All'altezza del cuore

di rose07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dubbi ***
Capitolo 2: *** Malessere ***
Capitolo 3: *** La notizia ***
Capitolo 4: *** Reazioni ***
Capitolo 5: *** Comprensione ***
Capitolo 6: *** Confusione ***
Capitolo 7: *** Paura ***
Capitolo 8: *** Allontanamento ***



Capitolo 1
*** Dubbi ***








Mi sento di fare un piccolo incipit prima che la storia inizi. Questa originale, come ho accennato, è il secondo capitolo di "Splendida Follia", una storia che ho postato all'inizio del decennio e che ho scritto quando ovviamente avevo un'età differente.
 
Per chiunque avesse intenzione di incominciare a leggere questa nuova storia, consiglio di leggere prima quella che ho menzionato semplicemente per avere le idee più chiare e conoscere meglio i personaggi. Non vi ruberà molto tempo, è una storia scorrevole e a tratti divertente che, come ho spiegato nell'intro, ho corretto e revisionato qualche tempo fa. 
Si trova all'interno di una serie chiamata "Ubi Maior Minor Cessat", dove potrete trovare anche un missing moment tratto dalla prima parte. 
Non mi aspetto nulla da questa nuova storia, solo ci tengo a postarla in quanto ho passato diverso tempo a scriverla e in un certo senso in essa sono impressi implicitamente ed esplicitamente tutti i miei anni da scrittrice. 
La differenza di stile che trapelerà sarà ovvia da capitolo a capitolo, proprio perché include un lasso di tempo molto largo dove la mia scrittura è andata perfezionandosi. Avrei potuto andare a ristrutturare i primi capitoli rendendoli conformi al modo di scrivere di adesso, ma la verità è che, a parte l'aver apportato delle correzioni necessarie, non tutto è stato lasciato lì per caso. Laddove le descrizioni passeranno dall'essere più sintetiche a minuziose sarà anche un modo per sottolineare la crescente intensità psicologica e sentimentale dei protagonisti, perciò una constatazione, una maturazione. Il modo di scrivere sancirà proprio un passaggio, una scoperta di sentimenti, sensazioni, dolore, rassegnazione. 
Spero vi piaccia e soprattutto che siate abituati ai cambiamenti perché questa ‘serie’ ne è piena. 
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
Il freddo inverno bussava alle porte, senza pietà. Valeryn si strinse di più al suo maglione, guardando fuori dalla finestra. Passanti frettolosi si accingevano a tornare a casa, speranzosi di non andare incontro alla tempesta che da lì a pochi minuti si sarebbe scatenata. 
La castana gettò un’ultima occhiata, per poi bere a piccoli sorsi la sua cioccolata calda. Fece una piccola smorfia al contatto della bevanda con la sua lingua, cosa estremamente strana dato che di solito la gustava con piacere. Posò la tazza sopra il lavandino e tornò a guardare fuori, malinconica, preoccupata. 
D'istinto una mano scivolò sopra la sua pancia piatta, in attesa di qualcosa, magari un segno. 
Poi si ridestò, pensando che forse non era come credeva, che forse si era sbagliata. La sua mente vagò fino ad una settimana prima, quando lei e Maia si trovavano insieme in farmacia. 
  
  
  
  
  
  
  
La farmacista aveva guardato quest’ultima di traverso, stupita. 
“Per te, cara?” Maia sentì il cuore battere forte, dopo sorrise falsamente. 
“Ehm, no, una... una parente lontana!” si giustificò, poi afferrò l’acquisto posando i soldi sul bancone. 
“Grazie tante e arrivederci” Voltò le spalle alla donna, mentre questa l’osservava andare allibita, chiedendosi se quella ragazza superasse i diciotto o meno. 
La riccia volse uno sguardo interrogativo all’ amica, uscendo dal negozio con in mano una bustina verde. Le due si fissarono per qualche secondo, dopo imboccarono la strada di casa. Valeryn non aveva detto nulla per tutto il resto del tragitto, e Maia era preoccupata. 
Aveva incominciato a piovigginare, così dovettero allungare il passo. Arrivarono a destinazione. Si spogliarono dai cappotti, e si precipitarono in bagno, un po’ speranzose, un po’ titubanti. Valeryn aveva il cuore in gola. Maia aprì il sacchetto e ne estrasse fuori un piccolo oggettino; la salvezza, la verità. 
Lo porse alla castana, che lo guardava impaurita. 
“Forza, Vale, ci siamo.” 
Valeryn sentì un brivido percorrerle la schiena. Non voleva utilizzare quel coso, no, no! Maia continuava ad incoraggiarla, pur essendo consapevole di essere finita nella tana del lupo. 
Colta da un coraggio improvviso, afferrò l’oggetto e si chiuse in bagno. I minuti che trascorse lì dentro furono quasi un’eternità. Maia guardava nervosamente la porta in attesa che aprisse. Stava sudando freddo. 
La castana uscì d’un tratto. Si guardarono.   
“Allora?” 
Valeryn negò con la testa e fece cenno verso il bagno. 
“E’ lì, ti prego, guarda tu.” 
La supplica dell’amica arrivò come un getto d’acqua ghiacciata. Entrò in bagno, prendendo tra le mani ciò che lei aveva lasciato sopra il water. Fece un lungo respiro prima di guardare. 
“Hai visto?” chiese la castana arrivando da dietro. 
Maia si voltò in sua direzione senza parole. Si fissarono per secondi infiniti, parlando con gli occhi. Poi Valeryn le scippò dalle mani il test, con sgarbo. 
Voleva farla finita. Voleva vedere. Voleva sapere e basta, adesso. L’attesa le procurava paura. 
Rosso. Due linee rosse ben visibili. Vide tutto rosso. 
Si portò una mano sul viso, sedendosi sopra la vasca, facendo scivolare per terra quel dannato oggetto. 
Maia le si avvicinò, posandole una mano sulle spalle, scostandole i capelli dal volto. 
“Vale, mi dispiace... io...” 
Valeryn si divincolò dal suo abbraccio, cercando di bloccare le lacrime che scorrevano a fiumi dalle sue guance. 
“Sono incinta!” esclamò disperata, spaventata 
Io sono incinta!” 
La riccia la prese nuovamente tra le sue braccia stringendola in un abbraccio confortante, cercando di non piangere anche lei. Troppo tardi, ormai lo stava già facendo. 
  
  
  
  
  
  
Valeryn tornò al presente sospirando e mordendosi il labbro. Ecco spiegati i suoi dubbi, il suo ritardo di due settimane... Era incinta. Il test di gravidanza parlava chiaro, rosso, positivo. 
Lei, appena diciassettenne, aspettava un bambino. Ancora non riusciva a crederci. Voleva piangere, ma ormai l’aveva fatto per troppe volte in quei giorni. Maia non sapeva più cosa fare per lei. 
Nessuno sapeva niente, nemmeno Miriana, nemmeno lui. Venne distratta dal suono del suo cellulare. Pigiò il tasto verde senza vedere chi era. 
«Pronto?» La sua voce suonava stanca. La riccia dall’altro capo se ne accorse. 
«Tesoro» disse preoccupata «Come stai? Perché non sei venuta a scuola oggi?» 
Valeryn deglutì. 
«Non mi andava» mormorò. 
«Avevi detto che venivi» continuò Maia «Hai saltato la festa dell’accoglienza. Sai, hanno fatto dei balletti niente male, ma come il tuo dell’anno scorso nemmeno a parlarne!» 
Le piaceva il fatto che l’incoraggiasse sempre e comunque. Per questo voleva bene a Maia, si disse. Quella ragazza riusciva sempre a fare uscire in lei la dolcezza, a farla sentire bene. 
«Comunque se stavi male hai fatto la miglior cosa» annuì la mora, senza farla rispondere 
«Sappi comunque che... lui ti ha cercata» 
Valeryn sentì i battiti perdere il controllo. Era per quel motivo che non era andata a scuola. Tecnicamente erano gli ultimi giorni prima delle vacanze natalizie, quindi ciò si poteva benissimo collegare a quello. In realtà non era così. 
«Ha chiesto di te» continuò l’amica «Io ho fatto la vaga. Non volevo metterlo in allarme» 
La castana si attorcigliò una ciocca tra le dita. 
«Grazie, Mai. Hai fatto bene» 
Sentì un sospiro dall’altro capo. 
«Quando glielo dirai, Valeryn? E’ passata una settimana, lui deve saperlo!» 
La ragazza guardò nuovamente fuori dalla finestra. Sapeva anche lei che non poteva tenere nascosta la gravidanza ancora per molto; avrebbe potuto farlo per giorni, magari settimane, poi la sua pancia avrebbe svelato tutto. 
Sospirò gravemente. 
«Lo so» disse «Ma non mi va ancora. Voglio... aspettare un altro po’... essere sicura...» 
Maia sbottò esasperata dall’altro telefono. 
«Abbiamo fatto quel test due volte, ormai sei sicurissima, Valeryn 
«Lo so» 
«Perciò mi sembra ora di dirglielo» 
«Lo so» 
«Sai dire solo questo?» 
Si rendeva conto di quanto poteva essere difficile per Maia quella situazione. Ma lo era anche per lei, soprattutto per lei. D’un tratto la sua vita aveva assunto una piega diversa, lei stessa si sentiva cambiata. Non era più la Valeryn combattiva e determinata di sempre: era diventata tetra, silenziosa, malinconica. Tutti avevano notato questo suo repentino cambiamento d’umore, tutti avevano fatto domande, nessuno sapeva la risposta. Solo lei sapeva. Doveva ringraziarla. 
«Mai, io... Ti chiedo scusa se...se ti sto trascinando in...» Perché sentiva sempre quelle maledette lacrime punzecchiarle gli occhi smeraldini? Era diventata impotente, sensibile. Non stava bene. 
«Non devi scusarti con me, lo sai» troncò Maia «Entrambe sappiamo ciò che devi fare. Devi farlo, Vale, non starai più bene così. Oppure c’è un altro modo, ma...» 
«Non lo farò mai!» esclamò la castana, quasi urlando. Poi controllò che sua madre non ascoltasse 
«Non abortirò per nessuna cosa al mondo, questo è certo!» abbassò di grado la voce. 
La riccia annuì dall’altro capo del telefono. 
Sapeva che Valeryn non era contraria all'aborto laddove le circostanze non permettevano una garanzia di vita dignitosa o, soprattutto, nel caso di altre situazioni più gravi, ma adesso che la questione la riguardava da vicino era diverso, scattava subito sulla difensiva quando quella parola usciva fuori. 
Aveva detto che nessuno poteva contestare le scelte di nessuno, perciò non lo avrebbe fatto nemmeno lei. 
«Bene, perciò parla chiaro» disse convinta. Poi abbassò la voce anche lei «E’ il padre, Valeryn. Lui deve sapere. Ha tutto il diritto!» 
Sospirò amaramente. Poi lo pensò. Pensò alla sua reazione. Pensò se l’avrebbe amata ancora. 
«D’accordo, adesso vado» disse secca «Non mi sento affatto bene.» 
«Mi raccomando» fece l’amica premurosa «Se stai male chiamami» 
Valeryn annuì ed attaccò subito dopo. Si sentiva incredibilmente stanca, spossata, non aveva più voglia di far nulla. Solo chiudersi nella sua stanza, sotto il piumone caldo del suo letto. Lontana da tutti gli amici, dai genitori, da tutte quelle persone là fuori. Da lui. 
Quasi averlo chiamato, il cellulare squillò nuovamente. Valeryn questa volta lesse il display, per poi sospirare di tristezza. Lasciò che il telefono squillasse a vuoto per una manciata di secondi che le sembrarono un’eternità, poi si morse il labbro in colpa. 
Non era pronta per rispondere ad una sua chiamata in quel momento, non era pronta per sentire la sua voce. 
Gettò la cioccolata ormai fredda sul lavandino, poi lavò la tazza pensierosa. Qualcosa dentro di sé la convinceva che Maia aveva ragione, non poteva nascondere la gravidanza al suo ragazzo, non poteva stare in silenzio e soffrire. 
Pensò che in fin dei conti avere un bambino non doveva essere così male. Si tastò la pancia. D’un tratto la voce di sua madre emerse da un’altra stanza, acuta e pungente. Sospirò rassegnata. 
Chissà cos’avrebbero detto loro, invece. La sua famiglia, sua madre, suo padre. La famiglia di lui. 
Era incinta alla sua età, non era ancora maggiorenne. Cristo, come avevano fatto a sbagliare? Com’era potuto accadere? Così sciocchi da aver lasciato che succedesse... 
Basta, basta rimuginate, si disse d’un tratto. 
Doveva parlare con lui. Assolutamente. Non c’era nessuna soluzione al problema, avrebbe dovuto soltanto aprire quella dannata bocca e dirgli tutta la verità. 
  
  
  
Dire a Vittorio che aspettavano un bambino.











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Capitolo 2
*** Malessere ***


 

  

Le ore di scuola sembravano non passare mai. Dopo aver preso quattro in filosofia, cosa non da lei, data la sua particolare devozione per le materie umanistiche, la professoressa la chiamò in privato chiedendole spiegazioni. Valeryn spostò lo sguardo stanco verso la porta della classe di Angelina, di fronte a lei. Per un attimo desiderò barricarsi lì dentro per sfuggire alla prof e ai suoi compagni rumorosi. Le scoppiava la testa e sentiva le gambe tremare ogni volta che si alzava. 
«Valeryn» incominciò la professoressa apprensiva «mi chiedo come mai tu non abbia studiato. Eppure sapevi che ti avrei interrogata oggi. Cos’è successo?» 
Valeryn evitò accuratamente di guardarla, concentrandosi su alcune ragazzine del primo che sghignazzavano. Anche lei avrebbe voluto essere felice. Anche lei avrebbe voluto ridere come loro. Sospirò. Per quanto volesse dire qualcosa, seppur una scusa idiota, non ci riuscì. 
La professoressa di filosofia si rivolse nuovamente a lei. 
«Allora, dimmi, se c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi sai benissimo che puoi farlo» 
La prof la fissava aspettando un suo qualunque segnale o parola. Valeryn non sapeva che dire. Per un attimo, un dannatissimo attimo che le sembrò un’eternità, pensò di spifferarle tutto. Di dire alla sua professoressa che il problema che l’affliggeva era una cosa seria, che aspettava un bambino, che la sua vita aveva assunto una piega diversa. Ma diamine era una follia, come poteva pensare una cosa del genere? 
«C’entra qualcosa... Servante?» La donna ammiccò verso la porta chiusa, alludendo a Elia, il suo ex ragazzo che stava in classe con lei. 
«Capisco che l’amore alla tua età possa influire sul rendimento scolastico, ma non bisogna affliggersi così, cara» 
Valeryn guardò bieca la professoressa che parlava con una convinzione tale da metter i brividi. Che la signora Rambaldi fosse esclusivamente certa che lei ed Elia stessero ancora insieme era evidente. 
«Io e lui non stiamo più insieme da tanto, prof» sbiascicò la ragazza, un po’ in imbarazzo, facendo ammutolire improvvisamente la donna. 
«Oh, davvero?» chiese esterrefatta, mentre Valeryn faceva un sorrisino tirato. 
«Scusami, cara, io... Beh sai, fino a l’anno scorso vi vedevo molto uniti, e credevo che... Oh ma non importa, perdona la pecca!» 
La Rambaldi rideva a mo’ di scuse. Ma in verità era Valeryn che doveva inventarsi una scusa al più presto. Perché non aveva studiato? Mh, era incinta... Troppo diretta? 
«Prof, deve scusarmi, ma sono stata poco bene. Le assicuro che recupererò il brutto voto...» 
«Lo spero, Valeryn, tu sei molto capace» disse la donna seria «Non voglio che il quattro di stamattina ti rovini la media. Capisci cosa intendo?» 
Valeryn non rispose abbandonandosi ad un capogiro. Sentiva una sensazione di vertigine tale da non riuscire a reggersi in piedi. Si aggrappò al muro barcollando, facendo allarmare la prof. 
«Stai bene, cara, che ti succede?» 
La sorresse appena in tempo, mentre quella apriva gli occhi e annuiva. 
«N-niente professoressa, tutto apposto» sussurrò mentre la donna la guardava poco convinta. 
«Sei sicura che non ci sia altro?» 
La fissò per un attimo negli occhi trattenendosi dal non urlare tutto. Era talmente complicato. Era diventato difficile sopportare quel segreto. 
La campanella salvò in extremis la sua folle idea. Fece un sospiro di sollievo, mentre i suoi compagni di classe aprivano la porta riversandosi sui corridoi. La prof se ne andò quasi subito, e Valeryn tornò dalle sue amiche con aria stanca. 
Maia le scoccò uno sguardo preoccupato. Le diede un piccolo abbraccio e le sorrise, mentre Sara e Conny si stiracchiavano la braccia. 
«Tutto bene?» le sussurrò la ricciolina. Valeryn non fece in tempo a rispondere, che una sfilza di domande la precedettero a raffica. 
«Allora che ti ha detto?» 
«Ti ha rimproverato per il voto?» 
«Non è che ti vuole lasciare la materia?» 
«Ma Conny, ancora siamo a dicembre!» 
«Zitta, Sara, tu non puoi capire. I professori lo sanno già da ora!» 
«Cosa?! Allora il mio Dan è automaticamente bocciato!» 
Valeryn si portò una mano alla testa che le scoppiava. Perché non stavano zitte quelle due? Maia se ne accorse e venne in suo aiuto. 
«Basta ragazze, fate parlare lei.» 
La castana le rivolse uno sguardo riconoscente, poi volse lo sguardo di fronte a sé osservando i suoi compagni di classe saltellare su e giù. 
«Niente, solo per il voto...» appena pronunciate tali parole, le ragazze furono investite da un vortice castano dai capelli a caschetto perfettamente lisci. Daniel batteva un pugno sul banco di Valeryn, cantando a squarciagola, con aria felice. 
«Lo sbirro è il mestiere più infame che c’è!» si rivolse alla ragazza prendendola in giro «Quando indossa la divisa è un leone» imitò un ruggito «Ma nella vita sai che uomo è... di merda!» 
Urlò l’ultima parola sghignazzando come un matto. Maia alzò gli occhi al cielo, infastidita. Daniel era contento per il brutto voto di Valeryn, quel ragazzo stava diventando veramente insopportabile. 
Sara ammonì il fidanzato con lo sguardo, Conny lo guardò schifata, mentre quello riprendeva a cantare quella stupida canzoncina nei confronti della ragazza. Tutte e tre si aspettavano una bella strigliata da parte sua, magari anche con una bella tirata dai capelli; Conny si era perfino tappata le orecchie. 
Ma fu costretta a stapparsele subito, dato che Valeryn non sembrava far cenno di reagire. Mise una mano sulla pancia, socchiudendo gli occhi. 
«M-mi viene la nausea!» 
Sara, Conny e lo stesso Daniel si guardarono stralunati. Quest’ultimo, deluso per non essere riuscito a far arrabbiare l’amica, se ne andò sconsolato. 
«Nausea?!» chiese Sara non capendo «Che vuoi dire? Dan ti fa venire il voltastomaco?» 
«Questo è certo» rispose al suo posto Maia. 
Poi la prese dalla mano e la trascinò verso la porta. Doveva portarla al più presto lontana da lì. Optò per il bagno, tanto avevano l’ora di educazione fisica, non se ne sarebbe accorto nessuno. 
Valeryn, trascinata dall’amica, si scontrò con un biondo di sua conoscenza. Elia la sorresse appena in tempo. 
«Ehi, tutto bene?» le chiese, alzando un sopracciglio «Hai una faccia!» 
«Certo che va tutto bene, Elia. Torna a giocare coi lupi!» 
«Non dicevo a te, Maia» 
«Toh scusami tanto, devo essermi confusa!» 
La riccia si dileguò senza lasciare il tempo di proferire altro. Il ragazzo guardò interrogativo la direzione in cui erano sparite le due, poi scoccò uno sguardo a Sara e Conny che alzarono le spalle, sapendone almeno quanto lui. 
 
 
 
 
 
 
«No, no, no!» Maia strappò dalle mani la sigaretta che l’altra aveva appena acceso 
«Non si fuma in gravidanza, lo sai!» 
La castana fece un sospiro, alzando gli occhi al cielo. 
«Ma ne ho bisogno!» 
La riccia sbraitò, portandosi le mani sui fianchi 
«Quando la smetterete di fumare voi tutti?! Mettevi in testa che il fumo fa male!» 
Ritornò la sigaretta all’amica, che la portò alla bocca aspirandola. Quella continuò a guardarla di traverso. 
«Questa è l’ultima che fumerai in queste condizioni, ci siamo capite?» 
«Quali condizioni?» Valeryn la guardò in cerca di risposte. Non poteva considerarla diversa solo perché aspettava un bambino... 
«Hai la nausea, Vale, può essere pericoloso!» 
Lei sbuffò con evidente irritazione. Aveva sempre odiato le raccomandazioni, non sopportava che le venisse detto ciò che doveva fare. 
«Maia, mi fa piacere che tu voglia aiutarmi» disse tentando di rimanere calma «ma so benissimo ciò che devo fare» 
L’amica rimase impalata per qualche secondo, chiedendosi se quella ragazza si fosse rincitrullita. 
«Non puoi fumare! Ricordati che adesso non ci sei solo tu, c’è un bimbo dentro te. A lui fa male!» 
Valeryn sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé appena l’amica pronunciò l’ultima frase. Forse non era ancora capace di comprendere che era incinta, forse era troppo egoista da poter pensare ad un’altra piccola vita. 
Gettò la sigaretta dentro la tazza del gabinetto. Poi sorpassò Maia, che la fissava ancora con le braccia conserte, e si sciacquò la faccia. 
«Cos’hai intenzione di fare?» chiese la moretta, dopo che si ridestò. 
«Niente. Proprio niente» 
«Tu devi dirglielo!» La riccia l’afferrò per il braccio stringendolo forte. Valeryn si voltò verso di lei perplessa. Non aveva mai usato un tono del genere nei suoi confronti 
«Vittorio deve saperlo! Deve saperlo subito!» 
«So io cos’è giusto fare per me e... lui…»  si toccò piano la pancia. 
«No! Non lo sai!» continuò Maia, determinata a farle cambiare idea «Tu stai male così. E poi hai dimenticato che è pure figlio suo? Cosa dirai poi, quando tutto questo sarà evidente?» 
Valeryn, ferita, volse gli occhi verdi sul pavimento. Odiava dare ragione alle altre persone, ma questa volta era così. Maia voleva solo aiutarla. E lei non faceva altro che aggravare la situazione, continuando a nascondere la gravidanza al mondo intero. E poi era vero che Vittorio doveva saperlo. A chi la dava a bere? Tutti si sarebbero accorti prima o poi che aspettava un bambino, pure i suoi genitori. 
La paura prendeva ogni istante il sopravvento in lei. Era questo il motivo del suo silenzio. Sospirò pesantemente. Era stanca. 
Cominciò a piangere. 
«E’ l’errore più grosso della mia vita» singhiozzò affranta. 
«No, non è vero» la mora cercò di confortarla «E’ tuo figlio, ricordi? E’ una parte di te ormai, anzi di voi. Non sarà mai un errore, perché tu lo amerai sempre» 
Valeryn si soffiò il naso poco convinta. Maia, la solita romanticona. Sua madre non avrebbe di certo pensato questo, si disse, nemmeno la mamma di Vittorio, nemmeno lui stesso. 
«Devi dirglielo. È necessario per voi» 
Non rispose. Aprì la porta del bagno uscendo per raggiungere la palestra. Maia la seguì sbattendo il capo. Eppure voleva solo darle una mano, ma era difficile se lei si comportava così, pensò sconsolata. 
 
 
 
 
 
Più tardi, in palestra, Valeryn mise di lato il libro di chimica. Non riusciva a ripassare nulla con tutto quel chiasso. Il tentativo di recuperare un buon voto in quella materia era fallito. Spostò lo sguardo su Maia che, seduta nella panca accanto a lei, guardava i loro compagni giocare a pallavolo. 
Forse aveva bisogno di sfogarsi, si disse, doveva togliersi di dosso quella sensazione di malessere. Non riusciva nemmeno a studiare, i pensieri si affollavano dentro la sua testa. Era impossibile concentrarsi. 
Continuò a guardare i compagni di classe lanciare la palla in aria, sentendo un bisogno fortissimo di liberarsi. D’altronde era abbastanza brava a pallavolo. Dove stava il problema? 
Gettando un ultimo sguardo a Maia che le faceva cenno di star andando in bagno, ne approfittò per alzarsi e giocare. Sapeva che l’amica non sarebbe stata contenta, ma raggiunse i compagni in campo lo stesso. 
Alcuni si rallegrarono a vederla entrare nella loro squadra. 
«Giochi?» le chiese Elia, passandole a palla. 
Lei annuì facendo un sorriso. 
Daniel, dall’altra parte del campo, s’imbronciò. 
«Non è giusto! È inammissibile che quella entri adesso, cavolo, così vincer... ehm, intendevo... Oh, lei non può giocare, è antipatica e isterica!» 
Il biondo lo guardò di traverso. 
«Sta’ zitto, Dan. Gioca con noi, non farti problemi» 
Fece cenno a Valeryn di schiacciare e la partita ricominciò. 
Giocare quasi attenuava il dolore, pensò, quasi si sentiva più leggera. Tentava di convincersi che in fin dei conti la sua vita era rimasta invariata, con la solita scuola, i soliti amici. Per un attimo ci riuscì pure. 
Recuperò una palla impossibile, lanciandosi perfino fuori campo per salvare un lancio di un compagno di squadra poco bravo. Elia si voltò verso di lei dandole un cinque. Stavano vincendo! La faccia di Daniel parlava chiaro: era arrabbiato nero, non poteva sopportare di essere battuto da lei. 
Incominciò a sbraitare verso Sara, che aveva mandato la palla dietro di sé. Valeryn rise. 
Rise di cuore perché trovava quelle situazioni abbastanza normali, e lei non voleva cambiare nulla. Per la durata della partita non pensò a niente, solo a schiacciare e a fare punti. 
Ogni tanto osservava Elia davanti a sé e le venivano strani pensieri in testa. Ricordava la loro storia finita da molto tempo, e si chiese come avrebbe reagito lui alla notizia della sua gravidanza. 
Elia era un tipo davvero tosto, si disse mentre lo vedeva schiacciare. Forse era per questo motivo che si era messa con lui tempo fa. Ma poi... Poi aveva scoperto lui. 
Si fermò di scatto appena il ricordo di Vittorio le riaffiorò in mente, supino. Mancò una palla facile. 
Daniel esultò con giubilo, mentre i compagni di squadra la guardavano straniti. 
«Tutto okay?» le chiese Elia avvicinandosi, mentre lei continuava a guardare di fronte a sé, senza vedere realmente. 
Annuì. 
«Scusa, mi sono distratta...» 
«Dai, rimonta, che gli spacchiamo il culo» le fece l’occhiolino e ritornò sotto rete. 
Valeryn non sentì nemmeno il fischio del prof. Continuò a viaggiare con la mente, ricordando l’estate scorsa, gli sguardi con Vittorio e il suo amore per lui. Quanto era passato? Solo un anno. Come potevano mutare le cose nell’arco di un anno? Eppure era cambiato tutto. 
Prese una palla male in bagher, ma Elia fortunatamente corse a recuperarla. Forse si stava distraendo con quei pensieri. Eppure non riusciva a smettere di pensare a Vittorio. 
Non riusciva a non amarlo, ma nello stesso tempo sentiva che il loro rapporto non sarebbe rimasto invariato. Forse stava solo delirando... Le seghe mentali erano il suo forte. 
Ma... qualcosa la turbava. Come avrebbe preso la notizia? Ma cosa più importante, lei stessa avrebbe avuto il coraggio di dirglielo prima o poi? 
Prese una palla da centrale lanciata da Daniel. Fu così forte che si fece male ai polsi. E poi guardò nuovamente davanti a sé. 
Era incinta. 
Queste due parole inondarono la sua mente. Barcollò un attimo, fino a quando tutti i rumori si spensero, tutti i colori sbiadirono e un tonfo sordo la pervase. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
«Ma sta bene?!» 
 
