Le urla dell’attrice e i suoi “Oh,
yeah! Fuck me!” si facevano sempre più strepitanti, come anche i
ringhi rochi della sua controparte maschile.
Junpei si mosse per afferrare il
telecomando, ma Itadori fu più veloce. «No, no. Cosa credi di fare? Ci
tenevi così tanto a vedere il film!».
«Itaori! Se tornasse mia madre...».
“You like it, don’t cha?”
«Nagi ha detto che torna a casa stasera
sul tardi», gli ricordò Itadori con un sorriso.
Junpei si sporse per prendergli il
telecomando dalle mani, ma questi lo portò fuori dalla sua portata.
«Potresti almeno abbassare il volume?».
Per tutta risposta, Itadori lo alzò di
due tacche.
“HARDER!”
Junpei avrebbe voluto strozzarlo. Che
vergogna! Chissà cosa avrebbero pensato i vicini!
«Rilassati, Junpei. Come se non avessi
mai visto un porno...».
«Solo con le cuffie, e mai in
compagnia!».
«Nemmeno io, ma non vedo il problema».
Junpei lo ignorò e tornò alla carica,
allungandosi su Itadori pur di prendere quel maledetto telecomando. Non
poteva credere che quei pochi centimetri d’altezza che li separavano
bastassero per evitare che arrivasse a prenderlo.
Un altro problema sorse subito dopo, ma
quando se ne accorse fu troppo tardi: era salito addosso al suo amico,
ancora seduto e con il braccio teso verso l’esterno.
“Oh, you fucking bitch!”
Junpei, rosso in volto, fece per
alzarsi; avrebbe fatto come negli anni quaranta: spento la televisione
manualmente.
Itadori, però, lo bloccò per una
spalla. «Avanti. Non rovinare tutto e torna qui!». Lo stregone aveva
una forza fuori dall’ordinario e con un minimo sforzo fece perdere
l’equilibrio, già di per sé precario, a Junpei, che gli cadde addosso.
Le loro erezioni sbatterono su una coscia l’uno dell’altro e una mano
del ragazzo più grande si poggiò sul torso di Itadori. Junpei non lo
aveva mai toccato prima, ma a sentire quel pettorale sodo e muscoloso
il suo membro ebbe un piccolo guizzo. Cos’altro nascondeva Itadori
sotto i vestiti? Con quali altri doni era stato benedetto – o
maledetto?
Il rossore sul volto di Junpei era
visibile anche se di spalle alla televisione.
«Ohi, non essere così imbarazzato».
Itadori sorrise e gli diede un buffetto sulla guancia. «È normale
essere entrambi eccitati». Pose le mani sul suo bacino e, come se fosse
un gattino di peluche, lo rimise a sedere con facilità sul divano,
proprio accanto a sé. «Godiamoci il film!».
La coppia sullo schermo, intanto, ci
stava dando dentro alla grande.
Junpei, però, non era interessato al
gigantesco seno finto dell’attrice, che sballonzolava a ogni spinta,
tantomeno alla sua femminilità aperta e bagnata. La sua attenzione non
era nemmeno per il fisico proporzionato dell’attore o al suo immane
membro virile, non con Itadori lì di fianco a sé, per lo meno. A Junpei
non importava nulla di quel film porno di bassa lega con i classici
dialoghi indecenti e preconfezionati – “You bitch! So tight!”
–, riteneva più unico e speciale sbirciare Itadori di tanto in tanto.
La sua espressione illuminata dalla luce bluastra dello schermo era
tinta di soddisfazione e gli faceva venire i brividi.
All’improvviso gli occhi di Itadori lo
trafissero, giocosi.
Junpei distolse immediatamente lo
sguardo, tornando a concentrarsi sul film, ma brividi freddi gli
percorrevano la schiena: come se lo sguardo di Itadori fosse ancora su
di lui.
Timido, volle accertarsene e confermò i
propri sospetti.
Il loro fu un gioco di sguardi, dove si
accarezzavano e scappavano, rimanevano fermi e saltavano via, finché
non si incontrarono e lì rimasero. Si fissarono negli occhi, incerti e
spaventati, ma con uno spirito combattivo che bruciava dentro di loro.
Forse complice il film, la penombra,
l’essere da soli in casa o la disperazione. Junpei sospirò.
«Ita-Itadori?».
Lo stregone tremò nel sentire il
proprio nome dalla voce arrochita del’altro. «Ah?».
«Saremo ancora amici dopo stasera?».
«Perché non dovremmo?».
«Promettimelo».
“Don't stop! Faster!”
Itadori tentennò appena, prima di
rispondere. «Te lo prometto...».
Junpei, tra i due, era il più
coraggioso anche se a prima vista si sarebbe potuto pensare il
diversamente. Lui aveva dovuto combattere contro gli esseri umani e se
stesso, non solo contro le maledizioni. Colmò la distanza tra la bocca
di Itadori e la propria. Tenne gli occhi stretti: vedere l’espressione
ferita e probabilmente disgustata dell’altro sarebbe stato troppo da
sopportare. Rimase in attesa di un pugno, uno spintone, qualche parola
caustica che gli ricordasse quanto era disgustoso nel provare
attrazione verso un uomo.
