All That I'm Living For

di Scarlet Jaeger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note: Ci tenevo a dire due parole prima di iniziare questa mia prima storia in questo fandom. Diciamo che è la mia prima Shonen-Ai a più capitoli…solitamente scrivo Yaoi rosse ed autoconclusive, ma sto amando questi due come non ho mai amato nessun’altra ship. Non lo so, secondo me sono troppo perfettamente perfetti. Si completano, e non riesco a vederli separati T.T quindi ho bisogno di questa ship come ho bisogno dell’aria! (Sì, ok, sono un po’ esagerata xD). Però ho voluto dare il mio contributo per questi due anche io, inserendo nel fandom qualcosa di mio, ed incontrare tante persone che amano questi due tanto quanto me T.T <3
Buona lettura!
 
 
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All that i’m living for


 
 
 
A volte, ciò che il destino unisce la vita divide. Però, quando la vita divide due persone, forse il destino potrebbe farle rincontrare
 
 
 
Capitolo 1
 
 
 
 
«Iwa-chan, mi sono fidanzato!», cinguettò Oikawa, nel momento esatto in cui entrò nello spogliatoio della palestra dell’Aoba Johsai, colei che li vedeva protagonisti degli allenamenti in vista degli interscolastici.
Era appena iniziato il loro ultimo anno di liceo e la fama della squadra era arrivata alle stelle, soprattutto grazie al loro capitano, che nonostante fosse un giocatore assai dotato, era anche il ragazzo più popolare della scuola. Non era per cui difficile adocchiare ogni giorno ragazzine impazzite sui gradoni delle tribune, cosa che gonfiava l’ego del capitano più di quanto già non fosse pompato, e faceva storcere il naso a tutti gli altri componenti della squadra, che continuavano a chiedersi perché quel ragazzo frivolo e superficiale avesse così tanto seguito. Tuttavia i componenti della squadra continuavano a chiedersi perché le sue storie finivano sempre dopo circa qualche giorno.
La sua ultima storia era durata poco meno di un mese, ed era già un buon record per lui, anche se poi era stato scaricato di nuovo con la scusa del “non ci vediamo mai”, “sei sempre impegnato con gli allenamenti”, “non mi dedichi le giuste attenzioni” e cose simili.
Purtroppo però non erano solamente delle scuse, perché Oikawa Tooru, nonostante si vantasse spesso con gli amici di aver trovato una fidanzata, non riservava a quelle povere ragazze le dovute attenzioni. Sembravano più dei trofei da vincere che storie d’amore, come se il solo averle fatte cadere ai suoi piedi fosse stato il premio. Certo, gli piaceva averle vicino e stare in intimità, ma per lui la pallavolo veniva prima di tutto. Anche prima di loro, per questo alla fine quelle povere ragazze preferivano un ragazzo meno popolare ma più presente, e Tooru finiva per aggiungere un numero alla sua personale lista di bidoni.
Tuttavia non sembrava starci troppo male, o almeno era quello che pensava Iwaizumi, per quello nel sentire quel “mi sono fidanzato”, il numero 4 rimase con il pallone in mano e le sopracciglia aggrottate, a guardare il suo amico come se avesse appena detto un altro dei suoi sfondoni.
«Ah sì?», decise solamente di dire, perché provare ad ignorare il suo capitano era decisamente fuori discussione. Sapeva quanto poteva essere molesto Oikawa quando veniva snobbato da chi che sia, ma era ancora più irritante intraprendere con lui l’ennesima discussione dello stesso tipo. Discussione che si sarebbe conclusa nell’arco di qualche giorno con un “mi ha scaricato”, detto con uno dei suoi soliti sorrisetti divertiti e l’aria di chi ha appena vinto al guinnes dei primati.
«Sì, ed è un’amica della tua ragazza!», annunciò poi il numero 1, illuminando il volto tanto quanto si incupì quello dell’altro.
«Mi dispiace per lei…presenterò le mie scuse personalmente…», sbuffò poi Hajime, iniziando a palleggiare in solitaria verso il muro, pur di cercare di ignorare quella zecca del suo amico.
«Sei crudele Iwa-chan!», sospirò Oikawa, portandosi le mani sui fianchi con una smorfia decisamente contrariata, nonostante il moro gli stesse dando le spalle.
«Non è crudeltà, è solo la semplice realtà dei fatti», constatò il chiamato in causa, bloccando il palleggio e voltandosi di nuovo verso il ragazzo, inchiodando i suoi occhi verde scuro in quelli marroni del suo capitano.
«Vedremo!», ridacchiò infine Tooru, rubandogli il pallone di mano ed ammiccando verso la rete, «per cui iniziamo l’allenamento, così dopo potremo tornare a casa tutti insieme!», concluse poi, lanciandogli un’ultima occhiatina eloquente, che lasciò Hajime decisamente più contrariato del solito.
 
 
 
 
 
Passarono però esattamente 22 giorni, 10 ore e 32 minuti esatti prima che Oikawa Tooru venne scaricato di nuovo dall’amica della fidanzata di Iwaizumi, nonostante i ragguagli continui di quest’ultimo sul provare ad essere per lei più presente, ma c’era qualcosa in Tooru che lo portava irrimediabilmente a non ascoltare una parola di quello che gli veniva detto.
«Ti avevo avvertito», gli disse infatti Hajime, qualche giorno dopo la prima partita ufficiale contro la Karasuno e quella persa contro la Shiratorizawa, dopo che l’amico aveva esordito con un “sono di nuovo single”.
Stavano tornando a casa dopo l’allenamento, in cui entrambi avevano deciso di rimanere in squadra per provare a vincere l’accesso al torneo primaverile, ma il capitano dell’Aoba Johsai non sembrava né triste né turbato, ed anzi, secondo l’asso sembrava più irritante del solito…
«Quindi ti ha scaricato», rimarcò quest’ultimo, dopo che il ragazzo dai capelli castani ammiccò una plateale alzata di spalle, con quel suo sorrisetto da schiaffi e le mani intrecciate dietro la nuca come se la cosa non gli fosse minimamente riguardata.
«Più o meno…», sospirò poi Tooru, alzando lo sguardo divertito verso le nuvole che oscuravano il tramonto, «diciamo che mi ha battuto sul tempo. Ho capito di non aver tempo per una relazione. Abbiamo di fronte a noi un toreo importante, e dopo di esso saremo costretti a scegliere il nostro futuro…»
A quelle parole però Iwaizumi aggrottò le sopracciglia folte e si voltò con sguardo perplesso ad osservare il profilo del suo compagno di squadra. Osservò il volto rilassato reclinato verso l’alto, i capelli sbarazzini lasciati scompigliati dietro la nuca ed il naso all’insù che tanto aveva invidiato nella sua infanzia, chiedendosi come un trionfo di bellezza come lui, che poteva davvero avere chiunque lui avesse voluto, fosse invece così maledettamente insensibile.
Però quella domanda apparentemente senza risposta ne aveva in realtà una, ma in quel momento nemmeno lo stesso Oikawa sarebbe riuscito a metabolizzarla, per cui rimasero entrambi in silenzio per alcuni secondi, fino a che il primo a parlare non fu l’asso della Seijo.
«Allora stupikawa, pensa ad un modo per vincere la prossima partita…», lo ammonì con un’occhiataccia, che l’amico non sarebbe comunque riuscito a vedere, e lo sentì ridacchiare sotto i baffi, come se avesse appena detto una battuta di spirito, per cui capì che in fondo quell’esperienza non aveva comunque intaccato il suo ego.
«Come sempre, Iwa-chan»
Quando arrivarono di fronte al cancello della sua villetta, Tooru si costrinse a rompere il silenzio che era sceso su di loro dopo quell’unica conversazione, e lo fece parandosi di fronte all’amico prima che quello gli voltasse le spalle per percorrere i due isolati che lo dividevano da casa sua.
«Come hai fatto a capire di essere innamorato?», gli chiese di punto in bianco, e la delicatezza del discorso, mista all’espressione stranamente seriosa del suo capitano, portarono Iwaizumi ad assumere di nuovo un’espressione incredibilmente perplessa, perché tutto si sarebbe aspettato tranne che affrontare quel discorso con lui. Avevano passato insieme praticamente tutti e diciotto gli anni della loro vita, ma oltre la pallavolo, materie scolastiche e videogiochi, non c’erano stati altri temi riguardanti le loro conversazioni.
Tuttavia il numero 4 si convinse ad aprire bocca, perché in fondo quello stupido si meritava almeno una misera risposta, e per una volta che sembrava intenzionato ad ascoltarlo non poteva venire meno ai suoi doveri di migliore amico. E se sarebbe servito per portare Oikawa “sulla retta via”, tanto valeva provare ad essere più filosofico del solito.
«Non so com’è essere innamorati, perché forse è ancora troppo presto per parlare d’amore…», arrossì lievemente, «stiamo insieme da poco più di un mese, ma forse sai di essere innamorato quando hai paura di perdere quella persona. Quando quella persona riempie i tuoi pensieri e le tue giornate, e quando è la prima alla quale vorresti comunicare una notizia importante o gioire dei tuoi risultati. O quando senti le farfalle nello stomaco nel momento esatto in cui incontri il suo sguardo. O… o almeno credo…», sbottò, rosso in volto come se avesse appena visto qualcosa di peccaminoso, ma quando alzò di nuovo gli occhi verdi sull’amico, notò un’espressione turbata prendere il posto della sua solita espressione divertita.
In altre circostanze però, il capitano lo avrebbe preso in giro, ridendo a crepapelle per quella reazione fin troppo imbarazzata, invece quella volta Oikawa Tooru aveva l’aria di aver ricevuto una notizia che non avrebbe mai voluto sentire e quella cosa preoccupò non poco Hajime, che piegò di lato la testa con fare curioso.
«Sono discorsi troppo impegnativi per te?», brontolò, cercando di tornare ad essere il solito Iwaizumi di sempre, e stemperando un po’ la temperatura corporea, punzecchiandolo com’era solito fare, così che avrebbe immaginato Tooru scoppiare a ridere con la sua solita risata leggermente sguaiata che lo mandava fuori di testa.
Ma quello non successe, perché il volto si Oikawa si aprì in un piccolo sorriso, ma ben diverso da quelli che era solito affrontare.
«Sì, sono discorsi decisamente troppo impegnativi per me!», ridacchiò poi, aprendo il cancello della villetta con uno scatto fulmineo. «Ma grazie per avermi mostrato un tuo lato sensibile, Iwa-chan», ridacchiò di nuovo, e forse il moro poté dire che era tornato il solito ragazzo frivolo di sempre…
Almeno all’apparenza, perché dopo che si furono salutati, dandosi appuntamento all’indomani, le parole di Iwaizumi ronzarono nella mente di Tooru per tutta la serata…
Era da solo quella sera, almeno fino a quando sua madre non fosse tornata da lavoro, mentre suo padre aveva la sua nuova vita in Argentina*, e lui era troppo orgoglioso per cercarlo, per cui non aveva nessuno con cui parlare di ciò che aveva appena realizzato.
Anche chiamare sua sorella era fuori discussione, così com’era fuori discussone chiamare qualche suo compagno di squadra, persone a cui non voleva assolutamente far sapere ciò che gli stava passando per la testa…
Tuttavia la voce di Hajime continuò a tormentarlo per tutta la durata del suo breve pasto, ed anche quando si mise il pigiama per infilarsi finalmente sotto le coperte, quelle parole dette così troppo seriamente continuarono a scorrere nella sua mente come se fossero state i titoli di coda di un filma.
 
Sai di essere innamorato quando hai paura di perdere quella persona. Quando quella persona riempie i tuoi pensieri e le tue giornate, e quando è la prima alla quale vorresti comunicare una notizia importante o gioire dei tuoi risultati. O quando senti le farfalle nello stomaco nel momento esatto in cui incontri il suo sguardo
 
«Maledizione!», imprecò, sbattendo i pugni sul morbido cuscino di piume, rimanendo a pancia in su ad osservare il bianco soffitto della sua stanza in penombra, perché aveva appena realizzato che per lui, quella fantomatica persona che rispondeva a tutte le caratteristiche sopra citate, era proprio Hajime Hiwaizumi.
Aveva paura di perderlo, così tanto che il decidere cosa voleva fare dopo il diploma era per lui un ostacolo insormontabile, oltre al fatto che quella decisione gli metteva addosso una pressione tremenda, più dell’imminente torneo. Non voleva dividersi dal suo amico, ma non voleva nemmeno costringerlo a rimanere al suo fianco per sempre.
Era lui la prima persona alla quale voleva far sapere le cose. La prima che lui chiamava quando aveva bisogno di parlare.
Era stato il primo con il quale si era sfogato quando i suoi si erano divisi, ed il primo a cui aveva detto che sarebbe diventato zio.
Il primo al quale comunicava ogni volta i suoi fidanzamenti, ed il primo a sapere delle conseguenti rotture.
L’unico a cui aveva sempre mostrato il suo vero stato d’animo.
Il primo con cui si complimentava dopo una vittoria, ed il primo da cui voleva farsi consolare dopo una sconfitta.
L’unico di cui si fidava, così tanto che era a lui che andavano le sue alzate ogni volta che la squadra era messa alle strette, anche quando avrebbe dovuto usare altri schemi.
Era anche l’unica persona che riusciva a fargli sentire “le farfalle nello stomaco”, anche se non era mai riuscito a dare un nome, o una spiegazione, a quello strano fenomeno.
Quando gli occhi verdi del suo compagno raggiungevano i suoi, il suo cuore aveva uno strano fremito.
Non gli era mai successo con nessuna delle ragazze con il quale era stato. Con nessuna ragazza con il quale aveva deciso di provare. Con nessuna di quelle che lo fermava nei corridoi per dargli una lettera d’amore, i cioccolatini, o fargli una confessione, e forse fu proprio in quel momento che realizzò il perché non gli fosse mai propriamente importato di essere stato scaricato. Si era sempre detto che veniva lasciato solamente perché era troppo ligio ai suoi doveri di capitano della squadra dell’Aoba Johsai, e per l’amore che aveva per la pallavolo, che gli portava via fin troppo tempo, ma solo in quel momento capì veramente il delicato significato di tutto quello.
A lui non importavano le ragazze.
Ci si era divertito. Era andato oltre, ma non era mai riuscito ad essere soddisfatto al cento per cento dopo un rapporto, per cui in quel preciso istante la sua mente concepì la risposta che aveva sempre cercato nei meandri della sua anima.
Nonostante la sua frivolezza e superficialità, Tooru se lo era sempre chiesto, anche se poi con un’alzata di spalle aveva accantonato la cosa per continuare la sua vita come aveva sempre fatto.
Perché non riesco ad innamorarmi o a farmi coinvolgere in una storia con una ragazza?
Semplice, perché nessuna di quelle era Hajime Iwaizumi.
Quella consapevolezza arrivò al cuore di Oikawa come una doccia fredda, perché, nonostante fosse riuscito ad ammetterlo a sé stesso, non era sicuro di riuscire comunicarlo anche al diretto interessato, e forse non ci sarebbe mai riuscito.
Avevano passato insieme così tanti anni che oramai Iwa-chan era per lui una presenza costante nella sua vita, così tanto che non si era nemmeno mai fermato a pensare ai sentimenti che stavano lentamente mutando, giorno dopo giorno.
Ma non avrebbe nemmeno potuto continuare a vivere mentendo a sé stesso, maledicendo la ragazza che era al fianco del suo amico…
Forse avrebbe dovuto dichiararsi, perché in fondo erano sempre stati sinceri l’uno con l’altro, ma non sapeva ancora che quella decisione avrebbe cambiato il loro rapporto forse per sempre…
Fine capitolo 1
 
 
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Colei che scrive:
Ma salve e ben arrivati in fondo a queste altre note <3 Avevo bisogno di fare altri appunti, come l’* inserito. Sto recuperando solo ora il manga, ma non sono ancora arrivata al Time Skip, per cui non so assolutamente cosa succede nello specifico (so solo alcune cose lette qua e là, perché sono una persona estremamente curiosa xD), però per l’Argentina mi serviva un appiglio plausibile per spedire Oikawa fin là xD insomma, almeno un motivo nella mia mente doveva esserci xD inoltre probabilmente discosterà un po’ dal manga, perché appunto non so cosa succede, per cui spero riuscirete comunque ad apprezzare <3
Spero inoltre di avervi incuriosito, almeno un po’, per cui spero di leggere i vostri pareri, e che vogliate continuare insieme a me questo viaggio insieme a Tooru ed al suo Iwa-chan!
Finisco col dire che la citazione “a volte quando il destino unisce, la vita divide” è presa dal fumetto W.i.t.c.h, del numero 17, da me poi continuata, mentre il titolo della storia è una canzone degli Evanescence (ed io utilizzo spesso titoli di canzoni perché sono una pippa catastrofica nell’inventare titoli xD)
Ps. Mi scuso per gli eventuali errori, ma purtroppo correggo da sola e qualcosa sfugge sempre!
Al prossimo capitolo!!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
 