«Mamma mia, è crollata di colpo!» 
 
«Non sarà... morta, vero?» 
 
«Che cazzo dici, Conny?! Non senti che respira?» 
 
«Non parlate tutti in una volta!» 
 
Sentiva voci distanti, quasi irriconoscibili. Eppure sapeva di essere cosciente. 
 
«Com’è successo?!» e poi quella voce, l’unica fra tante «Si sentiva male?» 
 
«No, è svenuta mentre giocavamo» 
 
«Ma aveva qualcosa, Eli’?» 
 
Lui. Vittorio era lì... Tenne ancora gli occhi chiusi. Non gli andava di vederlo così presto. 
 
«Non credo, giocava bene. Poi d’un tratto ha incominciato a sbagliare e…» 
 
Sentì una mano posarsi sulla sua guancia. Una mano calda, che riconosceva bene. Vittorio la stava accarezzando, poteva percepire quanto era preoccupato. 
«Amore...» gli sussurrò avvicinandosi al suo orecchio «Svegliati, ti prego… Ho bisogno di te» 
Senza pensarci, aprì gli occhi di scatto, trovandosi davanti il suo ragazzo che la guardava angosciato. Appena si accorse che era sveglia l’abbracciò forte. Poi le diede un bacio sulle labbra. 
«Mi hai fatto preoccupare. Stai bene?» 
Perché lui era lì? Un attimo prima era sicura di star giocando... E poi ricordò che lui aveva l’ora dopo in palestra. Sospirò, mentre alzava lo sguardo, accorgendosi di tutti i suoi compagni che la fissavano. 
«Il prof è andato a chiamare il dottore» disse Sara entrando nello scantinato dove avevano fatto sdraiare Valeryn, seguita da Daniel. 
«Oh, si è svegliata, per fortuna!» 
Quest’ultimo fece una faccia indecifrabile, poi si gettò ai piedi di Vittorio urlando. 
«Scusami, Vitto, scusami tanto, ma non sono stato io! Non è stata colpa mia! La palla ha sbagliato traiettoria, non voleva prendere lei, mirava ad un altro... Oh, mi dispiace, scusami, scusami...» 
Piagnucolava tirando Vittorio dalla maglia. Questi gettò uno sguardo interrogativo a Valeryn che osservava la scena stordita. Non era di certo stato il tiro di Dan a metterla k.o, si disse. Non proprio. 
«E tirati su!» lo rimbeccò Elia, infastidito «Che cazzo piangi a fare? Prima la insulti, poi chiedi scusa... E cosa c’entra lui? È con lei che devi scusarti!» 
Daniel voltò lo sguardo impaurito verso Valeryn, che lo guardava con aria indifferente. S’infuriò, come suo solito. 
«Che diamine vuoi, Eli’, cosa ne sapevo io che quella lì sarebbe crollata per terra? Non conosco persone che svengono colpite da una palla!» 
«Chiedile scusa, coglione» sibilò quello. 
«Ho chiesto scusa a Vittorio, è lo stesso» rispose Daniel con aria da snob. 
Elia alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi. 
«Non solo le fai perdere i sensi, ma non sei capace di dimostrarti un amico nei suoi confronti nemmeno quando sta male?» disse arrabbiato. 
Vittorio gli fece cenno di lasciar perdere. 
«Lascia stare, non ne vale la pena» 
Il biondo alzò lo sguardo verso il suo migliore amico, accigliato. 
«Ma l’ha fatta svenire, tu gliela fai passare?» 
Valeryn, che era rimasta in silenzio, intervenne stancamente. 
«Daniel non c’entra, ve lo assicuro. Sono io che non sto bene» 
«Ecco hai visto?!» Il ragazzo con i capelli a caschetto fece una linguaccia verso il biondo, che lo fulminò con lo sguardo. 
«E allora...» Vittorio la guardò negli occhi, tentando di capire cosa le era successo 
«Si può sapere che cos'hai?» 
Valeryn non rispose. Voltò lo sguardo altrove, sentendosi in colpa. Nella più assoluta delle colpe. Perché era così dannatamente difficile? Tutti si aspettavano una risposta. Tutti. Ma non poteva dirlo. 
Oh, si sentiva così sola... Dov’era Maia? La porta dello scantinato si spalancò, e come una furia una ragazza riccia entrò abbracciandola forte, tanto da farla sdraiare sulle sedie in cui era seduta. 
«Tesoro» singhiozzava «Oh mio Dio, oh mio Dio! È colpa mia, non avrei dovuto lasciarti sola!» 
E continuò con parole del genere. Tutti si guardarono stralunati. Vittorio guardò Elia interrogativo, quello fece lo stesso. Perché Maia reagiva in quel modo? Cosa stava succedendo? 
La ragazza, dal suo canto, con ancora le lacrime agli occhi, prese Valeryn dalle guance. 
«Mi prometti che glielo dirai? Promettimelo» le sussurrò. 
La scosse un poco, e lei guardò di fronte a sé. Come faceva a dirglielo? Era dannatamente complicato... 
«Sì» soffiò solamente, mentre Maia continuava. 
«Lo farai subito, vero?» 
Valeryn non rispose, continuando a guardare davanti a sé. I suoi occhi smeraldini si incontrarono con quelli grigi di Vittorio. E i due si guardarono per dei secondi che sembrarono un’eternità, nei quali tutta la loro vita sembrava passarle davanti. 
Gliel’avrebbe detto presto. 
 

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Capitolo 3
*** La notizia ***


 

Valeryn si sistemò un’ultima volta i capelli ondulati specchiandosi critica. 
Era leggermente più pallida rispetto alle scorse settimane, non toccava cibo per via della nausea e sentiva piccoli dolori al seno che le creavano disturbo. Sospirò, guardandosi la pancia ancora piatta. Chissà come sarebbe ingrossata nell’arco di tre mesi a quella parte... Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, continuando ad esaminarsi. Era la stessa ragazza di sempre, sempre molto carina, sempre con i capelli castani, sempre con gli stessi occhi verdi. Eppure quella gravidanza la stava cambiando interiormente; stava cambiando il suo modo di pensare, di agire, perfino di reagire. Non riusciva nemmeno a rispondere alle critiche di Daniel, non riusciva nemmeno a zittire chi la contraddiceva. Queste cose non erano da lei. 
La sua aggressività, la sua impulsività... entrambe stavano scomparendo cedendo il posto ad una tristezza cronica. Forse la gravidanza la stava facendo riflettere sulla sua vita, sui suoi errori e forse la stava facendo un po’ crescere, ed aveva talmente tanta paura di crescere, di ritrovarsi con un bimbo in braccio, di finire il liceo e scegliere l’università, metter su famiglia, casa, trovarsi un lavoro... No, non voleva crescere così presto, si disse. Aveva ancora diciassette anni e non si sentiva pronta ad affrontare il mondo degli adulti. 
Eppure avrebbe dovuto farlo. Avrebbe dovuto dire addio a feste, compagnia, fumo, discoteca... Avrebbe dovuto occuparsi del suo bambino. 
I suoi pensieri malinconici andarono a Vittorio, mentre con una mano si asciugava una lacrima appena scesa lungo la guancia. 
Perché avevano sbagliato? Soprattutto, dove avevano sbagliato? La sua mente vagò fino a quel supposto giorno di fine novembre. Loro, lì da soli a casa sua, decisamente desiderosi, a fare l’amore un po’ dovunque, un po’ a caso, senza pensare a cosa avrebbero potuto scatenare. Quasi si vergognò ricordando. Forse erano stati incoscienti, o forse doveva capitare. Forse era destino. Sì, forse era il destino crudele a non volerli felici insieme. 
Pensò immediatamente che un bambino inaspettato non avrebbe rovinato la loro felicità, il loro amore... Ma si ricredette subito, rassegnata, con malincuore. 
Suo padre la chiamò destandola dai suoi pensieri. Lei tornò con i piedi per terra voltandosi in sua direzione. 
«Quanto sei bella, figliola! Sei tutta tua madre» 
Valeryn fece mezzo sorriso. Per quanto volesse riuscire ad apprezzar quel complimento, non ci riusciva. Suo padre le rubò lo specchio, si aggiustò i pochi capelli che aveva e sorrise. 
«Siamo pronti?» batté le mani 
«Mena ci aspetta, peraltro mi ha anticipato degli involtini gratinati con le patatine di contorno! Ci senti, Rosa? Le patatine di contorno 
«Sì, Piero, non c’è bisogno che urli. Sono quasi pronta» 
Rosa, la madre di Valeryn, uscì dalla camera da letto tentando di infilarsi una scarpa. 
Valeryn osservò tutti e due i genitori impegnati ad agghindarsi come si deve. Tra non molto sarebbero andati a pranzare a casa di Vittorio. Sospirò. 
Non che l’idea non le piacesse, ma non si sentiva ancora pronta ad affrontarlo, non si sentiva pronta a dirgli la verità. Eppure avrebbe dovuto farlo, lo aveva promesso a Maia, lo aveva promesso a sé stessa. Era passato molto tempo e ancora né lui, né i suoi, né il gruppo ne era a conoscenza. Si tastò la pancia, ed ebbe quasi voglia di urlare tutto a sua madre e suo padre. 
Per fortuna ebbe la decenza di trattenersi, prima che un conato di vomito la sorprendesse. Portò una mano alla bocca bloccandolo. 
«Apposto, Vale? Ti sei fatta bella per Vittorio?» 
Sua madre la squadrò con un ghigno malizioso, poi prese la borsa alla sua destra, pronta per uscire di casa. Piero fece uno sguardo di disapprovazione. 
Valeryn pensò che suo padre non aveva ancora preso bene la sua relazione e chissà come avrebbe reagito alla notizia della sua gravidanza. Fu scossa da un vortice di paura che durò qualche secondo, dato che fu troppo impegnata a scendere le scale di casa sua per raggiungere l’auto blu scuro parcheggiata lì davanti. 
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
Per tutto il tragitto, la ragazza si accarezzò la pancia guardando fuori dal finestrino, salutando alcuni conoscenti come Andy, un tipo di colore simpatico e fessacchiotto, e Clarissa, una sua compagna di classe per la quale non aveva mai nutrito una gran simpatia. 
Piero prese una curva e poi un’altra ancora. La casa di Vittorio era vicina a quella di sua nonna, conosceva bene quella zona. Parcheggiarono e si avviarono. 
Appena scesero le scale e suonarono il campanello, Valeryn si sentì in difficoltà come non mai. 
Non voleva vederli. Non voleva vederlo. Ma che diamine stava dicendo, lei doveva vederlo... 
«Ciao a voi! Prego, accomodatevi» 
Mena aveva aperto la porta accogliendoli con un sorriso da qua a là fuori. Diede una pacca sulla schiena di suo cugino Piero, il quale fece una smorfietta di dolore facendo un salto per avanti. La guardò torva. 
Sorrise a Rosa e Valeryn, e si rivolse a quest’ultima facendo per toglierle la giacca. 
«Vale cara, non indovinerai mai chi sta sistemando in cucina!» 
La castana fece spallucce, anche se in realtà aveva capito benissimo. 
«Ho detto a Vitto di apparecchiare, altrimenti sarà servito lui per pranzo al posto degli involtini. Capito, Piero? E c’è anche il contorno di patate!» 
Mena si rivolse al cugino che aveva l’acquolina in bocca. Rosa tirò una gomitata al marito per incitarlo a destarsi. Mena rise e accompagnò i tre in salotto, dove i suoi figli, la nonna Antonia e zia Giolis stavano seduti sul divano. 
Valeryn sorrise a tutti, e gli altri dal loro canto la salutarono calorosamente. Giolis si alzò per baciarla, ma quasi inciampò sopra il tappetto. 
«Mannaggia a questo coso peloso!» 
«Se ti sente mamma ti uccide» 
Ross, a gambe divaricate davanti alla tv, fece un ghigno, intento a seguire le partite. 
Valeryn guardò tutti con aria un po’ sofferente. Ci sarebbe stato molto caos come in tutti i pranzi tra parenti. Lei non stava bene e non aveva voglia di sentire niente. 
Natalie sbucò da una stanza con accanto Nicole, la fidanzata di Ross, che teneva in braccio una creaturina di circa un mese. 
Valeryn fu subito catturata da loro. Le salutò entrambe, dopo spostò nuovamente lo sguardo sul piccolino. Nicole lo portava dal padre, che adesso lo cullava tra le braccia amorevolmente. Era strano vedere Ross in quella situazione, ma in quel momento sembrava veramente un'altra persona. Lo vedeva dal modo in cui abbracciava suo figlio. Anche lei sarebbe diventata così, tra nove mesi a quella parte? Anche lei avrebbe dovuto stringere a sé un neonato così piccino, avendo perfino paura di fargli male? Anche Vittorio avrebbe dovuto fare il padre? 
Sentì un capogiro pervaderla e si abbandonò sopra una sedia. Strani pensieri le affollavano la mente, il piccolino aveva incominciato a piangere e Nicole intimava al compagno di zittirlo, mentre lei preparava il latte. 
Gli altri parlavano tra loro, sua madre era in cucina ad aiutare Mena e Ross non era in grado di farlo stare zitto. 
«Su, amore di papà, su, non piangere» gli sussurrava. 
Il bambino continuava a frignare e Ross stava perdendo la calma. Si muoveva avanti e indietro, lo dondolava, ma niente. Possibile che nessuno veniva in suo aiuto? Nessuno se ne accorgeva? 
Valeryn faceva finta di niente, ma il pianto del bimbo le penetrava il cuore, le faceva pensare che in fondo lei era molto vicina a quella realtà. 
«Porco cane, possibile che questo moccioso pianga sempre?!» sbottò Ross, in preda al panico 
«Ma che ha da piangere così tanto, io non capisco!» 
Valeryn rise e decise di avvicinarsi al cugino. Allargò le braccia, e il ragazzo, non sapendo che fare, porse il figlio a lei. Appena il piccolino fu tra le braccia della ragazza, aprì gli occhietti pieni di lacrime e la guardò. La ragazza sorrise amorevolmente e lo dondolò avanti in dietro. Le veniva così spontaneo fare in quel modo, che Ross si meravigliò di lei, che era sempre stata una persona suscettibile e impaziente. 
«Tranquillo, Claudio» gli bisbigliava, come rassicurandolo 
«Adesso la mamma ti porta da mangiare» 
Si sentiva come chiusa in una bolla. Lei e il bambino, soli, lontani da tutto quel chiasso. Era davvero così bello cullare un piccino tra le braccia? 
Si sentiva strana, come se il figlio di Ross fosse suo figlio, e lei si ritrovava di colpo a fare da madre, a cullarlo, coccolarlo, baciarlo. 
Nel frattempo, Vittorio era entrato in salotto per salutarla. Rimase perplesso appena la vide stringere a sé quel fagottino con così tanto amore. Sempre più stupito, interrogò Ross con gli occhi che alzò le spalle. 
Valeryn sembrava proprio strana. Non era da lei comportarsi in quel modo. 
La ragazza si voltò in direzione di lui, e si fermò presa alla sprovvista, interrompendo quel momento magico. Vittorio le sorrise, e lei abbassò lo sguardo quasi sentendosi in colpa. Poi porse nuovamente il figlio a Ross, che aveva ricominciato a piangere. Fortuna che Nicole era appena arrivata a penderlo. 
Quasi sollevata per il piccolo Claudio, Valeryn si voltò verso il fidanzato che ancora la fissava. Si sentì un po’ in imbarazzo. 
«Non sapevo ti piacessero i bambini» le disse, mentre lei si mordeva il labbro. 
«Giusto un po’, sì» rispose tentando di mostrarsi vaga, per non destar alcun sospetto. 
Lui l’avvicinò a sé mettendole una mano sui fianchi. Valeryn sentiva il respiro mozzarle in gola, il cuore le batteva forte. 
«Sembravi sua madre» 
Vittorio sogghignò, poi le scoccò un bacio. Lei rimase senza parole, ricacciò la sua mano da sopra la guancia, mentre lui la guardava interrogativo. 
«C’è qualcosa che non va?» 
«Io... Ho da dirti una cosa» sussurrò, evitando di guardarlo negli occhi. 
«Devo preoccuparmi?» le chiese lui, prendendole il mento e costringendola a voltarsi. 
Lei non rispose, ma la sua testa continuava a ripetere continui “sì”. Si sentì un pesce fuor d’acqua per qualche secondo e volle scomparire da quel salotto. Vittorio l’osservò ancora, preoccupato. 
Vennero però interrotti dalla voce di Natalie che li invitava a sedersi a tavola. Il ragazzo scosse lievemente la testa, e prese la mano della sua fidanzata, entrando in cucina. 
  
  
  
  
  
  
  
  
Giolis aveva appena rovesciato un bicchiere pieno d’acqua sul tavolo non appena Valeryn sentì un forte capogiro e fu costretta a tenersi il capo. Fortuna che in tutto quel caos non se ne accorse nessuno. Aveva mangiato come un maiale, si era ingozzata di cibarie che in tutta la sua vita non aveva nemmeno sfiorato. 
Rosa, sua madre, la guardava stupita, chiedendosi da dove le uscisse tutta quella fame improvvisa soprattutto per piatti che disdegnava. 
«Poi mi spiegherai che cos’hai in testa, signorina» le disse 
«Sembri appena uscita fuori da prigione!» 
Lei fece cenno di lasciar perdere e si concentrò nuovamente sul cibo. Vittorio l’osservò interrogativo per dei secondi, il tempo necessario prima che la vocina del piccolo Claudio facesse capolino dalla stanza da letto. 
«Ecco che si è svegliato!» esclamò Nicole, un po’ sofferente. Poi si rivolse al fidanzato 
«Amore, perché non te la vedi tu?» 
Ross alzò un sopracciglio scettico da sopra il piatto di funghi ripieni. 
«Vorrai scherzare? Occupati tu del moccioso!» 
«Ma, Ross, sto mangiando! Dai, per favore!» continuò la ragazza con un’aria davvero stanca e provata. 
«Non se ne parla. Quello lì piange sempre, è urtante!» sbottò l’altro, passandosi una mano sugli occhi gonfi dal sonno. 
Claudio non faceva altro che mangiare e dormire tutto il giorno, era la notte che si svegliava e faceva i capricci non permettendo loro di riposare. 
Ross e Nicole come genitori avevano ancora tanto da imparare ed era dura dividersi i compiti. 
Vittorio lo guardò torvo, mentre questi continuava ad ingozzarsi. 
«E’ tuo figlio, idiota!» lo redarguì. 
«Beh, è urtante lo stesso» 
Ross bevve un sorso di vino, poi incontrò lo sguardo esasperato di sua madre, quello minaccioso di Natalie e con uno sbuffo si alzò dalla sedia. 
«E va bene, ma solo perché il moccioso è tutto suo padre» acconsentì infine. 
Detto questo, Nicole fece una faccia soddisfatta e Giolis scoppiò a ridere, come suo solito. 
Valeryn finì con i funghi e bevve un po’ di vino. Suo padre la fulminò con lo sguardo, ma lei lo ignorò. Non era niente per lei un goccetto di vino, aveva provato di peggio. Penso agli alcolici più schifosi che aveva bevuto con i suoi amici e quasi le scappò un risolino. 
Mena e Rosa avevano intrapreso un discorso riguardante la scuola e i compiti. Vittorio sbuffò pesantemente, facendo cenno a sua madre di piantarla, ma lei lo guardò bieca, e continuò a conversare con l’altra. Decise allora di alzarsi da tavola e dileguarsi, catturando l’attenzione della sua ragazza. Valeryn lo guardò e lui le fece segno di seguirlo. 
Lei si guardò intorno spaesata. Non sapeva che fare, non sapeva se doveva seguirlo. Ma come? Lei doveva parlare con lui, doveva dirgli tutto. 
D’un tratto si sentì impaurita. 
Non voleva alzarsi. Non voleva affrontarlo. 
Alzò nuovamente lo sguardo, e lo vide ancora lì, sulla soglia della porta del salotto ad aspettarla. Sempre bello, con i suoi capelli castani e i suoi occhi grigi. 
Lui era lì per lei, si disse, lui voleva stare con lei. E lei doveva dirglielo, lo aveva promesso, era il momento giusto. Si alzò e lo seguì con il cuore che martellava in petto. 
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
  
Arrivarono in camera del ragazzo e si chiusero la porta alle spalle. Valeryn gettò uno sguardo alla veranda di fronte a sé, leggermente inquieta. Vittorio si lasciò cadere sul letto, aspettando che anche lei facesse lo stesso, ma la ragazza rimase in piedi. Il castano continuò a fissarla interrogativo. 
Perché Valeryn era strana? Perché da un paio di giorni a quella parte, era diventata come un’altra persona? Silenziosa, triste... Cosa le stava succedendo? E poi lo svenimento dell’altro giorno... 
Il ragazzo sospirò e si mise a sedere. La guardò per un lungo istante. 
«Amore, che hai?» chiese, e Valeryn sentì che era preoccupato 
«Sei strana. Cos’è successo?» 
Ecco, si disse lei. Cosa diamine doveva rispondere ad una domanda del genere? Continuare a far finta di niente, o dire tutta la verità? 
Si limitò a scuotere la testa e a tenere lo sguardo basso. Non era difficile, cercò di incoraggiarsi, doveva solo prendere aria e dirlo tutto ad un fiato. 
  
  
  
Sono incinta. 
  