La mano di Itadori, invece, si posò
gentile sulla sua guancia e scivolò alla nuca, tenendo Junpei vicino a
sé, ancora sulle sue labbra.
Si baciarono con tutti i sentimenti che
avevano tenuto rinchiusi nel cuore in quei giorni, ansimando nelle loro
bocche dove lingue e denti si incontravano caotici. Il primo bacio di
entrambi era un enorme disastro, ma a nessuno dei due pareva importare
davvero.
Il braccio dello stregone era sceso a
cingere le spalle dell’altro, tenendolo ancora più vicino. L’altra
mano, invece, era scivolata al petto di Junpei, poi sempre più giù,
fino all’elastico dei suoi pantaloni chiari della tuta da casa. «Posso,
vero, Junpei?».
“Yes! Oh, please!”
«S-Sì...».
Le dita di Itadori scivolarono oltre i
pantaloni e la biancheria di Junpei, e afferrarono la sua erezione,
iniziando a masturbarlo.
Non potendo rimanere così, senza
rendere il favore, le mani di Junpei sbottonarono i pantaloni della
divisa da stregone dell’altro e misero a nudo il suo sesso. Ingollò a
vuoto: Itadori era persino meglio di come lo immaginava nelle proprie
fantasie sotto la doccia. Si costrinse a distogliere lo sguardo,
nonostante fosse curioso ed eccitato, e tornò a baciare il sorriso
dolce e cordiale di Itadori.
Le loro mani erano salde e laboriose
sul pene l’uno dell’altro, e si muovevano quasi all’unisono. Gemiti
estatici lasciarono le loro labbra, quasi più alti di quelli del porno.
Junpei non aveva mai avuto delle mani
adoranti di qualcuno su di sé, e gli sembrò quasi di ardere vivo – non
era qualcuno che lo stava toccando: era Itadori, il ragazzo
sul quale
fantasticava da settimane, era quello il motivo per cui tutto sembrava
magico.
I loro polsi si muovevano frenetici,
alla ricerca di un piacere sempre maggiore per l’altro, finché il
calore nei loro ventri fu impossibile da contenere.
“I’m cumming! I’m cumming!”
Il primo a riversarsi nel pugno
dell’altro fu Itadori. Per non rischiare di morderlo nella foga del
momento, ruppe il bacio con Junpei e nascose il volto contro l’incavo
della sua spalla, gemendo forte, senza smettere di masturbare l’altro.
Il ritmo più irregolare del polso di Itadori, unito alla consapevolezza
di averlo fatto venire, permisero a Junpei di arrivare al proprio
climax nel pugno dell’altro, anche se qualche schizzo sfuggì,
macchiandogli la stoffa del cavallo dei pantaloni.
Era stato meraviglioso.
“AH! Fuck!”. Nel film i due
protagonisti si stavano riorganizzando per un secondo round, Itadori e
Junpei, invece, mossero solo le braccia libere, per stringere l’altro a
sé più forte, quasi temessero potesse svanire come fumo.
«Jun-Junpei?». Itadori lo chiamò piano,
la voce ovattata dalla maglietta dell’altro. «Scusa, ma non voglio più
essere un tuo amico dopo stasera». Gli posò un bacio sulla clavicola
prima che il cuore di Junpei potesse crollare. «Vuoi essere il
mio fidanzato, Junpei?».
Il cuore del più grande batté più forte
e veloce. «Sì, ti prego...». Non desiderava altro.
Un bussare alla porta fece esplodere la
loro bolla di serenità.
«Ragazzi? Potreste abbassare il volume?
Si sente fin da fuori».
I due raggelarono; anche se non la
vedevano nel buio del corridoio, la sua voce era inequivocabile.
«Ma-mamma?!». Junpei diventò ancora più
pallido del solito. «Ma tu non dovevi tornare...».
«Avevo scordato il cellulare
all’ingresso, sto uscendo di nuovo!».
Itadori schiacciò il tasto "muto" sul
telecomando, poi carezzò i capelli di Junpei, come a dirgli di
calmarsi. Forse Nagi pensava fosse stato solo il porno ad aver fatto
tutto quel fracasso.
«Ah, Junpei? Prendi pure i miei
preservativi, sono nel primo cassetto del comodino, ma non fatelo sul
mio letto chiaro?».
Junpei rimase fermo e in silenzio,
senza nemmeno la lucidità per chiedersi perché la madre, vedova, avesse
dei profilattici, così fu Itadori a prendere la situazione in mano con
l’allegria che lo caratterizzava: «Grazie mille, signora Nagi! Buona
serata!».
«Ah, Itadori?». La donna tossicchiò.
«Abbi cura di mio figlio».
«Non ne dubiti!».
Lei uscì di nuovo, lasciando i due da
soli.
Junpei avrebbe davvero voluto che il
divano lo mangiasse, in quel momento più che ad inizio serata. Si girò
per dire a Itadori che voleva andare in bagno a darsi una ripulita, ma
rimase incantato dal sorriso brioso dell’altro che splendeva alla luce
del televisore.
Non rimpiangeva nulla di quella serata,
nemmeno la cena ormai raffreddata.