All'altezza del cuore di rose07 (/viewuser.php?uid=53347)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dubbi ***
Capitolo 2: *** Malessere ***
Capitolo 3: *** La notizia ***
Capitolo 4: *** Reazioni ***
Capitolo 5: *** Comprensione ***
Capitolo 6: *** Confusione ***
Capitolo 7: *** Paura ***
Capitolo 8: *** Allontanamento ***
Capitolo 1 *** Dubbi ***
Mi sento di fare un piccolo incipit prima che la storia inizi. Questa
originale, come ho accennato, è il secondo capitolo di
"Splendida Follia", una storia che ho postato all'inizio del decennio e
che ho scritto quando ovviamente avevo un'età differente.
Per chiunque avesse
intenzione di incominciare a leggere questa nuova storia, consiglio di
leggere prima quella che ho menzionato semplicemente per avere le idee
più chiare e conoscere meglio i personaggi. Non vi
ruberà molto tempo, è una storia scorrevole e a
tratti divertente che, come ho spiegato nell'intro, ho corretto e
revisionato qualche tempo fa.
Si trova all'interno di
una serie chiamata "Ubi Maior Minor Cessat", dove potrete trovare
anche un missing moment tratto dalla
prima parte.
Non mi aspetto nulla da
questa nuova storia, solo ci tengo a postarla in quanto ho passato
diverso tempo a scriverla e in un certo senso in essa sono impressi
implicitamente ed esplicitamente tutti i miei anni da scrittrice.
La differenza di stile
che trapelerà sarà ovvia da capitolo a capitolo,
proprio perché include un lasso di tempo molto largo dove la
mia scrittura è andata perfezionandosi. Avrei potuto andare
a ristrutturare i primi capitoli rendendoli conformi al modo di
scrivere di adesso, ma la verità è che, a parte
l'aver apportato delle correzioni necessarie, non tutto è
stato lasciato lì per caso. Laddove le descrizioni
passeranno dall'essere più sintetiche a minuziose
sarà anche un modo per sottolineare la crescente
intensità psicologica e sentimentale dei protagonisti,
perciò una constatazione, una maturazione. Il modo di
scrivere sancirà proprio un passaggio, una scoperta di
sentimenti, sensazioni, dolore, rassegnazione.
Spero vi piaccia e
soprattutto che siate abituati ai cambiamenti perché questa
‘serie’ ne è piena.
Il freddo inverno bussava
alle porte, senza pietà. Valeryn si strinse di
più al suo maglione, guardando fuori dalla finestra.
Passanti frettolosi si accingevano a tornare a casa, speranzosi di non
andare incontro alla tempesta che da lì a pochi minuti si
sarebbe scatenata.
La castana
gettò un’ultima occhiata, per poi bere a piccoli
sorsi la sua cioccolata calda. Fece una piccola smorfia al contatto
della bevanda con la sua lingua, cosa estremamente strana dato che di
solito la gustava con piacere. Posò la tazza sopra il
lavandino e tornò a guardare fuori, malinconica, preoccupata.
D'istinto una
mano scivolò sopra la sua pancia piatta, in attesa di
qualcosa, magari un segno.
Poi si
ridestò, pensando che forse non era come credeva, che forse
si era sbagliata. La sua mente vagò fino ad una settimana
prima, quando lei e Maia si trovavano insieme in farmacia.
La farmacista aveva
guardato quest’ultima di traverso, stupita.
“Per te,
cara?” Maia sentì il cuore battere forte, dopo
sorrise falsamente.
“Ehm, no,
una... una parente lontana!” si giustificò, poi
afferrò l’acquisto posando i soldi sul bancone.
“Grazie tante e
arrivederci” Voltò le spalle alla donna, mentre
questa l’osservava andare allibita, chiedendosi se quella
ragazza superasse i diciotto o meno.
La riccia volse uno
sguardo interrogativo all’ amica, uscendo dal negozio con in
mano una bustina verde. Le due si fissarono per qualche secondo, dopo
imboccarono la strada di casa. Valeryn non aveva detto nulla
per tutto il resto del tragitto, e Maia era preoccupata.
Aveva incominciato a
piovigginare, così dovettero allungare il passo. Arrivarono
a destinazione. Si spogliarono dai cappotti, e si precipitarono in
bagno, un po’ speranzose, un po’ titubanti. Valeryn aveva il cuore in gola.
Maia aprì il sacchetto e ne estrasse fuori un piccolo
oggettino; la salvezza, la verità.
Lo porse alla castana,
che lo guardava impaurita.
“Forza, Vale,
ci siamo.”
Valeryn sentì un
brivido percorrerle la schiena. Non voleva utilizzare quel coso, no,
no! Maia continuava ad incoraggiarla, pur essendo consapevole di essere
finita nella tana del lupo.
Colta da un coraggio
improvviso, afferrò l’oggetto e si chiuse in
bagno. I minuti che trascorse lì dentro furono quasi
un’eternità. Maia guardava nervosamente la porta
in attesa che aprisse. Stava sudando freddo.
La castana
uscì d’un tratto. Si
guardarono.
“Allora?”
Valeryn negò con la
testa e fece cenno verso il bagno.
“E’
lì, ti prego, guarda tu.”
La supplica
dell’amica arrivò come un getto d’acqua
ghiacciata. Entrò in bagno, prendendo tra le mani
ciò che lei aveva lasciato sopra il water. Fece un lungo
respiro prima di guardare.
“Hai
visto?” chiese la castana arrivando da dietro.
Maia si voltò
in sua direzione senza parole. Si fissarono per secondi infiniti,
parlando con gli occhi. Poi Valeryn le scippò
dalle mani il test, con sgarbo.
Voleva farla finita.
Voleva vedere. Voleva sapere e basta, adesso. L’attesa le
procurava paura.
Rosso. Due linee rosse ben
visibili. Vide tutto rosso.
Si portò una
mano sul viso, sedendosi sopra la vasca, facendo scivolare per terra
quel dannato oggetto.
Maia le si
avvicinò, posandole una mano sulle spalle, scostandole i
capelli dal volto.
“Vale, mi
dispiace... io...”
Valeryn si divincolò
dal suo abbraccio, cercando di bloccare le lacrime che scorrevano a
fiumi dalle sue guance.
“Sono
incinta!” esclamò disperata, spaventata
“Io sono
incinta!”
La riccia la prese
nuovamente tra le sue braccia stringendola in un abbraccio confortante,
cercando di non piangere anche lei. Troppo tardi, ormai lo stava
già facendo.
Valeryn tornò al
presente sospirando e mordendosi il labbro. Ecco spiegati i suoi dubbi,
il suo ritardo di due settimane... Era incinta. Il test di gravidanza
parlava chiaro, rosso, positivo.
Lei, appena
diciassettenne, aspettava un bambino. Ancora non riusciva a crederci.
Voleva piangere, ma ormai l’aveva fatto per troppe volte in
quei giorni. Maia non sapeva più cosa fare per lei.
Nessuno sapeva niente,
nemmeno Miriana, nemmeno lui. Venne distratta dal
suono del suo cellulare. Pigiò il tasto verde senza vedere
chi era.
«Pronto?»
La sua voce suonava stanca. La riccia dall’altro capo se ne
accorse.
«Tesoro»
disse preoccupata «Come stai? Perché non sei
venuta a scuola oggi?»
Valeryn deglutì.
«Non mi
andava» mormorò.
«Avevi detto
che venivi» continuò Maia «Hai saltato
la festa dell’accoglienza. Sai, hanno fatto dei balletti
niente male, ma come il tuo dell’anno scorso nemmeno a
parlarne!»
Le piaceva il fatto che
l’incoraggiasse sempre e comunque. Per questo voleva bene a
Maia, si disse. Quella ragazza riusciva sempre a fare uscire in lei la
dolcezza, a farla sentire bene.
«Comunque se
stavi male hai fatto la miglior cosa» annuì la
mora, senza farla rispondere
«Sappi comunque
che... lui ti ha cercata»
Valeryn sentì i
battiti perdere il controllo. Era per quel motivo che non era andata a
scuola. Tecnicamente erano gli ultimi giorni prima delle vacanze
natalizie, quindi ciò si poteva benissimo collegare a
quello. In realtà non era così.
«Ha chiesto di
te» continuò l’amica «Io ho
fatto la vaga. Non volevo metterlo in allarme»
La castana si
attorcigliò una ciocca tra le dita.
«Grazie, Mai. Hai fatto
bene»
Sentì un
sospiro dall’altro capo.
«Quando glielo
dirai, Valeryn? E’ passata una settimana,
lui deve saperlo!»
La ragazza
guardò nuovamente fuori dalla finestra. Sapeva anche lei che
non poteva tenere nascosta la gravidanza ancora per molto; avrebbe
potuto farlo per giorni, magari settimane, poi la sua pancia avrebbe
svelato tutto.
Sospirò
gravemente.
«Lo
so» disse «Ma non mi va ancora. Voglio... aspettare
un altro po’... essere sicura...»
Maia sbottò
esasperata dall’altro telefono.
«Abbiamo fatto
quel test due volte, ormai sei sicurissima, Valeryn!»
«Lo
so»
«Perciò
mi sembra ora di dirglielo»
«Lo
so»
«Sai dire solo
questo?»
Si rendeva conto di
quanto poteva essere difficile per Maia quella situazione. Ma lo era
anche per lei, soprattutto per lei. D’un tratto la sua vita
aveva assunto una piega diversa, lei stessa si sentiva cambiata. Non
era più la Valeryn combattiva e determinata
di sempre: era diventata tetra, silenziosa, malinconica. Tutti avevano
notato questo suo repentino cambiamento d’umore, tutti
avevano fatto domande, nessuno sapeva la risposta. Solo lei sapeva.
Doveva ringraziarla.
«Mai, io... Ti chiedo scusa
se...se ti sto trascinando in...» Perché sentiva
sempre quelle maledette lacrime punzecchiarle gli occhi smeraldini? Era
diventata impotente, sensibile. Non stava bene.
«Non devi
scusarti con me, lo sai» troncò Maia
«Entrambe sappiamo ciò che devi fare. Devi farlo,
Vale, non starai più bene così. Oppure
c’è un altro modo, ma...»
«Non lo
farò mai!» esclamò la castana, quasi
urlando. Poi controllò che sua madre non ascoltasse
«Non
abortirò per nessuna cosa al mondo, questo è
certo!» abbassò di grado la voce.
La riccia
annuì dall’altro capo del telefono.
Sapeva che Valeryn non era contraria
all'aborto laddove le circostanze non permettevano una garanzia di vita
dignitosa o, soprattutto, nel caso di altre situazioni più
gravi, ma adesso che la questione la riguardava da vicino era diverso,
scattava subito sulla difensiva quando quella parola usciva fuori.
Aveva detto che nessuno
poteva contestare le scelte di nessuno, perciò non lo
avrebbe fatto nemmeno lei.
«Bene,
perciò parla chiaro» disse convinta. Poi
abbassò la voce anche lei «E’ il padre, Valeryn. Lui deve sapere. Ha
tutto il diritto!»
Sospirò
amaramente. Poi lo pensò.
Pensò alla sua reazione. Pensò se
l’avrebbe amata ancora.
«D’accordo,
adesso vado» disse secca «Non mi sento affatto
bene.»
«Mi
raccomando» fece l’amica premurosa «Se
stai male chiamami»
Valeryn annuì ed
attaccò subito dopo. Si sentiva incredibilmente stanca,
spossata, non aveva più voglia di far nulla. Solo chiudersi
nella sua stanza, sotto il piumone caldo del suo letto. Lontana da
tutti gli amici, dai genitori, da tutte quelle persone là
fuori. Da lui.
Quasi averlo chiamato, il
cellulare squillò nuovamente. Valeryn questa volta lesse il
display, per poi sospirare di tristezza. Lasciò che il
telefono squillasse a vuoto per una manciata di secondi che le
sembrarono un’eternità, poi si morse il labbro in
colpa.
Non era pronta per
rispondere ad una sua chiamata in
quel momento, non era pronta per sentire la sua voce.
Gettò la
cioccolata ormai fredda sul lavandino, poi lavò la tazza
pensierosa. Qualcosa dentro di sé la convinceva che Maia
aveva ragione, non poteva nascondere la gravidanza al suo ragazzo, non
poteva stare in silenzio e soffrire.
Pensò che in
fin dei conti avere un bambino non doveva essere così male.
Si tastò la pancia. D’un tratto la voce di sua
madre emerse da un’altra stanza, acuta e pungente.
Sospirò rassegnata.
Chissà
cos’avrebbero detto loro, invece. La sua
famiglia, sua madre, suo padre. La famiglia di lui.
Era incinta alla sua
età, non era ancora maggiorenne. Cristo, come avevano fatto
a sbagliare? Com’era potuto accadere? Così
sciocchi da aver lasciato che succedesse...
Basta, basta rimuginate,
si disse d’un tratto.
Doveva parlare con lui.
Assolutamente. Non c’era nessuna soluzione al problema,
avrebbe dovuto soltanto aprire quella dannata bocca e dirgli tutta la
verità.
Dire a Vittorio che
aspettavano un bambino.
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Capitolo 2 *** Malessere ***
Le ore di scuola
sembravano non passare mai. Dopo aver preso quattro in filosofia, cosa
non da lei, data la sua particolare devozione per le materie
umanistiche, la professoressa la chiamò in privato
chiedendole spiegazioni. Valeryn spostò lo
sguardo stanco verso la porta della classe di Angelina, di fronte a
lei. Per un attimo desiderò barricarsi lì dentro
per sfuggire alla prof e ai suoi compagni rumorosi. Le scoppiava la
testa e sentiva le gambe tremare ogni volta che si alzava.
«Valeryn»
incominciò la professoressa apprensiva «mi chiedo
come mai tu non abbia studiato. Eppure sapevi che ti avrei interrogata
oggi. Cos’è successo?»
Valeryn evitò
accuratamente di guardarla, concentrandosi su alcune ragazzine del
primo che sghignazzavano. Anche lei avrebbe voluto essere felice. Anche
lei avrebbe voluto ridere come loro. Sospirò. Per quanto
volesse dire qualcosa, seppur una scusa idiota, non ci
riuscì.
La professoressa di
filosofia si rivolse nuovamente a lei.
«Allora, dimmi,
se c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi sai benissimo
che puoi farlo»
La prof la fissava
aspettando un suo qualunque segnale o parola. Valeryn non sapeva che dire. Per
un attimo, un dannatissimo attimo che le sembrò
un’eternità, pensò di spifferarle
tutto. Di dire alla sua professoressa che il problema che
l’affliggeva era una cosa seria, che aspettava un bambino,
che la sua vita aveva assunto una piega diversa. Ma diamine era una
follia, come poteva pensare una cosa del genere?
«C’entra
qualcosa... Servante?» La donna
ammiccò verso la porta chiusa, alludendo a Elia, il suo ex
ragazzo che stava in classe con lei.
«Capisco che
l’amore alla tua età possa influire sul rendimento
scolastico, ma non bisogna affliggersi così, cara»
Valeryn guardò bieca
la professoressa che parlava con una convinzione tale da metter i
brividi. Che la signora Rambaldi fosse esclusivamente certa che lei ed
Elia stessero ancora insieme era evidente.
«Io e lui non
stiamo più insieme da tanto, prof»
sbiascicò la ragazza, un po’ in imbarazzo, facendo
ammutolire improvvisamente la donna.
«Oh,
davvero?» chiese esterrefatta, mentre Valeryn faceva un sorrisino
tirato.
«Scusami, cara,
io... Beh sai, fino a l’anno scorso vi vedevo molto uniti, e
credevo che... Oh ma non importa, perdona la pecca!»
La Rambaldi rideva a
mo’ di scuse. Ma in verità era Valeryn che doveva inventarsi
una scusa al più presto. Perché non aveva
studiato? Mh, era incinta... Troppo diretta?
«Prof, deve
scusarmi, ma sono stata poco bene. Le assicuro che
recupererò il brutto voto...»
«Lo spero, Valeryn, tu sei molto
capace» disse la donna seria «Non voglio che il
quattro di stamattina ti rovini la media. Capisci cosa
intendo?»
Valeryn non rispose
abbandonandosi ad un capogiro. Sentiva una sensazione di vertigine tale
da non riuscire a reggersi in piedi. Si aggrappò al muro
barcollando, facendo allarmare la prof.
«Stai bene,
cara, che ti succede?»
La sorresse appena in
tempo, mentre quella apriva gli occhi e annuiva.
«N-niente
professoressa, tutto apposto» sussurrò mentre la
donna la guardava poco convinta.
«Sei sicura che
non ci sia altro?»
La fissò per
un attimo negli occhi trattenendosi dal non urlare tutto. Era talmente
complicato. Era diventato difficile sopportare quel segreto.
La campanella
salvò in extremis la sua folle idea. Fece un sospiro di
sollievo, mentre i suoi compagni di classe aprivano la porta
riversandosi sui corridoi. La prof se ne andò quasi subito,
e Valeryn tornò dalle
sue amiche con aria stanca.
Maia le scoccò uno
sguardo preoccupato. Le diede un piccolo abbraccio e le sorrise, mentre
Sara e Conny si stiracchiavano la braccia.
«Tutto
bene?» le sussurrò la ricciolina. Valeryn non fece in tempo a
rispondere, che una sfilza di domande la precedettero a raffica.
«Allora che ti
ha detto?»
«Ti ha
rimproverato per il voto?»
«Non
è che ti vuole lasciare la materia?»
«Ma Conny,
ancora siamo a dicembre!»
«Zitta, Sara,
tu non puoi capire. I professori lo sanno già da
ora!»
«Cosa?! Allora
il mio Dan è automaticamente bocciato!»
Valeryn si portò una
mano alla testa che le scoppiava. Perché non stavano zitte
quelle due? Maia se ne accorse e venne in
suo aiuto.
«Basta ragazze,
fate parlare lei.»
La castana le rivolse
uno sguardo riconoscente, poi volse lo sguardo di fronte a
sé osservando i suoi compagni di classe saltellare su e
giù.
«Niente, solo
per il voto...» appena pronunciate tali parole, le ragazze
furono investite da un vortice castano dai capelli a caschetto
perfettamente lisci. Daniel batteva un pugno sul banco di Valeryn, cantando a
squarciagola, con aria felice.
«Lo sbirro è il
mestiere più infame che c’è!» si rivolse
alla ragazza prendendola in giro «Quando indossa la divisa
è un leone»
imitò un ruggito «Ma nella vita sai che
uomo è... di merda!»
Urlò
l’ultima parola sghignazzando come un matto. Maia alzò gli
occhi al cielo, infastidita. Daniel era contento per il brutto voto di Valeryn, quel ragazzo stava
diventando veramente insopportabile.
Sara ammonì il
fidanzato con lo sguardo, Conny lo guardò schifata, mentre
quello riprendeva a cantare quella stupida canzoncina nei confronti
della ragazza. Tutte e tre si aspettavano una bella strigliata da parte
sua, magari anche con una bella tirata dai capelli; Conny si era
perfino tappata le orecchie.
Ma fu costretta a
stapparsele subito, dato che Valeryn non sembrava far cenno
di reagire. Mise una mano sulla pancia, socchiudendo gli occhi.
«M-mi viene la
nausea!»
Sara, Conny e lo stesso
Daniel si guardarono stralunati. Quest’ultimo, deluso per non
essere riuscito a far arrabbiare l’amica, se ne
andò sconsolato.
«Nausea?!» chiese Sara
non capendo «Che vuoi dire? Dan ti fa venire il
voltastomaco?»
«Questo
è certo» rispose al suo posto Maia.
Poi la prese dalla mano e
la trascinò verso la porta. Doveva portarla al
più presto lontana da lì. Optò per il
bagno, tanto avevano l’ora di educazione fisica, non se ne
sarebbe accorto nessuno.
Valeryn, trascinata
dall’amica, si scontrò con un biondo di sua
conoscenza. Elia la sorresse appena in tempo.
«Ehi, tutto
bene?» le chiese, alzando un sopracciglio «Hai una
faccia!»
«Certo che va
tutto bene, Elia. Torna a giocare coi lupi!»
«Non dicevo a
te, Maia»
«Toh scusami
tanto, devo essermi confusa!»
La riccia si
dileguò senza lasciare il tempo di proferire altro. Il
ragazzo guardò interrogativo la direzione in cui erano
sparite le due, poi scoccò uno sguardo a Sara e Conny che
alzarono le spalle, sapendone almeno quanto lui.
«No, no,
no!» Maia strappò dalle
mani la sigaretta che l’altra aveva appena acceso
«Non si fuma in
gravidanza, lo sai!»
La castana fece un
sospiro, alzando gli occhi al cielo.
«Ma ne ho
bisogno!»
La riccia
sbraitò, portandosi le mani sui fianchi
«Quando la
smetterete di fumare voi tutti?! Mettevi in testa che il fumo fa
male!»
Ritornò la
sigaretta all’amica, che la portò alla bocca
aspirandola. Quella continuò a guardarla di traverso.
«Questa
è l’ultima che fumerai in queste condizioni, ci
siamo capite?»
«Quali
condizioni?» Valeryn la guardò in
cerca di risposte. Non poteva considerarla diversa solo
perché aspettava un bambino...
«Hai la nausea,
Vale, può essere pericoloso!»
Lei sbuffò con
evidente irritazione. Aveva sempre odiato le raccomandazioni, non
sopportava che le venisse detto ciò che doveva fare.
«Maia, mi fa piacere che tu
voglia aiutarmi» disse tentando di rimanere calma
«ma so benissimo ciò che devo fare»
L’amica rimase
impalata per qualche secondo, chiedendosi se quella ragazza si fosse
rincitrullita.
«Non puoi
fumare! Ricordati che adesso non ci sei solo tu,
c’è un bimbo dentro te. A lui fa male!»
Valeryn sentì
qualcosa spezzarsi dentro di sé appena l’amica
pronunciò l’ultima frase. Forse non era ancora
capace di comprendere che era incinta, forse era troppo egoista da
poter pensare ad un’altra piccola vita.
Gettò la
sigaretta dentro la tazza del gabinetto. Poi sorpassò Maia, che la fissava ancora
con le braccia conserte, e si sciacquò la faccia.
«Cos’hai
intenzione di fare?» chiese la moretta, dopo che si
ridestò.
«Niente.
Proprio niente»
«Tu devi
dirglielo!» La riccia l’afferrò per il
braccio stringendolo forte. Valeryn si voltò
verso di lei perplessa. Non aveva mai usato un tono del genere nei suoi
confronti
«Vittorio deve
saperlo! Deve saperlo subito!»
«So io
cos’è giusto fare per me e... lui…»
si toccò piano la pancia.
«No! Non lo
sai!» continuò Maia, determinata a farle
cambiare idea «Tu stai male così. E poi hai
dimenticato che è pure figlio suo? Cosa dirai poi, quando tutto questo sarà
evidente?»
Valeryn, ferita, volse gli occhi
verdi sul pavimento. Odiava dare ragione alle altre persone, ma questa
volta era così. Maia voleva solo aiutarla. E
lei non faceva altro che aggravare la situazione, continuando a
nascondere la gravidanza al mondo intero. E poi era vero che Vittorio
doveva saperlo. A chi la dava a bere? Tutti si sarebbero accorti prima
o poi che aspettava un bambino, pure i suoi genitori.
La paura prendeva ogni
istante il sopravvento in lei. Era questo il motivo del suo silenzio.
Sospirò pesantemente. Era stanca.
Cominciò a
piangere.
«E’
l’errore più grosso della mia vita»
singhiozzò affranta.
«No, non
è vero» la mora cercò di confortarla
«E’ tuo figlio, ricordi? E’ una parte di te ormai,
anzi di voi. Non sarà mai
un errore, perché tu lo amerai sempre»
Valeryn si soffiò il
naso poco convinta. Maia, la solita romanticona.
Sua madre non avrebbe di certo pensato questo, si disse, nemmeno la
mamma di Vittorio, nemmeno lui stesso.
«Devi
dirglielo. È necessario per voi»
Non rispose.
Aprì la porta del bagno uscendo per raggiungere la palestra.
Maia la seguì
sbattendo il capo. Eppure voleva solo darle una mano, ma era difficile
se lei si comportava così, pensò sconsolata.
Più tardi, in
palestra, Valeryn mise di lato il libro di
chimica. Non riusciva a ripassare nulla con tutto quel chiasso. Il
tentativo di recuperare un buon voto in quella materia era fallito.
Spostò lo sguardo su Maia che, seduta nella panca
accanto a lei, guardava i loro compagni giocare a pallavolo.
Forse aveva bisogno di
sfogarsi, si disse, doveva togliersi di dosso quella sensazione di
malessere. Non riusciva nemmeno a studiare, i pensieri si affollavano
dentro la sua testa. Era impossibile concentrarsi.
Continuò a
guardare i compagni di classe lanciare la palla in aria, sentendo un
bisogno fortissimo di liberarsi. D’altronde era abbastanza
brava a pallavolo. Dove stava il problema?
Gettando un ultimo
sguardo a Maia che le faceva cenno di
star andando in bagno, ne approfittò per alzarsi e giocare.
Sapeva che l’amica non sarebbe stata contenta, ma raggiunse i
compagni in campo lo stesso.
Alcuni si rallegrarono a
vederla entrare nella loro squadra.
«Giochi?»
le chiese Elia, passandole a palla.
Lei annuì
facendo un sorriso.
Daniel,
dall’altra parte del campo, s’imbronciò.
«Non
è giusto! È inammissibile che quella entri
adesso, cavolo, così vincer... ehm, intendevo... Oh,
lei non può giocare, è antipatica e
isterica!»
Il biondo lo
guardò di traverso.
«Sta’ zitto, Dan. Gioca con noi, non farti
problemi»
Fece cenno a Valeryn di schiacciare e la
partita ricominciò.
Giocare quasi attenuava
il dolore, pensò, quasi si sentiva più leggera.
Tentava di convincersi che in fin dei conti la sua vita era rimasta
invariata, con la solita scuola, i soliti amici. Per un attimo ci
riuscì pure.
Recuperò una
palla impossibile, lanciandosi perfino fuori campo per salvare un
lancio di un compagno di squadra poco bravo. Elia si voltò
verso di lei dandole un cinque. Stavano vincendo! La faccia di Daniel
parlava chiaro: era arrabbiato nero, non poteva sopportare di essere
battuto da lei.
Incominciò a
sbraitare verso Sara, che aveva mandato la palla dietro di
sé. Valeryn rise.
Rise di cuore
perché trovava quelle situazioni abbastanza normali, e lei
non voleva cambiare nulla. Per la durata della partita non
pensò a niente, solo a schiacciare e a fare punti.
Ogni tanto osservava Elia
davanti a sé e le venivano strani pensieri in testa.
Ricordava la loro storia finita da molto tempo, e si chiese come
avrebbe reagito lui alla notizia della sua gravidanza.
Elia era un tipo davvero
tosto, si disse mentre lo vedeva schiacciare. Forse era per questo
motivo che si era messa con lui tempo fa. Ma poi... Poi aveva scoperto lui.
Si fermò di
scatto appena il ricordo di Vittorio le riaffiorò in mente,
supino. Mancò una palla facile.
Daniel esultò
con giubilo, mentre i compagni di squadra la guardavano straniti.
«Tutto
okay?» le chiese Elia avvicinandosi, mentre lei continuava a
guardare di fronte a sé, senza vedere realmente.
Annuì.
«Scusa, mi sono
distratta...»
«Dai, rimonta,
che gli spacchiamo il culo» le fece l’occhiolino e
ritornò sotto rete.