  
  
Sbuffò pesantemente, sentendo gli occhi verdi inumidirsi tutt’ad un tratto. Se li sfregò con una mano e Vittorio la tirò da un braccio facendola sedere accanto a lui. Poi la circondò con un abbraccio. 
«Mi dici che hai?» chiese nuovamente, dandole un bacio sulla guancia. 
Valeryn si sentiva paralizzata. Cominciò a toccarsi i capelli, come faceva quando era nervosa. Il ragazzo sapeva che quando si attorcigliava una ciocca tra le dita c’era qualcosa che non andava. Ma non riusciva a capire cosa... 
«Vale, non voglio obbligarti a parlare, okay?» disse un po’ esasperato 
«Però se ti comporti così mi metti in difficoltà. Ripeto, c’è qualcosa che non va 
Vittorio si era stancato del suo silenzio, era evidente. Lei si sentì un mostro in quel momento. Era una sciocca a non riuscire a dire la verità al suo ragazzo. Loro si dicevano tutto, si capivano... Non doveva aver timore di niente, si disse. Ma se poi lui avrebbe reagito male? Magari l’avrebbe lasciata, magari non voleva prendersi una responsabilità troppo grande... 
«Sto aspettando, Valeryn, ti avverto che mi sono seccato!» esclamò il ragazzo con una nota di irritazione nella voce. 
Valeryn sentì una lacrima scendere, l’asciugò senza farsi vedere e disse di no. 
Vittorio la guardò non convinto. Se non aveva niente perché stava in quel modo? 
«Non prendermi in giro. L’ho capito che è successo qualcosa, ma non capisco perché non vuoi dirmelo» 
La ragazza ebbe uno scatto istintivo a quelle parole, lo circondò con un abbraccio e poggiò la testa nell’incavo del suo collo. 
«No, io... Scusa, scusa...» biascicò. 
Vittorio era perplesso quanto stupito. Non riusciva a capirla, gli veniva difficile in quel dannato momento. 
Stette in silenzio accarezzandole i capelli. Non sapeva che dire. Vedeva la sua ragazza disperata e non riusciva ad immaginare il motivo. E poi lei che si scusava... perché lo faceva? Aveva fatto qualcosa di grave allora? Ma certo, c’era qualcosa di grave. Aveva combinato un guaio forse, e non sapeva come dirglielo... 
Subito i suoi pensieri volarono verso Elia. Non sapeva perché. La loro storia era finita da un anno a quella parte, era il suo migliore amico... Ma era tipico suo pensare al peggio. D’altronde, Valeryn era andata con lui quando stava ancora con il biondo, quindi... Okay, era impossibile. 
«Amore, se c’è qualcosa che devi dirmi, dimmela» fece «Io sono qua per ascoltarti» 
Valeryn negò con la testa, ancora stretta a lui. 
«Sei sicura che non ci sia niente?» 
La ragazza esitò un attimo. Si diede della stupida, della cogliona, dell’idiota e quant’altro. Perché non glielo diceva? Perché non riusciva a dirglielo? 
Vittorio, nel frattempo, l’allontanò leggermente da sé per guardarla negli occhi. Poi si avvicinò alle sue labbra e la baciò. Approfondirono il bacio sdraiandosi sul letto, Si mise sopra di lei. Non riusciva a farla parlare, ma forse sarebbe riuscito a tirarla un po’ su. Le baciò il collo, facendole il solletico con la lingua. Valeryn si lasciò scappare un risolino. Le veniva sempre da ridere quando faceva in quel modo. 
Il ragazzo rise con lei abbracciandola e passandole una mano sotto la maglietta. Arrivò al suo seno e la ragazza divenne all’improvviso rigida. Non voleva mica fare l’amore in quello stato, si disse. Non poteva e non ce la faceva. Si alzò, Vittorio la guardò quasi male. 
«Non posso, scusami» si sistemò la maglietta. Lui spalancò gli occhi grigi. Poteva leggergli in faccia lo stupore. 
«Spiegami cosa cavolo significa, Valeryn, non capisco più un cazzo!» sbottò arrabbiato. 
«Hai qualcosa e non vuoi dirmi cosa, mi tratti in questo modo... Ma che cosa cazzo è successo?!» 
La ragazza fece una faccia quasi impaurita. 
Vittorio di certo non mancava di essere impulsivo o autoritario, ma con lei era sempre gentile, a parte quando faceva l’arrogante o l’idiota. E in quel momento stava, per l’appunto, facendo l’idiota. 
«Io... non so se...» 
«Cosa?» 
«E’... è difficile, io non so... non so come dirtelo» 
«Dillo come vuoi, Valeryn. Lo sai che odio aspettare» 
Il ragazzo fece una smorfia infastidita e la ragazza prese un respiro profondo. Il cuore le martellava in petto, la paura l’assaliva nuovamente. 
Doveva dirglielo, era il momento. 
Si schiarì la voce indugiando alcuni secondi. Sentiva la gola asciutta. 
«Io ho... Insomma, è successa una cosa che è difficile da spiegare» vide la sua faccia esasperata e abbassò lo sguardo, poi si tastò la pancia e deglutì a fatica. 
«A-adesso cambierà tutto... D-dopo quello che sto per dirti non sarà più lo stesso» 
La ragazza continuava a toccarsi all’altezza della pancia, in ovvia difficoltà. 
Vittorio la guardava senza capire. Cosa voleva dirgli? Forse stava male? 
«Ho paura che questo ci r-renderà infelici...» 
E perché balbettava? Non era da lei, si disse il ragazzo basito e preoccupato allo stesso tempo. 
«F-forse r-rovinerà la nostra storia, e io... i-io non voglio!» 
Il castano era confuso. Aveva mai avuto dubbi su di lei? No, non gli risultava. Ma... ma forse lei stava cercando di dirgli che aveva fatto male a non averne. 
Nella sua testa vorticarono un sacco di conclusioni affrettate. Non voleva pensare al peggio, che magari c’era qualcun altro... Non avrebbe potuto sopportarlo, dato che l’amava. Eppure lei sembrava così a disagio, quasi fosse pentita di qualcosa. 
Subito la sua mente volò verso una persona, fu più forte di lui, fu inevitabile per ragioni pregresse. Aveva a cuore non solo la loro amicizia, ma anche lui, in un senso che era difficile da spiegare. 
«Dimmi una cosa» prese la parola, passandosi una mano sul viso 
«Elia? Dimmi che lui non c’entra niente, ti prego» 
Valeryn scrollò le spalle, negando con la testa. Quasi le venne da ridere. Aveva pensato subito al suo amico, aveva pensato che lo aveva tradito con il suo amico perché in passato era successo al contrario, ma lei non l’avrebbe mai fatto. Lei lo amava. E siccome lo amava, doveva dirglielo senza tante storie. 
Inspirò pesantemente, mentre Vittorio attendeva una risposta trattenendo quasi il fiato. 
«No, Vitto» rispose dolcemente. 
Lui tirò un sospiro di sollievo. 
«La cosa che devo dirti sta tutta qua» 
Si tastò nuovamente la pancia. Lui parve confuso, molto confuso. Lei gli prese la mano e la poggiò sopra il suo grembo. Vittorio fu scosso da un brivido, e pian piano cominciò a capire. 
«Qui, dentro di me. Io... Io sono incinta» sputò quelle parole come la sua più eterna liberazione.  
Chiuse gli occhi per alcuni secondi, assaporandosi l’effetto di quel segreto appena svelato. Poi li riaprì e vide Vittorio che la guardava. Aveva leggermente spalancato la bocca, poteva leggergli negli occhi grigi lo stupore, quasi il timore di quella notizia troppo grande. 
Il ragazzo deglutì, scosso, senza parole, quasi ebbe l’idea che fosse tutto uno scherzo e lei lo stesse prendendo in giro. Poi la guardò negli occhi smeraldini e sentì un brivido su per la schiena, capì che non stava affatto mentendo. 
«M-ma... ma da quando?» riuscì solo a chiedere. 
«Qualche settimana» 
«E... e perché me lo stai dicendo solo adesso?» 
Si sentiva come dentro un fuoco. Aveva caldo, un insopportabile caldo, inspiegabile per il mese di dicembre. Era come se fosse alienato in quel momento, sembrava come se avesse perso il focus di quello che doveva dire o fare. 
Valeryn se ne rese conto e sentì subito le lacrime agli occhi. Lo sapeva che sarebbe andata così. 
«Io non... Scusa se non te l’ho detto ma non ci riuscivo! Avevo paura, amore, avevo paura» incominciò a piangere. 
Il ragazzo la guardò senza saper che dire. Non riusciva in alcun modo ad assimilare la notizia, cercava di capire e farsene una ragione, ma era difficile, era come in uno stato di shock temporaneo. 
«Non mi veniva il ciclo da due settimane, ero così preoccupata! Io e Maia abbiamo comprato il test e io... io ho sperato che fosse negativo, ma... ma non lo era! Era rosso, rosso!» incominciò a singhiozzare coprendosi il volto con le mani. 
Vittorio socchiuse gli occhi, udendo i suoi gemiti rimbombare dentro la sua testa insieme ad una serie di domande. 
Com’era potuto accadere? 
Cosa sarebbe successo adesso? 
Si passò una mano sul viso, sospirando, e poi guardò la sua ragazza. Era incredulo, stupito... non sapeva cosa dirle, aveva paura di sbagliare ancora solo ad emettere un suono e farla sentire peggio. 
Le prese solo una mano. 
«Non piangere» le disse piano per incoraggiarla 
«Io sono qui, non me ne vado» 
Valeryn si accostò al suo petto, lui la circondò con un abbraccio poggiando il mento sopra la sua testa. 
«Scusami... scusami se non te l’ho detto, sono una stupida» 
Vittorio le accarezzò i capelli quasi in automatico. 
«Va tutto bene, amore. Noi ce la caveremo, come... come abbiamo sempre fatto. Stai... stai tranquilla» le sussurrò dolcemente. 
Eppure Vittorio doveva ancora tranquillizzare sé stesso. Non riusciva a capire. Non comprendeva dove avevano sbagliato, com’era successo... Non si aspettava mai e poi mai quello. Valeryn, era palese che stava male, ma che fosse incinta... non riusciva a capacitarsene. Eppure era vero, lei non stava scherzando, lei stava piangendo... Non voleva che piangesse, lo distruggeva. Voleva solo vederla sorridere, voleva solo che fosse felice. Ed un bambino... un bambino alla loro età era troppo, si disse. Era troppo presto, erano troppo piccoli... Ma era lei ciò che contava in quel momento, voleva solo che stesse bene, ci avrebbero pensato dopo, dopo. 
L’abbracciò forte, le baciò i capelli e non la mollò. La ragazza si lasciò cullare amorevolmente dal suo abbraccio e non pianse più. 

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Capitolo 4
*** Reazioni ***







Vittorio pigiò il tasto rosso terminando la chiamata, dopodiché posò il telefono sul comodino. Si sedette sul letto e attese, sospirando.
 
Come poteva ritrovarsi in quella situazione?, si disse. Un attimo prima era senza pensieri, un attimo dopo Valeryn gli diceva che era incinta. Diamine, era successo troppo in fretta la sera prima, ancora era scosso, gli sembrava quasi uno scherzo. Ma non lo era, la sua ragazza non poteva prenderlo in giro su una cosa del genere. E poi l’aveva vista: aveva notato come stava, che non riusciva a dirglielo, che aveva paura... Pure lui ne aveva, tanta. In fin dei conti a diciotto anni era ancora troppo presto. Avevano sbagliato. 
Lui aveva sbagliato. 
Sbuffò pesantemente, sbattendo la testa. E adesso come lo avrebbero detto ai loro genitori? Già immaginava sua madre strepitare contro di lui, non gli avrebbe nemmeno dato il tempo di parlare che avrebbe avuto una crisi isterica, per non parlare del padre di Valeryn... 
Si portò una mano sul viso, disperato, pensando che non ne sarebbero usciti vivi. 
Era una brutta faccenda, si disse, ma non poteva tirarsi indietro. Lui era innamorato davvero di Valeryn. Non si sarebbe allontanato da lei, non voleva, lo voleva tenere il bambino. Per questo avevano deciso di dire tutto al più presto alle loro famiglie nonostante le loro reazioni erano semplici da intuire, per questo parlava al telefono con lei prima. Gliel’avrebbero detto insieme perché era giusto assumersi le proprie responsabilità. 
Vittorio sbuffò sentendosi inerme. 
Credeva di essere stato sempre attento. Non era un idiota, non rischiava su quelle cose... Eppure lo aveva fatto. Era stato imprudente. 
Aveva solo diciott’anni... 
Qualcuno bussò alla porta semiaperta. Lui si accorse che era suo fratello. Gli fece cenno d’entrare e il maggiore si sedette sul letto, vicino a lui. Lo guardò come aspettandosi qualcosa. 
«Allora pivello, che diamine hai combinato?» Ross cercava di capire il motivo di quella riunione familiare che ci sarebbe stata da lì a poco. 
Era talmente curioso che aveva deciso di non tornare nemmeno a casa sua, sentiva che c’era qualcosa di importante se avevano chiamato a raccolta i loro vecchi. 
Vittorio scosse la testa. 
«Lo saprai tra poco, è inutile che te lo dico» provò a liquidarlo. 
«Invece sì, perché sono il tuo fratellone e mi adori» 
Quello gli menò un piccolo pugno sulla spalla, poi sorrise. Vittorio fece altrettanto, ancora pensieroso. 
«Non so come la prenderai» sospirò. 
«Beh, l’unico modo per scoprirlo è dirmelo, non credi pivellino?» 
Lui lo guardò sorridere ancora e sospirò. Non c’era niente di male se suo fratello veniva a saperlo prima degli altri. Con lui aveva un rapporto speciale. 
Poteva fidarsi, anche se era un po’ indiscreto come persona lo aveva sempre aiutato, poteva considerarlo un amico. 
«Valeryn... lei...» si bloccò. Adesso capiva la paura della sua ragazza a dirglielo. Si sentiva in difficoltà. Ross, però, lo incitava a continuare. 
«Dai, Vitto, un respiro» lo prese in giro «Non è che vi volete fidanzare ufficialmente? No, perché sai, ancora, alla vostra età...» 
Lui scosse la testa con un sorrisino debole. Magari fosse solo quello... 
«No, Ross, non è questo» fece «Riguarda un’altra cosa che è troppo difficile da dire... Non so proprio come dirtelo... E’... è un casino!» 
Ross osservò il suo fratellino balbettare. Poi ricordò l’ultima volta che lui stesso aveva balbettato. 
Esattamente un anno fa. In quella stessa stanza. La mattina del diciottesimo compleanno di Vittorio. 
Non seppe nemmeno perché gli sfiorò in testa quel pensiero, seppe solo che sentì una strana sensazione. 
Fu come un lampo di genio che gli fece subito collegare i puntini all’improvviso senza il bisogno di sentire altro. 
«Oh, cazzo, Vitto, non dirmelo!» saltò all’impiedi stupito e nello stesso tempo allarmato. 
«Voi... Lei... Valeryn? E’... incinta, per caso?» 
Vittorio non disse niente per un paio di secondi interminabili. Poi annuì abbassando lo sguardo. Ci aveva azzeccato, come sempre. 
Ross era oltremodo incredulo. Si batté una mano sulla testa ancora incapace di crederci seriamente. 
Lo aveva detto che era un sensitivo, sua madre gli diceva di smetterla di raccontare fandonie, ma la verità era che il suo intuito era come quello di un cane. 
Scossa la testa con un’espressione da ebete, appellandosi comunque alla vaga speranza che non fosse vero. 
«Oh, beh, dimmi che non sei tu il padre, dimmi che ti ha messo le corna!» 
Vittorio scosse la testa e poi alzò gli occhi al cielo. 
«Sono io, Ross, chi cavolo dovrebbe essere sennò?» 
Il fratello lo guardò confuso con gli occhi sbarrati. Cominciò a camminare nervoso per la stanza, cercando di capirci meglio. 
Non era possibile, si disse, insomma erano ancora dei ragazzini. Oddio, sapeva che scopavano ogni tanto, ma c’erano un sacco di precauzioni! 
Perché era successo?, si chiese scioccato. Un conto erano lui e Nicole l’anno prima, prossimi al matrimonio, un conto dei ragazzi di diciott’anni che giocavano a fare gli adulti. Si voltò verso Vittorio, scuotendo la testa. 
Voleva fargli una bella ramanzina, di quelle che si sarebbe ricordato per tutta la vita. Aveva voglia di urlargli contro che era stato un idiota, un incosciente, che avere un bambino non era come avere una macchina. Beh, forse lui non era la persona più indicata a dirgli una cosa del genere, insomma lui era quello che aveva lasciato la sua ragazza appena aveva saputo che era incinta… 
Lo assalì un lampo di genio improvviso, si avvicinò al fratello, che lo guardava interrogativo, e lo scosse per le spalle. 
«Solo una cosa, pivello» disse guardandolo gravemente, d’altronde era il maggiore, e anche se quel coglioncello combinava guai gli voleva bene lo stesso. 
«Non la lasciare, non scappare via a gambe levate» 
Il castano si passò una mano tra i capelli, nervoso, poi annuì. 
«Non avevo intenzione di farlo» 
Ross sospirò poi scosse la testa, passandosi una mano sul volto sconsolato. 
Meno male che non era del tutto rincitrullito, allora. Insomma, era già una cosa. Non che gli facesse piacere constatare che quel ragazzino fosse più maturo di lui che aveva quasi ventisette anni... 
«Dio, perché in questa famiglia combiniamo tutti danni a catena, perché, perché?!» 
La sua voce fu interrotta dal suono del campanello di sotto, che fece aumentare i battiti del cuore di Vittorio. Guardò il fratello quasi supplicandolo di aiutarlo, quello, ancora sconvolto, alzò gli occhi al cielo, poi lo afferrò dal braccio mettendolo in piedi. 
«Non ci sarà sempre Ross il maggiore che ti tirerà fuori dai pasticci, pivello» gli disse guardandolo negli occhi grigi, seriamente angosciati. 
«Non so che dire... Non so come fare» mormorava quello, completamente in panico. 
Il fratello negò con la testa, posandogli una mano sulla spalla per infondergli un po’ di coraggio. 
«Ormai è fatta, scendi di sotto e dillo a tutti» poi, osservando Vittorio mordicchiarsi il labbro con la testa abbassata e gli occhi lucidi, ironizzò: 
«Sono sicuro che a nonna Mena farà piacere un altro nipotino» 
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lui non potendo trattenere un sorrisino. Pensò a sua madre e alla sua reazione. Sembrò quasi di sentire le sue urla rimbombare per tutto l’appartamento. Ricacciò quel pensiero, mentre Ross lo trascinava verso la porta della sua stanza. 
«Coraggio, minimo ti lancia dalla finestra o ti caccia di casa» 
Vittorio a quelle parole si voltò facendo per aprire bocca, ma Ross lo incitò nuovamente a muoversi. Il castano sbuffò, scendendo le scale con il cuore che martellava al petto. 
Come avrebbe detto? Non ne aveva il coraggio. 
Non aveva il fottuto coraggio. 
Voleva scappare via ma ormai era troppo tardi. 
Ross, rimasto in stanza, unì le mani in preghiera volgendole verso il cielo, chiedendosi perché Vittorio delle volte doveva perdersi in un bicchiere d’acqua. 
  
  
  
  
  
  
Scese le scale con estrema lentezza, voleva rimandare quel momento il più tardi possibile, ma arrivato nel salotto dovette fermarsi. Il cuore gli batteva ancora forte, vide Rosa e Piero parlare con sua madre. Ebbe male allo stomaco all’improvviso. 
Poi scorse lei in disparte, con lo sguardo triste, bella come sempre. Aveva voglia di baciarla e dirle che era stato tutto un brutto sogno. 
Valeryn alzò lo sguardo e lo vide. Lui le si avvicinò guardandola negli occhi verdi, senza sapere bene cosa fare. La ragazza scosse la testa facendo cenno verso i genitori che parlavano tra di loro allegri, senza interrogarli un minimo. Il castano le strinse la mano, mentre lei guardava le loro dita intrecciarsi e per un attimo tutto quello le sembrò così sbagliato. 
Così talmente sbagliato, distruttivo. 
Finalmente Mena si voltò verso di loro con in volto un sorriso a trenta denti. Fece cenno a Piero e Rosa di accomodarsi sul divano, e volse lo sguardo verso suo figlio. Valeryn cacciò la mano da quella sua come se ne fosse scottata. Si sentiva impietrita e spaventata, avrebbe voluto essere dovunque men che lì. 
«Allora, tesori, cosa volevate dirci di così bello?» trillò la donna entusiasta, come se ciò che si aspettasse fosse un buon voto a scuola. 
Valeryn cominciò ad agitarsi, guardando il suo ragazzo che osservava nervoso le scale. Perché Ross non scendeva? Si sentiva male senza qualcuno che poteva aiutarlo, senza qualcuno che sapesse la verità. 
Spostò lo sguardo verso la ragazza che si torturava le mani. Era più difficile del previsto, si disse. Non credeva che assumersi le proprie responsabilità sarebbe stato così complicato. Forse non dovevano dirlo così presto, forse dovevano aspettare ancora un po’... ma non potevano più farlo, era passato quasi un mese da quando Valeryn aveva fatto il test, i loro genitori dovevano venirne a conoscenza. Ci voleva un bel respiro, si disse, un respiro di quelli che infondono coraggio. Ne fece uno, ma constatò che era lo stesso. 
Aveva paura, adesso lo ammetteva... 
In quel momento, guardando la faccia di sua madre e dei genitori di Valeryn aveva solo voglia di scomparire, chiudersi in camera sua e non pensare a tutto quello. 
E in quel preciso istante li raggiunse Ross con l’aria di uno che aveva riflettuto molto. I due fratelli si guardarono, e il maggiore fece un cenno come se l’incitasse a parlare. Vittorio annuì leggermente, tirando un sospiro di sollievo. 
Adesso con lui in quella stanza si sentiva più sicuro. 
Valeryn cominciò ad attorcigliarsi i capelli, chiaro segno di nervosismo. Gli adulti cominciarono a guardarsi tra loro. Rosa rimproverò sua figlia con lo sguardo. 
«Dunque, Valeryn, cosa aspetti a dirci la ragione per cui ci avete fatto riunire qui?» 
Sua madre cominciava a trovare estremamente ridicola quella pensata. I due non avevano intenzione di parlare, e lei aveva così tante cose da fare. 
«Io devo andare alle prove della chiesa» disse Piero guardando il cellulare. 
«Perciò facciamo in fretta» affermò. 
Mena fece un segno come per dire che non importava. D’altronde era così contenta che Vittorio e Valeryn stessero insieme, si sentiva pronta a tutto. E poi lei credeva di sapere di cosa si trattava quella riunione familiare. 
«Vogliono proporci di lasciarli partire in vacanza insieme a gennaio, lo so» bisbigliò nell’orecchio di suo cugino «Ho visto dei volantini in camera di Vittorio l’altro giorno, scommetto si tratti di una crociera» 
Piero fece una faccia strana, poi aggrottò le sopracciglia. 
«Ma è il colmo! Non lascerò partire mia figlia da sola!» sbottò contrariato. 
«Andiamo, Piero, ci sarà Vittorio con lei!» 
«E’ un maschio, per diamine, i maschi non tengono mai le mani a posto!» 
I due ragazzi sentirono chiaramente l’ultima frase, si guardarono confusi. Mena si rivolse a loro con un sorriso. 
«Se è per le vacanze potete dircelo, la mia risposta è sì» 
«La mia è no!» esclamò Piero, arrabbiato. 
Valeryn e Vittorio si guardarono di nuovo sospirando. Magari fosse stata solo la vacanza... Ross scosse la testa passandosi una mano sul viso. Forse doveva aiutarli. Interruppe sua madre che incominciava a fare progetti senza capo né coda. 
«Forse stanno provando a dirvi qualche altra cosa, vi pare?» chiese retorico «E poi i volantini della crociera sono i miei» aggiunse secco. 
Mena lo guardò stupita. 
«Non ci credo, che hai in testa?» 
Ross la bloccò con un cenno della mano. In realtà aveva intenzione di sposarsi, ma non voleva dirlo quel giorno, non in quel modo, e non in quel momento che suo fratello stava per prendersi le proprie responsabilità. 
«Adesso non importa. Vitto deve dirti una cosa. Vero, pivello?» fece cenno a suo fratello di parlare. Vittorio annuì, passandosi una mano tra i capelli. Era arrivato il momento. 
Prese un altro bel respiro, e nervoso cominciò a parlare. 
«Ecco... Volevamo dirvi una cosa molto importante» disse a bassa voce. Valeryn, nel frattempo, lo guardava attentamente. 
«Noi... insomma abbiamo fatto una cosa che...» 
Ross scosse la testa sconsolato, visto che Vittorio si era fermato e non sapeva come continuare. Sua madre lo guardava scettica ed interrogativa. 
«Non riguarda nessuna vacanza allora?» chiese stupita. 
«No, niente vacanza» 
Mena cominciò a spazientirsi, sbuffò accigliata portandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Sentiva puzza di guai. Che cosa aveva combinato suo figlio, adesso? Aveva quello sguardo così strano, come se avesse paura di qualcosa, lo conosceva molto bene. 
«E allora, si può sapere cosa avete combinato?» chiese indagatrice «E’ chiaro che avete fatto qualcosa» 
Valeryn scosse la testa, Vittorio la guardò ed annuì. 
«Sì, mamma, è successa una cosa... Abbiamo sbagliato tutto» mormorò. 
Piero fece una faccia pensierosa. Cosa aveva a che fare la sua bambina in quel discorso? Incominciava a preoccuparsi. 
«Avanti, tesoro, cosa...?» 
Vittorio si fece forza a continuare. Non riusciva ad andare al punto, gli sembrava troppo difficile dire la verità. Non sapeva con quale tono dirlo, quali parole usare. 
Era come se avesse perso l’uso, la proprietà di linguaggio. Sentiva la bocca asciutta e l’agitazione lo stava letteralmente mangiando vivo. 
Improvvisamente, Valeryn lo fermò poggiando una mano sul suo braccio. Si rivolse verso sua madre che la guardava annoiata. 
  
  
Doveva farlo. 
  
  
Doveva. 
  
  
Sentiva che doveva farlo lei, ora. 
  
  
  
«Io sono incinta, mamma» poi abbassò gli occhi smeraldini verso il basso, contemplando il tappeto. 
Rosa spalancò gli occhi tirandosi su dal divano. Vicino a lei, Mena aprì la bocca seriamente incredula, mentre Piero ridusse gli occhi in due fessure. 
Silenzio. 
Poi un urlo. 
«MA COSA CAZZO DICI?!» 
Si alzò dal divano riluttante, il volto livido. Lo sapeva che la sua bambina era stata coinvolta in qualcosa del genere! 
Si rivolse a Vittorio puntandogli il dito contro. 
«Tu?! Dimmi una cosa» era visibilmente arrabbiato. Valeryn chiuse gli occhi, mentre il ragazzo deglutiva debolmente. 
«È vero? Dimmi, è vero che mia figlia è incinta?!» 
Il ragazzo annuì piano. 
«Sì, è vero» ammise. 
Piero spostò lo sguardo da sua figlia al ragazzo. Fece una smorfia di puro ribrezzo. Non ci poteva credere, la sua bambina a soli diciassette anni... non poteva essere vero... stavano scherzando... 
Tutti i momenti passati con sua figlia gli riaffiorarono in testa, la sua nascita, la sua infanzia, quando la spingeva nell’altalena, quando gli chiedeva di raccontarle la stessa favola della sera prima che non ricordava mai perché se le inventava al momento, quando era cresciuta ed aveva avuto timore di perderla, aveva avuto una paura immane che avrebbe potuto rimanere incastrata in qualcosa del genere. 
Ed era successo, era appena successo. 
Lui lo sapeva dal primo momento in cui aveva scoperto che si era messo insieme al figlio di sua cugina, lo sapeva bene che quello lì l’avrebbe rovinata... 
Gli vennero in mente una serie di pensieri non belli rivolti a Vittorio che si trovava di fronte e strinse un pugno. 
Guardò Rosa e Mena, ancora sedute sul divano, che non facevano cenno di aprir bocca. 
«No, ma dico, li avete sentiti?!» urlò accusatorio «Hanno appena detto che aspettano un bambino! E tu, Rosa, non dici niente!? Scommetto che tu sapevi tutto, sapevi che tua figlia andava a letto con un ragazzo, mentre io ero rimasto ad un casto bacetto sulla bocca! Non ci posso credere!» 
Aggiunse una serie di imprecazioni poco chiare che si udirono anche dalla strada. 
Infervorato come non mai, lasciò la stanza a gran passi, mandando tutti al diavolo, afferrando la borsa della moglie. Quello che ci voleva era solo una sigaretta che nemmeno fumava di solito. Per quanto lo shock potesse permetterglielo, doveva pensare, perché sentiva solo una gran voglia di spaccare il salotto di Mena e di appendere suo figlio dritto contro il muro. 
Uscì fuori, mentre sua moglie rivolgeva uno sguardo severo e deluso a sua figlia, e raggiungeva il marito per calmarlo. 
Valeryn cominciò a sentire gli occhi lucidi, sentiva di voler scoppiare a piangere e non finirla più. Vittorio se ne accorse subito e la circondò con un abbraccio, baciandole teneramente la testa. 
Ross si avvicinò a sua madre che aveva coperto il volto con le mani e sbatteva il capo sconsolata. Le diede una pacca di incoraggiamento. 
«Non ci posso credere... pure lui adesso... È presto, è ancora troppo presto!» 
Ross tentò di rincuorare sua madre passandole una mano sulle spalle, mentre si voltava verso i due ragazzi guardandoli rassegnato. 
Si sentirono le urla di Piero provenire dalla veranda, e Valeryn scoppiò a piangere. Vittorio la strinse di più a sé. Forse non dovevano dirlo, forse era vero che avevano sbagliato tutto. Si sentiva così in colpa, così dannatamente colpevole. 
  
 
 
Era colpa sua. 
 
  
Lui aveva sbagliato tutto. 
 
  
Tutto. 
 