Dopo la consapevolezza di provare per Iwaizumi qualcosa che andava ben oltre l’amicizia, Oikawa iniziò a guardarlo con occhi diversi e notò cose che, probabilmente, aveva visto senza mai averle osservate veramente.
I suoi capelli avevano una sfumatura più scura sulle punte.
I suoi occhi avevano diverse sfaccettature più scure di verde.
Pronunciava sempre un “tz”, dopo un attacco non andato a segno.
Grugniva quando qualcuno gli diceva qualcosa che non avrebbe voluto sentirsi dire.
Camminava spesso con le mani nelle tasche e l’espressione assorta.
Aggrottava le sopracciglia in modo plateale quando era perplesso…
Erano tutti dei piccoli dettagli che Tooru aveva già visto nel suo amico d’infanzia, ma alla quale non aveva mai dato peso. Non si era nemmeno fermato ad osservarlo o sapere, per esempio, quale fosse il suo colore preferito, che aveva capito solo in quell’ultimo periodo essere il verde.
Iwa-Chan indossava spesso magliette di quel colore, e doveva ammettere che il verde acqua della loro divisa faceva risaltare il suo incarnato olivastro ed i suoi occhi verdi.
Era bello Hajime, per quello si chiese da quanto avesse iniziato a vederlo in quel modo.
Quando erano piccoli avevano sempre fatto la doccia insieme. Avevano dormito insieme. Mangiato insieme. Giocato insieme. Insomma, erano sempre stati molto legati, ma l’egocentrismo di Tooru aveva oscurato un po’ l’amico. Era sempre lui quello al centro dell’attenzione, ovunque essi andavano, ed era sempre lui quello che parlava per primo, che conversava o che faceva amicizia. Iwaizumi era il tipo che annuiva e basta e che parlava solo se interpellato, almeno con persone che non conosceva, per quello non si era mai accorto di alcuni piccoli particolari che aveva iniziato a vedere con occhi diversi solo in quel periodo.
Non era nemmeno riuscito a rendersi conto di quale fosse stato il momento esatto in cui aveva iniziato a vedere il suo amico con occhi diversi. Per lui era stato sempre una presenza fissa e costante nella sua vita, e non si era mai nemmeno fermato a pensare ad un futuro senza di lui.
Iwa-Chan aveva assistito alla sua prima alzata. Alla sua prima schiacciata. Alla sua prima battuta ed alla sua prima partita, essendo sempre stato al suo fianco come asso. Inoltre, ogni volta che in campo voltava lo sguardo verso sinistra, notava sempre il profilo di Iwaizumi osservare l’altra parte del campo con concentrazione e quella presenza riusciva sempre a farlo rilassare, così tanto che oramai lanciare una fugace occhiata all’amico prima del fischio dell’arbitro era diventata un’abitudine, come quella di guardare il grande “4” stampato alle spalle della sua maglietta prima di ogni battuta.
Tuttavia stavano per arrivare alla fine del loro percorso scolastico all’Aoba Johsai ed entrambi avrebbero dovuto decidere del loro futuro.
Sarebbero riusciti a rimanere insieme anche all’università?
Ma, soprattutto, come l’avrebbe vissuta Tooru sapendo di provare qualcosa per Hajime? Qualcosa che, probabilmente, lui non avrebbe ricambiato? In fondo era ancora fidanzato, ed era sicuro che il suo amico fosse etero.
In realtà era sempre stato abbastanza sicuro di esserlo anche lui stesso, ed invece si era innamorato del suo migliore amico. Com’era strana la vita, questo pensò la mattina dopo, quando, controvoglia, si alzò dal suo futon per indossare la divisa scolastica.
Inoltre si stavano avvicinando le qualificazioni del torneo primaverile e lui non doveva farsi trovare diverso o impensierito, perché altrimenti avrebbe destato diversi sospetti, soprattutto in Iwaizumi, che oramai lo conosceva come le sue tasche. Ed inoltre non doveva assolutamente permettersi di far preoccupare la sua squadra prima di un evento così importante.
Quella sarebbe stata l’ultima possibilità per loro del terzo anno di andare ai nazionali e sfidare Ushijima ancora una volta, sperando quella volta di poter vincere.
Tuttavia quel giorno Tooru era così sovrappensiero che continuò a fare degli errori piuttosto grossolani, che fecero storcere un po’ il naso sia ai suoi compagni che al mister.
«Oi, era troppo bassa!», gli disse invece Hajime, con le sopracciglia aggrottate, dopo un’alzata andata a segno quasi per il rotto della cuffia. Aveva alzato la palla senza effettivamente guardarla arrivare, e l’aveva toccata così goffamente da risultare quasi sbilenca, ed ovviamente l’asso se ne era accorto.
«Scusa, Iwa-chan», ridacchiò però, cercando di ritrovare il solito buon umore, «però sei riuscito a colpirla comunque», gli disse poi, con quel suo sorrisetto da schiaffi che faceva sempre incazzare l’altro.
«Impegnati, Shittykawa!», lo ammonì l’asso, regalandogli un’occhiata così glaciale che gli fece salire un brivido di paura lungo la spina dorsale. «Oggi sei fin troppo distratto»
“Se n’è accorto!”, pensò l’alzatore, mandando giù un groppo di saliva per cercare di calmarsi.
«Fa caldo!», rispose semplicemente, voltandogli le spalle facendo spallucce, così da non fargli scorgere il leggero rossore che gli era sopraggiunto sulle guance per l’essere stato beccato sovrappensiero proprio dall’ultima persona che avrebbe dovuto notarlo.
«Ti picchio se ti trovo di nuovo distratto!», gli ringhiò dietro il numero quattro, e da quel momento Oikawa si immerse totalmente nel gioco, così da non lasciare che pensieri diversi dalla pallavolo avessero potuto sfiorargli la mente.
Nemmeno il fatto che Iwaizumi era stranamente attraente quel giorno, con la maglia tutta sudata appiccicata addosso al petto e le gote arrossate per l’elevata temperatura in quella palestra…
 
 
Il peggio però venne quando fu il momento di andare negli spogliatoi, per fare la doccia come di consueto, cosa che tutti facevano insieme come se nulla fosse, ma i pensieri fatti dal giorno prima avevano così tanto condizionato la mente di Tooru che rimase a fissare il suo armadietto aperto neanche fosse stata una donna intenta a scegliere l’outfit per una serata importante.
Era sempre stato normale per loro spogliarsi dagli abiti sudati come se fossero tutti fratelli, e nessuno di loro aveva mai allungato l’occhio più del dovuto, se non per fare qualche scherzo o ridere delle dimensioni altrui, sempre per scherzo ovviamente. E mai nessuno lo aveva fatto contro di lui, in ogni caso, che fosse stato per il rispetto che avevano per il loro capitano o per le dimensioni non proprio piccolissime...
Eppure in quel momento si sentiva stranamente accaldato, e fu sicuro che non fosse per l’elevato clima estivo, nonostante l’estate fosse oramai agli strascichi, ma per la presenza di un Hajime nudo accanto a lui, intento ad appallottolare i suoi vestiti per gettarli nel borsone, nella parte davanti dove tutti loro mettevano il cambio usato per l’allenamento.
L’aveva visto col pelo dell’occhio, e gli era bastato scorgere le spalle larghe, l’addome tonico ed i fianchi stretti per agitarlo…
«Oi, tardokawa, muoviti che non ho assolutamente intenzione di aspettare i tuoi comodi…», gli disse infatti quest’ultimo, dopo aver notato lo strano silenzio in cui si era chiuso il suo amico.
Lo aveva osservato per un po’, mentre con movimenti fin troppo lenti per i suoi standard aveva tirato fuori i boxer e la t-shirt pulita dalla borsa, senza neanche mai staccare gli occhi dal suo operato, quando invece di solito era il più casinista della squadra.
Solitamente Oikawa entrava nello spogliatoio lodandosi delle alzate perfette che era riuscito a fare durante l’allenamento, o su quanto fosse meraviglioso, impressionante, migliorato, e tutti aggettivi che si dava da solo, camminando con un sorrisetto sornione stampato in faccia e le mani intrecciate dietro la nuca, invece quella volta era stato l’ultimo a lasciare la palestra e lo aveva fatto senza importunare nessuno.
Oikawa che non importuna nessuno?!”. Questo pensò Hajime, cosa che lo portò infatti a richiamare la sua attenzione. In fondo, nonostante i vari cambiamenti d’umore del suo capitano, neanche fosse una donna mestruata, si preoccupava spesso per lui.
«Sei crudele Iwa-chan!», lo ammonì però Tooru, col tono di voce falsamente scandalizzato che utilizzava spesso per cercare di far muovere a compassione l’amico, e quello fece capire all’altro che forse la questione non era poi così grave quanto credeva. Ma non poteva nemmeno sapere che la fonte dei suoi pensieri fosse lui, o il fatto che lui fosse di fronte al suo capitano completamente nudo come se non fosse mai successo prima.
«E tu sei ancora vestito», appuntò infatti Hajime, sentenza che costrinse il capitano a voltarsi verso di lui con le mani nel sacco.
«Stavo prendendo le mie cose!», gli rispose con un broncio, iniziando poi a liberarsi di quegli indumenti oramai madidi di sudore, sotto lo sguardo attento dell’asso, quasi fosse una mamma che osserva il figlio fare ciò che gli aveva appena intimato.
«Ecco, sei contento ora Iwa-chan?», chiese il numero 1, con un sonoro sbuffo, cambiando poi l’espressione falsamente scocciata con una molto più beffarda, «oppure non vedevi l’ora di vedermi nudo?», ridacchiò sotto i baffi, ma dopo l’espressione imbufalita di Hajime, nel quale ci scorse anche un pizzico di perplessità, si ammutolì di colpo. Aveva aperto bocca senza nemmeno pensarci, e quella strana domanda aveva un po’ confuso il numero 4, che nonostante sì fosse da sempre abituato alle stranezze ed alle battute di spirito del suo capitano, quella volta ne era rimasto totalmente spiazzato.
Tuttavia non ci dette peso.
«Non vedo l’ora di tornare a casa», mise in chiaro, spezzando il silenzio che si era creato tra loro, nonostante il baccano che stavano facendo i loro compagni di squadra, «quindi muoviti e non perdere tempo a farti bello come al tuo solito!», grugnì infine, scoccandogli un’occhiata di sbieco e dandogli una leggera spinta per indirizzarlo verso le docce. Poi gli voltò le spalle e si infilò sotto il getto caldo dell’acqua, mentre Tooru rimase ad osservare per un momento, ed in modo estasiato, l’acqua corrergli lungo la schiena ed i glutei sodi prima di infrangersi con uno scroscio sul piatto doccia, facendolo svegliare dalla trance.
Così è un’agonia!”, pensò poi, posizionandosi nella doccia accanto a quella in cui si era rifugiato il suo amico.
 
 
Quando finalmente riuscirono ad uscire dagli spogliatoi era oramai l’ora del tramonto, ma i due non si lasciarono impressionare dall’ora tarda e, nonostante il broncio sul volto di Hajime, presero in silenzio la via di casa.
Iwaizumi ogni tanto voltava lo sguardo verso Tooru, che invece era costantemente intento a non spostarlo verso di lui, ma quel fatto preoccupò l’asso ancora di più, perché un Oikawa così poco irritante era cosa rara da trovare, per cui dovette per forza arrivare a pensare che ci fosse qualcosa che lo stava turbando, e per aver ridotto in quello stato una persona come il numero 1 capì che doveva essere importante.
«Oi», lo richiamò infatti, aspettando che l’amico si voltasse a guardarlo con le sopracciglia aggrottate, «si può sapere che ti succede? Ultimamente sei strano…», grugnì, notando come la mascella di Tooru si contrasse appena sotto quelle parole, «non dare di matto prima di un torneo importante», concluse poi, risultando forse più brusco del solito, ma l’altro incassò il colpo com’era solito fare quando Hajime risultava essere fin troppo incavolato.
«Non essere cattivo Iwa-Chan», sbruffò infatti, con un tono di voce lamentoso, «capita di avere dei pensieri, no?», alzò i palmi delle mani verso il cielo con estrema noncuranza, assumendo il suo solito atteggiamento burlone, ma Iwaizumi era sicuro che avesse qualche problema di cui non voleva parlare, neanche a lui che era il suo migliore amico, e quel fatto lo impensierì un po’. In fondo Tooru si era sempre confidato con lui, anche se non di cose estremamente importanti, perché fino a quel momento la loro vita si era svolta come quella di due normali ragazzi della loro età, ma il fatto che il suo capitano non volesse parlarne con lui lo aveva lasciato leggermente impensierito. Iniziò anche a pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato, o aver detto qualcosa in maniera più brusca del solito ed averlo ferito, ma per quanto Hajime scavò nella memoria non riuscì a trovare nulla.
Tuttavia i suoi pensieri vennero annullati dalla voce dell’altro, che riprese a parlare dopo una breve risatina leggermente nervosa.
«Però, Iwa-Chan, per la prossima partita sarò in forma smagliante! Vi ho forse mai deluso?», fece spallucce con un’espressione trionfante, di quelle che si vedevano spesso sul suo volto dopo aver effettuato un ace, o dopo aver vinto una partita importante.
«No, non lo hai mai fatto…», gli rispose l’asso, e c’era una verità imprescindibile in quella sentenza, perché per quanto infantile, suscettibile e superficiale fosse Tooru Oikawa, non aveva mai deluso né lui nè la squadra, sia come capitano che come amico.
«Lo vedi?», gonfiò il petto con fare divertito, e forse fu in quel momento che Iwaizumi riuscì a tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia non era ancora del tutto convinto che il suo amico fosse nelle perfette condizioni di sempre, e le leggere occhiaie che riusciva ad intravedere sul suo volto, nonostante la semioscurità lasciata dal tramonto, ne erano la prova. Per quello tentò di insistere.
«Allora mi vuoi dire che succede?», lo inchiodò di nuovo sul posto con un’occhiata ammonitrice, una di quelle che ti costringono a vuotare il sacco seduta stante, e Tooru dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non crollare di fronte a quello sguardo.
In fondo quegli occhi verdi iniziavano a fargli un certo effetto.
«Iwa-Chan, a volte sembra di parlare con mia madre», ridacchiò, convinto di sviare il discorso, ma si beccò di nuovo un’occhiataccia, per cui si costrinse a rialzare lo sguardo verso il cielo con un sospiro.
«Facciamo così», iniziò poi, sicuro di avere già tutta l’attenzione di Hajime su di sé, «vinciamo l’accesso al torneo primaverile e ti prometto che te ne parlerò!», concluse infine, riabbassando il volto per riportare i suoi occhi color cioccolato in quelli verdi del compagno, nonostante il leggero brivido che gli corse lungo la schiena. Ma prima che avesse potuto dire altro, il suo asso lo precedette.
«Sei un fottuto calcolatore», brontolò con i suoi modi cavernicoli, ma Tooru si lasciò scappare l’ennesima risatina con un’alzata di spalle. «D’accordo Shittykawa, conducici ai nazionali!», sospirò poi Hajime, sconfitto, perché erano oramai diciotto anni che sapeva di non poter vincere quel tipo di gara contro l’amico. Era troppo astuto e furbo, ma finché continuava a sorridere, o a divertirsi come in quel momento, era sicuro che, qualunque problema avesse afflitto il compagno, non gli avrebbe impedito di giocare in maniera eccelsa come sempre.
Tuttavia, quando Tooru salutò il suo asso per entrare finalmente in casa, si appoggiò con un sospiro sconfitto alla porta d’entrata della sua villetta, scivolando pian piano fino a ritrovarsi seduto a terra.
Come avrebbe fatto a dire ad Hajime, il suo migliore amico fin dall’infanzia, di essere innamorato di lui?
Fine capitolo 2



 
 
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Colei che scrive:
 