Valeryn non sentì
nemmeno il fischio del prof. Continuò a viaggiare con la
mente, ricordando l’estate scorsa, gli sguardi con Vittorio e
il suo amore per lui. Quanto era passato? Solo un anno. Come potevano
mutare le cose nell’arco di un anno? Eppure era cambiato
tutto.
Prese una palla male in
bagher, ma Elia fortunatamente corse a recuperarla. Forse si stava
distraendo con quei pensieri. Eppure non riusciva a smettere di pensare
a Vittorio.
Non riusciva a non
amarlo, ma nello stesso tempo sentiva che il loro rapporto non sarebbe
rimasto invariato. Forse stava solo delirando... Le seghe mentali erano
il suo forte.
Ma... qualcosa la
turbava. Come avrebbe preso la notizia? Ma cosa più
importante, lei stessa avrebbe avuto il coraggio di dirglielo prima o
poi?
Prese una palla da
centrale lanciata da Daniel. Fu così forte che si fece male
ai polsi. E poi guardò nuovamente davanti a sé.
Era incinta.
Queste due parole
inondarono la sua mente. Barcollò un attimo, fino a quando
tutti i rumori si spensero, tutti i colori sbiadirono e un tonfo sordo
la pervase.
«Ma sta bene?!»
«Mamma mia,
è crollata di colpo!»
«Non
sarà... morta, vero?»
«Che cazzo
dici, Conny?! Non senti che respira?»
«Non parlate
tutti in una volta!»
Sentiva voci distanti,
quasi irriconoscibili. Eppure sapeva di essere cosciente.
«Com’è
successo?!» e poi quella voce, l’unica fra tante
«Si sentiva male?»
«No,
è svenuta mentre giocavamo»
«Ma aveva
qualcosa, Eli’?»
Lui. Vittorio era
lì... Tenne ancora gli occhi chiusi. Non gli andava di
vederlo così presto.
«Non credo,
giocava bene. Poi d’un tratto ha incominciato a sbagliare
e…»
Sentì una mano
posarsi sulla sua guancia. Una mano calda, che riconosceva bene.
Vittorio la stava accarezzando, poteva percepire quanto era preoccupato.
«Amore...»
gli sussurrò avvicinandosi al suo orecchio
«Svegliati, ti prego… Ho bisogno di te»
Senza pensarci,
aprì gli occhi di scatto, trovandosi davanti il suo ragazzo
che la guardava angosciato. Appena si accorse che era sveglia
l’abbracciò forte. Poi le diede un bacio sulle
labbra.
«Mi hai fatto
preoccupare. Stai bene?»
Perché lui era
lì? Un attimo prima era sicura di star giocando... E poi
ricordò che lui aveva l’ora dopo in palestra.
Sospirò, mentre alzava lo sguardo, accorgendosi di tutti i
suoi compagni che la fissavano.
«Il prof
è andato a chiamare il dottore» disse Sara
entrando nello scantinato dove avevano fatto sdraiare Valeryn, seguita da Daniel.
«Oh, si
è svegliata, per fortuna!»
Quest’ultimo
fece una faccia indecifrabile, poi si gettò ai piedi di
Vittorio urlando.
«Scusami,
Vitto, scusami tanto, ma non sono stato io! Non è stata
colpa mia! La palla ha sbagliato traiettoria, non voleva prendere lei,
mirava ad un altro... Oh, mi dispiace, scusami, scusami...»
Piagnucolava tirando
Vittorio dalla maglia. Questi gettò uno sguardo
interrogativo a Valeryn che osservava la scena
stordita. Non era di certo stato il tiro di Dan a metterla k.o, si disse. Non proprio.
«E tirati
su!» lo rimbeccò Elia, infastidito «Che
cazzo piangi a fare? Prima la insulti, poi chiedi scusa... E cosa
c’entra lui? È con lei che devi
scusarti!»
Daniel voltò
lo sguardo impaurito verso Valeryn, che lo guardava con
aria indifferente. S’infuriò, come suo solito.
«Che diamine
vuoi, Eli’, cosa ne sapevo io che quella lì
sarebbe crollata per terra? Non conosco persone che svengono colpite da
una palla!»
«Chiedile
scusa, coglione» sibilò quello.
«Ho chiesto
scusa a Vittorio, è lo stesso» rispose Daniel con
aria da snob.
Elia alzò gli
occhi al cielo, avvicinandosi.
«Non solo le
fai perdere i sensi, ma non sei capace di dimostrarti un amico nei suoi
confronti nemmeno quando sta male?» disse arrabbiato.
Vittorio gli fece cenno
di lasciar perdere.
«Lascia stare,
non ne vale la pena»
Il biondo alzò
lo sguardo verso il suo migliore amico, accigliato.
«Ma
l’ha fatta svenire, tu gliela fai passare?»
Valeryn, che era rimasta in
silenzio, intervenne stancamente.
«Daniel non
c’entra, ve lo assicuro. Sono io che non sto bene»
«Ecco hai
visto?!» Il ragazzo con i capelli a caschetto fece una
linguaccia verso il biondo, che lo fulminò con lo sguardo.
«E
allora...» Vittorio la guardò negli occhi,
tentando di capire cosa le era successo
«Si
può sapere che cos'hai?»
Valeryn non rispose.
Voltò lo sguardo altrove, sentendosi in colpa. Nella
più assoluta delle colpe. Perché era
così dannatamente difficile? Tutti si aspettavano una
risposta. Tutti. Ma non poteva dirlo.
Oh, si sentiva
così sola... Dov’era Maia? La porta dello
scantinato si spalancò, e come una furia una ragazza riccia
entrò abbracciandola forte, tanto da farla sdraiare sulle
sedie in cui era seduta.
«Tesoro»
singhiozzava «Oh mio Dio, oh mio Dio! È colpa mia, non avrei dovuto
lasciarti sola!»
E continuò con
parole del genere. Tutti si guardarono stralunati. Vittorio
guardò Elia interrogativo, quello fece lo stesso.
Perché Maia reagiva in quel modo?
Cosa stava succedendo?
La ragazza, dal suo
canto, con ancora le lacrime agli occhi, prese Valeryn dalle guance.
«Mi prometti
che glielo dirai? Promettimelo» le sussurrò.
La scosse un poco, e lei
guardò di fronte a sé. Come faceva a dirglielo?
Era dannatamente complicato...
«Sì»
soffiò solamente, mentre Maia continuava.
«Lo farai
subito, vero?»
Valeryn non rispose, continuando
a guardare davanti a sé. I suoi occhi smeraldini si
incontrarono con quelli grigi di Vittorio. E i due si guardarono per
dei secondi che sembrarono un’eternità, nei quali
tutta la loro vita sembrava passarle davanti.
Gliel’avrebbe
detto presto.
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Capitolo 3 *** La notizia ***
Valeryn si sistemò
un’ultima volta i capelli ondulati specchiandosi critica.
Era leggermente
più pallida rispetto alle scorse settimane, non toccava cibo
per via della nausea e sentiva piccoli dolori al seno che le creavano
disturbo. Sospirò, guardandosi la pancia ancora piatta.
Chissà come sarebbe ingrossata nell’arco di tre
mesi a quella parte... Si portò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, continuando ad esaminarsi. Era la stessa ragazza
di sempre, sempre molto carina, sempre con i capelli castani, sempre
con gli stessi occhi verdi. Eppure quella gravidanza la stava cambiando
interiormente; stava cambiando il suo modo di pensare, di agire,
perfino di reagire. Non riusciva
nemmeno a rispondere alle critiche di Daniel, non riusciva nemmeno a
zittire chi la contraddiceva. Queste cose non erano da lei.
La sua
aggressività, la sua impulsività... entrambe
stavano scomparendo cedendo il posto ad una tristezza cronica. Forse la
gravidanza la stava facendo riflettere sulla sua vita, sui suoi errori
e forse la stava facendo un po’ crescere, ed aveva talmente
tanta paura di crescere, di ritrovarsi con un bimbo in braccio, di
finire il liceo e scegliere l’università, metter
su famiglia, casa, trovarsi un lavoro... No, non voleva crescere
così presto, si disse. Aveva ancora diciassette anni e non
si sentiva pronta ad affrontare il mondo degli adulti.
Eppure avrebbe dovuto
farlo. Avrebbe dovuto dire addio a feste, compagnia, fumo, discoteca...
Avrebbe dovuto occuparsi del suo bambino.
I suoi pensieri
malinconici andarono a Vittorio, mentre con una mano si asciugava una
lacrima appena scesa lungo la guancia.
Perché avevano
sbagliato? Soprattutto, dove avevano
sbagliato? La sua mente vagò fino a quel supposto giorno di
fine novembre. Loro, lì da soli a casa sua, decisamente
desiderosi, a fare l’amore un po’ dovunque, un
po’ a caso, senza pensare a cosa avrebbero potuto scatenare.
Quasi si vergognò ricordando. Forse erano stati incoscienti,
o forse doveva capitare. Forse era destino. Sì, forse era il
destino crudele a non volerli felici insieme.
Pensò
immediatamente che un bambino inaspettato non avrebbe rovinato la loro
felicità, il loro amore... Ma si ricredette subito,
rassegnata, con malincuore.
Suo padre la
chiamò destandola dai suoi pensieri. Lei tornò
con i piedi per terra voltandosi in sua direzione.
«Quanto sei
bella, figliola! Sei tutta tua madre»
Valeryn fece mezzo sorriso. Per
quanto volesse riuscire ad apprezzar quel complimento, non ci riusciva.
Suo padre le rubò lo specchio, si aggiustò i
pochi capelli che aveva e sorrise.
«Siamo
pronti?» batté le mani
«Mena ci
aspetta, peraltro mi ha anticipato degli involtini gratinati con le
patatine di contorno! Ci senti, Rosa? Le patatine di contorno!»
«Sì,
Piero, non c’è bisogno che urli. Sono quasi
pronta»
Rosa, la madre di Valeryn, uscì dalla
camera da letto tentando di infilarsi una scarpa.
Valeryn osservò tutti
e due i genitori impegnati ad agghindarsi come si deve. Tra non molto
sarebbero andati a pranzare a casa di Vittorio. Sospirò.
Non che l’idea
non le piacesse, ma non si sentiva ancora pronta ad affrontarlo, non si
sentiva pronta a dirgli la verità. Eppure avrebbe dovuto
farlo, lo aveva promesso a Maia, lo aveva promesso a
sé stessa. Era passato molto tempo e ancora né
lui, né i suoi, né il gruppo ne era a conoscenza.
Si tastò la pancia, ed ebbe quasi voglia di urlare tutto a
sua madre e suo padre.
Per fortuna ebbe la
decenza di trattenersi, prima che un conato di vomito la sorprendesse.
Portò una mano alla bocca bloccandolo.
«Apposto, Vale?
Ti sei fatta bella per Vittorio?»
Sua madre la
squadrò con un ghigno malizioso, poi prese la borsa alla sua
destra, pronta per uscire di casa. Piero fece uno sguardo di
disapprovazione.
Valeryn pensò che suo
padre non aveva ancora preso bene la sua relazione e chissà
come avrebbe reagito alla notizia della sua gravidanza. Fu scossa da un
vortice di paura che durò qualche secondo, dato che fu
troppo impegnata a scendere le scale di casa sua per raggiungere
l’auto blu scuro parcheggiata lì davanti.
Per tutto il tragitto, la
ragazza si accarezzò la pancia guardando fuori dal
finestrino, salutando alcuni conoscenti come Andy, un tipo di colore
simpatico e fessacchiotto, e Clarissa, una sua compagna di classe per
la quale non aveva mai nutrito una gran simpatia.
Piero prese una curva e
poi un’altra ancora. La casa di Vittorio era vicina a quella
di sua nonna, conosceva bene quella zona. Parcheggiarono e si avviarono.
Appena scesero le scale e
suonarono il campanello, Valeryn si sentì in
difficoltà come non mai.
Non voleva vederli. Non
voleva vederlo. Ma che diamine stava dicendo, lei doveva vederlo...
«Ciao a voi!
Prego, accomodatevi»
Mena aveva aperto la
porta accogliendoli con un sorriso da qua a là fuori. Diede
una pacca sulla schiena di suo cugino Piero, il quale fece una
smorfietta di dolore facendo un salto per avanti. La guardò
torva.
Sorrise a Rosa e Valeryn, e si rivolse a
quest’ultima facendo per toglierle la giacca.
«Vale cara, non
indovinerai mai chi sta sistemando in cucina!»
La castana fece
spallucce, anche se in realtà aveva capito benissimo.
«Ho detto a
Vitto di apparecchiare, altrimenti sarà servito lui per
pranzo al posto degli involtini. Capito, Piero? E
c’è anche il contorno di patate!»
Mena si rivolse al cugino
che aveva l’acquolina in bocca. Rosa tirò una
gomitata al marito per incitarlo a destarsi. Mena rise e
accompagnò i tre in salotto, dove i suoi figli, la nonna
Antonia e zia Giolis stavano seduti sul
divano.
Valeryn sorrise a tutti, e gli
altri dal loro canto la salutarono calorosamente. Giolis si alzò per
baciarla, ma quasi inciampò sopra il tappetto.
«Mannaggia a
questo coso peloso!»
«Se ti sente
mamma ti uccide»
Ross, a gambe divaricate
davanti alla tv, fece un ghigno, intento a seguire le partite.
Valeryn guardò tutti
con aria un po’ sofferente. Ci sarebbe stato molto caos come
in tutti i pranzi tra parenti. Lei non stava bene e non aveva voglia di
sentire niente.
Natalie sbucò
da una stanza con accanto Nicole, la fidanzata di Ross, che teneva in
braccio una creaturina di circa un mese.
Valeryn fu subito catturata da
loro. Le salutò entrambe, dopo spostò nuovamente
lo sguardo sul piccolino. Nicole lo portava dal padre, che adesso lo
cullava tra le braccia amorevolmente. Era strano vedere Ross in quella
situazione, ma in quel momento sembrava veramente un'altra persona. Lo
vedeva dal modo in cui abbracciava suo figlio. Anche lei sarebbe
diventata così, tra nove mesi a quella parte? Anche lei
avrebbe dovuto stringere a sé un neonato così
piccino, avendo perfino paura di fargli male? Anche Vittorio avrebbe
dovuto fare il padre?
Sentì un
capogiro pervaderla e si abbandonò sopra una sedia. Strani
pensieri le affollavano la mente, il piccolino aveva incominciato a
piangere e Nicole intimava al compagno di zittirlo, mentre lei
preparava il latte.
Gli altri parlavano tra
loro, sua madre era in cucina ad aiutare Mena e Ross non era in grado
di farlo stare zitto.
«Su, amore di
papà, su, non piangere» gli sussurrava.
Il bambino continuava a
frignare e Ross stava perdendo la calma. Si muoveva avanti e indietro,
lo dondolava, ma niente. Possibile che nessuno veniva in suo aiuto?
Nessuno se ne accorgeva?
Valeryn faceva finta di niente,
ma il pianto del bimbo le penetrava il cuore, le faceva pensare che in
fondo lei era molto vicina a quella realtà.
«Porco cane,
possibile che questo moccioso pianga sempre?!»
sbottò Ross, in preda al panico
«Ma che ha da
piangere così tanto, io non capisco!»
Valeryn rise e decise di
avvicinarsi al cugino. Allargò le braccia, e il ragazzo, non
sapendo che fare, porse il figlio a lei. Appena il piccolino fu tra le
braccia della ragazza, aprì gli occhietti pieni di lacrime e
la guardò. La ragazza sorrise amorevolmente e lo
dondolò avanti in dietro. Le veniva così
spontaneo fare in quel modo, che Ross si meravigliò di lei,
che era sempre stata una persona suscettibile e impaziente.
«Tranquillo,
Claudio» gli bisbigliava, come rassicurandolo
«Adesso la
mamma ti porta da mangiare»
Si sentiva come chiusa in
una bolla. Lei e il bambino, soli, lontani da tutto quel chiasso. Era
davvero così bello cullare un piccino tra le braccia?
Si sentiva strana, come
se il figlio di Ross fosse suo figlio, e lei
si ritrovava di colpo a fare da madre, a cullarlo, coccolarlo, baciarlo.
Nel frattempo, Vittorio
era entrato in salotto per salutarla. Rimase perplesso appena la vide
stringere a sé quel fagottino con così tanto
amore. Sempre più stupito, interrogò Ross con gli
occhi che alzò le spalle.
Valeryn sembrava proprio strana.
Non era da lei comportarsi in quel modo.
La ragazza si
voltò in direzione di lui, e si fermò presa alla
sprovvista, interrompendo quel momento magico. Vittorio le sorrise, e
lei abbassò lo sguardo quasi sentendosi in colpa. Poi porse
nuovamente il figlio a Ross, che aveva ricominciato a piangere. Fortuna
che Nicole era appena arrivata a penderlo.
Quasi sollevata per il
piccolo Claudio, Valeryn si voltò
verso il fidanzato che ancora la fissava. Si sentì un
po’ in imbarazzo.
«Non sapevo ti
piacessero i bambini» le disse, mentre lei si mordeva il
labbro.
«Giusto un
po’, sì» rispose tentando di mostrarsi
vaga, per non destar alcun sospetto.
Lui
l’avvicinò a sé mettendole una mano sui
fianchi. Valeryn sentiva il respiro
mozzarle in gola, il cuore le batteva forte.
«Sembravi
sua madre»
Vittorio
sogghignò, poi le scoccò un bacio. Lei rimase
senza parole, ricacciò la sua mano da sopra la guancia,
mentre lui la guardava interrogativo.
«C’è
qualcosa che non va?»
«Io... Ho da
dirti una cosa» sussurrò, evitando di guardarlo
negli occhi.
«Devo
preoccuparmi?» le chiese lui, prendendole il mento e
costringendola a voltarsi.
Lei non rispose, ma la
sua testa continuava a ripetere continui
“sì”. Si sentì un pesce fuor
d’acqua per qualche secondo e volle scomparire da quel
salotto. Vittorio l’osservò ancora, preoccupato.
Vennero però
interrotti dalla voce di Natalie che li invitava a sedersi a tavola. Il
ragazzo scosse lievemente la testa, e prese la mano della sua
fidanzata, entrando in cucina.
Giolis aveva appena rovesciato
un bicchiere pieno d’acqua sul tavolo non appena Valeryn sentì un
forte capogiro e fu costretta a tenersi il capo. Fortuna che in tutto
quel caos non se ne accorse nessuno. Aveva mangiato come un maiale, si
era ingozzata di cibarie che in tutta la sua vita non aveva nemmeno
sfiorato.
Rosa, sua madre, la
guardava stupita, chiedendosi da dove le uscisse tutta quella fame
improvvisa soprattutto per piatti che disdegnava.
«Poi mi
spiegherai che cos’hai in testa, signorina» le disse
«Sembri appena
uscita fuori da prigione!»
Lei fece cenno di lasciar
perdere e si concentrò nuovamente sul cibo. Vittorio
l’osservò interrogativo per dei secondi, il tempo
necessario prima che la vocina del piccolo Claudio facesse capolino
dalla stanza da letto.
«Ecco che si
è svegliato!» esclamò Nicole, un
po’ sofferente. Poi si rivolse al fidanzato
«Amore,
perché non te la vedi tu?»
Ross alzò un
sopracciglio scettico da sopra il piatto di funghi ripieni.
«Vorrai
scherzare? Occupati tu del moccioso!»
«Ma, Ross, sto
mangiando! Dai, per favore!» continuò la ragazza
con un’aria davvero stanca e provata.
«Non se ne
parla. Quello lì piange sempre, è
urtante!» sbottò l’altro, passandosi una
mano sugli occhi gonfi dal sonno.
Claudio non faceva altro
che mangiare e dormire tutto il giorno, era la notte che si svegliava e
faceva i capricci non permettendo loro di riposare.
Ross e Nicole come
genitori avevano ancora tanto da imparare ed era dura dividersi i
compiti.
Vittorio lo
guardò torvo, mentre questi continuava ad ingozzarsi.
«E’
tuo figlio, idiota!» lo redarguì.
«Beh,
è urtante lo stesso»
Ross bevve un sorso di
vino, poi incontrò lo sguardo esasperato di sua madre,
quello minaccioso di Natalie e con uno sbuffo si alzò dalla
sedia.
«E va bene, ma
solo perché il moccioso è tutto suo
padre» acconsentì infine.
Detto questo, Nicole fece
una faccia soddisfatta e Giolis scoppiò a
ridere, come suo solito.
Valeryn finì con i
funghi e bevve un po’ di vino. Suo padre la
fulminò con lo sguardo, ma lei lo ignorò. Non era
niente per lei un goccetto di vino, aveva provato di peggio. Penso agli
alcolici più schifosi che aveva bevuto con i suoi amici e
quasi le scappò un risolino.
Mena e Rosa avevano
intrapreso un discorso riguardante la scuola e i compiti. Vittorio
sbuffò pesantemente, facendo cenno a sua madre di piantarla,
ma lei lo guardò bieca, e continuò a conversare
con l’altra. Decise allora di alzarsi da tavola e dileguarsi,
catturando l’attenzione della sua ragazza. Valeryn lo guardò e
lui le fece segno di seguirlo.
Lei si guardò
intorno spaesata. Non sapeva che fare, non sapeva se doveva seguirlo.
Ma come? Lei doveva parlare con lui, doveva dirgli tutto.
D’un tratto si
sentì impaurita.
Non voleva alzarsi. Non
voleva affrontarlo.
Alzò
nuovamente lo sguardo, e lo vide ancora lì, sulla soglia
della porta del salotto ad aspettarla. Sempre bello, con i suoi capelli
castani e i suoi occhi grigi.
Lui era lì per
lei, si disse, lui voleva stare con lei. E lei doveva dirglielo, lo
aveva promesso, era il momento giusto. Si alzò e lo
seguì con il cuore che martellava in petto.
Arrivarono in camera del
ragazzo e si chiusero la porta alle spalle. Valeryn gettò uno
sguardo alla veranda di fronte a sé, leggermente inquieta.
Vittorio si lasciò cadere sul letto, aspettando che anche
lei facesse lo stesso, ma la ragazza rimase in piedi. Il castano
continuò a fissarla interrogativo.
Perché Valeryn era strana?
Perché da un paio di giorni a quella parte, era diventata
come un’altra persona? Silenziosa, triste... Cosa le stava
succedendo? E poi lo svenimento dell’altro giorno...
Il ragazzo
sospirò e si mise a sedere. La guardò per un
lungo istante.
«Amore, che
hai?» chiese, e Valeryn sentì che era
preoccupato
«Sei strana.
Cos’è successo?»
Ecco, si disse lei. Cosa
diamine doveva rispondere ad una domanda del genere? Continuare a far
finta di niente, o dire tutta la verità?
Si limitò a
scuotere la testa e a tenere lo sguardo basso. Non era difficile,
cercò di incoraggiarsi, doveva solo prendere aria e dirlo
tutto ad un fiato.
Sono incinta.
Sbuffò
pesantemente, sentendo gli occhi verdi inumidirsi tutt’ad un
tratto. Se li sfregò con una mano e Vittorio la
tirò da un braccio facendola sedere accanto a lui. Poi la
circondò con un abbraccio.
«Mi dici che
hai?» chiese nuovamente, dandole un bacio sulla guancia.
Valeryn si sentiva paralizzata.
Cominciò a toccarsi i capelli, come faceva quando era
nervosa. Il ragazzo sapeva che quando si attorcigliava una ciocca tra
le dita c’era qualcosa che non andava. Ma non riusciva a
capire cosa...
«Vale, non
voglio obbligarti a parlare, okay?» disse un po’
esasperato
«Però
se ti comporti così mi metti in difficoltà.
Ripeto, c’è
qualcosa che non va?»
Vittorio si era stancato
del suo silenzio, era evidente. Lei si sentì un mostro in
quel momento. Era una sciocca a non riuscire a dire la
verità al suo ragazzo. Loro si dicevano tutto, si
capivano... Non doveva aver timore di niente, si disse. Ma se poi lui
avrebbe reagito male? Magari l’avrebbe lasciata, magari non
voleva prendersi una responsabilità troppo grande...
«Sto
aspettando, Valeryn, ti avverto che mi sono
seccato!» esclamò il ragazzo con una nota di
irritazione nella voce.
Valeryn sentì una
lacrima scendere, l’asciugò senza farsi vedere e
disse di no.
Vittorio la
guardò non convinto. Se non aveva niente perché
stava in quel modo?
«Non prendermi
in giro. L’ho capito che è successo qualcosa, ma
non capisco perché non vuoi dirmelo»
La ragazza ebbe uno
scatto istintivo a quelle parole, lo circondò con un
abbraccio e poggiò la testa nell’incavo del suo
collo.
«No, io...
Scusa, scusa...» biascicò.
Vittorio era perplesso
quanto stupito. Non riusciva a capirla, gli veniva difficile in quel
dannato momento.
Stette in silenzio
accarezzandole i capelli. Non sapeva che dire. Vedeva la sua ragazza
disperata e non riusciva ad immaginare il motivo. E poi lei che si
scusava... perché lo faceva? Aveva fatto qualcosa di grave
allora? Ma certo, c’era qualcosa di grave. Aveva combinato un
guaio forse, e non sapeva come dirglielo...
Subito i suoi pensieri
volarono verso Elia. Non sapeva perché. La loro storia era
finita da un anno a quella parte, era il suo migliore amico... Ma era
tipico suo pensare al peggio. D’altronde, Valeryn era andata con lui
quando stava ancora con il biondo, quindi... Okay, era impossibile.
«Amore, se
c’è qualcosa che devi dirmi, dimmela»
fece «Io sono qua per ascoltarti»
Valeryn negò con la
testa, ancora stretta a lui.
«Sei sicura che
non ci sia niente?»
La ragazza
esitò un attimo. Si diede della stupida, della cogliona,
dell’idiota e quant’altro. Perché non
glielo diceva? Perché non riusciva a dirglielo?
Vittorio, nel frattempo,
l’allontanò leggermente da sé per
guardarla negli occhi. Poi si avvicinò alle sue labbra e la
baciò. Approfondirono il bacio sdraiandosi sul letto, Si
mise sopra di lei. Non riusciva a farla parlare, ma forse sarebbe
riuscito a tirarla un po’ su. Le baciò il collo,
facendole il solletico con la lingua. Valeryn si lasciò
scappare un risolino. Le veniva sempre da ridere quando faceva in quel
modo.
Il ragazzo rise con lei
abbracciandola e passandole una mano sotto la maglietta.
Arrivò al suo seno e la ragazza divenne
all’improvviso rigida. Non voleva mica fare l’amore
in quello stato, si disse. Non poteva e non ce la faceva. Si
alzò, Vittorio la guardò quasi male.
«Non posso,
scusami» si sistemò la maglietta. Lui
spalancò gli occhi grigi. Poteva leggergli in faccia lo
stupore.
«Spiegami cosa
cavolo significa, Valeryn, non capisco
più un cazzo!» sbottò arrabbiato.
«Hai qualcosa e
non vuoi dirmi cosa, mi tratti in questo modo... Ma che cosa cazzo
è successo?!»
La ragazza fece una
faccia quasi impaurita.
Vittorio di certo non
mancava di essere impulsivo o autoritario, ma con lei era sempre
gentile, a parte quando faceva l’arrogante o
l’idiota. E in quel momento stava, per l’appunto,
facendo l’idiota.
«Io... non so
se...»
«Cosa?»
«E’...
è difficile, io non so... non so come dirtelo»
«Dillo come
vuoi, Valeryn. Lo sai che odio
aspettare»
Il ragazzo fece una
smorfia infastidita e la ragazza prese un respiro profondo. Il cuore le
martellava in petto, la paura l’assaliva nuovamente.