 
  
«M’AVETE ROTTO IL CAZZO TU E TUA FIGLIA!» 
«Piero, non urlare, non siamo in casa nostra, non...» 
«UNA VITA ROVINATA! ALLA SUA ETA’! ROVINATA!» 
Mena, sentendo suo cugino sbraitare in quel modo contro Rosa, si alzò dal divano facendo per raggiungerli. Si fermò un attimo rivolgendosi a suo figlio, che la guardava sconsolato. 
«Con te faremo i conti dopo guarda!» sibilò ed uscì furiosa, mentre Ross si sbatteva una mano sulla fronte. 
Valeryn gemette e si divincolò da Vittorio correndo in bagno. Aveva gli occhi arrossati e tirava su con il naso, le lacrime le sgorgavano sole senza riuscire a fermarle. Il castano la chiamò debolmente, ma lei non si fermò. 
Ross si alzò dal divano e si avvicinò a lui. Si guardarono negli occhi sinceramente, poi il maggiore gli fece cenno di avvicinarsi e si abbracciarono di slancio. 
«Benvenuto nel club» gli disse, sospirando. 
Poi gli diede una pacca sulla spalla per infondergli coraggio, quello stesso coraggio che Vittorio pensò di avere completamente perso. 








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Capitolo 5
*** Comprensione ***









«Tu lo sapevi già?»
 
Censeo, con i capelli biondi pettinati all’insù, gli occhi verdi preoccupati e un’espressione stupita, si rivolse ad una riccia Maia che, seduta sul divano con le gambe accavallate, si mordicchiava il labbro nervosa. La notizia era arrivata ai loro amici come un fulmine a ciel sereno. Tutti erano increduli e seriamente preoccupati, perfino Daniel aveva smesso di trattare male Valeryn. Quella sera del ventitré dicembre, i ragazzi erano riuniti nella vecchia casa estiva della zia di Alex, che era diventata da mesi luogo di ritrovo e punto di riferimento delle feste. 
Tutti stavano seduti con espressione seria in volto. Valeryn e Vittorio non erano ancora arrivati. 
«Sì, lo sapevo da un po’» rispose la ragazza, sospirando. 
Daniel fece una faccia inorridita. 
«Scusa, eh, ma che razza di amica sei? Noi non contiamo niente in questa fottuta storia?» 
«Non potevo dirlo a nessuno» spiegò, mentre il castano faceva una smorfia 
«Lo sapevamo solo io e lei, nemmeno Vittorio ne era al corrente» 
«E certo, noi siamo il ripiego!» 
«Non siete il ripiego, voleva solo aspettare» 
Daniel si alzò dal divano grugnendo, sentendosi quasi offeso di aver saputo tutto per ultimo. 
«Non si aspetta mai in queste cose, per la miseria!» 
«Aveva paura, ti basta?!» Maia lo rimproverò con lo sguardo, poi continuò a mordicchiarsi il labbro. Il ragazzo soffiò da un angolo della bocca, spostando dei ciuffi ribelli dal volto, poi si alzò passeggiando nervosamente su e giù. Carmine puntò gli occhi azzurri su di lui. 
«Puoi smettere di fare avanti e indietro? Mi gira la testa!» 
«Non rompere, Carmine. Sembri una donnicciola mestruata!» 
Il moro sbuffò, incrociando le braccia. Quell’idiota non sapeva regolarsi nemmeno dopo una notizia del genere. Dopo svariate minacce e sguardi ammonitori, Daniel prese posto accanto ad una bionda e robusta Sara, impegnata a fare un sudoku senza buoni risultati. 
«Sentite» disse d’un tratto catturando l’attenzione di tutti «Io dico che dobbiamo aiutarli. Insomma se vogliono soldi per la casa se li possono scordare, non ho un euro messo da parte, però... Però dovremmo dimostrarci più gentili e comprensivi con loro. Avranno bisogno di tutto il nostro aiuto, non vi pare?» 
I ragazzi si guardarono tra di loro, leggermente stupiti. Sara non era una ragazza particolarmente sveglia, forse un po’ frivola come Conny, ma non si esponeva mai in primis se non per discutere con Daniel. Ed effettivamente aveva ragione, Valeryn e Vittorio avevano bisogno dei loro amici. 
«Caspita, Sare’!» esclamò Censeo stupito, guadagnandosi un’occhiataccia da Dan 
«Non credevo sapessi ragionare così bene» 
Sara lo guardò strano, mentre Carmine ridacchiava sotto i baffi. Indecisa se accettarlo come un complimento o un’offesa, si limitò a fare spallucce. Daniel gli si ritorse contro. 
«Qualcuno spieghi a questo nano da giardino, qui» fece puntandogli il dito, arrabbiato, come tutte le volte che si parlava della sua amata ragazza «che la mia cipollina non è stupida come una babba di mia conoscenza! Lei ha una discreta autorità ed un certo intelletto che nemmeno immagini, Censeo del mio cavolo!» 
Per babba si rivolse a Conny, che con una lunga treccia imperfetta entrava dalla cucina tenendo tra le mani un vassoio pieno di tramezzini. Lo posò sul tavolino, mentre gli altri si chinavano a prenderne uno. Daniel ne prese tre. 
«Andiamo, Dan, non incominciare ad incazzarti! Non mi sembra il caso» 
«Hai incominciato tu, Cucciolo, io sto solo dicendo che la mia piccolina è intelligente!» 
Sara gli rivolse un sorriso con la bocca piena, facendo intravedere il tramezzino masticato. Daniel cacciò un urlo inorridito, e la ragazza fece una smorfia offesa. 
Censeo scosse la testa, facendo sedere Conny accanto a lui. Poi le passò un braccio sulle spalle ed incominciò a mangiare senza curarsi delle parole dell’amico. 
Nel frattempo, Elia, seduto sulla poltrona con i capelli biondi pettinati a cresta, gli occhi castani persi nel vuoto, si alzò di scatto posando la sua birra sul tavolino. Si stiracchiò e prese dalla tasca le sue sigarette. 
Gli altri gli lanciarono uno sguardo, chiedendosi come l’avesse presa; d’altronde, Valeryn era stata la sua ragazza qualche tempo prima. 
Il ragazzo uscì fuori del balcone accendendosi la sua piacevole Chesterfield, riflettendo su ciò che aveva saputo. 
Valeryn era incinta. Una notizia davvero incredibile, si disse, non si sarebbe mai aspettato niente del genere. Si era affezionato a lei, vuoi perché erano stati insieme, vuoi perché erano rimasti in discreti rapporti anche dopo. 
I suoi pensieri, però, erano rivolti esclusivamente verso Vittorio. Non riusciva a non pensarlo, la sua testa si era sintonizzata su di lui subito dopo che Alex e Carmine avevano riferito loro la notizia. Voleva sapere come stava, come aveva reagito. Diamine, era una cosa estremamente prematura... D’altronde aveva solo diciotto anni, ancora, non era grande abbastanza, non era pronto a diventare padre... 
  
  
  
O forse lui non era abbastanza pronto per lasciarlo andare 
  
  
  
  
Si chiese cosa c’entrassero quei pensieri così fuori luogo in quel momento. Vittorio era il suo migliore amico, gli voleva bene da morire, non poteva essere così egoista. Fece un tiro dalla sua sigaretta. 
Eppure si sentiva triste in qualche modo, non sapeva perché. Voleva solo vederlo, voleva solo potergli parlare... Era come se sentisse un peso dentro, nemmeno si rendeva conto cosa fosse, solo sentiva la totale esigenza di vederlo. 
Continuò a fumare in silenzio, finché una mano si posò sulla sua spalla. 
Maia, ancora più riccia del solito, si avvicinò a lui facendo un sospiro. Poi si appoggiò al balcone guardando la luna. 
«Ehi» disse sorridendogli. Lui ricambiò mezzo sorriso continuando a tirare dalla sigaretta. 
«Mi ero rotta di starli a sentire» 
Elia fece spallucce, guardando il panorama di sotto. Si vedeva tutto il suo paese da lassù. 
«Già» mormorò, poi rilasciò un tiro facendo scorrere gli occhi tra i fiotti di luci. 
La ragazza lo guardò con apprensione, poi gli accarezzò un braccio. Lei era sempre stata la sua migliore amica, fin dalle elementari. Ormai riusciva a capirlo se qualcosa non andava, e la sua espressione vacua ne era la dimostrazione. 
«Allora, cosa c’è?» domandò, scrutandolo «Sei rimasto male?» 
Lui spense la sigaretta sul posacenere, poi si passò una mano tra i capelli. Forse ci era rimasto male, ma non riusciva a capire il perché. Era certo non avesse niente a che vedere con Valeryn. 
Non riusciva nemmeno a capacitarsi del perché sentisse quell’improvviso peso nel cuore. 
«Non lo so» ammise piano «Non me l’aspettavo, credo» 
Maia sospirò. 
«Nessuno se l’aspettava, Eli. Lei è stata la tua ragazza, è normale che sei sconvolto» 
«Non sono sconvolto» affermò con convinzione, guardandola seriamente 
«E non mi interessa più Valeryn, se è questo che pensi» 
«E allora cosa c’è?» 
Lui continuò a guardare di sotto, senza capire. 
Una vocina nella sua testa non smetteva di ripetere il nome del suo migliore amico, come se avesse bisogno di sentirlo. Scosse la testa, piano. 
«Ti giuro, non lo so» sussurrò. 
Maia lo guardò ancora un attimo tentando di capire cosa gli passasse per la testa, ma non ci riuscì. 
Il campanello suonò. Elia rimase fuori, mentre lei si precipitò in salotto pensando fosse Valeryn. Invece erano Alex e Miriel che, entrando come una furia, la prese dalle spalle scuotendola a più non posso. 
«Non ci posso credere, dimmi che è uno scherzo! Dimmelo!» 
Lei guardò Alex allarmata, mentre quello si toglieva il capellino mostrando i suoi capelli ormai completamente rasati. 
«E’ seriamente preoccupata, spiegale tutto dall’inizio. Mi ha tartassato per tutto il tragitto!» fece cenno verso la ragazza che la guardava con occhi sbarrati. 
Poi la prese per mano, facendola sedere sul divano. 
Miriana, o semplicemente Miriel per tutti, era l’altra migliore amica di Valeryn, la sua amica d’infanzia che abitava in un paese vicino e che veniva il fine settimana o nelle vacanze. 
Adesso la guardava con preoccupazione che sfiorava i limiti dell’isteria. 
Prese a raccontarle tutto dall’inizio, la ragazza la fermò più volte per cercare di capire. Poi guardò davanti a sé, incredula. 
«Com’è possibile, io non ne sapevo niente?!» sbottò, incrociando le braccia. Perché Valeryn non le aveva mai confidato nulla? Pensava fosse la sua migliore amica... Invece lo aveva detto solo a Maia. 
«Non te la prendere, non voleva dirlo a nessuno» provò a spiegarle questa. 
Miriel scrollò le spalle, sbattendo i lunghi capelli scuri. 
«Come sarebbe a dire che non voleva dirlo a nessuno? Prima o poi i suoi lo avrebbero scoperto, ed anche noi, se è per questo!» 
Alex si avvicinò alla sua fidanzata passandole una mano sulle spalle, tentando di calmarla. 
«E Vittorio?» chiese lanciando uno sguardo a Elia appena entrato dal balcone. 
«Qualcuno sa niente?» 
Censeo smise di sbaciucchiare Conny, alzando le spalle. 
«Io non lo vedo da giorni, ormai, ma non credo sia nelle condizioni di venire a parlarcene, insomma...» fece una faccia grave. 
Il biondo, che stava sentendo, scosse la testa infastidito. Perché parlavano tanto? Amavano spettegolare, ma alla fine non sapevano nulla di nulla. Doveva parlare con il suo amico al più presto, sentiva ancora quel bisogno... 
Bisogno di sentirlo vicino, un bisogno immane, non gli era mai successo. 
Si fermò a contemplare il tavolino di legno confuso, mentre Alex lo riscosse dai suoi pensieri. 
«Ehi zi’, tu ne sai niente?» fece un cenno allusivo «Vitto... Lo hai sentito?» 
Scrollò le spalle dovendo ammettere anche a sé stesso che non era stato affatto informato della notizia, cosa che lo faceva ancora stare più male. 
«No, non ne sapevo niente» rispose un po’ rude. 
Il moro fece una faccia strana, interrogativa, chiedendosi come mai il biondo non fosse a conoscenza di nulla; d’altronde lui e Vittorio da quando avevano ricucito il loro rapporto erano molto più uniti. 
Miriel si alzò dal divano sbattendo un piede dal nervosismo. 
«Io non ci posso ancora credere! Ma adesso mi sentirà!» esclamò, tirando fuori il cellulare. 
Maia le strinse una mano, cercando di tranquillizzarla e, allo stesso tempo, fermarla dal fare una scenata. 
«No, Miri, ti prego, lasciala stare! Sta passando un periodo nero, non puoi renderle le cose ancora più difficili!» 
La moretta la guardò come si guardano gli insetti. 
«Beh, tu non capisci, ovvio, a te l’ha detto per prima, sei la sua compagnetta di classe! A me che siamo amiche da una vita invece niente, buio totale, ma ti sembra cosa? Io avrei potuto aiutarla!» 
La ricciolina sbuffò infastidita. Come poteva dire una cosa del genere in quella situazione, si disse, non contavano quelle cose adesso. 
«Nessuno la poteva aiutare, nemmeno io ho potuto fare niente. Stava male, non capiva un accidente, si sentiva confusa. Non voleva dirlo nemmeno a lui, non so se capisci!» 
«Ah, capisco eccome! Ma due amiche l’avrebbero aiutata meglio di una, non credi?» 
Miriel e Maia si guardarono con sfida. Entrambe erano molto amiche di Valeryn, ed entrambe non volevano perdere la sua amicizia. 
Miriana era una ragazza che non amava essere messa in secondo piano, era molto orgogliosa, al contrario di Maia, sempre gentile e comprensiva con tutti. 
Daniel arrivò volteggiando, sbatté contro la schiena di Carmine che si era alzato per cambiare canale alla televisione, dato che il telecomando era rotto e non prendeva. 
«E sta’ attento, medusa in evoluzione!» sbottò infastidito. 
Dan gli rivolse uno sguardo sprezzante 
«Taci, infante. Ehi, stanno arrivando!» 
I ragazzi si voltarono verso di lui, stralunati. Poi capirono di chi parlava. 
«I futuri genitori stanno arrivando, mi raccomando fate ordine!» spostò il tavolino cacciando le cartacce e le cicche di sigaretta 
«E tu, cucciolotta, basta mangiare caramelle altrimenti diventi una grassona e poi quando lo facciamo non puoi stare di sopra altrimenti mi frantumi» 
Sara spalancò le orbite e gli menò un calcio, mancandolo. Dan se la rise continuando a spostare gli oggetti in disordine. 
Alex aprì di sotto. Censeo guardò tutti mettendoli in guardia. 
«Mi raccomando ragazzi, ricordate la perla di saggezza di Saretta, okay?» 
Tutti annuirono. Conny gli rivolse uno sguardo confuso. 
«Di quale perla parli, tesoro?» 
«Comprensione da amici» precisò Sara con sgarbo. 
Miriel gettò uno sguardo a Maia, che le fece cenno di seguire le parole dette. Lei incrociò le braccia, sbuffando. Forse avrebbe evitato una scenata quel giorno, ma in privato ne avrebbe parlato con Valeryn, poco ma sicuro. La riccia, come captando i suoi pensieri, alzò gli occhi al cielo. 
Elia si passò una mano tra i capelli biondi ed uscì in veranda. Si sentiva stranamente inquieto. 
  
  
  
  
Vittorio si fermò a metà scale, facendo voltare la ragazza verso di lui. Valeryn, con un capotto grigio, un capellino di lana dello stesso colore che copriva i suoi capelli castani mossi, lo fissò interrogativa. 
«Amore» sospirò mordicchiandosi un labbro «Se non ti va di parlare con loro possiamo andarcene» 
Lei scrollò le spalle, puntando gli occhi verdi sulle scale. Ormai era fatta, era giusto affrontare i loro amici. Avevano il diritto anche loro di sapere. 
«No, va tutto bene» Continuò a salire le scale, ma il ragazzo la fermò di nuovo da una mano. L’avvicinò a lui, lei leggermente più alta sopra uno scalino superiore. Le accarezzò la guancia, e la ragazza abbassò lo sguardo. 
«Io ti amo» disse lui con naturalezza, facendola sospirare «Non ho intenzione di lasciarti sola» 
Lei annuì piano, mentre lui la baciava. Era un bacio dolce, ma Valeryn pensava a tutt’altro. Si sentiva parecchio confusa in quei giorni, da quando suo padre si era arrabbiato con lei non capiva più niente. Si sentiva quasi un pesce fuor d’acqua senza sapere perché. 
Dopo che si staccarono Vittorio la guardò aspettandosi qualcosa, puntò gli occhi grigi su di lei, ma la ragazza fece tutt’altro. Ricacciò con delicatezza la sua mano dalla sua guancia e riprese a salire le scale. 
«Andiamo» disse in un sussurro. 
Il ragazzo rimase indietro, perplesso. Il comportamento di Valeryn era strano, quasi non la capiva, gli sembrava distaccata, distante, perse sempre nei suoi pensieri da cui lo tagliava fuori... Non fece in tempo a pensare ad altro, perché la porta di casa di Alex si era spalancata quindi entrarono in silenzio. 
Tutti li guardarono preoccupati, Carmine si alzò senza motivo dal divano. 
Valeryn cercò lo sguardo del ragazzo in chiara difficoltà. I loro amici li osservavano senza dire una parola, Miriel la fissava con un cipiglio, Maia si torturava i capelli. 
Vittorio se ne accorse e, scrollando le spalle, ironizzò: 
«Ehi, piano, ragazzi!» 
Ci fu qualche secondo di fiato sospeso, poi alcuni iniziarono a ridacchiare, Daniel scosse la testa e i suoi lunghi capelli a caschetto andarono su e giù. 
«Sempre il solito scimunito sei, Vitto» si avvicinò a lui «E ti sei fatto crescere anche la barba, vedo» 
Il castano si toccò sopra il mento nel dubbio, Carmine rise e gli diede un cinque, Alex fece lo stesso e Censeo si avvicinò con un sorriso a trenta denti. 
Valeryn osservando quella scena tirò un sospiro di sollievo. Poi si tolse il cappottino avvicinandosi alle sue amiche. Maia le sorrise e le baciò le guance. 
«Come stai?» le chiese gentile. 
Alzò le spalle. Non sapeva nemmeno lei come stava, si sentiva parecchio strana. 
Miriel la squadrò dalla testa ai piedi, mantenendo il suo sguardo freddo. Sara e Conny le raggiunsero come fossero le pie donne. La bionda le prese il cappotto di mano con un sorriso eloquente, Conny fece una battuta sopra la sua treccia sbilenca. 
Valeryn scoppiò a ridere, sbattendo la testa. Poi si lasciò abbracciare da Maia che le sussurrò all’orecchio. 
«Ti sei ripresa? Eravamo tutti in pensiero, sai, perfino Daniel ha chiesto di te» 
La castana guardò il ragazzo parlare con Vittorio, e fece un sorrisino. Poi alzò le spalle. 
«Non so che mi prende, mi sento strana» ammise con un sospiro. 
«E’ normale, tesoro, sei stravolta» 
Valeryn non era convinta. Incontrò lo sguardo di Miriel che l’osservava in silenzio. Le due ragazze si fissarono per qualche secondo, la moretta si spostò i capelli dagli occhi. Quasi voleva rimproverarla, ma vedendola in quel modo non ebbe la forza. 
«Vieni qui, dai» allargò le braccia e l’abbracciò. 
Valeryn ricambiò sentendo gli occhi lucidi. Era stata una stupida a non averle detto nulla. Era la sua migliore amica ed aveva avuto paura a coinvolgerla. Non meritava davvero quell’abbraccio, ma ne aveva bisogno, così si strinse a lei. 
Censeo tirò da un braccio Daniel che si pavoneggiava raccontando una storia che non c’entrava niente in quel momento. Vittorio rivolse un sorrisino 
all’amico, grato per averlo zittito. 
Il castano guardò con rabbia il biondino che gli fece un cenno allusivo. Poi, con l’attenzione di Alex e Carmine, cominciò a parlare. 
«Vitto, noi volevamo dirti che... beh, hai tutto il nostro appoggio. Siamo i tuoi amici e ti staremo accanto, quando ne avrai bisogno» 
«Giusto» Carmine era d’accordo «Ti sei cacciato in un bel guaio, ma hai tutto il nostro aiuto» ridacchiò. 
«Se ti serve qualcosa» annuì Alex, passandosi una mano sul capo rasato «noi siamo qui, non abbiamo intenzione di lasciarvi soli» 
Fece cenno verso Valeryn, che parlava con Sara. Vittorio fece mezzo sorriso riconoscente. 
«Grazie, ragazzi» disse guardandoli con affetto, poi fece circolare lo sguardo nella stanza alla ricerca di qualcun altro che non era lì presente. 
«Ehi, un momento!» Daniel tirò il ragazzo da un braccio, facendolo bruscamente voltare verso di lui. 
«Visto che questi infami hanno parlato senza di me, ti dirò anch’io qualcosa» 
Vittorio sorrise distratto, poi riprese a guardarsi intorno. 
Dov’era Elia? Pensava fosse anche lui con loro. Aveva bisogno di parlare con lui, non gli aveva detto niente, che sciocco... 
  
  
Aveva bisogno di vederlo soltanto. 
  
  
«Ao, mi senti, coglionazzo?!» lo riprese Dan, facendolo nuovamente voltare verso di lui imponendogli attenzione. 
«Volevo dirti che giuro solennemente di lasciare in pace Valeryn per tutto il resto della gravidanza. Ah, e sarò anche più gentile con lei!» 
Censeo scosse la testa scettico. Carmine e Alex risero. 
«Avresti dovuto farlo molto prima» disse Vittorio con un cipiglio. 
«Ehi, non mi credi? Guarda. Valeryn, ehi, pazzerella sono qui!» la ragazza si voltò verso di lui guardandolo strano, lui le fece segno con una mano di venire. Lei lo guardò scuotendo la testa, poi si avvicinò. 
«Che vuoi, idiota?» chiese stufata. 
Il suo sorriso si trasformò in una smorfia irritata. 
«Lo vedi che devi sempre rovinare tutto, pazza isterica che non sei altro?» poi alzò lo sguardo verso Vittorio che aveva incrociato le braccia. 
«Ehm, pardon. Volevo dirti che non farò più commenti né sul tuo isterismo, né sulla tua infamia, okay? Sarò gentile, ma soldi per la casa non ve ne do, d’accordo?» 
Valeryn e Vittorio si guardarono con mezzo sorriso. Daniel era dolce in fondo, anche se molto in fondo, e sapevano che voleva loro bene e che se avessero avuto bisogno di una mano gliel’avrebbe data. Il ragazzo dal suo canto si abbassò all’altezza del ventre della ragazza, poggiando l’orecchio. Poi si rialzò perplesso. 
«Ma... ma è piatta, o sbaglio?» 
I due ragazzi scoppiarono a ridere. Ci voleva qualcuno che sdrammatizzasse un po’ in tutta quella storia. Dan fece una smorfia e se ne andò stizzito, come suo solito. 
Maia, invece, chiamò Valeryn e la trascinò con sé. 
Rimasto solo, Vittorio fece per accomodarsi sul divano e riposarsi un po’, ma in quel momento un ragazzo biondo entrò dal balcone, catturando la sua attenzione. 
Guardò Elia come se non lo vedesse da tanto, fu catturato dalla sua presenza, i loro occhi inevitabilmente si incontrarono. 
Il castano emise un sospiro liberatorio. 
Si sentiva quasi meglio adesso. 
Sapere che era lì lo rincuorava, lo faceva sentire al sicuro. 
Il biondo indugiò un attimo, poi lo raggiunse e si ritrovarono faccia a faccia. Non smisero di guardarsi negli occhi, fino a quando Elia piegò la testa di lato con mezzo sorriso strano, poi lo tirò da un braccio. Vittorio fu preso alla sprovvista e la mano del ragazzo scivolò nella sua. Il biondo fece finta di niente mordendosi un labbro e lo trascinò in veranda. Il castano, un po’ scosso, guardò le loro mani intrecciate. Elia se ne accorse e mollò subito la presa. 
«P-pensavo non ci fossi» sussurrò Vittorio, evitando di guardarlo negli occhi. Era rimasto spiazzato da quel gesto. Non seppe nemmeno perché il cuore aveva fatto un balzo non appena lo aveva stretto. 
Elia volse lo sguardo al cielo, sospirando. 
«Non ti avrei lasciato solo» gli disse. 
Lui sorrise, guardando in basso. 
Perché si sentiva strano? Si sentiva in imbarazzo non indifferente e nemmeno riusciva a capire il motivo. Insomma era Elia, era il suo migliore amico, erano rimasti altri cento volte da soli a parlare. 
Eppure non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione che gli era partita da quando gli aveva stretto la mano. 
«Lo so» soffiò a bassa voce. 
Il biondo gli lanciò uno sguardo, poi appoggiò le braccia sul balcone guardando il paesaggio illuminato. Si accese un’altra sigaretta. Passò il pacco a Vittorio, che sfilò l’ultima e l’accese. Calò il silenzio. Un silenzio che ai due quasi faceva male, perché entrambi avevano bisogno di sentire la voce dell’altro. Il loro legame era sempre stato speciale, e quella sera più che mai. 
Sentivano entrambi delle vibrazioni strane, ma non riuscivano a capire se era dovuto alla scoperta della gravidanza che li aveva scossi o semplicemente alla presenza dell’altro. 
Quel silenzio era troppo da sopportare, dava spazio a dei pensieri troppo rumorosi. 
«Dì qualcosa, ti prego» mormorò il castano, facendo un tiro, passandosi una mano tra i capelli. La sua sembrava una preghiera, erano poche le volte che lo aveva udito così supplice nei suoi riguardi. 
Elia lo fissò, sentendo la bocca asciutta. Voleva dirgli così tante cose che non riusciva a parlare. Gli era capitato davvero poche volte nella vita. Lui riusciva sempre in qualche modo a destabilizzarlo, ma non voleva mostrarsi in quel modo perché voleva solo trasmettergli forza. 
«Io…» soffiò piano, dopo aver buttato via un po’ di fumo «Io ti starò sempre vicino, lo sai. Qualunque cosa accada, Vitto, il mio posto è con te» 
Quelle parole colpirono in pieno il cuore di Vittorio. Provava qualcosa d’indescrivibile per lui, non sapeva dire per certo che cosa fosse, ma era qualcosa di bello e lo aveva sempre saputo, ma quella sera era tutto così amplificato. 
Gli sorrise. 
«Grazie, sei davvero un amico» rispose, gli venne naturale dirglielo. 
  
  
Amico. 
  
  
  
  
Solo un amico. 
  