Ma salve a tutti e ben trovati <3 Innanzitutto mi scuso per gli eventuali errori che, probabilmente, avrete incontrato leggendo >.< è un periodo un po’ pieno per me, ma la voglia di scrivere supera tutto il resto.
So che questi sono capitoli dove non succede nulla di che, però mi servono ai fini della trama, e per sganciare la bomba xD
Ringrazio tutti i lettori, e tutti i lettori silenziosi giunti fin qua <3
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Note: In questa storia, la partita tra l’Aoba Johsai e la Karasuno (quella che valse a quest’ultima l’accesso alla finale contro la Shiratorizawa) avviene nel mese di Marzo, (anche se non ricordo, o non so se è specificato nell’anime o manga, quando viene svolta)
Inoltre, la fine di questo capitolo fa riferimento alla fine di uno dei film riassuntivi della seconda serie (quello in cui troviamo uno spezzone inedito dell’Aoba Johsai dopo aver perso contro la Karasuno). Se non lo avete visto, potete trovarlo facilmente su Youtube <3

 


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Capitolo 2 


 
 
Il tempo in quei mesi trascorse velocemente, anche se il tormento di Tooru si era fatto via via più intenso. Era stato costretto ad osservare Hajime spogliarsi con nonchalance negli spogliatoi, come avevano sempre fatto, ma sotto quella vista il suo corpo ed il suo cuore avevano iniziato a reagire in maniera diversa dal solito. A volte si sforzava anche di non guardare, ma il suo maledetto sguardo finiva sempre per posarsi sui glutei sodi del suo amico, soprattutto mentre era intento a raggiungere la doccia, ed a volte rimaneva ad osservarlo anche quando Iwaizumi apriva il getto dell’acqua, giusto per godersi quel corpo bagnato più che poteva.
Il tutto ovviamente avveniva in gran segreto, perché se molte erano le occhiate languide che riservava al suo migliore amico, non meno erano quelle circospette che lanciava agli altri per non farsi beccare in flagrante ad osservare il suo compagno di squadra con occhi sognanti. Non era pronto ad affrontare quella consapevolezza, perché non era stato nemmeno pronto ad ammetterlo a sé stesso. Molte erano state le crisi notturne, avvenute come sogni decisamente bollenti, che lo destavano nel bel mezzo della notte, sudato e decisamente troppo eccitato. E quante erano state le docce fredde in tarda notte, cercando di non svegliare sua madre! In più neanche lui aveva ben chiaro come avesse fatto a finire in quella situazione, né quando avesse in realtà iniziato a fare sogni strani sul suo migliore amico, ma il tutto era avvenuto così, senza un come ed un perché, e lui avrebbe dovuto farsene una ragione, perché trovare una spiegazione a tutto ciò era decisamente più difficile.
Doveva solo pensare ad un futuro.
Un futuro che non lo avrebbe allontanato da Hajime,..
Purtroppo però non sarebbe stato facile stare al suo fianco facendo finta di nulla e sopprimendo quegli strani sentimenti in fondo al cuore, come non sarebbe stato facile parlargli apertamente dei suoi sentimenti, sapendo che era una causa persa già in partenza.
Ad Hajime piacevano le donne, ed era fidanzato con una di loro.
Beh, in realtà lo era stato anche lui, discrete volte, ed era anche il più desiderato della scuola, ma il suo cuore ed il suo corpo ricercava il calore di una sola persona.
Una che, purtroppo, non avrebbe potuto ricambiare i suoi sentimenti, e man mano che i mesi passavano se ne rendeva più conto. Soprattutto perché era arrivato il momento di scegliere l’università alla quale iscriversi…
 
 
«Allora?», sbottò Hajime, richiamando Oikawa dal suo presunto stato di trance.
Si erano incontrati a casa di quest’ultimo per studiare, e dove sua madre aveva fatto trovare loro del tè e dei pasticcini per rallegrare lo studio. Così aveva detto, ma non ci sarebbe stato nulla che avrebbe fatto risollevare Tooru dai suoi strani pensieri, perché il rimanere solo col suo amico iniziava seriamente ad essere un problema.
«Come?», rispose infatti il padrone di casa, riposando finalmente lo sguardo sul compagno, che sbruffò appena dopo aver capito che il suo amico non lo stava decisamente ascoltando.
«Ti ho chiesto se hai deciso a quale facoltà iscriverti», sentenziò Iwaizumi, dopo un sonoro sospiro, ma Tooru sbuffò appena sotto quella rivelazione.
«No, sinceramente ancora non ho ben chiaro cosa voglio fare, per cui…», gli rese noto, ma nonostante l’incertezza sembrava essere abbastanza convinto, così tanto che il numero 4 rimase leggermente perplesso dopo la risatina divertita che scappò fuori dalle labbra del suo capitano.
Come poteva prendere tutto così alla leggera?
Questo pensò l’asso dell’Aoba, ma lui non poteva nemmeno immaginare quali tormenti animassero l’animo di quel ragazzo fin troppo volubile e superficiale.
«Sei incredibile!», grugnì leggermente Hajime, assottigliando lo sguardo per cercare di leggere l’espressione del suo amico, ma il sorrisetto imperioso non aveva ancora lasciato del tutto le sue labbra.
«Tu hai deciso?», chiese poi il numero 1, piantando gli occhi color cioccolato nelle iridi verdi dell’altro.
«Sì, domani invierò la mia richiesta d’iscrizione all’università di Tokyo…», ammise, assumendo un’espressione piuttosto fiera, chiaro segno che avesse scelto con estrema cura cosa fare del suo futuro, a differenza di Tooru.
«Allora la manderemo insieme!», ridacchiò infine quest’ultimo, e nonostante la leggerezza con la quale aveva preso quella delicata decisione, dalla quale sarebbe dipeso il suo futuro, Hajime non se la sentì di controbattere. D'altronde era sempre stato così per loro. Avevano sempre intrapreso il loro percorso scolastico, e sportivo, insieme, e di certo nessuno dei due se la sentiva di voltare le spalle a quell’assurda tradizione, a costo di mettere a repentaglio il loro futuro. Ma in fondo Tooru non era ancora sicuro di quello che voleva fare della sua vita. C’era solo una certezza, e quella era Hajime. Voleva rimanere al suo fianco il più a lungo possibile, e fino a che glielo avesse permesso, lui non lo avrebbe mai e poi mai abbandonato. Per cui l’immagine di loro due ancora assieme dalla stessa parte del campo risollevò lo spirito di entrambi.
Almeno l’alzatore avrebbe avuto ancora il suo asso, e l’asso il suo fidato direttore.
 
 
Per fortuna però, nessuno dei due toccò più il tasto “università” dopo aver inviato la loro iscrizione, e dopo gli incessanti allenamenti arrivò l’attesa partita contro la Karasuno, che avevano già battuto agli interscolastici di inizio anno.
Sarebbe stata una partita importante, sia perché sarebbe valsa come biglietto per la finale, che avrebbero probabilmente disputato contro Ushijima, colui che Tooru sognava di battere fin dalle scuole medie, sia perché sarebbe stato il loro ultimo torneo con l’Aoba Johsai.
Dopo di ciò, tutto sarebbe cambiato.
Ed inoltre, Tooru aveva promesso ad Hajime di parlargli del suo “problema” se avessero vinto la partita, nonostante non fosse stato così sicuro di volerlo fare.
Però voleva vincere di nuovo contro il suo Kohai, perché voleva dimostrare a tutti di essere ancora lui il miglior alzatore della prefettura.
E perché voleva a tutti i costi continuare a vedere Iwa-chan schiacciare le sue alzate, ma purtroppo quella volta non andò come pronosticato e la squadra dei due ragazzi perse quell’importante partita.
Quella ricezione sbagliata ancora bruciava nell’animo del capitano dell’Aoba, così tanto che fu l’ultimo a lasciare il campo. Era rimasto ad osservare Tobio con aria mesta, in cui aveva riservato tutta l’amarezza per quella sconfitta bruciante, perché in fondo era sicuro che tutti i suoi compagni avevano dato il meglio di loro.
Però era veramente tutto finito.
Non ci sarebbero state altre partite con quella maglia bianca dagli inserti verde acqua. Niente più partite con il numero uno e la lineetta da capitano.
Niente più partite in quella palestra, perché il suo futuro sarebbe stato a Tokyo.
Però c’era ancora una piccola, tenue speranza di continuare ad avere il suo fidato Iwa-Chan al suo fianco, colui che lo aveva guardato storto appena aveva messo piede nello spogliatoio.
«Non è colpa tua», lo aveva rimproverato il suo vecchio amico, col suo modo burbero di dire le cose, mentre Tooru si era lasciato cadere a cavalcioni sulla panca, stanco e stremato da tutto quello che era stato costretto a vivere in quei mesi, ed il fatto che di nuovo Hajime si sarebbe spogliato con nonchalance di fronte a lui non avrebbe aiutato la sua causa.
«Lo so», si lasciò però sfuggire con un sospiro amareggiato, nonostante gli sguardi compassionevoli dei loro compagni.
A tutti loro bruciava quella sconfitta, ma più di tutti bruciava ai ragazzi del terzo anno, perché non avrebbero potuto avere un’altra possibilità. Inoltre non mancava molto alla fine dell’anno. Dopo poco più di due settimane si sarebbe concluso quell’anno scolastico e poi ognuno di loro avrebbe preso la propria strada.
La conversazione però crollò così, senza che nessuno avesse aggiunto una parola in più, perché tanto non ce ne erano che avessero potuto descrivere la miriade di sentimenti che viaggiava nei loro cuori, in particolare in quello di Oikawa.
Aveva promesso ad Hajime di parlargli se avessero vinto la partita, ed una parte di lui era felice di non essere costretto a doverlo dire.
Eppure l’altra parte del suo essere scalpitava per farlo, perché a seconda della risposta che avrebbe avuto sarebbe cambiato tutto. Non avrebbe comunque potuto continuare a vivere facendo finta di nulla, perché poi sarebbe stato ancora più difficile separarsi dal suo migliore amico, e lo capì una volta usciti dalla palestra.
I due coach della squadra avevano deciso di portare i ragazzi a mangiare del buon Ramen, così per allietare un po’ il boccone amaro di quella sconfitta, ma nessuno di loro aveva detto una parola. Si erano seduti ai tavoli ed avevano iniziato a mangiare in religioso silenzio, chi con espressione lugubre, chi con le lacrime agli occhi, fino a che ognuno di loro non fu abbastanza sazio per quella serata.
Per fortuna quel buon cibo aveva risollevato un po’ i morali di tutti, e quando i ragazzi del terzo anno salutarono i loro Kohai per prendere una strada diversa dalle loro, decisero di riunirsi in palestra come ai vecchi tempi. In fondo ad ognuno di loro già mancava il parquet sotto i piedi, o i vestiti appiccicati dal sudore per aver saltato e ricevuto per tutto il tempo, e nonostante avessero appena finito di giocare un’estenuante partita, sembravano avere ancora molta altra energia da consumare, insieme alla frustrazione.
Così si diressero alla palestra del loro liceo, e dopo aver montato la rete e recuperato le ceste dei palloni, si divisero in due squadre ed iniziarono la loro personale partita, durata svariati set e finita solamente quando ognuno di loro non riusciva più a stare in piedi sulle proprie gambe.
Si ritrovarono sfiniti ed ansimanti che oramai il sole stava già iniziando a tramontare, ma quando decisero di iniziare a risistemare ed a pulire, Tooru arrivò di fronte a loro con un’espressione di una persona sul punto di scoppiare a piangere.
«Ragazzi, avete un secondo?», chiese loro, spostando il suo sguardo cioccolato su ognuno dei suoi compagni, che in risposta gli lanciarono un’occhiata decisamente ammonitrice.
In fondo ognuno di loro si stava sforzando di non piangere.
«Hey, non farlo!», lo ammonì infatti Makki, assumendo un’espressione puramente spaventata dopo aver capito le intenzioni del castano, «stiamo cercando di concludere con una nota positiva!», insistette, «lasciamo che tutto finisca in pace!»
«Stai zitto!», sbottò invece il capitano, con gli occhi lucidi e l’espressione risoluta di chi sta cercando di dire qualcosa di buono.
«Grazie per questi tre anni!», riuscì solamente a dire, alzando la voce in modo che tutti loro avessero potuto sentirla, perché dopo sarebbe stato impossibilitato a parlare, ed infatti, dopo aver pronunciato l’ultima sillaba, le sue sopracciglia si aggrottarono e dai suoi occhi iniziarono a sgorgare calde lacrime, che lo trasportarono immancabilmente in un pianto liberatorio insieme a tutti gli altri.
«Te lo avevo detto!», riprese parola Makki, e quelle furono le ultime parole che si scambiarono dentro quella palestra.
 