Doveva dirglielo, era il
momento.
Si schiarì la
voce indugiando alcuni secondi. Sentiva la gola asciutta.
«Io ho...
Insomma, è successa una cosa che è difficile da
spiegare» vide la sua faccia esasperata e abbassò
lo sguardo, poi si tastò la pancia e deglutì a
fatica.
«A-adesso
cambierà tutto... D-dopo quello che sto per dirti non
sarà più lo stesso»
La ragazza continuava a
toccarsi all’altezza della pancia, in ovvia
difficoltà.
Vittorio la guardava
senza capire. Cosa voleva dirgli? Forse stava male?
«Ho paura che
questo ci r-renderà infelici...»
E perché
balbettava? Non era da lei, si disse il ragazzo basito e preoccupato
allo stesso tempo.
«F-forse
r-rovinerà la nostra storia, e io... i-io non
voglio!»
Il castano era confuso.
Aveva mai avuto dubbi su di lei? No, non gli risultava. Ma... ma forse
lei stava cercando di dirgli che aveva fatto male a non averne.
Nella sua testa
vorticarono un sacco di conclusioni affrettate. Non voleva pensare al
peggio, che magari c’era qualcun altro... Non avrebbe potuto
sopportarlo, dato che l’amava. Eppure lei sembrava
così a disagio, quasi fosse pentita di qualcosa.
Subito la sua mente
volò verso una persona, fu più forte di lui, fu
inevitabile per ragioni pregresse. Aveva a cuore non solo la loro
amicizia, ma anche lui, in un senso che era difficile da spiegare.
«Dimmi una
cosa» prese la parola, passandosi una mano sul viso
«Elia? Dimmi che lui non
c’entra niente, ti prego»
Valeryn scrollò le
spalle, negando con la testa. Quasi le venne da ridere. Aveva pensato
subito al suo amico, aveva pensato che lo aveva tradito con il suo
amico perché in passato era successo al contrario, ma lei
non l’avrebbe mai fatto. Lei lo amava. E siccome lo amava,
doveva dirglielo senza tante storie.
Inspirò
pesantemente, mentre Vittorio attendeva una risposta trattenendo quasi
il fiato.
«No,
Vitto» rispose dolcemente.
Lui tirò un
sospiro di sollievo.
«La cosa che
devo dirti sta tutta qua»
Si tastò
nuovamente la pancia. Lui parve confuso, molto confuso. Lei gli prese
la mano e la poggiò sopra il suo grembo. Vittorio fu scosso
da un brivido, e pian piano cominciò a capire.
«Qui, dentro di
me. Io... Io sono incinta»
sputò quelle parole come la sua più eterna
liberazione.
Chiuse gli occhi per
alcuni secondi, assaporandosi l’effetto di quel segreto
appena svelato. Poi li riaprì e vide Vittorio che la
guardava. Aveva leggermente spalancato la bocca, poteva leggergli negli
occhi grigi lo stupore, quasi il timore di quella notizia troppo grande.
Il ragazzo
deglutì, scosso, senza parole, quasi ebbe l’idea
che fosse tutto uno scherzo e lei lo stesse prendendo in giro. Poi la
guardò negli occhi smeraldini e sentì un brivido
su per la schiena, capì che non stava affatto mentendo.
«M-ma... ma da
quando?» riuscì solo a chiedere.
«Qualche
settimana»
«E... e perché me
lo stai dicendo solo adesso?»
Si sentiva come dentro un
fuoco. Aveva caldo, un insopportabile caldo, inspiegabile per il mese
di dicembre. Era come se fosse alienato in quel momento, sembrava come
se avesse perso il focus di quello che doveva dire o fare.
Valeryn se ne rese conto e
sentì subito le lacrime agli occhi. Lo sapeva che sarebbe
andata così.
«Io non...
Scusa se non te l’ho detto ma non ci riuscivo! Avevo paura,
amore, avevo paura» incominciò a piangere.
Il ragazzo la
guardò senza saper che dire. Non riusciva in alcun modo ad
assimilare la notizia, cercava di capire e farsene una ragione, ma era
difficile, era come in uno stato di shock temporaneo.
«Non mi veniva
il ciclo da due settimane, ero così preoccupata! Io e Maia abbiamo comprato il test
e io... io ho sperato che fosse negativo, ma... ma non lo era! Era
rosso, rosso!»
incominciò a singhiozzare coprendosi il volto con le mani.
Vittorio socchiuse gli
occhi, udendo i suoi gemiti rimbombare dentro la sua testa insieme ad
una serie di domande.
Com’era potuto
accadere?
Cosa sarebbe successo
adesso?
Si passò una
mano sul viso, sospirando, e poi guardò la sua ragazza. Era
incredulo, stupito... non sapeva cosa dirle, aveva paura di sbagliare
ancora solo ad emettere un suono e farla sentire peggio.
Le prese solo una mano.
«Non
piangere» le disse piano per incoraggiarla
«Io sono qui,
non me ne vado»
Valeryn si accostò al
suo petto, lui la circondò con un abbraccio poggiando il
mento sopra la sua testa.
«Scusami...
scusami se non te l’ho detto, sono una stupida»
Vittorio le
accarezzò i capelli quasi in automatico.
«Va tutto bene,
amore. Noi ce la caveremo, come... come abbiamo sempre fatto. Stai...
stai tranquilla» le sussurrò dolcemente.
Eppure Vittorio doveva
ancora tranquillizzare sé stesso. Non riusciva a capire. Non
comprendeva dove avevano sbagliato, com’era successo... Non
si aspettava mai e poi mai quello. Valeryn, era palese che stava
male, ma che fosse incinta... non riusciva a capacitarsene. Eppure era
vero, lei non stava scherzando, lei stava piangendo... Non voleva che
piangesse, lo distruggeva. Voleva solo vederla sorridere, voleva solo
che fosse felice. Ed un bambino... un bambino alla loro età
era troppo, si disse. Era troppo presto, erano troppo piccoli... Ma
era lei ciò
che contava in quel momento, voleva solo che stesse bene, ci avrebbero
pensato dopo, dopo.
L’abbracciò
forte, le baciò i capelli e non la mollò. La
ragazza si lasciò cullare amorevolmente dal suo abbraccio e
non pianse più.
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Capitolo 4 *** Reazioni ***
Vittorio pigiò il tasto rosso terminando la chiamata,
dopodiché posò il telefono sul comodino. Si
sedette sul letto e attese, sospirando.
Come poteva ritrovarsi in
quella situazione?, si disse. Un attimo
prima era senza pensieri, un attimo dopo Valeryn gli diceva che era
incinta. Diamine, era successo troppo in fretta la sera prima, ancora
era scosso, gli sembrava quasi uno scherzo. Ma non lo era, la sua
ragazza non poteva prenderlo in giro su una cosa del genere. E poi
l’aveva vista: aveva notato come stava, che non riusciva a
dirglielo, che aveva paura... Pure lui ne aveva, tanta. In fin dei
conti a diciotto anni era ancora troppo presto. Avevano sbagliato.
Lui aveva sbagliato.
Sbuffò
pesantemente, sbattendo la testa. E adesso come lo avrebbero detto ai
loro genitori? Già immaginava sua madre strepitare contro di
lui, non gli avrebbe nemmeno dato il tempo di parlare che avrebbe avuto
una crisi isterica, per non parlare del padre di Valeryn...
Si portò una
mano sul viso, disperato, pensando che non ne sarebbero usciti vivi.
Era una brutta faccenda,
si disse, ma non poteva tirarsi indietro. Lui era innamorato davvero di
Valeryn. Non si sarebbe
allontanato da lei, non voleva, lo voleva tenere il bambino. Per questo
avevano deciso di dire tutto al più presto alle loro
famiglie nonostante le loro reazioni erano semplici da intuire, per
questo parlava al telefono con lei prima. Gliel’avrebbero
detto insieme perché era giusto assumersi le proprie
responsabilità.
Vittorio
sbuffò sentendosi inerme.
Credeva di essere stato
sempre attento. Non era un idiota, non rischiava su quelle cose...
Eppure lo aveva fatto. Era stato imprudente.
Aveva solo
diciott’anni...
Qualcuno bussò
alla porta semiaperta. Lui si accorse che era suo fratello. Gli fece
cenno d’entrare e il maggiore si sedette sul letto, vicino a
lui. Lo guardò come aspettandosi qualcosa.
«Allora
pivello, che diamine hai combinato?» Ross cercava di capire
il motivo di quella riunione familiare che ci sarebbe stata da
lì a poco.
Era talmente curioso che
aveva deciso di non tornare nemmeno a casa sua, sentiva che
c’era qualcosa di importante se avevano chiamato a raccolta i
loro vecchi.
Vittorio scosse la testa.
«Lo saprai tra
poco, è inutile che te lo dico» provò a
liquidarlo.
«Invece
sì, perché sono il tuo fratellone e mi
adori»
Quello gli
menò un piccolo pugno sulla spalla, poi sorrise. Vittorio
fece altrettanto, ancora pensieroso.
«Non so come la
prenderai» sospirò.
«Beh,
l’unico modo per scoprirlo è dirmelo, non credi
pivellino?»
Lui lo guardò
sorridere ancora e sospirò. Non c’era niente di
male se suo fratello veniva a saperlo prima degli altri. Con lui aveva
un rapporto speciale.
Poteva fidarsi, anche se
era un po’ indiscreto come persona lo aveva sempre aiutato,
poteva considerarlo un amico.
«Valeryn... lei...» si
bloccò. Adesso capiva la paura della sua ragazza a
dirglielo. Si sentiva in difficoltà. Ross, però,
lo incitava a continuare.
«Dai, Vitto, un
respiro» lo prese in giro «Non è che vi
volete fidanzare ufficialmente? No, perché sai, ancora, alla
vostra età...»
Lui scosse la testa con
un sorrisino debole. Magari fosse solo quello...
«No, Ross, non
è questo» fece «Riguarda
un’altra cosa che è troppo difficile da dire...
Non so proprio come dirtelo... E’... è un
casino!»
Ross osservò
il suo fratellino balbettare. Poi ricordò l’ultima
volta che lui stesso aveva balbettato.
Esattamente un anno fa.
In quella stessa stanza. La mattina del diciottesimo compleanno di
Vittorio.
Non seppe nemmeno
perché gli sfiorò in testa quel pensiero, seppe
solo che sentì una strana sensazione.
Fu come un lampo di genio
che gli fece subito collegare i puntini all’improvviso senza
il bisogno di sentire altro.
«Oh, cazzo,
Vitto, non dirmelo!» saltò all’impiedi stupito e nello stesso
tempo allarmato.
«Voi... Lei... Valeryn?
E’... incinta, per
caso?»
Vittorio non disse niente
per un paio di secondi interminabili. Poi annuì abbassando
lo sguardo. Ci aveva azzeccato, come sempre.
Ross era oltremodo
incredulo. Si batté una mano sulla testa
ancora incapace di crederci seriamente.
Lo aveva detto che era un
sensitivo, sua madre gli diceva di smetterla di raccontare fandonie, ma
la verità era che il suo intuito era come quello di un cane.
Scossa la testa con
un’espressione da ebete, appellandosi comunque alla vaga
speranza che non fosse vero.
«Oh, beh, dimmi
che non sei tu il padre, dimmi che ti ha messo le corna!»
Vittorio scosse la testa
e poi alzò gli occhi al cielo.
«Sono io, Ross,
chi cavolo dovrebbe essere sennò?»
Il fratello lo
guardò confuso con gli occhi sbarrati. Cominciò a
camminare nervoso per la stanza, cercando di capirci meglio.
Non era possibile, si
disse, insomma erano ancora dei ragazzini. Oddio, sapeva che scopavano
ogni tanto, ma c’erano un sacco di precauzioni!
Perché era successo?, si chiese scioccato. Un
conto erano lui e Nicole l’anno prima, prossimi al
matrimonio, un conto dei ragazzi di diciott’anni che
giocavano a fare gli adulti. Si voltò verso Vittorio,
scuotendo la testa.
Voleva fargli una bella
ramanzina, di quelle che si sarebbe ricordato per tutta la vita. Aveva
voglia di urlargli contro che era stato un idiota, un incosciente, che
avere un bambino non era come avere una macchina. Beh, forse lui non
era la persona più indicata a dirgli una cosa del genere,
insomma lui era quello che aveva lasciato la sua ragazza appena aveva
saputo che era incinta…
Lo assalì un
lampo di genio improvviso, si avvicinò al fratello, che lo
guardava interrogativo, e lo scosse per le spalle.
«Solo una cosa,
pivello» disse guardandolo gravemente, d’altronde
era il maggiore, e anche se quel coglioncello combinava guai gli
voleva bene lo stesso.
«Non la
lasciare, non scappare via a gambe levate»
Il castano si
passò una mano tra i capelli, nervoso, poi annuì.
«Non avevo
intenzione di farlo»
Ross sospirò
poi scosse la testa, passandosi una mano sul volto sconsolato.
Meno male che non era del
tutto rincitrullito, allora. Insomma, era già una cosa. Non
che gli facesse piacere constatare che quel ragazzino fosse
più maturo di lui che aveva quasi ventisette anni...
«Dio,
perché in questa famiglia combiniamo tutti danni a catena,
perché, perché?!»
La sua voce fu interrotta
dal suono del campanello di sotto, che fece aumentare i battiti del
cuore di Vittorio. Guardò il fratello quasi supplicandolo di
aiutarlo, quello, ancora sconvolto, alzò gli occhi al cielo,
poi lo afferrò dal braccio mettendolo in piedi.
«Non ci
sarà sempre Ross il maggiore che ti tirerà fuori
dai pasticci, pivello» gli disse guardandolo negli occhi
grigi, seriamente angosciati.
«Non so che
dire... Non so come fare» mormorava quello, completamente in
panico.
Il fratello
negò con la testa, posandogli una mano sulla spalla per
infondergli un po’ di coraggio.
«Ormai
è fatta, scendi di sotto e dillo a tutti» poi,
osservando Vittorio mordicchiarsi il labbro con la testa abbassata e
gli occhi lucidi, ironizzò:
«Sono sicuro
che a nonna Mena farà
piacere un altro nipotino»
Il ragazzo
alzò lo sguardo verso di lui non potendo trattenere un
sorrisino. Pensò a sua madre e alla sua reazione.
Sembrò quasi di sentire le sue urla rimbombare per tutto
l’appartamento. Ricacciò quel pensiero, mentre
Ross lo trascinava verso la porta della sua stanza.
«Coraggio,
minimo ti lancia dalla finestra o ti caccia di casa»
Vittorio a quelle parole
si voltò facendo per aprire bocca, ma Ross lo
incitò nuovamente a muoversi. Il castano sbuffò,
scendendo le scale con il cuore che martellava al petto.
Come avrebbe detto? Non
ne aveva il coraggio.
Non aveva il fottuto
coraggio.
Voleva scappare via ma
ormai era troppo tardi.
Ross, rimasto in stanza,
unì le mani in preghiera volgendole verso il cielo,
chiedendosi perché Vittorio delle volte doveva perdersi in
un bicchiere d’acqua.
Scese le scale con
estrema lentezza, voleva rimandare quel momento il più tardi
possibile, ma arrivato nel salotto dovette fermarsi. Il cuore gli
batteva ancora forte, vide Rosa e Piero parlare con sua madre. Ebbe
male allo stomaco all’improvviso.
Poi scorse lei in disparte,
con lo sguardo triste, bella come sempre. Aveva voglia di baciarla e
dirle che era stato tutto un brutto sogno.
Valeryn alzò lo
sguardo e lo vide. Lui le si avvicinò guardandola negli
occhi verdi, senza sapere bene cosa fare. La ragazza scosse la testa
facendo cenno verso i genitori che parlavano tra di loro allegri, senza
interrogarli un minimo. Il castano le strinse la mano, mentre lei
guardava le loro dita intrecciarsi e per un attimo tutto quello le
sembrò così sbagliato.
Così talmente
sbagliato, distruttivo.
Finalmente Mena si
voltò verso di loro con in volto un sorriso a trenta denti.
Fece cenno a Piero e Rosa di accomodarsi sul divano, e volse lo sguardo
verso suo figlio. Valeryn cacciò la
mano da quella sua come se ne fosse scottata. Si sentiva impietrita e
spaventata, avrebbe voluto essere dovunque men che lì.
«Allora,
tesori, cosa volevate dirci di così bello?»
trillò la donna entusiasta, come se ciò che si
aspettasse fosse un buon voto a scuola.
Valeryn cominciò ad
agitarsi, guardando il suo ragazzo che osservava nervoso le scale.
Perché Ross non scendeva? Si sentiva male senza qualcuno che
poteva aiutarlo, senza qualcuno che sapesse la verità.
Spostò lo
sguardo verso la ragazza che si torturava le mani. Era più
difficile del previsto, si disse. Non credeva che assumersi le proprie
responsabilità sarebbe stato così complicato.
Forse non dovevano dirlo così presto, forse dovevano
aspettare ancora un po’... ma non potevano più
farlo, era passato quasi un mese da quando Valeryn aveva fatto il test, i
loro genitori dovevano venirne a conoscenza. Ci voleva un bel respiro,
si disse, un respiro di quelli che infondono coraggio. Ne fece uno, ma
constatò che era lo stesso.
Aveva paura, adesso lo
ammetteva...
In quel momento,
guardando la faccia di sua madre e dei genitori di Valeryn aveva solo voglia di
scomparire, chiudersi in camera sua e non pensare a tutto quello.
E in quel preciso istante
li raggiunse Ross con l’aria di uno che aveva riflettuto
molto. I due fratelli si guardarono, e il maggiore fece un cenno come
se l’incitasse a parlare. Vittorio annuì
leggermente, tirando un sospiro di sollievo.
Adesso con lui in quella
stanza si sentiva più sicuro.
Valeryn cominciò ad
attorcigliarsi i capelli, chiaro segno di nervosismo. Gli adulti
cominciarono a guardarsi tra loro. Rosa rimproverò sua
figlia con lo sguardo.
«Dunque, Valeryn, cosa aspetti a dirci la
ragione per cui ci avete fatto riunire qui?»
Sua madre cominciava a
trovare estremamente ridicola quella pensata. I due non avevano
intenzione di parlare, e lei aveva così tante cose da fare.
«Io devo andare
alle prove della chiesa» disse Piero guardando il cellulare.
«Perciò
facciamo in fretta» affermò.
Mena fece un segno come
per dire che non importava. D’altronde era così
contenta che Vittorio e Valeryn stessero insieme, si
sentiva pronta a tutto. E poi lei credeva di sapere di cosa si trattava
quella riunione familiare.
«Vogliono
proporci di lasciarli partire in vacanza insieme a gennaio, lo
so» bisbigliò nell’orecchio di suo
cugino «Ho visto dei volantini in camera di Vittorio
l’altro giorno, scommetto si tratti di una crociera»
Piero fece una faccia
strana, poi aggrottò le sopracciglia.
«Ma
è il colmo! Non lascerò partire mia figlia da
sola!» sbottò contrariato.
«Andiamo,
Piero, ci sarà Vittorio con lei!»
«E’
un maschio, per diamine, i maschi non tengono mai le mani a
posto!»
I due ragazzi sentirono
chiaramente l’ultima frase, si guardarono confusi. Mena si
rivolse a loro con un sorriso.
«Se
è per le vacanze potete dircelo, la mia risposta
è sì»
«La mia
è no!» esclamò Piero, arrabbiato.
Valeryn e Vittorio si guardarono
di nuovo sospirando. Magari fosse stata solo la vacanza... Ross scosse
la testa passandosi una mano sul viso. Forse doveva aiutarli.
Interruppe sua madre che incominciava a fare progetti senza capo
né coda.
«Forse stanno
provando a dirvi qualche altra cosa, vi pare?» chiese
retorico «E poi i volantini della crociera sono i
miei» aggiunse secco.
Mena lo guardò
stupita.
«Non ci credo,
che hai in testa?»
Ross la bloccò
con un cenno della mano. In realtà aveva intenzione di
sposarsi, ma non voleva dirlo quel giorno, non in quel modo, e non in
quel momento che suo fratello stava per prendersi le proprie
responsabilità.
«Adesso non
importa. Vitto deve dirti una cosa. Vero, pivello?» fece
cenno a suo fratello di parlare. Vittorio annuì, passandosi
una mano tra i capelli. Era arrivato il momento.
Prese un altro bel
respiro, e nervoso cominciò a parlare.
«Ecco...
Volevamo dirvi una cosa molto importante» disse a bassa voce.
Valeryn, nel frattempo, lo
guardava attentamente.
«Noi... insomma
abbiamo fatto una cosa che...»
Ross scosse la testa
sconsolato, visto che Vittorio si era fermato e non sapeva come
continuare. Sua madre lo guardava scettica ed interrogativa.
«Non riguarda
nessuna vacanza allora?» chiese stupita.
«No, niente
vacanza»
Mena cominciò
a spazientirsi, sbuffò accigliata portandosi una ciocca di
capelli castani dietro l’orecchio. Sentiva puzza di guai. Che
cosa aveva combinato suo figlio, adesso? Aveva quello sguardo
così strano, come se avesse paura di qualcosa, lo conosceva
molto bene.
«E allora, si
può sapere cosa avete combinato?» chiese
indagatrice «E’ chiaro che avete fatto
qualcosa»
Valeryn scosse la testa,
Vittorio la guardò ed annuì.
«Sì,
mamma, è successa una cosa... Abbiamo sbagliato
tutto» mormorò.
Piero fece una faccia
pensierosa. Cosa aveva a che fare la sua bambina in quel discorso?
Incominciava a preoccuparsi.
«Avanti,
tesoro, cosa...?»
Vittorio si fece forza a
continuare. Non riusciva ad andare al punto, gli sembrava troppo
difficile dire la verità. Non sapeva con quale tono dirlo,
quali parole usare.
Era come se avesse perso
l’uso, la proprietà di linguaggio. Sentiva la
bocca asciutta e l’agitazione lo stava letteralmente
mangiando vivo.
Improvvisamente, Valeryn lo fermò
poggiando una mano sul suo braccio. Si rivolse verso sua madre che la
guardava annoiata.
Doveva farlo.
Doveva.
Sentiva che doveva farlo
lei, ora.
«Io
sono incinta, mamma» poi
abbassò gli occhi smeraldini verso il basso, contemplando il
tappeto.
Rosa spalancò
gli occhi tirandosi su dal divano. Vicino a lei, Mena aprì
la bocca seriamente incredula, mentre Piero ridusse gli occhi in due
fessure.
Silenzio.
Poi un urlo.
«MA COSA CAZZO
DICI?!»
Si alzò dal
divano riluttante, il volto livido. Lo sapeva che la sua bambina era
stata coinvolta in qualcosa del genere!
Si rivolse a Vittorio
puntandogli il dito contro.
«Tu?! Dimmi una
cosa» era visibilmente arrabbiato. Valeryn chiuse gli occhi, mentre
il ragazzo deglutiva debolmente.
«È
vero? Dimmi, è vero che mia figlia è incinta?!»
Il ragazzo
annuì piano.
«Sì,
è vero» ammise.
Piero spostò
lo sguardo da sua figlia al ragazzo. Fece una smorfia di puro
ribrezzo. Non ci poteva credere, la
sua bambina a soli diciassette anni... non poteva essere vero...
stavano scherzando...
Tutti i momenti passati
con sua figlia gli riaffiorarono in testa, la sua nascita, la sua
infanzia, quando la spingeva nell’altalena, quando gli
chiedeva di raccontarle la stessa favola della sera prima che non
ricordava mai perché se le inventava al momento, quando era
cresciuta ed aveva avuto timore di perderla, aveva avuto una paura
immane che avrebbe potuto rimanere incastrata in qualcosa del genere.
Ed era successo, era
appena successo.
Lui lo sapeva dal primo
momento in cui aveva scoperto che si era messo insieme al figlio di sua
cugina, lo sapeva bene che quello lì l’avrebbe
rovinata...
Gli vennero in mente una
serie di pensieri non belli rivolti a Vittorio che si trovava di fronte
e strinse un pugno.
Guardò Rosa e
Mena, ancora sedute sul divano, che non facevano cenno di aprir bocca.
«No, ma dico,
li avete sentiti?!» urlò accusatorio
«Hanno appena detto che aspettano un bambino! E tu, Rosa, non
dici niente!? Scommetto che tu sapevi tutto, sapevi che tua figlia
andava a letto con un ragazzo, mentre io ero rimasto ad un casto
bacetto sulla bocca! Non ci posso credere!»
Aggiunse una serie di
imprecazioni poco chiare che si udirono anche dalla strada.
Infervorato come non mai,
lasciò la stanza a gran passi, mandando tutti al diavolo,
afferrando la borsa della moglie. Quello che ci voleva era solo una
sigaretta che nemmeno fumava di solito. Per quanto lo shock potesse
permetterglielo, doveva pensare, perché sentiva solo una
gran voglia di spaccare il salotto di Mena e di appendere suo figlio
dritto contro il muro.
Uscì fuori,
mentre sua moglie rivolgeva uno sguardo severo e deluso a sua figlia, e
raggiungeva il marito per calmarlo.
Valeryn cominciò a
sentire gli occhi lucidi, sentiva di voler scoppiare a piangere e non
finirla più. Vittorio se ne accorse subito e la
circondò con un abbraccio, baciandole teneramente la testa.
Ross si
avvicinò a sua madre che aveva coperto il volto con le mani
e sbatteva il capo sconsolata. Le diede una pacca di incoraggiamento.
«Non ci posso
credere... pure lui adesso... È presto, è ancora
troppo presto!»
Ross tentò di
rincuorare sua madre passandole una mano sulle spalle, mentre si
voltava verso i due ragazzi guardandoli rassegnato.
Si sentirono le urla di
Piero provenire dalla veranda, e Valeryn scoppiò a
piangere. Vittorio la strinse di più a sé. Forse
non dovevano dirlo, forse era vero che avevano sbagliato tutto. Si
sentiva così in colpa, così dannatamente
colpevole.
Era colpa sua.
Lui aveva sbagliato tutto.
Tutto.
«M’AVETE
ROTTO IL CAZZO TU E TUA FIGLIA!»
«Piero, non
urlare, non siamo in casa nostra, non...»
«UNA VITA
ROVINATA! ALLA SUA ETA’! ROVINATA!»
Mena, sentendo suo cugino
sbraitare in quel modo contro Rosa, si alzò dal divano
facendo per raggiungerli. Si fermò un attimo rivolgendosi a
suo figlio, che la guardava sconsolato.
«Con te faremo
i conti dopo guarda!» sibilò ed uscì
furiosa, mentre Ross si sbatteva una mano sulla fronte.
Valeryn gemette e si
divincolò da Vittorio correndo in bagno. Aveva gli occhi
arrossati e tirava su con il naso, le lacrime le sgorgavano sole senza
riuscire a fermarle. Il castano la chiamò debolmente, ma lei
non si fermò.
Ross si alzò
dal divano e si avvicinò a lui. Si guardarono negli occhi
sinceramente, poi il maggiore gli fece cenno di avvicinarsi e si
abbracciarono di slancio.
«Benvenuto nel
club» gli disse, sospirando.
Poi gli diede una pacca
sulla spalla per infondergli coraggio, quello stesso coraggio che
Vittorio pensò di avere completamente perso.
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Capitolo 5 *** Comprensione ***
«Tu lo sapevi già?»