  
  
Elia sentì il peso dentro il suo petto aggravare improvvisamente e distolse lo sguardo, come scottato. 
Beh, loro lo erano. Lo erano sempre stati. Ma quella sera, quella sera entrambi sentivano qualcosa di diverso, qualcosa che non era mai uscito fuori per tutto quel tempo ma che era sempre stata lì. Non sapevano bene cos’era... Era tutto fottutamente strano. 
La sua mente volò inevitabilmente a quel giorno di aprile quando Vittorio aveva compiuto diciotto anni, quando lo aveva abbracciato in quel modo intimo, quando lo aveva spiazzato trovandoselo così vicino, quando gli aveva letteralmente sfiorato il collo con le labbra in un gesto per cui lui era stato accomodante. 
Deglutì sentendo il suo cuore accelerare in automatico nel ricordare. 
Si passò una mano tra i capelli. 
Amici... 
Elia sentiva che qualcosa stava cambiando, sentiva di non aver mai provato qualcosa del genere per lui prima d’ora. E gli sembrava così dannatamente strano, così dannatamente troppo, che seppellì quel pensiero convincendosi di essere diventato paranoico. 
   






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Capitolo 6
*** Confusione ***


 

 

 

 

 

 

Valeryn si alzò dal letto tenendosi la pancia. Sentì la nausea coglierla di sorpresa, si portò una mano alla bocca e scappò in bagno. In meno di un secondo fu sul lavandino a vomitare anche ciò che non aveva mangiato. Si alzò sconvolta, aprì l’acqua e si sciacquò la faccia arrossata. Odiava vomitare, le faceva schifo. 
Scosse la testa pensando a chissà quante altre volte avrebbe dovuto vomitare in quel modo. Sentì la testa scoppiare, si portò una mano sulle tempie. 
Non sapeva se voleva tutto quello. 
Rosa, sua madre, entrò all’improvviso in bagno, spalancando la porta e guardandola con un cipiglio rassegnato. I suoi genitori da quando aveva saputo che era incinta erano freddi con lei, ma sua madre accorreva sempre se stava male. Tipo come il giramento di testa alla vigilia di Natale, quando si era dovuta sdraiare sul letto con un panno bagnato sulla fronte. 
«Hai rimesso?» chiese poi. Aprì l’acqua sciacquando tutto. Valeryn si sedette sul water tenendosi la testa. Si sentiva ancora scossa. 
«Stai bene?» continuò, incrociando le braccia. Lei annuì senza rispondere. Si sentiva così in colpa con i suoi genitori, sicuramente li aveva delusi molto, pensava. 
Rosa si sedette vicino a lei, sopra il bordo della vasca, poi guardò la pancia della figlia ancora piatta. 
«Quanto è passato?» 
La castana scosse la testa, facendo finta di non ricordare. E invece ricordava tutto perfettamente. Come si era sentita appena aveva visto il test, quando aveva provato la prima nausea, e sicuramente avrebbe ricordato anche quel giorno che aveva vomitato per la prima volta. 
«Credo tre settimane e mezzo» 
«Ah, bene» commentò sua madre scuotendo la testa, accigliata, incrociando le braccia. 
«E noi lo sappiamo solo da qualche giorno!» esclamò sarcastica. 
Valeryn negò con il capo debolmente. Non aveva avuto il coraggio nemmeno di dirlo a Vittorio, come faceva a dirlo a sua madre e suo padre con così tanta naturalezza? 
«N-non ce la facevo» mormorò. 
«Io sono tua madre, Valeryn, che ti piaccia o no io faccio parte della tua vita, ti ho cresciuta e ti aiuterò a crescere questo bambino» 
Quelle parole le fecero male come un pugno allo stomaco. Non aveva parlato seriamente con sua madre da quel giorno, i suoi lo avevano detto al resto della famiglia, e Rosa si era solo limitata a chiederle come stava e fissare degli appuntamenti per i controlli necessari. Ma adesso era arrivato il momento di affrontare anche lei. 
Si torturò le mani, nervosamente. 
«Io...» si fermò, si passò una mano tra i capelli, poi riprese «Io non intendevo deludervi, mamma» 
La donna fece un’espressione un tantino scettica, ma la lasciò parlare. 
«Ti giuro che sono sempre stata responsabile. N-non... non lo abbiamo mai fatto senza precauzioni e...» 
«Oh, e cosa, Valeryn?» l’interruppe lei con fare seccato, rimproverandola «Eppure i vostri ormoni vi hanno trascinato fin qui!» 
La vide abbassare lo sguardo e, sospirando, cercò di essere meno dura con lei. 
«Senti, io sono tua madre, e sono preoccupata per te. Anche papà lo è, seppur adesso sia molto arrabbiato» 
Valeryn sbuffò, sentendo per l’ennesima volta in quei giorni gli occhi bruciare 
«Tenere un bambino è una grossa responsabilità, e tu hai solo diciassette anni, non oso immaginare come farai. Mi fido di te, ma ho paura che tu non ce la possa fare» 
«Ce-ce la farò» sussurrò la ragazza, non tanto convinta. 
Rosa scosse la testa, non credeva proprio. Lei era forte, ma non lo era abbastanza da sopportare tutto quello, la gravidanza, le nausee, tutto... Era ancora una bambina infantile, in fondo, anche se aveva giocato a fare l’adulta. 
«Non credo Valeryn, dovrai mettere alla prova tutto il tuo tempo e la tua pazienza, dedicarti a questo bambino giorno e notte. Dovrai farlo davvero» 
La ragazza annuì, con lo sguardo perso nel vuoto. Rosa se ne accorse e decise di darci un taglio, almeno per il momento. Si alzò e fece per uscire dal bagno. 
«Cerca di crescere, ne avrai bisogno. E lunedì ti porto a fare delle analisi. Ho anche fissato una visita con il mio ginecologo per dopo capodanno» 
Detto ciò, si congedò. Valeryn l'osservò tornare a trafficare con l’aspirapolvere, la sua ossessione, si asciugò una lacrima e prese il cellulare osservando lo schermo. 
Un messaggio di Vittorio. Si morse il labbro, leggendo velocemente, mentre il cuore cominciava a battere più veloce. 
Voleva vederla. 
Era così confusa che non sapeva se le andava incontrarlo, non sapeva se ce l’avrebbe fatta. Rimase a pensare, insicura. 
  
  
  
  
  
  
 
  
  
  
Aveva ottenuto solo pochi soldi per la vincita della cinquina, non era mai stata molto fortunata a tombola. Si voltò verso sua cugina Clea, una ragazzina di tredici anni con dei morbidi boccoli castani quasi biondi, che si era messa in testa di vestirsi come le band pop-rock che seguiva, indossando degli anfibi neri che onestamente le invidiava. Lei era sempre stata brava, invece, stava quasi sempre al tabellone e sapeva fare tutte le rime e le battute sui numeri. 
«Settantasette, “le gambe delle donne”» fece una strizzata d’occhio, mentre Valeryn scuoteva la testa con un sorrisino. 
Era il ventisei di dicembre, una fredda serata che i suoi avevano deciso di passare a casa dei suoi nonni materni insieme agli zii e alle sue cuginette. 
Evelyn, la più piccola, stava imbronciata per non aver vinto. Era molto permalosa, si disse, anche lei era così già a quell’età. Clea continuò a chiamare numeri su numeri, ma nessuno dei suoi parenti sembrava vincere, e lei stava messa male. 
«Ehi, se continuate di questo passo finisce che la faccio prima io!» esclamò sua cugina riponendo l’ennesimo numero. 
Nove. 
Come i mesi che sarebbero dovuti passare. Come i mesi che avrebbe dovuto aspettare il suo bambino. Era tutto così esageratamente strano che le sembrava di scoppiare... 
Suo zio fece tombola proprio in quel momento, Evie scoppiò a piangere e quello fu costretto a donare tutti i soldi della vincita a lei per zittirla. 
Valeryn spostò i capelli dalla faccia, mentre il suo telefonino squillava. 
  
 “Affacciati, c’è una sorpresa per te” 
  
Era lui. 
Sospirando, si alzò dalla sedia catturando l’attenzione di suo padre che stava pagando un altro giro per lui e Rosa. Si affacciò dal balcone vedendo l’auto nera di Ross parcheggiata proprio lì davanti. 
Sorrise, immaginando Vittorio al volante che era venuta a prenderla. Era da tanto tempo che desiderava guidare una macchina, e dopo aver fatto il corso di patente con buoni risultati era riuscito a convincere Ross a prestargli la sua fino a quando non ne avrebbe comprato una nuova. 
Prese il cappotto e il cappellino, li indossò, poi salutò tutti senza guardarli in faccia. Si sentiva in imbarazzo adesso che tutti i suoi parenti lo sapevano, loro facevano finta fosse una buona notizia per non farla stare ancora più male, ma lei lo intuiva che non erano d’accordo per niente. 
Raggiunse la porta, ma prima si fermò per guardarsi allo specchio dell’entrata. Aggiustò i suoi capelli mossi sempre più insoddisfatta di sé stessa. 
Ed invece era bellissima. 
«Ehi, dove vai?» 
Clea la raggiunse, facendola quasi spaventare. Spuntò come un’ombra, una pantera silenziosa, e Valeryn si portò una mano al petto. 
«Mio Dio, mi hai fatto spaventare, idiota!» esclamò, sentendo davvero i battiti accelerare per la paura. 
Era diventata così talmente fragile e suscettibile... 
La ragazzina alzò un sopracciglio, poi piegò la testa di lato. Valeryn notò il suo trucco leggermente sbavato, il suo lucidalabbra che aveva un sottotono viola. 
«Beh, qui l’idiota sei tu, e ci sono anche le prove» disse allusiva. Valeryn cominciò a innervosirsi. 
«Che vuoi, che devo andarmene!» 
La cugina la fissò per qualche secondo, poi scosse la testa. 
«A dire il vero ci contavo su una cosa» ammise. 
«Cosa?» 
Clea fece un sorriso birichino.   
«Che le metti il mio nome. Anche se di Cléa ce n’è una sola, mi piacerebbe avere una cuginetta che si chiama come me» 
Valeryn scosse la testa, incrociando le braccia. Quella ragazzina ne sapeva una più del diavolo, e inoltre era la solita di sempre, quella che ironizzava su tutto. 
«Come fai ad essere sicura che sia una femmina?» chiese scettica. 
«Lo so e basta» le fece un occhiolino di intesa. 
Dopo la squadrò da capo a piedi. 
«Esci con Vittorio?» chiese, pronunciando il nome del ragazzo in modo strano, o almeno, le era sembrato. 
Valeryn sospirò guardandosi allo specchio. Non avrebbe dovuto fare così, si disse, lui era il suo ragazzo. Non poteva andarci con così tanto malincuore. 
Annuì lentamente. 
«Beh, non sembri molto contenta» commentò la ragazzina, squadrandola «Forse pensi di lasciarlo? No perché sai di solito è il contrario, l’ho visto così tante volte nei film, ma magari tu adesso non capisci niente e forse lo lasci» si fermò per un attimo a pensare concentrata, il dito laccato di smalto smangiato sotto il mento. 
«Sì, ti conosco troppo bene, lo lasci» confermò alla fine. 
Valeryn sbuffò innervosita, poi la salutò velocemente prima di scendere le scale ed arrivare al portone principale, quasi stesse fuggendo da un grande mostro che altri non era che dentro la sua testa. 
Perché le parole di Clea le facevano così male, tanto da riempirla d’inquietudine? Forse perché in qualche modo c’era qualcosa di vero dietro quelle frasi infantili? 
Uscì dal portone facendo finta di niente. 
La cugina chiuse la porta guardando la direzione in cui era scomparsa. 
«Lo lascia» soffiò, sempre più convinta. 
  
  
  
Aprì la portiera della macchina, salendoci su. Vittorio si voltò verso di lei facendole un sorriso pieno d’amore, poi si avvicinò per baciarla. Si limitarono ad un casto bacino. 
«Ce ne hai messo di tempo» disse lui mettendo in moto. Valeryn si morse il labbro, ripensando ancora alle parole della cugina. 
«Clea mi ha fatto l’interrogatorio, sai» fece cenno verso la sua pancia, ma se ne pentì amaramente, e prese a guardare fuori dal finestrino. 
Il ragazzo le lanciò uno sguardo. Le faceva così male parlare di quello? La vedeva così strana in quei giorni che non sapeva cosa dirle, come comportarsi. Eppure voleva solo stare con lei. La situazione era alquanto delicata, ma non sarebbe stata la gravidanza ad allontanarlo, anzi, l’avrebbe amata sempre di più. 
Ma forse Valeryn era così confusa che non lo capiva. Si passò una mano tra i capelli castani, in ovvia difficoltà. 
«Dove vuoi che andiamo?» chiese, mentre lei, distratta, alzava le spalle. 
«Dove ti pare» rispose secca. 
Vittorio sospirò, dando un’occhiata al cellulare. Erano solo le dieci di sera. Fece retromarcia con convinzione, guadagnando l’attenzione della ragazza. 
«Cosa fai?» gli chiese allarmata, non sapendo dove la volesse portare. Lui scosse la testa, continuando a guidare. 
«Allora, dove stiamo andando?!» alzò il tono della voce, spazientita. 
Vittorio le rivolse uno sguardo bieco, poi continuò a guardare davanti a sé, imboccando un’altra strada. 
Valeryn scosse la testa passandosi una mano sulla fronte. 
«Credevo avessimo fatto una passeggiata!» 
«Non m’interessa la passeggiata» mormorò lui, tra i denti. 
«E cosa t’interessa, sentiamo?» lo provocò la ragazza con gli occhi verdi che sprizzavano scintille. 
Vittorio la guardò con uno sguardo convinto, lei sentì il cuore accelerare di colpo. Quanto era bello. 
Si sentì in difficoltà, in chiara difficoltà. 
«Stare con te» lo udì rispondere dopo un po’. 
  
  
  
  
Parcheggiò di fronte a delle scale. Valeryn riconobbe quel posto, veniva chiamato da tutti il “Belvedere”, era una piccola piazzetta situata in un punto molto alto, si vedeva tutto il suo paese da lassù. Uno spettacolo di luci. Era sempre emozionante stare lì. 
Vittorio scese dalla macchina, poi le aprì la portiera. Lei lo guardò mordicchiandosi un labbro, poi scese dall’auto e aspettò che l’altro la chiudesse. 
“Beh non sembri molto contenta.” 
Strizzò gli occhi per cercare di cancellare quelle dannate parole dalla sua testa. Si portò una mano alla tempia, come se in quel modo potesse non sentire più la voce di quella ragazzina. 
Il castano le diede una mano a scendere le scale, trovandosi di fronte a dei piccoli spalti che rendevano l’idea di un anfiteatro, colorate di rosso, blu e bianco. Dei lampioni illuminavano lo spiazzo circostante, posizionati tra delle colonne bianche e delle panchine in pietra. 
I due ragazzi raggiunsero il muretto da dove si vedeva tutta la visuale notturna. Valeryn si sentì quasi sospesa nel vuoto. Le girò un po’ la testa, ma non lo diede a vedere. 
Vittorio ci teneva tanto a stare con lei, e quel posto era così romantico. Eppure c’era qualcosa che non andava dentro di lei, non si sentiva così a suo agio... 
 “Forse pensi di lasciarlo?” 
Sbatté la testa, no, non poteva mai pensare ad una cosa del genere. Amava davvero Vittorio, ma... Ma? C’era un ma a quel punto, si disse, e non sapeva trovare una risposta logica che lo giustificasse. 
Lui l’abbracciò da dietro, poteva sentire tutto il suo amore avvolgerla, e quelle braccia... quelle braccia che tante volte le avevano dato così tanta sicurezza, che l’avevano così tanto amata in quell’anno passato, sembravano volessero soffocarla. 
“No, perché sai di solito è il contrario, l’ho visto così tante volte nei film, ma magari tu adesso non capisci niente e forse lo lasci.” 
Sospirò pesantemente, un sospiro quasi disperato. Vittorio se ne accorse, la fece voltare per guardarla negli occhi, in quelle bellissime iridi verdi, belle come lei. 
Valeryn lo fissò talmente insicura, distolse lo sguardo, non ce la faceva a guardarlo, sembrava che i suoi occhi grigi potessero scrutarle l’anima, potessero travolgerla, leggerle la mente. 
«Non ti piace qui?» sussurrò lui, sperando che lei fosse un minimo entusiasta di tutto quello. Invece sembrava quasi disperata, non la capiva proprio. Sapeva solo che gli faceva male in quel modo. 
La ragazza annuì. Il posto era bellissimo, le era sempre piaciuto. Ma quella sera si sentiva diversa, non riusciva a godersi niente. 
Vittorio sentì gli occhi farsi lucidi, quel silenzio era devastante per lui. 
«Che cos’hai?» le chiese a voce bassa «Dimmelo, ti prego» 
Una fitta sì impadronì del petto di Valeryn non appena questi la pregò. Forse lui aveva capito il suo stato d’animo. Non voleva che se ne accorgesse, non voleva che ci rimanesse male... 
Negò con la testa, poi cambiò discorso. 
«Che bello che Ross ti ha prestato la macchina!» esclamò, tentando di sembrare entusiasta. 
Il castano si passò una mano tra i capelli nervoso. 
«Non m’incanti Valeryn, ripeto, cosa c’è?» 
Lei si fece piccola, piccola stringendosi nel suo cappotto. Quando Vitto perdeva la pazienza diventava freddo e lei non sapeva che dirgli. 
«Non ho niente» mormorò abbassando lo sguardo, lui non se la bevve affatto, lo percepiva dentro che qualcosa non andava. Era come se fosse tutto forzato. 
Valeryn si sentiva così in difficoltà che cominciò ad innervosirsi. La testa le faceva molto male, aveva voglia solo di andarsene a casa, non voleva affrontare lui, che adesso stava davanti a lei aspettando una risposta. 
  
“Sì, ti conosco troppo bene, lo lasci.” 
  
Proprio in quel momento alzò lo sguardo verso le scale, delle voci provenivano da lì. Apparvero scendere delle sagome, sagome che riconobbe come loro, i suoi amici. Fece un sospiro di sollievo, come se l’avessero appena salvata in tempo, mentre gli altri alzavano la voce e ridevano come al solito. 
Non appena si accorsero di loro si fermarono all’improvviso, guardandoli, capendo di avere interrotto qualcosa. Censeo tirò da una manica del giubbotto Daniel, che stava per primo con delle bottiglie di birra e una di Santero in mano. Fece cenno di tornare indietro e lasciarli soli, ma il ragazzo con i capelli a caschetto non capì, o fece finta di non capire, e si rivolse direttamente ai due ragazzi. 
«Ma buonasera, anche voi qui, che grandissima coincidenza!» si sedette sulle scalette dell’anfiteatro poggiando birre, spumante, tirando fuori sigarette, cartine ed un apri bottiglie. 
«Questa sera si esagera! E guai a chi dice qualcosa!» si voltò a fulminarli con lo sguardo in un tono che non ammetteva replica alcuna. 
Censeo, Carmine e gli altri scossero la testa. La discrezione non era mai stata il suo forte, né tantomeno l’acume. 
Valeryn però sorrise in direzione delle sue amiche e, divincolandosi da Vittorio, le raggiunse, sentendosi sollevata di aver trovato una scappatoia. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando rassegnato. 
Aveva così tanto bisogno di parlare con lei... 
Il resto dei suoi amici stava ancora sulle scale, non sapevano se era il caso di scendere o no. Lui alla fine fece loro cenno di venire, e Censeo rivolse uno sguardo ad Alex e Carmine che, facendo spallucce, raggiunsero Daniel in preda all’euforia. 
Valeryn baciò tutte le sue amiche sulla guancia, poi si fece abbracciare da loro. Aveva tanto bisogno di quell’abbraccio confortante, si disse. Guardò Maia, che era venuta con il suo bel Steve quella sera, e le regalò un sorriso. 
«Meno male che siete qui» le sussurrò, abbassando poi lo sguardo, quasi pentendosi di quelle parole. La ricciolina fece una faccia interrogativa, poi si allontanarono un po’ dalle altre. 
«Perché, cos’è successo?» chiese apprensiva, scrutandola da cima a fondo. 
La castana scosse la testa, poi lanciò uno sguardo a Vittorio che era affacciato dal muretto ed era molto pensieroso. 
«Ho bisogno di parlare con qualcuno, Mai, ti giuro, non so che accidenti mi prende!» 
Maia rivolse uno sguardo veloce a Miriel, che le fissava con un cipiglio, poi scrollò le spalle. 
«Noi siamo qui, tesoro» annunciò. 
«Voi chi?» chiese la ragazza, non capendo a chi si riferisse. 
La riccia fece cenno verso Miriana. Era giusto che ci fosse anche lei, era la sua migliore amica, le avrebbe fatte riavvicinare. 
«Io e Miri» poi le sorrise e sorrise anche alla nominata in questione, che si avvicinò con le braccia incrociate. Valeryn sospirò titubante, poi le regalò mezzo sorriso, poi annuì. 
Avrebbe avuto bisogno di loro. 
  
  
  
  
  
  
Aveva bisogno di lui 
  
Il castano guardò il paesaggio illuminato sentendosi triste. Valeryn le sembrava così strana, così distante, non voleva nemmeno parlare con lui, era ovvio. Si sentiva così male a pensarci. 
Desiderava solo starle accanto, non chiedeva altro. Non voleva chiedere altro che non fosse... 
Lui. 
Scossa la testa, e adesso cosa diamine c’entrava lui? Perché si aggrappava a lui quando si sentiva perso? E perché sentiva quel bisogno disperato di sentirlo perennemente al suo fianco? 
Come risposta alle sue domande, Elia si avvicinò silenziosamente con due bottiglie di birra in mano. Poggiò i gomiti e la schiena sul muretto, e puntò gli occhi ambra su di lui. 
Il castano se ne accorse e mordicchiandosi il labbro inferiore alzò lo sguardo verso il suo migliore amico. 
Il biondo gli passò una birra in un gesto automatico, e ne bevve un po’ dalla sua. 
«Non era un buon momento» non formulò la domanda, l’affermò. 
Vittorio si stupì di come quel ragazzo riuscisse a capire assolutamente tutto. 
«Già, per niente» si passò una mano tra i capelli, bevendo un sorso, fissando il vuoto. Elia lo guardò ancora una volta, sentendosi davvero incapace di staccare gli occhi da lui. 
A parte che quegli occhi grigi sembravano due fanali nel buio, ma solo adesso si rendeva realmente conto di quanto il profilo di Vittorio fosse uno dei più belli che avesse mai visto. 
Strizzò gli occhi, ridestandosi dal pensare commenti fuori luogo in quel momento. 
Lui stava male, lo aveva capito, lo aveva percepito da appena erano arrivati lì come si era irrigidito alla loro vista e come Valeryn fosse corsa via, in preda al panico. 
«Che cos’è successo?» chiese serio. 
Era una domanda a cui non poteva non rispondere, si disse Vittorio. Non poteva resistergli, lui sapeva tutto, solo con lui riusciva a parlare. 
  
Lui era speciale. 

  
Sì, lo era. 
  
Ma non riusciva a spiegarselo nemmeno lui quello che stava succedendo. Con Valeryn gli pareva di afferrare il fumo con le dita per quanto era sfuggente, mentre con Elia non si sentiva del tutto normale. 
Forse era semplicemente il periodo, era stressato, non vedeva l’ora di trovare un appiglio di conforto e quello non era altri che lui. 
«Io...» si fermò un attimo, in difficoltà, poi si leccò piano le labbra. Un gesto così naturale che fece agitare qualcosa dentro Elia, una serie di fitte alla pancia che quasi dovette trattenere il respiro. Il suo stomaco si chiuse, e non seppe nemmeno il perché di quella reazione esagerata. 
 «Io non lo so» fece piano, mentre Daniel incominciava ad urlare cose senza senso facendo ridere le ragazze. 
«La vedo così strana, come se fosse confusa. Non è più la stessa, capisci?» 
Lui annuì, lo aveva provato sulla sua pelle un anno prima, ma non gliene fregava più. Si accese una sigaretta e ne passò una all’amico. Vittorio l’accettò e fece lo stesso. 
«È... è così distratta, come se non le interessasse davvero stare con me. Eppure noi aspettiamo un bambino, cazzo» 
Gettò una boccata di fumo, nervoso. Il biondo lo guardava, non riusciva a non guardarlo, ogni volta si perdeva a fissarlo come se andasse a caccia di qualcosa di imperfetto, una disarmonia. E ancora una volta si sentiva strano, ancora una volta non riusciva a trovarne nemmeno una. 
«Ehi, non è che sei diventato un tantino paranoico in questi giorni?» tentò di sdrammatizzare, facendo dei cerchietti con il fumo. 
«No» soffiò Vittorio, lanciando uno sguardo a Valeryn seduta insieme a Sara, che beveva un po’ di spumante. 
«Credimi, è la verità» affermò, triste. 
«Ti credo» udì dire dopo nemmeno un secondo. 
Elia gettò il filtro della sua sigaretta, facendo un ultimo tiro, alzando appena la testa. Odiava vederlo in quel modo, lui voleva solo vederlo sorridere, spensierato come quando facevano le cazzate insieme. 
Sempre insieme. 
Tornò a fissarlo, mentre il castano stava già facendo lo stesso, catturato dal modo in cui aveva rilasciato il fumo, un modo talmente sensuale, lo aveva fatto socchiudendo gli occhi e arrotondando le labbra. 
Stava delirando, doveva distogliere lo sguardo prima che se ne accorgesse. 
E poi successe tutto così in fretta. 
Elia poggiò una mano sopra la sua guancia, accarezzandolo piano, il pollice cadde giù a sfiorare le sue labbra. Vittorio rimase immobile, incapace di far qualcosa, il calore della mano dell’altro gli fece chiudere per un attimo gli occhi e sentì un tremito avvolgerlo per tutto il corpo. Ebbe una reazione spontanea e posò la sua mano su quella dell’altro. Fu come se non aspettasse altro che sentirlo così vicino. 
Riaprì gli occhi, accarezzandogli il dorso, ma a quel contatto entrambi ritirarono le loro mani come se si fossero appena scottati. Si fissarono, interrogativi, senza capire. Vittorio era annebbiato, si sentiva d’un tratto sconnesso, confuso, provò a schiarirsi la voce e fece per dire qualcosa ma non fuoriuscì alcuna parola dalla sua bocca asciutta. 
Elia lo vide che si guardava intorno, ma poteva giurare che si fosse agitato per quel gesto. 
Si morse il labbro. Forse era il caso che dicesse lui qualcosa... 
Censeo li salvò in extremis, li chiamò, invitandoli a sedersi sopra gli spalti. Il castano non se lo fece ripetere due volte, lo raggiunse evitando di guardare il biondo, che in quel momento si passava una mano nei capelli dandosi dello stupido. 
  
