne sono accorto, - confessò il ragazzo, -però vale la pena tentare. E poi se fossi sola sarebbe peggio, no?

Stefania non disse niente, si limitò a sorridergli e annuire. Poi i due ragazzi scesero le scale e si diressero verso la porta di ingresso. A Gloria e Beatrice bastò una sola occhiata per capire che stavano pensando esattamente la stessa cosa: senza indugiare, le due donne seguirono i loro figli fuori in giardino. Trovare la Cipriani non fu così immediato, dovettero girare alcuni minuti nel buio per riuscire a individuarla, e capirono il perché si fosse andata a rintanare chissà dove soltanto quando finalmente la localizzarono. E così, per un qualche scherzo del destino, Gloria e Beatrice si ritrovarono ancora una volta nella stessa identica situazione che le aveva originariamente portate ad orchestrare tutto quel piano che aveva decisamente finito per sfuggir loro di mano.

-Allora adesso andiamo a mangiare la torta e glielo diciamo che era tutta una finta?

-No.

-Come no? Ma me l'hai promesso...

-Certo che ci andiamo, lungi da me separarti dalla torta. Prima però dammi un bacio.

E si sarebbero baciati, se il signor Conti non li avesse interrotti con un bell'applauso.

-Ma bravi eh, complimenti, una recitazione impeccabile!

Gloria non riuscì a mettere bene a fuoco le facce dei due ragazzi, ma era più che sicura che dire che erano stati colti di sorpresa sarebbe stato un eufemismo.

-Ma!- esclamò invece Stefania, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro, -ma voi due state insieme allora!

Senza pensare al finto litigio, al fatto che avessero preso in giro tutti (cosa che Gloria doveva ammettere, in parte si erano meritati), e alle accuse infondate che aveva ricevuto, Stefania si fiondò sulla sua migliore amica e l'abbracciò, prima che questa potesse avere il tempo di dire o fare qualsiasi cosa.

-E sei contenta?- domandò la Cipriani, un po' tentennante.

-Ma certo!- ribadì Stefania mentre scioglieva l'abbrccio, -sono molto contenta per voi, davvero tantissimo. Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto, vuoi mettere! Adesso però mi devi raccontare tutto.

-Ah, allora stai ammettendo le tue colpe, - le rinfacciò la venere bionda, contenta di poter dire di avere avuto ragione fin dall'inizio.

-Veramente è un po' più complicato di quello che pensi, ma più tardi vi spiegheremo bene tutto.

Nel frattempo Rocco Amato, che era rimasto zitto fino a quel momento, fu il primo della coppia a notare che Stefania e Pietro non erano soli. -Signora Conti, signorina Monreau, - le salutò con una certa riverenza, accentuando esageratamente la “n” del finto cognome di Gloria come faceva sempre. -Che ci fate anche voi qua?

-Non ditemi che siete coinvolte anche voi in tutto questo! - aggiunse poi la Cipriani, sbigottita.

-Lo sa signorina Cipriani, - iniziò Beatrice, facendo un passo in avanti verso di lei -non ho niente in contrario se lei e il suo fidanzato vi appartate in magazzino ogni tanto, però la prossima volta magari controllate di essere soli. Non immagina neanche le cose che si scoprono quando si capita per caso nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Beatrice si girò a guardare Gloria e le rivolse un sorriso complice, che quest'ultima ricambiò. Soltanto che Gloria, questa volta, non si trovava d'accordo con lei. Osservò il viso di Beatrice Conti illuminato dalla luce lunare, che non le rendeva neanche lontanamente giustizia, Pietro e Stefania che ridevano spensierati e Irene e Rocco finalmente insieme, uniti. Beatrice si sbagliava, non erano capitate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Al contrario, si erano ritrovate lì proprio al momento giusto.

 


 

Nota dell'autrice

Che dire, questo capitolo non so come l'ho scritto. Rileggendolo non mi sembra neanche di averlo scritto io, lo ha scritto il mio cervello da solo limitandosi ad ascoltare quello che gli Irocco stavano facendo e dicendo e a descriverlo nella maniera più accurata e piena di drama possibile.

Ci tengo a dedicare quest'ultimo capitolo in particolare alla mia amica Dia (InvisibleWoman) visto che oggi è il suo compleanno e questo è il mio regalo per lei, spero all'altezza. <3 Voglio ringraziare tutti quelli che si sono presi del tempo per leggere la storia, anche senza commentarla, le persone che pur non avendo letto questa storia hanno contribuito a sostenermi emotivamente e moralmente e quelle che, seppur in modo molto sottile e quasi impercettibile, io ho inserito nel racconto sotto forma di pezzi di descrizioni, di espressioni o di termini usati, le persone che io avevo in mente mentre scrivevo e che quindi ho riversato nel racconto in un modo o nell'altro, quelle che hanno contribuito a influenzare me e i miei stati emotivi, che naturalmente poi si riflettono anche nella narrazione, sia in modo positivo che negativo. Spero che abbiate apprezzato questo finale alternativo più dell'originale (non che ci voglia molto) e di essere stata in grado di rendere giustizia a questa coppia bistrattata, ma che a mio parere merita tantissimo.

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