Censeo, con i capelli biondi
pettinati all’insù, gli occhi verdi preoccupati e
un’espressione stupita, si rivolse ad una riccia Maia che,
seduta sul divano con le gambe accavallate, si mordicchiava il labbro
nervosa. La notizia era arrivata ai loro amici come un fulmine a ciel
sereno. Tutti erano increduli e seriamente preoccupati, perfino Daniel
aveva smesso di trattare male Valeryn. Quella sera del
ventitré dicembre, i ragazzi erano riuniti nella vecchia
casa estiva della zia di Alex, che era diventata da mesi luogo di
ritrovo e punto di riferimento delle feste.
Tutti stavano seduti con
espressione seria in volto. Valeryn e Vittorio non erano
ancora arrivati.
«Sì,
lo sapevo da un po’» rispose la ragazza, sospirando.
Daniel fece una faccia
inorridita.
«Scusa, eh, ma
che razza di amica sei? Noi non contiamo niente in questa fottuta
storia?»
«Non potevo
dirlo a nessuno» spiegò, mentre il castano faceva
una smorfia
«Lo sapevamo
solo io e lei, nemmeno Vittorio ne era al corrente»
«E certo, noi siamo il
ripiego!»
«Non siete il
ripiego, voleva solo aspettare»
Daniel si alzò
dal divano grugnendo, sentendosi quasi offeso di aver saputo tutto per
ultimo.
«Non si aspetta
mai in queste cose, per la miseria!»
«Aveva paura,
ti basta?!» Maia lo rimproverò con lo sguardo, poi
continuò a mordicchiarsi il labbro. Il ragazzo
soffiò da un angolo della bocca, spostando dei ciuffi
ribelli dal volto, poi si alzò passeggiando nervosamente su
e giù. Carmine puntò gli occhi azzurri su di lui.
«Puoi smettere
di fare avanti e indietro? Mi gira la testa!»
«Non rompere,
Carmine. Sembri una donnicciola mestruata!»
Il moro
sbuffò, incrociando le braccia. Quell’idiota non
sapeva regolarsi nemmeno dopo una notizia del genere. Dopo svariate
minacce e sguardi ammonitori, Daniel prese posto accanto ad una bionda
e robusta Sara, impegnata a fare un sudoku senza buoni risultati.
«Sentite»
disse d’un tratto catturando l’attenzione di tutti
«Io dico che dobbiamo aiutarli. Insomma se vogliono soldi per
la casa se li possono scordare, non ho un euro messo da parte,
però... Però dovremmo dimostrarci più
gentili e comprensivi con loro. Avranno bisogno di tutto il nostro
aiuto, non vi pare?»
I ragazzi si guardarono
tra di loro, leggermente stupiti. Sara non era una ragazza
particolarmente sveglia, forse un po’ frivola come Conny, ma
non si esponeva mai in primis se non per discutere con Daniel. Ed
effettivamente aveva ragione, Valeryn e Vittorio avevano
bisogno dei loro amici.
«Caspita, Sare’!»
esclamò Censeo stupito, guadagnandosi
un’occhiataccia da Dan
«Non credevo
sapessi ragionare così bene»
Sara lo guardò
strano, mentre Carmine ridacchiava sotto i baffi. Indecisa se
accettarlo come un complimento o un’offesa, si
limitò a fare spallucce. Daniel gli si ritorse contro.
«Qualcuno
spieghi a questo nano da giardino, qui» fece puntandogli il
dito, arrabbiato, come tutte le volte che si parlava della sua amata
ragazza «che la mia cipollina non è stupida come
una babba di mia conoscenza! Lei
ha una discreta autorità ed un certo intelletto che nemmeno
immagini, Censeo del mio
cavolo!»
Per babba si rivolse a
Conny, che con una lunga treccia imperfetta entrava dalla cucina
tenendo tra le mani un vassoio pieno di tramezzini. Lo posò
sul tavolino, mentre gli altri si chinavano a prenderne uno. Daniel ne
prese tre.
«Andiamo, Dan,
non incominciare ad incazzarti! Non mi sembra il caso»
«Hai
incominciato tu, Cucciolo, io sto solo dicendo che
la mia piccolina è intelligente!»
Sara gli rivolse un
sorriso con la bocca piena, facendo intravedere il tramezzino
masticato. Daniel cacciò un urlo inorridito, e la ragazza
fece una smorfia offesa.
Censeo scosse la testa, facendo
sedere Conny accanto a lui. Poi le passò un braccio sulle
spalle ed incominciò a mangiare senza curarsi delle parole
dell’amico.
Nel frattempo, Elia,
seduto sulla poltrona con i capelli biondi pettinati a cresta, gli
occhi castani persi nel vuoto, si alzò di scatto posando la
sua birra sul tavolino. Si stiracchiò e prese dalla tasca le
sue sigarette.
Gli altri gli lanciarono
uno sguardo, chiedendosi come l’avesse presa;
d’altronde, Valeryn era stata la sua ragazza
qualche tempo prima.
Il ragazzo
uscì fuori del balcone accendendosi la sua piacevole
Chesterfield, riflettendo su ciò che aveva saputo.
Valeryn era incinta. Una notizia
davvero incredibile, si disse, non si sarebbe mai aspettato niente del
genere. Si era affezionato a lei, vuoi perché erano stati
insieme, vuoi perché erano rimasti in discreti rapporti
anche dopo.
I suoi pensieri,
però, erano rivolti esclusivamente verso Vittorio. Non
riusciva a non pensarlo, la sua testa si era
sintonizzata su di lui subito dopo che Alex e Carmine avevano riferito
loro la notizia. Voleva sapere come stava, come aveva reagito. Diamine,
era una cosa estremamente prematura... D’altronde aveva solo
diciotto anni, ancora, non era grande abbastanza, non era pronto a
diventare padre...
O forse lui non era
abbastanza pronto per lasciarlo andare
Si chiese cosa
c’entrassero quei pensieri così fuori luogo in
quel momento. Vittorio era il suo migliore amico, gli voleva bene da
morire, non poteva essere così egoista. Fece un tiro dalla
sua sigaretta.
Eppure si sentiva triste
in qualche modo, non sapeva perché. Voleva solo vederlo,
voleva solo potergli parlare... Era come se sentisse un peso dentro,
nemmeno si rendeva conto cosa fosse, solo sentiva la totale esigenza di
vederlo.
Continuò a
fumare in silenzio, finché una mano si posò sulla
sua spalla.
Maia, ancora
più riccia del solito, si avvicinò a lui facendo
un sospiro. Poi si appoggiò al balcone guardando la luna.
«Ehi»
disse sorridendogli. Lui ricambiò mezzo sorriso continuando
a tirare dalla sigaretta.
«Mi ero rotta
di starli a sentire»
Elia fece spallucce,
guardando il panorama di sotto. Si vedeva tutto il suo paese da
lassù.
«Già»
mormorò, poi rilasciò un tiro facendo scorrere
gli occhi tra i fiotti di luci.
La ragazza lo
guardò con apprensione, poi gli accarezzò un
braccio. Lei era sempre stata la sua migliore amica, fin dalle
elementari. Ormai riusciva a capirlo se qualcosa non andava, e la sua
espressione vacua ne era la dimostrazione.
«Allora, cosa
c’è?» domandò, scrutandolo
«Sei rimasto male?»
Lui spense la sigaretta
sul posacenere, poi si passò una mano tra i capelli. Forse
ci era rimasto male, ma non riusciva a capire il perché. Era
certo non avesse niente a che vedere con Valeryn.
Non riusciva nemmeno a
capacitarsi del perché sentisse quell’improvviso
peso nel cuore.
«Non lo
so» ammise piano «Non me l’aspettavo,
credo»
Maia sospirò.
«Nessuno se
l’aspettava, Eli. Lei è stata la tua ragazza,
è normale che sei sconvolto»
«Non sono
sconvolto» affermò con convinzione, guardandola
seriamente
«E non mi
interessa più Valeryn, se è questo
che pensi»
«E allora cosa
c’è?»
Lui continuò a
guardare di sotto, senza capire.
Una vocina nella sua
testa non smetteva di ripetere il nome del suo migliore amico, come se
avesse bisogno di sentirlo. Scosse la testa, piano.
«Ti giuro, non
lo so» sussurrò.
Maia lo guardò
ancora un attimo tentando di capire cosa gli passasse per la testa, ma
non ci riuscì.
Il campanello
suonò. Elia rimase fuori, mentre lei si precipitò
in salotto pensando fosse Valeryn. Invece erano Alex e Miriel che, entrando come una
furia, la prese dalle spalle scuotendola a più non posso.
«Non ci posso
credere, dimmi che è uno scherzo! Dimmelo!»
Lei guardò
Alex allarmata, mentre quello si toglieva il capellino mostrando i suoi
capelli ormai completamente rasati.
«E’
seriamente preoccupata, spiegale tutto dall’inizio. Mi ha
tartassato per tutto il tragitto!» fece cenno verso la
ragazza che la guardava con occhi sbarrati.
Poi la prese per mano,
facendola sedere sul divano.
Miriana, o semplicemente Miriel per tutti, era
l’altra migliore amica di Valeryn, la sua amica
d’infanzia che abitava in un paese vicino e che veniva il
fine settimana o nelle vacanze.
Adesso la guardava con
preoccupazione che sfiorava i limiti dell’isteria.
Prese a raccontarle tutto
dall’inizio, la ragazza la fermò più
volte per cercare di capire. Poi guardò davanti a
sé, incredula.
«Com’è
possibile, io non ne sapevo niente?!» sbottò,
incrociando le braccia. Perché Valeryn non le aveva mai
confidato nulla? Pensava fosse la sua migliore amica... Invece lo aveva
detto solo a Maia.
«Non te la
prendere, non voleva dirlo a nessuno» provò a
spiegarle questa.
Miriel scrollò le
spalle, sbattendo i lunghi capelli scuri.
«Come sarebbe a
dire che non voleva dirlo a nessuno? Prima o poi i suoi lo avrebbero
scoperto, ed anche noi, se è per questo!»
Alex si
avvicinò alla sua fidanzata passandole una mano sulle
spalle, tentando di calmarla.
«E
Vittorio?» chiese lanciando uno sguardo a Elia appena entrato
dal balcone.
«Qualcuno sa
niente?»
Censeo smise di sbaciucchiare
Conny, alzando le spalle.
«Io non lo vedo
da giorni, ormai, ma non credo sia nelle condizioni di venire a
parlarcene, insomma...» fece una faccia grave.
Il biondo, che stava
sentendo, scosse la testa infastidito. Perché parlavano
tanto? Amavano spettegolare, ma alla fine non sapevano nulla di nulla.
Doveva parlare con il suo amico al più presto, sentiva
ancora quel bisogno...
Bisogno di sentirlo
vicino, un bisogno immane, non gli era mai successo.
Si fermò a
contemplare il tavolino di legno confuso, mentre Alex lo riscosse dai
suoi pensieri.
«Ehi
zi’, tu ne sai niente?» fece un cenno allusivo
«Vitto... Lo hai sentito?»
Scrollò le
spalle dovendo ammettere anche a sé stesso che non era stato
affatto informato della notizia, cosa che lo faceva ancora stare
più male.
«No, non ne
sapevo niente» rispose un po’ rude.
Il moro fece una faccia
strana, interrogativa, chiedendosi come mai il biondo non fosse a
conoscenza di nulla; d’altronde lui e Vittorio da quando
avevano ricucito il loro rapporto erano molto più uniti.
Miriel si alzò dal
divano sbattendo un piede dal nervosismo.
«Io non ci
posso ancora credere! Ma adesso mi sentirà!»
esclamò, tirando fuori il cellulare.
Maia le strinse una mano,
cercando di tranquillizzarla e, allo stesso tempo, fermarla dal fare
una scenata.
«No, Miri, ti
prego, lasciala stare! Sta passando un periodo nero, non puoi renderle
le cose ancora più difficili!»
La moretta la
guardò come si guardano gli insetti.
«Beh, tu non
capisci, ovvio, a te l’ha detto per prima, sei la sua
compagnetta di classe! A me che siamo amiche da una vita invece niente,
buio totale, ma ti sembra cosa? Io avrei potuto aiutarla!»
La ricciolina
sbuffò infastidita. Come poteva dire una cosa del genere in
quella situazione, si disse, non contavano quelle cose adesso.
«Nessuno la
poteva aiutare, nemmeno io ho potuto fare niente. Stava male, non
capiva un accidente, si sentiva confusa. Non voleva dirlo nemmeno a
lui, non so se capisci!»
«Ah, capisco
eccome! Ma due amiche l’avrebbero aiutata meglio di una, non
credi?»
Miriel e Maia si guardarono con
sfida. Entrambe erano molto amiche di Valeryn, ed entrambe non
volevano perdere la sua amicizia.
Miriana era una ragazza
che non amava essere messa in secondo piano, era molto orgogliosa, al
contrario di Maia, sempre gentile e comprensiva con tutti.
Daniel arrivò
volteggiando, sbatté contro la schiena di Carmine che si era
alzato per cambiare canale alla televisione, dato che il telecomando
era rotto e non prendeva.
«E
sta’ attento, medusa in evoluzione!»
sbottò infastidito.
Dan gli rivolse uno
sguardo sprezzante
«Taci, infante.
Ehi, stanno arrivando!»
I ragazzi si voltarono
verso di lui, stralunati. Poi capirono di chi parlava.
«I futuri genitori stanno
arrivando, mi raccomando fate ordine!» spostò il
tavolino cacciando le cartacce e le cicche di sigaretta
«E tu,
cucciolotta, basta mangiare caramelle altrimenti diventi una grassona e
poi quando lo facciamo non puoi stare di sopra altrimenti mi
frantumi»
Sara spalancò
le orbite e gli menò un calcio, mancandolo. Dan se la rise
continuando a spostare gli oggetti in disordine.
Alex aprì di
sotto. Censeo guardò tutti
mettendoli in guardia.
«Mi raccomando
ragazzi, ricordate la perla di saggezza di Saretta, okay?»
Tutti annuirono. Conny
gli rivolse uno sguardo confuso.
«Di quale perla
parli, tesoro?»
«Comprensione
da amici» precisò Sara con sgarbo.
Miriel gettò uno
sguardo a Maia, che le fece cenno di seguire le parole dette. Lei
incrociò le braccia, sbuffando. Forse avrebbe evitato una
scenata quel giorno, ma in privato ne avrebbe parlato con Valeryn, poco ma sicuro. La
riccia, come captando i suoi pensieri, alzò gli occhi al
cielo.
Elia si passò
una mano tra i capelli biondi ed uscì in veranda. Si sentiva
stranamente inquieto.
Vittorio si
fermò a metà scale, facendo voltare la ragazza
verso di lui. Valeryn, con un capotto grigio,
un capellino di lana dello stesso colore che copriva i suoi capelli
castani mossi, lo fissò interrogativa.
«Amore»
sospirò mordicchiandosi un labbro «Se non ti va di
parlare con loro possiamo andarcene»
Lei scrollò le
spalle, puntando gli occhi verdi sulle scale. Ormai era fatta, era
giusto affrontare i loro amici. Avevano il diritto anche loro di sapere.
«No, va tutto
bene» Continuò a salire le scale, ma il ragazzo la
fermò di nuovo da una mano. L’avvicinò
a lui, lei leggermente più alta sopra uno scalino superiore.
Le accarezzò la guancia, e la ragazza abbassò lo
sguardo.
«Io ti
amo» disse lui con naturalezza, facendola sospirare
«Non ho intenzione di lasciarti sola»
Lei annuì
piano, mentre lui la baciava. Era un bacio dolce, ma Valeryn pensava a
tutt’altro. Si sentiva parecchio confusa in quei giorni, da
quando suo padre si era arrabbiato con lei non capiva più
niente. Si sentiva quasi un pesce fuor d’acqua senza sapere
perché.
Dopo che si staccarono
Vittorio la guardò aspettandosi qualcosa, puntò
gli occhi grigi su di lei, ma la ragazza fece tutt’altro.
Ricacciò con delicatezza la sua mano dalla sua guancia e
riprese a salire le scale.
«Andiamo»
disse in un sussurro.
Il ragazzo rimase
indietro, perplesso. Il comportamento di Valeryn era strano, quasi non la
capiva, gli sembrava distaccata, distante, perse sempre nei suoi
pensieri da cui lo tagliava fuori... Non fece in tempo a pensare ad
altro, perché la porta di casa di Alex si era spalancata
quindi entrarono in silenzio.
Tutti li guardarono
preoccupati, Carmine si alzò senza motivo dal divano.
Valeryn cercò lo
sguardo del ragazzo in chiara difficoltà. I loro amici li
osservavano senza dire una parola, Miriel la fissava con un
cipiglio, Maia si torturava i capelli.
Vittorio se ne accorse e,
scrollando le spalle, ironizzò:
«Ehi, piano,
ragazzi!»
Ci fu qualche secondo di
fiato sospeso, poi alcuni iniziarono a ridacchiare, Daniel scosse la
testa e i suoi lunghi capelli a caschetto andarono su e giù.
«Sempre il
solito scimunito sei, Vitto» si avvicinò a lui
«E ti sei fatto crescere anche la barba, vedo»
Il castano si
toccò sopra il mento nel dubbio, Carmine rise e gli diede un
cinque, Alex fece lo stesso e Censeo si avvicinò
con un sorriso a trenta denti.
Valeryn osservando quella scena
tirò un sospiro di sollievo. Poi si tolse il cappottino
avvicinandosi alle sue amiche. Maia le sorrise e le baciò le
guance.
«Come
stai?» le chiese gentile.
Alzò le
spalle. Non sapeva nemmeno lei come stava, si sentiva parecchio strana.
Miriel la squadrò
dalla testa ai piedi, mantenendo il suo sguardo freddo. Sara e Conny le
raggiunsero come fossero le pie donne. La bionda le prese il cappotto
di mano con un sorriso eloquente, Conny fece una battuta sopra la sua
treccia sbilenca.
Valeryn scoppiò a
ridere, sbattendo la testa. Poi si lasciò abbracciare da
Maia che le sussurrò all’orecchio.
«Ti sei
ripresa? Eravamo tutti in pensiero, sai, perfino Daniel ha chiesto di
te»
La castana
guardò il ragazzo parlare con Vittorio, e fece un sorrisino.
Poi alzò le spalle.
«Non so che mi
prende, mi sento strana» ammise con un sospiro.
«E’
normale, tesoro, sei stravolta»
Valeryn non era convinta.
Incontrò lo sguardo di Miriel che
l’osservava in silenzio. Le due ragazze si fissarono per
qualche secondo, la moretta si spostò i capelli dagli occhi.
Quasi voleva rimproverarla, ma vedendola in quel modo non ebbe la forza.
«Vieni qui,
dai» allargò le braccia e
l’abbracciò.
Valeryn ricambiò
sentendo gli occhi lucidi. Era stata una stupida a non averle detto
nulla. Era la sua migliore amica ed aveva avuto paura a coinvolgerla.
Non meritava davvero quell’abbraccio, ma ne aveva bisogno,
così si strinse a lei.
Censeo tirò da un
braccio Daniel che si pavoneggiava raccontando una storia che non
c’entrava niente in quel momento. Vittorio rivolse un
sorrisino
all’amico,
grato per averlo zittito.
Il castano
guardò con rabbia il biondino che gli fece un cenno
allusivo. Poi, con l’attenzione di Alex e Carmine,
cominciò a parlare.
«Vitto, noi
volevamo dirti che... beh, hai tutto il nostro appoggio. Siamo i tuoi
amici e ti staremo accanto, quando ne avrai bisogno»
«Giusto»
Carmine era d’accordo «Ti sei cacciato in un bel
guaio, ma hai tutto il nostro aiuto» ridacchiò.
«Se ti serve
qualcosa» annuì Alex, passandosi una mano sul capo
rasato «noi siamo qui, non abbiamo intenzione di lasciarvi
soli»
Fece cenno verso Valeryn, che parlava con Sara.
Vittorio fece mezzo sorriso riconoscente.
«Grazie,
ragazzi» disse guardandoli con affetto, poi fece circolare lo
sguardo nella stanza alla ricerca di qualcun altro che non era
lì presente.
«Ehi, un
momento!» Daniel tirò il ragazzo da un braccio,
facendolo bruscamente voltare verso di lui.
«Visto che
questi infami hanno parlato senza di me, ti dirò
anch’io qualcosa»
Vittorio sorrise
distratto, poi riprese a guardarsi intorno.
Dov’era
Elia? Pensava fosse anche lui con loro. Aveva bisogno di
parlare con lui, non gli aveva detto niente, che sciocco...
Aveva bisogno di vederlo
soltanto.
«Ao, mi senti, coglionazzo?!» lo riprese
Dan, facendolo nuovamente voltare verso di lui imponendogli attenzione.
«Volevo dirti
che giuro solennemente di lasciare in pace Valeryn per tutto il resto della
gravidanza. Ah, e sarò anche più gentile con
lei!»
Censeo scosse la testa
scettico. Carmine e Alex risero.
«Avresti dovuto
farlo molto prima» disse Vittorio con un cipiglio.
«Ehi, non mi
credi? Guarda. Valeryn, ehi, pazzerella sono
qui!» la ragazza si voltò verso di lui guardandolo
strano, lui le fece segno con una mano di venire. Lei lo
guardò scuotendo la testa, poi si
avvicinò.
«Che vuoi,
idiota?» chiese stufata.
Il suo sorriso si
trasformò in una smorfia irritata.
«Lo vedi che
devi sempre rovinare tutto, pazza isterica che non sei
altro?» poi alzò lo sguardo verso Vittorio che
aveva incrociato le braccia.
«Ehm, pardon.
Volevo dirti che non farò più commenti
né sul tuo isterismo, né sulla tua infamia, okay?
Sarò gentile, ma soldi per la casa non ve ne do,
d’accordo?»
Valeryn e Vittorio si guardarono
con mezzo sorriso. Daniel era dolce in fondo, anche se molto in fondo, e
sapevano che voleva loro bene e che se avessero avuto bisogno di una
mano gliel’avrebbe data. Il ragazzo dal suo canto si
abbassò all’altezza del ventre della ragazza,
poggiando l’orecchio. Poi si rialzò perplesso.
«Ma... ma
è piatta, o sbaglio?»
I due ragazzi scoppiarono
a ridere. Ci voleva qualcuno che sdrammatizzasse un po’ in
tutta quella storia. Dan fece una smorfia e se ne andò
stizzito, come suo solito.
Maia, invece,
chiamò Valeryn e la trascinò
con sé.
Rimasto solo, Vittorio
fece per accomodarsi sul divano e riposarsi un po’, ma in
quel momento un ragazzo biondo entrò dal balcone, catturando
la sua attenzione.
Guardò Elia
come se non lo vedesse da tanto, fu catturato dalla sua presenza, i
loro occhi inevitabilmente si incontrarono.
Il castano emise un
sospiro liberatorio.
Si sentiva quasi meglio
adesso.
Sapere che era
lì lo rincuorava, lo faceva sentire al sicuro.
Il biondo
indugiò un attimo, poi lo raggiunse e si ritrovarono faccia
a faccia. Non smisero di guardarsi negli occhi, fino a quando Elia
piegò la testa di lato con mezzo sorriso strano, poi lo
tirò da un braccio. Vittorio fu preso alla sprovvista e la
mano del ragazzo scivolò nella sua. Il biondo fece finta di
niente mordendosi un labbro e lo trascinò in veranda. Il
castano, un po’ scosso, guardò le loro mani
intrecciate. Elia se ne accorse e mollò subito la presa.
«P-pensavo non
ci fossi» sussurrò Vittorio, evitando di guardarlo
negli occhi. Era rimasto spiazzato da quel gesto. Non seppe nemmeno
perché il cuore aveva fatto un balzo non appena lo aveva
stretto.
Elia volse lo sguardo al
cielo, sospirando.
«Non ti avrei
lasciato solo» gli disse.
Lui sorrise, guardando in
basso.
Perché si
sentiva strano? Si sentiva in imbarazzo non indifferente e nemmeno
riusciva a capire il motivo. Insomma era Elia, era il suo migliore
amico, erano rimasti altri cento volte da soli a parlare.
Eppure non riusciva a
togliersi di dosso quella sensazione che gli era partita da quando gli
aveva stretto la mano.
«Lo
so» soffiò a bassa voce.
Il biondo gli
lanciò uno sguardo, poi appoggiò le braccia sul
balcone guardando il paesaggio illuminato. Si accese un’altra
sigaretta. Passò il pacco a Vittorio, che sfilò
l’ultima e l’accese. Calò il silenzio.
Un silenzio che ai due quasi faceva male, perché entrambi
avevano bisogno di sentire la voce dell’altro. Il loro legame
era sempre stato speciale, e quella sera più che mai.
Sentivano entrambi delle
vibrazioni strane, ma non riuscivano a capire se era dovuto alla
scoperta della gravidanza che li aveva scossi o semplicemente alla
presenza dell’altro.
Quel silenzio era troppo
da sopportare, dava spazio a dei pensieri troppo rumorosi.
«Dì
qualcosa, ti prego» mormorò il castano, facendo un
tiro, passandosi una mano tra i capelli. La sua sembrava una preghiera,
erano poche le volte che lo aveva udito così supplice nei
suoi riguardi.
Elia lo fissò,
sentendo la bocca asciutta. Voleva dirgli così tante cose
che non riusciva a parlare. Gli era capitato davvero poche volte nella
vita. Lui riusciva sempre in qualche modo a destabilizzarlo, ma non
voleva mostrarsi in quel modo perché voleva solo
trasmettergli forza.
«Io…»
soffiò piano, dopo aver buttato via un po’ di fumo
«Io ti starò sempre vicino, lo sai. Qualunque cosa
accada, Vitto, il mio posto è con te»
Quelle parole colpirono
in pieno il cuore di Vittorio. Provava qualcosa
d’indescrivibile per lui, non sapeva dire per certo che cosa
fosse, ma era qualcosa di bello e lo aveva sempre saputo, ma quella
sera era tutto così amplificato.
Gli sorrise.
«Grazie, sei
davvero un amico» rispose, gli
venne naturale dirglielo.
Amico.
Solo un amico.
Elia sentì il
peso dentro il suo petto aggravare improvvisamente e distolse lo
sguardo, come scottato.
Beh, loro lo erano. Lo
erano sempre stati. Ma quella sera, quella sera entrambi sentivano
qualcosa di diverso, qualcosa che non era mai uscito fuori per tutto
quel tempo ma che era sempre stata lì. Non sapevano bene
cos’era... Era tutto fottutamente strano.
La sua mente
volò inevitabilmente a quel giorno di aprile quando Vittorio
aveva compiuto diciotto anni, quando lo aveva abbracciato in quel modo
intimo, quando lo aveva spiazzato trovandoselo così vicino,
quando gli aveva letteralmente sfiorato il collo con le labbra in un
gesto per cui lui era stato accomodante.
Deglutì
sentendo il suo cuore accelerare in automatico nel ricordare.
Si passò una
mano tra i capelli.
Amici...
Elia sentiva che qualcosa
stava cambiando, sentiva di non aver mai provato qualcosa del genere
per lui prima d’ora. E gli sembrava così
dannatamente strano, così dannatamente troppo, che
seppellì quel pensiero convincendosi di essere diventato
paranoico.
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Capitolo 6 *** Confusione ***
Valeryn si alzò dal
letto tenendosi la pancia. Sentì la nausea coglierla di
sorpresa, si portò una mano alla bocca e scappò
in bagno. In meno di un secondo fu sul lavandino a vomitare anche
ciò che non aveva mangiato. Si alzò sconvolta,
aprì l’acqua e si sciacquò la faccia
arrossata. Odiava vomitare, le faceva schifo.