È Vittorio. 
  
E allora? 
  
E’ il tuo migliore amico 
  
Quella vocina aveva pienamente ragione, ma quella fitta al cuore non l’aveva solo immaginata. E nemmeno quelle allo stomaco. Succedeva sempre quando stava con lui, non riusciva a controllarle. 
  
Incominciava seriamente a non capirci più niente. 
  
  
  

  
  
  
  
nda 
Faccio questa nota con la speranza che qualcuno di voi mi faccia sapere come sta trovando la storia fino a questo punto. Nei prossimi capitoli avverranno sicuramente dei momenti più salienti, la storia deve ancora svilupparsi. Per adesso tutto procede lentamente, ma posso assicurarvi che arriveremo presto ad un punto. 
Noto che le letture ci sono, ma mi piacerebbe ricevere qualche recensione per incentivarmi ad aggiornare, la lentezza è dovuta a mancanza di pareri. 
A questa storia tengo molto, avrà molti sviluppi, però devo capire se vale la pena condividerla o tenerla solo per me, come ricordo. 
Vi aspetto. 
Rose 

 

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Capitolo 7
*** Paura ***









Vittorio si svegliò con un enorme emicrania. Sbuffò passandosi una mano sulla fronte, cercando di tapparsi le orecchie con il cuscino, ma il pianto del bambino era troppo forte, disperato. Si chiese se non fosse dentro la sua testa, ma udendo Ross imprecare dall’altra stanza capì che si trattava di suo nipote. Si alzò dal letto e raggiunse la camera del fratello. La porta era semiaperta, così entrò silenziosamente. Ross aveva tra le braccia il piccolo Claudio che piangeva, e ancora piangeva, sembrava veramente indomabile.
Vittorio, ancora sonnecchiato, sbadigliò e si pasticciò gli occhi.
«Che combini?» chiese mentre quello si voltava a guardarlo in cagnesco per aver parlato ad alta voce.
«Tento di far zittire il moccioso, non vedi?» continuò a sbattere il bimbo di qua e di là, ma Claudio non aveva intenzione di fermarsi. Ross perse la pazienza, come ogni volta che suo figlio piangeva.
«Ma che diavolo ha! Si è svegliato con la luna storta, eh?!» imprecò, iniziando a sudare per la difficoltà della situazione.
Vittorio scosse la testa e decise di dargli una mano dato che era totalmente incapace.
«Devi essere più delicato, così lo ammazzi praticamente» lo prese in braccio premuroso, poi, tentando di farlo calmare, dato che non sembrava voler smettere di piangere, lo dondolò avanti e indietro con le braccia. Non era esperto di bambini, non aveva mai avuto neanche dei cugini più piccoli. Eppure avrebbe dovuto cullare in quel modo suo figlio, esattamente nello stessa maniera in cui stava cullando suo nipote. Si morse il labbro e una sensazione di ansia allo stomaco lo attanagliò.
Sarebbe diventato padre…
Davvero sarebbe diventato padre?

Lui, così giovane, con tutta la vita davanti...
Ross lo guardò stralunato, poi alzò un sopracciglio.
«Certo, pivellino, che non sei male come genitore. Ti avevo sottovalutato» fu il commento pungente del più grande, che infierì come una lama.
Vittorio scrollò le spalle, poi gettò uno sguardo a Claudio che si succhiava il ditino. Era veramente un amore quel bambino, a parte quando frignava. Assomigliava tanto a suo fratello, ma aveva gli occhietti verdi di Nicole.
E suo figlio come sarebbe stato?
Si fermò a fissate il muro per dei secondi, non sentendo Ross che gli parlava. Continuava a pensare al repentino cambiamento di Valeryn, e a quanto male gli stesse facendo. E poi non riusciva a smettere di pensare a loro figlio, non sapeva se sarebbe stato in grado di farlo, il padre, forse era ancora un ragazzo immaturo... D’altronde neanche suo fratello sapeva ancora come comportarsi.
Fare il genitore non te lo insegnava nessuno, né lo si poteva imparare da qualcuno. Con sua madre era sempre in conflitto e lei aveva già i suoi tre figli, quelli naturali...
«Ma ci senti, dammi il bambino, si è addormentato!»
Ross lo distolse bruscamente dai suoi pensieri, prendendosi Claudio in braccio e poggiandolo sulla culla. Si assicurò che stesse effettivamente dormendo, poi lo coprì con la copertina ricamata che Mena gli aveva regalato.
Si voltò verso Vittorio, sbattendo la testa da un lato.
«Dì, ma che pensi alle vacche?» lo apostrofò, poi vedendo l’espressione persa del ragazzo, decise di piantarla.
«Okay, pivello, che ti succede?» incrociò le braccia, sedendosi sul letto.
«Niente...» fu il mormorio che provenne dalla bocca del ragazzo, con ancora lo sguardo vagante nel vuoto.
«Avanti, non dire cavolate, dimmi che c’è!» lo mise con le spalle al muro, e sapava che quando faceva in quel modo non poteva tergiversare.
Tra l’altro, era lui stesso ad averne bisogno, di parlarne con qualcuno; e quando Ross provava a tirargli fuori le cose a lui veniva naturale aprirsi.
Vittorio sospirò sedendosi accanto a lui, prendendo un po’ di tempo a giocherellare con il suo anello di metallo.
«E’ che ho paura, tutto qui» fu quello che riuscì a dire.
«Ah, beh!» esclamò il maggiore con un’espressione ironica «Di che cos’hai paura? Hai solo messo incinta la tua ragazza a soli diciotto anni, ma non preoccuparti, tra nove mesi passa tutto!»
Il ragazzo lo guardò torvo di fronte a quella battuta, poi alzò gli occhi al cielo.
«Grazie fratellone, tu sì che sei d’aiuto» sussurrò, un po’ irritato.
Ross scoppiò a ridere, come se tutta quella situazione fosse estremamente divertente e prendersi gioco di lui migliorava la situazione. Eppure fino a una settimana fa non sembrava l’avesse presa esattamente bene, ricordava di avergli visto raramente in viso quell’espressione preoccupata.
«Ma dai» abbassò la voce per evitare di svegliare Claudio che si muoveva nella sua culla «Ormai il danno è fatto, Vitto. Fa’ finta che vada tutto bene»
Il fatto era che non andava per niente bene. Valeryn era diversa con lui e non sapeva che fare, non sapeva come assicurarsi che le cose andavano ancora bene tra loro. Per quanto si sforzasse a mantenere in piedi quel rapporto, lei faceva dei passi indietro e risultava estremamente irraggiungibile.
Forse era egoista a pensare quelle cose, forse non riusciva a capire la condizione in cui si trovava, la situazione psicologica che stava passando; era incinta e la sua famiglia non l’aveva supportata, l’aveva rimproverata e aveva subíto le ire di suo padre che aveva smesso di parlarle.
Era lei a tenere il peso di quella gravidanza, lo aveva tenuto per settimane senza dirgli niente, e quello non glielo biasimava; ma non sapeva come potersi assicurare che le cose non stessero andando a rotoli, perché era una sensazione che aveva addosso da un po’ e non lo abbandonava un istante.
Ross notò i suoi occhi bassi e l’espressione triste. Sospirò facendo una smorfia rassegnata. Il suo fratellino si era cacciato in un guaio, ancora era un ragazzo ed era troppo per lui tutto quello. D’altronde anche per lui stesso che aveva ventisei anni non era esattamente facile, ogni giorno era una prova con sé stesso e crescere suo figlio era diventata la sua unica priorità nella vita.
Vittorio doveva ancora terminare la scuola superiore, era un ragazzino allegro come un fringuello e aveva sicuramente dei piani per il suo futuro.
Sapeva come un bambino poteva scompigliarli tutti, specie in un’età dove le scelte si rivelavano cruciali.
Doveva aiutarlo, doveva farlo sfogare un po’ per non farlo chiudere troppo in sé stesso e farlo cadere nello stesso baratro in cui si era perso lui stesso.
«D’accordo, pivello, facciamo una cosa» disse d’un tratto.
Vittorio alzò lo sguardo su di lui, interrogativo.
«Adesso noi lasciamo Claudio a nonna Mena, prendo la macchina e ci facciamo un giro in centro» propose, mettendosi in piedi.
Il castano sospirò, massaggiandosi la fronte con una mano.
«No, non è il caso» provò a fermarlo.
Si ritrovava improvvisamente senza forze e non aveva voglia di uscire.
Ross negò con la testa, risoluto.
«Non rompere le palle. Hai bisogno di distrarti, pivello, non puoi lacerarti la testa a diciotto anni, devi vivere!» lo redarguì, molto serio.
Lo prese dal braccio senza dargli tempo di dire qualcosa, Vittorio non riuscì ad opporsi e si fece trascinare piano fuori dalla stanza.
«Birra e panino farcito vanno bene? Oppure preferisci un bicchierino di amaro? Sai, l’altro ieri il Capus ci è andato giù di brutto, è andato a vomitare nel cesso del bar ma non ha fatto in tempo a buttarla nel cesso, capito? E’ rimasto a pulirgli tutto e lo abbiamo preso per il culo due giorni...»
Vittorio sorrise a suo fratello, mentre continuava a raccontargli gli aneddoti più strani dei suoi amici.
Meno male che c’era lui a tirarlo fuori dalle sue paranoie.








Tre ragazze, una con degli occhi verdi intensi, dei capelli castani mossi che le ricadevano sul seno, un’altra con degli occhi scuri come pozzi e dei capelli ricci dello stesso colore, e infine, l’ultima, con degli occhi castani e dei capelli scuri, lunghi e perfettamente lisci, erano sedute sul divano della vecchia casa di Alex, ormai stabilita ufficialmente come luogo di ritrovo.
Valeryn, Maia e Miriana approfittarono di quell’ora in cui i ragazzi erano assenti, occupati dale partite di calcio ai campetti, mentre Conny e Sara erano andate a fare shopping al centro commerciale. Anche Miriel avrebbe voluto andare a comprare una marea di cose, ma Valeryn aveva bisogno d’aiuto e d’altronde aveva intenzione di parlare con lei, dato che non avevano ancora avuto modo e lei quella cosa se l’era segnata al dito.
Maia rovistò nella dispensa tra le cose che avevano comprato qualche giorno fa. Maledì i ragazzi che puntualmente finivano tutto, ingozzandosi come dei maiali. Trovò di commestibile soltanto una scatola di arachidi. Poi aprì il piccolo frigo e tirò fuori un’aranciata.
Portò il vassoio sopra il tavolino e si accomodò sul divano, sedendosi alla sinistra di Valeryn che si torturava le mani, ancora insicura se rivelare tutto alle amiche.
«Lo so che non è il massimo» disse facendo spallucce, notando Miriel che lanciava uno sguardo interrogativo verso gli arachidi «Ma si sono divorati tutto, sono inaffidabili quelli là»
Poi si versò un po’ d’aranciata sul bicchiere, facendo lo stesso con quello delle altre due. Ne porse uno a Valeryn, che lo prese distrattamente.
«Tò, era meglio una coca cola, ma l’unica cosa che c’era era del cuba libre» scosse la testa, pensando a quanto alcolizzati e tossici fossero i loro amici.
Miriel accusò un sorrisino, poi mangiò un po’ di arachidi prima di concentrarsi su Valeryn. Aveva un’espressione preoccupata, i lineamenti del volto erano tesi, con una mano si torturava i capelli.
Scosse la testa, incrociando le braccia, in maniera un po’ altezzosa.
«Allora, si può sapere che ti prende?»
Era sempre stata una ragazza diretta, ma non aveva problemi, nemmeno con Maia che adesso le scoccava uno sguardo torvo.
Valeryn dal suo canto alzò le spalle, non sapendo come rispondere esattamente a quella domanda. La sua testa era così affollata da pensieri che non riusciva nemmeno a capire le sue sensazioni.
«Ecco, io... Non lo so...» fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare.
Miriana, che non amava portar le cose alle lunghe, prese nuovamente la parola.
«Andiamo, non incominciare a balbettare, eh?» la rimproverò «Se vuoi dirci qualcosa devi essere esplicita, altrimenti non capiremo niente»
Valeryn le lanciò un’occhiataccia. Odiava chi le si rivolgeva in quel modo. Per diamine, loro che ne potevano capire? Stavano lì a fissarla come se potesse improvvisamente illuminarle con chissà che rivelazione, nessuna di loro era rimasta incinta e si sentiva dannatamente in difficoltà nel provare a spiegare cosa aveva in testa in quel momento, aveva solo un mucchio di confusione. Si ridestò passandosi una mano tra i capelli, tentando di calmarsi.
«Non è facile, okay? Non lo è per niente, anzi...» ebbe uno scatto impulsivo e si alzò dal divano, facendo per andarsene, irritata e anche un po’ ferita.
«Non mi va più di parlare, non ne vale la pena» la sentirono dire.
Maia la trattenne subito da un braccio, la rimise a sedere e si voltò arrabbiata verso l’altra che la fissava con uno sguardo tagliente.
«Miri, evita di comportarti così, non la aiuti per niente!» la rimproverò.
La ragazza emise uno sbuffo e prese a guardarsi le unghie curate.
«Non è colpa mia se è diventata particolarmente sensibile» fu la lapidaria risposta.
Valeryn la guardò infastidita, poi si scostò i capelli dal volto. Adesso stava esagerando usando quei toni, quasi non la riconosceva più. Fece un passo avanti e la fronteggiò, mollando la presa di Maia dal suo braccio.
«Oh, certo!» esclamò con sarcasmo «Non sei tu quella incinta, o sbaglio?»
Miriel si voltò verso di lei con un cipiglio.
«Non sono io quella che combina una cazzata e poi si piange addosso!»
La castana rimase incredula a guardarla. Non poteva immaginare che una delle sue migliori amiche potesse risponderle con quei toni. Se l’era presa molto poiché non le aveva parlato prima della gravidanza, ma non poteva comunque trattarla senza un minimo di tatto. Prima che potesse risponderle, una riccia Maia pose fine a qualunque discussione.
«Ragazze, se dobbiamo litigare possiamo anche andarcene»
«Per me non c’è problema, lo stavo facendo prima che mi fermassi» sibilò Valeryn, con le braccia incrociate. Miriel scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo.
Maia scosse la ragazza da un braccio.
«Smettila anche tu, Vale, così non possiamo aiutarti. Devi rilassarti, okay?» tenne gli occhi fissi su quelli dell’amica e poi si rivolse all’altra «E tu, Miriel, sta’ zitta un po’ e lasciala parlare!»
Quella fece una faccia indignata, ma poi si zittì. Appena le acque si furono calmate, la ricciolina tirò un sospiro di sollievo.
«Allora, dicci tutto dall’inizio, siamo qui per ascoltarti» esortò l’amica, facendole un sorriso incoraggiante.
Valeryn prese fiato, scoccò un altro sguardo a Miriel che aveva il broncio, e cominciò a torturarsi i capelli. Poi decise di buttarsi, di raccontare tutto dall’inizio, perché lei stessa sentiva la necessità di mettere insieme tutto quello che stava provando per riuscire a capire come uscirne.
«Dunque, io... Non so esattamente cosa mi prende, so solo che mi sento molto strana...» fu la prima cosa che disse.
Miriel scosse la testa emettendo un suono scettico, mentre Maia assunse subito un’espressione preoccupata.
«Tutto questo è successo troppo velocemente...» fece un cenno alla sua pancia ancora piatta «E... e non so se riuscirò a sopportarlo. E’ come... come un peso per me...»
Miriana la guardò interrogativa, poi mosse di qua e di là i suoi lunghi capelli scuri.
«E adesso che significa che non potrai sopportarlo?»
Valeryn si morse il labbro, iniziando a sentire gli occhi lucidi.
«E’ difficile, ve lo giuro... Mi sento come in gabbia, mi sento cresciuta tutto ad un tratto e… non so che fare...»
Maia, che era molto empatica, fece uno scatto e le strinse una mano, gesto che non sfuggì a Miriel, la quale non riuscì a fare a meno di scoccare uno sguardo irritato alle loro mani intrecciate.
«L’altro giorno ho parlato con mia madre, mi ha detto che dovrò prendermi le mie responsabilità, dovrò dedicarmi sempre a questo bambino. E che dovrò crescere, sono ancora una ragazzina. Io... Io ormai sono segnata, capite? La mia vita non sarà più la stessa...» calde lacrime cominciarono a colarle dagli occhi smeraldini. Maia sospirò abbracciandola e anche Miriel abbassò lo sguardo.
«Ho tanta paura. Non voglio crescere, voglio fare la mia vita normale. Voglio cazzeggiare con voi, voglio fumare, voglio bere, voglio andare alle feste!» tirò su col naso «Quasi voglio tornare a litigare con Daniel...»
«Oh, beh, non preoccuparti, quello non cambierà» ridacchiò amaramente Miriel, scuotendo la testa.
«E... e poi...» si divincolò dall’abbraccio di Maia, puntando gli occhi arrossati verso la vecchia TV che Carmine aveva portato da casa sua. Sospirò pesantemente, si sentiva quasi libera adesso che lo stava dicendo a loro.
«E poi, Vittorio» si fermò a mordersi il labbro, mentre le ragazze si lanciavano uno sguardo confuso e interrogativo.
«V-Vittorio?» boccheggiò Maia, tentando di capire cosa c’era che non andava con lui. Miriel accavallò le gambe, preparandosi a sentire.
«Non lo so... Io sono così confusa...» mormorò.
«Sei confusa...» la riccia esitò un attimo prima di proferire «Sei confusa su quello che provi per lui?»
Quelle parole la colpirono come un pugnale. In fondo non lo aveva mai pensato direttamente, ci girava intorno come se fosse una nota dolente, ma sapeva bene che le sue sensazioni contrastanti riguardavano proprio i suoi sentimenti per lui.
Miriel scattò sull’attenti, la guardò stupita, spiazzata.
«Che cosa?!» chiese, spalancando gli occhi.
Valeryn si morse il labbro in ovvia difficoltà. Non sapeva che rispondere, o per meglio dire, sapeva che una parte di sé si stava allontanando da Vittorio, ma non riusciva a comprendere il motivo. Da quando aveva saputo della gravidanza, la sua testa era piena di dubbi e di esitazioni, si sentiva così terribilmente distante da lui che quasi non riusciva a farsi toccare.
Annuì debolmente decidendo di tirarlo fuori, non poteva nascondere la verità a se stessa ancora per molto.
Maia sospirò passandosi una mano sul bel viso, mentre Miriana boccheggiava, incredula.
«Io... io non ci posso credere!» esclamò, senza riuscire a dire altro.
Valeryn la guardò triste, poi socchiuse gli occhi. Nemmeno lei ci poteva credere, eppure non riusciva più a stare con Vittorio come faceva sempre, c’era qualcosa che la bloccava, si sentiva forzata, si sentiva come se avesse paura di lui, come se la gravidanza l’avesse macchiata.
«Tu stai dicendo che hai intenzione di lasciarlo?» chiese a bruciapelo Miriel con gli occhi ridotti a fessure. Come diavolo poteva pensare una cosa del genere? Proprio in quel momento, che aveva un bambino in grembo e lui era il padre?
Maia intervenne a suo favore per non far degenerare le cose un’altra volta. La situazione era già abbastanza delicata e difficoltosa da gestire per tutti, anche per loro, che non sapevano cosa dirle.
«Fa’ parlare lei, Miri. Cosa ti senti di fare?» le si rivolse apprensiva, cercando in qualche modo di farle capire che l’avrebbe sostenuta a prescindere, ma anche lei stentava a crederci, anche Maia si chiedeva com’era possibile che improvvisamente l’amica avesse tutti quei dubbi su Vittorio con cui aveva tanto lottato per stare insieme.
Valeryn sospirò. Non sapeva proprio cosa fare, percepiva semplicemente una sensazione di rifiuto, era come se avesse bisogno di spazio, di ossigeno.
«Non lo so, ve lo giuro. Sono come... bloccata...» disse,
Miriel negò con la testa, prima di alzarsi e fronteggiarla, puntandole un dito contro.
«Tu sei stupida! Non sei bloccata, sei solo una stupida!» alzò la voce.
Valeryn guardò Maia sconcertata. Adesso si stava toccando veramente il fondo. La riccia le fece cenno di sedersi, ma quella la ignorò
«Non capisci un cazzo, Valeryn! Sei diventata più idiota del previsto, dannazione, ma come puoi? Come puoi pensare una cosa del genere?»
«Miriana, basta!»
Questa si voltò verso la ricciolina che si era messa in piedi e le aveva stretto entrambe le braccia. Si divincolò con un impeto e quasi la fece barcollare.
«Tu sta’ zitta, Maia! Stai zitta! Smettila di difendertela sempre, sai benissimo anche tu che sta sbagliando! E’ inaccettabile!» urlò, il bel viso cosparso di un colorito roseo, segno che la collera aveva preso il sopravvento in lei.
Maia fece per intervenire, ma Valeryn la precedette e si mise in piedi. Non tollerava che nessuno le si rivoltasse contro in quel modo.
Nessuno.
La guardò con gli occhi verdi che sprizzavano scintille, di uno sguardo che avrebbe fatto paura chiunque.
«Non ho chiesto un tuo parere, prima di tutto» sibilò con una nota gelida che mascherava la rabbia «E poi io faccio ciò che mi pare, i problemi ce li ho io, non tu, tesoro, chiaro?»
Miriana incrociò le braccia, con un’espressione di sfida, senza farsi scalfire minimamente.
«Tu non puoi fare una cosa del genere a Vittorio, non puoi lasciarlo!»
«Perché no, sono fatti miei!»
La castana strinse i pugni, serrò i denti ed iniziò a sentire caldo per l’agitazione. Maia, preoccupata, le strinse delicatamente un braccio.
«No, cazzo!» l’altra mandò la sua raffinatezza a quel paese «Lui ti ama, stupida, lo farai soffrire in questo modo! Non capisci? Hai bisogno di lui, è il padre di tuo figlio, non puoi allontanarti da lui proprio in questo momento!»
Voleva solo provare a farla ragionare. Era uno sbaglio, Miriel lo sapeva. Conosceva anche Valeryn da una vita, conosceva quel suo lato impulsivo e tendente a mettersi nei casini, intuiva l’inizio di una serie di conseguenze nefaste. Non era solo una questione personale, del fatto che non le avesse detto niente, o meglio, lo era ma fino ad un certo punto. Era convinta che stesse commettendo un grosso errore che le sarebbe costato caro.
Valeryn guardò Maia in cerca di un aiuto. Quella, però, abbassò lo sguardo non sapendo esattamente come intervenire. Anche lei pensava che l’idea di allontanare Vittorio fosse troppo avventata, fosse qualcosa dovuta ad un momento di sbandamento ma non una scelta da prendere a lungo termine.
Aveva bisogno di condurre una gravidanza serena e con l’aiuto di tutte le persone che tenevano a lei, di sicuro non era una buona idea lasciare il padre del suo bambino. Come avrebbero preso quella scelta in famiglia?
«Io... Io ho bisogno di una pausa per riflettere, che ti piaccia o no, devo capire...» fu quello che riuscì a sussurrare.
«Ma che diavolo c’è da capire?»
La mora sbatté i capelli, innervosita da quello stato di ottusità che pervadeva l’amica in quel momento.
«Sei incinta di lui e lui ti ama da impazzire, si vede da ogni cosa che fa. Dopo tutto quello che avete passato? Dopo che hai messo le corna a Elia, dopo che ha rotto con il suo migliore amico per te, dopo che è andato contro la vostra famiglia perché siete cugini e tuo padre non vi accettava? Lui ti sta vicino come pochi ragazzi farebbero in questo momento. Lui non è andato via! Non è scappato, Valeryn, dopo che gliel’hai detto. E tutto questo perché vuole stare con te!»
La castana fece per risponderle, ma si limitò a mordersi il labbro, consapevole che Miriana aveva messo nero su bianco quello che il suo ragazzo aveva fatto e faceva per lui giornalmente.
«Come puoi ripagarlo così?» la udì sospirare, notando un velo di dispiacere sincero «Vittorio non se lo merita» disse infine.
Aveva ragione. Vittorio non meritava niente di tutto quello. Non meritava di essere allontanato, non meritava di essere tagliato fuori, non meritava di essere considerato un peso, non meritava di avere la colpa se lei era rimasta incinta e ancora lei avrebbe dovuto portare avanti la gravidanza per nove mesi con paura, problemi fisici, dolori, modificando il suo corpo e il suo stile di vita. Ma non riusciva ad immaginarlo al suo fianco, era come se la favola fosse improvvisamente finita e lei si fosse risvegliata nella realtà. Erano dei ragazzini che avevano fatto gli imprudenti e non sapeva cosa voleva. A volte, quando la notte chiudeva gli occhi, si ritrovava persino insicura di volerlo tenere in braccia quel bambino...
Di fronte ad un pensiero forte del genere, ebbe un fremito. Aveva bisogno di pensare alla sua situazione sentimentale, e Miriana non poteva interferire, era una sua amica, ma non aveva il diritto di imporle ciò che fare. Avrebbe scelto con la sua testa, anche se l’avrebbe portata a decisioni sbagliate, perché lei non stava bene psicologicamente e per una volta voleva pensare al suo benessere.
«Farò ciò che mi farà stare bene» annunciò fermamente.
La mora scosse la testa, quasi con disprezzo.
«Sei un’egoista» sputò fuori, fece per andarsene, ma poi si voltò all’improvviso puntandole il dito contro.
«Sai che c’è? Che secondo me hai paura, hai paura di stare con lui perché ti ha messa incinta! E’ a lui che dai la colpa di questo! Perché hai paura di affrontare la gravidanza, hai paura di tutto! Lo vuoi tenere questo bambino, sii sincera!»
Maia spalancò la bocca e si mise tra le due, la tensione era alta e vide Valeryn fare uno scatto verso l’altra che si irrigidì e si sentì agguantare.
«Adesso basta, Miriana, mi hai rotto il cazzo!» l’afferrò da un braccio sentendosi ferita nel profondo, sentendosi toccata, sentendo una freccia che aveva centrato il punto dei suoi problemi.
«Mollami, stronza!» fu la replica dell’altra, che alzò il braccio per levarla via.
La riccia intervenne immediatamente, facendo in modo che non incorressero in nessuno scontro fisico.
«Ora calmatevi tutt’e due, siete pazze? Non ne vale la pena!» urlò, redarguendole.
Miriel continuò a guardarla in cagnesco, mentre quella faceva altrettanto.
«Sei solo una bimbetta infantile che non pensa ad altro che a sé stessa! E te ne pentirai se lascerai Vittorio, quando non saprai che fare con un bambino tra le braccia, vorrai solo tornare da lui!» fu l’ultima cosa che la prima riuscì a dire, prima che la porta di casa si spalancasse e Censeo, Carmine e Daniel entrarono senza tanti complimenti.
Valeryn li guardò con un’espressione allarmata, mentre Miriel sbatteva i capelli, nervosa, e si sedeva, guardandosi distrattamente le unghie per dissimulare il trambusto appena successo.
Dietro di loro, Conny e Sara entravano tutte eccitate con delle enormi buste in mano. Maia guardò la castana con un sospiro e le fece un cenno come per dire che avrebbero parlato un’altra volta.
Sara si avvicinò con un sorriso a trenta denti, mostrando un vestitino verde corto fino al ginocchio.
«Che ve ne pare? E’ spettacolare, vero? Non mi fa nemmeno i fianchi grossi!»
Sorrideva contenta, mentre Maia lo esaminava e Miriel frugava tra le altre buste.
Valeryn si mise a sedere fissando il vuoto, e d’un tratto, fu come se niente fosse appena successo e le ragazze si distrassero dall’ambiente giocoso e chiacchiericcio.
«E questo?» la mora tirò fuori un reggiseno tutto in pizzo, rosso, sicuramente più grande di una misura e la mutandina a brasiliana in coordinato.
Sara glielo tolse subito di mano, imbarazzata.
«Lascialo stare, questo è privato...» borbottò, mentre le ragazze ridacchiavano. Daniel si avvicinò alla sua ragazza facendola spaventare, soffiandole nell’orecchio.
La bionda cacciò un urlo di riflesso e quello rise rumorosamente.
«Dì sei impazzito, per caso?» gli urlò contro.
«E tu sei una grassona» poi le scippò il completino di mano, osservandolo con un’espressione schifata
«Sul serio vorresti mettere questo coso? Ma se sei una balena, pasticcina mia, sarai orrenda conciata così»
Sara gli tirò un calciò arrabbiata, mentre Daniel si scansava e ne approfittava per palpargli il sedere.
«Porco!» lo apostrofò, spingendolo via.
«Bella, amoruccio della mia vita!» unì le labbra e si riavvicinò agguantandola per provare a scipparle un bacio, facendola strillare.
Maia rise, Miriel scosse la testa continuando a frugare tra le borse dell’amica. Valeryn accennò un piccolo sorrisino, mentre la sua testa si perdeva nei pensieri. Voleva tanto scherzare con lui come facevano i loro amici adesso, che, ridendo si baciavano e si abbracciavano. Daniel, a modo suo, era innamorato di Sara.
E lei, invece? Lo era?
Era ancora innamorata di Vittorio come una volta?
Quella domanda la devastava interiormente.
Carmine lanciò uno sguardo dis.ustato ai due piccioncini, poi si sedette sul divano accendendo la TV. Si passò una mano tra i capelli neri e alzò un sopracciglio.
«Certo che fanno proprio cagare» bisbigliò, mentre le ragazze ridacchiavano,
«E poi, Dan, del cuba libre in frigo... Ripeto, cuba libre, no, ma che problemi hai?»
Il castano si staccò bruscamente da Sara, facendola barcollare, con in volto un’espressione accigliata.
«Sei solo geloso, Carminiello» disse con un ghigno «Primo, perché Angelina ti sta mandando in astinenza»
Il moro fece per protestare, ma quello non glielo permise.
«Secondo, perché io so fare i drink, mentre tu no. Sei un buona nulla, ammettilo»
Carmine gli lanciò uno sguardo di fuoco.
«Chiudi quella fogna, idiota, e poi che ne sai tu della mia vita privata?» sibilò, divenuto improvvisamente rosso in viso.
«Io so sempre tutto, mi pare ovvio» rispose il ragazzo con i capelli a caschetto, vantandosi.
Carmine scosse la testa facendo una smorfia irritata, mentre Maia alzava gli occhi al cielo e si sedeva accanto a lui, dandogli un bacetto sulla guancia per calmarlo.
Quell’oggi sembravano tutti così in vena di litigare.
«Lascialo perdere, Mine. Lo sai che è un buffone» gli strinse un braccio, sorridendo.
Daniel si voltò versò di lei, lanciandole uno sguardo truce.
«Oh, tu guarda! Ha parlato la protettrice dei deboli!» la scimmiottò e subito dopo lanciò uno sguardo allusivo a Valeryn, facendo intendere che la debole era lei, che veniva sempre difesa a spada tratta.
La ragazza se ne accorse ma non reagì, emise semplicemente uno sbuffo e si mise in piedi per andare in bagno.
Si sentiva debole, le girava la testa e poi aveva una nausea persistente, era aumentata da dopo la discussione. Si era molto innervosita, forse doveva misurare la pressione, ma dubitava che in quella casa umida ci fosse un misuratore.
Miriel le scoccò uno sguardo sbieco, ma decise di non seguirla. Dopo quello che aveva detto, il suo orgoglio glielo impediva; d’altronde, poteva sempre contare sull’altra sua amica che di sicuro era più gradita di lei, pensò con le braccia incrociata, crucciata da tutta la situazione.
Conny, nel frattempo, tornò dalla cucina insieme a Censeo, che aveva in mano una tavoletta di cioccolato. Si sedette sulla poltrona amaranto, mentre la ramata si accomodava sullo stesso bracciolo.
«Guarda amore, guarda che ho comprato!» esclamò elettrizzata, tirò fuori dei leggins di pelle e un top grigio con le maniche a sbuffo, tutto brillantinato.
La sua moda era caotica e stravagante, un po’ come la sua personalità. Teneva comunque molto al parere del suo ragazzo, ma Censeo era distratto, rivolse un breve sguardo ai vestiti e poi annuì, voltandosi verso i suoi amici che ancora discutevano. Conny rimase spaesata per un attimo di fronte a quel mancato interessamento, non era affatto da lui. Censeo era sempre così attento, dolce e premuroso con lei.
«Ma nemmeno li hai guardati!» esclamò, tirandogli una gomitata sulle costole.
Il biondino fece una smorfia di dolore.
«Teso’, dai, conosco i tuoi gusti. Li vedrò meglio quando li indosserai» rispose addentando il cioccolato.
La ragazza assottigliò gli occhi e lo guardò. Censeo si sentì osservato e ricambiò lo sguardo.
«Ma che c’è?» le chiese, senza capire.
«Sei maleducato» proferì Conny, rimettendo i vestiti dentro le buste con un gesto stizzito.
Censeo alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Quando la sua ragazza pretendeva delle attenzioni diventava petulante.
«I tuoi vestiti mi piacciono, amo’. Lo sai. Non c’è bisogno che te la prendi così»
Conny s’irritò maggiormente per il modo superficiale in cui le aveva risposto, così si alzò dalla poltrona, prese le buste e si diresse verso la cucina, delusa.
Pensandoci, non era la prima volta che Censeo provava a minimizzare qualcosa che le stava a cuore. Era davvero insensibile delle volte, non sopportava proprio quella parte di lui che lo rendeva uguale agli altri.
Questi guardò il punto in cui era sparita e fece spallucce, pensando che le sarebbe passata presto, come al solito.
Il campanello suonò, Daniel corse a rispondere. Entrarono Elia e Alex, quest’ultimo infreddolito fino al capo rasato, l’altro con una bottiglia di birra in mano, i capelli biondi con un taglio a tendina che gli stava benissimo.
Daniel gli si avvicinò con una smorfia e lo squadrò con una punta di sana invidia.
«Sempre il solito ubriacone, tu! Con ‘sti capelli da froscio» lo apostrofò, mentre Elia gli dava uno scappellotto alla nuca.
«Che c’è, ti piaccio?» lo provocò con un ghigno mentre si mordeva volutamente il labbro inferiore.
Daniel fece finta di vomitare ficcandosi due dita in gola.
Alex rise, levandosi di dosso il giubbotto e sporgendosi sul divano ad abbracciare e baciare la sua Miriel, ancora visibilmente irritata.
Il ragazzo con i capelli a caschetto si diede un’occhiata intorno e notò che mancava Valeryn nella stanza, così si rivolse nuovamente ad Elia che beveva la sua birra.
«E Vitto dov’è? L’hai lasciato ai lupi?» chiese ironico.
Elia quasi si strozzò con la birra nel sentir nominare il nome del suo migliore amico.
Quel gesto dell’altra sera...
Il cuore prese a battere più veloce del dovuto e iniziò a sentirsi strano.
Se ne vergognò improvvisamente, soprattutto con l’amico di fronte che lo ispezionava in cerca di una risposta.
Non sapeva perché gli faceva quell’effetto, ma il solo pensare a quella carezza dell’altra sera gli faceva venire voglia di scomparire dall’imbarazzo.
«Non lo so...» fu quello che riuscì a mormorare, cercando di nascondere la sua difficoltà all’apparenza immotivata.
Daniel, infatti, stava per chiedergli se aveva ingoiato un porcospino, ma Alex fortunatamente intervenne, alzando le spalle.
«Non era con Valeryn?» chiese, interrogativo.
Che stava succedendo tra quei due? In effetti era il dubbio mastodontico che circolava da un bel po’ di giorni nella testa di tutti quanti.
Elia si levò di dosso la giacca e la lanciò con fin troppo impeto sopra una sedia incustodita. Alex gli lanciò subito uno sguardo preoccupato. Ripensò improvvisamente alle parole che gli aveva confidato l’amico.
Valeryn era diversa con lui, lo teneva a distanza, lo evitava più che poteva. Lui in quel momento aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di consigli, di qualcuno che gli sollevasse il morale.
«No, la pazzerella è in bagno a fare la popò!» udì dire a Daniel.
Il suo sguardo si perse nel vuoto, stringendo le labbra.
Si sentiva così legato a Vittorio che era come se stesse vivendo tutto quello in prima persona e non riusciva a levarsi dalla testa il pensiero dell’amico.
Aveva una brutta sensazione...