 
Si salutarono che oramai era buio inoltrato, e dopo aver preso ognuno la propria strada, Tooru iniziò a seguire Hajime in religioso silenzio nella via che li avrebbe condotti a casa.
Molte però sarebbero state le cose da dire, sia riguardanti la partita appena conclusa, sia per quanto riguardava il discorso personale, eppure il numero 1 non era riuscito ad aprire bocca, perché non riusciva più ad essere spigliato con il suo amico come al solito.
Fu però Iwaizumi ad iniziare il discorso, dopo aver dato una fugace occhiata al profilo leggermente imbronciato dell’amico, dove poteva scorgere le sue gote ancora arrossate dal pianto appena concluso, che continuava a camminare a passo svelto al suo fianco.
«Tu probabilmente non sarai soddisfatto fino a che non diventerai uno sfigato…», lo ammonì leggermente, anche se la sua voce era priva di una particolare emozione, ma quella strana confessione fece voltare di scatto Tooru nella sua direzione.
«Cosa?! Che razza di maledizione sarebbe?», ribatté sconcertato, ma Iwa-Chan continuò a camminare con nonchalance, nonostante i suoi occhi non si fossero spostati in quelli dell’amico nemmeno dopo quella strana presa di parole.
«Non importa che tipo di tornei tu vincerai…», riprese però a parlare il numero 4, continuando a guardare di fronte a sé, «tu non sarai completamente soddisfatto. Sarai un ragazzo fastidioso che inseguirà per sempre la pallavolo!»
«Devi sempre insultarmi, non è vero?», ribatté Tooru, leggermente infastidito da quello strano discorso, ma rinunciò a controbattere in maniera agitata solamente perché Hajime sembrava leggermente malinconico nel pronunciare quelle frasi, anche se non mancò di lanciargli un’occhiata di sbieco, dove caricò tutto il fastidio che stava provando in quel momento.
«Comunque non potrei essere più orgoglioso di averti come partner», concluse infine l’asso, voltandosi finalmente a guardarlo negli occhi, momento in cui il cuore di Tooru perse un battito, sia per colpa di quell’intenso sguardo, sia per colpa di quelle parole, che mai nella sua vita aveva sentito pronunciare dalla sua voce. Lo aveva sempre offeso o insultato, anche se lo aveva sempre fatto in maniera amichevole, e perché Hajime era impossibilitato a pronunciare un solo misero complimento verso ogni altro essere umano, però quella strana risolutezza e “sottomissione” lo avevano stranito più del previsto, così tanto che rimase impalato a guardarlo come un allocco.
«Tu rimarrai sempre il miglior alzatore, in qualsiasi team giocherai…», riprese però il ragazzo dagli occhi verdi, assottigliando di più lo sguardo, «ma se un domani non saremo più dalla stessa parte del campo, ti prometto che farò di tutto per batterti!», concluse con un piccolo grugnito, che valse ad Oikawa la prima risata della serata.
Almeno era riuscito a risollevare il suo animo…
Tuttavia sapeva che c’era ancora una questione da risolvere, e nonostante gli avesse promesso di parlargliene solo se avessero vinto la partita appena conclusa, sentiva il bisogno di farlo comunque. E poi il suo cuore aveva iniziato a battere all’impazzata, e la vista del volto di Hajime, con ancora gli occhi e le gote arrossate dal pianto liberatorio ed illuminato dalla luce artificiale del lampione, gli avevano dato una certa dose di coraggio.
«Iwa-Chan», lo richiamò infatti, con un piccolo sorrisetto per mascherare l’imbarazzo, abbassando leggermente il volto per fare in modo che i ciuffi della frangia gli ricadessero di fronte agli occhi, «sono io quello orgoglioso di aver potuto giocare al tuo fianco. Sono felice di averti visto segnare punti sulle mie alzate», cercò di mantenere ferma la voce, «per cui ti chiedo di ascoltarmi, perché ti rivelerò quello che ti avevo promesso, anche se non abbiamo vinto», accennò un lieve sorriso amaro, e col pelo dell’occhio vide Hajime contrarre la mascella.
Tuttavia l’altro non ribatté, per cui ebbe tutto il tempo di prendere una copiosa boccata d’aria e rialzare lo sguardo fermo su di lui.
La vista di quegli occhi verdi e di quelle sopracciglia folte, aggrottate dalla perplessità, gli fecero provare un attimo titubanza, così tanto che dovette mandare giù il groppo amaro di saliva che gli si era bloccato in gola e che gli impediva di pronunciare anche solo una sillaba.
«Non sei costretto a parlare se non vuoi», cercò di aiutarlo Iwaizumi, ma Tooru sbruffò leggermente.
«No, se non te lo dico starò peggio, quindi tanto vale…», fece spallucce con un sospiro, ammiccando con uno dei suoi tipici sorrisetti frivoli che mandavano fuori di cervello il povero asso.
Tuttavia quest’ultimo decise di non controbattere come al solito con i suoi insulti, per non dare modo ad Oikawa si sviare il discorso, perché Hajime era davvero curioso di sentire cosa avesse turbato l’animo del suo capitano per così tanto tempo.
Lo aveva visto più silenzioso, più pensieroso ed addirittura diverso dal solito.  Inoltre non parlava quasi più a sproposito ed era l’ultimo che entrava in doccia dopo ogni allenamento, e quando poteva cercava di rimanere in palestra il più a lungo possibile.
Non aveva più fatto battutine sarcastiche. O meglio, ne faceva meno del solito.
Insomma, Hajime aveva capito che qualcosa in lui era cambiato, ma ancora non poteva sapere che la “colpa” era sua.
«Allora sputa il rospo» grugnì infatti il numero quattro, mettendosi in posizione in attesa, con lo sguardo fisso nel suo e la testa leggermente spostata di lato come a dire: “sono tutto orecchie”.
«Non guardarmi così!», ribatté però Tooru, imbronciandosi subito dopo come un bambino alla quale era stata negata una caramella, cosa che riuscì a far alzare platealmente un sopracciglio al povero compagno di squadra.
«Così come?!», brontolò prontamente Hajime, colpito, arricciando il naso con disappunto.
«Come uno che sta aspettando di sentire una cavolata!», bofonchiò il chiamato in causa, guardandolo di nuovo di traverso.
«Perché di solito è quello che esce dalla tua bocca, Shittykawa!», gli disse l’altro, immobilizzandolo per qualche secondo in seguito a quella verità spiattellata così senza alcun freno inibitorio, ma in fondo per loro era sempre stato normale.
Oikawa era quello volubile, viziato e pretenzioso, mentre Iwaizumi era sempre riuscito a dargli un freno.
Iwaizumi era la sua coscienza, quella stessa coscienza che gli stava imponendo di dichiararsi nonostante il loro rapporto fosse già perfetto così com’era.
«Uff», sospirò infine, cercando di darsi una calmata o non avrebbe tirato fuori un ragno dal buco. «Questa volta sono serio, Hajime», puntualizzò, chiamandolo per nome, cosa che in tutti quegli anni non aveva mai fatto, per quello il tirato in causa non poté non aggrottare di nuovo le sopracciglia. Di solito lo aveva sempre appellato come “Iwa-Chan”, che fossero stati soli o in mezzo ai loro compagni, senza preoccuparsi di quanto poco piacesse quell’appellativo al povero asso, ma oramai era così abituato a sentirlo dalla sua voce che si preoccupava quando invece usava un altro nome per chiamarlo.
Tipo il suo. Per quello si convinse che, per una volta, forse la questione che assillava Tooru doveva essere veramente importante.
«D’accordo, ti ascolto», gli disse infatti, facendo un cenno con la mano per incoraggiarlo a parlare.
E così fece, dopo aver preso un copioso respiro per riordinare i pensieri, così da poter affrontare la delicatezza di quel discorso.
Tuttavia, per quanto bravo fosse stato nella pallavolo, Oikawa non lo era così tanto nei rapporti sociali. Era un tipo scherzoso, solare e divertente, ma non era mai riuscito ad affrontare discorsi più seri, e lo dimostrava il fatto che, alla fine, dovette spiattellare tutto con le mani nei capelli.
«Ecco, siccome non so in che modo dirtelo per cercare di girarci attorno sarò diretto!», abbassò lo sguardo a terra per un misero secondo, e quando lo rialzò sull’amico, lui lo stava ancora guardando in maniera piuttosto preoccupata.
“Probabilmente mi starà prendendo per scemo!”, pensò, e forse non aveva tutti i torti.
«Dillo e basta», sospirò l’altro, e quello bastò per farlo capitolare.
«Mi sono innamorato di te», sbottò, gridandolo appena tra i denti, con le lacrime che minacciavano di tornare nuovamente a scendere. Non seppe nemmeno dire come fece a trattenersi, perché era per lui molto difficile mantenere quella strana calma. Non era assolutamente facile dichiarare i propri sentimenti, di cui neanche lui si capacitava, a quello che era sempre stato il suo migliore amico.  Però non si dette per vinto, e riprese parola prima che Hajime avesse potuto dire qualcosa.
«Non so come, né perché, so solo che è da un po’, un bel po’, quello che provo per te non è semplice amicizia. Non so neanche se io possa definirmi veramente Gay, perché non provo per nessun altro quello che provo per te, o quello che provo quando guardo te…perché non puoi neanche immaginare come reagisce il mio corpo alla tua vista nello spogliatoio», rivelò tutto d’un fiato, con il volto in fiamme, in tempo per vedere quello leggermente annoiato di Hajime assumere un’espressione decisamente più scioccata. «So solo di non essere più attratto dalle donne da quando ho te di fronte a me», sospirò infine, abbastando lo sguardo per la frustrazione, nonostante il suo animo fosse sicuramente più leggero.
Purtroppo però, l’espressione confusa di Hajime non fece ben sperare…
Fine capitolo 3
 
 
 
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Colei che scrive:
Ma salve a tutti e ben trovati! Mi dispiace per il ritardo nell’aggiornamento, ma purtroppo l’estate ho sempre poco tempo per scrivere T.T però ci tengo molto a scrivere questa fanfiction, perché amo questi due alla follia >.< per cui, nonostante gli impegni, cerco di impegnarmi io stessa il più possibile.
Non so se ci sia molto da dire sul capitolo, spero solo che vi sia piaciuto, e se non lo avete fatto cercate il video dello spezzone del film che dicevo nelle note *^*
Infine ringrazio i lettori giunti fino a qui! 
Alla prossima!!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4



 
 
“Mi sono innamorato di te”
Queste parole ancora rimbombavano nella testa di Hajime, nel silenzio che era sceso tra loro nel tempo che impiegò per guardarlo con la bocca leggermente spalancata.
Di certo era stato spiazzato da quella confessione, fatta così su due piedi da Tooru dopo aver perso un’importante partita. Di certo immaginò che fosse stata la disperazione a parlare per lui, per quello assunse subito dopo un’espressione leggermente accigliata, in un misto tra lo scettico ed il preoccupato.
«Tooru…», sospirò anche, cercando di prendere più tempo per capire cosa poter dire.
Sì perché era estremamente difficile per Iwaizumi cercare di districarsi in quella situazione, dopo che il suo migliore amico si era appena dichiarato, sapendo che, insomma, lui era etero e fidanzato…
Di certo però, pensò al fatto che, come per lui, anche per Oikawa era una situazione delicata e nuova, perché nessuno dei due si era trovato ad affrontare una cosa come quella.
Certo, il capitano dell’Aoba era sempre stato accerchiato da ragazze che gli avevano dichiarato a braccia aperte il loro amore, ma non si era mai trovato ad essere lui a doverle fare.
Soprattutto ad un ragazzo.
Purtroppo però decise di tirarsi fuori da quella situazione nel peggiore dei modi…
«Mi stai prendendo in giro?», sospirò dopo alcuni secondi, in cui aveva rialzato il suo sguardo ancora lucido dalle lacrime che aveva versato in palestra in quello dell’amico, ma dopo quelle parole vide gli occhi di Tooru minacciare di piangere ancora.
«Ti sembro persona da scherzare su una cosa del genere, Iwa-chan?», controbatté il castano, con un cipiglio decisamente infastidito, cosa che costrinse Hajime a serrare la mascella. «Sarò anche frivolo e burlone, ma non potrei mai scherzare su una cosa del genere», disse con voce roca, chiaro segno per Hajime della sua serietà. Sì, perché, com’era successo in palestra, la voce di Tooru era sempre roca quando era ferito. L’aveva sentita così tante volte negli anni, soprattutto quando perdevano delle partite importanti, ma non credeva che un giorno avesse potuto essere lui a farlo stare male, per quello si portò una mano tra i capelli con fare agitato.
«Scusa..ehm…non sono abituato a ricevere dichiarazioni d’amore, soprattutto dal mio migliore amico…», sospirò poi Hajime, abbassando leggermente gli occhi verdi a terra, perché impossibilitato a mantenere il contatto visivo con fin troppo lucidi dell’altro.
Li ricordava vivaci, assottigliati in espressioni di pura sfrontataggine, ma mai in quello stato penoso. In quel momento non sembrava essere neppure lui, con il labbro inferiore serrato tra i denti ed i pugni chiusi.
«Lo so, ma non ho trovato momenti migliori, ed inoltre sta finendo il nostro ultimo anno delle superiori e…», iniziò il numero 1 dell’Aoba, con un groppo in gola che non aveva mai avuto prima, così tanto che dovette interrompersi, ed Hajime ne approfittò per riprendere parola.
«Saremo nella stessa università», ci tenne a puntualizzare, confuso, ma Tooru rimase impassibile nella sua posizione.
«Sì…», ribatté l’amico, anche se la sua voce uscì fin troppo sofferta, dettaglio che però Iwaizumi non riuscì a cogliere, «ma non volevo aspettare, ecco…sarebbe stato peggio se te ne fossi accorto da solo», borbottò poi, ma quella volta fu Iwa a dover sollevare un sopracciglio.
«Come avrei fatto ad accorgermene?», domandò infatti, sempre più impensierito dallo strano comportamento del compagno.
«E che ne so!», sbottò però Tooru, con il suo solito cipiglio infastidito che usava anche durante le partite, e quello lo fece ben sperare. «Un’occhiata strana…l’alza bandiera nello spogliatoio, non so…», fece spallucce, anche se sulle sue guance spuntò un lieve rossore, che imbarazzò anche l’altro. Dopodiché calò un imbarazzante silenzio, che costrinse entrambi a dover guardare da un’altra parte.
«Quindi è chiaro che per te non è la stessa cosa, vero Iwa-chan?», sospirò poi Oikawa, il primo a riprendere parola, spezzando quell’assurda tensione che tra loro non aveva mai avuto ragione di esistere. Si erano ritrovati insieme nelle situazioni più disparate, ma mai così imbarazzanti.
Hajime ripensò a tutte le volte in cui, in quegli anni, si erano ritrovati a fare la doccia insieme, la strada di casa insieme, a dormire insieme, e si chiese da quando Tooru avesse inziiato a provare quelle cose per lui.
E la cosa per lui più assurda era che lui stesso non si era mai accorto di nulla, o di come fosse cambiato per Tooru il modo di guardarlo.
Non si era mai sentito imbarazzato sotto il suo sguardo come in quel momento, nonostante fosse stato uno sguardo quasi supplichevole, come a voler chiedere di non spezzargli il cuore.
Ma come avrebbe fatto Iwaizumi a mantenere salda la loro amicizia dovendolo rifiutare?
E di nuovo si portò una mano tra i capelli, cosa che faceva spesso quando era sotto pressione.
«Tooru, io…», provò ad iniziare il discorso, ma le parole gli morirono in gola quando vide gli occhi dell’amico ancora più lucidi.
Si stava dando dello stupido, e si chiese perché quello stupido avesse dovuto per forza rovinare tutto.
Non desiderava sessualmente Tooru, non come l’amico desiderava lui, però non voleva perderlo.
Quello che provava per Oikawa non era un sentimento romantico, di quello ne era abbastanza certo, però non riusciva ad immaginare la sua vita senza di lui….
«Uff, Iwa-chan, ho capito!», riprese però parola il capitano dell’Aoba, oramai del tutto rassegnato dagli eventi, nonostante i suoi occhi non guardassero quelli verdi dell’altro, «almeno risparmiami il dolore di ascoltare il tuo rifiuto », ridacchiò appena, seppur fosse stata una risata decisamente troppo nervosa, ma almeno Hajime riuscì a rilassarsi appena.
«Tz…sei sempre il solito idiokawa!», brontolò invece Iwaizumi, lievemente imbronciato ma più sereno di cinque minuti prima, anche se prima di riprendere la via di casa voleva sincerarsi di una cosa, per quello si parò ancora più di fronte a Tooru, con uno sguardo che non avrebbe ammesso altre repliche.
«Oi…», lo richiamò come al suo solito, «sono lusingato per quello che provi, anche se hai capito da solo che non posso ricambiare i tuoi sentimenti. Però non voglio che ciò che è successo influisca sul nostro rapporto. Sei e rimarrai per sempre il mio migliore amico, per cui non azzardarti ad allontanarti da me per alcun motivo, e preparati per l’esame di ammissione!», gli puntò anche un dito contro, sicuro che così le sue parole avrebbero avuto l’effetto sperato, ed infatti per un attimo il castano rimase spiazzato da quel fiume di parole.
Di solito Iwaizumi non parlava così tanto in una frase. Solitamente si esprimeva con pochi concetti o rispondeva a monosillabe, ma Oikawa credette subito alle sue parole, perché Iwa-chan non era mai riuscito a mentire in vita sua.
Ne era lusingato, com’era felice di aver potuto comprendere quanto la sua amicizia fosse importante per lui.
Peccato che quello che provava lui era molto più profondo di un’amicizia, anche se radicata negli anni ed intensa come la loro.
Lui avrebbe voluto di più.
Quel più che, purtroppo, da parte sua non avrebbe potuto esserci, e lui sapeva che ci avrebbe sofferto.
Soffriva in sua presenza, ma il discorso di Hajime valeva anche per lui.
Non riusciva a pensare ad una vita senza di lui. Che fosse stato al suo fianco o meno.
Però a quella presa di parole ridacchiò come al suo solito, tornando il solito Tooru Oikawa di sempre.
«Lo so», disse solo, con una lieve smorfia soddisfatta sulle labbra.
Per il momento si sarebbe accontentato di guardarlo.
 
 
Il giorno dopo però, il capitano dell’Aoba non si presentò né a scuola né agli allenamenti, liquidando la questione ad Hajime con un semplice messaggio, dove diceva che era ancora provato dalla partita del giorno prima e che si sarebbe preso un giorno di riposo per studiare.
Cosa molto strana per lui, però Iwaizumi non insistette, perché in fondo sapeva che quella del giorno prima era stata una giornata stancante per entrambi.
 
 
Tooru però tornò a scuola il giorno seguente come se nulla fosse successo.
Era tornato ad essere il solito di sempre. Il solito capitano burlone e l’alzatore perfetto.
Il suo stato d’animo non aveva intaccato il suo gioco perfetto.
Non aveva mancato una battuta, né un’alzata, ed Hajime non poteva che essere fiero di lui e del modo in cui stava vivendo quella situazione tra loro.
Sapeva che la sua vista doveva essere una tortura per lui, eppure non c’era stata la minima esitazione nel suo sguardo.
Lo aveva incitato, gli aveva alzato la palla, si era complimentato con lui dopo una schiacciata andata a segno, e si era lamentato con i soliti “Iwa-chan” cantilenati come al solito come se fossero provocazioni, e lui non si era mai limitato dal continuare a trattarlo come al solito.
Al solito lo aveva appellato come Shittikawa, Bakakawa o “insulti” del genere, anche per provocarlo e vedere le sue reazioni, doveva ammetterlo, ma quelle erano state le stesse di sempre.
Anche nello spogliatoio sembrava essere tutto normale, nonostante lo sguardo del capitano continuasse a vagare sempre oltre lui, però sapeva che, in fondo, il suo corpo era per lui una provocazione.
Ciò nonostante volle essere sicuro che il suo amico fosse tornato veramente quello di sempre, perciò si parò di fronte a lui, nudo, con le mani sui fianchi e l’espressione spazientita dopo aver osservato Tooru spogliarsi a rallentatore.
«Oi!», lo bacchettò con la sua solita voce burbera, sperando di avere la sua completa attenzione.
«Che c’è Iwa-ch…», iniziò il numero 1, ma quando si voltò verso l’amico per poco non gli andò di traverso la saliva. «Che diavolo fai!», mimò poi col labiale, in modo da non attirare l’attenzione degli altri, visto che il suo autocontrollo stava già andando a farsi benedire.
Era stato così bravo nel cercare di non incrociare lo sguardo con lui, e di non guardarlo con bramosia come aveva iniziato a guardarlo da un po’, che aveva anche tirato un sospiro di sollievo quando l’aveva visto raggiungere le docce.
Allora perché diamine era tornato indietro, oltretutto così sfacciatamente nudo?
«Muoviti, o ti chiudo nello spogliatoio!», gli intimò, spiazzandolo così tanto che dovette alzare un sopracciglio.
Insomma, quella volta non gli era sembrato di star facendo tardi. Era già quasi nudo anche lui, e ci avrebbe messo poco a farsi una doccia, così bramoso di togliersi di dosso il sudore il prima possibile.
«Agli ordini!», portò invece una mano vicino alla fronte con aria rassegnata ma divertita, mentre Hajime, soddisfatto della sua risposta, accennò un lieve sorrisetto prima di girarsi per entrare in una delle docce libere.
Purtroppo però, una volta di spalle, non poté notare l’espressione sofferta di Oikawa.
 