Scosse la testa pensando
a chissà quante altre volte avrebbe dovuto vomitare in quel
modo. Sentì la testa scoppiare, si portò una mano
sulle tempie.
Non sapeva se voleva
tutto quello.
Rosa, sua madre,
entrò all’improvviso in bagno, spalancando la
porta e guardandola con un cipiglio rassegnato. I suoi genitori da
quando aveva saputo che era incinta erano freddi con lei, ma sua madre
accorreva sempre se stava male. Tipo come il giramento di testa alla
vigilia di Natale, quando si era dovuta sdraiare sul letto con un panno
bagnato sulla fronte.
«Hai
rimesso?» chiese poi. Aprì l’acqua
sciacquando tutto. Valeryn si sedette sul water
tenendosi la testa. Si sentiva ancora scossa.
«Stai
bene?» continuò, incrociando le braccia. Lei
annuì senza rispondere. Si sentiva così in colpa
con i suoi genitori, sicuramente li aveva delusi molto, pensava.
Rosa si sedette vicino a
lei, sopra il bordo della vasca, poi guardò la pancia della
figlia ancora piatta.
«Quanto
è passato?»
La castana scosse la
testa, facendo finta di non ricordare. E invece ricordava tutto
perfettamente. Come si era sentita appena aveva visto il test, quando
aveva provato la prima nausea, e sicuramente avrebbe ricordato anche
quel giorno che aveva vomitato per la prima volta.
«Credo tre
settimane e mezzo»
«Ah,
bene» commentò sua madre scuotendo la testa,
accigliata, incrociando le braccia.
«E noi lo
sappiamo solo da qualche giorno!» esclamò
sarcastica.
Valeryn negò con il
capo debolmente. Non aveva avuto il coraggio nemmeno di dirlo a
Vittorio, come faceva a dirlo a sua madre e suo padre con
così tanta naturalezza?
«N-non ce la
facevo» mormorò.
«Io sono tua
madre, Valeryn, che ti piaccia o no io
faccio parte della tua vita, ti ho cresciuta e ti aiuterò a
crescere questo bambino»
Quelle parole le fecero
male come un pugno allo stomaco. Non aveva parlato seriamente con sua
madre da quel giorno, i suoi lo avevano detto al resto della famiglia,
e Rosa si era solo limitata a chiederle come stava e fissare degli
appuntamenti per i controlli necessari. Ma adesso era arrivato il
momento di affrontare anche lei.
Si torturò le
mani, nervosamente.
«Io...»
si fermò, si passò una mano tra i capelli, poi
riprese «Io non intendevo deludervi, mamma»
La donna fece
un’espressione un tantino scettica, ma la lasciò
parlare.
«Ti giuro che
sono sempre stata responsabile. N-non... non lo abbiamo mai fatto senza
precauzioni e...»
«Oh, e cosa, Valeryn?»
l’interruppe lei con fare seccato, rimproverandola
«Eppure i vostri ormoni vi hanno trascinato fin
qui!»
La vide abbassare lo
sguardo e, sospirando, cercò di essere meno dura con lei.
«Senti, io sono
tua madre, e sono preoccupata per te. Anche papà lo
è, seppur adesso sia molto arrabbiato»
Valeryn sbuffò,
sentendo per l’ennesima volta in quei giorni gli occhi
bruciare
«Tenere un
bambino è una grossa responsabilità, e tu hai
solo diciassette anni, non oso immaginare come farai. Mi fido di te, ma
ho paura che tu non ce la possa fare»
«Ce-ce la
farò» sussurrò la ragazza, non tanto
convinta.
Rosa scosse la testa, non
credeva proprio. Lei era forte, ma non lo era abbastanza da sopportare
tutto quello, la gravidanza, le nausee, tutto... Era ancora una bambina
infantile, in fondo, anche se aveva giocato a fare l’adulta.
«Non credo Valeryn, dovrai mettere alla
prova tutto il tuo tempo e la tua pazienza, dedicarti a questo bambino
giorno e notte. Dovrai farlo davvero»
La ragazza
annuì, con lo sguardo perso nel vuoto. Rosa se ne accorse e
decise di darci un taglio, almeno per il momento. Si alzò e
fece per uscire dal bagno.
«Cerca di
crescere, ne avrai bisogno. E lunedì ti porto a fare delle
analisi. Ho anche fissato una visita con il mio ginecologo per dopo
capodanno»
Detto ciò, si
congedò. Valeryn l'osservò
tornare a trafficare con l’aspirapolvere, la sua ossessione,
si asciugò una lacrima e prese il cellulare osservando lo
schermo.
Un messaggio di Vittorio.
Si morse il labbro, leggendo velocemente, mentre il cuore cominciava a
battere più veloce.
Voleva vederla.
Era così
confusa che non sapeva se le andava incontrarlo, non sapeva se ce
l’avrebbe fatta. Rimase a pensare, insicura.
Aveva ottenuto solo pochi
soldi per la vincita della cinquina, non era mai stata molto fortunata
a tombola. Si voltò verso sua cugina Clea, una ragazzina di
tredici anni con dei morbidi boccoli castani quasi biondi, che si era
messa in testa di vestirsi come le band pop-rock che seguiva,
indossando degli anfibi neri che onestamente le invidiava. Lei era
sempre stata brava, invece, stava quasi sempre al tabellone e sapeva
fare tutte le rime e le battute sui numeri.
«Settantasette,
“le gambe delle donne”» fece una
strizzata d’occhio, mentre Valeryn scuoteva la testa con un
sorrisino.
Era il ventisei di
dicembre, una fredda serata che i suoi avevano deciso di passare a casa
dei suoi nonni materni insieme agli zii e alle sue cuginette.
Evelyn, la più
piccola, stava imbronciata per non aver vinto. Era molto permalosa, si
disse, anche lei era così già a
quell’età. Clea continuò a chiamare
numeri su numeri, ma nessuno dei suoi parenti sembrava vincere, e lei
stava messa male.
«Ehi, se
continuate di questo passo finisce che la faccio prima io!»
esclamò sua cugina riponendo l’ennesimo numero.
Nove.
Come i mesi che sarebbero
dovuti passare. Come i mesi che avrebbe dovuto aspettare il suo
bambino. Era tutto così esageratamente strano che le
sembrava di scoppiare...
Suo zio fece tombola
proprio in quel momento, Evie scoppiò a piangere e quello fu
costretto a donare tutti i soldi della vincita a lei per zittirla.
Valeryn spostò i
capelli dalla faccia, mentre il suo telefonino squillava.
“Affacciati,
c’è una sorpresa per te”
Era lui.
Sospirando, si
alzò dalla sedia catturando l’attenzione di suo
padre che stava pagando un altro giro per lui e Rosa. Si
affacciò dal balcone vedendo l’auto nera di Ross
parcheggiata proprio lì davanti.
Sorrise, immaginando
Vittorio al volante che era venuta a prenderla. Era da tanto tempo che
desiderava guidare una macchina, e dopo aver fatto il corso di patente
con buoni risultati era riuscito a convincere Ross a prestargli la sua
fino a quando non ne avrebbe comprato una nuova.
Prese il cappotto e il
cappellino, li indossò, poi salutò tutti senza
guardarli in faccia. Si sentiva in imbarazzo adesso che tutti i suoi
parenti lo sapevano, loro facevano finta fosse una buona notizia per
non farla stare ancora più male, ma lei lo intuiva che non
erano d’accordo per niente.
Raggiunse la porta, ma
prima si fermò per guardarsi allo specchio
dell’entrata. Aggiustò i suoi capelli mossi sempre
più insoddisfatta di sé stessa.
Ed invece era bellissima.
«Ehi, dove
vai?»
Clea la raggiunse,
facendola quasi spaventare. Spuntò come un’ombra,
una pantera silenziosa, e Valeryn si portò una
mano al petto.
«Mio Dio, mi
hai fatto spaventare, idiota!» esclamò, sentendo
davvero i battiti accelerare per la paura.
Era diventata
così talmente fragile e suscettibile...
La ragazzina
alzò un sopracciglio, poi piegò la testa di lato.
Valeryn notò il suo
trucco leggermente sbavato, il suo lucidalabbra che aveva un sottotono
viola.
«Beh, qui
l’idiota sei tu, e ci sono anche le prove» disse
allusiva. Valeryn cominciò a
innervosirsi.
«Che vuoi, che
devo andarmene!»
La cugina la
fissò per qualche secondo, poi scosse la testa.
«A dire il vero
ci contavo su una cosa» ammise.
«Cosa?»
Clea fece un sorriso
birichino.
«Che le metti il mio
nome. Anche se di Cléa ce
n’è una sola, mi piacerebbe avere una cuginetta
che si chiama come me»
Valeryn scosse la testa,
incrociando le braccia. Quella ragazzina ne sapeva una più
del diavolo, e inoltre era la solita di sempre, quella che ironizzava
su tutto.
«Come fai ad
essere sicura che sia una femmina?» chiese scettica.
«Lo so e
basta» le fece un occhiolino di intesa.
Dopo la
squadrò da capo a piedi.
«Esci
con Vittorio?» chiese,
pronunciando il nome del ragazzo in modo strano, o almeno, le era
sembrato.
Valeryn sospirò
guardandosi allo specchio. Non avrebbe dovuto fare così, si
disse, lui era il suo ragazzo. Non poteva andarci con così
tanto malincuore.
Annuì
lentamente.
«Beh, non
sembri molto contenta» commentò la ragazzina,
squadrandola «Forse pensi di lasciarlo? No perché
sai di solito è il contrario, l’ho visto
così tante volte nei film, ma magari tu adesso non capisci
niente e forse lo lasci» si fermò per un attimo a
pensare concentrata, il dito laccato di smalto smangiato sotto il mento.
«Sì,
ti conosco troppo bene, lo lasci»
confermò alla fine.
Valeryn sbuffò
innervosita, poi la salutò velocemente prima di scendere le
scale ed arrivare al portone principale, quasi stesse fuggendo da un
grande mostro che altri non era che dentro la sua testa.
Perché le
parole di Clea le facevano così male, tanto da riempirla
d’inquietudine? Forse perché in qualche modo
c’era qualcosa di vero dietro quelle frasi infantili?
Uscì dal
portone facendo finta di niente.
La cugina chiuse la porta
guardando la direzione in cui era scomparsa.
«Lo
lascia» soffiò, sempre più convinta.
Aprì la
portiera della macchina, salendoci su. Vittorio si voltò
verso di lei facendole un sorriso pieno d’amore, poi si
avvicinò per baciarla. Si limitarono ad un casto bacino.
«Ce ne hai
messo di tempo» disse lui mettendo in moto. Valeryn si morse il labbro,
ripensando ancora alle parole della cugina.
«Clea mi ha
fatto l’interrogatorio, sai» fece cenno verso la
sua pancia, ma se ne pentì amaramente, e prese a guardare
fuori dal finestrino.
Il ragazzo le
lanciò uno sguardo. Le faceva così male parlare
di quello? La vedeva
così strana in quei giorni che non sapeva cosa dirle, come
comportarsi. Eppure voleva solo stare con lei. La situazione era
alquanto delicata, ma non sarebbe stata la gravidanza ad allontanarlo,
anzi, l’avrebbe amata sempre di più.
Ma forse Valeryn era così
confusa che non lo capiva. Si passò una mano tra i capelli
castani, in ovvia difficoltà.
«Dove vuoi che
andiamo?» chiese, mentre lei, distratta, alzava le spalle.
«Dove ti
pare» rispose secca.
Vittorio
sospirò, dando un’occhiata al cellulare. Erano
solo le dieci di sera. Fece retromarcia con convinzione, guadagnando
l’attenzione della ragazza.
«Cosa
fai?» gli chiese allarmata, non sapendo dove la volesse
portare. Lui scosse la testa, continuando a guidare.
«Allora, dove
stiamo andando?!» alzò il tono della voce,
spazientita.
Vittorio le rivolse uno
sguardo bieco, poi continuò a guardare davanti a
sé, imboccando un’altra strada.
Valeryn scosse la testa
passandosi una mano sulla fronte.
«Credevo
avessimo fatto una passeggiata!»
«Non
m’interessa la passeggiata» mormorò lui,
tra i denti.
«E cosa
t’interessa, sentiamo?» lo provocò la
ragazza con gli occhi verdi che sprizzavano scintille.
Vittorio la
guardò con uno sguardo convinto, lei sentì il
cuore accelerare di colpo. Quanto era bello.
Si sentì in
difficoltà, in chiara difficoltà.
«Stare con
te» lo udì rispondere dopo un po’.
Parcheggiò di
fronte a delle scale. Valeryn riconobbe quel posto,
veniva chiamato da tutti il “Belvedere”, era una
piccola piazzetta situata in un punto molto alto, si vedeva tutto il
suo paese da lassù. Uno spettacolo di luci. Era sempre
emozionante stare lì.
Vittorio scese dalla
macchina, poi le aprì la portiera. Lei lo guardò
mordicchiandosi un labbro, poi scese dall’auto e
aspettò che l’altro la chiudesse.
“Beh non sembri
molto contenta.”
Strizzò gli
occhi per cercare di cancellare quelle dannate parole dalla sua testa.
Si portò una mano alla tempia, come se in quel modo potesse
non sentire più la voce di quella ragazzina.
Il castano le diede una
mano a scendere le scale, trovandosi di fronte a dei piccoli spalti che
rendevano l’idea di un anfiteatro, colorate di rosso, blu e
bianco. Dei lampioni illuminavano lo spiazzo circostante, posizionati
tra delle colonne bianche e delle panchine in pietra.
I due ragazzi raggiunsero
il muretto da dove si vedeva tutta la visuale notturna. Valeryn si sentì
quasi sospesa nel vuoto. Le girò un po’ la testa,
ma non lo diede a vedere.
Vittorio ci teneva tanto
a stare con lei, e quel posto era così romantico. Eppure
c’era qualcosa che non andava dentro di lei, non si sentiva
così a suo agio...
“Forse pensi di
lasciarlo?”
Sbatté la
testa, no, non poteva mai pensare ad una cosa del genere. Amava davvero
Vittorio, ma... Ma? C’era un ma a quel punto,
si disse, e non sapeva trovare una risposta logica che lo giustificasse.
Lui
l’abbracciò da dietro, poteva sentire tutto il suo
amore avvolgerla, e quelle braccia... quelle braccia che tante volte le
avevano dato così tanta sicurezza, che l’avevano
così tanto amata in quell’anno passato, sembravano
volessero soffocarla.
“No,
perché sai di solito è il contrario,
l’ho visto così tante volte nei film, ma magari tu
adesso non capisci niente e forse lo lasci.”
Sospirò
pesantemente, un sospiro quasi disperato. Vittorio se ne accorse, la
fece voltare per guardarla negli occhi, in quelle bellissime iridi
verdi, belle come lei.
Valeryn lo fissò
talmente insicura, distolse lo sguardo, non ce la faceva a guardarlo,
sembrava che i suoi occhi grigi potessero scrutarle l’anima,
potessero travolgerla, leggerle la mente.
«Non ti piace
qui?» sussurrò lui, sperando che lei fosse un
minimo entusiasta di tutto quello. Invece sembrava quasi disperata, non la capiva proprio.
Sapeva solo che gli faceva male in quel modo.
La ragazza
annuì. Il posto era bellissimo, le era sempre piaciuto. Ma
quella sera si sentiva diversa, non riusciva a godersi niente.
Vittorio sentì
gli occhi farsi lucidi, quel silenzio era devastante per lui.
«Che
cos’hai?» le chiese a voce bassa
«Dimmelo, ti prego»
Una fitta sì
impadronì del petto di Valeryn non appena questi la
pregò. Forse lui aveva capito il suo stato
d’animo. Non voleva che se ne accorgesse, non voleva che ci
rimanesse male...
Negò con la
testa, poi cambiò discorso.
«Che bello che
Ross ti ha prestato la macchina!» esclamò,
tentando di sembrare entusiasta.
Il castano si
passò una mano tra i capelli nervoso.
«Non
m’incanti Valeryn, ripeto, cosa
c’è?»
Lei si fece piccola,
piccola stringendosi nel suo cappotto. Quando Vitto perdeva la pazienza
diventava freddo e lei non sapeva che dirgli.
«Non ho
niente» mormorò abbassando lo sguardo, lui non se
la bevve affatto, lo percepiva dentro che qualcosa non andava. Era come
se fosse tutto forzato.
Valeryn si sentiva
così in difficoltà che cominciò ad
innervosirsi. La testa le faceva molto male, aveva voglia solo di
andarsene a casa, non voleva affrontare lui, che adesso stava davanti a
lei aspettando una risposta.
“Sì,
ti conosco troppo bene, lo lasci.”
Proprio in quel momento
alzò lo sguardo verso le scale, delle voci provenivano da
lì. Apparvero scendere delle sagome, sagome che riconobbe
come loro, i suoi amici. Fece un sospiro di sollievo, come se
l’avessero appena salvata in tempo, mentre gli altri alzavano
la voce e ridevano come al solito.
Non appena si accorsero
di loro si fermarono all’improvviso, guardandoli, capendo di
avere interrotto qualcosa. Censeo tirò da una
manica del giubbotto Daniel, che stava per primo con delle bottiglie di
birra e una di Santero in mano. Fece cenno di
tornare indietro e lasciarli soli, ma il ragazzo con i capelli a
caschetto non capì, o fece finta di non capire, e si rivolse
direttamente ai due ragazzi.
«Ma buonasera,
anche voi qui, che grandissima coincidenza!» si sedette sulle
scalette dell’anfiteatro poggiando birre, spumante, tirando
fuori sigarette, cartine ed un apri bottiglie.
«Questa sera si
esagera! E guai a chi dice qualcosa!» si voltò a
fulminarli con lo sguardo in un tono che non ammetteva replica alcuna.
Censeo, Carmine e gli altri
scossero la testa. La discrezione non era mai stata il suo forte,
né tantomeno l’acume.
Valeryn però sorrise
in direzione delle sue amiche e, divincolandosi da Vittorio, le
raggiunse, sentendosi sollevata di aver trovato una scappatoia. Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando rassegnato.
Aveva così
tanto bisogno di parlare con lei...
Il resto dei suoi amici
stava ancora sulle scale, non sapevano se era il caso di scendere o no.
Lui alla fine fece loro cenno di venire, e Censeo rivolse uno sguardo ad
Alex e Carmine che, facendo spallucce, raggiunsero Daniel in preda
all’euforia.
Valeryn baciò tutte
le sue amiche sulla guancia, poi si fece abbracciare da loro. Aveva
tanto bisogno di quell’abbraccio confortante, si disse.
Guardò Maia, che era venuta con il suo bel Steve quella
sera, e le regalò un sorriso.
«Meno male che
siete qui» le sussurrò, abbassando poi lo sguardo,
quasi pentendosi di quelle parole. La ricciolina fece una faccia
interrogativa, poi si allontanarono un po’ dalle altre.
«Perché,
cos’è successo?» chiese apprensiva,
scrutandola da cima a fondo.
La castana scosse la
testa, poi lanciò uno sguardo a Vittorio che era affacciato
dal muretto ed era molto pensieroso.
«Ho bisogno di
parlare con qualcuno, Mai, ti giuro, non so che accidenti mi
prende!»
Maia rivolse uno sguardo
veloce a Miriel, che le fissava con un
cipiglio, poi scrollò le spalle.
«Noi siamo qui,
tesoro» annunciò.
«Voi chi?»
chiese la ragazza, non capendo a chi si riferisse.
La riccia fece cenno
verso Miriana. Era giusto che ci fosse anche lei, era la sua migliore
amica, le avrebbe fatte riavvicinare.
«Io e
Miri» poi le sorrise e sorrise anche alla nominata in
questione, che si avvicinò con le braccia incrociate. Valeryn sospirò
titubante, poi le regalò mezzo sorriso, poi annuì.
Avrebbe avuto bisogno di loro.
Aveva bisogno di lui
Il castano
guardò il paesaggio illuminato sentendosi triste. Valeryn le sembrava
così strana, così distante, non voleva nemmeno
parlare con lui, era ovvio. Si sentiva così male a pensarci.
Desiderava solo starle
accanto, non chiedeva altro. Non voleva chiedere altro che non fosse...
Lui.
Scossa la testa, e adesso
cosa diamine c’entrava lui? Perché si
aggrappava a lui quando si sentiva perso? E perché sentiva
quel bisogno disperato di sentirlo perennemente al suo fianco?
Come risposta alle sue
domande, Elia si avvicinò silenziosamente con due bottiglie
di birra in mano. Poggiò i gomiti e la schiena sul muretto,
e puntò gli occhi ambra su di lui.
Il castano se ne accorse
e mordicchiandosi il labbro inferiore alzò lo sguardo verso
il suo migliore amico.
Il biondo gli
passò una birra in un gesto automatico, e ne bevve un
po’ dalla sua.
«Non era un
buon momento» non formulò la domanda,
l’affermò.
Vittorio si
stupì di come quel ragazzo riuscisse a capire assolutamente
tutto.
«Già,
per niente» si passò una mano tra i capelli,
bevendo un sorso, fissando il vuoto. Elia lo guardò ancora
una volta, sentendosi davvero incapace di staccare gli occhi da lui.
A parte che quegli occhi
grigi sembravano due fanali nel buio, ma solo adesso si rendeva
realmente conto di quanto il profilo di Vittorio fosse uno dei
più belli che avesse mai visto.
Strizzò gli
occhi, ridestandosi dal pensare commenti fuori luogo in quel momento.
Lui stava male, lo aveva
capito, lo aveva percepito da appena erano arrivati lì come
si era irrigidito alla loro vista e come Valeryn fosse corsa via, in
preda al panico.
«Che
cos’è successo?» chiese serio.
Era una domanda a cui non
poteva non rispondere, si disse Vittorio. Non poteva resistergli, lui
sapeva tutto, solo con lui riusciva a parlare.
Lui era speciale.
Sì, lo era.
Ma non riusciva a
spiegarselo nemmeno lui quello che stava succedendo. Con Valeryn gli pareva di afferrare
il fumo con le dita per quanto era sfuggente, mentre con Elia non si
sentiva del tutto normale.
Forse era semplicemente
il periodo, era stressato, non vedeva l’ora di trovare un
appiglio di conforto e quello non era altri che lui.
«Io...»
si fermò un attimo, in difficoltà, poi si
leccò piano le labbra. Un gesto così naturale che
fece agitare qualcosa dentro Elia, una serie di fitte alla pancia che
quasi dovette trattenere il respiro. Il suo stomaco si chiuse, e non
seppe nemmeno il perché di quella reazione esagerata.
«Io
non lo so» fece piano, mentre Daniel incominciava ad urlare
cose senza senso facendo ridere le ragazze.
«La vedo
così strana, come se fosse confusa. Non è
più la stessa, capisci?»
Lui annuì, lo
aveva provato sulla sua pelle un anno prima, ma non gliene fregava
più. Si accese una sigaretta e ne passò una
all’amico. Vittorio l’accettò e fece lo
stesso.
«È... è
così distratta, come se non le interessasse davvero stare
con me. Eppure noi aspettiamo un bambino, cazzo»
Gettò una
boccata di fumo, nervoso. Il biondo lo guardava, non riusciva a non
guardarlo, ogni volta si perdeva a fissarlo come se andasse a caccia di
qualcosa di imperfetto, una disarmonia. E ancora una volta si sentiva
strano, ancora una volta non riusciva a trovarne nemmeno una.
«Ehi, non
è che sei diventato un tantino paranoico in questi
giorni?» tentò di sdrammatizzare, facendo dei
cerchietti con il fumo.
«No»
soffiò Vittorio, lanciando uno sguardo a Valeryn seduta insieme a Sara,
che beveva un po’ di spumante.
«Credimi,
è la verità» affermò, triste.
«Ti
credo» udì dire dopo nemmeno un secondo.
Elia gettò il
filtro della sua sigaretta, facendo un ultimo tiro, alzando appena la
testa. Odiava vederlo in quel modo, lui voleva solo vederlo sorridere,
spensierato come quando facevano le cazzate insieme.
Sempre insieme.
Tornò a
fissarlo, mentre il castano stava già facendo lo stesso,
catturato dal modo in cui aveva rilasciato il fumo, un modo talmente
sensuale, lo aveva fatto socchiudendo gli occhi e arrotondando le
labbra.
Stava delirando, doveva
distogliere lo sguardo prima che se ne accorgesse.
E poi successe tutto
così in fretta.
Elia poggiò
una mano sopra la sua guancia, accarezzandolo piano, il pollice cadde
giù a sfiorare le sue labbra. Vittorio rimase immobile,
incapace di far qualcosa, il calore della mano dell’altro gli
fece chiudere per un attimo gli occhi e sentì un tremito
avvolgerlo per tutto il corpo. Ebbe una reazione spontanea e
posò la sua mano su quella dell’altro. Fu come se
non aspettasse altro che sentirlo così vicino.
Riaprì gli
occhi, accarezzandogli il dorso, ma a quel contatto entrambi ritirarono
le loro mani come se si fossero appena scottati. Si fissarono,
interrogativi, senza capire. Vittorio era annebbiato, si sentiva
d’un tratto sconnesso, confuso, provò a schiarirsi
la voce e fece per dire qualcosa ma non fuoriuscì alcuna
parola dalla sua bocca asciutta.
Elia lo vide che si
guardava intorno, ma poteva giurare che si fosse agitato per quel gesto.
Si morse il labbro. Forse
era il caso che dicesse lui qualcosa...
Censeo li salvò in
extremis, li chiamò, invitandoli a sedersi sopra gli spalti.
Il castano non se lo fece ripetere due volte, lo raggiunse evitando di
guardare il biondo, che in quel momento si passava una mano nei capelli
dandosi dello stupido.
È Vittorio.
E allora?
E’ il tuo
migliore amico
Quella vocina aveva
pienamente ragione, ma quella fitta al cuore non l’aveva solo
immaginata. E nemmeno quelle allo stomaco. Succedeva sempre quando
stava con lui, non riusciva a controllarle.
Incominciava seriamente a
non capirci più niente.
nda
Faccio questa nota con la
speranza che qualcuno di voi mi faccia sapere come sta trovando la
storia fino a questo punto. Nei prossimi capitoli avverranno
sicuramente dei momenti più salienti, la storia deve ancora
svilupparsi. Per adesso tutto procede lentamente, ma posso assicurarvi
che arriveremo presto ad un punto.
Noto che le letture ci
sono, ma mi piacerebbe ricevere qualche recensione per incentivarmi ad
aggiornare, la lentezza è dovuta a mancanza di pareri.
A questa storia tengo
molto, avrà molti sviluppi, però devo capire se
vale la pena condividerla o tenerla solo per me, come ricordo.
Vi aspetto.
Rose
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Capitolo 7 *** Paura ***
Vittorio
si svegliò con un enorme emicrania. Sbuffò
passandosi una mano
sulla fronte, cercando di tapparsi le orecchie con il cuscino, ma il
pianto del bambino era troppo forte, disperato. Si chiese se non
fosse dentro la sua testa, ma udendo Ross imprecare
dall’altra
stanza capì che si trattava di suo nipote. Si
alzò dal letto e
raggiunse la camera del fratello. La porta era semiaperta,
così
entrò silenziosamente. Ross aveva tra le braccia il piccolo
Claudio
che piangeva, e ancora piangeva, sembrava veramente indomabile.
Vittorio,
ancora sonnecchiato, sbadigliò e si pasticciò gli
occhi.
«Che
combini?» chiese mentre quello si voltava a guardarlo in
cagnesco
per aver parlato ad alta voce.