Valeryn si appoggiò con le mani al lavandino, ansimando.
Si guardò allo specchio, vedendo un’immagine di sé davvero brutta. Era pallida, aveva la matita sbavata e gli occhi lucidi. Perché era ridotta così? E quella dannata nausea che non le dava tregua, non riusciva quasi a respirare... Si portò istintivamente una mano sopra il suo ventre. Non sapeva se era solo la nausea a ridurla in quel modo, c’era dell’altro. Ed era sicura che avesse a che vedere con le dure parole di Miriel.
Dio, come poteva pensare anche solo minimamente di chiudere con lui? Lei aveva bisogno di lui, lei lo amava, ma non si sentiva più sé stessa da quando lo aveva scoperto. La gravidanza l’aveva sconvolta, stava divorando la sua vita, e lei, ancora così piccola, ancora così indifesa, non sapeva come
Sei un’egoista.”
Cominciò a piagnucolare. Lei non era così, quella non era la vera Valeryn.
Dov’era finita la ragazza di una volta?





Ross parcheggiò la macchina proprio sotto casa di Alex. Rivolse uno sguardo a Vittorio che fumava con il finestrino aperto e scosse la testa, tentando di riscaldarsi con le braccia. Si era fatta sera, erano andati in un pub a bere birra e fare un po’ di casino. Suo fratello doveva distrarsi un po’ da tutta quella situazione. Ross lo capiva, capiva perfettamente che era solo un ragazzo, aveva bisogno anche di quello, forse soprattutto di quello.
«E basta fumare, mi stai impuzzolendo la macchina!» lo rimproverò, poi si strinse nel giubbotto «Peraltro hai il finestrino aperto da mezz’ora e mi hai fatto congelare!»
Vittorio fece spallucce, poi gettò lontano la sigaretta finita. Di solito non esagerava con il fumo, ma in quei giorni era così nervoso che non poteva farne a meno.
Fece per scendere dalla macchina, ma suo fratello lo trattenne da un braccio. Si voltò a guardarlo interrogativo.
«Ehi, nemmeno un “Grazie, Ross. Mi sono divertito tantissimo con te, ti adoro, grazie per avermi pagato le birre, il panino e l’amaro”?» Il più grande alzò un sopracciglio di fronte a quel suo tentativo di sgattaiolare via senza degnarlo di una parola o di uno sguardo.
Vittorio sospirò e fece mezzo sorriso, annuendo.
«Sì, grazie. Sono stato bene» fu l’unica cosa che disse.
Aveva ancora in colpo quell’alcol da metabolizzare, non era semplice affrontare alcun tipo di discorso per lui.
Non fece passare dei secondi in più e scese dall’auto. Il più grande imprecò sonoramente, così lo richiamò, incitandolo a tornare indietro senza esitazioni. Vittorio alzò gli occhi al cielo e si fermò.
«Dimmi, che c’è?» chiese, appoggiando un braccio sul finestrino aperto.
Si guardarono negli occhi senza dire niente.
«Come che c’è?» chiese Ross, dopo un po’, sbalordito «Credevo ti fossi divertito!»
«Infatti mi sono divertito» confermò il castano.
Il fratello scosse la testa emettendo un suono gutturale che significava che non gli credeva affatto.
«E allora perché stai ancora così?»
Vittorio non rispose a quella domanda, solamente abbassò lo sguardo. Si era divertito veramente con lui, in quelle ore in cui aveva bevuto e fatto casino con il “Capus”, il “Prof”, Dado e tutti gli altri suoi amici non aveva pensato a niente. Ma adesso che sapeva che in quella casa c’era lei non poteva essere per niente tranquillo.
Perché erano tutti riuniti lì e lui non poteva fare a meno di salire a salutarli, si preoccupavano a loro volta, i suoi amici.
E’ solo che aveva una sensazione di ansia che riusciva a spiegarsi poco, o meglio, era come una sorta di presagio di ciò a cui sarebbe andato incontro.
«Ho capito» sospirò Ross, rassegnato «Stai così per quello, giusto?»
Continuò a non rispondere, si morse lievemente il labbro.
«Senti, ti dico una cosa» Il fratello maggiore lo guardò negli occhi, risoluto, e poche volte aveva visto quel bagliore negli occhi di Ross, che non faceva altro che prendere la vita alla leggera.
«La devi smettere, Vitto. Qualunque cosa succeda, devi essere forte. Devi farlo per te stesso. Altrimenti non starai più bene, ti lacererai»
«Lo so che non è facile» lo precedette, dato che stava per dire qualcosa «Ma guarda me. Io ce l’ho fatta in qualche modo, ce la farai anche tu. Tu sei ancora meglio di me, pivello. Mi costa dirlo, ma lo sei»
Vittorio annuì con un sorrisino che riuscì a strappargli dopo quella constatazione, poi fu investito da un grande gelo. Si strinse nel giubbotto e si avvicinò al portone, suonando il citofono. La serratura scattò. Un po’ impacciato, tornò indietro, non sapendo bene che parole usare.
«Senti, grazie, eh? Hai ragione» soffiò piano, mentre Ross annuiva, compiaciuto.
«Ah, e un’altra cosa. Mi sono divertito davvero oggi, io... Mi diverto sempre con te» gli rivelò con affetto, poi finalmente voltò le spalle ed entrò in casa, mentre il maggiore sorrideva e metteva in moto.


Proprio in quel frangente, Elia si trovò fuori in veranda a fumare. Aveva visto tutto, aveva sentito ciò che si erano detti. Gettò il fumo piano dalla bocca, che si confuse subito con il gelo dell’aria.
Stava davvero così male, Vittorio? Per lei?
Perché avrebbero avuto un figlio così giovani e Valeryn non lo voleva vicino come avrebbe dovuto...
Era comprensibile, non riusciva invece a comprendere quel suo patetico umore di fronte ad un realtà così oggettiva.
Continuava ancora a sentirsi tradito perché?
Voleva solo tanto aiutare Vittorio in qualche modo, fargli capire che lui gli sarebbe stato sempre accanto.
Ma quello che sentiva in fondo al suo cuore era che voleva Vittorio per sé, e nient’altro.
La mano gli tremò e la sigaretta con gli ultimi aspiri cadde di sotto.
Il castano, nel frattempo, entrò in casa. Daniel lo accolse festosamente, gli altri lo salutarono in coro.
«Bella zi’, aspettavamo solo te!» esclamò estasiato, mentre lui si toglieva il giubbotto e faceva per metterlo via.
«Ma no, da’ qua, faccio io!» glielo tolse dalle mani.
Carmine alzò un sopracciglio nel vedere quella scena.
«To’, ma guarda che servizievole!» commentò con sarcasmo.
«Per tua informazione, io riservo sempre questo trattamento agli amici» si pavoneggiò quello, mentre imboccava il corridoio e portava il giubbotto del castano in un’altra camera.
«Sì, come no, quando ci urli contro ti adoriamo!»
Vittorio lasciò perdere Daniel che, per l’appunto, strepitava contro il povero Carmine per averlo provocato. Qualcuno gli chiese qualcosa e, finito di rispondere, si accomodò vicino a Maia che aveva il cellulare tra le mani.
La riccia alzò lo sguardo su di lui e fu automatico ripensare alle parole dell’amica di poco prima, perciò scosse la testa, dispiaciuta. Vedere Vittorio in quel momento le faceva pensare che Valeryn si era bevuta completamente il cervello. Non poteva lasciarlo... Lui era così bello, così gentile... E in quel momento le sembrava così disperato. Non lo meritava.
Decise di apparire più disinvolta possibile e dirgli qualcosa, ma non potette fare a meno di notare dello sguardo di disappunto che Miriana le aveva lanciato avendo intuito le sue intenzioni. Decise di fare finta di niente e si accinse a rivolgergli un sorriso.
«Ehi, come stai?» gli chiese, piegando la testa di lato.
L’ennesima domanda del genere.
Vittorio abbassò lo sguardo e lei se ne accorse. Come stava? La domanda che più odiava in quei giorni.
Perché non stava bene.
«Bene, grazie, Maia» mentì.
Dopo si guardò intorno per sfuggire dalla sua stessa bugia, ma gli altri erano attenti a guardare la TV. Censeo però gli sorrise, poi gli fece uno cenno seccato verso Daniel e Carmine che discutevano ancora.
Maia continuò a guardarlo. Era caparbia, odiava vedere i suoi amici in quel modo, lei voleva sempre mettere una buona parola con tutti.
«Vitto, noi due siamo amici ormai da un paio d’anni» mormorò, anche se le urla di Daniel e Carmine risuonavano per tutta la casa. Lui le ricambiò lo sguardo interrogativo, era vero che si conoscevano da tanto, al dire il vero quasi tutti erano cresciuti nello stesso quartiere, tre quarti di loro avevano passato la loro infanzia insieme.
«E quindi ci tenevo a dirti che... che se hai bisogno di aiuto, beh, sappi che puoi contare pure su di me» gli venne naturale dirglielo.
Era nella sua indole, era una dote innata quella di preoccuparsi per chi voleva bene.
Lui le sorrise sinceramente. Quella ragazza aveva un cuore d’oro, era sempre dolce e affettuosa con tutti.
«Grazie, che carina che sei» le rispose.
«E un’altra cosa...» aggiunse seria, poi si passò una mano tra i ricci «Lei è in bagno, ti prego, raggiungila, è da tanto che sta chiusa»
Vittorio strinse le labbra e annuì piano. Doveva andarci, non poteva fare finta di niente, doveva incontrarla prima o poi, no? E Maia si stava rassicurando che si prendesse cura di lei.
Dove avere il coraggio di affrontarla, lui era il suo ragazzo.
In un gesto automatico, si alzò di scatti dal divano con il cuore che gli martellava in petto e scomparì nel corridoio.
Elia rientrò dalla veranda proprio in quell’esatto momento. Tutti si voltarono a guardarlo.
«E tu dove stavi, ti eri perso?» chiese Alex, squadrandolo strano. Il biondo negò con la testa, ma non aggiunse niente, concentrato a fissare il punto in cui Vittorio era sparito.
«Ah, a fumare, e quando mai!» constatò l’amico, ironico.
Elia fece ruotare il suo sguardo su Maia, interrogandola con gli occhi. Sentiva il profumo di Vittorio, gli fece girare la testa perché lo avrebbe riconosciuto in una folla di sconosciuti.
Si sedette vicino alla ragazza, nel posto in cui fino a qualche secondo prima c’era seduto lui.
Per un po’ di secondi si torturò le mani e non seppe se era il caso di chiederglielo, ma fu più forte della ragione.
«Dov’è andato? L’ho visto che è salito» sussurrò all’amica e lei lo guardò un tantino perplessa.
Elia si preoccupava tanto per Vittorio. Anche se a volte intravedeva qualcosa in lui di strano, di diverso, in lui. Lo conosceva troppo bene e si preoccupava davvero poco per gli altri, mentre per Vittorio aveva quella sorta di protezione, di devozione, quell’affetto viscerale che lei a volte non se lo spiegava bene.
Decise di non pensarci e gli rispose dicendogli la verità.
«In bagno, da Valeryn»





La ragazza si teneva la fronte, gli occhi socchiusi.
Si sciacquò la faccia per riprendere fiato, era la cosa che odiava di più, vomitare, le faceva ribrezzo. Eppure doveva abituarsi, erano già passate circa quattro settimane. Si sentiva così sola in quel momento, in quel vecchio bagno vuoto.
Ma chi aveva più?
Lei stava crollando a pezzi come un castello di carte.
E dalle persone che potevano salvarla non voleva essere salvata. Era come se avesse trovato confortevole il suo malessere.
Appena prese una tovaglia per asciugarsi, Vittorio aprì piano la porta.
Valeryn si voltò con il cuore in gola scrutandolo dallo specchio, non si aspettava di trovarlo lì. Lui la guardò a sua volta, poi si chiuse la porta alle spalle.
Rimasero fermi a fissarsi senza dirsi nulla per qualche secondo, tutti e due in difficoltà più che mai.
La ragazza si mordeva il labbro nervosa. Non voleva affrontarlo proprio in quel momento, era l’ultima cosa…
Stava male e voleva andare via…
Quel bagno le sembrava troppo stretto, sentiva ansia, disagio, non voleva che si avvicinasse.
Ma lui lo fece, si avvicinò di più a lei.
«Che cos’è successo?» gli chiese, facendo scorrere i suoi occhi per il bagno tentando di collegare
Valeryn non rispose, continuò ad asciugarsi la faccia.
«Hai vomitato, vero?» trattenne il fiato, il fatto che lei non rispondesse gli faceva male. La ragazza gettò uno sguardo al lavandino che aveva appena lavato, poi annuì lentamente, senza guardarlo.
Vittorio si avvicinò a lei poggiandole una mano sulla guancia, preoccupato. Lei alzò lo sguardo su di lui, senza parlare.
«Come stai adesso?» le chiese, spostandole una ciocca di capelli dal volto.
«B-bene...» sussurrò impercettibilmente, poi gli ricacciò piano la mano e andò a posare la tovaglia. Il ragazzo sospirò volgendo gli occhi al cielo, sentì gli occhi lucidi, ma doveva essere forte.
Forte, altrimenti sarebbe crollato su quel pavimento che di pulito aveva ben poco.
Si sarebbe lacerato la carne trapassandola fino al cuore.
«Dimmi qualcosa, Valeryn» sembrava una supplica, anzi, lo era «Dimmi che va tutto bene, ti prego»
Non andava tutto bene.
Non andava tutto bene fuori, non andava tutto bene dentro di lei. Le scese una lacrima traditrice, colpevole. Fece per andarsene, non poteva stare a guardarlo un minuto di più.
Lui, però, la trattenne da un braccio.
«Non andartene via, rimani con me, per favore» sussurrò con la voce incrinata, mentre con una mano la stringeva dalla schiena contro il suo petto.
Non voleva che la pregasse. Era troppo per lei. Senza pensarci, o forse perché in fondo ne aveva bisogno, si alzò leggermente sulle punte per poterlo baciare. Lui chiuse gli occhi, il cuore era impazzito, tutto dentro di lui sembrava impazzito. La strinse forte a sé dalla nuca passandole una mano tra i capelli, non voleva lasciarla mai. Voleva approfondire quel bacio, voleva tanto fare l’amore con lei…
L’afferrò in braccio e la fece sedere sul lavandino, aprendole le gambe ed infilandosi dentro, cercando di trovare un appiglio fisico in quella lontananza mentale che adesso sentivano.
Ma Valeryn bloccò la sua mano che aveva provato ad infilarsi sotto il suo maglione. Si staccò dalle sue labbra con lo sguardo basso, anche se lui non voleva lasciarla andare, la strinse ancora.
«Ti prego...» soffiò tra le sue labbra. I suoi occhi grigi erano tristi, ma poteva leggere tutto l’amore che provava per lei.

Sai che c’è? Che hai paura.”

Sì, aveva paura. Miriana aveva ragione. Aveva paura e non poteva farci niente. Aveva repulsione anche solo se la toccava e non riusciva a fermare quel senso di nausea allo stomaco. Si divincolò dal suo abbraccio.
«No, torniamo di là» disse lapidaria, scansandolo e rimettendosi in piedi.
Vittorio rimase spiazzato, non riusciva quasi a muoversi. La testa già pesante per quel pomeriggio di alcol, iniziò a martellargli.
Si sentiva così male...
Si sentiva così morire dentro.
Perché lei lo aveva rifiutato e poteva percepire tutto il suo disagio anche solo quando la sfiorava dai vestiti.
Valeryn uscì dal bagno, lui la seguì piano, senza dire una parola. Per quanto volesse, le parole non uscivano di bocca, nemmeno quando tornarono in salotto e tutti gli lanciarono delle occhiate apprensive.
Voleva andarsene.
Non voleva stare là.
Non aveva più senso stare là...
Però incontrò lo sguardo cervone di Elia e in quel momento desiderò abbracciarlo con tutto il cuore. Sentire il suo calore, sentirsi protetto.
Sentirsi amato...
Così si sedette accanto a lui, ancora in silenzio. Valeryn era con Maia e teneva gli occhi bassi e arrossati, gli altri li vedeva che facevano finta di niente.
Il biondo lo fissò ancora un po’, non gli aveva levato gli occhi di dosso. Evitò di fargli qualsiasi domanda superflua, solamente lasciò scivolare una mano su quella sua che si trovava appoggiata sul divano.
Vittorio sentì automaticamente un brivido a quel tocco, così alzò gli occhi grigi lucidi e lo guardò, si guardarono e parlarono tacitamente.
Allargò le dita e fece in modo che quelle dell’amico si incastrassero perfettamente alle sue prima di richiuderle.
Elia sentì il fiato mozzarsi.
E rimasero in quel modo.
E Vittorio non andò più via.
E stavolta quella mano la strinse e non ebbe paura.




