 
I giorni passarono spensierati come al solito, e si erano ritrovati insieme a guardare la partita tra la Karasuno e la Shiratorizawa, mandando accidenti ad entrambe le squadre e rodendo dentro, ma ben presto arrivò il giorno della consegna dei diplomi, che Tooru ed Hajime passarono di nuovo insieme.
Come quella delle elementari e come quella delle medie.
E come avrebbero dovuto trascorrere l’università…
«Ancora non ci credo che sia finita…», sospirò Hajime, con lo sguardo perso nell’orizzonte e le mani affondate nelle tasche della divisa scolastica che non avrebbero più dovuto indossare.
Erano saliti sul tetto della scuola, coi loro diplomi elegantemente arrotolati abbandonati nella tasca inferiore dei pantaloni della divisa, ad osservare l’ultimo tramonto che avrebbero potuto vedere da lì.
L’Aoba Johasai era stata per loro una seconda casa, sia per quanto riguardava la vita tra i banchi, sia per il club, ed aveva dato loro molte soddisfazioni, soprattutto nella pallavolo. Avevano trovato dei veri amici ed una bella squadra, e Tooru in quell’ultimo anno li aveva portati di nuovo vicino al trionfo, guidandoli con carisma come un vero capitano, facendo le veci dei suoi sempai.
Era incredibile come un ragazzo frivolo ed apparentemente superficiale poteva diventare totalmente un’altra persona davanti alla rete…
Eppure quell’avventura era finita anche per loro.
Ne avrebbero avute tante da raccontare, e tutte le avevano vissute insieme, ed uno di loro era anche convinto che quelle avventure non avrebbero mai avuto fine. Perché in fondo vivere insieme a Tooru era una continua avventura, ed anche se la malinconia iniziava a farsi sentire, come l’ansia per l’università alla quale sarebbero dovuti andare tre settimane dopo*, la sicurezza di avere Oikawa rendeva Iwaizumi un po’ più sereno.
Però non si era accorto dell’espressione fin troppo sofferta dell’amico…come non si era accorto di molte altre cose che infuriavano nel suo animo da un po’.
«Già…è finita…», controbatté l’ex capitano, con voce sofferta. «Mi mancheranno tutti, dal primo all’ultimo…», sospirò poi, con un piccolo sorrisetto, «anche il “cagnolino rabbioso”», ridacchiò, ma Hajime sbuffò contrariato al ricordo di quel piantagrane.
«Non andremo dall’altra parte del mondo. Tokyo è solo a qualche ora di distanza da qui, possiamo tornare a vedere le partite dei nostri Kohai, mentre anche Makki ed Hanamaki saranno nella capitale, per cui potremmo continuare a vederci», fece spallucce Hajime, spostando leggermente lo sguardo sull’amico, ma l’espressione malinconica di Tooru, come il suo silenzio, lo preoccuparono al tal punto che dovette richiamare di nuovo la sua attenzione.
«Hey, idiokawa, ascoltami quando ti parlo!», brontolò, come al solito coi suoi modi cavernicoli.
«Ti ho sentito Iwa-Chan», ridacchiò facendo spallucce, «stavo solo pensando!».
Tuttavia, pronunciare quell’Iwa-chan, forse per l’ultima volta, ebbe un sapore amaro…
«Tu che pensi?!», ci tenne a punzecchiarlo, forse per cercare di farlo tornare in sé, ed infatti Tooru si voltò verso di lui con espressione falsamente scandalizzata.
«Sei crudele Iwa-chan!», gli rispose, pronunciando di nuovo quel nomignolo che lui stesso aveva inventato. All’inizio lo aveva usato per infastidirlo amichevolmente, ma negli anni aveva assunto un significato diverso, anche per Hajime stesso.
Oikawa era l’unico che poteva chiamarlo così.
L’unico a cui lo permetteva.
E Tooru sapeva che poteva avere il primato. Almeno per quello.
Purtroppo, solo per quello…
Così continuò a pronunciarlo nella sua mente, come per imprimerlo a fuoco nella memoria, osservando i lineamenti di Hajime rischiarati dalla luce del tramonto, che portarono il suo cuore a battere fin troppo velocemente.
Ecco, voleva imprimere il momento nella memoria come se fosse stata una foto da riguardare durante la lontananza, perché Tooru sapeva che in quel rapporto serviva una svolta.
Drastica, triste e sofferta, ma necessaria.
Non riusciva più a guardare il suo Iwa-chan con gli stessi occhi di un tempo.
Non riusciva più a guardarlo sorridere a qualcuno che non fosse lui.
Non riusciva più a vederlo mano nella mano con la sua fidanzata.
Gli aveva promesso di esserci per sempre, ma lui stesso sapeva che non avrebbe potuto mantenere quella promessa, ma era comunque difficile doverlo salutare.
Per cui non lo fece.
Quando scesero dal tetto si diressero verso casa che oramai era già buio, ed i lampioni lungo le strade erano accesi da un pezzo, ma almeno la semi oscurità avrebbe mascherato il suo imbarazzo, e la sua espressione.
«Allora ci vediamo la settimana prossima, hai detto che andrai con tua sorella e tuo nipote ad Hokkaido, no?», gli disse Hajime, quando arrivarono di fronte al cancello della sua villetta, e Tooru annuì distrattamente.
«Mh Mh», accennò, ed anche se Iwaizumi non fu del tutto convinto, superò la questione.
«Allora a presto, e studia per l’esame di ammissione! Ti ricordo che sarà tra due settimane, quindi vedi di essere pronto!», lo bacchettò, ma oramai era diventato un rito tra loro, soprattutto per mascherare l’imbarazzo dei saluti.
«Farò del mio meglio come sempre, Iwa-chan!», ridacchiò, osservando il pugno di Iwaizumi direzionarsi verso di lui, in attesa che ci battesse lievemente il suo nel loro tipico saluto.
«Bene», concluse poi Hajime, soddisfatto per aver visto Tooru sorridere di nuovo dopo aver battuto il pugno contro il suo, in un contatto che gli provocò i brividi.
«A presto, e fatti sentire!»
«Anche tu!»
 
Ma Tooru sembrò essere sparito nel nulla.
Non rispondeva ai suoi messaggi, né alle sue telefonate.
E mancò all’appuntamento che si erano dati per raggiungere insieme Tokyo e presenziare all’esame di ammissione all’università.
Oikawa sembrava essere sparito nel nulla, ma non seppe dire perché Iwaizumi non se sembrò così sorpreso…
Tutto gli fu chiaro quando, il giorno in cui Tooru sarebbe dovuto tornare a casa, fu sua madre ad accoglierlo, dicendogli che il figlio era andato a stare in Argentina dal padre.
«Pensavo te ne avesse parlato…», gli disse la madre di Tooru, portando una mano sul petto con sguardo leggermente preoccupato, soprattutto dopo aver visto l’espressione spaesata del ragazzo.
«Mio figlio è un’incosciente!», sospirò la donna, ma la mente di Hajime era oramai abbuiata.
 
«Stupido Idiokawa!», si limitò a dire con voce sofferta, quando abbuiò lo schermo del telefono che li ritraeva insieme in palestra, sorridenti e spensierati con indosso la divisa verde acqua dell’Aoba Johsai, mettendo fine ai suoi pensieri.
Quanto avrebbe voluto tornare a quei tempi.
Invece era lì, a sopprimere le lacrime sul treno veloce che lo stava portando verso la sua nuova vita.
Una vita che avrebbe dovuto continuare a condividere col suo migliore amico, invece quello stupido aveva mancato l’appuntamento, rompendo così la loro promessa…
Fine capitolo 4


 
 
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Colei che scrive:
Ma salve a tutti e ben trovati in questo capitolo! Intanto mi scuso per il ritardo, ma purtroppo l’estate non ho molto tempo per scrivere T.T però cercherò di non far passare altro tempo infinito, soprattutto quando ora le cose iniziano a farsi “problematiche”.
Tooru ha “abbandonato” Iwaizumi, rompendo la loro promessa del “per sempre”, e sotto sotto sto piangendo anche io, perché amo troppo questi due >.< cry!
Comunque, spero comunque che vi sia piaciuto e che non sia troppo pieno di errori. La stanchezza me ne fa commettere molti e me li fa sfuggire nella correzione >.<
Io vi ringrazio comunque per essere giunti fino a qua <3
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Note: in questo capitolo ci sono spoiler per chi non avesse letto il manga!
 
 
Capitolo 5
 
 
 
«Mi stai ascoltando Hajime?»
La voce rassegnata di Makki riportò Iwaizumi alla realtà dopo chissà quanti minuti trascorsi a non ascoltare minimamente ciò che gli stava dicendo, mentre Matsukawa lasciava scorrere lo sguardo preoccupato dall’uno all’altro mentre sorseggiava il suo drink.
Ricordava di aver acconsentito ad uscire con i due, ma la sua mente era stata distratta dal primo argomento della serata.
«Scusa, ero distratto», sospirò infatti l’ex asso dell’Aoba, spostando gli occhi verdi sui due ragazzi che gli erano seduti di fronte.
«Ho notato…», asserì il chiamato in causa, con l’ennesimo sospiro. «Ma capisco, insomma, l’argomento Oikawa è un tabù…»
«Già…quell’idiota…», sbruffò poi rassegnato, con lo sguardo burbero ad incrociare lo schermo spento del suo cellulare, abbandonato vicino al bicchiere.
Aveva rivisto i due poco tempo dopo essersi trasferito nella capitale, e loro sembravano sapere esattamente il motivo per il quale fosse solo. Parlarono del più e del meno, stando ben attenti a non menzionare il loro ex capitano, cosa che ad Hajime sembrò alquanto strana per due persone che li conoscevano come le loro tasche. In fondo erano sempre stati insieme, e figurarsi se una persona come Tooru non l’avesse seguito fino al supermercato, solo per avere la meravigliosa idea di infilare nel carrello le cose che voleva, per cui riuscì a comprendere il fatto che quei due dovevano sapere qualcosa che, a quanto pareva, a lui era stata preclusa. Per cui, senza tanti rigiri di parole, chiese loro di vuotare il sacco ed i suoi vecchi compagni di scuola, dopo essersi scambiati uno sguardo complice, decisero di organizzare quell’uscita, alla quale Iwaizumi stava presenziando senza particolare entusiasmo.
Era riuscito solo a capire che Tooru aveva deciso di trasferirsi in Argentina dal padre per due motivi:
  1. Allontanarsi da lui.
  2. Allenarsi nella stessa squadra di Josè Blanco, il suo beniamino fin dai tempi dell’infanzia.
Per cui era ovvio che quell’idiota avesse fatto coincidere quelle due cose, in fondo era sempre stato un abile calcolatore, ma ancora non gli era del tutto chiaro il motivo per il quale avesse voluto comunque tenergli nascosto il suo trasferimento.
Era vero, nell’ultimo periodo le cose tra loro non erano state tutte rosa e fiori, specialmente da quando il suo migliore amico gli si era dichiarato, eppure gli era sembrato sincero quando gli aveva promesso che le cose tra loro non sarebbero cambiate.
Ed invece…
Ma la cosa che lo faceva imbestialire più di tutte era il fatto che non avesse mai risposto ai suoi messaggi o alle sue chiamate. Aveva dovuto apprendere da Hanamaki e Matsukawa il fatto che, dopo circa un mese dal suo arrivo in terra Argentina, Oikawa avesse trovato una casa in cui stare ed una squadra in cui entrare, grazie all’influenza del padre, quel padre che in tutti quegli anni non se l’era mai calcolato -questo pensò Hajime-, e Tooru non aveva quasi mai parlato di suo padre, eppure non aveva esitato a contattarlo quando sarebbe stato certo che lo avrebbe potuto aiutare a raggiungere i suoi scopi.
Che ragazzo infido e calcolatore, pensò di nuovo, eppure non riusciva ad avercela totalmente con lui.
Era da un po’ che si stava addossando la colpa per la decisione che era finito per prendere Tooru, e si trovò molte volte a chiedersi come sarebbe stata la loro vita se lui avesse ricambiato i suoi sentimenti.
Eppure la sua vita era cambiata in ogni caso. Si era trasferito a Tokyo, aveva lasciato la sua fidanzata dei tempi delle superiori, ed era stata una decisione stranamente non sofferta, ed erano appena tre mesi che viveva la sua vita per inerzia. Frequentava le lezioni, studiava, andava agli allenamenti e lavorava il fine settimana per mantenersi. Però sentiva che gli mancava qualcosa, e quel qualcosa lo avevano nominato quella sera i suoi amici.
«Sta bene, Hajime», riprese parola Makki, «sta dedicando la sua vita alla pallavolo, come ha sempre fatto», fece spallucce con un piccolo sorrisetto, e per la prima volta in quella serata si concesse di sorridere anche lui.
In fondo Tooru Oikawa non sarebbe mai cambiato, ma nulla gli tolse dalla mente il fatto che, ancora una volta, il suo amico avesse usato la pallavolo per sfuggire ai suoi problemi.
«Vi ha detto anche perché sia fuggito dall’altra parte del mondo in modo così frettoloso e codardo?», prese invece parola Iwaizumi, trafiggendo entrambi con un’occhiataccia delle sue, cosa ce costrinse di nuovo i due a lanciarsi uno sguardo d’intesa.
«Non proprio, però avevamo visto che le cose tra voi sembravano essere un po’ tese prima del diploma, ma non ci siamo azzardati a chiedere nulla. Non ci ha detto nulla della sua partenza, lo abbiamo saputo solamente dopo che lo abbiamo chiamato, qualche giorno dopo il nostro arrivo in città. Volevamo invitarvi per una serata fuori, e sapendo quanto entrambi ci mettete per rispondere ai messaggi, abbiamo deciso di chiamare quello con più probabilità di risposta», fece spallucce Mattsun, che non si fece sfuggire l’espressione imbronciata del suo ex compagno. «Così è stato costretto a vuotare il sacco, ma quando gli abbiamo chiesto il perché di quella decisione ci ha detto solamente che era complicato, e non abbiamo insistito», dichiarò di nuovo ciò che aveva già detto all’arrivo in quel bar.
«Ѐ complicato», ripeté Hajime con un sonoro sbruffo, lasciandosi cadere con le spalle addossate alla poltroncina. «Ed è un’idiota, perché per quanto complicato avremmo potuto parlarne», continuò, più a sé stesso che agli altri, che in ogni caso ascoltarono quella mezza rivelazione con le orecchie tese.
«Puoi parlarcene? Magari possiamo aiutarti…», provò ad insistere Makki ed a quel punto Hajime non poté fare altro che vuotare il sacco. Decise di raccontare loro dalla dichiarazione del suo migliore amico, passando per la promessa fatta sul tetto della scuola il giorno del diploma, fino al giorno in cui perse definitivamente le sue tracce, e quando Iwaizumi concluse, i due di fronte a lui lo stavano guardando con un’espressione indecifrabile.
«Beh, in effetti è un po’ complicato…», sentenziò Hanamaki dopo qualche secondo di silenzio, in cui rifletté sulle parole dell’amico, prendendo un lungo sorso dal suo bicchiere già quasi vuoto.
«Molto…», grugnì Hajime, anch’egli portando alle labbra il suo bicchiere con fare agitato, così com’era ogni volta che provava ad introdurre l’argomento Oikawa. «In più quell’idiota non risponde ai miei messaggi o alle mie chiamate! Eravamo amici maledizione, e per me non è cambiato nulla. Anche se lui prova qualcosa per me, lui rimane comunque il mio migliore amico dannazione, è normale che mi manchi!», si lasciò andare in quell’esasperata confessione, cosa che costrinse i due amici a lanciarsi un’occhiatina rammaricata per la situazione in cui era finito.
«Sai Hajime, io un po’ lo capisco…insomma, mettere da parte l’orgoglio e dichiararsi pur sapendo che il vostro rapporto non sarebbe più stato lo stesso. Avere il coraggio di fare una cosa del genere è lodevole, e forse solo Tooru avrebbe potuto fare una cosa del genere, correndo il rischio di non essere ricambiato…quello che sto cercando di dirti è, ecco…», cercò le parole giuste con cui concludere il discorso, ma Hajime fu più veloce a trovarle.
«Che non lo biasimi per essere sparito?»
«Già, anche se, visto che ha avuto il coraggio di confessarti i suoi sentimenti, non capisco perché non l’abbia avuto per dirti che sarebbe andato via», rifletté il vecchio centrale dell’Aoba.
«Perché Hajime non l’avrebbe fatto partire facilmente, e perché è difficile per tutti salutare qualcuno…», sospirò infine Hanamaki, «per questo ha preferito agire vigliaccamente. Probabilmente non è neanche stata una scelta facile per lui. Insomma, decidere tra l’uomo di cui sei innamorato ed il proprio futuro…»
«Ha scelto la strada più facile…», grugnì Hajime, col bicchiere stretto tra le mani come se avesse voluto romperlo da un momento all’altro. «Vuole dedicare tutto sé stesso alla pallavolo, come ha sempre fatto, distogliendo così il cervello dai suoi problemi», sospirò infine, anche se non riuscì a limitare il sorrisetto che gli spuntò dalle labbra. In fondo era sempre stato orgoglioso di Tooru, anche se non glielo aveva mai detto. Solo lui avrebbe potuto prendere una decisione così avventata, sapendo le conseguenze che avrebbero influito sulle sue decisioni.
«Quindi che hai intenzione di fare?», provò a chiedere Makki, lanciando di nuovo un’occhiatina d’intesa all’altro ragazzo, che osservava la scena con apprensione.
«Nulla», rispose però Hajime, svuotando in un sol sorso il liquido dal bicchiere con una faccia decisamente sofferente. Non era abituato all’alcol, ma schiarirsi le idee in quel modo gli sembrava la scelta più logica da fare in quel momento, soprattutto per continuare a sostenere quella conversazione.
«Come nulla?! Insomma, non hai detto tu stesso che è sempre il tuo migliore amico?», protestò l’ex centrale, ma Iwaizumi riuscì solamente a fare spallucce con espressione stranamente passiva.
«A meno che non prenda il primo aereo per andarlo a ripescare in Argentina, dubito che posso fare qualcosa se lui non risponde ai miei messaggi…», protestò ancora, ma la sua espressione divenne quasi imperscrutabile dopo quelle parole, ed anche i due ammutolirono alla vista della consapevolezza che si faceva strada nei suoi occhi.
Tuttavia non disse null’altro, ed anche gli amici decisero di non infierire oltre, e l’argomento Oikawa crollò in quella maniera.
Ma di certo non sarebbe finita in quella maniera.
 