«Tento
di far zittire il moccioso, non vedi?» continuò a
sbattere il bimbo
di qua e di là, ma Claudio non aveva intenzione di fermarsi.
Ross
perse la pazienza, come ogni volta che suo figlio piangeva.
«Ma
che diavolo ha! Si è svegliato con la luna storta,
eh?!» imprecò,
iniziando a sudare per la difficoltà della situazione.
Vittorio
scosse la testa e decise di dargli una mano dato che era totalmente
incapace.
«Devi
essere più delicato, così lo ammazzi
praticamente» lo prese in
braccio premuroso, poi, tentando di farlo calmare, dato che non
sembrava voler smettere di piangere, lo dondolò avanti e
indietro
con le braccia. Non era esperto di bambini, non aveva mai avuto
neanche dei cugini più piccoli. Eppure avrebbe dovuto
cullare in
quel modo suo figlio, esattamente nello stessa maniera in cui stava
cullando suo nipote. Si morse il labbro e una sensazione di ansia
allo stomaco lo attanagliò.
Sarebbe
diventato padre…
Davvero sarebbe diventato padre?
Lui,
così giovane, con tutta la vita davanti...
Ross
lo guardò stralunato, poi alzò un sopracciglio.
«Certo,
pivellino, che non sei male come genitore. Ti avevo
sottovalutato»
fu il commento pungente del più grande, che
infierì come una lama.
Vittorio
scrollò le spalle, poi gettò uno sguardo a
Claudio che si succhiava
il ditino. Era veramente un amore quel bambino, a parte quando
frignava. Assomigliava tanto a suo fratello, ma aveva gli occhietti
verdi di Nicole.
E
suo figlio come sarebbe stato?
Si
fermò a fissate il muro per dei secondi, non sentendo Ross
che gli
parlava. Continuava a pensare al repentino cambiamento di Valeryn, e
a quanto male gli stesse facendo. E poi non riusciva a smettere di
pensare a loro figlio, non sapeva se sarebbe stato in grado di farlo,
il padre, forse era ancora un ragazzo immaturo... D’altronde
neanche suo fratello sapeva ancora come comportarsi.
Fare
il genitore non te lo insegnava nessuno, né lo si poteva
imparare da
qualcuno. Con sua madre era sempre in conflitto e lei aveva
già i
suoi tre figli, quelli naturali...
«Ma
ci senti, dammi il bambino, si è addormentato!»
Ross
lo distolse bruscamente dai suoi pensieri, prendendosi Claudio in
braccio e poggiandolo sulla culla. Si assicurò che stesse
effettivamente dormendo, poi lo coprì con la copertina
ricamata che
Mena gli aveva regalato.
Si
voltò verso Vittorio, sbattendo la testa da un lato.
«Dì,
ma che pensi alle vacche?» lo apostrofò, poi
vedendo l’espressione
persa del ragazzo, decise di piantarla.
«Okay,
pivello, che ti succede?» incrociò le braccia,
sedendosi sul letto.
«Niente...»
fu il mormorio che provenne dalla bocca del ragazzo, con ancora lo
sguardo vagante nel vuoto.
«Avanti,
non dire cavolate, dimmi che c’è!» lo
mise con le spalle al muro,
e sapava che quando faceva in quel modo non poteva tergiversare.
Tra
l’altro, era lui stesso ad averne bisogno, di parlarne con
qualcuno; e quando Ross provava a tirargli fuori le cose a lui veniva
naturale aprirsi.
Vittorio
sospirò sedendosi accanto a lui, prendendo un po’
di tempo a
giocherellare con il suo anello di metallo.
«E’
che ho paura, tutto qui» fu quello che riuscì a
dire.
«Ah,
beh!» esclamò il maggiore con
un’espressione ironica «Di che
cos’hai paura? Hai solo messo incinta la tua ragazza a soli
diciotto anni, ma non preoccuparti, tra nove mesi passa
tutto!»
Il
ragazzo lo guardò torvo di fronte a quella battuta, poi
alzò gli
occhi al cielo.
«Grazie
fratellone, tu sì che sei d’aiuto»
sussurrò, un po’ irritato.
Ross
scoppiò a ridere, come se tutta quella situazione fosse
estremamente
divertente e prendersi gioco di lui migliorava la situazione. Eppure
fino a una settimana fa non sembrava l’avesse presa
esattamente
bene, ricordava di avergli visto raramente in viso
quell’espressione
preoccupata.
«Ma
dai» abbassò la voce per evitare di svegliare
Claudio che si
muoveva nella sua culla «Ormai il danno è fatto,
Vitto. Fa’ finta
che vada tutto bene»
Il
fatto era che non andava per niente bene. Valeryn era diversa con lui
e non sapeva che fare, non sapeva come assicurarsi che le cose
andavano ancora bene tra loro. Per quanto si sforzasse a mantenere in
piedi quel rapporto, lei faceva dei passi indietro e risultava
estremamente irraggiungibile.
Forse
era egoista a pensare quelle cose, forse non riusciva a capire la
condizione in cui si trovava, la situazione psicologica che stava
passando; era incinta e la sua famiglia non l’aveva
supportata,
l’aveva rimproverata e aveva subíto le ire di suo
padre che aveva
smesso di parlarle.
Era
lei a tenere il peso di quella gravidanza, lo aveva tenuto per
settimane senza dirgli niente, e quello non glielo biasimava; ma non
sapeva come potersi assicurare che le cose non stessero andando a
rotoli, perché era una sensazione che aveva addosso da un
po’ e
non lo abbandonava un istante.
Ross
notò i suoi occhi bassi e l’espressione triste.
Sospirò facendo
una smorfia rassegnata. Il suo fratellino si era cacciato in un
guaio, ancora era un ragazzo ed era troppo per lui tutto quello.
D’altronde anche per lui stesso che aveva ventisei anni non
era
esattamente facile, ogni giorno era una prova con sé stesso
e
crescere suo figlio era diventata la sua unica priorità
nella vita.
Vittorio
doveva ancora terminare la scuola superiore, era un ragazzino allegro
come un fringuello e aveva sicuramente dei piani per il suo futuro.
Sapeva
come un bambino poteva scompigliarli tutti, specie in
un’età dove
le scelte si rivelavano cruciali.
Doveva
aiutarlo, doveva farlo sfogare un po’ per non farlo chiudere
troppo
in sé stesso e farlo cadere nello stesso baratro in cui si
era perso
lui stesso.
«D’accordo,
pivello, facciamo una cosa» disse d’un tratto.
Vittorio
alzò lo sguardo su di lui, interrogativo.
«Adesso
noi lasciamo Claudio a nonna Mena, prendo la macchina e ci facciamo
un giro in centro» propose, mettendosi in piedi.
Il
castano sospirò, massaggiandosi la fronte con una mano.
«No,
non è il caso» provò a fermarlo.
Si
ritrovava improvvisamente senza forze e non aveva voglia di uscire.
Ross
negò con la testa, risoluto.
«Non
rompere le palle. Hai bisogno di distrarti, pivello, non puoi
lacerarti la testa a diciotto anni, devi vivere!» lo
redarguì,
molto serio.
Lo
prese dal braccio senza dargli tempo di dire qualcosa, Vittorio non
riuscì ad opporsi e si fece trascinare piano fuori dalla
stanza.
«Birra
e panino farcito vanno bene? Oppure preferisci un bicchierino di
amaro? Sai, l’altro ieri il Capus ci è andato
giù di brutto, è
andato a vomitare nel cesso del bar ma non ha fatto in tempo a
buttarla nel cesso, capito? E’ rimasto a pulirgli tutto e lo
abbiamo preso per il culo due giorni...»
Vittorio
sorrise a suo fratello, mentre continuava a raccontargli gli aneddoti
più strani dei suoi amici.
Meno
male che c’era lui a tirarlo fuori dalle sue paranoie.
Tre
ragazze, una con degli occhi verdi intensi, dei capelli castani mossi
che le ricadevano sul seno, un’altra con degli occhi scuri
come
pozzi e dei capelli ricci dello stesso colore, e infine,
l’ultima,
con degli occhi castani e dei capelli scuri, lunghi e perfettamente
lisci, erano sedute sul divano della vecchia casa di Alex, ormai
stabilita ufficialmente come luogo di ritrovo.
Valeryn,
Maia e Miriana approfittarono di quell’ora in cui i ragazzi
erano
assenti, occupati dale partite di calcio ai campetti, mentre Conny e
Sara erano andate a fare shopping al centro commerciale. Anche Miriel
avrebbe voluto andare a comprare una marea di cose, ma Valeryn aveva
bisogno d’aiuto e d’altronde aveva intenzione di
parlare con lei,
dato che non avevano ancora avuto modo e lei quella cosa se
l’era
segnata al dito.
Maia
rovistò nella dispensa tra le cose che avevano comprato
qualche
giorno fa. Maledì i ragazzi che puntualmente finivano tutto,
ingozzandosi come dei maiali. Trovò di commestibile soltanto
una
scatola di arachidi. Poi aprì il piccolo frigo e
tirò fuori
un’aranciata.
Portò
il vassoio sopra il tavolino e si accomodò sul divano,
sedendosi
alla sinistra di Valeryn che si torturava le mani, ancora insicura se
rivelare tutto alle amiche.
«Lo
so che non è il massimo» disse facendo spallucce,
notando Miriel
che lanciava uno sguardo interrogativo verso gli arachidi «Ma
si
sono divorati tutto, sono inaffidabili quelli là»
Poi
si versò un po’ d’aranciata sul
bicchiere, facendo lo stesso con
quello delle altre due. Ne porse uno a Valeryn, che lo prese
distrattamente.
«Tò,
era meglio una coca cola, ma l’unica cosa che c’era
era del cuba
libre» scosse la testa, pensando a quanto alcolizzati e
tossici
fossero i loro amici.
Miriel
accusò un sorrisino, poi mangiò un po’
di arachidi prima di
concentrarsi su Valeryn. Aveva un’espressione preoccupata, i
lineamenti del volto erano tesi, con una mano si torturava i capelli.
Scosse
la testa, incrociando le braccia, in maniera un po’ altezzosa.
«Allora,
si può sapere che ti prende?»
Era
sempre stata una ragazza diretta, ma non aveva problemi, nemmeno con
Maia che adesso le scoccava uno sguardo torvo.
Valeryn
dal suo canto alzò le spalle, non sapendo come rispondere
esattamente a quella domanda. La sua testa era così
affollata da
pensieri che non riusciva nemmeno a capire le sue sensazioni.
«Ecco,
io... Non lo so...» fu l’unica cosa che
riuscì a pronunciare.
Miriana,
che non amava portar le cose alle lunghe, prese nuovamente la parola.
«Andiamo,
non incominciare a balbettare, eh?» la rimproverò
«Se vuoi dirci
qualcosa devi essere esplicita, altrimenti non capiremo
niente»
Valeryn
le lanciò un’occhiataccia. Odiava chi le si
rivolgeva in quel
modo. Per diamine, loro che ne potevano capire? Stavano lì a
fissarla come se potesse improvvisamente illuminarle con
chissà che
rivelazione, nessuna di loro era rimasta incinta e si sentiva
dannatamente in difficoltà nel provare a spiegare cosa aveva
in
testa in quel momento, aveva solo un mucchio di confusione. Si
ridestò passandosi una mano tra i capelli, tentando di
calmarsi.
«Non
è facile, okay? Non lo è per niente,
anzi...» ebbe uno scatto
impulsivo e si alzò dal divano, facendo per andarsene,
irritata e
anche un po’ ferita.
«Non
mi va più di parlare, non ne vale la pena» la
sentirono dire.
Maia
la trattenne subito da un braccio, la rimise a sedere e si
voltò
arrabbiata verso l’altra che la fissava con uno sguardo
tagliente.
«Miri,
evita di comportarti così, non la aiuti per
niente!» la rimproverò.
La
ragazza emise uno sbuffo e prese a guardarsi le unghie curate.
«Non
è colpa mia se è diventata particolarmente
sensibile» fu la
lapidaria risposta.
Valeryn
la guardò infastidita, poi si scostò i capelli
dal volto. Adesso
stava esagerando usando quei toni, quasi non la riconosceva
più.
Fece un passo avanti e la fronteggiò, mollando la presa di
Maia dal
suo braccio.
«Oh,
certo!» esclamò con sarcasmo «Non sei tu
quella incinta, o
sbaglio?»
Miriel
si voltò verso di lei con un cipiglio.
«Non
sono io quella che combina una cazzata e poi si piange
addosso!»
La
castana rimase incredula a guardarla. Non poteva immaginare che una
delle sue migliori amiche potesse risponderle con quei toni. Se
l’era
presa molto poiché non le aveva parlato prima della
gravidanza, ma
non poteva comunque trattarla senza un minimo di tatto. Prima che
potesse risponderle, una riccia Maia pose fine a qualunque
discussione.
«Ragazze,
se dobbiamo litigare possiamo anche andarcene»
«Per
me non c’è problema, lo stavo facendo prima che mi
fermassi»
sibilò Valeryn, con le braccia incrociate. Miriel scosse la
testa ed
alzò gli occhi al cielo.
Maia
scosse la ragazza da un braccio.
«Smettila
anche tu, Vale, così non possiamo aiutarti. Devi rilassarti,
okay?»
tenne gli occhi fissi su quelli dell’amica e poi si rivolse
all’altra «E tu, Miriel, sta’ zitta un
po’ e lasciala
parlare!»
Quella
fece una faccia indignata, ma poi si zittì. Appena le acque
si
furono calmate, la ricciolina tirò un sospiro di sollievo.
«Allora,
dicci tutto dall’inizio, siamo qui per ascoltarti»
esortò
l’amica, facendole un sorriso incoraggiante.
Valeryn
prese fiato, scoccò un altro sguardo a Miriel che aveva il
broncio,
e cominciò a torturarsi i capelli. Poi decise di buttarsi,
di
raccontare tutto dall’inizio, perché lei stessa
sentiva la
necessità di mettere insieme tutto quello che stava provando
per
riuscire a capire come uscirne.
«Dunque,
io... Non so esattamente cosa mi prende, so solo che mi sento molto
strana...» fu la prima cosa che disse.
Miriel
scosse la testa emettendo un suono scettico, mentre Maia assunse
subito un’espressione preoccupata.
«Tutto
questo è successo troppo velocemente...» fece un
cenno alla sua
pancia ancora piatta «E... e non so se riuscirò a
sopportarlo. E’
come... come un peso per me...»
Miriana
la guardò interrogativa, poi mosse di qua e di là
i suoi lunghi
capelli scuri.
«E
adesso che significa che non potrai sopportarlo?»
Valeryn
si morse il labbro, iniziando a sentire gli occhi lucidi.
«E’
difficile, ve lo giuro... Mi sento come in gabbia, mi sento cresciuta
tutto ad un tratto e… non so che fare...»
Maia,
che era molto empatica, fece uno scatto e le strinse una mano, gesto
che non sfuggì a Miriel, la quale non riuscì a
fare a meno di
scoccare uno sguardo irritato alle loro mani intrecciate.
«L’altro
giorno ho parlato con mia madre, mi ha detto che dovrò
prendermi le
mie responsabilità, dovrò dedicarmi sempre a
questo bambino. E che
dovrò crescere, sono ancora una ragazzina. Io... Io ormai
sono
segnata, capite? La mia vita non sarà più la
stessa...» calde
lacrime cominciarono a colarle dagli occhi smeraldini. Maia
sospirò
abbracciandola e anche Miriel abbassò lo sguardo.
«Ho
tanta paura. Non voglio crescere, voglio fare la mia vita normale.
Voglio cazzeggiare con voi, voglio fumare, voglio bere, voglio andare
alle feste!» tirò su col naso «Quasi
voglio tornare a litigare con
Daniel...»
«Oh,
beh, non preoccuparti, quello non cambierà»
ridacchiò amaramente
Miriel, scuotendo la testa.
«E...
e poi...» si divincolò dall’abbraccio di
Maia, puntando gli occhi
arrossati verso la vecchia TV che Carmine aveva portato da casa sua.
Sospirò pesantemente, si sentiva quasi libera adesso che lo
stava
dicendo a loro.
«E
poi, Vittorio»
si fermò a mordersi il labbro, mentre le ragazze si
lanciavano uno
sguardo confuso e interrogativo.
«V-Vittorio?»
boccheggiò Maia, tentando di capire cosa c’era che
non andava con
lui. Miriel accavallò le gambe, preparandosi a sentire.
«Non
lo so... Io sono così confusa...»
mormorò.
«Sei
confusa...» la riccia esitò un attimo prima di
proferire «Sei
confusa su quello che provi per lui?»
Quelle
parole la colpirono come un pugnale. In fondo non lo aveva mai
pensato direttamente, ci girava intorno come se fosse una nota
dolente, ma sapeva bene che le sue sensazioni contrastanti
riguardavano proprio i suoi sentimenti per lui.
Miriel
scattò sull’attenti, la guardò stupita,
spiazzata.
«Che
cosa?!» chiese, spalancando gli occhi.
Valeryn
si morse il labbro in ovvia difficoltà. Non sapeva che
rispondere, o
per meglio dire, sapeva che una parte di sé si stava
allontanando da
Vittorio, ma non riusciva a comprendere il motivo. Da quando aveva
saputo della gravidanza, la sua testa era piena di dubbi e di
esitazioni, si sentiva così terribilmente distante da lui
che quasi
non riusciva a farsi toccare.
Annuì
debolmente decidendo di tirarlo fuori, non poteva nascondere la
verità a se stessa ancora per molto.
Maia
sospirò passandosi una mano sul bel viso, mentre Miriana
boccheggiava, incredula.
«Io...
io non ci posso credere!» esclamò, senza riuscire
a dire altro.
Valeryn
la guardò triste, poi socchiuse gli occhi. Nemmeno lei ci
poteva
credere, eppure non riusciva più a stare con Vittorio come
faceva
sempre, c’era qualcosa che la bloccava, si sentiva forzata,
si
sentiva come se avesse paura
di lui, come se la gravidanza l’avesse macchiata.
«Tu
stai dicendo che hai intenzione di lasciarlo?» chiese a
bruciapelo
Miriel con gli occhi ridotti a fessure. Come diavolo poteva pensare
una cosa del genere? Proprio in quel momento, che aveva un bambino in
grembo e lui era il padre?
Maia
intervenne a suo favore per non far degenerare le cose
un’altra
volta. La situazione era già abbastanza delicata e
difficoltosa da
gestire per tutti, anche per loro, che non sapevano cosa dirle.
«Fa’
parlare lei, Miri. Cosa ti senti di fare?» le si rivolse
apprensiva,
cercando in qualche modo di farle capire che l’avrebbe
sostenuta a
prescindere, ma anche lei stentava a crederci, anche Maia si chiedeva
com’era possibile che improvvisamente l’amica
avesse tutti quei
dubbi su Vittorio con cui aveva tanto lottato per stare insieme.
Valeryn
sospirò. Non sapeva proprio cosa fare, percepiva
semplicemente una
sensazione di
rifiuto,
era come se avesse bisogno di spazio, di ossigeno.
«Non
lo so, ve lo giuro. Sono come... bloccata...»
disse,
Miriel
negò con la testa, prima di alzarsi e fronteggiarla,
puntandole un
dito contro.
«Tu
sei stupida! Non sei bloccata, sei solo una stupida!»
alzò la voce.
Valeryn
guardò Maia sconcertata. Adesso si stava toccando veramente
il
fondo. La riccia le fece cenno di sedersi, ma quella la
ignorò
«Non
capisci un cazzo, Valeryn! Sei diventata più idiota del
previsto,
dannazione, ma come puoi? Come puoi pensare una cosa del
genere?»
«Miriana,
basta!»
Questa
si voltò verso la ricciolina che si era messa in piedi e le
aveva
stretto entrambe le braccia. Si divincolò con un impeto e
quasi la
fece barcollare.
«Tu
sta’ zitta, Maia! Stai zitta! Smettila di difendertela
sempre, sai
benissimo anche tu che sta sbagliando! E’
inaccettabile!» urlò,
il bel viso cosparso di un colorito roseo, segno che la collera aveva
preso il sopravvento in lei.
Maia
fece per intervenire, ma Valeryn la precedette e si mise in piedi.
Non tollerava che nessuno le si rivoltasse contro in quel modo.
Nessuno.
La
guardò con gli occhi verdi che sprizzavano scintille, di uno
sguardo
che avrebbe fatto paura chiunque.
«Non
ho chiesto un tuo parere, prima di tutto» sibilò
con una nota
gelida che mascherava la rabbia «E poi io faccio
ciò che mi pare, i
problemi ce li ho io, non tu, tesoro, chiaro?»
Miriana
incrociò le braccia, con un’espressione di sfida,
senza farsi
scalfire minimamente.
«Tu
non puoi fare una cosa del genere a Vittorio, non puoi
lasciarlo!»
«Perché
no, sono fatti miei!»
La
castana strinse i pugni, serrò i denti ed iniziò
a sentire caldo
per l’agitazione. Maia, preoccupata, le strinse delicatamente
un
braccio.
«No,
cazzo!» l’altra mandò la sua
raffinatezza a quel paese «Lui ti
ama, stupida, lo farai soffrire in questo modo! Non capisci? Hai
bisogno di lui, è il padre di tuo figlio, non puoi
allontanarti da
lui proprio in questo momento!»
Voleva
solo provare a farla ragionare. Era uno sbaglio, Miriel lo sapeva.
Conosceva anche Valeryn da una vita, conosceva quel suo lato
impulsivo e tendente a mettersi nei casini, intuiva l’inizio
di una
serie di conseguenze nefaste. Non era solo una questione personale,
del fatto che non le avesse detto niente, o meglio, lo era ma fino ad
un certo punto. Era convinta che stesse commettendo un grosso errore
che le sarebbe costato caro.
Valeryn
guardò Maia in cerca di un aiuto. Quella, però,
abbassò lo sguardo
non sapendo esattamente come intervenire. Anche lei pensava che
l’idea di allontanare Vittorio fosse troppo avventata, fosse
qualcosa dovuta ad un momento di sbandamento ma non una scelta da
prendere a lungo termine.
Aveva
bisogno di condurre una gravidanza serena e con l’aiuto di
tutte le
persone che tenevano a lei, di sicuro non era una buona idea lasciare
il padre del suo bambino. Come avrebbero preso quella scelta in
famiglia?
«Io...
Io ho bisogno di una pausa per riflettere, che ti piaccia o no, devo
capire...» fu quello che riuscì a sussurrare.
«Ma
che diavolo c’è da capire?»
La
mora sbatté i capelli, innervosita da quello stato di
ottusità che
pervadeva l’amica in quel momento.
«Sei
incinta di lui e lui ti ama da impazzire, si vede da ogni cosa che
fa. Dopo tutto quello che avete passato? Dopo che hai messo le corna
a Elia, dopo che ha rotto con il suo migliore amico per te, dopo che
è andato contro la vostra famiglia perché siete
cugini e tuo padre
non vi accettava? Lui ti sta vicino come pochi ragazzi farebbero in
questo momento. Lui non è andato via! Non è
scappato, Valeryn, dopo
che gliel’hai detto. E tutto questo perché vuole
stare con te!»
La
castana fece per risponderle, ma si limitò a mordersi il
labbro,
consapevole che Miriana aveva messo nero su bianco quello che il suo
ragazzo aveva fatto e faceva per lui giornalmente.
«Come
puoi ripagarlo così?» la udì sospirare,
notando un velo di
dispiacere sincero «Vittorio non se lo merita»
disse infine.
Aveva
ragione. Vittorio non meritava niente di tutto quello. Non meritava
di essere allontanato, non meritava di essere tagliato fuori, non
meritava di essere considerato un peso, non meritava di avere la
colpa se lei era rimasta incinta e ancora lei avrebbe dovuto portare
avanti la gravidanza per nove mesi con paura, problemi fisici,
dolori, modificando il suo corpo e il suo stile di vita. Ma non
riusciva ad immaginarlo al suo fianco, era come se la favola fosse
improvvisamente finita e lei si fosse risvegliata nella
realtà.
Erano dei ragazzini che avevano fatto gli imprudenti e non sapeva
cosa voleva. A volte, quando la notte chiudeva gli occhi, si
ritrovava persino insicura di volerlo tenere in braccia quel
bambino...
Di
fronte ad un pensiero forte del genere, ebbe un fremito. Aveva
bisogno di pensare alla sua situazione sentimentale, e Miriana non
poteva interferire, era una sua amica, ma non aveva il diritto di
imporle ciò che fare. Avrebbe scelto con la sua testa, anche
se
l’avrebbe portata a decisioni sbagliate, perché
lei non stava bene
psicologicamente e per una volta voleva pensare al suo benessere.
«Farò
ciò che mi farà stare bene»
annunciò fermamente.
La
mora scosse la testa, quasi con disprezzo.
«Sei
un’egoista» sputò fuori, fece per
andarsene, ma poi si voltò
all’improvviso puntandole il dito contro.
«Sai
che c’è? Che secondo me hai paura, hai paura di
stare con lui
perché ti ha messa incinta! E’ a lui che dai la
colpa di questo!
Perché hai paura di affrontare la gravidanza, hai paura di
tutto! Lo
vuoi tenere questo bambino, sii sincera!»
Maia
spalancò la bocca e si mise tra le due, la tensione era alta
e vide
Valeryn fare uno scatto verso l’altra che si
irrigidì e si sentì
agguantare.
«Adesso
basta, Miriana, mi hai rotto il cazzo!»
l’afferrò da un braccio
sentendosi ferita nel profondo, sentendosi toccata, sentendo una
freccia che aveva centrato il punto dei suoi problemi.
«Mollami,
stronza!» fu la replica dell’altra, che
alzò il braccio per
levarla via.
La
riccia intervenne immediatamente, facendo in modo che non
incorressero in nessuno scontro fisico.
«Ora
calmatevi tutt’e due, siete pazze? Non ne vale la
pena!» urlò,
redarguendole.
Miriel
continuò a guardarla in cagnesco, mentre quella faceva
altrettanto.
«Sei
solo una bimbetta infantile che non pensa ad altro che a sé
stessa!
E te ne pentirai se lascerai Vittorio, quando non saprai che fare con
un bambino tra le braccia, vorrai solo tornare da lui!» fu
l’ultima
cosa che la prima riuscì a dire, prima che la porta di casa
si
spalancasse e Censeo, Carmine e Daniel entrarono senza tanti
complimenti.
Valeryn
li guardò con un’espressione allarmata, mentre
Miriel sbatteva i
capelli, nervosa, e si sedeva, guardandosi distrattamente le unghie
per dissimulare il trambusto appena successo.
Dietro
di loro, Conny e Sara entravano tutte eccitate con delle enormi buste
in mano. Maia guardò la castana con un sospiro e le fece un
cenno
come per dire che avrebbero parlato un’altra volta.
Sara
si avvicinò con un sorriso a trenta denti, mostrando un
vestitino
verde corto fino al ginocchio.
«Che
ve ne pare? E’ spettacolare, vero? Non mi fa nemmeno i
fianchi
grossi!»
Sorrideva
contenta, mentre Maia lo esaminava e Miriel frugava tra le altre
buste.
Valeryn
si mise a sedere fissando il vuoto, e d’un tratto, fu come se
niente fosse appena successo e le ragazze si distrassero
dall’ambiente giocoso e chiacchiericcio.
«E
questo?» la mora tirò fuori un reggiseno tutto in
pizzo, rosso,
sicuramente più grande di una misura e la mutandina a
brasiliana in
coordinato.
Sara
glielo tolse subito di mano, imbarazzata.