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Capitolo 8
*** Allontanamento ***











«Cerca di starle vicino il più possibile.»
Mena proferì quelle parole intenta a pelare delle patate in cucina. Non alzò lo sguardo su di lui; da quando aveva saputo la notizia e da quando Piero aveva fatto quella scenata in casa loro era sempre più arrabbiata.
Vittorio sbuffò, poi si passò una mano in mezzo ai capelli.
Come se fosse facile starle vicino. Sembrava che non volesse più stare con lui. Annuì lievemente.
Mena posò il coltello e spostò con il braccio delle ciocche castane che le ricadevano davanti agli occhi.
«Io ancora non capisco. Non riesco a capire…» mormorò, scuotendo la testa.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. Sua madre ricominciava con i soliti discorsi.
«Come diavolo avete fatto? È inconcepibile!» sbottò con le orbite di fuori.
«È assolutamente una cosa dell’altro mondo.»
Vittorio sbuffò di nuovo. Non era roba dell’altro mondo aspettare un bambino, si disse. Dio, quanto era diventata pesante, non la sopportava più.
«E lei, poi, ancora minorenne! Ci credo che Piero ha fatto tutte quelle storie.»
Il castano fece finta di non sentirla e mandò un messaggio con il suo cellulare.
Mena si pulì le mani con un panno, poi riprese incrociando le braccia.
«Sei stato un irresponsabile, Vittorio, te ne rendi conto? Siete ancora dei ragazzini. Santo cielo, non riesco ancora a crederci!» si portò una mano sulla fronte, angosciata, abbandonandosi sulla sedia.
«Prima Ross e ora tu. Siete uguali voi due, combinate sempre disastri. Oh, Vergine! E tu stai tutto pacato a fare finta di niente. Non capisci, sei ancora troppo giovane, sei troppo immaturo, sei così poco responsabile...»
Adesso era troppo.
Vittorio si alzò di scatto dalla sedia facendola sobbalzare, menando un colpo sopra il tavolo e facendola così zittire all’istante.
Aveva i pugni serrati e non ce la faceva più a sentire quelle critiche pesanti su di lui. Tutti pensavano al fatto che erano giovani, di qua e di là, ma nessuno sapeva cosa stava succedendo tra di loro, invece.
«Adesso basta, mamma, mi hai rotto i coglioni!» sbottò con il volto un’espressione livida.
Mena lo fissò con gli occhi spalancati, lievemente intimorita dalla reazione.
«Sempre a prendermi per irresponsabile, incosciente, tutte queste stronzate! Basta, mi sono stancato! Lo so che abbiamo sbagliato, che ho sbagliato, mettila come ti pare, ma basta. Non ce la faccio più!» urlò.
La sua salute psicologica era talmente fragile in quel momento da essere appesa ad un filo sottile.
Mena lo fronteggiò, guardandolo severamente.
«E adesso fai pure la vittima, bravo! Prima combini il danno e poi ci piangi sopra!» lo rimproverò apparentemente senza scrupoli.
Era sempre stata così, sua madre, severa ed esigente, ma adesso era troppo, si disse. Non meritava di sentire quelle parole offensive. Non meritava di essere definito vittima quando stava davvero patendo dentro le responsabilità delle sue azioni, quando Valeryn si allontanava sempre di più da lui.
«Senti, io sono qui che sto affrontando le cose, non sto scappando. Io non sono un vigliacco!» sbottò fumante di rabbia, di frustrazione nel sentirsi impotente di fronte ad una situazione così grande.
E fu un attimo prima che gli venne in mente qualcosa che gli comprimeva il petto da tempo e che aveva provato a malcelarla dentro di sé.
«E poi parli proprio tu, eh? Quanti anni ci sono voluti prima che mi dicessi che non ero veramente tuo figlio?» chiese con ironia tagliente.
Calò un silenzio pietrificante.
I suoi occhi grigi luccicarono pieni di risentimento, mentre Mena spalancava la bocca e si portava una mano al cuore, mortificata. Non avevano più affrontato quell’argomento fino ad allora.
La sua adozione rimaneva una ferita aperta su tutti loro, per il modo in cui avevano gestito le cose e per come Vittorio lo aveva scoperto.
«Chi era quella che piangeva per non aver avuto il coraggio di dirmi le cose come stavano? E adesso incolpi me! Io sono qui, io non scappo!» continuò.
Le lanciò uno sguardo di fuoco, uno sguardo che aveva qualcosa di represso, qualcosa che aveva cercato di seppellire, ma che era uscito inevitabilmente fuori perché dentro bruciava come fuoco ardente.
Mena abbassò gli occhi, ferita, gli occhi le si riempirono di lacrime. Quelle parole erano come pugnali per lei, perché aveva sempre sperato nel profondo del suo cuore e della sua anima che Vittorio riuscisse a superare al più presto quel trauma e invece non lo aveva ancora fatto, il dolore era ancora troppo vivido, aleggiava costantemente sopra di lui, sopra di lei.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, il cellulare del ragazzo squillò. Lesse il messaggio e fece per uscire dalla cucina.
La donna, con il cuore in gola e con le lacrime che colavano dalle sue guance, si voltò verso di lui.
«E adesso dov’è che vai?» chiese, tirando su con il naso, mentre una lacrima solcava la sua guancia e si faceva largo attraverso la pelle segnata dall’età.
Vittorio rimase di spalle, non si voltò neanche a guardarla.
«Da lei. Devo starle vicino, l’hai detto tu.» soffiò con voce tremante.
«Per quanto me lo permetta…» aggiunse poi in un sussurro, mentre una lacrima solcava anche il suo bel viso e l’asciugava con violenza, quasi fosse disgustato dalla sua stessa debolezza.
La donna rimase sola in cucina a piangere e a tormentarsi per i suoi stupidi errori del passato.
Non si sarebbe mai perdonata per ciò che aveva fatto a suo figlio, mai, e promise a sé stessa che non gli avrebbe detto più niente, non lo avrebbe più rimproverato, anzi lo avrebbe aiutato. Anche se era difficile comunicare con lui, anzi, quasi impossibile, quello era il minimo che poteva fare. Aiutare Vittorio a capire i suoi sbagli, a imparare a non commetterne più. Non voleva che un giorno potesse fare la sua stessa fine.
Guardò il secchio con le patate e lo spinse di lato, emettendo un singulto e portandosi il dorso della mano su un occhio.
Non aveva più voglia di fare niente, non aveva la forza.
Voleva solo piangere e piangere.






Passò a prenderla con la macchina di Ross. L’aspettava giù, mentre lei, con molto imbarazzo, indugiava sul portone di casa sua. Si morse il labbro inferiore, confusa, piena di dubbi tormentosi.
Non sapeva se stava facendo la cosa giusta.
Aprì la portiera e salì in macchina bisbigliando un flebile “ciao”, evitando accuratamente di guardarlo in viso.
Vittorio non si aspettava diversamente, perciò sospirò, ma non rispose. Mise in moto la macchina e partì per il centro.
Per tutto il tragitto Valeryn non disse una parola e lui non fece da meno. Non riusciva a dirle nulla, era come immersa nel suo mondo, in quei pensieri che il ragazzo non riusciva a penetrare.
Parcheggiò in un vicolo, poi scese dalla macchina aprendole lo sportello. Lei scese eludendo ancora il suo sguardo.
Gli sembrava così ridicola tutta quella situazione, o per meglio dire, il loro comportamento gli sembrava ridicolo. A Vittorio sembrò talmente ridicolo non parlarle, camminare al suo fianco senza stringere la sua mano, fare finta di niente quando in realtà aveva voglia di urlare.
L’osservò sedersi su una panchina, nella solita piazzetta comune.
Voleva scuoterla violentemente, voleva svegliarla, voleva urlarle che non riusciva più a sopportare tutto quello.
Non lo fece, solo sentiva il cuore che gli batteva veloce, come preambolo di qualcosa di negativo.
Era come se lo stesse mettendo in allerta.
Valeryn si guardò intorno, quasi aspettandosi di vedere spuntare tutti i loro amici da dietro gli alberi scuri. Ma nessuno di essi si fece vivo e lei ne fu quasi delusa di non avere una scappatoia dell’ultimo momento.
Iniziava a pentirsi di aver deciso di parlargli proprio quel giorno, forse non era pronta, non sapeva che parole trovare.
Vittorio, inoltre, sembrava perso nei suoi pensieri, il suo sguardo vacuo era puntato altrove. Lo sentiva che era triste per causa sua, per l’attaccamento evitante che aveva indotto da circa una decina di giorni.
Si sentì in colpa, più in colpa che mai. Dentro di lei non riusciva a credere di volersi allontanare da lui, dal suo unico amore, dalla persona che la completava nel modo più profondo, ma non sapeva che fare, non aveva altra scelta, aveva bisogno di riflettere.

Hai paura.”

Le parole di Miriel tornarono a tartassarle la testa. Forse era vero che aveva paura, perché nemmeno lei riusciva a trovare una spiegazione logica a quel comportamento. E si sentiva una stupida, ma doveva parlargli. Doveva metterlo al corrente di come si sentiva, delle emozioni contrastanti che la pervadevano quando stavano insieme.
Vittorio continuò a non spiccicare parola, prese un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e ne estrasse una. Non fumava giornalmente come Elia, anzi a dire il vero fumava poche volte e solo in compagnia degli amici, ma in quei giorni si sentiva nervoso come non lo era mai stato.
Poi ripensò al suo amico, tirando una boccata di fumo.
Elia. Ma cosa c’entrava in quel momento soffermarsi su di lui? Non era possibile che potesse collegare una semplice sigaretta a Elia…
Il solo menzionarlo nella sua testa gli evocò immagini del suo viso e il suo sorriso, la sua risata e le sue parole.
E le sensazioni.
Quelle erano più che mai impresse nella memoria del suo corpo.
Continuò a fumare nervosamente, per un attimo dimenticandosi di Valeryn alla sua sinistra. Cercando di capire il perché Elia lo turbava così tanto, perché sentiva una sorta di guizzo all’altezza del cuore quando pensava a lui.
La ragazza nel frattempo si portò una mano al ventre spontaneamente, poi decise di aprire un argomento perlomeno decente. Non riusciva più a sopportare quel silenzio, si sentiva in colpa, e doveva dire a Vittorio tutta la verità.
«Ehi. Me la offri una sigaretta?» lo chiamò, cercando di attirare la sua attenzione con una domanda a caso.
Il ragazzo smise di fumare, si voltò lentamente verso di lei, mettendola quasi in soggezione. Dopo come lo aveva trattato in quei giorni se ne usciva con una stupida sigaretta...
«No.» rispose semplicemente. Continuò a tirare dalla sua, volgendo lo sguardo altrove, mentre Valeryn lo guardava accigliata.
«Come sarebbe no?» chiese allora, brusca.
«No, sai cosa significa no?» la schernì con una smorfia «Negazione, non te la do la sigaretta.»
La castana rimase spiazzata dalla sua risposta e, ferita, abbassò lo sguardo.
«Volevo solo...» mormorò, ma la sua voce si spezzò.
Vittorio aveva tutte le ragioni per risponderle così, d’altronde lei voleva allontanarsi da lui, ma non sopportava la sua freddezza.

Sei un’egoista.”

«Non puoi fumare, lo sai.» aggiunse poi il castano, giustificando il motivo per cui non gliel’aveva data, improvvisamente interessato a dei bambini che giocavano a palla vicino a loro.
«Ma io...» provò ad aggiungere lei.
«Cosa?» Lui si voltò stancamente «Cosa, Valeryn, vuoi dirmi che cosa c’è?»
«Io…» si bloccò, perché i suoi occhi grigi erano freddi, la tagliavano, le facevano male.
«Io... Niente.» mormorò, tremante, intimorita al sol pensiero della sua reazione a quello che aveva da dire.
«Smettila di prendermi in giro, dimmelo per favore, dimmi che cazzo hai! Fai un cenno, scrivimelo, ma fammelo sapere!»
Vittorio aveva gettato la sigaretta ed era livido, le faceva paura, non lo aveva mai visto arrabbiato in quel modo. Aveva ragione a stare così, lei lo stava facendo soffrire senza che se lo meritasse e per di più non gli aveva ancora detto niente.
Guardò nervosamente la piazza, si torturò i capelli. Non riusciva a dirglielo, si sentiva una vigliacca.
Il ragazzo si portò una mano sul volto, scosse ripetutamente la testa, sorridendo amaramente. Sentiva gli occhi lucidi, il cuore continuava a battergli forte.
Perché doveva soffrire? Perché soffrire proprio quando pensava di aver trovato il culmine della felicità con lei? Certo, avere un bambino a quell’età non era una passeggiata, ma lui era sicuro che ce l’avrebbero fatta in qualche modo, che tutto quello avrebbe rinforzato il loro amore perché loro si amavano davvero, anche se erano giovani. Ma adesso... adesso, guardandola in quel momento, non sapeva se quell’amore era ricambiato.
Valeryn sospirò pesantemente, poi decise di allontanarsi da quel luogo troppo affollato. Se doveva dire la verità a Vittorio dovevano essere da soli, senza permanere in un luogo affollato.
«Torniamo in macchina, per favore.» lo pregò.
«Solo se mi prometti che parli.» aggiunse lui prontamente, guardandola negli occhi serio e con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Lei cercò di mantenere lo sguardo dei suoi occhi grigi.
«D’accordo» si arrese alla fine.
Non aveva altra scelta, doveva dirgli tutto.
Si alzarono, Vittorio con il cuore in gola, lei molto inquieta. Raggiunsero silenziosamente la macchina nel vicolo dove era parcheggiata. Il castano aprì le portiere ed entrarono dentro.
Ci fu ancora silenzio per qualche minuto.
Vittorio guardò Valeryn impaziente, lei guardava verso il finestrino, consapevole che ormai non poteva più prendere tempo, non poteva più fingere. Era arrivato il momento di dirgli tutto. Prese un bel respiro e incominciò.
«Vedi, Vitto, io ho fatto molti errori. E mi dispiace commetterne altri di cui so che mi pentirò.» disse piano.
Il castano sentì il cuore cedere, deglutì a fatica.
«Va’ al dunque, cazzo, niente discorsi profondi, niente stronzate. Per favore!»
Non poteva sopportare che lui la pregasse. Notò tutta l’ansia, tutto il suo dolore impresso nei suoi occhi grigi. Per alcuni secondi si disse di lasciar perdere, non stava facendo la cosa giusta, lo avrebbe perso, ma la sua mano scivolò sul suo ventre, quasi a ricordargli che dopo quello si sentiva cambiata.
Fece una gran respiro, mentre Vittorio continuava a fissarla intensamente quasi volesse penetrarla con lo sguardo.
«Ecco, io... Non so cosa mi succede, ma mi sento molto strana, mi sento confusa su ogni cosa, non riesco a capire se tutto questo lo voglio veramente.» spiegò con la voce tremante, mentre si spostava delle ciocche di capelli dietro l’orecchio.
«Intendi, che… non sai se tenere il bambino?» chiese Vittorio, preso dal panico al sol pensiero.
Lei sospirò, negando piano con la testa.
Ci aveva pensato all’aborto, nei momenti in cui si sentiva senza speranza alcuna di poter gestire quella situazione, ma adesso… Non aveva il coraggio neanche di pensarlo.
«No, non è questo. Riguarda me e te.» si apprestò a precisare.
Un po’ lo fece respirare meglio sapendo che non aveva intenzione di abortire, ma la consapevolezza che era come aveva pensato in tutti quei giorni lo trascinò nel baratro.
«L’avevo intuito.» Abbassò il capo con tristezza, ma subito dopo strinse i pugni guardandola di nuovo. Cercò di farsi coraggio, sentiva che ne avrebbe avuto bisogno.
Valeryn lo fissò vacuamente per alcuni secondi, poi scosse la testa e riprese.
«Devi perdonarmi... La gravidanza non mi sta facendo comportare come vorrei e... E non voglio che tu ne vada di mezzo perché non meriti di essere trattato così.»
Vittorio la guardò di sottecchi, con sospetto, poi con freddezza le domandò:
«Che cosa vuoi dire?»
La castana smise di torturarsi le mani, sbuffando per la difficoltà che sentiva nello spiegarsi, poi si morse il labbro inferiore.
«Io non so se sia la cosa giusta. Continuare a stare insieme.» lo disse, ma quasi si pentì di averlo detto un secondo dopo.
Ci furono dei secondi di silenzio dove gli unici rumori erano le auto che passavano in strada, accanto a dove erano parcheggiati.
Vittorio la guardò come se tentasse di capire una lingua sconosciuta, come se fosse un alieno proveniente da Marte, ma poi, dopo aver assimilato inevitabilmente le sue parole, aprì la bocca.
«Ma... ma che stai dicendo?» balbettò, non riusciva a proferire altro, guardava davanti a sé come se le macchine parcheggiate davanti fossero uno spettacolo stupendo.
Valeryn si sentì in colpa come non mai e si scompigliò i capelli, nervosa.
«Nel senso che... insomma, preferirei che ci allontanassimo per un po’, ma non molto, io… io voglio solo vedere se riesco a cavarmela da sola. Voglio mettere alla prova me stessa, capisci?»
Vittorio negò con la testa, stordito, la bocca semiaperta.
Non poteva, anzi, non voleva capire. Come poteva essere che la sua fidanzata, il suo amore, l’unica ragazza per cui aveva lottato fino in fondo potesse d’un tratto dire quelle parole?
Potesse distruggerlo così semplicemente come con un soffio avrebbe fatto cadere un castello di carte.
«Mi stai lasciando?» chiese puntando gli occhi su di lei, occhi grigi diventati d’un tratto freddi, glaciali.
La castana scosse la testa, non sapeva come dire, non sapeva ancora una volta se stava facendo la cosa giusta.
«NO!» si affrettò a dire, ma poi si morse il labbro ed aggiunse:
«Non lo so, ecco, voglio un periodo di pausa, Vitto, ma... ma non è colpa tua... sono io che...»
«Smettila! Smettila con queste puttanate!» urlò con rabbia, interrompendola e stringendo i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche.
Valeryn tremò leggermente, sentendosi intimorita dalla reazione inaspettata.
O forse era ingenua a pensare che non avrebbe reagito così, anzi, egoista, aveva pensato solo a lei, solo ai suoi bisogni, tralasciando completamente i sentimenti di Vittorio.
«Io non sono l’idiota da scaricare con le solite scuse del cazzo. Devi dirmi la verità.» le afferrò il mento con una mano e la fece voltare verso di lui, dato che si ostinava ad evitare il suo sguardo.
«Dimmi che non vuoi più stare con me, che non mi ami più, ma dimmelo.»
Il silenzio che susseguì fu doloroso come degli spilli conficcati nella carne.
I vetri erano appannati dal freddo.
Non riuscivano a trovare via d’uscita a quello che stava per accadere.
Calde lacrime solcarono il bel volto della ragazza, lacrime amare piene di colpa, colme di angoscia. Singhiozzò, mentre lui la guardava senza riuscire a dire nulla, colpito nel profondo del suo animo come un bersaglio da poligono.

«Io, adesso… Io non voglio più stare con te. Non sto bene.» furono le parole che infine pronunciò.

Crack.

E lui sentì il cuore spezzarsi.

La fissò incapace di crederle, come se gli avesse appena detto una burla e quasi si aspettasse uno scherzi organizzato dai suoi amici, che lei lo avrebbe abbracciato e lo avrebbe rassicurato. Non accadde niente di tutto ciò, anzi quelle parole risuonavano più veritiere che mai.
Sentì la gola secca e si passò una mano tra i capelli castani.
Faceva male più del previsto, più dei suoi incubi remoti.
I battiti accelerarono, cominciò a sentire un calore terribile nonostante il freddo di pieno inverno, la macchina di suo fratello pareva vorticasse spaventosamente fino a rinchiuderlo tra le sue pareti e fargli perdere il respiro.
«Non riesco a capire…» mormorò quasi senza accorgersene di averlo detto, anche se in fondo lo aveva capito, solo non voleva crederci, il suo cuore rifiutava quelle parole.
«Scusami.» disse lei, ancora con le lacrime agli occhi.
«Ho bisogno di questa pausa. Ti giuro che non sto più bene così. Mi... mi sento in trappola, io... mi serve del tempo, solo un po’ di tempo per riprendermi, assimilare tutto questo...»
«Forse non ti ho dimostrato abbastanza quanto ti amo.» aggiunse il ragazzo senza aspettare che finisse, con lo sguardo vacuo fissava il finestrino come se potesse vedere al di fuori, ma non poteva.
Buio, gelido, come quella giornata di dicembre.
Quelle parole la spiazzarono, spalancò gli occhi arrossati, poi tirò su con il naso e si tamponò gli occhi sporchi di matita.
Si sentiva così piena di rimorsi per aver preso quella scelta e per averla comunicata a Vittorio. Si sentiva colpevole del male che stava facendo a l’unica persona che non lo meritava.
«Non è colpa tua, Vitto. Non ho mai dubitato del tuo amore. La colpa è mia, sono io che non so come reagire a ques...»
«Basta dire che non è colpa mia, Valeryn!» esclamò rabbioso il ragazzo, continuando a stringere i pugni. Ci fu una pausa di silenzio assordante, dopodiché lui sussurrò:
«Hai... hai detto che non stai più bene con me, eppure... eppure in questi giorni ho solo tentato di starti più vicino, ma non me l’hai mai permesso.»
Valeryn abbassò gli occhi verdi.
«Lo so. Ero molto confusa. Poi ne ho parlato con le altre e...» ricordò con malincuore la conversazione del giorno prima con Maia e Miriel.
«E a dire il vero non erano d’accordo, ma...» tirò su col naso, Vittorio sentì gli occhi lucidi di riflesso.
«Ma... la scelta è mia, no?»
«Appunto!» sbottò il castano, adirato e con un senso di frustrazione addosso.
«Appunto. E’ una tua scelta, ma io? A me non hai pensato? Non hai pensato che forse a me poteva non stare bene?»
Il tono sarcastico la fece sentire nuovamente un’egoista, perché pur ripetendosi di star facendo del male a Vittorio, continuava a farlo preoccupandosi solo di sé stessa.
«Io e te aspettiamo un bambino, cazzo. Come puoi solo minimamente pensare di potertela cavare da sola? E a che scopo, poi? Per fare la ragazza madre? E io, non ho diritto di starti vicino durante la gravidanza? Non puoi escludermi.»
Lei si morse il labbro inferiore. Non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, in quel momento le sembrò così arrabbiato che non osava nemmeno voltarsi.
«Non ti escluderei mai dalla vita di questo bambino, sarai informato su tutto.» rispose piano, poggiando le mani sul suo ventre.
Vittorio scosse la testa e si massaggiò la fronte.
Chi glielo garantiva?
Se ne stava infischiando del fatto che in quella situazione erano in due, non solo lei.
Non doveva combattere una guerra da sola, c’era lui.
Lui, che lei rigettava e non voleva più accanto.
«Io non riesco più. Mi viene difficile, scusami, ma non riesco più.» la sua voce si ridusse in poco più di un sussurro.
Il castano levò la mano dal viso e la guardò indecifrabile, poi rise senza allegria. Sentiva un male atroce all’altezza del cuore, avrebbe preferito che lo uccidessero perché il dolore sarebbe stato lieve al confronto.
«Non riesci più?» ripeté sarcastico «Come se i sentimenti vadano e vengano in un secondo... come se adesso tu mi stai lasciando e io domani non ci penserò più...»
Scosse la testa, esausto, mentre lei si dava della stupida, lottando contro la voce della sua coscienza che, nella sua testa, la induceva a ritirare tutto, provava a convincerla che stava commettendo un grosso errore. Provò ad avvicinarsi per toccarlo, abbracciarlo, fare qualsiasi cosa ma non ci riuscì.
Non riusciva a toccarlo.
Aveva un rifiuto tale da farsi schifo lei stessa.
«Perdonami. Ti giuro che l’ultima cosa che voglio è farti del male.» sussurrò e quelle parole suonarono sincere, seppure non avevano un gran peso.
Vittorio rise nuovamente, una risata senza gioia, una risata derisoria. Lei notò perfino una punta di disprezzo.
«Troppo tardi, non ti pare?»
Sentiva sempre di più quelle lacrime sopprimerlo, ma lui non avrebbe mai pianto davanti a lei, non si sarebbe mostrato debole di fronte a chi credeva lo capisse e lo amasse, ma che invece lo aveva distrutto come un soldato in trincea nel pieno di una guerra.
Valeryn gli aveva spezzato il cuore quella sera e lui non poteva cedere. Non voleva, ma la tentazione era forte.
Aveva voglia di sfogarsi, prendere a calci il muro, rompere qualcosa. Si sentiva così male che sentiva lo stomaco in subbuglio e gli veniva da vomitare.
Era colpa sua, perché se esisteva Dio gli aveva inflitto una punizione per ciò che aveva fatto ad Elia.
Era così che si era sentito?
Abbandonato, pugnalato alle spalle.
Se lo meritava, forse, lo meritava tutto.
Le lanciò un altro sguardo, ma non si aspettò che lei dicesse altro. Prese le chiavi e mise in moto. Lei, spiazzata dal gesto repentino, lo guardò con gli occhi smeraldini interrogativi.
«Bene, meglio se te ne vai a casa.» disse poi senza guardarla, sforzandosi di utilizzare il suo tono più freddo.
«Oppure preferisci andare a piedi, visto che vuoi cavartela da sola.» le lanciò un frecciatina ironica subito dopo, non riuscendo proprio a trattenersi.
Valeryn si sentì ferita, fece per parlare, ma la sua gola era prosciugata come un deserto triste. Sentì nuovamente le lacrime agli occhi.
Vittorio non la guardò per tutto il tragitto, riusciva solo ad udire solo i suoi singhiozzi soffocati.
Ma che aveva da piangere?, si chiese, era lui che aveva lasciato, era lui che doveva star male.
Non aveva neanche il diritto di star male, aveva perso perfino la dignità di soffrire.
Deglutì, sentendosi arido dentro.
Parcheggiò di fronte casa sua. Lei indugiò prima di scendere. Voleva dire qualcosa, dirgli che nonostante tutto era ancora innamorata di lui, ma non ci riuscì. Scese dalla macchina sussurrando un debole saluto, dopodiché sparì dentro il portone.
Vittorio rimase ancora fermo con la macchina accesa, portandosi una mano alla fronte, cercando di capire se tutto quello era successo veramente. Represse le lacrime per l’ennesima volta, non voleva piangere per lei, non voleva fare più niente per nessuno.
Si sentì così solo quella sera, sentiva unicamente il battito del suo cuore spezzato. Qualcosa dentro di sé gli urlava di salire le scale che li separavano e pregarla di restare con lui, perché senza di lei niente aveva un senso, niente.
Ma strinse i pugni sul volante, mentre ripartiva a tutta velocità, deluso, con il luccichio di una lacrima fatta scivolare, silenziosa, e il dolore come unico compagno.









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