 
Tuttavia da quel giorno passarono ben 5 anni, 5 anni in cui Hajime cercò in tutti i modi di dedicare anima e corpo agli studi. In quegli anni aveva finalmente deciso quale sarebbe stata la sua strada, e cioè quella del preparatore atletico, e quindi finiti gli studi si stava apprestando a raggiungere l’America per iniziare degli stage formativi insieme ad un uomo competente, che gli era stato proposto dai suoi docenti.
Eppure, durante le vacanze estive, dopo la sua laurea, ebbe un incontro che cambiò un po’ le carte in tavola.
Si era ritrovato nella palestra di Sendai, trascinato da Makki ed Hanamaki per assistere alla partita della V-League, dove si sarebbero scontrate le squadre degli Schweiden Adlers ed i Black Jackals, le squadre in cui militavano rispettivamente kageyama ed Hinata.
Fu alla fine di quella partita che si ritrovò, non seppe nemmeno dirsi come, a cena con la squadra dei Black Jackals, insieme a Matsukawa ed Hanamaki, ma riuscì solamente a capire che erano amici con il libero della squadra, ma il perché lo fossero non gli interessava. In realtà non avrebbe nemmeno voluto stare in quel caos, visto che la metà della gente al tavolo era fin troppo alticcia per i suoi gusti, ma quando i suoi occhi incrociarono il sorriso smagliante della piccola ex esca del Karasuno le sue sopracciglia si aggrottarono per un attimo.
Sembrava così diverso da come lo aveva visto l’ultima volta, quando assistette alla finale della Karasuno contro la Shiratorizawa, circa cinque anni prima, e seppur fosse rimasto più basso di tutti i suoi coetanei e compagni di squadra, emanava un’aura diversa, più matura. I capelli rossicci erano tagliati più corti, nonostante lo stile sbarazzino che lo caratterizzava, gli occhi erano sempre gioviali ed attenti, mentre il corpo era più muscoloso ed abbronzato, indice di una persona che aveva passato gli ultimi due anni ad allenarsi sotto il sole cocente del Brasile. Quello Hajime lo apprese durante quella serata, eppure quegli occhi così attenti sembravano volerlo mettere in soggezione e si chiese per quale motivo quel ragazzino lo inquietasse tanto.
Il perché fu svelato quando, circa verso la fine di quella serata, Hinata Shoyo gli si sedette accanto, nel posto lasciato momentaneamente vuoto da Hanamaki, con quel suo sorriso contagioso che continuava a lasciarlo interdetto.
«Ciao!», lo salutò gioviale, «tu sei Iwaizumi vero? L’ex asso dell’Aoba!», sorrise, aspettando l’assenzo dal suo interlocutore, che gli dette accennando un movimento affermativo con il capo e con le sopracciglia ancora aggrottate in un’espressione confusa, ma in fondo non era mai riuscito a capire cosa passasse nella testa di quel nanerottolo…
«Mi sembravi tu infatti, anche se non mi aspettavo di vederti qui!», ridacchiò, cosa che costrinse il povero Hajime ad alzare gli occhi al cielo.
“Nemmeno io mi aspettavo di essere qui…”, pensò, ma si astenne dal dirlo. Non aveva voglia di intraprendere una conversazione proprio con l’ex numero dieci del Karasuno. Non che il chibi-chan gli avesse fatto qualcosa di male, ma non aveva voglia di interazioni sociali a prescindere. Era molto che non si ritrovava coinvolto in una cena con così tante persone, troppe per i suoi gusti, perché di solito la massima interazione era uscire per un aperitivo con Hanamaki e Matsukawa, oppure in qualche pranzo/studio con i suoi compagni di corso.
«Sai, in Brasile ho incontrato Oikawa», riprese poi parola il mandarino e per un attimo gli si mozzò il respiro in gola ed il cuore iniziò a battergli più forte del previsto.
Erano anni oramai che chi lo conosceva cercava di non iniziare una qualsiasi conversazione su Tooru Oikawa, e lui stesso aveva cercato in tutti i modi di toglierselo dalla testa, rinunciando a mandargli messaggi o mail, alla quale lui non aveva mai risposto, o a non aprire i suoi profili social, per cui non si era nemmeno accorto del selfie in cui lo aveva taggato Hinata circa qualche mese dopo il suo arrivo a Rio.
Ed erano passati giorni, mesi, anni, ed in quel momento Shoyo gli stava spiattellando davanti una realtà che non voleva assolutamente conoscere. Tuttavia non riuscì in un primo momento a rispondere al ragazzo, provando a dire che non gli interessava di cosa stesse facendo Oikawa della sua vita, anche perché, dentro di sé, sapeva che era il contrario.
«Ah sì?», decise di dire in modo vago, spostando leggermente lo sguardo verso il resto della tavolata, ma Hinata si aprì di nuovo in una delle sue risate spensierate.
«Sì, il Grande Re è fantastico! Mi ha offerto una cena ed ha fatto coppia con me per un torneo di Beach Volley, nel quale non era abituato. Pensava fosse semplice giocare sulla sabbia, come lo pensavo io all’inizio, ma si è dovuto ricredere. Però è stato fantastico ad abituarsi subito, sia alla sabbia che agli agenti atmosferici. Schiacciare le alzate di Oikawa è stato fantastico, adesso capisco perché Kageyama ne è sempre stato un po’ geloso», ridacchiò, «ma questo non glielo dire!», scoppiò di nuovo nell’ennesima risata divertita, complice anche l’alcool assunto durante tutta la serata, ma in ogni caso Hinata sembrava più cosciente del resto della sua squadra. Solo Sakusa sembrava quello più sobrio di tutti, ed era l’unico ancora seduto composto sulla sua sedia…
«Capisco», si limitò a rispondere Hajime, impossibilitato a dire altro. In ogni caso non sapeva davvero cosa dire, né avrebbe voluto continuare con il piccoletto quella conversazione, ma il piccolo pel di carota era di tutt’altro avviso.
«Da quant’è che non vi vedete?», chiese infatti, con aria stranamente innocente, e forse quella sua espressione leggermente spaesata lo costrinse a non alzarsi dalla sedia per fuggire da quella conversazione.
«Un po’», rispose vago, spostando subito lo sguardo dagli occhi indagatori dell’opposto dei Black Jackals, che sembrava davvero intenzionato a saperne di più.
«Perché? Non vi sentite regolarmente? Non eravate amici?», insistette, con quella sua maledetta aria innocente che rese Hajime un fascio di nervi.
«Eravamo…», sospirò infine, pensando che dire almeno una verità l’avrebbe aiutato a svignarsela dalle grinfie del piccoletto.
«Capisco…Beh, abbiamo un po’ parlato nei pochi giorni che abbiamo passato insieme, ma non mi ha parlato molto di te, eppure è strano visto che eravate insieme dalle elementari», si portò una mano al mento con fare pensoso e di nuovo quelle parole sortirono in Hajime un senso d’inquietudine che fu difficile da sopperire. Eppure il piccoletto aveva ragione. Come poteva rinunciare al loro rapporto così? Avevano passato una vita insieme, come potevano buttare così al vento anni di promesse?
«Beh, sono successe alcune cose», si decise a dire l’ex asso dell’Aoba, senza sbilanciarsi a dire altro, ma quello sembrò bastare al piccolo opposto affamato di notizie.
«Mi dispiace, spero possiate risolvere, alla fine la lontananza non è un dramma, no? Insomma, anche io sono stato dall’altra parte del mondo per ben due anni, eppure non ho rinunciato alle mie amicizie o ai miei rapporti…», cercò di dire l’ex centrale, portando di nuovo due dita al mento con fare pensoso, e forse pensava davvero di essere d’aiuto al vecchio rivale, ma quelle parole inquietarono di nuovo Hajime. In fondo quello che stava dicendo era vero, perché, nonostante l’amicizia, era sicuro che se Tooru gli avesse detto in tempo del suo trasferimento, lo avrebbe spronato lui stesso ad andare, perché sapeva quanto ancora l’amico avesse avuto da dare alla pallavolo, e sapeva quanto essa contava nella vita dell’amico, anche se quello voleva dire allontanarsi da lui, ma come diceva Hinata, c’erano molti modi per rimanere in contatto.
Allora perché Tooru aveva rinunciato ad usarli?
«Cosa fa laggiù?», chiese poi di riflesso, quasi senza connettere il cervello prima di pronunciare quelle parole, ma in fondo era davvero curioso di saperlo. Non si erano visti e sentiti per cinque lunghissimi anni, e se anche i suoi amici fossero stati a conoscenza dei fatti, nessuno di loro, per evitare di metterlo di malumore, gliene aveva mai parlato.
Si chiese se fosse riuscito a coronare il suo sogno di giocare con José Blanco, o di entrare come titolare in una squadra forte, o se fosse riuscito a raggiungere l’eccellenza che aveva sempre ricercato. Quella sua costante voglia di rivaleggiare con Kageyama lo aveva portato sempre sull’orlo del precipizio, ma era sempre stato lui, anche se con modi cavernicoli, a farlo riprendere, spesso urlandogli contro, per cui si chiese come avesse affrontato da solo una realtà a lui sconosciuta. Come si fosse trovato in un paese tanto diverso dal suo, non conoscendo né la lingua né i suoi abitanti.
«Oh, gioca in una squadra Argentina molto forte, quando l’ho visto erano in trasferta a Rio per il campionato. Ho visto alcune partite, il Grande Re è fantastico!», sorrise infine Hinata.
«A…a parte la pallavolo?», provò poi a chiedere al piccoletto, spostando leggermente lo sguardo imbarazzato, ma Hinata sembrò non farci caso e, anzi, apprezzò quella curiosità in Iwaizumi.
«Non so molto, so che vive da solo e che nei momenti liberi allena una squadra di principianti insieme ad un amico della famiglia di suo padre, me lo ha detto lui quella volta a cena. Ѐ incredibile come riesca ad organizzare al meglio la sua vita!», disse poi il vecchio numero 10 del Karasuno, instaurando in Hajime ancora più dubbi. «Sai, dovresti andare a trovarlo, credo gli faccia piacere vedere una faccia conosciuta. Insomma, a me avrebbe fatto piacere se qualcuno dei miei amici fosse venuto a trovarmi…i primi periodi sono statati i più difficili, mi mancava la mia vita e mi mancavano i miei amici. Sono passati cinque anni, è vero, ed oramai si sarà ambientato, però penso che gli farebbe piacere a prescindere», concluse con un sorriso, che scaldò un po’ il cuore del burbero Iwaizumi, che rimase a guardarlo con gli occhi sgranati e la bocca aperta mente Miya Atsumu lo stava chiamando a gran voce.
«Arrivo!», finì per gridare a sua volta Shoyo, e riportando poi l’attenzione su Hajime prelevò un tovagliolo intonso dal tavolo e fregò la penna ad uno dei suoi compagni, che stava spiegando qualcosa d’importante ad Hanamaki.
«Ve la rendo subito!», comunicò Hinata, scrivendo minuziosamente su quel pezzo di carta qualcosa che Hajime non seppe in un primo momento decifrare.
«Questo è il suo indirizzo e la città in cui abita, me lo dette qualche tempo fa, ma non sono mai riuscito ad andarlo a trovare in Argentina, ero molto occupato tra lavoro ed allenamenti, per cui, se ti può far comodo…», disse, facendogli un occhiolino prima di voltarsi a rendere la penna al suo compagno di squadra, mentre Iwaizumi rimase a guardare quel tovagliolo scritto grossolanamente con gli occhi sgranati.
Forse non era tutto perduto…
Fine capitolo 5
 
 
 
 
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Colei che scrive:
Colei che si ricorda dopo secoli di aggiornare le long xD sì, ce l’ho fatta dopo mesi, ma purtroppo quest’ultimo periodo non è stato dei migliori T.T però mi sono detta che questa storia merita di andare avanti, almeno per me, e spero per qualcun altro.
Spero che, a parte i vari errori che sicuramente mi sono sfuggiti >.<, vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensate <3
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