«Lascialo
stare, questo è privato...» borbottò,
mentre le ragazze
ridacchiavano. Daniel si avvicinò alla sua ragazza facendola
spaventare, soffiandole nell’orecchio.
La
bionda cacciò un urlo di riflesso e quello rise
rumorosamente.
«Dì
sei impazzito, per caso?» gli urlò contro.
«E
tu sei una grassona» poi le scippò il completino
di mano,
osservandolo con un’espressione schifata
«Sul
serio vorresti mettere questo coso? Ma se sei una balena, pasticcina
mia, sarai orrenda conciata così»
Sara
gli tirò un calciò arrabbiata, mentre Daniel si
scansava e ne
approfittava per palpargli il sedere.
«Porco!»
lo apostrofò, spingendolo via.
«Bella,
amoruccio della mia vita!» unì le labbra e si
riavvicinò
agguantandola per provare a scipparle un bacio, facendola strillare.
Maia
rise, Miriel scosse la testa continuando a frugare tra le borse
dell’amica. Valeryn accennò un piccolo sorrisino,
mentre la sua
testa si perdeva nei pensieri. Voleva tanto scherzare con lui
come facevano i loro amici adesso, che, ridendo si baciavano e si
abbracciavano. Daniel, a modo suo, era innamorato di Sara.
E
lei, invece? Lo era?
Era
ancora innamorata di Vittorio come una volta?
Quella
domanda la devastava interiormente.
Carmine
lanciò uno sguardo dis.ustato ai due piccioncini, poi si
sedette sul
divano accendendo la TV. Si passò una mano tra i capelli
neri e alzò
un sopracciglio.
«Certo
che fanno proprio cagare» bisbigliò, mentre le
ragazze
ridacchiavano,
«E
poi, Dan, del cuba libre in frigo... Ripeto, cuba
libre, no, ma
che problemi hai?»
Il
castano si staccò bruscamente da Sara, facendola barcollare,
con in
volto un’espressione accigliata.
«Sei
solo geloso, Carminiello» disse con un ghigno
«Primo, perché
Angelina ti sta mandando in astinenza»
Il
moro fece per protestare, ma quello non glielo permise.
«Secondo,
perché io so fare i drink, mentre tu no. Sei un buona nulla,
ammettilo»
Carmine
gli lanciò uno sguardo di fuoco.
«Chiudi
quella fogna, idiota, e poi che ne sai tu della mia vita
privata?»
sibilò, divenuto improvvisamente rosso in viso.
«Io
so sempre tutto, mi pare ovvio» rispose il ragazzo con i
capelli a
caschetto, vantandosi.
Carmine
scosse la testa facendo una smorfia irritata, mentre Maia alzava gli
occhi al cielo e si sedeva accanto a lui, dandogli un bacetto sulla
guancia per calmarlo.
Quell’oggi
sembravano tutti così in vena di litigare.
«Lascialo
perdere, Mine. Lo sai che è un buffone» gli
strinse un braccio,
sorridendo.
Daniel
si voltò versò di lei, lanciandole uno sguardo
truce.
«Oh,
tu guarda! Ha parlato la protettrice dei deboli!» la
scimmiottò e
subito dopo lanciò uno sguardo allusivo a Valeryn, facendo
intendere
che la debole era lei, che veniva sempre difesa a spada tratta.
La
ragazza se ne accorse ma non reagì, emise semplicemente uno
sbuffo e
si mise in piedi per andare in bagno.
Si
sentiva debole, le girava la testa e poi aveva una nausea
persistente, era aumentata da dopo la discussione. Si era molto
innervosita, forse doveva misurare la pressione, ma dubitava che in
quella casa umida ci fosse un misuratore.
Miriel
le scoccò uno sguardo sbieco, ma decise di non seguirla.
Dopo quello
che aveva detto, il suo orgoglio glielo impediva; d’altronde,
poteva sempre contare sull’altra sua amica che di sicuro era
più
gradita di lei, pensò con le braccia incrociata, crucciata
da tutta
la situazione.
Conny,
nel frattempo, tornò dalla cucina insieme a Censeo, che
aveva in
mano una tavoletta di cioccolato. Si sedette sulla poltrona amaranto,
mentre la ramata si accomodava sullo stesso bracciolo.
«Guarda
amore, guarda che ho comprato!» esclamò
elettrizzata, tirò fuori
dei leggins di pelle e un top grigio con le maniche a sbuffo, tutto
brillantinato.
La
sua moda era caotica e stravagante, un po’ come la sua
personalità.
Teneva comunque molto al parere del suo ragazzo, ma Censeo era
distratto, rivolse un breve sguardo ai vestiti e poi annuì,
voltandosi verso i suoi amici che ancora discutevano. Conny rimase
spaesata per un attimo di fronte a quel mancato interessamento, non
era affatto da lui. Censeo era sempre così attento, dolce e
premuroso con lei.
«Ma
nemmeno li hai guardati!» esclamò, tirandogli una
gomitata sulle
costole.
Il
biondino fece una smorfia di dolore.
«Teso’,
dai, conosco i tuoi gusti. Li vedrò meglio quando li
indosserai»
rispose addentando il cioccolato.
La
ragazza assottigliò gli occhi e lo guardò. Censeo
si sentì
osservato e ricambiò lo sguardo.
«Ma
che c’è?» le chiese, senza capire.
«Sei
maleducato» proferì Conny, rimettendo i vestiti
dentro le buste con
un gesto stizzito.
Censeo
alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Quando la sua ragazza
pretendeva
delle attenzioni diventava petulante.
«I
tuoi vestiti mi piacciono, amo’. Lo sai. Non
c’è bisogno che te
la prendi così»
Conny
s’irritò maggiormente per il modo superficiale in
cui le aveva
risposto, così si alzò dalla poltrona, prese le
buste e si diresse
verso la cucina, delusa.
Pensandoci,
non era la prima volta che Censeo provava a minimizzare qualcosa che
le stava a cuore. Era davvero insensibile delle volte, non sopportava
proprio quella parte di lui che lo rendeva uguale
agli altri.
Questi
guardò il punto in cui era sparita e fece spallucce,
pensando che le
sarebbe passata presto, come al solito.
Il
campanello suonò, Daniel corse a rispondere. Entrarono Elia
e Alex,
quest’ultimo infreddolito fino al capo rasato,
l’altro con una
bottiglia di birra in mano, i capelli biondi con un taglio a tendina
che gli stava benissimo.
Daniel
gli si avvicinò con una smorfia e lo squadrò con
una punta di sana
invidia.
«Sempre
il solito ubriacone, tu! Con ‘sti capelli da froscio»
lo apostrofò, mentre Elia gli dava uno scappellotto alla
nuca.
«Che
c’è, ti piaccio?» lo provocò
con un ghigno mentre si mordeva
volutamente il labbro inferiore.
Daniel
fece finta di vomitare ficcandosi due dita in gola.
Alex
rise, levandosi di dosso il giubbotto e sporgendosi sul divano ad
abbracciare e baciare la sua Miriel, ancora visibilmente irritata.
Il
ragazzo con i capelli a caschetto si diede un’occhiata
intorno e
notò che mancava Valeryn nella stanza, così si
rivolse nuovamente
ad Elia che beveva la sua birra.
«E
Vitto
dov’è? L’hai lasciato ai
lupi?» chiese ironico.
Elia
quasi si strozzò con la birra nel sentir nominare il nome
del suo
migliore amico.
Quel
gesto dell’altra sera...
Il
cuore prese a battere più veloce del dovuto e
iniziò a sentirsi
strano.
Se
ne vergognò improvvisamente, soprattutto con
l’amico di fronte che
lo ispezionava in cerca di una risposta.
Non
sapeva perché gli faceva quell’effetto, ma il solo
pensare a
quella carezza dell’altra sera gli faceva venire voglia di
scomparire dall’imbarazzo.
«Non
lo so...» fu quello che riuscì a mormorare,
cercando di nascondere
la sua difficoltà all’apparenza immotivata.
Daniel,
infatti, stava per chiedergli se aveva ingoiato un porcospino, ma
Alex fortunatamente intervenne, alzando le spalle.
«Non
era con Valeryn?»
chiese, interrogativo.
Che
stava succedendo tra quei due? In effetti era il dubbio mastodontico
che circolava da un bel po’ di giorni nella testa di tutti
quanti.
Elia
si levò di dosso la giacca e la lanciò con fin
troppo impeto sopra
una sedia incustodita. Alex gli lanciò subito uno sguardo
preoccupato. Ripensò improvvisamente alle parole che gli
aveva
confidato l’amico.
Valeryn
era diversa con lui, lo teneva a distanza, lo evitava più
che
poteva. Lui in quel momento aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di
consigli, di qualcuno che gli sollevasse il morale.
«No,
la pazzerella è in bagno a fare la
popò!» udì dire a Daniel.
Il
suo sguardo si perse nel vuoto, stringendo le labbra.
Si
sentiva così legato a Vittorio che era come se stesse
vivendo tutto
quello in prima persona e non riusciva a levarsi dalla testa il
pensiero dell’amico.
Aveva
una brutta sensazione...
Valeryn
si appoggiò con le mani al lavandino, ansimando.
Si
guardò allo specchio, vedendo un’immagine di
sé davvero brutta.
Era pallida, aveva la matita sbavata e gli occhi lucidi. Perché
era ridotta così?
E quella dannata
nausea che non le dava tregua, non riusciva quasi a respirare... Si
portò istintivamente una mano sopra il suo ventre. Non
sapeva se era
solo la nausea a ridurla in quel modo, c’era
dell’altro. Ed era
sicura che avesse a che vedere con le dure parole di Miriel.
Dio,
come poteva pensare anche solo minimamente di chiudere con lui?
Lei aveva bisogno di lui, lei lo amava,
ma non
si sentiva più sé stessa da quando lo aveva
scoperto.
La gravidanza l’aveva sconvolta, stava divorando la sua vita,
e
lei, ancora così piccola, ancora così indifesa,
non sapeva come
“Sei
un’egoista.”
Cominciò
a piagnucolare. Lei non era così, quella non era la vera
Valeryn.
Dov’era
finita la ragazza di una volta?
Ross
parcheggiò la macchina proprio sotto casa di Alex. Rivolse
uno
sguardo a Vittorio che fumava con il finestrino aperto e scosse la
testa, tentando di riscaldarsi con le braccia. Si era fatta sera,
erano andati in un pub a bere birra e fare un po’ di casino.
Suo
fratello doveva distrarsi un po’ da tutta quella situazione.
Ross
lo capiva, capiva perfettamente che era solo
un ragazzo, aveva bisogno anche di quello, forse soprattutto
di quello.
«E
basta fumare, mi stai impuzzolendo la macchina!» lo
rimproverò, poi
si strinse nel giubbotto «Peraltro hai il finestrino aperto
da
mezz’ora e mi hai fatto congelare!»
Vittorio
fece spallucce, poi gettò lontano la sigaretta finita. Di
solito non
esagerava con il fumo, ma in quei giorni era così nervoso
che non
poteva farne a meno.
Fece
per scendere dalla macchina, ma suo fratello lo trattenne da un
braccio. Si voltò a guardarlo interrogativo.
«Ehi,
nemmeno un “Grazie,
Ross. Mi sono
divertito tantissimo con te, ti adoro, grazie per avermi pagato le
birre, il panino e l’amaro”?» Il
più grande alzò un sopracciglio di fronte a quel
suo tentativo di
sgattaiolare via senza degnarlo di una parola o di uno sguardo.
Vittorio
sospirò e fece mezzo sorriso, annuendo.
«Sì,
grazie. Sono stato bene» fu l’unica cosa che disse.
Aveva
ancora in colpo quell’alcol da metabolizzare, non era
semplice
affrontare alcun tipo di discorso per lui.
Non
fece passare dei secondi in più e scese dall’auto.
Il più grande
imprecò sonoramente, così lo richiamò,
incitandolo a tornare
indietro senza esitazioni. Vittorio alzò gli occhi al cielo
e si
fermò.
«Dimmi,
che c’è?» chiese, appoggiando un braccio
sul finestrino aperto.
Si
guardarono negli occhi senza dire niente.
«Come
che c’è?» chiese Ross, dopo un
po’, sbalordito «Credevo ti
fossi divertito!»
«Infatti
mi sono divertito» confermò il castano.
Il
fratello scosse la testa emettendo un suono gutturale che significava
che non gli credeva affatto.
«E
allora perché stai ancora così?»
Vittorio
non rispose a quella domanda, solamente abbassò lo sguardo.
Si era
divertito veramente con lui, in quelle ore in cui aveva bevuto e
fatto casino con il “Capus”, il
“Prof”, Dado e tutti gli
altri suoi amici non aveva pensato a niente. Ma adesso che sapeva che
in quella casa c’era lei
non poteva essere per niente tranquillo.
Perché
erano tutti riuniti lì e lui non poteva fare a meno di
salire a
salutarli, si preoccupavano a loro volta, i suoi amici.
E’
solo che aveva una sensazione di ansia che riusciva a spiegarsi poco,
o meglio, era come una sorta di presagio di ciò a cui
sarebbe andato
incontro.
«Ho
capito» sospirò Ross, rassegnato «Stai
così per quello,
giusto?»
Continuò
a non rispondere, si morse lievemente il labbro.
«Senti,
ti dico una cosa» Il fratello maggiore lo guardò
negli occhi,
risoluto, e poche volte aveva visto quel bagliore negli occhi di
Ross, che non faceva altro che prendere la vita alla leggera.
«La
devi smettere, Vitto. Qualunque cosa succeda, devi essere forte. Devi
farlo per te stesso. Altrimenti non starai più bene, ti lacererai»
«Lo
so che non è facile» lo precedette, dato che stava
per dire
qualcosa «Ma guarda me. Io ce l’ho fatta in qualche
modo, ce la
farai anche tu. Tu sei ancora meglio di me, pivello. Mi costa dirlo,
ma lo sei»
Vittorio
annuì con un sorrisino che riuscì a strappargli
dopo quella
constatazione, poi fu investito da un grande gelo. Si strinse nel
giubbotto e si avvicinò al portone, suonando il citofono. La
serratura scattò. Un po’ impacciato,
tornò indietro, non sapendo
bene che parole usare.
«Senti,
grazie, eh? Hai ragione» soffiò piano, mentre Ross
annuiva,
compiaciuto.
«Ah,
e un’altra cosa. Mi sono divertito davvero oggi, io... Mi
diverto
sempre con te» gli rivelò con affetto, poi
finalmente voltò le
spalle ed entrò in casa, mentre il maggiore sorrideva e
metteva in
moto.
Proprio
in quel frangente, Elia si trovò fuori in veranda a fumare.
Aveva
visto tutto, aveva sentito ciò che si erano detti.
Gettò il fumo
piano dalla bocca, che si confuse subito con il gelo
dell’aria.
Stava
davvero così male, Vittorio? Per lei?
Perché
avrebbero avuto un figlio così giovani e Valeryn non lo
voleva
vicino come avrebbe dovuto...
Era
comprensibile, non riusciva invece a comprendere quel suo patetico
umore di fronte ad un realtà così oggettiva.
Continuava
ancora a sentirsi tradito
perché?
Voleva
solo tanto aiutare Vittorio in qualche modo, fargli capire che lui
gli sarebbe stato sempre accanto.
Ma
quello che sentiva in fondo al suo cuore era che voleva Vittorio per
sé, e nient’altro.
La
mano gli tremò e la sigaretta con gli ultimi aspiri cadde di
sotto.
Il
castano, nel frattempo, entrò in casa. Daniel lo accolse
festosamente, gli altri lo salutarono in coro.
«Bella
zi’, aspettavamo solo te!» esclamò
estasiato, mentre lui si
toglieva il giubbotto e faceva per metterlo via.
«Ma
no, da’ qua, faccio io!» glielo tolse dalle mani.
Carmine
alzò un sopracciglio nel vedere quella scena.
«To’,
ma guarda che servizievole!» commentò con sarcasmo.
«Per
tua informazione, io riservo sempre
questo trattamento agli amici» si pavoneggiò
quello, mentre
imboccava il corridoio e portava il giubbotto del castano in
un’altra
camera.
«Sì,
come no, quando ci urli contro ti adoriamo!»
Vittorio
lasciò perdere Daniel che, per l’appunto,
strepitava contro il
povero Carmine per averlo provocato. Qualcuno gli chiese qualcosa e,
finito di rispondere, si accomodò vicino a Maia che aveva il
cellulare tra le mani.
La
riccia alzò lo sguardo su di lui e fu automatico ripensare
alle
parole dell’amica di poco prima, perciò scosse la
testa,
dispiaciuta. Vedere Vittorio in quel momento le faceva pensare che
Valeryn si era bevuta completamente il cervello. Non poteva
lasciarlo... Lui era così bello, così gentile...
E in quel momento
le sembrava così disperato.
Non
lo meritava.
Decise
di apparire più disinvolta possibile e dirgli qualcosa, ma
non
potette fare a meno di notare dello sguardo di disappunto che Miriana
le aveva lanciato avendo intuito le sue intenzioni. Decise di fare
finta di niente e si accinse a rivolgergli un sorriso.
«Ehi,
come stai?» gli chiese, piegando la testa di lato.
L’ennesima
domanda del genere.
Vittorio
abbassò lo sguardo e lei se ne accorse.
Come stava? La
domanda che più odiava
in quei giorni.
Perché
non stava bene.
«Bene,
grazie, Maia» mentì.
Dopo
si guardò intorno per sfuggire dalla sua stessa bugia, ma
gli altri
erano attenti a guardare la TV. Censeo però gli sorrise, poi
gli
fece uno cenno seccato verso Daniel e Carmine che discutevano ancora.
Maia
continuò a guardarlo. Era caparbia, odiava vedere i suoi
amici in
quel modo, lei voleva sempre mettere una buona parola con tutti.
«Vitto,
noi due siamo amici ormai da un paio d’anni»
mormorò, anche se le
urla di Daniel e Carmine risuonavano per tutta la casa. Lui le
ricambiò lo sguardo interrogativo, era vero che si
conoscevano da
tanto, al dire il vero quasi tutti erano cresciuti nello stesso
quartiere, tre quarti di loro avevano passato la loro infanzia
insieme.
«E
quindi ci tenevo a dirti che... che se hai bisogno di aiuto, beh,
sappi che puoi contare pure su di me» gli venne naturale
dirglielo.
Era
nella sua indole, era una dote innata quella di preoccuparsi per chi
voleva bene.
Lui
le sorrise sinceramente. Quella ragazza aveva un cuore d’oro,
era
sempre dolce e affettuosa con tutti.
«Grazie,
che carina che sei» le rispose.
«E
un’altra cosa...» aggiunse seria, poi si
passò una mano tra i
ricci «Lei
è in bagno, ti prego, raggiungila, è da tanto che
sta chiusa»
Vittorio
strinse le labbra e annuì piano. Doveva andarci, non poteva
fare
finta di niente, doveva incontrarla prima o poi, no? E Maia si stava
rassicurando che si prendesse cura di lei.
Dove
avere il coraggio di affrontarla, lui era il suo ragazzo.
In
un gesto automatico, si alzò di scatti dal divano con il
cuore che
gli martellava in petto e scomparì nel corridoio.
Elia
rientrò dalla veranda proprio in quell’esatto
momento. Tutti si
voltarono a guardarlo.
«E
tu dove stavi, ti eri perso?» chiese Alex, squadrandolo
strano. Il
biondo negò con la testa, ma non aggiunse niente,
concentrato a
fissare il punto in cui Vittorio era sparito.
«Ah,
a fumare, e quando mai!» constatò
l’amico, ironico.
Elia
fece ruotare il suo sguardo su Maia, interrogandola con gli occhi.
Sentiva il profumo di Vittorio, gli fece girare la testa
perché lo
avrebbe riconosciuto in una folla di sconosciuti.
Si
sedette vicino alla ragazza, nel posto in cui fino a qualche secondo
prima c’era seduto lui.
Per
un po’ di secondi si torturò le mani e non seppe
se era il caso di
chiederglielo, ma fu più forte della ragione.
«Dov’è
andato? L’ho visto che è salito»
sussurrò all’amica e lei lo
guardò un tantino perplessa.
Elia
si preoccupava tanto per Vittorio. Anche se a volte intravedeva
qualcosa in lui di strano, di diverso, in lui. Lo conosceva troppo
bene e si preoccupava davvero poco per gli altri, mentre per Vittorio
aveva quella sorta di protezione, di devozione, quell’affetto
viscerale che lei a volte non se lo spiegava bene.
Decise
di non pensarci e gli rispose dicendogli la verità.
«In
bagno, da Valeryn»
La
ragazza si teneva la fronte, gli occhi socchiusi.
Si
sciacquò la faccia per riprendere fiato, era la cosa che
odiava di
più, vomitare, le faceva ribrezzo. Eppure doveva abituarsi,
erano
già passate circa quattro settimane. Si sentiva
così sola in quel
momento, in quel vecchio bagno vuoto.
Ma
chi aveva più?
Lei
stava crollando a pezzi come un castello di carte.
E
dalle persone che potevano salvarla non voleva essere salvata.
Era come se avesse trovato confortevole il suo malessere.
Appena
prese una tovaglia per asciugarsi, Vittorio aprì piano la
porta.
Valeryn
si voltò con il cuore in gola scrutandolo dallo specchio,
non si
aspettava di trovarlo lì. Lui la guardò a sua
volta, poi si chiuse
la porta alle spalle.
Rimasero
fermi a fissarsi senza dirsi nulla per qualche secondo, tutti e due
in difficoltà più che mai.
La
ragazza si mordeva il labbro nervosa. Non voleva affrontarlo proprio
in quel momento, era l’ultima cosa…
Stava
male e voleva andare via…
Quel
bagno le sembrava troppo stretto, sentiva ansia, disagio, non voleva
che si avvicinasse.
Ma
lui lo fece, si avvicinò di più a lei.
«Che
cos’è successo?» gli chiese, facendo
scorrere i suoi occhi per il
bagno tentando di collegare
Valeryn
non rispose, continuò ad asciugarsi la faccia.
«Hai
vomitato, vero?» trattenne il fiato, il fatto che lei non
rispondesse gli faceva male. La ragazza gettò uno sguardo al
lavandino che aveva appena lavato, poi annuì lentamente,
senza
guardarlo.
Vittorio
si avvicinò a lei poggiandole una mano sulla guancia,
preoccupato.
Lei alzò lo sguardo su di lui, senza parlare.
«Come
stai adesso?» le chiese, spostandole una ciocca di capelli
dal
volto.
«B-bene...»
sussurrò impercettibilmente, poi gli ricacciò
piano la mano e andò
a posare la tovaglia. Il ragazzo sospirò volgendo gli occhi
al
cielo, sentì gli occhi lucidi, ma doveva essere forte.
Forte,
altrimenti sarebbe crollato su quel pavimento che di pulito aveva ben
poco.
Si
sarebbe lacerato la carne trapassandola fino al cuore.
«Dimmi
qualcosa, Valeryn» sembrava una supplica, anzi, lo era
«Dimmi che
va tutto bene, ti prego»
Non
andava tutto bene.
Non
andava tutto bene fuori, non andava tutto bene dentro di lei. Le
scese una lacrima traditrice, colpevole. Fece per andarsene, non
poteva stare a guardarlo un minuto di più.
Lui,
però, la trattenne da un braccio.
«Non
andartene via, rimani con me, per favore» sussurrò
con la voce
incrinata, mentre con una mano la stringeva dalla schiena contro il
suo petto.
Non
voleva che la pregasse. Era troppo per lei. Senza pensarci, o forse
perché in fondo ne aveva bisogno, si alzò
leggermente sulle punte
per poterlo baciare. Lui chiuse gli occhi, il cuore era impazzito,
tutto dentro di lui sembrava impazzito. La strinse forte a
sé dalla
nuca passandole una mano tra i capelli, non voleva lasciarla mai.
Voleva approfondire quel bacio, voleva tanto fare l’amore con
lei…
L’afferrò
in braccio e la fece sedere sul lavandino, aprendole le gambe ed
infilandosi dentro, cercando di trovare un appiglio fisico in quella
lontananza mentale che adesso sentivano.
Ma
Valeryn bloccò la sua mano che aveva provato ad infilarsi
sotto il
suo maglione. Si staccò dalle sue labbra con lo sguardo
basso,
anche se lui non voleva lasciarla andare, la strinse ancora.
«Ti
prego...» soffiò tra le sue labbra. I suoi occhi
grigi erano
tristi, ma poteva leggere tutto l’amore che provava per lei.
“Sai
che c’è? Che hai paura.”
Sì,
aveva paura. Miriana aveva ragione. Aveva paura e non poteva farci
niente. Aveva repulsione anche solo se la toccava e non riusciva a
fermare quel senso di nausea allo stomaco. Si divincolò dal
suo
abbraccio.
«No,
torniamo di là» disse lapidaria, scansandolo e
rimettendosi in
piedi.
Vittorio
rimase spiazzato, non riusciva quasi a muoversi. La testa
già
pesante per quel pomeriggio di alcol, iniziò a martellargli.
Si
sentiva così male...
Si
sentiva così morire dentro.
Perché
lei lo aveva rifiutato e poteva percepire tutto il suo disagio anche
solo quando la sfiorava dai vestiti.
Valeryn
uscì dal bagno, lui la seguì piano, senza dire
una parola. Per
quanto volesse, le parole non uscivano di bocca, nemmeno quando
tornarono in salotto e tutti gli lanciarono delle occhiate
apprensive.
Voleva
andarsene.
Non
voleva stare là.
Non
aveva più senso stare là...
Però
incontrò lo sguardo cervone di Elia e in quel momento
desiderò
abbracciarlo con tutto il cuore. Sentire il suo calore, sentirsi
protetto.
Sentirsi
amato...
Così
si sedette accanto a lui, ancora in silenzio. Valeryn era con Maia e
teneva gli occhi bassi e arrossati, gli altri li vedeva che facevano
finta di niente.
Il
biondo lo fissò ancora un po’, non gli aveva
levato gli occhi di
dosso. Evitò di fargli qualsiasi domanda superflua,
solamente lasciò
scivolare una mano su quella sua che si trovava appoggiata sul
divano.
Vittorio
sentì automaticamente un brivido a quel tocco,
così alzò gli occhi
grigi lucidi e lo guardò, si guardarono e parlarono
tacitamente.
Allargò
le dita e fece in modo che quelle dell’amico si incastrassero
perfettamente alle sue prima di richiuderle.
Elia
sentì il fiato mozzarsi.
E
rimasero in quel modo.
E
Vittorio non andò più via.
E
stavolta quella mano la strinse e non ebbe paura.
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Capitolo 8 *** Allontanamento ***
«Cerca
di starle vicino il più possibile.»
Mena
proferì quelle parole intenta a pelare delle patate in
cucina. Non
alzò lo sguardo su di lui; da quando aveva saputo la notizia
e da
quando Piero aveva fatto quella scenata in casa loro era sempre
più
arrabbiata.
Vittorio
sbuffò, poi si passò una mano in mezzo ai
capelli.
Come
se fosse facile starle vicino. Sembrava che non volesse più
stare
con lui.
Annuì lievemente.
Mena
posò il coltello e spostò con il braccio delle
ciocche castane che
le ricadevano davanti agli occhi.
«Io
ancora non capisco. Non riesco a capire…»
mormorò, scuotendo la
testa.
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo. Sua madre ricominciava con
i soliti
discorsi.
«Come
diavolo avete fatto? È inconcepibile!»
sbottò con le orbite di
fuori.
«È
assolutamente una cosa dell’altro mondo.»