“Perché diavolo sono venuto qui”, fu la prima cosa che si domandò Hajime quando scese dall’aereo.
Pioveva quella mattina, per cui quel primo giorno in un paese a lui straniero non era partito proprio con il piede giusto.
Aveva inoltre preso la decisione di partire senza essersi preso la briga di pensarci a dovere. Aveva approfittato delle vacanze estive ed aveva affittato una stanza in uno degli ostelli più low cost che aveva trovato, accaparrandosi poi il primo volo utile che era riuscito a trovare con una compagnia aerea altrettanto low cost. 
Così era arrivato puntuale all’aeroporto internazionale di Ezeiza*, e da lì sarebbe partita la ricerca all’abitazione di Oikawa Tooru, che sapeva non distare poi così tanto dal punto in cui si trovava, e forse sarebbe stata la distanza minore mai calcata prima in cinque anni. Era sempre stato abituato in quell’ultimo periodo a pensarlo dall’altra parte del mondo, invece alla fine ci era approdato anche lui. Se glielo avessero detto cinque anni prima non ci avrebbe mai creduto. Insomma, oramai si era abituato al fatto che Tooru avesse scelto di vivere la sua vita lontano dalla sua, e lui non aveva fatto altro che accettare quella sua decisione, seppur l’avesse presa senza minimamente renderlo partecipe, ma era stato il casuale incontro con Hinata Shoyo a rimettere tutto in discussione. Prima di quell’incontro non avrebbe mai pensato di fare un passo così azzardato, nonostante varie volte i suoi pensieri ce l’avessero portato, ma per lui era stato appunto fin troppo azzardato, ed invece…
Invece era lì, sudato per colpa del caldo asfissiante dato dall’umidità di quel giorno, all’uscita del terminal, con una valigia al seguito ed una smorfia stizzita sulle labbra, a contemplare la pioggia battente che continuava a scrosciare sul manto stradale mentre aspettava un maledetto Taxi.
Sbloccò lo schermo del suo cellulare e dette un’occhiata veloce all’orario, prima di rimetterlo in tasca ed afferrare il piccolo foglio ripiegato su sé stesso, su cui aveva scritto diligentemente tutte le sue tappe, a partire dall’ostello, in cui finalmente avrebbe potuto lasciare il trolley e darsi una rinfrescata, prima di passare al secondo step di quel viaggio fin troppo frettoloso. 
Era partito prima ancora che la sua coscienza avesse potuto fermarlo, e lo aveva fatto senza dire nulla a nessuno, nemmeno a sua madre. Le aveva detto che sarebbe rimasto a Tokyo per lavoro, perché altrimenti sarebbe andata a spifferare tutto alla madre di Tooru e quella era l’ultima delle sue volontà. E non aveva detto nulla nemmeno ai suoi amici, come Hanamaki e Matsukawa, perché sapeva che i due avevano continuato a tenersi in contatto con Oikawa, e se avesse detto loro di quel viaggio avrebbero sicuramente mandato a monte la sua operazione. 
Tooru Oikawa non avrebbe dovuto sapere del suo arrivo, perché Hajime era sicuro che altrimenti non si sarebbe fatto trovare. Alla fine era stato lo stesso alzatore a tagliare nettamente i ponti con lui. Se avesse voluto mantenere i rapporti avrebbe risposto ai suoi messaggi, alle sue chiamate o alle sue email, ed invece…
Tuttavia Iwaizumi si era lasciato scoraggiare fin troppo da quello strano comportamento, e si era convinto per cinque anni che quella era la soluzione migliore per entrambi, senza essersi mai fermato a pensare a cosa realmente avesse voluto.
E di certo non era tagliare i ponti con il suo migliore amico, perché, nonostante quel che era successo, Oikawa continuava ad esserlo.
Certo, gli bruciava un po’ il fatto che fosse stato l’incontro con Hinata Shoyo a rimettere in discussione quel rapporto, perché per la prima volta nella sua vita si era dato per vinto, e quella era una cosa inconcepibile per una persona testarda e caparbia come lui, ma il rosso gli aveva dato un’occasione che non voleva assolutamente sprecare.
Di sua iniziativa non avrebbe mai chiesto l’indirizzo di Oikawa ai suoi vecchi compagni dell’Aoba Johsai, perché avrebbe voluto dire far indirettamente sapere a Tooru del suo arrivo e di certo quella di farsi annunciare non era tra le sue volontà.
Se il suo vecchio amico avesse saputo in anticipo di un loro possibile incontro avrebbe potuto non presentarsi, o prepararsi dei discorsi, per cui la sua reazione avrebbe potuto non essere vera, invece quello che cercava Hajime era la vera reazione del castano, perché il vero Tooru Oikawa riusciva ad emergere solamente in quelle poche e rare occasioni, che lui non si sarebbe fatto sfuggire.
Eppure, il cuore continuava a battergli incessantemente nel petto, mentre l’ansia aveva iniziato a farlo dubitare di quel viaggio studiato ad hoc, mentre il Taxi si accostava finalmente al marciapiede su cui stava stazionando da fin troppi minuti.



Aveva continuato incessantemente ad osservare l’inchiostro nero a contrasto col foglio bianco per quelle che gli erano sembrarono ore, prima di decidersi ad alzarsi dal letto dell’ostello, su cui si era testardamente seduto con un sonoro sbuffo dal momento in cui aveva fatto il check-in, perché in quel momento la sua mente era costantemente in contrasto tra quello che voleva e quello che doveva fare. 
Non era psicologicamente pronto ad incontrare Oikawa, senza un piano o un discorso ben costruito, ma non poteva nemmeno sprecare il tempo contato che aveva solo perché si era fatto codardo! 
«D’accordo…», sbruffò infine, parlando al sé stesso riflesso nello specchio quasi fosse un incoraggiamento, prima di prendere il portafogli ed il telefono e chiudersi la porta di quella stanza alle spalle, uscendo di nuovo sotto la pioggia battente.
«Devo comprare un ombrello», commentò ad alta voce, conscio del fatto che tanto nessuno dei presenti lo avrebbe capito, e componendo il numero del servizio Taxi, che si era salvato fin dal suo arrivo in aeroporto, raggiunse il punto in cui aspettare, nonostante il tempo passato ad attendere l’arrivo della macchina fu abbastanza snervante secondo il suo modesto parere. 
Tuttavia riuscì a dare delle indicazioni pressoché precise al tassista, parlando in un’inglese piuttosto fluente, dovuto dal costante studio che aveva fatto per prepararsi a parlare con tutti i giocatori della lega provenienti dalle varie parti del mondo, ed osservando distrattamente il paesaggio fuori dal finestrino della vettura con il cuore in gola, Hajime contò i minuti che decretavano la sua effettiva distanza con Oikawa.  Tuttavia, quando la macchina accostò vicino ad una schiera di villette in quello che sembrava essere un quartiere residenziale, Iwaizumi non riuscì a trattenere un grugnito.
“Egocentrico fino alla fine”, commentò tra sé e sé con un sorrisetto amaro, mentre lanciava un’ultima occhiata alle varie targhette dei numeri civici appese vicino ai cancelli, prima di pagare il tassista e scendere dall’auto sotto la pioggia ancora scrosciante.
“Dovevo compare un ombrello…”, si lamentò ancora tra sé e sé, ma non si fece di certo scoraggiare dagli agenti atmosferici, per cui decise di incamminarsi verso la sua meta, con gli occhi verdi che ispezionavano ogni cartellino sul quale era scritto il numero, fermandosi solamente quando intravide le due cifre che per giorni erano state scolpite nella sua memoria.
14.
Sorrise di fronte a quella targhetta apparentemente insignificante, ma quelle due cifre, se prese singolarmente, erano i loro numeri di maglia al terzo anno di liceo, e per un attimo il pensiero di Hajime tornò a quegli anni, a quando tutto sembrava funzionare a meraviglia. Fino a quel maledetto giorno, in cui tutto era cambiato. 
Da quando Tooru si era dichiarato, il loro rapporto si era inspiegabilmente compromesso, nonostante Iwaizumi non si fosse mai accorto realmente di tale cambiamento.  Aveva liquidato quell’ammissione da parte dell’amico come se fosse una cosa passeggera, senza realmente sapere che quel suo rifiuto aveva finito per ferire Oikawa più di quanto avesse mai ammesso. Non poteva sapere quanto erano falsi i suoi sorrisi e le sue risate, anche se era sempre riuscito a capire quando l’amico fosse sincero o meno, ma forse dopo ciò che era successo, gli era solamente bastato vedere Oikawa comportarsi come al solito. 
O forse era stata sua estrema convenienza il fatto che lui si fosse comportato in modo normale, perché sarebbe stato tutto più facile continuare a fare come aveva sempre fatto, senza guardare in faccia i vari problemi. E così in effetti era stato…
Era stato più semplice andare avanti per Hajime, ma non si era mai fermato a chiedersi cosa realmente provasse per Tooru Oikawa, al di là della semplice amicizia, e forse non lo sapeva ancora, ma di una cosa era assolutamente certo, e cioè che non avrebbe rinunciato di nuovo all’amicizia del suo ex capitano. Non dopo che aveva passato così tanto tempo a comportarsi codardamente…
Perciò, dopo aver preso una copiosa boccata d’aria, cercando di rilassare i muscoli tesi, fissò un’ultima volta quelle due cifre scure stampate sulla targhetta, prima di abbassare gli occhi sul campanello, che rimase a fissare in trance per quelle che gli erano sembrate ore.
Sotto al cognome dell’amico era scritto in stampatello, nello stesso carattere e colore di quello di Oikawa, il cognome di un’altra persona, e quello avrebbe quindi voluto significare che il suo vecchio compagno viveva con qualcun altro.
Strinse quindi la mascella, mentre gli occhi verdi e leggermente accigliati sotto le gocce della pioggia, che continuavano costantemente a cadergli sulle ciglia e ad offuscargli la vista, scorrevano su quel nome sconosciuto, e mentre scandiva le lettere nella sua mente, una strana sensazione gli attanagliò lo stomaco.
Certo non poteva pretendere di tornare da Oikawa dopo cinque lunghi anni e trovarlo come se il tempo non fosse mai trascorso, anche se un po’ ci aveva sperato…insomma, Tooru era sempre stato così fissato con la pallavolo che era quasi inconcepibile che si fosse fatto una famiglia, o che avesse trovato un’altra persona da amare e che, soprattutto, avesse accettato il suo carattere difficile.
Il tutto oltretutto senza dirglielo…
Senza renderlo partecipe della novità.
Insomma, era sempre stato lui il primo che aveva cercato quando succedeva qualcosa.
Lo aveva cercato quando i suoi si erano separati.
Lo aveva cercato quando si era fatto male al ginocchio.
Lo aveva cercato per dirgli che sua sorella si sarebbe sposata, e quando quella stessa sorella gli aveva dato la notizia che presto sarebbe diventato zio.
E lo aveva cercato spesso per sfogarsi su quanto avesse odiato il suo talentuoso Kohai.
Eppure non gli aveva mai detto di quella partenza in Argentina.
Non lo aveva reso partecipe di quell’importante notizia. E non lo aveva informato su come fosse proseguita la sua vita lontano da lui.
Ma in fondo come poteva biasimarlo? In fondo era stato lui il primo a rifiutarlo, e forse quell’idiota di Oikawa aveva pensato che di lui non gliene fosse importato più nulla, tanto da tagliarlo fuori dalla sua vita come se non si fossero mai conosciuti…
Ma in quei cinque anni Iwaizumi aveva sentito spesso la sua mancanza, anche se non era mai riuscito ad ammetterlo, e si era chiesto spesso se anche a Tooru mancasse, o anche solo se lo pensasse, o se avesse mai pensato alle loro vecchie partite. 
Lui ci pensava spesso, soprattutto inconsciamente e nei suoi sogni.
Ed ultimamente Oikawa era stato un chiodo fisso nei suoi tormenti, tanto da essersi fatto convincere così facilmente da un ragazzino dai capelli arancioni a partire senza dire nulla a nessuno, ed essere in quel momento in un paese sconosciuto, sotto un acquazzone, di fronte alla porta di casa del suo vecchio amico senza però avere la forza di suonare.
Non riusciva nemmeno a dare un nome a quella strana emozione che stava provando in quel momento.
O forse sì.
Era la stessa che aveva provato dopo l’ultima partita delle superiori, quella che persero contro il Karasuno.
Era frustrazione? Amarezza? Rabbia?
Non riusciva davvero a capirlo, ed intanto il tempo scorreva inesorabile e senza aver avuto la forza di alzare semplicemente il dito e suonare quel dannato campanello, mettendo così fine ai suoi tormenti interiori. 
Avrebbe potuto scoprire tutto semplicemente chiedendo, invece rimase lì, impalato davanti a quello sconosciuto cancello, fregandosene altamente del fatto che forse avrebbe destato sospetti. Forse sarebbe stato Oikawa a vederlo per primo, affacciandosi alla finestra o uscendo di casa, ed allora si sarebbe comportato di conseguenza, ma in quel momento non riuscì comunque a fare il primo, maledettissimo, passo.


Così il tempo trascorse veramente senza che se ne accorgesse, così come non si accorse di essersi messo seduto sul marciapiede di fronte al cancello, con la testa affondata tra le braccia, che aveva stancamente poggiato sulle ginocchia piegate, e gli occhi serrati in un’espressione sofferente.
Oramai era completamente fradicio, ma quello era davvero l’ultimo dei suoi pensieri, perché in testa di pensieri ne aveva fin troppi. Aveva molte domande, che avrebbero potuto avere delle risposte se solo avesse avuto il coraggio di andarsele a prendere. 
Era anche stato così audace da salire gloriosamente sull’aereo ed approdare in quel paese sconosciuto e fin troppo bagnato, invece era rimasto seduto in quella posizione per ben tre ore, e senza che nessuno si fosse avvicinato a chiedergli cosa fosse successo.
Ma, soprattutto, senza aver incrociato minimamente Oikawa.
Tuttavia, quando il sole iniziò a tramontare, dopo che l’acquazzone lasciò il posto ad un cielo plumbeo ma sgombro da nuvole cariche d’acqua, Hajime capì di dover tornare indietro. Forse, se quella notte ci avesse dormito sopra ed avesse pensato ad un piano, probabilmente il giorno dopo avrebbe ritrovato un po’ di audacia. E magari il giorno dopo ci sarebbe stato il sole e non avrebbe dovuto rimanere di nuovo sotto lo scroscio d’acqua.
«Sì, forse è meglio tornare indietro…», disse ad alta voce, mentre cercava dignitosamente di riprendere una posizione eretta, sgranchendo i muscoli intorpiditi dalla posizione accovacciata tenuta fin troppo a lungo, ma fu quando si voltò verso la direzione dalla quale era venuto, togliendo il cellulare dalla tasca per chiamare di nuovo il taxi, che i suoi occhi si posarono su una figura che lui riconobbe al primo sguardo.
Gli scompigliati capelli castani, leggermente più corti di come Hajime ricordava, riflettevano i raggi aranciati del tramonto.
I suoi occhi marroni, in quel momento sgranati dalla sorpresa, o dalla paura, fissi nei suoi.
Il corpo alto e longilineo fasciato da un’anonima tuta blu.
E fu come se il tempo si fosse fermato a quel lontano ultimo giorno delle superiori.
Iwaizumi rimase con il cellulare a mezz’aria, lo sguardo allucinato e la mascella serrata, mentre a Tooru cadde il borsone dalle mani, che finì sul marciapiede con un sonoro tonfo, e fu l’unico rumore che spezzò il silenzio, almeno per i primi secondi carichi di tenzione.
Fino a che non fu Oikawa a parlare per primo.
«Iwa…», soffiò, e ad Hajime non passò inosservato come il “chan”, che lui aveva sempre messo dopo il suo nome, gli morì tra le labbra. Era sicuro che lo avrebbe detto.
Lui stesso avrebbe voluto sentirlo pronunciare dalla sua voce suadente del suo amico ancora una volta, ed era assurdo in realtà a pensarci... Era sempre stato chiaro che quel vezzeggiativo era il modo che aveva Oikawa di sbeffeggiare tutti gli altri, e lui in fondo lo chiamava “Merdakawa” di rimando, ma negli ultimi anni lo aveva immaginato come un nomignolo speciale, come se fosse il loro modo distintivo di chiamarsi. Hajime non aveva permesso mai a nessuno di storpiare il suo nome con “Chan”, lo aveva sempre e solo permesso a Tooru, anche perché, probabilmente, non era mai riuscito a farlo smettere, ed anche Oikawa a sua volta non permetteva a nessuno di storpiare il suo nome in insulti a caso.
Lo permetteva solo a lui.
A lui aveva sempre permesso tutto.
A colui di cui era innamorato.
O così aveva creduto Hajime.
«Tooru…», pronunciò poi a sua volta l’ex asso dell’Aoba, con una voce così roca che faticò a riconoscere come sua.
Fine capitolo 6


°°°°°°°°°°


Colei che scrive:
Sì, lo so, sono passati letteralmente MESI dall’ultimo aggiornamento >.< ma in questi mesi mi sono dedicata ad iniziare l’altra long che sto scrivendo (sulla KageHina, altra ship che personalmente porto nel cuore *_*), però non mi sono dimenticata di questi due! >.< Mi dispiace solo aver fatto passare così tanto tempo, inoltre ora il tempo per scrivere ne ho davvero ben poco, per cui ho scritto questo capitolo di getto, visto che mi era tornata un po’ di ispirazione, perciò mi scuso in anticipo se è un po’ confusionario e ci sono un po’ di errori! 
Spero comunque che questo avvicinamento vi sia piaciuto :D ed ora si entra nel vivo della storia eheheh
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


 
 