Vittorio
sbuffò di nuovo. Non era roba dell’altro mondo
aspettare un
bambino, si disse. Dio, quanto era diventata pesante, non la
sopportava più.
«E
lei, poi, ancora minorenne! Ci credo che Piero ha fatto tutte quelle
storie.»
Il
castano fece finta di non sentirla e mandò un messaggio con
il suo
cellulare.
Mena
si pulì le mani con un panno, poi riprese incrociando le
braccia.
«Sei
stato un irresponsabile, Vittorio, te ne rendi conto? Siete ancora
dei ragazzini. Santo cielo, non riesco ancora a crederci!» si
portò
una mano sulla fronte, angosciata, abbandonandosi sulla sedia.
«Prima
Ross e ora tu. Siete uguali voi due, combinate sempre disastri. Oh,
Vergine! E tu stai tutto pacato a fare finta di niente. Non capisci,
sei ancora troppo giovane, sei troppo immaturo, sei così
poco
responsabile...»
Adesso
era troppo.
Vittorio
si alzò di scatto dalla sedia facendola sobbalzare, menando un colpo
sopra il
tavolo e facendola così zittire all’istante.
Aveva
i pugni serrati e non ce la faceva più a sentire quelle
critiche
pesanti su di lui. Tutti pensavano al fatto che erano giovani, di qua
e di là, ma nessuno sapeva cosa stava succedendo tra di
loro,
invece.
«Adesso
basta, mamma, mi hai rotto i coglioni!» sbottò con
il volto
un’espressione livida.
Mena
lo fissò con gli occhi spalancati, lievemente intimorita
dalla
reazione.
«Sempre
a prendermi per irresponsabile, incosciente, tutte queste stronzate!
Basta, mi sono stancato! Lo so che abbiamo sbagliato, che ho
sbagliato,
mettila come ti pare, ma basta. Non ce la faccio
più!» urlò.
La
sua salute psicologica era talmente fragile in quel momento da essere
appesa ad un filo sottile.
Mena
lo fronteggiò, guardandolo severamente.
«E
adesso fai pure la vittima, bravo! Prima combini il danno e poi ci
piangi sopra!» lo rimproverò apparentemente senza
scrupoli.
Era
sempre stata così, sua madre, severa ed esigente, ma adesso
era
troppo, si disse. Non meritava di sentire quelle parole offensive.
Non meritava di essere definito vittima
quando stava davvero patendo dentro le responsabilità delle
sue
azioni, quando Valeryn si allontanava sempre di più da lui.
«Senti,
io sono qui che sto affrontando le cose, non sto scappando. Io non
sono un vigliacco!» sbottò fumante di rabbia, di
frustrazione nel
sentirsi impotente di fronte ad una situazione così grande.
E
fu un attimo prima che gli venne in mente qualcosa che gli comprimeva
il petto da tempo e che aveva provato a malcelarla dentro di
sé.
«E
poi parli proprio tu, eh? Quanti anni ci sono voluti prima che mi
dicessi che non ero veramente tuo
figlio?»
chiese con ironia tagliente.
Calò
un silenzio pietrificante.
I
suoi occhi grigi luccicarono pieni di risentimento, mentre Mena
spalancava la bocca e si portava una mano al cuore, mortificata. Non
avevano più affrontato quell’argomento fino ad
allora.
La
sua adozione rimaneva una ferita aperta su tutti loro, per il modo in
cui avevano gestito le cose e per come Vittorio lo aveva scoperto.
«Chi
era quella che piangeva per non aver avuto il coraggio di dirmi le
cose come stavano? E adesso incolpi me! Io sono qui, io
non scappo!»
continuò.
Le
lanciò uno sguardo di fuoco, uno sguardo che aveva qualcosa
di
represso, qualcosa che aveva cercato di seppellire, ma che era uscito
inevitabilmente fuori perché dentro bruciava come fuoco
ardente.
Mena
abbassò gli occhi, ferita, gli occhi le si riempirono di
lacrime.
Quelle parole erano come pugnali per lei, perché aveva
sempre
sperato nel profondo del suo cuore e della sua anima che Vittorio
riuscisse a superare al più presto quel trauma e invece non
lo aveva
ancora fatto, il dolore era ancora troppo vivido, aleggiava
costantemente sopra di lui, sopra di lei.
Prima
che potesse dire qualsiasi cosa, il cellulare del ragazzo
squillò.
Lesse il messaggio e fece per uscire dalla cucina.
La
donna, con il cuore in gola e con le lacrime che colavano dalle sue
guance, si voltò verso di lui.
«E
adesso dov’è che vai?» chiese, tirando
su con il naso, mentre una
lacrima solcava la sua guancia e si faceva largo attraverso la pelle
segnata dall’età.
Vittorio
rimase di spalle, non si voltò neanche a guardarla.
«Da
lei. Devo starle vicino, l’hai detto tu.»
soffiò con voce
tremante.
«Per
quanto me lo permetta…» aggiunse poi in un
sussurro, mentre una
lacrima solcava anche il suo bel viso e l’asciugava con
violenza,
quasi fosse disgustato dalla sua stessa debolezza.
La
donna rimase sola in cucina a piangere e a tormentarsi per i suoi
stupidi errori del passato.
Non
si sarebbe mai perdonata per ciò che aveva fatto a suo
figlio, mai,
e promise a sé stessa che non gli avrebbe detto
più niente, non lo
avrebbe più rimproverato, anzi lo avrebbe aiutato. Anche se
era
difficile comunicare con lui, anzi, quasi impossibile, quello era il
minimo che poteva fare. Aiutare Vittorio a capire i suoi sbagli, a
imparare a non commetterne più. Non voleva che un giorno
potesse
fare la sua stessa fine.
Guardò
il secchio con le patate e lo spinse di lato, emettendo un singulto e
portandosi il dorso della mano su un occhio.
Non
aveva più voglia di fare niente, non aveva la forza.
Voleva
solo piangere e piangere.
Passò
a prenderla con la macchina di Ross. L’aspettava
giù, mentre lei,
con molto imbarazzo, indugiava sul portone di casa sua. Si morse il
labbro inferiore, confusa, piena di dubbi tormentosi.
Non
sapeva se stava facendo la cosa giusta.
Aprì
la portiera e salì in macchina bisbigliando un flebile
“ciao”,
evitando accuratamente di guardarlo in viso.
Vittorio
non si aspettava diversamente, perciò sospirò, ma
non rispose. Mise
in moto la macchina e partì per il centro.
Per
tutto il tragitto Valeryn non disse una parola e lui non fece da
meno. Non riusciva a dirle nulla, era come immersa nel suo mondo, in
quei pensieri che il ragazzo non riusciva a penetrare.
Parcheggiò
in un vicolo, poi scese dalla macchina aprendole lo sportello. Lei
scese eludendo ancora il suo sguardo.
Gli
sembrava così ridicola tutta quella situazione, o per meglio
dire,
il loro comportamento gli sembrava ridicolo. A Vittorio
sembrò
talmente ridicolo non parlarle, camminare al suo fianco senza
stringere la sua mano, fare finta di niente quando in realtà
aveva
voglia di urlare.
L’osservò
sedersi su una panchina, nella solita piazzetta comune.
Voleva
scuoterla violentemente, voleva svegliarla, voleva urlarle che non
riusciva più a sopportare tutto quello.
Non
lo fece, solo sentiva il cuore che gli batteva veloce, come preambolo
di qualcosa di negativo.
Era
come se lo stesse mettendo in allerta.
Valeryn
si guardò intorno, quasi aspettandosi di vedere spuntare
tutti i
loro amici da dietro gli alberi scuri. Ma nessuno di essi si fece
vivo e lei ne fu quasi delusa di non avere una scappatoia
dell’ultimo
momento.
Iniziava
a pentirsi di aver deciso di parlargli proprio quel giorno, forse non
era pronta, non sapeva che parole trovare.
Vittorio,
inoltre, sembrava perso nei suoi pensieri, il suo sguardo vacuo era
puntato altrove. Lo sentiva che era triste per causa sua, per
l’attaccamento evitante che aveva indotto da circa una decina
di
giorni.
Si
sentì in colpa, più in colpa che mai. Dentro di
lei non riusciva a
credere di volersi allontanare da lui, dal suo unico amore, dalla
persona che la completava nel modo più profondo, ma non
sapeva che
fare, non aveva altra scelta, aveva bisogno di riflettere.
“Hai
paura.”
Le
parole di Miriel tornarono a tartassarle la testa. Forse era vero che
aveva paura, perché nemmeno lei riusciva a trovare una
spiegazione
logica a quel comportamento. E si sentiva una stupida, ma doveva
parlargli. Doveva metterlo al corrente di come si sentiva, delle
emozioni contrastanti che la pervadevano quando stavano insieme.
Vittorio
continuò a non spiccicare parola, prese un pacchetto di
sigarette
dalla tasca dei pantaloni e ne estrasse una. Non fumava giornalmente
come Elia, anzi a dire il vero fumava poche volte e solo in compagnia
degli amici, ma in quei giorni si sentiva nervoso come non lo era mai
stato.
Poi
ripensò al suo amico, tirando una boccata di fumo.
Elia.
Ma cosa c’entrava in quel momento soffermarsi su di lui? Non
era
possibile che potesse collegare una semplice sigaretta a
Elia…
Il
solo menzionarlo nella sua testa gli evocò immagini del suo
viso e
il suo sorriso, la sua risata e le sue parole.
E
le sensazioni.
Quelle
erano più che mai impresse nella memoria del suo corpo.
Continuò
a fumare nervosamente, per un attimo dimenticandosi di Valeryn alla
sua sinistra. Cercando di capire il perché Elia lo turbava
così
tanto, perché sentiva una sorta di guizzo
all’altezza del cuore
quando pensava a lui.
La
ragazza nel frattempo si portò una mano al ventre
spontaneamente,
poi decise di aprire un argomento perlomeno decente. Non riusciva
più
a sopportare quel silenzio, si sentiva in colpa, e doveva dire a
Vittorio tutta la verità.
«Ehi.
Me la offri una sigaretta?» lo chiamò, cercando di
attirare la sua
attenzione con una domanda a caso.
Il
ragazzo smise di fumare, si voltò lentamente verso di lei,
mettendola quasi in soggezione. Dopo come lo aveva trattato in quei
giorni se ne usciva con una stupida sigaretta...
«No.»
rispose semplicemente. Continuò a tirare dalla sua, volgendo
lo
sguardo altrove, mentre Valeryn lo guardava accigliata.
«Come
sarebbe no?»
chiese allora, brusca.
«No,
sai cosa significa no?» la schernì con una smorfia
«Negazione, non
te la do la sigaretta.»
La
castana rimase spiazzata dalla sua risposta e, ferita,
abbassò lo
sguardo.
«Volevo
solo...» mormorò, ma la sua voce si
spezzò.
Vittorio
aveva tutte le ragioni per risponderle così,
d’altronde lei voleva
allontanarsi da lui, ma non sopportava la sua freddezza.
“Sei
un’egoista.”
«Non
puoi fumare, lo sai.» aggiunse poi il castano, giustificando
il
motivo per cui non gliel’aveva data, improvvisamente
interessato a
dei bambini che giocavano a palla vicino a loro.
«Ma
io...» provò ad aggiungere lei.
«Cosa?»
Lui si voltò stancamente «Cosa, Valeryn, vuoi
dirmi che cosa c’è?»
«Io…»
si bloccò, perché i suoi occhi grigi erano
freddi, la tagliavano,
le facevano male.
«Io...
Niente.» mormorò, tremante, intimorita al sol
pensiero della sua
reazione a quello che aveva da dire.
«Smettila
di prendermi in giro, dimmelo per favore, dimmi che cazzo hai! Fai un
cenno, scrivimelo, ma fammelo sapere!»
Vittorio
aveva gettato la sigaretta ed era livido, le faceva paura, non lo
aveva mai visto arrabbiato in quel modo. Aveva ragione a stare
così,
lei lo stava facendo soffrire senza che se lo meritasse e per di
più
non gli aveva ancora detto niente.
Guardò
nervosamente la piazza, si torturò i capelli. Non riusciva a
dirglielo, si sentiva una vigliacca.
Il
ragazzo si portò una mano sul volto, scosse ripetutamente la
testa,
sorridendo amaramente. Sentiva gli occhi lucidi, il cuore continuava
a battergli forte.
Perché
doveva soffrire? Perché
soffrire proprio quando pensava di aver trovato il culmine della
felicità con lei? Certo, avere un bambino a
quell’età non era una
passeggiata, ma lui era sicuro che ce l’avrebbero fatta in
qualche
modo, che tutto quello avrebbe rinforzato il loro amore
perché loro
si amavano davvero, anche se erano giovani. Ma adesso... adesso,
guardandola in quel momento, non sapeva se quell’amore era
ricambiato.
Valeryn
sospirò pesantemente, poi decise di allontanarsi da quel
luogo
troppo affollato. Se doveva dire la verità a Vittorio
dovevano
essere da soli, senza permanere in un luogo affollato.
«Torniamo
in macchina, per favore.» lo pregò.
«Solo
se mi prometti che parli.» aggiunse lui prontamente,
guardandola
negli occhi serio e con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Lei
cercò di mantenere lo sguardo dei suoi occhi grigi.
«D’accordo»
si arrese alla fine.
Non
aveva altra scelta, doveva dirgli tutto.
Si
alzarono, Vittorio con il cuore in gola, lei molto inquieta.
Raggiunsero silenziosamente la macchina nel vicolo dove era
parcheggiata. Il castano aprì le portiere ed entrarono
dentro.
Ci
fu ancora silenzio per qualche minuto.
Vittorio
guardò Valeryn impaziente, lei guardava verso il finestrino,
consapevole che ormai non poteva più prendere tempo, non
poteva più
fingere. Era arrivato il momento di dirgli tutto. Prese un bel
respiro e incominciò.
«Vedi,
Vitto, io ho fatto molti errori. E mi dispiace commetterne altri di
cui so che mi pentirò.» disse piano.
Il
castano sentì il cuore cedere, deglutì a fatica.
«Va’
al dunque, cazzo, niente discorsi profondi, niente stronzate. Per
favore!»
Non
poteva sopportare che lui la pregasse. Notò tutta
l’ansia, tutto
il suo dolore impresso nei suoi occhi grigi. Per alcuni secondi si
disse di lasciar perdere, non stava facendo la cosa giusta, lo
avrebbe perso,
ma la sua mano scivolò sul suo ventre, quasi a ricordargli
che dopo
quello
si sentiva cambiata.
Fece
una gran respiro, mentre Vittorio continuava a fissarla intensamente
quasi volesse penetrarla con lo sguardo.
«Ecco,
io... Non so cosa mi succede, ma mi sento molto strana, mi sento
confusa su ogni cosa, non riesco a capire se tutto questo lo voglio
veramente.» spiegò con la voce tremante, mentre si
spostava delle
ciocche di capelli dietro l’orecchio.
«Intendi,
che… non sai se tenere il bambino?» chiese
Vittorio, preso dal
panico al sol pensiero.
Lei
sospirò, negando piano con la testa.
Ci
aveva pensato all’aborto, nei momenti in cui si sentiva senza
speranza alcuna di poter gestire quella situazione, ma
adesso… Non
aveva il coraggio neanche di pensarlo.
«No,
non è questo. Riguarda me e te.» si
apprestò a precisare.
Un
po’ lo fece respirare meglio sapendo che non aveva intenzione
di
abortire, ma la consapevolezza che era come aveva pensato in tutti
quei giorni lo trascinò nel baratro.
«L’avevo
intuito.» Abbassò il capo con tristezza, ma subito
dopo strinse i
pugni guardandola di nuovo. Cercò di farsi coraggio, sentiva
che ne
avrebbe avuto bisogno.
Valeryn
lo fissò vacuamente per alcuni secondi, poi scosse la testa
e
riprese.
«Devi
perdonarmi... La gravidanza non mi sta facendo comportare come vorrei
e... E non voglio che tu ne vada di mezzo perché non meriti
di
essere trattato così.»
Vittorio
la guardò di sottecchi, con sospetto, poi con freddezza le
domandò:
«Che
cosa vuoi dire?»
La
castana smise di torturarsi le mani, sbuffando per la
difficoltà che
sentiva nello spiegarsi, poi si morse il labbro inferiore.
«Io
non so se sia la cosa giusta. Continuare a stare insieme.» lo
disse,
ma quasi si pentì di averlo detto un secondo dopo.
Ci
furono dei secondi di silenzio dove gli unici rumori erano le auto
che passavano in strada, accanto a dove erano parcheggiati.
Vittorio
la guardò come se tentasse di capire una lingua sconosciuta,
come se
fosse un alieno proveniente da Marte, ma poi, dopo aver assimilato
inevitabilmente le sue parole, aprì la bocca.
«Ma...
ma che stai dicendo?» balbettò, non riusciva a
proferire altro,
guardava davanti a sé come se le macchine parcheggiate
davanti
fossero uno spettacolo stupendo.
Valeryn
si sentì in colpa come non mai e si scompigliò i
capelli, nervosa.
«Nel
senso che... insomma, preferirei che ci allontanassimo per un
po’,
ma non molto, io… io voglio solo vedere se riesco a
cavarmela da
sola. Voglio mettere alla prova me stessa, capisci?»
Vittorio
negò con la testa, stordito, la bocca semiaperta.
Non
poteva, anzi, non voleva capire. Come poteva essere che la sua
fidanzata, il suo amore, l’unica ragazza per cui aveva
lottato fino
in fondo potesse d’un tratto dire quelle parole?
Potesse
distruggerlo così semplicemente come con un soffio avrebbe
fatto
cadere un castello di carte.
«Mi
stai lasciando?»
chiese puntando gli occhi su di lei, occhi grigi diventati
d’un
tratto freddi, glaciali.
La
castana scosse la testa, non sapeva come dire, non sapeva ancora una
volta se stava facendo la cosa giusta.
«NO!»
si affrettò a dire, ma poi si morse il labbro ed aggiunse:
«Non
lo so, ecco, voglio un periodo di pausa, Vitto, ma... ma non
è colpa
tua... sono io che...»
«Smettila!
Smettila con queste puttanate!» urlò con rabbia,
interrompendola e
stringendo i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche.
Valeryn
tremò leggermente, sentendosi intimorita dalla reazione
inaspettata.
O
forse era ingenua a pensare che non avrebbe reagito così,
anzi,
egoista, aveva pensato solo a lei, solo ai suoi bisogni, tralasciando
completamente i sentimenti di Vittorio.
«Io
non sono l’idiota da scaricare con le solite scuse del cazzo.
Devi
dirmi la verità.» le afferrò il mento
con una mano e la fece
voltare verso di lui, dato che si ostinava ad evitare il suo sguardo.
«Dimmi
che non vuoi più stare con me, che non mi ami
più, ma dimmelo.»
Il
silenzio che susseguì fu doloroso come degli spilli
conficcati nella
carne.
I
vetri erano appannati dal freddo.
Non
riuscivano a trovare via d’uscita a quello che stava per
accadere.
Calde
lacrime solcarono il bel volto della ragazza, lacrime amare piene di
colpa, colme di angoscia. Singhiozzò, mentre lui la guardava
senza
riuscire a dire nulla, colpito nel profondo del suo animo come un
bersaglio da poligono.
«Io,
adesso… Io non
voglio più stare con te.
Non sto bene.» furono le parole che infine
pronunciò.
Crack.
E
lui sentì il cuore spezzarsi.
La
fissò incapace di crederle, come se gli avesse appena detto
una
burla e quasi si aspettasse uno scherzi organizzato dai suoi amici,
che lei lo avrebbe abbracciato e lo avrebbe rassicurato. Non accadde
niente di tutto ciò, anzi quelle parole risuonavano
più veritiere
che mai.
Sentì
la gola secca e si passò una mano tra i capelli castani.
Faceva
male più del previsto, più dei suoi incubi remoti.
I
battiti accelerarono, cominciò a sentire un calore terribile
nonostante il freddo di pieno inverno, la macchina di suo fratello
pareva vorticasse spaventosamente fino a rinchiuderlo tra le sue
pareti e fargli perdere il respiro.
«Non
riesco a capire…» mormorò quasi senza
accorgersene di averlo
detto, anche se in fondo lo aveva capito, solo non voleva crederci,
il suo cuore rifiutava quelle parole.
«Scusami.»
disse lei, ancora con le lacrime agli occhi.
«Ho
bisogno di questa pausa. Ti giuro che non sto più bene
così. Mi...
mi sento in trappola, io... mi serve del tempo, solo un po’
di
tempo per riprendermi, assimilare tutto questo...»
«Forse
non ti ho dimostrato abbastanza quanto ti
amo.»
aggiunse il ragazzo senza aspettare che finisse, con lo sguardo vacuo
fissava il finestrino come se potesse vedere al di fuori, ma non
poteva.
Buio,
gelido, come quella giornata di dicembre.
Quelle
parole la spiazzarono, spalancò gli occhi arrossati, poi
tirò su
con il naso e si tamponò gli occhi sporchi di matita.
Si
sentiva così piena di rimorsi per aver preso quella scelta e
per
averla comunicata a Vittorio. Si sentiva colpevole del male che stava
facendo a l’unica persona che non lo meritava.
«Non
è colpa tua, Vitto. Non ho mai dubitato del tuo amore. La
colpa è
mia, sono io che non so come reagire a ques...»
«Basta
dire che non è colpa mia, Valeryn!»
esclamò rabbioso il ragazzo,
continuando a stringere i pugni. Ci fu una pausa di silenzio
assordante, dopodiché lui sussurrò:
«Hai...
hai detto che non stai più bene con me, eppure... eppure in
questi
giorni ho solo tentato di starti più vicino, ma non me
l’hai mai
permesso.»
Valeryn
abbassò gli occhi verdi.
«Lo
so. Ero molto confusa. Poi ne ho parlato con le altre e...»
ricordò
con malincuore la conversazione del giorno prima con Maia e Miriel.
«E
a dire il vero non erano d’accordo, ma...»
tirò su col naso,
Vittorio sentì gli occhi lucidi di riflesso.
«Ma...
la scelta è mia, no?»
«Appunto!»
sbottò il castano, adirato e con un senso di frustrazione
addosso.
«Appunto.
E’ una tua
scelta,
ma io? A me non hai pensato? Non hai pensato che forse a me poteva
non
stare bene?»
Il
tono sarcastico la fece sentire nuovamente un’egoista,
perché pur
ripetendosi di star facendo del male a Vittorio, continuava a farlo
preoccupandosi solo di sé stessa.
«Io
e te aspettiamo un bambino, cazzo. Come puoi solo minimamente pensare
di potertela cavare da sola? E a che scopo, poi? Per fare la ragazza
madre? E io, non ho diritto di starti vicino durante la gravidanza?
Non puoi escludermi.»
Lei
si morse il labbro inferiore. Non riusciva nemmeno a guardarlo negli
occhi, in quel momento le sembrò così arrabbiato
che non osava
nemmeno voltarsi.
«Non
ti escluderei mai dalla vita di questo bambino, sarai informato su
tutto.»
rispose piano, poggiando le mani sul suo ventre.
Vittorio
scosse la testa e si massaggiò la fronte.
Chi
glielo garantiva?
Se
ne stava infischiando del fatto che in quella situazione erano in
due, non solo lei.
Non
doveva combattere una guerra da sola, c’era lui.
Lui,
che lei rigettava e non voleva più accanto.
«Io
non riesco più. Mi viene difficile, scusami, ma non riesco
più.»
la sua voce si ridusse in poco più di un sussurro.
Il
castano levò la mano dal viso e la guardò
indecifrabile, poi rise
senza allegria. Sentiva un male atroce all’altezza del cuore,
avrebbe preferito che lo uccidessero perché il dolore
sarebbe stato
lieve al confronto.
«Non
riesci più?» ripeté sarcastico
«Come se i sentimenti vadano e
vengano in un secondo... come se adesso tu mi stai lasciando e io
domani non ci penserò più...»
Scosse
la testa, esausto, mentre lei si dava della stupida, lottando contro
la voce della sua coscienza che, nella sua testa, la induceva a
ritirare tutto, provava a convincerla che stava commettendo un grosso
errore. Provò ad avvicinarsi per toccarlo, abbracciarlo,
fare
qualsiasi cosa ma non ci riuscì.
Non
riusciva a toccarlo.
Aveva
un rifiuto tale da farsi schifo lei stessa.
«Perdonami.
Ti giuro che l’ultima cosa che voglio è farti del
male.» sussurrò
e quelle parole suonarono sincere, seppure non avevano un gran peso.
Vittorio
rise nuovamente, una risata senza gioia, una risata derisoria. Lei
notò perfino una punta di disprezzo.
«Troppo
tardi, non ti pare?»
Sentiva
sempre di più quelle lacrime sopprimerlo, ma lui non avrebbe
mai
pianto davanti a lei, non si sarebbe mostrato debole di fronte a chi
credeva lo capisse e lo amasse, ma che invece lo aveva distrutto come
un soldato in trincea nel pieno di una guerra.
Valeryn
gli aveva spezzato il cuore quella sera e lui non poteva cedere. Non
voleva, ma la tentazione era forte.
Aveva
voglia di sfogarsi, prendere a calci il muro, rompere qualcosa. Si
sentiva così male che sentiva lo stomaco in subbuglio e gli
veniva
da vomitare.
Era
colpa sua, perché se esisteva Dio
gli aveva inflitto una punizione per ciò che aveva fatto ad
Elia.
Era
così che si era sentito?
Abbandonato,
pugnalato alle spalle.
Se
lo meritava, forse, lo meritava tutto.
Le
lanciò un altro sguardo, ma non si aspettò che
lei dicesse altro.
Prese le chiavi e mise in moto. Lei, spiazzata dal gesto repentino,
lo guardò con gli occhi smeraldini interrogativi.
«Bene,
meglio se te ne vai a casa.» disse poi senza guardarla,
sforzandosi
di utilizzare il suo tono più freddo.
«Oppure
preferisci andare a piedi, visto che vuoi cavartela da sola.»
le
lanciò un frecciatina ironica subito dopo, non riuscendo
proprio a
trattenersi.
Valeryn
si sentì ferita, fece per parlare, ma la sua gola era
prosciugata
come un deserto triste. Sentì nuovamente le lacrime agli
occhi.
Vittorio
non la guardò per tutto il tragitto, riusciva solo ad udire
solo i
suoi singhiozzi soffocati.
Ma
che aveva da piangere?, si chiese, era lui che aveva lasciato, era
lui che doveva star male.
Non
aveva neanche il diritto di star male, aveva perso perfino la
dignità
di soffrire.
Deglutì,
sentendosi arido dentro.
Parcheggiò
di fronte casa sua. Lei indugiò prima di scendere. Voleva
dire
qualcosa, dirgli che nonostante tutto era ancora innamorata di lui,
ma non ci riuscì. Scese dalla macchina sussurrando un debole
saluto,
dopodiché sparì dentro il portone.
Vittorio
rimase ancora fermo con la macchina accesa, portandosi una mano alla
fronte, cercando di capire se tutto quello era successo veramente.
Represse le lacrime per l’ennesima volta, non voleva piangere
per
lei, non voleva fare più niente per nessuno.
Si
sentì così solo quella sera, sentiva unicamente
il battito del suo
cuore spezzato. Qualcosa dentro di sé gli urlava di salire
le scale
che li separavano e pregarla di restare con lui, perché
senza di lei
niente aveva un senso, niente.
Ma
strinse i pugni sul volante, mentre ripartiva a tutta
velocità,
deluso, con il luccichio di una lacrima fatta scivolare, silenziosa,
e il dolore come unico compagno.
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