Rimasero a fissarsi negli occhi con espressione scioccata per quelle che ai due sembrarono ore, ma il primo a riprendere coscienza di sé stesso fu Tooru, che spostò i suoi occhi da quelli dell’ex compagno di squadra serrando la mascella. Non voleva sentirsi di nuovo vittima di vecchi sentimenti, soprattutto quando era sicuro di essere riuscito a reprimerli tutti grazie al tempo passato. Certo, non si sarebbe nemmeno mai aspettato di vedere un giorno Hajime di fronte casa sua, e si domandò chi fosse stato tanto audace da dargli l’indirizzo, e varie idee iniziarono a farsi spazio nella sua mente, ma era sicuro però che Iwaizumi non lo avrebbe lasciato andare così facilmente, non dopo tutti quei chilometri e dopo averlo finalmente trovato.
«Beh, non so come tu abbia fatto a trovarmi né cosa tu voglia, ma sono molto impegnato ora…», prese parola Tooru, senza neanche degnarlo di uno sguardo mentre riafferrava la cinghia del suo borsone abbandonato a terra.
«Davvero?», lo sbeffeggiò invece Hajime, nella maniera più sarcastica che riuscì a fare, «non ci vediamo da anni, dopo che tu sei scappato senza dire nulla a me, e l’unica cosa che sai dire è che sei impegnato?», ringhiò, accennando un passo verso quello che non sapeva più se definire amico o meno, e dietro quella risolutezza l’alzatore si sentì spiazzato, tanto da dover fare un passo indietro. «Non trattarmi come uno stupido, Tooru. Questo tuo atteggiamento è sempre andato a buon fine con Kageyama, ma con me non attacca. Tu non ti muoverai da qui se prima non mi dirai che sta succedendo, e perché sei fuggito allontanandoti da tutto e tutti senza prima parlarmene. Avevi così paura che ti urlassi contro? Beh, mi dispiace, sei riuscito comunque a farmi incazzare!», annunciò, serrando i pugni e guardando il suo vecchio capitano con risolutezza, mentre gli occhi cioccolato dell’altro indugiarono per un momento sul suo volto, che sembrava più stanco e tirato del solito. Poi svuotò con un sospiro tutta la sua frustrazione.
«È normale che tu voglia sapere tutto, e te lo dirò, ma credimi se ti dico che sono in ritardo. Mi hai preso alla sprovvista mentre sto andando in palestra», sbruffò, «seguo un gruppo di bambini insieme a…beh…», lasciò in sospeso la frase, forse preoccupato di accennare proprio a lui come stavano le cose, ma forse era meglio che Hajime fosse venuto a conoscenza della sua vita da lui e non da terzi, per cui prese di nuovo un copioso respiro e finì quella frase lasciata a metà. «Seguo un gruppo di principianti insieme al mio compagno», concluse, ed Hajime non seppe perché sentì proprio una stretta attanagliargli il cuore mentre gli occhi di Tooru non lo abbandonarono nemmeno per un momento. Sembrava però uno sguardo spento, diverso dalla solita sarcastica vitalità che era sempre riuscito a leggerci. Sembrava stanco e provato. Diverso dal solito Tooru Oikawa delle superiori, per cui era sicuro che quella vita che tanto cercava di tenersi stretto in realtà non gli andasse estremamente a genio. Era sicuro che Tooru dedicasse anima e corpo al suo lavoro ed agli allenamenti, come aveva sempre fatto, portandosi quasi all’auto distruzione come lo aveva sempre visto fare fin dai tempi delle medie. Tuttavia a quei tempi era sempre stato lui dargli un freno, ad impedire che raggiungesse quel limite che lo avrebbe portato all’autodistruzione.
In quel momento invece chi gli avrebbe impedito di corrodersi? Questo fantomatico compagno che, a quanto pareva, non si era neanche accorto che il colorito di quel ragazzo era improvvisamente diventato più pallido del solito?
«Quindi adesso che farai? Scapperai di nuovo lasciandomi l’impossibilità di ritrovarti?», gli gridò contro con il suo solito tono di voce infastidito, come tutte le volte che lo aveva bacchettato nel bel mezzo di una partita o di un allenamento.
«Tornerò a casa dopo l’ora di cena», fece spallucce l’alzatore, con un po’ della sua vivacità ritrovata. Hajime credette anche di aver visto un sorrisetto beffardo spuntargli sulle labbra.
«E ti aspetti che io attenda qui buono il tuo ritorno? Non prendermi per il culo, Oikawa!», sbottò, l’irritazione ben palese nel suo sguardo, e forse fu proprio la profondità di quello sguardo che portò a sospirare il suo vecchio capitano con rassegnazione.
«D’accordo, ho capito, muoviti, vieni con me», lo incitò mentre iniziò a camminare verso quella che doveva essere la sua auto, «come ti ho già detto, sono in ritardo», e concluse così gettando poco carinamente nel bagagliaio il suo borsone, mentre col pelo dell’occhio osservò l’amico che, in maniera incredibilmente titubante, prendeva il posto del passeggero.
«Spero solo non debba pentirmene», pronunciò poi Tooru, sottovoce ed in modo che non potesse essere sentito dal vecchio amico, prima di infilarsi al posto di guida ed accendere la vettura con un gesto stizzito, non prima di aver indirizzato verso il suo vecchio asso un’occhiata del tutto ammonitiva.
«Dove stiamo andando?», chiese però Hajime, poggiando un gomito sulla portiera alla sua destra e poggiando la guancia sul dorso della mano, continuando a guardare avanti a sé, senza minimamente spostare lo sguardo su Tooru, che invece continuava a lanciargli occhiatine indispettite col pelo dell’occhio. Si poteva ben percepire la tensione all’interno di quella vettura, ma in quel momento Oikawa non aveva avuto il cuore di “abbandonare” di nuovo il suo vecchio amico, nonostante fosse ben chiaro che lui non avesse avuto intenzione di demordere. Non faticava a credere al fatto che Iwa-chan l’avrebbe aspettato davvero seduto sul marciapiede fuori dalla sua abitazione fino al suo ritorno. Tuttavia quella era una probabilità estremamente seccante, soprattutto perché avrebbe dovuto spiegare tutto al suo compagno, colui con il quale condivideva non solo l’appartamento, ma anche la vita. Spiegare al fidanzato che quello era una sua estremamente testarda vecchia fiamma non avrebbe minimamente agevolato la sua posizione, soprattutto perché non aveva mai raccontato nulla al suo attuale fidanzato di Hajime Iwaizumi. Gli aveva raccontato solamente del fatto che fossero stati compagni di scuola dalle elementari e che avessero giocato insieme fino alla fine delle superiori.
Nient’altro.
Non sapeva che invece il cuore di Oikawa aveva battuto per quel burbero ragazzo per quasi tutta la durata del terzo anno dell’Aoba Johsai, e forse anche prima, di come Tooru si fosse dichiarato e come, gentilmente, Hajime l’avesse rifiutato. Di come si era disperato nella solitudine della sua camera, cercando di essere lo stesso spensierato sarcastico ragazzo in sua compagnia per non destare sospetti nell’amico.
Aveva poi deciso di volare fin dall’altra parte del mondo per mettere quanta più distanza da lui, ed esaudire quel sogno che l’aveva accompagnato per tutta la vita.
Voleva essere il migliore sul campo.
Non voleva solo guarire le sue ferite d’amore, ma anche l’umiliazione subita da tutti i suoi avversari.
Kageyama.
Ushijima.
Tutti.
Voleva batterli tutti, e per farlo avrebbe dovuto diventare più forte, per cui aveva deciso di mettersi nelle mani del migliore.
Aveva cercato José Blanco e grazie a suo padre era riuscito a farsi prendere sotto la sua ala protettrice. Tuttavia non era stato minimamente facile sopravvivere in un paese tanto diverso dal proprio, con le sue culture e la sua lingua, e siccome Tooru non era uno che amava dipendere dagli altri, non aveva accettato l’aiuto di nessuno.
Nemmeno quello del padre che aveva sempre ripudiato.
Si era trasferito in un piccolo appartamento vicino alla palestra, e per vivere aveva cercato di fare ogni lavoretto possibile, fino a quando non aveva conosciuto il suo attuale compagno.
Lui l’aveva “salvato” da quella vita quasi disgraziata che si era incaponito di fare, ed oltre un degno tetto sopra la testa, sicuramente migliore della bettola in cui si era ritrovato a vivere, gli aveva concesso di fare il coach ad un gruppo di principianti insieme a lui, così che almeno poteva guadagnarsi il giusto per vivere. Si erano divisi i bambini, ed in quel momento Tooru, con Hajime al seguito, era diretto proprio in quella palestra.
«Te l’ho detto, sono l’allenatore di un gruppo di principianti insieme al mio compagno ed in questo momento stiamo andando in palestra, con estremo ritardo grazie a te», mostrò una piccola smorfia indignata, che però non scalfì minimamente l’espressione seriosa di Iwaizumi, «e ti sarei grato se non dicessi nulla di fuori luogo. Tu sei solamente un mio vecchio compagno di scuola venuto a trovarmi, nient’altro», sospirò infine, assottigliando lo sguardo per un momento in direzione dell’altro, che sentì però il dovere di aggrottare le sopracciglia mentre finalmente spostava lo sguardo verso Tooru.
«Perché…non è quello che siamo?», chiese Iwaizumi, stranamente perplesso, ma il silenzio di Oikawa gli dette conferma che sotto c’era molto di più.
«Non glielo hai detto, vero?», chiese poi, e l’espressione colpita di Tooru gli dette immediatamente conferma.
«Non ce n’era bisogno, e non c’è bisogno che lo sappia ora. E poi non c’è nulla da spiegare…», concluse però, perentorio, e la conversazione crollò così, a poca distanza dalla palestra.
 
 
Quando approdarono nel parcheggio, Tooru lanciò l’ultima occhiata ammonitiva verso l’amico, prima di tirarlo per la felpa fino all’interno, assumendo l’espressione spensierata che Hajime gli aveva sempre visto fare ogni volta che entravano dentro un campo di gioco. Era cresciuto, si era fatto più alto e muscoloso, ma sotto sotto era lo stesso ragazzo delle medie, il suo solito, testardo, amico, quello che non sarebbe mai stato soddisfatto se prima non avesse dimostrato di essere il migliore…ed una piccola smorfia soddisfatta comparve sulle labbra di Hajime, ma morì nel momento esatto in cui gli occhi di tutti i ragazzini in quella palestra, e quelli di un ragazzo decisamente più alto e piazzato di lui, non si piantarono sui nuovi arrivati.
«Oh, Tooru, ce l’hai fatta ad arrivare!», disse quello che l’ex asso dell’Aoba etichettò come il nuovo compagno dell’amico, soprattutto quando lui stesso gli sorrise amorevolmente.
«Scusami, ho avuto un contrattempo, e poi…», indicò Iwaizumi, rimasto impalato in un angolino della palestra, «ho avuto una visita», ridacchiò, nonostante ad Hajime non fosse passato inosservato il nervosismo con il quale lo aveva fatto, nonostante non avesse capito una sola parola della lingua che aveva usato per parlare. «Ti ho parlato di Iwaizumi, vero? Era il mio schiacciatore ai tempi della scuola!», lo presentò, mentre gli occhi scuri dell’argentino si posarono sull’ex asso ed il suo sguardo indagatore sembrava volerlo scandagliare fin nel profondo.
«Oh, sì, ricordo…», gli rispose il compagno, nella loro lingua, cosa che agitò ancora di più il preso in causa.
«Hajime Iwaizumi», lo richiamò, con un cordiale sorriso che servì un po’ a sciogliere i muscoli tesi ed intorpiditi dal fatto di essere stato per tre ore seduto su un misero marciapiede. «Tooru mi ha parlato molto di te. Sono Alan Gonzalez», gli disse poi in un inglese molto snocciolato, mentre gli porgeva una mano in segno di saluto.
“Ah sì”, pensò invece il giapponese, spostando leggermente lo sguardo su Tooru, che nel mentre stava cercando di radunare i suoi allievi in una parte del campo, e nel vederlo compiere quelle semplici mosse non poté non sorridere dentro di sé.
«Piacere di conoscerti,», disse invece, ricambiando la stretta di mano dell’altro uomo con espressione cordiale, nonostante si sentisse decisamente in soggezione e fuori luogo.  Non che si fosse mai sentito fuori luogo dentro una palestra, ma si sentiva messo sotto esame da quegli occhi scuri e da quella presenza decisamente più alta di loro di almeno dieci centimetri. Ed inoltre si sentiva un estraneo nella vita di Tooru oramai. Non lo sentiva da cinque anni, né sapeva cos’avesse fatto in quel lasso di tempo. Né Oikawa lo sapeva di lui.
Aveva continuato l’università, si era allontanato dai campi di gioco per perseguire il sogno di diventare un preparatore atletico. Aveva fatto corsi, studiato molto, e sì, era stato anche aiutato. Oramai gli mancava davvero poco per riuscire a laurearsi ed iniziare così a lavorare seguendo i suoi atleti, ma prima c’era una cosa che voleva fare ed alla fine aveva preso il coraggio di farla, anche grazie ad Hinata. Forse se non fosse stato per il piccoletto degli Msby avrebbe lasciato le cose come stavano e forse se ne sarebbe pentito per tutta la vita. Non che quell’audace viaggio avrebbe potuto riportare le cose come ai vecchi tempi, anche perché sapeva che ognuno dei due aveva oramai la propria vita da portare avanti, e seppur Hajime non aveva più voluto condividerla con qualcuno, Tooru aveva invece trovato qualcuno a cui dedicare la sua.
Allora perché si sentiva così…frustrato?
«Iwa-chan, che ne dici di seguire gli allenamenti dei ragazzi dalla panchina?», Tooru lo riportò coi piedi per terra, parlandogli finalmente in una lingua conosciuta, ma l’espressione quasi supplichevole che usò spiazzò l’ex asso per un breve attimo, quel tanto che gli bastò per capire di essere di troppo.
«Se è un problema posso chiamare un Taxi», esordì Hajime, accennando con la testa al suo telefono abbandonato nella tasca dei pantaloni, mentre Tooru sgranò leggermente gli occhi, come se fosse spaventato da qualcosa.
«Io avrò da fare fino all’ora di cena e poi…»
«Sì, ho capito, ci vediamo», replicò senza un’emozione particolare nella voce, ma qualcosa nell’animo di Oikawa si spezzò, mentre il moro lanciava un’occhiata turbata all’altro uomo, che nel mentre era intento a spiegare qualcosa ai suoi ragazzi ma con il pelo dell’occhio teneva costantemente sotto controllo i due.
Ora che aveva rivisto Iwa-chan, ora che lui aveva fatto tutti quei chilometri solo per rivederlo, e probabilmente per cercare alcune risposte o rimettere a posto le cose, lui lo lasciava andare via così?
«Chiamami domani, cercherò di organizzarmi», gli disse poi, passandogli senza farsi vedere il suo biglietto da visita, su cui era appuntato il numero di telefono che probabilmente usava come riferimento per i genitori dei ragazzini che seguiva, che Hajime afferrò con uno sbruffo indignato dei suoi.
«D’accordo», sospirò infine, «sono davvero curioso di sentire cos’avrai da dire…», concluse poi, sorpassandolo per andare a salutare l’altro uomo. «Ci vediamo Alan!»
«Oh, vai già via Iwaizumi?», chiese, nonostante l’espressione abbattuta del compagno di Oikawa non lo convinse minimamente della sua sincerità.
«Sì, mi sono ricordato di un impegno!», accennò, «ci vediamo!»
«Torna pure a trovarci!», insistette Alan, mentre Tooru spostava il suo sguardo dall’uno all’altro per cercare di capire lo stato d’animo di entrambi. Si sentiva come un pallone che veniva sballottato da una parte all’altra del campo, ed era la prima volta.
Quando però Hajime ebbe lasciato la palestra, Oikawa rimase a fissare il punto in cui il suo vecchio compagno era sparito, con espressione fin troppo mesta. C’erano un sacco di emozioni e sentimenti che Tooru sentiva volteggiare dentro di sè, ed era così costantemente concentrato verso il portone d’ingresso che in un primo momento non si accorse della presenza che prese posto vicino a lui.
«È veramente solo un vecchio compagno di scuola?», chiese il nuovo arrivato, nel suo solito inglese basico, ma quello che convinse l’ex capitano del Seijoh a voltarsi verso di lui fu il tono quasi sprezzante con il quale lo disse.
Era la prima volta che sentiva e vedeva il suo compagno così…geloso…
E per la prima volta in vita sua, Oikawa non seppe cosa rispondere.
Fine capitolo 7
 
 
 
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Colei che scrive:
 
Mi sono decisa a portare un pochino avanti anche questa storia! Mi dispiace aver fatto passare così tanto tempo, per cui chiedo perdono! Prometto di aggiornare più costantemente eheheh soprattutto ora che si entra nel vivo <3 Non credi di volerla fare troppo lunga, ma vedremo cosa partorirà la mia mente!
In ogni caso chiedo perdono per gli errori!
Ringrazio comunque tutti i lettori silenziosi che sono giunti fino a qui <3
Alla prossima!

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